see me in the mirror 2

di Beckett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 2x01 Siamo quelli di sempre ***
Capitolo 2: *** 2x02 Ricominciamo? ***
Capitolo 3: *** 2x03 Sopravvivere ***
Capitolo 4: *** 2x04 Le cose stanno così ***
Capitolo 5: *** 2x05 Perdono ***
Capitolo 6: *** 2x06 KATHERINE. ***
Capitolo 7: *** 2x07 Come può un uomo restare nel giusto? ***
Capitolo 8: *** 2x08 Ci vogliono delle scuse. ***



Capitolo 1
*** 2x01 Siamo quelli di sempre ***


SIAMO QUELLI DI SEMPRE 2x01

8 mesi dopo.
Gli scatoloni sono proprio sopra quel tavolo!” disse eccitata Katherine a Elis mentre si apprestavano a ordinare il loro nuovissimo e costosissimo appartamento a New York.

Si erano lasciate molte cose alle spalle dall’ultima volta che erano a Mainland, avevano partecipato al funerale in onore di Lydia e l’avrebbero sempre ricordata con il sorriso sulle labbra perché faceva parte della loro vecchia vita. Passato sì, ma una volta fu presente.
Entrambe avevano deciso di chiudere una grande porta all’università, volevano reinventarsi, volevano provare qualcosa di nuovo che non fosse studiare e studiare e studiare. Il loro curriculum ormai si era andato a farsi fottere, il loro diploma anche e quindi avevano deciso di crearsi piano piano qualcosa di nuovo, qualcosa all’altezza delle loro aspettative. Avevano chiuso delle grandi porte a delle grandi opportunità universitarie nonostante il loro curriculum scarseggiasse di tante cose…Ehi, erano pur sempre figlie di grandi ed era loro dovere mantenere alta la bandiera della loro famiglia.
Vivevano da sole, per il momento. Ogni giorno controllavano la cassetta della posta per vedere se qualcuno avesse accettato di venire a vivere con loro, si sentivano quasi in una sitcom e speravano che non fossero mai venuti a vivere nel loro appartamento dei cocainomani o dei luridi maschi.
Si sentivano diciannovenni pronte a nuove avventure e a nuovi amici.
Per quanto riguardava Max, lui aveva deciso di proseguire l’università e quindi dopo anni di amicizia intensa le cose andavano sempre peggiorando. Si sentivano molto poco, a volte soltanto nelle festività perché era d’obbligo.
Max viveva nel campus del suo college mentre loro due in un bel appartamento a New York, disoccupate e felici.
Jackson viveva ancora ad Atlanta con suo padre e non aveva ancora deciso cosa farne della sua vita. Il padre lo voleva ad ogni costo al college, lui si vedeva come grande proprietario di grandi industrie, ma le due cose non combaciavano. Con Katherine le cose non andavano come si sarebbero aspettati. Si lasciarono dopo poco. Un mese di amore puro e l’altro di odio. Non si erano lasciati in buoni rapporti e quindi non si videro nemmeno più dopo l’ultima volta.
Lucy uscì di prigione grazie a tante cose illegali che non si conosceranno mai, Kat non seppe mai che Lucy era finita in prigione. La sua storia con Connor filava a gonfie vele e nemmeno questo seppe mai Katherine.
Vivevano entrambi a Denver dai nonni dei due fratelli.
La relazione tra Mick Pakkins e Elis continuava solo perché era ormai una routine essere fidanzati e questo non era un bene. Lui aveva preso il posto in una scuola di New York e viveva qualche isolato lontano da Elis, ma non c’era più quel brio che li aveva legati all’inizio.
“ Credi che oggi saremo fortunate Kat?”

“ Incrociamo le dita.”
Avevano un disperato bisogno di due coinquilini per potersi dividere l’affitto, bella sì ma anche tanto costosa. E i genitori dicevano che nel momento in cui avrebbero varcato la soglia di casa non era più una loro preoccupazione l’affitto da pagare. Dovevano reinventarsi e dovevano essere indipendenti. Questo era il prezzo da pagare.
“ Vedo delle buste..”
“ Spera che non siano bollette della luce.” Disse Katherine timorosa.
“ Di già?” Kat annuì.
“ Qualcuno vuole venire a vivere da noi. QUALCUNO HA DETTO Sì!!” Elis urlava e saltava contenta ed eccitata. Finalmente poteva spendere soldi per qualcosa che non erano bollette o affitti già il primo mese.
“ Voglio i nomi El.”
“ Cristopher McDonalds ed Harry Cavanough.”
“ Due luridi maschi.” Riecheggiò la voce di Kat.
“ Due luridi maschi.” Fece da eco El.
“ NO.”
“ Ci servono quei soldi.”
“ NO. Io con i maschi non ci sto, e se sono violentatori, o peggio assassini?”
“ Da che pulpito vien la predica.” Disse Elis in tono sarcastico.
La discussione continuò a lungo fino a che le due non decisero di convocare questi due ragazzi per fargli qualche domanda e per essere sicure che i due non avessero un passato brusco come il loro.

“ Potete accomodarvi qui, prego. Non abbiamo ancora ristrutturato bene l’appartamento e quindi vi dovete accontentare di queste sedie un po’ mal ridotte, ma per vivere a New York bisogna pagare un prezzo, e poi siamo leggermente disoccupate, ma stiamo provvedendo a questo.” Disse Kat con l’aria da padrona di casa. Elis, nel frattempo, li squadrava da capo a piedi. Non erano niente male. Ma ogni tanto doveva ricordarsi di avere un fidanzato, e quello era il momento.
I due un po’ timorosi e ansiosi si sedettero sulle rispettive sedie e aspettarono che Kat prendesse un blocchetto per poter scrivere tutto quello che c’era da scrivere o forse solamente per darsi un’aria più da padrona.
“ Bene. Prima domanda: da dove venite?” disse Kat.
(Freddie Stroma è Cristopher McDonalds) 
" Io vengo da Atlanta."
Rispose Cristopher quello con la faccia tosta. Mentre Harry cercò di mantenersi sulle sue e disse di venire anche lui da Atlanta.
“ Ok questo assolutamente è un no.” Bisbigliò Kat ad Elis. Atlanta non era mica la loro città preferita.
“ Seconda domanda: anni?”
Il primo disse di averne 20, l’altro 21. Ma questo era irrilevante.
Le domande continuarono parlando di professione passando alla famiglia e concludendo nel parlare del più e del meno.
Elis era già convinta dal primo momento, per Kat ce ne volle un po’ ma alla fine capì che erano meglio questi due bravi ragazzi a qualcun altro di peggiore.
“ Ci sono due stanze disponibili per ognuno di voi, potete portare le vostre cose se volete.” Disse infine, con un chiaro sorriso, Kat.
“ Curiosità; ma tu invece da dove vieni?” Cristopher quello che più amava parlare e mettersi in mostra si fermò a parlare con Kat curioso delle sue nuove coinquiline, soprattutto di una.
“ Mainland.”
“ Ah, quel paesino dimenticato da Dio.”
“ Proprio perché Dio se lo è dimenticato, si sta da Dio. Penso che sia ora che tu vada a prendere le tue cose Cristopher. Stasera io e la mia amica siamo impegnate, non penso avremo tempo per aiutarvi.”
“ Oh no grazie, non desidero mica il vostro aiuto. Mi serviva solo una casa per potere viverci, per il resto ritienici sconosciuti. Parlo per me. Lo sfigato di Alfred, Enrik…Harry, pensa per sé.”
E andò via. Katherine penso di rivedere in quel ragazzo una brutta versione di Jackson, un Jackson 2.0
Si disse che con quell’essere non voleva passarci nemmeno un secondo di più e passò a parlare con Harry, forse con lui sarebbe andata meglio.
“Ciao Harry, come ti trovi?” domandò Katherine con un sorriso a 32 denti.
“ Bene.”
( Daniel Sharman è Harry Cavanough)
“ Spero che questo appartamento possa essere di tuo gradimento, sai da coinquilini quali presto diventeremo, dobbiamo conoscerci meglio.” Lui annuì e poi con un gesto del capo se ne andò.

“ Come vanno le cose con Pippo e Lippo?” domandò Elis intenta a messaggiare con Mick.
“ Uno è antipatico, l’altro pure.”
“ Come giudichi in fretta, dai. Parliamo di cose serie: Max mi ha inviato un email, e non è una di quelle felici.”
“ Che ti ha scritto? Ultimamente Max non è mai felice, la morte di Lydia, l’allontanamento da tutti i suoi amici per via del college…”
“ Ecco sì, il college. Mi ha appena scritto dicendo che lo hanno cacciato per via del suo compagno; nascondeva della droga nella loro stanza.”
“ Non so come ma questa cosa mi sa tanto di familiare.” Rispose Katherine pensando ai tempi con Lucy. Che sentiva raramente, quasi mai.
“ Per concludere, non vuole dirlo ai genitori e ha bisogno di una casa in cui stare fino a che non troverà un qualche cosa che si avvicini ad università, futuro e lavoro. Vuole venire a stare da noi.”
“ Se prima non avevamo pretendenti per il nostro appartamento, ora ne abbiamo fin troppi. Abbiamo la stanza degli ospiti che può tranquillamente usare. Siamo a quota tre. A breve commetterò un omicidio.”
“ Non essere frettolosa Kat, ne hai già uno alle spalle.” Elis dopo 8 mesi amava fare del sarcasmo su quello che era successo ad Atlanta e su come quel caso fosse stato nominato come ‘non risolto’.

“ Quando pensi di uscire da questa stanza e trovarti un lavoro?” domandò il padre di Jackson al figlio che era intento a far … NULLA.
Gli otto mesi di Jackson erano passati diversamente. Non era andato all’università, non aveva cercato di reinventarsi con qualche sua attività e non era andato a vivere con nessuno. Viveva ancora con suo padre ad Atlanta, passava le giornate nella sua stanza e la sera andava a sbronzarsi per dimenticare i vecchi accaduti. Come Katherine. Era l’unica cosa che le era rimasta ma aveva perso anche quella. Ogni giorno aveva intenzione di prendere un aereo e volare fino a New York, trovare il suo appartamento e dichiarare il suo grande amore. Ma ogni giorno, allo stesso tempo, capiva di essere ubriaco e ci metteva una pietra sopra. Questa era la vita di Jackson Tawson e se qualcuno la riteneva bella allora non avevano capito di cosa si parlava.
Era ricco, era ubriaco costantemente, e partecipava alle feste più IN ma non era felice. Era l’unica cosa che gli mancava dopo la rottura con Kat. Non ci poteva mica passare.

“ MAI.” Teneva la porta chiusa a chiave, la faccia sul cuscino e ascoltava musica deprimente tutto il giorno. Guardava cartoni demenziali alla tv e messaggiava con ragazze che non avessero il nome che cominciasse con K.
“ Io e tua mamma ti abbiamo prenotato uno stage e non vogliamo sentire ragioni. Ti assumeranno in un’azienda automobilistica, lavorerai in un ufficio tutto tuo e potrai vestirti in giacca e cravatta per andare a lavoro e non per farti solamente le foto allo specchio per far vedere al mondo di Instagram che hai ancora una vita.”
“ Non mi muoverò di qui papà.”
“ Hai un volo domani per New York. Comincerai il giorno seguente, prepara i bagagli.”
Jackson aprì gli occhi e si alzò dal letto, aveva gli occhi spalancati, sorpresi. Se questo non era destino allora non sapeva davvero cosa lo fosse. Pensava che questa sarebbe stata la sua grande occasione di poter riconquistare l’amore di Kat, di andare a vivere insieme a lei e di potersi creare la vita che aveva sempre sognato dopo l’omicidio. L’omicidio pensò. Erano passati otto mesi da tutto quello che era successo, e anche se non era stato il protagonista, questo lo tormentava ancora. Era stato complice, anche se in vie esterne,di un omicidio. Questo lo faceva rabbrividire ancora, ma infondo, i tre assassini se la spassavano ognuno nel proprio roseo futuro. Perché avrebbe dovuto preoccuparsene lui? Dopo la morte di Lydia cadde in una profonda depressione, era scocciato dal contesto in cui si trovava, e l’unica cosa che lo faceva star bene era Katherine. Quella ormai che non c’era più, la sua medicina scomparsa. Doveva riprendersela perché senza di lei non poteva proprio. Decise di far presto i bagagli e di prendere quel volo a qualunque costo.

“Ehy Max, ho ritenuto giusto chiamarti invece di mandarti una stupida email. Ho saputo da Elis che le cose lì non vanno. Tutto ok?”

“ Diciamo che me la cavo. Mi mancate sai. Qualche volta vi penso, dopo sette mesi è difficile vivere senza le proprie migliori amiche che ti fanno da spalla.”
Katherine sorrise, ma capì che tutte queste smancerie erano soprattutto per via della casa.
“Ci siamo allontanati parecchio dall’ultima volta.” Entrambi pensarono “all’ultima volta”. La volta in cui si videro al funerale di Lydia, entrambi vestiti di nero e nemmeno mezzo sorriso sul volto. Preferirono evitare l’argomento, si sarebbe aperto più in là, quando sarebbero stati pronti.
“ Ti scoccia se vengo a stare lì per un po’? Non chiamarmi opportunista, e che davvero ho bisogno di voi. Non ho nessuno qui su cui contare e anche il telefono tra i ‘preferiti’ ha menzionato voi. Resterete sempre le mie preferite.”
“ E la tua ragazza? Come vanno le cose con Chantal?”
“ Ci siamo lasciati l’altro ieri. Avevo intenzione di dirvelo proprio quando sarei venuto. Ha scoperto della droga e ora non si fida più di me. Diciamo che non è uno dei miei periodi migliori. Ogni ragazza che ho me la faccio scappare che sia per droga o per … altro.” Quel ‘altro’ aveva davvero mille interpretazioni ma una sola verità.
“ Mi dispiace che le cose siano andate così. A volte mi stava anche simpatica. A volte però.”
“ L’amavo tanto Kat.” Disse Max con un tono pacato ma tanto triste.
“ Sono convinta che Chantal lo sa. E ritornerà presto.”
“ Già.” Disse Max pensando a Lydia. Kat lo aveva capito, ma non voleva affrontare questo argomento, non si vedevano da così tanto tempo.

Katherine ritornò in cucina dove vide Elis che parlava molto allegramente con Harry. E questo era al quanto strano dato che lei non c’era riuscita per niente a togliergli una parola dalla bocca.
“Gelosa che lei ci riesca e tu no?” gli domandò con aria boriosa il suo nuovo coinquilino Cristopher.
“ Cominciamo con il piede sbagliato, sai?!”
“ Cosa c’è di meglio?”
“ Mi ricordi una persona che vorrei tanto dimenticare.”
“ Anche tu, ecco perché cerco di fare conoscenza.”
“ E questa la chiami conoscenza?”
“ Tu come la chiameresti?”
“ Fastidio.”
“ Be’, allora sto facendo bene il mio lavoro.” Gli sganciò un occhiolino ed andò via.
Katherine odiava il fatto che veniva attratta solo da ragazzi così FASTIDIOSI. Aveva lasciato Jackson anche per il suo carattere così odioso. Non voleva un altro Jackson nella sua vita.
“ Quali sono i tuoi film preferiti?” domandò Elis seduta sullo sgabello della cucina ad Harry.
“ Ti dirò sono un amante degli horror. Soprattutto quelli di Wes Craven. Adoro Scream, ho visto tutta la serie!” disse eccitato.
“ Qual è il tuo film horror preferito?” El recitò una frase del film e scoppiò a ridere.
“ Già ti adoro!”
“ Oh ti adoro anch’io.” El con lui si sentiva DAVVERO bene. Come non si sentiva da tempo, ma doveva cancellare quel pensiero dalla testa. Mick era il suo uomo e lo avrebbe amato… sempre.


“ Ora mi spieghi come hai fatto.” Domandò Kat allibita.
“ Sono Elis Everwood. Andiamo.”

“ Quindi te ne vai?” chiese il suo amico Rickon a Max.
“ Non ho altra scelta Rick, mi hanno cacciato.”
Rickon era l’amico più fidato che potesse mai avere in quel college. Ci teneva tanto a lui e gli dispiaceva tanto abbandonarlo. In fondo fu l’unico a sapere di Lydia, non gli raccontò dell’omicidio.. era troppo rischioso. Gli disse qualcosa ma senza mai fargli capire nulla. Gli raccontò però ogni singolo particolare di Lydia Cortez, quella ragazza che gli era rimasta tanto nel cuore. Si era fatto solo e soltanto due amici: Rickon e Chantal che poi sarebbe diventata la sua ragazza, ma per poco.
“ Ci rincontreremo presto amico mio.” Si abbracciarono e qualcuno cacciò anche qualche innocua lacrima.
“ Fatti sentire però.” Disse Rickon asciugandosi gli occhi con la sua felpa. Quella che metteva sempre. Un nerd con la stessa felpa ogni settimana.
“ Sempre.”
Max salutò solo lui perché effettivamente soltanto lui gli era rimasto e c’era sempre stato. Chantal gli mandò un messaggio d’addio che Max non lesse nemmeno.
Prese il primo autobus e si fece accompagnare all’aeroporto. Un biglietto. Solo andata. New York.
Dalle sue amiche. Le amiche che gli avrebbero ricordato dell’omicidio, di Lydia e di tutte le cose brutte successe otto mesi fa. Non voleva andare, voleva restare in questa nuova vita che gli aveva fatto dimenticare quella vecchia. Quella dove era un semplice studente del college, Max Miller, specializzazione in biologia. Questo era e questo voleva restare.
Ma gli erano rimaste solo loro due. Gli era rimasto solo il suo passato per poter aggiustare il proprio presente. E quindi si convinse che era la scelta migliore da fare. Preferiva allontanarsi da tutto questo ma sapeva che non sarebbe stato possibile. Sarebbe stato lì per un po’, il tempo di trovare un buon appartamento, un qualcosa che lo aiutasse a studiare e a crearsi un futuro e se ne sarebbe riandato. Non voleva rivivere il passato. Non ne era ancora troppo pronto. Erano state le sue migliori amiche ma ritornare da loro non lo avrebbe aiutato. Ma doveva pur mentire per convivere con questa cosa.

 

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Capitolo 2
*** 2x02 Ricominciamo? ***


RICOMINCIAMO? 2x02


“ E’ permesso?” Alla porta c’era Max. Non era cambiato niente in lui dall’ultima volta, a parte il suo abbigliamento da perfetto scolaretto.

“ Max!!” urlarono entrambe. Un caloroso abbraccio avvolgeva il ragazzo.
“ Mi siete mancate.” non sapeva quanto questa sua affermazione fosse veritiera. Sapeva soltanto di aver bisogno di una doccia e di un letto.
“ E lui?” d’improvviso dalla camera si sentì una voce. Una voce completamente nuova per il loro amico.
“ In realtà io dovrei chiederlo.”
“ Piacere, Cristopher!” il ragazzo tese la mano verso quella di Max. Fu una stretta di mano davvero singolare, non scorreva buon sangue. Di maschio alfa ce ne doveva essere solamente uno.

Dopo circa due minuti uscì dal bagno anche Harry, il secondo coabitante delle due ragazze.
Alla vista di un secondo ragazzo nell’appartamento, Max non resse e si scusò con gli altri due e chiese se potesse parlare privatamente con le due.
“ Cosa vi è saltato in mente? Non ci vediamo da qualche mese e voi diventate escort?”
“ Scusa?” chiese stranita El “da qualche mese? Max, non ci vediamo da più di qualche mese. Dopo il diploma sei letteralmente scomparso per vivere la tua vita! Mi ha fatto piacere poterti rivedere e mi farà ancora più piacere vivere con te per un po’. Ma, per favore, non sentenziare su quello che facciamo in questa casa. Sono affari nostri!” concluse El
“ Quindi mi stai dicendo che fate le escort?”
“ ASSOLUTAMENTE NO.” El decise di non voler più partecipare a quella conversazione. I rapporti con Max erano stabili ma non erano dei migliori. Si sentiva abbandonata dalla sua unica ancora di salvezza. E si sa, quando l’unica cosa che ti regge in piedi viene a mancare, ci si sente persi.
“ Lasciala stare, è solo stanca” si intromise Kat
“ Io credo che lei abbia ragione. Infondo vi ho chiamato solo perche mi serviva un posto in cui stare, e voi lo sapevate troppo bene. E vi apprezzo per quello che avete fatto, ma la verità sulla nostra amicizia è un’altra.”
“ Non l’affronteremo ora.”
 
 
“ Papà mi spieghi come funziona quest’aggeggio infernale?” Jackson, nel frattempo, era alle prese con quello che sembrava essere un comune navigatore satellitare. Ormai era sbarcato a New York ed era pronto a rincontrare la sua anima gemella e a prendere posto fisso lì.
“ Ragazzo mio, se cominci così ti direi di far ritorno a casa. Ma, Dio! Non ti ci voglio a casa!”
“ Lascia perdere, me la caverò da solo.”

Staccò il telefono e si posiziono vicino ad un carretto di hot dog di fronte al Central Park. Per Jackson tutto ciò era quasi utopia. Era un ragazzo ricco, poteva viaggiare e poteva scoprire il mondo con un click, ma non lo aveva mai fatto. Adorava poter trovarsi stabilmente in un solo posto, rendeva le cose ordinate, rendeva la sua vita ordinata e non incasinata. Ma, dopo l’arrivo di Kat, si rese conto che non c’era niente che andava nella sua esistenza, così decise di ribaltare completamente le carte in tavola. Gettò il suo costoso navigatore nella spazzatura, comprò un hot dog e cercò informazioni per poter raggiungere il suo nuovissimo appartamento.
“ Scusi!! Un’informazione se non le dispiace.” Chiese Jackson ad una ragazza.
“ Mi dica!”
“ Mi saprebbe dire dove si trova esattamente questa via?” posizionò il foglio con scritto il nome della strada di fronte al viso della ragazza. Lei aveva la faccia coperta da un cappello e, talmente dai capelli lunghi, lui non riusciva nemmeno a guardargli gli occhi o la forma delle labbra.
“ Ecco, dovrebbe girare esattamente in quel vicolo” gli disse la ragazza “dovrebbe prendere poi un taxi e farsi accompagnare sulla nona strada. Ecco, si troverà proprio di fronte al proprio appartamento.”
“ La ringrazio. Le sono debitore, vede questo è il mio primo giorno a New York e mi sento proprio come i turisti: spaesato! Lei come si chiama? Mi farebbe piacere poterla ringraziare offrendole un caffè!”
“ Io… Io sono Meredith!”
“ Piacere Meredith!”
“ Ora devo scappare! Sa molte volte mi sento anch’io turista nella mia propria città. E devo poter trovare l’hotel in cui alloggia un mio amico.”
“ Vorrei aiutarla, ma come le ho detto poco fa, sono da poco venuto qui.”
“ Non si preoccupi.”
La ragazza stava per andarsene quando Jackson la fermò da dietro “aspetti!”
Meredith si girò di soprassalto, quasi avesse paura che il ragazzo avesse scoperto qualcosa sulla suddetta.
“ Le devo un caffè! Come posso rintracciarla?”
La ragazza si avvicinò le diede il suo numero e andò via.
Jackson così, tornò ad essere un puntino in quell’immensa città. Ora però, con delle idee più chiare.


“ Connor?! Pronto?!”
“ Sì Lucy ci sono.”
Quella ragazza, quella stessa ragazza che aveva poco prima dato delle informazioni a Jackson si tolse pian piano tutto il suo armamentario. Partendo dal cappello, per arrivare alla sua folta parrucca e terminare col togliersi delle lenti. La ragazza che si era spacciata per Meredith non era altro che Lucy.

“ Penso che questo piano sta andando a buon termine!”
“ Ricorda semmai non dovessi farcela, abbiamo in servo il piano B.”
“ Connor, amore, ormai mi conosci. Io non fallisco mai.”
 
“ Volete del caffè?” chiese Kat ai suoi quattro coinquilini. Non pensava che, da un giorno all’altro, si trovava dinanzi a così tanta gente. Qualche giorno fa erano solo loro due. Vivevano da sole e aspettavano con ansia nuovi coinquilini per poter dividere l’affitto.
“ Non bevo caffè.” Rispose Harry
“ Ti serve altro?”
“ No.”

“ Harry” Kat si sedette vicino a lui mentre gli altri cercavano di aprire una discussione seduti sul divano “mi spieghi perché sei così scontroso con me? Io… io penso di non averti fatto nulla.”
“ Mi ricordi qualcuno. E le persone che mi ricordano qualcosa di solito sono sempre cattive. Non amo le persone cattive.”
“ Chi ti ricordo? Il lupo mannaro?”
“ Hai il volto di una ragazza che nasconde fin troppi segreti. Ed io ne ho conosciute di ragazze così.”
“ Non vorrei deluderti, perché sul serio vorrei poterti dire di essere una di quelle ragazze complicate che hanno un passato alle spalle e roba simile da farci un film sopra; ma, davvero, sono normale. Normalissima.”
“ Mi avrai riempito di bugie da quando sono venuto qui. Non mi fido Katherine, e sono intenzionato a capire il motivo per questo mio diffido nei tuoi confronti.”
“ Be’, accomodati pure.”
Katherine andò via, sembrava quasi impassibile, sembrava quasi che quelle parole non l’avessero toccata minimamente. Ovviamente era una grande bugia. Katherine era la paranoica del gruppo, e dietro la sua grande corazza da cattiva ragazza si nascondeva una bambina che aveva paura anche della sua stessa ombra.
“ Vieni con me!!” disse Kat nell’orecchio di Max.
I due si chiusero nello stanzino mentre gli altri erano intenti a vedere qualche programma in tv.
“ Ho paura che questo Harry sappia qualcosa o che, comunque, sia intenzionato a scoprire qualcosa su di noi; o meglio, su di me. Sul mio passato, che vi appartiene.”
“ Ne voglio restare fuori” disse Max scocciato da questa situazione. Sapeva che non era finita e conclusasi del tutto. Sapeva che l’unico modo per conviverci era non stare più vicino alle persone che glielo facevano ricordare. Era stato uno sbaglio trasferirsi lì e lui lo sapeva.
“ Max! Ti prego.”
“ Voi non sapete niente di questi ragazzi! Mesi per poter insabbiare tutti i nostri guai e per tenerci alla larga da persone estranee. E voi che fate? Convivete con i vostri prossimi problemi? Kat per piacere non ne voglio sapere niente.”
“ Sei stato tu. Tu hai investito quell’uomo, tu hai accelerato. Sei stato tu Max.”
A quelle parole il ragazzo restò di pietra. Non pensava che la sua migliore amica potesse arrivare a tanto. Non pensava affatto che, dopo tutto quel tempo, lei sostenesse  ancora determinate cose sulla faccenda.
“ Non potevi incolparmi otto mesi fa? Però ora ti fa comodo dare la colpa a me giusto? Ora ti fa comodo buttare tutta la merda su di me? Che dici, tra poco mi incolperai anche della morte di Lydia? No, perché io sono qui a sentire tutto ciò che mi dici e a rendermi conto di quanto ogni volta che mi avvicino a voi perdo tutta quella felicità che stavo pian piano riacquistando.”
“ E tu mi dai la colpa della tua tristezza? Ci stiamo incolpando perché solo questo è rimasto della nostra amicizia. Volevamo passare il resto della nostra vita insieme, solo io e te. Ora guardaci, godiamo nel farci del male.”

“ Pensi che a me piaccia pensare che le mie migliori amiche siano causa dei miei incubi notturni?  Be’ sono stato un mostro in passato, ma non arrivo a dire determinate cose. Vi ho voluto davvero bene. In questi mesi vi pensavo ogni secondo, vi sognavo, vi volevo lì con me. In questi mesi non ho fatto altro che dedicarmi a voi. Poi, un giorno, mi sono ricordato che esisto anch’io. E ho smesso. Ho smesso di pensarvi, di pensarci insieme e di pensare a quello che è successo, e, indovina? Mi sono ricordato che nella vita se muovi le labbra verso l’alto vuol dire che stai sorridendo e se piangi molte volte è anche dalla gioia. Ho gli incubi ogni notte, ma, nel college cercavo di non pensarci bevendo. Ho deciso che con gli incubi devo riuscire a convivere, ma con voi no. E, scusami, ma ho deciso di non lottare più per voi, per noi. Non più.”



“Desidererei una camera!”
“ Certo, a nome di?”
“ Meredith Parsons.”
“ Stanza 405. Secondo piano.”
“ Grazie.” Lucy si stava apprestando a godersi ogni minuti della sua libertà. Della sua presunta libertà. Il piano escogitato dalla ragazza e Connor era ancora segreto se non impossibile da scoprire.
“ Ho capito di amare la libertà” fece un respiro profondo e poi continuò “penso di potermi abituare a tutto questo. Potrei sul serio morire per la mia libertà. Oh, mi aspetterà l’inferno per aver combinato questo pasticcio, ma Dio quanto mi piace!”
 
“ Il tuo amico non mi piace.” Disse Christopher a Kat mentre era intenta a bere un bicchiere di vino.
“ Be’, siamo in due. Ne vuoi un po’?”
Chris annuì e Kat gli versò del vino
“ Be’, allora dimmi, perché hai deciso di farlo restare?”
“ Non dovevi andare a quella partita con il tuo nuovo amico Harry? Che, tra l’altro, mi odia!”
“ Non ti odia. Harry non odia nessuno. E, comunque, mi piace come ragiona quindi siamo diventati ufficialmente amici e quindi riformulo: a me e ad Harry non piace quel Max.”
“ Sbaglio o Harry non odia nessuno?”
“ Be’, fa un eccezione per un suo amico.”
I due cominciarono a ridere, il che era strano in quanto dal primo giorno non si erano mai visti di buon occhio.
“ ti ho fatto ridere” notò Chris. Kat annuì.

I due si guardarono allungo finché non furono avvolti da una sensazionale passione che li portò ad un appassionante e lungo bacio. Quello che successe dopo, è un’altra storia.


“ Posso sedermi?” Elis indicò un posto vuoto di fronte a Max. Il ragazzo si trovava in uno di quei locali in pieno centro che affacciavano sul Central Park, cercava di godersi la vista e di scacciare i pensieri negativi.

Lui annuì.
“ Scusami per prima.”
“ Nulla.”
“ No, non dovevo dire quelle cose. Eri appena arrivato, ne abbiamo passate tante non avevo il diritto di trattarti così.”
“ Ne avevi eccome.”
Elis lo guardò in modo interrogativo.
“ Ti ho dato della escort. Io che ti conosco da così tanti anni, non ti sei sentita tradita? E’ come se non vi conoscessi più. E questo fa male”
“ Maxy, la dura verità è che davvero non sappiamo più chi sia l’uno o l’altro. C’è stata quella cosa che ci ha diviso completamente. E quella cosa non passerà mai.”
“ Giusto. Comodo chiamarla ‘quella cosa’ e non definirla con il suo vero nome, fa meno male.”
“ Già”. D’improvviso squillò il telefono di El e dovette allontanarsi, perché risuonava beatamente il nome di Mik Pakkins.
“ Ehi”
“ Ehi, io domani torno a New York. Ceniamo insieme? Non ci vediamo da così tanto tempo. E che mia madre è stata male, siamo state insieme a lei.”
“ Non c’è nessun problema. Ci vediamo domani.” El attaccò prontamente il telefono senza nemmeno aver il tempo di farsi salutare. Questo successe alla vista di Harry che comprava un libro in un negozio di fronte. La ragazza con dei gesti chiese a Max di aspettare qualche secondo e attraversò la strada a passo veloce dirigendosi verso Harry.
“ Nuovo acquisto?” il ragazzo a quelle parole si girò subitamente
“sì, adoro leggere di questi tempi.”
“ io sono in quel bar con Max, vuoi unirti?” e gli indicò il locale di fronte
“ Oh no, no. Ti ringrazio.”
“ Sicuro?”
“ Al cento per cento. Magari domani sera ci prepariamo una cena a casa, ho saputo che Chris deve uscire con una ragazza e Max e Kat possono unirsi a noi.”
“ Oh no! Ho saputo che hanno da fare anche loro.”
“ Tu sei libera?”
“Assolutamente…” poi Elis si ricordò di quell’impegno con il suo ragazzo. “Assolutamente sì.” Ma questo non la fermò.


“ E quello?” domandò Max ad El.
“ Il nostro coinquilino”
“ Ti avevo lasciata con gli uomini che ti correvano dietro e ora sei tu a rincorrere loro?”
“ Non è assolutamente quello che pensi.”
I due scoppiarono a ridere, dopo tanto e tanto tempo.

 
“ Il campanello, il campanello Kat.” I due si ritrovavano distesi sul divano con una coperta che li copriva e con delle facce al quanto singolari.
“ Oh il vino! E’ caduto dappertutto!”

“ Ti preoccupi del vino?” Chris la guardò divertita
“ è stata una cosa talmente insignificante che non me ne preoccupo nemmeno.”
“ scusami principessa.”
Kat ignorò completamente le parole di Chris e con una camicia abbastanza grande addosso andò ad aprire la porta. Quello che vi trovò davanti fu ancor più scioccante di quello che era successo stamattina.
Il passato si stava facendo ancora più vivo, e quello a Kat non piaceva per niente. Kat odiava quando qualcosa si rifaceva viva poichè voleva dire che ciò portava a tristi e pericolose conseguenze.
“ JACKSON!”

Quello che si aspettava la ragazza però non era un Jackson pieno di lividi e con del sangue che gli usciva da tutte le parti del viso e del corpo.
Stremato il ragazzo entrò in casa e, senza chiedere, si sedette sul divano. Chris lo aiutò ad asciugarsi le ferite e Kat si mise qualcosa di più comodo addosso.
I due si avvicinarono a lui spaesati.
“ Jackson che cosa è successo?!” Katherine prese tra le mani il viso del ragazzo. Christoper capì che quello non era un semplice giovane che era venuto a far visita, ma c’era qualcosa di più e aveva paura di scoprirlo.
Nel frattempo dalla porta semiaperta entrarono anche Max ed Elis che, alla vita di un Jackson ucciso di botte, corsero verso di lui pieni di panico.
“ Jackson rispondimi!” Kat scoppio in una valle di lacrime e cercò di abbracciarlo ma lui scostandosi disse:
“ Eremy Gliffer. Mi hanno fatto questo a causa sua.”
Al suono di quel nome i tre ragazzi si alzarono cercando di riuscire a controllare quella che ormai era diventata una situazione incontrollabile.
Chris cercava risposte guardando i tre senza però proferire alcuna parola.
Nel frattempo i ragazzi si guardavano per poter trovare conforto tra i loro occhi. Ma non c’era alcun conforto, non vi era alcuna frase rassicurante che potesse acquietare gli animi dei giovani.
Il passato era tornato, ed era agguerrito più che mai.

FINE EPISODIO

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Capitolo 3
*** 2x03 Sopravvivere ***


2x03 SOPRAVVIVERE.

Dall’ultima volta le cose erano rimaste uguali. Nessuno più sentiva il nome di Eremy Gliffer da più di otto mesi. Il caso era stato definito ‘non risolto’ e il detective Hall aveva avuto un trasferimento nella pattuglia di Los Angeles.
I genitori dei tre ragazzi conoscevano la metà della storia e non li reputavano nemmeno lontanamente assassini. Eppure c’era qualcuno che, dopo tutto questo tempo, voleva giustizia per il barbone morto sul ciglio della strada?
E perché utilizzare Jackson per arrivare a loro?

“ Jackson! Jackson! Dimmi cosa ti hanno detto precisamente?” urlò Elis, senza più contenersi. Nel frattempo Kat chiese gentilmente a Chris se potesse allontanarsi per un attimo. Li aveva denominati come affari personali e passati e quelli, dovevano essere risolti senza nessun intralcio esterno. Chris, d’altra parte, cercò di restarne fuori il più possibile ma la curiosità era più forte di tutto. Per la prima volta aveva paura, non sapeva chi aveva davanti ma, soprattutto, chi aveva come nuove coinquiline.
“ Elis, dovresti calmarti!” disse Katherine lentamente “ Jackson ha bisogno di cure, non di una ragazza che gli urla contro.”
“ No.” S’intromise Jackson “ha ragione.”

Così che quest’ultimo poté alzarsi cautamente dal divano prendere un bicchiere d’acqua e cominciare a raccontare la storia.

QUALCHE ORA PRIMA…
“ Pronto?” rispose Jackson al telefono mentre era appena uscito dalla doccia. Ne aveva proprio bisogno, dopo un lungo tragitto era sempre bello potersi trovare in una nuova casa al sicuro dall’immensità della grande mela.
“ Ehi, non so se ti ricordi di me. Sono Meredith, ci siamo visti oggi di fronte al Central Park e tu cercavi aiuto!” Lucy, sotto mentite spoglie, chiamò Jackson con una scusa plausibile.
“ Ehi, si che mi ricordo di te! Sei stata la mia salvatrice stamane”
“ Be’, insomma, volevo sapere se era tutto apposto e se avevi trovato il tuo appartamento” disse lei
“ Certo, grazie a te ho trovato il mio riparo da questa grande città” rise e poi disse: “ti va di vederci? O hai impegni? Io tra qualche ora devo andar a far visita ad una mia amica, ma ho tempo per un caffè. Tu?”
“ Certamente, aspettavo solo questo. Dove ci vogliamo vedere? Al bar all’angolo? Vicino casa tua tranquillo, non voglio farti perdere mai più.”
Jackson rispose di sì e attaccò il telefono sorridendo. Era pronto a far combaciare la sua vecchia vita con questa nuova, ignaro che Meredith non era altro che un tassello mancante della sua passata vita a Mainland con Kat.
Lucy, nel frattempo, si trovava a qualche isolato da casa di Jackson per non destare sospetti e presentarsi già come una stalker.

Erano le 19:30 e l’appuntamento di Lucy e Jackson era appena cominciato.
“ Allora dimmi, tu di dove sei precisamente?” domandò Jackson mentre stava mangiando la sua torta di mele

“ Vivo a New York da quando sono nata, ma ci sono stati alti e bassi nella mia vita che mi hanno obbligato ad allontanarmi da essa per un po’ di tempo. Tu forestiero? Atlanta?”
Jackson annuì. “ E cosa ti porta qui?” domandò
“ Lavoro e … amore”
“ Sapevo che c’era qualcosa sotto. Be’, peccato. Non eri poi così male” ridacchiò.
“ Ti ringrazio.” E sorrise
“ Quindi stasera hai questo incontro romantico con questa tua amica?”
“ Non lo definirei romantico, insomma lei non sa nemmeno che io sono qui. E’ complicato, ci siamo lasciati otto mesi fa per delle … brutte cose che ci hanno diviso. Ma ora voglio riconquistarla, la rivoglio e nessuno mi fermerà.”
“ Lo spero per te, l’amore dovrebbe superare anche queste brutte cose. Spero non siano così tanto brutte, perché a volte è difficile riuscirle a superare. Te lo dico per esperienza.”
Lucy/Meredith sorrise. Be’ di brutte esperienze ne aveva passate davvero tante, e la prigione era la ciliegina sulla torta di una vita incasinata.
“ Non immagini quanto lo siano. Ma voglio cambiare.”
“ E lei? Come si chiama la tua Giulietta?”
“ Katherine.”
Al suono di quel nome Lucy sorrise ignara. Nonostante tutto le mancava davvero tanto la sua amica. Non si sentivano da molto tempo ed entrambe si nascondevano non pochi segreti.
D’improvviso il telefono di Lucy squillò e lei vide dal display accorgendosi che era una telefonata di Connor.
“ Io devo proprio andare. E’ stato un piacere poter parlare con te e speravo di incontrarti il prima possibile. Mi raccomando, restiamo in contatto.”

Jackson annuì e la saluto per poi restare da solo in quella tavola calda aspettando si facesse l’orario perfetto per poter andare a trovare Kat.

“ Che diavolo c’è?” urlò dalla cornetta Lucy. Si era nascosta in un vico e si era tolta tutto il suo armamentario che la trasformasse in Meredith. Il che era inutile, Jackson non aveva mai realmente visto Lucy ma, al massimo, ne aveva sentito parlare grazie a Kat. Probabilmente la ragazza si sentiva più sicura ad essere sotto copertura.
“ Lo hanno scoperto.”
“ Stanno venendo a cercarmi?” domandò impaurita la ragazza. Tremava e anche se non era pieno inverno, aveva molto freddo. Si accasciò e si sedette sulla soglia del marciapiede scuro e sudicio del vicolo.
“ No, ho cercato di coprirti il più possibile ma hanno capito che stavo mentendo. Tuo padre, tuo padre sta malissimo Lucy. Dovresti ritornare a Denver da me, dovremo poter tornare a Mainland e dire la verità. Lucy questa cosa è diventata più grande di noi.”
“ Non posso. Sai che sono venuta qui per poter proteggere tua sorella da tutto questo.”
“ Lu, sta attenta con loro.”
“ Non sanno dove mi trovo.”
“ Ma presto lo scopriranno.”


Jackson era ormai da tempo uscito da quella tavola calda. Per la prima volta sentiva delle vibrazioni positive, pensava che tutto sarebbe andato per il meglio. Da lì a poco si sarebbe reso conto che tutte quelle sue sensazioni erano completamente sbagliate.
“ Ragazzo” due tipi incappucciati lo fermarono nel vicolo che lo portava alla sua auto.
Jackson si accorse subito che erano dei malintenzionati e cercò prontamente di cacciare tutto quello che aveva nella sua giacca ma i ragazzi fecero di no con il capo e continuarono a guardarlo.
Il ragazzo tremolante stette in silenzio per un po’ finché non prese lui parola: “ ditemi cosa volete. Qualunque cosa, vi darò qualsiasi cosa.”
“ Non vogliamo tuoi soldi”
“ Be’, allora cosa?” i ragazzi con un accento più che altro orientale iniziarono a pestarlo senza tregua. Jackson urlava ormai straziato da tutte quelle botte ma, purtroppo, era un luogo così isolato che nessuno avrebbe potuto mai sentirlo. In tutto ciò egli pensava a come potesse essere contraddittoria quella stessa città: così grande eppure così vuota.
Ormai ammazzato da ogni singolo colpo rimase accasciato sull’asfalto pensando che per lui fosse finita, fino a quando uno dei due ragazzi non lo aiutò ad alzarsi e lo sbatté contro un carro dell’immondizia
“ Tutto questo per lui. Eremy Gliffer.” Disse uno dei due
“ Cosa volete da me?” erano poche parole che uscirono dalle labbra insanguinate di quest’ultimo.
“ Nostro capo vi vuole morti.” I due poi scapparono al suono di sirene della polizia.
Ancora non si sa chi fu a chiamare la polizia, forse un passante o forse stesso quegli uomini. Jackson ormai non capiva più niente, era solo certo di una cosa: farsi accompagnare da Kat e spiegare l’accaduto.
 
ORA…
“ Moriremo tutti, me lo sento” ripeteva El seduta sul divano con le mani incrociate, probabilmente pregando qualche Dio che nemmeno lei conosceva.
“ Perché agire ora? Perché agire dopo otto mesi dalla sua scomparsa?” si domandava, invece, Max
“ Risponderemo a queste domande dopo, Jackson ha bisogno di cure. Vieni con me!” così che il ragazzo e Kat si allontanarono dal salone per andare a stendersi sul letto di quest’ultima.

Nel frattempo al di fuori dell’appartamento vi era Harry in procinto di entrare ma fermato dal suo amico Chris che faceva cenno di no con la testa
“ Cosa?” domandò Harry
“ Non sono affari nostri amico” disse lui “Be’ non ti va di scoprire chi cazzo siano realmente queste ragazze e il loro amico?” domandò Harry quasi furioso.
“ Non mi sembra il caso. Non sono davvero affari nostri.” Così che Chris se lo portò via nonostante Harry non fosse d’accordo a tutto questo.


“ Come stai?” domandò Kat a Jackson. Quest’ultimo la guardò per farle capire quanto fosse retorica e stupida quella stessa domanda.
“ Scusa, hai ragione. Non so che pensare Jackson, io non so assolutamente cosa fare se non dire cose stupide.”

“ Non c’è niente a cui pensare. Ci vogliono morti per aver insabbiato il caso del loro amico”
“ Era un barbone Jack, dove erano i suoi amici otto mesi fa?”
“ Jack…” disse il ragazzo e Kat si voltò verso di lui in modo interrogativo
“ Mi chiamavi così quando stavamo insieme…” rispose Jackson e, a quelle parole, Katherine sorrise cercando di mantenere sempre un comportamento freddo nei suoi confronti. Non erano fatti per stare insieme, e quello lo avevano capito già da troppo ormai.

“ Ti chiederei di dirmi chi è quel ragazzo che stava a petto nudo nel tuo salone, ma non credo sia una buona giornata per affrontare questo tipo di argomento.” Kat annuì. Non era davvero adatto e adeguato.
“ Meredith è una mia amica, l’ho conosciuta qui a New York, nel caso te lo stessi chiedendo” disse Jackson mentre la ragazza gli curava i tagli sul viso
“ Be’, mi fa piacere.”
Dopo di che quella stanza fu sopraffatta da un silenzio assordante.


“ Max, capisco se decidi di andartene. Lo capisco davvero.” Disse El. Rimbombavano solamente le sue parole in quella stanza. Max era seduto sul divano, aveva uno sguardo freddo ma al tempo stesso gli cadevano dagli occhi non poche lacrime.
“ Perché dovrei andarmene? Sono stato io ad accelerare, io ho ucciso Eremy Gliffer.” Disse ciò pensando alle parole che si erano detti poco prima lui e Kat.

“ Non dire così” El si avvicinò pian piano a lui e cercò di accarezzargli il viso pieno di lacrime.
“ Mi state coprendo da otto mesi ormai. Lydia è morta per colpa mia, Jackson è stato pestato per colpa mia e voi siete state costrette ad andarvene da Mainland per colpa mia. Tutto questo non sarebbe successo se non fosse stato per me. E, ti prego, non dire che non è così, mi sentirei ancora di più di merda. Io non vivo più da tanto ormai, io sto sopravvivendo e a questo preferisco morire.”
“ Tutti noi sopravviviamo Max, non vuol dire che tutti noi abbiamo commesso dei reati. Ogni giorno mi alzo con la consapevolezza che sarà un giorno di merda come gli altri, ma non perché ho ucciso un uomo, ma perché è la vita così. Nessuno di noi ha mai vissuto. Si sopravvive che è ben diverso dal vivere.”
“ Ho gli incubi la notte, continuamente. Vedo lui, vedo lei e vedo così tanto sangue.”
“ Anch’io. Ogni notte sogno che Mik è a conoscenza di quel che abbiamo fatto e mi caccia dalla mia stessa casa. I miei genitori che pensano che io sia stata interrogata erroneamente dalla polizia. Credi che solo l’assassino abbia gli incubi? Be’, buone notizie, sei uno dei tanti.”
“ Non ne usciremo mai vero?” El annuì “ è la condanna di chi non va in prigione: vivere il proprio personale inferno alla luce di tutti i giorni.”


“ Si può?” ormai era sera inoltrata e Jackson si era posizionato nel letto di Max, non poteva tornare in una casa da solo dopo quello che era successo.
Tutti avevano cenato cercando di non aprire l’argomento sulla faccenda successa poche ore prime.
Nell’appartamento ormai ne erano davvero tanti ma regnava il silenzio.
Max si era addormentato sul divano lasciando spazio a Jackson nel suo letto. Harry si era deciso ad andare a dormire non pensando più a intromettersi nelle faccende altrui ed Elis era crollata subito dopo aver lavato i piatti.
“ Certo.” Gli unici rimasti erano Chris e Kat entrambi nella camera di quest’ultima.
“ Non so se è un buon momento ma…”
“ Non ne voglio parlare.” Disse lei
“ Non voglio farmi gli affari tuoi. Dimmi solo che sei al sicuro.” A quelle parole Kat si girò prontamente verso di lui e lo guardò dritto negli occhi. Non pensava che potesse arrivare a dire queste cose un ragazzo come Chris.
Kat annuì.
“ Bene, mi basta questo.”

“ Grazie comunque.”
“ Per cosa?” domandò Chris
“ Per essere un buon coinquilino. Non tutti avrebbero reagito così a quello successo poco fa dopo che noi be’… dopo quello insomma.” I due sorrisero
“ Ognuno di noi custodisce dei segreti. Non ho il diritto di conoscere i tuoi se non vuoi dirmeli.”
Kat sorrise e Chris abbandonò la stanza.
In effetti sorrise per un paio di minuti fino a che non si ricordò che nella camera affianco dormiva il suo ex fidanzato che era stato da poco pestato da un gruppo di uomini, probabili amici del suo personale cadavere.
Tutti quei pensieri decise di eliminarli con una sola ed unica chiamata ad una sola ed unica persona: Katy. La mamma.
“ Pronto?”
“ Mamma…”
“ Amore mio! Come va a New York?”
“ Tutto bene, da voi a Mainland?”
“ Si sopravvive. Spero che un giorno di questi ci venga a trovare amore!”
“ Sarà il mio primo pensiero appena mi libero un po’. Connor e papà come stanno?”
“ Papà tutto bene, sta già dormendo. Connor è dovuto tornare a Denver di corsa, questioni scolastiche.”
“ Che si dice lì?” domandò Kat.
“  Un gran casino. Ti dico solo una cosa: hanno trovato nei sotterranei di quella vecchia chiesa di fronte al pub Mariocatti, delle mappe di edifici di Atlanta ed altri fogli con sopra scritti dei nomi, non so roba di massonerie e sette sataniche che non ti dico.” A quelle parole Kat storse il naso. Salutò la mamma e si posizionò al centro del letto con le gambe incrociate.
“ E se Eremy Gliffer aveva a che fare con queste massonerie?” pensò.
Infondo Jackson aveva parlato di due scagnozzi probabilmente orientali che facevano tutto ciò per conto di un grande capo. Perché rivendicare così tardi la morte di un loro presunto alleato? Perché parlare di massonerie otto mesi dopo la sua scomparsa? E se Eremy Gliffer non fosse stato solo un barbone che chiedeva dei soldi, ma ci fosse stato molto di più dietro?
 
“ Signore, non penso sia troppo tardi.” Disse uno dei ragazzi che poche ore prima si era scontrato con Jackson.
Questo signore però non era fatto di carne ed ossa, o meglio, era in collegamento con all’incirca quaranta uomini attraverso dei marchingegni. Quindi, si poteva ascoltare solo la voce ma non vedere il volto.
“ Non è mai troppo tardi mio caro amico.” Disse questa voce metallica.
Da questa grande fabbrica abbandonata, nello stesso tempo, si vide uscire Harry.

 
POCHE ORE PRIMA…
“ Tock, tock?! E’ permesso?” Harry entrò nella stanza di El che si era da poco svegliata.
“ Harry… ero stanca e sono crollata subito, entra pure.” Disse lei alzandosi pian piano dal letto.
“ Non volevo disturbarti. Volevo chiederti solo una cosa”
“Dimmi”

“ La nostra cena per domani sera è ancora valida?”
El si rese conto che aveva bisogno di poter parlare con qualcuno senza che quest’ultimo facesse delle domande. Harry sarebbe stato, per lei, il candidato ideale.
“ Aspetta un attimo.” Il ragazzo annuì

“ Mik, domani ho un colloquio per un lavoro in centro. Non posso proprio muovermi. Ci vediamo sicuramente in questi giorni. Un bacio, Elis.”
“ La cena sarebbe perfetta.” Disse infine El. Così che Harry le sorrise in procinto di uscire dalla stanza.
“ Dove vai a quest’ora?” disse lei
“ Ho bisogno di comprare qualcosa per la cena di domani.” Elis rise e disse “ a quest’ora?”
“ Oh, mi devo sbrigare.” Harry sorrise e uscì dalla stanza.

FINE EPISODIO

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Capitolo 4
*** 2x04 Le cose stanno così ***


I giorni, dopo l'arrivo di Jackson, erano quasi sempre gli stessi: la mattina tutta l'allegra combriccola si svegliava, c'era la colazione, c'erano i buongiorno e poi ognuno andava per la sua strada. 
La faccenda "Eremy Gliffer" si apriva ogni qual volta Jackson, Elis e Katherine erano soli e potevano parlare senza che qualcuno li ascoltasse. Max aveva deciso di restarci fuori, dopo quanto accaduto meno di un anno fa a Lydia, non aveva proprio voglia di restare invischiato in altri problemi, nonostante quel "problema" riguardasse soprattutto lui. 
 
" Voi cosa pensate possa esserci sotto?" Elis domandava ció ogni qual volta si ritrovavano i tre seduti affaccendati a
scoprire cosa ci fosse sotto e chi fosse realmente Eremy Gliffer. 

"Io non ne ho idea. Ma sappiamo per certo che quest'uomo era importante per qualcuno e non era un barbone." 
"Anche se lo fosse stato Kat, anche se fosse stato un barbone, lo abbiamo ucciso! Chiunque egli fosse!" 
"El, io non voglio ricominciare. Non voglio ricominciare a vivere così. Voglio solo scoprire cosa c'è sotto e chiedere scusa alle persone a cui devo chiederglielo." 
" Scusa..." S'intromise Jackson, era pensieroso, stanco e soprattutto non credeva che il suo arrivo a New York fosse così "è facile dirlo, difficile ad accettarlo" continuó
"Ditemi cosa devo fare?" Domandó Kat stanca e urlante 
" ritornare indietro... Si può?" Domandó Elis retoricamente e tornó nella sua stanza da letto messaggiando Mik, dopo così tanti mesi che non lo vedeva aveva deciso di contattarlo e di chiedergli un appuntamento, doveva sistemare prima le sue faccende personali per potersi occupare di quelle più grandi e pericolose.
 
Jackson e Katherine, nel mentre, erano intenti a trovare qualche informazione sul Mac del ragazzo. I due si parlavano soltanto quando c'era di mezzo Eremy Gliffer, per il resto sembravano due sconosciuti anche se per Jackson era venuto il momento riconquistarla, decise che quello non era il giorno adatto e che non lo sarebbe stato nemmeno il giorno dopo e quello dopo ancora. Si domandò se i due fossero destinati ad essere o meno, e dopo quanto accaduto era dubbioso. 
"Kat?" "Si?" Chiese lei spostando il suo capo verso di lui, con tutti i capelli avanti e con gli occhi stanchi, ormai erano ore che cercavano inutilmente informazioni sul pc.
"È permesso?" D'improvvisó entró Chris, e da quando Jackson viveva, momentaneamente, lì, per Chris era difficile muoversi in casa sua come fosse davvero casa sua, si sentiva a disagio e soprattutto fuori luogo, ecco perché ogni qual volta che entrava, chiedeva il permesso.
"Ehi" salutó Katherine, anche lei si sentiva a disagio da quando in casa sua vivevano così tanti ragazzi e ognuno importante a suo modo. Fino ad allora non si era mai trovata da sola con Chris e Jackson e fino ad allora non aveva parlato con Chris di "certe cose". 
"Ho portato qualcosa, c'era il KFC aperto e ne ho approfittato, disturbo?" Domandó Chris posando le buste sulla tavola e cercando di non curiosare sulle cose che guardavano i due.
"Grazie" si limitó a dire Kat, spegnendo il pc e accomodandosi sul divano, cercando di evitare conversazioni imbarazzanti che includessero Jackson e Chris.
"Ne ho preso uno anche per te" disse Chris a Jackson, porgendogli una scatoletta di alette di pollo. 
Jackson annuì e fece un cenno con la testa in segno di ringraziamento, perché anche per lui era difficile poter parlare con Chris, era difficile parlare con tutti in quella situazione. Sembrava che quegli otto mesi non fossero mai passati e soprattutto sembrava che fosse ricominciato tutto da capo. Si domandò se non fosse proprio la vicinanza con Katherine a far succedere questo, continuava a pensare che, forse, il suo viaggio a New York era stato un'enorme sbaglio dettato dalla follia.
 
La giornata di Elis era più o meno simile a quella di Kat, poiché anche lei doveva sottostare ad una conversazione imbarazzante a differenza che era stata lei stessa ad essersi messa nei guai. 
"Non ci vediamo da così tanto tempo!" Esclamó Mik abbracciandola 
" Eh sì, da troppo..." Rispose El ricambiando il suo abbraccio. Si era ormai resa conto che le cose non erano più come una volta, e che il loro rapporto, almeno per lei, stava totalmente cambiando, ma aveva bisogno di capire se questo suo presentimento era giusto o meno. Non poteva buttare all'aria dieci mesi per un suo capriccio o cambiamento d'umore. Era diventata una donna, e le donne si comportano così. 
" c'è qualcosa che vuoi raccontarmi o parto io?" Lei sorrise a questa domanda, era buffa, perché c'erano davvero così tante cose che El doveva raccontare a Mik ma partivano da dieci mesi prima, decise di lasciare spazio a lui e così ascoltó felicemente tutta la storia di Mik nelle scuole newyorkesi e il suo soggiorno dalla mamma, era serena di vederlo e sentirlo, si sentiva a casa, e non sapeva se questo fosse stato un bene o un male. 
"... Tu?" Domandó poi il ragazzo ad El, ormai lei aveva esaurito le domande e lui aveva esaurito la storia, quindi doveva per forza parlare di qualcosa senza sentirsi a disagio, e questo era davvero complicato.
"Ci sono due nuovi coinquilini in casa nostra, sono maschi ma sono tranquilli... Mhh..." El pensava a cosa potesse aggiungere alla sua storia per far credere a Mik che le cose non fossero cambiate e che lei era la stessa di dieci mesi fa "è ritornato Max, siamo felici perché non lo vedevamo da tanto tempo, è davvero cambiato, l'università gli ha fatto bene." 
"E come sta? Non lo vedi da quando siete andati al funerale di quella sua amica... Sarà stato straziante per lui." Mik sapeva qualcosa, o meglio sapeva una grande bugia che però nascondeva una verità che era impossibile nascondere agli occhi di tutti: Lydia era morta. Ma chi era Lydia? Ecco che Elis dovette inventarsi la storia di una vecchia amica di Max che andava alle elementari con lui e che era una grande amica di quest'ultimo, i due avevano avuto una sorta di storia ai tempi del liceo per poi concluderla ma restare comunque grandi amici. Questa storia non fu raccontata solo a Mik ma a tutti i loro cari. 
"Si va avanti, si va sempre avanti no?"
Lui annuì "tu stai bene?" domandó
Elis voleva poter raccontare davvero cosa sentisse in quel momento, voleva potersi sfogare, piangere ed essere consolata da lui, ma come faceva a dirgli che qualche mese dopo essersi conosciuti lei aveva ucciso un uomo insieme ai suoi due compagni? E che questo,poi, avrebbe portato delle gravi conseguenze che si sarebbero ritorte contro di loro ancora per molto? Mik sapeva della morte di Eremy Gliffer, perché tutti i giornali ne avevano parlato ed era impossibile restare impassibili a quella notizia. Sapeva anche che i tre erano stati interrogati e subito scagionati perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, così avevano giustificato l'accaduto gli avvocati. E per quanto riguardava Lydia? Il caso della cameriera del motel? Bé, nessuno conosceva quella Lydia a parte i ragazzi, gli avvocati pagati da Jackson e Jackson. Per i familiari, gli altri avvocati e gli amici, Lydia non era mai esistita. I genitori dei tre l'avevano vista solo una volta, attraverso un computer, la notte in cui decisero di crearsi un alibi. Ma come ricordarsi di una donna vista in un computer più di otto mesi fa? Eppure sarebbe stato buono, in quell'occasione, avere un'ottima memoria. 
"Oh sì... Sto cercando un lavoro, qualcosa che può coprire per un po' l'affitto" rispose Elis
"Se vuoi posso racimolare dei soldi e aiutarti..." Lui allungó la sua mano e l'appoggió su quella di Elis, lei non la retrasse ma non era più come una volta, ormai ne era convinta. Valeva la pena ritornare sui propri passi o dire addio a davvero tutto del proprio passato? 
 
Katherine si trovava da sola a casa, in quei giorni usciva di rado e quando lo faceva, preferiva andare in quei bar appartati della città e godersi un bel caffè in silenzio e lontano dai rumori della città e della sua testa. Quella giornata era davvero calda, tutti si trovavano fuori per faccende personali e lei aveva deciso di riposarsi sul divano e restare così fino a che non sarebbe arrivata la cena e i ragazzi. Guardava il telegiornale tanto per cambiare, nonostante il relax, sperava sempre che uno dei tanti tg parlasse della scomparsa di Eremy Gliffer e trovasse gli assassini che, ovviamente, nella sua testa non erano loro. 
D'improvviso il telegiornale locale del Mainland diede una notizia dell'ultima ora proprio su quei sotterranei che si ritrovavano a ridosso della Chiesa del paese, era di quello che parlava la mamma di Kat, ed era a quello che Kat pensava ogni giorno. Le ronzava in testa quest'idea che Eremy avesse fatto parte di una di quelle confraternite, e che ora, la sua stessa confraternita, avesse voluto vendetta. Ma come sapevano di loro? Come sapevano di tutto questo? Erano stati seguiti? Erano stati spiati? Poi Kat ricordó... E ricordó davvero tutto di quella notte, per così tanti mesi avevano dimenticato la parte più importante della storia mai raccontata, avevano dimenticato il pezzo fondamentale di una storia così contorta: il vecchio benzinaio è quella strana bibita che li avrebbe fatto andare in carcere. 
Quel vecchio, quel vecchio bastardo, la causa di un incubo senza fine. E se la spia fosse stata proprio lui? E se, per la prima volta, Katherine fosse davvero arrivata ad una soluzione? Così che la ragazza si alzó prontamente dal divano e chiamó tutti a casa, anche Max, doveva parlare con loro, era troppo importante.
 
Lucy era sempre solita camminare per le strade della città di New York sotto il falso nome di Meredith, nessuno lì la conosceva eppure si aveva l'impressione che quest'ultima potesse aver paura che qualcuno la riconoscesse. Camminava sempre incappucciata ed attenta a chi la guardava e chi guardava, non si sentiva al sicuro, nemmeno in casa sua. Le chiamate con Connor erano frequenti se non quotidiane, i due escogitavano chissà quale tipo di piano che comprendesse la protezione di Katherine da chissà quale mostro e qualcosa che comprendeva il licenziamento del padre di Lucy dal commissariato. Tutto era molto incasinato, ma entrambi puntavano ad un solo obiettivo: portare a termine il piano.
 
"Perché ci hai riuniti tutti qui?" Domandó Max stranito "se si tratta di quella cosa, io mi tiro fuori..." Continuó
" comoda chiamarla 'quella cosa'” s'intromise Elis 
"Ho imparato dalla migliore" rispose Max facendole l'occhiolino.
" Ho scoperto una cosa che potrà esserci utile. Anzi non l'ho scoperta, ho solamente ricordato dei dettagli che tutti voi avete omesso. Il vecchio. Il vecchio con la bibita magica, il vecchio che abbiamo mandato al diavolo il giorno in cui è successo. Quel vecchio c'entra qualcosa, io ne sono sicura, sono sicura di tutto questo e ho deciso di andare ad Atlanta, di ritornare in quella pompa di benzina e di chiedere di lui, ho deciso di mobilitarmi, ho deciso di fare qualcosa che non sia piangersi addosso, che non sia litigare con i miei amici e che non sia continuare a dire bugie per potersela cavare per altri otto mesi. Chi è con me domani si parte alle 8, diremo a Chris e ad Harry che ci sarà una rimpatriata del nostro liceo domani, non si interesseranno più di tanto se saremo convincenti." Kat fece tutto questo discorso senza nemmeno prendere fiato, aveva bisogno di scoprire qualcosa di concreto, aveva bisogno di scoprire chi aveva ucciso quella notte e soprattuto aveva bisogno di cercare di perdonare se stessa, e per perdonarsi aveva bisogno prima di accettare di aver ucciso un uomo e quale uomo. 
" Io sto con te." Disse Jackson, poi continuò " Il vuoto che ho provato in questi mesi non era dettato dal fatto di rivolerti indietro, ma era dettato dal fatto che io sono stato complice di un omicidio che nemmeno io conosco. Voglio sistemare la mia vita e non incasinarla ancora di più, ho bisogno di colmare questi vuoti. E partirò da quello più complicato." Disse lui guardando compiaciuto Kat che, nel contempo, per la prima volta, era fiera dell'uomo che si trovava davanti 
"Ci sto. Ci sto perché sono stanca di giustificare tutto quello che mi è successo dando la colpa a chi mi sta intorno. E sono stanca di vivere una vita così." Disse El guardando i due e sorridendo, sorridendo davvero. 
Max non rispose per un po', gli altri si guardarono e decisero di attuare i primi piani per poter arrivare ad una sorta di verità fino a quando il ragazzo non proferì parola 
" vorrei dire anch'io sì, vorrei davvero poter guidare domani fino ad Atlanta, per vendicare Lydia, per accettare il fatto che l'artefice sono stato io, per un paio di cose che ho spiegato fin troppo in questi otto mesi. Ma sto cercando di voltare pagina, e voltare pagina vuol dire girarla indipendentemente da come quest'ultima sia finita. La mia ultima pagina non ha avuto un lieto fine ma ha avuto decisamente una fine, ed è avvenuta al funerale di Lydia. Buona fortuna ragazzi e scusatemi se sono un vigliacco ma sono stanco di vivere un incubo a ripetizione, voglio uscirne." Max abbandonó la stanza e salì nella sua di camera e ci restó per tutta la giornata.
 
Lucy si trovava in una di quelle tavole calde nel centro di New York, amava passeggiare per la città e infatti di rado si trovava nel suo appartamento 
Quella giornata per lei era ancora più bella, risplendeva di un non so chè che la rendeva felice e forse non era nemmeno più preoccupata come prima. 
"Pronto?! Connor? Sì, amore, ce l'ho fatta, sono dentro." 
Mentre diceva queste parole, in mano aveva una carta che raffigurava un occhio e un triangolo appuntito, era qualche carta di qualche massoneria, confraternita. Era quella da dove si vide uscire pochi giorni prima Harry. Sarebbe stata, poi, la soluzione ad ogni problema. E Lucy c'era quasi vicina. 

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Capitolo 5
*** 2x05 Perdono ***


Quello che non ci insegnano a scuola é come superare un lutto. Quello che non ci insegna la vita è come superare la morte di qualcuno. Ci alziamo un mattino, e scopriamo che un nostro caro, un nostro amico, insomma qualcuno nel mondo è venuto a mancare. È morto. Non vive nessun'altra vita dopo, sì certo c'è la questione religiosa, ma se la mettessimo da parte? Mettendo da parte questo, che ci rimane? Un corpo morto, un corpo da sotterrare, e poi? E poi basta. E se non riusciamo a superare un lutto, come riusciamo a superare la morte che noi stessi abbiamo causato ad una persona? La penso così: quando siamo noi a dare la mazzata finale ad una persona, a farla smettere di vivere, a farla smettere di sorridere, piangere, bere e mangiare o si diventa cattivi o si muore. E vale la pena perdere la vita? E vale la pena diventare cattivi? C'è un detto che recita “o si muore da eroe o si vive tanto a lungo da diventare il cattivo.” Sono arrivata a questo punto della mia vita. Ho ucciso una persona, ho minacciato diverse volte con una pistola una donna per farsì che quest'ultima stesse al mio gioco, fosse una mia
pedina,diventasse parte integrante del mio essere cattiva. Insomma non sono un eroe perché l'eroe salva le persone da un casino totale. La storia qui non l'ho salvata io, la storia io l'ho creata. Sto vivendo tanto a lungo da diventare il cattivo.Si può arrivare ad un punto della vita e desiderare di vivere il più possibile per diventare quello che nessuno vorrebbe essere? Mi sono sempre chiesta quanta gente malvagia vivesse al mondo, quanti anti eroi facessero parte del mio quotidiano e della terra, ma non mi sono mai posta la vera domanda: E io da che parte sto? 


-    KATHERINE.


“Come lo chiamano questo?” Domandò Kat alla sua amica Elis che, nel mentre, cercava di scrivere una lettera
“ Il muro del perdono” disse poi 
“che siamo tipo ebrei?” Domandò Kat ma fu subito interrotta da una ragazza che passava di lì e che, probabilmente, aveva anche lei da chiedere perdono a qualcuno. 
“Mettila così: é una sorta di confessione con la differenza che tu non devi dirlo a nessuno, lo scrivi su un muro e poi lo butti all’interno. Resterà qui in eterno, nessuno potrà mai sapere cosa hai fatto, cosa vuoi che la gente ti perdoni, nessuna saprà nulla a parte questo muro. Ma i muri non parlano, quindi sei assicurata per tutta la vita. E non so quanto ti possa convenire, non so quanto possa convenire questo muro a tutti noi. Ehi, ma siamo esseri umani, e gli esseri umani sono vigliacchi di natura. E quindi sì, é preferibile un muro piuttosto che un uomo. Nessuno può giudicarci” 
(Sarah Hyland è Margot Davis)

Kat ed Elis guardarono questa ragazza, non erano a conoscenza di chi fosse, ed era alquanto stramba. Aveva i capelli colorati di tanti diverse e tinte, aveva il braccio pieno di gingilli e ad ogni dita aveva un anello con una preghiera stampata sopra.
“Una specie di santona?” Domandò Elis fissandola per bene
“ ecco cosa intendo con ‘non possiamo essere giudicati’. Un muro non mi guarderebbe mica così se gli dicessi che ho ucciso una persona.” Sorrideva come se fosse a conoscenza di tutto ma non le importava niente, perché, alla fine, tutti uccidono qualcuno. Quello era il suo sguardo. Ovviamente era una pista falsa. Questa donna non poteva sapere di quello che era successo ad Atlanta, nessuno sapeva. Gli unici che erano a conoscenza di qualcosa erano tre metri sotto terra a dormire per sempre.
“Sono Margot. Margot Davis.” Sorrideva. Ed era strano, si trovava davanti ad un muro del perdono e sicuramente cercava di farsi perdonare qualcosa al quanto grave, parlava di vigliaccheria umana, parlava di pregiudizi ma sorrideva. 
“ Elis e Katherine.” Le due la guardarono a lungo, fino a che non decisero di gettare la loro carta del perdono oltre il muro e andare via. Margot le guardava sorridendo e decise di lasciare il campo senza però buttare la sua carta del perdono. Dalle sue parole si era intuito che odiava queste tipo di cose perché rendeva l'uomo vigliacco e fifone davanti ai guai della vita. Ma allora perché stava lì? 
Le due dopo poco arrivarono all’auto di Jackson, erano dirette ad Atlanta per scoprire se il vecchio lavorasse ancora alla pompa di benzina e potessero quindi estorcergli delle risposte a tutto quello che era successo. 
Ma prima si erano volute fermare a questo muro del perdono che si trovava nei pressi della casa dei genitori di Elis. Lei ci andava da quando era piccola e aveva sempre creduto che questo muro l’avesse potuta aiutare con i problemi della vita, con la differenza che quando era piccola di faceva perdonare stupide cose, non avrebbe mai pensato che sarebbe andata al muro del perdono 10 anni dopo chiedendo il perdono per aver commesso un omicidio. Che strana la vita pensava, però sorrideva. Era l'unica cosa che le era rimasta. Ed era tanto sorridere nonostante quello successo. 
“Che dite, ora i parenti di Eremy Gliffer ci perdoneranno?” Disse Jackson scherzando 

Davvero ci si poteva scherzare in momenti come questi? Pensava Elis, per poi ricordarsi i giorni passati a casa di Lydia a ridere di quello che era successo, a ridere del sangue, a ridere della morte dell’uomo, si era ricordata di quando ironizzava su un fatto così grave. E si ricordava come in quel periodo avrebbe preferito qualsiasi cosa alla prigione, anche mentire in tribunale se ce ne fosse stato bisogno. 
“ Quanto ci vorrà per Atlanta? Davvero non posso starti ad ascoltare ancora un secondo” disse Kat rivolgendosi a Jackson
“ Mi fai ridere, ti ho salvato il culo Katherine. Te l'ho salvato perché ho inventato una stronzata per farti uscire da li, l'altra sera le ho prese per proteggerti. Prego, comunque.” 
Katherine lo guardava, non avrebbe mai pensato che l'uomo della sua vita sarebbe arrivato a rinfacciargli tutto quello che pochi mesi prima aveva detto di averlo fatto per lei. 
Si limitò a girare la faccia verso il finestrino e a stare in silenzio finché non furono arrivati alla meta.


“Ehi” chiamò Chris vedendo Max da solo seduto in un angolo della cucina a studiare qualche libro per l’università.


Dopo quello accaduto a Jackson e la faccenda Eremy Gliffer ancora aperta, Max aveva deciso di fare domanda ad un'altra università per potersene andare al più presto da quella casa e vivere una nuova vita per la seconda volta. Aveva promesso che ne sarebbe restato fuori e infatti così fu. Non voleva averci niente a che fare, eppure il casino lo avevano provocato proprio le sue mani, il suo corpo, la sua testa, ma niente, Maxy si era ripromesso –dopo la morte di Lydia – che sarebbe andato avanti con la sua vita e che, quello, lo avrebbe codificato come un “grande stupido errore adolescenziale”.

 “Ehi” rispose 
“ perché sei sempre qui da solo? Posso?” Chris domandò indicando la sedia e Max fece segno di sì con il capo. 
“ Preferisco stare da solo.”
“ Posso domandare il perché ?” 
“ certo che puoi ma, davvero, non ti conviene.” Sorrise e poi aprì un pacco di cereali e li versò in due recipienti e poi ne offrì uno a Chris. 
“Solitamente quando sono con un amico, questo mi offre una birra, ma i cereali vanno bene uguale.” Sorrise e prese un cucchiaio.
“Sono astemio da otto mesi.” Disse Max mangiando la sua porzione di cereali
“Perché ?” 
“O sei curioso o cerchi semplicemente di essermi amico, in ogni caso ti ringrazio. Avevo voglia di parlare con qualcuno che non fossero Elis e Katherine.” 
“Non le ami molto in questo periodo?” Domandò
“No è il contrario. Il problema è che le voglio così bene che sono finito a mangiare cereali piuttosto che farmi una birra. C'è stato un tempo in cui noi tre eravamo il trio per eccellenza sai, lo stereotipo americano che trovi in ogni teen movie. Insomma, c’ero io che ero quello nerd intelligente, c’era Elis la bella, la principessina e poi c’era Katherine la nuova timida della scuola. Eravamo ricchi, invincibili, tutti ci volevano come amici, non sai quante volte Kat ed El sono state arrestate per le stupidaggini che facevano, io ero più serio, io ero più calmo. Eravamo invincibili amico, però poi mi hanno insegnato che solo Hulk é invincibile, e non esiste, quindi teoricamente non lo è nessuno. Infatti, non lo siamo stati nemmeno noi. La nostra forza è scomparsa e ci siamo rivelati essere tre agnelli guidati dai soldi dei paparini. E sai quando ci si rende conto come si diventa? Fragili. Ecco, siamo diventati fragili, e ora siamo così.”
“ Avete avuto dei problemi? Sai, queste americanate le vedo solo nei film. Io vengo da Detroit è lì essere ricchi è un miraggio, certo c'è gente che nasce fortunata e gente che invece no. Bè, io faccio parte di quella ‘no’. Questi problemi da ricconi mica li conosco.” Rispose Chris sorridendo 
“ Mi definisci fortunato, ed in effetti, chi ha soldi è fortunato no?” Chris annuì pensando di dare la risposta giusta, non sapendo dove la conversazione stesse realmente andando a parare. 
“ Allora ricordati della mia fortuna se dovesse mai succedermi qualcosa. Ciao amico, io salgo sopra, studio un po’. Quando le cose si faranno più semplici ci andremo a fare una birra, insieme.” 

Chris lo salutò e rimase lì. Restò sorpreso da quella conversazione, e dal ragazzo che stava conoscendo man mano. In un primo momento decise di chiamare Kat per farsi dare delle spiegazioni, pretendeva delle spiegazioni. Da quando in quella casa era entrato Jackson le cose non si capivano più e lui si sentiva ancora di più un estraneo. Poi decise di non chiamare nessuno e di confidare nel fatto che prima o poi qualcuno gli avrebbe raccontato qualcosa riguardo a tutta quella faccenda. Gettò i cereali, non si fidava di Max, prese una birra e andò al piano di sopra, cercando di non destare curiosità e di non aprire la porta della camera del ragazzo. Per la prima volta Chris aveva avuto paura, e Max esteticamente non era nulla in confronto al vichingo che era, invece, Chrisopher. 

“Siamo arrivati?” Domandò Elis scocciata dalla situazione imbarazzante che si era creata tra Jackson e Katherine.
Kat cominciò a ridere e i due la guardarono con sguardo interrogativo “no niente...” Cominciò “è che mi ricordo di quando andammo ad Atlanta perché volevi vedere Jackson ed ogni volta chiedevi che ore erano perché eri stanca delle ore di viaggio. Che poi, strano, tu già frequentavi il nostro professore, quindi, mi chiedo, perché avevi così tanta voglia di vedere Jackson?” 
“Oh, ero solo stupida.” Disse e si stese cercando di non ricordarsi di quella sera, non sapeva perché Kat felicemente raccontasse certi aneddoti.
“Mi baciasti.” S’intromise Jackson e così El comincio a ridere pensando a quanto quella situazione  - raccontata - fosse così buffa e felice “Kat ci restò di merda”
Al che Jackson e Katherine si guardarono per qualche secondo e, forse, i sentimenti stavano quasi raffiorando, per poi morire subito dopo. 
“ Chissà a cosa stavo pensando quando mi arrabbiai guardandoti baciare Jackson.” 
“Gentile.” Rispose Jack ironicamente
“Come lo sei stato tu qualche ora fa” concluse Katherine.
“Oh eddai, siete noiosi e monotoni. Voi due vi amate e siete destinati a stare insieme per tutta la vita, purtroppo. Non c'è niente da fare, vi punzecchiate perché senza non potreste vivere. Anche in questi otto mesi che siete stati lontani, tu Kat mi parlavi sempre di lui e tu Jack, postavi foto di te divertito e ubriaco in qualche locale su Instagram sperando che Kat le vedesse. Siete noiosi quando fate così, perché voi vi amate e vorrei averla io una storia del genere. Vorrei poter punzecchiare Mik per andare avanti e vorrei poter odiarlo ma giusto perché é una noia amare. Voi vi odiate e quindi state bene insieme, oddio é un controsenso che manda in confusione, ma smettetela di fare così perché poi diventate noiosi. Odiatevi baciandovi e abbracciandovi e odiatevi amandovi. Basta punzecchiare, anche se lo fate perché vi fa stare bene, magari risolvete prima i vostri problemi con i vostri sentimenti e poi vivete la vostra vita a punzecchiarvi. Magari dopo però, quando avete risolto queste vostre questioni di cuore.” Disse definitivamente Elis per poi stendersi sui sediolini di dietro e cercando di addormentarsi. 
I due si guardarono, questa volta a lungo perché il semaforo segnava il rosso. Jackson sorrise per un secondo e capì, finalmente, perché si trovava a New York e che erano destinati ad essere fino alla fine. Erano la coppia del ‘fino alla fine’ e nessuno avrebbe potuto impedirglielo. 



“Sono in ritardo?” Urlò Harry dalla porta d’ingresso, non vedendo nessuno in cucina a preparare qualcosa di buono per la cena. 
Chris scese subito le scale e fece segno con il dito di abbassare la voce, poi si avvicinò a lui e gli porse una scatoletta di cibo cinese. I due si sedettero sul divano e accesero la TV guardando qualche partita di baseball registrata.
Dopo un po’ Chris prese la parola “avevi ragione.” 
Harry lo guardò e con la bocca ancora piena gli fece cenno di spiegarsi meglio 
“Dobbiamo proteggerci.” Disse Chris 
“Proteggerci da cosa?” Domandò Harry stranito. 
“Da loro.” Harry finalmente capì che Chris ci aveva finalmente visto bene su quei ragazzi e lo rassicurò mettendogli una mano sulla spalla. In quella casa ognuno nascondeva dei segreti, ed Harry era quello più losco e pericoloso, mentre Chris era quello che invece doveva riuscire a stare lontano da quel branco di leoni. Essendo lui, un agnello. 


Jackson, Elis e Katherine erano finalmente arrivati a destinazione, si trovavano di fronte alla pompa di benzina dove, otto mesi prima, Max aveva preso quella bevanda che portò all'accaduto. 
“Quanti ricordi” disse El “quanti brutti ricordi” aggiunse Kat e poi si avvicinò lentamente al bar di fronte alla pompa. Camminava a passo lento perché ogni qual volta che faceva un movimento ricordava una scena di quella sera, era impossibile dimenticare. Anche le cose accadute prima dell’omicidio lei le ricordava, lei ricordava ogni singolo secondo di quella giornata, del 7 gennaio. 
“È permesso?” Domandò la ragazza, nel bar non c’era nessuno e, probabilmente, era anche chiuso dato l’orario, però, stranamente, una ragazza al bancone c’era, ed era presumibilmente la cassiera, però non aveva sentito minimamente i passi di Kat perché aveva delle cuffie alle orecchie e ballava ignara del suo negozio e del suo turno di lavoro. 
“scusami!” Urlò Elis alzandole le cuffie dalle orecchie. 
“Oh buongiorno, cosa volete?” Si vedeva che quella frase era la prassi, perché la disse con fare annoiato quasi dimenticandosi che qualche minuto prima stava ballando sulle note di una canzone scatenata.
“Un'informazione.” Dissero all’unisono 
“Non vendiamo informazioni, vendiamo sigarette, vendiamo telefoni prepagati e vendiamo snack.” Disse con una faccia ancora più scocciata.
“Per caso qui ha mai lavorato un uomo, più o meno sulla sessantina, con la barba...capelli bianchi.” Cominciò Jackson ignaro di quello che aveva detto poco prima la cassiera 
“Sembrava un po’ un barbone” aggiunse El e i due amici la zittirono con lo sguardo.
“L'unico uomo con la barba e con i capelli bianchi che ho visto lavorare è Babbo Natale e lavora in Finlandia, qui siamo ad Atlanta.” Disse lei
“E pensare che ti avevo presa come una che non usasse humor” rispose schifata ed infastidita El 
“Quindi sei tu l'unica a lavorare qui dentro?” Riprese, poi, la conversazione Katherine e la ragazza annuì per poi entrare in una porticina e restarci per un bel po’ di tempo, probabilmente era il bagno.
“La pompa di benzina è questa, ne sono sicura.” Replicò Kat incredula, non poteva pensarci che in quel posto un vecchio non ci fosse mai entrato. Non era frutto della propria immaginazione, tutti e tre lo avevano visto e tutti e tre gliene avevano dette quattro al telefono. Esisteva ma si nascondeva bene. 



“Propongo una teoria” disse El dopo poco che erano andati via dalla pompa e si erano fermati a mangiare un boccone in una tavola calda.
“Spara!” Dissero gli altri due.
“Meglio di no, già ne ho fatto uno fuori qui ad Altanta.” Disse El ridendo per poi continuare “ sappiamo che ci sono dei sotterranei a Mainland e lì hanno trovato delle carte riguardante queste massonerie e diciamo vogliono far del bene nel mondo, quindi rubano ai poveri per dare ai ricchi... Una sorta di Robin Hood insomma. Della massoneria in questione sappiamo solo questo. Tu Kat ipotizzi che Eremy ne facesse parte, e che questi suoi amici ora ne rivendicano la sua morte. Perché otto mesi dopo? Non ne abbiamo la più pallida idea, ma è rilevante? ENNEO. Quindi, siamo rimasti che, sempre secondo Kat, anche questo vecchietto facesse parte di questa massoneria, in quanto ci siamo rese conto, sempre dopo otto mesi, che in qualche modo ci ha sempre spiati. Che fosse stato proprio lui il Robin Hood in questione quella sera?” 
I due la guardarono con sguardo interrogativo, proprio non avevano afferrato il punto.
“Vi spiego meglio: questo gruppo aiuta i poveri per dare ai ricchi, però non sono robe così da quattro soldi ma è roba seria e lo abbiamo visto da come questi abbiano un grande capo e il grande capo cerchi vendetta. Quindi può essere che ogni sera mandavano un ragazzo, un vecchio, uno di loro insomma e lo facevano diventare il proprio Robin Hood, ovvero lo facevano rubare ai ricchi, in questo caso noi, per dare ai poveri, in questo caso qualche povero di Atlanta. E il Robin Hood? Semplice, era il nostro vecchietto travestito da barista della pompa di benzina. Cosa ci faceva Eremy Gliffer la stessa sera del vecchietto e perché ci elemosinava denaro? Forse perché il piano del vecchio non era proprio andato a gonfie vele, poiché la bevanda fece effetto dopo a Max e non subito, quindi, diciamo che il vecchietto X non poteva derubarci perché ancora lucidi, ecco che subentra Eremy Gliffer e si finge povero per derubarci. In sintesi potremo chiamarla legittima difesa perché ci voleva derubare.”
I due restarono a bocca aperta per circa venti minuti, mentre Elis continuava a mangiare il suo panino soddisfatta. Per la prima volta era stata l’eroe della storia, ed era da tanto che non lo era.
“E tutto questo perché?”
“Perché ieri ho visto il finale estivo di Pretty Little Liars.”

Lucy finalmente era dentro, finalmente ce l’aveva fatta. E, come volevasi dimostrare, si trovava nel capanno della massoneria di Eremy Gliffer, del vecchietto e, presumibilmente, di Harry.

Aveva abiti diversi, erano stracci più che altro. Il telefono le era stato sequestrato, quindi aveva altri modi per comunicare con Connor, perché i due non dovevano mai lasciarsi.
“Benvenuta.” Tutti l’accolsero così e lei si sentì al quanto in imbarazzo poiché era l'unica donna in mezzo a tanti maschi... O forse no. 
“Finalmente non mi sento la sola.” Disse una ragazza sorridente, un po’ scombinata ma bellissima.
“Come hai fatto a vivere con così tanti maschi per così tanto tempo?” Chiese Lucy alla ragazza
“Siamo tutti fratelli, questa setta, se vogliamo chiamarla così, l’abbiamo creata tutti insieme. Avevamo bisogno di un leader, perché come ogni gruppo che si rispetti c'è bisogno di un uomo che ci guidi, ma siamo tutti fratelli e tutti allo stesso livello.”

“Spero che anch'io possa diventare come voi un giorno. Io sono Lucy, però nel mondo reale mi sono data il nome di Meredith. Tu?”
“Io sono April e nel mondo reale sono Margot, Margot Davis.”
Le due sorrisero.


“Dobbiamo dirlo a Max? Dobbiamo dirgli di questa tua folle teoria?” Domandò Kat ai due che, nel mentre, stavano prendendo la strada di casa.
“Ha detto che vuole starne fuori, e così sia.” Concluse Elis
“Mh, va bene. Jack?!” Chiamò Kat e lui si girò prontamente poiché, ogni volta che Katherine lo chiamava così, non c'era odio che teneva.
“Prima di ritornare a casa vorrei passare di nuovo al muro del perdono, cinque minuti, giusto per gustarmi quel posto di sera.” Lui annuì.


Harry e Chris non avendo ricevuto chiamate dalle ragazze decisero di addormentarsi sul divano ed aspettarle lì. Nel frattempo Max si era chiuso nella propria stanza per poter studiare o meglio, per cercare di poter studiare. Aveva un quadernino vicino ai suoi libri dove, al di sopra, scriveva la data del giorno corrente ed un suo pensiero. Ad ogni pagina c'era un rigo scritto in memoria di Lydia, quello di quel giorno faceva così 

“Anche oggi mi manchi, e anche oggi ripenso a quella nostra telefonata dove ci dicevamo addio in questa vita ma ciao in un'altra. Ti amo.” 
Dopodiché ripose il suo quadernino sullo scaffale e, come se niente fosse successo, ritornò ai suoi libri e alla sua nuova presunta vita che stava per crearsi lontano da lì.

I tre finalmente si trovavano a Mainland e decisero di scendere tutti dalla macchina e di stendersi sul prato che dava a quel gigante muro.
Katherine cercava di convincere Jackson a scrivere qualcosa, un pensiero, ma lui era diffidente su certe cose e preferiva tenersi per sé il suo passato. 
Elis nel mentre era seduta su una panchina a contemplare il suo muro del perdono e a ricordare i momenti passati lì quando era piccola, insieme ai suoi genitori. Quel muro era così importante perché quando suo padre fu eletto per la prima volta sindaco lo fece costruire, per le persone, per il perdono, per far sentire il popolo più sicuro nella propria terra. La prima carta del perdono fu gettata proprio da Elis. E su quella sua prima carta c’era scritto di essere perdonata per aver rotto la bicicletta del padre. Stupidamente pensava che i suoi peccati da lì a 20 anni non sarebbero cambiati, sarebbero piuttosto mutati a seconda della sua età, ingenuamente si sbagliava. E a 19 anni doveva chiedere perdono per aver ucciso un uomo, per aver fatto omissione di soccorso e aver occultato le prove. E per tutta la faccenda “Lydia Cortez”, ne sarebbe mai uscita ? 

“Mi mancava stare con te, in silenzio.” Disse Jackson a Kat, entrambi stesi sul prato.
“Anche a me.”
“Scusami per prima.” Disse lui
“Scuse accettate. E insomma, dispiace anche a me averti trattato così e averti messo nei guai.” 
“Colpa mia anche qui.” Lei lo guardò cercando una spiegazione, poi Jack continuò “mi sono innamorato di te, Kat. Se non mi ci avessi messo tu in questa situazione, mi ci sarei messo da solo. È l’istinto. Ti vedo e voglio proteggerti. E ti ho visto, quella sera, e il mio istinto mi ha fatto capire che dovevo proteggerti. E non smetterò mai.”

Lei lo guardò e sorrise, per poi stendersi nuovamente sul prato, prendere la sua mano e chiudere gli occhi. Non esisteva niente, non c'era assolutamente niente. Vuoto. Calma piatta.



Dopo qualche ora i tre decisero di prendere la strada verso casa, ci sarebbero state molte altre ore da lì a New York, avrebbero impiegato una giornata. E dovevano sbrigarsi. Kat mandò un messaggio a Chris per tranquillizzarlo e per dirgli che sarebbero rincasati presto. Poi, passata l’alba Katherine decise di porre una domanda ad Elis che aveva da tutta la giornata dentro: “El, ma tu che c’hai scritto nella carta del perdono?” 
Lei la guardò “lo sappiamo solo io e il muro. Shh!” E chiuse gli occhi.


Ho fatto una cosa brutta. Ho deciso che era il momento adatto per sfogarmi con te. Sono anni che non vengo a dirti nulla, perché i miei peccati oscillavano dal “ho fatto arrabbiare tanto la mamma" al “sono stata arrestata perché mi piace bere” e pensavo che quello fosse il mio culmine. Non pensavo di arrivare a tanto nella mia vita, eppure eccomi qui, sono qui a dirti che ho ucciso un uomo, presumibilmente un barbone, da poco abbiamo scoperto che fa parte di una di quelle sette di gente di merda. Quindi ho ucciso un barbone di merda. Non funziona, non mi sento meno in colpa. Dopo averlo fatto, ho buttato il suo corpo nell’acqua, senza pensare se avesse una famiglia, ma solo a pensare se io dopo quello che era successo l’avessi rivista più la mia famiglia. Poi una ragazza, è morta in un incidente aereo, non è colpa mia, eppure mi sento in colpa. L’abbiamo messa in mezzo, storia lunga. Ed è morta. Io e i miei amici ci parliamo ancora perché condividiamo questo segreto sennò immagino che dopo gli anni di carcere che ci sarebbero dovuti essere, ognuno per la sua strada. La mia vita va così. Male vero? Sì abbastanza male che mi sto anche divertendo. Sono pensieri malsani o è normale pensare questo? Sono psicopatica oppure ho soltanto paura? Bene, so solo che in carcere non ci sono andata ed il caso è stato archiviato come “non risolto”. Io ce l'ho la soluzione, la soluzione sono io! Mi sento come in quei reality show dove il concorrente non sa proprio cosa dire, mentre io sì. Io lo so che dire, sai cosa? Ho ucciso io Eremy Gliffer. Questo c'è da dire. Invece sto zitta e aspetto che perdi, e magari me la rido pure. Concludo dicendoti che da piccola speravo sempre di non diventare una dei cattivi, ricordi? Ti scrivevo così tante carte del perdono e ti chiedevo pregandoti di perdonarmi così da non diventare cattiva. Ultime notizie, sono cattiva. Sono una di loro. Spero che tu possa perdonarmi almeno questo. Perché per le altre cose, non chiedo il perdono. Perdona la bimba non me. Perdona la bimba che aveva promesso di non diventare cattiva però poi non l'ha mantenuta. Per quanto riguarda me, sono vuota, cattiva e disoccupata. E sono qui, sono in piedi e quasi mi faccio una risata.

-    ELIS. 

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Capitolo 6
*** 2x06 KATHERINE. ***


Erano passate tre settimane dall’ultima volta he avevamo aperto l’argomento ‘Eremy Gliffer’, Jackson continuava a vivere da noi e per Chris ed Henry, lui era il ‘signor nessuno’ poich non avevamo ancora spiegato la sua valenza in quella casa, Max veniva e andava da casa perché faceva degli incontri segreti chissà dove a parlare di chissà cosa, e per noi restava l’estraneo che varcò la soglia di casa un mese fa abbracciandoci e chiamandoci sue grande amiche. Il che non era vero, non era per niente vero. Eravamo tutti estranei che vivevano nella stessa casa, che mangiavano le stesse cose ma che non vivevano realmente insieme, eravamo coinquilini sulla carta ma niente più.
“Questa situazione mi ha scocciato.” Esordì Elis.
“ Siamo in due.” Risposi.
“ E quindi come dobbiamo comportarci con gli “uomini di casa”? domandò lei.
“ Come abbiamo sempre fatto.”
“ Ovvero?”
“ Comportandoci noi come gli uomini di casa. Oramai è un anno che in questa situazione siamo noi gli uomini.”
“ Non rigirare sempre sulle stesse cose Kat.”
“ Ah no?”
Lei mi guardò e poi voltò la faccia dall’altra parte facendo finta di fissare la finestra e la pioggia che cadeva in un bruttisimo giorno di un bruttissimo mese di un altrettanto orribile anno.
“ El mi guardi e mi dici che è stata tutta colpa nostra? Se lo farai me ne farò una ragione e chiederò scusa a chiunue tu voglia, ma dimmi che è colpa nostra e che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, dimmelo. Però guardandomi in faccia.” Le dissi, lei si girò verso di me, mi guardo con occhi lucidi e cerco di trattenere il pianto.
“ Non è colpa sua El.”
“ Non è nemmeno colpa nostra.” Dissi.
“ E allora chi ha ucciso quell’uomo?”
“ Max.”
“ KAT!”
“ Oh quindi pensarlo va bene, dirlo però no?” le chiesi urlando.
“ Lui è stato l’artefice ma noi non siamo vittime sacrificali, ci siamo dentro quanto lui.”
“ E Jackson?” chiesi. “ Jackson, dimmi, che c’entra? E Lydia? Lydia che c’entrava? “
“ Guarda che sei stata tu a metterli in mezzo.” Mi rispose rivolgendo nuovamente lo sguardo quella dannata finestra che era meglio se restava chiusa.
“ La situazione mi ha portato a farlo. Ritorniamo sempre sullo stesso discorso EL! L’uomo di casa dal prmo giorno fino all’ultimo sono stata io. Ho messo in mezzo Lydia per farsì che noi avessimo un’alibi decente, ho messo Jackson in mezzo per farsì che Lydia non marcisse in galera ingiustamente. Eppure… eppure mi sembra che l’assassino sia io e non Max.” le urlai.
“ Smettila di puntare il dito solo contro Max. E’ passato un anno, siamo ancora al punto di addossarci la colpa?”
“ Sai perché sono di nuovo a questo punto ?” Questa volta Elis si girò e per la prima volta in quella conversazione, i suoi occhi guardavano fisso i miei, erano sempre lucidi, sempre tristi, ma questa volta puntavano proprio su di me. Le labbra le tremavano, le pupille ormai non si vedevano più perché invase da lacrime trattenute e il suo volto era pallido. Questa storia la stava facendo ammalare, e non c’era una cura per quella cosa che le stava accadendo. O forse c’era, ma era rischioso. Il carcere? C’avevamo mai pensato al carcere? Dopo tutto quello che era successo e la prigione ci sembrava un’idea così lontana nonostante fossimo assassini e quello che ci doveva aspettare era proprio quello.
“ El sono a questo punto perché Max ha mollato. Si è arreso e ci ha lasciate sole e quindi è come se non si prendesse le sue responsabilità, non è giusto. Non è giusto che Lydia sia morta, che Jackson le abbia prese, che tu dorma con gli incubi, che io mi veda come il mio peggior nemico e che lui, invece, si tiri indietro. Non è giusto. Non ci meritiamo questo dopo quello che è successo.”
“ Eppure è successo.” Disse Elis strofinandosi gli occhi.
“… Eppure è successo.” Le feci eco.

 
“ E’ permesso?!” domandò Chris che era appoggiato alla porta della mia camera.
Io annuì e gli feci spazio nel mio letto.
“ Che onore.” Disse lui.
“ So di doverti delle spiegazioni.” Dissi
“ Posso aspettare.” Rispose poggiandosi sul letto affianco a me.
“ Non puoi aspettare per sempre.”
“ Non posso, perché non vivrò per sempre.” E rise
“ Chris…”
“ Ti ho che posso aspettare.”
“ Perché?”
“ Cosa?” mi chiese guardandomi dritto negli occhi. Ultimamente tutti mi guardavano dritto negli occhi come se non potessero farne a meno. E questo mi imbarazzava. Pensavo. Era una bella cosa. Imbarazzarsi ancora. Magari ero ancora umana, magari provavo ancora queste cose che provano le persone normali. Nonostante avessi maneggiato una pistola, avessi minacciato una donna, avessi investito ed ucciso un uomo, nonostante avessi occultato le prove di un omicidio, nonostante avessi tolto la vita ad un uomo che voleva ancora vivere, io… io quando un ragazzo mi guardava negli occhi provavo ancora imbarazzo. Imbarazzante eh?!
“ Perché mi aspetti.”
“ Perché ho aspettato così tante persone e ho aspettato tante spiegazioni che sono ancora qui ad aspettare.”
“ Non ti farò aspettare a lungo. Il tempo di… di mettere in ordine le cose, di provare a riorganizzare la mia vita, di fare qualcosa che smuovi questa situazione.”
“ Non ti sto mettendo fretta.” Disse
“ Sì ma è che sono io ad avere l’esigenza di dirti le cose come stanno. M’importa di te, e m’importa di cosa tu pensi di me.”
“ Non credo che quello che sta succedendo cambierà mai le cose tra di noi.”
“ Oh…” pensai.
“ E’ tanto grave?”
“ Dipende dai punti di vista” dissi. Il chè non era affatto vero, poiché uccidere una persona non dipendeva affatto dai punti di vista. Mi avrebbe odiato, mi avrebbe denunciato e mi avrebbe insultato. E non sarebbe cambiato, nulla.
“ Il mio punto di vista è positivo. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno.”
“ Continua a farlo anche con me. Chris ti prego, quando… quando ti dirò tutto, guardami sempre così. Guardami come mi stai guardando ora.” Lui sorrise, mi abracciò e mi diede un delicato bacio sulla guancia.
“ E’ da quando che ti ho vista che il mio sguardo non è completamente cambiato nei tuoi confronti. Come posso mai farlo ora? Ora che mi sento così.. bene… mi sento bene. Non manderò tutto al diavolo. Non sono quel tipo di ragazzo.”
“ Ricordati di queste parole… quando… quando te ne parlerò.” E lo abbracciai. Lo abbracciai e chiusi occhi. Magari così passava, magari ero di nuovo Katherine Middelton a cui le piaceva fare le ore piccole, bere e divertirsi ma che sapeva crearsi i propri limiti.

 
“ Ehiii!” vidi dall’altra parte del marciapiede Mick Pakkins che stava comprando un libro. E mi salutò, si avvicinò lentamente a me e mi abbracciò, come se fossimo amici da tempo, non capendo che un anno fa era soltanto il mio professore di criminologia e quindi dovevano esserci dei limiti tra professore e studente che sarebbero dovuti esistere sempre.
“ Buongiorno signor Pakkins.” Dissi.
“ Ormai ti sei diplomata, sono il fidanzato della tua amica,, puoi chiamarmi anche Mick.” Disse lui scherzosamente.
“ Ho bisogno di … altro tempo.”
“ Ti capisco, anche per me è una situazione del tutto nuova. Innamorarsi di una studentessa e portare avanti una relazione così duratura.”
“ Come vanno le cose tra te e Elis?” chiesi rompendo un po’ il ghiaccio. In fondo stavo parlando sempre con un mio professore che si era innamorato della mia migliore amica. Niente insomma.
“ Presumo male, se lei non ti parla mai di noi…”
“ Oh no, no! Lei mi parla sempre di te, solo che ultimamente abbiamo un sacco di impegni che ci vediamo pochissimo. Colgo questa occasione, sai.”
“ Ora mi sento più sollevato. Le cose vanno abbastanza bene, solo che è come se a volte la vedessi estraneata, è come se non mi avesse raccontato tutto. E’ come se a parlare fossi sempre e solo io, certe volte. Vorrei poter essere una persona fidata per lei. Vorrei essere il suo ragazzo non solo per potarla fuori o per guardare film insieme.”
“ Lei è sempre stata così. A volte si estranea, ma si fida cecamente di te, Mick. Si fida cecamente.” Lo ripetevo per convincere prima me stessa e poi lui. Elis nascondeva fin troppe cose al signor Pakkins, e quelle cose non gliele avrebbe mai rivelate, perché lei ci teneva troppo a lui. Non lo avrebbe mai messo nei guai. Non avrebbe mai messo a repentaglio la sua vita. Lei lo amava forse troppo. E amare una persona, a volte, vuol dire, mentirle. Mentirle sulle cose più dolorose.
“ Spero che sia così. In fondo sei la sua amica più stretta, se non le sai tu certe cose, chi può? Grazie, mi sento più tranquillo. Vorrei poter essere necessario per lei, anche per le cose futili. So che è una donna forte, che sa cavarsela anche senza di me. Ma io voglio esserci.”
“ Lei è una donna forte.” Ripetei.
“ Sì. E’ una delle cose che più amo di lei. Mi sono innamorato del suo carattere forte che la contraddistingueva da tutti gli altri ragazzi della sua età. Senza offesa.”
Risi. Come potevo mai offendermi. Elis era una forza della natura. Elis era Elis. Era una donna forte, non si sarebbe mai piegata e non avrebbe mai mollato. Li avrebbe abbattuti, non si sarebbe mai fatta abbattere.
“ Katherine, quella ragazza mi ha fatto perdere il senno. Non saprei come fare senza di lei. Sono sempre stato autosufficiente, mai nessuna persona l’ho ritenuta così importante da farla diventare indispensabile. Lei lo è. Lei è la mia donna. E so che può sembrare una frase maschilista. Ma è la cosa più bella che abbia mai detto negli ultimi anni.” Disse e gli si illuminarono gli occhi.
“ E’ una donna fortunata. E’ la tua donna fortunata.” Risposi.

 
“ Lavi i piatti?” mi domandò Jackson mentre io ero rivolta verso il lavandino e la finestra. E pioveva, pioveva sempre ormai.
Annuì.
“ Posso sedermi qui e osservarti?” domandò.
“ Non pensi sia un po’ inquientante?” domandai sorridendo.
“ Dipende dai punti di vista.” Disse Jackson e si sedette. E poi ricordai il discorso fatto a Chris poco prima.
“ Vuoi saperla una cosa divertente? Magari non dovrei manco raccontarla al mio ex fidanzato, ma vista la situazione assurda, non penso che siamo ancora qui ad etichettarci e ad evitare discorsi.
“ Dopo il tuo discorso sull’uccisione di Eremy Gliffer, quando ancora non ci frequentavamo, come puoi pensare che noi siamo ancora persone che evitano certi discorsi?” rise e sorrisi anch’io,continuando a tenere il volto rivolto verso la finestra.
“ Riguardo ai punti di vista, prima stavo parlando con Chris. Ho capito che prima o poi lui abbia il diritto di sapere che cosa sta succedendo e cosa è successo. Be’ lui mi ha chiesto quanto grave fosse questa situazione, io gli ho risposto che dipende dai punti di vista. Ho detto che dipende dai punti di vista. Uccidere una persona dipende dai punti di vista. E’ la cosa più ridicola e paraculo che potessi mai dire, pur di non farmi odiare da lui, pur di farmi accettare da lui, ho inventato una balla assurda.” Risi ma questa volta Jackson non lo fece. Probabilmente quello era davvero un discorso da evitare con il proprio ex.
“ Non dovevo? “ chiesi.
“ No… sono io che non dovevo pensare ad un nostro ritorno.” Disse.
“ Jack…” dissi io, questa volta guardandolo in faccia.
“ Non voglio essere compiaciuto Kat. Non voglio che tu gentilmente mi dica che ormai siamo solo amici e che il nostro tempo è finito. Non voglio la tua pena.” Disse lui facendo per alzarsi.
“ Dove vai?”
“ Prendo un po’ d’aria.”
“NO!” dissi ad alta voce, lui si girò prontamente verso di me guardandomi in maniera strana. Ovviamente gli avevo urlato contro di restare, nonostante gli avessi velatamente detto che eravamo solo amici.
“ Non puoi fare così Jack. Non puoi mollare appena le cose si fanno più complicate, non puoi prendere un po’ d’aria e poi tornare stanotte quando ormai io già sono a letto e così evitare, di nuovo, l’argomento. Non puoi. Non te lo permetto. Non lotti per me Jack, non lotti più per me. Ecco perché il nostro tempo è finito, perché da quando sei venuto qui non è mai cominciato. Non hai mai ricominciato. Hai mollato appena hai visto che c’era un altro uomo che stava attirando la mia attenzione. Hai mollato appena ti ho detto che le cose tra me e te non stavano andando per il verso giusto. Ricordo che un giorno da Altanta venisti fino a Mainland per vedermi per le strade comprare uno stupido vestito per il ballo della scuola, ricordo che venisti a questo stupido ballo della scuola solo per vedermi e solo per parlarmi, e non dire che non è così, perché … perché è così. Ricordo tutte quelle frecciatine che ci mandavamo perché eravamo imbarazzati quando parlavamo di cose serie. Ricordo che meno di un mese fa sei venuto a New York per riconquistarmi. Ricordo che tre settimane fa mi hai accompagnato fino ad Atlanta solo per una mia futile supposizione, ricordo… ricordo soprattutto che mi hai coperto nel mio più grande errore della mia vita. Ricordo che mi hai salvato il culo solo per amore. Ricordo ogni notte che tu rischi il carcere ogni giorno solo perché volevi proteggermi, ricordo che qualche settimana fa ti hanno pestato a morte perché un anno fai m hai aiutato solo per amore. Ora ti sto dicendo che mi piace Chris e che non voglio che lui mi guardi con occhi diversi dopo che gli dirò quello che è successo e tu ti arrendi? Tu molli. Tu ora molli. E quindi sì, quindi il nostro tempo è finito, a meno che tu non sia in grado di partire da quel punto finale e crearne uno nuovo.”
Lui mi guardò intensamente.
“ E tu? Tu che fai?” mi domandò.
“ Io già ho fatto troppo per noi Jack. Ho già fatto troppo per tutti. Io ti aspetterò, semplicemente. Perché sono sicura che il nostro tempo non sia finito. Ma ora tocca a te.”



“ Cosa ascolti?” domandai.
“ Niente.” Rispose Max.
“ Hai le cuffie.” Dissi.
“ Me le ero quasi dimenticate.” Disse lui posandole sul comodino.
“ Oggi ho parlato con tantissime persone. Oddio ne erano tre, ma … non lo so, abbiamo parlato per la prima volta di cose normali.” Gli dissi.
“ Bello.” Disse, mentre era intento a mandare l’ennesima domanda di ammisione a chissà quale università.
“ Guarda che puoi restare quanto vuoi qui. Non c’è bisogno di così tanta fretta.” Dissi io.
“ No, c’è bisogno. Ieri sono andato ad un colloquio, sto cercando lavoro. Tempo un mese, racimolo abbastanza soldi da andare via.”
“ Non vuoi proprio restare eh?” domandai.
“ E’ complicato Kat.”
“ E’ sempre complicato.” Risposi.
“ E’ la vita così.”
“ Perché fai così?”
“ Così come?” domandò, continuando a non guardarmi.
“ A conlcudere frettolosamente le nostre conversazioni con frasi fatte, come ad esempio ‘è la vita’.”
“ Perché è così.” Continuava a non guardarmi e a fissare il computer.
“ Cosa siamo diventati, io e te?” domandai.
“ Non ricominciamo Katherine, non di nuovo.” Non mi guardava.
“ Eravamo l’uno la spalla dell’altro…”
“ Hai detto bene: eravamo. Le cose cambiano.”
“ Troppo in fretta…”
“ Katherine, ti prego. Sto mandando altre domande, ho poco tempo. Non ho voglia, non ho forze e non posso parlare con te di queste cose.”
“ Non eravamo così Max.”
“ Ora lo siamo.”
“ Perché non mi guardi?” gli chiesi, piangendo.
“ Sto al computer non vedi?” disse.
“ Oggi ho parlato con Elis, Mick, Chris e Jackson e tutti mi hanno guardato. Abbiamo avuto un confronto faccia a faccia. Con Elis c’è voluto di più, con Mick è successo subito perchè per lui è una cosa normale guardare le persone negli occhi quando si parla, perché lui è una persona normale, idem Chris. Jackson è stato restio per un po’, alla fine mi ha guardato. Max, perché tu non lo fai?”
“ Perché sono un assassino. O almeno è quello che vai a dire in giro. Gli assassini, quelli pentiti almeno, camminano con gli occhi che guardano in basso. In questo caso io guardo il computer.” Disse, sempre in maniera calma, come se non fosse successo assolutamente niente. Come sempre.
“ Chi te lo ha detto? Elis?” domandai.
“ Non ce n’era bisogno. Ero in bagno, ho sentito tutto. Ma tranquilla, ci siamo già passati. Va tutto bene.”
“ Max… non era mia intenzione…” piansi.
“ Va tutto bene.” Disse.
“ Me lo dici ma non mi guardi.”
“ Va tutto bene.” Concluse continuano a guardare sullo schermo del pc e mi invitò gentilmente ad uscire. Ed io così feci.
Mi sentì in imbarazzo e questa volta non perché un ragazzo mi stesse guardando, bensì perché non lo stava facendo. 


FINE EPISODIO

NB; EPISODIO RACCONTATO IN PRIMA PERSONA. 

 

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Capitolo 7
*** 2x07 Come può un uomo restare nel giusto? ***


“ Non ricordo l’ultima volta che siamo andate in discoteca e ci siamo divertite così tanto” El diceva questo mentre ballava scatenata in quello che doveva essere uno dei locali più rinomati di New York. La loro vita era cambiata e loro vivevano in un’altra città lontano dai loro cari ma erano le stesse ragazze di sempre, le ragazze a cui piaceva bere, a cui piaceva divertirsi e a cui piaceva combinarne qualcuna giusto per sentirsi più vive. Erano assassine, questo nessuno lo avrebbe mai cambiato ma erano pur sempre ricche, erano pur sempre giovani ed erano pur sempre Elis Everwood e Katherine Middelton.
“ Inauguriamo i bei vecchi tempi?!” urlò Kat con un bicchiere in mano.
“ Quello che desideri!” urlò di rimando El alzando le mani verso il cielo. Era vero, non si divertivano così da parecchio, era da un anno che ormai si erano dimenticate cosa volesse dire vivere la propria età. Sopravvivevano perché era l’unica cosa che potevano fare dopo una cosa del genere, ma al tempo stesso volevano ‘sopravvivere bene’ e ciò significava  che qualche volta potevano darsi anche alla pazzia gioia senza pensare che un uomo era morto. Un uomo era davvero morto per colpa loro e nessuno lo sapeva. Erano solo due ragazze che ballavano in discoteca un venerdì sera.

“ Posso?” un ragazzo sulla ventina si sedette vicino ad Elis mentre lei era intenta ad ordinare un altro bicchiere di vodka.
“ Ti sei seduto comunque.” Rispose lei. Era molto brilla, ma, ehi, era Elis Everwood, sapeva gestirle queste situazioni, era campionessa dell’ubriacarsi ma non troppo.
“ Un altro prego.” Disse lui al barman mentre quest’ultimo stava versando vodka nel bicchiere vuoto di El.
“ Allora, tu sei?” domandò lui poi.
“ Se questi sono i tuoi modi di approcciare stiamo messi proprio male.” Disse El e sorrise.
“ Non è il mio forte. In realtà le discoteche, le ragazze, i bicchieri di vodka… non fanno per me.” Disse.
“ Sei per caso..?!”
“ Oh, no… sono solo timido.” Rispose lui prendendo il suo bicchiere di vodka e bevendolo tutto. Magari più ubriaco era più riusciva a sciogliersi.
“ Ora ti dico una cosa divertente…” cominciò El “ nella mia vita ho sempre incontrato uomini del genere. Persone timide, sofisticate, buone. Sai ragazzi d’oro, quello ‘bello e dannato’ nemmeno se pagavo lo trovavo. Il mio fidanzato, se posso chiamarlo ancora così, è come te. E’ bello, buono, timido, sofisticato. Sei praticamente tu tre anni più vecchio. Il mio coinquilino? Uguale. Non è che io voglia il bello e dannato, assolutamente, ma non sarebbe male trovare qualcuno di una certa portata. Quindi, senza offesa, ma…  ne ho abbastanza.”
“ Non sai nulla di me.” Rispose lui sorridendo.
“ Andiamo, non puoi essere bello dannato e timido è un ossimoro. Sono abbastanza ubriaca da divertirmi ma, non abbastanza da non capire che tu sei come quelli. Quelli buoni.”
“ Quindi non ho possibilità con te?”
“ Nemmeno una.”
“ Nemmeno se ti invito a ballare?” domandò.
“ In discoteca? Invitare a ballare una ragazza in discoteca? Davvero sei come tutti gli altri ragazzi che ho incontrato nella mia vita.” Fece per alzarsi quando lui la fermò.
Elis si girò verso di lui con sguardo interrogativo.
“ Non vuoi sapere nemmeno come mi chiamo? Nessuna curiosità?”
Lei continuò a guardarlo. Ormai Elis era diventata paranoica, ogni minima cosa la rendeva paranoica, non viveva bene. Anche l’alcol non le faceva più effetto. Lui continuava a guardarla e a mantenerle il braccio. Si era gelato il sangue eppure lui non le aveva detto nulla di cui lei potesse aver timore. Ma Elis sapeva che qualcosa non quadrava, era troppo normale ed era troppo strano. Forse le luci e la musica stordante della discoteca, forse i tre bicchieri di vodka che le stavano facendo effetto, forse semplicemente per gli incubi che l’accompagnavano anche quando era in giro per divertirsi. C’era qualcosa che non andava.
“ Mi chiamo Danny.”
“ Ciao Danny.”
“ Danny Gliffer.” Disse lui. L’incubo era sempre più reale e sempre più vicino. Erano ad un passo dal loro peggiore nemico. Elis sentiva la musica della discoteca ancora più forte, le luci ancora più accecanti e sudava, la vodka stava risalendo man mano fino ad arrivare alla sua bocca. Si toccava le mani sperando che quello fosse solo un sogno, ricordava che la nonna le diceva che quando le sue dita oltrepassavano la mano voleva dire che era solo un sogno, ma niente, le sue dita non oltrepassavano. Cerco di contarsi le dita sperando ne fossero undici o dodici, no, erano dieci. Era tutto nella norma, era tutto reale.
“ Devo… devo andare.” Danny mollò la presa e vide Elis correre fino ai bagni della discoteca.
Erano sudici, li dentro ci entrava chiunque per fare qualsiasi cosa e lei voleva stare solo tranquilla, da sola, cercare di capire perché ogni qual volta provava a divertirsi c’era sempre qualcosa che non andava. Alla fine cacciò letteralmente tutto fuori, come non aveva mai fatto. Vomitò e poi si accasciò per terra, pensava che se quello fosse stato realmente un sogno, voleva svegliarsi. Ma niente.

“ El?!” a chiamarla era Katherine che aveva visto la sua faccia pallida e l’aveva portata fuori. Si trovavano sul retro della discoteca, erano solo loro due e nessun altro. C’era caos dentro ma fuori c’era calma piatta.
El la guardava, tremante, sudava e aveva il viso pallido, cadaverico.
“ Mi spieghi cosa è successo? Hai bevuto troppo? Ho chiamato Jackson, sta venendo.”
“ Kat…”
“ Dimmi.”
“ Ho conosciuto un ragazzo dentro e…”
“ Ti ha fatto qualcosa?” domandò preoccupata Katherine.
“ No…”
“ Allora?”
D’improvvisò uscì dalla porta del retro del locale Danny Gliffer, preoccupato.
“ Ehi, ciao. Sono Danny, ci siamo conosciuti dentro, stavamo parlando quando la tua amica è scappata in bagno, mi sono preoccupato, tutto bene?” domandò Danny a Kat mentre Elis guardava la scena cercando di ritrarsi sempre di più ed allontanarsi da lui.
“ Sì grazie, credo abbia bevuto un po’ troppo.” Rispose sorridente Katherine all’oscuro di tutto, ovviamente.
“ Vi serve un passaggio fino a casa?” domandò poi il ragazzo.
“ NO.” Rispose prontamente Elis guardandolo dritto in faccia. Katherine si girò verso di lei e la guardò in maniera interrogativa, non capiva tutto questo sgarbo nei suoi confronti.
“ Grazie Danny ma siamo apposto così.”
“ Va bene allora. Ciao ragazze.” E andò via.
“ Ma che hai contro quel ragazzo?” domandò Kat.
“ E’ quel ragazzo che ho conosciuto nel locale…”
“ E che ha fatto? Lo vedo… normale…”
“ E’ un Gliffer Kat. Si chiama Danny Gliffer.” A Katherine le si gelò il sangue. Non poteva essere vero, non di nuovo almeno. La situazione era completamente fuori controllo e loro, a differenza delle altre volte, non sapevano cosa fare e non potevano ricattare nessuno come fecero già con Lydia. Erano soli ed assolutamente impreparati. Impreparati a tutto questo. Non poteva accadere di nuovo, ma soprattutto non poteva accadere a New York, lontano da Mainland, lontano da Atlanta, questo li perseguitava, letteralmente.


Elis andò a dormire, la casa era silenziosa come non lo era mai stato. Max viveva le sue giornate nella sua camera da letto ed usciva solo per mangiare e per guardare un po’ di televisione, ma non faceva conversazione con nessuno. Harry e Chris avevano le loro cose a cui pensare, quasi dimenticavano la presenza di due persone in più nel loft. Jackson ormai viveva lì stabilmente e cercava di trovare un lavoro per aiutare economicamente gli altri. I problemi erano altri, pensavano. Quelli facevano solo da cornice.
“ Tu chi credi possa essere?” domandò Katherine a Jackson mentre erano intenti a sistemarsi per la notte.
“ Non ne ho idea.”
“ Non può essere solo una coincidenza? I cognomi non sono tutti diversi.”
“ Non credo alle coincidenze.” Disse Jack con fare preoccupante.
“ Nemmeno io ci credo, ma ho bisogno di farlo perché al contrario impazzirei.”
“ Non lo so Kat, la situazione è strana e noi non stiamo facendo nulla.”
“ Il benzinaio non esiste, queste massonerie sono segrete ed impossibili da scoprire, cosa dovremo fare?” domandò Katherine infastidita dalle parole di Jackson. Non voleva sentirsi inutile, anche se, ultimamente, stava facendo tutto nella maniera sbagliata. Però, pensava, che l’ultima volta in cui si rese utile una persona perse la vita e non voleva ritornare a quel punto, voleva fare qualcosa che portasse ad una soluzione positiva e non drastica, anche se in casi come questi era impossibile trovare qualcosa che avrebbe fatto felici tutti.
“ Dovremo cercare questo Danny Gliffer su internet, capire chi è, se esiste un nome del genere o è soltanto un’altra falsa pista, dovremo informarci maggiormente su queste massonerie e, se la cosa lo richiede, provare ad entrarci…” disse Jackson.
“ Come?”domandò Kat.
“ Non lo so, ci sarà un modo, un qualcosa per entrare. Per il momento vediamo se questo ragazzo ci sta dicendo la verità e se davvero Eremy Gliffer aveva dei parenti.”
“ Grazie Jack.”
“ Mi sto mobilitando, lo faccio per me, per te.”
“ Per noi, spero…”
“ Non voglio riconquistare la mia ragazza cercando di evitarle il carcere, non è romantico. Questo lo faccio per me e per te. Quando si parlerà di noi, non lo so… ma succederà. Non ora. Questo non è per noi.”
Katherine sorrise e gli diede la buonanotte andando definitivamente in camera. Il problema è che non ce la faceva affatto a dormire, così decise di mobilitarsi prima di chiunque altro.
Cercò Danny Gliffer su internet e si rese conto, attraverso varie informazioni ricavate, che esisteva davvero un uomo con quel nome, ed era proprio il ragazzo che avevano incontrato al locale. Era capo di un’azienda di elettrodomestici nonostante la sua giovane età e aveva alle spalle una ricca famiglia che poteva permettergli tutto questo, erano la famiglia Gliffer – Tonillac. C’era il padre Ernest Gliffer- Tonillac, la madre Dominique Gliffer – Tonillac e poi lui ed un fratello. Non c’era il nome del fratello, era come se quest’ultimo fosse stato completamente cancellato dallo stato di famiglia, non ne erano quattro secondo Google ma semplicemente tre.
Katherine pensò che o la notte porta consiglio, o la risposta è troppo facile quindi non vera o per la prima volta il destino era dalla loro parte, e questo succedeva raramente, quindi doveva coglierle al volo queste cose. Aveva capito, e non c’era voluto tanto per capire una cosa del genere. Eremy Gliffer era il fratello fantasma di Danny Gliffer e, per qualche ragione legata alle famiglie ricche, Eremy aveva deciso di abbandonare quel tenore di vita. Era così lineare questa storia, era arrivata a qualcosa, ma non a tutto.
Poi si ricordò la strana teoria di Elis… La massoneria dei Robin Hood, che rubano ai ricchi per darei ai poveri, c’era quasi arrivata, era a tanto così da scoprire l’arcano del San Francesco che  si era spogliato dei suoi averi per aiutare i poveri, ma poi cadde in un sonno profondo e tutte quelle cose erano diventate solo allusioni, supposizioni svanite nel momento in cui chiuse gli occhi.
“ Harry allora come vanno le cose in quel covo di assassini ricchi e spocchiosi?” chiese Margot.
“  Non sono male.” Rispose lui.
“ Sei nostro fratello, persone del genere sono i nostri nemici.”
“ Questo non cambierà Margot. Hanno ucciso Eremy, un nostro fratello.”
“ Di cosa state parlando, sono nuova qui, ho bisogno di amici.” S’intromise Lucy, ovviamente faceva tutto ciò per arrivare ad una conclusione, per ricavare informazioni. In fondo il suo compito non era quello di farsi amici ma di proteggere Katherine dal piano che stavano architettando per vendicarsi di Eremy.
“ Nulla.” Rispose Margot.
“ C’è stata una perdita?” domandò Lucy.
“ Sì, abbiamo perso da poco il nostro fratello Eremy.”
“ Ah… sapete chi è stato?” domandò Lucy speranzosa che le dicessero quello di cui aveva bisogno.
“ No. Noi dobbiamo andare via Meredith. Ci vediamo domani, alle dieci non dimenticartelo.” Si salutarono e Lucy decise di ritornare a casa.
Era ormai tardissimo, era passata mezzanotte ed era stanca e anche un po’ delusa. Era già da un po’ che faceva parte di quella massoneria ma non aveva ancora scoperto nulla di concreto. In fondo nemmeno il suo piano aveva delle basi solide.
“ Allora? Non pensi sia ora di spiegarmi meglio cosa hai in mente e cosa ti ha portato a questo?” disse al telefono Connor mentre era ancora intento ad aiutare Lucy dal carcere di Denver nel quale lei era stata spostata e poi era evasa. Era ancora una ricercata ma nessuno ne parlava o almeno nessuno sapeva della sua vita a New York.
“ E’ cominciato tutto così Connor…”
Lucy spiegò lentamente come aveva saputo dell’omicidio di Eremy Gliffer e come era arrivata alla conclusione che ad ucciderlo fossero stati Katherine Elis e Max, ovviamente non ne conosceva le dinamiche ma stava cercando di spiegarlo. Gli disse anche come era arrivata alla massoneria e di come aveva scoperto che Eremy facesse parte di questa confraternita. Si era informata ed aveva scoperto l’intento “pacifista” e “anticonformista” di questa sorta di brigata. Disse che sul sito c’erano scritte cose buone, loro volevano la parità tra classi sociali, volevano che i ricchi venissero annientati per dare la voce a chi non ne aveva mai avuta una. Volevano creare una società utopica. Venivano chiamati i comunisti dell’oggi, la loro massoneria doveva portare del bene, assolutamente.
Questo diceva il loro sito web, ovviamente nascosto attraverso codici strani che Lucy ebbe tra le mani grazie al poliziotto Al che ne aveva fatto parte negli anni ’60.
Lucy grazie a questi suoi mesi in carcere aveva potuto approfondire tutto e voleva avere solo la conferma che questi uomini stavano organizzando qualcosa contro la sua amica Kat. C’era quasi. Bastava capire cosa avevano in mente e non era facile ma non era nemmeno impossibile.
Connor l’ascoltò per circa due ore. Non fiatava. In silenzio fino all’ultima parola professata da Lucy.
“ Katherine ha ucciso un uomo.” Poi, alla fine, disse.
Lucy ascoltò la sua voce. Tremante. Connor ormai sapeva e il cerchio diventava sempre più grande. La verità stava per venire a galla e questo era un problema.

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Capitolo 8
*** 2x08 Ci vogliono delle scuse. ***


2x08
“Questa giornata ce la dedico” Urlò Elis dalle scale mentre gli altri erano intenti a fare colazione, ognuno sulle sue, non c’era solarità in quella casa ormai da un po’ di tempo. Harry era andato via per il weekend, dai genitori nel Maine, Christopher invece aveva degli esami all’università e quindi aveva preferito restare nel campus, almeno finché non avrebbe concluso. In casa, da due giorni, c’erano solo Max, Elis, Katherine e Jackson… come ai vecchi tempi. Si parlavano poco quanto niente, Kat aveva rivelato le cose che aveva scoperto le notti in cui restava sveglia, cioè ogni qual volta pensava a quel che era successo, ovvero sempre. Jackson ed Elis si erano ripromessi di pensarci il prima possibile e magari trovare una soluzione. Ma era domenica, e la domenica non era fatta per pensare ai loro problemi ma per svagarsi, e quindi l’idea di El fu quella di sfruttare per un giorno, una sola volta, la domenica come giornata per divertirsi, poi magari passare al lunedì e ritornare alla loro vita.
“Di nuovo il Muro del pianto? Io mi tiro fuori” disse Jackson mentre mangiava i suoi cereali di rito.
“ No…” disse lei, poi scese tutte le scale, aprì il frigorifero con un viso raggiante, si versò del succo alla mela, preparò delle veloci omelette mentre tutti e tre la guardavano e, poi, finalmente, disse: “ Danno una festa nel bosco di Stepperwood, ho preso i biglietti.”
“ Stasera?” domandò Katherine.
“ Si stasera, poi dormiremo lì e domani mattina ritorniamo a casa. Si parte tra… oddio tra venti minuti passa a prendermi Erick!”
“ Erick?” domandò nuovamente Katherine.
“ Più continui a domandare più faremo tardi, dai ragazzi muovetevi dobbiamo andare, e prima che dite no… non dite di no! Ce lo meritiamo, ognuno di noi merita di divertirsi, almeno oggi. La scorsa settimana abbiamo provato a divertirci io e Kat, non ci è andata bene, anzi peggio… Forse questo era un segno; dobbiamo divertirci insieme così poi funziona.”
“ Io non sarò dei vostri…” disse poi Max, salendo le scale.
“ Me lo devi.” Rispose El, lui si girò con sguardo interrogativo “perché?” chiese “perché me lo devi Max, per tutto quello che è successo. Me lo devi. Ti abbiamo ospitato, sono due mesi circa che ti abbiamo dato una casa in cui vivere aspettando il fatidico giorno in cui qualche università ti accetterà per il prossimo semestre e tu finalmente potrai andare via e toglierti questo gran peso che, ovviamente, siamo per te. Quindi, per non rinfacciarti altro, devi venire.”
“ OK.” Disse e salì.
“ Perfetto… perfetto, ci vediamo tra 18 minuti.” Disse Elis stranita dalla risposta secca di Max e poi andò via.
“ Come ai vecchi tempi?” domandò Kat a Jackson “i vecchi tempi come scusa!?” domandò Jack, “i vecchi tempi quando tu mi seguivi e mi facevi la corte e io ti rispondevo con frasi senza senso perché avevo una bruttissima cotta per te…” la guardò allungo e poi sorrise…
“ faremo finta di non conoscerci stasera? Ci riproviamo?” domandò Jackson.
“ non ho bisogno di non conoscerti per riprovarci, magari possiamo soltanto ritornare ad essere Katherine che non ha ucciso un uomo e Jackson che non ha coperto un’assassina. Solo stasera però eh, magari poi ci abituiamo ad essere persone per bene e finisce che ne facciamo fuori un altro…” e rise, ormai il black humor le scorreva nel sangue, ma a nessuno dava fastidio, anzi a Jackson faceva davvero ridere questa nuova Katherine.
“ Ci sto!”


“ Senti … Despacito NO!” disse Katherine mentre entrava nella grande limousine di questo strano Erick.
“ Senti a decidere sono io, perché l’amico è mio, la limousine per oggi è mia e la festa l’ho decisa io. E poi dobbiamo essere persone normali, non posso mai mettere del metal, ci arresterebbero subito per cospirazione con il diavolo!” disse lei sorridendo e poi abbassò il finestrino che divideva Erick da noi e gli disse di alzare la voce, al massimo.


“ Allora ragazzi, emozionati?” domandò Elis.
“ Emozionati per una festa?” rispose Max, era sempre cupo e non rivolgeva la parola a nessun se non per un fazzoletto o per un wuffle.
“ Si Max, emozionati per una festa… dopo tutto quello che ci è successo è anche normale essere euforici per una cosa … normale. Da un anno e mezzo che non sento più questa parola, quindi, se permetti, sono euforica di questa festa normale, in un posto normale, con degli amici normali e con una notte fuori normale come ogni ragazzo giovane NORMALE.”
“ Non la ripetere troppo, poi ti abitui…” disse Kat.
“ Lo ha detto anche a me, non riesce proprio a non mettere il muso” interruppe Jackson che stava ascoltando la musica ad alto volume con degli occhiali da sole, una camicia bianca aperta che non gli serviva per niente da maglia e un pantaloncino.
“ Ho portato la crema solare, non vorrei scottarmi.” Disse Jack “ andiamo ad una festa in un bosco di sera in pieno autunno…” rispose Max ancora più infastidito di prima “Beh, scusami se  sono pronto ad ogni evenienza. El mi ricordi perché li abbiamo portati con noi? La famiglia Addams..”
“ Subito” disse Elis “… li abbiamo portati perché sicuramente poi avresti tradito Katherine con me ed io non ti avrei detto di smettere.” Sorrise guardando Katherine e indossando i suoi occhiali scuri.
“ E Max?” poi domandò Jack
“ Se tu limoni con Katherine, io poi che faccio?”
Max la guardò e per la prima volta sorrise, quel poco che basta per sentirsi quasi parte della famiglia.
 
“ Siamo arrivati dormiglioni!!” urlò Elis ai tre che dormivano in una limousine enorme. Si svegliarono ed Erick li lasciò davanti ad una villa in un bosco sperduto, il più grande della città, il bosco di Stepperwood.
“ E’ enorme…” disse Kat con la bocca spalancata.
“ Cosa? Già ti sei scordata cosa vuol dire essere sfondata di soldi? Non è che se uccidi un uomo diventi poi povera, io mi ricordo ancora come si festeggia, nonostante non lo faccia come si deve da un po’”
“ El, la smetti di sbandierare ai quattro venti questa cosa. Grazie.” Disse Max
“ Hai dimenticato anche tu come si festeggia? Dai Max! E’ un giorno, solo uno, domani ritorni a piangere per chiunque tu voglia.”
“ Solo un giorno…” ripete Max “OK.”
“E smettila di rispondermi a monosillabi.”
“Ma è una villa enorme El, le stanze, come stiamo messe?” domandò Katherine.
“ Scusa se ti ho fatto il favore di metterti in stanza con Jackson, ma voglio passare del tempo con Max, sai com’è, abbiamo le nostre cose.” E sorrise guardandolo
“ la smetti di mettere tutto su un piano amoroso? Ti ricordo che hai un professore che ti aspetta a casa.” Disse Max sorridendo
“ Appunto, a casa..”
“ Ma non ho capito, c’è qualcosa tra voi due e io non so nulla?” domandò Kat divertita
“ Se anche fosse non te lo avrei mai detto…”
“ Cosa?”
“ Dai Kat sappiamo tutte che hai una cotta per Max dai tempi andati, e anch’io. Max ce lo siamo sempre contese e quindi, per amicizia, è rimasto in mezzo. Lo abbiamo lasciato alle altre.” Disse Elis.
“ Quindi mi stai dicendo che due donne del genere ti hanno sempre fatto la corte e tu le hai semplicemente… evitate?” domandò stranito Jackson “hai fatto colpo fratello!” poi, gli diede una pacca sulla spalla.
“ In realtà non sapevo di questo contendermi e poi lasciarmi alle altre…”
“ Infatti non è così…” disse Kat al quanto imbarazzata.
“ Dai, Kat tu hai una bruttissima cotta per Max e quando lo capirai sarà troppo tardi.” Disse Elis.
“ Heilà El, qui ci sono io! L’ex ragazzo di Katherine che cercherà di riconquistarla stasera…” rispose Jackson facendosi vedere dai tre agitando la mano.
“ Perché oggi parliamo in maniera così esplicita?” domandò ancora più in imbarazzo Kat.
“ Perché peggio di cosi non può andare, il bello di essere rimasti senza niente. Assolutamente niente. Non abbiamo dignità, non abbiamo orgoglio, non abbiamo valori e non abbiamo più la prudenza di dire le cose in maniera implicita. Penso sia meglio vivere così.” Disse El entrando nella sua stanza e portandosi Max con sé.

Kat e Jackson entrarono nella loro suite, posarono le valigie e stettero lì in silenzio per un po’ di tempo.
“ Quindi vuoi riconquistarmi?” domandò Kat divertita “non abbiamo più pudore secondo El, quindi anch’io ora faccio domande dirette.”
“ Sì.” Rispose prontamente Jackson.
“ E cosa hai intenzione di fare?”
“ Non lo so, ma ti ho detto giorni fa che non volevo riconquistarti evitandoti la galera, questo non sarebbe stato affatto romantico. Quindi, dato che oggi abbiamo deciso di accantonare certe cose, ritorno al mio scopo di venire a New York che era appunto quello di riaverti. E quindi se entro oggi non ci riuscirò, sarà finita, se invece dovesse accadere il contrario, sarai mia… però per sempre, nonostante le avversità e nonostante il tuo coinquilino stronzo che ci prova ogni giorno davanti a me.”
“ Ci sto.”
 
“ A che ora avete intenzione di uscire? La festa è già cominciata, sono tutti qui fuori a fare un grande falò e a divertirsi e a bere e a non pensare che hanno ucciso qualcuno.” Disse El bussando ripetutamente alla porta di Kat e Jackson.
“ La smetti di dire sempre la stessa cosa?” disse Max.
“ Scusa.”
Dopo dieci minuti Jackson e Katherine uscirono dalla stanza, tutti e due eleganti come d’altronde i suoi due amici.
“ Wow, stupendi! Ora, parola d’ordine: DIVERTIRSI!”
La serata si svolse come ogni festa che si rispetti: fiumi di alcol, canzoni ad altissimo volume e giochi.
“ Posso?!” domandò Katherine a Max che era seduto di fronte la piscina con una birra in mano guardando le stelle.
“ Certo” Kat si sedette affianco a lui. Dieci minuti di silenzio per poi ricordarsi che, come aveva detto Elis, erano senza pudore perché non gli era rimasto più nulla dopo quello successo. Non costava nulla fare qualsiasi cosa, perché ormai avevano perso ogni cosa. Ricordandosi di quelle parole Katherine decise di parlare, di mettere una parola fine alla storia con Max, di scusarsi e farlo scusare. Era ora che andassero avanti anche se era solo strano pensare che potessero avere un’altra vita dopo quello successo.
“ Sai, stavo pensando all’ultimo anno. Quello che doveva essere come l’ultimo anno più bello perché poi ci aspettava il college si è rivelato un vero disastro e…”
“ No.” “Non ora.” Disse Max.
“ Sì invece, ora.” Katherine lo guardò e poi continuò dicendo: “Dicevo, doveva essere uno dei più belli e invece si è rivelato un vero disastro e non parlo di Eremy Gliffer, perché avevamo detto che stasera non se ne sarebbe parlato, ma parlo del nostro ultimo anno come un vero e totale disastro anche senza l’omicidio diciamo. Ci siamo allontanati ancor prima di cominciare il quinto anno, perché sapevamo che il college ci avrebbe diviso, non avevamo ancora ucciso nessuno, quindi a prescindere da questo sapevamo che quell’anno sarebbe stato l’ultimo sotto ogni punto di vista, quindi cercavamo di non affezionarci ancor di più perché la nostra amicizia sarebbe finita nel momento in cui l’ultima campanella sarebbe suonata e gli esami sarebbero finiti. L’omicidio è stato un altro grande disastro, ma ci ha tenuti uniti per molto più tempo. Ci ha tenuti uniti tutto quel tempo che noi pensavamo di passarlo da soli. Quindi grazie omicidio. Però, se questa cosa tiene ancora unite me ed Elis, perché si sa è solo per questo se siamo andate a vivere insieme e non abbiamo fatto il college, le cose sarebbero andate diversamente se non fosse accaduto, io avrei fatto domanda alla Columbia e a Yale ed Elis sarebbe andata a Stanford, tu Harvard come ti eri ripromesso da anni. Comunque, dicevo, questa cosa ha mantenuto uniti me ed Elis, mentre con te la corda si è spezzata per via dell’effetto collaterale “Lydia…”
“… non chiamarlo effetto collaterale.” Interruppe Max “ … no, non lo chiamerò più così, ma tu lo sai che è stato solo un effetto collaterale. La sua morte è stata un effetto collaterale che ci ha diviso ancora di più e ha spezzato l’unica corda che ci tenesse ancora uniti. Tu mi incolpi della morte di Lydia ed io ti capisco, in fondo il poliziotto cattivo con lei l’ho pur sempre fatto io, tu eri quello buono, in realtà è da quando ci conosciamo che abbiamo questi ruoli; con la mia famiglia sei quello buono, con Lydia lo eri, con Elis lo sei, addirittura con Jackson… Io, io ho accettato il mio ruolo di poliziotto cattivo, anche perché so farlo meglio, quindi ok, sono il poliziotto cattivo, ma tu sai in realtà che questo ruolo me lo hai dato tu, perché non hai le palle di comportarti come me con Lydia, con i tuoi genitori, con i miei, con Elis e quindi lasci fare a me. Max, Eremy Gliffer lo hai ucciso tu, eppure… eppure sembra lo abbia fatto io, perché sei stato tu a darmi la colpa dell’essere la cattiva, perché sei sempre stato tu che mi hai dato questo ruolo. Ricordati, non abbiamo pudore e quindi vaffanculo. Vaffanculo Max, perché sono 6 anni che io sono la cattiva e tu il buono, e sei stato tu ad uccidere Eremy Gliffer e l’effetto collaterale è stata Lydia. Quindi vaffanculo. Voglio chiederti scusa per non avertelo detto prima, l’unica cosa che farò, l’unico motivo per cui mi scuserò, ma non chiederò scusa per Gliffer, per Lydia, per essere quella che salva il culo a tutti. No, questo non lo farò, perché per una cazzo di volta non me lo merito di essere trattata così.”
“ Hai ragione.” Rispose Max, guardandola, dopo tre mesi, negli occhi.
“ Come?” domandò.
“ Hai ragione e scusami.”
“ … grazie.” Rispose Katherine ancora spiazzata dalla risposta.
“ Siamo apposto?!” domandò Max.
“ Se lo hai fatto per …” cominciò incazzata Kat
“ no, dovevo dirti queste parole da troppo tempo. Voglio sapere solo se siamo apposto.” Domandò Max.
“ Lo siamo.”
“ Ecco perché se lo siamo vorrei dirti altro…”
“ Dimmi.” Disse Kat.
“ Ti amo.”
Katherine si girò prontamente con un viso interrogativo.
“ Ti amo da morire Katherine. E quindi mi scuso anche per non avertelo detto prima, perché così si complicano le cose, c’è Jackson e lui ti ama davvero e anche tu lo ami davvero, e io lo so, si vede. Ma ti amo, e ti amo.”
“ Perché me lo dici solo ora?”
“ Perché oggi ho saputo che anche tu, un tempo, amavi me. E siamo senza pudore e dopo questo discorso mi sono reso conto quanto potrei perdere se tu non mi dessi un’occasione.”
“ … Max perché ora?”
“ Perché sono il poliziotto buono che è un modo per dire che sono quello debole e vigliacco. Sono uno sfigato con i soldi ma sempre uno sfigato. E gli sfigati, come insegnano le migliori americanate nei teen movie, si dichiarano sempre a fine film , quando la reginetta del ballo ha già accettato la proposta del quaterback.”
“ Max…”
“ Lascia perdere, ho incassato fin troppi colpi, riuscirò ad incassare anche questo.” E andò via.
 
“ Ti stai divertendo? Dimmi di sì!” domandò Elis.
“ Max mi ama…” disse Katherine in catarsi.
“ Oh ma buongiorno!”
“ Tu …?!”
“ E’ evidente Kat, evidente. Cosa farai? Hai troppi uomini nella tua vita, troppo dramma… che belli i vecchi tempi.”
“ Tu che faresti?”
“ Io? Kat ho appena tradito il mio fidanzato, ho baciato un ragazzo. Ho tradito l’amore della mia vita per noia, perché Mick è noioso, ecco perché l’ho tradito, non perché è un pezzo di merda che non mi considera, ma perché è l’uomo più amorevole e dolce del mondo che mi dà solo attenzioni. Vuoi davvero un consiglio da me?”
Kat si girò verso El sconcertata “ cosa siamo diventate?”
“ tutto quello che abbiamo sempre odiato. Ma non si torna indietro.”
 
“ Come va?” domandò Jackson sedendosi affianco a Katherine che, nel frattempo, era rimasta seduta lì per tutta la serata.
“ Bene.”
“ Ti porto a vedere le stelle sul terrazzo di questa mega villa, così che ti esprimo tutto l’amore che provo per te.”
“ Jack…”
“ Mi chiami Jack, è un buon inizio… passiamo subito alla parte meno romantica ma decisamente più bella?!” domandò divertito Jackson.
“ Non posso ora…”
“ Possiamo domani, finché vuoi in realtà.”
“ Non intendo quello, intendo stare con te…”
“ In che senso?” domandò Jackson preoccupato.
“ Max… mi ama.”
“ Be’, digli che ami me e che vuoi restare solo una buona amica.” Disse Jack.
“ Il problema è questo..” lo guardò dritto negli occhi e scoppiò a piangere “…mi dispiace.”
“ Potevi dirmelo prima, prima che stravolgessi la mia vita per te… potevi. Ma tu sei Katherine, tu pensi solo ai cazzi tuoi, perché è così che sei fatta. Prima mi fai vivere con un ragazzo con cui sei andata a letto, dopo mi metti in mezzo ai tuoi guai, poi quando sembra andare tutto bene mi dici che sei innamorata del tuo migliore amico e aspettavi solo che lui ricambiasse così da potermi scaricare. Cazzo, sei incredibile!” Lasciò il suo bicchiere con un bigliettino per Kat che la invitava sul terrazzo, sul tavolino e andò via arrabbiato.

“Presuppongo non sia andata bene…” disse Elis abbracciando forte Kat che, nel frattempo continuava a piangere.
“ Almeno ti sei distratta dal pensare ad Eremy Gliffer, stasera hai avuto un problema da ragazza normalissima, vedi? Il lato positivo…”
“ Ha fatto quasi più male…” rispose singhiozzando Kat.
“ Fa sempre male.”
“ E non c’è mai il lato positivo El, mai. Domani tornerò a casa con Eremy Gliffer sulla coscienza e con i due uomini più importanti della mia vita che mi odiano…”
“ Può sempre andare peggio… E poi c’è un Max che aspetta.. magari te.”
 
“Max…” Katherine decise di non piangersi addosso e prendere la palla al balzo.
“ Ehi..”
“ Ti amo.”
“ Dobbiamo smetterla di dircelo senza una frase iniziale che…” prima che potesse finire la frase Katherine si buttò tra le sue braccia e lo baciò “…ti amo da troppo tempo.”
Lui ricambiò e così si concluse la serata più assurda dopo quella dell’omicidio … o così pensavano.

“ Ehi, dovresti smetterla di bere così tanto…” disse il barista ad un Jackson deluso ed amareggiato dalla situazione
“ ..senza pudore, siamo senza pudore, non abbiamo più nulla da perdere, giusto?!” ripeteva un Jackson ubriaco.
“ Cosa?” domandò il barista.
“ Eremy Gliffer.. pensavo”
“ Ah sì, quel barbone ucciso da dei pirati della strada, maledetti!”
“ Si.. maledetti. Io so chi è stato.”
“ cosa?” domandò il barista “ sei ubriaco…”
“ dammi un telefono!” disse Jackson “ ..spero per chiamare un taxi” rispose il barista “dammi il telefono! Ho smesso di essere l’idiota della situazione.”
Il barista porse un telefono a Jackson che compose il numero dell’FBI di New York
“ Detective Elmet, dipartimento 345 con chi parlo?!”
“ So chi è stato.”
“ Cosa?”
“ Ad avere ucciso Eremy Gliffer; Max Miller, Katherine Everdeen ed Elis Everwood.”
“Tu..tu..tu..”
“ Pronto?! Pronto?!”

Era la notte più assurda dopo quella dell’omicidio, con la differenza che probabilmente sarebbe stata l’ultima.

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