Ranma 2

di JacobStark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 Ranma e Ranma ***
Capitolo 2: *** Io, Akane e Ranma ***
Capitolo 4: *** RANMAAAAAA! ***
Capitolo 5: *** Gatte, duelli e strane castagne ***
Capitolo 6: *** Nuove esperienze per Ranma ***
Capitolo 7: *** Duelli e Gente Nuova ***
Capitolo 8: *** Gente strana arriva a Nerima ***
Capitolo 9: *** Ranma, Akane e un cupido rosso ***
Capitolo 10: *** Una nuova, grande avventura! ***
Capitolo 11: *** Ultime introduzioni ***
Capitolo 12: *** Una fantastica serata... ed un pessimo inizio. ***
Capitolo 13: *** Dichiarazione di guerra ***
Capitolo 14: *** Pronti alla battaglia ***
Capitolo 14: *** Cap 14 E la polvere si posa ***
Capitolo 15: *** Nuovi fiori sbocciano a Nerima ***
Capitolo 16: *** La danza del lupo e del demone ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 Ranma e Ranma ***


Cap 1

Ranma e Ranma

 

 

 

 

 

A casa Tendo, da quando un certo ragazzo con il codino era arrivato, non c’erano stati molti giorni normali. La maggior parte di essi erano infatti conditi da eventi folli, scontri al limite del plausibile e  un continuo afflusso di personaggi strani che affluivano nel dojo di arti marziali indiscriminate di casa Tendo.

Ma nulla, nulla avrebbe potuto preparare la famiglia Saotome a quello che sarebbe successo da quel mattino in poi. Ma andiamo con ordine. Ci sono tante cose da raccontare, matrimoni a cui assistere, amori inaspettati da veder sbocciare a Aristcrat Kuni da lasciare a bocca asciutta. Per di più con i mille impicci di casa Tendo faremmo meglio a spicciarci a iniziare a questa storia, altrimenti non affittiamo più.

Dunque, quest’ennesima disavventura di Ranma ed Akane comincia una bella mattina di primavera, nel malinconico sfiorire dei ciliegi, circa una settimana prima della la visita di Nodoka.

 

 

 

Come la solito Akane si svegliò, cercando per istinto P-chan, ma non trovando traccia del piccolo maialino. Si ricordò che, tanto per cambiare, il piccolo cucciolo era scomparso da qualche giorno. Si chiese cosa potesse fare un maialino piccolo come lui quando spariva per settimane. Si alzò e si diresse in bagno, cercando di sbrigarsi in caso Ranma, il suo pseudo fidanzato, avesse deciso di entrare in bagno senza bussare, cosa non così improbabile. Quel maleducato insensibile si era macchiato di crimini ben peggiori di quello, come quando si era infilato nella sorgente termale per rubare la tecnica segreta di Happosai. Anche se Akane doveva ammettere le aveva fatto piacere che si fosse messo in pericolo per impedire al vecchiaccio di molestarla.

Quando si accorse di essere arrossita al pensiero di Ranma nudo o quasi che la proteggeva si diede della stupida. Non era da lei fare pensieri del genere. Riprese a lavarsi il più in fretta possibile, cercando di lavasi via dagli occhi l’immagine di quel giorno con l’acqua fredda. 

A proposito del vecchiaccio, ora che ci pensava, aveva costretto suo padre ed il signor Saotome ad accompagnarlo ad allenarsi, anche se dai suoi intenti si capiva che, probabilmente, andava a molestare donne in un’altra città, e che probabilmente suo padre lo aveva invitato a rompere le scatole altrove solo per evitare che tutti a Nerima sapessero che il loro maestro era un pervertito maniaco della biancheria. Lei a Ranma avevano dei test scolastici, e lui non era stato costretto a seguire quel folle. Meglio così, avrebbero avuto qualche giorno di pace.  

Dopo essersi lavata scese in soggiorno per mangiare, dove venne interrotta da sua sorella Kasumi, che, con il suo solito tono calmo e dolce gli chiese: “Akane potresti andare a svegliare Ranma? Arriverete in ritardo a scuola.”  

“Va  bene, ma perché tocca sempre a me?” disse scocciata la ragazza, risalendo le scale per andare a svegliare il ragazzo. Si accostò alla porta, bussando e chiamando, nel tentativo di non dover andare a scuotere il ragazzo dal suo letargo, conscia che la vista del volto di Ranma da addormentato aveva lo stano potere di causargli un subbuglio interiore, dato che, quando aveva la bocca chiusa e non diceva cattiverie, era davvero carino. Almeno di faccia. Scacciò quei pensieri con un gesto della mano ed aprì lo scorrevole, ritrovandosi davanti ad uno strano spettacolo: Ranma era si nel suo letto, ma allo stesso tempo il fouton era occupato anche da un’altra figura, più minuta di lui, con i capelli rossi e forme palesemente femminili, avvinghiata a lui.   

Immediatamente un brivido risalì la spina dorsale di Akane Tendo. Il terribile sospetto che si trattasse dell’ennesima fidanzata sbucata dal nulla la assalì, e così fece la prima cosa che le venne in mente. Colpì il ragazzo con tutta la sua tremenda forza. “PORCO!!” gridò, scappando via dalla stanza sull’orlo delle lacrime. 

 

Dal canto suo Ranma non capì cosa cavolo fosse successo finché non si guardò attorno dopo essersi ripreso dal colpo della sua “fidanzata”. Davanti a lui c’era una ragazza dall’aria stranamente familiare, profondamente addormentata nonostante le urla di Akane. La dormiente era rossa di capelli, ben dotata, snella ma muscolosa e cosa più importante, o imbarazzante, Ranma sul momento non seppe dirlo, era completamente nuda. 

Ma la cosa che fece pietrificare il ragazzo fu un’altra. Il volto, il volto della ragazza di fronte a lui, era quello di lui in forma di ragazza!

Sapeva che era successo, in passato, che Happosai gli avesse fatto il brutto scherzo di dividerlo in due, ma c’era qualcosa di diverso questa volta. La persona davanti a lui era così vera, così reale, che non poteva essere lo spettro della sua parte femminile. Pochi secondi dopo la ragazza aprì gli occhi, trovandosi davanti un scioccato ed allibito Ranma, che la guardava come fosse un’aliena. E la sua reazione non fu molto di versa da quella che avrebbe avuto lui in forma di ragazza se un’uomo si fosse infilato nel suo letto. Gli diede il colpo più forte del suo repertorio. Ranma non si era mai colpito da solo, ma doveva ammettere che anche con la sua forza, ridotta in quanto femmina, i suoi pugni erano più pesanti di quelli di Akane. La ragazza poi tirò la coperta verso di sé, per coprirsi il corpo nudo, lanciando un urlo molto simile a quello di Akane: “MANIACO!!!” rifilandogli un’altro schiaffone in volto. 

 

Questo prima di rendersi conto che il manico era lei. O meglio, era lui. Insomma, davanti hai suoi occhi c’era Ranma in versione maschile. Si era svegliata perfettamente conscia di essere donna, senza neanche chiedersi come fosse possibile. Uno scherzo di Happosai? No, ricordava le sensazioni che provava quando si trasformava in ragazza, me ora era diverso. Sentiva una vergogna, un pudore, che non aveva mia o quasi provato nella sua vita da quando si trasformava. Non gli era mai capitato. Si sentiva una donna, una vera donna, per la prima volta. Il terrore si impadronì di lei. La confusione, la paura e l’incapacità di comprendere cosa le stesse succedendo le fece girare la testa, al punto che svenne.

 

Quando Ranma, quello maschio, si riprese dallo shock, la prima cosa che fece fu uscire di corsa dalla camera, sbattendo la porta. Era terrorizzato. Se quella in camera era lui in forma di ragazza, lui chi era? Sia Akane sia la se stesso donna lo avevano colpito, quindi non era una fantasma. Sentiva tutte le sue parti del corpo al posto giusto, anche se controllò comunque, per scrupolo, le mutande. Ma anche lì tutto a posto. Cosa diavolo era successo allora? Si fiondò in bagno, infilando la testa sotto l’acqua fredda. Ma non successe nulla. Non si abbassò, non gli spuntarono i seni e non si sentì diverso. Cosa cavolo era successo quella notte? Era un’altra conseguenza della sua maledizione? Oppure era un mezzo miracolo? Non si sentiva diverso, quindi magari era finalmente tornato un ragazzo normale! Ma rimaneva la domanda: cosa fare con la sua versione femminile? Non aveva idea di cosa avrebbe potuto o dovuto fare con lei. Sarebbe scomparsa? Sarebbe rimasta con loro? Magari si sbagliava, magari era solo un’ennesimo scherzo di Happosai. Ma quegli occhi, quelle espressioni, qui colpi, potevano essere solo i suoi. Era certo dell’identità della ragazza, ma come si sarebbe dovuto comportare?

Dopo un minuto buono di riflessione decise che doveva parlare con lei. Per capire almeno cosa diavolo fosse successo. Prese un grosso respiro e si diresse verso la sua camera. Bussò alla porta, ma non ricevette alcuna risposta. Si azzardò a guardare nelle stanza, ma vide la ragazza riversa per terra. Si trattenne dell’urlare e corse al piano di sotto, dove trovò un Akane arrabbiatissima, ma al momento non gli interessava. Balbettando e ansimando per lo shock riferì, “Ranma… me stessa… svenuta… chiamate aiuto”  Due su tre delle ragazze Tendo lo guardarono stranite, ma la stessa Akane riuscì a fare due più due con quello che aveva visto in camera del ragazzo e corse di sopra a confermare il nuovo sospetto che Ranma le aveva instillato in testa.

 

Sospetto che la ragazza vide confermato appena entrò in camera. Davanti a lei infatti c’era, senza ombra di dubbio, Ranma nella sua forma femminile, svenuta e pallida. E quello che era venuto a chiamarle era senza dubbio Ranma maschio. Cosa diavolo era successo? Bhe, ora doveva aiutare la ragazza, così corse a chiamare il dottor Tofu, premurandosi di avvertire che Kasumi non era in casa. Altrimenti di dottore si sarebbe rincretinito prima di arrivare, decisamente troppo innamorato della sorella. “Tranquilla Akane, arrivo il più presto possibile, per ora mettile del ghiaccio in testa e falla sdraiare per bene.” ordina il dottore. “Dottore, devo vestirla? Lei è… insomma, è completamente nuda!” “Akane, io sono un dottore. Non dovete imbarazzarvi, ma se proferisci fallo pure.”

Amane corse a guardare nei cassetti di Ranma, ma ci trovò, con suo profondo imbarazzo, solo biancheria da uomo. Rossa come un peperone, si recò in camera sua e prese uno dei suoi pigiami, che mise addosso alla ragazza, mentre le sorelle la raggiungevano e osservavano, stupite, Ranma ragazza con, al suo capezzale, Ranma ragazzo, preoccupatissimo. “Nabiki, per favore, porta Kasumi in soggiorno e non farla salire per nessun motivo” “Va bene sorellina, ma perché non dovrebbe salire?” “Ho chiesto al dottor Tofu di venire a visitare Ranma, e non voglio rischiare che le faccia del male perché troppo distratto da lei.” Nabiki assunse uno sguardo astuto “Sorellina, non ti starai preoccupando troppo per lei?” “E’ solo una ragazza in difficoltà, la aiuterei anche se fosse una sconosciuta!” disse Akane, stranamente senza arrossire. 

 

Il dottore arrivò poco dopo, e venne fatto salire, senza troppi preamboli, in camera, dove si ritrovò davanti ad uno spettacolo che non seppe spiegarsi nemmeno lui, che di cose ne aveva studiate. Davanti a lui c’erano due persone, quasi perfettamente uguali, con le uniche differenze che una aveva i capelli rossi e uno li aveva neri. E naturalmente la minima differenza del fatto che la rossa era femmina e il more era maschio. Ma quelli erano dettagli. Ono Tofu fece l’unica cosa che avesse senso. Le fece una visita medica completa, chiedendo al Ranma ragazzo di uscire, e facendosi assistere nella visita da Akane. La ragazza fisicamente stava bene, a versava in un profondo stato di shock, probabilmente, almeno secondo lui, causato dalla separazione dal vecchio corpo. Ma perché anche il maschio non aveva subito conseguenze, si chiedeva Tofu. Forse, essendo lui l’originale, Ranma ragazza si era ritrovata con mezza identità, non con una personalità intera come quella di Ranma ragazzo, che si era formata in diciassette anni di vita, ma solo con piccoli frammenti di memoria e parti di personalità, troppo frammentata e debole per comporre una vera personalità che potesse sorreggerla. “Akane, puoi chiamare Ranma ragazzo per favore?” “Va bene dottore, ma perché?” Devo parlare con lui di questa ragazza, poi rimani anche tu.” Akane uscì dalla porta, ma solo per trovare un Ranma preoccupatissimo che camminava avanti e indietro per il corridoio, con un’espressione che non gli aveva mai visto in faccia. O meglio, forse un paio di volte si, ma non così spesso. Era preoccupato. Davvero preoccupato. Quando la vide praticamente le saltò addosso. 

 

“Cosa ha detto il dottore? Chi è? Lei è me? Oppure io sono lei? Non so che pensare, Akane, dimmi che ha detto!” Ranma era terrorizzato. Aveva paura, lui si sentiva a posto, ma forse si sbagliava, forse era lui il doppio. Per la prima volta da molto, molto tempo lui era spaventato. Si vergognava, ma le uniche volte che aveva avuto così paura era quando rischiava davvero di perdere Akane. “Ranma, Ranma, dannato stupido, calmati! Il dottore ha detto che dobbiamo parlare con lui insieme, entra avanti” 

Entrambi entrarono e si sedettero davanti al dottore. Ranma continuava a fissare il se stesso ragazza, sentendo l’apprensione crescere il lui. Ascoltò tutta via con attenzione quello che diceva Tofu: “Allora, io reputo che, anche se non so come possa essere successo, Ranma ragazzo e Ranma ragazza si siano divisi. Il problema è che Ranma ragazza non ha tutti i ricordi che hai tu, ragazzo, quindi non ha la stessa stabilità psichica. Dovreste creargli voi un’identità credibile, per esempio come gemella di Ranma maschio, tanto il tuo nome è sia femminile che maschile, a seconda che si scriva in   

Kenji, per il maschile, o in Hiragana, per il femminile. Se le raccontate che ha avuto un’amnesia dovrebbe crederci, dato lo stato di shock in cui è. Ma la recita dovrà essere convincente, e vi dovranno aiutare tutti quelli che conoscono il tuo… problema, Ranma. Tutto chiaro?” Ranma maschio, ed Akane accanto a lui, annuirono, ma lui, forse non del tutto convinto chiese: “Ma Lei come sta fisicamente Dottore?” Tofu lo guardò perplesso “Tu come stai?” “Io benone, perché?” “Allora sta bene anche lei. Fino a poche ore fa eravate la stessa persona, non dimenticarlo. Buona fortuna, appena ti riprende abbastanza portatela in cinica per un controllo completo, fino ad allora la affido a voi.” 

Il dottore stava scendendo le scale, quando i due ragazzi sentirono la voce di Kasumi salutarlo, e, insieme alla risposta del dottore, anche uno schianto, segno evidente che si era distratto e che era caduto dalle scale. 

Ranma rivolse un’altro sguardo al se stesso donna, poi si rivolse ad Akane con il terrore negli occhi e la voce che tremava. “Akane, cosa possiamo fare?” la ragazza lo guardò stranita. Non era da Ranma essere così terrorizzato. “Cosa credi che potremmo fare? Seguiremo le istruzioni del dottor. Tofu, né più né meno, se non altro perché non abbiamo scelta. O tu hai un idea migliore?” Ranma abbassò lo sguardo. “No. Hai ragione, facciamo come ha detto lui.”

 

Akane era allibita. Ranma le aveva appena dato ragione? Era una data da segnare sul calendario. Ma guardare come lo sguardo del ragazzo si era focalizzato sulla nuova arrivata le provocò una fitta di gelosia, che le attraversò il petto come una scheggia di ghiaccio. Ma si rese conto che non era una fidanzata gelosa quello di cui Ranma aveva bisogno in quel momento. Lui aveva bisogno di aiuto, di qualcuno in grado di dargli una mano in modo disinteressato e sincero, che sapesse come gestire quella che, a quanto pare, sarebbe diventata un membro extra della già incasinatissima famiglia Saotome. Sarebbe dunque dovuta essere lei quella persona, senza farsi troppi complessi o gelosie verso quella che, sapeva, sarebbe potuta essere una grande amica. Scese quindi a parlare con le sorelle per raccontare quanto era successo e come avevano deciso di fare con Ranma ragazza, o meglio con Ranma, come sarebbero stati costretti a chiamarla da quel momento in poi, e lasciò al ragazzo con il codino il compito di attendere il risveglio della ragazza. 

 

La ragazza aprì gli occhi. Sentì dei passi, poi una porta che si chiudeva. Altri passi. Girò lo sguardo verso la fonte del rumore. Davanti a lei c’era un ragazzo con i capelli neri e gli occhi blu. Di un blu profondo e ricco di sfumature. Un blu incredibilmente familiare. Anche i tratti di lui erano familiari, come se li conoscesse da sempre. Ma poi uno strano dubbio la assalì. Chi era lei? Che ci faceva lei in quel posto? Forse quel ragazzo sapeva qualcosa. “Chi sei? Dove sono? Chi sono?” “Ma come, non ricordi?” La ragazza si sentì smarrita. Cosa doveva ricordare? La voce di quel ragazzo era così familiare.  “No, non ricordo nulla.” Il ragazzo mise suon espressione molto tenera, che scaldò il cuore della ragazza senza memoria. “Tu ti chiami Ranma Saotome, come me, sei la mia sorellina gemella, e sei una grande artista marziale, esattamente come il tuo fratellone.” 

La ragazza lo guardava stupita “Il mio… fratellone?”

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutte/i i fan di Ranma 1/2, questo fantastico manga/anime che, lo dico senza alcuna vergogna, mi ha conquistato ed ha fatto sciogliere il mio cuore con i continui tira e molla tra i due protagonisti, oltre ad avermi fatto letteralmente ammazzare dalle risate, in entrambi i suoi formati. Questa è la prima storia che pubblico su questa pagina ed è anche la mia prima storia da oltre un’anno a questa parte, quindi vi prego siate clementi. Detto questo mi auguro che la mia allucinante avventura, ma neanche troppo per la media dell’opera, vi piaccia.

A proposito, in questa storia solo la famiglia Tendo e pochi altri sono a conoscenza della maledizione di Ranma, e la storia inizia una settimana prima della visita di Nodoka, e cambia in parte o in toto la trama dell’anime da ì in poi, ed ignora gli OAV e il film. Ho fatto questa scelta solo perché mi è più facile lavorare sulla trama dell’anime, che è un poco più semplice, dato che devo inventare da zero un pezzo di storia, cosa che con il manga sarebbe stato… difficile. Inoltre lo so che ho chiamato entrambi i Ranma Ranma, ma, come ci spiega Tofu, il suo nome è usato per entrambi i sessi, anche se viene scettico con caratteri diversi. Io, per ovviare al problema, scriverò il nome di Ranma maschio in normale stampatello, e il nome di Ranma ragazza in corsivo.

Ed ora che ho detto questo mi auguro che sia stata una buona lettura e, spero, con qualche piccola risata. Magari lasciatemi una recensiocina per farmi sapere che ne pensate.

Grazie dal vostro 

Jacob Stark

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Capitolo 2
*** Io, Akane e Ranma ***


 

Cap 2

Io, Akane e Ranma

 

 

Ranma

“Fratellone?”

La ragazza lo guarda stupita. Per qualche motivo gli tornava. Sentiva un forte legame con il ragazzo davanti a lui. Se avesse avuto uno specchio avrebbe anche potuto dire se davvero si somigliavano, ma pare qualche motivo ci credeva. Anche il suo tono le sembrava familiare, come se lo conoscesse da sempre e lui l’avesse sempre protetta. Gli credeva. Dopo averla osservata osservarlo il ragazzo riprese a parlare. “Si, il tuo fratellone Ranma.” “Anche io mi chiamo Ranma?” “Si, è un nome adatto per entrambi i sessi.” “Perché ai nostri genitori piaceva così? Non l’ho mai capito. Ti senti bene?” La ragazza lo guardò, facendo un cenno affermativo con la testa.  “Cosa mi è successo? Perché non ricordo nulla?” “Sei scivolata durante un’allenamento.” “Ma io non sento dolore alla testa!” Per un istante negli occhi del ragazzo passò uno sguardo imbarazzato, poi rispose “Vedi, il dottore ha detto che a volte le botte che non lasciano segni possono essere molto peggio di quelle che ti fanno venire un bernoccolo.” “Davvero?” “E’ così che ha detto il dottore.” “Ma recuperò mai i miei ricordi?” Il ragazzo fece una faccia addolorata “Non lo sappiamo. Purtroppo il dottore ha detto che potrebbero tornare domani, oppure mai. Ma diceva che probabilmente ne recupererai solo una parte, magari quando incontrerai qualcuno che te li farà tornare in mente.” La ragazza si spaventò un pochino quando capì che forse non avrebbe mai recuperato i suoi ricordi, ma per qualche motivo non sentiva paura. Era quello che avrebbe dovuto sentire in quel momento, ma per qualche motivo non né aveva. Si sentì riempire di coraggio. Non si sarebbe fatta sconfiggere dall’amnesia. Avrebbe fatto ripartire la sua vita, ricordi o meno. Si chiese se, almeno, le abilità marziali a cui il ragazzo aveva accennato non ne avessero risentito. Si sedette, rendendosi conto di indossare uno strano pigiama verde chiaro decorato con paperelle gialle. Si sentì un po’ in imbarazzo, anche perché non lo sentiva molto suo. Aveva un odore strano. Poi vide che il ragazzo era arrossito. “Perché arrossisci fratellone?” Il ragazzo ingoiò a vuoto. “Scusa, ma quello il pigiama di Akane e…” Ranma, ormai aveva accettato il suo nome, chiese, senza dare tempo al ragazzo di rispondere “Chi è Akane?” Il ragazzo prese un gran respiro “Lei è una delle figlie di Soun Tendo, un vecchio amico di papà, che nell’ultimo anno ci ha ospitati a casa sua. Tra le altre cose papà ha deciso di farci fidanzare. Ma sta attenta, è violenta, rozza e per niente carina.” 

 

Akane

Intanto Akane era in soggiorno, occupata a spiegare alle sue sorelle che cosa era successo e come avevano deciso di agire. “E quindi questo è tutto. So che potrebbe essere una seccatura, ma dateci una mano.” Nabiki, col suo solito tono scocciato “E per quanto dovrebbe durare tutto questo?” “Non lo sappiamo” rispose Akane “Ma da quanto ha detto il dottor Tofu il suo corpo è perfettamente normale, quindi potrebbe essere per sempre.” “Pazienza, vuol dire che prepareremo per una persona in più.” disse la sempre tranquillissima Kasumi. “Grazie Kasumi, grazie Nabiki. Oh, sento i loro passi. Pronte alla recita.” “Scusa Akane, ma come avete deciso di chiamarla?” chiese Kasumi “Ranma, eccola” “Che stupidaggine” bofonchiò a bassa voce Nabiki. Quando i due ragazzi fecero il loro ingresso nel salotto tuttavia Akane non poté non notare le espressioni stupite delle sorelle nel vedere i due Ranma, maschio e femmina, entrare nel salotto. Finalmente Akane poté osservarli e paragonarli. Lei era più bassa di diversi centimetri, circa come lei, ed aveva una gran massa di capelli rossi, con un codino uguale a quello di Ranma, ed esattamente gli stessi tratti. Avevano persino gli stessi occhi. L’unica cosa diversa era lo scintillio degli stessi. Quello di lei era più dolce, mentre quello di lui era più deciso. Ma a parte queste differenze i due erano perfettamente uguali. Il ragazzo le aveva persino prestato uno dei suoi completi. Era realmente come avere due versioni della stessa persona davanti agli occhi. La ragazza aveva uno sguardo titubante, ma salutò comunque con un inchino. “S-salve a tutti, io sono Ranma Saotome. Voi dovete essere Akane, Nabiki e Kasumi. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per noi, e per l’aiuto che mi state dando. Spero che la mia amnesia non vi crei troppi problemi. Anche a te Akane.”

 

 

Ranma

La rossa si rivolse alla persona giusta.  Per fortuna che Ranma gli aveva descritto le sorelle in modo da riconoscerle senza troppi problemi. Ma secondo lei suo fratello si sbagliava. Akane era molto carina, anche se non era molto femminile. Aveva i capelli corti, ed un’espressione di sfida sul volto. Ma aveva un bel ricordo di lei. Credeva di ricordare che la prima volta che si erano incontrate si erano divertite durante un incontro di lotta. 

Kasumi emanava un aura materna. Era come se dicesse… casa. Aveva occhi grandi e dolci, e fluenti capelli castani. Era davvero bella. Nabiki aveva uno sguardo inquietante, della serie “come posso sfruttare la situazione?”. L’intuito le diceva che con lei era meglio fare attenzione e non credere a nulla di quel quello che diceva. Si sedette a tavola, mettendosi accanto a suo fratello, che si era messo, apparentemente a caso, proprio dinanzi ad Akane, e si era messo a scambiarsi sguardi con la ragazza, ma non capiva se di odio oppure di una strana complicità reciproca. Erano davvero strani. Certo che per essere due fidanzati costretti a esserlo erano davvero carini insieme. Chissà se erano solo molto timidi? La colazione era buonissima, piena di amore materno. Fece i complimenti a Kasumi, che il fratello gli aveva detto essere la cuoca di casa. Poi la stessa disse: “Allora ormai avete perso la scuola, quindi approfittatene per riposare. Finite la colazione e andate in camera o nel dojo, io devo fare le pulizie.” Dopo aver finito, nella smania di rendersi utile, aiutò a sparecchiare, mentre il fratello e Akane si dirigevano al dojo per allenarsi. Anche lei non vedeva l’ora di allenarsi, ma voleva aiutare. Così li raggiunse poco dopo, ma nella palestra c’era solo la ragazza, per giunta parecchio arrabbiata. Chissà cosa aveva. Gli odori del dojo le risvegliarono un’irresistibile voglia di muoversi. Si sentiva un pochino rigida, ma fece comunque un paio di capriole acrobatiche, che le vennero naturali. Era felice, ma si ritrovò a mezzo centimetro dal volto di Akane, che era arrabbiatissima. E che la guardò malissimo.

 

 

Akane

Akane era arrabbiata. Ancora una volta Ranma aveva detto che lei non era abbastanza brava per allenarsi insieme, dato che lui non ne avrebbe tratto benefici. Che egoista, che rabbia, che rabbia! Poi lo ritrovò davanti, in versione di ragazza. “Ranma, dannato stupido!” Poi Ranma fece un espressione confusa. “Perché sarei una stupida?” Akane divenne rossa come i capelli della ragazza. “Scusa, ero arrabbiata con tuo fratello.” “E perché?” “Ha detto che come compagna di allenamento non servo a nulla, e si rifiuta di aiutarmi!” “Che scortese! Se vuoi gli dica quattro paroline? Anche se non mi ricordo, se quello è davvero mio fratello un minimo di ascendente su di lui lo avrò, vero?” “Mah, quello non ascolta mai nessuno!” “Allora lo picchierò fiche non mi darà retta!” Akane notò che le parole le erano uscite con una spontaneità incredibile. Era proprio uguale a Ranma da ragazzo, almeno come carattere. La prima cosa a cui aveva pensato erano le mani. “Ok, ma prima che ne dici di allenarci insieme? Sono sicura che combattendo ti torneranno in mente delle cose.” La ragazza con il codino le fece un sorriso anche troppo familiare “Bene, non farmi troppo male.” “Tranquilla, sarà una cosa amichevole. In fondo siamo tra ragazze.” disse Akane, sorridendo e ripensando alla prima volta che aveva incontrato Ranma. 

L’incontro ebbe inizio. Akane attaccò per prima, e Ranma faceva un po di fatica a starle dietro. Si muoveva in modo un po’ goffo, sembrava che si sentisse troppo leggera.  

 

 

Ranma

Era difficile. Era come se fino ad allora fosse stata intrappolata in un corpo molto più pesante. Era come se fosse abituata ad uno stile di combattimento sbagliato per lei. Le veniva più da parare i colpi di Akane che da schivarli, ma sapeva che era il modo sbagliato di fare. E poi ogni volta che provava una mossa finiva sempre per arrivare troppo presto, come se non riuscisse a controllare la sua velocità. Era strano. Ma dopo poco lo sentì. i muscoli si scaldavano, e sempre di più si abituava alla sua mobilità. Le mosse gli venivano spontanee, come se le conoscesse da sempre. Certo, i tempismi dei colpi erano ancora sbagliati, ma finalmente riusciva a a muoversi come voleva. Solo allora cominciò il vero combattimento. Subì un calcio, e ne approfittò per allontanarsi con un salto e rimettersi in guardia. 

Akane cercò di sferrarle un pugno, ma lei lo schivò con facilità, spostandosi semplicemente fuori dalla traiettoria del colpo, per poi portarsi alle spalle dell’avversaria con facilità, mentre la ragazza provava a rispondere all’aggiramento con un calcio rotante, nel tentativo di di colpirla, ma Ranma si abbassò alla velocità della luce, appendendosi, in un lampo di creatività, alla gamba di Akane, e usandola come punto d’appoggio per darsi lo slancio e colpire l’amica con un doppio calcio proprio dietro la testa. 

 

 

 

Akane

Akane venne sorpresa da una mossa così inaspettata, e incassò il colpo, rimanendo stordita. Era sorpresa dall’agilità e la velocità di Ranma ragazza, decisamente superiore a quella della sua controparte maschile. Era decisamente un’avversaria temibile, ma, dopo averla colpita, si era ritirata, rimessa in guardia e era pronta a ripartire. Si scosse e si rimise in guardia anche lei. Non l’avrebbe mica lasciata vincere. D’altronde era pur sempre uno scontro, e non avrebbe perso per nulla al mondo. Continuarono a combattere per altri trenta minuti buoni, con intensità sempre crescente. Purtroppo per Akane,  Ma Akane per la prima volta da tanto tempo si divertiva davvero a combattere con qualcuno. Qualcuno si più forte di lei, ma non presuntuoso come Ranma, ma più gentile. Che la metteva in difficoltà, ma con i fatti, e non prendendola in giro. Ogni tanto le faceva notare come la sua guardia fosse carente da un lato o dall’altro, così che potesse correggersi e migliorare. Non aveva nulla da dire. Quella ragazza forse era la versione femminile di Ranma, ma non ci somigliava affatto. Era gentile, carina ed educata. possibile che anche Ranma fosse così in realtà? Persa nei suoi pensieri non si accorse del calcio rotante che le stava arrivando in testa. E che la mandò a terra in un’istante. Il colpo di grazia. Aveva perso. Contro una ragazza che nemmeno si ricordava il suo nome a momenti. Non le piaceva, ma era così. Era a terra, stordita dal colpo preso, quando la voce della ragazza la ricosse. “Sei bravissima! in un paio di occasioni mi hai messo davvero in difficoltà.” Akane per un istante si sentì offesa. Era normale, era stata ancora sconfitta da Ranma. Ma c’era qualcosa di diverso. Non era stato così brutto. Per qualche motivo non riusciva ad arrabbiarsi, come la primissima volta che aveva combattuto contro Ranma ragazza, nel loro primo incontro. Nonostante la frustrazione accettò la mano che la ragazza le offriva. E mentre si alzava capì. Si era divertita. Non capitava da una vita, ma si era veramente divertita a combattere, così anche se aveva perso non le interessava. Si era divertita! Scoppiò in una risata liberatoria. Si rimise in guardia. Era così contenta che non si accorse della presenza di Ranma.

 

 

Ranma

Aveva osservato il combattimento. La sua “sorellina” era brava. Ma non poté evitare di provare una punta di gelosia nel vedere le due ragazze duellare. Lui, con la sua presunzione, non era mai riuscito ad allenarsi come si deve con Akane. L’aveva sempre ritenuta  troppo debole e imapacciata per allenarsi con lui, cosa che per altro gli aveva confermato il combattimento appena visto. Akane era troppo lenta, e troppo goffa, ma era migliorata. Era davvero migliorata, e ,allenatosi con sua sorella, probabilmente sarebbe migliorata ancora. Sorrise, pensando a quanto fosse incredibile la semplicità con cui aveva accettato di avere una sorella che era, in realtà la sua versione femminile, eppure era abbastanza certo che la cosa fosse abbastanza sconvolgente. Forse ne aveva semplicemente passate troppe per stupirsi ancora. Forse era stato davvero un bene che la sua forma di donna si fosse separata da lui. Anche se all’inizio aveva paura, ora si sentiva tranquillo come non succedeva da tempo. Era strano. Non era in grado di dire cosa fosse successo, ma sentiva il cuore leggero, come se avesse fatto qualcosa di buono. Scosse le spalle e si diresse verso casa, mentre le due ragazze continuavano ad allenarsi nel dojo. Compì il suo solito allenamento quotidiano, con un po’ d’anticipo rispetto al normale. Quando tornò a casa era ormai ora di pranzo, e vide che, in poche ore, Akane e la sua versione femminile avevano legato davvero molto. In quelle tre o quattro ore in cui i due si erano allenate insieme la sorella aveva creato in legame di gran lunga più stretto con Akane di quanto non avesse fatto lui in oltre un anno e mezzo. Magari si sarebbe potuto far dare una mano, per scoprire come penetrare l’impenetrabile corazza che avvolgeva continuamente la sua fidanzata. La sua carinissima fidanzata, pensò Ranma. Arrossì un po’, rendendosi conto che, a dispetto di quello che diceva sempre, pensava che Akane fosse davvero carina. Aveva quell’aspetto dolce ed un po’ ingenuo che lui adorava, ben diverso da quella rompiscatole di Shampoo o da quella pazza di Kodaci. 

Arrossì e scacciò quel pensiero. No. Non era il momento per sdolcinatezze. Anche perché un grido richiamò la sua attenzione: “Attento fratellone!”

 

 

Ranma

Aveva notato che Ranma le stava guardando da un po’, e pensava di aver capito. Gli occhi di quello che diceva di essere suo fratello non lasciavano mai Akane. La scrutavano con troppa attenzione per una persona che la stava solo giudicando. A Kasumi aveva chiesto cosa diavolo stesse succedendo, e perché suo fratello e Akane fossero impegnati in quell’assurdo tira e molla. Kasumi le aveva spiegato brevemente il problema delle varie pretendenti, e del fatto che, in teoria quei due erano fidanzati, ma non erano mai riusciti a fare nient’altro che litigare, anche se in un paio di occasioni sia lei che lui avevano dimostrato una particolare dolcezza l’uno per l’altra. “E io? Che rapporto ho con Akane?” aveva chiesto la rossa. Kasumi aveva esitato un’attimo prima di rispondere “Siete grandi amiche.” lo aveva detto con uno strano sorriso furbo sul volto, come se ci fosse un segreto dietro alle sue parole. Ma non le importava molto. Aveva intenzione di aiutare quella che era, evidentemente, una sua cara amica e suo fratello. Avrebbe anche potuto essere divertente. Per questo, appena vide suo fratello sulla porta del dojo che le osservava e che teneva gli occhi inchiodati su Akane, decise di far avere ad entrambi un piccolo incontro ravvicinato. Afferrò il braccio dell’amica mentre questa provava a colpirla con un pugno, e, con un proiezione, la mandò a schiantarsi contro il ragazzo, al grido di: “Attento fratellone!”

Ranma prese si al volo la ragazza, ma ricevette anche un mezzo schiaffone da Akane, a cui aveva involontariamente, o forse no, pensò con malizia la rossa,  palpato il seno. “Scusa Akane. Non avevo visto mio fratello.” “Non preoccuparti cara, è colpa sua. Pervertito!” disse Akane, rossa come un peperone e con un tono arrabbiatissimo. Ma la rossa notò che il tono e l’espressione della sua amica non corrispondevano. Era evidentemente felice che Ranma l’avesse presa la volo, ma si vergognava troppo per mostrarlo. Si accostò al fratello steso a terra. “Scusa fratellone. Forse è stato un’approccio un po’ troppo diretto.” “Un approccio?” Ranma era rosso come un peperone, e Ranma fece un sorrisetto furbo. “Si, non vorresti avvicinarti ad Akane? Ho visto come la guardi!”

 

 

Ranma

Sentiva la vergogna, come fosse un polpo che gli attanagliava il cuore. Era imbarazzato, perché quella ragazza aveva capito, in cinque minuti scarsi, che a lui piaceva Akane. Forse dipendeva dal fatto che lei era parte di lui, ma aver capito quel sentimento che lui nascondeva da quasi due anni in meno di cinque era qualcosa che lo spaventava. “Sorellina, cosa… ?” “Te la stavi mangiando con gli occhi.” “Cosa credi di aver capito?” “Intuito femminile? Comunque, non vorresti sapere cosa ne pensa lei di te? Magari con me si apre.” Ranma era allibito. Certo gli sarebbe piaciuto saperne se Akane provava qualcosa di più di un semplice sentimento di affettuosa amicizia. Magari, senza il terrore di vedersi umiliato, sarebbe finalmente riuscito a fare un dannato passo avanti. “Stai pensando ancora a lei?” La voce della rossa  lo scosse dai suoi pensieri. Ma lui era così irritante? Probabilmente si, si disse sconsolato. Ma, nonostante sapesse di non poter mentire a se stesso, decise di farlo comunque. “Ma cosa dici!? Chi degnerebbe di una sola occhiata quel maschiaccio manesco e scontroso?” “Sarà l’amnesia ma non ti credo!” Disse la ragazza, con un sorriso furbo e una linguaccia. Poi scappò fuori dal dojo. “Dove vai?” chiese il ragazzo “A fare il bagno con Akane, mi ha detto che mi aspetta in vasca. Ciao!” Ranma arrossì come non era mai arrossito. Stava per fare il bagno con Akane? Ma così era come se anche lui avesse fatto il bagno con lei. No, non era così. Lei era una persona diversa ora, non era certo lui. Ahhh! che confusione che aveva in testa: Decise che gli ci voleva un’allenamento doppio o triplo, per poter ignorare la miriade di pensieri che gli frullavano nelle testa. 

Rimase nel dojo fino a tarda ora, quando decise di fare una doccia prima di cena. Mentre rientrava in casa e si dirigeva in bagno sentì delle lievi risate provenire dalla stanza di Akane, così decise di dare un’occhiata. Bussò nella stanza, ma non ricevette risposta, così entrò. 

Lo spettacolo che si trovò davanti lo fece morire d’imbarazzo. C’erano Ranma e Akane che si provavano dei vestiti. Solo che sua sorella era in intimo, con tutte le grazie all’aria. Ranma cadde a terra, rosso come un peperone e in stato di shock. Neanche il tempo di riprendersi che un colpo combinato delle due lo spedì per aria, facendolo schiantare nel laghetto davanti casa. Ranma si alzò con la testa dolorante, seccato di doversi trasformare di nuovo, quando si ricordò che non si sarebbe più trasformato. Era decisamente soddisfatto. Decise di rientrare e farsi finalmente la doccia. “Ranma, ma come mai hai raddoppiato il numero di ceffoni?” Chiese Kasumi, ed il ragazzo, specchiandosi nel vetro della finestra, notò che aveva due impronte di mani quasi simmetriche su entrambe le guance. 

 

 

 

Akane

Akane aveva passato una giornata fantastica! Ranma ragazza era fantastica. Era simpatica, gentile, comprensiva, ed in un certo senso dolce. Era una ragazza con le sue stesse passioni, una cosa così rara. Ricordava quella sensazione e la identificava con quella che aveva provato quando i Saotome erano arrivati a casa loro. Non vedeva l’ora di parlare ancora con lei. Aveva persino accettato di farle da modella, provandosi i suoi vestiti. Si erano divertite, ridendo e scherzando come non le capitava da tempo. Stare con Ranma era stancante, la costringeva a rispondere sempre colpo su colpo, senza poter quasi mai rilassarsi davvero con lui, tranne in un paio di occasioni. Occasioni che aveva rinchiuso nel suo cuore promettendosi di non dimenticarle. A riscuoterla dai suoi pensieri arrivò la voce di Kasumi, che le chiamava per la cena. Scesero insieme, continuando a chiacchierare di come fosse la situazione dal posto, per far capire alla rossa come andavano le cose a Nerima. 

A cena litigò con Ranma, come al solito, che se né andò in camera sua, ben deciso a non uscire dalla sua stanza. Akane invece dice di uscire e sulla veranda a prendere un po’ d’aria. Qui, mentre osservava il cielo e si godeva il fresco delle prime sere di primavera sentì un “oik-oink” che proveniva dal giardino. Un sorriso le si dipinse sul volto. “Ciao P-chan, dove eri finito?” Disse, accogliendo il porcellino nero fra le sue braccia, coccolandolo un po’, consolandosi con lui per la lite di poco prima con Ranma. Poco dopo apparve Ranma, che, un po’ imbarazzata chiese: “Senti Akane, stanotte potrei dormire con te? Mi sento un po’ a disagio.” Akane sorrise, annuendo. “Tranquilla, non mi dà fastidio. Saliamo, sono sicura che sei stanca.” P-chan, incomprensibilmente, scoppiò in lacrime e scappò via. “Ma chi era quel porcellino?” “Oh, lui è P-chan, un porcellino molto tenero, che spesso sta qui.” ”Sarà a causa dell’amnesia, ma quel porcellino mi sembra che ti guardasse con occhi strani. Ho quasi uno sguardo umano.” “Ma no, che dici!” disse Akane, divertita.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Secondo capitolo online!

Ringrazio fenris e Miss Hinako per aver lasciato una recensione, alle due persone che hanno deciso di seguirla e a quella che a deciso di ricordala, grazie davvero, oltre alle 114 persone che hanno letto il capitolo.

Allora, questo è il secondo capitolo. Ed è un po’ la prova del fuoco per la storia.  Ammetto di essere un pochino nervoso. Ma non vedo l’ora di andare avanti. 

Vi dico giusto un paio di cose, diciamo un paio di avvisi:

1 - Alcuni capitoli, ma solo un paio o giù di lì, conterranno temi più pesanti del solito, e mi premurerò di segnalarlo all’inizio del capitolo in questione

2 - dopo che avrò introdotto tutti i personaggi principali comincerò a fare un paio di…  capitoli filler diciamo, ovvero capitoli destinati solo a divertire e far passare il tempo, e non a far progredire la trama. Anche perché non sono esattamente un fan dei salti temporali a caso, e vorrei che voi mi aiutaste. Io adoro rendere interattive le mie storie, così ho pensato di coinvolgere le lettrici e gli eventuali lettori, ma vi darò più informazioni sull’argomento al momento giusto. Ditemi cosa pensate di questa idea. 

 

Allora… 

vi è piaciuto il nuovo capitolo? 

Credo di star accellerando troppo le cose, ditemi se avete quest’impressione anche voi. Non c’è molto da dire, ma per chi vuole vi posso fare una domanda:

Indovinate chi arriva nel prossimo capitolo? Sempre che non si sia perso….

Ciao!

 

Jacob Stak

 

 

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Capitolo 4
*** RANMAAAAAA! ***


 

Cap 3


RANMAAAAAAAAA!!!!!!

 

 

Ranma

Sebbene fosse sabato si era svegliato presto, per riuscire a fare la sua borsetta mattutina. In realtà era anche un po’ seccato dal fatto che Ranma avesse dormito con Akane, non sapeva bene se era perché era goloso di Akane e perché sua sorella non si sentiva a suo agio con lui. Stava continuando la sua corsa quando un grido terrificante lo fece voltare, pronto alla battaglia: “RANMAAAAA!” “Oh, ciao Ryoga. cosa vuoi?” “RANMA!!!! Io ti faccio a pezzi! Come hai potuto dormire con Akane! Sei Solo Un Porco!” Ryoga lo aveva assalito, scandendo con furia ogni sillaba di quello che al ragazzo sembrò una lunga e interminabile farneticazione. “Ma che stai dicendo P-chan?” Ryoga era, oltre che furioso, anche disperato. “Taci! Ieri sera ti ho visto mentre le chiedevi di dormire con lei!” Ranma, per un momento, non riuscì a collegare cosa stesse dicendo il ragazzo, e si impegnò a difendersi, evitano i pugni terribili di Ryoga e la sua… micidiale? tecnica dell’esplosione. “IO TI AMMAZZO RANMA!!” Ryoga stava davvero perdendo il controllo. Il ragazzo con il codino continuava a schivare, lasciando che l’altro si sfogasse. Troppo tardi si rese conto di cosa stava per fare Ryoga. “COLPO DEL LEONE!”  Ranma venne sbalzato via dalla potentissima onda di energia scagliata dall’amico-nemico. Atterrò contro un muro, facendolo crollare. Ranma ora era davvero infuriato. “Ryoga, ora hai esagerato.” Ranma sentiva la rabbia riempire la sua mente, annullando i suoi buoni propositi di non colpire il ragazzo. “Ora basta Ryoga, con questo hai esagerato!” Saltò addosso all’avversario, colpendolo con centinaia di pugni quasi contemporaneamente, grazie alla famigerata tecnica delle castagne, mentre Ryoga subiva, attaccando con ancora più forza, senza neanche provare a difendersi. Combatteva come un pazzo, come se non gli importasse quanto male si faceva, come se non gli interessasse più nulla. 

Alla fine Ranma, con un calcio ben piazzato, riuscì a spedire Ryoga in un laghetto, trasformandolo in un porcellino nero, e, afferrandolo con una mano, si mise al riparo da ulteriori colpi tirati dal maialino. “Allora insinuatore folle, cosa avrei fatto io con Akane?” “oink-oink- grunf!” il povero Ryoga sembrava un maialino che stava per essere buttato in pentola mentre cercava, con tutte le sue forze, di divincolarsi dalla presa del ragazzo con il codino, senza però riuscire nell’intento. “Accennavi al fatto che io abbia dormito con Akane, ma io ieri sera sono andato a dormire subito dopo cena, proprio perché avevamo litigato. Quindi come avrei fatto a dormire con lei, anche se ne avesse vagamente mai poter volerlo fare?” il maialino lo guardò con aria interrogativa, confuso dalle parole sconnesse di Ranma “Allora?” Altri grugniti incomprensibili “Facciamo così Ryoga, ora io devo finire di correre, tu rimani qui, poi ti porto a casa e ti do dell’acqua calda, così magari rinsavisci un attimo e ci spieghiamo.” Poi lasciò cadere il porcellino a terra, ricominciando a correre e complimentandosi con sé stesso per la sua maturità. “Se quell’idiota non si perde a stare fermo” sogghignò il ragazzo, con un sorriso malvagio sul volto. 

 

 

Ranma

Ranma si era svegliata presto, complice l’entusiasmo e nonostante avesse passato tutta la notte a parlare con Akane. Si vestì con una tuta che l’amica le aveva prestato, che, tra parentesi, le stava larga hai fianchi e stretta al petto, e scese dabbasso, senza svegliare l’amica, per vedere se poteva aiutare. Vide Kasumi che preparava la colazione. “Kasumi posso darti una mano?” La dolcissima castana la guardò col suo solito sguardo da mamma “Si, grazie Ranma, ma sei sicura che non ti scocci? Tuo fratello non ama fare lavori da femmina.” “Ma lui è un maschio, io sono una femmina, e sono curiosa. Inoltre mi ha avvertito che la cucina di Akane è pericolosa, è vero?” Kasumi fece una faccia a metà tra il dispiaciuto e il preoccupato, “Si. - afferma, con aria rassegnata- Purtroppo papà l’ha addestrata solo a combattere, e temo che questo gli abbia tolto qualunque grazia femminile.” Alla rossa Kasumi sembrò davvero sconsolata. “Ma perché non le dai qualche lezione tu Kasumi? Sei bravissima, credo di non aver mai mangiato cose buone come quelle che prepari tu.” La castana fece un sorriso, che sciolse il cuore della ragazza con il codino. “Non me l’ha mai chiesto in effetti. Suppongo sia troppo orgogliosa per chiedere aiuto.” Ranma fece un sorriso furbo, come se le fosse venuta un’idea geniale. “Aspetta un attimo Kasumi, ti porterò qui Akane tra un minuto” disse, correndo alla massima velocità possibile verso la camera dell’amica.

“Akane, sei sveglia?” disse la ragazza, entrando in camera e vedendo l’amica in intimo. Non l’avesse mai fatto. Akane emise un’urlo disumano “PERVERTITO!!!!” E stava pure per colpirla con uno schiaffone, ma la rossa bloccò il colpo con facilità, e Akane sembrò piuttosto sorpresa della cosa. “Akane-chan, so che io e mio fratello ci somigliamo, ma non mi sembra difficile riconoscerci, io ho i capelli rossi e lui neri.” Dice lei, sorridendo nonostante l’aggressione. “Ah, scusa Ran-chan. Mi sono confusa per un momento.” disse la ragazza, imbarazzatissima. Chissà perché è così in imbarazzo, si chiese Ranma. “Senti, ti volevo chiedere un favorone.” “Dimmi pure.” “Vorrei imparare qualcosa in cucina, con Kasumi, ma mi vergogno un po’ a chiederle di insegnarmi. Potremmo andare insieme, che ne pensi?” Ranma notò che Akane si era imbarazzata di nuovo. “B-bhe, se è per aiutarti penso che una mano te la potrei anche dare…” Il volto della rossa si aprì in un sorrido radioso. “PERFETTO! SENTIAMO IN CUCINA!” Urlò, afferrando Akane per le spalle e trascinandola fuori, con la maglia ancora da indossare in mano. “Ferma Ranma, io sono ancora svestita!” “Tranquilla, mio fratello non avrà la fortuna di vederti, è uscito a correre un paio d’ore fa.” Centro! Akane divenne rossa come non lo era mai diventata, all’idea che Ranma  la vedesse in topless. La rossa, senza farsi vedere, sorrise sorniona, soddisfatta di aver indovinato i sentimenti della blu. 

Arrivarono in cucina, dove Kasumi le stava aspettando, con uno strano bagliore battagliero nello sguardo. “Allora sorellina, Ranma-chan, mi aiutate a preparare la colazione? Prepareremo qualcosa di speciale!” 

 

 

Ranma

La corsa era durata oltre due ore, quando Ranma arrivò in vista di casa Tendo, con un porcellino nero a carico. “Ascolta bene Ryoga, non so cosa tu abbia visto, ma ti assicuro che io, con Akane, non ci ho dormito.” Anche se non mi sarebbe proprio dispiaciuto, pensò il ragazzo. Per arrossire come un peperone non appena realizzò cosa aveva pensato. Scosse la testa per eliminare quei pensieri e si rimise a correre verso casa. Al suo arrivo percepì un odorino niente male provenire dalla cucina, senonché dalla cucina uscì Akane, sporca di farina dalla testa ai piedi. Addio speranze di una colazione decente. Sarebbe anche potuto scappare, ma aveva veramente troppa fame. Almeno una ciotola di riso avrebbe potuto mangiarla, nemmeno Akane era così incapace. Poi dalla cucina vide uscire anche la sua gemella, che decise di nascondere al furibondo porcellino nero. Ma che stavano combinando quelle due?

“Sono tornato!” Avvertì il ragazzo. “Vado a farmi una doccia!?” alle sue parole rispose Kasumi “Va bene Ranma, ma sbrigati, altrimenti questa bella colazione che abbiamo preparato si rovinerà.” “Abbiamo?” chiese Ranma, terrorizzato dall’idea che anche Akane e la sua gemella avessero partecipato alla preparazione. Insomma, Lui non era capace neanche di accendere i fornelli a momenti, ed Akane… Strascinando i piedi sconsolato si diresse in bagno, per potersi finalmente togliere il sudore di dosso, oltre che per finalmente parlare con Ryoga. Il bagno però Ranma lo trovò occupato. C’erano dentro infatti proprio le due ragazze. Ranma non aveva, e non avrebbe, mai agito così in fretta. Lanciò Ryoga il più lontano possibile, per poi scappare il più lontano possibile. Non fu abbastanza veloce. Due bacinelle di metallo lo colpirono alla nuca e alla base della schiena, sbattendolo a terra, con un dolore doppio rispetto al solito “Porco!” “Maniaco!” le voci delle due ragazze lo trafissero come frecce. “Scusate, non sapevo che foste in bagno” gridò il ragazzo, tentando di mettersi in salvo dalle due ragazze furibonde. Ad un certo punto però entrambe le ragazze, resesi conto del fatto di essere in intimo, decisero di rientrare in bagno, per potersi vestire e sistemare. Scampato il pericolo ragazze infuriate decise di cambiarsi, tanto la doccia non sarebbe riuscita a farla prima di colazione. 

Alla fine andò a tavola, mentre anche Akane, Ranma e Nabiki arrivavano a tavola. Akane lo guardava malissimo, mentre la sua sorellina sembrava divertita, come se la quasi sbirciata del ragazzo non l’avevsse troppo infastidita. Proprio in quel momento Kasumi fece il suo trionfale ingresso, portando in tavola un vassoio con diversi dolci, si capiva dall’odore, che Ranma non aveva mai visto. Erano piatti e circolari, di un piacevole colore dorato e larghi poco meno del piatto in cui erano posati. Insieme ad essi c’erano marmellate e miele, oltre al the. “Sono frittelle, un dolce americano. In qualche modo sono simili all’okonomyaki.” spiegò la maggiore delle Tendo, che aveva notato lo sguardo curioso, e goloso, di Ranma. Il ragazzo notò che le frittelle erano divise in tre vassoi. Uno dei tre, quello al centro, era a dir poco perfetto. Le frittelle erano tutte della medesima forma e colore, invitanti come non mai. In quello a destra, più vicino a Ranma, le frittelle erano tutte un po’ sformate e qualcuna sembrava troppo cotta, ma erano accettabili. In quello a sinistra, che, pensò Ranma, doveva essere quello di Akane… Il ragazzo restò stupito. Nel piatto non c’erano delle gallette carbonizzate, e nemmeno una poltiglia terrificante. Erano solo leggermente stracotte e molto strane, ma non peggio di quelle di sua sorella. Poteva voler dire solo due cose. Entrambe erano un disastro abominevole oppure entrambe non erano troppo tossiche. Decise che, forse, se avesse provato ad assaggiarle non sarebbe morto. 

 

 

Akane

Akane era preoccupata. Lei era un disastro in cucina, ma aveva seguito alla lettera le instaurino di Kasumi, impegnandosi per prendere solo gli ingredienti che la sorella le indicava. Anche Ran-chan, il soprannome che Kasumi aveva dato alla rossa, aveva fatto le stesse cose, quindi, se fosse stato tutto una schifezza, almeno sarebbero state in due a picchiare Ranma. E poi le frittelle sembravano una ricetta facile, si trattava solo di una pastella di latte, uova, farina e zucchero cotte in una padella. Nemmeno lei poteva aver fatto tutti questi errori! Annuì decisa, offrendo il suo vassoio a Ranma, che l’accettò, troppo terrorizzato anche solo per reagire, visto l’incredibile ki che Akane stava sprigionando. La ragazza lo guardò, ansiosa, mentre con una lentezza straziante, si infilava in bocca un frammento delle sue frittelle in bocca. Per un secondo Ranma fissò Akane con la morte negli occhi. Poi però i suoi tratti, fino ad allora tesi in una smorfia di terrore, si distesero. Masticò con gusto. “Non è male.” Affermò, con un espressione di sollievo sul volto. Akane allora afferrò un’altra frittella, prendendo qualcosa dal vassoio per condirla e la passò a Ranma. Non l’avesse mai fatto. Ranma sputò il boccone come se fosse veleno. “Akane! Ma come hai fatto ad avvelenare le frittelle!” urlò, ingurgitando mezzo litro di the bollente. Akane, allibita, guardò cosa aveva nell’altra mano. Una boccetta di salsa di soia. Come c’era finita? Guardò Kasumi con aria interrogativa. Sottovoce la sorella rispose “Credo che tu abbi scambiato la salsa di soia con lo sciroppo d’acero. Non è grave, in fondo tu ti sei impegnata tanto. Prova ad addolcirlo con il miele sulle frittelle.” Akane divenne color peperone all’idea di addolcire Ranma. “Chi mai vorrebbe addolcire quel Baka!” disse la ragazza, nel tentativo di non pensare a quanto era contenta del fatto che Ranma avesse apprezzato la sua cucina. Accanto a lei un’entusiasta Ran-chan invece serviva la sua frittella al fratello, condita con della marmellata, che il ragazzo apprezzò, mentre Nabiki, che fino ad allora era stata in disparte a ridacchiare, divorava educatamente, era possibile, si chiese Akane, le frittelle di Kasumi, condendole con vari dolci. Tutti mangiarono di gusto, tranne Akane, a cui rimase l’amaro in bocca per tutta la durata della colazione, anche e sopratutto per il suo mezzo fallimento con Ranma. Poi, da un angolo, vide apparire un piccolo grugno nero. “Ciao P-chan, vieni qui!” disse Akane, allargando le braccia e invitando il piccolo maialino a finire da lei. Come al solito a vederlo Ranma si arrabbiò, voltandosi indignato. La faccia più incredibile quella mattina la fece però P-chan. Spostò lo sguardo da Ranma a Ranma per una dozzina di volte, pietrificato. Si sfregò le zampine sugli occhi, come se non credesse ai suoi stessi occhi. Chissà cosa passa nella sua semplice mente di porcellino, si chiese Akane.

 

 

Ranma

Ancora quel porcellino? Ma perché quel maialino con lo sguardo da pervertito sbucava sempre quando Ranma e Akane litigavano? E perché suo fratello guardava il maialino come fosse un rivale per Akane? Ma sopratutto, perché quel suino pervertito la fissava?

Adesso basta! Tirò una gomitata a suo fratello, e a mezza voce, chinandosi verso di lui, gli sibilò: “Guarda che Akane si è impegnata molto per preparare qualcosa di decente, ed ha ingoiato tutto il suo orgoglio mentre Kasumi la correggeva ogni due per tre. Anche più spesso. Quindi almeno dagli la soddisfazione di mangiare le sue di frittele, non le mie!” Il fratello  rimase interdetto per un secondo, sempre con gli occhi inchiodati su Akane e P-chan. Alla fine si riavvicinò alla ragazza, che lo guardo malissimo, ma Ranma, con uno sguardo incoraggiante, la convinse ad offrire un’altra frittella, stavolta guarnita nel modo giusto. P-chan, che era troppo stupito per cercare di fermarli. Perché, per qualche motivo, forse i suoi ricordi, Ranma era sicura il maialino normalmente li avrebbe ostacolati. Invece, visto che il coso era occupato a fissarla, quella mattina lei e le sorelle Tendo poterono assistere ad una scena molto tenera tra i due semi fidanzati. Lui e lei che, forse a causa degli sforzi dei familiari, deponevano l’ascia di guerra e si godevano la colazione insieme. La rossa, cercando di non mostrarlo troppo, si sentiva incredibilmente soddisfatta. Era riuscita a far avvicinare quei due. Forse avvicinare no, ma almeno erano seduti vicini e tranquilli. “Kasumi, Nabiki, cosa ne pensate delle mie frittelle? Mi sono impegnata tanto per preparale!” La maggiore delle Tendo le fece un sorriso dolce alla ragazza, mentre Nabiki era troppo occupata a scattare foto di nascosto alla sorella e a Ranma. “Nabiki ma che combini? Lasciali in pace!” Disse Ranma, sussurrando nel tentativo di lasciare un po’ di dolcezza hai due ragazzi. Peccato che i due videro la camera nella mani della mezzana. Così Akane cercò di recuperare la macchinetta, Ranma saltò via alla velocità della luce, imbarazzatissimo. La rossa con il codino sbuffò gonfiando le guance in una faccia buffa e tenera, espressione subito catturata dalla macchina fotografica di Nabiki. Anche qui l’istinto ebbe la meglio, e Ranma rovinò la foto mettendosi un tovagliolo davanti. “Nabiki, gradirei che tu non mi fotografassi più. Mi metti a disagio.” disse la rossa, in tono deciso. Nabiki fece una smorfia ma strinse le spalle e posò la macchinetta fotografica. “Che malfidata che sei Ran-chan.” Ranma si calmò, riprendendo la sua colazione, mentre il fratello, seduto fra lei e Akane, si voltava verso di lei, chiedendogli come si sentiva, se l’amnesia le stava dando problemi, se il giorno prima si era divertita ecc. ecc. 

Ma quell’idiota del fratello non pensava alla povera Akane? Non capiva cosa gli passasse per la testa. Per lui aveva persino cucinato, e Ranma aveva visto quanto cavolo fosse negata quella ragazza, stava per mettere il bicarbonato al posto della farina. “Si, fratellone, ora ritorna fare il bravo piccioncino con Akane-chan!” disse, esasperata.

 

 

Akane

All’urlo della rossa Akane scappò in camera sua, dove si gettò sul letto, premendo la faccia bollente sul cuscino. Ma cosa stava dicendo Ran-chan? Fare il bravo piccioncino con lei? Ma cosa gli passava per la testa? Lei e Ranma non stavano facendo i piccioncini. Oppure si? Nella sua mente apparve l’immagine di lei che guarniva una frittella e la passava a lui, e che arrossiva mentre lui le faceva quelle specie di complimenti, e lui che le faceva assaggiare i suoi stessi dolcetti, con una dolcezza tutta nuova. Chissà se sarebbe successo ancora. Ma perché se lo stava chiedendo? Lui era solo un rozzo baka, che la diceva che non era carina, che le dava del maschiaccio e che lei picchiava tutti i giorni, più volte al giorno. Era un maniaco! Si, decisamente non era possibile che stessero facendo i piccioncini, erano solo stati gentili tra loro. Era così strano comportarsi civilmente? Con la mano cercò P-chan, per poterlo coccolare un po’ e calmarsi, ma non lo trovò. Dove diavolo era finito quel porcellino? Non vide quanto era passato, ma ad un certo punto i suoi pensieri vennero interrotti dal bussare alla sua porta. “Akane…” “Entra pure Ran-chan.” La ragazza con il codino attraversò la porta. “Senti, Ranma mi ha detto di chiedere di accompagnarmi dal dottor Tofu, e” Akane la fermò. “Davvero prima io e Ranma sembravamo due piccioncini?” “Mentre vi imboccavate a vicenda? Certo, eravate molto dolci. Dì la verità alla tua amica, voi due avevate progettato tutto, vero?” “MA COSA DICI! Noi non…” si fermò prima di ammettere che quel dolce momento era stato naturale, semplice come respirare. “Voi non… ?” Disse la rossa, con un sorriso malizioso simile a quello di Ranma quando la prendeva in giro. Akane arrossì. “Nulla! Non hai detto che dovevi andare da Tofu?” “Si, Ranma mi ha detto che lui è il medico che mi ha aiutato quando sono caduta, e quando è andato via ha detto di passare de lui appena mi sentivo meglio. Ma dato che non mi ricordo neanche che faccia abbia e Ranma mi ha detto che deve fare assolutamente qualcosa, lui mi ha detto di chiedere a te. Allora? Mi accompagni?” Le chiese, con quello sguardo che convinceva tutti i ragazzi a darle retta. Sapendo che in realtà era maschio Akane non c’era mai cascata, ma ora che era solo femmina la sua faccia da bambina era irresistibile. Le faceva venire voglia di avere una sorellina. Che lei fosse la sua sorellina. “Ma certo che ti accompagno Ran-chan. Dai, andiamo.” Disse la ragazza, uscendo dalla stanza, seguita dalla rossa, con ancora il suo sorrisetto ironico stampato in faccia. Ed Akane era sicura che stesse ancora pensando a quello che aveva detto poco prima su lei e Ranma. 

 

 

Ranma

Ranma aveva recuperato Ryoga e si era diretto verso il retro della casa, dove aveva fatto ritrasformato l’amico, ancora in stato di shock. “R-Ranma, perché c’erano due di te? Cosa succede?” Ranma si godette la faccia del ragazzo confusa e agitata, ma poi decise che era meglio essere chiari. “Allora Ryoga, io non ho la più pallida idea di cosa sia successo, so solo che ieri mattina mi sono svegliato con la mia versione femminile nel letto. Lei mi ha picchiato e poi è svenuta. Da quel momento non mi trasformo più a contatto con l’acqua. Abbiamo chiesto al dottor Tofu, che ci ha detto che è come se l’avessi espulsa. Ma a quanto pare la sua memoria era incompleta, così per evitare di impazzire il suo cervello le ha cancellato tutti i ricordi. Quando si è svegliata non sapeva nemmeno il suo nome. Tofu ci ha detto di fingere che fosse la mia sorellina gemella, così che possano formarsi nuovi ricordi e la sua mente possa sopportare.” Ryoga lo guarda confuso. “Significa che io non sono più lei, che non mi trasformo più con l’acqua fredda e che lei non dovrà mai e poi mai sapere la verità, hai capito Ryoga? Lei è la mia sorellina Ranma, e tu la conosci da anni, chiaro?” La serietà di Ranma colpi l’altro ragazzo, che l’aveva visto serio solo una manciata di volte. Di solito per Akane. “Va bene Ranma, ma dimmi, sei sicuro che non ricordi nulla? Perché continua a guardarmi come se sapesse chi sono. L’altra sera ha detto ad Akane che avevo lo sguardo da pervertito. In effetti mi chiedevo come mai la dolce Akane ti desse retta.” Ranma alzò lo sguardo al cielo, esasperato. Ma quel tonto di Ryoga aveva capito o no? Per sicurezza gli chiese: “Ryoga, quella ragazza è importante tanto per me quanto per Akane. In lei ha trovato un’amica unica, quindi non provarci neppure ad infastidirla in alcun modo, o a raccontarle bugie a caso. E sopratutto non pensare neanche per un secondo di dirle la verità. Non pensare di vendicarti su di lei per qualunque torto possa farti io. Perché in quel caso assaggeresti la mia ira Ryoga, hai capito?” Lo minacciò con veemenza. Negli occhi di Ryoga passò un ombra. Ranma non l’aveva mai minacciato. In un paio d’occasioni era stato un po’ pesante a parole, e qualche insulto durante i combattimenti, ma nulla che un paio di cazzotti non potessero far dimenticare. Mai Ranma aveva avuto un aura così minacciosa. D’altronde sapeva che mai Ryoga avrebbe fatto del male ad Akane o a una persona a lei cara. Poi la luce della comprensione sembrò farsi largo negli occhi del ragazzo in giallo. “A-Aspetta, vuoi dire che tu non ti trasformi più?” “Finalmente l’hai capito?” “MALEDETTO!!!!” Ryoga attaccò Ranma, furioso perché il rivale era riuscito a precederlo nel liberarsi dalla maledizione. Ricominciò lo scontro che si era interrotto la mattina prima. Ryoga tentò di colpirlo, quando, all’improvviso, ricevette un calcio in faccia. Non era particolarmente potente, ma gli ricordò quando Ranma, per qualche motivo. “CHI CAVOLO SEI?” chiese Ranma, evidentemente appena tornata dal dottore. “Se vuoi picchiare mio fratello devi vedetela con me!” 

 

 

Akane

Erano appena tornate dalla clinica di Tofu, quando sentirono le solite urla di minaccia da parte di Ryoga. Lei si limitò a sbuffare, ma Ran-chan scattò subito, come per un riflesso condizionato. Akane corse dietro all’amica, per evitare che facesse qualche stupidaggine, e la trovò tra Ranma e Ryoga, pronta a combattere contro il ragazzo per difendere il fratello. “Sorellina, togliti. Io e Ryoga stavamo solo regolano i conti, tranquilla.” “Chi?” “Ah, scusa sorellina, lui è Ryoga, un… amico.” “Un amico è troppo, ora togliti ragazzina, ho una sfida da portare a termine!” Ryoga, che non l’ha ancora vista, si rivolge in modo brutale alla rossa, probabilmente Ranma gli ha spiegato tutto. Peccato che far arrabbiare Ran-chan, dato che è pur sempre Ranma, non sia proprio un’idea geniale. “MA COME TI PERMETTI!” La rossa, dopo una capriola per aria, lo colpisce con due calci simultanei al volto, mandandolo a terra. In un istante di rabbia e confusione Ryoga l’attacca, e Akane sta già per mettersi in mezzo, quando vede che Ran-chan non né ha bisogno. Lei è molto più veloce di Ryoga, che, non abituato allo stile quasi etereo dell’avversaria e sorpreso dalla sua forza, incassa un sacco di colpi, mentre la rossa gli volteggia intorno, leggera come un fantasma. Alla fine Akane decise di mettersi in mezzo, per fermare lo scontro prima che succeda qualcosa di grave. “RYOGA PIANTALA! Da quando in qua affronti una ragazza con tutte le tue forze?” Il ragazzo si inchiodò, voltando lo sguardo verso di lei, “A-Akane, come stai?” disse, arrossendo come un peperone. Akane rivolse uno sguardo severo al ragazzo. “Ryoga, ma da quando in qua tu combatti ad armi pari con una ragazza?” Il poverino rimase imbarazzatissimo. “Si, no, mi dispiace, non dovevo, scusa” disse il ragazzo con la bandana, facendo un inchino a Ranma. “ Tu riprova a minacciare mio fratello e io ti rompo.” Ranma la trattenne. “Sorellina, io e lui ci sfidiamo da anni, tranquilla. Tu lasciami fare, tanto quello perde sempre.” La rossa sembrò calmarsi un po’. “Fratellone, voi siete amici da anni, giusto?” “Si, perché?” “Hai mai notato che Ryoga ha lo stesso sguardo che ha P-chan quando guarda Akane?” Ranma rimase interdetto dalle parole di Ran-chan,  facendo uno strano sguardo, ma mai come quello impacciato e terrorizzato di Ryoga. Chissà perché, si chiese Akane. “Ma che dici sorellina, è solo un’impressione. Sarà solo che la sua faccia da pesce lesso è la stessa di un maiale innamorato, vero Ryoga?” Akane aspettò la risposta dell’altro ragazzo, che però rimase zitto, rosso di rabbia e sul punto di esplodere. Ma non reagì, anzi, dopo un piccolo inchino scappò via in lacrime. Akane si rivolse a Ranma “Ma che cosa gli hai fatto?” “Ma che ne so? Quello è sempre stato strano.” Poi Ran-chan chiese lei qualcosa. “Ma perché non le hai date a quel tipo che guardava Akane come se fosse una bistecca?” disse, parlando col fratello. “Ran-chan, che stai dicendo?” disse Akane, imbarazzatissima. A quanto pare Ran-chan ha ereditato l’abitudine di parlare senza pensare di Ranma. E questo terrorizzò Akane. Non avrebbe mai potuto confessarsi con lei! Poi però lei le fece un occhiolino. “Sei popolare Akane-chan!” disse, allontanandosi dal fratello ed avvicinandosi all’amica, prendendola sotto braccio e andandosene in casa. 

Il resto della giornata trascorse tranquillo per le due ragazze, che si dedicarono un po’ all’allenamento e un po’ alle chiacchiere, senza fare troppa distinzione. Alla fine arrivò la domanda che Akane temeva. “Senti Akane-chan, ma a te un piace mio fratello? Cioè, io so che voi siete stati costretti dai nostri genitori, ma tu cosa pensi di lui? Voglio dire, se l’avessi incontrato a scuola, senza sapere chi era, cosa avresti fatto?” Akane se l’era chiesto spesso. Probabilmente l’avrebbe trovato carino, magari non un pervertito maniaco e idiota. E forse, se lui non si fosse stato così spocchioso e si fosse comportato in modo un po’ più carino, si sarebbe probabilmente innamorata di lui. Divenne color peperone al pensiero. Ma che cosa stava pensando? In un istante gli passarono in mente tutta una serie di momenti che lei e Ranma non avevano mia sperimentato. Il conoscersi, il tenersi per mano, il primo appuntamento, il primo bac… “B_BAKA!” “Non ti credo!” disse la rossa, che evidentemente aveva preso il baka dell’amica per una risposta alla sua domanda. Ranma stava per interrogarla più a fondo, quando l’entrata di P-chan la salvò. Il maialino infatti entrò di corsa dalla stanza, lanciandosi su Akane, ma, prima di riuscirci venne fermato dalla rossa, che lo prese al volo per la bandana facendolo girare e fissandolo negli occhi. “Ciao P-chan. Io non mi ricordo di come ti trattassi prima dell’amensia, ma se ti sei sempre comportato da maialino pervertito con Akane dubito che siamo mai stati grandi amici, quindi vedi di piantarla di fare il provola*, hai capito prosciutto ambulante?” Il porcellino grufolò annuendo, leggermente terrorizzato dal ki minaccioso della ragazza con il codino. Poi Akane, stufa di quella scenetta, afferrò P-chan e lo riprese in braccio. “Ma che dici Ran-chan, non è mica un maniaco come tuo fratello!” “Sarà…” disse, ironica, la ragazza, mentre osservava qualcosa sul petto di Akane. Per la prima volta Akane si rese conto che, per essere un innocente maialino, P-chan si incollava un po’ troppo al suo petto. “P-chan, ma che combini!” disse, appoggiandoselo sulle ginocchia. 

 

 

 

 

*il corsivo per questa parola indica il cambio di lingua. Non credo che la parola provola esista in giapponese. A proposito, in romano fare "il provola" indica fare i cascamorto. Mi divertiva fare una piccola battuta DOP. 

 

 

 

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Scusate per il capitolo inutile e pessimo? Prometto di farmi perdonare nel prossimo. Ran-chan (ho deciso che Ranma ragazza sarà chiamata così dalle sue amiche.) affronterà la sua più grande battaglia. Dovrà vedersela con la sua più grande nemica, nemica che, tra l’altro, ha lasciato in pace i nostri eroi per ben due giorni. Qualunque cosa stia combinando sono sicuro che sarà una brutta gatta da pelare!
Ciao 

Jaco Stark di Grande Inverno

 

 

 

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Capitolo 5
*** Gatte, duelli e strane castagne ***


 


Gatte, duelli e strane castagne


 

Akane

Era appena sorto il sole, e i suoi raggi avevano infastidito Akane, svegliandola. La ragazza dai capelli blu si ritrovò davanti una familiare ragazza dai capelli rossi. Stava per colpirla con tutte le sue forze, ma si ricordò di ciò che era successo in quei due giorni. Ranma e Ranma, i suoi allenamenti con la ragazza con il codino, la sua imbarazzata richiesta di dormire con lei, dato che stare con il fratello la imbarazzava, la sberle che aveva dato a Ryoga, il suo strano scontro con P-chan. Ripresasi, decise di osservare meglio la ragazza dai capelli rossi che le dormiva davanti. I suoi tratti erano similissimi a quelli di Ranma maschio. Le stesse sopracciglia, la stesse labbra, gli stessi occhi. Anche la stessa buffa e dolce espressione, che tante volte aveva osservato nel ragazzo prima di andare a svegliarlo. Non aveva mai desiderato tanto una sorellina come in quel momento. Si accoccolò meglio accanto alla ragazza, annusandone il profumo. Sapeva di Ranma. Con una nota di dolcezza. “Buongiorno sorellona.” disse la ragazza con i codino, aprendo un poco gli occhi e fissando Akane. Le ragazze si sorrisero, ancora sotto le coperte. “Bella scenetta! Vi state divertendo?” La voce sarcastica di Ranma interruppe quel momento magico. Quanto lo odiava Akane quando faceva così. “RANMA VAI FUORI!” disse, tirandogli un cuscino, prontamente schivato dal ragazzo . “Ci vediamo giù!” commentò il ragazzo, correndo via dalla stanza. Akane prese un respiro per calmarsi. Nessuno era in grado di irritarla come il suo presunto “ragazzo”. Anche l’altra ragazza si era svegliata, alzandosi e rivelando la sua figura snella e sensuale. Akane doveva ammetterlo, aveva davvero un bellissimo corpo. Decise di vestirsi, mentre anche l’amica si preparava, indossando, per qualche strano motivo, sempre i vestiti cinesi di Ranma. Scesero insieme, dirigendosi verso il soggiorno dove Kasumi stava servendo la colazione. “Buongiorno ragazze, potreste andare a svegliare Ranma? Sta ancora dormendo.” Akane rimase interdetta. “Scusa Kasumi, ma se ci ha svegliato proprio lui!” Kasumi rimase un po’ stranita. “Davvero? Non è sceso a colazione, magari  “Come al solito, che razza di pigrone…” “Dai Akane, secondo me lui fa finta di dormire. Secondo me vuole che sia tu ad andare a chiamarlo.” disse Ranma, con il solito sorriso beffardo. “Ran-chan! Ma che dici! Figurati se è così!” Disse Akane, che, nonostante tutto, decise di andare a svegliare il ragazzo. Una volta arrivata davanti alla stanza però, decise di fare una prova. Mettendosi d’impegno imitò la voce di Kasumi: “Ranma, la colazione è pronta.” La reazione del ragazzo, al contrario del solito, fu immediata. “Va bene Kasumi, scendo sub…” Disse, aprendo la porta e trovandosi davanti un’Akane furiosa “Allora a  Kasumi da retta vero? Io non valgo nulla per te?” Disse lei, rancorosa. Non notò l’espressione un po’ delusa di Ranma “Ma, Akane…” Disse il ragazzo, del tutto confuso dalla vista e dalle parole della ragazza, che girò i tacchi furiosa e scappò via. 

 

 

Ranma

 

Ma cosa diavolo era successo? Era tornato a dormire dopo aver preso in giro le ragazze, poi aveva aspettato che Akane lo venisse a chiamare, tanto per farla arrabbiare, magari fingendo di non sentirla per costringerla ad entrare, e poi avevo sentito Kasumi chiamarlo, strano, mandavano sempre Akane, e si era alzato, aveva aperto la porta e si era trovato davanti la stessa Akane, che gli aveva dato del maleducato che che l’aveva accusato di qualcosa che neanche aveva capito. Ma che aveva quella ragazza? Scese a colazione, vagamente deluso dal non essere riuscito a vedere Akane mentre lo svegliava. Doveva ammettere che, quando non litigavano o lei gli faceva scherzi, gli piaceva essere svegliato da lei e iniziare la giornata con il suo volto come prima immagine. Ma quella mattina le cose erano andate tutte storte. Perché Akane aveva imitato la voce di Kasumi? Non aveva senso, non c’era motivo di farlo! Arrivò il cucina, ma per qualche motivo non sentì l’aura micidiale di Akane che lo minacciava. Anzi, sembrava molto tranquilla lei, tutta occupata a chiacchierare con Ranma e le sue sorelle. “Salve, di che parlate?” Tutte le ragazze si girarono verso di lui, che si sentì un poco a disagio. In quei due giorni non ci aveva pensato, ma lui era solo in casa con tre e poi quattro ragazze. Era letteralmente circondato da belle donne. Perché doveva ammetterlo, le ragazze Tendo erano tutte molto belle. E se Akane fosse stata meno scorbutica doveva ammettere che il fidanzamento combinato del suo vecchio non gli sarebbe poi tanto dispiaciuto. Si accorse di essere arrossito sotto lo sguardo delle ragazze, che, per risposta, lo fissarono ancora più intensamente. Riuscì a riprendersi prima che partissero domande imbarazzanti. “Allora,che c’è per colazione?” Chiese, cercando di sembrare indifferente. Si sedette a tavola, ascoltando le chiacchiere mattutina. Nabiki doveva andare ad un appuntamento con le sue amiche, Kasumi che si sarebbe recata ad una piccola riunione con le sue amiche di liceo, quindi sarebbe stata fuori fino a sera, meglio mangiare fuori, si appuntò Ranma, mentre Akane e Ranma avevano deciso di andare a fare una corsetta nel quartiere, per sgranchirsi un poco e far recuperare alla rossa qualche concezione del quartiere. “Fratellone, verresti con noi?” “P-Perché?” Chiese il ragazzo, un po’ stranito dalla richiesta. “Perché voglio andarci con te e Akane.” Entrambi i ragazzi prima si guardarono, poi guardarono lei, poi si guardarono ancora. La rossa fece una faccia buffissima, che sciolse i cuori di entrambi. “Daaaiiii! Fatelo per la vostra sorellina smemorata!” Ranma non era in grado di resistere alla faccetta della ragazza. Ma un brivido gli passò per la schiena. Era questo l’effetto che aveva sui ragazzi dunque? Tuttavia nemmeno Akane era riuscita a resistere agli occhioni sfoderati dalla rossa, quindi decise che sarebbe senza dubbio andato. “D’accordo, almeno mi riposerò un po’ dopo la lunga corsa di ieri.” “Cosa vorresti dire scusa?” Chiese Akane, seccata dal tono di Ranma, un po’ arrogante. “Beh, di certo non correrete quanto me.” il doppio colpo che ricevette fu incredibile. Le ragazze lo avevano beccato in pieno, offese dalla sua insinuazione di essere meno forti di lui. Il poverino cadde a terra, in stato di shock.

 

 

Ranma

La rossa con il codino era soddisfatta della riuscita del suo piano malefico. Era riuscita a convincere sia suo fratello ed Akane ad andare a correre insieme, anche se doveva ammettere che lui adorava cercarsele. Prendere in giro così era davvero da stupido. Comunque finirono la colazione e si prepararono ad uscire. Akane si mise una tuta gialla e rosa, mentre lei decise di rimanere con i suoi vestiti cinesi, del tutto uguali a quelli del fratello. Uscirono dal cortile dei Tendo, e mentre lei cercava di ricordarsi qualcosa mentre procedevano a velocità sostenuta, ma tranquilla. Ranma, indispettito dallo schiaffone ricevuto, era rimasto indietro. Ma che razza di permaloso, era stato lui a provocare, cosa faceva l’offeso a fare. Akane invece correva accanto a lei, a sua volta offesa. Chissà come mai tutto questo rancore tra di loro, eppure avevano solo litigato un pochino. Mah, forse ci avrebbe capito di più osservandoli meglio durate la passeggiata. La corsa continuò a lungo le vie di Nerima, che piano piano le tornavano in mente, come risorgendo dalla fitta nebbia che le riempiva la mente, e che era riuscita ad ignorare solo grazie alle chiacchere e agli allenamenti. Ricordò alcuni negozi di dolci, chiedendosi se c’era mai stata, magari con Akane. Improvvisamente uno dei bar attirò la sua attenzione. Le sembrava che in quello fosse accaduto qualcosa di importante, ma non riusciva a mettere a fuoco cosa. Magari le sarebbe venuto in mente correndo ancora un poco. Ma decise comunque di chiedere, magari loro l’avrebbero illuminata. “Akane, in quel locale è successo qualcosa?” La ragazza in giallo si girò verso il bar, e per un secondo si fermò ad osservare il posto. Poi sbiancò, come se le fosse venuto in mente qualcosa di brutto. “N-no, non ne ho proprio idea, Ranma, a te ricorda qualcosa?” Anche suo fratello si fermò ad osservare il negozio, un po’ seccato dall’interruzione. “No, non mi risulta.” disse lui, confuso. “Sicuro che non sia successo nulla?” Poi anche lui sbiancò, sembrava essersi ricordato qualcosa. “N-no. Nulla.” Ranma li guardò confusa. Perché si guardavano così? Era successo qualcosa di brutto? Mah, chissà. Li vide parlottare preoccupati. Ma che diavolo stava succedendo? 

All’improvviso sentì una scossa attraversarle la mente. Un paio di flash le attraversarono il cervello. Una mangiata epica, una sfida, un lampo color lavanda. Ma che diavolo gli veniva in mente? Perché avvertiva un’improvvisa sensazione di pericolo? Le sarebbe piaciuto saperlo. Ripresero a correre, ma la rossa aveva un prurito fastidioso che la tormentava. Poi all’improvviso sentì qualcosa. Un campanello che trillava, un rumore di ruote che stridevano e un fastidioso saluto che le fece tornare quello strano brivido per la schiena. “Ni-hao Lanma. Dove vai di bello?” la persona che aveva parlato era una bella ragazza cinese con lunghi capelli color lavanda, che correva su una bicicletta. Fissava suo fratello con lo sguardo di una che aveva appena visto un banchetto imperiale. Era inquietante. Almeno quanto lo era il modo in cui si era appiccicata a Ranma. In effetti anche il ki di Akane faceva paura. Che diavolo stava succedendo? Poi si sentì lo sguardo della tipa viola addosso. La ragazza passò lo sguardo da lei al fratello un paio di volte, confusa. Poi la guardò con un’odio infinito. E Ranma seppe che doveva scappare. Non sapeva perché ma doveva scappare. Dove decisamente scappare. Così girò i tacchi e scappò saltando per i tetti. Ebbe solo il tempo di sentire suo fratello urlare: “Shampoo! Fermati, non azzardarti a toccarla.” Ma più che le urla del fratello lo preoccuparono le urla della cinese “MUOLI LANMA!” Ma perché la voleva uccidere? Non lo ricordava, ma doveva esserci un buon motivo, almeno sperava. Che cavolo aveva combinato per guadagnarsi l’odio di quella cinese? 

Stava correndo da quasi dieci minuti, quando si imbatté in quel buffo ragazzo vestito di giallo che era venuto il giorno prima a casa loro. “Scusa!” disse, saltandogli addosso e usandolo come trampolino di lancio, saltando poi oltre una recinzione in muratura. Tuttavia si fece furba e si nascose in un cespuglio, nascondendo il ki. Fra le frasche vide la sua inseguitrice che la cercava, e che, data la sua totale sparizione, si diresse nella direzione da cui era venuta. “Ran-chan!” “Sorellina!!!” Le voci di Akane e Ranma la raggiunsero, così se la svignò dal giardino in cui aveva trovato riparo e raggiunse i due ragazzi che la cercavano. “Scusate se sono sparita, ma quella tipa mi voleva morta e ho pensato che fosse meglio scappare. Ma voi sapete cosa le ho fatto? Fratellone, tu la conosci, vero? L’hai chiamata Shampoo, vero?” Ranma rimase in imbarazzo per un minuto, poi arrivò Akane a spiegare. “Quella è Shampoo, una guerriera proveniente da un villaggio di amazzoni in Cina. Ranma l’ha sconfitta in un combattimento e per le leggi del suo villaggio dice che lo deve sposare.” Ranma guardò prima Akane poi il fratello. Poi si diresse verso di lui. Gli si mise davanti, e con la mano gli picchiettò sul petto, leggermente arrabbiata, ma con una vena di divertimento nella voce. “Fratellone, che cosa combini? Ti metti a sconfiggere ragazze quando hai già Akane e fai il casanova?” Ranma arrossì come un peperone. “Ma io non volevo! Mi ha costretto a sconfiggerla! E comunque ora quella pazza di Shampoo è più un problema tuo che mio.” “In che senso scusa? Cioè, a parte la sua incomprensibile voglia di uccidermi.” “Ecco, proprio di questo dobbiamo parlare. Vedi, durante il nostro viaggio di allenamento in Cina tu l’hai sconfitta nel suo villaggio durate un torneo. E, per le stesse leggi che regolano il matrimonio, ora lei ti cerca per ucciderti.” “CHE COSA? Non ci credo! Non sono così matta da firmarmi una tale condanna a morte da sola.” Ranma la guardò, sconsolato. “Non lo sapevi, e l’hai messa a terra con un colpo solo. Avevamo fame e… Fa nulla, non è importante cosa è successo, a parte che ora lei vuole ucciderti.” Ranma lo guardò, mantenendo comunque uno sguardo interrogativo. “Si, ma come e quando è arrivata qui?” rispose Akane, leggermene indispettita. “In realtà è qui da un bel po’, ma fino ad ora eravamo riusciti a ottenere una tregua. Non so che le sia preso oggi. Ranma, tu riaccompagna Ran-chan a casa, parlerò io con Shampoo.” La faccia di suo fratello passò dal preoccupato all’ancora più preoccupato. “Akane, sei davvero sicura di quello che dici?” “Perché? Pensi che non potrei farcela?” “No, ma tu e Shampoo non andate esattamente d’accordo, quindi…” Akane era arrabbiatissima, e scappò verso una delle vie cittadine. “Dai sorellina, torniamo a casa prima che quella pazza di Shampoo torni indietro.” La rossa annuì e si diresse nuovamente verso casa.

 

 

Akane

Ma che pensava Ranma, che non era in grado di parlare con Shampoo? La reputava così incapace? Gli avrebbe dato il fatto suo. Raggiunse il ristorante “Il Gatto” furiosa, ma non ci trovò Shampoo. C’era piuttosto Obaba, intenta cucinare. “Salve Obaba, Shampoo è tornata?” La minuscola vecchietta si voltò verso di lei, con il suo solito, beffardo e raggrinzito sorriso sul volto. “Oh, salve Akane. Perché cerchi mia nipote? Hai finalmente deciso di farti da parte e lasciare a Shampoo il Futuro Marito?” La ragazza si sentì arrossire di rabbia. Ma quando si sarebbe decisa a mollare il colpo? “No Obaba, non ci sperare nemmeno. Piuttosto l’altroieri è successa una cosa piuttosto strana a Ranma, magari tu potresti illuminarci.” “E’ capitato qualcosa al Futuro Marito? E cosa? A quel ragazzo ne capita una ogni due per tre.” Akane prese un gran respiro e cercò di spiegare tutto alla vecchietta. La separazione dei due, l’amnesia della Ranma femmina, la loro scelta di affrontare la questione con la scusa dell’amnesia, il recente attacco di Shampoo. 

“Purtroppo non ho risposte per te. Quello che è successo non ha precedenti, nessuno si era mai scisso in quel modo dalla sua stessa maledizione. Tuttavia le leggi del villaggio prevedono che noi ci vendichiamo con la straniera che ci ha sconfitto, quindi…” “Ma Ran-chan non ha fatto nulla, è stato Ranma a sconfiggere Shampoo, e…” la vecchietta la fermò con un gesto. “Come stavo cercando di dire prima che mi interrompessi, è nostro costume vendicarci della straniera che ci ha sconfitto. Ed inoltre mi hai detto che avete raccontato alla ragazza che comunque lei a battuto Shampoo. Ma forse potremmo organizzare qualcosa per renderci la vita un poco più facile.” Akane non capì subito cosa diceva la vecchietta. Che diavolo intendeva? “Vedi, io non credo che a nostra tradizione sia adatta nel modo di oggi. Tramandare le tecniche e le tradizioni è un bene, ma vedendo come e quanto il mondo è cambiato cose non è più il caso di uccidere le persone solo per vendicarsi. Non nego che trovare un buon marito con questo metodo sia ottimo, ma forse non è più il modo giusto per vendicarsi. Proporrò a Shampoo uno scontro definitivo, in cui si combatteranno finché una delle due non cadrà a terra priva di sensi. E qualunque sia il risultato sarà definitivo. Anche perché, da quanto ho potuto capire, Il Futuro Marito tiene molto a questa ragazza, come se fosse davvero sua sorella, e non credo che perdonerebbe mai Shampoo se lei osasse farle davvero del male. No, la cosa migliore è davvero organizzare un grande combattimento tra loro e vedere chi vincerà. Se vi trovate d’accordo potremmo farlo oggi stesso, nel vostro dojo. Ci vediamo nel pomeriggio!” Akane la guardò interdetta, un po’ stupita dalle affermazioni della vecchietta. Insomma, la sua proposta aveva senso, e di rado era capitato che la vecchietta cinese dicesse cose pienamente sensate. “Obaba, non credevo che tu fossi così elastica.” la vecchietta sorrise “Quando vivi per trecento e passa anni impari ad adattarti al tempo che passa. Può andare di comportarsi in quel modo al villaggio, ma nel mondo esterno dobbiamo adattarci. “ Akane decise che aveva parlato abbastanza con Obaba, e che più o meno avevano raggiunto un’accordo. 

Tornò a casa, dove trovò Ranma e Ran-chanche si sfidavano nel dojo. Rimase a guardarli affascinata. Il due combattevano ad una velocità spaventosa, i colpi quasi invisibili. Si vedevano subito le differenze tra i due, così come le somiglianze. Ranma tirava pugni velocissimi, ma non riusciva a colpire la sorella, che schivava i suoi colpi spostandosi del tutto dalla traiettoria dei colpi, lasciando il fratello con un pugno di mosche. “Sei lento fratellone!” lo provocava, ma non riuscì in tempo a schivare la spazzata improvvisa, che però non riuscì a buttarla a terra, dato che lei ne approfittò per stendere le braccia e colpirlo al mento con un doppio calcio,  che lo stordì abbastanza per permettere alla rossa di colpirlo con un paio di pugni al volto, velocissimi, purtroppo troppo deboli per ottenere un’effetto superiore al lieve stordimento su Ranma, abituato a resistere hai ben più forti colpi di Ryoga, che infatti si riprese subito e colpì la sorella con un poderoso pugno al torace, solo in parte evitato dalla rossa che aveva saltato indietro per ridurre l’impatto. Entrambi i ragazzi stavano ansimando per i colpi dati e ricevuti, ma c’era qualcosa di diverso in Ranma. Di solito era concentrato, un po’ spavaldo o a volte addirittura preoccupato. Non questa volta. Negli occhi del ragazzo con il codino c’era un bagliore divertito che di rado gli aveva visto in combattimento, come se stesse giocando e basta, e non allenandosi alla sua solita maniera, cioè rischiando di farsi male sul serio. Rimase ad osservarli mentre si guardano con aria di sfida, e quando la tensione sembrava aver raggiunto il culmine entrambi scoppiarono a ridere, spiazzando Akane, che fino a quel momento era rimasta con il fiato sospeso. “Ma che state combinando?” Chiese la ragazza, sorpresa dalle azioni dei due. “Scusa Akane-chan, volevo vedere come ero messa a combattere contro qualcuno molto più forte di me. Ma sembra che mio fratello non sia poi così forte, vero onii-chan?” Disse, prendendo in giro Ranma, che però stranamente non si arrabbiò. “O forse tu sei molto più brava di quello che credi, non potrebbe essere?” disse, con una nota d’orgoglio nella voce mentre le accarezzava la testa, in un gesto di dolcezza fraterna inedito per lui. Akane ebbe un brivido di gelosia, ma decise di ignorarlo. Non era mica il caso, insomma, Ran-chan non pretendeva certo di sposare Ranma, quindi non aveva senso essere gelosa. Poteva sopportare che i due si comportassero così. Però a lei Ranma non aveva mai fatto nulla di così dolce, si disse la ragazza, un po’ seccata. 

 

 

Ranma

Si era appena allenato con la sorellina, che in effetti gli aveva dato filo da torcere, con sua grande soddisfazione. Ora era sicuro che non avrebbe avuto problemi con nessuno a Nerima, tranne forse che con Ryoga, ma lui non sarebbe stato un problema. Si concesse un gesto di dolcezza, scompigliando i capelli della sorellina, Mentre Akane faceva una faccia buffissima, che non le aveva mai visto fare. Era come se cercasse di contenere la gelosia, ma in modo diverso dalle altre volte. Non aveva trattenuto la rabbia come al solito, ma aveva gonfiato le guance, seccata. Era una cosa che non aveva mai visto, ma gli fece uno strano effetto. In quel momento era davvero carina. Poi però Ran-chan gli fece lo sgambetto, facendolo precipitare addosso da Akane, che si era avvicinata a loro. Quando atterrò sulla ragazza si ritrovò in una posizione scomoda. Molto scomoda, dato che aveva la faccia affondata nel seno di Akane. Sentì il ki di Akane aumentare e diventare furibondo, mentre uno schiaffone lo fece volare dalla parte opposta del dojo. Durante il volo riuscì ad urlare “NON L’HO FATTO APPOSTA AKANEEE!” SBANG! Il rumore dello schianto sulla parete di legno arrivò prima del dolore e lo avvertì dell’imminente bernoccolo che gli sarebbe spuntato in testa a breve. Si tirò in piedi e si preparò alla lite. “Dannato maschiaccio, secondo te l’ho fatto apposta?” Si trattenne però dal definirlo poco femminile. La sensazione di morbidezza era ancora troppo impressa sul suo volto per poterla denigrare. Vide che però Ranma si stava scusando al posto suo. “Mi dispiace Akane-chan, volevo fargli uno scherzo, non pensavo che fosse così attratto da te.” Le parole di sua sorella erano completamente senza senso, ma improvvisamente il ki furioso di Akane scomparve, sostituito da un’espressione preoccupata. “Akane, che cosa succede?” 

La ragazza si fece seria e spiegò l’idea di Obaba ha due fratelli. Guardò preoccupato la sorellina, ma quello che vide fu un segno inequivocabile del suo legame con lui. Nei suoi occhi brillò la luce della sfida. Capì al volo il pensiero della sorellina. Non importava se non ricordava nemmeno il nome di quella tipa, se l’aveva sfidata gli avrebbe dato il fatto suo. Era certo che fosse quello. Anche perché era quello che avrebbe fatto lui. 

 

 

Ranma

Non ci aveva capito molto, ma una cosa gli era chiara. Se avesse sconfitto la cinese ci sarebbe stato un problema in meno ad assillare nella sua missione di far ammettere a quei due testoni i rispettivi sentimenti. “Sono pronta Aknane, e mio fratello lo sa bene.” disse, guardando prima l’amica e poi il fratello. “Si, è decisamente pronta ad affrontare Shampoo. Di sicuro sarà in grado di darle il fatto suo. Tu non hai visto tutto l’incontro, sembra che l’amnesia non abbia assolutamente intaccato le sue abilità marziali.” “Davvero? Meno male!” Disse Akane, con tono sollevato. LA rossa sorrise. Se entrambi gli davano il loro pieno sostegno di certo non avrebbe perso. Decise che avrebbe passato il resto della giornata da allenarsi e prepararsi allo scontro. 

Nel pomeriggio giunse finalmente l’ora. Davanti a le c’erano sia la ragazza dai capelli viola di quella mattina sia una strana e minuscola vecchietta vestita di verde, che stava appollaiata in precario equilibrio su di un lungo bastone, che le permetteva di avere un’altezza quasi normale. Vide parlottare per un’attimo la vecchietta con Akane, per poi rivolgere lo sguardo al fratello, che faceva da arbitro di quella lotta. La sua avversaria invece impugnava due curiose armi di fattura cinese, Akane le aveva detto che si chiamavano bonbori, o qualcosa del genere. Sapeva che avrebbe dovuto eliminarli, quei due palloni d’acciaio erano decisamente troppo pericolosi. Entrambe fecero un piccolo inchino e si misero in guardia. Ora la vera lotta poteva iniziare. 

All’urlo “Hajime!” del fratello la cinese piombò verso di lei agitando le sue armi, che la rossa schivò abbassandosi e ne approfittò per reagire, spezzando il manico di una delle due armi con un rapido calcio e lanciando l’arma lontano da loro, troppo per essere recuperata. Esultò per un attimo di troppo, ricevendo il calcio della cinese nello stomaco, ma riuscì a rotolare via e a schivare l’ennesimo colpo del bonbori rimasto, che si abbatté a pochi millimetri dalla sua testa. Si preoccupò per un attimo. Quel colpo l’avrebbe potuta uccidere! Ma ormai l’euforia della lotta l’aveva invasa, e saltò direttamente sull’arma di Shampoo, colpendola con forza alla spalla che impugnava l’arma, facendole mollare la presa. Privata di entrambe le sue armi la cinese cambiò guardia, preparandosi a combattere a mani nude. Ranma attaccò con tutte le sue forze, svolazzando attorno a Shampoo, che continuava a tentare di colpirla con calci e pugni senza però riuscire a colpire la rossa. Dopo dieci minuti buoni di schivate, parate e colpi a vuoto Ranma si decise a concludere. Saltò fin quasi al soffittò, puntando l’avversaria con un calcio volante. Quando però la cinese si mise in una posizione per parare il colpo Ranma sorrise, e cominciò a tirare calci potenti e precisi, così veloci da non essere nemmeno visti. “Tecnica modificata delle Castagne. Cento Calci!” La cinese non poté fare altro che tentare di difendersi e limitare i danni dei calci. Alla fine riuscì ad afferrare una gamba dell’avversaria, che però torse il busto e piantò le mani a terra, sollevando, con la sola forza degli addominali, l’avversaria, facendola schiantare a terra ribaltandola. Ranma eseguì un salto mortale all’indietro rimettendosi in guardia. Shampoo si rialzò, parecchio malconcia e stupita dalla forza dell’avversaria, troppo forte e abile per lei, ma nei suoi occhi si vedeva che non si sarebbe mai arresa. “Ehi Shampoo, senti, io non mi ricordo nemmeno che cosa io ti abbia fatto, perché non a smettiamo e ti arrendo? Tanto mi hai colpito solo una volta, mentre io ti ho colpito almeno una decina di volte. Sei un po’ lenta, vero?” La ragazza cinese si mise a fumare dalla rabbia. “Ops, ho parlato troppo?” Chiese, strafottente, la rossa. Shampoo la assalì con furia, ma proprio la rabbia che cercava di riversare addosso alla rossa la fregò. Infatti i suoi colpi diventavano più lenti ed imprecisi mano mano che la rabbia montava, e la ragazza con il codino diventava sempre più veloce, finché non riuscì a spezzare la debole guardia della cinese, colpendola con due pugni ed una ginocchiata al diaframma, un punto estremamente vulnerabile. Il terribile colpo abbatté la cinese mettendola in ginocchio, che poi cadde a terra svenuta. Ranma aveva il fiatone, ma era estremamente soddisfatta del risultato. “Ma allora non sei così forte come vorresti far credere, vero Shampoo cara?” Disse la rossa, immensamente soddisfatta dal risultato dell’incontro. Poi si rivolse alla vecchietta. “Allora vecchiaccia, mi sono guadagnata la pace?” l’anziana signora si era appena caricata in spalla la nipote svenuta, “ Si futura cognata, sei libera dalle nostre tradizioni, così come lo è la mia cara nipote.” Ranma si arrabbiò. “Ma cosa dici, l’unica che può chiamarmi così è Akane vecchiaccia!” disse, irritata dalla sicurezza della vecchia. “Se credi giovanotta, se credi…” Disse la vecchia, sfottendola e andandosene portando via la nipote svenuta. 

 

 

 

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Capitolo finito, spero che il combattimento tra Shampoo e la nostra eroina vi sia piaciuto, e spero di essermi fatto perdonare per non aver inserito nemmeno una scena di lotta nel capitolo precedente. Non ho molto altro da dire tranne che spero vi sia piaciuto il capitolo, di avervi intrattenuto almeno per una decina di minuti e chiedervi di lasciarmi una piccola recensione per farmi sapere che ne pensate. 

Ciao dal vostro 

Jacob Stark di Grande Inverno

 

 

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Capitolo 6
*** Nuove esperienze per Ranma ***


 

 

Nuove esperienze per Ranma

 

 

Ranma

 

La sera della sua, a quanto pare, grande vittoria, Kasumi aveva preparato un’incredibile banchetto, composta da un sacco di piatti che non ricordava di amare, ma che divorò con gusto pari a quello del fratello. Come era prevedibile, avevano praticamente gli stessi gusti. Non a caso erano gemelli! La rossa con il codino cercò di darsi un contegno e di mangiare in modo civile, imitando le sorelle, provando un punta d’invidia per il fratello, che si strafogava come un animale senza preoccuparsi di nulla e nessuno. Anche se fosse, da come lo guardava Akane avrebbe dovuto darsi un decoro, visto come lo guardava lei. Avrebbe dovuto trovare un modo per civilizzare il fratello. Chissà se anche lei si comportava così prima dell’amnesia. Avrebbe dovuto chiedere, si disse. Continuò a mangiare per la sua porzione, continuando a ricevere i complimenti delle sorelle Tendo e di Ranma, gonfio d’orgoglio, nemmeno fosse stato lui a sconfiggere Shampoo. Finirono la cena lei si diresse in bagno, per darsi una ristorata. Si immerse nella vasca, rilassandosi. L’acqua calda la faceva sentire bene, ma, presa da uno strano impulso, uscì dalla vasca e si fondò sotto un getto d’acqua fredda, che la fece sentire più viva che mai. Gli diede una scarica d’energia incredibile, quell’acqua. Chissà perché? 

Uscì dal bagno e si stava dirigendo verso la camera di Akane, quando sentì dei rumori provenire dal dojo. Si sporse dalla porta, e vide il fratello che si allenava a petto nudo nella palestra. Decise di fargli uno scherzo. “Ranma…” disse, imitando la voce e il tono di Akane. Ranma fece un salto e si coprì il petto nudo, rosso come un peperone.  “Ed ecco il mio coraggiosissimo fratellone ha la fifa di farsi vedere mezzo nudo dalla sua ragazza!” disse, sorridendo. Ranma prima sembrò arrabbiato, poi sorrise, ma era un sorriso serio. “Sorellina, ascoltami: Nostro padre è un’uomo estremamente stupido, avido e meschino. A questo scopo, una volta che mi ha rivelato di avermi fidanzato a sorpresa mi sono battuto con lui per impedirgli di farti lo stesso scherzo, tra l’altro ho fatto bene. Quindi da un po’ di tempo a questa parte l’unico che ha l’autorità di prometterti in sposa a qualcuno. Ma tranquilla, non ho intenzione di fare nulla del genere.” La ragazza rimase un po’ confusa. Per impedire a suo padre di fare qualche imbroglio strano con lei l’aveva affrontato e sconfitto. Doveva tenerci davvero tanto a lei. Sentì un’improvviso calore nel mezzo del petto. “Davvero hai affrontato nostro padre, che poi sarebbe il nostro maestro, solo per impedirgli di farmi quel genere di scherzi?” “Si, quindi non preoccuparti.” La rossa non era proprio sicura di quanto questo fosse importante l’atto in sé, ma capiva che ci voleva un grande coraggio per affrontare il proprio padre. Abbracciò il fratello, grata per ciò che aveva fatto. 

 

 

Ranma

Quando la sua sorellina lo abbracciò si sentì stupidamente felice. Quello che aveva detto non lo aveva ancora fatto, ma aveva intenzione di farlo. Non avrebbe permesso che quell’idiota di suo padre la desse in sposa a Kuno o peggio ad Happosai? Sapeva che quell’avido codardo del padre sarebbe stato capace di farlo. E lui non aveva intenzione di permetterlo, anche a costo di sconfiggere Happosai in persona. Ed il calore che gli stava trasmettendo l’abbraccio della ragazza davanti a lui non faceva che aumentare la sua determinazione. Era un calore mai provato, nemmeno nei rari momenti romantici con Akane. Era diverso, perché quel calore era come una potente onda che lo travolgeva, lasciandolo incapace di intendere o volere, mentre questo calore lo avvolgeva gentilmente, facendolo sentire desideroso di proteggerne la fonte, come se volesse avvolgere le mani attorno ad una fiammella per proteggerla dal vento. Abbracciò a sua volta la sorella, sentendola piccolissima nelle sue braccia. Quel gesto però gli fece capire quanto quella ragazza fosse stata importante per lui quando erano una cosa sola e quanto sarebbe stata importante per lui in futuro. L’avrebbe protetta, l’avrebbe protetta come proteggeva Akane. L’avrebbe protetta da maniaci che giravano per Nerima. Le avrebbe protette dai maniaci che giravano per Nerima. Certo che Nerima era piena di gente pericolosa, e Shampoo era solo la prima, pensò il ragazzo. Presto ci sarebbero stati gli incontri con Ukio, ma di quello non era preoccupato, e, peggio, con quei pazzi di Kodaci e del preside Kuno. Ed anche quel cretino di Tatewaki sarebbe stato un problema. 

Prese un respiro ed allontanò quei pensieri dalla mente, godendosi il calore di quell’abbraccio. Quando lei lo lasciò andare si ricordò di una cosa. “Ah, sorellina, il doc ha detto che è meglio se non torna ancora a scuola per un pochino. Magari domani rimani a casa e ti riposi ancora un po’, che ne pensi?” La rosse smembrò un po’ seccata dalla cosa, ma annuì, seria. “Se il dottore ha detto così allora significa che è meglio così. Obbedisco.” disse, concordando con il giudizio del medico. Ranma sorrise, rassicurato. “Bene. Ora vai a dormire, Akane ti starà aspettando.” Disse, cercando di fare il fratello grande. Però quello che fece la ragazza lo spiazzò. Si alzò in punta di piedi e gli diede un bacetto sulla guancia. “Buona notte nii-chan!” mormorò lei, con una dolcezza che lui non aveva mai ricevuto. E mentre la sua piccola e nuova sorellina usciva dal dojo, lui rimase lì, con il cuore sciolto e pieno di felicità. Forse la sua separazione da lei era la cosa migliore che gli fosse mai successa, ma non nel modo che aveva creduto. Se davvero era così, allora si sarebbe assicurato di renderla sempre felice. Suo padre, Happosai ed il signor Tendo sarebbero tornati proprio quella notte, e lui li avrebbe aspettati e affrontati prima che l’alba sorgesse. 

Poche ore dopo, all’ingresso della palestra, Ranma vide tre figure alla porta. Erano le ombre di un uomo alto e magro, di un panda e di un minuscolo omiciattolo. Entrarono nel dojo chiacchierando, la fastidiosa voce gracchiante di Happosai che raccontava un qualche aneddoto sganasciandosi di risate. “E allora Genma ha…” Ranma attirò l’attenzione dei tre. “Scusate, ma devo parlarvi di una cosa. Una cosa seria, quindi non fate gli idioti, per favor…” “ZUCCHERINO!” urlò Happosai, lanciandogli contro un secchio d’acqua gelida. Ma non ebbe effetto. Infatti il minuscolo manico si ritrovò a palpeggiare solo i pettorali di Ranma, cosa che gli causò non poca delusione e schifo. “Ma come? Dov’è il mio sexy zuccherino? L’acqua non era forse abbastanza fredda?” disse, in preda ad un ridicolo panico. “Proprio di questo devo parlarvi quindi, quindi evita di interrompere vecchiaccio!” disse, colpendo il vecchio maniaco e schiantandolo a terra. Poi guardò verso suo padre, in forma di panda, ed il signor Tendo. Entrambi si sedettero a terra. Non avevano mai visto Ranma così serio. Lui gli spiegò tutto ciò che era successo nei tre giorni precedenti: la sua separazione in due, le parole del dottor Tofu, la sua decisione di occuparsi della ragazza. Tuttavia accadde esattamente quello che il ragazzo temeva. Happosai partì in quarta. “GENMA! Se davvero Ranma si è diviso dalla sua parte femminile, allora significa che lei tua figlia, e tu la darai in sposa a me!” disse, espandendo il suo ki per intimidire Genma. Peccato non avesse considerato Ranma, che, appena dietro di lui, lo colpì con tutte le sue forze, mettendolo a terra per un secondo, il tempo necessario però per immobilizzarlo del tutto con una corda che aveva preparato in precedenza. Il tono del ragazzo era furibondo. “NON OSARE  NEANCHE PENSARLO VECCHIO! Magari lei non è più me, ma se tenterai di toccarla mi preoccuperò di farti pezzi personalmente, chiaro?” Negli occhi del ragazzo brillava qualcosa di mai visto. Era senso di responsabilità, si chiese Genma? “Papà ascoltami. Lei è comunque una parte di me, ed è una mia responsabilità. Sono disposto a combattere per proteggerla. Quindi in guardia papà!” disse, mettendosi in guardia, pronto per attaccare il padre. Il quale non perse l’occasione per attaccare il figlio, che però reagì con una forza ed una velocità inaspettate, mettendo a terra il padre in pochi colpi*. “Ora lei è una mia responsabilità a tutti gli effetti. A questo proposito, signor Tendo, le devo parlare di una cosa importante. Ho parlato con Nabiki, e mi ha detto che, se dovessimo sostenere un’altra persona ci sarebbero dei problemi economici. Così ho pensato che, magari, potrei cominciare a darle una mano con il dojo. Magari tenendo un corso extra, per i bambini. Ormai dovrei essere in grado di farlo, e così potremmo avere un’altra entrata. Nabiki ha detto che dovrebbe bastare.” Osservò Soun mentre pensava, fissandolo speranzoso. Pochi secondi dopo però sul volto del signor Tendo si dipinse un sorriso. “Ma certo Ranma, mi sembra un’ottima idea. Così farai pratica per quando prenderai in mano il dojo e sposerai Akane!” Disse, felicissimo. Ranma alzò gli occhi al cielo, troppo stanco e troppo felice della buona notizia per ribattere come al solito. Tutto sarebbe andato per il meglio, almeno per un po’. “Bene, ma mi raccomando. Recitate bene la parte domani. E, papà, domani devi venire a scuola, per iscrivere Ranma, quindi vedi di svegliarti in tempo, chiaro?” Disse, andandosene dalla palestra e recandosi in camera, stanchissimo per l’attesa, la tarda ora e seri discorsi affrontaiti. 

*In effetti erano così pochi che non ho perso tempo di descriverli

 

 

Akane

Lunedì mattina. Non si poteva non odiarlo. Era il primo giorno della settimana, toccava alzarsi presto dopo un paio giorni di riposo, e poi ricominciava il solito tran-tran quotidiano. Che a casa Tendo non era esattamente tranquillo. Si alzò a fatica, e si rese conto di essere accoccolata ad una ragazza, che stavolta riconobbe, e che decise di non svegliare, sapendo del piano di Ranma per farla ammettere alla scuola. Scivolò fuori dal letto in silenzio prendendo i vestiti e recandosi in bagno per lavarsi. Mentre entrava trovò uno zombifico Ranma, talmente tanto assonnato da non riuscire nemmeno a riconoscerla, limitandosi a farle un cenno con la mano per chiederle di uscire. Questo la sfece sentire un po’ offesa. Da quando in qua lui non aveva nessuna reazione? Una qualunque reazione da parte sua sarebbe stata preferibile all’essere ignorata in quel modo. Si girò ed uscì, offesa, mentre Ranma continuava a guardarla stordito. Si chiuse la porta alle spalle e tornò in camera, svegliando la sua amica mentre sbatteva la porta. “Hmmmm, Akane-chan, che cosa c’é ?” disse lei, assonnata e un poco rimbambita. “Tuo fratello, tanto per cambiare.” disse, arrabbiatissima. “Ha sbirciato mentre facevi la doccia?” “Mi ha ignorata!” Troppo tardi si rese conto di cosa aveva detto. “Allora ti da fastidio che lui ti ignori! Quindi vuol dire  che di lui ti importa, vero?” disse la rossa, improvvisamente sveglia e con il suo sorrisetto ironico già stampato sul volto. Sembrava che la prendesse in giro. Era proprio uguale a Ranma, si disse, deprimendosi per un secondo. “Vuoi che vada a vedere se ha finito Akane?” disse la rossa, fraintendendo la sua depressione. “Si, grazie Ran-chan.” disse Akane, per poter restare un’attimo da sola. Non che gli fosse dispiaciuto dormire con lei, ma gli serviva un’attimo per pensare da sola. Per pensare a quel sabato mattina in cui lei e Ranma si erano imboccati con le frittelle, per ripensare all’incontro con Shampoo, per mettere in ordine il suo cuore e la sua mente ignorando gli eventi del fine settimana, per poter affrontare Ranma e il mondo come la solito. Soprattutto il mondo. Alla fine Ran-chan si sporse dalla porta, facendole sapere che il bagno era libero. Si diresse rimuginando verso il bagno, dove trovò un’altra spiacevole sorpresa. Un certo maniaco gnomo che le presentò un paio di mutandine di pizzo “Akanuccia, perché non ti provi questo zuccherino?” Ancora Happosai. Era già tornato! Per un’attimo si preoccupò per Ran-chan, ma poi capì che c’era poco da preoccuparsi. Gli impressionanti bernoccoli che aveva sulla testa erano la conferma che aveva incontrato i nuovi fratelli Saotme. Così lo colpì anche lei, facendolo volare via. “Non ci provare nemmeno, MANIACO!” disse, infilandosi poi nel bagno e lavandosi in fretta. Aveva già perso troppo tempo. Quando scese vide che Ranma era un po’ nervoso, oltre che stanchissimo. Happosi non c’era nemmeno, probabilmente stava ancora volando per i cieli di Nerima, ma erano tornati suo padre e il signor Saotome. Che tra l’altro sembrava stranamente tranquillo, per uno che aveva appena scoperto di avere una figlia. Probabilmente Ranma l’aveva avvertito in qualche modo. Alla fine della colazione il ragazzo cose fuori, prima che Akane potesse raggiungerla. “Ma… Ranma, aspettami!” urlò la ragazza, senza successo. Sembrava che nemmeno l’avesse sentita urlare. Akane guardò verso la famiglia, cercando spiegazioni, ma nessuno gli diede risposta. Suo padre però aveva un sorriso sornione sul volto, come se sapesse di cosa si trattava, ma volesse fare una sorpresa a tutti. Si alzò e e si recò a scuola con Nabiki, come non faceva da tempo. Arrivata in classe fece per chiedere spiegazioni a Ranma ma il professore cominciò la lezione e lei non ebbe modo di parlargli. Nemmeno durante la pausa riuscì a parlagli. Nemmeno i suoi amici avevano idea di dove fosse andato a cacciarsi. Lei odiava quando Ranma la prenda in giro, ma odiava ancora di più sentirsi ignorata da lui. Come ultima opzione si recò sul tetto, nella speranza di trovarlo. In effetti lo trovò. Lo aggredì subito. “Ranma, ascoltami, che diavolo ti è preso da stamattina? Dimmi che diavolo ti è successo!” Il ragazzo alzò gli occhi da un piccolo taccuino su cui stava scrivendo fino ad un secondo prima. La stranezza della cosa fece sbollire Akane, che si avvicinò al ragazzo per vedere il contenuto del taccuino. “Cosa stavi scrivendo?” chiese, curiosa. Ranma chiuse al volo l’agendina, ma la ragazza fece in tempo a vedere, scarabocchiata nella sua grafia orribile, quelli che sembravano degli appunti di una lezione. Ma il ragazzo non rispose, liquidando la domanda con dei borbottii a mo’ di scusa. “Nulla, nulla, non è importante. E’ solo una cosa che sto provando” disse, imbarazzato. Akane provò ad insistere un pochino, ma si arrese quando si rese conto che era un’impresa disperata. E che quel codardo di Ranma se l’era svignata. Fece un sospiro e si arrese. Non aveva senso insistere, visto tutto quello che faceva per deviare il discorso. 

 

 

Ranma

La sua giornata era stata una vera noia. Era rimasta a casa, aveva dato una mano a Kasumi, aveva picchiato innumerevoli volte Happosai e si era anche scontrata con l’uomo che diceva di essere suo padre. In effetti faticava un po’ a credere che quell’uomo che con loro non ci azzeccava nulla. Davvero, come diavolo avrebbe potuto essere quel tizio loro padre? Probabilmente avevano preso dalla madre. 

Finalmente la giornata scolastica finì, e sia Ranma che Akane tornarono, permettendole di passare del tempo di qualità, finalmente. Inoltre insieme ad Akane erano arrivate anche un paio di sue amiche, Yuka e Sayuri. Le due non la conoscevano, almeno non benissimo, ma ricordavano di averla vista in giro per casa Tendo, ed in effetti aveva senso che fosse la gemella di Ranma. Così passò un bel pomeriggio tra ragazze, e questo non fece che aumentare il suo desiderio di uscire e farsi una bella passeggiata con loro. Chiacchierarono per circa due ore, quando sentirono degli strani suoni provenire dal dojo. Urla di bambini, insieme a quelle di qualcuno che cercava di mantenere l’ordine. Urla che alle orecchie della rossa risultavano molto familiari. “Akane, scusa, ma che succede nel dojo? Non ti sembra di sentire mio fratello che strepita?” Akane e lei sue amiche si zittirono per ascoltare meglio. Le urla però dopo un po’ si quietarono, ma questo non fece che aumentare la curiosità delle ragazze, che scesero nel dojo per vedere cosa fosse successo. Quatte quatte si avvicinarono alla porta, e ne aprirono uno spiraglio per vedere cosa stesse succedendo. E lo spettacolo che si trovarono davanti fu incredibile. Ranma che, con qualche problemino, faceva fare riscaldamento a una dozzina di bambini e bambine, tutti che correvano in cerchio insieme al ragazzo e si scaldavano imitandolo, tutti più o meno obbedientemente, anche se alcuni parlavano tra loro, subito ripresi dal ragazzo. “Seiya, non disturbare Shun e corri!” disse, severo.  “Si Ranma sensei!” disse un bambino dagli occhi dolci e i capelli castani e disordinati, superando un’altro bambino dai tratti un po’ femminili e dai lunghi capelli verdi.

Le ragazze rimasero a guardare affascinate, sopratutto Ranma e Akane. La rossa con il codino vide il fratello in una luce inaspettata, quello del maestro. Ma subito dopo si rese conto che quella che lo stava guardando con maggiore intensità era Akane. Negli occhi della ragazza vide una specie di apprensione. Non capiva molto del perché, ma si ripromise che  avrebbe chiesto. Poi tornò ad osservare la lezione del fratello, notando che anche alcune delle bambine guardavano Ranma adoranti. Beh, vista obiettivamente, forse lo vedevano come una specie di eroe. In effetti faceva la sua figura con il suo kimono e la sua cintura nera. Cavolo, era davvero davvero imponente. E se sembrava imponente a lei come poteva non esserlo agli occhi di dei bambini tra i nove e i dieci anni, che l’avevano, probabilmente, visto dare una dimostrazione delle sue abilità prima della lezione, a giudicare dai mattoni spaccati in un angolo. 

Poi all’improvviso Sayuri scivolò a terra, facendo cadere dentro al dojo anche le altre. Tutti si voltarono verso loro quattro, fissandole. Uno dei bambini fece il commento: “C’è un’altro Ranma-sensei!”, urlò. Era ancora quel bambino che aveva ripreso Ranma prima, Seyia. Anche Ranma stesso sembrava un po’ stupito della loro irruzione. Un altro bimbo, con lunghi capelli neri e lisci e tratti cinesi, si avvicinò ad Akane, offrendogli di aiutarla ad alzarsi. “Serve aiuto signorina?” chiese  alla ragazza, con una cortesia quasi innaturale per un bambino della sua età. Anche il bambino con i capelli vedi si avvicinò per aiutare le ragazze, subito seguito dagli altri maschietti della palestra. “Complimenti Shiryu, ti sei comportato da vero gentiluomo.” disse Ranma, che fece i complimenti al bambino dai capelli neri. Poi si rivolse al suo gruppo di allievi e presentò le nuove arrivate. “Allora ragazzi, la signorina con i capelli rossi è la mia sorellina, e si chiama come me. La ragazza accanto a lei è Akane, e si dà il caso che sia la figlia del signor Tendo, il capo della palestre, l’avete incontrato all’inizio della lezione. Le loro due amiche sono Sayuri e Yuka” disse, indicando di volta in volta le ragazze. “A proposito Akane, noi dovremmo andare, ci vediamo domani a scuola.” Disse Yuka, andandosene con Sayuri. 

Ranma ed Akane si ritrovarono avvolti in un bagno di folla, con  bambini, e sopratutto le bambine, che le assediavano facendo domande di oggi tipo. Se sapevano le arti marziali, se erano forti come Ranma, uno addirittura chiese a entrambe se erano libere. Ranma non riuscì ad individuare il colpevole, ma di sicuro lui rimase male quando affermò che Akane era la fidanzata di Ranma. A quel punto tutte le bambine sgranarono gli occhi e chiesero, all’unisono: “Quando vi sposate?” Akane stava per aprire bocca, ma il ragazzo la fermò, portandola in un’altra stanza e lasciando la povera Ranma in balia dei bambini. “Dammi cinque minuti.” gli aveva sussurrato prima di sparire con l’amica. 

Lei non aveva idea di cosa fare, quindi decise di presentarsi.  Ebbe modo di conoscere tutti i bambini, dove sopratutto le femmine, notando i muscoli tonici della ragazza, continuavano a chiedere se lei era fortissima come Ranma, e se loro sarebbero diventate orti come lei. “Bambini, perché non vi presentate?” chiese lei, pregando che questo li distraesse dall’assedio a lei. I bambini si presentato. Alcune erano anche straniere, tra cui una ragazzina mezza greca di nome Tisifone, un anno più grande degli altri, che fissava Seiya con occhi sognanti. “Bene bambini, fatte le presentazioni che ne pensate di continuare con il riscaldamento finché non torna il sensei?” disse, cercando di prendere tempo per lasciare che suo fratello si chiarisse con Akane. 

Alla fine i bambini si rimisero a correre, e poco dopo vennero raggiunti dai due ragazzi, stranamente pacifici. “Bene ragazzi, riprendiamo la lezione. Signorine, volete lasciarci?” chiese, stranamente galante con Akane e con lei. I bambini protestarono in po’, ma si rimisero subito da allenarsi, obbedienti. Le due ragazze invece uscirono per non distrarre i piccoli. “Allora, di cosa avete parlato con mio fratello?” chiese, curiosa. “Mi ha semplicemente chiesto di non dagli del maniaco di fronte ai bambini. Per non avere problemi con le famiglie.” Disse, fredda come il ghiaccio. Chissà che le prendeva, si chiese Ranma.

 

 

Akane

“Ran-chan possiamo parlare?” chiese, seria seria. “Si. Ma mio fratello ti ha fatto qualcosa di brutto?” chiese l’amica, preoccupata dalla seriosità di Akane. Quando arrivarono in camera Akane sta ancora cercando di mettere in ordine gli strani sentimenti che l’avevano aggredita quando aveva visto Ranma a fare il maestro. Si sentiva come se lui avesse implicitamente accettato l’idea dei loro genitori mettendosi a insegnare, anche se lui aveva affermato che era solo per coprire le spese della sorella. Ma non riusciva ad accettarlo. Più ci pensava e più, vedendolo con quel kimono addosso e quel piglio deciso riusciva ad immaginarlo come a capo della palestra. Ma questo avrebbe voluto dire che accettava anche il matrimonio con lei, anche se era imposto dai loro genitori. Si sedette sul letto, mentre Ranma si mise sulla sedia davanti a lei, appoggiando il petto contro lo schienale. “Allora, cosa è successo?” chiese la rossa, curiosa ed un po’ preoccupata. Akane prese un gran respiro e ripeté alla ragazza con il codino tutti i pensieri formulati in quei lunghi minuti. Gli disse che aveva paura, aveva paura di quel ruolo così prepotente che aveva assunto il ragazzo nella palestra. Se prima l’aveva sempre protetta, sia lei che la palestra, ora si era messo anche ad insegnare, forse ignaro lui stesso del peso che questa sua decisione aveva su di lei. Racconto a Ranma di quanto avesse paura. Aveva paura di non vere più alcun controllo sul suo destino. Aveva paura di essere troppo debole. Troppo debole per difendersi, e per difendere la palestra. Ma poi dai suoi occhi cominciarono a stillare lacrime. Tutte le sue paure, frustrazioni, e timori scorsero fuori come un fiume in piena. Aveva paura. Paura per tutte le volte che lui rischiava la vita per lei, pura per quel futuro che, sebbene fosse programmato, non le dava nessuna sicurezza. Si era preparata tutta la vita per prendere la palestra, anche a costo di farlo da sola. Poi era arrivato lui. E lei l’aveva odiato. Fortissimo, in grado di battere con facilità tutti i più forti di Nerima. Bello, con il fisico scolpito e quegli occhi blu come il mare. Tenero, a modo suo, con la sua strana fobia dei gatti e la sua timidezza che, lo sapeva, troppe volte lei fraintendeva quando altre ragazze gli si appiccicavano. E nonostante lui fosse sempre scortese con lei, la  chiamasse sempre maschiaccio, e cercasse in tutti modi di denigrarla, nonostante lei dicesse di odiarlo con tutte la sue forze, non aveva potuto fare a meno di innamorarsene. Di innamorarsi di quello strano ragazzo con il codino che aveva invaso la sua vita e l’aveva sconvolta, portandosi dietro un sacco di personaggi strani ed assurdi, non ultima Ranma, troppo forte per essere una ragazza qualunque, troppo vitale e dolce per non affezionarsi a lei come ad na sorellina. Esattamente come il fratello era entrata nel suo cuore, travolgendola. E forse proprio con la sua amnesia l’aveva costretta a rendersi conto di quello che provava per Ranma. Del fatto che lei di Ranma era innamorata, e che non sopportava di vederlo circondato da altre ragazze, del fatto che anche lei avrebbe voluto le coccole da lui come le riceveva Ran-chan. Diavolo, era addirittura un po’ gelosa di lei, la sorellina di Ranma. Ma se Ranma l’avesse rifiutata? Se non l’avesse voluta? Se gli insulti che le rivolgeva sempre fossero stati reali? Se lui davvero vedeva il loro fidanzamento come una seccatura? Come avrebbe fatto ad andare avanti? Come avrebbe fatto a guardarlo negli occhi ogni mattina? E se, ancora peggio, non gli avesse risposto e fosse scappato vi a come al solito? 

Akane buttò fuori tutto questo, che ormai da più di un anno si teneva dentro. Lo buttò fuori in un fiume di parole, un torrente inarrestabile, che investì Ran-chan con tutta la sua forza, e che alleggerì di diversi pesi il cuore di Akane. La ragazza si sentiva leggera, come non si era mia sentita prima. Ma in quel momento l’assalì un’altra paura. Quella che, magari, Ran-chan, pensando di farle un favore, andasse a dirlo a Ranma. Ma i suoi dubbi vennero fugati immediatamente. “Akane-chan -disse lei, con occhi scintillanti- ma davvero provi tutto questo per quello scemo di mio fratello?” e la abbracciò. L’abbracciò con una dolcezza che aveva sentito solo in Kasumi fino a quel momento. Gli sussurrò all’orecchio parole dolci: “Tranquilla Akane-chan, io sono qui per te. Ti sosterrò sempre e comunque.” disse, stringendola sempre di più. A quel punto Akane si mise a singhiozzare, commossa ed emozionata. Non si era sbagliata, Ran-chan era davvero un’amica speciale, arrivata nella sua vita dal nulla per, forse, aiutarla ad essere felice. Quando si sciolsero dal quell’abbraccio però vide una nuova luce illuminare il volto della rossa. Era determinatissima. “Ascolta Akane, non possiamo certo lasciare che questi tuoi sentimenti ti ribollando dentro. Sarebbe uno spreco immenso. Scoprirò cosa prova mio fratello, mentre insieme ti trasformeremo nella più grade sogno di mio fratello, anche erotico. Sarà così cotto che non riuscirà più nemmeno a parlare quando sarete insieme da soli. Riuscirà solo a guardarti e restare lì come un idiota. Lungo la schiena di Akane corse un brivido gelido. Aveva trovato un’alleata, questo era certo. Ma a quale prezzo?

 

 

Ranma

Era distrutto. Non aveva mai fatto così tanta fatica in vita sua. Tenere a bada dodici ragazzini che urlano, corrono ovunque e non vedono l’ora di darsele era stata una delle imprese più difficili della sua vita. Chissà se era davvero come diceva Soun, e sarebbe diventato più facile con il tempo. Per ora era meglio riposarsi, tra due giorni avrebbe avuto un’altra lezione, e ci voleva una bella notte di sonno per riprendersi. Questo pensava il ragazzo, mentre era steso sul dojo, intento a riprendersi. Però doveva ammetterlo, si era proprio divertito. Forse gli era andata bene, ma tutti i suoi allievi sembravano tutti abili e curiosi, e desiderosi di imparare e disposti ad ascoltarlo. Era buffo vedere come i rapporti tra bambini così piccoli fossero già così intricate. Chiuse gli occhi per un momento, riposandosi un’attimo. Che stanchezza…

*“Ranma, svegliati…” il ragazzo sentì una voce familiare che lo richiamava.    “Hm, Akane, lasciami dormire ancora cinque minuti.” disse, convinto he fosse mattina. “Tesoro, devi preparare la lezione di oggi. Non puoi mica lasciare andare il dojo.” disse Akane, abbassandosi su di lui e dandogli un bacio. Per un secondo Ranma non capì nemmeno cosa stava succedendo, ma poi aprì gli occhi e la vide. Akane era in piedi davanti a lui, con i capelli di nuovo lunghi, gli occhi scintillanti e, sotto un sospetto grembiule da cucina, un lieve gonfiore alla pancia, ancora più sospetto. Stava per parlare, ma la ragazza gli si sdraiò accanto, avvolgendosi a lui. “No, non parlare. Hai ragione, restiamo così ancora un po’.” Ranma rimase lì, come un pesce lesso, incapricciato di fare qualunque cosa che non fosse abbracciare a sua volta Akane. “Akane, sei bellissima”…*

“RANMA, RANMA! Alzati, è ora di cena!” La voce che chiamava aera nuovamente quella di Akane, ma decisamente diversa da quella dolce che aveva prima. Tentando di calmarla allungò la mano e, senza nemmeno aprire gli occhi, la avvolse in un abbraccio, portandola a sé e sdraiandosela accanto. Non fece in tempo ad accoccolarsi addosso a lei che gli arrivò un una sberla da parte della ragazza, che lo svegliò del tutto e gli fece aprire gli occhi. Quella che si ritrovò davanti non era l’Akane di prima. Non era nemmeno nello stesso posto di prima. Era sempre nel dojo, sdraiato sul duro pavimento di legno, abbracciato ad un’Akane che ribolliva di rabbia. Rimase pietrificato per dei lunghi secondi, finché non fu lei a reagire. Li rimise in piedi, lo afferrò per un braccio e lo scaraventò nel cielo, gridando, con tutto il suo fiato, “BAKAAAAAAAA!”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo finito! Yheeee!

Allora, che dire? 

Sono riuscito a finire il capitolo prima di lasciare casa e il wi-fi di buona qualità, lo stesso motivo per cui non potrò postare nulla per le prossime due settimane. Probabilmente scriverò qualcosa, ma nulla di importante o essenziale, e sopratutto non credo che riuscirò a metterlo online in tempo. Quindi spero che vi godiate il capitolo, che vi piaccia la mia scena di confessione dei sentimenti di Akane, e che qualcuno colga la mia citazione. A chi indovina dò un premio! 

Ma non vi dico quale!

Ciao a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto e di avervi regalato almeno un po’ di divertimento e di risate, ciao a tutti e vi auguro delle belle vacanze

Ciao dal vostro 

Jacob Stark di Grande Inverno.

 


 

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Capitolo 7
*** Duelli e Gente Nuova ***


 

Duelli e Gente Nuova


 

 

Ranma

Ranma si mise in guardia da una parte del dojo, mentre Kuogaiji si mise in posizione dalla parte opposta. Ranma non aveva mai affrontato quella guardia, troppo aperta per essere karatè, troppo stranamente elastica per essere kung fu o qualunque altra cosa. Si preparò a fare la sua mossa. Ormai tutto quello che aveva passato quel giorno era sparito. Era rimasto solo l’avversario che aveva davanti. Un colpo terribile venne inflitto verso il suo avversari, che però gli sparì da davanti gli occhi, svanendo in un nuvola di fumo. “Il fumo è un trucco da vigliacchi!” urlò Ranma, inviperito. “No. E’ una tecnica ninja!” disse il rosso, apparendo in mezzo alla nube di fumo e colpendo con un calcio volante, che venne prontamente parato da Ranma, ma solo per vedere nuovamente svanire il suo avversario nel tempo di tornare in guardia. Decise si accelerare il ritmo. Saltò addosso all’avversario, tempestandolo di calci e pugni, aumentando sempre di più la velocità dei colpi che infliggeva. Ma il suo avversario aveva un che d’incredibile. Parava e schivava ad una velocità incredibile, ma non attaccava. Certo, non è che lui gli desse molto tempo, ma si stava minimamente preoccupando di farlo. Deviava o schivava tutti i colpi più pesanti, lasciandosi colpire da quelli più leggeri, in modo da non perdere troppe energie. Alla fine il codinato decise di fermarsi, visto che non cavava un ragno dal buco. Ma proprio in quel momento il rosso lo attaccò, colpendolo con un’attacco di palmo, proprio nel plesso solare. Il colpo si infilò tra le sue difese senza che nemmeno se né accorgesse. Come diavolo era riuscito a piazzare il colpo? Il colpo lo fece indietreggiare, sia per la sorpresa, ma anche molto per la botta. Il colpo era stato davvero fortissimo. Ripresero a combattere, senza però riuscire mai ad infliggere colpi veramente efficaci all’avversario, dato che, dopo il primo colpo, Ranma riusciva ad evitare i colpi più pericolosi, spostandosi per limitare i danni del colpo terribile inflitto dal rosso.

Il combattimento durò dieci interminabili minuti. Dieci minuti di pesante combattimento, durante i quali però aveva capito la tecnica dell’avversario. Manteneva basso il ritmo durante la difesa, rischiando anche piccoli danni, cosa che poteva permettersi grazie ad una perfetta capacità di valutazione, per poi colpire con un unico e micidiale colpo diretto quando l’avversario si fermava, nell’istante in cui passava dalla guardia di attacco al quella di difesa. Era l’unico momento in cui scopriva quella sua guardia micidiale. Non avrebbe mai potuto fare nulla se non avesse sfruttato quell’unica finestra di tempo. Il suo avversario però sembrava stanco quanto lui. Tutti quei colpi inflitti cominciavano a fare effetto finalmente. Ma non avrebbe retto più di un’altro assalto, era necessario finirla con un colpo solo. Era stanco, sfinito, quel combattimento l’aveva logorato come non succedeva da tempo. Si era abituato a combattere sempre con le stesse tattiche contro gli stessi avversari, e questo nuovo nemico gli sembrava l’occasione perfetta per provare il nuovo colpo. Si rimise in posizione, la stessa posizione che aveva usato prima per salvare Akane. Fece convergere in ki prima nel braccio e nelle dita posizionate ad artiglio, pronto a scagliarsi contro l’avversario. In un salto si trovò dianzi al suo avversario. Cominciò a tempestarlo di attacchi, sforzandosi di nascondere l’immobilità del braccio destro, combattendo sopratutto di gambe, con calci e salti rapidissimi, tentando d’imitare lo stile di combattimento della sorella. Ma evidentemente Kuogaiji qualcosa si accorse, perché cambiò stile di lotta. Divenne più aggressivo, colpendo attraverso le difese indebolite di Ranma, ma alla fine si scoprì. Ranma allora scatenò in suo colpo. L’impatto terribile fu evitato solo grazie ad una difesa velocissima, ma il colpo andò comunque a segno, scaraventando il rosso dall’altra parte del dojo, mandandolo a schiantarsi sulle pareti. Il colpo tuttavia non si limitò a fare quello. Infatti cinque lame di ki partirono dalla mano del ragazzo, affettando i vestiti e lasciando profondi solchi nel soffitto e nelle pareti. Lo stesso Ranma rimase stupito dalla potenza della mossa. Quel colpo terribile gli era stato inviato da sua madre, tramite un piccolo pacco in cui era stata nascosta, in un orribile sciarpa fatta all’uncinetto, scritto una piccola pergamena, che aveva l’aria di essere molto antica. Nelle poche righe di lettera che avevano accompagnato  il pacchetto c’erano scritte due cose. Uno, che sua madre sarebbe venuta a trovarli tra un paio di settimane. Doveva trovare il modo di spiegare a lei, dopo averla rivista, che aveva un’altra figlia. Due, che la tecnica scritta nella sulla pergamena non doveva essere usata sconsideratamente, perché molto potente, pericolosa e segreta. Ecco, ora capiva perché c’era scritto di fare attenzione. Il suo avversario, che non sembrava troppo ferito, tentò di rialzarsi, ma cadde a terra, sfinito dal combattimento. Ma altrettanto capitò al codinato, sfinito dal colpo scagliato, evidentemente troppo potente per lui. Entrambi crollarono a terra svenuti. 

Quando Ranma riaprì gli occhi era sdraiato in camera sua. Qualcuno lo aveva portato di sopra, e l’aveva messo a letto. Mai si era sentito tanto svuotato. Nella lettera c’era scritto che la mossa era pericolosa, ma non credeva certo che fosse così pericolosa anche per chi la usava. Era talmente stanco che non riusciva nemmeno a muoversi. Non aveva mai dovuto usare tanto ki. Di solito ne usava pochissimo, giusto il necessario per rendersi un po’ più forte e resistente, ma questa tecnica lo aveva prosciugato. Come se gli avesse assorbito tutto il ki che aveva in corpo. In effetti non aveva capito bene alcuni kanji. Si leggeva energia spirituale o energia spettrale? Non né aveva proprio idea. E poi che cavolo significava energia spettrale? No, sicuramente la scritta era riferita al Ki, l’energia spirituale. Ma perché mandargli una tecnica così pericolosa per se stessi da essere quasi inutile? Mah, forse avrebbe dovuto studiarsela meglio, quella pergamena. 

Solo dopo si chiese come stesse il suo avversario. Si alzò, ancora barcollante. Doveva essere più debole di quanto credesse, si sentiva come svuotato.  Uscì dalla stanza e si diresse verso la cucina, affamato. Ci trovò, con suo grande sollievo, Kasumi, a cui chiese  qualcosa da mangiare. Una volta saziato gli chiese se sapesse che fine aveva fatto l’altro ragazzo. Kasumi gli rispose che se ne stava occupando suo padre, visto che gli avevano spiegato che la sola presenza di una donna lo pietrificava. Poco dopo però anche il rosso si mostrò in cucina, dove vinse il suo terrore e prese una ciotola di riso da Kasumi. Forse a causa dell’aura da mamma che permeava Kasumi lui non era molto inquieto. In effetti era decisamente più calmo delle altre volte. “Allora, tutto bene Kuogaiji? Forse ho n po’ esagerato prima” “Si, ma che razza di tecnica hai usato? Non avevo mai visto nulla di simile.” “Diciamo che è un segreto di famiglia. “ Il rosso annuì “Si, capisco, anche la mi famiglia ha molte tecniche segrete.” “Ah, ok” disse Ranma, un po’ deluso dalla mancanza di insistenze del ragazzo. 

“Eh si, alcuni segreti dovrebbero rimanere tali.” Una voce gracchiante e familiare risuonò nelle orecchie. Veniva dal petto di Kasumi. Se il doversi concentrare su di un seno era un problema per il povero Kuogaiji, che rimase paralizzato nel guardare il vecchio appiccicato al seno della ragazza, per Ranma non fu un problema. Prese il vecchietto strappandolo via, anche se nel farlo sfiorò il petto di Kasumi, che però era talmente sotto shock da non accorgersi nemmeno del tocco. In fondo Happosai l’aveva sempre lasciata in pace, disturbano più che altro sua sorella e Ranma ragazza. Non l’aveva mai palpeggiata. Non era mai stata molestata in vita sua. Ma evidentemente era proprio sorella di Akane Tendo, perché, quando si vide Happosai davanti, dopo che Ranma l’aveva ‘rimosso’, lo colpì con tutta la sua forza, con un potente colpo di taglio, che lo schiantò a terra spezzando le assi del pavimento. Il pervertito vecchietto sembrò schioccato dal colpo. Così come Ranma. “Kasumi, non pensavo che tu facessi arti marziali!” La ragazza lo guardò, stupita. “Non ho mai  fatto arti marziali. Sono solo spaventata!” “Allora deve essere genetico.” disse Ranma, sogghignando. Kasumi era imbarazzatissima, e si limitò a scappare dalla cucina. Ranma sta ancora ridendo quando una presenza spaventosa lo investì. Una rabbia spaventosa lo avvolse, anche se non era diretta a lui, ma si riversò sul maestro Happosai, semisvenuto. Un ombra afferrò il vecchietto, ancora sotto shock per il colpo subito dalla ragazza. 

 

 

Akane

Lei e Ran-chan erano nel dojo ad allenarsi, ma ad un certo punto un’ombra velocissima le spazzò a bordo campo. Ora Kuogaiji, ignorando del tutto la loro presenza, si trovava di fronte al vecchio Happosai. L’anziano maestro era stranamente stranamente sotto shock. “Thò, ma guarda, Kuogaiji ha trovato il porco!” Disse Ran-chan, con un sorriso malvagio sul volto. Doveva proprio odiarlo, quel vecchio pervertito. I due avversari si affrontarono, Happosai intontito e Kuogaiji furioso. “Adesso affrontami seriamente vecchio maniaco!” Happosai aveva gli occhi lucidi e l’espressione di un uomo distrutto. Anche se Akane sapeva benissimo che probabilmente era una sciocchezza, ma chiese comunque. “Cosa è successo Happosai?” Il vecchietto si girò verso di lei, con i lucciconi. “Kasumi mi ha picchiato!” Questo la lasciò di sasso. Kasumi non aveva mai fatto male ad una mosca. Dove aveva trovato il coraggio e la forza di picchiare Happosai, e perché lo aveva fatto? Ran-chan invece fu molto più diretta: “E tu cosa gli avevi combinato? Scommetto che stavi facendo il porco come al solito!” “E che altro avrebbe potuto fare?” La voce di Ranma sopra la sua spalla la fece sobbalzare. “Ha cominciato a palparla, così l’ho staccato a forza, e lei lo ha colpito in testa. Ed ha pure fatto un buco nel pavimento tua sorella, secondo te è una cosa di famiglia la forza sovrumana?” Akane per un istante indietreggiò con un sobbalzo, finendo proprio sul petto di Ranma. Certo che era proprio grande il petto di Ranma. Ed era così forte…

No, doveva concentrarsi e dare ad Happosai  quello che meritava per aver palpato la sua innocente sorellona. Peccato che lo stesse già pestando Ran-chan, sotto gli occhi allibiti dell’amica e del fratello. “ANIMALE! PERVERTITO! PORCO!” la rossa lo stava colpendo in ogni punto che non la mettesse in imbarazzo, con così tanta forza che perfino Kuogaiji era sbollito “COME HAI OSATO TOCCARE LA MIA DOLCE E GENTILE SORELLONA!?” la ragazza era furibonda, ed Akane, leggermente inquietata dalla sua amica, si strinse a Ranma, che però era sparito, così abbracciò solo l’aria. “Ma, Ranma!?” disse, delusa. Poi vide che il ragazzo era andato a fermare la sorella, afferrandola e togliendola a forza da Happosai. “Sorellina- Ahi!- tranquilla- ouch- lascia in pace il vecchiaccio! La sfida del nostro amico! Dobbiamo lasciarlo fare.” Alla fine la ragazza si calmò, lasciando un Happosai pesto e malmenato, che si era lasciato colpire a causa dell’immobilità da shock, ma che ora si era ripreso. “COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO QUI!?” I quattro ragazzi lo guardarono malissimo “Ah, certo ora ricordo! In guardia ragazzo!” disse, volgendosi verso Kuogaiji, e mettendosi in guardia. Peccato che Ranma non fosse d’accordo. “Maledetto maiale, come osi di fingere di esserti dimenticato di aver palpato mia sorella!” disse Akane, che ora dava sfogo alla sua ira. Tentò di avvicinarsi al vecchio, quando un braccio muscoloso le avvolse i fianchi e la tirò indietro. E l’unico a poterlo fare in quel momento era Ranma. “Mollami subito maniaco, devo vendicare mia sorella!” Gli urlò contro, cercando di divincolarsi. “Non intrometterti. Poi ti aiuterò personalmente a vendicare Kasumi, ma ora finalmente Kuogaiji ha davanti a sé il nemico che cerca da mesi, colui che l’ha trasformato in un mezzo cane, quindi forse non ha diritto di interferire.” La voce decisa del codinato le risuonò nella testa. Era abituata alle sue sciocchezze, ma c’era qualcosa di diverso dal solito. Era più deciso, era serio, era maturo. Possibile che la separazione da Ran-chan lo avesse cambiato così tanto? Era così impegnata a ragionare che non si era nemmeno accorta della mano del ragazzo stretta attorno alla sua vita. Poi, quando se ne accorse, stava per colpirlo, ma ad un cenno di Ran-chan ci ripensò. Gli stava suggerendo di lasciarlo fare. Così, nonostante le guance gli si stessero colorando di rosso, decise di continuare a sentire la sensazione di essere tenuta tra le braccia di Ranma. In effetti non era una brutta sensazione. Anzi, era piuttosto piacevole. Nemmeno con suo padre si era sentita così protetta. Poi Ranma si sedette, e così lo seguirono sia lei che la rossa. Intanto i due combattenti si erano messi in posizione. Da una parte il prestante Kuogaiji, con i capelli rossi legati in una spessa coda e gli occhi viola socchiusi, invasi dal fuoco della sua ira. Dall’altra c’era Happosai, piccolo, con un espressione della serie ‘non-mi-importa-niente-di-quello-che-sto-facendo’ stampata in volto. Piuttosto, un secondo dopo guardava allupato* le due ragazze, una che si tratteneva a stento dal pestarlo e Akane che si era, inconsciamente, accoccolata a Ranma. 

Tuttavia riuscì a schivare il primo attacco del rosso, portato con una catena, che strisciò indietro sul pavimento di legno come un serpente metallico, che però scattò all’insù senza che Happosai potesse fare nulla, dato che era in volo. Con un semplice movimento del polso il ragazzo aveva mosso la catena dalla punta affilata come un rasoio in modo che si attorcigliasse introno alla caviglia del vecchio, usandola poi per schiantarlo a terra. Akane sobbalzò, e stava per urlare qualcosa del tipo: “Le armo non valgono!” venne fermata da Ranma. “Contro di lui vale qualunque mezzo.” Affermò il ragazzo, serio. 

Lo scontro andò avanti ancora per un po’, ma senza particolari risultati, con Happosai che, nonostante tutto, era sempre dannatamente bravo, e restava in vantaggio nonostante Kuogaiji usasse qualunque trucco ed inganno ninja conoscesse. Una volta capito di non avere speranza con le tecniche più subdole aveva provato a sfoggiare un karatè perfetto, ma il vecchio era riuscito ad evitare tutti i suoi colpi. Ed ormai il rosso grondava di sudore. Si vedeva che era stanco, ma anche che non si sarebbe mai arreso. Alla fine cominciò a tentare di colpirlo sempre con minore energia, finché non cadde a terra, sfiniti. Happosai allora gli salì subito addossi, tronfio del proprio trionfo, ma fece la fine del pollo, quando Kuogaiji riuscì ad afferrarlo per una caviglia e lo sbatté nuovamente a terra, premurandosi di non lasciare la presa sul vecchio. “Questa volta non ti lascio scappare vecchio porco! Potrai pure avermi picchiato, me se non ti lascio non potrai più scappare!” disse, cominciando a picchiare il vecchio maestro, colpendolo con l’altro braccio e sbattendolo a terra. Alla fine Happosai, stufo di essere preso in giro, riuscì a divincolarsi, e saltando per aria, annunciò: “Adesso mi sono proprio stufato di questa farsa, è ora di farla finita una volta per tutte! Ora assaggerai tutta la mia ira, assaggerai l’HAPPODAIKARIN!” disse, estraendo la sua pericolosissima bomba a mano e preparandosi a scagliarla a distanza ravvicinata, quando entrambi vennero investiti da una raffica di gavettoni, che bagnarono l’happodaikarin e trasformando i rosso in un grosso cane dal pelo color panna e dorato, con un ciuffo rosso in testa. Dopo l’esplosione d’acqua apparve sulla porta della palestra una bambina di dieci anni al massimo, vestita con una tuta da ninja lilla. Aveva una zazzera di capelli rossi che le sfuggivano dalla cuffia, e gli occhi erano di un viola molto intenso. “Nii-chan, dove sei!” chiese, anche se sembrava più un ordine che una richiesta. “Bau?” fu l’unico commento del cagnone, evidentemente imbarazzato. Infatti la ragazzina gli saltò al collo, staccando Happosai, fradicio e scioccato. “Brutto stupido di un fratellone, come ti viene in mente di sparire così? Eri appena tornato a casa dal tuo viaggio in Cina e sei sparito subito dopo!” poi si voltò verso Happosai “E’ lui i kappa che ti ha fatto male?” il cagnolone fece di si con la testa. La bambina, furiosa, attaccò il vecchiaccio, colpendolo con una… una trottola? Si, lo stava picchiando con una piccola trottola, che veniva usata con maestria dalla bambina, che riusciva a colpire l’anziano tenendosi a distanza e non facendo mai volare via la trottola all spago. “tecnica della trottola grandine!” urlava la bambina, mentre il cane cercava di fermarla avvinghiandola tra le zampe e, infine, riuscendo a fermarla, afferrarla per la collottola fra i denti. Alla fine, pur di capire che diavolo stesse succedendo, Ranma gli tesò una buona teiera di acqua bollente in testa, facendolo tornare umano, nella fin troppo comica scena che coinvolgeva lui e la sua sorellina appesa in bocca. “Nii-chan, ma tu torni normale con l’acqua calda! Non me l’avevi detto!” “Mi fono dimenficato.” disse, con la bocca ancora piena di calzamaglia. Poi si ricordò che era tornato umano e sputò la bambina, che però ci mise mezzo secondo ad avvinghiarsi ancora a lui. “Ora tu torni a casa fratellone, e non importa se diventi un cane. Io ti amo tanto nii-chan!” disse, abbracciando il fratello. Il ragazzo arrossì leggermente. “Si, si certo” poi il ragazzo dai capelli rossi mise a terra la bambina, la prese per mano e uscì dal dojo, immersi nella luce del tramonto. E in una nube di fumo bianco svanirono nel nulla. E su Happosai era impressa una serie di lividi tutta nuova. 

E qualcosa di terribile arrivò addosso al vecchio maestro “MAESTRO! COME HA OSATO TOCCARE LA MIA INFESA KASUMI!!!” era lo spettro di Soun, furioso con il maestro per aver osato toccare la più pura ed innocente delle figlie. Happosai, comunque provato per la lunga battaglia, non riuscì a bloccare i colpi, che lo mandarono definitivamente a terra. Ed in un secondo Genma gli fu addosso, legando il malconcio maestro e infilandolo in una botte, che poi lanciò via, spedendolo nella stratosfera il vecchiaccio, probabilmente nella speranza che di non rivederlo più. E poi l’attenzione di tutti si spostò su Akane e Ranma, ancora vicini e con lui che, senza accorgersene, aveva ancora il braccio attorno ai fianchi di lei. Akane stessa si era dimenticata della loro situazione, e anzi si era accoccolata a lui. 
 

*ho sempre sognato di usare questo termine, scusate.

 

 

Ranma

Subito dopo il duello, la sparizione del misterioso rosso e la ‘partenza’ di Happosai, tutti fissano nella direzione di suo fratello e della sua amica, inconsciamente appoggiati l’uno all’altra. Inutile dire che i due padri diedero fiato alle trombe e cominciarono a spargere petali in giro, fin quando sia lei che lui non si separarono, facendo finta di nulla, ma arrossendo un poco, e lasciando i genitori in lacrime, anche se poco dopo suo padre disse: “Bhe, almeno ci siamo liberati di Happosai, amico mio!” anche il signor Tendo, da depresso per il rifiuto dei due ragazzi di dargli ascolto, divenne improvvisamente felicissimo e saltò in giro, abbracciandosi con quell’idiota di suo padre. Ma quanto potevano essere stupidi quei due, si chiese Ranma. Decise di andare a vedere come stava Kasumi. A quanto aveva capito lei non era mai stata molestata da quel vecchio porco maniaco, e probabilmente ora era in stato si shock da qualche parte, in casa.

Dopo una breve ricerca la trovò nel posto più ovvio, ovvero la sua camera. La povera ragazza stava ancora singhiozzando. “Kasumi, va tutto bene? So che sei spaventata, ma credimi, non c’è motivo, noi ti proteggeremo sempre da quel pervertito, e vedrai che non oserà mai più toccarti, io e Akane gli e né abbiamo date troppe. E se ti toccherà di nuovo ne prenderà ancora di più. Tranquilla.” disse, mettendoci tutta la sicurezza che poteva e abbracciando quella che, ormai, era a tutti gli effetti una sua sorella. Cercò di trasmettergli tutto il suo affetto, tentando con tutte le sue forze di fargli capire che l’avrebbe protetta. A quanto pare un poco funzionò, perché la ragazza si sciolse ed abbracciò a sua volta la rossa. E mentre la ragazza la stringeva, Ranma sentì altre due paia di braccia che si stringevano attorno a loro. Erano quelle di Akane e Nabiki, che si univano a lei nel sostenere la più fragile delle ragazze Tendo. Ed in quel momento si sentì circondata da una famiglia. Non come con Ranma, con lui si sentiva completa, come se fossero una persona sola. Con loro invece sentiva quel legame che ti faceva desiderare di proteggere e farti proteggere, come una vera famiglia. Strette in quel forte abbraccio, lei si sentì davvero a casa.

Ore dopo, con suprema disperazione dei maestri di casa Happosai tornò, facendo addirittura seiza davanti a Kasumi, e scusandosi dal profondo del cuore, cosa che era assicurata dal fatto che stesse soffrendo come un cane nel farlo. E non c’era stato nemmeno bisogno di minacciarlo. Insomma, tutto si concluse per il meglio, anche se Happosai era tornato. 

 

 

Parecchie ore prima, al ristorante “il Gatto”:

Lo strano ragazzo straniero vestito come Indiana Jones era davanti al ristorante “il Gatto”  da quasi due ore, cercando ci come capire presentarsi davanti alla vecchia amazzone. In effetti l’aveva inseguita per mezza Cina, nella speranza che le sue conoscenze lo aiutassero nelle sue ricerche. Aveva girato mezza Asia per riuscire a capire il mito, o meglio, ormai le origini, delle sorgenti maledette. Sarebbe stata la scoperta del secolo. Come archeologo doveva capire cosa aveva trasformato delle normali sorgenti in un luogo in grado di trasformare le persone in qualcos’altro. Era assurdo che nessuno le avesse studiate o che anche solo si fosse chiesto come fossero nate. E la pluricentenaria amazzone probabilmente sapeva qualcosa. Inoltre voleva saperne di più sulle amazzoni. Anche se non erano estinte come popolo per un archeologo era comunque interessante studiare la cultura e le tradizioni di una popolazione così antica e così integra. Alla fine decise di mascherarsi. Mise un paio di baffi finti, un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia e una parrucca nera. Non sapeva neanche lui quando cavolo aveva recuperato quelle cose, ma c’erano, quindi perché non usarle. Entrò con aria disinvolta nel ristorante e si finse un cliente, ordinando qualcosa a caso dal menù, non perché non sapesse cosa c’era scritto, parlava tre o quattro lingue vive ed una decina di morte, e il giapponese era tra queste, ma perché non gli interessava. Lui doveva capire dove diavolo fosse nascosta la vecchia. Dovette guardarsi attorno per ben cinque secondi prima di riuscire ad individuarla, occupata a cucinare dietro il bancone mentre una ragazza dai capelli lavanda e un vestito cinese a fantasie di fiori ed un ragazzo con i capelli neri e vestito tutto di bianco servivano ai due o tre clienti che occupavano il locale insieme a lui. Li osservò con attenzione. Erano tutti vestiti più o meno allo stesso modo, ed avevano un aria da duri. Gli ricordavano fin troppo quegli idioti con cui fin troppo spesso quando era a casa. Mafiosi. Al primo segnale li avrebbe pestati tanto da farli svenire. Poi avrebbe chiamato la polizia. Ma solo poi. In effetti uno dei tizzi provò a mettere una mano sul sedere della ragazza, ma, prima ancora che lui riuscisse a muovere un muscolo, la vecchietta aveva ritorto il braccio dell’uomo, spezzandolo di netto in vari punti. “Cari signori siete pregati di sparire dal mio negozio, ora.” disse, con un un tono spaventosamente calmo e freddo. 

Alberto rabbrividì. Il ki della vecchietta era spaventoso, oltre che straordinariamente grande. Ma evidentemente quei tre non erano in grado nemmeno di vederlo. Ebbero un leggero brivido alla schiena, ma non sembrò che percepissero qualcosa di più dell’impressione che chiunque avrebbe provato a vedere quella scena. Estrassero le pistole. Non fecero in tempo. Il buffo ragazzo baffuto e occhialuto li aveva messi a terra, perdendo però sia baffi che occhiali, oltre che la parrucca. in quel momento entrarono alti cinque tipi, vestiti più o meno come gli altri, armati di manganelli e piccoli pugnali. Ed Alberto ci vide rosso. Non aveva mai sopportato i mafiosi. Saltò addosso hai primi tre. Il primo ricevette un calcio nello stomaco, il secondo un pungo sotto al mento ed al terzo rifilò una testata. Non ebbero nemmeno il tempo di muoversi. Gli altri due attaccarono, ma si diressero verso i due camerieri, probabilmente per renderli in ostaggio. E ad Alberto non rimase che bloccarli con il Ki. Lo concentrò sulla punta delle dita, lanciando un doppio proiettile, piccolo, delle dimensioni di una moneta da cinque Yen, ma abbastanza potente colpire con la forza di uno dei suoi pugni. I due yakuza caddero a terra, svenuti. Si accorse di aver perso il travestimento solo nel momento il cui la vecchia gli fece i complimenti. “Ma che bravo ragazzo. Sapevo che questi tipi bazzicavano in giro, ma non si erano ancora fatti vedere. Forse è ora che io faccia una chiacchierata con il capo di questi tizi, a quattr’occhi. Shampoo, Mousse, potate fuori la spazzatura, e lontano dal locale!” ordino alla nipote e al cameriere. Alberto cercò di fermarla “Aspetti Cologne-sama, prima potrebbe rispondere ad alcune domande su Jusenkyo?” La vecchia amazzone apparve seccata “Ti ho già fatto dire che non né so nulla.” poi nel suo sguardo apparve uno scintillio astuto “però potresti parlare con il maestro Happosai, lui è vecchio quanto me, e potrebbe saperne qualcosa.” il povero Alberto nel suo entusiasmo non si accorse dello scintillio negli occhi della vecchietta “Dove posso trovarlo?” chiese, entusiasta. “Oh, ti basterà seguire le urla, basta che quando senti una donna gridare ti precipiti da lei, lo troverai di sicuro.” disse, sogghignando sotto i baffi (nel suo caso era letterale).

 

 

Ore dopo gli eventi a casa Tendo, in piena notte:

La strada era completamente buia, senza nemmeno un lampione ad illuminarla. Nascosto su di un tetto Artorias Stark attendeva. Non c’era modo di vedere quasi nulla, ma quello era il suo mondo. Avrebbe potuto essere ben più scuro e lui non avrebbe avuto problemi. Osservava un’attraente ragazza attraversava un vicolo, guardandosi intorno preoccupata. Poi all’improvviso la tipa sentì qualcosa, perché si voltò indietro e cominciò a correre. Troppo tardi. Dai tomba e dagli scoli stradali cominciò a fuoriuscire con forza esplosiva una ammasso di carne putrefatta, che si riunì in un essere amorfo, con solo un abbozzo di faccia umana. Giustamente la ragazza cominciò ad urlare. Ad Artorias scappò un mezzo sorriso. Era tanto che non cacciava. “Un Nuppeppō. Bella preda.” Saltò davanti alla ragazza, frapponendosi tra lei e lo yokai. “Ci hai provato, ma la ragazza non si aggiungerà alla tua collezione.” Il mostro tentò di colpirlo creando un tentacolo dal suo corpo con uno spuntone di osso in cima. Arrotai lo deviò a mani nude, colpendolo sul fianco con una manata. Se la ragazza avesse potuto vedere il ki avrebbe visto Artorias completamente avvolto dal suo, particolarmente concentrato nelle mani. “Ora sei morto!” sussurrò il ragazzo. Poi scattò vero il suo nemico, colpendolo con un pugno che scavò un buco nel corpo molliccio del mostro, lasciando esposto un frammento luminoso. Il piccolo spirito di lupo sulla spalla di Artorias, fino a quel momento rimasto celato, saltò verso quella piccola scheggia di luce, afferrandola tra i denti e divorandola. “Sif, finiscilo.” Il piccolo cucciolo divenne un grande lupo grigio alto quasi cinque metri, che si mise a divorare lo yokai di gusto. Senza più il suo nucleo vitale d’altronde il mostro aveva perso anche la capacità di riassemblarsi e muoversi. Arrotai invece si diresse verso la ragazza, che era svenuta alla vista del mostro. Le prese la borsetta e diede un occhiata ai suoi documenti. Poi rimise a posto tutto e raccolse la ragazza, portandola via, a casa. La fece stendere sul divano, e poi da una piccola bisaccia legata alla cintura estrasse una boccata ed un panno. Stava bagnando il panno con il liquido quando un rumoroso e fastidioso beeep-beeep risuonò nella stanza buia,  facendo un rumore infernale. Lo stesso Artorias si prese un colpo, rischiando di far cadere la boccetta piena di cloroformio, il liquido che usava per far credere alle vittime di attacchi da parte dei mostri di aver solo sognato, dato che al risveglio dava un terribile mal di testa e nausea, come se ci si fosse ubriacati la sera prima. Peccato che lui non fosse ancora riuscito a somministrarlo alla ragazza, che cominciò ad agitarsi nel sonno. Dannazione, chi era il cretino che lo chiamava a quell’ora della notte? Estrasse il telefono, che continuava a vibrargli in mano. Era minuscolo, al massimo una decina di centimetri, un modello finlandese, gli pareva si chiamasse nokia, ma faceva una confusione terrificante. Alla fine riuscì ad afferralo per bene e a rispondere. “Chi diavolo è?” bisbigliò furioso. “Fratellino, come butta?” “Robb, che diavolo vuoi? E’ mezzanotte passata!” “Ops, scusa, l’effetto fuso. Qui da noi abbiamo appena fatto pranzato. Come ti va li in Giappone Arty?” Artorias era furioso. “Non disturbarmi mentre lavoro, non chiamarmi fratellino e sopratutto non ti azzardare a chiamarmi Arty!” Disse, in una serie di bisbigli a dir poco furibondi. Poi chiuse in telefono in faccia all’interlocuroe, desiderando ardentemente di averlo davanti per dargli un pugno. Poi, vedendo che la ragazza si stava svegliato, riprese al volo il sonnifero e lo somministrò, pregando che la ragazza si dimenticasse di tutto. Se lo augurava con tutto il cuore. Una persona comune probabilmente sarebbe rimasta traumatizzata a vita se avesse visto le stesse cose che vedeva lui quasi ogni notte. 

Uscì in silenzio dalla casa, riunendosi a Sif, ritornato cucciolo, e desideroso solo di tornarsene nella sua, di casa, e di farsi una bella doccia per togliersi la puzza di putrido di dosso. Poi però, arrivato sul tetto di casa sua, si trovò davanti un gufo. Un gufo reale. Questo voleva dire che c’era un indagine da fare per conto della sua famiglia. A malincuore prese il messaggio. Lo lesse con attenzione. Una volta tanto non erano brutte notizie, per fortuna. A breve sarebbe dovuto passare al dojo Tendo, una palestra di Arti marziali indiscriminate. Sarebbe stato divertente

 

 

 

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Ok, cap finito. In questo cap ho introdotto due nuovi personaggi permanenti, che già erano apparsi in quello precedente, ovvero Alberto Galipò, creato da fenris, e Artorias Stark, creato da me. 

Spero tanto che vi sia piaciuto, e ho due consigli da darvi, nel caso vi interessino gli AMV:

Il primo è di cercarne uno su Ranma e Akane, togliere il volume e guardarlo con il sottofondo “Ti sembra Normale” di Max Gazzé. Vedrete che non sto delirando.

Il secondo è di dare un occhiata al canale Youtube di una ragazza che a fatto dei bellissimi AMV di Ranma e di Inuyasha. Magari usate proprio un suo video per provare l’idea sopra. Magari fatelo prima di recensire così mi dite che ne pensate.

A proposito, secondo voi si scrive Ki, ki, ci o in altri modi?

Infine vi chiedo di lasciare una recensione se il cap vi è piaciuto, e anche se non vi è piaciuto, magari specificando cosa non andava e dove potrei migliorare. Ciao a tutti dal vostro

Jacob Stark di Grande Inverno

 

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Capitolo 8
*** Gente strana arriva a Nerima ***


 

 

 

Gente strana arriva a Nerima

 

Ranma

La rossa era nel dojo dei Tendo, intenta a fare un bilancio della settimana appena trascorsa. Era andata a scuola un paio di giorni dopo quell’epico lunedì in cui la sua cara Akane-chan aveva ammesso che era innamorata del fratello, il giorno in cui lei, che non sentiva di avere nessun obiettivo da quando aveva perso la memoria, aveva deciso che li avrebbe fatti mettere assieme. C’era qualcosa in quei due, che la induceva a pensare che fossero legati dal filo rosso del destino. Si sarebbero messi insieme, e sarebbero stati felici. Ne era certa. A lei invece toccava una pletora di pazze e pazzi che la inseguivano, tra cui: una tipa di nome Kodaci e suo fratello Tatewaki, l’una una psicotica che la voleva morta per averla soconfitta, l’altro un imbecille che ci provava con lei e con Akane, e che nonostante tutto continuava a chiamarla “ragazza con il codino”. L’unica cosa che la consolava e che  l’avevano picchiato in tre, lei, Akane e il fratello, e poi, a cose spiegate, si era goduta lo spettacolo prima del fratello che le suonava a quell’idiota che agitava il suo bokken manco fosse una spada vera. Avrebbe voluto affrontarlo lei, ma Akane le aveva spiegato che Kuno non aveva nessun rispetto per le donne, e le vedeva solo come oggetti. L’unica cosa che capiva quel cretino erano le mazzate, e se ne avesse prese abbastanza da Ranma forse l’avrebbe lasciata stare. “Non hai detto che proprio Ranma ha sconfitto tutti i tuoi spasimanti?” Akane arrossì per un attimo, poi le rispose sconsolata “Si, ma Kuno si rifiuta di arrendersi. Continua a cercare di battere tuo fratello. Probabilmente crede che se lo batte potrà prenderti. Questa è l’opinione che ha delle donne.” Ranma le fece una smorfia che fece ridere l’amica “Ma cosa crede, di essere nel periodo Edo?” Aveva chiesto, allucinata. Giusto il tempo di queste chicchere che Kuno era stato messo a terra, pieno di bernoccoli e lividi, che Akane le disse che erano il triplo del solito. Evidentemente ci teneva a lei. Si sentì molto felice di questo. Quasi quanto non le piaceva quel Kuno. Era stupido, odioso e presuntuoso. Insomma un modello perfetto di idiota. Ed era pure ridicolo, con quel suo declamare poesie a caso e il suo modo di parlare come fosse rimasto indietro di un paio di secoli. 

Poco dopo era arrivata una pazza vestita da ginnasta, somigliante in modo impressionante al cretino, che prima si era appiccicata al fratello, apostrofandolo come “Il suo Ranma” e poi, quando aveva tentato di staccarla, dati i goffi tentativi di farsi lasciare in pace da lei del fratello e il ribollire di Akane, le aveva messo un laccio attorno al collo, tentando di strozzarla. A quel punto lei aveva avvolto il nastro tra le mani, per ridurre la pressione sul collo, e poi, veloce come una vipera, aveva usato il nastro per avvicinarsi a lei, colpendola con un calcio volante nella bocca dello stomaco, facendola piegare in due e poi agganciandola con il collo del piede sulla nuca, mandando a schiantare la faccia di quella pazza, le pareva si chiamasse Kodaci, o qualcosa del genere, sul terreno, per poi colpirla al collo con il taglio della mano, mettendola a terra una volta per tutte. “Certo che sei proprio una lumaca.” Aveva detto alla svenuta pazza, mentre Kuno, che aveva appena ripreso i sensi la guardava del tutto allucinato, stupita dalla velocità e dalla forza della rossa. Purtroppo non era spaventato, ma la stava spogliando con lo sguardo. Con un salto raggiunse il ragazzo e poi lo colpì con un potentissimo calcio, facendolo decollare. “ANIMALE!” gli urlò la rossa. E meno male che indossava i pantaloni, dato che quello schifoso stava sbirciando interessato la gonna di Akane. L’alta matta invece era stata portata via dal suo autista, che l’aveva trascinata in limousine, ancora svenuta. Così aveva passato la giornata a conoscere le amiche di Akane, che erano tutte abbastanza simpatiche, e poi gli si era presentata davanti Ukyo, una vecchia amica di suo fratello, che per di più, al contrario delle altre poteva vantare seriamente dei diritti su Ranma, dato che quel cretino di loro padre aveva umiliato lei e la sua famiglia, rubando loro il carretto degli okonomiyaki e abbandonandola dopo averle promesso in sposo suo fratello. Però, nonostante tutto, era molto dolce e simpatica, quindi lei non era male. Oltretutto era bravissima a cucinare, come confermavano le deliziose focacce farcite che la bruna aveva preparato al volo, direttamente in classe. Quanto erano buone! Ma a quanto pare lei infastidiva Akane, probabilmente gelosa. Chissà cosa pensava quel cretino di suo fratello in proposito. Chissà se gli piaceva di più Akane o Ukyo. Però con la bruna gli sembrava di riconoscere lo stesso atteggiamento che aveva con lei. Protettivo, dolce, ma nulla di più. Dopo scuola un’altra persona l’aveva aggredita, o quasi. In effetti aveva attaccato suo fratello, apostrofandolo come “Ragazza con il codino maledetta!” aggiungendo che aveva disonorato la sua amata Shampoo, ma poi suo fratello l’aveva riempito di sberle senza fatica, nonostante il tipo avesse provato a colpirlo con un enorme vasino di ceramica tirato fuori da chissà dove. Quel buffo ragazzo cinese mezzo cieco la fece ridere cdi cuore. Poi Akane le spiegò che quel tipo si chiamava Mousse, e che era innamorato perso di Shampoo, e che aveva causato non pochi problemi a tutti loro. Poi erano tornati a casa, e, mentre il fratello si era subito precipitato nel dojo, a preparare per lezione di quel giorno, mentre lei e Akane si allenavano all’aperto, cercando di non fare troppa confusione. Così aveva potuto osservare come Akane se la prendeva e allo stesso tempo si prendeva cura di uno strano fantoccio da allenamento con attaccato un codino nero, molto simile a quello del fratello. Era buffo il modo in cui, dopo aver apostrofato il manichino come animale, porco e dongiovanni, colpendolo fino a buttarlo a terra, per poi rialzarlo e spolverarlo premurosa. “Speriamo che non faccia così con mio fratello, oppure non durerà un mese con lei.” si disse, sicura di sbagliarsi, con ironia. 

 

 

Circa due settimane dopo

 

 

Ranma

 

Ranma quella mattina si era svegliato tardi. Da quando si occupava della palestra andava a letto prestissimo, complice la stanchezza dopo le lezioni e l’impegno che doveva mettere nel preparare la lezione ogni volta, così il sabato si godeva ancora di più il poter dormire. Ma non si era mia sentito così soddisfatto come in quelle due brevi settimane in cui si era occupato di quel gruppo di scalmanati che allenava. Erano tutti guerrieri promettenti, e gli faceva davvero piacere che fossero così entusiasti. E con la sua nuova sorellina, le lezioni ed un Akane stranamente poco incline al picchiarlo, Ranma poteva dire che la sua vita aveva preso una piega stranamente piacevole. Certo, Ryoga lo aveva aggredito una dozzina di volte in due settimane, Mousse aveva provato ad uccidere sua sorella per vendicare Shampoo, costringendo a picchiare quell’idiota orbo, dato che l’aveva attaccato, incapace di distinguere lui dalla sorella, ma a parte quelle piccole stramberie era tutto normale, anche perché quelle cose erano normali a Nerima. 

Si, decisamente la vita gli sorrideva. Poi sentì un’esplosione provenire dalla cucina. Ecco, una cosa negativa era che Akane aveva cominciato a cucinare, dove, anche con l’aiuto di Kasumi, riusciva a fare disastri apocalittici, anche se questo rendeva commestibile la cucina di Akane. Infatti, per qualche motivo, sia lei che sua sorella si erano interessate alla cucina, e forse, se davvero avrebbe dovuto sposare quella matta di Akane, avrebbe fatto meglio a cominciare anche lui a imparare a cucinare, e poco importava se non era un lavoro da maschi, la sopravvivenza era più impostante. Si alzò ed uscì dalla loro nuova stanza. Si, loro, dato che lui e la sorella erano stati ricollocati nella soffitta della palestra, in una stanza un po’ piccola, ma comoda e divisibile in due parti da una tenda, quindi loro, abituati ad ambienti ben più spartani, si erano adattati subito. C’era comunque abbastanza spazio perché ognuno avesse il suo spazio, e poi nelle camere non ci stavano per molto tempo. Lei andava in giro con Akane, lui o si allenava, o aveva lezione, o, ogni tanto, usciva co i suoi amici. 

Invece quella mattina, un sabato, quindi niente lezioni, niente ragazze, sua sorella e Akane avevano avvertito che sarebbero andate per negozi la mattina presto, Nabiki aveva affermato che sarebbe andato in giro con le sue amiche a fare non sapeva cosa. Ed anche niente genitori, visto che i due vecchi sarebbero stati impegnati in un torneo di shogi. Happosai era invece uscito ad importunare le ragazze, probabilmente sperando di vederle in biancheria durante il cambio. Peggio per il vecchiaccio, sua sorella era ancora più spietata di lui, e non si sarebbe mai lasciata intenerire da un eventuale faccia abbattuta del maniaco.  Tuttavia i suoi sensi sviluppatissimi gli dicevano che la casa non era vuota. C’era ancora una persona, ed era proprio quella che gli serviva. 

“Kasumi, scusa, posso chiederti una cosa?” disse il codinato, affacciandosi alla cucina, il regno della bella e materna bruna. “Oh, certo Ranma, dimmi!” disse lei, sempre pronta a dare una mano. E il ragazzo, rosso come un peperone e imbarazzatissimo fece la fatidica domanda: “Kasumi, potresti… potresti…” Kasumi lo guardò con il suo solito sguardo: “Cosa Ranma? Sembra qualcosa di grave.” Ranma arrossì ancora di più, poi prese fiato e sputò fuori la richiesta. “PERFAVOREINSEGNAMIACUCINARE!” chiese, con un inchino rigido in avanti. Non avrebbe mai voluto farlo, ma se voleva sopravvivere con Akane era meglio che constatasse di persona cosa era in grado di combinare lui, in cucina. Kasumi rimase interdetta, ma poi evidentemente immaginò a cosa puntasse Ranma, e mise su un gran sorriso. “Certo Ranma, ma perché non me l’hai chiesto prima?” Ranma arrossì ancora, e bofonchiò qualcosa riguardo alla virilità e al salvare le apparenze. Kasumi, con la pazienza che la contraddistingueva, afferrò le braccia di Ranme, lo fece rialzare in piedi e gli ordinò di lavarsi le mani. Avrebbero provato a fare le colazione insieme. 

Dopo un bel po’ di tentativi, dopo aver fatto grandi sforzi per non fare lo spavaldo a caso, dopo aver ingoiato il suo orgoglio, era riuscito a preparare qualcosa di decente, e senza nemmeno far esplodere nulla. Cosa che sembrava incredibile se si pensava che lui non aveva mai cucinato in una cucina vera, al massimo era riuscito a fare qualche zuppa sul falò. Anche Kasumi si complimentò con lui, affermando che sicuramente, se non fosse stato presuntuoso, avesse seguito sempre le ricette, e sopratutto avesse sempre assaggiato mentre cucinava, se la sarebbe cavata bene. E, naturalmente, se fosse riuscito a convincere Akane a lasciare la cucina a lui. E quello sarebbe stata la vera sfida affermò la cuoca di casa Tendo. Ranma riconobbe la verità nelle parole di Kasumi, e stava per andarsene, quando si rese conto di una cosa. Gli era piaciuto. Gli era piaciuto cucinare, preparare qualcosa e poi mangiarla, gli era piaciuto sentirsi fare dei complimenti da Kasumi per questo. C’era un che di gratificante nel preparare da mangiare per qualcuno. Forse avrebbe dovuto farsi insegnare qualche ricetta extra da Kasumi, tanto pet stare sicuro. Si, avrebbe decisamente dovuto. 

Dopo colazione si diresse nel dojo, per allenarsi e perfezionare una nuova tecnica segreta, ma, proprio mentre si stava concentrando, qualcuno bussò alla porta del dojo, rovinandogli la concentrazione e mandando al diavolo ogni suo tentativo di ragionare sulla mossa.  interrotto. Uscì dal dojo, deciso a scoprire chi fosse lo schiamazzatore molesto, che chiedeva a gran voce se ci fosse qualcuno nella palestra. Quando lo vide l'urlatore smise di fare baccano. "Allora qualcuno c'è, avevo l'impressione che il posto fosse abbandonato." Il nuovo arrivato aveva la voce profonda, ed era straniero. Tutto in lui urlava la sua estraneità al Giappone, dai vestiti, una strana accozzaglia di casacche cinesi simili alla sua, giacche europee e pantaloni di jeans, ai tratti, con il naso a patata, gli occhi tondi e la pelle di un sano color caramello chiaro. Anche il suo accento era rivelatore, dato che parlava un giapponese estremamente impostato ma con una strana cadenza, mente faceva una marea di gesti. Inoltre aveva la faccia coperta di chiare lentiggini, quasi invisibili sulla sua carnagione olivastra. I capelli, seminascosti da un cappello che Ranma credeva si chiamasse Fedora, erano corti e castani, tutti dritti. Sulle spalle aveva uno zaino enorme, persino più grande di quello di Ryoga, a cui era appeso un po' di tutto, dalle borracce a degli strani souvenir. Che diavolo poteva volere un tipo del genere dal dojo, si chiese Ranma. "Mi spiace per il disturbo, ma mi sono perso. Ha idea di dove di trovi il ristorante"Il Gatto" ?" Ranma rimase un momento stupito da quello strano personaggio, più vecchio di lui al massimo di qualche anno. Ma che ci doveva fare al ristorante di Shampoo? Gi spiegò la strada, e, prima che il tipo sparisse, chiese: "Come mai cerca il ristorante? " il tipo fece un mezzo sorriso e rispose: "Sto seguendo una tricentenaria guerriera amazzone, di nome Cologne. So che è qui a Nerima da un po', e dato che non fanno entrare nessuno nel loro villaggio, figuriamoci gli uomini stranieri, speravo di riuscire a parlargli almeno qui.” “Buona fortuna allora, non sarà facile convincere la vecchia mummia!” disse il ragazzo con il codino, ma il tipo strano era già sparito giù per la strada. Certo che di matti ne giravano a Nerima!

 

 

Ranma

Quella mattina si era alzata prestissimo, nonostante fosse sabato, perché c’era una cosa molto seria da fare. Doveva andare a fare compere con Akane! A lei non piaceva particolarmente fare shopping, ma si rendeva conto che per la sua amica era importante, e poi aveva pochi cambi, quindi qualche vestitino in più non gli dispiaceva. Si era alzata, aveva preso qualche vestito, aveva dato un occhiata al fratello, profondamente addormentato, e si era fiondata in bagno, battendo tutti sul tempo, ma si sbrigò, dato che c’era coda per quel giorno. Dovevano uscire più o meno tutti, tranne Ranma e Kasumi, quindi non era il caso di trattenersi in bagno. Una volta finito di prepararsi tornò in camera, prese un borsellino sportivo che aveva comprato per la sua praticità, era l’unico oggetto un poco carino che non ballonzolasse in giro quando saltava, e tornò da Akane, che l’aspettava all’ingresso. Avrebbero fatto colazione al centro commerciale, dopo essere passate a prendere Ukyo, che le aspettava al suo locale. Per l’occasione avrebbe addirittura lasciato la sua spatola gigante a casa. Tra l’altro probabilmente gli si sarebbe toccato assaggiare gli okonomiyaki dolci della bruna, un esperimento che veniva portato avanti da qualche tempo, ma che era stato senza successo sinché Ukyo non si era convinta che addolcire il tamari non era la soluzione. Alla fine si era decisa a chiedere a Kasumi qualche dritta sui dolci, anche se Akane si era dichiara esperta in materia, ma era stata snobbata immediatamente. Ricordava che la situazione era così comica che non era riuscita al trattenersi di fronte alla faccia di Akane, e che era dovuta scappare dalla ragazza infuriata per mezza giornata. Però la faceva ancora morire dal ridere la faccia della sua amica in quella occasione. Era stata davvero esilarante. 

Poco dopo essere uscite arrivarono davanti al ristorante di Ukyo, che le accolse con un caffè bollente e due delle sue specialità dolci, una condita con fragole e miele e una con la crema di castagne e cioccolato grattugiato. Si divisero i due dolci, che finalmente ora erano tali, e li guastarono. Non c’era nulla da fare, Ukyo era in grado di fare dei miracoli in cucina. Dopo mangiato si recarono al centro commerciale tutte e tre, chiacchierando allegramente.  Quando arrivarono cominciò il solito giro dei negozi, con Akane che correva da tutte le parti entusiasta, mentre lei e Ukyo la seguivano passivamente, cercando di capire qualcosa in quel mondo a cui erano quasi del tutto estranee. Ranma si sentiva ridicola, ed era certa che la scena dovesse essere piuttosto strana, con le ragazze vestite in modo molto poco femminile che si guardavano introno smarrite e seguivano quella scalmanata di Akane, che correva da un negozio all’altro mandando gridolini di gioia. Poi ad un certo punto, interessata da un negozio di articoli sportivi, si era allontanata dalle altre, perdendosi in mezzo alla folla inaspettatamente fitta per essere le nove di mattina. In mezzo al caos si era trovata nella situazione di voler addirittura arrampicarsi da qualche parte per vedere se le vedeva, ma poi si disse che, forse, non era una cosa adatta ad una ragazza. Girando in giro per il centro commerciale successe una cosa talmente scontata che faticava a crederci. Era andata a scontrarsi contro un ragazzo. Straniero. Con due spalle così. Con dei taglienti occhi grigioazzurri. Con una cascata di capelli bianchi come la neve. Vestito in modo strano nei toni del bianco, del nero e del grigio, con una collana con tre zanne. E con un tenerissimo cucciolo di lupo appollaiato sulla spalla. Ed era bello. Aveva tante piccole cicatrici sul volto, come se avesse affrontato molte battaglie, ed i tratti affilati e selvaggi. Quando aveva incrociato lo sguardo con lui era arrossita e poi aveva percepito una forza mostruosa, a nel pena nascosta nonostante gli sforzi di lui. Poi lui le aveva rivolto la parola, mandandola in tilt. “Mi scusi signorina, non volevo urtarla. Ma si sente bene?” continuava a guardarla, fissandola sempre più intensamente, come se le stesse facendo una radiografia. “SI-NO… forse?” “Si è forse persa signorina?” “No…” disse la ragazza, che finalmente si era ripresa. “No, ero con le mie amiche e le ho perse di vista, ma mi basta un minuto per cercarle. Come ti chiami?” “Mh?” fa lui, curioso “Sembri straniero, ero solo curiosa” Dice, sorridendo, tanto per non sembrare matta. “Mi chiamo Artorias, madamoiselle, Artorias Stark.” disse il misterioso ragazzo, che poi girò la testa di lato all’improvviso, per poi rivolgersi ancora a lei. “Scusa, ma per caso ti chiami Ranma?” Chiese lui, con una strana faccia. “Si, come lo sai?” chiese la rossa, inquietata. “Nulla, le tue amiche ti stanno cercando, faresti meglio ad andare da loro, sono da quella parte.” Disse il ragazzo, indicando dietro di sé, verso una bouitqué alla moda. Poi la salutò con un cenno e scomparve tra la folla. Chi diavolo era quel ragazzo? Però era carino. 

Si diresse verso la boutique che gli aveva indicato, trovando effettivamente le sue amiche. “Ma dove eri finita? Poteva succederti qualcosa, qualcuno poteva farti qualcosa!” La rossa le guardo come per dire “sul serio?” e tutte e tre scoppiarono a ridere, perfettamente consce che le persone in grado di fargli del male si contavano sulla punta delle dita. Poi erano tornate a fare spese, ma per qualche motivo Ranma non era riuscita a smettere di pensare a quello strano ragazzo. E non che non ci fossero dei bei ragazzi in giro per il quartiere, lo stesso Ryoga, che, in quelle due settimane lo aveva capito molto bene, era innamorato perso di Akane, non era affatto male fisicamente, ma non era mia stata colpita così da un ragazzo. Magari era solo il fatto che era straniero. Però non poteva fare a meno di pensare che gli sarebbe piaciuto combatterci contro, non sapeva perché. 

 

 

Akane

Era appena tornata a casa dallo shopping con Ran-chan, un lusso che potevano concedersi perché suo padre aveva messo anche loro al lavoro nella palestra, organizzando un piccolo corso di introduzione alle arti marziali per i più piccoli, che era più che altro un servizio di baby-sitting, ma qualcosina riuscivano a fare, e si tenevano pure metà dei soldi. In effetti era un modi carino e divertente per fare soldi.

Certo, quella mattina non era stata delle più tranquille, Happosai le aveva importunate varie volte, ma Ran-chan aveva sviluppato un vero e proprio gusto nel picchiarlo, e dopo i primi quattro o cinque voli si era arreso ed era scomparso, probabilmente era andato a infastidire qualche altra ragazza, o qualunque altra forma di vita femminile sotto i cinquant’anni. Lo avrebbe dovuto legare e buttare a qualche parte, ma tanto non avrebbe fatto molta differenza. Quel maniaco si sarebbe liberato comunque. Ma, stranamente, quando era arrivata, il vecchio non era ancora tornato. Chissà cosa era successo. Comunque venivano dei rumori molto forti dal dojo, quando decise di andare a dare un’occhiata. Dentro c’era, manco a dirlo Ranma che si allenava. Stava in una posizione simile a quella di quando si gattizzava, ma primo: era cosciente, secondo: stava consultando un vecchio rotolo di pergamena. Cercò di annullare il suo ki come gli stava insegnando Ran-chan e si avvicinò alle spalle di Ranma, che, concentrato com’era a studiare il rotolo, si accorse della sua presenza solo quando lei gli fu perfettamente alle spalle, e mentre si stava girando Akane miagolò, facendogli fare un salto fino al soffitto, dove piantò le dita nelle travi dello stesso, rimanendo appeso. Ma da quando riusciva a farlo? “Ranma, cosa stai combinando!?” urlò seccata. “Cosa combini ru dannata pazza! Cosa vuoi, impedire il matrimonio ammazzandomi di infarto?” Akane si arrabbiò. Il suo era solo uno scherzetto innocente, come osava quel baka ad accusarla di volerlo uccidere! Era sempre il solito idiota, ma come aveva fatto ad innamorarsi di lui? Un attimo dopo però fece l’errore di incrociare lo sguardo spaventato del codinato, e quello sguardo le ricordò perché quel buffo ragazzo con il codino le faceva battere e sciogliere il cuore allo stesso tempo. Così, invece di insultarlo, si limitò a girarsi e a fare un sorriso, invisibile agli occhi del ragazzo, e ad andarsene, lasciando appeso ad agitarsi sul soffitto. Rientrò in casa, dove quello che trovò fu incredibile. C’era una enorme esemplare di Akita Inu, fradicio fino alle ossa, che correva furioso inseguendo Happosai, che si burlava di lui dicendo che non aveva possibilità di batterlo e stupidaggini simili. Ma che stava cambiando quel vecchietto, e perché prendeva in giro quel cagnone? Certo che però quel cane era strano. Aveva gli occhi viola, ed una strana zazzera di peli rissi in testa, ed era vestito. Era un po’ buffo. “Happosai! Che stai combinando?” disse, colpendo il maniaco, che, distrattosi dall’inseguimento per palpala, si era avvicinato troppo e le aveva prese, volando via. Poi si era rivolta al cagnone, che però, nel momento in cui si era accorto della sua presenza, si era paralizzato, e la stava guardando come un pesce lesso. Però quando gli si avvicinò, nel tentativo di accarezzarlo, questo fuggì, arrampicandosi sul muro. Mah, chissà chi era quel cane. Appena Happosai fosse tornato indietro, mai troppo presto per quanto la riguardava, gli avrebbe chiesto chi diavolo fosse quel cane. 

Poco dopo si mise a tavola, a gustare i manicaretti di Kasumi e a raccontare alla famiglia della strana avventura di Happosai. Dopo pranzo Lei e Ran-chan reclamarono per loro il dojo, sbattendo fuori Ranma, che aveva mangiato ed era andato subito nel dojo anche lui. Avevano cominciato ad allenarsi, ma Akane si accorse in fretta che qualcosa non andava. Ran-chan era distratta, ma non capiva perché. Certo, non era così distratta da lasciar passare i suoi colpi, ma non contrattaccava e si limitava a schivare, lasciando che Akane attaccasse. Così, dopo un’assalto particolarmente feroce, la ragazza si fermò. “Ranma, ma che diavolo ti prende? Ti vedo distratta.” La rossa la guardò stupita. “Ma che dici Akane, non è affatto vero.” “Non hai ancora attaccata, e di solito a quest’ora io sono a terra che cerco di rialzarmi. Invece ti sei limitata a schivare. Come mai sei così distratta?”  E così, un po’ imbarazzata, Ran-chan le raccontò del suo incontro con il bello straniero. “Chissà chi era, mi sarebbe piaciuto incontrarlo se era carino come dici.” scherzò Akane, subito ripresa dall’amica che le ricordava che lei era innamorata di suo fratello, non sapeva se in un moto di estrema amicizia o di amore fraterno. Il loro allenamento venne tuttavia interrotto da uno strano ragazzo, che entrò sbattendo le porte e urlando: “MALEDETTO HAPPOSAI, SUBIRAI L’IRA DI KUOGAIJI!” Era un ragazzo giapponese, con i capelli rossi acconciati in spesse trecce rigide*, gli occhi viola erano furiosi ed era vestito… come il cane di quella mattina? Era anche abbastanza carino, ma appena le vide si pietrificò, divenne color peperone e si girò, sbarrando le porte del dojo dietro di sé. Le due ragazze si guardarono per un’attimo poi si rivolsero alla porta chiusa “Scusa, cerchi il maestro Happosai?” La voce del ragazzo arrivò in un soffocato sibilo balbettante “S-si, ma p-potrei parlare con un ragazzo per favore?” Akane, offesissima, stava già per distruggere la porta e massacrare il poveretto quando Ran-chan l’aveva fermata. “Akane, FERMA!” gli aveva gridato. “Secondo me non lo fa con disprezzo!” aveva detto, giustificando poi con un ragionamento. “Non aveva il tono arrogante di Kuno, ma ha balbettato e parlato sottovoce. Secondo me è molto timido, e non sa come relazionarsi con le ragazze. E poi, chi non resterebbe colpito da due bellezze come noi?” disse, facendo un gran sorriso all’amica. Al che la mora prese un gran respiro e pensò per un attimo. Il ragionamento della rossa reggeva. Decise di fare uno sforzo e, ingoiando il suo orgoglio, andò dall’unico uomo in quella casa che si opponesse al vecchio.

“Ranma, senti c’è un tipo strano alla porta della palestra che non riesce a parlare con le donne, quindi devi venire tu a parlarci. Credo che voglia picchiare Happosai.” “Un matto che non riesce a parlare con le donne e vuole picchiare Happosai. Ok, tanto non ho niente di meglio da fare” disse il moro, con una scintilla curiosa nello sguardo. Poco dopo lei e Ran-chan erano accostate alla porta, ad ascoltare il discorso tra i due ragazzi. “Piacere, io mi chiamo Ranma, e sono, mio malgrado, un’allievo di Happosai. Chi sei tu e cosa ti ha combinato quel vecchio maniaco?” Seguirono cinque o sei secondi di silenzio. “Io mi chiamo Gyuma Kuogaiji. Qualche tempo fa ho fatto un viaggio in Cina, in un luogo noto come ‘le sorgenti maledette’ ero li per allenarmi, ma, mentre provavo alcune tecniche, mi è caduto in testa quel maledetto vecchio. E non sarei neanche caduto, se quel bastando, confuso dalla caduta, non avesse cominciato ad inseguirmi per mettermi quelle mise da femmina che aveva tirato fuori da non so nemmeno dove. Io… non sono molto bravo con le donne, quindi appena ho visto quella biancheria sono andato nel pallone, lui mi ha afferrato ed io…” La voce del ragazzo si interruppe, carica d’ira e di vergogna. “E dopo si caduto in una delle sorgenti. Conosco la storia. E’ capitato anche ad un paio di miei amici. Troverò il modo per costringere Happosai a combattere contro di te, stavolta senza trucchi e stranezze.” 

Le due ragazze, dopo aver sentito quell’assurda storia, si guardarono, e scoppiarono a ridere, anche se si tapparono la bocca a vicenda, per non farsi sentire. “Io mi trasformo in un cane, per la precisione in un akita inu. Oggi una di quelle ragazze probabilmente mi ha visto in giardino. Sono a mala pena riuscito a scappare.” Non l’avesse mai detto. Akane, offesa, si infuriò come un toro. Sbatté la porta del dojo e si fiondò verso il ragazzo, colpendolo con tutte le sue forze, spedendolo sul soffitto con uno schiaffo ben piazzato. Peccato che avesse colpito solo un ciocco di legno, che si schiantò sul soffitto, lasciando un foro nel pavimento della camera di Ranma e Ran-chan. Per sfortuna il colpo frantumò proprio la zona sotto il mobile del ragazzo, che cadde proprio su di lei. Akane, istintivamente, si protesse con le braccia, perché era troppo tardi per schivare. E, mentre si preparava a riceve l’impatto, avvertì qualcosa di caldo e solido stringersi a lei. Un odore familiare la avvolse, oscurandole per un attimo il cervello. Poi il mobiletto cadde a terra, ridotto in pezzi. Avvinghiato a lei c’era Ranma, ancora con in braccio alzato nella posizione in cui aveva distrutto il mobiletto. E per un istante, solo per un istante, lui la guardò con un intensità, una preoccupazione, con una dolcezza, che le fece perdere un battito. Non c’era mai stato un momento del genere per loro due. Quando lui la salvava di solito evitavano di guardarsi, imbarazzati, e poi per qualche motivo lei si metteva a strepitare. Ma per quel breve istante lei si sentì davvero protetta. Perché per una volta lui non la stava proteggendo da personaggi assurdi, situazioni al limite dell’impossibile o assurdità varie, ma da un’incidente che, per quanto strana, non aveva nulla di particolarmente folle. E lui l’aveva abbracciata, fissandola per assicurarsi che stesse bene. Per un solo istante, le sue gote si tinsero di rosso non per la vergogna, l’agitazione, la rabbia o l’imbarazzo. Si tinsero di un delicato color porpora fatto di pura felicità.

 

*Sarebbero i rasta, ma non credo che in Giappone fossero molto comuni in quel periodo, quindi presumo che né Akene né Ran-chan abbiano idea di cosa sia. 

 

 

Ranma

Quando aveva visto il mobile cadere addosso ad Akane era scattato, in una reazione istintiva. Aveva alzato in braccio, contraendo le dita, ed eseguito quel movimento che stava provando da ormai quasi una settimana. Quando aveva toccato il legno il mobile era andato in pezzi. E solo quando aveva abbassato lo sguardo si era reso conto di quello che aveva fatto.  Aveva abbracciato Akane, stringendola a sé per evitare che si facesse male. Poi l’aveva guardata per controllare che non si fosse fatta male, ed in quel momento aveva incrociato il suo sguardo. Quei profondi occhi nocciola lo avevano inchiodato sul posto. L’odore di Akane gli aveva offuscato i sensi per un attimo, e non era riuscito staccare gli occhi dai suoi. Si era perso in quei bellissimi pozzi castani, senza poter più controllare il suo corpo. L’unica cosa che era riuscito a fare era stata guardare Akane negli occhi. Kami quanto era bella. 

Poi, dal nulla, qualcosa cadde in testa ad Akane. Qualcosa di bianco. Qualcosa che era nella cassettiera.  Qualcosa che lui non riconobbe subito, ma Akane si. E Ranma non seppe se quello che gli aveva fatto più male era stato l’interrompere il contatto con la ragazza o il terribile colpo infertogli dalla stessa. Solo poi, dopo essersi schiantato, essere stato chiamato “PERVERTITO!” da Akane, ed aver ricevuto l’oggetto bianco in faccia lanciato dalla ragazza, riuscì a capire cosa diavolo fosse successo. Quelle sulla sua faccia erano i suoi boxer. Ed erano finite in testa ad Akane. Tutto si fece buio, e poi più niente.

Si svegliò con la testa che ronzava, e la sorella che lo accudiva. “Ah, fratellone, ti sei svegliato. Il nostro ospite si è pietrificato nel momento in cui siamo entrate io e Akane, dopo essersi teletrasportato e aver lasciato un ciocco di legno al suo posto. E comunque dopo che l’hai salvata Akane-chan era molto contenta. Solo un po’ in imbarazzo a causa dei tuoi boxer.” disse la rossa, tranquilla. Lui con un colpo di reni si rialzò, stravolto, ma fece il duro. “Fa nulla,  ma perché Akane ci ha attaccati?” “Credo si sia offesa, è molto permalosa con chi insulta le donne.” Ranma rimase stranito “Ma lui non ha insultato le donne. Ne è solo terrorizzato. E lo vedi anche tu.” La rossa scosse la testa, seccata. “Si, ma sai come è fatta lei. Ora vi lascio, dobbiamo trovare un modo per fargli affrontare Happosai.” Poi uscì e il povero Kuo si sbloccò. Chinò la testa, dispiaciuto. “ Mi scuso per quello che è successo. Ma il mio istinto mi ha fatto reagire in automatico.” il codinato scosse la testa. “Non fa nulla. Piuttosto, mi sembri molto forte. Che ne pensi, ti va un combattimento?”

 

 

 

 

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Mai finito un capitolo peggio di così, ma questa era solo la prima parte di due. In settimana metterò la seconda e poi riprenderò una pubblicazione più regolare. Mi spiace per averci messo così tanto, non ho altro da dire,  spero che vi sia piaciuto il capitolo.

Ciao dal vostro

Jacob Stark di Grande Inverno

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Ranma, Akane e un cupido rosso ***


 

Ranma, Akane e un cupido rosso

 

Ranma

Erano passati due giorni dagli eventi del duello e del pestaggio di Happosai. Kasumi aveva accettato le scuse ed il vecchio era stato tranquillo per le ventiquattro ore successive, o meglio, era stato lontano per le ventiquattro ore successive. Ma ora era sera, nel momento appena dopo cena, e Ranma era sdraiato sul tetto. Era duro, scomodo e pericoloso. Eppure non avrebbe mai scelto un’altro Sapeva solo che per tutto il giorno non era riuscito a smettere di ricordare la sensazione che gli aveva dato il corpo di Akane appoggiato a lui. Come era possibile che lei lo mettesse in ginocchio in quel modo? Aveva sconfitto molti nemici, ma non lei. Lei lo aveva sconfitto senza neanche provarci. Era stato così per una sacco di tempo. Non subito certo, non appena conosciuti, ma presto. Appena aveva cominciato a salvarla, appena aveva cominciato a subire le sue scenate di gelosia, aveva capito che lei era l’unica per lui. Certo, gli correvano dietro ragazze che al loro primo incontro gli erano sembrate più carine, oppure persone più brave a cucinare, e quello probabilmente non sarebbe cambiato mai, ma lui sarebbe potuto essere felice con nessun’altra. E allora perché? Perché non riusciva a dirlo. Erano due parole semplici semplici. Anzi, tre. Meglio essere chiari con Akane, tra quello che gli capitava tutti i giorni e la brutta abitudine di fraintendere che aveva Akane era decisamente meglio essere chiari. “Akane ti amo.” Provò a pronunciarle. Non ci riuscì. Non riuscì neanche a far uscire qualcosa di diverso un rantolo strozzato. Si sentì un coglione. Come avrebbe potuto fare a dirlo ad Akane se non riusciva nemmeno ad ammetterlo neanche  a se stesso? Come era possibile che lui, un coraggiosissimo artista marziale, bello, forte, uno dei migliori. Come era possibile che tre parole fossero un ostacolo così insormontabile per lui? Era assurdo! Ma più cercava di convincersi che non sarebbe stato difficile più si renda conto che non era giusto! Doveva essere lei a dirlo. A quel punto lui avrebbe accettato con fare figo. No. Non avrebbe mai potuto funzionare. Akane era troppo orgogliosa, e lui non sarebbe mai riuscito ad ammetterlo. Avrebbe significato essere sconfitto in quello scontro che andava avanti ormai da quasi due anni. No, avrebbe dovuto cercare di farlo dire a lei! Solo così avrebbe sbloccato la situazione. “Ma certo, farò così!” disse ad alta voce. “Farai così cosa?” un voce familiare lo fece saltare in piedi. “Ahhh! Sorellina, che ci fai qui?” Ran-chan era apparsa dal nulla, proprio accanto a lui, in piedi e che lo guardava curiosa. “Ti stavi agitando in modo strano, quindi mi chiedevo che stesse succedendo. Non è che pensavi ad Akane?” Ranma sentì il sangue affluire alle guance. “No, mai, pensavo a, a… Una sfida, si, una sfida!” Sua sorella lo guardò storto. “E chi sarebbe il nemico che ti costringe a pensare ad una sfida?” “Ab-a-io…” “Pazienza, continua pure a mentire a te stesso. Piuttosto, domani è sabato, e tu sei mio. Faremo qualcosa tra fratelli, una specie di appuntamento. Mi porterai in giro, mi offrirai un gelato o qualcosa del genere e mi aiuterai a comperare qualcosa di carino.” Ranma fece evidentemente una faccia molto strana, perché Ran-chan si mise a ridere. “In che senso?” chiese lui. “Da quando ho perso la memoria siamo strani pochissimo insieme, ma Akane mi ha detto che prima passavamo molto più tempo insieme. Quindi, dato che domani non hai lezione e che hai passato tutto il pomeriggio in palestra ad allenarti a parte le due ore di lezione che hai fatto direi che puoi anche prenderti una pausa. E poi voglio passare del tempo con te, chiaro?” disse la rossa, decisa. Al che il codinato non sapeva cosa fare per opporsi. In realtà non gli dispiaceva troppo l’idea di passare la giornata con lei. Finalmente avrebbe potuto dedicare un po’ di tempo al sé stesso femmina, anche per vedere quali cose erano cambiate da quando si erano separati. “D’accordo sorellina, domani sarò tutto per te. Ora scendiamo, comincia ad essere umido.” Sul volto della ragazza comparve un dolce sorriso “Evviva! Domani ti avrò tutto per me!” Disse, abbracciandolo. Certo che era davvero una strana sensazione. Lo faceva davvero sentire bene essere abbracciato da lei. Non si sentiva disagio come quando gli si avvinghiavano addosso le altre ragazze, e nemmeno quello strano calore che sentiva quando lo abbracciava Akane. Era più come se si sentisse a casa. Appoggiò il viso sulla sua testa, cercando di assumere un fare fraterno. Chiunque avesse visto la scena si sarebbe intenerito. Poi lei gli sussurrò qualcosa all’orecchio “So che hai paura di perdere i tuoi appoggi, e anche lei, ma insieme potreste trovarne di nuovi.” E poi si staccò da lui, che la guardava allibito, sparano con un salto. 

Ranma rimase paralizzato dalle parole della rossa. Se qualcosa era in grado di destabilizzarlo era quello. Insomma, nemmeno lui aveva mai capito cosa lo tratteneva davvero. Pensava che fosse orgoglio, oppure la sua timidezza a parlare quando gli uscivano dalla bocca calate come “Non si affatto carina!” oppure “Hai il sex appeal di un surgelato!”, ma se Ranma avesse avuto ragione? Se fosse davvero stato per paura di perdere il punto di riferimento? Non ricordò nemmeno lui quanto tempo rimase seduto sul tetto a pensare alle parole di sua sorella. Alla fine rientrò, giusto in tempo per la cena. Si unì agli altri, intanto che telegiornale aggiornava con l’ultima, assurda notizia di Nerima: << In questi giorni un misterioso vigilante si aggira per nostre strade. Pare che risponda solo alla chiamata delle donzelle in pericolo, di qualsiasi età. Ad oggi ha già impedito diverse rapine, tre aggressioni e alcune molestie, oltre ad essere intervenuto in soccorso di innumerevoli donne spaventate da un topo o da uno scarafaggio. Nonostante numerosi tentativi nessuno è mai riuscito a parlarci, anche se pare che sia straniero, e che indossa vestiti simili a quelli di Indiana Jones, il popolare eroe del cinema. Passando ad altro, sembra che le misteriose sparizioni ad opera di un serial killer nella parte nord di Kawaghuci si siano interrotte. Le sparizioni avevano coinvolto ben dodici persone, di cui erano state ritrovati solo pochi effetti personali, ed erano state effettuate di notte, senza distinzioni di vittime. Gli investigatori temono tuttavia che si tratti solo di una pausa momentanea, e invitano i cittadini a rimanere al sicuro dopo il tramonto. >>

“Chissà chi è il tipo che salva le donne.” si chiese Akane, causando a Ranma un istantaneo irrigidimento. -Perché Akane era interessata a quel tizio? Forse non lo riteneva all’ altezza?- ed evidentemente era abbastanza evidente, perché sua sorella partì subito in quarta. “Ma sono sicura che per te non ce ne sarebbe bisogno Akane!” Quel commento, che fatto da lui avrebbe significato botte a tutto spiano, per lei significava sono una faccia confusa da parte dell’amica. “Perché scusa? Sono sicura che se urlassi accorrerebbe.” La rossa fece una strana faccia. “Non credo che ne avrebbe il tempo. Mio fratello arriverebbe prima. Sono sicura che ti salva sempre.” A quel punto Akane arrossì un poco. Che lei lo avesse notato? Non che lui la salvava sempre, quello era ovvio, ma perché lo faceva. Non per mero senso del dovere, ma perché senza di lei non aveva senso. “Pff, figurati. Sono sicura che lo fa solo per potersi vantare!” Disse la ragazza, rossa come un peperone. A tutta la famiglia scappò una risatina. Si vedeva benissimo che nemmeno lei credeva a quello che diceva, e che era imbarazzata solo al ricordo di tutte le volte che lui le aveva impedito di fare una brutta fine. In un paio di occasione erano arrivati a tanto così dal baciarsi. Anche Ranma sentì il sangue affluire alle guance, e tentò di nasconderlo affondando il volto nel riso. Ma per fortuna nessuno, tranne sua sorella, stava guardando dalla sua parte. Ed infatti lei fu l’unica a fagli un sorriso sornione, come se sapesse. “A proposito, domani io e mio fratello andremo ad un appuntamento insieme, siete pregati di non disturbare.” A quelle parole invece fu Akane ad irrigidirsi. Ranma, che era seduta al fianco di Akane, le chiese “Akane, cos’hai? Mica te lo rubo, voglio solo stare un po’ con mio fratello. E’ tanto che non ci prendiamo un po’ di tempo fra fratelli, quindi domani ho deciso che staremo una giornata assieme, ma tranquilla, se vuoi domenica è tutto tuo!” disse la rossa, provocando Akane, che arrossì istantaneamente. Entrambi stavo per aprire bocca, per dire che non intendevano andare ad un’appuntamento con lui/ lei, quando tutte le loro famiglie, ovvero Kasumi, Nabiki e Soun dalla parte di Akane e Gema e Ran-chan da parte di Ranma, se né uscirono con un “OTTIMA IDEA! Ranma, perché non porti la tua fidanzata ad un bell’appuntamento domenica? Promettiamo che non vi disturberemo.” Durante la cena tutti continuano a spingere verso quell’idea, e tanto dissero, tanto fecero che alla fine i due accettarono. E Ranma si mise, quasi inconsciamente, a cercare delle idee per l’appuntamento. Dove avrebbe potuto portarla? Cosa avrebbe potuto fare? Andare al parco? Al ristorante? Oppure… poi però gli altri finirono la cena, e fecero una grande confusione. Non ultimo Happosai, che, appena finito di mangiare, aveva deciso di darsi alla caccia, usando la sua testa come trampolino. E il suo istinto scattò. Cominciò ad inseguire il vecchio, nel tentativo di vendicarsi. Alla fine gli sfuggì, lasciandolo con un profondo senso d’insoddisfazione per non essere riuscito a prenderlo. Ma poi andò a dormire. Era certo che la giornata successiva sarebbe stata faticosa. 

 

Akane

Akane controllò un’ultima volta le cose che gli aveva prestato, a caro prezzo, Nabiki. Una parrucca, un vestito e un impermeabile, oltre che un paio dei suoi pacchiani occhiali da sole. In effetti così era irriconoscibile. Si era resa irriconoscibile solo per assicurarsi che nessuno disturbasse i due fratelli durante la loro giornata assieme, giusto? Era solo preoccupata per loro. Non era affatto gelosa.  Non era preoccupata del fatto che potessero avvicinarsi troppo quei due, vero? No, decisamente lo faceva solo per lei. E forse un po’, ma solo un pochino, per Ranma. Ma non perché gli interessasse troppo… doveva smetterla di raccontarsi stupidaggini da sola. Doveva davvero piantarla, non faceva altro che sentirsi stupida. Era gelosa di lei. Era gelosa delle attenzioni e delle cure che lui le dedicava. Capiva che lei era sua sorella, che io teneva lei e tutto, ma non era giusto. Le  coccole, gli abbracci, il fatto che quando lei gli appiccicava vicino nessuno cercava di separarli o di legarli, a seconda dei personaggi. 

La ragazza uscì circa dieci minuti dopo i due fratelli, attenta a non farsi vedere dal resto della famiglia. Li seguì per  tutto il giorno. Andarono prima a fare una lunga passeggiata, che la costrinse a nascondersi. Non sembrano parlare di nulla di importante, da quel poco che aveva sentito si parlava delle lezioni, della scuola e dell’ultimo scontro con i fratelli Tatewaki, vinto invariabilmente dai due Saotome. Cose di poco conto, anche se ad un certo punto li perse di vista, e quando li ritrovò Ranma era rosso come un peperone, e Ranma ridacchiava sotto i baffi. Si chiese cosa diavolo fosse successo. Ma li aveva persi di vista per una manciata di minuti, cosa mai sarebbe potuto succedere? Continuarono a passeggiare per un paio d’ore, sempre con Akane attaccata alle calcagna, che cominciava a congratularsi con sé stessa per la sua abilità, quando sentì qualcosa che la infastidì. Una anziana signora, tutta raggrinzita e curva, che portava delle penati borse della spesa, si fece incontro a loro, che, quasi reagendo istintivamente, si fecero avanti per aiutarla. Allora la vecchietta sé né uscì con un “Ma che coppia giovane e carina!”

Ed Akane si sentì morire un po’ dentro. Non era giusto che la scambiassero per la sua fidanzata! “Mi ricordate me e mio fratello quando eravamo ancora giovani. Anche noi amavamo andare in giro insieme ed aiutare le persone.” Akane riprese a respirare. Per qualche motivo la faceva davvero felice sapere che non confondevano Ran-chan con la fidanzata di Ranma. Quando si riprese seguì i due, che accompagnarono la vecchietta a casa. “Mmmm! Dopo aver fatto d affascina mi è venuta fame, ti va di fare uno spuntino fratellone?” disse Ran-chan,  stiracchiandosi. “Ok, in effetti anche io ho un languorino. Dove andiamo?” Disse Ranma, il cui stomaco brontolante arrivava anche ad Akane, che si mise a sogghignare. “Andremo da Ukyo. Ultimamente ha preparato degli okonomiyaki dolci che sono la fine del mondo!” “Ma io non posso mangiare una cosa così femminile, sei matta? Non è affatto virile!” Akane vide Ran-chan sbuffare. “Se la pensi così magiare una salata, ma secondo me offendi solo Ukyo, di certo lei sarebbe contenta che tu assaggi la sua nuova specialità. Quei dolci sono davvero spettacolari.” disse la rossa, saltando su una ringhiera e cominciando a correre, seguita a ruota dal codinato. “Aspetta maledetta, non provare nemmeno a scappare!” urlò Ranma, divertito, inseguendola, Ad Akane toccò correre come una pazza per stargli dietro, ed alla fine decise di andare direttamente da Ukyo, tanto li avrebbe trovati di sicuro lì. Nessuno dei due era in grado di resistere alla fame e alla golosità. Infatti li trovò lì, seduti a gustare le specialità. Entrò anche lei, camuffando la sua voce e ordinato qualcosa a caso. Istantaneamente venne riconosciuta da Ukyo, che però tacque. Chissà, perché, si chiese Akane. “Brutto zuccone di un fratello! Se vuoi mangiarti un dolce ordinalo, No continuare a chiedermi di assaggiare!” Ed ecco che litigavano, come era normale tra fratelli. Era incedibile quanto si somigliassero. “Va bene, va bene! Ukyo, mi prepareresti uno di quegli okonomiyaki dolci?” Ukyo guardò nella direzione di Akane e la ragazza le vide uscire uno strano sorriso. “Ma certo Ranma, tesoro! Per te questo e altro! E non lo sarà nessuno, almeno non da me! Ma i cambio voglio un bac…” Akane stava quasi per colpire, quando Ran-chan si sporse oltre il bancone e diede un bacetto sulla guancia della ragazza. “Ecco fatto! Contenta?” Ukyo la guardò stranita. “Ma non intendevo te… Oh, fa nulla. Ecco uno dei miei Amaiyaki alle castagne e cioccolato!” disse la ragazza, lanciandosi in un’ esibizione di cucina acrobatica. Akane doveva ammettere che era stupita. Ukyo in cucina era sempre uno spettacolo da osservare. Si muoveva come sapesse esattamente dove erano gli ingredienti, e non avesse nessuna paura di sbagliare gli ingredienti. Magari sarebbe stata mai in grado di destreggiarsi in cucina in quel modo. O anche solo di evitare di fare casini se non aveva Kasumi accanto a tenerla d’occhio. Sospirò, quando Ukyo gli si avvicino e, parlando a voce altissima per farsi sentire dai due fratelli che scherzavano e chiacchieravano, cominciò a farle domande. “Signorina, qual’è il problema? Mi sembra angustiata du un problema di cuore. Non sarà mica gelosa del tempo che il ragazzo di cui è innamorata dedica sua sorella?” Akane voleva ucciderla. Ma come gli era venuto in mente di attirare così l’attenzione! “No, io…” cercò di rispondere, impappinandosi. E, neanche a dirlo, sia Ranma che Ran-chan si intromisero nella conversazione. “Se fossi in te non mi preoccuperei. Probabilmente lui ha solo bisogno di passare un po’ di tempo con la sua famiglia, e lei vuole stare un po’ con la persona a cui vuole più bene in assoluto.” disse Ran-chan, apparentemente completamente ignara dell’identità di Akane. Che tuttavia era troppo imbarazzata anche solo per alzare lo sguardo e rispondere, quindi si limitò a pagare e scappare fuori, dove attese che i fratelli uscissero, nascosta dietro un’angolo della strada. Poi tutto quello che ottenne furono chiacchiere e acquisti in negozi strani, dove i vestiti erano quasi del tutto unisex. Akane sapeva che a Ran-chan non piacevano gli abiti troppo femminili, e per di più così Ranma non si sentiva affatto imbarazzato. Avrebbe dovuto pensarci lei! Quante volte avrebbe privato Ranma della sua scusa preferita “entrare in un negozio del genere non è affatto virile!” L’appuntamento dei due fratelli si concluse nel tardo pomeriggio, con un paio di buste per braccio da parte di Ranma, probabilmente strapiene di vestiti di lei.  Ritornarono a casa, dove Akane li precedette.

“Akane, dove si stata tutto il giorno?” chiese Kasumi, curiosa. “Ehm, in giro con amiche.” disse lei, cercando una scusa realistica. “Davvero? Sayuri ha chiamato cercandoti, ma gli ho detto che eri già uscita.” “Ah, ma io ero con, con Ukyo! Si, con Ukyo.” disse Akane, tentando di sbrogliarsi dalla stupida scusa che lei stessa aveva scelto. “Oh, bene. Non sapevo che oggi avesse il giorno libero!” disse sua sorella, tranquilla come al solito. A cena ci furono le solite chiacchiere, con la sola differenza che si parlò anche della giornata assieme passata dai due fratelli. Alla fine della cena Ranma e Ran-chan si recarono in camera loro. “Devo trovare il modo di rendertelo presentabile domane Akane!” Disse la rossa, trascinando il fratello, non troppo entusiasta di doversi agghindare. Akane invece si fondò in camera sua, a cercare un bel vestito per il giorno dopo.

 

 

Ranma

“Ma perché non posso vestirmi come al solito?” chiese suo fratello, infastidito dopo il decimo cambio d’abito impostogli dalla sorella. “Perché oggi hai ammesso che ci tieni ad Akane, ed io sono convinta che la cosa sia reciproca. Quindi, visto che so che tu non lo ammetterai mai, almeno cerchiamo di farti apparire al meglio, nel caso tu smetta di fare l’idiota e ti decida a dichiararti.” Lei era convinta che questa potesse essere l’occasione perfetta. Sarebbero stati soli, in un luna park, e lei li avrebbe seguiti per assicurarsi che non venissero interrotti da una delle innumerevoli pretendenti di suo fratello, tristemente note, aveva notato in quelle settimane, per essere sempre nel posto giusto al momento giusto per essere fastidiose. Era terrificante quanto fossero precise in questo. E quando erano a scuola c’era Ukyo che si intrometteva, e quando andavano in giro sbucava sempre Shampoo su quella sua assurda bici volante. E quando quelle due non erano presenti sia lei che Ranma erano inseguiti rispettivamente lui da Tatecoso e lei da quella matta di Kodaci. Oppure viceversa, tanto il copione non cambiava. Finiva sempre con i Kuno che le prendevano. Riprese a guardare suo fratello. Ora indossava una camicia rossa, non troppo diversa dalla sua solita casacca cinese, ed un paio di blue jeans. Non erano dei pantaloni particolarmente comodi, anzi, limitavano parecchio i movimenti, ma erano eleganti, moderni e sexy. E sicuramente il fatto che la camicia fosse di mezza taglia più piccola e che quindi strizzasse i muscoli del ragazzo non era casuale. Se lui non fosse stato suo fratello si sarebbe messa a sbavare a quella vista. Insomma, suo fratello era figo e pronto, ora era il caso di parlare con Akane. “A proposito, secondo te perché Akane ci ha seguito per tutto il giorno?” chiese Ranma, mentre si cambiava per dormire. “Chissà, forse era gelosa di noi. Oppure voleva controllare che qualcuno non ci infastidisse, una cosa che succede spesso. Anche troppo.” “Mah, dopotutto non importa. Ehi dove stai andando?” “Da Akane, è ovvio. Tu mi avrai anche detto dove andate, ma lei non né ha idea. E devo assicurarmi che si metta qualcosa di adatto. Ciao e buonanotte!” 

Passò per il tetto, infilandosi nella finestra di camera di Akane. “Akane, sei pronta per domani? Hai scelto i vestiti?” La ragazza, arrossita, finse di non essere interessata. “Non entrare dalla finestra! Mi confondo sempre con tuo fratello. No, non mi stavo provando nessun vestito per domani!” Ranma le lanciò uno sguardo ironico “Si, e quel quintale di vestiti sul letto sono la nuova decorazione trendy del momento.” “Ah, quelli. Si, in effetti stavo facendo qualche prova.” La rossa si fece una risata “Akane, piantala. E se sarai sincera ti darò una mano ad avere il look prefetto per questo appuntamento.” Disse, tutta contenta di avere quella piccola schermaglia con l’amica. Akane prima si arrabbiò, poi gonfiò le guance e alla fine si arrese. “E va bene, ci tengo a questo appuntamento e voglio apparire al meglio, anche se sono sicura che Ranma mi porterà in qualche posto idiota che piace solo a lui. In fondo lo hanno praticamente costretto a portarmi.” Ranma sorrise, beffarda “E se io ti dicessi che parte della mia giornata con mio fratello è stata dedicata cercare degli abiti decenti per lui?” “Ti direi che l’hai costretto.” disse Akane, interessata ma un po’ sconsolata. “Non è vero. Credimi. Dai, cerchiamo qualcosa di elegante, comodo e sexy. E non ci provare nemmeno, non ti dirò mai dove andrete. Sarà una sorpresona! E chissà, magari potrebbe smettere di fare lo stupido e dirti qualcosa di bello.” disse, con fare misterioso. Akane sbuffò e cominciò a fargli da modella, mentre lei continuava a scambiare, combinare, e ragionare per rendere Akane perfetta. Quando Ran-chan fu soddisfatta Akane sfoggiava un maglioncino grigio con la scritta ‘love’ in rosa, una minigonna rosa pastello che arrivava a metà coscia e delle lunghe calze nera che arrivavano poco sotto la gonna, lasciando scoperto una sottile e provocante striscia di pelle. “Secondo me  appena ti vede così ti ordina di rivestirti.” Disse Ranma, annuendo, convinta della su opera. Akane aveva un aria decisamente attraente, dolce e leggermente provocante. “E ricorda Akane, se lui si mostra interessato fai la preziosa e poi cerca di costringerlo a dirti cosa prova per te. Chiaro?” “Tu sei matta, non lo farà mai. Ed io non farò la preziosa. Quello non mi farebbe dei complimenti nemmeno se ne andasse della sua vita.” disse, un po’ sconsolata. Alla fine Ranma, conscia di quanto la sua amica si sentisse a pezzi, decise di dargli un aiutino. Si alzò e l’abbracciò. “Akane-chan, ascoltami. Oggi ci hai seguito tutto il giorno, ma abbiamo deciso di non fare finta di nulla. Io perché non mi preoccupo di te, ma lui lo ha fatto perché tu gli piaci. E gli piace che tu sia gelosa di lui.” Akane per un attimo sembrò speranzosa, ma poi il suo volto si adombrò ancora. “Sono sicura che lo ha detto solo per farmi contenta. Lui mi ritene brutta, dice sempre che non sono carina e che sono un maschiaccio.” Disse la ragazza dai capelli blu, più sconsolata che mai. A quel punto Ranma si arrabbiò. Era un po’ stufa. Era stufa della testardaggine di suo fratello, della convinzione di Akane di non essere adatta a lui, della loro testardaggine. “Akane, ascoltami bene! Mio fratello è innamorato di te! Non l’ha detto, ma io sono sua sorella. Sua sorella gemella, è come se fossimo una persona sola. Lui mi ha detto che ci tiene a te, ma io so che c’è di più. Lo sento. Lo vedo da come ti guarda quando tu non lo vedi. Ha gli occhi che luccicano. Ma non te ne accorgi? Akane, togliti le fette di prosciutto dagli occhi e guarda il mondo, non limitarti a vederlo con le tue convinzioni. Mio fratello è un cretino, un imbecille, un’incapace e per di più è anche troppo timido per dirti la verità. Ma almeno tu, Akane, cresci, e dagli una possibilità. Mi hai detto tu che sei innamorata di lui. Io non mi sono fatta in quattro per renderti irresistibile mio fratello. Ora tocca a te. Dimostragli che sei una bellissima ragazza, che vuoi lui, che non deve più avere paura per te. Ci siamo allenate insieme, sei diventata più forte della maggior parte delle ragazze di Nerima. Ormai sei pronta ad affrontare anche il fidanzamento effettivo con mio fratello. Ora ascolta, io ho fiducia in te. Tu sei mia sorella. Domani voi due vi divertirete, vi ritroverete e magari vi innamorerete. Ma promettimi questo Akane: ci proverai. Proverai a capire se io ho ragione o ho torto, se lui ti ama oppure no. Domani sarai perfetta, e sarà un’appuntamento perfetto.” Quelle parole fecero breccia nel cuore di Akane. Alla ragazza spuntò una lacrima, commossa dalle parole di Ranma. “Va bene Ran-chan, se ci tieni così tanto ci proverò. Promesso.” Alla rossa scappò un sorriso. Ci era riuscita. L’aveva convinta, Ora doveva solo convincere suo fratello. “Bene Akane, buonanotte.” disse lei, uscendo di nuovo dalla finestra.

Una era fatta, ora era il momento di occuparsi di suo fratello. Arrivò in camera loro, dove Ranma aveva appena finito le sue flessioni serali. “Allora sorellina, soddisfatta di quello che hai combinato ad Akane?” “Vedrai domani. Intanto ora è il caso che mi ascolti.” “Sentiamo:” Ranma prese suo fratello e lo fece sedere sul letto. Poi ci si mise davanti. “Bene: Tu Sei Innamorato Di Akane! Lo so io, lo sai tu, lo sanno tutti praticamente. Tranne Akane. E non pensi che sia ora di ammetterlo?” Ranma oppose una fiera ma inutile resistenza. “Ma che dici, come potrei mai innamorarli di una ragazza così maschiaccio, piatta e, e…” “Ma se ti ricordi ancora dello scivolone di due settimane fa.” “Intendi quando TU mi hai fatto inciampare e sono finito sulle tette di Akane.” “E come erano?” “Beh, erano morbide e cal…” Ranma rise di gusto. Suo fratello era diventato color peperone. “Allora non è così piatta e maschiaccio come dici, se te lo ricordi così bene.” Sul volto della ragazza si dipinse un sorriso malizioso. Poi guardò il fratello con grande serietà. “Ranma, tu dici sempre a tutti che essere coraggiosi è fondamentale. Ma allora perché scappi dai tuo stessi sentimenti? Non è da vigliacchi?” Il fratello lo guardò. Evidentemente non si aspettava queste parole così forti e decise. Quello che successe fu’… inaspettata. La abbracciò. “Forse hai faraglione. Sono un vigliacco, un codardo, ed ho paura. Ho paura che la mia vita cambi, che cambi troppo. Se a lei non dovessi piacere dovrei andare via. E se dicesse di si come cambierà la mia vita? Dovrò comportarmi in modo diverso? Dovrei fare errori su errori,  dovrei rischiare di fallire. Ho paura di perdere Akane.” la tristezza e la profondità di Ranma colpirono. Non credeva che suo fratello avesse così paura. Insomma, lei pensava che fosse solo testardo, un po’ stupido e magari molto timido. Non si aspettava che avesse addirittura paura. Decise di fare una cosa che d’abitudine non avrebbe mai fatto. Rivelò un segreto. “Fratellone, lei ti ama. Non è assolutamente capace di mostrarlo, è gelosa all’inverosimile, ma ti ama. L’ho visto nei suoi occhi, come ti guarda, come ti segue, come si fida di te. Come fai a non vederlo, nonostante tutti i tuoi sensi.” 
 

 

Ranma

Nel cuore di Ranma qualcosa scattò. Poteva davvero essere vero? Quello che aveva detto sua sorella era reale?Akane davvero era innamorata di lui? Era davvero stato così ceco? Sua sorella diceva di averglielo visto negli occhi, ma quanto poteva essere vero questo? Le domande gli ronzavano in testa, confondendolo. “Non so se quello che dici è vero, ma domani mi impegnerò per scoprirlo. Si. Domani scoprirò se è vero.” Disse, prima di abbracciare la sorella, grato per quelle parole.  Poi si addormentò, stanco, e deciso a donare a quella strana, dolce e goffa ragazza che si era presa il suo cuore. Akane.

Il giorno dopo il ragazzo si svegliò presto, si vestì con gli abiti impostigli da sua sorella e poi fece qualcosa che non avrebbe mai osato fare prima. Furtivo come un gatto, brrrr,  sgattaiolò verso la camera di Akane, passando dalla finestra. Bussò al vetro, svegliando la ragazza. “Akane? Preparati, andiamo subito.” La ragazza ci mise un po’ a rispondere, ma alla fine si svegliò e guardò fuori dalla finestra. Evidentemente era stupita di vedere il ragazzo, ed a mala pena si trattenne dal colpirlo. “Che ci fai qui, maniaco !?” “Uffa, te l’ho già detto. Preparati, perché partiamo ora. Non voglio che i nostri genitori si mettano fare gli scemi. Dai, sbrigati.” Disse, voltandosi. Non era intenzionato a dare ad Akane una scusa extra per arrabbiarsi, quella ragazza era molto più carina quando sorrideva. E, se quel giorno doveva scoprire cosa provava per lui Akane, preferiva farlo con un bel clima tra di loro. Lei finì di vestirsi e uscì dalla finestra. Allora Ranma la prese in braccio, come avrebbe fatto con una principessa. Sapeva che avrebbe apprezzato. In effetti gli urlò, anche se abbassa voce, ’solo’ una decina di volte, prima di calmarsi e godersi il tragitto fino alla stazione. Erano ormai in treno quando finalmente la ragazza, ora seduta accanto a lui, e stranamente vicina, si decise a fare qualche domanda. “Dove stiamo andando?” chiese, curiosa. “Sarà una sorpresa.” disse Ranma, serio, che face l’errore di guardarla meglio. Sua sorella non scherzava la sera prima. Era davvero bellissima. Indossava un’aderente maglioncino grigio con una scritta rosa in inglese, credeva che fosse ‘amore’. In inglese faceva pena. Sotto aveva una minigonna rosa, che lasciava scoperta una striscia di pelle candida. Per un’attimo si fermò a guardarle le gambe. Poi, con uno sforzo non indifferente, continuò il suo percorso sulle calze di lei, nere e lunghe. Ai piedi un semplice paio di ballerine, che le stavano decisamente meglio di qualunque scarpa coi tacchi. Per fortuna che lei stava guardando il finestrino e non lui, oppure si sarebbe arrabbiata parecchio. Poi, con la coda dell’occhio, notò un movimento sul collo di Akane, e rialzò al volo la testa. Altro errore. Incontrò ancora i suoi occhi. Era da quando l’aveva salvata dalla cassettiera che non la guardava negli occhi così. Si perse in quelle pozze nocciola, profonde e calde. Anche lei lo stava guardando. Si osservarono per un’op’ persi l’uno negli occhi dell’altra, finché qualcosa non li disturbò. Un gruppetto di ragazzi, vestiti con giubbotti di pelle nera borchiata, con acconciature assurde e pessime intenzioni si avvicinò a loro. Evidentemente non avevano osservato bene Ranma, perché uno di loro, presumibilmente il capo gli si accostò, e si mise a fissare Akane. Ranma lo avrebbe picchiato anche solo per quello, ma provò a controllarsi. Poi il coglione parlò. E allungò la mano. “Ehi carina, che ne dici di venire con noi? Molla questo rammoll…” Ranma gli afferrò il polso, stritolandolo. Poi si alzò. Si alzò in tutta la sua altezza e i suoi muscoli. “Tieni giù le mai dalla mia ragazza, oppure i rompo ogni osso del corpo. Parlale ancora e ti stacco la lingua. Guardala ancora e ti cavo gli occhi.” disse, furioso. Un conto era Ryoga, che era goffo, un po’ tonto e assolutamente incapace di controllare la sua forza, ma sempre gentile e cortese. Un conto era questo gruppo di teppisti. Solo dopo si sarebbe ritrovato a chiedersi perché Akane non avesse, come al solito, urlato una cosa come “Non sei il mio ragazzo!”. Gettò il teppista a terra, guardandolo male. Quello, invece di fare la cosa più logica e andarsene, lo guardò peggio. Poi guardò i suoi scagnozzi. “Prendetelo deficenti!” gli ordinò. Quelli caricarono il ragazzo con il codino, attaccandolo in gruppo. Non durarono nemmeno dieci secondi. Il primo volò via a causa di un calcio, il secondo cadde a terra in seguito ad un colpo di taglio sul collo, il terzo e il quarto caddero in un colpo solo, crollando come sacchi di patate. “Sicuri di volerne ancora?” Tutti i teppisti scapparono via, scendendo di corsa nella stazione dove il treno si era appena fermato. Ranma si risedette, mentre Akane ancora lo guardava. “Tutto bene Akane?” “Si, tu?” “Come se questi quattro teppisti  potessero essere un problema. Dai, tra poco dobbiamo scendere.” Disse, tendendo la mano, che lei afferrò per alzarsi. Lui sapeva benissimo che non gli serviva certo aiuto, ma qualcosa lo spinse a pensare che lei l’avrebbe gradito. “Allora, dove siamo?” chiese la ragazza. Ranma, per tutta risposta, la fece voltare verso il paesaggio. Sullo sfondo c’era un grade luna park, colorato, divertente e lontano da casa. Molto lontano da casa, e sopratutto lontano dai loro seccatori. Nessuno sapeva del loro appuntamento, ed erano troppo lontani. Si sperava.

Ranma guardò il parco, poi rivolse il suo sguardo ad Akane. La vide piena di sorpresa e di curiosità. Chiaramente non si aspettava di trovarsi lì. Lui aveva pensato ad un posto che mettesse d’accordo sia lei che lui. E un parco dei divertimenti era il posto ideale. Avventuroso ma romantico, divertente ma tranquillo. Era semplicemente perfetto. Però negli occhi della ragazza lui notò altro. Una scintilla di infantile entusiasmo, come una piccola stella, si era accesa negli occhi della ragazza.* Ranma si sentì soddisfatto della sua scelta. “Allora mandamigella, andiamo?” disse, con fare spiritoso, porgendole la mano senza pensarci. E lei l’afferrò con altrettanta spensieratezza e naturalezza. Lontano da tutti, da tutti quei preconcetti, quelle scenette, quelle assurde parti che si erano affibbiati sin dal primo giorno in cui si erano incontrati erano sparite. Erano lontani, e potevano togliersi quelle assurde maschere. “Allora, andiamo?” Chiese Akane, e Ranma, tenendo la mano della ‘sua’ ragazza, si diresse verso il luna park, felice come non lo era da molto tempo. 

La giornata procedette perfetta. Andarono prima sulle montagne russe, poi nella casa degli orrori, anche se questo non ebbe proprio l’effetto classico, visto che Akane prese a sberle qualunque cosa tentasse di spaventarla. Ma, nonostante le sue risate, la ragazza non si arrabbiò, forse conscia di quanto fosse assurda la sua reazione, ma anzi, si sforzò di comportarsi come si addiceva ad una ragazza, anche se Ranma non riusciva a fare a meno di scoppiare a ridere, a causa delle facce che faceva la ragazza, assurde o esagerate. “Akane, prima che tu mi possa picchiare perché rido, sappi che non hai bisogno di fare finta. Sei meglio quando sei te stessa.” Un piccolo sorriso timido si dipinse sul volto di lei, che poi annuì. Continuarono e finirono la casa degli orrori, ma senza grandi effetti. “Era davvero ridicola.” disse Akane, tutta orgogliosa. Ranma cercò di raffreddare i suoi bollenti spiriti. “Credo che il problema non fosse la casa, ma noi.” “Forse hai ragione. Ora che facciamo?” chiese la ragazza, ora sovreccita. Ranma poteva vedere che aveva una voglia matta di farsi mille giri sulle altre giostre. “Decidi tu, per me è uguale.” Non l’avesse mai detto. Akane lo trascinò per tutto il parco, provando tutte le giostre, tutte. Almeno un paio di volte. Solo a pranzo si fermarono qualche minuto, ma la corsa continuò forsennata per tutto il pomeriggio. Alla fine, verso il tramonto, la ragazza si fermò. Nei suoi occhi scintillava la felicità più pura. Ed era rimasta solo una giostra. La ruota panoramica. Una bellissima, altissima ruota panoramica, che si stagliava immersa nella luce del tramonto. Era uno spettacolo meraviglioso. “Bene Ranma, ci rimane solo la…” solo in quel momento la ragazza si rese conto di quello che significava salire sulla ruota panoramica insieme. Era una scena tipica di tutti i film, le storie e i manga romantici. Un ragazzo e una ragazza, alla fine di un’appuntamento al Luna-park salgono sulla ruota panoramica e… però Ranma vedeva che lei voleva salire. “Ehi Akane, saliamo? C-cioè, non lo facciamo come fidanzati, ma come ami…” Akane gli mise un dito sulla bocca, facendogli cenno di tacere. Era rossa come poche volte, ma lo prese per mano e, rigida come un manichino, lo trascinò verso la ruota panoramica. Ranma non capì bene cosa stesse succedendo, ma capì che la scena era ridicola dalle risate degli inservienti e del cassiere della giostra. Alla fine si ritrovò in una cabina, piccola, con due posti appena ed i vetri che la circondavano completamente,  immergendoli nella calda luce del tramonto. Ranma doveva ammettere che, con la luce che la avvolgeva da dietro, Akane era davvero bella. Inghiottì a vuoto, ricordando le parole di sua sorella: “lei ti ama. Non è assolutamente capace di mostrarlo, è gelosa all’inverosimile, ma ti ama. L’ho visto nei suoi occhi, come ti guarda, come ti segue, come si fida di te.” Ma era vero? La sua unica possibilità era ora. Poteva fare tre cose. Parlare, attaccare o fuggire. Decise, al contrario del solito, di parlare. “Senti, Akane…” “Si?” Quando lei si girò il ragazzo sentì, all’improvviso, il coraggio venire meno. Poi però alla paura si sostituì la determinazione. Quale che fosse la risposta, quel giorno avrebbe saputo. Prese un grosso respiro. “Akane, ora ti dirò qualcosa di importante. Qualunque cosa tu voglia dire, qualunque voglia di colpirmi ti venga, ti prego aspetta. Va bene?” “Si, ma cosa mai potresti…” “Shhh. Fammi parlare. Akane, io… io non so quello che tu provi per me, se mi odi, se siamo amici o se sono qualcosa di più, ma io… io…” non sapeva cosa dire. Così scelse la seconda opzione. La baciò. Sapeva che stava facendo una sciocchezza, che non avrebbe dovuto fare così. Non era saggio, non era intelligente, non aveva senso. Ranma era ceto che fosse un’idiozia. Finché Akane non rispose al bacio. Quel bacio fu la cosa più bella che Ranma avesse mai provato. Caldo, dolce, avvolgete. Il ragazzo sentì una scarica elettrica attraversagli il corpo. Partiva dalle labbra, in contatto con quelle morbide di Akane, e lo attraversava, scendendo sino ai piedi e salendo fino al cervello, immobilizzandolo. Era bello, molto bello. Molto più di quanto, lo ammetteva un po’ a malincuore, lo aveva immaginato anche troppe volte. Istintivamente la stinse tra le braccia e le afferrò il capo. E lei fece lo stesso. Travolti da quella ardente passione lui si risedette con lei sulle ginocchia, continuano quel bacio appassionato. Mai, mai avrebbe immaginato che sarebbe stato tanto bello. Quando quel lungo bacio volse al termine i due si guardarono. Lei aveva gli occhi lucidi, lucidi dalla felicità che l’aveva travolta. E così probabilmente anche i suoi. “Tanto non me l’avresti mai detto, vero?” disse lei, felice ma un po’ malinconica. Ranma sorrise. “Forse non ce l’avrei fatta prima, ma ora lo posso dire. Io ti amo Akane. Ti amo da tanto, troppo tempo. Sono geloso quando parli con Ryoga, vorrei ammazzare quell’imbecille di Kuno quando ti si avvicina, e quando un qualunque ragazzo ti si avvicina e fa il cascamorto con te lo vorrei picchiare a sangue. Io ti amo Akane. Sei scontrosa, permalosa, non sai cucinare e meni le mani troppo spesso per essere una ragazza. Ma io non vorrei nessun’altra. Io ti amo Akane. Vuoi essere la mia fidanzata?” Akane, nonostante si fossero appena baciati, e nonostante gli avesse appena confessato tutto il suo amore, titubò. “Io… io lo voglio. Ma ho paura. Cosa succederà dopo? I nostri genitori, la nostra famiglia di pazzi. Ci costringeranno a sposarci, ma io…” La ragazza girò lo sguardo, mentre piccole lacrime di paura le scendevano dagli occhi. Ranma le afferrò il mento, e le fece girare il volto verso di lui. “Ehi, ehi. Stai tranquilla. Io e te saremo insieme, contro tutti e tutto. E poi con noi ci sarà anche mia sorella. Lei sarà con noi. Ci prenderemo il nostro tempo. Ci sposeremo solo quando ne saremo sicuri. Noi non ci faremo controllare. Vivremo il nostro amore, e lo vivremo come vogliamo noi.” Disse. Si sentiva sicuro, determinato. L’avrebbe protetta, ed avrebbe protetto anche quel piccolo germoglio che era il loro amore, appena sbocciato e, nel loro caso, estremamente fragile. “Ascolta, solo per un po’ teniamolo nascosto. Fingiamo che non sia successo nulla. Ora lo sappiamo. Sappiamo che ci amiamo, ma se preferisci potremmo non dirlo a tutti, almeno all’inizio.” disse Ranma. Quest’ultima parte l’aveva suggerita sua sorella. Tenere per sé la loro relazione in attesa del momento buono per dirlo a tutti senza avere gli ovvi problemi della la loro situazione. Akane, nonostante avesse ascoltato le sue parole, sembrava assente. Poi inchiodò lo sguardo al suo. “Ranma, io non te l’ho ancora detto. Ti amo Ranma. Ti amo con tutto il cuore. Ti amo da quando hai rischiato di beccarti un altro bacio della morte per me. Ti amo, ragazzo con il codino”

*questa scena è una citazione a quando, negli anime, hai personaggi appare una galassia negli occhi per l’entusiasmo. 

 

 

Akane

Akane non si era mai sentita così felice. Stava guardando Ranma, il suo fidanzato, il suo ragazzo con il codino, diritto negli occhi, in quegli zaffiri che l’avevano stregata e che ora scintillavano nei rosseggianti colori del tramonto. Nulla avrebbe interrotto quel momento. Non i genitori impiccioni, non la sorella profittatrice, non le assurde pretendenti di Ranma, non i suoi fastidiosi spasimanti. Solo loro due, loro due e il loro amore. In quella cabina di una ruota panoramica, il loro amore era esploso, così come la sua felicità. Baciò ancora Ranma. Un calore profondo la avvolse. Partiva dalle sue labbra, dalla sua pancia, e dai punti a contatto con il ragazzo, per poi espandersi in tutto il corpo, surriscaldandola e facendola sentire più viva che mai. In un impeto si avvinghiò ancora più stretta a Ranma, sorprendendolo con una passione che neanche lei sapeva di avere, cercando la lingua di lui e intrecciandola con la sua, baciandolo con forza. Probabilmente poi si sarebbe vergognata a morte, ma in quel momento non aveva voglia di pensare alle conseguenze. Voleva solo far fluire tutti quei sentimenti che si teneva dentro da troppo tempo. Interruppe quel passionale contatto solo quando una campanella annunciò che il giro stava finendo. Si staccò dal ragazzo e si riassetto velocemente. Non poteva mica farsi trovare così da tutti, sarebbe stato troppo imbarazzante. Ma rimase seduta su Ranma, troppo felice per pensarci. Anche Ranma, a cui, inconsciamente, aveva sbottonato un po’ la camicia. Quanto era sexy con i capelli in disordine, la camicia sbottonata e le labbra umide. “Ehm, Akane, dobbiamo scendere. Per quanto mi piacerebbe restare così per molto di più.” Disse lui, afferrandola per i fianchi e sollevandola, per poi alzarsi ed appoggiarla al suo fianco, baciandola ancora con un leggero bacio a stampo, che però gli fece provare un scarica di emozioni intensa e potente. Poi lui le afferrò con forza e dolcezza la mano, trascinandola fuori dalla cabina. Akane non voleva. Voleva restare per sempre in quella piccola cabina, dove il suo amore si era realizzato. E se fosse uscita e i sentimenti fossero spariti? Poi però la mano di Ranma le trasmise     tutti i sentimenti del ragazzo. Lui ci sarebbe stato sempre per lei. Allora uscì, solo per stringersi al ragazzo, che arrossì istantaneamente. “A-Akane?” Lei lo guardò con i suoi migliori occhi dolci. “Si Ranma? Problemi?” “N-no, nulla. Sei bellissima.” Disse lui, con un leggero brivido nella voce.

“Dobbiamo tornare, ormai è tardi.” disse lui. “Ma poi dovremmo tornare come prima, rivali e litigiosi.” Lui la guardò, sicuro “Akane, io ti amo. Questo non cambierà. Mai. Akane, non importa come, troveremo i momenti giusti per stare insieme. Stiamo assieme finché rimaniamo in treno, va bene?” La sua voce era calda e rassicurante. Incredibile quanto un semplice bacio avesse cambiato la sua opinione di lui. L’aveva sempre reputato un ragazzino, si, bello, virile, come piaceva dire a lui, ma fondamentalmente un’immaturo. Invece quella decisione di Ranma, quel suo modo di fare tutto nuovo, sicuro e adulto, l’aveva conquistata. Ora sapeva che poteva fidarsi di lui. “D’accordo. Torniamo a casa.” Disse, abbracciandolo. Quando salirono in treno lei gli rimase abbracciata accanto, con la testa appoggiata al suo petto, così tranquilla che si addormentò. Al suo risveglio ebbe una bellissima sorpresa. Ranma immerso nella luce del tramonto, che l’abbracciava, guardandola in volto.  Sobbalzò per un’attimo, forse temendo la sua reazione, dato che lei aveva alzato la sua mano, ma solo per accarezzargli la guancia ed avvicinarsi ancora a lui, baciandolo con passione. “A-akane, tutto bene?” “Si Ranma, è solo che temo non potremmo farlo per un po’, quindi volevo approfittarne al massimo.” Si guardarono per un ultima volta con lo sguardo pieno di dolcezza, abbracciati, per poi alzarsi e uscire dalla stazione a Nerima, tenendosi ancora per mano, un’ultima volta, prima di ricominciare la loro assurda, ora più che mai, farsa. 

 



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Ehhhh si, li ho fatti baciare. Si, avete capito bene. Si sono baciati, dichairati, fidanzati. Bene, un problema in meno per me. Ora che quei due si sono messi insieme possiamo dire che, finalmente, ci immergeremo nella nostra storia. Non in quella di Ranma e Akane, che presto, molto presto, potranno essere felici assime. Ora la storia andrà avanti, e dedicheremo del tempo a Ran-chan, che ora, purtoppo, è senza uno scopo. Siete curiosi? Spero di si, ma dovrete aspettare due settimane per saperlo. Io vi saluto, vi ringrazio per aver letto il mio capitolo e vi chiedo di lasciare una recensione per dimi cosa ne pensate, ciao da vostro
Jacob Stark di Grande Inverno

 

 

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Capitolo 10
*** Una nuova, grande avventura! ***


 

Una nuova, grande avventura!

 

 

Ranma

“AHHHHH! Ce l’avete fatta, ce l’avete fatta! Vi siete baciati!” Ranma era euforica. Quei due testoni si erano baciati! Su una ruota panoramica. Al tramonto. Cosa c’era di più romantico? Stava saltellando dall’entusiasmo. L’immagine era troppo adorabile. Ed anche l’Akane davanti a lei era adorabile. Aveva gli occhi che splendevano, e il viso arrossato. La sua amica era felice come non l’ava mai vista. Quando a cena li aveva visti litigare come al solito un po’ si era preoccupata, ma poi era salita in camera di lei, dove erano state raggiunte dal fratello, che come al solito era passato dalla finestra. Le avevano raccontato di tutto l’appuntamento, di loro due che erano saliti sulla ruota, con un Akane che raccontava come lui si era avvicinato, mentre Ranma diventava sempre più rosso. L’effetto era comico era fantastico. Ma sopratutto, lei si era seduta sulla sedia, mentre i due erano sul letto, mano nella mano. Quanto erano dolci. La rossa ascoltò attentamente la decisione dei due di non rivelare nulla alle famiglie e agli amici, e di comportarsi come se tutto fosse normale, almeno per un po’, ma sapeva che sarebbe stato impossibile. Suo fratello era troppo geloso, ad anche Akane non era da meno. “Sentite, ma volete che vi lasci per stanotte? Per dormire assieme?” Entrambi esplosero dall’imbarazzo. Si vedeva la nuvola di vapore uscire dalle loro teste, forse come conseguenza dell’eccessivo arrossamento dei due. “Tranquilli, forse non siete pronti. Magari tra un mesetto. Ricordate che voglio un nipotino.” disse Ran-chan, maliziosa. I due neofidanzati divennero, se possibile, ancora più rossi, pensando a quello che significavano quelle parole. Poi la rossa fece un sorriso e mandò fuori il fratello. “Sono contenta ma adesso dobbiamo parlare di cose da ragazze!”

Suo fratello sembrava un po deluso, ma accettò passivamente i suoi capricci e tornò in camera, passando dalla finestra. “Allorallorallora? Come è stato? Cosa hai provato?” “E’ stato bellissimo, lui.. mi a fatto una confessione bellissima” e ripeté, parola per parola, la confessione del ragazzo. Ran-chan uno’ si commosse. Non pensava che lui fosse in grado di parola tento belle. Poi però la sua mente tornò al pensiero iniziale. “Non provare a intortarmi ragazza, io ti ho chiesto una cosa precisa. Come è stato?” Akane arrossì. “Era… caldo. Mi sembrava di andare fuoco dove mi toccava, sia con le labbra che con le mani. Ed anche…” Ranma la guardò maliziosa. “Lì? Proprio lì? Ma che sporcacciona che sei Akane!” disse la rossa, stupita che la pura e casta Akane avesse provato quel tipo di sensazioni. Chissà cosa avrebbe pensato suo fratello se le avesse detto cosa aveva sentito la sua bella. “E poi… mentre eravamo lassù, io gli sono praticamente saltata addosso. Io, io non so cosa mi sia preso, ma gli sono letteralmente salita addosso, e poi mi sono messa ad infilargli al lingua in bocca. E mi è piaciuto un sacco. Ma cosa mi era preso?” Disse la ragazza. La rossa fece un’altro dei suoi sorrisi. “Credo fosse il desiderio represso. Volevi farlo con mio fratello così tanto che non ti sei trattenuta, lasciando che tutti i tuoi istinti prendessero il sopravvento. E così è venuta fuori la selvaggia Akane. In effetti è un’Akane che vorrei vedere, sarebbe divertente.” disse, tutta divertita. Ohhh, quanto si sarebbe divertita a torchiare suo fratello quella notte. Non l’avrebbe fatto dormire! Poi abbracciò l’amica, le diede un leggero bacio dietro alla guancia e poi scappò via, tutta divertita dalla reazione dell’amica. 

In camera vide suo fratello sdraiato sul letto, intento, forse, a fantasticare su Akane. Da come muoveva le mani probabilmente stava ripercorrendo le forme di Akane. “Ciao, che combini?” chiese, apparendogli sopra la testa. Lui si prese un colpo, rotolando a terra. “Nulla, nulla.” disse lui, imbarazzato. Si, stava decisamente pensando a lei. “Allora, raccontami!” Disse, con gli occhi scintillanti di curiosità. Suo fratello rimase interdetto per un secondo, diventando ancora più rosso dei suoi capelli. “M-ma non ti ha detto tutto Akane?” Ranma fece un sorrisetto maligno. “Lei mi ha dato la sua versione dei fatti. Ora voglio la tua. Parla” disse, con un tono che non ammetteva nessuna replica. E Ranma lo capì. Allora prese un grosso respiro, e, rassegnato, si mise a parlare. Anche lui finì per raccontare tutto. Dell’assurdo giro nella casa degli orrori, della sua folle corsa in giro per il parco mentre seguiva Akane, del momento magico in cui aveva provato a parlare, della tensione al momento del bacio. Della sua felicità nel momento in cui Akane aveva ricambiato il bacio. Ed infine dello stupore quando lei, in preda ad una selvaggia passione, si era avvinghiata a lui e lo aveva cominciato a baciare con furia. E questo inaspettato lato della ragazza gli era piaciuto. E poi… e poi gli raccontò della confessione che lei gli aveva fatto, parola per parola. Ran-chan si commosse. Certo, era un modo tutto particolare di confessarsi, ma era anche così tenero e romantico. Poi abbracciò il fratello. “Bravo fratello, bravo. Non è bello avere nuovi appoggi? Io… non ricordo nulla del passato. E per quanto voi mi possiate raccontare, io non posso essere sicura. Ma grazie a te, ad Akane-chan, e a tutte le persone di questa famiglia ho potuto creare qualcosa di nuovo. Ed ora che voi siete insieme mi sento… più completa, come se avessi fatto qualcosa che mi permette di stare meglio con me stessa.” Poi si spostò accanto al fratello, appoggiando la testa sulla sua spalla, come un cucciolo in cerca di coccole. Coccole che arrivarono, sotto forma di piacevoli carezze sulla testa e grattini sul collo. La ragazza tentò di trattenersi, ma non riusciva a evitare di muoversi verso le carezze e i grattini. Erano quasi una droga, né era dipendente, anche se in quel caso la dipendenza entrava in azione solo quando le riceveva. Chissà cosa gli succedeva. “Fratellone, una domanda. Se ti dovessi presentare un ragazzo, cosa faresti?” dalla faccia era palese che no si aspettava la domanda, perché rimase a guardarla per quasi un minuto buono. Poi la sua bocca si aprì lentamente, ed articolò una frase con altrettanta lentezza. “Non lo so cosa farei. Ma tanto il problema non si pone, vero?” chiese, con un tono estremamente meccanico. Ran-chan fece una risatina. “Certo fratellone, per ora. Ma in futuro chissà!” disse, sorridendo. L’ombra sul volto di Ranma era molto meno divertita. 

 

 

Akane

Quella mattina si svegliò felice. Ed era lunedì, tanto per capirci. Ma non riusciva a contenersi. Era fidanzata. Con Ranma, il suo Ranma. All’idea si rigirò nel letto sorridendo. La sua felicità venne però stemperata da una pensiero meno felice. Non poteva dirlo. Era un segreto tra lei, Ranma e Ranma. Quella cara e dolce ragazza, che tanto li aveva aiutati. Se prima era terrorizzata all’idea del suo destino ora non vedeva l’ora  di vedere cosa gli avrebbe riservato la giornata. Chissà se… divenne rossa pensando alla possibilità che Ranma venisse a dargli un bacio, ma più probabilmente sarebbe stata lei a dover chiam… -toc toc- un rumore di bussata venne dalla finestra. Possibile che? Akane si alzò, spostò la tenda ed il suo cuore ebbe un sobbalzo. Alla finestra c’era Ranma, con un sorriso dolce sul volto. Le fece cenno di aprire la finestra, cosa che lei non avrebbe mai fatto fino al giorno prima, ma che in quel momento lo fece senza nemmeno pensarci. “Ben svegliata Akane.” Gli sussurrò nell’orecchio, mentre l’abbracciava. Akane ebbe un momento di dubbio. Da quando Ranma, timido e e timoroso con lei, le faceva visita di prima mattina per scambiasi effusioni? Poi lui le afferrò il mento con dolcezza, girando il suo volto verso di lui, e la guardò negli occhi. “Akane, non pensare che io sia uno sfacciato o un pervertito. Voglio solo che, dato che dovremmo fingere, tu ti ricordi. Di quanto mi piaci, di quello che abbiamo condiviso, di quello che condividiamo.” La baciò con trasporto, ma rimanendo tranquillo, senza spingere. Fù Akane, come il giorno prima, a cercare di più. Nemmeno lei sapeva cosa le prendesse, ma con un colpo d’anca buttò Ranma sul suo letto, e gli si sdraiò addosso, chiedendo con lo sguardo altri baci, che ottenne. Entrambi di misero a cambiarsi anche delle piccole carezze. Era la cosa più romanica ed eccitante che Akane avesse mai fatto. Avvinghiarsi così, baciarsi, sentire il calore dei loro corpi. In quel momento il suo cervello era spento, inutilizzabile, fuso per colpa della passione che la divorava. Poi una delle mani di Ranma scese, appoggiandosi involontariamente sul suo sedere, ma al contrario di come credeva non le dispiacque. Anzi, aumentò ulteriormente la sensualità del momento. Sarebbe rimasta così per tutta la mattina, ma una leggera bussata li interruppe. “Akane? Sei sveglia? Farai tardi se non ti sbrighi.” La dolce voce di Kasumi li fece irrigidire. Sembravano due statue abbracciate. , tanto erano ridire. In un attimo Ranma ribaltò Akane, le diede un’ultimo, leggero, bacio sulle labbra e scappò fuori dalla finestra, velocissimo. Kasumi entrò nella camera, trovando Akane tutta scompigliata, con le coperte stropicciate e la faccia rossa. “Akane, hai fatto un brutto sogno?” chiese la mora, premurosa. “No Kasumi-neechan, sto benissimo.” poi, rossa, come un peperone, si decise a chiedere: “Kasumi, sei mai stata innamorata?” chiese cercando di buttarla sul caso. Kasumi sembrò sorpresa dalla domanda, così inaspettata da parte di Akane. “Bhe, sorellina, se posso essere sincera no. Non quando avevo la tua età almeno. E poi, finché non sarò sicura che la mia famiglia sia tranquilla, non posso proprio prendere impegni.“ sul volto solitamente tranquillo di Kasumi apparve un sorriso triste. “L’ho promesso alla mamma. Finché ci sarà bisogno di me io ci sarò per la mia famiglia, al fianco vostro e di papà.” Queste parole colpirono Akane. Lei sapeva che Kasumi aveva deciso di occuparsi della casa  e della sua famiglia, ma non sapeva che lei lo avesse promesso a loro madre. In quel momento si sentì profondamente in colpa per aver deciso di nascondere a tutta la sua storia con Ranma, ma aveva ancora troppa paura, e non è che Kasumi fosse così brava a tenere i segreti. E se se lo fosse lasciato sfuggire con Nabiki… apriti cielo. Quella iena di sua sorella sarebbe stata in gradi di lucrare con tutta la storia, sfruttandoli. Così si limitò ad abbracciarla forte, per poi rendersi conto dell’ora, e scaraventarsi in bagno, dove si scontrò con Ranma, appena uscita dalla vasca. “Spicciati sorella, oppure riesci di incontrare mio fratello.” poi aggiunse a bassa voce. “Anche se sono sicura che non vi dispiacerebbe, vero?” poi scappò via, sferrando un gran calcio ad Happosai, che si era fondato verso di loro. Sembrava che avesse un sesto senso per i pericoli. Chissà se avrebbe potuto insegnare anche a lei come faceva. 

A scuola, come al solito, i tre arrivarono per il rotto della cuffia, dopo aver inscenato la solita litigata mattutina. La sola vera differenza fu quando Kuno li “assalì”. Infatti non fece in temo neppure ad  avvicinarsi, perché ricevette un terribile calcio in faccia che lo proiettò nello spazio, facendolo schiantare al suolo con più forza del solito. Infatti sulla sua testa c’era Ranma, abbastanza infuriato da infierire un’altro paio di colpi a caso al deficente in questione. “Allora Kuno? La smettiamo? Non ti darei mai mia sorella, e nemmeno Akane merita un’idiota del tuo calibro. Sei davvero pessimo.” l’eccessiva irritazione traspariva dalla  sua voce, tanto che intorno a loro cominciato i mormorii “Perché oggi Ranma è così deciso?” “Ha sempre sopportato Kuno e i suoi modi, a modo suo. Che sia successo qualcosa?” così fece un cenno a Ran-chan, che fece un cenno a Ranma che capì e smise di infierire sull’avversario svenuto. Poi corsero in classe, avevano perso anche troppo tempo.

Dopo una giornata relativamente tranquilla, Ranma lamentava una certa insistenza da parte di Kuno nel vendicarsi ma gioiva del nuovo record nel suo sport preferito, abbatti il rompiscatole, tornarono a casa, dove ad aspettarli trovarono uno spettacolo inconsueto. C’era un tizio strano, con i capelli castani e una giacca di pelle, che teneva Happosai legato con una corda, e dava una solenne strigliata al signor Saotome e suo padre. Era straniero, infatti parlava un giapponese un po’ troppo accademico. Comunque si faceva capire bene. “Dovreste essere più attenti con vostro nonno. Un signore di questa età non dovrebbe andare in giro a infastidire delle signore. Specialmente cercando di rubare loro l’intimo.” Da parte loro i due maestri erano stupiti. Nessuno aveva mai catturato Happosai, e di sicuro nessuno era nei riuscito a legarlo e a portarlo a casa. Insomma, i due erano impressionati. “Allora, cosa avete da dire a vostra discolpa?” Troppo tardi si accorse che il vecchiaccio si era slegato, e stava per saltagli addosso. Peccato che Happosai si mise ad urlare. “Ora ti faccio vedere io chi è il maestro Happosai! Happodaikarin!” urlò, tentando di scagliare la sua arma definitiva contro il ragazzo. Però Ranma gli si oppose, colpendo la bomba e rispedendola indietro. Quando il fumo si diradò Ranma si erse sul vecchiaccio.” Nessuno ti ha mai detto che con gli ospiti bisogno essere cortesi vecchio?” Lo sconosciuto lo guardò. “Ah, ma tu sei il ragazzo dell’atro giorno! Grazie per le indicazioni, ho trovato subito il ristorante. Comunque la vita da queste parti deve essere un’inferno, con questa specie di maniaco in giro. Molto piacere, io sono Alberto Galipò, sono uno studioso di archeologia e paleo archeologia. Chi sono le signorine?” disse, accennando con la testa a lei e Ran-chan. Ranma stava per rispondere, ma le ragazze lo fermarono. “Io mi chiamo Ranma, e lei è Akane. E non  provare a provarci con Akane. Lei è impegnata con mio fratello!” disse, con il suo solito tono deciso. Lui mostrò di non capire il problema, ma poi una scintilla di comprensione gli balenò negli occhi. “Oh, non preoccupatevi. Sono solo venuto a riportarvi il pervertito. In caso, potrei chiedervi se conoscete il maestro Happosai?” Tutti guardarono verso Happosai. Alberto prima li guardò, per capire dove fissassero, poi girò lo sguardo verso il vecchio maestro. “LUI?”  tutti annuirono. “Ma come…” La faccia del ragazzo era terribilmente delusa. Ma Happosai non era mai stato troppo bravo ad intuire i sentimenti altrui. “Allora ragazzo perché cercavi il grande maestro Happosai? Per diventare mio fedele allievo?”  Se il vecchiaccio fosse stato meno accorto, il colpo sarebbe stato micidiale. Happosai aveva schivato il colpo, ma il pavimento no, infatti c’era un buco delle dimensioni precise della mano del ragazzo. “Fossi anche il più grande maestro di arti marziali al mondo io non prenderei mai e poi mai lezioni da un porco pervertito del tuo calibro!” Era abbastanza arrabbiato alla proposta. “Ma alla perché lo cercavi?” chiese Akane. Non capiva cosa chi diavolo potesse cercare Happosai. “Scusa, ma perché cerchi questo maniaco? Se devi picchiarlo per qualche motivo sappi che collaboreremo tutti.” Disse Ran-chan, entusiasta. Lui la guardò leggermente stupito dalla voglia di sangue della rossa. “No, anche se forse dovrei. Ero venuto a chiedere se sapeva qualcosa delle fonti maledette, l’amazzone Cologne m ha indirizzato da lui. Allora, signor pervertito*, né sa qualcosa?” disse, rivolgendosi ad Happosai, il quale prese un sospiro, si mise in una posizione come se stesse riflettendo e poi disse “E che ne so io!” Tutti nella stanza caddero a terra. Quella posa aveva fatto pensare a tutti che qualcosa ne sapesse Happosai, e invece nulla. Quello che ci rimase più male era però il nuovo arrivato, Alberto. Alla fine qualcuno invitò il ragazzo a fermarsi per cena, anche solo per ringraziarlo di aver riportato il maestro a casa. 

 

 

Ranma

Dopo un paio d’ore Ranma aveva capito un paio di cose sul loro ospite. Era italiano, studiava archeologia in giro per il mondo ed era un grande esperto di arti marziali. Inoltre era anche bravo a cucinare, dato che si era offerto di dare una mano a Kasumi, che guardava con un certo interesse. Ma chiunque avrebbe guardato con interesse Kasumi, visto quanto era dolce e bella. Cioè, per lui c’era solo Akane, ma, oggettivamente, Kasumi era bellissima. Tornado al loro ospite, poteva percepire che era in grado di usare il ki, forse meglio di lui. Insomma, la sua conoscenza del ki era piuttosto limitata, sapeva come percepirla e manipolarla, ma sapeva benissimo che la sua abilità era ad un livello meno che embrionale. Forse avrebbe potuto chiedergli dove si era allenato e con chi. Però, a parte tutto, lo trovava davvero simpatico. Ci aveva parlato per un’oretta, e da quanto aveva capito quel tipo aveva girato anche più di lui, andando in India, in Mongolia, in Malesia, in Vietnam, in Thailandia, oltre che in Cina. Insomma, a quanto pare aveva inseguito il mito delle sorgenti maledette per tutta l’Asia. Eppure a quanto pareva non aveva trovato nulla, non un indizio, non una leggenda. Nemmeno la guida delle sorgenti maledette sapeva nulla della loro origine. Chissà se avrebbe mai scoperto qualcosa. In fondo, con tutta la strada che aveva fatto, si meritava di scoprire qualcosa. Poi un suono venne dalla campana posta all’ingresso del dojo. Qualcuno che si presentava alla palestra così tardi? Prima di cena? Ma chi era il pazzo? “Scusa, ma a quanto pare c’è qualcuno alla porta della palestra, e mio padre pretende che sia io ad andare a vedere. Dice che forma il carattere come maestro.” Poi si recò alla porta. Quando ci arrivò vicino però qualcosa lo fece sobbalzare. Qualcosa, non il suo solito istinto, gli diceva di stare attento. Dietro quella parta c’era qualcuno dotato di una potenza spaventosa. Chiunque fosse, stava emettendo un’energia mostruosamente potente. Ranma, inquietò apri la porta, ritrovandosi davanti un tipo vestito con un lungo cappotto nero, i tratti occidentali e lunghi capelli bianchi come la neve. Sotto l’ombra scintillavano due occhi del colore del ghiaccio. “Salve. Mi chiamo Artorias Stark. Sono un artista marziale europeo, dall’isola di Flott Vinter*, nel nord Europa. Mi hanno detto che in questo dojo si pratica arti marziali indiscriminate, uno stile unico al mondo. Ero venuto per mettermi alla prova nel vostro dojo, è possibile?” La sua voce, allegra e gentile, mascherava la sua forza spaventosa, che però filtrava dagli occhi. Tuttavia un brivido di emozione risalì la spina dorsale di Ranma. Un avversario. Un avversario forte, come non gli capitava da tempo. Certo, Ryoga non scherzava, ma lo conosceva, sapeva come fregarlo, conosceva le sue mosse, insomma, affrontarlo era quasi una noia, a modo suo. Questo tizio invece sembrava ancora più forte di Ryoga, e per di più non sapeva nulla di lui. “Si, questo è il dojo di arti marziali indiscriminate dei Tendo. Io sono Ranma Saotome, uno degli allievi e degli insegnati. Se desideri batterti, dovrai combattere con me.” Negli occhi dello straniero comparve una scintilla. Poi un piccolo uggiolio distrasse Ranma. Da sotto il cappotto, sul petto comparve il muretto di un cucciolo di lupo, dal pelo grigio come le nubi d’inverno. Aveva uno sguardo infinitamente dolce e giocoso,  ma che nascondeva qualcosa. Anche lo sguardo, finora ombroso del ragazzo, si illuminò. “Ehi Sif, cucciolo, che ci fai qui? Ti piace questo ragazzo?” Il lupacchiotto annuì con il muso, lanciando un uggiolato entusiasta, abbastanza da allungare la testa per farsi accarezzare “Wof!” abbaiò, in cerca di contatto con Ranma, che non riuscì a resistere all’idea di accarezzarlo. Allungò la mano e fece un grattino al cucciolo. C’era qualcosa di stranamente gratificante piacevole nel farlo, come quando coccolava sua sorella. “Allora, Stark, ti chiami così, giusto? Entra, se ti va bene combatteremo subito. “ Disse, facendo accomodare il  ragazzo dai capelli bianchi nel dojo. “Aspetta qui, chiamo il capo del dojo per fare da arbitro.” 

“Papà, Signor Tendo! C’è uno sfidante per la palestra. Combatterà con me.” I due genitori lo guardarono, straniti. “Figliolo, ma sei sicuro di voler combattere a quest’ora? Tra poco ci sarà la cena!” “Appunto papà, tra poco. Giusto il tempo per un piccolo combattimento!” Dopo un po’ di borbottii e proteste tutti, compreso Alberto si trasferirono nel dojo. Ranma riusciva a stento a contenere l’entusiasmo. Finalmente un combattimento come si deve, dopo tanto tempo. Stranamente, quando sua sorella entrò nel dojo e vide il suo sfidante arrossì per un’attimo per poi fissare intensamente il nuovo arrivato, che lei restituì lo sguardo e fece un mezzo sorriso. Poi sua sorella fece una risatina e si mise a parlottare con Akane. Ranma era un po stranito, ma decise che, se quel tipo voleva provarci con sua sorella allora lo avrebbe dovuto picchiare ancora più forte. Ma successe un’imprevisto. Non appena Alberto si ritrovò davanti il suo avversario si paralizzò, per poi rivolgersi all’altro, che aveva circa la stessa età, con parole molto dure “Tu, maledetto!” “Mi conosci?” chiese Artorias, leggermente stupito “Chi diavolo saresti?” “Mi chiamo Alberto Galipò, e sono pronto a sfidarti. Tu hai partecipato al Torneo dei Ares** che si è tenuto tre anni fa, diventandone il campione indiscusso, ma passando le semifinali per abbandono. Ebbene, quello che non riuscì a combattere contro di te ero io. Poi sei scomparso, e nessuno degli altri avversari che mi sono trovato davanti era lontanamente simile a te. Perciò, se questi maestri mi daranno il permesso, vorrei sfidarti, qui e ora. Allora accetti?” chiese, con tono di sfida. Gli occhi dello strano guerriero dai capelli bianchi si illuminarono. “Non vedo l’ora.” un sorriso feroce gli apparve sul volto. E Ranma capì. Capì cosa provava in quel momento quel tipo. Passare il turno di un torneo, evidentemente importante, senza combattere, evidentemente gli bruciava canora, nonostante il tempo passato. “Sempre che per te non sia un problema, Saotome.” Disse, chiedendo a Ranma. In effetti sarebbe stato piuttosto scortese cominciare a combattere con qualcun’altro dopo che aveva sfidato lui. Ma il ragazzo con il codino annuì, lasciando intendere che per lui andava bene. “ A patto che poi il vincitore combatta con me.” disse, entusiasta. 

 

*Flott Vinter: Grade Inverno in norvegese, un isola immaginare posta nel tratto di mare tra l’Inghilterra e la stessa Norvegia, delle dimensioni della Corsica. La famiglia Stark risiede lì, e la stessa isola è considerata stato neutrale ed extraeuropeo a tutti gli effetti. 

**Torneo di Ares: Immaginario ma importante torneo che si tiene ogni 5 anni, radunando combattenti da tutta l’europa, che si contendono il titolo di miglior combattente del vecchio continente. Alberto, tre anni prima della storia, era arrivato alle semifinali, ma a causa di un grave problema dovette ritirarsi, facendo vincere Artorias per abbandono. La cosa non è mai andata giù a nessuno dei due.

 

 

 

Alberto Galipò

Finalmente. Quella sfida mancata lo aveva sempre lasciato l’amaro in bocca, nella sua impossibilità di determinate se davvero il suo avversario fosse il più forte guerriero d’europa. Quella del torneo di Ares era una tradizione antica come l’Europa stessa, e vincerlo era un grande onore. Ma lui, proprio il giorno prima della semifinale, era dovuto tornare a casa, a causa di un grave evento. Ora, finalmente, avrebbe potuto fare ciò che voleva fare da tempo. Combattere Artorias Stark, sicuramente uno dei più forti guerrieri d’europa, era un sogno quasi pari a quello di scoprire la verità sulle sorgenti maledette. Sotto gli occhi del maestro Tendo si misero in guardia. Da sotto il lungo cappotto nero, che lo faceva assomigliare a Van Helsing, uscì un cucciolo di lupo grigio, che, tra gli urletti delle ragazze, si andò a strofinare sulla sorella di Ranma, che, senza troppe domande, lo prese in braccio e accettò di fagli le coccole. Dopo questa distrazione il suo avversario si rimise in guardia, togliendosi il cappotto e lanciandolo  via. Indossava una specie di casacca nera di lino, probabilmente per facilitarsi i movimenti. La sua posa non riusciva a capirla invece. Non assomigliava a nessuna arte marziale che conoscesse, mentre invece gli pareva che negli incontri precedenti a cui aveva assistito aveva sempre usato tecniche provenienti da altre arti marziali, karatè, kung fu, krav maga, oppure da una miriade di altri stili differenti, ma quello non l’aveva mai visto. La guardia era apparentemente aperta, ma dava l’ impressione di poter respingere qualunque attacco. Come era possibile che fosse così? Si lanciò all’attacco, tentando di colpirlo con uno dei suoi pugni migliori, che però venne deviato con facilità. Il suo avversario aveva semplicemente deviato la sua mano e lasciato che il colpo gli scivolasse lungo il braccio. Troppo leggero per essere percepito, troppo veloce per essere afferrato. Insomma, era riuscito a capire che lo aveva evitato, ma non come. Il combattimento continuò per infiniti minuti. Quel tizio era bravo, anche troppo. La sua velocità lo stupiva. Aveva un che di innaturale, come se riuscisse a prevedere ed evitare ogni sua mossa in modo quasi animale. Non riusciva a colpirlo e lui non rispondeva agli attacchi. Si limitava  a schivare e a bloccare i colpi. “Hai un ottima tecnica, e sensi eccellenti, ma il tuo corpo non reagisce abbastanza in fretta.” Gli sussurrò, serio, l’avversario nell’orecchio, mentre penetrava la sua guardia per infliggergli una spallata nello sterno, che lo lasciò senza fiato e lo  In quel momento capì, almeno in parte perché lo stile gli era così alieno. Non stava combattendo con le arti marziali, ma con tecniche da spadaccino europee. La spallata data in quel modo era una tecnica di sfondamento dei cavalieri, che, in armatura pesante, si scagliavano contro il nemico per sbilanciarlo e buttarlo a terra. Ora finalmente riconosceva le pose. Non era un’esperto, ma la Sicilia aveva una lunga tradizione di maestri di spada, nel suo passato, e qualcosa sapeva anche lui. Ma era anche preoccupato. Una persona in grado di combattere usando le braccia come spade non era certo un avversario da sottovalutare. Attaccò con più furia, riuscendo davvero a penetrare le difese dell’avversario, anche se questi continuava a non attaccare. Si limitava ad osservare la sua tecnica, come se lo stesse giudicando. Questo lo offese profondamente. Nessuno si prendeva gioco di Alberto Galipò!

 

 

Artorias Stark

L’italiano se la cavava bene. I suoi attacchi erano potenti e precisi, e dimostravano un grande allenamento e una profonda conoscenza di varie arti marziali. Inoltre dimostrava di aver girato il mondo. Era rimasto molto stupito quando il ragazzo aveva intuito la sua tecnica di combattimento. La maggior parte dei suoi avversarti rimaneva così spiazzata che si arrendeva dopo poco. Ma non stava ancora combattendo al massimo livello. Non voleva indurlo ad arrivare al ki, ma sentiva che poteva fare di più. Dopo aver capito la tecnica era riuscito a infilarsi nella guardia di Artorias, ma i colpi non arrivavano nemmeno con un terzo della loro vera forza. Doveva combattere con più potenza se voleva costringerlo a fare sul serio. Alla fine il colpo arrivò. Il più inaspettato, brutale e rozzo possibile. Un potentissimo montante apparve dal nulla, colpendolo di striscio sulla guancia. Solo i suoi riflessi sovrallenati gli avevano permesso di evitare di incassare. Nei suoi occhi si accese una scintilla. Era ora di fare sul serio. I suoi arti erano stati allenati per divenire letali come lame d’acciaio temprato, ogni suo muscolo resistente come una piastra d’armatura. Da tempo il suo corpo era solo una macchina da guerra. Era ora di scatenare la macchina. Si mosse veloce come il vento del nord, arrivando alle spalle del giovane italiano, colpendo un un pugno sulla spalla, pesante come una mazza ferrata. L’avversario incassò il colpo, ma non senza battere ciglio. Forse non si aspettava tutta quella potenza. Comunque era impressionante, davvero in pochi erano stati in grado restare in piedi e in salute dopo quel colpo. Non gli aveva neanche slogato una spalla, complimenti davvero. Se avesse resistito ancora un po’ forse sua sorella Elsa avrebbe avuto uno spasimante. Sempre che fosse sopravvissuto abbastanza. Si mise in guardia nuovamente. Il suo braccio era una spada. Fece un gesto per invitare il nemico all’attacco. E quello attaccò. Un calcio volante, portato con velocità e potenza micidiale, ma come mossa era fin troppo facile da evitare, ed infatti Artorias scivolò all’interno della sua guardia, colpendolo con una stoccata inferta dalla punta delle dita, proprio al centro dello sterno. Il colpo lo fece cadere a terra, ma con un movimento elastico l’italiano si rimise in piedi, nuovamente in guardia. Ma qualcosa cominciò a cambiare. Il ragazzo divenne sempre più veloce e forte. In modo innaturale. Artorias deviò il Ki nella mano, ed afferrò il pugno di Alberto, stritolandolo in una morsa. Poi avvicinò la bocca all’orecchio dell’avversario. “Non è onesto usare il Ki in un momento come questo. Non doveva essere un duello tra marzialisti?” poi il suo avversari fece una mossa davvero inaspettata. Lo prese di peso con la mano libera e lo scagliò verso la porta, mandandolo a sfondare  una parete, facendolo volare in giardino, proprio nella pozza decorativa. Per fortuna indossava i vestiti adatti. Si alzò di quasi un metro, sentì un folto pelo crescere sul corpo, il capo allungarsi e la bocca riempirsi di zanne. La sua dannata trasformazione, la maledizione che colpiva tutti i Cavalieri del Lupo. Si era trasformato in un licantropo. Era tempo che non gli succedeva. Grondante e furioso uscì dalla pozza, trovandosi davanti tutti gli spettatori. Non uno di questi urlò o si scompose. Tutti sembravano averlo riconosciuto, forse anche perché Sif abbaiava contento nella sua direzione. Alberto tentò un ennesimo attacco, ma si ritrovò soverchiato dalla potenza e dalla velocità del lupo antropomorfo, che lo schiantò a terra con un colpo solo, un micidiale doppio pugno dietro la schiena, rozzo ma straordinariamente efficace. A scontro finito Artorias cercò di articolare qualche parola in inglese “Soome. Hot. Watarrr” ringhiò, a fatica. all’inizio sembrarono non capire, finché Sif, presa l’iniziativa, non corse in cucina e si mise ad abbaiare al bollitore. Qualcosa allora sembrarono capire, ed in pochi minuti fu pronta una bella dose di acqua bollente, che si vero addosso, ritornando alla sua forma umana. “Mi scuso per l’imprevisto. E’ una vecchia maledizione di famiglia, ce la portiamo dietro da circa mille anni. Purtroppo devo ammettere che il mio avversario non è stato sconfitto in modo leale. Dunque, Saotome, se non ti dispiace, potremmo rimandare a domani, quando si sarà ripreso, e dopo il nostro. Non vedo l’ora di scoprire di cosa sei capace.” Disse, svanendo nel nulla, con Sif che lo seguiva, ma non prima di essersi strofinato un’ultima volta sulla rossa. Artorias si disse che, se fosse tornato, di giorno, avrebbe dovuto chiederle di uscire, magari anche solo per mangiare qualcosa. La sua aura era talmente simile a quella del fratello che doveva essere forte per forza. Chissà, forse aveva trovato una ragazza che la famiglia avrebbe accettato. 

 

 

Ranma

Ran-chan era abbastanza entusiasta. Non solo come marzialista, dato che aveva assistito ad un incontro incredibile, ma anche come ragazza. Insomma, quel tipo era lo stesso ragazzo che aveva incontrato al centro commerciale giorni prima. Era carino come lo ricordava, e il cucciolo che aveva visto l’altra volta era tenerissimo, tanto che aveva stregato tutte le ragazze. Ora cosa doveva fare? Non vedeva l’ora di rivederlo! E poi c’era quel fatto. Si era trasformato in un lupo mannaro, ma non gli aveva fatto paura. La cosa lo rendeva solo più affascinate. Un misteriosa maledizione che affliggeva un fortissimo guerriero vestito di nero. Quanto mistero nascondeva questo straniero. Si sorprese ad avere simili pensieri. Va bene che era una ragazza, ma pensare quelle cose non era da lei. Insomma, doveva capire cosa le succedeva. Decise che ne avrebbe parlato con Akane. Magari non era la persona più esperta, ma sicuramente ne sapeva più di lei, visto che l’aveva provato. Si, decisamente doveva chiedere se si era innamorata o semplicemente provava una strana attrazione, forse causata dal fascino misterioso di quel tipo. Anche quell’Alberto era carino, ma non gli piaceva troppo. Insomma, non era paragonabile. Lui non aveva un tenerissimo cucciolo di lupo come animale domestico. 

“Akane, senti, posso chiederti una cosa?” “Si?” chiese la ragazza che sembrò leggermente seccata per l’essere stata trattenuta. Non è che stava cercando di sgattaiolare da qualche parte con Ranma? “Volevo solo chiederti come ci si sente quando capisci che ti piace qualcuno.” disse, arrossendo un pochino. “P-perché me lo chiedi?” chiese Akane, ancora più rossa della rossa. “Nulla, ero solo curiosa.” disse Ranma. Cercò di dissimulare al meglio il suo reale interesse, ma tanto Akane era così impegnata ad arrossire che non pensò nemmeno per un secondo alla stranezza della richiesta dell’amica. “E’… strano. Senti come un fuoco che ti brucia dentro. Ma non fa male, è piacevole. E poi ti batte il cuore ogni volta che lo vedi e, e…” Akane arrossì come un peperone. Che tenera, le aveva confessato di tutto e di più ancora si imbarazzava. “Pazienza, fa nulla. Sgattaiola pure da mio fratello, magari riuscite a sbaciucchiarvi un po’ prima di andare dormire.” Disse, allontanandosi. Decise che era il caso di fare una passeggiata al chiaro di luna. Tanto ormai si sarebbe cento a pezzi, quindi non importava granché se rientrava un po’ più tardi. Usò uno  degli alberi in giardino come trampolino di lancio, per poi saltare da un tetto all’altro fino a raggiungere un parco. Non era né grane né bello, ma era buio, silenzioso e tranquillo. Non poteva chiedere di meglio. Tutto quello che voleva era pensare. Pensare alla sua vita, a quello strano senso di inutilità che l’aveva avvolta da quando quei due si erano messi assieme Per qualche motivo si sentiva… svuotata. Insomma, perché stava così? Lei mica era nata per far mettere insieme quei due, dannazione. Perché le sembrava di non avere più uno scopo? Certo, era felice per loro, ma non riusciva a spiegarsi quel grande vuoto nel cuore. Era colpa dell’amnesia? Era perché non ricordava quasi nulla, e la prima cosa importante che aveva visto erano loro due, come in una sorta di imprinting? E ora? Che cosa avrebbe fatto? A cosa si sarebbe dovuta aggrappare? In quel momento un vento freddo, innaturale per la stagione, l’avvolse. Ed il brivido che ne derivò non fu solo di freddo. Anche una strana paura la avvolse. Non ricordava se si era mai trovata in una situazione simile, ma si sentiva come se si fosse persa in una tormenta. Per ogni passo che faceva tornava indietro, ed era sferzata da dubbi e incertezze. Per la prima volta da quando si era risvegliata ebbe davvero paura. Era seduta su un albero, e si raggomitolò sulla biforcazione del ramo. Proprio in quel momento vide qualcosa. Un essere enorme, con le sembianze di una bellissima donna che sbucava sino da torso da un enorme corpo di millepiedi, si ergeva oltre gli alberi del parco, urlando bestemmie e maledizioni contro qualcuno a terra. Certo, quella vista la terrorizzò, ma qualcosa la indusse a guardare. Una figura in nero, con i fluenti capelli bianchi che risplendevano alla luce della luna scattò, veloce come un fulmine, e colpì in pieno lo yokai con un pugno. Un pugno abbastanza potente da farla schiantare a terra. Un pugno potente come una palla da demolizione, aveva sentito l’impatto da quasi trenta metri di distanza. Nessun umano era in grado di fare una cosa del genere. O meglio, nessun uomo normale. Ma propio quella sera aveva visto qualcuno di abbastanza forte da lanciare qualcuno da una parte all’altra di una stanza, oppure di stendere un avversario incredibilmente coriaceo con un solo colpo. E solo qualcuno che aveva conosciuto quel giorno stesso vestiva un lungo impermeabile nero ed aveva lunghi capelli bianchi come la neve. Senza alcun dubbio quello era Artorias Stark.


 

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So che in questo capitolo c'è un casino allucinante. So che non spiego nulla, non succede quasi nulla e che probabilmente qualcuno, a pieno diritto aggiungerei, vorrebbe riempire una bambola vudù di spilli per farmela pagare, ma questo cap era tristemente necessario. Prometto che ne vedrete delle belle in futuro. Intanto prendete questa... roba, come la cicoria bollita prima della torta al cioccolato. Dovete mangiarla, non c'è scampo. Ma poi arriverà il dolce. Spero solo di non servirvi un brunch del disgusto prima di arrivare al fantomatico dessert. 
E dopo essermi depresso così spero che comunque qualcosa vi sia piaciuto, che vi abbia fatto passare un paio di minuti in allegria e vi chiedo di lasciarmi una piccola recensione per dirmi cosa pensatte del risultato di queste ultime due settimane. Grazie a tutti quelli che leggono questa folle storia, ciao a tutti dal vostro

Jacob Stark di Grande Inverno

P.S. Chissa se qualcuno indovia a che Elsa fa riferimento la sorellina di Artorias?

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Capitolo 11
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Ranma

Quello che stava guardando aveva un che d’incredibile. Un essere disgustoso, lungo quasi sette metri, che si avventava contro una figura in nero, che era sicura fosse Artorias Stark. “MUORI MALEDETTO!”. Il grido dell’essere era come di artigli che graffiavano un vetro, e gli feriva i timpani. Un altro colpo dell’essere, che spazzò il terreno con il corpo da centipede, nel tentativo di colpire il nemico, pressoché invisibile nella notte. Ma qualcosa bloccò il colpo. Dal corpo gigantesco partì uno spruzzo di sangue che superò le cime degli alberi. L’urlo che né seguì l’assordò e la stordì, a tal punto che lei cadde dall’albero. Cercò disperatamente di afferrare a qualcosa, ma era troppo stordita. Si maledisse per essere salita così in alto. Si appallottolò per proteggere la testa, sperando di non farsi troppo male. Ma venne afferrata per aria da due braccia forti. Non sentì nemmeno l’atterraggio. Aprì gli occhi, tenuti serrati fino a quel momento, ma non trovò il cobalto di suo fratello, bensì si ritrovò a fissare le due schegge di ghiaccio grigio di Artorias. E non c’era quel lucido entusiasmo che gli brillava negli occhi quella sera, ma solo una fredda e spietata determinazione, che le fece quasi paura, ma le fece anche perdere un battito. C’era qualcosa in quella sicurezza, in quella volontà di ferro che gli si leggeva nello sguardo, che l’affascinava. Improvvisamente un brivido le salì per la schiena, partendo dai punti in contatto con lui. “Che ci fai qui, Rossa?” Chiese lui, in modo molto informale e parecchio sfacciato. “Cosa ci facevi su quell’albero? Ti sembra normale andare in giro così, di notte? Da sola? Non sai che è pericoloso? SIF! Portala via.” Ranma rimase per un attimo stupita. Se si riferiva a quello che si ricordava lei come avrebbe fatto a portarla si sicur… per poco non tirò un urlo. Un lupo gigantesco, alto almeno quattro metri, si era manifestato, apparentemente dal nulla, con in bocca i pezzi insanguinati dello yokai di prima, e lo sgranocchiava contento. Tuttavia il mostro, quando la vide, ebbe un lampo d’entusiasmo, ingoiò in fretta il pasto e si chinò per permettere ad Artorias di caricarla in groppa. Poi con un mugolio entusiasta cominciò a saltare, scavalcando alberi e strade come se niente fosse. Ranma chiuse gli occhi, stringendo più che poteva al lungo pelo dell’essere che, ormai era chiaro, in qualche modo era lo stesso cucciolo che aveva coccolato nemmeno due ore prima. Alla fine, cullata dal dondolio del lupo e stanca per le troppe emozioni, si addormentò, sfinita. 

Si risvegliò in piena notte. Era in un appartamento, in stile occidentale, sdraiata in un grande letto, apparentemente vuoto. Appena si svegliò del tutto si accorse che c’era una suono di acqua che scorreva. Veniva da un bagno, quindi probabilmente era una doccia. Sapeva che i bagni occidentali avevano la doccia a cabina, e quindi probabilmente era quello che sentiva. Si alzò, silenziosa come un gatto, e scivolò per l’appartamento. Si avvicinò ad una vetrata. Era in alto, veramente in alto. Aveva la ferma impressione di non essere mai stata così in alto. Le luci della città, smorzate dall’altezza, illuminavano fiocamente la stanza. Solo in quel momento, vedendosi riflessa nel vetro della finestra, si rese conto di indossare una lunga veste giro perla, che le arrivava alle caviglie, e che le avvolgeva il corpo perfettamente. Controllò di avere ancora la biancheria intima. Era tutto a posto. Ma allora perché le avevano sfilato i vesti e infilato quella? Certo, si disse specchiandosi, era davvero un bel vestito, che sembrava tagliato per lei, ma perché cambiarla? Poi lo scroscio d’acqua si interruppe. Dalla porta del bagno, con solo un asciugamano a fasciargli i fianchi, uscì proprio Artorias, con i capelli fradici e gli occhi scintillanti. Era chiaro che non si aspettava di trovarla sveglia, perché si scusò, le fece cenno di distogliere lo sguardo e si mosse rapidamente verso la stanza. Nè uscì con un paio di pantaloni della tuta blu notte, ed una specie di vestaglia corta, nera. “Mi scuso, ma avevi i vestiti sporchi di sangue. Li ho già messi a lavare, tra un paio d’ore saranno pronti. Ma immagino che sarai confusa. Quindi ti do due opzioni. Puoi decidere di scordarti quello che hai visto, oppure ti posso spiegare, anche se va contro tutto quello che mi hanno insegnato. Scegli pure.” Disse, sedendosi su una delle poltrone del soggiorno. Non accese nemmeno la luce. Ranma si sedette. Voleva sapere. Voleva sapere che cavolo stava succedendo. “Solo una cosa. Di chi è questa vestaglia? Perché sembra fatta per me, e non sembra affatto che tu indossi roba del genere.” Il ragazzo dai capelli bianchi fece una faccia buffa. “Uno dei pigiami di mia sorella minore. Avete un fisico simile, infatti ti sta benissimo. Sei molto elegante.“ Ran-chan arrossì. Non era un po’ troppo informale? A quanto pare Artorias se ne accorse, così cercò di scusarsi. “Mi spiace, credo di essere stato sfacciato. Sono in Giappone da circa tre mesi, non sono pratico dei modi di fare.” Certo che per essere lì da così poco la parlava fin troppo bene la lingua, pensò Ran-chan. “Racconta, così vedo se posso perdonarti.” scherzò la rossa. Ed Artorias cominciò a raccontare. “Io sono uno Stark di Flott Vinter, una piccola isola  nel mare del nord. Da oltre mille e cinquecento anni ci occupiamo di eliminare mostri dal mondo. Non è una cosa che si possa fare alla luce del sole, quindi operiamo nell’ombra. Governi e regni ci hanno sempre pagato cifre altissime per occuparci di tutto questo nel modo più silenzioso possibile. Pensa agli omicidi delle ultime settimane. Colpa di uno yokai che predava persone per accrescere il suo potere. E il mostro di stanotte aveva compiuto stragi in tutto il Giappone.” Ranma rimase leggermente stupita. Non immaginava certo una roba del genere, così assurda e complottista. Era al limite del ridicolo. Ma per quale motivo avrebbe dovuto inventarsi una roba del genere? E poi era certa di quello che aveva visto. No, la sua storia non era affatto credibile. Ma era sensata. E spiegava perché lui avesse affrontato un mostro gigantesco. La rossa prese un gran sospiro. “Non mi sembra di avere molta scelta se non crederti. Ma sei sicuro che tu possa dirmi tutte queste cose che puzzano di segreti lontano un miglio?” Sul volto di Artorias comparve  un sorriso ironico Notò che aveva una leggera cicatrice che gli si allungava da sotto il mento fino allo sterno, come se qualcosa l’avesse graffiato alla gola. Chissà che gli era capitato. “Si, in teoria. Ma sono sempre stato stuccato da regole così vecchie da risalire ad oltre trecento anni fa. Pensa che, in base alle cose che ti detto, tu dovresti essere la mia futura moglie.” Ranma arrossì. Che razza di regole erano? Ma era matto, a dirgli una cosa del genere? Con quella leggerezza? Poi riuscì a vedere il suo sorriso scintillare nell’oscurità. “Tranquilla, è una tradizione vecchia, che probabilmente non seguirei nemmeno se costretto. E poi mi fa bene parlare di queste cose, di solito parlo solo con Sif. E per quanto sia intelligente non è certo una persona.” “A proposito, dov’è…?” “Sif? Credo che sia del tetto ad assorbire energia.” La ragazza con il codino lo guardò confusa. “Sif…lui non è proprio un lupo normale. Si tratta di un tipo di spirito animale, legato alla mia famiglia da tantissimo tempo. Lui adora essere cucciolo, sa che le persone, sopratutto le donne. E’ un cucciolo che non vuole crescere. Purtroppo le devo tenere nascosto, il padrone del palazzo non permette di tenere animali. E poi non ho abbastanza spazio.” disse Artorias, seccato. Ran-chan lo guardò, stupita. Quell’appartamento enorme era piccolo? Ma cosa voleva, un castello? “Ma prego, fatti pure una doccia. Poi se ti serve ti riaccompagnerò a casa.” Disse, serio. Ran-chan non sapeva cosa dire. Non era normale fare una proposta del genere ad una ragazza. “Non ci sto provando con te, non in quel modo. E’ solo che so quanto ci teniate voi giapponesi alla pulizia, e credevo che dopo aver indossato il pigiama ed aver dormito nel letto di altri volessi pulirti.” “Vuoi dire che stavo dormendo nel…” strillò Ran-chan, shoccata, fermandosi a metà della frase. “Si. Non ho altri letti qui, quindi hai dormito nel mio letto. L’alternativa era il divano. E la vestaglia credo te l’abbia infilata Sif.” La rossa non sapeva se essere tranquillizzata o inquietata. Certo, era sollevata che a spogliarla non fosse stato lui, ma il fatto che l’avesse fatto un lupo la inquietava. Poi una porta, quella di uno sgabuzzino, si aprì. Dalla stanzetta uscì una donna. Era pallida come la morte, con i capelli bianchi, ed un vestito nero e lilla da cameriera. In testa una cuffietta dello stesso tipo. “No, non è stato il suo lupo signorino. Sono stata io.” Lui le rivolse un sorriso grado, ma senza vero calore, come se lei non potesse capirlo. “Grazie Maiden. Non so come farei senza di te.” Poi la ragazza fece un piccolo inchino sulla testa e si richiuse la porta. “Scusa, chi era quella?” Chiese la rossa, ‘leggermente’ stralunata dalla situazione assurda. “Oh, non preoccuparti. Non tengo una persona chiusa nello stanzino delle scope. Lei è un automa, si occupa della casa. Cucina, pulisce e si assicura che io sopravviva. Immaginala come una bambola meccanica. Niente tecnologia, solo Ki che viene infuso in un oggetto. Quel tanto che basta a dargli la capacità di muoversi e di parlare.” Disse, con una tranquillità quasi innaturale. Ma in che cavolo di mondo viveva? Ranma suppose che non l’avrebbe mai capito. Poi si arrese. Si sarebbe fatta una doccia e sarebbe tornata casa. “Va bene, grazie per l’offerta. Se mi serve aiuto?” “Manderò la Maiden. Non preoccuparti, per quanto tu sia bella non voglio sbirciare.” Ranma arrossì, ma decise di fare finta di nulla. Probabilmente le parlava così perché era straniero. Si diresse verso una porta, ma l’avvertimento di Artorias non fece in tempo a raggiungerla. Una catasta di armi, pezzi di metallo, piastre d’armatura, persino un incudine vennero vomitati fuori dal bagno degli ospiti. Un’altra persona si sarebbe fatta schiacciare. Un’altra persona. Ran-chan fece volare via spade, asce, lance, balestre e archi, evitò un’armatura completa che gli sarebbe caduta addosso a peso morto, ed afferrò l’incudine al volo, schiantandola a terra. Probabilmente aveva spezzato tutto il parquet, ma o lei o il pavimento. Si voltò, stupita dall’evento ma imbarazzata per il pavimento. Si ritrovò Artorias a due centimetri dal naso. Aveva afferrato tutte le rami che lei aveva fatto volare in giro e sostenuto l’armatura. L’incudine l’aveva proprio ignorata. “Sono sorpreso. Sei abile come tuo fratello, forse anche più veloce. Molti sarebbero rimasti schiacciati.” Sorrideva come un’idiota, e lei non sapeva se la cosa la inquietava o la eccitava. “Tranquilla, usa pure il bagno padronale, è pulito ed in stile giapponese. La Maiden ti porterà il necessario. Io devo riordinare. E vorrei davvero non dover usare un bagno per ripete tutte le mie armi.” Disse seccato. Ranma si infilò nel bagno. Era enorme. Una grande vasca da bagno fumante e piena fino all’orlo gorgogliava invitante Si sfilò la finissima vestaglia, ripiegandola con cura. Era un po’ preoccupata di dover  ma si sforzò di farsi una breve doccia prima di infilarcisi dentro. Una specie di brivido l’avvolse, mentre si immergeva nell’acqua bollente. Gli piaceva davvero, specie dopo quella strana sera, fin troppo ricca di eventi assurdi. Si mise a parlare da sola, a bassa voce per non farsi sentire. “Certo che questa è proprio una storia stramba. Un ragazzo misterioso, che combatte mostri vari, che ha come cameriera un automa, e che ha una caterva di armi nascoste nel bagno e che ha uno spirito di lupo. Sono stata davvero fortunata, forse…” poi immerse la testa. Guardandosi allo specchio, quando riemerse, si chiese se il rossore fosse dovuto al caldo o al fatto di essere nel bagno di un ragazzo. Quando finì di rilassarsi nella vasca e di fare tutte quelle cose da ragazza si rese conto di non avere affatto modo di chiamare quella bambola. Si guardò attorno, cercando una soluzione. Mettersi ad urlare “Ho finito” era fuori discussione. Sarebbe stata la cosa più imbarazzante del mondo. Alla fine lo vide. Una cordicella, che pendeva vicino alla vasca, proprio dietro di lei. Casualmente il bagno era proprio accanto allo stanzino della Maiden. Tirò la cordicella e una campanella emise un suono argentino. Pochi secondi dopo la cameriera apparve dalla porta. Portava un candido asciugamano, la sua biancheria intima, che era stata pulita ad una velocità pazzesca, e i suoi vestiti, lindi e pinti. Li indossò con piacere. Nonostante tutto non c’era nulla come tornare nei propri panni. Uscì dal bagno contenta. Ora era rilassata, pulita e pronta a tutto. Non a quello. L’automa stava alle spalle di Artorias, che miagolava come un gatto. “Ohhh, si, proprio lì. Ohhh, giusto un po più a destra” Per un attimo l’imbarazzo la paralizzò. Stava per risgattaiolare nel bagno quando lui si girò vero di lei. “Vuoi un massaggio? Le sue mani saranno anche finte, ma sono magiche.” disse, completamente rilassato. “Se hai finito e non vuoi il massaggio ti riaccompagno, dai, andiamo.” Disse, alzandosi. Si era rimesso il lungo impermeabile nero. “Preferisci una moto oppure andiamo a piedi?”

 

 

Ranma

DOVE DIAVOLO ERA FINITA SUA SORELLA!!!??? Era sparita nel nulla dopo il duello, accennando solo che andava a fare una passeggiata, ma erano le due di notte, e non era ancora tornata. “Basta, vado a cercarla!” disse, alzandosi. E si ricordò dove era. In camera di Akane, accanto a lei, sdraiati sul SUO letto. Però erano ancora vestiti. Almeno quello. Forse, pensò, era il caso di rallentare. Oppure molto presto sarebbe stato impossibile tenere nascosto il loro fidanzamento. Anche perché non sapeva quanto ancora avrebbe controllato la gelosia quando qualcuno si avvicinava a lei, in particolare Kuno o Ryoga. Anche Akane, disturbata nel sonno, e stranamente ferma, si svegliò. “Mhhh, che cosa succede Ranma? Perché urli?” La tranquillità di lei lo lasciò allibito. Pensava che si sarebbe arrabbiata, che avrebbe urlato a che gli avrebbe dato del porco, o simili. Certo non si immaginava che l’avrebbe abbracciato e fatto sdraiare ancora. “Avevamo deciso di passare del tempo insieme stanotteee.” si lamentò la ragazza, sussurrando e abbracciando ancora più stretto. “Akane, guarda, sono felicissimo che non mi stati picchiando per esserti svegliata con me nel tuo letto, ma mia sorella è sparita da troppe ore. Devo andare a cercarla. Lei lo strinse più forte. “Stai sempre con lei. Dedicati anche un po’ alla tua fidanzata.” borbottò, più sonnolenta che mai. Ranma provò un brivido. C’era qualcosa che non gli tornava in quella dolcezza, che però gli fece comunque venire voglia di abbracciarla. Ed infatti  fu quello che fece. Allungò le braccia, ed avvolse la ragazza. Mise la faccia tra i suoi capelli. Il profumo lo avvolse. Ma Akane aveva sempre avuto un odore così buono? Poi però si rese conto che era davvero troppo tardi. “Akane, sono il primo ad essere entusiasta di dormire con te, ma se non mi sbrigo rischiamo che ci scoprano, e poi non riesco stare tranquillo, non con mia sorella che non è rientrata a casa alle tre di notte.” disse, posando lo sguardo sulla sveglia notando l’ora. In qualche modo riuscì a sganciarsi dalle braccia di lei, sebbene a malincuore, e si avvicinò alla finestra. Vide qualcosa. Sul tetto del dojo, vicino alla loro camera, due ombre erano appena atterrate sul tetto. Leggere come gatti si mossero nella luce della luna, rivelando i loro profili. Uno era alto, con i capelli bianchi e risplendevano alla luce della luna, mentre l’altra era minuta, con un codino che oscillava dietro alla testa. Sua sorella, senza dubbio. E l’altro gli ricordava quel tipo che era venuto in palestra quel giorno. Ma che diavolo ci faceva lì? Poi lo vide fargli un inchino ed un baciamano, mentre lei sembrava imbarazzata. Con uno scatto che definire felino sarebbe stato un eufemismo Ranma si fiondo’ fuori dalla finestra. No. Non avrebbe permesso a quel tipo di far qualcosa alla sua sorellina. Un salto ed era sul tetto, accanto a lei. “Ancora sveglio fratello? E perché vieni dalla stanza di Akane? Devo preoccuparmi di venir chiamata zia anzitempo?” Quella domanda allusoria, che normalmente lo avrebbe pietrificato, gli rimase indifferente. “Cosa diavolo stavi combinando con quel tipo?” chiese, a metà tra il preoccupato e l’arrabbiato. “Nulla, mi sono persa mentre passeggiavo e mi ha riaccompagnato a casa.” “Alle tre di notte? Dimmi la verità, quello ti ha fatto qualcosa!” La ragazza sembrò non capire cosa intendesse. “Ma cosa avrebbe dovuto farmi? Mi ha solo riaccompagnato a casa,mi ero persa.” Disse, ma non sembrava convinta fino in fondo. “Se non me lo vuoi dire tu lo farò sputare a lui!” disse, sentendosi molto virile nel farlo. Si, era decisamente da uomo prendere a sberle quello che ci provava con tua sorella. “Non so quanto ti convenga…” L’avvertimento di sua sorella si perse nel vento. Si mise a correre tra i tetti, alla ricerca di un’ora dai capelli nivei, quando lo vide. Quel tizio praticamente volava. Probabilmente una persona normale nemmeno lo avrebbe notato, ma lui non toccava terra quasi mai. Calciava l’aria piuttosto, rimanendo in volo quasi perenne. Doveva fermarlo! Afferrò al volo una tegola staccata dal tetto, e la tirò verso il bersaglio. Non voleva colpirlo, o meglio, era sicuro che l’avrebbe schivato. Invece non solo lo fermò con facilità, la deviò con altrettanta semplicità. Alla fine fu Ranma a doverla schivare, visto che gli tornò indietro al triplo della velocità iniziale. Ma come diavolo…? “Salve amigo. Saotome, giusto? Che modi strani che avete in Giappone, tirate le tegole per attirare l’attenzione di qualcuno.” Lo disse con una disinvoltura quasi assurda. Ma al ragazzo con il codino non importava granché. “Cosa hai fatto a mia sorella? Perché era così in imbarazza alle tre di notte? EH!?” Urlò il ragazzo, furibondo, non sapeva nemmeno lui bene il perché. Bhé, in realtà lo sapeva, ma non l’avrebbe mai detto in pubblico. Si sarebbe sentito troppo simile a suo padre. “Non è una cosa da fare. L’hai conosciuta solo stasera, e l’hai riportata a casa alle tre di notte. Lei è mia sorella prima di ogni altra cosa, e…” Ma lui aveva smesso di ascoltarlo. Stava sbadigliando, annoiato. “Senti, due cosine. Primo, io tua sorella l’avevo già incontrata.” La rabbia gli stava annebbiando il cervello. Artorias sembrò non notarlo. “Secondo, l’ho solo riaccompagnata a casa. Si era persa, stavo facendo una passeggiata e l’ho incontrata. Le ho offerto una doccia e” La rabbia di Ranma esplose. “Hai offerto una doccia a mia sorella? Ma come ti sei permesso di fare una cosa del genere!?” Artorias rimase basito. “Ma che diavolo…?”            

Ranma si lanciò all’attacco. Una raffica di pugni si scatenarono sull’avversario, che però non fece una grinza. Deviò o bloccò tutti i colpi con facilità, ma sembrava di colpire il ferro tanto erano dure le sue braccia. “Ma di cosa cavolo sei fatto dannazione?” chiese il ragazzo con il codino, stupito. “Io a tua sorella non ho fatto nulla. Ammetto senza problemi che è bellissima, ma io non tocco una ragazza prima di averla conosciuta. E poi credo che lei sia una di quelle che non necessitano proprio di un controllo simile.” Ranma, più furioso di prima, attaccò ancora, ma venne interrotto. Qualcuno aveva fatto esplodere un’enorme masso ed aveva scagliato tutti i frammenti contro di lui. E conosce solo una persona in grado di fare una cosa del genere. “RYOGA, NON ROMPERE!” “TI HO VISTO MALEDETTO! TI HO VISTO CHE AMOREGGIAVI CON AKANE!” Urlò il giovane, che, con il suo solito zaino enorme, si avventò su di lui lanciando insulti, imprecazioni e lunghe frasi tutte più o meno uguali e offensive, che facevano riferimento alla purezza di Akane, alla sua ingenuità, la sua dolcezza. A Ranma scappò un sorriso. Certo, sulla dolcezza non negava, ma in quanto ad ingenuità e purezza avrebbe avuto qualcosa da ridire. Quella ragazza era decisamente passionale quando si trattava di contatto fisico. Tentare di tenere a bada Ryoga e di pestare Artorias contemporaneamente era parecchio difficile. Sopratutto per colpa di Artorias, che stava ridendo come un pazzo. E per di più si scusava di continuo. “Scusate, ma non avevo mai visto una cosa così assurda e divertente in vita mia, e di cose strane né ho viste.” E continuava, seppure in guardia, a sghignazzare. “STAAAARK!” Altra pavimentazione stradale andata. Il colpo di Alberto fece a pezzi parte della strada, sventrandola. “Dove eri sparito? Il nostro incontro non era ancora finito!” disse, inviando un possente calcio dritto contro l’avversario, che però schivò, facendo arrivare il colpo dritto contro Ryoga. “Cosa ti impicci tu!” urlò il ragazzo con i canini, attaccando l’italiano e tentando di farlo a pezzi. “Tu stavi combattendo con me!” Urlò Ranma, aggredendo Ryoga. “Ma noi si stava combattendo!” Urlò Artorias, tentando di colpire sia Ranma che Alberto. In pochi secondi lo scontro a due divenne uno a quattro, e dopo poco lo scontro tra marzialisti divenne una rissa in cui nessuno si ricordava neanche perché combattevano, si stavano solo picchiando. E Ranma non si era mai divertito tanto. In tutti quegli anni di allenamenti aveva perso il gusto ad una sana scazzottata tra amici o quasi. Andarono avanti per quasi un’ora. Alla fine erano stanchi, ma non si volevano fermare per nessun motivo. Poi un esplosione, ed Artorias volò, schiantandosi contro un muro e frantumandolo. I tre ragazzi si voltarono verso di lui, stupiti dall’accaduto. Ed anche Ranma ricevette un colpo “Fratellone, che stai combinando?” Sua sorella lo aveva colpito con il taglio della mano alla nuca ed ora si ergeva, furiosa, sopra di lui. Anche Ryoga era a terra, sotto le zampe di Biancanera, che gli abbaiava seccata, come si fa con il fratellino disobbediente. L’unico ancora in piedi era Alberto, che evidentemente non aveva nessun familiare. Infatti, dove prima si trovava Artorias, che si stava rialzando dalle macerie, c’era una bellissima ragazza dai capelli biondo platino raccolti in una treccia, la pelle d’alabastro e due occhi del colore del mare d’inverno. Le sue mani erano avvolte da un’aura talmente densa da essere visibile ad occhio nudo. Evidentemente l’aveva colpito con quella. “ELSA! Ma che diavolo combini?”. Artorias era in piedi, e guardava, furioso, la ragazza. “Non è degno di uno Stark pestarsi in giro, di notte, con delle persone qualunque.” Lui era furioso. Il tono altezzoso della ragazza sembrava averlo fatto arrabbiare, ma rispose sorridendo. “Perché, se mi fossi pestato con un duca e un marchese sarebbe stato meglio?” Poi un lupacchiotto investì la ragazza,  facendole una quantità di feste da non credere. Ma che diavolo? Ranma si rialzò stupito. Erano circondati da ragazze, tutte abbastanza arrabbiate. Infatti sua sorella lo stava fissando furiosa. “Allora, come pensi di giustificare il tuo comportamento infantile e stupido?” in effetti faceva paura. “Io, io non devo spiegarti null..” SBANG! Un calcio micidiale lo zittì. “Tu mi devi proprio delle spiegazioni invece. Uno: io sono una persona perfettamente indipendente, e se provi a controllarmi in qualche modo sono disposta ad affrontarti. Secondo: Se non mi dai tempo di spiegare come pretendi di chiarire?” Per la prima volta in vita sua Ranma ebbe davvero paura di una donna. Certo, Akane a volte era spaventosa, e Nabiki lo inquietava, ma non gli avevano mai davvero paura. Sua sorella era terrificante. “Io, io…” “Bau Bau Bau! Wof Bau WOF!” mentre Ranma balbettava come un idiota Biancanera, fin troppo intelligente per essere una cane, sgridava Ryoga per il suo comportamento irresponsabile. Alberto continuava a non capire nulla della situazione. Che in effetti era assurda. C’erano tre ragazzi grandi e grossi messi all’angolo da due ragazzine e una cagnetta. Poi successe qualcosa. Un lampo passò per gli occhi di tutti i ragazzi. Un cenno di intesa e i quattro ragazzi scapparono il più velocemente possibile dalle loro sorelle e similari. 

Si ritrovarono poco dopo, davanti ad un piccolo supermercato aperto tutta la notte. “Ma che diavolo di famiglie avete voi” chiese Alberto, tuttora stupito di cosa era successo. “Mia sorella Elsa. Prende molto sul serio la presunta nobiltà della mia famiglia, sopratutto se ci ritroviamo in un posto nuovo. Poi si calma, ma ogni tanto gli parte la brocca.” Disse Artorias, stranamente allegro. “A proposito, che gli hai fatto alla mia sorellina?” chiese Ranma, ancora un po’ alterato. “Come cercavo di dirti prima, si era persa e ho cercato di aiutarla. Visto che era tutta sudata l’ho accompagnata un’attimo a casa mia, lo ho fatto fare una doccia e l’ho riaccompagnata a casa. Se mi sono preso troppa confidenza mi scuso, non conosco i costumi di voi giapponesi.” Ranma si placò, decidendo di credergli per buona fede. Poi Artorias continuò. “E tu invece? Ti fai mettere sotto dal cane?” scherzò. Ryoga era imbarazzato. “Io… Biancanera è l’unico essere vivente che trovo sempre a casa quando torno. Insomma, negli ultimi anni lei è stata tutta la mia famiglia. E’ normale che cerchi di impedirmi di fare stupidaggini.” “Sapete cosa? Era tantissimo tempo che non mi facevo una cazzottata come si deve, e questa rissa è stata fantastica! Che ne dite se lo facessimo più spesso?” Chiese Alberto, che si era divertito come mai prima di allora. “Si, concordo.” “Vero.” “Non potrei essere più d’accordo.” i quattro ragazzi si erano davvero divertiti, nonostante le loro differenze. 

Ranma era più o meno soddisfatto. Finché Ryoga non si ricordò perché cercava Ranma “COSA STAVO COMBINANDO CON AKANE? TI SEI INFILATO NELLA SUA CAMERA STANOTTE!” i due stranieri fecero un lungo fischio di approvazione, seguita da un contenuto applauso. “Seconda base?” chiese l’italiano “Io dico terza, se si è infilato in camera sua…” disse, allusivo, quell’altro. I due giapponesi li guardarono confusi. “Mi sa che non hanno capito.” “Si. Io scommetto sulla palpata.” disse Alberto. “Io invece punto sullo step successivo. Te la sei fatta?” chiese Artorias, così diretto che stupì Ranma, che si era convito che fosse una persona molto più seria e compassata. Cavolo, non gli era mai capitato di trovarsi in quelle situazioni, un gruppo di amici che si mettono a parlare di ragazze. Poi infine si ricordò del perché Ryoga lo guardava male. “Si Ryoga. Ora Akane è la mia ragazza a tutti gli effetti, io mi sono dichiarato a lei ed Akane a corrisposto i miei sentimenti. E’ tanto, troppo che lo nascondo. Quindi mi dispiace, ma ora posso dirlo seriamente. Ryoga, lei è la mia fidanzata, che ti piaccia o no!” Era sicuro che, se non fossero arrivati i pugni, sarebbero arrivati gli insulti, ma invece nulla. Ryoga cadde a terra, in ginocchio. “Se Akane a detto questo così sia. Ma voglio sentirlo da lei.” I due stranieri seguivano lo scambio di battute come si segue un film comico. “Non te lo dirà mai! Abbiamo deciso di tenerlo segreto, almeno per ora, e, visto che lei non ha idea che gli corri dietro non vedo perché dovrebbe dirtelo.” Per un attimo gli occhi di Ryoga, morti fino a quel momento, si ravvivarono. “Ma io la amo con tutto il cuore, e se dovrò fartelo entrare a suon di pugni in quella testaccia lo farò!” Si rimisero in guardia, ma i due ragazzi stranieri, che avevano assistito fino a quel momento, li trattennero. “Scusate, ma che ne pensate di rimanere buoni amici solo per stanotte?” chiese Alberto “Si, concordo. Ci prendiamo una cosa da bere e domattina torniamo a casa. Facciamo preoccupare le ragazze e poi riappariamo. Magari dopo ci pesteranno, ma quand’è l’ultima volta che vi siete presi una nottata tra uomini? Mi sembrate un po’ oberati di donne.” rinforzò la proposta Artorias, tirando fuori un portafogli pieno. I due giapponesi ci pensarono su un attimo e poi accettarono. Una pausa non gli avrebbe fatto male. Artorias e Alberto entrano nel negozietto e ne uscirono poco dopo, con snack e bibite. “Abbiamo pensato di evitare gli alcolici.” dissero, per poi saltare su un tetto dirigersi verso il parco pubblico. I quattro ragazzi scavalcarono il muro. Ranma si sentiva molto ribelle nel farlo, ma era ovvio che agli altri tre non era cosa nuova. Si scelsero un posto decente e si misero a banchettare. Scherzarono, risero e  raccontarono cose assurde. Non c’era una storia che fosse normale. Alberto era stato inseguito da un’orda di scimmie in India, Artorias invece si era trovato a fare da capobranco a dei lupi, mentre Ryoga gli parlava dei suoi viaggi. In effetti un po’ gli mancava viaggiare, passare mille avventure, vedere cose nuove, ma non riusciva ad essere insoddisfatto della sua vita attuale. Aveva una bellissima ragazza, una vita stabile dopo tanto tempo, insomma gli piaceva. E poi molto spesso gli passavano tra le mani centinaia di avventure bizzarre. “Insomma, certo che anche voi né avete passate di tutti i colori, vero?” chiese Artorias, che si era fatto un sacco di risate. 

Si fece l’alba. Erano tutti stanchi, così si salutarono e rientrarono a casa. Certo, ad un certo punto della notte un gruppo di teppisti li aveva circondati, ma… In effetti era stato divertente. Erano in otto, e se li erano divisi allegramente, due a testa. Insomma, di ritorno dalla nottata si rese conto che lui e Artorias stavano facendo la stessa strada. “Come mai vieni con me?” “Mia sorella ha comperato una nuova casa, e mi ha detto l’indirizzo al telefono. Per quanto, scusa, ma voi giapponesi siete tremendi con le strade. Ma come fate a orientarvi senza nomi per le strade?” disse il ragazzo, chiaramente un po’ seccato. Si divisero solo davanti a casa, dove Artorias entrò nel cancello della casa davanti. Era una grande villa, più o meno delle dimensioni di casa Tendo, ma era disabitata da anni. “Allora, ci si vede in giro.” Erano talmente stanchi che nemmeno si accorsero seriamente di star entrando nelle due case una in fronte all’altra. Si limitarono a salutarsi brevemente ed infilarono le  porte. Ranma decise che, visto che era presto ed era sabato, si sarebbe fatto una doccia e poi un pisolino. Tanto nessuno lo avrebbe disturbato. Peccato che, alla porta, ci fossero la sua fidanzata e sua sorella. 

 

 

Akane

Era arrabbiata. Ranma non solo l’aveva mollata li, cosa che avrebbe anche capito. Era preoccupato per sua sorella, quindi lei avrebbe anche potuto capire, ma sparire senza dire nulla per tutta la notte era troppo. Sopratutto dopo che finalmente avevano fatto un passo avanti così grande come dormire assieme. Sapeva che era stupido, ma nel momento in cui lui si era infilato nel suo letto si era sentita più tranquilla che mai. Insomma, ora lui era con lei, avevano dormito assieme, si facevano le coccole, tutto andava bene. E, stranamente, non vedeva l’ora di dirlo a tutti. Solo il giorno prima si era dovuta confrontare con l’ennesimo tentativo di Shampoo di appiccicarsi a lui, e non lo sopportava più. Quando Ran-chan era ritornata e gli aveva detto che era scappato insieme agli altri si era davvero arrabbiata. Si era convinta che non sarebbe più successo nulla del genere, ed invece ecco che lui spariva di nuovo a fare chissà cosa chissà dove. “Allora?” chiese, con le mai sui fianchi e la faccia imbronciata. “Come ti permetti di tornare così tardi, senza nemmeno avvertire? Mi hai lasciato da sola, e mi avevi promesso che non mia avresti mai lasciato!” Ranma la guardava confuso. “Si, ma sono andato solo fuori per una notte, non credo…” “Non importa! Tu non ti devi andartene così!” 

Era furiosa, anche se sapeva che non era molto intelligente esserlo. Decise che la punizione più giusta sarebbe stato togliergli il saluto per tutto il giorno. Finì di sgridarlo e poi si chiuse in camera sua, a recuperare un po’ di sonno. Non aveva più dormito dopo che Ranma era sparito. Si buttò nel letto, finché, verso le dieci, non venne svegliata da Kasumi. “Sorellina, alzati. I nuovi vicini sono venuti a presentasi. O meglio, la nuova vicina. E’ una ragazza molto carina, e poi è gentile, ha portato degli ottimi biscotti.” Akane, facendo uno sforzo, si alzò. Se non altro sarebbe stato interessante incontrare la nuova vicina. 

Bella. Poteva solo dire che era bella. Aveva gli occhi di ghiaccio, una morbida treccia biondo platino che le ricadeva sulla spalla. Indossava un vestito celeste, con decorazioni a forma di fiocchi di neve che sembravano intessuti in argento. Aveva in mano un piatto pieno di biscotti, piccoli cerchietti glassati. Erano molto invitanti. Somigliava parecchio al ragazzo che era venuto trovarli il giorno prima, quello con il cucciolo di lupo. Si stava presentando: “Pacere di conoscevi, io sono Elsa Stark. Probabilmente avete incontrato mio fratello maggiore. Ora viviamo qui davanti, spero di rimanere in buoni rapporti con voi.” disse, facendo una piccola riverenza. Era davvero educata. Poi la bionda ospite si rivolse a Ran-chan. “Senti, noi ci siamo viste ieri sera? Stavi dando anche tu la caccia a tuo fratello.” Disse, con un sorriso entusiasta. Aveva uno scintillio felice negli occhi, come se il massimo del divertimento per lei fosse dare la caccia al proprio fratello. Cosa leggermente strana, ma da quello strano ragazzo non si aspettava altro. Elsa sembrava avere circa la loro età. “Scusate, voi ragazze quanti anni avete?” chiese, rivolgendosi proprio a lei e Ran-chan. Rispose Ranma prima di lei. “Noi sedici quasi diciassette, tu?” La bionda prese un sospiro di sollievo. “Che bello, anche io. Mi potreste consigliare qualche negozio carino? Voglio cercare anche qualcosa di tradizionale!” chiese. Non sembrava esattamente esperta in materia, era più come se cercasse a tutti i costi di iniziare un rapporto d’amicizia. Ran-chan guardò Akane, come a chiederle cosa pensasse. Akane sorrise. Era divertente vestire le altre ragazze. “Certo, non vedo l’ora. Visto che è sabato potremmo anche andare subito, se non hai nulla da fare.” Disse, accendendosi. Elsa sembrò un pochino stupita, e rivolse uno sguardo a Ran-chan. Lei fece un cenno, come per dire di stare tranquilla. Poi la bionda rivolse ancora una volta lo sguardo ad Akane. “Magari non subito, devo finire di sistemare ancora qualcosa, ma vi assicuro che già oggi pomeriggio potremmo andare.” disse, entusiasta. 

Quando lei se né andò le due ragazze decisero di infastidire Ranma. Cosa c’era di meglio che infastidire il propio ragazzo o fratello? Mentre salivano Akane chiese spiegazioni “Come mai ti ha riconosciuta?” “Ieri notte ci siamo incontrate mentre inseguivo Ranma, li abbiamo beccati che si picchiavano con Ryoga e quel ragazzo italiano, quell’Alberto. Ci siamo scambiate solo un’occhiata, alla luce della luna. E’ davvero incredibile che mi abbia riconosciuta.” Arrivarono alla stanza di Ranma. dove lo videro, come al solito, aggrovigliato fra le coperte. Mormorava qualcosa, ma non si capiva bene cosa. Lei e Ran-chan si scambiarono uno sguardo, poi, insieme, si infilarono nel letto del ragazzo. La reazione di Ranma al ritrovarsi le due nel letto era tanto prevedibile quanto divertente. Si sarebbe guardato attorno, si sarebbe reso conto di chi aveva attorno e sarebbe saltato per aria, terrorizzato di aver fatto qualcosa o con la fidanzata o, peggio con la sorella. Ma quanto poteva essere ingenuo quel ragazzo? Tutto andò come previsto, fino a quando Ranma vide Akane nel suo letto, e non saltò come previsto. Si rigirò e si trovò davanti sua sorella ma nemmeno lì si mosse. “Ragazze, piantatela, ho sonno. Stanotte non ho dormito, e oggi pomeriggio c’è il primo esame del mio corso. ‘Notte.” disse, rigirandosi e buttando fuori dal letto le due ragazze. Inutile dire quanto fossero deluse le due. Scesero di nuovo al pianterreno, un po’ deluse. Speravano i farsi quattro risate. Decisero di allenarsi un po’, almeno fino a che la loro nuova vicina non avesse confermato loro la sua disponibilità. Poco dopo pranzo, mentre si preparavano ad uscire, la ragazza nuova le raggiunse. Passarono a prenderla, se così si poteva dire aspettarla davanti casa. Suonarono al campanello, ed ad aprili venne una bella e pallida ragazza, vestita da cameriera. Si rivolse alle due nuove arrivate con molta cortesia e formalità. “Voi siete le onorevoli ospiti della signora Elsa?” la sua voce era fredda e formale, e sembrava, in base a quanto Akane poteva vedere, che Ran-chan la conoscesse già. “Scusa, ma tu non sei la cameriera di Artorias?” chiese la rossa. “No, io sono la cameriera di lady Elsa. Lei deve aver parlato con un alta di noi, la servitrice di lord Artorias. Vi accompagno da milady.” disse, voltandosi e guidandole in soggiorno, muovendosi in modo rigido. “Non è umana, è solo una specie di Automa magico.” “E tu come diavolo?” “Ti ho raccontato cosa è successo, l’ho incontrata quando ero da Artorias.” arrivarono nel soggiorno, arredato in uno strano ma elegante mix di Giappone ed Europa. Elsa era al centro della stanza, vestita con un elegante abito bianco, con una gonna un po’ corta, che arrivava appena sotto le ginocchia. Era molto bella. “Oh, ragazze, eccovi. Io sono pronta,  possiamo andare.” Aveva uno scintillio entusiasta negli occhi. Che si spense quando, dalla porta scorrevole, apparve Artorias, spettinato, con i vestiti spiegazzati tipici di chi si è appena alzato. Si guardò attorno, identificando chi fosse davanti a lui. Poi si rivolse alla sorella. “Nuove amiche? Divertiti sorellina. SIF!” disse, chiamando il lupetto, che, senza meno, si avventò sulle tre ragazze, alla folle ricerca di coccole. Dopo dieci minuti di coccole, le ragazze riuscirono a sfuggire all’assedio del cucciolo, e si diressero fuori. “Allora, andiamo?” chiese la bionda, più contenta che mai. Ma non aveva mai avuto amiche? 

 

 

 

 

 

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E’ mezzanotte. Non ci riesco a scrivere un commento sensato. 

Il prossimo cap inizia la prima delle due grandi saghe di questa fic. Grazie, lasciate una piccola recensione e spero che il cap vi abbia anche solo fatto un po’ ridere.

vostro

Jacob Stark di Grande Inverno

 

 

 

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Capitolo 12
*** Una fantastica serata... ed un pessimo inizio. ***


 Mi scuso per il grassetto, non riesco a toglierlo

 

 

Una fantastica serata... ed un pessimo inizio.

 

Akane

Un paio di giorni dopo le ragazze accompagnarono la loro nuova campagna a scuola. A quanto pare Elsa sarebbe stata in classe con loro, ma era strano. Dietro di loro li seguiva Artorias, che, non appena arrivarono davanti a scuola, la salutò ad alta voce. “CIAO SORELLINA, PASSA UNA BUONA GIORNATA!” Urlò a squarciagola, giusto per evidenziare che il tipo grande grosso e straniero era il fratello della ragazza nuova. In effetti non ci furono molti ragazzi disposti a provarci con la ragazza, tranne uno. “MIA BELLISSIMA REGINA! LA DOLCE AKANE! LA SPLENDIDA RAGAZZA CON IL CODINO! Partiamo alla volt..” Tatewaki Kuno volò più lontano di quanto fosse mai volato. Il colpo era arrivato quadruplo, da Ran-chan, da lei, da Elsa e da Artorias. Poi Kuno venne ributtato nella scuola da un potentissimo calcio di Ranma, che, evidentemente, non riusciva a trattenersi quando Kuno le faceva la corte in quel modo sfacciato. E questo la faceva impazzire. Certo, era fastidioso che si comportasse così prima, ma ora andava bene. Insomma, non era più un idiota geloso qualunque, era il suo idiota geloso! Anche se lo sapevano solo lei, Ranma, Ran-chan e Elsa, perché la ragazza nuova l’aveva capito senza nemmeno vederli assieme. Anche sua sorella si era fidanzata da poco a quanto pare, ed aveva riconosciuto i sintomi. Occhi sognati, tendeva guardarsi tre volte in più del solito quando sceglieva dei vestiti, e controllava che le sue forme risaltassero in quel vestito. “Davvero era così ovvio?” aveva chiesto Akane, leggermente sconsolata dalla facilità con cui era stata scoperta. Ma Elsa gli aveva sorriso e l’aveva aiutata a trovare un pantalone che non fosse volgare e allo stesso tempo fosse seducente. 

Le lezioni procedettero bene. Capirono subito che Elsa aveva da tempo terminato gli studi, dato che si tratteneva a stento dal correggere gli insegnati, tranne in giapponese. 

A metà della giornata arrivò un’alta sorpresa inaspettata. “HELLO EVERYBODY! E’ IL VOSTRO AMATO PRESIDE CHE VI PARLA! VOGLIO SOLO INFORMARVI CHE DA OGGI IL PROFESSORE DI EPICA SARA’ IN LICENZA, QUINDI NE AVRETE UNO NUOVO!” “ Ma perché deve sempre strillare?” Le chiese Ranma, infastidito. Akane stava vivendo un sogno. Era proprio come nei manga che leggeva alle medie. Erano due fidanzati, sul tetto della scuola, lontano da tutto e da tutti. E stavano mangiando un bento preparato da lei! Non era certo quello di Kasumi, ma era commestibile, addirittura gradevole. Svegliarsi alle cinque e mezza di mattina era valsa la pena. Poi anche Ranma tirò fuori un bento. “Ma di chi è quello?” chiese Akane, sull’orlo della rabbia per l’umiliazione. “Per te. L’ho preparato io.” Akan rimase spiazzata. Tutto si aspettava, da un “Scusa, è un regalo di Ukyo” a “Non te la prendere, l’ho chiesto a Kasumi per sicurezza”, ma di certo non si sarebbe mai aspettata che l’avesse preparato lui. “Ma quando? Come? Perché?” Ranma sorrise. “Sai, quando mi ero deciso a chiederti se volevi essere la mia fidanzata ho voluto, per prima cosa, correre ai ripari. Ho chiesto a Kasumi di insegnarmi qualcosa in cucina. Mi dispiace, non volevo dimostrare poca fiducia in te. Ma prima di picchiarmi assaggia.” Akane, sopprimendo la voglia di versagli il bento in testa, assaggiò il semplice piatto fatto di riso, polpette e verdure scottate in padella*. Ed era buono. Più buono del suo. Ma come cavolo era possibile? Come era possibile che, nonostante tutto, lui cucinasse meglio di lei? Eppure aveva meno esperienza, non si esercitava spesso come lei e sopratutto era un’uomo. Non era fisicamente possibile che avesse abilità culinarie superiori alle sue. Eppure quelle verdure in padella erano così buone. Certo, la presentazione non era delle migliori, ma il sapore era ottimo. Non sapeva bene se essere felice o dargli la scatola del bento in testa. “Sei il peggiore! Sei pessimo, dubiti di me e pur di non mangiare le mie cose ti sei messo ad imparare a cucinare!” Ranma si stava già proteggendo il viso con le mani, in vista delle sberle in arrivo. Ma invece Akane si limitò a mettersi in bocca un’altra polpetta. “Però è buono, quindi ti perdono, stavolta.” disse, infilando una verdura in bocca allo stupefatto ragazzo. Poi si aggiustò le braccia di lui sulla pancia, accoccolandosi meglio sul suo petto. “A-akane?” chiese Ranma, imbarazzato. Se ad Akane quei momenti sembravano un sogno, a Ranma ancora si spegneva il cervello ogni volta che se la ritrovava tra le braccia. Poi però si calmò ed appoggiò la testa su quella di lei. E ad Akane un brivido scese giù per la schiena. Voleva un bacio. Si sporse verso di lui, protendendo le labbra. E Ranma, come sempre capì, offrendole ciò che chiedeva. C’era anche questo nei manga che leggeva a quattordici anni. I due fidanzati che si sbaciucchiavano sul tetto della scuola. Quella giornata era perfetta. Poi un rumore li mise sull’attenti. La porta del tetto che veniva aperta. E da quella porta sbucava Ukyo. “Ranma, Sei qui?” “Presto, nascondiamoci!” Ranma la prese in braccio e saltò, veloce e silenzioso, sul tetto. Akane si sentiva molto complice in quel momento, nascosti da una ragazza gelosa. Poi però lei si girò nella loro direzione. “Eccoti RANMA! Ma che ci fai con quel maschiaccio di Akane?” Un brivido di rabbia salì per la schiena ad Akane. Come si permetteva di… “Ukyo, scusa, ma dovevamo parlare della palestra.” Il modo in cui venne liquidatale fece male. Sapeva che era finto, sapeva che Ranma, col suo tono indifferente le stava stringendo il braccio senza farlo vedere, ma quelle parole furono una coltellata. Alla fine scesero e si comportarono come al solito. E questo le fece ancora più male, se possibile. E si che Rama aveva evitato di insultarla. La campanella suonò.

Tornati in classe si sedettero ai banchi ed aspettarono. Chi entrò era l’ultima persona che ci si sarebbe mai aspettata. Alberto Galipò era entrato nella loro aula, vestito in camicia e cravatta. Era entrato di corsa, scarmigliato e con dozzine di fogli che volavano ovunque. “Salve ragazzi. Io sono Alberto Galipò, e sono il vostro nuovo insegnate di epica. So che sono molto giovane ma evitare di prendermi poco sul serio!” Un paio di ragazzi si fecero una risata, ma smisero quando le ragazze cominciarono a sospirare. Nuovo insegnate fico significava meno ragazze da corteggiare, tutte si mettevano a sbavare dietro di lui. Akane sorrise. Un po’ perché conosceva l’insegnate, un po’ perché, da fidanzata, si sentiva di gran lunga superiore. Ah, che ragazzine ingenue. 

*Non ho la più pallida idea di cosa ci sia nei bento in Giappone, io ho messo qualcosa che preparerei io da portarmi al sacco. 


Ranma

Alberto era il loro insegnate? Ci sarebbe stato da ridere. li voleva proprio vedere i suoi compagni a fare i cretini. Con lui sarebbe stato difficile, non voleva immaginare cosa potesse fare se disturbato. Si scambiò un sguardo divertito con Akane, troppo fugace per essere notato da altri. Ma lei non gli sembrò troppo felice. Cosa diavolo aveva combinato adesso? L’aveva ignorata? L’aveva offesa? SI era presa male perché aveva cucinato anche lui? Cero che capire le ragazze era davvero difficile. Alla fine tornarono a casa. Nemmeno allora riuscirono a stare da soli, perché venne inseguito sia da Shampoo, che nonostante le sonore legnate di Ran-chan non si arrendeva, che da Ukyo, che strillava di come sarebbe riuscita a conquistarlo con i suoi nuovi dolci. Insomma, nonostante avesse lezione quel giorno perse una buona mezz’ora a seminare quelle due matte. A casa invece ci trovò tutti, dal maestro Happosai a Nabiki. Impossibile scambiarsi qualcosa di più di uno sguardo e un paio di falsi insulti. Alle quattro meno cinque, preciso, si mise la divisa nuova fiammante, con il nome della palestra e la cintura nera che attestava il suo grado di maestro. Inutile dire che, nemmeno dieci minuti dopo, venti ragazzini festanti ed intenti a intenzionati a fare casino. “Bene ragazzi, ora fate silenzio…” nessun risultato “Ragazzi ordine…” di nuovo nulla. “ORA PIANTATELA!” tutti zitti. Finalmente. “Ragazzi, quante volte vi ho detto che questo è un luogo di apprendimento, non un parco giochi! Avanti, iniziamo la lezione.” “SI SENSEI!” urlarono ad alta voce, entusiasti. La lezione iniziò. Esercizi di riscaldamento, poi addominali e piegamenti per rafforzarli e dopo allenamenti e kata. Alla fine qualche piccolo combattimento per metterli davvero alla prova. Nulla, ma proprio nulla, era in grado di temprare qualcuno come i combattimenti. E poi un po’ di sana competizione stimolava i ragazzi a dare il massimo.  Dopo un’ora e mezza la lezione finì. Dopo aver messo in ordine fece la cosa che preferiva, dopo lo stare con Akane. Si sdraiò a terra, rilassandosi e lasciando vagare la mente. Chiuse gli occhi, immobile. Era stranamente rilassante starsene sdraiato sul duro parquet della palestra. Poi qualcosa interruppe il rilassamento. Un rumore leggero, un odore dolce, un contatto caldo. Poi venne afferrato per le ascelle e trasportato a forza nello sgabuzzino. Aprì gli occhi appena in tempo per vedere Akane, che, con fare battagliero, lo trascinava nello stanzino. “Oggi siamo potuti stare assieme solo dieci minuti. Ora basta! Voglio un bacio! Voglio delle coccole, e voglio che smettiamo di prenderci in giro.” Era serissima. Poi si avventò su di lui. Per strano che fosse lo eccitava moltissimo quando la timida Akane diventava così aggressiva e seducente. Aveva una scintilla negli occhi, come se cambiasse personalità. Si avvinghiarono stretti stretti e si misero a sbaciucchiarsi e coccolarsi. Tanto nessuno li avrebbe infastiditi nello sgabuzzino. 

Un mezz’ora dopo si era finalmente fatto la doccia, dopo una lunga, lunga sessione di coccole con la sua fidanzata. Doveva seriamente darsi una raffreddata, oppure avrebbe rischiato di saltarle addosso ad Akane la prossima volta che l’avesse vista. “Fratellone, hai finito in doccia? Io dovrei entrare!” Sua sorella era mezza nuda in bagno. Certo che gli faceva sempre uno strano effetto vedere la sorella. Era davvero bella come pensava quando ancora si trasformava. Tuttavia gli somigliava troppo per eccitarsi con lei, era come guardasi allo specchio deformante. Ma era bella. Molto bella. Alla fine la lasciò entrare, uscendo dal bagno. Cercò Akane, ma la trovò impegnata a parlare con la nuova vicina di casa. Indeciso su cosa fare approfittò del suggerimento di Elsa ed andò a trovare Artorias. Magari avrebbe potuto allenarsi un po’ con lui. Quando arrivò venne accolto con una bella ragazza, che, dopo essere andata a chiedere, lo accompagnò nel dojo accanto alla casa. Ed ecco che ci trovò Artorias,  impegnato  combattere spada contro spada con una ragazza quasi uguale a quella che lo accompagnava. L’avversaria era brava, elegante, ma sembrava muoversi in modo un po’ rigido. Intanto la ragazza che l’aveva accompagnata si era seduta di  fronte ad un tavolino con sopra uno strano gioco, una specie di tavola a quadrati bianchi e neri, con tante piccole statuette nere e bianche sopra. Poi Artorias, tra un fendente e un affondo disse “Cavallo in H-3” La ragazza spostò un pezzo sulla tavola. Poi ne spostò un’altra. Con voce sottile disse “Torre cattura cavallo” schivata di spada “Regina cattura alfiere in B-5. Sacco Matto!” poi con un colpo di piatto fece volare la spada all’avversaria e le puntò la spada alla gola. Poi ripose l’arma. “Grazie Maiden. E grazie anche a te Marya. Mi serviva una bella botta di allenamento multiplo. Ranma Saotome!- disse, rivolgendosi a lui -Che piacere vederti! Che ci fai qui?” “Tua sorella mi ha suggerito di venirti a fare compagnia. Chi sono queste due ragazze?” “Sono due Automi. Macchine create manipolando l’aura ed il ki. Fedeli servitrici e guerriere eccelse. Oltre che ottimi fantocci da allenamento. Allora, ti va un piccolo incontro a modo mio? Ti va di provare un armatura?” Ranma era stranito. Che strana proposta era? Comunque accettò. “Si, proviamo. Non sarà peggio che fare allenamenti con i pesi.” Artorias sorrise. “Si, proprio la stessa cosa.” I due automi si misero al lavoro per recuperare un’armatura della sua taglia, mentre lui raccontava del fatto che Alberto era il suo nuovo prof. In fondo era un peccato che quella bella combriccola che si era creata qualche notte prima scomparisse. “Si, mi sono informato su di lui. Peccato che il tuo preside l’abbia assunto. A parte la sua avversione per me ci avrebbe fatto comodo una persona che conosce così bene la mitologia asiatica. Allora, pronto?” Ranma, indossava una pesantissima corazza d’acciaio, piastre e scaglie. Era simile a quella che indossava Artorias, anche se la sua era più elegante. alle mani e ai piedi indossavano entrambi stivali e guanti corazzati. “Infilati l’elmo, oppure sarà un casino. E poi non vorrei mai rovinarti quel bel faccino.” Ranma si mise l’elmo ed uscirono in giardino. Di sicuro si sarebbe fatto una bella sudata in quella specie di pentola a pressione Cominciò la lotta. Era strano. Troppo pesante per saltare a destra e a manca, era costretto parare i pesantissimi colpi di Artorias. Il massimo che riusciva a fare era deviare i suoi colpi, e giusto qualche calcio, ma erano infinitamente lenti. E dopo pochi minuti lui, Ranma Saotome, si ritrovò sfinito. Portare oltre cinquanta chili d’acciaio e cuoio addosso era ben più faticoso del previsto. Specie combattendo al massimo delle sue capacità contro un’avversario così temibile. Ma anche lui aveva messo a segno un paio di buoni colpi. Alla fine smisero. Entrambi erano stanchi, sudati, ed avevano serio bisogno di un bagno. Si sfilarono gli elmi, ma proprio in quel momento la Maiden, aveva imparato a riconoscerle dal taglio di capelli, lei li aveva più lunghi, apparve, con un tono solenne. “Mio Lord, un uomo alla porta chiede di voi. Afferma di essere un nobile locale, e di volere un confronto armato con lei per decretare quale delle due linee di sangue sia la più nobile.” “Chi diavolo è il coglione?” “Non ci credo.” disse Ranma. “Sai chi è il simpaticone?” “Temo di si. Hai presente il tipo che abbiamo randellato stamattina? Quello che si è avventato sulle nostre sorelle ed Akane? Ecco, si chiama Kuno Tatewaki, ed è un fissato che si autodefinisce aristocratico perché ricco come pochi. Spera che non sia venuto a mercanteggiare per tua sorella. Con me lo ha fatto. Chissà che cavolo vuole.” Artorias fece un sorriso malevolo. “Rimettiti l’elmo, e non fiatare. Gli facciamo uno scherzo. Qualunque cosa ti dica, in qualunque modo ti chiami tu obbedisci. Maiden, l’elmo cerimoniale e la Claymore. E fai entrare questa specie di tacchino tutto petto.” Incredibile quanto il paragone ci azzeccasse. Quello che entrò era una specie di pagliaccio, vestito con un’armatura giapponese e un colossale ciuffo in avanti. Aveva al fianco una katana. Dovette trattenersi non poco per non scoppiare a ridere sotto la celata. Specie quando Artorias si mise a parlare. “Salve. La mia cameriera mi ha già informato di tutto- si infilò l’elmo- Io sono pronto quando lo desidera signor Kuno.” Tuttavia pochi secondi dopo successe qualcosa che lo fece paralizzare. Quella psicopatica di Kodaci era dietro di lui, vestita con un kimono cerimoniale ed una faccia da funerale. E Tatewaki cominciò a sparare stupidaggini. “Salve onorevole straniero. A nome della famiglia Kuno ti do il benvenuto nel grande Giappone! Sono qui per proporre un grande occasione per una grande alleanza tra due così nobili casate. Vostra sorella, la nobile ed algida Elsa, potrebbe sposarsi con me, mentre io vi concederei la mano della mia bellissima sorella gemella Kodaci.” Perfino sotto la celata dell’elmo si sentiva lo sguardo infuocato di Artorias che perforava la corazza del borioso imbecille. Si mise in guardia, poi parlò, il tono furioso semi mascherato dallo spessore del metallo.”Pensavo che fossi venuto a combattere, non a mercanteggiare la mano di mia sorella. E poi la tua non sembra particolarmente contenta dell’idea che hai avuto. Avanti, in guardia!” Alla fine Tatewaki attaccò. Peccato che si ritrovò davanti una difesa a dir poco perfetta. Tutti i fendenti, tutte le capacità, tutta la velocità di Kuno non bastarono a sorpassare la spada due mani di Artorias, che veniva mossa appena. Dopo dieci minuti di attacchi inutili il cavaliere si stufò. Con un colpo rapido come il morso di un serpente vece volare via la spada a Kuno, che si ritrovò disarmato e a terra, semisvenuto un seguito ad una testata di Artorias. Poi lui si tolse l’elmo. Con un gesto invitò anche lui a fare lo stesso, ma preferì evitare, visto chi c’era in giro. Fece un veloce cenno di diniego e aspettò che la pazza se ne andasse e mollasse lì il fratello. Poi non seppe resistere. Si sfilò il pesante elmo e si fece una gran risata. Non sapeva se Kuno potesse starlo a sentire, ma comunque non seppe resistere dal prenderlo in giro e riconsegnarlo a Sasuke, che attendeva fuori dalla porta. “Sparisci Kuno, e sta lontano da mia sorella e da Akane.” “E sappi che semmai è Elsa a dover scegliere un ragazzo. Io al massimo posso controllare chi è. Addio!” disse Artorias. 

Però, che razza di scena. “Grazie, senza di te sarebbe stato molto più lungo e complicato. Allora, ti va qualcosa da bere?” Artorias fece mettere un tavolo nel giardino, per godere del sole che, senza le pesanti armature, scaldava piacevolmente. Artorias invece si tolse direttamente la maglia. Diceva di avere un po’ troppo caldo.  Chiacchierano del più e del meno, sinché non arrivò la terribile domanda. “Tua sorella.” Mia sorella.” “So che non è fidanzata. So che non ha relazioni. Me l’ha detto lei. E’ bella, è simpatica. Ed è più che in grado di soddisfare le aspettative della mia famiglia.” “Sono così severi? Voglio dire, i nostri genitori sono pazzi e ci hanno promesso prima ancora di nascere, ma i tuoi come sono? Sembrano molto strani.” L’europeo prese un gran respiro. “Gli Stark di Flott Vinter sono una famiglia antica, con una mania per la forza. Crediamo fermamente nel rafforzare il nostro sangue, e questo ci ha portati, nel corso dei secoli, a cercare i nostri compagni, manchi o femmine, in giro per il mondo, tra esperti di arti marziali e grandi guerrieri e guerriere. E la cosa non è cambiata nel corso del tempo. Anche io stavo cercando una ragazza, poi mi sono imbattuto in lei. Voglio solo chiederti di poterla affrontare.” Ranma era stupito. Non immaginava che la sua domanda sarebbe stata quella. Pensava che gli avrebbe chiesto se poteva uscire con lei, se la poteva corteggiare, non se poteva combatterci contro. “Se lei accetta va bene, ma… Perché? Pensavo che mi avresti chiesto il permesso di farla uscire con te, non di combatterci contro.” “E’ solo un modo per confermare cosa penso già di lei. A proposito, spiegami meglio la tua situazione con quella ragazza, Akane. Insomma, a quanto ho capito voi siete fidanzati, che state insieme, ma che non volete far sapere ai vostri genitori che siate insieme, gli stessi che vi hanno fidanzato, giusto?” “Si. So che sembra senza senso, ma è così. I nostri genitori ci metterebbero un secondo ad organizzare un matrimonio, e non è quello che vogliamo noi. Noi vogliamo vivere una vita il più normale possibile, vogliamo un’appuntamento, vogliamo stare assieme, vogliamo avere una storia normale. Non ci vogliamo sposare a diciassette anni. Vorremmo almeno capire se… insomma, se davvero potremmo stare insieme tutta la vita senza rimpianti.” Era bello avere un’amico che non ci provava con Akane. Oppure uno con una famiglia di pazzi simile alla sua. Daisuke e gli altri erano simpatici, ma non capivano quale era il problema. A quanto pare invece Artorias si. “Comprendo. Nemmeno mia sorella può scegliere. Ha un certo margine, ma chiunque sia devo testarlo io. Devo testane la forza, l’intelligenza, la capacità di prendersi cura di Elsa. Quest’ultima l’ho aggiunta io. Non lascerei mai sorella nelle mani di un’irresponsabile. Rischierei di renderla vedova prima del tempo.” Ranma fece un sorriso. Stessa cosa avrebbe fatto lui, non avrebbe mai lasciato che sua sorella si mettesse insieme ad un cretino, a prescindere dalla sua volontà. “Allora, ci siamo riposati, ti va un doppio confronto? Io e te contro le signorine. Ma stai molato attento. So che sembrano dolci ed amorevoli, ma sono tipe toste. Sopratutto, loro sono più dure di un umano.” sorrise. Loro due erano simili, si disse Ranma. “Ci sto! Era tanto non combattevo con qualcuno.” “Bene, ma mettiti i guanti di ferro, o ti spaccherai le mani.” In pochi minuti i due automi si misero in posizione di combattimento. Una impugnava una coppia di martelli tondi, l’altra un lungo bastone che aveva, alle estremità, dei cappucci in metallo, puntuti. Sembravano assurdamente pesanti, impugnati in quelle manine piccole, fragili e pallide. Sembrava irreale. L’assurdità divenne ancora più grande quando le due balzarono vedo di loro, maneggiando le strane armi con una velocità ed una agilità impensabili. Tutto quello che Ranma poté fare fu difendersi. La loro velocità e potenza lo stupirono. Artorias, probabilmente più abituato di lui, sembrava cavarsela meglio. Dopo poco però si rese contro che alla fine le due bambole usavano sempre le stesse mosse, con combinazioni diverse. Da quel momento la difesa era quasi banale, si trattava  solo di intuire quale mossa avrebbe fatto, poi schivare o bloccare, ed infine contrattaccare. Certo, a parole era una stupidaggine, ma poi i fatti erano che quelle bambole erano velocissime, e si muovevano in modo meccanico, diverso dai suoi soliti avversari. Alla fine si trovarono schiena schiena, ad affrontare i due automi, che picchiavano come dannate, ma alla fine riuscirono a mettere le due con le spalle al muro. “Mamma mia, che sventole che tirano queste tipe.” disse Ranma, soddisfatto. Quelle due o tre ore di allenamento erano state davvero una manna, non gli capitavano sforzi del genere da troppo tempo, doversi muovere contro degli avversari così diversi dal solito erano un’ottimo allenamento. E poi gli sembrava di aver combattuto per ore, a causa della pesante armatura. Si, decisamente si era divertito. 

 

Ranma

Un altro bel giro con le amiche, evviva! In effetti in quel momento non aveva molta voglia, ma non aveva nulla di meglio da fare, quindi… Certo, di tutte le cose che non capiva era perché oltre a lei, Akane ed Elsa, ci dovesse essere anche Ukyo. Insomma, era carina, simpatica e tutto, ma ora come ora non voleva saperne nulla. Era solo un’incubo. Continuava a tormentarsi per quello che aveva pensato alcune notti prima. Dov’era il suo posto? Perché nessuno che incontrava in giro le diceva nulla? Perché sembrava che nessuno si ricordasse di lei? Solo poche cose della sua memoria erano certe. Era certa di odiare alcune persone, di avere un amore sconfinato per Akane, di volere bene a tutte le sorelle Tendo, ma non capiva cosa mancasse alla sua vita. Forse, forse la sola volta in cui non si era fatta domande su di lei era stata quando era insieme ad Artorias. In qualche modo lui era  riuscito a farle dimenticare tutto quello che le era successo. Perché quello strano tipo fosse riuscito ad entrare in quel modo nel suo cuore era un mistero. Ma decise che doveva smettere di pensarci. Si sarebbe goduta lo shopping, per quanto possibile, ed avrebbe cercato di ignorare quello strano prurito che le dava la memoria. Dopo poco meno di un’ora il gruppo di ragazze si imbatté in qualcosa di assurdo. Sasuke, quel ninja tappo, che metà sollevava metà trascinava il suo padrone, vestito con un armatura ridicola e svenuto pesantemente. Ma Akane doveva per forza impicciarsi. “Sasuke, che cosa è successo?” la voce gracchiante del servetto cerco di uscire da sotto il suo padrone. “Si è scontrato con vostro nuovo vicino. Ha insistito per combatterlo con tutta l’armature cerimoniale, ed è sto steso in un minuto netto.” Ran-chan sentì elsa fare una risatina. La guardò stranita. “Nemmeno nostro padre può battere mio fratello con la spada in mano. L’ultima volta che si sono scontrati era per il suo esame finale, e papà ha perso. Figurati se si faceva battere dal primo scemo che incontrava. E’ un miracolo che non abbia tutte le budella di fuori, deve averlo colpito solo con il lato piatto della spada.” Stava per farsi una bella risata, alla faccia di quel presuntuoso di Tatewaki, quando una risata conosciuta le fece venire un brivido. Kodaci Kuno era apparsa dal nulla, con in mano un fucile. “Salve a tutte le mie acerrime nemiche! Per la grande esibizione di Kodaci Kuno oggi c’è in programma la sconfitta di tutte le sue avversarie in un colpo solo! Oh oh ohoh!” Sparò, veloce come un serpente, ma il rumore non era quello dei proiettili normali. Era solo un sibilo ed un “tump” molto leggero. Probabilmente era un fucile ad aria compressa. Era pronta a schivare il proiettile, ma i colpi vennero fermati prima. le quattro piccole siringhe erano state bloccate con le dita. “Facili da fermare. Fucile depotenziato. Non volevi abbattere, solo stordirle per avere gioco facile. Ma ci vorrà molto di meglio per superare una Stark!” Stringendo le dita stritolò i sottili aghi di metallo, spezzandoli. 

 Ranma rimase stupita. Quello che aveva fatto era incredibile. Poi Elsa passò al contrattacco. In un istante passò dall’attacco. Kodaci non fece in tempo a fare nulla, venne colpita in pieno con in colpo di palmo alla bocca dello stomaco che la sbalzò via. Ma Kodaci, ora offesa nel profondo, cercò di strangolarla con il suo nastro, che però Elsa congelò toccandolo, per poi frantumarlo in mille schegge. Poi abbatté una scarica di calci contro l’avversaria, muovendosi così rapida che sembrava lasciarsi delle scie di vento gelato. Era uno spettacolo affascinante. Ranma non aveva mai visto nulla del genere. Avrebbe voluto qualche lezione da lei, e da come Akane guardava ammirata capì che anche a lei avrebbe fatto piacere una lezione. Troppo veloce,  per ribattere, l’unica cosa che Kodaci riuscì a fare fu prenderle. Prenderle fino ad andare K.O. Lo prese e lo lanciò addosso al piccolo ninja. “E stai lontano dalle mie amiche.” disse, invitandola ad allontanarsi. Il povero Sasuke si ritrovò a trascinare entrambi i suoi padroni via dalla strada, prima che si ricordasse di chiamare una macchina. Poi Elsa, con la massima naturalezza e noncuranza, si rivolse a loro. “Allora, posso invitavi a cena? Voglio festeggiare la vittoria degli Stark sui Kuno, anche se non mi sembra che sia poi questo gran risultato.” Poi prese il cellulare e si mise a parlare nella sua lingua natia, velocemente e con entusiasmo. Probabilmente stava ordinando la cena. “Andiamo a cercare dei vestiti degni di una festa! Sarò solo una bambina ma voglio fare una festa con le mie nuove amiche, e purtroppo adoro le feste eleganti! Ran-chan, dobbiamo prendere anche qualcosa per tuo fratello! Oppure potrebbe prestargli qualcosa Artorias, anche se lui è parecchio più alto.” E si riattaccò al telefono. Quella ragazza faceva una gran tenerezza a Ranma. Insomma, il suo genuino entusiasmo per tutte quelle piccole cose che evidentemente non conosceva. Alla fine lo shopping si protrasse fino alle sette di sera, lasciando alle ragazze solo poco tempo per cambiarsi, dato che avevano la cena alle otto. Tutte le ragazze scapparono a casa a cambiarsi, mentre Ran-chan ed Elsa acchiapparono i rispettivi fratelli per costringerli a vestirsi come richiesto, la rossa perché coscia della repulsione di lui per gli abiti eleganti, e la bionda perché a conoscenza del fatto che il fratello era scappato in Giappone proprio perché non né poteva più di quella vita fatta di abiti eleganti e regole rigide. Alla fine I tre di casa Tendo si ritrovarono a bussare alla porta, con Ukio appiccicata a Ranma. La rossa però non era troppo contenta. Avrebbero potuto passare una bella serata insieme, magari con loro due finalmente insieme, ma pazienza. Almeno avrebbe potuto rivedere Artorias. Questa cosa la emozionava più del dovuto. Non era proprio un sentimento, non veniva dal cuore. Era più una cosa di pancia. Ogni volta che pensava a lui sentiva la bocca dello stomaco stringersi. Era stranissimo, ma non riusciva a spiegarselo. Ed era bello. La faceva sentire viva. Quello strano dolore la rendeva così entusiasta. Alla fine entrò, trovandosi in un luogo meraviglioso. Il grande giardino era stato ingombrato da un gigantesco gazebo, decorato con piccole lanterne, che spargevano ovunque una luce dorata. Oltre a loro c’erano Ukyo, Ryoga e Alberto. Ma che ci facevano quei due li? Elsa intervenne: “Non è un vera festa elegante se non si va in coppia. Quindi tu ti metti in coppia con mio fratello, io sono in coppia con il signor Galipò, Ukyo, che le piaccia o no, farà accompagnare da Ryoga, mentre i nostri fidanzatini possono stringersi vicini vicini!” Troppe belle notizie. Ryoga e Ukyo fuori dai giochi, suo fratello e la sua fidanzata tranquilli assieme e lei poteva stare con Artorias, seduta accanto a lui tutta la sera. Le due camerieri erano in piedi, ordinate e pronte a servire. Si prospettava una bella serata. 

La cena fu particolarmente piacevole, anche perché erano sapori inaspettati e nuovi, visto che erano quasi tutti piatti europei. Ma c’erano tante piccole cose che gli resero la serata piacevole, come le chiacchiere, i tentativi dei due pretendenti di distrarre Ranma e Akane, e lei che si faceva spiegare al meglio i piatti da Artorias. E poi quell’aria elegante, tutta quella gentilezza, la stordiva e la eccitava. Alla fine della cena le due cameriere si misero a suonare un violino e la viola, intonando una musica da ballo, ballo in cui lei si lasciò condurre da Artorias, sentendosi una principessa. Si fece delle sane risate nel vedere Ryoga che cercava di capire come ballare ed evitare di ammazzare Ukyo, Ranma che si impiccava per non pestare i piedi ad Akane, mentre Elsa ed Alberto sembravano ballare un perfetta sintonia. 

Poco dopo però successe una cosa. Si sentì un terribile botto, ed uno dei muri di cinta crollò. Diversi soldati, apparentemente di coccio avevano abbattuto il muro con un’ariete, ed avevano estratto le armi. Vecchie spade di bonzo, lance corrose dal tempo, eppure tutto aveva un aria molto letale. Uno di loro, corazzato meglio, indicò lei, Akane ed Elsa. E quelli si abbatterono su di loro. I primi a reagire furono Artorias e Ranma. Il primo a pugni il secondo a calci staccarono la testa a due soldati, che però continuarono a muoversi assieme agli altri. Allora anche Ryoga e Alberto si misero in guardia. Il primo, grazie alla tecnica dell’esplosione, riuscì a farne fuori alcuni, ma in poco tempo questi gli furono addosso in troppi, seppellendolo. Alberto, preso atto della loro resistenza, cominciò ad amputare loro tutti gli arti. Peccato che nessuna delle ragazze fosse tipa da lasciarsi proteggere. Cominciarono a combattere, massacrando in fretta i nemici, che erano poco più di una quindicina ed erano fin troppo stupidi. Ma la cosa più incredibile successe quando ad Akane afferrarono le braccia in due. Un ringhio profondo venne al punto in cui combatteva Ranma. E i soldati di coccio cominciarono a saltare per aria, tranciati in tantissimi frammenti. Suo fratello aveva le dita nella stessa posizione di quando aveva salvato Akane giorni prima. Ed aveva fatto a pezzi i nemici senza nemmeno guardarli. Poi era corso da lei, da Akane, riducendo in briciole tutti gli avversari che la circondavano. Poi a perdere la pazienza era stato Artorias. Una sola, singola parola. Un nome. “SIF!” Lo aveva ringhiato, furibondo. Poi un enorme, ringhiante lupo altro tre metri aveva fatto irruzione nel giardino, schiacciando, sbriciolando schioccando le mascelle per distruggere tutti quei bei giocattolini di coccio che aveva trovato in giardino. Poi la voce del ragazzo impartì un semplice ordine. “Tutti dentro, al secondo piano. Automi, fortificate il piano di sotto, Sif pattuglia il giardino.” Poi portò tutti in casa. “Che diavolo sono quei cosi?” chiese Ran-chan, leggermente seccata dall’interruzione della serata. “Li ho visti solo una volta quei soldati, e se sono quello che penso non dovrebbero essere qui.” disse Elsa, furiosa. “Si lady Stark, hai ragione. Loro sono i soldati di terracotta del primo imperatore Qin a Xi'an, e noi siamo nei guai.” 

 

 

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Salve a tutti. Non vorrei mai che pensaste che in questo episodio non è capitato un cavolo, ma dai! I Kuno sono stati pestati da tutti, ed una pattuglia di 15 omini di terracotta ha invaso casa Stark! E c’è anche stato il finale a sorpresa. Dai, datemi la licenza di lasciavi sulle spine. Da ora in poi vi divertirete, ho in mente una grande saga (ben tre capitoli almeno, pensate) E poi, non siete curiosi di sapere come staranno le copie di stasera?

Spero che il cap. vi sia piaciuto, lasciate una recensione per farmi sapere che ne pensate e ciao tutti dal vostro

Jacob Stark

 

 

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Capitolo 13
*** Dichiarazione di guerra ***


 

Dichiarazione di guerra

 

Alcune ore prima dell’attacco, a casa Kuno. 

“NON E’ POSSIBILE! NON E’ POSSIBILE CHE IL GRANDE KUNO TATEWAKI SIA STATO BATTUTO DA UN GANJI*!” Il povero Sasuke cercava di evitare  gli oggetti e i colpi vari di Kuno, intenzionato a staccargli la testa, in caso questo fosse servito a farli sentire meglio. “Mi scusi signorino…” disse il maggiordomo, appena sportosi dalla porta, aveva evitato abilmente una statuetta lanciata in direzione di Sasuke, per consegnare un bolla di consegna da firmare a Tatewaki. “Si, cosa vuoi?”chiese, furioso, il ragazzo. “Signorino, è arrivata la consegna che aspettava. La cassa è in cortile, vuole che la porti su?” Kuno ebbe un’improvviso, imprevedibile guizzo. Un innaturale sorriso gli apparve sul volto. “Lasciala lì! Sasuke, vieni con me! Vedrai quale raro e prezioso oggetto sono riuscito ad ottenere!” Il ragazzo corse in giardino il più dignitosamente possibile, cercando di mascherare l’entusiasmo. Arrivato ad una grande cassa nel mezzo del giardino arrivò addirittura a forzare la cassa con la sua preziosa spada di legno. Una volta scoperchiata apparve solo un ampio involucro di paglia, che venne spazzata via velocemente, rivelando una vecchia spada, avvolta in un fodero corroso dal tempo, ma quando Kuno la estrasse sulla lama non c’era una macchia che fosse una. L’acciaio dell’antica spada cinese era lucido e affilato come appena uscito dalla forgia. Kuno eseguì un paio di fendenti, che gli riuscirono veramente male, non essendo minimamente abituato alla forma, al peso e alla lunghezza della spada. Tuttavia era da ammettere che il suo talento con la spada era davvero incredibile. In pochi minuti riuscì a comprenderle come muovere la spada, anche se in combattimento reale avrebbe avuto poche speranze. Continuò a vantarsi dell’acquisto per tutta la cena, facendo ammattire Kodaci. Alla fine il ragazzo si chiuse in camera, a rimirare la nuova aggiunta alla sua collezione. Fu proprio in quel momento che la sentì. Era una voce profonda e importante, quasi conturbante. Continuava a chiedergli se voleva il potere. Il potere di conquistare, il potere di decidere, il potere di umiliare. A Tatewaki non servì nemmeno un’attimo per rispondere. Il potere di umiliare Ranma Saotome, Artorias Stark, suo padre, il nuovo insegnante di epica, che l’aveva umiliato quel pomeriggio! Il potere di prendere per sé Akane Tendo, la Ragazza con il Codino e la nuova e nobile Lady Stark. Tutto questo nelle sue mani. Accettò. “Da questo momento il mio esercito è nelle tue mani. Usalo come preferisci. Porta il terrore.”

*barbaro


Ranma

“In che senso siamo nei guai?” chiese il ragazzo con il codino al suo nuovo insegnate. “Quelli sono soldati di terracotta, appartenenti all’armata nella tomba dell’imperatore cinese Qin a Xi'an. Si tratta di un’omaggio funebre, una guardia eterna per la tomba del grande imperatore. E non ho idea di cosa ci facciano qui.” “Io si.” intervenne Artorias. “Quelli che avete visto sono golem, costrutti non senzienti, in grado di eseguire ordini semplici. Da quello che ho potuto vedere questi cosi sono più intelligenti della media.” “Già, il loro obbiettivo era rapire noi tre, e ci hanno combattuti in modo molto militare. Devono essere speciali, in qualche modo.” Artorias prima ed Elsa poi spiegarono cosa diavolo stesse succedendo. Almeno in teoria. Tutti erano stupefatti. “Si, ma perché ci starebbero cercando? Chi potrebbe essere interessato a noi?” Chiese Akane, stupita. “Non saprei. Bisognerebbe esaminare i punti in comune che avete, chi potrebbe avercela con voi, perché rapire proprio voi…” Alberto ragionava e parlava talmente in fretta che si potevano vedere le rotelle che giravano nel cervello. Artorias fu più diretto. Accese il televisore, dove l’annunciatore del telegiornale   annunciava un edizione speciale, in cui si avvisava di strani rapimenti di molte ragazze. Gli unici collegamenti erano che alcune si chiamavano Akane Tendo, alcune avevano i cappelli rossi, altre la treccia e i capelli biodi. Delle ultime due ce ne erano poche, ma i ragazzi dedussero che era a causa della rarità di quei tratti somatici in Giappone. Erano tutte molto giovani, tra i 15 e 22 anni. Ranma ebbe un idea. Era assurdo, allucinante, ma era l’unica cosa che avesse un senso. “E se a mandarli fosse stato Kuno?” la sua frase, apparentemente senza senso, fece girare tutti. Si sarebbe aspettato frasi assurde, prese in giro, ed Akane stava anche per farlo, carica della sua solita, ed odiosa, fiducia nel prossimo. La stessa che dimostrava ogni volta che condonava a Ryoga le sue stupidaggini. Ma gli altri due la fermarono. “Con Kuno intendi lo psicopatico della seconda? Quello che sta in classe con Nabiki Tendo? L’ho punito mandandolo dal preside e costringendolo a lavare tutti i bagni della scuola.” “Si, è lui, ma che centra?” chiese Akane, sempre con gli occhi sgranati ed ingenui. “C’è che quel cretino è ossessionato da noi, e da ieri anche da Elsa. Se davvero quei cosi prendono ordini da lui è ovvio che ci diano la caccia, e poi daranno la caccia a mio fratello, per trovarlo e vendicarsi. Poi una mano sfondò la finestra. C’era pergamena nella mano. Indubbiamente scritta da Kuno. IL messaggio recitava: “Ranma Saotome, io ti impongo di recarti presso la mia reale persona. Ti impongo altresì di portare con te tua sorella, di modo che possa convolare a giuste nozze con me, il nuovo imperatore del Giappone! Se ti rifiuterai dovrà usare le mie fedeli truppe per costringerti.” A Ranma il sangue andò alla testa. Come, come osava dirgli  cosa fare e di prostrarsi a lui. E di dargli sua sorella. E peggio, da quello che vedeva, di dargli anche Akane. Lo avrebbe fatto a pezzi, l’avrebbe smembrato, lo avrebbe… “Pronto? Sono Artorias. Dirottate la chiamata alla sede di Pechino, ho bisogno di parlare con mio zio.” Cosa diavolo…? “Zio Benjen? Salve, sono Artorias. Ho bisogno di sapere che fine ha fatto l’armata di terracotta. Quindici di quei soldati sono piombati nella mia casa e mi hanno distrutto il giardino, oltre a tentare di rapire mia sorella e un paio di sue amiche.” Aveva un tono urgente. “Si, zio, aspetto.” Fece un cenno a tutti di fare silenzio, mentre aspettava la risposta. Elsa intanto si era messa ad un altro telefono, che aveva appena cominciato a squillare. “Si ministro, si, ci stiamo occupando del problema, si, in pochi giorni sarà tutto risolto, si… no! Se non la smette di chiamare la lasciamo nella merda fino al collo, è contento?” Tutti i presenti rimasero a bocca aperta. Non si aspettavano certo che la piccola, nobile e delicata Elsa tirasse fuori un linguaggio da scaricatore di porto. Sentendosi osservata la ragazza girò lo sguardo. “Scusate, mi vengono fuori quando sono nervosa.” disse, con un sorriso di scusa. “Non farla arrabbiare, mai. E’ la regola base per stare bene con lei.” Disse Artorias, mettendo una mano sul telefono, e facendo l’occhiolino ad Alberto. Poi si girò ancora. “Si Zio? Sparita? Lo temevo. Hanno una copia? Perché? Temo che quello che sta succedendo qui in Giappone sia collegato, e che per fermare questa follia dovemmo distruggerla tutta. Addio.” disse, chiudendo la comunicazione. Poi guardò tutti i presenti. “Bene, ora le ragazze si chiudano in cantina mentre io risolvo il problema. Anche tu Ranma. Quel babbeo cerca voi, quindi…” venne interrotto da tutti, con proteste e avvertimenti di non azzardarsi lasciarli fuori. Insomma, tanto dissero e tanto fecero che alla fine Artorias si arrese. “Bene, ora basta. Ora tutti quelli che sono interessati sono assunti. La vostra prima missione? Procuratemi uno di quei golem. Non mi interessa come lo fate, deve essere integro. Lo porterete a questo indirizzo sul fiume, e assicuratevi di non essere seguiti.” Poi si voltò e si mise nuovamente a telefonare. Stavolta però il suo tono non era né cortese né accondiscendente. Solo un secco ordine. “Lupi, a rapporto tra dodici ore.” 

Decisero che si sarebbero divisi in due squadre. Lui, Akane e Ran-chan da una parte, Ryoga, Alberto e Ukyo dall’altra. Dallo sguardo dell’italiano di poteva intuire il disagio di trovarsi insieme a quei due. Ranma Prese le due ragazze e decise che era il caso di cambiarsi. Quella giacca elegante, tra ‘altro tutta macchiata di polvere ocra, non era né comoda né adatta allo scopo. Non discesero in strada, era meglio rimanere sui tetti. Di certo quei cosi di terracotta non potevano salire e correre sui tetti. Almeno un piccolo vantaggio che fosse uno. Poco dopo trovarono una pattuglia. Passavano di casa in casa, e, come guidati da un radar invisibile, si infilavano in una casa con dentro un Akane tendo. Lesse il nome Tendo sulla targa della porta. “Come facciamo?” chiese Akane, preoccupata “Quei cosi sono fortissimi, e prenderli integri potrebbe farci ammazzare.” Ran-chan si svolse delle cinghie da dosso. “Elsa mi ha dato queste, per ingabbiare questi tizi. Ha detto che è kevlar rinforzato, tiene trenta tonnellate. Dobbiamo distruggere gli altri e ingabbiarne solo uno, preferibilmente il comandante.” Ranma ed Akane la guardarono, straniti. “Istruzioni dal capo. Su, andiamo.” disse, con un sorriso. Si abbatterono sui soldati come una valanga. Addosso avevano i guanti e i gambali d’acciaio delle armature, un po’ pesanti ma decisamente molto efficaci contro i nemici di terracotta. Frantumarono quattro dei cinque nemici, mentre il quinto venne legato come un salame. La povera Akane Tendo in questione sembrava una copia sbiadita di Akane. Meno bella, capelli smorti, un paio di anni più vecchia e con molto meno tono. La rimisero in camera. Mentre il povero Ranma trasportava una tratta di terracotta esagitata da centocinquanta chili. Ci misero un po’ a trovare l’indirizzo. Corrispondeva ad un capanno sul fiume, dove videro due tipi vestiti di nero, con strane tute integrali ed un piccolo logo a forma di testa di lupo, argentato. Gli puntarono contro una piccola balestra. Poi uscì Elsa, e, parlando in lingua madre, gli ordinò di abbassare le armi, o almeno così dedusse, perché quei due abbassarono le armi. “Entrate, e scusateli. Mio fratello li ha messi in massima allerta, specie dopo che ci hanno assalito in otto per rapirmi. Voi quanti ne avete stesi?” “Quattro, più questo tizio che abbiamo acchiappato. Gli altri sono già tornati?” Poi un botto terribile li raggiunse. Era stato scaricato un’altro soldato di terracotta proprio davanti a loro. “E bravo Ryoga, allora non sei deboluccio come appari.” “Maledetto!” sussurrò Ryoga, stanchissimo. Anche Ranma era esausto, ma cercava di non darlo a vedere. I due fantocci vennero portati in un laboratorio. Entrarono tutti, anche se quel posto era inquietante. C’erano provette, alambicchi, catene, seghe da ossa, seghe circolari, bisturi, mannaie, lettini di metallo con cinghie, insomma, sembrava in tutto e per tutto il set di un film dell’orrore. Al centro c’era Artorias, con un camice bianco, una mascherina e una sega circolare in mano. “Mettetevi la mascherina anche voi, e prendete degli occhiali protettivi. Sarà molto divertente.” Il primo dei soldati venne disteso davanti a lui, su di un lettino che venne reclinato per essere quasi dritto. Poi fece partire la sega. Il ronzio fortissimo assordò i ragazzi, bardati ad ok per evitare di rimanere intossicati e accecati dalla polvere. Piano piano al manichino vennero tagliate le braccia, le gambe, e venne sventrato come una papera. Quello che c’era dentro sembrò stupire Artorias. “Ci sono parecchi simboli magici. E’ cinese antico, non sono in grado di tradurlo.” Alberto si mise subito a disposizione, tentando di tradurre, ma quello che riuscì a capire fu poco e nulla. “Sembra un qualche rituale legato all’anima, e all’infusione della vita nel golem, ma non saprei né come li abbiano creati né come funzionino né come prendano ordini. Potrei prendere  il coccio con le iscrizioni e portarlo all’università, per consultare i testi giusti, ma ci vorrà….” “Dieci vite per una. Dieci anime infuse in uno. Un grande sacrificio per un grande imperatore. Tutto questo è mostruoso, ma conoscendo la storia di quel tipo non mi stupisce troppo.” Una voce gracchiante, anziana e terribilmente familiare. E tutti, ma davvero tutti si voltarono in quella direzione. Appoggiata sul suo bastone, con un aria pensierosa e preoccupata, c’era Obaba. Ma quando e come era entrata quella maledetta vecchiaccia? Le due guardie, stupite, estrassero le loro armi, ma vennero fermate dai due Stark. “Pensate davvero di riuscire a fermare l’ex capo delle amazzoni? Buona fortuna.” A sentire quelle parole i due soldati in nero riposero le armi ma rimasero in guardia. Chissà come sarebbe stato combatterci contro, sembravano forti.Poi però si concentrò ancora su quello che diceva Obaba. “Sembra che per creare uno solo di questi soldati di terracotta, in particolare un generale, siano state usate le anime di dieci persone.” “Un golem creato tramite sacrificio umano? Ma è mostruoso!” Alberto sembrava quasi spaventato. “Ho letto tutto il possibile, studiato più di chiunque altro, scavato fino a svenire ogni notte, ma non avevo mai sentito di golem creati con anime umane. Normalmente nascono tramite benedizioni e preghiere.” “A quanto pare in questo caso funziona così giovane zuccone!” disse Obaba, colpendolo in testa con il suo bastone. “Quanto sarebbe grave se l’intera armata fosse arrivata in Giappone?” chiese Artorias, serio. “Sarebbe incredibilmente grave. Oltre tutto secondo queste iscrizioni i cinquecento diverranno mille, e i mille diecimila. Non avranno mai fine. A quanto pare sono in grado, con un solo frammento di una statua, di animare un’altra statua.” Il gelo. Tutti i presenti sentirono il sangue raggelare, immaginando la quantità mostruosa di soldati che potevano essere creati. “Quanto grande deve essere il frammento di una di queste cose?” Chiese Artorias, preoccupato. “e antiche leggende parlano di circa cinque cun. Si tratta almeno undici cm.” “Questi cosi sono alti circa 165 centimetri, per tutto il resto… sono almeno una cinquantina di soldati per ognuno di questi stronzi.” Alberto intervenne, tanto per rallegrare la situazione. “E l’armata è composta da circa cinquecento soldati. Moltiplicato cinquanta… Scarificandosi tutti creerebbero venticinquemila nemici. Sempre che non conoscendo di loro il modo per crearne di nuovi.” Ranma era rimasto ad ascoltare impotente tutta quella dannata discussione. Kuno era pazzo. Se davvero da ogni soldato ne potevano nascere cinquanta… nemmeno loro avrebbero potuto fare molto. “Bene, allora dobbiamo impedirgli di farlo. Dobbiamo distruggere l’esercito prima che comincino a moltiplicarsi, prima che diventino troppi.” Le parole di Artorias erano dure, serie. Non erano le parole di un ragazzo con una missione. Erano le parole di un generale che preparava una guerra. Ma come cavolo gli era venuto in mente quel pensiero, si chiese Ranma.  
 

Ranma

Era emozionante. Pericoloso, terrificante, molto inquietante, ma emozionante. Certo, si rendeva conto che si trovavano in una situazione pericolosa, e che lei e le sue amiche rischiavano di essere costrette a sposare Kuno (brrrr!) ma le piaceva rischiare. Il pericolo le aveva allontanato tutti i pensieri terribili che gli frullavano in testa, lasciandolo in uno stato di piacevole tensione, ce la costringeva a pensare ad altro. Tipo a distruggere un’orda di soldati di terracotta. Quello di sicuro l’avrebbe distratta. “Allora, cosa facciamo? Assaltiamo il castello di Kuno? Distruggiamo tutti i soldati? Oppure…” Venne interrotta. Proprio da Artorias. “Voi non fate nulla. Ci penseremo noi, non possiamo coinvolgere civili in queste operazioni. Quindi ora tornate a casa, voi due- indicò lei ed Akane - vi chiudete in casa e non uscite per nessun motivo, e tu- indicò Ranma- fermi tutti quelli che cercano di prenderle. Del resto ci occupiamo noi. Ed ora andate a casa. Questa cosa è troppo grande per voi.” disse, prima di farli accompagnare fuori dalle guardie.

Ma che cavolo? Era la più grande avventura di cui avesse memoria (non che ricordasse molto in effetti) e gli veniva negata così, senza se e senza ma. Dannazione! A malavoglia tornò a casa con il fratello e l’amica. Inutile dire che Ranma, terrorizzato ed iperprotettivo, le rinchiuse nella loro stanza. Si, nella stanza sua e di Ranma, in modo da poter controllare meglio il perimetro, o qualcosa del genere. Perfino Ryoga aveva detto che si sarebbe prestato ad aiutare. Così, per generosità. Se, e quando mai ci avrebbe creduto. Ranma era quasi certa che al ragazzo vestito di giallo piacesse Akane, almeno da come la guardava. E comunque ora non era importante. Si sarebbe solo annoiata a giocare a carte con Akane, per tutta la notte. E probabilmente anche per tutto il giorno successivo. Alla fine si addormentano, sia lei che Akane. Vennero svegliate da Kasumi, che le chiamava per la colazione. Trovano un Ranma addormentato, o meglio, svenuto, che sonnecchiava sul tetto. In compenso il telegiornale riportava di molti misteriosi rapimenti, avvenuti tra Nerima e le zone limitrofe. Nulla di nuovo, riassumeva quello che si erano detti quella notte. Certo, suo padre era preoccupatissimo eccetera eccetera, ma non era così importante. Insomma, non c’era nulla di nuovo. E molti pensieri tornarono a tormentare la sua mente. Quella sensazione di vuoto, come di inutilità, torno a riempirle il cuore. E non aveva senso parlare con Ranma, Akane o chiunque altro in quella casa. Erano dolci, simpatici, carini fino alla melassa, ed era evidente che l’amavano, ma ogni volta che parlavano del suo passato sembravano non essere del tutto sinceri. C’era sempre quell’istante di impercettibile esitazione, d’improvviso dubbio, che la lasciava con l’amaro in bocca. Non che non fossero coerenti, erano tutte cose che sentiva di essere perfettamente in grado di fare, ma c’era come un tono di finto in tutte quelle descrizioni, che non le permettevano di credere completamente alle loro parole. Come detto, non che fossero irrealistiche, erano solo… sbagliate, almeno in parte. Mancava sempre quel dettaglio, quel maledetto dettaglio che rendeva tutto strano. Alla fine decise di mettersi il cuore in pace. Non avrebbe ottenuto quello che voleva, non sapeva nemmeno se quelle sensazioni erano reali oppure solo un parto della sua mente smemorata. Chiese di andare a farsi un bagno, ma le venne risposto che poteva andare solo con Akane, e la consapevolezza che Ranma le avrebbe seguite passo passo, anche solo stando fuori dalla finestra del bagno. Odiava sentirsi così controllata. Lei voleva essere libera, libera di fare ciò che voleva e senza limiti di nessun tipo. Si infilò a malincuore nel bagno. Nemmeno la carineria di Akane di aspettarla appena fuori dal bagno, per lasciarle un po’ di privacy, riusciva a darle pace. Non voleva darla vinta a quel bastardo di Kuno. Voleva combattere, voleva combattere come la guerriera che era. Non poteva nascondersi come un topo in trappola. si rifiutava nel modo più assoluto di farlo! Si fece una doccia gelata, nel tentativo, vano, di calmarsi. Il freddo la faceva solo sentire più viva e furiosa. Ora basta! Doveva uscire, non importava il rischio! E poi era giorno, e, visto che in strada no c’era l’esercito a fermare i misteriosi soldati di terracotta, sarebbe anche potuta uscire. A correre, a combattere con Shampoo (si, ogni tanto si scontavano ancora), a stare da sola su un albero, non gli interessava. Non voleva essere rinchiusa li. Le venne un idea folle. Certo, era mezza nuda e fradicia, ma avrebbe potuto farsi dare i vestiti da Akane, asciugarsi alla bell’e meglio e scappare dalla finestrella del bagno. Era sicura di essere abbastanza magra per passare nel piccolo spiraglio. Pazienza se poi si sarebbero arrabbiati, lei non era mica una santa! 

Poco dopo era libera. Incredibile quanto Akane fosse ingenua, aveva creduto alla stupidissima scusa del “Vorrei vestirmi in santa pace.” e le aveva passato tutto quello che le serviva. Si era vestita in un’istante, ed era fuggita dalla finestra. Non aveva intenzione di dire nulla a nessuno, sarebbe solo andata a fare una passeggiata, solo un’oretta, e poi sarebbe tornata indietro. Anche a costo di farsi sgridare ed essere messa in punizione. Fuori era circa mezzogiorno. Il sole le scaldò il viso, e le sembrava che fosse passato un secolo da quando era uscita l’ultima volta, e non poche ore. L’aria era limpida, e decise di andare a fare una corsetta. Si ripromise di restare sui tetti, e di fare attenzione. Se non altro per sentirsi meno il colpa. Però stava bene. Il sole, il vento, gli odori. Tutto questo le riempì la mente ancora una volta. Ancora una volta lasciò che l’istinto la guidasse come faceva le prime volte dopo l’amnesia. Spegneva il cervello e si muoveva. E si muoveva sempre più veloce, facendo acrobazie sempre più pericolose, più furiosa, più automatica. Così veloce che nemmeno la vedevano più. Era un’ombra, una sagoma sfumata nel commento di un bimbo, una figura sfocata in una foto. Estese i suoi sensi per percepire il tutto attorno a sé. Gli occhi non gli servivano. Percepiva l’energia attorno a sé, l’energia emessa da ogni singolo vivente. Era come vedere tutto quello che le stava attorno, ma senza né colori né suoni. Tutto era ovattato, morbido, quasi accogliente. Quello era un mondo esterno a quello reale, ma allo stesso tempo più vero di tanti altri. In quel mondo non c’erano espressioni, ma solo aure che risplendevano dell’emozione di ogni persona. Sembrava di essere in un paesaggio fiabesco, quasi onirico. Alla fine si rese conto di essere fuori da diverse ore. Il sole si era spostato di quasi sessanta gradi (non aveva l’orologio) e questo voleva dire che erano passate almeno quattro ore. Doveva tornare a casa, era strano che non l’avessero già trovata. E strigliata come si deve, per inciso. Corse a casa, non si era allontanata molto, ma si rese subito contro che c’era qualcosa che non andava. Non c’era nessun suono. Non Akane e Ranma che litigavano, non suo padre e il signor Tendo che litigavano a shogi, non Kasumi che canticchiava in cucina. E poi l’odore era diverso. Dalla casa saliva un profumo dolciastro, come di fiori appassiti. Era forte, pesante, annebbiava la mente. La lasciava lievemente stordita. Senza esitazione si strappò un pezzo di gonna e se lo avvolse intorno alla testa, coprendo naso e bocca. Quel profumo, quella sensazione. Kodaci e i suoi sonniferi. Ma cosa diavolo ci faceva, stavolta, Kodaci lì? Insomma, non bastava Kuno a fare il maniaco? Adesso anche la sorella? Nascose la sua presenza e si spostò sul tetto. E li vide. Un elicottero con il logo dei Kuno era atterrato in giardino, e delle figure vestite di nero stavano portando due figure femminili, legare e insaccate. Ad occhio le aveva identificate come Akane e Nabiki. Akane poteva capirlo, ma Nabiki? Che diavolo voleva Kodaci da lei? Poi vide qualcosa di strano. Ranma, a mala pena cosciente, si trascinava verso Akane, coma facesse a resistere al gas soporifero, che probabilmente aveva saturato la casa, non lo sapeva. Ma in fondo era il suo fratellone. Era ovvio che fosse eccezionale. Ma la cosa stana non era quella. Kodaci non gli rivolse nemmeno un’occhiata. Non un urletto, non una moina, nulla. Lo aveva ignorato completamente. Quando lui riuscì a raggiungere la ragazza svenuta ricevette diversi calci in volto. Troppo stordito per reagire, subì l’umiliazione. E Ranma impazzì. Prese un bel respiro e si avventò contro la pazza, trattenendo il fiato. Kodaci aveva una maschera antigas, e gli occhi erano vuoti, fissi e vacui. Era come in trans. Ed infatti combatteva in modo meccanico. Non era in grado di pensare alla difesa, si limitava a subire ed attaccare. Ma era molto più forte del solito, e Ran-chan dovette combattere a lungo e con forza per eliminare le sue difese e metterla a terra. La sua avversaria la colpiva con un frusta, e non con il suo solito nastro. Il peso dell’arma era un problema, ma la sua nemica non sembrava intenzionata a ferirla. La colpiva sulle game, sulle braccia, ma evitava di proposito il voto e il torso. Perché Kodaci evitava di colpirla? La Kodaci che conosceva non si faceva nessuno scrupolo, l’aveva attaccata con bombe, clavette chiodate, coltelli avvelenati, narcotici, droghe, qualunque cosa. E ora che aveva un’arma vera non la colpiva seriamente? Quella non era Kodaci. I colpi della ragazza si fecero sempre più intensi, tempestandola, ma la rossa resistete, evitando i suoi colpi con abilità e maestria. Tentò di provocarla. “Sei lenta Kodaci, che ti succede, sei diventata un bradipo?” chiese, sfottente. Kodaci Kuno perdeva le staffe per molto meno. Ma non quella volta. Quella volta non ci fu alcuna reazione. Poi una frustata le avvolse il braccio. E Ranma si rese conto di essersi distratta troppo per fare quella battuta. Stava per finire a terra, ma all’ultimo riuscì a spaccare un salto, approfittando forza della sua nemica per colpirla con un calcio volante alla bocca dello stomaco. Un colpo molto, molto doloroso, in grado di mandare chiunque a terra a contorcersi dal dolore, ma non ebbe effetto. Certo, buttò a terra Kodaci e le permise di liberarsi della frusta, tra l’altro strappandola di mano alla nemica e gettandola lontano. Poi si rimise in guardia. “Vieni avanti, stangona!” era il peggior insulto che potesse rivolgere a Kodaci, che non era mai stata felice del suo fisico troppo possente per una donna. Ma nulla, Kodaci non reagì, anche se un’ombra passò nel suo sguardo. Poi tentò di colpirla con una raffica di colpi con delle calavette d’acciaio, che Ranma evitò con facilità. La rossa percepiva i colpi della rivale come al rallentatore. Ora che Kodaci aveva perso il vantaggio del raggio non poteva fare altro che tentare di colpirla, ma il piccolo corpo di Ran-chan era fin troppo veloce. Non era come cerare di colpire suo fratello. la rossa si insinuò nella guardia, colpendola la petto e allo stomaco, ma senza sortire chissà quale effetto. Allora si arrabbiò. E fece una cosa che non avrebbe mai fatto. Afferrò il braccio dell’avversaria e torse. Torse fino a sentire le ossa che si spezzavano. Aveva promesso di non farlo mai. Aveva promesso di non causare mai danni permanenti ad un’avversario. Ma la cosa più inquietante fu quando Kodaci si rialzò, con un braccio penzolante, e ricominciò ad attaccarla. Ed allora Ranma smise di preoccuparsi. Colpì la testa, la schiena ed ogni punto sensibile. Non voleva più costringerla da arrendersi. La voleva a terra. E, dopo una lunga lotta, Kodaci finì a terra, svenuta Non aveva mai picchiato qualcuno fino a quel punto. 

Purtroppo nella furia della lotta non si era accorta che l’elicottero era partito. Ranma era a terra, svenuto vicino al punto di decollo dell’elicottero. Non aveva idea di cosa fare. Aprì tutte le finestre della casa, facendo scomparire il gas. Poi portò fuori tutti, stendendoli sul prato. In effetti mancavano Akane e Nabiki all’appello. Cadde in ginocchio. Era a pezzi. Non avrebbe mai immaginato che scomparire la sua famiglia per colpa dei Kuno. Sentì calde lacrime scorrergli sul viso. Si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto. Era uscita da sola lasciando la sua casa sguarnita.  All’improvviso si materializzano  accanto a lei sia Artorias che Elsa. Lui le mise una mano sulla spalla, notando le sue lacrime. “Cosa è successo?” le chiese, preoccupato. “Io… io sono scappata da casa. Volevo solo stare un po’ da sola. Io non volevo che questo… che questo…” il resto della frase si perse in singhiozzi. Sentì un braccio caldo avvolgerle le spalle. “E’ un bene che tu sia scappata. Almeno sei ancora qui, hai visto cosa è successo e hai catturato un nemico. Non hai fatto nulla di sbagliato.” Era Artorias ad abbracciarla. Anche Elsa la stava abbracciando, ma il calore dell’abbraccio era diverso. Sopratutto quando lui si staccò. Lo vide concentrare il ki nelle mani, e poi scatenarlo come una tormenta verso la casa. Nuvole di gas fuoriuscirono dalla casa, spinte da una forza invisibile. Poi il suo ki si spostò verso il resto della famiglia, colpendoli con forza sufficiente per svegliarli dalla catalessi. Tutti aprirono gli occhi all’improvviso. Tutti tranne Ranma, che era a terra a causa della ferite. Aveva un gran numero di contusioni, traumi e tagli. Non era stato colpito da gambe umane. Poco dopo avevano chiamato Tofu, ed il dottore era arrivato sul posto quasi subito. Aveva rimesso in sesto Ranma in pochissimo tempo, e questi, una volta realizzato quel che era successo, aveva fatto qualcosa che la rossa non si aspettava. Si era lanciata su di lei e l’aveva abbracciata forte, molto stretta. Lo sentiva mormorare ringraziamenti a non sapeva chi, maledizioni a Kuno miste ringraziamenti a lei di essere così dannatamente testarda e simile a lui. Per essere sfuggita al suo controllo ed essere rimasta con lui. Ed il vuoto sparì. In quel momento si sentì completamente legata a lui. Prima venne l'amore. L'amore per qualcuno che conosci da sempre e che sempre avrebbe sostenuto, aiutato e protetto. Rabbia. Una rabbia bruciante e assoluta. Una rabbia che avrebbe volentieri usato per distruggere tutto l’esercito di terracotta. Poi le parole di Ranma, convinte, dure come un blocco di acciaio. “Ora non potete più tenerci fuori. La nostra famiglia, la nostra casa. Ora è diventata una questione personale.” E lei gli mise una mano sulla spalla, schierandosi al suo fianco. E con un espressione che non ammetteva repliche. Sul volto di Artorias si dipinse un espressione rassegnata. “Così sia.” disse, chinando la testa e girandosi, facendo cenno ai due fratelli di seguirlo. 
 

Akane 

Akane si svegliò. Era rinchiusa in una stanza, con i polsi e le caviglie legate. Spezzò i legacci senza troppi problemi. Accanto a lei c’era Nabiki, addormentata e legata. Si premurò di svegliarla e slegarla. “Ma dove cavolo siamo?” le chiese la sorella, abbastanza spaventata. “Non né ho la più pallida idea Nabiki, ma eravamo legate e addormentate a forza. L’ultima cosa che ricordo è stata la finestra che si rompeva ed una specie di nebbiolina che riempiva casa. Poi tutto buio.” Le due ragazze osservarono la camera. Era illuminata solo da lucerne e un fuoco vivo in un camino. Le ombre che avvolgevano la stanza, generate dai continui movimenti del fuoco, trasformavano un luogo abbastanza accogliente in un’inquietante prigione. Le due erano stese su di un grande letto a baldacchino, rosso. Tutto era di dannate sfumature di rosso. Era quasi una violenza per gli occhi, tutto quel rosso la lasciava stordita, insieme a Nabiki, che si era messa a guardare il nero della cima del baldacchino. “Secondo me è colpa tua.” disse ad Akane la sorella. “Tu sei come un catalizzatore per guai, attiri gli imprevisti peggio di una calamita. Dovresti stare più attenta alle compagnie che frequenti. Insomma, Ranma è un gran brava ragazzo, ma anche lui attira una marea di guai. Dovresti trovarti un fidanzato meno… pericoloso.” Ad Akane il sangue andò alla testa. Un po’ per l’insulto ricevuto, un po’ perché sua sorella stava minimizzando il suo amore. Insomma, era così arrabbiata che le sputò in faccia la verità. “ED IOVECE GUARDA UN PO’! Nemmeno due settimane fa ci siamo fidanzati, e non siamo mai stati così felici!” Persino la sua fredda, seria e calcolatrice sorella rimase stupita. “Vi siete messi assieme?” chiese, stupefatta. Solo in quel momento Akane si rese conto di cosa aveva detto. Stupida stupida stupida. Ma ormai l’aveva detto, quindi tanto valeva dirle tutto. Le stava cominciando a raccontare tutto quando due manichini di terracotta senza volto spalancarono la porta le prelevarono a forza. Akane era ancora indebolita dal narcotico, e non riuscì a reagire. I manichini le trascinarono per i corridoi del castello, e portandole in una grande sala, con un enorme piattaforma sontuosamente decorata. E, con sommo orrore di Akane, sulla piattaforma, con un fastidioso sorriso di trionfo stampato sul volto. “Finalmente io sono al posto che mi compete. E presto dolcissima Akane anche tu sarai a quello che ti compete, come mia sposa.” poi si rivolse a Nabiki. “Quanto a te, malefica Nabiki Tendo, servirai da cameriera alla mia sposa per il resto dei tuoi giorni!” po fece un cenno ad alcune guardie di terracotta ed esse bloccarono le due, mentre una piantava un piccolo coccio nella nuca. Per un secondo il volto di Nabiki si contasse in una serie di smorfie di dolore, come se stesse combattendo qualcosa dentro di lei, e poi i suoi occhi si svuotarono, divennero fissi e bui. Si inchinò a Kuno, e poi, muta, afferrò Akane con molta più forza del previsto, per poi riportarla nella sua stanza, mentre lei si ritirò in una stanza adiacente. Non emise un suono. Ad Akane si erano fermati cure e cervello. Era sola. Nabiki era diventata una bambola nelle mani di Kuno, e lei era chissà dove, senza poter fare nulla. E senza sapere se Ranma sarebbe riuscito a salvarla. Era troppo. Si accoccolò ad un’angolo e pianse tutte le sue lacrime, fino a svenire, sfinita. 

 

 

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Slve a tutti, mi dispiace per il ritardo. Spero che siano successe abbastanza cose. E di essermi fotto perdonare di due capitoli abbastanza statici. Allora… sono successi parecchi guai, eh? Ditemi, cosa ne pensate? Lasciate una recensione per darmi la vostra opinione e dirmi se vi piace. 

Nel prossimo capitolo capiremo che tipo di lavoro è quello degli Stark.

Grazie a tutti quelli che seguono la mia follia in questa storia, ciao a tutti dal vostro 

Jacob Stark di Grande Inverno

 

 

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Capitolo 14
*** Pronti alla battaglia ***


 

Pronti alla battaglia

 

Ranma

Una mano gentile la svegliò. Si era addormentata sulla spalla di Ranma, e si stupì della cosa. Insomma era dentro ad un elicottero, che tra l’altro faceva una confusione terribile. Doveva essere davvero stanca. Era stato suo fratello a svegliarla, per poi dirle di accendere il microfono delle cuffie. La rossa alzò la mano verso il pulsante piazzato sul lato della grossa cuffia isolante, per premerlo ed attivare l’audio. Stava parlando Artorias. “Allora, ascoltate: i miei uomini hanno trovato una specie di castello ad ovest di Tokyo seguendo i soldati di terracotta, e ci stiamo dirigendo lì. Ora, arrivati sul posto incontrerete le unità d’assalto degli Stark. Non parlano il giapponese, a parte un paio di loro, quindi è inutile tentare di parlarci. Loro prendono ordini direttamente da noi, quindi accettate qualunque cosa facciano. Dunque, ci sono delle regole da rispettare. Farete quello che vi dico, quando lo dico. Nessuna iniziativa personale, nessun atto di eroismo. Da quello che abbiamo scoperto potrebbe esserci dietro qualcosa di peggio perfino dell’esercito di pietra, quindi non rischiate per nessun motivo!” Era stato chiaro, nemmeno lei poteva ignorarlo. Avrebbe dovuto fare esattamente quello che le diceva, stavolta sul serio. Dopo poco il massiccio elicottero nero atterrò su di un promontorio roccioso, e scesero tutti. Con loro c’erano anche un paio di ragazzi di poco più grandi di loro, vestiti di nero e con protezioni d’acciaio su spalle, braccia e gambe. Indossavano anche un elmo di acciaio nero come il resto della tenuta. Portavano armi moderne, come pistole e fucili d’assalto, ma dietro la schiena uno aveva arco e frecce, l’altro aveva una spada e uno scudo. Era interessante l’accostamento, si chiese se erano capaci di usare entrambi con la stessa efficacia. Appena sotto il punto d’atterraggio c’era un piccolo campo base, montato con tende nere e bianche. La cosa che notò è che c’erano sia ragazzi che ragazze. gli uni vestiti di nero e le altre di bianco. L’unico colore comune era l’argento, che sembrava essere un segno distintivo degli Stark. Tutti si stavano esercitando in qualcosa. C’era chi sparava in un poligono, chi duellava con le armi bianche, con praticamente qualunque arma conosciuta. C’era anche chi si allenava nel combattimento a mani nude. E sembrano tutti molto abili. Artorias si diresse verso una tenda più grande, costruita in modo da sembrare una padiglione. Dentro c’era più tecnologia di quanta ne avesse mai vista. Diversi schermi digitali su cui brillavano luci verdi e bianche, alcune mappe sia digitali che cartacee, oltre che dozzine di armi. Un ragazzone enorme ed un esile ragazza si stavano squadrando con aria di sfida. I pochi istanti era scoppiata una lite. Parlavano nel loro dialetto, quindi Ranma non si sprecò nemmeno a cercare di capire cosa diavolo si stessero dicendo, ma sembrava una cosa seria. Lo era abbastanza da far intervenire Artorias ed Elsa, che divisero i due, il primo con una sberla sul collo, la seconda con una seria sgridata. Non si capiva molto, ma avrebbe detto, dalle battute e le gomitate che sembrano scambiarsi gli altri ragazzi, sembrava che tra i due ci fosse qualcosa di inespresso. In effetti sembrava di guardare Ranma e Akane. “Gough! Maledetto zuccone! Le tue liti con Aya possono aspettare! Questo genere di cose le farete a Flott Vinter, non mentre c’è un emergenza di livello A in corso. LE VOSTRE DANNATE SCHERMAGLIE POSSONO ATTENDERE!” Rimase colpita. Era davvero serio quando lavorava. Da quando era iniziata quell’avventura non l’aveva visto sorridere neppure una volta. Osservò gli altri compagni che li avevano seguiti. I loro genitori non sembravano comprendere cosa avevano attorno, anche perché l’antefatto era stato spiegato loro frettolosamente e male. Ryoga era già sparito, perso inevitabilmente. Ukyo si guardava attorno, annusando l’aria e il dottor Tofu, che li aveva seguiti su insistenza di Kasumi, osservava in cerca dell’infermeria, probabilmente curioso di vedere quali medicinali usassero degli ammazzamostri professionisti. Anche le camerieri automi erano con loro, silenziose e serie come al solito. Portavano due enormi zaini pieni di armi e armature. Alberto cercava di fare conversazione in inglese, ma non gli rispondevano se non a monosillabi. Non sembravano scortesi, più che altro… professionali. Poi suo fratello si scrocchiò le dita. “Non è che ci sarebbe qualcuno con cui battersi? E’ da quando che siamo arrivati che mi prudono le mani.” Il gigantone di nome Gough sembrò capire la voglia di Ranma e si mise davanti a lui. Però ricevette un’altra sberla da Artorias, che lo ammonì del fatto che, se avesse voluto accettare la sfida, avrebbe dovuto farlo in giapponese. Gough, con un pesante accento straniero, riuscì ad accettare la sfida. Con un cenno gli mostrò un grande circolo di terra battuta, passandogli poi delle protezioni. Ranma stava per protestare, ma poi Artorias gli spiegò. “Se vuoi combattere devi proteggerti e proteggere gli altri. Non possiamo permetterci di ferirci in nessun modo quindi si arriva ad un compromesso. O così o rinunci.” Ancora una volta il ragazzo era stato gelido come il colore dei suoi occhi. Un po’ a malincuore Ranma accettò. Si infilò caschetto e guanti imbottiti, ingoiò un paradenti si mise in guardia. Osservò quel gigante sfilarsi la corazza, rivelando un fisico così muscoloso da fare impressione. Faceva quasi impressione. “Ancora cuonvinto?”* disse, in un giapponese a dir poco zoppicante. “Provaci!” lo sfidò Ranma. Un’altro ragazzo in tenuta nera si mise a fare da arbitro. Non che gli interessasse più di tanto, ma capiva il bisogno di picchiare qualcuno. Lei aveva già dato. Tornarono alla tenda principale, dove Tofu stava per spiegare il comportamento di Kodaci. “A quanto pare qualcuno le ha infilato un coccio nel collo. Si direbbe un coccio antico, dello stesso tipo di quelli dei soldati di terracotta. Era infilzato nella nuca, vicino al cervelletto. Credo che influenzasse pesantemente la sua mente, privandola della volontà propria. E, da come mi hai descritto il suo comportamento Ranma, direi che l’ha privata anche dell’istinto di sopravvivenza. Il controllo mentale è molto profondo, di solito si spezza con trauma come una braccio rotto.” La spiegazione era chiara, ed anche inquietante. “Quindi perché hanno rapito Nabiki?” chiese Elsa. “Temo per sottoporla allo stesso trattamento, Nabiki vendeva a Kuno foto mie e di Akane per cifre esorbitati, temo voglia vendicarsi.” Ran-chan fece la sua ipotesi, sentendosi un po’ inadeguata alla situazione. Insomma, lì c’erano esperti in pressoché qualunque cosa, la sua ipotesi non poteva valere molto. “Si.” “Probabile” “Quasi sicuramente è quello.” dissero tutti. Rimase piacevolmente stupita di avere ragione.

 

Ranma

Parata, pugno, gancio, montante, calcio rotante, deviazione, parata. Quel combattimento era meccanico. L’avversario, il gigantesco Gough, era una montagna. Colpirlo era come prendere a pugni un blocco di roccia. Solo che se il blocco lo avesse colpito sarebbe andato lui sarebbe andato a terra senza troppe scuse. Una volta il colpo gli era passato ad un centimetro dalla testa e lo spostamento gli aveva fatto paura. Ed oltretutto era pure veloce, il gigante. Certo, non saltava in giro, ma era comunque più veloce di Ryoga. Ed usava lo stesso stile combattimento di Artorias. Solo che Artorias aveva stare più attento in combattimento, mentre Gough era così resistente che non si doveva preoccupare di essere colpito, poteva agevolmente resistere persino ai suoi colpi più duri. Tentò un calcio altro (molto alto) alla gola, ma sbatté contro il massiccio avambraccio destro del gigante, che gli fece un sorriso storto. “Sei avversario più forte che mi capita da molto tempo. E’ grande onore combattere con te.”* Anche lui era un avversario tosto. Ranma si stava godendo il rischio. Anche un solo piccolo colpo era pesantissimo da sopportare. Un fendente, si, un fendente, un colpo di taglio dato con il braccio degno di un colpo di spada, arrivò a segno, colpendolo al fianco. Ranma venne letteralmente spazzato via dalla potenza del colpo. Si piegò e ribaltò, cadendo. Solo grazie al suo allenamento riuscì a non cadere a terra. Si rialzò, sputando a terra. In un salto evitò un calcio, restituendo all’avversario, dritto sulla sua mascella. “Sei preciso ragazzo!” Si complimentò il gigante, che però incassava fin troppo bene. Scosse la testa ed il colpo di Ranma, di norma micidiale, venne dimenticato. Provò un’altro colpo, copiando la stoccata che aveva visto ad Artorias, infilzandosi fra le costole, uno dei punti che lasciava scoperto nonostante la sua guardia di marmo. Il colpo affondò nei muscoli, ma fu una soddisfazione di breve durata. I muscoli si tesero, stritolando le sue dita. Ranma dovette sfilarle. “Copiare le mosse di lord Stark non ti servirà. Nemmeno lui usa più la scoccata contro di me. Lo dice sempre, non si abbatte montagna con coltello.” Ranma spense il cervello. 

Colpo, colpo, parata. Calcio, schivata schivata, parta, pugno. Era così arrabbiato che non pensò nemmeno di combattere nel modo giusto. Aveva smesso di saltare, di molleggiarsi, di combattere con il suo stile. Divenne una macchina da guerra, poco più di un animale. Continuarono a combattere per quasi un’ora, ma senza molti risultati né da una parte né dall’altra. Ranma era troppo veloce e Gough troppo resistente. Alla fine il vociare della folla mise fine al combattimento. Quando Ranma, sfinito, si tolse l’elmetto e sputò il paradenti si rese contro di quanto avessero combattuto. Il sole si era spostato parecchio. Erano arrivarti la mattina era già mezzogiorno. Ingigantisco guerriero, con un sorriso bonario sul volto, si avvicinò a lui. “Complimenti!- gli rifilò una pacca sulla spalla che avrebbe buttato terra una persona normale- Tu sei grande combattente. Se fossi riuscito a combattere come si deve forse avresti potuto battermi. Sempre che io non facessi sul serio. AHAHAHAHA!” scoppiò in una risata fragorosa, e Ranma lo osservò meglio. Oltre alla stazza davvero enorme Gough aveva una massiccia testa squadrata, e la pelle cotta dal sole ed una gran quantità di capelli corti e mossi, di un biondo cenere così chiaro da sembrare grigi. La bocca era enorme, con delle zampe di galline precoci dovute hai molti sorrisi. Gli occhi erano del colore dell’ambra, simili a quelli di un uccello rapace. Aveva le mani grandi come padelle, non si era accorto delle reali dimensioni. E della tendenza a fare lo spaccone. Ma tutti, lì introno, fecero un applauso. Sia maschi che femmine si complimentarono con entrambi, con strette di mano e pacche sulla spalle. Lo guardavano in odo diverso, e se aveva capito come la pensavano gli Stark era perché aveva dimostrata sua forza in combattimento. Non si era limitato a parlare, aveva fatto vedere di cosa era capace. Sempre in un giapponese zoppicante alcuni ragazzi gli indicarono delle tende con accanto delle grosse tecniche, che fungevano da docce da campo. Riuscì a capire di sbrigarsi per risparmiare acqua, ma quello lo avrebbe fatto a prescindere. Non avrebbe certo sprecato così l’acqua, era abituato a stare con le risorse limitate. Dopo una doccia velocissima venne più o meno trascinato da un paio di persone alla tenda principale. Artorias ed Elsa erano curvi su di una mappa, e discutevano con molti dei loro sottoposti. Indicavano punti, spostavano miniature, leggevano rapporti, segnavano punti sulla mappa. Stavano comunque parlando giapponese, quando capì. “Un assedio?” “Si, perché abbiamo il tempo e le risorse.” fu la risposta ironica. “Un assalto?” “Se lo usiamo come diversivo potrebbe funzionare. Ma poi?” “Un infiltrazione. Mentre un grosso gruppo si schiererà e comincerà un breve assedio, concentrando la maggior parte delle truppe davanti, un gruppo di guerrieri scelti si introdurrà dall’altro usando il parapendio, preferibilmente di notte. Il compito della squadra ombra sarà quello di recuperare le ragazze rapite. La squadra d’assalto invece indebolirà l’esercito. Se ci muoviamo bene possiamo salvare tutte le ragazze imprigionate. abbiamo motivo di credere che le tenga prigioniere da qualche parte. Non ce le troveremo davanti, almeno spero.” Artorias aveva appena deciso, tra gente che annuiva convinta o guardava la mappa pensosa. “Gough! Come siamo messi ad esplosivi?” Il gigante, lì accanto sull’attenti, in modo quasi scherzoso,  si fece serio. “Non siamo messi. Dato che non siamo ancora in affari ‘ufficiali’ con il Giappone il governo non ci ha permesso di portare armi di un calibro superiore ad un certo limite. Abbiamo solo del C4, ma nulla che si possa sparare.” Artorias sembrò seccato. “Attaccheremo alla vecchia maniera, di agli uomini di indossare le armature pesanti e di impugnare le armi da impatto. Le lame non saranno molto utili. Frantumategli il torace, il punto debole è lì. Elsa, mi puoi fornire cinque delle tue ragazze? Mi serviranno degli artificieri, e i miei ragazzi indosseranno tutti le corazze.” La bionda fece un cenno d’assenso con la testa. “Vuoi usare il C4 per distruggere le mura, vero?” “Si.” Poi il ragazzo si accorse di Ranma. “Ranma, scusa se non ti sto dando attenzione, ma purtroppo è una situazione da incubo. Tu farai parte, con Elsa e tua sorella, del gruppo di infiltrazione. Mi serve gente abile all’interno, in grado di lottare e tenere a bada Kuno. Noi sfonderemo, ma qualcuno dovrà massacrare Tatewaki prima che noi riusciamo ad arrivare. Poi dovrai trovare Akane, che probabilmente è in un’ala differente del castello. Allora, tutti d’accordo?” Tutti annuirono. E a Ranma si accese un fuoco nel petto. “Aspetta Akane, tra poco sarò da te.”

*Leggete con accento russo 

 

Akane

Venne svegliata da una muta Nabiki. Era ancora accoccolata a terra. Ed aveva ancora paura. Molta molta paura. Provò a reagire, a staccarsi di dosso le mani di sua sorella, ma la forza nelle mani di Nabiki la fece desistere. Se davvero avesse voluto liberarsi avrebbe dovuto usare tutta la sua forza, ma le avrebbe dovuto fare del male. E non era colpa sua se si comportava così, non poteva fargli male. Cioè, non è che volesse permettere a Nabiki di spogliata, lavarla e agghindarla con quegli orribili vestiti da bambola che Kuno pretendeva che indossasse. Si sentiva violata come marpiona di allora. Le mani di sua sorella le si infilavano sotto i vestiti, strappando, lacerando e sfilando. Non era violento, solo molto molto umiliante. Poi gli mise addosso un vestito rosa shocking, tutto fronzoli e svolazzi. Un vestito che fosse in un’altra occasione si sarebbe anche messa, ma l’idea che Kuno la volesse con quei vestito la disgustava. Lo avrebbe volentieri bruciato. Invece non poté fare altro che piegarsi e mettersi quel vestito. Quel vestito che significava aver perso. Essersi arresa a Kuno. Le lacrime sgorgarono ancora. Strizzò gli occhi per fermarle, ma no ci riuscì. Il terrore era troppo. Poi Nabiki parlò per la prima volta. La sua voce era spenta, priva di quella solita nota provocatoria. “Il padrone la desidera per cena. Mantenga un comportamento dignitoso a tavola la prego.” Venne nuovamente trascinata per i corridoi del castello. Provò a ribellarsi, ma ad ogni respiro le sembrava di inalare veleno.  Si sentiva fiacca, debole, addormentata. Come se l’intera fortezza fosse avvolta da un pressante senso d’oppressione. Si ritrovò in una grande sala, dove varie sosia, sue, di Ranma e di Elsa, terrorizzate, servivano. Si vedeva che non erano sotto lo stesso brutale incantesimo di Nabiki, perché tremavano ogni volta che lo sguardo brutale di Kuno gli si posava addosso. Non potendo fare altro tentò di osservare meglio il suo aguzzino. Era diverso dal solito Kuno, idiota ed incapace di controllarsi. Era freddo, feroce, affamato. Ogni tanto metteva le mani addosso alle ragazze, palpandole e infilando le mani in luoghi innominabili. Aveva una gran voglia di spaccare quel ghigno, ma non né aveva le forze. Quell’aria opprimente le risucchiava tutte le energie, come se si introducesse dentro di lei e la riempisse di veleno. Kuno continuò con i suoi vaneggiamenti per tutta la cena, tra pretese di conquista del Giappone, e del mondo, e commenti su quanto i suoi nemici fossero deboli ed indifesi davanti alla sua magnificenza. Akane aveva provato ribattere, citando il primo scontro tra Kuno e Ranma, e del fatto che lui gli avesse scritto scemo in fonte, una cosa così divertente che persino Nabiki sembrò scuotersi per un istante. Kuno però non apprezzò particolarmente, e, in un raptus di furia, le puntò la spada alla gola, affermando che se non fosse stato per la sua perfetta combinazione di bellezza e carattere l’avrebbe eliminata molto in fretta. Qualcosa, come una presenza oscura, le impedì sia di rispondere ancora. Per la prima volta Akane aveva paura di Kuno. Decise di ritirarsi nella sua stanza, dove rimase sveglia a chiedersi come mai non riuscisse nemmeno a rispondere a Kuno. Era quasi l’alba, quando sentì le esplosioni. 

 

Ranma

Mancavano poche ore all’attacco. Il sole aveva da poco superato la metà del cielo, quando Artorias ed Elsa convocarono lui, sua sorella e Ryoga in una piccola radura nel bosco dietro al picco. Uscirono dalle mura fatte di pannelli d’acciaio e sacchi di sabbia che circondavano il campo, e trovarono la radura. Era una radura perfettamente circolare, dove gli alberi si curvavano a creare una grande cupola ombrosa. Sembrava tutto molto poco naturale. Un tappeto di muschio ricopriva ogni singolo centimetro del terreno, emanando un profumo umido. Sei pietre, lisce e piatte, emergevano dal terreno, come cuscini. Un lieve scroscio d’acqua attirò la loro attenzione. Una piccola sorgente sotterranea sgorgava fuori, creando una piccola pozza di acqua cristallina. Qualcuno aveva scavato nel terreno per creare uno strano percorso, che, osservò Ranma, era uno stano simbolo, un otto messo storto. Poi, dal nulla, avvertì tre potentissime aure. Il Ki emesso da loro lo avvolse, come una coperta. Poi li vide. Elsa, Alberto ed Artorias erano seduti agli angoli della radura. Erano loro ad emettere tutta quell’energia spirituale. Era impressionante. Come riuscivano ad emetterne tanta? Chiunque la posto loro sarebbe svenuto. Poi la concentrazione dei tre si spezzò. “Benvenuti. Questo è un circolo sacro, un luogo in grado ci concentrare le energie naturali. Non abbiamo molto tempo, quindi quello che faremmo in anni di allenamento dovremmo farlo in poche ore. Useremmo i flussi di energie naturali per costringere il vostro Ki a fuoriuscire liberamente dal corpo. Questo vi concederà di usarne il vostro Ki al massimo, senza alcun limite. Voi siete già in grado di manipolare il Ki, quindi non farete fatica a controllarlo, ma dovrete stare attenti. Non sarà proprio piacevole, e all’inizio farete una fatica a dir poco infernale. Siete disposti a rischiare?” Tutti e tre annuirono. Ranma era disposto a tutto per salvare Akane. Se avrebbe dovuto usare tutto il suo Ki era ben disposto a farlo. Si sedettero sulle pietre, alternandosi tra chi doveva essere influenzato e chi doveva influenzare. “Concentratevi su di voi, sulla vostra forza interiore, sul vostro Ki.” Ci furono un altro paio di altri avvertimenti, ma il più preoccupante fu quello di Artorias. “Farà molto male. Molto molto male”. Il rituale cominciò. E Ranma sentì il dolore. Era come se avesse ami piantati in ogni poro del corpo, che tiravano per  strappargli la carne.  Il dolore era immane, ma Ranma resistette. Non c’era dolore abbastanza atroce da fargli dimenticare la sua Akane. Il lacerante dolore continuò per un tempo indefinito, durante il quale Ranma avvertì ogni singolo centimetro del suo corpo venire rivoltato, lacerato e strappato. Il dolore lo rese cieco, sordo e annientato. Era come annegare. Poi tutto finì. In un ultimo, tremendo strappo, tutti gli ami vennero estratti dalla sua carne, lasciandogli un senso di bruciore misto a sollievo. E poi lo sentì. Tutta la sua energia stava uscendo dal suo corpo, non più trattenuta dai suoi limiti naturali. E fece ciò che sapeva. Fermò la fuoriuscita incontrollata, imbrigliando il Ki introno a lui, come una coperta di morbida energia. Era caldo, piacevole. Poi La mosse. Lo aveva fatto dozzine, centinaia di volte, ma mai con tutta quell’energia insieme. Mandò la forza nelle gambe, percependola appieno. Probabilmente avrete potuto saltare diversi metri in quel momento, ma rimase fermo al suo posto. Sentiva che spezzare la concentrazione del circolo sarebbe stato sbagliato. L’energia che prima lo stava dilaniando ora lo accoglieva, rassicurante. Era come un possente flusso, qualcosa di incontrollabile e primordiale. Aprì gli occhi. E la vide. Era come se intorno a lui fosse scoppiato un’incendio. Il Ki che avvolgeva gli alberi era come un sottile strato che avvolgeva i tronchi, per poi affondare nella terra. Ogni singolo essere vivente, dagli scoiattoli sui rami alle formiche su terreno bruciava di vita, abbagliandolo. Più un animale era intelligente ed energico più energia emetteva. Ed intorno a lui cinque possenti fiamme avvolgevano i suoi amici. Quelle di Artorias, Elsa ed Alberto erano più controllate, mentre quelle di Ryoga e Ranma erano più selvagge e feroci, ma per sua sorella questo sembra dipendere più dai suoi sentimenti che dal poco controllo. Ryoga boccheggiava dalla fatica, mentre Ran-chan era serena e tranquilla. Persino lui era affaticato, controllare tutto quel Ki era molto faticoso, ma lei sembrava controllarlo e manipolarlo con una naturalezza sconcertante. In pochi istanti la domò il Ki, mentre lui ci mise dieci minuti buoni. Quelle che gli erano sembrate ore in realtà erano stati istanti, istanti in cui erano diventati infinitamente più potenti. Tutti si alzano. Artorias, quasi a dimostragli quale fosse la reale potenza del Ki. Rilasciò tutta la sua energia, avvolgendosi in un unica grande vampa. Per un secondo la sua reale natura, ben più furiosa e selvaggia di quella che mostrava si rivelò. L’ombra di un gigantesco lupo apparve alle sue spalle, come proiettata dall’aura. Quella di Elsa invece era simile ad un enorme iceberg. Massiccia, rigida, tagliata come un gioiello. Eppure così etera. Quella di Alberto invece era ancora indefinita. Tuttavia sprigionava una potenza incredibile. Poi si rese conto di aver sforzato fin troppo il suo corpo e svenne. 

Si svegliò poco dopo, in una branda, solo. Accanto lui c’era Artorias, che aspettava il suo risveglio. “Vi abbiamo divisi, per spiegarvi meglio le vostre nuove capacità. Ora siete molto più forti di prima, ma te ne sarai sicuramente accorto da solo. Ora prova ad eseguire questi semplici…. esercizi. Chiudi gli occhi, e sposta il Ki. Inizia dagli occhi.” Una lunga, faticosa serie di esercizi gli impegnarono tutto i pomeriggio. Capì come spostare l’energia nelle varie parti del corpo in modo più naturale e facendo meno fatica. Gli insegnò ad utilizzare il Ki per vedere la presenza altrui, ignorando l’energia naturale che circondava ogni cosa. Riuscì a vedere solo ombre confuse, ma Artorias gli assicurò che sarebbe migliorato con un serio allenamento. Senza tanti complimenti lo costrinse ad usare solo il Ki per muovere il corpo, senza usare i muscoli. Lo obbligò addirittura ad una serie di figure di tai chi, fatte lentamente e con pazienza. Ranma si pentì parecchio del combattimento fatto con il gigantesco Gogh. Era stata davvero una giornata faticosa, quindi lui gli consigliò di dormire almeno poche ore, per recuperare almeno un po’ di energie. Ranma si sdraiò, chiuse gli occhi, pensando: giusto per un secondo. E sprofondò nel sonno. Venne svegliato da una delle ragazze di Elsa, vestita completamente di nero, addirittura erano stati tolti i simboli argento degli Stark. Aveva gli occhi freddi, come schegge di ghiaccio. Ranma si alzò, e, attraversando il campo, poté osservare molti dei ragazzi di prima indossare pesanti corazze di metallo, impugnare grandi scudi quadrati e legarsi alla cinta pesanti mazze da guerra. Sembravano davvero un piccolo esercito pronto a combattere. Il lontananza il possente Gough tendeva un enorme arco, alto quasi come lui. Usava delle frecce a dir poco enormi, alte quasi un metro, e spesse come un bastone da passeggio. Chi avrebbe mai detto che quel gigantesco guerriero fosse un’arciere. Certo, piantato nel terreno accanto a lui c’era un enorme randello di metallo a forma di teschio, ma non era sicuro di che animale fosse. Il bestione lo salutò con un cenno del capo, facendo vibrare la corda dell’arco come se fosse la corda di un’arpa. Nel buio rischiarato solo dai falò,  gli avevano detto che faceva più atmosfera, percepiva l’eccitazione per la battaglia. Percepiva a voglia di combattere, talmente densa che si tagliava con il coltello. Era un’atmosfera inebriante, e, in un’altra situazione, avrebbe volentieri partecipato alla battaglia campale, ma lui doveva salvare Akane, e nulla era più importante. Alla tenda principale  si stava litigando. Di preciso si litigava sulle assegnazioni per la battaglia. Ryoga non era molto d’accordo con l’idea di mettersi a combattere nella battaglia campale. Voleva andare a cercare Akane. “Ryoga, sarà un miracolo se non ti perdi mentre vai dritto per dritto al castello, ma cosa ti succederebbe se entrassi nel castello? Ti perderesti in tempo zero, ed a qual punto saresti inutile.” lo fermo Ranma, che era stufo marcio di Ryoga e delle sue polemiche idiote. “Sta zitto Ranma! Tu cosa ne puoi sapere di quello che provo per le…” Quelle parole fecero infuriare Ranma abbastanza da fargli rilasciare un onda di energia spirituale abbastanza potente da zittire Ryoga, che, calmatosi, osservò meglio la situazione e capì che nessuno gli avrebbe dato retta. Poi Artorias riprese la parola. “Bene, se abbiamo finiti di fare gli idioti, vorrei che facessimo il punto della situazione. Dunque, io e Gough guideremo il battaglione per l’assalto frontale, coadiuvati da Alberto e Ryoga. Il nostro obbiettivo è distruggere tutti i soldati di terracotta, tutti. Non ne dovrà restare integro nemmeno uno, quindi dì ai ragazzi di non trattenersi Gough. E spara le frecce al C4, di quello ne abbiamo, vero?” Il gigante, sorrise. “Certo, si può importare come materiale per demolizioni edili, quindi ne abbiamo quintali, al contrario di tutti gli altri esplosivi che sono considerati armi. Valle a capire queste leggi.” disse, sghignazzando. In effetti Ranma aveva notato degli strani quadrati attaccati alle frecce del gigante. Quindi era esplosivo? Forse, se quelle frecce sarebbe piovute dal cielo durante la battaglia, sarebbe stato positivo non essere in mezzo la campo a rischiare di essere bombardati. Sorrise. Era impressionate tutto quello spiegamento di forze per una cosa così assurda, ma era felice di essere lì. Poi uscì dalla tenda, seguendo Elsa ed alcune ragazze in nero, insieme sua sorella. Avevano lasciato l’accampamento nel buio e si erano diretti verso il castello. Appena dopo il picco del colle lo avevano visto. Era veramente grande, costruito in stile giapponese, ma mancavano molte parti e c’erano cantieri aperti ovunque, con addirittura buchi nei muri pezzi di muro difensivo mancanti. Inoltre Ranma non si intendeva di castelli, ma quei pochi che aveva visto in giro nei suoi viaggi erano messi su basi molto alte, e circondati da fossati. Quello invece aveva solo dei muri pieni di buchi. Erano davvero fortunati, o i soldati erano degli incapaci oppure loro erano stati più veloci, ed erano arrivati prima che il castello e le sue difese fossero completate. Si arrampicano su di un’alta rupe che dava sul retro del castello. Ranma non l’aveva notato subito, ma gli occhi delle statue emettevano un fievole bagliore, non forte, ma abbastanza perché i loro sensi iper allenati rendessero i nemici ben visibili. Anche tutte le altre sembravano in grado di vederli. Elsa fece cenno di nascondersi, e tutte le guerriere fecero svanire il Ki. Anche lui e sua sorella fecero lo stesso. Poi si appostarono. E, meno di un’ora dopo, con una luna al tramonto, li sentì. Marciavano pesanti, senza preoccuparsi di nascondere la loro presenza. Poi si fermarono al limitare della foresta, le armature che scintillavano nella poca luce naturale. Un corno suonò, e due frecce enormi si lanciarono nel cielo nero. Poi atterrarono sulle mura, esplodendo e frantumando tutto quello su cui atterravano. E poi continuarono a piovere frecce sulle mura. Le esplosioni lo assordarono, ma proprio in quel momento Elsa fece loro un cenno, e si lanciò di sotto, verso in castello, usando il Ki per atterrare senza farsi male. Dopo di lei le ragazze la seguirono. Ranma le seguì, ed il codinato,  gettandosi per ultimo, riuscì a vedere il piccolo esercito Stark uscire dal foresta compatto, una muragli dai scudi semovente. Il solo che si distingueva era Artorias, che impugnava una spada lunga quasi due metri. Era impressionate, ma non si fece distrarre. Si buttò sulla fortezza, pronto a tutto per salvare Akane. 

 

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Ciao a tutti. Mi auguro che il capitolo vi piaccia, mi scuso per essere in ritardo e mi scuso ancora perché non potrò aggiornare per un po' di tempo, quindi non so quando aggiornerò di nuovo. Vi prego altresì di lasciarmi una piccola rercensione per sapere  cosa pensate della storia, ciao a tutti da 
Jacob Stark di Grande Inverno

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Capitolo 14
*** Cap 14 E la polvere si posa ***


E la polvere si posa


Ranma

Gli stretti corridoi del castello erano invasi dal fumo delle fiaccole, che soffocava ad accecava. Ringraziò che li avessero forniti di un passamontagna per filtrare il fumo, o avrebbero soffocato. Si fecero strada per i cunicoli, frantumando con pugni, spade e mazze tutti i guerrieri che gli si paravano davanti. Eliminarli con il Ki era semplicissimo, dato che un conto era rompersi una mano contro la terracotta, un alta era spazzarli via con la sola energia. Ranma era ancora più incredibile di lui. Riusciva addirittura emettere colpi quasi solidi, ed era un’autentica furia. Era davvero incredibile come quella ragazza scatenasse un potere a dir poco devastante. Anche le ragazze di Elsa non scherzavano. In particolare Cyiaran, che impugnava spada e coltello e frantumava chiunque fosse così stupido da mettersi sulla sua strada. Lui non aveva mai visto nulla di simile. 

Girarono per interi minuti nell’inutile ricerca di Akane, ma nulla.  Il castello era tanto incompleto quanto intricato. Ispezionarono numerose stanze, in gran parte poco più che vuote celle di mattoni di fango. Poco a poco, risalendo la struttura, le stanze diminuivano di numero, ma aumentano di lusso. Elsa sembrava seccata. “Ha davvero nascosto la principessa nella torre più alta? Ci dovremmo sorbire anche un drago?” Ranma sperò seriamente che stesse scherzando. Lui era bravo, ma un drago era un po’ troppo anche per lui. Presto le esplosioni che stavano facendo a pezzi il castello si intensificarono. “Dobbiamo sbrigarci, presto di questo castello non resteranno che un mucchio di rovine fumanti.” disse Elsa, seccata. 

Improvvisamente un paio di esplosioni arrivarono troppo vicini, facendo crollare parecchi muri. E lo videro. Quel cretino di Kuno, agghindato come un imbecille, almeno secondo Ranma. Indossava un’armatura giapponese completa, tranne il ridicolo elmo, tagliato per lasciar uscire il suo assurdo ciuffo di capelli. Tuttavia qualcosa fece rizzare i peli sui collo di Ranma. C’era qualcosa dietro a Kuno. Non era qualcosa di materiale, ma una presenza. Fece uno sforzo. E lo vide. Un essere con corna e zanne, che indossava un’armatura antica. Emanava una quantità di energia negativa inimmaginabile, era come un’onda di marea che travolgeva tutto ciò che era attorno a lui. Poi sentì una specie di rintocco. Una potente energia spazzò via quell’oscurità, facendolo respirare nuovamente. Elsa aveva in qualche modo depurato il Ki attorno a loro, con un’onda di energia pura. “E’ tutto tuo Saotome. Noi cerchiamo le ragazze rapite.” disse la ragazza, sparendo con le sue ragazze e sua sorella, che sembrava un po’ infastidita dal non andare a cercare Akane, ma venne trascinata dal gruppo. 

Kuno lo guardò, ma non sembrò riconoscerlo. Ranma per un secondo si chiese perché, poi si ricordò che gli Stark gli avevano prestato una delle loro corazze, in vista del fatto che probabilmente Kuno aveva una spada vera, e non il solito bastoncino. Tirò via il cappuccio nero, ed ebbe la soddisfazione di vedere Kuno furioso. Gli sembrò di vedere che anche l’essere misterioso, simile ad un Oni, infuriarsi. Kuno si avventò su di lui, brandendo la strana spada bipenne, tutta decorata, che sembrava emanare oscurità. Ranma schivò con agilità sovrumana, infondendo il Ki nel suo corpo, poi si rimise in guardia, pronto a combattere. 

Il primo fendente fu devastante. Un colpo così potente da tranciare in due un pezzo di soffitto, da cui venne giù… un tornado di biancheria intima femminile. -Ma perché finisco sempre sepolto dalla biancheria?- si chiese Ranma. Poi si rese conto di una cosa. Una cosa che lo fece incazzare come non mai. C’era una sola persona a cui potevano essere destinate quelle cose. Ed era Akane. Il successivo fendente sarebbe stato micidiale, ma Ranma, in un raptus di furia, spinse via la spada, e colpì, con un pugno a braccio teso. Non si preoccupò nemmeno, come era stato avvisato, di stare attento alla quantità di Ki infusa. Si limitò a scaricare, con tutta la sua rabbia, un colpo micidiale. Che in effetti spedì Kuno contro la parete, facendogli incrinare uno dei muri. Aristocrat-Kuno non rispose nemmeno. Si limitò ad attaccare ancora, combattendo come un automa. Peccato che fosse fin troppo bravo. Ranma dovette seriamente impegnarsi per evitare di essere fatto a fette. Colpì il suo avversario sfruttando un’apertura nella strategia suicida di Kuno. Un colpo di taglio che avrebbe steso chiunque, tranne il suo avversario. Tatewaki fece un mezzo giro, colpendolo con un calcio in pieno petto. L’impatto fu talmente forte ed inaspettato che fece volare Ranma dall’altra parte della stanza, svuotandogli del tutto i polmoni, facendolo annaspare in cerca d’aria. Sentì il sapore metallico del sangue in bocca. Un altro colpo del genere e sarebbe stato troppo stordito per evitate i fendenti di Kuno, si disse, saltando per evitare un colpo diretto alle sue gambe. E poi capì. Capì come usare il suo Ki. Concentrò l’energia, immaginando che sotto al suo piede si formasse una piccola piattaforma, fatta d’aria, ma abbastanza densa da appoggiasi. Si spinse, scattando e rimbalzando fuori dal raggio della spada di Kuno. Approfittò del breve momento di stupore dell’avversario per ricomporsi. Se poteva manipolare i Ki in quel modo, allora forse poteva sfruttare al meglio la cosa. Immaginò di nuovo quella coperta che lo aveva avvolto la prima volta che aveva risvegliato il Ki. Poi si concentrò, immaginando di indossare una corazza come quella che aveva indossato a casa di Artorias. Al tempo gli era sembrata pesante e scomoda, ma, se non avesse avuto tutto quel peso e tutte quelle giunture scomode, avrebbe apprezzato la protezione offerta. Artorias gli aveva spiegato che la corazza europea era fatta per proteggere dalle lame che, agitate in battaglia, rimbalzavano sul metallo. Difficilmente in battaglia qualcuno eseguiva un affondo, troppo tempo per eseguirlo, e troppo scomodo per colpire nella rissa. Lo faceva quasi ridere che tutta o quasi la tecnica di Kuno era composta da fendenti. Il colpo successivo quasi certamente lo avrebbe menomato, ma la protezione del braccio resse. Quasi non ci credeva nemmeno lui, ma il fendente dell’avversario era rimbalzato sull’invisibile armatura che avvolgeva. L’unica cosa che percepì fu un netto calo di energia, come se il colpo fosse stato bloccato più di una volta. Capì che poteva sostenere pochi colpi prima di che la corazza svanisse e lui si ritrovasse senza forze. Si rimise in guardia. Evitò l’ennesimo colpo, e passò all’offensiva. Afferrò la lama con le mani, fermandola con una presa che gli aveva mostrato, per assurdo, suo padre. Gli aveva spiegato che la loro scuola di arti marziali credeva fermamente nel concetto combattimento disarmati, e perciò doveva essere in grado di bloccare qualunque arma, da una spada a una freccia.  

Bloccò la lama, spostandola di lato e tirando una testata, altra cosa poco raffinata, ma aveva capito che non era il caso di fare il galantuomo in questo particolare caso. Questa stordì Kuno, facendolo vacillare per un secondo, abbastanza perché Ranma mettesse a segno la sua tecnica delle castagne. Ma ci si mise con intelligenza, cercando di colpire i punti deboli, le articolazioni, le parti molli e gli organi scoperti. Era immensamente più difficile che colpire a caso come al solito o anche solo che colpire un punto solo, ma Ranma sapeva che doveva mettere Kuno fuori uso il più presto possibile. Altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Quando finalmente si fermò si accorse di quanto mantenere il Ki fosse faticoso. Aveva il fittone, e si sentiva come se avesse appena fatto un’allenamento intensivo di diverse ore, ma Kuno era a terra, e nonostante stringesse la spada in modo quasi compulsivo, era inerme. Sapeva di avergli spezzato i polsi, come di avergli causato almeno paio di traumi interni più o meno gravi. Sapeva di aver sbagliato. E si sentiva male all’idea di ciò che aveva fatto. Non era per questo che gli erano state insegnate le arti marziali. Ma aveva anche capito una cosa. Al confronto di perdere la persona che ami il tuo onore è solo merda. Mentre si ergeva sul nemico sconfitto, incapace di rialzarsi, si rendeva conto di quanto fosse stupido. Ma mancava ancora qualcosa. La spada perse a vibrare, e si alzò. Dal corpo di Kuno uscirono dei fili di fumo nero, che lentamente si radunarono intorno alla lama, componendo, a poco a poco, un’ombra sempre più simile a quella di un corpo. Nell’istante in cui il corpo il viso prese forma Ranma lo riconobbe. Era identico all’essere che aveva visto, per un istante, troneggiare su Kuno. Si rimise in guardia. Una voce cavernosa, simile ad un rasoio che graffiava la roccia, venne fuori prima dalla spada e poi dalla figura. “Complimenti guerriero. Hai sconfitto questo miserabile,  ed ora… Io ti ucciderò, ed il tuo corpo sarà mio.” Ranma non capì nemmeno cosa stava succedendo. Sapeva solo che doveva vincere. Ma l’attacco dell’avversario fu terribilmente potente. Il mostro gli diede una volgare manata, ed il colpo sbalzò il ragazzo con il codino contro un muro. Un colpo del genere Ranma lo aveva incassato migliaia di volte, ma mai da così stanco, e mai con una potenza così immane. “Non puoi sfuggire al demone Qin Shi Huang! Sarai mio. Ti lascerò in vita quel tanto che basta a vedere la sua famiglia e quei moscerini alle mie porte fatti a pezzi dal mio esercito. Ranma era stanco, esausto. Aveva il terrore di non riuscire a trovare Akane. Evitò l’ennesima spadata rotolando di lato, evitando di essere fatto a fette per pochi centimetri. Poi un’esplosione, il muro alle loro spalle che crollava, e tutta l’oscurità della stanza veniva spazzata via, risucchiata da un vortice d’aria fresca. La luce dell’alba si stagliava all’orizzonte, come se il sole non vedesse l’ora di epurare l’oscurità di cui era pregno il castello. Ed in mezzo alle macerie si ergeva Artorias, che ora impugnava una claymore simile a quello con cui si erano allenati, ma che riluceva in modo innaturale. Il ragazzo puntò la spada verso il demone, e disse una sola parola: “Purgat” la sussurrò, come se non fosse altro che un suggerimento, ma nella sua voce si avvertiva una volontà d’acciaio. E le tenebre venero definitivamente debellate. Ranma si sentì improvvisamente tornare le forze. “Valla a cercare, a lui penso io.” disse Artorias, alzando la guardia della spada e preparandosi al duello. 

 Ranma, nonostante conoscesse quel tipo da poco più di tre giorni, si fidò. Saltò verso il piano di sopra attraverso il soffitto crollato, vedendo con la coda dell’occhio Stark che caricava il demone, e che lo travolgeva. La voce raschiante dell’essere sibilò in cinese: “Wǒ huì shāle nǐ”*. Negli occhi di Artorias si accese una scintilla. “AD MORTEM!”** urlò, gettandosi contro l’avversario. Ma non importava. Sentiva di potersi fidare di lui al cento per cento. Ora ciò che doveva fare era trovare Akane. 

 

*ti ucciderò **a morte (non credo servisse tradurlo) 

 

Akane

Le esplosioni si intensificavano di minuto in minuto. Ogni secondo che passava le sembrava che si avvicinassero. Le guardie erano scomparse, ma la sensazione di pesantezza che la paralizzava invece non accennava nemmeno a diminuire. Poi aveva avvertito un’esplosione di energia che le ricordava qualcuno, e la sensazione era scomparsa. Nabiki, che fino a quel momento era rimasta immobile ed impassibile, aveva avuto uno brivido molto simile ad una scossa. “Nabiki?” accennò la ragazza, preoccupata. La sorella si era rimessa in equilibrio, me sembrava stordita. Akane, che sapeva di dover fare qualcosa per lei, le si avventò contro, sperando di immobilizzarla senza farle male. Senza quella pesantezza le fu facile sopraffare Nabiki, che, tra l’altro, non era poi così combattiva. Sembrava una sonnambula. Poi la mise a terra, facendola svenire con pochi e precisi colpi. In realtà non sapeva quanto le dispiacesse, con tutte le volte che Nabiki le aveva creato problemi e simili. Poi le osservò meglio il collo. Per un caso notò che, nella lotta, i capelli di Nabiki si erano spostati, lasciandole scoperta la nuca. Alla base del collo, all’altezza del cervelletto, c’era piantata una scheggia di coccio. Ci mise poco a fare due più due, e, senza pensarci, strappò la scheggia dal collo della sorella, che prima ebbe un sussulto, e poi rilassò i muscoli di botto, come se ora fosse effettivamente svenuta, mentre prima sembrava un manichino caduto a terra. Akane la scosse, ma lei sembrava beatamente addormentata. Akane si sentì leggermente sollevata. Sembrava che sua sorella stesse meglio. Bene, ora doveva solo trovare l’uscita. Provò a colpire la porta con un calcio, ma si rese conto di essere intrappolata nei suoi fin troppo vaporosi vestiti. Li stracciò dove le dava fastidio. Non le piaceva che Kuno le mettesse addosso quel suo sguardo da viscido pervertito, ma doveva avere le gambe libere per dargliele, e quello era l’unico modo. Poi colpì la copra con un calcio, ma non servì a nulla. Qualcosa fermava i suoi colpi prima che riuscissero ad impattare contro spessa porta di legno, un retaggio tutt’altro che giapponese. La ragazza provò e riprovò, ma senza successo. Stava cominciando a pensare di staccare qualche pezzo di letto e usarlo come se fosse un’arma, quando udì qualcuno che gridava il suo nome. “AKANEEEE! AKANE DOVE SEIIIII!” la voce era inconfondibile. “RANMA! SONO QUIIIII!” urlò di rimando, sperando che la sentisse. “AKANE, SEI TU?” continuarono così per un po’, finché il suo ragazzo non la trovò. “Akane, sei li dietro?” gli chiese, attraverso la porta. “Si, ma non riesco a buttare giù la porta.” “Cos’è, t’è sparita la forza maschiaccio?” Akane sentì la rabbia aumentare. Ma che faceva, sfotteva? “Ranma, ringrazia che la porta è completamente bloccata, altrimenti io ti, ti…” “Aspetta, bloccata come?” “Non lo so, non riesco nemmeno a toccarla.” “Togliti da davanti la porta e riparati dietro a qualcosa di pesante. C’è anche Nabiki li?” “Si.” “Mettila al riparo.” poi un attimo di silenzio. Un improvvisa onda di energia. Le ricordava qualcosa. Poi un grido: “Sankon-Tessou” e la porta venne fatta a fette, tagliata in tre parti. “Akane!” la ragazza, nel vederlo, sentì mancarsi il battito. Gli si buttò al collo, piazzandogli un bacio sulle labbra. Peccato che tutto si aspettasse tranne che il risveglio di Nabiki. “Mhhh… Dove sono? Perché sono sdraiata per terra? E che ci fate voi due avvinghiati così? Non mi dire che…” Ad Akane venne una gran voglia di darle una botta in testa per farla dimenticare tutto, ma non poteva farlo. “Nabiki, Kuno ti ha rapita, ti ha controllato la mente e costretta a fare chissà cosa. Io mi preoccuperei di altro che degli affari miei e di Akane.” disse Ranma, che la strinse a se, facendo salire un brivido di piacere su per la schiena di Akane. “C-cosa? Dove diavolo siamo?”. Una volta tanto era Nabiki a non avere parole. “Allora, andiamo?” chiese lui, tranquillo, aiutando anche Nabiki ad alzarsi. “E’ meglio se ci sbrighiamo, sento le esplosioni avvicinarsi.” disse Akane. “Si, è meglio. Credo che Gough si stia divertendo un po’ troppo” “Chi?” “Lascia stare Akane, scappiamo” Disse, caricandosi le sorelle in spalla e correndo a più non posso. Akane sentiva distintamente la mano di Ranma appoggiata sul suo sedere, ma decise di ignorarla. Avrebbe picchiato dopo quello stupido. Alla fine trovarono un buco nel muro, e Ranma si buttò giù, in quello che sarebbe sembrato un salto suicida. Ma Akane non si preoccupò. Per qualche motivo sapeva di potersi fidare. Poi vide uno spettacolo assurdo. C’era un campo di battaglia disseminato di detriti, con un piccolo esercito di gente in armatura che finiva di maciullare soldati di coccio, armati di mazze e scudi. Portavano simboli e vessilli simili a quelli dei fratelli Stark. Sul campo c’erano anche Alberto e Ryoga, anche loro impegnati con le ultime pulizie. In particolare Ryoga continuava a prendersela con uno particolarmente grosso, facendolo esplodere a più riprese. Chissà come mai. Atterrarono senza scossoni, in modo quasi innaturale. E, la prima cosa che fece Akane, davanti a tutti, fu baciare Ranma. Era da troppo che non riceveva quel contatto, e poi erano stati interrotti da Nabiki, e le cose a metà non gli piacevano. E fu uno dei baci migliori. Intenso, dolce, un bacio dato per ringraziare e dimostrare a tutti quanto lei e Ranma fossero innamorati. E lui ricambiò. Eccome se ricambiò. Akane sentì dei singhiozzi sconsolati. Si guardò attorno e vide un Ryoga in lacrime. Chissà perché era così sconsolato. Poi l’ennesima esplosione frantumò l’ennesima parete, facendo uscire un gruppo di ragazze in nero, tra cui riconobbe subito capelli fiammeggianti di Ran-chan, che le si buttò addosso, abbracciando anche Nabiki. In fondo si vedeva era contenta di sapere anche quella profittatrice pettegola. Poi Ran-chan li guardò, e, vedendoli abbracciati, chiese “Ragazzi, tutto bene? Così vi vedranno tutti!” Ranma le rivolse un ghigno divertito. “Chi? Kuno è K.O.,  a Ryoga l’ho detto e i nostri genitori sono al campo base. Quindi nessun problema.” Indicò verso l’alto, dove Artorias, con una mano trascinava Kuno, mentre nell’altra aveva una spada, quella di Kuno. Lasciò Kuno, e poi estrasse la sua spada da dietro la schiena. La lama, che riluceva fulgida nella luce dell’alba, calò sulla spada di Kuno, frantumandola. Akane percepì come un rintocco, ma non sentì nulla. Di fatto tutti i soldati si spensero, tornando ad essere immobili statue di terracotta.  I misteriosi cavalieri continuarono però nella loro opera di distruzione, frantumando ogni singolo soldatino di coccio. Anche Akane si prese il piacere di frantumare un paio di loro. Aveva un gran bisogno di sfogarsi. Poi si accorse di quanto era stanca, e quasi crollò a terra. La sostenne il suo fidanzato, che però sembrava anche più a pezzi di lei.  Poi Elsa, insieme a molte ragazze, vestite di nero, li condusse al campo. Era un posto particolare, pieno di grandi tende bianche e argento. Era quasi vuoto, fatta eccezione per una manciata di guardie. Quasi tutti si inchinarono ad Elsa, mentre, poco dopo, si misero a scherzare e congratularsi con tutte le altre ragazze. Ed Akane provò un po’ di pena per lei. Capiva perché la ragazza dagli occhi di ghiaccio, quando erano diventate amiche, era così felice. Lì era una principessa, e, a quanto aveva capito Akane, anche un comandante militare. Era un capo, e come tale era rispettata, amata e anche un po’ temuta. Non aveva mai avuto vere amiche. Ma in quel momento era troppo contenta di essere salva e di essere con Ranma per pensare a quelle cose, quindi si limitò ad abbracciare suo padre e a fare quelle che le veniva ordinato. Ovvero salì sull’elicottero e li si addormentò, inconsciamente appoggiata a Ranma.

Fece sogni dolcissimi, e si svegliò nel suo letto, con Ran-chan accanto. Un po’ le dispiacque, avrebbe gradito anche dormire con la controparte maschile dell’amica, ma l’idea che i loro genitori scoprissero qualcosa la spaventava ancora. Poi un grido disumano le raggiunse dal piano di sotto. Sembrava quello del signor Genma. Poi un’altro urlo, quello di Ranma, che si susseguì ad una serie di commenti poco garbati sulla scortesia del padre, ma Akane non ci fece caso. Ormai si era abituata ai modi di fare di quella strana famiglia, e poi aveva ancora sonno. Si accoccolò meglio si riaddormentò. Quando si svegliò accanto a lui c’era un biglietto. Sopra c’era una faccina sorridente e un massaggio dalla sua amica. - Sono andata a fare un’altro controllo da dottor Tofu. Ciao!- Akane si vestì e scese nel salotto, dove però l’atmosfera non era affatto leggera. La colazione era in tavola, ma il signor Sotome masticava in modo compulsivo foglie di bamboo, e non era nemmeno diventato un panda. “Tutto bene?” chiese lei, incuriosita ed un po’ spaventata. “Sta per succedere una catastrofe!” disse il signor Saotome, terrorizzato e a bocca piena. “Una tragedia, un’apocalisse, un…” Non finì mai la frase, perché il figlio gli tirò uno dei suo migliori pugni in testa. “MA STA’ ZITTO VECCHIO SCEMO! Sto per incontrare mia madre dopo che non la vedo da anni, tanto che faccio fatica a ricordarmi persino il suo volto! E SE TU NON AVESSI FATTO UNA PROMESSA CRETINA NON SAREMMO IN QUESTA SITUAZIONE!” Disse il codinato, continuando a colpire il padre. “Ma che diavolo…?” chiese Akane, ma nessuno dei due Saotome la stava ascoltando. “Sta per arrivare la signora Saotome” disse suo padre Soun. “E quel furbo del mio amico Genma non aveva nulla di meglio da fare che prometterle solennemente di trasformare Ranma nel “Più forte e virile degli uomini”. Pena il seppuku suo e di Ranma stesso.” Akane prima guardò il padre, poi Ranma, e poi nuovamente Soun. “Per quanto sia uno stupido, di sicuro è forte. Non sono sicura di questa presunta virilità, ma almeno d’aspetto direi che è a posto. Forse se sta zitto avranno una speranza.” disse, con aria critica. La faceva male dire quelle cose, sopratutto dopo quello che aveva fatto Ranma solo il giorno prima per lei, ma lo sguardo di lui le confermò che aveva fatto bene. Le fece anche il loro cenno, indicando, di nascosto, il tetto. Poi continuò a demolire il padre. Tutto questo nell’arco di meno di un secondo, mentre suo padre riprendeva a parlare. “Il fatto è che se sua madre sapesse cosa è successo, la trasformazione in ragazza, tutti i problemi che ci sono, l’improvviso sdoppiamento del figlio eccetera, potrebbe decidere che non è molto virile, e stenderli. Ed ora Genma è terrorizzato.” Disse suo padre, serio serio. “ED ORA SE NON LA SMETTE DI FARE STRONZATE IO LO AMMAZZO!” Urlò Ranma, continuando a pestare il padre, che per qualche motivo non reagiva. Che improvvisamente fosse diventato responsabile? Poi si rese conto che era svenuto sul posto. Che idiota. Però le sarebbe piaciuto conoscere la madre di Ranma. In fondo lui non gli era mai sembrato troppo simile al padre, e magari avrebbe capito da chi aveva preso. Poi fece colazione ed tornò di sopra con una scusa. Salì senza difficoltà sul tetto. Allenarsi con Ran-chan le faceva davvero bene, non era mai stata così in forma. Ed era anche dimagrita, i vestiti cominciavano a starle talmente larghi che era stata costretta a chiede a Kasumi ago e filo prima, e aiuto poi per sistemare i guai combinati. Sul tetto ci trovò Ranma, che le sembrava fin troppo pensoso. “Sei preoccupato?” “Si. Voglio incontrare mia madre, più di ogni altra cosa. Ma… sono preoccupato. Preoccupato per me, per mia sorella, forse anche per mio padre. Ma sopratutto mi preoccupa una cosa. Un conto è far credere a Ran-chan che lei è mia sorella che soffre di amnesia, un’altro è convincere mia madre che non ricorda di aver partorito due gemelli e non un solo bambino. Per di più una bambina dai capelli rossi, una roba che non si vede mai in Giappone.” “Scusa, ma di a tua madre la verità. Io non so molto di madri, ma ho sentito che non esiste una madre al mondo che non sarebbe felice di avere una figlia.” Disse Akane, cercando di essere di supporto, almeno moralmente. “Non sai quanto mi piacerebbe, ma secondo mio padre equivarrebbe al suicidio. E diciamo che, se già ci tengo normalmente alla mia, ora devo pensare anche a sopravvivere per qualcun’altra.” nel dire questo il codinato girò lo sguardo verso di lei. “E chi sarebbe questo qualcuno?” chiese Akane, tentando di sembrare offesa come una volta ma riuscendo solo ad essere maliziosa “Oh, ma tu lo sai molto bene Akane…” disse, afferrandola per una braccio e tirandola verso di sé, facendo in modo che i loro due corpi si incastrassero alla perfezione. “Mmmm, ma sei diventata ancora più bella negli ultimi tempi?” questo uno schiaffone lo meritava. “Sono sempre stata bella!” disse Akane, indignata ma non abbastanza da staccarsi da lui. “Si, ma adesso non posso più nemmeno fare battute. Faccio sempre più fatica a chiamarti maschiaccio on pubblico, lo sai?” disse lui, avvinghiandosi ad Akane, e dandole un bacio appassionato. Akane stessa ricambiò con entusiasmo, eccitata. Ultimamente il suo desiderio, così come quello di Ranma, era notevolmente aumentato. Di notte si era ritrovata a sperare che Ranma gli si infilasse nel letto, e non solo per dormire abbracciati. Si sarebbe volentieri punita per la sua perversione, ma sapeva che era inutile. L’amore fa cambiare, una volta l’aveva letto da qualche parte. E poi tutto sommato non gli dispiaceva aver scoperto questo lato della sua personalità. Insomma, non era mia stata così felice in vita sua. Se solo quel sogno si fosse potuto prolungare per sempre, si disse, sbaciucchiandosi ancora con il suo ragazzo. 


 

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Sono Tornato! 
Un filino in ritardo, vero? Comunque spero che il capitolo vi piaccia, che il cambattimanto con Kuno iv soddisfi e che sia valsa la pena aspettare, lasciatemi una recensioncina per dirvi che ve ne pare e noi ci risentiamo al più presto. Vostro
Jacob Stark da Grande Inverno

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Capitolo 15
*** Nuovi fiori sbocciano a Nerima ***


Nuovi fiori sbocciano a Nerima

 

Ran-chan

Quella mattina si era svegliata presto, e, tramite Kasumi, che l’aveva accolta con un sorriso e la colazione, aveva saputo che Tofu voleva vederla per dei controlli. La recente battaglia e il risveglio del Ki sopito avrebbe potuto influenzare in qualche strano modo la sua amnesia. Mangiò di gusto e decise di sbrigarsi con la visita medica, in modo da riavere un po’ di quella che, almeno per lei, era normalità. Fece velocemente la strada, un po’ saltando un po’ correndo, stando attenta  a non entrare nei giardini altrui. Dopo un paio di volte che l’avevano sgridata aveva imparato la lezione. Quando arrivò alla clinica si ritrovò a dover aspettare. Tofu l’avvertì che era meglio se aspettava in sala d’attesa, era arrivato un paziente abbastanza grave. «Ok, posso dare una mano?» «No, grazie. Lui è molto riservato, e mi ha chiesto di non far sapere in giro delle sue condizioni.» Inutile dire che la cosa fece solo incuriosire di più Ranma, che però si sedette su di un divanetto e, mentre Tofu stava per rientrare nello studio, si ricordò di una cosa. «Dottore, mi sono dimenticata. Kasumi ha detto di chiederle quando era libero, voleva parlare con lui di una cosa.» Troppo tardi si rese conto dell’errore commesso. Continuava a dimenticare che Tofu tendeva ad andare in tilt quando si parlava della maggiore delle Tendo. Ed infatti: «Devvero? Parlumi vuole Kasare con me?» disse, dirigendosi verso lo studio e schiantandosi contro la porta, chiusa. «Forse è meglio che io la accompagni finché non si riprende.» disse, alzandosi e facendo finalmente centrare la porta al dottore. Quando entrò vide qualcosa di inquietante. Su di un lettino, con la schiena coperta di bende, c’era, con i suoi inconfondibili capelli color neve, Artorias. A giudicare dal sangue che macchiava le bende doveva avere una gran brutta ferita. E non era la prima. Il corpo del giovane era coperto di vecchie cicatrici. C’e n’erano per tutti i gusti, segni di artigli, tagli da lama, addirittura dei buchi che sarebbero potuti essere colpi di proiettile. Era inquietante quante fossero. Prima che potesse fermarsi, e che Tofu potesse fermarla, appoggiò la mano, lasciandola scorrere e sentendo i muscoli possenti di lui contrarsi sotto le sue dita. Era come se reagisse direttamente al suo tocco. Si accorse che era addormentato. Poi Tofu la fece indietreggiare. «E’ stato portato qui ieri sera, dopo l’assalto alla fortezza. A quanto pare ha affrontato qualcosa che è riuscito a ferirlo nonostante la sua forza. Questo ragazzo ha una pelle a dir poco d’acciaio, ho fatto fatica persino a ricucire la ferita. Non pensavo che il corpo umano potesse raggiungere certi livelli Comunque ho usato l’agopuntuta per metterlo a dormire, ne ha bisogno. Gli cambio le bende spesso, ma ha chiesto di tornare a casa. Perché dopo l’esame non lo accompagni tu? Mi sentirei più tranquillo a sapere che c’è qualcuno con lui.» Ranma era contenta. Non avrebbe potuto sperare in una direzione più interessante per la sua giornata. Poi il dottore le fede alcune domande noiose, ma capiva di dover avere pazienza. La recente battaglia e gli sforzi del risveglio del Ki tuttavia non avevano avuto nessun effetto sulla sua memoria. La visita si concluse, e subito dopo, con molta calma, Tofu svegliò Artorias, rimuovendo diversi aghi dal suo corpo. Il ragazzo si rialzò massaggiandosi la testa, ancora un po’ rigido. «Grazie doc, mi spiace averla costretta ad usare gli aghi, ma i sedativi difficilmente hanno effetto su di me. Allora, posso tornare a casa?» Tofu lo guardò, esasperato. «Si, ma preferirei che ti accompagnasse qualcuno e…» «Guardi, sono spiacente ma a casa mia hanno da fare oggi, quindi credo che dovrò cavarmela da solo.» «… e- fece Tofu, fingendo di non essere stato interrotto- guarda caso oggi Ranma era passata per una visita di controllo. Magari potrebbe accompagnati.» «Non ho certo bisogno di una balia, ma se la fa sentire più tranquillo va bene.» disse il ragazzo, mentre lei origliava da dietro la porta. Si rimise a sedere, fingendo di non sapere nulla. Artorias, quando la vide, rimase di stucco. «Ranma? Avevo capito male, pensavo che fossi tuo fratello, mi dispiace.» «Come diavolo hai fatto a confonderti?» «In giapponese non usate il genere per specificare il sesso di una persona. E sia tuo  fratello che tu avete non solo lo stesso nome, ma è anche un nome valido per entrambi i sessi. Da qui la mia confusione. Bene madamigella, andiamo?» Ranma si sentì attraversare da una scossa. Non l’avevano mai chiamata madamigella, le sembrava di ricordare che fosse un modo galante di dire ragazza in Europa. Vedere un ragazzo così gentile e galante le faceva uno strano effetto, considerando che tutti gli altri ragazzi in giro per Nerima o avevano fifa di suo fratello oppure erano dei cascamorti fastidiosi. 

Passeggiare accanto a lui era piacevole e strano, perché, nonostante la sua ferita, era dritto in piedi, come se non ne risentisse, ma non mosso da uno sconfinato orgoglio come suo fratello. Era come se gli risultasse naturale. Arrivarono in poco tempo alla casa del ragazzo, dove venne accolte dalla cameriera automa, che però sembrava stanca e debilitata almeno quanto Artorias, se non di più. «Lei, in quanto legata ha me, condivide un frammento della mia anima. In questo momento sta prendendo la maggior parte del mio dolore su di sé. In quanto automa non lo percepisce naturalmente, ma è come se fosse… scarica. Ogni volta che la guardo mi sento male per lei. Non riesco a pensare a quanto dolore mi stia risparmiando.» Spiegò Artorias, osservando l’automa con uno sguardo preoccupato. Anche Ranma la guardò con uno sguardo triste. Quell’automa l’aveva visto in battaglia, l’aveva vista sprigionare una potenza assurda, e vederla ora, così debole da riuscire appena a preparare un the. «Ascolta Ranma, avrei bisogno di un favore molto grande. E’ imbarazzante chiederlo ad una ragazza, e normalmente lo farebbe l’automa, ma ho assolutamente bisogno che tu mi metta un unguento speciale della mia famiglia. La ferita che ho subito è molto più spirituale che fisica, anche perché non mi ha trafitto Kuno, ma i demone che risiedeva nella spada. Era forte, ed io l’ho sottovalutato. Potresti farmi questo favore?» disse, infilandosi dietro ad un paravento e si sfilò la maglia, prendendo poi un barattolo pieno di un unguento profumato. Ran-chan non aveva avuto nemmeno il tempo di dare una risposta, che si ritrovò nella condizione di non poter rifiutare. Si sedette accanto a lui, preparandosi a svolgere le bende. Come aveva visto prima il corpo di Artorias era coperto di cicatrici, e, nel punto in cui si trovava la ferita fresca, si ramificava, oltre che il sangue, un sottile reticolo nero, che sembrava scendere in profondità nella ferita, che l’aveva trapassato da parte a parte, senza però sfiorare gli organi, per pura fortuna. Piano piano, seguendo le istruzioni, Ranma applicò l’unguento, spingendolo, per quanto fosse possibile, in profondità nella ferita, vedendo, in tempo reale, la ragnatela nera ritirarsi, come se avesse orrore del medicinale. «Cosa diavolo c’è in questo unguento?» chiese, curiosa. «AH- mugolò lui, dopo che lei aveva spinto troppo forte.- E’ un antica ricetta di famiglia, un misto di strozzalupo, miele d’aglio e bacche di biancospino, più alcune sostanze alchemiche segrete. Serve ad aumentare la rigenerazione dei tessuti e a tenere lontana l’oscurità.» spiegò lui, che intanto si era girato per farle applicare l’unguento al retro della ferita. «Senti, mi puoi dire che ci fai in Giappone?» chiese la rossa, curiosa. «Siamo venuti ad espandere l’attività di famiglia, non l’avevo già detto?» «Si, ma che ci fai tu qui. Perché hai scelto questo paese?» chiese, mentre lo bendava. «Volevo allontanarmi dalla mia famiglia. Gli Stark sono… soffocanti, pieni di tradizioni, regolamenti. Certo, questi ci permettono di funzionare da diversi secoli, ma è faticoso. Una delle regole è quella di potersi sposare solo con persone forti ed abili almeno quanto noi, almeno nelle capacità fisiche. Oppure ci sono regole molto severe sull’istruzione dei bambini, sopratutto per quelli appartenenti alla famiglia reale. Allontanarsi da loro significa, almeno in parte, sfuggire a quel controllo.» Finì la frase e si rialzò, evidentemente più in forma di prima. Anche la Maiden, che era arrivata con il the, sembrava più tranquilla. Poco dopo arrivarono anche Elsa ed Alberto, insieme alla cameriera di lei. «Ranma, che piacere vederti! Ti stai già prendendo cura di mio fratello? Guarda che ci sono parecchie cose da fare prima di mettervi insieme!» disse, sorridendo. Ran-chan, rossa in volto come i suoi capelli, allo stesso tempo notò che la ragazza non aveva perso la sua compostezza nel suo prenderla in giro. Fece quello che le riusciva meglio quindi. Attaccò a sua volta. «E tu? Ti accompagni al dottor Jones?» (Akane l’aveva praticamente costretta a vedere tutti i film, ma l’unica cosa che ci aveva trovato la rossa nel divo era lo stesso carattere del fratello ed una somiglianza spaventosa con Galipò-san.) Elsa arrossì, scambiando uno sguardo con il castano. Poi passò a guardare suo fratello, quasi spaventata. Per tutta risposta lui le fece un sorriso e si mise a ridere. «AHAHAHAH-Ahi!- disse, mettendosi una mano sulla ferita- Cosa mi guardi sorella, è compito mio esaminare gli eventuali pretendenti alla tua mano, e direi che, se lui regge con nostro padre, che è più che adatto. Spero però che tu ti sia ricordata di fare rapporto alla sede principale, perché io non sono ancora nelle condizioni di fare molto. Sono a mala pena riuscito a tornare a casa, ed il medico mi ha detto di stare a riposo, almeno per un po’. Dovrete occuparvi voi di alcuni affari che…» Ran-chan, confusa e imbarazzata scappò approfittando della distrazione generale. Si rifugiò fuori, chiedendosi come mai avesse fatto una cosa del genere, come gli fosse venuto in mente di mettersi a fare quelle cose con un ragazzo che conosceva da pochissimo tempo. Ma cosa le passava per la testaaa! Si chiese, scompigliandosi i capelli e agitandosi come una matta. Decise che gli ci voleva una dose si allenamento eccessivo. 



Un paio di giorni dopo, a casa Stark

Artorias era impegnato nella parte più tediosa del lavoro, ovvero occuparsi delle scartoffie. Nei due giorni di malattia se ne erano accumulate parecchie. Elsa aveva fatto il possibile, ma molti documenti e simili necessitavano della sua firma ed approvazione. Mentre scartabellava tra le scartoffie trovò una lettera. Era una lettera proveniente dal Giappone stesso, ma non portava simboli governativi o simili. Profumava di incenso e fiori, così intensamente che Artorias cominciò a starnutire come un pazzo. Lesse il mittente, ed un sorriso gli compare sul volto. Una cosa stava andando al suo posto, era tanto che quell’ospite doveva arrivare, ed era proprio il caso di prepararsi. Avrebbe fatto di tutto per allontanarsi dalla scrivania, ed uscì veloce come un fulmine nonostante le ferita, ordinano alla cameriera di preparare la sala da ricevimento e di avvertire la sorella di prepararsi in armatura, in modo da accogliere l’ospite con tutti gli onori. 

La ragazza Stark si limitò a sospirare, pensando a quanto suo fratello sapesse essere irresponsabile e irrazionale a volte. Quando suo fratello le passò la lettera vide che, tuttavia, l’occasione richiedeva davvero una certa preparazione. Una vecchia conoscenza dei loro genitori. Insomma, Elsa aiutò a mettere insieme un piccolo ricevimento. Nel primo pomeriggio arrivò la loro ospite. Era una donna sulla quarantina, nonostante l’età ancora di una bellezza folgorante. Aveva i capelli castani raccolti sulla testa con un fermaglio simile ad una farfalla, e due profondi occhi dello stesso colore. Indossava un kimono azzurro, ed Elsa rimase colpita dall’eleganza con cui vestiva un abito così semplice. Lei e suo fratello indossavano le corazze d’ordinanza, una di cuoio e acciaio per lui, una seta intrecciata e altrettanto metallo per lei. Anche se non sembrava la seta intrecciata era robusta quanto il cuoio lavorato di migliore qualità. «Benvenuta nella nostra casa. A nome degli Stark di Flott Vinter, le rinnovo il benvenuto, Nodoka Higurashi.» La donna, seduta davanti a loro, era leggermente a disagio su di una sedia, palesemente abituata a sedersi a terra, in ginocchio. Elsa le sorrise, in modo da farle notare che lo sforzo era stato apprezzato. La donna le sorrise di rimando, riempiendola di calore. Era una sensazione che solo i, rari, sorrisi della madre le avevano dato. Artorias riprese i convenevoli. «Sono lieto di accogliervi in casa nostra, dopo che voi avete accolto i nostri genitori tanti anni fa.» Poi Nodoka rispose: «Ed io sono lieta di essere accolta qui. Ed infinitamente dispiaciuta di non poter tenere fede al patto simulato con i vostri genitori. purtroppo ho generato un solo figlio, e mio marito aveva preso accordi ben prima della sua nascita. Magari parlandogli potrei convincerlo ad accordarci per la prossima generazione e…» Artorias la fermò, alzando le mani. «Non è un problema Higurashi-sama. In fondo possiamo aspettare. Se suo figlio conosce l’onore sono certo che potremmo organizzarci, anche creando una casata cadetta. Non è importante, siamo solo lieti che lei sia qui con noi.” I convenevoli continuarono, presero un tè e si congedarono, dopo aver promesso di rivedersi presto, magari con la sua famiglia al completo. La donna uscì, salutandoli e recuperando la katana che portava avvolta in una stola rossa, di un tessuto curioso, simile a pelliccia intrecciata. Elsa si rivolse al fratello: «Stai pensando a Ran-chan e alla fortuna che hai avuto a non avere una ragazza da sposare, vero?»  disse la bionda, con un sorrisetto sardonico sul volto. Artorias, che stava riflettendo su una certa cosa, si riprese. «No, pensavo che Higurashi-sama somiglia una sacco hai fratelli Saotome. Ed anche Ranma mi aveva accennato che sarebbe passata a trovarli la madre.» «Fratello, deve essere un’incredibile coincidenza. Per quale motivo una donna come lei avrebbe mai dovuto mentire? E su di una cosa così evidente poi. Insomma, viviamo davanti a loro, ce ne accorgeremmo subit…» Elsa non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che un urlo delle signora Nodoka la interruppe. Davanti a lei, svenuta allo stesso modo, Ranma. Entrambe avevano un espressione stupita e spaventata sul volto. Gli Stark, che, nonostante fossero nobili e tutto erano andati a vedere cosa succedeva sul tetto, si stupirono nel vedere Ranma e suo padre portare le due donne. Inutile dire che Artorias, nonostante le ferite, saltò a terra, chiedendosi cosa sarebbe successo.


 

Ranma

Quello che era successo non sarebbe dovuto succedere. Sua madre e sua sorella si erano, incontrate. Era appena riuscito a sentire sua madre, così diceva suo padre, «Ciao bella ragazza, chi sei?» «Salve signora, io mi chiamo Ranma Saotome. Sono ospite in questa casa, e sono figlia di Genma Saotome. Lei chi è?» Sua madre era svenuta, e, senza apparente motivo, sua sorella pure. Insieme a suo padre le portò dentro, tentando di tenere separate le due donne. All’improvviso Ranma si ritrovò davanti il loro vicino. «Allora, me la spieghi questa?» disse, con il suo solito sorriso storto. «Questa quale?» chiese il moro, che non capiva. «Tua madre è Nodoka Higurashi, una persona a cui la nostra famiglia deve moltissimo. Con i nostri genitori, in particolare, aveva stretto un patto secondo il quale ci sarebbe stato un matrimonio. Ci è venuta a trovare poco fa, affermando di avere avuto un solo figlio maschio, che il marito aveva preteso di far sposare per un’altro patto, e lei, fedele al suo desiderio di essere una…- fece una pausa - …come si dice in giapponese…- continuò a tentare di ricordare- … Insomma una moglie giapponese perfetta, decise di non contestarlo. Quindi spiegami da dove salta fuori tua sorella. E non te la cavi con la scusa* di un’amnesia, perché è impossibile che si ricordai solo di te. E nemmeno con quella dell’adozione, perché voi due siate uguali a lei. Quindi…» poi lo afferrò per la maglia e lo trascinò via. 

Poco dopo erano nuovamente al parco, impegnati in una seria conversazione. Gli raccontò tutto. La scissione, il suo rapporto con la gemella comparsa all’improvviso, le deduzioni di Tofu, la loro scelta (sua e di Akane) di non far sapere nulla a nessuno, e soprattutto Ran-chan. Di come si fosse  affezionato a lei nonostante la stranezza della situazione. Questo discorso era stato molto diverso da quello che aveva fatto con Akane. Era stato uno sfogo, condito da continui “non ci crederai mai” e “ti giuro che non sono pazzo.”, ma Artorias non sembrava nemmeno farsi il problema. Lo ascoltò con attenzione, concentrato, come se cercasse di capire qualcosa. Poi sorrise nuovamente. «Non avrei mai detto che mi sarei ritrovato davanti ad un mistero del genere. La divisione in due identità distinte di una persona maledetta da qualcosa. Ed una delle due metà è veramente bella.» Ranma guardò il suo nuovo amico con uno sguardo inquieto. «Artorias…» «Ehi, indipendentemente dalla vostra storia originale, ora siete persone diverse. Lei è diversa da te, per quanto siate simili fisicamente, e la cosa più importante è quella. A prescindere da tutto voi due siete qualcosa di talmente unico che varrà sempre la pena di starvi intorno. Quindi dobbiamo solo trovare una scusa decente per tua madre. Magari una bella maledizione.» disse, facendo perdere un colpo a Ranma. Troppe né aveva subite a causa delle maledizioni. 

Quando tornarono a casa la scena che lo accolse era a dir poco paradossale.  C’erano Akane, Elsa, Ranma e sua madre che prendevano il the sedute tutte assieme, calmissime. Quello che stava succedendo era al limite dell’assurdo. Pregò che Akane non avesse avuto uno dei suoi attacchi di sincerità mista ad idiozia. «Ciao fratellone, perché non mi hai detto che mamma veniva a trovarci? Mi sarei preparata.» Ranma rimase allibito da quelle parole. Ed il peggio fu la risposta di sua mamma. «Ranma, tesoro, mi è dispiaciuto non rivedere entrambi i miei bambini qui.    Sono così felice di vedervi.» disse. Sua madre gli somigliava molto, come si era aspettato, ma a vederla vicino a sua sorella la loro somiglianza era davvero smaccata. Aveva uno sguardo dolce, ma velato da una vena di freddezza, come se stesse ancora cercando di capire qualcosa. Purtroppo Ran-chan era troppo entusiasta per notarlo, e lui certo non le avrebbe guastato la festa. Sorrise anche lui, ed abbracciò la madre. Profumava di orchidee, di dolci e di, di… qualcosa di buono. Era bello. Solo un poco meno bello che con Akane, e questo era da considerarsi un complimento niente male. Ci stette a lungo in quell’abbraccio, godendoselo appieno. Percepì suo padre che si avvicinava, e si distrasse un attimo per infliggergli uno sguardo del tipo “intromettiti e ti pesto a sangue”. Era troppo bello per essere interrotto da qualche folle idea di quello scemo. Si gustò l’abbraccio ancora per un po’, per poi forzarsi a lasciare due delle tre donne più importanti della sua vita. La terza era Akane, ma non era momento di abbracciare lei. Poi. Poi avrebbe avuto tutto il tempo. In quel periodo si stupiva sempre di quanto pensasse ad Akane. Non che prima non ci pensasse, ed anche spesso, ma ultimante, nonostante tutto, la sua mente era occupato dal pensiero fisso della sua fidanzata. Si chiese se non stesse diventando leggermente maniacale, ed in quel caso era meglio darsi una calmata. Alla fine si staccò da loro, e dovette subire i rimbrotti da parte di entrambe, l’una per non averla avvertita che veniva loro madre a trovarli, l’altra per non aver menzionato l’amnesia della sorella e figlia. «Allora, come stai mamma?» chiese lui, tentando di fare una domanda che non sembrasse troppo banale o stupida. «Io sto bene, e sono così contenta di avervi qui. Poter riabbracciare i miei amati bambini non ha prezzo. Sono felice di sapere che la tua fidanzata è una brava ragazza come Akane. E tu, bambina mia.- disse, rivolta a Ran-chan- Se non fosse per ciò che ha fatto tuo fratello per renderti libera avrei già il fidanzato perfetto per te.» disse, rivolgendo uno sguardo significativo ad Artorias, che però fece un ceno con la testa, come per dire che non importava. Ranma, rossa come i suoi capelli, balbettò «M-ma cosa dici mamma! Io, io non sono pronta. Ho appena perso la memoria, sto cercando di capire cosa voglio fare, dove voglio andare e, e…» Nodoka si limitò a sorridere. «Oh, tranquilla tesoro. Intendo far sposare entrambi i miei figli lo stesso giorno, quindi rimandiamo il matrimonio del mio ragazzo finché anche tu non avrai trovato un uomo degno di te.» Immediatamente Genma tentò di ribattere «Ma cara, la palestra, la successione..» «No. Ti sei portati i miei figli in giro per il mondo decidendo per me e per loro, ora reclamo la mia autorità di madre e decido che voglio una doppia cerimonia per entrambi i miei figli.» disse Nodoka, con una calma ed una fermezza tali che Genma non poté ribattere. Si limitò a stare zitto, osservando la sua  famiglia riunita. Ranma non sapeva dire se il suo sguardo era felice o preoccupato, ma decise che in quel momento avrebbe potuto ignorare l’espressione di suo padre. 

Alla fine della giornata però riuscì a farsi spiegare da suo padre cosa era successo. O meglio, cosa non era successo. Di fatto quando sua madre si era svegliata aveva chiesto dove fossero i suoi figli. Entrambi, sia maschio che femmina, come se li avesse messi al mondo lei e li conoscesse da sempre. Ran-chan naturalmente era stata più che felice di abbracciare sua madre, una volta spiegata la situazione. Come previsto, la situazione era paradossale, forse addirittura oltre gli standard di Nerima. Il che era tutto dire, considerando che razza di cose accadevano da quelle parti. Ma era andato tutto fin troppo bene, e la cosa lo insospettiva parecchio. 
 

*Io preferivo “supercazzola”, ma non c’entrava molto con il resto delle parole.


 

Akane

Quella giornata era realmente stata una delle più assurde. Conoscere la mamma di Ranma, vedere lo strano modo in cui lei aveva accettato la presenza di una figlia apparsa dal nulla, vedere loro tre finalmente riuniti, vedere la tenerezza con cui li aveva abbracciati, aveva sentito come un colpo al cuore. Sapeva che la colpa era del fatto che lei non aveva ricordi di quel tipo. Non ricordava quasi nulla di sua madre. Il calore di un sorriso,  un vago profumo dolce, la morbidezza di una mano che le accarezzava il viso. Tutto questo le mancava ancora di più di quello che credeva. Guardò le sue sorelle, e si rese conto che anche loro sentivano la stessa cosa. Dovette notarlo anche la signora Nodoka, e la cosa la colpì, tanto che, dopo aver liberato i figli dal suo abbraccio, invitò anche loro tra le sue braccia, con una piccola scusa «Venite qui, se saremo parenti voglio abbracciare anche la mia nuova nuora e le sue sorelle.» Akane e le sue sorelle si guardarono per un attimo negli occhi, per poi avvicinarsi alla donna ed abbracciarla. Ed Akane lo sentì. Non era lo stesso di sua madre, ma era tanto tanto simile. Era calda, e profumava di buono. Quell’abbraccio gli fece piacere, ma gli fece anche ricordare ancor di più quanto le mancasse sua madre. 

Alla fine si sciolsero dall’abbraccio, ma la sera si accorse che Ranma, dopo che si erano incontrati sul tetto, non ci era rimasto bene. «Non è giusto. Persino quando mia madre torna tu riesci a rubarmi un abbraccio.» Era cupo, ma non così tanto rispetto a quello che Akane temeva. Sembrava quasi che volesse un rimborso. «Ma tua madre ci ha chiesto…» «Non mi interessa- Ranma le avvinghiò un braccio intorno al suo collo e la avvicinò a sé- ed ora voglio qualcosa in cambio di quell’abbraccio che TU e le tue sorelle mi avete rubato.» gli bisbigliò nell’orecchio, facendole salire un brivido lungo la schiena. Strofinò la guancia contro quella di Ranma, e questo causò un brivido a lui. 

«Oh, ma che carini! Allora il mio bambino ha trovato la ragazza per lui. Siete due bravissimi attori, sapete?» Nodoka Saotome-Igurashi (aveva tenuto anche il cognome da ragazza) li stava osservando nel buio, compiaciuta. E l’unica cosa che Ranma riuscì a dire fu «Ciao mamma.»

 

 

 

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Salve a tutti i miei lettori. 

È mezzanotte e mezza e questo capitolo è in lavorazione da quando è uscito il precedente. Ho fatto altro nel frattempo, e sopratutto ho il simpatico problemino dell’esame di maturità che mi sfiata sul collo. Quindi ho un bisogno spasmodico di fare qualcosa che non sia studiare, e la sera ho solo il tempo (e la forza) di scrivere. Quindi spero, spero davvero che il capitolo vi piaccia, che vi piaccia la relazione che si tra creando tra Ran-chan ed Artorias, che vi piaccia la mia idea sulla mamma di Ranma, che vi piaccia tutto insomma. 

Un saluto a tutti i miei lettori ed eventuali recensori dal vostro 

Jacob Stark di Grande Inverno

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Capitolo 16
*** La danza del lupo e del demone ***


P.P. (Piccola Prefazione)

Allora, ci tenevo ad avvertirvi che i seguente capitolo sfrutta appieno la definizione di Rating Arancione, in quanto contiene scene che qualcuno potrebbe definire.. provocatorie. detto questo buona lettura. 

 

 

La danza del lupo e del demone


 Ranma

Quando si ritrovò sua madre davanti ebbe un serio momento di panico. Insomma, il segreto che loro avevano tentato di mantenere in tutti i modi era stato scoperto così facilmente? Stava per implorare la madre, ma Akane lo precedette. «Signora Saotome, la prego! Se dicessimo a tutti cosa c’è tra noi in realtà sarebbe un’incubo, ci ritroveremmo assediato da ogni lato da pretendenti, deficenti e soprattutto i nostri genitori. Fino a ieri se lo avessero saputo ci avrebbero organizzato un matrimonio lampo. E noi non vogliamo questo. Vogliamo fare le cose con calma, vogliamo un stare insieme, volgiamo… che spuntino i problemi. Problemi tra di noi, per poterli risolvere da fidanzati, e non essere costretti a farlo da marito e moglie.» Le parole di Akane risuonarono nell’aria, lasciando sia Ranma che Nodoka di sasso. Il primo era stupito, la seconda sembrava soddisfatta di ciò che aveva sentito. «Molto bene Akane-chan.» «Aspetta mamma.. cosa?» «Mi hai sentito tesoro, sono molto felice che Akane sia la tua fidanzata, e che voi vi siate trovati così bene. Ma sono soprattutto felice che lei sia disposta a trovare dei problemi tra di voi, anche se al momento siete così teneri che faccio fatica ad immaginarli questi problemi.» disse serena, con un sorriso che scaldò Ranma persino nelle ossa. «Allora, avete già dormito assieme?» 

La domanda giunse così inaspettata ed improvvisa che i due ragazzi persero entrambi l’equilibrio, assunsero una shoccata posa palstica e  caddero dal tetto nel laghetto. Per Ranma fu istintivo. Afferrò Akane tra le braccia, e rilasciò il ki, addensandolo sono i suoi piedi per bloccare la caduta. Funzionò. Per un secondo rimase sospeso per aria, appena il tempo di saltare a terra senza danni. Solo troppo tardi Ranma di accorse della dolcezza con cui stringeva la ragazza. Di solito la afferrava e basta, ma stavolta, involontariamente, aveva messo il braccio in modo che lei potesse appoggiare la testa a lui. E lei si era accoccolata a lui i modo molto naturale, per la prima volta da quando si erano conosciuti. In effetti l’aveva portata così solo quando lui l’aveva salvata dal castello di Kuno, e lei non si era accoccolata, troppo sfinita per riuscire a mettersi come voleva. Ora invece lo guardava, con i suoi splendidi occhi castani che riflettevano il cielo notturno, riempiendo le iridi di un mare di stelle. Ranma non aveva mai visto occhi così belli. Per un istante, solo per un istante, Ranma ebbe voglia di baciare la sua ragazza sulle labbra, fregandosene del fatto che erano davanti alla casa, e che tutti li stavano guardando. Solo il rumore della macchinetta di Nabiki lo fermo. Anzi, li fermò, dato che anche Akane aveva già messo le labbra in posizione. Lasciò che Akane si rimettesse in piedi, con molto più garbo del solito (una volta l’avrebbe lasciata cadere e basta) e lei simulò uno schiaffone. Da sopra il tetto sua madre si sporse, facendo loro l’occhiolino. Ranma capì di avere il suo appoggio, ed era felice. Doveva parlare con sua sorella. Saltò verso la loro camera, sul cui pavimento spiccava il rammendo fatto dopo il recente incontro con Kuo. Sua sorella era già lì, seccata ed impaziente, pronta a dirgliene quattro. «Fratellone! Perché non mi hai detto che la mamma sarebbe venuta a trovarci? Mi sarei preparata, mi sarei organizzata, avremmo preparato una torta. Dannazione, sono solo contenta che non a quanto pare anche con la mia amnesia non avevamo molto da ricordare di mamma.» Poi si girò, mettendo il broncio. Ma lui la abbracciò da dietro, sussurrando, con tutto l’affetto che aveva per lei: «Scusami. Ma sono successe tante cose, e non ero sicuro nemmeno io se sarebbe venuta o meno. Non volevo che la mia sorellina avesse una delusione, mi è già capitato.» La rossa non poteva rimanere arrabbiata con suo fratello, non dopo che si era preoccupato per lei.  Si girò e abbracciò il fratello a sua volta, poi lo afferrò e lo spedì fuori dalla camera. «Sei stato molto carino e tutto fratellone, ma questa notte la passerai con Akane, e non mi interessa qualunque scusa idiota tu stia per tirare fuori!»

Ranma si ritrovò fuori dalla finestra, in mezzo ad una tempesta di petali di ciliegio notturna. Andò a bussare alla finestra di Akane, che aprì immediatamente. Spesso e volentieri si vedevano così. All’inizio era stato strano. Anche perché le uniche volte che lo aveva fatto prima era per dare fastidio ad Akane. «Entra, veloce.» Disse lei, ma lui le afferrò il braccio e la tirò fuori, trascinandola nella tempesta di petali. Il gesto si risolse con una bellissima atmosfera. Loro due, avvinghiati sul tetto della casa, ad osservare la luna e coccolarsi. Un ombra, una sottile ombra passò al limite del campo visivo di Ranma, ma lui decise di ignorarla. Stava troppo bene per rovinare quel momento magico con Akane. Strusciò la sua guancia su quella di lei, chiedendole un bacio, che ottenne senza fatica. Era decisamente un momento magico. 

 

Ran-chan

Non aveva cacciato il fratello solo per il suo bene. Indossò i paramenti neri che aveva tenuto dal famoso assedio e si gettò nella notte, intravedendo il fratello e Akane seduti sul tetto ed immersi nella luce della luna. Che scena poetica. Ma doveva concentrarsi. Saltò, corse e volò tra i tetti, i pali della luce ed i lampioni, un ombra fugace nella notte, estendendo i suoi sensi fino al loro limite, ed anche oltre. Cercava un predatore. In un ora aveva scandagliato mezza Nerima, ma sentiva di essere vicina. La sua presenza era sempre più vicina. Continuò a correre, veloce ed invisibile, fino ad uscire dal distretto. Si ritrovò nei boschi, immersa nella totale oscurità. I suoi sensi si acuirono ulteriormente, e, guidata da suoni ed odori più che dalla flebile luce della luna, si avventurò sempre più nel cuore del bosco, immergendosi sempre di più nella natura selvaggia. Mentre si muoveva silenziosa come un gatto  osservava le rocce muschiose macchiarsi d’argento nei punti in cui la luce filtrava nella cupola degli alberi, e di come le piante notturne rilasciassero i loro profumi in una delicata fragranza, tanto live da sembrare più una musica che un insieme di odori. Il vento che fischiava fra alberi e canne suonava una melodia flautata, che sembrava incitarla. “Liberati” gli sussurrava “diventa selvaggia” era suadente “Ignora la tua umanità” quasi ipnotica. Infine raggiunse un’ampia radura. Si trattava di un luogo in cui gli alberi non sembravano essere mai cresciuti, tanto era liscio e compatto il terreno, coperto solo da un velo d’erba verdissima. Sembrava il luogo ideale per riposare, e Ranma fu seriamente tentata di sdraiarsi su quella morbida erba e appisolarsi, ma poi ogni suo pensiero svanì. Lì, al limite opposto della radura, la massiccia ombra di un lupo umanoide si stagliava, alta due metri nonostante fosse in ginocchio. Stava meditando, o forse no, non poteva saperlo. Poteva però percepire il Ki, una massa di energia vitale immensa, selvaggia ed incontrollabile come il più temibile degli incendi. Quando si mise in posizione d’attacco però lui non si mosse. Provò a colpirlo, ma non riuscì nemmeno ad avvicinasi. La sola presenza del lupo bastava a tenerla lontana, troppo spaventata per aggredire realmente il suo avversario. Quando lui aprì gli occhi comprese cosa doveva fare. Quei freddi ed affilati occhi grigio azzurri, simili a lame di ghiaccio, scintillarono famelici nella notte, facendole capire che, se non fosse stata abbastanza feroce, non si sarebbe potuta nemmeno avvicinare. E Ranma rise. Una risata inquietante e sguaiata, che ben presto si trasformò in un ululato ferale. Gli occhi di lei, pur rimanendo di un blu puro ed elettrico, mutarono in forma, divenendo selvaggi e spiritati. Le unghie delle man si acuirono, bucando senza fatica i guanti rinforzati della tuta d’assalto che indossava. Si stappò la maschera ed il passamontagna, rivelando una massa di capelli rossi selvaggia e disordinata, oltre che molto più lunga di prima. Ora le arrivavano oltre i fianchi.  Un ringhio selvaggio le emerse dalla gola, mentre i canini le si allungavano, incurvandosi e toccandole il labbro inferiore. Si leccò le labbra. Qualcosa in lei era cambiato, abbastanza da misurarsi con il grande lupo bianco davanti a lei. Ora tutta quella stana euforia che sentiva da giorni era confluita in quel singolo instante. Ora avrebbe davvero combattuto. 

Si avventarono l’uno contro l’altra, artigli contro unghie, zanne contro denti, potenza pura contro velocità pura. Il cozzo iniziale diede ragione al lupo, che schiantò la rossa a terra, la quale riuscì appena ad avvinghiarsi al suo avversario per ridurre l’impatto, piantandogli un calcio nello stomaco, ma senza riuscire a muoverlo. Si spostò appena, sorpreso dalla mossa della ragazza. Iniziarono a girare in cerchio, fissandosi a vicenda, e poi si avventarono nuovamente l’uno contro l’altro. La rossa colpì con le unghie, graffiando il torace del lupo bianco. Sul candido pelo apparvero lunghe strisce rosse, ma lui gli restituì il colpo con le sue lunghe unghie, lasciando tre ampi segni sul fianco. La lotta continuò per un tempo indefinito, ma Ranma non mancò di notare che il lupo, nonostante tutta la sua ferocia, si stesse trattenendo. E questo la fece infuriare ancora di più. Colpì con furia sempre crescente, arrivando addirittura ad azzannare il suo avversario, ma nulla riusciva a far scatenare la bestia davanti a lei. Evitava volutamente di colpirla con i lunghi artigli, o di azzannarla con le sue zanne d’acciaio. Furibonda, scagliò un’artigliata verso il suo avversario, rilasciando una lama d’aria, che colpì con forza immane il lupo, sbalzandolo e lasciandogli una profonda ferita che attraversava  il torace. Ranma non sapeva come avesse fatto, ma le era piaciuto. Molto. Il lupo si sfiorò la ferita, osservando il sangue che gli macchiava il pelo bianco come la neve, poi spostò il suo sguardo sulla ragazza, che finalmente sentì un brivido gelido che le scendeva giù dalla schiena. 

Il tutto divenne sempre più selvaggio. Una danza di artigli, zanne, sangue e furia selvaggia. Ranma non era mai stata così eccitata. Il sangue la inebriava, anche se non ne capiva il motivo. Un fendente le passò a pochi millimetri dal corpo, e lei rispose con un calcio la volto (o era il muso?), che però non sortì nessun effetto. Colpì ancora, al petto e con un pugno nella zona del cuore, non sortendo nuovamente effetto. La ragazza continuò a colpirlo con velocità sempre maggiore, e iniziò a colpire anche con fendenti delle unghie, e quando gli artigli si scontravano con esse piogge di scintille cadevano intorno a loro. I capelli allungati le finivano in faccia, dove si inzuppavano nel sangue suo e dell’altro, creando una specie di uragano rosso. Il lupo la colpì al petto, facendola spostare indietro di un paio di metri, e facendole sputare tutta l’aria che aveva nei polmoni, e poi assalendolo nuovamente con una raffica di calci, che però vennero in gran parte bloccati, nonostante alcuni riuscirono ad andare a segno. Nell’istante in cui toccò terra ricevette un calcio dietro al ginocchio. Il lupo si era portato alle sue spalle ad una velocità impressionante, anche per un essere sovrannaturale. Quando cadde a terra si appoggiò con le mani, e colpì l’avversario con un doppio calcio sotto il mento, facendogli sputare sangue.  La rossa si mise sotto il lupo, in modo da eliminare il vantaggio rappresentato dalla lunghezza delle braccia, mentre lui la colpiva con calci e si allontanava con ampi balzi, girandole attorno, senza lasciarle il tempo di prendere di mira i punti vitali. Era semplicemente troppo veloce. Lo scontro continuò, ad un ritmo sempre più serrato, l’eccitazione che montava da ambo le parti. 

Alla fine, nel tentativo di evitare un morso che le arrivò a pochi millimetri dal corpo, venne schiacciata a terra, ritrovandosi con il muso del lupo ad un soffio dal volto, con gli artigli di lui puntati alla gola, mentre le gambe del lupo bloccavano le sue.  «Allora Stark, cosa mi vorresti fare ora?» disse, praticamente ridendo, con una risata folle, che non era certa che le appartenesse. Gli occhi del lupo, prima infiammati dalla furia primordiale di una fiera, si spensero, divenendo caldi e comprensivi. Umani. Con il solo sguardo fece calmare anche lei, che si rilassò. Lui la raccolse, prendendola in braccio come una principessa, e lei reagì accoccolandosi su di lui. Poteva sentire i muscoli possenti attraverso i vestiti ormai stracciati, e questo le causava strane sensazioni. 

In poco raggiunsero una piccola fonte termale, calda ed invitante, con strani effluvi provenienti da erbe e spezie che galleggiavano nell’acqua. Il lupo si immerse con lei in braccio, tornando umano in poco tempo. Il pelo si ritirò, e di quello rimasero solo lunghi capelli bianchi. Le zanne e gli artigli si ritirarono, e tutto il corpo si rimpicciolì, tornando ad una dimensione umana. La massa di muscoli però rimase pressoché uguale, così come i suoi occhi del colore del ghiaccio, che, con cortesia, le chiesero se volesse essere lasciata.  Ma Ranma non riuscì a staccarsi da lui. Non le interessava nemmeno che lui fosse praticamente nudo, e lei pure. Quel momento era selvaggio come il precedente, ma in modo differente. Mentre passava la sua mano sul petto del ragazzo si accorse che questa era tornata normale. I lunghi artigli erano tornati normali, e, passandosi la lingua in bocca, si accorse che anche canini mutati in zanne erano rientrati. L’unica cosa che era rimasta uguale erano i capelli, ora lunghi fino ai fianchi, il suo codino spezzato. Quando si specchiò nella pozza scoprì di piacersi molto con i capelli così. Poi si rimise a guardare verso Artorias. Per prima cosa non era nudo come aveva sospettato. Indossava un corto gonnellino, bianco anch’esso. Poi notò che la guardava con una dolcezza particolare, ma allo stesso tempo con curiosità. Sentì un brivido caldo quando lui gli accarezzò i capelli. Tutto questo era eccitante, molto eccitante. Per un’attimo il fuoco che si era impadronito di lei durante la battaglia tornò, manifestandosi nelle sue parti basse, ma lo sguardo di lui la spense. Un’altra sensazione l’assalì. Tutti i tagli ed le ferite erano coperti da piccole bollicine che le facevano un piacevole solletico, come un leggero pizzicorio. Anche le ferite di lui erano nella stessa condizione, ma entrambi avevano dei graffi sul volto, quindi la rossa lo afferrò per il collo, si spinse indietro trascinando nella fonte termale con sé. Non era certa di cosa stava facendo, ma l’istinto le diceva di fare così, quindi finirono entrambi sott’acqua, con lei avvinghiata a lui che, preso di sorpresa, finì sott’acqua con la ragazza. Si fissarono a lungo, faticando a riconoscersi nell’acqua resa torbida dalle erbe e dal calore. Ancora una volta Ranma percepì un’intimità ed una complicità che non aveva mai provato con nessuno, nemmeno con suo fratello, nemmeno con Akane. C’era qualcosa di eccitante, di provocatorio in quello che stavano facendo. Poi riemersero. «Allora, perché mi cercavi?» gli chiese lui, fissandola con un’intensità quasi magnetica. «Io… volevo parlare con te» «Parlare?» «Io… non lo so. È da quando ci siamo incontrati che voglio scontrarmi con te. È da quando ci siamo incontrati che desidero… liberarmi con te. Da quando ti ho visto in forma di lupo che…» lui le mise un dito avanti alla bocca. «Noi due siamo molto più simili di quello che sembra. Quello che hai visto era parte del tuo retaggio. Il risveglio del Ki e la presenza di una maledizione potente come la mia hanno risvegliato la tua parte demoniaca. Il potere ha cominciato ad accumularsi, fino ad erompere, come un fiume che sfondo una diga. Ed io ero la cosa più simile ad un degno avversario per un demone, in quando cacciatore degli stessi e portatore di una maledizione antica.» La ragazza lo guardò, stupita. «Perché mio fratello non soffre di questa maledizione?» «Questo genere di cose è sempre misterioso, e non c’è nulla di certo in nessun caso. È possibile che la sua parte demoniaca non si sia attivata fino ad ora, o magari sta, oppure stavate lavorando proprio al controllo della parte demoniaca, e la tua amnesia ha interrotto tutto. È un bene che tu sia venuta da me. Probabilmente, se avessi perso il controllo in città chissà che danni avresti combinato.» disse lui, continuando a giocare con i capelli di lei. Ranma era sempre più ipnotizzata dal suo interlocutore, a cui restava saldamente avvinghiata, seduta sulle sue gambe. Lo tempestò di domande, cercando spiegazioni, ma ottenne veramente poco di più di quello che le aveva già detto. Parlarono fino all’alba, che li sorprese in uno strano discorso fatto mezzo di domande e mezzo di flirt. Ma li trovò anche guariti da tutte le ferite. Purtroppo però trovò anche la rossa molto provata, e quando uscì dal bagno curativo si addormentò fra le braccia di lui. L’odore di metallo, cuoio e giornata fredda che emetteva Artorias le riempiva le narici mentre tutto si scuriva. Cullata dalle sue braccia la ragazza ebbe un lungo sogno. Un sogno che non avrebbe raccontato a nessuno, ma che comprendeva un diverso finale del loro scontro.

Quando si svegliò era adagiata sul suo letto, avvolta in un morbido asciugamano argentato. L’asciugamano profumava del loro bagno, ma in fondo, molto in fondo, c’era il suo odore. Da qualche tempo l’odore per lei era diventata parte integrante degli suo modo di conoscere le persone. Quando però si mise davanti a suo fratello… si rese conto di avere ancora i capelli lunghi e i vestiti stacciati. Sopratutto i vestiti stracciati, dato che sembrava che si fosse azzuffato con una belva selvagg… ah, no. Quello lo aveva fatto per davvero. Inutile dire che lui la tempestò di domande, senza però ottenere molto. Non era sicura nemmeno lei di cosa dirgli. Temeva che se gli avesse detto la verità suo fratello si sarebbe avventato su di Artorias in tempo zero, si rendeva conto di aver fatto una cosa estremamente sconcia, ed anche pericolosa, visto che aveva affrontato un licantropo furioso. Però alla fine cedette e gli raccontò qualcosa. Si inventò che si era accodata ad Elsa, ed Artorias le aveva fatto fare un allenamento molto difficile e pesante, tanto che lei era andata a dormire senza nemmeno cambiarsi. Inutile dire che aveva nascosto l’asciugamano in tempo zero. Richiuse la tenda che divideva la soffitta che faceva loro da camera e si cambiò, riponendo il completo stracciato. Si mise addosso una delle sue casacche rosse e scese per fare colazione, stupita che il corpo non le facesse male come si aspettava.  Tuttavia non aveva considerato una cosa, una cosa che, il fratello, essendo un maschio, aveva ignorato. I capelli che si erano allungati di oltre trenta centimetri. Quando la ragazza si mise a tavola tutte le sorelle Tendo la guardarono, stupite, e sua madre gli chiese: “Ranma, tesoro, che cosa hai fatto ai capelli?” La rossa rimase pietrificata. Come diavolo rispondeva? «Oh! Ma cosa mi è successo hai capelli?» chiese, con la faccia più finta del mondo. Genma e Soun ( sopratutto il primo) rimasero stupiti. Uomini! Suo fratello la guardò, per poi arrossire come un peperone rendendosi conto di non aver notato un particolare così evidente mentre gli faceva il terzo grado. «Chi lo sa, forse il Ki risvegliato?» disse lei, cercando di deviare il discorso nel modo più assurdo possibile. «Kasumi, ma questa ricetta è nuova, complimenti!» fortunatamente Kasumi riusciva ad essere tanto svampita quanto bella. «Oh, grazie Ran-chan, ma è una ricetta di tua madre.» Allora la rossa si rivolse alla madre «Mamma!- rifiutava di usare un tono formale con lei- ma è delizioso, mi devi insegnare!» sua madre sorrise, fiera di lei. «La mia bambina che vuole imparare a cucinare dalla sua mamma!» disse, uscendo dal suo personaggio di austera e controllata donna giapponese e abbracciando la figlia. Non le sembrava vero di poter fare la mamma veramente. Ranma venne afferrata per le spalle e condotta in cucina. Non essendo sicura di poter sopportate quella botta d’entusiasmo materno, lei afferrò Akane al volo, trascinandola in cucina con loro. Non sapeva di preciso cosa avrebbe fatto, ma sentiva che sarebbe stato divertente. 

 

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Salve a tutti i miei cari lettori! 

Ed ecco un aggiornamento ad un mese (o quasi) di distanza! Cavolo, l’ultima vota i mesi erano due. Sono migliorato! Si, so che c’è solo uno spiegone, e pure poco elegante. ma sentivo il bisogno di raccontare di come si era “generata” la nostra ragazza, e di approfondire il rapporto con il lupo bianco. Prometto che, a breve, inizieremo una nuova grande avventura. Simile a quella di Kuno, ma cambieremo location. Solo un pelino. 

Bene, cercherò di lavorare al meglio, commentate e ditemi cosa ne pensate 

Vostro
Jacob Stark di Grande Inverno

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