Cas is unbelievable

di serClizia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cas is unbelievable ***
Capitolo 2: *** Toothbrushes and phonecalls ***
Capitolo 3: *** Che poi chi è che tiene un club del libro in un ristorante ***
Capitolo 4: *** Let me do this for you ***
Capitolo 5: *** They never make it home ***
Capitolo 6: *** Sneaky Angel ***
Capitolo 7: *** Only when we're alone ***
Capitolo 8: *** Roadtrip ***
Capitolo 9: *** Goodnight, Dean ***
Capitolo 10: *** Twitter ***
Capitolo 11: *** Weiner Hut ***
Capitolo 12: *** The inevitable home movie ***
Capitolo 13: *** The Alley dejà-vu ***
Capitolo 14: *** The Crypt ***
Capitolo 15: *** I know the shame in your defeat ***
Capitolo 16: *** Amiss ***



Capitolo 1
*** Cas is unbelievable ***


Cas is unbelievable

Title: Cas is unbelievable.
Fandom: Supernatural
Pairing: Destiel

Prompt: Castiel ha problemi a capire l'utilità del preservativo.
Note: Prompt suggeritomi durante il Drabble Weekend sul gruppo Facebook “We Are (still not) Ginger.”
Ovviamente mi è venuta una flashfic. E se dovessi scriverne altre, farò una raccolta.

Voglio dire, non è nemmeno la prima volta che lo facciamo. La prima è stata settimane, mesi fa. Mi ha già visto indossarne uno. Mi ha sempre guardato con quell’espressione ferma che ha a volte quando sta osservando attentamente qualcosa. O quando sta riflettendo su quello che vede. Comunque, i preservativi erano decisamente già apparsi nel nostro… (rapporto?) nella nostra… (vita sessuale?). Insomma, c’erano anche prima. E ora siam qui, stesso letto, stesso bunker, e mi guarda come se non ne avesse mai visto uno.
- Gesù, Cas, ho capito che la tua religione non è favorevole all’uso di questa roba, ma qualche info di base avrebbero dovuto dartela.
Ovviamente inclina la testa di lato.
– Non esiste nessuna “mia religione”, Dean. Il cattolicesimo è una credenza sviluppata dagli umani nei confronti di mio padre che…
- Ok, ok, ok, non fare il testimone di Geova con me. Il…
- Non sto facendo il testimone di Geova.
Ha corrugato la fronte. Incredibile.
- Fammi finire… Stai completamente mancando il punto focale della conversazione, qui.
- Ovvero?
- Ovvero… davvero non sai come si mette?
Cas mi studia. (Fa gli occhi da cucciolo.) (Non è vero, non ho affatto pensato una cosa del genere.)
- Non è che non so come metterlo. Ti ho visto. Sono piuttosto sicuro di saper ripetere i tuoi movimenti.
- Allora che c’è? Lo stai fissando da un po’ troppo tempo, sta cominciando a diventare inquietante.
Voglio dire, almeno fissasse altro. Fissare il preservativo è seriamente inquietante.
- Non ne capisco l’utilità. Perché dovrei mettermi questa… cosa di lattice per fare l’amore con te?
(Boom.)
- Non hai appena detto “fare l’amore”, vero?
Ho la mano sulla faccia e non me ne sono nemmeno reso conto.
- L’ho detto. Non è quello che stiamo facendo?
- Di nuovo, non è questo il punto. Il punto è…
Qual era il punto? Ah, sì.
- Che ci serve. Per proteggerci.
- Come la…
- Come la tua lama angelica, sì. Ma in modo diverso. Ci serve per evitare di trasmetterci le malattie. Quelle che si prendono quando fai questa roba qua.
(Mi rifiuto di dire “fare l’amore”. Mi rifiuto.)
- Io non ho malattie. Sono un angelo del signore.
Ah. Giusto.
- Potrei averne io, magari...
- Non ne hai. Ho controllato.
- Come sarebbe a dire che hai controllato?!
Sto stronzo ha la faccia tosta di fare le spallucce.
- Ho controllato.
- Castiel, ti giuro su Dio…
- Sono un angelo del Signore. So quando gli umani sono ammalati e so curarli. Tu non sei malato.
Testardo figlio di puttana.
Lo guardo. Mi guarda. Sembra una gara di occhiate omicide. Beh, la mia è omicida, lui sta giocando a “faccio lo sguardo figo e impenetrabile da angelodelsignore.”
Non riesco a trattenermi, cazzo. Scoppio a ridere.
- Sai una cosa?
Ovviamente è confuso.
- Cosa?
- Avresti potuto dirmelo prima.
E per un (bel) po’ non parliamo più.

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Capitolo 2
*** Toothbrushes and phonecalls ***


Toothbrushes and phone calls

Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Cas
Prompt: Nel bunker c'è uno spazzolino per Cas, anche se gli angeli non hanno cose come spazzolini.

Note: promptato durante il Drabble Weekend del gruppo facebook We Are Johnlocked

Sam Winchester, omone dai lunghi capelli e dalle infinite facce da culo, suo fratello, lo stava prendendo in giro.

“Chissà se abbiamo altri fantasmi. Magari a loro serve lavarsi i denti. Hai avuto notizie da mamma Tran?”
Dean aveva borbottato qualcosa senza rispondere veramente. Non era tenuto a farlo. Erano affari suoi, e suoi soltanto.
“Dean. Sul serio. Cas non ha bisogno di uno spazzolino.”
Altri borbottii.
“Non la capirà così, è inutile che ci provi. Non puoi lasciare degli indizi, con Cas. Non è così che funziona, con lui.”
Dean voleva davvero rispondere. Voleva davvero dirgli che non aveva la più pallida idea di come confessare a qualcuno, a Cas, che avrebbe voluto che si fermasse. E che magari non se ne andasse più?
Era abituato a rimorchiare nei bar, per Dio, non a parlare dei propri sentimenti.
Ecco, voleva dire tutte queste cose, o forse no, ma Castiel aveva scelto quel momento per manifestarsi.
“Indizi?” Aveva stretto le labbra. “Gli indizi non funzionano con me?”
“Ovviamente no, Cas," Sam era intervenuto prima che riuscisse a pensare a qualcosa di decente da rispondere, "altrimenti ti saresti accorto che mio fratello ha una cotta gigante per te.”
Dean si era lanciato su di lui ma quel maledetto l'aveva previsto, l’aveva evitato per un soffio. Era corso via. Sbattendo la porta.
Lasciandoli soli.
Dean si tastò i jeans e la giacca. Aveva preso le chiavi dell’Impala.
Non poteva fuggire.
Si voltò verso Cas, che lo guardava, serissimo. “È uno scherzo?”
“Sì! Esattamente. Lo sai com’è fatto Sam…”
La gara di sguardi truci venne interrotta dalla tasca dell’impermeabile che squillava.
Dean guardò al rallentatore la mano di Cas prendere il cellulare e accettare la chiamata.
Lo guardò stringere gli occhi mentre ascoltava. Annuire e buttare giù.
“Sam mi dice di chiederti dello spazzolino.”
Figlio di puttana.

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Capitolo 3
*** Che poi chi è che tiene un club del libro in un ristorante ***


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Fandom: Supernatural
Pairing: Dean / Castiel
Prompt: Book Club AU
Titolo: Che poi chi è tiene un club del libro in un ristorante
Parole: 182
Note: Dean uttlery indifferent to sexual orientation è la cosa più bella ever



Dean entra nel ristorante con uno sbuffo. Di tutte le punizioni del mondo per la perdita di una scommessa, quella di andare a un cazzo di club del libro è la peggiore, grazie tante Sam.
Si accomoda sulla prima sedia a disposizione a testa bassa – le sedie sono pure fottutamente in circolo, dannazione.
“Bene, direi che possiamo cominciare.”
Ha preso parola un tipo assurdo, uno di quelli che trovi dietro la scrivania di un ufficio postale. Pantaloni neri, camicia bianca a maniche corte, cravatta blu, occhialoni neri da nerd.
“Sono Castiel, per chi non lo sapesse.”
Parla soppesando le parole e valutando i presenti, con una cartellina in mano. Forse sta facendo una specie di appello.
Quando sposta lo sguardo su di lui, Dean si stacca momentaneamente dall’orbita terrestre.
“Tu sei nuovo. Piacere di averti tra noi…”
“D-”, si schiarisce la gola. “Dean. È il mio nome.”
“Ciao, Dean.”
Una tipa rossa accanto a lui gli infila un gomito tra le costole. “Prendetevi una stanza.”
Magari.
Dean la ignora e tiene lo sguardo fisso su Castiel, che si appoggia ad un tavolino, incrociando le braccia. “Allora, chi è riuscito a leggere i primi capitoli?”
“Io, e volevo dire che sono una merda.”
“Anna.”
Castiel fulmina la rossa e Dean avverte un’improvvisa urgenza di sapere il titolo del libro. E di comprarlo.

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Capitolo 4
*** Let me do this for you ***


Let me do this for you

Fandom: Supernatural
Pairing: Fem!Sabriel
Prompt: Samantha non ne può più di trovare caramelle nei suoi reggiseni.
Titolo: Let me do this for you
Parole: 539
Note: Primo tentavio ever di fem!Slash (per il Drabble Event
del gruppo facebook We Are Johnlocked )



La porta scricchiola leggermente quando Samantha la apre, un suono che dovrebbe essere fastidioso ma che lei trova rassicurante. Familiare. Sta per lanciare le chiavi sul tavolinetto quando la luce si accende all’improvviso.
“Sorpresa!!!”
Gabrielle è nel corridoio con il suo sorrisetto-marchio di fabbrica e una torta gigante in equilibrio su una mano.
“Co… Cosa ci fai qui? Come sei entrata?”
“Oh, non fare quel faccino, Sammy. Dalla finestra! Ovvio, no?”
In un lampo Samantha, per gli amici Sam, viene presa per mano e trascinata in cucina.
Gabrielle le indica una sedia con un’occhiata severa e si mette a scorrazzare per la stanza come se fosse sua, alla ricerca di coltelli, piatti, cucchiaini. Sam obbedisce e la osserva in silenzio mentre le piazza davanti il necessario per mangiare quella che sembra la torta più grande mai fatta da un essere umano.
“Non è il mio compleanno,” si sente di osservare.
Gabrielle fa svolazzare i capelli rossi dietro un orecchio con un gesto secco. “Non ti rispondo nemmeno. Ecco qua, abbiamo tutto.” Si appoggia al tavolino con i gomiti e Sam pensa che se avesse la coda, starebbe scodinzolando.
“Assaggia,” la esorta.
“Cosa stiamo festeggiando?”
Gabrielle mette un finto broncio. “Sei sempre la solita brontolona malfidata. Non abbiamo niente da festeggiare. Mi andava di farti una torta e te l’ho fatta. Sorpresa! Ora mangia.”
“Ok, ma…” si guarda intorno. Il locale è immacolato. Se l’ha cucinata lì – e Sam sa che l’ha fatto perché casa di Gabrielle non è proprio adatta a cose del genere – ha ripulito tutto. Alla perfezione. Non riesce a trattenere un sorriso. È stanca, ha avuto una giornataccia al lavoro, e se non le piacesse quel lato pazzo e imprevedibile di Gabrielle non avrebbe mai cominciato ad uscire con lei.
“Ma…?”
“Ma niente. Mi andava proprio un po’ di dolce, stasera.”
“Ha! Visto? Questo è lo spirito giusto. E comunque, il dolce va sempre, in ogni parte della giornata, scemotta.”
Sam ridacchia mentre prende in mano il cucchiaino. “Sai, la tua fissazione per i dolci è strana forte. E dobbiamo fare qualcosa a riguardo.”
Gabrielle fa un’espressione comicamente guardinga, alzando un sopracciglio. “Perché?”
“Perché anche oggi sono cadute delle caramelle a terra mentre camminavo. E non avevo tasche.” Gabrielle da’ una manata sul tavolo e ride di gusto. “Sono seria! I miei colleghi cominceranno a pensare che ho uno strano fetish. O che sto cercando di attirarli. Smettila di mettermi le caramelle nel reggiseno.”
“Lasciali pensare quello che vogliono. Non è il sentiero di Hansel e Gretel. E se lo fosse,” infila un dito nella panna della torta senza distogliere lo sguardo, “alla fine troverebbero una porta sprangata con le parole ‘MIA’ ben visibili sopra. In rosso.”
Samantha deglutisce mentre la guarda leccarsi il dito. Improvvisamente non ha molta più voglia di dolce.
“Assaggiala. Il resto dopo.” Gabrielle le deve aver letto le intenzioni in faccia.
“O potremmo portarla in camera con noi…?”
Le arriva una pacca sulla spalla atomica. “Così mi piaci! Lascia perdere tutto. Ti aspetto di là.”
E prendendo la torta con entrambe le mani si fionda in camera da letto senza guardarsi indietro.
Samantha la guarda trotterellare via mentre si domanda come abbia fatto a sopravvivere alla vita senza di lei, finora.
Pensa a quello che si è lasciata scappare ieri sera, a letto. E pensa anche che ha intenzione di lasciare che Gabrielle glielo estorca di nuovo e glielo faccia ripetere ancora e ancora e ancora e ancora.
E conoscendola, magari è proprio per questo che le ha cucinato una torta.

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Capitolo 5
*** They never make it home ***


What if...

Fandom: Supernatural
Pairing: Destiel
Prompt: un bacio sulla strada di casa
Title: They never make it home
Parole: 516
Note: apparte che mniogfrshguihwao perché ogni cosa Destiel è ngurisgfkweanbifwel; spero ti piaccia, non so nemmeno io cosa è successo. Mi ripeto, lo so, lo dico ad ogni fill, ma ogni volta che metto le dita sulla tastiera poi it just kind of happens on its own. Quello che voglio dire è… prendetevela con le mie dita, ecco.



Castiel è coraggioso.
È quello che continua a ripetersi ogni giorno, davanti allo specchio. Se ne ha uno, altrimenti se lo ripete socchiudendo gli occhi, con i palmi premuti davanti alla bocca.
In pratica è l’equivalente umano di un veterano di guerra. È coraggioso, è forte, è abbastanza.
Ormai è diventato quasi un mantra nella sua testa, qualcosa per tenersi occupato, per tranquillizzarsi.
“Sono coraggioso, sono forte, sono abbastanza.”
Se lo sta ripetendo anche adesso, seduto nell’Impala, sguardo fisso davanti a sé nella strada che li porta al bunker. A casa.
Questa volta lo farà, ne è sicuro. Aspetterà che Dean abbia messo in folle, si girerà e lo bacerà.
Dean spegne il motore, i fari, e si volta a guardarlo, sobbalzando un po’. “Perché mi fissi così?”
Castiel non batte ciglio. Letteralmente. Non muove un muscolo facciale. “Non è niente.”
Dean abbozza. Quand’è che si è abituato a questi sguardi, esattamente?
“Allora andiamo dentro. Sammy ci avrà aspettato per mangiare, sicuro. E dopo quei wendigo, ti dirò… ho un certo appetito anche io.”
“È disgustoso, Dean.”
Il suo cipiglio gli fa guadagnare una risata rauca e una pacca veloce sulla spalla. “Andiamo dentro, Cas.”
Ok, il momento è passato ma Castiel è sicuro di sé. Stavolta lo farà. Aggirerà l’auto, e non appena avrà chiuso la portiera, lo fermerà e lo bacerà.
Sta ancora fissando davanti a sé quando Dean bussa al finestrino con le nocche. “Vuoi che ti apra la portiera, principessa?”
“Cosa?”, Castiel si riscuote, ed è fuori in un lampo. “No, ero… ero sovrappensiero.”
“Lo vedo. Vuoi dirmi cosa si tratta? Perché come ti ho detto, ho fame, e se non hai intenzione di dirmelo…,” Dean punta un pollice alle sue spalle, verso l’entrata del bunker. “Basterà aspettare dopo cena e te lo farò sputare fuori, con le buone o con le cattive.”
Cas increspa le labbra in un sorriso lieve. È buffo che Dean sia così sicuro di poterlo costringere a fare qualcosa contro la sua volontà. “Vorrei vederti provare.”
“Perfetto! Game on! Ora entriamo prima che mi venga voglia di mangiarti la cravatta." 

Dean allunga le dita - Castiel le osserva scorrere oltre il suo campo visivo, e quando abbassa lo sguardo per guardarle poggiarsi sulla cravatta blu, Dean le alza all’improvviso e gli tocca il mento con un buffetto. “Fregato.”
Castiel stringe le labbra. Vorrebbe dire che la cosa l’ha fatto ridere, e contemporaneamente non vuole dargli la soddisfazione. Anzi, vuole proprio vedere quel sorrisetto arrogante e compiaciuto sparire dalla bocca di Dean, che intanto si è avviato verso il portone. E ha giusto giusto in mente un modo per farlo smettere.
La risata strascicata di Dean non ha fatto in tempo a finire di riecheggiare nel piazzale, che Castiel lo ha afferrato per la spalla, costringendolo a voltarsi.
“Cos…”
Non gli lascia il tempo di finire la frase. In un attimo stringe il bavero della giacca sotto le dita e preme le labbra contro quelle di Dean.
Lo stomaco gli si ghiaccia quando le sente muoversi, esitanti, contro le sue.
“A Sam si congelerà la cena.”, è solo un sospiro tra una pausa e l’altra.
“Non mi interessa.”
“Già. Neanche a me.”

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Capitolo 6
*** Sneaky Angel ***


What if...

Fandom: Supernatural
Pairing: Sabriel
Prompt: Gabriel adora dormire con la testa sul petto di Sam perché gli piace sentire il battito del suo cuore.
Parole: 270
Titolo: Sneaky Angel
Note: fnjsklgnueksgfwa

 

 

Gabriel si intrufola nella stanza dalla finestra, senza fare alcun rumore.
Potrebbe usare i suoi poteri e apparire direttamente all’interno, ma così gli piace di più. C’è più fibrillazione nella paura di poter essere beccato.
Si guarda intorno, la stanza è completamente buia ma la conosce a menadito. Non è la sua prima notte.
Sam Winchester sta dormendo a pancia in su sul letto. E meno male, altrimenti avrebbe dovuto pungolargli il fianco finché non si fosse girato. È già successo.
Si avvicina al copriletto sbadigliando, il suo cervello è già pronto prima che lui si sia ancora messo in posizione. La realizzazione lo fa sospirare. Quanto è triste che un arcangelo della sua età si ritrovi ad aver bisogno di questo, per dormire? Di intrufolarsi in casa di un umano per qualche ora di riposo per poi volare via prima che si risvegli, ignaro di tutto?
Si infila sotto le coperte veloce e silenzioso come un gatto, sbadigliando un’ultima volta prima di appoggiare la testa sull’enorme petto di Sam. Non appena sente il familiare battito pulsare nelle orecchie, si rilassa automaticamente. Sta per chiudere gli occhi, quando si accorge che c’è qualcosa di diverso.
Il battito è diverso. È accelerato. Colpi continui frustano contro il suo lobo e Gabriel spalanca gli occhi.
Una serie di immagini si sovraffollano nella mente. La finestra era aperta. Ed è almeno un paio di notti che trova Sam a pancia in su e non di fianco, la sua posizione preferita per dormire.
Sta per alzare lo sguardo ma la voce bassa di Sam rimbomba tra le costole fino al suo orecchio. “Notte, Gabe.”

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Capitolo 7
*** Only when we're alone ***


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Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Sam/human!Impala/human!Laptop
Prompt: foursome - vero amore

Parole: 1.402 (ehm)
Titolo: Only when we’re alone

 

E così è arrivato il giorno – Dean ha anni di carriera di cacciatore alle spalle, è stato all’inferno e al purgatorio, eppure non si sarebbe mai immaginato di dire questa frase – in cui una strega, o più probabilmente Gabriel, insomma, QUALCUNO, ha trasformato la sua macchina in un essere umano.
La cosa peggiore? È un tipo alto, con la giacca di pelle e un sorriso strafottente stampato in faccia, che si è spalmato sulla sedia, appoggiato i piedi sul tavolino e gli ha fatto l’occhiolino – perdio.
Sam spalanca la porta del motel con una rossa al braccio, che Dean ha l’impressione che se avesse la coda, starebbe scodinzolando. “Sam, che cazzo sta succedendo?”
Suo fratello sembra agitato quanto lui, continua a passarsi le mani tra i capelli.
“Non lo so, io... ehm… Dean, questa è…”, gesticola verso la rossa.
“Sexy! Il suo computer,” trilla lei, senza staccarsi dal suo braccio.
“Sexy? Sul serio, Sam?”
“È così che mi chiama.”
Sam si rabbuia. Sembra un bambino gigante sorpreso a rubare nel barattolo di marmellata. “Solo quando non c’è nessuno.”
Il tipo - Dean si rifiuta di dargli un cazzo di nome perché quello non è nessuno e assolutamente non è la sua macchina - si alza dalla sedia facendola grattare sul pavimento. “Ciao, Sexy! Piacere, io sono Baby.”
“Oddio,” Dean si strofina le mani sulla faccia. Non sta succedendo. Non sta succedendo davvero.
“Baby?” Dean percepisce uno sfottò a livelli altissimi nella voce di suo fratello. “Questo tipo è l’Impala?”
“Sta’ zitto. Non dire niente. Non una parola, Sammy, o ti giuro che ti uccido nel sonno.”
“Mh-mh.”
La cosa deve averlo rincuorato parecchio, perché ogni traccia di bambino-triste-che-ha-rubato-la-marmellata è sparita dal suo volto. Dean sta per esplodere. “Cosa?!”
“Niente,” Sam si toglie la giaccia, intima alla tipa di sedersi. “È carino che tu abbia un’ossessione per i mori con gli occhi blu.”
“Io non… sta’ zitto. E non credere che non abbia notato che la tipa, qui… è la versione femminile di un certo arcangelo.”
Sam si blocca con le mani sulla sedia. Si volta verso la ragazza, che si è felicemente seduta sul letto, accompagnata dal tipo – che, per la cronaca, si sta divertendo troppo per i suoi gusti.
“È vero, gli assomiglia. Comunque…”
“Comunque cosa?!”
“Comunque è una donna.”
“Fanculo, Sam.”
“Era solo per dire! Ehi, non c’è niente di male…”
Dean si attacca alla camicia di Sam, acchiappandone la stoffa tra i pugni. “Ti giuro su Dio…,” suo fratello deglutisce e Dean sente la rabbia cominciare a scivolare via – perché lo sta facendo? Perché sta spaventando Sam? Perché è così fottutamente teso? – “È un sacco di tempo che non facciamo una cosa del genere. Ma se continui a scherzare su questa cosa, ti prenderò a pugni. Come una volta. John style.”
Sammy assottiglia lo sguardo. Contrae la mascella, annuisce.
Dean gli lascia la camicia. Si osservano, per qualche secondo. Dean vorrebbe dire qualcosa, scusarsi magari, ma non sa per cosa. Non sa perché. Sa di essere incasinato, lo è sempre stato, ma questo? La sua macchina, il suo tempio sacro, la sua baby è sempre stata una baby. Femminile.
C’è qualcosa in quegli occhi di ghiaccio alla Cas che gli mette in subbuglio lo stomaco. E non in senso ‘ho voglia di scoparmelo’, oh no. Quello era nelle carte già da parecchio tempo, e non lo voleva ammettere ma eccolo lì. Chiaro come il sole, che…
Dean deve interrompere il flusso di pensieri. Chiaro come il sole che se ne sta sdraiato sul letto a flirtare con il portatile di Sam! “Che cazzo stai facendo?!”
Quello smette di accarezzare i riccioli rossicci e si volta verso di lui con un ghigno assolutamente irritante. “Oh, avete finito? Mi annoiavo a seguire l’angst Winchester del momento e qui ci sono cose più interessanti da fare.”
Sam si appoggia al tavolino, incrociando le braccia. “Non è un brutto spettacolo,” commenta.
Dean lo fulmina con una bitchface talmente veloce che Sam barcolla persino da appuntato al tavolo. “Non guardarmi così. Sono carini.”
“Potete unirvi a noi, se vi va,” cinguetta lei con quella vocina.
Il tempo si ferma. A Sam cade la mandibola, Dean riesce solo a fissare il letto della camera in perfetto silenzio, mentre Baby continua a sorridere e giocherellare coi riccioli di quell’altra – che, per inciso, sta ancora guardando Sam in modo adorante. Il tempo si ferma, il mondo sta per finire, e tutto questo avrà fine molto molto presto – o aiutamidio.
Baby gli pianta addosso uno sguardo che lo colpisce diritto allo stomaco e gli scompiglia i pensieri. E per fortuna, perché se no potrebbe giurare di aver sentito una frase come “So quello che ti piace, Sam, ho tutta la tua pornografia in memoria.”
Dean sbatte contro i piedi del letto e nemmeno si era accorto di essersi mosso. Sono quegli occhioni blu. Sono una calamita.
Baby scivola fino ai piedi del letto, sedendosi sull’angolo. Se Dean riuscisse a distogliere lo sguardo, si renderebbe conto che la sua testa è pericolosamente vicina al livello dello stomaco, e a quello che c’è sotto. Ma chi vuole prendere in giro, certo che se n’è reso conto.
Chiude gli occhi quando la sua mano gli accarezza la guancia, ma li riapre subito. Non vuole perdersi quello sguardo – una distesa oceanica in cui buttarsi, senza pensieri.
Baby gli infila due dita nell’asola dei jeans e lo attira a sé, facendosi indietro nel letto. Si sdraia, lentamente, lasciandogli posto tra le sue gambe.
Dean si sente irreale, non ha coscienza di sé o di quello che sta succedendo – e incredibilmente non gli importa. Se è un incantesimo che gli ha spento il cervello, ci penserà poi.
Questo pensiero lo porta a riacquistare un minimo la consapevolezza di quello che gli sta intorno per voltarsi a cercare Sam. Non si stupisce di trovarlo accanto a sé, a pancia in su, ricoperto di riccioli rossi.
I loro sguardi si incontrano per un momento, entrambi annebbiati.
Dean è il primo a distoglierlo.
Lo riporta su Baby, sulle sue labbra che gli stanno sussurrando qualcosa che fino a quel momento non aveva percepito. Sono le note dei Led Zeppelin.
Dean preme forte le labbra sulle sue, ciuffi di capelli corvini tra le dita.

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Capitolo 8
*** Roadtrip ***


  1. Viaggio in macchina.
  2. “This is… a book about us?”
  3. Privacy.
 Storia partecipante alla 'Screw Prompts, Give Me Points' Challenge.

ATTENZIONE! Post 10x23! SPOILER SEASON FINALE 10 STAGIONE!


 
L’Oscurità. L’Oscurità lo avvolge, lo inghiottisce.
Ribolle, lo brucia, gli entra nella gola, nel naso, la sente contorcersi, entrargli dentro, fino allo stomaco.
“Dean.”
Una voce, una sola parola, ed è sveglio, la pistola in pugno, pronto a sparare.
La riabbassa, non è un nemico, un mostro, uno Styne - è Cas.
“Cosa stavi sognando?”
Dean si asciuga la fronte con la manica della camicia. Cas gli ha già fatto una domanda così tempo prima, e come allora non ha nessuna intenzione di rispondere.
Si guarda intorno, sono nell’Impala. Cas è accanto a lui nel sedile del passeggero, rigido come uno stoccafisso, niente di nuovo. E deve leggergli la domanda negli occhi, ‘Cosa ci fai qui?’.
“Sam mi ha chiamato.”
“Mmh.”
“Mi ha chiesto di trovarti. Dovresti rispondere alle sue telefonate.”
Dean guarda fuori dal finestrino. Aveva parcheggiato sul ciglio della strada, troppo esausto per andare avanti. Diciamola tutta, Dean stava scappando.
Una settimana prima, il marchio era scomparso, aveva liberato l’Oscurità. Che li aveva avvolti, riempiti e poi in qualche modo lasciati, scivolata fuori così come era entrata.
Li aveva lasciati lì, come due stronzi. Lui e Sam si erano guardati, in silenzio.
Erano tornati al bunker. E per ogni miglio di strada, cominciava a ritornare quello che aveva fatto, cominciava a pesare, pugno dopo pugno, sparo dopo sparo.
Il ragazzino, Dio.
Aveva resistito un giorno nel bunker alle occhiate di Sam, poi durante la notte avevo preso le chiavi ed era scappato.
In tipico stile Dean.
Ha solo bisogno di schiarirsi le idee, tutto qui. E non può farlo con gli occhi di Sam puntati addosso, come uno specchio di quanto sia stato stronzo. Uno specchio che non lo ritiene colpevole. Non è il tipo di specchio a cui è abituato, quello.
Quindi è scappato, e ora è qui, a una settimana di distanza, sveglia-Cas incorporata.
“Dove stai andando?”
Evidentemente persino Cas ha imparato che Dean non è bravo a rispondere alle domande sul suo rapporto con Sam. A meno che uno dei due non stia per morire, certo.
“Non lo so, da qualunque parte. In cerca di un caso, credo.”
“Ne ho uno, allora.”
Dean si volta finalmente a guardarlo. “Tu hai un caso?”
Cas annuisce. “Dove credi sia stato nell’ultima settimana?”
“Non lo so, a giocare a carte con Rowena?”
Cas appiattisce le labbra. “Sam mi ha chiamato subito dopo la tua partenza. Mi ha chiesto di cercarti.”
“E cosa c’entra col fatto che tu abbia un caso?”
“Perché sapevo che ci avrei trovato te.”
Oh. Quindi Cas aveva passato una settimana a svolazzare qua e là tra fantasmi e vampiri per cercare lui. Divertente.
“E li hai risolti?”
“Ho di nuovo la mia grazia, Dean. Certo che li ho risolti. Non potevo lasciare quelle persone in pericolo.”
Dean gli fa un sorriso stanco. “Parli come un vero Winchester.”
Cas gli risponde con lo stesso tipo di sorriso. “Mi piace pensare di esserlo.”
L’aria si fa un po’ più densa, a quelle parole. Qualcosa in lui lo spinge a cambiare velocemente argomento. Non ha proprio voglia di pensare alla malinconia di Cas, alla sua brama di una famiglia a cui appartenere, alla sua tristezza, perché si sente già abbastanza pieno della propria.
Senza contare il fatto che l’ultima volta che si sono visti, Dean ha cercato di ucciderlo.
Accende l’Impala. “Allora, dove andiamo?”
Cas guarda un punto lontano davanti a loro. Sembra stare rimuginando su qualcosa. “Michigan.”

**

Il caso è piuttosto semplice.
Spirito vendicativo, blablabla, salato e bruciato.
Lavorare con Cas è facile, adesso. Parla poco, non fa domande, non chiede di Sam, né dell’Oscurità.
In qualche modo sa che Dean ha bisogno di stare solo e riflettere, e in qualche altro strano modo sa anche che Dean non è mai stato veramente capace a stare solo.
E quindi gli fa compagnia. È strano.
È solo dopo che sono passati davanti alla scuola per andare verso il motel, che Dean si ricorda di esserci già stato.
“Ehi, io la conosco questa città. Clint, hai detto che si chiama?”
“Flint,” lo corregge Cas.
Dean è talmente abituato ad avere la sensazione di deja-vu, città tutte simili, villette tutte uguali, che non ci aveva pensato.
“Sì, ci sono già stato. Con Sam. In quella scuola,” la indica mentre rallenta un po’ la marcia. “C’era una Dea. Calliope. Ci saresti dovuto essere anche tu, ti saresti divertito un mondo.”
“Ne dubito.”
Dean ridacchia. “Che c’è, paura delle altre divinità? Pensi che la loro esistenza metta troppo in difficoltà paparino?”
“L’ultima volta che siamo stati a contatto con altre divinità, Gabriel è morto.”
Oh, merda. “Giusto. Scusa.”
“Non c’è bisogno di scusarti. Non è stata colpa tua.”
Ed eccola lì, una frase, una lama a doppio taglio. Dean non risponde, tira dritto fino al motel.
Ma non riesce a fare a meno di pensare a quel giorno, quando ha convinto Gabriel a far uscire la testa dal culo e opporsi a suoi fratelli. Quindi sì, in un senso, anche quella è colpa di Dean.

**

Accanto alla reception c’è una mini-libreria, degli scaffali con qualche libro sopra. Cas ci si distrae intanto che Dean si occupa del check-in. Grazie al cielo, c’è un muto accordo per cui Dean è quello ad occuparsi delle Public Relations con gli umani.
Il vecchietto oltre il bancone ticchetta sulla tastiera, Dean si guarda intorno. Lo sguardo gli cade su Cas, di spalle. Nel momento esatto in cui lo vede, percepisce che qualcosa non va.
Ha la schiena ancora più rigida del solito, sembra si sia congelato in un momento.
Dean si avvicina. “Va tutto bene?”
Cas gli porge la copertina che stava studiando, in silenzio. Dean deglutisce. Un sacco. C’è scritto ‘Legame Profondo, subtext e canon del Destiel in Supernatural.’
La copertina raffigura un ragazzo – molto più giovane, Dean è ufficialmente offeso – e un angelo, dalle lunghe ali nere.
Com’è possibile che Cas sappia che sono loro? Non può saperlo, non…
Cas gira il libro e gli fa leggere il retro. ‘Questo libro è un saggio sulla storia d’amore tra Dean Winchester e Castiel –‘
“Ok, basta.”
Dean gli strappa il libro dalle mani e lo mette a posto, o almeno ci prova, cominciano a caderne almeno 4 o 5. Cas li osserva cadere in silenzio, per poi riportare lo sguardo su di lui. Non è imbarazzato, né offeso, è solo… confuso? Ti pareva.
“Quello è… è un libro su di noi?”
Gli esce una sbuffata ridicola. Ricomponiti, Winchester, Dio.
Si accoscia per recuperare i libri, e nota che sono tutti del fottutissimo Vangelo dei Winchester.
Il vecchietto si affaccia dal bancone. “Oh, quelli? Vi piacciono? Li ha portati una ragazza, un giorno. Vestita in modo buffo. Forse una scuola speciale… Diceva che sono famosi, voi li conoscete?”
Dean lo guarda. Guarda la chiave della stanza appena appoggiata sul bancone. Sul portachiavi c’è scritto ‘106’. Grazie a Dio. Le afferra, acchiappa Cas per il trench e sparisce giù per il corridoio.
Fanculo.


**


“Dean.”
“Mh.”
“Dobbiamo parlarne.”
Dean si tira su a sedere sul letto. “Col cazzo che dobbiamo!”
Castiel è fermo nello stesso esatto punto in cui lo aveva lasciato quando si era sdraiato, nella propria metà di stanza. Si siede di fronte a lui, in un letto che Dean ha comprato e che entrambi sanno che non userà. Gli angeli non dormono, no?
“Prima o poi…”
“Senti, era un libro, okay? La gente ne scrive di continuo. Chiedi a Sam. Diavolo, chiedi a Metatron!”
Si acciglia, il bastardo. “Non ho intenzione di chiedere nulla a –“
“Vabbè. Hai capito. E non c’è niente di cui parlare. Sapevo ci fosse questa cosa perché… perché nel caso in cui abbiamo lavorato qui c’era questa ragazzina che…”
Dean si sta impappinando. Come diavolo può spiegargli dello spettacolo, di quello che dicevano quelle stupide ragazzine? “E comunque blateravano di roba anche su di me e Sam, quindi… non c’è niente da dire.”
Cas stringe un po’ le labbra. Sospira. “Non mi stavo riferendo al libro.”
“Mh?”
“Dobbiamo parlare di Sam.”
“Huh,” figura di merda tipica di un Winchester. Vabbè. “No, grazie.”
Dean si ributta sul letto, gli da’ le spalle. No grazie, davvero.
“È preoccupato. Posso almeno chiamarlo e dirgli di averti trovato? Che stai bene?”
“Cioè, non l’hai ancora chiamato?”
“Non sapevo se fosse conveniente.”
“Huh.”
Cas dovrebbe davvero smetterla di sorprenderlo. È snervante. “Sì – uhm – quello che ti pare. Chiama chi vuoi.”
Annuisce con un gesto secco e lascia la stanza, Dean sente il frusciare del trench fino alla porta.
Resiste sì e no due minuti. Poi si alza di scatto, e raggiunge la porta in punta di piedi. Guarda dallo spioncino, Cas non è lì.
Dean percorre il corridoio, arriva ad un bivio. A sinistra, la reception, a destra una porta di servizio.
Imbocca quello a destra, apre la porticina il più silenziosamente possibile e sbircia.
C’è un cortiletto, Cas è esattamente nel mezzo, spalle alla porta. È già al telefono.
“… sì, tutto bene. Sta lavorando ad un caso. No, non ha finito. Sì, lo terrò d’occhio.”
Pausa. Dean riesce a sentire la voce di Sam anche da lì. Purtroppo non riesce a capire cosa dica.
Cas annuisce. “Ciao, Sam.” Butta giù, fissa il telefono. “Lo so che sei lì.” Non si volta nemmeno a guardarlo.
Dean fa un gesto di stizza, poi si convince a uscire, essere uomo. Non ha mica paura di parlare con Cas, no? Non vuole parlare di quel dannato libro, d’altronde. Si può fare.
Castiel gli piazza gli occhi addosso, un’espressione divertita. “Devo farti una lezione sulla privacy, Dean?”
“Molto divertente.”
C’è qualcosa nello sguardo di Cas che ha una forza gravitazionale tutta sua. E incredibilmente difficile da sostenere. Il pavimento diventa improvvisamente interessante da osservare. Non è disagio quello che sta sentendo, vero? “Uhm, credo che tornerò in camera. Vorrei farmi una doccia.”
Cas annuisce. “Ti seguo.”
“Mi segui? Nella doccia? Gesù, Cas, un po’ di privacy?”
Cas fa un sorriso lieve, Dean ridacchia, e tutto torna come prima. Per il momento, almeno.




NdA:
non viene nominato l'incantesimo di Rowena a Cas perché non avevo idea di come gestire la cosa, né tempo, quindi ho preferito risolvere così:
nel giorno in cui Dean rimane al bunker, Cas trova un modo per liberarsi. Non ne fa parola con Dean, dato che non è una cosa che fanno spesso, raccontarsi i casini che succedono loro.

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Capitolo 9
*** Goodnight, Dean ***


Fandom: Supernatural
Pairing: Destiel
Prompt: Insonnia
Parole: 968
Note: sedatemi! Ah, anche: spoiler Post season finale della decima stagione



La sveglia sul comodino segna le 5:34
Dean si contorce tra le coperte per l’ultima volta. Rimane a fissare il soffitto, sperando di trovare conforto nel bianco – così diverso dalla maledetta oscurità che lo ha avvolto neanche due giorni fa.
Non è sicuro di quando se ne sia accorto, ma sa che Castiel è nella stanza. Potrebbe essere un’ora come dieci minuti, ma Cas è lì, e lo guarda.
Dean lo sa per via di tutte le volte che è già successo, di tutte le volte che ha fatto finta di non accorgersene, delle volte in cui quella presenza ha cominciato a dargli un minimo di conforto.
“Veglierò su di te,” gli aveva detto una volta. E dopo tutta quella merda che è successa, Dean prova un leggero e odioso sollievo al pensiero di qualcuno che lo faccia sentire anche solo una tacca di più al sicuro.
“Beh, l’idea di dormire è andata a farsi fottere,” enuncia ad alta voce. Cerca Castiel con lo sguardo, trovandolo seduto sulla sedia della scrivania, nella penombra. “Distraimi, Cas. Come va?”
Gli ha già fatto una richiesta simile, Dean spera che se lo ricordi e che lo assecondi nuovamente. Castiel si alza, si avvicina di qualche passo, forse pensa che stare così distante non abbia più senso dal momento che Dean si è accorto di lui.
“Sto bene,” risponde semplicemente.
“Bene. Rowena ha smesso di incasinarti il cervello?”
“Sì, l’incantesimo non ha più effetto su di me.”
“Bene. Anzi, ottimo.”
Cas stringe un po’ le labbra, fa quel suo sguardo pieno di comprensione che subito gli fa rigirare lo stomaco. “E tu come stai, Dean?”, si siede sul bordo del letto. Dean ridacchia. “Alla grande, come sempre.”
Cas gli rivolge un’occhiata da ‘non mi bevo le tue cazzate’, ma non come la bitchface di Sam, no, è qualcosa di più… dolce. (“Non sono esattamente un modello da imitare.” “Questo non è vero.”)
“Sto bene, Cas.”
Dean lo afferma imprimendoci tutta la sua convinzione. Forse se ci crede Cas, riuscirà a crederci anche lui.
“Non penso tu stia bene, Dean.”
“Ah, sì? E perché no?”
“Primo, perché non riesci a dormire.”
“Quello mi succede di continuo. È un po’ quello che succede in questo ramo di lavoro, sai.”
Sembra che Castiel stia per ribattere qualcosa, ma abbassa per un attimo lo sguardo, prima di procedere.
“Secondo, perché sei stato un demone, sei stato posseduto dal marchio di Caino, hai picchiato e ferito molte persone, alcune le hai ucci-“
“Woah, ok, ho capito l’antifona. Gesù.”
Castiel sospira. “Quello che voglio dire è che è impossibile che tu stia bene. Tutto quello che è successo è… troppo, anche per uno come te.”
‘Anche per uno come te’. Dean si chiede cosa intenda Cas con una frase del genere. Per un cacciatore, forse? Sente di stare stropicciando le coperte.
“Uh, è per questo che sei qui? Sei venuto a controllare che non timbri il cartellino in anticipo, o qualcosa del genere?”
“Sono qui perché mi hai chiamato.”
Dean batte le palpebre. Cerca di ricordarsi di avergli mai telefonato, o di aver pregato. Non ha fatto niente del genere, negli ultimi giorni. Persino per dire di essere riuscito a sconfiggere l’incantesimo, Cas aveva telefonato a Sam. Dean era troppo incazzato con entrambi per rispondere al telefono.
“Non ti ho chiamato.”
Castiel sospira di nuovo – come se stesse parlando con un bambino indisponente – alza lentamente due dita, l’indice e il medio. Dean si chiede se voglia ‘zapparlo’ da qualche parte.
“Le vedi queste?”
Dean annuisce, confuso ma attento. “Sono tutto quello che mi serve per guarirti, quando sei ferito. Non importa quanto sia grave, io posso toccarti, e tu stai bene. Forse anche meglio di prima.”
Ci dev’essere un gioco di parole in quella frase, ma Dean decide di ignorarla, per il momento.
“Quel tipo di dolore, quello che hai tu, viene da un posto che non posso raggiungere coi miei poteri,” Castiel si allunga, le dita lunghe ed affusolate che si posano sulla maglietta di Dean, all’altezza del petto. Due polpastrelli, sul cuore. “Viene da qui. È da qui che mi hai chiamato.”
Dean sente l’irrefrenabile familiare impulso di minimizzare, di dire ‘Sì, certo Cas, e poi hai trovato la pentola alla fine dell’arcobaleno’, di ridere. Il problema è che sa che Castiel ha sentito il battito accelerare. Non si berrebbe il tentativo di sviamento, non se ne andrebbe. Cas non è Sam.
E Quindi Dean deglutisce. La parte che odia questa cosa, che gli urla quanto sia debole nel sentirsi al sicuro nelle mani di una qualsiasi altra persona o essere al mondo che non sia sé stesso, scalpita furiosamente.
Cas ritrae lentamente la mano, raggiunge l’altra e le incrocia in grembo.
Dean – o meglio quelle urla sovrumane che tentano di sovrastare tutto nel suo cervello, insinuano che adesso Castiel dirà qualcosa, qualcosa di troppo, e Dean deve scappare e deve scappare subito.
Invece segue solo il silenzio. Castiel lo lascia combattere con sé stesso, guardandolo fisso, come farebbe ogni giorno, come ha sempre fatto, come se quello che è appena successo non cambiasse assolutamente niente. E infatti è così, si risponde prontamente Dean.
Richiude la bocca, riaggiusta il respiro. Il cervello ha intuito lo scampato pericolo, niente è cambiato, tutto è come sempre, Cas è qui e va tutto bene.
Va tutto bene.
Si rilassa, ma ha bisogno di staccare un attimo lo sguardo. Ritorna al soffitto, al biancore.
“Ehi, Cas,” butta lì in un momento di assurdo coraggio – esclusivamente notturno e che non capiterà mai più, “Puoi anche sdraiarti. Tanto lo so che non vai da nessuna parte, e qui è sicuramente più comodo.”
Riesce a sentire il trench strusciare contro le coperte, il peso di Cas che affossa il materasso.
“Buonanotte, Dean,” sono le ultime parole che sente in un soffio, prima di addormentarsi profondamente.

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Capitolo 10
*** Twitter ***


Pairing: Destiel
Prompt: Twitter!AU
Note: è in inglese, sorry.


23 giugno 2015, 17:13

Dean Winchester @lovemesomepie
#LifeSucks.

23 giugno 2015, 17:45

AngelOfTheLord @angelofthelord
I utterly and completely dislike people who say life sucks. *frowny face*

23 giugno 2015, 18:34
@angelofthelord Excuse me? Why do you care what I think, dude? #wtf

@lovemesomepie I did not say I was speaking directly to you *frowny face*

@angelofthelord U didn’t have to, I wrote 2 seconds b4 u posted ur thing

@lovemesomepie I am sorry, I do not understand you *frowny face*

@angelofthelord ugh, jesus y do I even bother. Idek u #Imout #peoplearefuckedup #Isaywhateverilike!

23 giugno 2015, 23:50

@lovemesomepie My name is Castiel.





24 giugno 2015, 19:30

AngelOfTheLord @angelofthelord
I completely and utterly dislike people who don’t know how to spell.

@angelofthelord Seriously, dude, come on. What the fuck.

@lovemesomepie I am glad to see you know the language again.

@angelofthelord It’s only 140 characters! Jesus! WTF’s wrong with you!

@lovemesomepie I don’t think I should tell the whole internet *frowny face*

@angelofthelord Great, do you want to meet up for coffee or something?! #thisdude #Imean

@lovemesomepie Sure, it would be nice *happy face*

@angelofthelord Wait, what?

@lovemesomepie I would love to meet you for coffee. *thumbs up*

@angelofthelord I thought you disliked me #confused

@lovemesomepie I never said I disliked you *frowny face*

@angelofthelord Never mind… #letitgoDeanletitgo




25 giugno 2015, 21:35

@lovemesomepie Hello, Dean.

@angelofthelord What do you want!

@lovemesomepie We had an appointment.

@angelofthelord No we didn’t!

@lovemesomepie I’m sorry I didn’t make myself clear. We have to schedule an appointment.

@angelofthelord No we don’t! #jesus #stalkermuch

@lovemesomepie But you promised me coffee *sad face* *frowny face*




26 giugno 2015, 15:31

@lovemesomepie Hello, Dean.




27 giugno 2015, 15,31

AngelOfTheLord @angelofthelord
I utterly and completely dislike people who don’t answer you.

@angelofthelord If I agree to meet you for coffee, will you stop bothering me?

@lovemesomepie When have I bothered you? *frowny face* *frowny face* *frowny face*

@angelofthelord … Just DM me your phone number.

@lovemesomepie When are we going to meet, Dean? *happy face*

@angelofthelord DM the number!

@lovemesomepie But when?

@angelofthelord TOMORROW! THE NUMBER! #JFC




30 agosto 2015, 20:17

Dean Winchester @lovemesomepie
@angelofthelord Look at us, all sunset and shit                                        Photo



* AngelOfTheLord @angelofthelord added your tweet to favourites

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Capitolo 11
*** Weiner Hut ***


Pairing: Destiel
Prompt: AU in cui Cas è un pizzaiolo. E Dean comincia inspiegabilmente a preferire la pizza ai cheeseburger.

 
“Andiamo da Alfie?”
Sammy chiude lo sportello dell’Impala e lo guarda un po’ sorpreso. “Da Alfie? Pensavo ti andasse un hamburger.”
Dean accende il motore e fa spallucce. È sempre contento delle serate in cui Sam lo va a trovate e vanno a mangiare cibo schifoso come ai bei vecchi tempi, prima che si trasferisse a Stanford a studiare.
“Mi va anzi la pizza.”
Sam lo lascia guidare per due minuti prima di esclamare. “Ah, ho capito.”
“Cosa?”
“Vuoi andare dal cuoco di Alfie.”
“Dal chi di cosa?”
“Il tipo che fa le pizze. Castiel, forse?”
“No!”
“Uhu, certo.”
“Fanno la pizza più buona del quartiere, tutto qui!”
“Ehi, ho detto ‘certo’, no?”
Dean vorrebbe frenare di colpo, tornare indietro e sfasciare il trabiccolo che Sam si ostina a chiamare macchina, tanto per. “Non sarei tanto spiritoso con uno che ti deve riparare l’auto, e lo fa per lavoro.”
“Dì quello che ti pare, ti ho beccato.”
“Finiscila, Sam.”
Sammy ridacchia e smette di parlare.
Rimangono in silenzio tutto il tragitto, e Dean ringrazia la sua buona sorte.
E poi la maledice, perché appena aprono la porta del locale, Alfie gli va incontro come un cucciolo di cane abbandonato.
“Dean Winchester! Tre volte in una settimana, a cosa devo l’onore?”
Dopo cinque minuti – seduti al tavolino che da’ direttamente verso la zona cucina, da dove può vedere chiaramente Castiel impastare, infornare, fermarsi a lanciargli uno sguardo blu, e ricominciare da capo - ha ancora le risate di suo fratello nelle orecchie.

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Capitolo 12
*** The inevitable home movie ***




Dean è stranamente quieto.
Sam sorseggia il suo tè verde a colazione, mentre Dean spilucca il suo piatto di uova e pancetta in silenzio. Non è da Dean essere così silenzioso, ma si trattiene dal fare commenti – cosa? Ogni tanto gli riesce.
Lo osserva pacatamente mentre pungola il cibo con la forchetta, un sorriso mesto e quasi nascosto sulle labbra, lo sguardo perso alla sua destra. Non sta veramente guardando la sala vuota del loro appartamento, però. Sam comincia a sospettare che si tratti di Castiel quando Dean sorride apertamente portandosi un wurstel alla bocca.
“Okay, è abbastanza.”
Sam si alza di botto, spaventando Dean che lo guarda allontanarsi un po’ confuso. “Cosa?”, gli urla dietro.
Sam non risponde, perché non vuole sapere niente. Si rifugia in camera sua e fa voto di non pensare mai più a quello che passa nella testa di suo fratello la mattina dopo un pigiama party a casa di Cas.

Sam adora le serate da solo, quando Dean ha il turno serale al pub e lui può godersi la tv senza litigate, e senza dover cercare il telecomando che Dean puntualmente ha nascosto per non fargli vedere i suoi documentari preferiti su Discovery Channel.
Si accomoda sul divano marrone con una birra e una ciotola di pop-corn appena fatti, con l’intenzione serissima di finire il film di Capitan America iniziato la sera prima (Dean si è addormentato e gli ha proibito di continuarlo da solo. Ma che cavolo, adesso quell’idiota non è mai a casa, destreggiandosi tra il lavoro e l’appartamento di Castiel, quindi che si fotta, Sam vuole finire di vederlo).
Mette play al lettore con una manciata di popcorns già in bocca.
Già gli fa strano che non ci sia la pubblicità solita iniziale, e i divieti contro la pirateria, ma si dice che forse alla seconda visione non li mettono più? Gli sembra una scusa idiota, e continua a fissare lo schermo nero con le sopracciglia aggrottate. Dopo un pochino comincia a pensare di aver rotto in qualche modo il lettore, o che magari si sia rigato il DVD.
Questo finché non appare il faccione di suo fratello sullo schermo. Sembra stia armeggiando con qualcosa, come nei filmini delle vacanze che facevano da piccoli. Iniziavano sempre con la faccia di qualcuno che aggiustava dei settings o qualcosa del genere – quando non iniziavano con l’asfalto e i loro piedi, naturalmente.
Sam ha una stretta allo stomaco. Quando Dean comincia a muovere la telecamera per aggiustare l’inquadratura, gli viene un terribile pensiero di quelle persone che prima di fuggire – o peggio, prima di suicidarsi – fanno un video messaggio di addio. Qualche popcorn gli cade dalla bocca che non è ancora riuscito a chiudere.
Quando Dean fa due passi indietro, la camicia di flanella che svolazza con lui, nota che la camera gli è sconosciuta. E con orrore, c’è un letto matrimoniale. Grande. Con Castiel seduto sopra. Oh, Dio.
“Hai finito?”, dice la voce profonda di Cas.
Sam ha un momento di speranza in cui crede fortissimamente che stiano per fare il video messaggio di addio in due. Magari vogliono dirgli che vanno a sposarsi a Las Vegas.
“Tutto sistemato, baby.”
“Non chiamarmi come la tua macchina.”
“Oh, andiamo, lo sai che non c’è competizione.” Dean si avvicina al letto, salendoci sopra a gattoni.
“Ah, sì?” Castiel si volta verso di lui, rimanendo seduto, con la testa inclinata di lato e un sorriso di sfida.
“Certo,” Dean lo afferra per la cintola con due dita. “Il tuo cambio manuale mi piace molto di più.”
Sam si riprende dallo shock e si strozza con tre popcorn dalla fretta di eviscerare il DVD dal lettore.
Dopo dieci minuti è ancora a terra a cercare di riprendere fiato.
Fa l’ennesimo voto della sua vita: lui non ha visto niente. Non ha mai visto niente e non vedrà mai più niente.
Ritrova il DVD di Capitan America, ma lo aiuti Dio se riesce a concentrarsi su quello che succede.

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Capitolo 13
*** The Alley dejà-vu ***




La testa sbatte contro i mattoni e fa male, cazzo se fa male.
Castiel gli stringe il bavero, arricciando il naso per la rabbia. Dean fa a malapena in tempo a pensare qualcosa, un lampo di dolore che gli pervade il cervello partendo dalla nuca.
Quando Castiel – perché al momento non è Cas, è il fottuto angelo del Signore dalla forza e potenza di mille soli – lo alza di peso, sempre tirandolo dal bavero, Dean riesce a stringergli i polsi.
È una muta richiesta che è incapace di articolare, ‘Per favore, non farmi male. Lasciami andare.’ – perché Dean Winchester non supplica nessuno.
Non si ricorda nemmeno cosa l’abbia scatenato a quel modo, stavano parlando, forse Dean lo ha preso per il culo in uno dei suoi soliti modi idioti, scordandosi che dall’altra parte non c’è l’orecchio di Sam.
Una classica mossa delle sue.
Castiel lo perfora con lo sguardo, le mani strette sulla giacca, il respiro affannato. Dean è poco lucido, deve esserlo, perché si sofferma su questo pensiero. Gli angeli non hanno bisogno di respirare, non davvero, quindi come può essere affannato?
Spinge lo sguardo sulla sua bocca, guardando le nuvolette di vapore che si formano nell’aria fredda dell’inverno. Cas stringe ancora di più la presa, pare farsi più vicino. Dean potrebbe giurare che le loro nuvolette siano una sola, unite come fumo di sigaretta e ossigeno, una danza oscena - ipnotica.
Riesce a vedere i denti di Castiel, bianchissimi in quel vicolo buio, prima che Castiel lo inchiodi con gli occhi nei suoi. Le pupille di Castiel si dilatano, oscurando quel blu intenso, in una tensione magnetica che lo farebbe vacillare se non fosse appuntato al muro. Le iridi si illuminano per un secondo, un battito di ciglia in cui qualcosa fluttua in quel color oceano, sparendo all’improvviso sotto un’onda che vi si infrange dentro.
“Cosa…”, Dean riesce a farfugliare. ‘Cosa stai facendo’, vorrebbe dire, ma la domanda gli rimane attaccata al palato. “Cosa…?”
La presa si allenta, Dean si accascia contro la parete, scivolando quasi a terra – si tiene su con una mano sul ginocchio. Castiel lo guarda dall’alto, le mani serrate a pugno. Il trench gli svolazza attorno quando si gira.
Dean alza lo sguardo. Castiel lo sta lasciando lì, in quel vicolo sporco, il fiato corto e qualcosa come cento mattoni nello stomaco.
“Cosa ho fatto?”, riesce a urlargli dietro, dopo aver buttato giù un grumo di saliva grande quando il suo pugno.
Castiel non si volta a guardarlo, e sparisce in un battito d’ali.

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Capitolo 14
*** The Crypt ***


Castiel sta per infierire un altro colpo, la mano tesa sopra la testa, lo sguardo vacuo.
Dean non ha idea di cosa stia succedendo, ma ha capito che insultarlo e provocarlo non sta avendo effetto.
Pensa a Sammy, là fuori. Non vuole che debba entrare a trovare il suo cadavere steso lì a terra, ucciso dal loro migliore amico per un pezzo di pietra.
Cerca di farsi forza, mollare l’ancora dell’orgoglio e tirare fuori un pezzo di cuore. Per lui. Per Sammy. Per Cas.
“Cas, lo so che sei là dentro…”, Dean riesce a rantolare un respiro, troppe cose rotte in troppo poco tempo. “Lo so che riesci a sentirmi…”
L’angelo si ferma. Non lo colpisce più, ma non lascia nemmeno la presa sul suo polso, né la lama che tiene puntata su di lui.
“Cas… sono io."
Più a fondo, Winchester. Devi scavare più a fondo.
"Siamo una famiglia."
Più a fondo.
"Abbiamo bisogno di te. Io…”
Ti amo.
Vorrebbe dirglielo. Dovrebbe dirglielo.
Ma gli esce solo sangue, dalla gola. Lo ingoia, insieme alle parole che non ha mai detto a nessuno.
“Ho bisogno di te.”

Castiel batte le palpebre.
Non è più in Paradiso, è finalmente riuscito a riprendere possesso del suo corpo, lontano da Naomi.
Dean è in ginocchio di fronte a lui, imbrattato di sangue; la peggior visione dell’universo.
Molla la lama, incredulo, ancora scombussolato.
Raccoglie la tavoletta da terra, e in un lampo di luce bianca è tutto più chiaro. Lucido.
Dean è accasciato ai suoi piedi, dolorante.
Dolorante.
Certo, Castiel può fare qualcosa a riguardo.
Allunga la mano, e vederlo che si ritrae, spaventato, fa male in posti che Castiel non sapeva di avere.
La sua Grazia si stacca fluida dal palmo della mano, e cura il cacciatore in un quello che per lui è un nanosecondo.
“Mi dispiace così tanto, Dean.”
L’ennesima volta che gli chiede scusa, l’ennesima volta dopo che lo ha ferito. Prega – sì, lui, l’angelo – prega solo che Dean continui a perdonarlo, come lui continua a perdonare Dean.
Castiel lo aiuta a rimettersi in piedi, ancora un po’ curvo sotto il senso di colpa, accentuato dall’espressione confusa di Dean. “Cosa diavolo è successo?”
E Castiel prova a spiegare, a far capire qualcosa che riesce a malapena a comprendere lui stesso.
“Quindi Naomi ti teneva sotto il suo controllo da quando ti ha tirato fuori dal Purgatorio?”
“Sì.”
Nient’altro da aggiungere, nessuna scusa da dare. La colpa è di Naomi, eppure Castiel ricorda la sensazione di potere e invincibilità nel picchiarlo, il sentore che fosse la cosa giusta da fare.
Non è tanto l’atto in sé, quanto il piacere che provava mentre lo faceva, a chiudergli in una morsa il petto.
“Che cosa ha rotto la connessione?”
Tu.
Vorrebbe dirglielo. Dovrebbe dirglielo.
Ma ha la gola troppo stretta, il petto contratto, sintomi umani che sente improvvisamente tutti suoi.
Distoglie lo sguardo.
“Non lo so.”

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Capitolo 15
*** I know the shame in your defeat ***


Prompt: Non era mai il momento di essere solo Dean e Cas. Il mondo veniva prima.
Note: Scritta prima dell'inizio dell'undicesima stagione. Oserei dire LOL.




Dean tornò dal bagno per trovare Castiel in piedi come uno stoccafisso in mezzo alla stanza del motel.
Riuscì a nascondere il mezzo infarto, questa volta, con suo grande compiacimento.
“Ehi Cas, che si dice?”
Lanciò l’asciugamano sul letto e si rinfilò la camicia verde sulla maglietta nera. Castiel lo seguiva con lo sguardo, come sempre.
“Niente di che. Ecco perché sono qui, sono… preoccupato.”
“In che senso?”, chiese, mentre si arrotolava meglio le maniche.
“Non ci sono comunicazioni dal Paradiso. È tutto così… quieto.”
“Mi stai dicendo che ti spaventa che siamo tranquilli, per una volta?”
Castiel annuì, grato che avesse capito, come sempre ignaro del sarcasmo di Dean. Che ridacchiò.
“Goditi la vacanza, Cas. Io dico che ce la siamo meritata.”
Castiel si accigliò, capendo finalmente che il cacciatore non era sulla sua stessa linea d’onda.
“Non capisci, Dean. Metatron è scappato. Dovrebbe esserci il caos, e invece…”
“E invece i tuoi soldatini aspettano fedeli il tuo ritorno. Sono sicuro che sanno mandare avanti la baracca anche così.”
“No, Dean…”
“Oh, andiamo. Non è più come anni fa, prima di Lucifer e tutto quanto. Si sono abituati a stare senza la mamma.” Passò a dargli una pacca sulla spalla - “Rilassati, okay?” - prima di andarsi ad appoggiare al tavolo del motel, posizionato di lato sotto la finestra.
Castiel stava stringendo le labbra e abbassò il capo. Non era convinto. A Dean non piaceva vederlo così, non se poteva farci qualcosa.
“Senti. Ti capisco, okay? Passo anche io la maggior parte del tempo a preoccuparmi di cosa arriverà dopo. Un’altra tragedia, un’altra Apocalisse, tutta quella merda. Per questo dico: fanculo, godiamoci questi giorni di calma finché durano. Perché credimi… non durano mai molto.”
Castiel rilassò un po’ le spalle, le labbra strette si trasformarono in un sorriso mesto. Gli spedì uno di quegli sguardi con gli occhioni tondi di gratitudine, come un cucciolo a cui hai appena dato la pappa.
Lo rendeva nervoso, quello sguardo.
“Grazie, Dean.”
“Ah, non dirlo. Piuttosto, dimmi: cosa ti piacerebbe fare?”
Castiel assunse la sua espressione confusa. “Cosa intendi dire?”
“Sì, ora che sei disoccupato,” gesticolò. “Che sei in vacanza.”
Sembrò pensarci su. “Non saprei.”
“Andiamo, avrai qualche idea. Una SPA. Un salto sulle Dolomiti.”
Castiel sembrava a disagio, ma Dean non ci fece caso, perché Cas sembrava sempre a disagio. “A dire il vero…”
“Sì?”, incrociò le braccia, in attesa.
“Se non ti dispiace… preferirei rimanere qui. Con te.”
Dean non mosse un muscolo.
Aspettò che le parole gli si depositassero intorno, e poi svanissero, trasformate in polvere. Lo facevano sempre.
Non questa volta, però.
Così rimase a fissarlo, i sottintesi di quella frase che aleggiavano avanti e indietro nella stanza.
“Certo che puoi rimanere.”
Sam aprì la porta di botto con la spesa sotto braccio e un pacco di fogli di giornale in mano. “Ehi, senti questa…”, alzò lo sguardo brevemente - “Ehi, Cas." - lo riportò sull’articolo. “C’è questa donna che…”
Si buttò nella descrizione dettagliata del caso e del perché avrebbero dovuto prenderlo.
Dean annuì nei punti giusti e cominciò a preparare la sacca quando Sam iniziò a riempire la propria.
Castiel rimase a guardarli tutto il tempo in silenzio.
La quiete era finita. Come aveva detto Dean, non durava mai troppo da quelle parti.

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Capitolo 16
*** Amiss ***


Prompt: Dean si trova catapultato nel corpo di Jensen. Jensen che ha una relazione molto spinta con uno che sembra Cas, ma non è Cas.
Titolo: Amiss.
Parole: 3.131
Note: non proprio catapultato nel corpo di Jensen, ma la mia mente è ferma là al finale di stagione, quindi this happened.


 
Era tutta colpa di quella dannata spaccatura.
Ci era entrato senza pensarci, senza considerare dove sarebbe andato a finire. Il figlio di Lucifero era sparito, non riuscivano a trovarlo, e Sam si ostinava a dirgli di chiamarlo Jack come se la cosa gli importasse. Come se non avesse dovuto lasciare il corpo di Cas, scomposto sul terreno, per ore. Ore.
E quando non erano riusciti a trovare la dannata progenie del demonio, Dean era tornato sui suoi passi ed era rimasto lì, a guardarlo, le gambe piegate, i segni delle ali bruciate, il vuoto ad abitargli la cassa toracica.
Così, quando quella cosa era riapparsa, brillante e frastagliata, non aveva speso molti pensieri alle conseguenze, a Sam, era entrato e basta, perché ogni cosa sarebbe stata meglio di quello.
Quando aveva riaperto gli occhi, dall’altra parte della spaccatura, era in una camera d’albergo. Si guardò intorno brevemente, non riconoscendo niente, senza capire come fosse riuscito a finire in una di quelle stanze lussuose che lui e Sam non si sarebbero mai potuti permettere. La spaccatura, intanto, era scomparsa.
La televisione era accesa su di un tizio con i dei buffi capelli arancioni – e una faccia da coglione orribile – che parlava agitando delle piccole mani, e Dean rimase a fissarlo per un po’, stupito di vedere il simbolo presidenziale alle sue spalle. Quello era il Presidente degli Stati Uniti in quell’universo? Wow. Quei tizi erano fottuti, più di loro che avevano avuto Satana in persona.
La porta del bagno si aprì, ridestandolo, e mentre il rumore di uno sciacquone avanzava dallo spiraglio, Dean non ebbe per nulla il tempo per prepararsi ad accogliere la persona che ne uscì, con il capo chino su di un asciugamano che poi gettò dentro il bagno con un gesto secco.
“Oh,” disse Cas, quando finalmente alzò i suoi occhi – i suoi occhi vivi – su Dean. Sorrise in un modo che Dean non gli aveva mai visto fare prima, e certo che no, questo era un altro Cas, non il suo Cas. Il suo era…
“Sei venuto fin qui direttamente dal set?”
Anche la voce era tutta sbagliata. Non era profonda e roca, non era inflessibile e rigida.
“Ehi,” disse, avvicinandosi, probabilmente perché aveva notato come Dean non riuscisse a muoversi, a fare niente di più che non fosse battere le palpebre e respirare. “Tutto bene?”
Dean riuscì a racimolare le forze per accennare un movimento del capo in assenso, e Cas, che poi non era Cas, non con quella voce strana e la postura sicura, sospirò. “Un bel bagno caldo? Che ne dici?”
Un bagno caldo? Da quanto tempo non ne faceva uno? E se anche lo avesse fatto il giorno prima, non gli importava. Non importava nemmeno che non fosse Cas, perché ci andava vicino abbastanza, e Dean voleva poter continuare a guardarlo. Almeno per ancora un altro po’.
“Comincia pure a spogliarti, intanto riempio la vasca.”
Cas spense il televisore e si dileguò con quel sorriso così peculiare, che però Dean doveva ammettere vestisse bene sul suo viso, illuminandolo di una luce tutta particolare. Forse quel Cas era felice, nei suoi vestiti umani e nei modi fluidi sebbene ancora un po’ impacciati con cui si muoveva. Forse quel Cas era di un universo in cui non esistevano i mostri. Aspetta, non gli aveva parlato di un set…?
“Sei ancora vestito.”
Dean si era perso nei suoi pensieri, e la testa di Cas che faceva capolino dal bagno aveva un cipiglio che quasi gli ricordava quello di- quello che non avrebbe più…
Cominciò a sfilarsi la giacca e la camicia con gesti meccanici, concentrandosi sul rumore dell’acqua che scorreva, distante, nell’altra stanza.
Cas non lo aveva mai visto nudo, ma importava davvero qualcosa, ormai? Rimase comunque in boxer, incerto su quali fossero i confini su cui ballavano quel Dean e quel Cas di quell’universo. Lui e il suo Cas ci avevano ballato abbastanza, sul dannato confine, questo era certo.
Entrò nella stanza, grande, bianchissima, che la vasca era ormai quasi ricolma, piena di schiuma, invitante e profumata, con una stupida paperella di gomma a galleggiare sull’acqua fumante.
“È di Maison,” disse Cas, come se dovesse spiegare tutto, un sorriso diverso a colorargli le labbra. Quel tipo di sorriso che riservi alle cose belle. “Ovviamente. Ho pensato potesse tirarti su di morale.”
Dean non rispose, e Cas piegò leggermente le labbra all’ingiù, sospirando un’altra volta.
“Entra,” aggiunse, e Dean fece scivolare i boxer alle caviglia solo perché sarebbe stato stupido tenerli addosso oltre.
Non aveva mai avuto vergogna del proprio corpo. Lo aveva mostrato, con un certo orgoglio, a un discreto numero di ragazze, con un ghigno soddisfatto e nessun rimpianto per la leggera morbidezza del ventre segno di troppi burger e di troppe birre. Alla fine, era un cacciatore, e si meritava quei premi. Non che avrebbe smesso, se non li avesse meritati.
Adesso, però, era diverso. Non riuscì ad evitare di stringersi l’avambraccio in pugno, i piedi freddi sulle mattonelle, il disagio a strisciargli addosso. Era nudo. Era nudo davvero, di fronte a Cas.
Tenne lo sguardo basso mentre appoggiava i piedi sul fondo della vasca, e anche mentre si sedeva, finendo per appoggiare il mento sulle ginocchia. Non era più freddo, ma non era possibile rilassarsi in quella bolla di calore e profumo, non quando c’erano troppe dannate implicazioni.
Forse se lo avesse lasciato solo, forse se avesse solo potuto piangere…
L’acqua si mosse sul corpo di Cas che entrava a sua volta, prendendo posto di fronte a lui. Dean non si era nemmeno accorto che si fosse tolto i vestiti.
Gli istanti si dilatarono nel tempo, in un silenzio riempito solo di sguardi, e di acqua che non voleva smettere di gocciolare sul pavimento a intervalli regolari.
“Ehi,” Cas si avvicinò, posandogli le mani sulle ginocchia. “Mi stai spaventando. Vuoi dirmi che cos’è successo?”
Cos’era successo? Da dove poteva cominciare? E soprattutto, come? E forse avrebbe anche potuto rispondere, se Cas non avesse fatto salire la mano dal ginocchio per circondargli il viso con il palmo.
“Ehi…”, disse ancora, mentre Dean premeva la testa contro quel contatto, ad occhi chiusi.
Perché? Perché era stato così stupido? Perché non aveva mai allungato le dita a quello stesso modo?
Cas doveva aver capito che la sua anima si stava nutrendo di quel tocco rubato, nonostante non sapesse che Dean stesse barando, che non fossero quelle le mani, le dita, le labbra, la voce. Gli occhi. Doveva averlo capito perché prese a massaggiargli la pelle, lento e delicato, come se Dean dovesse esplodere in mille pezzi. Se fosse successo, non si sarebbe nemmeno stupito granché.

Finì a sedersi sul materasso, un accappatoio troppo morbido addosso, i capelli che gli bagnavano il collo e il colletto, mentre Cas finiva di sistemare il bagno e svuotava la vasca, piegato in avanti oltre il bordo in un capo bianco gemello al suo.
Riemerse poco dopo, il volto teso ma deciso a continuare a sorridergli, e scivolò a sdraiarsi di fianco sul letto, battendo due volte la mano vicino a sé. Dean si lasciò andare lentamente all’indietro, specchiandolo nella posa, il braccio ripiegato sotto la testa.
Aveva la testa confusa e calda dal massaggio, da come era stato lavato e coccolato. Non gli era mai capitato prima, e farlo fare a Cas era stato così assurdo e ipnotico insieme. Si sentiva purificato, come se un nuovo Dean fosse emerso, uno un po’ più nudo d’anima, più giusto. O forse solo uno a cui non importava che stesse barando.
Cas allungò le braccia per attirarlo a sé, e Dean strusciò in avanti come mosso da un magnete. Era lì, che doveva andare. Che sarebbe sempre dovuto andare.
Si lasciò massaggiare ancora, dalle braccia giù fino al fianco, rilasciando solo un sospiro quando Cas gli fece scivolare l’accappatoio sul bordo della spalla per lasciare baci sulla pelle bagnata.
Risalì sul collo di Dean, sulla mascella, costellandola di baci leggeri per poi coprirla col palmo ed esitare di fronte alle sue labbra. Dean riaprì gli occhi, non voleva perdersi nulla di quello spettacolo di occhi blu come mare in tempesta. Come se non fosse poi così spaventoso buttarsi. Come se non contasse essere stato tanto stupido da non farlo prima. Cas esitò ancora un altro istante, uno di troppo, e Dean prese il coraggio a due mani e si tuffò. Atterrò sulle labbra di Cas come la nave che si schianta sulle rocce sulle onde della tempesta, muovendosi avidamente, prendendosi tutto perché tutto era esattamente quello che voleva. Voleva la pelle di Cas sotto le dita e lo spinse a disfarsi dell’accappatoio, scacciando poi il proprio come meglio riusciva.
Voleva toccarlo ovunque riuscisse ad arrivare, conoscere i contorni di quel corpo che custodiva un cuore battente, voleva esplorarne i confini e le sue unicità, come quel neo sul petto, la cicatrice sulla coscia, figlia di chissà quale cosa quel Cas avesse fatto in quell’universo che non gli apparteneva.
Ecco, eccola lì la risposta. Voleva appartenergli. Voleva appartenere almeno a questo Cas.
Si fermò su quella realizzazione, fissando Cas in affanno, che si distrasse solo un attimo a guardargli il tatuaggio con uno strano cipiglio confuso, prima di avvicinarsi per riprendere a baciarlo, ma Dean lo fermò prendendogli il viso tra entrambe le mani, e lo guardò.
Lo guardò a lungo, con devozione inesprimibile a parole. Si leccò le labbra, continuando imperterrito, mentre Cas faceva passare gli occhi da una pupilla all’altra, boccheggiando appena. Anche il Dean di questo universo doveva essere un coglione. Doveva darlo per scontato, o doveva averlo tenuto lontano, perché solo così si poteva spiegare lo sguardo stupito di Cas, di quello stupore che poi passava all’emozione. Lasciò passare i secondi, attendendo che Cas gli aprisse il cuore, e lo inglobasse là dentro, facendolo suo.
“Dio,” mormorò Cas, gli occhi lucidi, prima che loro bocche si scontrassero di nuovo. “Dio,” disse ancora, quando i baci presero uno strano contorno di disperazione. “Sei così-“, provo a dire, ma Dean lo zittì con un altro bacio, perché non voleva parole che erano per l’altro Dean. Se le avesse volute, se le sarebbe dovute meritare.
Lasciò che i loro corpi sfregassero, manifestando il bisogno di sentirsi più vicini, ma senza osare abbassare le mani a toccare Cas. Intuì che i movimenti di bacino sarebbero stati sufficienti, e infatti Cas lo spinse contro il materasso fino a farlo combaciare con la sua schiena. Si alzò sulle ginocchia, i capelli bagnati spettinati e schiacciati in modo scomposto sulla testa, un’espressione di seria determinazione. Come Cas che si preparava ad una missione. Il suo Cas. Finalmente.
Che si abbassava tra le sue gambe e si faceva strada tra la pelle morbida con la lingua, strappandogli esclamazioni agitate che non sapeva essere capace di produrre.
Era meticoloso, Cas, come sempre quando si trovava di fronte ad un compito importante, e gli si dedicò con attenzione, con una strana calma, tradita solo dal modo in cui le sue dita affondavano sempre più forte nella carne della coscia, e dal fiato sempre più corto.
Dean riaprì gli occhi quando il calore lo abbandonò e sentì la presenza di Cas a sovrastarlo, trovandoselo davanti al viso, quell’espressione seria ancora dipinta in volto. Dean si sporse a baciarlo, anche solo perché non dicesse niente, anche solo perché il farlo lo aiutasse a districare le dita dalle sbarre del letto – dita che Cas distese sul cuscino e strinse tra le proprie, mentre si aiutava con l’altro palmo ad allinearsi e spingersi piano in Dean.
Strinse i denti, gli occhi, e la testa di Cas contro la spalla. Faceva male, eppure faceva così bene.
Faceva male di carne che si adattava ad altra carne, faceva male di parole che non aveva mai detto, di momenti che non aveva mai colto. Faceva bene di punizione e di benedizione allo stesso tempo.
Cas non lasciò la presa dalle sua dita, infilando l’altra mano sotto il braccio e la spalla e stringendo forte. Solo quando Dean rispose alla stretta premendolo ancora di più contro di sé, sul collo, Cas cominciò a muoversi, piano. Riemerse per baciarlo, ancora e ancora, scendendo dentro Dean con una calma surreale, mentre la stanza si riempiva dei loro sospiri.
Dean cercò di sperimentare, provando a muovere il bacino, accompagnandosi a Cas, andando con lui e poi contro di lui, portandoli ad aderire completamente, tanto che un identico roco verso di piacere lasciò le loro labbra. Ma ben presto non fu più abbastanza.
Quel ritmo lento non era più sufficiente, non bastava a fargli smettere di- di pensare.
Mugolò piano, stringendo il fianco di Cas, che come obbedendo a un comando istantaneo si scostò e lo fece girare di scatto sulla pancia. Sorrise nel cuscino al pensiero dell’altro Dean, a cui evidentemente piaceva essere preso così. Aspettò che Cas ritornasse a scaldarlo da quel freddo improvviso, chiedendosi se sarebbe piaciuto anche a lui. Sperando di sì, o avrebbe dovuto aprire la bocca e parlare, e non voleva proprio.
Con una seria di baci sulla nuca, Cas lo ricoprì completamente come una coperta calda, e Dean poteva sentire il cuore che gli batteva forte contro la schiena. Strinse immediatamente le dita contro le sbarre del letto. Non doveva piangere, non lo avrebbe fatto. Era solo un cuore, un cuore qualunque, di una persona viva qualunque, un battito nato da un’emozione qualunque.
Solo che non lo era, perché era Cas, con la sua pelle appiccicata addosso che tornava di nuovo dentro di lui, fermandogli nuovamente i pensieri, grazie al cielo.
“Sei… fantastico,” gli disse quel Cas con la voce tutta sbagliata, e Dean non poteva fermarlo da quella posizione, quindi si limitò ad artigliargli la nuca. “Non so cosa sia successo oggi,” continuò, e Dean strinse più forte, mentre Cas aveva ripreso a muoversi a quella lentezza esasperante. “Non devi dirmelo,” ansimava. “Voglio solo che tu lo sappia. Che- che sei importante, per me.”
Sei troppo importante per me, gli aveva detto il Cas con la voce giusta, una volta, di notte, dopo aver ucciso un Mietitore per salvargli la vita.
“Sei importante,” ripeté, come se dovesse fare arrivare a modo il messaggio, e come se le sue parole non avessero il sapore di qualcosa di detto a metà.
Dean strinse tanto da sentire male alle nocche. Riprese a muoversi quando lo fece anche Cas, mettendo a tacere quella conversazione, e scoprì che sì, anche a lui, come all’altro Dean, piaceva.
Cas aumentò il ritmo sui suoni volgari che lasciavano la sua bocca, e aveva ricoperto la sua mano sulla sbarra del letto Dean non sapeva quando, l’altra ferma sul fianco di Dean.
Si lasciò andare ad altri versi inarticolati, e non gli importava nemmeno, perché Cas gli stava annullando i pensieri, e il calore bruciava e bruciava e dalle gambe saliva sempre di più, facendogli spalancare la bocca, e annaspare, rincorrendo a palpebre strette quel piacere contro le anche di Cas, che esplose con lui, insieme a lui, dentro di lui.
Come una cicatrice a forma di palmo sulla spalla, Dean era di nuovo stato reclamato.
Cas continuava a baciargli la nuca, la testa, il respiro affannato.                    
Doveva essersi assentato dalla realtà per qualche istante, preda degli eventi. Adesso che Cas si era sfilato da lui, e lo coccolava, i pensieri erano tornati, e Dean poteva rendersi conto di quello che aveva appena fatto. Con Cas. Con il Cas che non era davvero Cas.
Districò lentamente le dita dal collo di Cas e dalla sbarra, sentendole indolenzite, ignorando il freddo quando il corpo di Cas scomparve, cercando di capire dal rumore stridulo delle molle materasso dove stesse andando. “Girati.”
Obbedì e si lasciò pulire con uno dei loro accappatoi, intontito.
Il silenzio calò di nuovo su di loro, dilatando il tempo. Avrebbe potuto cominciare a misurarlo con gli sguardi, stabilendo come metro di misura le emozioni che vi leggeva dentro. Passò uno sguardo confuso ma appagato e un quarto. Due sguardi preoccupati e mezzo.
“Ti prego, dimmi cosa sta succedendo. Non hai ancora detto una parola.”
Lo accarezzava, quel Cas preoccupato, cercava di rimetterlo insieme raccogliendo i pezzi, ma Dean non aveva nulla da dire, perché non c’era nulla da raccogliere. Non più. Aveva già raccolto quello che poteva, uno scampolo di vita rubato a qualcun altro. In tipico stile Winchester.
“Jensen-“
Come se avesse sentito il suono di qualcosa spezzarsi dentro Dean, la spaccatura si riaprì, illuminando la stanza della sua luce pulsante.
Cas che non era Cas e che non era l’altro Cas, perché aveva un altro nome che Dean nemmeno ricordava, saltò in piedi di scatto, gli occhi spalancati e un urlo stretto dietro il palmo della mano.
Dean si rassegnò a raccogliere semplicemente le proprie cose, aggiustandole in un fagotto sotto il braccio.
Vieni direttamente dal set?
Dannazione, avrebbe dovuto pensarci. Avrebbe dovuto capirlo che in nessun universo un Dean sarebbe stato tanto coraggioso da tuffarsi, aggrapparsi alla nave e osare sfidare le acque in tempesta. In nessun universo Dean Winchester era abbastanza intelligente da farlo prima che fosse troppo tardi.
Si avvicinò alla spaccatura, pronto a passare oltre, a tornare a casa, ma qualcosa lo trattenne per la spalla. Cas o come ormai diavolo si chiamava era lì, preda di un’emozione contenuta a malapena negli occhi. Diverse emozioni, a dire il vero, ma la più profonda era di una compassione senza fine che minacciava di ingoiarlo vivo.
“Dean?”, sussurrò.
Un fulmine dritto in testa, a dividerlo in due sul posto, avrebbe fatto meno male. Meno male di essere stato visto nudo fuori e dentro, di essere stato riconosciuto da qualcuno che non esisteva nemmeno, di essere stato chiamato da una voce che non era quella che voleva sentire. Eppure era stato all’inferno, ma cos’è la tortura fisica rispetto a questo.
Rilasciò il sospiro stretto nelle spalle e si voltò di nuovo verso la spaccatura. La mano gli scivolò via dalla spalla.
Forse era un nome con qualcosa simile al russo? Avrebbe chiesto a Sam, Sam si ricordava sempre tutto.
“Misha,” disse la voce sbagliata alle sue spalle, e Dean perse la lotta contro se stesso per non tornare a guardarlo un’altra volta.
Misha – ma certo, cosa c’è di sbagliato nei nomi da queste parti? - sorrideva e piangeva, il mento che gli tremava in modo quasi incontrollato mentre gli occhi si gonfiavano sotto il peso delle lacrime, che cercava di scacciare con pesanti movimenti delle mani.
Chissà se Misha e quel Jensen erano mai stati come lui e Cas. Chissà se erano destinati a trovarsi ma non aversi, non davvero, in ogni universo esistente.
Dean lo salutò con un cenno, dopo aver retto le emozioni di entrambi per tre sguardi di cuore spezzato e mezzo, e finalmente entrò nella luce.

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