Come perdere la verginità grazie a WikiHow e a un pacchetto di caramelle al malto

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** WikiHow ***
Capitolo 2: *** Caramelle al malto ***



Capitolo 1
*** WikiHow ***


N.d.A.

Vi prego di prendere questa storiella, nata per tirarmi su in un periodo poco felice, per l’idiozia che è. Buon inizio della stagione estiva a tutti, gente! /( ^-^)/ Non è vero, io odio lestate...


 

Come perdere la verginità grazie a WikiHow e a un pacchetto di caramelle al malto

 

 



1. WikiHow

 

 

Lo squillo della campanella di fine lezione si estinse, lasciò l’eco di un ronzio cristallino sparso fra le pareti dei corridoi dove già si stavano riversando le ondate di studenti appena sgorgati fuori dalle aule appena aperte. La porta dell’aula di biologia C-3 si spalancò sbattendo l’anta sul muro, la spinta di un piede la tenne aperta, i ragazzi corsero fuori infilandosi le tracolle attorno alle spalle, altri indossarono la giacca della divisa primaverile che si erano tolti a lezione, uno studente si girò a lanciare una pallina di carta nel cestino accanto al portaombrelli, un altro ancora estrasse una merendina alla vaniglia e fragola dalla tasca della borsa e ne strappò un morso avido. L’eco della campanella si dissolse completamente, scavalcato dal frastuono di passi, di suole di gomma che singhiozzano sulle piastrelle, e di risa e di borbottii degli studenti che festeggiavano l’ultimo giorno di scuola.

Feliciano si fece spazio fra le spalle degli ultimi ragazzi che stavano uscendo dall’aula di biologia, strinse al petto i due volumi di “Scienze integrate: Biologia e Anatomia 1 e 2”, e si aggrappò alla mano di Ludwig con il braccio libero per aiutarlo a uscire dalla calca. Girò lo sguardo e alzò la voce per farsi sentire e continuare il discorso che aveva iniziato durante gli ultimi istanti della lezione. «Pensavo solo che prima della festa sarebbe bello passare da qualche altra parte per cenare» esclamò sopra le voci degli altri ragazzi che correvano nel corridoio. «L’anno scorso al buffet della palestra si sono spazzolati subito le pizzette e le tartine di tonno, ed erano rimaste solo quelle piccanti che io odio e che non riesco proprio a mangiare perché poi mi brucia la bocca per almeno tre giorni, e così ho mangiato patatine al formaggio per tutta la sera. Per tutta la sera! Solo patatine al formaggio!»

Anche Ludwig sgusciò in mezzo ai fianchi degli studenti che si spostarono di un passo per lasciarlo passare – alcuni guardarono in alto e fecero un passo all’indietro, intimiditi dalla sua stazza. Ludwig strinse la mano a Feliciano per non farselo sfuggire, si girò e chiuse di più anche quella che aveva avvolto attorno alla manica di Kiku per non perderlo in mezzo al trambusto. Uscirono tutti e tre. Kiku finì invaso dall’aria fresca del corridoio, rivolse a Ludwig un sorriso di cortesia per ringraziarlo di averlo tirato fuori dalla calca, e si spazzolò la manica stando attento a non far scivolare giù la borsa a tracolla. Feliciano lasciò la mano di Ludwig, girò la sua borsa all’altezza del ventre, aprì la prima tasca, e fece spazio fra i libri per infilare quelli che aveva in mano.

«Se arrivassimo alla festa già con lo stomaco un po’ pieno» continuò Feliciano. «E non dico tutto tutto pieno, ma almeno un pochino, uh, diciamo mezzo pieno, potrei pensare di più a divertirmi senza essere distratto dalla pancia che brontola.» Richiuse la cerniera, si sistemò la tracolla sul fianco, e un lampo di realizzazione e spavento gli attraversò gli occhi. Feliciano si batté la mano sulla fronte. «Oh, a proposito di distrarmi, mi sono dimenticato di segnare i problemi di matematica che ci hanno dato per le vacanze.» Si strofinò la nuca, piegò un risolino imbarazzato, e spostò lo sguardo su Ludwig e Kiku. «Uno di voi ha per caso...»

Ludwig e Kiku si scambiarono uno sguardo perplesso ma non stupito. Ludwig sospirò, infilò la mano nella tasca esterna della sua borsa ed estrasse due pagine di quaderno piegate in quattro. «Te li ho presi io.» Porse i compiti a Feliciano.

Feliciano sorrise, allungò le braccia per afferrare i fogli, ma Ludwig li sollevò prima che potesse sfiorarli. Squadrò Feliciano con occhi severi. «Vedi di non perderli» gli disse. «Non voglio trascorrere gli ultimi giorni delle vacanze a farti copiare i miei com’è successo a Natale solo perché tu avevi perso gli appunti con sopra le consegne.»

Feliciano giunse le mani davanti al petto, come in preghiera, e scosse il capo allargando un sorriso di gratitudine. «No, no, lo prometto, giuro, Ludwig!» Salì sulle punte dei piedi, prese le pagine dalle sue mani, si appoggiò a una sua spalla e gli schioccò un bacio sulla guancia. «Sei il ragazzo più speciale del mondo.»

Kiku girò lo sguardo arrossato al soffitto e tossicchiò con la mano davanti alla bocca. Anche le guance di Ludwig divennero rosse, le sue labbra tremolarono, gli occhi si spostarono su Feliciano luccicando di timidezza, e lui si spostò di un passetto all’indietro.

«Non fare queste cose imbarazzanti in corridoio, ci guardano tutti.»

Feliciano fece roteare lo sguardo, senza nascondere il sorrisetto di soddisfazione, e infilò gli appunti di Ludwig in mezzo ai due libri di biologia. Sistemò la tracolla sulla spalla, prese Ludwig per mano, si portò vicino a Kiku, e aprì strada a entrambi lungo il corridoio affollato da studenti e illuminato dai raggi di sole che picchiavano sulle finestre. I riflessi verdi e rosa dei ciliegi in fiore piantati nel giardino si riflettevano sulle piastrelle e sulle pareti bianche. Un delizioso profumo di polline e germogli freschi entrava dalle porte laterali che ora erano spalancate per far uscire gli studenti dalle entrate secondarie che davano sul giardinetto.

Kiku schivò la corsa di due ragazzini sgusciati fuori dall’aula di disegno, e chinò le spalle in avanti per rivolgersi a Ludwig e Feliciano, i capelli corvini gli scivolarono sulle guance. «Potremmo andare a quel nuovo ristorante che hanno aperto accanto alla biblioteca, prima della festa, se vi fa piacere.»

Feliciano fece un saltello di entusiasmo, gli occhi si illuminarono di gioia. «Oh, quello con le cameriere carine che indossano i vestiti alla tirolese?»

Ludwig sospirò e aggrottò un sopracciglio in segno di rimprovero. «Non si scelgono i ristoranti in base alle cameriere.»

«Io ci sto!» Feliciano fece un altro saltello, tirò Ludwig più avanti, e la borsa a tracolla gli rimbalzò sull’anca. «Speriamo però che abbiano ancora un tavolo libero per tre, perché ho saputo che è difficile trovare posto da un giorno all’altro, siccome hanno appena aperto e...»

«Per tre?» domandò Kiku, mimando sguardo confuso. «Pensavo che con noi venisse anche Lovino-kun.»

Feliciano scosse il capo. «Oh, no, quest’anno ha detto che non viene alla festa. Preferisce rimanere a casa e andare a fare compagnia ad Antonio.» Passarono davanti alla mensa, superarono una doppia fila di studenti immersi nel caldo profumo di pasta al ragù, di cotoletta, di patate al burro e di verdure bollite, e si diressero verso l’uscita principale. Feliciano fece dondolare la mano stretta a quella di Ludwig e abbassò lo sguardo in mezzo ai piedi. «Sapete, dato che lui e Francis e Gilbert sono stati espulsi dalla festa.»

Ludwig fece roteare gli occhi e sbuffò. «Già.»

«Espulsi?» domandò Kiku, e i suoi occhi si sgranarono per la sorpresa. «Non pensavo avessero preso un provvedimento così drastico.»

Feliciano annuì. «Mh-mh.» Sospirò sconsolato e volse lo sguardo su una delle finestre toccate da un ramo di ciliegio in fiore. «Si sono arrabbiati parecchio per quello che hanno combinato l’anno scorso, mi sa.»

«Arrabbiati un corno!»

Una voce squillante li sorprese alle loro spalle, fece fermare tutti e tre, e Ludwig lanciò un’occhiata più storta delle altre.

Mathias comparve accanto a Kiku, facendolo sobbalzare, sistemò la sua borsa sulla spalla con una mano e tenne l’altra intrecciata alle dita di Lukas, portandoselo dietro. Rivolse a tutti e tre un arrogante e pomposo sorriso di soddisfazione. «È stata la cosa più sballosa dell’intera serata» esclamò. «Altrimenti c’era da piangere dalla noia.»

Feliciano gli sorrise con naturalezza e sventolò la mano. «Oh, ciao, ragazzi.» Lukas non aveva nemmeno sollevato gli occhi dal libro che stava leggendo – “Genealogia della morale”.

Tino saltò in mezzo alla folla aggrappandosi a una spalla di Mathias, anche lui imitò il saluto sventolante di Feliciano. «Ehi, Feli! Ehi, Ludwig! Ehi, Kiku!» Berwald si fece spazio fra gli studenti che sgusciarono via abbassando gli sguardi spaventati, e si mise alle spalle di Tino – lui portava a tracolla sia la sua borsa che quella di Tino che esibiva i marchi dei Korpiklaani e dei Kivimetsan Druidi disegnati con l’indelebile più un portachiavi a forma di pupazzo di neve a pendere dalla bretella. Tino giunse le mani in segno di scuse e piegò una piccola riverenza. «Vi prego, non date retta a Mathias, dice così solo per...»

Mathias sguainò la stecca di plastica dalla sua borsa e la puntò al soffitto come la lama di una spada. «Perché lo scettro di Re della Festa di Fine Anno sta per passare in mani nordiche, ecco perché. Anzi, in mani danesi!» I suoi occhi arsero di entusiasmo, divennero due fiamme fra le orbite, e le dita si strinsero attorno alla stecca fino a farla vibrare. «Con quei tre fuori dalle scatole, spetterà a me il nobile compito di far –»

Berwald sfilò un libro dalla sua tracolla e gli sbatté il fianco della copertina rigida sulla nuca.

Mathias gemette. «Urgh!»

Lukas sollevò un piede e gli pestò la scarpa, stritolandola come un mozzicone di sigaretta.

«Ahi!» Mathias saltò in disparte mollando la mano a Lukas e si strinse la scarpa fra le dita. «Ma che cavolo!» si lamentò.

Una quinta sagoma passò fra Lukas e Berwald, sfilò davanti a Tino e procedette lungo il corridoio tenendo il broncio basso, gli occhi distanti e imbarazzati, e la fronte scura nascosta dietro la mano aperta. «Io vi precedo» brontolò. Emil si allontanò a passo svelto, facendo rimbalzare il portachiavi a forma di pulcinella di mare appeso alla sua tracolla.

Tino sollevò il braccio sopra la testa e lo chiamò con uno sventolio. «Oh, Emil, aspetta!» Gli corse dietro. «Ti devo ancora restituire il compasso che mi hai prestato a trigonometria e – Oh, oh, Ed, Ed, siamo qui!» Accelerò la corsa, superò Emil stringendogli una manica per non perderlo fra la folla, e fece due saltelli sul posto sventolando il braccio libero sopra la testa. «Ed, ragazzi!»

Fuori dall’aula di informatica contrassegnata dall’insegna A-9 la massa di studenti si stava disperdendo, alcuni diretti alle uscite laterali, altri già con i portamonete in mano per dirigersi ai distributori automatici di merendine, e altri sfogliavano pagine battute a computer e marchiate da timbri da consegnare in segreteria.

Eduard si girò al richiamo di Tino, con ancora una mano infilata nella borsa a tracolla a sistemare il quaderno ad anelli fra i libri, e sollevò il braccio a sua volta, sventolò un breve saluto scivolando in mezzo ai ragazzi fermi davanti all’entrata che dava sul giardino. «Tino!» Sottobraccio aveva ancora i tomi di “HTML: Corso avanzato” e “Programmare con Java: guida ufficiale”.

Raivis chinò la testolina riparandosi la nuca con il libro di informatica e si appiccicò al fianco di Eduard. Si appese alla sua tracolla, lanciò alle sue spalle un’occhiata intimorita, e gli strinse un braccio attorno al fianco per non finire trascinato via dagli altri ragazzi. Anche Toris riuscì ad aprirsi la strada: con una mano teneva l’agenda gonfia di carte e appunti sopra la testa, e con l’altra stringeva quella di Feliks che gli saltellò dietro buttando subito un felino sguardo di disprezzo in direzione di Mathias.

Tino corse vicino ai quattro portandosi dietro il braccio di Emil che già guardava le uscite assolate, e mostrò a tutti un sorriso smagliante. «Ragazzi, vi cercavo anche prima a ricreazione. Noi cinque andiamo a mangiare frozen yogurt al centro commerciale, venite anche voi, vero?»

Mathias fece un altro salto sul piede che Lukas non gli aveva schiacciato, staccò una mano dalla scarpa calpestata e la usò come amplificatore attorno alla bocca. «Ohi, Tino!» Lanciò un’occhiata d’odio agli altri quattro. «Lascia stare quei Sovietici, ti faranno diventare uno sporco comunista mangia-bambini!»

Eduard e Toris si scambiarono una bassa occhiata di esasperazione, Eduard sollevò un sopracciglio e squadrò Mathias con espressione compassionevole.

Feliks arricciò la punta del nasino in un’espressione da smorfiosa e si lisciò una ciocca di capelli biondi con la mano che non reggeva quella di Toris. «Io non vengo nemmeno per idea se c’è anche quel cretino di Køhler, vi avviso.» Si infilò sotto il braccio di Toris, allacciandoselo al collo – lui aveva la giacca dell’uniforme annodata attorno alle spalle come un piccolo mantello –, e guidò il suo ragazzo in mezzo alla calca in direzione dell’uscita sul giardino. Camminarono fra alcuni petali di ciliegio svolazzanti che erano finiti spazzati sul pavimento. «E spero che tipo sbattano anche te fuori dalla festa di domani sera, perché non ho la più totale intenzione di finire in un macello peggiore di quello combinato dai tre decerebrati dell’anno scorso.»

Mathias emise uno sbuffo scocciato e inorgoglito allo stesso tempo. Mollò il piede che gli aveva pestato Lukas, si massaggiò il collo e la nuca, dove Berwald lo aveva colpito con la librata, e puntò l’indice verso Feliciano, Kiku e Ludwig, ignorando Feliks. «Quello che hanno fatto i tre pivelli la volta scorsa sembrerà roba da bamboline rispetto a quello che vi regalerò io quest’anno, vedrete» annunciò.

Ludwig sollevò un sopracciglio con aria indifferente. «Temo di non essere interessato.»

Lukas passò di fianco a Mathias senza alzare gli occhi dal libro e lo acchiappò per il bavero della giacca. «Nemmeno noi.» Berwald lo imitò e agguantò Mathias di peso per il braccio, trascinandolo nella direzione in cui erano spariti Emil e Tino.

«Ehi, ehi, ehi», Mathias diede una scalciata all’aria, «dovreste sostenermi, voi due! Dov’è il vostro spirito vichingo?»

Feliciano e Kiku si sporsero per vederli svanire nella folla assieme agli altri, accompagnati dalla voce di Tino che si perse come un eco: «Ragazzi, ragazzi, e se dopo la festa andassimo tutti alla sala giochi? Potremmo...»

«Ehi, Feliks, ehi!» lo chiamò Mathias. «Ti eleggiamo reginetta del ballo, mi senti? Reginetta del ballo!»

Feliks si girò di scatto, ancora avvolto dal braccio di Toris che lo tenne più vicino a sé, e gli fece la linguaccia.

La massa di studenti in uniforme li inghiottì.

Feliciano salì sulle punte dei piedi e si portò una mano davanti alla fronte come una vedetta. Inarcò un sopracciglio mimando un’espressione preoccupata. «Speriamo che non succeda niente di grave.»

Ludwig alzò lo sguardo al soffitto e sistemò la sua agendina che stava scivolando fuori dalla tasca esterna della borsa. «Peggio dell’anno scorso non potrà essere.» Rimboccò la tracolla sulla spalla e si avviò anche lui verso l’uscita spolverata di petali di ciliegio sulla soglia. «A questo punto mi domando se sia più saggio anche per noi andare da un’altra parte invece che in palestra.»

«Oh, ehm, Ludwig», Feliciano gli saltellò davanti fermando il passo sia a lui che a Kiku, «a proposito...»

Ludwig e Kiku si fermarono, si scambiarono uno sguardo smarrito, e i loro occhi tornarono su Feliciano.

Feliciano chinò la fronte, le sue guance si imporporarono, e si grattò dietro l’orecchio, scompigliandosi i capelli. «Sai, credo che Lovino passerà tutta la serata con Antonio, a casa sua. Lovino non lo ammetterà mai, ma anche lui sta aspettando tanto domani sera, e ha già comprato le Coca-Cola, i barattoli di gelato alla stracciatella e all’amarena – e solo ad Antonio piace il gelato all’amarena –, i biscotti con le gocce di cioccolato, e ha anche tirato fuori dall’armadio i DVD di tutta la terza stagione di “Adventure Time” perché immagino vorranno vederla domani quando saranno assieme, e quindi non tornerà sicuramente a casa a dormire e...» Si strinse nelle spalle, giunse le mani sul grembo, giocherellò con le dita, e le guance tinte di rosa divennero di un rosso più vivace. «Ecco, in casa ci sarò solo io e...»

«Hai l’antifurto?» domandò Ludwig.

Feliciano sbatacchiò le palpebre, confuso. «Uh?» Flesse il capo di lato, le guance persero la tinta imbarazzata. «Cosa?»

«L’antifurto» ripeté Ludwig. «Hai l’allarme antifurto? Le serrature funzionano? Ti sei assicurato che le imposte delle finestre siano ben sigillate?»

«I-io...» Feliciano tornò a strofinarsi la mano sulla nuca, il piccolo sorrisetto che aveva piegato prima cadde. «Credo di sì.»

Ludwig annuì. «Allora non hai nulla da temere» gli disse. «Accendi l’antifurto, tieni il telefono accanto al letto in modo che sia facilmente raggiungibile, lascia una piccola luce accesa, e assicurati di aver chiuso bene a chiave anche la porta della cantina.» Gli rivolse un’occhiata rassicurante. «Vivi in un quartiere sicuro e tranquillo, non ti succederà niente.»

«Oh.» Feliciano abbassò lo sguardo al pavimento, il ciuffo arricciato si ammosciò sulla spalla, e le punte delle sopracciglia si flessero in un’espressione delusa. Annuì lentamente. «Okay» mormorò.

Kiku sbatté due volte le palpebre, spostò gli occhi da Feliciano a Ludwig e da Ludwig a Feliciano, senza dire nulla. Riuscì a percepire una grigia nebbiolina di disagio spandersi fra loro, gettata dagli occhi distanti di Ludwig e riflessa nello sguardo basso e amareggiato di Feliciano.

Ludwig si rimboccò la tracolla della borsa sulla spalla, superò entrambi e si diresse verso l’uscita principale a passo svelto. «Scusate, ho l’ultimo autobus fra dieci minuti, devo sbrigarmi.»

Kiku annuì. «Certo.»

Feliciano rimase a capo chino. Sospirò. «Sì.»

Ludwig rivolse un’ultima occhiata alle sue spalle, guardando oltre le teste di altri ragazzi che stavano uscendo prima di lui. «Pensi tu a prenotare il ristorante, Kiku?»

Kiku raddrizzò le spalle e mostrò viso alto. Annuì. «Conta su di me.»

«Ottimo. Allora ci vediamo domani sera.»

«Oh, Ludwig, aspetta.» Feliciano si infilò fra le spalle di due studenti che si erano fermati a scambiarsi due libri accanto a una delle finestre, corse verso Ludwig, gli posò le mani su una spalla e salì sulle punte dei piedi, accostò le labbra alle sue, senza toccarle. «Bacio.»

Ludwig divenne rosso in viso, gettò lo sguardo in disparte arretrando di un passo, e aprì una mano sulla faccia di Feliciano, allontanandolo. «Ci guardano, Feliciano.»

Feliciano scese dalle punte dei piedi, si staccò dalla sua spalla e fece anche lui un passetto all’indietro, tornando a fronte china. Gli occhi di nuovo si intristirono, caddero ai suoi piedi.

Ludwig se ne accorse, e un rapido ma intenso sentimento di colpevolezza gli trafisse il petto. Sospirò, tornandogli vicino. «Fai attenzione quando torni a casa e non fermarti per strada ad accarezzare gattini come al tuo solito, intesi?»

Feliciano annuì. «Promesso.»

«Bravo.» Gli fece una piccola carezza fra i capelli, la mano scese e rimase a sfioro della guancia. «Ci vediamo domani.» Prima che Feliciano potesse ricambiare il tocco, Ludwig si allontanò verso l’uscita, un gruppetto di ragazzi appena usciti dall’aula di matematica e fisica si infilarono fra le pareti del corridoio, seguirono la stessa direzione, e nascosero il suo profilo di schiena che svanì in mezzo alla luce che profumava di fiori e di rugiada.

Feliciano continuò a guardare la calca di gente anche dopo che Ludwig era sparito. Lo sguardo abbattuto, gli occhi avviliti, e quella costante nebbiolina di disagio e amarezza a volteggiargli attorno in un’aura di malessere.

Kiku gli si avvicinò, sentendo fiorire il bisogno di soffiare via quel buio. «Feliciano-kun?» domandò con voce cauta ma amichevole. Flesse il capo per incontrare il suo volto. «È tutto a posto?»

Feliciano sollevò lo sguardo di scatto. «Uh, sì.» Tornò a strofinarsi la nuca, si strinse nelle spalle, e nei suoi occhi ricomparve quell’aura indecisa che lo spinse a guardare nella direzione imboccata da Ludwig. «Credo» farfugliò.

Kiku strinse le mani sul grembo, gli rivolse uno sguardo comprensivo. «Se c’è qualcosa di cui senti il bisogno di parlare...»

«Mh.» Feliciano lo guardò negli occhi, riacquistò un po’ di coraggio. «Kiku, hai da fare?» gli chiese. «Dovrei, ecco...» Prese un profondo respiro di incoraggiamento, raddrizzò la schiena, annuì a se stesso chiudendo i pugni lungo i fianchi, e rivolse uno sguardo agguerrito e deciso a Kiku. «Dovrei parlarti di una cosa.»

 

.

 

Feliciano pescò un macaron verde pistacchio dal sacchettino di plastica della pasticceria che lui e Kiku avevano posato sopra le due borse e le due giacche delle uniformi scolastiche ammucchiate in mezzo a loro sulla panchina. Una deliziosa brezza al profumo di fiori soffiava fra le fronde del parchetto. I rami del ciliegio che faceva ombra alla loro panchina si scossero, lasciarono piovere una nevicata di petali rosa. Uccellini cantavano svolazzando verso il cielo di un azzurro terso e limpido, da accecare gli occhi, si univano alle sottili risate di alcuni bambini che stavano giocando sulle costruzioni di altalene e scivoli poco lontano dalle panchine. Feliciano diede un morso al pasticcino, il ripieno di crema al pistacchio si sciolse in bocca, la pasta era freschissima, ma nemmeno il dolce sapore del macaron riuscì a trasmettergli un sorriso. Strinse le gambe incrociate, piegò il gomito sul ginocchio, poggiò le nocche alla guancia per sorreggere il capo, e volse lo sguardo malinconico al cielo sminuzzato dai rami in fiore che si stendevano sopra le loro teste. Sgranocchiò il boccone con aria svogliata, continuò il discorso con un sospiro profondo.

«Vedi, io prima ho cercato di dirglielo, sì, ecco, di farglielo capire, ma è come lo scorso mese.» Finì di mangiare il macaron al pistacchio e ne pescò uno viola al mirtillo. «Quella domenica prima della gita al tempio, ti ricordi?» Diede un piccolo morso, rivolse l’indice a Kiku. «Eravamo a casa sua perché Gilbert era uscito al cinema con Roderich ed Eliza, ed era stato bello, perché faceva ancora un po’ freddo e allora siamo rimasti sul divano a scaldarci con le coperte anche dopo aver finito di ripassare geografia. Io allora avevo provato a...» Feliciano si chiuse nelle spalle, dondolò le spalle avanti e indietro, la mano stretta alle caviglie intrecciate sgranchì le dita sulla stoffa dei pantaloni. «Sì, insomma...» Inspirò, e un lieve sorrisetto gli tinse le guance di un rosa più acceso. «A fare un po’ di più rispetto a quello che facciamo di solito.» Finì di sgranocchiare anche il macaron al mirtillo.

Kiku arrossì, chinò di scatto gli occhi verso le sue gambe incrociate e terminò di mangiare il suo macaron all’arancia a bocconi rapidi, cercando di non pensare troppo a cosa significasse quel “quello che facciamo di solito”.

Feliciano sospirò di nuovo, pescò dalla busta della pasticceria un macaron al cioccolato bianco e lo rigirò senza avvicinarlo alle labbra che avevano di nuovo perso il sorriso. «Ma in quel momento Ludwig mi ha bloccato dicendo che Gilbert sarebbe tornato presto. Ma erano solo le cinque. E anche quando eravamo a casa mia, poi, lo scorso weekend. Quando ha capito che io...» Si pizzicò la bocca fra gli incisivi, tornò a dondolare avanti e indietro. «Che volevo fare, uhm, qualcos’altro, si è affrettato ad andare a casa.»

Kiku dovette di nuovo sopprimere la nuvoletta di pensieri che era svolazzata sopra la sua testa facendolo arrossire.

Un uccellino volò cinguettando sopra di loro, la sua ombra attraversò un raggio di sole, passò attraverso i rami del ciliegio e fece piovere un’altra cascatella di petali che si depositarono fra i capelli dei due ragazzi.

Feliciano sospirò e chinò il capo, senza nemmeno accorgersene, e accostò il macaron al cioccolato bianco alla bocca. «A questo punto mi chiedo...» Tornò quella scura aura di sconforto e amarezza ad aleggiargli attorno: una macchia nera nel dipinto verde, rosa, giallo e azzurro della primavera. I suoi occhi luccicarono di tristezza, come quando stava per scoppiare in lacrime. «Se forse io non gli piaccio abbastanza.» Diede un morso di consolazione al macaron.

Lo sguardo di Kiku si addolcì, gli occhi profondi e comprensivi. Sulle sue labbra comparve un piccolo sorriso di rassicurazione. «Sono sicuro di sì, Feliciano-kun.»

Feliciano sgranò le palpebre. «Davvero?»

Kiku annuì e scelse un macaron giallo limone dalla busta sopra le giacche e le borse.

Lo sguardo di Feliciano tornò ad abbattersi, lui fece un altro sospiro e le spalle caddero ammosciate, si resse la fronte con una mano per non far piovere i capelli davanti agli occhi. «Ma allora perché si tiene sempre così distante?» piagnucolò. Finì il macaron e strinse le mani sulle gambe incrociate, riprese a dondolare avanti e indietro, guardandosi le scarpe. «Io lo amo davvero tanto tanto, e vorrei che lo capisse. Anche se parlo tanto, io in realtà non sono così bravo a trovare le parole giuste per il momento giusto, poi rischio sempre di metterlo in imbarazzo perché lui invece è più silenzioso di me, ed è più timido, ed è più difficile capire quello che vorrebbe da me, e...»

«Io non credo che Ludwig-san abbia bisogno di una prova per dimostrare il suo affetto nei tuoi confronti» disse Kiku con tono sincero.

Feliciano sbarrò le palpebre, una scintilla di stupore gli attraversò lo sguardo. «Davvero?» Il peso al petto si alleggerì.

Kiku annuì, sollevò la punta dell’indice al cielo. «Semplicemente, Ludwig-san ha altri modi per esprimere i suoi sentimenti nei tuoi confronti.»

Feliciano sollevò lo sguardo pensoso ai rami che scoppiavano di fiori rosa, si picchiettò l’indice sulle labbra, aggrottando un sopracciglio. «Uhm.» Un lampo di illuminazione abbagliò anche lui. Sfilò l’indice dal labbo inferiore e lo puntò su Kiku. «Tipo quando mi lascia copiare nei compiti in classe? O quando mi stringe la mano prima di attraversare la strada anche se non ci sono auto? Oppure quando devo tornare a casa da solo e lui mi invia un messaggio ogni cinque minuti per sapere se sto bene e se non mi sono perso? O anche quella volta che è scoppiato a piovere all’improvviso e non avevamo gli ombrelli e lui mi ha fatto stare sotto la sua giacca per non farmi bagnare? Oppure quella volta che Francis mi ha toccato il sedere e lui gli ha dato un pugno, e poi...»

«Ehm, s-sì», annuì Kiku, «qualcosa di simile.»

Il viso di Feliciano si illuminò. «Ooh.» Raccolse il sacchetto di macaron in cui avanzava solo un pasticcino alla nocciola. Lo pescò dal fondo della busta, lo spezzò in due e ne diede metà a Kiku. Finì di mangiare il suo boccone, accartocciò la busta di plastica con l’adesivo della pasticceria, e lo infilò nella tasca della sua borsa per gettarlo via più tardi. Feliciano si leccò le dita sporche di briciole, le punte delle sopracciglia si incresparono, tornarono a donargli quell’espressione pensosa. «Però...» Si rivolse di nuovo a Kiku con viso che era tornato grigio e intristito. «Queste sono cose che farebbe anche per te che sei suo amico, no?» Si posò la mano sul petto. «E invece io dovrei essere...»

Il cellulare di Kiku squillò – bli-blip! – avvisandolo dell’arrivo di un messaggio.

Kiku sobbalzò per la sorpresa, alzò la sua giacca per scoprire la sua borsa sepolta e raggiungere il cellulare. «Perdonami.»

Feliciano scosse il capo e gli sorrise. «Non fa niente, rispondi pure.»

Kiku sollevò la manica di una delle giacche, infilò la mano nella tasca esterna della sua borsa, tastò fra l’agendina e l’astuccio, e trovò la consistenza del cellulare. Lo estrasse. Il ciondolo a forma di onigiri sorridente sbatté contro l’angolo della cover dove aveva incollato l’adesivo di Hatsune Miku intenta a brandire un porro sopra la testa. Sbloccò lo schermo, il cellulare indicò la chat contrassegnata con “Ludwig”.

Kiku sollevò le sopracciglia, sbarrò gli occhi con sguardo stupito.

Ludwig-san? Strano che non mi abbia contattato sulla chat di gruppo.

Pigiò l’icona, si aprì la conversazione.

Chissà cosa...

 

“Kiku, sei libero questo pomeriggio? Avrei bisogno di parlarti urgentemente di una questione che va risolta entro domani sera. È importante, riguarda Feliciano, e ho bisogno del tuo aiuto senza che lui lo sappia. Mi raccomando, non dirgli nulla.”

 

Kiku sollevò la punta di un sopracciglio, picchiettò l’unghia del pollice sullo schermo senza digitare nulla. Per Feliciano? Sbirciò Feliciano da sotto le ciocche corvine che gli sfioravano gli occhi – si stava spolverando i capelli da alcuni petali di ciliegio che gli erano piovuti sulla testa e sulle spalle – e un lampo di realizzazione gli attraversò la testa come uno schiocco di fulmine. Ah, che voglia dirmi di... «Solo un attimo, Feliciano-kun.» Si girò di profilo stando attento a non esporre lo schermo del cellulare, e digitò la risposta.

Feliciano annuì e tolse un ultimo fiorellino rosa da dietro l’orecchio. «Sì, non ti preoccupare.»

Kiku finì di comporre il messaggio, lo rilesse.

 

“Sì, certamente. Ti posso aspettare davanti a Starbucks alle quattro e mezza. Contattami pure se ti capita qualche imprevisto o se ti è più comodo un altro orario o un altro luogo. Sarò puntuale.”

 

Chiuse la chat, bloccò lo schermo, ma rimase con lo sguardo specchiato sul lucido nero in cui si rifletteva il suo viso coronato dai rami di ciliegio sopra di lui. Un’espressione di cruccio e indecisione gli corrugò la fronte e arricciò un angolo delle labbra.

Feliciano sospirò un’altra volta, dondolò avanti e indietro tenendo le gambe incrociate. «Sai, la verità è che...»

Kiku mise via il cellulare sotto le giacche che coprivano le loro borse, e tornò con lo sguardo attento su Feliciano.

Feliciano tenne lo sguardo basso, piegò un piccolo sorriso di imbarazzo, le guance si tinsero dello stesso colore dei petali di ciliegio che oscillavano sopra di loro, sospinti dal vento. Si strofinò la nuca, stringendosi nelle spalle, e oscillò ancora avanti e indietro con le spalle. «Ho immaginato tante volte come sarebbe stata la mia prima volta che...» Sfilò la mano dai capelli e la strinse assieme all’altra sulle caviglie. Il sorrisetto tremolò, gli angoli delle labbra rimasero incavati nelle guance imporporate, gli occhi ombreggiati dai rami del ciliegio e dai capelli si rivolsero a Kiku, luccicarono di timidezza. «Sai, no?»

Kiku restrinse le labbra per contenere un tremolio di imbarazzo e annuì con un gesto meccanico. Lasciò che un soffio di vento al profumo di fiori di ciliegio si portasse via la nuvoletta di pensieri indesiderati che era di nuovo sbocciata sopra la sua testa.

Feliciano sospirò. Si sporse di lato e poggiò la spalla allo schienale della panchina, lasciò ciondolare il capo e il suo sguardo si rattristò. «Quando io e Ludwig ci siamo messi assieme dopo tutti gli anni che ci conoscevamo io ero così felice, perché non potevo immaginare nessuna prima volta se non con lui.» Strinse un pugno davanti al petto, gli occhi luccicarono di aspettativa, le iridi ambra riflessero le intense sfumature dorate del sole. «E anche adesso so che solo con lui sarebbe perfetta» esclamò. «Anche più di quello che mi immagino!»

«Feliciano-kun...» Kiku chiuse gli occhi, prese un lungo respiro di incoraggiamento che gli gonfiò il petto e allargò le spalle, e riaprì le palpebre. Il suo sguardo intenso e profondo brillò di determinazione, sciogliendo tutto l’imbarazzo che lo aveva bloccato prima. «Tu vorresti che avvenisse domani dopo la festa in palestra, giusto?»

Le guance di Feliciano avvamparono di rosso, le labbra sbocciarono nuovamente in un sorriso di imbarazzo ed eccitazione allo stesso tempo. Feliciano raccolse le ginocchia al petto, si grattò dietro l’orecchio e spostò lo sguardo a terra, trattenendo un sottile risolino. «Be’, diciamo che è un bel po’ che mi immagino di come potrebbe essere, ma Ludwig non sembra che...»

Kiku si sporse scostando le loro borse e le giacche ammucchiate sulla panchina e gli strinse le spalle, chinò lo sguardo per incontrare il suo, gli mostrò due profondi e ardenti occhi colmi di coraggio e risolutezza. Due occhi da vero guerriero samurai. «Allora studieremo un piano assieme per far sì che avvenga.»

Feliciano sgranò gli occhi, sbatté due volte le palpebre, incredulo. «Davvero?» Batté le mani davanti al petto e allargò il sorriso. «Mi aiuteresti?»

Kiku annuì. «Senz’altro.»

«Oh, Kiku.» Feliciano spalancò le braccia e gliele strinse attorno alle spalle, lo tirò a sé sfregandogli la guancia sulla sua. «Grazie, grazie, sei il migliore amico del mondo!»

Sul viso di Kiku tornò quel sorrisetto di imbarazzo a fargli tremolare la bocca. Annuì di nuovo, un gesto più cauto, e batté delicatamente la mano sulla spalla di Feliciano, solo con le punte delle dita. «Dobbiamo sbrigarci, però.» Sgusciò via dall’abbraccio, prese un breve respiro, e tuffò di nuovo la mano sotto le giacche per raggiungere la tasca esterna della sua borsa. Pescò il cellulare e guardò l’ora sullo schermo. Le lame dell’attrezzatura per la manovra tridimensionale impugnate da Mikasa Ackerman, avvitata durante un salto sopra la spalla di un gigante, tagliavano in due l’ora proiettata in cima, sopra la data. Erano le quattordici e ventisei.

«Ho tempo fino alle quattro e mezza.»

 

.

 

La frizzante brezza pomeridiana soffiò sopra il tavolino di legno del parchetto che si stendeva dietro l’edificio di Starbucks. L’aria inclinò il nastro di fumo che usciva dal bicchiere di cartone con scritto sopra il nome di Kiku – lui aveva preso tè verde con latte di soia – e il ricciolo di vapore toccò anche quello di Ludwig – lui invece aveva ordinato un caffè americano aromatizzato alla cannella con ghiaccio. Fra le due tazze marchiate con il pennarello nero, i due ragazzi avevano apparecchiato le sfogliatine di albicocche e miele sopra il sacchetto di carta con il marchio del locale.

Ludwig raggiunse il suo bicchiere freddo, lo accostò alle labbra tenendo gli occhi bassi come aveva fatto durante tutta la durata del discorso, e prese un piccolo sorso per bagnarsi la bocca che si era seccata dopo il monologo. Sospirò. «Questo è il problema.» Sorseggiò di nuovo il suo caffè, posò la tazza sul tavolino di legno ancora tiepido per i raggi di sole che lo avevano scaldato durante tutto il pomeriggio, e chiuse le mani attorno al cilindro di cartone. Vi tamburellò le unghie sopra. «Io non ho mai...» Si strinse nelle spalle, guardò per terra, in mezzo al prato, e corrugò le sopracciglia in un’espressione di imbarazzo. «Sì, non ho mai affrontato esperienze di questo genere, e... e non credo che nemmeno Feliciano lo abbia fatto, ma lui sembra essere sempre così impaziente, e questo sicuramente perché si aspetta qualcosa da me.» Rivolse lo sguardo a Kiku e aprì un palmo verso di lui. «Si aspetta che sia io a fare il primo passo, capisci? Si aspetta che sia io quello sicuro delle proprie azioni, ma io non sono certo di essere in grado di...» Di nuovo la voce cedette, un tremolio di tensione gli attraversò il viso e fece vacillare gli occhi come specchi d’acqua. «Di riuscire a...» Le guance arrossirono, un brivido gli attraversò la schiena, si pizzicò il labbro inferiore facendolo sbiancare. Dovette bere un altro sorso di caffè freddo per calmare i nervi. Il profumo di cannella lo rilassava.

Anche Kiku sorseggiò il suo tè verde e latte, sollevò un sopracciglio, e mormorò con le labbra ancora accostate al beccuccio di plastica del coperchio. «Soddisfarlo?» azzardò.

Un altro groppo di imbarazzo torse lo stomaco di Ludwig. Lui chinò il viso di scatto, si resse la fronte, e tossicchiò facendo il vago. «P-più o meno.» Soddisfarlo. Cosa dovrei essere in grado di fare per soddisfare Feliciano mentre... «Potrebbe non essere come pensa lui.» Posò la tazza di cartone, tornò ad avvolgerla con entrambe le mani, e il suo sguardo divenne di colpo serio, gli occhi freddi e meditativi, ma animati da una piccola scintilla d’ansia. «Potrebbe non piacergli, potrei rischiare di fargli male o di fare qualcosa che non devo, e questo potrebbe poi spingerlo ad allontanarsi da me, a non volermi più o a cercare qualcun altro.» Si strinse nelle spalle, sospirò, e scosse il capo con aria abbattuta. «E non mi sono mai sentito abbastanza sicuro da correre il rischio.»

Kiku raccolse una delle due sfogliatine di albicocche e miele, ma il suo sguardo rassicurante rimase fermo su quello di Ludwig. «Ludwig-san non dovrebbe sottovalutare le sue capacità così prematuramente.» Prese un piccolo morso del dolce, masticò lentamente.

Ludwig impennò un sopracciglio, sul suo viso si dipinse un’espressione di sconcerto che gli fece strabuzzare una palpebra. «Capacità?»

«I-intendevo...» Kiku posò la metà avanzata della sfogliatina e intrecciò le mani attorno alla tazza bollente del suo tè. «Se posso permettermi» disse, «Feliciano-kun ha molta fiducia in te, e se è stato lui a fare i primi passi significa che ha fiducia anche nel fatto che riuscirai a trattarlo bene e ad avere cura di lui anche...» Tamburellò le unghie, un groppo di indecisione gli abbassò la voce. «Anche, ehm, in una situazione di quel genere.»

Sul viso di Ludwig tornò un’espressione attenta e concentrata. Socchiuse gli occhi, si strinse il mento fra le dita, e rimuginò con aria pensosa come quando analizzava tutti i problemi in un compito di matematica prima di cominciare a eseguirli. «I primi passi.» Prese un altro breve sorso di caffè alla cannella, sollevò un sopracciglio e rivolse a Kiku un’occhiata fugace da sopra il coperchio. «Lui ti ha...» Una spolverata di imbarazzo mascherò la scura e seria espressione da calcolatore. Ludwig parlò con voce cauta, la paura della risposta gli formicolò fino alle ossa. «Ti ha per caso raccontato quello che io e lui abbiamo già...»

Kiku si affrettò a scuotere la testa e sventolare un palmo, rassicurandolo. «Ehm, n-no, non...» Si strofinò la nuca, anche lui guardò per terra. «Non nel dettaglio, ma...» La voce di Feliciano riecheggiò nella sua testa: “Quando io e Ludwig ci siamo messi assieme dopo tutti gli anni che ci conoscevamo io ero così felice, perché non potevo immaginare nessuna prima volta se non con lui.” Kiku mostrò a Ludwig uno sguardo sincero. «So che lui avrebbe desiderato...» Tornò a tamburellare le dita sul bicchiere di cartone con movimenti rapidi, accostò l’orlo alle labbra. «Qualcosa in più dal vostro rapporto.» Buttò giù un sorso. Si convinse che il rossore sulle guance fosse dovuto alla bruciatura del tè sulla lingua e non a quello che gli era passato di nuovo per la testa.

Ludwig annuì. «Lo so» disse con tono sconfortato. «Se non lo assecondassi rischierei di perderlo. Ma se lo assecondassi e facessi qualcosa di sbagliato rischierei di perderlo comunque.» Chinò le spalle, il senso di sconforto pesava come un carico di sassi sulla schiena. Perdere Feliciano... Scosse il capo, cercando di ignorare quel pensiero che gli feriva il cuore. «A questo punto non so davvero cosa dovrei fare.»

«Ludwig-san.» Il volto di Kiku riacquistò compostezza, gli occhi riflessero lo stesso sincero sentimento di appoggio che aveva mostrato a Feliciano. «C’è ancora tempo fino a domani sera» gli disse. «Potresti approfittarne per prepararti adeguatamente e assicurarti di non compiere errori quando verrà il momento di...» Strinse le unghie sul cartone bollente fino a scottarsi. Non immaginarlo, non immaginarlo, non immaginarlo.

«Prepararmi, dici?» domandò Ludwig. Esaminò il busto di Kiku per tre volte di seguito, allontanò le spalle, e di nuovo il suo viso arrossì di sconcerto. «Non dovremmo mica...»

«Oh, no!» Quell’espressione si riflesse anche negli occhi sgranati di Kiku. Kiku scosse più volte la testa e agitò anche la mano, scacciando via l’idea. «No, no, perdonami se te l’ho fatto credere, ma intendevo una preparazione...» Prese un respiro che gli raffreddò le guance. «Una preparazione teorica.»

Ludwig flesse le sopracciglia, non convinto. «Teorica?» Piegò un gomito vicino alla tazza e sporse le spalle verso Kiku, abbassò la voce che suonò più grave e cavernosa. «Non intendo andare a chiedere consiglio a Francis come quella volta in seconda media, se è questo che intendi.»

«Esiste qualcuno ancora più esperto e professionale di Francis-san.» Kiku infilò la mano in tasca, estrasse il cellulare e lo portò di fianco al viso. Il ciondolo con l’onigiri tornò a sbattere contro l’adesivo di Hatsune Miku sulla cover. Negli occhi di Kiku si accese una scintilla. «WikiHow.»

Anche Ludwig spalancò gli occhi, il lampo di illuminazione gli alleggerì il peso d’ansia raggrumato nel cuore. «Giusto!» Spostò la sua tazza di caffè freddo, spinse le spalle più avanti, e cercò i suoi occhiali da ipermetrope nella tasca della borsa di scuola.

Kiku posò il cellulare fra loro due e si mise con le ginocchia sulla panchina di legno per sporgersi in avanti. Sbloccò lo schermo, andò sul motore di ricerca, e digitò subito “WikiHow”. Si aprì la home, Kiku pigiò l’indice sulla barra bianca per far comparire il cursore, e fermò il dito, cercò lo sguardo di Ludwig. «A che voce cerchiamo?»

Ludwig inforcò gli occhiali, indicò lo schermo del cellulare senza toccarlo. «Prova qualcosa come “Perdere la verginità” oppure “Primo rapporto”.»

Kiku annuì, scrisse solo “verginità”, e la lista incolonnata di risultati sfilò attraverso lo schermo. «Oh, questo, che ne dici?» Indicò il terzo articolo a partire dall’alto, in mezzo a “Come sapere se sei pronto per fare sesso in ventuno passaggi” e “Come fare sesso senza che i tuoi genitori lo sappiano”. «“Come perdere la verginità senza dolore”» lesse Kiku.

Ludwig annuì. «Sì, bravo, clicca su quello.»

Kiku pigiò sul titolo di anteprima, fece scivolare il polpastrello attraverso lo schermo, e passò subito ai punti elencati in grassetto. «Dunque» rimuginò, «qui dice che c’è bisogno di un’adeguata preparazione psicologica, è necessario valutare a fondo la propria scelta, ed è fondamentale tenere una comunicazione aperta con il proprio partner prima e durante il rapporto.»

Gli occhi di Ludwig caddero su una delle immagini di anteprima, lui trattenne il fiato, si morse il labbro, realizzò qualcosa. «Ehm, Kiku...»

«Uno dei primi passi è trovare l’angolo di inclinazione dell’imene e assicurarsi che non provi dolore mentre...» Kiku si rimangiò le parole, il viso sbiancò, gli occhi sgranati affogarono nella vergogna, sudori gelati gli bagnarono la fronte.

Ludwig ruotò lentamente gli occhi verso di lui, Kiku fece lo stesso, si guardarono a bocche ammutolite, visi di pietra. Un soffio di vento fischiò in mezzo a loro, fece scricchiolare la busta di carta che faceva da vassoio alle sfogliatine, i rami dell’albero che faceva da ombra al tavolino di legno frusciarono riempiendo il pesante silenzio che era calato in mezzo a loro.

Ludwig guardò in disparte. «Credo...» Strinse una mano davanti alla bocca e tossicchiò per nascondere il rossore. «Credo che questo articolo non sia quello che cerchiamo.»

Kiku chinò la fronte, mortificato. «Sono desolato.» Pigiò l’indice sulla schermata del telefono e chiuse la pagina di WikiHow, raccolse il cellulare e lo rimise in tasca.

Rimasero con gli sguardi lontani l’uno dall’altro. Kiku scese dalle ginocchia, bevve un altro po’ del suo latte e tè reggendo il bicchiere di carta con entrambe le mani, e a ogni sorsata nascondeva il viso dietro il profilo della tazza. Ludwig sospirò, prese la sua sfogliatina di albicocche e miele che non aveva ancora toccato e mangiucchiò un morso di consolazione, si addolcì la bocca dopo l’amarezza che era scaturita dalla ricerca. Le immagini di anteprima dell’articolo sulla verginità però tornarono a corrergli nella testa, Ludwig smise di mangiare, sgranò gli occhi, e realizzò qualcosa di importante che gli scaricò una scossa di allarme alla base della nuca. Lo raggelò.

«Oh, no.»

Kiku abbassò il suo bicchiere di cartone e sollevò un sopracciglio, gli lanciò un’occhiata interrogativa.

Ludwig posò la sua sfogliatina, piegò i gomiti sul tavolo, si prese la fronte fra le mani. «Non ho i...» Si massaggiò le tempie, sollevò lo sguardo e tenne l’espressione di cruccio nascosta dalle dita tremanti. Sbirciò Kiku attraverso gli spazi delle falangi aperti davanti alle lenti che non si era ancora tolto. Il riflesso sugli occhiali diede l’impressione che il suo sguardo vacillasse ancora di più. «Non ho i, ehm...» Si rosicchiò il labbro, una fiammata di bruciore gli arroventò le guance.

Kiku sbatacchiò le palpebre due volte, piegò il capo di lato, corrugò un sopracciglio, e capì. Si posò la mano davanti alla bocca. «Oh.» Arrossì anche lui.

Ludwig emise un altro profondo sospirò, girò il capo tenendosi la guancia riparata con una mano, e si strofinò la fronte con le dita. «Quelli sono importanti» borbottò.

Kiku annuì. «Sì.» Tamburellò le dita sul bicchiere che si era intiepidito.

«Ma non...» Ludwig si strofinò la nuca con gesti più rapidi e nervosi, lo sguardo si caricò di tensione, un nodo di agitazione gli chiuse lo stomaco, uno sciame di farfalle gli riempì il ventre. «Con che faccia potrei andare a comprarli e...»

«Potrebbe recarti disagio?» domandò Kiku.

Ludwig annuì, tornò a stringersi il viso con entrambe le mani. «Parecchio, temo.»

«Capisco.» Kiku chinò lo sguardo, si posò una nocca fra le labbra, corrugò un’espressione seria e pensosa, gli occhi attenti. Un lampo di realizzazione gli schioccò nei pensieri. Sfilò la nocca dalle labbra e tese l’indice verso Ludwig. «Forse Gilbert-san potre –»

«Nein!» scattò Ludwig, tirandosi in piedi. «Cioè...» Tornò a sedersi sulla panchina, si nascose la fronte sbiancata con una mano e scosse l’altra in direzione di Kiku, scacciò via quell’ipotesi che lo faceva rabbrividire fino alle viscere. «No, no, assolutamente no, mio fratello non deve sapere niente di tutto questo.» Poggiò il peso sul gomito, continuando a massaggiarsi le dita sulla fronte, e sospirò sconfortato. «È da quando mi sono messo insieme a Feliciano che continua a punzecchiarmi. Se dovesse succedere qualcosa fra me e lui e mio fratello venisse a saperlo, entro il giorno dopo lo scoprirebbe tutta la scuola.» Si sfilò gli occhiali, ripiegò le stanghette, e li rimise nella custodia dentro la sua borsa. «Gilbert lo direbbe inevitabilmente anche a Francis e ad Antonio.» Richiuse la zip della borsa, un altro brivido di timore gli scosse il volto. «E se lo sapesse Antonio, lo scoprirebbe anche...»

Lo stesso lampo di terrore si trasmise anche a Kiku.

La stessa immagine si materializzò sopra di loro: Lovino che emergeva da una spirale di fuoco, la stessa che ardeva anche nel suo sguardo infuriato. Gli occhi si erano tramutati in due fiammate di rabbia, il viso era tinto di nero, denti aguzzi emergevano dalla bocca torta in un ghigno famelico, una lingua biforcuta, da serpe, si scuoteva fra le labbra, corna da diavoletto sbucavano dai ciuffi di capelli, le sue mani gonfie e dalle vene pulsanti erano strette attorno a una mazza chiodata già gocciolante di sangue sul cui manico vi era scritto: “Ammazza-Crucchi”.

Ludwig soppresse il fremito di dolore che già sentiva premergli nelle ossa. «Sarebbe pericoloso, capisci?»

Kiku annuì. «Temo di sì.» Prese la sua mezza sfogliatina dalla busta di carta di Starbucks e finì di sgranocchiarla leccandosi le briciole dalle dita. «Ma come farai a procurarteli, allora?»

Ludwig si strinse il mento, aggrottò la fronte, i freddi e sottili occhi azzurri si misero a scavare nella testa, in cerca di una soluzione. Ruotò la coda dell’occhio verso Kiku, concentrò lo sguardo sul suo visetto tondo e innocente, sull’indice sporco di briciole di sfogliatina ancora infilato fra le labbra, sui profondi occhi neri così dolci e insospettabili.

Ludwig restrinse le palpebre, la soluzione scoccò nella sua mente come un dardo che centra l’area rossa del bersaglio.

Non per nulla il suo migliore amico possedeva le capacità di intrufolamento di autentico ninja giapponese.

 

.

 

«Il piano è questo.»

Ludwig abbassò gli occhi dalla croce verde lampeggiante appesa all’esterno della farmacia, infilò la mano nella borsa a tracolla, rimestò il tocco in mezzo ai libri in cerca del portafogli. 

«Entriamo a distanza di tre minuti uno dall’altro in modo di non far capire che siamo assieme.» Trovò il taccuino di pelle e lo porse a Kiku. «Teniamoci a una distanza fisica ravvicinata ma non inferiore a un metro uno dall’altro, ed evitiamo di prolungare il contatto visivo. Non oltre i sette secondi a occhiata, e fra un cenno e l’altro ne dovranno passare almeno dieci. Io ti dico quali prendere e tu vai alla cassa a pagare. Una volta fatto, esci e io ti raggiungo tre minuti dopo.»

Kiku raccolse il portafogli di Ludwig con entrambe le mani, annuì con decisione. «Sì.» Guardò l’amico negli occhi e gli mostrò uno sguardo leale e coraggioso. «Farò del mio meglio.»

Ludwig annuì a sua volta, rincuorato, e tornò ad alzare gli occhi sulla facciata della farmacia. Immaginò lui e Kiku vestiti con abiti da guerrieri: mantelli a svolazzare dalle spalle, spade e mazze appese alle cinte, corsetti di cuoio a proteggere i torsi. Davanti a loro, l’arcata della farmacia all’angolo della fermata dell’autobus si trasformò nei cancelli dell’Inferno: avvoltoi neri volavano sopra le fiammate minacciose che sbucavano oltre le porte dell’Oltretomba da cui provenivano latrati e grida di uomini divorati dagli incendi e dalle pozze di olio bollente. Una visione comunque più rassicurante rispetto all’avventura che stavano per intraprendere. Ludwig strinse un pugno davanti al petto, prese un profondo respiro di incoraggiamento, e rafforzò il tono per spronare anche Kiku. «Allora facciamolo.»

 

.

 

C’era un buon profumo all’interno della farmacia. Un delicato aroma di camomilla mescolato a quello dolce e fresco di pastiglie per la gola al mentolo e alle erbe di montagna. La tenue e soporifera musica vaporwave soffiata dalle casse dell’impianto stereo rendeva l’atmosfera della situazione ancora più surreale di quello che fosse.

Kiku si pizzicò il labbro inferiore per contenere una smorfia di imbarazzo, le guance si chiazzarono di rosso, gli occhi ristretti e luccicanti di vergogna sfilarono lungo lo scaffale, esaminandone gli scomparti. Le mani irrigidirono lungo i fianchi, le dita tastarono l’aria sciogliendo il formicolio che gli stava ghiacciando il sangue. Finissime perline di sudore gocciolarono dall’attaccatura dei capelli, gli rigarono il viso che stava friggendo di vergogna.

Deglutì, inspirò una profonda inalata d’aria che trattenne nel petto, e scollò un braccio dal fianco, avvicinò la mano a una delle confezioni. Sfiorò il pacchetto rosso e oro contrassegnato dall’insegna “RealFeel”, agitò le dita, ci ripensò, e le spostò sulla confezione gialla che ritraeva una mela, una fragola, una banana e un’arancia: “Tropical”. Kiku ritirò la mano, si rosicchiò l’unghia dell’indice e spostò il peso da un piede all’altro per scaricare la tensione che gli gorgogliava nel petto e che gli ingarbugliava lo stomaco. Lo sguardo paonazzo volò fra le confezioni “Contatto Comfort” e “Pleasuremax”, e lui iniziò a sentire il fumo fischiargli fuori dalle orecchie.

Una sagoma scivolò lungo il pavimento da dietro il bancone che esponeva i termometri e le apparecchiature per misurare la pressione, e si spostò di un passo verso lo scaffale a parete con i barattoli di latte in polvere per neonati, i biberon, i biscotti Plasmon, le buste con le miscele per tisane. Ludwig acchiappò un depliant che pubblicizzava una crema idratante all’aloe per il viso, lo aprì davanti alla faccia, scivolò di un altro passo più vicino a Kiku e piegò una pagina del cartoncino per cercargli lo sguardo.

«Kiku» mormorò. «Hai trovato qualcosa?»

Kiku sobbalzò, si girò di scatto. «Ludwig-san» mormorò anche lui. Tornò a tendere il braccio verso lo scaffale e scelse l’astuccio dall’aspetto più innocente, viola e blu, “No Latex”, confezione da sei. Lo girò verso Ludwig. «Quale dovrebbe andare meglio, secondo te?»

Ludwig scosse il capo da dietro il depliant della crema. «No, no, non le confezioni multiple.» Tese l’indice verso il bancone della cassa, tre scaffali più in là, dietro il quale due farmaciste stavano servendo un’anziana signora e un ragazzo con la giacca da motociclista. «Prendine uno singolo dalla cesta che c’è alla cassa accanto al distributore di burro cacao.»

Kiku posò lo sguardo sull’astuccio che teneva in mano, sbatté le palpebre con aria confusa. «Perché non la confezione?»

Ludwig chinò la fronte, sollevò la pagina di cartoncino. «Perché sono troppi e io...» Si spostò di un altro passo più vicino a Kiku per parlare a voce ancora più bassa. «Non so se potrebbe succedere di nuovo, non so quando potrebbe succedere di nuovo e non so nemmeno se succederà domani. Se ne comprassi una confezione intera e la cosa non funzionasse andrebbero sprecati.»

Kiku rimase a occhi sbarrati, un sopracciglio corrugato. «Oh.»

Alla cassa, la farmacista con uno chignon biondo pinzato da un fermaglio a forma di libellula finì di servire l’anziana signora, le diede il sacchettino di plastica, e lo sguardo le cadde su Kiku e Ludwig. La donna diede una piccola spallata alla sua collega, corti capelli corvini striati di henné le incorniciavano il viso dalla pelle bruna, e le fece un cenno con il mento verso i due ragazzi. Non riuscì a trattenere una ridacchiata.

Kiku mise giù la confezione “No Latex”. «Allora solo uno.» Si spostò in direzione della cassa.

«Aspetta, fermo.» Ludwig gli strinse l’orlo della manica, gli mostrò indice e medio aperti a forma di V. «Due, due. Facciamo due, per sicurezza» farfugliò. «Uno potrebbe rompersi e...»

«Va...» Kiku annuì, di nuovo rosso in viso, e compì un altro passo. «Va bene.»

«No, fermo, fermo.» Ludwig lo bloccò di nuovo, nascose anche Kiku dietro il depliant della crema.

La farmacista dai capelli all’henné si posò la mano davanti alla bocca e chinò la fronte per sopprimere un risolino senza farsi vedere. La bionda con il fermaglio a forma di libellula sistemò i soldi della signora dentro la cassa e anche lei rise piegando il viso contro la spalla.

Ludwig rimase chino dietro il depliant, sollevò lo sguardo scorrendo con gli occhi gli scomparti dello scaffale che arrivava al soffitto. Tese la mano, superò le caramelle alle vitamine, i pacchetti di caramelle alla propoli, i bastoncini di radice di liquirizia in barattolo, le pastiglie alla menta, e si fermò sui sacchetti di caramelle al malto d’orzo artigianali. La busta di plastica era fissata da un adesivo che ritraeva un frate barbuto che passeggiava in un orticello aiutandosi con un bastone. Ludwig prese due confezioni di caramelle al malto e le diede a Kiku.

«Anche queste.»

Kiku le rigirò fra le mani, guardandole con occhi sospetti. «Caramelle al malto? Per...» Rivolse a Ludwig uno sguardo smarrito, si strofinò la nuca. «Per la gola?» Che sia un dono di cortesia al posto dei fiori?

Ludwig scosse il capo. «No, come diversivo.»

Kiku sollevò un sopracciglio, rimase a labbra socchiuse. «Non capisco.»

Ludwig scoccò un’occhiata bassa alle caramelle fra le braccia di Kiku, poi alla cassa dove esponevano la cesta con le infami bustine singole, e di nuovo il suo sguardo tornò su Kiku. «Se tu andassi alla cassa comprando solo i due...» Si strinse nelle spalle, guardò in disparte per nascondere il rossore e alzò di nuovo il depliant della crema. «Ecco, la farmacista li noterebbe subito, comincerebbe a farsi delle domande su di te e a giudicarti. Se invece tu distrai la sua attenzione comprando anche qualcos’altro, qualcosa di ingombrante come grossi pacchetti di caramelle, allora lei non baderà troppo ai...» Inspirò. «A quelli, perché la sua attenzione sarà mirata sulle caramelle che occupano uno spazio più grande.»

Lo sguardo di Kiku si illuminò. «C-capisco.» Ludwig-san è sempre così calcolatore, pensò con ammirazione. Sarà il sangue tedesco?

«Bene.» Ludwig tornò a dare una sbirciata alla cassa, aspettò che il ragazzo con la giacca da motociclista si allontanasse sventolando un ringraziamento alla farmacista mora. Girò Kiku e gli diede una piccola spintarella alla spalla. «Ora vai.»

Kiku annuì, raccolse un nodo di coraggio nel petto. «Sì.» Si avviò a passo deciso alla cassa, spalle dritte e sguardo alto.   

La farmacista bionda si avvicinò a lui e gli mostrò un dolce sorriso di benvenuto. «Ciao.»

Kiku piegò un mezzo inchino di cortesia. «Buon pomeriggio.» Posò i due pacchetti di caramelle al malto sul bancone, i suoi occhi caddero sull’infame cestino accanto al distributore dei tubetti di burro cacao. Ruotò lo sguardo verso Ludwig da sopra la spalla, incrociò il suo, e gli indicò il cestino con un movimento delle sopracciglia.

Ludwig annuì, il suo viso s’ingrigì di tensione.

Kiku inspirò, spostò lo sguardo sul bancone, e pescò due bustine argentate senza guardare. Le posò in mezzo ai due pacchetti di caramelle e ritirò subito la mano sul fianco, sgranchendo le dita come per scrollarle da una pellicola di colla.

La farmacista bionda passò alla cassa le due bustine e i sacchetti di caramelle con quattro blip! del registratore. Tornò a sorridere a Kiku. «Basta così?»

Kiku annuì, riprese a respirare, e le chiazze di imbarazzo sulle guance sbiadirono. «Sì, grazie.» Estrasse il portafogli di Ludwig, sfogliò il denaro e passò due banconote alla farmacista.

La bionda aprì il registratore di cassa, ordinò le banconote, estrasse tre monete, strappò la linguetta dello scontrino, e diede tutto a Kiku. «Eccoti il resto. Vuoi anche un sacchettino?»

Kiku richiuse il portafogli e tornò a girarsi verso Ludwig, gettandogli uno sguardo interrogativo. Ludwig si girò di profilo con uno scatto, chinò il viso dietro il depliant e annuì con un gesto rapido e distratto, senza farlo notare.

Kiku annuì a sua volta. «Ehm. S-sì, la ringrazio.»

La farmacista inserì tutto in una busta di plastica bianca marchiata dalla croce verde e dal Bastone di Esculapio, e la porse a Kiku. «Prego.» La sua collega si girò e camuffò una risata con tre colpi di tosse.

Kiku raccolse la borsa con braccio tremante, si affrettò a girarsi, si avviò verso l’uscita cercando Ludwig con lo sguardo.

La farmacista bionda sventolò un cordiale saluto. «Buona giornata, ragazzi.»

Kiku rispose senza accorgersene. «Buona gior...»

Ragazzi, ragazzi, ragazzi.

Ludwig gettò il depliant in mezzo ai campioni della crema all’aloe, saltò di due falcate verso Kiku che era raggelato come una statua di sale, lo acchiappò per la mano e lo trascinò fuori dalla farmacia. Lasciandosi alle spalle il profumo di mentolo e camomilla e la musica vaporwave, entrambi scapparono inseguiti dalle risatine delle due farmaciste.

 

.

 

«Se non altro...» Kiku rivolse lo sguardo crucciato a Ludwig, si strofinò la nuca dove sentiva ancora accumulato il peso dell’imbarazzo e il bruciore che lo aveva colto durante la fuga. «Ce l’abbiamo fatta.»

Gli occhi vitrei e disperati di Ludwig rimasero fermi sull’insegna della farmacia. La luce verde lampeggiante si riflesse sul suo viso, sulla sua espressione piatta e senza più vita. Annuì con un gesto lento. «Già» mormorò.

Kiku fu colto da un guizzo di preoccupazione. Si avvicinò di un passetto al fianco di Ludwig e chinò il capo per incrociare il suo sguardo. «Ludwig-san?»

Ludwig sbatté le palpebre, sospirò senza spostare il viso. «Cosa, Kiku?»

Kiku flesse le sopracciglia. «C’è qualcosa che non va?»

Ludwig scosse il capo. «No» rispose. «Sto solo memorizzando la facciata di questa farmacia per ricordarmi di non entrarci mai più.»

Kiku spostò gli occhi sulla busta di plastica che pendeva dalla mano di Ludwig stesa sul fianco. La indicò con un gesto timoroso. «Ma almeno abbiamo rimediato i...» Non finì la frase.

«Già.» Ludwig abbassò gli occhi dalla croce lampeggiante dalla farmacia, rivolse uno sguardo di scuse a Kiku, la sua espressione rimase piatta e velata da quell’alone di disperazione che si infossava attorno alle palpebre. «Mi rincresce averti trascinato in tutto questo.»

Kiku giunse le mani sul ventre, raddrizzò le spalle. «È mio dovere, Ludwig-san» disse con tono sincero. «Da amico.»

«Lo so» annuì Ludwig. «Ma se domani dovesse...» Sollevò la mano che non reggeva la borsa di plastica e passò le dita fra i capelli, spostò lo sguardo. «Andare storto qualcosa, comincia a pensare a un piano per consolare sia me che Feliciano. Separatamente.»

«Conta su di me.»

Il muso dell’autobus Numero Cinque svoltò la curva della via sulla quale si affacciava l’edificio della farmacia, si avvicinò al cartello della fermata che faceva da ombra a Ludwig e Kiku.

Ludwig si sporse di un passo verso il ciglio del marciapiede, l’autobus cominciò a rallentare. «È già qui.» Aprì la borsa di plastica della farmacia, estrasse un pacchetto di caramelle al malto d’orzo e lo porse fra le mani di Kiku. «Scusami per quello che ti ho fatto passare.»

Kiku aprì i palmi verso Ludwig, fece un passo all’indietro schivando le caramelle e scosse il capo. «Non ce n’è bisogno, davvero.»

«No, tienile tu.» Un altro sguardo sconsolato attraversò il volto di Ludwig. «A me nemmeno piacciono le caramelle al malto.»

Kiku abbassò gli occhi, provò un sentimento di colpevolezza nel non riuscire a consolare Ludwig. Non poté fare altro che raccogliere il sacchetto di caramelle e ringraziare con un breve inchino di spalle.

I freni del Numero Cinque stridettero, l’autobus si fermò davanti a Ludwig, sbuffò un fischio rilassando le ruote, le porte a soffietto si spalancarono e dall’uscita posteriore scese una donna intenta a digitare su un cellulare assieme un ragazzo che teneva per mano un bambino più piccolo. Ludwig salì sull’autobus, si appese alla sbarra di ferro e si voltò a rivolgere un ultimo sguardo a Kiku.

«Ci vediamo domani sera.»

Kiku strinse le caramelle al petto e ricambiò il gesto del capo. «Sì. Fai attenzione durante il tragitto per tornare a casa.»

Le porte a soffietto si richiusero, l’immagine di Kiku si specchiò nel lucido delle ante. L’autobus ingranò la marcia, sbuffò due getti di fumo nero dalla marmitta e ripartì lasciandosi dietro una scia di smog dall’odore acidulo.

Kiku si sporse, lo vide sparire portandosi dietro Ludwig e la sua espressione sconsolata, quell’aria abbattuta che lo seguiva come una nuvoletta di pioggia, e sospirò anche lui.

Mi chiedo se sia davvero questo lo stato d’animo ideale per affrontare l’esperienza che lo attende.

Aprì il pacchetto che gli aveva dato Ludwig strappando l’adesivo che ritraeva il monaco nel giardino di erbe, tranciò il vecchietto in due. Pescò una caramella incartata singolarmente e scartò l’involucro di plastica. La tuffò in bocca, la ruppe con un morso solo e succhiò i grani di zucchero al malto d’orzo. Il sapore dolce della caramella gli distese i nervi, alleviò tutta l’ansia che si era accumulata durante la scorribanda in farmacia, lo fece davvero sentire con i piedi affondati in un prato di erbe di campagna, a respirare l’aria di sole e il profumo dei fiori selvatici. Era davvero buonissima.

Una vibrazione proveniente dalla borsa a tracolla si trasmise al suo fianco, la suoneria del cellulare lo fece sobbalzare di sorpresa. Kiku si affrettò a ingoiare la caramella, pescò il cellulare dalla tasca esterna, portò la schermata all’ombra, lontano dal riflesso dei raggi di sole, per riuscire a leggere bene. Accanto all’insegna del telefonino verde si leggeva “Alfred”.

Kiku storse un sopracciglio. Alfred-san?

Pigiò l’insegna del telefonino verde e accostò il cellulare all’orecchio. «Pronto?»

«Kiku! Dove sei? Sei libero, vero? Sì che lo sei! Devo assolutamente chiederti un favore e ho bisognissimo di te!»

Kiku dovette staccare il cellulare dal viso per non finire assordato. «E-ecco...»

«È successo un guaio, Kiku!» esclamò la voce di Alfred. «Sai che domani Mattie non verrà alla festa in palestra, vero? Perché terrà compagnia a Francis dopo che gli hanno impedito di venire per l’incidente dell’anno scorso. E allora io mi sono detto: “Ehi, questa è la mia occasione per stare da solo con Arthur!” Ma prima Arthur si è arrabbiato con me perché ha scoperto che ho detto in giro che l’ho baciato quella volta della partita di baseball e non mi parla più. E sicuramente non vorrà venire alla festa, anche se volevo invitarlo, e lo sai com’è testardo e permaloso quando s’impunta. Non riuscirò mai a fargli cambiare idea!»

«A...» Kiku sbatacchiò le palpebre, costrinse le labbra a smettere di balbettare. «Alfred-san, io...» Un barlume bianco e blu scintillò all’angolo dell’edificio della farmacia, catturò la sua attenzione facendolo sporgere con le spalle in avanti. Ma quello?  Kiku restrinse le palpebre, si avvicinò di un passo.

«Ma io ho un piano iper-geniale!» continuò la voce di Alfred dall’altro capo del cellulare. «E mi serve la tua eroica partecipazione per farlo funzionare. In pratica, tu fingi di venire alla festa con me, facciamo ingelosire Arthur, lui mi perdonerà e così si sistemerà tutto! Sono un genio, vero, eh, vero? Stai al piano, vero, Kiku? Ti prego, dimmi di sì!»

Kiku raggiunse il riverbero bianco e blu che colorava il marciapiede e la parete dell’edificio. Si bloccò, la mano che reggeva il cellulare ancora accostata all’orecchio, il pacchetto di caramelle stretto al petto, gli occhi sbarrati e le labbra piatte. Sbatté le palpebre. Non volle crederci. Le sbatté di nuovo.

Sul retro della farmacia c’era un distributore automatico.

Le labbra piatte di Kiku vibrarono, il braccio sollevato a reggere il cellulare tremò, le dita strinsero sul pacchetto di plastica e lo fecero scricchiolare.

Si rivide a far sfilare il tocco fra le varie confezioni colorate disposte in ordine sullo scaffale, ad avvicinarsi alla cassa con le caramelle al malto strette fra le braccia, a raccogliere le due infami bustine singole dalla cesta, a schivare gli sguardi delle farmaciste, a correre trascinato dalla mano di Ludwig mentre lui si era pietrificato dall’imbarazzo in mezzo al corridoio della farmacia.

E fuori c’era il distributore automatico.

«Kikuuu? » squillò la voce di Alfred attraverso il cellulare. «Ci sei ancora?»

Kiku inspirò profondamente dal naso, strinse le labbra, socchiuse le palpebre, contenne un vagito di sconforto, e trattenne la voglia di pianto che bruciava fra le ciglia.

Una singola ma autentica lacrima di disperazione gli rigò la guancia.

 


Continua...

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Capitolo 2
*** Caramelle al malto ***


2. Caramelle al malto

 

 

Ludwig richiuse il libro di scienze su cui aveva incollato i post-it gialli per segnare le pagine corrispondenti alle lezioni di anatomia e quelli verdi per evidenziare i paragrafi che spiegavano l’apparato riproduttore. Aprì il quaderno ad anelli e rinfilò al loro posto i vecchi appunti che aveva preso durante le lezioni di educazione sessuale e che ora aveva tornato a sottolineare e a ripassare. Piegò in quattro il foglietto su cui aveva trascritto le nozioni fondamentali, come faceva sempre prima di un compito in classe o di un esame, e lo sistemò nella tasca esterna della borsa a tracolla. Richiuse la tasca, aprì quella centrale e scostò una manica della busta di plastica appallottolata che conteneva ancora il secondo pacchetto di caramelle al malto e le due infami bustine singole che aveva fatto comprare a Kiku.

Chiuse gli occhi affaticati dal ripasso teorico che lo aveva tenuto impegnato per tre ore di fila, sospirò a fondo, sentendo sorgere un sentimento di sconforto ad appesantirgli il cuore e schiacciargli le spalle, e si massaggiò la fronte e le palpebre.

Sto...

Aggrottò la fronte, le labbra tremolarono, allo sconforto si mescolò una fiammata di imbarazzo che gli imporporò le guance e gli fece ribollire il sangue all’altezza dello stomaco.

Sto davvero per farlo? Domani io e Feliciano...

Si strinse la fronte anche con l’altra mano, spinse il peso sui gomiti piegati fra gli appunti sulla scrivania, ed esalò un altro sospiro.

Le pareti della casa tremavano per il fracasso che pompava dalle casse installate nella camera di Gilbert. Stava ascoltando il cd “Carolus Rex”, dei Sabaton, la versione in inglese. Ludwig strizzò gli occhi premendosi le dita sulle tempie, isolò le note di “Gott Mit Uns”, e si concentrò solo sui suoi pensieri, su quello che avrebbe dovuto fare domani. Mise insieme tutta la conoscenza che possedeva, assemblando scene dai film e dai libri come i pezzettini di un puzzle.

Chiudere gli occhi, baciarlo prima con delicatezza e poi con più trasporto, stringendogli una mano fra i capelli e l’altra attorno al fianco, farlo sdraiare sul letto stando attento a non inciampargli addosso e a non schiacciargli la pancia con il ginocchio, sollevargli lentamente la maglia, sfilargliela dalla testa e lasciarsi sbottonare la camicia. Abbandonarsi al suo tocco tiepido sulla pelle, al suo respiro accanto all’orecchio, assaporare le sue labbra umide e dolci, far scorrere le mani lungo il suo busto, fino al bacino, infilare le dita sotto la cinta dei pantaloni, sganciare la chiusura, e scendere giù fino...

Ludwig scosse la testa, aprì le mani sul viso che scottava come la piastra di un ferro da stiro acceso, scivolò in avanti con i gomiti, piegandosi sullo stomaco che già formicolava di ansia e di aspettativa, e si nascose dietro le sue stesse dita divaricate sulle guance e sulla fronte.

La musica proveniente dalle casse di Gilbert continuava a tremare attraverso le pareti, gli fece girare lo sguardo verso la porta della sua camera su cui aveva appeso la giacca della divisa scolastica. Ludwig sospirò, si strofinò la nuca e strinse il pugno sulla scrivania, contenendo i tremolii di agitazione che gli correvano nel sangue. Un senso di sconforto si abbatté sulla sua schiena.

Doveva parlare con suo fratello.

 

.

 

Quando Ludwig raggiunse la porta della camera di Gilbert, il cd era arrivato ad “A Lifetime of War” e le pareti tremavano un po’ di meno.

Ludwig bussò sull’anta, fra il poster dell’ultimo album degli Equilibrium che si era staccato a un angolo e il cartello di latta gialla su cui era inciso un teschio nero trafitto da due saette che Gilbert aveva rubato durante la gita alla centrale elettrica in terza media. Staccò le nocche, tese l’orecchio e nessuno rispose. La voce di Gilbert gracchiava farfugliamenti che Ludwig non riusciva a capire, assordato dalla musica. Ludwig sospirò, esasperato, e bussò più forte. «Gilbert?» Aprì la porta senza aspettare risposta, scostò la bandiera prussiana che faceva da tenda, e si tappò un orecchio con la mano libera. «Gilbert, posso entrare?»

Gilbird sollevò il musetto dalla ciotola di popcorn posata vicino al computer acceso sulla schermata di gioco di Black Ops II, sbatacchiò le ali per salutare Ludwig e ingoiò la briciolina di popcorn che teneva stretta nel becco. Gilbert non girò nemmeno la poltroncina, sollevò le braccia sopra la testa ruotando il joypad, la sua voce gridò sopra la musica sparata dalle casse.

«Fermo, fermo, mettiti dietro il Van, ho visto un fottuto cecchino al piano superiore della casa che si è messo a fare il camper.» Il suo soldato attraversò il prato nella mappa di Nuke Town, passò in mezzo al fumo di un’esplosione che aveva sbriciolato una coppia di manichini, si infilò in una delle case aperte e vi uscì subito dalla porta sul retro. Le dita di Gilbert picchiettarono sui tasti del joypad, raffiche di spari esplosero illuminando lo schermo. «Piazza un mortaio ma non lanciare granate altrimenti si accorge che l’abbiamo stanato.» Girò la canna del fucile SWAT-556 che il suo soldato impugnava fra le braccia e mitragliò un nemico che era saltato fuori da una siepe. Continuò a correre. «Io metto il silenziatore, gli vado da dietro e gli faccio saltare il –»

Ludwig raggiunse lo schienale della poltroncina girata e urlò tenendo una mano attorno alla bocca. «Gilbert, sono qui!»

Gilbert saltò sul posto, una gamba stravaccata sul tavolo accanto alla tastiera urtò la ciotola di popcorn. «Who, cos...» Riacchiappò il joypad che gli era sobbalzato fra le mani e sollevò lo sguardo tinto della luce dello schermo verso Ludwig. Sbatté le palpebre, l’espressione ancora smarrita. «Oh, Lud, sei appena tornato?»

Ludwig sospirò e indicò la porta che aveva lasciato aperta. «Già un paio di ore fa.»

«Hai fatto tardi.» Gilbert si sfilò le cuffie dalle orecchie e le lasciò ciondolare attorno al collo, l’archetto del microfono ancora accostato alla bocca. Si strofinò i capelli spettinati. «E io che ti ho anche aspettato fuori da scuola prima di tornare a casa. Sei stato in giro con i rag –»

Un’esplosione dilatò un globo di fiamme e fumo che inghiottì lo schermo, le casse del computer tremarono superando la canzone proveniente da quelle dell’impianto stereo, Gilbird saltò sul posto e perse due piume, e il soldato di Gilbert si ribaltò finendo a gambe all’aria, il fucile cadde accanto alle sue braccia spalancate. La schermata si chiazzò di rosso, entrò in stallo.

Gilbert si girò di scatto verso lo schermo, sgranò gli occhi, spalancò la bocca, e sbatté un pugno accanto alla tastiera. «Shieße, chi è quel bastardo che...»

La schermata lo riportò al menu principale. Accanto al suo equipaggiamento apparve il suo stemma: una croce di ferro pixelata.

Gilbert sospirò fra i denti stretti, lasciò il joypad sulla scrivania e si grattò la nuca. «Merda. Ancora tre headshot e facevo record.»

Gilbird ingoiò un ultimo bocconcino di popcorn, spiegò le ali e gli volò sulla spalla.

Delle voci disturbate dalla frequenza della connessione brontolarono attraverso le cuffie che Gilbert si era appena sfilato. «Ma che cazzo, Beilschmidt...», «Qualcuno mi può dire dove hanno piazzato il mortaio?», «Ma avete bannato il camper?», «Beilschmidt, ma perché merda ti sei fatto ammazzare?»

Gilbert acchiappò il microfono e ci sbraitò dentro. «Chiudete il becco!» Mollò l’archetto e si tolse le cuffie, accavallò le gambe al tavolo, si abbandonò con le spalle sullo schienale della poltroncina e si mise ad accarezzare Gilbird in mezzo alle ali. «Senti, per domani sera preferisci ordinare una pizza o ci facciamo portare il kebab?» Indicò fuori dalla finestra con un cenno del capo. «C’è quel nuovo locale all’angolo che dà le patatine in omaggio se si prendono quattro porzioni complete.»

Ludwig strinse i pugni ai fianchi, raccolse il coraggio nel petto, scostò lo sguardo da suo fratello, e aggrottò un sopracciglio. «Ehm, n-no» balbettò, «era di questo che volevo parlarti. Io...» Si strofinò la nuca e si girò di profilo. «Io domani andrò alla serata in palestra» disse d’un fiato.

«Ah.» Il cd cambiò traccia, passò a “1 6 4 8”, e le pareti ricominciarono a tremare. Gilbert sfilò l’indice dalle piume di Gilbird, annodò le braccia al petto e scoccò a Ludwig un’occhiata offesa e contrariata. «E lasci da solo il tuo fratellone per andare a mescolarti in mezzo a quelli che l’hanno espulso dalla festa?»

Gilbird diede un battito d’ali. «Pyo!»

Gilbert annuì, rivolse al canarino un’occhiata di complicità. «Sì, lo so, è una vergogna.»

Ludwig sospirò, tenne la fronte aggrottata. «Mi dispiace, Gilbert» gli disse. «Non intendo pagare le conseguenze delle tue azioni.»

Gilbert fece roteare lo sguardo. «Che razza di supporto.» Raccolse Gilbird dalla spalla, lo tornò a posare sull’orlo della ciotola, e agguantò anche lui una manciata di popcorn. Se li ficcò in bocca gonfiandosi una guancia. «Vai con Feli?» Continuò a sgranocchiare.

Ludwig strinse le labbra, girò il viso verso la spalla per nascondere l’improvviso rossore che gli bruciò sulle guance. «E-ecco...» Prese un lungo sospiro e annuì. Inutile negarlo. «Sì.»

«Oh.» Gilbert si ripulì la bocca con la manica e svelò un sorriso aguzzo. Sventolò la mano verso Ludwig. «Allora ti perdono.»  

Ludwig annuì. «Scusa se te l’ho detto all’ultimo momento.»

«Naah», Gilbert si strinse nelle spalle, tolse le gambe dalla scrivania e le incrociò sulla poltroncina, «io me la spasso alla grande da solo.» Diede un’altra carezza sulla testolina di Gilbird. «Io e il mio piccino ci facciamo una serata da uomini veri.»

Gilbird scrollò il piumaggio. «Pyo, pyo!»

Ludwig fece roteare lo sguardo e gli diede le spalle, si riavviò verso la porta. «Come vuoi.»

Gilbert acchiappò un’altra manciata di popcorn, riagguantò anche il joypad che gli era caduto fra le cosce, e tornò al gioco. Si mise a scorrere fra i fucili del menu, aggiunse una granata stordente al suo arsenale, poi passò alle mappe e selezionò “Hunted”. «Ah, Lud.» Gilbert fece emergere un braccio da sopra lo schienale, ruotò la poltroncina di profilo, e puntò l’indice contro Ludwig. Il suo sguardo rabbuiò, un’espressione truce si incavò attorno alle palpebre ristrette. «Se Køhler prova a inventarsi qualcosa di più ingegnoso di quello che abbiamo fatto noi l’anno scorso, pensaci tu a fermarlo. Abbiamo già pagato Zwingli perché porti il fucile a pallettoni e blocchi chiunque provi a fare casino al posto nostro, ma potrebbe non bastare.» Strinse il pugno, i suoi occhi si infiammarono. «Non permetterò a quel bastardo danese di primeggiare sulla nostra supremazia.»

Ludwig scosse la testa, si massaggiò le tempie cercando si scordare quello che Mathias aveva annunciato quel pomeriggio appena usciti da scuola. «Non mi interessa quello che ha in mente Mathias.»

«Ah, aspetta, aspetta!» lo fermò Gilbert. «A che ora torni? Per sapere se devo aspettarti sveglio.»

Ludwig bloccò il passo, la mano che si era tesa per scostare la bandiera prussiana raggelò a mezz’aria, le sue guance sbiancarono, il respiro gli rimase incastrato in gola. «Urgh...» Agitò le dita per sciogliere il formicolio, una vampata di caldo lo travolse, sudori freddi gocciolarono dalla fronte. «Io...» Si chiuse nelle spalle, si costrinse a tenere lo sguardo lontano da quello di Gilbert. «Io non so...» Inspirò e parlò di colpo. «Non so se torno per la notte.»

La poltroncina gigolò. Gilbert spinse il piede sull’orlo della scrivania, stese la gamba e si girò completamente – un sopracciglio sollevato e le dita congelate sul joypad –, lanciando a Ludwig una squadrata di sospetto. Restrinse le palpebre, mimò sguardo inquisitorio.

Ludwig si schiarì la voce, allentò il colletto della maglia. «I... io forse mi...» Sollevò gli occhi al soffitto, si grattò dietro l’orecchio con gesti rapidi e nervosi. Le guance stavano tornando a imporporarsi. «Mi fermo a dormire fuori. Da...» Chiuse gli occhi. Lo disse d’un fiato prima di cambiare idea. «Da Feliciano.»

Gilbert sgranò gli occhi nei quali si riflesse una scintilla di luce del sole che entrava dalla finestra, spalancò la bocca, le labbra tremarono, pietrificate come il suo corpo e il suo sguardo, e il joypad gli cadde dalle mani. Si schiantò sul pavimento con un sonoro crack! , rimbalzò due volte e giacque immobile.

Ludwig aggrottò la fronte, gli lanciò una severa occhiata di ammonimento, già aggredito dal rimorso. «Non una parola!»

Gilbert si posò una mano sul petto, aggrappandosi alla maglia, e si appese con l’altra all’orlo della scrivania per non rischiare di cadere all’indietro. L’espressione sbiancata divenne una maschera di dramma. «Non ci posso credere!» Saltò dalla poltroncina, spalancò le braccia e corse verso Ludwig con occhi umidi. «Il mio fratellino sta crescendo, voglio abbracciarti!»

Ludwig gli schiacciò una mano sulla faccia, lo spinse all’indietro e si appiattì con le spalle alla porta. «Non ci provare.» Gli scollò il palmo dal viso, si girò di profilo tenendo la fronte aggrottata, gli occhi freddi per nascondere il rossore, e si mise a braccia conserte. La voce di nuovo calma e profonda. «Devo solo tenerlo d’occhio perché Lovino sarà da Antonio. Nulla di che, davvero.»

Gilbert fece roteare lo sguardo e sventolò le mani, ridacchiò fra i denti. «Oh, certo, certo, come no.»

Ludwig sbuffò, scostò la bandiera prussiana che pendeva dall’architrave della porta e strinse la maniglia. «Non voglio più sentirne discutere.» Aprì la porta, allungò un passo fuori dalla camera ma il piede rimase sospeso prima di toccare il pavimento. Un pensiero gli trafisse la testa, lo ghiacciò sulla soglia. Ludwig lanciò un’occhiata a Gilbert da sopra la spalla, corrugò le sopracciglia, e le dita scricchiolarono attorno al pomello. «Non dirlo ad Antonio. E nemmeno a Francis, altrimenti...»

Gilbert si posò una mano sul cuore e aprì l’altro palmo davanti alla spalla, in segno di giuramento. «Bocca cucita.»

Un soffio di sollievo attraversò il petto di Ludwig, sciolse il nodo di ansia e distese i tratti del volto in tensione. Uscì dalla camera.

«Ohi, Lud, Lud, aspetta, aspetta un attimo.» Gilbert gli saltò dietro e lo afferrò per la spalla con una presa solida. La voce si fece di colpo seria. «Dimmi la verità.»

Ludwig si girò, lanciandogli un’occhiata sospettosa. Gilbert gli prese anche l’altra spalla, sollevò lo sguardo per fissarlo dritto negli occhi, e strinse forte le dita per non lasciarselo scappare. Gli intensi occhi rossi gli scavarono nello sguardo, profondi, e animati da una luce apprensiva e paterna. Le dita premute sulle sue spalle gli trasmisero una stretta di calore che gli trapassò il cuore.

«Ti servono preservativi?»

Il calore andò a fuoco, gli torse lo stomaco, accelerò il battito, fiamme di vergogna ruggirono fino al viso di Ludwig, lo resero viola di vergogna. Ludwig sgranò gli occhi, arricciò la bocca tremolante mordendosi un labbro, e percepì due fiotti di fumo fischiargli fuori dalle orecchie.

Si strappò via una mano di Gilbert dalla spalla e gli urlò addosso. «No, Gilbert!» Gli diede le spalle, marciò fino alla sua camera e si chiuse dentro sbattendo la porta.

Il tremore delle pareti attraversò tutta la casa, superò persino quello martellato dalle casse dell’impianto stereo.

Gilbert rimase sulla soglia, sporse le spalle in avanti, incrociò le braccia al petto, e sbirciò la porta sigillata della camera di suo fratello tenendo il sopracciglio sollevato. Gilbird gli tornò a volare sulla spalla, sporse anche lui il musetto, sbatacchiò le ali e si rivolse al padrone con un cinguettio. «Pyo, pyo!»

Gilbert gli rispose piegando un ghigno da furbo. Usò l’indice per fargli una carezza sulla testolina. «Tutto come previsto, piccoletto.»

Infilò una mano in tasca ed estrasse il cellulare. Chiuse la chat di gruppo “The-Bad-Touch” dove l’ultimo messaggio di Francis spiava qualcosa a proposito di Alfred e Kiku che sarebbero andati assieme alla festa per far ingelosire Arthur, e aprì la chat nominata “Impero Austro-Ungarico di Nobile Dominio Prussiano”. Si mise a digitare.

 

TheAwesomeSirGil: Grandi notizie, plebaglia! Domani sera casa libera. Tutti da me come programmato. Roddie prende le cibarie e Liz i film. E con “le cibarie” intendo schifezze vere, Roddie. Non quelle porcherie alla soia e senza zucchero che hai comprato per la serata di Halloween.

Roderich: Gilbert, se fossi più specifico te ne sarei grato. E ti ho già spiegato di come non tutti si adattano al tuo apparato digerente. Qui ognuno ha le sue necessità primarie.

One-Punch-Liz: Evviva! Casa libera e domani si spacca! Ma come hai convinto Ludwig a passare fuori la notte?

TheAwesomeSirGil: Ci ha pensato il bel culetto di Feli, non io. E Roddie, a questo punto tu occupati dei film, mi fido più dello stomaco di Liz. E per “occupati dei film” intendo film da uomini, non robe da principessina. Quindi assicurati di procurarti una copia di Bambi o tu non entri in questa casa. Consideralo il tuo passaporto.

Roderich: Gilbert, dubito che esista una copia DVD di Bambi. È troppo vecchio.

One-Punch-Liz: Un momento, un momento, CHE COSA? Cosa vuol dire che ci ha pensato il sedere di Feliciano?

TheAwesomeSirGil: Che domani sera qualcuno perderà l’innocenza, mia cara. E per “qualcuno” non intendo Roderich. Anche se so che brama dalla voglia che sia io a portargliela via, lo so, lo so.

Roderich: Gilbert, onestamente, non so più cos’è che mi spinga ancora a discorrere con te e a frequentare la tua presenza.

One-Punch-Liz: Roderich, non temere, finché ci sono io a fare la guardia nessuno si prenderà la tua innocenza. Ma questa cosa di Lud e Feli la devo sapere!

TheAwesomeSirGil: Lud mi ha detto che dopo la festa andrà a casa di Feli e che passerà là la notte. Se non è significativo questo...

One-Punch-Liz: Ma Kiku? Non c’è Kiku con loro?

TheAwesomeSirGil: Nemmeno l’ombra. In realtà Francis prima mi ha detto che Arthur gli ha detto che ha litigato con Alfred perché lui ha spifferato quella cosa del bacio dopo la partita di baseball, e ha deciso di tenergli il muso fino alla festa per fargliela pagare. Ma a Francis è comunque giunta voce che Alfred sta pianificando di andare alla festa con Kiku. Francis lo ha detto ad Arthur, e ora Arthur è incazzato a morte e probabilmente scazzotterà Alfred davanti a tutti. Quindi Kiku è impegnato.

One-Punch-Liz: Kyaa! Ma allora fanno sul serio! Che dolci! Quanto vorrei essere là a vederli...

Roderich: Gilbert, non pensi che tuo fratello gradirebbe che queste questioni rimanessero private?

TheAwesomeSirGil: Roddie bello, io sono un fratello maggiore, NIENTE è privato quando lo confidi a un fratello maggiore. Tantomeno a ME. Piuttosto, pensa alle questioni serie e di vitale importanza e vedi di procurarti il DVD di Bambi. E anche quello di Dumbo!

One-Punch-Liz: No, Gilbert, niente Dumbo! L’ultima volta hai pianto ed è stato uno spettacolo pietoso a cui non ho intenzione di assistere un’altra volta.

Roderich: Gilbert, invece che lamentarti e impuntarti su questo tuo insostenibile atteggiamento irrispettoso, dovresti prendere in seria considerazione l’idea di ringraziare me ed Elizaveta per aver rinunciato alla festa e aver accettato di trascorrere la serata con te, anche se, dopo quello che tu e gli altri due avete combinato lo scorso anno, avrebbero dovuto impedirti di mettere piede nell’intero edificio scolastico e non solo nella palestra.

TheAwesomeSirGil: Sarei scoppiato a piangere dalla disperazione, guarda.

 

.

 

Feliciano fece scorrere la punta della matita sul foglio, tracciò l’ennesimo cuore che si unì alla composizione che riempiva già metà della pagina, lo terminò con un ghirigoro, e ne disegnò subito un altro, grande il doppio, schiacciato in mezzo agli altri. Sospirò, spinse il peso sul gomito piegato sulla scrivania, reclinò il capo poggiando la guancia contro le nocche, e disegnò un altro cuore tondo e lucido, che sembrava nato da una bolla di sapone. Non era riuscito a disegnare nient’altro durante tutto il pomeriggio. Un formicolio di nervosismo, eccitazione, gioia, ansia e aspettativa stagnava attorno al suo cuore facendogli sentire il petto come riempito di uno sciame di farfalle, gli gorgogliava in fondo alla pancia senza permettergli di pensare ad altro.

Feliciano staccò la punta della matita dal foglio, posò l’estremità con la gommina fra le labbra, e alzò gli occhi al soffitto della sua camera, attirato dai passi di Lovino che si spostavano avanti e indietro al piano di sopra.

Sospirò di nuovo.

Dovrei dire a Lovino di domani sera?

Posò la matita accanto al foglio da disegno, raccolse le ginocchia al petto, abbracciando le gambe piegate, e dondolò avanti e indietro accoccolato sulla seggiola.

Mhm, non credo che gli farebbe molto piacere sapere di Ludwig. Poi non è nemmeno detto che il piano che abbiamo progettato io e Kiku fili liscio e che lui riesca a trascorrere la notte con me.

Smise di dondolarsi, abbassò le palpebre, e ritornò a quel pomeriggio, sotto l’ombra dei ciliegi in fiore, avvolto dalla brezza fresca che profumava di polline, a smangiucchiare la pasta morbida dei macaron insieme a Kiku.

Kiku, dopo averlo preso per le spalle, gli aveva spiegato per filo e per segno il piano, guardandolo dritto negli occhi con un’espressione seria e concentrata. “Usciti dalla festa, io farò in modo che siate voi due da soli, mi allontanerò con una scusa oppure mi fermerò dicendo che non posso accompagnarvi. Allora tu insisterai che sia Ludwig-san ad accompagnarti a casa e io farò lo stesso, assecondandoti. Una volta a casa, dovrai inventarti qualcosa per trattenerlo. Potresti dirgli che...”

Un sentimento di affetto e gratitudine intiepidì il petto di Feliciano, sciolse il groppo di agitazione e gli piegò un tenero sorriso sulle labbra.

Kiku l’ha presa davvero a cuore, è davvero un amico. E anche io spero che possa davvero succedere qualcosa in più. Altrimenti...

Piegò il capo e premette la guancia sulle ginocchia, emise un altro sospiro di sconforto e il sorriso si ammosciò. Gli occhi si intristirono.

Vorrà dire che io proprio non piaccio a Ludwig come speravo.

Dondolò ancora avanti e indietro, consolandosi in quell’abbraccio solitario.

E lui invece mi piace così tanto...

Gli uccellini cinguettarono fuori dalla finestra, una brezza scosse i rami del nocciolo piantato in giardino, li fece ticchettare contro il vetro attraversato dalla luce rossastra della sera.

Feliciano si girò. Lo sguardo gli cadde sul letto immerso nel fascio di luce che riempiva la camera, sulla borsa di scuola che aveva gettato fra i due cuscini, sulla trapunta invernale che non aveva ancora risistemato dentro l’armadio perché la notte aveva ancora freddo e gli piaceva dormire arrotolato nella lana. Tornò a chiudere gli occhi, si ritrovò accoccolato nel suo letto, ma con le braccia strette attorno a Ludwig e non al cuscino. Si immaginò con il capo posato sulla sua spalla o sul suo petto, le mani intrecciate alle sue, i piedi a toccarsi sotto le coperte, il suo respiro fra i capelli, e i cuori che battevano all’unisono. 

Feliciano riprese a dondolarsi avanti e indietro tenendo le ginocchia premute al petto, sulle labbra sbucò di nuovo il gongolante sorrisetto di aspettativa che gli tinse le guance di rosso.

Io e Ludwig...

Le farfalle presero a svolazzargli nello stomaco, spansero il caldo e piacevole formicolio attraverso tutto il ventre.

Feliciano scosse il capo, si diede un piccolo schiaffetto alla guancia, e tornò serio.

No, non posso distrarmi, si disse. Devo rimanere concentrato!

Strinse un pugno davanti al petto e volse lo sguardo alla parete, mimando un’espressione agguerrita.

Kiku si è impegnato duramente per sostenermi, e io non lo deluderò. Mi farò coraggio e la renderò una serata indimenticabile!

Annuì a se stesso.

Assolutamente indimenticabile!

 

.

 

Feliciano girò le chiavi dentro la serratura dell’entrata di casa, avvitò il pomello, spinse una spalla sulla porta, e la luce spanta dalla lampadina sul portico entrò a rischiarire il buio del corridoio. 

«È un peccato che anche Kiku non sia potuto venire a casa con noi, vero?»

Tese il braccio, aprì la mano sulla parete, tastò il muro fino a raggiungere l’interruttore della luce. Clic! Accese il lampadario e illuminò il piano di sotto, immerso fino a poco prima nel buio della notte.

Feliciano entrò in casa e si sbottonò il bavero della giacca, si girò per rivolgersi a Ludwig. «Ma immagino che si sia sentito un po’ responsabile per quello che è successo ad Alfred» gli disse. «Io non avrei mai creduto che Arthur riuscisse a tirargli certi pugni, invece era proprio arrabbiato. Ma credo che Alfred l’abbia fatto solo per ingelosirlo un po’, perché a lui piace davvero Arthur, e ora Kiku si sentirà in colpa verso tutti e due.»

Ludwig si ripulì le scarpe sullo zerbino ed entrò a sua volta, si sbottonò anche lui la giacca, senza togliersela, ed esalò un grave sospiro di sconforto. «Se non altro, il fatto che Arthur abbia picchiato Alfred davanti a tutta la palestra ha distratto tutti da quello che stava per fare Mathias.»

Feliciano annuì. «Già.» Si sfilò la giacca e la lasciò cadere su una delle seggiole nel soggiorno, accese anche le luci nella saletta. «Meno male che c’erano Berwald e Lukas a tenerlo d’occhio, perché penso che Vash avesse portato un fucile ad aria compressa, questa volta, e Mathias avrebbe potuto fare una brutta fine.»

Ludwig fece roteare lo sguardo. «Se lo sarebbe meritato.»

Feliciano rise, gli diede una piccola spallata. «Ludwig!»

Attraversarono il soggiorno e si ritrovarono ai piedi delle scale che salivano fino al piano di sopra. La penombra del corridoio infossava strati di buio fra i gradini rivestiti di parquet, sempre più scura man mano che risaliva, fino a diventare di un nero pece fra le pareti del corridoio al piano superiore.

Ludwig si fermò, irrigidendo, strinse la mano attorno alla tracolla della borsa di scuola appesa alla sua spalla, il braccio tremò, il peso della busta di plastica appallottolata nella tasca interna si aggravò, iniziò a tirarlo verso il basso, a pulsargli sul fianco. Iniziò a percepire la presenza delle due infami confezioni singole custodite nella borsa come una bomba a orologeria che ticchettava incessantemente – tic-tac, tic-tac, tic-tac – senza dargli pace. Inspirò a fondo per placare i tremori che cominciavano ad attraversargli il petto e la schiena, trattenne il respiro, strinse forte la mano attorno alla tracolla fino a farsi sbiancare le nocche, sudori freddi gli bagnarono la pelle, il cuore si gonfiò di agitazione e cominciò a martellargli fino in gola.

Anche Feliciano si fermò in fondo alla gradinata che conduceva al piano di sopra. Guardò il corridoio immerso nel buio, strinse le mani dietro la schiena, dondolò avanti e indietro sui piedi – tallone, punta, tallone, punta – e chinò lo sguardo al pavimento, nascondendo il leggero rossore che si era spolverato sulle sue guance. Tossicchiò. «Ehm...»

Ludwig scattò sull’attenti come se lo avesse punto. «Sì, ehm,» prese un altro respiro, «io...»

«Vorresti...» Feliciano si strofinò la nuca e sollevò l’indice libero a puntare il piano di sopra. Schiuse le labbra per spiegarsi, ma Ludwig lo anticipò, irrigidì lo sguardo stendendo le braccia sui fianchi e mostrandogli occhi seri.

«Feliciano.»

Feliciano deglutì, sollevò un sorriso di attesa e aspettativa. «S-sì? Ludwig.» Le pareti dello stomaco cominciarono a prudergli.

Ludwig sospirò e rilassò i tratti del volto. «Ho pensato...» Si strofinò il capo e spostò gli occhi verso la parete, lontani da quelli di Feliciano. «Ho pensato a quello di cui abbiamo parlato ieri...» Un tremolio lo fece esitare. «Uscendo da scuola.»

Feliciano sbatté le palpebre e si posò la punta dell’indice fra le labbra. «Dei problemi di matematica che mi sono dimenticato di trascrivere?»

Ludwig sobbalzò, strabuzzò lo sguardo. «Cosa?» Capì e si premette una mano sul viso. «No, no, non quelli. Io...» Feliciano, ti prego, concentrati. Non rendere le cose più difficili di quello che già sono! «Quello che dicevamo a proposito di...» Sospirò attraverso le dita ancora premute sulla faccia che stava diventando sempre più calda. «Di noi. Sai,» borbottò, «tu mi avevi già chiesto di accompagnarti a casa e...»

Il viso di Feliciano si illuminò. «Ooh, sì.» Di nuovo un dolce imbarazzo tornò a pizzicargli sulle guance, lo spinse a chinare il viso e a stringersi nelle spalle, rigirando a terra la punta del piede. «In realtà non l’ho fatto proprio perché avevo paura a rimanere da solo. Be’, okay, un po’ è vero che ho paura a rimanere da solo, ma la verità è che io...» Stese le braccia lungo i fianchi, strinse i pugni, raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo, trattenne il respiro, chiuse gli occhi. «Ludwig.» Sollevò i pugni davanti al petto, guardò Ludwig negli occhi con un’espressione forte e determinata. «Ludwig, io vorrei che tu e io...»

«Sì.»  

Un barlume di smarrimento attraversò gli occhi di Feliciano. «Cosa?»

Ludwig annuì. «Sì» ripeté. «Cioè», inspirò anche lui, «va bene, anche io...» Tornò a grattarsi la nuca e spostò lo sguardo in disparte, riprese a borbottare. «Anche io intendevo quello quando ho accettato di accompagnarti a casa, e...» Si strinse nelle spalle. «E in realtà l’ho fatto anche perché non mi sarei fidato a lasciarti girovagare da solo per la città a quest’ora di notte e anche se ieri ho detto il contrario non mi piaceva davvero l’idea che tu stessi solo a casa, e...»

Feliciano gli scivolò davanti, salì sulle punte dei piedi posandogli le mani sulle spalle e gli frenò la parlantina con un bacio.

Il tepore delle sue labbra trasmise a Ludwig quel piacevole e caldo senso di sicurezza che provava ogni volta in cui si baciavano, ogni volta in cui gli stringeva la mano, ogni volta in cui gli carezzava le guance, ogni volta in cui Feliciano lasciava riposare il capo sulla sua spalla, e ogni volta in cui si ritrovavano loro due da soli, o a passeggiare o a tenersi compagnia durante lo studio, in quei momenti in cui bastava la presenza reciproca a riempire la camera di luce e a intiepidire l’aria, a rendere il cuore gonfio di quella candida gioia tutta loro.

Ludwig chinò le spalle, gli strinse delicatamente una mano fra i capelli per reggergli la nuca e gli posò le nocche sulla guancia, godendosi la dolcezza della bocca di Feliciano che serbava ancora il sapore morbido e zuccherino della torta di panna e meringa che aveva mangiato alla festa in palestra.

Separò le labbra dalle sue, riaprì le palpebre e abbassò subito gli occhi, sentendosi stringere il cuore da una fitta di colpevolezza. «S-scusa se ieri non ti ho baciato nel corridoio.»

Feliciano ridacchiò, fece scivolare la mano dalle spalle di Ludwig e gli strinse una mano, intrecciò le dita alle sue, tornò a trasmettergli calore e sicurezza. I cuori di entrambi battevano veloci, Ludwig sentiva quello di Feliciano palpitare attraverso il suo stesso palmo.

«Quel sì di prima» disse Feliciano, «era...»

Ludwig si strinse nelle spalle, una fiammata di rossore salì a bruciare fino alle punte dei capelli. «S-sì. Immagino.»

«Oh. Bene.» Feliciano gli strinse la mano, guardò le scale e il corridoio del piano superiore, dondolò avanti e indietro sui piedi, e anche lui si chiuse nelle spalle diventando più rosso in viso. «Ehm.» Rivolse l’indice al soffitto. «Vuoi andare in camera mia?»

Ludwig agitò le dita che non stringevano quelle di Feliciano, il formicolio al basso ventre si raggrumò in un gomitolo di prurito attorno allo stomaco che gli infiammò il sangue pizzicando fino al petto e lungo gli arti. Annuì. Strinse la mano di Feliciano aggrappandosi a lui come se si fosse trovato alla deriva in mare aperto, percependo quella presa come il suo unico appiglio e unica sicurezza. «C-credo sia meglio.»

 

.

 

Quando raggiunsero il piano di sopra, Feliciano aveva già perso le scarpe e la giacca, aveva già slacciato la camicia di Ludwig tenendosi incollato alle sue labbra e camminando all’indietro, senza mai separare il bacio attraverso tutta la salita degli scalini.

Gli strinse la cinta dei pantaloni, mosse la bocca sulla sua, gli sfilò la mano da sopra le spalle e piegò il braccio contro la porta della sua camera per spalancarla. Anche Ludwig perse le scarpe, infilò il tocco sotto la maglia di Feliciano, trasmise una scossa di calore ai suoi fianchi nudi. Feliciano schiuse le labbra, soffocò un gemito, strinse le braccia attorno al collo di Ludwig e lo fece scivolare sul letto, sopra di lui. Il materasso rimbalzò, le molle cigolarono, e la maglia di Feliciano cadde fra le coperte.

Unirono di nuovo le labbra in un bacio più frenetico e umido, i respiri accelerarono, le guance di entrambi più calde e rosse. Feliciano infilò le dita sotto la cinta di Ludwig, gli sganciò la chiusura, arrivò all’orlo dei pantaloni.

Ludwig si affrettò a separare il bacio, punto da una scossa di panico. «A-aspetta.» Aveva ancora il fiatone.

«Uhm?» Anche Feliciano riprese fiato, gli mostrò un’espressione smarrita, immersa nella penombra gettata dalla luce della luna che gli tingeva le guance di bianco. «Cosa?»

Ludwig chinò lo sguardo, allontanò gli occhi da quelli di Feliciano, il cuore continuò a palpitargli in gola. «N-nella mia borsa.» Stese un indice verso la tracolla che era caduta sulla soglia della camera. «Non possiamo fare senza.»

Feliciano si sporse dal letto, lanciò un’occhiata alla borsa, e rotolò di nuovo con i piedi sul pavimento. Si chinò e spostò la giacca di Ludwig che era caduta sopra la borsa, aprì la tasca centrale, sollevò uno scricchiolio di plastica che viene mossa. Fermò il tocco. Estrasse qualcosa e lo mostrò a Ludwig sollevando un sopracciglio.

«Caramelle al malto d’orzo?»

Ludwig tirò su la testa, sgranò gli occhi. «Cosa?» esclamò.

Illuminato da un fascio di luna che splendeva sulla confezione, Feliciano stringeva il pacchetto di caramelle al malto fissato dall’adesivo che ritraeva il monaco a passeggio nel giardino di erbe.

Ludwig si nascose la faccia dietro la mano, una stretta di vergogna si annodò nel petto. «Oh, Gott, no. Quelle sono...» Scese anche lui dal letto, si inginocchiò accanto a Feliciano senza osare incrociare il suo sguardo, e tuffò anche lui le mani dentro la busta della farmacia. Sollevò lo scricchiolio della plastica che veniva scossa. «Ecco, ieri ho pensato fosse meglio procurarmi questi nel caso io e te avessimo...» Prese l’Infame stringendolo fra le dita tremanti e lo porse a Feliciano, senza guardare.

Feliciano sgranò gli occhi. «Ooh. È...»

Ludwig tossicchiò e annuì. «Sì.» Gli occhi incollati al pavimento.

Feliciano posò il sacchetto delle caramelle e sollevò un sopracciglio, si strofinò la nuca. «Ma a cosa ci servono, Ludwig? Io non rimango mica incinto.» Un barlume di panico gli attraversò il viso. «Non rimango incinto, vero, Ludwig?»

«Cosa? No! È solo...» Ludwig scosse il capo e gli puntò l’indice contro, aggrottò la fronte. «Sono importanti, Feliciano, e noi... io li userò lo stesso. Non sei stato attento durante le tre lezioni di educazione sessuale che abbiamo fatto a scienze?»

«No, perché Francis continuava a fare battute e mi veniva da ridere.»

Ludwig tornò a prendersi la fronte fra le dita, strinse la pressione sulle tempie esalando un respiro profondo. «Non posso credere che...» Rivivendo la fuga fra gli scaffali della farmacia, a Ludwig saltò in testa una seconda realizzazione. Gli arrivò addosso come una cariolata di mattoni rovesciata dal soffitto. Sgranò gli occhi, tornò a impallidire e a nascondersi la fronte sotto la mano, e un violento tremore lo scosse fino alle viscere. «Oh, no.»

Feliciano sollevò un sopracciglio. «Cosa?»

Ludwig stese le dita sulla fronte per coprirsi gli occhi e si morse il labbro inferiore. «Il lumhbrifhganteh

«Il cosa

«Il...» Ludwig inspirò profondamente, cercò di raffreddare la temperatura delle guance. «Ci servirebbe qualcosa per...» Guardò a terra, fece roteare la mano. «Sai, per... rendere la cosa più...» Stupido! Come ho potuto dimenticarmi di qualcosa di così fondamentale? Tornò a coprirsi gli occhi, imprecò a denti stretti. «Maledizione, ora ho rovinato tutto, e non...»

Il bacio di Feliciano interruppe le sue parole. Fu un bacio più profondo e bruciante rispetto a quelli strappati di fretta che si erano scambiati durante la scalata dei gradini. Ludwig tornò ad abbandonarsi al sapore di meringa delle labbra di Feliciano, alla pressione morbida e calda della sua bocca, al profumo di pesca che avevano i suoi capelli, e al tocco delle sue mani intrecciate dietro il collo. Ludwig gli avvolse le guance e rispose al bacio. Finì avvolto da una spirale di felicità simile ai vortici di fiori di ciliegio che avevano colorato di rosa i corridoi della loro scuola; una spirale che riuscì a spazzare via la nuvoletta grigia di timore che per tutto quel tempo aveva ristagnato nella sua testa.

Si dimenticò di WikiHow, della figuraccia in farmacia, delle lezioni di anatomia che aveva ripassato, delle caramelle al malto, e si fidò dell’unica persona che voleva avere nei suoi pensieri in un momento del genere.

 

.

 

Alla fine, al posto del “lumhbrifhganteh usarono una crema per le mani. Le gambe di entrambi, ancora intrecciate fra loro sotto le coperte, serbavano il delicato profumo di olio di mandorla, le ultime goccioline di sudore scivolarono fra i loro bacini e rotolarono lungo le cosce rimaste lucide di unguento.

La brezza notturna fischiò attraverso la fessura della finestra rimasta socchiusa, scosse le tendine e agitò i rami del nocciolo che sfiorarono il vetro producendo un ticchettio simile a quello dato dalle unghie. Un gufo bubolò, e il suo verso svanì portato via dal frullio d’ali, canti di grilli frinirono in lontananza, trascinati dal vento che spirava in quella fresca e limpida notte primaverile. Nella camera da letto regnava un pacifico silenzio interrotto solo dai respiri flebili e regolari dei due ragazzi abbracciati nel letto. Un fascio di luce argentata entrava dalla finestra, scivolava attraverso le coperte rigonfie e increspate di ombre attorno ai loro corpi, e luccicò su un braccio nudo di Feliciano avvolto attorno al torso di Ludwig.

Feliciano stese le gambe, stiracchiò i piedi sfregandoli contro le caviglie di Ludwig, rotolò sul fianco allontanandosi dal suo calore e scivolando via dal suo braccio stretto attorno alle spalle. Le coperte frusciarono, una molla del letto cigolò. Feliciano allungò un braccio verso il pavimento, tastò l’aria agitando le dita, raggiunse la borsa di Ludwig sepolta da una maglia, scostò la manica, tuffò la mano nella tasca e aprì la borsa di plastica per raccogliere il sacchetto di caramelle al malto. Ne pescò due, le scartò usando entrambe le mani, e ne strinse una fra le labbra.

Tornò a rotolarsi sotto le coperte, si rannicchiò sotto il braccio che Ludwig aveva tornato a stringergli attorno al fianco, e rosicchiò lentamente la caramella al malto, gustandosi le scaglie brune che si scioglievano fra le guance. Il buon gusto di zucchero, il calore di Ludwig attorno a lui, il suo tocco sul viso e il respiro regolare accanto all’orecchio gli trasmisero un profondo senso di pace e felicità che riuscì a sciogliere la pesantezza accumulata nei muscoli. Si sentiva esausto come dopo due ore filate di educazione fisica.  

Feliciano inghiottì il resto della caramella e mangiò subito anche l’altra, rosicchiandola subito fra i molari. «Queste caramelle al malto sono buonissime.» Si succhiò l’indice su cui era rimasto un sottile strato appiccicoso di zucchero.

Ludwig sollevò la guancia dal cuscino, il raggio di luna gli toccò il viso, splendette attraverso le palpebre socchiuse accendendo l’azzurro degli occhi. «Ti piacciono tanto?»

Feliciano annuì tutto contento. «Oh, sì.» Succhiò anche il pollice, si leccò le labbra sporche di briciole di zucchero, e si infilò di nuovo sotto il braccio di Ludwig. Si strinse al suo fianco e posò il capo sulla sua spalla. «Le hai prese pensando a me? A te non piacciono le caramelle al malto.»

Ludwig allontanò lo sguardo, nascose l’espressione imbarazzata sotto la penombra dei capelli spettinati. Le immagini del pomeriggio del giorno prima, della fuga dalla farmacia, di quando aveva passato i due pacchetti di caramelle a Kiku come diversivo, gli tornarono a balenare in viso come un flash. «Più», arricciò un labbro, «più o meno.» Tornò con il capo sul cuscino e sospirò, distese anche lui la tensione dei muscoli. «Se vuoi puoi tenere il pacchetto intero, io non le mangerei comunque.»

Feliciano sorrise. «Che bello! Grazie!» Si spinse più vicino a lui tornando a intrecciare le gambe fra le sue, i bacini a toccarsi e i torsi ad aderire uno sull’altro, e gli avvolse le braccia attorno alle spalle, intrecciando le dita fra i suoi capelli ancora umidicci di sudore. «Uffa, così però mi fai sentire di nuovo in colpa.»

Ludwig inarcò un sopracciglio, sollevò una mano per scostargli una ciocca di capelli che gli era finita davanti agli occhi. «Perché in colpa?»

Feliciano emise un sospiro profondo – Ludwig percepì il battito del cuore direttamente sul suo petto – e gli poggiò la fronte sotto la spalla, inumidendogli la pelle con il suo respiro caldo. «Tu pensi sempre a me» mormorò. «Sai sempre come farmi felice quando sono triste, come farmi sentire sicuro quando ho paura e anche quando non ne ho.» Si rotolò supino, tenendosi avvolto nel braccio di Ludwig, e girò la guancia per guardarlo in viso. «Ti ricordi quando abbiamo fatto amicizia all’asilo?» Anche le sue guance finirono illuminate dal fascio di luna che entrava dalla finestra. «Quella volta che Alfred e gli altri mi volevano fare i dispetti e mi avevano tirato i capelli, e tu mi hai difeso perché nessun altro lo faceva e sei rimasto sempre assieme a me per proteggermi. E anche alle elementari, poi! Ogni volta che mi dimenticavo il pranzo o la merenda, tu mi davi sempre la tua, mi facevi copiare i compiti quando non li facevo, e...»

«Anche adesso ti faccio copiare i compiti» disse Ludwig, facendo roteare lo sguardo.

Feliciano ridacchiò. Gli strinse la mano, fece aderire il palmo al suo, intrecciò le dita e chiuse la presa, gli carezzò le nocche con il pollice. «Quella volta dei compiti di geometria, ti ricordi?» mormorò.

Ludwig esitò. Sfiorato dalla brezza fresca della notte che entrava dalla finestra socchiusa, tornò all’inizio dell’anno scolastico, quando lo stesso profumo di prato umido che sentiva ora si mescolava a quello evaporato dal tè ai frutti di bosco che lui e Feliciano avevano preparato mentre studiavano per il primo test di geometria. La sera, sulla soglia della casa di Ludwig, dopo avergli detto grazie, Feliciano si era sporto a baciarlo. Aveva posato le labbra sulla sua bocca, però, non sulla guancia come faceva di solito. Ludwig era rimasto pietrificato, con il cuore che scoppiava come se fosse stato appena trapassato da una saetta di elettricità, la bocca che scottava a contatto con quella di Feliciano. Il sapore di frutti di bosco era rimasto stampato sulle labbra per tutta la notte. Non era riuscito a chiudere occhio ed era rimasto a fissare il soffitto buio della sua camera a palpebre sbarrate, vedendo e rivedendo quel momento che gli aveva ghiacciato il cervello e infiammato il petto. Il giorno dopo non era nemmeno riuscito a guardare Feliciano negli occhi. «S-sì» rispose, sentendosi di nuovo toccare da quel soffio di caldo e bruciante imbarazzo. «Mi ricordo.»

Feliciano sorrise, riassaporando anche lui il loro primo vero bacio al sapore di frutti di bosco, e carezzò il braccio di Ludwig che gli passava attorno alle spalle. «È stato in quel momento che ho capito quello che avevo già iniziato a provare all’asilo: che ti avrei sempre voluto avere vicino a me.» Ruotò la guancia poggiandogliela sulla spalla e sospirò di nuovo. Sul viso tinto del blu cristallino della notte si dipinse un’espressione avvilita. «Però mi sentivo anche inutile.»

Ludwig corrugò la fronte, di nuovo colto da quel pizzico di confusione. «Inutile?»

Feliciano annuì sfregandogli i capelli sulla spalla, aprì e strinse la mano ancora unita alla sua, rannicchiò le gambe intrecciando le ginocchia e facendogli strusciare i piedi fra i suoi polpacci. «Tu sai sempre come badare a me» disse, «io invece non posso difenderti perché non ho muscoli, non posso rassicurarti perché non c’è niente di cui tu abbia paura e che non ne faccia a me, non posso farti copiare i compiti perché tu a scuola vai meglio di me, tranne in arte.» Prese un sospiro, diede un’altra spremuta alla mano. «È così che ho pensato che...» Si strinse nelle spalle e guardò in basso. «Che io forse avrei dovuto dimostrarti quello che provo in un’altra maniera.»

Ludwig sbarrò gli occhi, ammutolì rimanendo di sasso come durante il loro primo bacio, il suo corpo rigido avvolto da quello di Feliciano e il respiro fermo. Dimostrarlo in un’altra maniera... «Feliciano.» Un leggero brivido di freddo trasmesso dall’aria fresca entrata dalla finestra gli fece vibrare la gola.

Feliciano sollevò lo sguardo spostando il capo sul suo avambraccio, sbatté le palpebre, gli mostrò un’espressione interrogativa.

Ludwig sollevò le spalle dal cuscino facendo leva su un gomito, e la coperta gli scivolò attorno ai fianchi. «Credevi...» Si posò una mano sul petto, la penombra del riverbero lunare si frammentò nei tratti del suo viso, gli occhi azzurri luccicarono di incredulità, limpidi come specchi d’acqua. «Credevi che io avessi bisogno di questo per capire quello che tu provi nei miei confronti?»

Feliciano si strinse nelle spalle, abbassò di colpo lo sguardo, trafitto da una frecciata di colpevolezza. «Uhm.» Strinse le ginocchia più vicine a sé, raccolse la coperta sul petto chiudendosi nelle spalle, e piegò un imbarazzato sorrisetto di circostanza. Lo rivolse a Ludwig e si strofinò il capo: la stessa espressione di scuse che gli aveva rivolto il pomeriggio prima quando si era fatto dare una copia dei compiti di matematica. «Più o meno.»

Ludwig sollevò le sopracciglia, appiattì le labbra, lo sguardo irrigidì, e una fitta di delusione gli strinse il cuore spazzando via la dolce e piacevole sensazione di calore che gli riempiva il petto.

Ma allora è vero che non riesco a dimostrargli i miei sentimenti apertamente come vorrei? Ho fatto sentire Feliciano in debito per tutto questo tempo e io nemmeno me ne rendevo conto?

Feliciano si accorse del conflitto nel suo sguardo, degli occhi toccati dalla luce della luna che erano rabbuiati, della sua espressione più distante e avvilita. Una stretta di rimorso punse anche lui. Feliciano si affrettò a sventolare una mano e a scacciargli di dosso quei pensieri. «Ah, ma ora ho capito che tu saresti rimasto con me lo stesso, davvero! E lo so che mi vuoi bene perché anche Kiku l’ha detto quando...»

«Kiku?» Ludwig sollevò un sopracciglio, lo sguardo riacquistò una scintilla di vita. «Hai...» Un fulmine di sospetto gli attraversò la testa, gli fece corrugare la fronte. «Hai parlato con lui?»

«Uhm. Sì.» Feliciano abbassò lo sguardo tornato rosso, strinse le coperte fra le dita e si strofinò la nuca. Le labbra si incurvarono in un sorrisetto di imbarazzo intenerito dai ricordi del giorno prima. «Mi ha aiutato lui a...» Fece dondolare le spalle. «A pensare a come poter», si pizzicò il labbro, «sai», spostò di nuovo lo sguardo su Ludwig, tenendolo basso, «riuscire a farci stare insieme questa sera.»

Ludwig rimase a bocca aperta, gli occhi increduli, l’espressione congelata, ma il cuore in qualche maniera più leggero. «A-anche io.»

“Feliciano-kun ha molta fiducia in te,” ripeterono le parole di Kiku. “E se è stato lui a fare i primi passi significa che ha fiducia anche nel fatto che riuscirai a trattarlo bene e ad avere cura di lui anche... anche, ehm, in una situazione di quel genere.”

«Anche io ho chiesto a Kiku di aiutarmi a...» Ludwig si strinse nelle spalle, allontanò lo sguardo, le guance ricominciarono a scottare, in testa ronzarono i ricordi della loro visita su WikiHow e della fuga dalla farmacia. Tossicchiò. «A organizzare tutto.»

«Oh!» Feliciano batté le mani davanti al petto, i suoi occhi si illuminarono. «Ma allora è stato un piano collettivo» esclamò. «Una missione fra noi tre!»

Un brivido di disagio percorse la schiena nuda di Ludwig, come un cubetto di ghiaccio lasciato scivolare attraverso la pelle. Un piano collettivo. Una missione fra noi tre.

Feliciano slargò le palpebre, colto da una saetta di illuminazione. «Oh», si posò una mano sulla bocca, «povero Kiku, e noi che lo abbiamo lasciato solo alla festa. E ora lui dovrà anche occuparsi di riappacificare Alfred e Arthur, dato che è finito in mezzo al loro litigio.» Scostò la coperta dalle gambe e si gettò sull’orlo del letto, tese il braccio verso il pavimento, scostò un paio di jeans e una camicia, andò in cerca del cellulare. «Dobbiamo avvisarlo che è andata tutto bene!»

Il brivido di disagio che era sgusciato sotto la pelle di Ludwig si trasformò in un’unghiata di panico. Avvisarlo. Avvisarlo ora? Ludwig scattò verso Feliciano e gli prese il polso. «Aspetta, Feliciano, fermo! Non...» Lo tirò delicatamente all’indietro, abbassò la fronte. «Non è il caso che si sappia ancora che...» Kiku non farebbe mai la spia, ma potrebbe essere ancora assieme ad Alfred e ad Arthur, e loro due potrebbero scoprirlo accidentalmente e a quel punto lo verrebbero a sapere tutti. È anche vero che senza di Kiku ora noi non saremmo nemmeno qui, ma...

La stretta di colpevolezza tornò a chiudersi attorno al suo cuore, fece salire quell’amaro sentimento di rimorso che coprì la dolcezza del momento. Ludwig sospirò e si strofinò il capo. «Dovremo comunque ringraziarlo per bene.»

Feliciano annuì, sorrise. «Già.»

Il vento soffiò lento e silenzioso fuori dalla finestra socchiusa, i rami del nocciolo frusciarono, un’auto percorse la strada del quartiere e il leggero rombo svanì in lontananza. I grilli continuarono a cantare, al bubolare del gufo si unì quello di una civetta. L’aria notturna scivolò dentro la camera da letto, scosse le tendine alle finestre, sfiorò la pelle nuda di Feliciano facendolo rabbrividire.

Feliciano tornò ad avvolgersi fra le coperte, scivolò di nuovo nell’abbraccio di Ludwig, gli posò la guancia sul petto dove sentiva il calmo e rassicurante battito del cuore pulsare sotto il suo orecchio. Socchiuse gli occhi, inspirò profondamente. «Ora però mi sta venendo sonno» sbiascicò contro la spalla di Ludwig.

Ludwig gli fece correre le dita fra i capelli, gli posò le nocche sul viso, passò una leggera carezza lungo il profilo della guancia. Quell’immagine di Feliciano sdraiato accanto a lui, accoccolato nell’incavo del suo braccio, con le ginocchia intrecciate alle sue gambe, le palpebre chiuse toccate dalla luce lunare che brillava d’argento fra le ciglia, e il sorrisetto sulle labbra, gli trasmise un tocco di tenerezza che gli intiepidì il cuore e tornò ad arrossargli la faccia. Si sentì il più fortunato del mondo.

Ludwig si schiarì la voce, il suo petto vibrò contro quello di Feliciano. «Tu...» Allontanò gli occhi. «Ti senti bene, ora? Non ti fa male da qualche parte?»

Feliciano si strinse nelle spalle, arricciò le punte dei piedi sotto le coperte. «Solo un po’ le gambe.» Sollevò la guancia e guardò in basso, arricciò la punta del naso. «E i fianchi.»

Ludwig gli fece una carezza sulle spalle e lungo la schiena. «Domani cerca di non affaticarti troppo. E fatti degli impacchi con l’acqua calda.»

«Va bene!» Tornò ad accoccolarsi, allacciò le braccia attorno al busto di Ludwig e richiuse gli occhi. 

Anche Ludwig lasciò riposare il capo sul cuscino, il viso vicinissimo a quello di Feliciano, le punte dei nasi a sfiorarsi. «Ehm, è stato...» Abbassò gli occhi per non vedersi riflesso in quelli dell’altro. «Voglio dire, è stato come...» Si strinse nelle spalle. «Come speravi?» Le sue guance tornarono a scottare.

Feliciano sorrise. Un caldo e profondo sentimento di tenerezza gli riempì il petto, alleggerì il cuore. «Meglio.» Unendosi a lui aveva provato la stessa infiammante gioia che lo aveva pervaso durante il loro primo bacio, la stessa che era sbocciata all’asilo, quando Ludwig lo proteggeva nascondendolo dietro la sua schiena, quando alle elementari gli regalava la sua merenda o gli faceva copiare i compiti, quando alle medie lo continuava a tenere per mano mentre attraversavano la strada o per non perderlo di vista nei corridoi o quando andavano al parco o in gita. Lo fece sentire elevato fino al cielo, sdraiato assieme a lui in un letto di soffici nuvole di zucchero filato che li tenevano sospesi nel loro piccolo angolino di felicità. «Ludwig?»

Ludwig socchiuse un occhio. «Mh?»

Feliciano gli baciò la guancia, tornò a poggiargli il capo sulla spalla. «Ti amo» mormorò con le labbra a fior di pelle.

Ludwig sussultò, colto alla sprovvista. «Oh.» Girò lo sguardo, nascose le guance rosse. «Uh, okay.» Gli strofinò una carezza dietro la nuca, come faceva con i suoi cani. «Anche io.»

Feliciano ridacchiò a bocca chiusa. Cullato dal suono del vento fra i rami del nocciolo, dal frinire dei grilli, dal respiro di Ludwig e dal suo battito del cuore, si addormentò.

 

.

 

Ludwig si svegliò con il viso sfiorato dai capelli di Feliciano che profumavano di pesca – lo stesso dolce aroma che aveva inspirato la sera prima quando si era addormentato tenendolo avvolto fra le sue braccia.

Gli uccellini cinguettarono fuori dalla finestra, un tiepido raggio di sole mattutino attraversò il vetro dalla finestra davanti alla quale si erano dimenticati di tirare le tende e brillò sul letto come la notte prima aveva fatto il fascio di luce argentea della luna. Il raggio di sole profumava di fiori freschi, appena schiusi. Si posò sul viso di Ludwig facendogli solletico alla punta del naso e alle guance, addolcì il suo risveglio con il profumo di polline e di rugiada fresca.

Ludwig schiuse le palpebre, le sbatté due volte per spannare la vista ancora appesantita dal sonno, e si trovò davanti alla testolina addormentata di Feliciano posata sul suo avambraccio. I capelli castani attraversati da sfumature miele striate dalla luce del mattino.

Ludwig sbatté un’altra volta gli occhi. C’è già il sole? Sollevò il capo dal cuscino, rivolse lo sguardo al soffitto. Che ore saranno?

Un piede di Feliciano si mosse fra le sue gambe, gli sfregò la caviglia. Feliciano chiuse l’abbraccio attorno al suo busto, e le dita si strinsero fra le coperte. La guancia gonfia di sonno premuta sul suo avambraccio, le palpebre chiuse e sfiorate dai capelli scompigliati, e un sorriso beato a tenergli incurvate le labbra. Prese un sospiro profondo, il suo petto si mosse aderendo a quello di Ludwig, e il corpo tornò a rilassarsi, le coperte scivolarono lungo la sua spalla.

Ludwig sentì il calore del sole diffondersi anche nel suo petto, riempirgli il cuore della stessa dolcezza che gli era rimasta sulle labbra. Scostò una ciocca di capelli dalla fronte di Feliciano, gli sfiorò la guancia con le nocche. Ah, già, ieri.

Le immagini di “ieri” gli esplosero in testa come un fuoco d’artificio: il tragitto fino a casa dopo la festa, lui e Feliciano fermi in fondo alle scale, i loro sguardi intimiditi, quel primo bacio che aveva sciolto la rete di tensione e di aspettativa che si era intrecciata fra loro, le mani che sbottonavano i vestiti, i tocchi sulla pelle nuda, le labbra che si divoravano, i respiri accelerati, i cuori che galoppavano, il materasso che cedeva sotto il peso dei loro corpi intrecciati, le caramelle al malto d’orzo e i...

Ludwig si nascose metà faccia dietro la mano, la guancia arroventata gli scottò il palmo, le labbra si torsero in un tremolio di vergogna che si raggrumò in fondo allo stomaco.

Ieri!

Tolse il braccio da sotto il capo di Feliciano, scivolò verso l’orlo del letto, si sporse verso il pavimento e sollevò una giacca che non era la sua, in cerca dei suoi vestiti e delle sue scarpe. Doveva correre via.

I vestiti, i vestiti, dove saranno finiti i miei?

Il peso di Feliciano si spostò facendo frusciare le coperte e cigolare una molla del materasso. Feliciano strinse le ginocchia al petto, richiamò un braccio accanto al viso e accostò una mano alla guancia, si strofinò le palpebre ancora chiuse e lucide di sonno. «Mhm.» Schiuse gli occhi bagnati dalla luce del sole, sbatacchiò le ciglia, aprì e strizzò le dita fra le lenzuola, e rigirò le nocche prima su una palpebra e poi sull’altra. Prese un profondo sospiro, sollevò la guancia dal cuscino, e rivolse lo sguardo ancora appannato a Ludwig. «‘Giorno, Ludwig.»

Ludwig s’impietrì, una gamba già fuori dalle coperte, il piede a sfiorare il pavimento, e il braccio a tenere le coperte scostate. «Oh. Ehm...» Tenne lo sguardo chino, riparato dietro la spalla, di nuovo incapace di incrociare quello di Feliciano come dopo il loro primo bacio. Si schiarì la voce e borbottò a labbra strette, sentendo l’imbarazzo crescere fino alle orecchie. «‘Giorno.»

Feliciano fece leva su un gomito, rivolse il viso al fascio di luce solare che filtrava dai raggi del nocciolo imperlati di rugiada e che passava attraverso la finestra. Sospirò, imbronciò un’espressione contrariata, e tornò a tuffarsi con il viso contro il cuscino, le braccia a stringerne l’imbottitura. «Oh, no» mugugnò. «Ieri non ho chiuso le tende e ora c’è tutto il sole.» Tese un braccio, raggiunse quello di Ludwig, lo incatenò attorno al suo gomito e lo tirò a sé. «Dormiamo ancora, Ludwig, è presto, ci sono le vacanze, non ho voglia di alzarmi.»

«V-veramente...»

Una serratura scattò al piano di sotto, la porta d’entrata si aprì con un cigolio dei cardini. «Ohi, Feliciano!»

Un improvviso fulmine di panico si schiantò fra Ludwig e Feliciano, come una secca e sonora frustata data alla nuca. Le loro facce sbiancarono, negli occhi spalancati si riflesse quel barlume di terrore che gelò il sangue a entrambi.

Quella voce...

«Alza il culo e scendi dal letto» gridò Lovino dal piano di sotto. «Il bastardo ti ha comprato le brioche e tra cinque minuti è pronta la colazione!»

«Non alzare la voce, poverino» lo rimproverò Antonio. «Starà dormendo.»

«Dormendo un corno.» La porta di casa si richiuse, passi pesanti percorsero il corridoio d’entrata. «Feliciano! Muoviti o ti vengo a buttare giù!»

«Vado a chiamarlo io.» Passi più rapidi si avvicinarono al fondo delle scale.

Feliciano si tappò la bocca con le mani, sgranò gli occhi, una maschera di terrore gli ingrigì la faccia. Anche Ludwig si posò una mano davanti alle labbra. Nei suoi occhi spalancati e vitrei comparve l’immagine di Lovino che si era materializzata nei suoi pensieri il giorno prima: il diavoletto dalla lingua biforcuta che emerge dalle fiamme dell’Inferno impugnando la mazza chiodata imbrattata di sangue con scritto sopra “Ammazza-Crucchi”.

I passi di Antonio cominciarono a scalare i gradini, la sua voce si fece più soffice e ridacchiante, ancora rivolta a Lovino. «E io che pensavo di averti insegnato come ci si sveglia dolcemente.»

«Chiudi la bocca o ti cucino la lingua in padella e mangiamo quella per colazione.»

Feliciano rotolò con un salto verso l’orlo del letto, si impigliò con un piede nelle lenzuola e cadde sul pavimento, in mezzo ai vestiti sparsi. Ludwig saltò giù dalla sua parte, raccolse una maglia, la rigirò. Non era la sua. La lasciò cadere a terra, ribaltò un paio di pantaloni. Le mani tremavano, il cuore riprese a martellare come la notte prima, paura liquida gli corse nel sangue arrivandogli fino alla testa e facendogli vedere doppio.

I vestiti, i vestiti, devo andarmene subito, dobbiamo nasconderci, non possono vederci così!

I passi di Antonio raggiunsero la fine della scalinata e una scossa di panico trafisse sia Ludwig che Feliciano.

Feliciano pescò la prima camicia che gli capitò sottomano, la indossò, infilò i primi bottoni nelle asole e si bloccò subito. L’orlo della camicia scendeva fin sopra le ginocchia, le maniche a penzoloni arrivavano a coprirgli le punte delle dita, il profumo di pino fresco emanato dalla stoffa non era decisamente il suo. Si morse il labbro, divenne viola in viso.

«Oh, no, quella sbagliata!»

Ludwig si girò verso di lui e individuò la sua giacca accanto a un paio di jeans. Si sporse sul letto, tese il braccio. «La giacca laggiù!»

Feliciano si chinò e trovò un paio di jeans che non erano i suoi. Li raccolse e li lanciò a Ludwig. «Qui ci sono i pantaloni.»

Ludwig li acchiappò al volo, si infilò la prima gamba e saltellò accanto alla finestra socchiusa toccata dai rami del nocciolo. Si sporse, guardò in basso. Il tronco dell’albero discendeva la lunghezza della casa, Ludwig non riusciva a vederne le radici piantate nel terreno e nascoste dai rami più alti.

Strinse i denti, un getto di frustrazione gli bruciò il petto. Troppo alto!

«Feliii!» I passi di Antonio trotterellarono lungo il corridoio. La voce spaventosamente vicina. «Ti ho portato le brioche con la crema di mandorle e i fagottini alle mele! Vieni giù a mangiare.»

Feliciano si strinse una mano fra i capelli, guardò a destra e a sinistra, buttò lo sguardo sull’armadio guardaroba accostato alla parete. Corse attorno al letto, raggiunse Ludwig e lo prese per mano, spalancò l’anta dell’armadio guardaroba e gli indicò il nascondiglio fra i vestiti appesi. «Qua dentro, qua dentro, come Narnia.»

Ludwig non riuscì nemmeno ad abbottonarsi i jeans. Feliciano si mise dietro di lui, gli spinse le mani sulla schiena ancora nuda e lo fece rimbalzare verso l’armadio aperto. Ludwig perse l’equilibrio, si aggrappò alle ante, tese la gamba per cercare uno spazio libero in cui infilarsi, ma si fermò notando le tele bianche accanto ai barattoli di tempere e pennelli che non voleva rischiare di schiacciare, tre album di fotografie impilati, quattro scatole di scarpe, e vecchi peluche a forma di gattini, porcellini, una pecorella e due topolini.

La porta della camera si aprì. La voce di Antonio fece diventare Ludwig e Feliciano due statue di ghiaccio.

«Poi io e Lovi pensavamo di portarti a pranzo nel ristorante con le cameriere tirolesi per farci perdonare di averti lasciato da solo ieri sera.»

Antonio sbucò fra la porta e lo stipite, le dita ancora attorno alla maniglia e il viso sorridente rivolto all’interno della camera.

Il suo sguardo superò i vestiti sparsi a terra, il letto disfatto e con le coperte ribaltate, e si posò sulla scena congelata davanti all’armadio. Ludwig che reggeva le due ante aperte, una gamba tesa verso l’interno del guardaroba, la testa bassa, e Feliciano chino a premergli le mani nascoste dalla stoffa della camicia sulla schiena nuda, a spingerlo fra gli abiti appesi.

Un uccellino cantò fuori dalla finestra e volò via, interruppe il silenzio di ghiaccio. Il vento mattutino scosse i rami del nocciolo, frammentò le ombre gettate all’interno della camera.

Antonio sbatté le palpebre, il sorrisetto inebetito ancora stampato sulle labbra. Il suo cervello cominciò a collegare le immagini – vestiti sparsi sul pavimento, letto disfatto, Feliciano con indosso solo una camicia di tre taglie più grandi, Ludwig vestito solo con i jeans ancora sbottonati. Sbatté di nuovo le palpebre, una scintilla di illuminazione gli passò attraverso gli occhi. «Oh.»

Feliciano e Ludwig non si mossero.

Ludwig ruotò lo sguardo sopra la sua spalla, incrociò quello di Feliciano. Feliciano irrigidì, le mani aperte sulla sua schiena si strinsero, e un’ondata di panico gli rese le guance grigie.

Antonio sventolò una mano. «Ciao, Ludwig.» Continuava a sorridere come uno scemo.

Ludwig deglutì. «Ciao, Antonio.»

Antonio spostò di nuovo lo sguardo a terra, in mezzo ai vestiti che non avevano ancora raccolto, e sollevò le sopracciglia. Puntò un indice a terra, verso uno scintillio argenteo, e sorrise a entrambi. «È la bustina di un preservativo, quella?»

Ludwig e Feliciano divennero prima bianchi, poi rossi, poi verdi, poi viola. La vampata di vergogna ribollì nel sangue, infiammò le guance, fischiò fuori dalle orecchie, gettò una spazzata di buio nella camera che li seppellì nella sua ombra.

Ludwig guardò l’entrata dell’armadio guardaroba. Il fitto buio incastrato fra gli abiti che pendevano fra le ante non gli era mai sembrato così invitante. Desiderò davvero rinchiudersi dentro ed esiliarsi a Narnia, a lavorare come domestico nella casetta del Signor Tumnus per il resto della sua vita.

Passi più pesanti e affrettati di quelli di Antonio scalarono i gradini e marciarono attraverso il corridoio. Anche la voce di Lovino suonò più vicina e minacciosa. «Feliciano, Cristo Santo, ci sono le scarpe sparse per le scale! Esci da quel dannato letto e vieni a metterle a posto o ti devo buttare giù a cazzotti nemmeno fossi...» Lovino spinse Antonio in disparte, spalancò la porta, rimase anche lui congelato sulla soglia: la bocca ancora aperta per le imprecazioni, e la fronte aggrottata in un’espressione scocciata.

La scena all’interno della camera si riflesse nei suoi occhi, un raggio di luce gli colpì il viso, gli fece restringere le palpebre.

Feliciano piegò un sorrisetto tremolante. Staccò una mano dalla schiena di Ludwig e sventolò un saluto nascosto dall’orlo della camicia. «C-ciao, Lovino.»

Antonio scivolò di un passetto di lato. Si nascose la bocca per poter ridacchiare senza farsi notare da Lovino.

Lovino squadrò prima Feliciano, sbatté le palpebre, poi Ludwig ancora aggrappato alle ante del guardaroba, poi di nuovo suo fratello. Spostò gli occhi a terra, fra i vestiti sparsi sul pavimento, e poi sul letto disfatto. Sbatté di nuovo le palpebre, l’espressione congelata. Tornò a guardare Feliciano con un’espressione piatta, quasi delusa, e non disse nulla. Staccò la mano dal pomello della porta, fissò la parete, l’espressione si perse, un po’ perplessa, e Lovino uscì dalla camera senza dire una parola. Riattraversò il corridoio a passo lento, l’eco della sua camminata si disperse lontano.

Ludwig si girò di profilo e si nascose il viso.

Feliciano sobbalzò, punto da una scossetta di allarme, e si posò la mano davanti alla bocca. «Ehm, Lovino...» Saltellò vicino alla porta, si sporse a guardare il corridoio, ma Lovino era andato. Emise un profondo sospiro di delusione. Avrei preferito che si arrabbiasse...

Antonio si chinò e raccolse la giacca di Ludwig, gliela porse con un sorriso di solidarietà. «Tieni, questa è tua.» L’occhio gli cadde sul sacchetto di caramelle ai piedi del letto, il suo viso si illuminò. «Oh, caramelle al malto! Ve ne rubo una!» Pescò una caramella dal sacchetto, la scartò, e se la tuffò in bocca, cominciando a rosicchiarla.

Ludwig indossò la giacca continuando a guardare in basso, Antonio gli diede due soffici gomitate sul braccio. «L’ha presa bene» disse, con voce impastata dalla caramella.

Feliciano si girò e fece per rispondergli.

Passi simili alla carica di un rinoceronte riattraversarono il corridoio e piombarono davanti alla porta della camera da letto. La sagoma nera di Lovino ricomparve sulla soglia, le braccia piegate contro i fianchi slanciarono il colpo della mazza da baseball che si schiantò sulla porta, spalancandola.

Feliciano saltò contro il muro e cacciò un grido. «Ah!» Anche Ludwig e Antonio sobbalzarono.

Attorno a Lovino ruggirono le fiamme dell’Inferno, i suoi occhi furenti si accesero come bracieri, corna da diavolo sbucarono in mezzo ai capelli, una lingua biforcuta scivolò fra i denti aguzzi. «Io ti ammazzo, bastardo!» Corse addosso a Ludwig e impennò la mazza sopra la testa.

Ludwig scattò passando dietro la schiena di Antonio, chinò la testa per schivare un colpo rovescio di Lovino, si tenne stretta la giacca ancora aperta, e volò via.

Feliciano si sporse dalla porta e urlò con una mano attorno alla bocca. «Ludwig, scappa!»

Anche Lovino passò attorno ad Antonio, sfrecciò verso la porta schivando Feliciano, e tornò a gettarsi in corridoio. «Provaci un’altra volta ad avvicinarti al culo di mio fratello!» I passi di entrambi svanirono giù per le scale.

Antonio mise entrambe le mani attorno alla bocca. «Lovi, no!» Corse anche lui fuori dalla camera e imboccò il corridoio in direzione delle scale. «Non picchiarlo, a Feli serve ancora!» Anche la sua voce e il ruzzolare della sua corsa si persero come echi.

Feliciano si sporse dalla soglia della sua camera, guardò a destra, verso le scale, e la casa piombò nel silenzio. Probabilmente stavano continuando la corsa attraverso tutto il quartiere.

Feliciano tornò a udire il cinguettio degli uccellini fuori dalla finestra e il leggero soffio di vento fra i rami del nocciolo. Si rimise a spalle dritte, un lembo della camicia scivolò scoprendogli la clavicola. Lo rimise a posto e un’ondata del profumo di Ludwig gli inebriò la mente, come la notte prima quando si era addormentato fra le sue braccia. Solo in quel momento si ricordò di avere ancora indosso la sua camicia. Sollevò le braccia, le maniche penzolarono oltre le dita, e di nuovo si sentì pervadere da quel caldo sentimento di gioia che gli avvolse il cuore facendogli sentire il petto leggero e i piedi sospesi in un tappeto di nuvole. Non riuscì a contenere un sorriso.

Si chinò a raccogliere i suoi pantaloni, infilò la mano nella tasca, pescò il suo cellulare. Fece scivolare il pollice sul blocca schermo con la Venere di Botticelli, aprì la schermata che ritraeva la foto di un gattino grigio abbracciato a un gomitolo azzurro, e andò sulla chat di gruppo “Axis Powers”.

C’era solo un’ultima cosa da dire.

 

“Missione compiuta!”

 

 

 

 

Fine

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