Addicted to blue hair and blue eyes

di Alyeska707
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like a little storm ***
Capitolo 2: *** Something different ***
Capitolo 3: *** Did you expect this? ***
Capitolo 4: *** Weakness ***
Capitolo 5: *** Friends ***
Capitolo 6: *** Confusion ***
Capitolo 7: *** Beautiful sunshine ***
Capitolo 8: *** Trent ***
Capitolo 9: *** A new sound ***
Capitolo 10: *** Siamo seri? ***



Capitolo 1
*** Like a little storm ***


Addicted to blue hair and blue eyes


Chapter 1: Like a little storm


Alzò il mento e chiuse un occhio, cercando di restare il più possibile ferma. La solita linea nera di eyeliner non aveva alcuna intenzione di venire dritta. Gwen sospirò esasperata dopo il quarto tentativo mal riuscito. Lanciò il pennellino da qualche parte, non curandosi minimamente delle scie che avrebbe lasciato sui muri, se li avesse colpiti, o sui mobili, oppure sul pavimento. Tanto quella non era casa sua, era solo la stanza di un albergo scadente a basso prezzo, quindi chi se ne frega? Si buttò a peso morto sul letto. Le molle produssero un rumore sordo quando avvertirono il peso della ragazza, come un sussulto di dolore. Lei respirò a fondo, annoiata, e girò il viso di lato, rivolgendo il suo sguardo fuori dalla finestra. Era prima mattina, eppure il sole era già alto nel cielo. Gwen si ricordò che odiava il sole, così si alzò e tirò le tende scure, impedendo alla luce di filtrare e di disturbarla dal suo mondo, dai suoi mille pensieri.
Quegli occhi verdi ormai erano uno sfondo lontano della sua vita e si ripeteva ogni giorno che col suo presente non c’entravano più nulla. Trent aveva scelto la musica e Gwen l’orgoglio. Ma come poteva pretendere che qualcosa cambiasse se non cambiava lei? Questa domanda spontanea le attraversò la mente all’improvviso, mentre si era persa a fissare l’unico spiraglio di luce riflesso sul pavimento.Serrò le labbra.
Si avviò verso il bagno a passi svelti e si bloccò davanti al grande specchio ovale sopra al lavandino. Osservò il suo riflesso cercando di analizzarlo e riflettendo su cosa necessitasse una modifica. Qualche lampada per avere una carnagione normale? Dei piercing? Un tatuaggio sulla fronte con la scritta in caratteri cubitali: “Sto impazzendo”? No, lei non stava diventando pazza. Voleva essere solo se stessa, essere particolare, unica, originale. Posò lo sguardo sui capelli corvini. Erano così noiosi… Le solleticavano appena le spalle, tutti dello stesso colore, della stessa lunghezza. Un tocco di colore sarebbe stato un buon inizio.
Si struccò velocemente rimuovendo completamente l’eyeliner e aprì la porta della stanza. Non si curò del suo look. Indossava un paio di jeans e una canottiera nera. Certo, non era il massimo, ma Gwen non era una di quelle che davano peso all’abbigliamento. Scese le due rampe di scale di corsa e oltrepassò con la stessa andatura la reception, schivando agilmente il: «Buona giornata!» dell’impiegato. Non lo fece volutamente, in realtà, solo che era già fuori dalla porta quando realizzò che l’augurio era rivolto a lei.
«Gr…azie» mormorò, anche se oramai l’uomo non poteva più sentirla. Poi riprese a camminare verso il centro della cittadina, se si può definire tale. Più che una zona centrale era una via ampia e più trafficata delle altre dove sorgevano parecchi negozi.
Gwen si incamminò con circospezione sul marciapiede del viale con occhio attento. Era passata davanti a una decina di negozi di vestiario in neppure dieci minuti, ma nemmeno un posto con parrucchieri nei paraggi. Quando finalmente ne vide uno, pensò si trattasse di un miraggio. Le vetrine erano coperte da poster con modelle dai visi angelici con le acconciature più ribelli dai colori sgargianti e modelli dal taglio corto e pratico, oppure con creste punk, tagli alla moicana. Gwen decise di entrare più per curiosità che per i suoi capelli, alla fine.
Non c’era molta gente. Una donna dai capelli rossi si avvicinò a Gwen.
«Puoi metterti qua» disse, indicandole un posto libero.
Gwen la squadrò velocemente e accennò una smorfia. «Grazie.»
Si sedette aspettando che qualcuno arrivasse per chiederle che voleva farne dei suoi capelli, domanda a cui non aveva ancora una risposta. Posò lo sguardo su gli altri clienti per farsi un’idea. Ad una ragazza stavano rasando la testa di lato, i restanti capelli erano di un biondo platino chiarissimo, quasi bianco. Schifo, pensò Gwen. Un uomo moro sulla quarantina aveva una stella di capelli biondi sopra l’orecchio.Una stella? Sul serio?
Alla sua destra, invece, c’era un ragazzo che tamburellava le dita sul manico della grande sedia tenendo gli occhi chiusi, e dietro di lui un parrucchiere che continuava a blaterale cose a proposito delle ultime mode, dei vip. Evidentemente l’argomento non era nella top ten dei preferiti del ragazzo, che aveva disegnata in viso un’espressione fredda e indecifrabile.
Era un vizio di Gwen: quando cominciava ad osservare qualcosa cadeva in uno stato di trance e rimaneva a fissare il soggetto per interi minuti. Così, quando gli occhi del ragazzo si aprirono di scatto e incrociarono i suoi, si sentì in imbarazzo, colta sul fatto. Lo vide ridacchiare e si rilassò leggermente.
«Bei capelli» esordì con marcato sarcasmo. «Spero non siano opera loro» continuò indicando col pollice l’uomo che gli stava sistemando la cresta.
Gwen avrebbe voluto sputargli in un occhio. Nessuno la giudicava così spudoratamente. Ma non lo fece. Strinse un pugno e cercò di parlare nel modo più rilassato possibile.
«No, è la prima volta che vengo qua.»
«Ah sì?» Gli occhi del moicano tornarono a fissare i suoi. Erano di un azzurro vivace, il colore del mare vicino alla riva. Gwen non riuscì a sottrarsi al pensiero che quel colore sarebbe stato benissimo in uno dei suoi quadri. Aveva quel brillio che sapeva di spettacolare, una tonalità fantastica.
«Già» tagliò corto.
Lui richiuse gli occhi e Gwen corrugò la fronte.
«Hai scelto il colore?»
Non voleva farsi cogliere impreparata, non voleva mostrarsi prevedibile. Si rifiutava di esserlo. «Sì.»
«…Ovvero?» incalzò lui.
«Azzurro» disse d’impulso. Poi realizzò che sì, lo aveva detto davvero e che no, non avrebbe voluto.
«Figo.» L’angolo sinistro della sua bocca si piegò in un ghigno e Gwen si chiese se avesse colto l’involuto nesso tra il colore e le sue iridi. Che, tra l’altro, era una coincidenza. Puramente casuale.
«E tu invece?»
«Dovevo ritingere la cresta.»
Gwen si concentrò sui suoi capelli. «Verde?»
«Oh sì, è molto figo. Giusto, Omar?» disse alzando la voce per farsi sentire dal parrucchiere alle sue spalle, che nel frattempo stava continuando a parlare da solo sulle vite scandalose delle star.
«Certo. È molto trendy quest’anno.»
«Wow» fece Gwen, non preoccupandosi di tradire il nullo entusiasmo, e alzò gli occhi al cielo, come per ribadire il concetto.
Poi udii dei passi che si fermarono alle sue spalle.
«Buongiorno cara! Hai un’idea di ciò che vuoi fare di… questi?» chiese, scettica sul finale. Gwen lanciò un’occhiata di sfida al ragazzo punk, che la guardava di sottecchi, palesemente divertito.
«Certo» asserì.
«Bene, dimmi tutto.»
Gwen fece per aprire la bocca, quando le parole dell’altro le fecero richiudere le labbra.
«Comunque, io sono Duncan» si presentò, ridacchiando.

Olà!
Ecco la prima parte di un'altra Gwuncan. Prevedibile, eh? Lo so, ma loro sono troppo insieme! *-*
Questa volta con una Gwen assai confusa e un Duncan che è sempre il solito Duncan. XD
Spero piaccia, recensite! ^_^
A prestissimo (si spera) con il seguito!

                                                              Alyeska

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Capitolo 2
*** Something different ***


Addicted to blue hair and blue eyes

Chapter 2: Something different



«E così sei un teppista a cui piace accendere fuochi?»
«Ci trovo un certo fascino… ma sai, a volte non sono voluti…» rispose con naturalezza, incrinando la voce sul finale, come per nascondere un’amara risata.
«Ah no?» chiese Gwen con marcato sarcasmo.
«È faticoso essere amato da tante» spiegò, allargando il ghigno. La dark impiegò qualche istante per capire che il fuoco che aveva in mente non era ciò a cui alludeva lui.
«Certo, immagino che tutte le ragazze che ti conoscono morirebbero per te.» Alzò gli occhi al cielo.
«Sei stata tu a definirmi piromane, bellezza.»
«Sei stato tu a farmelo capire» lo squadrò alzando un sopracciglio «…bellezza.»
Duncan le rivolse un occhiata veloce e poi cominciò a ridere.
«Sta attenta alle sue frecciatine, cara! È un tipo poco raccomandabile!» esclamò la donna che, dietro Gwen, continuava a tirarle ciocche di capelli.
«E sta’ zitta, Leshawna!» fece lui,  rivolgendo alla parrucchiera uno sguardo per niente rassicurante.
Gwen si voltò interdetta verso quella che aveva appreso si chiamasse Leshawna. «Vi... conoscete?»
«Oh, certo che sì, mozzarellina! La sua cresta ha bisogno di manutenzione costante!»
Gwen tornò a fissare la sua figura pallida riflessa nello specchio dinanzi a lei, interdetta. «Capisco.» Annuì col capo un paio di volte sotto lo sguardo divertito di entrambi.
«Sì, ammetto che sembri un tipo perspicace.»
Si girò verso di lui di scatto, fulminandolo.
«Ehm… non mi sembra di averti chiesto un parere.» Lui, come ignorando l’acidità della ragazza, continuò a guardarla negli occhi senza distogliere lo sguardo. Appariva come una sfida che nessuno di loro aveva intenzione di perdere.
«Sei un tipo interessante, sai?»
Lei sbuffò in risposta sviando lo sguardo e lui ridacchiò di nuovo.
«Duncan, di solito chi è a posto si alza e va a pagare…» osservò Leshawna. Gwen colse subito l’occasione per rivolgere al punk un’occhiata di superiorità, come se fosse stato appena colto sul fatto. A cosa stai pensando, eh, Duncan?
«In realtà volevo aspettare lei» disse rivolto alla dark. Gwen si morse il labbro per non ridere. Solo un pazzo non avrebbe colto l’umorismo in tutto ciò!
«Si dà il caso che io non abbia tempo da perdere con te» replicò lei, ma evidentemente il debole sorriso che le si stava dipingendo in volto rovinò il suo gioco. Lui ghignò e alzò le sopracciglia, come incredulo, sicuro che l’altra stesse mentendo. Certo, se l’avesse conosciuta un po’ meglio avrebbe saputo che, senz’ombra di dubbio, non stava scherzando.
«Ohh!» esclamò intanto la parrucchiera, inghiottita da una forte risata. «Ti pesa Duncan, mh? La tua prima non-conquista! Come sopravvivrà il tuo ego?»
Il moicano guardò lei, poi Gwen, ammiccando. «Il mio ego sa che deve solo aspettare.»
«Contaci, Duncan.»
«Senz’altro.»
«Et voilà! Taglio finito! Sei uno schianto, mozzarellina!» Gwen sorvolò sul soprannome e studiò la nuova acconciatura allo specchio: taglio corto, un ciuffo laterale sulla fronte e mashes di quel colore tendente a mare e cielo.
Si alzò velocemente e dopo un «Grazie» detto senza intonazione superò la donna per pagare e finalmente uscire.
 
«Hey!» sentì alle sue spalle un momento dopo aver varcato l’uscita. Riconobbe la voce e si voltò appena, incrociando le braccia sul petto.
«So di non essere la persona più…» fece finta di pensarci su. Fece finta, perché pare ovvio che in verità faceva tutto parte del suo copione. «… più disponibile e… generosa, ma si dà il caso che abbia due di questi» disse estraendo dalla tasca dei jeans sgualciti due biglietti. «E si dà il caso che non sappia a chi dare il secondo.» Gliene porse uno, guardandola di sottecchi. Pareva divertito, si aspettava senz’altro una continuazione diversa da quella effettiva.
«Posso suggerirti una delle tue ragazze, se accetti consigli.»  Gli restituì la sua espressione subdola e allontanò delicatamente il suo braccio, rifiutando l’offerta.
Ma lui non si scompose. «Una che decide di evadere con una capigliatura del genere, non può rifiutare una festa così!» Le avvicinò ancora il secondo biglietto. «Allora? Che ne dici?»
Gwen analizzò i pro e contro per un minuto, ma poi l’istinto e la curiosità ebbero il sopravvento. Gli strappò di mano il ticket cartaceo. «Okay, ci sto.»
Lui accentuò ulteriormente il ghigno. Era senz’altro sicuro che sarebbe finita così.
«Allora?» le domandò.
«Cosa vuoi ancora?»
«Il tuo nome?» fece ovvio.
«Gwen. Mi chiamo Gwen.»
 
La dark passò tutto il pomeriggio a camminare avanti e indietro per il perimetro di quella microscopica camera d’albergo e per la mente le passò di tutto.
Che diamine di festa è?
Perché ha insistito che ci andassi con lui se nemmeno mi conosce?
Che ha in mente?
Erano le cinque di sera quando si convinse che rimuginarci non sarebbe servito. Si sedette sul materasso e osservò quel biglietto, appoggiato sul comodino. Conosceva la via, era poco distante dall’hotel, ma non il locale. Decise che era tempo di cominciare a prepararsi, così si chinò sulla valigia mezza sfatta e ne estrasse un paio di jeans neri e un corsetto dello stesso colore, indossato sotto al chiodo nero in pelle. Magari non sarebbe apparsa al culmine della felicità, ma la sincerità c’era senz’altro. Matita nera, mascara sugli occhi ed era pronta.
 
Uscì poco dopo e, dopo essersi richiusa la porta alle spalle, udì la fastidiosa suoneria del suo telefono. Rispose senza nemmeno guardare lo schermo.
«Sì?»
«G-Gwen..?» Sgranò gli occhi, il cuore saltò un battito.
«Gwen? Ci… ci sei?»
Respirò a fondo.
«Sì. Sì, ci sono. Che vuoi Trent?»
«Sono in città.»
«C-Cosa?»
«Sono… sono qui. Possiamo vederci? Ti prego.»
Riprese a camminare e incominciò a scendere i gradini.
«Trent tra noi è finita.»
«Solo stasera Gwen, qualche minuto. Solo… vederti.»
«Vado ad una festa stasera, Trent.»
«Cosa? Ma tu… tu odi le feste.»
«Non da questo momento.» Riattaccò. Senza rimpianti.
 
Era già buio quando Gwen arrivò davanti al locale e lì, di fianco all’entrata, c’era Duncan, appoggiato al muro in pietra, con una sigaretta tra le labbra. Quando la vide gettò a terra  il mozzicone e lo calpestò.
«Ma che piacere… ammetto che non ci speravo più» disse con quel solito fare enigmatico e misterioso.
«Dovresti avere un po’ più di fiducia in me» replicò lei con enfasi.
«Avevo fiducia sul fatto che avresti accettato l’invito.»
«Sei sempre così sicuro di te?» gli chiese ridendo.
«Se lo chiedi a qualcuno che mi conosce ti risponderebbe che… sì, lo sono sempre. Vieni.» La prese per il polso e la trascinò nel locale.
Il posto era pieno di gente ammassata, e Gwen si sentiva parecchio a disagio. Le luci psichedeliche cambiavano colore con rapidità passando dal verde al viola in un momento. Duncan avanzò veloce facendosi spazio tra la folla finchè non giunse davanti a un bancone. 
«Hey, Geoff! Due Blue Peach!» gridò al barista per coprire la folla.
«Hey Duncan! Hai visto che sballo??»
«Già… lei è Gwen!» esclamò indicando la ragazza che, dietro di lui, si guardava attorno con circospezione. Il biondo, evidentemente amico del punk, si voltò a guardarla, come sorpreso, poi, con un sorriso idiota che Gwen reputò troppo allegro per non essere falso, urlò: «Piacere Gwen! Io sono Geoff!»
Lei guardò torva Duncan, poi, rassegnata dalla piega dei fatti, esclamò a sua volta: «Piacere di conoscerti, Geoff! »
«Ecco i drink! Vi consiglio di uscire sul retro! Qua è un delirio!»
«Grazie amico!» gridò Duncan. Prese i due cocktail e fece cenno a Gwen di seguirlo.
Uscirono da una porta secondaria e si ritrovarono in un piccolo cortile con una decina di persone.
«Ora è tutta un’altra storia» disse Duncan sospirando di sollievo. Si sedette su una pietra  e porse un bicchiere a Gwen.
«Che diamine è?» chiese lei, intenta a fissare il liquido bluastro oscillare.
«Robe con alcol» rispose, portandosi il cocktail alle labbra.
«…Esauriente» commentò la dark. Assaggiò quel “Blue Peach” e venne attraversata da un brivido.
«Mh?»
«È… buono» disse sorridendogli. Lui ricambiò con quel suo sorrisetto sghembo.
 
«Duncan?!» Lui alzò gli occhi.
«Hey…» esclamò alzandosi verso la bionda che l’aveva chiamato.
«Non mi aspettavo di vederti qui!»
«Sono imprevedibile, piccola» le disse prima di posare le labbra sulle sue in un bacio tutt’altro che casto.
Gwen rimase alquanto disgustata dalla scena. Poi, come se Duncan si fosse appena ricordato di essere già in compagnia, si staccò bruscamente da quella… tizia.
«Gwen aspetta un minuto, torno subito» mormorò a un centimetro dal suo orecchio. Le diede un bacio leggero sulla guancia, poi lei lo perse di vista.
Realizzò solo dopo qualche istante ciò che aveva fatto e in quell’istante desiderò ucciderlo. E perché la sua fidanzata non aveva fatto una piega quando le si era avvicinato? E perché l’aveva invitata a quella festa se aveva una fidanzata?
Appoggiò il bicchiere mezzo pieno sull’asfalto e si alzò in piedi.
«Gwen?»
Si voltò di scatto.
«Trent?! Perché sei qui?!» gridò. La loro storia era finita, ma… quando se ne sarebbe capacitato?
«Gwen, ascoltami… io sono tornato qui solo per te… perché io ti amo!»
«Non mi interessa è la tua vita fai quello che vuoi ma non mi coinvolgere più!»
«Gwen ascoltami! Non andartene!»  le afferrò le braccia obbligandola a guardarlo negli occhi.
«Smettila di cercarmi, Trent.»
Lui si avvicinò ulteriormente a lei.
«Tu non mi puoi lasciare Gwen… noi ci amiamo!»
«Mollami Trent! Lasciami andare!» Cercò di divincolarsi dalla sua presa, ma con nulli risultati. Nessuno si curava di loro, erano tutti troppo ubriachi. Forse anche Trent lo era.
«Ti prego Gwen… solo un’altra possibilità…»
«No!» urlò.
«Levati bastardo!»
Gwen non fece neppure in tempo a riconoscere la voce che un pugno era arrivato dritto in faccia a Trent che ora, a terra, si teneva la mano sul naso sanguinante.
«Fottetevi tutti» asserì, poi si allontanò a passi pesanti.
Ancora confusa Gwen si girò, e, dietro di lei, vide lui, con la cresta spettinata, un’espressione pesta e il pugno ancora saldo.
«D-Duncan…»



Hello everybody!
So che questo capitolo non è niente di che però avevo tanta voglia di aggiornare! ^^
Ancora tante domande attendono risposte... chi è Trent? Chi è Gwen? Chi è Duncan? Cos'altro succederà nel corso della storia?
Restate sintonizzati! :D
Alyeska

 

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Capitolo 3
*** Did you expect this? ***


Addicted to blue hair and blue eyes
 
Chapter 3: Did you expected this?


Gwen non era mai stata brava con le parole. Così, con lo sguardo ancora fisso su Duncan, non trovando la cosa più appropriata da dire, gli diede una sberla.
«Si può sapere che ragione avevi per farlo?!» esclamò irritata dal comportamento dell’altro. Certo, Trent se n’era andato, ma a lei non serviva l’aiuto di un punk per farsi valere. Lei era totalmente indipendente dagli altri, lei era in grado di cavarsela da sola.
Duncan la guardò con sufficienza. «Conosci quello?»
La dark ridusse gli occhi a due fessure, per poi spalancarli un attimo dopo. «Stavamo parlando, certo che lo conoscevo!»
Duncan scrollò le spalle e chiuse gli occhi. «Ah.»
«Ah?» ripeté Gwen con tutto il ribrezzo di cui era capace. «Gli hai appena dato un pugno senza nessun motivo, e tutto quello che hai da dire è “Ah”?»
Il moicano fece un passo verso di lei. Ora erano l’uno di fronte all’altra, divisi neppure da mezzo metro. L’unica cosa che rischiarava lo sguardo severo di entrambi era la luce fioca di alcuni lampioni. In quel momento, durante la seconda sfida di sguardi, Gwen si rese conto di quanto fosse difficile non distogliere gli occhi da quelli del punk, tanto chiari da mettere in soggezione chiunque.
«Non gli ho dato quel pugno senza un motivo» disse serio. Gwen fece per replicare, ma lui proseguì: «E quel motivo non aveva niente a che fare con te.»
Allora la dark si zittì e sul suo volto comparve la più totale confusione.
«Che vuol dire?» domandò, non capendoci più nulla..
«Vuol dire, quello che ho detto.» Duncan parve divertito dalla reazione della ragazza. Si allontanò un poco e, con fare sornione, aggiunse: «Non te l’aspettavi, eh?»
Gwen scosse la testa. No, non se l’aspettava proprio. In verità non capiva, forse non voleva capire, forse era tutta colpa delle affermazioni vacue dell’altro.
«Potrei raccontartela questa storia…» mormorò Duncan, appoggiandosi contro il muro. «Un’altra volta, magari…» Ed eccolo ancora, quel ghigno, che si impossessava sempre più spesso del suo viso.
Ma questo per Gwen era troppo, perché ora sembrava proprio prendersi gioco di lei. «Vai a raccontarle alle tue fidanzate, le storie. A me non interessano.»
Fece per andarsene, ma Duncan le si parò davanti, sorridendole ora apparentemente innocente.
«Dai piccola, stavo solo scherzando.»
«Mi sembrava di avertelo già detto il mio nome» replicò lei, incrociando le braccia. Il punk si lasciò sfuggire una risatina nervosa, poi riportò lo sguardo sulla ragazza pallida e poco più bassa di lui vestita interamente di nero. «Io non ti piaccio.»
Gwen inarcò le sopracciglia. «Io non ti conosco.»
«Okay, okay. Che ne dici di… beh… ricominciare?» domandò lui, mantenendo quel solito fare enigmatico e indecifrabile.
Gwen ricambiò la sua precedente aria da sfida. «Sei sicuro di poterci riuscire?»
Lui si sporse verso di lei. «Ricorda una cosa… ricorda che Duncan Young, può riuscire in tutto.»
«Lo terrò a mente» mormorò Gwen, vagamente intimorita da tale vicinanza col punk. Lui sembrò accorgersi del disagio, così si ritrasse, omettendo quei suoi soliti commenti destabilizzanti, il che non era per niente da lui. Ma infondo l’aveva detto, che si sarebbe impegnato per aver un rapporto sano con lei. Forse il primo della sua intera vita. Ma la vita si sa, è così: imprevedibile e blasfema, ed è proprio quando aspetti che qualcosa accada che il mondo stravolge i tuoi piani.
«Allora… tu com’è che conosci Richards?» asserì il ragazzo, lasciandosi piano cadere sul suolo ciottoloso di fianco a Gwen.
«Trent era… cioè noi… stavamo insieme.» Si stupì da sola: davvero aveva detto una cosa sua, privata, a quel tipo, conosciuto meno di ventiquattr’ore prima? Un bel passo avanti.
Quando la ragazza si girò e incontrò lo sguardo alquanto stupito dell’interlocutore iniziò ad avvertire un retrogusto amaro. Forse…forse non avrebbe dovuto essere così diretta…
«Perché… quella faccia?» Subito Duncan si ricompose e abbozzò un sorriso, che, più che altro, somigliava ad una smorfia.
«Che faccia?» disse ridacchiando.
«Mh… no, niente. Adesso dimmi, tu… tu come lo conosci?»
Gli occhi di Duncan furono, per un secondo, riflesso di insicurezza e instabilità.
«Qualcosa non va?» chiese Gwen, ricominciando a fare la distaccata, suo tipico modo per evitare e proteggersi. Cosa? Da cosa? Chiedendoglielo, nemmeno lei avrebbe trovato una risposta nel giro di pochi secondi. Non sapeva il motivo della sua freddezza. Era così e basta, e si sentiva a suo agio nel suo essere Gwen, nel suo essere vera.
«Mh… sto solo pensando al modo meno drastico per dirtelo» mugugnò Duncan, come ipnotizzato da un punto indefinito sullo sfondo della notte.
Primo campanello d’allarme. «Drastico?» Gwen si sforzò di ridere, convinta che smorzando quel clima di tensione, anche Duncan avrebbe ceduto rivelando che, di drastico, non c’era niente, e si sarebbero messi a ridere. La dark immaginava davvero questa scena? Impensabile. Inutile dire che i fatti che seguirono non erano quelli previsti.
«Lui è un musicista, no?»
«Sì… suona la chitarra… ma questo che c’entra?»
«Immagino abbia del talento.»
La pazienza di Gwen cominciava ad esaurirsi. Non aveva tempo per giochetti del genere. «Come ogni musicista, ora mi spieghi dove vuoi arrivare?» Ora il suo tono era seccato, quasi accusatorio.
«Gli davo coca.»
«La vuoi smettere di scherzare?»
Duncan alzò lo sguardo, e non v’era alcuna traccia di sarcasmo. «Non sto scherzando.»
«Quindi saresti uno spacciatore?» proseguì lei, convinta ancora che il punk si stesse prendendo gioco di lei. «No, solo in… alcune occasioni.» Sul suo viso aleggiava ancora serietà e timore.
«Non ti credo» asserì Gwen, sicura di sé. Voltò la testa dall’altra parte ed estrasse una sigaretta dal pacchetto.
Duncan sorrise debolmente; era certo che la ragazza avrebbe reagito così.
«Oh, dai… è solo un chitarrista bisognoso di quel qualcosa che lo renda migliore degli altri, più controllo sulle corde…»
Gwen aspirò la nicotina e liberò una densa nube di fumo. «Di sicuro quel qualcosa non è droga, lui non è così.»
«Così come? Mh? Così sbagliato? Rovinato?» fece lui con enfasi. Intanto la sua mano, premuta sulla cresta verde, la spettinava sempre di più.
Gwen non asserì. Prese un’altra boccata di fumo e si astené dal dir parole, a parer suo, inutili.
«E magari ti aveva pure detto che partiva no?» continuò Duncan. Gwen si girò si scatto verso di lui. Adesso era il punk ad avere in mano la situazione.
«Come lo sai?»
«Oh, facile. È la tipica scusa di tutti quelli che vogliono... tornare come prima.»
Era come se in quel momento l’anima di Gwen, ogni sua certezza, ogni pensiero, fosse stata svuotata.
«No…» mormorò, più per autoconvincersi.
«Ti aveva detto che partiva in tournée, vero?»
Lo sguardo di Gwen era ora perso nel vuoto. «S-Sì…»
«Come pensavo» commentò, ora in tono più rilassato, più tranquillo. Prese dalle dita di Gwen la sigaretta che si stava consumando velocemente e se la portò alle labbra.
«Ma prima era qui…»
«Certo che era qui, non è mai partito.»
Gwen si rannicchiò nascondendo il viso sulle ginocchia, la testa coperta dalle braccia. Si era promessa che non si sarebbe più mostrata debole, ma quando le prime lacrime cominciarono a bagnarle gli occhi, non riuscì a frenarsi.

Una delle cose che Duncan era incapace di fare, era consolare le persone. Non ci aveva mai provato, a dir la verità, ma, pensandoci, non  avrebbe davvero saputo il da farsi.
Fece per avvicinarla mettendole un braccio intorno alle spalle, ma si bloccò a pochi centimetri dalla sua pelle e si ritrasse.
«Perché gli hai dato quel pugno?» mormorò Gwen tra i singhiozzi.
«Mi deve dei soldi.»
Gwen alzò il volto. Ora il trucco era sbavato, gli occhi erano contornati di nero.
«E perché non glieli hai chiesti? Perché lo  hai lasciato fuggire senza accennare la questione?»
«Perché non mi servono più i suoi soldi» si limitò a dire il punk.
Un tuono spezzò il loro equilibrio. Alzarono all’unisono gli occhi al cielo, mentre una lieve pioggerellina cominciava a bagnare la terra.
«Ce ne andiamo?» propose Duncan.
Gwen sussultò. «Non sono sicura di voler… restare sola.»
«Hey.» Duncan si mise di fronte a lei, guardandola negli occhi con sincerità. «Ho detto che ce ne andiamo,insieme
Il cuore della dark saltò un battito. Stava forse andando in mille pezzi, il ghiaccio che aveva nel petto? O si stava forse… sciogliendo?
«O-Okay…»
Attraversarono il locale come in precedenza, Duncan salutò con un cenno della mano l’amico impegnato nel preparare i vari cocktail, e in poco tempo si trovarono fuori.
Il moicano si avvicino a una vettura scura, sportiva, e aprì la portiera. Gwen si manteneva a distanza di sicurezza, incerta su cosa fare. Lui le rivolse un’occhiata curiosa, misteriosa.
«Allora? Vuoi salire o  restare lì tutta la sera?»
La dark si avvicino a grandi passi all’automobile e prese posto sul sedile accanto al guidatore.
«Dove vuoi andare?» gli chiese, asciugandosi gli occhi, domandandosi quanto potesse risultare patetica in quel momento.
«In un posto in cui non sei mai stata.» 


Bonjour! 
Eccoci qui ritrovati in questo giorno speciale in cui verrà nominato il vincitore del Pallone d'Oro, con questo aggiornamento super early! Sono molto contenta di essere riuscita oggi a pubblicare questo capitolo, anche perchè non so quando troverò il tempo per il prossimo. Spero il prima possibile ^^"

Notiziona random: Come avrete notato adesso il raiting è arancione.
Inoltre volevo ringraziare eyes_in_the_fire, Dalhia_Gwen, NathalieKheel e _ClyssiasChange_ per le recensioni positive avuti negli scorsi capitoli :)

Duncan dove porterà Gwen? E che diamine succederà ancora? Se avete qualche idea, scrivetelo nella vostra recensione! 

Alyeska
 

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Capitolo 4
*** Weakness ***



Addicted to blue hair and blue eyes
Chapter 4:
Weakness



Gwen appoggiò il capo contro il vetro del finestrino. Adesso che non aveva più alcuna certezza, nessuna sicurezza, come avrebbe fatto? Come sarebbe riuscita a fidarsi, se le poche persone con cui si era confidata l’avevano tradita? Si sentiva sospesa in aria, in equilibrio precario su un filo teso e sottile; un passo falso e la voragine che la sottostava non si sarebbe scostata per evitarle la caduta.
Si stropicciò gli occhi sperando di riuscire a rimuovere completamente il trucco scuro che le oscurava le palpebre. In quel momento doveva proprio sembrare folle, pensò. Coi capelli spettinati, il trucco colato e gli occhi rossi. Avvertiva la sua debolezza, quella che mai sarebbe riuscita ad ignorare. Il timore, quella barriera invisibile che la separava dall’essere ciò che voleva. E poi quel peso, quello di vera e incolmabile insoddisfazione, quel non essere mai abbastanza per se stessa e per gli altri. Sentiva di essere tutto ciò che non avrebbe mai voluto. Si sentiva al contempo disgustata dai suoi sentimenti, da quelle emozioni tra loro sconnesse che la urtavano.
E non pensava, e forse era meglio così.
Duncan intanto teneva le mani salde sul volante, curvando con dimestichezza, quasi non gli importasse di nulla. Lo sguardo acuto e sveglio, nonostante l’ora tarda, le labbra lievemente contratte, gli occhi fissi sulla strada. E magari avrebbe anche voluto riempirlo, quel vuoto desolato… ma come? Non era tagliato per quel genere di cose e non voleva fare pratica per cercare di migliorarsi.
Al contrario di Gwen, totale insoddisfazione personale nascosta dietro una spessa corazza di orgoglio e impassibilità, Duncan era esattamente ciò che desiderava essere: una persona scaltra, schietta, poco raccomandabile. Uno a cui piace correre il rischio, uno che non si fa scrupoli alla vista del pericolo. Uno consapevole del fatto che la vita è una, e che se non la si vive a pieno una volta, non lo si potrà fare in una seconda occasione.  A Duncan non importava che la gente lo vedesse giusto o sbagliato, bastardo o attraente, lui sapeva chi era e non gli piaceva smentirlo.
 
La macchina si fermò d’improvviso, i fari si spensero. D’un tratto tutt’intorno a loro non c’era che il più pesto e totale buio, in quella notte priva di stelle. Quando Gwen constatò che lo scenario che le si presentava fuori dal finestrino non cambiava, scattò.
«Perché ci siamo fermati?»
Duncan si lasciò cadere indietro, sullo schienale. Chiuse gli occhi, imponendosi di apparire il più possibile calmo. «La macchina non parte.»
«C-Cosa?» chiese Gwen, ora a voce più alta, più agitata. «Fai qualcosa!»
«Tipo?» Duncan riaprì gli occhi e si girò appena verso di lei, in modo che i loro occhi si incrociassero, in modo da leggere nei suoi.
«Tipo qualsiasi cosa!» sbottò, accompagnando l’esclamazione da un teatrale gesto delle braccia.
Duncan sbuffò. «Va tutto bene Duncan, tutto okay, calma, sei figo» mormorò a bassa voce, a se stesso.
«Okay, va bene» fece Gwen, respirando a fondo. Si scostò un ciuffo di capelli dalla guancia, poi continuò a parlare. «Cosa facciamo?»
«Chiamo qualcuno» disse il punk. Prese il telefono dalla tasca dei jeans e digitò un numero. Lo avvicinò all’orecchio e nel frattempo uscì dalla vettura. Fuori l’aria era fresca e una folata piacevole di vento fece rabbrividire il ragazzo.
Gwen restò in macchina pensando a come era finita in quella situazione. E perché, soprattutto. Non avrebbe potuto tornarsene in hotel? Avrebbe potuto fermarsi al piano terra, al bar. Avrebbe potuto bere qualcosa di forte, per poi collassare appena raggiunta la sua camera. Perché quel Duncan aveva deciso di cambiarle i piani? Perché si era lasciata corrompere?
Duncan tornò a sedersi al suo posto.
«Tra poco arriverà qualcuno.»
«Bene…» mormorò Gwen.
Duncan si passo una mano sulla cresta, poi si rivolse alla dark.
«Direi che abbiamo due opzioni.»
«Che?» fece Gwen, inarcando le sopracciglia, scettica.
«Possiamo restare qui ad aspettare che qualcuno arrivi a salvarci, oppure… andare da qualche parte.»
Gwen abbozzò una risata. «Non mi sembri il tipo da passeggiate.»
«Oh, non lo sono infatti… ma sarò disponibile a fare un eccezione.»
«E a cosa dobbiamo questo onore?»
Duncan le fece l’occhiolino. «Ritieniti fortunata, piccola.»
Uscì nuovamente dall’auto, questa volta invitando Gwen a fare lo stesso.
«Sembra un posto dimenticato dal mondo…» commentò la dark, guardandosi intorno. Il vento le scompigliava i capelli, e si teneva stretta nel suo chiodo in pelle, con le braccia incrociate sul petto e i muscoli contratti dal freddo.
Duncan si accese una sigaretta con nonchalance. La portò alle labbra, aspirò profondamente, poi liberò il fumo. «Posti desolati per gente desolata» commentò, vacuo come suo solito. Gwen venne catturata dal suo sguardo per interminabili istanti. Duncan era lì, fermo immobile, a meno di un metro da lei, con gli occhi fissi su un punto indistinto di terreno. La sigaretta in mano, che velocemente si consumava. Il fumo che si amalgamava alla nebbia, che andava infittendosi. La ragazza si chiese anche a cosa stesse alludendo con quell’affermazione. Credeva forse di conoscere lei? Oppure si stava riferendo a se stesso?
«Già…» mormorò dubbiosa in risposta.
«Andiamo di qua?» domandò Duncan, come risvegliatosi dallo stato di trance. Indicò una direzione con l’indice, e la dark annuì. I due si incamminarono tra gli alberi, in un sentiero fitto.
Fu il buio, complice dello scherzo; Gwen inciampò in una radice, e sarebbe senz’ombra di dubbio caduta a terra, se Duncan, al suo fianco, non si fosse ritrovato, stupito quanto lei, a sorreggerla.
«Poteva andare peggio» mormorò lui.
«Ah sì?»
«Potevo ritrovarmi qui senza di te.» Sul suo viso, dapprima innocente, si marcò sempre più un ghigno, e Gwen, prima persa nelle iridi chiare del ragazzo, alzò gli occhi al cielo e accennò un sorriso. Eccolo ancora, il sorrisino beffardo di Duncan Young.
Quando si accorse che era ancora abbracciata a lui si scostò bruscamente e riprese a camminare. Si sentì parecchio imbarazzata, ma non ne coglieva il motivo. Lui le aveva solo evitato una caduta. Involontariamente, tra l’altro. Eppure c’era qualcos’altro, qualcosa che Gwen non calcolava per la paura che, il solo pensarci, l’avrebbe convinta della realtà del suo pensiero. Evitare era nettamente migliore.
«In che posto volevi portarmi prima… prima che la macchina si bloccasse?» chiese. Non era sua intenzione domandarlo, ma voleva saziare la sua curiosità.
«Lo saprai a tempo debito» disse Duncan beffardo. La dark rise.
«A cosa alludi?» ammiccò scherzosa.
«Oh beh, al fatto che spero vivamente che non sia l’ultima volta in cui mi ritrovo in un bosco, di notte, con te.»
«Certo…» mormorò Gwen, con voce tanto bassa che probabilmente nemmeno arrivò all’altro.
«E magari…» continuò lui «…il posto posso riutilizzarlo per qualche altra occasione.»
«Sei tanto sicuro che ce ne saranno?»  fece Gwen, mantenendo un tono misterioso, interessato. Ormai non resisteva, quel modo di pensare, parlare, agire, del punk la mandava fuori di testa. La distoglieva dai suoi pensieri, la faceva ridere davvero. Duncan era imprevedibile, frustrante e piacevole allo stesso tempo. Il tipo di persona di cui Gwen, senza saperlo, aveva bisogno.
«Al cento per cento, bellezza. Magari in circostanze diverse, senza feste o Trent di mezzo» sorrise, ma Gwen si sentì nuovamente intrappolata.
«N-Non volevo» cercò di scusarsi Duncan, resosi conto dell’argomento appena toccato.
«No, non è niente… davvero. Passerà»
Il moicano soffocò una risata. «Lo spero. E quel giorno saremo solo io e te… bello, eh?»
Gwen finse di pensarci su. «C’è di peggio, no?» disse infine, sorridendo.
«Sì, è vero» concesse Duncan, fingendosi perplesso.
E tutti ce l’hanno, quel momento di debolezza in cui tutto scompare… in cui si è come inghiottiti nell’oblio, nel vuoto… in cui tutta la sofferenza, tutto il senso di abbandono, ti spinge a cambiare rotta, a provare nuove sensazioni…
Fu proprio in quel modo che le labbra dei due quasi si sfiorarono. Quasi, perché nel mentre una voce riecheggiò nell’ambiente. Una voce infastidita e acuta, che gridava il nome di Duncan a tutto volume.
Duncan e Gwen si resero conto solamente dopo, di ciò che stava per succedere, e sebbene il primo avesse di buon grado accettato l’evento, la seconda venne colta alla sprovvista da un’unica forte ondata di imbarazzo e incredulità. Perché il pensiero che continuava ad evitare non poteva essere reale. Che diamine stava per succedere? Ma Duncan lo sapeva, dell’attuale stato della ragazza. Lo immaginava che, se la distanza tra loro si fosse annullata, non sarebbe significato niente. Perché per lui nessuna ragazza contava davvero, solo conquiste. E Gwen aveva appena scoperto che il suo ex assumeva droga; baciarla quella sera sarebbe stato approfittarsi di lei.
La voce risuonò più vicina, e Duncan si colpì la fronte con la mano, nel momento stesso in cui la riconobbe.
«Chi è arrivato?» domandò Gwen.
«N-Nessuno…» mugugnò Duncan, confuso, teso, nervoso, infastidito. Rivolse rapide occhiate ad ogni direzione. In quell’istate avrebbe di gran lunga preferito scappare. Ma poi avvertì il rumore dei tacchi più vicino.
«Courtney, piacere, la fidanzata di Duncan» si presentò la diretta interessata, rivolgendo alla dark un’occhiata carica d’ira, di sfida, di pena.



Bonsoir :D

Sono riuscita ad aggiornare prima del previsto yeee *salta di gioia*. Poveri Duncan e Gwen, gliene capitano di tutte, però... come potevo rinunciare a Courtney? xD

Ho il timore di non riuscire ad evidenziare sufficentemente i caratteri dei personaggi... potreste dirmi che ne pensate a riguardo?
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se sì, lasciate tante belle recensioni ^^

Aly


 

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Capitolo 5
*** Friends ***


ADDICTED TO BLUE HAIR AND BLUE EYES
Chapter five:
Friends


Gwen avvertì una fitta al petto; non tanto per l’improvvisa apparizione della ragazza castana, nemmeno per il fatto che si era appena presentata come “la fidanzata di Duncan”. Avrebbe forse dovuto importarle? Però si era come risvegliata, improvvisamente liberata dal moto di malinconia e nostalgia che aveva preso possesso della sua anima. E sì, aveva appena realizzato ciò che stava per succedere un attimo prima.
«G-Gwen… piacere» mormorò indirizzata all’ispanica, che continuava ad alternare occhiate di disgusto verso la dark e di odio smisurato verso Duncan. Courtney sbuffò, poi avanzò verso il punk, puntandogli l’indice al petto.
«Si può sapere che ci facevi in questo posto? Con questa, poi!»
Con sorpresa di Gwen, Duncan si mostrò calmo e rilassato, come se fosse abituato a gestire quel genere di situazione. Alzò gli occhi al cielo, come divertito.
«Stavamo facendo un giro, calmati» disse, ma l’obiettivo non sembrava affatto quello di creare una scusa, un diversivo, una giustificazione. Assomigliava decisamente di più ad un’affermazione nata da noia e irritazione.
«Credi che mi beva una storiella del genere? È tutto quello che hai da dire? E si può sapere chi è questa Gwen?!» sbottò accusatoria. La sua personalità forte e decisa non si abbinava minimamente alla camicia bianca di seta che indossava, e nemmeno alla gonna beige che le sfiorava le ginocchia. Anche il profumo dall’aroma dolciastro stonava. Decisamente.
«Un’amica, Court. Rilassati, non è successo niente di importante.»
«Niente di importante? La prossima volta col cavolo che esco prima dall’ufficio per venirti, anzi, venirvi, a prendere!» Sputò quelle parole come se non nutrisse nessuna forma di affetto per il fidanzato, ma solo indignazione.
Allora Gwen guardò le lancette sull’orologio da polso. «È quasi mezzanotte…» commentò.
«E allora?» ribatté l’altra, mantenendo il tono della voce alto. «A differenza di qualcun altro, io ho impegni, e degli obiettivi!»
«E falla finita, Court» intervenne Duncan. «Abbiamo bevuto un po’, lei non era nelle condizioni di guidare. Non fare la paranoica.»
«”Abbiamo bevuto un po’”? E si può sapere il motivo del tuo improvviso altruismo smisurato?»
Duncan serrò la mascella, indirizzando verso la ragazza uno sguardo carico di odio.
«Posso elencarti tutte le cose che non abbiamo fatto, se preferisci» disse a denti stretti.
A quel punto Courtney allentò la presa. «Oh, basta! Non ne vale la pena, di spendere così il mio tempo, tanto non mi ascolterai mai! Muovetevi e salite in macchina, non voglio più sentire una sola parola!» Cominciò a camminare spedita verso la strada dove, affianco alla vettura di Duncan, aveva parcheggiato l’auto. Il ragazzo, dietro di lei, rivolse un sorriso di complicità a Gwen, mentre il viso di lei non mutò espressione: lo sguardo confuso, le labbra socchiuse. Un perfetto ritratto di turbamento.
 
Courtney prese posto al volante e, dopo una breve discussione sulla sua guida da donna, Duncan si sedette al suo fianco. La dark, sui sedili posteriori, passò il viaggio alternando occhiate al panorama, immerso in un’oscurità senza confini, e alla cresta di Duncan che intravedeva da dietro. Si chiese come fosse finita in una situazione simile, poi i suoi ricordi tornarono su Trent, dopo di nuovo sul punk e infine su quella ragazza scorbutica e sgradevole, Courtney. Nonostante il carattere, però, aveva accettato di accorrere in quel luogo per riportarli indietro. Di conseguenza, forse, un po’ di cuore lo aveva.
«Smettila, zitto, Duncan! Gwen, dove ti devo portare?» Alzò gli occhi e fissò Gwen dallo specchietto. Anche lei alzò lo sguardo, incontrando quello indispettito della ragazza del suo amico-conoscente.
«Hall Hotel, grazie.»
«Hotel?» fece Duncan, girandosi all’improvviso. «Perché vuoi che ti portiamo lì?»
Gwen sorrise appena, sconfortata, colpita in pieno, scoperta sulla scena del crimine. «Beh, io… vivo lì, al momento.»
«Vivi in una topaia del genere? È orribile!» commentò Courtney, senza tradire la soddisfazione.
«Sono successe tante cose nell’ultimo periodo…»
Il moicano la guardò intensamente negli occhi, poi Gwen annuì e lui capì che, ciò a cui lei alludeva, era senz’altro Trent Richards.
 
Courtney accostò l’auto al marciapiede dell’hotel e Gwen scese. La sua portiera, però, non fu l’unica ad aprirsi. Anche Duncan fece per uscire. Courtney continuava a lamentarsi dei suoi comportamenti inadeguati, a suo parere, per una relazione come la loro.
Disse in un filo di voce. «Ciao, Courtney» e si sbattè la portiera alle spalle.
«Perché sei sceso anche tu?» chiese Gwen, mentre la vettura scura spariva velocemente dalla loro vista.
Lui scrollò le spalle, mentre il vento serale gli sferzava la pelle. «Conosco Court. Quando comincia, non c’è niente da fare. Diventa insopportabile, intrattabile. La cosa migliore è lasciare perdere e risentirla in un altro momento.»
Gwen ridacchiò. «Vuoi dire che è sempre così?»
Duncan ricambiò la sua espressione. «Il più delle volte.»
Risero per due secondi, poi il rumore dei clacson, nonostante l’ora tarda, si impossessò di nuovo del marciapiede. Il punk alzò lo sguardo, ora serio, e guardò Gwen, come teso. «Sicura di star bene?»
La ragazza annuì e sollevò i pollici per ribadire il concetto. «È tutto okay, non preoccuparti.»
«Non sono il tipo che si preoccupa. Mi accerto e basta» ghignò appena e Gwen rise, stretta nella giacca di pelle che la riparava dall’aria pungente.
«In questo caso grazie per l’accertamento. E grazie anche per… la seconda parte della serata» concluse, ripensando a tutti gli avvenimenti che si erano succeduti con frenesia nel giro di poche ore.
Duncan fece mezzo passo verso di lei. «Ah, figurati. Anche io avevo bisogno di svagarmi un po’. La festa ha preso la piega sbagliata, mi dispiace.»
Gwen gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. «E così provi dispiacere, Mr. Freddezza? Sono piacevolmente colpita.»
«Sono imprevedibile, Gwen. Figo e imprevedibile. Te l’ho già detto, no?»
Lei soffocò una risatina, poi alzò la mano, per salutarlo.
«Aspetta.» Duncan frugò nella tasca dei jeans e tirò fuori un pezzetto di carta stropicciato. Sopra vi era scritto un numero in penna. Gwen lo fissò pensierosa, poi sorrise. «Il tuo numero?»
«So che ti terrorizza l’idea di non rivedermi più» disse, vagamente provocatorio, ma con uno sguardo che non accettava rifiuti.
«Allora grazie…»
«Allora aspetto una tua chiamata.» Le fece l’occhiolino, poi si girò.
«Duncan!» lo chiamò Gwen, dopo pochi secondi. Lui si voltò.
«Riguardo a questo… cioè, a prima che arrivasse Courtney, nel bosco… non era niente.» La sua voce risuonò incerta, come se nemmeno lei sapesse se fosse un’affermazione o una domanda. Sapeva che era Courtney la sua fidanzata, come sapeva che tra lei e Duncan non c’era alcun tipo di sentimento. Sapeva che si erano conosciuti quella stessa mattina, e che pertanto non erano nemmeno stretti amici. Ma non si spiegava ciò che, con tutta probabilità, sarebbe capitato senza l’arrivo dell’altra ragazza. Sapeva che si era trattato di una debolezza sua, dato che era rimasta sconvolta dalla scoperta riguardo l’ex, ma non sapeva se per lui quasi-tradire la sua ragazza fosse usuale e non sapeva se Duncan avesse bevuto più di un drink quella sera. Voleva solo accertarsi dei fatti.
Lui accennò un sorriso, uno di quelli sinceri, che scaldano l’animo.
«No, non era niente. Puoi stare tranquilla.»
Gwen era ancora turbata, necessitava di certezze e risposte.
«Quindi siamo amici?»
Il sorriso di Duncan si mutò nel solito ghigno subdolo.
«Siamo amici.»
 

MY HANDSOME CORNER
Ma buonasera! So che il ritardo con cui ho aggiornato è… mh… alquanto imperdonabile, come del resto so che questa non è l’unica long da aggiornare, ma purtroppo il tempo scarseggia e riuscire a scrivere capitoli per lo meno decenti risulta davvero difficile. Chiedo venia! <3
Cercherò di aggiornare più velocemente, sia questa che l’altra long. Riguardo al capitolo, so che può sembrare più corto degli altri, ma credo sia essenziale per la transazione della vicenda. Ora Duncan e Gwen hanno appurato i fatti (forse) e sono ufficialmente amici! Già un evento, per una storia malata e ammattita come questa XD
Fatemi sapere cosa ne pensate, critiche sia positive che negative, nel caso troviate errori di qualsiasi genere! Sono sempre strafelice di leggere le vostre recensioni! Mi fanno venire voglia di pubblicare subito il capitolo seguente *.*
Alla prossima ^.^
Alyeska707

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Capitolo 6
*** Confusion ***


Addicted to blue hair and blue eyes

Chapter 6: Confusion


Gwen si appoggiò al muro, non appena varcata la porta girevole; sospirò profondamente e chiuse gli occhi. Ciò che voleva in quel momento? Domanda alquanto semplice: resettare tutto e dimenticare le ultime venti ore. Sollevò quindi un piede da terra e lo avanzò di mezzo passo. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e deglutì, determinata ad apparire ancora una volta fredda, assente e distaccata. Attraversò la hall a passi scadenzati e, quando giunse dinanzi al ripiano bar poggiò i gomiti sulla superficie del bancone, protendendosi appena.
«Desidera?» chiese il ragazzo; voce cordiale e sorriso sereno. Gwen pensò fosse statisticamente impossibile essere tanto di buon umore, ripetendo sempre gli stessi movimenti in un ambiente tanto piccolo. A notte inoltrata, poi.
«Vodka; tanta più ne ha, quanta più ne versi» rispose spossata. Il barista annuì e le servì un bicchierino riempito fino all’orlo. La dark mugugnò un “grazie” disinteressato in risposta e bevve tutto d’un sorso.
«Hey DJ, c’è una chiamata per te!» gridò una voce femminile. Il ragazzo alto che aveva appena servito Gwen sfoderò un sorriso tutto denti.
«Grazie mille, Leshawna! Sarà mammina!» Poi si dileguò canticchiando.
«Corri, che mammina non aspetta» commentò la ragazza tarchiata sorridendogli beffarda. Quando Gwen mise a fuoco l’immagine di lei, si rese conto che quello non era affatto il loro primo incontro.
«Scusa...» mormorò con voce impastata. L’altra si girò e la guardò incuriosita, alzando un sopracciglio.
«Quella roba ti farà del male, Sposa Cadavere. Ma se ne vuoi altro non c’è problema; più soldi per me» alzò le spalle e si voltò.
«Io ti ho già vista… da qualche parte…» Socchiuse gli occhi, sicura di non star confondendo quella ragazza con altre persone.
«Oh, ma certo!» esclamò lei, ridacchiando, dopo qualche istante di perplessità.
Gwen spalancò gli occhi; “certo” cosa? Lei non aveva ancora capito chi fosse quella rumorosa tipa.
«Quei capelli sono opera mia! Chi altro combina ciuffi del genere, se non Leshawna?»
«Oh, ecco… allora era stamattina, che ti ho visto…»
Leshawna si grattò la fronte con fare pensieroso; la memoria non era affatto il suo punto di forza. Poi, come se le si fosse appena accesa una lampadina, s’illuminò.
«Ma certo! Eri la mozzarellina di turno con cui si intratteneva Duncan! Scusami tanto, non ti avevo riconosciuta, non hai una bella cera!»
Non le piaceva, non le piaceva proprio per niente essere definita “la mozzarellina di turno con cui si intratteneva Duncan”; chi era lei, uno dei suoi tanti giocattoli?
«Sai, devi scusarlo se ti ha innervosito; è fatto così, infastidire la gente è la sua essenza di vita!» continuò Leshawna, non curandosi dell’espressione schifata dipinta sul viso di Gwen, che alzò gli occhi al cielo, decisa a sorvolare sull’argomento.
«Potresti semplicemente versarmi un altro drink?»
La ragazza robusta e tarchiata sogghignò e fece ciò che le era stato richiesto. Poi, come non le importasse minimamente di essere sul posto di lavoro, poggiò le braccia sul bancone, decisa a intavolare un’animata discussione con la dark, che invece non lo voleva affatto.
«Bere per dimenticare?» domandò subdola Leshawna, guadagnandosi un’occhiataccia.
«Oppure per il gusto di farlo.»
La suddetta barista scoppiò a ridere. «Sai, è strana come cosa! Una volta ero alla festa di mia cugina Leshawnikwa, e beh c’era questa ragazza che mi ricorda molto te, mozzarella!»
«Oh, interessante. Continua!» fece Gwen, fingendo entusiasmo. Riassunse la solita espressione annoiata e menefreghista dopo nemmeno un istante.
«Se ne stava in disparte, continuava a bere; venne fuori che il ragazzo l’aveva tradita. Così lei provò il suicidio. Due volte.»
«Non sono una depressa, ma grazie comunque per il quadro di cultura generale.»
Leshawna le porse un altro bicchierino, poi un altro ancora. Pochi minuti, e perse la testa.
 
«Eh sì, quel Duncan è il diavolo in persona! E Courtney, oh… quella è un’arpia, gli sta sempre addosso! D’altra parte come può un criminale avere una sana relazione con un avvocato? Voglio dire, è inverosimile!»
Gwen sgranò gli occhi e scattò a sedere. «Dove sono?!»
Leshawna aprì la bocca per risponderle, ma un colpo di terribile mal di testa fece imprecare la dark, che si lasciò ricadere tenendosi una mano sulla fronte: la sentiva bruciare terribilmente.
L’altra ragazza cominciò a ridere. “E che diamine ci trovava di tanto divertente?” pensò Gwen.
«Ti sei presa una bella sbornia! Tranquilla, è la tua camera. Mi hai raccontato un bel po’ di cose. Leshawna trova la tua storia molto intrigante, mozzarellina!»
«C-Che cosa? Che genere di cose, c-che storia?» chiese Gwen con un filo di voce tremante.
«Duncan, Courtney, Trent… Caspita ragazza, dev’essere dura!»
Cosa poteva fare Gwen, ora? Lasciarsi mettere con le spalle contro al muro non le era mai piaciuto. Mentire o negare le avrebbe procurato una via di fuga, una tregua.
«Non so proprio a cosa tu… tu ti stia riferendo» disse, cercando di mantenere un tono calmo e costante.
«Sappiamo entrambe che lo sai esattamente, mozzarellina! Chi pensi di fregare?»
La gotica si rimise a sedere di malavoglia.
«Senti… non sono per niente un tipo socievole, nel caso non te ne fossi già accorta. E non mi va di parlare di fatti miei, privati, a sconosciute come te.»
«Qualcosa mi fa pensare che non ne faresti parola nemmeno a tua sorella» commentò Leshawna sogghignando.
«Ad ogni modo, non ho nulla da spiegarti.»
«È proprio un peccato, sai? Quando ogni lunedì Duncan viene a rifarsi il colore, ha sempre qualcosa da spifferare sulle sue conquiste.»
Gwen si voltò appena, quel tanto da riuscire a guardare l’interlocutrice negli occhi. Scommise di avere delle occhiaie paurose, in quel momento, e magari la pelle ancora più pallida del solito. Ringraziò non ci fossero specchi nei paraggi.
«Dovrebbero forse importarmi, le chiacchiere di quello?»
«Oh, andiamo! Duncan sarebbe molto, molto triste, se sapesse che non ti importa di lui!»
«Punto uno, non mi interessa minimamente ciò che prova, punto due, ha già una fidanzata, non cercare di mettermi in mezzo.»
«Lo stai facendo da sola, ragazza!»
Gwen socchiuse gli occhi. «Senti… ti ringrazio per avermi portato qui, davvero, ma vedi… non mi va di fare conversazione in questo momento, e non mi va di parlare di questo. Te ne sarei grata, se potessi lasciarmi sola.» Tese le labbra, però non ne derivò un sorriso, bensì una smorfia. Ma Leshawna non aveva alcuna intenzione di demordere, oh no.
«Ti lascio un po’ qui a riflettere, ma tornerò presto a trovarti, Gwendolyne!» disse col solito sorriso di chi la sa lunga.
«Comincerò a prepararmi emotivamente in vista di quell’occasione…» mormorò la dark, ormai rassegnata.
La ragazza dai lunghi capelli neri raccolti in una coda alta si avviò verso la porta.
«E stai tranquilla, metterò una buona parola su di te con Duncan, quando lo rivedo!» disse ridacchiando, prima di richiudersi la porta alle spalle.
Gwen crollò sul materasso, stanca ed esasperata, nonostante l’ora presta; venne assalita da dubbi e incubi, consapevole che non era arrivata nessuna fine. Tutto era ancora da svelare, e le porte di mille nuovi inizi e complicazioni si stavano spalancando.
Avrebbe tanto voluto sapere fino a che punto era arrivata a spiattellare la sua vita alla ragazza afro, la sera precedente. Si coprì gli occhi con una mano, poi affondò il viso nel cuscino. 
In un’altra vita, avrebbe imparato a tagliarsi i capelli da sola. Così non sarebbe dovuta andare da alcun parrucchiere.
Non avrebbe incontrato quella Leshawna.
E nemmeno Duncan.
---
Heyyy! ^.^
Duncan: "Ehm... com'è che hai già aggiornato? L'appocalisse è vicina?"
E' il potere delle vacanze *.* e i fiori che sbocciano, e le giornate che si allungano, e il sole più caldo e... sto divagando, nè?
Quindi sì, dato che Pasqua è alle porte, ecco il mio... mh... contributo per... qualcosa, presumo.
Anyway, in quanto al capitolo, si riaccendono le luci della ribalta sulla piccola Leshawna!
Duncan: "...Piccola? Ma l'hai vista bene?"
Leshawna: "Oh, attento, stuzzicadenti, che lunedì prossimo quella cresta te la tingo di fuxia!"
(Duncan scappa e pensa e rassicura i suoi poveri capelli verdi ((Alyeska gli fa ciao da lontano con la manina)))

Tornando a noi, ditemi cosa ne pensate con una recensione, giusto perchè è Pasqua e sono tutti più buoni :)
Duncan: "QUELLO VALEVA PER NATALEE!"
Ehm... sì, insomma, dettagli.
Inoltre, volevo farvi sapere che anche il prossimo capitolo (capitolo nana, ovvero numero 7) è quasi ultimato e sarà molto molto, MOLTO importante e caruccio ^.^ Quindi non perdetevelo e restate sintonizzati! <3
by Alyeska (4 giorni a.P.)
Gwen: "Avanti Pasqua? Era proprio squallida..."
Oh, non guastarmi l'uscita ad effetto, tu!
Alyeska707

 

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Capitolo 7
*** Beautiful sunshine ***


Addicted to blue hair and blue eyes
Chapter 7: Beautiful Sunshine
 
Si sentiva così tormentata, come se ci fosse una guerra nella sua testa che non accennava a una tregua. Sapeva che fingere assenza non avrebbe portato alcun miglioramento, ma era davvero pronta a mostrarsi fragile? No, non sarebbe mai riuscita a sopportarlo.
Adesso era all’aperto, l’aria serale, pungente, la sfiorava e le faceva venire la pelle d’oca. Ma tanto meglio: Gwen aveva da sempre amato quel vento, tenue ma intenso, che arrivava senza preavviso; la faceva sentire viva. Si lasciò cullare da quella sensazione di serenità e leggerezza, finchè non avvertì nuovamente la solitudine, che designava come un cerchio intorno a lei, seguendola ad ogni passo. Camminando sul lungo mare, di tanto in tanto lanciava occhiate al sole, che tramontava velocemente. Strizzò gli occhi, oscurandosi lo sguardo con una mano; osservare quella sfera infuocata le avrebbe provocato danni alla vista, ma le importava? Proprio no, non le importava di niente. O almeno, continuava a convincersi che questo fosse vero. Dopo distolse lo sguardo, inchiodandolo sulla sua ombra, proiettata sul marciapiede ricoperto d’asfalto, e il suo viso si dipinse di un’astratta quanto vacua malinconia. Quindi si sedette a cavalcioni sul muretto che divideva la strada dalla spiaggia, ed estrasse dalla tracolla nera un album da disegno. Lo poggiò sulla superficie in pietra, improvvisandone un tavolino. Prese la matita graffite e iniziò a schizzare il paesaggio che le si presentava davanti, il quale continuava a variare, diventando più scuro, attimo dopo attimo, mentre il sole veniva inghiottito dal mare, blu e irraggiungibile. Disegnare la distoglieva temporaneamente dalle tenebre, la faceva sentire come… sollevata. Il tempo intanto scorreva, le persone si susseguivano sul marciapiede, le voci si mischiavano in dialoghi confusi e le risa apparivano rumorose e fastidiose. Due bambini correvano; stavano facendo una gara, continuavano a gridare: “Vinco io”, “No! Vinco io!”. Sembravano pieni di vita, rubarono subito l’attenzione della dark, che si concesse di osservare la scena. Il ragazzino indietro, però, afferrò la maglietta dell’altro e lo spinse per terra, portandosi in vantaggio.
«EHI! Così non è giusto!» gridò quello a terra, cercando di rialzarsi, con aria corrucciata.
«Sì invece!» urlò l’altro in risposta, che non si era neppure fermato.
Gwen rise sommessamente. Ben gli stava, a fidarsi così spudoratamente delle persone. La vita è così, pensò, molto meglio abituarcisi fin da subito.
 
Quando finì di sfumare il disegno era già calata la notte. Il display del cellulare di Gwen segnava le 21:26.
La ragazza risistemò album e matite nella borsa e scese dal muretto, incamminandosi verso l’hotel. Pensò che avrebbe dovuto darsi da fare, trovare un qualche lavoretto magari, in modo da riuscire a prendersi un appartamento in affitto. In quella via i lampioni erano pochi ed emanavano una bassa luce giallastra. Gwen ripercorse i propri passi. Poi si bloccò, a pochi metri dall’entrata dell’albergo. Si impegnò quanto più poté per far sì che la sua espressione non mutasse, ma i piedi erano come incollati all’asfalto e non accennavano a muoversi.
«È da un po’ che aspettavo scendessi… ora ho capito perché ci mettevi tanto.»
Duncan mise su un mezzo sorrisetto; già, Duncan. Duncan Young. Dopo poco più di una settimana di assenza, eccolo di nuovo.
«Perché sei qui?» Forzò noncuranza, un tono acido, irraggiungibile, che accese ancora di più lo sguardo del ragazzo dalla cresta verde.
«Uhm… non è carino dare il proprio numero a qualcuno che alla fine non ti fa neanche uno squillo. E poi… beh, credevo che due amici si incontrassero, sai, fare conversazione.»
Gwen ci pensò su un istante: aveva ragione, erano amici, perché non avrebbero dovuto comportarsi da tali? Quale tipo di tensione la fermava?
«Sì, ma vedi… sono molto stanca, vorrei riposarmi, adesso.»
Il punk la squadrò, sogghignando. «E dai, Gwen, è così che si ripaga un amico, che ha fatto tanta strada per venirti a trovare?»
La ragazza si chiese perché ci teneva così tanto a ribadire quella parola, amico , in ogni frase. Lo esaltava tanto?
Sospirò; non lo poteva evitare. «Okay, entra» disse, varcando l’entrata, seguita dal punk.
 
L’ascensore arrivò dopo interminabili attimi di silenzio, ma il muto accordo che venne a crearsi dopo fu ancora peggio.
«Quinto piano? Vedo che non soffri di vertigini.»
«Credo non interessasse particolarmente al tipo della reception quando mi ha assegnato la camera» commentò Gwen alzando gli occhi.
Quando i due varcarono la soglia, la camera dalle piccole dimensioni era avvolta dal buio. Gwen entrò per prima, non facendo caso all’assenza della luce. Duncan, dietro di lei, accese l’interruttore affianco alla porta.
«Vuoi dirmi che non funziona nemmeno la luce?» osservò quindi.
«Sei perspicace.»
Gwen avanzò nell’ambiente a tastoni, finchè non intercettò l’interruttore della lampada sul comodino.
«Wow» fece Duncan, ironizzando. «Questa sì che è atmosfera.»
«Volevo ricordarti che sei stato tu a voler venire fin qua» gli fece notare Gwen, con voce quasi infastidita.
«Mh sì, hai ragione.» Duncan si sedette accanto a Gwen sul materasso che, anche se non esattamente confortevole, appariva decisamente più comodo della sediolina in legno presente dall’altra parte della stanza.
Gwen si chinò e svuotò la borsa nera che aveva usato in precedenza, posando gli oggetti in essa contenuti sul comodino. Estrasse il piccolo astuccio nero, il telefono nero, l’agenda, nera, e infine tirò fuori l’album, miracolosamente bianco. Scontato dire che questo attirò subito l’attenzione di Duncan, che trovava nel carattere riservato e freddo di Gwen una fonte insaziabile di mistero. Lo intrigava, e non solo perché a) era determinato a vincere ogni tipo di sfida, anche quella di far venire a galla le vere sfumature della personalità della dark, nemmeno perché b) il suo ego non permetteva indifferenza altrui, ma bensì perché c) lei gli era nuova.
«E quello?»
La dark lo guardò, confusa. «È… un album da disegno.»
Duncan lo afferrò prima che lei potesse fermarlo e cominciò a sfogliarlo: decine di schizzi gli si presentarono davanti. Soggetti astratti, panorami, sguardi e fiori sporcati dal carboncino.
«Li hai fatti… tu?»
Gwen si sentì in imbarazzo: nessuno aveva mai sfogliato quell’album. Lo sentiva suo soltanto, privato. Nemmeno Trent aveva mai visto quei disegni.
«S-Sì.»
«Sono…» Duncan avvicinò un foglio al suo viso, poi lo riallontanò. «Sono strabilianti, Gwen!» esclamò con entusiasmo. E no, lui non era il tipo da adulazioni del genere, non lo era proprio per niente. Preferiva decisamente i fatti, al posto delle parole. La dark pensò che probabilmente quella fosse la sua tipica espressione di quando riusciva a scappare dagli sbirri.
«Grazie…» mormorò in risposta; non se l’aspettava davvero, una reazione del genere.
«Leshawna me lo aveva detto, che eri particolare, ma cavolo, non immaginavo fino a questo  punto!» E no, nemmeno lui si riconosceva.
Il cuore di Gwen mancò un battito.
«L-Leshawna? L’hai v-vista di recente?» chiese, in un filo di voce.
«Oh, sì… Mi ha detto di averti vista mentre lavorava. Cioè, mentre faceva finta di lavorare, ecco» commentò, inarcando le sopracciglia con fare fintamente pensieroso, prima di scoccare a Gwen un occhiolino.
«Ah, s-sì… è successo qualche giorno fa…»
«Mi ha anche detto che ti sei bevuta qualche bicchiere di troppo» continuò Duncan, ammiccando. «Così io le ho chiesto cosa avessi detto sul mio conto mentre eri sballata, dato che parlano tutte di me…»
Gwen strinse involontariamente le lenzuola, nascondendo le unghie sotto di esse.
«Ma ha detto che non mi hai menzionato… insomma, per quale motivo?» Duncan rise beffardo e Gwen improvvisò una risatina nervosa, giusto per nascondere il sollievo.
«E… volevo anche scusarmi per Court, ancora. È un tipo di persona… strano, qualche volta.»
«Un po’ come te» Gwen stese le labbra in un sorriso che piacque particolarmente al punk, il quale lo inserì subito mentalmente nella sua classifica.
«Tutti siamo un po’ strani, no?»
Gwen annuì appena, stava giusto pensando quelle parole.
«Strani e deboli» continuò Duncan, bisbigliando.
Gwen si lasciò scappare una risata. «È questo il modo con cui conquisti le tue donne? Facendo il filosofo? Davvero?»
Duncan ghignò e scrollò le spalle. «Alcune lo trovano irresistibile, ma non è il mio genere.»
«Oh, allora sono molto curiosa di sapere come hai fatto a far cadere Courtney ai tuoi piedi, visto che siamo amici
Il punk rise sommessamente, poi si scostò appena. Posò una mano dietro la testa di Gwen e l’attrasse a sé. Ora sì, che si riconosceva.
Seguì un bacio, tanto desiderato da Duncan, quanto improvviso per la gotica, che, dato il nullo preavviso di quella situazione, non fece neppure in tempo a chiudere gli occhi.
Quando le loro labbra si scostarono e i loro occhi tornarono a fissarsi, Duncan sorrise appena, quasi impercettibilmente.
«È così, che ho fatto» mormorò, incrinando lievemente le labbra in un ghigno. Poi, come privo di ogni colpa o rimpianto, ribaciò Gwen su quelle sue labbra pallide e fredde. E in quel momento, in cui ogni tipo di conseguenza, errore o sintomo di sbagliata e intollerabile fragilità, scomparvero dalla sua mente, anche Gwen si lasciò andare a quel contatto, che non voleva dire niente.
Niente amore, niente sentimento. Solo sfogo represso per troppo, passione.
E non le importava di niente.
E non pensava a niente; era la prima volta che ci riusciva.  
Perché quella sensazione, come il tenue vento serale, la faceva sentire viva per davvero.

 

Lato dell'autrice (perchè angolo cominciava ad essere noioso)
Buoonasera! O buongiorno, nel caso stiate leggendo questo capitolino, particolarmente fluffuoso e introspettivo, domani mattina o pomeriggio, o dopodomani, o dopodopodomani !
Quindi AAAH finalmente una tregua, con un bacetto innocente che d'innocente non ha proprio niente! *.* Quindi risolverà qualcosa? O provocherà qualcosa? Oppure nessuna di queste due ipotesi? E io riuscirò a non cadere tragicamente nel banale? *pregare affinchè ce la faccia* e quindi non aspettatevi banalità o soliti clichè, nè, lo so cosa state pensando u.u ma prima o poi vi sorprenderò! ^^ *la convinzione è tutto nella vita*
e ringraziamo tutti Morgothip perchè senza di lei probabilmente questo chapter sarebbe arrivato su EFP tra tipo... un mesetto? xD
e come al solito spero recensiate in tanti, perchè più recensite e più mi sento in vena di scrivere, e anche perchè prima ho rivisto tipo per la quinta volta "colpa delle stelle", sì, avete capito bene, proprio quella depressione di film, e mi serve supporto morale! xD
*piccola recensione se avete visto il film xD*
**ma anche se non l'avete visto**
***questa sì che è disperazione***

Duncan: -Perdonatela, è partita...-

& un: Vi adoro, a tutti quelli che stanno leggendo questa storia, a chi l'ha preferita o ricordata o seguita! *lovelovelove*
A soon ^.^
Alyeska
(sì, il nome big esalta)

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Capitolo 8
*** Trent ***


Addicted to blue hair and blue eyes
Chapter 8: Trent

Quella sera Duncan se n’era andato appena dopo essersi staccato dal bacio. Aveva sogghignato come suo solito, facendo trasparire una vaga aria da bravo ragazzo, e aveva lasciato Gwen sola col suo orgoglio che, come una vocina pretenziosa e insaziabile, le ripeteva che non era riuscita a rifiutarlo, che avrebbe dovuto replicare, chiedere spiegazioni, dirgli di allontanarsi perché avvicinarsi così tanto non gli era concesso. Gwen non si dava pace perché quel suo acconsentire era stata una muta richiesta di aiuto, e lei non lo chiedeva mai. Era anche spaventata del fatto che, magari, Duncan l’avesse capito. Oppure, nell'ottica peggiore, che si fosse lasciato trasportare dal suo ego. Allora pensò che avrebbe dovuto incontrarlo al più presto per chiarire il tutto. Poi si corresse: non incontrarlo più, definitivamente, sarebbe stato decisamente meglio, considerando che tutto era cominciato a precipitare nel momento stesso in cui aveva conosciuto il punk.

Gwen non l’avrebbe mai data vinta così facilmente a Duncan. Lei non sarebbe mai stata un giocattolo nelle sue mani, perché, da come le era sembrato di capire, il ragazzo amava giocare. Certo, non saltava difficilmente all’occhio: già il suo aspetto non tradiva il costante desiderio di rompere ogni regola. Obblighi, divieti, sì, ma anche norme morali. Perché in fondo Duncan vedeva ogni regola come un filo, e i fili o si spezzano o si rompono. Per lui i legami umani non esistevano, le relazioni non erano un’eccezione. Lui non era di nessuno e agiva solo a impulso del suo istinto.
Ma Gwen non ci stava, no. Il solo pensiero di poter esser manovrata da qualcun altro la inorridiva, la faceva tremare. Sì, perché alla fine viene difficile fidarsi di qualcuno che afferma di essere tuo amico fino a un attimo prima di baciarti. E la cosa peggiore era che la dark non poteva negare che tutte le sue ansie si erano fatte più leggere e futili, quando le labbra del punk erano state a contatto con le sue.
Alla fine tra loro due non c’era poi tanta differenza: nessuno avrebbe mai permesso di appartenere a qualcuno.

Il telefono di Gwen era accanto alla sua mano e, sul momento, forse data la bizzarria della situazione, forse per l'attimo di scarsa lucidità, decise di azzardare.
E chiamò Trent.
 
«G-Gwen?» La voce era sempre la sua; sull’attimo stupita, confusa, ma sotto sotto con un barlume di speranza, un accento sulle ultime lettere come un luccichio nei suoi occhi. Gwen serrò i suoi, pensando che stava facendo una cosa totalmente priva di senso, probabilmente solo un tentativo per liberarsi dalle catene.
«Già… Sai, stavo pensando che… forse ho avuto una reazione eccessiva.»
Trent sospirò, e la sua voce si fece più bassa. «Credo sia stata del tutto normale, ho fatto un casino… credo che non riuscirò mai a perdonarmi per quello che ho fatto… soprattutto per aver dovuto mentire a te.»
«No, non devi. Sarà stato un periodo duro per te, immagino, e io non sono riuscita a comprenderti…»
«Non illudermi Gwen, so che non mi stai davvero perdonando.» Trent sorrise arrendevole. «Non pretendo che le cose tra noi tornino come prima, sarebbe troppo inverosimile, lo so, ma se così accadesse… io non sbaglierei più, Gwen. Desidero solo che tu mi creda, non chiedo altro.»
Era vero, la dark non stava scusando il suo comportamento e, a maggior peso, non sentiva di doversi scusare con lui. Ma c’erano altre vie d’uscita? Quello era l’unico spiraglio. Così respirò a fondo, e liberò la parola seguente tutta d’un fiato.
«Incontriamoci.»
 
Gwen e Trent si diedero appuntamento quello stesso pomeriggio in un bar della zona. Quando la ragazza era arrivata nel locale prestabilito, aveva trovato Trent già seduto ad un tavolino. Gli aveva rivolto un sorriso tirato da lontano e si era avvicinata a lui mantenendo la testa alta e un ateggiamento insondabile. Si era accorta della custodia scura della chitarra del ragazzo solamente dopo essersi seduta. Le rivolse una lunga occhiata, riflettendo sul motivo per cui Trent avesse deciso di portarla con sé, e a quel punto anche il ragazzo seguì lo sguardo di lei, per poi ridere nervosamente e spiegarsi. «È… è squallido dire che l’ho portata per suonarti qualcosa, vero?»
Gwen rialzò il viso e pose l’attenzione su di lui, davanti a lei, che sorrideva con aria imbarazzata.
Quindi si sforzò di ridacchiare. «Sì, sì… è un po’ squallido.»
Trent sembrò rilassarsi un poco.
«Ce l’hai ancora, un debole per i lunatici?» asserì.
Gwen venne colta alla sprovvista con quella domanda, così l’unica cosa con cui potè replicare fu un: «C-Che cosa?»
«Ti ho chiesto se… sì, insomma, se hai ancora un debole per i lunatici.»
Cercò di sviare la risposta. «Perché me lo stai chiedendo?»
Trent abbassò il viso. «Curiosità. Mi domandavo quante possibilità mi fossero restate.»
«Trent… non credo di essere in grado di riuscire a…»
Il ragazzo la interruppe. «Ti sta bene la nuova pettinatura.»
«G-Grazie…»
La verità era che Trent era spaventato. Non voleva far cadere il discorso su argomenti che, già sapeva, non sarebbe riuscito a digerire. Non voleva star senza Gwen e non voleva sentirle dire che avrebbe dovuto farsene una ragione, accettando le conseguenze di ciò che aveva fatto.
«L’avevo notata già l’altra sera… però non ho detto nulla. Non mi aspettavo di vederti lì, non c’ero molto con la testa.»
«Tranquillo. È tutto a posto
«Vedi, il punto è che…» cominciò Trent, «se davvero fosse così, non potrei che essertene grato e cercare di riparare a tutto quello che ho fatto. Ma so che non è a posto. Tu non vuoi tornare con me, lo capisco, sto capendo tante cose in questo periodo… ti chiedo solo di non dirmi cose del tipo “va tutto bene” per poi stroncarmi. Vorrei attutire il colpo di te che te ne vai senza voltarti indietro…» Quindi Trent rialzò il viso e si fece coraggio per non distoglierlo da quello di Gwen, così inespressivo da intimorirlo quasi, da lasciar che ogni speranza che stesse covando si allontanasse da lui senza più tornare. L’ottimismo che nutriva da quando aveva ricevuto la chiamata della ragazza si era spento veloce, ed ora si sentiva vuoto e senza obiettivi, senza un’ambizione da rincorrere. Senza Gwen non ne valeva la pena di avere sogni, perché lei era  quello che di più grande aveva mai avuto. Non aveva mai avuto intenzione di lasciarla. Pensava di andarsene momentaneamente, rimettersi in sesto per poi tornare da lei. Come poteva però esigere che lei lo avrebbe aspettato? Contava sulla profondità dei suoi sentimenti senza sapere realmente cosa questi celassero. Il cuore di Gwen era come uno scrigno sigillato e neanche lei stessa riusciva a interpretarlo. Era una persona contraddittoria e impulsiva, infondo.
Ma la dark non riusciva proprio a vedere falsità negli occhi verdi di Trent; non ci era mai riuscita.
Deglutì. «Però potremmo vederci… qualche volta, come ora e… parlare» disse, a bassa voce, come per paura di essere sentita.
Il viso di Trent si illuminò.
Gwen provò a ricambiare la sua espressione, ma sapeva che niente era più come quando stavano insieme.
Non lo sarebbe mai più stato, probabilmente.
 
 

N/A
Ho paura di star degenerando… STO DEGENERANDO? Vi prego di rispondere perché, insomma, mi ritrovo ad avere dubbi sul procedimento della storia. Effettivamente non ce n’è ancora uno, non ci ho ancora riflettuto. Quindi chiedo a voi di dirmi sinceramente che ne pensate. Del capitolo e di tutta la storia in generale. Intendiamoci, lasciare a metà una storia è l’ultima cosa che voglio, però sto perdendo l’ispirazione (e la soddisfazione) per questa long e beh, se a voi piace tanto prometto di impegnarmi per andare avanti a scriverla e, un giorno, concluderla in qualche modo, ma ho paura che per quel giorno le vostre aspettative saranno deluse. (in ogni modo mi è venuta un’idea che per ora trovo molto carina per una nuova long) ^.^
Data, appunto, la mancanza momentanea di ispirazione, se così possiamo chiamarla, non so dire quando potrebbe uscire il prossimo capitolo. Invece di pubblicare a brevi pause capitoli che potrebbero rivelarsi buttati lì in qualche modo, preferirei pensare bene alla trama che a questo punto intendo seguire.
Quindi vi chiedo di dirmi cosa ne pensate e, ripeto, se già così la storia vi sta piacendo, continuerò a pubblicare capitoli come faccio ora, come se questo piccolo "avviso" non fosse mai esistito. Quindi (sarà l'ottantesima volta che lo scrivo, lol) a voi la scelta :) <3
Alyeska
(e sì, lo so che avrei dovuto intitolare "Trent" il capitolo n°9, giusto per restare in tema di lunatici xD )

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Capitolo 9
*** A new sound ***


Addicted to blue hair and blue eyes

Chapter 9.- A new sound

10:23 a.m. “È davvero spettacolare!”
10:23 a.m. “A che ti riferisci?”

10:24 a.m. “Al fatto che è la prima volta che chattare con qualcuno è così… Cavolo, vorrei trovare qualcosa di più bello da dire, ma l’unica cosa che mi viene in mente è… bello.”
10:26 a.m. “Trent…”
Gwen continuò a ridacchiare, osservando il display del telefono, aperto sulla chat col chitarrista, dove continuava a lampeggiare la scritta fastidiosa del: “sta scrivendo”.
La risposta fu quasi immediata: “Sì, sì lo so, scusami. Però è vero!”
Gwen scrisse veloce il messaggio da inviare.
10:27 a.m. “Non mi interessa.”
Ma in fondo le interessava eccome, e sapeva che anche Trent, ovunque fosse, era a conoscenza del fatto che quelle parole, buttate lì, apparentemente distaccate, non corrispondessero del tutto alla realtà. Gwen era una ragazza, le piaceva sentirsi desiderata, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Stava sorridendo e non era a conoscenza del motivo per cui non riuscisse a smettere. Non voleva illudere Trent. Non aveva molte certezze, ma sapeva che non sarebbe mai tornata con Trent. Non poteva. Non per via dei suoi sentimenti; l’affetto per il ragazzo era ancora vivo, ma per principio. La sua visione di equilibrio e giustizia era sempre stata molto rigida e fissa nel suo precario equilibrio. Però comportarsi così, come in quel momento, la faceva sentire serena: nessuna tensione, nessun impegno. Niente a che vedere con quelle giornate, anzi, quei momenti di giornate –tranquillamente contabili sulle dita di una mano-, che aveva passato con Duncan. Pensare a lui continuava a farle uno strano effetto, come uno schiaffo. Forse stava tutto nel fatto che fosse strana, nel fatto che nel periodo che aveva passato in sua compagnia lo era stata ancora di più, che era turbata, il che risultava essere naturale data la realtà dei fatti. Ma forse questo non aveva senso, forse era solo una scusa che vedeva particolarmente convincente.
10: 30 a.m. “Posso chiederti una cosa? È da un po’ che ci penso…”
10:31 a.m. “Spara.”
10:31 a.m. “Tu come fai a conoscere Duncan Young?”

Il cuore di Gwen saltò un battito. Si affrettò a scrivere le prime cose che le passarono per la mente, di getto, senza badare alle parole in loro.
10:31 a.m. “Un fatto strano, ma non è importante, lo conosco appena.”
Mandò il messaggio e subito si sentì libera da un macigno. Dopo percepì la pateticità del testo. Sapeva ignobilmente di scusa. Non che lo fosse, comunque. Non del tutto.
“Ah” fu la risposta di Trent, che poi aggiunse un: “Penso sia un po’ tardi per spiegarti come io conosca lui.”
10:33 a.m. “Sì, lo è.”
10:33 a.m. “Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo.”
“Non ne ho voglia, Trent”
scrisse veloce, riferendosi all’argomento che il ragazzo stava toccando e che lei si ostinava a non voler digerire.
“Sai, la band si è sciolta” sviò il chitarrista. Gwen si limitò a un “Mi dispiace” di circostanza e Trent le spiegò com’era successo il tutto, al fatto che, ad uno ad uno, tutti i membri si fossero defilati, e Gwen arricchiva la chat inserendo monosillabi disinteressati di assenso ogni tanto, del tipo “Ah”, “Mh”, “Certo”, “Okay”.
10:42 a.m. “Spero di trovare una nuova band con cui esibirmi, anche solo occasionalmente.”
10:43 a.m. “E io spero che ci riuscirai.”
10:43 a.m. “Per ora siamo solo in due… io e Duncan, appunto.”
10:43 a.m. “Duncan?”

Le sue dita si mossero in automatico sulla tastiera del telefono. Perché Trent le aveva scritto “io e Duncan, appunto”? E perché l’“appunto”? cosa c’era di ovvio? Lei conosceva solo un Duncan, che sicuramente non era quello a cui stava alludendo il ragazzo. Forse era un amico che le aveva menzionato qualche volta e di cui lei si era prontamente dimenticata, non lo escludeva. Ma la risposta che ricevette in seguito la scombussolò completamente.
10:45 a.m. “Sì, Duncan Young. Abbiamo anche trovato una sala in cui poter suonare, costa poco. È accanto all’Idea Hall. Ci incontriamo oggi pomeriggio per provare qualcosa.”
Poi, dopo neanche una manciata di secondi, Trent aggiunse: “Ti sto invitando a venire.”
 
Aprì la porta con cautela, ancora convinta che si trattasse di uno scherzo. Uno scherzo pessimo, davvero di cattivo gusto. Invece no, i due erano davvero in quella stanza. Trent teneva la sua acustica a tracolla esibendo un sorriso tutto denti in sua direzione, che, ancora sulla porta, riusciva solo a intravedere la cresta verde di Duncan, chino in un angolo a collegare gli amplificatori.
«Gwen! Non posso credere che tu sia davvero qui!» esclamò Trent. I suoi occhi verdi erano tornati accesi come la ragazza li ricordava, sapevano di Primavera, di spensieratezza. Gwen fece qualche passo avanti, non sapendo bene né cosa dire né come comportarsi con Trent, o con Duncan. Si sentiva a disagio, totalmente fuori luogo e non trascorse molto tempo prima che si pentisse di aver accettato l’invito. Si sforzò di sorridere. «Non sono così inaffidabile» lo informò prima di sviare lo sguardo. Dopo incontrò gli occhi di Duncan, che si era rialzato da terra. Erano fissi su di lei, non accennavano a cambiare campo visivo. Gwen lo indicò.
«Credevo che tu ce l’avessi con lui» asserì accusatoria, inarcando le sopracciglia e indirizzando ora l’indice verso Trent.
Duncan alzò le spalle. «Un semplice disguido.»
La ragazza soppesò le opzioni: mettersi a litigare con lui fin da subito o cercare una via più risoluta? Alla fine optò per la seconda e si girò, cominciando a parlare con Trent, che continuava a sorridere.
«Come pensate di trovare gli altri membri?» domandò. Trent aprì la bocca per rispondere, ma il punk lo precedette, avvicinandosi ai due.
«Pensavamo di stampare qualche volantino, attaccarli in giro.»
«Ero convinta che tu avresti volentieri scritto l’annuncio su tutti i muri della città» lo schernì.
Duncan sorrise, riproponendo quel suo ghigno studiato che si divertiva sempre a esibire. Ogni volta che lo faceva, Gwen pensava a quanto ego dovesse nutrire verso se stesso per aver tanta fiducia nella riuscita di quell’espressione. Forse era perché tutte ci cascavano. Poi, come un fulmine a ciel sereno le tornò in mente il loro bacio: le ragioni e le circostanze di tale azione si distaccavano dalla massa e dagli stereotipi, certo, ma anche lei aveva nutrito in parte il narcisismo del punk. Imprecò mentalmente.
«Io lo avrei fatto volentieri, ma Mister-rispettiamo-la-natura, qui a fianco, ha bocciato l’idea.»
Gwen accartocciò le labbra. «Sei un criminale.»
«Non ti piaccio più?»
«Non mi sei mai piaciuto.» Duncan guardò Gwen con aria di sfida, di intesa. Aveva capito perfettamente che lei non aveva intenzione di portare niente alla luce. Avrebbe lasciato i giorni passati con Duncan a marcire nella sua testa, contando, un giorno, di dimenticarli davvero.
«Tu mi piaci.»
«Hai già una ragazza, Duncan.»
«Non mi piaci in quel senso. Non ti esaltare, Gwen.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Volevo solo chiarire che non sono come tutte quelle che si inginocchiano ai tuoi piedi, né ho intenzione di diventarlo.»
«Tu non sei una ragazza» corresse il punk «perché se lo fosti, non staresti a un….» s’interruppe facendo scorrere lo sguardo dai propri piedi a quelli di Gwen «… metro da me, ma a nemmeno cinque centimetri.»
La dark sospirò, mentre il desiderio di vincere quel rapido scambio di frecciatine cresceva vorticosamente in lei. «Se non sono una ragazza, allora cosa dovrei essere?»
Duncan si strinse nelle spalle e chiuse gli occhi, ispirando profondamente prima di parlare.
«Questo non lo so. Forse lo scoprirò col tempo, chissà.»
Gwen gli rivolse un’occhiataccia. Duncan l’accolse ridacchiando, e Trent, tra loro, face vagare lo sguardo prima sull’una, poi sull’altro, perplesso ma per niente curioso, perso nel dubbio. Non stava più sorridendo.  


Due mesi e cinque giorni dopo...
SI, SONO TORNATA! Questo è un periodo carino, quindi mi sento più adorabile e dopo la pubblicazione di ieri mi sono detta: "Perchè non combinare qualcosa anche qui? Sarebbe ora" ed eccomi col capitolo 9!! Spero ci sia ancora qualcuno interessato alla storia, se ci siete fatevi sentire! ^^
Detto questo nulla, magari il capitolo potrà sembrarvi appena sopra la soglia del decente, però ehi, ci ho provato! xD e ora che ho cambiato la rotta della trama... beh, spero di combinare di meglio nei prossimi capitoli! Fatemi sapere cosa ne pensate ^-^

Alyeska707

(so che la scelta del cambio di carattere per la chat Trent-Gwen non era per niente strettamente indispensabile, ma non so, mi andava, oggi sono presa così ^^)

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Capitolo 10
*** Siamo seri? ***


Buon salve a tutti quelli che mi conoscono e a chi non mi ha mai letto: ciao, sono Alyeska ed è un verissimo piacere trovarti per la prima volta su una mia storia, spero non te ne andrai prima della decima riga ^^ PREMESSA: non ho piena coscienza di come sia tonata qui, cioè sì, ma non del tutto, e non sono per niente convinta (del capitolo, della storia, della VITA OKAY?), tutto è sperimentale quindi aspetto qualche vostro cordiale commento in merito, o almeno, vi prego di non lasciarmi in questo stato di: “ho scritto una totale schifezza oppure c’è del carino nella schifezza?” GRAZIE!
E sì, ho accorciato il titolo: serve un nome corto e ad effetto, no? Ecco, adesso almeno la prima caratteristica c’è.
 
Addicted
10- siamo seri?


Quel pomeriggio Trent e Duncan avevano provato diversi brani con le chitarre, anche se non erano mancati disguidi nemmeno sulla loro scelta. Da una parte c’era il vero punk rock, quello pesante e autentico, come Sex Pistols e Ramones, dall’altra Maroon 5 e One Republic. In oltre nessuno dei due riconosceva un proprio errore e accusava l’altro di aver rovinato tutto (ma soprattutto, quello era Duncan). Non era per niente un duo affiatato, si ritrovò a pensare Gwen, anzi. E non erano due chitarre a dar vita a una melodia, anche se una era acustica e l’altra elettrica. Si creava rumore, sì, ma un rumore vuoto, un rumore… squallido.
«Dobbiamo trovare presto altri membri» disse Trent mentre riponeva il suo strumento nella custodia con estrema delicatezza. Duncan si trattenne dal non far battute. Per cinque secondi.
«Basta che non siano come te, Mr. guitar-sitter.» Trent lo guardò storto.
«Ma lo sai» cominciò, la voce controllata, «che sei proprio simpatico, Duncan?»
«Ah» sospirò l’altro. «Sì, effettivamente me lo dicono in molti.»
Gwen si limitò ad assistere passivamente a quel teatrino. Lo trovava esilarante. Erano così diversi, quei due… il tipico bravo e il classico cattivo, insieme a suonare la stessa musica. Non se lo sarebbe mai aspettata. Contava di fare da spettatrice ancora per un po’, ma Trent mandò in frantumi le sue aspettative.
«Gwen!» si sentì chiamare da lui. Trent si mise sulle spalle la chitarra e gli si avvicinò saltellando.
Mise su un innocente sorriso tutto denti, come un bambino durante la sua festa di compleanno, e le disse: «Io pensavo di mangiare qualcosa qui nei paraggi, sai, tipo un hot-dog con tanto ketchup.»
Cristo, pensò Gwen. Un hot-dog con tanto ketchup? Lo stesso panino che casualmente era il suo preferito?
Allungò le braccia ponendo le mani tra lei e Trent.
«Senti» si affrettò a dire. «Io… ti ringrazio per la tua gentilezza, davvero. Sul serio. Ma ne abbiamo già parlato. Siamo amici, ok Trent? E sì, gli amici vanno a mangiare fuori insieme, ma per questo potresti invitare qualcun altro... Duncan, per esempio.» Il punk, che era acquattato in un angolo intento a staccare i cavi dalla sua Fender blu metallizzata, si alzò di scatto dopo essersi sentito nominare nel discorso, e si puntò l’indice contro il petto.
«Non provare a mettermi in mezzo, Gwen!»
«Pensavo che non stessi ascoltando» commentò lei, aspra nella voce. Gli angoli delle labbra di Duncan si incurvarono verso l’alto, in un sorrisino divertito, da chi la sa lunga.
«Io non mi perdo mai niente, dolcezza.» Gwen sospirò esausta in risposta e si focalizzò di nuovo su Trent.
«Non me la sento ancora, Trent.»
«Neanch’io me la sentirei ancora, Trent» le fece eco Duncan. Gwen chiuse gli occhi, convinta a ignorarlo.
«Mi serve del tempo per riuscire a vederti come una volta.»
Duncan si fece spazio tra di loro per superarli e arrivare all’uscita.
«E quel tempo corrisponde a tutta la vita, solo che prova troppa pena per dirtelo! Sayonara, ragazzi!» e detto questo uscì, salutando con un cenno della mano. Trent non aggiunse nulla.
«Scusa» gli disse Gwen. «Ma devo scambiare due parole con lui.» Infilò la giacca e oltrepassò di corsa la porta, il viso accigliato. Guardò da un lato della strada, poi verso quello opposto, infine distinse la schiena di Duncan, la sua cresta che spiccava tra le capigliature degli altri passanti.
«Hey, tu!» gli gridò, facendosi strada rapidamente verso di lui. «Duncan!» Sentendosi chiamare, lui si voltò. Dovendo essere sincero, non si aspettava di ritrovare lì Gwen, ma non per questo si ritrovò dispiaciuto.
«Fammi indovinare» disse Duncan. «Non sei riuscita a starmi lontano e mi sei corsa dietro, abbandonando il chitarrista?»
Gwen lo guardò stranita per qualche secondo.
«Mi spieghi cosa non va in te?» esclamò poi. «Ci provi tanto gusto ad agire così, non è vero?»
«Hey, calmati» le disse Duncan ridacchiando. «Che c’è di male a non prendersi sul serio?»
«Tu non prendi mai nulla sul serio, Duncan! E quello che c’è stato tra me e Trent lo è stato!»
L’espressione di lui si fece seria. «Ma è finito.»
Gwen non rispose.
«Sai un’altra cosa che ho trovato molto curiosa?» continuò Duncan, cercando di camuffare il divertimento.
«Che secondo te due amici non sono tenuti a uscire e mangiare qualcosa insieme…» Si fermò, come per pensare a cosa dire poi. Ma lo sapeva benissimo.
«Eppure due amici possono baciarsi, non è così? Non è quello che è successo tra di noi, Gwen?»
La ragazza si sentì immobilizzata. Non sapeva come reagire.
«Vorrei anche parlare di questo, Duncan.»
Lui ghignò di nuovo. «Non c’è niente di cui parlare, Gwen. È successo. Mi è piaciuto e ti è piaciuto, non negarlo. E non è stato impegnativo. Cioè, mica ci ha cambiato la vita. Ci siamo baciati, ma nonostante questo non stiamo insieme. Visto? Non essere seri a volte libera da complicazioni inutili. Ma se preferisci che Trent non lo sappia è ok, nessun problema.»
Gwen si sentì confusa, cominciava a non capire più niente. In realtà non aveva mai compreso il modo di pensare di Duncan, ma in quel momento più che mai gli parve del tutto un enigma.
«E Courtney?» riuscì solo a dire.
Duncan la indico con la mano. «Ecco» disse. «Con lei, sarebbe seria. Infatti è una tale rottura… nel caso non te ne fossi accorta.»
«Sì ma…» non sapeva cosa ribattere. Avrebbe voluto chiedergli perché continuava a non fare il serio, nonostante fosse innamorato di lei… avrebbe voluto chiedergli se fosse innamorato di lei. Ma non lo fece. E non ne seppe il motivo, si sentì solo bloccata dal dirlo, come se le parole si stessero rifiutando di uscirle di bocca. Duncan sogghignò di nuovo. Ancora. Un’altra volta.
Le accarezzò la guancia.
«Ci vediamo, Gwen.»
Ricominciò a camminare, e questa volta Gwen preferì cambiare strada.

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