Omnia vincit Amor. di Betta7 (/viewuser.php?uid=219193)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Contrasto. ***
Capitolo 3: *** Angolo di paradiso. ***
Capitolo 4: *** Portafortuna. ***
Capitolo 5: *** Ostacoli ***
Capitolo 6: *** Distrutto ***
Capitolo 7: *** Proposta indecente ***
Capitolo 8: *** Il matrimonio. ***
Capitolo 9: *** Tentazioni. ***
Capitolo 10: *** Profumo di fiori. ***
Capitolo 11: *** E adesso.... ***
Capitolo 12: *** Porte chiuse. ***
Capitolo 13: *** Una cosa sola. ***
Capitolo 14: *** Confessioni. ***
Capitolo 15: *** Capodanno tra le stelle. ***
Capitolo 16: *** Dimenticare. ***
Capitolo 17: *** Paura di perderti. ***
Capitolo 18: *** Dimmi se vuoi mollare. ***
Capitolo 19: *** Onda. ***
Capitolo 20: *** Non posso. ***
Capitolo 21: *** Casetta fuori dal mondo. ***
Capitolo 22: *** Piena. ***
Capitolo 23: *** Regali di Natale. ***
Capitolo 24: *** Toccare la luna. ***
Capitolo 25: *** L'amore vince tutto. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
.PROLOGO.
- FATO -
- Forza cieca e misteriosa che
regola gli eventi degli uomini e dell'universo e alla quale neppure gli
dèi possono sottrarsi.
" L'amore
può condurci all'inferno o al paradiso, comunque ci porta
sempre in qualche luogo. È necessario accettarlo,
perché esso è ciò che alimenta la
nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i
rami dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio
di tendere la mano e di coglierli. È necessario ricercare
l'amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe
significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza.
Perché nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore,
anche l'amore muove per venirci incontro. E ci salva. "
Paulo Coelho
Non avete idea
di quanto Io sia presente nelle vostre vite.
Siete come i
burattini del mio teatro e Io non faccio altro che muovere i vostri
fili, conducendovi dove desidero.
Non credete
alle assurde bugie della gente che vi dice che siete voi a scegliere,
che siete voi a prendere le decisioni. Non è
così, ve lo assicuro.
Ho assistito
come uno spettatore silenzioso alla loro storia per anni e, quando mi
sono reso conto che da soli non avrebbero mai trovato la strada, non ho
fatto altro che spingerli l'uno verso l'altro. Ho provato mille volte e
ricongiungere i loro cuori, ma tutte le volte le loro parole hanno
rovinato tutto.
Akito non
riesce ad esprimere i suoi sentimenti e non fa altro che nascondersi,
Sana d'altro canto non sa cosa prova.
Ho visto per
anni Tsuyoshi e Aya sperare che Io li aiutassi. Mi hanno pregato
chissà quante volte, mi hanno invocato... e a volte anche
insultato.
Maledetto,
dicevano. Ma dove sei quando servi?, dicevano.
E non sapevano
nemmeno quanto Io fossi vicino, erano i loro amici ad allontanarmi.
Ma in fondo,
non tutte le storie sono improvvise. Alcune nascono come le stagioni.
Sana e Akito
sono da sempre in una perenne primavera. I fiori del loro amore
continuano a sbocciare, ma loro sono come due passanti distratti che
non si accorgono di ciò che gli accade intorno, che non
vedono la bellezza di ciò che li circonda.
Prima o poi,
però, la Primavera dovrà trasformarsi in Estate.
Sono stato
l'ispirazione di tanti poeti, musicisti, attori. Sono stato invocato
innumerevoli volte, e tutte le volte ho lasciato un pizzico di me a chi
mi aveva chiesto aiuto.
Il mio fedele
compagno è il sentimento che tutti sperano di incontrare
prima o poi: l'Amore.
Insieme siamo
stati la salvezza e la rovina dell'altro.
Ma niente,
assolutamente niente, potrebbe cambiare il corso delle cose.
Un grande
poeta una volta scrisse:
"L'amore è una forza
della natura.
Tentare
di opporsi ad essa, è vano.
Chiudere gli occhi di fronte ad
essa è ipocrita. "
E, per voi,
sarà tutto vano se non lascerete che la mia mano vi guidi.
Destino.
So benissimo che molti non
saranno contenti di rivedere una mia storia, ma da qualche settimana io
e la mia MERAVIGLIOSA Beta abbiamo ideato questa storia. Grazie a lei
ho deciso di intraprendere questa nuova avventura e spero che sarete in
tanti a seguirla perchè, come in University Life, ci sto
mettendo il cuore.
Ringrazio anticipatamente chi leggerà e avrà
voglia di recensire e prometto che, almeno stavolta,
cercherò di rispondere a tutte le recensioni.
Un bacio,
Akura.
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Capitolo 2 *** Contrasto. ***
CAPITOLO
UNO.
CONTRASTO.
Pov Akito.
Credevo davvero che
fossimo cresciuti per cose come quelle, litigi infiniti che ci
portavano a far pace in camera sua con un vaschetta di gelato e un
film. Odiavo quando Sana mi costringeva a quelle sceneggiate, ma sapevo
anche quanto lei le amasse, quindi spesso mi limitavo ad annuire e ad
evitare qualsiasi discussione. Eravamo cresciuti, senza dubbio, ma
eravamo rimasti in un certo senso gli stessi. Io, come sempre, non
riuscivo ad esprimere i miei sentimenti, e questo comportava il
più delle volte uno Tsuyoshi che non mi lasciava mai in pace
e lei, d'altro canto, era sempre stata tarda nel capir le cose. Lo
sapevano tutti, persino Fuka, che ormai si era rassegnata da tempo al
fatto che non avrebbe potuto avermi, mentre lei continuava a far finta
di non vederlo. Nei miei gesti riconosceva quelli che qualsiasi
migliore amico farebbe. Si, anche Tsuyoshi era il mio migliore amico,
ma di certo non mi svegliavo al mattino grondante di sudore dopo averlo
sognato e, soprattutto, non provavo alcuna gelosia verso di lui. Con
Sana invece era un continuo pugno nello stomaco, con tutti quegli
attori che le giravano attorno e che io dovevo sopportare senza battere
ciglio. Quante sere avevo passato ad ascoltare i suoi racconti e a
cercare di trattenere il mio istinto di ucciderli tutti.
Tsuyoshi mi ripeteva
ormai da anni di rivelarle i miei sentimenti, io avevo sempre sviato e
rimandato, semplicemente perchè quel momento mi metteva
un'ansia addosso che non riuscivo a spiegare neanche a me stesso. Se le
avessi davvero detto ciò che provavo per lei da tutti quegli
anni, mi avrebbe guardato con occhi diversi il che poteva essere sia un
bene che un male. E io di rischiare ero terrorizzato, perchè
se lei avesse chiuso il nostro rapporto l'avrei vista andare avanti
senza di me, vivere la sua vita da star senza batter ciglio, mentre a
me sarebbe mancato tutto.
Quindi, per anni, avevo
tenuto la bocca chiusa, e il mio apparire sempre controllato e
distaccato mi aveva aiutato a nascondere lo tsunami di emozioni che mi
investiva quando la vedevo tutta in tiro il sabato sera, quando la
guardavo ballare nei locali, quando passavamo le domeniche a studiare
matematica e io mi perdevo il filo del discorso perchè lei
cominciava a giocherellare mordicchiandosi le labbra. Ecco, quelle
erano cose che mettevano a dura prova il mio autocontrollo e rovinavano
la mia salute mentale.
Spesso mi soffermavo a
guardarla, anche tra i banchi di scuola, quando i professori spiegavano
qualcosa che le interessava poco, e le veniva sempre una piccola ruga
sulla fronte. Oppure avevo notato che quando aveva una discussione con
Fuka metteva il broncio a me solamente perchè sapeva
benissimo che con lei non attaccava. E io mi divertivo a vederla col
muso lungo, e mi divertivo soprattutto a vederlo sparire quando un
raggio di sole le arrivava sul volto. Era magico, a volte mi capitava
di guardarla anche mentre dormiva. Si muoveva raramente, contrariamente
a quanto lo faceva da sveglia, e io mi soffermavo ad osservare il suo
petto che si alzava e abbassava ritmicamente.
Adoravo quei momenti di
tranquillità, mi facevano capire quanto le cose potessero
essere diverse, se solo avessi trovato un po' di coraggio.
La ragazza S e il ragazzo A.
Era così che i nostri compagni amavano definirci, era
così che tutto
il liceo amava definirci. Io non ci avevo mai veramente
dato peso, non finchè mi ero reso conto che le cose stavano
cambiando, e avevo cominciato a considerare quella definizione come
qualcosa di più.
Ormai mancavano meno di
due settimane alla fine del liceo e poi sarebbe iniziata la tanto
temuta università. Temuta, si, perchè se avessi
potuto avrei di gran lunga deciso di evitarla. Avevo ricevuto una
proposta da un college americano ed ero ancora indeciso se accettare o
meno. Se pensavo razionalmente, e lo facevo raramente, c'erano mille
motivi a dirmi di prendere la mia valigia e partire senza guardarmi
indietro, mentre non avevo trovato nessun motivo abbastanza valido da
trattenermi in quella città.
Ma, se mettevo da parte
la mia testa, e mi figuravo davanti Sana... allora lì le
cose si complicavano sensibilmente. Mi ero sempre detto che tutto
sarebbe cambiato, che Sana avrebbe aperto gli occhi, che i miei amici
l'avrebbero smessa di cercare di metterci insieme perchè se
qualcosa fosse accaduto sarebbe dovuto nascere da noi e da nessun
altro. Ma Sana non faceva altro che partire e tornare, senza lasciare
traccia di se' , senza dire ciao o dare una spiegazione, per noi era
semplicemente normale vederla una volta al mese, se eravamo fortunati.
Per la maggior parte
del tempo, mentre era dall'altra parte del mondo, io la odiavo. E la
odiavo così tanto che la cosa mi sfiniva, mi svuotava, ma
poi quando tornava e si precipitava a casa mia tutta sorridente e con
un abbraccio pronto per me, dimenticavo di colpo tutti i motivi per cui
l'avevo odiata e ricominciavo ad amarla, come avevo fatto negli ultimi
diciotto anni.
Quindi, la mia vita al
momento si trovava nella fascia dell'odio puro, perchè Sana
era in viaggio e non sarebbe tornata prima del giorno dopo. L'avevo
chiamata mille volte ma continuava a scattare quella maledetta
segreteria in cui mi chiedeva di lasciarle un messaggio e mi diceva che
mi avrebbe richiamato. Non lo faceva mai.
Poco dopo che mia
sorella uscì di casa il mio telefono squillò e
io, da bravo idiota, mi ci fiondai sopra per rispondere.
«Sana?».
Mi venne spontaneo, lo ammetto, ma tre secondi dopo avrei voluto
sotterrarmi.
«Cavolo,
Akito. Credo che tu abbia dei seri problemi se anche al telefono
rispondi così.»
«Ciao,
Tsuyoshi. Hai chiamato per una ragione in particolare o solo per farti
mandare a fanculo in diretta?».
Lo odiavo quando faceva
allusioni o battutine stupide, nonostante sapessi che il suo unico
scopo era spronarmi.
«Come siamo
suscettibili, immagino che Sana non ti abbia ancora chiamato.»
Lo avrei ucciso, era
ufficiale.
«No, non
è tornata e non ha chiamato, ma questo non c'entra col mio
umore, coglione.»
Ero poco credibile
anche a me stesso, figuriamoci se la persona che mi conosceva meglio al
mondo si sarebbe bevuto una cosa del genere.
«Va bene,
Akito, è ovvio. Comunque ho chiamato per ricordarti che
domani ci sono le prove del ballo, quindi dovresti portare tutto quello
che ti avevo chiesto di comprare - e che spero per te tu abbia comprato
- e aiutarmi a decorare la sala.»
«Ti
porterò tutte quelle cose che si, ho comprato, ma scordati
che io rimanga lì ad attaccare festoni e brillantini
ovunque.»
«Okay, siamo
in allarme nero. Ti lascio in pace, ci vediamo domani.»
Chiusi la telefonata
senza nemmeno salutarlo, volevo bene a Tsuyoshi come se fosse stato mio
fratello, ma c'erano volte che tutto il bene che gli volevo veniva
sostituito da un profondo fastidio per la sua continua voglia di
impicciarsi.
Dalle elementari
continuavamo quell'assurdo gioco, da quando aveva scoperto i miei
sentimenti per Sana aveva deciso categoricamente che non avrebbe avuto
pace finchè non ci avesse visto mano nella mano a
comportarci come facevano lui e Aya.
Notizia dell'ultima
ora: anche se, e sottolineo se, fosse successo in un futuro molto
lontano, non mi sarei mai messo a chiamare Sana con nomignoli strani
del tipo pasticcino o tesorino, o biscottino, o chissà con
quale altro vomitevole modo chiamava la sua ragazza.
Per me tutte quelle
dimostrazioni d'affetto erano praticamente inutili e a volte guardare
loro era come assistere ad un incontro di box dove il giocatore su cui
hai scommesso sta miseramente perdendo: uno schifo.
Quindi, ammesso e non
concesso che io e Sana avremmo trovato il modo di parlarci, non avrei
smesso di chiamarla Kurata, anche solo per vederla arrabbiata
continuamente.
Provai a richiamarla,
ma tornai a sentire la sua voce registrata e tirai il telefono sul
letto, in preda alla frustrazione.
Perchè
faceva così? Perchè per ogni minima parola doveva
fare una tragedia? Erano ormai tre giorni che si ostinava a non
rispondermi al telefono, e solo perchè le avevo detto di
mollare un po' il suo lavoro, o non avrebbe trovato
un'università decente da frequentare. Era la
verità, che le piacesse o no, e io le avevo parlato in quel
modo solo perchè mi stava a cuore il suo futuro e
nient'altro. Ma no, lei non la vedeva così e si era
premurata di farmi chiamare da occhiali da sole per comunicarmi che non
aveva più intenzione di andare al ballo con me.
Ma il ballo era tra due
giorni e se non si fosse presentata, lasciandomi in pasto alla ragazza
che me lo aveva chiesto prima che io lo chiedessi a lei, allora l'avrei
uccisa e poi ero sicuro che non avrebbe trovato un altro accompagnatore
così in fretta - complice anche la sua assenza dalla
città, grazie al cielo - e che non avrebbe mai deciso di
andare al ballo da sola.
Quelle erano tutte
ragioni per mantenere la calma, per decidere che si, anche se era una
pazza furiosa, non mi avrebbe mai piantato in asso, ma conoscendo Sana
non sapevo cosa aspettarmi da lei. Sarebbe stata capace di venire al
ballo con me e poi infilarmi un intero tubetto di panna nelle mutande.
Stavo diventando
paranoico, in modo piuttosto maniacale, e forse Tsu aveva ragione a
dirmi di darci un taglio.
Ma come avrei potuto
farlo se ogni azione di Sana mi mandava fuori di testa?
Quella ragazza per me
era un fottuto mistero e neanche se fossimo finiti con la fede al dito
l'avrei mai capita!
*
Continuavo a guardare
l'orologio, temevo che Sana fosse di parola e che non sarebbe venuta
davvero al ballo con me, ma per ogni parte di me che si ostinava a
urlarmi di scappare da quella situazione ce n'era un'altra,
più forte, che mi imponeva di non dare di matto e andare
avanti.
Indossai il maledetto
smoking che Sana mi aveva fatto comprare, dopo un estenuante pomeriggio
al centro commerciale in cui non mi aveva neanche voluto mostrare il
suo vestito, perchè doveva essere una sorpresa. Non ci
stavamo di certo sposando! Eppure Sana sembrava convinta al cento per
cento, e io non avevo osato contraddirla in nessun modo,
perchè sapevo a cosa andavo incontro.
Quando salii in
macchina ero piuttosto nervoso, sistemai il fiore che le avevo preso
sul sedile accanto al mio e misi in moto, assicurandomi che non cadesse
o si schiacciasse.
Non aveva specificato
quale fiore avesse preferito, ma io mi ero buttato su un bocciolo di
rosa bianca, circondato da tre piccole rose rosse. Si, non
era molto originale probabilmente, ma era il modo in cui la
vedevo. Per me lei racchiudeva in sé la purezza
totale, unita a quel pizzico di passione inconsapevole e, con un po' di
coraggio e una buona dose di alcol, sarei riuscito a dirlo anche a lei.
Parcheggiai davanti
casa sua, era la prova del nove, visto che aveva continuato ad ignorare
ogni mia chiamata; ad aprirmi fu Sagami, e a me mancò il
fiato per un attimo, temendo che mi avesse piantato in asso per qualcun
altro o, ancora peggio, per una delle sue serate piumone e film.
«Oh,
Hayama... sei tu.»
«Felice di
vederti anche io, Rei. Sana è pronta?».
Il bastardo mi fece
entrare ed esitò prima di rispondere alla mia domanda. Mi
fece accomodare, mi offrii un bicchiere d'acqua - dopo avermi fatto un
piccolo test sulla mia facoltà di guida, il che mi rese
ancora più nervoso - e, dopo aver aspettato di sentire che
il mio cuore stava andando in autocombustione, mi rispose.
«Scende
subito.»
Affogati.
Non riuscivo a pensare
lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante,
non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani
il pacchetto con le rose all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana
scendere dalle scale.
Mi sembrò
che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche
secondo, avesse ripreso a battere.
Odiavo che lei avesse
così tanto potere su di me, ma ce l'aveva e dovevo dargliene
atto e accettare che fosse impossibile per me disinnamorarmi di lei.
Ci avevo provato
miliardi di volte, cercando distrazione in altre ragazze, ma non c'era
stato niente da fare, ogni volta mi ritrovavo a dover fare i conti con
i sentimenti che provavo per Sana e con ogni emozione repressa.
Alzai lo sguardo e,
quando i miei occhi incrociarono i suoi, mi sembrò di non
sentire più la terra sotto di me.
«Sei...».
Non mi lasciò neanche finire di parlare, mi prese la mano e
mi condusse alla porta e io mi sentivo un completo idiota che, per
giunta, cominciava pure a diventare balbuziente.
«Si, lo so,
ma è l'unica cosa che sono riuscita a trovare, non mi piace
neanche un granchè... il vestito che avevo comprato con te
era molto meglio.»
Non era un
granchè? E allora cosa avrei dovuto aspettarmi da un futuro non è un
granchè?
«Non
è il vestito del centro commerciale?».
«No, ho avuto
un piccolo problemino con quello e non ho potuto indossarlo.»
Rimasi un po' deluso,
ero sincero, ma quel vestito mi sembrava sicuramente all'altezza per
competere con un abito che non avevo nemmeno mai visto.
Rei ci
scattò una foto, contro la mia volontà e anche
contro la sua, ma Sana insistè così tanto che
avrebbe fatto di tutto pur di farla tacere, dopo di che uscimmo da casa
sua e passammo tutto il viaggio in macchina in silenzio.
Lei aveva cercato di
aprire qualche argomento, chiedendomi cosa ne pensasse Natsumi del mio
smoking e sapevo che me lo chiedeva solo per sentirmi dire che mia
sorella aveva approvato la sua scelta perchè da solo non
avrei saputo come vestirmi, quindi non dissi nulla e la cosa si
rivelò anche piuttosto imbarazzante.
Io le chiesi di
Chicago, come era stato andare nella Windy City, e lei mi aveva
raccontato un sacco di storie carine su quella città e su
ciò che aveva fatto durante il periodo lontana da me...
cioè, volevo dire, da Tokyo.
Non avrei mai creduto
che stare con Sana sarebbe mai stato così strano o
imbarazzante, eppure forse non era davvero il caso di parlarle dei miei
sentimenti o la situazione sarebbe degenerata ancora più, ed
era l'ultima cosa che volevo.
_____________________________________________
Pov Sana.
Stavo cominciando ad
odiare il ballo, in ognuna delle sue forme. Il dj si ostinava a mettere
musica che mi avrebbe fatto sanguinare le orecchie di lì a
poco, l'unica consolazione - se di consolazione si poteva trattare -
era che avevo Akito a sorreggermi.
I tacchi mi facevano
malissimo e non facevo altro che lamentarmi, ma perchè
diavolo avevano inventato degli strumenti di tortura sofisticati come
la gogna, la frusta o la ruota se potevano benissimo fare indossare un
paio di Laboutine e uccidere chiunque?
«Kurata si
può sapere che diavolo ti prende? Sembri una scimmia
impazzita!».
«Sei sempre
così gentile con le tue migliori amiche?».
«Per fortuna
ho solo te, sennò sai che fatica?!».
Le sue battute ormai mi
lasciavano indifferente, erano anni che convivevo con le continue prese
in giro di Akito Hayama, il bambino che avevo trasformato da bulletto a
bravo ragazzo, e solo grazie ad una fotografia che ancora tenevo
gelosamente custodita nel mio cassetto segreto.
«Sai che
posso ancora ricattarti, quindi sarà meglio per te se chiudi
il becco!».
«Si,
ricattami...». Guardò in basso e si accorse che i
miei piedi sembravano avere una crisi isterica, quindi capii tutto e si
mise a ridere. «E' per le scarpe? Non capisco
perchè voi donne vi autopuniate per la vostra condizione di
esseri inferiori.»
Lo guardai con gli
occhi storti. Esseri inferiori? O era ubriaco fradicio oppure voleva
farmi innervosire, e io avrei optato sicuramente per la seconda
perchè conoscevo lo sguardo di Akito e quello, senza ombra
di dubbio, apparteneva all'Akito che voleva farmi uscire di testa.
«Non
cadrò nel tuo giochetto, Hayama. Sono pacifista,
stasera.»
Lui scoppiò
in una fragorosa risata che non sapevo come interpretare visto che
l'ultima volta che l'avevo sentito ridere in quel modo risaliva almeno
a mesi prima e ci era voluta una mia caduta dalle scale e un mio polso
slogato per riuscirci.
«Solo
stasera, sei pacifista?». Aspettò un attimo prima
di continuare. «Togliti le scarpe, Kurata.».
«No! Poi
sembrerò Sanalo,
l'ottavo nano, in confronto a te!»
«Ti ho detto
togliti le scarpe, Kurata.».
Non volevo farlo, ma
Hayama aveva una capacità assurda nel convincermi a fare
qualcosa anche solo guardandomi negli occhi, quindi le tolsi e le
gettai vicino alla console del dj, sperando che a nessuno servissero
mille dollari di scarpe, altrimenti sarei tornata a casa scalza.
«Fatto, sei
contento adesso?». Non parlò e, inaspettatamente,
mi mise un braccio sulla vita e mi alzò, facendo poi
poggiare i miei piedi scalzi e doloranti sulle sue scarpe nuove.
Era un gesto
così dolce, così carino... così da
Hayama.
«Meglio?».
Per un secondo mi
sembrò che tutto quello che avevamo avuto per la nostra
intera esistenza fosse stato un completo errore. Io e Akito non eravamo
amici, non quel tipo di amici con dei benefici almeno, e non volevo
nemmeno che lo diventassimo. Il nostro rapporto era più
profondo, eravamo amici e allo stesso tempo ci comportavamo come una
vecchia coppia sposata e la cosa non andava affatto bene.
Però,
più lo guardavo, più mi perdevo in quella assurda
luce nei suoi occhi, più mi convincevo che, se avessi perso
il controllo una volta, una sola volta, non sarebbe contato come
sbaglio madornale. Era solo un test, un modo di capire i miei
sentimenti che in realtà erano un casino colossale.
Ciò che
avvenne dopo non era difficile da intuire, mi fiondai sulle sue labbra
e lo baciai, come per ringraziarlo sia del gesto così
carino, sia del fatto che, nonostante lo avessi trattato malissimo
negli ultimi tre giorni, lui fosse venuto ugualmente a prendermi
portandomi quella meravigliosa rosa bianca che ora sfoggiavo al polso.
Fu un bacio strano,
inizialmente credevo che mi sarebbe sembrato di baciare mio fratello o
qualcosa del genere, ma Akito andava ben oltre qualsiasi mia fantasia
incestuosa.
Era come andare sulle
montagne russe, un momento prima eri su... e un momento dopo ti
ritrovavi con il cuore che sente il senso del vuoto.
Ma non era il vuoto del
mio cuore quello che sentivo, bensì quello delle sue labbra:
Akito si era staccato.
Avrei voluto
protestare, ma mi sembrò piuttosto ridicolo quindi dopo aver
pregato di non trovarlo con la faccia contrariata quando avrei aperto
gli occhi, mi feci coraggio.
No, non sempre le
preghiere vengono ascoltate.
La sua espressione era molto contrariata.
«E questo che
cosa significa?».
Cosa significava?
Bè... un sacco di cose.
Ho dei sentimenti
repressi per te dalla quarta elementare, quando facevi il maschio alpha
con quel branco dei nostri amici e, anche allora, sebbene ti odiassi...
dentro di me c'era qualcosa.
Qualcosa che, negli
anni, si è trasformato in qualcos'altro, e poi in
qualcos'altro ancora finchè non siamo arrivati qui, a questo
enorme e apocalittico errore, perchè in realtà
questo qualcos'altro io non so cosa sia.
No, quella versione
della storia mi sembrava un po' troppo da Apocalypse Now, la
fine del mondo non era ancora abbastanza vicina da permettermi di
scappare da quel momento, quindi feci un bel respiro e parlai.
«Grazie?».
Hayama
aggrottò la fronte, era molto, molto contrariato.
«E tu mi baci
per ringraziarmi? E di cosa poi, di averti aiutato con le scarpe? Oh
cavolo, Sana! Ma mi prendi in giro?».
Stava cominciando a
dare in escandescenze e la cosa non andava affatto bene
perchè nella mia testa i pensieri non erano abbastanza
nitidi da poter aiutare un'altra persona a sbrogliare la matassa della
propria.
«Tu mi hai
baciata perchè - e cito testualmente - non ti dispiacevo.
Adesso convivi un po' tu con il mistero, signor ti porto sui miei
piedi!».
L'espressione di Akito
si trasformò da contrariata a divertita, era evidente che le
mie doti oratorie non erano il massimo, ma lui mi trovava divertente.
Forse un po' psicopatica e con qualche problema di sdoppiamento della
personalità, ma comunque divertente.
Appoggiai di nuovo la
testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in
quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici,
da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun
altro.
E poi, quel bacio,
aveva trasformato un po' tutto.
Adesso serviva
solamente capirci qualcosa e io, in quello, ero proprio una frana,
quindi dovevo riflettere e mettere insieme i pezzi della situazione.
Era ufficiale: un
esaurimento nervoso/sentimentale era in atto e io, Sana Kurata, attrice
internazionale di soli diciotto anni e mezzo ero stata investita in
pieno dai sentimenti che provavo per Akito.
Una
seconda cosa era ufficiale: non ne sarei uscita viva.
Ecco qua il primo
capitolo vero e proprio.
Ho dovuto
aggiornare adesso perchè purtroppo domani non
avrò possibilità di farlo.
Ringrazio tutte e
tre le persone che si sono soffermate a leggere il prologo, e chi si
soffermerà a leggere l'intera storia, siete il motore di
tutto!
Un bacino!
Akura.
|
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Capitolo 3 *** Angolo di paradiso. ***
CAPITOLO
2.
ANGOLO DI PARADISO.
Pov Sana.
Si dice che, quando si ha un problema, bisogna affrontarlo
obiettivamente, prenderlo di petto, cercare di trovare le risposte,
senza nascondersi dietro un dito. Ed io di risposte da darmi ne avevo
molte, anche se la domanda era sempre e solo una: cosa provavo per
Akito? Così, per passare il tempo sull'aereo che mi stava
portando a Vancouver per il servizio fotografico di una nuova linea di
intimo, avevo iniziato a pensare a come uscire dal casino in cui mi ero
ritrovata.
Dovevo analizzare i fatti:
-Akito e io c'eravamo baciati.
Okay, forse quello era l'unico fatto in realtà, ma
più ci pensavo più realizzavo che la situazione
non era affatto complicata, bastava semplicemente ignorare l'accaduto.
Ci eravamo baciati ma, cosa più rilevante, era stato
bellissimo.
Non dovevo pensarci, o sarei finita per impazzire del tutto. Non sapevo
cosa fare, ero nella più totale e completa confusione.
I miei pensieri proseguirono fino all'arrivo sul set, dove realizzai
che io e Akito ci eravamo scambiati i ruoli, adesso era lui a non
rispondere alle mie chiamate anche se non sapevo il perchè.
Quando ti deciderai a
rispondere ai miei messaggi, mi spiegherai cosa diavolo ti sta
succedendo.
Invio.
Era il sesto messaggio che gli avevo mandato nel giro di tre ore ed era
il sesto messaggio a cui non ricevevo risposta. Stavo cominciando a
stufarmi di quella situazione e il fatto che io fossi lontana milioni
di chilometri non aiutava di certo la mia causa.
Decisi di non pensarci, dovevo concentrarmi per il servizio
fotografico, quindi indossai il primo costume che portarono nel mio
camerino e mi diressi sul set delle foto, dove trovai Rei ad
aspettarmi.
Non sarebbe stata l'unica giornata di scatti, avrei avuto tutta la
settimana impegnata tra una foto e l'altra, e la cosa non mi piaceva
affatto, visto che speravo di tornare a casa prima, almeno per la festa
dell'Hanami.
*
La
settimana trascorse veloce, il mio ritorno in Giappone fu piuttosto
rapido e, per mia fortuna, stavolta Rei non cominciò a
stressarmi con altre proposte di lavoro. Ero totalmente libera e non
vedevo l'ora di parlare con Akito per riuscire a capire cosa gli fosse
preso negli ultimi giorni che lo avesse spinto ad ignorare
ogni mia chiamata o sms. Se mi soffermavo ad analizzare
l’ultima serata trascorsa ricordo che si era comportato in
maniera quasi insolita.
Quando mi aveva sollevato per permettermi di ballare sui suoi piedi, mi
aveva stretto a sé in maniera quasi possessiva, ed io mi ero
sentita protetta. Prima di riaccompagnarmi a casa mi aveva portato a
fare colazione e mentre mi prendeva in giro per il mio modo goffo di
mangiare i cornetti, per cui finivo sempre per sporcarmi come una
bambina, l’avevo visto improvvisamente incupirsi ed
irrigidirsi quando gli avevo parlato del servizio e del fatto che a
breve tutta la città sarebbe stata sommersa dai miei
cartelloni.
Sapeva benissimo che sarei tornata quel giorno e sapeva anche che avrei
voluto trascorrere il giorno dell'Hanami con lui, ma non mi aveva
comunque risposto o fatto sapere nulla. Se il suo obiettivo era quello
di confondermi, ci stava riuscendo benissimo. Se tutto questo suo
evitarmi dipendeva solo dal bacio, sinceramente, non riuscivo a
capirlo. In fondo quante volte lui mi aveva baciato a tradimento ed io,
dopo averlo colpito con il mio fidato martello, non gli mettevo, certo,
il broncio per settimane.
Non stavo facendo un gioco, non lo provocavo per vedere ciò
che le mie azioni comportavano in lui, la verità
era solo una: avevo desiderato davvero di poggiare le mie labbra sulle
sue e lo avevo fatto, era stata una cosa assolutamente spontanea,
improvvisamente non ero più riuscita a controllarmi e poi il
resto era accaduto da solo.
Ma mentre io mi ero sentita completamente schiava delle sua bocca e del
suo sapore, sentendomi piacevolmente stordita, in lui questo contatto
non aveva sortito lo stesso effetto, anzi sembrava che la cosa non lo
avesse toccato minimamente. Anche se non lo davo a vedere, la cosa mi
infastidiva parecchio perché, nonostante inizialmente si
fosse innervosito, dopo mi aveva trattato come se niente fosse successo
e invece io avrei voluto che si arrabbiasse con me, che fosse furioso,
perché quello avrebbe dimostrato che lui ci teneva a me o,
meglio, era l’unico modo che io conoscevo.
Eppure, anche se sapevo che non voleva parlarmi, non potevo lasciar
stare, non potevo passare la festa dell'Hanami da sola, e di sicuro non
avrei lasciato pensare ad Akito che mi ero arresa.
Dopo aver fatto una rapida doccia ed essermi vestita alla
velocità della luce, mi ero fiondata fuori di casa e avevo
cominciato a camminare verso casa di Hayama.
Se non aveva voglia di parlarmi, e di vedermi, allora avrei
mandato a fanculo la sua volontà e avrei messo come bisogno
primario le mie necessità e l'unica cosa che volevo in quel
momento era parlare con Akito e fargli capire che io non avevo
intenzione di rinunciare a noi.
Conoscevo bene quel gioco, si può dire che l’avevo
inventato io: scappare e nascondersi davanti ai problemi, per paura di
affrontare una realtà che, magari, non era come io avrei
voluto o immaginato.
Non ci misi molto, andavo ad un passo più veloce del solito,
e mi ritrovai quasi subito a casa sua. Bussai, venne ad aprirmi Nat che
mi abbracciò e mi fece i complimenti per il servizio
fotografico, aveva visto le mie foto per tutta la città, poi
mi portò nella stanza di Akito.
Quando aprii la porta non lo trovai solo e già la cosa non
mi piacque affatto.
«Ah quindi sei vivo, pensavo di trovarti sul tuo letto in
putrefazione.»
Lui mi guardò, ma non fece neanche in tempo a rispondere
alla mia provocazione, che un suo amico si intromise.
«Adesso capisco perché rifiuti tutte le ragazze
che vengono a seguire i tuoi allenamenti, vedo che hai un bocconcino
molto appetibile tra le mani» e poi rivolgendosi a me, dopo
avermi squadrata in maniera lasciva «Le tue foto mi hanno tenuto molto impegnato,
in particolare quella in cui mangi il gelato. Quando ti sarai stufata
di Akito, sappi che io conosco un modo molto più divertente
per tenere impegnata la tua bocca…»
Non avevo ancora compreso il significato di quelle parole, che vidi
Akito avventarglisi addosso e l’altro ragazzo, presente nella
stanza che, dopo averli divisi a fatica, buttava letteralmente
l’amico fuori dalla porta e si scusava con noi.
Sentii salire la rabbia dentro di me, per questo Akito non aveva mai
voluto che andassi ai suoi allenamenti, aveva uno stuolo di ragazzine
adoranti e si vergognava di farsi vedere con me. Ma se era davvero
così perchè aveva picchiato il suo amico solo per
difendermi?
Quando nella sua camera calò il silenzio mi
sembrò di non riuscire nemmeno a parlargli da amica, come
avevo sempre fatto, cercando di essere il più onesta
possibile.
Forse questo dipendeva dal fatto che ormai la definizione di amici era
ben lontana da noi e non riuscivo più a barcamenarmi in un
rapporto che non sapevo nemmeno come chiamare.
Mi avvicinai al letto, sedendomi e aspettando che dicesse qualcosa, ma
come sempre le parole non erano il suo forte quindi cominciai io.
«Posso capire il motivo per cui sei sparito per una
settimana?».
Mi aspettavo di vedere almeno un minimo di espressione nel suo viso,
invece niente, sembrava che si aspettasse una domanda del genere e che
sapesse esattamente come rispondermi.
«Ho avuto da fare.»
«E con chi, con i deficienti che sono appena
usciti?». Di solito non dicevo mai nulla dei suoi amici del
karate, visto che per lui era così difficile integrarsi in
un gruppo che non comprendesse persone taciturne quanto lui, ma mi
sembrò assurdo che potesse passare del tempo con due persone
così stupide e ineducate. Lui non era come loro ma,
evidentemente, durante gli allenamenti cambiava e si accontentava di
avere intorno a sé un sacco di ochette venute solo per
ammirare i suoi pettorali.
Non mi aveva mai permesso, nemmeno una volta, di assistere ad un suo
incontro e di fare il tifo per lui, ed ora era tutto chiaro, ma avrebbe
almeno potuto dirmi la verità.
«Sono compagni di karate, tutto qui, e tra l'altro hanno
smesso di essere considerati tali da me non appena hanno aperto bocca
su di te.»
«Non devi litigare con nessuno per me. Hai già
mille ragazze che ti adorano a quanto ho capito, almeno potevi essere
sincero e dirmi che ti vergognavi che io venissi a vederti mentre delle
oche ti saltano addosso.»
Sbuffò, sembrava molto innervosito dal mio discorso, e
sicuramente non lo comprendeva a fondo perché, in
realtà, neanche io ero certa di cosa significassero le mie
parole.
«Non ci sono oche che mi saltano addosso. E non ti faccio
venire agli incontri semplicemente perchè non voglio che
qualcuno salti addosso a te e, di conseguenza, non voglio uccidere
qualcuno.»
E tutta quella preoccupazione? A volte Akito diceva delle cose
assolutamente criptiche e, secondo me, non si rendeva nemmeno conto di
essere la persona più enigmatica dell'universo.
«E con questo che cosa vorresti dire? Perchè, chi
è che ha fatto apprezzamenti su di me?».
Sbuffò ancora, esasperato. Se non voleva le mie domande
bastava semplicemente dirlo e avrei smesso, ma continuava a tenere la
testa bassa come se fosse in procinto di esplodere da un momento
all'altro.
«Fino ad ora, nessuno, per fortuna loro. Ma quell'unica volta
che ti infili in mezzo ai miei compagni di karate per poco qualcuno non
ti bacia davanti a me, quindi grazie, ma preferisco che tu rimanga a
casa quando io combatto.»
Era chiaro che non riuscisse a mettere a posto il casino che aveva in
testa e, anche se non gliel'avrei mai detto, lo capivo benissimo.
Eravamo nella stessa incertezza, indecisi se buttarci in un baratro
ignoto o rimanere sulla terra che ci aveva cullati per tutta la vita.
Non era semplice uscirne, nè per me nè per lui,
anche se quello più combattuto sembrava sicuramente Akito.
Continuava a tenere la testa tra le mani, esasperato dalle mie domande
e da se' stesso.
«E questo cosa vorrebbe significare?»
«Sana, ti prego, non è ovvio che se tu venissi ad
un mio incontro non mi concentrerei sul mio avversario ma su di
te?!»
Rimasi in silenzio, un po' spaventata dalle sue parole, e un po' felice
di sentirle, ma appoggiai il viso sulla sua spalla e mi lasciai cullare
dal momento.
*
Era la festa dell'Hanami e il mio piano per scusarmi con Akito era
appena iniziato. Mi ero svegliata di buon ora, avevo cucinato un sacco
di cose salutari - ormai Akito era diventato un maniaco
dell'alimentazione - e le avevo messe in un cestino, insieme a una
tovaglia e a qualche cosa da bere.
Adesso mancava solamente il dolce che avrei dovuto portare a parte
perchè il cestino era troppo piccolo per contenere tutto,
sarebbe stata una faticaccia ma ne valeva sicuramente la pena.
Erano giorni che Akito era freddo e distante, peggio della settimana
che avevamo passato lontani, perchè in quel caso non ero
stata costretta a vedere le sue reazioni con i miei occhi.
Quando ci sentivamo per telefono, riusciva a troncare la conversazione
in meno di cinque minuti e quando invece eravamo costretti a vederci
non sembrava mai sereno di avermi accanto. Io d'altro canto non
riuscivo quasi mai a decifrare il suo comportamento, potevo capire che
fosse confuso, come d'altronde lo ero io, ma non potevo accettare che
mi trattasse con sufficienza e disinteresse, perchè quello
era l'Akito che avevo conosciuto anni addietro e non volevo vederlo
riaffiorare per colpa mia.
Finii di sistemare tutto e mi diressi a casa sua, ero piuttosto nervosa
ma cercai di calmarmi durante il tragitto pensando che, se avesse osato
offendermi in qualche modo, avevo sempre il martelletto a portata di
mano e avrei potuto sotterrarlo con un solo colpo.
*
Dopo non poche resistenze, Akito si vestì e venne con me al
parco. I ciliegi già cominciavano a fiorire e pensai che non
avrei mai visto uno spettacolo tanto bello quanto quello.
Avevo visitato decine di città, tutte meravigliose, ma
nessuna poteva equiparare la bellezza e la magia che caratterizzava
quel giorno.
Akito mi camminava a fianco, pensieroso, e scalciava le pietre che si
ritrovava davanti senza dire una parola.
Ero stanca di vederlo ignorarmi, quindi la rabbia prese il sopravvento
e sbottai, poggiando il cestino per terra ancora prima di arrivare al
prato.
«Vuoi spiegarmi cosa diavolo hai? Mi eviti, mi sembra che tu
sia molto arrabbiato con me ma non riesco a capire perchè!
Cosa ho fatto per spingerti a comportarti così?! E non
rispondere con i soliti monosillabi perchè non sono
abbastanza!!»
Lo sguardo di Akito passò da infastidito, a divertito, a
insicuro a di nuovo infastidito. Spostò il peso da un piede
all'altro, segno che la conversazione non era di suo gradimento, e poi
fece volare lo sguardo prima su di me e poi su una mia gigantografia
che troneggiava appena fuori dal parco. Sperava che capissi ma,
evidentemente, riponeva le sue speranze nella persona sbagliata, quindi
gli chiesi ulteriori spiegazioni.
«Allora sei stupida, Sana» cominciò
«Pensi che per me sia semplice pensare che tutti ti vedano
mezza nuda?»
«Ma cosa ti importa? Io lo faccio per lavoro, non per
piacere!»
«Non me ne frega niente, ok? Mi infastidisce, non posso farci
nulla. Non sopporto che la mia migliore amica venga data in pasto agli
squali.»
Avrei dovuto essere felice delle sue parole, avrei dovuto provare gioia
nel sentire che era geloso di me, ma quelle tre parole avevano
offuscato la mia mente.
La mia migliore amica.
Io ero la prima a non sapere cosa provavo nei suoi confronti, ma il
fatto che lui potesse vedermi solo come la sua più cara
amica mi aveva fatto improvvisamente rattristare.
«E se ti dicessi che ho portato un sacco di sushi, mi
perdoneresti?» ammiccai, ridendo.
Akito sorrise a sua volta, buttando la testa all'indietro,
probabilmente stanco anche lui di litigare.
«Potrei considerarlo.»
_______________________________________________
Pov Akito.
Erano almeno due ore che Sana mi parlava di come avrei dovuto adorarla
perchè mi aveva preparato tutto quel sushi solo per farsi
perdonare. Non aveva bisogno del sushi per farmi cedere, sarebbe
bastata mezza parola e un sorriso messo al posto giusto e io sarei
crollato con un castello di carta.
Odiavo che lei avesse quel potere su di me, riusciva a cambiare il mio
umore con una parola e io non volevo dare a nessuno il modo di
distruggermi così facilmente. Ma Sana possedeva quella
chiave di me da molti anni ormai, e non riuscivo mai a riprendermela.
C'erano stati periodi in cui mi ero imposto di non amarla, di
dimenticarla, di allontanarla dalla mia vita trattandola come una
semplice amica, ma ogni tentativo era miseramente fallito,
perchè ogni volta che su un giornale veniva pubblicata una
sua foto abbracciata a qualsiasi bamboccio di Hollywood mi veniva una
morsa allo stomaco e la rabbia si impossessava di me.
Allora cominciavo a colpire oggetti, a prendermela con il mio maestro
di karate e con i miei compagni e più di una volta ero stato
sull'orlo dell'espulsione.
Sana guardava ammaliata il ciliegio sopra di noi e io, al contrario,
guardavo ammaliato lei. I capelli le si muovevano col vento e lei
cercava in tutti i modi di trattenerli, ma non ci riusciva mai e le
veniva da ridere.
Se c'era una cosa che a Sana riusciva meglio di chiunque altro era
proprio ridere, lo sapeva fare così bene che, a volte,
riusciva a contagiare anche me.
Si avvicinò per fregarmi l'ultima tortina di riso che avevo
nel piatto e tornò a sedersi, ridendo sotto i baffi.
«Allora, hai deciso se accettare la proposta di Berkeley?
Già ti vedo, con la felpa al primo falò delle
matricole!»
«No, non ho accettato, mi sono già immatricolato
alla Todai, non mi andava di partire per poi scoprire che sei morta per
la mia mancanza!»
Sana scoppiò a ridere e poi mi consegnò una
lettera, senza busta.
Carissima signorina
Kurata,
siamo lieti di
annunciarle che è stata ammessa alla nostra
università. Congratulazioni.
Le faremo avere il
calendario delle lezioni e tutto quello che concerne il suo percorso di
studi non appena si presenterà alla nostra segreteria ....
Era firmato Università imperiale di Tokyo, ovvero la Todai.
Non potevo crederci, anche lei era stata ammessa lì...
Dire che fossi felice in quel momento probabilmente era riduttivo,
niente poteva spiegare quanto fossi contento di quella notizia.
Mi buttai su Sana e ci rotolammo per due secondi sul prato, ridendo
come mai avevamo fatto insieme.
«Ti piace la notizia, suppongo.»
«Non mi dispiace, si.»
«Bene, perchè ho un favore da chiederti.»
Eccolo, l'inghippo! Ero sicuro che ci fosse qualcosa dietro tutta
quella felicità di andare nella stessa
università.
«Non avevo dubbi, dimmi.»
«Ho deciso di andare a vivere da sola, e volevo trovare una
casa abbastanza vicina all'università. Ne ho già
viste un paio, ma non mi va di acquistarla senza avere un parere
esterno. Mi accompagneresti a fare qualche giro per gli
immobili?».
Il fatto che volesse includermi in una decisione così
importante mi rendeva la persona più felice del mondo, ma
d'altro canto non riuscivo neanche ad immaginarla a vivere da sola,
avrebbe combinato un gran casino.
*
Passammo tutta la settimana successiva a girare per le case che
l'agenzia ci indicava. L'agente immobiliare ce ne consigliava alcune,
per la loro posizione silenziosa adatta ad una studentessa, e una in
particolare mi colpì più delle altre.
Era un'abitazione abbastanza semplice ma allo stesso tempo particolare
a causa della camera da letto mansardata, mi sembrava abbastanza vicina
allo stile di Sana, che di certo non aveva vissuto in una casa modesta
fino ad allora.
Le consigliai di prendere quella, discutendo anche per il prezzo e
tutti restauri che necessitava, e alla fine anche lei si decise per la
mia stessa scelta.
Il trasloco fu abbastanza veloce, Occhialidasole venne a darci una mano
e la mia famiglia praticamente riusciva a vedermi un'ora al giorno, se
era fortunata. A me non dispiaceva aiutare Sana, ma il più
delle volte si trattava di fare il lavoro tutto da solo,
perchè lei era costantemente indecisa su dove posizionare
mobili ed oggetti.
Dovevo ammettere che il risultato finale mi aveva fatto
dimenticare tutta la fatica dei giorni passati, la casa risultava
luminosa e, grazie al buongusto di Sana in fatto di arredamento,
sembrava una di quelle ville che si vedono nelle riviste specializzate.
La stanza che maggiormente mi aveva colpito era la camera da letto, era
molto spaziosa con un enorme letto e con un bagno altrettanto grande.
Ma la cosa che mi affascinava era una vasca posizionata poco distante
dal letto e il camino, mi immaginavo con Sana a fare il bagno insieme,
illuminati solo dalla luce del camino e poi… Il mio sogno si
trasformava in incubo, quando immaginavo un altro uomo compiere con lei
quei gesti, ero conscio che prima o poi sarebbe potuto accadere, ma non
ero pronto a quell'eventualità.
Una vocina nella mia testa, che guarda caso era quella di Tsu, mi dava
del deficiente ogni secondo, ricordandomi che la colpa di tutta quella
situazione era solo e soltanto mia, perché non avevo avuto
le palle di dirle che lei non era e non sarebbe stata mai solo una
semplice amica per me. La voce di Sana mi distolse da questi pensieri,
mi si parò davanti e mi diede una scatolina, la
aprii e quello che vidi mi lasciò senza parole. Sana mi
aveva dato una copia delle chiavi, dicendomi che potevo andare
lì ogni volta che volevo, anche quando lei era via per
lavoro.
Quelle erano le chiavi del mio personale rifugio e, grato per
quell'incredibile fiducia, la abbracciai godendomi l'odore di vaniglia
che i suoi capelli emanavano.
Puntuale come ogni
settimana ecco a voi il secondo capitolo della mia storia.
Non ho avuto il
tempo di rispondere alle ultime tre recensioni che mi avete scritto, ma
lo farò al più presto... intanto vi ringrazio dal
più profondo del mio cuore!
Tutti i
complimenti, tutte le belle parole... siete meravigliosi!
Adesso vi lascio,
al prossimo aggiornamento!
Un bacio,
Akura.
|
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Capitolo 4 *** Portafortuna. ***
CAPITOLO
3.
PORTAFORTUNA.
Pov Akito.
In casa di Sana c'era una gran
confusione, persone che entravano ed uscivano per ammirare il suo
salotto. I tavoli erano pieni di cose da mangiare e avevo sentito
persino qualcuno farle i complimenti per la sua cucina.
Anche quella, opera mia.
Gironzolavo nervosamente in mezzo a tutta quella gente, la mano
sinistra nella tasca che stringeva forte la chiave che Sana mi aveva
dato, e l'altra con il terzo bicchiere di vino. Stavo cominciando a
sentirmi su di giri, ma non rischiavo sicuramente di sentirmi male
perchè conoscevo bene i miei limiti ed ero ancora ben
lontano dal superarli.
Vidi che la cucina era vuota e mi ci fiondai, in cerca di un po' di
tranquillità, ma sapevo benissimo che non sarei mai stato
così fortunato da rimanere solo per almeno cinque minuti,
perchè Tsuyoshi si comportava come se stesse impazzendo per
dirmi qualcosa.
Quando lo vidi entrare in cucina dietro di me sbuffai e versai altro
vino nel mio bicchiere, forse avrei potuto attutire la pesante
conversazione con il migliore amico di un uomo, l'alcol.
«Allora... carina la casa, no?».
«Molto. Se solo Sana avesse mosso un dito per renderla
tale.»
Tsuyoshi rise e io, uscendo la mano dalla tasca, per sbaglio feci
cadere la chiave. Mi maledissi mentalmente per la mia distrazione,
mentre Tsu si abbassava a raccoglierla da terra.
«E questa cosa sarebbe?»
«La chiave di casa di Sana. E non cominciare con la solita
predica, non sono dell'umore adatto!»
Tsuyoshi abbassò lo sguardo e fissò per un paio
di secondi la chiave che aveva tra le mani, incerto su cosa dirmi e
soprattutto come dirmelo.
«Io ho smesso di fare le prediche, Akito, ma questa chiave
non è sicuramente fine a se stessa, sappilo.»
Odiavo quelle frasi criptiche, e lui lo sapeva benissimo. Lo faceva per
incuriosirmi, per farmi sviluppare una serie di domande a cui non avrei
mai trovato risposta, quindi mi induceva a trovarle nelle sue parole.
Se non fosse stato mio amico, probabilmente avrei dovuto pagarlo per
tutte quelle sedute di psicoanalisi a domicilio che mi riservava. Lo
incitai ad andare avanti.
«E' un segnale, Akito. Ti sta aprendo la porta non solo di
casa sua.»
E quello cosa significava? Il mio primo pensiero, lo ammetto, non fu
certo casto, ma immediatamente scacciai quell'immagine, non potevo
lasciarmi distrarre dai miei pensieri... particolari su Sana.
«Alcune volte mi domando perché dopo tutti questi
anni ancora perdo tempo ad ascoltare le tue frasi senza senso sul mio rapporto con Sana.
Sempre questi giri di parole! Per una volta non potresti parlare in
maniera diretta, senza che io sia costretto ad interpretare i tuoi
deliri? Se hai qualcosa da dire, fallo senza girarci troppo
intorno.»
Tsuyoshi prese a guardare per terra, destabilizzato dalle mie parole,
ma in realtà l'unica cosa che volevo era che mi spiegasse e
soprattutto che mi aiutasse, perchè da solo non potevo
farcela, non con una situazione come quella tra le mani.
«E’ una vita che cerco di dirti come stanno le cose
in maniera più o meno esplicita, ma tu non vuoi capire e
soprattutto non riesci mai a parlare di Sana senza andare di matto.
Comunque la verità è sempre e solo una: lei
è innamorata di te, ma sai che è tarda e non
riesce a capire nemmeno se stessa. Quindi il mio consiglio è
solo uno, prendi coraggio e fai la prima mossa, altrimenti ti
ritroverai tra qualche anno senza Sana, semplicemente perché
qualcuno che si fa meno pippe mentali di te e la porterà
via.»
Abbassai lo sguardo anch'io, rigirandomi tra le mani la chiave
dell'appartamento.
«Ci penserò su, magari questa chiave
sarà il mio portafortuna.»
*
La gente cominciò lentamente ad andarsene, per ultimi
Tsuyoshi e Aya insieme a Fuka e al suo ragazzo che mi aveva dato
l'impressione di essere un mezzo psicopatico. Entrambi erano stati
accettati da un'università poco lontana da Tokyo, e quindi
non ci avrebbero fatto compagnia per i prossimi quattro anni. Poco
male, almeno non avrei avuto Fuka a dare consigli a Sana per qualsiasi
cosa, perchè non mi fidavo del suo giudizio, considerato
anche l'elemento con cui stava attualmente.
Anche se dovevo ammettere che il ragazzo di Fuka era la persona
più normale del mondo se rapportato a quella sottospecie di
troglodita che stava con mia sorella e che, da quando erano arrivati,
non aveva fatto altro che bere e trovare ogni scusa possibile ed
immaginabile per andare via, a fare… Dio solo sa cosa. Quel
ragazzo non mi piaceva, si vedeva ad un miglio di distanza che voleva
solo portarsela a letto. Avevo cercato di parlare con Nat, ma dopo
l’ultima volta in cui avevamo seriamente litigato e non
c’eravamo parlati per una settimana, avevo deciso di non
intromettermi più.
Quando Sana chiuse la porta e si girò, mi vide ancora
lì e sobbalzò. «Come mai non sei andato
via anche tu?» domandò mentre raccoglieva
bottiglie varie.
«Ti aiuto a mettere a posto, genia. C'è un casino
qua dentro.»
In realtà non volevo andarmene per niente, erano gli ultimi
momenti che avrei potuto passare con lei per almeno una settimana,
perchè dovevo prepararmi per prendere l'abilitazione per
diventare maestro e, con Sana nei paraggi, non avrei potuto di certo
concentrarmi.
Sembrava che al buffet fossero passate delle cavallette, non era
rimasto niente, neanche un piccolo pezzo della famosa torta
crema e cioccolato della signora Shimura. Io e Sana non
eravamo riusciti a toccare cibo, ma la cosa che mi dispiaceva di
più era non aver potuto brindare da solo con lei. Mentre ero
ancora indaffarato a toglier bottiglie vuote di vino pregiato, sentii
Sana che mi chiamava dalla cucina, quando entrai la trovai seduta sulla
penisola con in mano un piatto con un’enorme fetta della
nostra torta preferita e vicino due calici con dello champagne.
La guardai e mi avvicinai, sedendomi accanto a lei, e mi
passò una forchetta.
Quando ormai la torta stava per finire, per evitare che mangiassi
l’ultimo pezzetto, Sana si avventò sulla mia mano
e morse le mie dita per rubarmelo e, sentendo la sua bocca sfiorarmi,
dovetti fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per non
sdraiarla su quella penisola e dare vita a tutte le mie fantasie.
Mi allontanai da lei con la scusa di dover togliere le ultime cose dal
tavolo. Lei mi seguì, si tolse le sue scarpe tacco dodici e
si buttò sul divano.
Mi voltai a guardarla.
Il petto si alzava e abbassava piano, i capelli le ricadevano
scompostamente sul viso e aveva le guance rossissime. Aveva ancora
qualche traccia del trucco, un ombretto scuro che rendeva i suoi occhi
ancora più magnetici e un rossetto rosso che,
però, si era un po' consumato durante la serata.
Era bellissima.
Dopo essermi asciugato le mani la presi e sperai che non si svegliasse,
la portai a letto e le rimboccai le coperte.
Ero indeciso se stendermi vicino a lei, temendo che la mattina dopo
avrebbe dato di matto trovandomi nel suo letto, ma alla fine non
riuscii comunque a separarmi da lei e, dopo essermi tolto la camicia,
mi addormentai accanto a lei.
Pov Sana.
Mi svegliai di soprassalto durante la notte, e non rimasi meravigliata
di trovare Akito che dormiva accanto a me, doveva essere esausto anche
lui dopo tutto quel lavoro.
Notai solo in un secondo momento che non portava la camicia, prima di
allora l'avevo visto solo al mare a petto nudo, quindi rimasi per un
secondo a fissarlo. Era probabilmente ciò che la gente
comune chiama perfezione.
Mi girai di spalle, per non guardarlo più, ma ottenni la
reazione contraria: tutto il mio corpo voleva che mi avvicinassi a lui.
Cercai di combattere quell'impulso ma non c'era niente da fare, era
più forte di me, quindi mi girai e mi accoccolai sul suo
petto, inspirando il suo profumo di colonia da uomo e... profumo di
Akito.
La mattina dopo, quando mi svegliai, Akito dormiva ancora profondamente
ed io mi soffermai a guardarlo alla flebile luce del giorno e mi
ritrovai a pensare che mi sarebbe piaciuto poter usare Akito come
cuscino. Decisi di scacciare quel pensiero e tentai di alzarmi il
più piano possibile per non disturbare il suo sonno, ma il
mio piano fallì miseramente, perché notai due
occhi color ambra che mi stavano fissando. Restammo dei minuti a
guardarci, poi Akito decise di rompere qual gioco di sguardi dicendomi
che doveva andare a casa perché aveva bisogno di una doccia.
Un sorriso compiaciuto nacque sulle mie labbra, gli intimai di chiudere
gli occhi e lo portai all’interno della cabina armadio.
Quando gli diedi il permesso di guardare lui restò
esterefatto, notando che avevo acquistato delle tute per quando sarebbe
rimasto da me. Gli dissi che mentre io facevo la doccia poteva andare a
comprare i cornetti. Quando rientrò io ero già in
cucina a preparare il cappuccino, abitudine presa durante un
mio viaggio di lavoro in Italia, e una spremuta.
Mi sentivo un po' in uno di quei vecchi film americani, dove la ragazza
indossa la camicia del fidanzato e gli prepara la colazione con
pancakes e sciroppo.
Akito fece capolino in cucina circa dieci minuti dopo, con la tuta
grigia che gli avevo comprato e di cui, stranamente, avevo
azzeccato misura e colore.
«Buon giorno, Hayama. Cappuccino?»
«Chi sei tu, e cosa ne hai fatto della mia amica?»
rispose mangiando un pezzo di uovo che gli avevo messo davanti.
«Te l'avevo detto che non sono così male come
cuoca».
*
Ormai era
passata una settimana, Akito non si era più fatto sentire in
vista dell'incontro importante a cui doveva sottoporsi. Ero
così fiera di lui, così contenta che finalmente,
dopo tanto tempo, fosse riuscito a portare termine un percorso che gli
era costato fatica e moltissima dedizione.
Presi
il telefono, mentre ero alle prese con casa mia che lentamente decideva
di cadere a pezzi in assenza di Akito, e lo chiamai.
«T'avevo
detto di non chiamarmi, Kurata.». Rispose così, e
già la conversazione si rivelava più difficile
del previsto.
«Come
vanno gli allenamenti? Ti senti pronto?»
«Andrebbero
meglio se non mi avessi disturbato in realtà, ma sono
contento di sentirti. Come te la passi senza di me?»
Era
proprio quello il punto a cui volevo arrivare.
«A
proposito di questo.... non è che potrei venire a vederti
domani? E' un incontro troppo importante e voglio esserci! Ti
prego!».
Sfoderai
tutte le mie doti da bambina capricciosa e, dopo non pochi
tentennamenti, acconsentì a farmi andare in palestra ad
assistere.
«Solo
una cosa: indossa i jeans, non permetterti a venire con una gonna.
Lì dentro è pieno di maschi che sarebbero pronti
ad alzarla nel giro di dieci secondi.».
Dopo
le paranoie per la mia sicurezza chiuse la chiamata, dicendomi che
doveva allenarsi, e ci salutammo dandoci l'appuntamento per il giorno
dopo.
Pov Akito.
Sana,
ovviamente, non aveva seguito le mie direttive e si era presentata con
un vestito, non troppo corto, ma mai una volta che facesse
ciò che le dicevo.
Dovevo
essere concentrato al cento per cento, invece ogni volta che schivavo
un colpo, vedevo quelle benedette gambe nude sugli spalti e mi veniva
il vuoto allo stomaco.
Avevo
battuto tutti gli avversari che mi erano stati assegnati quel giorno e,
stranamente, la presenza di Sana in un certo qual modo mi confortava.
Prima
dell'inizio dell'esame era venuta nello spogliatoio, non curandosi
nemmeno delle decine di uomini nudi che avrebbe potuto trovarci, mi
aveva abbracciato e mi aveva detto «Stai tranquillo, sei
bravissimo, e non uccidere nessuno solo perchè ci prova con
me, so badare a me stessa.»
Facile
a dirsi, difficile a farsi.
Il
successivo candidato era Takeijo Shinatsu, quel deficiente che aveva
fatto apprezzamenti su Sana e che era stato
gentilmente cacciato
via da casa mia.
Dopo
l'inchino di tradizione, ci mettemmo in posizione e l'incontro
iniziò.
«Vedo
che anche oggi sei accompagnato dalla bella rossa, cos'è..
siete fidanzati?»
Cercavo
di non ascoltarlo, ma le sue parole mi deconcentravano e capii
immediatamente che era proprio quello il suo intento.
Avrebbe
fallito.
Diedi
un colpo ben assestato, ma non bastò a buttarlo a terra.
«E'
davvero una ragazza... appetibile.».
Disse quella parola come se avesse voluto davvero mangiare Sana e solo
il pensiero mi disgustava profondamente.
«Penso
che qualsiasi ragazzo la consideri una preda.»
Calmati,
Akito...
«Io,
di sicuro, si. Mi piacerebbe scoprire cosa c'è sotto quella
gonna.»
Respira,
Akito...
«Sono
sicuro che si divertirebbe molto con me.»
Devi
resistere, Akito...
«Ma
almeno te la sei scopata?»
Era
troppo.
Diedi
un colpo più forte di quanto avessi potuto fare, l'arbitro
comunque non si accorse della potenza del calcio e non mi
penalizzò in alcun modo, ma il ragazzo di fronte a me cadde
di colpo a terra e l'incontro fu decretato terminato.
Mi
abbassai, abbastanza vicino da potergli parlare all'orecchio, e
appoggiai una mano per terra per tenermi in equilibrio.
«Non
me la scopo, e tu non provare neanche a pensare di avvicinarti a lei...
non te lo consiglio se non vuoi ritrovarti paralizzato dalla testa ai
piedi.»
Dettò
ciò mi alzai, strinsi la mano all'arbitro e ai ragazzi della
palestra e mi diressi verso il mio maestro, che mi avrebbe dato il mio
atteso certificato di abilitazione.
Finalmente
ce l'avevo fatta, e tutto grazie a Sana. Mi pentii di non averla fatta
assistere ad altri combattimenti, ma forse era stato meglio non
rischiare.
Tuttavia,
quando corse ad abbracciarmi per congratularsi con me, il rimpianto fu
ancora più forte.
«Sei
il mio portafortuna, Kurata.» dissi mentre la stringevo
ancora di più a me.
E
lo era davvero, perchè la forza di vincere quegli incontri
me l'aveva data lei e non avrei saputo come ringraziarla.
«Sei
tu che sei stato grandioso, io ho solo pregato un po' i Kami per
te!».
La
feci girare per tutta la palestra, mentre tutti probabilmente pensavano
fossimo una coppia.
Dovevo
ammettere che, anche se tutto si era limitato ad un breve
momento, quella sensazione non mi dispiaceva affatto.
Puntuale
come al solito, ecco a voi il terzo capitolo.
Piccola
comunicazione di servizio: il 12 agosto partirò per le
vacanze, ma i capitoli saranno postati dalla mia Beta, Dalmata, quindi
non preoccupatevi.
Tornerò
il 29, per poi ricominciare a scrivere perchè con la stesura
sono ferma al capitolo 9. Spero che continuerete ugualmente a seguirmi,
vi lascio in buonissime mani!
Ps:
controllerò ugualmente le recensioni e, se mi
sarà possibile, risponderò a tutti...
Un
bacio e buone vacanze a me e a chiunque parta in questi giorni!
Akura.
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Capitolo 5 *** Ostacoli ***
CAPITOLO
4.
OSTACOLI.
Pov
Akito.
Ormai
erano passati mesi dall'ultimo incontro con Sana, il tour per la
promozione del suo ultimo film l'aveva tenuta sempre impegnata durante
l'estate e avevamo avuto la possibilità di sentirci solo per
telefono.
Come al solito, le telefonate erano per lo più brevi, ma
piene di prese in giro e risate, ma non avrei mai osato dire che
sopperivano alla sua assenza, perchè Sana mi mancava in modo
indescrivibile, più di tutte le altre volte.
All’inizio avevo attribuito quella sensazione al bacio che ci
eravamo scambiati la sera del ballo, ma poi riflettendoci bene avevo
capito che questo senso di perdita derivava soprattutto dal fatto che
mi mancava fisicamente. Se negli anni addietro sentire la sua voce
riusciva a colmare la distanza, adesso avevo bisogno di avere un vero e
proprio contatto, anche se in maniera accidentale. Quando la
abbracciavo mentre guardavamo un film, quando le facevo il solletico e
la vedevo ridere fino alle lacrime, quando le scostavo qualche ciocca
dei suoi capelli davanti al viso, erano queste le cose che mi facevano
sentire vivo. Era come se il mio corpo si nutrisse di quei gesti, che
riuscivano a creare una sorta di alchimia tra noi.
In quel periodo il tempo per pensare non mi era di certo mancato, avevo
ponderato più volte di recidere quel filo invisibile che mi
teneva legato a Sana, perché ero arrivato alla conclusione
che prima o poi l’avrei persa. Lei stava sbocciando in tutta
la sua bellezza e stava diventando sempre più famosa e prima
o poi sarebbe arrivato qualcuno che me l’avrebbe portata via.
E a quel punto sarei rimasto solo a raccogliere i cocci e, onestamente,
non sapevo se avrei trovato la forza di reagire.
Quelle paranoie mi avevano tolto buona parte del sonno e
così avevo deciso di parlarne con Tsu. Lui mi
aveva guardato sconvolto, dicendomi che Sana non era come le altre
star, e che se non volevo perderla dovevo rischiare. Decisi di essere
completamente onesto con lui e gli confidai che il fatto di non essermi
mai spinto oltre non era da imputare solo alla paura di un rifiuto, che
avrebbe incrinato per sempre la nostra amicizia, ma soprattutto al
fatto che, in un modo o nell'altro, avrei potuto anche rovinare le cose
col mio brutto carattere. Io, d'altro canto, avevo preso ad insegnare
ai bambini della palestra, affiancato sempre da un maestro
più adulto che mi aiutava nel far apprendere anche ai
più piccoli le tecniche basilari. Avevo preso un po'
sottogamba la faccenda dell'insegnamento, avevo sempre pensato che
spiegare a qualcuno una tecnica di movimento piuttosto che un colpo non
irregolare fosse una passeggiata, perchè io ero in grado di
farlo, ma mi ero accorto ben presto che gestire quindici bambini che
vogliono darsele di santa ragione, non era un compito facile.
Tuttavia, tutto l'impegno che mettevo con i marmocchi, mi permetteva di
pensare sempre meno alla lontananza di Sana e, anche se per qualche
ora, il mio cervello riusciva a non darmi il tormento.
Mentre tornavo a casa, avevo involontariamente percorso la strada
all'interno del parco, e mi ero ritrovato lì... sotto il
nostro gazebo.
Avevo pensato mille volte che, se mai un giorno avessi dovuto chiedere
a Sana di sposarmi, l'avrei fatto lì, nel luogo che aveva
custodito l'inizio del nostro rapporto, che era stato testimone di
tutti i nostri bei momenti.
Mi ero seduto a guardare i ciliegi che cominciavano a perdere la loro
bellezza, in vista dell'autunno, quando mi squillò il
telefono. Sapevo benissimo che era Sana, quindi risposi senza neanche
guardare.
«Ciao, Kurata.»
«Ho una sorpresa per te.»
Sana era una continua sorpresa, quindi quando sfoderava quella carta io
ero già pronto a qualsiasi cosa.
«Dimmi che non torni più, dimmi che non torni
più!»scherzai io, per farla innervosire.
«Spiritoso! No, in realtà volevo dirti che... sono
a casa tua.»
Il mio corpo si gelò in un istante, a casa mia c'era Nat...
e la sua situazione non era di certo delle migliori.
Mia sorella aveva avuto un'estate d'inferno, niente a che vedere con la
mia, perchè il suo ragazzo l'aveva lasciata. Quella non
sarebbe stata una tragedia se lui non l'avesse abbandonata mentre
dentro di lei cresceva un'altra creatura.
Io e mio padre l'avevamo scoperto pochi mesi prima, quando avevamo
notato che Natsumi comprava magliette sempre più larghe,
quindi un giorno scherzai sul fatto che sembrassero magliette premamam.
Quando mia sorella scoppiò a piangere davanti ai miei occhi,
capii immediatamente che avevo colto nel segno e non pensai minimamente
a come potesse stare lei, ma immediatamente nella mia testa
cominciarono ad affollarsi immagini di quel bastardo del suo ragazzo
massacrato dalle mie mani. C'erano volute ore prima che mi calmassi, e
anni prima che io riuscissi ad abbracciare veramente mia sorella.
Aveva pianto così tanto... e io non riuscivo a capire come
potesse un uomo scappare via davanti ad una cosa più grande
di lui, come potesse rinunciare ad un figlio.
Dopo aver chiuso la telefonata, corsi a casa, sperando di limitare i
danni da entrambe le parti.
Sana si sarebbe arrabbiata a morte perchè non gliene avevo
parlato, ma ero sicuro che avrebbe capito le mie ragioni,
perchè l'avevo fatto anche per proteggere lei.
______________________________________________
Pov Sana.
Chiusi la telefonata con Akito e suonai alla porta, contenta di
rientrare in quella casa dopo così tanti mesi.
Casa sua ormai era diventata un po' come il mio eterno rifugio, quando
a scuola qualcosa andava storto entravo sempre in camera di Akito e mi
ritrovavo in pace con il mondo.
Sentii dei passi pesanti provenire dall'interno, scendere le scale e
arrivare proprio davanti alla porta che, però, non si
aprì subito.
Dopo qualche secondo, che mi parve un'eternità, finalmente
Natsumi affacciò alla porta, con un'espressione sconvolta
sul viso che, stranamente, era più paffuto del solito.
Sorrisi e, senza aspettare che mi invitasse, entrai in casa. La
abbracciai immediatamente, anche se non aveva detto nulla ero sicura
che fosse felice di vedermi, ma poi sfoderò uno dei suoi
sorrisi più belli.
«Fatti guardare, Natsumi! Sei bellissima!»
«Dicono che la gravidanza renda radiose!»
Quella frase mi lasciò interdetta perchè,
complice la mia eterna sbadataggine, non avevo affatto notato che
Natsumi vantava un pancione che solo io potevo non aver visto e,
improvvisamente, mi ritrovai con la mano tesa per accarezzarlo.
Ero senza parole.
«Ma... come... Akito... Natsumi cosa...?».
Balbettavo, segno che il mio shock era forte, a me non mancavano mai le
parole.
Natsumi mi sorrise, facendomi cenno di seguirla in cucina, e
cominciò a spiegarmi.
«Sono incinta di sei mesi. Quando tu sei partita, mio padre e
mio fratello ancora non ne sapevano nulla... poi ovviamente ha
cominciato a notarsi e, al quinto mese, ho dovuto confessare.»
Ascoltavo assorta le sue parole, non riuscivo a crederci. Natsumi aveva
due anni in più di me e Akito, come avrebbe potuto crescere
un figlio se ancora la bambina era proprio lei?
L'avevo sempre immaginata mamma, nonostante i precedenti con il
fratello, sapevo che Koharu gli aveva trasmesso il valore della
famiglia e che lei stessa se ne sarebbe creata una prima o poi, ma non
pensavo l'avrebbe fatto così presto.
Lei venne a sedersi accanto a me, e io continuavo a fissarla
perchè i tratti di quella che ricordavo una ragazza come
tante, si erano improvvisamente trasformati in quelli di una donna che
non poteva più pensare solo a se' stessa, perchè
condivideva il corpo con un altro essere.
«E il bambino è di... di quel ragazzo che hai
portato alla mia festa?» chiesi, sperando che non fosse come
invece avevo intuito non appena l'avevo ascoltata. Natsumi non aveva la
faccia preoccupata di una mamma giovane, ma aveva la faccia distrutta
di una mamma giovane e single.
«Si, di Konhiro, ma...».
Non riuscì nemmeno a terminare la frase che le lacrime le
ruppero la voce. Anche a me si inondarono gli occhi e, per farle capire
che poteva contare su di me, la abbracciai forte. Non sapevo dire molto
in situazioni come quelle, ma a dare abbracci ero fenomenale, quindi
cercai di trasmetterle tutto il mio affetto attraverso quello.
Quando, finalmente, smise di essere scossa dai singhiozzi, io le
accarezzai la schiena e la invitai a spiegarmi, a parlarmi, ad
appoggiarsi a me. Ero pronta a sostenere qualsiasi peso, per lei.
Natsumi negli ultimi anni non era più solo la sorella del
mio migliore amico, ma una mia cara amica a sua volta, ci vedevamo e
sentivamo spesso, e avevo scoperto in lei una persona che mai avrei
detto, quindi vederla in quello stato mi ferì profondamente
perchè non era di certo la ragazza che si meritava una
sofferenza del genere.
«Sfogati, Nat... ti conosco e so che c'è qualcosa
che non va, oltre all'ovvio si intende.»
Si alzò dal divano e andò in camera sua, per poi
tornare con in mano una cartelletta che mise subito nelle mie mani.
«Leggi e capirai.»
La aprii, ma non ne avevo alcun bisogno, conoscevo fin troppo bene quei
documenti perchè mia madre me li aveva mostrati quando mi
aveva rivelato la verità sulla mia nascita.
Erano i documenti per l'adozione.
Mi voltai verso Natsumi e non riuscivo a credere che potesse anche solo
pensare di separarsi da suo figlio.
«Vuoi darlo in adozione...?»
Natsumi sembrava confusa, non sapeva davvero cosa fare e la sua
confusione mi fece pensare a come poteva essersi sentita mia madre
quando aveva scoperto di aspettare me.
Forse anche lei aveva sentito quel senso di impotenza, a maggior
ragione perchè Keiko aveva solo quattordici anni quando
scoprì di essere incinta.
«Sana io... non so cosa fare. Da una parte la sola idea di
lasciarlo mi fa stare malissimo, ma dall'altra... cosa potrò
mai offrire a questo bambino?».
Il suo discorso filava, razionalmente parlando non aveva tutti i torti,
ma io non riuscivo comunque a concepirlo.
Io venivo da una storia simile e, anche se ero stata fortunata nel
trovare la mia mamma, avevo sempre pensato a come sarebbe stata la mia
vita se fossi cresciuta con la mia madre biologica.
«Il tuo amore, Nat. Mia madre ha deciso per me, mi ha
allontanato... e io so che l'ha fatto per darmi la mia migliore
possibilità, ma io avrei voluto che desse una
possibilità a noi due. Non l'ha fatto, e io ho trovato una
vera madre ad accudirmi, ma non sempre è così per
tutti...»
Sperai di averla convinta, ma lei sembrava sempre ferma sulla sua
scelta, quindi decisi di accantonare per un attimo l'argomento
chiedendole se fosse maschio o femmina.
Era una bambina, e già mi sembrava di vederla: speravo che
gli occhi li ereditasse dalla madre, Nat li aveva di quel castano che
ti fa pensare alle montagne, alla calma e quiete che solo lì
puoi trovare, e poi con i capelli tutti arruffati come suo zio.
Speravo che lei si rendesse conto dell'enorme sbaglio che stava facendo
perchè, se si fosse pentita in seguito, sarebbe stato troppo
tardi.
____________________________________________
Pov Akito.
Avevo cercato di fare meno rumore possibile entrando in casa,
perchè volevo fare anch'io una piccola sorpresa a Sana
portandole un enorme pacco di cioccolatini che avevo comprato strada
facendo.
Quando avevo aperto piano la porta, avevo sentito Sana e Natsumi
parlare in cucina quindi mi ero limitato ad avanzare nel corridoio in
silenzio per cercare di ascoltare la loro discussione.
Improvvisamente calò il silenzio, e poi sentii Sana dire
«Vuoi darlo in adozione?»
Per poco non mi sentii male. Mia sorella voleva prendere suo figlio,
mio nipote, e portarlo in un orfanotrofio e aspettare che qualcuno gli
desse l'amore che avrebbe dovuto dargli lei.
Non potevo accettarlo. Dovetti frenarmi in modo particolare per non
entrare in cucina e urlarle in faccia che non poteva farlo e
soprattutto che io non gliel'avrei lasciato fare. Non capii molto di
ciò che si dissero dopo, aspettai che cambiassero argomento
e feci qualche rumore per far sentire la mia presenza, entrando in
cucina con in mano i cioccolatini che avevo comprato.
Non appena Sana mi vide sfoderò uno dei suoi sorrisi
più belli e, dopo mesi, finalmente mi sentii completo.
*
Quando Sana aveva smesso di rimproverarmi perchè non le
avevo detto nulla di Natsumi, cominciammo a parlare del suo tour e
della mia esperienza da insegnante, cercando di non farci distrarre
dalla vicenda di mia sorella.
Paradossalmente, però, entrambi cercavamo di riportare
l'argomento a galla, per riuscire a chiarire i nostri pensieri. Visto
che non ero riuscito a carpire tutto della loro discussione, ero
ansioso di sapere cosa ne pensasse lei dell'idea di Natsumi di dare la
bambina in adozione, perchè io non riuscivo neanche a
pensare ad una cosa del genere.
Mentre stavamo mangiando il dolce, Sana si fece pensierosa. Sapevo che
pensava a Natsumi, alla sua situazione, alla bambina che portava in
grembo e a quale sarebbe stato il suo futuro se lei avesse preso quella
decisione, ma non sapevo se parlarne o meno.
«A che pensi?» le chiesi evasivo, spostando un
pezzo di cioccolato da una parte all'altra del piattino.
«Penso alla bambina. So che hai ascoltato la conversazione,
ti si leggeva chiaro in faccia che eri sconvolto quando sei
entrato.»
Mi conosceva fin troppo bene, eppure spesso non riusciva ancora a
capire ciò che era ovvio agli occhi di tutti.
«Già..» risposi «Mi sembra
assurdo che voglia lasciare sua figlia.»
«Non lo farà... deve solo sciogliere il gelo che
ha dentro e rendersi conto che se ne pentirebbe fino alla fine dei suoi
giorni.»
Improvvisamente, dopo quelle parole, mi resi conto che Sana non era
più una bambina. Non fisicamente parlando, ovviamente. Era
cresciuta molto negli ultimi tempi, non era più la ragazzina
sbadata che non faceva altro che combinare casini uno dietro l'altro, e
neppure quella che aveva una visione delle cose tanto ottimista da
farsi odiare. Adesso era diventata una ragazza responsabile, capace di
comprendere quando una situazione si fa difficile e quando
può essere risolta e, se non è così,
arrendersi.
La situazione di Natsumi era entrambe le cose, tutto
dipendeva da come lei avrebbe affrontato la maternità. Noi,
anche se le stavamo accanto, non potevamo fare molto a parte
consigliarla... la decisione era sua e di nessun altro.
Uscimmo dal ristorante e, mentre ci dirigevamo in macchina, la
conversazione si spostò sull'argomento quanto sono stronzi
gli uomini.
Partendo dal presupposto che non sempre sono gli uomini ad essere
stronzi, ma le donne ad essere un libro chiuso, sigillato e anche
nascosto, io avevo sempre pensato che dietro ad ogni comportamento si
nascondesse qualcosa di più profondo. Io non ero cattivo,
almeno avevo smesso di pensarlo, eppure venivo spesso accusato di
essere un ragazzo stronzo e insensibile.
Non ero insensibile, ero semplicemente disinteressato.
«Per esempio, il ragazzo di tua sorella è stato
così bastardo perchè, non solo l'ha lasciata, ma
l'ha lasciata sapendo che era incinta. I maschi sono tutti
così, ti usano per i loro scopi e poi ti buttano, come se
fossi un fazzoletto usato.»
Il tragitto in macchina fu più o meno tutto su quei toni,
Sana accusava Konhiro di essersi comportato da bastardo e che l'unico
modo che aveva per riscattarsi era presentarsi in ospedale non appena
la bambina fosse nata, ma non era sicura neanche in quel caso che
sarebbe stato degno di essere perdonato. Io, da fratello, ovviamente lo
avrei ammazzato di botte, ma cercavo di non pensarci perchè
ormai erano due mesi circa che la mattina mi alzavo con l'idea di
andare a casa sua e ucciderlo con le mie stesse mani, ma avevo fatto
così tanti progressi nel contenere quell'impulso che cedere
alla fine mi sembrava troppo facile.
Entrammo in casa sua e, dopo esserci tolti le scarpe, ci eravamo
buttati sul divano, continuando a parlare del comportamento di Konhiro.
«Un uomo non si fa scrupoli a venire a letto con te e, il
giorno dopo, trattarti come se non fosse successo niente. Per esempio,
neanche tu te ne fai con tutte le ragazze che vengono a vederti
combattere, immagino che la frase una botta e via per te sia
più appropriato che per chiunque altro.»
Inizialmente pensai che scherzasse, ma poi mi resi conto dalla sua
espressione che non stava affatto giocando, era serissima e continuava
a guardarmi come se volesse trafiggermi con mille coltelli.
Ma neanche io ero tranquillo, mi stava accusando praticamente di essere
un puttaniere e non era una cosa che potevo accettare. Non tanto per
l'offesa in se', non mi importava particolarmente di quella, ma
più che altro perchè non capivo come lei potesse
dire quelle cose su di me quando lei stessa aveva atteggiamenti
peggiori?
Chi, dei due, doveva vedere ogni settimana una foto scattate agli
eventi di tutto il mondo, sempre con una persona diversa.
«Scusami, stai parlando di me o... di te? Sai, sei tu quella
che ogni settimana è a una festa diversa con un
accompagnatore differente. La settimana scorsa chi era, fammi pensare,
Kamura o qualche altro attore da quattro soldi? Non riesco a tenerne il
conto.»
Le parole uscirono dalla mia bocca come un fiume in piena, come quando
una diga si rompe e tutta l'acqua che c'era al suo interno viene
liberata.
«Ah parli di me? Ma se sei tu quello che ha stuoli di
ragazzine che sarebbero pronte a fare carte false per ricevere anche un
sorriso.»
«Ma, a differenza tua, io non glielo concedo. Io non so cosa
fai tu, durante i tuoi fantomatici viaggi di lavoro, quindi non venire
a fare la predica a me!»
Le mie parole dovettero scioccarla davvero perchè,
improvvisamente, la vidi alzarsi e pararsi davanti a me.
«Ma cosa stai insinuando?! Che io la do a destra e a manca
durante i miei viaggi o i party di lavoro?!»
Era arrabbiata, furiosa addirittura, e lo riconoscevo dal fatto che
aveva cominciato a gesticolare più del solito. Ma ormai il
danno era fatto, tanto valeva tirare fuori tutte le mie
perplessità, prima che fosse troppo tardi.
«Parole tue, non mie.»
Detto ciò, raccolsi la mia giacca da terra, mi diressi alla
porta e, dopo essermi infilato alla buona le scarpe, uscii sbattendo la
porta.
_____________________________________________
Pov Sana.
La discussione con Akito era stata devastante, non ci era mai capitato
di litigare così furiosamente, almeno non per argomenti
veramente importanti.
Ci eravamo detti delle cose bruttissime, io lo avevo palesemente
accusato di usare le ragazze e lui, d'altro canto, non si era
risparmiato nel dirmi che, secondo lui, io avevo atteggiamenti poco
opportuni quando ero lontana da casa.
Mi venne quasi da piangere, perchè ora che il nostro
rapporto sembrava stare prendendo una piega più definita
dovevamo per forza essere noi a complicare le cose.
Guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che fuori pioveva a dirotto,
la pioggia era fittissima e Akito quando era nervoso guidava in modo
troppo spericolato, quindi immediatamente il cuore mi si strinse.
Lo chiamai centinaia di volte al cellulare, migliaia forse, ma non
ricevetti nessuna risposta e cominciavo davvero a preoccuparmi.
Lo odiavo quando si comportava in quel modo, era totalmente
irresponsabile e non pensava minimamente all'effetto che questo poteva
avere sulle persone che gli stavano a fianco.
Se gli avessero chiesto di saltare da un dirupo lui, per spirito di
trasgressione, l'avrebbe fatto e se c'era un lato del suo carattere che
non potevo far altro che odiare, era proprio quello.
Avevo sempre sperato che, crescendo, il suo carattere si smussasse un
po' ma Akito era così: o bianco o nero. Non c'erano vie di
mezzo, non esisteva il grigio nella sua scala cromatica, era un
continuo eccesso.
Avrei voluto che la stessa determinazione l'avesse messa nel nostro
rapporto, per schiarire le mie idee e soprattutto perchè
quella situazione di stallo faceva male a tutti e due e, anche se lui
non lo diceva e non lo dava a vedere, non riusciva più a
sopportarla.
La pioggia continuava incessante e la preoccupazione dentro di me
aumentava a dismisura.
Mi girai di scatto quando sentii la serratura girare.
Akito entrò di scatto in casa mia e, non appena
incrociò il mio sguardo, si fiondò su di me per
abbracciarmi.
Sapevamo entrambi che quello equivaleva a delle scuse, quindi non ci fu
bisogno di dire nulla, ma ci scostammo quasi subito per guardarci negli
occhi.
Pensai che, finalmente, il momento fosse arrivato. Se Akito mi avesse
baciato, e speravo davvero che lo facesse, avrei finalmente fatto
chiarezza nella mia mente e, soprattutto, nel mio cuore.
Ma, ovviamente, il fato non era d'accordo con me e, improvvisamente,
squillò il telefono.
La magia era finita.
Akito sbuffò e prese il cellulare, rispondendo alla
chiamata.
Io mi scostai, mi veniva quasi da ridere per l'assurdità
della situazione.
«Pronto? Si, sono io. Cosa? No... non è vero.
Arrivo subito!»
Gli occhi di Akito divennero vuoti e, anche se non sapevo
ancora di cosa si trattasse, sentivo che il mio cuore diventava sempre
più pesante.
Era successo qualcosa di grave.
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Capitolo 6 *** Distrutto ***
CAPITOLO
5.
DISTRUTTO.
Pov Akito.
Nella mia mente avevo il vuoto. Guidavo, ma non riuscivo
a guardare davvero la strada. Sentivo solo un gran vuoto al centro del
petto.
Se qualche anno prima mi avessero detto che mi sarei sentito in quel
modo per qualcosa successa a Natsumi, avrei riso e negato
assolutamente. La odiavo.
Eppure, in quel momento, quando dall'ospedale mi avevano chiamato per
dirmi che mia sorella aveva avuto un incidente, mi ero sentito
completamente e inesorabilmente vuoto.
Mi voltai a guardare Sana, aveva lo sguardo perso davanti a se' e
dall'occhio sinistro le scendeva una lacrima, piccolissima, forse
impercettibile ma carica di dolore.
Misi la mano sul cambio, e Sana di scatto pioggiò la sua
sulla mia.
Un gesto insignificante, in realtà, non poteva trasmettermi
per osmosi alcuna fiducia o positività, eppure non potei
fare a meno di trovarlo perfetto, perchè mi
calmò.
Almeno fino all'arrivo in ospedale.
I medici ci stavano dicendo quanto la situazione fosse grave, non solo
per Natsumi ma anche per la bambina.
«Mi dispiace, signor Hayama.» concluserò
così, davanti a mio padre, come se dicessero quella frase
milioni di volte.
I medici mi avevano sempre affascinato per quel motivo: riuscivano a
staccarsi totalmente dalla loro anima, lasciando che, davanti a un
parente, non ci fosse nè pena, nè rammarico... ne
dispiacere.
Erano assenti, di pietra. Proprio come mi sentivo io in quel momento.
Sana accompagnò mio padre, anche lui in lacrime, a sedersi,
mentre io rimasi esattamente dove il dottore era poco prima. Pensavo
che, se non avessi mosso un muscolo, l'orologio sarebbe magicamente
andato indietro e le cose sarebbero tornate esattamente come le avevo
lasciate. Ma quelli erano pensieri di un ragazzino e io, purtroppo, non
lo ero.
Quando realizzai che la situazione di mia sorella non sarebbe
migliorata nemmeno se fossi diventato catatonico, mi sedetti anch'io
accanto a mio padre, dandogli una pacca sulla spalla.
Sana, dall'altro lato, si teneva la testa tra le mani e non piangeva
per non scoraggiare noi, ma anche lei sapeva riconoscere la mancanza di
speranza.
Chiesi se era possibile entrare nella stanza di Natsumi ma i dottori ci
consigliarono di andare a casa, perchè lì non
c'era nulla che potessimo fare per lei. Mio padre non volle sentire
ragioni, rimase lì, ma io dovevo portare Sana a casa, era
esausta, e anche io avevo bisogno di riposarmi almeno per un'ora.
Guardai l'orologio. Le ore erano passate come se nulla fosse, erano
già le sei del mattino, e solo allora mi resi conto della
luce del sole che già entrava dalle finestre della sala
d'aspetto.
Convinsi i dottori a farmi entrare, anche solo per un secondo, e dopo
non poche resistenze cedettero.
Interpretai quel gesto come un favore, perchè neanche loro
erano sicuri che Natsumi si sarebbe risvegliata.
Mi stavano dando la possibilità di dirle addio. Ma io non
l'avrei fatto.
Quando varcai la soglia della sua stanza e vidi la ragazza che dormiva
in quel letto d'ospedale, mi sembrò di non vedere affatto
mia sorella. Il suo viso era pieno di lividi, le sanguinava ancora un
graffio sulla fronte, e aveva la bocca gonfia. Il braccio destro era
ingessato, quello sinistro completamente fasciato. Solo le gambe erano
libere.
Le presi la mano e feci attenzione a non stringerla troppo, per paura
di farle male.
«Vado a casa per un paio d'ore. Per quando sarò
tornato, conto di vederti sveglia, Natsumi. Non permetterti a morire.
Hai capito? Se muori, io ti odierò per sempre. Quindi non
farlo. Non morire... ti prego, non morire.»
Trattenni le lacrime, ma fu più dura di quanto avessi mai
immaginato. Dopo di che le diedi un bacio in fronte e uscii di corsa da
quella stanza, presi Sana per mano, feci un cenno a mio padre e mi
diressi fuori dall'ospedale.
Non appena misi piede in strada feci un gran respiro.
Se mia sorella fosse morta, se mia nipote fosse morta insieme a lei...
avrei potuto distruggere un mondo in quel momento, ma la mia attenzione
fu catturata da una cassetta postale, una di quelle rosse che si vedono
nei film, e decisi che quello era il mio obiettivo. Corsi in quella
direzione e, sotto gli occhi sconvolti di Sana, la presi a pugni fino a
farmi sanguinare la mano.
Lei continuava ad urlare, ma io sentivo solo un rumore lontano, e
l'unica cosa che avrei voluto era distruggere quell'oggetto come
qualunque Dio ci fosse su di noi aveva appena fatto con la vita di mia
sorella.
*
Non ricordo molto dal momento in cui Sana mi aveva fermato dal rompermi
la mano contro la cassetta postale a quando ero entrato nella doccia di
casa sua. L'acqua scorreva lentamente sul mio viso e rimetteva a posto
la mia mente, anche se non poteva far nulla per la mia mano.
La guardai, ero un incosciente, ma per fortuna non avevo nessun osso
rotto, in ospedale mi avevano messo una fasciatura e imbottito di
antidolorifici.
Chiusi gli occhi per un attimo, e mi sentii come se il peso del mondo
ricadesse sulle mie spalle.
I dottori avevano detto che Natsumi era in un momento in cui la
medicina poteva fare ben poco. Potevano tenerla in vita, alimentarla,
alimentare la bambina fino a portarla al parto, ma stava a lei, alla
sua volontà, decidere se svegliarsi o no. Se combattere o
no.
Natsumi non era mai stata una ragazza coraggiosa e, nell'ultimo
periodo, era molto depressa per via di quel bastardo e della gravidanza
inaspettata. Ero sicuro che, se avesse dovuto scegliere, nel limbo o in
qualunque posto la sua anima si trovasse, se vivere o lasciarsi andare,
avrebbe scelto la seconda.
Decisi di non pensarci, o almeno provare a farlo, e uscii dalla doccia.
Sana era in cucina a prepararmi una camomilla. Avevo cercato di dirle
che la camomilla mi faceva schifo, ma non aveva voluto sentire ragioni
e mi aveva praticamente buttato in bagno prima che potessi dire nulla.
Indossai i pantaloncini e la maglia che Sana mi aveva comprato per
quando avrei dormito da lei, e scesi in cucina, sperando che vederla mi
avrebbe calmato di nuovo, come quando mi aveva sfiorato in macchina.
Ormai ero diventato bravo nell'origliare quindi, quando sentii che
stava parlando al telefono, aspettai ad entrare in cucina.
«Mamma... ciao. Si, sto bene. So che è molto
presto, anzi scusa se ti ho svegliato ma...». La sua voce
venne rotta dalle lacrime. «No, mamma io sto bene...
è Natsumi, la sorella di Akito. Ha avuto un incidente,
è in coma e non si sa... non si sa quando e se si
risveglierà.».
Sentire quelle parole rese la cosa ancora più reale, e il
piantlo di Sana la rese insopportabile.
«No, non c'è bisogno che tu venga. Passami Rei per
favore, devo parlargli.».
Passarono diversi minuti prima che Occhialidasole rispondesse,
probabilmente dormiva ancora vista l'ora.
«Ciao Rei. Si, volevo solo dirti di cancellare tutti i miei
impegni da oggi fino a data da stabilirsi. No, non so se
potrò partecipare all'incontro con Miyazaki, la situazione
qui è critica e Akito ha bisogno di me. Vedrò
cosa posso fare, tu intanto chiama il suo segretario e digli che ho
avuto un problema familiare e che non assicuro la mia presenza per il
film, chiedigli scusa da parte mia e digli che spero che
avrà la pazienza di aspettare, perchè ci tengo a
questo film.»
Un film? Sana non me ne aveva parlato, ma l'ultima cosa che volevo in
quel momento era litigare a causa di un film. Appena sentii che aveva
chiuso la chiamata, entrai in cucina. Lei abbozzò un sorriso
e, un secondo dopo, era già accoccolata sul mio petto,
abbracciandomi.
Per un attimo dimenticai tutta l'infernale nottata, e pensai solo alle
braccia di Sana strette attorno alla mia schiena.
Mi sentii persino in colpa. Avevo desiderato tante volte un contato
come quello e ottenerlo mentre mia sorella era probabilmente in fin di
vita non era affatto giusto.
Senza dire nulla, come se avesse capito che non ero in vena di
abbracci, Sana si staccò da me e mi offrì la mia
camomilla. Feci una smorfia ma la presi ugualmente, per non offenderla.
«Come ti senti?» chiese, sedendosi sullo sgabello
della cucina, accanto a me.
«Come se fossi stato investito insieme a Natsumi.»
«Non è divertente... io.. non potrei pensare a
te...».
Ormai piangere era diventato normale per Sana e, anche stavolta, una
lacrima le attraversò la guancia. Io l'asciugai e, in
silenzio, la presi per mano e la condussi in camera.
Ci coricammo, abbracciati, e quando io mi accorsi che stava dormendo mi
avvicinai al suo orecchio.
«Io non ti lascerò mai...» sussurrai,
poi sprofondai in un sonno inquieto.
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Capitolo 7 *** Proposta indecente ***
CAPITOLO
6.
PROPOSTA
INDECENTE.
Pov Sana.
Erano ormai tre settimane che Natsumi era costretta in un letto
d'ospedale, e i medici ci davano sempre meno speranze sul suo
risveglio.
Il signor Hayama e Akito erano distrutti, passavano tutte le giornate
in ospedale e non la lasciavano sola nemmeno per un'ora. Io cercavo di
fare il più possibile, preparavo loro da mangiare - anche se
non promettevo mai nulla sul risultato - e cercavo di convincere
entrambi ad andare a casa e riposarsi almeno per un paio d'ore, ma
nessuno dei due mi prestava attenzione.
I medici ormai mi trattavano come se fossi stata una parente stretta e,
se nè Akito nè suo padre erano presenti, non si
preoccupavano di dire a me quello che stava succedendo.
L'ultima volta mi avevano schiettamente comunicato che la situazione di
Natsumi si stava aggravando e che avrebbero voluto indurre il parto per
evitare che la bambina subisse danni.
Io non ero molto d'accordo inizialmente, Akito neanche a parlarne, ma
quando avevamo capito che era l'unico modo per salvare la bambina,
avevamo accettato. Il signor Fuyuki fu più complicato da
convincere, avevamo dovuto fare ricerche su ricerche per convincerlo
che non c'erano rischi per la vita di Natsumi anche se non ne eravamo
molto convinti neanche noi.
L'intervento era fissato per la settimana successiva, i dottori
volevano attendere ancora per permettere alla bambina di svilupparsi
meglio prima di farla nascere, e io speravo solamente che sarebbe
andato tutto bene.
Mentre ero seduta nella sala d'aspetto notai che ero da sola, anche se
Natsumi non era l'unica persona in terapia intensiva. Accanto a lei
c'era un ragazzo, di tredici o quattordici anni, che i medici non
facevano altro che rianimare in continuazione. Aveva perso tutta la sua
famiglia in un incidente stradale, un po' come Natsumi, e io mi chiesi
se fosse giusto combattere quando, al risveglio, si sarebbe ritrovato
orfano.
La vita di Natsumi era appesa a un filo, così come quella di
sua figlia, e anche lei al risveglio avrebbe potuto ritrovarsi
cambiata. In compenso, però, lei aveva ancora una famiglia.
Alzai lo sguardo e un medico mi fece cenno di avvicinarmi, e dal suo
sguardo la cosa non era sicuramente qualcosa di buono.
«Signorina Kurata, riferisco a lei visto che i signori Hayama
non sono presenti...». Lo guardai, sperando che la notizia
che stava per darmi non fosse peggio di ciò che mi aspettavo
già. «La bambina, non appena nascerà,
sarà immediatamente data in affidamento, viste le
disposizioni della madre. Io sono stato contattato dal centro adozioni
e, visto che la signorina Hayama aveva già incontrato una
serie di coppie per la possibile adozione, bisognerà solo
che i servizi sociali scelgano la famiglia adatta per una bambina
così piccola e bisognosa di cure.»
«Natsumi si risveglierà e non sarà
contenta di sapere che sua figlia è stata messa in un
programma di adozioni, senza il suo consenso finale.»
«Non so che dirle, io posso solo riferirle ciò che
mi è stato detto, in ogni caso il suo fidanzato e suo padre
perderanno tutti i suoi diritti legali.»
Lo bloccai subito, chiarendo che tra me e Akito non c'era nulla, e che
il signor Hayama non era sicuramente mio suocero.
«Non è importante la sua relazione in questo
momento, l'importante è la bambina e dovete interessarvene
voi, viste le condizioni della signorina Hayama.»
Ringraziai il dottore e lasciai l'ospedale, quando vidi che il signor
Hayama era arrivato.
Non sapevo cosa fare, se Akito avesse saputo cosa stava succedendo
avrebbe pensato di certo a qualcosa, e l'unica cosa che potevo fare io
era contattare il mio avvocato.
Lo chiamai strada facendo, mentre andavo a casa di mia madre, avevo
bisogno di lei e dei suoi consigli.
L'avvocato mi assicurò che avrebbe fermato il processo per
l'adozione, almeno fino a quando Natsumi non si fosse svegliata.
Quando arrivai a casa di mia madre mi sentii stranamente nervosa, erano
giorni ormai che le nostre telefonate erano molto brevi e ci eravamo
sentite solamente quando chiedeva notizie sullo stato di Natsumi. Non
le avevo raccontato nulla, nè di Akito nè degli
ultimi sviluppi tra di noi, prima dell'incidente, quindi sapevo
già che avrei subito un interrogatorio non appena avrei
varcato la soglia.
E così fu, non ebbi nemmeno il tempo di togliermi le scarpe
che mia madre si fiondò su di me e mi accompagnò
in salotto. La signora Shimura venne a portarci un tè e,
dopo avermi dato un rapido bacio, ci lasciò sole chiudendosi
la porta alle spalle.
«Come sta Natsumi?». Mia madre era stranamente
calma quel giorno, non sapevo se interpretarlo in modo positivo o
negativo. Comunque, le spiegai che la situazione era molto critica, le
raccontai anche della bambina e da lì la vidi cambiare
espressione.
«Mamma, cosa c'è? So capire quando muori dalla
voglia di dirmi qualcosa.».
Mia madre rise sotto i baffi, e allora mi rilassai, pensando che fosse
una delle sue stranezze.
«Stavo pensando...»
Già la cosa era un pericolo...
«.. mi hai detto che la bambina ha bisogno di un nucleo
familiare stabile.»
Annuii, invitandola a continuare, ma sapevo già dove voleva
andare a parare, ma non immaginavo di certo la pazzia del suo discorso.
«Tu e Akito siete molto affiatati. Non pensi che... magari...
potreste... darle voi quel nucleo familiare stabile?».
Guardai mia madre, non capendo fino in fondo cosa volesse dire, mi
accorsi che aveva detto l'ultima frase tutta d'un fiato e mi venne
quasi da ridere.
Capendo di avermi lasciato interdetta continuò senza che io
la invitassi a spiegarmi.
«Intendo dire che... potresti accalappiarlo una volta per
tutte e farti mettere la fede al dito!!».
Lei scoppiò a ridere e io non riuscii nemmeno a pensare a
quell'ipotesi, quindi non ce la facevo neppure a ridere.
Guardai mia madre come se fosse un alieno, e nel frattempo realizzai
del tutto la sua proposta.
SPOSARMI CON AKITO?
Non potevo.
E c'erano miliardi di motivi per non farlo: litigavamo in
continuazione, anche quando si trattava del gusto del gelato - io
categoricamente vaniglia e lui categoricamente cioccolato - e non
eravamo mai d'accordo su nulla... come potevamo portare avanti un
matrimonio, anche se di facciata, con delle basi così
disastrose?
E poi, parliamoci chiaro, lui non avrebbe mai acconsentito a sposarmi.
Mi aveva sempre visto solo come un'amica e io d'altro canto non
riuscivo a capire davvero quali erano i miei sentimenti. L'unica cosa
che sapevo era che, ogni volta che l'avevo accanto e che lo sfioravo,
il mio stomaco faceva le capriole, ma non ero sicura di poter definire
una sensazione del genere.
Nel frattempo mia madre aveva cominciato un discorso su quanto quel
matrimonio potesse essere vantaggioso per tutti: per la bambina in
primis, che così non avrebbe rischiato di finire in una casa
famiglia, ma anche per noi... avremmo potuto dare finalmente un nome al
nostro legame.
Ma la cosa importante per me era chiedermi se ero pronta o meno a
diventare una moglie e, soprattutto, un genitore.
Volevo pensare che Natsumi si sarebbe risvegliata, che avrebbe
finalmente abbracciato la sua bambina, ma non ero più
così ottimista come quando ero piccola e le mie speranze si
affievolivano ogni giorno di più.
Tornai a casa mia, tranquilla perchè sapevo che in ospedale
c'era il signor Fuyuki e mi addormentai profondamente mentre pensavo e
ripensavo all'idea di mia madre.
Cosa avrei dovuto fare?
Forse sposarmi era davvero l'unica soluzione.
Pov Akito.
Casa mia era vuota senza Natsumi. Mi voltai a guardare la cucina e
senza la sua risata, il suo pancione, e i mille manicaretti che mi
preparava tutto mi sembrava così... vuoto.
Non sapevo più cosa pensare, il dottore mi aveva contattato
per riferirmi ciò che sarebbe successo in merito alla
bambina. Non potevo credere che mia nipote sarebbe finita nelle mani di
due estranei e, soprattutto, non potevo accettare di non poter fare
nulla.
Dovevo fare qualcosa, anche la più estrema.
Mentre mi stavo preparando per andare a letto, il campanello di casa
mia suonò improvvisamente. Era mezzanotte passata, mio padre
era in ospedale con mia sorella e nessuno dei miei amici mi aveva
avvisato di un'ipotetica visita.
Scesi al piano di sotto e, quando aprii la porta, mi ritrovai davanti
Sana.
«Cosa ci fai qui?». La invitai ad entrare e chiusi
la porta, ma lei non parlava.
«Mi dici che ti è successo?» la
incalzai, ma lei sembrava assente.
Dopo almeno due minuti buoni di silenzio finalmente si decise a
spiegarmi.
«Oggi sono andata in ospedale, prima di tuo
padre...».
Annuii, invitandola a continuare.
«E il dottore mi ha avvertito che, non appena faranno nascere
la bambina, verrà introdotta in un programma di adozioni,
visto che Natsumi aveva già preso contatti per queste
pratiche. Ho chiamato il mio avvocato che mi ha assicurato che avrebbe
fermato tutto il processo, ma mi ha anche detto che avremmo dovuto
trovare una soluzione, altrimenti anche l'affidamento sarebbe stato
difficile.»
Ascoltavo ciò che Sana mi stava dicendo e, anche se
comprendevo ogni parola, mi sembrava assurdo anche solo pensare di
dover lottare perchè mia nipote non fosse spedita tra le
mani di due estranei. Nelle vene di quella bambina scorreva il mio
sangue e, avvocati o meno, non avrei mai permesso che la portassero via.
«Poi, nel pomeriggio, sono stata da mia madre e,
raccontandole della situazione di Natsumi e della bambina, lei mi ha
consigliato una cosa.»
Notai che era in imbarazzo, quindi mi allontanai un po' da lei per
evitare di metterla ancora più in difficoltà.
«Avanti Sana, parla!»
«Mi ha detto che, se vogliamo davvero avere una
possibilità di tenere la bambina con noi,
dobbiamo...»
Non riusciva a parlare, si toccava nervosamente i capelli e aveva le
guance rosse. Non avevo mai visto Sana così in imbarazzo e
la cosa mi turbava particolarmente, perchè la mia Sana era
una ragazza spudorata e spontanea e non ero abituato alla sua versione
timida.
«Dobbiamo...?» chiesi, sistemandomi meglio sul
divano.
«Dobbiamo... O mio Dio, ma che mi
prende?!».
Cominciò a parlare tra se e se e io non riuscii a capire
molto, solo parole indistinte che, messe insieme, non avevano alcun
senso. Mi sembrava di impazzire nell'attesa ma volevo aspettare che si
calmasse prima di chiederle ancora qualcosa.
Sana, ovviamente, non era della mia stessa opinione e
continuò a sbraitare senza un apparente motivo quindi,
quando capii che non avrebbe smesso se non l'avessi costretta a farlo,
mi alzai e la presi per le braccia, scuotendola.
«Sana la vuoi smettere di blaterare e mi dici cosa diavolo ha
proposto tua madre?!»
«Lei mi ha detto che dovremmo sposarci!».
Le parole le uscirono tutte d'un fiato, probabilmente neanche si era
resa conto di ciò che stava dicendo ne di cosa
significassero davvero quelle parole.
Rimasi interdetto per un po', non potevo credere che la signora Kurata
potesse essere così fuori di testa.
Un matrimonio tra me e sua figlia?
Era una pazzia. Non solo perchè non eravamo adatti alla vita
di coppia - tutte le relazioni che avevamo provato a portare avanti si
erano sbriciolate tutte, una ad una - , ma soprattutto
perchè la coppia Sana-Akito non funzionava affatto. Andavamo
bene si e no come amici, anche se dovevo ammettere che avrei dato tutto
pur di poter dormire nello stesso letto con lei, come marito e moglie.
Avevo fantasticato tante volte su un'ipotetica vita futura insieme a
Sana, e ora che poteva concretizzarsi era l'ultima cosa che volevo.
Mia sorella era in coma, mia nipote rischiava di finire in adozione e
io pensavo all'amore che provavo per quella ragazzina... mi aveva
monopolizzato, quella era la verità. Ero un povero illuso,
convinto di poterla cacciare dalla mia mente quando volevo ma ogni
volta che ci provavo tutto mi si rivoltava contro.
Sana continuava a guardarmi come se aspettasse una risposta da me, come
se mi avesse fatto una maledetta proposta di matrimonio e io potessi
distruggere tutto.
Ma lei era d'accordo? Non capivo se la pensava come sua madre o se la
considerasse un'idea folle.
E lo era, in realtà. Ma più ci pensavo,
più mi sembrava l'unica soluzione possibile.
«E tu cosa ne pensi?» le chiesi, cercando di
mascherare il mio nervosismo, dote ormai affinata negli anni.
«Non lo so, tu cosa ne pensi?».
Sorrisi, esasperato dalla bambina che c'era in lei, ma poi capii che
con Sana non si poteva pretendere di capire i suoi sentimenti, quando
lei stessa era la prima a non comprenderli.
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.
Comunque... sarebbe solo per l'affidamento, no?».
Non sapevo come comportarmi, non sapevo se lei volesse farlo solo per
aiutarmi a non perdere la bambina o se, dentro di lei, ci fosse una
motivazione ben diversa.
Dovevo ammetterlo a me stesso, appena Sana aveva proposto la cosa il
mio cuore mi aveva tradito cominciando a battere all'impazzata: avevo
considerato la proposta, perchè mentire? Mi piaceva l'idea
di un vincolo così grande che ci teneva legati e poter dire
che Sana era mia moglie mi avrebbe riempito di gioia, ma mi rendevo
anche conto che non potevo costringerla a fare qualcosa solo per
aiutarmi.
Vidi nei suoi occhi una punta di fastidio, ma cercai di non dargli
peso.
«Si, solo per l'affidamento. Prima di venire qui ho pensato
ad altri mille modi per evitare la cosa ma anche l'avvocato mi ha detto
che sarebbe stata un'ottima idea. Ma, ovviamente, prima dovevo parlarne
con te.».
Tornai a sedermi dal divano, allontanandomi da lei per paura di fare
qualche gesto di cui mi sarei pentito. Tutto il mio corpo mi urlava di
prenderla, abbracciarla e poi baciarla, ma sapevo benissimo che non era
una buona idea perchè avrei oltrepassato un confine ancora
ben delineato tra noi.
«E ora che me ne hai parlato, pensi che accetterò
o no?».
Non sapevo perchè, ma volevo stuzzicarla un po', prenderla
in giro, ma non volevo nemmeno tirare troppo la corda perchè
con Sana era semplice spezzarla.
Sentivo i suoi pensieri, anche se non diceva nulla, li percepivo dal
suo sguardo. Era confusa, infastidita soprattutto, e non sapeva cosa
dirmi ma, dopo poco, finalmente si decise a rispondermi.
«Se stai cercando di scherzare anche sul futuro di tua
nipote, allora non ho tempo da perdere con te.»
Fece per andarsene ma la afferrai prontamente per la mano.
«Ferma... scusami, hai ragione. Non lo so... un matrimonio?
Temo di rovinare tutto.»
Parlai sinceramente, ma mi resi anche conto di essermi esposto troppo,
quando lei non mi permetteva mai di leggerla.
«Non c'è niente da rovinare, perchè
continueremo ad essere amici come sempre, solo con le fedi al
dito.»
Quella frase mi spiazzò e cercai di evitare che mi entrasse
dentro ma era ormai troppo tardi.
Sana mi considerava un amico e niente più.
Con la consapevolezza che avrei avuto un matrimonio assolutamente
finto, lasciai che Sana tornasse a casa sua mentre riflettevo sul
nostro futuro, dicendole che ci avrei pensato.
Ci saremmo ritrovati improvvisamente in tre, e non sarebbe stato
facile, ma non potevo permettere che la mia vita venisse rovinata.
E, anche se sapevo benissimo che avrei sofferto da pazzi,
la mattina dopo le mandai un semplice e breve messaggio.
Vada per il
matrimonio...
Quindi posso cominciare
a chiamarti Signora Hayama?
Il messaggio di risposta arrivò quasi subito.
Penso che
manterrò il mio cognome, ti ringrazio...
Ne riparliamo in
settimana, intanto chiamo il mio avvocato per i documenti.
Bene, sto per sposarmi...
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Capitolo 8 *** Il matrimonio. ***
CAPITOLO
7.
Il
MATRIMONIO.
Pov Akito.
Erano
ore che stavo fermo, accanto a quella che sarebbe diventata presto mia
moglie, con una giornalista invadente che mi riempiva di domande. Rei
aveva avuto la brillante idea, per evitare la corsa allo scoop, di dare
l'esclusiva ad un solo giornale che avrebbe pubblicato la notizia e ci
avrebbe evitato la calca di giornalisti accampati sotto casa nostra.
Nostra...
mi sembrava anche strano dirlo, come anche solo pensare ad un futuro
insieme a lei. Era una cosa che avevo sempre immaginato, sperato
addirittura, e vederlo accadere per una semplice finzione mi rendeva
alquanto nervoso.
Sana
mi diede una gomitata, perchè la giornalista aspettava una
risposta alla sua domanda ma io non avevo proprio sentito.
«Scusi,
può ripetere?» chiesi gentilmente, nascondendo una
punta di fastidio nella mia voce.
«Si,
dicevo... Siete stati amici per molto tempo, come mai questa proposta
di matrimonio improvvisa?»
Riflettei
bene prima di rispondere a quella domanda, ma poi inventai la solita
cavolata dell'amore che era maturato negli anni. In realtà
non era proprio una cavolata, io quelle cose le provavo davvero, ma non
ero capace né di dirglielo né di dimostrarglielo.
L'intervista
continuò, con altre domande e richieste piuttosto
fastidiose, e quando la giornalista lasciò casa di Sana mi
sentii finalmente sollevato e la prima a notarlo fu proprio lei.
«Pensavo
che saresti scoppiato da un momento all'altro per quanto trattenevi il
fiato!».
Si
tolse i tacchi che aveva indossato per tutto il tempo e si
buttò sul divano massaggiandosi i piedi. Mi
sembrò di vivere una tipica scena da coppia sposata, ma
scacciai immediatamente quell'immagine per non illudermi troppo.
Seguii
il suo esempio e mi gettai anch'io sul divano, cercando di rilassarmi
dopo una mattinata infernale, per capire come Sana vedeva il suo
matrimonio.
La
speranza che Natsumi si riprendesse mi stava abbandonando, ma cercavo
di non pensarci assiduamente perché il confronto con la
realtà mi avrebbe ucciso. I medici continuavano a dirci di
non abbatterci, perché mia sorella era forte, era giovane e
soprattutto stava per diventare madre e quello era sicuramente
l’imput che poteva farla svegliare, almeno noi cercavamo di
aggrapparci con tutte le forze a questa idea, pensando che il desiderio
di stringere sua figlia tra le braccia l’avrebbe portata a
lottare e a combattere. Purtroppo dovevo anche fare i conti con la
triste realtà e non riuscivo a non pensare al fatto che
avrei dovuto crescere mia nipote - sempre se l'affidamente fosse andato
a buon fine - da solo, perchè ad un certo punto Sana si
sarebbe stufata di badare a me e alla mia famiglia.
«Lo
sai quanto odio queste cose, Kurata. Mi sento a disagio davanti alle
telecamere.»
Presi
a giocherellare con i suoi capelli, e cominciai ad arrotolarmeli ciocca
per ciocca tra le dita. Era una cosa mi aveva sempre rilassato e Sana
non si era mai opposta, quindi era diventato una specie di rito serale.
«Akito...
pensi che questa cosa del matrimonio funzionerà? E se non
dovessero darci l'affidamento della bambina?».
In
realtà non avevo pensato molto a questo, dopo aver deciso
che l'idea del matrimonio era l'unica soluzione possibile ero corso
subito dall'assistente sociale e dall'avvocato a dichiarare che mia
nipote aveva già una famiglia, e che io e la mia fidanzata
eravamo gli unici a poter avere la custodia della bambina. Loro mi
avevano risposto che avrebbero fatto il possibile ma, vista la carriera
di Sana, sarebbe stato complicato convincere il giudice. Non le avevo
detto nulla di quel piccolo dettaglio per non farla sentire in colpa,
ma ero sicuro che il mio legame di sangue con la bambina avrebbe
favorito l'affidamento.
«Spero
che funzionerà... o avrò sposato una pazza per
niente!» risposi sorridendo. Sana scoppiò a ridere
insieme a me, mi tirò un cuscino sulla faccia e poi
tornò ad appoggiarsi alla mia spalla.
«Chiederai
ad Aya di farti da testimone?». Avevo pensato che l'avrebbe
chiesto a Fuka, ma poi avevo anche riflettuto sul fatto che Aya per lei
era un po' come Tsuyoshi per me, la sua confidente, e che non avrebbe
mai scelto nessun altro in un giorno così importante.
Lei
annuì e io la immaginai in abito bianco, percorrere la
navata verso di me con quei capelli rossi e quel sorriso tutto
sbarazzino di cui mi ero innamorato.
«Quindi
dovrai andare con lei a prendere il vestito...».
Sana
si voltò a guardarmi, togliendomi anche dalle mani i suoi
capelli, e mi sembrò di aver detto chissà quale
assurdità.
«Non
ci sarà nessun abito, Akito. Avremo una cerimonia civile e
basta, non credo sia il caso di fare un matrimonio in grande stile solo
per qualcosa di burocratico.»
Ero
abbastanza titubante, sapevo quanto Sana fosse romantica e quanto ci
tenesse ad un matrimonio vero e proprio, quindi mi sembrava assurdo che
volesse solo un'unione civile.
«Ma
io pensavo che...» cominciai, ma Sana mi bloccò
immediatamente.
«Niente
ma, non voglio un matrimonio in pompa magna, non sono il tipo da abito
bianco, lo sai...»
Cazzate!
Avevamo passato pomeriggi interi al centro commerciale, in quel negozio
di abiti da sposa, e lei non aveva fatto altro che ripetere quanto
adorasse anche solo l'idea di indossarlo un giorno per l'uomo che
amava.
Già...
forse era solo quello il problema, forse non voleva l'abito bianco solo
perchè non ero io quello per cui voleva metterlo. Non ero io
l'uomo che lei amava.
Quel
ricordo mi piombò addosso come acqua gelata e per un attimo
mi sentii in colpa. Come potevo costringere Sana ad un matrimonio
imposto, ad una relazione finta che non le avrebbe dato nulla di
ciò che aveva sempre sognato?
Non
ero così egoista, soprattutto perché tenevo
così tanto a lei da non riuscire nemmeno a pensare di
condannarla ad un legame del genere, anche se lo faceva per aiutarmi.
«Non
devi... non devi farlo per forza, lo sai vero? Riuscirò ad
ottenere la custodia della bambina anche senza questo matrimonio, Sana.
Non voglio costringerti a fare nulla.»
Sana
scosse la testa e sorrise.
«Non
lo faccio per te, lo faccio per tua sorella e per tua nipote, quindi
non sentirti in colpa. Ho smesso di credere al principe azzurro e al
cavallo bianco, quindi non morirò senza il mio vestito da
principessa e la mia chiesa addobbata. Stai tranquillo.»
Non
le credevo, perché ne avevamo parlato per anni, non giorni
Anni in cui Sana mi aveva chiesto di essere il suo testimone, di non
ridere se fosse caduta mentre camminava verso l'altare. Pensava che me
ne fossi scordato?
Le
rivolsi uno sguardo preoccupato, cercando di captare anche il minimo
segno di cedimento per appellarmi ad esso ed evitarle una delusione
futura, ma lei non battè ciglio, e io repressi ogni senso di
colpa per concentrarmi sul nuovo capitolo della mia vita: la mia vita
da sposato.
*
«Allora,
pensi che potrebbero piacerle?»
Indicai
gli anelli che avevo davanti e Tsuyoshi mi guardò perplesso,
scuotendo la testa.
«Spiegami,
perchè devi prenderle delle fedi, se il matrimonio
è una cosa puramente contrattuale?»
Camminai
in direzione della successiva gioielleria, sperando che lì
avrei trovato quello che cercavo. Tsuyoshi mi raggiunse sbuffando e
insistendo per avere una risposta alla sua domanda.
«Lo
faccio per ringraziarla, principalmente... mi sta sposando per un mio
problema.» tagliai corto, ma Tsuyoshi non lasciò
perdere.
«E
lo fai solo per questo?».
Sbuffai,
esasperato da tutte le domande che mi stava facendo da un'ora a questa
parte, e non riuscivo più a sopportarlo, mi chiedevo
perché ancora mi ostinavo a chiedergli consigli, forse
perché era l'unico capace di capirmi davvero.
«Se
vuoi sapere la verità... no, lo faccio anche per altri
motivi ma non ho alcuna intenzione di discuterne con te.»
Continuammo
a camminare tra le strade di Tokyo in silenzio, anche se era
terribilmente invadente Tsuyoshi sapeva quando era il caso di tacere,
finchè non passammo davanti ad una gioielleria che non avevo
mai veramente notato.
Fu
un cartello ad attirare la mia attenzione.
Mokume
Gane.
Era
una tecnica particolare con cui venivano realizzati gli anelli
matrimoniali, con la quale ogni anello diventa unico, in quanto
ricavati allo stesso modo in cui si ricavavano le spade dei samurai.
Era
una cosa speciale, una cosa insolita, una cosa che solo Sana avrebbe
avuto.
«Penso
di aver trovato quello che cercavo.»
Entrai
nel negozio e, dopo aver aspettato una giornata intera per la
realizzazione e l'incisione delle fedi, tornai a casa contento della
mia scelta.
Sana
le avrebbe adorate.
_______________________________________________
Pov
Sana.
Avevano
già letto gli articoli che ci avrebbero uniti, Akito era
accanto a me e sfoggiava un completo elegante color crema, che si
intonava a meraviglia con i suoi occhi, e io avevo le mani sudate in
modo spaventoso.
Ero
nervosa, non per il momento in sè, ma per ciò che
il matrimonio avrebbe comportato. Una convivenza forzata prima di
tutto, e avremmo litigato giorno e notte, ne ero consapevole. Avremmo
dovuto accudire una neonata perchè, per quanto sperassimo
che la situazione di Natsumi migliorasse, sapevamo entrambi che non
sarebbe stato così facile.
Non
mi ero permessa nemmeno per un attimo di guardare Akito negli occhi,
pensavo che sarei crollata proprio lì, davanti al giudice
che ci stava per dichiarare marito e moglie, così guardai
mia madre che mi sorrideva come una bambina, e allo stesso modo
Tsuyoshi e Aya. Rei un po' meno, ma era comprensibile.
Mentre
mi accompagnava al municipio mi aveva fatto chissà quante
raccomandazioni e aveva cercato mille volte di convincermi a non farlo,
perchè lui avrebbe trovato un'altra soluzione al problema di
Akito, ma io gli avevo dato un bacio sulla guancia e gli avevo detto di
stare tranquillo, perchè non sarebbe stato per sempre.
Ed
eccomi, pronta per mettere la fede al dito, senza nemmeno sapere cosa
significasse.
«Avete
gli anelli?».
Io
scossi la testa, ma Akito prontamente prese dalla tasca una scatola e
la passò al giudice. Non avevo pensato minimamente
all'importanza degli anelli, ne avevo chiesto ad Akito di occuparsene,
l'aveva fatto da solo, questo mi provocò un sorriso.
Akito
prese tra le mani l'anello destinato al mio anulare e, con delicatezza,
me lo infilò. Il suo tocco mi fece rabbrividire, ma cercai
di mantenere la calma.
Dopo
aver fatto la stessa cosa con lui, alzai la mano e guardai il mio
anello.
Era
un anello particolare, d'oro e pieno di piccole venature simili a
quelle del legno, e lo riconobbi immediatamente.
Era
un Mokume Gane, uno di quegli anelli realizzati come le antiche spade.
Mi mancò il fiato, aveva fatto quello per me?
Sorrisi
d'impulso e, quando il giudice disse le fatidiche parole, saltai al
collo di Akito, abbracciandolo.
Mi
sembrò di essere in paradiso.
*
Il
tragitto dal municipio a casa mia - o forse ormai avrei dovuto dire
casa nostra - fu molto silenzioso. Ci tenevamo per mano, senza dire una
parola, entrambi pensierosi. Non riuscivamo ancora a realizzare quello
che avevamo fatto.
Ero
la signora Hayama adesso, nonostante avessi mantenuto anche il mio
cognome, e la cosa sarebbe rimasta ufficiale per sempre, anche se
avessimo ottenuto il divorzio in futuro.
Non
ero certa di volerci pensare, in fondo una parte di me sperava che non
ce ne sarebbe stato bisogno, ma io volevo un matrimonio vero... un
matrimonio d'amore.
E
forse Akito Hayama era l'ultima persona in grado di darmi una cosa del
genere.
Mi
voltai a guardarlo, sulla sua fronte si era formata una piccola ruga
che aveva solamente quando era preoccupato e d'istinto gli strinsi
ancora di più la mano, avvicinandomi a lui per appoggiarmi
sul suo petto.
Lui
mi guardò stupito, anche se per noi ormai quei gesti erano
normali la situazione aveva preso una piega diversa, e poi mi strinse a
se, ricambiando l'abbraccio.
«Andrà
tutto bene, vero?» chiesi cercando di nascondere il mio
terrore.
Lui
si spostò per un attimo per guardarmi negli occhi e, dopo
avermi stampato un bacio sulla fronte, tornò al suo posto.
«Si,
andrà tutto bene.»
Sono
tornata!!
Scusate
il mio ritardo, ma purtroppo ieri ho avuto un imprevisto e non ho
potuto pubblicare il capitolo.
Ho
letto tutte le recensioni e davvero, davvero, VI AMO FOLLEMENTE. Siete
stati tutti dolcissimi e da ora in poi mi preoccuperò di
rispondere a tutti.
Alla
prossima settimana e grazie a tutti sempre, in particolare alla mia
meravigliosa Beta che si è occupata degli aggiornamenti
mentre io ero via.
Akura.
|
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Capitolo 9 *** Tentazioni. ***
CAPITOLO
8.
TENTAZIONI.
Pov
Akito.
Non
avevo mai pensato a come sarebbe stata la presenza costante di Sana
nella mia vita. Si, la pensavo sempre e già il suo pensiero
bastava a riempire le mie giornate, ma non ero abituato al suo esserci
fisicamente.
In
realtà non era molto diverso dall'immaginazione: Sana era
solare, divertente, riusciva a scacciare la tristezza che ogni tanto mi
assaliva e non avrei potuto desiderare niente di meglio.
Avevamo
deciso entrambi di non fare alcuna luna di miele, non era il caso di
partire mentre mia sorella era ancora in una situazione critica, e
quindi non ci eravamo mossi da casa. Aspettavamo con ansia che la
bambina nascesse, ormai avevamo consultato una lunga sfilza di avvocati
e tutti ci avevano garantito che la custodia sarebbe senz'altro andata
a noi, quindi ci eravamo un po' tranquillizzati a riguardo.
La
nascita era programmata dopo poco meno di due giorni, e Sana aveva
già riempito casa di body, pannolini e tutto ciò
che le sarebbe servito per accogliere mia nipote.
Io
la osservavo, mentre metteva a posto la cameretta della piccola, mentre
comprava bavaglini e vestitini completamente rosa, e mi sembrava la
cosa più bella che avessi mai visto. Sana sarebbe stata una
brava mamma.
Avevamo
passato la giornata a scegliere il passeggino e il seggiolino per
l'auto ed eravamo entrambi distrutti, quindi avevamo ordinato cibo
d'asporto e ci eravamo buttati sul divano a guardare la tv, parlando
del nostro matrimonio.
«Ma
dico... hai notato la faccia di mia madre mentre ci scambiavamo gli
anelli? Sembrava che stesse toccando il cielo con un dito!».
Sorrisi,
sapevo benissimo che la signora Kurata non le aveva proposto
quell'unione solo per il bene di mia nipote, ma principalmente
perchè non vedeva l'ora di vederci insieme.
«Si,
ho visto. Ma più che altro ho notato lo sguardo di
Occhialidasole, pensavo che gli sarebbe venuto un infarto!»
Sana
scoppiò a ridere, ricordando la faccia del suo manager che
sarebbe dovuta essere immortalata. Si stava avverando il suo peggior
incubo e, contemporaneamente, il mio più grande sogno.
Passammo
la serata tra chiacchere poco importanti e cibo spazzatura e, se il
fantasma della situazione di Natsumi non fosse stato sempre
lì in agguato a infastidirmi, avrei potuto anche definirmi
l'uomo più felice della terra.
Costrinsi
Sana a lasciarmi l'ultimo pezzo di sushi e lei mi lasciò da
solo, dicendomi che aveva bisogno di una doccia.
Rimasi
sul divano, gustandomi la quiete prima della tempesta. I giorni
successivi sarebbero stati sicuramente distruttivi, oltre alla nascita
della bambina avrei dovuto portare tutte le mie cose a casa di Sana e,
nel frattempo, stare accanto a mio padre che stava lentamente
crollando.
Quando
aveva saputo che io e Sana ci saremmo sposati per ottenere
l'affidamento della bambina, era scoppiato in lacrime. Non
perchè non fosse d'accordo, anzi tutt'altro, ma
perchè per lui quello presupponeva il fatto che Natsumi non
si sarebbe mai risvegliata. Come potevo biasimarlo?
La
situazione non era certo delle migliori ma, se c'era una cosa che Sana
aveva insegnato alla mia famiglia, era di non perdere mai la speranza.
Mio
padre aveva assistito al matrimonio con la testa bassa, sentendosi in
colpa perchè era felice per me mentre mia sorella non poteva
esserci, e ci aveva abbracciati non appena eravamo stati dichiarati
marito e moglie. Ci aveva sussurrato un grazie strozzato dal pianto e
poi se n'era tornato in ospedale, che ormai era la sua casa.
Mi
alzai per mettere i piatti sporchi nella lavastoviglie e notai che
ormai era piena. Cominciavo già a non sopportare delle cose
di Sana: era disordinata, casinista, non faceva altro che lasciare
vestiti in giro, ma non riuscivo comunque a pentirmi della mia scelta.
Lavai
velocemente i piatti e mi avviai verso la camera da letto ma, mentre
ero in corridoio, notai che Sana era appena uscita dal bagno in camera.
Non
ero un guardone, avevo avuto mille occasioni di guardare Sana in
desabillè e tutte le volte mi ero limitato ad abbassare lo
sguardo per il troppo imbarazzo.
Ma,
stavolta, non riuscii a farne a meno. Mi avvicinai alla porta e,
scostandola leggermente, la vidi.
Sana
era avvolta da un accappatoio troppo grande per lei che però
le era scivolato lasciandole scoperta tutta la schiena.
Aveva
i capelli raccolti nella mano destra ed essendo completamente fradici
le gocciolavano sul corpo.
Le
gocce le scendevano per tutta la schiena, come una mano che
l'accarezzava lentamente, e io immaginai che fosse la mia.
Chiusi
gli occhi pensando di toccarla, di sfiorare piano la curva della
schiena, di premere le dita nell'incavo del suo collo...
Li
riaprii immediatamente, reprimendo quelle sensazioni, e allontanandomi
da lei. Se la nostra vita di coppia fosse continuata in quel modo
probabilmente avrei dovuto farmi controllare da un bravo psichiatra.
Mi
buttai sul letto, in preda alla frustrazione, e sbuffai. Come
pretendevo di resistere ai miei sentimenti se la sua presenza ormai era
una costante nella mia vita?
Non
ne ero capace.
Non
riuscivo nemmeno ad essere lucido se pensavo che Sana era nella stanza
a fianco, nuda, dentro la vasca... figuriamoci se la mia mente sarebbe
stata in grado di non tradirmi.
La
porta del bagno, che dava sulla camera, si aprì e Sana
arrivò in fretta e furia, lasciando una scia d'acqua dietro
di lei.
«Il
bagno è libero, puoi andare se vuoi.»
Alzai
lo sguardo e l'accappatoio incriminato era ancora lì,
davanti a me, e continuava a non coprirle la spalla.
Mi
mancava l'aria.
«Si,
vado subito.».
Mi
fiondai in bagno e da acqua calda passai tutto il termostato ad acqua
fredda, ghiacciata.
Dovevo
scrollarmi di dosso tutta quella tensione che portava il nome di Sana
Kurata.
_______________________________________
Pov
Sana.
Avrei
voluto dire che la doccia calda mi era servita a schiarirmi le idee, ad
illuminarmi sui sentimenti che provavo per Akito e che, finalmente,
avrei trovato una soluzione per il nostro rapporto incasinato.
Ma
no, ovviamente, non era il mio caso. Avevo cercato di mettere ordine
nella mia testa, analizzando passo dopo passo tutto ciò che
era successo nell'ultimo periodo.
Se
mi avessero detto un mese prima che mi sarei ritrovata con l'anello al
dito in così poco tempo, avrei sicuramente preso per pazzo
chiunque mi stesse dando la notizia.
Decidere
di seguire il consiglio di mia madre era stato difficile, avevo
praticamente preso la mia vita e l'avevo messa tra le mani di Akito,
lasciando a lui il timone della nave.
Aprii
la finestra e uscii in terrazza, ancora in accappatoio, pensavo che
l'aria fresca mi avrebbe fatto bene, ma in realtà
più pensavo più il mio cervello perdeva
lucidità.
Non
riuscivo comunque a rassicurarmi, forse avevo fatto uno sbaglio
madornale a sposare Akito o forse sarei riuscita ad annullare il
matrimonio non appena Natsumi si sarebbe svegliata e avrebbe ripreso la
bambina con se.
Ma
volevo davvero annullarlo? Non ne ero certa...
Non
sapevo nemmeno se sarei riuscita a mantenere la facciata della ragazza
che aveva fatto tutto solo per aiutare il suo migliore amico,
perchè anche se la motivazione principale era stata quella,
non era di certo l'unica.
Dovevo
capire, dovevo riflettere, ma era difficile anche solo pensare di
vivere una vita da amici con Akito sempre accanto.
Improvvisamente
due braccia enormi si allungarono su di me e Akito mi avvolse in un
abbraccio che avrei voluto fosse arrivato prima.
«Prenderai
freddo, stupida...»
Riuscivo
a percepire il suo petto nudo contro la mia schiena e mi sentii
improvvisamente a casa.
Mai
avevo provato quella sensazione, mai mi ero sentita così
protetta come in quel momento.
Probabilmente
non mi sarebbe mai più ricapitato, perchè nessuno
mi avrebbe mai fatto sentire come Akito in quel momento e
improvvisamente mi rattristai.
Il
nostro matrimonio era una semplice unione di facciata, quindi avrei
dovuto prendere con le pinze tutte le emozioni che stavo provando e che
avrei provato in futuro.
Comunque
non ascoltai il mio cervello, non ero brava ad essere razionale quindi
non ci provavo più di tanto.
Mi
strinsi ancora di più a lui, affondando il naso tra il suo
collo e la spalla, inalando tutto il suo profumo. Sapeva di muschio e
di limone, tutti e due messi insieme. Sapeva di dolcezza e
determinazione. Sapeva di Akito.
«Faccio
un bun odore almeno?» mi chiese, notando che non facevo altro
che inspirare.
Annuii,
sorridendo.
«Andiamo,
o ti prenderai una polmonite.».
Mi
prese per mano e, velocemente, rientrammo in casa.
Mi
rannicchai vicino a lui, a letto.
Così,
perchè mi andava.
Perchè
mi faceva stare bene.
E
poi ci rividi insieme, a ridere come due stupidi.
Cosa
era cambiato? Cosa era successo?
Eravamo
cambiati noi, era cambiato il nostro rapporto.
Era
cambiato tutto.
Akito
sarebbe stato sempre una delle cose piu belle che mi fossero mai
capitate perchè la sua voce mi aveva rassicurato nei momenti
di sconforto.
Era
l'unica persona che non mi aveva mai lasciato.
Se
solo avessi potuto dirglielo.
*
Erano
venti minuti che mia madre continuava a chiamarmi al cellulare e che io
le chiudevo la chiamata facendo scattare la segreteria.
Sapevo
già cosa voleva dirmi e non avevo alcuna voglia di sentirla.
Akito
mi guardò infastidito, gettandomi ancora una volta il
giornale con la nostra foto in accappatoio in prima pagina.
Io
non la trovavo una cosa così tragica, in fondo eravamo
sposati, ma a lui sembrava importare molto.
«Ma
cos'è che ti da così tanto fastidio? Se non
volevi essere visto con me, non dovevi sposarmi!» sbottai
improvvisamente.
«Ma
non capisci proprio! Parlare con te è come parlare col muro,
Kurata.».
Non
smetteva mai di chiamarmi in quel modo e io lo odiavo, mi sembrava che
volesse sempre allontanarmi.
«Adesso
porto il tuo cognome, potresti anche smetterla di chiamarmi
così.»
Detto
ciò mi alzai e feci per andarmene ma Akito mi
bloccò subito.
«Non
mi infastidisce essere visto con te, stupida. Penso solamente che avrei
voluto delle foto meno... sconcie, diciamo. E soprattutto hai letto
l'articolo?». Prese il giornale e cominciò a
leggere.
" Notte
caliente per la nota attrice Sana Kurata, sorpresa in atteggiamenti
intimi nel balcone della sua villa, insieme al neomarito. Sembra che i
due stiano passsando una luna di miele all'insegna del sesso sfrenato.
Voci attendibili ci confermano che i due hanno preferito restare a casa
per evitare di essere sentiti durante i loro focosi amplessi!
Aaah che
belli i primi mesi di matrimonio. Aspettiamo di vederli fra un po' di
tempo, sembreranno ancora così innamorati? ".
Mi
venne un brivido nel sentire la parola innamorati riferita a me e
Akito, ma lo scacciai immediatamente e pensai a come controbattere.
«Ti
fai dei problemi per nulla. Siamo sposati, è normale che i
giornalisti ricamino sopra a queste cose, quindi smettila e non dare di
matto perchè non sarà ne' la prima ne'
l'ultima.»
Lui
annuì, e io sperai che avesse davvero capito che, essendo
mio marito, ed essendo io una celebrità, non potevamo
scappare dai paparazzi.
Nel
pomeriggio richiamai mia madre e, come immaginavo, era in preda ad un
esaurimento per le foto pubblicate.
«Ero
certa di averti dato un buon consiglio! Ma dimmi... com'è a
letto?».
Scoppiai
a ridere.
«Mamma,
io e Akito siamo sposati per necessità. Non ho visto niente
oltre al suo petto, quindi smettila di farti venire strane
idee.»
La
conversazione continuò tutta su quel frangente e, quando mi
stufai di sentire quanto fossi stupida a non approfittare dei miei
diritti di moglie, riattaccai promettendole di andarla a trovare presto
con il mio maritino.
Quella
storia continuava ad ingarbugliarsi in modo assurdo ma, nonostante
ciò, non potevo non pensare a quanto fossi felice di essermi
complicata la vita in quel modo.
Perdonate
il ritardo, davvero, ma ho avuto un piccolo problema col mio pc (avevo
combinato un casino con la tastiera e alcune lettere non ne volevano
sapere di funzionare ahaha non chiedetemi niente, please) e quindi non
ho potuto ne scrivere ne pubblicare.
Ecco
a voi l'ottavo capitolo, finalmente, il dopo matrimonio.
Spero
di vedere taaaaaante recensioni perchè, credetemi, IL BELLO
DEVE ANCORA ARRIVARE.
Vi
ringrazio sempre di cuore, per tutto il supporto che mi date... e
specialmente la mia meravigliosa Beta che non si stanca mai di
consigliarmi.
Buona
recensione, perchè DOVETE lasciarmene una u.u
Bacionissimo,
Akura.
|
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Capitolo 10 *** Profumo di fiori. ***
CAPITOLO
9.
PROFUMO DI
FIORI.
Pov Sana.
Aspettavamo
ormai da un'ora buona fuori dalla sala parto. L'intervento di Natsumi
era abbastanza semplice, un normalissimo cesareo, ma nelle sue
condizioni tutto era sul filo del rasoio.
Akito
era appoggiato al muro accanto a me, aveva lo sguardo perso e non
riusciva nemmeno a parlare per l'agitazione. Mi avvicinai a lui e
l'abbracciai, premendo le labbra sul suo collo, e cercando di fargli
capire che c'ero, che anche se non potevo capire fino in fondo
ciò che stava provando, poteva aggrapparsi a me.
Aspettammo
ancora, stretti l'uno all'altro, con il signor Hayama seduto vicino a
noi e le ore passarono lente.
Finalmente,
dopo un'infinita attesa, un dottore venne da noi, dicendoci di
seguirlo, perchè la bambina era stata messa in incubatrice.
Quando
la vidi mi sembrò di vedere l'essere più bello al
mondo.
Io,
Akito e il signor Hayama rimanemmo interdetti a fissarla, cercando di
trovare somiglianze che era ancora difficile intuire, e sembravamo
incantati da quel corpicino circondato da tubicini che le permettevano
di respirare.
Il
dottore aspettò che smettessimo di guardarla per spiegarci
la sua situazione medica.
«Essendo
nata alla 32esima settimana la bambina ha bisogno di essere supportata
durante la sua crescita. I polmoni non sono ancora sviluppati
totalmente, quindi non potrà lasciare l'ospedale prima di
due, tre mesi.»
Ascoltavamo
attentamente le sue parole e, nonostante fossimo preoccupati, sapevamo
che la bambina era forte e che, come sua madre, ce l'avrebbe fatta.
O
almeno lo speravamo...
«Grazie
dottore» esordì il signor Hayama «Penso
che mia nipote sarà forte.»
«Lo
penso anch'io, quindi state tranquilli. L'unica cosa che dovete fare
è pregare per Natsumi. La medicina ormai non può
fare più nulla.»
Annuimmo
tutti e tre e il dottore strinse la mano ad Akito, congedandosi e
lasciandoci soli.
«Ragazzi
voi andate a casa, rimango io qui con Natsumi e la bambina.»
Io
e Akito seguimmo il consiglio del signor Hayama e tornammo a casa, dove
ci addormentammo quasi subito distrutti dalla giornata infinita.
*
Quella
piccola mano mi stringeva forte, le mie dita sembravano enormi vicino
alle sue ed era forse la sensazione più strana e bella che
avessi mai provato.
Era
come sentirsi vivi per la prima volta, come fare un tuffo dal
trampolino più alto. Era spaventoso ed eccitante allo stesso
tempo.
Non
ero sua madre, speravo che non ci fosse bisogno di me in quel ruolo, ma
comunque volevo creare un legame con lei.
Lei...
improvvisamente ricordai che non le avevamo ancora dato un nome,
nonostante fossero passati diversi giorni dalla sua nascita.
La
guardai attentamente. Quella bambina doveva avere un nome degno della
sua purezza.
Somigliava
già così tanto a sua madre... era bellissima, un
fiore delicato che non sarebbe stato strappato da nessuno,
finchè ci saremmo stati io e Akito.
Uscii
la mano dall'incubatrice e la annusai, era un odore che mi ricordava il
giorno dell'Hanami che avevo trascorso insieme ad Akito.
Era
profumo di fiori.
------------------------------------------------------------------------------------------
Pov
Akito.
Correvo
verso l'ospedale, Sana mi aveva chiamato dicendomi di sbrigarmi
perchè aveva qualcosa di urgente da dirmi. Speravo si
trattasse di mia sorella, pregavo - forse per la prima volta nella mia
vita - che al mio arrivo l'avrei trovata sveglia e pronta ad
abbracciare sua figlia.
Ma,
ovviamente, il destino non era così benevolo nei miei
confronti perchè, quando varcai la soglia della
neonatologia, trovai Sana a fianco all'incubatrice di mia nipote con
una serie di post-it tutti attaccati sul vetro.
«Ciao...»
sussurrò quando mi vide e sfoderò uno dei suoi
sorrisi che mi fece quasi dimenticare la corsa che mi aveva costretto a
fare per arrivare lì.
Quasi.
«Che
diavolo è successo per farmi arrivare qui così di
fretta? Natsumi?».
Lei
scosse la testa, sembrava sinceramente dispiaciuta per avermi dato
false speranze.
«Okay...
allora cosa volevi dirmi?».
Lei
indicò l'incubatrice, mostrandomi tutti i post-it che gli
aveva attaccato sopra.
Su
ognuno di quelli c'era scritto un nome e, sotto, il suo rispettivo
significato.
MASARU.
Vittoria.
SAKURA
Fiore di
ciliegio.
MEGUMI
Benedizione.
KAORI
Il profumo
dei fiori.
HOSHI
Stella.
Li
lessi tutti guardando mia nipote, pensando a quale fosse il
più adatto a descrivere la bellezza di quella creatura.
«Vorrei
tanto che lo scegliessi tu.»
Quella
frase mi uscì spontanea, quasi dettata da una voglia di
appoggiarmi a Sana per quella decisione che non ero certo di saper
prendere.
Sana
mi guardò sgranando gli occhi e il castano delle sue iridi
si scurì ancora più del solito per la sorpresa.
«No,
Akito... è tua nipote. Devi scegliere tu il nome.»
Scossi
la testa, cercando di non sorridere e di essere il più serio
possibile.
«E'
nostra nipote. Fino a prova contraria sei mia moglie e abbiamo fatto
tanto per proteggere questa bambina. Tu hai fatto tanto per lei, quindi
voglio che sia tu a scegliere il nome.»
Improvvisamente
me la ritrovai addosso, che mi stringeva in un abbraccio che mi dava a
mala pena la possibilità di respirare e pensai di riuscire,
finalmente, a parlarle, a dirle tutto ciò che pensavo.
«Prima,
mentre ero qui da sola e le stringevo la manina, ho sentito un profumo
meraviglioso... ed era lei. La mia mano aveva un bellissimo profumo di
fiori. Io tifo per Kaori, quindi. Tu che ne pensi?».
A
me piaceva molto, forse Natsumi avrebbe voluto darle il nome di nostra
madre, ma Sana sembrava così entusiasta che neanche volendo
sarei riuscito a dirle di no.
«E
Kaori sia.»
Ci
voltammo a guardare la bambina, continuava a muovere le manine e,
quando Sana la toccò, improvvisamente si calmò.
Quello
era il segno che mia nipote aveva trovato la sua seconda mamma e io,
nel frattempo, avevo trovato l'amore della mia vita.
*
Ormai
erano settimane che io e Sana facevamo la spola tra ospedale e casa,
senza un attimo di tregua.
Le
condizioni di mia sorella non accennavano né a migliorare e,
per fortuna, neppure a peggiorare, mentre mia nipote cresceva giorno
dopo giorno stupendoci sempre di più.
Sembrava
cominciare a riconoscere sia me che Sana, quando le toccavamo le manine
lei era sempre pronta a sgranare gli occhi e a guardarci come se
fossimo stati la sua luce giornaliera.
Cercavamo
di essere coraggiosi, di non farci prendere dal panico ma la speranza
di uscire da quella situazione si faceva sempre meno vicina. Eravamo in
trappola.
Stavamo
entrando a casa quando il telefono di Sana squillo, lei
sbuffò per un attimo passandomi il cellulare per farmi
vedere chi era a chiamarla.
Rei.
Erano
giorni che ci tartassava di telefonate, chiedendoci quando avevamo
intenzione di mostrarci al pubblico. Sana, ovviamente, non aveva fatto
altro che gridargli contro che, con la situazione che stavamo vivendo,
non era il momento di pensare al pubblico o ai giornalisti.
Comunque
rispose, cercando di essere il più cortese possibile.
«Ciao
Rei... Si, la bambina sta meglio, anche se ha ancora bisogno
dell'incubatrice. Si...»
Ascoltavo
la conversazione e, nel frattempo, sistemavo la spesa negli scaffali
facendo attenzione a non fare confusione perchè, per quanto
Sana fosse profondamente disordinata, sulla spesa non transigeva: tutto
doveva essere al suo posto.
«Va
bene Rei... stasera usciamo, sei più tranquillo?».
Sana
chiuse la chiamata e, tirando il telefono sul divano,
sbuffò.
«Per
quanto lo adori, certe volte immagino mille modi per ucciderlo in un
secondo solo.»
Sorrisi,
perchè sapevo che in realtà avrebbe voltato le
spalle a chiunque per lui, lo considerava un padre.
«Cosa
voleva?» chiesi avvicinandomi a lei.
«Stasera
si esce.»
«Questo
lo avevo intuito.» risposi sarcastico. «Ma il
motivo?»
«Perchè
dobbiamo farci vedere in pubblico. E' già passato un po' di
tempo dalle nozze, Rei teme che i giornalisti, per avere qualche scoop,
si appostino fuori casa, quindi vuole dargli quello che vogliono per
zittirli una volta per tutte.»
Il
ragionamento non faceva una piega, noi gli davamo ciò che
volevamo avessero. Sagami non era stupido allora.
«Possiamo
chiamare Aya e Tsuyoshi... se non ti va di uscire solo noi
due.»
Speravo
rispondesse di no, e per un attimo mi era sembrato che le mie speranze
non fossero state vane, ma immediatamente i miei castelli di carta
furono distrutti.
«Va
bene. Chiamo io Aya, tu intanto fatti una doccia.»
La
lasciai in cucina, col telefono tra le mani, mentre io mi diressi verso
il bagno, pronto per la nostra uscita a quattro.
*
Stringere
la mano di Sana era strano. Non era la prima volta che camminavamo mano
nella mano, ma non lo avevamo mai fatto da marito e moglie.
Aya
e Tsuyoshi cercavano di rendere le cose il più normali
possibili, ma non era facile confrontarsi con i propri migliori amici
che si ritrovano sposati senza neppure avere il tempo di realizzarlo.
«Hai
saputo di Jikishi e Nori?»
Le
ragazze continuavano a spettegolare davanti a noi e io mi ritrovai a
guardare Sana più del solito. Aveva indossato un vestito
nero, semplice, e sopra un cappotto rosso fuoco che sembrava prolungare
la fiamma dei suoi capelli, che avevano preso un colore più
chiaro negli ultimi tempi.
Il
suo sedere ondeggiava davanti ai miei occhi e io pensai di non riuscire
a contenermi. Eravamo amici, ma eravamo anche marito e moglie, e io
volevo di più.
Non
mi bastava tornare a casa la sera e addormentarmi con il profumo dei
suoi capelli accanto, non mi bastava sentire la sua voce subito dopo
essermi svegliato. Il matrimonio di facciata non mi bastava
più.
«Akito,
devi dirglielo.»
Come
al solito, Tsuyoshi non faceva altro che leggermi nel pensiero,
captando ogni mio singolo dubbio e cercando in tutti i modi di aiutarmi
a sbrogliare la matassa che lo componeva. Ma la mia era una matassa
troppo confusa, si era annodata per anni e mai nessuno era riuscito a
capirci qualcosa, neppure io.
«Devi
spiegarle una volta e per tutte che non è solo tua nipote a
tenervi legati.»
«Il
punto è che quello è l'unico legame che lei
vuole.»
Tsuyoshi
mi guardò, alzando poi gli occhi al cielo.
«Tu
o non capisci, o non vuoi capire. Sta aspettando che sia tu a fare la
prima mossa, sai come sono le donne. Sana non fa eccezione, anche se
è completamente svitata.»
Annuii,
lasciando che i suoi pensieri continuassero a vagare insieme ai miei,
anche se in realtà non sapevo nemmeno cosa avrei dovuto
pensare.
La
nostra situazione stava cominciando a diventare più
complicata che mai e, non appena la bambina sarebbe stata dimessa
dall'ospedale, saremmo stati circondati da pannolini e biberon e
parlare sarebbe stato troppo difficile, più di quanto non lo
fosse già.
Io
e Tsuyoshi ci avvicinammo alle ragazze, lui prese per la mano Aya e io
seguii il suo esempio.
Sana
si voltò a guardarmi e mi sorrise, non era la prima volta
che ci prendevamo per mano né che lo facevamo in pubblico,
ma quella volta assunse un significato diverso e lo sapevamo entrambi.
«Ti
sei calato proprio nella parte, eh?» chiese lei, continuando
a sorridermi.
«Occhiali
da sole voleva che fossimo affiatati, e io cerco di seguire le sue
istruzioni.»
Improvvisamente,
non saprei spiegare come, l'impulso di baciarla fu troppo forte. Non fu
un bacio passionale, non volevo metterla in imbarazzo di fronte ai
nostri amici e soprattutto di fronte a tutti i giornalisti che sapevo
essere appostati chissà dove per spiare la prima uscita
pubblica della coppia del momento, ma mi sembrò finalmente
di aver ripreso a respirare dopo un lungo periodo in cui avevo
trattenuto il fiato.
Mentre
le nostre labbra erano ancora unite le spostai una ciocca di capelli e,
ridendo, le feci fare un casquet veramente troppo teatrale.
«Hai
proprio seguito alla lettera il suo consiglio.» disse senza
fiato.
Io
le sorrisi e le diedi un altro bacio, non ero nemmeno certo che fosse
la cosa giusta, eppure non ero riuscito a controllarmi. Il suo profumo,
la sua voce, le sue labbra rosse così vicine alle mie...
Sana per me era un afrodisiaco e non riuscivo nemmeno a connettere il
cervello con il resto del corpo quando lei mi stava accanto.
Quando
la feci rialzare aveva i capelli tutti arruffati e la bocca rossa a
causa del rossetto. Non riuscivo a smettere di guardarla,
perchè se era bella dopo solo un bacio... come sarebbe stata
dopo aver fatto l'amore?
Cercai
di riprendere il controllo, anche se era troppo difficile, e mi accorsi
che tutti attorno a noi ci stavano fissando, alcuni avevano persino dei
cellulari tra le mani e ci stavano scattando delle fotografie.
Ricordai
improvvisamente che non eravamo una coppia normale, che tutto
ciò che facevamo era automaticamente mandato sotto i
riflettori e quasi mi pentii del mio gesto troppo appariscente. Poi mi
voltai a guardare il viso di Sana, sorrideva come una bambina di due
anni, e il mio pentimento sparì all'istante.
Se
lei era felice, cosa me ne importava del resto del mondo?
---------------------------------------------------------------------------
Pov Sana.
Aya
e Tsuyoshi continuavano a ridere, lo fecero per quasi tutta la serata.
Un gesto come quello non era sicuramente da Akito, ma non mi dispiaceva
quella nuova versione dello scorbutico ragazzo che conoscevo.
Tsuyoshi
e Akito si erano allontanati di nuovo, parlavano bisbigliando come due
ragazzine delle medie, mentre io e Aya bevevamo un drink sedute al
tavolo del ristorante.
«Tu
e Akito avete preso bene questa storia del matrimonio...»
esordì Aya, dandomi una piccola gomitata e facendomi quasi
cadere il cocktail addosso.
Risi
e annuii. «Era una finta, Aya. Akito non farebbe mai una cosa
del genere. Ha visto che qui intorno era pieno di giornalisti e ha
fatto quello che Rei ci aveva suggerito: farci notare. Sai come sono i
giornali, avrebbero inventato che siamo in crisi e avremmo avuto
paparazzi anche fuori casa. Non ha significato niente.»
Mentre
dicevo quelle parole non avrei mai immaginato che, voltandomi, mi sarei
ritrovata Akito alle spalle con un'espressione tutt'altro che serena
come quella di pochi minuti prima.
«Si,
Aya, ha ragione Kurata. Non ha significato niente.»
Si
voltò e, dopo aver lasciato i soldi per il conto, riprese a
camminare insieme a Tsuyoshi davanti a noi.
La
nottata sarebbe stata una tragedia.
Ci
sedemmo al tavolo per la cena, ma l’atmosfera si era ormai
raffreddata, notai che Aya e Tsu avevano tra le mani un solo
menù e lo guardavano insieme, così presi
coraggio, mi avvicinai ad Akito che guardava il menù come se
fosse l’unica cosa interessante in quella sala, e misi la mia
mano sulla sua. All’inizio si irrigidì, ma poi
alzò lo sguardo e mi fissò con i suoi occhi ed io
mi sentii persa, allora mi avvicinai e gli sussurrai: «Mi
dispiace se ho detto qualcosa che ti ha infastidito ma, ti prego,
cerchiamo di non rovinare la serata.» e dopo aver lasciato un
bacio nella porzione di pelle sotto il suo orecchio, tornai a guardare
la lista delle varie portate.
La
cena proseguì in un’atmosfera rilassata, ridendo,
scherzando e ricordando vari aneddoti. Decidemmo di proseguire la
serata a casa nostra, lontani dai paparazzi, io ero così
emozionata di far vedere la stanza di Kaori ai nostri più
cari amici.
Erano
ormai le due, così decidi di preparare altro
caffè e, magari, anche qualche cappuccino. Akito diceva che
ero dipendente da quella bevanda e che usavo ogni scusa per
prepararmelo a qualsiasi ora della giornata. Mentre mi dirigevo in
cucina, Aya chiese ad Akito di aiutarla a portare dentro il
regalo per la piccola.
La
situazione con Akito sembrava risolta, ma sapevo benissimo che era una
semplice parvenza perchè, non appena Aya e Tsuyoshi ci
avrebbero lasciati da soli, sarebbero iniziati i veri problemi.
In
realtà, ciò che avevo detto, era ciò
che pensavo che lui avrebbe detto. Era ciò che credevo lui
pensasse.
Forse
non era davvero così e forse, ogni tanto, avrei dovuto
riflettere prima di dar aria alla bocca.
Alla
mia età non avevo ancora imparato quella lezione...
---------------------------------------------------------------------------------------------
Pov
Akito.
Io e Aya
non eravamo propriamente quegli amici che si confidano i segreti, non
avevamo di certo lo stesso rapporto che io avevo con Tsuyoshi o con la
stessa Fuka, ma c'erano state volte, quando avevo creduto che tutto mi
stesse per crollare addosso, che le parole di Aya mi avevano aiutato.
Era saggia, una dote che non avevo mai riscontrato in nessuna ragazza
della nostra età.
Vicino
alla macchina Aya si fece seria e si appoggiò allo
sportello.
«Non
puoi pretendere che Sana capisca i tuoi sentimenti, Hayama. Tu non sei
onesto e chiaro con lei fino in fondo.» Poi chiuse gli occhi
e incrociò le braccia sul petto. Io annuii e aspettai che
parlasse.
«Capisco
il tuo essere restio a dire a Sana una verità che
è palese a tutti da tempo, ma so anche che ognuno di noi ha
i suoi tempi che non devono essere, in ogni caso, forzati. Non
arrabbiarti con lei perchè non capisce, non ne ha
colpa.»
Forse
Aya aveva ragione, forse Sana non riusciva davvero a fare chiarezza tra
i miei e i suoi comportamenti, ma davvero era così ingenua
da non capire quello che provo per lei da sempre?
«Sana
ti ama al di sopra di tutto e tutti, dovresti averlo capito quando ha
rinunciato a vari lavori negli States, che le avrebbero fruttato
milioni di dollari, per restare vicino e te! E tutto questo senza
battere ciglio, senza preoccuparsi del danno che probabilmente questi
rifiuti avrebbero causato alla sua immagine. Anche tu dovresti imparare
a leggerla un po' di più.»
Detto
ciò mi lasciò indietro, con in mano una scatola
enorme da portare in casa e mille dubbi che non facevano altro che
farmi scoppiare la testa.
Sana
Kurata, sarai sempre un mistero per me!
Dovete
perdonarmi, non ho potuto ne rispondere alle recensioni ne pubblicare
per un bel po' di settimane ma.... l'università è
cominciata e le cose da studiare mi stanno sommergendo!
Spero che non vi abbia annoiato leggere e spero che continuerete a
farlo! Un bacio e vi adoro SEMPRE!
Akura.
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Capitolo 11 *** E adesso.... ***
CAPITOLO
10.
E ADESSO...
Pov
Akito.
Ero
al telefono con Tsuyoshi da ore, cercando di farmi consigliare su cosa
regalare a Sana per il nostro secondo mese di matrimonio, ma come
sempre nè io nè lui riuscivamo a deciderci.
«Tutto
ti sembra banale, non pensi di esagerare adesso? Io avrei una vita,
tanto per la cronaca."
Avrei
voluto sbattergli in faccia tutte le volte in cui mi aveva chiamato
parlandomi e riparlandomi del suo pasticcino,
mentre l'unica cosa che volevo era mandarlo al diavolo, ma non potevo
perchè era il mio migliore amico.
«Grazie
dell'aiuto, Tsuyoshi. Veramente, sei un amico.»
Chiusi
la chiamata, esasperato dalla situazione e da come le cose si stavano
evolvendo tra me e Sana.
Erano
passati due mesi, 13 settembre 2015 e, anche se non ero mai stato il
tipo da regali, non potevo far passare inosservato quel momento che era
stato importante per entrambi, nonostante tutte le
difficoltà annesse.
In
quel momento, probabilmente, avrei chiesto a mia sorella un consiglio e
lei mi avrebbe risposto ridendo e prendendomi in giro. Mi mancavano
quei lati di lei, mi mancava vederla la sera accarezzarsi il pancione
che ormai non c'era più, e parlarmi di Sana come se sapesse
già che il mio destino con Sana fosse segnato.
Lei
ne era sicura, ne era sempre stata sicura, eppure io non sapevo mai
come affrontare quelle parole.
Tu
e Sana? Siete anime gemelle, Akito. Dovrete capirlo, prima o poi...
Le
sue parole mi piombarono addosso come un pesante macigno. Volevo mia
sorella. E non mi accontentavo più di stringerle la mano
mentre non sapevo neppure se riusciva a sentirmi, volevo vederla
sorridere, aprire gli occhi e chiedermi di sua figlia.
Kaori
stava bene, sarebbe presto uscita dall'ospedale e la nostra vita
sarebbe cambiata, ma non avevo paura.
Ero
terrorizzato.
Sana
negli ultimi tempi aveva ripreso in mano la sua vita, come ovvio che
fosse, ed era stata impegnata, oltre che con mia nipote, con alcune
conferenze stampa e qualche riunione con il regista del film che
avrebbe girato di lì a breve, che speravo non la portasse
troppo lontana da me.
Sapevo
che prima o poi sarebbe successo, sapevo perfettamente che la nostra
vita insieme era un continuo conto alla rovescia e speravo
semplicemente che rallentasse o che, per qualche scherzo del
destin»o, mi sarebbe stato concesso più tempo.
Anche quella, ne ero consapevole, era una vana speranza.
Pov
Sana.
Continuavo
a guardare il telefono ogni due minuti, sperando che Akito mi chiamasse
per chiedermi almeno se ero viva o morta. Approfittando del fatto che
la bambina non era ancora a casa e che, in quel caso, avevo ancora del
tempo libero, ero uscita di buon ora per andare a parlare con il
registra del film che avrei girato dopo qualche mese.
Avevo
posto come assoluta condizione il fatto che, in qualsiasi momento,
avrei potuto prendermi una pausa perchè la mia famiglia
aveva bisogno di me. Inizialmente il regista non era sembrata molto
contento, aveva cercato di dissuadermi, ma era un punto su cui non
discutevo.
«Pensi
che il signor Miyazaki si sia offeso per le condizioni che ho messo
avanti?".
Rei
continuò a guardare la strada, annuì e poi
strinse ancora di più il volante fino a farsi diventare le
nocche bianche. Non aveva preso bene la mia decisione di sposarmi con
Akito quindi ogni conseguenza che ciò comportava lo rendeva
nervoso.
«Non
è stata di certo la scelta più saggia, ma sono
disperati. L'ultima attrice che gli era stata proposta gli ha dato
buca, quella precedente non sapeva nemmeno recitare: ti daranno ogni
beneficio che gli chiederai. Ma ti prego, Sana, non approfittartene.
Non fare in modo di essere vista come la star snob che pensa solo a se
stessa.»
La
predica mi era bastata, ma lasciai che continuasse a parlare
perchè non avrei retto una seconda predica su quanto io
stessi trascurando il mio lavoro a causa di Hayama. Era triste sapere
che l'uomo che mi aveva praticamente fatto da padre odiava l'unico uomo
che sarei stata in grado di amare.
Quando
arrivammo a casa mia aprii lo sportello, feci per scendere dalla
macchina ma poi riflettei su Rei e su quanto si sforzasse per non farmi
pesare ciò che realmente provava.
Mi
voltai e gli posai un leggero bacio sulla guancia.
«Sta'
tranquillo, non farò casini.»
Lui
annuì, mi sorrise, e io scesi dalla macchina,
pronta per affrontare la serata con mio marito che, ovviamente, non mi
considerava sua moglie abbastanza per farmi una telefonata.
*
Aprii
la porta e, inizialmente, non capii ciò che avevo davanti.
Mi tolsi le scarpe, le tirai all'angolo del salotto come ogni sera,
poggiai la borsa accanto al divano ma, voltandomi, notai che il camino
era acceso.
Era
strano, solitamente Akito non lo accendeva mai perchè non
gli andava di stare attento al fuoco, quindi mi accorsi che l'intera
casa era al buio.
«Ciao,
Kurata.»
La
voce di Akito, per un secondo, mi penetrò attraverso le
ossa. Alle mie spalle avvertivo la sua presenza, e speravo che prima o
poi avrei smesso di sentirmi in quel modo quando lui mi stava vicino.
Mi
voltai, quasi meravigliandomi del fatto che lui fosse molto
più alto di me, e incrociai il suo sguardo.
Aveva
in mano una bottiglia di vino e due bicchieri.
«Festeggiamo?»
chiesi, meravigliata.
«Non
esattamente. Vieni.»
Mi
tolse il cappotto e lo poggiò sul divano, portandomi vicino
al camino. Prima di quel momento non mi ero resa conto che il tavolino
del salotto era apparecchiato e circondato di cuscini.
«Ho
pensato che... visto che oggi avevi quell'importante riunione di
lavoro, stasera potevamo rilassarci mangiando davanti al
camino.»
Quello
non era un gesto da Hayama, lo sentivo in ogni piccolo movimento che si
stava sforzando solo per rendermi felice, per cercare di darmi
ciò che avevo sempre cercato in una relazione. Ogni volta
che, tra noi, si arrivava a quell'argomento io dicevo sempre di volere
un uomo attento ai miei bisogni, mentre lui non mi rivelava mai le
qualità della sua donna ideale. A volte avevo sperato che
dicesse di volere una donna maldestra, disordinata, incasinatissima e
sempre sorridente, volevo rivedermi in quella descrizione e, per un
attimo, pensare davvero di contare qualcosa per lui.
Mi
prese per mano e, accompagnandomi vicino al camino, mi mise una mano
sulla schiena. Teneva fermo il palmo e il pollice si muoveva
lentamente, accarezzandomi piano.
Forse
quello era il contatto più intimo che avessimo mai avuto.
«E
poi, tanto perchè tu te lo ricordi, oggi è il
nostro mesiversario.»
Restai
ferma, immobile, scioccata da quelle parole. Stavamo festeggiando il
nostro secondo mese di matrimonio? Aveva organizzato tutta quella
sorpresa semplicemente per dirmi che era felice di essersi sposato con
me? Non potevo crederci. E io che avevo pensato per tutto il giorno che
mi stesse ignorando.
«Non
so che dire...» dissi infine, cercando di trovare le parole
adatte, in mezzo a tutta la confusione che avevo in testa, per fargli
capire che anche io ero contenta.
Anche
se tutto era successo in fretta, anche se l'avevamo fatto solo per
necessità, anche se non ci aspettavamo di certo di sposarci
così giovani, anche se probabilmente avremmo dovuto
affrontare migliaia di ostacoli, era l'unica cosa che avrei rifatto
mille volte nella mia vita.
Nemmeno
Akito parlò molto, si limitò ad allontanarsi per
un attimo e a tornare con un mazzo di fiori tra le mani.
Quando
lo presi e lo guardai bene, mi accorsi che niente di tutto
ciò che aveva fatto era stato un caso.
Era
un boquet di rose bianche e, al centro, c'era un'unica rosa rossa.
Mi
veniva quasi da piangere, mi sentivo scoppiare il cuore dalla gioia.
«Okay,
adesso... che ne dici di un po' di pasta?»
Scoppiai
a ridere, aveva appena rovinato il momento più romantico
della mia vita, ma non riuscivo comunque ad essere arrabbiata con lui.
Era
Akito.
Pov
Akito.
Il
viso di Sana era tutto un sorriso. La sua bocca sorrideva, i suoi occhi
sorridevano, tutto in lei era felicità pura e io non potevo
non pensare che quella felicità fosse merito mio.
Avevo
sprecato una giornata cercando un regalo che potesse essere adatto a
lei senza rendermi conto che, l'unico regalo che Sana avrebbe voluto
ricevere, era esattamente lì, ed ero io.
Lei
voleva l'Akito premuroso, l'Akito attento e, anche se non potevo
prometterle di essere sempre così, potevo sforzarmi di
darglielo per almeno un paio d'ore.
«Quindi,
dov'è il mio regalo?" disse lei continuando a sorridermi e
dandomi una spinta con la spalla, facendomi quasi cadere all'indietro.
«Lo
dirò sempre: tu eri un uomo alla nascita.»
Scoppiammo
a ridere entrambi di gusto e Sana prese a fare la sua versione
maschile, fingendo di avere i baffi.
«Sono
seria comunque, voglio il mio regalo.»
Non
riuscivo a decifrare la sua espressione, non capivo se scherzasse o se
dicesse sul serio, quindi mi limitai a prendere di nuovo in mano il
boquet di fiori e a darglielo, sperando che capisse quanto mi ero
impegnato per organizzare quella serata.
«Pensavo
saresti stato più originale sinceramente.»
Si
alzò, la faccia contratta dalla delusione, e mi
lasciò da solo andando in camera e sbattendo la porta alle
sue spalle.
Rimasi
interdetto, non pensavo potesse arrbbiarsi perchè non le
avevo comprato un vero regalo, Sana non era mai stata il tipo da tenere
alle cose materiali.
Per
due anni consecutivi mi ero presentato con un misero pupazzo di neve e
ora che eravamo adulti, ed entrambi consapevoli che non fossero quelle
le cose importanti, lei si arrabbiava perchè non le avevo
comprato un diamante o chissà cosa?
Non
potevo accettarlo. Mi alzai da terra e, furioso, le corsi dietro
aprendo la porta della nostra camera come se mi avesse fatto un torto.
Trovai
Sana seduta sul letto, con l'espressione di chi non riesce
più a trattenersi.
Guardò
l'orologio e, tranquillamente, come se non fosse appena successo nulla,
mi sorrise.
«Ci
hai messo esattamente ventisette secondi a reagire. Pensavo ti
importasse un po' di più di me."
Scoppiò
a ridere e per un secondo la rabbia si impossessò di me.
«Vaffanculo!».
Feci per uscire ma la mano di Sana mi bloccò
improvvisamente, ma non era perchè voleva tranquillizzarmi:
voleva colpirmi a tradimento.
Sapeva
quanto odiassi il solletico quindi, tanto per farmi infuriare ancora di
più, si aggrappò a me e cominciò a
farmi il solletico sui fianchi, il mio punto debole.
Risi
così forte che i vicini mi sentirono sicuramente, e insieme
alle mie risate anche le mie urla da femminuccia. Cominciai a scappare,
cercando disperatamente di togliermela di dosso, ma non funzionava,
così mi buttai sul divano dove potevo ribaltare la
situazione.
Così
feci, finalmente riuscii a farla staccare e a bloccarle le mani. Le
tenevo i polsi, fermi sopra la sua testa, e l'atmosfera si fece
diversa.
Le
risate cessarono. Tutto si trasformò in una
realtà parallela, dove quei giochi non erano quelli di due
amici, ma di un marito e di una moglie, reali e innamorati.
Le
ciglia di Sana erano ipnotizzanti, sbattevano a pochi centimetri dalle
mie, e mi sembrava di potermi immergere completamente in quel movimento
impercettibile.
I
suoi occhi... più li guardavo, più mi sembrava di
non riuscire a tenere il controllo della situazione.
Non
riuscivo a parlare, a respirare e, con tutto quel silenzio, potevo
sentire chiaramente i nostri cuori battere.
Per
lo meno sentivo il mio e, per poco, non stava uscendo fuori dal petto.
Per
fortuna ci pensò lei a scacciare via quel silenzio,
perchè io non avrei saputo come fare.
«E
adesso?» sussurrò abbassando lo sguardo sulle mie
labbra.
Sembrava
volermi dire baciami, adesso.
«E
adesso?» ripetei io, soffermandomi a guardare anche io le sue
labbra. Volevo baciarla. Non lo facevo da così tanto.
«Adesso...
io....». Muoveva le mani intorno alle mie, accarezzandomi
lentamente le dita, e solo quel contatto mi stava facendo uscire di
testa.
«Tu...»
continuai. Mi piaceva quel gioco delle frasi lasciate a
metà.
«Io...».
Tutto
d'un tratto mi ritrovai le sue mani sulla nuca e la sua bocca sotto la
mia.
Baciare
Sana mi sembrò un'esperienza del tutto nuova, come se non
fosse mai successo prima, come se tutte le volte che ci eravamo
timidamente sfiorati prima di quel momento non fossero mai esistite,
come se la conoscessi per la prima volta.
Improvvisamente
la vidi, cosi, semplicemente e chiaramente come avrei dovuto vederla
molto tempo prima. Teneva gli occhi chiusi, e le sue guance erano
rosse, come se si vergognasse.
Non
avevo mai pensato al fatto che, dopo tanto dolore, potesse esserci
anche la felicità, mai avrei detto che il mio cuore sarebbe
stato pronto per un amore del genere. Eppure, in quel momento, mentre
la guardavo baciarmi e sfiorare il mio viso come se fosse stato la cosa
più importante al mondo, la vidi.
E,
ancora una volta, mi innamorai.
________________________________________________
Pov
Sana.
Passammo
la serata in quel modo, ci baciammo finchè la bocca non ci
fece male, finchè entrambi dicemmo di non poterne
più. Lo dicevamo, ma mentivamo.
Era
la seconda volta che baciavo Akito di mia sponte e, improvvisamente, mi
resi conto che tutta la confusione che dicevo di avere, tutte le
paranoie e i problemi... non erano stati altro che frutto della mia
paura.
Io
ero terrorizzata da lui, dal dolore che avrei potuto provare se solo
avessi ammesso i miei sentimenti.
In
quel momento, mentre lui sparecchiava e io ero ancora distesa sul
divano nella stessa posizione in cui ero mentre ci stavamo baciando, lo
vidi chiaramente.
I
suoi occhi, la sua pelle, i suoi capelli chiari e il suo sorriso che
custodiva gelosamente come il più prezioso dei tesori.
Io
ero innamorata di Akito. Ma innamorata da sempre, e non avevo bisogno
che mi dicessero che ero stata io cieca a non volerlo ammettere,
perchè lo sapevo benissimo.
«Sana
ma cos'hai?». Akito si avvicinò a me, posando il
piatto che aveva in mano, e mi sfiorò il viso.
«Stai piangendo.»
Non
mi ero neanche resa conto di stare piangendo finchè il suo
dito non mi toccò la guancia e mi accorsi che era bagnata.
«E'
successo qualcosa? Se ti sei pentita, se non volevi...»
Lessi
la preoccupazione nelle sue parole e mi venne ancora di più
da piangere. Come poteva pensare che mi fossi pentita, quando baciarlo
era stata la cosa più giusta che avessi mai fatto?
Scossi
la testa e, immediatamente, rifugiai il viso nell'incavo del suo collo,
cercando di sentire il suo odore.
«Sei
strana forte, lo sai vero?» disse lui accarezzandomi i
capelli lentamente.
Io
risi e lo strinsi ancora più forte.
"Tu
abbracciami.» conclusi infine.
E
lui lo fece, senza battere ciglio o dare il minimo segno di
instabilità. Mi cullò finchè non mi
addormentai, avvolta tra le sue braccia e dal suo profumo.
Non
so davvero come scusarmi per queste settimane di silenzio stampa, ma
purtroppo l'università assorbe tutto il mio tempo.
Spero solo che non smetterete di seguirmi nonostante questo, spero che
la mia storia vi appassioni, spero che nonostante la storia vada a
rilento -così come University Life- non smetterete di
leggermi. Voi siete la forza di tutto, e la mia forza è la
scrittura, come sempre.
Vi voglio bene e grazie sempre di tutto, dei commenti positivi e di
quelli negativi... GRAZIE!
Akura.
|
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Capitolo 12 *** Porte chiuse. ***
CAPITOLO
11.
PORTE
CHIUSE.
Pov
Akito.
«Avanti,
Hayama, sbrigati!».
Sana
non faceva altro che darmi ordini, continuamente.
Prendi
i pannolini, prendi il biberon, prendi il passeggino, prendi questo,
prendi quello.
«Akito,
dai, per favore!!».
Corsi
a darle il body della bambina e lei mi ringraziò
sorridendomi. Ormai erano due giorni che non chiudevamo occhio, il mio
cervello stava per abbandonarmi e così anche il mio corpo,
mentre Sana sembrava non essere sfiorata da tutto ciò che ci
stava succedendo. Praticamente eravamo diventati genitori di punto in
bianco e ci eravamo ritrovati a cercare di mantenere i ritmi di una
neonata anche se in realtà non sapevamo come fare, in
più l'università non mi dava pace e sarei stato
impegnato per il resto del mese con una relazione da preparare in vista
dell'esame.
Era
come se tutte le cose negative della mia vita si stessero unendo,
creando un problema dopo l'altro a cui non riuscivo a trovare
soluzione.
Sana
si comportava con Kaori come una mamma premurosa e almeno su questo
potevo stare tranquillo, anche se dovevo ammettere che addossarle tutte
quelle responsabilità senza riuscire nemmeno a darle una
mano mi faceva sentire parecchio in colpa.
Mi
fermai a guardarla, stava chiudendo i bottoni automatici del body di
Kaori e nel frattempo le parlava, sorridendole e facendola ridere a sua
volta. Immaginare Sana in una situazione come quella mi era sempre
sembrato un po' surreale, perchè avevo sempre allontanato
l'idea che potesse avere figli con un uomo qualsiasi perchè
mi faceva andare su tutte le furie, ma in quel momento immaginarla col
pancione o con un bambino nostro mi sembrò la cosa
più naturale del mondo.
«Perchè
mi fissi così?».
Uscii
dal mio stato di trance e adesso era Sana che guardava me con fare
interrogativo.
«Nulla,
te la cavi con i bambini.» minimizzai infine, cercando di non
far trapelare tutte le emozioni che invece mi avevano attraversato fino
ad un momento prima.
«Si,
bè... ogni tanto nei periodi natalizi andavo
all'orfanotrofio che ha accolto Naozumi, passavo molto tempo con quei
bambini e alcuni ancora portavano il pannolino. Era uno dei miei
momenti preferiti in assoluto, quando li andavo a trovare. Adesso non
ci vado più tanto spesso.»
Non
me l'aveva mai detto prima, probabilmente non l'aveva mai detto a
nessuno e mi venne spontaneo sorriderle per avermi confidato una cosa
così importante per lei.
Sana
non faceva altro che posticipare e annullare i suoi impegni per me, per
aiutare me... e io riuscivo a malapena a mostrarle la mia gratitudine.
«Tu,
invece...» esordì lei, dandomi una gomitata
«.. sei proprio una frana con i bambini! Ieri ho trovato
Kaori con il pannolino al contrario!».
Scoppiò
a ridere e il suono della sua risata mi giocava sempre brutti scherzi
tanto che dovetti abbassare lo sguardo per evitare di commettere un
errore che mi sarebbe costato caro.
Quella
situazione doveva finire, dovevamo trovare una definizione. Non eravamo
amici, ma nemmeno una coppia a tutti gli effetti se non per il
contratto che il matrimonio rappresentava. Non eravamo nulla di
spiegabile o comprensibile.
Eravamo
noi, e non sapevo realmente quanto quel noi sarebbe stato positivo.
*
Mi ero
rammollito. Era ufficiale, avevo preso le mie palle e le avevo appese
al chiodo.
Non
ero mai stato un tipo da sorprese plateali ne avevo mai
organizzato
nulla per nessuno, quindi pensare a qualcosa che potesse andar bene per
Sana nella situazione in cui ci trovavamo non fu semplice, ma con la
complicità della signora Kurata riuscii a raccapezzarmi
nella confusione della nostra nuova esperienza da genitori.
Sana
sembrava totalmente assorbita da mia nipote, non dormiva
più, passava tutto il suo tempo a cambiare pannolini sporchi
e anche se io volevo aiutarla lei mi cacciava dicendomi di pensare a
studiare.
Odiavo
doverle dare tutte quelle incombenze. Odiavo che lei potesse essere
distrutta a causa mia.
Quindi,
cercando un po' su internet, avevo trovato uno stupendo percorso
benessere che avevo subito prenotato, cogliendo così
l'occasione del nostro terzo mese di matrimonio e sapendo perfettamente
che sarebbe stato un toccasana per lei quanto per me. Non me la sentivo
di proporle una serata fuori, ero convinto che sarei incappato in un
rifiuto legato alla bambina, Sana non l'avrebbe mai lasciata da sola
per andare a divertirsi. Invece, se non l'avesse saputo affatto e se
fosse stata tranquilla ad affidare la bambina a sua madre, avrebbe
potuto godersi il relax che avevo progettato per noi.
Quando
accompagnammo la bambina a casa Kurata Sana mi sembrò
abbastanza titubante nel lasciarla a sua madre, ma speravo con tutto me
stesso che non facess obbiezioni o il mio piano per la giornata sarebbe
andato in fumo.
«Mi
raccomando...» mi sussurrò Misako prima di
chiudermi la porta alle spalle.
Sana
mi guardò interrogativa, aggrottando leggermente le
sopracciglia. «Che cosa intendeva?».
Alzai
le spalle e tornai alla macchina, ridendo sotto i baffi.
«Dove
mi stai portando?» chiese dopo aver messo la cintura di
sicurezza.
«Lo
vedrai.»
Pov
Sana.
Akito
continuava a guidare in silenzio, forse la cosa che detestavo di
più al mondo.
Il
silenzio per me era come un enorme buco nero, prende tutto
ciò che ha intorno e lo risucchia inevitabilmente, senza
scampo. Ecco, in quel momento, mentre Akito si allontanava
sempre di più dalla città e io giocherellavo con
i capelli, mi assalì la paura che il nostro rapporto, prima
o poi, sarebbe stato risucchiato dal silenzio, dalla noia, dalla non
più voglia di stare insieme.
Non
potevamo di certo vantarci di avere un bel rapporto: litigavamo in
continuazione - spesso anche perchè lui metteva i calzini
addirittura in ordine di colore mentre io ero disordinata e casinista -
e non facevamo altro che urlarci contro per qualsiasi cosa. Eppure,
nonostante tutto, avevo sempre creduto che proprio per quello il nostro
legame fosse forte, perchè era reale.
«Dove
andiamo?».
«Lo
hai già chiesto diciassette volte, Kurata.»
sbuffò lui, stringendo ancora di più il volante
tra le mani.
«E
per diciassette volte tu mi hai risposto non te lo dirò mai,
sai formulare una frase diversa?»
Mi
strinsi nelle spalle e misi i piedi sul cruscotto perchè
sapevo quanto gli desse fastidio.
«Non
te lo dirò mai. E togli i piedi da lì,
rana.»
Gli
lanciai uno sguardo di fuoco, sapeva quanto odiavo essere chiamata in
quel modo, eppure ogni volta si ostinava a farlo per indispettirmi.
Se
avessi avuto ancora quindici anni e le codine da bambolina sarei andata
su tutte le furie e lo avrei colpito con il mio fidato martelletto, ma
ero una donna ormai e da tale dovevo comportarmi.
Tolsi
i piedi dal cruscotto, come mi aveva chiesto, e mi volta a guardare
fuori dal finestrino, senza degnarlo minimamente di uno sguardo.
Una
volta mia madre mi disse "Sana... l'indifferenza è la
miglior arma per infastidire qualcuno." e aveva ragione, pienamente
ragione.
Per
tutto il tempo rimani nella stessa identica posizione e notai che lui
sbuffava, si voltava a guardarmi e poi tornava a fissare la strada. Era
nervoso, perchè non aveva il controllo di nulla in quel
momento, e la cosa mi eccitava da morire.
Tanto
era lo sforzo di mostrarmi indifferente e distaccata che non mi accorsi
neppure che Akito si era fermato perchè eravamo arrivati a
destinazione.
Scesi
dall'auto e mi affiancai a lui, non capendo minimamente di cosa si
trattasse. Eravamo davanti ad un grande casolare, sull'insegna vi era
il nome di La casa del relax, e immediatamente dentro di me si
materializzò l'idea di un negozio di materassi.
So
che potrebbe sembrare stupido, ma era da me, e non avrei mai immaginato
ciò che invece trovai all'interno.
Tutto
era completamente bianco e splendente e pensai di non aver mai visto
niente di così pulito in vita mia. Alzai lo sguardo e di
fronte a noi troneggiava nuovamente il nome e, sotto, in un cartellone,
tutti i trattamenti di cui si occupavano.
Ci
avvicinammo al bancone della reception dove una signora bionda,
dall'accento tedesco, strinse la mano ad Akito, confondendomi ancora di
più.
«Salve,
signor Hayama. Venite con noi, Lena e Crista vi stanno
aspettando.»
Rimasi
interdetta nel sentire quei nomi, e lo fui ancora di più
quando la donna mi porse un accappatoio e mi disse di andare nello
spogliatoio e togliermi i vestiti.
«Ma
lei intende nuda... nuda?»
«Certo,
signora Hayama. Nuda.» rispose lei, tranquillissima.
Sentirmi
chiamare signora Hayama mi fece un certo effetto e sicuramente diventai
rossa ma cercai di nascondere il mio imbarazzo.
Guardai
Akito, gli feci un cenno imbarazzato e mi avviai verso lo spogliatoio,
che la ragazza mi aveva indicato.
Non
avevo avuto il coraggio di guardare davvero Akito,
perchè anche solo pensare che avesse organizzato quella cosa
per me mi aveva riempito di gioia, mentre io ero stata capace solo di
ignorarlo.
Quando
ci ritrovammo entrambi distesi sui lettini e coperti solamente da due
lenzuoli bianchi, il separè che divideva la stanza fu
eliminato e, immediatamente, trovai i suoi occhi.
Le
massaggiatrici si misero ai lati opposti così da permetterci
di guardarci.
Gli
sorrisi, non sapevo cosa dire, mi sembrava tutto così
banale.
«Ti
stai rilassando?» mi chiese lui, quando chiusi gli occhi
mentre mi godevo il massaggio di Lena.
Annuii
sorridendo. «E' tutto meraviglioso, grazie.»
«Oh
donna, non ringraziarmi adesso. Il meglio deve ancora
venire.» rispose lui, voltandosi dall'altra parte e
lasciandomi con mille domande nella testa.
Il
meglio deve ancora venire...
E
cavolo, aveva ragione.
Quando
il massaggio di coppia terminò ci accompagnarono in una
camera al piano superiore. Akito aprì la porta e un enorme
Jacuzzi invadeva tutto lo spazio all'interno.
Era
meravigliosa, l'acqua all'interno era così calda che fumava
e io non credevo si potesse essere così rilassati.
Quando
entrammo e ci mettemmo comodi, mi sembrò che il mondo
attorno a me fosse sparito, c'eravamo solo io, la vasca e forse Akito,
ma lui era un elemento superfluo.
Volevo
una Jacuzzi, deciso.
«Era
questo il meglio, per tua informazione.» disse Akito,
svegliandomi dal trance in cui ero caduta.
«Si,
me ne sono accorta. Devi smetterla di organizzare queste cose, potrei
abituarmi ad un massaggio settimanale e diventeremmo poveri a forza di
percorsi benessere.»
Scoppiammo
entrambi a ridere e il momento mi sembrò il più
giusto per avvicinarmi a lui.
Non
avevo alcuna intenzione particolare ma notai immediatamente quanto si
fosse irrigidito anche solo vedendomi muovere.
Mi
strinsi sotto il suo braccio destro, appoggiando una mano sulla sua
pancia e una dietro la sua schiena.
«Posso
dirti una cosa, senza che tu ti arrabbi?»
Lui
annuii. «Ma non ti prometto nulla sulla mia rabbia.»
«Mi
manca Kaori.»
Lui
sorrise, quasi come se lo sapesse già. «E' in
buone mani, sta tranquilla. E poi stasera andiamo a prenderla, non mi
fido a lasciarla nella stessa casa con Occhiali da sole, potrebbe farle
il lavaggio del cervello e convincerla ad odiarmi.»
Risi,
sapendo che aveva pienamente ragione, e mi strinsi ancora di
più a lui fino a che il calore dell'acqua e il calore del
suo corpo non mi fecero addormentare.
*
Mi
svegliai quando ormai l'ora nella Jacuzzi stava per terminare e Akito
era già in bagno a vestirsi.
Non
avevo idea che potesse essere così romantico o, se non
romantico, così premuroso. Mi sembrava che fosse irreale,
come se non riconoscessi più l'Akito che avevo conosciuto.
Da quando portava la fede al dito era cambiato, sicuramente in meglio,
ma non era più la persona che avevo frequentato per tutta la
mia vita.
Hayama
uscì dal bagno ancora a petto nudo, probabilmente
perchè convinto che dormissi ancora, e appena si accorse di
essersi sbagliato si affrettò a mettere la maglia.
«Andiamo?».
Annuii
e, con non poco imbarazzo, uscii anch'io dalla vasca sapendo
perfettamente che lui mi stava fissando da testa a piedi. Corsi in
bagno e in cinque minuti ero di nuovo fuori, pronta per tornare a casa.
In
macchina nessuno dei due era riuscito a dire una parola, probabilmente
entrambi provavamo le stesse cose e non riuscivamo a dircele.
Io
ero spaventata, perchè sapevo che quello poteva essere
l'inizio di tutto e, contemporaneamente, la sua fine.
Quando
arrivammo davanti casa di mia madre sentii il cuore più
leggero, riavere tra le braccia la piccola Kaori era come un toccasana
per me, era come riprendere il controllo dopo una giornata in cui non
ero riuscita ad avere il controllo di nulla, nemmeno di me stessa.
Mia
madre mi disse che la bambina aveva mangiato e che dormiva
profondamente, quindi la avvolsi nella sua coperta e la portai in
macchina.
«Sta
bene?» mi chiese Akito mettendo in moto. Io annuii e
cominciai a coccolare la piccola mentre lui continuava a guardarmi,
sorridendo.
«Che
c'è?» chiesi poi, ridendo anch'io.
«Niente,
sembri una mamma che si è rincretinita dopo la
gravidanza.»
Scoppiammo
a ridere entrambi e mi sembrò che la tensione accumulata da
tutto il giorno fosse improvvisamente svanita, come se quelle risate
potessero cancellare cinque ore di pensieri continui.
*
Misi
la bambina nella sua culla, accendendo il control baby e portando il
secondo apparecchio in salotto con me.
«Ho
ordinato la pizza, per te va bene?».
«Si,
il solito?» chiesi, sapendo già la risposta.
«Ovviamente.»
Mi
buttai sul divano, sperando di potermi godere un po' di
tranquillità prima della nottata in cui sapevo
già che la bambina si sarebbe svegliata ogni tre ore per
mangiare.
Akito
fece lo stesso, dopo aver sistemato la spesa, e parlammo un po' della
giornata appena trascorsa. Prendemmo in giro la massaggiatrice che
aveva fatto degli apprezzamenti molto spinti nei confronti di Akito, e
del ragazzo della reception che voleva aiutarmi a trovare i bagni e
magari accompagnarmici anche dentro.
La
pizza arrivò poco dopo, Akito si alzò e, dopo
aver pagato, mandò via il fattorino che, vedendomi, aveva
voluto un autografo.
«Sei
una specie di fenomeno da baraccone, dovrebbero chiuderti in una
gabbia.» scherzò lui. Io scoppiai a ridere,
immaginandomi davvero dentro una gabbia, circondata da tutti i miei
fans. Che orrore!
«Tu
saresti nella gabbia accanto alla mia, signor fenomeno da
baraccone!».
Mangiammo
tranquilli davanti alla tv, ogni tanto ci davamo qualche spintarella e
ridevamo come due scemi per le battute squallide del presentatore tv.
Mi
sembrava una semplice serata tra marito e moglie, ed ero felice che
almeno per un po' Kaori fosse beata nel suo sonno, così
almeno io e Akito avremmo potuto goderci un po' di
tranquillità, l'unica cosa che in quei giorni ci era
mancata.
Lo
guardai e sorrisi, rendendomi conto del fatto che dovevo approfittare
di quei momenti insieme, perchè non appena le cose si
fossero sistemate probabilmente il nostro matrimonio sarebbe stato
cancellato da due firme su un atto di divorzio.
Mentre
ero presa dai miei pensieri il telefono squillò ma Akito mi
precedette, alzandosi prima di me.
Quando
si allontanò abbastanza da non vedermi mi sporsi verso il
cartone della pizza e presi l'ultimo pezzo, sapendo perfettamente che
si sarebbe infuriato.
Pov Akito.
Presi
il telefono sbuffando e capendo immediatamente chi c'era dall'altra
parte del telefono.
«Akito,
sono contento di sentirti.». Mi schiarii la voce e cercai di
sembrare il più tranquillo possibile.
«Naozumi,
come va?». In realtà non mi interessava molto se
fosse vivo o morto, ma dovevo conservare una parvenza di gentilezza per
non far arrabbiare Sana, Naozumi era pur sempre un suo caro amico,
anche se a me non andava a genio.
«Bene,
grazie. Ho chiamato per sapere come stava la sposina!».
Pronunciò l'ultima parola con un tono di sorpresa, o
sconcerto, non avrei saputo distinguerle perchè era troppo
bravo a recitare, e mi sembrò che volesse sottolinearla di
proposito, per farmi sentire in colpa.
«La
sposina sta bene, in questo momento è sotto la doccia quindi
non può venire al telefono.». Stavolta mi sentii
davvero in colpa per avergli mentito e non avergli quindi permesso di
parlare con Sana, ma la serata stava andando troppo bene per rovinarla
con le parole di Kamura. Da quando Sana aveva annunciato il nostro
fidanzamento e, successivamente, il nostro matrimonio Naozumi si era
sempre comportato come un semplice amico ma io non potevo fare a meno
di notare sempre qualche battuta pungente o qualche telefonata di
troppo.
Probabilmente
ero solo io a vederlo e sapevo perfettamente che, se lo avessi detto a
Sana, sarebbe stato sicuramente oggetto di litigio.
«Va
bene, allora richiamerò. Ciao Akito e salutami
Sana.».
«Ciao
Naozumi.». Chiusi la chiamata e buttai il telefono sul
tavolo, tornando in salotto.
«Non
ci credo.».
Sana
scoppiò a ridere quando la trovai con l'ultimo pezzo di
pizza in mano e la bocca piena. «Hai mangiato l'ultimo pezzo
della mia metà?».
Cercai
di rimanere il più serio possibile, per farle pensare
realmente che fossi arrabbiato. Mi avvicinai lentamente e lei si
alzò da terra, mettendosi dietro al divano per allontanarsi
da me.
«Hayama,
no.»
Feci
un salto e l'afferrai per la maglietta, scoprendole la pancia. Sana si
divincolò velocemente e scappò verso il
corridoio, spostando le sedie per ostacolarmi.
Il
suono della sua risata si propagò per tutta la casa e mi
sembrò di essere in paradiso.
Sana
si voltò e capii di essere in trappola, proprio davanti alla
porta della nostra camera, e si portò le mani alla faccia
per coprire le troppe risate.
«Sei
fregata, signora!» gridai io. Ma, proprio mentre mi buttavo
su di lei per farle il solletico, sentii come un vuoto, esattamente al
centro del petto.
In
un gesto repentino le tolsi le mano dal viso e lei capii che il gioco
era finito, aveva i capelli tutti arruffati e la maglia stropicciata
per le volte che l'avevo afferrata e poi lasciata.
I
suoi occhi facevano trasparire il suo stupore, ma c'era qualcos'altro,
qualcosa che non riuscivo a decifrare ma che non mi avrebbe fermato.
«Sana...»
sospirai proprio ad un centimetro dalla sua bocca. Credevo che il cuore
mi sarebbe scoppiato da un momento all'altro.
«Mhm?»
sussurrò lei, tenendo gli occhi chiusi.
«Credi
che... possiamo...?». Non sapevo cosa fare, se fosse giusto
ciò che volevo o se avrei dovuto semplicemente lasciarmi
andare agli eventi.
«Akito,
sta' zitto!»
In
un attimo la situazione si capovolse, mi ritrovai le sua mani sulla
nuca e le nostre bocche una sull'altra.
Abbassai
lo sguardo su di lei, colto del tutto alla sprovvista da quel gesto. Mi
chianai e la baciai piano, con dolcezza, come se da quello dipendesse
la mia stessa vita e più il bacio continuava più
avrei voluto urlare dalla gioia.
Schiuse
la bocca, io la baciai ancora più a fondo e, mentre avrei
voluto mettere le mie mani ovunque, mi limitai a metterle ai lati della
sua testa come a intrappolarla ancora di più.
Sana
invece non faceva altro che provocarmi e stuzzicarmi, le sua mani
correvano dai miei capelli alla mia schiena, su e giù, con
un ritmo estenuante che mi stava facendo impazzire.
Io
la volevo, era inutile prenderci in giro e girare attorno ad una
verità che tutti conoscevano, ma non volevo farmi
trasportare da un sentimento a senso unico quindi mi scostai
leggermente. Sana, però, sembrò ancora
più determinata e, rendendomi conto che non sarei riuscito a
resistere a lungo, la sollevai da terra facendole ancorare le gambe
alla mia vita e tenendola premuta contro la porta.
Baciai
ogni porzione di pelle che riuscivo a toccare e non mi sembrava mai
abbastanza. Scesi verso il collo e lentamente le accarezzai
la schiena, scostando facilmente la maglia che indossava.
La
sua pelle era calda, tanto calda che avrebbe potuto scottarmi, e non
sapevo come trattenermi ne' se ne sarei stato in grado.
Feci
un profondo respiro e, sperando che non mi arrivasse uno schiaffo,
alzai la maglia facendole capire che volevo toglierla. Non se lo fece
dire due volte, la prese per le estremità e se la
sfilò, rimanendo con un buffo reggiseno verde. Non era
preparata a quel momento, sicuramente, e la cosa mi fece sorridere.
La
mia espressione però tornò seria quando mi
accorsi che Sana stava tirando i lembi della mia camicia, nel tentativo
di sfilarmela. Non aspettai un secondo, la aiutai a togliermela
direttamente dal colletto, senza preoccuparmi dei bottoni.
Presi
ad armeggiare con i gancetti del reggiseno, ma quei cosi erano talmente
complicati...
C'ero
quasi, e probabilmente avrei avuto ciò che desideravo da
tutta una vita: Sana. Per me, con me... nel mio letto e tra le mie
braccia.
Quando
ero riuscito a staccare l'ultimo gancetto il pianto di Kaori mi
riportò sulla terra e avrei voluto che la terra si aprisse e
mi inghiottisse in quel preciso momento.
Sana
aprì improvvisamente gli occhi e purtroppo dovetti farlo
anch'io. Feci un respiro profondo ma non riuscivo a lasciarla andare.
«Akito...»
disse lei rimanendo sempre vicina alla mia bocca. «La
bambina...».
Non
volevo lasciarla, non volevo perdere quell'occasione, non volevo che le
cose tornassero ad essere come il giorno prima perchè in
quel momento tutto era cambiato. Io, i miei sentimenti, le aspettative
che mi ero creato nei confronti del nostro rapporto.
«Smetterà...»
dissi tutto d'un fiato. Continuammo a baciarci, piano, lentamente,
consapevoli che l'atmosfera ormai si era rotta, tant'è vero
che un secondo dopo la lasciai, lasciando che andasse dalla bambina.
Rimasi
per un secondo bloccato davanti alla porta, sbuffando come un bambino a
cui viene tolto il suo giocattolo preferito.
Io
e Sana non avremmo mai avuto un momento tutto nostro, non con quella
situazione per le mani e non con i nostri sentimenti che non avevano
una vera e propria definizione.
Era
tutto un enorme casino.
*
Sana
tornò in camera non appena Kaori smise di piangere, mi
accorsi immediatamente che era in imbarazzo e capivo perfettamente il
motivo. Non riuscivamo mai ad esprimerci, nel bene e nel male, e le
cose sembravano sempre in bilico.
Si
avvicinò al letto e io mi irrigidii, in attesa di scoprire
se avrebbe sorriso o se si fosse fatta prendere dal panico.
Non
fece nessuna delle due. «Quindi...»
mormorò, sedendosi vicino a me.
«Quindi...
dormiamo?». Farle pressione nel prendere una decisione in
quel momento sarebbe stato stupido, e avrei rischiato di perderla per
la mia troppa voglia di chiarezza. Sana non era mai brava in questo.
Lei
annuì, sorridendomi e quasi ringraziandomi perchè
avevo capito. Non avevo bisogno d'altro.
Sana
appoggiò la guancia sul mio petto, mi coprì il
braccio con i suoi capelli. Le diedi l'ennesimo bacio sulla fronte e
poi ci addormentammo abbracciati, come una vecchia coppia sposata.
Avrei
voluto bloccare quel momento, rimanere per sempre in quella posizione
per far si che le circostante, la nostra situazione, non riuscissero a
portarci via quel briciolo di verità che c'era nel nostro
rapporto. Sapevamo entrambi che c'era qualcosa di forte tra noi, ma
dovevamo trovare il modo di dircelo senza complicare ulteriormente le
nostre vite.
Non
sarebbe stato facile sicuramente ma, almeno per me, ne valeva la pena.
Pov Sana.
Mi
svegliai di soprassalto, consapevole del fatto che Akito non fosse
accanto a me. Ne ebbi la conferma quando allungai la mano sul suo posto
e lo trovai vuoto.
Guardai
l'orologio.
Le
10:13. Mi alzai e andai a controllare Kaori che, chissà
come, dormiva ancora profondamente.
La
piccola cresceva a vista d'occhio, ogni giorno di più vedevo
in lei Natsumi e mi sembrava così crudele che quella bambina
non potesse essere circondata dall'affetto della sua vera madre. Le
accarezzai il viso, la sua pelle era così morbida, e poi le
controllai il pannolino. Aveva bisogno di essere cambiata, ma era raro
che dormisse così tanto per quasi una notte intera, quindi
decisi di aspettare ancora un po'.
Andai
in cucina, ripensando agli eventi della sera precedente. Mi sentii per
un attimo sopraffatta, non ci eravamo mai spinti così oltre,
mai eravamo riusciti davvero a dimenticarci del resto del mondo come
avevamo fatto la sera prima e, quando ci eravamo riusciti, tutto era
stato rovinato dal pianto della bambina.
Non
riuscivo nemmeno a capire a cosa ci avrebbe portato quel momento.
Dall'esterno poteva anche sembrare la cosa più semplice del
mondo, in fondo eravamo sposati, ma noi venivamo da anni di rancori e
gelosie e silenzi che ci avevano lentamente portato ad allontanarci.
Preparai
il caffè, mentre cercavo di ricordare dove avevo buttato il
mio cellulare per chiamare Akito. Molto probabilmente era andato a fare
la solita corsa, ma non durava mai così a lungo.
Il
cucchiaino mi cadde dalle mani quando la porta di casa
sbattè come se stesse passando un uragano.
Mi
voltai e sulla soglia della cucina c'era Akito, col fiatone, e con in
mano un pacco di una pasticceria, e dall'odore sicuramente erano
cornetti.
«Buongiorno...
avresti potuto avvertire che uscivi, mi stavo preoccupando.»
lo rimproverai tornando a fare il caffè.
Si
avvicinò al bancone e tirò il pacchetto proprio
alla mia sinistra, lasciandomi di stucco. Ma che diavolo gli prendeva?
«Come
tu mi hai avvertito del fatto che dovrai girare una scena spinta nel
prossimo film?»
Rimasi
di sasso.
«Ma
dove l'hai sentito?». Conoscevo già le sue
opinioni riguardo a quelle scene, sapevo perfettamente che non gli
piaceva dovermi vedere in certi atteggiamenti, eppure prima di quel
momento non mi aveva mai fatto nessun vero problema e temevo che
scoppiasse tutto in una volta, ora che poteva permetterselo, essendo
mio marito.
«Casualmente,
o forse dovrei dire fortunatamente, mentre ero in pasticceria ho
sentito un'intervista del tuo prezioso regista. Ha addirittura riso,
quel cretino, mentre diceva che avremmo avuto una Sana Kurata molto
hot!»
Mimò
le ultime parole con il gesto delle virgolette e dovetti trattenermi
per non scoppiargli a ridere in faccia. Non credevo che potesse essere
così geloso.
«Ma
si tratta di lavoro! Sai benissimo che il mio essere attrice prescinde
dalla mia vita privata!».
Lui
si scostò e andò verso il divano, passandosi le
mani sul viso, come se stesse per impazzire.
«Lavoro
o meno, sai benissimo quanto mi da fastidio, ancor di più
adesso che siamo sposati. No perchè, te lo ricordi che siamo
sposati, vero?»
Mi
stava attaccando con una cattiveria inaudita e io non riuscivo davvero
a capire il motivo perchè la facesse tanto lunga per una
cosa che sapeva benissimo non avere a che fare con noi.
Sbottai.
«Siamo sposati per necessità Akito, tu questo te
lo ricordi?!».
Nello
stesso momento in cui quelle parole uscirono dalla mia bocca avrei
voluto rimangiarmele. Avrei voluto premere rewind e dire qualcosa di
completamente diverso.
Non
lo pensavo. Il nostro non era più un matrimonio di
circostanza, non lo era più da molto tempo.
«No...
aspetta, io non vol...».
«No,
ho capito. Il nostro è un matrimonio di
necessità, hai ragione.». I suoi occhi sembravano
essersi spenti da un momento all'altro, temevo che quelle fossero le
parole che avrebbero sancito la nostra fine.
«Sai
che non volevo dire questo!» urlai, in preda al panico.
«Volevi
dire esattamente questo.».
Uscì
dalla cucina e, un secondo dopo, aveva messo un paio di vestiti in un
borsone.
«Dove
stai andando?» chiesi.
«Via,
così tu sarai libera di girare tutte le scene hot che
vuoi.». Si diresse verso la porta, dandomi le spalle.
«Akito
aspet..». Non feci in tempo a finire la frase che la porta si
chiuse davanti a me.
Il
mio matrimonio era finito ancor prima di iniziare.
So perfettamente che questa
storia non viene aggiornata da ottobre, quindi da ben quattro mesi, ma
ho avuto moltissimi impegni universitari e non ho potuto davvero
mettermi a scrivere. Adesso che le acque si stanno calmando ho deciso
di aggiornare e tornare a scrivere, grazie sempre al grandissimo
appoggio della mia Beta, Dalmata, che nonostante l'abbia fatta
aspettare per mesi una mia mail non mi ha mandata a quel paese quando
mi sono fatta risentire.
Ringrazio
infinitamente le persone che hanno recensito l'ultimo capitolo e spero
di vedervi numerosi ora che sono tornata ad essere attiva.
Grazie grazie
grazie.
Al prossimo
aggiornamento,
Akura.
|
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Capitolo 13 *** Una cosa sola. ***
CAPITOLO
12.
UNA COSA
SOLA.
Pov Akito.
Mi
resi conto di essere arrivato a casa solamente quando svoltai l'angolo
e mi ritrovai di fronte la villetta in cui ormai abitavo da ben quattro
mesi. Era una settimana che non mi avvicinavo a quel luogo, ero passato
dal divano di Tsuyoshi, a quello di Fuka, a quello di Gomi, e mi
sembrava un'eternità che non dormivo nel mio letto.
Mi
mancava. Mi mancava Sana, mi mancava mia nipote. Mi mancava la mia
vita.
Parcheggiai
al solito posto, sapendo perfettamente che Sana sarebbe stata in casa
con Kaori, ma aspettai prima di scendere dall'auto.
Buttai
la testa all'indietro sbuffando, ero esausto mentalmente. Non sapevo
come riuscire a scusarmi, non sapevo nemmeno se sarei stato in grado di
guardarla in faccia senza crollare. Chiusi gli occhi cercando di
raccogliere tutta la forza che avevo e ripensando alle parole di
Tsuyoshi.
Tsuyoshi
non mi ascoltava, non riusciva minimamente a rendersi conto della
gravità della situazione.
Io
ero disperato.
«Senti,
Tsu... la cosa è andata in questo modo, io mi sono
incazzato, lei si è incazzata e la discussione è
degenerata. Io avrò esagerato, ma di certo lei ha superato
ogni limite.»
Ripensai
per un attimo alle parole che Sana mi aveva urlato contro. Non
immaginavo di poter soffrire tanto, almeno speravo che dopo il nostro
matrimonio le cose sarebbero state diverse.
Mi
sbagliavo di grosso evidentemente.
«Akito,
ascoltami, spero che sia l'ultima volta che dovrò
ripetertelo. Sana non vuole più un matrimonio di facciata.
Lei ti ama, e ogni minima discussione degenera perchè non
riuscite a sopportare l'idea che l'altro si allontani.
Cosa
hai pensato quando hai sentito quell'intervista?".
Cercai
di visualizzare l'esatto momento in cui, mentre prendevo i suoi
cornetti preferiti, avevo sentito quelle parole. Il regista si rigirava
tra le mani la sceneggiatura di quei momenti, stuzzicando la
giornalista che aveva offerto un milione di dollari per leggere quei
dialoghi.
Anche
io li avrei offerti.
«Ho
pensato che la storia si ripeteva. Che lei avrebbe scelto un qualsiasi
attore piuttosto che me.»
Tsuyoshi
annuì e posò la tazza di caffè che
aveva appena finito di bere.
«Ma
sentiti! E' questo il problema, Akito. Tu sei profondamente insicuro
nei suoi confronti e la gelosia ti sta divorando. Dovresti
semplicemente chiarire il concetto che, anche se siete sposati
solamente sulla carta, tu la vuoi. E' questo il punto: dovete dirvi
ciò che provate, altrimenti sarà tutto inutile.
Non chiarirete mai.»
Le
parole del mio migliore amico mi risuonavano nella mente, come un
monito per la discussione che di lì a breve avrei avuto con
Sana. Dovevo essere sincero, dovevo riuscire ad esprimere i miei
sentimenti, anche se quello avrebbe significato espormi totalmente.
Il
problema era che per me, espormi, non era proprio la cosa
più semplice del mondo, specialmente con lei. L'avevo fatto
tante, troppe volte e ognuna di esse mi aveva lasciato deluso,
perchè Sana non era mai riuscita ad arrivare a
ciò che volevo dirle. Era l'unica a non capire quanto io
tenessi a lei e, probabilmente, io ero l'unico a non vedere i suoi
sentimenti per me.
Feci
un respiro profondo e scesi dall'auto, chiudendo la portiera. Cercai le
chiavi nelle tasche dei jeans e, dopo aver alzato gli occhi al cielo
chiedendo un po' d'aiuto, aprii la porta, sperando di trovare Sana ben
disposta a chiarire la situazione.
Quando
entrai in casa la porta fece un po' di rumore e quello mi
ricordò tutte le volte che Sana mi aveva chiesto, anche
prima delle nozze, di dargli una controllata. Avrei dovuto farlo.
«Aya..
sei tu?».
Aya
aveva le chiavi di casa nostra? Quella era una novità per
me.
«No...»
sussurrai. La vidi arrivare all'ingresso a piedi nudi con addosso una
mia maglietta che le stava piuttosto larga, probabilmente aveva dormito
tutto il pomeriggio e quando Sana si svegliava non era mai di buon
umore, cosa che mi avrebbe causato non pochi problemi.
«Ah..
sei tu.».
La
sua espressione era un misto di stupore, disgusto, rabbia e, anche se
avrebbe voluto nasconderlo, felicità. I suoi occhi la
tradivano, come sempre, e io ero l'unico in grado di riuscire davvero a
vedere i segreti che rivelavano.
Quella
dote mi sarebbe tornata utile se solo fossi stato in grado di capire
anche cosa le passava davvero per la mente quando litigavamo. Non ero
mai pronto con Sana, non sapevo mai come rispondere o controbattere,
perchè mi faceva perdere le staffe e allo stesso tempo mi
elettrizzava. Mi innervosiva, eppure in un modo o nell'altro sapeva
anche come tranquillizzarmi. Era la mia contraddizione quotidiana.
Rimase
per qualche secondo ferma, proprio davanti a me, prima di tornare in
cucina da Kaori che sentivo lamentarsi.
Le
andai dietro, vedendo ondeggiare quel meraviglioso lato B proprio
davanti ai miei occhi, e sperai di essere in grado di controllarmi,
anche se la vedevo difficile.
Quando
vidi mia nipote la mia giornata era già di gran lunga
migliorata, almeno lei sembrava felice di vedermi perchè mi
sorrideva tutta contenta ed era completamente coperta di latte che
emanava un odore disgustoso. Le diedi un bacio e mi allontanai quasi
immediatamente.
Avevo
lasciato mia nipote e mia moglie sole per un'intera settimana solo
perchè un'intervista mi aveva fatto incazzare. Ma che razza
di marito e, probabilmente, padre sarei potuto essere? Uno di quelli
che alla prima difficoltà scappa, senza guardarsi indietro.
Uno di quelli che, al primo litigio, al primo problema, chiama
l'avvocato e chiede i moduli per il divorzio.
No,
non volevo essere quel tipo di marito, non volevo quello per me e per
Sana.
«Come
è andata quest'ultima settimana?»
Sana
continuava a dar da mangiare a Kaori, non mi guardava nemmeno e in
realtà aveva ragione, perchè potevo anche essere
arrabbiato a morte, non dovevo andarmene così su due piedi.
Non dovevo lasciarle da sole.
Fece
una smorfia, infastidita dalla domanda e da me.
«Wow.»
si limitò a dire, per poi alzarsi, prendere un fazzoletto,
pulire la bambina e stenderla sul tavolo per cambiarle il pannolino.
«Sana,
ti prego.»
Continuò
a non guardarmi, come se la mia presenza fosse irrilevante.
Alzò le spalle, mi guardò dritto negli occhi con
uno sguardo che avrebbe potuto trapassarmi da parte a parte, e
tornò ad occuparsi di mia nipote.
«Sana.»
incalzai. Avevo bisogno di chiarire, avevo bisogno anche di sentirmi
dire che ero uno stronzo, l'avrei meritato, ma il silenzio mi spiazzava
perché non era mai stato contemplato in nessuna nostra
discussione e non sapevo come gestirlo.
«Hayama,
ho tra le mani tua nipote. Non posso discutere con te mentre cerco di
prendermi cura di lei quindi, gentilmente, aspetta e dopo avrai
l'Apocalisse a cui ti eri preparato.»
Le
parole uscirono dalla sua bocca come se stesse leggendo la lista della
spesa, fredda e schematica. Recitava, riuscivo a vederlo da miglia di
distanza, eppure annuii e lasciai che finisse di cambiare il pannolino
a Kaori e che la mettesse nella culla. Aspettai che la facesse
addormentare e che chiudesse la porta alle sue spalle, tornando
immediatamente in cucina da me.
«Sei
fuori da questa casa da una settimana, non pensi che meritiamo
più di un come è andata?!». Continuava
ad essere calma, metodica in tutto ciò che diceva e faceva,
e quella Sana era diversa da quella che conoscevo io. La mia Sana era
irascibile e impulsiva, non si tratteneva né tantomeno
parlava civilmente come stava disperatamente cercando di fare la
ragazza seduta di fronte a me.
Comunque
risposi. «Hai ragione, mi dispiace.»
Sorrise.
«Ti dispiace? Bè allora, se ti
dispiace...» ironizzò, buttandosi indietro sulla
sedia.
Mi
alzai e la raggiunsi, mettendomi accanto a lei.
«Cosa
vuoi che ti dica?».
Okay,
quella non era certo la battuta migliore da utilizzare in un momento
del genere, ma davvero non riuscivo a capire come portare avanti la
discussione senza finire con un rene venduto al miglior offerente.
Anche
Sana si alzò, evidentemente infastidita dalla mia frase
infelice e cominciò a camminare avanti e indietro davanti al
piano cottura.
Quando
non ne potei più di vederla fare sempre lo stesso tragitto
la bloccai, richiamando la sua attenzione.
«Sana,
adesso basta, parla e dimmi ciò che pensi.»
Sapevo
perfettamente che quello avrebbe sancito il mio suicidio, eppure non mi
importava: volevo solamente che quella discussione si concludesse, per
tornare al momento in cui avevamo messo pausa, mentre io dormivo vicino
a lei respirando l'odore di vaniglia che emanavano i suoi capelli.
«Cosa
penso? Vuoi veramente sapere cosa penso? Credimi, non
vorresti!» urlò contro di me, e finalmente
riconobbi la Sana che conoscevo. «Sei stato via una
settimana, un'intera fottuta settimana e tutto quello che sai dire
è come è andata! Hai lasciato tua moglie e tua
nipote da sole! E se ci fosse successo qualcosa? Se, mentre tu eri via,
Kaori avesse avuto la febbre? Se io fossi stata male e non avessi
potuto badare a lei? Eh? Ci hai pensato a questo?! Ma no che non ci hai
pensato, tu hai passato una settimana da sogno, circondato da
chissà quante sgualdrine pronte ad esaudire ogni tuo
desiderio. Sette giorni senza responsabilità e pensieri, in
cui l'unico problema è stato decidere quale ragazza doveva
scaldarti il letto. Bè, sai che ti dico? Tornatene da quella
che te l'avrà data questa settimana, almeno io non
dovrò guardarti in faccia!»
Rimasi
scioccato dalle sue parole e le analizzai tutte in un secondo solo.
Non
avevo riflettuto sul fatto che potesse accadergli qualcosa o sul fatto
che avrebbero potuto avere bisogno di me.
Io
me n'ero andato, lasciandomi tutto alle spalle, solo perché
ero arrabbiato con Sana.
Solo
dopo mi resi conto di ciò che aveva detto alla fine. Pensava
che l'avessi tradita. Mi venne da sorridere, per poco non le scoppiai a
ridere in faccia.
«Hai
anche la faccia tosta di ridere? Sei andato in escandescenza quando i
giornalisti ci hanno sorpresi sul balcone, ma non hai pensato
minimamente allo scandalo se ti avessero sorpreso con altre
ragazze.»
Mi
oltrepassò e andò in camera di Kaori, chiudendosi
la porta alle spalle.
Pov Sana.
Il
divano in camera di Kaori non era di certo il luogo più
comodo dove dormire, ma ormai era diventato il mio letto da
più di una settimana. Non dormivo con Akito da quando aveva
lasciato casa nostra, e quando era tornato la situazione non era di
certo migliorata. Ci vedevamo solamente a cena e, nonostante cercassi
sempre di non preparare nulla per lui, ogni volta che cucinavo mi
ritrovavo a fare quantità enormi quindi poi lasciavo il
piatto sul tavolo sapendo perfettamente che avrebbe mangiato. Mi
illudevo di non farlo per lui, dicevo a me stessa che ogni volta era
sempre uno sbaglio, ma anche se non eravamo in ottimi rapporti non
riuscivo a smettere di preoccuparmi per lui.
Non
avevamo più parlato dopo la discussione epocale di qualche
settimana prima, o almeno non eravamo più tornati
sull'argomento. Akito però sembrava spento, triste, non
giocava nemmeno più molto con Kaori che stava sempre con me
o con mia madre.
Il
signor Hayama era sempre in ospedale, e non eravamo riusciti a portarlo
fuori di lì nemmeno con la scusa del primo Natale di Kaori.
Niente lo smuoveva, niente gli faceva vedere le cose in modo diverso:
tutto ciò che riusciva a gestire era la mancanza di sua
figlia e non potevo biasimarlo per questo.
Guardai
Kaori dormire e pensai che se avessi perso quella bambina mi sarei
sentita allo stesso modo.
Andai
in cucina, dove trovai la tazza sporca della colazione di Akito, la
lavai e poi guardai il calendario.
23
dicembre. Mancavano poche ore alla vigilia di Natale e al giorno di
metà compleanno ed era il primo Natale che io e Akito
trascorrevamo così, lontani e arrabbiati. Durante gli
infiniti anni in cui pensavamo che l'amicizia fosse l'unica cosa a
legarci, avevamo sempre avuto l'abitudine di mettere da parte tutto
quando arrivava questo giorno.
Stavolta
sarebbe stato più complicato, non avevamo più
sedici anni e l'amicizia era forse l'ultima cosa che ci teneva insieme.
Presi
un vasetto di yogurt e mi buttai sul divano, incurante del fatto che la
casa fosse un disastro e che avrei dovuto cominciare davvero a darmi
una mossa per pulire quel casino, ma i miei pensieri mi portavano
sempre da un'altra parte.
Cosa
avrei dovuto fare con Akito? Cercare di chiarire? E per cosa?
Probabilmente durante quella maledetta settimana aveva avuto a che fare
con un'altra donna e io come avrei potuto perdonare una cosa come
quella? Non potevo. Non volevo.
Il
telefono cominciò a vibrare sotto di me, lo presi e risposi
senza neppure guardare chi mi chiamava.
«Tesoro,
sono io, la mamma.»
Mia
madre mi chiamava spesso ultimamente, troppo spesso, forse era riuscita
a scoprire cosa non andava tra me e Hayama.
«Hei
mamma, dimmi tutto ma sbrigati perchè ho da fare.»
«Oh,
che figlia amorevole! Volevo solo dirti che domani avevo pensato che
tu, Hayama e Kaori potevate venire da me, è la vigilia di
Natale e non mi va che siate a casa da soli. Puoi dirlo anche al signor
Hayama, anche se non penso che accetterà.»
«Il
signor Hayama non credo verrà, per quanto riguarda noi...
credo possa andare bene, non avevamo alcun impegno. Ci saranno anche
Rei e Asako?»
«Si,
ovviamente. Probabilmente saremo solo noi, quindi prepara Akito a dover
affrontare Rei in qualsiasi momento.»
Scoppiai
a ridere, immaginando il mio manager interrogare Akito puntandogli una
torcia negli occhi.
«Ridi
ridi, che domani sera ridiamo noi!»
Salutai
mia madre e tornai da Kaori. Akito era in palestra, sarebbe tornato da
lì a poco e, anche se ero ancora furiosa con lui, comunque
mi preoccupavo sempre quando ritardava.
Sentii
girare la chiave nella serratura quando ormai stavo finendo di
preparare la cena e, inconsapevolmente, mi ritrovai a sistemarmi i
capelli. Mi odiavo quando, anche se ero arrabbiata, comunque cercavo di
piacergli e di essere bella ai suoi occhi, nonostante sapessi benissimo
che non serviva a niente.
«Ciao
Sana..» Venne a salutarmi e io mi voltai e gli sorrisi,
perché in ogni caso non avrebbe cambiato le conseguenze
delle nostre discussioni. Ci eravamo urlati contro troppe cose e troppe
cattiverie per pensare solamente di chiarire tutto con un semplice
cenno.
Andò
a baciare Kaori che nel frattempo dormiva nella cesta vicina alla
televisione spenta che sembrava aumentare il silenzio tra noi due.
Mentre
eravamo a tavola l'atmosfera sembrava gelida, nessuno parlava o provava
anche solo ad iniziare una conversazione. Dall'esterno poteva anche
sembrare una normalissima cena di coppia. Comunque io dovevo dirgli
dell'invito di mia madre quindi presi un bel respiro e raccolsi tutto
il mio coraggio, provando a non tradire nessuna emozione.
«Mia
madre ci ha invitati a pranzare da lei domani, sai... è la
vigilia di Natale...»
Alzai
lo sguardo e lo abbassai immediatamente, passandogli l'insalata che
avevo tra le mani.
«E'
il giorno di metà compleanno.» continuò
lui. Sorrise e, per un secondo, dimenticai la mia rabbia e ricambiai il
sorriso. Poi tornai seria.
«Si,
bè... vorrebbe che Kaori passasse il suo primo Natale in
famiglia. E piacerebbe molto anche a me.»
Lui
annuì e incrociò i miei occhi, prepotenti e pieni
di disappunto, come sempre. «Mia madre ha esteso l'invito
anche a tuo padre, ovviamente.»
«Lo
avevo immaginato, ma non credo che mio padre sarà in vena di
feste natalizie.»
«Allora
potremmo passare da lui nel pomeriggio, e magari poi facciamo un salto
in ospedale.»
L'espressione
del suo volto si rabbuiò improvvisamente, come se parlare di
Natsumi lo turbasse più del solito.
«Va
bene, vedremo cosa dirà mio padre.»
Io
gli sorrisi, sperando di infondergli un po' di serenità
perché, anche se ero ancora furiosa, sapevo riconoscere un
brutto momento di Akito e, sicuramente, quello era il periodo
più difficile di tutta la sua vita.
Io
non potevo di certo dire diversamente: ero quasi certa che mio marito -
tale solo sulla carta - mi avesse tradita per l'intera settimana e
facevo da mamma ad una bambina meravigliosa ma che comunque non era mia
figlia.
Era
proprio il caso di dire che la mia vita era tutt'altro che perfetta.
Pov Akito.
Mi
svegliai di soprassalto, io e gli incubi ormai eravamo diventati intimi
amici, e poi il divano era freddo e troppo solitario. Mi mancava
dormire con Sana, il suo respiro regolare che mi cullava prima di
crollare nel sonno.
Guardai
il cellulare, erano appena passate le sei, quindi mi alzai e preparai
il caffè, poi aprii la finestra e lo spettacolo che mi si
presentò davanti mi lasciò a bocca aperta. La
neve aveva ricoperto tutto il giardino, la cuccia del cane che Sana non
aveva mai preso era totalmente bianca e anche la mia macchina quasi non
si distingueva sotto tutta quella coltre candida.
Per
la prima volta dopo tanti anni la neve mi dava una sensazione di
mancanza, forse perché dopo tempo era la prima volta che non
la condividevo con Sana.
In
realtà non doveva per forza essere così, lei
doveva solo fidarsi di me e invece si limitava a vedere ciò
che lei desiderava, senza curarsi della verità. Non potevo
di certo dire di essere migliore di lei, avevo dato di matto per
un'intervista e l'avevo lasciata da sola per un'intera settimana, non
mi ero preoccupato nemmeno per un secondo di cosa avrebbe potuto
pensare.
Avrei
voluto rimediare ma Sana continuava a scivolarmi dalle mani, come se
parlare con me fosse l'ultimo dei suoi pensieri. Temevo molto la sua
reazione ad una mia possibile richiesta di chiarimento, ma non potevo
lasciare le cose al loro destino. Presi la mia tazza di
caffè e uscii in veranda, il freddo mi penetrò
nelle ossa ma cercai di non pensarci, dovevo trovare un modo per farmi
perdonare e la questione era piuttosto complicata.
In
tutti questi anni eravamo riusciti, con una precisione quasi maniacale,
a non parlare dei nostri sentimenti, forse per paura che affrontando
quel discorso, avremmo cambiato il nostro rapporto. Ma ora, a distanza
di tempo, era proprio quello che desideravo, volevo amicizia,
complicità, ma al di sopra di tutto volevo vedere nello
sguardo di Sana un amore totale ed incondizionato, che mi desse la
certezza che mai nessun'altro avrebbe potuto prendere il mio posto nel
suo cuore.
Il
destino ci aveva dato la possibilità di iniziare a costruire
qualcosa insieme, e se si era rovinato la colpa era solo ed
esclusivamente della mia impulsività. D'altronde come potevo
biasimare il comportamento di Sana, io avevo dato di matto per una
semplice intervista, lei aveva avuto un atteggiamento molto
più maturo del mio, perché nonostante fosse certa
che avessi trascorso la settimana in compagnia di altre donne, mi aveva
permesso di tornare a casa e di restare. Anche se vedere ogni giorno
nel suo sguardo delusione e indifferenza erano certo la punizione
peggiore.
Senza
neanche rendermene conto i ricordi della nostra prima festa di
metà compleanno riaffiorarono in me fino ad arrivare al
momento di quel bacio fugace, dato con un leggero sfiorarsi di labbra.
Quello era stato il momento preciso in cui mi ero sentito perso,
perché avevo capito che Sana mi era entrata dentro. Preso da
questi pensieri non mi ero quasi reso conto che le mie mani, come
dotate di un'autonomia propria, avevano fatto un piccolo pupazzo di
neve.
Per
anni avevo pensato a quello come un nostro piccolo simbolo, come il
nostro gazebo lo avevo sempre considerato speciale. C'era qualcosa in
loro che rappresentava perfettamente la mia storia con Sana e rivederli
mi faceva sempre uno strano effetto.
Quando
baciai Sana quella sera, sotto la neve, il mio cervello era in totale
confusione, eppure nel momento stesso in cui me la ritrovai davanti
tutto mi fu chiaro: Sana era speciale, era la ragazza più
speciale che avrei mai potuto incontrare e non potevo lasciare che le
cose andassero da sole. In realtà poi successe esattamente
questo, troppe cose si sono messe tra di noi, troppi problemi, momenti
di rabbia, troppe parole non dette... e nonostante tutto ci eravamo
ritrovati con la fede al dito, se pure in circostanze non esattamente
convenzionali.
Guardai
per un attimo il pupazzo di neve, forse era il peggiore che avessi mai
fatto, ma doveva pur significare qualcosa, Sana doveva capire, costi
quel che costi.
Mi
voltai per rientrare in casa ma rimasi bloccato quando vidi Sana
appoggiata al portico della villa che mi fissava, con in mano la tazza
di caffè che avevo lasciato sulla panca. Indossava una
vestaglia blu, e sotto potevo intravedere il pigiama azzurro che io
odiavo profondamente. L'aveva fatto di proposito, metterlo sapendo che
non le avrei detto nulla a causa del nostro litigio, era una mossa ben
piazzata.
Accennai
un sorriso e lei si avvicinò, affondando i piedi nella neve.
Era così bella, anche senza un filo di trucco e quel pigiama
orrendo. Era perfetta in mezzo a tutto quel bianco.
«Le
vecchie abitudini sono dure a morire, eh?» mi disse
incrociando le braccia sul petto. Annuii, mettendomi le mani in tasca.
«L'ho
fatto per te, come sempre.»
«Come
sempre.» Ripeté lei, abbassando lo sguardo e poi
tornando a guardarmi negli occhi. «Kaori si è
svegliata, dovremmo prepararci...»
Capii
immediatamente che voleva sviare il discorso quindi non le feci
pressioni, avevo sbagliato e dovevo assumermi le conseguenze delle mie
azioni, quindi mi avviai verso la porta di casa.
Quando
mi girai verso di lei notai Sana che aveva lo sguardo perso nei ricordi
e due dita poggiate sulle labbra... forse non tutto era ancora perduto.
*
Dopo aver
fatto colazione con la cioccolata calda decidemmo di portare Kaori al
centro commerciale per la foto di rito con Babbo Natale. La bambina era
ancora molto piccola, però ci tenevo che avesse qualche
ricordo del suo primo Natale, anche se mancava sua madre. I medici
ormai si erano rassegnati all'idea che Nat non si svegliasse
più, erano passati mesi da quando avevano ricevuto un
qualsiasi tipo di risposta alle loro stimolazioni, quindi clinicamente
probabilmente la ritenevano già morta. Non potevo crederci,
e soprattutto non potevo pensarci il giorno della vigilia di Natale,
avrei rovinato la festa a tutti. Pensai a mio padre, a quanto potesse
sentirsi solo senza di lei e pensai a quanto mi sentivo solo io.
Nella
mia vita molte cose non erano andate come avrei voluto, ma avrei
preferito che la mia vita cadesse a pezzi piuttosto che vedere mia
sorella ridotta ad un letto d'ospedale, senza avere la minima
possibilità di vedere sua figlia crescere, la figlia per cui
aveva lottato, che magari aveva pensato di abbandonare ma che sapevamo
entrambi non avrebbe mai lasciato andare.
Guardavo
Kaori sorridere in braccio a quell'uomo tutto vestito di rosso e
pensavo a Natsumi e a quanto sarebbe stata felice di vedere sua figlia
così, innocente e ingenua, mentre la sua vita si incentrava
tutta tra le braccia di sua madre.
Sana
faceva un ottimo lavoro con mia nipote, non potevo rimproverarle
niente, ma avrei voluto che il nostro rapporto fosse nato in
circostanze diverse e che mia nipote avesse potuto vivere con la sua
vera madre.
Dopo
aver seguito Sana che girava come una trottola da un negozio all'altro
senza dare il minimo segno di cedimento o di stanchezza, tornammo a
casa per prepararci per la cena.
Mentre
lei si vestiva avevo tutto il tempo per mettere in atto il mio piano.
Avevo approfittato di una finta scappatella al bagno per comprare un
peluche a forma di pupazzo di neve, speravo che quel gesto le potesse
far capire che non aveva nulla di cui preoccuparsi e soprattutto che io
ero lì per lei, che non avevo alcuna intenzione di andarmene
- o per lo meno non l'avrei più fatto - e che la amavo, la
amavo davvero.
Non
avevo mai detto ad alta voce quella due parole, spesso Tsuyoshi tentava
di farmelo ammettere, provando e riprovando a non farmi innervosire, ma
puntualmente qualcosa mi faceva uscire di testa e tutto mi sembrava
inutile. Parlare, esprimermi, cercare di spiegare qualcosa per cui non
valeva la pena esporsi davvero.
Corsi
a prendere il peluche, lo misi sul letto in modo che lo vedesse non
appena fosse uscita dal bagno. Il cuore mi martellava nel petto e non
riuscivo quasi a respirare perché quello era il momento
della verità, era un dentro o fuori, era la vera prova del
nove.
«Hayama!»
urlò dalla nostra stanza. «Kaori è
pron...»
Si
zittì improvvisamente e io capii subito che aveva visto il
pupazzetto, speravo solamente che le piacesse e che mi perdonasse.
Pov Sana.
Mi
pietrificai all'istante quando mi accorsi del peluche che era
appoggiato sul letto, un piccolo pupazzo di neve totalmente diverso da
quelli che Hayama aveva fatto per me, che invece erano sempre pieni di
difetti. Sorrisi, pensando che in fondo non mi era mai importato
veramente del loro aspetto, di quanti occhi avessero e se fosse bella
la loro carota usata come naso. L'unica cosa che mi importava era che
Hayama me li aveva regalati, che li aveva fatti per me e, per un
secondo, fu esattamente la stessa sensazione che provai vedendo quel
pupazzo.
Mi
avvicinai e lo presi tra le mani. C'era un bigliettino, scritto a mano,
in perfetto stile Hayama.
Scusarsi non significa sempre
che tu hai sbagliato e l'altro ha ragione.
Significa semplicemente che
tieni più a quella relazione del tuo orgoglio.
(Fabio Volo)
Avevo
letto tanti libri di quello scrittore italiano, e lui aveva catturato
esattamente una delle frasi che mi aveva sempre colpito. Io non credevo
all'orgoglio, è irrilevante se ami davvero qualcuno... e
anche Hayama era arrivato alla mia stessa conclusione. Ma una settimana
di lontananza era comunque grave e anche se volevo disperatamente
lasciarmi tutto alle spalle il pensiero che per tutto quel tempo lui
aveva fatto ciò che voleva con chissà chi mi
torturava.
Sentii
bussare alla porta mezza aperta e io avevo ancora la lampo del vestito
abbassata. Lui si fermò a metà strada, incerto se
entrare o meno.
«Vieni...»
gli dissi voltandomi verso di lui. «Aiutami con la
zip»
Sapevo
benissimo che ciò che stavo facendo non lo lasciava
indifferente, ma non riuscivo davvero ad alzare quella cerniera e se
dovevamo parlare dovevo essere completamente vestita e padrona di me,
altrimenti non sapevo fino a che punto sarei stata in grado di
trattenermi.
Akito
era vestito di tutto punto, con un pantalone nero e la camicia bianca,
non portava la cravatta perché sapeva che non mi piaceva,
quindi si era comprato un papillon rosso e una pochette dello stesso
colore. Era perfetto.
Ci
mise un po' per alzare la zip, soffermandosi a sfiorare lentamente la
mia pelle e a me vennero i brividi. Come era possibile che solo un
semplice tocco potesse farmi quell'effetto?
Mi
voltai non appena sentii che aveva finito e mi ritrovai i suoi occhi ad
un centimetro di distanza. Avrei voluto abbracciarlo, dimenticarmi di
quanto ero stata male nel sentirmi dire tutte quelle cattiverie, ma il
mio cervello mi urlava di non farlo, di non lasciarmi andare di nuovo
perché sarebbe stato l'ennesimo errore.
Distolsi
lo sguardo, e presi la mia borsa appoggiata sulla sedia proprio dietro
di lui. Sentivo i suoi occhi seguirmi, lentamente, come una danza, e
non riuscivo a sentirmi a mio agio.
«Grazie...
per il regalo. Anche io tengo molto al nostro rapporto, adesso l'unica
cosa che mi serve è un po' di tempo per digerire quello che
è successo.»
Sapeva
perfettamente a cosa alludevo, ma il suo sguardo si riempì
di sorpresa, come se non capisse di cosa stessi parlando.
«Kurata
non è....»
«Non
importa, mi passerà.» lo interruppi
immediatamente, senza lasciargli il tempo di ribattere uscii dalla
stanza e andai a prendere Kaori.
Anche
durante il breve tragitto in macchina Akito tentò di
spiegarmi, ma lo fermai tutte le volte perché non volevo
rovinarmi la serata, mia madre non meritava che io arrivassi col muso
lungo, anche se in ogni caso non ero in vena di festeggiamenti.
Quando
arrivammo salutai mia madre e tutti gli ospiti che non mi aspettavo di
trovare lì, credevo sarebbe stata una cena intima in
famiglia, ma a quanto pareva la mitica signora Kurata non si smentiva
mai.
*
Tornammo a
casa abbastanza presto, Kaori aveva fatto un po' di capricci per
mangiare e quindi avevamo deciso di non fare tardi. Durante il tragitto
la bambina si addormentò, lasciandoci nel silenzio
più assoluto. Nessuno dei due osava dire qualcosa, ci
limitavamo io a fissare la strada davanti a noi e lui a voltarsi per
guardarmi ogni tanto. Quando arrivammo a casa Akito si offrì
di preparare Kaori per la notte e metterla a letto, mentre io andai
dritta verso la nostra camera per togliermi quel vestito scomodissimo.
Ero
esausta e non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Quando
mi tolsi l'abito mi guardai per un attimo allo specchio. Non sapevo
perché, forse una piccola speranza, ma avevo indossato un
completino intimo rosso. Tutta fatica sprecata, alla fine.
Pov
Akito.
La
serata passò piuttosto velocemente, il tragitto per arrivare
a casa fu rapido e silenzioso perchè nè io
nè Sana riuscivamo a dire nulla, mentre io avrei avuto
miliardi di cose di cui parlare. Avrei voluto scusarmi, ancora, farle
capire davvero che ero pentito per ciò che era accaduto ma
riuscivo solamente a voltarmi ogni tanto a guardarla mentre lei non
distoglieva lo sguardo dalla strada.
Kaori
si era addormentata in macchina e quando arrivammo a casa la preparai
per la notte mentre Sana si fiondò nella nostra camera. Non
ebbi nemmeno il tempo di portare la bambina nella sua stanza che,
passando per il corridoio, la porta semichiusa mi mostrò
probabilmente l'ottava meraviglia del mondo: Sana che si guardava allo
specchio mentre indossava solamente un completino intimo rosso fuoco,
con le bordature bianche. Era un sogno, nessun cartellone pubblicitario
le avrebbe mai reso giustizia, e i miei occhi probabilmente erano
accecati da quella visione, e non riuscivo a distinguere più
cosa fosse reale e cosa no.
La
immaginavo nuda, nel nostro letto, pronta ad accogliermi tra le sue
braccia, tra quelle lenzuola che volevo disperatamente mettere
sottosopra insieme a lei.
Bussai
piano, per evitare che capisse che ero già dietro la porta
ed entrai appena lei mi disse che potevo farlo.
Si
era coperta con un cardigan azzurro, che comunque non lasciava molto
all'immaginazione, e chiesi perdono mentalmente per tutti i pensieri
poco casti che stavano attraversando la mia mente.
«Bella
serata, eh?» esordì lei, vedendomi in evidente
difficoltà.
Annuii,
appoggiandomi alla porta che richiusi dietro di me.
«Ascolta...»
Cercai
di mettere insieme tutti i miei pensieri, dandogli un ordine che
comunque non prometteva nulla di buono, provando a guardarla negli
occhi senza crollare davanti a lei come un bambino.
«Non..
non c'è bisogno che dici nulla.» mi interruppe
lei. Io mi zittii immediatamente, tentando di decifrare le sue
espressioni. «Non voglio nemmeno sapere cosa hai fatto in
quella settimana, se ti è piaciuto quello che hai fatto, con
chi l'hai fatto, non mi interessa. Voglio solo che questo matrimonio,
se così può chiamarsi, funzioni. Non per me o per
te, ma per tua nipote, per la bambina che abbiamo deciso di tirare
sù, con la consapevolezza che sarebbe stato difficile, ma
non così. Non devi essere fedele a me, non te lo chiederei,
ma sii fedele a tua nipote, perché questo lo abbiamo messo
in piedi per lei e non voglio che tu rovini tutto solo
perché il fatto che io faccia un film ti fa uscire di
testa.»»
Non
distolsi gli occhi da suoi nemmeno per un istante perché
ogni singola parola mi feriva profondamente e soprattutto
perché mi infastidiva che lei potesse pensare che andavo a
scopare a destra e a manca con la prima che capitava.
Non
era così, perché fino a quel momento, ogni volta
che ero stato con qualcuno nella mia mente c'era sempre stata lei. Con
Fuka, ogni giorno, era come una lenta tortura perché la loro
somiglianza era impressionante e a volte non riuscivo a distinguere
fino a dove pensavo a lei e fino a dove invece Sana si impadroniva di
me. Mi ero sentito in colpa per anni per quello, quando guardavo le
ragazze e non trovavo in loro ciò che volevo, semplicemente
perché non erano lei. Non lo sarebbero mai state.
«Perché
sei così fermamente convinta che appena uscito da quella
dannata porta io sia andato a farmi qualcuno, così, per
vendetta?! Parli come se non mi conoscessi!»
Mi
resi conto solo dopo che avevo alzato il tono della voce e che lei si
era tirata indietro sul letto, come se fosse spaventata da me. Non
volevo metterle paura, volevo che capisse e lei non mi dava la
possibilità di spiegarmi, mai.
«E
tu perchè sei così fermamente convinto che il
fatto che io faccia un film in cui potrebbero esserci scene spinte
significhi che non me ne frega nulla di questo matrimonio? Come se
fosse un vero matrimonio, poi!»
Le
sue parole mi pugnalarono, lentamente e con forza, ma mi formarono un
buco al centro del petto così grande che non riuscivo quasi
a respirare. Se non credeva in quel rapporto, platonico per quanto
potesse essere, non doveva far altro che chiedere il divorzio e
lasciarmi, con la schiera di avvocati costosi che aveva alle spalle non
le sarebbe di certo riuscito difficile.
«Non
ho mai detto questo, non ho detto che non credi in questo matrimonio,
non ho detto che il lavoro che fai determina la persona che sei! Ho
semplicemente detto che avrei preferito staccarmi un braccio piuttosto
che vederti fare certe cose con un attore da quattro soldi!»
La
discussione stava degenerando, non riuscivamo più a tornare
ad un tono di voce normale e con le urla stavamo rischiando di
svegliare Kaori e passare la nottata in bianco.
«Non
osare fare questo a me!»
Si
alzò in piedi sul letto e lasciò andare il
cardigan che le scoprì nuovamente tutto il corpo, lasciando
in bella mostra quel completino intimo che avevo ammirato poco prima.
«Non dire che non vuoi che io faccia quel film
perché sei geloso, o perché c'è un
maledetto pezzo di carta in cui si dichiara che siamo marito e moglie,
perché fondamentalmente noi non siamo nulla!»
Scandì
le ultime parole come per ferirmi ancora di più, e anche se
non lo davo a vedere c'era riuscita perfettamente.
Poi
scoppiò in una fragorosa risata. «E poi
perché dovresti essere geloso? Non sono di tua
proprietà né sono tua in altri sensi, non hai
nessun diritto su di me!»
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso, non risposi più di
me stesso e mi fiondai sul letto, bloccandola sotto di me. Si
dimenò per qualche secondo e poi capì che non
c'era verso di mettersi contro di me e risparmiò le forze.
«Non
avrò diritti su di te, è vero...» Mi
posò uno schiaffo sul viso così forte che quasi
riuscì a farmi spostare da sopra di lei. Quasi. Le trattenni
le mani ai lati della testa, sperando che la smettesse di comportarsi
come una bambina e che iniziasse ad ascoltarmi.
«Ripeto:
non avrò diritti su di te, è vero, ma siamo
sposati, che ti piaccia o no, e so che questo non giustifica il fatto
che io sia geloso di te, ma lo sono e non posso farci niente.
Non
ho nemmeno pensato di andare con qualcuna in quella settimana,
tutt'altro, il pensiero di averti lasciata da sola mi ossessionava e
non sono andato via perché ero arrabbiato o
perché non mi importasse di te, l'ho fatto semplicemente
perché anche solo immaginare di vederti toccare o... baciare
qualcuno, mi dà la nausea. Non ti ho tradita,
perché non potrei sopportare di farti così male,
quindi smettila di ripeterlo. Ora, puoi continuare a comportarti da
bambina e mandare all'aria questo rapporto, oppure puoi cominciare a
darmi un po' di fiducia, come quella che io cerco di dare a
te.»
Rimase
in silenzio, immobile sotto di me, e sperai che per una volta le mie
parole non l'avessero lasciata indifferente o sarebbe stata la fine del
nostro matrimonio e della nostra amicizia, anche se ormai definirla
tare era un eufemismo.
Pov Sana.
Rimasi
interdetta mentre Akito mi parlava con quegli occhi di ghiaccio.
Sembrava essere tornato per un secondo a parecchi anni fa, quando era
ancora la paura il sentimento che mi legava a lui. Non avevo temuto che
potesse farmi del male, quello non era nemmeno contemplabile e lo
sapevo bene, ma il suo sguardo era impalpabile, non riuscivo davvero a
capire cosa volesse dirmi. Che ci teneva a me, quello era certo, ma
poi? Cosa mi nascondeva?
Non
potevo biasimarlo comunque, anche io non ero di certo la persona
più chiara del mondo quando si trattava di mettere a nudo i
miei sentimenti.
Non
sapevo cosa rispondergli, di certo non volevo buttare via anni di un
rapporto che nel bene o nel male mi aveva sempre riempito l'esistenza.
Il fatto che fossimo sposati non cambiava nulla, non potevo
allontanarmi da Akito in ogni caso.
«Non
voglio perderti...» sussurrai. Me lo ritrovai improvvisamente
addosso, con il viso nascosto nell'incavo del mio collo.
«Non
potresti nemmeno se volessi. Non credo che sopravviveresti un giorno
senza di me a guardarti le spalle.»
Avrei
voluto che mi guardasse più delle spalle, ma non dissi
nulla, mi limitai a star zitta e ad assimilare le ultime rivelazioni
della serata.
«Adesso
puoi lasciarmi le mani o hai in mente di tenermi bloccata ancora per un
po'?»
Lui
si alzò e mi guardò negli occhi, magnetico come
sempre, e i suoi divennero liquidi mentre pensava a cosa fare. Sapevo
che non voleva lasciarmi andare, non parlò, semplicemente
fece per alzarsi ma, non appena le mie mani furono libere, lo attirai a
me e lo abbracciai, e il suo corpo aderì perfettamente sul
mio, come se fossero stati creati per stare in quella posizione.
Ci
addormentammo in quel modo, sfiniti dalla settimana appena trascorsa
che ci aveva visti troppo lontani e dalla discussione che era
degenerata in pochi secondi. Forse eravamo troppo coinvolti, forse
semplicemente non riuscivamo a fare a meno l'uno dell'altro per cui
ogni cosa sembrava l'apocalisse, ma la cosa che sapevo e di cui ero
certa era che quel filo che ci univa non si sarebbe mai spezzato,
nemmeno se uno dei due avesse provato a distruggerlo. Saremmo sempre
riusciti a trovare la nostra strada verso l'altro, perché
non c'era verso: eravamo una cosa sola.
La
storia sta prendendo una piega che forse nessuno si aspettava. Dal
primo capitolo nessuno, nemmeno io, si aspettava che Sana e Akito
sarebbero finiti con la fede al dito e, ancor meno, ad essere gelosi
l'uno dell'altro.
In
questi giorni riflettevo su ciò che ci rende davvero felici
e come il destino possa cambiare le nostre vite irrimediabilmente. La
loro è stata cambiata da una bambina, la mia spero che un
giorno sarà cambiata da un editore che pubblichi qualcosa di
mio.
Queste
storie sono un'ottima palestra per quando quel giorno, spero,
arriverà.
Lo
so che non ve ne frega niente, ma volevo condividere con voi questo
piccolo pensiero, perchè siete stati i miei primi lettori.
C'è chi mi segue da quando ho pubblicato qui Holiday, la mia
prima vera ispirazione, e che è rimasto con me quando ho
pubblicato University Life, sperando che la solita trama della ragazza
al college non annoiasse, e che adesso mi sta accompagnando in questo
terzo - e spero non ultimo - viaggio.
Spero
che un giorno, riuscirete a vedere il mio nome su qualche copertina e
ricordarvi che ero io, la pazza che ha fatto diventare Sana e Akito
genitori in un colpo solo ahahah :)
Bene... nel frattempo, se
vi va di seguirmi in qualsiasi modo, vi voglio segnalare la mia pagina
fb, appena aperta, che spero vi piacerà.
https://www.facebook.com/Battiti-di-me-182128238817285/
Vi
bacio tutti, in particolare Dalmata, la mia stupenda beta, e grazie
sempre... <3
Al prossimo aggiornamento,
Akura.
|
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Capitolo 14 *** Confessioni. ***
CAPITOLO
13.
Confessioni.
Pov Akito.
Ci
eravamo addormentati come due bambini, sfiniti dalle mille
incomprensioni che avevamo affrontato in quegli ultimi giorni ma,
avendo lasciato la finestra della camera aperta, il freddo mi aveva
infastidito e mi ero svegliato di colpo. Mi alzai per chiuderla bene e
ne approfittai per mettere Sana sotto le coperte, perchè
aveva la pelle d'oca e non volevo rischiare che si ammalasse, anche se
avrei di gran lunga preferito continuare ad ammirare il suo corpo da
quella prospettiva. Addormentarmi dopo fu ancora più
difficile, l'improvvisa vicinanza di Sana mi aveva scombussolato
totalmente e non riuscivo a pensare lucidamente quando l'avevo a
così poca distanza. Mi rendevo conto di essere patetico, la
maggior parte dei ragazzi della mia età aveva già
il futuro programmato, una ragazza fissa da almeno un paio d'anni,
mentre io mi ero ritrovato ad avere sempre storie di poco conto, tutte
volte a dimenticare quella ragazzina smorfiosa che mi aveva catturato
alle elementari. Quale pazzo rimane innamorato della stessa ragazza per
così tanto tempo? Un masochista, sicuramente, ma il problema
era che non riuscivo a staccarmi da lei. Sin da piccolo avevo
sperimentato che l'influenza di Sana era sempre stata positiva per me,
lei mi spronava, mi costringeva a mettere in discussione me stesso e i
miei rapporti, ma anche quando il nostro legame si limitava ad una
semplice amicizia io non riuscivo a non pensare a lei in altri termini.
Era come una droga, da anni ormai mi ritrovavo a soffrire quando non
potevo averne la mia dose giornaliera e in quel momento mi venne da
sorridere pensando che invece nell'ultimo periodo sarei potuto andare
in overdose. Sana era sempre con me, tranne quando si occupava di
Kaori, e la sua costante presenza si era rivelata distruttiva per la
mia salute mentale il più delle volte. Nonostante quello,
però, mentre la guardavo dormire scordavo improvvisamente
tutti i motivi per cui mi faceva uscire di testa e mi ritrovavo a
chiedermi perchè ancora fossimo a quel punto di stallo.
Eravamo sposati, solo sulla carta purtroppo, ma comunque il nostro
rapporto non poteva essere considerato una semplice affinità
creata negli anni. Mi rendevo conto di farle un certo effetto,
perchè ogni volta che ci sfioravamo la vedevo irrigidirsi,
sentivo i suoi muscoli tendersi fino allo sfinimento e il suo cuore
battere all'impazzata. Sapevo che c'era qualcosa tra noi e il fatto che
lei non volesse ammetterlo mi feriva, perchè significava che
decideva volontariamente di precludersi una storia con me, incasinata
per quanto potesse essere, ma comunque un vero rapporto.
Perchè
si comportava in quel modo? Cosa la spaventava? Forse il fatto che io
potessi tradirla, ma non capivo nemmeno da dove arrivasse quella ferma
convinzione. Credeva forse che fossi una specie di dipendente dal sesso
e che non sapessi controllarmi? Per poco non scoppiai a ridere, l'unica
che non capiva che ero innamorato di Sana da tutta la mia vita era
proprio Sana. Tsuyoshi mi aveva avvertito che non sarebbe stato facile
farle capire i miei sentimenti e soprattutto farle accettare i suoi, ma
non pensavo che sarebbe stato così
difficile.
Mi
voltai improvvisamente quando notai che Sana si muoveva nel sonno e
che, facendolo, si era accovacciata vicino a me, poggiando il viso sul
mio petto. Avrei voluto addormentarmi e svegliarmi in quella posizione
per il resto della mia esistenza, ma sapevo già che non era
così semplice e che non bastava desiderare qualcosa
perchè accadesse, quindi abbandonai le mie speranze e cercai
di godermi il momento. Le sue guance erano calde, la sua bocca quasi
toccava la mia pelle e io mi sentivo marchiato a fuoco, come se quel
semplice contatto potesse portarmi all'autocombustione. Mosse la testa
e la sua chioma rossa fu illuminata da un raggio di luna che entrava
dalla finestra e mi sembrò di vedere la pura poesia che
dormiva affianco a me. Le accarezzai i capelli, sapendo che
quell'istante non sarebbe durato a lungo e che avrei dovuto imprimermi
nella memoria quel momento. I desideri spesso non si avverano, e
continuando in quel modo io e Sana eravamo destinati a prendere i
nostri e gettarli nel primo cassonetto dei rifiuti. Dovevamo trovare un
po' di coraggio, qualcosa che spingesse entrambi al limite per poter
comprendere veramente che ciò che volevamo era proprio
davanti ai nostri occhi. Ma lei era per eccellenza la donna che scappa
di fronte ai sentimenti e io non ero di certo la persona più
espansiva dell'universo quindi, alle quattro e ventidue del mattino, mi
chiesi: saremmo mai usciti da quel circolo vizioso?
Pov Sana.
Mi
svegliai di soprassalto quando mi accorsi che il mio cuscino era fatto
di pelle e tanti muscoli. Avevo la faccia praticamente affondata nel
petto di Akito e il mio viso si alzava ed abbassava regolarmente
insieme al suo torace. La cosa di per se' non sarebbe stata
particolarmente imbarazzante, avevamo dormito così tante
volte insieme che avevo perso il conto delle volte in cui mi ero
svegliata in quella posizione, ma stavolta era diverso
perchè ero praticamente nuda, coperta solamente da quel
completino striminzito che avevo indossato la sera prima. Il cardigan
era scivolato, o forse lo avevo tolto per il caldo, non ne avevo idea,
ma l'unica cosa che mi separava da Akito era un reggiseno di pizzo e un
minuscolo strato di tessuto al posto delle mutandine. Mi vennero le
vampate, chissà se si era svegliato e mi aveva visto
conciata in quel modo, e chissà quante battutine aveva
escogitato per prendermi in giro per il mio seno assolutamente
inesistente.
Ma
cosa mi era saltato in mente? Perchè mi ero messa quel
completino, per piacere a chi? Io e Akito non avevamo quel tipo di
relazione e lui non aveva mai manifestato il volere di averla quindi la
situazione era ancora più imbarazzante.
Cercai
di muovermi piano, allontanandomi da lui, ma mi sentii stringere di
colpo ancora più vicina. Era sveglio. E io ero nuda.
Lo
vidi voltarsi, rendersi conto di ciò che stava accadendo e
subito abbassare lo sguardo e fermarsi a guardare il mio seno. Avrebbe
fatto una battuta crudele tra 3...2...1...
«Credo
che sia la cosa più bella che io abbia mai visto.»
Rimasi
interdetta, pietrificata accanto a lui, scioccata dalle sue parole e
dall'effetto che mi fecero. Sentivo caldo, troppo caldo. Nonostante
fuori ci fossero due gradi al massimo, se qualcuno mi avesse toccato
anche per sbaglio si sarebbe ustionato.
Abbassai
lo sguardo, imbarazzata, e come se mi leggesse nel pensiero la sua mano
arrivò sul mio mento perchè ci guardassimo
ancora. Quando i suoi occhi incrociarono di nuovo i miei intravidi in
loro un'intensità e una tenerezza che non avevo mai notato.
Avvicinarmi
a lui era pericoloso, più di quanto avessi mai pensato,
perchè adesso avevo qualcosa da perdere. Stavo per perdere
me stessa, la mia indipendenza e soprattutto il mio cuore,
perchè Akito sarebbe stato capace di prenderlo tra le mani e
distruggerlo in un secondo.
Mi
scostai come se non sopportassi la sua presenza, e vidi la sua mascella
contrarsi come se fosse furioso o peggio, disperato.
«Dobbiamo
andare in ospedale.»
Lui
mi guardò come se avesse ricordato di colpo la situazione
che avevamo attorno. Sbuffò silenziosamente mentre
recuperavo il cardigan da sotto le lenzuola e mi coprivo alla meglio.
Sembrò non apprezzare particolarmente quel gesto, lo sentivo
rimuginare dall'altro lato del letto e mi venne da ridere,
perchè non lo avevo mai visto così infastidito.
Mi alzai e andai verso la camera di Kaori per prepararla, la trovai
sveglia nella culla, intenta a fissare il carillon che le avevo
comprato. Mi meravigliai del fatto che era la prima notte che non mi
svegliava piangendo e quindi era la prima notte che dormivo sei ore di
fila. Probabilmente Akito si era svegliato e aveva dato da mangiare
alla piccola oppure non mi spiegavo come potesse essere accaduto. Ormai
dormire per me era diventato un privilegio, mi capitava spesso di
addormentarmi mentre guardavo la tv durante il pomeriggio e Akito,
quando tornava da lavoro, mi trovava in uno stato pietoso sul divano.
Ero stanca, e mi sforzavo di non pensare che quell'esperienza avrebbe
potuto ripetersi con un bambino mio. Un bambino mio e di Hayama.
La
mia mente viaggiò per un attimo, mentre prendevo Kaori in
braccio e la portavo in bagno per lavarla, e mi immaginai col pancione,
e Akito che l'accarezzava. Pensare a un figlio era veramente surreale,
oltretutto impossibile, visto che non riuscivamo a trovare un punto di
incontro.
Dopo
aver vestito Kaori di tutto punto, mi preparai in fretta per andare in
ospedale. Indossai una semplice gonna bordeaux e una maglia con le
maniche in pizzo, mi truccai poco e andai alla ricerca delle scarpe.
Uno stivaletto basso sarebbe andato bene, anche perchè non
avevamo molti progetti per quel giorno, a parte andare a trovare
Natsumi e il signor Hayama.
Uscii
dalla camera mentre Akito si stava abbottonando i polsini della
camicia, col petto ancora totalmente scoperto. Pensai che la mia vita
non sarebbe potuta essere più complicata, perchè
ogni volta che tentavo di tracciare un confine, lui puntualmente si
faceva trovare nudo da qualche parte o faceva qualcosa per cui andavo
fuori di testa e la cosa non andava bene.
Gli
sorrisi spontaneamente e lui fece lo stesso, poi prese Kaori e io la
coprii per bene, altrimenti per la fortuna che avevamo si sarebbe
beccata una bella febbre.
Akito
mi aprì la portiera, aspettando che mi accomodassi in
macchina, e per tutto il tragitto tra di noi le cose sembravano tornate
alla normalità. Ridevamo, ci prendevamo in giro, e sperai
che quella serenità potesse durare per sempre,
perchè fino a quel momento non avevo mai pensato che il
nostro rapporto potesse funzionare, nonostante tutto l'impegno che ci
mettevamo.
Invece,
quando lui si voltò a guardarmi, a sorridermi, pensai
davvero che le cose si sarebbero sistemate.
Pov
Akito.
Arrivammo
presto in ospedale, il giorno di Natale tutti erano in famiglia a
festeggiare e di certo noi eravamo gli unici a girare per la
città, con quel peso sul cuore.
Ormai
era passato troppo tempo, e Natsumi aveva inizialmene risposto bene
agli stimoli, ma poi aveva smesso e noi non sapevamo cosa pensare. Non
volevamo arrenderci, ma la speranza ci abbandonava giorno per giorno,
come una fiamma che lentamente si spegne.
Il
dottore di Natsumi premeva sul fatto di trasferirla in una struttura
che sarebbe stata più adatta a lei e alle sue esigenze,
discorso che detto in parole povere si traduceva nel portare mia
sorella in un istituto per casi di coma irriversibile. Sapevo che in
situazioni come quelle ormai c'era poco da sperare, poco da pregare:
Natsumi era morta e, anche se noi non riuscivamo ad accettarlo, prima o
poi avremmo dovuto fare i conti con quella realtà. Pensai
all'eventualità di doverlo dire a mio padre, a come si
sarebbe sentito e a come avrebbe reagito. Il dolore straziante di
perdere un figlio, così, per colpa di qualcuno che non le ha
dato un briciolo del suo amore e a cui lei ha dato tutto, pur non
meritandoselo.
La
rabbia cominciò a montare dentro di me, ma cercai di domarla
perchè avevo in braccio Kaori e lei, come sua madre,
dipendeva totalmente da me. Cosa avrei potuto fare per crescere quella
bambina? Non sapevo se sarei stato in grado di essere padre, anche se
ci avevo disperatamente provato negli ultimi due mesi.
Aiutai
Sana a mettersi il camice, mentre la mia mente vagava tra i ricordi di
tutto il tempo che avevo passato ad odiare mia sorella, e avevo
sprecato così tanto tempo. Non l'avevo aiutata, quando aveva
saputo di aspettare Kaori, ero così furioso con l'energumeno
che l'aveva messa incinta e poi se l'era data a gambe che non avevo
pensato a come potesse sentirsi mia sorella.
«Vado
io, porto Kaori con me, voglio presentargliela.» disse Sana
prendendo la bambina in braccio.
Era
la prima volta che portavamo Kaori da sua madre, prima non lo avevamo
fatto perchè non ci sembrava il caso di far entrare una
bambina così piccola in un ospedale, ma viste le condizioni
di Natsumi avevamo pensato che era una cosa che dovevamo fare, per
entrambe.
Lasciai
che Sana entrasse con mia nipote, e solo allora mi permisi di crollare
per un solo istante. Mi accovacciai sulla sedia, in sala d'aspetto, e
guardando i pazienti che, come Natsumi, se ne stavano immobili in un
maledetto letto, mi venne da piangere. Per la prima volta, in vita mia,
le mie emozioni presero davvero il sopravvento, e non riuscii a
trattenermi. Piangevo per mia sorella, per la pena che aveva dovuto
sopportare, perchè non avrebbe mai conosciuto sua figlia e
per Kaori che, a modo suo, aveva riportato un briciolo di
normalità nelle nostre vite, anche in quella di mio padre
che sembrava colare a picco lentamente.
Quando
esaurii tutte le mie lacrime, mi alzai in piedi e mi avvicinai alla
stanza di Natsumi per vedere se Sana voleva darmi il cambio e farmi
entrare al posto suo. La sentii parlare con mia sorella, come quando si
chiudevano nella sua stanza e si raccontavano le ultime
novità, prima che Natsumi rimanesse incinta.
«Sai,
amica, tua figlia è così dolce! Vorrei che tu
potessi guardarla, che potessi renderti conto di quanto ti
assomiglia.»
Sana
fece una pausa, asciugandosi una lacrima che le stava scendendo per la
guancia, e io cercai le somiglianze a cui lei alludeva. Non lo avevo
mai fatto di proposito, sapevo che se le avessi trovate non sarei
più riuscito a guardare Kaori senza crollare, e io non
potevo crollare, perchè Sana e Kaori dipendevano da me,
perchè la mia famiglia aveva bisogno di me.
«Vorrei
che tu vedessi come ci siamo ridotti io e Akito, con la fede al dito!
Quante volte ne abbiamo parlato? Quante volte mi hai detto che io e tuo
fratello eravamo anime gemelle?»
Ogni
tanto, dovevo ammetterlo, le spiavo, quindi non mi parve strano
continuare con quella tradizione. Non lo facevo perchè mi
interessavano i loro discorsi da donne ma perchè, come aveva
detto Sana, spesso le avevo sorprese a parlare di me. Natsumi glielo
ripeteva in continuazione, di darmi una possibilità, di
lasciare che gli eventi facessero il loro corso, ma Sana era
così testarda e non le dava mai ragione, nemmeno per un
istante.
«Non
te l'ho mai detto, ma credo che tu abbia ragione.»
Mi
bloccai all'istante, cercando di non farmi vedere e di ascoltare meglio
quelle parole.
«Credo...
credo che questo matrimonio non sia stato solo frutto di ciò
che è successo, credo che ci sia qualcosa tra di noi,
qualcosa di forte. Ma, vedi, io sono terrorizzata. Ho così
tanta paura che mi consuma.»
Sapevo
che Sana non era esattamente la persona più coraggiosa del
mondo quando si trattava di sentimenti, specialmente quando includevano
me, ma non credevo che fosse terrorizzata. Da cosa, poi? Da me? Cosa
avrei potuto farle?
«Temo
che lui possa paragonarmi con qualche sua storia passata e,
diciamocelo, io non sono nemmeno in competizione! Le ragazze che ha
avuto mi eclissano, in tutto. Loro sapevano come trattare un uomo, come
affascinarlo, io è già tanto se capisco come
comportarmi con tuo fratello e, comunque, la maggior parte delle volte
sbaglio ugualmente.»
Vidi
Kaori muoversi, Sana la sistemò meglio tra le sue braccia
esili e tornò a guardare il letto dove mia sorella dormiva.
«Temo
che lui possa preferire una ragazza più... più
esperta, ecco. E io non ho voglia di combattere contro la gelosia che
mi divora ogni volta che qualcuna di loro lo segue durante gli
allenamenti e, molto probabilmente, nel suo letto. Non voglio dovermi
preoccupare di cosa starà facendo, o di chi si
starà facendo. Temo che lui possa distruggermi.»
Quelle
parole mi lasciarono senza fiato, per un secondo scordai persino che
giorno era e dove ci trovavamo, perchè ero furioso. Come
poteva anche solo pensare che, dopo che le avevo messo la fede al dito,
le avrei fatto così male, andando con qualcun'altra? Certe
volte mi sembrava che lei non mi conoscesse affatto, che per tutta la
mia vita fossi stato davanti ad una persona che non mi aveva mai visto
per ciò che ero: innamorato di lei!
Mentre
Sana era ancora dentro con mia sorella cercai di calmarmi, assimilando
per bene ciò che intendeva e arrivando alla conclusione che,
in fondo, non potevo darle tutti i torti. Solo io sapevo che ero
innamorato di lei dai tempi delle elementari, a lei non lo avevo mai
detto - anche se avevo provato in tutti i modi a farglielo capire! - e
quindi era lecito che, vedendo tutte quelle ragazze che urlavano come
galline negli spalti e che qualcuna di loro finiva addirittura a casa
mia, si fosse fatta un'idea sbagliata.
Se
solo avesse saputo che in tutti gli occhi che avevo incrociato cercavo
sempre quelle iridi nocciola che mi lasciavano sveglio la notte. Se
solo avesse saputo che avevo sempre e solo desiderato lei. Era l'unica
che aveva popolato le mie fantasie, di cui alcune volte mi vergognavo,
perchè la Sana presente nei miei sogni, alcune volte era
decisamente hot. M i ero fatto la fama di ragazzo difficile da
conquistare, ma la cosa che mi lasciava perplessso, era come alcune
ragazze potessero avere così poca autostima di
sé, più le trattavo male e le scacciavo e
più loro mi seguivano. Alcune volte le avevo trovate anche
negli spogliatoi. Per i miei compagni di karate ero una specie di
idolo, erano convinti che se respingessi ragazze tanto insistenti, era
perchè ne avessi altre più calde, pronte a
gettersi tra le mie braccia. Mi faceva ribollire il sangue che lei non
lo capisse e dovevo assolutamente rimediare. Non sapevo come, ma lo
avrei fatto.
Non
mi accorsi nemmeno che Sana era uscita dalla stanza di Natsumi fin
quando non mi passò una mano davanti alla faccia per
riportarmi sulla terra.
«Hei,
dormiglione, vai a salutare tua sorella!».
Le
diedi una spintarella, presi Kaori e la misi nella carrozzina, e poi mi
infilai il camice.
Entrai
in quella stanza con la morte nel cuore, perchè sapevo che
non avrei sentito la voce di mia sorella, ma solo il rumore del monitor
che segnava che il suo cuore batteva ancora, in un corpo ormai inutile.
«Hei,
Nat.». Presi una sedia e mi accomodai vicino a lei,
prendendole la mano. «Non hai proprio intenzione di
svegliarti, eh? Se è perchè sai che poi non
dormirai più per via di tua figlia penso che tu sia la
persona più furba al mondo.»
Sorrisi,
non perchè tutto quello mi sembrava divertente, ma per
l'idiozia delle mie parole.
«Io
e Sana ci stiamo ammazzando di lavoro al posto tuo, quella mocciosa non
fa altro che piangere e sporcare... però è
così carina. Assomiglia tutta a te.» Dalla gola mi
uscì un verso gutturale, quasi un sospiro strozzato,
perchè mi sembrava di soffocare dentro quelle quattro mura.
«Senti,
Nat. Se è la vendetta quella che vuoi, fai come se fosse
già accaduto: gliela farò pagare. Ma se stai solo
cercando di farmi un dispetto per farmi stare ancora con Sana, sappi
che abbiamo superato quel punto già da un po'.
Non
è semplice per me, e a giudicare da quello che ti ha detto
poco fa non lo è neanche per lei, ma ti giuro che ce la sto
mettendo tutta per essere felice. Felice con lei.
Ma
non sarò mai completamente felice se tu non mi prenderai in
giro per come mi comporto con Sana, o se non mi preparerai
più i muffin al cioccolato... o se non mi costringerai
più a pulire la cucina dopo che l'hai distrutta per provare
una delle tue ricette nuove. Quindi, ti prego, apri gli occhi e vieni a
conoscere tua figlia.»
Le
guardai la mano, sperando di vedere quell'impercettibile movimento che
di solito si vede nei film quando qualcuno si sta risvegliando dal
coma, ma più la guardavo più mi rendevo conto che
non sarebbe accaduto nulla del genere.
Mi
alzai di scatto, convinto che fosse arrivato il momento di accettare la
realtà e trasferirla davvero in un posto che l'avrebbe
accolta nel migliore dei modi, e mi diressi verso la porta.
Uscii
velocemente, togliendomi il camice di dosso con la stessa delicatezza
di un elefante in una cristalleria, e guardai Sana sperando
che non mi facesse nessuna domanda.
«Cos'hai?».
Le mie speranze erano sempre vane.
Afferrai
il manico della carrozina di Kaori. «Niente, andiamo via da
qui.» dissi con decisione.
E
non mi voltai indietro.
------------------------------------------------------------------------
Le
mie braccia non mi rispondevano, non erano più le mie
braccia, e i miei occhi, nemmeno loro mi aiutavano più.
Vedevo il buio, come una finestra perennemente chiusa, e sentivo che
anche la mia testa mi stava abbandonando.
Avevo
sempre pensato a come potessero sentirsi le persone in coma, se
capissero e sentissero ciò che gli accadeva intorno, e
finalmente avevo ricevuto la mia risposta, peccato che non sarei stata
in grado di raccontarlo a nessuno.
In
realtà non sapevo se avevo davvero voglia di aprire gli
occhi, di tornare a quel mondo che in pochi mesi mi aveva distrutta.
Forse avevo scelto io di trovarmi in quel letto d'ospedale, inerme e
con i miei cari a piangere per me.
Mio
padre non faceva altro, lo sentivo, persino durante la notte, mentre
sussurrava il mio nome e mi pregava di svegliarmi.
Avrei
voluto dirgli che non dipendeva da me, che non ero io a decidere se
aprire gli occhi o no, era il mio corpo... e quello ormai era come un
giocattolo rotto.
Sentii
il calore di una mano, era così familiare, non era la prima
volta che la sfioravo ma non sentivo nessuna voce. La persona che mi
stava accanto mi stringeva forte, ma non parlava. Poi si
schiarì la voce e cominciò.
La
riconobbi immediatamente, anche se sembrava sconvolta dalle lacrime.
Dio, non volevo che piangesse per me...
«Amica!».
Era così che iniziavano tutte le nostre conversazioni, non
sapevo perchè, forse per rimarcare il fatto che ormai non
ero più solo la sorella del suo migliore amico, ma anch'io
ero una sua amica.
«Mi
dispiace che debba succedere così, ma oggi ti ho portato una
persona davvero speciale.»
Per
un attimo avevo sperato che fosse Konhiro, che fosse venuto da me a
sistemare quello che aveva distrutto, che avesse trovato il coraggio di
chiedermi scusa.
Quando
una mano piccola, calda, mi sfiorò le dita il mio cuore
improvvisamente mi sembrò pietrificarsi.
Era
una sensazione che non sapevo spiegare, che mi bruciava dallo stomaco
fino al cuore, e che arrivava proprio in quel punto, dove quella
minuscola manina mi stava sfiorando.
Sapevo
a chi apparteneva, sapevo cosa era successo due mesi prima, ma avevo
cercato di negarlo a me stessa perchè soffermarmi su quel
momento sarebbe stato troppo penoso.
La
voce di Sana mi riportò lì, dove stavo conoscendo
il prolungamento di me stessa, mia figlia.
«Lei
è Kaori, Nat. E' tua figlia, la bambina che hai portato
dentro per mesi. Non pensi valga la pena, almeno per lei, aprire gli
occhi e darvi una possibilità?»
La
sentivo parlare, la ascoltavo, ma tutto il mio corpo si tendeva alla
disperata ricerca di quel contatto, di quella sensazione che mi aveva
invaso poco prima. La bambina si lamentava. Kaori...
mi piaceva quel nome, Sana e mio fratello avevano proprio scelto bene.
Quella
bambina era una parte di me, che se ne andava in giro in braccio a
quella che ormai era mia cognata.
Avrei
voluto urlare, farle capire che ero lì, che la
sentivo... ma il mio corpo mi tradiva.
Per
tutto il tempo in cui Sana fu nella mia stanza, e la mano di Kaori
sfiorava delicatamente la mia, non ascoltai nulla di ciò che
mi stava raccontando. Avevo capito che era preoccupata per il rapporto
che aveva con mio fratello, ma io avevo cose più importanti
a cui pensare: dovevo aprire gli occhi e riprendermi mia figlia.
E
magari lasciare che quei due risolvessero i loro problemi.
E'
passato un po' di tempo. Mesi, credo. E sono terribilmente dispiaciuta
per questa assenza così prolungata.
L'università prende tutto il mio tempo, non riesco nemmeno a
respirare, figuriamoci mettermi a scrivere o pubblicare.
Quando trovo un momento di calma mi metto al pc e faccio entrambe le
cose. Allooooora... come vedete abbiamo sentito finalmente la voce di
Natsumi, che adesso è determinata ad aprire gli occhi.
Sana, d'altro canto, è terrorizzata di lasciarsi andare con
Akito, che teme la respinga per la sua inesperienza (come sempre,
aggiungerei) anche se in realtà non è solo questo
che la turba.
Vedrete, in seguito.
Comunque... voglio ringraziarvi uno ad uno per l'appoggio costante che
mi date, con le recensioni, i messaggi che mi chiedono di aggiornare e
tutto il resto.
E soprattutto, come sempre, ringrazio la mia stupenda Beta, Dalmata,
che non fa altro che sopportare i miei sbalzi d'umore e la mia mancanza
di ispirazione (come adesso).
Un bacio a tutti e al prossimo aggiornamento.
Akura.
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Capitolo 15 *** Capodanno tra le stelle. ***
CAPITOLO 14.
Capodanno tra le stelle.
Pov
Sana.
«Si
Rei, ho capito, ma se devo lavorare anche per Capodanno sappi che
voglio almeno tre settimane di assoluta libertà!».
Tentavo di negoziare con Rei i miei impegni di lavoro ma, come sempre,
non stavo ottenendo il risultato sperato.
«Lo sai che non dipende da me, Sana, purtroppo dopo il
matrimonio sei diventata richiestissima ovunque. Non posso rifiutare
ospitate come questa, è un programma troppo
importante.»
Annuii, anche se lui non poteva vedermi, e cercai di rassegnarmi al
fatto che il mio lavoro mi avrebbe sempre portato via del tempo e che
non potevo farci nulla.
«Va bene allora, fammi sapere l'organizzazione
così cerco di gestire il mio tempo anche a casa.»
Mi salutò quasi subito, dicendomi che voleva contattare il
regista del film per cercare di mettere in ordine i miei impegni. Ero
preoccupata per la reazione che avrebbe avuto Akito sapendo che non
avrei passato capodanno insieme a lui e a Kaori e soprattutto che di
lì a breve sarebbero iniziate le riprese del film per cui
avevamo litigato tanto. Non sapevo nemmeno se le riprese mi avrebbero
portata lontana dalla città, per cui lo avrei dovuto
lasciare da solo con Kaori e la cosa mi preoccupava particolarmente.
Non che non mi fidassi di lui, al contrario, ma temevo molto cosa
sarebbe potuto accadere in mia assenza.
Andai a preparare il caffè, sperando che Akito si svegliasse
il più presto possibile, perchè stare da sola con
i miei pensieri non mi faceva bene e soprattutto perchè
dovevo avvisarlo che non potevamo passare insieme il Capodanno.
Rigirai la tazza tra le mani, aspettando che il caffè fosse
pronto, e pensai al modo migliore di dirglielo senza scatenare la terza
guerra mondiale, ma con Akito mai nulla era davvero sicuro,
perchè le sue reazioni erano imprevedibili. Decisi comunque
di non pensarci, lo conoscevo abbastanza da sapere che tanto avrebbe
trovato ugualmente un pretesto per litigare.
Accesi la radio e preparai la colazione, se dovevamo urlarci contro
tanto valeva addolcirlo un po' con le cose che sapevo gli avrebbero
fatto leccare i baffi. Presi un vassoio e misi la sua tazza di latte
con i cereali, la sua arancia sbucciata e il cappuccino per cui
discutevamo sempre: io volevo sempre troppa schiuma mentre lui la
detestava e allora puntualmente mi prendeva in giro perchè
non riuscivo a berlo senza sporcarmi.
Il vassoio mi tremava leggermente tra le mani, perchè la
discussione sarebbe stata epocale, lo sapevo già.
Poggiai il vassoio sul letto e poi cercai di svegliarlo. Una cosa che
non ero mai riuscita a capire era la capacità di Akito di
essere sveglio e attivo non appena apriva gli occhi, mentre per me ci
volevano almeno una o due ore prima di essere veramente connessa col
mondo esterno.
«Buongiorno...» sussurrai, porgendogli il vassoio.
La sua espressione fu impagabile, per la prima volta nella mia vita lo
avevo visto arrossire e la cosa mi sembrò troppo tenera per
non fargliela notare. «Non emozionarti, mi sono solo
svegliata presto, Hayama.»
«Ci vuole ben altro per emozionarmi, Kurata!».
Eccolo, quello era l'Akito che conoscevo e che sapevo controllare,
troppo diverso da quel ragazzo romantico che mi aveva riempito di
complimenti la mattina prima.
«Cosa devi dirmi, Sana?». Mandò
giù un sorso di cappuccino e sorrise, sicuramente pensando
che lo avevo preparato con poca schiuma come piaceva a lui. Dovevo
sembrargli disperata.
«Cosa ti fa pensare che debba dirti qualcosa?».
Abbassai lo sguardo, consapevole del fatto che con Akito era difficile
tenere i miei segreti, segreti, e che riusciva a leggermi negli occhi.
Lo detestavo per quello.
Indicò il vassoio davanti a lui, continuando a bere il
cappuccino. «Mi hai preparato la colazione, me l'hai portata
a letto e mi hai addirittura fatto il cappuccino con poca schiuma. Devi
per forza dirmi qualcosa, per cui sai che potrei arrabbiarmi, quindi
avanti... parla!».
Continuava a guardarmi di sottecchi, con la tazza fumante tra le mani,
e io non riuscivo a dire nulla, i miei pensieri si affollavano uno
sull'altro, senza darmi modo di connettere il cervello con la bocca.
«Respira Sana, e dimmi quello che devi, per
favore.»
Chiusi gli occhi, presi tutta l'aria che avevo in corpo e la buttai
fuori per farmi coraggio. «Per Capodanno... sai, dopo il
matrimonio sono diventata molto richiesta... e Rei mi ha appena detto
che...»
«Non passerai capodanno con me, giusto?» mi
interruppe lui, posando la tazza vuota sul vassoio.
Annuii, aspettando le urla che sarebbero seguite sicuramente a quelle
parole.
«Va bene, Sana... è il tuo lavoro.»
Aprii gli occhi di scatto, sconcertata dalla sua risposta e dal fatto
che il suo tono di voce fosse sempre lo stesso, pacato e tranquillo.
Non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. Akito era ancora a
letto, con le gambe distese, a petto nudo - dettaglio che poco prima
avevo ignorato ma che in quel momento mi saltò subito
all'occhio - e con in mano la sua tazza di latte e cereali, come ogni
mattina.
Era assurdo.
Mi avvicinai e gli toccai la fronte. «Sei sicuro di non avere
la febbre?». Scoppiammo a ridere, e lui mi tolse bruscamente
la mano.
«Sto benissimo, non è che devo sempre sbraitare
come un cretino. Ogni tanto cerco di controllarmi anch'io, che ti
credi.». Incrociò le mani dietro la testa e gli
addominali si contrassero sotto la sua pelle. Mi bloccai a guardarlo,
lo ammetto, e lo vidi fare un risolino, tanto per mettermi ancora
più in imbarazzo.
«Devo chiamare la mia stylist!» affermai alzandomi
dal letto, e alle mie spalle Akito sbuffò. Risi di gusto,
come non facevo ormai da molto tempo, e tornai in cucina per prepararmi
un cappuccino con tanta, tantissima schiuma.
*
Pov Akito.
«Che ne dici di questo? Non è troppo vistoso per
una semplice ospitata?».
Sana uscì dalla camera da letto con indosso uno degli abiti
che la stylist le aveva dato, erano ormai le otto e mezza e fra poco
meno di un'ora sarebbe dovuta essere agli studi per partecipare al
programma a cui era stata invitata. Era un abito nero, lungo fino al
ginocchio, con lo scollo quadrato e le spalline di pizzo. Proprio sotto
al seno aveva altri due strati di velo che lasciavano quasi scoperte le
costole. La stoffa le fasciava il corpo perfettamente, come se fosse
una seconda pelle. Il respiro mi si mozzò nel petto e pensai
che forse avrei potuto riportarla in camera e toglierglielo con le mie
mani.
«Allora? Sei sordo?».
La sua voce mi destò dai miei pensieri, spostai lo sguardo
dai suoi fianchi stretti al seno che sembrava più abbondante
dentro quel vestito, per poi incrociare i suoi occhi. Adesso potevo
tornare ad essere lucido, dovevo solo smettere di guardarla.
«E' perfetto.». Lei mi sorrise e fece una
giravolta, tornando subito in camera da letto per prendere le scarpe e
rimettere il vestito nella fodera con cui l'avrebbe portato agli studi.
«Allora» cominciò «Il latte di
Kaori è in frigo, non devi far altro che riscaldarlo e
darglielo. Se si sveglia durante la notte, basta cullarla un po' e se
proprio non vuole dormire mettila a pancia sotto e accarezzale la
schiena, dovrebbe funzionare. Per il resto..».
La interruppi, cercando di riacquistare un po' la mia
dignità di uomo. Sarei stato in grado di far addormentare
una bambina di due mesi. O almeno lo speravo.
«Sana, calmati. So badare a me stesso.»
Si infilò le scarpe da ginnastica e poi rivolse di nuovo lo
sguardo a me. «Non è di te che mi preoccupo, ma di
Kaori. Te la caverai?».
Annuii, soffocando una risata per il suo spiccato sarcasmo.
«Tranquilla, al tuo ritorno non troverai la casa che va a
fuoco o Kaori col pannolino al contrario. Ce la posso fare.»
Sana prese il cappotto e lo indossò spostando i capelli che
aveva leggermente arricciato.
Non volevo che passasse capodanno lontana da me, ma per non litigare
ero disposto anche a scendere a compromessi. La accompagnai alla porta
trascinandola per le spalle, sperando che col tempo avrebbe smesso di
farsi tutte quelle paranoie e che avrebbe imparato a fidarsi di me.
«Okay, penso di averti dato tutte le raccomandazioni del
caso, adesso vado visto che sono già in ritardo.»
Avrei voluto dirle che non era affatto in ritardo, ma in quel caso non
se ne sarebbe mai andata e avrebbe continuato ad ordinarmi la
qualsiasi, quindi annuii e la spinsi fuori dalla porta. Lei si
voltò, mi fece un sorriso. Nei suoi occhi si leggeva un velo
di tristezza.
«A mezzanotte non potremo farci gli auguri, quindi... buon
anno...». Si avvicinò per abbracciarmi e io colsi
l'occasione per farle capire che quell'anno sarebbe stato diverso.
La strinsi a me più forte che potevo, affondando il viso
nell'incavo del suo collo. Sapeva di cannella e frutti di bosco, sapeva
di Sana, un profumo che non riuscivo veramente a definire fino in
fondo.
«Buon anno, ragazzina egoista.». Quando lei si
voltò per baciarmi sulla guancia, spostai il viso e ci
ritrovammo bocca su bocca. Non approfondii il bacio, volevo solo che
capisse.
«Adesso vattene, ci vediamo più tardi.»
La sua espressione passò dall'esterefatta ad un sentimento
che non ero riuscito a decifrare fino in fondo.
Speravo solamente che non appena il conto alla rovescia le avesse
invaso la testa, la mia immagine le invadesse il cuore,
perchè volevo che quell'anno fosse il nostro anno.
*
Mi ero quasi imposto di non guardare il
programma in cui Sana sarebbe stata ospite, per non pensare a quanto
fosse difficile aspettare prima di attuare i miei piani.
Nonostante questo, però, in tv non davano nulla di
interessante quindi, facendo zapping, mi ritrovai sul canale della
trasmissione a cui avrebbe partecipato.
Capii che la presentatrice le stava facendo alcune domande su di me, su
di noi, perchè di sfondo c'era una nostra foto con la
carrozzina di Kaori. Sarebbe stato alquanto imbarazzante per lei, ma
era brava ad eludere le domande indiscrete.
«Quindi, Sana, abbiamo capito che il tuo matrimonio va a
gonfie vele... ma abbiamo saputo anche che avete avuto qualche problema
negli ultimi tempi, vuoi dirci qualcosa? Qualche piccola scaramuccia
tra neosposi?».
Come diavolo avevano fatto a sapere che avevamo litigato? Non smettevo
mai di stupirmi delle doti dei giornalisti.
Sana si sistemò meglio sulla sedia e portò un
ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Sembrava calma, rilassata, come io
non sarei mai riuscito ad essere.
«Bè... le liti ci sono sempre, penso che nessuna
coppia sia immune da questo, però io e Akito ci conosciamo
da sempre, sappiamo come smussare i lati del nostro carattere
e poi abbiamo una bambina a cui badare, quindi siamo, in un certo
senso, obbligati ad andare d'accordo. Teniamo l'uno all'altra,
è questo quello che conta.»
Le sue parole erano perfette, non troppo vaghe e non troppo precise,
davano informazioni vere ma non veramente dettagliate, e la
presentatrice sorrise capendo che stava cercando di sviare il discorso.
«A proposito di questa bambina, come vi sentite ad essere
diventati genitori così presto? Non avreste preferito vivere
un po' senza la preoccupazione di un figlio?».
Cominciai ad irrigidirmi, ma avendo in braccio Kaori tentai di
calmarmi. Non capivo perchè dovessero mettere in mezzo mia
nipote.
Sana, nel frattempo, aveva accavallato le gambe e il tacco dodici che
portava le fece tendere i muscoli delle gambe.
«Kaori è stato il motore di tutto, probabilmente
senza di lei non avremmo preso la decisione di sposarci così
giovani. Io e Akito stiamo insieme ormai da anni, ma siamo piccoli e
forse avremmo aspettato ancora un po'. In compenso però
siamo felici, davvero felici, quindi no... non cambierei la mia
vita.»
Le sue parole sembravano vere, guardandola negli occhi non mi sembrava
che mentisse, e volevo crederle con tutto me stesso, ma sapevo anche in
un certo senso doveva dire quelle cose, altrimenti i giornalisti non ci
avrebbero dato tregua.
La sua mancanza si fece quasi insopportabile. Dopo aver messo Kaori
nella culla, cominciai a camminare avanti e indietro davanti alla tv, e
riflettei su ciò che stavo per fare. Avevo preparato tutto
per filo e per segno, il fatto che lei fosse agli studi televisivi non
mi preoccupava affatto, ma ero terrorizzato dalla reazione che avrebbe
avuto.
Erano quasi le undici ormai, dovevo muovermi se volevo che l'idea che
avevo in mente si realizzasse. L'avevo pensato per giorni, Tsuyoshi mi
aveva detto che ero un folle, che nessun uomo avrebbe mai pensato ad
una cosa del genere, ma a me non importava.
Sana ed io avremmo avuto il nostro capodanno insieme.
*
Guidai in fretta verso casa della signora Kurata, dove c'era
già mio padre, e lasciai a loro Kaori, sapendo che fosse in
buone mani.
Guardai l'orologio ed ero abbastanza in ritardo, erano già
le undici e dieci, e sperai che Sana non avrebbe fatto tante storie
quando l'avrei trascinata fuori.
Arrivai agli studi e salutai una delle guardie alla porta, che ormai mi
conosceva da anni, visto che era capitato spesso di andare
lì con Sana. Mi avviai verso lo studio 3, dove si stava
svolgendo la trasmissione, e molti dei collaboratori mi salutarono
calorosamente riconoscendomi come l'amico di Sana prima, e adesso suo
marito.
Quando arrivai dietro le telecamere e incrociai lo sguardo di Sana, la
vidi raggelarsi per un istante e poi il suo viso si aprì in
un sorriso che non avevo mai visto prima.
La presentatrice intercettò lo sguardo di Sana e lo
seguì fino ad arrivare a me, e allora mi intrufolai in mezzo
a loro e finii, per la prima volta, davanti ad una telecamera.
«C'è un fuori programma, scusate...». La
presentatrice inneggiò il pubblico in studio ad applaudire
per accompagnare la mia entrata.
Io mi avvicinai a Sana e le sorrisi.
Cosa ci fai qui? mi chiese col labiale, ma io non le risposi.
«Abbiamo qui il signor Akito Hayama, il marito della nostra
ospite Sana Kurata. Akito, dicci, cosa ci fai qui?»
Mi voltai verso Yuuko, la presentatrice, e le rivolsi uno dei miei rari
sorrisi. «Visto che avete pensato bene di privarmi della
presenza di mia moglie per l'ultimo dell'anno, io sono venuto qui a
riprendermela. Marito e moglie non dovrebbero mai essere separati a
Capodanno.» spiegai, tendendo la mano a Sana per farla
alzare.
Il pubblico applaudì di scatto, e la presentatrice si mise a
ridere ammiccando anche un po'.
«Wow, ma dove sei stato per tutti questi anni? Avrei voluto
incontrarti io...».
«Ti ringrazio» risposi "Ma ora se non ti dispiace,
se non vi dispiace, vorrei portare via mia moglie da qui.»
Lei mi fece segno che potevo fare ciò che volevo e, mentre
io e Sana uscivamo dallo studio insieme, la sentii dire che
probabilmente i suoi produttori l'avrebbero uccisa ma che non poteva
resistere ad una cosa così romantica come una fuga del
genere. Risi sotto i baffi sperando che, se tutte le donne che avevano
visto quella scena erano rimaste colpite, anche Sana doveva esserlo
stata. Se non fosse stato così, non avrei più
saputo come farle capire che ero innamorato perso di lei.
Pov
Sana.
Akito non diceva una parola, continuava a sorridere di sottecchi ma non
mi aveva guardata nemmeno per un secondo.
«Mi dici dove stiamo andando?».
Vidi la sua mascella contrarsi ma continuò ad ignorarmi come
aveva fatto nei precedenti dieci minuti. Stavo cominciando ad
innervosirmi.
«Se non mi dici dove andiamo mi butto dalla macchina in
corsa.» scherzai.
«Ma non ce la fai a goderti semplicemente il momento? Sta
zitta, una volta tanto, e lascia fare a me.».
Le sue parole mi zittirono e, dopo avergli fatto una linguaccia, mi
voltai a guardare fuori dal finestrino per capire dove ci trovavamo e
provare a dedurre il posto in cui stavamo andando.
Non conoscevo quella zona di Tokyo, la mia speranza fu vana, per cui
decisi di godermi il momento, come aveva detto Akito e alle conseguenze
c'avrei pensato quando si fossero presentate.
Capimmo che era passata la mezzanotte e che quindi eravamo
già nel nuovo anno, solo quando i fuochi d'artificio
illuminarono il cielo sopra di noi.
Alzammo gli occhi e poi tornammo a guardarci.
«Mi hai fatto perdere il countdown, hai visto?».
Fece un risolino e socchiuse gli occhi, mentre i muscoli
delle braccia si tendevano quando lui girava il volante.
«Ne varrà la pena, te lo assicuro.»
Presi a guardare i giochi di colore che erano su di noi, quindi aprii
il finestrino e l'aria della sera mi colpì dritto in faccia,
facendomi venire i brividi.
Dopo poco mi resi conto che Akito aveva rallentato e che stava entrando
in una strada che invece ricordavo vagamente. C'eravamo stati due volte
al liceo in visita scolastica, ed ero sempre rimasta affascinata da
quel posto.
Davanti a me si ergeva un edificio altissimo, che sembrava sovrastare
tutti gli altri attorno a lui: il planetario di Tokyo.
Non capivo cosa ci facevamo lì, la struttura era ovviamente
chiusa a quell'ora, e Akito continuava a non dirmi nulla. Venne ad
aprirmi la portiera e solo in quel momento mi resi conto di com'era
vestito. Portava un pantalone nero con delle scarpe eleganti, una
camicia azzurra che sembrava essere stata cucita addosso a lui e,
nonostante il freddo, teneva la giacca tra le mani.
«Come mai così elegante?». Gli sorrisi e
mi avvicinai per sistemargli il colletto e, ad essere sincera, non
solo. Avrei voluto baciarlo, volevo smetterla di fare tutti quei
giochetti inutili e mettere un punto fermo alla nostra relazione.
«Non volevo sfigurare.».
Quell'Akito mi spiazzava, non sapevo come gestirlo o come affrontarlo,
però non mi dispiaceva, anzi, lo trovavo intrigante e dolce
allo stesso tempo.
Mi prese la mano e mi condusse all'entrata del planetario che, con mio
grande stupore, era aperto e anche piuttosto affollato.
Akito si fermò a parlare con la guardia giurata fuori
dall'edificio e lui ci fece entrare senza bisogno di fare la fila
insieme al resto delle persone che ci guardava con aria infastidita e
al contempo sognante, probabilmente per come eravamo vestiti. Alcune
ragazzine mi riconobbero e io le salutai mentre camminavo dietro Akito
in silenzio, rivolgendogli un sorriso.
Mano nella mano seguivamo una donna che ci portava in giro per la
struttura, anche lei in assoluto silenzio.
Mi avvicinai ad Akito, sperando che stavolta mi avrebbe dato una
risposta concreta.
«Cosa ci facciamo qui, una lezione di astronomia?».
Lo vidi sorridere e poi tornare serio in un istante, schiarendosi la
voce.
«No, ora vedrai. Ma ti prego, sta zitta.»
Entrammo in una sala grandissima, con una finestra a vetro davanti a
noi e una sopra di noi, che faceva si che si vedesse il cielo. Alla mia
destra c'era una piccola scala a chiocciola che portava ad una sala
sotterranea identica a quella in cui ci trovavamo noi.
Al centro della sala un enorme telescopio, accanto un tavolo
apparecchiato e una scatola perfettamente impacchettata.
Il mio cuore perse un battito, non riuscivo nemmeno a parlare, le
ginocchia mi tremavano e se Akito non fosse stato lì a
tenermi la mano probabilmente sarei svenuta.
«Ma cosa hai fatto?» chiesi, stringendogli ancoa di
più la mano. «E' tutta opera tua?».
Akito si voltò e, dopo aver salutato la donna che ci aveva
accompagnato, mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi.
«Ti sembra così strano?».
Tornò subito serio, e speravo che il suo umore non
cambiasse, perchè le cose stavano andando così
bene. Akito non era solito fare gesti così plateali, ma era
così dolce quando si impegnava e il nostro rapporto poteva
solo giovarne.
«Sono senza parole.». Ed era vero, non riuscivo a
dire nulla, non riuscivo a ringraziarlo, non riuscivo ad abbracciarlo,
non riuscivo a muovermi.
«Non fa niente, per una volta ne ho io qualcuna...»
Mi portò vicino al telescopio e si mise dietro di me,
circondandomi con le braccia e invitandomi a guardare al suo interno.
«La vedi?». Mi accarezzava piano la schiena, ma non
con fare malizioso, era come se volesse rassicurarmi, come se cercasse
di creare un contatto. Annuii, capendo che si stava riferendo alla
stella su cui era puntato il telescopio.
«E' tua.» Sgranai gli occhi e provai a voltarmi, ma
lui me lo impedì facendo sì che gli dessi di
nuovo le spalle.
«Che vuol dire?».
Sospirò, e sentii il suo fiato proprio vicino al mio
orecchio. Mi accorsi che si era allontanato ma non mi voltai per non
rovinare il momento e soprattutto perchè il mio corpo mi
stava tradendo, non ero capace di muovere un muscolo.
Tornò dietro di me e srotolò un foglio davanti ai
miei occhi, sentivo che era nervoso perchè il suo respiro
era irregolare e le braccia non erano perfettamente salde. Avrei voluto
voltarmi e abbracciarlo, fargli capire che non mi importava delle
sorprese, delle belle parole, tutto quello che volevo era lui, con le
sua paranoie e le sue imperfezioni. Io volevo lui.
Lessi lentamente ogni parola e dovetti trattenermi per non scoppiare a
piangere.
«Mi hai comprato una stella.» dissi infine, quasi
senza fiato.
Lo sentii sorridere e poi indicarmi il nome della stella, al centro del
foglio.
Claddagh.
Prima ancora che potessi chiedere, lui cominciò a spiegarmi
il significato.
«E' un po' strano, lo so... ma non ho trovato nient'altro che
potesse rappresentarci così bene. Il claddagh è
un simbolo irlandese.» Mi mostrò il disegno sul
foglio. Erano due mani che tenevano stretto un cuore, sormontato da una
corona.
Era bellissimo.
«Le due mani simboleggiano l'amicizia, la corona invece la
lealtà.». Sapevo cosa simboleggiava il cuore, ma
avevo paura di chiederglielo ed evidentemente lui aveva paura di
dirmelo, perchè si era ammutolito di colpo.
Capii che non l'avrebbe fatto, quindi azzardai, ormai non avevo
più nulla da perdere. O forse avevo tutto da perdere.
«E... e il cuore?».
In un secondo la sua bocca fu sulla mia. La sua mano sinistra mi
circondò la nuca per avvicinarmi ancora di più a
lui. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a pensare. L'unica cosa che
sapevo era che volevo lui. Sempre e solo lui.
Le sue labbra mi sembravano come una specie di oasi, mi aggrappai a
loro come se fossero l'unica cosa importante al mondo. Venni travolta
da una miriade di sensazioni che non riuscivo a spiegare, che mi
sembrarono tutte nuove, come se non lo avessi mai baciato prima.
Ogni bacio, prima di quello, sembrò scomparire, forse
perchè era il primo in cui avevo la piena consapevolezza di
essere innamorata di lui.
Io amavo quel ragazzo. Lo amavo da sempre, da quando i suoi e i miei
problemi ci avevano uniti, tanti anni prima, e ci avevano permesso di
capirci. Lo amavo da quando aveva piazzato quel coltello al lato della
mia testa, quando lui desiderava morire e io desideravo salvarlo. Lo
avevo amato anche quando mi aveva lasciato perchè stare con
Fuka era più semplice e io ero scappata a New York.
Lo avevo sempre amato.
Cingendomi la vita con le braccia mi sollevò da terra, e io
intrecciai le mani tra i suoi capelli.
Era la cosa più bella che avessi mai provato e allo stesso
tempo era una tortura, perchè lo volevo con tutta me stessa.
Quando le nostre labbra si staccarono, avevamo il fiato corto e le
labbra rosse, lui era sporco di rossetto e a me venne da ridere.
«Adesso so cosa simboleggia il cuore.» mi limitai a
dire.
Lui accennò un sorriso. Amavo l'Akito sorridente, e in quel
periodo, nonostante tutto quello che stavamo passando, lui sorrideva un
sacco.
«No. Non lo sai.». Lo guardai negli occhi, cercando
di decifrare il suo sguardo, ma Akito aveva gli occhi di ghiaccio, non
lasciava mai trasparire nulla.
Pov Akito.
Ero pronto, dovevo dirglielo, dovevo espormi e lasciare che le mie
paure se ne andassero a fanculo, così avrei potuto liberarmi
da quel peso che tenevo con me da troppi anni. Ormai anche i muri
sapevano che ero innamorato di lei, che per lei avrei fatto qualsiasi
cosa e sarei diventato qualsiasi cosa, quindi l'unica cosa da fare era
trovare tutto il coraggio ed esprimere tutto quello a parole.
La mia bocca era secca come il deserto, il bacio non mi aveva aiutato
di certo, perchè ero troppo nervoso e inquieto per mettere
ordine tra i miei pensieri. La stringevo, lei mi tirava dolcemente i
capelli, e quello mi sembrava il momento perfetto.
«No. Non lo sai.».
Vidi il suo sguardo cambiare, mi scrutava, cercava di leggermi, e io
temevo che qualcuno potesse farlo davvero. Se si trattava di Sana,
però, non ero certo che la cosa potesse darmi fastidio. Lei
mi conosceva, sapeva com'ero, mi aveva visto cambiare e crescere, e
diventare l'uomo che ero.
«Non lo sai, perchè non te l'ho mai detto. Il
cuore simboleggia l'amore, Kurata.»
«Akito...»
«No. Lasciami parlare.». Chiusi gli occhi per un
attimo, sospirai e poi ripresi. «Tu mi conosci, non sono
esattamente la persona più romantica del mondo e non sono
bravo con le parole ma... se c'è una cosa di cui so tutto
è proprio... è proprio l'amore. Soprattutto
l'amore per te.
Stasera ti ho portato qui perchè tutto quello che volevo
dirti, che volevo farti capire è che... che io non ho mai
voluto nessun'altra, che non ho mai guardato nessun'altra, che io...
»
Dillo, maledizione, dillo!
Non riuscivo a pronunciare quelle due parole, non riuscivo a mettermi
così a nudo, nemmeno con lei. Lottavo contro me stesso,
perchè non ero capace di amare qualcuno e dimostrarglielo, e
soprattutto non riuscivo a dimostrarlo a lei.
Come se mi leggesse nel pensiero, si avventò sulle mie
labbra e io credetti di morire in quell'istante, perchè quel
bacio voleva dire tutto per me. Lei mi capiva. Lei mi sosteneva, anche
se non ero capace di dire ciò che provavo. Lei c'era
ugualmente.
«Non importa.» sussurrò a pochi
millimetri dalla mia bocca. «So che è difficile
per te, ma se quello che stai pensando è che mi perderai,
allora smettila. Non succederà. Non mi perderai mai... e non
devi credere nemmeno per un secondo che...»
«Ti amo.»
Fu un secondo, un attimo, e l'avevo detto. Lei mi guardava con
espressione esterefatta e io stesso ero sorpreso per esserci riuscito.
Era stato spontaneo, come respirare, come se avessi aspettato tutta la
vita per dire due parole che alla fine erano la cosa più
semplice del mondo.
Non sapevo come avevo vissuto prima di quel momento, come avevo fatto a
tenermi tutto dentro senza esplodere.
Io la amavo. La avevo sempre amata. E l'avrei amata sempre.
«Buon anno, ragazzina egoista.»
Ormai era una tradizione.
«Buon anno anche a te, Hayama.»
*
«Quella
è la Costellazione di Andromeda, Sana. Ma ne sai qualcosa di
astronomia?».
Eravamo
sdraiati sul puff che, giuro, non avrei mai più utilizzato
in vita mia perchè mi stava distruggendo la schiena, e Sana
continuava a ridere come una bambina mentre io la prendevo in giro.
«Ho
frequentato qualche lezione al liceo, ma non ho mai finito il corso
perchè dovevo girare una fiction.»
Mi
rabbuiai all'istante, parlare del suo lavoro mi faceva sempre
quell'effetto, non sapevo perchè. Temevo di perderla
probabilmente, anche se Sana si preoccupava sempre di farmi capire che
non sarebbe stato quello ad allontanarci. Lo speravo davvero,
perchè ora che era davvero mia, non riuscivo nemmeno ad
immaginare che potesse allontanarsi da me.
«Non
capisco come facciano a vedere le forme in un mucchio di stelle messe
accanto.»
Sana
si alzò e si appoggiò sul gomito, per guardarmi
negli occhi. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso e io rimasi a
fissarle finchè non parlò.
«Insomma...
io vedo solo tante stelle.»
La
guardai e sorrisi, sembrava davvero confusa su quell'argomento e la sua
ingenuità mi faceva tenerezza.
«Di
Andromeda si dice che sia stata Atena a collocare la sua immagine tra
le stelle, infatti è posizionata vicino alla madre,
Cassiopea, che non le ha di certo reso la vita facile.»
Sana
mi guardò incuriosita, e si appoggiò al mio petto
per ascoltarmi meglio. «Come sai tutte queste cose?»
«Io
ho finito di frequentare le lezioni che tu hai lasciato.»
Scoppiammo
a ridere entrambi, consapevoli di quanto eravamo diversi. Sana aveva
smesso di interessarsi alla scuola quando il suo lavoro le aveva preso
tutto il tempo libero, studiava quando poteva e quando non ci riusciva
i professori la scusavano più facilmente di tutti gli altri.
Parlammo
molto, Sana rise in continuazione, e per un po' sembrava essersi
dimenticata di quanto il nostro rapporto potesse essere diventato
complicato nel momento in cui i nostri sentimenti erano venuti a galla.
Vedevo
quegli occhi così belli, di un nocciola intenso e caldo,
cambiare espressione ad ogni battuta e avrei voluto sapere se anche i
miei fossero gli stessi, se anche i miei sorridessero come i suoi.
Bussarono
alla porta mentre stavamo decidendo se quella che stavamo osservando
fosse la Corona Boreale o meno, e la stessa donna che ci aveva
accompagnato entrò nella sala.
Diede
un colpo di tosse per farsi notare e noi ci voltammo a guardarla.
«Mi
scusi, signor Hayama, il tempo di prenotazione è passato da
un po'...». Guardai l'orologio e, merda, aveva ragione! Avevo
sforato di oltre un'ora, perchè non era venuta prima ad
avvertirmi?
«Si,
certo, ce ne andiamo subito. Mi scusi tanto.»
Quando
ci lasciò di nuovo soli scoppiammo a ridere, era come
tornare ai tempi del liceo, quando i professori ti sgridavano per
essere arrivato in ritardo e tu non riuscivi a non ridere.
Uscimmo
dal planetario mano nella mano, e in quel gesto io capii che qualsiasi
cosa fosse successa, avremmo trovato il modo di andare avanti.
O
almeno lo speravo.
Pov Sana.
Come
assoluta appassionata di Grey's Anatomy, non avevo mai capito cosa ci
fosse di così speciale negli ascensori. Ogni volta che
vedevo scene al suo interno, sapevo che ci sarebbe stato un bacio, una
confessione strappalacrime, o una meravigliosa proposta di matrimonio
che chiunque avrebbe accettato di colpo, e mi chiedevo sempre il motivo
per il quale tutti i medici che entrassero lì dentro
diventassero improvvisamente pieni di testosterone ed estrogeni, come
se non facessero sesso da mesi.
Bè...
non lo avevo capito, fino a quel momento.
Io
e Akito eravamo entrati in ascensore in silenzio, consapevoli che uno
spazio così piccolo avrebbe aumentato l'imbarazzo che si era
già creato, e non riuscivamo a non guardarci e a non
sorridere. Sembravamo due imbecilli in realtà, ma io ero
contenta di sembrarlo se la mia ricompensa era un ragazzo alto, biondo
e ben piazzato.
Lo
guardai veramente per un secondo, mentre i miei pensieri viaggiavano
senza controllo su ciò che sarebbe dovuto accadere di
lì a poco.
Mi
aveva detto che mi amava. Io non avevo risposto. Non perchè
non provassi ciò che provava lui, ma perchè non
sapevo se credere davvero alle sue parole.
Mi
fidavo di lui, al cento per cento, ma c'era una minuscola parte di me
che mi urlava di non farlo perchè Akito aveva avuto
esperienze - molte esperienze, tra cui una con la mia migliore amica -
e poteva sicuramente avere un termine di paragone e decidere se io ci
sapevo fare o meno.
Non
ci sapevo fare, ovviamente, ne ero consapevole anch'io, non avendo mai
avuto un vero ragazzo. Divertente, ero passata dal non avere un ragazzo
all'avere un marito. Era da pazzi.
Eppure
quel piccolo livello di pazzia non mi dispiaceva e, per quanto una
parte del mio cervello continuasse ad ossessionarmi con le mie
paranoie, l'altra parte mi diceva Buttati, andrà bene!
«Quindi...»
sussurrò lui. Finchè non aveva parlato non avevo
sentito l'elettricità che si era formata tra di noi, ma
quando sentii la sua voce il mio corpo sembrò muoversi da
solo. Mi avvicinai a lui, che sembrò capire le mie
intenzioni e sorrise, e mi passò il pollice sulle labbra.
Sussultai, credevo che non avrei più avuto quella reazione,
invece mi sembrava sempre peggio. Credevo che mi sarebbe venuto un
infarto.
La
mia borsetta cadde per terra quando mi ritrovai al muro schiacciata da
Akito e dalle sue labbra e mi accorsi che improvvisamente l'ascensore
si era fermato. Mi voltai per un secondo e vidi la mano di Akito sul
bottone di blocco. Mi venne quasi da ridere, ma non riuscivo a pensare
a nient'altro che a quella bocca perfetta sulla mia, qualcosa dentro di
me si stava finalmente liberando ed era come sentire migliaia di aghi
in tutto il corpo. Era come volare, come la sensazione che si prova
quando senti il vuoto e non sai se avere paura o essere eccitato.
Io
ero sicuramente nella seconda posizione.
Gli
cinsi la vita con le gambe e il collo con le braccia, e le sue invece
mi tenevano per i fianchi spingendomi contro il muro. Le sue labbra mi
scivolarono verso il mento, poi sul collo e una scia di calore si
espanse per tutto il mio corpo. Non sapevo interpretare quelle
sensazioni, non le avevo mai provate, ma non ero stupida e non ero una
bambina: sapevo cosa mi stava succedendo ed era la cosa più
bella che mi fosse mai capitata. La sua bocca premette contro il punto
sensibile dietro al mio orecchio ed emisi un gemito che inizialmente
non credevo fosse uscito dalla mia bocca.
Gli
infilai le mani sotto la camicia che, nel frattempo, avevo uscito dai
pantaloni. La sua pelle era calda, bollente e le mie mani correvano sui
muscoli della sua schiena, tesi per lo sforzo di tenermi in braccio.
Ansimai,
non riuscivo a respirare, l'aria era troppo densa tra di noi e i miei
polmoni erano alla disperata ricerca di aria ma non avevano successo.
Lui mi prosciugava.
Le
sue mani corsero verso le spalline del mio vestito, abbassandole, e mi
baciò vicino alla clavicola. Quel gesto mi
provocò un brivido per tutta la schiena, e lui se ne
accorse.
«Spero
che non sia per il freddo...». Io sorrisi, lui
ricambiò il sorriso, e poi mi chiuse la bocca con la sua
prima che io potessi ribattere.
Si
abbassò per baciarmi anche il seno e io sentivo che stavo
per perdere il controllo, che avrei potuto fare l'amore con lui
lì, in quel mledetto ascensore. Ricordai improvvisamente che
eravamo ancora in ascensore e che, sicuramente, dovevano esserci delle
telecamere. Aprii gli occhi e guardai in alto e avevo proprio ragione.
«A...
Akito, ci sono le telecamere...» dissi tutto d'un fiato,
cercando di nascondere i miei gemiti.
In
tre secondi ero di nuovo sulle mie gambe, che non erano proprio il
piano più sicuro visto che non riuscivo a reggermi in piedi,
e mi stavo sistemando il vestito.
«Ne
riparliamo appena arriviamo a casa.». Sembrava
così sicuro di se, mentre io mi sentivo confusa
all'inverosimile.
Dopo
essersi assicurato che fossi presentabile, mi prese per mano e
schiacciò di nuovo il bottone di blocco, facendo ripartire
l'ascensore che, dopo pochi secondi, si aprì al piano terra
dove una decina di persone stavano aspettando. Mi venne da ridere, ma
lo seguii in silenzio fino all'uscita. L'aria mi pizzicò il
viso, ma dovevo calmarmi, altrimenti gli sarei saltata addosso non
appena avessimo varcato la soglia di casa. Forse era proprio quello di
cui avevamo bisogno.
Il
viaggio in macchina fu una tortura, non riuscivamo a smettere di
toccarci, di guardarci, di sorridere, e ad ogni semaforo le nostre
labbra sembravano attirarsi come calamite.
Parcheggiammo
la macchina proprio davanti casa, e di nuovo ci baciammo come se
fossimo a corto di ossigeno e fossimo l'unica scorta d'aria che c'era
nei paraggi.
Non
so come entrammo in casa, io non me ne resi conto, mi accorsi solo di
essere al centro del nostro salotto e un secondo dopo sul divano,
cercando di capire se i nostri corpi avessero fatto tutto da soli o se
qualcuno ci avesse insegnato a volerci in quel modo.
Lo
volevo disperatamente, e non riuscivo a capire perchè non lo
avessi realizzato prima. Come avevo fatto per tutti gli anni precedenti
- e negli ultimi mesi soprattutto - a dormire al suo fianco, ad
appoggiare la testa sul suo petto e a non vedere quanto fosse bello,
quanto fossi innamorata di lui? Non lo capivo. A dire al vero non
riuscivo a capire niente in quel momento. L'unica cosa che riuscivo a
focalizzare era la pressione del corpo di Akito che indugiava sul mio,
e lo vedevo quanto si stava trattenendo. Ma io non volevo che si
trattenesse.
O
forse si? Forse non volevo davvero andare a letto con lui, o meglio lo
volevo ma non potevo, perchè se l'avessi fatto avrebbe
potuto davvero capire se ero ciò che volevo o no.
Fino
a quel momento era stato facile - un tormento, ma facile -
perchè non sapevamo cosa c'era dall'altra parte del nostro
rapporto, e la nostra immaginazione era sicuramente migliore della
realtà.
La
mia no, a dirla tutta, ma la sua sicuramente. Chissà quanto
si aspettava da me, chissà cosa pensava di me...
Quando
vidi che si stava per sfilare la camicia dalla testa il mio cuore
sobbalzò e pensai che mi stesse per uscire fuori dal petto.
Volevo
buttarmi a letto e lasciargli fare tutto ciò che voleva, e
mentre lo stavo pensando lui mi sollevò dal divano e mi
portò in camera da letto. Volevo essere sua, libera da tutte
le mie paure per una volta, semplicemente una ragazza di diciotto anni
che fa l'amore col suo ragazzo, in realtà mio marito.
Cominciò
a togliermi il vestito, abbassando la cerniera e sfilandomelo dal seno
in giù. Le mie e le sue mani correvano, era come se avessero
fretta, come se avessero aspettato per troppo tempo qualcosa che ora
non riuscivano più a lasciare andare.
Quando
me lo tolse del tutto, la sua mano destra si poggiò sulla
mia nuca e l'altra arrivò al gancetto del mio reggiseno.
«Posso?».
Respirava a mala pena, anche lui come me aveva il fiato corto, e quando
mi vide annuire una scintilla attraversò i suoi occhi.
Lentamente mi tolse anche quello e io rimasi nuda dalla vita in su,
mentre lui mi guardava e sospirava, come se non riuscisse a credere che
stava succedendo davvero.
Lui
era sopra di me, teneva il suo peso con un braccio appoggiato al lato
della mia testa, e l'altra mano viaggiava sul mio corpo. Si
fermò sul seno e mi accarezzò lentamente, e in
quel momento capii che avrei potuto fare qualsiasi cosa per lui e per
provare sempre quelle sensazioni. Lo volevo. Lo volevo così
tanto che mi faceva male, proprio al centro dello stomaco.
Provai
a spogliarlo anch'io, sbottonandogli i pantaloni e mettendo la mano sui
boxer. Emise un gemito e capii che era d'apprezzamento, quindi mi venne
da sorridere.
E
se non gli fosse piaciuto? E se avessi fatto qualcosa di sbagliato,
mettendomi in imbarazzo, come sempre? Stavo per morire, ne ero certa.
Non riuscivo a non pensare a quello che avevamo passato insieme e a
quanto avremmo potuto perdere se le cose fossero andate male. Ci
scambiammo le posizioni e io finii a cavalcioni su di lui, ero esposta
e avevo i capelli arruffati, eppure non mi sentivo in imbarazzo, era
solo che il mio cervello non accennava a lasciarmi in pace. Lo baciai
di nuovo, ma capivo di essere lontana con la mente.
Lui
sbuffò, probabilmente perchè si rese conto che mi
ero improvvisamente raggelata, nel vero senso della parola.
«Sento
i tuoi pensieri, Sana. Fanno quasi rumore. Cosa
c'è?»
Avrei
dovuto dirglielo, perchè Akito era principalmente il mio
migliore amico e sapevo di potermi fidare di lui, ma sapevo anche
quanto fosse bravo a farmi sentire a disagio quando voleva e temevo che
lo facesse e che io avrei rovinato tutto. Riprendemmo le posizioni di
prima, e come se non resistesse, mi posò un bacio sulle
labbra.
«Io..
io...». Il momento era rovinato, me ne rendevo conto, e lui
si spostò da sopra di me e si mise a sedere senza mai
staccare il contatto visivo. I suoi occhi mi avrebbero ucciso.
«Io
non mi sento pronta per... per questo.» Passai la mano tra lo
spazio che ci separava.
«Non
ti senti pronta per avere una relazione con me, o non ti senti pronta a
venire a letto con me? No perchè, se si tratta della prima,
non so più cosa fare, Sana.».
Volevo
che non mi avesse costretto a dirlo.
«Non
mi sento pronta al.. al sesso. Al sesso, con te. Al sesso in generale.
O mio Dio, ne stiamo davvero parlando?».
L'imbarazzo
ormai regnava sovrano. Non sapevo come uscire da quella situazione.
«Non
voglio essere paragonata a nessuna. Nessuna, hai capito? Voglio che
siamo io, tu, e nessun altro. Non voglio nessun fantasma tra di
noi.».
Vidi
la sua espressione cambiare e passare dalla curiosità alla
furia, avevo appena rovinato la cosa più importante della
mia vita con due parole messe in fila. Mi odiavo.
«Aspetta...
pensi che io potrei mai paragonarti a un'altra? Quante ragazze pensi
che abbia avuto, per la precisione?Perchè credi che tra me e
Fuka sia finita?».
Non
mi interessava di lui e Fuka, non volevo parlare di loro
perchè la cosa mi torturava. Non volevo pensarlo con
nessuna, anche se sapevo che aveva un passato, un passato in cui io non
ero mai stata presente.
Rimasi
in silenzio, non sapevo cosa rispondere, ma azzardai ugualmente.
Dovevamo fare quella discussione, altrimenti non saremmo mai andati
avanti.
«Io
mi ricordo... Hanako, Maya, Namie... ah e poi Tomoe!» Mi
stavo sforzando di ricordare i nomi di tutte le ragazze con cui lo
avevo visto, ma la mia memoria non mi stava aiutando.
Lui
sorrise, divertito, e io immaginai mille modi per togliergli
quell'espressione soddisfatta dalla faccia.
«Sana...»
cominciò tra le risate. «La tua fantasia
è qualcosa che mi stupisce sempre.»
Le
sue parole mi confondevano, che diavolo significava che avevo una
grande immaginazione?
Si
mise dritto sulla schiena e mi fissò come se avessi appena
detto che gli asini volavano.
«Io
e tutte le ragazze che hai elencato... non c'è mai stato
niente. Mai. Non sono mai riuscito ad andare oltre, perchè
appena si avvicinavano a me io pensavo a te. Le altre non sono te. Non
lo saranno mai.»
Rimasi
interdetta di fronte a quelle parole.
Non
sono mai riuscito ad andare oltre...
Quella
frase mi rimbombava in testa, come un eco continuo di ciò
che avevo sempre ignorato.
Per
anni. Akito lo aveva fatto per anni. Aveva evitato le ragazze, anche
davanti ai miei occhi, e io non lo avevo mai visto. In
realtà non lo avevo mai voluto vedere.
Davanti
a me passarono in un secondo tutti gli episodi in cui Akito era stato
antipatico e scontroso con le ragazze che gli chiedevano di uscire.
Spesso lo avevo anche rimproverato, perchè diventava anche
fastidioso ad un certo punto.
Era
stato facile per me costruire il personaggio di quello che aveva usato
le ragazze, era stato facile avere paura di lui quando in
realtà avevo solo paura di me stessa. Avevo paura dei miei
sentimenti.
«Sei
tu quella che ho sempre voluto, Sana, devi mettertelo in testa,
perchè se tu stessa non te ne rendi conto il nostro rapporto
si distruggerà senza essere neppure iniziato. Non
è mai successo con nessuna perchè non provavo
niente, perchè da quando mi hai abbracciato sotto quel
gazebo non ho fatto altro che pensare a te, che volere te, che amare
te!»
Mi
accorsi che stavo piangendo solo quando la sua mano mi
sfiorò la guancia, spingendo via la lacrima che la stava
attraversando. Avrei voluto essere la sua prima ragazza, non potevo
negarlo, e la consapevolezza che avesse aspettato perchè
voleva solo me mi fece sentire come se stessi volando. Era come dire:
non mi interessa sapere cosa si prova con le altre, sono stato fedele a
te anche quando non ero tenuto a farlo. Era meraviglioso.
«Mi
dispiace... non avrei voluto reagire in quel modo. E' che... tutto
questo mi rende nervosa.»
Lui
sorrise, si avvicinò per baciarmi e mi accorsi che le mie
labbra erano salate e le sue sembravano velluto.
«Non
fa niente... devi fidarti di me se vuoi che questo rapporto funzioni.
Io posso aspettare, voglio aspettare. Facciamo un passo alla
volta.»
Quelle
sei parole dette dalla sua bocca mi sembravano poesia e sperai che la
mia vita potesse essere sempre in quel modo. Perfetta.
Ma,
nella nostra situazione, la perfezione era la cosa più
lontana che potessimo avere.
E'
passato un po' di tempo, mesi, e mi scuso per questa assenza
prolungata. L'università mi assorbe completamente, ho dato
l'ultimo esame il 7 luglio e adesso, nonostante debba preparare
un'altra materia per settembre, sono più libera per poter
continuare a scrivere.
Vi
ringrazio per le recensioni e per le email che mi sono arrivate, piene
di complimenti e di richieste affinchè continuassi. Siete
fantastici!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e che non rimarrete delusi.
Un
bacio grandissimo e ci vediamo al prossimo aggiornamento :*
Akura.
|
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Capitolo 16 *** Dimenticare. ***
CAPITOLO
15.
DIMENTICARE.
Pov
Sana.
Sentivo
il telefono squillare dalla cucina ma alzarmi era l'ultima cosa che
desideravo fare. In realtà, in cima alla mia lista dei
desideri,
c'era baciare le labbra di Akito che mi stavano a una distanza fin
troppo ridotta. Ero sveglia già da un po', lo avevo fissato
per
qualche minuto e tutto quello a cui riuscivo a pensare era
impossessarmi di quella bocca troppo perfetta per essere vera.
Quando avevo cominciato a pensare a lui in quei termini? A
notare quei dettagli che prima non notavo affatto?
Mi sembrava
di non averlo mai guardato veramente prima di quel momento, come se
mi fossi costretta ad evitarlo per non ritrovarmi nella posizione di
confusione in cui invece gli eventi mi avevano catapultato.
Ad
ogni modo, se non mi alzavo dal letto, si sarebbe svegliato e mi
avrebbe scoperto a guardarlo in quel modo insistente e, con mia
grande consapevolezza, anche piuttosto imbarazzante.
Mi
divincolai dal suo abbraccio e cercai di fare meno rumore possibile,
dirigendomi in cucina.
Presi il cellulare appena in tempo, era
un numero che non conoscevo. "Pronto?"
La voce
dall'altro lato del telefono mi sembrò familiare, ma non
capii
veramente finchè non si presentò.
"Finalmente sento la
sua voce, la famosa Sana Kurata! So che è molto strano
ricevere una
telefonata dal regista direttamente, sono il signor Miyazaki.".
Scattai, mettendomi in una posizione più composta, come se
potesse vedermi. "Oh, signor Miyazaki, non mi aspettavo una sua
telefonata. Sono davvero onorata di poter lavorare con lei, anche se
in queste settimane non ho mostrato molto interesse, ma non so se ha
saputo la piega che ha preso la mia vita e io...".
"La
smetta, per favore. So cosa le è successo, e mi dispiace
molto per
sua cognata, ma avrei bisogno di vederla personalmente il prima
possibile perchè, anche se è stata scelta
praticamente a scatola
chiusa, vorrei capire se lei è veramente adatta a questo
ruolo. Avrà
ormai letto il copione, sa che tipo di scene sono presenti
all'interno del film, quindi voglio testare la chimica col suo
partner e farmi un'idea di come renderla un sex symbol grazie a
questo personaggio.".
Ascoltai le sue parole con
attenzione, sapevo per quale tipo di film mi avevano scritturato ma
sapevo anche che il cinema è spesso portato ad esagerare
qualcosa
che in realtà non è così grave come
sembra. Eppure quelle frasi mi
preoccuparono, lui voleva creare un personaggio più sexy di
quanto
già non fosse quello che avevo letto nel copione e rendere
me un sex
symbol. Non sapevo se ridere o mettermi a piangere.
"Allora?
Cosa ne pensa?" incalzò subito dopo e io mi ridestai dai
miei
pensieri. Strinsi la mano in un pugno e lo sbattei leggermente sul
piano cottura. Ero nervosa.
"Si, mi scusi.. per me non è
assolutamente un problema, anzi non vedevo l'ora di cominciare a
familiarizzare con chi mi affiancherà. Voglio che questo
film sia
memorabile."
"E' un desiderio comune allora. Quando
potremo organizzare un incontro?".
Riflettei per un attimo
che non dovevo essere io a dirgli quando e dove potevamo vederci, ma
Rei, e che se gli avessi tolto anche il piacere del suo lavoro mi
avrebbe uccisa.
"La farò contattare dal mio manager,
credo sia la miglior cosa."
"Perfetto allora, aspetto
che il suo agente si faccia vivo. Non vedo l'ora di lavorare con lei,
Sana."
La conversazione terminò, ma i miei pensieri
avevano appena cominciato a farsi strada dentro di me. Girare il film
era un grosso rischio per me e per la mia relazione con Akito che era
praticamente appena iniziata. Inoltre, poteva essere un grosso danno
per la mia immagine. Di solito, i bambini prodigio rimangono - agli
occhi dei fans - sempre dei ragazzini estremamente talentuosi e non
riescono mai ad uscire dall'idea che siano puri e soprattutto non si
accetta il fatto che siano cresciuti. Nel mio caso, un minimo errore
poteva essermi fatale, perchè qualsiasi casa cinematografica
avrebbe
potuto sbarrarmi le porte e togliermi ogni possibilità di
lavoro.
Certo, sarebbe potuto succedere anche se avessi rifiutato un ruolo
così importante come quello che mi era stato offerto da
Miyazaki e
che Rei aveva accettato quasi senza consultarmi.
Avevo letto il
copione, e Miyazaki aveva ragione, c'erano delle scene abbastanza
spinte e prima di ritrovarmi sposata con Akito non ci avevo trovato
nulla di così sconcertante, ma adesso che il mio legame con
lui era
più che un rapporto di convenienza le cose erano sicuramente
cambiate. Cosa dovevo fare?
Tornai in camera da letto e mi
appoggiai alla porta, guardando Akito dormire. La sua schiena si
alzava e abbassava lentamente, aveva un braccio lungo il fianco e
l'altro sotto il cuscino. I muscoli della schiena erano rilassati, ma
la posizione in cui dormiva li metteva in risalto perfettamente.
Mi
sentivo in trappola, schiacciata dalla consapevolezza che quel film
avrebbe potuto distruggere la vita che mi ero costruita con fatica.
Quel barlume di stabilità che avevo aspettato si era
finalmente
fatto vedere, ma la mia vita non sembrava capace di lasciarmi un
attimo tranquilla.
Amavo il mio lavoro, ma Akito lo odiava. Era
felice di vedermi felice, di questo ne ero certa, ma quando la mia
felicità ledeva la sua sanità mentale - e vedermi
praticamente nuda
con un altro, sapevo che lo avrebbe fatto - allora forse non era
più
così tranquillo.
Allora ne valeva la pena? Non potevo vivere
senza lavorare, questo era ovvio, ma non potevo nemmeno chiedere ad
Akito di sopportare qualcosa che lo faceva stare male.
Ma io
potevo sopportare di lasciare il mio lavoro per lui? Amavo
più lui o
il mio lavoro?
Lo guardai muoversi sul letto. Come facevo a
scegliere? Non volevo farlo. Non potevo separarmi da nessuna delle
due cose e sarei stata distrutta nel farlo.
Akito mi aveva
detto che mi amava. Io no. Non riuscivo a dirlo, non riuscivo nemmeno
a pensarlo. Sapevo che lui se n'era accorto e mi rendevo conto anche
che non voleva forzarmi per lasciarmi libera di scegliere, ma non
potevo approfittarmi di tanta premura.
La mia questione
lavorativa non aiutava sicuramente in quella situazione,
perchè se
Akito mi avesse lasciato perchè non riusciva a gestire i
miei ruoli
al cinema, avrei perso non solo la persona che amavo, ma anche il mio
migliore amico e forse era quella la cosa che più mi
spaventava.
Sarei stata in grado di sopportare la mancanza di Akito ora che avevo
avuto un assaggio di ciò che sarebbe potuto essere il nostro
rapporto?
Come avrebbe reagito sapendo che sarei finita a
baciare un altro? Si era ormai abituato al mio rapporto lavorativo
con Naozumi, ma adesso avrei dovuto recitare con qualcun altro, che
lui non conosceva e che non sapeva come gestire.
Mi sentivo in
preda all'esasperazione. Riuscivo solo a figurarmi la sua faccia
quando gli avrei detto che mi aveva chiamato il regista e che voleva
vedermi. Avrebbe dato di matto.
Mi passai le mani sulla fronte,
mi sarebbero venute le rughe a forza di preoccuparmi in quel modo.
"Buon giorno, Kurata.". Le braccia di Akito mi
circondarono mentre io ero ancora presa dai miei pensieri. "Buon
giorno Hayama.". Mi fece voltare e in un secondo ci ritrovammo
occhi negli occhi, e lui mi posò un bacio leggero sulle
labbra. Il
mio corpo si accese come un fuoco e avrei voluto saltargli addosso,
ma mi trattenni perchè non potevo permettermi
quell'avventatezza.
Mi divincolai dal suo abbraccio, fingendo un sorriso, e andai
verso il frigo per prendere il latte.
Lui si appoggiò alla
cucina e mi guardò insistentemente mentre prendevo il
bicchiere e me
ne versavo un po'.
"Dobbiamo andare da Natsumi oggi, te lo
ricordi?". Lui annuì e cominciò a tamburellare le
dita sul
marmo.
"Si, e dopo passiamo a prendere Kaori da tua
madre.".
Finii di bere il mio latte e misi il bicchiere
nel lavandino. "Perfetto allora, vado a vestirmi.".
Non
ero pronta ad affrontare il discorso, non sapevo come dirglielo
nè
se volevo veramente dirglielo, perchè le conseguenze
sarebbero state
disastrose e lo sapevo fin troppo bene. Quando gli avevo detto di
capodanno non aveva battuto ciglio, ma sapevo che non era stato
felice di non passarlo con me tanto che poi si era inventato tutta la
faccenda del planetario.
Lo amavo così tanto. Aveva fatto
tutte quelle cose per me e io adesso lo stavo per deludere.
Quando
arrivai in camera da letto sentii i suoi passi dietro i miei, sapevo
che non sarei riuscita ad evitare l'argomento, quindi tanto valeva
smetterla di farlo e provare ad aprire la questione senza far
scatenare l'inferno.
Mi voltai verso di lui che era appoggiato
alla porta esattamente nella stessa posizione in cui ero io poco
prima, mentre lo guardavo dormire.
"Mi ha chiamato il
regista del film. Vuole vedermi.".
Lui chiuse gli occhi,
forse per calmarsi, e poi incrociò le braccia sul petto.
"Quindi?
Qual è il problema?".
Inspirai.
"Vuole capire
se sono la persona adatta a questo ruolo un po'...". Non
riuscivo a trovare la parola adatta per non farlo impazzire. "..
particolare.".
Non era proprio quello che intendevo, ma
sarebbe andato bene lo stesso.
"Particolare in che senso?
C'è qualcos'altro che non so, oltre quello che ho scoperto
dalla
famosa intervista?".
C'erano un sacco di cose che non
sapeva, che non gli avevo detto proprio per evitare discussioni
inutili, come il fatto che Rei mi aveva consegnato il copione e la
sceneggiatura dell'intero film per farmi un'idea del mio personaggio,
o anche che erano settimane che cercavo di costruire quel personaggio
e che mi riusciva anche piuttosto bene. Non sapeva tante cose, e mi
pentii immediatamente di avergliele nascoste.
"Il mio
personaggio è... molto, molto spinto. Si tratta di una
ragazza che
viene costretta a prostituirsi, e ci sono un sacco di scene che
presuppongono una certa componente fisica. Molto, fisica."
Sapevo cosa stava pensando, sapevo cosa stava immaginando
soprattutto.
"Fisica nel senso che dovrai fare scene in
cui vai a letto con qualcuno?".
Mi rabbuiai, perchè era
proprio quello che succedeva, ed era ovvio dal momento che il tema
principale del film era la prostituzione. Sarei stata praticamente
nuda per la maggior parte del tempo.
Annuii, non dissi una
parola.
"Non posso gestire una cosa del genere. Cazzo, no
che non posso!".
Mi fissò negli occhi con una tale
intensità che dovetti spostare lo sguardo, mi sentivo
piccola di
fronte alla sua rabbia perchè sapevo che in fondo aveva
ragione e
che non potevo chiedergli un tale sforzo. O forse si?
Diceva di
amarmi, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, e allora
perchè non
poteva accettare che io amassi il mio lavoro e che non ci volessi
rinunciare?
Cominciò a spostarsi per la camera, raccattando i
vestiti che c'erano per terra, nel frattempo sbuffava e teneva i
pugni stretti. Temevo che potesse mettersi a distruggere tutto da un
momento all'altro, solo per sfogare la sua frustrazione.
"Se
mi ami, imparerai a gestirla.".
I suoi occhi presero una
sfumatura che non avevo mai visto, sembrava accecato dalla rabbia,
dalla disperazione. Era triste. Era triste a causa mia.
Sapevo
cosa stava per succedere.
"Sai che ti dico? Non porterò
avanti questa conversazione. Il discorso è chiuso. Fai come
meglio
credi, non mi importa. Me ne vado in ospedale."
Rimasi
impietrita. Lui prese tutti i suoi vestiti, scelse una maglietta e un
paio di jeans, si vestì e in un minuto era furi dalla porta.
Sperai
che stavolta non passasse una settimana prima di rivederlo.
Pov
Akito.
"Non
voglio illudervi, ovviamente, ma c'è stato un leggero
margine di
miglioramento. Natsumi ha aperto gli occhi, ma è un riflesso
assolutamente momentaneo. In questa fase non si può notare
nessun
tipo di attività cognitiva, però credo che siamo
sulla buona
strada. Siamo alla fase due, spero tanto che in un paio di giorni ci
ritroveremo nella fase tre in cui ci sono tentativi di reazione con
l'esterno. Spesso i pazienti si fermano alla fase due, ma sono
fiducioso su Natsumi. Vediamo come va nei prossimi giorni."
Strinsi
la mano al medico di mia sorella e lo vidi allontanarsi per il
corridoio.
Mi sentivo una merda. Anzi, forse anche peggio. Mia
sorella stava lentamente migliorando e io ero felicissimo di sentire
quelle notizie, ma allo stesso tempo temevo molto il momento in cui
si sarebbe svegliata. Non che non lo volessi, era ovvio che lo volevo
più di ogni altra cosa al mondo, Nat mi mancava e non
sopportavo più
la mia vita senza di lei, ma quando si sarebbe svegliata avrebbe
preso con se Kaori, l'unico vero motivo per cui io e Sana avevamo la
fede al dito.
Mi sentii improvvisamente svuotato. Non era
servito a niente, tutto quello che avevo fatto per lei, le mie
paranoie, i miei mille complessi, erano stati inutili.
Sana
avrebbe comunque sempre preferito il suo lavoro a me, ormai l'avevo
capito, e la dimostrazione stava nel fatto che mi aveva nascosto il
fatto di aver già visionato il copione. Dovevo leggerlo
anch'io.
Dovevo capire. Ma solo l'idea di poter immaginare quelle scene mi
faceva venire il voltastomaco.
Lei mi distruggeva ogni volta.
Ogni giorno della mia vita era una fottuta tortura, cercando di
mettere ordine nei casini che Sana creava. Lei mi faceva del male, ma
io la perdonavo ogni volta, passavo oltre a tutto ciò che di
brutto
mi faceva provare, e lei non si rendeva conto di quanto potesse
ferirmi.
Quando Kaori sarebbe tornata da sua madre, lei cosa
avrebbe fatto? Mi avrebbe lasciato, chiesto il divorzio? E io
cos'avrei fatto a quel punto? Avrei distrutto la mia vita a furia di
distruggermi per lei. Non potevo continuare in quel modo.
Anche
stavolta ero scappato, invece di affrontare la situazione come fa un
uomo, ma non ero riuscito più a guardarla dopo che mi aveva
detto
quella frase.
Se
mi ami, imparerai a gestirla.
Parlava
come se fosse un maledetto dettaglio, come se quella situazione non
fosse chissà che, come se io non la amassi abbastanza da
sopportarla.
Cos'altro dovevo fare per farle capire che la
amavo davvero? Era proprio perchè la amavo che non riuscivo
a
tralasciare la cosa.
"Problemi in paradiso?".
Aprii
gli occhi e mi ritrovai davanti Occhiali da sole, con in mano un
mazzo di fiori.
"Cosa ci fai qui?". Si tolse gli
occhiali e accennò un sorriso. Sembrava più
giovane quando non li
portava.
"Sono venuto a trovare un amico che ha avuto un
piccolo intervento, poi mi sono ricordato che qui c'era anche tua
sorella, e allora... eccomi qui."
Annuii, gli ero grato,
per quanto non lo dessi a vedere. E, anche se a volte non lo
sopportavo, sapevo che tutto ciò che faceva lo faceva
pensando al
bene di Sana. Era la cosa più vicina a un padre che lei
avesse mai
avuto.
"Tu e Sana avete litigato?". Ma come diavolo
faceva a capirlo sempre?
"Mi ha chiamato il regista,
voleva fissare un appuntamento per provare con Sana. Poi sono andato
a casa vostra e dalla sua faccia ho dedotto tutto. Lei non mi ha
raccontato nulla, se è questo che stai pensando."
Non mi
interessava sapere se lei aveva spiattellato tutto al suo manager.
"Non importa. Tu come reagiresti se tua moglie dovesse
fare un film in cui è nuda il 99% del tempo?".
Lui
sorrise e mise gli occhiali sulla testa. "Akito, io sono sposato
con Asako Kurumi, te lo ricordi? Anche lei è un'attrice. Le
ho visto
fare decine di film in cui c'erano scene spinte, ma so che quella
è
la finzione."
"Ma non vai fuori di testa? Io
impazzisco solo a pensarci!".
Si appoggiò al muro accanto
a me, mettendo le mani in tasca. Sembrava preoccupato.
"Ho
passato i primi anni di matrimonio con Asako a litigare in
continuazione, fino a quando non abbiamo capito entrambi che era
inutile. Io ero e sono comunque geloso, ma è il suo lavoro.
Ti
capisco al cento per cento, ma se togliessimo loro il lavoro che
amano, sarebbero infelici per sempre."
Forse aveva
ragione, sapevo quanto Sana amasse ciò che faceva e il
pensiero di
toglierle ciò che la faceva sentire viva mi intristiva. Era
come se
qualcuno mi avesse tolto il karate: sarei impazzito, avrei perso il
controllo di tutto, e di certo avrei trovato ogni modo possibile per
rinfacciarlo a lei.
Non volevo che andasse così. Non volevo
che mi odiasse perchè le avevo tolto la sua passione. Non
volevo
ritrovarmi tra qualche anno a discutere perchè lei non ce la
faceva
più a sopportare quella situazione. Non potevo permetterlo.
"Forse
hai ragione."
Mi lasciò lì, entrando nella camera di mia
sorella e lasciando i fiori sul comodino, e quando uscì mi
saluto
per poi andarsene.
Pensai a lungo alle parole che mi aveva
detto, al fatto che lui si era trovato nella mia posizione e che dopo
un po' aveva realizzato che non poteva privare Asako del suo lavoro.
E io dovevo fare lo stesso con Sana.
Dovevo solo capire come
accettare che mia moglie sarebbe finita tra le mani di qualcun altro,
proprio sotto ai miei occhi.
Ma sarei mai riuscito a stare
tranquillo?
*
Non
ero ancora andato a prendere Kaori, preferivo che rimanesse dalla
signora Kurata visto che io e Sana non riuscivamo ad avere una
conversazione e non volevo dovermi preoccupare anche della bambina
mentre discutevamo. Perchè avremmo discusso, ne ero certo,
ma ormai
ero abituato a quella situazione, non eravamo in grado di passare un
bel momento e non rovinarlo un attimo dopo. Forse era il nostro
destino: trovare la serenità e poi buttarla nel cesso in un
secondo
e mezzo.
Ma io ero stanco. Stanco di sperare che le cose si
sarebbero sistemate, anche quando sapevo che non c'era nulla da fare.
La parola arrendersi non faceva parte del mio vocabolario, eppure per
un secondo, quando entrai in casa e non la trovai, pensai che sarebbe
stato il caso di mollare tutto e andare via. Lasciare quella casa,
dimenticarmi di lei e del nostro rapporto.
Ma se non me l'ero
tolta dalla mente per tutto il tempo in cui eravamo stati solo amici,
come avrei potuto farlo quando sapevo cosa provavamo l'uno per
l'altra?
Cazzo. Era un maledetto casino!
E poi dov'era
andata? Non aveva appuntamenti quel giorno, e Occhiali da sole non mi
aveva avvisato di nessun impegno mentre eravamo insieme in ospedale.
Che fosse da Aya?
Chiamai Tsuyoshi ma, dopo avermi fatto
triliardi di domande sul perchè la cercavo e sul
perchè non sapessi
dov'era, mi disse che Aya non ne sapeva nulla ma che avrebbero potuto
chiamarla e vedere se riuscivano a rintracciarla.
Dove poteva
essere? Se non era da Aya, magari era andata da Matsui, oppure da sua
madre. Chiamare Fuka non era una buona idea però, mi avrebbe
di
certo urlato dietro che la dovevo smettere di far soffrire la sua
amica, quando non sapeva proprio niente di quello che era successo
tra noi.
Dio... se il nostro rapporto era così complicato
quando ancora eravamo in una fase di stallo, figuriamoci se mai
fossimo andati oltre. Non potevo nemmeno pensarci che già mi
scoppiava la testa.
Dovevo distrarmi. Andai in camera a
prendere il sacco da box per appenderlo all'angolo del salotto e
cominciare a scaricare quella tensione che mi stava divorando.
Misi
le bende tra le dita, avvolgendole lentamente e respirando per
provare a calmarmi. Quando ormai le mie mani erano completamente
fasciate, strinsi i pugni per controllare che fossero abbastanza
strette.
Guardai il sacco da box. Immaginai miliardi di facce,
ma non riuscii a focalizzarne una in particolare, e mi infastidii
perchè non riuscivo a scaricarmi del tutto.
Assestai un calcio
sul fondo e pugni a serie di quattro finchè le mani non mi
bruciarono.
Ero un fascio di nervi. Non riuscivo a pensare, a
concentrarmi, e quello che stavo facendo era inutile se non avevo un
obiettivo. Chi volevo distruggere? Cos'era, tra tutte, la cosa che
odiavo di più?
Improvvisamente un'immagine si fece strada nella
mia testa, e per un'istante mi sentii anche a disagio.
Ero io.
Davanti ai miei occhi c'era la mia faccia, c'era l'Akito che
faceva del male a Sana, l'Akito geloso che non smetteva mai di creare
problemi, l'Akito insicuro che per anni non aveva fatto altro che
lasciarsi sfuggire le mille occasioni in cui arrivare al cuore di
Sana, l'Akito che tratta male tutti, anche il suo migliore amico.
Non lo sopportavo più. Lo odiavo.
E sapevo che anche
Sana lo odiava.
Forse non eravamo giusti, forse eravamo solo
due anime gemelle che non possono stare insieme, come tante altre al
mondo.
Ma se la questione dell'anima gemella fosse stata una
grande cazzata? Come la mettiamo?
Il cervello mi stava
scoppiando. Pugno dopo pugno le cose si facevano sempre più
chiare,
la mia mente allontanava la nebbia e lasciava spazio alla
razionalità.
Se non volevo perdere Sana dovevo darmi una
regolata. E l'avrei fatto.
Pov
Sana.
Non
avevo idea di che cosa stesse parlando Rei, sentivo la sua voce ma
non ero attenta e non capivo assolutamente una parola. Borbottava
qualcosa che riguardava il modo di comportarmi con il regista e
soprattutto con l'attore che mi avrebbe affiancato, di cui ancora non
sapevo l'identità. Speravo che fosse bravo,
perchè le scene erano
già particolari, e se avessi dovuto girarle con qualche
incompetente
sarebbe stato solo peggio.
Lo zittii con un gesto della mano, e
per la prima volta in vita mia riuscii nel mio intento,
perchè non
disse più una parola finchè non arrivammo davanti
all'ufficio del
regista. Aveva deciso di incontrarmi alla sua agenzia in centro, era
un lussuoso palazzo che indubbiamente gli era costato parecchio, ma
era un regista abbastanza famoso e richiesto, quindi era anche
piuttosto ovvio.
Quando bussammo alla porta strinsi la mano a
Rei, come sempre, ormai era un rito che avevamo da un paio di anni,
da quando mi avevano praticamente chiuso tutte le porte dopo essermi
rifiutata di dire una battuta, ai tempi delle medie. Quando avevo
ricominciato a lavorare ero così nervosa che Rei mi aveva
stretto la
mano per tranquillizzarmi e io mi ero sentita al sicuro. Con lui mi
sentivo sempre protetta, in fondo era come un padre per me.
"Ma
buongiorno, Sana, finalmente la conosco!".
La voce del
regista mi riportò alla realtà e, dopo aver
lasciato la mano di
Rei, strinsi la sua con forza, perchè una volta Akito mi
aveva detto
che le persone si definiscono dalla loro stretta di mano. Era una
cavolata, lo sapevo anch'io, ma mi piaceva pensare che mi avrebbe
vista in maniera diversa se mi fossi mostrata forte e decisa.
"E'
un piacere incontrarla, signor Miyazaki." mi limitai a dire io,
per poi accomodarmi nella sedia di pelle davanti alla sua scrivania.
Rei si mise proprio accanto a me.
Lui era un uomo sulla
quarantina, brizzolato, ma la scrivania lo copriva quasi tutto quindi
non lo vidi dal busto in giù. Comunque, nelle foto che si
potevano
trovare su internet, non era mai fuori forma. Era un bell'uomo, ma
aveva una lunga cicatrice sul sopracciglio sinistro che lo rendeva un
po' minaccioso a vedersi.
Mi guardai attorno e l'ufficio era
esattamente come tutte le altre stanze: pareti di legno scuro,
lucidissimo, e gli scaffali dietro la sua testa erano pieni di
riconoscimenti e premi. Mi venne da sorridere, ero elettrizzata di
lavorare con una persona così famosa e soprattutto ero fiera
di
essere stata scelta da lui, che poteva sicuramente insegnarmi tanto.
Inoltre, il fatto che avesse voluto incontrarmi con così
poco
preavviso mi dava modo di pensare che anche lui fosse contento di
lavorare con me.
"Anche per me, Sana. Non ti dispiace se
ti chiamo Sana, vero? Tu puoi chiamarmi Hiroji, odio tutte quelle
problematiche che alcuni registi si pongono. Non è che
perchè ti
dirigo, significa che non possiamo essere amici.".
Già mi
piaceva, e aveva ragione. Mi era capitato spesso di lavorare con
certi registi che mantenevano le distanze e si preoccupavano solo di
far bene il loro lavoro. Era una cosa stressante, e a volte anche
frustrante, perchè non ricevevo mai uno sguardo di
comprensione
quando ne avrei avuto bisogno, visto che ero una ragazzina. Quindi,
gli sorrisi e annuii. "Certo che può chiamarmi Sana, signor
Miyazaki."
"Hiroji, per favore."
Non me
n'ero neanche accorta, ma poi annuii di nuovo. "Hiroji." mi
corressi.
"Perfetto, ora che abbiamo fatto le dovute
presentazioni, voglio sperare che tu abbia letto bene il copione e
che abbia cercato di entrare nel personaggio. Non sarà un
film
facile, psicologicamente e fisicamente, ma io sono certo che tu possa
farcela."
"Si, ho letto il copione e il personaggio di
Miya mi affascina molto. Il fatto che inganni Mark, che lo voglia
uccidere, perchè crede che la sua famiglia sia morta per
causa
sua... è sfiancante, per tutto il copione. Vorrei che
capisse prima
che lui non c'entra nulla. E' un personaggio pieno di rancore."
Lui
mi guardò con stupore, come se non si aspettasse che
riuscissi a
fare un'analisi del genere del mio personaggio ma la prima cosa che
mi avevano insegnato alla scuola di arte drammatica era che se non
trovi qualcosa che ti accomuna al tuo personaggio, non riuscirai mai
a portarlo alla vita al meglio. Avevano ragione, io e Miya avevamo in
comune la paura. Per tutta la sua vita lei aveva creduto che i suoi
genitori e il suo fratellino fossero stati uccisi da un facoltoso
americano che era stato il mandante della loro morte per via di una
testimonianza scomoda. Fin dall'adolescenza si era documentata, lo
aveva cercato, e all'età di 22 anni lo aveva trovato: Mark
Reynolds,
un uomo che probabilmente sarebbe anche stato capace di farlo, ma che
non aveva alcuna colpa. Capirlo per lei sarebbe stato difficile,
accettare che l'assassino che per anni aveva cercato era un semplice
ragazzo che aveva ereditato tutto ciò che aveva e,
purtroppo, anche
il nome dal nonno paterno, il vero mandante dell'omicidio.
"E'
molto interessante la tua visione delle cose. Io non l'avrei definita
proprio piena di rancore, piuttosto piena di odio, che è un
po'
diverso. E' l'odio ciò che l'ha mossa per la sua intera vita
e..."
"E quando perderà anche quello non avrà
più
nulla." terminai la frase per lui.
Il suo sguardo ripagò
ogni litigata con Akito per quel film, perchè in fin dei
conti io
amavo il mio lavoro e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo,
perchè era ciò che faceva di me ciò
che ero. Se da bambina non
avessi trovato sfogo nella recitazione, se non fossi stata una
principessa rapita da un drago, se non avessi accompagnato Dante in
Paradiso, se non avessi detto Rinuncia
al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te,
prendi me
stessa,
non avrei mai superato tanti dei drammi della mia vita. Era il teatro
che mi aveva salvata da me stessa e non avrei potuto buttare tutto
all'aria perchè Akito non riusciva a sopportare che io
baciassi
qualcun altro. Io non gli avrei mai chiesto di abbandonare il karate.
"Sei davvero impressionante, devo dirtelo. E' raro che un
attrice così giovane abbia una così grande dote
interpretativa."
Sorrisi e vidi Rei che rideva insieme a
me, soddisfatto della buona impressione che avevo fatto su Miyazaki.
"La ringrazio... cioè, volevo dire ti ringrazio. Ho la
tendenza a immedesimarmi un po' troppo in realtà."
Si alzò
dalla scrivania e venne a mettersi in mezzo a me e Rei,
incrociò le
braccia e i muscoli si tesero sotto la camicia. Sembrava meno alto da
dietro alla scrivania, invece da quella prospettiva sembrava almeno
più di un metro e ottanta.
"Sai, Sana... quando entri
dentro un personaggio non è mai troppo. E' sempre troppo
poco."
Probabilmente aveva ragione, ma io non volevo farmi coinvolgere
troppo dal personaggio che avrei interpretato di lì a poco,
perchè
aveva troppe emozioni negative, troppi sentimenti contrastanti e a me
già bastavano i miei, di sentimenti contrastanti.
Annuii e lui
tornò a sedersi alla scrivania, porgendomi una scheda
dell'attore
che mi avrebbe affiancato. La presi e cominciai a leggere.
"Si
chiama Shuzo Goro, ha la tua età ed è poco
conosciuto rispetto a
te. Ha preso parte però a molte opere teatrali, ad alcune di
loro ho
anche assistito e devo dire che ha un gran talento."
Cominciai
a scorrere tra i nomi delle rappresentazioni per vedere se ne avevamo
qualcuna in comune. Era stato Mercuzio in Romeo e Giulietta, e aveva
avuto anche molti ruoli minori in spettacoli in cui anche io avevo
preso parte.
"Sono sicura che lavoreremo al
meglio."
Miyazaki mi sorrise, alzandosi di nuovo dalla
poltrona.
"Allora andiamo a provare questa chimica."
Avevo il cuore che mi stava per scoppiare, speravo solo che
fosse veramente professionale, non volevo nessun problema nè
all'interno del set nè fuori, con Akito.
Chissà cosa stava
facendo, mentre camminavo per i corridoi di quel palazzo pensavo
solamente a come avrei fatto a nascondere l'entusiasmo per quel film
alla persona che avrebbe dovuto sostenermi più di tutte.
Scacciai
quei pensieri dalla mente quando, aperta una porta, mi ritrovai in
una stanza dove ci stava aspettando il mio coprotagonista. Sospirai,
cercando di calmarmi, e gli strinsi la mano sorridendogli.
Che
tragedia che quel lavoro mi piacesse così tanto!
*
La
posizione in cui mi trovavo era alquanto scomoda. Shuzo mi teneva per
i fianchi un po' troppo forte, le sue unghia mi stavano affondando
nella pelle, e vedevo che il mio telefono continuava a lampeggiare
tra le mani di Rei. Sapevo che era Akito e la consapevolezza che mi
stesse cercando mentre io ero tra le braccia di un altro uomo mi
infastidiva più di quanto desiderassi.
Comunque, dovevo
entrare velocemente nella testa di Miya, sentire quello che lei
sentiva e provare quello che lei provava. Sentirmi una prostituta non
era facile, tantomeno lo era sentirmi una psicopatica serial killer
che cerca vendetta, ma dovevo riuscirci se volevo fare una buona
impressione non solo per la mia capacità d'interpretazione
della
storia.
Dovevo concentrarmi.
Cosa pensa una prostituta?
Una prostituta che vuole uccidere. Shuzo continuava a stringermi i
fianchi, mi stava facendo davvero male. "Cosa pensi di
fare, Miya? Pensi che uccidermi sia la soluzione?". La sua voce
era roca, quasi strozzata, e sentivo il suo alito a pochi centimetri
da me. Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi e non mi piacque
quello che vidi. C'era uno strano misto di perversione e
concentrazione nei suoi occhi, che mi prosciugò dentro.
Sembrava di
essere soffocata da quello sguardo.
Provammo altre scene, una
dopo l'altra, e in ognuna di quelle la sua mano stringeva sempre di
più.
"Non vedo l'ora di girare la scena in albergo!".
Eravamo in un momento di pausa, Miyazaki aveva ricevuto una
telefonata e non voleva che provassimo senza la sua supervisione,
quindi ne approfittai per staccarmi da quelle mani. Volevo andare da
Rei, ma lui mi teneva lì a conversare, mentre io volevo
scappare da
quella situazione. Sapevo benissimo a quale scena si riferiva e io
rabbrividivo al solo pensiero. Avremmo dovuto fare sesso in una
camera d'hotel, tra lenzuola di seta nera e champagne, e la scena era
piuttosto esplicita e con battute davvero spinte.
Miyazaki
entrò di nuovo nella stanza, seguito da Rei che non mi ero
accorta
fosse uscito.
"Ok, ragazzi, proviamo la scena in albergo,
vi va? Voglio vedere come ve la cavate con una delle scene
più
difficili del copione."
Mi veniva da vomitare.
Non
potendo usufruire di un letto ci posizionammo sul divano e, quando
guardai Rei negli occhi, notai il suo imbarazzo. Una ragazza della
troupe che era entrata nella camera da poco mi porse un lenzuolo,
quindi la ringraziai e mi sdraiai accanto a Shuzo.
Chiusi gli
occhi per concentrarmi. Per essere Miya.
Quando li riaprii, ero
lei. Sentivo tutto il suo odio. Tutto il suo rancore. Sentivo anche
tutto l'amore che provava per Mark e che tentava disperatamente di
nascondere. Sentivo il suo desiderio.
"Continueremo a
vederci come due amanti, in questa strana relazione clandestina?".
Mi avvicinai all'orecchio di Shuzo e respirai così vicino a
lui che
quasi pensai che i nostri respiri si fossero uniti.
Fingevo di
amarlo, in quel momento. Dovevo conoscerlo. Dovevo sapere tutto di
lui, per distruggerlo. Dovevo arrivare alla sua famiglia.
Shuzo
cominciò a toccarmi. Era strano, ma inizialmente non
spiacevole,
semplicemente non provavo niente. Mi accarezzò la coscia,
facendo un
lento movimento con le dita, poi prese a sfiorarmi le labbra con le
dita.
"Vorresti diventare più di un'amante, Miya?".
Quelle parole nella sua bocca suonavano disgustose, non sapevo
perchè, e inizialmente diedi la colpa alla sua inesperienza.
"Si
dice fidanzata. Amplia il tuo vocabolario, signor Reynolds.".
Cercai di far vedere la mia finta sincerità, e ci riuscii a
pieno,
perchè mi infastidivo da sola, quindi era un buon segno.
Improvvisamente mi baciò. Inevitabilmente comparai i suoi
baci
con quelli di Akito, e non c'è nessun paragone. Quelli di
Akito
erano sensuali, appassionati, dolci... erano veri. I suoi mi
sembravano forzati, e lo erano, e soprattutto mi facevano venire il
voltastomaco. Allungai una mano tra le sue gambe, come da copione, ma
non lo toccai. Feci finta di massaggiarlo, mossi la mano lentamente,
ma non lo sfiorai nemmeno per un secondo.
Sentivo gli occhi di
Miyazaki addosso, quelli di Rei un po' meno perchè sapevo
che
vedermi in quelle vesti lo infastidiva sempre un po'.
"Sei
intraprendente, Miya. Mi piace."
Gli sorrisi, un sorriso
sghembo che doveva essere sensuale, ma forse non ero riuscita a pieno
a renderlo tale. Dovevo concentrarmi.
"La vita mi ha reso
intraprendente."
Lui mi sorrise di rimando, il suo invece
era un sorriso che sembrava sincero, ma dietro c'era un po' di
malinconia. E sempre quel tratto di perversione che non mi faceva
stare tranquilla. Il copione prevedeva che mi spogliassi in quel
momento, ma avevamo concordato che per la prova avremmo evitato.
Quando mi accorsi di ciò che stava facendo, era troppo
tardi.
Con una velocità per cui non mi resi conto di nulla,
infilò la mano
in mezzo alle mie gambe e, invece di fare come me, cominciò
a
toccarmi davvero e, mentre mi guardava con gli occhi infuocati, fece
pressione per far entrare un dito dentro di me. Una scossa di dolore
mi attraversò da capo a piedi. Non avevo mai provato niente
del
genere.
Mi allontanai immediatamente.
"Ma cosa stai
facendo?" urlai. Rei si avvicinò immediatamente, per capire
se
stavo bene. Scesi subito da sopra di lui e mi sistemai la gonna.
Mi
veniva da vomitare. Dovevo andarmene. Dovevo uscire da quella
maledetta stanza. Dovevo andarmene da quel maledetto edificio. Dovevo
dimenticare quel film, quel ragazzo che mi era sembrato tanto educato
a primo sguardo e quel regista che, invece, mi aveva compresa come
mai nessun altro.
Dovevo prendere aria.
Feci l'unica cosa
che sapevo fare: scappare. Non mi resi nemmeno conto che avevo le
scarpe in mano e che tra l'asfalto e i miei piedi non c'era alcuna
barriera.
La confusione di Tokyo mi invase le orecchie. Il caos
mi catturò l'anima e pensai che mi sarebbe scoppiata la
testa da un
momento all'altro.
Mi sentivo spaesata, avevo perso
l'orientamento, non riuscivo a ritrovare la strada di casa ed ero
senza soldi e senza cellulare. Avevo solo un paio di scarpe e il mio
nome.
Sana Kurata.
A volte mi sembrava che quel nome
fosse una maledizione, che avrebbe condotto alla mia fine in poco
tempo. Da piccola credevo che avrei potuto usarlo per fare
praticamente qualsiasi cosa, ma poi mi ero resa conto che non valeva
nulla, che non potevo vivere solo col mio nome e soprattutto che non
mi avrebbe dato la felicità solo perchè era mio.
Nessuno mi avrebbe
voluto veramente bene solo perchè mi chiamavo Sana Kurata.
Camminavo. I piedi mi facevano male. Non sapevo nemmeno
perchè
non mi rimettevo le scarpe, le persone cominciavano a guardarmi come
se fossi pazza. Alcuni mi avevano riconosciuta, ma non mi ero fermata
a parlare con nessuno di loro. Non riuscivo nemmeno a parlare.
Nessuno mi aveva mai toccata. Ci avevo appena pensato. Nessuno,
nemmeno Akito, nemmeno mio marito. E in quel momento si era distrutta
anche quella prima esperienza che avrei potuto avere con lui.
Il
ricordo del dolore che avevo provato mi invase improvvisamente la
testa. Non pensavo si provasse un dolore del genere, sapevo che non
era piacevole all'inizio, ma addirittura quella fitta
così... non
sapevo nemmeno che parola avrei dovuto usare. Come era stato, oltre
che doloroso?
Mi sentivo così umiliata. Avevo rovinato tutto,
solo per una stupida ambizione! Cosa avrebbe pensato Akito? Si
sarebbe arrabbiato? Dovevo dirglielo?
Ero confusa. Mi sentivo
stordita, come se il mio cervello stesse galleggiando.
Come
potevo spiegare ad Akito che quel ragazzo mi aveva toccata, mentre
con lui ci eravamo imposti di andare con i piedi di piombo? Quando
Akito mi avesse toccato, avrei provato la stessa sensazione? Avrei
ricordato immediatamente quel dolore e lo avrei allontanato?
Non
volevo pensare ad Akito. Non volevo pensare e basta.
I miei
passi mi condussero nell'unico luogo in cui mi sentivo davvero me
stessa, a mio agio, in pace. Davanti a me il mio, il nostro,
gazebo mi aspettava in silenzio.
Faceva freddo, i piedi mi si
stavano congelando, ma l'intorpidimento non mi spaventava
più,
volevo sentire proprio quello.
Fissai le gocce d'acqua che
cadevano prima lentamente e poi sempre più forti. La pioggia
faceva
un rumore rilassante, una melodia che serviva al mio cervello per
tornare alla normalità.
Mi rendevo conto di non aver subito
una vera e propria violenza, ma faceva male lo stesso, era disgustoso
lo stesso. Quel contatto... quelle dita. Il mio stomaco mi stava
dando il tormento.
Quando capii di non riuscire più a
trattenermi mi spostai verso l'aiuola e buttai fuori tutto quello che
potevo.
Era ufficialmente il peggior provino della mia vita.
Pov
Akito.
Avrei
dovuto accompagnare Sana a quel cazzo di provino. Erano cinque ore
che non rispondeva al telefono, Rei non sapeva dove fosse finita dopo
che era scappata dall'audizione senza un apparente motivo e il mio
cervello cominciava a farmi brutti scherzi.
L'avevo già
cercata per mezza città: a casa di sua madre, a casa di mio
padre,
nel cortile della nostra scuola elementare dove ogni tanto ci
rifugiavamo, al gazebo addirittura. Niente. Di Sana neanche l'ombra,
e quella sensazione di impotenza mi stava divorando. Non potevo
trovarla. Non potevo fare niente per lei, se non aspettare che
tornasse a casa.
Capivo perchè a volte le persone mi temevano,
in quei momenti - quando Sana non riusciva a far altro che farmi
impazzire - la mia mente produceva pensieri che spaventavano anche
me.
In quell'istante immaginai come potesse sentirsi chi brucia
una casa. Ero così furioso che avrei voluto dare fuoco a
quel
maledetto posto!
Rigiravo il cellulare tra le mani, aspettando
che mi chiamasse o che si facesse viva in qualche modo. Non ce la
facevo più, la sensazione di oppressione al centro del petto
mi
stava torturando.
Credetti di sognare quando una sagoma
completamente zuppa si presentò davanti a me.
Sana era un
fantasma. Non sembrava lei. Non poteva essere lei, perchè la
mia
Sana non avrebbe mai avuto quell'espressione.
Le corsi incontro
allargando le braccia e stringendola al petto. Me ne fregavo della
discussione, dei nostri problemi, del fatto che forse eravamo la
peggior cosa l'uno per l'altro, sapere che stava bene mi sembrava la
cosa più importante in quel momento.
"Dove sei stata
Sana?! Cazzo, ti ho cercata ovunque!".
Tirò su col naso,
dovevo sapere cosa diavolo era successo a quel provino
perchè se
aveva pianto significava che c'era davvero qualcosa di serio.
Le
portai indietro i capelli completamente fradici e le sfiorai la
guancia. Con mio grande stupore lei non si ritrasse, ma non mi
guardò
negli occhi nemmeno quando la costrinsi ad alzare il viso verso di
me.
"In giro. Ho fatto una passeggiata nella zona del
parco."
Non aprì gli occhi, forse perchè sapeva che non
appena avrebbe incrociato il mio sguardo avrei capito qualcosa che, a
suo parere, non dovevo capire.
"Che cosa è successo
Kurata? Parla, non dirmi che non è successo nulla
perchè è ovvio
che non è così!".
La mia voce salì di tono e lei si
coprì le orecchie con le mani. Quel gesto mi
spiazzò, non voleva
sentire la mia voce e le mie domande.
"Akito ti prego, non
ne voglio parlare. Domani."
Si accovacciò di nuovo sul mio
petto, stringendosi a me come mai l'avevo vista fare nella sua vita.
Non l'avevo mai vista così fragile, così piccola,
così
vulnerabile.
Non era la mia Sana quella.
La sollevai da
terra lentamente, il suo viso si sistemò nell'incavo del mio
collo e
mi sembrò di non poter sopportare la vista della mia Sana
così
distrutta.
A letto si appoggiò sul mio petto, tenendo gli
occhi chiusi e respirando affannosamente. Quella sua inquietudine mi
innervosiva, volevo aiutarla, tranquillizzarla, ma non potevo fare
niente se lei non voleva.
Non puoi aiutare chi non vuole essere
aiutato.
*
Non
sapevo se l'avevo sognato o se era successo per davvero: Sana che mi
supplicava di lasciar perdere, di non chiedere, di farla dormire e
basta. Mi rigirai nel letto e non la trovai, ma il solco sul
materasso mi fece capire che non si era alzata da molto. Guardai
l'ora nel telefono ed era abbastanza presto, ci eravamo addormentati
tardi la sera prima. Sana non riusciva a prendere sonno, tremava,
anche se le avevo tolto quei vestiti zuppi e asciugato un po' i
capelli, ma non riusciva a fermarsi.
L'avevo abbracciata ma il
tremore non si era arrestato finchè non si era addormentata.
Mi
tornò in mente il suo gesto di coprirsi le orecchie,
rabbrividii
solo a pensarci. Era stata la cosa più brutta che avesse mai
fatto
contro di me.
Ma c'era stato qualcosa a scatenarla, quella
reazione, quindi dovevo scoprire cosa era successo. Dopo che si era
addormentata avevo chiamato Rei per informarlo che era tornata a
casa, e lui mi disse che l'aveva avvertito prima di me, dicendogli
anche che non voleva più partecipare al film.
Non ero falso,
sentire quella notizia mi rese felice, più felice di quanto
avrebbe
dovuto, ma non potevo non ammettere che quel film mi avrebbe fatto
impazzire.
Mi alzai dal letto, cercandola in casa, ma di lei
nessuna traccia. Che fosse uscita di nuovo?
Dovevo andare a
prendere Kaori. Ormai erano giorni che era a casa della signora
Kurata, però lasciarla lì mi era sembrata la
soluzione migliore
vista la situazione precaria con Sana.
Ma lei dov'era?
Prima
di aprire la porta della camera della bambina la sentii parlare,
singhiozzare nel frattempo, e mi trattenni dall'entrare di colpo per
pretendere una spiegazione.
"Non voglio. Non ho intenzione
di lavorare ancora con quel lurido...". Le lacrime le bloccarono
la voce e io strinsi i pugni tanto che le nocche mi diventarono
bianche.
"Rei tu non hai visto cosa ha fatto, quindi non
dirmi di pensarci, non voglio fare questo film. Non mi interessa se
perderò tutti quei soldi, non me ne frega niente nemmeno
della
carriera. Non lavorerò con quelle persone!".
Rei stava
sicuramente insistendo, perchè la sentivo sbuffare e battere
nervosamente i piedi sul pavimento. Riusciva sempre a farla star
male, con quel lavoro del cazzo.
"Non credo che tu voglia
sapere cosa è successo, ti basta sapere che si è
avvicinato troppo,
ti basta sapere che non voglio avere più nulla a che fare
con lui,
con tutti loro."
Avevo capito. Ma non volevo crederci.
Spalancai la porta nello stesso istante in cui Sana chiuse il
telefono. Mi sembrava di stare per scoppiare, l'adrenalina che
sentivo dentro e la voglia che avevo di distruggere qualcosa mi
stavano divorando. Ero a pezzi.
Cosa le avevano fatto? Chi?
"Devi dirmi cosa cazzo è successo Sana!! Devi dirmelo, o
giuro su Dio che distruggo questa casa!".
La voglia che
avevo di radere al suolo tutto, persino me stesso, mi fece paura. Lo
sguardo di Sana mi fece altrettanta paura, perchè le lacrime
le
rigavano il viso ancora e ancora, come un fiume in piena che non
accennava a fermarsi.
Volevo avvicinarmi a lei e asciugare
quelle lacrime, ma se l'avessi toccata per un solo istante avrei
perso la capacità di intendere e di volere, quindi dovevo
starle
lontana. Dovevo essere padrone di me.
Vedendo che continuava a
non rispondermi la incalzai. "Devi dirmelo. Adesso."
ripetei, passandomi una mano tra i capelli e portandoli indietro.
Sana si spostò all'indietro, come se avesse pensato
ciò che
avevo pensato anche io, come se non volesse toccarmi, e un po' mi
sentii ferito. Ero un incoerente.
"Non parteciperò al
film. Non voglio, e Rei mi assilla perchè vuole che lo
faccia, ma io
non lo farò. E non devi chiedermi il perchè,
visto che non te lo
dirò."
Rimasi lì a fissarla, mentre con gli occhi bassi
e il fiato corto mi diceva attraverso le righe che non si fidava
abbastanza di me da rivelarmi cosa le era capitato.
La rabbia
montò dentro di me come un fuoco incontrollabile, sentivo la
mia
pelle ardere. Avrei potuto uccidere qualcuno in quel momento ma, non
appena stavo aprendo bocca per dirle qualcosa di sicuramente
offensivo, il mio cervello si illuminò.
Lei voleva
proteggermi. Non voleva che sapessi perchè, se fosse
successo, avrei
potuto commettere una pazzia e lei lo sapeva. Mi conosceva abbastanza
bene da sapere che non avrei dovuto scoprire davvero cosa era
successo, o mi sarei rovinato. Ma non m'importava.
La sentii
sospirare, come se aspettasse una mia brutta risposta, ma io non
volevo farla stare male, non volevo più farla soffrire.
Ero un
egoista, me ne resi conto solo in quel momento. Lei aveva sempre
fatto tutto per me, per tutta la sua vita, e io non l'avevo mai
ringraziata.
Lei mi aveva ridato la mia famiglia, mi aveva
supportato nella mia passione, mi aveva sposato, addirittura, per far
si che mia nipote non finisse in adozione, e adesso non mi diceva
qualcosa che le era successo perchè avrei potuto soffrirne.
Ma
quando avrebbe cominciato a pensare a se stessa?
Dovevo pensare
io a lei. Dovevo proteggerla, e lei doveva smetterla di sacrificarsi
per me.
"Vieni qui". Allargai le braccia e non dissi
nient'altro. Non ero bravo con le parole, potevo confortarla
nell'unico modo che conoscevo: standole vicino, in silenzio.
Si
avvicinò timidamente a me e si strinse sul mio petto come la
sera
prima, cingendomi la schiena con le braccia. La circondai con le
braccia e lei si perse in mezzo a me, avrei voluto non riconoscere
più le mie e le sue mani, perchè eravamo ormai
troppo l'uno parte
dell'altro.
Dovevo dedicarmi completamente a lei, farle capire
che non era da sola. Le accarezzai i capelli e le loro sfumature
rosse mi ipnotizzarono, quindi continuai per non so quanto tempo.
Sarebbero stati giorni difficili, Sana doveva riprendersi e
tornare ad essere se stessa, altrimenti non sapevo come avremmo
potuto sopravvivere ad un periodo di stallo così lungo. Il
nostro
rapporto era già in equilibrio precario, e lei lo era
altrettanto. E
io non volevo perdere ciò che avevamo ma, soprattutto, in
quel
momento volevo che lei stesse bene perchè mi sarei distrutto
se lei
non fosse tornata quella che era.
La amavo troppo per vederla
in quello stato, singhiozzare come una bambina per qualcuno che
l'aveva messa in difficoltà. Chiunque fosse stato, sarebbe
stato
meglio per lui che io non arrivassi mai al suo nome, o si sarebbe
trovato chiuso in una bara e coperto di terra in meno di cinque
minuti.
*
Nei
giorni successivi non andai a lavoro, nè
all'università, quasi non
misi piede fuori casa anche perchè i giornalisti erano
appostati
ovunque e non facevano altro che rompere i coglioni con le loro
domande.
Odiavo quell'aspetto della popolarità, odiavo essere
il marito di una star, essere seguito e disturbato in ogni mio
spostamento. Ma, se la star in questione era Sana, la mia migliore
amica da sempre e l'unica donna che avrei mai amato, allora ne valeva
la pena. Le corse per arrivare in auto, i piccoli travestimenti, lo
scappare non appena un flash attirava la mia attenzione. Ne valeva la
pena.
L'avevo coccolata e protetta in ogni modo possibile,
rispondevo al suo telefono per evitare che Rei la torturasse
più del
dovuto, e soprattutto non le avevo più chiesto di spiegarmi
cosa
fosse successo.
Non pensavo che me l'avrebbe detto, ma ormai
non mi importava più, l'unica cosa che mi interessava era
che lei
stesse bene, che tornasse a sorridere e ad arrabbiarsi con me, come
al solito.
Andai in camera da letto, dove la trovai
addormentata.
Si teneva le ginocchia vicino al petto, perchè
in un film una volta avevano detto che quella posizione aiutava a
calmare i nervi. Era dolce quando si soffermava su quelle piccole
cose, come se avessero potuto davvero essere importanti. Mi avvicinai
e mi sdraiai accanto a lei, ma non la toccai. Non volevo svegliarla,
era ancora troppo presto, io mi ero alzato semplicemente
perchè non
riuscivo a dormire.
Guardarla dormire mi era sempre piaciuto,
anche quando dormivo a casa sua nel weekend mi soffermavo ad
osservarla quando lei non se ne accorgeva.
Ogni tanto mi
piaceva anche giocherellare con i suoi capelli, ma lo facevo quando
volevo disturbarla e in quel momento non mi andava di svegliarla,
sarebbe stata di malumore tutto il giorno.
"No. Per favore
no. Smettila!". Scattai a sedere immediatamente, pensavo si
fosse svegliata, invece quando la guardai vidi che teneva ancora gli
occhi chiusi e che aveva un'espressione corrucciata sul volto.
"Non
mi toccare, ti prego." Continuava a lamentarsi nel sonno e io
sentii un vuoto allo stomaco che mi fece venire la nausea. Qualcuno,
a quel maledetto provino, le aveva messo le mani addosso e io non
potevo sopportare una cosa del genere. Non volevo che provasse un
dolore come quello, non volevo che si sentisse sporca come tutte le
ragazze a cui accade una cosa come quella.
Se avessi scoperto
chi era stato, lo avrei ucciso con le mie mani. Immaginai di
prendergli la testa e sbatterla a terra fino a che non avrei sentito
il rumore delle ossa che si sbriciolano, fino a che il sangue non mi
avesse imbrattato le mani e i vestiti.
Ma che diavolo mi stava
succedendo? Quando mai avevo pensato in quei termini? Stavo
impazzendo.
"NO! NO! LASCIAMI!!". Le sue urla mi
stavano straziando l'anima, quindi mi fiondai a cavalcioni su di lei
e le bloccai le mani sopra la testa.
"Sana! Sana
svegliati! Svegliati, ti prego!" urlai anch'io, cercando di
coprire le sue grida.
I suoi occhi si spalancarono e
incrociarono immediatamente i miei, era terrorizzata e allo stesso
tempo sollevata di vedere me dall'altra parte e sicuramente non
l'oggetto della sua paura.
Con un gesto fulmineo mi attirò a
se'.
"Sana cosa..."
"Sto bene, non dire
nulla. Solo... abbracciami."
Anche se sapevo che non stava
bene, che dietro quell'abbraccio c'era molto di più, che il
dolore
che stava provando era irrealizzabile a parole, non me lo feci
ripetere due volte e la strinsi più forte che potevo.
Avrei
voluto prendermi tutta quella sofferenza, ma non potevo, potevo
solamente darle tutto il mio sostegno, tutto il mio amore. Ero
consapevole che non sarebbe servito a niente, ma era l'unico modo per
non sentirmi inutile di fronte alla sua tristezza.
Pov
Sana.
Quell'incubo era stato orrendo, ma ormai erano
giorni che i brutti sogni mi tormentavano appena chiudevo gli occhi.
Ero stanca, non dormivo bene da troppo tempo, e ogni volta che
sentivo quelle mani sfiorarmi la pelle mi veniva voglia di urlare.
Avevo temuto che anche il tocco di Akito mi avrebbe fatto provare
quelle cose, invece era tutto il contrario: ogni volta che lui si
avvicinava a me e la sua pelle arrivava alla mia, mi sembrava sempre
come ritornare a respirare, mentre prima ero in apnea.
Era come
riprendere fiato.
Per questo, quando mi aveva svegliato, lo
avevo pregato di abbracciarmi, di stringermi, perchè mi
sentivo bene
solo quando lui mi era vicino.
"Dai Akito, fammi
entrare!". Scoppiai a ridere, tamburellando le dita sulla porta
della camera da letto, dove lui si era chiuso da un'ora come minimo.
Mi aveva tassativamente vietato di disturbarlo, ma la mia indole di
inguaribile rompiscatole aveva preso il sopravvento ed era da almeno
un quarto d'ora che lo pregavo di farmi entrare.
"Smettila
e vattene, entrerai quando lo dirò io!".
Non c'era nulla
da fare, non mi avrebbe fatto entrare nemmeno se mi fossi fatta
venire una crisi di nervi. Però provare non costava nulla...
No!
Ero una cretina, non sapevo godermi le sorprese.
Akito era
stato così dolce con me negli ultimi giorni, e io mi ero
resa conto
di amarlo ancora di più di quanto avrei mai immaginato.
Cominciai
a camminare avanti e indietro per il corridoio, sperando che si
decidesse ad aprire quella porta perchè la mia
curiosità mi stava
dando il tormento.
Doveva smetterla di preoccuparsi per me, non
volevo che condividesse con me le cose che stavo provando, volevo
solo che mi abbracciasse quando ne avevo bisogno e che stesse in
silenzio con me.
Non volevo che mi capisse. Non volevo che mi
consolasse. Volevo solo che ci fosse.
*
Le
mani di Akito mi tenevano chiusi gli occhi. Lui mi camminava dietro e
mi guidava verso la camera da letto da cui, finalmente, era uscito
pochi minuti prima.
Mi aveva fatta aspettare un'altra ora e poi
si era presentato da me, con la maglietta sporca di qualche strana
salsa, chiedendomi di chiudere gli occhi e di seguirlo.
Lo
avevo fatto senza protestare, anche se volevo rimproverarlo per
quella macchia che c'avrei messo una vita a togliere, ma mi trattenni
perchè ero troppo curiosa di sapere cosa aveva combinato
lì dentro
per tutto il pomeriggio.
Era uno stupido se pensava che una
sorpresa mi avrebbe stupita. Era lui che continuava a stupirmi: il
modo in cui era cambiato, in cui aveva scelto di migliorare per me e
per Kaori e, sicuramente, per sua sorella. Mi venne quasi da piangere
ma scacciai indietro le lacrime, volevo godermi il momento e non era
proprio quello adatto per fare la piagnucolona.
"Ok, ci
siamo. Adesso puoi aprire gli occhi.".
Ci bloccammo in
mezzo alla stanza, o almeno così mi sembrava e, quando Akito
tolse
le mani dalla mia faccia, aprii gli occhi e trovai il camino acceso
davanti a me e il tavolino vicino apparecchiato di tutto punto.
Era
dolcissimo. Era la persona migliore che potessi avere accanto in quel
momento, e lo avevo respinto così tante volte, lo avevo
allontanato
senza motivo.
Mi voltai e gli cinsi il collo con le braccia.
Lui mi sollevò da terra e ci trovammo faccia a faccia,
troppo vicini
per allontanarci e troppo lontani per toccarci veramente.
Era
una tortura il nostro rapporto. Eravamo costantemente preoccupati di
non far degenerare la cosa, e più ci preoccupavamo
più le cose
andavano male.
Io mi ero soffermata così tanto su quel
maledetto film che non avevo notato quanto potesse farlo soffrire, o
quanto potesse far soffrire me. Ero stata accecata dalla voglia di
migliorarmi, di portare avanti la mia carriera, e non mi ero neanche
accorta di quanto mi rendesse già molto felice la mia vita
con
Akito.
"Grazie... davvero, grazie. Non so che dire."
Mi sfiorò la guancia con il pollice, accarezzandola
dolcemente
e io mi sentii improvvisamente avvampare.
Speravo che non
smettesse mai di farmi quell'effetto.
Akito mi sorrise e io
vidi le porte del paradiso.
"Grazie
va benissimo, non preoccuparti."
Rimanemmo abbracciati
ancora per un po', fino a che non mi fece scendere perchè la
cena si
stava raffreddando.
"Non ho passato tre ore a cucinare per
poi dover buttare tutto.".
Gli feci una linguaccia.
"Quindi preferisci i cavoletti di Bruxelles a me?". Ne
afferrai uno e lo morsi, scoppiando a ridere e dimenticandomi per un
istante che dovevo dirgli cosa era successo se volevo che le cose tra
noi funzionassero.
Ma come facevo a dirglielo?
Conoscevo
Akito e non era di certo la persona più semplice con cui
parlare e,
soprattutto, di qualcosa che riguardava me e che, quindi, avrebbe
acceso la sua gelosia.
Tremavo al solo pensiero, ma dovevo
farlo.
*
La
cena era squisita, cosa che non mi aspettavo, visto che Akito non
cucinava mai e, quando cucinava, c'era sempre qualcosa che si
bruciava e andava a finire nella pattumiera.
"Lo confesso:
ho chiamato Aya per farmi aiutare!" disse come leggendomi nel
pensiero. Scoppiai a ridere, immaginandolo alle prese con i fornelli
e Aya, che non era di certo semplice da accontentare, tutti in una
volta.
"Non fa nulla...". Mi alzai e feci il giro del
tavolino per ritrovarmi davanti a lui che aprì le gambe e mi
fece
sdraiare in mezzo.
Quando mi abbracciò non era più il calore
del camino a ristorarmi, la sensazione delle sue braccia attorno a me
era qualcosa di... paradisiaco.
Akito fece scivolare lentamente
le sue mani verso i miei fianchi e pensai che stesse per baciarmi.
Non sapevo se sarei stata in grado di reggere una situazione
così
intima dopo quello che era successo.
Spiazzandomi del tutto
cominciò a farmi il solletico e io a ridere e urlare come
una
squilibrata.
"Akito, smettila!!" continuavo ad
urlare, ma lui non accennava a fermarsi. Ero terrorizzata. Se avesse
visto quello che cercavo disperatamente di nascondergli. Avrebbe dato
di matto.
Ridevo, ma la mia risata era finta, perchè ero
troppo preoccupata a non far salire il maglione e a non lasciare
scoperti i fianchi.
Come se mi avesse letto nel pensiero
cominciò a solleticarmi proprio sulla pancia e sui fianchi e
feci
una smorfia di dolore in mezzo a tutte le risate. Lui non
sembrò
accorgersene, per fortuna.
Ma non sarei stata sempre così
fortunata, perchè un secondo dopo il maglione si
alzò del tutto e
mi lasciò scoperti i lividi.
Vidi lo sguardo di Akito cambiare
immediatamente. Leggevo la furia nei suoi occhi e il mio mondo
andò
in pezzi in un istante.
"Cosa diavolo sono questi?".
Rimasi in silenzio, non sapevo davvero cosa rispondere. Mi ero
accorta di averli solo il giorno prima e avevo ringraziato il cielo
che lui non li avesse visti di sfuggita mentre mi vestivo. Ma non
potevo di certo sperare di scamparla così facilmente, nella
mia vita
non ci poteva essere nulla di semplice.
Sbuffai
automaticamente, adesso non mi sarebbe più mancato il suo
broncio,
perchè l'avrei visto per il resto della mia vita.
"Non
sono nulla." minimizzai mettendomi a sedere e abbassando il
maglione per coprirmi.
"Devi dirmi cosa sono, Sana."
Volevo andarmene, volevo scappare. Feci per alzarmi ma lui me
lo impedì afferrandomi per le spalle e tenendomi ferma.
"Solo...
ascoltami! Non voglio saperlo per forza, non voglio costringerti.
Voglio solo che tu sappia che, quando si tratta di te, voglio tutto.
Non voglio solo le cose belle o le cose felici, voglio anche il
marcio. E sono sicuro che questa sarà una cosa molto marcia,
ma
voglio saperla, perchè voglio aiutarti. Perchè
tengo a te. Perchè
ti amo. E questo non cambia, qualsiasi cosa sia accaduta."
Quella improvvisa dichiarazione mi strinse il cuore come mai mi
era capitato. Era la seconda volta che mi diceva che mi amava, avrei
dovuto ormai esserci abituata - o almeno tentare di abituarmici -
eppure quando lo sentii dire quelle due parole il mio cuore mi aveva
giocato un brutto tiro.
Scoppiai a piangere e strinsi ancora di
più il suo braccio, cercando il coraggio che mi serviva per
raccontargli cosa era successo. Sapevo che non era niente di
veramente grave, ma per me lo era, per me era stata la mia prima
esperienza intima e mi era stata rovinata. Mi ero sentita
così
umiliata... ma dovevo provare a parlare, dovevo almeno tentare di
dirglielo perchè mi sarei sentita meglio.
Ma lui si sarebbe
sentito peggio.
Comunque cominciai, cercando di controllare le
lacrime.
Pov
Akito.
Sana
si asciugò la lacrima che le era scesa sulla guancia
sinistra e si
tirò i capelli indietro. Cercava di trattenere le lacrime,
ma io lo
notavo e non volevo che lo facesse, volevo che si lasciasse andare,
che si sfogasse con me.
Quando cominciò a parlare chiusi gli
occhi, sperando e pregando per un solo istante che avesse esagerato
la sua reazione, che non fosse ciò che avevo immaginato per
tutti
quei giorni.
"Quando sono andata a fare il provino il
regista è stato molto carino con me, mi ha fatto un sacco di
complimenti lavorativamente parlando e io pensavo di aver trovato il
film della mia carriera, che mi avrebbe cambiato la vita. "
Si
fermò e prese un grosso respiro, io ritornai ad abbracciarla
e lei a
guardare il fuoco che scoppiettava davanti a noi.
"Abbiamo
fatto l'analisi del mio personaggio insieme, lui è rimasto
molto
colpito da me e dalle mie capacità, ma poi mi ha presentato
il mio
cooprotagonista.".
Strinsi i pugni, perchè sapevo dove
voleva andare a parare. Mi soffermai a guardare le mie vene del
braccio, per trovare qualcosa su cui concentrarmi mentre aspettavo
l'inevitabile.
"Dovevamo provare una scena un po'...
spinta e, approfittando del fatto che eravamo coperti da un maledetto
lenzuolo, lui..." Si fermò e si portò una mano al
viso,
coprendosi gli occhi. Non potevo essere più furioso, ma
continuai a
trattenermi. Era come se dentro avessi una molla, una gigantesca
molla, che stava per scattare. Da un momento all'altro mi sarei
ritrovato a distruggere qualcosa, e neanche Sana sarebbe riuscita a
fermarmi.
"Continua, Sana." le ordinai. Capii di aver
avuto un tono troppo autoritario. "Per favore." dissi
infine.
Fece come le avevo detto. "Lui mi ha..."
Non
riusciva proprio a dirlo quindi, anche se significava darmi una
pugnalata dritta al cuore, lo feci io per lei. Volevo risparmiarle
qualsiasi dolore. "Lui ti ha toccata."
Al sentire
quelle parole Sana andò in pezzi, in minuscoli pezzi che non
ero
capace di rimettere insieme. Volevo farlo, con tutto me stesso, ma
non potevo: lei era l'unica in grado di rialzarsi e dire addio allo
schifo che aveva dentro.
In compenso, lo schifo che avevo
dentro io, non se ne sarebbe mai andato. Non lo dissi a Sana, non
battei ciglio, la abbracciai e basta, ma avrei trovato quel maledetto
bastardo e l'avrei ucciso.
Tra le lacrime la vidi girarsi,
guardarmi come se mi stesse supplicando, ma supplicarmi di cosa?
"Ti
prego, perdonami..." disse mentre i singhiozzi la scuotevano.
"Mi dispiace così tanto!".
Inorridii capendo cosa mi
stava dicendo, pensava davvero che fosse colpa sua? E che per quello
non l'avrei più voluta?
Io non ero arrabbiato con lei, non lo
sarei mai stato, ma non ero capace di gestire una cosa come quella.
Mi sembrava di sprofondare sempre più lentamente in un
abisso in cui
Sana mi chiedeva aiuto. Un aiuto che io non sapevo darle.
"Ma
di cosa stai parlando?! Pensi che io ce l'abbia con te? E per cosa
poi, perchè un coglione, che morirà a breve, ti
ha messo le mani
addosso? Tu sei matta, Kurata! Non c'è niente, assolutamente
niente,
che possa farmi cambiare idea su di te o che possa cambiare i miei
sentimenti! Ficcatelo in testa!!".
Mi resi conto di stare
urlando e mi schiarii la voce, cercando di tornare al mio tono
normale ma probabilmente dovevo sembrare veramente esasperato,
perchè
Sana mi guardò come se avesse sentito chissà
quale cosa
sconvolgente. Era una stupida se anche solo pensava di allontanarsi
da me per quello.
Senza neanche che me ne accorgessi lei si
gettò su di me e appoggiò le sue labbra sul mio
collo, poi le
schiuse indugiando un po' sul bacio. Ero sorpreso e spaventato da
cosa significasse quel bacio, perchè con Sana tutto poteva
esere
imprevedibile. Pensavo che il mondo mi sarebbe crollato addosso da un
momento all'altro.
"Che cosa stai facendo? Hai capito
quello che ti ho detto?".
Non volevo che mi distraesse per
sviare il discorso, la conoscevo fin troppo bene.
Abbassai lo
sguardo, colto totalmente alla sprovvista, e nel suo sguardo vidi
distruzione ma soprattutto decisione e fermezza. Sapeva cosa stava
facendo e quello mi terrorizzava perchè io invece non ne
avevo idea.
Sana mi attirò di più a sè e
più si avvicinava più io mi
sentivo morire. Mi baciò freneticamente, e con la lingua
tentò di
schiudere le mie labbra. Volevo allontanarla, volevo che smettesse e
che non smettesse mai.
Mi guardò con aria ancora più decisa,
il mio autocontrollo stava già cominciando a vacillare.
"Fammi
dimenticare quella sensazione. Fammi dimenticare. Ti prego."
Sapeva come portarmi oltre il limite, se non potevo dire nulla
per farla stare bene avrei potuto fare qualcosa per farle dimenticare
quelle mani, almeno finchè non le avrei sbriciolate con le
mie.
La
baciai piano, con delicatezza, lei mi infilò le mani tra i
capelli e
io sentii vacillare sempre di più il mio autocontrollo.
Cominciai a
baciarla con più passione, facendola mettere a cavalcioni su
di me,
provando a darle ciò che mi aveva chiesto.
Con un gesto che mi
spiazzò, si tolse la maglietta e il mio cuore si
fermò per un
secondo perchè, anche se l'avevo vista tantissime volte in
reggiseno
quella volta era come se lei mi stesse dando tutta la fiducia del
mondo. Tutta per me, tra le mie dita.
Le mie mani scivolarono
dai suoi fianchi al suo seno, una tortura silenziosa e lenta che mi
stava distruggendo.
"Fammi dimenticare..." sussurrò
di nuovo, e quelle parole segnarono la mia disfatta. Non volevo che
lei soffrisse, volevo farle dimenticare anche il suo nome.
Cominciai
a posarle una serie di baci lungo la mandibola e poi dietro
l'orecchio, avevo imparato che quello era un punto in cui era
particolarmente sensibile.
Quando riuscii a riprendere, almeno
in parte, il controllo di me stesso mi avvicinai piano alle sue
mutandine, ma ero terrorizzato di farla stare male o che mi
allontanasse.
Spostai l'orlo della sua biancheria e,
improvvisamente, mi resi conto che Sana aveva cominciato a tremare e
che si era irrigidita in un istante. Spostai subito la mano.
Capii
immediatamente cosa era successo durante quella cazzo di prova.
Volevo ucciderlo. Gli avrei spaccato la testa sull'asfalto prima
ancora che potesse dire una parola.
"Sana..". Le
lacrime cominciarono a rigarle il viso e di scatto l'abbracciai,
sperando che si calmasse, o avrei dato di matto. Ma in quel momento
non si trattava di me, ne della mia gelosia, o del fatto che sarei
andato in prigione per omicidio. Si trattava di Sana e del fatto che
era distrutta e si stava lentamente sbriciolando davanti ai miei
occhi.
"Ti prego... ti prego, non dire niente.".
Stava per spostarsi, me ne accorgevo dal fatto che faceva pressione
sul mio petto per farmi alzare. Lo feci, ma con uno scatto la
afferrai per i fianchi e la feci sedere nella stessa posizione in cui
eravamo prima che il solletico mi rivelasse tutto quello che lei
tentava di nascondermi.
Presi la coperta che avevo messo vicino
a noi e la avvolsi tra le mie braccia, coprendoci entrambi.
Rimanemmo in quella posizione per molto tempo, io la cullavo e
non dicevo una parola, perchè temevo che mi respingesse ed
era
l'ultima cosa che volevo.
La sentivo lentamente rilassarsi,
dopo aver pianto probabilmente tutte le lacrime che aveva in corpo, e
speravo che mi parlasse.
Volevo solo aiutarla.
Improvvisamente, quando meno me l'aspettavo, la vidi alzarsi e
andare verso la porta.
"Dove vai?" chiesi
terrorizzato che mi lasciasse lì, da solo, dopo che avevo
tentato di
reprimere la mia peggiore reazione per farla stare meglio. Avevo
fatto qualcosa che non andava? Eppure non sembrava turbata mentre la
stavo abbracciando.
"Spengo la luce." disse infine, e
io feci un respiro di sollievo. Risi di me stesso, ormai ero
completamente dipendente da quella ragazza e se mesi prima mi
avessero detto che sarei stato spaventato all'idea di rimanere da
solo non ci avrei mai creduto.
Sana tornò da me, ma stavolta
si sdraiò su di me costringendomi a sdraiarmi a mia volta
sul
pavimento.
"Non so come ringraziarti per questa serata. E'
stato tutto perfetto, a parte la mia piccola crisi di nervi. Tu sei
stato perfetto."
Al buio era tutto più suggestivo,
riuscivo a vedere le nostre ombre che si muovevano sul muro. Le
avvolsi i fianchi con le mani, facendo attenzione a non premere
troppo per non farle male.
"Mi dispiace se...". Sana
mi mise un dito sulla bocca, zittendomi. Volevo disperatamente
baciarla... ma lei era così lontana da me. O almeno io la
percepivo
così.
"Adesso sta' zitto. Devo dirti una cosa e se ti
metti a parlare non riuscirò a farlo.".
Mimai il gesto di
chiudermi la bocca a chiave e la invitai a proseguire. Il fatto che
fosse coricata sopra di me e che il suo seno premesse sul mio metto
non mi aiutava a concentrarmi ma feci del mio meglio.
"Io
ti amo, Akito Hayama."
In quel momento catturò tutta la
mia attenzione. Lei sorrise, vedendo la mia espressione stupita.
"Lo
so che non te l'ho mai detto e che tu invece hai continuato a
ripetermelo da Capodanno ma... ero terrorizzata dall'idea che potesse
finire da un momento all'altro. Non siamo mai stati bravi a capire i
sentimenti l'uno dell'altro, tanto meno a dimostrarli, quindi avevo
paura. Ma ora... ora so che ti amo con tutta me stessa e che non
può
finire. Non potremmo lasciarci nemmeno se lo volessimo."
Aveva
ragione, non avrei potuto lasciarla nemmeno se tutto il mio corpo mi
avesse urlato di farlo. La amavo troppo e sentire dalla sua bocca che
anche lei amava me, dopo tutti quegli anni passati ad aspettare, a
guardarla di sottecchi, a nutrirmi di un sorriso e un abbraccio ogni
tanto, mi rendeva la persona più felice del mondo. Mi
rendeva vivo,
come non mi ero mai sentito.
"Pensavo che non l'avresti mai
detto.". Chiusi gli occhi, beandomi della sensazione che l'amare
e l'essere corrisposti dava. Era la cosa più bella che
avessi mai
provato, era l'unica motivazione per cui sopportavo tutta la merda
che comportava il suo lavoro e la sua popolarità. Il fatto
che la
ragazza che era con me in quel momento non era Sana Kurata, l'attrice
di fama internazione, ma Sana: la bambina che avevo conosciuto alle
elementari e che si stava trasformando in una splendida giovane
donna. La bambina di cui mi ero innamorato perchè mi aveva
tirato
fuori dal baratro e mi aveva trascinato con forza per tutto il
percorso della mia vita. La bambina che era diventata mia moglie.
Mi
veniva quasi da piangere.
Sana mi strinse a sè, posandomi un
leggero bacio sul collo.
"Meglio tardi che mai, no?".
Annuii vigorosamente e poi l'abbracciai, sperando che quel
momento non finisse mai.
Lei, invece, era di tutt'altro avviso.
Prese a baciarmi piano il collo, lasciando una scia che scendeva
verso il mio petto.
"Sana no... non voglio vederti
piangere di nuovo."
Lei mi sorrise e scosse la testa, e
quell'immagine era forse la cosa più eccitante che avevo mai
visto
nella vita.
"Non te lo chiederò un'altra volta: fammi
dimenticare.". Non riuscii ad oppormi, perchè anche se
sapevo
che era sbagliato, che lei non era pronta, io la volevo più
di
quanto avessi mai voluto qualsiasi cosa o persona nella mia vita. Ero
egoista, si, ma la amavo... e mi sentivo strappare le viscere
dall'interno ogni volta che mi allontanavo da lei.
Invertii le
posizioni e la feci mettere sotto, per poi spingermi ancora di
più
in mezzo alle sue gambe. Era meraviglioso essere così vicino
a lei.
Portai le mani dietro la sua schiena e indugiai per un secondo
sui gancetti del reggiseno, come per chiederle il permesso. Lei mi
sorrise e io lo tolsi, ritrovandomi con il suo seno nudo davanti agli
occhi. Pensai che sarei morto da un momento all'altro.
La
sentii mugolare sotto i miei baci e le mie mani, e cercai di
imprimermi quel suono nella testa, per non scordarlo mai.
Scesi
per baciarle il collo, e lei chiuse gli occhi. Vederla in quello
stato mi faceva impazzire.
Le mani di Sana arrivarono fino
all'orlo dei miei jeans, da cui si intravedevano i boxer, e io
abbassai lo sguardo sorpreso. Con un gesto repentino la
infilò
dentro e il contatto con la sua mano fredda mi fece sussultare.
Mentre mi toccava, mentre la sua mano andava su e giù dentro
i
miei boxer la mia forza di volontà venne spezzata del tutto.
Entrai
in un mondo che non avevo mai veramente conosciuto, Sana mi faceva
sentire come mai mi ero sentito nella mia vita.
Volevo
ricambiare il piacere che mi stava dando, ma sentivo le braccia molli
e il cervello che mi scoppiava, riuscivo solamente a baciarla. Il
calore delle sue labbra e della sua lingua attorno alla mia mi faceva
eccitare ancora di più. Avrei mai potuto amarla
più di così?
Scesi
un'altra volta verso le sue mutandine, sperando che stavolta non mi
avrebbe fermato.
Vedendo il dubbio nei miei occhi Sana circondò
la mia mano con la sua e la portò sotto la stoffa dell
mutandine.
Quel gesto mi spiazzò, ma lei mi aveva ripetuto in
continuazione che voleva dimenticare, che non voleva più
ricordare
quella sensazione. Lei voleva che fossi io il primo e io lo volevo
più di chiunque altro. Mi sembrava di impazzire mentre la
accarezzavo piano e sentivo i suoi gemiti.
"Akito..."
La
curva perfetta della sua bocca mentre pronunciava il mio nome mi fece
irriggidire ancora di più. Stavo per sentirmi male.
"Che
c'è? Ti ho.. ti ho fatto male?". Avevo paura di farla
soffrire,
che avrebbe provato disgusto per il mio tocco, che non avrei mai
potuto farle dimenticare la sensazione di essere toccata da qualcun
altro. Decisi di non pensare a cosa le era successo o avrei finito
per rovinare il momento.
Era calda, umida, e pensare che fino a
qualche mese prima eravamo così lontani che non immaginavamo
nemmeno
che saremmo finiti l'uno con le mani dentro le mutande dell'altro era
davveo surreale. Quell'immagine mi fece sorridere, ma aspettavo
ancora che lei rispondesse, perchè non sapevo se continuare
o
fermarmi e lasciarla andare.
"No... posso... continua!"
disse infine. Con l'altra mano cominciai a sfiorarle il seno prima
piano e poi con più forza, e la sentivo gemere sotto il mio
tocco.
Quello, e le mani di Sana che non smettevano di torturarmi,
bastarono a portarmi oltre il limite. I boxer divennero fradici e
avrei potuto giurare di aver visto Sana sorridere, soddisfatta del
suo lavoro. Risi a mia volta e mi godetti il momento. Non mi ero mai
sentito così, il fatto che fosse stata lei a procurarmi
quella
sensazione era più che sufficente per amplificare il
piacere.
Continuai a toccarla lentamente, volevo che la sua tortura
durasse di più, volevo che si imprimesse nel cervello
l'emozione del
fatto che fossero state le mie mani a farla stare così bene.
Continuava a stringere i pugni, cercando qualcosa a cui
aggrapparsi, qualcosa da stringere. Si mordeva le labbra per
contenere il piacere e io mi avvicinai e feci altrettanto,
perchè
volevo rivendicare tutto di lei. La sua bocca, il suo seno, la sua
schiena, le sue mani che sapevano fare magie, il suo essere
più
intimo.
Era mia.
Saperlo mi faceva sentire l'uomo più
fortunato della terra.
Affondai le dita nella pelle morbida dei
suoi fianchi, e con l'altra mano affondai ancora di più in
lei,
cercando di portarla nel luogo meraviglioso dove ero stato io pochi
minuti prima.
Mi resi conto che stava accadendo quando sentii
le sue gambe irriggidirsi. Aumentai il ritmo, prima lento e poi
furioso e, quando la sentii pronunciare di nuovo il mio nome con
quella voce spezzata, capii che era fatta.
Teneva gli occhi
chiusi e continuava a mordersi il labbro, e io volevo solo
possederla. Volevo che lei fosse mia, veramente, senza più
barriere
tra di noi.
Ma era ancora presto e, dopo aver aspettato per
oltre otto anni, quello che avevamo appena fatto mi sarebbe bastato
per un po'.
Mi sarebbe bastato davvero? Ora che avevo avuto un
assaggio di cosa poteva darmi il rapporto con Sana, forse non mi
sarei più accontentato di niente.
Dopo qualche minuto la
bellissima ragazza che avevo tra le mani riprese a respirare in modo
normale e i suoi occhi color nocciola mi fissarono per qualche
istante.
"Credo che dovresti dire qualcosa..."
sussurrai io, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Volevo
sentirmelo dire, anche se sapevo che era sbagliato costringerla,
anche se mi rendevo conto che forse la nostra prima esperienza intima
sarebbe dovuta andare diversamente, ma per me nessuna fantasia
sarebbe mai stata migliore della realtà.
Quando avevo sentito
la sua pelle morbida tra le dita... avrei potuto ricominciare
all'istante. Ma aspettavo ancora che lei parlasse, che mi dicesse che
andava tutto bene, perchè temevo che sarebbe crollata tra le
mie
mani e non volevo vedere la ragazza che amavo sbriciolarsi davanti a
me.
Infine
parlò. "Grazie per avermi fatto dimenticare."
Era
tutto ciò che volevo sentirmi dire. La strinsi fortissimo e
presi un
cuscino dal divano per appoggiarci la testa, poi la feci appoggiare
sul mio petto. Aveva i capelli tutti scompigliati e negli occhi una
scintilla che non aveva mai avuto, eppure non credevo di averla mai
vista più bella di così.
La
mia Sana... distrutta, spezzata,
fatta a pezzi. E io li avevo rimessi insieme.
La
guardai per un
ultimo istante prima di sentirla crollare nel sonno. Volevo solo che
fosse felice. Con me, con nessun altro.
Sana
poteva salvarmi
dall'abisso in cui mi ero sempre trovato, o buttarmici dentro con
tutta la sua forza. Ma, se il suo piano era cadere nell'abisso con
me, non mi sarei di certo lamentato.
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Capitolo 17 *** Paura di perderti. ***
CAPITOLO
16.
PAURA DI PERDERTI.
Pov
Sana.
Mi
sembrava di fluttuare in un mare profondo e azzurro. Non volevo
aprire gli occhi, non volevo muovermi, non volevo fare nulla, volevo
solo rimanere a crogiolarmi nella mia felicità. Ero
così contenta.
Non avevo mai immaginato che la felicità, l'appagamento,
facessero
quell'effetto.
Non
mi mossi per non svegliare Akito. Sentivo
ancora il suo respiro regolare, potevo percepire il movimento del
suo petto che si alzava e abbassava. Volevo svegliarmi in quel modo
tutte le mattine, preferibilmente evitando la parentesi sul pavimento
del salotto, con l'uomo della mia vita accanto e il cuore che stava
per scoppiarmi. Quando aprii gli occhi, invece, mi ritrovai Akito ad
un centimetro di distanza che mi fissava insistentemente.
"Buon
giorno anche a te!" esordii io, stampandogli un veloce bacio
sulle labbra. Lui non ricambiò e già la cosa mi
preoccupava. Si era
pentito?
"Stai
bene?". Non mi toccava nemmeno per
sbaglio e capii che era perchè voleva il mio permesso.
Ancora, dopo
quello che avevamo fatto, dopo tutto quello che ci eravamo detti,
temeva
ancora che io potessi spaventarmi o, peggio, che quei gesti pieni di
amore potessero riportarmi alla memoria altre mani.
Se
non lo avessi già fatto, lo avrei sposato!
Gli
sorrisi e lui
continuò a guardarmi con fare incerto.
"Sto
bene, Akito.
Smettila di preoccuparti per me.". Il tono della mia voce era
autoritario, ma comunque avevo tentato di essere il più
dolce
possibile: non volevo che si sentisse ferito.
"Bene."
cominciò, baciandomi teneramente. "Perchè voglio
il bis prima
che ci alziamo!".
Scoppiammo
a ridere, ero colpita dalla
sua improvvisa audacia, e lo abbracciai mettendomi a cavalcioni su di
lui.
"Mi
aspettavo un po' più di resistenza da te."
ammiccai. Volevo essere sensuale per lui, volevo che lui mi vedesse
bella e attraente, ed era una sensazione che non avevo mai
sperimentato prima.
Ci
guardammo per qualche secondo, volevo
solamente baciarlo e perdermi in lui, per dimenticare i casini e i
drammi infiniti della mia vita. Mi avvicinai lentamente, continuando
a guardarlo negli occhi, e lui poggiò le labbra sulla mia
fronte.
Amavo quel gesto, amavo quando cercava di infondermi tutto il suo
appoggio, perchè lo rendeva diverso dal solito Akito.
Le
sue
labbra erano calde e umide e mi facevano pensare al nostro primo
bacio ogni volta che le sfioravo. Allora sapevano di limone, erano un
po' aspre, ma realizzai che non ero riuscita a staccarmi, e non per
la sorpresa, come avevo sempre detto. Anche in quel momento erano
state una calamita per me.
"Sana...".
Quando lo
sentii pronunciare il mio nome gli circondai il collo con le braccia
e lui, di tutta risposta, mi afferrò per i fianchi e si mise
sopra
di me imprigionandomi immediatamente contro il materasso. Sentivo il
calore del suo corpo attraverso la biancheria e l'aria cominciava a
diventare pesante e densa.
Lo
baciai furiosamente, le nostre
lingue danzavano insieme e mi sembrava di morire, che il cuore mi
sarebbe scoppiato dentro il petto. Lui non parlava, si limitava a
tenere gli occhi fissi su di m mentre mi accarezzava il collo. Era
lento, lo faceva di proposito a farmi impazzire, ma avrei ricambiato
con la stessa moneta. Volevo che mi marchiasse, che lasciasse i segni
di quel momento, perchè volevo essere sua, stavolta
completamente.
Avvolsi le dita in mezzo ai suoi capelli biondi e li tirai piano, il
suo gemito mi disse che gli piaceva. Stare con Akito era catartico,
mi portava fuori dalla mia dimensione di attrice e mi trasformava
nella semplice ragazza di diciannove anni che ero.
"Ma
come ho fatto per tutta la mia vita?" sussurrò lui, prima di
slacciare il reggiseno, far scivolare le spalline per poi togliermelo
e perderlo tra le lenzuola. Mi imbarazzava sempre essere nuda
davanti a lui e mi sentivo le guance in fiamme, oltre che tutto il
resto.
"Non
devi vergognarti."
Mi
guardò
dritto negli occhi, sciogliendo ogni mio dubbio con il potere del suo
sguardo. Volevo fare l'amore con lui, non potevo più
aspettare e me
ne fregavo della voglia di andarci piano e con i piedi di
pombo.Volevo lui. E niente mi avrebbe impedito di andare fino in
fondo.
Pensarlo
era sicuramente più semplice che dirlo, ma lo
desideravo più di quanto fosse umanamente possibile, non
pensavo
nemmeno che si potesse desiderare qualcuno così tanto.
Lui
non
si fermò, mi baciava con foga e a me mancava il respiro.
La
mattinata passò tranquilla, tra baci e carezze, e per quei
momenti
mi sembrò che la vita avesse smesso di passarmi palle
sbagliate.
Ovviamente,
non sarebbe mai successo.
*
Guardai
fuori dalla finestra e poi tornai in salotto, a crogiolarmi nella mia
infelice condizione di attrice braccata dai giornalisti. Non
accennavano a schiodarsi da fuori casa mia, era un continuo
schiamazzo perchè litigavano per chi mi avrebbe intervistata
per
primo o per chi avrebbe scattato la prima foto.
Io
li
rispettavo, il loro era un lavoro come un altro e il giorno in cui
avessero smesso di occuparsi della mia vita la mia carriera sarebbe
finita, ma c'era un limite a tutto. Loro mi torturavano, non
facevano altro che seguirmi e disturbarmi e io non ce la facevo
più.
Era come vivere con la continua consapevolezza che non ci fosse nulla
di solo mio, perchè loro se ne appropriavano e, il
più delle volte,
lo distruggevano.
"Kurata?".
Ma l'avrebbe smessa mai
di chiamarmi in quel modo?
Lo
vidi arrivare in salotto a piedi
scalzi e a petto nudo. Da sotto l'elastico del pigiama si
intravedevano i boxer. Mi si seccò la gola in un secondo.
"Sono
ancora lì, eh?". Mi voltai a guardarli un'altra volta:
qualcuno lo conoscevo anche.
"Si,
non fanno altro che
gridare! A volte vorrei mandarli al diavolo senza preoccuparmi dei
loro giudizi."
Sospirai,
esasperata da quella situazione.
Akito si avvicinò a me e mi afferrò per i
fianchi, intrecciando le
mani dietro la mia schiena.
"Se
vuoi, esco e li ammazzo di
botte." scherzò. In realtà non era male come
idea.
"Sono
qui solo perchè ho abbandonato il film. Vorrano sapere i
motivi."
Akito
abbassò lo sguardo e mi accarezzò le punte
dei capelli che gli toccavano le mani dietro le mie spalle.
"Pensi
di fare qualche dichiarazione su quello che è successo?"
Gli
occhi di Akito mi supplicavano, ma non sapevo come interpretare
quella domanda. Voleva che lo facessi? Ma così tutti
avrebbero
saputo...
"Non
lo so..." ammisi. "Non credo di
volerlo. I giornalisti non mi lascerebbero più in pace."
Lui
annuì, sapendo che avevo ragione. Mi abbracciò
forte. Ero
spaventata all'idea di programmare un'intera vita con Akito Hayama,
la persona più complicata che avessi mai conosciuto.
Ce
l'avremmo fatta?
Non
volevo divorziare, in realtà non lo avevo mai voluto,
nemmeno quando il nostro matrimonio era una finzione.
Il
telefono di Akito squillò improvvisamente, lui lo prese
dalla tasca
senza smettere di abbracciarmi.
"E'
l'università."
disse aggrottando le sopracciglia.
"Rispondi,
io vado a
preparare il pranzo."
Schiacciò
il pulsante verde e, prima
di rispondere, si voltò a guardarmi con una faccia
disgustata. "Non
tagliarti Sana, ti prego."
Gli
feci una linguaccia e mi
diressi verso la cucina, vedendolo chiudersi in camera da letto per
rispondere alla chiamata.
Pov
Akito.
Risposi
immediatamente dopo essere uscito dal salotto e aver lasciato Sana
alla preparazione del pranzo, sperando di non ritrovarla con la pasta
tra i capelli.
"Pronto?".
Chiusi la porta della camera
da letto, andando a sedermi sul puff che Sana aveva comprato contro
la mia volontà.
"Signor
Akito Hayama?". Era una
donna, con una voce fastidiosamente squillante. "Sono la
signorina Zenjishi, la chiamo dall'università."
"Si,
mi dica.". Erano giorni che non mi presentavo a lezione,
probabilmente voleva chiedermi il motivo, visto che c'era stato un
seminario a cui avrei dovuto partecipare.
"L'ho
chiamata
perchè volevo informarla che lei, insieme ad altri cinque
componenti del corso di Archeologia del Paleolitico di diverse
università, è stato scelto per partecipare ad uno
stage di un mese
ad Osaka in cui avrà la possibilità di lavorare
in un laboratorio
di datazione reperti. Il professor Siroki ci ha pregato di dirle che
è una possibilità da non sottovalutare."
Sospirai,
sedendomi sul letto. Ci mancava solo quello! Sapevo che, se non avesi
accettato, Siroki avrebbe anche potuto bocciarmi anche se avessi
fatto un esame impeccabile. Ma, se avessi partecipato, Sana e Kaori
sarebbero rimaste da sole per un mese intero, proprio nel momento in
cui il mio rapporto con Sana stava migliorando.
"E
devo
confermare adesso?" chiesi, pensando che avrei voluto pensarci
prima di dare la mia disponibilità.
"No,
ma entro domani,
per favore. Il laboratorio e il museo che vi seguiranno in questo
progetto vogliono avere il numero preciso degli studenti
partecipanti."
Annuii,
un giorno sarebbe stato abbastanza
per decidere e soprattutto per dirlo a Sana.
"Va
bene,
allora domani do la conferma, la ringrazio."
La
segretaria
mi salutò e chiusi la chiamata; buttai il telefono sul
letto, non
sapevo come comportarmi, se accettare o no.
Cazzo.
Era una
possibilità troppo vantaggiosa per lasciarmela sfuggire, ma
non ero
sicuro di voler lasciare Sana per tutto quel tempo. Però lei
l'avrebbe fatto per il film, se non si fosse presentata quella
complicazione che ero ancora indeciso se risolvere con un omicidio o
con una denuncia, quindi perchè avrei dovuto rinunciarci?
"Akito?".
Sana bussò alla porta, aprendola piano. "E' successo
qualcosa?"
Scossi
la testa. "No, mi hanno chiamato
perchè sono stato scelto per uno stage in un laboratorio in
collaborazione con un museo."
"Ma
è una cosa
meravigliosa!". Si gettò su di me, baciandomi e sorridendomi
così tanto che pensai le si sarebbe rotta la mascella.
"Ad
Osaka." puntualizzai. Il suo sguardo cambiò subito. "Per
un mese." terminai, assestandole il colpo di grazia.
"Ah...".
Abbassò gli occhi, fissandomi le labbra. Ma
perchè faceva sempre
così? Avrei perso la lucidità necessaria per
affrontare quel
discorso.
"Bè..."
cominciò, per poi darmi un
leggero bacio. "Mi mancherai tanto."
Non
credevo che
sarebbe stato così facile.
"Non
devo andarci per
forza."
"Si
che devi. Il discorso del seguire le
proprie passioni non vale solo per me."
Mi
sorrise e io mi
rilassai immediatamente, le cinsi la vita con le braccia stringendola
ancora di più a me.
"Grazie."
mi limitai a dire.
Ero
eccitato, sarebbe stata un'esperienza incredibile, avrei
esaminato un sacco di fossili che altrimenti non avrei avuto molte
possibilità di vedere, se non dopo la laurea.
Ma
lasciare
Sana proprio in quel momento mi sembrava la cosa meno giusta da
fare. Decisi comunque di non dargli troppo peso, o avrei passato un
mese pieno di paranoie e dovevo concentrarmi sul mio lavoro
perchè,
se Sana aveva già un futuro e una carriera
dall'età di quattro anni
io, al contrario, avevo capito ciò che mi appassionava
davvero poco
prima di fare domanda all'università. Dovevo costruire la
mia
indipendenza.
Le
sorrisi e le baciai il naso, sapevo quanto lo
piacesse, e poi decidemmo di vestirci per andare a prendere Kaori.
Ma,
quando ci alzammo dal letto, anche a Sana squillò il
telefono.
Quanto
volevo trasferirmi in un'isola deserta!
Pov
Sana.
Guardai
lo schermo del cellulare che lampeggiava sul comodino. Era Rei, ma
non sapevo se rispondere o lasciarlo squillare a vuoto.
Akito
mi passò il telefono, capendo la mia indecisione.
"Rispondi."
mi ordinò.
Pigiai
il tasto verde e, senza neanche lasciarmi il
tempo di parlare, Rei mi urlò di accendere la televisione.
"Perchè,
che succede?". Andai verso la cucina, seguita da Akito.
"Tu
fallo e basta."
Accesi
la tv, come mi aveva chiesto, e
rimasi sbigottita alla vista di Miyazaki che indiceva una conferenza
stampa. Era su tutti i canali.
"La
signora Kurata ha avuto
le sue ragioni per decidere di abbandonare il mio progetto, ma senza
di lei non ci sarà alcun film, quindi annuncio pubblicamente
che
voglio mettere da parte per un po' questa pellicola e attendere che
Sana Kurata torni sui suoi passi, perchè è un
attrice di talento e
muoio dalla voglia di lavorare con lei."
Le
sue parole mi
investirono come un treno, era stato così dolce durante il
nostro
colloquio e mi dispiaceva deluderlo, visto che si era mostrato
così
disponibile nei miei confronti.
"E
adesso viene la parte
migliore." sentii dire a Rei dal telefono. Stava sogghignando.
"Ci
dica, signor Miyazaki, è un caso che Shuzo Goro sia
stato licenziato proprio subito dopo l'abbandono di Sana Kurata?"
Il
sangue mi si gelò nelle vene. L'aveva licenziato.
"Si,
è
un puro caso. Io e il signor Goro abbiamo avuto una piccola
divergenza d'opinione su come gestire il personaggio che avrebbe
interpretato, quindi abbiamo preferito interrompere il nostro
rapporto professionale. Adesso, nell'attesa della decisione, spero
positiva, della signora Kurata, stiamo cercando qualcuno di
più
vicino alle mie esigenze, per così dire. Ma lo ribadisco:
non
vedrete mai questo film senza Sana Kurata, e io sono disposto ad
aspettare tutto il tempo che lei vorrà. Ho tante altre
sceneggiature
già pronte per essere mandate alla casa cinematografica,
attendere
non sarà un problema."
Mi
veniva da piangere. Aveva licenziato Goro per me, anche se aveva
dissimulato la cosa. Ci teneva
davvero che fossi la sua protagonista e la cosa mi faceva
commuovere.
"Hai
sentito? Lui vuole te! Sana dimmi che
posso chiamare per dare la conferma della tua partecipazione!".
La
voce di Rei era lontana, poi mi accorsi che era perchè il
telefono era tra le mani di Akito che, subito, se lo portò
all'orecchio.
"Sagami,
ti richiama.". Chiuse la
telefonata e spense la televisione davanti ai miei occhi.
"Cosa
pensi?" gli chiesi, speranzosa che non mi attaccasse.
Lui
si strizzò gli occhi con le mani e poi mi guardò.
"Penso
che impazzirò nel vederti recitare in quel ruolo, ma il
discorso di
seguire le proprie passioni non vale solo per me.". Ripetè
volutamente le mie parole di poco prima.
Non
credevo di poterlo
amare di più. "Devi accettare, Sana. Ho letto il copione,
è
una storia troppo profonda per finire tra le mani di qualche
attricetta frivola. Sei tu Miya. E poi l'hai sentito il tizio qui...
senza di te non ci sarà nessun film."
Mi
rivolse un
sorriso meraviglioso, cercando di infondermi tutta la fiducia che mi
stava dando e io volevo solamente renderlo fiero di me. L'unico modo
che avevo per farlo era partecipare a quel film e dimostrare a tutti
che Sana Kurata era cresciuta non solo fisicamente ma anche e.
soprattutto, artisticamente ed era pronta a dimostrarlo a tutti
quelli che dicevano il contrario.
*
Ero
stata contattata da una famosa azienda di lingeriè per
essere il
volto della loro nuova campagna, e avevo accettato approfittando
dell'onda delle dichiarazioni di Miyazaki per trovare più
ingaggi
possibili. Erano giorni ormai che le mie giornate erano occupate tra
le foto e preparativi della partenza di Akito che, anche se non lo
davo a vedere, mi preoccupava abbastanza. La sua lontananza mi
sembrava già insopportabile e non riuscivo nemmeno a pensare
come
sarebbe stato non vederlo per un mese intero.
"Mi
raccomando Kurata, vai da Natsumi almeno una volta a settimana e
porta con te Kaori. Assicurati che mio padre mangi, chiamalo ogni
giorno se necessario e non incendiare casa, ti prego."
Akito
continuava a darmi raccomandazioni da più di mezz'ora, e io
continuavo ad ignorarlo. Mi aveva già riempito la testa con
mille
cose che avrei sicuramente dimenticato non appena lui avesse varcato
la soglia e lasciato casa nostra.
Ci
abbracciammo ancora, poi
lui si staccò leggermente e mi stampò un bacio
sulle labbra.
Leggero, delicato, perchè sapevamo che, se avessimo
cominciato a
baciarci per davvero, non saremmo stati in grado di fermarci.
"Adesso
vado." disse senza staccarsi.
"Vai."
Si
avventò su di me con forza, chiudendo la porta alle mie
spalle e baciandomi con foga, insinuandosi nella mia bocca come se
gli fosse mancato l'ossigeno e io fossi stata l'unica in grado di
dargliene un po'. Ricambiai il bacio, stringendomi a lui con tutta la
forza che avevo in corpo tanto da conficcargli le unghie nel
collo.
Mi
accarezzò i capelli e mentre ci baciavamo sospirò
ancora, come se si stesse trattenendo, e io avrei voluto chiudere a
chiave la porta e non lasciarlo mai andare via.
Non
potevo,
quindi provai con tutta me stessa ad allontanarmi. Lui opponeva
resistenza e a me venne da ridere, poi capì che facevo sul
serio.
"Ho
capito, va bene, me ne vado."
Aprii
di
nuovo la porta e lui prese la sua valigia, nel frattempo lanciata da
qualche parte nell'ingresso, e finalmente uscì da casa. Lo
guardai
con gli occhi che mi si stavano riempiendo di lacrime. Mi sentivo
ridicola, in fondo stava andando via per poco più di un
mese, ma
dopo tutto quello che avevamo affrontato stare senza di lui mi
sembrava una tortura.
"Ci
vediamo, Kurata.".
Salì
sul taxi e andò via, lasciandomi solo con quello sguardo.
Sarebbe
stato quello sguardo a darmi la spinta per concentrarmi sul mio
lavoro, perchè se Akito aveva finalmente trovato il suo
punto di
svolta, il mio era rappresentato da quel film e avrei dato tutta me
stessa perchè fosse l'esperienza più stimolante
della mia
carriera.
Pov
Akito.
Dopo
due settimane lontano da Tokyo mi sentivo allo stesso tempo
spensierato e preoccupato. Lo stage al laboratorio mi piaceva ogni
giorno di più, i professori che se ne occupavano avevano
solo belle
parole per me e avevo capito che era proprio quello che volevo fare
nella mia vita. D'altra parte però, la campagna
pubblicitaria che
Sana aveva appena terminato, mi stava creando non pochi problemi.
Osaka era tapezzata dalle sue fotografie in lingerie, tutti potevano
vedere mia moglie mezza nuda, e io non potevo far altro che calare la
testa e tacere, perchè era il suo lavoro e non potevo
interferire.
In realtà, era proprio quello che volevo. Ogni giorno i miei
compagni non facevano altro che fare apprezzamenti su di lei, li
sentivo commentare il suo culo o le sue tette e cercavo di contenermi
più che potevo, ma era difficile. Nessuno di loro sapeva che
io e
Sana eravamo sposati, avevano sentito del suo matrimonio ma,
fondamentalmente, non avevano mai visto una mia immagine da nessuna
parte.
Josuke
e Hiroto entrarono nella mia stanza stringendo
una bottiglia di vino tra le mani. Erano gli unici due che riuscivo a
tollerare.
"Hayama,
ma non ti rompi mai di fare
l'imbronciato? Divertiti con noi ogni tanto!" disse Hiroto,
accomodandosi sulla poltrona che avevo in camera. Josuke invece prese
posto sul letto, accanto a me.
Gli
lanciai un cuscino addosso e
loro scoppiarono a ridere.
"Non
avete di meglio da fare
che rompere i coglioni a me?"
"Bè...
effettivamente
potremmo uscire e divertirci, ma non sia mai che lasciamo il signor
Hayama a deprimersi da solo."
Fulminai
con lo sguardo
Josuke e lui smise subito di parlare.
"Ok,
ok. La smetto.
Ma tu dovresti scioglierti un po', divertiti! E' appena arrivato un
pullman di modelle russe, noi pensiamo di buttarci. Tu che fai, ti
unisci?"
Scossi
la testa, e Hiroto si alzò dalla
poltrona. "Non posso." risposi a denti stretti.
I
ragazzi scoppiarono a ridere, ma io non avevo affatto voglia di
ridere, volevo solo fare le valigie e tornare a casa. Sana mi
mancava, e non riuscivo a pensare ad altro. In più, i
commenti dei
miei compagni mi stavano facendo impazzire.
Me
la scoperei volentieri.
Chissà
che tette.
Una
troietta così... non la farei uscire dalla camera da letto
per giorni.
E
io non potevo dire niente. Non smettevano di parlare nemmeno per un
attimo. Ryozo era il peggiore, non faceva altro che torturarmi
perchè, anche se non capiva il motivo, si era accorto che le
sue
parole facevano scattare la mia rabbia. Il mio telefono
squillò, mi
fiondai a prenderlo dalla scrivania, e vidi che era Sana a chiamare.
Onestamente
ero indeciso se risponderle o meno, non ero
arrabbiato con lei ma mi infastidiva troppo il fatto che il suo
lavoro mi mettesse in difficoltà. Comunque, dopo qualche
squillo di
troppo, pigiai il pulsante verde e portai il telefono all'orecchio.
"Pronto?"
dissi, sperando di riuscire a nascondere il
mio nervosismo.
"Ciao,
straniero! Come sta andando la
serata?"
La
voce squillante di Sana mi colpì dritto al
cuore, lei era tranquilla e serena, mentre io continuavo a crearmi
problemi per qualcosa che dovevo solo imparare ad accettare.
Aprii
la porta della mia stanza e andai nel corridoio, appoggiandomi al
muro. "Abbastanza bene, e la tua?".
Non
mi rispose
subito e, nel frattempo, sentii un tonfo. "Sana, ma cosa stai
combinando?".
Lei
scoppiò a ridere, contagiandomi.
"Scusami, Aki, sono appena tornata a casa e stavo cercando di
togliermi le scarpe."
"E
sei caduta, ovviamente."
finii la frase per lei, sentendo la sua risata piena. Quanto mi
mancava vederla ridere...
Non
pensavo che tre settimane
potessero sembrare così infinite quando ti manca qualcuno
che ami.
"Sei
strano, Hayama. Cosa è successo?".
Ammutolii
all'istante, non riuscivo a dire nulla, perchè non capivo
come
potesse essere possibile che riuscisse a capire il mio stato d'animo
anche a chilometri di distanza.
Comunque
negai. "Nulla,
perchè?".
La
discussione si fece seria, e io sapevo già
che sarebbe finita con un litigio.
"Nulla?
Lo sento da qui
che c'è qualcosa che non va."
"Giuro,
Kurata, non è
successo nulla."
Non
sapevo cosa dirle, perchè in realtà
non era davvero successo nulla, eppure non ero in grado di mettere da
parte i miei pensieri.
"E'
per le foto?". Rimasi in
silenzio, ma lei aveva già capito tutto. "Avevi detto che ci
avresti provato..." sussurrò Sana, e sentivo tutta la sua
delusione.
"No...
Senti Sana, non sono io che scelgo le
persone con cui passare questo periodo, e mi sono ritrovato con gente
che non fa altro che rompermi con dei commenti su di te e il fatto
che la città sia tapezzata di cartelloni con le tue foto,
mezza
nuda, non aiuta di certo la situazione.". Buttai fuori tutto
d'un fiato, senza pesare le parole e me ne pentii immediatamente.
Dovevo smetterla di farla sentire in colpa per il suo lavoro!
"Che
genere di commenti?".
Sbuffai,
tirando indietro la testa
sul muro. "Non ha importanza, Sana. Non voglio litigare o farti
sentire in colpa, voglio solo che questo stage finisca e tornare a
casa." conclusi infine, cercando di essere convincente.
Lei
rimase il silenzio.
"Akito,
che genere di commenti?"
chiese di nuovo. Non potevo nasconderglielo nemmeno volendo,
perchè
avrebbe minato l'inizio del nostro rapporto.
"Commenti
molto pesanti, Sana. Qui tutti sognano di entrare nelle tue mutande,
lo capisci? Per me è estenuante!".
"Cerca
di non
ascoltarli allora!" urlò lei, agitandosi. Non volevo
litigare,
ma lei mi costringeva.
"E
come dovrei fare esattamente?
Tappandomi le orecchie? Devo lavorarci ogni dannato giorno con questi
imbecilli! E anche se ti avevo promesso di provarci, non credo di
esserci riuscito, ok?".
Sana
non disse nulla, la mia
sfuriata doveva averla colpita e soprattutto ferita, perchè
non
capitava spesso che lei restasse senza parole.
Mi
sentivo un
verme, per averla trattata in quel modo quando lei non si meritava
affatto il mio atteggiamento rancoroso.
"No..
Sana,
scusa..." sospirai.
"No,
Akito, hai ragione. Non ci
sei riuscito affatto."
Mi
chiuse il telefono in faccia e
io rimasi lì, appoggiato al muro, aspettando il momento in
cui la
mia vita sarebbe tornata alla normalità.
Pov
Sana.
Ero
esasperata. Stanca. Non riuscivo nemmeno a pensare lucidamente. Akito
era arrabbiato con me, con me che non facevo altro che sacrificarmi
per lui!
Lo
avevo sposato, dannazione!
Mentre
la mia vita
sentimentale andava in pezzi, a Kaori venne la felice idea di
mettersi a piangere, quindi mi fiondai nella sua camera e la presi in
braccio, cercando di calmarla.
Le
diedi il ciuccio e lei sembrò
smettere, quindi andai a sedermi sul divano, mentre la cullavo
dolcemente.
"Cosa
devo fare con tuo zio, piccolina?".
Lei
mi guardò con quegli occhioni ambrati, quasi uguali a
quelli di Akito. Quasi, perchè i suoi erano leggermente
più scuri
mentre quelli dello zio molto più tendenti al color miele.
Sbuffai.
Aspettavo una chiamata da Rei che, ovviamente, non si decideva ad
arrivare. L'azienda che mi aveva ingaggiato per la campagna
pubblicitaria di intimo mi aveva proposto un secondo servizio
fotografico non appena avessero preparato la collezione primaverile,
fra un mese o due, quindi Rei doveva confermarmi o meno la loro
richiesta.
Arrivai
alla conclusione che il mio lavoro sarebbe
stato sempre un problema tra me e Akito, un enorme macigno che
rischiava di caderci addosso e di schiacciare il nostro rapporto. Non
potevo rinunciare ai miei sogni, nemmeno per l'amore che provavo per
lui, e mi sembrava quasi di essere egoista. Ma, cosa c'era di male
nell'avere degli obiettivi? Lui ne aveva tanti, e anch'io dovevo
sentirmi appagata.
Perchè
non lo capiva? Cos'era che lo
rendeva così insicuro?
Forse
pensava che non lo amassi
abbastanza. Ma io lo amavo, e tanto, e non sopportavo che lui
pensasse il contrario. Non
era stato forse a causa del troppo amore che avevo deciso di sposarlo
e di fare da madre a sua nipote e, non era per lo stesso motivo, che
non avevo pensato neanche per un attimo a chiedergli di rinunciare a
questa opportunità ad Osaka, nonostante sapessi che sarei
restata sola a gestire una bambina di pochi
mesi? Quando si ama la felicità della persona che ti sta
vicino ha
la priorità, possibile che Akito non capiva che il mio
lavoro era
parte di me e che avevo voglia di dimostrare che i ruoli che mi
venivano assegnati esulavano dal mio aspetto fisico, perchè
dietro
c'erano stati sacrifici, rinunce
e tanto studio.
Kaori
si era quasi addormentata, le sfiorai la guancia paffuta e sentii la
sua pelle liscia contro le mie dita.
"Oh,
tesoro... cosa
posso fare? Devo andare da lui?".
Quando
le feci quella
domanda, anche se stava dormendo, Kaori emise un suono che la mia
mente interpretò come un si.
Non
dovevo perdere tempo.
*
Ci
avevo impiegato letteralmente una vita ad arrivare ad Osaka, avevo
dovuto lasciare Kaori a casa di mia madre e poi recuperare il
necessario per passare almeno tre giorni fuori casa.
Mi
sentivo
nervosa in modo quasi imbarazzante, non sapevo se ad Akito avrebbe
fatto piacere vedermi o se si sarebbe arrabbiato perchè non
lo avevo
avvertito.
Rei
mi aveva fatto milioni di storie perchè voleva
accompagnarmi, ma in macchina ci avrei impigegato il doppio del tempo
e in più avrei dovuto sentire le sue ramanzine indesiderate.
Arrivata alla stazione di Tocho Mae, cercai l'uscita più
vicina e
provai a trovare un taxi, che si accostò davanti a me pochi
minuti
dopo.
"Mido-Suji,
blocco 15, per favore."
Il
taxista mi sorrise e avviò il tassametro.
Non era tardi, le settedi
sera passate, e l'indirizzo dell'hotel di Akito era abbastanza
distante dalla stazione. Quello mi diede il tempo di riflettere un
po' sul da farsi, su come presentarmi davanti a lui e come spiegargli
il motivo della mia visita.
La
città di sera era stupenda, ci
ero stata tante volte ma sempre per lavoro quindi non mi ero mai
soffermata a guardare la sua bellezza.
Quando
arrivammo a
destinazione pagai la corsa e salutai il tassista,
ritrovandomi davanti l'imponente edificio. Ero terrorizzata, ma
dovevo farmi coraggio, perchè dovevo assolutamente salvare
il nostro
matrimonio.
Entrai
in albergo e andai verso la reception,
mentre una signora seduta su una poltroncina mi fissava, come se si
stesse chiedendo se ero veramente io o se mi stava scambiando per
qualcun'altra.
"Buona
sera signorina." dissi alla
ragazza annoiata che, non appena mi vide, sfoderò il suo
miglior
sorriso.
"Ma...
ma tu sei...?" urlò, battendo le
mani come una ragazzina.
"Ti
prego, ti prego! Non urlare,
non voglio che qualche giornalista arrivi qui a rovinarmi la
serata.".
Kiki,
così diceva il suo cartellino, si zittì
immediatamente ma continuò a sorridermi. "Certo, tutto
quello
che vuoi! Cosa posso fare per te? Posso darti del tu, vero?"
Era
dolce, quindi ricambiai il sorriso e parlai a bassa voce, cercando di
non farmi sentire dal gruppo di ragazzi che stavano nella hall e che
continuavano a fissarmi.
Forse
erano quelli i compagni di
Akito.
"Quei
ragazzi sono i partecipanti al progetto di
archeologia?".
Lei
annuì, guardandoli, poi aggrottò le
sopracciglia. "Si, ma credo ne manchi uno: un biondino davvero
niente male." sussurrò Kiki. Mi venne istintavamente da
ridere.
"Hai
bisogno di qualcos'altro?" mi chiese Kiki,
mentre io fissavo quei ragazzi che a poco a poco si andavano
avvicinando.
"No,
va bene così per adesso..." dissi
allontanandomi per sedermi al bar adiacente alla reception.
Mentre
sorseggiavo il mio drink vidi il gruppo di ragazzi avvicinarsi al
bar, ordinare e poi sedersi intorno ad un tavolo. Li osservai per un
po' e notai che oltre ad Akito mancava qualche altro componente del
gruppo. Mi feci coraggio e decisi di avvicinarmi con finta
noncuranza. Gli passai vicino, studiando ogni mio movimento, ordinai
un altro analcolico e mi sedetti allo sgabello, accavallando le
gambe, lasciate un po' scoperte dal vestito. Alcuni di loro mi
guardarono in modo lascivo e quando mi riconobbero gli apprezzamenti
pesanti si sprecarono, credendo di non essere sentiti. Adesso capivo
Akito, doveva assere difficile per lui controllare la rabbia e fare
l'indifferente, sentendo quei commenti piccanti
su di me. Uno di loro si avvicinò a me e mi disse che lui ed
i suoi
amici avrebbero avuto piacere se avessi accettato di sedermi con
loro. Era incredibile l'effetto che la notorietà avesse
sulle
persone, portandole a distorcere la realtà: per loro ero una
ragazza
da copertina, un oggetto delle loro più intime fantasie, non
mi
avrebbero mai visto come Sana Kurata, una semplice ragazza, ma solo
come l'immagine di un cartellone pubblicitario o di uno spot.
Cominciarono a riempirmi di domande e io gli raccontai che quel
viaggio fuori porta non era previsto, ma avevo deciso di rimandare
vari impegni lavorativi per fare una sorpresa a mio marito,
perché
erano, ormai, tre settimane che eravamo lontani. Uno di loro si fece
coraggio e mi domandò cosa ci avesse spinti a sposarci
così
giovani. Uno dei ragazzzi che non aveva smesso di farmi i raggi x da
quando ero arrivata, non perse occasione per fare una battuta
offensiva, affermando che era più che evidente il motivo per
cui mio
marito avesse voluto sposarmi, accompagnando queste affermazioni, con
gesti molto eloquenti. Lo fulminai con lo sguardo e gli dissi che era
questo il motivo per cui si sarebbe dovuto accontentare di una
semplice immagine, mentre mio marito avrebbe avuto la versione in
carne ed ossa. Mentre gli altri ragazzi si scusavano per il
comportamento inopportuno del loro amico, sentii il rumore delle
porte dell'ascensore che si aprivano e, da quelle uscì un
Akito con
la faccia imbronciata e annoiata. Quando i nostri occhi si
incrociarono il cuore cominciò a martellarmi nel petto e,
immediatamente, mi alzai per corrergli incontro. Mi strinse forte, mi
sollevò da terra e mi baciò. Quando si accorse
che il mio vestito,
nella foga del momento, si era alzato, mi mise a terra e riprendemmo
coscienza che non eravamo soli, diversi occhi ci fissavano. Akito mi
presentò e decidemmo di restare a cenare con loro,
nonostante
cercasse ogni scusa per potermi sfiorare, per realizzare che ero
lì,
finalmente, in carne e ossa. A fine serata l'atmosfera era ormai
rilassata e, quando Akito mi strinse la mano, capii che era arrivato
il momento di ritirarci in camera, finalmente.
In
ascensore,
quando ci ritrovammo da soli, mi voltai di colpo, incrociando i suoi
occhi dopo ben tre settimane di tortura. Gli gettai le braccia al
collo, baciandolo con foga.
Mi
aggrappai a lui con tutta la
forza che avevo, e me ne fregavo se la gonna mi lasciava praticamente
quasi nuda, me ne fregavo che i giornalisti avrebbero assediato
l'albergo entro un'ora al massimo, volevo solo stringermi ad Akito
senza preoccuparmi dei miei o dei suoi problemi. Eravamo solo io e
Akito, il resto del mondo non mi importava.
"Ma
che cosa
ci fai qui?" mi chiese lui, scostandosi leggermente tanto da
potermi guardare negli occhi.
"Sono
venuta per un certo
biondino di cui la receptionist è segretamente innamorata."
bisbigliai, a pochi centimetri dalla sua bocca.
Pochi
minuti
dopo eravamo in camera sua. A giudicare da come mi aveva accolta
doveva essere felice di vedermi, ma forse era solo l'euforia del
momento e mi avrebbe scagliato addosso tutta la sua ira non appena
avesse realizzato che ero lì per farmi perdonare.
Perdonare
cosa, poi? Non lo sapevo.
Si
avvicinò mentre io mi distendevo
sul suo letto, piccolissimo rispetto a quello di casa nostra, e mi
stiracchiavo cercando di sciogliere i nodi alla schiena dovuti al
viaggio stancante.
Me
lo ritrovai improvvisamente addosso,
troneggiava su di me in tutta la sua bellezza, e io mi sentivo
così
spaventata da ciò che avrebbe potuto dire. Non eravamo
ancora in
grado di definire a pieno la nostra storia, insomma ci amavamo, ma
non eravamo di certo bravi ad essere marito e moglie.
Non
ancora, almeno.
"Quindi...
ti sei fatta quattro ore di
treno solo per venire a trovarmi?". Si sporse verso di me e mi
diede un bacio a fior di labbra. Io annuii, sorridendo mentre le
nostre bocche si sfioravano.
"Mi
mancavi." sussurrai
tra un bacio e l'altro. "Pensi che i tuoi compagni la
smetteranno di darti fastidio adesso?".
Akito
sbuffò,
poggiandosi su un fianco accanto a me. "Spero di si. O dovrò
ucciderli, visto che adesso non sei più una semplice
fotografia da
osservare."
Gli
sorrisi, avvicinandomi a lui.
"Esattamente, quanto
ti sono mancata?"
Con
un gesto repentino mi afferrò e mi
portò su di lui, colmando la distanza che ci separava
baciandomi.
Volevo
che quella notte fosse speciale, finalmente la notte che
avevamo aspettato per anni, mentre il nostro rapporto cresceva e si
evolveva senza che noi ci accorgessimo dell'amore che ci aveva sempre
tenuto legati. Eravamo dei bambini, inesperti e ingenui, che avevano
affrontato sin troppe tragedie nella loro vita per rendersi conto di
quanto l'altro fosse importante.
Lo
amavo così tanto... ma
dovevo essere sincera con lui.
"Mi
hanno ingaggiato per un
altro servizio fotografico mentre eri via." Il suo sguardo
cambiò, ma non sembrava arrabbiato, semplicemente mi
ascoltava
attentamente. "Sarà per la collezione primaverile."
terminai.
Akito
annuì, accarezzandomi piano i capelli e
spostandoli dietro le orecchie. "Va bene così, Sana. Avevi
ragione tu."
Rimasi
ferma per un secondo sentendo quelle
parole. Mi stava dando ragione? Ma si sentiva bene?
"Sei
sempre stata comprensiva con me. Mi hai aiutato con Kaori, quando non
eri tenuta a farlo. Mi hai sposato. Non voglio rischiare di perderti
per una sciocchezza come questa. Non siamo più i ragazzini
di un
tempo, adesso siamo adulti, dobbiamo smetterla di scappare."
Lo
ascoltai attentamente, analizzando ogni singola parola, e una lacrima
mi scese involontariamente.
Lo
abbracciai così forte che
credetti di averlo soffocato, ma volevo solamente essere sua. Sua per
davvero.
"Facciamo
l'amore." dissi tutto d'un fiato,
senza accorgermi davvero delle parole che avevo appena pronunciato.
"Ma..
Sana...". Lo zittii immediatamente.
Era
il momento giusto. Lui era la persona giusta. L'unica persona che
volevo al mio fianco, che volevo ricordare per sempre.
"Ti
prego." sussurrai infine.
Akito
sembrava indeciso su cosa
fare, se darmi ascolto o aspettare ancora un po', perchè
probabilmente credeva lo dicessi solamente per la felicità
che
provavo in quel momento.
Decisi
di prendere l'iniziativa,
mettendomi a cavalcioni su di lui. "Ti prego." ripetei,
baciandolo.
Akito
sembrò convincersi, e prese ad accarezzarmi
lentamente sui fianchi, dove la maglia si alzava leggermente. Annuii,
in risposta alla sua domanda taciuta, e lui mi sfilò la
maglia dalla
testa. Io smisi di baciarlo il tempo necessario per fare lo stesso,
ritrovandomi davanti quel corpo che per così tanto tempo
avevo avuto
davanti senza vederlo per davvero.
"Non
voglio che sia
stasera." disse con un gemito. La delusione si impadronì di
me,
avevo fatto tutto quel viaggio per stare con lui, e mi
respingeva?
"Voglio
che sia tutto perfetto. Voglio andare
prima a cena, vederti indossare un bel vestito...". Si
avvicinò
per baciarmi, e io gli sorrisi, cercando di accettare il suo
discorso. "Voglio avere l'onore di togliertelo e di passare
tutta la notte con te."
Gli
saltai addosso e lo abbracciai,
stringendolo a me più forte che potevo. Era l'unica cosa
vera e
pulita che avevo sempre avuto e volevo anch'io che fosse tutto
perfetto, quindi annuii.
"Va
bene, Akito..."
sussurrai tra le sue braccia.
"Adesso
dormiamo, sarai
stanca.".
Si
preoccupava per me in ogni modo possibile e
io mi chiedevo se avessi mai potuto trovare qualcuno che tenesse a
me in quel modo, che si interessasse alle piccolezze. Lo guardai
adorante, lui si accorse dell'insistenza del mio sguardo e si
voltò,
sfoderando un'espressione interrogativa.
"Che
c'è?".
Sorrisi,
scuotendo la testa. "Ti amo. Tutto
qua." ammisi infine.
Akito
sorrise, sdraiandosi accanto a
me e abbracciandomi. "Buonanotte Kurata."
Ci
addormentammo in quella posizione, cullati dalla consapevolezza che
la sera successiva ci saremmo appartenuti per davvero.
Pov
Akito.
Guardavo
il petto di Sana alzarsi e abbassarsi ritmicamente, mentre lei era
ancora nel mondo dei sogni e io mi ero svegliato ore prima. Mi
capitava spesso di guardarla dormire, e ogni volta mi stupiva sempre
di più.
Fece
un gemito, spostandosi e tirando le lenzuola per
coprirsi meglio. La bocca rossa era leggermente aperta, e il labbro
inferiore era gonfio e lucido per via dei baci che ci eravamo
scambiati per tutta la notte.
Fuori
c'era un po' di trambusto,
ma inizialmente pensai che fosse dovuto all'arrivo di un nuovo gruppo
di turisti. Quando mi alzai e andai alla finestra mi accorsi che i
turisti non c'entravano niente e che l'ingresso dell'albergo era
assediato dai giornalisti.
"Non
ci credo..." dissi
tra me e me, portandomi una mano tra i capelli, confuso dalla
situazione e dalla ricerca di un modo per risolvere quel problema.
Era un casino.
Mentre
camminavo avanti e indietro davanti al
letto in cui Sana ancora dormiva beatamente, bussarono alla porta.
Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Josuke, ancora mezzo
addormentato ma con la rabbia dipinta in volto.
"Fuori
è
pieno di giornalisti, Hayama.".
"Zitto."
lo
bloccai, indicando Sana a letto. "Sta ancora dormendo, usciamo."
In
corridoio mi spiegò che era tutta opera di Ryozo, aveva
chiamato i giornalisti e se n'era pure vantato, il bastardo.
"Non
so nemmeno se qualcuno lo ha aiutato, so solo che dopo aver fatto una
telefonata quegli avvoltoi si sono presentati qui sotto." disse
con un'espressione corruciata in volto. Annuii, consapevole che
bastava un niente per attirare l'attenzione della stampa, soprattutto
quando si parlava di Sana.
"Lo
sapevo che quel bastardo
avrebbe fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote."
Sbuffai.
"Fammi un favore: vai a parlare col direttore,
digli che ho bisogno di un'uscita d'emergenza sicura e di una
macchina a quell'uscita. Fra poco scendo io e organizzo
tutto."
Josuke
annuì e corse verso l'ascensore,
lasciandomi solo a organizzare i miei pensieri. Rientrai in camera e,
non appena aprii la porta, trovai Sana già vestita e con la
borsa
pronta tra le mani.
"Già
sveglia?"
"Ho
sentito voci e confusione, ho aperto la finestra e, come per magia,
l'incubo della mia vita si è materializzato di nuovo." disse
sorridendo, ma con una punta di fastidio nella voce.
"Mi
vesto e ce ne andiamo."
Corsi
in bagno, presi le prime cose
che trovai nei cassetti e, dopo aver preso un po' di soldi dalla
cassaforte dell'albergo io e Sana uscimmo dalla camera.
Il
direttore ci riservò un'uscita di sicurezza che usammo per
aggirare
i giornalisti, e in pochi minuti ci ritrovammo in macchina.
"Dove
andiamo?" chiese Sana sorridendo, eccitata dalla giornata che
avremmo passato insieme.
"E'
una sorpresa." risposi,
ricambiando il sorriso.
Avevo
in mente qualcosa che Sana non
avrebbe dimenticato tanto presto.
*
Sana
continuava a chiedermi dove la stessi portando, mentre camminava
bendata, guidata solo dalle mie mani.
"Fai
le sorprese in
grande stile tu, eh?". Camminava inciampando ogni tanto, quindi
facevo ben attenzione a dove le facevo mettere i piedi, per evitare
di vederla rovinare a terra. Era molto elegante, anche se i suoi
capelli erano tutti arruffati, ma in ogni caso non riusciva a
nascondere la sua bellezza. Non avrebbe potuto nemmeno se ci avesse
provato.
"Vieni
avanti. Ancora. Ancora." continuai a
guidarla fino a che non ci ritrovammo davanti al cancelletto
d'entrata.
Avevo
preparato tutto. Negli ultimi mesi ci ero
venuto spesso, per sistemare le pareti, ridipingere e arredare tutta
la casa. Ne avevo parlato con mio padre dopo l'arrivo di Kaori a
casa, e lui mi aveva aiutato a non far capire nulla a Sana.
"Akito,
ora basta." disse fermandosi davanti alla porta di casa. "Dimmi
dove siamo.".
La
trascinai più avanti e poi aprii la
porta. "Siamo in un posto molto speciale." risposi io,
entrando e accendendo la luce.
Sana
continuava a muoversi in
modo scordinato, mi venne da sorridere nel guardarla. Era nervosa e
si vedeva.
Le
ripresi la mano, avvicinandola alla porta.
"C'è
un gradino qui.". Lei alzò subito il piede e per poco non
cadeva, quindi l'afferrai e i nostri corpi scivolarono l'uno
sull'altro. Le posai un leggero bacio sulle labbra, lei mi sorrise e
il fatto che non potessi guardarla negli occhi era confortante,
almeno non avrebbe potuto vedere la tensione che sentivo addosso in
quel momento.
"Vieni,
andiamo." le sussurrai a un
millimetro dalla bocca, poi le presi la mano e la trascinai per tutta
la casa, fermandomi in salotto. L'avevo preparato in ogni dettaglio,
ogni mobile, ogni quadro, ogni singolo oggetto che c'era in quella
casa era stato scelto con cura e pensando sempre e solo a lei.
"Sbaglio
o sento il rumore del mare?" squittì Sana,
eccitata perchè adorava andare in spiaggia, ed era proprio
per quel
motivo che quando mio padre mi aveva detto della casa a Sandanbeki,
mi ero subito prodigato per rimetterla in sesto.
Ormai
la mia
vita era un susseguirsi di scelte fatte in funzione di Sana.
La
feci mettere davanti alla finestra, lasciandola lì per un
paio di
minuti mentre mi guardavo attorno per controllare che tutto fosse
perfetto. Poi tornai dietro di lei e, lentamente, le tolsi la benda.
Pov
Sana.
Lo
spettacolo che mi si mostrò davanti era mozzafiato. Il mare
si
scontrava piano con la sabbia, il rumore delle onde era ipnotico, e
io pensai di essere in paradiso.
Akito
era dietro di me, mi
cingeva la vita tenendo ancora tra le mani la benda, sentivo il suo
respiro alle mie spalle, che mi sfiorava il collo. Il mio corpo
sembrava recepire anche il minimo movimento del suo, e mi stupii di
non averlo mai notato prima. Le mie terminazioni nervose lo
cercavano, lo sentivano, lo percepivano più di qualsiasi
altra cosa.
"E'
stupendo.." sussurrai voltandomi verso di lui e
incrociando i suoi occhi ambrati. La luce del sole colpiva le sue
iridi e creava sfumature che andavano dal nocciola al dorato, un
meraviglioso gioco di colori che rimasi incantata a guardare.
"Sapevo
che ti sarebbe piaciuto." si limitò a dire
lui, stringendomi ancora di più a lui. Avrei voluto che quel
momento
non finisse mai, che potessimo dimenticare le nostre vite e i nostri
problemi per rimanere in quella casa per sempre.
Mi
avvicinai a
lui, baciandolo prima lentamente e poi con tutta la passione che
avevo in corpo. La sua bocca si posò leggera sulla mia, la
sua
lingua tracciò piano i contorni delle mie labbra fino a
farle
schiudere come se volesse convincermi. Avrei mai potuto resistergli,
in ogni caso?
Mi
sembrava impossibile.
Ogni
istante che
passavo con Akito era una secchiata d'acqua gelida, sapevo di amarlo
con tutta me stessa ma non sapevo quanto quell'amore potesse
distruggermi.
Le
sue mani scesero sui miei fianchi, facendomi
venire la pelle d'oca in ogni parte del corpo. Gli gettai le braccia
al collo e lascia che la me più intima prendesse il
sopravvento:
volevo essere sua e lo volevo in quel momento.
Ma
Akito non era
della stessa opinione, e lo sapevo, voleva che fosse tutto perfetto,
per me, perchè mi amava. E io non volevo togliergli quella
soddisfazione.
Mi
staccai lentamente, sorridendogli mentre gli
passavo la mano tra i capelli già arruffati. Ricordai che
voleva
cenare insieme, passare una bella serata, e io volevo solo avere la
possibilità di stare con lui più tempo possibile,
prima di tornare
alle nostre vite.
"Allora...
questa cena?" dissi
quasi senza fiato. Akito accennò un sorriso e si
staccò velocemente
da me, andando verso il corridoio. Non mi aveva ancora mostrato la
casa quindi non sapevo dove stesse andando.
Quando
tornò aveva indosso un grembiule da cuoco e sembrava davvero
convinto di
mettersi ai fornelli.
Non
aveva avuto il tempo di andare prima
alla casa e cominciare a preparare, ma cercai di sgomberare la mente
per essere totalmente concentrata su di lui e sulla nostra serata.
Mi
accompagnò in camera, al centro c'era un enorme letto
matrimoniale. L'arredamento era molto rustico, l'avevo notato anche
in soggiorno, e mi piaceva tutto di quella casa. Forse
perchè era un
po' il nostro rifugio.
"Questa
è la camera da letto. Puoi
posare tutto qui e raggiungermi in cucina quando sarà tutto
pronto."
Mi
voltai per rivolgergli uno sguardo di
sconcerto.
"Stai
scherzando, spero." dissi mentre mi
liberavo della borsa e della giacca. "Non lascerò che la
nostra
cena sia nelle tue mani."
Akito
sbuffò e si diresse verso
la cucina, sapendo perfettamente che lo avrei seguito di lì
a poco.
Mi
accomodai sul letto per un attimo, cercando di mettere a
posto i pensieri che affollavano la mia mente. Poggiai una mano sul
mio petto, ascoltando i battiti del mio cuore che minacciava di
strappare la pelle e uscire fuori.
Tutto
sarebbe cambiato, io
sarei cambiata. Però volevo cambiare, ero pronta. Volevo
appartenere
a qualcuno, e quel qualcuno era Akito e sarebbe stato sempre e solo
lui, di questo ne ero certa. Decisi di cambiarmi, non ero abbastanza
comoda con i jeans quindi presi un vestito in jersey dalla borsa e lo
indossai, togliendomi le scarpe e rimanendo a piedi nudi.
Andai
verso la porta e la aprii, trovandomi in corridoio. Feci un respiro
profondo e mi incamminai verso la cucina, riconoscendola dalla luce
accesa, mentre il cuore mi sobbalzava nel petto per farmi capire
che, finalmente, ero felice.
*
Quando
Akito mi vide i suoi occhi si illuminarono, mi fissò da
testa a
piedi e poi mi indicò la scodella piena di pezzetti di polpo
che
aveva tra le mani. L'avevo visto sorridere di più nelle
ultime due
ore che in tutta la nostra vita e il fatto che fosse a causa mia mi
faceva sentire meravigliosamente bene. Quando riuscii a distogliere
lo sguardo dal suo, notai che si era cambiato anche lui, indossando
un paio di jeans strappati e una maglia bianca a maniche corte e che
aveva lasciato i capelli ribelli, proprio come piacevano a me. Gli
sorrisi e lui mi disse di avvicinarmi se volevamo mangiare in
tempo.
"Takoyaki,
eh?." commentai vedendo tutti gli
ingredienti. Aveva pensato ad ogni dettaglio, ma ancora non mi aveva
spiegato come avesse fatto ad affittare quella casa in così
poco
tempo.
Quando
si sporse per prendere la farina e le nostre
braccia si sfiorarono, glielo chiesi.
"No,
in realtà è
dei miei nonni. Sono... sono venuto ogni settimana per controllare i
lavori di ristrutturazione."
Ricordai
immediatamente che,
ogni week-end, Akito mi lasciava a casa per qualche ora con la scusa
di andare da Tsuyoshi.
"E
tu hai fatto tutto questo, per
me?" gli chiesi, senza neanche accorgermi quanto potesse suonare
patetica quella domanda. Akito non rispose, si limitò ad
annuire e a
continuare a mescolare la farina con il brodo e l'acqua.
"Accendi
la piastra." mi ordinò, e io feci come mi aveva detto.
Preparammo
la cena in poco tempo, ridendo come due imbecilli
per ogni pezzo di polpo che ci cadeva dalle mani per il troppo olio,
o per la farina che mi era finita, ovviamente, sul naso.
Sorrisi
pensando che quel ragazzo avrebbe fatto di tutto per me e che non
avrei mai potuto ripagarlo per tutto l'amore che mi donava ogni
giorno.
La
serata passò velocemente, ridemmo tanto, così
tanto che non immaginavo fosse possibile, e più stavo con
lui più
mi rendevo conto che tutte le riserve di cui mi ero fatta scudo negli
anni erano state solo una scusa, che non avevo mai voluto vedere i
miei sentimenti perchè ero terrorizzata da loro, proprio
come ero
terrorizzata in quel momento da ciò che sarebbe successo. Le
conseguenze emotive sarebbero state devastanti se qualcosa fosse
andato storto.
Ma
cosa poteva andare storto quando l'amore che
provavamo l'uno per l'altro era più forte di qualsiasi cosa?
Scacciai
ogni pensiero, mi alzai dalla sedia e andai verso di
lui, aggirando il tavolo. Sentii la temperatura e l'atmosfera
cambiare, diventare più densa, e le mie guance andare in
fiamme.
"Anche
io ho una sorpresa per te." dissi tutto d'un
fiato, cercando di non far trasparire il nervosismo nella voce.
Akito
mi rivolse uno sguardo interrogativo, ma capendo che non era
più il
momento di scherzare, poggiò il tovagliolo lentamente sul
tavolo,
senza staccare gli occhi dai miei. "Abbiamo discusso tanto per
la campagna pubblicitaria, per le foto in tutta la città e
per la
lingeriè che, in realtà, non abbiamo riflettuto
abbastanza sul
punto cruciale."
Akito
annuì, rimanendo seduto e con lo
sguardo in alto per raggiungere i miei occhi. Mi sentivo in imbarazzo
e profondamente vulnerabile, ma dovevo reagire e superare le mie
paure.
Portai
le mani verso l'incavo delle spalle, toccando le
spalline del vestito. Le abbassai velocemente, per non dare al mio
cervello il tempo di sintetizzare la pazzia che stavo facendo. Quando
il silenzio invase la stanza già silenziosa, gli occhi di
Akito
cambiarono immediatamente e, quando feci cadere il vestito ai miei
piedi, in una pozzanghera di stoffa, smise di respirare.
"E
quale sarebbe il punto cruciale, Sana?" chiese quando riprese
finalmente a gonfiare il petto d'ossigeno.
"Che
il mondo
intero può solo guardarmi su un cartellone pubblicitario o
su una
rivista indossare questa biancheria, mentre tu..." esitai, non
sapendo come dirglielo.
"Io?"
mi incalzò, alzandosi
finalmente dalla sedia.
"Tu
puoi avere tutto.". Presi
la sua mano e la poggiai sulla mia spalla nuda. Chiusi gli occhi nel
sentire il suo tocco leggero sulla pelle e sospirai non appena la sua
mano raggiunse la curva del mio seno.
Quando
aprii gli occhi e
incrociai lo sguardo di Akito, tutto il desiderio, tutta l'attesa,
tutto l'amore che provavo per lui salì a galla ricoprendo
ogni
cellula del mio corpo. Gli circondai la vita con le gambe e con le
braccia il suo collo, lo baciai come se la mia vita dipendesse da
quello e lui fece lo stesso. Il contatto della mia pelle con i suoi
vestiti mi diede i brividi e, quando sentii tutto quello che c'era
sulla tavola cadere rovinosamente a terra, aprii gli occhi
all'improvviso. Mi ritrovai sdraiata sul tavolo con Akito che
troneggiava su di me, mentre cercavo di togliergli la camicia. Lui mi
aiutò a sbarazzarmi della barriera di stoffa che ci
separava.
Le
nostre mani viaggiavano le une sul corpo dell'altro, mi sembrava di
essere in paradiso, ma mi sbagliavo. Il paradiso arrivò
quando Akito
mise le braccia sotto le mie ginocchia e, senza smettere di baciarmi,
mi portò in camera da letto, chiudendo la porta alle sue
spalle.
Mi
adagiò a letto e, prima di tornare sopra di me, si tolse i
pantaloni
rimanendo in boxer davanti ai miei occhi. Di solito si dice che il
corpo nudo di un uomo non sarà mai bello quanto quello di
una donna.
In quel momento pensai che chi aveva detto quell'assurdità
non aveva
mai visto il corpo di Akito. Era perfetto. Le spalle larghe e la vita
stretta rendevano la sua figura armoniosa e indiscutibilmente
bellissima.
Akito
si accorse che lo stavo fissando, ma non
disse nulla. Si avvicinò lentamente, io cercai di non fare
movimenti
bruschi, ma dentro di me il desiderio di toccarlo si fece sempre
più
pressante, più insistente, costringendomi a mordermi il
labbro per
evitare di fare mosse avventate. Non volevo in alcun modo rovinare le
cose.
Lo
sguardo di Akito mi rese impossibile respirare, mi
resi conto di stare trattentendo il fiato solo quando le nostre
bocche si toccarono e fui costretta ad aprirla per accogliere la sua
lingua, che spingeva sempre di più dentro di me togliendomi
ogni
possibilità di scelta. Ero sua, lo ero sempre stata e in
quel
momento lo ero ancora di più.
La
sua figura mi sovrastava totalmente e presi ad accarezzarlo piano su
tutta la schiena, mentre
lui si chinava su di me, lasciandomi una scia di leggeri baci
partendo dalla bocca fino all'ombellico. Faceva su e giù,
mentre io
continuavo a passare le dita su tutta la superficie che riuscivo a
percorrere con esse. Mi sentivo una dea, adorata e venerata dal
meraviglioso uomo che era sopra di me, che sarebbe stato pronto a
dare la sua vita per la mia.
"Vorrei
avere mille bocche
per poter baciare ogni millimetro della tua pelle." sussurrò
Akito. Lo guardai dritto negli occhi, non immaginavo nemmeno che
potesse dire parole così belle, eppure lo fece e io non
riuscii ad
emettere un suono, mi limitai a colmare la distanza tra di noi, che
mi sembrava infinita.
Le
mani di Akito viaggiarono dai miei
capelli, in cui si infilarono per qualche secondo, stringendomi i
lati della testa, costringendomi a reggere ancora il suo sguardo,
fino ad arrivare alla mia schiena, sfiorando il gancetto del
reggiseno. La lingeriè che avevo indossato era abbastanza
semplice,
nera e di pizzo, mi calzava alla perfezione ed era elegante e sexy al
punto giusto.
Il
rumore dei due gancetti che venivano staccati
fu l'unica cosa che si sentii in camera da letto, misti ai nostri
respiri ansimanti e ai nostri cuori che battevano all'unisono. Quando
mi liberai del reggiseno, la mano di Akito prese a sfiorarmi
lentamente, senza urgenza, mentre la mia mente si sgomberava di ogni
pensiero, per concentrarmi solo sulla sensazione delle sue dita che
giocavano, stringevano, sfioravano i miei capezzoli. Avrei voluto
dire qualcosa, buttare fuori tutto il desiderio che provavo dentro
attraverso le parole, ma non riuscivo nemmeno ad emettere un suono
che potesse almeno avvicinarsi ad una parola di senso compiuto.
Le
mie mani erano libere, andavano su e giù per la schiena e
per il
petto di Akito, finchè non mi fermai, sentendo il
rigonfiamento
dentro i suoi boxer. Non avevo mai riflettuto veramente su come fosse
l'intimità prima del momento in cui l'avevo provata con
Akito.
Cominciai lentamente a dimenticare come fosse la vita prima di lui e,
in quel momento, capii che non era vita quella che non contemplava il
biondino che mi aveva sconvolto l'esistenza.
Con
un'improvvisa
scarica di coraggio abbassai lentamente i boxer di Akito che,
accorgendosene, accennò un sorriso e mi aiutò a
toglierli del
tutto. Poi fu il mio turno e ci ritrovammo entrambi totalmente nudi.
Mi
sembrava che la nostra pelle stesse andando a fuoco, e non
riuscii a trattenermi dall'emettere qualche gemito.
Feci
scorrere la mano ancora più giù, sfiorando prima
pelle del suo
bacino e poi stringendo la sua erezione nella mia mano. Mi sentivo
potente, in grado di poterlo rendere pazzo, furioso, eccitato e
felice grazie a quel potere.
Cominciai
a toccarlo piano, mentre
lo baciavo, reclamando tutto di lui, anche le cose che odiavo.
Aumentai il ritmo quando sentii che i suoi gemiti diventavano sempre
più forti. Quel suono era come un promemoria di quanto fosse
stupendo e intimo l'appartenersi.
Mi
allontanai per un secondo
per riprendere fiato, ritrovandomi a guardare Akito. Mi resi conto
che, probabilmente, non l'avevo mai visto davvero: i suoi occhi
luccicavano in un modo che non avevo mai visto prima, il mio riflesso
si perdeva tra quelle iridi ambrate così come io avrei
voluto
perdermi in lui.
Le
mani di Akito tornarono sul mio seno,
continuando a torturarmi senza pietà, mentre io cercavo di
concentrarmi per non mettermi a urlare. Era difficile con lui che mi
toccava in quel modo.
Si
spostò più in basso, allontanandosi
per un secondo da me per poi concentrarsi solamente sui miei
capezzoli, come se fossero due oggetti da adorare. Cominciò
a
mordere, poi a succhiare, poi a soffiare e io pensai che mi sarei
sgretolata in quell'istante se non l'avesse smessa immediatamente.
Come se mi avesse letto nel pensiero prese a scendere, lasciando un
sentiero di saliva lungo tutta la mia pancia, per poi risalire e
scendere ancora fermandosi sempre più giù, solo
per il gusto di
farmi impazzire.
Quando
scese del tutto, e mi ritrovai con la
sua testa in mezzo alle mie gambe, persi totalmente il controllo. Non
volevo che lo facesse, ma quando la sua lingua mi sfiorò
lentamente
pensai di stare per svenire. Strinsi i lati del lenzuolo con una
mano, cercando di aggrapparmi da qualche parte per non cadere dal
precipizio verso cui Akito mi stava spingendo. Con l'altra, invece,
tiravo i capelli di Akito, che sembrava non accorgersene affatto.
Quando avevo già un piede nel vuoto, Akito si
allontanò da me e mi
sentii improvvisamente furiosa, ma realizzai immediatamente che stava
cercando di preparare la strada per ciò che sarebbe successo
di lì
a poco e in quel contatto sentii un amore immenso sgorgarmi da
dentro.
"Aki..."
sussurrai tra i gemiti, mentre anche
lui sembrava sull'orlo del precipizio grazie a me.
La
mia mente
tornò ad essere invasa da domande, ma non parlai
perchè non ne
sarei stata capace nemmeno volendo.
Akito
se ne accorse. Non volevo sembrare
una bambina ai suoi occhi
non volevo che pensasse che non lo desiderassi
tanto quanto lui. Anche se era sbagliato, anche se stavo urlando con
tutta me stessa alla mia testa di smetterla di avere paura, mi
ritrovai a provare terrore.
Inizialmente pensai che fosse normale, che ogni donna in quel
momento provasse gli stessi miei dubbi, ma poi la realtà di
ciò che
provavo mi colpì in pieno.
Non c'era
l'ansia per quello che stava per succedere con Akito,
nè
del
dolore, né
di
perdere la verginità e poi pentirmene. Ero paralizzata dalla
paura
di perdere
lui.
Akito era tutto per me, rappresentava praticamente ogni passo
importante della mia vita, compresa la scoperta di una me che non
avevo mai conosciuto, e se lo avessi perso mi sarei distrutta con un
alito di vento. Akito mi prese la testa tra le mani e mi
obbligò a
guardarlo, ancora, come se non volesse che io scappassi, nemmeno con
la mente.
"Non..."
sussurrò, ma io lo zittii.
"Non
ho paura di te. O di questo." puntualizzai, mentre Akito
ansimava. "Ho solo paura di perderti." dissi sull'orlo
delle lacrime.
"Io
sono qui, sono tuo e lo sarò sempre.
Non ho mai amato nessuno, se non te. Non ho mai voluto nessuno, se
non te. Vorrei solo che tu potessi vederti con i miei occhi. Vedresti
la più stupenda e la più meravigliosa donna che
esista. Non potrei
essere di nessun altro se non della ragazzina con i codini che mi ha
catturato alle elementari, ero tuo già allora. Ti amo da
sempre..."
Mi
resi conto solo quando smise di parlare che ero scoppiata in
lacrime, che avevo affondato le unghia nella sua pelle. Sentii la
necessità di aggrapparmi a lui come mai prima di allora, e
di non
lasciare andare quel sentimento che mi stava scoppiando nel petto.
Quando,
lentamente, si fece strada dentro di me non riuscii a
dire nulla, o a muovermi, perchè mi sentii piena, d'amore e
di
felicità, perchè lui era tutto per me e anche se
stavo provando
dolore in quel momento non m'importava.
Avevamo
represso per
anni i nostri sentimenti che sentirli tutti in quell'istante mi
sembrò così destabilizzante che non riuscii a
controllarmi e presi
a spingere i fianchi verso di lui. Il bruciore cominciò
piano ad
affievolirsi, e il desiderio invece cresceva sempre più
velocemente
mentre Akito si spingeva sempre più in fondo dentro di me.
I
suoi occhi ambrati catturarono i miei, e rimenemmo fermi per un
secondo guardandoci.
"Ti
amo." sussurrai piano, in un
alito di parole che sentivo nel mio cuore come mai avevo sentito
nient'altro. Sentivo Akito. Lo sentivo dappertutto. Nella pancia, nel
petto, nelle braccia, nelle mani, negli occhi. Lo sentivo in ogni
istante e volevo sentirlo per il resto della mia vita.
Akito
mi
baciò il naso mentre con la mano mi accarezzava adagio, con
tenerezza e allo stesso tempo con una passione che non avevo mai
sperimentato addosso.
Era
perfetto.
Ci
muovevamo insieme,
io tenevo gli occhi chiusi perchè anche se avessi voluto
aprirli non
ci sarei riuscita. Sentii il mondo sbriciolarsi sotto di me, mentre
Akito spingeva dentro e fuori, mentre i nostri respiri catturavano il
silenzio della camera da letto.
"Ti
amo." ripetè con
lentezza Akito.
Non
sapevo a cosa quell'amore mi avrebbe portato. Alla distruzione. Al
pentimento. Alla felicità.
Non
ero sicura di niente, nemmeno di me stessa. Ma di una cosa ero
sicura: avrei amato Akito per ogni giorno della mia vita, anche se
quello avesse significato strapparmi il cuore dal petto.
Quando
mi resi conto che stavo per lasciarmi andare totalmente, quando mi
accorsi che non ce la facevo più, il primo impulso fu quello
di
allontanarmi, perchè non sopportavo quella sensazione che mi
dava
dolore e infinito piacere allo stesso tempo. Mentre i nostri respiri
si univano l'uno all'altro, sentii il mio e il suo piacere venire a
galla, ogni muscolo del mio corpo smise di appartenermi.
Diventò di
Akito.
Io
divenni una parte di Akito e Akito divenne,
finalmente, una parte di me.
Pov
Akito.
Mi
appoggiai allo stipite della porta a braccia conserte, la guardai
dormire per circa un'ora. Non mosse un muscolo, i capelli le
ricadevano leggeri sul cuscino e, nonostante avessimo sudato, non ne
portava la minima traccia addosso. Nella stanza c'era un odore acre,
odore di sudore e d'amore, l'amore che io e Sana avevamo taciuto per
troppo tempo.
Non ero in grado di definire esattamente
la
sensazione che avevo provato quando ero entrato dentro di lei, quando
catturai finalmente l'attimo perfetto della mia vita. Era quello.
Non
ho paura di te. O di questo. Ho solo paura di perderti.
Le
parole di Sana mi rimbombavano nella testa. Come poteva temere di
perdermi se l'unica cosa che desideravo era passare il resto della
mia vita con lei?
Eppure
conoscevo la sensazione che provava,
la conoscevo fin troppo bene. L'avevo provata per anni, sentendomi
sempre meno, sempre non abbastanza, per lei e per la sua vita.
Mi
ero sempre chiesto perchè Sana avesse scelto me, tra mille,
perchè
da bambini avesse avuto l'impulso di salvarmi dal mio baratro per poi
rispedirmici ogni volta che qualcosa tra noi andava storta. Mi ero
sempre fatto un sacco di domande, domande a cui prima di quella notte
non avevo mai trovato risposte.
Quando
mi ero ritrovato lì,
senza difese, senza barriere, senza alcuna aspettativa, le trovai
tutte.
Io
e Sana eravamo due parti di puzzle che combaciavano
perfettamente, con i nostri difetti, con le nostre parti da smussare
e da modificare, ma comunque compatibili.
"Che
fai lì?".
La
voce di Sana si propagò per tutta la stanza, fuori era
ancora buio pesto, ma la flebile luce della luna illuminava un po' la
sua figura. Aveva i capelli scompigliati, le labbra gonfie, era piena
di segni sul corpo eppure era sempre stupenda.
"Ti
guardo."
Lei
sorrise, alzandosi dal letto preoccupandosi
di avvolgersi nel lenzuolo, come se non avessi già visto
ciò che
era importante.
"Vieni
a letto Aki..." sussurrò con
fare sensuale.
"E'
una proposta indecente?" chiesi
ammiccando anch'io. Non sentivo nulla in quel momento se non l'amore
immenso che provavo per lei.
"Può
darsi..."
Si
voltò e lasciò scivolare il lenzuolo alle sue
spalle, prima di
sdraiarsi a letto con gli occhi fissi su di me. Aspettava.
Aspettava
me.
Voleva
me.
Arrancai
a fatica verso il letto, verso la
donna che amavo, in preda alle mille sensazioni diverse che lei mi
provocava.
Quando
mi ritrovai sopra di lei, mi tenni in
equilibrio con i gomiti, cercando di non schiacciarla con il mio
peso.
"Ma..
ti senti bene?" le chiesi, perchè
pensavo che fosse ancora indolenzita.
"Non
potrei stare
meglio." rispose, tappandomi la bocca con la sua.
Quando,
dopo pochi minuti, fui di nuovo dentro di lei mi resi conto che avevo
aspettato quel momento per tutta la vita ma che, prima, non lo avevo
assaporato come avrei dovuto. Ero preoccupato, preoccupato per lei e
per il dolore che avrebbe potuto sentire. In quel momento,
però,
anche se sapevo bene che il dolore non era stato spazzato via, sapevo
che Sana era mia, che non poteva essere di nessun altro e che solo io
avrei avuto quel ruolo nella sua vita. Sempre.
Cominciai
a
muovermi prima piano e poi con un'energia sempre più
frenetica.
Guardai Sana, teneva gli occhi chiusi e si mordeva il labbro
superiore cercando di controllarsi, ma evidentemente non ci
riuscì
perchè poco dopo cominciò a mugolare.
Se
la prima volta era
stata meravigliosa, quella mi sembrò catartica. Io e Sana
eravamo
uniti in un legame che nessuno avrebbe potuto eguagliare e che
nemmeno se avessimo deciso di farlo saremmo riusciti a distruggere.
Ogni
più piccola particella di Sana era in sintonia con ognuna
delle mie.
Mi
ero sentito sbagliato moltissime volte nella mia
vita. Sbagliato per la mia famiglia. Sbagliato per i miei amici.
Sbagliato per la società. Sbagliato per lei.
Ma,
in
quell'istante, mentre io e Sana ci muovevamo all'unisono e
respiravamo insieme, capii che ero sempre stato io il mio unico
limite, perchè Sana era lì, mi amava esattamente
come la amavo io
e non c'erano parole per descrivere il senso di completezza che
sentii quando, finalmente, ci buttammo insieme nel tunnel di piacere
che ci stava aspettando.
Eravamo
la ragazza S e il ragazzo A.
Avremmo
mai potuto rinunciare a tutto quell'amore?
Perdonatemi per questa mia assenza prolungata, causa studio e
università. ma non mi sono dimenticata di chi mi segue
assiduamente e di chi mi manda i messaggu privati chiedendomi di
continuare. Grazie, veramente.
Il prossimo capitolo è solamente da correggere, quindi non
dovrete attendere molto, intanto spero che questo vi sia piaciuto e che
vi siate goduti il momento speciale di Sana e Akito.
Grazie davvero e vi voglio bene!
Akura.
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Capitolo 18 *** Dimmi se vuoi mollare. ***
CAPITOLO
17.
DIMMI
SE VUOI MOLLARE.
Pov
Sana.
"E' andato tutto bene a Osaka?".
Mia
madre e le sue domande allusorie.
La guardai mentre la signora
Shimura mi serviva una tazza di tè, il suo sguardo era lo
specchio
della sua curiosità. "Quando la smetterai di chiedere con lo
stratagemma dei sottointesi?".
"Avanti figliola,
raccontami qualche particolare piccante!".
Scoppiai a
ridere, rischiando di rovesciare tutto il tè sul pavimento.
"Cosa
vuoi sapere esattamente, mamma?"
"Avete fatto sesso?".
Per poco non mi strozzai, ripensare ai momenti passati con Akito mi
fece arrossire, tanto che mia madre capì immediatamente che
la
risposta alla sua domanda era ovvia.
"O mio Dio, tesoro!!"
urlò alzandosi dal divano e venendosi a sedere accanto a me.
"Finalmente siete passati alla base successiva, temevo che vi
ritrovaste a quarant'anni vergini per non sprecare il vostro magico
momento!".
Rimasi sconvolta nel sentire quelle parole: non
solo mia madre era felice che io e Akito avessimo fatto sesso - e
sapevo che sarebbe stato così visto che mi aveva spinto lei
a
mettere la fede al dito - ma soprattutto stavo parlando di sesso con
mia madre! Era inquietante.
Mi alzai, prendendo la mia giacca
dopo aver posato la tazza sul tavolino, e diedi un bacio a mia madre.
"Devo andare mamma, è stato un piacere fare questa
chiaccherata a cuore aperto."
"Ma... io pensavo che
mi avresti raccontato i dettagli!" protestò lei, alzandosi a
sua volta.
"In un'altra vita, mamma.".
Detto ciò
presi l'ovetto di Kaori, che nel frattempo si era addormentata grazie
alla ninna nanna della signora Shimura e mi diressi verso la porta.
Misi la bambina in macchina e feci strada per tornare a casa,
perchè
finalmente era arrivato il giorno del ritorno di Akito.
Avevo
preparato tutto, la nostra giornata sarebbe stata assolutamente
dedicata all'ozio e anche a qualcos'altro, ovviamente. Non vedevo
l'ora di sentire quel campanello suonare, quindi per distrarmi dal
contare i minuti, mi misi sul divano con Kaori e la cullai per un
po', mentre lei continuava a dormire.
Ero così stanca... Le
riprese del film stavano per cominciare e avevo passato la precedente
settimana a riprendere le fila del mio personaggio. Miyazaki mi aveva
contattata giorni prima, dicendomi che aveva scelto il nome del
coprotagonista e che stavolta era affidabile. Mi vennero i brividi
quando ripensai all'episodio delle prove e, per tentare di scacciare
il disgusto, mi misi a cercare qualche informazione su chi mi avrebbe
affiancato.
Kengo Yamamura era un attore di teatro molto
famoso, avevo sentito parlare spesso di lui ma non avevo mai visto un
suo spettacolo, e quella sarebbe stata la sua prima esperienza dietro
una macchina da presa. Fantastico, avrei dovuto lavorare con un
dilettante del cinema, ma sapevo che era abbastanza bravo e di lui
non si trovavano che commenti positivi. Ad ogni modo ero convinta che
quel film sarebbe stato un successo e che se Miyazaki mi aveva scelta
tra tante attrici qualcosa doveva pur voler dire.
Guardai
Kaori, cresceva a vista d'occhio e somigliava sempre di più
a sua
madre. I capelli le erano cresciuti un po', e avevano cominciato a
prendere la sfumatura del castano di Natsumi. Akito sarebbe arrivato
il giorno dopo e già sentivo il cuore in gola al solo
pensiero.
Mi
addormentai subito dopo, mentre accarezzavo la testa di Kaori, con il
viso di Akito stampato davanti.
Pensavo di riposarmi, ma il
giorno dopo capii che non avrei mai trovato un attimo per rilassarmi:
la mia vita era un casino.
*
Arrivai
in ospedale non appena il dottore mi chiamò per dirmi che
c'erano
dei documenti da compilare, per la sistemazione di Natsumi in
un'altra stanza del reparto. Non capivo perchè dovevano
spostarla,
ma comunque non feci storie e salii in macchina. Dovetti portare
Kaori con me, mia madre era impegnata nell'ultima stesura del suo
nuovo romanzo e non voleva essere disturbata, e il signor Hayama non
riusciva a badare a se stesso, figuriamoci ad una bambina di pochi
mesi. Mandai Rei a prendere Akito alla stazione, dicendogli di
portarlo a casa, ma sapevo perfettamente che sarebbe venuto in
ospedale non appena il mio manager lo avrebbe lasciato davanti alla
porta. Quando arrivai davanti alla nuova stanza di Natsumi
un'infermiera si avvicinò a me porgendomi una serie di
carte, dopo
averle lette per bene, le firmai - perchè Rei mi aveva
insegnato che
nulla va firmato senza averlo prima letto - e glieli restituii con un
sorriso. Guardavo la mia amica dall'esterno della sua camera,
attraverso il vetro della porta. Era piena di fili, ma le era stato
tolto il tubo di respirazione perchè nelle quarantotto ore
aveva
cominciato a respirare da sola, senza l'aiuto dei macchinari. Era un
buon segno, mi disse il dottore, ma ricordai che aveva già
detto una
cosa del genere, quindi non mi munii di speranze che poi sarebbero
state distrutte.
Spinsi la carrozzina di Kaori dentro la stanza
della sua mamma e la misi in un angolo, accertandomi che avesse il
ciuccio e che fosse ben coperta, prima di avvicinarmi al letto di
Natsumi.
Era dimagrita tantissimo, l'alimentazione attraverso
le sondine l'aveva stremata in tutto e per tutto, e aveva perso anche
il colorito roseo che di solito le invidiavo per il mio un po' troppo
chiaro. Le sfiorai i capelli, erano crespi e rovinati, a forza di
stare schiacciati contro un cuscino. Le erano venute le piaghe, ma i
dottori l'avevano curata e le facevano cambiare posizione
più spesso
di prima. Mi sembrava di guardare una persona diversa, non la Natsumi
che conoscevo da tutta la vita. Non più la Natsumi che avevo
rimproverato per il modo in cui trattava Akito o la Natsumi che mi
aveva assillato per un mio autografo quando eravamo bambine, ma
semplicemente una sagoma, un corpo, costretto in un letto d'ospedale.
Se mi avessero detto che non c'era più
possibilità che si
risvegliasse non sapevo come avrei reagito. Non sapevo come avrebbe
reagito Akito. Probabilmente avrebbe perso la voglia di vivere, ma
non volevo nemmeno pensarci.
Cominciai a parlarle, le raccontai
tutto quello che era successo negli ultimi tempi, le spiegai dei
problemi con Akito per il film, le dissi che avevamo anche smesso di
litigare tanto spesso e immaginai la sua faccia se avesse potuto
muoversi. Sarebbe scoppiata a ridere e mi avrebbe guardato con quegli
occhi sarcastici che proprio non riusciva a trattenere. Mi venne da
ridere, era bello parlarle ed immaginare che mi sentisse sul serio,
magari era anche un po' stupido ma non riuscivo a non pensare che
forse, da qualche parte, la sua anima mi stesse ascoltando.
Rimasi
lì un po', non saprei nemmeno dire quanto, la guardai per la
maggior
parte del tempo, le strinsi la mano e la pregai di sbrigarsi a
tornare che sua figlia mi stava facendo ammattire.
Quasi a
farlo apposta Kaori si mise a piangere, quindi mi allontanai dal
letto e la presi in braccio, tornando vicino a Natsumi. Nel sedermi
sul materasso, la mano di Kaori e quella di Natsumi si toccarono e mi
ritrovai piegata su di lei perchè Kaori la stringeva e non
voleva
staccarsi.
Non mi tolsi subito, volevo lasciare a madre e
figlia quel piccolo momento di intimità, forse sarebbe stato
l'unico
che avrebbero mai avuto, poi mi spostai e il contatto si interruppe.
Presi la mano di Natsumi e la strinsi forte alla mia, cercando
di inviarle tutta la mia linfa vitale attraverso quel tocco.
Inizialmente non compresi. Pensai di averlo immaginato. Rimasi
immobile per un istante che mi parve un'eternità. Poi lo
fece di
nuovo.
Natsumi mi stava stringendo la mano.
Quando
realizzai che stava succedendo davvero e che dovevo muovermi e
chiamare qualcuno, lasciai la sua mano e corsi fuori dalla stanza,
prendendo il primo medico che mi capitò a tiro.
"Si è
mossa! Mi ha stretto la mano!!" urlai, spostandomi i capelli dal
viso.
Il dottore osservò l'encefalogramma di Natsumi, rimase
in silenzio e poi chiamò qualcun'altro con il cercapersone.
Un paio
di specializzandi entrarono nella camera, cominciarono ad analizzare
l'encefalogramma, ad auscultarla, a usare parole incomprensibili e
troppo tecniche che non capivo per niente.
"Signora si
calmi, è stato solo un riflesso incondizionato
probabilmente."
"Ma lei mi ha stretto la mano, non ha solo mosso un dito,
mi stringeva!" urlai insistendo. Non poteva essere solo un
riflesso. Perchè se fosse stato così significava
che il mio cuore
sarebbe ricaduto nella rassegnazione, e io non volevo perdere la
speranza.
Continuai ad insistere, ad urlare, a cercare di far
capire ai medici che non stavo sognando e che non me l'ero inventato
per la disperazione. Lei si era mossa.
Uno specializzando mi
guardò esterrefatto, poi si avvicinò a me e
tentò di calmarmi, ma
non ero sconvolta o arrabbiata e nemmeno pazza, quindi dovevano fare
qualcosa.
Mi rivolsi di nuovo al medico. "La prego. La
prego, dottore. Controlli un'altra volta."
Lui annuì,
facendomi capire che mi avrebbe accontentata solamente
perchè glielo
stavo chiedendo in quel modo e non perchè lui nutriva una
speranza,
nè umana nè scientifica, sulle condizioni di
Natsumi.
Uscì
dalla stanza dopo avermi posato una mano sulla spalla, seguito da
quattro o cinque specializzandi.
Rimasi lì un altro po', non
volevo lasciarla da sola anche se Kaori aveva fatto un po' di
capricci quando l'avevo rimessa nella cesta.
Facevo su e giù
per tutta la stanza, aspettando che i medici tornassero e mi dessero
qualche notizia in più, ma niente. Per la successiva ora non
ci fu
traccia nè dei dottori e tantomeno di Akito.
Chiamai Rei, ma
non rispondeva nessuno, quindi ci rinunciai alla terza telefonata.
Ero impotente. E non mi piaceva affatto quella sensazione.
Uscii
un attimo dalla stanza, mia madre era corsa subito dopo che l'avevo
chiamata sconvolta dal fatto che Natsumi si fosse mossa, quindi le
diedi Kaori chiedendole di farla addormentare.
Mi tolsi quel
maledetto camice e lo gettai nel cestino, esasperata dal fatto che
non mi avessero creduta e che Natsumi non si decidesse a dare la
prova della verità: lei si stava svegliando e io lo sapevo.
Lo
sentivo.
Mi appoggiai al muro, buttando la testa all'indietro e
sbuffando. Era tutto inutile, e da sola mi sentivo peggio.
"Kurata?". La sua voce fu come la risposta a tutte le
mie preghiere, come se l'universo mi avesse letto nella mente e lui
fosse arrivato per salvarmi dai miei brutti pensieri.
Mi
fiondai su di lui, mentre la tensione accumulata nelle ultime ore
sembrava diradarsi lentamente verso le mie braccia che lo
stringevano. Mi veniva da piangere, ma trattenni le lacrime, sperando
che lui riuscisse a risolvere le cose.
Dopo qualche minuti ci
staccammo e finalmente rividi i suoi occhi ambrati. Erano il mio
personale toccasana.
"Che succede Sana?"
Ero
indecisa se raccontarglielo o meno, avrei probabilmente alimentato
senza alcun fondamento le sue speranze, ma avevo bisogno che qualcuno
mi capisse, che credesse a ciò che stavo dicendo. Mentre Rei
e mia
madre giocavano con Kaori, che proprio non voleva saperne di dormire,
mi allontanai un po' con Akito, senza mai lasciare la sua mano.
Mi
guardava come se stesse aspettando una sentenza di morte, quindi
affrettai il passo e quando fui abbastanza lontana da occhi
indiscreti cominciai a parlare.
Gli raccontai tutto, senza
tralasciare nemmeno un dettaglio. La sua espressione era incredula,
ma da qualche parte scorsi anche un pizzico di felicità nel
sentire
che c'era la possibilità che sua sorella, in coma da quasi
tre mesi,
si svegliasse.
"Ma ne sei certa?" chiese portandosi
le mani sulla testa.
"Ne sono sicura, Akito. Lei mi ha
stretto la mano, devi credermi. Ho passato più di mezz'ora a
cercare
di convincere i medici ma nessuno di loro vuole decidersi a mettere
da parte il loro scetticismo e darmi ascolto! Tu non hai idea... lei
era così.. così forte! Devi credermi Akito..
perchè..."
"Ti
credo, Kurata. Certo che ti credo." mi zittì lui, mettendomi
un
dito sulla bocca. Quel contatto, anche se non era affatto il momento,
sembrò accendere tutto il mio corpo. Cercai di scacciare
quella
sensazione e mi avvicinai, poggiando il viso sul suo petto. Ero
distrutta.
"Andiamo, Sana. Cerchiamo di capire cosa sta
succedendo."
Mi prese la mano e mi riportò davanti alla
camera di Natsumi. Rei era seduto accanto a mia madre che cullava
Kaori che, mentre io e Akito parlavamo, si era addormentata. Sapevo
che non era un sonno destinato a durare molto, infatti non appena
Akito si chinò a darle un bacio sulla fronte i suoi occhioni
si
spalancarono nuovamente.
"Vieni qui." Akito la prese
dalle braccia di mia madre e se la portò al petto. Un giorno
sarebbe
stato un grande papà.
"Entro un attimo con Kaori, va
bene?"
Annuii e gli sorrisi, accomodandomi accanto a Rei e
poggiando la testa sulla sua spalla.
"Sei stanca?"
La
voce di Rei era pesante, esattamente come la mia, e sapevo che anche
lui aveva il suo bel da fare mentre io mi occupavo della mia
famiglia. Lo avevo lasciato da solo a sistemare miliardi di cose
prima delle riprese del film e non avevo assolutamente considerato
quanto lavoro gli stavo addossando senza preoccuparmi minimamente.
"E tu?"
Non rimasi sveglia abbastanza per
sentire la risposta, mi addormentai sulla spalla del mio manager
mentre lui mi accarezzava la testa, proprio come quando ero bambina.
Pov
Akito.
Quando
Sana mi aveva raccontato cosa aveva visto, cosa Natsumi aveva fatto,
il mio cuore aveva perso un battito. Mi era sembrato che,
improvvisamente, la mia vita sarebbe potuta tornare alla
normalità
o, anzi, che potesse migliorare visto il matrimonio con l'amore della
mia vita.
Ma in quel momento, mentre mi trovavo accanto a mia
sorella, distesa da quasi tre mesi su quel maledetto letto
d'ospedale, mi sembrò che niente potesse andare meglio. Che
niente
potesse più andare in alcun modo, perchè io non
esistevo più.
Afferrai una sedia e mi sedetti, stando bene attento a non far
piangere Kaori, per poi prendere la mano di Natsumi.
Sana aveva
ragione: era dimagrita tantissimo e non sembrava più mia
sorella.
Era solo un corpo, buttato su un letto, e la cosa che mi dava
più
fastidio era che non potevo fare niente per aiutarla.
"Nat..."
sussurrai cercando di trattenere le lacrime. "Se vuoi vivere...
se vuoi davvero vivere, muoviti ad alzarti da questo cazzo di letto.
Ma se tu..." Mi fermai, spaventato dai miei stessi pensieri,
perchè non volevo pensare quello che in realtà
avevo nella testa,
era sbagliato e soprattutto mio padre non sarebbe mai stato
d'accordo. "Ma se tu non vuoi... puoi andare, solo.. dammi un
segno che vuoi mollare e io farò sì che questo
finisca. Ti prego...
ti prego dimmi se vuoi mollare."
Le lacrime mi rigavano il
volto ormai, e non ero nemmeno certo che fosse la cosa giusta, ma
dovevo dirlo. Dovevo dire ad alta voce che forse era lei a non voler
lottare. Era un'opzione che non avevo mai contemplato veramente,
eppure era lì, ed era possibile.
"Non ci pe... non ci
penso nemm... nemmeno."
Ebbi la sensazione di essere in
una specie di trans, non capii nulla di quello che accadde subito
dopo. Vidi solo gli occhi di Natsumi aprirsi lentamente, sentii la
sua mano stringere la mia e poi una decina di dottori che entrarono
in camera e mi dissero qualcosa come si
allontani, dobbiamo visitarla.
Non capii nulla. Solo che Sana mi si era gettata al collo, con
le lacrime agli occhi, non sapevo nemmeno dov'era Kaori, se era
ancora in braccio a me o se qualche infermiera me l'aveva tolta dalle
mani prima che mi venisse una sincope. Il mio cervello non era
collegato al resto del corpo. Sentivo solo il cuore scoppiarmi e,
dopo mesi, finalmente riprendere a battere.
Amavo Sana, quando
finalmente avevo capito che anche lei mi amava avevo provato una
sensazione come quella, ma mia sorella, il sangue del mio sangue,
aveva appena riaperto gli occhi mentre io le stavo dando il permesso
di andarsene, di lasciarsi andare, e quello non poteva essere
paragonato a niente.
Ero nato un'altra volta in quel preciso
istante e avrei usato la mia vita al meglio che potevo.
"Si
è svegliata..." fu l'unica cosa che dissi per la successiva
ora, finchè non mi fecero rientrare in stanza.
La signora
Kurata e Rei nel frattempo erano andati via portandosi Kaori, quindi
alla fine l'infermiera acconsentì a farci entrare insieme.
Vedere
Natsumi respirare da sola, dormire ma sapere che non era un sonno
distruttore, mi riempì il cuore di gioia.
"Si è
svegliata..." ripetei guardando Sana, con tutto il trucco colato
e i capelli arruffati. Lei mi sorrise e annuì, stringendomi
la mano.
Era tutto quello di cui avevo bisogno.
*
Le
settimane successive furono frenetiche. Io e Sana non avevamo un
attimo per noi, negli ultimi cinque giorni ci eravamo visti si e no
quindici minuti di seguito.
Natsumi stava meglio, la sua
riabilitazione era sfiancante e a volte dolorosa, ma lei era forte e
grazie all'amore che aveva ritrovato in sua figlia riusciva ad avere
un motivo per lottare, nonostante tutto. Kaori abitava ancora con
noi, ma quella sera l'avrei portata da mio padre perché io e
Sana
avevamo bisogno di passare un po' di tempo insieme, senza dover
scappare al primo pianto di mia nipote.
Presi il telefono,
composi il numero di Sana e aspettai che rispondesse, mentre cercavo
di capire se nella sua lista della spesa ci fosse scritto pannolini o
pacchettini. Pacchettini di che poi? Attaccai quando scattò
la
segreteria, non mi avrebbe risposto di lì a breve quindi
tanto
valeva lasciar perdere, e mi avviai verso il reparto delle cose per
bambini. Comunque i pannolini ci sarebbero serviti. Dovevo portare la
spesa a casa e passare da mio padre perchè da quando mia
sorella era
uscita dal coma non avevo avuto molta possibilità di
parlargli.
Quando ero uscito dalla palestra mi ero persino illuso che la
giornata fosse finita e invece no. Uscii dal supermercato e andai
prima da mio padre, chiacchierammo e poi guardammo un po' di
televisione insieme e quando uscii dalla mia vecchia casa erano
già
le sette.
Sana continuava a non rispondere al telefono,
evidentemente era impegnata con Rei per le riprese del film che
stavano per iniziare quindi decisi di non chiamare più.
Mi
diressi verso casa, sperando di non trovarla impegnata con qualche
telefonata importante né tanto meno tra i fornelli,
più che per la
mia salute che per altro.
Parcheggiai velocemente nel vialetto
e corsi dentro casa, ansioso di passare un po' di tempo con Sana, ma
quando entrai trovai il mio salotto pieno di scartoffie e lei che
cercava di imparare una battuta.
Non mi notò, quindi la colsi
alle spalle. Saltò dalla paura e mi piazzò un
colpo proprio sul
petto, mentre io non facevo altro che ridere. “Ma crescerai
prima o
poi?” disse Sana sorridendo tra le mie braccia. Il sole
entrava
dalla finestra finendo con arrivare sui suoi capelli che presero
così
le sfumature di un meraviglioso tramonto.
“Non lo so, può
essere.” risposi mentre mi fiondavo sulle sue labbra per
baciarla.
Quando mi staccai la guardai a lungo in quei suoi occhi profondi, e
poi senza parlare la presi per mano e la condussi verso la nostra
camera da letto, dove per la prima volta l'avevo vista nuda,
spiandola attraverso la porta socchiusa. Quella volta sentii di
volerla e non poterla avere, ma in quel momento sapevo di poterla
avere ed era forse la sensazione più bella che avessi mai
provato.
Sana mi seguì senza dire nulla, sorridendo, consapevole di
ciò
che stavo pensando. Aprii la porta della camera e non la chiusi alle
nostre spalle, mentre sentivo il suo respiro farsi più
pesante. Mi
avvicinai piano al suo corpo esile e mi soffermai a guardare l'incavo
del suo collo delicato, abbassandole la spallina del top.
“Hai
intenzioni serie, eh?” disse lei, mentre la sua bocca si
incurvava
in un sorriso. Ricambiai, annuendo in silenzio, mentre mi voltavo per
aprire l'acqua calda nella vasca che avevamo accanto al letto. Avrei
dovuto ringraziare chi aveva preso quella meravigliosa decisione di
mettere la vasca lì. Gli avrei decisamente fatto una statua.
Sana
mi mise le braccia intorno al collo, stringendomi a sé, e
poi saltò
mettendomi le gambe intorno alla vita.
La baciai con tutta la
forza che avevo in corpo. Avevamo passato più di un mese
separati,
lo stress dopo il risveglio di Natsumi ci aveva portato al limite e
ritrovarmi così, insieme a lei, con l'unico di pensiero di
baciarla
e amarla mi rendeva la persona più felice dell'universo.
Eravamo
così giovani, eppure ci eravamo fatti carico di una
responsabilità
più grande di noi, ed eravamo stati bravi.
Il vapore
dell'acqua invase la stanza in poco tempo, mentre ci spogliavamo
reciprocamente ed entravamo nella vasca bollente. Avevo visto Sana
nuda molte volte, ma ogni volta mi sembrava una rivelazione. Il
colore della sua pelle, le morbide curve del suo seno piccolo, le
fossette più in alto del suo fondoschiena e i suoi
meravigliosi nei.
Quando ci sistemammo nella vasca da bagno, abbastanza grande da
accogliere entrambi, la strinsi a me più forte che potevo.
“Questa
vasca è sempre stata il mio sogno proibito, lo
sai?” le dissi io,
poggiando la mano sulla sua pancia. La sua pelle era liscia, e la
sentivo tremare al passaggio delle mie dita. Amavo farle
quell'effetto, mi dava un potere che adoravo avere e che mi rendeva
l'uomo più orgoglioso del mondo.
“Vorrei che ogni giorno
fosse così...” sospirò Sana.
“Anche io.” conclusi,
prima di farle voltare il viso e baciarla con tutto me stesso.
Quando la sfiorai con più forza il suo corpo
sussultò e
dentro di me tutto si accese. La feci voltare e Sana si mise a
cavalcioni su di me.
“Non è un sogno vero?” dissi
spostandole i capelli dietro le spalle. “Noi siamo sposati
sul
serio, mia sorella è sveglia e… è
tutto perfetto.”
Non
avevo ancora realizzato quanto quelle parole fossero vere. Avevo
trascorso gli ultimi giorni nella paura più assoluta che
fosse tutto
un meraviglioso sogno da cui mi sarei svegliato di lì a
breve. La
vita mi avrebbe dato il solito schiaffo in faccia e l'universo
sarebbe tornato al suo posto.
“Fa quasi paura dirlo ad alta
voce.”.
“E allora non diciamolo.” la zittii, baciandola,
mentre la sollevavo dai fianchi ed entravo piano in lei. Il suo corpo
si inarcò, e mi gettai a baciarle il collo, dove le
goccioline
scendevano piano verso il suo seno.
Persi la cognizione del
tempo mentre sentivo Sana gemere attorno a me, la mia mente
abbandonò
il mio corpo e mi ritrovai a guardarmi dall'esterno, come se le mie
azioni non fossero davvero le mie.
Avevo paura di quella vita
così perfetta e, mentre mi beavo della sensazione di avere
Sana,
finalmente, tutta per me, non potevo far tacere quella parte di me
che, comunque, non comprendeva come fosse possibile che io avessi
trovato così tanta felicità in così
poco tempo.
Pov
Sana.
Il
suono di quel maledetto telefono si propagò per tutta la
camera da
letto e il mio primo impulso fu quello di prenderlo e buttarlo fuori
dalla finestra. Non avevo voglia di svegliarmi, di lasciare andare la
spensieratezza della sera prima e soprattutto non volevo
assolutamente che Akito si svegliasse. Lo avevo guardato dormire per
un po', prima di crollare anch'io, e mi ero ritrovata più
innamorata
che mai.
Ammiravo ogni suo movimento, ascoltavo ogni suo
respiro e mi sembrava che fosse il suono più bello del
mondo.
Uscii
il braccio dal tepore del piumone e afferrai il telefono. Era Rei.
Sapevo già cosa mi avrebbe detto e, guardando l'orario, mi
fiondai
fuori dal letto per correre in bagno a fare la doccia. Akito
mugugnò
qualcosa, ma non si svegliò, quindi ebbi il tempo di lavarmi
e
vestirmi mentre lui era ancora nel mondo dei sogni.
Rei
continuava a chiamarmi, all'ennesima telefonata uscii dalla camera da
letto e risposi.
“Ma perché diavolo mi attacchi il telefono
in faccia?”
“Buongiorno anche a te, Rei.” dissi ridendo.
Ero troppo felice per farmi rovinare quel momento da lui e dalla sua
ansia per il mio lavoro.
“Sto passando da te per andare a
fare lo shooting di lingerie. Pensi di essere pronta
diciamo…
adesso?”
“Non dimentico mai i miei impegni Rei, lo sai. Ti
aspetto.”
Chiusi la chiamata e mi diressi di nuovo verso la
camera da letto. Anche se avevamo chiarito quella parte della nostra
relazione sapevo che comunque ad Akito non andava giù che io
facessi
quel tipo di fotografie.
Ero felice che Natsumi si fosse
svegliata, avevo passato così tanto tempo sperando di
vederla
sorridermi di nuovo e poterle raccontare tutte le novità
della mia
vita, ma da quando avevo capito che avrebbe ripreso Kaori con lei il
mio cuore era caduto in preda allo sconforto. Akito mi amava, e di
questo ero certa, ma mi avrebbe amata allo stesso modo se non
avessimo dovuto sposarci? Sarebbe stato così anche se non ci
fosse
stato qualcosa a costringerci? Non sapevo rispondere a quella
domanda, ma non volevo nemmeno una risposta. Forse avrei dovuto
lasciarlo libero, avrei dovuto lasciargli vivere la sua vita senza
alcuna intromissione da parte mia. Il mio lavoro lo rendeva nervoso,
e quando avrei cominciato a girare il film sarebbe stato peggio.
Avrei dovuto combattere contro le sue insicurezze, mentre io ne avevo
già abbastanza di mie.
Cercai di mandare giù quel groppo
mentre mi accorsi che si stava svegliando. “Hai intenzione di
rimanere lì a fissarmi?”
Le sue spalle grandi si alzavano e
abbassavano ad ogni respiro, i suoi muscoli sembravano flettersi fino
allo sfinimento mentre faceva quel movimento impercettibile.
“Sarebbe un'idea fantastica.” dissi avvicinandomi.
“Ma
purtroppo Rei sta venendo a prendermi per il servizio
fotografico.”
Akito aggrottò le sopracciglia, allungando la
mano verso di me per spingermi sul letto. “Allora ti lascio
andare,
questa volta.”
Mi baciò la mano e poi mi abbassai per
baciarlo sulle labbra.
Dovetti staccarmi un momento dopo perché
Rei suonava al campanello. Corsi verso la porta e dopo aver preso
borsa e giacca uscii dalla porta, sentendo Akito che dalla camera
urlava “Ciao Sana!”.
Era come se mi avesse fatto la più
bella dichiarazione d'amore della storia. Ero proprio una mogliettina
innamorata!
Eccomi
qui, di nuovo per voi...
Finalmente
Natsumi si è svegliata, ma le cose non sono ancora
completamente sistemate. Ci sono ancora tanti imprevisti da affrontare.
Spero che continuerete a seguirmi, nonostante tutto.
Vi
ringrazio infinitamente perchè mi seguite non solo su efp,
ma anche su instagram (dove mi sono arrivati dei messaggi meravigliosi,
che mi hanno veramente riempito il cuore), sulla mia pagina facebook
(per chi volesse e non ne è a conoscenza, ecco qui il link
(
https://www.facebook.com/inchiostronellevene/
) e su wattpad, dove pubblico in contemporanea
con efp.
Vi
ringrazio davvero, perchè siete meravigliosi :)
Spero
di vedere tante tante tantissime recensioni!
Un
bacio
Akura.
|
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Capitolo 19 *** Onda. ***
CAPITOLO
18.
ONDA.
Pov
Sana.
Stavo
da circa un quarto d'ora nella stessa posizione perché il
fotografo
continuava a dirmi di star ferma, sentivo i muscoli delle gambe
intorpidirsi lentamente ma non ci feci caso, cercando di pensare ad
altro. Ad Akito, per esempio, e a quanto la nostra vita si stesse
trasformando nel più assurdo dei disastri.
Non riuscivamo a
passare insieme nemmeno dieci minuti di fila, e a volte non eravamo
nemmeno in grado di incastrare i nostri impegni quindi finivamo per
non vederci per giorni. Era uno strazio. Da quando avevo cominciato a
collaborare con il marchio di lingerie avevo dovuto spesso uscire
dalla città e Akito nel frattempo era tornato
all'università e ad
insegnare in palestra. La nostra era una vita troppo frenetica. In
più c'era da pensare alla riabilitazione di Natsumi e a
Kaori, che
mi mancava terribilmente.
Cambiai posa, mi costrinsi a
sorridere anche se in realtà mi ero appena resa conto che la
bambina
mi mancava più di quanto avessi potuto immaginare. Per
quattro mesi
l'avevo accudita, coccolata, l'avevo cullata quando stava male di
notte, l'avevo nutrita, era stata esattamente il prolungamento di me
stessa e adesso che era tornata da sua madre – cosa di cui
ero
veramente felice – mi sentivo un vuoto nel cuore. In compenso
c'era
Akito, e ciò che provavo per lui bastava a riempire quel
vuoto.
Magari avremmo potuto avere noi una bambina tutta nostra.
Mi
bloccai per un attimo. Ma cosa diavolo mi veniva in mente? Un figlio?
Io e Akito? Sarebbe stata una pazzia, un'assoluta e totale follia.
Non eravamo pronti, eravamo due ragazzini che si erano sposati per
necessità. E adesso che quella necessità non ci
sarebbe stata più
cosa ne sarebbe stato del nostro matrimonio? Era una domanda che mi
torturava da giorni, da quando Natsumi aveva ripreso Kaori con se in
realtà, e non facevo altro che pensarci. Lui avrebbe potuto
chiedere
la separazione, avrebbe potuto decidere di allontanarsi da me. Non
sapevo cosa avrei fatto in quel caso. Forse mi sarei distrutta
lentamente. Forse mi sarei buttata così tanto sul lavoro da
avere un
esaurimento nervoso.
Entrambe le opzioni facevano decisamente
schifo.
Cercai di spostare i pensieri da un'altra parte, mentre
il fotografo mi faceva cenno di mettermi supina e poggiarmi sul
cuscino alle mie spalle. Eseguii gli ordini e dopo qualche scatto il
fotografo si fermò, finalmente.
“Facciamo una pausa ragazzi,
grazie Sana. Cambiati e ci rimettiamo a lavoro tra quindici
minuti.”
Scattai in piedi e la mia assistente mi passò
l'accappatoio. “Grazie Miya.” dissi sorridendole.
Era una ragazza
molto carina, ed ero sicura avesse una cotta per Shoici, il ragazzo
che si occupava delle luci. Si scambiavano occhiate in continuazione,
mentre lui sistemava le luci e lei si preoccupava che il mio naso non
fosse lucido. Mi veniva quasi da ridere guardandoli, perché
si
creavano tutti quei problemi nel dirsi i loro sentimenti?
Da
che pulpito, pensai. Io e Akito ci avevamo messo anni, secoli direi,
a parlare a cuore aperto l'uno con l'altro, e c'era voluto un
matrimonio e mille problemi prima di farlo.
Non ero certa che
il nostro matrimonio avesse delle basi salde e propriamente sane, ma
era comunque un matrimonio d'amore e quello doveva bastare ad
entrambi per stare insieme.
Dopo aver ripreso il servizio
fotografico e averlo finito circa un'ora dopo, l'unica cosa che
volevo era tornare a casa da Akito. Prima, quando tornavo a casa e la
trovavo vuota, non provavo nessun senso di solitudine: mi piaceva il
silenzio e mi piaceva non dover dipendere dagli orari di nessuno.
Ora, forse perché con Akito tutto mi sembrava nuovo e
completamente
magico, tornare a casa e trovarlo ad aspettarmi era una delle cose
più belle della mia giornata.
Quando arrivai a casa lo trovai
in cucina, sul divano, con il computer sulle gambe e tutte le luci
spente.
“Ma hai idea di quanto tu sia inquietante in questo
momento?”. Mi avvicinai, gli diedi un bacio e mi diressi ad
accendere la luce per preparare la cena.
“E tu hai idea di
quanto tu stia diventando una moglie petulante e
fastidiosa?”.
Akito mi sfoderò uno dei suoi rarissimi sorrisi e si
alzò dal
divano, mettendosi dietro di me per abbracciarmi.
Poggiai la
testa sulle sue spalle, inspirando il suo profumo, mentre avevo le
mani sotto il getto dell'acqua.
“Sei sicura di avere fame?
Perchè io avrei un'altra idea di
sazietà.”
Il mio respiro si
fece più cadenzato, il cuore cominciò a
martellarmi nel petto. Mi
voltai e, senza farmelo ripetere due volte, gli saltai addosso
cingendogli la vita con le gambe.
“Bene, vedo che sei
d'accordo con me.” e senza dire nulla mi portò in
camera da letto.
*
Dovevo
aspettare.
Nella scatola diceva di aspettare tre minuti. Avrei
resistito tre minuti? No, probabilmente no. Ma dovevo.
Sarei
morta nei successivi tre minuti, lo sapevo.
Ero seduta dentro
la vasca, completamente vestita e tra le mani avevo il mio primo test
di gravidanza. Non sapevo cosa fare. Se strapparmi tutti i capelli.
Se mettermi a urlare. Se riempire la vasca e annegare lentamente. Nei
successivi tre minuti avrei contemplato i mille modi in cui avrei
potuto suicidarmi.
Quanto tempo era passato? Un minuto? Dieci
secondi? Mi sentivo in una bolla. Akito sarebbe tornato tra un'ora
circa, e io non avevo idea di come dargli la notizia, se fosse stato
come sospettavo.
Guardai il cellulare, mancava un minuto.
Pensavo che sarei impazzita nel frattempo.
Cosa avrei detto a
mia madre? Diamine, mia madre avrebbe fatto i salti di gioia e io mi
preoccupavo di lei. Rei si sarebbe fatto venire un infarto. Il signor
Hayama e Natsumi sarebbero andati in shock. Le mie amiche mi
sarebbero saltate addosso.
Immaginavo la reazione di tutti,
tutti meno che Akito, l'unica persona di cui mi importasse davvero.
L'unica persona che avrebbe potuto distruggermi con uno sguardo.
Nello stesso momento in cui la porta di casa si aprì, il
cellulare cominciò a suonare, avvertendomi che il verdetto
era
arrivato.
Alzai la mano, guardai lo stick e andai in
iperventilazione.
Due lineette. Due.
E il mondo, per come
l'avevo sempre conosciuto, andò in pezzi.
*
Akito
mi chiamava dalla cucina, ma io non riuscivo a muovermi. Cercavo di
dare dei comandi al mio corpo, ma le mie gambe non rispondevano ai
comandi. Avevo il cervello completamente sconnesso dal corpo.
Sentivo i passi di Akito avvicinarsi alla nostra camera e
urlavo a me stessa di muovermi, di fare qualcosa, ma non ne ero in
grado.
“Sana?”. Akito abbassò lo sguardo e,
quando mi
vide, si piegò sulle ginocchia vicino a me. “Che
succede?
Cos'hai?”.
Mi voltai a guardarlo, aveva gli occhi pieni di
paura, la stessa paura che avevo io. Quando si accorse del test di
gravidanza il suo sguardo cambiò, ma io non riuscivo a
dirgli
niente. La mia bocca non si muoveva. Mi sentivo impotente con il mio
stesso corpo.
“Sana? Sana, guardami.” Mi prese il viso tra
le mani e lo spostò in modo che i nostri occhi si
incontrassero.
Abbassai lo sguardo. Non ero in grado di reggerlo in quel momento.
“E' quello che penso?”. Non feci altro che annuire.
Avevo
provato a dire qualcosa, ma dalla mia bocca era uscito solo un
balbettio confuso.
“Posso vederlo?” disse porgendomi la
mano per prendere il test. Glielo diedi.
Misi la testa sulle
ginocchia. Stava per venirmi un attacco di panico.
“Ci sono
due linee.” disse Akito. Le sue parole mi sembrarono una
sentenza
definitiva. “Cosa significa?” sospirò.
“Ti prego Sana, non
sono per niente pratico con queste cose.”
Non riuscivo a
parlare, continuavo a dondolare avanti e indietro dentro la vasca da
bagno come una pazza squilibrata. Aspettavo solamente il momento in
cui mi avrebbe urlato contro e detto che era una pazzia, che non era
possibile, che era stato attento, che non potevamo avere un figlio.
Non in quel momento.
“Sana, ti prego. Ti prego. Ho bisogno di
sentirlo da te.”
Non potevo lasciarlo nel dubbio, anche se
sarebbe bastato leggere la scatola.
Alzai la testa, fissai un
punto indefinito davanti a me e poi lo dissi.
“Significa che
sono incinta.”
Nella camera calò il silenzio. Potevo sentire
il rumore dell'orologio in cucina. Akito se ne stava seduto sul
letto, accanto a me, senza dire una parola.
Ero certa che
avrebbe reagito così.
*
Pov Akito.
Non sapevo
se la mia anima era uscita dal mio corpo per poi rientrarci con
prepotenza, avevo sentito solamente un grosso pugno al centro del
petto, come se qualcuno mi stesse seduto addosso. Era una sensazione
strana. Non l'avrei mai più riprovata nella mia vita. Non
come in
quel momento.
Sana sembrava in trance, non aveva alcuna
reazione. Si limitava a guardare davanti a se, senza dire nulla.
Sembrava quasi non respirasse nemmeno.
“Lo so che non è
quello che vuoi.” esordì improvvisamente. Speravo
scherzasse.
“E'
la cosa che voglio di più al mondo.” fu la prima
cosa che mi venne
in mente. Ma era la verità. Volevo quel bambino. Volevo una
famiglia. La volevo con Sana.
Lei si voltò finalmente a
guardarmi, le lacrime le scendevano lente sulle guance.
“Davvero
sei felice?” mi chiese singhiozzando.
“Mai stato più
felice di così in vita mia, te lo giuro.”
“Io penso che
sarà troppo complicato. Siamo sposati da pochissimo, non
sappiamo
nemmeno com'è la vita di coppia. Come possiamo essere
genitori?”
Sana mi stava mostrando le sue incertezze, e io
sapevo che erano solamente dovute alla paura di non essere
all'altezza, alla paura che io non lo volessi, alla paura di non
riuscire a conciliare le due cose: il nostro matrimonio e il ruolo di
genitori. Ma era davvero così? Non avevamo dato abbastanza
prove del
nostro amore? Perchè lei ne metteva altre sulle via?
“Chi se
ne frega del come, Kurata! Lo siamo già! Siamo genitori!
Dentro di
te c'è qualcosa di mio, di tuo. Chi se ne importa di come
faremo.
Siamo io e te, il resto non conta.”
Mi alzai velocemente dal
letto e la costrinsi a spostarsi, per mettermi nella vasca insieme a
lei. La abbracciai, stringendola fortissimo.
Sentii che
chiudeva gli occhi, poggiando la testa sulla mia spalla.
“Ce
la faremo Sana. Ce la facciamo sempre.”
Le baciai la testa e
rimanemmo lì per un po', finché entrambi non ci
ritrovammo a
toccare la sua pancia. Il mio cuore e il suo cuore battevano
lì
dentro, non c'era niente di più bello.
*
Dopo aver
saputo della sua gravidanza, io e Sana non avevamo fatto altro che
comprare tutine e pigiamini al bambino. Sana si ostinava a dire che
sarebbe stata femmina, voleva una bambola da vestire e a cui
insegnare a truccarsi in futuro. Io non volevo azzardare nessuna
ipotesi, a me bastava che esistesse, che fosse reale e soprattutto
sano, il resto non aveva molta importanza. Guardavo Sana fare
progetti sulla camera del bambino, la vedevo emozionarsi con me, ma
non potevo fare a meno di notare anche la sua enorme e comprensibile
paura. Anche io avevo paura, avevo paura di fallire come marito e
come padre, di non supportare lei o di non saper fare il genitore, ma
lei era più nella fase dell'incredulità ancora.
Si, era felice, o
almeno così' sembrava, ma non mi mostrava quella
felicità, era
sempre contenuta e poco espansiva, comportamenti che non erano da
lei. Avevo attribuito quell'atteggiamento allo shock, alle paure
naturali che vengono a qualsiasi donna nello scoprire di essere in
dolce attesa, ed ero andato avanti. Avevo continuato a sognare in
grande, ad immaginare altri figli, altre risate, altre voci per casa,
e il solo pensarci mi faceva sentire pieno di gioia. Non avevamo
detto ancora niente a nessuno della nostra famiglia e nemmeno ai
nostri amici. Era difficile spiegare che dopo pochi mesi di
matrimonio – per giunta non esattamente il matrimonio
perfetto –
che aspettavamo un bambino. Non era facile nemmeno realizzarlo tra di
noi, figuriamoci dirlo a qualcun'altro.
I miei pensieri si
affollavano mentre aspettavo Sana fuori dagli studi televisivi, Rei
non poteva passare a prenderla quindi le avevo imposto di non
prendere il taxi e aspettarmi.
Era uscita correndo, mentre io
la guardavo dalla macchina muoversi dentro quel vestito a fiori che,
ovviamente le calzava a pennello. La pancia era già un po'
cresciuta, ma lei si ostinava a portare abiti larghi per evitare che
qualcuno se ne accorgesse. Sana entrò in macchina e si mise
la
cintura, poi si voltò e mi diede un bacio a fior di labbra.
“Aspetti da tanto?”. Scossi la testa, anche se
l'avessi
aspettata per ore non gliel'avrei mai detto.
Mentre mettevo in
moto ricordai che dovevo parlare a Sana del torneo di karate della
settimana successiva. Era già da un paio di giorni che ne
ero a
conoscenza, ma con le cose da comprare per il bambino e tutte le cose
che ci avevano preso avevo dimenticato di dirglielo.
“La
settimana prossima mancherò un paio di giorni,
Kurata.” dissi
mentre svoltavo a destra. “Ho un torneo di karate con i
ragazzi e
devo accompagnarli necessariamente io perché Asuke
è impegnato con
le gare cittadine.”
Sana annuì ma non disse nulla, non era
facile lasciarla in un momento del genere ma non potevo farne a meno.
Arrivati a casa preparammo la cena, mangiammo in salotto ed
andammo a letto presto. Eravamo distrutti, lei perché aveva
lavorato
tutto il giorno allo studio televisivo e io perché stare
dietro a
venticinque bambini non è esattamente una cosa semplice.
E tra
qualche mese la nostra vita sarebbe stata ancora più
complicata.
Mi
addormentai sul suo pancino che stava già cominciando a
crescere,
essendo alle porte del quinto mese, pensando che al mio ritorno forse
l'avrei trovato ancora più cresciuto e che, finalmente,
avremmo
potuto spiegare quell'improvviso aumento di peso. Forse, finalmente,
saremmo stati felici.
Pov
Sana.
Akito era partito presto quella mattina, io non ero
riuscita ad alzarmi e Rei mi tartassava di telefonate da almeno
mezz'ora. Non avevo voglia di rispondergli, non avevo voglia di
alzarmi, ero stanca ancor prima di iniziare la giornata.
Mi
alzai dal letto un'ora dopo, mandai un messaggio a Rei dicendo che
sarei andata agli studi nel pomeriggio per registrare la
pubblicità
dello shampo che mi avevano commissionato la settimana prima. Dovevo
chiamare il ginecologo per l'ecografia mensile, la mia vita sarebbe
cambiata in poco tempo, avrei dovuto spiegarlo a tutti e quella era
forse la parte che non ero in grado di gestire. Non l'avevo ancora
detto a nessuno, nonostante la mia pancia fosse già
cresciuta, non
si notava abbastanza quindi avevo preferito aspettare. Usavo vestiti
larghi, nascondevo le forme sotto camicie e pantaloni che
camuffassero il mio stato. Ero anche stata abbastanza fortunata: mia
madre era stata impegnata con le ultime modifiche al nuovo romanzo,
perciò non ci eravamo viste spesso. Rei era così
distratto dalla
sua relazione con Asako e dal fatto che lei era impegnata con alcune
riprese e lui andava a trovarla tutte le volte che poteva. Non
avevamo avuto modo di vederci con i ragazzi, un po' per gli impegni
di Akito, un po' perché cercavo di declinare ogni invito per
non
doverglielo dire. Non perché non volessi dirlo alla mia
famiglia o
ai miei amici, in realtà credo temessi che quel sogno
sarebbe finito
da un momento all'altro e mi sarei svegliata senza rendermi conto che
avevo perso la cosa più importante della mia vita. In
più, c'era la
questione lavoro, la questione giornalisti, la questione
paparazzi.
Ci avrebbero seguito ovunque solo per catturare una
mia immagine col pancione, anche se era già uscito qualche
articolo
che commentava il mio improvviso cambio di look. Avevo una paura
matta di soffrire come una dannata durante il parto. Non sapevo come
le due cose fossero collegate, ma in quel momento niente nel mio
cervello poteva trovare un posto ben preciso: era tutto un enorme
casino.
Mi preparai velocemente, presi la borsa che Akito mi
aveva raccomandato di non riempire come quella di Mary Poppins e
andai verso la porta.
Non avrei saputo interpretare che tipo di
dolore fosse. Una fitta, fortissima, al basso ventre. Inizialmente
pensai fosse una cosa passeggera, era normale per una donna in
gravidanza avere qualche dolorino ogni tanto. Abbassai lo sguardo e
mi portai una mano sulla pancia, pregando che finisse presto.
Quando
vidi il sangue che scendeva dai miei pantaloni capii che non era
affatto un dolorino da gravidanza.
Un'altra fitta mi scosse
improvvisamente e pensai di non riuscire a sopportarla. Strinsi i
pugni e, facendolo, mi accorsi di avere tra le mani il cellulare.
L'ultima chiamata era quella di Rei, perciò premetti sul suo
nome e
pregai che rispondesse in fretta perché sentivo le forze
abbandonarmi velocemente.
“Sana, ma si può sapere che fine
hai fatto? Sei una sconsiderata!”
Per una volta non poteva
semplicemente stare zitto?
“Rei… Rei, ti prego. Vieni...”
Non feci in tempo a finire la frase che sentii gli occhi
pesanti e la voce di Rei mi sembrò solo un suono lontano,
ovattato.
I miei occhi si chiusero un attimo dopo. L'ultimo pensiero che
passò nella mia testa fu Akito. Dovevamo dirlo agli altri in
un
altro modo, non così.
Perchè non l'ho fatto prima?
*
Sentivo
la voce di qualcuno attorno a me, ma non ero in grado di riconoscere
di chi fosse. Non mi era familiare, eppure sembrava così
accogliente, calda. Mi sentivo al sicuro.
Ci volle un attimo
per realizzare dov'ero e cosa era successo, un secondo dopo aprii gli
occhi e guardai quello che avevo intorno.
Mia madre, Rei, un
uomo in camice bianco. Ero in ospedale, ciò significava che
mi
avevano trovata in tempo e che era tutto a posto.
“Mamma?”
Mia madre fu subito vicina a me, aveva i capelli scompigliati e
sembrava fosse uscita con i primi vestiti che aveva trovato. Mi
veniva da ridere guardandola ma, quando ci provai, sentii un dolore
acuto in tutto il corpo.
Allora no, non andava tutto bene.
“Sana sei un'incosciente! Ma perché non ci hai
detto che eri
incinta? Perchè non ce l'hai detto?” continuava a
ripetere mia
madre come un disco rotto.
Chiusi gli occhi aspettando che
smettesse per risponderle. Poi mi resi conto delle parole che aveva
usato.
“Hai detto eri. Hai parlato al passato. Perchè ero
incinta?”
Lo sguardo di mia madre mi perforò l'anima, pensai
che non l'avevo mai vista così triste.
“Sana… tu hai...”
Non riusciva a dire niente, ma io sapevo già cosa aveva da
dirmi.
Il medico che era ai piedi del mio letto si avvicinò,
fece un cenno a mia madre facendole capire che ci avrebbe pensato lui
a spiegarmi tutto.
Non aveva bisogno di spiegarmi nulla. Sapevo
già tutto.
“Signora Hayama, mi ascolti...”
Cercai di
tornare lucida, nonostante la mia testa non fosse più
lì già da
qualche minuto.
“Lei, purtroppo, ha subito un aborto
spontaneo. Abbiamo avuto modo di vedere che lei soffre di una
patologia che si chiama incompetenza cervicale. La sua cervice
è
poco tonica, debole, e non riesce a rimanere chiusa per tutto il
termine di una gravidanza. Ciò significa che è
molto improbabile
che lei possa portare a compimento una gravidanza. Il suo ginecologo
avrebbe dovuto avvertirla nel momento in cui avrà fatto
l'ecografia
transvaginale.”
Tutto quello che aveva detto mi rimbombava
nella testa e la cosa che più continuava a ripetersi
all'infinito
era “… è molto improbabile che lei
possa portare a compimento
una gravidanza.”
Non avrei potuto avere figli. Akito ne
sarebbe stato distrutto. E io?
“Andatevene.”
“Signora,
per favore, lei deve capire che questo non prescinde il fatto che si
possano trovare altri modi...”
“Ho detto andatevene.”
Il
dottore mi guardò impallidendo, mia madre non riusciva a non
piangere. Rei non lo guardai nemmeno, la sua faccia era la
dimostrazione della sofferenza.
Si voltarono tutti verso la
porta.
Mi toccai la pancia. Il mio bambino non c'era più.
“Aspettate!” li fermai, prima che uscissero dalla
camera.
“Era maschio?”
Il dottore scosse la testa. “No, una
femmina.”
E poi uscirono, lasciandomi sola in quell'asettica
stanza d'ospedale.
*
Dovevo
essermi addormentata perché non ricordavo quando mia madre
fosse
rientrata e ora se ne stava seduta accanto al mio letto, fissandomi.
“Mamma, ti prego. Voglio stare da sola.” sussurrai,
provando a voltarmi ma senza risultati. Mi faceva male tutto.
“Tesoro… penso che tu debba chiamare Akito.
Dirglielo. Non
penso che sia il caso che rimanga fuori città con te in
queste
condizioni. Lui potrà aiutarti.”
Dirlo ad Akito. Mi sembrava
la cosa più sbagliata e difficile da fare. Come potevo
dirgli che
avevo appena messo fine a tutti i suoi sogni in un attimo?
Forse
era stata colpa mia, forse non ero stata abbastanza attenta, mi ero
stancata troppo. Cosa avrei potuto dirgli? Era colpa mia se la nostra
bambina non c'era più. Ricordai immediatamente che fosse una
femmina.
Avevamo pensato al nome Nami. Significava onda, lo
avevamo scelto perché quella notizia ci aveva travolto come
accade
con le onde, che si infrangono sugli scogli e non ti avvertono mai
del loro arrivo, semplicemente non fai in tempo e ti ritrovi
sommerso. Lei era stata un po' questo, un po' qualcosa che ci aveva
sommerso. Sommerso di timori, preoccupazioni, pensieri. Sommerso di
gioie.
E ora non c'era più. E io non potevo dirlo ad Akito.
Mi avrebbe odiato. Non avrei mai potuto condannarlo a una vita
con me, se non potevo dargli ciò che aveva sempre voluto.
Una
notte Akito mi raccontò che, quando era un ragazzino,
immaginava
sempre di avere una famiglia tutta sua, spesso con me, ma comunque
una famiglia felice, con tanti bambini, nonostante temesse che la
donna che amava potesse avere lo stesso destino di sua madre.
Sua
madre era morta dandogli la vita, si era sacrificata per lui, pur
senza volerlo. Akito era cresciuto, soffrendo si, ma era pur sempre
riuscito ad essere felice in un modo o nell'altro. Io invece ero
stata costretta a sopravvivere alla mia bambina, e cosa ci potrebbe
essere di così doloroso? Non immaginavo niente di peggio.
Non ero
stata in grado nemmeno di dargli un figlio. Non potevo condannarlo a
una vita del genere.
Se gli avessi detto che avevo perso la
bambina naturalmente non mi avrebbe mai lasciato, mi sarebbe stato
accanto senza esitazioni, lo conoscevo. Akito mi amava. Anche io
amavo lui, e proprio perché lo amavo con tutta me stessa non
potevo
sacrificarlo.
“Dammi il telefono mamma.”.
Mia madre
mi fissò, senza capire cosa volessi fare, poi me lo
passò e tornò
a sedersi. “Vorrei parlargli da sola, se non ti
dispiace.”
Mia
madre annuì, si alzò ed uscì dalla
stanza.
Composi il numero
di Akito, sapendo che quello che stavo per dirgli avrebbe decretato
la fine della nostra relazione, del nostro matrimonio, delle nostre
vite.
Pov
Akito.
“Ciao
Kurata. Che c'è, ti manco di già? Non sono
passate nemmeno otto ore
da quando ci siamo salutati stamattina!” risposi scherzando
alla
sua chiamata. Mi aspettavo mi concedesse almeno una risata, ma la
voce di Sana dall'altra parte era veramente gelida.
“Devo
parlarti.”
Mi bastò
mezzo secondo per rendermi conto che non
era in vena di scherzare o di fare conversazione. Mi allontanai
velocemente dalla palestra, le urla dei ragazzi non mi permettevano
di sentire bene.
“Dimmi,
Sana. Che succede?”
“Ci
dobbiamo lasciare.”
Le sue parole mi
fecero sorridere. Era
uno scherzo, ovviamente. Non poteva essere altro che uno scherzo.
“Sii
seria, Kurata. Non mi piacciono questi scherzi idioti.”
dissi con una punta di sorriso sulle labbra.
“Ho
abortito.”
Le sue parole mi
attraversarono il petto prima di arrivare al
cervello, prima che potessi veramente comprenderle. Era impossibile.
“Che
significa che hai abortito? Ti è successo qualcosa? Stai
bene?”
Il panico che
sentivo nella mia voce non l'avevo
mai e poi mai sperimentato prima. Mi sembrava che tutto il mio mondo
fosse definitivamente crollato.
“Stamattina
mi sono sentita
male. Pensavo fossero dolori normali della gravidanza, ma poi ho
cominciato a perdere sangue. Ho abortito naturalmente. Era una
bambina.”
Aveva abortito. La
mia bambina era morta.
“Sana…
ma tu stai bene? Dimmi che stai bene. Ti prego. ”
“No,
Akito. Non sto bene. Dobbiamo separarci.”
La sua voce era
strozzata, sentivo il suo dolore. Sentivo il suo cuore spezzarsi ad
ogni parola che mi diceva. Perchè continuava a ripetermi che
dovevamo lasciarci?
“Sana ma
perché? Io ti amo, tu mi ami!
Avremo altri bambini, non è colpa tua. Torno a casa stasera.
”
Sentivo i suoi
singhiozzi dall'altro capo del telefono.
“Non
rendere tutto più brutto di quanto non sia. Ti prego. Non
sono la
persona che tu pensi io sia. Non posso avere altri figli. Non voglio
altri figli. Devo partire per il tour promozionale del film tra
qualche settimane. Ho avuto un'offerta da Victoria Secret. Non voglio
altri figli.”
Non riuscivo a
credere a quello che stava
dicendo. Non potevo credere che mi stesse lasciando.
“Non
è
una cosa di cui voglio discutere per telefono. Torno stasera, non
prendere decisioni affrettate e non azzardarti a scegliere per me. Io
so cosa voglio, voglio stare con te.”
“Ma io
non voglio
altri figli. Non voglio stare con te.”
Chiusi la
telefonata e
solo in quel momento mi resi conto che le mie gambe non mi reggevano
più e che ero seduto per terra, fuori dalla palestra,
attorno a
mille voci, mille urla di gioia, mentre il mio cuore sanguinava.
Urlai
così forte che mi mancò l'aria.
Mentre tutti mi
chiedevano se avessi bisogno d'aiuto l'unica cosa che volevo era
sprofondare. Sprofondare senza dover affrontare il dolore della morte
della mia bambina senza addossarla a Sana. Come avrei potuto?
*
Aprii la porta di
casa lentamente, cercando di
ritardare il confronto che, in un modo o nell'altro, avrei dovuto
avere con Sana. Non sapevo cosa dirle. Le ore in macchina mi avevano
svuotato. La mia testa era vuota di pensieri, di domande, era solo
piena di confusione.
Il mio cuore era
pieno di dolore.
Mi
avviai verso la cucina, ma non la trovai. Lei non c'era.
Quando
entrai in camera da letto, però, la trovai stesa. Doveva
essere
molto debole, sapevo cosa accadeva quando dovevano indurre il parto.
Non doveva essere stato semplice.
“Ciao...”
sussurrò senza
l'accenno di un sorriso. Mi avvicinai a lei, le diedi un bacio sulla
fronte ma lei rimase immobile.
“Cosa
è successo?” chiesi,
cercando di dimenticare le parole che mi aveva detto al telefono quel
pomeriggio.
“Penso
che tu lo abbia già capito. Non appena mi
riprenderò partirò per il tour promozionale, e
poi dovrò
affrontare la campagna di...”
“Non mi
importa di tutto
questo!” urlai, interrompendola. “Voglio sapere
perché vuoi
lasciarmi! Voglio sapere perché stai prendendo questa
assurda
decisione senza consultarmi!”
Sana
cercò di mettersi più
dritta sul letto ma un'espressione di dolore le arrivò sul
volto,
perciò l'aiutai a sedersi meglio alzandola di peso.
“Quindi?”
incalzai.
“Forse
non è nel nostro destino avere un figlio
adesso. Forse siamo ancora troppo giovani. Forse non siamo adatti. Se
ho perso questa bambina ci sarà un motivo: l'universo non
vuole che
noi due diventiamo genitori!” urlò, facendomi
rabbrividire.
Ma
cosa stava dicendo? Da quando credeva al destino? Da quando affidava
le sue scelte nelle mani di un fato che non esisteva?
Ma chi
era quella ragazza?
“Sana, ma
cosa diavolo stai dicendo? Ma
ti rendi delle assurdità che mi stai buttando
addosso?”
Mi
passai una mano tra i capelli, cercando di sfogarmi su quelli invece
che spaccare tutto quello che mi ritrovavo tra le mani.
“Senti,
Akito.” cominciò, trattenendo le lacrime.
“Mi dispiace se ti sto
facendo del male, mi dispiace se non posso darti quello che vuoi, ma
io non voglio avere altri figli. Non voglio dover mettere da parte la
mia carriera per un bambino. L'ho già sperimentato con
Kaori, ecco
perché ero così spaventata quando abbiamo
scoperto della
gravidanza. Io non lo volevo questo figlio.”
Forse qualcuno
mi stava facendo una specie di scherzo, perché quella non
poteva
essere Sana. Non poteva essere la bambina, la ragazza, la donna che
avevo amato per tutta la mia vita.
“E'
impossibile, Sana.
Eravamo così felici. Cosa è cambiato?”
le chiesi, sperando che a
parlare fosse lo shock e non il suo cuore.
“Questo
aborto è
stata la miglior cosa che mi sia successa.”
Quella frase mi
uccise. Uccise me, il mio amore per lei, i vent'anni di profondo
sentimento che avevamo condiviso, il matrimonio improvvisato che
avevamo avuto, la mia stima per lei, il mio affetto.
Fece
nascere in me solamente l'odio.
“Mi fai
schifo.”
Detto
ciò afferrai la valigia che avevo lasciato davanti alla
porta della
camera, attraversai il corridoio e, nonostante la sentissi piangere
così forte da potermi spezzare il cuore, non tornai
indietro.
Sana
era morta quel giorno per me, così come era morta mia
figlia.
Mi dispiace se a qualcuno
avevo detto che ci sarebbero stati solo lieti fine, sono stata presa
dal mio lato dark e ne è uscito fuori questo.
Volevo semplicemente dirvi grazie perchè continuate a
sostenermi nonostante i miei infiniti ritardi. Purtroppo, E SOTTOLINEO
PURTROPPO, sto preparando gli esami per la sessione estiva e non ho
avuto molto tempo per scrivere. Tutto questo è stato scritto
stasera e stasera stessa lo sto pubblicando, grazie alla tempestiva
azione della mia meravigliosa Beta.
Spero che commenterete, che non mi odierete, che mi vorrete ancora bene
dopo questo capitolo. Io vi voglio sempre bene ! :*
Aspettando taaaaante recensioni,
Akura.
|
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Capitolo 20 *** Non posso. ***
Capitolo
19.
NON
POSSO.
Pov Akito.
Versai altra tequila nel mio bicchiere. Guardai il
liquido scendere lentamente dalla bottiglia e riversarsi, altrettanto
lentamente, nel bicchiere di cristallo che avevo tra le mani.
Non
bevevo tequila, di solito. Preferivo cose come il whisky o la grappa,
ma era stata la prima cosa che Tsuyoshi era riuscito a procurarmi.
La stanza d'albergo in cui alloggiavo era bellissima, dormivo
in un letto a baldacchino, come lo avevo sempre desiderato da
bambino, le cameriere ripulivano la stanza ogni mattina, mentre io
scendevo al bar, e la sera mi portavano la cena in camera, come se
fossi un super ospite.
Cosa si può fare con i soldi… cosa si
fa per i soldi.
Tante cose. Persino distruggere la vita di
qualcun altro, come quella ragazza aveva distrutto la mia.
Non
riuscivo nemmeno più a nominarla. Il solo pensare a lei mi
provocava
conati di vomito, e non era solo la tequila ad aiutare il tutto. Ogni
volta che davanti ai miei occhi arrivava l'immagine di lei,
falsamente distrutta per quello che ci era capitato, che mi era
capitato, provavo un senso di disgusto che mai avevo sperimentato
nella vita.
Stare con lei mi aveva portato a provare emozioni
che mai mi sarei sognato di vivere: la gioia, pura, quella che ti
parte dal cuore e arriva alla più piccola particella del tuo
corpo;
la paura, di poterla perdere e di poter distruggere il nostro
rapporto; la rabbia, per non essere riuscito a preservare i nostri
sentimenti puri come sono sempre stati; infine l'odio, che non avrei
mai pensato di indirizzare alla ragazzina che avevo amato dalla
quinta elementare, ma che in quel momento mi stava distruggendo da
dentro. Sentivo il mio corpo bruciare a causa dell'odio che lei mi
aveva costretto a provare.
Fino a una settimana prima ero un
papà. O, almeno, stavo quasi per diventarlo. Oggi non sono
niente.
Né un marito, ne un papà, ne un uomo. Non sono
nessuno.
Mi
ci erano voluti due giorni per realizzare esattamente cosa fosse
successo. Mi ci erano voluti due giorni per capire che la mia bambina
era morta e che quella ragazza non aveva alcuna intenzione di
affrontare il lutto con me, suo marito, ma dietro a qualche macchina
fotografica mentre si muove dentro a quei maledetti costumi da bagno
che tutti vogliono vederle addosso.
Non aveva voluto più stare
con me. Un figlio avrebbe potuto rovinarle la carriera. Non aveva mai
voluto quella bambina. Lei l'aveva uccisa. E io l'avevo lasciata
fare, credendo veramente che avrebbe potuto amare qualcun altro oltre
a se stessa. Come avevo potuto essere così stupido? Come
avevo
potuto cadere nel tranello ancora e ancora per oltre dieci anni?
Eppure mi reputavo una persona abbastanza intelligente. Non un
genio, ovviamente, ma nella media. E non ero riuscito a capire nulla.
Ero ormai al sesto o ottavo bicchiere, non ero riuscito più
a
contarli dal quarto almeno, e non ero in grado di alzarmi dal divano
e arrivare al bagno.
Ci provai ugualmente. Nel tragitto pensai
a quanto dovessi sembrare patetico in quel momento, a quanto dolore
questa vita aveva riservato per una persona sola, a mia figlia e a
quanto sarebbe stata bella e felice se solo avesse avuto la
possibilità di nascere e, per la prima volta dopo una
settimana,
permisi a me stesso di crollare. Caddi sul pavimento, non reggendomi
più in piedi, non per il troppo bere – che
comunque aveva dato il
suo contributo – ma perché la mia anima si era
appena
definitivamente distrutta. Non mi importava più di vivere o
morire.
L'unica cosa che mi importava era che tutto quel dolore andasse via
perché, per quanto mi riguardava, ne avevo avuto abbastanza
anche
per la prossima vita.
*
Qualcuno stava
bussando, ma avrebbe potuto bussare per il resto della sua vita, non
era nemmeno contemplabile l'idea che io riuscissi a reggermi in
piedi.
Cercai di mettere forza sulle braccia e tirarmi su dal
pavimento della mia magnifica stanza al quarantaduesimo piano di un
hotel di cui non ricordavo nemmeno il nome, per arrivare a quella
dannatissima porta che non faceva altro che martellare dentro la mia
testa. Misi un piede dietro l'altro e, con fatica, arrivai alla
porta. Non l'avessi mai fatto. “Akito, devi vestirti, uscire
da
questa stanza e smetterla di comportarti così.”
Mia sorella
mise piede in camera prima ancora che potessi fermarla, la sua
riabilitazione ormai aveva fatto miracoli ed era tornata a
rincorrermi come faceva un tempo. Non sapevo se considerarla una cosa
positiva o una maledizione in quel momento.
Chiusi la porta
alle sue spalle, tornando a prendere il bicchiere completamente vuoto
dal pavimento per versarci altra tequila. Più tequila
avrebbe
sistemato tutto.
“Va via, Nat. Non voglio vedere
nessuno.”
Natsumi si piazzò davanti a me, mi rubò il
bicchiere dalle mani e si scolò l'intero contenuto proprio
di fronte
ai miei occhi, senza battere ciglio. “Ti ho appena detto di
vestirti. Usciamo.”
Mi trascinò fuori da quella stanza in
meno di mezz'ora. Non sapevo dove stavamo andando, ma sapere che
c'era mia sorella con me rendeva le cose molto più semplici.
Almeno
per un po'.
Pov Sana.
Tentavo di non mettermi
ad urlare di fronte a Rei che, minuziosamente, cercava di spiegarmi
il programma della giornata.
Erano ormai tre giorni che eravamo
a Nagoya e quello stesso giorno avrei preso un aereo che mi avrebbe
portato a Fukuoka. La mia vita era diventata un continuo andare su e
giù per il paese per la promozione di questo film.
Non facevo
altro che sorridere e fingere che quello che avevo vissuto negli
ultimi giorni non fosse stato un inferno. Nessuno sapeva. Avevamo
fatto in modo di non far trapelare nessuna notizia ne della mia
gravidanza e del mio aborto.
Ancora mi sembrava strano dire
quella parola. Aborto. Era una parola semplice, una cosa che accada a
migliaia di donne. Ma tutte loro vivevano il dramma che stavo vivendo
io? Quella sensazione di sentirsi strappare il cuore dal petto ad
ogni respiro. Quella voglia di chiudersi in una camera e non uscirne
mai più. Non sapevo come affrontare quel vuoto. La mancanza
di Akito
non aiutava di certo. Almeno a lui era rimasto l'odio.
A
me cosa era rimasto?
Niente. Non avevo più mia figlia. Non
avevo più l'amore della mia vita. Non avevo più
nulla.
Guardavo
fuori dal finestrino, cercavo di trovare una nota positiva in tutto
quel grigio di cui la mia vita si era colorata.
“Sana?”.
Non
ero in grado di trovarla. Non c'era. Strinsi la borsetta tra le mani,
cercando un modo per distrarmi.
“Sana?”
Non esisteva
un modo per distrarmi. Come potevo distrarmi dalla mia vita che
andava in pezzi?
Sentivo che sarei potuta crollare da un momento
all'altro, mandare tutto all'aria, scappare da quella città
e
tornare da Akito. Ma non potevo. Non che non lo volessi, era forse la
cosa che più desideravo al mondo, ma condannarlo ad una vita
di
rinunce, solo per colpa mia, non era giusto.
“Sana?”
Improvvisamente mi ridestai dai miei pensieri, troppi in quei
giorni, e diedi ascolto a Rei che tentava di spiegarmi il programma
dei prossimi giorni.
Non avevo molta voglia di sentire tutte
quelle banalità, ma lo feci comunque perché non
volevo deludere
anche la mia famiglia come avevo deluso Akito. Non volevo
più
deludere nessuno.
Saremmo partiti il giorno dopo per Morioka e
poi, da lì, avremmo preso un volo per New York dove sarebbe
iniziato
il tour mondiale per la promozione del film.
Ero così stanca.
Desideravo così tanto tornare a casa mia e allo stesso tempo
era
l'ultima cosa che volevo al mondo. Mi sembrava di essere spezzata in
due, in ogni senso e circostanza, perché non ero capace di
vivere
una menzogna, non sapevo come conciliare l'enorme vuoto che provavo
al centro del cuore con quella vita sorridente e felice che dovevo
vivere. Dovevo resistere, in ogni caso. Era il mio lavoro l'unica
cosa che mi separava dall'impazzire e non potevo perdere anche
quello.
“Sei sicura di voler continuare con il tour? Possiamo
tornare a casa anche oggi se vuoi, e mandare all'aria tutto, se non
stai bene.”
Le parole di Rei risuonarono nella mia testa come
un eco. Avrei potuto lasciare tutto e, per la prima volta nella mia
vita d'attrice, era lui stesso a dirmelo, lui a consigliarmi di non
tirare troppo la corda perché avrebbe potuto spezzarsi.
Ma
lasciare tutto avrebbe significato tornare a casa e affrontare Akito.
Natsumi mi aveva detto che non stava più a casa nostra, che
aveva
preso una camera d'albergo due giorni dopo la mia partenza e non era
più uscito da lì. Mi aveva raccontato che aveva
distrutto tutto,
come fa sempre quando è furioso. La sua macchina, tutte le
cose che
avevamo comprato per la bambina, i giocattoli, i pupazzi. Aveva
raschiato via a forza un ricordo troppo doloroso.
Non volevo
essere lì mentre Akito si autodistruggeva per causa mia.
“No,
Rei, va tutto bene. Non preoccuparti per me.”
“Mi
preoccupo, invece. Non spingere troppo, bambina, non voglio vederti
crollare all'improvviso. Potresti prenderti una vacanza, lontano dai
riflettori...”
“Non ho bisogno di una vacanza. Ho bisogno
di lavorare, di non pensare e di andare avanti con la mia
vita.”
Rei non rispose, si limitò a continuare a guidare e anche io
rimasi in silenzio per tutto il tempo restante fino al nostro arrivo
in albergo.
*
Mi trascinai in camera mia,
chiedendo a Rei di chiamarmi solo per cose urgenti, presi il mio
cellulare e mi sdraiai a letto.
Non dovevo farlo, eppure ne
sentivo il bisogno. Afferrai il telefono dell'albergo e composi il
suo numero.
Volevo disperatamente sentire la sua voce.
Il
telefono squillò almeno cinque, sei volte, ma non rispose.
Non
riattaccai, quel suono mi rilassava perché era comunque un
contatto
con lui.
Quando ormai mi stavo rassegnando la sua voce riempì
la mia testa. “Pronto?”
Cercai di parlare, ma dalla mia
bocca non uscì nemmeno un suono. E forse fu meglio
così.
“Pronto?”
ripeté Akito.
Continuai a stare in silenzio, ad ascoltarlo
respirare, poi attaccai.
Rimasi immobile, apatica, incapace di
dire una parola o di provare qualsiasi tipo di emozione,
perché non
ero più in grado di entrare in contatto con quella profonda
parte di
me che amava Akito. Sapevo che mi avrebbe fatto male, che sarei
sprofondata nuovamente in quel baratro da cui avevo solo fatto finta
di uscire, ma non era facile lasciare indietro quella Sana felice e
soprattutto quell'Akito felice.
Nel buio della mia stanza
d'albergo, a chilometri di distanza da Akito e da quella vita che mi
ero lasciata alle spalle, non era facile respirare. Il peso che
costantemente sentivo sul petto si fece più grande, mi
schiacciò
con forza e non resistetti più.
Scoppiai in lacrime e,
cercando di non urlare per il dolore, presi il cuscino e me lo portai
alla faccia.
Era finita, io e Akito avevamo perso tutto, e io
non volevo più vivere in quel modo.
Non volevo più vivere
affatto.
Pov
Akito.
Io e Natsumi passeggiavamo da almeno un'ora, in
silenzio, nel parco che si trovava vicino al mio albergo. Non avevamo
bisogno di parlare, io non volevo essere consolato o sentire le
solite parole di circostanza perché non sarebbero servite a
farmi
ritrovare la serenità. Cosa poteva dirmi per farmi sentire
meglio?
Che la ragazza che era stata al mio fianco da praticamente tutta la
mia vita non voleva farmi del male e che il suo aborto era stato un
caso frutto della sfortuna? Che non era giusto distruggermi in quel
modo? Che dovevo tornare a vivere? Cosa poteva dirmi?
La
risposta era impossibile da trovare perché non c'era niente
che
potesse cambiare la realtà dei fatti.
Quella ragazza mi aveva
rovinato la vita e io ero stato così stupido da
lasciarglielo fare.
"L'hai sentita?"
Scossi la testa. "Credo
sia troppo impegnata con la promozione del film anche solo per
discutere i termini del divorzio."
Mia sorella si bloccò
improvvisamente, lanciandomi un'occhiata stupita. "Aspetta un
secondo! Divorzio? Siamo già così nella merda?"
Natsumi
non era solita parlare in quel modo, per questo fui veramente
sorpreso di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca ma,
effettivamente, l'occasione richiedeva un po' di
drammaticità e
quelle espressioni erano abbastanza coerenti.
"Si, Nat.
Non accetterò mai e poi mai che lei abbia scelto la sua
carriera
invece che la nostra famiglia, invece che sua figlia. Non dopo averla
persa. Non così."
Le parole mi uscirono così velocemente
che non riuscii a contenerle. Prima era difficile parlare con
Natsumi, invece in quel momento mi sembrò la cosa
più naturale del
mondo.
"Akito... vieni qui." Disse guidandomi verso
una panchina vicino a noi. Dopo esserci seduti, riprese a parlare.
"Come puoi pensare che Sana abbia scelto la sua carriera invece
che la bambina?"
"Lei mi ha detto questo, non vuole
avere altri figli perché teme ripercussioni sulla sua vita
artistica. Io non posso obbligarla, ma permettimi almeno di odiarla."
Sospirai, sfinito da quel discorso e da quel dolore.
"Con
la bocca si possono dire tante cose, Aki.
Ma gli occhi non mentono. Anche se Sana è un'attrice, non
posso
credere che tu non abbia visto un briciolo di sofferenza nei suoi
occhi."
Ripensai a quella sera, lei a letto che mi dice di
non aver mai voluto quella gravidanza. Io che urlo. Lei che rimane
impassibile.
Era un'assurdità.
"Akito, Sana non ha
esitato a lasciare la sua carriera, l'università, la sua
vita per
prendersi cura di Kaori, mia figlia, trattandola come se fosse sua.
Era pronta a diventare sua madre se io non mi fossi svegliata mai
più. Come puoi pensare anche solo lontanamente che abbia
causato lei
stessa l'aborto o, peggio, che non volesse altri figli solo per il
suo lavoro?
Lei è una delle mie più care amiche, ti
è stata
accanto, ti ha sposato, per Dio! Non puoi credere veramente a cosa ti
ha detto!"
Rimasi immobile, ascoltando mia sorella che mi
urlava contro, e magari aveva ragione, ma lei non c'era quella sera.
Non aveva visto Sana scacciarmi, trattarmi come l'ultima
persona sulla faccia della terra che potesse amare, scegliere
qualcos'altro a me e a sua figlia, non aveva visto quanto dolore
avevo provato e non aveva sentito il mio cuore spezzarsi proprio in
quell'istante.
"Non lo so, Nat. Non posso dire che tu
abbia completamente torto, ma non hai idea dello sguardo che aveva
mentre mi diceva che non voleva più stare con me."
Mia
sorella si alzò, portandosi le mani alla testa come se
stesse
impazzendo. "Ma ci deve essere qualcosa sotto, Akito! Non è
possibile, mi rifiuto di crederlo!"
"Basta Natsumi,
basta. Lei ha preso la sua scelta, io la mia. Non so se c'è
qualcosa
sotto, non mi interessa nemmeno saperlo, se non ha voluto
condividerla con me e se non ha cercato di superarla con me
evidentemente non mi amava come diceva. Quindi, ti prego, smettila di
difenderla, di ripetermi continuamente le stesse cose. Io sono
stanco, sono distrutto, e non voglio sapere più nulla di
lei."
Mi alzai da quella panchina e cominciai a correre, lasciandomi
alle spalle le urla di mia sorella che mi chiedeva di fermarmi, i
rumori di una città che avrei volentieri abbandonato in
quell'istante, le occhiate della gente che non sapeva nulla, non
conosceva la mia storia o ciò che provavo. Mi lasciai alle
spalle
quel momento, quella sofferenza, quel desiderio di lasciarmi andare
che non mi lasciava in pace nemmeno per un attimo e corsi. Corsi
più
forte che potevo, spezzandomi il fiato, rischiando di farmi male
perché non lo facevo da molto tempo, sudando come mai prima
di quel
momento e fregandomene della pioggia che aveva cominciato a bagnarmi
il viso.
L'universo continuò a prendersi gioco di me,
perché
mi ritrovai senza nemmeno sapere come, al gazebo. Sotto quel piccolo
tetto, che mi aveva fatto da casa durante molte cene passate da solo,
immaginando una grande tavola e la mia famiglia attorno ad essa,
finché lei non mi aveva fatto vedere che poteva esserci di
più di
un gazebo, che potevo avere di più, sentii che le forze mi
venivano
meno. Urlai con tutta la forza che avevo in corpo, urlai per
liberarmi da quel dolore dilaniante, perché non sapevo
più come si
parlava senza gridare, perché era l'unico modo che trovavo
per non
impazzire, anche se forse non avevo fatto un buon lavoro.
Improvvisamente il mio telefono squillò, risposi senza
nemmeno
guardare il mittente.
"Pronto?". Ascoltando la mia
voce sentii immediatamente che sembravo davvero sconvolto.
Dall'altro lato non parlò nessuno, solo qualche respiro ogni
tanto, ma avevo memorizzato anche quello di lei. Il suono del suo
respiro.
"Pronto?" Ripetei, sperando che parlasse,
che mi chiedesse di poter tornare, che mi pregasse di perdonarla
perché avrei fatto qualsiasi cosa se lei me l'avesse
chiesto, che mi
dicesse anche solo una parola... sarebbe stata sufficiente.
Ma
lei non disse nulla. Allora anche io rimasi in silenzio, per almeno
due minuti ascoltammo l'uno il respiro dell'altro finché lei
non
attaccò.
Avrei potuto dire e fare qualsiasi cosa, avrei potuto
arrabbiarmi, distruggere tutto quello che mi capitava a tiro, urlarle
che la odiavo, ma la verità era che se Sana fosse stata con
me in
quel momento non avrei saputo far altro che abbracciarla.
Non
ragionavo quando si trattava di lei, e a volte quel sentimento mi era
sembrata una condanna, altre volte una benedizione.
In quel
momento mi sembrò la cosa più pericolosa che
potessi tenere dentro
me, perché non solo mi aveva tolto tutto, ma mi aveva anche
privato
di me stesso.
Cosa poteva esserci di peggio?
Cinque
mesi dopo.
Pov Sana.
Tornare a casa era stata una
tortura, ma necessaria. Non potevo trattenermi ancora all'estero,
come il mio lavoro mi aveva condotta oltreoceano così mi
aveva
prepotentemente riportato in patria, facendo tornare con me i
ricordi.
Non mi ero permessa spesso di pensarci, dopo la
telefonata in piena notte che gli avevo fatto non ero più
riuscita a
sentire la sua voce. Avevo ascoltato tantissimi suoi messaggi in
segreteria, piangendo fino ad addormentarmi, poi avevo smesso. Non
perché non lo amassi più o non sentissi
più la sua mancanza, ma
perché mi stavo consumando fisicamente. Avevo smesso di
mangiare,
ero dimagrita così tanto che i giornali avevano cominciato a
parlare
di me come anoressica, facendo congetture sul fatto che non si
vedesse più nessuna foto mia e di Akito. Era stato
difficile. Lo era
ancora, ma non potevo più permettermi di vivere in quel
modo. Non
sarebbe stato giusto per nessuno, per Rei e per mia madre
soprattutto, che contavano su di me, che mi amavano nonostante tutto
e che non meritavano di guardarmi mentre mi lasciavo morire.
Perciò
avevo raccolto tutta la forza che mi era rimasta, poca ma comunque
presente, e mi ero rialzata. Con fatica, grandissima fatica, avevo
scelto di vivere, anche se avesse significato vivere in un modo
totalmente diverso da come mi sarei aspettata e da come avrei voluto.
Erano passati pochi giorni da quando ero tornata a casa,
ritrovarmi di nuovo in camera mia, soprattutto da sola, non era stato
semplice e vedere ciò che Akito aveva lasciato dietro di se
era
stato anche peggio. La stanza della bambina era stata completamente
distrutta, con una mazza presumo, e per terra c'erano anche delle
piccole tracce di sangue, quindi doveva essersi ferito.
Avevo
buttato tutto, stando attenta a non tralasciare nulla, per non dover
tornare lì e immaginare di nuovo quei momenti. La sua parte
d'armadio era vuota, e la sua parte di letto troppo fredda. Sul
comodino c'era il libro che gli avevo regalato per la festa del
papà.
Non perché fosse chissà quanto importante, ma
vederlo in libreria
mi aveva fatto pensare ad un modo scherzoso per festeggiare per la
prima volta quella ricorrenza.
Avevamo riso tanto quel giorno,
pensando che l'anno dopo avremmo festeggiato con un bambino che
scorrazzava per casa.
Non era andata così.
In attesa che
le ragazze di servizio dessero una pulita, uscii di casa e mi diressi
al supermercato visto che le uniche cose che avevo in frigo erano
yogurt andato a male e due bottiglie d'acqua, nessuna delle due
piena. Camminavo tra gli scaffali in cerca della salsa di soia
perché
quella sera avevo intenzione di cucinare tonno scottato e di condirlo
con un po' di salsa. Non avevo la cuoca personale, purtroppo, e per
la maggior parte delle volte era Akito a cucinare, quindi dovevo
arrangiarmi in qualche modo.
Andavo avanti e indietro per il
reparto sughi pronti e condimenti finché non mi resi conto
di
esserci passata davanti per lo meno tre volte. Mi alzai sulle punte
per raggiungere lo scaffale ma, nello stesso momento in cui la stavo
per afferrare, una mano più grande della mia fece lo stesso.
Quando
abbassai lo sguardo per sorridere di quel gesto maldestro da parte di
entrambi, ciò che vidi mi lasciò senza respiro.
"Sei
tornata." Fu tutto quello che riuscì a dirmi.
Akito era
di fronte a me, stringevamo entrambi quella bottiglia di salsa, le
nostre dita si sfioravano appena eppure sentii in quel contatto
un'urgenza che mi era mancata in quei cinque mesi.
Riuscii solo
ad annuire. Poi deglutii e cominciai a parlare. "Da cinque
giorni." Risposi senza distogliere lo sguardo dal suo.
Anche
lui era più magro, si era tagliato i capelli e i suoi occhi
sembravano di porcellana, come se ci si potesse vedere attraverso.
Aveva sofferto, ne ero certa, così come avevo sofferto io.
Forse non
era giusto condannarci a quella tortura, ma a lui prima o poi sarebbe
passata, avrebbe trovato una donna in grado di dargli una famiglia e
di renderlo felice. Lei gli avrebbe dato ciò che io non
potevo più
dargli.
"Come stai?" Gli chiesi, di riflesso alle
miliardi di volte in cui quella frase significava ancora qualcosa.
Akito fece una smorfia, lasciò nelle mie mani la bottiglia e
fece un passo indietro. "Benissimo, non si vede? A proposito,
ora che la grande star ha fatto ritorno a casa potremmo discutere
della questione divorzio? Mi servirebbe il numero del tuo avvocato
così da farlo contattare dal mio, se non ti dispiace."
Rimasi
di stucco nel sentire quelle parole, ma alla fine non dovevo
sorprendermi così tanto. Akito mi odiava, io lo avevo
portato a
provare quel sentimento ed era naturale che volesse lasciarmi anche
legalmente il più presto possibile. Infondo erano cinque
mesi che
eravamo lontani, non una settimana, quindi immaginai fosse la cosa
più sensata da fare. Gli avrei restituito la sua vita.
"Non...
non ho ancora richiesto l'inizio delle pratiche, ma ti farò
contattare." Dissi cercando di non piangere.
"Wow, e
io che pensavo che fossi già pronta per firmare le carte. Va
bene,
Kurata. Stammi bene."
Detto ciò si voltò e trascinò il
carrello e la sua energia negativa lontano da me.
Rimasi ferma
per almeno qualche secondo, incapace di muovermi, con quella
bottiglia tra le mani e il gelo nel cuore.
Ero stata io a
costringerlo a quello, io avevo voluto che mi odiasse, che smettesse
di amarmi.
Ma allora perché la parola divorzio mi stava
facendo mancare la terra sotto ai piedi?
Pov
Akito.
Uscii dal supermercato con un senso di soffocamento che
non avevo mai provato. Mi sentivo come in quei film in cui le pareti
di una stanza sembrano avvicinarsi fino a schiacciarti, solo che io
non venivo distrutto dalle mura bensì da quella donna. Era
lei che
mi uccideva, che rideva di me mentre cercavo una boccata di aria
pulita in un luogo completamente chiuso. Aveva un aspetto diverso,
meno curato ed era molto più magra. Le avevo guardato il
collo e,
nonostante fossero visibili anche prima, le ossa delle clavicole
erano come degli spigoli sotto la sua pelle.
Mi aveva chiesto
come stavo. Che sfacciata. Stavo male, ma mi ero buttato a capofitto
sul mio lavoro, sulle lezioni e sulle gare, che vincevo una dopo
l'altra, e avevo tentato disperatamente di non pensare a lei.
Era
difficile comunque, ma adesso che era tornata sarebbe stato anche
peggio. In più a breve avremmo dovuto partecipare al
matrimonio di
Tsuyoshi e Aya e, sicuramente, lei sarebbe stata la testimone, il che
significava che me la sarei ritrovata sempre accanto. Non sapevo se
sarei stato in grado di affrontare una giornata del genere, guardarla
sorridere, magari accanto al suo accompagnatore – anche se
non
pensavo che avrebbe avuto la faccia tosta di presentarsi con qualcuno
– e forse anche ballare con qualcuno, non curandosi
minimamente di
chi la guarda alle sue spalle. Avrei voluto poter evitare quella
tortura, ma era il matrimonio del mio migliore amico e non potevo
mancare, non per lei.
Avevo lasciato l'albergo e mi ero
trasferito di nuovo a casa di mio padre, ma era una sistemazione
temporanea. Comunque ero felice di poter passare più tempo
con mia
nipote, che era diventata una bambina veramente dispettosa –
mi
domando da chi abbia potuto prendere quella caratteristica, se non
per osmosi da Sana – e soprattutto con mio padre che era
uscito
molto provato dalla storia di Natsumi ed era diventato ansioso e
paranoico. Cercavo di rasserenarlo ogni volta che potevo, ma non era
facile per me mettere a posto il casino che era diventata la mia vita
e occuparmi di lui contemporaneamente. Per fortuna c'era Natsumi a
darmi una mano e, praticamente come non avevamo mai fatto, ci
sostenevamo a vicenda. Era bello avere Natsumi, mi dava la sensazione
di poter affrontare qualsiasi cosa, anche se non era esattamente
così.
Non mi sentivo in grado di fronteggiare niente in quel
preciso istante, eppure era arrivata al momento. Tornai a casa il
più
velocemente possibile e, senza dire niente, salii le scale e mi
chiusi in camera mia. Mi sentii di nuovo quel bambino di dodici anni
che non riusciva a sopportare l'idea che Sana recitasse con quel
damerino di Kamura.
“Cos'è successo?”. Natsumi
entrò in
camera mia e chiuse la porta alle sue spalle. Benissimo, adesso ero
diventato la sua amichetta del cuore e avrei dovuto raccontarle tutti
i miei segreti.
“Non ne voglio parlare, Nat. Ti prego,
lasciami in pace.”
“So che Sana è tornata.” disse lei,
mentre faceva le giravolte nella sedia della scrivania.
“Bene,
allora mi risparmi la fatica. Ora vattene Natsumi, voglio rimanere da
solo.”
Mia sorella non se lo fece dire una terza volta, si
alzò dalla sedia e uscì dalla camera.
Dieci secondi dopo ero
fuori anche io, con la tuta e le cuffie nelle orecchie,
perché non
volevo sentire nulla, né i rumori della città
né quelli del mio
cervello. C'era troppa confusione dentro di me, troppo affollamento
di pensieri, di ansie e paure che non riuscivo a debellare.
Dovevo
correre. Correre verso di lei, anche se lei non era più la
ragazza
che avevo amato per tutta la mia vita. Era solo il riflesso di lei,
una sagoma vuota che aveva cancellato tutto ciò che di bello
avevamo
vissuto.
Lei non era più la mia Sana.
Era solo Sana
Kurata.
Pov
Sana.
Camminavo
per le strade della mia città come se mi fossi trovata in un
luogo
sconosciuto. Tutto mi era familiare, ma non mi sentivo più a
casa.
Avrei saputo descrivere ogni particolare, ma solo con la mente, non
ero più in grado di vederlo con il cuore.
Durante i mesi in
tour avevo sviluppato quella strana abitudine – strana per
me,
visto che ero sempre stata una pigra cronica – di fare una
passeggiata la sera. Mi rilassava vedere le città nel loro
momento
di calma, mi faceva sentire ancora padrona di qualcosa. Ormai non lo
ero più di nulla, nemmeno di me stessa. Sarebbe stato facile
essere
di nuovo felice: avrei potuto dire ad Akito che avevo inventato
tutto, che lo avevo fatto per non farlo soffrire ma sarebbe stato il
gesto più egoista da fare. Non era la vita che lui volevo,
accanto a
qualcuno che lo avrebbe privato di una parte fondamentale del
matrimonio.
Chi ero io per fargli questo?
L'unico modo per
rendere Akito felice era tenerlo lontano da me, e lo avrei fatto.
Quell'opzione sarebbe stata alquanto difficile se avessimo
continuato ad incontrarci ovunque. “Due volte in un giorno,
sono
proprio una donna fortunata.” dissi quando lo vidi correre al
mio
fianco. Non potevo stare con lui, ma se volevamo sopravvivere indenni
al matrimonio di Aya e Tsuyoshi avremmo dovuto almeno non urlarci
contro ad ogni conversazione. Poi avremmo potuto anche non vederci
più, ma lo dovevo ad Aya. Era la mia migliore amica e non
potevo
rovinarle il giorno più importante della sua vita.
Akito mi
rivolse uno sguardo quasi disgustato, poi si tolse una cuffietta
dall'orecchio. “Non immagini quanto sia fortunato
io.”
“Aspetta.” Stava per andarsene quando lo fermai,
trattenendolo per un braccio. “Ti prego, resta.
Non… devo dirti
una cosa.”
Si piazzò davanti a me con le braccia incrociate,
fingendo di ascoltarmi.
“Non voglio che tra di noi ci sia…
questo.” indicai lo spazio, troppo grande, che ci separava.
“E
cosa vorresti che ci fosse? Io non voglio sapere nulla di te. E ora
se non ti dispiace...”. Fece per andarsene, ma lo bloccai di
nuovo. Le lacrime lottavano per uscire, tentai invano di trattenerle.
“Non avrei mai voluto tutto questo. Lo sai, vero?”
Akito
abbassò lo sguardo, sciolse le braccia, si
avvicinò a me. Il cuore
mi scoppiava. “Non l'ho scelto io. Ora è il
momento di pagarne le
conseguenze.”
Detto ciò si rimise le cuffie e tornò alla
sua corsa. In poco più di due minuti aveva trovato il
coraggio di
distruggermi di nuovo.
Ma in fondo non potevo pretendere
diversamente.
Pov
Akito.
Frugavo
da giorni nel mio armadio alla ricerca di un mio vecchio kimono, ma i
risultati erano piuttosto scarsi.
Kiroji, un bambino a cui
insegnavo in palestra, non aveva la possibilità di comprarne
uno
nuovo, visto che il suo si era strappato durante un incontro, e avevo
pensato di regalargli il mio che, anche se non era nuovissimo, poteva
ancora andar bene fino alla fine delle competizioni.
Avevo
cercato ovunque e, puntualmente, cercavo di scacciare quella vocina
che mi diceva che potesse essere a casa sua. Non volevo chiamarla per
poter controllare ne volevo trovarla lì quando ci sarei
andato,
quindi verso le dieci uscii da casa mia per andare da lei, per
controllare se fosse in casa o no. Avevo ancora una copia delle
chiavi di casa, quindi non avevo bisogno che ci fosse lei, ma la
paura di incontrarla era come un mostro che mi stava col fiato sul
collo costantemente. Temevo di combinare qualche casino con lei
attorno e la mia testa non era in grado di interiorizzare altri
problemi.
Fuori la sua macchina non c'era, quindi via libera.
Parcheggiai e presi le chiavi dalla tasca, per poi entrare in casa.
Entrarci di nuovo mi fece mancare il fiato. Era tutto buio e
non mi preoccupai di accendere le luci, visto che dovevo rimanerci
per poco più di cinque minuti. Guardai alla mia sinistra e
la camera
della bambina era proprio lì, a fissarmi, completamente
vuota se non
per qualche scatola qui e lì. Percorsi il corridoio e mi
diressi
verso la stanza da letto per prendere ciò che mi serviva.
Nella
fretta avevo lasciato molte cose lì, me ne resi conto solo
quando,
aprendo l'armadio, trovai una serie di mie magliette e anche un paio
di scarpe. Cominciai a frugare tra la mia roba, ma del kimono neanche
l'ombra. Dove cavolo l'avevo messo?
Mi voltai per cercare un
borsone dove mettere le cose che avevo trovato e, improvvisamente,
sentii un fortissimo dolore al naso e, portandomi le mani al viso,
caddi a terra.
“Ho chiamato la polizia, se non te ne vai
subito ti spacco la testa!”. Sana continuava ad urlare,
dimenando
il mattarello che aveva tra le mani. Mi aveva colpito così
forte che
il sangue cominciò ad uscirmi dal naso, e non riuscivo a
fermarlo.
“Sono...” Tentai di parlare, ma il sangue mi era
finito in
bocca e per poco non vomitai. “Sono io, Sana…
fer… ferma!”
riuscii a dire infine, alzandomi in piedi e afferrandole il polso,
cercando di fermarla.
Lei corse ad accendere la luce, mi guardò
stupita e poi mi colpì un'altra volta sulla testa, meno
violentemente stavolta. “Cosa diavolo ti è venuto
in mente? Volevi
farmi venire un infarto? Pensavo che fossi un ladro o
peggio!”. Mi
colpì di nuovo, e mi sembrò per un attimo di
essere tornato alle
elementari, quando usciva dalla tasca quel martelletto solo per
darmelo in testa.
“Sana, io mi starei dissanguando qui.”
dissi andando verso il bagno. Solo allora si rese conto che ero tutto
imbrattato di sangue e che non riuscivo neanche a parlare.
Gettò il
mattarello per terra e mi seguì. “Scusami! Cavolo,
ti ho colpito
proprio forte. Scusa, Aki.” disse, forse senza pensarci,
senza
dargli peso o forse per la forza dell'abitudine. Eppure sentirmi
chiamare in quel modo da lei, dopo tanto tempo che non le sentivo
più
pronunciare il mio nome era stato strano. Mi fermai per un attimo,
guardandola dritta negli occhi, poi continuai a lavarmi il
viso.
“Stai fermo, Akito. Prendo qualcosa per fermare il
sangue.”
Si allontanò un attimo e poi mi passò un po' di
carta igienica arrotolata e, per un attimo, smettemmo di essere
marito e moglie in rotta e tornammo quei due bambini di tanto tempo
prima. Scoppiammo a ridere insieme nel momento in cui mi mise quella
carta su per il naso. Era surreale, era forse la cosa più
inopportuna che sarebbe potuta capitarci, eppure il destino ormai
sceglieva per noi.
Mi fece sedere sul water, intimandomi di
nuovo di stare fermo. Volevo andarmene. Non ero pronto a starle
così
vicino.
“Che ci fai qui?”. Le sue domande arrivarono prima
ancora che pensassi ad un motivo valido da darle. Lei
sciacquò un
asciugamano e poi cominciò a passarmelo sul viso per
togliere le
macchie di sangue. “Non… non devi
farlo.” Cercai di
toglierglielo dalle mani, ma lei mi bloccò.
“Voglio farlo.”
Gli sguardi che ci scambiammo erano inequivocabili. Avrei
voluto così tanto baciarla… e sapevo che lo
voleva anche lei, ma
nessuno dei due si mosse di un millimetro.
“Quindi… perché
sei entrato in casa nost...” si bloccò
immediatamente prima di
dire di più. “Perché sei qui,
Akito?” concluse infine,
tagliando corto.
“Ho lasciato delle cose qui che mi
servivano.”
“E non potevi semplicemente chiedermele?”. Lo
chiese come se vederci fosse la cosa più normale del mondo,
come se
non ci fossimo distrutti a vicenda prima di quel preciso momento.
“Non ho visto l'auto fuori e ho pensato che sarebbe stato
meglio per noi evitare qualsiasi contatto.”
La guardavo dal
basso scrutare ogni singolo angolo del mio viso, come se non lo
conoscesse abbastanza, come una drogata in astinenza dall'eroina.
Tutto in lei mi faceva capire che mi amava. E allora perché
aveva
distrutto la mia vita?
“Ho dovuto prestare l'auto a Rei, la
sua aveva un problema al cambio. Avresti dovuto chiamarmi, potevo
farti trovare tutte le tue cose da Tsuyoshi se proprio non volevi
vedermi.” disse con la voce calma. Quella voce calma che mi
stava
facendo uscire di testa da cinque mesi, la stessa con cui mi aveva
cacciato dalla sua vita.
“Puoi biasimarmi per questo?”. Non
volevo chiederglielo davvero, le parole erano semplicemente uscite
dalla mia bocca senza il mio consenso.
Sana scosse la testa e
non disse più nulla. Rimanemmo in silenzio per un po',
finché lei
non mi ripulì la faccia da tutto il sangue. Quando mi disse
che
aveva finito restai lì, a guardarla mentre lei non si
allontanava.
Erano cinque mesi che non sentivo il suo profumo. Cinque mesi che la
sua immagine mi tormentava come il peggiore dei miei incubi.
“C'erano giorni in cui avrei voluto ucciderti...”
dissi
tutto d'un fiato, aspettandomi la sua solita reazione esasperata.
Invece non disse nulla per un po'.
“Forse avrebbe fatto meno
male di tutto questo.”
Non riuscivamo a staccarci l'uno
dall'altro, e non perché eravamo masochisti – o
forse io lo ero
almeno un po' - ma perché tra di noi c'era sempre stato quel
tacito
accordo.
Se
vuoi che io non dica nulla, non dirò nulla. Ma lascia che io
sia qui
per te.
E
avevamo mantenuto quell'accordo per tutti quegli anni.
Finché lei
non l'aveva tradito, tradendo me e i nostri sentimenti.
Improvvisamente l'atmosfera cambiò e Sana si
allontanò da me,
facendomi uscire da quello stato di trance in cui mi aveva
portato.
“Dovresti andare, Akito. Ti farò sapere quando non
sono in casa così potrai venire a prendere le tue
cose.”
Mi
alzai, senza toglierle gli occhi di dosso. Mi sentivo sporco a
volerla ancora. Ma l'avevo amata per tutta la mia vita, come potevo
pretendere che il mio cuore perdesse la memoria così, da un
momento
all'altro?
Mi sarei fatto uccidere per lei.
“Si…
vado.” dissi, dirigendomi verso la porta d'ingresso.
Da una
parte avevo paura che uscendo da lì non l'avrei
più rivista, che si
sarebbe smaterializzata davanti ai miei occhi, dall'altra speravo di
non vederla mai più, perché la sua presenza mi
dilaniava.
Mi
sentivo come se un coltello si spingesse sempre più a fondo
dentro
al mio petto.
Potevo sopportare tutto quello, ancora?
Uscii
da quella casa, che era diventata quella perché aveva smesso
di
essere anche mia, e quando la porta si chiuse sentii che anche dentro
me si stava chiudendo qualcosa.
Non ero certo di cosa fosse
esattamente, ma ero più che sicuro che quel qualcosa non mi
avrebbe
più permesso di amare qualcuno ed essere distrutto. Non
l'avrei più
permesso a nessuno.
Pov
Sana.
Cercai di non piangere. Cercai di non correre da lui nel
momento stesso in cui ebbe oltrepassato quella porta. Non potevo. Ero
riuscita a resistere per cinque mesi, potevo sopportare qualche altra
settimana.
Potevo davvero sopportarlo? Potevo impormi quella
tortura? Potevo davvero imporla ad entrambi?
Avevo scelto io
per entrambi, questo poteva davvero essere giusto? Forse no, ma io
cercavo solamente di proteggerlo.
Ma era davvero quello il modo
giusto?
*
La sera dopo Fuka
si era presentata a casa mia
con un paio di birre, usando la scusa del troppo tempo passato
separate. Sapevo che voleva solamente controllare come stavo, che si
preoccupava per me e per la mia salute mentale, avendo lei assistito
a tantissimi miei crolli causati da Akito, ed era carino da parte
sua.
“Quindi, fammi capire: tu gli hai detto che non volevi
bambini per preservare la tua carriera?”
Annuii, aprendo la
seconda birra. Non avevo voglia di raccontarle la verità.
Non perché
non mi fidassi di lei, ma parlarne avrebbe significato ricordare
quegli orribili momenti e, visto che non c'era alcuna
possibilità
per me e Akito era inutile farmi del male e farmi compatire dalle mie
amiche. Bastava ciò che le stavo raccontando per capire
ciò che
provava Akito, anche se non del tutto.
“Sei stata proprio una
stronza.”
Sorrisi d'impulso, pensando alla sua totale mancanza
di tatto nei miei confronti.
“E' la cosa migliore, Fuka. Non
posso renderlo felice, quindi perché fingere e distruggerlo
più
avanti? Non eravamo giusti l'uno per l'altra.”
Feci spallucce
e mandai giù un sorso di birra piuttosto lungo.
“Ma chi
diavolo sei tu?” urlò Fuka, alzandosi dal divano.
“Non ci posso
credere che tu sei Sana Kurata, la ragazza che io conosco, quella che
è mia amica! Senti, io ho rinunciato ad Akito per te,
perché
poteste essere felici insieme. Non puoi farmi questo!”.
Era
la prima volta che mi diceva una cosa del genere, che mi rinfacciava
quello che era successo ormai dieci anni prima.
Non distolsi lo
sguardo. “C'è solo una cosa che non potrei mai
fare in vita mia:
fare del male ad Akito.”
Fuka mi rivolse uno sguardo sconfitto
e non nominò più Akito per tutta la serata.
Mancavano due
giorni al matrimonio di Aya ed ero stata una pessima testimone, una
pessima amica. Ero pessima e basta.
Non mi meravigliava che
Akito non mi volesse più, ero la persona più
incasinata della
terra.
Nonostante quello lui mi aveva amata.
E io avevo
distrutto tutto.
Pov Akito.
“Akito!”.
La
voce di Natsumi era un suono lontano e ovattato, che diventava sempre
più forte man mano che lei si avvicinava alla mia camera.
Quando
entrò sentii un tonfo, mi voltai e la trovai con la mia
bottiglia di
vodka tra le mani.
“Di nuovo?” disse indicando la
bottiglia. Mi limitai a voltarmi dall'altro lato, non avevo voglia di
affrontare quella discussione. Ero ancora troppo provato
dall'incontro con Sana. Stavo tornando ad essere vulnerabile da
quando l'avevo rivista e la cosa non mi piaceva affatto. Volevo
smettere di essere il suo burattino, ma la verità era che da
quando
l'avevo conosciuta non avevo fatto altro che aspettare come un
cagnolino che mi degnasse di un briciolo di attenzione e, quando
finalmente l'aveva fatto, il prezzo dell'attesa aveva smesso di
essere così caro e io mi ero auto convinto che potesse
bastare per
tutti gli anni che avevo passato a cercare un suo sguardo. Mi ero
ripetuto mille volte che il fatto di essere sposati, di aver
costruito quella strana coppia fosse abbastanza, che avrebbe
compensato tutto il resto. Realizzai che non era così non
appena mi
lasciò.
“Ho bisogno dell'Akito lucido, ti prego.”. Mia
sorella proprio non voleva lasciarmi in pace. Sentivo Kaori piangere
al piano di sotto ma a lei sembrava non importare.
“Tsuyoshi
è in cucina, vuole vederti. Dice che rifiuti le sue chiamate
da un
paio di giorni, è preoccupato.”
Fantastico, ci mancava
solamente Tsu.
“Digli che scendo subito.”
Natsumi
uscì dalla mia camera portando con se la bottiglia di vodka,
ovviamente, intimandomi di sbrigarmi.
Presi la maglia dal
pavimento e la infilai alla meglio, per poi scendere le scale e
trovarmi Tsuyoshi davanti, con una faccia alquanto preoccupata.
“Ti
sei svegliato con la luna storta?” chiesi mentre mi dirigevo
in
cucina per fare colazione. Lui mi seguì a ruota.
“Io domani
mi sposo, Akito. E tu, in quanto testimone, dovresti impedire che mi
venga un attacco di panico o che ne so, portarmi in giro a fare
qualche pazzia con delle spogliarelliste scadenti oppure pagarmi una
cena, si credo che la cena sia l'opzione migliore perché le
spogliarelliste potrebbero essere un po' eccessive e io non voglio
che...”
Mi fiondai su di lui e lo bloccai per le spalle.
“Tsuyoshi smettila. Niente spogliarelliste, ma ti prego
smettila di
parlare.” Lo costrinsi a sedersi a tavola, gli piazzai una
tazza di
cereali davanti e gli versai un po' di latte.
“Adesso mangia.
Così avrai la bocca impegnata.”
Tsuyoshi obbedì senza fare
storie, e rimanemmo per un po' in silenzio, mentre Natsumi cambiava
la bambina e le faceva il bagnetto.
“Ti senti meglio?”
chiesi quando finimmo di mangiare.
“Si, diciamo di si,
grazie.”
“Scusa se sono stato un pessimo amico. Tu ci sei
sempre per me e io sono stato veramente poco presente.”
Tsuyoshi
mi tolse la tazza dalle mani e la portò sul piano cottura,
scuotendo
la testa. “Sei mio fratello, Akito. Non posso chiederti di
aiutarmi
quando non riesci ad aiutare nemmeno te stesso.”
Annuii. Tra
di noi non c'era bisogno di parlare più del dovuto, eravamo
fratelli, come aveva detto lui, e io sapevo di poter contare sempre
su di lui, anche se spesso io non avevo fatto lo stesso.
Passammo
la giornata così, tra chiacchiere di circostanza e ricordi
d'infanzia.
Non riuscivo a realizzare il fatto che il mio
migliore amico si stesse per sposare. Il matrimonio è un
casino, ma
lui non avrebbe avuto la mia stessa sorte. Aya non era una pazza
squilibrata come Sana, e amava Tsu. Si amavano da sempre.
Avrebbero
avuto una vita lunga e felice, esattamente il contrario della mia.
Pov
Sana.
Aya
non faceva altro che toccarsi i capelli, e io non facevo altro che
intimarle di stare ferma, perché aveva le mani sudate e
avrebbe
rovinato tutta l'acconciatura.
Che stress i matrimoni. Erano
una vera e propria tortura, chissà perché tutti
li designavano come
il giorno più bello della tua vita se poi l'unica cosa bella
è il
momento in cui torni a casa dopo una giornata piena di sorrisi finti?
“Fuka, ti prego, fagli una ramanzina delle tue
sennò finirà
per impazzire.”
Mentre Aya indossava l'abito, Fuka cominciò
a parlare, così mi presi una pausa da tutta quella ansia
mista a
felicità e mi spostai nella stanza accanto.
Casa di Tsuyoshi e
di Aya era molto carina, e ogni suo angolo era pieno dell'amore che
li contraddistingueva. Ricordai che Aya mi aveva parlato a lungo del
colore della cucina – se prenderla rossa o grigia –
e Tsuyoshi
continuava a ripetere al telefono che tanto lei alla fine ne avrebbe
scelta una terza, perché era l'eterna indecisa.
Tornai in
camera da letto, Fuka stava ancora parlando ma Aya non l'ascoltava e
se solo lei se ne fosse accorta avrebbe ricominciato da capo. Sul
comodino di Tsuyoshi c'era una loro foto durante la vacanza in
Italia. Lui l'abbracciava da dietro e la baciava sulla guancia. Aya
aveva un'espressione così felice, gli occhi chiusi e la
testa
rivolta verso l'alto.
“Sei proprio fortunata...” dissi a
bassa voce, pensando che nessuno mi sentisse. Invece Fuka smise di
parlare e Aya si voltò verso di me.
“Lo so...” sussurrò
Aya. “Mi dispiace Sana. Se tutto questo per te è
troppo difficile,
io… puoi andare.”
Mi avvicinai a lei e l'abbracciai. “Io
sto bene, Aya. Tu sei la mia migliore amica. Oggi è il tuo
giorno.”
La guardai per un attimo e notai che una lacrima le stava
scendendo giù per la guancia. “Non piangere per
me, io voglio solo
starti vicina. E poi così si rovina tutto il trucco, quindi
smettila
subito!” le ordinai, sorridendo.
Entrambe scoppiammo a ridere
e Fuka alle mie spalle si unì all'abbraccio.
Erano le mie
amiche più care. Mi erano state accanto per tutta la mia
vita, come
potevo abbandonarle solo perché la mia vita era diventata un
casino?
*
Aya
mi passò il suo bouquet quando arrivò davanti a
Tsuyoshi. In realtà
dovetti toglierglielo dalle mani perché lei era troppo
impegnata a
guardarlo. Avevano scelto il rito occidentale ma avevano deciso
comunque di mantenere qualche tradizione, infatti l'officiante
passò
sulle testa dei due sposi un ramoscello di camelia, che poi venne
passato ai loro genitori.
Era il simbolo dell'unione delle due
famiglie, come due alberi che scelgono di crescere uno accanto
all'altro, unendo le loro radici e i loro rami, su in alto.
Avevo
scelto volontariamente di non guardare Akito per tutto il tempo,
anche se sapevo benissimo di doverlo fare prima o poi.
Ogni
cosa durante quella cerimonia mi ricordava lui, il nostro matrimonio,
basato su una finzione, e su dei sentimenti che non riuscivamo
veramente ad esternare.
Eravamo stati così stupidi.
“Con
questo anello io ti sposo...” Tsuyoshi le mise l'anello al
dito. “E
prometto di esserti sempre fedele, nella gioia e nel dolore, in
salute e in malattia, di amarti e onorarti tutti i giorni della mia
vita, finché morte non ci separi.”
Mentre Aya faceva lo
stesso abbassai lo sguardo verso la mia mano, inconsciamente non
avevo notato di portare ancora la fede, quello stesso anello che io
non mi aspettavo. Una lacrima mi scivolò sulla guancia,
volevo
disperatamente guardarlo, ma la paura mi bloccava.
Avevo paura
che mi avrebbe odiato, molto di più di quanto non lo facesse
già.
Avevo paura di perdere il controllo, che mi sarei fiondata su di lui
e lo avrei supplicato di perdonarmi. Avevo paura di trovare nel suo
sguardo qualcosa che mi avrebbe detto che sarebbe andato avanti. Io
non ci sarei mai riuscita.
Alla fine, comunque, cedetti. Lo
guardai. Lui stava facendo esattamente la stessa cosa che stavo
facendo io. Non ci avevo fatto caso tutte le volte che lo avevo
incontrato prima di quel momento: anche lui portava ancora la fede.
Se la rigirava tra le dita nervosamente, mentre Aya recitava le sue
promesse.
I nostri sguardi si incrociarono e fu allora che,
senza nemmeno rendermene conto, cominciai a piangere. Trattenni i
singhiozzi, ma non mi preoccupai di nasconderlo. Chiunque avrebbe
pensato che mi fossi emozionata per il matrimonio. Dentro di me tutto
stava andando in pezzi. Ma nessuno se ne accorgeva, eccetto Akito.
Pov
Akito.
Non aveva alcun
diritto di piangere, non dopo
quello che mi aveva fatto. Non poteva guardarmi, guardare la mia
fede, la sua fede, e piangere in quel modo. Non poteva farmi sentire
colpevole della sua sofferenza. Non era giusto.
Il banchetto
cominciò subito dopo, ovunque c'era gente brilla, tutti si
divertivano e c'era chi si divertiva anche troppo – tipo
Gomi, che
Hisae non faceva altro che inseguire per tutta la sala – e
chi
invece, come mia sorella, non faceva altro che starsene seduta con
Kaori a rimuginare sulla sua condizione da single. Ma di che si
lamentava poi? Kaori, non appena aveva visto Sana, si era dimenata
per essere presa in braccio da quella che era stata la sua mamma per
mesi. Vedere Sana con la bambina mi faceva uno strano effetto.
Sentirla parlare con mia sorella di quanto Kaori fosse cresciuta mi
faceva sentire preso in giro. Lei amava quella bambina, glielo si
leggeva negli occhi, eppure non era riuscita ad amare mia figlia. Sua
figlia.
Mentre sorseggiavo
un drink al bar Tsuyoshi si avvicinò
a me. “Non mi sembra che tu ti stia divertendo.”
Annuii,
buttando giù altro alcol. “Mi divertirei di
più se non dovessi
sopportare la sua presenza qui.”.
“L'ho
vista piangere
durante la cerimonia. Non che mi sia soffermato a guardarla, Aya
prendeva tutta la mia attenzione, ma diciamo che non è
passata
inosservata.”
“E' una
brava attrice, è il suo lavoro
piangere a comando. A questo punto penso che tutti i suoi sentimenti
siano una finzione.”
Tsuyoshi non fece
in tempo a rispondermi
che sentii qualcuno sbattere violentemente i piedi per terra.
Mi
voltai e Sana stava andando verso il bagno, con le lacrime agli
occhi. Ci risiamo.
“Vai da
lei. Scusati.” mi ordinò
Tsuyoshi. “Se Aya scopre che la sua migliore amica sta
piangendo al
suo matrimonio per colpa tua, se la prenderà con me e
diventerà
vedova prima del tempo.”
Sbuffai e seguii
Sana. Non avevo
voglia di parlarle, ma non potevo far litigare agli sposi nel primo
giorno di matrimonio, nemmeno io ero così crudele.
Quando
aprii la porta del bagno la trovai che si guardava allo specchio
cercando di sistemarsi il trucco.
Chiusi la porta a
chiave,
così che non potesse scappare prima di averle detto
ciò che dovevo.
“Non c'è bisogno di farne un dramma, Kurata. Non
ho detto nulla
che tu non sappia già.”
Non smise nemmeno
per un attimo di
guardarsi allo specchio, cercò di ignorarmi, ma mi avvicinai
lentamente a lei. Quando lo capì, cominciò ad
arretrare.
“No…
infatti hai ragione. Almeno così non devo fingere di
amarti.”
disse senza alcuna emozione negli occhi.
Quella frase mi
fece
ribollire il sangue nelle vene, non perché non lo pensassi
anch'io,
ma perché sentirlo da lei era una tortura. Tutto davanti a
me
diventò nero. La presi per le braccia e la strattonai,
trattenendola
contro il muro.
“Perché
mi fai questo? Perché provi piacere
nel torturarmi? Cosa ti ho fatto?” urlai, senza
più contenermi,
senza pensare che fuori dalla porta c'erano tutti i nostri amici, che
avrebbero potuto sentirci. Non mi importava più di nulla.
Sana
scoppiò in lacrime, ma non la lasciai. Rimasi lì,
nella stessa
posizione, la guardai singhiozzare finché non
riuscì a parlare. “Tu
non lo sai!” urlò anche lei. “Tu non sai
che tutto questo fa più
male a me che a te! Tu credi che io goda nel farti soffrire? Credi
che io abbia davvero finto? Come puoi anche solo pensarlo? Io ti ho
amato! Ti amo tutt'ora! Ma non posso darti quello che vuoi! Non posso
e non potrò mai!”.
Scivolò
contro il muro e la lasciai
fare. Si passò la mano tra i capelli, continuando a
piangere. Io
rimasi in piedi, perché sapevo che se l'avessi guardata
dritto negli
occhi l'avrei consolata. E lei non lo meritava. Anche se continuava a
ripetermi che mi amava, che anche lei soffriva… io avevo
passato le
pene dell'inferno.
“L'unica
cosa che avresti dovuto capire
non ti è ancora entrata nella testa.” dissi con la
voce di un
automa.
“E
cioè?”
“Che era
te che volevo. Che
sarebbe bastato dirmelo, parlare con me, con tuo marito, piuttosto
che distruggermi la vita così! Ma tu sei un'egoista! E io
sono solo
uno stupido, un pazzo, a pensare di amarti ancora!”.
Sana si
alzò da terra e si avvicinò velocemente a me.
“Allora smetti di
amarmi! Smetti di amarmi e sarà tutto più
facile!” urlò, dandomi
dei pugni sul petto con una forza che non aveva mai avuto.
“Non
posso!” dissi tutto d'un fiato. Le bloccai i polsi, ci
ritrovammo
faccia a faccia, vicini come non lo eravamo da troppo tempo. Non
avrei voluto dargli altre sicurezze, ma le parole erano uscite senza
filtri, e non ero riuscito a trattenermi. Con lei mi capitava troppo
spesso.
Ci guardammo per un
attimo in silenzio, nessuno dei due
riusciva a distogliere lo sguardo e, quando stavo quasi per decidere
di andarmene e lasciarla lì, l'unica cosa che la mia testa
mi ordinò
di fare fu baciarla.
Mi
sembrò come la prima volta. Per tutto
il tempo in cui le nostre bocche si toccarono, si leccarono, si
esplorarono, pensai che tutto quello che era successo fosse stato una
finzione, un incubo, e che quel bacio potesse cancellare tutto il
dolore. La portai di forza verso i lavandini e, afferrandola per la
vita, la feci sedere sul piano di marmo.
La baciai con tutta
la
foga e l'urgenza delle notti in cui mi svegliavo da solo nel mio
letto e l'unica cosa che desideravo era essere dentro di lei.
Abbassai la mano in cerca del suo seno, strizzato dentro a quel
vestito verde che per tutta la sera avevo immaginato di strapparle di
dosso.
“Ti
voglio.”
Cercai di
assimilare le parole
che mi aveva detto. Lei mi voleva e solo io sapevo quanto anche io la
desideravo, ma ero davvero pronto ad amarla come prima?
Mi
aveva spezzato in un modo che non pensavo nemmeno possibile, e adesso
io cedevo solo perché ero maledettamente innamorato di lei?
Le
sue mani arrivarono alla mia camicia e cominciarono a sbottonarla. Fu
quando le sue mani toccarono la mia pelle che capii.
“Io non
posso.” fu tutto quello che le dissi. Mi allontanai da lei e,
abbottonandomi la camicia in fretta e furia, uscii dal bagno.
Tsuyoshi mi
guardò correre fuori e non cercò di fermarmi.
Proprio per questo era il mio migliore amico.
Uscii in
giardino
e ritornai dentro solo quando mi calmai. La amavo, la amavo
profondamente, ma sarei stato maledetto se mi fossi fatto prendere in
giro un'altra volta.
Dopo
un sacco di tempo ecco qui il 19° capitolo, appena finito. Mi
dispiace non aggiornare più velocemente, ma purtroppo non
trovo sempre il tempo/l'ispirazione per continuare.
In
ogni caso volevo ringraziarvi per le recensioni che mi avete lasciato.
Mi dispiace avervi fatto arrabbiare con questa svolta un po'tragica, ma
nella vita non sempre tutto è rose e fiori e quindi devo
cercare di essere il più veritiera possibile.
Spero
che vi piaccia, che mi lascerete tante recensioni a cui
cercherò di rispondere.
Grazie
grazie grazie.
Akura.
Per gli amici, come voi, Roberta.
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Capitolo 21 *** Casetta fuori dal mondo. ***
CAPITOLO
20.
CASETTA
FUORI DAL MONDO.
Pov
Sana.
Uscii
dal bagno poco dopo, mi ero sistemata il trucco e avevo messo a posto
il vestito. Mi guardai allo specchio: all'esterno tutto sembrava
uguale, esattamente com'era prima che io varcassi quella porta, ma
dentro ero in tempesta. Tutto mi sembrava assurdo, in mano a un
destino che si divertiva a giocare con me.
Tornai al mio posto,
sperando che nessuno notasse la tempistica della nostra uscita dal
bagno; non avrei sopportato le battute o le insistenti allusioni
degli altri ospiti sulla mia vita privata, resa già
abbastanza
pubblica dal mondo che mi circondava.
Mi accorsi che anche
Akito era tornato al suo tavolo, strategicamente lontano dal mio, e
solamente quando lo vidi alzarsi, prendere in mano una forchetta e
avvicinarla al bicchiere, mi misi in piedi anch'io.
Il suo
sguardo mi bloccò sul posto, poi il suo viso si
rilassò e tornò a
sedersi, capendo che avrei fatto io il brindisi al posto suo. Se non
potevo renderlo felice potevo almeno salvarlo da quel discorso che
sapevo sarebbe stato una tortura per lui.
“Sarò breve.”
Iniziai. “Conosco Tsuyoshi e Aya da... praticamente tutta la
mia
vita. Devo dire che ho anche un po’ contribuito a formare
questa
coppia e per questo voglio prendermi il merito come personale
Cupido.” Guardai la mia migliore amica che mi rivolse uno
sguardo
di complicità, sorridendomi.
“Scherzi a parte... scegliere
la persona con cui decidiamo di passare il resto della nostra vita
è
una delle cose che più influenzerà il nostro
futuro.”
Trovai
gli occhi di Akito e mi concentrai su di lui, fissandolo
insistentemente e profondamente, perché sapesse che non mi
riferivo
ad Aya e Tsu.
“Possiamo scegliere male, e rendere la nostra
vita un inferno. Distruggerci fisicamente e psicologicamente a causa
di questa scelta per poi rinascere quando decidiamo di abbandonare
per sempre quel rapporto che può solo causarci dolore.
Oppure
possiamo scegliere bene, con cura, come se da quell’unica
scelta ne
dipendesse la nostra esistenza, e in realtà è
così e lo sappiamo
bene, e cercare la nostra anima gemella. Quella persona che ti
completa, ti tiene stretta a se ma allo stesso tempo ti rende libera.
Quella persona che sarà la tua compagna di vita.
A volte le
scelte vengono date per scontate, ma non è così
difficile prendere
delle brutte decisioni. E io lo so bene...” . Mi bloccai per
prendere fiato e spostai lo sguardo verso la sala, in silenzio e
sconvolta dalle mie parole.
“Ciò che sto cercando di dire è
che... che non è importante prendere delle giuste o
sbagliate
decisioni. L’unica cosa importante è trovare la
persona che, anche
se ne prenderai delle pessime, sarà sempre lì per
te.
E io
sono certa che sia Aya che Tsuyoshi saranno in grado di fare tutto
questo, perché l’amore vero si riconosce a prima
vista e il loro,
credetemi, lo è.”
Alzai il calice verso gli sposi. “Ad Aya
e Tsuyoshi.”
“Ad Aya e Tsuyoshi!” Ripeterono tutti dopo
di me.
Rivolsi nuovamente lo sguardo verso
Akito. Se uno
sguardo avesse potuto uccidermi, il suo lo avrebbe fatto sicuramente.
Volevo solo che capisse. Che mi comprendesse. E che mi
lasciasse andare per sempre...
per il suo bene.
Pov
Akito.
“Akito ma si puó sapere cosa cavolo stai
cercando?”
Natsumi non si era ancora decisa a lasciarmi in pace, mi
assillava tutti i giorni tutto il giorno dal matrimonio di Aya e
Tsuyoshi, perché temeva che avrei avuto un crollo nervoso e
avrei
cominciato a distruggere casa da un momento all’altro.
In
realtà la tentazione quella sera era stata tanta, sia
durante che
dopo la festa, ma mi ero contenuto principalmente perché non
avrei
potuto rovinare la serata a Tsu.
“Sto cercando la maledetta
relazione sul progetto che ho fatto ad Osaka ma, ovviamente,
l’avrò
lasciata da Sana. Di nuovo.”
Mi sembrava di vivere un incubo
che si ripeteva ancora e ancora, senza possibilità di
scampo. Era un
circolo vizioso, un cane che si mordeva la coda e quel morso lo
sentivo tutto al centro del petto, mi stava dilaniando dall'interno e
non riuscivo più a tenere tutto lì, sepolto da
mille dolori,
problemi, attimi che mi avevano spezzato.
Sarebbe stato facile
ripetere lo stesso errore della volta scorsa, andare da Sana e
ritrovarci di nuovo faccia a faccia. Ma non volevo. Non ero in grado
di sopportare un altro confronto con lei, non dopo quello che era
successo al matrimonio.
“Sei costretto ad andare a
chiederglielo, lo sai vero?”. Natsumi non era d'aiuto.
“Lo
so, Nat. Grazie dell'ovvietà.”
Uscii dalla camera di fretta e
furia, presi le chiavi della macchina e lasciai Natsumi in casa con
la bambina. Mi serviva quella relazione entro la fine della settimana
o il mio professore avrebbe potuto anche non farmi superare il corso.
Arrivai davanti casa di Sana cinque minuti dopo, notai che la
macchina non c'era esattamente come l'altra volta ma era molto
probabile che il destino si beffasse di me, ancora.
Suonai il
campanello più volte, aspettando che lei venisse ad aprirmi
ma al
quinto tentativo capii che non era in casa. Misi le mani in tasca e
tiri fuori le chiavi di casa che ancora conservavo e che la volta
prima Sana non aveva voluto indietro. Menomale, almeno avrei potuto
evitare l'ennesimo confronto.
La casa era immacolata, come se
lì non ci vivesse nessuno, come se Sana fosse solo un
fantasma
dentro casa. Sapevo come ci si sentiva nell'essere solo un'ombra, a
non avere niente.
Il letto era disfatto, e per un secondo
davanti ai miei occhi passò l'immagine di quella che era
ancora mia
moglie tra le braccia di un altro uomo. Ogni pensiero del genere
fatto prima che diventasse mia era nulla a confronto. Prima potevo
solo immaginare quanto fosse morbida la sua pelle, o i suoi gemiti
mentre faceva l'amore, il suo modo delicato di muoversi, o la sua
bellezza anche con i capelli scompigliati. Adesso tutto questo era
una verità nella mia testa, era concreto, e immaginare che
facesse
tutto quello con qualcuno che non ero io mi faceva mancare la terra
da sotto i piedi.
Svuotai tutti i cassetti della stanza, ma ero
sicuro che non fosse lì. Non ricordavo dove l'avevo messo,
forse nel
mobile del salotto. Percorsi tutto il corridoio e continuai a
cercare, premurandomi di lasciare tutto per come l'avevo trovato.
Cercai nei cassetti per almeno dieci minuti finché non
trovai
la relazione in mezzo a dei fogli pieni di frasi scritte da Sana, che
avevo portato con me ad Osaka.
Le lessi tutte, una per una, e
per ognuna mi scese una lacrima. Come avevamo potuto lasciare che
quel sentimento appassisse così? Non eravamo stati capaci di
proteggere il nostro rapporto, forse in parte era anche colpa mia.
L'avevo lasciata da sola in un momento importante e delicato come la
gravidanza. Forse non ero stato abbastanza attento.
Stavo quasi
per distruggere tutti quei messaggi d'amore quando squillò
il
telefono. D'istinto mi alzai per andare a rispondere, quando arrivai
davanti al cordless ricordai che quella non era più casa
mia, e
soprattutto che io non avrei dovuto essere lì in quel
momento.
Presi le mie cose per andarmene ma scattò la segreteria e un
po' per la voce di Sana che si propagò nella stanza, un po'
per la
curiosità di sapere chi stesse chiamando, rimasi
lì ad ascoltare.
“Salve signora Hayama.”
Sentire Sana essere chiamata
in quel modo mi fece sorridere. Odiava che il suo cognome venisse
sminuito solo perché si era sposata.
“Sono la segretaria del
dottor Saito. Mi dispiace disturbarla ma ho visto che ha saltato
l'appuntamento di controllo e la invito caldamente a fissarne uno
nuovo. Inoltre volevo dirle che il nostro studio offre gratuitamente
un supporto psicologico per tutte quelle donne che, come lei, hanno
subito un aborto, ed è esattamente con la stessa dottoressa
con cui
ha avuto un colloquio durante la prima visita. Comprendo che la sua
situazione sia molto dolorosa e complicata, ma proprio per questo
vorrei che accettasse la proposta.” La donna si
schiarì la voce.
“Richiami signora Hayama. Non è sola nel suo
dolore, mi creda. A
presto.”
Il messaggio vocale terminò e non appena calò il
silenzio la mia testa fu invasa da mille domande.
Perché Sana
avrebbe dovuto aver bisogno di un supporto psicologico? Lei stessa mi
aveva detto apertamente che era contenta di aver abortito.
Tutte
le tessere del puzzle che avevo minuziosamente costruito per odiarla
si stavano lentamente distaccando. Non mi era mai stata completamente
chiara quella situazione e ora le parole di quella donna mi avevano
ulteriormente riempito di dubbi. Che Sana mi avesse mentito? O forse
ero solo io che cercavo di giustificarla perché ero ancora
innamorato di lei.
Camminai avanti e indietro per quel salotto
per ore, attendendo che Sana tornasse a casa. Non potevo andarmene
senza avere una spiegazione. Magari era tutto nella mia testa. Magari
le sarebbe servito per affrontare le conseguenze fisiche dell'aborto
e nostro figlio era solamente l'effetto collaterale del problema.
Magari la mia testa stava cominciando a giocarmi brutti scherzi.
Magari stavo impazzendo.
“E tu che cavolo ci fai qui?”
La
voce di Sana mi colpì alle spalle come un pugno, mi voltai e
lei era
lì, completamente fradicia a causa del temporale di cui mi
accorsi
solo in quel momento. Sana buttò delle buste della spesa ai
suoi
piedi e cominciò a strizzarsi i capelli, aspettando una mia
risposta. Ma anche la mia lingua sembrava restia a collaborare.
“Quindi? Akito ti senti bene?” mi
incalzò lei, facendo un
passo verso di me.
Piazzai le mani in avanti, intimandole di
fermarsi, e lei lo fece.
Provai di nuovo a parlare. “Sono...”
Mi leccai le labbra cercando di riattivare la salivazione.
“Sono venuto a prendere una cosa che avevo
dimenticato...”
“Ancora?” mi interruppe. “Ti avevo detto
di chiamarmi
se...”
“Sta zitta Sana!” urlai, facendo si che smettesse
di parlare. Scattai verso la segreteria e rimasi immobile
lì.
“Quando stavo per andarmene ha squillato il telefono e, non so
perché, sono rimasto ad ascoltare il messaggio.”
“Nessuno
ti dava il diritto!” gridò Sana, perciò
cercai di sovrastarla con
la voce.
“Era la segretaria del tuo dottore! Prima ha
insistito perché tu tornassi per un controllo e
poi… no, aspetta!
Voglio fartelo sentire perché vorrei farti capire come mai
sono
rimasto così sorpreso!”
Schiacciai il pulsante play e
riascoltai il messaggio insieme a lei. Sana non disse nulla per tutto
il tempo. Si limitò ad abbassare lo sguardo e ascoltare in
silenzio.
La guardai attentamente, forse per la prima volta da quando ci
eravamo lasciati: aveva le occhiaie e il viso scavato ed era inutile
dire quanto fosse dimagrita.
Non sembrava affatto in salute.
Quando il messaggio finì smisi di fissarla e staccai la
segreteria.
“Ora, Sana, vuoi spiegarmi perché questa donna
sembra così maledettamente preoccupata per te?
Perché dovresti
avere bisogno di un aiuto psicologico se proprio tu hai gioito quando
nostro figlio è morto!”
Sana cominciò a piangere ma cercava
in tutti i modi di trattenersi.
“Spiegamelo!” urlai.
“Perchè io proprio non ci arrivo!”
“Smettila! Smettila
Akito!” urlò di rimando lei.
“Vattene!”
Si avventò su
di me e tentò di spingermi verso la porta, con scarso
successo.
“Non me ne vado Kurata! Stavolta non puoi cacciarmi! Voglio
sapere la verità!” dissi bloccandole i polsi
all'altezza del viso.
“Non c'è nessuna verità!”
disse strattonando le braccia
in modo che la lasciassi. Fece un passo indietro.
“Forse la
segretaria avrà pensato di farlo per poi vendere la storia
ai
giornali.”
“Oh! Andiamo Sana! Se avesse voluto guadagnare
su questo scoop lo avrebbe già fatto!”
“Cosa vuoi che ti
dica Akito? Cosa vuoi sentire? Dimmelo così possiamo farla
finita!”
La guardai negli occhi e in un attimo capii che stava
recitando. Come avevo fatto a non rendermene conto prima? Ero stato
così cieco. “Voglio che tu mi dica la
verità!”
“Non
c'è niente da dire! Posso ancora confermarti di non volere
figli...”
“Non ci credo!”
“… di aver odiato
l'idea di aspettare un bambino.”
La voce di Sana si ruppe
improvvisamente e una lacrima le scese sulla guancia sinistra.
“Non
ci credo!” urlai.
“… e di essermi sentita sollevata
quando ho scoperto di aver abortito!”
“Non ci credo!”
ripetei urlando disperato per la terza volta.
Feci un lungo
passo avanti e, non riuscendo più a trattenermi mi avventai
sulle
sue labbra come se fossero state la mia unica fonte di ossigeno. Le
baciai le lacrime e in quel momento non mi importò
più di nulla.
Avevo solo bisogno di sentirla vicina. Avevo solo bisogno di
respirare insieme a lei. Avevo bisogno di lei.
Sana non si
allontanò, anzi mi saltò al collo cingendomi la
vita con le gambe.
Mentre continuavo a baciarla la spinsi contro il muro così
da
poterla spogliare nel frattempo. Il contatto con la sua pelle nuda mi
diede alla testa e, mentre lei armeggiava con la mia cintura io le
tolsi il reggiseno, lanciandolo chissà dove in salotto. Mi
allontanai dal muro e mi fiondai sul divano. Non potevo più
aspettare, dovevo entrare dentro di lei o il cuore avrebbe potuto
scoppiarmi nel petto.
Non aspettai nemmeno di essermi liberato
del tutto dei boxer: la penetrai con un affondo deciso e in quel
preciso istante immaginai la solitudine di una vita senza di lei.
Sana capovolse le posizioni e vederla sopra di me, ondeggiante,
con i capelli spettinati per i continui strattoni e gli occhi chiusi
per il piacere, per poco non mi fece perdere il controllo.
Le
toccai il seno con urgenza e Sana aumentò il ritmo dei
movimenti.
“Ti prego, guardami.” dissi ansimando.
Sana aprì gli
occhi immediatamente e lì capii davvero: forse la sua testa
le
imponeva di non dirmi nulla, ma quelle pietre nocciola urlavano
tutt'altro.
“A… Aki!”
Sana si morse il labbro
inferiore per trattenere i gemiti e di nuovo chiuse forte gli occhi.
Mi alzai per baciarla, la morsi e succhiai le sue labbra ancora e
ancora finché non diventarono rosse e gonfie.
Avrei dovuto
essere pazzo per non innamorarmi di Sana.
I nostri occhi si
unirono a fissare in basso, in quel punto di congiunzione che ci
teneva legati e sembravamo ipnotizzati da quel movimento.
Emisi
un gemito e poi distolsi lo sguardo, nascondendo il viso nell'incavo
del suo collo. Sana affondò le unghie nelle mie spalle e non
appena
la sfiorai leggermente sentii che il suo corpo tremava.
Era
così bello guardarla che anche la mia eccitazione crebbe
improvvisamente sempre di più ed entrambi crollammo, vinti
da quel
piacere che solo l'un l'altro sapevamo darci.
*
Un
fastidioso raggio di sole mi svegliò improvvisamente e mi ci
vollero
almeno dieci secondi per rendermi conto di dove fossi e cosa fosse
successo. Sana dormiva ancora appoggiata sul mio petto, una ciocca di
capelli le copriva l'occhio sinistro perciò la spostai per
guardarla
meglio.
Sembrava così tranquilla, così in pace. Respirava
così lentamente che per un attimo mi sembrò di
non sentirne più il
fiato.
Le accarezzai piano la schiena nuda per qualche minuto
prima che anche lei si svegliasse. Strizzò gli occhi per
cercare di
abituarsi alla luce e poi prese fiato alzandosi leggermente.
“Buongiorno...” dissi avvicinandomi per baciarla.
Sana
scostò il viso in modo che le mie labbra toccassero la sua
guancia.
“Buongiorno.” ripetè lei, alzandosi del
tutto e cercando
con lo sguardo i suoi vestiti.
Raccolse la biancheria e la
infilò.
“Dovresti andare.”
“Non farlo, Sana.”
dissi, bloccandola prima che si mettesse in piedi. “Parlami.
Perché
non vuoi fidarti di me?”
“Ci risiamo, eh? Senti Akito…
tutto questo è stato un errore. Non avremmo dovuto, stiamo
divorziando. Soffriremmo di più.”
Afferrai i miei boxer e,
dopo averli infilati, balzai in piedi davanti a lei.
“Perchè
vuoi divorziare? E non dirmi che non mi ami più
perchè chiaramente
non è così! Perché stai male? Non puoi
continuare a cacciarmi via
come se io non ti conoscessi! Perché dovresti vedere una
psicologa
se la tua vita è perfetta così com'è?
Io non me ne andrò finché
non avrai risposto a tutte queste domande!”
Sana cominciò di
nuovo a singhiozzare. “Akito, vattene finché sei
in tempo!”. Si
alzò dal divano improvvisamente e prese a passarsi le mani
tra i
capelli, come impazzita. “Tu non vuoi rimanere bloccato con
me per
sempre!”
Ero esasperato. “Smettila di decidere per me! Non
è una tua scelta! E' la mia! Quindi ora dimmi la
verità o giuro su
Dio che non metteremo mai più piede fuori da questa
casa!” urlai
tutto d'un fiato, sperando che la finisse una buona volta di
trattarmi come un bambino.
Il corpo di Sana crollò
improvvisamente mentre veniva scosso dalle lacrime.
Mi gettai
per terra accanto a lei.
“Io non posso più avere
figli.”
Stavo quasi per urlare che lo sapevo già ma lei
continuò a parlare.
“E non intendo emotivamente o
psicologicamente. Il mio corpo non è in grado di portare a
termine
una gravidanza.” Prese fiato e poi continuò.
“Volevo dirtelo…
ma poi ho ripensato a quando mi hai raccontato tutte le tue fantasie
sulla famiglia che avresti voluto e io… io non potevo farti
questo.
Sapevo che saresti rimasto con me in qualsiasi caso, quindi ho
inventato tutte quelle bugie sul non voler più figli per la
carriera. Pensavo che sarebbe stato più facile per te
odiarmi invece
che rimanere con me ed essere costretto ad un matrimonio senza
senso.”
La bloccai non appena quelle parole assurde uscirono
dalla sua bocca.
“Senza senso? Sana ma io non ho bisogno di
un figlio per trovare un senso a questo matrimonio. Io ti
amo!”
“E
non dovresti, Akito! Ci sono migliaia di ragazze al mondo che
possono renderti felice, che possono darti la famiglia che hai sempre
desiderato.”
Le presi il viso tra le mani e asciugai le sue
lacrime.
“Tu sei la mia famiglia, Kurata. Come hai fatto
anche solo a pensare che io sarei potuto andare avanti con la mia
vita senza di te?”
Sana fece un respiro profondo e abbassò lo
sguardo. Odiavo che si vergognasse di se, odiavo che non riuscisse a
percepire quanto la amavo e quanto poco mi importava di tutto quello
che mi aveva appena detto.
“Ti rovinerai la vita, Akito.”
sussurrò lei.
“L'unico modo in cui potrei rovinarmi la vita
è perderti.”
Mi ritrovai a piangere anch'io senza rendermene
conto, non che non mi dispiacesse rinunciare al progetto di una
famiglia numerosa, ma avrei perso molto di più se avessi
lasciato
andare l'amore della mia vita.
Piangemmo abbracciati per un
tempo che mi sembrò infinito, forse non era da me ma l'unica
cosa
che mi importava in quel momento era averla di nuovo con me.
Il
resto era solo un dettaglio.
Pov
Sana.
Raccontare
tutto ad Akito era stata la cosa più difficile che avessi
mai fatto.
Mi guardava implorandomi di non lasciarlo all'uscuro, di non farlo
soffrire ancora e non ce l'avevo fatta. Se aveva continuato a lottare
per me, per la nostra storia, doveva pur significare qualcosa. E quel
qualcosa era che io e Akito non eravamo in grado di stare lontani.
Non sapevo se la cosa fosse positiva o negativa, se il nostro
amore ci avrebbe distrutto più di quanto non avesse
già fatto ma
ero certa che non ci sarebbe stato luogo o tempo in cui io e Akito
avremmo smesso di amarci.
Sarebbe stato facile per lui odiarmi,
mettermi in un remoto cassetto della sua mente ed etichettarmi come
la donna che gli aveva fatto perdere fiducia nell’amore,
eppure
aveva fatto l’unica cosa che io, stupidamente, non ero
riuscita a
fare: lottare.
Dopo avergli detto la verità avevamo passato un
paio di giorni chiusi in casa. Un po’ per recuperare il tempo
perduto, un po’ perché l’idea di mettere
piedi fuori, nella
nuova realtà che si era creata attorno alle nostre vite, un
po’ ci
spaventava. Io, almeno, ero terrorizzata. Era come se mi fossi
abituata al pensiero che la felicità non avrebbe
più bussato alla
mia porta che il solo immaginare di dovermi di nuovo immaginate come
una donna sposata a tutti gli effetti mi aveva messo un po’
d’ansia.
Akito era andato a casa sua per prendere un po’
della sua roba, non avevamo ancora discusso sul ritornare a vivere
sotto lo stesso tetto ma sapevo che lui aspettava solo una mia
parola. Volevo davvero tornare alla normalità, ma temevo che
una
volta compiuto quel passo la nostra vita potesse risentirne. E se ad
Akito fosse piaciuta di più la versione della sua vita senza
di me?
Mettendo da parte il dolore per la mia perdita, forse lui era stato
felice senza di me e raccontandogli tutto lo avevo semplicemente
costretto a tornare con me.
“Kurata sento i tuoi pensieri da
qui.”
La sua voce mi piombó addosso, pensavo avrebbe
impiegato più tempo ad andare e tornare.
Gli feci un sorriso
quando passó accanto a me per andare verso la cucina.
“Devi
smetterla di pensare e ripensare. Non so dove trovi tutte queste
energie.” Sorride sornione. “Io le mie le spreco
tutte in camera
da letto.” Concluse.
“Vorrei ricordarti, caro Akito...” mi
alzai dal divano e mi avvicinai a lui, imprigionandolo davanti al
bancone come avrebbe fatto lui a parti inverse. “.. che io
sono una
donna. E si sa che, a differenza di voi uomini, noi sappiamo fare
più
cose contemporaneamente.”
Akito sorrise e mi prese le mani
portandosele sul petto. Il cuore gli batteva forte e sapevo che
avrebbe potuto strapparselo per darlo a me. Si voltò di
scatto e mi
baciò.
Assaporai le sue labbra che sapevano di menta e subito
dopo la sua pelle ruvida, per l'accenno di barba che portava da poco,
e calda come se stesse andando in auto-combustione, mentre mi facevo
strada verso il suo orecchio.
Lo desideravo da morire. Volevo
sentirlo di nuovo, come prima, prima di tutto quel dramma, prima che
il nostro rapporto avesse preso la strada verso il capolinea.
Volevo
tornare ad essere il centro del suo mondo proprio come lui era sempre
stato il mio.
Mentre approfondivamo il nostro contatto mi
sembrò di essere tornata a casa dopo un lungo viaggio.
Akito
mi pese per la vita, io allacciai le gambe ai suoi fianchi e mi
portò
verso il tavolo della cucina, spostò con una mano tutto
quello che
c'era sopra (non avevo idea di cose fosse rovinosamente caduto per
terra) e da quel momento tutto diventò amore.
Ci spogliammo
senza neanche rendercene conto e i nostri vestiti si ritrovarono sul
pavimento insieme a tutto il resto.
Lo guardai intensamente,
era bello da rischiare di morire mentre mi attirava a se' con fare
sensuale, passandomi una mano sulla schiena.
“Tu mi vuoi
morto.” sussurrò prima di avventarsi nuovamente
sulla mia bocca in
un bacio disperato. Sorrisi mentre inalavo il suo profumo con tutta
la forza che avevo in corpo.
“Io ti voglio e basta.” dissi
mentre lui entrava dentro di me e il suo respiro diventava sempre
più
corto.
Era così bello e immenso quello che provavo ogni volta
che Akito e io facevamo l'amore.
Lui baciav le mie labbra
insieme alle mie paure e proprio per quello lo amavo così
profondamente che quasi mi faceva male.
E sapevo che era lo
stesso per lui.
*
Parlammo
con le nostre famiglie e i nostri amici qualche giorno dopo e,
ovviamente, furono molto felici di vederci di nuovo sereni.
Avevamo
organizzato una cena con tutti, Kaori non faceva altro che rincorrere
Akito mentre lui cercava di intavolare una discussione normale con
Gomi e Tsuyoshi. Fuka avrebbe dovuto invitare anche Takaishi ma il
loro oscillante rapporto le aveva messo qualche dubbio e non potevo
darle torto viste le ultime novità che mi aveva raccontato
mentre
mettevo i piatti nella lavastoviglie.
Noi ragazze ce ne stavamo
in cucina mentre io sistemavo ad ascoltare le storie di Fuka e
nessuna, nemmeno Aya, mi aveva chiesto nulla della vera motivazione
per cui io e Akito ci eravamo lasciati. Sapevo che Natsumi ne era a
conoscenza perché lo stesso Akito gliel'aveva raccontato e
lei
continuaca a guardarmi come per incitarmi a parlarne. Mentre loro
discutevamo improvvisamente mi fermai e lo dissi.
“Ho perso
un bambino.”
Il silenzio calò di colpo e le mie amiche mi
rivolsero uno sguardo sconvolto.
Aya fu la prima a parlare.
“In… in che senso, scusa?”
Abbassai lo sguardo e continuai
a pulire una macchia che non voleva andare via da una maledetta
padella. Fuka mi tolse tutto dalle mani bruscamente. “Adesso
tu ti
siedi e ci racconti che diavolo è successo.”
Feci come mi
aveva ordinato e presi posto mentre anche loro si sedevano di fronte
a me, come la giuria di un tribunale.
“In realtà era una
bambina.” proseguii. Fuka si passò una mano tra i
capelli,
sconvolta.
“Adesso capisco tutto il discorso del non volere
figli...” sussurrò Fuka.
“Già...” sospirai guardando i
loro volti sorpresi. Natsumi mi sorrise per incoraggiarmi a
continuare.
“Mi dispiace non avervelo detto prima, ma
affrontare la cosa senza Akito era stato già abbastanza
difficile…
non volevo mettervi nella posizione di dovermi aiutare.”
“Non
potevi fare errore più grande.”
Guardai Aya che mi rivolse
lo sguardo più triste che avessi mai visto e poi
versò qualche
lacrime. Gli raccontai il resto e loro rimasero ad ascoltarmi con
tranquillità. Fuka e Aya non batterono ciglio da quel
momento in
poi, Aya invece mi sembrava quella più provata. Quando gli
avevo
detto tutto ci guardammo a lungo. Le mie amiche mi erano state
accanto per tutta la mia vita e io le avevo tenute all'oscuro della
parte forse più importante di essa.
“Mi dispiace ragazze. So
che avrei dovuto dirvelo… non ho giustificazioni.”
Mi
abbracciarono tutte, Aya per ultima.
Mentre mi abbracciava
pianse, forse per la mia bambina, forse perché le dispiaceva
non
essermi stata vicina quando ne avevo avuto bisogno, come ero certa
che avrebbe fatto.
Pov
Akito.
Sana stava finendo di sistemare la cucina quindi salutai
di nuovo mia sorella e Kaori dalla finestra e andai da lei per darle
una mano. Dopo mesi mi era sembrato di essere tornato alla
normalità:
la cena era andata bene e raccontare ai miei amici la verità
era
stato piuttosto semplice nonché liberatorio.
Entrai in cucina
e trovai Sana che metteva a posto i piatti nella credenza
perciò
glieli presi dalle mani ed evitai che si alzasse sulle punte per
qualcosa che a me non costava nessuna fatica.
Aveva uno sguardo
triste, preoccupato… non era quello il modo in cui avrebbe
dovuto
sentirsi dopo quella cena.
“C'è qualcosa che non va?”. Mi
avvicinai di nuovo a lei che nel frattempo era alle prese con gli
avanzi da mettere in frigo.
Non rispose inizialmente perciò
insistei. “Dovrai dirmelo o stanotte dormirai sul
divano.” la
provocai. Mi sorrise debolmente.
“Sai che questa frase è una
prerogativa femminile?”
Mi posizionai alle sue spalle e la
passai le mani sulla schiena, sentendola rabbrividire. “Non
resisteresti una notte intera senza di me.”
“Presuntuoso.”.
Mi fece una linguaccia e tornò ad occuparsi di
ciò che stava
facendo, pensando che avrei evitato l'argomento.
“Aspetto una
risposta. Cosa è successo, Kurata?”
Sana mi guardò con aria
sconfitta e poi cominciò a parlare.
“Credo che Aya non abbia
preso bene il fatto che non le ho detto di… della
bambina.”
Annuii, comprendendo le ragioni di Aya meglio di chiunque
altro. Si era sentita tradita, sicuramente esclusa dalla vita della
sua migliore amica, come se non meritasse di sapere.
“Puoi
biasimarla? E' la tua migliore amica e tu sei sparita per cinque
mesi.”
“Sento del risentimento nelle tue parole, o
sbaglio?”
disse Sana sorridendo. Ricambiai il sorriso e poi la tirai verso di
me, abbracciandola.
“Quello che cerco di dire è che… devi
darle del tempo. Avrebbe voluto aiutarti e tu non gliel'hai permesso.
Le passerà… ma devi darle tempo. Fuka non ha
battuto ciglio perché
lei è una tosta, Aya è molto più
sensibile, è normale che non si
senta a suo agio in quella situazione.”
Sana annuì e io la
strinsi più forte.
Mi dispiaceva per Aya, non meritava di
essere tenuta all'oscuro ma mi dispiaceva anche per Sana che voleva
solo creare il minimo disagio nella vita di tutti, persino nella mia.
Fingeva di essere invincibile, una supereroina… e in
realtà
era ancora la ragazzina spaventata dai cambiamenti che avevo ospitato
a casa mia quando i giornalisti si erano rivelati fin troppo
insistenti.
Quando capii che si era calmata sciolsi l'abbraccio
e le impedii di tornare a lavoro.
“Andiamo a letto,
Kurata.”
Quella notte dormii come non dormivo da cinque mesi.
Infinitamente sereno.
Pov
Sana.
Io e Akito eravamo tornati alla normalità ma
lui non era
ancora tornato a vivere a casa mia (o meglio, casa nostra) e il fatto
che non si fosse ancora trasferito ero certa dipendesse da me. Non
che volesse una formale richiesta ma probabilmente temeva che io non
volessi tornare alle vecchie abitudini così presto. In
realtà era
l'unica cosa che volevo. Perciò, per convincerlo a smetterla
di
avere paura, avevo organizzato una piccola sorpresa per lui, visto
che era sempre lui quello ad inseguire me.
Non aveva fatto
altro durante tutta la nostra vita: mentre io scappavo dall'amore e
dalle responsabilità lui era alle mie spalle, aspettando il
momento
giusto per allungare la mano per prendere la mia e accompagnarmi nel
mio cammino.
Akito era sempre stato una sorta di aiutante
silenzioso, e io volevo fargli capire come ci si sente ad essere
finalmente protagonisti della propria vita.
Lui aveva
sacrificato tutto per la mia felicità e il mio unico
obiettivo era
portarlo alla consapevolezza che non avrebbe dovuto ma che gli ero
immensamente grata per aver avuto pazienza e avermi compresa.
Gli
avevo chiesto di passare a prendermi a casa di mia madre e di portare
tutto l'occorrente per passare la notte fuori. Fine.
Akito
aveva borbottato per un po' ma alla fine si era deciso a lasciarmi
guidare.
“Dove stiamo andando?” chiedeva in continuazione
guardando nervosamente fuori dal finestrino.
“Sei quasi più
petulante di me, Hayama.” lo canzonai.
“Devo incontrare
Naozumi fuori città e, ovviamente, volevo che venissi con
me.”
Non era nei miei piani mentirgli inizialmente, ma poi l'idea di
vederlo soffrire un po' mi aveva allettato troppo per lasciarmi
sfuggire quell'occasione.
“Naozumi? E mi stai portando a
vedere la persona che odio di più al mondo e non mi dai
neanche la
possibilità di investirlo accidentalmente
con l'auto? Sei davvero crudele.”
Scoppiai a ridere e quasi
immediatamente il suono della risata di Akito si unì alla
mia.
“E'
proprio per questo che ti ho chiesto di farmi guidare. Non vorrei
ritrovarmi in una puntata di CSI.”
“Non è proprio il mio
genere, direi più Saw l'Enigmista.”
Passammo tutta la
mezz'ora successiva così, ridendo su quali torture lui
avrebbe
inflitto al povero Naozumi, per una volta inconsapevole vittima in
quella situazione, e su come avrebbe affrontato l'orda di giornalisti
e la probabile pena di morte che nel nostro paese, purtroppo, era
ancora in vigore.
Cercammo di sdrammatizzare anche su quello ma
anche solo l'idea di immaginare uno scenario del genere mi rese
triste per un po'.
Akito se ne accorse e mi accarezzò il viso
dolcemente. “Ei… stai tranquilla: farmi
giustiziare non è tra i
miei progetti futuri.”
“Meglio, altrimenti ti ammazzo io,
Hayama.”
Dopo quel piccolo momento di celato romanticismo non
percorremmo ancora molta strada prima di arrivare.
Volevo che
tutto fosse perfetto.
“Devi incontrare Naozumi in mezzo al
bosco? Certo che voi attori siete stravaganti.”
Spensi la
macchina quando eravamo quasi al posto, così da fare quattro
passi.
“Si, bè… credo che Naozumi non ci
raggiungerà per questa
volta.” Akito mi rivolse un sorriso misto tra sorpreso e
felice.
“Scendi, da qui proseguiamo a piedi.”
“Ai suoi
ordini.”
Fece come gli avevo chiesto e ci incamminammo mano
nella mano.
“Non stai cercando di uccidermi e farmi a pezzi
nel bosco, vero?”
Gli sorrisi e lasciai che i fatti dessero
risposta alle sue domande.
Pov
Akito.
Dietro Sana c'era una rampa di legno con due lanterne per
ogni
lato che illuminavano il passaggio verso una casa che sembrava
–
anzi, lo era – letteralmente sospesa tra gli alberi.
“Benvenuto
alla nostra casetta fuori dal mondo.”
Sana se ne stava lì, in
piedi tra le due lanterne, probabilmente pensando di essere una
normale donna che fa una sorpresa al suo uomo.
Non lo era.
La
guardai sorridere mentre chiamava quel posto la
nostra casetta fuori dal mondo
e non si rendeva conto che era la cosa più straordinaria che
qualcuno avesse mai fatto per me.
“Io non… non so cosa
dire.” balbettai avvicinandomi a lei.
“Non importa.” Mi
prese le mani e le strinse forte. “So che forse ti
sembrerà
strano, di solito sei tu quello che compra una stella in mio onore,
che ristruttura case solo per rendere la mia prima volta memorabile.
Di solito sei tu a fare le grandi dichiarazioni d'amore… ma
oggi
no.
Oggi voglio essere io a dire qualcosa a te.
Per anni
non ho fatto altro che scappare da te. Non perché non
provassi per
te ciò che sapevo tu provavi pr me – in effetti
credo di amarti
praticamente da sempre – ma perché avevo paura, e
questa paura si
è triplicata negli ultimi mesi. Temevo che tu non potessi
amarmi
così, con queste limitazioni o...”
Sbuffai e la fermai.
“Smettila di dire...”
“Ti prego.” mi interruppe.
“Lasciami finire.”
Annuii e la lascia continuare.
“Temevo
che fosse colpa mia, che forse perdere la nostra bambina fosse stata
una punizione divina per aver rifiutato per tanto tempo i miei
sentimenti per te. Ho pensato a tanti, infiniti motivi per cui tutto
questo è dovuto succedere proprio a noi. Poi sai cosa ho
realizzato?
Che non era colpa di nessuno.
Non mia o ancor meno tua, ma ho
capito anche che uno di noi due aveva un grande merito e che quel
qualcuno non ero io.”
Prese fiato e una lacrima le scese sulla
guancia; prontamente gliel'asciugai e le diedi una carezza. Lei
mantenne la mia mano sulla sua guancia e poi continuò.
“Grazie
per avermi fatto capire che non devo colpevolizzarmi. Grazie per
avermi messo al di sopra di tutti i tuoi sogni di una grande
famiglia. Grazie per non aver perso la speranza, per aver lottato.
Sei stato provvidenziale per me da bambina, oggi sei l'unica cosa che
mi da motivo di respirare ancora.
Questo...” indicò con gli
occhi la casa e poi tornò a guardarmi. “Questo
è solo un
centesimo di quello che tu hai fatto per me in tutto questo tempo. E'
solo un luogo nostro dove possiamo venire o non venire…
comunque
sarà qui ad aspettarci. Un po' come me e te. Spero che
saremo sempre
il rifugio l'uno dell'altro. Spero che tu sarai sempre la mia casetta
fuori dal mondo, perché ti giuro che io sarò
sempre la tua.”
Forse
avrei dovuto dire qualcosa, invece mi limitai a baciarla con tutta la
forza che avevo, a stringerlaa me come se potessero rubarmela.
Non
potevo rispondere a delle parole come quelle, erano troppo anche per
me.
Quando il bacio finì rimanemmo fronte contro fronte per
qualche minuto.
“Sana...”. Lei aprì gli occhi
immediatamente. “Vorrei poter dire qualcosa di sensato in
questo
momento ma… la verità è che non potrei
mai dire nulla che si
avvicini neanche lontanamente a quello che hai detto tu. Forse la
cosa più appropriata è anche la più
semplice. Io ti amo, Sana
Kurata. E voglio passare il resto della mia vita con te.”
Dire
che fu una notte stupenda sarebbe stato superfluo.
Fu la notte
più bella da quando stavamo insieme e non per il posto
meraviglioso
ma perché sapevamo che la nostra storia non poteva essere
più
scalfita da nulla, neppure dalle nostre più intime paure.
Eccomi qui... finalmente Sana e
Akito hanno chiarito e le cose sembrano andare meglio. Finalmente Sana
ha capito che anche Akito ha bisogno di attenzioni.
Vorrei precisare però
che la storia non è ancora finita quindi non cantate
vittoria. Come sempre vorrei ringraziarvi per i tantissimi complimenti
che mi fate sempre, perchè mi supportate e sopportate,
soprattutto quando si parla di attesa.
Grazie sempre!
Il prossimo capitolo
è ancora tutto da scrivere, perciò mi sa che
dovrete aspettare un po'... appena lo finirò lo
posterò immediatamente.
Un bacio,
Roberta.
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Capitolo 22 *** Piena. ***
CAPITOLO
21.
PIENA.
Pov
Sana.
Io
e Akito stavamo aspettando la limousine che ci avrebbe portato alla
prima del mio film.
Revenge.
Pensavo che sarebbe stato
difficile convincerlo ad accompagnarmi, invece Akito era stato
comprensivo e non aveva aperto bocca. Aveva capito che la sua
presenza era fondamentale, da una parte per far capire che lui
supportava la mia carriera artistica e dall'altra perché io
avevo
bisogno di lui.
“Hai preso tutto?” chiese Akito mentre mi
porgeva la giacca. Annuii, mentre mi stringevo nervosa le mani. Nella
mia testa fluttuavano già le pagine di giornale che mi
davano il
titolo di peggiore attrice dell'anno. Mi ero impegnata così
tanto
per quel lavoro che immaginare di vedere i miei sforzi vanificati mi
torturava.
“Stai tranquilla, Kurata. Non hai motivo di essere
nervosa, se non lo sono io.” sdrammatizzò Akito,
che sapevo essere
forse più in ansia di me.
Mi avvicinai e Akito mi circondò
con le braccia. “Sei una grande attrice, Sana. Lo sai tu e lo
sa il
resto del mondo.”
Le sue parole mi confortarono e sapere di
avere il suo appoggio mi faceva sentire la donna più
fortunata del
mondo.
Quando la limousine arrivò sciogliemmo l'abbraccio ed
uscimmo di casa, dirigendoci al teatro dove sarebbe stato trasmesso
il film.
*
Non
appena arrivammo, i giornalisti ci assalirono con migliaia di
domande, alcune più scomode di altre, ma tutte plausibili.
La
maggior parte riguardavano il periodo di lontananza che io e Akito
avevamo sperimentato e a tutte avevo risposto che il passato non era
importante, che stavo cercando di vivere il presente. Ovviamente i
giornalisti non erano ancora contenti e, oltre alle urla per una
foto, continuarono a farmi domande personali e non.
“Come ti
sei sentita nell'affrontare un personaggio così
spregiudicato come
quello di Miya?”
Sorrisi, finalmente una domanda sul mio film
e non sulla mia vita privata.
“E' stata una sfida
interessante. Miya e io abbiamo davvero poco in comune, ma ho cercato
di entrare dentro di lei in modo da sentire il suo odio, la sua
rabbia. L'aiuto del signor Miyazaki è stato fondamentale,
perché
senza di lui il mio personaggio non sarebbe venuto alla luce
così
bene. Lavorare con lui è stato stimolante, spero di rifarlo
al più
presto.”
Le guardie del corpo cercavano di spingermi verso
l'entrata ma volevo rispondere a qualche altra domanda ora che i
giornalisti si stavano concentrando sulla mia recitazione.
Akito
se ne stava in silenzio, stringendomi la mano quando mi vedeva in
difficoltà, finché un giornalista si rivolse
proprio a lui.
“Signor Hayama, ma lei non è geloso nel vedere sua
moglie
essere così vicina a un altro uomo?”.
Akito si rabbuiò per
un attimo ma poi si avvicinò al microfono del giornalista e
rispose.
“Certo che sono geloso, amo mia moglie, e penso che una sana
gelosia sia alla base di un buon rapporto. Ma non amerei Sana
così
tanto se non le permettessi di vivere il suo lavoro a pieno, anche
perché so quanto lei abbia sacrificato per arrivare fin qui.
Sarei
egoista e in realtà non innamorato se la influenzassi nella
cosa che
la fa sentire viva.”
Tutti i giornalisti vicini a noi
rimasero in silenzio ad ascoltare quella risposta, le donne avevano
un'aria sognante che potevo comprendere benissimo. Ero fortunata ad
averlo e il fatto che fosse lì mi faceva sentire la donna
più
potente del mondo, perciò risposi alle successive domande
con
sicurezza e fermezza, due qualità che prima di quel momento
non mi
erano mai appartenute.
Vidi Miyazaki tra la folla sul red
carpet e mi avvicinai a lui, lasciando per un attimo la mano di
Akito, e lo abbracciai.
Per mesi era stato più che un regista
per me, un amico, un confidente, e la mia consacrazione come attrice
vera e propria forse la dovevo solamente a lui. Aveva deciso di
mettermi al primo posto su tutti, persino sul suo film quando avevo
scelto di non parteciparvi più. Avevamo avuto una chimica
durante
tutte le riprese che non avevo mai avuto con nessun altro regista e
sapevo che per lui era lo stesso. Rispondemmo a qualche domanda
insieme, lui mi fece più complimenti di quanto fossi stata
capace di
contare e prima ancora che me ne accorgessi mi aveva definita la
sua musa.
Ero così lusingata che non sapevo come rispondere ad una
frase del
genere, perciò mi limitai ad abbracciarlo nuovamente e a
ringraziarlo a bassa voce.
Quando non ero più riuscita a
tenere a bada i bodyguards eravamo stati costretta ad entrare e a
lasciare i giornalisti all'esterno. Ce ne sarebbero stati altri
all'interno, ovviamente, ma quelli che occupavano le prime file del
red carpet erano sempre quelli più feroci.
Akito mi rivolse
uno sguardo dolcissimo, sapevo quanto odiava quelle situazioni ma era
lì per me e quella era forse la dichiarazione d'amore
più grande
che avrebbe mai potuto farmi.
Prima della visione del film ci
fu un breve rinfresco, ma ne io ne Akito mangiammo nulla, forse per
il troppo nervosismo.
Quando ci accomodammo nella sala della
proiezione mi ritrovai seduta tra Miyazaki e Akito. Li presentai,
visto che prima di quel momento non avevo potuto a causa della troppa
calca.
Akito sembrava addirittura felice di conoscerlo, cosa
che mi lasciò interdetta perché mi sarei
aspettata un ordine
perentorio di non lavorarci mai più visti gli abbracci sul
red
carpet e il nostro approccio piuttosto fisico.
Invece
finalmente forse stava mostrando la sua parte migliore, quella che
per amore avrebbe messo da parte qualsiasi cosa, persino la gelosia.
“Nervosa?” chiese Akito prendendomi la mano.
Annuii, non
riuscivo a parlare, avevo la bocca secca e le labbra mi si
attaccavano l'una all'altra come se stessi masticando della carta.
Hayama mi prese la mano e la strinse forte nella sua e io mi
beai di quel contatto, cercando di canalizzare tutte le mie paure in
quel punto di unione.
“Andrà tutto bene.” si limitò
a
dirmi Akito. Non sapevo come ma, grazie a quelle parole, mi
tranquillizzai. Aveva anche capacità miracolose scaccia
ansia,
avrebbero dovuto renderlo tascabile.
Cercai una posizione
comoda su quella poltroncina, accavallai le gambe e sistemai la
giacca. Avevo deciso di indossare un vestito a ruota stile anni '50
di colore rosa molto chiaro, con delle decoltè abbinate e un
po' di
punti luce nella borsa. Tutto sommato avevo un look abbastanza
elegante senza strafare.
Rimanemmo in attesa che tutti
prendessero posto, avevo visto non pochi volti noti e mi ero stupita
di non vedere Naozumi. Mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato.
Le
luci si spensero all'improvviso e gli ultimi ritardatari fecero un
po' di confusione nel sedersi frettolosamente prima che il film
iniziasse. Mi tremavano le gambe, fortunatamente ero seduta
altrimenti mi sarei ritrovata lunga per terra in meno di un minuto.
“Inizia.”. Akito mi rivolse un sorriso smagliante,
poi la
mia immagine arrivò sul gigantesco schermo.
Era arrivato il
mio momento.
Pov
Akito.
Il
film era stato bellissimo. Una storia che mai mi sarei aspettato Sana
riuscisse a portare alla vita. Non perché non fosse brava, o
perché
dubitavo delle sue capacità, ma perché il
personaggio di Miya era
così complesso, così profondo e così
pieno di odio che vederlo
addosso a lei pensavo sarebbe stato stranissimo.
Invece no.
Sana era riuscita a diventare davvero Miya e immaginai che gli fosse
costato non poco disagio.
Le scene più spinte non erano però
affatto volgari. Il sesso era visto come un momento totalmente
separato dalla storia stessa. Miya e Mark sembravano sinceramente
innamorati in quei pochi momenti di serenità e si notava
come quelle
sequenze fossero state affrontate con professionalità e
riguardo,
soprattutto nei confronti di Sana.
In poche parole, lo avevo
adorato. E la stampa era stata entusiasta. Da giorni non si leggevano
che recensioni positive a riguardo, elogiando soprattutto la bravura
di Sana in quanto attrice che era passato dal genere leggero delle
soap a quel film che di leggero non aveva neppure la colonna sonora.
Ero così fiero di lei, così orgoglioso che avesse
portato
avanti i suoi sogni nonostante anche la mia inutile insistenza.
Quanto ero stato stupido, non riuscivo a credere di averle potuto
chiedere di lasciare andare un così grande talento solo per
compiacere me.
Nell'ultimo anno io e Sana eravamo maturati così
tanto che l'Akito di un anno prima mi sembrava solamente un lontano
ricordo, qualcuno che ero stato e che non volevo più essere
perché
gli avevo permesso di mettersi in mezzo al mio sentimento che, in
quel momento della mia vita, mi sembrava la cosa più
importante del
mondo.
Sana era dovuta andare con Rei a rilasciare
un'intervista per Cosmopolitan che l'aveva citata come la bambina
prodigio che si era trasformata in un'attrice a tutti gli effetti.
Sana era raggiante, felice come non l'avevo mai vista prima di
quel momento e sapere che a quella felicità stavo
contribuendo anche
io mi faceva sentire immensamente soddisfatto.
Sapevo che lei
temeva il mio giudizio o una mia reazione perciò avevo
cercato in
tutti i modi di essere di supporto e aiutarla a comprendere che non
doveva avere paura. Avevo smesso di comportarmi come un pazzo,
perché
sapevo che lei mi amava e non avevo più motivi per dubitare.
Certo,
dovevo ammettere che vederla così vicina a Miyazaki mi aveva
un po'
infastidito, ma non perché avessi una qualche paura, ma
solamente
perché c'era sempre una parte di me che la voleva tenere
sotto una
campana di vetro. La cosa positiva era che riuscivo a controllarmi in
maniera egregia e la cosa era abbastanza impercettibile agli occhi
esterni.
L'unica cosa che mi dispiaceva era che dall'uscita del
film io e Sana non avevamo avuto un momento per noi. Tra interviste,
ospitate, giornalisti che si appartavano fuori casa e ci toglievano i
pochi momenti di intimità che ci ritagliavamo, passare anche
solo
un'ora insieme era utopia.
Io ne avevo approfittato per tornare
in palestra ogni tanto e con grande piacere notavo che i bambini
erano sempre felici di vedermi e fare lezione con me.
Ero
andato a consegnare la relazione al professor Siroki che
però mi
aveva avvisato che avrei ricevuto un punto in meno per il ritardo.
Avrei voluto rispondergli che nel frattempo avevo ripreso in mano la
mia vita ma non volevo inimicarmi nessuno, soprattutto quando mi
mancava così poco per raggiungere i miei obiettivi.
Non lo
avevo detto subito a Sana, ma ero stato contattato dalla sede di
Tokyo del museo dove avevo fatto il tirocinio grazie al professor
Siroki e mi avevano offerto un posto come assistente con la
possibilità di seguire gli archeologi durante gli scavi.
Era
un'opportunità grandiosa e accettare avrebbe significato
avere un
lavoro sicuro non appena conclusi gli studi. Si, avevo la palestra e
il lavoro di insegnante non mi dispiaceva, ma se potevo ampliare i
miei orizzonti perché non farlo?
Avevo chiesto qualche giorno
per pensarci e giorni dopo lo avevo detto a Sana che, ovviamente, fu
molto felice per me.
Mentre aspettavo che tornasse dalla sua
intervista, cercavo di sistemare i miei documenti in vista
dell'inizio del lavoro la settimana successiva. Avevo tutto, mi
mancava solamente il contratto da firmare e sarebbe stato tutto
pronto.
Sana spalancò la porta d'ingresso con il suo solito
fare delicato. “Akito! Aiutami, per favore!”
Corsi verso la
porta e la trovai sommersa da buste e fiori.
“Hai svaligiato
un negozio?”
“Spiritoso!” disse chiudendosi la porta alle
spalle con un calcio mentre le toglievo dalle mani quanti
più
sacchetti possibili. “Sono abiti che Cosmopolitan mi ha
regalato
per l'intervista.”
“E io che pensavo che la tua parte
d'armadio non potesse contenere più nulla.”
Sana si tolse i
tacchi e li lanciò. “Potrei sempre prendere anche
la tua parte,
attento.”
Sapevo che non era una semplice minaccia e che
probabilmente lo avrebbe fatto davvero perciò lasciai
perdere perchè
era come combattere col vento, non avrei vinto perché tanto
lei non
si sarebbe mai fermata.
Mentre l'aiutavo a mettere a posto quei
vestiti gli occhi mi caddero sulla sua fede. Mi venne in mente quasi
subito che probabilmente Sana non aveva mai visto l'incisione.
Il
giorno del matrimonio eravamo così nervosi e così
presi da altro
che non avevamo veramente assaporato quel momento. Probabilmente mi
assentai con la testa per un attimo perché Sana venne a
scuotermi.
“Stai bene? A che stai pensando?”
“Sto pensando che
voglio sposarti.” dissi tutto d'un fiato.
“Akito, ma noi
siamo già sposati. Hai la febbre, tesoro?”
“Certo che me lo
ricordo. Intendevo che vorrei un matrimonio vero e proprio, tu in
abito bianco, io che ti aspetto all'altare preoccupato per il tuo
ritardo...”
L'attirai verso di me costringendola a lasciare
un pacchetto cadere per terra, e la guardai dritta negli occhi.
“Cose
così...”
“Cose così, eh? Bè, se vuoi sposarmi
dovrai fare
tutto come si deve, proposta e tutto il resto...”
Non me lo
feci ripetere due volte, mi misi immediatamente in ginocchio e le
presi le mani.
“Non intendevo adesso!” urlò Sana
visibilmente eccitata.
“Sssh… fammi fare le cose come si
deve.”
Feci un respiro profondo e continuai. “Sana Kurata,
come dice l'incisione nelle nostre fedi tu sei stata la mia prima,
sarai la mia ultima, per sempre il mio tutto. Vuoi sposarmi…
di
nuovo?”
Sana annuì tra le lacrime e poi si gettò tra le
mie
braccia. “Lo prendo come un si.” sussurrai
accarezzandole i
capelli.
Forse era la proposta di matrimonio meno convenzionale
dell'intera storia ma era stata ugualmente speciale perché
noi non
avevamo bisogno di effetti speciali per amarci.
Bastavano le
nostre anime in precisa sintonia a creare i fuochi d'artificio.
Pov
Sana.
Indossare
l'abito da sposa fu la prima cosa che quel giorno mi fece piangere.
Mentre guardavo allo specchio la mia figura abbracciata da
strati e strati di tulle, con mia madre e le mie amiche alle mie
spalle, pensavo che non sarei stata in grado di affrontare la
giornata. Mi sentivo in paradiso, la principessa che stava per
sposare il suo principe azzurro. Un sogno diventato realtà.
Guardai
la mia mano senza e fede e mi sembrò vuota. Akito avrebbe
voluto
comprare un nuovo anello ma io lo avevo convinto a non farlo,
perché
era quello l'anello che ci legava. Quando Akito mi aveva fatto la
proposta avevo scoperto dell'incisione all'interno che non avevo mai
notato non avendo mai tolto l'anello.
My
first, my last, forever my everything.
La
cosa che più mi emozionava era che lo aveva fatto scrivere
prima
ancora che il nostro rapporto subisse la grande svolta.
Akito
mi amava da tutta la vita e io ero stata così cieca. Non
avevo
voluto vedere qualcosa di così cristallino.
“Sei bellissima,
Sana.”
Le parole di Aya mi ridestarono dai miei pensieri. Le
sorrisi con le lacrime agli occhi. “Dammi un pizzicotto,
magari è
tutto un sogno.”
Lo fece e, fortunatamente, non mi svegliai.
“E' tutto reale, figliola. Avrai il privilegio di sposare un
Adone come Akito per ben due volte, non ti sembra di esagerare un
po'? Gente come Fuka non ci è riuscita nemmeno una
volta!”
Guardai mia madre malissimo mentre la stessa Fuka rideva a
crepapelle. “Sana non te la prendere! Tua madre ha solo detto
la
verità, sono una frana con gli uomini.”
Le mie damigelle
scoppiarono a ridere. Eravamo un gruppo di pazze scatenate, forse
l'unica che si salvava da quella definizione era Natsumi che
però
stava cominciando ad essere contagiata.
Mi voltai verso di loro
e, quando le risate cessarono, le ringraziai una per una. Aya per la
sua pazienza e il suo supporto, Fuka per il suo spirito e i suoi
consigli, Natsumi per i suoi silenzi che a volte mi avevano aiutato
più di mille parole.
Quando arrivò il turno di mia madre mi
avvicinai a lei e le presi le mani. “Grazie mamma. Anche se
non mi
hai partorito mi hai ugualmente dato la vita. Non lo
dimenticherò
mai.”
L'abbracciai immediatamente e rimanemmo abbracciate
finchè non arrivò il momento di attraversare la
tanto temuta
navata.
*
Rei
mi stringeva forte il braccio mentre ci dirigevamo verso l'ingresso
della sala. Nessuno avrebbe potuto accompagnarmi all'altare se non
l'uomo che mi aveva fatto da padre, che mi aveva insegnato
più di
chiunque altro.
Guardandolo di sottecchi mi accorsi che
piangeva, perciò gli sfiorai la guancia asciugandogli le
lacrime.
“Ti voglio bene, Rei. Nel mio cuore sarai sempre tu mio
padre, voglio che tu lo sappia.”
Le mie parole lo fecero
piangere ancora di più.
“E tu sei mia figlia, Sana. Lo sarai
sempre.”
Gli sorrisi e, quasi automaticamente, alzai lo
sguardo verso Akito.
Una volta lessi da qualche parte che le
donne che percorrono la navata sono meravigliose ma la vera magia
è
nello sguardo dello sposo che le attende all'altare.
Guardando
Akito capii quanto quelle parole fossero vere, mi guardava come se
stesse avendo un'apparizione divina, come se fossi un angelo. Seguiva
i miei passi in modo completo, come se stesse cercando di memorizzare
ogni cosa della mia immagine in quell'istante.
Una lacrima mi
scivolò sulla guancia e, quando arrivai davanti a lui,
sorrisi quasi
senza accorgermene.
Rei mi alzò il velo e mi diede il consueto
bacio sulla fronte e poi poggiò la mia mano su quella di
Akito.
I
due si scambiarono uno sguardo d'intesa e poi Rei tornò a
sedersi
dietro di me.
La cerimonia proseguì tranquilla, nessun
intoppo, nessun problema era venuto fuori, nonostante temessi che
qualcosa sarebbe andato storto.
“E adesso il momento più
importante. Davanti a voi troverete un foglio, prendetelo e recitate
le promesse.”
L'officiante ci lasciò il microfono e io lo
presi per prima, dovevo dire qualcosa.
“Prima delle promesse,
avrei qualcosa da dire.”
Akito mi fissò con sguardo
interrogativo, perché sicuramente lui non aveva preparato
niente e
temeva lo costringessi ad improvvisare una dichiarazione d'amore.
Avvicinai il microfono alla bocca e continuai. “Noi non siamo
esattamente la tipica coppia innamorata...”
La folla alle mie
spalle scoppiò in una fragorosa risata. Era così
ovvio?
“Vedo
che i nostri amici sono tutti d'accordo...” commentai
sorridendo,
per poi continuare. “Ma c'è una cosa che voglio
dire. Non so come
sia stato possibile che tutte le problematiche che ci caratterizzano
si siano unite per creare un sentimento come questo. Non so come ne
quando sei passato da essere il bambino che a scuola mi faceva i
dispetti all'uomo che voglio accanto per tutta la mia vita. Non lo
so… so però che ne abbiamo superate di cose,
soprattutto
nell'ultimo anno, e mi dispiace di averti reso la vita un gigantesco
inferno, ma sono certa che niente potrà cambiare il nostro
sentimento. Potremo stare lontani anni, ma saremo sempre legati.
Sempre un'unica cosa.”
Lo guardai negli occhi per tutto il
tempo, vedendo l'emozione dietro il suo sguardo lucido, notando che
le mani gli tremavano, che era forse la prima volta nella sua vita in
cui non aveva il controllo di niente. E Akito odiava perdere il
controllo.
“Adesso possiamo andare con le promesse.”
Recitammo le nostre promesse, poi i nostri amici passarono di
mano in mano il ramoscello di camelia per sancire, finalmente, quel
sentimento che per anni avevamo tenuto nascosto e che poi si era
rivelato improvvisamente e ci aveva colpiti come un fulmine a ciel
sereno.
Guardai Akito nel momento in cui mise di nuovo l'anello
al mio dito. Il suo sguardo era pieno. Pieno di amore, pieno di
fiducia, di attesa, di soddisfazione.
Era finalmente lo sguardo
che avevo sempre voluto vedere sul suo volto. Era tutto perfetto e,
per buona parte, lo era grazie a lui.
Pov
Akito.
Non
avevo idea di cosa si facesse a un matrimonio o, per lo meno, non
sapevo cosa fare al mio
matrimonio. Avevo assistito a decine di cerimonie e di ricevimenti in
cui gli sposi sembravano delle trottole, giravano di tavolo in tavolo
chiedendo in continuazione agli invitati se tutto era di loro
gradimento. Cosa avrebbero potuto rispondere?
Io e Sana avevamo
organizzato tutto in fretta e furia, eppure l'evento stava riuscendo
abbastanza bene, grazie anche al prezioso aiuto che Aya e Fuka
stavano dando a Sana.
Mentre ero seduto al nostro tavolo
d'onore, la cercai con lo sguardo tra la folla. Aveva indossato un
vestito meraviglioso che, quando l'avevo vista percorrere la navata,
stava quasi per causarmi un infarto.
Quando eravamo ragazzini
e, per sbaglio, si toccava l'argomento matrimonio, Sana diceva sempre
che desiderava un abito principesco, di tulle, con una gonna che
avrebbe dovuto essere il doppio di lei. Sorrisi guardandola, aveva
assolutamente esaudito quel desiderio. Il vestito era molto ampio
nella gonna, ma il corpetto le fasciava perfettamente la vita e il
seno, rendendola terribilmente sexy e facendomi desiderare di mandare
tutti al diavolo e partire in quell'istante per la luna di miele.
Sana sorrideva a tutti, i capelli le ricadevano morbidi sulla
spalla sinistra e riflettevano le luci dell'enorme lampadario che
troneggiava nella sala. Il movimento del vestito la faceva sembrare
leggera, quasi eterea mentre volteggiava facendo conversazione con
gli invitati.
Afferrai il mio bicchiere di spumante e feci per
alzarmi, quando accanto a me venne a sedersi Fuka. Le rivolsi un
mezzo sorriso e lei fece lo stesso.
“Bè… sei anni fa avrei
dato un braccio per essere seduta a questo tavolo con te.”
disse
sorridendo.
“Sei anni fa avresti perso un braccio inutilmente,
Fuka. Non sono mai stato degno di te.”
Pensavo davvero quello
che le stavo dicendo. Non che Sana valesse meno di lei, quello era
fuori questione, ma Fuka aveva sopportato tante delle mie stranezze,
e soprattutto aveva accettato di essere l'eterna seconda nel mio
cuore perché bastava che Sana mi rivolgesse uno sguardo che
io
dimenticavo totalmente sia Fuka che il nostro rapporto.
Lei
annuì. “Hai ragione. Sei degno di lei,
però.” disse indicando
con lo sguardo quella che ormai era mia moglie da circa quattro ore.
“No. Non sono degno nemmeno di Sana. Ma non m'importa, sono
un egoista.”
“Rendila felice. Non mi sono messa da parte
tanti anni fa per vederti rovinare tutto.”
Avvicinai il mio
bicchiere al suo e li feci tintinnare brindando a quel perentorio
ordine che mi aveva appena dato.
“La amo troppo per farla
soffrire.”
Fuka si alzò e si diresse verso Sana. Sapevo che
dentro di lei, probabilmente, avrebbe sempre provato qualcosa per me.
Anche io, in un certo senso, non riuscivo a dimenticarla. Fuka era
stata, per un po', l'unica a lenire la mancanza di Sana, l'unica che
aveva cercato di risollevarmi dal mio abisso dopo che Sana era
scappata a girare quel maledetto film, l'unica che non mi aveva mai
giudicato per i miei sentimenti. Per quello non avrei mai potuto
dimenticarla. Perché se non avessi amato profodamente e
incondizionatamente Sana, quasi sicuramente mi sarei innamorato di
Fuka e saremmo stati anche una coppia abbastanza affiatata.
La
ammiravo profondamente, perché nonostante i suoi sentimenti
contrastanti non si era mai lasciata sopraffare e aveva continuato
non solo a coltivare l'amicizia con Sana, ma soprattutto non mi aveva
mai portato rancore.
“Pensatore!”. La voce di Sana mi
ridestò dai miei pensieri ingarbugliati quasi quanto il nodo
del mio
papillon a cui, ovviamente, aveva pensato Tsuyoshi.
“Ei...”
mi limitai a dire, buttando giù un altro sorso di spumante.
“A
che pensi?”
“Al fatto che Fuka mi ha appena minacciato di
morte se faccio qualcosa di sbagliato.” risposi sorridendo.
“Ricordami di ringraziarla.”
Improvvisamente in
sottofondo partì la canzone che avevamo ascoltato una sera
in cui ci
eravamo improvvisati ballerini nel salotto di casa nostra mentre
eravamo totalmente ubriachi.
Era una canzone che, da sobrio,
non avrei mai ascoltato ma che a Sana era piaciuta tanto.
High,
di James Blunt.
Le presi la mano e la portai verso la pista.
“Balla con me, moglie.”
Misi più enfasi sull'ultima
parola, guardando il sorriso che si formava sul suo viso mentre la
pronunciavo.
“Thought
I was born to endless night, until you shine.”
sussurrai una frase della canzone al suo orecchio, pensando ogni
singola parola.
Era vero. Pensavo che avrei vissuto davvero una
vita tra le tenebre, finché Sana non era arrivata a brillare
per me.
La strinsi a me più che potevo, poi ballammo per qualche
minuto.
Mi sembrarono i minuti più belli che avevo passato da
quando tutta la giornata era iniziata. Ed era solo grazie a lei.
Pov
Sana.
“Akito e Sana, vi
prego, create drammi dalle scuole elementari. Non
avete fatto altro per tutta la vita. Adesso che vi siete sposati
spero per voi che sappiate tenere questa tendenza ben nascosta
perché
sennò devo dirvelo… Che palle!”
Scoppiammo tutti a ridere
dopo le parole di Gomi che, messe nero su bianco, andarono insieme
alle altre sull'albero della vita che era stato montato all'esterno
della sala dove avevamo deciso di tenere il ricevimento. Tutti i
nostri amici avevano scritto dei biglietti d'auguri da appendere
all'albero. Era il turno di Aya.
“Non voglio dilungarmi
troppo, voglio solo dire che non ho mai visto due persone amarsi
così
intensamente come voi, a volte fino a distruggervi, ma sempre d'amore
si tratta. Voi vi siete trovati, e auguro a chi ancora non ha trovato
la sua anima gemella come noi, di trovarsi allo stesso modo (magari
con meno drammi). Vi voglio bene ragazzi.”
La parola dramma
era praticamente comune a tutti i biglietti. I successivi messaggi
furono molto carini, sia quello di Tsuyoshi che quello di mia madre
si concentrarono a pregarci di conservare la prossima crisi per i
sette anni di matrimonio, dove l'avrebbero accettata perché
era una
regola.
Quando Natsumi salì sul palco mi tremarono le
ginocchia. Mi aveva detto di non aver avuto il tempo di scrivere
nulla, perciò non ero preparata. Aveva in braccio Kaori che
si
dimenava, sorridendo a me e ad Akito, e nella mano sinistra teneva un
bigliettino. Mi rivolse un sorriso pieno e poi cominciò a
leggere.
“Innamorarsi
è raro, ma non difficile.
La vera impresa è conservare quel
sogno d’amore anche dopo la sua trasformazione in
realtà. Perché
se incontrarsi resta una magia, è non perdersi la vera
favola.”
Prese il bigliettino e lo mise accanto agli altri che avevano
appeso i nostri amici. Poi si avvicinò di nuovo al
microfono.
“Ho
letto questa frase il giorno che sono stata dimessa dall'ospedale, su
un giornale che mio fratello mi aveva portato. Quel giorno mi era
sembrata stupida, inadatta a me vista la mia situazione che penso
conosciate tutti. Oggi però, guardando voi due e ripensando
a quella
frase, credo che quel giorno mi sia arrivato un segnale.
Voi
avete avuto la grande fortuna di trovarvi da bambini, ma anche la
grande sfortuna di non essere capaci di capire subito il vostro
enorme sentimento. Il vostro incontro è stato una magia,
è vero, ma
è stato il vostro non perdervi col passare degli anni che
oggi vi
rende unici e che vi ha permesso di essere seduti qui, con quelle
fedi al dito, come marito e moglie.
L'ultima cosa che voglio
dirvi è grazie. Non solo perché avete lottato per
mia figlia anche
quando io non ve lo avevo chiesto, ma soprattutto perché
avete
lottato per me, e mi avete aiutato a non perdermi quando forse
incosciamente era l'unica cosa che volevo.
Non saprei come dire
a parole quanto io vi sia immensamente grata per tutto questo. A mio
fratello, che ha trovato finalmente la sua luce e alla mia
più cara
amica, Sana, che lo ha sopportato e supportato sempre. Agli
sposi.”
Alzò il calice e poi corse verso di noi. Con le lacrime agli
occhi la abbracciai e poi presi in braccio Kaori, di cui sentivo la
mancanza in modo spropositato, e lasciai che Natsumi abbracciasse
Akito. Anni fa nessuno avrebbe detto che sarebbero diventati
così
indispensabili l'uno per l'altro, ma io lo avevo sempre immaginato.
Forse per questo avevo lottato così strenuamente per riunire
la loro
famiglia, perché in loro c'era qualcosa, una profonda
sofferenza,
che li avvicinava e allo stesso tempo li allontanava terribilmente.
Natsumi mi abbracciò di nuovo e mi ringraziò in
un sussurro.
“Sono
felice che tu non abbia mollato. Non saremmo mai arrivati qui se tu
non ci fossi stata.” le dissi stringendola.
Natsumi non
rispose, si limitò ad abbracciarmi più forte, poi
tornò a sedersi
al suo posto.
I miei amici volevano proprio farmi piangere!
Non
avevo ancora finito di formulare quel pensiero che arrivò
il turno di Rei.
Lì si che avrei pianto a dirotto.
Salì
sul palchetto e prese il biglietto in mano, rileggendolo velocemente.
Poi fissò il suo sguardo sul mio.
“Fino a qualche mese fa
pensavo che Akito fosse la cosa peggiore che ti potesse
succedere.”
Tutti scoppiarono a ridere, ma io sapevo che lo pensava sul serio.
“Ma quando ho visto che non ha fatto altro che starti
accanto, in
ogni circostanza, anche adesso che le cose sono più
complicate di
prima. Adesso so. So che lui forse è la cosa migliore che ti
sia mai
capitata. Akito ti sfida, ti sorprende, ti aiuta a metterti in
discussione. E, anche se tu sei sempre stata una bambina capace di
autogiudizio, quello che ti accade con lui è diverso.
Diventi
un'altra persona, una persona che mi piace di più. Per
questo,
Akito, ti ringrazio. E lascio nelle tue mani la persona più
importante della mia vita, la persona che mi ha salvato la vita. E ti
avverto: se vedrò che non rendi felice la mia bambina,
verrò a
cercarti ovunque e ti farò pentire di essere nato. Auguri
agli
sposi!”
Rei alzò il calice in alto e io non aspettai nemmeno
che scendesse dal palco, corsi verso di lui e lo abbracciai.
“Grazie
Rei. Grazie perché mi proteggi… anche quando non
ne ho bisogno.”
Rei mi posò un leggero bacio sulla fronte, lasciando tutti a
bocca aperta. “So che non hai più bisogno, ma
lasciamelo credere
ancora per un po'.”
Ballai
con lui, rimanemmo abbracciati per almeno cinque minuti. Amavo Rei
come un padre, e lo avrei sempre ringraziato per aver colmato quel
vuoto.
Mentre ballavo con lui mi guardai intorno.
Vidi il
viso di Aya, Tsuyoshi, Gomi, Hisae, Fuka, Asako, Natsumi, la piccola
Kaori che agitava le mani per salutarmi, mia madre, il signor Hayama
e poi lì, con lo sguardo sognante, il mio Akito.
La mia vita
era così piena che quasi mi faceva paura.
Ma era la paura più
bella che avessi mai provato.
So di essere in
ritardissimo, e mi scuso di questo, ma questo capitolo è
stato molto molto difficile da scrivere. Non perchè succeda
chissà cosa, alla fine è un momento abbastanza
stabile, e proprio per questo mi ha creato non pochi problemi.
Comunque, spero
che vi piaccia ugualmente e che lascerete tante tante recensioni. (Lo
esigo come regalo di Natale u.u)
Grazie comunque a
tutte voi perchè mi sostenete sempre. Spero che ci sarete
anche in futuro, ho in serbo per voi qualcosa di nuovo :)
Intanto leggetemi
e recensitemi, ditemi pure che mi odiate ma basta che mi dite cosa ne
pensate.
Vi bacio tutte.
Una per una.
Roberta.
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Capitolo 23 *** Regali di Natale. ***
CAPITOLO
22.
REGALI
DI NATALE.
Pov
Akito.
Guardai
Sana uscire dal camerino del negozietto in cui ci trovavamo, e vedere
il suo sguardo felice riempì anche me di una
felicità che ormai, da
quando lei era nella mia vita, non potevo più definire
insolita come
facevo prima.
Sana mi
aveva dato la sicurezza di una vita
appagante, accanto alla persona che amavo, ed era l'unica cosa che mi
importava.
“Allora?
Cosa ne dici?” disse accarezzando
l'abito rosa che indossava.
“Dico
che ti sta benissimo, come
gli ultimi sedici vestiti che hai provato.”
Sana mi
sorrise,
in fondo lo sapeva anche lei che tutto quel tempo passato ad entrare
ed uscire da quel camerino era solo un modo per farmi impazzire. Ci
divertivamo a stuzzicarci, e la cosa mi andava più che bene,
lo
avevamo sempre fatto.
“Siamo
tornati un po' stressati dal
viaggio di nozze o è una mia impressione?”. La
guardai di
sfuggita, ripensando al meraviglioso viaggio in Italia che Rei ci
aveva organizzato con cura, e forse si, un po' stressato lo ero, ma
non per via del ritorno dal viaggio.
“Ti
prego non ricordarmi
che siamo a casa, mi viene voglia di fare le valigie e partire di
nuovo.” Mi alzai in fretta per avvicinarmi a lei,
abbracciandola in
mezzo al negozio.
“Prendiamo
questo, o mia moglie mi farà
impazzire.” dissi velocemente alla commessa che attendeva una
risposta per l'abito, poi tornai a guardare Sana.
“Andiamo
a
casa, ho proprio un'idea di come farti impazzire davvero.”
Sana mi
rivolse uno sguardo ammiccante e per tutto il tragitto verso casa le
sue parole risuonarono nella mia mente, come una promessa che mi
sarei impegnato a farle mantenere.
Quella
era la nostra vita da
due mesi, dopo il matrimonio Sana aveva disdetto tutti i suoi impegni
per il nostro viaggio e, non appena eravamo tornati, avevamo ripreso
il controllo delle nostre vite. Lei era tornata a lavoro e io avevo
fatto lo stesso, cominciando a lavorare per il museo che mi aveva
ingaggiato. Ero ormai in procinto di presentare la tesi di laurea e
in quel preciso momento la mia vita poteva essere definita perfetta.
Fu
ancora più perfetta quando, arrivati a casa, Sana non mi
diede neanche il tempo di dire una parola che si fiondò
sulle mie
labbra e mi trascinò in camera da letto. Cosa avrei potuto
desiderare di meglio?
Pov
Sana.
Il
mio ginecologo mi aveva riempito di telefonate quella settimana e,
prevedibilmente, non avevo risposto a nessuna di esse. Akito non
sapeva nulla, altrimenti mi avrebbe costretto a richiamarlo e quella
era proprio l'ultima cosa che desideravo. Tornare con Akito era stato
il massimo, mi sentivo finalmente felice, ma una parte di me era
ancora devastata da quella sedntenza che i medici mi avevano buttato
sulle spalle. Non ero propriamente sterile, il concepimento poteva
ancora avvenire, ma la mia patologia mi avrebbe condannata a subire
aborti per il resto della mia vita, e una volta era stata sufficiente
a distruggermi, non osavo immaginare cosa avrei potuto provare
andando avanti.
Il
medico mi avrebbe sicuramente introdotta in
qualche progetto di sperimentazione ma davvero valeva la pena
torturarmi mentalmente e fisicamente per qualcosa che alla fine non
sarebbe successo ugualmente?
Per
questo non ne avevo parlato
con Akito, per evitargli il nutrimento di una speranza assolutamente
inutile.
Ero
andata a trovare mia madre che mi aveva aperto la
porta ancora in pigiama alle tre di pomeriggio.
“Mamma…
come mai non sei ancora vestita?” chiesi entrando e
togliendomi le
scarpe.
“Oggi
mi sento un'anziana Bridget Jones, voglio
rimanere in pigiama e cantare a squarciagola mangiando
gelato.”
La
guardai sconvolta e la rincorsi per il corridoio, toccandole la
fronte.
“Ma
ti senti bene? Sei stata rapita dagli alieni e
sono davanti ad un tuo replicante?”
Mia
madre scoppiò a
ridere e mi spiegò che aveva solo bisogno di riposo
perché erano
settimane che andava a letto tardi per la consegna imminente del
nuovo libro. Parlammo un po' della pubblicazione, mi
raccontò di
quanto fosse emozionata per quei personaggi tutti nuovi.
“I
due protagonisti sono ispirati a te e Akito.”
Il
tè mi andò
di traverso. “Cosa? Mamma dimmi che non hai raccontato la
storia
mia e di Akito, ti prego.”
“Ma
cosa dici, tesoro? Ho detto
che sono ispirati, non che il libro parla di voi.”
Non
c'era
da fidarsi di mia madre quando si trattava di un suo libro,
perciò
presi le sue parole con le pinze, perché sapevo che mi
avrebbe
riservato qualche sorpresina.
Cercai
di estorcerle qualche
informazione in più, ma mia madre era una tomba e io non
avevo più
tempo da dedicarle perché Rei mi era venuto a prendere per
andare
all'orfanotrofio che mi aveva fatto conoscere Naozumi.
Era
quasi Natale e sentivo il bisogno di canalizzare il mio amore verso
qualcuno che non fosse Akito. Chi meglio di quei bambini che non
avevano nessuno al mondo?
Salutai
mia madre e corsi verso la
macchina di Rei mentre fuori diluviava.
“Hai
preso i
giocattoli che ti avevo chiesto?”
Rei
annuì e indicò i
sedili posteriori, stracolmi di pacchetti di ogni genere.
“Sei
sicura di volerci andare?”
“Devi
smetterla di preoccuparti
per me, Rei. Sto bene, dovrò vedere qualche bambino prima o
poi, non
pensi? Il mondo non smette di girare per me.”
Dissi
quelle
parole più per convincere me che lui, e il resto del
tragitto lo
passai in silenzio. La mia mente aveva pianificato attentamente
quella giornata, sarei andata lì, avrei giocato un po' con i
bambini, gli avrei dato i miei regali e sarei tornata a casa felice
di aver passato la giornata con loro.
Magari
avrebbero cantato
qualche canzoncina di Natale, o avremmo potuto giocare a nascondino,
comunque sarei tornata a casa serena e senza pesi sul cuore.
Quando
arrivai davanti al cancello che conoscevo fin troppo bene il respiro
mi mancò per un attimo. Un paio di bambini mi guardavano
dalle
finestre, non potendo uscire ad accogliermi a causa della pioggia,
con i sorrisi a trentadue denti ciascuno, o qualcuno in meno
sicuramente, ma a loro non importava. Le occasioni per sorridere
dovevano essere colte al volo per loro.
Entrai
con i pacchetti
in mano, con l'aiuto di Rei li avevo portati dentro, e i bambini mi
saltarono addosso non appena capirono che erano regali per loro.
“Sana!”
urlarono tutti in coro. Il mio cuore si riempì di
gioia, una gioia che non provavo da tanto tempo, diversa da quella
che provavo stando con Akito.
La
signora Yatsuma arrivò giusto
in tempo, prima che mi soffocassero d'abbracci. “Bambini,
piano! O
Sana non verrà più a trovarci.”
Alzai lo
sguardo verso
quella signora paffuta che Naozumi mi aveva presentato anni prima.
“Ma no, signora Yatsuma, mi fa piacere che siano
così affettuosi.”
ribattei sorridendole e avvicinandomi per abbracciarla. Lei
ricambiò
e poi mi tolse dalle mani l'ultimo pacchetto. “Questo
veramente era
per lei.”
I suoi
occhi dolci mi guardarono sgomenta,
sorridendomi. “Sei davvero una ragazza d'oro, piccola
Sana.”
La
lasciai aprire il suo regalo in pace e mi chinai di nuovo all'altezza
dei bambini. “Allora, tutti questi regali sono per
voi...”
“Ma
sono tantissimi!” mi risposero un paio d'occhi scuri, con
delle
ciglia foltissime che gli invidiavo assolutamente. Quel bambino si
avvicinò, scansando tutti gli altri, poteva avere si e no
tre anni.
“Ma
sono tutti, proprio tutti per noi?” domandò di
nuovo.
Annuii,
sorridendogli. “Tutti, proprio tutti.” ripetei le
sue esatte parole per accentuare la cosa.
La sua
bocca si
spalancò in una smorfia di stupore che comprendevo
benissimo. Forse,
a parte me e Naozumi, nessuno andava lì a portargli dei
regali.
Cominciai
a distribuirli con attenzione, cercando di
accontentare tutti. Avevo portato anche vestiti, sia maschili che
femminili, e avevo lasciato alla signora Yatsuma piena
libertà di
cambiarli nel caso le misure fossero state sbagliate o non
incontrassero i gusti dei bambini.
Quando
tutti ebbero ricevuto
il loro regalo, cominciai a giocare con loro, cercando di
coinvolgerli tutti, chiamandoli ad avvicinarsi quando si
allontanavano, sorridendogli e stringendogli le manine quando mi
accorgevo che erano solo troppo timidi per parlare con qualcuno che
non conoscevano.
Alla
fine tutti erano venuti a giocare. Tutti
tranne due bambini che non avevano fatto altro che starsene in fondo
alla sala dove eravamo riuniti e avevano a mala pena accettato i
regali.
Erano un
maschio e una femmina, di una bellezza che mi
faceva venire le lacrime agli occhi. Tutti quei bambini erano belli,
ma quei due… i loro sguardi mi facevano tremare i polsi.
Mi
alzai da terra, lasciando gli altri bambini a giocare tra di loro, e
mi avvicinai a quei due che non facevano altro che fissarmi mentre
avanzavo verso di loro.
Sgranarono
gli occhi non appena mi
abbassai per stare alla loro altezza.
“Ciao..”
sussurrai.
Mi sembrava potessero fuggire da un momento all'altro per cui cercai
di essere il più delicata possibile.
Non
risposero, si
limitarono a scambiarsi uno sguardo e poi a fissare per terra, come
se si vergognassero.
“Come
vi chiamate?” chiesi sfoderando
il mio miglior sorriso.
Provai a
sfiorare la manina della
bambina, ma lei si ritrasse bruscamente e da quel gesto capii che non
le piaceva essere toccata.
Chissà
cosa aveva passato e chissà
perché l'unico contatto che non la infastidiva era quello
del
bambino a fianco a lei.
“Lei
si chiama Akane. Io invece sono
Kanata.”
Rivolsi
immediatamente l'attenzione a lui, che la
teneva stretta. “E lei è la tua
fidanzatina?”
Mi
rivolse
uno sguardo per lo più schifato.
“Bleah!
Ma cosa dici? E'
mia sorella!”
Li
guardai bene ed effettivamente notai una
certa somiglianza.
Volevo
sapere di più su di loro. Sapere
perché Akane non amava il contatto, perché Kanata
non le lasciava
mai la mano. Volevo sapere. I bambini si allontanarono da me e io
rimasi a guardare il punto in cui erano un secondo prima.
La
mia curiosità fu subito colmata.
“Sono
gemelli.”. La
signora Yatsuma si avvicinò a me con le braccia incrociate.
“Hanno
cinque anni. Sono arrivati qui quando ne avevano tre.” Mi
alzai e
la seguii mentre camminava.
“Sono
così carini, e sembrano
anche molto uniti.”
“Devono
esserlo: sono rimasti soli al
mondo. I genitori sono finiti in prigione per possesso e spaccio di
droga e per maltrattamenti.”
L'ultima
parola spiegò tutto.
“Su Akane immagino.”
“Anche
su Kanata… ma lui non ha
sviluppato quest'avversione al contatto. Inizialmente Akane non
voleva neppure essere pettinata, o lavata… adesso va meglio,
ma non
ama i contatti bruschi. E' molto diffidente.”
Annuii,
cercando di immaginare la vita di quei due piccoli esserini che in
pochissimo tempo avevano conosciuto una quantità di dolore
che a
quell'età non avrebbero nemmeno dovuto immaginare.
“Avete
trovato qualche famiglia disposta ad adottarli?”
La
signora
Yatsuma scosse la testa. “Molti vengono, li vedono e
rimangono
estasiati. Quando poi scoprono che Akane non parla e che ha questo
problema sull'essere toccata, si tirano tutti indietro.”
Non
riuscivo a concepire l'idea che qualcuno di così innocente
potesse
soffrire così tanto.
Dopo
aver giocato ancora con tutti i
bambini e aver tentato di includere anche Akane e Kanata, li lasciai
a fare merenda e me ne andai.
Avevo
bisogno di pensare, di
schiarirmi le idee.
Forse
quella idea di passare la giornata in
orfanotrofio non era stata un granchè.
Pov
Akito.
Sana non
era ancora tornata dalla sua giornata in
orfanotrofio e io ne avevo approfittato per fare zapping e rilassarmi
un po'. Avevo passato una settimana infernale, dopo il ritorno dal
viaggio di nozze, con il lavoro al museo e la gestione della
palestra. Mi era impossibile fare tutto da solo e mi sembrava che la
mia vita fosse diventata frenetica a livelli esasperanti, i miei
unici momenti di tranquillità arrivavano alla sera quando mi
ritrovavo a letto a fianco a Sana.
Presi il
telefono e mi
accorsi che Sana mi aveva mandato un messaggio dicendomi che stava
per tornare.
Il mio
umore fece un balzo in su. Non la vedevo
dalla sera prima e mi sembrava un'eternità, per cui quando
sentii la
porta di casa aprirsi mi fiondai all'ingresso, ma Sana non era felice
quanto me.
“Ciao
amore.” mi schioccò un bacio all'angolo
della bocca, salutandomi distrattamente. Si diresse in cucina
togliendosi la giacca e io la seguii.
“Come
è andata
all'orfanotrofio?”
Mi
piazzai davanti a lei e la costrinsi a
fermarsi, mentre si agitava davanti al piano cottura fingendo di
iniziare a cucinare.
“Cosa
è successo?”
Il suo
sguardo era sconfitto, come se avesse passato una giornata d'inferno
e non volesse dirmelo.
“Ma
nulla Akito, i bambini erano un
po' irrequieti.” mi liquidò lei.
Pensava
fossi
stupido?
“Sana...”
le tolsi la pentola dalle mani e la
obbligai a fermarsi di nuovo. “Ti conosco come le mie tasche,
pensi
sia davvero così facile prendermi in giro?”
Sana
sbuffò,
sconfitta dalla mia insistenza. Finalmente poteva comprendere come mi
sentivo io ogni volta che lei mi costringeva ad esprimere i miei
sentimenti.
Si
spostò verso il tavolo e mi fece cenno di
sedermi, obbedii e cercai di capire dai suoi occhi cosa la turbasse.
Ma Sana era diventata brava a nascondersi, persino da me a volte.
“Sono
rimasta… scioccata dalla crudeltà della vita
oggi.”
Era
distante e immersa in ciò che stava provando,
così
immersa che io non riuscivo ad afferrarla.
Le
accarezzai una
guancia e lei poggiò la mano sulla mia, accennando un
sorriso. “Oggi
guardando tutti quei bambini ho pensato che la vita fosse
profondamente ingiusta. Perché il destino da un figlio a chi
non lo
desidera e lo toglie per sempre a chi lo ha desiderato con tutta
l'anima?”
La
guardai e per poco non mi scesero le lacrime,
sentivo il suo dolore, lo sentivo proprio al centro del petto ma non
potevo capire fino in fondo cosa provasse. Ero sempre stato convinto
che quel tipo di dolore fosse incomprensibile per noi uomini, e
quella sera Sana aveva confermato la mia idea. Io soffrivo con lei,
ma non come lei. Sapere che stava soffrendo in quel modo ed essere
consapevole di essere impotente mi distruggeva.
“Sana…
riusciremo ad avere un figlio nostro. Anche se dovesse volerci tutta
la nostra forza.”
Lei
scosse la testa, visibilmente
contrariata.
“No,
Aki. Non voglio alimentare speranze, non
voglio soffrire per poi rimanere comunque a mani vuote.”
“Ma...”
tentai di controbattere.
“I
medici sono stati molto chiari: è
altamente improbabile, per non dire impossibile, che io possa portare
a termine una gravidanza.”
Sana si
alzò di scatto e fece per
allontanarsi, ma io la bloccai immediatamente.
“Non
permetterò a tutto questo di allontanarci un'altra
volta.” Poggiai
la fronte sulla sua, provando a tranquillizzarla, provando a farle
capire che non era sola, che se fosse caduta avrebbe potuto
appoggiarsi a me.
“Non
ho alcuna intenzione di allontanarmi da
te, Akito. Solo… ho bisogno di aiutare quei bambini. Io
voglio un
bambino e loro… loro hanno bisogno di una madre.”
Non ero
sicuro di aver capito bene. Sana mi stava proponendo di adottare un
bambino?
“C'erano
questi due gemelli oggi… che nessuno vuole
adottare.”
La
bloccai subito. “Frena, Sana, frena! Adottare
un bambino, potremmo anche considerlo… ma adottarne due?
Abbiamo
appena ripreso in mano il nostro rapporto.”
Sana
sembrò
rinsavire per un secondo, mi sembrò che il suo sguardo
tornasse
razionale ma poi si allontanò da me e uscì dalla
cucina.
*
Restammo
in silenzio per tutta la sera, lei ferma sul suo desiderio e io fermo
sui miei dubbi. Il fatto era che, avendo sperimentato così
tante
incertezze nel nostro matrimonio, non riuscivo a pensare di dare
stabilità a qualcuno che, di base, aveva bisogno solo di
quella.
Come potevamo io e Sana, che non riuscivamo a passare dieci minuti
senza litigare, pensare di occuparci di due creature, per di
più
problematiche?
Erano
quelli i miei dubbi, e Sana si stava
comportando da egoista.
Mentre
cenavamo cercai in tutti i modi
di costringerla a parlarmi, ma lei continuava ad ignorarmi. Mi
passava accanto senza considerarmi e sentivo che quella discussione
sarebbe durata all'infinito se non avessi fatto qualcosa.
Per
cui, non appena la vidi dirigersi verso la camera da letto, la seguii
e, prontamente, chiusi la porta a chiave.
“Akito,
fammi
uscire!” urlò Sana cercando di togliermi la chiave
dalle mani.
“No!
Ascoltami...” La spinsi indietro, verso il letto, e
lei non oppose resistenza. “Non è l'idea
dell'adozione in generale
che non mi piace. Io voglio un bambino, e non mi fa paura l'idea di
adottarne, anche se devo ammettere che desidero con tutto me stesso
avere un bambino nostro, che abbia i tuoi occhi, il tuo sorriso,
ma…
non pensi che sia troppo presto, dopo tutto quello che è
successo? E
poi… due bambini. Insomma, Sana… sii
ragionevole.”
“Ma
se solo tu li conoscessi!” urlò lei esasperata.
“Sono due
bambini adorabili e hanno tanto bisogno d'amore! E io avevo tanto,
tantissimo amore da dare a nostra figlia… e so che anche tu,
nonostante lo nascondi, hai sofferto come me all'idea di non avere
figli.”
Le
parole di Sana mi calmarono. Non che la pensassi
diversamente, ma non riuscivo a litifare con lei quando sapevo che
soffriva.
Andai a
sedermi accanto a lei, in silenzio.
“Cosa
gli è successo?” chiesi, sinceramente interessato
a sapere di più.
“I
loro genitori sono in prigione: spaccio di droga e
maltrattamenti su entrambi i bambini. Kanata protegge sua sorella
come se fosse perennemente in pericolo. E lei… dovresti
vederla!
Akane non sa com'è ricevere un briciolo d'amore, Akito. Ha
paura del
mondo che la circonda. Ha così tanto bisogno di…
di tutto. Hanno
bisogno di due genitori.”
Quando
Sana si fermò la violenza
di quella storia mi investì come un treno. Come era
possibile fare
così male al sangue del tuo sangue?
Sana mi
prese la mano e se
la portò alla bocca, baciandola.
“Io
lo so che è una cosa
grande, enorme, con cui fare i conti. Ma io non ti sto chiedendo di
dire di si ad occhi chiusi. Solo… incontrali. Incontrali
e… se
non sentirai ciò che ho sentito io… almeno ci
avremo
provato.”
Cosa
potevo rispondere di fronte a quella richiesta?
Come
potevo dirle no e distruggere tutte le sue speranze?
Se
avessi detto no, mi avrebbe odiato.
Se
avessi detto si e poi
non fossi stato convinto una volta incontrati i bambini, mi avrebbe
odiato. Forse silenziosamente, ma cosa importava?
Avevo
tutto
da perdere in qualsiasi caso ed ero spaventato a morte. Per cui, pur
non amando quei tipi di discorsi, decisi che forse sarebbe stato
meglio parlare apertamente.
“Mi
prometti che, qualsiasi sia
la mia decisione, le cose tra di noi rimarranno le stesse?”
Sana
mi guardò come se quella domanda fosse assolutamente
superflua. “Non
potrebbe mai cambiare.”
La
baciai e ci abbracciammo.
Parlammo
tanto quella notte. Delle nostre paure e dei nostri
desideri.
E poi ci
addormentammo.
Non
sapevo ancora che
il giorno dopo la mia vita sarebbe stata prepotentemente sconvolta.
Mi
scuso tantissimo per il mio immenso ritardo, ma tra le feste, gli
esami, e problemi vari non ho avuto assolutamente tempo da dedicare
alla stroria.
Spero
che mi perdoniate anche per la lunghezza abbastanza ridotta di questo
nuovo capitolo, ma mi farò perdonare con il prossimo :)
Aspetto
le vostre recensioni, vi amo tutti!
Roberta.
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Capitolo 24 *** Toccare la luna. ***
CAPITOLO
23.
TOCCARE
LA LUNA.
Pov
Sana.
Dire
che ero terrorizzata sarebbe stato riduttivo: ero nel panico
più
assoluto. Rei ci stava portando all'orfanotrofio, nonostante avesse
più volte tentato di dissuadermi dall'idea di forzare
Akito verso qualcosa che era un mio desiderio e mio soltanto.
Mi
voltai a guardare l'espressione del biondino al mio fianco: fissava
fuori dal finestrino con aria pensierosa e avrei dato qualsiasi cosa
per sapere cosa gli stava passando per la testa. Akito invece era di
tutt'altro avviso, aveva passato tutta la mattina in religioso
silenzio e non mi aveva resa partecipe di nessuno dei suoi pensieri,
stando ben attento a non sfiorarmi nemmeno per sbaglio.
Non
volevo che il nostro rapporto mutasse ma ero ben consapevole che,
usciti da quel posto, inevitabilmente qualcosa sarebbe cambiato. In
bene, in male, quello ancora non potevo saperlo. Però ero
stanca di
sentire Akito così lontano, per cui mi avvicinai a lui,
accovacciandomi sul suo petto, cercando sollievo da tutte quelle
pesanti incertezze.
“Scusa… sono solo pensieroso.”
sussurrò Akito stringendomi forte. Quello già
servì a farmi
sentire un po' meglio.
“Lo so… ma stai tranquillo, andrà
tutto bene.” cercai di tranquillizzarlo come meglio potevo.
“Che
ironia, dovrei essere io a dirti tutte queste cose, a cercare di
calmarti… e invece eccoti qua, uno scricciolo a sostenere un
uomo
grande e grosso.”
Non l'avevo mai vista sotto quel punto di
vista, Akito mi sembrava la persona più forte del pianeta e
a volte
dimenticavo quanto potessi essergli d'appoggio, anche se come diceva
lui ero uno scricciolo.
“Vorrà dire che da domani sarò io
quella che comanda in
famiglia.” lo canzonai, posandogli poi un leggero bacio
all'angolo
della bocca.
“Hai sempre avuto tu il comando, Kurata.” rise
Akito, per poi baciarmi teneramente la fronte.
Guardai in basso
e tirai con la mano libera l'orlo della t-shirt che avevo indossato.
Ero così nervosa ma dovevo rimanere con i piedi per terra
sia per me
che per Akito.
Inspirai ed espirai profondamente, cercando di
regolarizzare il battito del mio cuore.
“Siamo arrivati.”.
La voce di Rei mi ridestò dai miei tentativi di calmarmi e
mi
riportò alla realtà.
Guardai l'edificio: oltre quella porta
poteva esserci la mia occasione di essere madre o la distruzione di
ogni mio desiderio.
Akito serrò lo sguardo e mi strinse forte,
aprendo poi la portiera dell'auto e porgendomi poi la mano per
aiutarmi a scendere vista la mia impareggiabile capacità di
cadere
ovunque.
Rei rimase in auto ma prima che uscissi dalla macchina
mi trattenne. “Sana stai attenta. E' la decisione
più importante
che abbiate mai preso. Siate saggi, e prudenti.”
Annuii senza
dire una parola, poi strinsi la mano di Akito e, dopo essere scesa,
chiusi la portiera alle mie spalle.
Io e Akito rimanemmo in
silenzio per qualche minuto prima che trovassi il coraggio di dire
qualcosa.
“Sei pronto?” gli chiesi, profondamente
spaventata da una sua risposta negativa.
“Sono nato pronto.”
scherzò lui e io lo conoscevo abbastanza bene da sapere che
ciò
accadeva solo quando stava per andare in escandescenze.
Ci
incamminammo verso l'entrata e, in un attimo, la signora Yatsuma
venne ad aprirci con il solito sorriso sulle labbra.
“Sana,
ma che bella sorpresa! Non pensavo saresti tornata così
presto. E
con tuo marito soprattutto.”
Akito le strinse la mano e io
l'abbracciai, mentre un gruppo enorme di bambini arrivò
correndo dal
giardino esterno della struttura.
“Sana!” urlarono tutti,
con i più bei sorrisi che avessi mai visto. Sorrisi che mi
facevano
morire l'anima all'idea che nessuno di loro fosse amato e voluto da
nessuno.
Tantissime piccole braccia si attaccarono alle mie
gambe e non potei trattenere una risata.
Mi piegai sulle
ginocchia per poterli guardare negli occhi. Cercavo con lo sguardo
Akane e Kanata ma non riuscivo a vederli, magari si stavano
nascondendo come al solito.
“Oggi voglio presentarvi una
persona molto speciale per me.”
Tirai il pantalone di Akito
per farlo abbassare.
“Lui è mio marito.” dissi voltandomi
a guardarlo. Quanto lo amavo… “Si chiama Akito ed
è un vero
musone.”
I bambini scoppiarono in una fragorosa risata.
“Quindi cosa ne dite di farlo sorridere un po'? Io ci provo
tutti i
giorni ma sembra che la sua faccia sia incollata.”
Feci finta
di muovere senza successo la bocca di Akito e lui stette al gioco per
non deludere tutti quegli occhi speranzosi.
“Secondo voi ce
la faremo?”
“Si!” urlarono tutti in coro, pronti a quella
nuova sfida.
Quando mi alzai di nuovo in piedi e i bambini
cominciarono a concentrarsi su Akito, li vidi.
Come la prima
volta, mano nella mano.
Come la prima volta, in disparte di
tutti.
Mi allontanai dal gruppo e incontrai immediatamente gli
occhi protettivi di Kanata che mi accolse con un enorme sorriso. Fu
tentato di lasciare la mano della sorellina ma poi rimase fermo.
“Ciao!” squittì sorridendo.
“Sei tornata!”
“Certo
che sono tornata!”
Akane rimase in silenzio, lentamente
tentai di avvicinarmi, ma il suo sguardo non si spostò dalla
mia
camicetta.
La frustrazione crebbe dentro di me come se quella
sua reazione fosse colpa mia, nonostante sapessi che non era
così.
“Ciao Akane… sai che sei proprio bella con questo
vestitino
a fiori?”. Lei si toccò nervosamente la gonna del
vestito, come se
la stessi guardando un po' troppo.
“Le è piaciuto subito, ha
detto che si sentiva una principessa.” intervenne Kanata,
tutto
contento che sua sorella avesse finalmenrte apprezzato qualcosa che
non provenisse da lui.
“Ma lei è
una principessa.” sussurrai io, immaginandola in una
cameretta
tutta sua, circondata da miliardi di abitini come quello che
indossava.
Improvvisamente Akane si avvicinò al fratello, per
bisbigliargli qualcosa all'orecchio. Parlava con una voce
così
flebile che, anche a quella ridottissima distanza, feci fatica a
sentirla.
Nel frattempo dietro di me la signora Yatsuma e
un'altra volontaria intrattenevano gli altri bambini per permettere
ad Akito di avvicinarsi a me.
Lo sentii alle mie spalle, mentre
in silenzio osservava tutta la scena, e finalmente un attimo dopo
Kanata parlò.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può
prestarti il suo vestito e così diventi una principessa
anche tu.”
riferì lui, facendo una smorfia disgustata, forse dalla
voglia di
sua sorella di essere una principessa.
Improvvisamente Akito fu
accanto a me, in ginocchio, proprio davanti ad Akane che, come con
tutti, lo fissava impaurita.
“Ciao Akane...” sussurrò lui,
ma lei non rispose.
Sapevo di aver avuto il massimo quel giorno
da lei, per cui tornai a rivolgermi a Kanata.
“E tu? Cosa
vorresti diventare da grande?”
Lui mi guardò pensieroso,
sbattendo quegli occhioni grandi, con quelle ciglia che quasi
facevano vento.
“Mhm… il papà!”
Quella risposta mi
lasciò esterrefatta: non avevo mai sentito nessun bambino
dire una
cosa del genere.
“E cosa fa un papà?”
Kanata ci
riflettè prima di darmi una risposta. Akito ci ascoltava in
silenzio, mentre rivolgeva delle occhiate furtive ad Akane che invece
non gli staccava gli occhi di dosso.
“Un papà ti legge le
favole, ehm… ti prepara la merenda, ti lascia l'ultimo
boccone di
sushi…”
Sorrisi insistintivamente e anche Akito fece lo
stesso. Chissà chi mi ricordava!
“Ogni tanto la signora
Yatstuma prepara il sushi ma...” Kanata si guardò
attorno
circospetto. “Non è per niente brava!”
Scoppiai a ridere
cercando di non soffermarmi sulla parte triste di ciò che mi
stava
dicendo. Anche se, a differenza di Akane, non aveva danni
visibili, anche lui aveva disperato bisogno di amore.
“Posso
abbracciarti piccolino?” gli chiesi trattenendo le lacrime,
ma lui
indicò la sua mano stretta in quella della sorella, come a
giustificarsi di non potermi abbracciare bene e quel gesto mi
intenerì ancora di più. Gli circondai la piccola
vita con il mio
braccio e poi gli stampai un fragoroso bacio sulla guancia, pregando
nel mio cuore che Akito prendesse la decisione giusta.
Pov
Akito.
Per i primi dieci minuti il mio unico desiderio
era stato girare i tacchi e fuggire. Non perché fossi
spaventato –
terrorizzato sarebbe stato il termine più adatto –
ma
semplicemente perché temevo di poter turbare quei bambini
più di
quanto non lo fossero già. Ero terrorizzato all'idea che
potessero
crearsi delle speranze che avrei potuto non colmare.
Invece,
quando poi i bambini avevano preso a stuzzicarmi sulla storiella che
Sana aveva raccontato loro, mi ero sentito più a mio agio.
Avevamo
giocato per un po' tutti insieme, anche se Sana si era allontanata
quasi subito.
L'avevo persa di vista per qualche minuto, poi
notai che era in fondo al grande salone in cui ci trovavamo. Non
l'avevo più vista perché i bambni mi avevano
circondato e non avevo
più prestato attenzione a niente che non fossero le loro
domande.
Erano così tanti… e tutti così
fottutamente meravigliosi.
“Akito puoi raggiungere Sana per adesso, i bambini staranno
un po' con Maki che li aiuterà a preparare la
merenda.” mi disse
la signora Yatsuma. Vidi una ragazza avvicinarsi ai piccoli e,
nonostante le loro lamentele, li convinsi che ci saremmo visti dopo
qualche minuto, e mi allontanai per andare da Sana.
La trovai
intenta a parlare con due bambini e capii immediatamente che si
trattava di loro.
Kanata e Akane.
Lui le stringeva la mano. Rimasi un
attimo fermo, interdetto, non sapendo se avvicinarmi o meno. Li
osservai molto: Kanata sembrava un bimbo spigliato, impegnato con la
mente alla conversazione con Sana ma con il cuore in quel contatto
impossibile da recidere, tra quelle mani strette per proteggere
l'unica cosa preziosa.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può
prestarti il suo vestito e così diventi una principessa
anche tu.”
Pensavo che Akane non parlasse, eppure era riuscita a dirlo al
fratellino per farlo arrivare a Sana. Era un grande passo avanti.
Inspirai profondamente e, dopo un po', con tutto il coraggio che
avevo in corpo, mi avvicinai a quella bambina, chinandomi davanti a
lei.
“Ciao Akane.” dissi piano. Lei non rispose ma non
tenne lo sguardo basso: lo alzò, fissandomi e studiandomi
probabilmente perché aveva sempre dovuto essere attenta ai
comportamenti dei suoi maledetti genitori.
Rimanemmo in
silenzio per un po', semplicemente guardandoci, mentre cercavo di
carpire le parole di Kanata che avevo sentito che amava il sushi e
che da grande voleva essere un papà. Quella risposta mi fece
sussultare il cuore.
Io e Akane continuavamo a guardarci, occhi
negli occhi come mai mi era capitato prima con un bambino. Akane
aveva gli occhi castani, con intorno delle minuscole pagliuzze dorate
e marroni che, ad uno sguardo meno attento, sarebbero potute passare
inosservate.
Non diceva nulla, non si muoveva, rimaneva
incollata sul suo posto e io non sapevo cosa dire o cosa fare per
scaldarle il cuore. Non era facile.
Poi, improvvisamente, fu
lei a muoversi, avvicinandosi a me per toccare il ciondolo a forma di
dinosauro che portavo al collo. Sentii Sana, a fianco a me, zittirsi
di colpo, e la signora Yatsuma fissare la scena incredula. Anche
Kanata era molto sorpreso.
“Ti piacciono i dinosauri?” le
chiesi, portando le mani verso il gancetto della collana per
toglierla, facendo molta attenzione a non toccarla, perché
sapevo
quanto la infastidisse.
Anche a quella domanda lei non rispose,
ma non appena le porsi la collana, nonostante qualche tentennamento,
la prese, stringendola forte in un minuscolo pugnetto.
“La
vuoi tenere tu per me?”
Dissi quelle parole convinto che non
avrei mai ricevuto una sua risposta, era stato già
straordinario il
fatto che avesse accettato il mio regalo, ma Akane fece qualcosa di
meglio che parlare.
Lasciò di scatto la mano di suo fratello
e, nel giro di un istante, mi abbracciò.
Ero incredulo. Non
riuscivo a spiegarmi come fosse possibile che avesse trovato il
coraggio di abbattere tutti i muri, o quasi, e per di più
con me.
Un rivolo di calore straripò dentro di me. Ero stato scelto
con un piccolissimo gesto, che per lei significava tutto, e quello
non poteva essere un caso.
Ricambiai prontamente l'abbraccio,
mentre attorno a me tutto si fermò. Sentivo Sana
singhiozzare ma non
la stavo veramente ascoltando e la signora Yatsuma si era portata una
mano alla bocca forse per non urlare dalla gioia.
Ero degno di
tanta fiducia? Non ne ero sicuro… ma ero già
rapito. Da lei, da
Kanata, dal modo in cui Sana li guardava e anche e soprattutto dal
modo in cui io
li
guardavo.
Akane si spostò lentamente e, quando la guardai di
nuovo in quelle iridi fuori dal comune, non ebbi dubbi.
Io li
amavo già.
Dove dovevo firmare per portarli via da quel posto?
*
Doverli lasciare
lì mi fece andare via con l'amaro in
bocca ma, dopo aver parlato con la signora Yatsuma, avevamo
concordato che avrebbe contattattato nei giorni successivi
l'assistente sociale per fissare un incontro con noi e una serie di
visite psicologiche sia per i bambini che per noi.
Nel caso in
cui tutto fosse andato per il verso giusto, avremmo potuto iniziare
con l'affidamente e, solamente dopo, se i bambini fossero stati
felici, avremmo potuto stilare le carte dell'adozione.
Io e
Sana avevamo cominciato a documentarci sul perché, ancora
oggi, ci
fossero così tanti bambini nelle maledette case
d'accoglienza. La
risposta? Il nostro paese del cavolo aveva la percentuale
più
elevata di adozioni di adulti, accolti solo per garantire
l'avanzamento della stirpe e più velocemente possibile. Si
preferiva
lasciare quei bambini senza famiglia piuttosto che alzare il culo e
battersi in prima persona.
Noi avevamo deciso che era ora che
quell'assurdità finisse: avevamo tentato, grazie alla fama
d'attrice
di Sana, di mettere insieme un buon numero di partecipanti per
iniziare un movimento, con l'intenzione di trasformarlo in seguito in
una vera e propria associazione.
Nel giro di una settimana il
movimento HelpKids
aveva
raggiunto i personaggi più famosi dello stato e la loro
solidarietà
era stata massiccia.
Ormai la nostra vita passava nell'attesa
della fatidica chiamata, ma era già passato un mese e non
avevamo
avuto alcuna notizia. Dopo le sedute con la psicologa eravamo stati
dichiarati idonei all'adozione, per cui serviva solamente l'ok del
giudice per arrivare almeno all'affidamento.
Sana era
entusiasta e dovevo ammettere che lo ero anche io, anche se dopo la
prima visita all'orfanotrofio non era stato tutto rose e fiori per
me.
"Come
fai a non vedere cosa ti ha messo tra le mani Akane? Si è
fidata di
te! E tu ancora pensi che possano esserci dubbi?"
Erano
giorni che litigavamo ormai,
Il
motivo era sempre lo stesso e io stavo cominciando a stancarmi.
“Sana
io lo so, ne sono ben consapevole... ma è troppo
difficile. Non siamo pronti!”
Lei mi
guardò con espressione
indecifrabile, forse cercando di trattenersi. Io facevo altrettanto,
perché se avessi detto davvero quello che pensavo, forse la
donna
che più amavo al mondo mi avrebbe odiato per sempre.
Quello
che avevo sentito per Akane era vero, quello che sentivo per Kanata
lo era altrettanto, mi aveva raccontato tante di quelle cose che mi
era sembrato un piccolo esemplare di Sana al maschile. Ma non potevo
far loro da padre quando io ancora mi sentivo profondamente figlio.
“Perché
con Kaori sarebbe stato diverso? Per lei saremmo
stati pronti?”
Sana
urlò ancora, mettendosi a muso duro
davanti a me. E non potevo risponderle perché aveva ragione.
Aveva
fottutamente ragione.
“Ma
cosa vuoi che ti dica? Cosa vuoi
che faccia? Che ti dia il mio consenso anche se non me la sento?
È
questo che vuoi? Io sono tuo marito! E le decisioni vanno prese
insieme!” Sbottai, sinceramente sfinito dal suo incalzare su
di me.
“Voglio
che tu mi dica perché hai tutti questi dubbi quando,
non appena siamo usciti da lì, eri sicuro al cento per cento
di
volerli qui con noi. Perché, Akito? Spiegami!”
Le sue
parole
mi colpirono come una folata di vento freddo.
"Cosa
posso
rispondere? Che non so come fare il padre? Che con Kaori sarebbe
stato diverso perché era solo una neonata, che non sarebbe
rimasta
delusa da me? Che loro possono amarmi e io posso distruggerli? Cosa
vuoi che ti dica Sana? Non sei l’unica ad avere delle paure,
qui.
Non sei l’unica a desiderare un figlio. Ma in una situazione
come
questa sei certa di poter dare un futuro migliore a quei due
bambini?”
Sana
rimase spiazzata dalla mia risposta, si portò
una mano alla bocca perché forse non aveva considerato che
anch’io
potessi provare certi sentimenti. Akito Hayama l’insensibile.
Ma
lei mi conosceva e sapeva perfettamente che non ero così.
Si
avvicinò a me lentamente, quasi non me ne accorsi
perché stavo
massaggiandomi le tempie con gli occhi socchiusi. Era davanti a me,
con le labbra leggermente umide dalle piccole lacrime che le avevano
rigato il volto e che ultimamente vedevo troppo spesso sulle sue
guance, e gli occhi piantati sui miei come due calamite.
Mi
porto le braccia al collo e mi baciò teneramente il mento,
alzandosi
in punta di piedi.
“Tu
sarai un ottimo padre, Akito. Ti
prenderai cura dei tuoi figli, li amerai, li proteggerai, saprai
insegnargli ciò che tu hai imparato da solo per tutta la tua
infanzia. Tu sarai un ottimo padre.” Ripetè e,
quando lo disse per
la milionesima volta, mi convinsi anch’io che forse poteva
essere
vero.
“E
tu un’ottima madre.”
*
Sana
era distesa sul divano con in mano il copione della serie in cui era
stata chiamata a fare un provino: volevano lei, a tutti i costi.
L'onda del film che aveva girato la stava facendo diventare una delle
attrici più richieste in Giappone.
Eppure, nonostante fossimo
abbastanza benestanti, ogni volta che io aprivo il frigo non c'era
mai nulla da mangiare dentro.
Sbuffai. "E' mai possibile
che ogni volta che io ho fame, in questa casa non ci sia mai nulla?"
chiesi prendendomi una bottiglia d'acqua. Grande cena,
effettivamente.
Sana non mi dava ascolto, presa com'era a
leggere la trama di quella serie. Mi piazzai davanti a lei e le
sventolai le mani davanti alla faccia. "Terra chiama Sana!"
"Mhm? Cosa?" chiese come se stesse arrivando davvero
da un altro pianeta.
"Il frigo è vuoto." dissi
sarcastico.
"Ho appena ordinato la pizza."
Tornai
al frigo e lo riaprii, cercando di trovare la minima briciola di cibo
che potesse riempire il mio stomaco nell'attesa. Presi un involucro,
mi sembrava formaggio.
"Quel formaggio è vecchio, Akito."
Sbuffai ancora, ma come era possibile?
"Ma io ho
fame da morire!" dissi stizzito.
Sana mi rivolse un
sorriso intenerito dalla mia reazione infantile e toccò il
posto sul
divano accanto a lei, invitandomi a raggiungerla.
"Vieni,
aspetta la pizza come un bravo bambino." disse portandosi una
penna in bocca.
"Potrei avere un'idea su come passare il
tempo, sai Kurata?".
Le mie speranze maliziose furono
subito bloccate dal suo ordine perentorio di non sfiorarla,
perchè
quelle battute doveva impararle entro il giorno successivo e non
potevo distrarla. Poteva infliggermi tortura peggiore?
Sedendomi,
mi limitai ad abbracciarla, facendole poggiare la schiena sul mio
petto, e a guardarla leggere per un po'. Mi vennero in mente miliardi
di cose, nel caso l'affidamento non fosse andato a buon fine. Quella
sarebbe stata la nostra vita per sempre, noi due insieme, da soli.
Avremmo potuto resistere?
I miei sentimenti mi urlavano
che era ovvio, che ci amavamo così tanto da poter superare
anche
quello, ma lei la pensava allo stesso modo?
Rimanemmo in
silenzio per un po', poi però non riuscii più a
trattenermi.
"Ce
la caveremo... anche se saremo solo noi due."
Sana alzò
il viso e mi sorrise. "Ti amo."
Le posai un bacio
leggero sulla guancia, sorridendo, e tornai a guardare davanti a me.
Il suono del campanello ci spostò dai nostri pensieri.
"Pizza!" squittì Sana, correndo verso la porta e
afferrando la borsa per pagare il fattorino.
"Non
cominciare a mangiarla senza di me!" la ammonii, alzandomi dal
divano e cominciando a liberare l'isola della cucina.
Quando mi
accorsi che Sana non tornava mi voltai indietro, pensando che forse
stava progettando qualche scherzo idiota, ma di lei nessuna traccia.
"Sana?" urlai, mentre mi avviavo verso il corridoio.
"Akito! Akito corri!".
Mi preoccupai
all'istante, e corsi verso la porta.
La trovai spalancata, Sana
era in piedi, immobile, e fuori c'erano i bambini con la signora
Yatsuma.
"Akito! Quelli non sono i nostri bambini?"
sussurrò Sana, probabilmente in shock.
Quando la affiancai e
vidi le espressioni di Kanata e Akane rimasi estasiato. Sembravano
sereni, non spaventati, non in ansia, semplicemente sereni e pronti
ad una nuova avventura.
Kanata mi corse incontro, e Akane entrò
immediatamente in casa, senza esitazioni. La signora Yatsuma ci
guardava estasiata.
"Ho chiesto all'assistente sociale se
potevo portarveli io. I bambini erano felici."
Sana scoppiò
a piangere e io mi avvicinai ad Akane. Nonostante la sua solita
diffidenza sentivo che il legame che si era creato tra di noi era
forte, perciò mi avvicinai a lei e la sfiorai piano,
aspettando che
fosse lei a buttarsi tra le mie braccia accanto a suo fratello.
Immediatamente afferrai Sana e la unii a quell'abbraccio.
Era
il momento più emozionante della mia vita.
E sapevo che era
tutto merito di Sana, lei mi aveva convinto, lei mi aveva portato ad
aprire il mio cuore a quella cosa meravigliosa che era l'adozione.
Non potevamo ancora cantare vittoria, ma il nostro avvocato ci
aveva detto che vista l'esperienza perfetta avuta con Kaori, il
giudice sarebbe stato abbastanza facile da convincere.
E quella
speranza, quella meravigliosa speranza che cresceva dentro di me,
bastò a riempirmi completamente.
Ed ero felice, dopo tanto
tempo, finalmente profondamente felice.
Pov
Sana.
Le settimane passarono in fretta. Dopo aver ricevuto i
documenti che ci avrebbero portato all'adozione definitiva,
aspettavamo solamente che gli psicologi del tribunale venissero a
fare una nuova ispezione in casa nostra e, successivamente, la seduta
con i bambini e l'udienza finale.
Le cose erano molto migliorate
da quando la signora Yatsuma li aveva portati a casa quel pomeriggio.
Kanata aveva continuato ad essere il bambino spigliato e
chiacchierone che era sempre stato e Akane aveva cominciato a dire
qualche parola, anche se era sempre più a suo agio quando
Akito era
presente. Forse si sentiva protetta, avvertiva sicuramente la sua
voglia di tenerla al sicuro. Nonostante mi dispiacesse non aver
instaurato lo stesso rapporto con lei, sapevo che era solo questione
di tempo, e che anche i nostri cuori sarebbero entrati in sintonia.
Il fatto che avesse già cominciato a parlare mi dava
già
tantissima forza per costruire quel rapporto. Immaginavo già
di
vederli crescere, di sentirli chiamarmi mamma,
anche se nessuno dei due aveva pronunciato la fatidica parola.
E
non mi aspettavo che lo facessero, era ancora troppo presto per loro.
Avevamo iniziato le pratiche per l'iscrizione a scuola, ma non
potevamo terminarle finchè non ci fosse stata la certezza,
nel
frattempo i bambini stavano in casa con me e passavamo tantissimo
tempo insieme, tra giochi e piccoli aneddoti che mi facevano
stringere il cuore. Anche Akito si era preso qualche giorno al museo,
e aveva chiesto a Tsuyoshi di occuparsi dell'organizzazione della
palestra per un po'. I nostri amici erano entusiasti della notizia,
ma ancora non avevamo portato i bambini a conoscerli, pensavamo fosse
uno stress temporaneamente evitabile. Non per i ragazzi,
perchè non
vedevano l'ora di incontrarli, ma non volevamo forzare le cose.
"Il
pranzo è pronto!" dissi ai bambini che stavano disegnando
nella
loro camera.
Akane corse in cucina con in mano un foglio che mi
porse non appena si piazzò davanti a me.
"E' per me?"
chiesi, prendendolo. Lei annuì.
Era un disegno meraviglioso,
un disegno che mi riempì il cuore perchè forse il
legame che tanto
invidiavo
ad Akito stava finalmente mettendo le sue radici anche tra di noi.
Aveva disegnato me, Akito, Kanata e lei, tutti mano nella mano,
con in sfondo casa nostra. Accanto a me era disegnato un piccolissimo
cuore. Eravamo tutti vestiti di blu, o comunque tutti su toni molto
freddi, e lei si era rappresentata molto piccola. Dai meandri della
mia memoria, quando avevo iniziato a frequentare
l'università –
che avrei ripreso da casa non appena le cose con i bambini si fossero
sistemate – avevo frequentato un corso di psicologia
infantile e
una delle prima cose che ci avevano insegnato era che quando i
bambini si autodisegnavano in dimensioni ridotte stava a significare
che sentivano il bisogno di sentirsi protetti.
Mi piegai sulle
ginocchia – mai parlare a un bambino dall'alto verso il basso
– e
le feci un sorriso, aprendo le mie braccia, sperando che decidesse
finalmente di abbracciarmi.
Il suo sguardo era insicuro, ma si
avvicinò a me e anche se non mi gettò le braccia
al collo come
aveva fatto con Akito, si lasciò abbracciare.
Avevamo fatto
così tanti passi avanti in così poco tempo. "Ti
voglio bene,
piccolina." sussurrai al suo orecchio e sentii che il suo viso
si allargava in un sorriso.
Ci staccammo quasi subito, perchè
Akito e Kanata fecero la loro entrata in cucina. Akito si
avvicinò a
me e mi diede un bacio sulla fronte. "Hai visto? Vuole bene
anche a te. Le serve solo più tempo."
Annuii, dividendo
il pranzo per tutti e quattro, e quasi piansi per l'emozione.
Fino
a due mesi prima ero convinta che non avrei mai avuto la famiglia che
tanto desideravo e invece avevo avuto molto di più.
*
Nonostante il periodo di
affidamento dovesse durare almeno sei
mesi, venimmo chiamati prima grazie all'insistenza dell'avvocato che
ci aveva seguito per l'affidamento di Kaori. Quella mattina dovevamo
presentarci in tribunale a presenziare all'udienza per la totale
adozione dei bambini.
La mia ansia cresceva enormemente. Come
potevo essere sicura che un estraneo avrebbe visto la connessione che
avevamo creato con i due gemellini?
Akito venne vicino a me,
mentre aspettavamo fuori che iniziasse l'udienza.
I bambini
tenevano le sue mani ed erano vestiti perfettamente, perchè
sapevo
quanto anche l'aspetto contasse in quelle cose. Anche Akito aveva
abbandonato i suoi soliti jeans e aveva indossato un completo blu
senza cravatta. Dovevano semplicemente guardare Akane e Kanata e
pensare a com'erano prima dei quattro mesi trascorsi con noi.
Erano
felici? Potevo metterci la mano sul fuoco, e anche loro.
"Stai
tranquilla, Sana. Andrà tutto bene." mi rassicurò
Akito, ma la
mia ansia non poteva essere calmata da semplici parole. Sarei stata
tranquilla solo nel momento in cui fossimo usciti da lì con
i nostri
figli.
Annuii comunque, per non far preoccupare ulteriormente Akito,
che sapevo essere già molto teso, nonostante tentasse di
nasconderlo. "Signori Hayama, potete accomodarvi.".
Una signora paffuta sulla cinquantina venne a chiamarci e fu come
quando nei film utilizzano lo slow motion. Ogni mio passo mi
sembrò
pesante sul pavimento.
Quando arrivammo davanti al giudice il
cuore mi si fermò nel petto. Non sapevo più come
comportarmi,
nonostante il nostro avvocato ci avesse istruito perfettamente su
cosa fare e cosa non fare.
"Cominciamo." esordì la
donna piazzata davanti a noi su un piano rialzato. "Signora Sana
Kurata in Hayama e signor Akito Hayama. Vi dispiace alzare la mano
destra dichiarando che la vostra testimonianza sarà la
verità e
nient'altro che la verità?"
Facemmo come ci disse la
giudice che annuì subito dopo. "Desiderate adottare questi
bambini legalmente come vostri figli?"
"Si,
assolutamente." rispondemmo in coro io e Akito.
"Potrei
parlare con i bambini?"
Facemmo avanzare Akane e Kanata,
che rimasero in silenzio.
"Ho sentito che volete molto
bene a questi due signori, non è vero?"
Entrambi
annuirono, e Akane addirittura prese la mano di Akito stringendola
forte. La giudice, probabilmente informata dell'iniziale problema di
Akane, rimase molto sorpresa nel vedere quel gesto.
"Molto
bene. E vi trovate bene in casa loro? Giocate abbastanza?"
Kanata fece una faccia un po' strana e poi cominciò a
parlare,
e io sperai che non dicesse qualcosa facilmente fraintendibile
perchè
avrebbe potuto far cadere il castello di carte che stavamo
costruendo.
"Ogni tanto la mamma ci sgrida perchè le
facciamo troppo solletico, però a me fa ridere quando lei fa
quei
rumorini strani mentre glielo facciamo. Quindi io e Akane le facciamo
gli scherzetti e ci nascondiamo. E lei ci casca sempre!"
Pensai
che il cuore mi fosse uscito fuori dal petto. Mi aveva chiamato
mamma.
"Non è vero, Akane? La mamma non è troppo buffa
quando ride?"
Akane sorrise. "Anche papà." fu
tutto ciò che disse lei. Ma io e Akito eravamo completamente
sopraffatti dalle migliaia di emozioni che stavamo vivendo.
Una
lacrima mi rigò il viso e cercai di trattenermi senza
successo.
"Prima volta, eh?" disse la donna che mi guardava con
aria intenerita, capendo immediatamente per cosa ero scoppiata a
piangere.
Annuii, sorridendo.
"Voi avete fatto il
lavoro più arduo: avete scelto di amare. E io, d'altro
canto, ho il
piacere di metterlo su legge. Congratulazioni."
Io e Akito
ci guardammo increduli, con il cuore che ci scoppiava.
"Grazie!
Grazie mille!" furono le uniche cose che riuscimmo a dire.
Poi
fu tutto un turbinio di emozioni. Akane e Kanata che correvano ad
abbracciarci, noi che piangevamo, l'uscita dal tribunale, l'intera
giornata a festeggiare insieme.
Era esattamente tutto quello
che avevo sempre desiderato ed era successo così, senza
avere
certezze fino alla fine, ma l'amore che ci avevano regalato Akane e
Kanata in quel pochissimo tempo mi aveva aiutato a capire
ciò che
mia madre aveva sempre provato per me.
Era qualcosa di
viscerale, nonostante la mancanza del vincolo di sangue.
Erano
i miei figli. I nostri figli.
Akito arrivò dietro di me ad
abbracciarmi, prendendomi alla sprovvista, mentre guardavamo i
bambini correre per tutta la spiaggia con i loro aquiloni in mano.
"Sei felice?" mi chiese. E non c'era domanda più
banale
di quella.
"Come mai prima d'ora." sussurrai,
mettendo la testa nell'incavo del suo collo, mentre il tramonto ci
abbracciava con i suoi meravigliosi colori.
"Così felice
da toccare il cielo con un dito?" mi chiese stuzzicandomi.
"Molto di più. Così felice da toccare la luna."
Intanto
vi ringrazio infinitamente per le recensioni che ho ricevuto, mi avete
riempita di complimenti, siete stati carinissimi, davvero.
Purtroppo
(o per fortuna, dipende dai punti di vista) questo è il
penultimo capitolo della storia, per cui il prossimo capitolo
sarà l'ultimo e segnerà la fine della storia.
Spero
che mi riempirete di opinioni, perchè è l'unica
cosa che mi interessa!
Recensite,
fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi
amo,
Roberta.
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Capitolo 25 *** L'amore vince tutto. ***
CAPITOLO
24.
L'AMORE
VINCE
TUTTO
EPILOGO.
1.1
Le
avevo
tentate tutte.
Avevo rovesciato il contenuto della mia borsa
per terra, frugato in ogni tasca del giaccone, avevo guardato
ovunque, ma delle mie maledettissime chiavi di casa neanche l'ombra.
Cosa potevo fare? Rimanere fuori e congelarmi era un'opzione,
avrebbero trovato il mio corpo il giorno dopo, totalmente ricoperto
di neve e, visto che ero abbastanza in salute, sarei anche riuscita a
donare i miei organi. Quella mi sembrava una scelta allettante
rispetto alla seconda opzione: suonare il campanello alle 4.30 del
mattino, quando avrei dovuto essere a casa almeno tre ore prima. Ma
insomma, la mia amica Reika aveva festeggiato il suo compleanno e,
chiacchera dopo chiacchera, eravamo finiti a fare tardi.
Bè,
la festa era finita quando ancora il mio coprifuoco non era stato
sforato, solo che dopo avevo incontrato Shinichi e avevo perso la
cognizione del tempo dentro quegli occhi. Si, ero cotta di lui, ma
non potevo giustificarmi così con i miei genitori, mi
avrebbero
messa in punizione a vita.
Nel silenzio assoluto del momento,
inizialmente non mi accorsi nemmeno che il mio telefono aveva preso a
squillare.
Lo afferrai dalla tasca, curiosa su chi potesse
chiamarmi in una situazione così assurda, mi trovai con il
cuore in
gola vedendo che era mio padre. Tentennai prima di decidere di
rispondere.
"Pronto?" dissi terrorizzata. Mi avrebbe
uccisa, ne ero certa.
"Cosa ci fai seduta sul gradino della
porta come una barbona?"
Sempre la sua solita delicatezza.
"Ho dimenticato le chiavi, potresti aprirmi per favore,
che fuori si gela?"
Papà rimase in silenzio per un
attimo. "Si, potrei, ma non so se lo farò visto che il tuo
coprifuoco scadeva ore fa, signorina!"
Ecco, perfetto,
cominciai già a pensare al mio ultimo desiderio prima del
patibolo.
"Ma siccome sono un uomo magnanimo, adesso scendo ad
aprirti."
Sorrisi instintaneamente, sentendo i suoi passi
pesanti per le scale prima che la porta si aprisse.
Mio padre
era scuro in fiso, furioso sicuramente, ma lui era uno bravo a
trattenere le emozioni. In un certo senso lo avevo ereditato
da lui. Si piazzò davanti a me a braccia conserte.
"Bene,
buonanotte!" cercai di fuggire io.
"Ferma dove sei."
tuonò lui e quindi dovetti bloccarmi. "Per questa volta
lascerò
correre questa enorme infrazione."
Un sorriso mi
spuntò sul viso prima ancora che finisse di parlare. "Ma
solo
per questa volta." precisò.
Annuii in silenzio e feci per
andare in camera mia.
"A tua madre non diremo niente,
intesi? Altrimenti poi chi la sente!"
Mi aveva praticamente
salvato la vita, risparmiandomi ore di rimproveri, per cui tornai
indietro e mi gettai tra le sue braccia.
"Grazie papino,
sei il migliore del mondo!" dissi prima di schioccargli un
sonoro bacio sulla guancia.
"Si si, adesso vai a letto,
prima che ci ripenso!" mi canzonò sorridendo.
Feci come
mi aveva detto e dopo qualche minuto sentii che anche lui era andato
a letto.
Dopo aver fantasticato per almeno mezz'ora sulla frase
che Shinichi mi aveva detto, ovvero ciao, tutto ok?,
mi
addormentai pensando che sì, ci saremmo sposati entro un
anno.
*
"A che
ora sei tornata ieri sera?"
Mia madre mi guardava come se
sapesse già che avevo qualcosa da nascondere, ma cercai
ugualmente
di dissimulare la cosa perchè altrimenti mi avrebbe scoperto
e
sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
"All'una,
perchè?" dissi mordicchiando un biscotto.
"Mi è
sembrato di sentirti rientrare più tardi."
Mio padre
sbucò alle mie spalle, dandomi un bacio sulla guancia.
"Buongiorno,
mostriciattolo."
Ormai avevo perso le speranze, quel
nomignolo non mi avrebbe mai lasciato in pace, per cui avevo smesso
persino di arrabbiarmi.
Si avvicinò alla mamma e le stampò un
bacio un po' troppo lungo sulle labbra. Sorrisero insieme prima di
rimanere per qualche secondo occhi negli occhi e guardarsi come io
avrei voluto che Shinichi guardasse me.
"Siete così
carini." sussurrai più per me stessa che per dirlo a loro.
Mia
madre fece una faccia sconvolta e, staccandosi da papà,
venne a
toccarmi la fronte. "Ti senti bene? Dov'è finita la
sedicenne
che dice che schifo ogni volta che io e tuo padre ci prendiamo per
mano?"
"Lasciala stare, la notte le avrà portato
consiglio..." mi provocò papà. Ci guardammo
complici, come era
sempre stato dal primo momento, e sorridemmo all'unisono.
Papà
prese mamma e le fece fare una giravolta, portandola con la tesa
all'indietro a mo' di casquet, e baciandole il collo.
Ok,
adesso dovevano fermarsi. "Adesso basta però, non
esagerate."
"Sbrigati mostriciattolo, che ti porto a scuola. E sveglia
quel dormiglione di tuo fratello!"
Mi bloccai in corridoio
davanti alla camera del secondo mostriciattolo, come ci chiamava
papà, e mi scappò da ridere pensando al ricordo
della prima volta
che ci aveva chiamato in quel modo.
"Papino!
Questo è il nostro regalo!"
Io
e Kanata ci avvicinammo a
papà tutti sporchi di torta ai lati della bocca, in
difficoltà per
il peso del pacco, per cui zioTsuyoshi si mise dietro di noi per
aiutarci.
"Cosa
mi avete portato, mostriciattoli?"
scherzò papà prendendo il pacco dalle nostre
mani. Nessuno sapeva
cosa gli avevamo comprato, perchè avevamo pregato zia Fuka
di
accompagnarci perchè doveva essere una sorpresa anche per
mamma.
Avevamo risparmiato la nostra paghetta per un mese e alla fine
eravamo tornati a casa con quel pacco gigante.
Fuka
guardava
mamma sorridendo sorniona, mentre papà strappava la carta
regalo e,
quando lo aprì del tutto, tutti rimasero in silenzio per un
attimo.
Avevamo
fatto fare un album con tutte le nostre fotografie,
tutte quelle che avevamo scattato in vacanza quell'estate, le foto
buffe a mamma mentre dormiva, i selfie al tramonto davanti al mare.
C'erano tutte. Papà sorrise alla vista della foto della
copertina.
Era
la prima foto che avevamo scattato appena usciti dal
tribunale, mamma con le lacrime agli occhi e papà
sorridente.
Tutti
rimasero in silenzio, aspettando la reazione di papà. "E'
bellissimo..." sussurrò quasi senza fiato, e ci
afferrò
entrambi, abbracciandoci.
Aya
ci guardava commossi, e anche
mamma non riusciva a trattenere le lacrime. Avevo una famiglia
bellissima, conquistata e sudatissima, ma comunque meravigliosa e non
avrei chiesto niente di meglio.
Forse
solo che durasse per
sempre.
1.2
Guardai
mio padre e il suo sguardo fiero mentre salivo sul palco per fare il
mio discorso alla cerimonia di diploma in quanto studente migliore
del mio anno.
Inspirai ed espirai, sistemandomi il nodo della
cravatta perché papà non aveva detto altro.
Rivolsi lo sguardo
verso mia madre, stretta in quel vestito rosso scuro che faceva tono
su tono con i suoi capelli, e ovviamente la trovai in lacrime.
Mia
sorella era tra tutti gli altri studenti, nella stessa tunica che io
indossavo, sperando che il mio discorso finisse in fretta e che la
cerimonia iniziasse per accaparrarsi la sua pergamena e fuggire il
più lontano possibile. Era divertente pensare a quanto
eravamo
diversi: io che temevo la fine del liceo come un momento di svolta a
cui non mi sentivo affatto pronto, e lei che non vedeva l'ora di dire
addio a quel luogo perché era stanca di sentire parlare
sempre e
solo di studio. Cosa si dice dei gemelli? Che sentono i pensieri
l'uno dell'altro?
Non avevano tutti i torti, in quel momento la
mia ansia era triplicata da quella di Akane e la cosa non era
affatto positiva.
“Signore e signori, il signor Kanata
Hayama.” mi presentò il preside.
Era il mio momento, il mio
attesissimo momento. Avevo scritto quel discorso con tutta la
serenità del mondo, convinto di riuscire ad esporlo senza
dare di
matto, ma evidentemente mi sbagliavo.
Non appena mi ritrovai
davanti al microfono, il fiato mi morì in gola. Tossii, poi
cercai
di raccogliere tutto il mio coraggio ed iniziare.
“Grazie,
preside Ikeda. Inizio col salutare tutti i presenti e ringraziarli
per la loro presenza davvero imponente a questa cerimonia che
segnerà
la fine di un percorso che ci porterà, finalmente, a
contatto con la
vita vera.”
Tutti avevano gli occhi fissi su di me, i miei mi
guardavano orgogliosi, e quello mi diede la giusta carica per
continuare.
“Una vita che pone davanti a noi gli ostacoli che
tutti hanno dovuto, prima o poi, affrontare. Ognuno di noi ha le
proprie ispirazioni, c'è chi prende il coraggio da un idolo,
da
qualcuno che ammira così tanto da volerlo imitare ed emulare
nel
migliore dei modi.
Anch'io lo faccio e i miei idoli sono due,
due pilastri che tengono le mie fondamente salde e stabili, senza i
quali non riuscirei a stare in piedi. L'uomo che mi ha insegnato
tutto, mio padre, Akito Hayama, e la donna che mi ha amato ancora
prima che mi amassi io, mia madre, Sana Kurata. Loro non mi avranno
dato il loro sangue, ma mi hanno dato il loro nome, a me come al mio
terzo pilastro, mia sorella Akane. Mi hanno cresciuto, mi hanno
educato, e mi hanno dato la possibilità di diventare
ciò che
volevo, qualsiasi cosa essa fosse. I miei genitori mi hanno guidato
negli ultimi incredibili tredici anni, e non saprei come ringraziarli
per ciò che hanno fatto per me e per Akane. Ecco, forse non
si sono
mai accorti che sia io che mia sorella vorremmo assomigliare solo a
due persone al mondo, e sono loro.
Ecco cosa intendo, modelli
piccoli, magari non particolarmente clamorosi, ma importanti per
ognuno di noi. Ora che il liceo giunge al termine vorrei che tutti
trovassero i loro modelli e che lottassero per questo, per un
obiettivo. Buona vita a tutti.”
Terminai il discorso e alzai
lo sguardo verso i miei genitori. Mia madre era disperata ma
sorridente e mio padre non faceva altro che applaudire.
“Sono
fiera di te.” mi sussurrò mia madre in modo che lo
capissi
leggendole il labiale.
Poi trovai lo sguardo di Akane, anche
lei commossa, e sapevo quanto si sarebbe arrabbiata perché
l'avevo
inclusa nel discorso, eppure non mi importava.
Avevo dato la
prima vera soddsfazione ai miei meravigliosi genitori, cosa potevo
chiedere di meglio?
1.3
“Ma
sei sicura che questa sia la scelta giusta?”
Mamma mi guardò
per più di un minuto in silenzio, fissando ogni angolo del
mio corpo
fasciato da quell'abito bianco che tanto avevo aspettato di
indossare.
“Akane, tesoro, pensi che ti direi mai di si se
l'abito non fosse perfetto? Guardati, sembri una
principessa.”
sussurrò lei alzandosi in piedi e mettendosi alle mie
spalle. La
guardavo dallo specchio, con gli occhi lucidi perché
finalmente sua
figlia si stava sposando.
Annuii, aveva ragione. Mi sentivo una
principessa.
Il mio vestito da sposa si allargava sui fianchi
come un abito d'altri tempi, sulla vita c'era un decoro di minuscoli
cristalli che riflettevano la luce in modo magico, e il corpetto mi
lasciava totalmente scoperte le spalle e le braccia, in uno scollo a
V molto profondo.
“E' l'abito giusto?” si intromise la
commessa.
Entrambe scoppiammo in lacrime e annuimmo insieme,
abbracciandoci.
“Perfetto, allora ti lascio godertelo un po'
con la tua mamma, torno fra poco.” disse la ragazza, uscendo
dalla
stanza e lasciandomi sola con mia madre.
“Mamma, pensi che
piacerà a Shinichi?”
Ebbene si, alla fine ero riuscita a far
cadere Shinichi ai miei piedi e dopo ben quattro anni era arrivata la
fatidica proposta. A mio padre era quasi venuto un infarto, ma alla
fine aveva accettato di buon grado perché il mio futuro
marito –
faceva strano persino a me chiamarlo in quel modo – era
davvero un
bravo ragazzo.
“Sarai stupenda, tesoro mio.” sussurrò
mia
madre, offrendomi la flute di champagne che la commessa ci aveva
portato per festeggiare la scelta. “Ma adesso devo darti una
cosa.”
Mi voltai di colpo, mia madre teneva tra le mani una scatola
blu, di quelle in cui si mettono i gioielli.
“Mamma, non
dovevi...” dissi cercando di dissuaderla dal continuare a
farmi
regali. Da quando aveva saputo che mi sposavo aveva cominciato a
riempirmi di pacchi e pacchettini.
“Sssh… tesoro, non l'ho
comprato.”
Lo aprii quando si piazzò davanti a me e mi
mostrò cosa c'era al suo interno, facendomi rimanere di
sasso.
Era
la collana che aveva indossato il giorno del suo matrimonio.
Gliel'avevo vista al collo così
tante volte, e l'avevo
sognata tantissime volte guardando le fotografie di quel giorno.
Quando i miei mi avevano raccontato come e perché avevano
deciso di sposarsi ero rimasta sconvolta, eppure non mi aspettavo
nulla di meno imprevedibile da parte loro.
“E' il mio piccolo
regalo per quel giorno importante, voglio che la indossi tu. Voglio
che tu abbia un pezzo di me anche quando ti lascerò andare
alla tua
nuova vita.”
Mi gettai tra le braccia della mia mamma in
lacrime, svuotando tutta l'ansia di quel periodo e tutto l'amore
viscerale che provavo per lei.
“Grazie mamma. Anche se non mi
hai partorito, mi hai ugualmente dato la vita. Non lo
dimenticherò
mai.”
“Tesoro...” mi accarezzò i capelli.
“Sei stata
la mia più grande conquista, voglio che tu lo
sappia.”
Dopo
quel momento emozionante, ci ritrovammo a fare le stupide davanti
allo specchio. Io, ancora con indosso l'abito bianco, e lei che,
all'età di quarant'anni, faceva invidia persino a me, nel
suo tubino
color crema e quei tacchi vertiginosi che io non sarei mai riuscita a
portare.
Era bellissima, e io ero fiera di essere sua figlia.
1.4
Aspettavo
fuori dalla sala parto perché Nami non aveva voluto che io
entrassi,
ma l'ansia mi stava letteralmente divorando le viscere.
Io, i
miei genitori e i miei suoceri – chiamare così zio
Tsuyoshi e zia
Aya era abbastanza strano, ma di fatto era quella la nostra parentela
– aspettavamo fuori mentre mia sorella Akane era dentro con
lei.
Odiavo che avesse scelto di avere al suo fianco lei e non me, ma
comprendevo che in un momento così delicato bisognava solo
assecondarla e non andarle contro, anche perché avrei
rischiato
davvero grosso. Nami aveva un carattere che era totalmente opposto a
quello dei suoi genitori. Loro erano calmi, posati, persone pacifiche
con cui si poteva affrontare qualsiasi tipo di discorso. Nami no.
Nami sarebbe stata capace di uccidermi se l'avessi contraddetta
in quella situazione per cui, per evitare di far star male lei e
soprattutto il mio bambino, avevo preferito lasciar correre e godermi
il momento.
Quando le porte si aprirono e vidi un'infermiera
uscire con in braccio mio figlio, mi sembrò che il mondo mi
fosse
crollato sotto i piedi e fosse stato lentamente ricostruito.
Lo
presi in braccio cercando con tutto me stesso di non fargli male,
proprio come mi aveva insegnato la mamma quando era nata la mia
nipotina Tomoe, la figlia di Akane.
“Sono padre...”
sussurrai stringendolo a me e vedendo come tutta la mia famiglia
fosse commossa, mi avvicinai a loro per mostrargli il loro nipote.
“E' stupendo.” disse Aya, quasi in lacrime.
“Posso vedere
mia figlia?” chiese poi all'infermiera che attendeva di
riprendere
il bambino per portarlo alla nursery, come di prassi.
“Papà,
guarda… sono padre.”.
Quelle erano le uniche parole che
riuscivo a dire e mio padre mi piazzò una pacca sulla
spalla, con
meno forza rispetto a come avrebbe fatto se non avessi avuto tra le
braccia il bambino, e mi sorrise. “Si, sei padre
figliolo… e
sarai un ottimo padre.”
Su quello non avevo alcun dubbio. Non
perché fossi sicuro di me stesso o perché sapevo
già come
affrontare quella cosa molto più grande di me, ma
semplicemente
perché l'esempio che lui mi aveva dato lo avrei portato
avanti anche
nella vita di mio figlio.
“Avete già deciso come chiamarlo?”
mi chiese zio Tsuyoshi mentre cercava di farsi stringere il dito dal
bambino.
Annuii. Io e Nami ne avevamo parlato a lungo e alla
fine ci eravamo trovati d'accordo quasi subito.
“Si. Si
chiamerà Akito Hayama.”.
Tsuyoshi alzò lo sguardo verso di
me e poi verso il suo migliore amico, mio padre, annuendo.
“Avete
fatto proprio una bella scelta.” si limitò a dire.
Lo sguardo che
mio padre mi riservò, mi ripagò di quei pochi
anni della mia vita
in cui mi ero sentito non voluto, non amato, abbandonato dal mondo e
da coloro che avrebbero dovuto proteggermi.
Avevo trovato le
mie fondamenta, e da quelle avevo costruito una vita che amavo, che
mi rendeva felice.
“Ti voglio bene figliolo.” mi sussurrò
mio padre non appena riportai il bambino tra le braccia
dell'infermiera. Mi abbracciò forte.
“Grazie papà.” gli
risposi io. E in quel grazie quanto amore c'era racchiuso…
che non
sarei riuscito ad esprimerlo con parole appropriate.
1.5
Omnia
Vincit Amor.
Quei pazzi dei
miei genitori si erano fatti un tatuaggio. Alla veneranda
età di
cinquant'anni, avevano deciso di farsi un tatuaggio come se fossero
stati due ragazzini.
Erano pazzi.
“Mamma, ma pensate
che sia divertente? Avete una certa età. Dovreste pur dare
la
parvenza di essere persone serie ogni tanto.”
Mia madre mi
riservò uno sguardo stralunato, come se stesse parlando con
la pazza
del villaggio. “Tesoro, non siamo ancora nella tomba. Siamo
ancora
giovani noi, che ti credi?”
Papà annuii, mentre ballava
dietro alla mamma come un adolescente. “Piuttosto, non hai
intenzione di sloggiare? Io e tua madre avremmo da fare,
mostriciattolo.” disse ammiccando e afferrandola con forza.
“Akito!
Ma cosa dici? Non dargli ascolto Akane, sai com'è fatto tuo
padre.”
lo rimproverò la mamma, dandogli un buffetto sul braccio che
le
circondava la vita.
Sorrisi instintivamente della scenetta che
avevano messo su, sperando di arrivare alla loro età con lo
stesso
amore nel cuore per me e per Shinichi.
Non avevo idea di come
facessero, di come riuscissero ancora a sbaciucchiarsi come al primo
giorno di matrimonio. Me lo ero chiesta spesso, eppure non ero mai
riuscita a darmi una risposta, per cui mi feci coraggio e lo
domandai.
Fu mio padre a rispondermi.
“Sai, Akane, non
c'è un modo, o un segreto per amarsi. Basta amarsi…
io e
tua madre abbiamo passato anni a negare i nostri sentimenti, come se
fossero un problema, come se potessero distruggerci. E a volte lo
hanno fatto, ci hanno distrutto, ma poi ci siamo uniti e ci siamo
leccati le ferite e siamo guariti. Poi gli anni sono passati, siete
arrivati tu e Kanata… e le cose poi sono andate da sole. Ed
eccoci
qui, a sopportarci dopo tutto questo tempo.
Il trucco è
questo: amare anche i difetti dell'altra persona, accettarsi,
smussare i lati del tuo e del suo carattere, avere sempre in mente e
nel cuore che la base di tutto è l'amore.
E il rispetto. Non
c'è amore senza rispetto e stima. Questo è tutto
ciò che devi
sapere, per il resto, mostriciattolo… non saprei cosa dire.
Sarei
ancora un giocattolo rotto se non fosse stato per tua madre.”
Li
guardai ancora scambiarsi qualche bacio, mio padre infilò la
mano
tra i capelli ormai corti della mamma e l'avvicinò a lui,
baciandole
la fronte.
Nella mia vita avevo conosciuto tantissime forme
d'amore, ma quella… l'amore che c'era tra Akito Hayama e
Sana
Kurata era ineguagliabile e sarebbe stato così per sempre,
perché
l'amore vince tutto.
L'amore
vince tutto.
Ho voluto intitolare così questa storia e
questo ultimo capitolo in particolare perchè questa frase ha
accompagnato gran parte della mia vita da quando l'ho letta per la
prima volta, forse in terzo liceo. In realtà l'idea non
è stata
mia, ho avuto una grandissima collaborazione da parte della mia
meravigliosa Beta.
Ed è proprio a lei che va il ringraziamento
più grande, per avermi spronata, convinta di cose di cui non
ero
proprio certa, e per aver accettato anche le cose che non
convincevano lei, sempre a favore della mia creatività e
delle mie
idee.
Non avrei saputo scrivere nulla senza di lei.
Un
altro viaggio giunge al termine, anche questa storia è nata
per
caso, e ogni giorno che passa la amo sempre di più, forse
anche solo
perchè è mia. Poi, vado a leggere che
è una tra le più popolari,
insieme ad University Life, che tantissime persone l'hanno posta tra
i preferiti, seguiti, ricordati... e allora mi fate davvero
commuovere.
Vorrei potervi ringraziare uno per uno, per le
recensioni meravigliose, per le parole piene d'amore che mi avete
riservato: se ho aggiornato e ho portato questa storia alla fine
è
stato soprattutto grazie a voi.
Grazie... grazie a tutti. Vi
ringrazio dal più profondo del mio cuore.
Vi aspetto nella
sezione recensioni, se siete stati fino ad ora lettori silenziosi,
per favore... lasciatemi un commento, non perchè io voglia
essere
riempita di complimenti, ma semplicemente perchè voglio
sapere cosa
ne pensate.
Se l'epilogo vi è piaciuto, sono felice... al
contrario, perdonatemi, ma ciò che il cuore mi detta finisce
nero su
bianco e c'è poca possibilità di cambiarlo.
In particolare,
mi sta venendo in mente in questo momento, vorrei ringraziare tutte
le ragazze che mi hanno scritto che ho avuto la capacità di
parlare
di argomenti come l'aborto e l'adozione con molta delicatezza. Io ho
solo 22 anni, non ho idea di cosa si provi a perdere un figlio, e
spero di non provarlo mai, ma ho cercato di ricercare nelle
esperienze di persone che ho conosciuto, di tutto ciò che so
a
riguardo, per provare almeno un minimo a parlarne senza risultare
inopportuna o presuntuosa. Se qualcuno ha percepito questo, per
favore ditemelo, cercherò di usare le vostre critiche per
migliorarmi.
Non vorrei mai chiudere questo commento finale,
non voglio lasciare questa storia che mi ha dato così tante
emozioni
sin dall'inizio, ma come tutte le cose belle ha un inizio e deve
avere anche una fine, purtroppo.
Per cui, vi ringrazio ancora,
vi ringrazio sempre.
Scrivetemi, scrivetemi più che potete. Io
sono qui per ascoltarvi.
Alla prossima storia, vi assicuro che
non mancherò molto.
Roberta.
Ps: se vi va, se fino
ad ora avete apprezzato ciò che ho scritto, controllate il
mio
profilo nelle prossime settimane, verrà pubblicata una
storia
originale. Questo non presuppone che Sana e Akito verranno messi da
parte.
Vi aspetto.
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