Il balcone delle violette di _ A r i a (/viewuser.php?uid=856315)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Segni indelebili ***
Capitolo 2: *** L'inferno in Terra ***
Capitolo 1 *** Segni indelebili ***
Capitolo
zero
Segni
indelebili
Le porte
della metropolitana si aprono di scatto davanti a lei, sollevando una
forte corrente che fa ondeggiare appena il peso del suo corpo sul posto.
Chiara
si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, cercando di
far passare quel gesto come un atto casuale. Tuttavia, la sua non
è certo nonchalance: chi mai potrebbe essere sereno e
tranquillo, quando davanti ai propri occhi si apre uno scenario
così ampio, dalle più disparate
possibilità?
Si
sta mordendo l’interno della guancia, stenta a credere
però che qualcuno possa accorgersene: quella
città è un perpetuo fermento, tutti corrono da
una parte all’altra, persi nei loro pensieri, nei loro
impegni. Non hanno tempo di notare una ragazza dall’aria
sperduta e in evidente difficoltà – o forse hanno
perso il cuore necessario per notarlo.
Magari
pensano che sia una dei migliaia di turisti che arriva lì
ogni giorno, oppure una ragazza che è scappata di casa.
Chiara, invece, è arrivata per restare.
Suo
padre gliel’ha detto, sente ancora risuonare quelle parole
nella mente – dove
credi di andare, da sola? Quella città è
selvaggia, crudele, non si ferma nemmeno per respirare. Non durerai un
secondo, lì.
Però
Chiara non ha voluto ascoltarlo, ha deciso di fare di testa propria,
così si è caricata sulle spalle uno zaino
contenente libri, un po’ di vestiti e tanti sogni, per poi
partire alla volta di quella città immensa.
Anzi,
no, eterna.
Spinta
dalla calca dei pendolari Chiara si ritrova all’interno del
vagone della metropolitana, mentre una mite e sonnacchiosa Roma ammicca
nella sua direzione.
E,
senza nemmeno accorgersene, Chiara si ritrova a sorridere.
Paolo
si massaggia le tempie, trattenendo tra i denti un sospiro esausto.
A
volte se lo domanda ancora, cosa gli abbia detto la testa quando ha
deciso di chiedere il trasferimento a Roma.
Si
dice sempre che è stato il suo animo assetato di giustizia a
suggerirglielo, in un crudele mormorio di coscienza – corri nella capitale, in quale
altro posto potrebbero esserci così tanti problemi da
risolvere?
Peccato
che, evidentemente, non aveva tenuto conto delle conseguenze.
Passare
giornate intere dietro a quella scrivania era frustrante, soprattutto
per uno che aveva fatto della vita d’azione il suo vanto e il
suo tratto distintivo.
“Che
vai pensando?” mormora a se stesso, rapito da quel flusso di
coscienza. Sei tu
quello che si è scelto questa vita, arrivato a una certa
età. D’altronde, quale sarebbe potuta essere la
tua utilità, se fossi rimasto ancora sul campo? Meglio
lasciar spazio ai tuoi colleghi più giovani, che sicuramente
se la cavano meglio di te, nelle operazioni sottocopertura.
Tutti
riconoscevano senza ombra di dubbio quelli che, nel corso degli anni,
erano stati i suoi meriti: numerosi criminali erano stati arrestati
grazie alle insospettabili doti che aveva dimostrato. Quando era
arrivato, giovane ed esuberante, non aveva perso tempo e si era subito
fatto notare, proponendosi anche per azioni che, agli occhi degli altri
colleghi, erano delle vere e proprie imprese suicide.
E,
sorprendentemente, ne era uscito sempre incolume.
Appena
arrivato in città, nessuno lo conosceva, aspetto
insospettabile – capelli
lunghi, pelle baciata dal sole. Decisamente non l’aspetto
abituale di uno sbirro.
Col
tempo, s’era fatto prendere in simpatia prima da una banda e
poi dall’altra, cercando di mantenere sempre un profilo
basso, muovendosi nell’ombra, permettendo così la
cattura di un numero sorprendentemente alto di malavitosi la cui
attività ruotava attorno alla città di Roma.
Poi,
però, si era fermato.
Aveva
capito che i giochi si stavano facendo troppo grandi per lui
– ormai lo conoscevano in troppo. Lettere minatorie, i vetri
delle finestre di casa sua infranti… stava rischiando
troppo. La sua più grande fortuna – o forse la
maggiore disgrazia – era stata quella di non avere famiglia:
magari quello l’avrebbe potuto aiutare a capire quale fosse
il momento di fermarsi.
Anche
se, alla fine, a questo ci aveva pensato il suo comandante.
Gli
aveva detto che, se fosse andato avanti, i rischi sarebbero stati
troppi – e lui non era disposto a perdere la vita di uno dei
suoi uomini migliori per una banalità del genere. Paolo si
era opposto, era fin troppo giovane e il pensiero di restare
intrappolato dietro una scrivania gli faceva restare il fiato bloccato
in gola; Marchi non aveva voluto sentire ragioni, così
l’aveva sollevato dal proprio incarico attuale, spedendolo
direttamente tra un mare di scartoffie, mentre un collega
più giovane si occupava di quello che, nonostante tutto,
Paolo si ostinava a considerare il
suo caso.
L’unico
caso di sua competenza che fosse rimasto irrisolto.
A
causa della decisione del suo superiore, il mese successivo il giovane
che l’aveva sostituito in quell’indagine e diversi
agenti di scorta avevano perso la vita.
Paolo
afferra di scatto la sfera vitrea che tiene come soprammobile sulla sua
scrivania. Se la passa tra le mani, facendola scorrere sui palmi con
movimenti rapidi e nervosi: nonostante tutto, non riusciva a non
pensare che almeno parte della colpa fosse sua. Se solo avesse insistito un
po’ di più… forse adesso quegli uomini
sarebbero ancora vivi.
Grazie
alle gesta compiute quando ancora era in servizio come infiltrato,
Paolo si era guadagnato una certa fama all’interno della sua
caserma, per cui fare carriera anche una volta passato alla vita di
scrivania non era stato poi così difficile. Ora, ormai
quarantenne, poteva affermare di essere a capo di una delle
più importanti caserme di Roma.
Non
senza qualche rimpianto, certo.
Il
sole filtra tenue attraverso la finestra, colpendo la sfera tra le mani
dell’uomo. Migliaia di bolle d’aria
all’interno di essa sembrano prendere vita, riempiendo la
stanza di infiniti riflessi iridescenti.
Un’atmosfera
idilliaca, certamente. Se non fosse per quei colpi alla porta.
Paolo
alza lo sguardo e, proprio come immaginarlo, ad attenderlo trova lo
sguardo di Francesco Berruti, uno dei suoi sottoposti. Il ragazzo, che
ha all’incirca la metà dei suoi anni, lo osserva
con occhi grandi come tazzine da tè, iridi verdi rese appena
lattiginose dalla paura – o dalla riverenza – che
il giovane prova ogni volta che si trova dinanzi a quell’uomo
verso cui tutti, nessuno escluso, provano una stima immensa,
all’interno di quella caserma. D’altro canto,
sarebbe impossibile approcciarsi in un modo differente da quello, verso
colui che è diventato ormai una vera e propria leggenda.
Paolo
si passa una mano tra i capelli scuri e fini. Non sono più
lunghi come un tempo, arrivano a malapena alla base del collo, mentre
la parte frontale è rimasta ormai pressoché
stempiata, segno dell’età che avanza.
«Che
c’è?» domanda stancamente; spera solo
che non si tratti di un’ennesima pila di scartoffie da
riempire.
Francesco
si allenta il colletto della camicia con un dito, deglutendo a fatica.
«Hanno
chiamato i colleghi della squadra mobile. Pare che si tratti di un
omicidio.»
Via Pavia,
9.
Chiara
rilegge una ventina di volte l’indirizzo segnato su quel
messaggio, inviatole ormai diversi giorni prima.
Continua
a ripetersi che è stata incredibilmente fortunata nel
trovare un posto così vicino
all’università – e ad una cifra tanto
modica.
Inizia
giusto a sospettare che si tratti di un qualche scherzo di pessimo
gusto e che suo padre avesse ragione. “Lo sapevo”
inizia a disperarsi mentalmente “non sarei mai dovuta venire
qui, avrei fatto di gran lunga meglio a restarmene a
Pristino—”
La
ragazza prende un respiro profondo, cercando di non farsi sopraffare
dal panico. No, così non riuscirà a combinare
niente di buono. Deve concentrarsi, ormai è a un passo dal
raggiungere il suo obiettivo, o quantomeno uno dei tanti che si
è prefissata. È inutile stare a rimuginare su
tutti gli eventuali scenari catastrofici che le si potrebbero parare
davanti agli occhi, da un momento. Non deve essere così
diffidente: non c’è nessuno stupratore ad
attenderla, dall’altra parte – andiamo, questo è il
genere di pensieri in cui si lanciava solitamente sua madre
– né un omicida o chissà quale altro
malintenzionato. L’unica ad accoglierla, peraltro da quanto
gli è parso di capire a braccia aperte è una
certa Teresa, una studentessa fuorisede originaria di Caserta. Una
persona normale, esattamente come lei, insomma.
Oltretutto,
Chiara non può certo tirarsi indietro adesso. Ora che
è finalmente arrivata fin lì, non ha nessuna
intenzione di darla vinta a suo padre: non è
un’imbranata, può cavarsela perfettamente da sola
anche fuori casa.
Così
prende un respiro profondo e, prima di poterci ripensare nuovamente,
poggia il dito sul citofono, premendo per un paio di secondi il
pulsante desiderato.
Le
risponde quasi subito una voce piuttosto allegra, che riconosce essere
quello della ragazza con cui ha parlato al telefono.
«Chi
è?» le domanda infatti la persona
dall’altro capo, con tono caldo e accattivante, oltre che uno
spiccato accento campano.
«Ehm,
Teresa?» si decide a chiedere allora, nonostante senta le
proprie parole uscirle dalle labbra con ancora un po’
d’incertezza «sono Chiara, la ragazza
dell’annuncio…»
Teresa
non le dà tempo di finire che sta già lanciando
una serie di gridolini incomprensibili.
«Nii,
Chiara! Vieni, vieni, sali! Terzo piano, appartamento a
sinistra!» le comunica l’altra, con
un’intensità vocale ancora troppo alta di qualche
ottava.
Ciò
detto, le chiude in faccia il citofono, mentre ha già
provveduto ad aprirle il portone.
Chiara
alza gli occhi al cielo, ha già capito che sarà
una faccenda più lunga di quanto immaginasse. Ciononostante,
si limita a spingere il portone davanti a sé, mentre si
lascia scivolare all’interno del vecchio palazzo.
Oltre
il pesante portone di legno, una frescura piacevole l’avvolge
all’istante, sollievo immediato dal clima afoso e torrido
dell’estate romana. Chiara si lascia sfuggire un sospiro, gli
occhi socchiusi per quell’improvviso conforto.
Quando
torna a sollevare del tutto le palpebre, la prima cosa che le viene
spontaneo fare è analizzare l’ambiente che la
circonda: la tromba delle scale è ampia e, soprattutto,
luminosa, grazie al marmo perlaceo di cui è composta, i
gradini invece sono spessi come quelli di un tempio azteco. La ragazza
capisce al volo che deve trattarsi di un edificio piuttosto antico,
così come la maggior parte delle costruzioni che ha visto
finora – è
arrivata a Roma da appena qualche ora, avrà visto
sì o no un paio di vie, eppure non ha potuto fare a meno di
notare l’alternanza eterogenea antico-moderno che avvolge
ogni cosa in quella città, dalle abitazioni fino alle
persone che ci vivono. A sinistra ti ritrovi un grattacielo, a destra
un monumento di duemila anni fa.
Chiara
decide che non se la sente di fare a piedi tre piani di scale, non dopo
aver camminato a piedi per un isolato intero, sotto il sole cocente di
agosto, incapace di trovare il luogo che stava cercando, peraltro
trascinandosi dietro anche la sua valigia. Si tratta solo di un piccolo
trolley, d’accordo, per giunta pressoché vuoto
– andandosene di casa, s’era tristemente resa conto
che gli oggetti di sua proprietà da portare via in quel
viaggio, con ogni probabilità senza ritorno, scarseggiavano
in maniera preoccupante – tuttavia la tratta Pristino-Roma
l’aveva lasciata molto più a corto di energie di
quanto avrebbe potuto mai immaginare prima di partire. Dannato vecchio treno,
così lento da far venire il latte alle ginocchia e permeato
da quell’insopportabile caldo asfissiante, a causa dei
finestrini rotti che non si potevano neanche abbassare. In
effetti si chiede come abbia fatto a non venirle
un’emicrania, in tutto ciò.
Si
avvicina infine all’ascensore, che occupa il centro
dell’immobile. Una vecchia grata arrugginita dipinta di nero
circonda la struttura, come a voler proteggere quel che si trova al suo
interno. Chiara preme il pulsante di prenotazione della cabina e subito
sente un fragoroso clangore metallico provenire da sopra la sua testa.
Nonostante la lentezza di quel vecchio trabiccolo, non deve aspettare
molto prima di vederlo cominciare a muoversi nella sua direzione,
mentre intraprende la sua lenta discesa verso il pianterreno.
Nell’esatto
momento in cui arriva, il grosso gigante emette un nuovo rumore
meccanico, stavolta più similare al profondo sospiro di un
guerriero esausto, dopo anni e anni di combattimenti. Chiara apre la
piccola porticina di ferro, mentre spinge le due ante lignee semoventi
verso l’interno; la ragazza s’infila nella cabina,
trascinando stancamente dietro di sé la valigia. Una volta
richiuse entrambe le porte, preme il tasto del terzo piano, lasciandosi
trasportare verso l’alto.
Il
tragitto in ascensore non dura poi molto, tuttavia nel frattempo Chiara
ne approfitta per osservare ogni dettaglio del nuovo ambiente che ora
la circonda. I tasti che corrispondono ai piani sono piccoli e
tondeggianti, di un bianco reso opaco dallo scorrere del tempo, mentre
la vernice nera che contraddistingue i numeri segnati su di essi si
è cancellata in più punti. La pedana a terra deve
essere stata rivestita un sacco di tempo fa da uno strato di
rivestimento plastificato verde acido, solo che col passare degli anni
quest’ultimo si è scollato in più
punti, rendendo la salita e la discesa dei passeggeri
dell’ascensore piuttosto impervia. Le pareti di legno della
cabina sono ricoperte di uno strato di tintura lucida trasparente, che
avrebbe dovuto preservare lo stato originale del materiale e che
invece, a causa degli anni che passano, è ormai liso, mentre
hanno fatto la loro comparsa perfino alcuni graffi. Tutto
ciò denota una certa vecchiaia e trascuratezza, e Chiara
comincia a capire perché abbia trovato un appartamento ad un
prezzo tanto stracciato.
D’improvviso
l’abitacolo sobbalza, facendo sussultare anche la ragazza. A
giudicare da quel movimento intuisce di essere arrivata a destinazione,
per cui si affretta ad uscire da lì – sta
cominciando a diventare claustrofobica, ora che ci pensa. Prima il
viaggio in treno a dir poco soffocante, adesso questo…
Non
appena mette piede sul pianerottolo, si accorge che ad attenderla sulla
soglia c’è una ragazza. Dev’essere Teresa,
valuta in fretta Chiara.
In
breve tempo, quasi senza neanche avere il tempo di accorgersene,
finisce ad osservare la giovane davanti a sé: una chioma
folta e arruffata di ricci neri, apparentemente indomabili, un corpo
gentile, forme abbondanti, seno prosperoso e un sorriso amichevole.
È esattamente come se l’aspettava, oltre ad essere
quel genere di ragazza che sarebbe in grado di far cadere ai propri
piedi qualsiasi ragazzo le graviti attorno. È bella,
affascinante, tuttavia ha quell’aria di chi, nonostante sia
al corrente dei propri pregi, non abbia tutta questa voglia di
sfruttandoli, sentendosi quasi in soggezione a causa di essi. Non sa
perché, ma ha come l’impressione che
finirà per andare molto d’accordo con quella
giovane dall’allegria contagioso.
Già,
in effetti le è bastato osservare per un solo istante le
labbra carnose e dalla piega morbida di Teresa, ovviamente sollevate in
un ampio sorriso, per sentirsi immediatamente più felice,
come se di colpo tutta la stanchezza che ha accumulato fosse diventata
molto meno pesante da sopportare.
«Ciao,
benvenuta!» la saluta Teresa, mentre si è
già slanciata ad abbracciarla.
Chiara
è a dir poco sorpresa da quell’improvviso slancio
d’affetto – si sono parlate a malapena un paio di
volte, oltretutto senza mai vedersi – senza contare che,
nonostante tutto, non può impedire a se stessa di provare
una vaga sensazione di fastidio: non è un’amante
del contatto fisico, affatto, per cui entrare in collisione con
un’altra persona in una maniera così repentina la
lascia decisamente contrariata.
Quando
Teresa si separa da lei, Chiara non può fare a meno di
notare quante differenze – fisiche e non –
intercorrano tra di loro: al contrario dell’altra, non
possiede certo una chioma leonina o particolarmente voluminosa,
bensì solo dei normalissimi capelli castani, lunghi fino
alle stalle e dritti e sottili come spaghetti. La carnagione di Teresa
è leggermente abbronzata, sicuramente durante
l’estate deve aver passato giornate intere a prendere il sole
in spiaggia, in qualche bella località di mare, mentre
l’incarnato di Chiara è pallido come quello di un
morto: passare intere giornate rinchiusa in casa, china a studiare sui
suoi tanto amati quanto odiati libri non deve poi averle portato
così tanto giovamento, perlomeno da sotto quel punto di
vista.
Quanto
ad abbigliamento, infine, mentre Teresa sembra aver scelto
accuratamente gli indumenti che più mettono in risalto la
sua figura – la t-shirt attillata le fascia il seno alla
perfezione, senza renderlo volgare, stesso discorso per quanto riguarda
le cosce e gli shorts – Chiara preferirebbe di gran lunga
scomparire sotto la maglia leggera di flanella e quel pratico paio di
jeans. Ecco, lei non ha decisamente nulla che potrebbe interessare ad
un ragazzo: niente curve vertiginose, niente labbra sensuali, niente
occhi da last
diva… insomma, niente di che. Forse
è per questo che non ha mai avuto nemmeno un fidanzatino
– oppure per la sua attitudine a preferire un pomeriggio
passato in compagnia di una piacevole lettura ad un’uscita
mondana.
Teresa
si volta di scatto, cominciando ad avviarsi verso l’interno
dell’appartamento.
«Beh?
Che fai lì impalata? Su, vieni!» la esorta,
invitandola ad entrare a sua volta con un gesto rapido della mano.
Chiara
si limita a seguirla, chiudendo la porta alle proprie spalle, mentre
cerca di abbandonare l’ultima remora di riluttanza che ancora
l’accompagna.
Le
rotelle del trolley strisciano sulle mattonelle a terra, man mano che
lei e Teresa avanzano lungo lo stretto corridoio d’ingresso e
Chiara comincia a sospettare perché l’affitto di
quel luogo sia così basso: nonostante sia estremamente
vicino alla sede universitaria, deve ammettere che non sia poi tutto
questo granché, in quanto a bellezza o comodità.
«Spero
che ti troverai bene qui» nel frattempo Teresa continua a
parlare senza sosta – e Chiara capisce al volo che la sua
parlantina deve essere sconfinata «il posto non è
il massimo, almeno però siamo collegate piuttosto bene un
po’ con tutto: qui vicino c’è la fermata
della metro, inoltre in giro ci stanno un sacco di negozi carini. La
retta mensile, per fortuna, non è altissima: da quel che ne
so io, il proprietario di questo posto – non l’ho
mai conosciuto di persona – ha in affitto un sacco di altri
appartamenti, qui a Roma, per cui può anche permettere di
far pagare un po’ meno nei posti che gli interessano un
po’ meno. Dunque, questo è il bagno, oh, invece
qui… c’è la cucina.»
Con
ciò, la ragazza dai ricci corvini si fionda di lato,
entrando in una stanza. Chiara fa capolino con la testa sulla soglia,
mentre osserva attentamente la situazione.
All’interno
della cucina, infatti, è presente un’altra ragazza
– con ogni probabilità, la terza coinquilina a cui
aveva fatto accenno Teresa, durante i loro contatti online.
Più
che una ragazza, sembra quasi uno spettro, una figura evanescente: non
dev’essere più alta di lei, eppure è
come se conservasse un certo aspetto allampanato. I capelli, di un
castano scurissimo, le arrivano fino a metà della schiena,
mentre gli occhi sono un po’ troppo infossati in quel suo
volto scarnissimo. Nonostante sia ormai giorno inoltrato, ha ancora
indosso un vecchio pigiama, mentre, seduta al tavolo della cucina,
rimesta svogliatamente i cereali immersi nella sua tazza di latte.
«Lei
è Marta» le spiega brevemente Teresa «so
che, di primo impatto, può sembrare strana, ti assicuro
però che è la ragazza migliore del mondo! La
notte resta spesso alzata per leggere manga e tutta quella roba
giapponese strana là ma non ha assolutamente nessun altro
difetto, perlomeno per quel che ne so io – e sono quasi due
anni che conviviamo insieme, ormai…»
Come
a voler apostrofare l’amica, dall’altro lato del
tavolo Marta si allunga a lasciare una bottarella scherzosa col
cucchiaio sulla spalla di Teresa.
«E
meno male che avevi detto che avresti cercato di descrivermi come una
persona normale…» commenta Marta, con un sorriso
sonnacchioso.
«Non
darle retta!» replica Teresa, agitando leggermente le mani a
mezz’aria «ti garantisco che di solito non
è una pazza che se ne va in giro a colpire la gente con dei
cucchiai, è molto più educata! A
proposito… bleah, Marta, che schifo, mi hai macchiato la
maglietta di latte!»
Per
tutta risposta, l’interpellata le rifila una linguaccia.
Chiara
comincia a temere che l’imbarazzante siparietto tra le due
possa andare avanti ancora per molto, fortunatamente tuttavia a venirle
in aiuto in quella situazione è proprio Marta.
«Ad
ogni modo, benvenuta, Chiara» commenta infatti, con una voce
più profonda e assonnata del previsto «Teresa mi
ha parlato a lungo di te. Sono felice di avere una nuova coinquilina,
anche perché ehi, finché si tratta di pagare un
po’ di meno d’affitto fa sempre piacere, no? Se per
te non è un problema, avevamo pensato che io e te potremmo
condividere la stanza doppia – i letti sono separati,
tranquilla – mentre Teresa, giusto per aumentare ancora un
altro po’ le sue manie di egocentrismo…»
«Ehi!»
protesta debolmente la ragazza dai ricci scuri, tirando una spinta
leggera alla spalla dell’amica – di rimando al
colpo di cucchiaio di poco prima.
«…
dormirà nella stanza singola, non molto distante dalla
nostra» riprende poco dopo Marta, ignorando le deboli
provocazioni di Teresa «se vuoi nel frattempo puoi andarla a
vedere, così magari ti ambienti, poggi le tue cose e ti
cambi, mettendoti più comoda, insomma. Oh, quasi
dimenticavo: cos’è che studi, tu?»
«Filosofia»
risponde Chiara, quasi meccanicamente.
«Oh,
figo» valuta Marta, con un tono non troppo convinto
– probabilmente avrebbe detto la stessa cosa, qualsiasi fosse
stata la risposta della nuova coinquilina «io sono iscritta a
Medicina, sebbene il mio sogno segreto – contro ogni
volontà dei miei genitori – sia quello di
diventare una mangaka, infatti sto seguendo un corso per
corrispondenza; quanto a Teresa, lei studia Scienze della
Comunicazione, seppur senza alcun genere di vocazione. Beh, adesso ti
lasciamo finire il tuo tour della casa in santa pace. Ambientati per
bene!»
Chiara
sorride di rimando alle due ragazze, sussurrando un flebile grazie.
Tuttavia non aggiunge altro, anche perché fa a malapena in
tempo a voltarsi che le due hanno già ripreso a battibeccare
scherzosamente.
Le
ruote del trolley tornano a trascinarsi pigramente lungo quel corridoio
angusto, mentre Chiara prosegue, non senza qualche
difficoltà, verso la stanza che Marta le ha indicato. Si
lascia alle spalle i borbottii sommessi che ancora le giungono alle
orecchie dalla cucina, lasciandosi nel frattempo scivolare
all’interno di un’altra stanza.
Chiara
capisce al volo che deve trattarsi della camera che le è
stata indicata, soprattutto grazie alla presenza dei due letti singoli
separati. Oltre di essi, l’arredamento è
estremamente essenziale: una scrivania è appoggiata alla
parete che si trova alla propria sinistra, subito dopo essere entrati,
mentre un grosso armadio occupa tutta la parete di estrema destra.
Infine, in fondo, davanti a lei, c’è una finestra,
graziosamente spalancata verso il mondo all’esterno. Da
lì entra una brezza leggera, che porta con sé i
più disparati odori: il prevedibile gas di scarico delle
automobili è accompagnato da un aroma inebriante di pizza,
oltre ad un sacco di altri profumi che Chiara non riesce ancora a
distinguere – ma
prima o poi, si dice, ci riuscirà. Deve solo farci il callo,
tutto qui.
Chiara
nota che Marta le ha lasciato il letto accanto alla finestra,
così ne approfitta per trasportare la sua valigia fin
lì. Da quanto ha capito, dormire non è una delle
attività principali della sua compagna di stanza, per cui
immagina che lasciarle il posto migliore non debba poi essere stato un
sacrificio così insopportabile.
Per
un momento gli occhi di Chiara si perdono nel bianco neutro delle
pareti, ben presto però il suo sguardo torna a saettare
verso la finestra. La ragazza la raggiunge con pochi passi,
approfittandone per sedersi sul davanzale: da lì la vista
è sorprendentemente suggestiva, può quasi
scorgere in lontananza i giardini di Villa Torlonia.
Chiara
chiude gli occhi, riempiendosi i polmoni di un’ampia boccata
di quell’aria insalubre, mentre un pensiero le attraversa
distrattamente la mente, facendole sbocciare un lieve sorriso sul volto.
Cosa
potrebbe mai succedere di così terribile in un posto del
genere?
Angolo
autrice
E...
salve. Questa è la prima volta che mi approccio al mondo
delle originali, per cui perdonatemi se vi sembrerò
completamente imbranata.
Comunque,
questa più che una storia è un esperimento di
scrittura. Il giallo è un genere che mi ha sempre
profondamente affascinata, da qui nasce la mia voglia di provare e di
mettermi alla prova in merito. Purtroppo non sarà "giallo"
in tutto e per tutto, perché temo che si sentiranno comunque
forti e preponderanti influenze romance. È una storia a cui
tengo molto, per cui spero davvero di non commettere orrori.
I
personaggi sono ispirati a persone esistenti nella vita reale, solo che
ho aggiunto o modificato alcuni dettagli del loro backgroud, come ad
esempio il nome, credo fondamentalmente per una questione di privacy.
Ci tengo a specificare che, invece, i fatti narrati in questa storia
sono puramente frutto della mia immaginazione, sebbene i luoghi in cui
sono ambientati, invece, esistano realmente.
È
in questo che sta il mio "esperimento": scrivere una storia con il
più alto tasso di verismo possibile. Abituata come sono alle
fanfiction su Anime e manga alquanto "irrealistici", ho pensato che,
una volta tanto, un po' più di fedeltà alla
realtà non mi avrebbe fatto male, no?
Non
credo che aggiornerò in maniera regolare, fondamentalmente
perché al momento sto portando avanti anche altri progetti
che ho a cuore, per cui interromperli sarebbe per me impossibile.
Tuttavia, ho già quasi terminato il prossimo capitolo ed ho
intenzione di iniziare a breve anche il successivo, per cui
cercherò di essere quanto più presente possibile,
perlomeno nei limiti delle mie capacità.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, compresi narrazioni, descrizioni e
personaggi ** la trama è ancora un po' oscura, lo so,
vedrete però che andando avanti le cose cominceranno a
diventare più chiare.
Mi
auguro anche che non ci siano errori nel capitolo. Purtroppo questa
volta non potrò avvalermi della mia beta di fiducia, per cui
incrociamo le dita.
Grazie
a chiunque leggerà e a chi decidesse di seguire la storia!
Un parere è sempre benaccetto, sono qui per migliorare.
E
niente, per stavolta credo che la chiuderò qui, non vorrei
darvi una brutta impressione di me già al primo colpo--
sempre che non l'abbia già fatto.
|
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Capitolo 2 *** L'inferno in Terra ***
Capitolo
uno
L’inferno
in Terra
«Ricordami
perché questo caso è di nostra competenza, ti
prego.»
Francesco
si china a terra, un ginocchio poggiato sul suolo polveroso mentre fa
scattare di nuovo la macchina fotografica.
«Perché
i colleghi della Polizia sono oberati di lavoro e hanno chiesto
gentilmente
a noi di prendere in carico questo caso» spiega
in fretta, cambiando angolazione «adorabili, non è
vero?»
Paolo si
arrotola le maniche della camicia fino ai gomiti, lasciando scoperti
gli avambracci. Non stenta a credere che le vere motivazioni per cui il
caso è stato affidato a loro siano ben altre: o per i loro
colleghi il caldo afoso di agosto è insopportabile a tal
punto da dover rinunciare a parte del loro lavoro – e questo
lo dubita fortemente, quegli avvoltoi farebbero qualsiasi cosa per
accaparrarsi i meriti delle indagini altrui, figurarsi se addirittura
si mettevano a donare gentilmente casi che avrebbero potuto mettere in
risalto persone non appartenenti al loro nucleo – oppure
sotto a quella storia c’era qualcosa di più grosso.
«Già»
commenta Paolo, con un sospiro seccato «proprio degli angeli
dal cuore d’oro.»
I colleghi
della scientifica, appurato che Francesco ha finito di fotografare
vittima e scena del crimine, provvedono a coprire il corpo morto a
terra con un lenzuolo bianco, mentre si affrettano a portare il
cadavere via da lì. Con le temperature proibitive di quel
periodo, c’è anche il pericolo che gli agenti
atmosferici provochino delle modifiche molecolari compromettenti nella
salma, il che sarebbe abbastanza problematico per la buona riuscita
delle indagini.
«Comunque»
Francesco si rialza in piedi, spazzando via la polvere dai suoi vestiti
«per ora non sappiamo granché della vittima. Non
aveva documenti con sé, però avrà
avuto al massimo quaranta, quarantacinque anni. Non hanno cercato in
alcun modo di cancellargli impronte digitali o altri elementi di
riconoscimento, per cui possiamo ipotizzare che…»
«Fosse
incensurato» conclude in automatico Paolo. Ha
un’espressione corrucciata in volto, lo sguardo ancora fisso
sulla pozza di sangue a terra, poco distante dal punto in cui, fino a
qualche istante prima, si trovava il corpo della vittima.
«Conosco
quello sguardo» Francesco gli si fa vicino, le braccia dietro
la schiena «è lo stesso che hai ogni volta che
c’è qualcosa che non ti torna.»
Paolo
sospira di nuovo. E da quando in qua Francesco passa così
tanto tempo ad osservarlo da accorgersi di una cosa del genere?
«Ragiona
anche tu: in tutto questa storia non c’è una cosa
che abbia senso» afferma infatti, impensierito
«perché qualcuno dovrebbe prendersi il disturbo di
uccidere un incensurato in un posto dimenticato da Dio come questo?
Potevo capire se si fosse trattato di un latitante o di un qualsiasi
altro genere di delinquente, se invece si tratta di qualcuno che non
è nemmeno schedato capisci anche tu che il tutto comincia a
delinearsi in una maniera abbastanza assurda.»
Per
sottolineare la paradossalità della situazione, Paolo
allarga le braccia, come a voler indicare il luogo
tutt’intorno a loro: si trovano infatti in un capannone
abbandonato, diversi chilometri fuori Roma, nel bel mezzo del nulla
– o quantomeno di una campagna incolta, dove
l’incuria la fa da padrona ormai da almeno un decennio, tra
erbacce alte quasi due metri e rifiuti ingombranti ammassati in piccoli
capannelli a distanza di un paio di metri l’uno
dall’altro – tra le lamiere fatiscenti e il tetto
mancante per metà. Tutto ciò non ha assolutamente
alcun senso.
«Magari
invece non è incensurato, anche se non gli hanno cancellato
le impronte digitali» ipotizza Francesco, portandosi una mano
al mento per riflettere meglio «chi l’ha ucciso
potrebbe aver lasciato qui il corpo, impossibilitato in quel momento a
spostarlo altrove o a cancellarne le tracce, con la convinzione di
tornare qui in seguito per disfarsene definitivamente. Avrà
pensato che tanto, essendo questo un posto abbandonato, nessuno avrebbe
notato o meno la presenza di un cadavere, per cui avrebbe potuto anche
agire con calma…»
«Mi
sembra piuttosto azzardato, come scenario» replica Paolo,
sempre più impensierito «ammesso e non concesso
che il nostro amico qui appartenesse alla malavita, mi spieghi chi
correrebbe il rischio di farsi scoprire lasciando il corpo della
propria vittima qui, specie se il cadavere in questione appartiene a
qualcuno che è schedato? D’accordo, in questo
capannone non ci metterà piede anima viva da anni,
però nelle campagne qui intorno ci sono alcune aziende
agricole e le proprietà di qualche piccolo agricoltore, che
porteranno sicuramente le greggi a pascolare qui intorno…
per cui è impossibile che prima o poi qualcuno non si
sarebbe accorto del puzzo di cadavere proveniente da qui, vento
favorevole o meno. A proposito di questo, il caldo di questi giorni
rende un po’ difficile stabilire da quanto tempo il cadavere
si trovasse qui, tuttavia da quel che possiamo vedere è
impossibile dargli meno di due giorni.»
«Beh,
oggi è lunedì» riprende Francesco,
concentrato al massimo nei suoi ragionamenti «questo apre la
scena a nuove possibilità! Se il delitto è stato
commesso due giorni fa, in un arco temporale compreso tra
venerdì notte e domenica mattina, potrebbe anche essersi
trattato di gesto episodico: magari qualche giovane, stordito
dall’alcol e da chissà quale altra sostanza, dopo
una serata in discoteca… potrebbe starci, dopotutto sono
molti i ragazzi che frequentano questa zona un po’
più appartata, specie di sabato.»
«Non
vorrei sminuire anche questa tua ipotesi, Francesco, sappi tuttavia che
la trovo abbastanza inverosimile» ribatte Paolo, stavolta con
un lieve sorriso «una persona in quelle condizioni non
avrebbe mai la lucidità necessaria per sparare due colpi di
pistola e centrare in entrambi i casi il malcapitato, addirittura in
pieno petto. E poi, che motivo avrebbe avuto? D’accordo lo
stordimento, mi spieghi però perché un ragazzo
dovrebbe essere in possesso di una pistola e, per di più,
dopo aver passato una serata in discoteca se ne andrebbe in giro nelle
campagne romane ad ammazzare gente a caso?»
«Non
lo so, magari anche la vittima si trovava nel locale
dell’assassino, ci aveva provato con la fidanzata del ragazzo
e questi ha deciso di porre rimedio alla faccenda con un regolamento di
conti stile western?» prova Francesco, con
l’abbozzo di un sorriso dipinto in volto.
Per tutta
risposta, Paolo gli lancia un’occhiataccia.
«Okay,
ho detto una cazzata, lo ammetto da solo» si affretta a
riparare Francesco, mentre il sorriso scompare dal suo volto.
«“Sii serio, Francesco, questo è un caso
di omicidio vero, mica un poliziesco in TV”. Va
bene.»
Paolo
distoglie lo sguardo dal suo collega, tornando a fissare la macchia di
sangue a terra; deve essersi allargata parecchio, nel corso dei giorni.
È strano: nonostante quel cadavere si trovi lì
presumibilmente da diversi giorni, in barba alla calura estiva il
liquido non si è seccato. Adesso alcune mosche si aggirano
su di esso, conferendo alla scena un’aria ancor
più macabra.
«Piuttosto,
c’è una cosa che continua a non
tornarmi» ammette infine, con una certa dose di frustrazione
nella voce.
«Sarebbe
a dire?» s’informa subito Francesco, stringendo
lievemente la fotocamera tra le mani.
«Se
l’omicidio è davvero avvenuto qui,
perché la scientifica non ha ritrovato nemmeno un
bossolo?» domanda Paolo, consapevole di aver centrato un nodo
fondamentale della questione.
«Mhh…
l’omicida se li è portati via?» prova a
suggerire Francesco, nuovamente in tono sardonico.
Prima che
gli possa arrivare una nuova occhiata di traverso da parte di Paolo, si
affretta a ritrattare.
«Va
bene, la pianto» commenta infatti, scuotendo lievemente la
testa.
«Comunque,
finché non avremo un riscontro dalla scientifica
è inutile stare qui a fare ipotesi» conclude
Paolo, non senza una certa dose di rassegnazione «per quanto
ne sappiamo noi, l’omicidio potrebbe anche essere avvenuto da
un’altra parte e il corpo spostato qui in un secondo momento
– anche se lo trovo improbabile per i motivi che ti ho
spiegato prima. Ad ogni modo, adesso ci converrà andarcene
di qui, quello che dovevamo vedere l’abbiamo visto. E poi
questo caldo è davvero insopportabile.»
Chiara si
maledice tra sé.
Ancora
poco pratica delle strade di Roma, aveva pensato che affidarsi alla
metropolitana fosse il metodo più efficace per non finire a
Calcutta – o quantomeno evitare di perdersi al suo secondo
giorno in quella nuova città.
Ovviamente,
aveva sbagliato lato della metropolitana, finendo per andare
anziché in direzione della sua nuova
“casa” – Chiara nutriva ancora qualche
remora nel definire in quel modo l’appartamento malandato
dove era approdata giusto il giorno precedente – in quella
opposta, ossia sulla linea per Termini. Fantastico.
Almeno
così avrebbe imparato a controllare se ci fosse un altro
ingresso, la prossima volta. Teresa le aveva detto che la distanza del
loro palazzo dall’università era davvero
irrisoria, per di più si era perfino prodigata nello
spiegarle come tornare facilmente lì – solo che
lei, ovviamente, non aveva capito nemmeno una parola della sua
delucidazione, ancora troppo ignara in merito al nuovo, magico mondo
delle strade di Roma. O almeno, così appaiono davanti ai
suoi occhi, abituati alla realtà rurale di Pristino
– per cui all’apparenza inconciliabili con
l’attuale dimensione in cui si trova.
Un’altra
cosa che avrebbe dovuto sicuramente evitare di fare era quella di
lanciarsi sul primo treno disponibile, senza nemmeno controllare sulla
mappa lì accanto se andasse nella direzione giusta o meno.
Solo che vedere il vagone lì, davanti a sé,
l’aveva inondata di energia, come se una scarica elettrica
avesse percorso da capo a piedi il suo corpo… e se poi non
fossero più passati mezzi per delle ore? No, doveva salire
su quello, assolutamente.
La
verità, constata amaramente Chiara, è che stava
ragionando ancora con la mentalità di una ragazza che viveva
in un paesino sperduto nel cuore dell’Italia. Ora che si
trova a Roma, però, le cose sono notevolmente cambiate.
Sembra ricordarsi solo in quel momento, infatti, che tra le altre cose
Teresa le aveva detto anche che lì la metropolitana e i
treni in generale passano praticamente ogni minuto. Chiara ricorda che
a Pristino passava solo un treno, due volte al giorno, al mattino e
alla seria. Probabilmente le ci vorrà ancora un
po’, prima di abituarsi a quella nuova routine.
Tra
l’altro, aveva vissuto tutta la sua – breve
– permanenza in metropolitana in maniera estremamente
rilassata, le mani strette attorno al sostegno in ferro centrale e lo
sguardo perso in quella folla soffocante di persone. Solo quando dagli
altoparlanti era stato annunciato che la prossima fermata sarebbe stata
quella di Termini, aveva cominciato a farsi venire ben più
di qualche dubbio.
“Beh,
Termini è una stazione molto grande” aveva
valutato tra sé, cogitabonda “se fosse dovuta
andare in direzione di un punto di riferimento così
importante Teresa me l’avrebbe detto, no?”
A quel
punto, aveva alzato lo sguardo, fissandolo sulla piccola mappa della
metropolitana fedelmente riportata sopra le porte del vagone. Se lei
era salita a Policlinico e adesso stava andando in direzione
Termini…
…
allora aveva completamente sbagliato.
Prima che
le porte del vagone si chiudano, Chiara schizza fuori di lì
veloce come una scheggia. Riesce a confondersi in una stazione piccola,
figurarsi nel caos che non fatica ad immaginarsi essere presente a
Termini.
Così,
mentre la metropolitana riparte, Chiara si avvia verso le scale,
lasciandosi alle spalle un mezzo di trasporto pieno di turisti intenti
a conversare in una lingua per lei incomprensibile e passeggeri
d’ogni genere, razza ed età con al seguito enormi
valige e trolley da viaggio.
“Sicuramente
stanno andando alla stazione, saranno in partenza o qualcosa del
genere” commenta mentalmente Chiara.
Nel
frattempo, la ragazza sta frugando in maniera affannosa e confusa nella
sua borsa, alla ricerca del proprio telefono. D’accordo,
è una frana con la tecnologia e riesce a confondersi perfino
con la direzione da prendere in treno – e no, essere in una
città per lei nuova, immensa e totalmente sconosciuta
è solo in parte una giustificazione –
però deve pur trovare un modo per tornare
all’appartamento.
Sta giusto
digitando l’indirizzo dell’abitazione sul
navigatore – e si sente immensamente stupida per questo
– quando una folata di vento la raggiunge in pieno. Strano,
da quello che ne sa lei a Roma non tira un filo d’aria da
settimane…
La mappa
sul suo telefono le sta segnalando che, per andare
dall’università a via Pavia, non avrebbe dovuto
prendere alcuna metropolitana, tuttavia Chiara non ha il tempo
materiale per accorgersene, perché quel vento le sta
portando via i fogli che aveva in mano.
No, i
fogli!
È
andata all’università, per poi puntualmente
perdersi nei sotterranei della metropolitana, al fine di ottenere quei
documenti: sono le ultime pratiche da riempire per
l’ammissione a Psicologia e lei se l’è
appena lasciate portare via così, in quel modo tanto banale.
Chiara non
sa se mettersi a piangere. O forse ad urlare dalla frustrazione.
Tuttavia, l’opzione che al momento le sembra la
più plausibile, quantomeno se ci tiene a preservare la sua
sanità mentale, è quella di mettersi ad inseguire
quei dannati fogli.
Così,
prima di poterci ripensare, inizia a correre dietro ad essi, lo sguardo
puntato in alto a seguire la loro traiettoria attraverso il cielo.
Per sua
immensa fortuna – o più probabilmente per un
ennesimo colpo di malasorte – il vento pare di colpo
placarsi, così che la sua pratica inizia a planare
lentamente verso il suolo, finendo addosso ad un’altra
persona, senza che Chiara possa fare niente per evitarlo.
«Ehi!»
grida istintivamente, mentre si affretta a raggiungere il destinatario
delle sue parole.
È
un uomo, avrà al massimo quarant’anni, i capelli
neri d’ebano e la camicia bianca spiegazzata, le maniche
arrotolate fino ai gomiti. Al momento sta osservando confuso la sua
pratica d’ammissione, la testa leggermente inclinata di lato.
Non appena
la voce di Chiara gli giunge alle orecchie, subito alza lo sguardo
nella sua direzione, la confusione che, seppur attenuata, stenta ancora
ad abbandonare il suo volto.
«È
tua questa?» il suo salvatore solleva appena i fogli,
tenendoli ben stretti in una mano.
Nel
frattempo, Chiara lo raggiunge; tuttavia, prima di potergli rispondere,
è costretta a piegarsi su se stessa, le mani poggiate sulle
ginocchia, mentre cerca di riprendere faticosamente fiato. Non credeva
che la corsa l’avesse sfiancata così tanto.
«S-sì»
si costringe a rispondere infine, sollevando il volto arrossato
«mi dispiace, una folata di vento improvvisa me
l’ha strappata via. Avrei dovuto essere più
attenta…»
«Immagino
di sì» commenta l’altro, restituendole i
fogli «diciamo però che sei stata parecchio
fortunata. Ammissione alla facoltà di psicologia,
eh?»
«Ehm…
già» ammette Chiara, non senza imbarazzo
«ha letto?»
«Temo
si tratti di “deformazione
professionale”» ammette l’uomo, con un
sorriso radioso che gl’illumina il volto.
Chiara sta
già per domandargli quale sarebbe la sua deformazione
professionale, quando d’improvviso sposta lo
sguardo di lato,
notando solo in quel momento che, appeso al muro di un palazzo poco
distante da loro, si trova lo stemma delle forze armate.
Oh.
«Comunque,
piacere» prima che Chiara possa accorgersene,
l’altra persona ha già allungato la mano destra
nella sua direzione «Paolo.»
Chiara
deve fare appello a tutte le sue forze per non lasciarsi sfuggire dei
nuovi commenti monosillabici; per un momento quasi non si accorge
neanche che l’uomo le ha rivolto di nuovo la parola,
tant’è che – quando se ne rende conto
– non può fare a meno di arrossire ancora di
più.
«Chiara,
piacere» si decide finalmente a rispondere, ricambiando
lievemente la stretta di mano e limitandosi a tenere ora lo sguardo ben
basso, fisso al suolo, decisamente in soggezione.
«Mi
pare di capire che tu sia nuova di queste parti» commenta
Paolo, con un sorriso bonario «beh, in tal caso
benvenuta.»
«Oh,
grazie» replica in automatico la ragazza, torturandosi una
ciocca di capelli mentre se la sistema dietro l’orecchio
«è così evidente, eh?»
«Avevi
lo stesso sguardo perso che ho visto negli occhi di tanti turisti in
tutti questi anni, da quando mi sono trasferito qui a Roma. E credo che
lo avessi anche io, i primi tempi qui» spiega lui, scrollando
le spalle. «Questa è una città immensa
e piena di sorprese. Vedrai, ti troverai bene.»
«Spero
solo di riuscire a trovare il modo di riuscire a tornare a casa e di
non perdermi nei labirinti di Termini, adesso» ammette
Chiara, mentre sente le guance farsi sempre più rosse e
calde. «Incredibile, sono arrivata a Roma da due giorni e mi
sono già persa.»
«Ah,
non essere troppo dura con te stessa» la rassicura Paolo,
lasciandole una pacca sulla spalla «vedrai che col tempo
imparerai ad orientarti. In bocca al lupo con
l’università, comunque!»
«Ancora
grazie! Beh, allora arrivederci!» lo saluta Chiara,
voltandosi di scatto e tornando a camminare verso
l’imboccatura della via. Probabilmente al momento si stanno
chiedendo entrambi cosa li abbia portati a dare confidenza ad un
perfetto sconosciuto. Paolo è sempre così sulle
sue, mentre Chiara è un’inguaribile timida, invece
sono quasi riusciti ad intrattenere una conversazione. Che strano.
“Poco
male, tanto questa città è così grande
che, con molte probabilità, non lo rivedrò mai
più in vita mia…” si sta giusto dicendo
Chiara, mentre fa per scendere le scale della metro.
«Ehi!»
d’un tratto una voce la richiama, costringendola ad alzare lo
sguardo.
“…
né tantomeno lo risentirò” finisce in
quel momento di mormorare mentalmente, tuttavia Chiara sa
già di essersi sbagliata per l’ennesima volta,
perché i suoi occhi trovano la conferma a ciò che
le orecchie avevano già intuito: la voce rivolta nella sua
direzione, infatti, appartiene proprio a Paolo.
«Se
non vuoi finire a Termini devi prendere la metro nella direzione
opposta» le fa notare, con un sorriso bonario
«l’ingresso lo trovi dalla parte opposta della
strada.»
Chiara
avvampa nuovamente; riesce a biascicare qualcosa di simile a un
“grazie” un momento prima che l’imbarazzo
prenda il sopravvento su di lei, costringendola a voltarsi e a
schizzare in fretta e furia via da lì.
Paolo
resta a guardare ancora per qualche secondo il punto in cui ha visto
per l’ultima volta quella ragazza, prima che scomparisse,
inghiottita dalla folla onnipresente sui marciapiedi romani. Non
saprebbe dire nemmeno lui perché, eppure, mentre si volta
per rientrare in caserma, pensa distrattamente che la giovane che ha
appena incontrato abbia qualcosa di speciale.
I due
ancora non lo sanno, eppure le loro strade sono destinate ad
incrociarsi
ancora.
Angolo
autrice
Odio il
fatto di non sapere mai cosa dire in questa parte. Forse dovrei
cominciare ad ometterla, eppure è come se –
paraddossalmente – ci fossi
così affezionata da non riuscire a farne a meno.
Oh, perfetto, non ha assolutamente alcun senso.
Bando alle
ciance, so già che adesso arriverà la parte in
cui risulto assolutamente ridicola, per cui vedò di
sbrigarmi e dire subito le cose importanti. Ringrazio anzitutto Gagiord
per essersi presa l'onere di betare tutto ciò. È
una precious cutie, prima o poi troverò il modo per ripagare
tutti i suoi sforzi ♥
Poi,
allora, vediamo: finalmente introduciamo la vicenda su cui
verterà la storia. Abbiamo un omicidio: cosa sarà
successo? Chi è la vittima? E il killer? Oh, beh, credo che
sia ancora troppo presto per tutto ciò, se tuttavia qualcuno
avesse voglia di lanciarsi in qualche volo pindarico in merito, le
ipotesi sono più che benaccette ~
Spero di
essere riuscita a far emergere un po' di più il carattere di
Paolo: essendo un personaggio a cui tengo molto, è chiaro
che più la sua personalità spicca e
più me ne sento appagata. Tuttavia mi rendo conto che sia
ancora un po' presto per esprimere giudizi in merito, per cui proviamo
ad andare avanti e poi magari si vedrà, chi lo sa.
E
dell'incontro tra i nostri due protagonisti, invece, cosa ne pensate?
Io ne prevedo delle belle, tuttavia non vi anticipo altro.
Sono
felice di essere riuscita ad aggiornare ad un mese esatto dalla
pubblicazione del prologo, magari fosse sempre così! Nel mio
piccolo cercherò sempre di mantenere una certa
regolarità con gli aggiornamenti, tuttavia non vorrei
mettermi fretta, altrimenti so già che il risultato dei
capitoli potrebbe essere scadente, perciò... staremo a
vedere ~
E niente,
anche per questa volta credo di aver detto tutto. Grazie a chiunque
leggerà, un commento è sempre gradito
♥ non so se riuscirò a rispondere
perché questo è un periodo un po' incasinato,
però come al solito proverò a fare del mio
meglio, promesso.
Spero che
il capitolo vi sia piaciuto.
A presto
Aria
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