Take me Back To the Start

di 50shadesofLOTS_Always
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Settembre 2008

Rhodes fissò Tony seduto accanto a lui. Aveva gli occhi persi nel vuoto, spenti come se tutto ciò che era stato fosse volato via col vento siberiano. Era come se fosse stato svuotato, come se fosse divenuto un morto vivente. Ed effettivamente era quello che appariva. Apatico e più scorbutico del consueto da quando quel pomeriggio lo aveva trovato, seduto sul bordo del letto, intento a fissare un bigliettino. Gli aveva domandato cosa non andasse prima di rendersi conto che le ante dell’armadio spalancate avevano diverse grucce vuote, come se qualcuno avesse fatto in fretta le valigie. Tony gli aveva rivolto poi uno sguardo più che eloquente e non c’era stato bisogno di ulteriori spiegazioni.
Pepper se n’era andata. 
Come quel giorno di tre mesi addietro, lo sguardo del miliardario sembrava vagare su un altro scenario, riflettendo le luci scintillanti della città sotto di loro. 
F.R.I.D.A.Y. gli aveva inviato un messaggio di emergenza e seppur sorpreso dalle coordinate allegate, aveva smosso l’intera unità militare della Marina, come aveva già fatto in Afghanistan. Quando lo aveva trovato, giaceva semisdraiato su una cengia, circondato da un soffice manto di neve, con gli occhi vitrei e il volto pieno di graffi, sangue ed ematomi. Ne aveva prese, ma non aveva voluto indagare. Avrebbe aspettato almeno un paio di giorni. Il direttore Fury lo aveva appena contattato per sapere delle sue condizioni. Ovviamente avevano stabilito di lasciare il “Signorino” un po’ in pace per riposarsi.
Ciò che però più lo incuriosiva era lo scudo in vibranio, un tempo di Rogers, che ora era appoggiata contro la sua gamba.
« L’hai vista? » gli chiese, cogliendolo alla sprovvista e distogliendolo dal flusso di pensieri.
Fu tentato di mentirgli, non sapendo quale sarebbe stata la sua reazione.
« Sì » sospirò infine.
« Come sta? »
Rhodey ritornò a quella strana sera in un cui aveva trovato Pepper fuori da un locale.
Lui si era ritrovato lì per caso. Stava testando l’ultimo prototipo delle protesi che Tony gli aveva costruito prima di sparire in Siberia. Passeggiando l’aveva vista e lei, sollevando lo sguardo, lo aveva riconosciuto un po’ stupita. L’aveva raggiunta con un sorriso dopo il passaggio frettoloso di un autobus.
« Rhodey, mio Dio… » aveva esclamato, portandosi una ciocca di capelli dietro il lobo di un orecchio.
« Sono felice di rivederti, Pepper » aveva esordito, accorgendosi immediatamente che qualcosa in lei non andava. Sembrava stanca e gli occhi sembravano meno azzurri.
« Anch’io – aveva aggiunto sincera – Ti trovo in forma » 
« Non del tutto, ma ci sto lavorando – lei aveva ostentato un sorriso tirato – Tu che mi dici? ».
Aveva abbassato lo sguardo, come se l’asfalto fosse diventato estremamente interessante.
« Ah, ehm… »
« Brutta serata? » l’aveva preceduta per alleggerire l’atmosfera.
C’era qualcosa sotto. Qualcosa di grosso ed era sicuro che riguardasse anche quello stupido di Stark.
« Già… » aveva ammesso, lasciando andare un sospiro. 
Si era poi passata una mano sull’altro braccio, distogliendo lo sguardo.
« Puoi chiedermelo » le aveva detto e quando aveva fatto finta di non sapere, le aveva rivolto un’espressione indulgente. Pepper però non aveva indugiato troppo nel guardarlo.
« Penserai che sono crudele ».
Aveva scosso il capo, mesto e comprensivo.
« No, penso solo che siate entrambi un po’ idioti… Lui di più ».
Poi con cautela gli aveva fatto la stessa domanda.
« Come sta? » 
« Alcuni giorni sono più bui di altri »
« Quanto bui? ».
Rhodey non se l’era sentita di raccontarle quanto Tony fosse distrutto e che in un’occasione lo aveva chiamato nel cuore della notte: per la prima volta lo aveva sentito tremare mentre confessava di trovarsi sul punto di cedere con la voce arrochita dall’alcol e forse, da un pianto a lungo trattenuto dal suo smisurato ego. Pepper nel frattempo era sbiancata e si era portata una mano sul ventre come per…
« Senti, io non voglio influenzarti o costringerti perché so quanto sia difficile stargli accanto… A volte è impossibile anche per me, ma sappiamo entrambi che non chiederà mai aiuto ».
Il silenzio che era seguito aveva preoccupato il colonello e non poco. Ma nulla gli aveva tolto il fiato come le parole che la donna pronunciò in seguito, con una pacatezza che aveva trovato disarmante e finta allo stesso tempo « Aspetto suo figlio ».
« C-Cosa? » aveva balbettato e probabilmente, coi bulbi oculari quasi fuori dalle orbite.
« Sono incinta, Rhodey… »
« Quindi è per questo che voi… »
« Non lo sa » aveva detto e con la stessa intensità di una secchiata d’acqua gelata, aveva compreso cos’era quel grigiore negli occhi di Pepper. Aveva avvertito il principio di una collera smisurata crescere in lui. Come aveva potuto nascondere una cosa del genere a Tony?
« Pepper, io… - si diede una calmata - Perché? »
« Volevo dirglielo, ma dopo Ultron… Non ce l’ho fatta ».
Così com’era sorta, la rabbia era scivolata via. 
« Da quanto? » le aveva chiesto con più dolcezza.
Non poteva condannarla, solo per aver avuto paura. Una paura umanamente giustificata.
« Undici settimane »
« Prima dei Patti »
« Ho cominciato a pensare che un giorno sarebbe uscito con quell’arnese… - aveva strizzato gli occhi, come se qualcuno l’avesse appena colpita - Quella stupida armatura… Per tornare in una bara ».
Si era asciugata una lacrima fugace, poi si era appoggiata al muro, inspirando lentamente per riacquistare il controllo su sé stessa.
« Non lo sento da quarantotto ore e Fury mi ha detto che le cose stanno degenerando… »
« Oddio… »
« Però non fasciamoci la testa. Sai com’è fatto. – si era affrettato ad aggiungere - Potrebbe fare benissimo una delle sue entrate in scena proprio adesso e… »
« E’ colpa mia » lo aveva interrotto.
La voce fragile come quella di Tony.
« No »
« Sì, invece. L’ho mollato nel momento del bisogno ».
Rhodes ammise di averci pensato per un attimo. Per un solo attimo, mentre Tony fissava ancora quel biglietto chiedendosi perché, aveva accusato Pepper di vigliaccheria. Poi riflettendo con attenzione si era risposto mentalmente a quei perché.
« Se dovesse tornare, me lo diresti? »
« Certo, ci puoi giurare ».
Aveva allargato le braccia, offrendole il conforto di un abbraccio. Pepper aveva abbandonato sé stessa, la propria forza, per gettarsi tra le sue braccia. Ma per quanto ci avesse provato, aveva realizzato quanto quella donna fosse forte. 
« Però non glielo dire » gli aveva sussurrato, reggendosi alle sue braccia.
« Pepper… » la riprese.
« Promettilo ».
Si erano guardati dritti in faccia.
« Solo se prometti che glielo dirai tu » aveva detto e Pepper aveva annuito vigorosamente.

« Dovresti chiamarla » disse, tornando al momento.
« Per sentire la sua voce nel messaggio di segreteria? Forse è meglio che mi creda morto » rispose Tony, tirando su col naso e Rhodes non insisté.
Il trabiccolo atterrò sulla piattaforma della Stark Tower, poco più in alto della balconata affacciata su New York. Le pale del rotore rallentarono e Tony, afferrò lo scudo e scese con un piccolo balzo. Gli stivali metallici emisero un tonfo sordo a contatto con la pavimentazione. Si girò, rivolgendo all’amico, il colonello Rhodes, uno sguardo più che eloquente. Non sapeva come, ma F.R.I.D.A.Y. era riuscito a contattarlo prima che l’armatura consumasse tutta l’energia. Aveva aspettato per ore il suo arrivo, al gelido vento delle montagne siberiane dopo lo scontro con Rogers. La Mark VI era praticamente andata, ma stavolta non l’avrebbe riparata. Non subito almeno. Basta notti insonni in laboratorio, basta missioni suicide.
Prima gli doveva ancora un favore.
« Grazie. Per tutto »
« Di niente. Solo ricordati di chiamarmi »
« Lo sai che sono etero, vero? » scherzò, prima che il velivolo si levasse nuovamente nel cielo.
Lo salutò con un cenno della mano, che Rhodes ricambiò con un sorrisetto. Ricevere un ringraziamento da Stark è come trovare per caso il biglietto vincente alla lotteria. Più unico che raro. Non appena fu abbastanza in alto, afferrò il telefono e scrisse un breve sms.

E’ tornato, più salvo che sano. Ma è vivo.

*

Tony attese che l’elicottero sparisse all’orizzonte, dove un color violaceo preannunciava l’alba. Si soffermò solo per un secondo ad ammirare il panorama, poi scese direttamente in laboratorio tramite una rampa dove alcuni bracci robotici finirono di smontargli la corazza semidistrutta. Porse il disco a Ferro Vecchio che girò la testa robotica come se stesse studiando il proprio creatore. Alla fine prese l’oggetto e si occupò di sistemarlo in una teca. Emise un lamento quando gli vennero tolte le ultime piastre del casco. La testa gli faceva un male tremendo e sospettò che la cosa sarebbe peggiorata. Rhodey aveva insistito per l’ospedale, ma l’unica cosa che voleva in quel momento, era un bel bicchiere di scotch. Magari più di uno.
La quiete violenta lo accolse, ricordandogli dolorosamente la sua condizione.
Prima a riempire quegli spazi era stato l’eco della voce di Pepper, che gli ricordava qualche conferenza, appuntamento o che rideva a qualche sua battuta stuzzicante. 
Ora invece l’attico sembrava come lui: senza vita. A parte lui, ad abitare la Stark Tower circa due piani più sotto, c’erano quello che restava degli Avengers. Gli altri sostavano ancora dietro le sbarre.
Non era il genere di uomo che potesse essere sospettato di avere una parte fragile, ma come Natasha e Visione cominciava a sentire la mancanza di Capitan Ghiacciolo. 
Aveva riflettuto durante il ritorno e per quanto il loro scontro lo avesse ferito, immaginò che in un momento come quello, Steven sarebbe stato l’unico a potergli dare un consiglio quantomeno sensato.
Sbuffò. L’immagine, che il mondo aveva di sé, era diventata una costruzione troppo pesante da portare da solo. Senza Pepper sentiva che presto ne sarebbe stato schiacciato.
Gli attacchi di panico e gli incubi erano tornati, più violenti e quasi ingestibili nonostante i consigli di Banner. Rhodey, dopo averlo inizialmente spedito da un vero psicanalista, gli aveva suggerito di provare almeno per un paio di settimane la cura coi medicinali. In quel momento cominciò a rivalutarla.
Ormai era tutto finito e forse, avrebbe potuto dedicarsi a sé stesso.
« F.R.I.D.A.Y., che notizie mi dai? »
« Il segretario di stato Thaddeus Ross ha tenuto un discorso proprio un’ora fa al Tribunale della Corte Suprema di Washington insieme al Presidente dello SHIELD Nick Fury ».
Tony si lasciò sfuggire un risolino quando vide la foto che ritraeva un sorridente Ross e un Fury decisamente poco allegro, come suggeriva il suo stesso nome, stringersi cordialmente la mano.
« Signor Stark, presenta diverse fratture agli arti e numerose contusioni. »
« Già me ne ero accorto… » borbottò aspro.
« Vuole che ripari la Mark VI? »
« No – si guardò intorno, poi si avviò di sopra - Fammi un favore: appena esco da qui, spegni tutto »
« Sì, Signor Stark » rispose la voce metallica.
Basta Iron Man.
Voleva annegare i ricordi, le immagini di quel filmato. Voleva seppellire tutto ciò che aveva perso nel pozzo del dimenticatoio, compreso i suoi giocattoli. Voleva mettere a tacere la voce della propria coscienza.
Ma soprattutto voleva evitare di rendersi conto di essere di nuovo solo. 
Salì le scale, massaggiandosi il collo e stabilendo che avrebbe fatto tutto alla vecchia maniera.
« Luci » mormorò a fatica.
Si diresse verso il bancone mentre le tenui luci a led si accesero, emettendo una luce soffusa. Sospirò, afferrando un bicchiere e poi la bottiglia. La osservò per poi decidere che il bicchiere non serviva.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Dirty Dancing

Come up to meet you, tell you I’m sorry.
You don’t know how lovely you are.
I had to find you, tell you I need you.
Tell you I set you apart.
 
Impiegò diverso tempo per comprendere che si era trattato di un incubo. L’ennesimo solo quella notte.
Le fauci del mostro intergalattico si erano aperte, come se a spalancarsi fossero state direttamente le porte dell’Inferno, pronto ad inghiottirlo in un eterno nulla. Era sempre stato così. Poi il volo verso il portale inter dimensionale con una testata nucleare su una spalla e le stelle palpitanti prima di perdere i sensi.
Si era risvegliato per scoprire che erano tutti morti, compreso Thor.
Lui era stato l’unico spettatore, l’unico responsabile.
Quando aprì gli occhi, si trovò catapultato nella realtà. La camera era immersa nel buio delle imposte abbassate, rischiarata solo dai raggi che filtravano da fuori. Sentì il panico crescere in lui, come un boa che lo aveva già imprigionato nelle sue spire, ma proprio quando stava per sopraffarlo, si ricordò degli esercizi di Bruce. Avvertiva le gocce di sudore imperlargli la fronte e inzuppargli la maglietta. Cercò di ignorare il tessuto appicicatosi alla pelle e, di concentrarsi su qualcosa di piacevole. Ci vollero tre respiri profondi perché il ricordo di un giorno qualunque a Malibu, prima del Mandarino e di Vanko, prima che cominciasse tutto, riemergesse dai recessi più reconditi della propria memoria.
Era appena uscito dal laboratorio, quando era appena calato il sole e Pepper era seduta sul divano del soggiorno col tablet tra le mani. La luce dello schermo gettava delle morbide ombre sul suo viso mentre con lo sguardo scorreva l’agenda. Aveva rannicchiato le gambe snelle sotto di sé, nonostante indossasse un tailleur senza la minima traccia di una piega. Era la prima volta che si soffermava a guardarla, ma non l’ultima. Distante da lei almeno un paio di metri, aveva percorso il suo profilo lentamente, studiando come la frangetta le coprisse la fronte e come le lunghe ciglia si curvassero verso l’alto. Cominciò a rimembrare tutte le donne che gli erano cadute ai piedi, ma non riuscì a trovarne una – di quelle poche di cui ricordava almeno le sembianze – paragonabile alla sua compita assistente, che sempre più assumeva il fascino di una ninfa. Si era poi accorta di essere osservata e quando si era girata, facendo ondeggiare la coda di capelli ramati, gli aveva posto pacatamente la solita domanda: ‘Posso fare qualcosa per lei, Signor Stark?’. Dopo una prima fase in cui i livelli di testosterone si erano innalzati vertiginosamente al pensiero di una sua possibile risposta, o meglio a un’azione sconveniente seguita da immagini vietate ai minori, riuscì a scuotere lentamente il capo per negare. Perché per quanto sentisse l’improrogabile desiderio di averla, anche solo per una notte, non avrebbe mai potuto sfiorarla. Significava mancarle di rispetto. Lei era diversa.
L’aveva fissata negli occhi azzurri anche più del mare e aveva sentito il proprio cuore tuffarsi in quelle limpide acque, con l’intenzione di annegarvi. Sarebbe stata una bel modo di morire. Aveva capito tutto già dalla prima volta che si erano incontrati, ma si era rifiutato perché troppo orgoglioso, troppo arrogante e troppo non abbastanza. Non abbastanza per lei. Era stato più facile negare.
Il ricordo si annebbiò nello stesso momento in cui riacquistò il controllo sul proprio respiro. Si passò entrambe le mani sul volto intorpidito dal sonno. Si girò, guardando la finestra che l’AI aveva già provveduto ad aprire.
« F.R.I.D.A.Y. che ore sono? »
« Le due del pomeriggio, Signore ».
Vide New York già attiva da ore, poi si diede un’occhiata intorno. La bottiglia di alcol giaceva per terra insieme ad una seconda, quasi vuota, visto che più di metà del contenuto era finito sul pavimento formando una grossa pozza. Decise di alzarsi e iniziare in ritardo quella giornata che, come le precedenti, si sarebbe trascinata fino ad un’altra notte insonne. Scostando le coperte, si alzò e si diresse sotto la doccia con passo ciondolante.
 
**
Rhodey attese che le porte dell’ascensore si aprissero con un ronzio poi compì un passo verso l’atrio.
Fu l’ex-agente Maria Hill ad accoglierlo. Gli sembrò astruso trovarla al posto di Pepper, ma le rivolse un lieve sorriso. Il salotto era illuminato dai colori caldi del tramonto, col sole pronto a nascondersi oltre la linea d’orizzonte.
« Buongiorno, Colonnello Rhodes »
« Buongiorno, Signorina Hill. Dov'è? »
« Nel laboratorio. Stavo per raggiungerlo » lo invitò prima di condurlo giù per la breve scala.
All'inizio non ne fu sicuro, poi riconobbe il suono di chitarra e la voce struggente di Solomon Burke, disturbata da un sonoro sferragliare. Era Cry to me.
Scosse il capo quando si aggiunse la voce volutamente stonata di Tony, intento a lavorare, seduto ad un tavolo metallico.
« When you’re all alone in your lonely room. And there’s nothing, but the smell of her perfume. Ah don’t you feel like crying? Don’t you feel like cryyyying? Mmmh… » canticchiava, armeggiando come se stesse facendo del bricolage.
Sia Rhodey che Maria si fermarono poco lontani. Rimase comunque colpito al vederlo così felicemente melodrammatico. Credeva di trovarlo a letto a smaltire la sbornia. Soprattutto visto che erano passate a malapena dieci ore dal ritorno dalla Siberia. Guardò Maria che rispose con una scrollata di spalle, dimostrando la propria estraneità.
« Signor Stark, ho le pratiche che mi aveva chiesto » esordì la donna, interrompendo quel penoso concerto poggiando il plico di fogli sul tavolo.
Tony si girò appena, vagamente irritato per l’interruzione poi fece girare la sedia e li osservò, come se fosse sorpreso di vederli là. Si alzò ed afferrò la penna che la donna gli stava porgendo. Diede un’occhiata ai fogli, sfogliandoli in fretta, poi mise la firma negli appositi spazi.
« Sa che è l’unica a potersi vantare di avere gli autografi di Iron Man senza l’inconveniente del merchandising? »
« Lei è Anthony Stark, non Iron Man » precisò lei, inutilmente mentre riprendeva in mano i documenti.
Quella contro il miliardario e il suo ego era una battaglia già persa in partenza.
« Io sono Iron Man così come Darth Vader era il padre di Luke Skywalker»
« Il suo ego non la abbandona mai, vero… ». Non era una vera domanda.
« Ho anche dei difetti » concluse con una modestia palesemente finta, prima di lasciarla andare.
Rhodey lo osservò, ricordando un particolare: era sempre stato antipatico e insolente, ma solo con Pepper sembrava ricordare le buone maniere. Certo, la torturava con discussioni interminabili e allusioni più o meno esplicite però era il suo pensiero fisso. Quando lo aveva trovato lasciato in fin di vita nel laboratorio da Stane, la prima cosa che aveva fatto era stato chiedergli della sua assistente.
Tony si avvicinò al mobiletto dove aveva lasciato una serie di attrezzi e un drink rosso, sicuramente un Gin Campari, di cui ingollò un bel sorso. Gli venne da sorridere. Tony era tutto fuorché sentimentale, ma era chiaro il perché stesse bevendo proprio quel cocktail.
« Well nothing could be saaaadder than a glass of wine, all alone… - bofonchiò prima di berne un sorso – Loneliness, loneliness, it’s such a waste of time».
I passi di Maria si erano fatti ovattati quando lasciò nuovamente il bicchiere per dedicarsi al suo nuovo progetto che comprendeva un nuovo reattore arc molto speciale.
« Non devi essere geloso » disse poi e Rhodey lo fissò senza capire.
« Cosa? »
« E’ normale che si senta attratta più da me che da Iron Patriot ».
Aveva calcato le ultime parole come se fossero uno scherzo.
« Non credo che tu sia il suo tipo » ribatté con aria scettica.
« Io sono sempre il loro tipo – poi tornò a ballare, se così si potevano definire i suoi movimenti – Oh cooome on, take my hand and baby won’t you walk with me? ».
Gli fece l’occhiolino prima di chinarsi vicino alla misteriosa creazione. C’erano fili scollegati, circuiti e Rhodey faticava a comprendere cosa fosse quel denso ammasso di rottami.
« Non credevo di trovarti così allegro »
« Una bottiglia di scotch mi ha tenuto compagnia ».
O meglio, due.
« Ho sentito Pepper ». La buttò lì, come se fosse un pensiero sfuggitogli ad alta voce.
Tony si fermò per un attimo. Il colonnello decise di provocarlo un po’, non solo perché l’espressione dell’amico lo divertiva particolarmente, ma perché la gelosia sembrava l’unica molla che potesse farlo saltare. Alla fine era una mezza verità per uno scopo altruistico.
« Ha un appuntamento stasera »
« Ah sì? » chiese, cercando di mostrarsi distaccato.
« Con un collega del nuovo ufficio » aggiunse, gettando benzina.
Per una volta sarebbe stato lui a prenderlo in giro. Camminò con fare distratto, fermandosi al suo fianco.
« Come va con le protesi? » chiese Tony come se si fosse scottato.
« Bene ».
Tony smise di ascoltarlo, troppo impegnato ad immaginarsi quale razza di stoccafisso si fosse preso la libertà di corteggiare Pepper. Probabilmente era qualche sfigato con basse aspettative e con una patetica pettinatura. Chi aveva detto che aveva abbandonato la partita? Non si erano lasciati, si erano solo presi una pausa. Il piccolo impiastro aveva pensato male e ne avrebbe pagato le conseguenze.
Il povero scemo non sapeva contro chi se la sarebbe dovuta vedere e sarebbe finito col culo per terra. Parola sua!
Quando Rhodey se ne andò per tornare a casa, Tony diede un’occhiata all'orologio da polso. Erano le diciassette precise. Abbandonò il lavoro a metà e si fiondò su per le scale.
 
**
Il locale era gremito di gente, più di quanto Pepper si era immaginata. Pur detestando quel genere di serata, a cui un po’ si era anche abituata per il suo lavoro alle Stark Industries, si era sentita costretta ad accettare quel appuntamento. Appuntamento romantico che era poi diventato un’uscita coi colleghi del nuovo ufficio. Un contabile allampanato, Ben, era stato troppo carino perché lei rifiutasse per la… Ventesima volta, solo in quella settimana. Aveva pensato di declinare, ma forse, spinta da un moto di pietà per il collega e un po’ di più dalla sua innata educazione, aveva accettato. Aveva accettato per distrarsi, finendo per partecipare a una noiosa serata fatta di musica assordante e piedi indolenziti dai tacchi. Circondata da persone che neanche conosceva e in un posto dove i camerieri giravano fra gli astanti con vassoi pieni di drink, che non poteva bere ma solo guardare. Si ricordò il motivo per il quale non poteva bere e sospirò sconsolata.
Non che avesse bisogno dell’alcol per divertirsi, le sarebbe bastato anche solo un semplice tequila bum bum per non prestare attenzione a dove si trovasse e con chi.
Tutto, solo perché lei non era riuscita a dire una sola e banale sillaba. No.
Quasi si aspettò di vederlo arrivare in smoking per salvarla da quel disastro, ma era più probabile vederlo piombare lì in quel pub barra discoteca in un’armatura rossa e oro, nascosto da una maschera inespressiva. Per quanto non volesse ammetterlo, le mancavano i loro estenuanti battibecchi. Quelli che nel corso di quei dodici anni avevano assunto un significato ben più profondo. Le mancava perfino quel suo snervante sarcasmo, i continui tentativi per infastidirla e il modo malizioso in cui pronunciava ‘Signorina Potts’. Le mancavano le sue eccessive manifestazioni di affetto e mai come in quel momento, desiderava un coniglio di pezza gigante ad attenderla sulla soglia di casa che non sentiva di poter chiamare tale, perché a tenerle compagnia erano le crisi di panico e le notti in bianco, non il baccano dei Black Sabbath a tutto volume.
Per quanto fosse guarita nel corpo da Extremis, la vicenda di Ultron aveva risvegliato in lei la terrificante sensazione di esposizione e vulnerabilità. Era sola nel suo piccolo appartamento in periferia e ogni rumore la faceva sussultare, perché non era Tony che trafficava in laboratorio.
Si ricordò di come Rhodey avesse evitato di dirle le mere condizioni dell’uomo e della promessa fattagli…
Lasciò andare un altro respiro trattenuto, scansando una ciocca di capelli ricadutale sul collo, che come le guance, sentiva andarle a fuoco. Faceva un caldo pazzesco e l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento, era tornare a casa, spaparanzarsi sul divano e mangiare un’intera vaschetta di gelato davanti a un bel film. Aveva una voglia incredibile di gelato al caramello.
Con quel pensiero latente, ritornò alla conversazione di cui aveva perso il filo minuti prima. Quando cominciò a temere di essere stata beccata, si voltò come gli altri verso l’ingresso del locale, dove improvvisamente si era scatenato un gran trambusto.
 
*
« Signore, posso solo dirle che quello che sta facendo è totalmente scorretto? ».
Tony non ebbe remore a premere sull'acceleratore. Riusciva solo a pensare che avrebbe rivisto Pepper. Col suo nuovo gruppo di colleghi. Ned compreso.
« Posso solo ricordarti che non ti ho programmato per darmi consigli? » sbottò infastidito.
Non aveva voglia di sentire stupide ramanzine. L’AI non rispose e in meno di cinque minuti, arrivò di fronte al Fox Trot Cafè. Guardò l’entrata di uno dei locali più chic del momento, arricciando il naso.
Guardò meglio e notò diverse celebrità all'entrata, intenti a fumare o più semplicemente a ciarlare.
Scese dalla vettura, attirando immediatamente su di sé una folta schiera di sguardi increduli, soprattutto quelli femminili. Nessuno si aspettava di vederlo in carne ed ossa, in pubblico dopo mesi di fulgidi pettegolezzi. Si avviò con passo sicuro nel proprio completo a metà tra l’elegante e il casual: camicia bianca, giacca gessata grigio chiaro, pantaloni in denim dello stesso colore e Nike rosse che sembravano poter prendere fuoco.
 
E fu come un fulmine a ciel sereno. Vide Tony fare il proprio ingresso come una diva del cinema hollywoodiano. Sentì la bocca inaridirsi. Invocò l’aiuto di qualsiasi divinità, chiunque avesse avuto pietà di lei. Voleva rivederlo. Doveva parlargli, spiegargli quanto quell’assurda pausa, che aveva preteso senza dargli la possibilità di fermarla, le avesse aperto gli occhi e il cuore. Avrebbe dovuto chiedergli scusa per quei mesi, dargli la notizia che una donna aspetta pur inconsapevolmente. Ma non mentre aveva indosso un abito da sera, quasi al pari di quello cobalto, accompagnata da Ben che intanto le aveva confessato un commento astioso.
« Ci mancava solo lui ».
Pepper si sentì infastidita. Tony non era la persona più facile del mondo, ma non meritava il giudizio di sconosciuti. Si disse che forse il collega non era poi del tutto ingiustificato. Persa in quei pensieri, non prestò attenzione all’avvicinamento di una collega Tiffany. Posandole una mano sulla spalla, avvicinò il viso perché potesse sentirla.
« Ma quello non è il tuo ex capo? » disse come se dovesse confidarle un segreto.
« E’ la mia catastrofe… » sussurrò lei a sé stessa.
Si era aspettata di tutto, tranne che si presentasse davvero lì.
Come faceva a… RHODEY. Era l’unico che potesse dire a Tony che lei era lì. Gli aveva spifferato tutto!
Mentre già pensava a un modo per vendicarsi, una leggera nausea le torse lo stomaco ma cercò di non pensarci. Passò una buona mezz’ora in cui Pepper quasi si dimenticò dell’accaduto, ma nonostante questo, continuava a nascondersi il più possibile. Fu grata quando qualcuno avviò la musica e Ben la invitò a ballare. In quel momento, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sparire dal mirino di Tony, intento ancora a stringere mani e salutare tutti quelli che gli si avvicinavano. Poggiò una mano sulla spalla del suo accompagnatore, sperando di non dargli false speranze.
« Virginia? – lei si scostò per poterlo guardare in viso – Devo chiederti una cosa »
Come non detto, pensò.
« Dimmi pure ».
« Vedi, è da un po’ che ci rifletto e… - per un attimo, la sua attenzione fu catturata da una sensazione strana quanto familiare – Mi stai ascoltando? ».
« Sì, scusami… Stavi dicendo? »
« Mio fratello si sposa e sono da solo… »
« Ow… E’ che… ».
Intanto riconobbe quella sensazione. Era come se qualcuno la stesse studiando.
« Troppo presto? »
« Appena un po’ » rispose imbarazzata.
« D’accordo. Era solo un’idea » disse, facendo spallucce.
Lei scosse il capo per gettarsi alcune ciocche della frangetta che le pizzicavano gli occhi.
Quando tornarono a ballare, ebbe la certezza che qualcuno la stesse osservando con particolare attenzione. Ben le fece fare una lenta piroetta e le sorrise. Malgrado il disagio, ricambiò. Era comunque un bel uomo e una gradevole compagnia. Tornò alla posizione di partenza e si lasciò guidare finché il suo sguardo non finì verso il bancone. Intercettò la figura di Tony con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra che reggeva un Vodka Martini. In piedi, in un atteggiamento che trasudava di arrogante calma come quella di un predatore che aspetta il momento per ghermire la preda e sulle labbra, incorniciate dai baffi e dal corto pizzetto, aleggiava il suo tipico sorriso obliquo. Quel sorriso sensuale che metteva in soggezione chiunque e da cui Pepper aveva cercato di immunizzarsi. Senza molto successo.
Poi Tony bevve l’ultimo sorso del drink, lasciò il bicchiere per dirigersi verso di lei. Si staccò da Ben, che la guardò per capire cosa stesse succedendo. Tony non le chiese nemmeno di ballare. La sua reazione immediata al suo avvicinamento gli aveva già fornito la risposta. Colse la lontananza di pochi centimetri fra lei e il collega e, afferrandola gentilmente, la trascinò nel bel mezzo della pista quasi buia. Eccezion fatta per i fari colorati di fucsia e verde, che creavano strane ombre sulle piastrelle nero lucido. Le luci soffuse della zona bar erano oscurate dalle persone attorno a loro. La musica faticava a coprire totalmente le infinite conversazioni in quel ambiente, ma Pepper riuscì a distinguerne il tono allettante del blues. 
« Che cosa ci fa qui? » chiese a denti stretti.
Lo fece perché doveva trovare un modo per non pensare a quale velocità le loro distanze si fossero annullate, così come il suo coraggio. Stava accadendo di nuovo: in un ambiente dell’alta società, con indosso un abito decisamente provocante e un lento con l’uomo più acclamato o odiato, a seconda dei punti di vista, degli Stati Uniti d’America. E lei, come sempre, si era dimenticata del deodorante.
« Siamo tornati al ‘lei’ » commentò con un cipiglio di disapprovazione.
Pepper non seppe capire se erano le occhiatacce delle donne invidiose a lusingarla o piuttosto gli scanner a raggi x degli uomini a metterla in soggezione. O forse il non aver detto a Tony di non lavorare più all’interno delle Stark Industries. In ogni caso, sentiva di essere al centro dell’attenzione dell’intera Manhattan.
Tiffany abbracciata ad un altro uomo, ammiccò verso di lei. Sì, era decisamente al centro dell’universo.
« Risponda alla mia domanda »
« Davvero frequenta quel tipo? » chiese Tony, cercando di cambiare discorso.
Doveva parlare di qualcosa, qualsiasi cosa. Tenere gli occhi su quel co…llega perché se avesse dato uno sguardo in più al tessuto che avvolgeva le forme di Pepper sarebbe andato in tilt. Dio solo sapeva quanto aveva aspettato di poterla stringere di nuovo a quel modo. Una sua mano grande sosteneva una delle sue, minute e graziose anche solo nel sorreggere una penna per scrivere, mentre l’altra era appoggiata sulla propria spalla. Riusciva ad avvertire quel suo tocco leggero anche con la giacca addosso. L’altra propria mano invece la premeva contro di sé sulla schiena. Si stupì di sé stesso e del proprio autocontrollo. Se fosse dipeso da lui, se la sarebbe caricata addosso e l’avrebbe portata a casa. Lo indicò con un cenno del capo.
« Si chiama Ben »
« Credevo si chiamasse John ».
Stava per chiedergli come conoscesse, più o meno, il suo nome ma poi ricordò chi aveva fatto la spia e tornò a concentrarsi sul proprio obbiettivo.
« Perché è venuto qui? » domandò di nuovo, decisa a cavargli fuori le parole.
Dovette cercare di calmare il cuore quando si ritrovò con la guancia contro la sua. Il contatto con la sua barba ispida e curata le provocò una serie di lampi mnemonici impellenti.
« Non fa per lei » rispose mentre sentiva gli occhi azzurri della donna bruciargli sulla pelle.
A pochi centimetri da lui, gli sembrava di fluttuare. Era bellissima, ma d’altronde lo era sempre stata. Solo che la propria mente brillante aveva ignorato la presenza di Pepper in ogni momento, bello o brutto, della propria vita. Ora indossava un abito nero con le maniche a tre quarti la fasciava fino poco sopra il ginocchio, lasciandole la schiena scoperta e i piedi racchiusi in un paio di Louboutin coperte di lustrini. I capelli rossicci erano sciolti sulle sue spalle come la sera di beneficenza. Anche allora il suo genio non gli aveva permesso di baciarla.
« Quindi mi stava pedinando? »
« E’ un paese libero » disse, con la stessa ovvietà con cui si sa che l’acqua è bagnata.
« Si rende conto che è assurdo? »
« Assurdo è che lei sia uscita con Brian » aggiunse poi con stizza.
« Ben » gli ricordò, senza impegnarsi troppo nel nascondere il nervosismo.
Quel loro battibecco, simile a quelli dell’ultima dozzina di anni, la stava divertendo e stancando allo stesso tempo. Si era allenata a quelle interminabili discussioni senza capo né coda, ma ne usciva sempre spossata. Era come parlare con un muro di mattoni.
Tony era riuscito a scorgere un sorriso sul volto della donna e il pensiero che ne fosse lui la causa gli fece capire che era in grado di volare, anche senza i propulsori.
« E io che ho detto? ».
Faceva sempre più caldo e Pepper cominciò ad avvertire le vertigini. Non riuscì a fermare il brivido che la attraversò fino alle punte dei piedi, quando avvertì le dita ruvide dell’uomo carezzarle di nascosto la pelle scoperta. Era un contatto così familiare. Voleva che la stringesse più forte, che la portasse via di lì e che…
Affondò le unghie nella manica della giacca che copriva il braccio dell’uomo, attirando la sua attenzione ma soprattutto la sua preoccupazione. Forse non era stata la tenzone fra loro a privarla di energia, ma la gravidanza. Anzi ne fu certa quando per poco non gli cadde addosso. Tony, attirato dalla stretta sul proprio bicipite, girò il viso abbastanza per vederla poggiare la fronte sulla sua spalla.
« Pepper, si sente bene? » chiese quando la sentì appoggiarsi a lui con tutto il peso, come se non sopportasse più la gravità. La sua mano si spostò e il suo braccio le circondò il busto per sostenerla.
« Mi manca l’aria » sussurrò debolmente e cercando di non dare nell’occhio, si allontanò con lei verso una delle uscite di emergenza. Ma proprio quando le avvolse la vita con un braccio per sostenerla, qualcuno bussò sulla sua spalla. Si voltò appena e si ritrovò davanti il bellimbusto di prima.
« Tutto a posto? »
« Stavo accompagnando Pepper a casa » dichiarò, senza lasciar spazio a possibili obiezioni.
« Pepper? – chiese - Virginia… » continuò, guardando in direzione della donna.
Lei cercò di nascondere il proprio malessere.
« Ti ringrazio per la serata, ma non mi sento molto bene. Ho bisogno di tornare a casa » si spiegò, accompagnando il tutto con un sorriso cortese.
« Sei sicura? ».
Nel domandarlo guardò alternativamente la donna e Tony, che aveva assunto un’espressione omicida.
« Hai sentito la signora, amico? Viene con me »
« Tony… » lo riprese con lo stesso tono che una madre usa con un bambino.
« Che c’è? Ancora non gli ho messo le mani addosso ».
Ben lo guardò sgomento per quell’affermazione ed ebbe l’impulso di scansarsi quando il miliardario gli diede un buffetto sulla guancia.
« Buon proseguimento » gli augurò Pepper, chiedendo tacitamente scusa al collega che rimase a guardarli mentre sparivano fuori dal locale. Ovviamente il loro tentativo di uscire inosservati era divenuto un fallimento vero e proprio. Qualcuno si era accorto del modo rapido con cui erano spariti fuori dal locale, cominciando a sussurrare. Pepper non riuscì a cogliere le loro parole, impegnata com’era a mettere un piede davanti all’altro. Compito peraltro reso più difficile dal tubino attillato e dalle scarpe vertiginose.
« Vuole che le faccia la respirazione bocca a bocca? » scherzò Tony, riportandola alla realtà.
« Cretino… » sibilò, facendolo ridere mentre si fermavano all’angolo dell’incrocio.
Continuò a tenere una mano sulla sua schiena mentre l’R8 si avvicinava al marciapiede. Aprì la portiera, ma Pepper si fermò per porgli ancora una volta il medesimo quesito.
« Mi dica perché è qui? » chiese ancora.
Lui gonfiò le guance, roteando gli occhi. Perché doveva essere così insistente?
« Per evitare che finisca a terra e che John se ne approfitti ».
Lei non lo corresse ancora. Non aveva le forze. Inoltre sentì un pessimo segnale partirle dallo stomaco.
« Davvero cavalleresco – inspirò, riuscendo finalmente a riacquistare un minimo delle proprie facoltà motorie – Mi scusi solo un attimo… ».
Tenendosi al bordo del muro con una mano, si nascose dietro ad un cassonetto per vomitare. Si piegò in due, pronta a cadere faccia avanti ma un braccio le avvolse la vita per evitarlo e una mano le raccolse i capelli per toglierli dal viso. Incredibilmente e per fortuna di entrambi, Tony non disse nulla. Se avesse fatto qualche illuminante battuta, a) l’avrebbe strozzato e b) si sarebbe vergognata da morire. Non sapeva se avesse scelto l’una o l’altra reazione, o magari entrambe in successione.
Si tirò un po’ più su, quando i conati smisero di percuoterla. Poi l’uomo le porse un fazzoletto di stoffa rossa e una chewngum alla menta. Arcuò un sopracciglio mentre afferrava il fazzoletto per pulirsi le labbra, ancora impastate dal sapore acido.
« Tenga » riferito alla gomma da masticare, rimastagli sul palmo.
« Perché? »
« Immagini se dopo la volessi baciare… » rispose, scoccandole la sua occhiata sensuale brevettata.
« Sul serio? » chiese lei, irritata. Pensò malignamente che avrebbe potuto vomitargli sulle scarpe anziché avere la premura di farlo dietro ad un bidone.
« O forse lo farà lei? »
« Perché dovrei? ».
Si accorse troppo tardi di ciò che aveva detto perché già aveva gli occhi calamitati sulle labbra dell’uomo.
« Non faccia finta di non saperlo » le rispose con tono indulgente.
Prese il chewngum e se lo mise in bocca, cominciando a masticare. Almeno si sentiva meglio e lui avrebbe smesso di burlarsi di lei. Si drizzò, fissando il cielo sopra di loro, soffocato da una coltre di nubi che preannunciava un furioso temporale. Senza dire niente, Tony si sfilò la giacca e gliela poggiò con cura sulle spalle quando una raffica di vento le scompigliò i capelli.
« Meglio? » le chiese, studiandola. Lei annuì.
« Prendo un taxi » disse infine.
« No, la accompagno personalmente al suo appartamento » rispose in un tono che non ammetteva repliche.

Angolo Autrice: Salve Lettori! Per chi già mi conosce, mi spiace ma ho infestato anche questo fandom xD 
Come scritto nell'intro, questa è una storia che tenevo chiusa nel pc da qualche annetto. Dopo Civil War ha subito un cambiamento e adesso un altro. Il risultato è questa raccolta un po' strana, che spero però vi piacerà comunque. 
Prima di lasciarvi volevo precisare un paio di cose:
- il titolo di questo capitolo è riferito alla canzone citata di Solomon Burke (l'ispirazione mi è venuta guardando il film di appunto, Dirty Dancing per la milionesima volta eh eh....), che secondo me esprime appieno lo stato del nostro Tony in assenza della sua Pepper;
- il titolo dell'intera storia è invece riferito alla canzone dei Colplay, The Scientist, che adoro per una serie di motivi ma che non vi dirò per non tediarvi ;)
Ovviamente sarà il brano che farà da sfondo all'intera raccolta e di tanto in tanto, inserirò alcune strofe. Poi capirete il perchè ad un certo punto... *-*
Ringrazio tutti i visitatori e _Atlas_  per la sua recensione :)
A presto!
50shadesOfLOTS_Always

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Why List

Tell me your secrets and ask me your questions.
Oh, let’s go back to the start.
Running in circles, coming in tales.
Heads are a science apart.
 

Il bolide sfrecciò fra le strade trafficate della metropoli diretto fuori città. Il temporale stava imperversando, aumentando sempre di più per l’intensità. Nonostante questo c’era un gran via vai di veicoli e pedoni.
Tony rallentò per fermarsi ad un semaforo. Il silenzio era interrotto solo dalle fusa del motore e dal tamburellare della pioggia sui finestrini.
Pepper piegò con cura il fazzoletto che le aveva dato l’uomo e glielo porse. Lui la scrutò per un attimo, evitando di ricordarle che non sopportava che gli si porgessero le cose.
« Lo conservi »
« Grazie » mormorò lei, piacevolmente sorpresa da tutta quella gentilezza. Non che Tony fosse mai stato cattivo con lei, ma c’erano stati momenti in cui aveva mostrato il suo brutto caratteraccio. Soprattutto se in preda ad una sbronza in piena regola come quella del suo compleanno.
« Non occorre ».
Tony tornò con lo sguardo davanti a sé, in attesa del verde che sembrava non voler scattare. Era come se volesse obbligarlo in quella circostanza, divenuta pesante. Ma in fondo, dentro di sé una cosa simile a quella che chiunque avrebbe denominato coscienza, gli diceva che in quella situazione ci si sarebbe comunque ritrovato.
« Ora mi dice perché ha interrotto la mia serata? »
« Credevo di averle già… »
« Quella non era… » cominciò a specificare.
« …risposto adeguatamente »
« … la verità ».
Tony si zittì per un breve istante. La verità. Era una richiesta lecita.
La verità era che doveva dirle un sacco di cose, ma era come se le parole si fossero annodate tra loro in un gomitolo che adesso gli si era incastrato fra le corde vocali. Si sentiva frustrato. La parlantina non gli era mancata neanche da ragazzo, specialmente se si trattava di far colpo su un esponente del gentil sesso. Ma in quel momento sembrava aver perso persino la capacità di elaborare un pensiero concreto. E quando era nervoso era anche peggio. Doveva ancora farle sapere quanto gli fossero mancati i suoi rimproveri mentre lui in realtà era intento a memorizzare di volta in volta un piccolo dettaglio. Un capello ribelle sfuggito allo chignon, una sfumatura cerulea dei suoi occhi intelligenti o una ruga invisibile che testimoniava il suo disappunto. Doveva ringraziarla per quel oltre decennio di pazienza, in attesa che si accorgesse di lei, che senza pretese né ricompense, gli era rimasta a fianco nonostante i continui casini in cui andava a cacciarsi finendo per coinvolgerla. Aveva fatto molto di più che il suo lavoro, non era più solo la sua assistente. Non era solo quella che gestiva la sua vita lavorativa. Lo aveva riportato a casa quando non era in grado di farlo da solo dopo l’abituale sbronza settimanale, facendo sì che arrivasse al mattino seguente in una condizione quantomeno dignitosa. Lo aveva aspettato dall’Afghanistan.
No. Non erano mai stati solo capo e assistente.
« Mi annoiavo e per caso l’ho trovata là » mentì ancora.
Era più semplice nascondersi dietro la spavalderia che ammettere di…
« Tony » lo rimbrottò.
« Non capisco »
« …mi dica la verità »
« …che cosa vuole sapere »
« …adesso » concluse senza dargli una via di uscita.
« Le piacerebbe tornare alle Industries? » esordì, tentando di dare un ordine al furioso turbinio che si era scatenato nel proprio cervello e cercando ancora una volta, la sicurezza delle bugie.
« Ma che sta dicendo? »
« Non ricordo le cifre del mio codice fiscale, a parte cinque » disse come se quello fosse già un buon motivo. ‘Andiamo, Stark!’.
« Ha un’assistente che… »
« Non le affiderei mai la mia Industria. Inoltre voglio licenziarla perché… »
« Perché continua a sviare l’argomento?! » disse con stizza.
‘Già, perché cambi argomento? Dai Tony, metti da parte il tuo fottuto orgoglio e dille che l’ami’.
Era scampato alla morte più volte e ora non riusciva a dire due semplici parole.
« …è troppo noiosa e attratta da Rhodey. In questo momento lo sta sviando lei il discorso » aggiunse dopo qualche minuto. Ma lei non era disposta a cedere. Doveva sapere perché fosse piombato là, comportandosi come... Un fidanzato geloso.
« Risponda »
« D’accordo. Mi annoiavo e ho chiesto a F.R.I.D.A.Y. di rintracciarla. – lei aspettava che terminasse quella balla colossale perché sapeva che lo era – Non sapevo con chi parlare. I nostri battibecchi sono unici, lo ammetta »
« Ma davvero? »
« Non ci crede eh? – sbuffò – Neanch’io ».
Pepper rimase sorpresa per quell’ammissione.
« Mi piace la sua compagnia. L’attico era troppo… Così… Posso darle del ‘tu’? »
‘Sii uomo, Tony!’. Non voleva che ci fosse quella distanza professionale fra loro. Una distanza che in fin dei conti non c’era mai stata, da quando era entrata nel proprio ufficio per il colloquio. Si girò, incontrando subito i suoi occhi azzurri. Splendenti come zaffiri, esattamente come la prima volta in cui li aveva incrociati. Se aveva detto basta ad Iron Man, doveva dire basta all’orgoglio.
« Mi manchi, Pep-per… » disse tutto d’un fiato, inceppando sul nomignolo.
Poi fu costretto a distogliere lo sguardo quando scattò il verde sia per tornare a guidare, sia per nascondere il proprio imbarazzo. Pepper fece lo stesso, spostandolo sulle proprie mani che teneva in grembo e che ancora giocherellavano col fazzoletto. Guardando Tony aveva riconosciuto sul suo volto la propria disperazione nel percepire quel vuoto, che le aveva tenuto compagnia in quelle settimane. Una compagnia tetra e lacerante.
« Quindi vorresti che tornassi a farti da assistente? » chiese, tentando di risollevarlo e di farlo parlare.
Non le piaceva quando diventavano taciturni.
« Mi piace quando gironzoli in casa, mi fa sentire meno… Solo »
« Perché mi vuoi? » chiese Pepper senza rifletterci. Doveva saperlo. Voleva sentirglielo dire.
« Perché sei l’unica in tutto il mondo che ha sperato che tornassi, per due volte… » concluse.
Non erano le parole che esprimevano al meglio quella cosa che tutti avrebbe definito sentimenti, ma per Pepper era già un passo in avanti.
Finalmente Tony si sentì leggero, libero da quel macigno che gravava su di sé da lungo tempo. Erano più o meno tre mesi che non la vedeva, ma parlando oggettivamente, a lui sembravano il quadruplo. Stringendo le mani sul volante, inspirò la sua fragranza, chiusa nell’abitacolo, scomparsa con lei da quando se n’era andata. Il giorno più brutto della sua vita, quanto quello in cui aveva appreso la morte dei suoi. Sua madre avrebbe saputo dirgli cosa fare, come fare per impedire a Pepper di stancarsi di lui senza nemmeno che potesse biasimarla. Gli aveva lasciato un semplice biglietto, dicendo che aveva bisogno di riflettere. Una pausa. Tony, leggendolo e vedendo l’armadio svuotato dai suoi abiti, aveva provato per la prima volta il desiderio impellente che fosse tutto un incubo. Aveva sperato che fosse uno scherzo di pessimo gusto. Era rimasto seduto sul divano, lo sguardo rivolto verso la porta per ore, come un cane bastonato. Aveva aspettato il giorno seguente, poi era andato a letto perché non era riuscito nemmeno ad ubriacarsi. Le sere seguenti non aveva fatto sforzi a scolarsi intere bottiglie di vodka. La guardò di sottecchi, seduta sul sedile del passeggero, mentre si stringeva nella sua giacca davvero troppo grande per la sua figura. Nell’osservarla si premurò di non perdere il controllo sulla strada e di non farsi beccare inflagrante. Quando accadde, le gemme incastonate su quel viso d’alabastro si soffermarono a lungo su di lui. Distolse lo sguardo, ma lei non fece altrettanto.
« Tony, voglio chiederti scusa »
« Per cosa? » chiese, sinceramente perplesso.
« Per averti lasciato solo. Non avrei mai dovuto lasciarmi prendere dalla paura… - ricacciò indietro le lacrime che già le avevano offuscato la vista – Non ho nessuno a parte te ».
A quelle parole, Tony ripensò a quella sera nel laboratorio in cui glielo aveva confessato. Era stato bello sentirglielo dire, sentire che anche lei teneva a lui. Nessuno glielo aveva mai detto a parte sua madre.
« E’ difficile trovare un nuovo lavoro » constatò, cercando di sdrammatizzare.
« Non sai quanto, Stark – gli prese una mano dal volante quando si fermarono ad un altro semaforo - Perdonami ».
Tony storse la bocca in modo buffo. Ricambiò la stretta, intrecciando le dita con quelle esili della donna.
« Crede che mi lascerà finire le mie scuse? Sì, insomma… - gesticolò con la mano libera per poi rimetterla sul volante - Avevo preparato un discorso da Oscar e mi ha impedito di recitarlo. Ha idea di quanto sia snervante? ».
Pepper gli rivolse un’espressione che lui trovò adorabile. Gli occhi erano lucidi e lo fissavano in un misto di rimprovero e affetto. Se avesse avuto ancora il reattore arc nel petto, con tutta probabilità si sarebbe fuso.
« Davvero, non riesco ad immaginarlo » rispose ironica.
Happy aveva avuto ragione: Virginia Potts era proprio un angelo.
« Io non riesco ad immaginare che sia uscita con Daniel » ribatté, fingendosi ancora più scioccato.
« Ben » ripeté più seria, ma senza smettere di sorridere.
« Ora ti porto a casa, domani si lavora… » le disse con un nuovo cambio di rotta.
Pepper gli lasciò andare la mano per non essergli d’intralcio nella guida e tornò a guardare fuori dal finestrino. Ad un tratto le tornò alla mente la promessa fatta a Rhodey. Doveva assolutamente dirglielo. Chiuse le palpebre, trattenne il fiato per poi lasciarlo andare nel chiamarlo « Tony? ».
« Sì? »
« Devo dirti un’altra cosa »
« Okay, ti ascolto »
Pepper si morse il labbro inferiore, torturandolo fino quasi farlo sanguinare. Forse doveva aspettare, ma conoscendosi se lo avesse fatto, lui l’avrebbe saputo quando la cosa sarebbe stata visibile.
« Sono incinta » disse alla fine.
La macchina compì una brusca manovra che la schiacciò contro la portiera, costringendola a tenersi per evitare di finire con la faccia contro il finestrino. Attese che si fermassero con un grido stridulo delle gomme poi guardò Tony, che aggrottò la fronte perplesso. In contrasto con gli occhi spalancati.
Forse avrebbe dovuto aspettare che fossero a casa sua, seduti sul divano.
« Come? » chiese, non certo di esserselo immaginato.
« Ho detto sono incinta » ripeté Pepper e Tony la fissò di scatto mentre taxi e altri automobilisti li superavano. ‘La prossima volta metto una bottiglia di Martini nel porta oggetti’, pensò.
« Aspettami qui » le ordinò, sganciandosi la cintura di sicurezza e aprendo la portiera. Scese dalla vettura e ci si appoggiò, incurante delle altre auto. Lasciò che il getto d’acqua piovana lo tramortisse con tutta la potenza del nubifragio mentre i fulmini scoppiavano nel cielo.
« Wooo, sì! » esclamò.
Era andato fuori giri e ora doveva calmarsi, soprattutto non avendo alcol a portata di mano. Socchiuse gli occhi, inspirando l’aria umida che si sollevava dall’asfalto. Era incinta.
Cercò di far filtrare quella notizia, la rielaborò per un minuto abbondante poi tornò in macchina dove Pepper nel frattempo, lo attendeva sempre composta. Chiuse lo sportello e si allacciò nuovamente la cintura, evitando di guardarla. Doveva ancora assorbire la novità. Sarebbe diventato padre…
« Stai bene? » gli chiese a bassa voce.
Pepper cominciava a preoccuparsi.
Lui non rispose, per evitare che percepisse il proprio disagio e si schiarì la voce perché non lo tradisse. Ma cominciò a gesticolare freneticamente.
« Mi stai dicendo che… »
« Aspetto un figlio »
« Da me? »
« Da te – gli assicurò - E’ un attacco di panico quello che stai avendo, vero? ».
Tony fu capace solo di espirare profondamente dopo una breve apnea. Pensò che un sacchetto di carta avrebbe potuto aiutarlo. E magari una botta in testa.
Pepper lo guardò, senza sapere cosa fare. Sembrava un palloncino che si sgonfiava. Aveva un’espressione comicamente sconvolta, ma non sembrava arrabbiato. Si disse che quello era un altro passo avanti. Passarono circa cinque minuti dove nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare.
« Okay » disse quando fu sicuro di aver assimilato la cosa. Più o meno.
« Lo so che hai paura… »
« Cosa?! NO » smentì Tony, senza comunque girarsi nella sua direzione, ma con la voce più alta di due ottave.
« Credo che il tuo attacco di panico… »
« Non era panico. Sono solo… »
« …sia più che giustificato »
« Ah ehm… Sono scosso, ma non in senso… Ecco, sì… » balbettò mentre cercando di mettere insieme, oltre ai pensieri, le parole con un senso compiuto, senza ottenere un gran risultato.
« Penso che tu stia cercando la parola terrorizzato »
« No, voglio dire… »
« A morte » ribadì, sempre più seria.
« Oh andiamo! Io non mi aspettavo certo… »
« Tony, non sei obbligato »
« …di diventare padre da un giorno all’altro. – la guardò, storcendo la bocca - Obbligato? Credi che avrei voglia di fare tutti questi salti mortali per una donna qualunque? ».
Pepper non seppe capire se lui si aspettasse o meno una risposta. Così cercò di arrivare alla coda di quella discussione, che sembrava non avere neanche una testa. Come al solito.
« Dico sul serio »
« Anch’io! – sbottò - Dopo tutto quello che ci siamo detti, credi che abbia intenzione di tornare a casa e fare finta di niente?! Sedermi sul divano e… »
« Tony, sto solo… »
« …ammirare la mia Fortezza della Solitudine? »
« …dandoti la possibilità di uscirne » concluse, ammorbidendo sia la voce che lo sguardo.
Tony passò le mani sul volante, prendendo l’ennesimo respiro profondo.
« Pep, lì dentro hai un bambino che è anche mio. - lanciò un'occhiata verso di lei, all'altezza dell'addome - Okay, forse non sono pronto per fare il padre. Anzi togli il forse. Ma non significa che non voglia… Provarci » disse con un attimo di esitazione.
Avrebbe dovuto abituarsi all’idea e sapeva che sarebbe stato un processo estremamente lungo che avrebbe richiesto almeno un bicchiere di whisky.
« Quindi non sono un peso per te? » chiese dopo un’interminabile minuto.
Tony le rivolse uno strano sguardo, come se le fossero spuntate tre teste.
« Pepper, se non ti conoscessi bene direi che sei chiaramente ubriaca. O sotto effetto di sostanze stupefacenti »
« Hai ancora qualche mese… »
« Molto stupefacenti visto quanto sei bella stasera » aggiunse più ammiccante.
« …per tirarti indietro » concluse prima di arrossire a quel complimento e tirare la stoffa perché le coprisse le gambe.
« Sono Tony Stark e non mi tiro indietro. E poi… Diciamocelo… - arcuò un sopracciglio - Se ti lascio andare, dove trovo un’altra assistente? »
« Ce l’hai già. E io userei il termine baby-sitter »
« Allora dove trovo un co-amministratore delegato? » ribatté.
Pepper rimase paralizzata. L’ultima volta che era stata nominata CEO non era andata molto bene. Anzi non era andata bene per niente e la settimana si era conclusa con l’esplosione di metà dei padiglioni della Expo.
« Stai scherzando? »
« Io non ho nessuno a parte te – indicò il suo grembo con un sorrisetto - E ora anche il piccolo invasore ».
Era anche vero che in un certo senso, aveva ricoperto quel ruolo da sempre considerando il fatto che Tony si occupasse ben poco di quello che doveva essere appunto il proprio lavoro.
« Neanche è nato e già ne sei geloso? » gli chiese per distoglierlo momentaneamente dall’attuazione di quell’idea di cui non sapeva se fosse davvero possibile l’attuazione.
Intanto si erano reimmessi nel traffico, che a quell’ora risultava più fluido. Alcuni squarci tra le nuvole permettevano di scorgere il pallido disco lunare.
« E’ una questione di principio… » disse, sollevando un dito per evidenziarlo.
« Oh, certo » rise.
« Non mi interrompere, altrimenti gli darai un cattivo esempio – lei scosse in capo in segno di rassegnazione - Ergo non sono geloso ».
Rallentarono quando incapparono in un breve ingorgo. Pepper si stava accarezzando distrattamente il ventre, come se si sentisse di dover rassicurare la piccola creatura che cresceva in lei.
A Tony non sfuggì quel gesto. Non si era neanche accorto di quel leggero gonfiore, un po’ per il buio e un po’ per la distrazione.
« Come… Cioè, no… Voglio dire… Da quanto? » chiese Tony dopo vari tentativi.
« Sono entrata nella dodicesima settimana »
« E’ maschio? »
« Ancora non lo so. Ma per la mia sanità mentale spero sia femmina » confessò Pepper e lo vide sorridere divertito. La pioggia era diminuita di intensità, riducendosi a uno schermo di aghi così sottili da sembrare nebbia. Dei lampi saettarono a tradimento.
« Era solo curiosità. L’importante è che stia bene… Che stiate bene – le diede un’occhiata veloce - Perché non me lo hai detto? » chiese più grave.
Pepper pensò a quello che aveva detto al colonnello.
« Non lo so… - si strinse nella giubba griffata, impregnata del suo profumo - Eri così distante per via di Sokovia, non volevo farti pressione »
« Beh, sarebbe stato un buon modo per attirare la mia attenzione. Nel senso che… Hai capito no? »
« E’ assurdo, ma sì ho capito » rispose mesta, cercando di non notare quanto il suo primo commento fosse fuori luogo.
« Non dimentichiamoci che la vera assurdità è che tu sia uscita con quel ragazzino »
« Si chiama Ben » ripeté, alzando gli occhi al cielo.
« Credo che tu me lo abbia già detto »
« Tipo tre volte »
« E poi chi porta una donna al Fox Trot Cafè senza invitare anche me? ».
Pepper rise di gusto quando Tony svoltò a destra, in una strada semideserta.
« Vedo che per essere terrorizzato sei piuttosto di buon umore »
« Signorina Potts, le devo chiedere da chi ha imparato ad essere così cocciuta » rispose, fermando l’auto sotto a un lampione.
I pochi passanti si soffermarono a guardare la lussuosa automobile appena arrivata.
« Dal migliore »
« Lo prenderò come un complimento »
« Chi ha detto che mi riferivo a lei? » lo stuzzicò, tornando ancora sul formale e Tony si soffermò a pensare ad una risposta adeguata.
« Era ovvio che si riferisse a me » disse infine, pur di non stare zitto. Pur di non dargliela vinta.
Pepper lo osservò scendere dalla macchina e quando fece per imitarlo, lui aveva già fatto il giro per aprirle lo sportello e porgerle la mano. La accettò di buon grado e sfidando i dodici centimetri, si alzò dal comodo sedile in pelle. Spinse la portiera che si chiuse attivando le sicure.
« A cosa devo tutta questa galanteria? »
« Credo che il suo abito possa essere una valida motivazione, soprattutto conoscendo cosa c’è sotto » le sussurrò, incrociando il braccio col suo.
Pepper si maledisse per l'immediatezza con cui la pelle le si incendiava ogni volta che Tony le rivolgeva qualche suo esplicito "apprezzamento". Si portarono sul marciapiede e salirono i gradini che precedevano l’ingresso della palazzina di laterizio. Erano soli e l’unico suono era il pompare accelerato dei loro cuori che avvertivano nelle orecchie. Pepper sciolse il braccio e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
« Io vado a letto » mormorò mentre Tony la guardava imbambolato.
Non c’era stata una volta, tranne quel famoso ballo, in cui gli aveva visto quell’espressione in compagnia di altre donne. Solo con lei.
« D’accordo » disse solo per poi avvicinarsi con cautela e posarle un bacio casto sulla labbra.
Stranamente voleva solo darle il bacio della buonanotte, come da vero gentleman.
Inebriata dal suo dopobarba, Pepper si concedette a qualcosa di più passionale e timidamente, lo costrinse a una danza delle loro lingue.
« Resta » soffiò, passandogli una mano sulla guancia fino dietro la nuca dove strinse alcune ciocche dei suoi capelli sbarazzini.
« Meglio » bofonchiò Tony.
Pepper si sporse maggiormente verso di lui, consapevole di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco quando le mani dell’uomo la afferrarono per la vita. Ma da quando aveva rivisto i suoi occhi scuri, aveva avvertito in sé il bisogno di sentirlo vicino. Di poter alleviare le sue paure, i suoi sensi di colpa che un po’ erano anche le proprie paure e i propri sensi di colpa.
Tony era ancora confuso, ma non riuscì comunque ad opporsi. Quando Pepper lo obbligò a schiudere le labbra con le proprie, perse totalmente la testa e tutti i discorsi finirono alle ortiche. Ricambiò quel bacio, disperato al solo pensiero che se ne potesse andare di nuovo. Trasformò quel gesto in una questione di vita o di morte. Durante quella pausa aveva compreso quanto fosse fottuto senza di lei. Non solo per le pile interminabili di scartoffie che occupavano il suo ufficio. Non poteva vivere senza di lei, non un respiro di più. Pepper gli allacciò un braccio dietro al collo quando, con non pochi problemi, entrarono nella palazzina immersa nel torpore notturno e salirono sull’ascensore.
« E’ strano? »
« No »
Quando l’elevatore arrivò al terzo piano, le porte si aprirono e Pepper trascinò Tony fino al battente d’ingresso del proprio appartamento. Si appoggiò al battente ligneo che indicava l’appartamento 55, su cui Tony la schiacciò delicatamente.
« Devo prendere la chiave d’emergenza sotto il vaso… La mia pochette è nella tua auto ».
Pepper si chinò e con le dita cercò il piccolo oggetto metallico, nascosto accuratamente. Si drizzò in piedi e aprì velocemente la porta, che venne richiusa con un tonfo sordo dal piede di Tony.
« Dove posso scartare il mio regalo? »
« Non la facevo così poetico, Stark » rispose, indietreggiando per condurlo in camera da letto. Attraversarono il corridoio, superando il salotto e il bagno, fra sospiri e schiocchi di baci. Intanto la giacca che Tony le aveva prestato, scivolò sul pavimento.
« Ho molti assi nella manica, Potts e sarò ben lieto di mostrarglieli… » dichiarò prima che la donna lo spingesse verso il letto. Quando ne incontrò il bordo, spostò le mani dalla sua schiena sulle spalle dove agganciò la stoffa per tirarla verso il basso. Pepper collaborò sfilando le braccia dalle maniche e Tony restò piacevolmente sorpreso nel notare che non indossava il reggiseno.
« Signorina Potts, sta diventando smemorata » mormorò, facendola ridere. Quando la baciò per l’ennesima volta, quella risata si trasformò in un mugolio di piacere. Con la punta delle dita le solleticò le braccia, le scapole per poi scendere sul costato.
« Ma apprezzo questo suo difettuccio… »
Si sedette sul materasso e lasciò che Pepper si accomodasse a cavallo sulle sue ginocchia, senza perdere il contatto coi suoi occhi. I loro volti erano così vicini che la frangetta della donna gli solleticava la fronte. I loro respiri si fusero mentre le dita di lei facevano sgusciare i bottoni della sua camicia bianca fuori dalle asole. Quando ne aprì i lembi, riprese a baciarlo con più foga. Tony la circondò con entrambe le braccia dopo essersi liberato dell’indumento. Una scossa lo sorprese quando sentì i seni morbidi della donna schiacciarsi contro i propri pettorali. I jeans già diventati troppo stretti, lo diventarono ulteriormente. Pepper si fermò poi con più calma, gli posò un bacio sulla bocca, sul mento dove il pizzetto che delineava la mascella dell’uomo le pizzicò le labbra, scendendo sul collo fino al petto dove incontrò la cicatrice lasciata dal reattore arc.
Tony nel frattempo boccheggiava ormai al punto di non ritorno. Scostò i capelli della donna sulla spalla destra per posare un bacio su quella sinistra. Invertì la situazione ponendola piano sotto di sé, incurante del dolore che avvertiva un po’ in tutto il corpo a causa dell’ultima battaglia. Riprese a baciarla, sulle guance divenute di un tenue color porpora, stavolta per il caldo. Poi scese sul collo dove cominciò a mordicchiare mentre le mani della donna vagavano sui propri pettorali, fra le scapole e lungo la schiena per poi scendere sull’addome. Sempre più in basso.
« Pep, io devo… »
« Lo so… » rispose poi aprì gli occhi per poterli incatenare a quelli di Tony, che brillavano di un luccichio che non era solo malizia. C’era qualcosa di più profondo e di vero.
Tony le liberò il labbro inferiore, con una leggera pressione del pollice, dalla morsa dei denti. Si abbassò per catturarlo nella propria mentre si sistemava fra le sue gambe. Con una mano le carezzò la guancia, il seno e il fianco a cui diede un pizzico. Pepper ridacchiò, ma si interruppe quando il palmo dell’uomo continuò nella sua traversata. Tony le afferrò il ginocchio sollevandolo fino al proprio fianco. Perse per un attimo il controllo su ciò che doveva fare, quando con quel movimento, i loro bacini si incastrarono. Si ricordò che era già al terzo mese.
Le dita di Tony lasciarono la presa e tornarono ad accarezzarle l’addome, dove affiorava un morbido gonfiore. Sorrise e si sentì un po’ sciocco nell'aver avuto paura di farle del male. Se il rischio fosse stato reale, non sarebbero giunti a quel punto. Ripresero fiato, poggiando la fronte l’uno contro quella dell’altra. Tony disegnò dei cerchi attorno all’ombelico di Pepper, poi si spinse in basso cominciando una nuova scia di baci. Inspirò il profumo della sua pelle lattea, contando le costellazioni di lentiggini mentre percorreva la linea alba prima di fermarsi sulla pancia. Pepper affondò le dita nei capelli scuri di Tony che le aveva infilato la mano negli slip. Sollevò il bacino, poi tirò Tony di nuovo alla propria altezza per baciarlo. Quando le tolse gli slip, dopo averla provocata abbastanza, lasciò che fosse lei a decidere.
Qualsiasi pensiero nella mente di entrambi era stato risucchiato. Tutto quello che dovevano dirsi era stato accantonato dall’idea di poter nuovamente unirsi. Non c’era niente di romantico, ma entrambi necessitavano di appartenersi. Non solo nel corpo.
Almeno per quella notte. Avevano tutto il tempo per parlare, ma ora volevano appagare il reciproco desiderio l’uno e dell’altra. Volevano poter cancellare tutti quei secondi e tutti quei chilometri che li avevano allontanati.
Pepper riuscì finalmente a privarlo degli ultimi indumenti, poi gli diede un tacito consenso e quando lo sentì scivolare in sé, con una lentezza straziante, l’ansia evaporò mentre un timido sole faceva capolino all’orizzonte.

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


We're the BoSS

Tony si svegliò quando un raggio del primo mattino lo colpì agli occhi. Sbuffò infastidito e girandosi sulla schiena, sollevò le palpebre ancora pesanti. Fu confuso quando si rese conto che non c’era F.R.I.D.A.Y a dargli il buongiorno, poi i ricordi della notte appena trascorsa riemersero e ridacchiò come un imbecille.
Era stato ancora più bello, più intenso.
Dopo l’amplesso si era soffermato ad ammirare la curva verso l’alto che le labbra della donna avevano assunto. L’espressione soddisfatta e i capelli ramati annodati, in parte aperti a ventaglio sul cuscino, in parte a solleticargli il volto. Si era girata su un fianco per nascondersi nel suo abbraccio, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Si era raggomitolata contro di lui in cerca di calore. Aveva assaporato la sua presenza dopo quei mesi terribili fatti di lotta e solitudine. Era come se col ritorno di Pepper, tutti i tasselli saltati in aria fossero tornati al loro posto. Il giorno che l’aveva assunta sapeva inconsciamente che quella, era stata la miglior decisione che avrebbe mai preso in tutta la sua intera vita. Aveva chiuso gli occhi, cullato dal respiro regolare della donna e prima che si addormentasse, era riuscito a sussurrarle un ‘ti amo’. Lei gli aveva cinto il torso con un braccio e posato un bacio sulla guancia.
Credette per un momento di esserselo immaginato, ma quando notò l’abito nero piegato con cura su una sedia vicina all’armadio, accanto in terra i tacchi a spillo scintillanti, il suo sorriso si trasformò in un ghigno. Li aveva ancora addosso quando erano impegnati a fare l’amore.
Si girò verso la parte libera del letto, dove Pepper aveva dormito e posò una mano sulle lenzuola. Erano ancora tiepide. Stava per chiedersi dove fosse quando udì il suono di stoviglie provenire da oltre il corridoio. Annusò l’aria riconoscendo il forte aroma del caffè, insieme a quello dolciastro delle paste alla crema. Scostò le lenzuola, si chinò e quando trovò i boxer, li afferrò indossandoli ancora mezzo assonnato. Lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino e notò che erano già le otto.
« Signorina Potts, le ricordo che alle nove deve presentarsi a lavoro se non vuole essere licenziata! » esordì a gran voce. Poi sbadigliò, prendendosi qualche pigro secondo per stiracchiarsi. Attese una risposta, passandosi una mano fra i capelli e fermandosi sulla soglia della stanza. Si accigliò quando non la udì, così si avviò lungo il corridoio tamburellando le dita al centro del petto, dove prima si trovava il magnete.
« Pep, tesoro? » mormorò.
Ricordava esattamente dove Pepper lo aveva accarezzato e gli sembrava di poterne sentire ancora la pressione e al pensiero di vederla in intimo o magari già vestita con uno di quel completi, che la facevano apparire ancora più sexy, lo fece sogghignare pregustando una colazione coi controfiocchi.
Non poteva immaginare che al posto della compagna, in cucina ci fosse qualcun altro: una donna che, pur non essendo effettivamente Pepper, le assomigliava in modo così palese che anche un cieco avrebbe potuto notarlo. Avevano persino lo stesso color rame di capelli, solo che la sconosciuta li portava cotonati. Si girò a guardarlo con stupore. Il caffè gorgogliava nella moka, diffondendone il profumo nell’aria.
« Lei è la colf? » domandò, notando anche la tavola imbandita mentre nella sua testa, in parte rimasta nel mondo dei sogni, faticava a capire perché quella donna fosse come uno specchio di Pepper.
Solo con qualche anno in più.
« No, ma io so chi è lei »
« Davvero? » chiese.
Si diede poi dell’idiota. Era quasi impossibile non riconoscerlo visto che la sua faccia era praticamente ovunque, ma Tony sentì di doversi preoccupare. Gli era capitato di avere a che fare con giornalisti un po’ troppo ficcanaso. Ma quella donna non aveva l’aria del paparazzo…
« Lei è Tony Stark giusto? »
« Beh, così mi dicono da quando sono nato » rispose, sbattendo le palpebre diverse volte.
La donna ridacchiò e dopo essersi asciugata le mani con un panno, si avvicinò a lui per salutarlo. Non sembrava aver notato che Tony non indossasse altro che un paio di mutande o in ogni caso, non lo dava a vedere.
« Io sono Liza Potts. La mamma di Virginia » annunciò cortese.
Tony fece filtrare quelle educate parole, esattamente come aveva fatto alla notizia della gravidanza. Analizzò la situazione e si disse che la miglior difesa è l’attacco. Si dimostrò tranquillo anche se sotto sotto, avrebbe voluto sparire. Inghiottito da un buco nero.
« Già… - mormorò mentre si stringevano una mano - Ecco perché le somiglia così tanto » mormorò più rivolto a sé stesso.
Il suono dello scarico del water li interruppe.
 
Pepper uscì dal bagno dopo una bella doccia calda, con indosso degli slip puliti e la camicia di Tony chiusa con un solo bottone. Si sistemò i capelli asciutti su una spalla, affacciandosi nella camera. Vedendo il letto vuoto, si diresse in cucina.
« Signor Stark, credo che sia lei quello smemorato. Se ben ricorda, le ho consegnato le dimissioni! Perciò tecnicamente lei non è il mio… - fece il suo ingresso, bloccandosi quando sollevò lo sguardo - capo ».
Non poteva crederci. Tony era in piedi, a torso nudo, intento a bere una tazza fumante di caffè con un braccio poggiato sul piano della cucina e poco lontano, ai fornelli, sua madre versava del thè in una seconda tazza. Stavano conversando pacificamente, come se fossero sotto un gazebo in un tranquillo pomeriggio estivo. Scosse il capo, strizzando gli occhi e sperando che fosse un suo bizzarro sogno.
« Virginia, stavo per venirti a chiamare » la rimproverò sua madre come se non avesse notato l’uomo in boxer vicino a lei. Come se dovesse ancora prendere l’autobus per andare a scuola.
« Mamma, ma che…? » tartagliò.
« E’ questo il modo di dire buongiorno. Ora siediti e fa’ colazione » rispose la donna, mettendole la tazza di thè tra le mani. Ormai era tardi. Guardò Tony da oltre il bordo della tazza mentre beveva un sorso.
Continuava a squadrarla spudoratamente da capo a piedi, facendo finta di niente.
« Stavo per proporre a Tony di venire a pranzo da noi domenica ».
Pepper sussultò e guardò l’uomo che forse ignaro di tutto, e forse col solo scopo di irritarla, accettò.
« Sì, perché no? »
« Domenica… » ripeté, più a sé stessa.
Pepper immaginava già cosa sarebbe successo e c’erano due opzioni su come poi sarebbe finita quella giornata: a) suo padre avrebbe staccato la testa di Tony dal corpo e l’avrebbe esposta sul cancello davanti casa; b) suo padre avrebbe comunque staccato la testa a Tony per poi tenerla come un trofeo di caccia sopra il caminetto. Ma mentre cercava di ideare un piano perché la testa di Tony rimanesse dov’era, sua madre sembrava non accorgersi dei meri pericoli che si celavano in quella domenica, che lei stessa stava dipingendo come un placido quadretto bucolico. Conoscendo inoltre il suo carattere esuberante, anche in quel caso c’erano due opzioni su come si sarebbe comportata: a) li avrebbe costretti a restare anche a cena e sarebbero rimasti lì un anno, due e poi per sempre; b) l’avrebbe messa in imbarazzo tirando fuori qualche vecchio aneddoto o peggio, le foto di famiglia. Pepper odiava quelle foto.
« Non avrete mica qualche impegno? » chiese Liza, quasi sconvolta all’idea che quel pranzo sfumasse. Pepper voleva far sì che ciò accadesse, ma Tony la precedette.
« No, Signora Potts. Ci saremo, sicuramente »
« Perfetto » cinguettò la donna.
Poi Tony mise via la tazza e si mise di fronte a Liza con un sorriso smagliante.
« Mi scusi Signora, ma alle dieci abbiamo una conferenza stampa »
« Quale conferenza? » domandò Pepper a metà fra la sorpresa e la circospezione. Era già successo una cosa simile e non voleva ripetere l’esperienza. Non sapeva perché ma sentiva che stavolta non si trattava solo di Iron Man, ma qualcosa di ben più grosso che avrebbe fatto venire l’acquolina ai tabloid. Soprattutto perché Tony stava parlando come se per la prima volta volesse arrivare in perfetto orario.
« La conferenza. Non te lo avevo detto? » rispose Tony, mettendo su l’aria di innocenza più bugiarda che gli avesse mai visto. Gli riusciva molto bene, ma sapeva che avrebbe dovuto recitare bene la propria parte per evitare che lo ammazzasse sul serio.
« No, visto che non sono più… - si interruppe, sapendo dove volesse andare a parare e si costrinse a distendere i nervi - No, ma provvederò a sistemare » aggiunse, armandosi di tutta la pazienza di cui fosse capace. Lo fissò, lasciandogli bene intendere che non l’avrebbe passata liscia.
« Grazie, tesoro – sorrise nuovamente a Liza - Signora Potts, è stato davvero un piacere. Non vedo l’ora di rivederla ».
« Oh, caro… Suvvia. Il piacere è tutto mio » disse la donna, liquidandolo con un gesto frivolo della mano a cui Pepper rispose roteando gli occhi. Poi si accorse che Tony era ancora lì, accanto a lei e la fissava con un’espressione inebetita.
« Mi servirebbe la mia camicia » le sussurrò sensuale e Pepper notò che la blusa metteva in mostra più di quanto fosse lecito, nonostante la coprisse fino a metà coscia. Ne tirò i lembi, coprendosi quando più possibile i seni con la mano libera mentre Liza faceva finta di non aver notato quello scambio di battute.
« Tony, va a farti la doccia mentre ti preparo un’omelette » gli rispose, fingendo un tono candido e mandandolo mentalmente a quel paese mentre sentiva il sangue arrivarle alle guance.
« Sì, tesoro » gongolò, schioccandole un bacio all’angolo della bocca.
Poi si girò verso sua madre, come se si fosse dimenticato di qualcosa.
« A domenica ».
Liza rispose con un sorriso, poi quando furono finalmente sole, Pepper portò le mani sui fianchi.
« Perché non mi hai chiamata? »
« Non volevo disturbarti, così ho usato il doppione che mi avevi dato. E a quanto pare ho fatto bene… »
« Mamma! » la riprese, arrossendo e tornando a chiudersi la camicia di nuovo.
« Non fare quella faccia. Ho fatto un lungo volo per venire qui a vedere se stavi bene. Non mi hai nemmeno chiamata, ero preoccupata! – arcuò un sopracciglio, esattamente come faceva lei - E non mi hai detto che eri tornata con Tony »
« Perché è successo ieri sera » disse, terminando la propria tazza di thè.
« Glielo hai detto? ».
Sapeva a cosa la madre si riferisse e istintivamente le proprie labbra si incresparono.
Durante la notte lo aveva sentito mugugnare nel sonno, in preda ad un incubo. Lei aveva aperto gli occhi per esserne sicura e lo aveva visto disteso su un fianco, rivolto verso di lei. La mani strette a pugno come se stesse combattendo contro un nemico invisibile. Lei aveva allungato una mano sui pugni, che gli avevano sbiancato le nocche e subito aveva reagito. Aveva smesso di agitarsi e l’aveva abbracciata come avrebbe fatto un naufrago con la zattera nel bel mezzo di un monsone. Poi la mano di Tony si era posata sul suo ventre come a voler proteggere entrambi. Lei e il bambino.
« Sì » rispose con un sospiro.
Liza la calcolò. In quei due mesi aveva visto la sua bambina perdere quel sorriso che ora, invece le era spuntato sulle labbra come un bocciolo a primavera.
« Bene. Allora io vado » annunciò, raccogliendo le proprie cose.
« Chiamami quando atterri »
« Da che pulpito! – le baciò la fronte - Raggiungilo, gli serve la camicia »
« MAMMA » strillò Pepper, poi lasciò la tazza sul tavolo quando la donna chiuse la porta.
Pepper entrò nel bagno e si diresse verso i propri abiti perfettamente stirati e appesi alla gruccia vicino al lavandino. Udì Tony fischiettare sotto la doccia.
« Non credo sia il luogo adatto per mangiare un’omelette » disse Tony, alzando un po’ la voce per farsi sentire sullo scroscio dell’acqua quando capì che Pepper era entrata nel bagno. Stava prendendo lo shampoo, ma il suo sguardo colse un movimento dallo spiraglio della tendina. Prendendo il flacone del bagnoschiuma, si sporse un poco per vedere meglio.
« Ma mi andrà bene anche lei… » mormorò malizioso quando Pepper si tolse la sua camicia.
« Potevi anche indossare i pantaloni » lo rimproverò, afferrando la tenda e precludendogli qualsiasi visuale sul suo corpo nudo. Sbuffò e in fretta, finì di lavarsi.
« Non sapevo che abitassi con tua madre » allungò una mano fuori e Pepper gli diede un asciugamano.
« Infatti – disse sistemandosi le bretelle del reggiseno - E’ venuta qui perché questa settimana ho dimenticato di chiamarla ».
Vide Tony uscire dal box doccia, coperto dalla vita in giù quando lei aveva già indossato la camicetta con le maniche a sbuffo e la gonna a tubo in jersey nero.
« Signorina Potts, sta perdendo colpi » la canzonò, prima di frizionarsi i capelli con un altro panno.
« Anche lei, Signor Stark » rispose lei, di pari tono e concedendosi lo sfizio di guardarlo un po’ più a lungo.
« Mi permetta di correggerla: lei è stata promossa a co-amministratore delegato delle Stark Industries… »
« Mi permetta di farle un appunto: co-amministratore significa che lei non è il mio capo… » ribatté, afferrando la spazzola per lisciarsi la chioma fluente.
« Ergo, sono di nuovo il suo capo »
« Ergo noi siamo il capo » concluse, fissando il loro riflesso sullo specchio del bagno.
« Touché »
« Ora si muova » lo incoraggiò, spruzzandosi due gocce di acqua profumata sul collo.
« Potts, la sua memoria peggiora esponenzialmente. Ha appena dichiarato che siamo il capo »
« …o arriveremo in ritardo a lavoro »
« …perciò possiamo ritardare ».
Pepper si voltò a guardarlo e per un attimo fu tentata da quelle lusinghe. Ancora non credeva che fosse là, con lui, seminudo in bagno. Le era mancato, megalomania compresa.
« Mi spiace farle un secondo appunto, ma quanto ho appena dichiarato significa che non dobbiamo ritardare poiché dobbiamo dare il buon esempio » aggiunse, lanciandogli la camicia e andandosene.
Tony la studiò come un nuovo progetto: il modo in cui la gonna le cadeva sui fianchi, disegnandole tutte le curve e mettendo in risalto il lato b, le gambe snelle e le spalle appena lasciate scoperte dalla blusa bianca che ondeggiavano appena a ritmo del suo passo.
 

*

Il sole di metà mattina batteva sui vetri della gigantesca Stark Tower, ormai diventata parte dello skyline della Grande Mela. Tony accostò nel piazzale antistante l’ingresso dell’edificio, dove già un folto gruppo di fotografi e paparazzi si erano letteralmente accampati sulla pavimentazione. Notò Pepper intenta a giocherellare col manico della borsetta in tinta con le scarpe color camoscio lucide.
« Rilassati » le suggerì, slacciando la propria cintura di sicurezza e girandosi verso di lei.
« E’ quando dici così che inizio a preoccuparmi »
« Sempre melodrammatica » borbottò, sollevando gli occhi al cielo in modo teatrale.
Pepper gli rivolse l’espressione a cui si era dedicata per il perfezionamento, ma senza sortire l’effetto desiderato. Era il tipico sguardo trasecolato che usava per rimproverarlo. E’ difficile essere professionali quando si ha a che fare con  un egocentrico miliardario da cui sei attratta. In tutti i sensi.
Tony le premette un dito in mezzo al fronte, ricordandole ET.
« Non fare così. Mi piaceresti in ogni caso, ma le rughe non sono uno scherzo » mormorò, distogliendola dalla situazione. Pepper decise di giocare.
« Tu dovresti saperlo meglio di me » lo schernì, ma lui non sembrò toccato.
Fra loro in fondo c’erano solo cinque anni di differenza.
« Avresti proprio bisogno… »
« Non ci provare » lo avvertì, sollevando l’indice di una mano.
« …di una vacanza ».
Tony si sporse verso di lei e inspirò il suo profumo al mughetto. Dolce come i tentativi che compiva per resistergli. Si trattenne dal baciarla perché se lo avesse fatto, avrebbe chiuso gli sportelli e l’avrebbe trascinata sui sedili posteriori. Giornalisti o meno. Per una volta il buonsenso ebbe la meglio e si limitò a sistemarle una ciocca di capelli dietro il lobo dell’orecchio, senza lasciarsi sfuggire l’effetto che aveva avuto quel semplice tocco su di lei.
« Ricordati di sorridere » le disse con un ghigno.
Pepper socchiuse gli occhi, riempiendo i polmoni il più possibile mentre scendeva dall’auto dopo che Tony le ebbe spalancato la portiera. Si avviarono insieme dentro all’edificio mentre lui invitava amichevolmente i fotografi, come se fossero vecchi amici che si riunivano a una cena.
« Perché non venite anche voi dentro? Andiamo! ».
Quelli non se lo fecero ripetere e si accodarono, come dei paperotti dietro a mamma anatra. Pepper cominciava ad avere un brutto presentimento. Era lo stesso presentimento che aveva avuto due anni addietro quando Tony aveva dichiarato in diretta mondiale di essere Iron Man. Neanche il viso di Happy, abbigliato nel solito completo nero, che si era precipitato verso di loro col rigoroso badge appuntato, riuscì a rincuorarla.
« Signor Stark? » domandò, facendo trapelare tutta l’incredulità.
Tony rivolse al suo fedele ex-chauffeur un sorrisetto. Non importava chi, l’importante per lui era stupire.
« Ciao Happy. Vieni con noi? » ma era già andato oltre.
Happy esitò poi si affiancò a Pepper, accelerando il passo.
« Signorina Potts, credevo… »
« E’ una lunga storia » rispose lei sbrigativa mentre superavano un angolo.
« Può dirmi che sta accadendo? Ho dovuto rinchiudere quegli sciacalli in Aula Magna, altrimenti starebbero scorrazzando in libertà ».
Continuarono a seguire Tony, che senza aspettare nessuno entrò nella suddetta stanza. Pepper si fermò davanti alla porta per guardare in faccia Happy, in attesa mentre la folla di paparazzi li superava come se fossero un masso in mezzo ad un torrente. Guardò l’uomo dritto negli occhi non sapendo bene cosa dirgli. La verità era che neanche lei sapeva quello che stava accadendo. Tony era tornato da uno scontro contro il Capitano Rogers, lasciandola con un milione di domande senza risposta. Non gli aveva chiesto niente, anche perché erano entrambi troppo impegnati a riappacificarsi. Non gli aveva fatto quelle domande perché voleva che fosse lui a cominciare.
« Sinceramente non lo so neanche io… - tenne d’occhio il miliardario che si era già accomodato sulla predella - Puoi farmi un favore? Tieni il motore acceso ».
Happy annuì, poi si allontanò. Pepper entrò nell’Aula Magna, dove una massa di giornalisti si erano accalcati armati di videocamere, microfoni e registratori vocali.
« Buongiorno a tutti! Prego, sedetevi pure così risponderò alle vostre domande » esordì Tony, accompagnando le parole con un gesto disinvolto. Pepper rimase in piedi vicina ad alcuni dipendenti delle Industries, incuriositi da tutta quell’agitazione. C’erano diversi uomini della sicurezza e mai come in quel momento, Pepper si sentì a suo agio con loro. La voce di Tony catturò la sua attenzione.
« Chi comincia? – scrutò tra la gente - Mmh, il Charlie Chaplin in seconda fila »
« Sono Jonathan del Daily News » rispose l’uomo di cui Pepper vedeva solo i capelli biondi.
« Avanti Jonny »
« Lei ha firmato i patti di Sokovia quasi un mese fa e appena ieri, è avvenuto l’incontro col segretario Ross. Sa dirci perché Capitan America non era presente? ».
Tony divenne improvvisamente cupo e la cosa mise Pepper a disagio. Il modo in cui le labbra dell’uomo, che le aveva sorriso pochi minuti prima, si erano ridotte ad una dura linea le fece capire che era successo ben di più che una semplice rissa. Aveva provato a chiedere a Rhodey, ma nemmeno lui sembrava conoscere altri dettagli. O forse come lei aveva pensato la stessa identica cosa: una parte di Tony non era tornata. Un brivido le percorse la spina dorsale quando udì la risposta.
« Non so dove sia il ragazzone a stelle e strisce, tantomeno mi interessa. Concentriamoci su di me per favore. – sbottò quasi ringhiando - Qualcun altro? ».
Dopo alcune noiose domande liquidate con brevi sillabe, fece di nuovo vagare lo sguardo puntando infine Pepper. Era proprio incantevole. Elegantemente dritta su un paio di tacchi a spillo, le mani tenute in grembo con assoluta naturalezza.
« La bambola lì in fondo… - la indicò e tutti si voltarono per vederla - Oh, è lei Signorina Potts. Se lo lasci dire è davvero incantevole » disse, accompagnando con un sorriso quando la vide passare a un colorito cremisi. Oh, sì… Adorabile. Gli piaceva da morire chiamarla Pepper, ma ancor di più, gli piaceva metterla in imbarazzo. Era il suo passatempo preferito. Poi diede la parola a un altro giornalista.
« Mi chiamo Michael del Times »
« Dica »
« Signor Stark, lei è appena tornato dopo settimane di indiscrezioni secondo le quali avrebbe abbandonato la gestione delle Industries. Eppure siamo qui. Mi chiedevo cosa avesse in mente per l’immediato futuro »
« Oh, finalmente una domanda interessante! Chiamerò il suo capo per farle dare un aumento. – poi tornò serio - Dunque tutti sappiamo che ho chiuso il settore bellico e da allora, la mia azienda è cresciuta in fretta. Anche nei valori. Oggi ho deciso di farla crescere ulteriormente, ma non posso farlo da solo. – sollevò una mano e piegò l’indice per invitare la diretta interessata ancora ignara - Signorina Potts, venga qui vicino a me ».
Pepper impiegò circa dieci secondi per capire che tutti stavano aspettando lei. Guardò Tony e cercando di non farsi prendere dall’ansia, percorse la stanza per raggiungerlo. Durante la traversata, la comprensione le gelò il sangue nelle vene. Salì i gradini e gli si affiancò, stringendo le dita sui bordi della borsa.
« Sono perfettamente in grado di strangolarti » lo minacciò, stirando le labbra in un sorriso così da poter sussurrare da un angolo della bocca, senza che nessuno se ne accorgesse.
« Appena usciamo di qui, andiamo dritti dritti a Parigi » mormorò, ignorando completamente le sue parole.
« Tony…! »
« Vienna? » propose , poi ci fu un attimo di silenzio in cui i due si concentrarono sugli occhi dell’altro mentre alcuni flash esplosero nella stanza.
« La qui presente Virginia Potts è stata la mia assistente per molti anni. E’ la persona più capace che io conosca, probabilmente l’unica che io rispetti. Pertanto ho ritenuto giusto premiarla per la sua costanza e per il suo impegno, nominandola co-amministratore delegato delle Stark Industries insieme al sottoscritto. Da questo momento, la Signorina Potts possiede il cinquanta percento delle mie proprietà, che ufficialmente diventano le nostre » concluse indicando alternativamente sé stesso e la donna, ancora pietrificata.
I giornalisti si alzarono in piedi e si gettarono su di loro come se farlo, li avrebbe davvero aiutati. Pepper ancora scossa, non mosse un muscolo finché non avvertì il tocco discreto di Tony dietro la schiena. Scesero dalla predella, scortati fuori da un quartetto di bodyguard che li isolarono da tutta la calca.
« Signor Stark, indosserà mai più i panni di Iron Man? ».
Quella domanda anonima gettò un velo di tensione sui presenti e sulla stessa Pepper, che guardò Tony, rimasto immobile, da oltre la spalla. I suoi occhi scuri la fissarono poi l’uomo le diede le spalle come aveva fatto coi giornalisti pochi secondi prima.
« Iron Man è morto » sentenziò con voce dura, poi posò di nuovo la mano sulla schiena di Pepper e uscirono.

Angolo Autrice: Salve Lettori e Lettrici! So che questo capitolo è un po' più corto, ma serviva come "passaggio" per il prossimo capitolo, perchè appunto entreremo in un aspetto più Angst e introspettivo per quanto riguarda il nostro amatissimo Tony ;)
Piccola precisazione: il giornalista che Tony chiama Charlie Chaplin è un chiaro riferimento al ruolo interpretato dal mio solo e unico amore Robert Downey Jr qualche annetto fa ahahahah
E niente... Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno inserito la storia già tra le preferite/ricordate/seguite, in particolare _Atlas_ e leila91 per le recensioni (adorooo *-*), ma anche chi legge in silenzio!
Basta, non vi trattengo. A presto!
50shadesOfLOTS_Always

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Only a man

Nobody said it was easy.
Oh it’s such a shame for us to part.

 
Pepper era così infuriata che aveva deciso di sedersi e basta, aspettando che la pressione del sangue rallentasse. Tony aveva preso la saggia decisione di non farsi vedere per almeno due ore, lasciandola sbollire. Ma non le sarebbero bastate. Sentiva davvero la necessità di soffocarlo con un cuscino. Come la volta precedente aveva fatto tutto di testa sua, non l’aveva consultata e non si era preoccupato delle ripercussioni su quella che inizialmente era stata una proposta frivola, fatta la sera precedente in macchina dopo avergli appena detto della gravidanza. Ripercussioni che avrebbero riguardato lei principalmente, visto che era lei quella che aveva a che fare con la stampa. Co-amministratrice.
Come se già non fosse impegnativo fare l’assistente!
E il fatto che ora si trovasse su un jet privato diretto a Vienna, la faceva arrabbiare ancora di più. Happy era stato contattato per portarla all’aeroporto visto che lei si era rifiutata di tornare a casa con lui. Il povero chauffeur era stato intimato ad obbedire pur sapendo che lei era in disaccordo. Aveva programmato di chiamarlo, fissare un appuntamento o magari andare nel suo attico, e dirgli tutto. Poi se lo era ritrovato davanti al Fox Trot, nella solita situazione impegnativa. Era salita in macchina con lui, solo per farsi riaccompagnare a casa.
‘Avresti potuto prendere il taxi…’, le rinfacciò la ragione. Poi avevano iniziato a parlare, bisticciare poi di nuovo a parlare, senza più fermarsi.
« Mi manchi, Pepper ».
Era stato così sincero per la prima volta. Non era riuscita a resistere, lo aveva fatto per due mesi. Era stato tremendamente doloroso lasciarlo e ritrovarlo distrutto quanto lei… Una semplice chiacchierata, si era detta, dove avrebbero cercato di trovare un punto di incontro anche perché voleva andarci piano.
‘Andarci piano?! Gli sei praticamente saltata addosso!’, replicò la sua coscienza.
In quel dialogo contro sé stessa, si rese conto di aver fatto tutto da sola. Se l’era cercata.
‘Congratulazioni, Virginia’, rincarò la sua razionalità battendo le mani con fare sarcastico.
Si massaggiò le tempie, sperando che l’emicrania scemasse anziché aumentare come stava facendo. Poi distratta, accese la tv sperando che quell’arnese la deconcentrasse dal polverone che si era appena alzato, ma fu una pessima scelta. Infatti quasi tutti i canali trasmettevano la notizia della sua inaspettata promozione. Si arrese, smettendo con lo zapping. Tanto valeva sorbirsi uno di quei telegiornali.
< E’ di poche ore fa la notizia del ritorno del plurimiliardario Tony Stark alle proprie Industries. Alle ore dieci ha tenuto una conferenza stampa dove ha risposto a poche domande, dichiarando infine che Iron Man è morto. Inoltre ha eletto la sua celebre segretaria Virginia Potts, co-amm… >
« Muto » mormorò sbrigativa la voce di Tony alle sue spalle.
Pepper guardò verso il finestrino quando lo vide entrare nel proprio campo visivo con un vassoio coperto su una mano e le posate avvolte in un tovagliolo nell’altra. Posò il tutto sulla tavoletta a parete davanti a lei e si sedette sul sedile, senza dire nulla. Se lo aspettava. Lo aveva già fatto altre volte, non solo a Monaco.
« Non basterà un’omelette »
« Non è un’omelette » rispose lui con tono calmo.
Se c’era una cosa che Tony aveva imparato durante la loro “convivenza” era che, irritare Pepper quando è già nervosa, non è mai una buona idea. Lui la seguiva alla lettera, riuscendo comunque ad infrangerla.
« Ti rendi conto di quello che hai fatto? » sbottò alla fine.
Doveva sfogarsi o sarebbe implosa.
Tony non riusciva a capirla. Ogni volta che credeva di farle un favore, lei confermava il contrario. La stava sottraendo alla stampa e a tutti quelli che una volta sarebbero stati il suo compito, ma non sembrava gradire molto i suoi sforzi. A quel pensiero il proprio filtro bocca-cervello lo seguì nella vacanza.
« Sì, ho salvato la mia azienda. Anzi nostra » rispose, rendendosi conto solo dopo che quella non erano le parole adatte alla situazione. Pepper non potè credere alle proprie orecchie.
« Non ti è passato dall’anticamera del cervello di chiedermi se fossi d’accordo? »
« Ho fiducia in te »
« Non stiamo parlando di fiducia – disse, continuando ad alzare la voce – Credevo che avremmo passato un po’ di tempo insieme prima »
« E’ quello che sto facendo! Non capisco »
« Scappando in Europa? » domandò lei e Tony cominciò a sentirsi minacciato.
La discussione stava degenerando.
« …quale sia il problema »
« Come hai potuto… »
« Pepper… »
« …farlo senza neanche chiedermi »
« Pepper… »
« …se davvero volessi »
« Pepper! – la zittì, alzando la voce a propria volta - So quello che faccio »
« Lo hai detto anche due anni fa ».
Fu il suo turno zittire l’uomo. Lui sapeva a cosa si stesse riferendo e conosceva anche com’era finita. Attese almeno trenta secondi prima di rispondere per ponderare le prossime parole.
« D’accordo. Mi dispiace essere stato così… Brusco, ma davvero… »
« Davvero cosa?! ».
Tony la guardò e in quel momento comprese la falla nel proprio piano. Aveva agito d’impulso, spinto dalla voglia di scappare con lei. ‘Oh, Pepper… Lo so che sono un disastro…’, pensò con rammarico.
Capì che il nocciolo della questione non era la sua promozione, ma il modo in cui lo aveva fatto. Da solo.
Per una volta diede retta alla voce della coscienza e ammise la propria colpa.
« Scusa » disse e Pepper, giratasi verso l’oblò, lo guardò di sottecchi.
Le soffici nuvole parevano sostenere le ali del jet, come un soffice cuscino e il mare blu scintillava limpido.
« Perché andiamo a Vienna? » chiese con più calma.
« Ritiro aziendale »
« Tony, non tirare la corda… » lo ammonì, incenerendolo con un’occhiataccia.
« Okay – sollevò le palme delle mani in segno di resa - Voglio passare… Con te… Sì, lontano da tutto e tutti… » rispose, abbandonando le braccia sui braccioli del sedile.
Pepper smise di guardare il panorama, al contrario di Tony che preferì celarsi ai suoi occhi. Ma per quanto ci provasse, vide che era stanco, molto più di lei e molto più di quanto volesse far credere.
« Iron Man è morto ».
Pepper aveva riflettuto anche su quelle parole. Per quanto fosse stato serio mentre le pronunciava, non ci credeva. Lo guardò ancora. Stava mentendo e c’erano due cose che spingevano Tony Stark a mentire: nervosismo e paura.
« Stai solo rimandando l’inevitabile » gli ricordò, addolcendo la voce.
« Lo so, ma non m’interessa » rispose con un mormorio prima di decidersi a guardarla.
Gli occhi nocciola erano diventati due pozze torbide e lei sentiva gli enormi interrogativi che premevano dall’interno della propria scatola cranica.
« Ti odio » sussurrò, riducendo le palpebre a due fessure quando riconobbe l’espressione da cucciolo bastonato. La usava ogni volta che poteva, consapevole che qualora l’avesse usata, avrebbe sicuramente vinto.
« Non dirlo se non ci credi » rispose lui con un sorriso divertito.
Pepper abbassò lo sguardo sul piatto ancora coperto.
« Cos’è? »
« Cheesecake alle… » annunciò scoperchiando la vivanda per poi ricordarsi di un fondamentale particolare, che gli aveva fatto scegliere proprio quella torta.
« L’unica cosa a cui sono allergica » terminò, fissandolo quasi indignata quando notò la marmellata.
« Fragole – fece spallucce - Non lo faccio apposta »
« Me lo auguro » borbottò aspra, prima di abbandonarsi sul sedile.
Tony si alzò quando seppe di aver quantomeno aggiustato le cose fra loro. Doveva prestare attenzione e procedere con metodo. Stavolta non poteva, doveva… Non voleva sbagliare. Era la sua… Ennesima possibilità e non l’avrebbe sprecata. L’avrebbe resa fiera di lui. Sì.
Riprese il vassoio in mano per portarle qualcos’altro che non rischiasse di ucciderla con uno shock anafilattico e si chinò sulla donna per posarle un bacio sulla guancia.
« Riposati »
« Non dirlo se non ci credi » rispose lei, facendolo ridacchiare.

***

Il paesaggio scorreva moderatamente veloce fuori dal finestrino. Il sole era sorto da circa un paio d’ore e dopo essere atterrati, Happy li stava portando a casa prima di riprendere a lavorare. Mancavano pochi chilometri a Malibu Point e la nuova coppia sedeva comodamente sui sedili posteriori dell’auto. Happy guidava rilassato e di tanto in tanto, scrutava i due sullo specchietto retrovisore per poi sorridere come un genitore orgoglioso. Pepper aveva ricambiato l‘ultimo sorriso per poi fissare le proprie dita intrecciate a quelle di Tony. La cosa la inquietava e la sollevava con la stessa intensità. Dopo così tanto tempo, sembrava naturale. Veniva loro naturale. Com’era stato naturale fingersi sposati a Vienna. Il Signore e la Signora Ryder.
Avevano visitato la città, provato una cucina diversa ed erano andati perfino a teatro, a uno spettacolo di una prestigiosa orchestra per ascoltare Puccini. Il resto delle giornate lo avevano trascorso in albergo, battezzando qualsiasi superficie disponibile nella stanza. Più che i monumenti e le opere d’arte, avevano sperimentato il sesso più sano mai provato: quello della riconciliazione. Non erano riusciti a staccarsi di dosso l’uno dall’altra e Pepper capiva perché Tony non avesse così nostalgia dell’America. Per tre giorni erano rimasti protetti in una bolla idilliaca. Mentre il mondo parlava di loro, loro si erano scordati perfino che ci fosse un mondo. Tony si era “ritemprato” nel vero senso del termine. Era sembrato il solito eccentrico Stark, ma meno sulle spine. Avevano giocato come due ragazzini, come se non avessero mai avuto problemi. Ora però le teneva il broncio perché in realtà, avrebbero dovuto essere ancora a Vienna. Si disse che almeno stavano tornando a Malibu, nella nuova e tranquilla Villa Stark. Presto, avrebbe avuto modo di togliergli quel labbruccio infantile. Nuove superfici da testare, ma più in generale, nuova vita. Sarebbero ripartiti da zero. Tabula rasa.
Anche Tony rifletteva sul fatto di come non si fosse minimamente esagitato quando con estrema non-chalance aveva mentito sulle loro identità. Una parte di lui, quella che era riemersa col rapimento in Afghanistan, aveva calcolato la possibilità di un matrimonio. Certo, non le aveva fatto neanche il minimo accenno all’argomento. Perché l’altra parte di lui, quella tornata dalla Siberia, faceva fatica ad immaginarsi in una relazione stabil…ita. Finora se l’era cavata bene… Conferenza a parte. Calcolò che avevano trascorso quasi un quarto della loro vita insieme, seppur nei ruoli di capo e assistente, quindi non c’era neanche il problema della conoscenza. Si sentiva come se stesse valutando le percentuali di successo di un nuovo prototipo. Si stropicciò gli occhi, decise di compiere un balzo avanti.
« Possiamo sistemare la stanza degli ospiti per… Come cameretta » disse, guardando fuori dal finestrino e spezzando definitivamente il silenzio nell’abitacolo.
Pepper scorse il sussulto di Happy, rammentando il fatto che non lo avevano informato.
« Sì – aggrottò la fronte - Non sei più arrabbiato? »
« Non ero arrabbiato. Solo non… »
« Faremo altre vacanze – lui le rivolse immediatamente un sorriso obliquo - Non adesso »
Pepper si spostò più vicina a lui, poggiando la testa sulla sua spalla e inspirando la sua colonia.
Tony si girò abbastanza da schioccarle un bacio sui capelli rossi. Un contatto speciale.
« Ho prenotato la visita dal ginecologo di New York » disse lei, abbassando un po’ la voce.
Tony non fu sicuro che fosse solo per la presenza di Happy alla guida.
« Quando? »
« Fra una settimana ».
Abbassò gli occhi, scrutandola con un po’ di preoccupazione quando non aggiunse altro. Lui non sapeva niente di gravidanza né di marmocchi. Anche in quell’occasione sua madre avrebbe saputo dirgli come agire. Odiava non avere il completo controllo su ciò che lo circondava.
« Tutto a posto? » chiese, non riuscendo a mascherare l’ansia.
« Sì, è solo un controllo ».
Nonostante quelle parole, non riuscì a sentirsi meglio. Tornò a guardare il poggiatesta del sedile anteriore, cercando di evacuare la mente stipata di pensieri.
‘Già, cosa farai quando sarà il momento?’, gli chiese la sua vocina che prontamente ripudiò in un angolino.
« Vuoi che ti accompagni? » domandò, sorprendendosi di sé stesso.
Pepper sorrise, ma cercò di non fargli notare quanto era stato insicuro nel farle quella proposta. 
« Hai una riunione col consiglio di amministrazione. Non puoi mancare » gli ricordò, disegnando dei cerchi con la mano libera sulle nocche di quella di Tony.
« Sì, che posso sono il capo »
« Tony, apprezzo la tua proposta. Ma non puoi mancare dopo la conferenza » mormorò cercando di usare tutto il tatto che poteva, posando la guancia contro la sua spalla. Tony abbassò lo sguardo e notò come alcune ciocche rosse le oscuravano gli occhi cerulei. Una serie di lentiggini le colorava la pelle sugli zigomi.
« Prepotente  – stava per chiudere lì la questione quando si ricordò di un particolare - Aspetta… Hai detto ginecologo? »
« Sì » rispose lei, arcuando un sopracciglio.
« Quindi oltre al damerino dell’ufficio, ti vedevi con un… Ahi, ahi, ouch! – le dita di Pepper gli stavano strizzando la pelle del costato, sgualcendo la camicia - Ahia! Stavo solo scherzando ».
Rivolse uno sguardo infuocato prima alla donna, che aveva smesso di torturarlo e poi a Happy che a stento tratteneva una risata. Senza impegnarsi. Dopo poco l’auto imboccò il viale di ghiaia per fermarsi davanti alla villa ricostruita, più gigantesca dell’originale. Tony scese dall’auto e Pepper lo seguì a ruota dopo aver ringraziato lo chaffeur, ancora scosso per la notizia della gravidanza. ‘Mai scosso quanto poteva esserlo uno dei responsabili’, pensò Pepper. Sperò che al sicuro fra quelle mura, si sarebbe aperto con lei per confessarle cosa lo stesse turbando. Ma proprio quando stava per riprendere con la propria indagine, interrotta a causa di quelle mini ferie, sbatté contro le spalle di Tony, fermatosi nell’atrio. Allungò il collo per vedere e rimase stupita quando colse la figura di Nick Fury, seduto comodamente su un nuovo divano in pelle color crema, sovrano in un lussuoso salotto affacciato sull’Oceano Pacifico che luccicava sotto i raggi del primo sole.
« E’ venuta su bene » esordì l’uomo, alzandosi in piedi.
Indossava il suo inseparabile impermeabile nero e gli scarponi militari dello stesso colore. L’unico occhio buono si fermò prima su Tony e poi brevemente su Pepper, che stava per avanzare ma venne fermata da un braccio del compagno. Lo guardò confusa, tanto quanto Fury che comprese quanto fosse sgradita la sua presenza lì.
« Questa è violazione di domicilio » dichiarò Tony, freddo e monocorde.
« Volevo parlare con te, ma sei sparito »
« Che cosa vuoi? » chiese sempre più distaccato e sprezzante.
« Lo sai benissimo – mormorò, tenendo ancora le mani giunte dietro la schiena - Un rapporto su quello che è successo ».
« Te lo avrei mandato per e-mail. Non era necessaria questa falsa visita di cortesia » rispose Tony.
« Volevo anche accertarmi che stessi bene ».
Tony fece l’ultima cosa che Pepper si aspettava: cominciò a ridere, di gusto.
« Perfino Natasha sa inventarsi una bugia migliore » disse, ma non era divertimento.
No. Quella era una risata nervosa, glaciale. I due uomini si fissarono negli occhi e Pepper giurò che l’aria stesse crepitando.
« Se sei qui per gli Avengers o per qualsiasi altro progetto suicida… - ora la sua voce aveva assunto un tono pericoloso - Io sono fuori »
« Sì, ho visto la conferenza »
« E allora che cosa vuoi ancora? ».
Il silenzio che seguì non fu quiete, anzi agitò maggiormente Pepper.
« Fuori da casa nostra. – aggiunse Tony, scandendo bene le singole parole - Subito o deciderò di usare l’armatura per un’ultima volta ».
Fury non rispose, poi fece scivolare lo sguardo alternativamente fra il “Signorino” e la sua curiosa compagna. Ne aveva sentito parlare, Coulson gli aveva fornito informazioni vaghe tempo addietro, ma non l’aveva mai vista in carne ed ossa. L’aveva descritta come una donna attenta, spigliata in qualsiasi situazione, ligia al dovere e con un forte rispetto per Stark. Si chiese come una donna tanto intelligente e pacata fosse lì accanto all’uomo più egocentrico dell’Emisfero Boreale. C’era qualcosa che gli sfuggiva fra quei due. Coulson non aveva detto niente a riguardo, se non un breve paragone.
Sembrano una coppia sposata.
« Tony… » lo richiamò Pepper sotto voce, stringendogli il braccio col quale le aveva impedito di fare anche solo un passo. Temeva che potesse mettere in atto quella minaccia. E lei non aveva voglia di raccattare i pezzi. Non le piaceva affatto la piega che stava assumendo quella conversazione da cui era praticamente esclusa. Un po’ perché non conosceva i dettagli, un po’ perché non se la sentiva di intromettersi.
« Dov’è Rogers? » continuò il Direttore.
« Manda qualcuno dei tuoi tirapiedi a cercarlo » sputò Tony.
« L’ho fatto e ha trovato lo scudo nel tuo laboratorio di New York » rispose l’altro, leggermente irato.
Tony si chiese a chi dovesse imputare la colpa per aver fatto da cimice. Puntò tutto su Visione.
« Non l’ho ucciso, se è questo che intendi »
« Allora dov’è? » insisté.
« Non lo so, ma di sicuro non è nei paraggi » gli assicurò lui, facendo calare un drappo di pesante silenzio. Fuori le onde del mare, continuarono ad infrangersi sugli scogli mentre Pepper rimase senza fiato.
Nick, come lei, capì la velata allusione del miliardario: non lo aveva ucciso, ma se si fosse presentata l’occasione di farlo, non avrebbe esitato. Non ci sarebbe stato niente e nessuno in grado di trattenerlo, neanche un Hulk. Li scrutò ancora e annotò un dettaglio: Tony sembrava attaccato alla donna come se fosse il suo unico appiglio alla realtà, in uno stato di delirio totale.
« Mi perdoni, lei è…? »
« La Signorina Potts » rispose Pepper prontamente.
Tony non gradì affatto lo spostamento dell’attenzione di Fury e fu tentato di indossare l’armatura. Sarebbe bastato un fascio energetico dai propulsori. Non voleva coinvolgere lei in quella faccenda, già abbastanza scura. Lei doveva starne fuori, lontana dai guai che lui stesso causava. Basta con lo SHIELD. Aveva già rischiato di perderla e non ci teneva a rivivere l’esperienza.
« Sta lontano da lei » lo avvertì, stringendo la mascella.
« Tony, va tutto bene »
« Andrà tutto bene quando lui se ne sarà andato » rispose di pari tono. Non aveva intenzione di cedere. Fury se ne doveva andare. Era troppo vicino a Pepper e al bambino.
« Non ti sembra di essere un po’ ingrato? ».
Tony ridusse inconsapevolmente gli occhi a fessura. Oh, sì certo. Fury lo aveva salvato provvisoriamente dall’avvelenamento da palladio, ma alla fine era stato suo padre a fornirgli la salvezza.
« Hai già spolpato il cadavere. Non è rimasto niente » disse, facendo un immenso sforzo nel non mettergli le mani addosso. Aveva fatto un passo avanti e si era fermato solo perché Pepper era là. Non doveva più assistere ai suoi scoppi di violenza.
« Dimmi dov’è il Capitano »
« Ti ho detto che non lo so »
« Credo… - intervenne Pepper, sicura che se non l’avesse fatto, la casa non sarebbe rimasta in piedi ancora per molto - Signor Fury, che lei disponga di tecnologie sufficientemente all’avanguardia per localizzare il Capitano Rogers ». Aveva usato un tono conciliante, sperando che Fury capisse l’antifona.
« Spiegami perché c’era il suo scudo nel tuo laboratorio » rispose, rivolto ancora a Tony.
Pepper socchiuse gli occhi e scosse la testa.
« Non è suo » specificò lui con un ringhio basso, simile a quello di un lupo pronto ad attaccare.
Pepper non lo aveva mai visto così… Notò che aveva stretto le mani a pugno e che tremava impercettibilmente. Era l’adrenalina.
« Tony, lascia fare a me… »
‘Secondo tentativo’, pensò.
« Ha una bella faccia tosta a venire qui, per assicurarsi che io stia bene, mentre si preoccupa per Capitan America. – disse rivolta retoricamente a lei - E poi sarei io quello con le manie di grandezza… ».
Il sarcasmo che aveva usato però non bastò ad attenuare l’accusa. Rimasero a guardarsi come due leoni che si contendono un territorio.
« Ti aiuto solo se fai uscire gli altri » disse poi, distendendo le dita esangui.
« Non posso, ho le mani legate ».
Inclinò la testa di lato e le mani tornarono a stringersi.
« Non puoi o non vuoi? »
« Non sono come te che sfido il governo. So scegliere le mie battaglie »
« Io firmato gli Accordi! » sbraitò Tony.
Aveva raggiunto il limite della sopportazione. Aveva cercato di fermare quella guerra e Rhodey era rimasto ferito. I suoi erano morti per colpa del Soldato d’Inverno. Non avrebbe subito ancora una volta il buonismo nei confronti del suo complice. Pepper lo riscosse dai suoi progetti di sterminio con voce bassa.
« Tony… Tony, guardami - lo chiamò ancora e lui si girò per guardarla negli occhi - Sei al sicuro »
« Lo voglio fuori di qui »
« D’accordo. Va di sopra… - gli posò una mano sulla spalla - Avanti » aggiunse, più vicino al suo volto così potesse sentirla solo lui.
Tony sfidò ancora un attimo quell’azzurro, poi lanciò un’occhiata a Fury prima di assecondare la richiesta della compagna. Si allontanò, diretto verso le scale, pronunciando un ultimatum.
« La mail arriverà per le 8 e 30 di domani ».
Pepper giunse le mani davanti a sé, lo seguì lungo la rampa di scale e lo vide sparire nel corridoio che correva proprio sopra al boudoir. Poi puntò lo sguardo su Fury e attese di sentire la porta della stanza chiudersi con un leggero tonfo prima di parlare.
« Se se lo sta chiedendo, non so niente. Non ne ha voluto parlare e francamente, credo che sia un suo diritto ».
Non era solita rivolgersi a quel modo. Fin da piccola le era stato insegnato che la pazienza è la virtù dei forti, ma stavolta si trattava della salute di Tony. Si trattava del loro futuro come coppia e come famiglia. Col bambino, o bambina, in arrivo non avrebbe permesso a nessuno di separarli di nuovo. Neanche al Direttore dello SHIELD. Non sapeva cos’era accaduto e dopo quell’accesa discussione, non era più sicura di volerlo sapere. Aveva visto il rapporto fra Tony e Steve e credeva che avessero trovato un certo loro equilibrio. Conosceva bene il compagno e sapeva che per tradire la sua fiducia ci voleva poco. Ma i conti non tornavano. Se aveva reagito a quel modo, soprattutto per quella faccenda dello scudo, doveva essere successo qualcosa di grave. Molto grave. Questa era l’unica cosa che aveva capito. Fin quando però Tony non glielo avrebbe raccontato di propria spontanea volontà, lei non avrebbe fatto nulla per spingerlo e si sarebbe limitata a sostenerlo, tendendogli una mano e standogli accanto come aveva fatto sino a quel momento. Aveva bisogno di lei più che mai.
« Davvero, le mie intenzioni erano pacifiche »
« Vuole solo essere un uomo normale. Solo Tony Stark »
« Lui non è solo Tony Stark ».
Pepper arcuò un sopracciglio e chinò il capo per nascondere il proprio disaccordo.
« Mi permetta, Signor Fury… Ma credo che lei sia l’ultimo a poter stabilire chi sia veramente, e decidere chi debba essere, Tony Stark. Ha già fatto tutto quello che gli avete chiesto, anche di più… - disse facendo un passo verso di lui - Credo che adesso sia arrivato il momento che lo lasci vivere in pace, senza avere un qualche assurdo dovere nei confronti dell’umanità »
« Capisco » mormorò Fury, ma senza sembrare veramente contrito.
« No, lei non capisce. Se così fosse non sarebbe qui adesso – si sentì imbarazzata per essersi esposta così tanto - Mi scusi, ma devo… La porta sa dov’è ».
Con passo deciso si avviò lungo le scale, seguendo il percorso che aveva fatto Tony quando Fury la richiamò.
« Signorina Potts? – lei si arrestò in mezzo alla rampa di scale, ma nessuno dei due si volse verso l’altro - Avremo bisogno di lui »
« Lui non ha bisogno di voi. – raddrizzò le spalle - Sarà lui a decidere se e quando aiutarvi »
« E’ una minaccia? » domandò colto alla sprovvista da tanta tenacia e dagli occhi azzurri della compita segretaria, che lo fecero sentire nel mirino di un fucile quando lo fissarono con estrema risolutezza.
« No, è una promessa » specificò.
Udì i passi di Fury allontanarsi verso la porta d’ingresso e uscire, accompagnato dalla voce educata di F.R.I.D.A.Y. Pepper si prese un momento, appoggiandosi al muro e lasciando andare un sospiro. La Villa era tornata ad essere muta. Tre passi ed entrò nella camera patronale. Era ancora un po’ spoglia e fredda. Intuì che Tony non si fosse impegnato a renderla accogliente visto che doveva averla ristrutturata quando lei se n’era andata. Ricacciò indietro i ricordi dolorosi e si diresse verso una seconda porta che doveva essere il bagno. Trovò Tony immerso in un’enorme vasca da bagno Jacuzzi, coperto da una morbida schiuma e con la testa reclinata all’indietro. Quando si chiuse la porta alle spalle, attirò la sua attenzione. Anziché fargli la ramanzina circa la conferenza e il viaggio a Vienna come gli aveva promesso senza neanche dirglielo, si spogliò e si liberò delle scarpe. Con la pinzetta che le aveva tenuto i capelli lontani dal viso, improvvisò uno chignon poi, tolta anche la biancheria, scavalcò il bordo della vasca. Ma quando stava per sedersi, Tony le afferrò il polso e la tirò giù. Il brusco movimento fece ondeggiare l’acqua fino a fuoriuscire oltre i bordi e, a Pepper sfuggì un urletto quando si ritrovò sotto di lui.
« Ma che stai facendo?! » disse, lasciandosi una risatina gutturale quando il pizzetto e la barba dell’uomo le solleticarono la pelle del collo.
« Quello che hai iniziato tu » rispose lui, puntellandosi su un braccio e sollevando la testa per poterla guardare.
« Illuminami ».
Lei aspettava, passandogli le mani sulle spalle e sul petto.
« Ah e quindi, tu… Niente…? – gesticolò verso di lei, poi si bloccò e si accigliò - Scusa, ma allora perché ti sei spogliata? »
« Volevi che oltre me lavassi anche i vestiti qui dentro? » chiese lei mentre Tony si chinava nuovamente certo di poterla comunque condurre ad una situazione fatta di più ansiti e meno chiacchiere.
« Risparmieremmo molto sulle bollette… » mormorò prima di posarle un bacio sulla spalla.
« Già, come se avessimo-oh… » sospirò Pepper, lasciandosi coccolare.
 
Qualche minuto più tardi, quando il vapore aveva formato un manto di goccioline sulle piastrelle che ricoprivano tre quarti dell’altezza delle pareti, Tony aveva cominciato ad osservarle scivolare con fare assente. Cercava di concentrarsi sulle mani di Pepper, che gli stavano lavando la schiena pur sapendo che quello era solo un modo per avvicinarlo. Non avevano ancora parlato di niente e lei non aveva neanche provato ad introdurre l’argomento, ma era cosciente di doverle delle spiegazioni. Soprattutto dopo la sorpresa di Fury. Allo stesso tempo voleva lasciarla fuori da tutto quel casino perché ogni volta che la informava, finiva sempre per metterla nei guai.
Pepper seduta dietro di lui, stava valutando il momento. Trattenne il fiato quando intravide la linea rosea di un lungo taglio ormai rimarginato, che ricordava il filo di una delle piastre dell’armatura. Non sembrava profondo ma doveva essere stato doloroso. Molto doloroso.
« Tony… – mormorò - Cosa è successo laggiù? ».
Tony strizzò gli occhi e sotto il pelo dell’acqua, posò una mano sul ginocchio della donna tracciando dei cerchi invisibili. ‘Da dove comincio?’, si chiese.
« Io non voglio obbligarti a dirmelo, ma… » aggiunse e restando seduta, si sporse verso di lui.
« Pensi che lo abbia ucciso? » chiese lui più brusco di quanto avesse voluto. Ma lei non se la prese. Sapeva che quella, a differenza delle ferite che aveva visto, era ancora scoperta e sanguinante.
« …Se vuoi che siamo una famiglia, allora devi imparare a contare su questa famiglia - poggiò il mento sulla schiena dell’uomo, fra le scapole, e cercando di rassicurarlo – E comunque, no ».
Non poteva più fare finta di niente, ma avrebbe lasciato a lui come raccontarle la vicenda. Non pretendeva che le dicesse tutto subito, potevano andare per gradi.
Tony abbassò lo sguardo sulle bolle prodotte da bagnoschiuma che ora colorava l’acqua calda di rosa. Si girò così da non darle più le spalle, rilassandosi contro il bordo opposto della vasca. Lei mantenne il contatto visivo capendo che la faccenda si stava rivelando sempre più scabrosa di quanto sembrasse in realtà, mano a mano che recepiva i dettagli. C’era qualcosa di più che una semplice diatriba, una differenza di opinioni circa i Patti di Sokovia come aveva pensato all’inizio. Era qualcosa che aveva squassato il precario equilibrio interiore di Tony, qualcosa che riguardava i suoi genitori e il suo passato. Lei non ne sapeva molto, ma aveva intuito che lui non aveva avuto un buon rapporto col padre. E sapeva che ne sentiva fortemente la mancanza pur continuando ad affermare il contrario.
Tony si ritrovò di nuovo nella stessa circostanza di qualche giorno prima: da solo con lei, nel frangente giusto per rivelare la verità, ma con un nodo alla gola. Desiderò ardentemente poterle dire tutto o anche solo qualcosa, ma era troppo. Le immagini di quel video erano troppo vivide.
« Voglio dimenticare, Pepper… » disse infine e vide un lampo di delusione negli occhi di Pepper
« Tony, questo non cambierà le cose. – trasse un respiro profondo - Sei Iron Man »
« No, sono solo un uomo con un’armatura. Sono un’arma e le armi uccidono » disse in tono cupo e carico di risentimento verso sé stesso quando finalmente sollevò lo sguardo nel suo.
« Tu hai prodotto armi, ma questo non significa che tu sia un assassino ».
Tony si passò una mano tra i capelli con l’ansia crescente. Non era pronto per affrontare quel discorso. Non voleva sentir parlare di Siberia né di Iron Man per un bel po’.
« Ti prego, basta… » si ritrovò a mugolare mentre ordinava ai propri polmoni di spandersi per fare entrare quanto più ossigeno possibile. Respirare era diventato difficile e stava perdendo la lucidità. Si sentiva come se stesse precipitando in un baratro interiore senza fondo. Tentò di afferrare una corda, di richiamare a sé un pensiero, uno qualsiasi, ma questo gli sfuggiva come stesse cercando di tenere in mano una saponetta.
Pepper abbandonò immediatamente quella partita e si avvicinò a lui.
« Okay, scusa… » rispose, accoccolandosi contro il suo petto.
Tony la avvolse in un abbraccio, stringendola un po’ più forte come se dovesse inglobarla nella propria essenza. Cercò di calmare il cuore che inspiegabilmente aveva preso a battere frenetico al ricordo di quello che era successo. Solo quando Pepper poggiò la testa nell’incavo della propria spalla, la tormenta cessò. L’ansia e gli incubi tornavano a fargli visita sempre più spesso e lei era l’unica in grado di fermarli. Scacciava via le tenebre ed era come un balsamo per il proprio animo. Chiuse gli occhi quando ebbe un fremito. Poi fece scorrere le proprie dita lungo le braccia esili Pepper, sul costato fino a fermarsi sulla pancia. Sentì le labbra della donna, premute contro la gola, piegarsi verso l’alto.
« Dovremmo pensare a un nome » disse quando fu sicuro che la voce non lo avrebbe tradito.
« Giusto – disse guardandosi l’addome - Che proponi? »
« Se è davvero femmina, mi piacerebbe Maria ».
Si guardarono di sottecchi e Pepper annuì, notando finalmente che il respiro dell’uomo era tronato regolare. Si era spaventata per la rapidità con cui il panico lo aveva assalito.
« Che ne dici di Ben se fosse maschio? » propose, sapendo quale sarebbe stata la reazione a quella domanda.
« Assolutamente no » sentenziò immediato. Pepper sorrise.
Tony stava tornando.

Angolo Autrice: Salve Salvino! Scusate se ho ritardato un po', ma ho rivisto questo capitolo ben tre volte prima di pubblicarlo e alla fine è uscito questo.
Ho cercato, come anticipato, di esaminare la situazione più dalla parte di Tony. Non so sia riuscita a rendere bene l'idea, anche perchè entrare nella testa di Stark è molto più difficile. Almeno per me. Spero comunque che il capitolo, un po' più lungo del precedente, vi sia piaciuto lo stesso e che vi incuriosisca. Sperimenterò ancora per quanto riguarda il POV nei prossimi capitoli.
Per rassicurare DjaliKiss94 (che ringrazio tantissimo per la recensione :*), Iron Man tornerà seppur con un ruolo marginale. Il ragazzone oro e rosso piace anche a me ahahhaha e sì, The Scientist cantata da Robert è il TOP *-*
Ringrazio ancora una volta _Atlas_ che recensisce questa sottospecie di ff (grazie cara <3 ) fin dall'inizio, ma ringrazio ancora una volta tutti voi che siete arrivati fin qui! ^^
Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Unwelcome

Era tardo pomeriggio. Il sole si accingeva a tramontare e fuori, oltre l’orizzonte, il cielo si era già tinto di arancio. Le nuvole erano diventate zucchero filato e le onde si sollevavano placide per poi sfiorare la riva della spiaggia privata, sopra cui sorgeva la Villa a picco. Gli AC/DC erano l’unico suono che prorompeva dal laboratorio, circa un piano più sotto. Tony, con in mano una penna ossidrica, era profondamente concentrato sulla sua nuova creazione. Dopo tre giorni dal ritorno da Vienna era ancora a un punto morto, bloccato sui disegni di studio. Era nervoso perché era rimasto indietro e non poteva procedere velocemente come suo solito perché doveva assicurarsi che il risultato fosse perfetto. Quelle ultime settantadue ore erano state strane. Pepper usciva per andare a lavoro, senza fare commenti quando per la maggior parte della notte lui si era rintanato nel laboratorio. Sapeva che lei stava evitando accuratamente il discorso o qualsiasi ramanzina per non mettergli pressione, ma allo stesso tempo cercava di strappargli qualche informazione. Più lo faceva, più Tony si chiudeva a riccio. Si sentiva un idiota. Si era promesso che non sarebbe incappato negli stessi errori, ma la stava di nuovo trascurando. Non le stava riservando le attenzioni che meritava e pur cimentandosi in un’invenzione per lei, la sensazione che si stesse allontanando era palpabile. Presto o tardi si sarebbe stufata e l’avrebbe mandato al diavolo. Tony si diceva che non lo avrebbe lasciato di nuovo, anche perché c’era un bimbo in arrivo. Sbuffò. Fury lo aveva messo così in agitazione che al pensiero che Pepper potesse nuovamente mollarlo… Non sarebbe sopravvissuto a una seconda separazione da lei. Si sarebbe rifatta una vita, era forte e intelligente. Sarebbe stata una mamma prodigio. Ma lui? Come avrebbe potuto continuare a mandare avanti la baracca? Non sapeva neanche allacciarsi le scarpe senza di lei, altro che codice fiscale. Non voleva tornare all’alcol.
Yinsen era stato chiaro: non sprecare la tua vita.
‘Okay, Stark. Primo: calmati altrimenti qui fai un gran pasticcio. Secondo: trova un modo per tenerti stretta quella donna senza rovinarle la sorpresa’, si disse mentalmente.
« Ferro Vecchio, vieni qui con la lente – roteò gli occhi quando non lo vide giungere subito – Prima di domani se non ti spiace». Quando l’automa obbedì, Tony lo fissò come un assistente impudente.
Forse poteva chiedere consiglio a Natasha. Era una donna, anche se russa. Emise un mugugno, arricciando il naso. No, al massimo avrebbe consigliato a Pepper di filarsela. Scartò Visione su cui doveva vendicarsi per aver detto tutto a Fury, perché era sicuramente stato lui. Thor non lo contò neanche. Banner, l’unico del gruppo con cui aveva avuto un minimo di rapporto amichevole, era sparito chissà dove.
Tony odiava chiedere aiuto. Compiuti diciassette anni, aveva sempre fatto tutto con le proprie forze. Se l’era cavata sempre da solo. Fulminò Ferro Vecchio che aveva abbassato la lente, impedendogli di lavorare.
« Se mi fai sbagliare, ti smonto pezzo per pezzo. Chiaro? – lo minacciò e il robottino abbassò la testa intimorito - Corri ancora il rischio che ti dia in donazione all’università ».
Si chinò e con estrema cautela, cercò di fissare la struttura portante. Era un lavoro di precisione. Un millimetro e avrebbe dovuto comprare un nuovo cerchio di platino. Passarono i minuti, in cui riuscì ad accantonare i pensieri lugubri in un angolo remoto della psiche e quando riuscì nell’impresa, sorrise fieramente.
« Sono il migliore » mormorò a sé stesso.
F.R.I.D.A.Y interruppe bruscamente il momento di autocelebrazione, abbassando la musica proprio sull’assolo di chitarra. Stava per riprendere l’AI quando sentì pronunciare il proprio nome completo dalla voce di Pepper con un unico grido di pura rabbia. Se per un attimo ebbe timore che le fosse successo qualcosa, quando si ricordò di non aver firmato le carte che ancora sostavano abbandonate su un mobile del laboratorio, si spaventò per la propria sorte. Cominciò a guardarsi intorno. Almeno il laboratorio era piuttosto in ordine.
« Signor Stark, la Signorina Potts sta uscendo dal suo ufficio »
« Fermala! » disse, cominciando a nascondere tutto. Lei non doveva vederlo. Non ancora.
« Come? »
Stava per rispondere alla voce metallica quando sentì il picchiettare dei tacchi lungo le scale.
« Merda » sibilò, attivando gli schermi del computer che cominciarono a fluttuare davanti alla scrivania. Intanto Ferro Vecchio aveva trascinato vicino a lui il terzo prototipo delle gambe per Rhodey. Un ottima copertura. Tony fece appena in tempo a chiudersi l’armadietto alle spalle con un tonfo sordo quando Pepper fece il proprio ingresso nel laboratorio. La visione di lei e dei suoi occhi azzurri incandescenti gli inaridì la bocca. Sembrava aver assunto un’altra personalità: i capelli parevano diventati più rossi. In poche falcate raggiunse il tavolo dove fino a pochi secondi prima si trovava a lavorare e vi batté sopra un quartetto di giornali e una rivista.
‘Se non mi muovo, forse non mi vede’, pensò Tony ironicamente. Poi avanzò con cautela verso Pepper, che accorgendosi della perplessità sul suo volto decise di porgergli un quotidiano, vecchio di una settimana, su cui capeggiava il titolo a caratteri cubitali in prima pagina. Lui lo prese tra le mani, pronto a scappare nell’eventualità che scatenasse la sua furia, e lesse.

SCALTRI IMPRENDITORI O CONIUGI IN INCOGNITO?

Sollevò le spalle per dimostrarle quanto fosse confuso, così con un vocalizzo di esasperazione, Pepper gli strappò il giornale per porgli invece la rivista patinata di Vanity Fair su cui era stata schiaffata una foto di loro insieme al Fox Trot Cafè. Sollevò gli occhi su di lei, che aveva incrociato le braccia sotto il seno.
« Vai a pagina trentaquattro » gli suggerì, digrignando i denti.
Fece quanto detto e vide un’altra foto di loro due alla conferenza.
« Sono venuto benissimo – esclamò, ma il sorriso svanì subito – Siamo… » si corresse.
Valutò la distanza dalle scale, niente vie di fuga. Poteva considerarsi morto.
« Leggi l’articolo » aggiunse mentre lui era impegnato a scrivere mentalmente il proprio testamento.
« ‘Il bel miliardario di Malibu torna alla ribalta dei riflettori dopo essere rimasto coinvolto nella Civil War. Dopo mesi di voci, secondo cui fosse rimasto da solo a capo della propria azienda, Anthony Stark si mostra in tutto il suo splendore’, grazie, ‘durante una conferenza stampa, tenutasi a New York appena ieri. Al suo fianco, la fedele assistente da oltre dieci anni, Virginia Potts, che per un breve periodo era già stata CEO delle Industrie Stark. Ora addirittura co-amministratrice insieme all’ereditiere.’ ».
Tony guardò di nuovo Pepper, che indicò la rivista con un cenno del capo.
« Continua » disse, spaventosamente tranquilla.
« ‘Niente di così strano se non fosse che, secondo dei pettegolezzi, l’impeccabile Pepper abbia presentato le dimissioni’, accuratamente respinte,  ‘circa tre mesi fa, congedandosi dal proprio ruolo. Ma se la faccenda vi incuriosisce, girate pagina…’ – sfogliò - ‘All’interno del Fox Trot Cafè, uno dei locali più in della Grande Mela, soltanto la sera prima della conferenza, abbiamo pizzicato Virginia fra le braccia di Anthony che proprio qualche minuto più tardi, è scomparso con lei su una fiammante R8 Spider. Li avevamo visti insieme molte volte ai gala e alle serate di beneficenza, ma sembra che da qualche tempo, la leggendaria coppia di lavoro che domina sulla Città degli Angeli stia trasgredendo l’etica professionale. Che si tratti di amore? O di semplice strategia? Che la bella assistente abbia rubato il cuore del Boss? Sono alcune delle domande che molte donne, col cuore infranto, si stanno ponendo. E fra esse, c’è chi sostiene che Virginia sia in dolce attesa dell’erede Stark.’ » concluse, chiudendo la rivista.
Pepper arcuò un sopracciglio e agitò le braccia in aria.
« Beh, non dici niente?! »
« Pepper, è normale »
« Mi hanno dipinto come »
« …che abbiano scritto »
« …un’arrampicatrice sociale! »
« …queste porcherie. E poi tu sei incinta » disse, accigliandosi e scrollando le spalle.
« Nessuno doveva saperlo! » rispose lei con stizza.
« E’ già capitato ».
Pepper sapeva che era così. Anni prima i paparazzi li avevano perseguitati convinti che fra loro ci fosse qualcosa, senza sapere che quel qualcosa c’era. Solo che nemmeno i diretti interessati ne erano consapevoli. All’epoca la faccenda era stata poi liquidata, sommersa da altra cronaca.
« Esattamente quello che avevo profetizzato » mormorò, premendo fra il pollice e l’indice l’attaccatura frontale del naso come se si stesse ingegnando a trovare una formula di risoluzione.
« Vuoi farmi sentire in colpa? » chiese Tony infastidito.
Credeva che la questione di fosse chiusa con la cheesecake alle fragole e del sano sesso nella camera da albergo.
« La colpa è tua, Tony – lo indicò con un dito - Non mi sono eletta da sola co-amministratrice ».
Tony posò la rivista sugli altri giornali. Anche su quelli c’erano loro foto, accompagnate da più o meno velate allusioni all’effettiva natura del loro rapporto. A lui la cosa non dispiaceva affatto: adorava essere sulla bocca di tutti, non importava il perché. Era pur sempre pubblicità e poi, non ci vedeva niente di male in loro. Sapeva tuttavia che Pepper era di tutt’altro avviso. Se lo aveva accompagnato alle feste galanti era perché ce l’aveva trascinata con la forza o con un ricatto, non certo per accamparsi un posto di prestigio e un ingente conto in banca. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione, soprattutto se si dicevano cose errate sul suo conto. Era un atteggiamento che le veniva in automatico. Non riusciva a stare zitta di fronte alle ingiustizie perpetrate con le menzogne.
« Lasciali perdere » disse, cercando di consolarla.
« Lasciarli perdere? »
« Sì, fa come me » propose incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi con un fianco al bordo della scrivania. Pepper lo fissò come se fosse davvero pazzo.
« Io non sono te »
« Certo, io sono unico e inimitabile. Mi riferisco al fatto che ti preoccupi »
« Qualcuno deve pur farlo visto che mentre tu ti balocchi qui sotto » cominciò a ribattere lei.
« …troppo di quello che »
« …io sono in ufficio a sbrigare quelle »
« …gli altri dicono o pensano »
« …che tu avevi promesso che sarebbero state nostre responsabilità » terminò infastidita, riuscendo ad avere l’ultima parola.
« Vieni qui » la esortò Tony, lasciando le braccia distese lungo i fianchi.
L’avrebbe abbracciata, lei si sarebbe sciolta come il burro nel microonde e dopo sarebbero finiti a fare l’amore. Era piuttosto meschino, ma almeno avrebbero smesso di litigare.
« No » rispose lei, indietreggiando.
Tony aggrottò la fronte, continuando ad osservarla. Al principio restò confuso, poi spaventato.
« Pep? »
« No » ripeté, facendo il giro della scrivania.
« Devo costringerti? »
« Provaci » sbottò, cercando di stare sulla difensiva e si inquietò quando lo vide sogghignare. Non era mai un buon segno. Significava che aveva qualcosa in mente.
« Okay » disse lui, facendo spallucce e cominciando a seguirla con insistenza.
Se lei si spostava a destra, lui faceva altrettanto.
« Tony, smettila » gli ordinò con un cipiglio di ilarità.
« Hai lanciato il guanto della sfida » aggiunse, senza però dirle quanto quel gioco lo stesse divertendo ed eccitando in contemporanea.
« Non fare il bambino » lo riprese, ma con un risolino.
« Sei tu che continui a scappare »
« Perché tu mi insegui »
Strillò ridendo quando Tony balzò verso di lei, evitandolo appena in tempo. Senza dargli tempo di recupero, scappò dietro un altro tavolo, vicino all’armadio.
« Aspetta, aspetta! » disse sollevando entrambe le mani, tutt’ad un tratto seria.
« Che c’è? »
« Posso togliermi i tacchi? » chiese e lui acconsentì, fermandosi.
Non voleva certo che si spezzasse l’osso del collo. La vide lanciare con grazia le scarpe sotto al mobiletto metallico, dove di solito teneva i bulloni, le fascette e cavi di ricambio, poi ripresero a correre per tutto il laboratorio. Pepper saltò la cassetta degli attrezzi e Ferro Vecchio li seguì con la testina robotica quando fuggirono lungo le scale per il piano superiore.
« Non vale! » protestò quando usando il divano come scudo, lo vide salire i gradini due a due.
« Sì, che vale » disse lui, aspettando il prossimo movimento di Pepper.
Sorpreso per la reattività al pari di Bolt, ebbe appena la possibilità di capire che si sarebbe diretta in camera. Corse dietro di lei sulla rampa di scale ed entrando nella stanza, la acciuffò vittorioso. Facendo attenzione a non farle male, le bloccò le braccia incrociate davanti al busto e la sollevò di peso per lasciarsi cadere con lei sul materasso. I cuscini finirono sul pavimento mentre Pepper gridava fra le risa incontenibili. Tony la spinse sul letto, premurandosi ancora una volta di non fare danni e prese a solleticarla al costato.
« Il solletico no. Tony, ti prego! » sghignazzò, le lacrime agli occhi e il viso paonazzo.
Si dimenava, tentando di sfuggirgli finché lui non smise perché se non lo avrebbe fatto, sarebbe svenuta per asfissia. Seduto sui talloni, la fissò riprendersi da quell’inaspettato momento di gioco. La stanza era immersa nel buio, fuori il sole era da poco scomparso e il cielo era una chiazza violacea che precedeva il sorgere della luna. Pepper si passò una mano sulla fronte, sospirando. Socchiuse gli occhi quando sentì il corpo tonico di Tony premere contro il proprio. Il gioco si trasformò: le lenzuola si scomposero, i respiri tornarono ad accelerare e a rincorrersi furono le loro labbra anziché i passi. Il solletico trasmutò in tocchi e carezze insistenti sopra e sotto gli abiti, fra i capelli. I bottoncini che chiudevano l’abito da ufficio di Pepper saltarono uno dopo l’altro per la frenesia di Tony, che non appena riuscì a scoprirle un lembo di pelle non perse tempo. Posò più baci, seguendo un percorso invisibile sulle lentiggini che risalivano dal solco fra i seni verso la clavicola. Pepper lo tirò a sé, prendendo possesso della sua bocca. Stavano per andare oltre quando il cellulare della donna vibrò sul comò su cui stato abbandonato.
« Non vorrai rispondere? » domandò Tony, baciandole una guancia per poi finire sul mento quando lei reclinò la testa. Espose la gola che lui si premurò di vezzeggiare con altri baci.
« Devo – protese una mano alla cieca e dopo aver preso il telefono, premette il tasto per rispondere - Pronto? ».
« Virginia, ma dov’eri finita?! Sono giorni che provo a chiamarti! ».
La voce di sua madre proruppe con un fastidioso gracidio attraverso l’apparecchio tanto che Pepper dovette allontanarlo dall’orecchio. Ormai aveva perso parte dell’udito. Alzò gli occhi al cielo mentre Tony si sistemava fra le sue gambe, continuando indisturbato ad aprirle il vestito che poi fece sparire. La guardò da sotto le ciglia mentre col labiale, gli disse chi era.
« Ehm… - si schiarì la voce quando Tony le rivolse un sorrisetto furbo - Sono stata occupata ».
« Potevi mandarmi un sms »
« Non ho avuto tempo ».
Riuscì a pronunciare l’ultima sillaba prima che cadesse vittima di un nuovo assalto. Tony aveva cominciato a baciarle il collo mentre le sue dita tentennavano di proposito sull’elastico degli slip.
« Non avevi tempo per me, tua madre?! »
« Il lavoro… » mormorò quando le labbra di lui raggiunsero i seni. Non si accorse nemmeno che la parte bassa della propria biancheria aveva già raggiunto il proprio abito.
« A proposito, congratulazioni! Tony è stato un vero angelo… »
« Oh, sì! Un angelo… » sussurrò mentre Liza tornava a parlare e parlare.
Pepper perse il filo del discorso, troppo presa dal capire quando Tony sarebbe arrivato al punto. Fra un bacio e l’altro, mordicchiava e succhiava la pelle, strappandole degli ansiti che dovette trattenere per evitare che sua madre sentisse tutto. Tony sghignazzò soddisfatto mentre mano a mano che scendeva, lasciandosi dietro una scia rosea, sentiva Pepper affondare le dita della mano libera fra i suoi capelli, tirandoli per la smania e spingendolo a proseguire.
« Virginia, sei in linea? – chiese quando si accorse che c’era silenzio dall’altro capo - Ho chiamato per ricordarvi del pranzo di domani. Ci sarete vero? »
« Sì… - le labbra di Tony avevano superato l’ombelico, dirette sempre più in basso e sull’interno coscia – Ora devo andare! ».
 
Erano appena le dieci e la quiete nella Villa, interrotta solo dal fruscio della risacca, cullava la coppia ancora sveglia. Pepper fissava la parete davanti al letto, dove era stata collocata una piccola tv al plasma spenta. Le dita di una mano scivolavano con pigrizia fra i capelli di Tony che, con la testa appoggiata sul suo petto, la teneva stretta con un braccio attorno ai fianchi.
« Tony? » sussurrò dopo diversi minuti.
« Mmh-mmh? »
« Che ne dici di Edward? – lui spostò il capo per poterla guardare negli occhi - Per il bambino, nel caso in cui fosse maschio »
« Basta che non sia Ben » rispose, facendola ridacchiare.
Tornò ad accarezzargli i capelli scuri, spettinandoli e avvoltolandoli fra le dita, anche se erano troppo corti per farlo. Lui si stava quasi addormentando infatti aveva chiuso gli occhi. Dopo l’acchiappino nel laboratorio e le provocazioni in camera non avevano neanche cenato, ma non gli importava. Sarebbe rimasto così per il resto dei propri giorni: fra le braccia di Pepper, nel loro letto dopo una buona dose di coccole giocose. Se c’era una cosa per cui non era famoso era proprio il sentimentalismo, ma era come se Pepper fosse riuscita a tirare fuori una parte di sé che nemmeno immaginava di poter avere.
« Tony? »
« Sì? »
« Perché mi hai eletta co-amministratrice? »
« Perché sei in gamba… - sorrise - E sei davvero eccitante in quelle vesti »
« Sii serio ».
Inspirò profondamente, deluso di non essere riuscito a sviare l’argomento come di consueto e sollevò le palpebre, fissando anche lui lo schermo spento.
« Perché se dovesse succedermi qualcosa, voglio che i miei progetti restino in mani sicure. E io non ho altri che te… » ammise infine.
Lei sorrise mesta, posandogli un bacio sulla testa.
« Stai lavorando all’armatura vero? ».
Quella domanda lo sorprese, ma non più di tanto. Tony decise di sfruttare quel dubbio a proprio vantaggio con una mezza verità. Aveva già pensato di riparare la Mark VI. Gli mancava l’azione e la libertà del volo. Avendo rivisto le proprie priorità, aveva abbandonato quel progetto per il momento. Sia per le protesi per Rhodey, che necessitavano di migliorie di non poco conto, sia per…
« Anche »
« E’ pronta all’uso » concluse lei mentre Tony annuiva.
Aveva cominciato ad accarezzarle la pancia. Forse non se n’era neanche accorto e lei non aveva intenzione di farlo smettere. La mano del compagno era calda, ruvida per il lavoro, ma delicata. Socchiuse gli occhi, ascoltando il regolare soffio del respiro del compagno sulla pelle in perfetta sincronia col battito del proprio cuore. Era lo stesso motivo per il quale si era presa quella pausa: Tony era così fondamentale per lei, così intrinseco alla propria esistenza, che il timore che potesse morire l’aveva spaventata. Lei stessa aveva sperimentato la forza e la resistenza delle armature, ma si trattava pur sempre di un esoscheletro artificiale. E per quanto potesse essere tecnologica, non era indistruttibile. Tony avrebbe potuto restarci anche con essa. Avrebbe potuto non tornare e Sokovia era stata una di quelle volte.
Ciò che più la terrorizzava di quell’eventualità, era che il piccolo e la piccola in arrivo potesse essere come lui. Le sarebbe piaciuto avere un piccolo Tony, ma non da sola. E vivere senza il compagno era impensabile, aberrante già di per sé, figurarsi con un figlio che avesse i suoi occhi, il suo sorriso o il suo carattere testardo.
« Tony, a me va bene se vuoi tornare ad essere Iron Man. Non posso impedirtelo, solo… - deglutì sonoramente - Fa attenzione, più attenzione ».
Lui si spostò, posando il capo contro il poggiatesta del letto e permettendole di rifugiarsi nel suo abbraccio. Prese ad accarezzarle il braccio con la punta delle dita, premendo le labbra sulla sua fronte come quando si deve rassicurare una bambina che ha appena avuto un incubo.
« Avevo ragione » disse dopo qualche altro minuto di silenzio.
« Su cosa? »
« Io sono Iron Man e ho una ragazza che è pazza di me » disse, coinvolgendola in una risata.
 

*

Ottobre 2008
Tony abbassò la leva e svoltò parcheggiando davanti al garage della modesta casa in stile coloniale. Pepper sospirò pesantemente, guardando il prato curato davanti casa dove aveva spesso giocato da bambina. Al posto dell’altalena, sorgeva un piccolo melo. Rosemead era stata la sua casa fino all’età del college. Poi aveva lasciato la sua famiglia per proseguire negli studi. Ovviamente non senza qualche scontro coi genitori. Sua madre la vedeva già all’età di quattro anni, prima ballerina di qualche famosa compagnia teatrale, a vagare per il mondo vestita solo di tutù rosa e scarpette. Suo padre invece avrebbe voluto che diventasse avvocato, magari giudice per poi finire alla Casa Bianca. Erano passati diversi anni dall’ultima vera e propria riunione familiare e Pepper sperava che la cosa finisse presto. Uno strappo e via.
« Ci siamo… » sospirò, giocherellando col bordo della lunga camicia smanicata in seta color menta, stretta sotto seno con un cinturino in pelle, che la copriva come un vestito fino alle ginocchia.
« Non può essere così terribile »
« Scusa, ma credo di conoscere i miei genitori »
« Esagerata »
« Non eravamo obbligati » ribadì lei.
Tony però aveva già smesso di ascoltarla quando, dopo aver abbassato i Rayban sulla punta del naso, i suoi occhi si erano posati sull’abitino casual, che le lasciava nude le gambe e parte del décolleté.
« I miei occhi sono più in alto, Stark » lo ridestò Pepper.
« Sarebbe tutto più facile se… »
« Non dirlo » lo interruppe lei, sollevando una mano.
« Se non avessi quel vestito… » continuò.
« Tony… ».
Sapeva dove sarebbe arrivato. Infatti…
« …O magari niente » concluse.
« Tony! » lo rimbrottò, sentendosi avvampare fino alle punte dei capelli.
« Potresti dirmi ogni tanto che sono attraente… » rispose, fingendosi offeso.
Suo malgrado  Pepper sorrise. Già… Come poteva ignorarlo? Era solo il sex symbol dell’anno! Aveva la tipica aria di uno stronzo dal cuore tenero e lei non riusciva a non crogiolarsi nella soddisfazione che fosse tutto per sé. La camicia bianca gli metteva in risalto la pelle abbronzata e i capelli scuri, più corti sulle tempie e spettinati, lo rendevano ancora più affascinante se mai fosse stato possibile. Per non parlare degli occhi: di un intenso color nocciola, magnetici…
« Non adesso » disse, interrompendo quel sogno ad occhi aperti.
Stava cominciando a fantasticare e se non si fosse fermata, Tony l’avrebbe presa in giro. E non aveva certo bisogno di ulteriori motivazioni per autocelebrarsi.
« Perché? » chiese lui, indispettito.
« Primo: ho già mal di testa »
« Conosco un modo per farla stare meglio, Potts » propose, passandole le dita su un braccio e fingendo che fosse un gesto casuale.
« Secondo: siamo in macchina »
« I sedili posteriori »
« …davanti alla casa dei miei »
« …sono più comodi di quel che sembrano » disse e Pepper incrociò le braccia sotto seno.
« E tu come lo sai? » chiese.
Potè vedere gli ingranaggi nella testa del compagno che cercavano di elaborare una risposta quantomeno sensata e plausibile. Arcuò un sopracciglio.
« E’ la mia auto » rispose, cercando un modo per uscire da quel fosso in cui stava per cadere.
Avrebbe voluto precisare che si trattava di esperienze del college, di quando era un ragazzo geniale ma pur sempre vittima degli sbalzi ormonali dell’adolescenza, ma ricordando come aveva reagito prima con Natasha e poi con Maya, pensò che forse non era il caso.
« Non lo avrei mai detto… » mormorò lei, assottigliando le palpebre.
« Sai come andrà a finire – si sporse verso di lei, riportando la conversazione al punto iniziale - Mi salterai addosso » sussurrò.
« Puoi contarci… » borbottò lei infastidita. Non dall’insistenza dell’uomo, quanto dalla reazione quasi immediata del proprio corpo nel sentire il respiro di Tony sul lobo dell’orecchio.
« Certo che ci conto! »
« Non succederà » ribatté, usando un tono meno severo di quanto avesse desiderato.
« So essere convincente »
« Vedremo » lo sfidò, guardandolo con la coda dell’occhio.
La presenza dei suoi genitori divenne quasi indispensabile, perché se fossero rimasti per altri due minuti da soli in una stanza, non era certa di potergli resistere come aveva detto. Ci aveva provato anche a Vienna, perché nonostante l’arrabbiatura, aveva deciso di godersi quella vacanza. Poi però erano finiti sotto le lenzuola… Tony le rivolse uno sguardo d’intesa e quando stava per risponderle, una donna si affacciò dal portico per salutarli. I capelli ramati erano stati appuntati dietro le nuca, cotonati come Tony ricordava. Il viso era radioso, senza neanche un velo di trucco.
« Andiamo brontolona, ormai la frittata è fatta » disse prima di scendere dall’auto.
« Virginia! Anthony! » esclamò Liza, completamente su di giri come una ragazzina al luna park.
Pepper lo imitò e quando chiuse lo sportello sua madre aveva già stritolato il compagno in un abbraccio.
« Mi chiami pure Tony, Signora Potts » rispose lui mentre Liza stritolava anche Pepper, che rimase immobile come un paletto di legno.
« E tu chiamami Liza, così siamo pari – sorrise poi li spronò verso casa - Su venite dentro, forza ».
Pepper lo precedeva di un passo quando la fermò, prendendola per le spalle e affiancandola allo stipite su cui erano state segnate diverse altezze con un pennarello indelebile marrone. Strinse gli occhi, figurandosela a cinque anni con un abitino rosa, a dieci con un paio di buffe codine ai lati della testa e infine a sedici con una minigonna mozzafiato. La rivide quando la incontrò per la prima volta: a ventuno, i capelli ancora lunghi fino alle spalle e con un atteggiamento elegante quasi insolito per quell’età.
« Aspetta… - mormorò nel mentre - Sei cresciuta ».
Pepper sorrise, perché sapeva che quello era un modo tutto suo per metterla a proprio agio. Guardò lo stipite dove per anni, le avevano misurato per vedere la sua crescita. Sua madre li superò per annunciarli come un araldo di una corte « Ray, guarda chi è arrivato! ».
Pepper camminò lungo il breve corridoio poi raggiunse il salotto dove suo padre sostava sulla fidata poltrona davanti alla tv. Tony intanto era rimasto indietro ad osservare il basso mobile di ingresso su cui era stata sistemata una piccola cornice. La foto ritraeva Pepper, di appena otto anni, che sorrideva allegramente mentre abbracciava una giovane Liza e quello che con tutta probabilità doveva essere il marito. Rimase per qualche secondo incollato a quell’immagine. Anche lui aveva avuto otto anni, ma le foto che lo testimoniavano erano poche. E quelle poche lo ritraevano a convegni, esposizioni insieme al padre. Sua madre era comparsa poche volte. Sentì un inatteso groppo alla gola e proseguì nella perlustrazione, girando tra il pollice e l’indice una delle aste degli occhiali da sole. In fondo una rampa di scale saliva al primo piano dove sicuramente si trovava la zona notte, a destra la cucina con la sala da pranzo e a sinistra, il soggiorno dove trovò la compagna insieme al padre, un po’ invecchiato rispetto alla foto.
Quando vide la figlia, si alzò immediatamente e le andò incontro.
« Virginia »
« Papà, come stai? » chiese lei con affetto.
« Come al solito, ormai tua madre non mi fa più effetto » rispose, dandole un bacio sulla fronte.
« Smettila Raymond! » lo rimbrottò Liza poco lontano.
Tony fece qualche passo avanti, entrando nella stanza. Il Signor Potts lo adocchiò, a metà fra la circospezione l’ostilità. Lo fece sentire estraneo perfino al proprio corpo. Pepper si volse per incoraggiarlo.
« Papà, ti presento… »
« Anthony Stark » terminò Ray al suo posto.
Lei sperò che non avessero armi nascoste in casa.
Tony invece ebbe la netta sensazione di star camminando su un prato minato. In quel momento avrebbe voluto avere con sé la Mark VI.
« Signor Potts, è un piacere conoscerla » esordì, cercando di essere gioviale.
« Vorrei poter dire lo stesso ».
Pepper guardò il compagno, poi la madre. La pregò di soccorrerla senza neanche aprir bocca.
« Ray, vieni a darmi una mano con le sedie » intervenne Liza col tono di qualcuno che non stava facendo una cordiale richiesta, ma che stava imponendo un ordine. Tony fissò ancora gli occhi azzurri del Signor Potts mentre si lasciavano la mano. Si sentì sollevato quando lo vide allontanarsi verso il giardino sul retro.
Pepper, che li aveva osservati, si avvicinò al compagno.
« Stai rivalutando questo pranzo? »
« Beccato » ammise con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.
Lei sorrise, avvicinando il proprio viso al suo.
« Non è cattivo »
« Non più di Loki intendi? » scherzò lui, ricevendo un’occhiata in tralice mitigata da un sorrisetto.
« E’ solo che… – fece un gesto vago con la mano - Crede che sia ancora la sua bambina ».
Si fissarono per un lungo momento, durante il quale Tony desiderò poter scappare con lei. Erano ancora in tempo per fuggire. Il piano sfumò quando Liza li chiamò da una zona oltre la cucina.
« Ragazzi, venite! E’ pronto » dichiarò con voce squillante.
Pepper prese Tony per mano e lo condusse, superando un bel tavolo in legno, nel giardino sul retro da dove proveniva il profumo di carne grigliata. In un angolo c’era un piccolo casotto in cui erano stati sistemati gli attrezzi e una vecchia altalena, fissata ad un grosso ramo di un albero, che dondolava sospinta dal vento. All’ombra di un gazebo al centro dello spiazzo verdeggiante, una tavola circolare era stata apparecchiata in modo semplice: una tovaglia a quadri bianchi e rossi, sopra un piccolo vasetto con fiori di campo. Si sedettero l’una davanti all’altro, così come i due coniugi Potts. Liza riempì i piatti degli ospiti con una porzione abbondante di spaghetti con polpette di carne e sugo.
« Ho preparato il piatto preferito di Virginia » annunciò e Ray pensò che a breve, avrebbe saltellato per tutto il giardino lanciando petali di fiori. Per lui non c’era proprio niente da festeggiare.
« Tu sei Lily e io il Vagabondo? » mormorò Tony rivolto a Pepper.
« Scusatelo, non riesce a contenersi ».
Liza ridacchiò quando lo vide sollevare le mani verso l’alto come a giustificarsi.
 
Il pranzo procedette tranquillo fino alla fine della seconda portata. Liza faceva domande a raffica e Pepper cercava di starle dietro. La conversazione tirava avanti da un po’ e ormai Tony aveva contato almeno cinque salti ad argomenti diversi. Era stato interpellato dalla compagna perché potesse aiutarla ad uscire da quel continuo blaterare della madre, ma lui si era tirato sempre fuori perché adorava esasperarla. Ora Liza le stava raccontando un aneddoto su una cugina, ma Pepper si girò verso Tony cogliendolo proprio nel bel mezzo della sua ammirazione. La trovava meravigliosa. I suoi occhi sorridevano, riflesso delle labbra fini, e il sole del primo pomeriggio scivolava sul capelli rossi legati in una semplice coda. Quei piccoli particolari gli riportarono alla mente quella volta in cui sua madre gli raccontò che…
« C’era una volta un Cavaliere, figlio di un Re potente, che nel suo vagar per l’immenso regno scoprì delle rovine. Dalla torre più alta, udì il canto di una fanciulla affacciata alla finestra. Quando i loro sguardi si incrociarono, i due si innamorarono a prima vista. – sua madre aveva spalancato le mani - Ma un enorme Drago apparve all’improvviso »
« Quanto grande, mamma? » aveva chiesto, per niente intimorito.
La cameretta era immersa nel buio tranne che per una piccola abatjour, che faceva quasi brillare il raso della camicia da notte di Maria Stark, semisdraiata su bordo del letto di Tony. C’erano solo loro in casa, come quasi ogni sera. Suo padre era troppo… impegnato a lavoro.
« Gigantesco » aveva risposto lei, fingendo un tono minaccioso.
« Come una casa? »
« Di più » aveva esclamato, facendolo ridere.
« E cosa accadde? »
« Il Cavaliere sguainò la spada e si lanciò all’attacco. Combatté con coraggio, ma il Drago era molto forte e sputava fuoco »
« E poi? » aveva chiesto ancora, sempre più ansioso.
Non gli aveva mai raccontato quella favola e la frenesia di conoscere il finale lo aveva logorato.
« Finalmente, il Cavaliere riuscì a ferire il Drago a morte. Il giovane eroe corse verso la torre, ma le scale erano così traballanti che non potè salire. Non sapeva che fare. La fanciulla lo chiamava dall’alto, ma lui non poteva raggiungerla »
« E poi? ».
« La fanciulla ebbe un idea: prese tutte le coperte che aveva con sé e le legò insieme per farci una lunga corda. La lanciò verso il Cavaliere e scese piano piano. I due si guardarono negli occhi e capirono che nemmeno le scale più traballanti e precarie potevano dividerli »
« Si abbracciarono? »
« Di più. Si amarono e vissero per sempre, felici e contenti » aveva concluso, cominciando a sistemargli la coperta quando Tony aveva sentito le palpebre chiudersi.
L’aveva guardata con un cipiglio perplesso, resistendo alle attrattive del torpore.
« Mamma, ma di solito non si sposano alla fine? »
« E’ vero, ma sai una cosa piccolo mio? Quando si trova la persona giusta non conta il matrimonio o l’anello. Quando si trova l’amore, non si necessita più di altro » scostandogli i capelli dalla fronte.
« Ma tu e papà siete sposati – lei aveva annuito - Lo capirò da grande vero? »
« Sì, Tony » aveva risposto, quasi ridacchiando.
« E’ stata la fanciulla a raggiugere il Cavaliere… » aveva detto, un attimo prima che la madre gli rimboccasse le coperte.
« Perché i problemi si affrontano meglio quando si è in due ».
Poi si era abbassata su di lui, con una mano gli aveva scostato ancora i capelli dalla fronte, su cui poi aveva posato un bacio per la buonanotte.
« Mamma, troverò anch’io la mia fanciulla? » aveva sussurrato, gli occhietti furbi ora un po’ lucidi per la stanchezza ma ancora aperti per vedere il sorriso dolce della mamma.
« Lo spero tanto » gli aveva detto e poi, era caduto fra le braccia di Morfeo.
Ora la sua fanciulla era seduta di fronte a lui, in un giardino immerso nella tranquillità del primo pomeriggio di una domenica qualunque. Pepper provò a capire perché la stesse fissando in quel modo e imbarazzata, tentò di nascondersi dietro la frangetta. Nel sistemarla, sollevando il braccio, lo sguardo di Liza venne catturato da un delicato braccialetto dall’aspetto raffinato.
« E questo? » chiese la donna, afferrando il polso di Pepper che per poco non ebbe un infarto.
« Ow… E’ da parte di Tony »
« Una sciocchezza » sminuì lui quando i loro sguardi s’incrociarono di nuovo.
Stavano passeggiando per il centro della capitale austriaca, pulsante di vita turistica, quando Tony l’aveva trascinata in una gioielleria di Cartier. Si era avvicinata al bancone dove una donna, che avevano soprannominato Gretel durante il ritorno, le aveva sorriso e chiesto cosa potesse fare per loro. Pepper non era riuscita a dire neanche ‘buongiorno’ che Tony aveva indicato un monile esposto alla vetrina. Una catenina d’argento dove alcuni anelli erano stati sostituiti da piccoli rubini circolari. La donna glielo aveva mostrato e senza battere ciglio, lui le aveva fatto capire che lo avrebbe preso. Pepper, già abbastanza confusa, divenne sorpresa quando glielo allacciò al polso. Le calzava perfettamente, come se fosse stato fatto per lei. Aveva alternato lo sguardo tra il compagno e il bracciale.
« Che stai facendo? Non vorrai comprarlo? »
« Siamo in una gioielleria, Pep. Si compra… - la guardò di sottecchi con fare sospettoso - Non è che mi nascondi qualcosa? »
« Tipo? » aveva chiesto, arcuando un sopracciglio mentre lui porgeva la carta di credito a Gretel.
« Non so. Forse eri la compagna di Arsenio Lupin – fece spallucce - Sei troppo gentile per essere una ladra comune ». Lei aveva riso poi aveva accarezzato il bracciale. I rubini avevano brillato per la luce del sole.
« Per che cos’è? » aveva chiesto, evitando di rispondere con del sarcasmo.
« Hai ancora la collana? »
« Certo »
« Ora hai qualcosa da indossarci insieme » aveva risposto con leggerezza prima di uscire dal negozio.
Si era avviato verso la piazza, dove un gruppo di turisti stava fotografando gli alti edifici settecenteschi, quando Pepper lo aveva fermato, stringendogli un polso.
« Tony… »
« Non ti piace? »
« No, non è questo… Dimmi perché ».
Aveva atteso quella risposta così come quella per il ciondolo a forma di cuore. Fra balbettii sconnessi glielo aveva regalato per dirle ‘ti amo’, e lei aveva pensato che, ironia, quel presente sarebbe passato dalla porta.
« Per il bambino » aveva detto, senza balbettare.
Gli occhi nocciola avevano sfavillato di un qualcosa che non era riuscita ad indentificare.
Anche in quel momento, gli occhi del compagno avevano una sfumatura diversa.
« E’ bellissimo » gongolò Liza, carezzando le gemme con un pollice.
« Mai quanto Pepper » rispose Tony d’impulso.
Quelle parole gli erano uscite di bocca senza neanche rendersene conto. Pepper lo fissò, cercando di rimproverarlo ma come al solito non ci riuscì. Le sue labbra non riuscivano proprio a non flettersi in un sorriso. Di rado lui si mostrava così romantico in pubblico, se non per il puro piacere di metterla in soggezione di proposito: era un modo tutto suo per farle capire quanto fosse legato a lei. Di recente aveva notato che lo aveva dimostrato ogni giorno. Ogni volta che litigavano, ogni volta che si punzecchiavano. Erano fatti così.
« Pepper? » domandò Ray, rimasto in disparte per tutto il tempo ma nessuno lo considerò.
« Che adulatore » cinguettò Liza, notando come il complimento di Tony avesse fatto arrossire la figlia.
« E’ la sua specialità – rispose lei mentre la madre le studiava il polso - Me lo ha regalato a Vienna »
« Vienna? » chiese, guardandoli alternativamente.
« Sì, siamo tornati ieri »
« Un viaggetto per rilassarci » rispose Tony, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.
« E il lavoro? » domandò per sommo sollievo di Pepper.
Adesso la madre si stava concentrando su qualcun altro che non fosse lei.
« Volevo portare Pepper lontana… »
« Pepper? » chiese Ray con veemenza, fissando Tony accanto a lui. Ora aveva usato un tono più grave.
« E’ un nomignolo, caro » rispose Liza, freddandolo con una frecciatina.
‘Che è diventato il mio nome’, precisò Pepper fra sé e sé.
Mentre le due donne tornavano a chiacchierare, Ray si rivolse a Tony che deglutì sonoramente.
Avrebbe preferito avere a che fare con Loki. Almeno il semidio aveva il senso dell’umorismo. Fu allora che gli sorse in mente un particolare: neanche suo padre aveva mai avuto la risata facile. Gli sembrò di essere di nuovo diciassettenne, neo-laureato, nel salotto di casa seduto al pianoforte con sua madre mentre Howard lo riprendeva per l’ennesimo sgarro.
« …perché è il momento che tu capisca che il mondo non ruota attorno a te! »
« Ruota intorno al Sole infatti ».
Mentre il viso di suo padre diveniva paonazzo, Tony aveva guardato sua madre che aveva sorriso a quella risposta solo per non ridere. Quella loro complicità mandava suo padre fuori di testa, soprattutto perché Maria tendeva a non appoggiarlo nell’autoritarismo eccessivo.
« Ah, bene! Adesso ti ci metti anche tu! »
« Oh, Howard… » aveva sospirato, senza smettere di suonare.
Tony la stava accompagnando in una melodia di Chopin dopo un intero pomeriggio di studio e lavoro e suo padre aveva colto l’occasione per minacciarlo di spedirlo all’Accademia Militare. Al che sua madre si arrabbiava e Howard tornava a lavorare.
« Precisamente qual è il suo lavoro? ».
La domanda lo riscosse da quel secondo flashback per quel giorno.
« Mi dia pure del “tu” »
« Preferisco di no » rispose l’uomo con voce piatta.
Pepper ascoltava solo in parte, quasi per niente, le parole della madre. Percepì il disagio di Tony quando prese a gingillarsi coi denti della forchetta.
« Mi occupo di tutto quello di cui il mondo ha bisogno. Ho creato un’energia alternativa pulita e senza rischi e, ora mi sto concentrando sulle strutture ospedaliere » rispose, mantenendo un atteggiamento tranquillo e colloquiale. Liza finalmente si accorse che la figlia non la stava più a sentire e si zittì, soprattutto quando notò l’espressione truce del marito.
« Il mondo ha anche bisogno di armi? » domandò a bruciapelo.
Tony inspirò e guardò Pepper mentre la Signora Potts inceneriva il coniuge con un’occhiataccia.
« Ho chiuso la produzione anni fa »
« Un armaiolo resta sempre un armaiolo » rispose e Pepper si alzò di scatto, mettendo fine a quella conversazione. Tony la ringraziò di sottecchi, ma senza aprire bocca.
« Papà, andiamo a prendere il dolce… - disse non riuscendo a non contrarre la mascella - Forza ».
Lo spintonò letteralmente verso la cucina dove Ray cominciò a sistemare la torta alle mele, affettandola e servendola nei piatti. Pepper intanto tremava nello sforzo di non esplodere.
« Pensavo che fosse la mamma a boicottare le riunioni familiari » disse senza riuscire a nascondere completamente la rabbia, trasformando il sussurro in un sibilo.
« Lui non è di famiglia » rispose velenoso.
« Perché fai così?! »
« Come puoi lavorare per lui? »
« Si da il caso che io lavori con lui » precisò, lottando contro la voglia che aveva nell’addentare un pezzo di torta. Sarebbe stato un modo per calmarsi.
« La sua famiglia ha rifornito il mondo per fare guerra »
« Questo non ti da il diritto di giudicarlo » sbraitò. Il proprio autocontrollo era a briglie sciolte.
« Io so di che pasta è fatto » la interruppe lui.
« No, non lo sai! »
« E tu sì? »
« Conosco meglio lui che me stessa » mormorò severa.
 
Tony tamburellava le dita sul tavolo, cercando di capire se e cosa avesse detto o fatto di sbagliato. Forse era stato chiamare Pepper col suo nomignolo. Non ci aveva pensato perchè per lui ormai non era Virginia Potts. Non lo era mai stata. Le aveva affibbiato quel nomignolo non per deriderla, ma perché la considerava come un’amica, qualcuno in cui poter riporre un briciolo di umanità.
« Perdona mio marito… » mormorò Liza, riscuotendolo dal proprio stato di trance.
Sollevò lo sguardo verso di lei, notando che gli stava sorridendo per rassicurarlo. Anche Pepper era solita fare a quel modo quando aveva un problema.
« No, ha la mia comprensione. Ho fatto molti errori » rispose mesto per abbassare nuovamente gli occhi sull’erba fresca del giardino.
« Vienna? » gli chiese per riprendere la precedente conversazione.
« Volevo passare un po’ di tempo con Pepper e i miei impegni a New York non me lo permettevano – la guardò con la coda dell’occhio - Il mio non è un modo per comprare l’affetto di sua figlia. Voglio… »
« Lo so, ma credimi... - allungò una mano e la posò sul suo braccio, stringendo appena - L'unico uomo che voglio conoscere, a prescindere da quali strade abbia imboccato, è quello che vuole la felicità e il benessere di mia figlia ».
Tony abbozzò un sorriso, sentendosi imbarazzato per la prima volta.
 
Pochi metri più in là, in cucina, si stava svolgendo una vera e propria battaglia fra Pepper e Raymond.
« Ah davvero? » sbottò il padre dopo l’ennesimo strenuo tentativo della figlia di difendere il compagno da quelle ingiustificate accuse.
« Ti rendi conto che ho trentatré anni compiuti e che sono perfettamente in grado di decidere con chi passare il mio tempo? »
« Noi, io e tua madre, siamo la tua famiglia » disse come se stesse dando un ultimatum.
« No, voi siete le mie origini. Ora è Tony la mia famiglia e io sono la sua » rispose Pepper a tono.
Per quanto Tony fosse una persona difficile, non aveva senso condannarlo per qualcosa accaduta anni addietro e a cui tra le altre cose, stava cercando di porre rimedio.
« Parli come fosse un santo »
« Tu non sai chi è realmente! »
« No, non lo so ma leggo i giornali »
« Beh… Io lo amo e non c’è nessuno che possa farmi cambiare idea »
« Io sono tuo padre e so cosa è giusto per te » sentenziò, puntando l’indice sul tavolo.
« E lui è il padre di mio figlio! »
« Figlio? » strillò Ray, quasi fioco.
« S-Sì… - lo scrutò con circospezione quando vide il sangue defluirgli dal volto - Papà, ti senti bene? » aggiunse preoccupata. Suo padre non era proprio anziano, ma di recente avevano scoperto che il suo cuore era un po’ affaticato. La causa era da attribuire ai piatti ipercalorici che la moglie gli preparava solo per accontentarlo. Pepper l’aveva rimbrottata, dicendo che rendendo felice il suo stomaco probabilmente un giorno lo avrebbe ucciso.
« Sei incinta? »
« Da quasi quattro mesi »
« Oh Gesù… » sussurrò Ray, prima di svenire.

Pepper non si sarebbe mai aspettata una simile reazione. Ora sapeva che prima dei trigliceridi e del colesterolo, ad ucciderlo sarebbe stato uno shock nel sapere che la sua adorata Virginia aspettava un figlio da Anthony Stark. Poco dopo erano tutti in salotto e Pepper non riusciva ancora a raccapezzarsi.
« Ma sei impazzita?! Perché non glielo hai detto? »
« Avevo paura che potesse prenderla male – a Tony per poco non venne da ridere - Gli avevo appena detto della vostra rottura e… »
« E adesso è svenuto » sottolineò Pepper, indicandolo.
« E’ sempre stato melodrammatico » le ricordò Liza, indicando il marito a propria volta disteso sul divano ancora privo di sensi, come se stesse fingendo. Fortunatamente Pepper era riuscita a non fargli battere la testa né sul ripiano della cucina né sul pavimento. Si passò una mano sul viso, incredula.
« Ah ecco da chi hai preso! » esclamò il compagno poco lontano.
Lei lo guardò in cagnesco.
« Tony? »
« Sì? »
« Sta’ zitto » borbottò e lui obbedì. Intanto che madre e figlia tornavano a discutere animatamente, Ray aprì gli occhi.
« Dov’è quello Stark? » mormorò, alzandosi e prendendo la prima cosa che gli capitò davanti: un vaso di fiori. Tony si volse quando udì i suoi passi e cominciò ad arretrare contro il muro.
« Pep, tesoro… Mi servirebbe una mano » disse, preoccupandosi per la propria incolumità.
« Cosa? » ma ormai era troppo tardi perché Raymond incombeva su di lui col vaso sollevato come una clava. Pepper si girò, sgranando gli occhi.
« Papà, NO! ».

Angolo Autrice: Saaaaaalve Gente! Wow... Questo capitolo è lunghissimo e spero che non vi abbia annoiato. Purtroppo non potevo spezzarlo in alcun modo e quindi... Ho fantasticato un po' sulla vita di Pepper e di Tony (su quest'ultimo in particolare perchè amo un piccolo Stark fra le braccia di Maria... Che volete farci? Sono un'inguaribile sentimentale), sperando di non aver stravolto i personaggi.
Vabbè a parte questo, siccome sono stata molto impegnata, non ho potuto aggiornare prima e rispondere singolarmente alle recensioni; perciò lo faccio qui ^^

A leila91, non preoccuparti se sei di poche parole, capisco gli impegni e la mancanza di tempo (vorrei poter usare la mia giratempo ma... Niente magie al di fuori di Hogwarts!!) ;)
- Tony mezzo rimbambito di primo mattino post-coito è coccoloso, lo sho :3 e sì, Liza Potts è la mamma ideale ahahah;
- visto che sei un'amante delle docce, sappi che potrei avere una chicca in serbo per te in futuro ehehehe;
- per la questione del nome del bimbo (appunto che faccio qui di proposito per tutti, mea culpa perchè mi dimentico sempre di specificare...) Ben in realtà era un modo di Pepper per stuzzicare la gelosia di Tony: Ben è il collega friendzonato :)
Spero di aver risposto a tutte le tue domande e ti ringrazio ancora per i complimenti, ben lieta di tenere viva la tua curiosità per questa ff! :*

Ad _Atlas_, sempre puntualissima nel recensire al contrario della sottoscritta ahahahah
- abbiamo due cose in comune: il debole per Tony vulnerabile/inquieto/tormentato/malinconico e senza camicia :Q__

- ho inserito Pepper come paladina contro Fury perchè non amo gli stereotipi femminili: insomma, senza le donne, i nostri personaggi preferiti sarebbero morti dopo nemmeno tre righe dall'inizio dei romanzi/film xD
- pardon, tre cose in comune: i mix micidiali di angst e fluff *-*
Ringrazio anche te per i complimenti (sei troppo gentile... *arrossisce*) e spero di tenere alte le tue aspettative fino alla fine :*

DjalyKiss94 dico semplicemente grazie, grazie, grazie! Per quanto riguarda Steve, ti assicuro che ho una gemma anche per te nei capitoli a venire ;)

Che dire? Un grazie ancora a tutti voi che leggete e inserite questa storia tra le preferite/ricordate/seguite! 
Un baciotto (parafrasando Stark <3),
50shadesOfLOTS_Always


 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Ps: I Miss (Love) You

Rientrarono a casa da quello che da un semplice pranzo domenicale, si era trasformato in un pomeriggio d’inferno. Pepper aveva portato d’urgenza Tony al pronto soccorso mentre lui continuava a dirle che stava bene e che non era niente. Per lei prendere un vaso di cristallo in testa non era esattamente niente! Lo aveva obbligato a farsi mettere dei punti: sette all’altezza dell’arcata sopraccigliare. Ci aveva quasi rimesso un occhio, lei il cuore per uno scampato infarto. Tony aveva cercato di scherzarci su, chiedendo all’infermiere di dargli una benda da pirata.
Raymond era stato sgridato sia dalla moglie durante i viaggi di andata e ritorno, sia dalla figlia in sala d’attesa. Circa due ore più tardi, mentre i coniugi Potts tornavano a Rosemead, lungo la strada per Malibu Point, Tony e Pepper si erano fermati ad un McDrive per ordinare due cheeseburger e una porzione gigantesca di patatine fritte, condite con ketchup e maionese, che avevano diviso in macchina. Ovviamente lei si era rifiutata di farlo guidare e nel tragitto, avevano occupato il tempo col cibo al posto delle parole. Parcheggiò l’auto, poi salirono in camera da letto dopo aver dato la buonanotte a F.R.I.D.A.Y che, all’oscuro di tutto, aveva aperto l’argomento.
« Ehy non è andata così male… - esordì Tony, tenendo una borsa del ghiaccio sulla fronte - Poteva uccidermi, ma si è fermato ».
Peppe lo guardò mentre si chiudeva la porta alle spalle. Poi avanzò verso il letto e appoggiandosi con un braccio sul materasso, si sfilò le scarpe.
« A volte mi spaventa… »
« Cosa? » chiese lui confuso.
« Questo tuo macabro modo di sdrammatizzare »
Lui rispose con una scrollata di spalle, annunciando che si sarebbe lavato i denti. Dopo essersi preparata per la notte, Pepper si sedette sul giaciglio per leggere un libro. Lo socchiuse, pronta ad abbandonarlo quando circa un quarto d’ora dopo, Tony uscì dal bagno con addosso una tuta. Non un pigiama.
« Dove vai? » domandò quando lo vide avviarsi fuori dalla stanza.
« A smanettare ».
Ovvio. Lei annuì, trattenendo lo spontaneo impulso di brontolarlo. Dopo una giornataccia come quella, sarebbe stato da infame impedirglielo. In fondo era meglio che stringesse bulloni, anziché attaccarsi a una bottiglia di superalcolico. Si era comportato come un fidanzato modello quel pomeriggio e l’aveva messa in imbarazzo meno volte di quanto si era aspettata. Era stato garbato, meno sarcastico del solito e a tratti perfino romantico. L’avrebbe sposato quel giorno stesso…
‘Cosa?’, pensò dentro di sé. Suo padre era svenuto alla notizia della gravidanza, come avrebbe reagito al… Matrimonio? E poi Tony? Ci aveva pensato anche lui oppure era troppo impegnato coi suoi giocattoli? A Vienna era stato uno scherzo, ma nella realtà la cosa era diversa. Scosse il capo e aggrottò la fronte prima che cominciasse a vedersi in abito bianco.
« Non fare troppo tardi – disse con calma, ma lo fermò prima che sparisse - Ah Tony? »
« Sì? »
« Domani devo andare a New York. Sai, per la visita e per rimettere a posto alcune cose… - lo guardò incerta - Forse dovrò dormire lì ».
Lei non ne fu sicura, ma le sembrò di percepire del panico nella sua voce quando parlò.
« Per una notte? Poi… Tu… Insomma »
« Sì, mi trasferisco qui » rispose comprensiva, accompagnando quelle parole con un sorriso.
Tony era rimasto immobile sulla soglia a fissarla, come se dovesse vederla per l’ultima volta. Aveva capito alla perfezione cosa lo turbava e non si sentì più così sciocca per tutte le volte in cui aveva avuto paura nel restare da sola nel proprio appartamento a Manhattan.
« Che succede? » gli chiese, arcuando un sopracciglio quando non vide alcuna reazione.
In realtà nella testa di Tony si erano affollati diversi interrogativi. E qualcuno era vagamente aspro. Non riusciva a non pensare al modo in cui quell’idiota dell’ufficio di New York la guardava.
« Niente – compì un passo, poi tornò indietro facendo capolino - Ti amo, Pep »
« Anch’io » mormorò prima che lo sentisse scendere la scale.

Si stropicciò gli occhi, mettendo via la penna ossidrica. Aveva cominciato la parte difficile perché le dimensioni ridotte richiedevano mano ferma, leggera. Quando guardò l’orologio appeso alla parete e vide che erano le due di notte, decise che era l’ora di una siesta. Si alzò, ordinando a Ferro Vecchio di sistemare e a F.R.I.D.A.Y di spegnere tutto. Salì al piano superiore e dopo un bel bicchiere d’acqua, salì al piano superiore. Pepper doveva essersi addormentata da un pezzo, ma si ricredette quando in camera, la trovò ancora concentrata sul libro. Era appoggiata con le spalle alla testata del letto e le gambe distese sulle coperte, le caviglie incrociate.
« Sei ancora sveglia? » domandò vagamente sorpreso.
Lei non era solita restare in piedi fino a tarda notte. Era sempre stata puntuale al mattino nel presentarsi a lavoro.
« Perché che ore sono? » chiese lei, altrettanto sorpresa nel sentirsi porgere quella domanda.
« Le due del mattino »
« Oh, allora finisco questo capitolo… » disse tornando a far scorrere gli occhi sulle pagine un po’ ingiallite.
Tony aggirò il letto per distendersi dalla propria parte. Si sistemò su un fianco rivolto verso di lei, con la testa appoggiata su una mano.
« Che leggi di così interessante da ignorare questo bel manzo? » disse, indicandosi con l’altra mano.
Pepper, totalmente concentrata, scoppiò a ridere ed abbassò il libro per vedere dipingersi sul viso del compagno un ghigno malizioso.
« Direi che per due settimane ne ho abbastanza di barbecue » sghignazzò per poi tornare alla lettura. Le mancavano poche righe. Lui ridacchiò e sollevò la copertina del libro per poter leggerne il titolo.
« Shakespeare - borbottò - La selva oscura? »
« Quello è Dante » lo corresse Pepper con un cipiglio di sufficienza.
« Erano cugini sai? » tentò di salvarsi lui. Da giovane la letteratura gli piaceva, ma non vi aveva mai prestato troppa attenzione. Preferiva i numeri, i protoni e la meccanica. Il suo lavoro era anche il suo parco giochi.
« Sì, l’ho sentito dire » mormorò lei, divertita.
Era quasi a fine capitolo quando sentì Tony muoversi accanto a lei. Le sue dita cominciarono ad carezzarle il braccio e le sue labbra la spalla scoperta.
« Dovresti essere già a letto » sussurrò suadente.
« Ma io sono a letto » lo corresse lei, finendo finalmente la pagina. Sistemò il segnalibro e ripose il tomo sul comodino accanto al giaciglio.
« Quindi aspettava me, Potts? » continuò Tony, sporgendosi per scavalcarla. Si sedette sui talloni davanti a lei, coi pugni sul materasso per non caderle addosso.
« Sì – posò l’indice sulle labbra dell’uomo prima che raggiungessero le proprie - Per dormire »
« Vuoi dire che…? Niente…? » bofonchiò, senza fare a meno di sentirsi un po’ dispiaciuto.
« Perspicace – lo schernì - Domani, o meglio fra circa sette ore, hai una riunione »
« Guastafeste » brontolò, avvolgendosi nelle lenzuola.

**

Tony si svegliò, ma non ebbe né la forza né la voglia di sollevare le palpebre. Sapeva che il sole era già sorto, ma non gli importava un granché. Voleva dormire e non si sarebbe accontentato di cinque miseri minuti. Poi sentì qualcosa solleticargli il lobo dell’orecchio sinistro. Era un contatto piacevole, caldo e vagamente umido che aveva già provato. Probabilmente se lo stava immaginando.
« Tony, svegliati. Sono le sette e mezza » sussurrò la voce di Pepper da un posto lontano dalla sua parte cosciente. Aprì lentamente gli occhi, incontrando la tenue luce del primo mattino. Inspirò a fondo, captando il profumo del caffè appena fatto mischiato a qualcosa di più esotico che impregnava le lenzuola. Un mix peculiare, micidiale di cui era drogato. Si girò sulla schiena e subito un paio di occhi azzurri gli mozzarono il fiato tanto quanto le volte precedenti.
« Ciao… » esordì assonnato, portandosi un braccio sotto la testa.
« Buongiorno bel addormentato – sorrise, ancora china su di lui - Tra poco ho il volo per New York ».
Lui ricambiò quel sorriso. Si trasformò in un ghigno quando il suo sguardo scivolò sulla figura della donna. Non indossava il solito completo da ufficio, ma una T-shirt grigia con lo scollo a v che dalla sua prospettiva, forniva un’ottima visuale su ciò che avrebbe dovuto in realtà coprire. Più sotto vide dei jeans attillati, estremamente eccitanti.
« Sia più precisa, Potts » borbottò, tornando a guardarla negli occhi.
« Quaranta minuti » rispose lei, passandogli una mano fra i capelli e ignorando il modo in cui l’aveva esaminata pochi istanti prima.
« Me ne farò bastare venti ».
Senza darle spazio né tempo di reazione, la spinse sulla parte libera del letto. Le circondò la vita con un braccio mentre con la mano libera le sollevò il ginocchio fino alla propria anca. Con la punta delle dita saggiò come il denim avvolgesse perfettamente le sue curve mentre le proprie labbra premevano contro le sua per schiuderle. Il desiderio di lei lo infiammò, non era mai sazio. Se avesse potuto, si sarebbe chiuso con lei in camera per tutta la vita.
« Tony, ti… aspetta…no alle Industries » cercò di dire Pepper a fatica, fra un bacio e l’altro. Era un tentativo inutile di distoglierlo dal suo intento, ma ormai si era avviluppata a lui.
« Infatti aspet…teranno » soffiò lui contro il suo collo prima di aprire il bottone dei pantaloni.
 
Qualche gemito più tardi, Pepper guizzò via dalle lenzuola e ancor più riluttante, dalle braccia di Tony.
« Devo andare » mormorò, notando l’ora sulla sveglia.
Afferrò gli slip, poi indossò i jeans e la maglietta con la stessa rapidità.
« Sono passati solo »
« …e tu devi prepararti »
« …diciassette minuti » protestò Tony, infilandosi i boxer che aveva ritrovato ai piedi del letto. Si alzò per poterle stare alle calcagna.
« Impiegherai gli ultimi tre minuti di sotto, in cucina » rispose lei, scendendo le scale.
« Posso venire con te? » chiese con lo stesso tono supplichevole di un bambino.
« Ne abbiamo già parlato »
« Tu ne hai parlato » le ricordò mentre Pepper si chinava per infilarsi le scarpe, abbandonate vicino al divano. Quando tornò in piedi, Tony dietro di lei la prese per le spalle. Affondò il naso nei suoi capelli annodati, inspirandone il profumo.
« Tony… » lo rimbrottò con voce trasognata.
Quando si comportava a quel modo era inevitabilmente irresistibile per lui.
« Posso mandare qualcuno »
« Devo presentarmi »
« …a prendere le tue cose »
« ...dal ginecologo » terminò lei, girandosi per vederlo in faccia. Si appoggiò con le braccia allo schienale del divano mentre la teneva prigioniera. Tony lasciò che il suo sguardo vagasse sul suo viso, sulla linea fine del mento, sulla punta graziosa del naso e sugli zigomi tinti di scarlatto. Non era mai stanco di guardarla, di averla attorno. Lasciarla andare in quel momento sarebbe stato solo l’inizio di una tremenda giornata.
« Ti accompagno » propose infatti, mostrandole la faccia la cucciolo. L’aveva in pugno.
Pepper capì subito dove lui volesse andare a parare e giocò la carta della diplomazia.
« Terrò il cellulare acceso ».
Gli stampò un bacio sulla guancia, sollevandosi appena sulle punte poi si diresse verso l’atrio, dove aveva lasciato la borsa già pronta.
« Le sembra il modo di salutare, Potts? » domandò lui piccato.
Pepper lo fissò, valutando la situazione. Si era fatta la doccia, inutile visto il risveglio impetuoso del compagno. Non c’era stato tempo per una seconda, sia per evitare un ritardo sia perché Tony avrebbe potuto intrattenerla in modo creativo. Alla fine, per accontentare anche sé stessa, tornò vicina a lui e gli allacciò le braccia attorno al collo per poi dargli il bacio che desiderava. Condivisero l’ossigeno e l’abbraccio per un minuto abbondante. La lingua di Tony stuzzicò la sua mentre le sue braccia la avvolsero e la sollevarono di almeno qualche centimetro. Prima che la cosa degenerasse, si distanziò con premura.
« Meglio » mormorò Tony, lasciandola andare a malincuore.
Aveva il costante terrore, che uscita dalla porta, non sarebbe più rientrata. Ma non lo avrebbe mai ammesso. Picchiettò l’indice sul proprio petto mentre la seguiva verso l’ingresso. Lei si aggiustò la frangetta, cosciente di avere il suo sguardo addosso.
« Non è educato guardarmi il fondoschiena, Stark »
« Non educato, ma nemmeno illegale » terminò prima di vederla sparire nella propria Audi argentata.
Si passò entrambe la mani fra i capelli, ripetendo mentalmente il solito mantra: RESTA CALMO.
Anziché seguirlo però, s’innervosì e tornò di sopra per farsi una doccia, che sarebbe stata sicuramente noiosa senza Pepper. Poco dopo, vestito e pronto per il lavoro, si concedette qualche minuto per una tazza di caffè. Agguantò le chiavi della macchina e si diresse verso le Industries, correndo sulla Pacific HighWay con i Black Sabbath a tutto volume per una perfetta entrata in scena.
 

*

Pepper era intenta, dopo un breve colloquio col proprietario dell’immobile, a chiudere gli scatoloni da portare sotto in strada, dove Ben faceva da guardia a un furgoncino. Tiffany si era offerta di aiutarla a raccogliere le cose per fare più in fretta, vista la notevole quantità di vestiti e di oggetti di varia natura. Una pila di documenti ancora da riordinare, libri che risalivano agli anni dell’università e perfino la trousse. Era stato difficile spiegare, senza troppi dettagli, come fosse finita ad essere co-amministratrice delle Stark Industries viste le dimissioni. Anche la stampa aspettava una risposta convincente a quel quesito. Tiffany era una collega leale, ma in breve tempo era diventata anche sua amica, la sua unica confidente che non possedesse qualche grottesco retroscena. Sembrava aver intuito all’istante, al contrario di Ben, che Tony era molto di più per lei. Avrebbe voluto confermare quell’intuizione e raccontarle di quanto fosse felice per la gravidanza. Tony aveva reagito abbastanza bene o comunque non era scappato a gambe levate come inizialmente aveva immaginato. Quel imprevisto stava portando un pizzico di serenità nella vita di lei e novità nella vita rocambolesca di lui. Poi però si ricordò delle riviste e dei giornali, di ciò che gli altri dicevano. Anche Tiffany doveva averli letti. Fra questi ragionamenti, Pepper stava impacchettando alcune cornici quando un telefono trillò su un tavolo.
« E’ il tuo, Tiff? » chiese, poggiando un altro scatolone a terra per poi chiuderlo con un pezzo di nastro adesivo. Ne aveva contati circa altri due, da aggiungere alla decina già nel furgone.
« No, credo sia il tuo – afferrò il cellulare lasciato sul tavolo - Vediamo… E’ Stark».
Pepper guardò l’orologio che spariva in parte in uno scatolone ancora aperto. Non poteva aver già finito: se là erano appena le due del pomeriggio, a Los Angeles dovevano essere circa le nove.
« Come? – la riunione era sicuramente iniziata da mezz’ora - Dammi qua… »
« Lo hai salvato come Tony? »
« Sì, è il suo nome » disse in tono saccente.
« Il suo nome è Anthony – le ricordò l’altra con uno sguardo furbetto - Cosa nascondi, Virginia Potts?».
Pepper pensò che somigliava molto a un gatto con l’acquolina alla bocca. Bastava solo che si leccasse i baffi.
« Potrei riavere il mio telefono? »
« Sei diventata rossa » le fece notare in tono di scherno.
« Fa’ caldo » protestò Pepper, rendendosi conto che si stava coprendo di ridicolo vista la stupidità delle proprie parole. Sì e no, fuori c’erano appena quindici gradi.
« Sulla Pacific Coast forse… » mormorò maliziosa Tiffany, prima di allontanarsi verso uno scaffale e cominciare a svuotarlo. Pepper cercò di ignorare quel commento e aprì il messaggio.
 
Da: Tony
Signorina Potts,
dovrebbe smetterla di segnare questi appuntamenti sulla mia agenda vista la loro opinabilità. Spero che lei non si stia divertendo troppo perché io mi sto annoiando a morte.
 
Scosse il capo e digitò una risposta.
 
Da: Pepper
Signor Stark,
le ricordo che adesso la sua, o meglio, nostra assistente è Maria Hill. E credo che stia facendo un lavoro egregio. Cosa che lei fatica a comprendere visto che, mentre si trova in piena riunione amministrativa, sta gozzovigliando con la sottoscritta.
 
Premette invia, sperando che leggendo quel rimprovero, si concentrasse sulla riunione visto che ne andava dell’azienda. Tony dall’altra parte del telefono, davanti al proprio, sorrise come un ebete. Era contento di poter bisticciare con lei anche se indirettamente. Soprattutto se la cosa si poneva su una finta formalità. Si accertò che nessuno lo notasse e rispose.
‘Si gioca!’, esultò mentalmente.
 
Da: Tony
Gozzovigliando? Cos’ha mangiato per pranzo, un vocabolario?
 
‘Perché mai dovrebbe fare solo il proprio lavoro?!’, pensò Pepper. Effettivamente lo aveva provocato.
 
Da: Pepper
Ho mangiato un hot dog, se proprio vuole saperlo. Lei invece dovrebbe introdurre nella propria dieta un minimo di cortesia.
 
A Tony sfuggì uno sbuffo nel tentativo di non ridere apertamente. Quando i presenti si girarono quasi in contemporanea nella sua direzione, si schiarì la voce per far sembrare che avesse un po’ di tosse. Tenendo un occhio sulla presentazione, continuò a scriverle.
 
Da: Tony
Era buono l’hot dog?
 
Da: Pepper
Eccellente.
 
Pepper sperò che avrebbe smesso e invece, il suo telefono trillò di nuovo. Tiffany le lanciò un’occhiata che lei ricambiò, ma solo di sottecchi.
 
Da: Tony
Pep?
 
Aggrottò la fronte.
 
Da: Pepper
Che c’è?
 
Da: Tony
Com’è il tempo?
 
Pepper lanciò un’occhiataccia al messaggio, come se lui potesse percepirla.
 
Da: Pepper
Non ci sono segretarie con gonne troppo corte?
 
Tony si guardò intorno e arricciò il naso. Nella sala asettica e ultramoderna, risuonava solo la voce di… Beh, di una delle sette mummie che gli tenevano compagnia in quell’appuntamento per il thè. Forse si chiamava Elias, ma non poteva esserne certo.
 
Da: Tony
No, solo un mucchio di cadaveri.
 
Da: Pepper
Perché non comincia a lavorare?
 
Da: Tony
Tecnicamente sto lavorando. E’ lei che si è presa un giorno libero per gozzovigliare.
 
Da: Pepper
Ho presentato regolare richiesta proprio ieri sera, Signor Stark. Le ricordo che lei ha acconsentito perciò non faccia l’offeso.
 
Ecco la risposta che voleva. Puntigliosa come sempre.
 
Da: Tony
Sempre più indisciplinata. Dovrò farlo presente al suo capo. E comunque touché.
 
Pepper scosse il capo e scrisse ancora.
 
Da: Pepper
Smettila di scrivere e concentrati.
 
Da: Tony
Mi annoio.
 
Stava per riprenderlo quando le arrivò subito un altro messaggio.
 
Da: Tony
E mi manchi.
 
Non potè fare a meno di sorridere dopo che il suo cuore ebbe fatto un triplo carpiato. Tony faticava ad esprimere i propri sentimenti e Pepper, che aveva sopportato appena il proprio computer, ringraziò la tecnologia. Si morse il labbro inferiore, su cui poi passò inconsciamente la punta della lingua. Tiffany non si lasciò sfuggire quella reazione mentre chiudeva il cartone, spingendone le ali.
« Potresti almeno dirlo che ti piace »
« Cosa? No, sei fuori strada » rispose con la voce più alta di almeno un’ottava.
Tiffany assunse un’espressione che esprimeva chiaramente quanto la situazione fosse decisamente comica.
« Andiamo, vuoi farmi credere che chiunque sorriderebbe nel ricevere un messaggio dal proprio capo? »
« Non stavo sorridendo – ribadì lei, tentando di tornare seria - E poi siamo colleghi »
« Quindi vuoi dirmi che se fosse stato Ben a scriverti, avresti interrotto il trasloco per rispondergli? ».
Pepper non trovò le parole giuste per risponderle. No, decisamente aveva ragione.
« Una curiosità: come sei arrivata qui? – non le diede il tempo - Col suo jet privato »
« E’ stata una sua gentilezza » disse, ma come prima, si sentì una pessima bugiarda.
Tiffany non rispose, si limitò a scuotere il capo e a tornare al proprio compito.
Nel mentre Tony stava quasi avendo un attacco di panico. Pepper stava tardando a rispondergli e cominciava a credere di aver sbagliato a scrivere quell’ultima frase.
‘Idiota!’, si disse. Mentre pensava a un modo per togliersi da quell’impiccio, lei rispose e si diede ancora dell’idiota per poi passare subito all’autoelogio. Aveva centrato il bersaglio invece.
 
Da: Pepper
Ancora niente donnine allegre?
 
Sorrise a quella domanda, ma non riuscì a scacciare la precedente paranoia.
 
Da: Tony
A lei manco,Potts? PS: No, purtroppo dovrò accontentarmi della sua compagnia virtuale.
 
Da: Pepper
In realtà sto apprezzando questa pace. PS: E le dispiace?
 
No, non aveva sbagliato. Quasi sospirò per il sollievo e rispose.
 
Da: Tony
Non le credo. PS: Affatto. Tuttavia preferirei averla qui nei suoi jeans. O anche senza se preferisce… PPS: la smetta con i PS.
 
Pepper si morse la lingua per evitare che le sfuggisse un commento inappropriato visto che stava per compromettere la segretezza del loro rapporto.
 
Da: Pepper
La sua ragazza non sarà contenta.
 
Tony sghignazzò, stavolta sonoramente.
« Signor Stark? » domandò, riportandolo alla realtà… Non riusciva proprio a ricordarsi il nome.
Vide i suoi occhi grigi studiarlo come se stesse parlando con uno schizofrenico. Scosse il capo e fece un gesto vago con la mano.
« No, uhm… Prego continui »
« Vuole fare una pausa? » propose la mummia 3. Aveva i capelli di uno strano color paglierino.
« No, sbrighiamoci » rispose piccato. Non aveva alcuna intenzione di prolungare quella tortura.
« Sì, Signor Stark. Come stavo dicendo… »
Lui abbassò gli occhi e digitò la risposta.
 
Da: Tony
Sì, è un bel peperino… Soprattutto stamattina.
 
Pepper avrebbe voluto ricordargli che non era stata lei ad iniziare, ma preferì non farlo per evitare di litigare. Doveva ammettere che quella chat la stava deliziando. Intanto Tiffany stava chiudendo un altro scatolone e per il momento, non si era accorta di nulla.
 
Da: Pepper
Come mai non è con lei? Dov’è?
 
Stava per risponderle quando una donna bussò alla porta della sala. La classica bionda che portava i caffè. Malgrado non fosse stanco della chat, sempre più intrigante, dovette affrettarsi a chiuderla perché le persone sedute attorno a lui cominciavano ad irritarsi.
 
Da: Tony
Sta gozzovigliando a quattromila chilometri di distanza dal sottoscritto. PS: Gonna corta a ore dieci.
 
« Signor Stark, ecco il suo caffè » annunciò la Barbie, sporgendosi un po’ troppo verso di lui.
Tony pensò che il seno potesse schizzargli direttamente in faccia, tanto i bottoncini della camicia faticavano a trattenere le generose curve. Le rivolse solo un sorriso di cortesia, afferrando il proprio bicchiere di carta. Si accorse di non aver indugiato neanche un istante di troppo sulla scollatura e Happy si sarebbe sicuramente chiesto se lui stesse bene.
« …punto proporrei un’ulteriore assemblea con la Signorina Potts per concordare accuratamente circa le azioni da effettuare per la crescita di mercato »
« Signor Stark? » chiese uno dei collaboratori.
« Assolutamente concorde con quanto detto » disse sbrigativo. Non sapeva neanche di cosa stavano parlando. Lui voleva solo tornare a casa, nel suo laboratorio per finire la sorpresa per Pepper.
« Prima di concludere, vorrei esporle un dubbio che abbiamo tutti da qualche giorno ».
Tony si sedette, pur essendosi già alzato, incapace di occultare quanto l’essere bloccato là lo tediasse.
« Ecco, quello che… Sì, insomma… »
« Volevamo sapere cosa l’ha spinta a eleggere la Signorina Potts come co-amministratrice » disse finalmente Elias, in modo diretto. Tony fece schioccare le labbra dopo aver bevuto un sorso di caffè.
« Curioso. Me l’ha chiesto anche lei – non udendo repliche, continuò - Dubitate della mia capacità di giudizio? »
« No, Signore » risposero tutti in coro.
« Allora forse della mia lucidità? »
« No » ancora tutti.
Tony si grattò il pizzetto, pensando a quanti danni potrebbe creare a mani nude sulle loro teste di rapa.
« Non sarà perché la Signorina Potts è una donna? » chiese e nella sala, piombò un silenzio tombale. Gli uomini al tavolo cominciarono a guardarsi fra loro come quaglie impaurite, indecisi se scappare tra i cespugli o restare accucciati. Tony decise di agire al loro posto e di sparare.
« Tranquilli, Signori. La Signorina Potts non è una donna: ma il co-amministratore delegato, perciò se qualcuno ritiene di non dover lavorare per lei… - disse, portando il bicchiere alle labbra - Siete liberi di andare ».
Nessuno si mosse, tranne la Barbie che invece se la filò senza troppo garbo.
Tony si alzò, spingendo un po’ la sedia all’indietro, cercando di trattenersi dal licenziarli tutti. Con la mano libera chiuse l’unico bottone della giacca.
« Forse non mi sono spiegato: il vostro dovere è convocarmi qui, quando c’è un problema. O per una festa. – li fissò uno ad uno - Queste riunioni per quanto mi riguarda, sono un’autentica rottura di palle. Se non fosse stato per la Signorina Potts, io non sarei qui a prendere il thè con voi e soprattutto oggi i vostri culi non siederebbero su queste poltrone. Se non fosse stato per la Signorina Potts, quest’azienda avrebbe già chiuso i battenti. Devo forse ricordarvi di Obadiah? »
« Ci perdoni, Signor Stark. Non volevamo insinuare che… »
« Bene. Allora la prossima volta, sottraetemi del tempo quando esisterà un vero problema che non riguardi la direzione delle mie industrie – concluse – Avete intenzione di lamentarvi anche di qualcos’altro? »
« No, Signor Stark. Abbiamo concluso »
« In questo caso, buona giornata » sbottò, gettando il caffè nel secchio prima di uscire dalla stanza.
 
Pepper sorrise mentre metteva via il telefono. Probabilmente stava davvero guardando un’altra segretaria, ma per il suo bene, sperò che fosse solo un modo per infastidirla perché in realtà lo avevano beccato. Si accorse di aver fatto una mossa falsa quando Tiffany si gettò sul suo telefono.
« Tiffany! No! ».
Si sporse inutilmente e maledisse gli scatoloni che avevano rischiato di farla cadere e rompersi l’osso del collo. La mano che aveva proteso se la portò alle labbra chiudendola a pugno per trattenere un’imprecazione. Capì di essere spacciata, così si portò le mani sui fianchi. Tiffany intanto continuava a trafficare con lo smartphone, aprì la casella di posta e lesse.
« ‘Mi annoio’. ‘E mi manchi’. – Pepper si coprì il volto con entrambe le mani, pronta al peggio - ‘Tuttavia preferirei averla qui nei suoi jeans. O anche senza se preferisce…’? ».
« Tiff… » disse flebile, sentendo le guance imporporarsi come al solito.
Si chiese perché dovesse finirci sempre lei in quelle situazioni e arrivò concludere che sulla propria testa, gravasse una sorta di maledizione.
« Tu hai una relazione col miliardario più sexy d’America?! ».
Le fece cenno di abbassare la voce. Se non lo avesse fatto, molto probabilmente l’avrebbe sentita anche Tony. E lui di vanità ne era saturo.
« Ti prego, non urlare »
« Oh mio Dio! Per questo… »
« No » disse, tornando immediatamente seria.
« Oh, no non fraintendermi… E’ che… - sospirò, guardando di nuovo il telefono - Wow »
« Lo so. Ti prego… »
« Non lo dirò a nessuno. Davvero – la raggiunse e con una mossa esageratamente maliziosa le restituì l’oggetto del peccato - Allora, Virginia Potts… »
« Smettila » borbottò, strappandole il cellulare e stringendolo al petto come un amuleto.
« Sai che avete creato un gran scompiglio in tipo, tutto il globo? » le fece notare, dandole le spalle per sollevare un cartone sul tavolo.
« E’ il suo mestiere creare scompiglio… ».
Non terminò la frase, perché si trovò di nuovo con lui a quella sera sul tetto. Quel bacio che le aveva rubato sotto la volta celeste e a cui facevano da sfondo le esplosioni alla EXPO.
« Cavolo, tu sei stracotta! » osservò Tiffany, inclinando la testa di lato e interrompendo il flusso dei propri ricordi quando si rese conto di aver assunto un’espressione trasognata.
« Non ho sedici anni » disse e la collega rassegnata mentre incartava una lampada.
« Eri con lui in questi giorni? »
« Sì. E non parlare di lui come se fosse il ragazzaccio tatuato più popolare del liceo »
« Potts, stai parlando di Anthony Stark. Per noi comuni mortali è come una divinità dell’Olimpo e non capita tutti i giorni, che uno come lui si presenti di punto in bianco per vedere una singola donna, visti i suoi precedenti con modelle e attrici ».
Pepper esitò a rispondere ciò che aveva pensato. E non era niente di carino.
Quello era il suo unico pallino: fra tante donne che lo circondavano, perché lei, Virginia Potts?
Lei che era sempre stata bollata come la secchiona di classe, di continuo un gradino sotto alle coetanee, si era buttata a capo fitto nello studio perché era l’unica cosa che la gratificava al contrario delle relazioni con gli altri. E poi il college. Per quanto fosse stato il periodo più eccitante della propria vita, si era sentita sola. Davvero sola. Nonostante si fosse creata delle amicizie nel campus non si era mai sentita totalmente integrata.
E poi l’incontro con Tony. Era entrato nella sua vita come un uragano. Le piaceva credere che fosse stato destino anziché una semplice coincidenza. Le piaceva credere che si fossero incontrati per un motivo, per un disegno vasto e incomprensibile, immanente. Era diventata Pepper. Quanto aveva odiato quel nomignolo! Ora le sembrava che si fosse sempre chiamata a quel modo, che fosse sempre stata Pepper senza saperlo e che aveva dovuto incontrare Lui per esserlo davvero.
Ogni volta le chiedeva di “buttare fuori la spazzatura”, si sentiva apprezzata perché in quella casa immensa, l’unica donna a tenergli compagnia ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, era lei. E il pensiero che un giorno Tony avrebbe “buttato” lei come spazzatura, era sempre dietro l’angolo pronto a strisciare fuori per produrle un senso di angoscia. Non voleva perdere Tony.
Tiffany cambiò atteggiamento.
« Dai, finiamo con questo trasloco… Così torni dal tuo bello a cui mancano i tuoi jeans… » scherzò, ma Pepper era ancora preda dei propri timori.
 

**

Tony guidò fino alla casa di Rhodey. Una semplice villetta nel quartiere di Beverly Hills. Si fermò davanti al cancello e abbassando il finestrino, allungò un braccio per premere il pulsante del citofono.
« Sì? »
« Sono io » rispose e il cancello cominciò ad aprirsi cigolando.
Condusse l’auto lungo il vialetto fino a fermarsi dietro la casa. Scese, trovato l’amico ad attenderlo sulla veranda che dava sul giardino del retro con tanto di piscina.
« Che ci fai qui? »
« Mi chiedevo se volessi andare a fare una corsetta » rispose, sfilandosi gli affezionati Rayban per indicarlo.
Rhodey non fece caso alla battuta e lo squadrò da capo a piedi. In tutti gli anni che lo conosceva, raramente lo aveva visto con un semplice completo elegante da ufficio. Uno di quelli che usano i commercialisti o gli avvocati durante il giorno.
« Come ti ha convinto? » chiese con un sorrisetto.
« Chi? »
« Pepper - indicò la giacca con un cenno del capo - Te l’ha ordinato? »
« Non me l’ha ordinato. Me lo ha gentilmente chiesto » precisò lui, scimmiottando un tono immaturo come quello che al colonnello ricordava un dodicenne.
« Mh-mh » mormorò, ridendo sotto i baffi.
Si avviarono dentro l’abitazione, dove una leggera musica si diffondeva dalla radio.
« Allora come va con le protesi? » esordì Tony, accomodandosi sul sofà.
« Devo farci l’abitudine »
« Fammi sapere se hai delle migliorie da propormi, come un porta-bicchiere » rispose lui, roteando una mano nell’aria. Poi appoggiò una caviglia sul ginocchio opposto come se fosse a casa propria.
« Certo… - trattenne un commento poco educato e si appoggiò al muro con una spalla - Tu come stai? »
« Una favola »
« Sicuro? » chiese scettico.
Tony non andava quasi mai a trovarlo se non per la riabilitazione, il che avveniva una volta alla settimana massimo due. Ora si trattava di una situazione diversa. Sembrava che Tony dovesse parlare con qualcuno, per sfogarsi prima di implodere, ma non faceva niente per avviare una conversazione.
« Sì, devo solo… Fare attenzione a… » si interruppe quando il suo telefono vibrò nella tasca dei pantaloni. Si sedette più composto e si inclinò in avanti  per infilare la mano nella tasca interna della giacca. Tirò fuori il cellulare e con sospetto, aprì il messaggio. Era di Pepper. Non erano passate neanche un’ora dall’ultima mail che si erano scambiati in ufficio. Pensò che volesse chiedergli della riunione, ma quando vide l’allegato non potè fermare le prime parole che gli vennero in mente.
« Porca vacca… »
« Che succede? » domandò Rhodes indeciso se sentirsi preoccupato, col dubbio che avesse lasciato qualcosa di pericoloso acceso, facendo radere al suolo la Villa una seconda volta.
« Questa sì che è ingegneria… » sussurrò Tony, gli occhi ancora fissi sull’immagine.
Non era una foto estremamente chiara, ma riuscì comunque ad intravedere una sagoma bianca molto simile ad un… Neonato. Era piccolo, piccolissimo.
« Allora te lo ha detto… ».
Tony sollevò il capo per guardare l’amico. Qualcosa non gli quadrava.
« Tu lo sapevi? »
« Diciamo che ho avuto un’anteprima »
« E io che ti chiamo “amico” » sibilò, dando ancora uno sguardo all’ecografia.
« Glielo avevo promesso, in cambio lei te lo avrebbe detto di persona »
« Baci tua madre con quella bocca? »
« Oh avanti! Non fare il bambino visto che tra poco ne avrai uno ».
Rhodey si zittì. Lo studiò: aveva il volto sereno, ma contratto in una smorfia che non seppe decrittare; e gli occhi nocciola erano stati attraversati da un bagliore insolito.
« Secondo te è maschio o femmina? » gli chiese poi.
« Che vuoi che ne sappia io? Non sono mica medico – Tony mise via il telefono - Ti vedo sconvolto »
« Da quando in qua tu e Pep siete… Bonnie e Clide? » disse con un che di snob nel modo in cui mescolò l’indice e storse la bocca. Come se avesse appena assaggiato del limone.
« Non è che sei geloso? »
« Io?! »
« Pepper mi ha detto che ti sei fiondato al Fox Trot » aggiunse il colonnello, facendo spallucce.
« E’ questo quello di cui parlo! Questi vostri pigiama party… »
« Ammetterai che è stato un po’ troppo esagerato – Tony ruotò gli occhi - Avresti potuto chiamarla e chiederle un appuntamento »
« Non mi aspetto certo che tu capisca » borbottò aspro.
« No, ma capisco la tua paura ».
Tony sbuffò e si alzò in piedi, distogliendo lo sguardo da Rhodey per porlo invece sulla strada fuori dalla finestra, che intravide scostando la tenda.
« E poi dicono che sono io quello con la testa dura… »
« Nessuno sa fare il genitore. Lo si scopre passo passo. – lui intanto tornò a guardarlo - Datti tempo »
« Di solito nell’armadio si nascondono gli scheletri, non i marmocchi ».

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Last bottle of Whisky

And tell me you love me.
Come back and haunt me
Oh, and I rush to the start.

 
La voce cibernetica risuonò nel tardo pomeriggio, educata fin dal primo giorno della sua creazione.
« Buonasera, Signor Stark ».
Tony rientrò alla Villa dopo un lungo giretto per Los Angeles. Aveva sbollito la rabbia per l’atteggiamento del consiglio di amministrazione e la chiacchierata con Rhodey gli aveva fatto bene, gli aveva rimesso le idee a posto. Si diresse verso il laboratorio, allentandosi la cravatta e lasciandola sullo schienale del divano insieme alla giacca.
« Ciao F.R.I.D.A.Y – si tirò su le maniche della camicia, girando i polsini fino ai gomiti – Dì un po’ quanto te ne intendi di neonati? ».
Scese le scale, digitò il codice ed entrò nel laboratorio dove Ferro Vecchio stava ancora spazzando.
« Signore? »
« Saresti in grado di capire un’ecografia? » chiese, sedendosi mollemente sulla propria poltrona.
Voleva sapere il sesso, non tanto perché aveva una preferenza. Voleva saperlo per puro sfizio personale. In ogni caso era sicuro che sarebbe stato uguale a Pepper: gli stessi capelli, gli stessi occhi e lo stesso sorriso. Le stesse lentiggini.
« Posso tentare scaricando un aggiornamento dati, ma non le assicuro niente » rispose l’AI mentre collegava il cellulare al computer.
« Stupiscimi ».
Mentre una serie di numeri e dati scorrevano sulla schermata fluttuante, si diede una spinta e lasciò che la sedia girasse come una trottola. Non poteva andare avanti col progetto segreto perché doveva aspettare l’arrivo dell’ordine dei materiali. Emise un grugnito di disapprovazione.
« Spiacente, Signore. Ma non sono in grado di analizzare il fotogramma »
« Fa’ niente – disse, dandosi un’altra spintarella con fare annoiato - Fammi un favore, rimetti a nuovo la Mark VI ».
F.R.I.D.A.Y eseguì e una sfilza di finestre si aprirono e si chiusero fino ad una sola che mostrava l’avanzamento del processo. La sedia smise gradatamente di girare e gli occhi scuri del miliardario caddero su una cassetta di sicurezza su cui vi era stata impressa la scritta: proprietà di Howard Stark.
« Ferro Vecchio… - posò le mani sui braccioli - Prepara dei popcorn » aggiunse per poi alzarsi e avvicinarsi alla valigetta. La fissò poi coi pollici tremanti, sollevò le clip che emisero un lieve scatto. Prese un respiro profondo e la aprì. Dentro c’erano due vecchie pellicole e una decina di vhs, contrassegnate con diverse date, contenenti ore e ore di registrazioni; un quadernetto di appunti paterni e oggetti vari, che gli riportarono alla mente alcuni episodi della propria infanzia e adolescenza. Vide un mucchietto di foto, protetto da una custodia apposita. Alcune erano in bianco e nero, un po’ ingiallite. Le estrasse, cercando di non lasciare spiacevoli impronte e le sfogliò, quando gli sovvennero le foto che aveva visto a casa dei Potts, appese nei corridoi e come soprammobili. Le sua non erano come quelle che Liza aveva incorniciato. Non erano impregnate di gioia, o almeno non tutte. Quelle mostravano una famiglia comune e felice, le sue no. Suo padre appariva solo in veste di impresario o inventore accanto a lui. Trovò perfino una foto della festa per la propria laurea. Era il 1987, indossava la toga e il berretto universitario. Sua madre gli stava baciando una guancia mentre suo padre gli aveva stretto appena una spalla. Quello era stato il massimo dell’affetto.
Pepper invece aveva avuto una vita serena, fatta di amore e malgrado lui e Raymond fossero partiti col piede sbagliato, sentiva che adesso aveva la possibilità di avere un po’ di quell’amore. Solo un po’.
Con quel pensiero di speranza, si soffermò su un’altra diapositiva. Si rivide bambino, all’età di sei o forse sette anni. Sua madre lo teneva in braccio e ballava con lui un insolito valzer nel giardino della loro casa, baciato dal sole di primavera. Era bella, molto bella. Un artiglio gli torse le viscere, simile al dolore o alla tristezza, alla nostalgia di quei rari momenti di normalità. Qualcosa gli appannò la vista e fu costretto a mettere via le foto dove le aveva trovate. Stava per chiudere la valigetta quando il proprio sguardo venne catturato dai nastri avvolti nelle piccole bobine. Ciò che gli balzò alla mente, lo aveva già fatto un sacco di volte in quegli ultimi giorni. Come in quegli ultimi giorni, seppe che non era una buona idea.
« Anzi no… Portami qualcosa di più forte » mormorò, rivolto a Ferro Vecchio.

**

Salutata Tiffany, in quattro ore e mezza di volo, Pepper rientrò a Malibu Point. Condusse l’auto lungo il viale che arrivava fin davanti alla Villa. Le luci laterali del sentiero di ghiaia si accesero per illuminare il percorso per poi spegnersi in seguito al suo passaggio. Aveva ripreso l’Audi che aveva usato quella mattina per giungere all’aeroporto così da non scomodare Happy. Le proprie cose avrebbero impiegato un po’ di giorni per arrivare. Sarebbe dovuta restare a New York a dormire, ma non era riuscita a non pensare a Tony. Non che non riuscisse a stargli lontana per ventiquattrore, ma da quando si erano salutati quella mattina aveva la tremenda paura che, preso da un attacco di panico, potesse fare qualche stupidaggine. Ricordava perfettamente com’era finita l’ultima festa di compleanno. Atteggiamenti autodistruttivi come da manuale. Adesso, come allora, non le aveva detto niente. Le loro vite sarebbero cambiate drasticamente, vista la gravidanza non programmata, e Tony era più fragile di quanto l’opinione pubblica potesse credere. All’America, al mondo non importava se lui soffriva o meno. A lei sì e si sentiva male: lo aveva lasciato solo per la prima volta dopo un’intera settimana di pace e simbiosi. Scosse il capo, cercando di non far galoppare la fantasia. Stava sicuramente trafficando in laboratorio o magari stava guardando qualche cavolata alla tv.
‘Sta bene’, le disse la sua vocina.
‘Ho solo gli estrogeni alle stelle’, concordò lei.
Posteggiò l’auto davanti all’ingresso, poi prese la borsa e scese dalla vettura, che cominciò a scendere verso il basso. La piattaforma meccanica l’avrebbe riposta nel garage sotterraneo. Si avvicinò alla porta e dopo la scannerizzazione della retina, entrò in casa.
« Buonasera Signorina Potts. Tutto bene? » esordì F.R.I.D.A.Y.
« Buonasera. Sì, tutto bene – rispose superando il boudoir, accigliandosi - Perché? »
« Il Signor Stark mi aveva informato del suo arrivo per domani sera »
« Sono ripartita prima. Dov’è? »
« Il Signor Stark è in laboratorio » rispose, ma Pepper sapeva già che avrebbe risposto a quel modo.
Si avvicinò al divano su cui notò la giacca e la cravatta, che doveva aver indossato quel mattino.
« Da quanto? »
« Da quando è tornato dalla riunione ».
Pur aspettandosi anche quelle parole, c’era qualcosa che fece tintinnare i propri campanelli di allarme. Si sfilò velocemente i tacchi e lasciò la borsetta sul tavolino da caffè. Diretta in cucina, intravide l’anta accostata del frigo, che emetteva da dentro un bagliore asettico.
‘Pessimo segno’, pensò.
Raggiunse l’elettrodomestico e quando guardò dentro, vide subito l’assenza della bottiglia di whisky.
« E’ ubriaco? » domandò.
Tanto valeva dargli il beneficio del dubbio.
« Non ne sono sicura »
« Si è fatto male? »
« No, Signorina Potts. Altrimenti avrei già attivato il protocollo e chiamato il Colonnello Rhodes »
« D’accordo. Abbassa solo un po’ le luci, per favore » mormorò, chiudendo il frigo mentre l’AI eseguiva e i led diminuirono d’intensità. Si diresse verso il laboratorio, sentendo il pavimento gelido sotto i propri piedi. Posò un palmo sul corrimano e scese le scale, accorgendosi per la prima volta da quando era entrata che la Villa era immersa nel più totale silenzio. Non si sentivano né schianti metallici né odore di saldatrice. Al posto di quella disordinata cacofonia sentì poi uno strano ticchettio intermittente, come quello di un vecchio cinematografo. Dalle porte trasparenti intravide il piano di lavoro praticamente sgombro, come se non avesse mai lavorato quel giorno. Tony era seduto di spalle rispetto a lei, alla guida della vecchia decapottabile Ford Roadster del ’32 mentre davanti a lui era proiettato un vecchio filmino. Uno dei tanti che aveva deciso di consumare come le altre notti. Aveva sentito i passi della donna, seppure leggeri come quelli di una bambina. Un uomo di mezza età parlava alla camera, camminava nervosamente come se stesse provando un discorso. Ad un tratto in fondo all’inquadratura, Pepper vide sbucare un bambino e l’uomo giratosi, lo sgridò. Si era fermata a metà scalinata.
< Tony, che stai facendo lì dietro? Che cos’è quello? Rimettilo a posto, rimettilo dove lo hai preso! Dov’è tua madre… Maria! Vattene, via via! >.
Guardò più accuratamente Howard, che riprendeva nella sua presentazione. C’erano molti piccoli dettagli che le ricordavano il compagno, che sembrava non essersi ancora accorto di lei.
Nel frattempo, l’uomo del filmino era rientrato nell’inquadratura dopo essere scomparso per un breve istante, fermandosi davanti la cinepresa. Dietro di lui, Pepper riconobbe la Città del Futuro riportata alla sede Stark Industries dopo la faccenda di Vanko.
< Tony, ora sei troppo piccolo perché tu possa capire, così ho pensato di lasciarti questo film. – si voltò, indicando il progetto - L’ho costruita per te. E un giorno, ti renderai conto che rappresenta molto più che una semplice invenzione. Rappresenta tutta la mia vita. Questa è la chiave del futuro. Io sono limitato dalla tecnologia dei miei tempi, ma un giorno tu risolverai questo rompicapo e quando lo farai, potrai cambiare il mondo. – i suoi occhi sembrarono puntarsi direttamente su di lui, frantumando lo spazio-tempo - Quello che ora è, e resterà sempre, la mia più grande creazione: sei tu >.
Tony sorrise malinconico, fissando suo padre. Quel padre che gli aveva insegnato tutto: inventare, smontare, montare e aggiustare. Gli aveva dato tutto ciò che poteva, compresa una cura al palladio, ma non gli aveva mai donato un abbraccio o una parola d’affetto. Gli voleva bene, lo ammirava. Ma come il padre, non glielo aveva mai detto. Da bambino aveva desiderato diventare come lui, lavorare al suo fianco e renderlo orgoglioso. Ci aveva provato, con tutte le proprie forze. Non era bastato. Invece aveva avuto rimproveri e distacco. Inclinò la testa di lato, preso dal rimorso più crudele e lasciò che una lacrima gli rigasse il volto. Ne aveva piene le tasche di essere forte. Portò alle labbra la bottiglia di alcolico, bevendone un sorso per soffocare un singhiozzo quando si avviò un altro filmato. Un po’ più recente. Un salotto di una casa era illuminato dalla tenera luce del sole, di una domenica mattina, filtrata da delle tende celesti e riflessa sulla superfice lucida di un pianoforte a coda. A suonarlo, una bellissima donna con addosso una camicia color cipria e una gonna bianca. I capelli biondo cenere erano appuntati in un semplice chignon dietro la nuca. Canticchiava, facendo scivolare le dita sui tasti eburnei per poi fermarsi quando si accorse di essere il soggetto. Infatti arrossì.
< Oh, caro… Metti giù quell’affare, non sono fotogenica >
Tony pensò che avrebbe potuto piangere dalla gioia. Quella voce lo aveva cullato nei sonni infantili, gli aveva rivolto parole dolci come quegli occhi ambrati, simili al miele. Quelle labbra, mai colorate col rossetto, gli avevano rivolto sorrisi caldi e schioccato baci amorevoli sulle guance ogni volta che prendeva un bel voto a scuola. Anche da ragazzo, quando le guance aveva cominciato a diventare ispide, sua madre aveva continuato a sbaciucchiarlo. Era un suo privilegio.
< A questo rimedio io, no? > aveva risposto lui, irriverente.
Un altro sorriso mentre il proprio cuore sprofondava nell’abisso. Pepper capì subito, ancora sulle scale, che era lo stesso bambino del precedente filmato. Solo che in quello non doveva aver avuto più di sedici anni.
< Allora vieni qui e suona con me > lo esortò Maria, facendogli posto accanto a sé.
Lui sbuffò, sistemò la cinepresa sul piano forte cosicché fossero inquadrati entrambi, quando obbedì.
< Sai che non sono bravo > si lagnò, mostrando alla madre le proprie mani, già un po’ callose come quelle di un uomo dedito alla meccanica.
< Non dire stupidaggini, non ti si addice >.
Cominciò a suonare e Pepper spalancò la bocca. Era incredibilmente bravo e si chiese se ci fosse qualcosa che il compagno non sapesse fare. Si portò una mano sul petto come se farlo avrebbe rallentato la corsa del proprio cuore. Provò una certa emozione nel vederlo così in sintonia con sua madre, come non lo era con nessuno, forse neanche con lei. Cominciò a sentirsi una ficcanaso e pensò di doversi allontanare per lasciargli un po’ di intimità, ma quando Tony tracannò un altro sorso di whisky, ci ripensò. Non poteva lasciarlo lì.
Tony trattenne il fiato quando la sentì scendere gli ultimi gradini. Stava iniziando un altro video. Il peggiore. Quello della verità. Era terribilmente consapevole che di lì a poco avrebbe visto tutto quello che aveva visto lui, che avrebbe provato lo stesso gelo che aveva sentito lui. Doveva fermarla o magari fermare il video, ma non ci riuscì. Un po’ perché l’alcol aveva ridotto la sua mobilità e un po’ perché pensò che fosse il solo modo per farle capire quanto stesse soffrendo. Lui non ce l’avrebbe mai fatta. Se si fosse lasciato andare allo scorrere degli eventi, lei avrebbe conosciuto ciò che voleva e forse, sarebbe rimasta.
‘Non puoi farle questo. Soffrirà per te’, lo sgridò la coscienza.
Ma Tony non riuscì a premere il telecomando, innocuo accanto alla propria gamba sul sedile in pelle.
Pepper, a disagio, valutò sul serio l’idea di andarsene a letto. Eppure qualcosa la stava inchiodando sul posto. Il terzo filmino sembrava quello di una telecamera della polizia stradale. Le immagini non erano nitide come le precedenti, ma riuscì comunque a distinguerle. Sembrava una strada, circondata dalla boscaglia, probabilmente fuori città. Vide una data segnata sul fondo dell’inquadratura: 16 Dicembre 1991. All’improvviso una macchina si schiantò contro un lampione, restando comunque nell’inquadratura. Mentre Pepper cercava di capire cosa aveva a che fare quel filmato coi due precedenti, un uomo col volto metà coperto smontò da una Harley e raggiunse la macchina, da cui era sgusciato il conducente. Si avvicinò all’uomo e afferrandolo per i capelli, lo spinse contro la carrozzeria della vettura.
Tony era ancora in apnea. In attesa dei frame che sapeva sarebbero seguiti, secondo per secondo. Lo aveva guardato coì tante volte che adesso lo conosceva a memoria.
< Howard… > mugolò la stessa voce di prima, quella di Maria Stark.
Sentirla implorare era come ricevere uno schiaffo in faccia, un proiettile alla testa e un pugno allo stomaco nello stesso momento. Non mosse un muscolo. Non osò voltarsi. Era una tortura, ma continuò a guardare.
Pepper aveva le ginocchia ridotte a gelatina e sobbalzò quando l’individuo cominciò a percuotere il padre di Tony con violenza. Lo vide sbattere la testa e fu costretta a coprirsi la bocca con le mani per evitare che le uscisse un gemito. Contò cinque colpi, poi vide il corpo di Howard scivolare a terra. Morto. L’aggressore fece il giro, raggiungendo il passeggero. Pepper distolse gli occhi, incapace di guardare anche la sorte di Maria. Poi udì uno sparo e quando puntò gli occhi sul proiettore, il video era finito come il proprio fiato. Aveva visto Iron Man combattere, ma questo andava ben oltre la sua capacità di immaginare una tale violenza. Come si poteva essere così brutali, indifferenti?
« Pep? - colta di sorpresa, quasi cacciò un urlo – Tesoro, vieni qui… ».
Nell’invitarla era stato calmo. La voce un po’ arrochita dalla bevanda e molto simile ad un lamento, ma comunque gentile come solo lui poteva essere in una situazione simile. Sopraffatta dalle lacrime, raddrizzò le spalle e si asciugò le guance umide di sale. Tentennando e vergognandosi ad ogni passo, obbedì a quella che alle proprie orecchie era suonata come una supplica. Aprì la portiera e si sistemò sul sedile.
Tony abbassò la bottiglia, mandando giù il whisky come aveva fatto negli ultimi tre quarti d’ora. Mancavano solo cinque dita al fondo. Si voltò verso Pepper e tirò su col naso.
‘Bravo. Adesso è sconvolta’, lo criticò ancora la coscienza.
« Sei tornata – lei annuì lentamente -  Meno male… ».
« Te lo avevo promesso »
« Sei arrabbiata? No, non rispondere… Lo so: non dovevo bere » rispose con voce scostante e flebile.
« No, non dovevi » mormorò mesta quello che doveva essere un rimprovero, ma per cui di fatto aveva usato un tono dolce e sommesso.
« Credimi se non fossi incinta, ti offrirei un goccetto ».
Mandò giù un altro sorso per affogare la coscienza. Ora c’erano tre dita dal fondo. Alcuni bracci robotici riavvolsero i nastri e riposero il cinematografo quando Pepper si rivolse a F.R.I.D.A.Y. Tony cominciò a gesticolare con la mano non occupata dal collo della bottiglia.
« E’ che… Quando sono tornato, non c’eri… Ho cominciato a pensare, a riflettere… E quando lo faccio, finisce che… - si interruppe, sospirando - Scusa ».
Si volse e Pepper vide i suoi occhi bordati di rosso, velati dalle lacrime e con le pupille dilatate che quasi inghiottivano le iridi nocciola. Erano uguali a quelli di Maria. Il cuore le salì in gola nel vederlo così sofferente, malato e avvelenato dall’amarezza. Aveva la camicia bianca, sgualcita e macchiata da una goccia di whisky. Il colletto aperto e con una parte sollevata a sfiorargli la mascella. Stavolta non era stata davvero colpa sua.
« Dammi »
« No, aspetta… - in pochi secondi, mandò giù il liquido rimasto - Tieni » disse, porgendole la bottiglia vuota.
Poi crollò su un fianco, poggiando la testa sulle ginocchia di Pepper che prese ad accarezzargli la testa. Le dita affusolate della compagna gli pettinarono i capelli, sfiorandogli la tempia ripetutamente, in un contatto così amorevole che aveva tanta voglia di gridare per liberarsi. Aveva raggiunto la panacea.
« Come va lo stomaco? » gli chiese, accorgendosi della distensione dei muscoli di Tony. Era come se fosse riuscita ad alleviare le sue pene solo con un semplice gesto.  
« Mmh… Non lo so, ma credo che tra poco dovrò fare pipì – girò appena la testa per poterla vedere con la coda dell’occhio - Non volevo che lo scoprissi così… ».
Lei non rispose perché temeva che avrebbe potuto sentire quanto quelle immagini l’avessero scossa. Non tanto per sé, ma per lui. Vedere ciò che lui aveva dovuto vedere e poi sopportare…
« Andiamo, forza… » lo spronò, tirandolo su. Scese dalla macchina, fece il giro appena in tempo per sostenere Tony che aveva aperto la portiera, senza riuscire a trovare il pavimento.
Ventidue scalini e un corridoio più tardi, Pepper riuscì a fargli raggiungere il bagno comunicante con la loro camera. Gli lasciò un po’ di privacy dopo avergli fatto mettere la testa sotto il getto della doccia. Lo aveva fatto così tante volte negli anni addietro che ormai lo faceva quasi in automatico. Tornata in camera, indossò il pigiama e si distese sul letto per aspettarlo. Stava per andare a controllare che non si fosse addormentato o svenuto sulla tavoletta del water, quando apparve sulla soglia. Era un po’ pallido, ma nemmeno messo poi così male. Si era cambiato, indossando dei pantaloni di tuta puliti. Avrebbe voluto indossare anche una maglietta, ma il mondo continuava ad ondeggiare intorno a lui. Si lasciò cadere sul materasso, la faccia gli si schiacciò contro il guanciale. Si sentiva uno schifo. In mezzo al vuoto psichico temporaneo, emerse un pensiero. Girò la testa di lato, scoprendo che Pepper lo stava osservando nel buio.
‘Non mi lasciare di prego…’, implorò nella propria testa.
« Che cosa ha detto il dottore? » domandò, strisciando verso di lei.
« Sta bene… - lo scrutò, cercando di capire quanto fosse in grado di comprendere - E’ una femmina ».
Pepper vide gli occhi di Tony spalancarsi per la gioia, seguiti da un sorriso d’orgoglio che gli andava da un orecchio all’altro.
« Una piccola Stark – mormorò, carezzandole la pancia - Sono un uomo finito ».
Rise e malgrado l’assurdità sorrise anche lei. Tony si abbandonò addosso a Pepper, senza ritrarre la mano dal suo addome.

*

Si svegliò di soprassalto col respiro affannato. Gli sembrava di aver corso la maratona. Era madido di sudore nonostante fosse a torso nudo. Batté le palpebre un paio di volte per tentare di scacciare l’incubo che lo aveva sorpreso. Solo quando percepì il corpo caldo di Pepper riuscì a calmarsi. Si era addormentato raggomitolato contro di lei, con la testa poggiata sul suo petto. Facendo attenzione sgusciò via dall’abbraccio e si alzò, sistemandole le coperte addosso senza svegliarla. Si diresse verso il bagno e socchiuse la porta. Si liberò dei pantaloni e si infilò sotto la doccia. Dopo un primo getto freddo che gli servì a tornare lucido, girò la manopola per scaldare l’acqua. Doveva ancora smaltire la sbornia, ma almeno le vertigini erano svanite e lo stomaco era a posto. Non aveva vomitato per il momento, ma il mal di testa era imminente. Si disse che doveva eliminare l’alcol, soprattutto se combinato con quei filmini. Aveva provato a cancellarli, ma come poteva? Farlo significava ignorare tutto, anche sua madre. Ma lo scotch, il bour bon, la vodka e company dovevano sparire da quella casa. Dalla sua vita.
Ad un tratto, prima che i suoi pensieri mutassero piega, sentì un paio di braccia attorno ai fianchi. Erano esili, ma erano riuscite a sollevarlo un sacco di volte. In tutti i sensi.
« Non volevo svegliarti… » si scusò, carezzandole la pelle dei polsi.
« Non importa – si volse - Andranno via » aggiunse poi, riferendosi agli incubi.
Tony rimase sorpreso. Credeva a volte che Pepper potesse in qualche modo leggergli la mente.
« Lo spero… ».
Le prese le braccia e se le portò alle spalle. Poi lasciò scorrere la punte delle proprie dita lungo i suoi arti, scendendo sul costato per poi poggiare le mani sui suoi fianchi. La avvicinò a sé, portandola sotto il getto dell’acqua che scrosciò sui loro volti. La sentì ridacchiare come una scolaretta.
« E’ un po’ fredda »
« Vediamo di scaldarti allora » disse suadente, spostando l’erogatore verso l’indicatore rosso.
Pepper fu scossa da un brivido quando l’acqua divenne quasi bollente e le labbra di Tony si posarono sulle sua. In prossimità del getto, ricambiò il bacio. Si scostarono, e solamente lei si ritrovò con le spalle contro la parete del box. Le braccia muscolose del compagno la proteggevano mentre le sue mani le massaggiavano la schiena. Fece vagare gli occhi sul suo volto, poi con una mano gli spostò i capelli scuri dalla fronte.
« Ora so perché non me lo volevi dire. Scusa se ho cercato di… »
« No, non scusarti – un angolo della sua bocca balzò verso l’alto - E poi qualcuno prima o poi, doveva scoprire che sono stato sedicenne »
« Eri molto carino » ammise con un sorrisetto altrettanto divertito.
« Eri? Carino? Così mi ferisce, Potts »
Tony sorrise e si chinò per stampare quel sorriso sulle labbra di Pepper, che gli incorniciò il viso con entrambe le mani. Quelle di lui le scompigliarono i capelli umidi, le carezzarono ancora le spalle e la schiena. Rimasero sotto il getto d’acqua bollente, che presto fece surriscaldare anche quella situazione. Poi si bloccarono sulla sua vita e con decisione, la sollevò. Pepper si avviluppò a lui, circondandogli il bacino con le proprie gambe quando la schiacciò contro le mattonelle del box doccia. Le proprie dita gli tirarono piano i capelli sulla nuca, ormai zuppi mentre Tony le faceva passare un braccio attorno al busto. Con la mano libera cercò la sua, portandogliela a lato della testa nello stesso istante in cui entrò in lei con forza. L’attrito strappò un sonoro gemito di piacere ad entrambi e li costrinse ad intrecciare le dita in una salda presa. Pepper per metà ancora nel mondo di Morfeo, non riuscì a comparare un sogno fatto a quello che stava vivendo in quel momento. Con la mano libera, si aggrappò al suo bicipite mentre Tony affondava il viso nel suo collo, ridotto ad un treno che deraglia. La baciò senza fretta mentre raggiungevano insieme il picco massimo. Pepper gemette, frastornata ma felice come poco prima quando col proprio tocco era riuscita a rasserenarlo. Si strinse a lui e scivolarono piano piano verso il basso, fino a sedersi sul piatto della doccia. Sedeva a cavalcioni nel suo grembo con l’acqua calda che ancora si riversava su di loro. Tony, la nuca poggiata alle mattonelle, sollevò le palpebre che aveva socchiuso per un attimo e puntò lo sguardo sul volto davanti al proprio. Le scostò i capelli bagnati dalla fronte mentre i loro respiri tornavano regolari.
« Te l’ho mai detto che sei bellissima? » domandò con un bisbiglio.
« Forse sei ancora ubriaco ».
Ridacchiò, ma non disse che lo pensava anche lui. Più o meno sbronzo, per Tony era davvero bellissima.
‘Come diavolo sono riuscito a non saltarle addosso dodici anni fa?’, si chiese nella testa.
Lasciò cadere la testa in avanti, il viso affondato fra i suoi seni e si lasciò cullare.

*

Quando Tony si svegliò una seconda volta, il sole invadeva la stanza. Le imposte erano aperte e l’oceano era sospinto da una leggera brezza autunnale. Si stirò le braccia, allungandole verso l’alto poi il suo sguardo si fissò prima sul soffitto e poi sulla porta della camera dove appoggiata allo stipite, Pepper lo stava osservando. Le braccia conserte e i capelli rossicci, ancora umidi sulle punte, che le ricadevano su una spalla. Sorrise quando notò che indossava una maglietta dei Black Sabbath, che la copriva fino a metà coscia. Pensò che niente la rendeva ancora più sexy delle proprie magliette.
« Carina la T-shirt. Ma a me sta meglio » commentò e lei si lasciò sfuggire un sorriso adorabile.
«Tutto a posto? – lui annuì - Dai, alzati… Ho preparato la colazione »
« Neanche un baciotto? » chiese, mettendole il broncio e sperando di poterla attrarre verso il letto per un buongiorno decisamente più stuzzicante.
« Muoviti. Abbiamo del lavoro arretrato » disse lei, aprendo un cassetto e lanciandogli un paio di boxer.
« Abbiamo? - Pepper arcuò un sopracciglio prima di avviarsi di sotto – Ai suoi ordini, Generale! ».
Tony indossò i boxer e in fretta, anche un paio di pantaloni in tuta poi scese le scale a saltelli. Giunse in cucina dove Pepper aveva imbandito la tavola. Caffè, uova e bacon per lui, una brioche per sé.
« Ha chiamato Elias e mi ha chiesto una seconda riunione » esordì lei, sedendosi a tavola e cominciando ad elencare tutte le loro incombenze. Picchiettava di tanto in tanto l’indice sul tablet, sfogliando l’agenda virtuale e imperterrita, parlava di lavoro. Solo lavoro.
Tony si azzardò a risolvere quel rompicapo, stringendo un poco gli occhi, eclissati dal bordo della tazza fumante. Qualcosa non andava in lei, una stonatura in quella melodia.
« Alle quattro hai quell’incontro coi tedeschi e alle… »
« Pepper? » le richiamò, brusco ma non alterato.
« Sì? » rispose lei, guardandolo da sotto le ciglia.
Lo spettacolo promosso dagli occhi di Pepper gli annebbiò il cervello. Era come affacciarsi da una finestra rivolta al cielo limpido e terso.
« Che cos’hai? »
« Che… Cos’ho? » ripeté confusa.
« Sei distante, che c’è? » domandò insistente. Doveva venire a capo di quel rebus.
« Niente, ti sto solo informando dei nostri impegni per oggi » rispose Pepper tranquilla. Troppo tranquilla.
« Okay, continua »
« Dicevo, alle cinque poi… Dovremmo… ».
Le parole le morirono in gola e Tony abbassò la tazza ormai quasi vuota, scrutandola e con prudenza inseguì perfino un’unione visiva.
« Dovremmo? » la incitò a finire.
« Secondo te cos’ho? »
« Hai appena detto che non avevi niente »
« Già, perché non è niente. Perché ieri sera non è successo assolutamente niente » ribadì con voce quasi nevrotica, abbassando lo sguardo sul tablet.
« Se dici di nuovo niente, ti credo1 » disse cercando di farla sorridere, ma fallì.
Pepper si grattò la fronte, poi si alzò senza neanche finire la colazione.
« Lascia perdere, vado a lavoro »
« Ma… »
« Non disturbarti a cercarmi » sbottò, avviandosi verso l’ufficio oltre il salotto.
Tony finì di bere il caffè, fissando la brioche che lei aveva lasciato. La afferrò e con voracità, cominciò a mangiarla. Aveva bisogno di zuccheri per arginare la rabbia, così da non smantellare tutto ciò che poteva e non. Si pulì il pizzetto dallo zucchero a velo, usando una salvietta. Mentre masticava l’ultimo boccone, si alzò indispettito e scese le scale per il piano inferiore.
« F.R.I.D.A.Y, non è che hai un manuale su come capire il cervello di una donna? »

**

Guardò ancora una volta l’orologio. Erano passate dieci ore e Tony le aveva contate minuto dopo minuto. In tutto quel tempo aveva sperato che Pepper scendesse da lui per parlare. Per una volta desiderava che gli urlasse addosso le sue mancanze. Ma non lo aveva fatto e si era messo a lavorare per ultimare la sorpresa. Gli ci voleva altro tempo e se non lo aveva, doveva inventarselo. Rimise a posto la penna ossidrica poi con un segno scocciato, ordinò a Ferro Vecchio di rimettere tutto a posto. Non senza minacciare di strappargli i circuiti nel caso in cui avrebbe mandato all’aria quel lavoro. Gli serviva solo un altro mese, ma in quell’arco temporale lui doveva trovare il modo di tenersi Pepper. E rivoluzionare il sistema delle ventiquattrore richiedeva una ri-codificazione globale. Smise di fare ciò che stava facendo perché il suo cervello si era praticamente fuso con l’obiettivo di capire come agire. Si spinse indietro con la sedia e si alzò per poi uscire dal laboratorio a grandi falcate.
‘Fase uno: stupiscila, disobbedendo alla sua precedente richiesta di non cercarla’.
Risalì la rampa, fece vagare lo sguardo sul salotto e tese le orecchie. Sentì la sua voce oltre la porta dell’ufficio e senza tante cerimonie, spinse il battente che si chiuse alle sue spalle mentre si avvicinava alla scrivania. Gli sembrò di avere un déjà-vu quando la vide seduta sulla poltrona in pelle nera, con indosso la T-shirt della propria band preferita e un paio di slip, intenta a conversare a dir poco animatamente.
‘Fase due: sii risoluto, ma accomodante. Non troppo accondiscendente, altrimenti ti sbrana’.
« No, no. Non scenderemo al 40%... – quando girò la sedia, fu costretto a inghiottire un fiotto di saliva – Neanche per idea! No. Riveda i suoi termini e mi richiami » concluse, riattaccando la cornetta.
Si accomodò sulla poltrona, portando una gamba nuda sotto il bacino e fissandolo col viso impassibile. L’altra gamba la poggiò su un bracciolo. Tony sentì la propria sicurezza vacillare quando ebbe di fronte quella che, fin da quando l’aveva conosciuta, era una delle sue fantasie erotiche.
‘Fase tre: concentrati e distogli l’attenzione dal suo… Corpo perfetto che conosci a menadito tanto che lo potresti disegnare sotto la T-shirt’
‘Dannazione, Stark! Il sangue al cervello, AL CERVELLO!’, sbraitò la sua razionalità.
Scosse il capo per riacquistare il controllo dei propri ormoni.
« Mi concederai trenta secondi come la volta scorsa o posso… »
« Credevo fossi impegnato coi tuoi giocattoli » lo interruppe lei.
« Non riesco a lavorare se so che un piano sopra la mia testa, siede la mia donna »
« Tua? »
« …incazzata come una iena »
« Iena? – si scostò la frangetta dagli occhi - Che cosa vuoi? » chiese, senza accennare a cambiare posizione.
Tony non sapeva se lo stesse facendo di proposito o fosse così a proprio agio da non accorgersi che lo stava mettendo in una brutta situazione. Gli risultò difficile non scavalcare la scrivania che li separava, trascinarla sul pavimento e fare l’amore con lei. Di nuovo. Si sentiva come Homer Simpson su un tapis roulant, incitato a correre con un donut glassato appeso a un filo davanti alla faccia.
« Credevo di averti chiesto scusa per ieri sera » disse poi, dandosi un certo contegno.
« Non è per questo » mormorò lei.
Si aspettava delle urla, magari anche un oggetto contundente in testa lanciato a tutta velocità come aveva più volte minacciato di fare. Rimase sorpreso da quella risposta.
‘Fase quattro: trova il problema’.
« Pep, non sono veggente ancora… » rispose nascondendo il sarcasmo con la gentilezza.
« Cos’è che non vuoi dirmi stavolta? Qual è la tua nuova distrazione? ».
Era immobile su quella poltrona. Aveva un’espressione bislacca ma proprio per quel motivo, sapeva di avergliela già vista. I lineamenti erano ridotti ad una maschera di forza, attraversata da numerose crepe e che presto sarebbero cedute fino a sbriciolarla.
‘Fase cinque: fai l’uomo e falla sentire al sicuro’.
Tony camminò attorno alla scrivania fino a raggiungerla e con una mano, fece girare la sedia.
« Tesoro, ascoltami – prese il suo volto tra le mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi - Non sto costruendo niente di potenzialmente mortale. Non ho prenotato nessun viaggio in Afghanistan e non sto per morire avvelenato » disse serio. Sapeva che necessitava di rassicurazioni soprattutto dopo le condizioni in cui lo aveva trovato. Sospirò quando vide i suoi occhi riempirsi di lacrime.
‘Fase sei: sentiti un po’ verme perché non puoi dirle tutto’
« No, non farlo… Non lo sopporto »
« Perché non parli con me? » mugolò mentre un paio di lacrime rotolarono sulle sue guance.
« Per queste… - rispose, asciugandole gli zigomi coi pollici - Ogni volta che ti parlo dei miei casini, finisce che incasino anche te »
« Non respingermi… Non di nuovo » lo pregò con un sussurro e Tony poggiò la fronte contro la sua.
Le pettinò i capelli con la punta delle dita, poi la lasciò rifugiarsi contro il proprio petto.
‘Fase sette: portala fuori a cena e trattala come una regina’.
« F.R.I.D.A.Y, cancella tutti gli appuntamenti per oggi e domani » disse, sentendo Pepper aggrapparsi alle sue spalle mentre l’AI eseguiva.

Angolo Autrice: Ta dàaaaaaa! Ecco finalmente il momento che tutti (soprattutto _Atlas_  xD) stavate aspettando: Tony "ha toccato il fondo" e Pepper ha scoperto cosa è successo in Siberia. Doveva accadere prima o poi, no? Inoltre è stato rivelato il sesso del bambino, che ufficialmente è una piccola Stark! *-* Spero che il capitolo non sia stato troppo pesante, ma d'altronde sono fatta così: sadica. Dovreste averlo capito ormai ahahah
Vi anticipo anche l'idea di dividere questa storia in due 'parti', se così si può dire: perchè in un certo senso cambieranno i soggetti e le situazioni presi in esame. Quindi siamo ufficilamente quasi a fine ff, ma non vi preoccupate perchè ho già tutto pronto! Perciò non dovrete soffrire nell'aspettare il Sequel, che sarà  anch'esso una raccolta di diversi momenti Pepperony dove forse, ci incastrerò anche gli altri Avengers :)
A questo punto, date le informazioni tecniche, non mi resta che ringraziare leila91, DjalyKiss94 e ancora _Atlas_, che recensiscono spassionatamente e senza pudore (ve amo na' cifra ahahahah :*). In senso buono, ovviamente ;)
Ringrazio anche tutti voi che siete arrivati fin qui!
Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Saving Grace

Tony sollevò il colletto della camicia nera, fissando il proprio riflesso sullo specchio. Poi stirò la cravatta rossa prima di farla passare dietro al collo e legarla. Nel mentre si accorse di non star pensando a niente. La sua testa di solito somigliava ad un ufficio in pieno caos, con fogli svolazzanti e operai in subbuglio. In quel momento invece era come se fossero tutti in vacanza.
Per la prima volta dopo anni, sentiva una profonda quiete in sé. Era… Felice: aveva una compagna bellissima e intelligente, una bimba in arrivo e un lavoro coinvolgente e gratificante.
Strinse il nodo e si diede un’occhiata. Si ravvivò i capelli scuri, portandoli appena indietro su una tempia e sollevò il mento con orgoglio. Era un vero schianto. Non ricordava di essersi messo così in ghingheri neanche per un qualsiasi evento mondano. Ma ciò che lo attendeva non era una festa di ricconi o un ritrovo di imprenditori: era un appuntamento. Si accorse che effettivamente, non aveva mai portato nessuna donna a cena o al cinema come imporrebbero le buone maniere. Anche da ragazzo… Beh, arrivava dritto al sodo e poi chi si è visto si è visto. ’Adieu’, come soleva dire. Crescendo… Non era cambiato, anzi non si degnava nemmeno di salutare le “donnine allegre”. Quel pensiero fece sfiorire il suo sorriso.
Una sera, una delle tante a cui si era autoinvitato, aveva costretto Pepper a seguirlo facendole l’insulsa promessa che non si sarebbe staccato dal suo fianco. Dopo diversi tentativi e dopo aver giocato la carta del Io-sono-il-capo, lo aveva seguito ma una bottiglia di champagne e diversi drink a venire, Tony l’aveva vista uscire dal locale, diretta verso la Rolls Royce nera di Happy mentre accanto a sé un’altra donna, di cui non ricordava né le fattezze né tantomeno il nome, lo elogiava. Sul momento non aveva dato peso al fatto, godendosi il proprio momento da celebrità. Tornato a casa, mentre la suddetta donna cercava di trascinarlo in camera da letto, Tony aveva intravisto Pepper fissarli dalla porta della camera degli ospiti. Lo aveva aspettato in piedi e solo al mattino, o meglio all’ora di pranzo, aveva compreso che, quella sul suo volto era preoccupazione. Si era preoccupata che fosse finito chissà dove, magari in qualche cesso a vomitare l’anima. Ricordava poco e niente dell’avventura sotto le lenzuola di quella notte, ma gli occhi azzurri della sua assistente lo avevano perseguitato nel sonno.
Si riscosse, stabilendo che non era il momento adatto. Più tardi le avrebbe chiesto scusa anche per quella faccenda. Diede un’occhiata al Bulgari allacciato al polso. Erano le 20.
« F.R.I.D.A.Y., a che punto è Pepper? »
« Non lo so, Signor Stark »
« Dille che sono pronto e che la aspetto alla macchina » annunciò, prendendo la giacca rossa in tinta con la cravatta ma di una tonalità più accesa.
La abbandonò in seguito sulla poltrona del laboratorio, dove aveva fatto più volte avanti e indietro per la tentazione di andare a chiamarla di persona. Mentre la serranda del garage si sollevava, graffiando il silenzio, chiese all’AI di accendere lo stereo per ingannare l’attesa. Annoiato cominciò a passeggiare per la stanza con le mani nelle tasche dei pantaloni neri. Con la riproduzione casuale, si susseguirono una serie di brani dei Black Sabbath. Emise un sospiro. Per una volta era lui quello in anticipo. Stava per usare l’interfono per reclamare la sua attenzione, quando udì il tipico suono sordo dei tacchi a spillo. Stava per farle presente il ritardo di almeno venti minuti, ma gli AC/DC decisero di suonare a sua insaputa una canzone che non sentiva dall’età di dieci anni. You shook me All night Long. Decisamente spinta, ma per certi versi perfetta per la visione che gli si parò dinanzi. La prima cosa che vide sbucare dalla rampa, dai gradini più in alto, furono i piedi di Pepper fasciati da un paio di Louboutin con cui aveva una certa confidenza. Tanto che fu costretto a respingere i ricordi della sera in cui si erano ritrovati.
< She was a fast machine, she kept her motor clean. >
Mano a mano che scendeva, Tony vedeva delinearsi la linea sinuosa delle sue lunghe gambe. La stoffa argentea di una gonna le lasciava scoperte a ritmo dei suoi passi grazie ad un profondo spacco laterale.
< She was the best damn woman that I ever seen. >
Quando finalmente la vide interamente, aveva la bocca asciutta. Un abito, con le spalline sottilissime e stretto sotto seno, scendeva perfettamente sui suoi fianchi, nascondendo il lieve gonfiore della gravidanza. Sembrava ricoperta di diamanti. Su un braccio teneva il cappotto nero, ma ciò che attirò lo sguardo del miliardario fu il rubino a forma di cuore, che come una goccia di rugiada, sembrava essersi posato all’altezza della clavicola. Squadrandola dal basso, arrivò fino al viso. Solo un tocco di fard e del mascara. Le labbra rosee e al naturale lo salutarono. Poi con una certa arroganza i suoi occhi azzurri lo catturarono, lo ipnotizzarono. Il tutto era avvenuto in una manciata di secondi, ma lui lo aveva vissuto al rallentatore.
< She had sightless eyes, telling me no lies. Knockin’ me out with those American thighs >.
Pepper si fermò dopo aver lasciato il cappotto accanto alla giacca del compagno e arcuò un sopracciglio quando udì la terza strofa che non lasciava dubbi circa l’argomento.
Lui non riuscì a trattenere un sorrisetto malizioso.
« Dove vorresti andare vestita così? » le chiese, assumendo un’aria autoritaria.
« Ho un impegno questa sera » rispose lei, atteggiandosi con fare sfacciato.
« Non mi piace quando hai impegni »
« Tranquillo, torno presto » mormorò Pepper, sorridendo a quella frase.
« E con chi avresti questo impegno? »
« Col Signor Anthony Edward Stark »
« Sì, devo averlo sentito – fece schioccare le labbra - E dove andrete? ».
Pepper gli sistemò il colletto della camicia, poi lasciò scivolare una mano sulla sua spalla e l’altra sul suo petto, dove le dita strinsero la cravatta. La strattonò con forza e senza preavviso, portando il volto di Tony a un centimetro dal proprio. Vide chiaramente le sue pupille dilatarsi, inghiottendo le iridi divenute di una tonalità scura, che imitava il cioccolato dominicano. In quel momento inoltre, Tony era un paio di centimetri più basso di lei e non seppe darsi una risposta al perché la cosa le stesse dando un certo senso di potere. Quello stesso potere di fascino che di solito esercitava lui su di lei.
« Credo che lascerò decidere a lui » sussurrò, accostando le proprie labbra a quelle dell’uomo.
< Working double time on the seduction line. She was one of a kind. She’s just mine… >
« All mine » rispose Tony di pari tono, concludendo la strofa.
Sollevò una mano, agganciò la spallina dell’abito della donna e la strofinò fra il pollice e l’indice, come se ne stesse studiando la resistenza.
Pepper lasciò stare la cravatta, lisciandone la stoffa, poi gli carezzò di nuovo il petto fino alle spalle e fermandosi sulle braccia. Non riuscì a fermare il brivido lungo la schiena quando sentì i pettorali e i bicipiti coperti dal tessuto elegante.
« Forse dovremmo restare a casa » propose, abbassando la voce.
« Di solito propongo io cose del genere – osservò vagamente stupito - Sto avendo una pessima influenza su di te » aggiunse, smettendo si sorridere quando Pepper interruppe le carezze.
« Allora sarà meglio che mi allontani… ».
Le sue mani scattarono a prenderla per i fianchi e la tirò a sé con un movimento secco, che la costrinse a fermare quell’impeto con entrambe i palmi. Un’altra scossa, che però travolse Tony.
« Correremo il rischio ».
Appoggiata completamente a lui, gli avvolse un braccio dietro al collo quando smisero di parlare. Quel bacio divenne intenso e fece esplodere la scintilla fra loro. Tony non riuscì a contenersi e dopo averle accarezzato le braccia nude, una sua mano corse dietro la nuca di lei fra i capelli di oro rosso per sostenerle la testa mentre la spingeva a schiudere la bocca. Si chiese quanto avrebbe impiegato a sfilarle quell’abito di dosso. La sua lingua stuzzicò quella di Pepper in una danza lenta e passionale, senza accorgersi che l’altra propria mano le stava arricciando il vestito su un fianco. Intanto era iniziata un’altra canzone, Sweet Candy.
« Mi… Mi avevi prom-esso una cena » bisbigliò lei fra un bacio e l’altro.
« E’ rimasto… Solo il dolce » rispose, ridacchiando quando l’ansito della donna si trasformò in un mugolio di piacere. Non poteva nascondere il desiderio di lui soprattutto, ma non solo in quelle occasioni.
« Andiamo » lo esortò con un cipiglio di ritrosia.
« She kind of bet it, knows how to roll… I like candy » mormorò lui, dopo averle preso il cappotto, aiutandola ad indossarlo. Pepper fece lo stesso per poi pulirgli le spalle della giacca come faceva spesso prima delle conferenze o di appuntamenti pubblici e importanti.
« Anche a me piacciono le caramelle » scherzò poi salirono in macchina.
 
L’ambiente ricordava quello dei salotti letterari, raffinato ma non eccessivo. Erano seduti al loro tavolo, vicino ad una vetrata, che restituiva la loro immagine, da circa cinque minuti. Da perfetto galantuomo Tony aveva preceduto il maître, che li aveva accolti, sfilandole il cappotto e sistemandole la sedia. Stavano aspettando che portasse loro i menù e Pepper sperò che si desse una mossa. Mangiare le avrebbe impedito di pensare a come aveva trattato il compagno poco prima.
Era scesa per miracolo dalla macchina, vista la “quota” imposta dalle calzature, ma ciò che l’aveva messa in agitazione, erano gli sguardi altrui. Mentre le donne erano, senza alcun ritegno, impegnate ad ammirare il miliardario, gli uomini che le accompagnavano, al pari, la puntavano come squali. Ancora una volta, avvertì i riflettori puntati su di sé.
Sollevò lo sguardo, che finora aveva tenuto sulla tovaglia bianca, verso Tony. Poco prima, quando l’aveva aiutata a scendere dall’auto, l’aveva presa per mano e inizialmente non lo aveva ripreso, perché la tenerezza col quale lo aveva fatto era stato qualcosa di unico. Era già capitato, ma ne era rimasta comunque incantata. Prima della loro relazione non aveva mai sospettato che la pelle del compagno, un po’ callosa, potesse invece risultare morbida.
Poi però, vedendo il pienone già a pochi metri dall’ingresso del ristorante, si era avvicinata per farglielo notare. Lui aveva abbassato lo sguardo sulle loro dita intrecciate per poi assecondare quella sua richiesta nel non esporsi, non senza nascondere la delusione per lo spezzarsi di quella magia. Non aveva detto niente, ma l’aveva compresa. Happy non era con loro e sarebbero stati accerchiati dai paparazzi prima ancora di vederli. Si fissarono per un lungo momento mentre il maître tornava con le carte dei piatti. Di nuovo soli, Pepper mosse la mano per afferrarne una, bloccandosi e arrossendo con la stessa velocità che impiega un fiammifero ad incendiarsi. La mano di Tony si era posata sulla sua, in un gesto del tutto casuale e inaspettato. Lui osservò le loro mani poi col pollice cominciò a carezzarle il dorso.
« Très petites » mormorò, alzando gli occhi scuri su di lei.
Malgrado la sgradevole sensazione che tutti li stessero spiando e il timore che i giornalisti potessero sbucare anche da sotto i vasi delle piccole palme agli angoli, Pepper non ritrasse la mano. Anzi intrecciò le proprie dita con quelle di Tony.
« Vuoi proprio farci scoprire » disse con un cipiglio divertito nella voce.
« Ammettilo, sarebbe »
« Imbarazzante »
« …da bomba » terminò lui.
Pepper pensò che avrebbe allentato la presa, ma non fu così. Preoccupata dal silenzio che improvvisamente li aveva colti, quasi più fastidioso del mormorio attorno, decise di cominciare una conversazione. Voleva porgli gli ultimi interrogativi su quella faccenda della Civil War, andare a fondo e possibilmente riparare quel trauma « C’è qualcosa che devi dirmi? ».
« Vorrei averlo fatto prima… » rispose, risultando quasi timido e insicuro.
« Cosa, portarmi a cena? » disse, sperando che un po’ di ironia potesse dargli coraggio ma Tony scosse semplicemente la testa per negare. Impiegò circa trenta secondi.
« Quando te ne sei andata… - gli occhi fissi sulle loro mani - Ho capito che dovevo avere un limite, dei paletti… Così ho firmato i Patti »
« Poi che è successo? » chiese lei, senza rendersi conto che stava quasi sussurrando.
« Non eravamo tutti d’accordo. Rogers credeva che la firma avrebbe leso la nostra possibilità di scelta, ma in compenso la colpa è mia se Wanda e gli altri sono in prigione ».
Sospirò e quando fece per allentare la presa, lei la strinse. Finalmente i loro sguardi si incrociarono.
« Non è vero, Tony. Hai avuto il coraggio di prenderti le tue responsabilità e Steve… Beh, credeva che fosse giusto ».
Lui non sembrò convinto, anzi sembrò quasi disturbato da quelle parole ma non disse altro. Sciolsero le dita e ognuno prese un menù. Quando chiamarono il cameriere, riferirono l’ordinazione: spaghetti e vongole, branzino con insalata e patate al forno e un creme caramel per finire.
Quando rimasero di nuovo soli, Pepper percepì lo sguardo cinico di una ragazza a qualche tavolo di distanza insieme ad un’amica. Le ignorò e vide Tony giocare coi denti della forchetta. Era a disagio come a pranzo coi suoi genitori.
« Chi era l’uomo in moto? » domandò, spinta dall’incontenibile necessità di riportare Tony a sè.
« Il Soldato d’Inverno e migliore amico del Capitano: Bucky Burnes »
« Come siete arrivati in Siberia? »
« Lui e il Capitano erano arrivati lì sulle tracce del vero responsabile dell’attentato in Nigeria e in Wakanda: Zemo, un sokoviano che aveva perso la famiglia. Mirava esattamente a quello che io volevo evitare, ovvero distruggerci dall’interno »
« Perciò si è trattato di una semplice vendetta? »
« In un certo senso » rispose con non curanza, scrollando le spalle.
« Hai firmato per una giusta causa »
« No, per puro senso di colpa – prese il cellulare e le mostrò la foto di un giovane di colore - Questo ragazzo è morto mentre noi giocavamo a fare gli eroi contro Ultron. Ho firmato perché non volevo… Non voglio altri morti sulla coscienza ».
Pepper fissò l’immagine sul display, poi gli occhi di Tony. Erano torbidi come la sera precedente, ma ora sembrava più tranquillo. E anche lei lo era. Finalmente avevano avuto un confronto aperto e nonostante la permanenza di qualche interrogativo, prettamente riguardante il rapporto con Steve, gli restituì l’oggetto e decise di smettere con quell’interrogatorio. Voleva godersi quella cena.
« Stai bene? ».
Lui annuì mentre il cameriere portava loro il primo piatto.
« Grazie » disse lei.
Tony pensò che si fosse rivolta all’uomo, ma quando la vide sorridere, capì invece che stava parlando con lui. Ricambiò ma non col solito sorriso da playboy, pluritestato con almeno un centinaio di donne. No. Quello era il sorriso segreto che aveva brevettato e sfoggiato solo con lei.
 

*

La Maserati targata Stark24 superò le ante spalancate del cancello, fermandosi poco lontano dall’entrata della Villa. Uno spicchio di luna si affacciava da uno strato di nuvole passeggere, sospinte dal vento di oltre oceano. Tony guardò l’enorme abitazione ed ebbe un brutto presentimento. C’era qualcosa di sospetto. Era tutto troppo calmo. Spinse un pulsante sul cruscotto per chiamare l’AI.
« F.R.I.D.A.Y? – premette di nuovo - F.R.I.D.A.Y, attivati ».
Ma non ci fu risposta. Pepper imitò il compagno e guardò la loro casa che almeno apparentemente era la stessa. Alternò lo sguardo fra essa e Tony, che spense il veicolo.
« Che succede? »
« Resta qui » rispose, sganciando la cintura di sicurezza.
« Ma… »
« Fa’ come ti dico » sbottò, aprendo la portiera.
« Tony – la ignorò e fece scattare le sicure - Tony! ».
Pepper tentò di sbloccare gli sportelli e seguirlo, invano. Si girò sul sedile e per un attimo, il compagno fu oscurato dal portellone del bagagliaio aperto. La sua fronte si increspò quando sentì un tonfo metallico. Il bagagliaio venne richiuso e dal lunotto posteriore, vide una moltitudine di placche oro e argento assemblarsi sul corpo di Tony. Era la stessa armatura che aveva usato a Monaco. Camminò, emettendo un ronzio meccanico fino a fermarsi accanto al suo finestrino. Il viso era ancora scoperto e col labiale, le intimò di obbedirgli. Una maschera minacciosa si sostituì al volto in carne e ossa e delle fessure luminose agli occhi. Avanzò con un’andatura moderata e facendo leva, scardinò la porta. Una volta dentro, provò di nuovo a chiamare F.R.I.D.A.Y.
« Signor Stark – la voce serafica dell’AI risuonò nel casco -  Qualcuno ha disabilitato la mia connessione all’interno della Villa ».
In quel momento un banco di nubi passeggero annientò qualsiasi forma di luce lunare, tanto che non riusciva nemmeno a vedere dove mettesse i piedi nonostante conoscesse il numero di passi che doveva fare dall’atrio al boudoir.
« Attiva la visione notturna » disse diretto verso il salotto e subito apparvero quattro figure.
Tre in piedi e una accomodata sul divano.
« C’è una festa a casa mia e io non sono stato invitato - esordì - E’ strano perfino per me »
« Credevo saresti stato contento » rispose la voce di Wilson più vicino alle finestre.
« Sai, tendo ad essere un po’ irritabile quando qualcuno viola il sistema del mio maggiordomo – qualcuno accese l’abatjour - Avevo già un appuntamento, ma se volete posso dare un’occhiata all’agenda » scherzò, guardandoli uno ad uno quando la piastra sul volto si ritirò. Natasha rimase nella penombra quando parlò mentre Clint si abbandonava sullo schienale.
« Non avevamo tempo per avvertirti. Dobbiamo muoverci in fretta »
« Siamo banditi un po’ ovunque » aggiunse Wanda, che si accomodò su un bracciolo del sofà.
« Monocolo? » chiese lui, aspettandosi di vederlo apparire fra spirali di fumo.
« Sta tenendo occupati un paio di personaggi alla Casa Bianca »
« E ci ha detto che volevi farci uscire » specificò la Maxinoff.
Tutti in un tacito accordo lo ringraziarono pur non aprendo bocca. Lui abbassò lo sguardo, indeciso su cosa dire. Provava qualcosa di molto simile alla felicità nel rivederli, ma si sentiva comunque sulle spine. Cos’altro doveva aspettarsi?
« Tony? ».
La voce di Pepper attirò la sua attenzione e quella di tutti i presenti.
« Chi è lei? » chiese Falcon incredulo, facendo un passo avanti quando la misteriosa donna si avvicinò ad Iron Man. Il cappotto aperto lasciava intravedere l’abito scintillante, l’eco dei suoi tacchi si spense nell’aria.
« Il mio appuntamento ».
« Salve… » mormorò, agitando una mano e rivolgendo alla Vedova un sorriso cortese.
« Boy band, vi presento Miss Virginia Potts » annunciò Tony, che dovette trattenere una risata nel vederle.
« Ma potete chiamarmi Pepper » specificò lei, muovendo la testa per scansare alcune ciocche di capelli dagli occhi. Wilson le porse per primo la mano per presentarsi, ma il miliardario lo ammonì con tono di minaccia e sollevandogli un dito contro.
« Fallo e ti tarpo le ali »
« Dov’è finito il gentleman che è in te? » gli chiese Pepper.
« Sotto un’armatura di oro e titanio » bofonchiò, guardandola di sottecchi mentre salutava anche il resto della squadra.
« Ti credevo più un lupo solitario » lo stuzzicò Clint mentre lasciava la mano della donna.
« Zitto, Legolas » scattò Tony.
« Posso… Offrirvi qualcosa? »
« No, grazie. Siamo solo di passaggio » rispose la giovane strega con un lieve sorriso.
« Perché non vi trasferite qui? » propose Tony con pesante ironia.
« La smetti di essere così scortese? » lo rimbrottò Pepper, fissandolo in tralice.
« Come prego? Io sarei… »
« Non è affatto carino »
« …scortese?! – indietreggiò per guardarla meglio - Credevo che sapessi ».
« Tony… »
« …come funziona, Pep: io sono il poliziotto cattivo, tu quello buono » aggiunse, gesticolando freneticamente.
« Non è carino » ripeté lei, sempre più contrariata.
Intanto Falcon, Barton e Wanda si guardarono a vicenda non riuscendo a capire neanche una parola di quella discussione. Al contrario dei due contendenti. Si volsero contemporaneamente verso la spia russa che vedendo le loro facce perplesse, scrollò le spalle per far capire loro che era tutto nella norma.
« Vuoi sapere cosa »
« Tony… »
« …non è carino? Sono entrati in casa mia… »
« Nostra » lo corresse, stringendo i denti.
« Pardon – sollevò le mani in segno di resa - Dicevo… Sono venuti qui senza avvisare e mi hanno interrotto sul più bello »
« Sul più bello? – arrossì quando capì a cosa si stesse riferendo - Fa’ sparire quel sorriso o stanotte dormi sul divano ».
« Dovrebbe entrare nella squadra » intervenne Wanda, imponendo di nuovo la calma.
« Io non ho nessun tipo di… Ehm, potere » balbettò Pepper, ricordandosi che avevano compagnia.
« Chiudere la bocca a Stark? E’ un potere » rispose Clint, arcuando un sopracciglio.
Tony alzò gli occhi al cielo, traendo un sospiro piuttosto teatrale quando la compagna gli rivolse un’espressione trionfante, incrociando perfino le braccia sotto seno.
« Golia? » chiese, riferendosi a Scott e alla sua abilità rivelata con un effetto sorpresa.
« E’ tornato già a casa, ma manda i suoi saluti - rispose Nat, fissando l’orologio al polso - Dovremmo andare » disse poi. Falcon annuì e porse una busta a Tony che però prese Pepper.
« Non gli piace che gli si porgano le cose » mormorò a bassa voce. Girò tra le mani quella che aveva tutta l’aria di essere una lettera quando lesse il nome del destinatario. Tony e Pepper si guardarono reciprocamente negli occhi quando Wanda li interruppe.
« Scusa se ho dubitato delle tue intenzioni. Ti ringrazio » disse con un sorriso, che il miliardario sentì di ricambiare.
« Guarda dove metti i piedi, Cappuccetto ».
Lei ridacchiò prima di sparire dopo aver salutato anche Pepper. Clint e Falcon la imitarono a suon di battute. Natasha fu l’ultima.
« Non serve che ti dica ti stare in campana – sorrise ad entrambi - Buona fortuna ».
Fuori gli Avengers, la casa piombò nel silenzio. L’armatura si smontò così come si era assemblata e tornò ad essere una valigetta dall’aspetto quasi normale.
Tony la raccolse mentre Pepper gli mostrava la busta su cui c’era scritto il suo nome.
« No, tienila tu » disse, cominciando a salire le scale.
« Io? E cosa dovrei farne? » chiese lei, seguendolo a ruota verso la camera.
« Stracciala, buttala, bruciala… »
« Non vuoi sapere cosa c’è scritto? ».
Tony si inginocchiò, spostando le coperte e infilò la valigetta sotto al giaciglio, poi si tolse la giacca. Certo che voleva saperlo, ma non voleva. Una lettera? Lui non voleva una lettera, lui voleva una bella scazzottata e poi forse delle scuse. Pepper lo capì con la stessa immediatezza con la quale, qualche sera prima, leggeva le poesie di Shakespeare e cercò di trovare un punto per argomentare.
« Magari ha avuto… »
« Una buona ragione? Quale ragione potrebbe esserci?! » la interruppe lui, fissandola.
« Proteggerti »
« Oh, ti prego! » sbuffò, guardando il soffitto mentre si allentava la cravatta.
« Aprila » lo esortò, mostrandogli la missiva ma innervosito, se la prese col nodo che sembrava avergli dichiarato guerra.
« Per cosa? Leggere quelle righe non riporterà indietro i miei genitori »
« No, ma ti aiuterà a capirlo » disse, osservando come Tony stesse torturando la cravatta nel tentativo di scioglierla e liberarsene.
« Cosa c’è da capire?! Sta proteggendo un criminale »
« Tony… » lo chiamò, lasciando la busta sul letto e cercando di aiutarlo.
Ma la allontanò, spingendo via le sue mani con un gesto rabbioso, non rivolto a lei, ma che la lasciò allo stesso modo interdetta.
« Ha strozzato a mani nude mia madre, lo hai visto anche tu! »
« Era suo amico »
« Anch’io lo ero, dannazione! » sbraitò, facendo passare la cravatta sopra la testa senza sciogliere il nodo. Doveva togliersi quegli abiti o sarebbe soffocato. Inspirò, ma quando cercò di espirare era come se qualcosa glielo impedisse.
« Stai bene? » gli chiese, sedendosi sul letto insieme a lui.
Tony non seppe rispondere, perché non sapeva come stava. Si sentiva come bloccato in un limbo. Le immagini del filmino riapparvero con prepotenza e non riuscì ad allontanarle. Si erano impossessate di lui e delle sue facoltà. Era come ricevere direttamente al cuore un’iniezione di adrenalina. Potè udire il sangue pompare nei timpani a una velocità supersonica. Cominciò ad inspirare ancora, sempre più forte, alla disperata ricerca di aria. Un macigno sembrava gravare direttamente sul proprio petto.
Singhiozzò incapace di contenere la tempesta che aveva preso ad agitarsi all’improvviso dentro di lui. Strizzò le palpebre e affondò le unghia nelle palme, stringendo così forte le mani a pugno da renderle insensibili. Non era un limbo, era un girone infernale.
Fortunatamente Pepper non aveva bisogno di spiegazioni. Si irrigidì quando lo vide cadere in ginocchio.
« P-Pep-er… » disse, portandosi ai suoi piedi mentre continuava ad essere sballottato tra almeno un centinaio di emozioni diverse, contrastanti e opposte. Era come essere seduto, legato e imbavagliato mentre qualcuno lo prendeva a schiaffi e a mazzate in testa.
Lei comprese che era completamente partito per la tangente. Gli prese la testa tra le mani con forza.
« Guardami, guardami… - trovò finalmente il suo sguardo - Sono qui, okay? ».
Lui non rispose. Non riusciva più a risalire dal pozzo, bloccato da delle catene invisibili ma più forti dell’acciaio. Pepper lo abbracciò, facendogli posare la fronte sulle proprie ginocchia.
« Non me ne vado, non ti lascio più. Hai capito? – gli strinse una spalla - Tony, hai capito? »
« Sì… » rispose con la voce ridotta a uno specchio frantumato con le spalle che si sollevavano ed abbassavano mentre cercava ancora di calmarsi. Pepper era sempre più sconvolta dal modo in cui quegli attacchi di panico si manifestavano veloci, potenti, per poi lasciarlo agonizzante. Col viso sepolto fra le sue gambe fasciate dalla gonna, respirava bruscamente e a fatica come un pesce fuor d’acqua.
« Ssssh, respira… - disse, cercando di restare salda - Ora passa ».
Gli carezzò i capelli quando si ricordò che era il solo modo per rassicurarlo e fargli capire che gli era vicina. Infatti gradatamente il respiro si regolarizzò.


Angolo Autrice: Saaaaaalveeee! Chiedo venia per questi giorni di assenza, ma ho avuto un sacco di cose da fare fra cui le prove del saggio di danza. Comunque la scuola è finita e a parte lo stage, avrò più tempo da dedicare alla ff. Infatti questo capitolo, forse risulterà un po' fiacco, ma dopo averlo revisionato ho deciso di pubblicarlo per evitare di farvi attendere troppo.
A leila91, _Atlas_ e DjalyKiss94 dico GRAZIE per le recensioni!! :* Mi ha fatto piacere leggerle (come sempre d'altronde *-*) e vi chiedo scusa se non ho risposto. Spero di non avervi deluse fino adesso e non vedo l'ora di leggere le vostre opinioni anche su questo... Bo, chiamiamolo capitolo ahahahah
In generale vi dico che la sorpresa di Tony sarà pronta solo per l'ultimo capitolo e che il nome ufficiale della piccola Stark, è Maria ;)
Inoltre il sequel è già pronto, almeno in parte... Ci saranno ancora altri momenti Angst, ma anche tanto tanto fluff perchè ammettiamolo: sono troppo teneri i nostri Pepperony!
Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always.

PS: Grazie anche a tutti coloro che sono giunti fin qui! :D

 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


All I have

Novembre 2008
Il sole di quel mattino di metà Novembre picchiava sui vetri lucidi del grattacielo, che sfiorava le sporadiche nuvole sopra Los Angeles. Un leggero vento, primo bacio dell’inverno, soffiava nella contea di Hollywood che pareva più tranquilla del solito, visti i suoi frequentatori. Attori, attrici, modelle, artisti di ogni sorta impegnati nelle loro faccende più o meno private. Tra loro, Tony Stark era impegnato in una tacita battaglia. Pepper, alle nove in punto, lo aveva fatto salire a forza sul sedile passeggero della propria Audi argentata e ora gli stava aggiustando la camicia sgualcitasi sotto la giacca in denim indossata in fretta. La sala d’attesa in cui stavano aspettando il loro turno era pulita, fresca, e da alcune piccole casse fisse alle pareti proveniva una musica allegra ma rilassante.
« Non capisco » esordì il miliardario dopo quasi un’ora di assoluto silenzio.
« Tony, ti prego » sospirò, sistemandogli il colletto spiegazzato e quasi dispiaciuta dall’interruzione di quel paradiso afonico.
« …il senso di questa cosa »
« Hai bisogno »
« Ho bisogno » ribatté lui più infervorato.
« …di parlare »
« …di un kebab » concluse e lei arcuò un sopracciglio.
Si era aspettata opposizioni, ma non certo una frase del genere. Le sembrò di rivivere quel momento, sintomo evidente che qualcosa nel compagno si era spostato dal normale assetto. Anche se “normale” non era l’aggettivo giusto quando si parlava di Tony. Dopo il rapimento in Afghanistan aveva chiesto un cheeseburger e dopo gli eventi di New York uno shaw… qualcosa da mangiare.
Erano passate un paio di settimane non propriamente tranquille. Era tornato alle vecchie abitudini come intere nottate in laboratorio, argomenti pungenti sviati e le solite frasi come « Sto bene, Pep » « Tra poco mi passa » e per terminare, « Non preoccuparti ». Ma come poteva non farlo?
Gli incubi si combinavano spesso con le crisi e più di una volta, non aveva dormito per giorni. Una sera lo aveva trovato accasciato sul divano, le braccia molli e la tv accesa. Non lo aveva neanche costretto a spostarsi in camera per timore che non si sarebbe più addormentato.
Nonostante tutte quelle negatività, Pepper aveva notato non solo che l’alcol si era volatilizzato, ma anche un certo entusiasmo nel compagno. Non sapeva se per una nuova invenzione, o forse era meglio dire, distrazione, o per la gravidanza.
« Vedi? E’ per questo che siamo qui » disse infatti.
« Un kebab? – chiese lui accigliato per poi sbuffare vedendo la donna rivolgergli un’espressione trasecolata  - Andiamo, Pepper sto bene! »
« No, non è vero! » protestò lei, portandosi i pugni sui fianchi.
« Sì invece » rispose Tony, che non era riuscito a contenere un sorrisetto.
La trovava adorabile mentre lo fissava al limite della pazienza. La testa era leggermente inclinata da un lato e il piede batteva ritmicamente sulle piastrelle lucide. Vestita con un pantalone elegante e una blusa morbida stretta al collo con un fiocco sobrio e lunga fino ai fianchi, gli ricordava un’istitutrice della Germania. I capelli rossicci erano tenuti stretti in un’ordinata coda di cavallo.
« No » ripeté Pepper.
« Sì »
« No»
« Sì »
« No »
« Sì»
« No»
« No » disse Tony.
« Sì » rispose Pepper accorgendosi solo dopo di essersi confusa.
« Ah-ah! – esclamò lui, indicandola come farebbe un bambino dispettoso - Visto? Sto bene ».
In quel momento una donna sulla quarantina si affacciò dalla propria postazione, fasciata da uno stretto tubino corto fino alle ginocchia e un paio di occhiali che poggiavano sul naso appuntito tanto che sembravano stare in equilibrio per un gioco di illusionismo.
« Il Dottor Kleiner è pronto a ricevere il Signor Stark » annunciò con voce pacata, ma alquanto perplessa dalla loro discussione.
Pepper la seguì, ma non udendo i passi di Tony, tornò indietro e lo afferrò per un braccio, costringendolo a precederla. Si ritrovò a pensare che gli Avengers, soprattutto Clint, si sarebbero sganasciati dalle risate: una donna che tiene Iron Man in castagna.
« Forza » lo esortò, nascondendo quel pensiero perché se lo avesse espresso, probabilmente avrebbero ricominciato tutto da capo.
« Dammi almeno un baciotto - lei gli picchiettò una nocca alla base della nuca - Ahi! »
« Cammina »
« Signor sì, Signora » borbottò Tony, mettendole il broncio mentre si fermava davanti alla porta aperta. Pepper si affacciò nello studio del Dottor Kleiner, un uomo piuttosto giovane per i meriti professionali che aveva collezionato, ma abbastanza esperto per dare loro una mano. Lo aveva contattato un paio di giorni addietro, all’insaputa del compagno che quel mattino, venuto a conoscenza dell’imminente appuntamento, impermalito, aveva dichiarato che si trattava di un colpo basso degno del più alto tradimento di Stato. Lei ovviamente aveva cercato di spiegargli la situazione ma…
« Buon pomeriggio, Signorina Potts »
« Salve Dottore – esordì quasi sollevata, poi si volse verso il compagno ancora fermo sulla soglia - Tony… »
« Devo proprio? Non è che poi mi seziona il cervello? » chiese, obbedendo solo sotto la minaccia omicida negli occhi della donna. Kleiner si alzò in piedi per raggiungerlo e gli porse una mano. Poco più giovane del miliardario, aveva i capelli neri pettinati e la giacca stirata in modo rigoso.
« Lei dev’essere il famoso Signor Stark »
« E lei dev’essere il Dottor Frankestein » rispose Tony, ricambiando la stretta e accompagnando il tutto con una bella faccia da schiaffi.
« Lo perdoni » intervenne Pepper con un sospiro di rassegnazione, che divenne frustrazione quando gli rivolse l’ennesima occhiata in tralice.
« Oh, no. Sono abituato a persone più sgradevoli - rispose, liquidando la questione con un gesto frivolo della mano - Accomodatevi ».
Pepper sistemò le pieghe dei pantaloni quando si accorse che il compagno stava guardando un punto preciso sulla scrivania. Seguì il suo sguardo, scuotendo la testa per poi rivolgersi al dottore.
« Potrebbe… - indicò le sfere di Newton che si muovevano ritmicamente, provocando un ticchettio argentino - Lo distrae »
« Nessun problema – rispose lo psicologo, sottraendo alla vista di Tony l’oggetto in questione per porlo in un cassetto - Ditemi »
« L’ho contattata perché il Signor Stark… ».
Tony si girò di scatto, attento, arretrando col busto come inorridito.
« Un momento. Signor Stark? » chiese quasi strillando.
« Sì, è così che si chiama » disse lei di rimando.
« No, non è vero » rispose Tony, fissandola in cagnesco.
« Forse il Signore preferisce una conversazione meno formale » li interruppe il Dottore, sicuro che se se ne fosse stato zitto, l’intero isolato sarebbe saltato in aria.
« L’ho contattata perché Tony… - si accertò che tenesse la bocca chiusa, poi guardò Kleiner - Soffre di attacchi di panico da un bel po’ e, volevamo »
« Lei voleva » precisò il miliardario.
« …una sua opinione »
« Io preferivo un kebab » continuò e Pepper roteò gli occhi, decidendo di ignorarlo visto che non dava segno di voler quantomeno provare a comportarsi come un adulto.
« …su quale terapia fosse meglio adottare ».
Kleiner li fissò alternativamente e, quando seppe che nessuno l’avrebbe interrotto, rispose a Pepper che sembrava più interessata del suo compagno.
« Dunque i primi approcci saranno sicuramente… ».
Tony inclinò la testa all’indietro, ai lati, guardandosi attorno con circospezione. C’erano diversi attestati, due lauree con lode. L’ambiente non era male tutto sommato, ma non si sentiva comunque a proprio agio. Smise quasi subito di ascoltarli. Non aveva voglia di parlare con un estraneo dei propri fatti personali, di cose che forse neanche lui sapeva di custodire. Con Bruce era stato più semplice, anche se poi la seduta non aveva portato a grossi risultati ma solo ad una lunga pennichella. Se c’era qualcuno che meritava di conoscerle non era certo l’uomo seduto alla scrivania in mogano davanti a lui. Si girò per guardare Pepper, intenta a seguire le parole dello strizzacervelli, annuendo di tanto in tanto. Si domandò se non potesse fare uno sforzo per lei, in fondo meritava un po’ di serenità. Fare pace coi propri demoni l’avrebbe resa meno ansiosa e lui avrebbe smesso di preoccuparsi di morire prima dei cinquanta.
Mezz’ora più tardi, uscirono dallo studio dopo aver fissato i prossimi appuntamenti. Attesero l’ascensore poi salirono. Tony saltellò sugli avampiedi, finché le porte non si riaprirono sull’atrio. Stavano per varcare la soglia, ma non fecero in tempo a mettere piede fuori dall’edificio che…
« Signor Stark, ha intenzione di entrare nel mercato hollywoodiano? »
« Quali sono i nuovi obbiettivi delle Stark Industries? »
« Signorina Potts, è incinta? »
…una marea di obbiettivi e microfoni si puntarono su di loro.
Le domande si accavallarono diventando un fosco marasma di parole più o meno urlate, ognuna col tentativo di prevalere sull’altra.
Tony capì che senza un’azione drastica non ne sarebbero mai usciti. Mai. Si pentì di non aver chiamato Happy, dicendogli che non ci sarebbe stato alcun problema. Ancor di più, si pentì di non avere con sé l’armatura. L’Audi non era molto distante, ma dal punto in cui si trovavano sembrava dall’altra parte del mondo. Ci voleva qualcosa di veloce, pratico e alla Stark.
Si accostò a Pepper, guardandola in modo così serio che lei non potè fare a meno di preoccuparsi. Stava per fare qualcosa che non le sarebbe piaciuto per niente. Ormai aveva imparato a decifrare il linguaggio del suo corpo. La vide irrigidirsi quando la tirò verso di sé mentre con le mani, le sollevò il viso con delicatezza. A Pepper fu tutto chiaro quando le labbra di Tony premettero sulle proprie. Ma non fu ciò a meravigliarla perché improvvisamente non riuscì più a distinguere i confini reali e spinta da un’emozione indefinita, chiuse gli occhi. Si appoggiò a lui, con una mano sul suo bicipite mentre i richiami e i flash dei giornalisti cessarono. Si godette quel contatto e per la prima volta le piacque essere al centro dell’attenzione. Lui percepì quella sorta di consenso e si spinse un po’ più in là, avvolgendola in un abbraccio. Dopo qualche attimo di perdizione, fu costretto a scoppiare la loro bolla. Un po’ perché l’intento era sta raggiunto, un po’ perché voleva ripetere l’esperimento a casa.
« Se proprio devi arrabbiarti, preferirei lo facessi a casa – sussurrò per poi prenderla per mano – Permesso, Signori! ».
I cameraman si fecero da parte, lasciandoli salire sulla vettura sportiva. Pepper inserì le chiavi e partì con una sgommata. Ovviamente i paparazzi scattarono foto, qualcuno provò perfino a rincorrerli.
« Dove stiamo andando? » le chiese lui, vedendo che non erano diretti a Malibu.
« Alle Industries per lavorare, Tony » sibilò e lui non osò replicare.
I viali alberati e le villette più o meno eccentriche scorsero ai lati della strada finché imboccata la Pacific Highway, strinse le mani sul volante. Non era arrabbiata con lui, aveva evitato che venissero assaliti e schiacciati da un gruppo di impiccioni. Anche se nel modo più spettacolare e imbarazzante che potesse escogitare. Era arrabbiata con sé stessa per aver aspettato tanto: era stato liberatorio poter dimostrare a tutti la sincera verità del loro rapporto, che non c’era niente di costruito, ma semplice… Amore.
Cercò di accantonare il pensiero che in quel momento il loro bacio doveva aver raggiunto l’atra parte del mondo e guardò la strada. Tony rimase chiuso nel proprio silenzio e gliene fu grato anche quando in azienda alcuni dipendenti li seguirono, con occhi più o meno stupiti. Pepper sospettò che dovessero aver seguito il telegiornale, ma era più probabile che fossero sconvolti nel vedere il proprietario camminare in quei corridoi. Raggiunsero l’ufficio nell’attico e quando passò vicino alla scrivania, protese una mano per tirare la prima cosa che le capitò. Una scatola di fazzoletti usa e getta che colpì la testa del compagno che, del tutto impreparato, le rivolse un’occhiataccia.
« Potevi almeno avvertirmi! » sbottò lei, avvicinandosi poi a Tony, intento a massaggiarsi la nuca.
« In realtà io stavo per… ».
Non completò la frase perché Pepper si gettò su di lui, baciandolo senza preavviso. Sollevò le mani per posarle sulle sue spalle, ma le lasciò ricadere lungo i fianchi quando la lingua di Pepper cominciò ad esplorare la propria bocca. Si staccarono abbastanza per riprendere fiato e Pepper lo osservò da sotto le ciglia. Gli occhi celati dietro ai ciuffi della frangetta rossa.
« Okay, sto cominciando a confondermi » mormorò lui, trattenendosi dal ridere.
« Zitto, prima che cambi idea » rispose lei a denti stretti, afferrandolo per il bavero della giacca e trascinandolo con sé verso la prima superficie disponibile. Salì sopra il tavolo trasparente, spostando un’anca alla volta, poi lo avvicinò a sé. Gli allacciò le gambe alla vita, portando i loro corpi ad appiccicarsi mentre Tony spingeva in terra fogli, cartelline e perfino un contenitore con le penne.
« Deduco che faccia parte della terapia » scherzò, passando l’indice sulla curva cedevole del collo della donna.
« Sei un idiota »
« Adoro quando mi insulti » rantolò prima di baciare la linea tracciata dal dito.
Pepper rise affondando le dita tra i capelli di Tony, che seppellì il viso nella sua chioma di rame, inspirando il profumo della sua pelle. Una sua mano le percorse la coscia per poi risalire al fianco sotto la camicetta fino alla coppa del reggiseno. Strinse piano la carne bollente e morbida, sorridendo quando la sentì mugolare e stringersi a lui con più ardore. Non avevano chiuso la porta della stanza a chiave, ma da circa dieci minuti, farlo era diventato inutile.
 

**

Un paio di giorni dopo Tony si ritrovò a girovagare per la stessa sala d’attesa, finché la segretaria dello studio non si affacciò dalla propria postazione, facendogli cenno che poteva entrare. Lasciò uscire un uomo, poco più giovane di lui, poi varcò la soglia della silenziosa stanza. Era accogliente e la luce del pomeriggio filtrava dalle tende di un pesante tessuto verde salvia.
« Buon pomeriggio, Signor Stark » lo salutò Kleiner, cortese.
« Lei di dov’è? »
« Illinois – lo scrutò un po’ perplesso - E’ un problema? »
« No, sono solo sorpreso » ammise con leggerezza, accostando la porta.
« Si accomodi e cominciamo: mi dica la prima cosa che le viene in mente »
« Sul serio? – domandò e Kleiner annuì mentre si sedevano quasi in contemporanea - Pianoforte »
« Le piace la musica? »
« Sì » rispose, malgrado trovasse l’argomento piuttosto inusuale.
« Di che genere? »
« Black Sabbath, AC/DC, Metallica. Più rumore fanno meglio è »
« Perché le piace? »
« Mi aiuta a concentrarmi, soprattutto quando lavoro » rispose ancora, cominciando a dubitare di quegli attestati.
« Che lavoro fa? » chiese e Tony divenne definitivamente confuso.
‘Ma dove sono finito?’, pensò.
« Lei lo legge il giornale? »
« Sì »
« Allora dovrebbe sapere chi sono e che lavoro faccio ».
Kleiner sorrise appena come un insegnante che rimprovera un alunno cocciuto, e si appoggiò alla scrivania, incrociandovi sopra le braccia.
« E’ vero so qual è il suo lavoro, ma non so chi lei sia »
« Bene, perché è reciproco » rispose il miliardario, unendo le mani in grembo.
A lui piacevano i dialoghi lunghi e intricati.
« E la cosa la spaventa? »
« Cosa? »
« Il non conoscermi »
« No » rispose quasi con stizza.
Kleiner prese una penna e cominciò a scribacchiare qualcosa su un foglio bianco.
« Qual è la sua fobia? » chiese poi dopo qualche secondo.
« Mi sto avvicinando alla quarantina. Non dormo con la luce » rispose Tony, facendo schioccare la lingua contro il palato e distogliendo lo sguardo da lui.
« Il suo sarcasmo rende tutto più difficile » gli fece notare il Dottore.
« C’è chi mi apprezza per questo »
« Ne sono più che sicuro » ribatté con un cipiglio di ironia.
« Se non fosse uno strizzacervelli, mi starebbe simpatico » confessò lui, indicandolo.
« Cosa c’è che non va nella mia professione? »
« Perché dovrei raccontarle qualcosa di me? » domandò assumendo inevitabilmente un tono di voce sulla difensiva. Kleiner smise di scrivere e sollevò gli occhi su di lui. La stilografica era appena sollevata dal foglio.
« Signor Stark, lei si trova qui perché qualcuno è preoccupato per lei. Non certo per mio volere » disse vagamente irritato. Tony sospettò che avesse mentito al loro primo incontro: lui era la persona più sgradevole con cui avesse mai avuto a che fare.
« E la sua diagnosi? »
« Al momento la sua ostinazione è l’unico ostacolo » rispose, riacquistando un po’ della propria indulgenza.
« Quindi sono malato? »
« Lei risponda alla mia domanda ».
Tony gonfiò le guance poi si grattò una tempia, distogliendo al contempo lo sguardo dal proprio interlocutore. Si stava già pentendo di non aver insistito con Pepper, ma d’altronde lo faceva per lei.
« Ho paura di perdere una persona » ammise infine, guardandolo solo dopo diversi minuti.
« Si chiama Thantophobia » rispose Kleiner, apparendo soddisfatto.
« Tantoche? »
« Thantophobia. Più specificatamente Thanatophobia, deriva dal greco Thanatos. Letteralmente “morire”, riconducibile ad una delle divinità minori dell’antica Grecia – smise di nuovo di scrivere - Secondo Freud è una paura piuttosto vasta nelle sfaccettature, diffusa nella nostra società »
« La cosa dovrebbe rincuorarmi? »
« Dovrebbe farla sentire in compagnia. – abbandonò la penna - Vede, Freud sosteneva che tutti gli esseri umani hanno un istinto di vita e uno di morte. Quest’ultimo in particolare può portare alcune persone a compiere certi atti »
« Tipo? »
« La ricerca del rischio, del pericolo – osservò il paziente per vedere se lo stesse seguendo - Lei è inventore, meccanico… »
« Non dimentichi genio e… »
« Filantropo – concluse e Tony capì di dover chiudere la bocca - Mi chiedo a cosa serva l’armatura ».
Capì di aver centrato uno dei nervi scoperti perché il miliardario perse un po’ della propria spavalderia.
« Io ho paura di perdere una persona, non di morire »
« Si tratta di un tipo di comportamento autodistruttivo che mostra ben altro. Nel suo caso appunto, la sua paura non è riferita a sé stesso » specificò.
« Ma che c’entra tutto questo col pianoforte? » chiese lui, arricciando il naso.
« E’ una bella domanda, ma procediamo per gradi » lo riprese Kleiner.
Tony arrivò alla comprensione che che non ne sarebbe uscito da quel quarto grado, non con la stessa facilità durante l’assalto dei paparazzi. Gli era bastato recitare una piccola parte, anche se in fondo aveva desiderato poter baciare Pepper in pubblico, per liberarsi di loro. Guardò le lancette sul proprio Rolex. Erano passati solo cinque minuti perciò ne mancavano altri cinquantacinque. Ciò comportava tremilatrecento secondi su quella poltrona, in compagnia del Dottor Jekyll. Sospirò scuotendo il braccio per far scendere di nuovo la manica.
‘Lo stai facendo per lei, Stark!’, lo rimbrottò la coscienza.
« Serve a proteggere le persone »
« Perché si sente responsabile dell’incolumità altrui? Qualcosa deve pur spingerla ad essere Iron Man… ».
Per una volta Tony pensò che il sarcasmo doveva essere messo da parte e provare ad aprirsi. Certo, con l’ausilio di qualche bicchierino sarebbe stato più semplice. Appoggiò le spalle contro il basso schienale della poltrona e fissò il vuoto. Se doveva giocare, doveva vincere.
« Sono stato catturato in Afghanistan un paio d’anni fa, da un gruppo terroristico che… - quando sollevò gli occhi, si accorse che non era ciò che voleva sentire, così strinse - C’è stato un attacco e una granata è esplosa a pochi centimetri da me. Alcune schegge mi sono entrate nella carne nonostante il giubbotto. Ricordo di essere svenuto, forse per la troppa adrenalina… Poi il buio » concluse, restando un po’ stupito di sé. Di solito faticava a raccontare l’evento.
« C’è un particolare che è riuscito a memorizzare? »
« Dolore. Tanto e atroce – rispose per poi indicarsi il centro del petto - Quando mi sono svegliato avevo un elettromagnete collegato ad una batteria per auto qui… Serviva a tenermi in vita finché non mi sono operato il Dicembre scorso ».
Kleiner annuì e tornò a scrivere. Tony si drizzò abbastanza per poi allungare ulteriormente il collo per poter vedere cosa stesse scrivendo. Purtroppo la calligrafia era così pessima e che gli risultò illeggibile come un libro in aramaico.
« Lei alla conferenza, se ben ricordo, disse che laggiù ha aperto gli occhi – lo guardò - Si spieghi »
« C’era un uomo nella caverna rinchiuso con me, si chiamava Yinsen. Mi ha fatto capire alcune cose » rispose lui gesticolando.
« Ad esempio? »
« Che “mercante di morte” mi sta meglio di “genio” o “filantropo”… » disse, bloccando le mani a mezz’aria.
« A volte il peggiore dei danni può scaturire dalla migliore delle intenzioni, ma questo non fa di lei un colpevole » disse Kleiner, arcuando un sopracciglio quando Tony lo osservò, stringendo gli occhi a fessura.
« Lo dice perché lo pensa o perché la pago per queste sedute spiritiche? Tra l’altro mi aspettavo una tavola Ouja o una sfera di cristallo »
« Le assicuro che sbagliare rientra nella normalità, quindi per rispondere alla sua precedente domanda: lei non è malato, ma umano » rispose il Dottore, ignorando spudoratamente le provocazioni del miliardario.
« E’ così che si è laureato? » chiese ancora e stavolta Kleiner sembrò divertito.
« Più o meno, ma tornando alla sua fobia… - silenzio – Io credo che lei indossi i panni del supereroe non tanto per l’intero genere umano, quanto piuttosto per la suddetta persona… »
« Arrivi al punto »
« Vorrei farle presente, senza minare alle sue doti, che non è invincibile – Tony assunse una posizione più composta, ma riuscì solo a sentirsi più scomodo –  Non sempre potrà proteggere la Signorina Potts »
« Io devo farlo » borbottò lui.
‘Questo damerino sa decisamente troppe cose…’, aggiunse aspro nella propria testa.
« Deve – ripeté come se non capisse il concetto - La ritiene debole? »
« Testarda, determinata, brillante. Ma non debole » rispose il miliardario con un cipiglio velenoso.
Pepper era la donna più forte che avesse mai incontrato. Era perfetta.
« Perché si sente in colpa? »
« E’ colpa mia – disse, muovendo freneticamente la gamba in un tic nervoso - Su quella granata c’era il mio nome. Su quella e sulle altre armi che i miei carcerieri avevano acquisito con le razzie… »
« Le ho già spiegato che… »
« Una volta Yinsen mi ha chiesto se avevo qualcuno da cui tornare » lo interruppe Tony, smettendo di agitare il ginocchio. Kleiner si accarezzò il mento con fare pensieroso e si fece scivolare sullo sechienale per studiare il proprio paziente.
« E lei cos’ha risposto? »
« Nessuno » mormorò Tony a bassa voce.
« Perché ha mentito? »
« Non ho mentito – si morse l’interno della guancia - Io non meritavo la sua attesa »
« Ne è sicuro? »
« E lei? – si inclinò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia - Io una cosa la so, con la stessa sicurezza in cui le saprei esporre le leggi fisiche di questo universo: non posso vivere senza Pepper »
« E’ una condizione probabile che dovrà accettare » rispose Kleiner, apatico e professionale, riferendosi all’irrealizzabile onnipotenza.
« Pepper è tutto ciò che mi resta e se la perdo perché non ho fatto abbastanza, allora non valgo niente – continuò Tony per poi passarsi una mano tra i capelli - Ha idea di cosa ha significato per me rivederla dopo tre mesi chiuso in un lurido buco dimenticato da Dio? »
« Me lo dica » lo invitò Kleiner, vedendo le iridi del miliardario farsi scure come il cioccolato ma con un intenso bagliore dorato.
Tony poteva descrivere quel momento, ma non credeva che sarebbe riuscito a renderne anche solo una vaga illusione. Ricordava perfettamente tutto: gli interminabili secondi che aveva impiegato la pancia dell’aereo ad aprirsi, il senso di vita che lo travolse quando la prima figura ad apparirgli fu Pepper e i passi che aveva compiuto, allargando le spalle e drizzando la schiena solo per mostrarsi virile davanti a lei.
« Si è mai sentito solo? » chiese senza interrompere il ricordo.
« A volte ».
Il vento le faceva ondeggiare le ciocche ai lati delle guance coperte da sessantadue deliziose lentiggini, le labbra rosse e tremanti ma sorridenti e gli occhi azzurri di chi aspettava solo il suo ritorno. Avvicinandosi aveva notato il velo di lacrime che li ricopriva, come quelli di chi ha vissuto un periodo infernale.
« Pepper è la sola che mi vuole su questo pianetucolo, che si prende cura di me quando non sono in grado di farlo in autonomia. Perciò è mio dovere fare di tutto, e ripeto, di tutto per proteggerla »
« In che modo la fa sentire meno solo? » chiese Kleiner dopo aver preso altri appunti.
« E’ abbastanza intelligente da sgridarmi, insultarmi e occasionalmente, da lanciarmi oggetti pesanti addosso. Atteggiamento che ha preso dal padre – aggiunse, premendo le labbra - Quando hai un quoziente intellettivo al di sopra della media, tutti ti trattano come una divinità »
« Non mi dica? La infastidisce? » lo canzonò il Dottore.
« No, ad essere sincero – rispose lui di rimando - Pepper però mi tratta come una persona normale per cui vale la pena sprecare un po’ di tempo »
« Nessuno lo aveva mai fatto? ».
Tony non rifletté a lungo sulla risposta.
« Mia madre ».

Angolo Autrice: Salve Bella Gente! Sì, lo so sono in ritardo ma come avrete notato, questo capitolo si è rivelato un po' più arduo e travagliato del previsto perchè il mio obbiettivo principale era rendere bene il nostro caro Tony. Al contempo dovevo alleggerire il tutto per evitare di annoiarvi... Pardon!
Spero comunque che vi sia piaciuto e non vedo l'ora di leggere le vostre opinioni, fra cui quelle di leila91, _Atlas_ e DjalyKiss94 a cui dico GRAZIE DI TUTTO CUORE (vi prometto che mi rimetterò in pari e che risponderò personalmente alle vostre recensioni :*): non finirò mai di ringraziarvi per il sostegno, i complimenti e i suggerimenti! *-*
Ne approfitto per comunicare a tutti voi zuzzerelloni (<3) che il prossimo sarà l'ultimo capitolo di questa raccolta, in cui vi sarà più chiara la scelta del titolo. Ma tranquilli/e perchè come avevo già prennunciato, il sequel è praticamente pronto perciò vi romperò ancora le scatole ahahha xD
A presto miei cari,
50shadesOfLOTS_Always

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Always yours

I was just guessing at numbers and figures,
Pulling your puzzles apart.
Questions of science, science and progress
Do not speak as loud as my heart.

 
Un’altra settimana volò via piuttosto in fretta. Tony si ripresentò all’ennesima seduta di psicoterapia, vivace come di consueto. Anzi quella volta un po’ sopra le righe. Non aveva avuto un buon risveglio, gli incubi erano tornati a fargli visita. Alla fine per non svegliare Pepper per la decima volta, alle tre del mattino con gli occhi ben aperti, era sceso in laboratorio. Si era appisolato su una delle nuove protesi per Rhodey con la fastidiosa conseguenza del collo e delle spalle acciaccate e, poco dopo, la perdita delle staffe della segretaria di Kleiner seduto dietro la sua scrivania. L’ufficio era sempre lo stesso, ma stavolta il silenzio era interrotto da un impetuoso temporale che da qualche ora si stava abbattendo su tutte le contee di Los Angeles. A far luce su quell’insolito buio, una lampada verde che ricordava quelle delle biblioteche inglesi.
« Di cosa vuole parlare oggi? » chiese con tono accondiscendente.
Era comunque contento dei risultati ottenuti fino a quel momento. Certo, c’erano ancora moltissimi aspetti da affrontare ma erano sulla buona strada ed era sicuro che presto, con una bella dose di pazienza, il cocciuto miliardario si sarebbe ammorbidito.
« Scelga lei » rispose Tony, arricciando il naso in un gesto distratto.
« Vediamo… L’ultima volta eravamo rimasti al suo diciottesimo anno, poco dopo la laurea al MIT »
« Ah, il 1988… » sospirò Tony con finto fare nostalgico e trasognato.
« C’è un qualche episodio che vorrebbe raccontarmi? »
« Una sera ero col mio gruppo di amici a casa di uno di loro, Michael. Stavamo tenendo il conto delle ragazze del corso e si fidi, erano veramente poche. Insomma, ci stavamo vantando tra una “sigaretta” e l’altra… Se capisce quello che intendo - ammiccò - Sa com’è finita? »
« Oso appena immaginarlo… » mormorò Kleiner, roteando gli occhi.
« Siamo finiti a guidare le macchine dei nostri padri completamente strafatti sull’autostrada. Cinquanta chilometri oltre il limite. Ci sono costati due mesi di lavori sociali. Mia madre mi ha scagionato in tempo per il compleanno ».
La prima parte della seduta passò così, fra un aneddoto e l’altro all’insegna dei divertimenti appartenuti al periodo del college e dell’università. Kleiner dovette riprenderlo più di una volta per evitare che scendesse nei particolari, soprattutto in quelli che riguardavano i trascorsi dell’ex-playboy, unico aspetto tra l’altro che non gli interessava prendere in esame. Per quello c’erano già le riviste di gossip.
Poi, dopo quasi quarantacinque minuti, Tony vide che il Dottore era un po’ troppo impegnato a scrivere sul suo affezionato taccuino. Gli ricordò un altro vecchio compagno di studi, Clay.
« Ora ha una diagnosi per me? » domandò, sorridendo come un gatto che pregustava la cena quando Kleiner si fermò per guardarlo dritto negli occhi. Girò la penna tra le dita e si appoggiò alla scrivania.
« Lei è il paziente più complesso che abbia mai avuto in tutta la mia carriera » ammise dopo qualche attimo.
« Sexy, figo, affascinante… - guardò il soffitto, abbandonandosi sulla poltrona  - Complesso è un complimento nuovo »
« Lei ha qualcosa che le preme sapere, ma… La curiosità la spaventa – assottigliò gli occhi e lui, drizzò il capo, sentendosi vagamente sotto pressione - C’è un enigma in lei, un interrogativo irrisolto »
« Sarà il caso di chiamare qualcuno per indagare, magari qualcuno di Baker Street »
« Mi dica cos’è » aggiunse, ignorando il commento sarcastico volto evidentemente a svicolare l’argomento.
Tony lo fissò e ancora una volta, si sentì preso con le mani nel sacco. Ormai conosceva i suoi trucchetti.
Ripensò al momento in cui le sottili dita di Pepper avevano girato la busta, chiusa accuratamente come una delle tante epistole che sua madre soleva scrivere ad amicizie troppo lontane.
« A casa ho una lettera che non ho aperto » disse, abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe divenute interessanti.
« Da chi l’ha ricevuta? »
« Dal Capitano Rogers »
« Cosa le impedisce di aprire la busta? ».
Arcuò un sopracciglio quando lo vide farsi fin troppo taciturno per i suoi standard.
« Mi sento tradito – sollevò gli occhi nocciola su quelli del Dottore - Sapeva delle cose… Sui miei genitori »
« In che modo l’avrebbe tradita? ».
Una saetta gli trapassò il cervello. La sensazione familiare del panico lo assalì come non accadeva da un po’, ma la riconobbe perché gli era impossibile dimenticarla. Il respiro si spezzò mentre i suoi polmoni cominciavano a contrarsi alla ricerca spasmodica di molecole di ossigeno. L’immagine di suo padre che scivolava a terra, inerme, col cranio fracassato. Il cuore cominciò a correre sempre più velocemente.
« Possiamo cambiare argomento? » chiese con la vista che si faceva sfocata un po’ per delle lacrime inopportune e un po’ per il bisogno urgente d’aria fresca. Sua madre immobile sul sedile del passeggero, che chiamava petulante il marito, aspettando solo un minimo segno che fosse ancora vivo.
« No » rispose l’altro mentre lui artigliava il bracciolo della poltrona, in cerca di un appiglio alla realtà.
Durante quelle crisi gli capitava di perdere il senso dell’orientamento.
« Allora avverta la mia fidanzata che il mio testamento è nell’ultimo cassetto della mia scrivania… »
« Lei è così melodrammatico… » lo schernì Kleiner mentre gli porgeva un sacchetto di carta marrone come quelli che la governante aveva usato per i suoi pranzi.
Lo agguantò, lo portò alle labbra e cominciò a soffiarci dentro.
« Vede, lei ha una questione nel presente che affonda nel suo passato – premette le labbra come per ponderare le parole - Perché lei possa concentrarsi sul futuro, con la Signorina Potts, ha bisogno di me ».
‘Che fortuna’, pensò ironico il miliardario.
Socchiuse le palpebre, continuando a respirare nel sacchettino. Cercò di nascondere il proprio tremore mentre faceva appello ai consigli di Bruce.
« Perché possa aiutarla però lei deve aprirsi – lo guardò di sbieco - Lo so che lei non si fida di me, ma si ricordi quello che le ho detto all’inizio ».
‘Pepper… Sì, lei è un buon motivo per calmarsi’.
Finalmente sentì il peso sul torace allentarsi, permettendogli così di tornare a respirare con regolarità.
« Rapporto 16 Dicembre 1991 » mormorò, col cuore ancora in corsa come un cavallo imbizzarrito.
« Di che si tratta? »
« La morte dei miei genitori – accartocciò il sacchetto - Devo continuare? »
« Non ho impegni perciò si prenda tutto il tempo che le occorre » rispose Kleiner con un cenno impotente delle mani e un’espressione sincera. Malgrado la rabbia crescente, Tony sentì l’impellente bisogno di buttare tutto fuori. La cosa però gli risultò più difficile del previsto perché cominciò a balbettare.
« Il migliore amico del Capitano è l’assassino » rispose, facendo involontariamente fischiare quelle parole tra i denti quando contrasse la mascella.
« Cos’è che la infastidisce di più? » domandò, inarcando un sopracciglio.
« Non c’è niente che mi infastidisce, Dottore » protestò lui, quasi con un ringhio.
« Vorrei poterle credere, Signor Stark »
« Ero suo amico, ma non ha esitato a mentirmi »
« Cioè non le ha detto l’identità del colpevole dell’omicidio? – annuì, compiendo uno sforzo nel non rovesciare l’intero edificio - Ha pensato che leggere quella lettera potrebbe permetterle di mettersi in pace con sé stesso e col Capitano? »
« Non voglio una lettera di patetiche scuse » disse, ricordandosi della discussione con Pepper.
« E’ ammirevole il fatto che lei voglia parlarne direttamente… »
« Chi ha detto che voglio parlargli? Io voglio tirargli un pugno su quei bei dentini » aggiunse, sporgendosi verso di lui per enfatizzare quella minaccia.
« Lo vuole un consiglio spassionato? – la sua faccia era un secco ‘no’, ma Kleiner finse di non vederla - Apra quella lettera, la legga e perdoni sé stesso »
« Perché dovrei? »
« Perché così la smetterà di soffrire. Potrà prendere per mano la Signorina Potts e liberarsi dal peso del mondo – Tony si lasciò ricadere contro lo schienale, aspettando il resto della frase - La vendetta non allevia i sensi di colpa. Il perdono sì ».
 
Intanto da Malibu Point, il temporale si era allontanato e al suo posto, spirava un debole vento del sud, che stava riportando l’aria frizzante della tarda estate in un autunno che sembrava aver fretta. Pepper stava lavorando a casa da circa una settimana per ordine del medico. Distesa sul divano, teneva il tablet appoggiato contro la pancia ormai evidente. Rispondeva alle mail, organizzava il lavoro suo e di Tony di cui aspettava il ritorno dalla seduta di psicoterapia. Fissò il fine orologio al polso e sospirò. Quel mattino attorno alle otto, aveva sentito i suoi passi lungo le scale fino al giaciglio su cui si era chinato per posarle un bacio sulla guancia e per rimboccarle le coperte prima di udire la porta di casa chiudersi e il rombo della Maserati. Aveva contattato il Dottor Kleiner per un solo motivo: riportare a casa l’eccentrico miliardario. Vedere Tony chiederle, implorarle aiuto l’aveva sconvolta più di quanto si sarebbe mai aspettata. Lui non aveva voluto la mano tesa di nessuno, in nessuna occasione. Si era rialzato sempre da solo anche se con delle defaiances. Vederlo in quello stato di vulnerabilità, le aveva fatto capire quanto fosse fragile e le aveva fatto capire che da sola, con una bimba in arrivo, non sarebbe mai riuscita a riportarlo indietro. Voleva che tornasse il vecchio Tony, quello delle avances non troppo velate, quello che si divertiva a farla arrabbiare e quello che tutti ritenevano un po’ pieno di sé. E lo era, ma lei ne aveva bisogno. Infantilità inclusa. Ne aveva bisogno perché nonostante i mille guai la faceva stare bene. Non era Iron Man a proteggerla, ma l’uomo sotto l’armatura.
« Signorina Potts, c’è una videochiamata per lei » la avvertì F.R.I.D.A.Y., riscuotendola da quello stato di trance. Batté le palpebre un paio di volte.
« Da chi? » chiese, alquanto sorpresa ma non più di tanto quando l’AI le rispose.
« Una certa Tiffany »
« Oh no… » sospirò.
Sapeva perché la stava chiamando, era fin troppo ovvio. La tv tenuta a basso volume per pura compagnia trasmetteva proprio in quel momento un programma di gossip. Inutile dire chi erano i protagonisti. Sospirò di nuovo, scuotendo il capo rassegnata.
‘Beh, almeno Maria si godrà la propria privacy’, pensò notando che dalle immagini nessuno se ne sarebbe accorto. Tony l’aveva abbracciata e si chiese se non lo avesse fatto di proposito.
« Sembra insistere » aggiunse F.R.I.D.A.Y mentre Pepper abbassava il volume.
« Passamela ».
La finestra della videochat si aprì sullo schermo a led che teneva tra le mani e una giovane donna comparve, seduta sul letto in una camera.
« VIRGINIAAAA » gracchiò la giovane donna, chiaramente sovraeccitata.
« Ciao Tiff » rispose con calma, non riuscendo a nascondere l’ilarità.
Tiffany era come una quattordicenne che aveva una cotta per il cantante di una boy band. A quel pensiero le venne da ridere: Tony definiva spesso gli Avengers a quel modo. E lui non era affatto stonato.
« Ho visto il servizio solo adesso. Finalmente vi siete decisi! »
« Già… » mormorò, alzando gli occhi sulla tv.
Il loro bacio era diventato praticamente un’icona.
‘Qualcuno sarà contento di tanta celebrità’, si disse.
« L’abito? »
« Quale abito? » chiese, aggrottando la fronte e tornando a guardare Tiffany che le rivolse un’espressione indulgente.
« A quando le nozze? »
« Cosa?! ».
Stavolta fu Pepper ad alzare la voce di almeno due ottave.
« Il matrimonio, Virginia! Perché vi sposerete » disse l’altra.
Non era una domanda quanto piuttosto un’affermazione che non contemplava obiezioni. Sì, era decisamente una quattordicenne.
« Al momento abbiamo altri piani… » balbettò Pepper, guardando il proprio addome.
Prese il pad tra le mani cosicché la webcam inquadrasse il proprio volto fino alle spalle.
« Ma che state aspettando? – inclinò la testa, ricordandole un cagnolino - E’ una mia impressione o la tua seconda è diventata improvvisamente una terza? »
« Tiff! » la rimbrottò, coprendosi quanto più possibile, tirando la stoffa della canotta e dando tutt’altra impressione. Se n’era accorta… E anche Tony. Il suo corpo stava cambiando inevitabilmente per effetto della gravidanza. Aveva sempre avuto un fisico asciutto, ma chi la conosceva, aveva notato subito i chili in più pur restando magra.
« Allora? – attese il resto - E’ un push up? »
« No – sbuffò, lieta comunque che non avesse fatto insinuazioni - Perché mi fissi in quel modo? »
« E’ che… Sembri… - scosse il capo per tornare alla solita malizia - Che piani avete tu e il Signor Stark? »
« Ah, ecco… ».
Pepper aprì la bocca per rispondere, ma F.R.I.D.A.Y la salvò da quell’ennesima situazione di intoppo.
« Signorina Potts, il Signor Stark sta rientrando ».
« Grazie F.R.I.D.A.Y. Senti Tiff, io devo riattaccare »
« Okay… Ma chiamami quando ti farà la proposta » cinguettò la donna prima di chiudere la videochiamata.
Pepper alzò gli occhi sul soffitto, traendo un bel respiro.
 
Tony stava fischiettando, con le chiavi del suo gioiello a quattro ruote preferito che volteggiavano attorno al proprio indice.
« F.R.I.D.A.Y, dov’è Pepper? » chiese poco prima di entrare.
« In salotto, Signore »
« Il laboratorio? » chiese con un singulto, attanagliato da un dubbio.
La compagna non scendeva quasi mai nella sua Iron-caverna, un po’ perché non aveva mai tempo e un po’ perché glielo aveva proibito da quando il pancione aveva superato le dimensioni di un pallone da beach volley. Tuttavia non ricordava se aveva messo tutto a posto, inclusa la sorpresa.
« Il regalo è al sicuro, Signore. Ho provveduto a blindare le porte dell’armadietto » rispose l’AI quasi leggendolo nel pensiero e, Tony trasse un sospiro di sollievo.
Trotterellò dentro, accigliandosi quando vide Pepper, che aveva appena abbandonato il tablet, semisdraiata sul divano con la tv accesa. Non era da lei starsene in panciolle, ma non gli dispiacque più di tanto quando notò che indossava una canotta striminzita e un paio di pantaloncini corti da pallacanestro, che le lasciavano le gambe in bella vista. E non solo…
Ogni volta che tornava a casa, lei era lì ad aspettarlo come sempre. Era la certezza di un approdo sicuro per tutte le mareggiate e desiderava che quella certezza gli appartenesse anche negli anni a venire.
< Notizie da Washington DC. Il Presidente ha convocato… >
« Buon pomeriggio, mia colombella » esordì, allegro.
« Buon pomeriggio anche a lei, Sir » scherzò lei mentre sentiva il cuore compiere una capriola nel vederlo a quel modo. Era da tanto che non accadeva. Forse Kleiner meritava un aumento.
« Vedo che finalmente ti sei decisa a darmi ragione » aggiunse, lasciando la giacca sul tavolino da caffè.
« No, non do ragione a te. Seguo solo i consigli del ginecologo - precisò mentre lui si avvicinava - Tutto a posto con David? ».
Coi pugni si appoggiò ai cuscini del divano e si abbassò su di lei, fino a sfiorare il naso con la punta del proprio, ma a quella domanda, si ritrasse di qualche centimetro.
« E chi è David?! » chiese con malcelato sdegno.
Gli era bastato il collega di New York, non gli piaceva che le ronzassero intorno.
« Il tuo psicologo »
« Da quando lo chiami David?! Il suo nome di battesimo è Dottore » rispose accigliato.
Pepper sorrise e sporse le labbra. Le piaceva da matti quando si comportava a quel modo e ancora di più quando tentava di nascondere la propria gelosia. Se fosse stato un altro uomo, probabilmente se la sarebbe presa, ma quella sorta di gelosia in Tony era segno tangibile di quanto tenesse a lei. Lui abbassò gli occhi e sorrise di rimando per poi concedersi a delle effusioni. Stava per staccarsi, ma una mano della donna scivolò dietro al suo collo per trattenerlo in un secondo bacio più profondo. Tony poggiò un ginocchio nella parte libera del divano per evitare di crollarle addosso. La sentì muoversi in cerca di comodità mentre erano intenti a mangiarsi le labbra. Fu il primo ad interrompersi quando i polmoni implorarono ossigeno. Si sedette sulla gamba piegata sotto di sé e la osservò, carezzandole una gamba dall’interno.
Pepper gli rivolse un sorrisetto obliquo, intuendo a priori le sue intenzioni. Lui non riusciva a non pensare ad una sola ed unica cosa: la sorpresa era pronta. Doveva solo trovare il momento giusto per donargliela. La sua mente cominciò a vagare, proiettando diversi scenari, arrovellandosi nel tentativo di organizzare l’occasione delle occasioni.
Una conferenza stampa.
‘Ti ucciderà’, lo fermò la sua vocina
In riva al mare, al chiaro di luna…
‘No, troppo scontato’, pensò disgustato.
Ristorante di lusso, cena a lume di candela…
‘No, poco intimo’, si smentì.
« Hai mangiato? » le chiese poi, come destandosi da un sogno.
« Tipo tre volte, ma indovina? Tua figlia ha ancora fame ».
« Pizza o cinese? » propose Tony, abbassandosi sul pancione, come se stesse parlando direttamente con Maria.
« Messicano » rispose la madre, ridacchiando per quella scenetta.
< E adesso passiamo all’economia. Wallstreet ha appena annunciato la crescita… >
« Ci sto – afferrò il telefono per chiamare il ristorante quando la vide fissare la tv con un certo astio - Che c’è? ». Lei indicò lo schermò con un cenno del capo per poi rispondere con un cipiglio sarcastico.
« Sono solo contenta di aver buttato la spazzatura… ».
Al centro dell’inquadratura Christine Everheart parlava al microfono fisso sul tavolo dello studio televisivo, con alle spalle un green screen su cui era stato proiettato l’imponente edificio della Casa Bianca. Inizialmente Tony non si ricordò neanche della giornalista. Era stata una delle tante, ma come quelle tante, rapporto occasionale e quindi non importante.
« Anch’io » rispose più rivolto a sé stesso, digitando il numero.
« Ma come hai fatto? Non è nemmeno bella » sostenne, senza riuscire a mascherare quanto quella donna la infastidisse. I capelli biondi da Barbie e tenuti in un’acconciatura troppo gonfia per i suoi gusti, la pelle troppo abbronzata come una vera californiana e le labbra troppo rosa. Corrispondeva esattamente al profilo delle avventure di Tony: troppo belle, troppo magre e la maggior parte di esse, con un encefalogramma piatto. Erano tutte troppo secondo Pepper, che in tutti quegli anni aveva sepolto quel bagaglio di tormenti sotto il tappetto dell’indifferente diligenza lavorativa. Finché non le avevano detto che era sparito chissà dove in Afghanistan. In quel momento, sarebbe stata capace di accusare perfino la giornalista. A Tony non sfuggì quel dettaglio e come da perfetto fidanzato, un po’ idiota, glielo fece notare.
« Gelosa, Potts? »
Lei arrossì, maledicendo il proprio sistema nervoso periferico per poi tornare con gli occhi sulle immagini che non avevano smesso di scorrere. Lo guardò di nuovo quando terminò l’ordinazione, sembrava tranquillo. Niente attacchi di panico o sguardo vitreo, il respiro era regolare e le labbra rilassate. Allungò una mano, carezzandogli i capelli corti su una tempia quando lui si girò a guardarla.
« Ho qualcosa sulla faccia? » domandò giocoso.
« A parte questa gigantesca ruga, no » mormorò lei, indicandogli una zona imprecisata del viso.
« Non ho le rughe » rispose mentre il sorriso spariva per essere sostituito da una linea sottile.
« Allora come la spieghi la crema effetto lifting nell’armadietto del bagno? » lo incalzò lei, sempre più coinvolta in quel loro battibecco. Un rituale quotidiano di cui non poteva più fare a meno.
« Fossi in te non riderei troppo. E’ per questo che vengono le rughe e quando verranno anche a te, vedrai chi riderà »
« Ammetti di avere le rughe » sghignazzò Pepper e Tony, nel specchiarsi nei suoi occhi, comprese che non poteva concedersi di ciondolare ancora. Doveva buttarsi.

***

Happy accostò davanti alla porta di casa dell’immensa Villa Stark. Guardò la donna sullo specchietto retrovisore e seguì la direzione del suo sguardo perplesso. Effettivamente c’era qualcosa di strano. Non c’erano luci accese e nemmeno tonfi provenienti dal laboratorio.
« Signorina Potts, vuole una mano? »
« Oh, no Happy. Grazie – disse e aprì la portiera – In fondo sono solo al quinto mese » scherzò prima di scendere dalla vettura. Prese la borsa tracolla e si avviò dentro l’abitazione silenziosa mentre Happy se ne andava. Digitò il codice e le porte si aprirono con un sibilo, degno di un film di fantascienza. Si fermò, guardandosi attorno un po’ insospettita da quella quiete.
« Tony, ci sei? ».
Ma non ci fu risposta. A quell’ora avrebbe dovuto essere a casa. Suppose che fosse rimasto in ufficio, magari bloccato in qualche riunione col consiglio amministrativo. In quel periodo, si recava più spesso alle Industries mentre lei stava scoprendo il dolce far niente. Prese il tablet abbandonato su un mobile del boudoir e ricontrollò l’agenda. Vuota. La seduta col Dottor Kleiner era stata addirittura rimandata… Ripose l’oggetto tecnologico dov’era e si accorse che neanche l’AI sembrava esserci, perché solitamente le dava il benvenuto. Si volse verso l’interfaccia e come volevasi dimostrare, la trovò spenta. Avanzò, stringendo la borsa e quando arrivò in salotto, tutto era immerso nel buio quasi totale. Fuori dalle grandi vetrate l’oceano si increspava sospinto dalla brezza invernale, anche se a Malibu, era difficile dire che fossero a Novembre. Il sole era ormai calato, ma il suo ultimo bagliore rosso macchiava il cielo violaceo del crepuscolo. Intanto la luna era sorta sulle acque, contribuendo a creare una visione idilliaca.
Sobbalzò quando una musica partì in sottofondo e notò per la prima volta, un dettaglio che le era sfuggito. Qualcosa brillava di una luce azzurrina sul tavolino da caffè in vetro, al centro del salotto proprio davanti alla facciata che dava sulla spiaggia privata, circondato da mazzi di rose bianche.
La musica continuava a diffondersi e sorrise quando la riconobbe. The Scientist dei Coldplay.
Si avvicinò all’oggetto, che emetteva un bagliore uguale al reattore arc che fino a pochi anni prima si trovava al centro del petto di Tony. Solo che era troppo piccolo perché si trattasse del medesimo… Lasciò la borsa dietro di sé sul divano e si portò le mani sulla bocca quando si accorse che si trattava di un anello. Si chinò per prendere la scatolina coperta di velluto nero ed osservò quello che era di fatto un microscopico reattore montato con raffinatezza su un cerchio di platino. Sentì il cuore cominciare una maratona a rotta di collo, indecisa se piangere o urlare. In entrambi i casi, di gioia mista a qualcosa di inaspettatamente ansioso. Non credeva che avesse in mente di farle la proposta, non sul serio almeno. Se prima erano legati da un filo sottile e invisibile, adesso si sarebbero incatenati in una dolce morsa che Pepper nel profondo aveva coltivato come un giardino segreto.
« Oh mio Dio… » disse solamente con un fil di voce.
« Non era esattamente la risposta che mi aspettavo, ma va bene come inizio » le rispose qualcuno di molto noto. Si girò e lo vide scendere le scale che portavano alla zona notte.
La stava aspettando da ore. Quattro per essere pignoli. Dopo aver preparato tutto, sotto il consiglio di F.R.I.D.A.Y si era seduto sul divano, scoprendosi nervoso. Così aveva tentato di ammazzare il tempo in laboratorio, inutilmente. Si era allenato nei piegamenti, poi a circa un’ora dal suo rientro alla Villa, si era fatto una doccia e indossato la camicia preferita di Pepper. Gliela aveva regalata per il suo trentesimo compleanno e da allora, Tony la indossava solo quando era con lei. Da soli.
« Mi hai fatto prendere un colpo. Pensavo ti fosse successo qualcosa – gli mostrò la scatola - E’… »
« Un reattore ad arco. Di appena un centimetro di diametro – mosse le dita come un prestigiatore - Tutto merito di queste manine d’oro » aggiunse con un ghigno.
« Non credevo avessi una laurea in oreficeria »
« Volevo regalarti qualcosa di speciale » rispose, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni in denim scuro.
Abbassò lo sguardo per un attimo prima di incontrare quello di Pepper, in attesa con la solita espressione comprensiva. Quante volte si era trovato a disagio davanti ad una donna? Mai.
In una conversazione di qualunque genere, che si trattasse d’affari o di organizzare una conclusione decente ad una serata noiosa, era lui a detenere il controllo e l’attenzione. Davanti ai suoi occhi azzurri, forse più del cielo, si sentì spaesato come un bambino alle prime scoperte del mondo. Smarrito e quasi incosciente di ciò che stava accadendo perché forse era davvero così. Se qualche anno prima gli avessero detto che avrebbe avuto una relazione stabil…ita, lui si sarebbe fatto tante grasse risate. Invece eccolo lì, in piedi come un imbecille nel bel mezzo del proprio salotto con l’unica donna che desidera avere accanto. Stava per compiere il passo di svolta della propria vita, ma non sapeva che stava facendo.
« Quindi hai deciso di regalarmi una lampadina? » lo schernì lei, non riuscendo a togliere lo sguardo dall’anello.
« No, il mio… Cuore » rispose Tony, incassando la testa nelle spalle.
Pepper lo guardò e sorrise. Sembrava un ragazzino imbranato.
« La sto mettendo in difficoltà, Signor Stark? » lo punzecchiò perché in fondo, quando le sarebbe capitato di rivederlo in quello stato? Era un’occasione troppo allettante per poterlo lasciare in pace.
« Affatto – rispose lui, schiarendosi la voce e cercando di apparire più rilassato possibile - Ho deciso di ricostruire quel… Uhm… “cuore” che mi ha salvato la vita e, ho deciso di… Ehm, insomma… Ah… Di affidarlo a te » aggiunse, sorridendo quando vide di aver fatto centro.
« Perché? » chiese giocosa pur sentendo il sangue scorrere nei timpani.
« Sei veramente… »
« Carina? » concluse con un sorrisetto malandrino.
Giurò di aver visto un principio di rossore sulle guance dell’osannato playboy e avrebbe tanto voluto fargli un ritratto così da appenderlo da qualche parte, per godersi la soddisfazione di essere colei che ha rubato il cuore dello scapolo più ambito d’America.
Tony, preso in contropiede, cercò una risposta. Perché le stava chiedendo di sposarlo?
‘Sempre a scoppio ritardato, Stark…’, commentò acida la sua vocina.
Poi cominciò a fare un elenco: perché a differenza delle altre donne era intelligente e non cascava facilmente nelle sue lusinghe, al contrario di lui; perché era bellissima, la più bella del Sistema Solare, anche e soprattutto quando si arrabbiava e le si formava una ruga a forma di v tra le sopracciglia; perché riusciva a farlo tacere con una sola occhiata; perché lo perdonava sempre e comunque, qualsiasi casino combinasse; perché era l’unica che lo capiva, tra i mille difetti senza fargliene una colpa; perché con lei non aveva bisogno dei propulsori per raggiungere il cielo, di un’armatura per sentirsi protetto.
« E’ sempre appartenuto a te » disse solamente, sentendosi ancora più impacciato.
Glielo avrebbe detto prima o poi, sarebbe riuscito a dirle quanto fosse profondo il suo bisogno di lei. Sperò, pregò che accettasse. Aveva valutato un rifiuto, ma cercava di non soffermarcisi troppo a lungo.
Perché non c’era Tony Stark, senza Pepper Potts.
« E’ una dichiarazione? »
« Per colpa tua e del Dottor Jekyll adesso sono tutto zucchero e miele » brontolò ancora, mettendo su un broncio infantile.
« Tranquillo, nessuno lo saprà » lo rassicurò lei.
« Ti ringrazio. Sai, ho una reputazione da difendere ».
Pepper sfilò l’anello dalla scatola, che ripose con riverenza sul tavolino, per poi rigirarlo tra le punta delle dita. Inclinò la testa di lato per osservarlo nei dettagli mentre Tony osservava come la luce del reattore scivolasse sui suoi tratti angelici.
« Credevo che facessi qualcosa… »
« Alla Stark? Tipo organizzare una conferenza stampa? » domandò, facendola ridacchiare.
Effettivamente ci aveva pensato: una proposta pubblica e sdolcinata come nelle vecchie pellicole in bianco e nero, fuochi d’artificio, fiori e magari la corte di paparazzi. Ma lui non era sdolcinato e nonostante la megalomania, non sarebbe mai riuscito ad inginocchiarsi come prevedeva la convenzione.
Con dolcezza prese l’anello dalle sue dita e con la mano libera, afferrò la sua. La sinistra. Col pollice disegnò le nocche poi le fece indossare il monile. Le calzava a pennello.
« Non me lo chiedi? Sei così convinto che io accetti? »
No, non si sarebbe mai aspettata la tipica proposta. Tony non era certo un tipo semplice, era come avere a che fare con un ragazzino viziato ed esuberante. Ma era proprio per quel suo aspetto così irritante che lo amava. Perciò quella era il genere di proposta che sapeva di poter ricevere da lui: una proposta non proposta. Anticonvenzionale come il loro rapporto, e andava bene così.
« In realtà no. Però… - fece spallucce - Ho pensato: o la va o la spacca. »
« Dovrei rifletterci » rispose lei ridendo.
« Addirittura! Voglio dire, s-se… Se fossi in te accetterei. Dove trovi un concentrato di carisma e figaggine di questo livello? » disse, indicandosi.
« E se lo mettessimo ai voti? »
« Io voto sì » scattò subito lui.
« Potremmo chiamare gli Avengers »
« Lei è veramente perfida, Signora Stark »
« Signorina » lo corresse lei, guardandosi l’anulare.
« Goditi questo tuo ultimo mese di libertà, Potts » la ammonì con finto fare minaccioso.
« Ultimo mese? » chiese, sollevando lo sguardo su di lui.
« Ah… Ehm… Diciamo che nel dubbio ho preparato tutto » rispose Tony, guardando in alto come un bambino che sa di averla combinata grossa, ma si finge innocente pur di evitare la punizione.
« Hai già spedito gli inviti? » chiese Pepper al limite dello stupore.
« No, non ero così sicuro! – rispose alzando la voce di un’ottava - Che ne dici del 24 Dicembre? »
« Vuoi sposarmi alla Vigilia? ».
‘Stark 3 – Potts 1’, esclamò la Virginia interiore.
‘Oh, ha già vinto da un pezzo’, le rispose il raziocinio passeggiando allegramente.
« A te piace il Natale e io non ne ho mai avuto uno » si giustificò e lei capì il perché di quei balbettii sconnessi. Era raro ammirare un Tony Stark impaurito da una cosa “normale” come quella.
« Non è che lo fai per evitare di dimenticarti dell’anniversario? » rispose per sdrammatizzare il contenuto di quel messaggio fra le righe.
Lui non aveva avuto una famiglia, se non quella che stavano costruendo insieme.
« Ti ricordo che non sono io lo smemorato qui » rispose Tony, compiendo un passo verso di lei.
Ora i loro corpi era distanti solo pochi centimetri.
« Credevo che apprezzassi questo mio difetto » gli ricordò lei, scrutandolo da sotto le ciglia.
« Beh… Finché si tratta di biancheria intima ».
Le scostò una ciocca di capelli dal viso, incapace di trattenersi dal toccarla. Gliela agganciò dietro l’orecchio, poi Pepper gli prese la mano e se la premette contro una guancia.
« Allora hai vagliato tutti i vantaggi? Perché ci sono solo quelli » disse lui, gli occhi incatenati ai sua.
« Per ora c’è solo un sì e un astenuto » rispose Pepper, sedendosi sul divano.
Aveva camminato tutto il giorno e i piedi cominciavano a protestare.
« Dovremmo chiedere a Maria » propose, abbassando gli occhi sul pancione.
« Giusto – lo imitò, carezzandosi il ventre gonfio - Ehy, ci sei? Tu che ne pensi? ».
Tony posò a sua volta la propria mano e dopo qualche istante, percepì un movimento come se la piccola avesse davvero sentito tutto. La pelle si era appena tesa sotto quello che doveva essere stato un piedino o una mano.
« Bene, mia figlia vuole sposarmi. Ma la sua mamma? »
« Ho forse altra scelta? Sono in minoranza » constatò lei con una scrollata di spalle.
« Siamo in uno stato democratico, non le faccio io le regole » mormorò, nascondendo la propria ansia dietro il sarcasmo. Cominciò a chiedersi se avesse fatto a bene a depennare l’aeroplano con lo striscione sventolante, con su scritto ‘Vuole sposarmi, Signorina Potts?’.
« Mi farai anche un regalo di nozze? » chiese, guardandolo con sospetto dopo aver assunto una pose pensierosa. Sapeva che Tony era sulle spine.
« Stavo pensando a un coniglietto gigante o a un gattino ciclopico » rispose e Pepper scoppiò a ridere, guardando per un attimo il mare. Il sole era sparito all’orizzonte e le prime stelle cominciarono ad affacciarsi sulla volta celeste come ancelle per la Luna.
« Che c’è? » domandò quando si accorse che Tony la stava fissando intensamente.
« Virginia Stark. Suona bene » sussurrò, quasi sovrappensiero.
Già se la immaginava, con uno strascico a seguire i suoi passi lungo la navata, un sorriso radioso semi oscurato da un velo candido e un bouquet tra le graziose mani.
« Beccato! » esclamò, indicandolo quando vide i suoi occhi color cioccolato diventare acquosi.
« Non sono tutto di metallo… Se capisci » ribatté più malizioso.
« Tony »
« …quello che intendo. Sto forse »
« … »
« …rovinando l’atmosfera? – si bloccò, accigliandosi - Cosa? »
« Sì »
« Sì, sì, sì? O sì… Sì? »
« Voglio sposarti » precisò Pepper, così da non lasciargli neanche il minimo dubbio.
Come avrebbe potuto rifiutare? Durante quella conversazione aveva seriamente esaminato la loro relazione, la sua evoluzione, la loro crescita come individui e i mille ostacoli che avevano affrontato più o meno insieme, che comprendevano una guerra aliena e la rivolta di Ultron. Per quanto fosse sbagliato, rischioso e difficile stargli accanto, stare senza Tony era impossibile.
Le raccolse il volto tra le mani, su cui Pepper posò le proprie, e con la lingua cercò di lambire la sua.
Se avesse avuto ancora il reattore, sarebbe esploso per un sovraccarico energetico. Quando si sedette sulle sue ginocchia, Tony perse la cognizione del tempo. Quel momento lo stava ripagando di tutta la sofferenza, la solitudine venuta prima di lei. Doveva dire a F.R.I.D.A.Y di un nuovo progetto: un congegno per fermare il tempo. Al diavolo le leggi dell’universo!
« Davvero? » chiese ancora non convinto, facendola sorridere ancora di più ma senza riuscire a staccarsi da lei e dalla sua bocca.
« E’ strano? »
« Solo un po’ » ammise prima di baciarla ancora e ancora, e ancora.

 

The End (?)
 

Angolo Autrice: Welaaaaaa! Salve a tutti come al solito sono in ritardissimo, ma sappiate che tutto è a vantaggio vostro ahahahaha
Spero che il capitolo, l'ultimo di questa raccolta, vi sia piaciuto e ringrazio tutti coloro pazzerelli giunti fin qui, anche Alexandre94 (specialmente leila91_Atlas_ e DjalyKiss94: vi ho già detto chi vi adoro? <3 <3 <3 ) e chi, pur senza recensire, ha inserito questa storia in una delle categorie o l'ha semplicemente letta in silenzio. GRAZIE DI TUTTO CUORE A TUTTI *-*
Ne approfitto per lasciarvi qui e pubblicarvi subito il prologo della nuova raccolta targata Pepperony dal titolo "You'll Be in My Heart" che trovate sulla mia pagina!! 
Alla prossima storia, vi aspetto!! :D
50shadesOfLOTS_Always

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