Far Far

di YellowSherlock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How can you stay Outside? ***
Capitolo 2: *** La cena - Parte I ***



Capitolo 1
*** How can you stay Outside? ***


Sherlock era seduto dinnanzi alla finestra, in una posizione decisamente scomoda ed inusuale.
Quando era rinchiuso nel suo palazzo mentale, in genere si sedeva sulla sua poltrona di pelle, oppure esplodeva in qualche suo delirio.
Ma in quel pomeriggio prenatalizio, il consulente investigativo aveva deciso di posizionarsi su di una sedia di legno, davanti alla vetrata del soggiorno.
Era in posizione eretta, con le mani sulle cosce e il suo sguardo era fermo sulla gara che fanno le goccioline di pioggia quando si vanno ad infrangere sui vetri.
Nessuno avrebbe mai potuto stabilire la quantità di tempo che egli aveva trascorso in quella posizione, Sherlock poteva restare nel mind palace per giorni, come se le sue facoltà naturali si azzerassero, facendolo diventare parte del tutto.
John entrò con il suo solito fare distratto, posò le chiavi sul mobiletto accanto alla porta e, una volta sbottonato il suo cappotto, si accorse che qualcosa non andava.

“Sherlock? Tutto bene?”

Aspettò quelli che sembrarono trenta secondi, ma non ricevette nessuna risposta.

“Sherlock? Mi rispondi per favore?”

Nulla, il consulente non era intento a collaborare.
John sapeva che non doveva disturbarlo quando era solo con i suoi pensieri, ma poiché gli atteggiamenti del ragazzo erano sempre diversi e spaventosi, egli sperava ogni volta che qualcosa potesse cambiare.
Comprendendo che sarebbero passate altre ore, John si diresse in cucina per preparare la cena.

Watson era un uomo alquanto indifferente agli eventi meteorologici, ma quella sera fu decisamente affascinato dal crepuscolo giallastro che si presentò dinnanzi ai suoi occhi.
Mentre una mano manteneva l’anta del frigo, l’altra scostava la tenda, e John rimase ad osservare anch’egli le gocce che si infrangevano vicino ai vetri.

“Forse è questo a tenere Sherlock così impegnato, forse è affascinato anche lui dai colori che stasera ha deciso di regalarci il cielo.
 Londra sembra diversa, sembra così romantica…

-
John abbassò il capo cercando ingredienti dal frigo, ma la sua testa era decisamente altrove.

Dah, dovrei smetterla di ricadere sempre lì, maledetto romanticismo.
E poi, figuriamoci se Sherlock resta incantato per uno spettacolo della natura, certo…uno che non sa che è la terra a girare attorno al sole!!

-
Il dottore si girò verso la figura del ragazzo, la silhouette di Sherlock era inconfondibile, anche se si trovava dall’altro lato dell’open space.

Vorrei tanto sapere cosa sta accadendo nel suo palazzo mentale, ma non mi ci fa mai entrare, è uno scudo.
Si rifugia lì anche quando vuole proteggersi…
anche per proteggersi da me.”


Il dottore fu destato da quello stato di trance dal *bip del frigo che richiedeva attenzioni ; Prese delle uova, scansando le dita umane nello scomparto della frutta.
Trovò delle rape, della mozzarella e del prosciutto.
Decise di fare una omelette fuori dagli schemi, quantomeno più salutare del cibo d’asporto. Forse.

Quando l’omelette fu pronta, John la divise in due parti e preparò un piatto anche per Sherlock; pensò di non invitare l’amico a tavola, perché sapeva che non avrebbe ricevuto risposta, perciò prese il suo piatto e si diresse in camera sua.

---

“John? John sei a casa, lo so, vedo il cappotto. Vedo anche i piatti sporchi…eh oh, un piatto per la mia cena. Gentile da parte tua…a non invitarmi!”

Il detective urlò l’ultima frase cercando di farsi sentire; John, che aveva lasciato la porta semi aperta, sentì lo scalpitare del suo coinquilino, ed uscì con il suo piatto vuoto tra le mani.

“Invitarti, vero? Scommetto che mi hai salutato quando sono entrato, solo che sono sordo, perché io non ho sentito nulla. Comunque me lo hai insegnato tu che non si disturba mai un grande genio!”

Replicò John alquanto irritato.
Sherlock restò muto dinnanzi al corridoio

“Holmes che non replica, deve essere un caso davvero interessante.”

Sherlock abbassò lo sguardo e si diresse verso la cucina, prese il suo piatto, lo gettò completo di cibo direttamente nella pattumiera e si rinchiuse in camera.
John era incredibilmente irritato ed infastidito da quello spreco di cibo, aveva avuto varie volte quella discussione con il suo coinquilino, ma mai si era imbattuto in una scena simile; Sherlock non era arrabbiato, era triste.
Decise che avrebbe ripreso l’argomento l’indomani mattina, spense le luci e si rotolò per le successive otto ore nel letto, sentendosi in colpa per non averlo fermato.







Quando John riaprì gli occhi, si rese conto di aver dormito in totale un’ora. Era stanco, con la barba ispida, e due occhiaie da spavento.
Si tirò su dal letto con estrema fatica, fino a che non le sovvenne il pensiero della sera prima e una forza lo fece scattare come un grillo.
Scese le scale a tre gradini la volta, aveva bisogno di dire al suo coinquilino che per qualsiasi problema lui ci sarebbe stato, ma di Sherlock non c’era traccia.

Un velo di panico assaltò il Dottore, ma subito si calmò pensando che d’altronde non era la prima volta che Sherlock uscisse di casa all’alba.

“I suoi vestiti sono ovunque, non avrà fatto le valigie.
Perché sto pensando a questo? Quando la smetterò di aver paura di perderlo? La vita è la sua non è la mia, siamo solo amici.
Temo abbia ragione Stacey, è una terapista in gamba. Dice che dopo la morte di Sherlock, dopo la finta morte, io abbia sviluppato un sentimento di dipendenza nei suoi confronti.
Dipendenza, sono dipendente da lui.
Sono le otto del mattino, sono in un madornale ritardo, e sono qui a dedurre sui suoi eventuali passi, pregando dio che non sia andato di nuovo via per sempre.
Non ho mai stabilito un rapporto di amicizia così intenso, eppure con lui non riesco ad essere diversamente.
I miei pensieri girano sempre attorno a lui.
Dovrebbe capire bene, dal nostro rapporto, che è sempre la terra a girare attorno al sole e non viceversa.
Lui mi illumina, mi riempie le giornate, lui è un punto dei due fuochi.”


Dopo aver trascorso un tempo indefinito a fissare gli oggetti appartenenti all’amico, John si recò in camera per prepararsi, ma la sua giornata lavorativa fu un vero fiasco.
I  suoi pensieri erano solo sul suo coinquilino, non rispondeva ai messaggi, alle chiamate, niente.
Persino alle tre del pomeriggio, di Sherlock non vi era traccia.
Alle sei John uscì in fretta da lavoro poiché adesso il panico lo aveva inondato fino alle punte dei piedi.
Si accorse che le sue mani tremavano, che aveva frequenti vuoti alla testa, si sentiva tirare indietro da una forza invisibile.

E se gli fosse successo qualcosa? E se qualcuno lo avesse ucciso? Oddio no…oddio ti prego, Sherlock, il mio amico. Il mio Sherlock.”

Durante il tragitto per casa, il dottore chiamò chiunque avesse un rapporto con il consulente: Molly, Hudson, Lestrade, Mycroft.
Nessuno lo aveva visto.
Non disse a nessuno di loro della scomparsa, ma Mycroft avvertì del terrore nelle parole di Watson e capì che qualcosa non andava.

“Watson calmati, Sherlock sparisce sempre quando gli pare e piace.”

“No Mycroft! No! Sherlock mi invia text di continuo, mi assilla al punto che per lavorare devo spegnere il cellulare!”

“E allora? Cosa vuol dire? Probabile che abbia da fare…o che abbia qualche pensiero.”

“Che pensiero, Mycroft?”

“E’ Sherlock, se sapessimo cosa gira nella sua testa non saremmo a questi punti morti.”

Watson staccò il cellulare con rabbia, decise di non comunicare a nessun altro la sua preoccupazione, a quanto pare era l’unico essere sulla terra a soffrire la sua assenza.
Decise di avviarsi verso casa, quando la pioggia iniziò a cedergli sulla fronte.
Baker Street era vuota, la Hudson era fuori chissà dove, e così anche Sherlock.
Il dottore percorse l’appartamento in lungo e in largo, era bagnato da capo a piedi ma non si prese cura di asciugarsi, la sua agitazione era ormai palpabile; i battiti del suo cuore erano triplicati, le gambe erano pesanti e il naso gli bruciava poiché cercava di reprimere con tutto se stesso le lacrime.

Verso le due di notte, all’ennesimo messaggio non risposto, al dottore balenò l’idea di contattare la polizia, ma questa gli sembrò ridicola poiché sapevano tutti che un atteggiamento simile era tipico di Sherlock.

E se gli fosse successo qualcosa di brutto…? Oh dio, sto impazzendo…l’ultima volta è stato fuori per giorni, ma almeno sapevo dov’era…cielo, sto impazzendo totalmente…Nessuno si preoccupa per lui? Come è possibile che tutti credono che sia normale! Anche se fosse, come è possibile che gli lascino adito di stare via, di essere irrintracciabile per così tante ore? Nessuno gli ha mai fatto capire quanto sia importante la sua presenza?
Dove sei finito, maledetto? Quando la smetterai di farmi vedere l’inferno?
Mi manchi, bastardo.
Mi manchi da morire…
E se non dovesse ritornare?

Ne morirei.
Io muoio se non torni, Sherlock.
Io non la reggo la tua assenza ancora una volta…mi imploderà il cuore.
Voglio sperare che tu sia alle prese con un caso, alle prese con qualcuno, qualcosa…preferirei vederti addirittura accanto ad Irene Adler, ma non su di un marciapiede, sanguinante.
No.
Sherlock ti prego…visualizza questi messaggi…
ti prego…ti prego la spunta blu.
Salvami, salvami…
Ti prego, ritorna da me…
Vorrei ascoltare la tua musica ancora una volta, ascoltare i tuoi discorsi, le tue risate…il tuo silenzio.
Ti prometto che se ritorni potrai non parlare per mesi, ma ti prego, ho bisogno della tua presenza…
Ti prego Sherlock, rispondimi a queste chiamate…”


Il dottore si ritrovò inginocchiato sul tappeto dinnanzi al camino, la stanza era buia, le uniche fonti di luce erano il fuoco e i led natalizi.
I riflessi luminescenti delle luci di natale si schiantarono sulle lacrime del dottore, che era ormai in preda ad un pianto disperato.
Erano le quattro del mattino del 24 Dicembre, era la soglia della vigilia, e John Watson desiderava solo una cosa: il ritorno di Sherlock.
Erano le quattro del mattino quando il dottore si addormentò accovacciato a terra, stremato dalle sue lacrime e paure.


















“Watson? Watson che diamine ci fai lì a terra?! Ti sei addormentato sul tappeto? Il letto è diventato mainstream?!”

Sherlock era seduto sulla punta della poltrona di John e , quando il dottore realizzò che egli era finalmente tornato a casa, i suoi occhi furono attraversati da un lampo di gioia.
Restò nella posizione fetale con cui aveva affrontato il sonno, si portò le mani agli occhi, vergognandosi della paranoia che aveva provato il giorno prima.
“Ammazzato, suicidato…certo, applausi a te Watson, Mr. Drama Queen…ma non mi importa, questa lontananza mi ha aiutato a capire determinate cose…in primis che sono un paranoico, che sono completamente dipendente fa quest’uomo, e che devo superare la paura di…”

“Watson stai tremando! Lo sapevo! Una notte di Dicembre trascorsa su di un tappeto! Vorrei tanto sapere cosa ti dice il cervello!”

John tremava moltissimo, i suoi denti battevano producendo un molesto rumore.
Sherlock prese di corsa la coperta dal divano, si inginocchiò accanto all’amico, e lo aiutò a sedersi; gli poggiò la coperta sulle spalle sfregando velocemente la mano.
Il tremore di John continuò fin a che non svenne nelle mani del detective.


John si risvegliò nel letto del detective, lui non c’era, di nuovo.
Scattò in piedi ma dovette aggrapparsi allo schienale del letto, sentiva la sua temperatura corporea alle stelle e si ritrovava con il pigiama.
“E questo quando lo avrei messo? Ho sognato tutto? Sherlock! Sherlock dov’è? Oh dio no, è stato un fottuto sogno!!”
Il dottore si alzò di scatto ma venne colto da un violento giramento di testa, si appoggiò in fretta alla sedia accanto a lui e dai suoi occhi caddero copiose lacrime.

“Watson! Perché ti sei alzato?”

Sherlock era sotto l’uscio della porta con un vassoio in mano

“Sh..sheer…Sherlock! Sherlock sei qui ..”

“Certo, è casa mia, dove altro dovrei stare?”

“Tu…beh tu, tu sei sparito.”

“Sparito? 24h sono paragonabili ad una sparizione?”

John fece ancora più presa sulla sedia per evitare l’impulso di prenderlo a schiaffi.

“Sherlock!!! Potevi almeno rispondere ad un messaggio, mi hai fatto preoccupare!”

“Andiamo Watson, lo sai che il tempo non riesco a calcolar…”

“Non me ne frega un cazzo!! Devi rispondere alle mie fottute chiamate, sempre! Io metto in pausa tutto quando si tratta di te, e pretendo che lo faccia anche tu, specie quando non so dove diamine ti trovi!”

Il consulente investigativo rimase con la bocca aperta.

“John…ma…”

“Ma nulla! Devi rispondere e basta!”

“Ok.”

Sherlock si avviò con il suo vassoio verso il letto, sul suo viso c’era una punta di sorriso.

“Vieni a fare colazione, Watson. “

“Non ho fame.” Disse il dottore dandogli le spalle.

“Devi mangiare, hai la febbre, hai bisogno di energie. Quando la smetterai di camminare sotto la pioggia senza ombrello?”

“Quando.Tu.La.Smetterai.Di.Sparire.”

disse il dottore con un tono fermo ed arrabbiato.

“John, da quando soffri la mia assenza?”

“Credi davvero che io non mi preoccupi per te?”

John si girò tenendosi sempre alla sedia.

“Mi dispiace John, nessuno si preoccupa per me John, altrimenti non sparirei per ore.”

“Come osi pensare solo questo!! Come osi! Pensare che nessuno si preoccupi per te! Dopo tutto quello che abbiamo vissuto, Sherlock?! Dopo tutto quello che è successo?”

“Ti ho detto che mi dispiace.”

“Non me ne frega nulla! Non ti basterà una vita per chiedermi se continuerai a fare così!!”

Il silenzio cadde nella camera, fino a che Sherlock non finì di imburrare una fetta di pane tostato e disse:

“Vuoi del tè?”

Alle sue parole John si arrese, era troppo debole per poter ancora porre resistenza e il freddo iniziava ad impossessarsi di lui ancora una volta.
consumarono la loro colazione a letto, e John si infilò sotto le coperte per combattere la febbre.

Sherlock si avviò verso l’uscio della porta, quando John gli fece una domanda precisa:

“Mi faresti un regalo, visto che domani è Natale?”

“Mmmh, sentiamo. Anche se ci tengo particolarmente a quello che sono andato a comprare ieri.”

“Sherlock mi ha fatto un regalo? Un regalo?! 24 ore per un regalo?!”

“Vorresti vedere un film con me? Qui, a letto?”

Sherlock sorrise: “Ok, ma il mio regalo lo avrai comunque.”

Il consulente uscì di scena e John si ritrovò a sorridere, stropicciando il viso tra le braccia.


---

Il film fu messo nel lettore dvd, ma durò il tempo dei titoli iniziali poiché i due caddero in un sonno dolce e profondo, un sonno a metà mattina, una novità per entrambi.
Quando la Hudson bussò verso le due del pomeriggio per avere notizie sulla cena che si sarebbe consumata la sera, i due si ritrovarono faccia  a faccia, e non sfiorò minimamente a nessuno l’idea di potersi alzare e interrompere quel momento.

“Far far...”

“Lontano?” disse Sherlock

“How can you stay outside?”

Sherlock guardò il dottore con sorpresa e con un dolce sorriso.

“There’s a beautiful mess inside.”

Sherlock capì la citazione alla canzone che stava facendo il suo amico, e sentì dentro di sé una gioia inesplorata.

“Ti chiedo scusa per il casino, ti chiedo scusa per l’angoscia che devi subire ogni volta che mi ritrovo lontano.
Perdona questo caos, perdona l’impotenza di non riuscire a trovare un equilibrio.
Ma hai ragione tu, dopotutto. Come sempre.
Come puoi stare fuori? C’è un bellissimo casino qui dentro.”

Sherlock prese la mano del suo amico e la poggiò sul suo cuore.

Restarono in silenzio in quella posizione per un tempo che parve infinito, si prospettava il Natale più bello della loro vita.

 

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Capitolo 2
*** La cena - Parte I ***





Erano le sei del pomeriggio quando la Hudders fece irruzione nel soggiorno di Sherlock e John.
"Yo-hoo! Ragazzi? Ci siete? Insomma! Vi sto cercando dalle due! Ma dove siete stati?”

"Ci perdoni, Mrs Hudson - replicò John- ho beccato una simpaticissima influenza, e Sherlock mi è stato vicino."

"Oh povero caro! Ha sempre quel maledetto vizio di uscire di casa senza coprirsi, e adesso eccolo qui, alla vigilia della festa più bella dell'anno, con un naso rosso e un pigiama...discutibile."

Sherlock sorrise sotto i baffi.

"Non si preoccupi, signora. Per la cena indosserò un maglioncino adeguato."

"Oh beh, allora resti pure in pigiama."

John tirò gli occhi all'insù in segno di disperazione mentre Sherlock stavolta non riuscì proprio a trattenere una fragorosa risata.

"Bene - riprese la Hudson - visto che la situazione è in questi termini, direi proprio che per la cena ci penso io, voi pensate solo ad incartare i regali. Vi aspetto giù, alle otto in punto si cena, non un minuto in ritardo!"

Andò via chiudendo la porta, e il dottore decise di sedersi sulla sua poltrona di fronte a Sherlock.

"Che stai facendo?" disse John.

"Mhh...sto leggendo un articolo di giornale."

"Di che si tratta?"

"Oh puro diletto...uno studio sui regali di natale."

"Sei molto preso da questo argomento, in genere detesti il Natale, tantomeno i regali. Che ti succede?"

"Io non odio fare regali, odio le convenzioni sociali. Non vedo il perché io debba farlo solo a Natale e non quando mi pare."

"Puoi farlo."

"Sì, ma se poi non provvedo a Natale, sono una brutta persona."

"Sei una bellissima persona comunque, anche se non fai i regali nei giorni in cui devi."

Sherlock alzò lo sguardo dal giornale e fissò John; sul suo volto prese vita un piccolo sorriso e John distolse lo sguardo perché provò un moto di imbarazzo.

"Dunque - riprese il dottore - cerco di trovare le forze e vado a prepararmi, anche se il mio outfit non è condiviso da nessuno di voi."

John si alzò e si girò per dirigersi verso camera.

"Mi piacciono molto i tuoi maglioncini, John."

Il dottore restò fermo, dandogli le spalle.

"Smettila di prendermi in giro."

"Dico sul serio. Li trovo incredibilmente...piacevoli alla vista."

"Sherlock, sei un idiota."

"Sono serio, invece. Li adoro."

John riprese il suo cammino verso camera:
"Ti ringrazio, allora."
disse senza girarsi, e Sherlock rimase a fissarlo mentre il pigiama di seta gli delineava tutti i muscoli delle gambe e della schiena.

---

"Sherlock? Sei pronto?" urlò John dall'altro lato del corridoio.

"Ti sto aspettando da un tempo indefinito, se ti sbrighi, magari mi aiuti con gli ultimi regali."

Quando John comparve nella cucina, vide Sherlock immerso in una montagna di carta da regalo e nastri di raso:
"Andiamo John! Cerca di non restare lì impalato e aiutami!"

"Sei completamente impazzito, è appurato."

"Vorrei vedere te alle prese con gli incarti!"

"Oh no, a me provvedono i commessi dei negozi in cui compro. Tu invece non riesci mai a
fidarti di nessuno, ed eccoti qua!"

"Stà zitto e infiocchetta!"

Restarono ad incartare i regali per circa mezz'ora, fino a che la Hudson non li richiamò a dovere:

"Ragazzi! Scendete giù immediatamente! Gli ospiti sono arrivati!"

John e Sherlock caricarono i regali in spalla, e si diressero per le scale; una volta arrivati al piano di sotto, salutarono gli invitati, e cioè Lestrade con a seguito moglie e bambini.

“Ciao John!” disse Lestrade

“Ciao Greg! Buona vigilia di Natale!”

“Grazie amico mio, buona vigilia anche a te…”

“Ti verso in whiskey?”

“Oh sì, ti ringrazio.”

John si diresse verso il banco degli alcolici che la Hudson teneva in bella vista, Sherlock invece prese posto con il suo violino, sul bracciolo della poltrona dove era seduto Greg.
Strimpellò alcune note con il pizzicato fino a che non si rivolse a “Scotland Yard” sottovoce:

“Allora Greham…”

“Greg.”

“Greg, uhm, sì… ti vedo malinconico, che accade?”

“Nulla…”

“Lei è ancora innamorata di lui, vero?”

“Oh Cristo, Sherlock! Smettila di dedurre, lo sai bene che siamo in crisi.”

Il detective spostò il suo violino dalla spalla al grembo, continuando a punzecchiarlo seguendo una melodia piacevole.

“Perché non divorzi?”

“Perché abbiamo dei figli.”
“E quindi?”

“E quindi ne soffrirebbero.”

“Certo, perché la faccia che hai adesso nel giorno della vigilia di Natale li rende felicissimi…”

“Sherlock, smettila. Non contribuire a rovinare il mio Natale.”

“Dovresti divorziare.”

“Certo. Comunque, dov’è tuo fratello?”

“Non lo so, ma comunque è anche per questo che dovresti divorziare.”

Greg fece un balzo dalla poltrona, Sherlock gli accennò un occhiolino concludendo la sua melodia e poi si alzò in piedi percorrendo in grosse falcate lo spazio tra il soggiorno e la cucina della Hudson.
Quando John tornò dall’ispettore con il bicchiere di Whiskey, vide il colorito smunto dell’amico e capì che Sherlock aveva causato qualche vittima.

“Scusami, Greg. Ti raggiungo subito.”

John sentì il suono del violino provenire dalla stanza da letto della signora, e si precipitò dentro chiudendo la porta dietro di sé.

“Sei per caso impazzito?!”

“John! Eccoti!”

“Sherlock, che diamine ti è saltato in testa?”

“Non ti seguo.”

“Hai detto a Greg qualcosa di sconveniente su Mycroft.”

“Ti sbagli. Ho detto a Greg qualcosa di sconveniente sulla sua sessualità.”

“Sherlock!! Sei un pazzo! C’è sua moglie qui e i suoi due figli, come puoi fargli questo?”

“Odio le persone che sono tristi per cose che si possono risolvere tranquillamente.”

“Non è una sciocchezza, questa!”

“Andiamo. Mio fratello gli ha confessato il suo amore, lui lo ricambia da anni ma decide di ignorarlo perché non vuole ammettere di essere bisessuale. E di voler divorziare con la moglie che tra l’altro lo tradisce.
Andiamo John, che noia questa telenovela.”

“Greg è sconvolto, sai cosa significa, hai la minima idea di cosa voglia dire scoprire di provare impulsi sessuali per lo stesso sesso a cinquant’anni suonati?”

“Sì.”

“Ah si? E come lo sai?”

“Lo so e basta. Quando si mangia?”

John rimase incollato alla porta senza proferire altre parole.
Nella sua mente si materializzarono centinaia di pensieri, il respiro gli divenne corto e le sinapsi continuarono a fiammeggiare.

Allora ho ragione. Allora è tutto vero, non mi sono inventato nulla. Oh cielo, Sherlock è bisessuale…oh…forse è omosessuale e basta…non ci poss…oh dio, dio, allora è possibile che tra noi possa…
certo, dopo il pomeriggio passato insieme, e la canzone, e la mia mano sul suo cuore…era tutto chiaro, ma questa…questa è una conferma, diamine. Oh cielo, c’è speranza.


“Allora John? Quando si mangia?!”

Il Dottore ritornò alla realtà:

“Tra poco, Sherlock. Tra poco.”

---

Quando tutti si accomodarono nei posti già assegnati dalla Hudson, Sherlock e John si ritrovarono di fronte.
C’era qualcosa di sospetto nella sistemazione dei posti;
poiché dottore ricordava bene le regole grazie ai libri sul galateo che leggeva per diletto, si ricordò che nel settecento era usuale mettere le coppie appena fidanzate o sposate, di fronte.
Il dottore ripeté a se stesso che si trattava sicuramente di un caso, ma il suo dubbio, tuttavia, non si affievolì, conoscendo le maliziose intenzioni della signora Hudson.

Le portate scorrevano con lentezza, così come l’imbarazzante conversazione che si intavolò sin dagli antipasti.

“Allora Rebecca – la Hudson si rivolse alla moglie di Greg – avete intenzione di sfornare un’altra pagnotta?”

L’espressione di Greg si pietrificò, mentre John accennò un sorriso che Sherlock non seppe tenere segreto.

“Sherlock! – ripetè Greg – cosa diamine hai da ridere?”

“No niente, pensavo…”

“A cosa?”

“Al fatto che alla prossima festa di famiglia, voglio stare al tavolo dei bambini.”

John si alzò da tavola poiché non riusciva davvero più a trattenere una risata.

“Signora Hudson – replicò Rebecca rossa in viso – due figli vanno più che bene. E’ già difficile gestire questa vita così…così impegnata.”

“Oh…” Replicò la Hudson senza capirci molto.

Fortunatamente, la gioia dei bambini interruppe quell’imbarazzantissima cena, e la serata continuò leggera, poiché nessuno volle intavolare argomenti seri.
 

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