Dark Necessities

di _ A r i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Where it all began ***
Capitolo 2: *** The Red Stripes ***
Capitolo 3: *** Wonderwall ***
Capitolo 4: *** Things start tumbling down ***
Capitolo 5: *** Raindrops ***
Capitolo 6: *** Epilogue – Dark Necessities ***



Capitolo 1
*** Where it all began ***


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You don’t know my mind
You don’t know my kind
Dark necessities are part of my design and
Tell the world that I’m
Falling from the sky
Dark necessities are part of my design
Red Hot Chili Peppers — Dark necessities


Jude non ricorda con esattezza come sia finito in quella situazione – forse anche quel ricordo è anestetizzato dai fumi che albergano i luoghi che frequenta ultimamente.
Una sera d’inverno, il vento freddo. Fuori si era fatto buio e lui, come al solito, era in ritardo per tornare a casa. Avrebbe dovuto smettere di intrattenersi in biblioteca fino a quell’ora, prima o poi.
Casa sua era dalla parte opposta della città, perciò, nel tentativo di risparmiare un po’ di tempo, aveva deciso di tagliare attraverso la zona malfamata.
Pessima scelta, se solo ci ripensa adesso.


Southwest Corridor, Boston, 12th January
h. 07:25 p.m.


Era un vicoletto secondario, dove non arrivava neanche la luce rossastra dei vecchi lampioni. Ogni cosa era avvolta dall’oscurità e nella nebbia sottile scie di fumi si alzavano dalle pattumiere di latta lì affianco. Passandoci davanti, nella mente di Jude era affiorato chiaro il desiderio di non addentrarsi mai e poi mai in un posto del genere – peccato che, in effetti, non avesse avuto nessuna possibilità di scelta.
Mentre camminava lungo il marciapiede illuminato dalle luci malandate eppure, a modo loro, così rassicuranti, aveva sentito una voce nota emergere da quelle tenebre e pronunciare il suo nome.
«Sharp?»
Jude si era stretto un po’ più a sé la tracolla della borsa, restando inchiodato sul posto. Si era guardato intorno con circospezione, quasi volendosi accertare con quanta più sicurezza possibile di non aver preso un abbaglio. In cuor suo, d’altronde, Jude sperava di essersi sbagliato.
Eppure, sapeva già di avere ragione.
Purtroppo, infatti, era proprio dal vicolo buio alla sua sinistra che era provenuta quella voce.
E Jude conosceva fin troppo bene il suo insopportabile proprietario.
Poco dopo aveva sentito un gran frastuono invadere quella viuzza senza uscita – qualcuno che inciampava, metallo che cadeva rumorosamente a terra, il miagolio di lamento di un gatto, una sequela di imprecazioni trattenute tra i denti – mentre lentamente tre figure emergevano dall’oscurità.
«Cazzo, David» aveva sbottato il ragazzo di poco prima «un po’ più di attenzione?»
David Samford era comparso sulla scena di lì a poco, con un aspetto piuttosto trafelato. Con una mano poggiata sul muro di mattoni alla sua destra, si era piegato su se stesso, il respiro affannato.
«Come se ce l’avessi messo io quel secchio, lì» aveva replicato passandosi nervosamente una mano nella chioma di capelli turchini. «Oh, ciao, Jude!»
Il ragazzo sembrava essersi illuminato alla presenza dell’amico in quel luogo. Jude, invece, si sentiva stranamente confuso: lui e David si erano parlati un paio di volte, a scuola – certo, era ben lontano dal definirlo un suo amico, d’altronde tuttavia quante persone potevano veramente definirsi suoi amici? Ah, se solo non fosse stato sempre così riservato…
Nel frattempo, una terza figura era comparsa sulla soglia del vicolo e Jude non ci aveva messo molto prima di riconoscerlo: era Joseph King, il ragazzo che era sempre in compagnia di David – anche se forse sarebbe stato più corretto dire che fosse Stanford a seguire Joe come un’ombra.
Joseph aveva tirato uno schiaffo sulla testa del primo ragazzo, ignorando le sue proteste.
«Pure tu potresti evitare di criticarlo qualsiasi cosa faccia, Caleb» aveva soggiunto Joe, osservando con aria truce il primo ragazzo.
«È colpa mia se è deficiente? Comunque potresti pure evitare di difenderlo per qualsiasi cosa, è abbastanza adulto da farlo da solo e, se proprio non ci riesce, cazzi suoi. Non è un bambino e tu non sei la sua mammina. Al massimo sarà il tuo ragazzo – ma io non mi azzarderei comunque a definirvi in questo modo, mi sembra piuttosto che siate due che si limitano a scopare insieme, ma poco importa» aveva commentato Caleb Stonewall, senza perdere la sua solita aria strafottente.
«Non è il mio ragazzo» aveva replicato Joe, afferrando il suo interlocutore per il colletto della maglietta.
«Oh, se reagisci così fai supporre tutto il contrario» gli aveva fatto notare Caleb, nello sguardo una provocazione per nulla velata.
Jude, nel frattempo, si era agitato lievemente sul posto, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. Se fosse stato per lui, a quest’ora non avrebbe perso ulteriore tempo per scattare e correre via da lì il più velocemente possibile, tuttavia ormai i tre ragazzi lo avevano notato: erano in superiorità numerica, perciò non ci sarebbe voluto loro molto tempo prima di raggiungerlo e bloccarlo. Considerando anche il fatto che sembravano avere delle corporature piuttosto allenate e adatte agli sforzi fisici, fuggire era decisamente al di fuori delle sue opportunità.
Il ragazzo aveva pensato allora di richiamare la loro attenzione.
«Joe? David? Caleb? Che cavolo ci fate qui?» aveva domandato infatti. Forse con la retorica sarebbe riuscito a distrarli, assicurandosi così la fuga.
«Come che ci facciamo qui? È dove veniamo sempre, dopo le lezioni» era stata la spiegazione che gli aveva fornito David, con il fiato ancora piuttosto corto.
«La vera domanda» aveva ripreso Caleb, passandosi una mano nel ciuffo di capelli castani «è cosa ci fai tu, qui.»
Jude si era morso un labbro inferiore, muovendo di nuovo nervosamente i piedi.
«Niente di particolare, a dire la verità» aveva cominciato a spiegare, a disagio «stavo andando a casa e ho pensato che passando da qui avrei fatto prima. A tal proposito, forse adesso è arrivato il momento che io me ne vada—»
«Ohh, non così in fretta, amico» Caleb era scattato in avanti, afferrando Jude per un braccio e trascinandolo verso il vicolo «andarsene via così in fretta, d’altronde, è da maleducati, non trovi?»
Joe e David si erano limitati a lasciarsi sfuggire un lieve sogghigno, per poi inoltrarsi nelle tenebre insieme agli altri due.




Angolo autrice

Mi sono spaventata quando mi sono resa conto che ci ho messo più di quattro mesi per finire questa long. Perché sì, per la prima volta in vita mia sono riuscita a concludere qualcosa. Ne sono così entusiasta che potrei pubblicare tutti i capitoli di questa long in una volta sola... ma non lo farò, fondamentalmente perché sono una persona estremamente sadica – e credo che questo ormai lo sappiate tutti.
In totale, ve lo dico già da adesso, la storia si comporrà di sei capitoli, compresi il prologo e l'epilogo. Parliamo di 27.700 parole circa... un vero e proprio muro di parole, in effetti. Visto che pubblicarla come OS mi sarebbe sembrato fin troppo pesante, ho deciso di percorrere la via della long fiction. Magari anche per togliermi la soddisfazione di vedere una mia storia giungere al termine? Chi lo sa. In ogni caso, visto che già dal numero di parole si capisce che il 7 sarà un numero molto presente all'interno di questa storia (non è vero ma illudiamoci che sia così LOL) i capitoli verranno pubblicati ogni 7, 17 – al diavolo la scaramanzia, insomma – e 27 del mese, e beh, ho pensato che questo potesse essere un modo carino per farvi compagnia in questi caldi mesi estivi... dato però lo scarso riscontro che generalmente le mie storie ottengono su questo fandom diciamo che principalmente la pubblico per me, ahah.
Non aspettatevi fluff e cose allegre da questa storia: vengono affrontate tematiche quali l'alcol, la droga e la delinquenza, perciò diciamo che le coppie ci sono ma potrebbe trattarsi anche di rapporti disfunzionali, in taluni casi. Se sono argomenti che credete di non riuscire a sopportare in una lettura, vi consiglio caldamente di non proseguire oltre, non vorrei mai urtare la vostra sensibilità. Il linguaggio sarà spesso molto pesante, così come alcune scene... perciò sì, credetemi, se non ve la sentite vi capisco. Inazuma Eleven non è certo la patria di queste cose poco allegre... io stessa, mentre scrivevo, mi sono dovuta fermare innumerevoli volte, perché a tratti la storia diventava fin pesante o temevo di non aver approfondito a sufficienza alcune tematiche.
Altra cosa: questo è il prologo e non succede granché, credetemi però se vi dico che il terzo, quarto e quinto capitolo saranno davvero... pieni. Okay, questo non vuol dire saltate a quelli e non leggete gli altri, però insomma, dopo l'impegno che ci ho messo per finire questa storia magari date uno sguardo un po' a tutto.
A proposito... lo so, come ho detto le mie storie su questo fandom non ricevono mai molti pareri... però, visto che ci ho messo più di quattro mesi per finirla e che ci ho letteralmente sputato sopra del sangue per finirla, almeno un piccolo parere per dirmi cosa ne pensate vi andrebbe di lasciarlo? :3
Le coppie penso di non dover neanche dire quali siano... e sì, questa è l'ultima storia che pubblicherò su questo fandom. Perché? Oh, molto semplice: ormai Inazuma Eleven mi provoca soltanto dispiaceri. Ho trovato fandom in cui mi sento molto più benaccetta, per cui non vedo il motivo di restare ulteriormente qui. Per continuare a soffrire? Grazie, ma no, grazie. Ma ehi, ho concluso una long, bisogna festeggiare, no?
E niente, per questa volta ho detto tutto – e anche troppo, forse. Ringrazio come al solito Gaia per aver betato tutto ciò e ci vediamo il 17 luglio!

Aria

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Capitolo 2
*** The Red Stripes ***


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Back Bay, Boston, 5th September
h. 05:37 p.m.


Da quel giorno sono passati otto mesi – e tutto è cambiato.
Gli skate sfrecciano in fretta lungo le strade della città. Settembre è appena iniziato, eppure il freddo punge già.
Caleb abbaia qualcosa nel vento e i tre ragazzi annuiscono, servizievoli come cani. Un’altra spinta a terra e le tavole saettano sui marciapiede, gettando il panico tra i passanti ignari. Ad alcune signore cadono le buste di carta con la spesa mentre gridano terrorizzate; gli uomini gli lanciano contro diversi improperi, eppure è ormai troppo tardi: i quattro teppisti sono già scomparsi, veloci come il vento.
Due agenti della polizia corrono loro dietro, estraendo le pistole dal fodero e agitandole a mezz’aria: forse così credono di sembrare più intimidatori, chi lo sa.
Caleb si volta un momento indietro per poterli osservare, dopodiché torna a fissare la strada davanti a sé. Lancia uno sputo di lato, per poi accelerare di nuovo. Ha un piano ma è folle: spera solo che i suoi compagni, come al solito, decidano di seguirlo.
«Il corrimano» comunica loro, in fretta e furia, certo che capiranno.
Il gruppo si dirige compatto verso la zona della spiaggia. C’è una lunga scalinata, in mezzo alla quale si staglia un lungo corrimano che funge un po’ da spartiacque: un lato per scendere, l’altro per salire. Caleb non ci pensa due volte e punta dritto verso di esso, seguito a ruota dagli altri; quando ormai mancano pochi istanti all’impatto spicca il salto, trascinando con sé anche lo skate, che atterra senza problemi sul corrimano, continuando la sua discesa. Joe lo raggiunge dopo pochi istanti, imitato di lì a breve anche da David; l’ultimo ragazzo ha indosso una felpa, il cui cappuccio gli copre il volto, rendendolo irriconoscibile, perciò è impossibile dire di chi si tratti. Fatto sta che anch’egli inizia la propria discesa; i passanti terrorizzati, si allontanano subito dal supporto in metallo, mentre gli agenti scendono le scale e fanno del loro meglio per stare al passo dei ragazzi.
«Fermatevi!» intima loro uno dei poliziotti. «Vi stiamo alle calcagna, non avete modo di farla franca.»
Caleb sogghigna nel vento, con la consapevolezza che riuscirà a salvarsi anche stavolta.
«Questo lo dici tu, stupido sbirro» commenta infatti, grindando sul corrimano quando vede di essere arrivato quasi alla fine di quest’ultimo. Non appena il tubo termina, Caleb spicca un altro balzo e le ruote del suo skate tornano a scivolare sull’asfalto, divorando un metro di strada dopo l’altro. Gli altri lo seguono, in totale tranquillità: quella è la loro zona, in particolare Caleb la conosce come le proprie tasche, perciò per loro non sarà un problema lasciarsi trasportare via come delle ombre.
L’ultimo skater, quello con il volto coperto, si muove in un modo così elegante che sembra quasi star pattinando sul ghiaccio. Ha decisamente più grazia e classe rispetto ai suoi compagni, che invece sembrano limitarsi al mero andare veloci. Il ragazzo che chiude la perfetta fila indiana dei teppisti sembra avere qualche problema a seminare gli inseguitori, tuttavia non ne fa un dramma, procedendo a slalom tra lampioni e vasi di fiori.
In quella zona c’è ancor più folla sui marciapiedi, essendo vicini al porto e alla spiaggia, i centri nevralgici della vita cittadina, tuttavia – a differenza dei passanti dell’altro quartiere – questi ultimi sembrano quasi nutrire un timore reverenziale nei confronti di quegli skater, perciò non appena li vedono avvicinarsi si scansano di lato, permettendo loro di passare indisturbati. Ben presto gli agenti si vedono costretti ad ammettere che quei ragazzi sono riusciti a sfuggirgli ancora una volta, sparendo nel bel mezzo del nulla.
        

Southwest Corridor, Boston, 5th September
h. 06:12 p.m.


«Sì, cazzo» David svolta all’interno del loro vicolo, esultando entusiasta «li abbiamo fregati un’altra volta!»
«Calma i bollenti spiriti, David» Caleb solleva lo skate con la punta della scarpa, afferrandolo dall’estremità opposta «abbiamo rischiato grosso, stavolta. Per poco non ci prendevano.»
«David, Caleb ha ragione» Joe sospira con aria grave, lasciandosi cadere seduto a terra «se non ci svegliamo prima o poi ci mettono al fresco.»
David, notando l’espressione seria dell’amico, subito serra la mascella, pur di non apparire ridicolo agli occhi degli altri.
«Piuttosto» Caleb scrolla le spalle, con noncuranza «il vero problema è che qui c’è qualcuno che è più preoccupato di non farsi riconoscere che altro… non è così?»
Con un movimento rapido scatta in direzione del compagno con ancora il cappuccio sollevato e subito glielo abbassa, rendendo di nuovo il suo volto visibile.
Jude sospira mestamente. Per un momento solleva lo sguardo, fissando intensamente Caleb negli occhi, dopodiché china nuovamente il capo, tornando a scrollare l’applicazione che ha aperto. A partire da quella mattina ha ricevuto almeno una cinquantina di telefonate e forse un centinaio di messaggi. Se controlla bene, solo una ventina di chiamate e una misera decina di messaggi arrivano da suo padre. Le altre interazioni sono riconducibili ai suoi – ormai ex – compagni di classe e, in gran parte, ad una persona che conosce fin troppo bene. Spera di finire presto con i ragazzi, stasera, perché ha una voglia terribile di vederlo.
Il riverbero luminoso del telefono sul volto di Jude infastidisce a dismisura Caleb, soprattutto perché non lo sta ascoltando. Allora afferra il colletto della felpa del ragazzo, sollevandolo appena da terra.
«Sei pregato di darmi retta quando ti parlo» ringhia, i denti stretti.
Jude sospira teatralmente, scrollando le spalle. «Ma io ti sto dando retta, Caleb» ribatte infatti, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo «fino a prova contraria, non mi pare di essere sordo.»
Caleb sente il ringhio salirgli in gola fino a diventare più roco e profondo di quanto potesse immaginare; alla fine però sa di dover lasciare Jude: a volte vorrebbe davvero poterlo picchiare fino a spaccargli la faccia. Quella sua aria da damerino saputello lo irrita come poche cose al mondo, tuttavia da quando – quasi un anno prima – aveva concesso al ragazzo di unirsi al loro gruppo, era quasi come se fosse diventato intoccabile. Già, non poteva certo mettere le mani addosso a uno di loro, non senza un buon motivo. E, sfortunatamente per Caleb, l’insolenza e la presunzione che talvolta il suo vice era in grado di dimostrare non erano considerati delle valide motivazioni.
Tra l’altro, durante quei mesi Jude si era integrato alla perfezione nella banda: David lo adorava, avrebbe fatto qualsiasi cosa per quel ragazzo dagli strani occhialini; perfino Joe nutriva simpatia nei suoi confronti – assurdo, proprio lui che detestava a prescindere chiunque. Perciò, se Caleb si fosse lasciato sfiorare anche solo lontanamente dall’idea di dare a Jude una bella lezione, probabilmente il ragazzo coi dreadlock avrebbe avuto dalla propria due alleati da non sottovalutare.
L’ultima cosa che Caleb desiderava era un’insurrezione interna: la loro gang si teneva a malapena in piedi, non c’erano motivazioni profonde a tenerli uniti. A volte pensava che fossero solo quattro estranei rimasti insieme per inerzia, troppo pigri per cercarsi un’alternativa di vita migliore. Finché potevano avere fumo, droga e alcol – gli anestetici che facevano loro dimenticare le brutture che li circondavano – dubitava che si sarebbero allontanati più di tanto.
A dire la verità, col passare dei mesi era stato proprio il suo vice a diventare il collante tra di loro: tutti lo rispettavano, alcuni in modo sincero e spassionato come Joe e David e altri solo per il patto di tacito assenso che vigeva tra loro… e questo era proprio il caso di Caleb, in effetti.
«In ogni caso» Stonewall si volta, dandogli le spalle «per proteggere il tuo anonimato perdi un sacco di tempo, Jude. Pur di non far calare il tuo caro cappuccio, sei costretto ad andare più lentamente di tutti noi. Andando avanti così finirai per farti catturare, uno di questi giorni…»
Jude sbuffa, irritato; detesta dover ripetere ogni volta le stesse cose. Finisce di inviare il messaggio che stava scrivendo – “Ho bisogno di vederti. Ci vediamo stasera al solito posto?” – quindi blocca lo schermo del suo telefono. Ora le tenebre sono tornate a padroneggiare nel vicolo.
«Ah, beh, scusa tanto se mio padre è uno degli imprenditori più influenti dello stato del Massachusetts» replica ancora, esasperato «se si venisse a scoprire che suo figlio fa parte di una delle gang che stanno portando scompiglio in città come pensi che la prenderebbe? La sua carriera sarebbe rovinata per sempre, di sicuro.»
Caleb sogghigna, soddisfatto. Assurdo, Jude continua a cadere ogni volta nelle trappole che le sue parole sanno tendere – al che Caleb si chiede se lo faccia apposta o meno.
D’altronde, Jude è un ragazzo estremamente sveglio, è chiaro che riesca ad individuare i suoi tranelli senza troppe difficoltà. La domanda allora è: perché continua a lasciarsi cadere all’interno di esse, se ormai sa perfettamente quale sia il loro meccanismo?
A volte Caleb crede che lo faccia perché gli piace, tuttavia subito finisce per smentirsi: sarebbe un comportamento fin troppo autolesionista perfino per quel damerino, no?
«Beh, questa non è altro che l’ennesima dimostrazione di quel che ho sostenuto per tutti questi mesi» lo informa, con tono chirurgico «se avessi evitato di ficcare il naso dove non dovevi, sei mesi fa, adesso non staremmo parlando di questo.»
L’espressione di David muta subito, divenendo stizzita; Joe si rimette in piedi, mentre fa per dire qualcosa. Jude, invece, non sembra intenzionato ad aggiungere altro.
Caleb ne approfitta per cogliere la palla al balzo.
«Ad ogni modo» riprende infatti, stringendo le mani dietro la schiena «ho pensato che adesso potremmo andare a perdere tempo giù al binario abbandonato della ferrovia. Più tardi passiamo alla nostra distilleria a Roxbury e ci prendiamo qualcosa da bere per stanotte, almeno sappiamo che cazzo fare. Tutto chiaro, gente?»
David sorride, grato del fatto che abbiano cambiato argomento.
«Ottimo, per me va bene» acconsente infatti, stringendosi un braccio al corpo.
«Anche io ci sto» commenta Joe – nonostante tutti immaginassero che non si sarebbe fatto problemi in merito. Da quando Joseph King rinunciava alla prospettiva di una bella bevuta?
Jude controlla l’orario sul suo telefono. Sa già che la serata andrà per le lunghe, in fondo però valuta che sarà meglio così, altrimenti dovrebbe rientrare a casa e ammazzare il tempo in compagnia di suo padre. Non saprebbe esattamente cosa dirgli, una volta trovatoselo davanti – forse qualcosa del tipo “Ciao papà, scusa se sono in ritardo ma ero in giro con una di quelle gang che, nel tuo programma per la candidatura a governatore del Massachusetts, ti sei prefissato di debellare. E no, non sono andato a scuola neanche oggi, come d’altronde tutti i giorni scorsi, questa settimana. Oh, non è che posso uscire, più tardi?” – inoltre sarebbe decisamente più complicato sgattaiolare al suo appuntamento segreto, una volta tornato a casa.
«D’accordo, andiamo» acconsente infine, con un sospiro stanco. Incredibile, sono ancora le sei e lui è già esausto.
David, invece, sembra essere nel pieno delle sue forze, visto che poco dopo si lascia sfuggire delle nuove esclamazioni di giubilo, elettrizzato.
I ragazzi poggiano le tavole a terra e sono subito a partire alla volta della loro prossima meta.


Roxbury, Boston, 6th September
h. 01:26 a.m.


L’insegna esterna del Red Stripes sfrigola sopra le loro teste, mentre per un momento il neon rosso smette di funzionare. Di nuovo.
Jude fa illuminare lo schermo del telefono, rileggendo per l’ennesima volta il testo del messaggio. L’ha ricevuto ore fa, eppure non ha avuto cuore di sbloccare il cellulare e aprirlo. No, preferisce vederlo lampeggiare lì, ogni volta che preme il tasto di Home.
“Va bene. Non fare troppo tardi, domani ho lezione alle prime ore” – è questo quel che vi è scritto. Jude crede ormai di aver imparato a memoria quelle parole, a forza di leggerle. Non vede l’ora di andare davvero lì, sta contando i minuti che li separano…
«Si può sapere di chi è quel messaggio?» Caleb sbuffa rumorosamente, dando una scorsa all’orologio che ha al polso. «Ma quanto cazzo ci mettono quei due deficienti? Non sapevo che per rubare un paio di bottiglie di alcolici ci si mettesse tutto questo tempo…»
«È di mio padre. Il messaggio, dico» si affretta invece nel mentre a rispondere Jude, cercando di nascondere un leggero imbarazzo. No che non è del signor Sharp, il messaggio, però è meglio che Caleb creda questo. Jude non osa immaginare quanto lo sfotterebbe se fosse a conoscenza di chi è il suo vero mittente.
Caleb lo osserva attentamente, trattenendo a stento una risata.
«Cristo, Jude» commenta infatti, poco dopo «sarai anche un ottimo stratega e non te la cavi poi così male con lo skate, certo però che a raccontare balle fai davvero pena. Dai, da quando in qua si sorride per ore riguardando lo stesso messaggio del padre
Jude agita nervosamente le mani nella tasca gigante della sua felpa, di qualche taglia troppo grande per lui. Accidenti, non credeva che fosse così evidente.
«Uhm, non lo so, da adesso?» Jude prova a sviare Caleb, sperando che il suo tentativo vada in porto.
Ovviamente, al contrario, finisce per fallire miseramente.
Caleb infatti si mette a ridere ancora di più; ad un certo punto è costretto a piegarsi su se stesso, pur di trattenersi – in fin dei conti, non può certo far crollare la loro copertura.
«Pff» il ragazzo raddrizza la schiena, asciugandosi una lacrima che gli è scesa a causa dell’eccessiva ondata d’ilarità «sì, sì, certo, come no. Tutti ad arrossire e a  sorridere come degli ebeti ogni volta che riceviamo un messaggio da parte di nostro padre, d’ora in poi. Certo che sei proprio un coglione, a volte.»
Jude fa per ribattere. Vorrebbe dirgli che se arrossisce è perché si sente in colpa per non essere tornato a casa nemmeno stasera – ma si ferma già prima di cominciare, perché stavolta si rende conto anche da solo che suonerebbe come una stronzata. Sia perché sa che Caleb gli chiederebbe allora cos’abbia da sorridere e sia perché non ci crederebbe nemmeno lui, a quelle parole.
Può perdere la faccia tutte le volte che vuole, magari però stavolta passa volentieri.
Caleb lo osserva rimanere in silenzio e sotto sotto sa che, anche stavolta, ha avuto la meglio su di lui.   
«Senti, Jude» lo sente riprendere pochi istanti dopo «a me non me ne frega un cazzo se ti vedi con una tipa o meno. Cioè, buon per te, insomma. Quindi sinceramente non capisco perché tutto questo mistero: siamo una banda, no? Dirci quello che ci succede dovrebbe venirci spontaneo.»
Jude fa dondolare giù i piedi dalla ringhiera su cui è seduto. Oh, se solo fosse quello il problema…
«Per una volta volevo solo tenermi un segreto tutto mio» mente, di nuovo – e sa già che Caleb l’ha capito anche stavolta.
Il leader della gang si limita ad alzare le spalle. In fin dei conti, gliene frega ben poco dei problemi personali di Jude; non vuole dirgli che gli prende? Fatti suoi. Se in tutti quei mesi non ha ancora capito che può fidarsi di loro, allora vuol dire che non ci riuscirà mai.
«Tu, piuttosto» Caleb si passa una mano nel ciuffo in cima alla testa «prima o poi dovrai smetterla di andare in giro in incognito o farai finire tutti noi nei guai. Quando hai intenzione di piantarla con questa storia del dover nascondere la tua identità? Siamo delinquenti, Jude, mica i giustizieri mascherati.»
«Presto, presto» si affretta a rispondere, tornando a tormentarsi le mani nella tasca della felpa «ci sono ancora delle cose che devo risolvere, prima. Tipo trovare un modo per dire a mio padre che sono un ladro che si unisce alle scorribande in giro per la città che tanto si prodiga a reprimere o ritirarmi dalla scuola. Sarebbe un po’ complicato se nel mio liceo si venisse a sapere quello che faccio, non trovi?»
«D’accordo, però vedi di darti una mossa» Caleb pesta i piedi per terra, si vede da lontano un miglio che si sta trattenendo per non imprecare – a quanto pare, i tempi di attesa per Joe e David stanno diventando decisamente troppo lungo «sai quanto mi dia fastidio avere a che fare con dei perdigiorno. Tipo quelle due teste di cazzo là dentro… giuro che se non si danno una mossa entro e li picchio.»
Jude sorride, senza aggiungere altro. È riuscito a scampare anche stavolta all’ennesima ramanzina di Caleb; forse, col tempo, ci sta prendendo la mano. Ad ogni modo, anche lui spera davvero che quei due si muovano: non per niente, solo che avrebbe un appuntamento…
Tra lui e Caleb, nel frattempo, è calato il silenzio. Mentre i neon sfarfallano un’ennesima volta sopra di loro, Jude si sente quasi in dovere di mantenere viva la conversazione.
«Come va con Camelia?» domanda allora, certo che così otterrà tutta l’attenzione dell’altro.
La testa di Caleb, infatti, schizza nella sua direzione. Per un momento il ritardo di Joe e David diventa di così poca importanza, rispetto a quello che gli è appena stato chiesto.
«Sempre la solita merda» si decide finalmente ad ammettere, dopo diversi interminabili momenti di silenzio «dice che la dovrei smettere con questa storia della banda e tornare a studiare, o magari cercarmi un lavoro vero. Se solo riuscisse a capire quanto io tenga a quello che facciamo…»
Jude tira fuori dalla tasca della felpa un pacchetto di sigarette e un accendino. Ne estrae una, dopodiché fa scattare la rotella e la fiamma rischiara per un istante quella notte fin troppo oscura. Si porta la sigaretta alle labbra e aspira forte quel sapore di nicotina: per un momento lo sente invadere completamente la sua mente, tutti i pensieri che d’improvviso si fanno più leggeri.
Dopo qualche secondo espira e tutto il fumo gli esce dalle labbra, riempiendo l’aria tra lui e Caleb. Jude pagherebbe oro per un migliaio di quegli istanti di beato ottenebramento; non è un grande amante del sapore del fumo: ha cominciato solo perché lo facevano Caleb e gli altri, credeva che, omologandosi a loro, si sarebbe sentito più grande e i ragazzi lo avrebbero accettato nel gruppo con maggiore facilità. Se ora continua un po’ è per via della forza dell’abitudine, anche se il motivo principale resta pur sempre quegli istanti d’oblio che solo il fumo e poche altre cose al mondo sono in grado di concedergli.
«Non hai mai pensato di smettere, con la gang?» domanda poco dopo a Caleb, quando sente di riuscire nuovamente a connettere i pensieri «magari Camelia potrebbe non avere tutti i torti e la vita, al di fuori di quel che facciamo, potrebbe essere altrettanto divertente o interessante.»
Caleb lo fissa attentamente, come se non riuscisse a comprendere il vero significato delle parole di Jude.
«Cos’è, un modo per dirmi che ti piacerebbe tagliare la corda?» gli domanda infatti, poco dopo. «Beh, pensavo che avessimo chiarito già parecchio tempo fa che questa non è una cosa da cui puoi tirarti indietro, Jude. Ad ogni modo no, non ho mai pensato di smettere perché, come ho detto, mi piace quel che facciamo. Quanto a Camelia, so che una parte di ragione ce l’ha anche lei, però immagino che se vuole continuare a stare con me dovrà farsi una ragione di questa storia, prima o poi. E adesso passami quella fottuta sigaretta, che sto andando in astinenza.»
Jude gli allunga la cicca appena consumata, senza aggiungere altro. Sa bene che con Caleb è meglio non tirare troppo la corda, perciò si sente già immensamente sollevato così per com’è andata, quella conversazione.
Vede brandelli di cenere alzarsi in volo, mentre Caleb consuma quella sigaretta piuttosto rapidamente. A giudicare dal modo in cui se la sta fumando, sembrerebbe essere parecchio nervoso.
Il leader della gang si volta a lanciare uno sguardo all’interno del negozio – e gli sembra di vedere la prima cosa bella di quella notte.
«Oh, stanno arrivando, finalmente» commenta infatti, ghignando eccitato «preparati a correre.»
Caleb lascia cadere la sigaretta a terra, che finisce in una pozzanghera piena d’acqua sotto gli scalini, spegnendosi; ormai non gli serve più. Jude invece salta giù dalla ringhiera sottile in tubi d’acciaio e i suoi piedi tornano a toccare il suolo, posandosi sugli scalini davanti alla porta del locale.
In effetti vede Joe e David attraversare il locale con delle ampie falcate – e sa che è arrivato il momento di andarsene di lì.
Lui e Caleb iniziano a correre più o meno nello stesso momento. Saltano giù dai gradini di cemento armato non rasato e filano via dalla piazzola del locale alla velocità della luce. Caleb lo precede di qualche secondo, tuttavia la distanza tra loro è davvero minimale. Sanno che, più indietro, ci sono anche Joe e David – o almeno se lo augurano per loro – che li stanno seguendo correndo a loro volta più veloce che possono, però al momento non hanno modo di curarsene. Jude sente il cuore battergli a mille nel petto, martellargli contro la gabbia toracica con una furia inaudita, mentre l’adrenalina corre lungo le autostrade delle sue vene e i polmoni gli ardono; i polpacci tirano e pulsano a causa dello sforzo fisico, la testa inizia a dolergli e il fiato è già corto, nonostante questo però il ragazzo è felice.
Sì, felice.
Jude sorride, è così elettrizzato che se non avesse una copertura da mantenere si metterebbe ad urlare. La verità è che in quei momenti, quando è in giro con i suoi amici a combinare casini, si sente libero come in poche altre occasioni nella sua vita.
I quattro attraversano un ponte di metallo e i loro passi rimbombano assordanti nella notte. Hanno corso per due o tre isolati consecutivi, ormai sono assolutamente certi che non li stia inseguendo nessuno, tuttavia non riescono proprio a rallentare, ora che quella scarica di emozione è entrata in circolo è davvero difficile tenerla a bada.
Solo una volta tornati nel vicolo di Southwest Corridor si permettono finalmente di accasciarsi al suolo, esausti. Non mangiano da quasi dodici ore consecutive, perciò non hanno la più pallida idea di dove trovino tutte quelle forze.
Caleb è il primo a riprendersi, ovviamente.
«Allora, queste bottiglie di alcol?» domanda, infatti; non sta nella pelle, sembra incapace di trattenersi oltre.
«Eccole, eccole» commenta David, con ancora il fiato corto. Subito si solleva la maglietta, mostrando una bottiglia di vodka, che di lì a poco lancia in direzione di Caleb.
Joe fa la stessa cosa, limitandosi ad allungare la sua confezione a Jude.
«Sotto le magliette, come le fighettine» se ne esce d’improvviso Caleb, mentre stappa la propria bottiglia «perché c’avete messo tutto quel tempo?»
«Il commesso non ci levava gli occhi di dosso» spiega Joe, strappandogli la vodka di mano «siamo dovuti andare al cesso a far finta di limonare, altrimenti dubito che saremmo riusciti ad uscire di lì.»
«“Fare finta” di limonare, certo, certo» Caleb recupera la bottiglia e beve un’ampia sorsata di quel liquido trasparente «magari vi guardava perché voleva unirsi a voi, che ne sai?»
«Ugh, Caleb, che immagine ripugnante!» strepita David, disgustato; il ragazzo dai capelli turchini si fa restituire la bottiglia di vodka da Jude per un breve sorso, dopodiché la ripassa all’altro ragazzo, nauseato dalle parole del capo della banda, mentre si stringe le ginocchia al petto. «Era un uomo basso, grassoccio, pelato e unto! Doveva solo provarci a seguirci al bagno, a quel punto un bel paio di pugni in faccia non glieli avrebbe tolti nessuno.»
«Tu che usi la violenza su qualcuno? Ci credo sicuramente, David» replica Caleb, con espressione sardonica «visto che hai avuto modo di osservarlo così attentamente magari ti è anche dispiaciuto che non vi abbia raggiunto al cesso per una scopata, chi lo sa.»
L’espressione di David è così allibita che Jude non può fare a meno di scoppiare a ridere. In fondo, frequentare quella compagnia di individui pessimamente assortiti non è poi così male.
Lancia un’occhiata all’orario sullo schermo del suo telefono: sono quasi le due. Non credeva che fosse così tardi. Il messaggio – ancora segnato come non letto – gli ricorda che è arrivato il momento di lasciare quel posto.
«Ragazzi, temo di dover andare, adesso» Jude si alza in piedi, con un espressione rammaricata in volto. Spera solo che non gli facciano troppe domande, dubita di saper rispondere.
«Cosa…? Te ne vai di già, Jude?» chiede David, deluso. «Guarda che il divertimento iniziava adesso…»
Jude apre la bocca per replicare, tuttavia viene – a sorpresa – anticipato da qualcun altro.
«Lascialo andare, David» commenta Caleb, infatti. «Jude ha un appuntamento galante.»
«Come? E non volevi dirci niente?» David quasi strilla, adesso «Ma questa è una notizia fantastica, Jude!»
Il ragazzo in questione, tuttavia, non sembra pensarla allo stesso modo.
«Caleb, doveva restare un segreto!» sbotta infatti, irato.
«Un segreto che mi porterò nella tomba, assieme ai miei amici, infatti!» ribatte quest’ultimo, gongolante. «Avanti Jude, dovresti saperlo ormai che tra noi non ci sono segreti.»
Jude sbuffa nervosamente. Alla fine si volta, senza neanche salutarli, per poi poggiare lo skate a terra e cominciare a muoversi verso l’uscita del vicolo.
«Ciao, Jude» lo saluta Caleb, da dietro, agitando appena una mano – anche se l’altro è ormai di spalle e non può più vederlo.
«Buonanotte, Jude» sussurrano invece Joe e David, all’unisono.
La figura di Jude svanisce nelle tenebre, mentre il ragazzo scivola elegantemente nell’oscurità con lo skate.
Solo quando sono passati diversi minuti dall’ultima volta in cui l’hanno visto nitidamente e hanno ormai la certezza che si sia allontanato del tutto, i tre riprendono a parlare.
«Secondo voi perché non vuole dirci dove va?» domanda Joe, confuso.
«Non so come la pensiate, ragazzi» aggiunge Caleb, lapidario «ma secondo me in questa storia c’è qualcosa di davvero molto, molto strano.»



Angolo autrice

E ce la fa! Per il rotto della cuffia, ma ce la fa ^^"
Ringrazio in aramaico antico Gaia per essere riuscita a betare questo capitolo in meno di ventiquattr'ore. sul serio, sono scema, mi dispiace così tanto per non avertelo inviato prima--
Comunque, veniamo a noi. Sono felicissima che lo scorso capitolo sia stato recensito da ben quattro persone... sul serio, non mi aspettavo di ricevere tutti questi riscontri, grazie mille ** e vi chiedo scusa se non riuscirò a rispondervi a breve, purtroppo sono una persona molto lenta (e già il fatto che abbia rischiato di non riuscire a fare in tempo a pubblicare oggi dovrebbe dimostrarlo ampiamente >.<) però sappiate che ho letto tutto e che prima o poi le risposte arriveranno, lo giuro! Tra l'altro siete state tutte davvero molto carine nei commenti, e di questo ve ne volevo ringraziare... mi dispiace di aver sbagliato il cognome di David, chi mi segue su Twitter sa che mi sto martirizzando da giorni per questo... giuro che appena possibile lo metterò a posto, ancora grazie mille per avermelo fatto notare! ;;
Uhm? Perché continuo a dire "appena possibile"? Beh, è presto detto: venerdì parto per il Rimini Comics, visto che c'è qualcuno che mi aspetta (♥) e tornerò a casa solo lunedì. Per cui sappiate che se non vedete risposte alle recensioni è perché questo periodo è un po' incasinato, però davvero, adesso cercherò di sbrogliarmi, lo giuro. Quattro recensioni a capitolo non le ricevevano più nemmeno le mie interattive, ultimamente, arigatou ;;
Una cosa la volevo dire: in molti avete ipotizzato nelle recensioni che le coppie di questa storia sarebbero state la FudoKido e la GenSaku... beh, questa cosa è vera solo in parte. Perché se sicuramente ci sarà la seconda - come credo che si sia largamente intuito in quest'ultimo capitolo - mi spiace deludervi ma la prima è lontana anni luce da me. Sono la mia NOTP, al massimo riesco a vederli come bros, sorry. Chi conosce un minimo le mie storie probabilmente avrà capito quali saranno le coppie di questa storia, ad ogni modo vi sarà tutto più chiaro nel prossimo capitolo.
E boh, credo di aver detto tutto. Ringrazio chiunque leggerà, inoltre, se qualcuno dovesse decidere di recensire, beh... sappiate che vi voglio bene. E vi regalo un biscotto, se vi va (?)
Ci vediamo il 27!

Aria

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Capitolo 3
*** Wonderwall ***


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「  Brookline, Boston, 6th September
h. 02:12 a.m.



Brookline è un quartiere residenziale piuttosto chic, non molto distante dal centro. In giro per le strade ci sono alcuni ragazzi, di stampo sociale decisamente più elevato rispetto ai brutti ceffi che frequentano Roxbury o Southwest Corridor, mentre nelle case le luci sono già spente e adesso centinaia di onesti lavoratori si sono già coricati – perché andare a dormire tardi se il giorno dopo si ha da fare è un po’ come un peccato mortale.
Jude si sente decisamente a disagio, in mezzo a quelle persone: tutte vestite impeccabilmente, profumate dopo una doccia rigenerante di sapone alla lavanda o di dopobarba, con i vestiti perfettamente rassettati e nemmeno una parvenza di borse sotto gli occhi, talmente sono riposati. In quel momento, Jude darebbe qualsiasi cosa per assomigliare anche solo ad uno di quei passanti, immersi nelle luci sfavillanti della notte. Vorrebbe essere bello, emanare un bell’aroma di vaniglia e non sentirsi così stanco. Magari, con una camicia linda e dal colletto inamidato, piacerebbe di più a lui.
Ma no, cosa va pensando: se lo ama è perché lo ha visto interamente, compreso il pacchetto fatto di felpe sformate, odore di fumo e labbra al sapore di vodka. Almeno, questo è quello che gli ripete ogni volta. Spesso Jude ha paura che possa stancarsi di lui e della sua vita spericolata, prima o poi.
Sotto gli occhi increduli e sconvolti di quella gente un po’ snob, Jude accosta nei pressi di una di quelle eleganti palazzine. Magari pensano che sia un ladro, chi lo sa. Certo, dubita che un ladro suonerebbe il citofono – e che la sua ipotetica vittima gli apra senza nemmeno domandargli chi sia – ma cosa vuole che ne sappiano, quelle persone?
Jude s’infila nel palazzo con un sospiro esausto, lasciando che la porta si chiuda dietro di sé. Dubita di avere la forza necessaria per affrontare quattro piani di scale a piedi, perciò si affretta ad andare a prenotare la chiamata dell’ascensore. Quella notte gli sembra un’Odissea, sul serio.
In ascensore ne approfitta per sedersi sulla pedana a terra. Vorrebbe mettersi un po’ di musica in cuffia, sa tuttavia che il viaggio che lo attende è talmente breve che, in fin dei conti, non ne vale poi così tanto la pena. Quando avverte il trillo che gli annuncia di essere arrivato al piano e le porte si aprono accanto a lui, si costringe a mettersi di malavoglia in piedi, trascinandosi sul pianerottolo.
La porta dell’appartamento è già stata aperta. Sulla soglia c’è un uomo, una giacca avvolta attorno alle spalle per potersi proteggere dal freddo esterno; sotto, con ogni probabilità, è in abiti da camera, tuttavia Jude non riesce a vederlo con chiarezza: alle spalle della sua figura, infatti, la luce calda e accogliente dell’ingresso si espande lungo tutto l’appartamento, gettandogli un’ombra oscura sul volto.
Jude sorride beatamente; è stanchissimo, sente le gambe cedergli in avanti, probabilmente finirà con la faccia schiacciata a terra. Fortunatamente l’uomo all’ingresso dell’abitazione scatta in avanti e lo afferra prima che ciò possa succedere, stringendogli un braccio attorno alla vita e attirandolo all’interno dell’appartamento. Jude gli è così grato, per quel contatto.
Il ragazzo sente la porta chiudersi alle sue spalle, mentre il suo soccorritore gli fa poggiare la schiena contro il muro di casa per farlo stare in piedi. Ora che sa di essere al sicuro, Jude si convince a cercare di recuperare quelle forze che, poco prima, lo hanno così di colpo abbandonato.
L’altra persona, nel frattempo, gli accarezza il volto con premura, angosciato al pensiero di vederlo ridotto in quello stato.
«Jude, ragazzo mio, che succede?» lo sente mormorare, mentre non smette di distribuire carezze rassicuranti sul suo volto.
«Niente… niente» mente il giovane, poggiando la guancia su una di quelle mani così premurose «va tutto bene.»
«Non direi» l’uomo davanti a lui passa le dita in quel groviglio cespuglioso che ormai sono diventati i suoi capelli. Jude vorrebbe implorarlo di ripetere quel gesto per il resto della sua vita, così rassicurante e al tempo stesso possessivo.
«Shh, non importa» il ragazzo abbassa lo sguardo, le guance che s’imporporano di emozione «baciami, Ray, il resto non conta.»
Jude lo sente sussultare, sorpreso; per un momento quasi teme che si negherà a quell’ennesima richiesta, tuttavia poco dopo la mano tra i suoi capelli lo attira verso il volto dell’altro e nel giro di pochi secondi sente le labbra dell’uomo posarsi sulle sue. Ed è esattamente come ogni altra volta: un’esplosione di fuochi d’artificio, un benessere talmente intenso che mai nessuna droga sarà in grado di fornirgli.
Sente l’altra mano tastargli il fianco e per un momento Jude vede doppio, salvo poi lasciare che ogni cosa nel suo campo visivo svanisca in una piacevole oscurità.
«Direi che possiamo continuare questo discorso in camera da letto» commenta Ray, posando maliziosamente le labbra sul collo del ragazzo.
Non appena l’espressione “camera da letto” giunge alle sue orecchie, Jude si lascia sfuggire un gemito di approvazione, il che fa venire a Ray una gran voglia di ridacchiare, mentre comincia a sfilargli la felpa e prendendolo in braccio si avvia proprio verso quella stanza.
    
È difficile spiegare come sia iniziato il loro rapporto.
Fino a qualche mese prima, quando ancora frequentava il liceo, Ray Dark era il suo insegnante di letteratura. Jude era uno studente eccellente, raggiungeva senza particolari sforzi il massimo dei voti in tutte le materie.
Eccetto in letteratura, ovviamente.
Il suo insegnante gli diceva spesso che continuava a mancargli qualcosa. Per quanto Jude studiasse – Ray era quasi certo che sarebbe stato in grado di conoscere alla perfezione ogni singola pagina del loro manuale – proprio perché vedeva così tanto potenziale in quel ragazzo, desiderava che lui riuscisse ad andare più in profondità in quegli argomenti.
Peccato che non avessero avuto il tempo materiale per sviluppare quel progetto.
All’inizio dell’anno, infatti, Jude aveva cominciato improvvisamente – e in maniera piuttosto sospetta – a non presentarsi a scuola. D’accordo, a volte tornava, succedeva tuttavia per un paio di sporadici giorni dopo settimane e settimane d’assenza.
Ray non crede di essersi mai preoccupato così tanto per qualcuno in vita sua: non riusciva più a concentrarsi nel fare lezione, pensava continuamente a quel ragazzo – e a quanto avrebbe voluto poterlo vedere ancora.
A discapito dei suoi voti non propriamente eccellenti in quella materia, Jude aveva avuto sempre un ottimo rapporto con il suo insegnante di letteratura. Spesso capitava loro di concedersi una chiacchierata, oppure delle volte Ray gli aveva perfino consigliato delle letture al di fuori della sfera scolastica.
Per questo motivo, le sempre più frequenti assenze del ragazzo avevano preoccupato così tanto il professor Dark.
Separarsi dal sicuro e protetto ambiente del liceo non era stato così facile nemmeno per Jude, anzi: gli capitava spesso di pensare a quel professore così gentile, a quanto gli mancassero i loro discorsi sull’ultima opera su cui lo aveva indirizzato o anche solo vedersi, avere la consapevolezza di essere lì, l’uno a pochi passi dall’altro.
Poi, in una tiepida notte di maggio, si erano rincontrati.
Jude stava tornando a casa di nascosto, dopo giorni e giorni trascorsi insieme ai suoi nuovi amici. Ray gli aveva raccontato che si era trovato a passare casualmente in auto sotto casa sua, tuttavia il ragazzo non gli aveva mai creduto del tutto. Temeva che il professore avesse passato giorni interi appostato nei pressi della lussuosa villa di suo padre – ma questo Jude non gliel’aveva mai detto.
Il ragazzo stava proprio per intrufolarsi all’interno della proprietà, quando aveva notato la vettura dell’insegnante parcheggiata non molto distante dai cancelli di casa sua. Senza pensarci due volte, l’aveva raggiunta, certo che il professore non si sarebbe rifiutato di farlo salire.
«Posso sapere che diavolo ci fa lei qui?» aveva sbottato, incrociando le braccia con astio.
«Potrei farti esattamente la stessa domanda, Jude! Dovresti essere a casa da ore…» era stata la replica dell’uomo, in evidente stato di apprensione.
«Ah, sì?» aveva replicato il ragazzo, furente. «E da quando in qua lei saprebbe quando devo o meno essere a casa? Come se si preoccupasse per me…»
«Veramente è esattamente quel che faccio, ragazzo» Ray si era affrettato a precisare, afferrando le mani di Jude «all’incirca da quando ti conosco, per l’esattezza.»
Allora, senza dargli tempo di replicare, si era spinto in avanti, trattenendo il volto del giovane tra le mani e baciandolo, con un gesto impulsivo.
In un primo momento Jude aveva desiderato potersi liberare da quella stretta, quando tuttavia le labbra del suo ex insegnante si erano posate sulle sue si era sentito invadere da un tanto peculiare quanto piacevole insieme di emozioni meravigliose.
Forse, per tutto quel tempo, era stato a sua volta innamorato di lui senza nemmeno accorgersene.
Ecco perché, alla fine, aveva risposto a quel bacio.
Esattamente a partire da quel momento Ray Dark è divenuto il suo posto sicuro, la persona  presso cui rifugiarsi ogni volta, nel momento del bisogno. Il fatto che, in tali condizioni, fossero diventati amanti, non era che una normale conseguenza dello svolgersi degli eventi.
Jude è disteso a pancia in giù sul materasso, il corpo avvolto nelle lenzuola morbide di cachemire rossastro. Ha un’espressione beata dipinta sul volto, ora finalmente così rilassato, mentre sorride lievemente. Ray è coricato su un fianco, alla sua destra e gli sta carezzando la schiena nuda, gli occhi che scintillano un po’ di più ogni volta che sente un brivido percorrere la colonna vertebrale del ragazzo.
«È stato magnifico. Come ogni altra volta, del resto.» Ray si china in avanti, lasciando un bacio leggero sulla guancia di Jude non premuta contro il cuscino.
«Mhh» il ragazzo mugugna amabilmente, socchiudendo appena gli occhi «sono così felice di essere qui…»
«Dovresti venirmi a trovare più spesso. So di avere degli effetti sorprendenti su di te» Dark si distende accanto a lui, circondandogli la vita con le braccia.
«E io ci verrei volentieri, più spesso… se solo non fossi sempre così impegnato con i ragazzi…» il ragazzo abbassa lo sguardo, con aria colpevole.
«Jude» Ray gli lascia un bacio su una spalla «sai già come la penso, in merito a questo discorso. Non sono entusiasta di vederti frequentare certe persone, né tantomeno di sapere che sei in giro a combinare determinate cose—»
«Ray, ne abbiamo già parlato…»
«Lo so. E proprio per questo vorrei che tu sapessi che ci sarò sempre, qui per te. Non approvo quello che stai facendo… però sono qui, Jude. Vorrei solo poter essere il tuo porto sicuro, il luogo in cui tornare, sia che le cose vadano bene sia qualora dovesse succedere qualcosa di brutto» commenta, appoggiando il volto tra i capelli cespugliosi del ragazzo.
«Ma tu lo sei già, Ray» mormora Jude, sull’orlo della commozione «io ti amo, non vorrei essere da nessun’altra parte senza di te…»
«Shh» l’uomo rotola tra le coperte, trascinando con sé il corpo del ragazzo «abbiamo bisogno di riposare, adesso. Oh, tesoro, sei così stanco…»
«Grazie per aver medicato la mia ferita» mormora Jude, contro le sue labbra. Avverte ancora nitidamente il bruciore nella parte terminale della schiena: fortunatamente, Ray ha avuto il buonsenso di disinfettargli tutta la parte lesa e avvolgere attorno ad essa delle bende. Almeno, adesso il dolore è molto più contenuto.
«A proposito, non mi hai ancora detto come hai fatto a farti male in un modo del genere» gli rammenta l’uomo, carezzandogli languidamente i fianchi.
«B-beh» spiega il ragazzo, il volto rosso a causa di quei tocchi «diciamo che potrebbe esserci stata una rissa, l’altro giorno, allo skate park.»
«Jude» Ray alza gli occhi al cielo, preoccupato «questa vita non fa per te, è troppo pericolosa. Dovresti essere seduto ad un banco di scuola a studiare, non a farti riempire di botte in giro da degli sconosciuti. Tu sei un ragazzo pacato e diligente, non un teppista.»
Le braccia forti dell’uomo scorrono sulla sua schiena candida del ragazzo, mentre lo aiuta cordialmente a distendersi supino sul letto. Sa che lasciarlo riposare è la cosa giusta da fare, in quel momento, anche se rimarrebbe volentieri a parlare con lui per delle ore intere.
«Ma a me piace, questa vita» sospira Jude, lasciandosi accarezzare la fronte, appena imperlata di sudore «quei ragazzi sono diventati miei amici, mi trovo bene con loro. Quanto alla scuola, non so… da una parte mi manca, dall’altra mi sento molto meglio senza quelle incombenze a gravarmi sulle spalle.»
«Sono delle abitudini corrosive» replica Ray, il tono duro «ho paura che tu possa ferirti in maniera ben più grave di quei graffi sulla schiena, continuando così, prima o poi…»
«Posso migliorare, lo so. Ti prometto che farò del mio meglio per riuscirci» sussurra Jude, la voce ridotta ad un flebile mormorio; percepisce la bugia nelle proprie parole, mentre si costringe ad ingoiare il groppo in gola che avverte – e che pesa più di mille macigni «magari uno di questi giorni tornerò a scuola, chi lo sa.»
A quelle parole gli occhi di Ray s’illuminano di qualcosa pericolosamente simile alla speranza – e Jude si sente così terribilmente in colpa, per aver creduto così poco nelle sue stesse parole.
«Non credevo che potessi dirmi qualcosa di più bello di un “ti amo”» commenta infatti, la voce sembra sorprendentemente impregnata di un’emozione – purtroppo – così simile alla felicità «come al solito mi sbagliavo. Riesci sempre a sorprendermi e a smentirmi in maniera positiva, sei fantastico.»
Le guance di Jude s’imporporano lievemente quando le labbra di Ray si posano sulle sue – e non tanto perché si senta lusingato da quel gesto, quanto piuttosto a causa di quella promessa che teme di non essere in grado di mantenere.
«Te ne andrai nel cuore della notte anche stavolta?» s’informa l’uomo, non appena si separano, interrompendo quel bacio.
«No, stavolta no» gli assicura Jude – e sa che adesso gli sta dicendo la verità. È stanco di fuggire come un ladro da quella casa che ogni volta lo accoglie come un nido sicuro. Vuole rimanere al caldo tra quelle coperte ancora per un po’, risvegliarsi la mattina e trovare il caffè caldo e la colazione pronta che Ray gli ha preparato prima di uscire per andare al lavoro. Vorrebbe restare per sempre tra le braccia di quella persona che forse è l’unica che ancora lo ama davvero, oppure trovare il giorno seguente i vestiti che ha dimenticato lì la volta scorsa puliti e profumati di bucato, la felpa verde mela di due taglie più grande per lui, con quel suo fisico minuto ed emaciato, insieme ad uno dei suoi innumerevoli jeans strappati sulle ginocchia. L’ultima volta Ray non l’aveva lasciato uscire di casa con quegli abiti, troppo impregnati di fumo ed altri odori sgradevoli, insistendo che un ragazzo come lui non dovesse andare in giro conciato in quel modo e che glieli avrebbe restituiti al loro incontro successivo, dopo un doveroso giro in lavatrice. Quello che Ray ancora non sapeva è che non avrebbe più rivisto la camicia che gli aveva prestato, considerando che Jude se l’era strappata durante un giro allo skate park – o forse se lo immaginava, l’aveva sempre saputo, in fondo, che quel che donava a Jude difficilmente faceva una bella fine.
Jude sa già che, la mattina seguente, tutto ciò che ha previsto, puntualmente, si avvererà. Si siederà da solo, nella lussuosa cucina dell’appartamento del suo ex professore, sorseggiando caffè bollente da una tazza di ceramica bianca, mentre da dietro il tavolo ad isola nel mezzo della stanza osserva lo skyline di Boston che gli appare alla finestra davanti a sé, la città che si risveglia e una sottile linea di nubi che aleggia nel cielo. Sa anche che penserà alla notte precedente, a quelle mani tanto amate che hanno sfiorato ancora una volta il suo corpo e sorriderà in maniera sciocca, mordicchiando un biscotto, pensando a quanto tutto ciò sia maledettamente bello e perfetto. Magari un giorno lui e Ray riusciranno davvero a vivere assieme la vita che hanno sempre sognato e desiderato per loro stessi, chi può dirlo. Nel frattempo, Jude si accontenterà di cambiarsi d’abito – una nuova lavatrice di indumenti che non gli appartengono, per Ray – e correre al vicolo, con un ritardo spaventoso. Sente fin da ora, come ogni altra volta, i rimproveri di Caleb trapanargli le orecchie, tutto sommato però Jude è quasi contento di riceverli, se questo vuol dire che se li è beccati per aver passato del tempo con Ray. Il ragazzo andrebbe incontro a qualsiasi punizione, pur di non rinunciare al rapporto con l’uomo.
Jude sorride, incantato: niente di diverso dalla loro solita routine – e in fondo va bene così.
Ray lo abbraccia, posandogli un bacio sulla fronte.
«Molto bene, allora» mormora, accarezzando quei capelli, dello stesso colore dorato della sabbia «buonanotte, Jude.»
«Buonanotte, Ray» ricambia il giovane, accoccolandosi contro il petto del suo amato.
In quell’abbraccio, Jude cade in un sonno profondo; adesso, tuttavia, le tenebre non lo spaventano poi così tanto, perché sa che finché Ray sarà al suo fianco nulla potrà andare per il verso storto.


Southwest Corridor, Boston, 14th March
h. 03:57 p.m.



Jude si stiracchia pigramente, mentre un raggio di sole lo colpisce in pieno.
Finalmente è arrivata la primavera e il cambiamento già si sente nell’aria: le giornate sono più soleggiate, le temperature più miti e sopportabili rispetto a quelle rigide dei mesi invernali che si sono appena lasciati alle spalle.
Il ragazzo valuta distrattamente che, in fin dei conti, è meglio così: almeno, quando escono nel cuore della notte, evita di congelarsi e diventare una sottospecie di pupazzo di neve.
Quel pomeriggio si trovano all’interno del loro covo: è un vecchio appartamento abbandonato, situato al pianterreno di uno dei palazzi tra cui è compreso il loro vicolo.
In realtà dubita che quel luogo fosse inizialmente destinato a divenire un’abitazione, considerando che è sviluppato in modo che l’ingresso sia il pianerottolo a cui si ha accesso dalla porta di servizio e che il resto del locale è strutturato in un unico stanzone, raggiungibile mediante una breve rampa di due o tre scalini. In pratica, è come se si trovassero in un seminterrato.
Ci sono scalini di accesso sia alla sua sinistra che a destra, pochi e in cemento armato non rasato. Entrambe le minuscole rampe conducono ad una sorta di soppalco, delimitato da una balconata di ferro sottile. Alle loro spalle, la porta che li conduce fuori dal disordine di quel luogo. Spesso lui e Caleb si mettono in piedi e da quello spazio rialzato si dilettano in discorsi alla banda – che, il più delle volte, terminano nelle risate di sbeffeggiamento di Joe e David. Quel giorno, invece, si trovano tutti di sotto.
L’unica stanza della tana è ampia e polverosa, assomigliando in maniera peculiare ad un magazzino di scarico merci. Il parquet a terra è tutto crepato a causa delle numerose infiltrazioni di pioggia che spesso vessano quel luogo – ci sono spifferi praticamente ovunque – e gli unici arredamenti presenti in quel luogo sono il vecchio e logoro divano verde bottiglia e un tappeto talmente impregnato di sporcizia che, ormai, definirne il colore originale è praticamente impossibile.
Joe e David sono appollaiati sul divano, mentre lui e Caleb si sono accontentati del tappeto. Un tempo Jude si sarebbe rifiutato categoricamente di accomodarsi su una superficie tanto lercia, ora tuttavia si rende conto che i suoi stessi vestiti non sono messi poi così meglio.
Sul volto di Caleb compare un sorriso pericolosamente simile ad un ghigno – e Jude sa già cosa li aspetta.
«Allora» esordisce infatti, poggiando le mani sul tappeto e dondolandosi appena «fuori le ferite.»
David si lascia sfuggire un lieve squittio, Jude e Joe invece hanno già cominciato ad arrotolarsi i jeans e le maniche delle felpe.
«David, smettila di lagnarti come una ragazzina» gli abbaia contro Caleb, incominciando a stappare una bottiglia di alcol «lo sai che questa è la tradizione della banda. Ogni volta che ci facciamo una ferita, la bagniamo con la vodka; è il nostro modo di medicarci.»
«Ma brucia» si lamenta ancora il ragazzo con la pelle dello stesso colore del caffellatte.
«Grazie al cazzo che brucia, è alcol» rincara Caleb, innervosito da tutto quel temporeggiare «insomma, ti dai una mossa o devo venire lì a spaccarti la bottiglia in testa, almeno sono sicuro che tu abbia vodka su tutto il corpo?»
«Va bene, va bene, ho capito» sbotta David, rimboccandosi le maniche.
Caleb ghigna, pronto a rifilargli la lezione che merita.
«Bravo gattino» commenta infatti, cominciando a versare la vodka proprio sulle ferite di David; il ragazzo dai capelli turchini si dimena furentemente, stringendo i denti per trattenere le imprecazioni. La punizione sta nel fatto che, invece di andarci leggero, il capo della gang sta coprendo in breve tempo e con grandi quantità di alcol i tagli dell’altro ragazzo, così che il liquido bruci ancora di più.
Jude valuta che, quando vuole, Caleb sa essere parecchio spietato. Decide di segnarselo bene a mente, chissà, magari un giorno o l’altro potrebbe servirgli.
Ricorda che, i primi tempi in cui era entrato a far parte della banda, finiva spesso per cadere dallo skate, facendosi più o meno male. Oltretutto, visti i caratteri così diversi, i litigi tra lui e Caleb erano sempre all’ordine del giorno, perciò gli era capitato varie volte di dover subire quello stesso trattamento che ora tocca a David. Sa quanto tutto ciò faccia male, ecco perché col tempo ha imparato a ponderare le proprie reazioni: conosce bene cosa comporta far innervosire Caleb e, se in qualche modo può risparmiarselo, di certo non vede perché non dovrebbe evitarlo.
È anche vero che, inizialmente, con lo skate faceva pena: si ritrovava ogni due minuti con il fondoschiena per terra, ecco perché, ora che – per fortuna – ha acquisito maggiore stabilità e consapevolezza della tavola, le cadute sono diminuite, così che anche il numero di ferite si è ridotto. Inutile dirlo, Jude è immensamente grato di questo.
Quando Caleb ritiene di aver torturato a sufficienza David, passa ad irrorare i vari tagli e graffi di Joe. Il ragazzo non si scompone minimamente, trattenendo il dolore e serrando la mascella, senza mostrare il minimo segno di cedimento. Joe ha decisamente meno ferite di David, inoltre sembra essersi abituato a quel bruciore familiare, cosicché ormai non è più neanche troppo impossibile da sopportare.
Caleb, infine, arriva davanti a Jude. Deve ammettere che non gli è andata poi tanto male, stavolta: tagli su gomiti e ginocchia ma niente di più. Jude sente il liquido colare sulle sue ferite e deve gettare la testa all’indietro per non mettersi a gridare: si è fatto male di recente, perciò la carne sotto è ancora viva, rendendo il dolore più intenso e insopportabile. Alcune lacrime si formano agli angoli delle sue cornee, tuttavia si costringe a non lasciarle cadere, certo che altrimenti gli altri lo prenderebbero in giro fino alla fine dei suoi giorni. Sperava che, col passare del tempo, si sarebbe abituato a quello strano modo di curarsi le ferite, eppure a quanto pare non ci ha ancora preso completamente la mano.
Finalmente la vodka smette di scorrere sulla sua pelle e Jude percepisce il corpo di Caleb tornare a sedersi a terra a gambe incrociate, mentre il loro leader inizia a far colare l’alcol sulle proprie ferite. Jude non lo vede, ha ancora gli occhi chiusi a causa di tutto quel bruciore che avverte in giro per il corpo.
Quando riesce a riportare la testa in posizione normale e a riaprire gli occhi, Caleb ha appena finito con le medicazioni – vede l’alcol scivolargli giù dalle braccia e dai polsi – e si sta lasciando sfuggire un lieve sospiro di sollievo. Poco dopo si porta la bottiglia alle labbra e butta giù un’ampia sorsata di liquido, forse più per riprendersi da tutto quel bruciore che per assecondare una voglia.
Caleb si separa dal contenitore; quando si accorge che lo sta fissando, passa la vodka a Jude con un leggero lancio. Alcune gocce cadono a terra, tuttavia il ragazzo riesce ad afferrare la bottiglia al volo e subito se la avvicina alla bocca. Il liquido dolciastro e trasparente scivola giù, lungo la sua gola, ardendo il palato e le pareti dello stomaco, non appena riesce a giungere fino all’interno di esso. Malgrado quel bruciore, ormai così familiare, Jude non riesce a trovarne sgradevole il sapore.
Una volta presa la sua sorsata, passa la bottiglia a Joe, stendendo il braccio nella sua direzione.
Gli altri due ragazzi si servono con l’alcol e nel frattempo Jude sente la testa incredibilmente pesante. L’ultimo periodo è stato frenetico, è riuscito a vedere Ray sì e no un paio di volte in croce. Vorrebbe poterlo incontrare ancora, tuttavia di recente i suoi impegni con la banda stanno aumentando: man mano che la sua figura va affermandosi come quella del vice leader, Jude è consapevole di dover dedicare sempre maggiore impegno e attenzioni a quello scapestrato gruppo di delinquenti.
Peccato che, in questo modo, non faccia altro che sottrarre tempo a tutto il resto: la famiglia, lo studio e – purtroppo – anche Ray. Sono due mesi che non entra più a scuola, quasi tre settimane che non vede il suo ex professore e comincia a credere che, continuando di questo passo, finirà per impazzire. A volte teme che si dimenticherà che faccia ha suo padre, visto che a Natale sono rimasti a malapena nella stessa stanza, ignorandosi bellamente per la maggior parte del tempo – niente di diverso da quel che fanno di solito, comunque. È piuttosto certo che suo padre sia stato avvertito delle sue continue assenze da scuola, tuttavia, seppure avesse intenzione di rimproverarlo per questo, di fatto non ne aveva avuto il tempo materiale, considerando che la campagna elettorale era alle porte: per tutta la durata della cena era rimasto al telefono, impegnato tra una chiamata di lavoro e l’altra. A detta di Jude, quella era stata in assoluto la peggiore vigilia di Natale della sua vita e, pur di non replicare l’esperienza, a Capodanno si era rifugiato a casa di Ray. Mentre fuori esplodevano i fuochi d’artificio, Jude riusciva a sentire solo quelli che scoppiavano tra di loro, sotto le coperte.
All’improvviso sbatte ripetutamente le palpebre, rendendosi conto di aver perso – non sa esattamente per quanto tempo – il contatto con la realtà. La prima immagine che i suoi occhi catturano sono i corpi aggrovigliati di Joe e David sul divano, intenti a limonare in maniera affiatata. D’improvviso, la bottiglia di vodka non rappresentava più un passatempo così esaltante, per loro.
Voltandosi, si accorge di avere ancora gli occhi di Caleb puntati addosso. Non sa, probabile che guardarlo perdersi nei suoi pensieri sia comunque uno spettacolo migliore – o meno destabilizzante – dei suoi due amici intenti a scambiarsi effusioni piuttosto intense.
Jude vorrebbe chiedergli cosa gli stia passando per la testa, tuttavia Caleb non glielo permette.
«Vado a farmi una canna» gli annuncia infatti, mettendosi in piedi.
«Vengo anche io» commenta subito Jude, lasciando non poco sorpreso Caleb.
Per quanto cercasse di fare il duro, Jude non era mai stato il tipo di ragazzo appassionato a robe simili, ecco perché quell’improvvisa proposta di compagnia lo insospettiva e non poco.
Nonostante ciò, Caleb scrolla le spalle, lasciandosi seguire dal compagno. Chissà, magari Jude non riesce a sopportare la vista di quei due assieme per il suo stesso motivo.
Si accomodano sul davanzale dell’unica finestra presente in quel posto. Alcune zone del vetro sono scheggiate, altre direttamente rotte, tuttavia, considerando l’uso che fanno di quel luogo, Caleb non vede davvero perché dovrebbe lamentarsi.
Mentre inizia a rollare lo spinello, decide di rivolgere nuovamente la parola a Jude.
«Ricordami che ti devo portare con me in un posto, tra qualche giorno» lo avverte, in effetti, poco dopo.
«Okay. Posso chiederti di che posto si tratta?» s’informa Jude, mentre le sue dita giocherellano con alcune schegge di vetro lì intorno.
«No. È una sorpresa» ribatte Caleb, mentre cerca l’accendino nelle tasche dei suoi pantaloni militari.
«Uhm, a giudicare dal tono con cui l’hai detto e dal sorrisetto sospetto che ti è spuntato sul volto oserei ipotizzare che questo posto non mi piacerà affatto» valuta Jude, di nuovo immerso nei suoi pensieri «un bordello o un incontro con uno dei tuoi spacciatori, sicuramente.»
Caleb sogghigna: il suo migliore amico è completamente fuori strada.
«Cazzo, Jude, non pensavo che mi conoscessi così bene» ride sguaiatamente, il fumo che esce sotto forma di ampie volute dalle sue labbra e riempie con l’odore tipico delle canne lo spazio attorno a loro «comunque no, mi dispiace informarti che non ci sei andato neanche lontanamente vicino. Poco importa, lo vedrai una volta che saremo lì.»
Jude alza le spalle, con noncuranza. Di lì a breve Caleb gli allunga lo spinello e finalmente anche lui può farsi un tiro di marijuana. Il solito odore acre – stessa cosa vale per il sapore – l’inconfondibile senso d’oblio che gli invade la mente. Le canne non sono esattamente il suo passatempo preferito, tuttavia pur di sentire la testa leggera come in quel momento Jude è disposto a continuare il suo percorso lungo quel sentiero spinoso ancora per un po’.
«Oh, mica starai andando in botta al primo tiro»  Caleb scoppia nuovamente a ridere, tirandogli un calcio sullo stinco «non provare a lasciarmi da solo con questi due che pomiciano come due scolarette, altrimenti mi toccherà tagliarmi le vene. Sei l’unico – oltre me, ovviamente – ad avere un briciolo di cervello, qua dentro, sveglia! Piuttosto, dimmi: come va con la tua ragazza?»
Per un momento Jude sobbalza, lo spinello ancora tra le labbra: è curioso il fatto che Caleb abbia dato per scontato che la sua relazione sia con una ragazza. In effetti, considerando anche quanta poca stima abbia nel rapporto tra David e Joe, Jude si sente quasi sollevato per non avergli mai rivelato che ha una relazione con un uomo.
«Bene… diciamo» risponde allora, mettendosi ad osservare il vetro rotto alla sua destra «solo che a volte vorrei solo avere un po’ di tempo in più da passare insieme. A proposito, forse tra qualche giorno non ci sarò.»
«Uhm?» Caleb si acciglia, sorpreso. «Perché, porti la tua bella a trascorrere un weekend romantico?»
«Ma no, ma no» Jude sospira, il fumo che scivola fuori dalle sue labbra e prende ad aleggiare tra loro – “magari si trattasse di un’uscita insieme…” mormora tra sé il ragazzo «solo che credo che sia arrivato il momento di mettere a posto questa cosa con la scuola.»
«Ohh, finalmente hai deciso di ragionare, Jude!» Caleb si china in avanti per lasciargli una pacca sulla spalla – più forte del previsto.
Poco dopo Jude lo sente sfilargli la canna dalle dita, mentre se la porta nuovamente alle labbra. Il covo viene riempito dai gemiti di David e Caleb getta la testa all’indietro, esasperato.
«Perché non ve ne andate a casa vostra, se dovete fare certe cose?» urla allora il ragazzo dal ciuffo di capelli castani, mentre sta evidentemente cercando di trattenere l’istinto di andare lì per picchiarli.
Jude si porta una mano alle labbra e ridacchia, divertito. A volte pensa che quel loro quartetto non sia poi così strano, in fin dei conti.



Angolo autrice

Questa storia che sto cominciando a diventare puntuale inquieta anche me, lol.
Ad ogni modo, eccoci di nuovo qui! Sono tornata da Rimini più stanca di prima – e dire che sarebbe dovuta essere una vacanza – ma poco importa.
Allora, patro col dire che io amo questo capitolo, sinceramente è uno dei miei preferiti. Ovviamente, come vi avevo già preannunciato, questa storia non è una FudoKido – ma come avete potuto pensare una cosa del genere? Io che scrivo sulla mia NOTP? Vi voglio bene, però continuo seriamente a domandarmi questa cosa da due settimane a questa parte, o forse anche di più. Comunque, ovviamente non potevo astenermi dall'inserire un po' della mia OTP suprema – la KageKi – anche in questa storia, so here we are, people!
Per il resto ho poco da dire, perché a parte mostrare un piccolo squarcio di intimità della mia coppia preferita questo capitolo non è che faccia granché. Ritroviamo la nostra gang preferita (?) alle prese con delle divertentissime attività (??), ma per il resto niente di speciale. Restiamo però con due grandi interrogativi in sospeso: come si risolverà la questione scolastica per Jude? E dov'è che lo vuole portare Caleb?
Ovviamente, tutto ciò si verrà a sapere a tempo debito, aka nel prossimo capitolo.
Ah, a proposito di capitoli, vi avviso: i prossimi due saranno pieni di angst e di dolore, come mio solito, d'altronde. In effetti non so come mi sia uscito qualcosa di molto più soft, per questa volta--
Niente, come al solito ringrazio Gaia per essere un angelo sceso in terra, visto che si è fatta carico della responsabilità di correggere tutto ciò che trovate qua sopra. Come al solito un parere è sempre benaccetto, anche se ormai sono piuttosto disillusa al pensiero di riceverne, ahah. Se il problema è che non ho risposto alle altre recensioni me ne dispiaccio sinceramente, purtroppo in questo periodo non ho molto tempo da dedicare ad Efp, ecco perché l'arco degli aggiornamenti di DN è abbastanza vasto. Personalmente non lo trovo un motivo valido per smettere di recensire, perché quando una storia mi interessava ho sempre lasciato almeno uno straccio di commento, al di là del fatto che poi l'autore mi rispondesse o meno, principalmente perché lo trovavo un atto di correttezza nei miei personali confronti – se una storia mi piace lo dico, punto e basta, me ne importa relativamente poco di ricevere una risposta alla recensione da parte dell'autore – capisco tuttavia che qualcuno possa aver percepito la mia come una mancanza di rispetto nei vostri confronti, perciò lungi da me incolpare qualcuno di una qualsivoglia cosa. Come ho detto, ultimamente non ho molto tempo per Efp, ecco perché non vi ho ancora risposto. Vi chiedo scusa, spero di riuscire a farmi perdonare, un giorno.
Grazie a chiunque leggerà questo capitolo, a chi ha inserito la storia tra le preferite e a chi invece la sta seguendo, in silenzio o meno che sia. 150 visualizzazioni per capitolo in una decina di giorni è una cifra sorprendente, per me.
Ci vediamo il 7 agosto con l'angst- pardon, il prossimo capitolo!

Aria

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Capitolo 4
*** Things start tumbling down ***



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Cambridge, Boston, 20th March
h. 10:24 a.m.


L’istituto Cambridge Rindge and Latin School è senza dubbio una delle più rinomate scuole di Boston, con la sua architettura ricercata e moderna, oltre ovviamente ai migliori insegnanti della città. Suo padre lo aveva iscritto lì controvoglia, avrebbe preferito di gran lunga che il figlio frequentasse una scuola privata, soprattutto in vista della campagna elettorale che si sarebbe apprestato a portare avanti nel giro di due anni a quella parte, tuttavia lui aveva insistito con decisione affinché si optasse per un liceo pubblico.
Ovviamente, a quel punto il signor Sharp aveva scelto il miglior liceo pubblico presente su piazza, tuttavia col senno di poi Jude non riusciva davvero a trovare motivo di lamentarsi.
Aveva cominciato a frequentare quella scuola con risentimento, presentandosi a lezione sempre imbronciato e con il costante desiderio di sprofondare in quelle sue felpe enormi e sformate. Quando aveva cominciato tuttavia a seguire i corsi del professor Dark qualcosa si era acceso in lui, come la consapevolezza che là dentro non fosse tutto perduto. Lui… possedeva uno strano magnetismo, in grado di catturare l’attenzione di ogni studente presente nella stanza. Mentre lo ascoltava parlare, Jude si sentiva sempre trasportare in un’altra dimensione.
Così, il sole era tornato a brillare, per Jude.
Ora che è appollaiato sul tetto dell’istituto, gli viene da ripensare a quel periodo. Aveva cominciato a tornare a casa col sorriso e suo padre ne era stato entusiasta, finalmente sembrava che suo figlio avesse trovato l’equilibrio che tanto disperatamente cercava. Spesso Jude gli parlava in maniera entusiasta del professor Dark, raccontandogli di come l’avesse spinto all’appassionarsi alla lettura di Kerouac o Salinger: i suoi occhi scintillavano ogni volta che il nome dell’insegnante scivolava sulla sua lingua. Colpito da quel luccichio e dalle parole lusinghiere, il signor Sharp si era convinto a recarsi ai colloqui scolastici per conoscere di persona l’insegnante che Jude nominava continuamente.
Ricorda bene ciò che, quella sera, suo padre aveva affermato, riferendosi al loro colloquio.
«È una persona interessante» era stato il suo commento, mentre infilzava un altro pezzo di arrosto dal proprio piatto «mi ha parlato a lungo di te, dice di trovarti… straordinario. Sono felice che tu abbia cominciato ad apprezzare il tuo liceo, Jude.»
In quel momento Jude aveva sentito il cuore battere fortissimo come in pochissime altre occasioni, in vita sua.
La porta di servizio si apre di soprassalto, mentre un Ray piuttosto trafelato compare sulla soglia della terrazza.
«Jude» lo saluta amorevolmente, mentre cerca ancora di riprendere fiato – evidentemente le scale da salire per arrivare fin lassù lo hanno sfinito più del previsto «sono passato in segreteria, mi hanno detto che mi cercavi… non sapevo che saresti venuto qui, oggi.»
«Non ne ero molto sicuro neanche io, all’inizio» ammette il ragazzo, alzando le spalle «però ti avevo promesso che sarei tornato… così eccomi qui.»
Sul volto di Ray compare un sorriso entusiasta, mentre gli occhi si illuminano di gioia.
«Allora torni a studiare qui» commenta, raggiante «oh, Jude, ma questa è davvero una notizia—»
«Sbagliata» lo interrompe Jude, incrociando le braccia dietro la schiena «è una notizia sbagliata.»
Ray si ferma a metà strada – aveva già cominciato a percorrere la distanza tra loro con delle grandi falcate per poterlo abbracciare – e sbatte diverse volte le palpebre, confuso.
«Come… come sarebbe a dire che è sbagliata?» domanda infatti, sempre più perplesso. «Allora perché mai sei venuto qui?»
Jude sorride mestamente, torturandosi le mani dietro la schiena. Sa già che Ray non la prenderà affatto bene, tuttavia è consapevole di non poterglielo nascondere in eterno; prima o poi lo verrà a scoprire da solo, perciò preferisce dirglielo subito e di persona. Com’è che si dice? Via il dente, via il dolore.
«Beh… perché volevo dirtelo di persona» ammette allora, lasciandosi sfuggire un profondo sospiro.
Ray si acciglia, impensierito. Ha un brutto presentimento, spera tanto di sbagliarsi…
«C-cosa devi dirmi?» chiede mentre si avvicina, sospettoso, scrutando il suo ragazzo con occhi pieni di apprensione.
«Mi dispiace» Jude agita lievemente le braccia intorno a sé, come a voler mostrare tutto il proprio disappunto. «Non potevo più andare avanti così. Ogni giorno i ragazzi continuano a farmi un mare di pressioni e alla fine mi è toccato accontentarli. D’altronde, per come stavano andando le cose, non sarà un cambiamento poi così radicale, tanto di fatto avevo già smesso di frequentare le lezioni.»
In quell’istante Ray sente crollare tutte le sue certezze. Per ogni mese di lontananza di Jude, non aveva mai perso la speranza di vederlo ritornare a studiare, prima o poi. Si diceva che il tempo lo avrebbe aiutato a capire quale fosse la scelta giusta, inoltre – forse egoisticamente – si augurava che il ragazzo decidesse di tornare almeno per stare un po’ più vicini. Jude è fatto per lo studio, Ray non riesce davvero ad immaginarlo in un posto che non sia tra i banchi di scuola. Invece avevano vinto loro: i suoi amici incoscienti, che per tutto quel tempo non avevano fatto altro che allontanare sempre di più Jude dalla sua famiglia e dagli studi.
Glielo avevano portato via.
«È uno scherzo, vero?» il professor Dark stringe con rabbia i pugni. «Tu non puoi fare questo, Jude. Me l’avevi promesso… che cosa dovrei pensare, allora, che per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentirmi?»
Si sente un fallimento: come insegnante, come confidente, come amante. Avrebbe dovuto indirizzare il suo ragazzo verso la strada giusta, invece aveva permesso in maniera alquanto passiva che dei delinquenti – perché questo erano i suoi amici, in fondo, gente che se ne andava in giro per la città a turbare l’ordine pubblico – lo conducessero sulla cattiva strada, allontanandolo forse per sempre da lui.
«Ray, no» Jude scatta in avanti, cercando di ricacciare indietro le lacrime che sente ora formarsi agli angoli dei suoi occhi «come puoi anche solo lontanamente pensare una cosa del genere? Io ti amo, perché mai avrei dovuto mentirti?»
«Perché è esattamente quello che hai fatto!» l’uomo copre con un solo passo la distanza che lo separa da Jude e afferra il ragazzo per il colletto della felpa. «Mi avevi promesso che saresti tornato qui come alunno, non per ritirarti dagli studi!»
«Beh, non è andata così» sbotta Jude, esasperato «ragiona, era l’unica cosa che potessi fare! Finché non avessi lasciato il liceo non si sarebbero mai fidati di me, così da farmi rischiare di diventare ogni volta il nuovo bersaglio dei loro pestaggi.»
«E ti sembra normale andare in giro con della gente che non vede l’ora di metterti le mani addosso?» Ray avvicina il viso a quello di Jude, ormai sono separati da una distanza di appena qualche millimetro. Sente il sangue ribollirgli nelle vene, è così infuriato, adesso…
«R-Ray… lasciami, per favore… mi stai spaventando…» mormora il ragazzo, gli occhi ora sono davvero pieni di lacrime.
Subito Dark lo lascia andare e Jude sente di nuovo i piedi toccare il suolo. Non si era nemmeno accorto che Ray lo avesse sollevato.
«Scusami» sussurra il professore, abbassando il capo con aria colpevole.
«Comunque sono miei amici, non è vero che non aspettano altro che picchiarmi» rettifica Jude, rassettandosi la felpa «sai che questa non è una cosa da cui posso tirarmi indietro, altrimenti avrei finito per andare incontro alle stesse conseguenze che rischiavo continuando a frequentare questa scuola.»
«Avresti potuto chiedermi aiuto» gli fa notare Ray, sentendo di nuovo salire l’irritazione dentro di sé «nessuno sa della nostra relazione, ti saresti potuto nascondere a casa mia! Sai che te l’avrei permesso, per me ospitarti sarebbe stato un immenso piacere—»
«Ma non ci arrivi?» Jude vorrebbe mantenere la calma, davvero, solo che sente il sangue ribollirgli nel cervello nel momento in cui Dark gli rivolge quelle parole. «Se non ti ho chiesto aiuto è stato perché non voglio metterti in pericolo! Qualora mi ritirassi dalla banda e qualcuno dovesse venire a scoprire che mi nascondo a casa tua, pensi davvero che si farebbero dei problemi a prendersela anche con te, pur di arrivare a me? Francamente mi sorprende il fatto che tu non riesca a capirlo, Ray.»
Uno stormo di uccelli si libra in aria, sfrecciando rapidi come aeroplani sopra le loro teste – probabilmente sono stati messi in allarme dai toni concitati della loro discussione. Con l’arrivo della primavera diverse specie di volatili sono tornate in città, spinti in direzione di Boston dalle correnti oceaniche, così adesso non è raro, camminando nel centro cittadino, assistere a dei veri e propri spettacoli, le ali che li sostengono mentre si esibiscono in delle danze a mezz’aria.
Quel giorno la temperatura è piuttosto mite; in cielo risplende un sole pallido, mentre da lontano Jude può quasi vedere i vapori neri alzarsi dalle ciminiere delle navi ferme al porto. Tutto ispirerebbe tranquillità, se non fosse per quella loro discussione.
«Spiegami come diavolo potrebbero trovarti, lì» ribatte Ray, avvicinandosi minaccioso «d’altronde tu non hai detto a nessuno della nostra relazione, no? Ah, già, dimenticavo che te ne vergogni…»
Per un momento a Jude sembra di non vederci più dalla rabbia. Il ragazzo pesta i piedi a terra, forse infantilmente, pur di trattenere la stizza.
«Io mi vergogno? Ma fai sul serio?» replica infatti, agitando le braccia attorno a sé. «Credevo che fossi tu il primo a concordare con me sul fatto che fosse meglio tenere nascosto il nostro rapporto ancora per un po’, perlomeno finché continuerai ad insegnare qui. Non dicevi che, se si fosse scoperto, avresti rischiato di perdere il posto da insegnante?»
Ray si lascia sfuggire un sogghigno al tempo stesso triste ed inquietante, mentre fissa Jude in maniera penetrante.
«Tanto a te cosa importa, ormai?» commenta poco dopo, con tono cinico. «Ormai non tornerai mai più a studiare qui.»
«Credi che l’abbia fatto apposta?» Jude sferza un pugno nel vuoto; inutile, non ci riesce: mantenere la calma in una situazione del genere è impossibile.
«Non so più cosa credere, Jude» sbotta Ray, stancamente. «Pensavo che mi amassi e invece non fai altro che scappare da me. Ero convinto che ti piacesse venire a scuola e che detestassi la vita in cui ti ritrovi adesso, e invece…»
Jude si sente mortificato da tutta quella situazione. Anche lui credeva tante cose: che Ray lo supportasse nel percorso che aveva deciso di intraprendere, che lo capisse… a quanto pare, tuttavia, si era sbagliato di grosso.
È immensamente deluso, gli viene da piangere. Ricaccia a stento indietro le lacrime, sa che non potrà trattenerle ancora per molto, il che significa che deve darsi una mossa e andarsene via da lì. Non vuole che Ray lo veda così fragile, l’ultima cosa che desidera è farsi scoprire mentre piange come una ragazzina, perché altrimenti vorrebbe dire che tutti quei discorsi sono stati vani. Ha bisogno di stare un po’ da solo e sfogarsi, adesso, tutto qui.
«A questo punto immagino che non abbiamo più niente da dirci» conclude allora il ragazzo. Sente la voce infrangersi mentre parla, tuttavia si costringe a non crollare, non ancora, non adesso.
Jude si avvia verso l’ingresso sulle scale, rivolgendo le spalle all’uomo; certo che non lo possa vedere, si strofina il dorso della mano sugli occhi lucidi, cercando di cancellare le tracce di quelle lacrime, ancora sul punto di scivolare giù dai suoi occhi.
È ormai arrivato davanti alla porta antincendio, tuttavia non fa in tempo a poggiare il palmo sulla grossa maniglia che Ray lo ha già afferrato per il polso, costringendolo a voltarsi.                  
Si fissano, per un momento che pare durare in eterno, il rosso che affoga nel nero e viceversa. D’improvviso lo sguardo di Jude sembra quasi essere diventato soffocante, per Ray: è come se quegli occhi tanto amati non lo riconoscessero più, ora che sono così spaventati e pieni di lacrime. Entrambi vorrebbero dirsi un sacco di cose, peccato che in quel momento le loro labbra siano incapaci di parlare.
«N-non toccarmi, Ray» lo ammonisce Jude, seppure la sua voce continui ad essere spaventata, persa, confusa.
Il professore lo lascia subito andare. Non si riconosce in quel gesto così impulsivo, si domanda cosa gli sia preso.
E forse la risposta è che, in fin dei conti, ha solo paura di perderlo per sempre. È vero, i ragazzi della banda l’avevano allontanato da lui, tuttavia hanno sempre trovato un modo per restare insieme, nonostante tutto. Ora, invece, a Ray quel momento suona tanto come un addio, più che come un arrivederci e no, non vuole che una definitiva parete di cristallo cali a separarli. Lui ama quel ragazzo – e il pensiero di non vederlo mai più lo logora.
Jude sa di essere nella stessa situazione dell’uomo, tuttavia percepisce di aver bisogno di una pausa, soprattutto dopo quello che è appena successo. Stare per un po’ da solo con se stesso lo aiuterà, ne è certo.
«Ti prego, non cercarmi per un po’» mormora, anche se sente il cuore spezzarsi a quelle parole «ho bisogno di rimettere in ordine i pensieri e facendo così non mi aiuti, affatto.»
Ray apre la bocca. Vorrebbe poter dire qualcosa, tuttavia le parole di Jude l’hanno ferito a tal punto che elaborare una risposta adeguata gli pare impossibile.
Cogliendo al volo il silenzio dell’insegnante, Jude si volta, per poi sparire mentre scende giù per le scale. Ray invece rimane immobile, gli occhi che continuano imperterriti ad osservare il punto in cui il ragazzo è sparito, poco prima. Sa che non tornerà su, dicendogli che si è sbagliato e che tutto ciò che desidera è passare insieme il resto della loro vita. D’altronde, il tutto sarebbe fin troppo simile ad un sogno – e Ray ha ormai smesso di credere ai sogni.
L’unica parola che riesce a pronunciare, in un momento del genere, è il nome del ragazzo, che affiora sulle sue labbra con un mormorio leggero come petali di rosa.
«Jude…»         
 

Back Bay, Boston, 24th March
h. 03:15 p.m.


Un tatuatore. Jude si sarebbe immaginato che Caleb potesse portarlo in qualsiasi posto, fuorché lì.
In quei giorni, Jude non riesce a fare a meno di sentirsi incredibilmente confuso, l’unica cosa che desidererebbe davvero sarebbe riuscire a trovare quelle risposte che sta così disperatamente cercando.
Continua a pensare alla discussione con Ray. Si odia da morire, non riesce a credere di essere riuscito a perdere anche l’ultima persona che ancora credeva in lui. Dopo la sua fuga in lacrime dal liceo Ray aveva provato a chiamarlo diverse volte, probabilmente spaventato al pensiero che il ragazzo, ridotto in quelle condizioni, potesse farsi male o combinare qualche stupidaggine. Jude, tuttavia, si era costretto a non rispondere, spegnendo il cellulare quando le telefonate si erano fatte più intense. Se gli aveva chiesto di dargli un po’ di tempo per riflettere aveva i suoi buoni motivi.
Si era rifugiato in una zona abbandonata della città, dalle parti di Southwest Corridor. Girando per quel quartiere in skate, assieme ai ragazzi, aveva notato la presenza di uno scavo abbandonato, non molto distante dai binari della vecchia ferrovia inutilizzata dove spesso andavano ad affinare le loro abilità. Probabilmente in quel luogo un tempo dovevano aver deciso di costruire una nuova rete di impianti fognari, perché dei grossi cilindri di cemento armato spuntano fuori dal terreno. Qualcosa deve essere andato storto, forse i fondi per i lavori non sono stati abbastanza o ci si è resi conto che quell’impianto non poteva essere installato lì, fatto sta che ad un certo punto gli operai hanno smesso di scavare e di quel luogo non è rimasto altro che una landa arida e desolata. Quando piove, il terreno sabbioso si ricopre di fango e pozzanghere, diventando impraticabile. Eppure, nonostante tutto, Jude continua a trovarlo un posto perfetto in cui nascondersi a riflettere, in una giornata uggiosa. Così, ogni volta in cui ne sente il bisogno, corre a perdifiato fin lì, salta giù in quella fossa e scivola nei vecchi cilindri, tra ristagni di acqua non troppo salubre e ratti che zampettano da una parte e dall’altra. Può sembrare uno scenario non esattamente idilliaco, tuttavia a volte Jude si ritrova a pensare che non ci sia poi così tanta differenza tra lui e quello scavo abbandonato.
Jude avverte un’onda infrangersi sulla spiaggia, non molto distante e solo in quel momento sembra riemergere dai suoi pensieri, ricordandosi di colpo del luogo in cui si trova.
Back Bay. Negozio di tatuaggi. Certo.
L’interno del locale in cui si trovano è azzurro come il mare e a Jude sembra che lo aiuti a riflettere. D’improvviso vorrebbe poter correre via da lì e scappare – nemmeno troppo lontano, a dir la verità: gli basterebbe raggiungere l’oceano, a pochi passi da lì. Poco importa che sia marzo e faccia sorprendentemente freddo, se solo potesse si getterebbe in mare con ancora indosso i suoi vestiti logori, giusto per sentire l’acqua gelida impregnare il tessuto e baciargli la pelle con quelle labbra di ghiaccio. È certo che, immerso nel silenzio, sott’acqua, tutti i suoi pensieri diventerebbero subito più lievi. Nessuno più ad assillarlo, potrebbe anche lasciarsi annegare in quel mare così accogliente.
Peccato che, in tutto questo, debba accontentarsi delle pareti di quel locale; inoltre, come se tutto ciò non fosse sufficiente – anche se, a detta di Jude, lo sarebbe eccome – gli tocca anche dare retta a Caleb.
«Questo qui?» Come a voler confermare quel suo ultimo pensiero, il ragazzo interpella il suo parere, indicando un disegno sull’album che il proprietario del locale ha fornito loro. È un tribale, raffigurante una tigre.
«Beh, non è male» commenta Jude, con un sospiro.
Caleb lo osserva attentamente, accigliato.
«Non sembri molto convinto» gli fa notare infatti, poco dopo.
«Sì, scusa» Jude strizza gli occhi e scuote la testa, disorientato. Trova una giustificazione, trova una giustificazione, trova una giustificazione… «solo che… cosa te ne fai di una tigre? Non è molto nel tuo stile.»
Caleb smette di osservarlo, con quel suo sguardo indagatore, tornando a rivolgere tutta la sua attenzione al catalogo dei tatuaggi. Alle sue spalle, Jude tira un silenzioso sospiro di sollievo, sperando che Caleb non si accorga anche di quello.
«In effetti non hai tutti i torti» ammette il ragazzo, riprendendo a sfogliare le pagine plastificate «anche se mi chiedo cosa ne sappia tu, del mio stile.»
«Mah, forse a forza di stare con te avrò imparato a conoscerti un po’ meglio, no?» azzarda Jude, mordicchiandosi il labbro inferiore.
L’altro scrolla le spalle e torna ad ignorarlo – o almeno, questo è quel che Jude crede e spera. È incredibile: all’inizio, quando è entrato a far parte di quella banda, Caleb lo detestava, letteralmente; ora, invece, sembra che l’unico di cui si fidi sia proprio Jude. Se ci pensa bene, dubita che sarebbe riuscito, fino a qualche mese prima, ad immaginare di poter entrare nelle sue grazie. Invece, a quanto pare, è esattamente quel che è accaduto.
Crede di essere la persona quanto di più vicina possibile ad essere un migliore amico, per Caleb – e se da una parte la cosa lo lusinga sinceramente, dall’altra si sente quasi spaventato, considerando che genere di persona sia.
Tuttavia, Jude non vuole attribuirgli colpe a prescindere, visto che sa di aver commesso buona parte dei suoi stessi errori. Come si dice, “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”.
«Non mi hai ancora detto come mai hai deciso di farti un tatuaggio» gli fa notare Jude, dopo diversi minuti di silenzio.
Caleb si volta subito a guardarlo, sorpreso. Non si aspettava una domanda del genere, evidentemente. Jude si sta già maledicendo, dannazione a lui che non riesce mai a tenere le parole a freno…
Inaspettatamente, tuttavia, i suoi pensieri vengono di colpo interrotti.
«Ho pensato che fosse una buona idea» gli risponde infatti, alzando le spalle «sai, qualcosa che mi facesse apparire come il temibile capo di una banda di teppisti. Ad ogni modo no, sono spiacente ma temo di doverti informare del fatto che tu non mi conosci ancora del tutto, affatto.»
Mentre pronuncia le parole “temibile capo di una banda di teppisti”, Caleb fa ondeggiare le braccia in avanti, mimando un espressione pericolosa. Jude scoppia a ridere e deve coprirsi le labbra con una mano per non fare troppo rumore, ricevendo comunque un’occhiataccia dal proprietario del locale, un certo Seymour Hillman.
D’improvviso Caleb picchia un pugno sull’album, facendo sobbalzare Jude. L’uomo barbuto dalla parte opposta del bancone, invece, sembra restare impassibile.
«Sono venti minuti che stiamo qui a sfogliare questo raccoglitore, senza riuscire a deciderci» sbotta il ragazzo dal ciuffo bruno, irato «non è possibile che scegliere un cazzo di tatuaggio sia così fottutamente difficile!»
I due ragazzi si guadagnano un secondo sguardo inceneritore da parte di Hillman.
«Ehi, ragazzino» l’uomo mette in guardia Caleb, continuando a fissarlo minaccioso «vedi di tenere la lingua a freno, qua dentro, altrimenti ti butto fuori.»
Caleb, tuttavia, gonfia il petto con aria arrogante, per nulla intimorito dalle parole di Hillman.
«Io parlo come caz—»
«Caleb, no!» Jude interviene appena in tempo, affrettandosi a coprire la bocca del compagno con una mano. Mentre Stonewall cerca di divincolarsi, il giovane Sharp tira fuori il suo migliore – e falsissimo – sorriso a trentadue denti, gli occhi strizzati a causa di quell’espressione mentre riprende:«La prego di scusare il mio amico, signor Hillman, purtroppo è un po’ sboccato. Crede che la cosa lo renda più interessante, chissà perché.»
«Jude, vffc—»
Prima che la situazione possa peggiorare, Jude si sbriga a rifilare un calcio negli stinchi all’amico. Per un momento a Caleb sembra quasi di non riuscire più a vedere, mentre le lacrime gli salgono agli occhi. Vorrebbe urlare o quantomeno piangere a causa del dolore, tuttavia, dovendo perennemente mantenere quel suo atteggiamento da duro, è costretto a ricacciare indietro le lacrime e a soffrire in silenzio. Jude, nel frattempo, continua a sorridere raggiante al proprietario, sperando che gli dia ascolto.
Seymour Hillman sospira silenziosamente, voltandosi ad osservare il portatile che ha lasciato acceso sulla scrivania.
«E va bene» conclude l’uomo, alzandosi dallo sgabello su cui era seduto «vado a preparare gli strumenti. Di’ al tuo amico di darsi una mossa a scegliere quel tatuaggio.»
«Certamente, signore» conclude Jude, continuando a sorridere apertamente anche mentre Hillman esce dalla stanza.
Non appena Seymour sparisce nel suo laboratorio, Caleb ne approfitta per mordere la mano di Jude.
«Ahi!» sussurra il ragazzo, stringendosi al petto la parte lesa. In questo modo, Caleb torna ad essere libero.
«Ah, e sai io che caz—»
Prima che possa aggiungere altro, Jude si avvicina l’indice alle labbra, osservando l’altro con aria truce e minacciosa. Fai silenzio.
Caleb sbuffa pesantemente, alla fine però vede di dare retta all’intimazione di Jude.
«Sei uno stronzo, comunque» riprende poco dopo, a voce decisamente più bassa «mi hai tirato un calcio sugli stinchi e per poco non rischiavi di soffocarmi. E dire che ti credevo un amico, Jude.»
«E infatti se l’ho fatto è proprio perché sono tuo amico» gli fa notare Jude, risentito «o volevi essere cacciato da questo locale prima ancora di esserti chiarito le idee su quale tatuaggio vuoi? Piuttosto, tu avresti anche potuto evitare di prendermi a morsi. Che schifo, adesso ho la tua saliva addosso…»
Con questo, Jude comincia a strofinare in maniera nevrotica il punto della mano in cui Caleb l’ha morso sulla felpa, disgustato.
«Smettila di comportarti come un frocio della peggior categoria» lo ammonisce poco dopo, lo sguardo in egual misura severo e beffardo.
Jude sobbalza lievemente sul posto, stavolta non riesce proprio a ribattere. D’altronde, cosa si dovrebbe replicare, quando dall’altra parte hanno ragione?
Caleb rotea lievemente gli occhi, tornando di nuovo ad ignorare il compagno. Jude, invece, per mezzo secondo non riesce più né a muoversi, né a far nient’altro: ha gli occhi leggermente dilatati, è caduto ancora una volta nei suoi mille pensieri.
E se Caleb avesse dei sospetti sul suo vero orientamento sessuale? Impossibile… è sempre stato così attento a tenerlo nascosto, per tutto quel tempo…
Jude raddrizza la schiena, cercando di fare finta di niente. Non può certo dare a Caleb altri motivi per poter dubitare di lui, no?
«Comunque, dobbiamo davvero darci una mossa a scegliere questo tatuaggio» commenta, cercando di cambiare discorso agilmente, mentre si rimette a sfogliare gli esempi di tatuaggi che Hillman ha proposto loro «qualcosa che ti rappresenti, eh? Accidenti, Caleb, certo che potevi pure pensarci prima di venire qui…»
«Beh, scusa se non l’ho fatto» commenta il ragazzo, incrociando le braccia sul bancone, per poi affondare il volto tra di esse «adesso mi pare un po’ troppo tardi, comunque.»
«Pure tu non hai tutti i torti» Jude smette di sfogliare l’album, sospirando stancamente. In realtà nessuna di quelle idee riesce a convincere pienamente neppure lui, il che è davvero un problema.
Qualcosa che rifletti Caleb… qualcosa che lo identifichi, che faccia intuire la sua personalità e che possa riferirsi unicamente a lui…
«Potresti scegliere qualcosa che ti faccia pensare a Camelia» commenta infine, in un lieve sussurro.
Subito gli occhi di Caleb schizzano in direzione del volto dell’altro ragazzo, di colpo l’argomento della conversazione sembra essere decisamente più interessante.
«Questa è la prima cosa sensata che dici da stamattina» ammette, un sorriso appena accennato che gli compare sul volto.
Jude sorride a sua volta, soddisfatto. Sapeva che quell’idea avrebbe incontrato i gusti di Caleb e averne la conferma lo riempie ancor più di orgoglio per aver avuto quell’intuizione.
«Sì, certo» riprende Caleb, mentre ha già cominciato a valutare quella possibilità «però cosa potrei farmi fare? Le iniziali? Mica sono una ragazzina--»
«Magari qualcosa che abbia a che fare con il vostro rapporto» propone Jude, tutto esaltato «che ne so, una cosa che potrebbe rappresentare la vostra relazione, oppure un oggetto che si lega ad un’azione che fate sempre insieme…»
Caleb si ferma per un momento a riflettere, colpito. Un modo per definire la loro relazione? Che domanda curiosa… non è sicuro di sapervi rispondere. Per lui Camelia è la persona più importante della sua vita. Con lei riesce a sentirsi bene come non mai e se dovesse immaginarsi con una persona al proprio fianco, tra una decina di anni, punterebbe senza dubbio su quella ragazza dai capelli color glicine. I loro caratteri sono diametralmente opposti, infatti spesso si domanda come sia possibile che due persone così diverse riescano a stare insieme – anche perché si rifiuta di dare credito a quella smanceria mielosa degli opposti che si attraggono o robe simili – infatti capita spesso che si ritrovino a litigare. Camelia vorrebbe che lasciasse perdere questa storia della banda, perché dice che non è fatto per quel mondo; Caleb sa che ha ragione, tuttavia la sua testardaggine gli impedisce di darle retta. È anche una questione di orgoglio – e, in fin dei conti, Caleb sa bene di essere fin troppo egocentrico per permettersi di perdere la dignità in un modo del genere. Per quante volte possano discutere, anche per questioni estremamente futili, tuttavia, entrambi sanno che finiranno sempre per fare nuovamente pace, perché si amano troppo – in una maniera irrazionale e tutta loro, certo – per perdersi.
«Beh» risponde, dopo interminabili minuti di riflessione «se penso a lei – o, più in generale, alla nostra relazione – mi verrebbe da parlare di un fuoco. Una fiamma che brucia e che divampa, inarrestabile. Ci sono dei momenti in cui andare d’accordo è davvero impossibile, eppure, nonostante tutto, non potrei mai vivere senza di lei…»
Mentre racconta, Caleb sembra un fiume in piena, incapace di fermarsi. Nel frattempo, Jude afferra un foglio e una matita dalla scrivania di Hillman, iniziando a tracciare linee leggere sulla carta. È come se le mani agissero contro la sua volontà, i pensieri che invece sono ancora tutti concentrati sulle parole di Caleb.
Quando le dita di Jude lasciano cadere la matita, a disegno ormai ultimato, Caleb sta ancora parlando. Il ragazzo ha il tempo di lanciare uno sguardo al foglio, al che un’espressione soddisfatta si dipinge subito sul suo volto.
«Credo che una cosa del genere potrebbe andare» annuncia infatti, di lì a poco, allungando il disegno al capo della banda «tu che dici? Ho pensato che, oltre a rappresentare in pieno quello che provi per Camelia, in buona parte inquadri anche la tua personalità. E poi ehi, potrebbe anche essere considerato un simbolo da “temibile teppista”, no?»
Caleb osserva attentamente il bozzetto. Quella è, a tutti gli effetti, la rappresentazione del fuoco. Il disegno ricorda l’elemento naturale, linee nere più spesse che vanno a diradarsi, diventando sempre più sottili, man mano che le lingue di fiamma vanno salendo verso l’alto. Deve ammettere che non sarebbe mai riuscito ad immaginare niente di meglio.
«Vedi perché quando vado in giro mi porto dietro te, piuttosto che Joe o David?» gli domanda poco dopo, sorridendo in maniera sardonica. «Sei tu quello con le intuizioni geniali, Jude.»
Jude sorride. È sul punto di dire qualcosa a Caleb, tuttavia proprio in quel momento Hillman fa nuovamente la sua comparsa all’interno della stanza.
«Allora, avete deciso?» domanda loro in tono rude, burbero. «Di là è tutto pronto.»
«Sì, ecco, arrivo» annuncia Caleb, alzando il foglio con il bozzetto di Jude a mezz’aria.
Vorrebbe poter ringraziare meglio il suo amico, tuttavia neanche un secondo dopo si ritrova inchiodato alla poltrona del tatuatore, mentre si costringe a trattenere le lacrime di dolore nel momento in cui l’inchiostro penetra nella sua pelle.
Jude osserva in silenzio tutta la scena da dietro una vetrata, in uno stanzino attiguo. Per l’ennesima volta, l’immortale cocciutaggine del suo migliore amico lo diverte più di quel che dovrebbe – aspetta, da quand’è che ha cominciato a considerare Caleb il suo migliore amico? Accidenti, a forza di frequentare quei ragazzi deve aver finito per farsi friggere anche l’ultimo briciolo di cervello che ancora gli restava a funzionare bene.
Forse, riflette Jude, dovrebbe farsi anche lui un tatuaggio. L’idea non l’ha mai sfiorato minimamente, tuttavia magari i ragazzi potrebbero trovarla una buona idea. In effetti, se proprio dovesse farsi qualcosa, gli piacerebbe la rappresentazione del battito cardiaco sul lato destro del collo – e non sulla spalla, come ha scelto invece Caleb. È abbastanza sicuro che gli altri boccerebbero quell’idea, etichettandola come una scelta da ragazzine, tuttavia con ogni probabilità sarebbe perché ignorano i veri motivi dietro quella decisione. La verità è che un giorno Jude vorrebbe mettersi a frugare tra i referti medici a casa di Ray, trovare un suo elettrocardiogramma e scattargli una foto col cellulare, per poi farselo imprimere sulla pelle in maniera indelebile. Hanno litigato, è vero, tuttavia non può negare a se stesso che, seppure siano appena quattro giorni che non lo vede, gli manchi terribilmente; nonostante tutto lo ama davvero, di quella sorta di amore folle e profondo che potrebbe durare perfino in eterno – all’incirca lo stesso che vede riflesso anche negli occhi di Caleb, ogni volta che lo sente parlare della sua Camelia.
Magari un giorno lo farà sul serio, chi lo sa.


Southwest Corridor, Boston, 12th April
h. 02:44 p.m.


Succede così, un giorno di metà aprile. All’improvviso, quando nessuno se lo aspetterebbe.
Jude sta attraversando una strada desolata di Southwest Corridor, con un vecchio zainetto malandato sulle spalle. Là dentro ci ha infilato la maggior parte dei suoi effetti personali – vestiti, spazzolino e dentifricio, un paio di libri perché non si sa mai, metti caso che dovesse trovarsi a combattere la noia – dopo una breve sortita a casa sua, approfittando del fatto che suo padre fosse in visita da alcuni suoi amici imprenditori, nello stato di New York. Ormai era abbastanza certo che non sarebbe più tornato a casa per un bel po’, perciò aveva valutato che sarebbe stato meglio avere tutto il necessario a portata di mano, nel momento in cui ne avesse dovuto aver bisogno.
Dà un calcio ad un sasso per terra, che rotola giù lungo il marciapiede che sta percorrendo. Vecchi fabbricati con i mattoni a vista gli fanno compagnia, mentre si affretta a raggiungere il covo della banda.
Quel giorno si sente particolarmente allegro, nemmeno lui saprebbe dire perché. Forse è per via di questo fatto che se ne sta ormai andando ufficialmente da casa di suo padre, tuttavia non ne è poi così sicuro. Ad ogni modo, gli ultimi metri che lo separano dalla tana li sta affrontando muovendosi letteralmente con un’andatura saltellante. Se i ragazzi lo vedessero, finirebbero per prenderlo in giro per delle settimane – e, per una volta tanto, non si sente infastidito neanche più di tanto da quella prospettiva.
È esattamente in quel momento che riceve la telefonata.
Il cellulare comincia a vibrare furiosamente nella tasca dei suoi pantaloni, costringendolo a fermarsi. Jude lo estrae con un gesto rapido, lanciando uno sguardo di sfuggita al nome sullo schermo – è David, il che lo lascia piuttosto interdetto. Gli ha detto che sarebbe arrivato al covo all’incirca alle tre ed è in anticipo di ben un quarto d’ora, perciò perché mai dovrebbe chiamarlo? Jude risponde, senza troppa convinzione.
«David, che succede?» domanda infatti. È piuttosto infastidito da quella telefonata: dannazione, non è un bambino incapace di badare a se stesso. Se ha detto che arriverà per le tre, allora sarà sicuramente così, no? Incredibile, è da più di un anno che frequenta quel gruppo di scapestrati, eppure, a quanto pare, non hanno ancora imparato a conoscerlo. In tutta onestà, Jude non credeva di essere una persona tanto contorta.
«J-Jude! Menomale che hai risposto» replica David, come se non avesse minimamente sentito la domanda che gli ha rivolto. La sua voce sembra ben più concitata del solito – e Jude non riesce a fare a meno di chiedersene il perché «devi assolutamente venire qui, è successo un casino…»
Jude corruga la fronte, confuso. Se prima non capiva il motivo di quella telefonata, adesso gli sembra di non riuscire nemmeno ad afferrare le parole che David gli rivolge.
«Come? “Qui” dove?» gli chiede allora, sempre più perplesso. «Non capisco perché sei così agitato, David… comunque, se ti riferisci alla tana, sappi che sono quasi arrivato…»
«No!» l’altro ragazzo strepita, dall’altra parte dell’apparecchio. «No, no, non siamo lì, Jude.»
«E allora dove?» Jude sbuffa, spazientito. «Credevo che avessimo un appuntamento! Guarda, giuro che se scopro che è uno degli ennesimi scherzi di Joe—»
«Jude, sono serissimo» David prende diversi respiri profondi, sembra non riuscire a calmarsi «devi venire subito alla centrale di polizia, siamo tutti qui. Hanno arrestato Caleb.»



Angolo autrice

Oddio, per un soffio! *tira un sospiro di sollievo*
Sul serio, ormai temevo che non ce l'avrei fatta ad aggiornare oggi! Volevo postare come al solito intorno a mezzogiorno, diciamo però che ci sono stati un po' di inconvenienti, del tipo che ieri sera sono tornata a casa alle due di notte dopo aver passato tutta la serata al pronto soccorso e che adesso mia madre ha un braccio fratturato... visto che però dei miei problemi penso che non importi niente a nessuno, andiamo avanti.
Dunque, questo è un capitolo che attendevo da molto tempo, anche se al tempo stesso lo si potrebbe considerare un po' "transitorio". Chi mi conosce sa che ho una tendenza preoccupante all'angst, inoltre più amo un personaggio e più tendo a farlo soffrire. Okay, probabilmente questo è sadismo, ma dettagli--
Comunque, sì, mi dispiace per Kageyama e Kidou... dio, sono un mostro— la scena ambientata nel negozio di tatuaggi, invece, ha un che di molto più comico, credo...? Ormai Kidou e Fudou sono BROTP a livelli inimmaginabili, ahah.
Per quanto riguarda il finale, invece... ve l'aspettavate? Cosa pensate che potrebbe succedere, adesso?
Scusate se questo angolo autrice è un po' breve ma, davvero, mi ero preparata un sacco di cose da dire e adesso mi pare di aver fatto tabula rasa a causa dell'ansia di aggiornare... è la prima volta in vita mia che riesco a rispettare una tabella di marcia che mi autoimpongo, se non avessi postato oggi mi sarei sentita in difetto con voi, visto che ormai vi avevo allettati con la garanzia degli aggiornamenti regolari, oltre al fatto che per me sarebbe stata una grossa sconfitta sul piano personale. Probabilmente sto esagerando, sono tuttavia ormai giunta in un'età in cui prendersi delle responsabilità e rispettare la parola data hanno ben altro valore che in precedenza, soprattutto in vista del lavoro che mi piacerebbe fare da grande.
(Cosa sto dicendo, non capisco più niente--)
Ciò detto, ringrazio tutti i lettori che recensiscono (e che recensiranno, magari...?) questa storia, insieme a chi l'ha messa tra le preferite e le seguite. Scusate per lo sfogo dell'altra volta, era una giornata no in cui mi avete beccata decisamente nervosa e giù di morale. Avvilita, soprattutto, perché spesso non ricevere feedback mi fa quest'effetto, come ho detto però so di non potermi aspettare la Luna. Anzi, scusate se molto probabilmente non riuscirò a rispondere alle vostre recensioni neanche stavolta, ma con mamma in queste condizioni preferisco sinceramente concentrarmi più sulla sua salute che su EFP, spero che la mia scelta possa essere compresa ^^
Ah, una cosa: mi hanno detto che il 27 avrò un impegno che mi terrà lontana per tutta la giornata... spero di riuscire comunque a postare il capitolo, anche a costo di svegliarmi all'alba, però se non dovessi riuscirci sappiate che è per questo motivo.
Grazie a Gagiord per aver betato il capitolo, ci vediamo il 17 (spero...?) per il quinto chap, in cui... succederà di tutto!

Aria   

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Capitolo 5
*** Raindrops ***


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Roxbury, Boston, 12th April
h. 03:12 p.m.


Jude corre a perdifiato, lo scalpiccio dei suoi passi affrettati riecheggia rimbalzando lungo le strade di Boston. Fortunatamente il commissariato non è poi così lontano dalla zona di Southwest Corridor, perciò anche senza correre avrebbe raggiunto gli altri in pochissimo tempo.
Quella, tuttavia, è un’emergenza vera e propria, per cui Jude non riesce a fare a meno di trovare adatta quell’andatura.
Le braccia si muovono lungo i suoi fianchi a ritmo delle gambe, solo che il ragazzo non riesce a darci peso, la mente completamente occupata dalle parole che, poco prima, David gli ha rivolto, al telefono.
Hanno arrestato Caleb.
Jude trattiene le imprecazioni tra i denti – cazzo, cazzo, cazzo – mentre sfreccia con folle velocità, attraversando la strada e fiondandosi all’interno del commissariato senza pensarci troppo. Solo quando ormai si trova all’interno della struttura sembra ricordarsi di dover mantenere un comportamento appropriato a quel luogo, perlomeno se non vuole finire a fare compagnia in cella a Caleb, così si decide a prendere dei respiri profondi, immobilizzandosi sul posto.
Si guarda attorno, confuso: non è mai stato in quel luogo, tant’è che adesso si sente come un pesce fuor d’acqua. Tutt’attorno a sé ci sono agenti in divisa che si muovono da una parte all’altra del distretto con assoluta tranquillità e disinvoltura – e Jude per questo li invidia anche un po’, come vorrebbe sapere a sua volta dov’è che deve andare…
«Serve una mano?»
Jude si volta di scatto, sorpreso di sentire quella voce. È abbastanza certo che, chiunque sia stato a parlar lare, si stesse rivolgendo a lui: d’altronde, dubita che altre persone lì attorno possano avere la stessa espressione smarrita che sa di avere in quel momento sul suo volto.
Jude ci mette un po’ a mettere a fuoco l’ambiente attorno a sé e, quando finalmente ci riesce, si accorge della presenza di un piccolo gabbiotto alla sua sinistra. All’interno di esso c’è una donna – anch’ella con indosso una divisa da agente – che lo sta squadrando attentamente. Il ragazzo non ha dubbi che lo trovi incredibilmente inadeguato; d’altronde, sa perfettamente di essere la persona meno in ordine del mondo, in quel momento: con la sua aria affannata, il volto paonazzo per lo sforzo dovuto alla corsa di poco prima e i vestiti malridotti non è certo un gran bello spettacolo. Magari crede che sia un ladruncolo alle prime armi venuto a costituirsi, chi lo sa.
«Ehm» dietro la schiena Jude si tortura le mani, alquanto a disagio «sono qui perché mi ha chiamato un mio amico, dicendo che uno di noi era stato arrestato e portato in centrale—»
Il ragazzo si blocca all’istante quando nota lo sguardo della donna squadrarlo da capo a piedi. Inutile dirlo ma quella sorta di radiografia non fa che mettere Jude ancor più in imbarazzo.
«Ahh, ho capito» commenta la donna, mentre torna a fissare il ragazzo in volto «deve trattarsi di quei tre tipi poco raccomandabili arrivati qualche minuto fa. Santo cielo, non la smettevano un momento di urlare…»
Jude vorrebbe dirle che non ha capito niente, che qualsiasi idea si sia fatta di loro sta certamente sbagliando. Peccato che non abbia tempo, per quelle sciocchezze.
«Urlavano? Allora deve trattarsi sicuramente di loro» Jude si lancia in direzione della scrivania, osservandola intensamente attraverso il pannello di plexiglass che li separa «e mi dica, adesso dove si trovano?»
«Beh, il detective Cormac ha portato di sopra, al primo piano, il teppista che ha arrestato, probabilmente in sala interrogatori per poterlo torchiare per bene—»
Jude non le dà il tempo di finire la frase che è già schizzato in direzione delle scale, senza neppure ringraziarla. Ha saputo ciò di cui aveva bisogno, ora ha ben altro di cui occuparsi.
Non appena raggiunge il primo piano si trova per un momento di nuovo senza la minima idea di dove andare, perlomeno finché non sente un gran vociare provenire dalla sua destra. Jude neanche controlla, è già partito in quella direzione, riconoscerebbe quei timbri – uno roco e profondo, l’altro più acuto e squillante – all’incirca tra milioni. Ora, infatti, vede nitidamente davanti a sé Joe e David, mentre continuano a tormentare l’uomo che è appena uscito da una stanza in fondo al corridoio, chiudendo la porta alle proprie spalle. A Jude non ci vuole molto per capire che deve trattarsi del detective Cormac a cui gli ha accennato poco prima la donna all’entrata.
«La prego, non può trattenerlo» afferma David, agitando convulsamente le braccia «state commettendo un grosso sbaglio, non avete motivo per non lasciarlo andare!»
«Beh, questo sta a noi stabilirlo» replica Cormac – un uomo sulla trentina, al massimo trentacinque anni, dall’aspetto tutto d’un pezzo e una zazzera arruffata di capelli castani – impassibile «e comunque il vostro amico è stato colto in flagrante sulla scena di un reato, per cui lasciarlo andare sarebbe piuttosto folle.»
«Questa è un’assurdità» sbotta Joe, con veemenza «e sentiamo, quali sarebbero queste prove?»
Il detective Cormac appare piuttosto spazientito, con ogni probabilità è sul punto di esplodere e sta per intimare ai ragazzi di lasciar fare alla polizia il proprio dovere, aggiungendo che, se davvero Caleb è innocente, allora loro lo scopriranno senza ombra di dubbio; Jude tuttavia sente che, qualora lasciasse morire così quella conversazione, forse per Caleb non ci sarebbero possibilità di scampo: è per questo che, ne è certo, deve fare qualcosa – e anche alla svelta, in effetti.
«Joe! David!» si affretta allora a chiamare i suoi amici, cercando di attirare la loro attenzione.
I due ragazzi si voltano subito nella sua direzione, sorpresi di avvertire una voce amica in quel mare di persone sconosciute e infide.
«Jude!» David si lancia letteralmente addosso al ragazzo per salutarlo – e per questo Jude si becca un’occhiataccia da parte di Joe – come se in quel momento avesse disperatamente bisogno del suo sostegno fisico e psicologico. E, in effetti, è esattamente così.
«Meno male che sei arrivato» riprende David, continuando a tenersi stretto a lui «non riusciamo a parlare con Caleb, sembra che nessuno qui voglia dirci cosa sta succedendo—»
Jude intreccia mollemente una mano tra i capelli turchini di David, carezzando lievemente la chioma del ragazzo e sperando, almeno con quel gesto così apprensivo e premuroso, di riuscire a calmarlo un po’.
«Shh, vedrai che adesso andrà tutto a posto» mormora, senza troppa convinzione.
In realtà, Jude non sta fissando David: il detective Cormac, infatti, non gli ha ancora tolto lo sguardo di dosso da quando li ha raggiunti, così adesso il ragazzo si è deciso a fronteggiare con decisione quello sguardo, senza la minima intenzione di retrocedere nei propri intenti.
«Salve» s’introduce il ragazzo coi dreadlock, agitando appena i piedi sul posto – quel genere di situazioni lo mettono sempre così a disagio «non è che potrei parlarle un momento in privato?»
Cormac annuisce, senza troppa convinzione, per poi distendere un braccio di lato, indicandogli di avviarsi in quella direzione.
Jude tiene gli occhi bassi e fissi sul pavimento – una monotona sequenza sempre uguali di piastrelle avana di medie dimensioni – mentre si avvia mestamente lungo il corridoio. Il detective lo segue, a pochi passi di distanza; a Jude sembra quasi di sentire il fiato dell’uomo sul suo collo ed è abbastanza certo che no, quella non è una suggestione, affatto.
Poco dopo il ragazzo è costretto a fermarsi, perché si accorge solo in quel momento di essere giunto al termine del corridoio. Ora, infatti, davanti a lui si trova una finestra, la tenda a sottili losanghe di ferro è abbassata, tuttavia attraverso lo spazio tra una strisciolina di metallo e l’altra Jude riesce a distinguere la presenza di un piccolo parco pubblico, qualche metro sotto di loro.
«Allora» il detective Cormac si schiarisce la voce, evidentemente seccato da quella che, con ogni probabilità, non riesce a concepire in maniera differente da un’inutile perdita di tempo «di che cos’è che volevi parlarmi?»
«Perché avete fermato quel ragazzo?» Jude arriva subito al sodo: sa perfettamente, infatti, che in una situazione come quella non si può permettere nessuna sorta di perdite di tempo.
«Lo abbiamo beccato mentre stava ritirando della merce da un piccolo spacciatore, in un vicolo appartato nella zona della Back Bay» gli spiega allora Cormac, con una calma che ha del sorprendente – ma che, al contrario, non fa altro che far innervosire ancora di più Jude «solo qualche grammo d’eroina, niente di eclatante, a dire la verità. Il suo fornitore è riuscito a darsela a gambe nella confusione generale – due agenti avevano appena fatto irruzione nel vicolo – mentre il tuo amico non ha avuto modo o tempo di fare altrettanto.»
Jude abbassa di scatto lo sguardo, ritrovandosi improvvisamente a fissare il parchetto di poco prima. La situazione è più complicata di quanto immaginasse, cazzo. Sa che Caleb non assume assiduamente sostanze stupefacenti, di solito capita con una cadenza saltuaria di all’incirca una volta ogni cinque o sei mesi. Da quando frequenta Camelia quella frequenza è perfino diminuita, per cui Jude non può fare a meno di notare, per l’ennesima volta, quanto il destino sappia essere infame: possibile che Caleb dovesse farsi beccare proprio in un’occasione del genere? E dire che, in generale, è sempre piuttosto attento, quando si tratta di non farsi scoprire dalla polizia. Oltretutto, è un delinquente abbastanza esperto, ormai, perciò Jude non riesce proprio a spiegarsi come possa essere possibile che si sia lasciato cogliere tanto facilmente con le mani nel sacco.
Jude sospira: detesta dover ricorrere a quell’escamotage, tuttavia dubita di poter risolvere la questione in altri modi.
«Ascolti, detective» esordisce infatti, mentre comincia a rovistare all’interno delle tasche dei suoi pantaloni «da quello che mi è parso di capire non c’è modo di interloquire con la persona che avete fermato. A questo punto mi vedo costretto a dover chiamare mio padre, il candidato governatore Sharp, affinché si metta in contatto con i suoi superiori ed interceda in modo da potermi concedere un colloquio con il ragazzo arrestato. Tuttavia, qualora preferisse evitarsi un richiamo da parte del capitano del suo distretto, forse potrebbe procedere in qualche altro modo, non trova?»
Jude estrae finalmente il telefono e fa per comporre il numero di suo padre sulla tastiera, quando d’improvviso il detective lo interrompe bruscamente.
«Se credi che io sia quel genere di persona che si lascia corrompere così facilmente ti sbagli di grosso, ragazzo» commenta infatti Cormac, avviandosi a grandi falcate lungo il corridoio.
A Jude non resta altro da fare che seguirlo. D’altronde, il suo non era nient’altro che un bluff: non avrebbe mai potuto chiamare suo padre, poiché sa bene quanto disprezzi la sua scelta di frequentare una banda di delinquenti, per cui mai e poi mai sarebbe sceso in campo per porgergli il suo aiuto – e forse, in fin dei conti, Jude è quasi più lieto così, considerando quanto altrimenti il signor Sharp gli avrebbe fatto pesare una cosa del genere.
In effetti, non c’è nulla di piacevole nel dover ricorrere al potente nome di suo padre pur di riuscire a sbrogliare determinate situazioni. Jude non ama riempirsi la bocca di quel cognome pesante come macigni, anzi, non fosse stato che i suoi amici erano già a conoscenza dell’identità dei suoi genitori dai tempi della scuola, probabilmente avrebbe preferito nascondere perfino a loro le sue origini. Gradisce in maniera di gran lunga maggiore essere ricordato come “Jude”, piuttosto che per essere “il figlio del candidato governatore Sharp”: in poche parole, ha sempre preferito che gli altri lo identificassero per i propri meriti, anziché quelli di suo padre. Per questo motivo cerca sempre di non avvalersi di privilegi che, per ovvie ragioni, il suo nome è in grado di conferirgli. Non è un pallone gonfiato, si domanda come certa gente possa sentirsi grande e importante per una roba del genere, quasi come se questo li legittimasse a gonfiare il petto o cose di questo tipo.
Peccato che, invece, in una situazione come quella gli sia toccato farne uso.
Cormac si arresta davanti alla porta della sala interrogatori, posandosi per un momento le mani sui fianchi, per poi poggiarne una sulla spalla di Jude.
«Hai cinque minuti» gli comunica il detective, con espressione seria «non uno di più.»
«La ringrazio» commenta Jude, proprio un momento prima che Cormac possa spingerlo all’interno della stanza e chiudere la porta alle sue spalle.
La sala interrogatori è una stanza vuota, che Jude non stenta a definire desolante e desolata al tempo stesso: le pareti sono di un verde scolorito che infonde una tristezza indicibile, oltre al fatto che ci sono diverse macchie scure di muffa negli angoli più defilati del soffitto. Gli unici complementi d’arredo presenti sono un tavolo al centro della stanza e due sedie, una di fronte all’altra, poste ai lati di esso. Una di queste, tra l’altro, è occupata proprio da Caleb.
Il ragazzo è seduto in maniera scomposta, una gamba accavallata sull’altra poggiate sul tavolo, le braccia incrociate dietro la nuca mentre col busto si tiene in equilibrio, facendo dondolare la sedie su cui si è accomodato solo sulle due gambe posteriori. Ha un’espressione indolente, come se essere lì sia la cosa più noiosa del mondo, per contro tuttavia non sembra affatto spaventato dal fatto di essere stato appena arrestato e di trovarsi adesso in un commissariato – il che non può che mandare Jude ancor più su tutte le furie di quanto già non sia. Quand’è che quel ragazzo comincerà a rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni e magari anche a prendersene carico, eh?
Nel momento in cui si accorge della presenza dell’altro nella stanza, Caleb sogghigna.
«Cos’è, è arrivato il principe dall’armatura scintillante a salvarmi?» commenta allora, con evidente tono canzonatorio.
«Ma falla finita» sbotta Jude, prendendo posto sull’unica altra sedia disponibile con uno scatto irato, la voce che suona più ammonitrice del previsto «tu, piuttosto: si può sapere cos’hai combinato, questa volta?»
Caleb sbuffa, con quell’espressione di noncuranza che proprio non ne vuole sapere di scomparire dal suo volto.
«Ma farti i cazzi tuoi?» replica Caleb, con malcelata irritazione. «Come se non te l’abbiano già detto…»
«Non fare finta che non te ne freghi niente» lo riprende Jude. Sta davvero faticando a trattenere la stizza che prova in quel momento; vorrebbe riempirgli la faccia di sberle, in fondo però sa già che non lo farà mai: entrambi cercano sempre di fare i duri ma ormai è innegabile che ci sia un legame, tra loro. Qualcosa di estremamente complesso da definire, certo, eppure, superato uno strato superficiale di diffidenze e rivalità reciproche, pare proprio che abbiano imparato a volersi bene – per quanto in un modo strano e tutto loro.
«Non è che non m’importi» ribatte Caleb, pensieroso «solo che ormai il casino l’ho combinato, no? Per cui immagino che tu adesso sia qui per farmi notare quanto sono deficiente e quant’altro—»
Jude scuote la testa, infastidito.
«Credimi, per quanto mi piacerebbe poterlo fare adesso non ne abbiamo proprio il tempo materiale» gli fa notare infatti, cercando di far risultare il suo tono di voce quanto più neutrale possibile «al momento la nostra priorità è tirarti fuori di qui…»
«Ah, sì? E come penseresti di fare, di grazia?» Caleb scoppia a ridere, di un riso amaro e disilluso. «Jude, so che ti hanno cresciuto facendoti credere questo, ma lascia che t’insegni una cosa: non è così che funziona il mondo. Non siamo tutti come te, che ti basta schioccare le dita per avere tutti ai tuoi piedi. Sai com’è, ho avuto la sfortuna di nascere Caleb Stonewall, per cui nulla mi è dovuto. Non ho un padre ricchissimo alle mie spalle pronto a procurarmi il migliore avvocato su piazza o disposto a versare qualsiasi cifra esorbitante di cauzione pur di tirarmi fuori di qui. C’è chi se lo può permettere e chi no, insomma.»
«Beh» Jude si stringe nelle spalle, a disagio; non è che gli faccia piacere sentire gli altri rivolgersi a lui in quel modo, tuttavia comprende che la situazione in cui Caleb si trova in quel momento non sia delle migliori, per cui decide di fargliela passare – ma solo per quella volta «forse tu non hai tutto ciò… ma, come hai detto, io sì. Senti, sappiamo entrambi che il rapporto tra me e mio padre non sia propriamente idilliaco, però… forse posso convincerlo. Gli dirò che tornerò a casa, che riprenderò ad andare a scuola e la farò finita con questa vita e che questo sarà l’ultimo sacrificio che dovrà compiere per me. Forse… potrebbe pure funzionare. Per cui ascolta, non abbiamo molto tempo a nostra disposizione—»
«Tks» Caleb lo interrompe, con un verso sprezzante «non sei il mio legale, è inutile che ti affanni tanto a preparare una versione dei fatti che potrei usare in mia difesa. L’hai detto tu, Jude, il rapporto tra te e tuo padre è disastroso, perciò perché mai dovrebbe aiutarti? Riempirti la bocca di belle parole non servirà a nulla: quell’uomo non è uno stupido, non ci metterà molto a capire che gli stai raccontando un mucchio di balle. E poi, se anche dovesse decidere di prendere a cuore la tua causa, il candidato governatore Sharp potrà pure trovare l’avvocato migliore del mondo, ciò non toglie tuttavia che gli sbirri mi abbiano beccato con le mani nel sacco. Sono colpevole, per cui sbrogliarsi da una situazione del genere sarebbe piuttosto difficile. Piuttosto, visto che riconosci tu stesso che non abbiamo molto tempo – a quanto pare, per quanto tu possa andare in giro a ripetere a vanvera di chi sei figlio, i tuoi fantastici superpoteri hanno un limite – sarà meglio occuparci di questioni davvero serie: visto che non credo che uscirò da qui tanto facilmente, dobbiamo vedere come riorganizzare la banda. In qualità di vice leader, mi pare ovvio che adesso il comando passerà a te, per cui—»
A questo punto, Jude non riesce più a trattenersi. Sbattendo entrambe le mani con veemenza sul tavolo, si rimette in piedi, con uno scatto improvviso. Quel ragazzo riesce sempre a fargli tirare fuori il peggio di sé: lui, sempre così tranquillo e posato, improvvisamente si sente come se non riuscisse più a controllare le proprie reazioni. Oltretutto, la calma imperturbabile con cui Caleb continua ad osservarlo, negli occhi perfino una sfumatura a metà tra la sfida e lo sbeffeggiamento, non può che farlo infuriare ancora di più.
«Mi prendi in giro? Non riorganizzerai proprio nessuna banda! Sei tu il capo di questa cosa, e io non ho alcuna intenzione di prendermi responsabilità che non mi appartengono. Sono venuto qui con l’unico intento di tendere una mano nella tua direzione, perché sono tuo amico, perché in fin dei conti ci tengo a te; hai sbagliato, va bene, questo però non significa che tu non possa porre rimedio ai tuoi errori. Davvero credi che mi faccia piacere riempirmi la bocca col nome di mio padre? Hai ragione, il nostro rapporto fa pena, anzi potrei dire quasi con assoluta certezza che ormai tutti i ponti tra noi sono pressoché saltati: io lo odio, con tutte le mie forze, tuttavia ho preferito tirar fuori il suo nome perché volevo aiutare te. Ma visto che non ci arrivi e che, a quanto pare, non desideri ricevere questo genere di aiuto, i miei sono stati tutti sforzi vani» sbotta Jude, al limite della collera.
È abbastanza sicuro che Caleb non l’abbia mai visto così arrabbiato; tuttavia, per qualche strana ragione, sul volto del ragazzo dal ciuffo castano continua a non essere presente alcun tipo di inflessione.
Jude si accorge solo in quel momento di star provando un forte dolore alle palme delle mani. Lancia loro uno sguardo distratto, accorgendosi solo in quel momento che, al momento dell’impatto con quel tavolaccio di legno, diverse schegge di legno si sono conficcate nella sua pelle, formando dei piccoli taglietti in più punti, che ora sembrano decisamente sul punto di sanguinare. Gli viene quasi da piangere, finisce tuttavia per ricacciare indietro le lacrime – sta già facendo una figura ridicola, agli occhi di Caleb, per cui meglio non renderla ancor più patetica.
«Sì, beh, resta il fatto che stai prendendo un po’ troppo sottogamba un punto fondamentale della questione» gli fa notare Caleb, con calma glaciale «tuo padre non ti aiuterà mai, non dopo che te ne sei andato di casa e hai smesso di andare a scuola. Inoltre, appena saprà che sono uno dei delinquenti che vorrebbe tanto sbattere a marcire per sempre in gattabuia, figurati come si muoverà in mio soccorso. Si prodigherà e farà qualsiasi cosa per darmi una mano, certo. A quel punto, come vorresti convincerlo ad aiutarmi? Promettendogli che ti rimetterai a studiare e che tornerai a casa da lui? Pensi che non si renderebbe conto che gli stai raccontando una cazzata dietro l’altra? E tu, non ti sentiresti in colpa a mentirgli così? Ti ricordo che non puoi troncare così con la banda. Abbiamo un patto: tu resti e noi evitiamo di andare in giro a sbandierare ai quattro venti che il figlio del candidato governatore del Massachusetts, che tanto si prodiga a estirpare le gang criminali dalla sua tanto amata città di Boston, in realtà è il primo a farne parte. Anche un neonato capirebbe lo scandalo enorme che verrebbe fuori se questa notizia cominciasse a circolare. Visto che, nonostante tutto l’odio che provi nei suoi confronti, hai voluto parare il culo al tuo vecchio, vedi bene di non fare cazzate.»
D’un tratto tutto torna ad essere secondario, per Jude: il dolore alle mani, l’umiliazione di dover essere ricorso al proprio cognome pur di entrare là dentro… niente ha più valore.
Si sente svuotato di ogni certezza. Per quanto possa aver provato a offrire il proprio aiuto al suo amico, sembra quasi che Caleb abbia alzato una barricata tra loro, rifiutando con decisione ogni suo tentativo di mettergli a disposizione una via d’uscita. Irato, ferito e deluso, Jude si sente totalmente, completamente inutile. Se non c’è modo di tirare fuori Caleb da lì – che continua comunque a scartare ogni soluzione che gli propone – allora la sua permanenza lì è davvero inutile.
«Benissimo» conclude allora, la voce deformata dall’avvilente sensazione dell’insuccesso «visto che la mia presenza qui, a quanto pare, è totalmente inutile, vedrò di togliere il disturbo. D’altronde immagino che sarai bravissimo a risolvere tutto anche da solo, no, Caleb?»
Detto questo, Jude si volta di scatto, raggiungendo l’uscita della stanza con delle ampie falcate e lasciando che la porta si chiuda alle sue spalle con un colpo deciso, senza dare a Caleb la possibilità di replicare.
Nel giro di pochi secondi, David e Joe stanno già accorrendo nella sua direzione.
«Jude, allora, com’è andata?» gli domanda il primo, mentre sta ancora percorrendo la distanza che li separa.
Jude dubita di essere nelle condizioni di poter intrattenere una discussione del genere, adesso. Sente di nuovo il bisogno di restarsene un po’ da solo – incredibile come siano aumentati i momenti del genere, ultimamente.
«M-mi dispiace, non me la sento di parlarne…» cerca di mormorare, lo sguardo basso e fisso sul pavimento.
«Ma… perché? È successo qualcosa che non va?» prova ad insistere David.
Gli occhi di Jude ora saettano da una parte all’altra del lungo corridoio in cui si trovano, inquieti. Cosa potrebbe dire loro, d’altronde? Che ha fallito su tutta la linea e che Caleb ha preferito restarsene in gattabuia, piuttosto che accettare il suo aiuto?
«Scusate, io… non posso» conclude infine, scansando le braccia di Joe e David, che cercano di trattenerlo.
Prima che possa accorgersene, sta già correndo giù per le scale, e poi fuori, via da lì, lontano.


Southwest Corridor, Boston, 12th April
h. 11:43 p.m.


Perduto. È tutto perduto, stavolta.
Jude si immerge nelle tenebre della tana di Southwest Corridor fino a lasciare che il buio gli ferisca gli occhi, restando noncurante anche quando gli arti iniziano a dolergli, dopo essere rimasto fermo immobile nella stessa posizione per diverse ore.
È tutto perduto.
Dopo essere fuggito dal commissariato di polizia è stato quasi istintivo rifugiarsi lì, per lui. Dopotutto, è un po’ come se tutto fosse iniziato proprio in quel luogo: l’incontro con i ragazzi, che l’hanno trascinato sempre più verso l’abisso della perdizione.
E adesso che ci si trova dentro fino al collo, è ormai impossibile riemergerne, per lui.
Nella mano destra stringe forte il collo di una bottiglia di birra. È l’unica cosa che si è premurato di prendere, prima di nascondersi lì. Annegare i dispiaceri nell’alcol non è mai stato il suo modo preferito per risolvere le situazioni, questa volta però lo scenario che ha davanti gli appare talmente drastico che non riesce ad immaginare di poter ricorrere a soluzioni differenti da quella.
Butta giù un’altra sorsata di quella bevanda amara, che gli raschia la gola e gli brucia le pareti dello stomaco. In fin dei conti, però, a Jude quel dolore risulta fin sopportabile, se solo ripensa invece a quanto male gli abbiano fatto le parole di Caleb di quel pomeriggio.
Ha rifiutato il suo aiuto, come se tutti i mesi trascorsi insieme di colpo non valessero più nulla. Era convinto di essere riuscito a trovare finalmente dei veri amici, invece se Caleb preferiva per testardaggine e amor proprio restare in prigione anziché accettare l’aiuto che gli aveva offerto, allora Jude si chiede se non sia stato lui l’unico stupido ad essersi affezionato, in tutto quel tempo.
Aveva iniziato a frequentare la banda perché si era sentito ricattato: se non l’avesse fatto, non solo la sua reputazione di studente modello sarebbe stata rovinata, inoltre Caleb non avrebbe esitato un momento prima di mettere in circolazione la voce che il figlio di un candidato governatore trascorreva buona parte del suo tempo con dei teppisti.
Sì, aveva preferito salvare il nome di suo padre, permettergli di avere ancora qualche speranza di vittoria nelle prossime elezioni, tuttavia così facendo aveva perso tutto ciò che gli era più caro: la scuola, la famiglia, gli amici e perfino la persona che amava.
Se si fosse venuto a sapere che il figlio del candidato governatore Sharp faceva parte di una delle gang criminali che il padre tanto si era impegnato ad estirpare, nel suo programma elettorale, sarebbe stata la fine. Così aveva preferito abbandonare la scuola, finendo per farsi odiare da suo padre, piuttosto che dar vita ad un tale scandalo. Jude detestava trovarsi sotto la luce dei riflettori, per cui al pensiero di potersi evitare delle grane aveva subito deciso di accettare quel compromesso – per quanto disgustoso continuasse a sembrargli.
Non aveva messo in conto però che, così facendo, avrebbe perso anche l’unica persona che avesse mai amato davvero.
Ripensare a Ray è come ricevere una coltellata dritta nello stomaco, il che costringe Jude a bere subito un altro sorso di birra.
Dicono che l’alcol aiuti a dimenticare, ma la verità è che non fa altro che renderti la testa così terribilmente pesante, il che contribuisce a riportarti alla mente tutti quei pensieri così maledettamente dolorosi che vorresti dimenticare. Altro che leggerezza.
Jude sblocca il telefono con un gesto rapido, quasi senza nemmeno accorgersene. Ormai quella per lui è un’azione talmente naturale che gli viene spontanea compierla.
Una luce fioca invade il seminterrato. Ci sono diverse chiamate da parte di Joe e David, oltre a qualche messaggio – Jude non ha nemmeno bisogno di controllare per sapere che anche questi siano loro – ma per il resto niente di che. Se fosse scomparso un anno fa, probabilmente adesso si sarebbe ritrovato inondato di telefonate senza risposta e sms non letti, invece adesso la lista di persone a cui importa ancora qualcosa di lui è talmente corta che forse non dovrebbe sorprendersi poi nemmeno così tanto se non lo cerca più nessuno.
Fino a neanche un mese fa, forse, le chiamate sarebbero state molte di più: d’altronde, allora c’era ancora Ray a preoccuparsi per lui…
Altra fitta di dolore, stavolta al cuore. Altro sorso di birra.
In quel momento un rumore sordo – lo scatto di una serratura – lo fa sobbalzare sul posto. Istintivamente fa spegnere il telefono, mentre si rannicchia ancor di più nel suo nascondiglio dietro al divano. Si rende conto da solo che da lì è comunque perfettamente visibile, tuttavia preferisce di gran lunga continuare a cullarsi in quella dolce illusione, piuttosto che abbandonarsi ancora una volta alla dolorosa realtà.
Ah, come sono belle le bugie…
Forse dovrebbe ragionare, dirsi che non c’è pericolo che qualcuno possa entrare là dentro con l’intenzione di fargli del male – d’altronde a chi potrebbe mai venire in mente un’idea del genere? – ma evidentemente ha così tanto alcol in corpo che i pensieri razionali non sono una sua prerogativa, al momento.
Prima che la porta si chiuda del tutto le luci che giungono in lontananza dalla strada gli permettono di distinguere due figure nel buio, avvinghiate l’una all’altra. Una di esse è più alta, una chioma leonina e rossiccia a troneggiargli sul capo, l’altra è leggermente più bassa, i lunghi capelli turchini che ondeggiano nell’aria mentre si abbandona alle effusioni che il suo amante gli rivolge.
Joe e David. Jude avrebbe dovuto aspettarsi che si sarebbero rifugiati anche loro lì, dopotutto.
Schiocchi di baci intensi e famelici si susseguono uno dietro l’altro, con un ritmo serrato. Joe solleva il corpo di David afferrandolo per i glutei, cogliendo così l’occasione di stringerli tra le proprie mani. David geme, mentre sente le labbra di Joe lasciargli baci umidi e furiosi sul collo. La schiena del turchino cozza e si strofina con violenza contro il muro grezzo, alcuni tagli si formano sulla pelle color caffellatte del ragazzo.
Jude sente che in tutta quella situazione c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Non saprebbe nemmeno dire con certezza da che cosa sia suscitata quella sensazione di indignazione – perché sì, sa perfettamente che è d’indignazione che si tratta –, se dal vedere i suoi amici intenti in atteggiamenti così intimi mentre un loro compagno è stato arrestato dalla polizia o dal fatto che si stia limitando a sua volta a restare lì inerme a guardarli, tuttavia deve ammettere che gli è davvero difficile tenerla a bada, in quel momento.
Joe scende le scale d’ingresso, con ancora David in braccio, nel frattempo però non smette di tempestare le labbra e il collo del ragazzo di baci, così come l’altro non riesce a fermare i suoi gemiti.
Nel momento in cui arrivano sul divano, Joe sfila senza esitazioni la maglietta di David, accarezzandogli così tutto il torace. Questo suscita del ragazzo nuovi tremori e mugolii, mentre si sente spingere verso i cuscini logori sotto di sé.
Il corpo di Joe lo segue di riflesso, la testa che plana verso il basso; è solo allora che, tuttavia, si accorge della presenza di un’altra persona all’interno della stanza, il suo sguardo che per un momento ne intercetta la figura.
«Chi c’è?» domanda di scatto, la voce impastata.
Jude sobbalza appena sul posto, facendo attenzione a non farsi sentire. A giudicare dal tono alticcio di Joe, non deve essere stato l’unico a ricorrere all’alcol, a quanto pare.
«Shh, Joe, non c’è nessuno… vedrai che sarà stata solo una tua impressione…» mormora David, strofinandosi con impazienza contro il corpo dell’altro. È evidente che non riesca più a tenere a bada l’eccitazione, ormai.
«No, c’è qualcuno, ne sono sicuro…» replica Joe, la voce ebbra d’alcol che ha lo stesso suono di una catena di metallo trascinata pesantemente al suolo. «Esci allo scoperto, se non vuoi vedertela con me…!»
Jude riflette distrattamente che devono essere davvero ubriachi marci, se non sono riusciti a rendersi conto che, al momento, l’unica altra persona oltre loro che conosce quel luogo e che vi può tranquillamente avere accesso è proprio lui. Così, seppur di malavoglia, si tira su in piedi.
«Joe, David, sono io, Jude» ammette infine, la voce lenta di chi sta spiegando per l’ennesima volta un concetto fin troppo semplice ad un bambino testardo, che non vuole recepirlo in alcun modo.
«Jude! Che ci fai qui?» David ridacchia, la sua voce è simile ad un trillo di campanelle.
Jude valuta distrattamente che rispondere a quella domanda sia piuttosto inutile, anche se sono tutti e tre ubriachi: fondamentalmente, il motivo per cui si trova lì è esattamente lo stesso degli altri due ragazzi, ossia quello di riuscire a trovare un po’ di pace, dopo tutte le preoccupazioni che hanno riempito loro la mente, durante il giorno. Si domanda come David faccia a non arrivarci, nonostante tutto l’alcol che deve avere in corpo al momento, alla fine però arriva alla conclusione che ciò non abbia assolutamente alcuna importanza.
I suoi pensieri vengono di colpo interrotti nuovamente dalla voce di David.
«Ehi, Jude, non è che hai voglia di unirti a noi?» gli domanda infatti, senza riuscire a smettere di ridere – uno degli effetti collaterali dell’alcol, valuta in fretta Jude.
La cosa che più lo sorprende è il silenzio che segue, poco dopo. Stenta a crederci, evidentemente tuttavia i due si aspettano davvero una risposta da parte sua.
Per un momento Jude s’immagina come potrebbe essere trovarsi conteso tra quei due fuochi: i corpi dei suoi due migliori amici premuti contro il proprio, petto contro petto con Joe mentre il torace di David aderisce perfettamente alla sua schiena; lascia vagare i pensieri e le fantasie più recondite, le mani dei due ragazzi che lo sfiorano ovunque, mentre, inginocchiati sul divano rotto, avverte quelle dita scivolare sotto i suoi pantaloni. Per un momento le guance di Jude avvampano: forse sarebbe bello, per una volta, lasciarsi andare a quelle sensazioni così piacevoli, permettere a Joe d’impossessarsi del proprio corpo mentre lui fa lo stesso con quello di David. Eppure si rende conto in fretta – fin troppo in fretta, per i suoi gusti – che, tuttavia, tutto ciò non basterebbe a cancellare dalla sua mente quei brutti pensieri così opprimenti che ultimamente l’albergano. Sa inoltre che, in fondo al proprio cuore, continua a desiderare di poter far sì che certe cose avvengano solo con Ray. Sì, ora lui non c’è più, però è passato ancora troppo poco tempo per pensare di tornare a fare ciò con chiunque altro che non sia lui.
«Per questa volta passo» si decide finalmente a rispondere, sperando che i due ragazzi siano così ricolmi d’alcol da non aver fatto caso alla sua esitazione.
David ridacchia di nuovo, al limite dell’ilarità.
«Va bene, la prossima volta però non ti salverai così facilmente» commenta infatti, stringendo le braccia attorno al collo di Joe con uno slancio passionale, mentre attira a sé l’altro ragazzo, inducendolo a scambiarsi un nuovo bacio pieno d’ardore.
Jude arretra, sempre più in imbarazzo. Per un momento inciampa, finendo per cadere all’indietro. La bottiglia di birra che ancora teneva stretta in una mano s’infrange al suolo, schegge acuminate di vetro che si conficcano nei palmi delle sue mani, formando dei lievi tagli che iniziano subito a sanguinare. Jude cerca di non farci troppo caso, ignorando il bruciore cieco che ora avverte e tirandosi di nuovo subito in piedi. Spera di non aver fatto troppo trambusto o perlomeno di non aver disturbato eccessivamente i due ragazzi, a giudicare però dai gemiti accaldati che gli giungono alle orecchie e dai baci frenetici che stanno continuando a scambiarsi così non si direbbe. Così ne approfitta per correre fino alla finestra rotta, dalla parte opposta della stanza, scavalcando l’intelaiatura di ferro malandato e arrugginito e lasciandosi cadere al di là di esso. Altre schegge si piantano nella sua mano, mentre inciampando sull’asfalto all’esterno si ferisce anche le ginocchia, tuttavia – nonostante il dolore – si affretta a scappare via da lì, la mano di Joe che s’infila dei boxer di David e gli ansimi del turchino che si fanno sempre più intensi.


Roxbury, Boston, 13th April
h. 01:14 a.m.


Non si era nemmeno accorto che avesse cominciato a piovere. Ora che le gocce di pioggia colpiscono impietose la sua pelle, tuttavia, Jude non sembra neanche farci troppo caso.
Il rombo dell’acqua sotto di sé attira il suo sguardo. Il fiume è nero come la notte infausta che sta attraversando.
Il suo naso percepisce ancora l’odore di birra versata a terra, mischiata a polvere, sporcizia e vecchi resti di vomito, un mix tanto orrendo quanto caratteristico della loro tana che ormai nota per abitudine. Riesce quasi a sentire ancora i gemiti acuti di David nelle orecchie, diventati ormai la colonna sonora di quella serata da dimenticare.
Non sa come abbia fatto a ritrovare il ponte di ferro che lui, Caleb, David e Joe hanno attraversato ormai una vita di tempo fa, in una fredda notte di settembre, nonostante tutto l’alcol che ha in corpo. Forse ci saranno passati sopra così tante volte che ormai la sua memoria ha localizzato alla perfezione quel luogo, malgrado tutto.
Ricorda ancora l’ebbrezza e la sensazione di felicità che l’avevano pervaso, là sopra. Per la prima volta in vita sua s’era sentito vivo, nonché parte integrante di un collettivo. Aveva sentito di avere degli amici, e per Jude non c’era stato nulla di più importante.
Ora, invece, era tutto finito. Non restava altro che il ricordo lontano delle ruote degli skateboard che giravano veloci, il rumore intenso che provocavano strisciando su quella superficie metallica. All’epoca Jude non era riuscito a non trovarlo meraviglioso, ora invece gli riportava alla mente ricordi di una felicità che sentiva non avrebbe mai più ritrovato, così da trovarlo infausto.
Le mani ferite e macchiate di sangue si stringono attorno alle travi d’acciaio davanti a sé. L’umidità, assieme alla pioggia e agli spruzzi d’acqua che giungono da sotto le rendono scivolose, tuttavia Jude si ritrova a ringraziare il cielo per aver fatto sì che le sue ferite alle mani si siano già chiuse, perché altrimenti la sensazione di viscosità sarebbe stata così eccessiva che, con ogni probabilità, sarebbe già finito sul letto del fiume.
Non che la cosa gli sarebbe poi così dispiaciuta, in fin dei conti: d’altronde, se adesso si trova in piedi, sospeso in bilico sulle travi d’acciaio che sostengono quel ponte, è perché in fondo ci ha pensato, a buttarsi giù.
In fondo, non gli rimane più niente per cui lottare. Ha perso i suoi amici nel momento in cui Caleb ha rifiutato il suo aiuto, suo padre lo disprezza per le scelte che ha fatto e non vorrà mai più rivederlo in vita sua e Ray… oh, Ray…
Ha deluso perfino l’unica persona di cui gli importasse davvero qualcosa. Rinunciando agli studi non solo ha perso l’ultima possibilità che ancora gli rimaneva per vederlo, inoltre l’ha ferito così tanto che Jude non si meraviglierebbe se adesso non desiderasse più di vederlo o se addirittura lo odiasse.
Un’improvvisa folata di vento gelido fa tremare il suo corpo, che si sbilancia pericolosamente in avanti.
Poi, però, una voce familiare gli giunge alle orecchie.
All’inizio la meraviglia nell’udirla è così tanta che, per un momento, Jude crede di essersi immaginato tutto.
Quando però la sente nuovamente capisce che quella non è altro che la realtà.
«Jude» un timbro cupo e solenne lo fa tremare come un fuscello squassato dal vento, mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime.
Di riflesso il ragazzo si volta indietro ad osservare la situazione.
Sotto il diluvio universale, alcune macchine sfrecciano lungo il ponte, incapaci di trattenersi dal suonare il clacson passando accanto ad un’altra auto, ferma in un punto in cui la viabilità è decisamente ridotta, lo sportello del guidatore aperto e nessuno a bordo, mentre la pioggia bagna i sedili.
Jude valuta distrattamente che conosce fin troppo bene quell’utilitaria nera, perché è lì che ha ricevuto il suo primo bacio.
Il ragazzo inarca lievemente le sopracciglia, a dir poco sorpreso di incontrarlo lì.
«Come hai fatto a trovarmi, Ray?» domanda, saltando a piè pari i convenevoli. Non ha davvero tempo per quelli, adesso.
«Ha davvero importanza?» replica l’uomo, tendendo una mano verso di lui. Ha indosso un impermeabile scuro, su cui la pioggia scivola via veloce. «Jude, Scendi da lì, adesso, per favore. È pericoloso.»
«N-non posso…» mormora, il corpo sempre più scosso da tremori «la mia vita non ha assolutamente alcun senso. Io non ho motivo di esistere…»
«Sì che ce l’hai, invece.» Ray si trattiene a stento l’impulso di azzerare la distanza che lo separa da Jude e trarre in salvo il ragazzo. Deve agire con cautela, la priorità è essere certi che Jude non finisca davvero sul fondo del fiume. «Possiamo ancora mettere a posto tutto, insieme.»
«Non è vero!» Jude si agita sul posto, inquieto «T-tu mi odi…»
Per un momento Ray si arresta sul colpo, sorpreso.
«Cosa? Odiarti, io? Jude, io ti amo. Se sono rimasto lontano da te, in questi giorni, è stato perché tu mi hai chiesto di farlo.» Ray si morde il labbro inferiore, adesso andare avanti sta diventando difficile persino per lui. «Dovrei odiarti per il litigio che abbiamo avuto sul terrazzo in cima all’istituto? Eri fuori di te, comprendo che buona parte delle cose che mi hai detto quel giorno non le pensassi davvero. Perciò ehi, ti assicuro che non ce l’ho assolutamente con te.»
Jude volta il capo di scatto, posando lo sguardo nuovamente sulle acque in tempesta. Se ci pensa si sente esattamente come quel fiume, così tormentato…
Perché, perché adesso? Come se non si sentisse già abbastanza in colpa, ci mancava solo che colui che dall’alto tesse i fili del suo destino gli inviasse in quel momento proprio la persona che meno avrebbe voluto che lo vedesse in quello stato. Sente di essere un fallimento, inoltre se c’è anche Ray ad avere la sua disfatta davanti agli occhi, allora il tutto si fa ancor più umiliante.
L’ultima parte razionale di sé gli sta urlando di scendere da lì, tuttavia sente i propri sensi così offuscati… ogni cosa è confusa. Dovrebbe lasciarsi cadere o tornare indietro? Ray sarebbe davvero disposto a perdonarlo o lo sta dicendo solo per non avere la sua vita sulla coscienza? Non lo sa, dannazione, Jude giura a se stesso che davvero non lo sa. Purtroppo, per quanto vorrebbe averne un’idea, teme che tutto l’alcol e il dolore che ha in corpo gli impediscano di compiere anche il più piccolo ragionamento di senso compiuto, al momento.
Il vento gli fischia furioso nelle orecchie, facendo oscillare pericolosamente il suo corpo verso il vuoto sotto di sé. 
«Jude, posso chiederti un ultimo favore?» la voce di Ray lo porta nuovamente alla realtà, calma, sicura.
«Cosa c’è ancora?» domanda il ragazzo, impaziente.
Non può vederlo poiché gli dà le spalle, tuttavia in questo momento le labbra del suo ex insegnante sono una linea sottile e tesissima a causa dell’ansia che prova.
«Chiudi gli occhi, per favore. Poi non ti chiederò mai più nient’altro, te lo prometto» propone, cercando di non far trasparire l’ansia che prova.
Jude soppesa attentamente quelle sue parole. In fondo è notte fonda e non vede a un palmo dal suo naso, inoltre è così probabile che, ormai, il suo equilibrio abbia anche solo un momento di debolezza e lo faccia volare direttamente giù nel fiume, per cui perché non dovrebbe accontentarlo, visto che forse senza la vista a supportarlo sarà anche più facile cadere?
Così Jude lascia che le palpebre calino sui suoi occhi. Quasi subito una nuova raffica di vento, più intensa delle altre, colpisce il suo corpo, facendolo sbilanciare in avanti.
Finalmente, pensa il ragazzo. È certo infatti che ora giungerà la fine di tutte quelle sofferenze che da mesi lo tormentano. Un ultimo, folle volo verso il fiume scuro e poi più niente, solo acqua gelida che gli riempie i polmoni fino a farlo soffocare e nient’altro. Non avrebbe potuto immaginare una fine differente, oltre al fatto che certamente la parte migliore di quel disperato piano è la cessazione di ogni preoccupazione, che certamente non tarderà ad arrivare, assieme alla morte, una volta che quelle acque scure come la notte avranno accolto il suo corpo.
Ray, tuttavia, non è dello stesso avviso. Prima che la forza di gravità possa reclamare il ragazzo verso il fiume, infatti, lo afferra saldamente con una mossa rapida, attirandolo ben presto sulla terraferma, accanto a sé.
Quel momento è così veloce che Jude non ha quasi tempo di accorgersene. Per diversi istanti resta infatti con gli occhi chiusi anche dopo che Ray l’ha tratto in salvo, troppo confuso per rendersene conto in una situazione del genere. Quando tuttavia le gocce di pioggia continuano a colpirgli la fronte anche dopo che, secondo i suoi calcoli, sarebbe dovuto essere finito nel fiume già da qualche secondo, si costringe ad aprire gli occhi, alla ricerca di una spiegazione per tutto ciò.
La prima cosa che riesce a mettere a fuoco è il volto del suo ex insegnante, che lo sovrasta totalmente nel tentativo di proteggerlo dalla pioggia. Ray gli rivolge un sorriso lieve ma incredibilmente luminoso, l’acqua che scorre giù dal cappuccio del suo impermeabile mentre alcuni lunghi capelli castani sono sfuggiti dalla sua coda di cavallo e ora gli ricadono delicati sulle guance. Jude valuta distrattamente che quell’uomo riuscirebbe ad essere in perfetto ordine anche nel bel mezzo dell’apocalisse.
Ray, nel frattempo, gli accarezza concitatamente le gote; Jude lo osserva e pensa distrattamente che i suoi occhi piccoli e neri assomigliano ai ciottoli di un torrente, scuri e levigati nel tempo dal corso delle acque.
Il suo sguardo è l’unico fiume in cui vorrebbe annegare.
Sembra accorgersi solo in quel momento che Ray l’ha disteso sulla superficie metallica del ponte; lo tiene sollevato solo per la schiena, dietro la quale ha posto una delle sue braccia forti.
La consapevolezza che il suo tentativo di suicidio sia stato sventato lo colpisce all’improvviso, riportandolo ben presto alla realtà.
«Perché non mi hai lasciato morire?» domanda infatti ben presto all’insegnante, nella voce una nota ben percepibile d’ira.
Ray non riesce a trattenere il sorriso che ben presto fiorisce sulle sue labbra, facendo innervosire ancor di più Jude.
«Perché ti amo» risponde, con una spontaneità disarmante «e se pensi che ti lascerò gettare la tua vita al vento così facilmente ti sbagli di grosso, Jude.»
Gli occhi del ragazzo si dilatano a dismisura, sorpresi, mentre piccole lacrime iniziano a formarsi agli angoli delle sue cornee.
«Però non puoi dirmi una cosa del genere adesso» commenta, la voce commossa.
«Oh, posso eccome, invece» ribatte Ray, stringendolo istintivamente a sé. «Non piangere, le tue lacrime mi spezzano il cuore…»
Jude si limita ad affondare il volto contro il petto dell’uomo, inspirando profondamente il suo profumo. Aveva dimenticato quanto fosse buono; se solo pensa che ha rischiato di non poterlo più sentire, giusto fino a pochi istanti prima, non riesce proprio a perdonarselo.
Ray, nel frattempo, gli accarezza premurosamente i capelli, cercando di aiutarlo a calmarsi.
«Si può sapere cos’è successo?» gli domanda, le parole quasi mormorate nell’orecchio del ragazzo.
Jude tira su col naso, cercando di fare mente locale.
«Caleb è… è stato arrestato» ammette, le parole che lo trafiggono come lame «ha rifiutato il mio aiuto per uscirne e io… non sapevo più che cosa fare. Sta andando tutto a rotoli: prima il nostro litigio, poi questo…»
Durante tutto quel suo confusionario racconto, Ray non smette nemmeno per un secondo di accarezzargli gli zigomi. Non riesce ad accettare di vedere il suo ragazzo così sofferente, né mai ci riuscirà.
«E questo ti sembra un valido motivo per morire?» gli domanda, continuando a tenerlo stretto a sé.
«Io… non sapevo cosa fare. Mi dispiace…» sussurra, mortificato.
«Shh… non c’è niente di cui tu debba scusarti, Jude» lo rassicura l’altro, distaccandosi lievemente dal corpo del ragazzo – seppur con estremo rammarico – per poterlo guardare in volto «te l’ho detto, siamo insieme. Risolveremo tutto, te lo prometto…»
Gli occhi del ragazzo continuano a riempirsi di lacrime. Una di queste inizia a scendere, solcando il volto del giovane, tuttavia le dita abili dell’uomo la intercettano all’altezza della guancia.
«Ti amo. Non mi lasciare mai più, Ray…» mormora il ragazzo, trattenendo un singhiozzo tra i denti.
Ray solleva il volto del giovane, avvicinandolo impercettibilmente al proprio. Lascia che per alcuni brevi quanto intensi istanti le loro labbra si sfiorino, in un contatto tanto intimo quanto dolce. Non appena si separano, sul volto di entrambi sboccia un sorriso lievissimo.
«Ovvio che non ti lascio più. Ti amo, Jude» ricambia, il cuore che scoppia di gioia.
Jude sente il proprio corpo venire sollevato da terra, tuttavia non ha paura, perché sente che con passi sicuri Ray ha preso ad avviarsi verso la propria autovettura, per mettere entrambi al riparo da quella maledetta pioggia.
Finalmente al riparo, mentre la pioggia continua a colpire il tetto dell’auto, i loro corpi si beano della sensazione del calore dell’altro, così vicino. Dopo tanto tempo, in quel momento Jude sente finalmente che tutto si sistemerà.




Angolo autrice

Ed eccoci qui, finalmente, con l'ultimo vero ed effettivo capitolo prima dell'epilogo di questa storia!
Sapete, mi fa un effetto stranissimo dire questa cosa... è la prima volta che porto a termine un progetto tanto importante. Per me Dark Necessities è un po' come un figlio, vederla arrivare alla conclusione dà la stessa soddisfazione che si prova nell'osservare il proprio unico discendente realizzato, sposato, con figli ed un lavoro che apprezza-- okay, comincio già a delirare, perfetto.
Andiamo con ordine: intanto ringrazio mia figlia (chi mi segue su Twitter sa perché la chiamo così) Gagiord per il suo – come al solito – ottimo lavoro di betaggio. Indipendentemente da ciò che dicono gli altri, io sono estremamente fiera del nostro lavoro di squadra, non potrei chiedere di meglio.
Volevo ringraziare anche tutti voi lettori che avete seguito la storia. Non mi aspettavo così tanto sostegno, sarò sincera.
Mi dispiace che alcune cose siano state percepite come dei "cliché", sebbene non lo fossero. Se proprio vogliamo andare a guardare il capello, l'intera storia si basa tutta su un grosso cliché, o perlomeno su una visione piuttosto stereotipata della società americana – per la precisione, di una parte della società americana, ma sorvoliamo.
Tornando a noi, questo capitolo mi ha creato non pochi problemi, in fase di stesura: sono personalmente molto vicina allo stato emotivo di Kidou nella terza sezione, ho pianto già solo ad immaginarla, mi ha fatto tornare alla mente un periodo nient'affatto felice della mia vita e mi è servito un po' come sfogo, spero per cui che possiate perdonarmi.
Forse l'ultima parte è leggermente OOC. Se vi dà fastidio lo segnalo, non lo so.
E niente, credo di aver detto tutto, fondamentalmente perché credo di non dover spiegare un granché, in questo capitolo. Ringrazio chiunque leggerà, le anime pie che arriveranno fin qui e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite. Una recensione, come al solito, è sempre benaccetta.
Ci vediamo il 27 agosto con l'epilogo – fa strano dirlo, sì.

A presto

Aria

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Capitolo 6
*** Epilogue – Dark Necessities ***



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「  Brookline, Boston, 12th June
h. 03:24 p.m. 


Epilogue


«Ecco, e invece questo è il piano superiore!»
Un uomo sulla cinquantina, non particolarmente alto e dalla corporatura robusta, prosegue con passo deciso attraverso un lungo corridoio dalle pareti color crema. La sua voce è squillante, più alta del normale di qualche ottava, forse la visita che ha ricevuto lo entusiasma più di quanto si potesse immaginare.
Alle sue spalle altre due figure lo seguono, quella di un uomo di all’incirca la sua stessa età, alto e dal fisico asciutto, e quella di un giovane, forse più magro del dovuto, mentre la statura è all’incirca nella norma.
«E qui, uhm, che stanze ci sono?» domanda Ray, la coda di cavallo castana che oscilla inquieta. Jude riesce quasi ad intravedere alcuni capelli bianchi, fili d’argento che sembrano scie di stelle rimaste impigliate nella sua chioma; nonostante tutto, non può fare a meno di valutare che non gli stiano affatto male, e che anzi gli donino ancor più fascino di quanto già non ne abbia, ai suoi occhi.
È certo infatti di star osservandolo con sguardo ammirato, per cui spera solo che suo padre non se ne accorga – considerando tuttavia quanto il neo-governatore Sharp sia sempre così concentrato sul suo lavoro anche mentre si occupa d’altro, Jude non può fare a meno di trovare questa possibilità piuttosto remota. Al contrario, se c’è una cosa che ha notato, quella è senza ombra di dubbio l’imbarazzo con cui l’insegnante si sta approcciando alla situazione in cui ora si trovano: in un primo momento Jude aveva creduto che fosse dovuto all’elevato ruolo sociale di suo padre, tuttavia adesso sta cominciando a credere che si tratti di ben altro.
«Le camere da letto – due padronali, tre per gli ospiti – e due bagni. Ah, e lo studiolo, ovviamente» risponde Jude, quasi in automatico. Questo gli fa guadagnare uno sguardo pieno di sollievo da parte di Ray, a cui non può che rispondere con un sorriso sincero.
In quel momento, il telefono del padre del ragazzo inizia a squillare.
«Oh» commenta l’uomo, controllando rapidamente di chi sia il numero che lo sta chiamando «vogliate scusarmi, è il mio ufficio stampa…»
Nemmeno un secondo dopo ha già risposto, mentre comincia ad allontanarsi lungo il corridoio.
Ray si limita ad inarcare le sopracciglia.
«Questo fondamentalmente è il motivo per cui litigavamo di continuo, fino a qualche tempo fa» commenta Jude, con un sospiro stanco.
«Ah, davvero? E io che credevo che fosse perché avevi smesso di frequentare la scuola e te ne andavi in giro con una banda di teppisti…» precisa Ray, senza nascondere il sarcasmo.
Jude si volta a lanciargli un’occhiataccia, tuttavia il professore alza le spalle, rivolgendogli un sorriso irresistibile.
«Allora, che ne dici di mostrarmi la tua stanza?» propone, senza perdere quell’espressione incoraggiante.
Jude, al contrario, non sembra poi così entusiasta.
«Ah, sì. Okay» commenta, con un leggero sbuffo, per poi voltarsi mentre afferra la mano dell’uomo e prosegue attraverso il corridoio.
Ray lo osserva di sottecchi, con un solo sopracciglio inarcato e un sorriso divertito stampato sul volto. Certo che il suo ragazzo è davvero buffo, quando si arrabbia… ciò non toglie tuttavia che resti comunque dolcissimo, per lui.
Nel frattempo Jude continua a trascinarlo, superando in fretta diverse porte. Suo padre è scomparso, probabilmente si è ritirato nello studio. “Poco importa” mormora tra sé il ragazzo.
Decide di arrestarsi solo quando ha ormai raggiunto la fine del corridoio. Abbassa la maniglia della porta alla sua destra con un movimento fluido e naturale, mentre si lascia scivolare all’interno della stanza.
Ray valuta che la tranquillità con cui Jude e suo padre si muovono all’interno di quella casa così immensa gli pare innaturale; d’altronde però, lui è solo alla sua prima visita lì, probabile che ci metterà dei mesi per imparare a muoversi là dentro con almeno un minimo della loro agilità. Anche Jude, che per quasi un anno non ha varcato la soglia dell’abitazione, cammina con una sicurezza disarmante, mentre se pensa ai propri passi li trova così goffi e impacciati. Evidentemente, è impossibile dimenticare certe cose, dopo che le si ha imparate, anche a distanza di molto tempo.
In fin dei conti, però, deve ammettere di aver particolarmente apprezzato la sua guida, soprattutto in quest’ultimo tratto in cui sono rimasti da soli, al che decide che Jude si è decisamente guadagnato un premio.
Non appena la porta si chiude alle loro spalle, infatti, Ray fa scattare la chiave all’interno della serratura; un secondo dopo le sue mani sono già sui fianchi del ragazzo, con l’intento di indurlo a voltarsi nella sua direzione.
«Adesso puoi anche smetterla di tenermi il broncio, non me lo merito» gli fa notare, giusto un secondo prima di poggiare le labbra sulle sue.
In un attimo di smarrimento, gli occhi di Jude si dilatano a dismisura, salvo poi chiudersi subito dopo, pronti ad abbandonarsi alle sensazioni piacevoli scaturite da quel bacio. Come ogni altra volta, quel contatto è così dolce e delicato, come petali di rosa umidi di rugiada mattutina che si sfiorano, lentamente.
Si separano appena, le punte dei nasi che si sfiorano, mentre entrambi sorridono, rilassati. Le guance di Jude sono leggermente arrossite, davvero non si aspettava quella dimostrazione d’affetto.
«Ti amo» mormora Ray, accarezzandogli i capelli.
Jude abbassa lo sguardo, in imbarazzo.
«Si può sapere come ti è uscita questa dichiarazione così, all’improvviso?» domanda, le guance ormai irrimediabilmente in fiamme.
«Beh» Ray solleva il volto del ragazzo con l’indice, riempiendogli le guance rossissime e bollenti di baci «non saprei, forse la maglietta che ti sei messo oggi mi ha ispirato.»
In un primo momento, Jude resta nuovamente spiazzato – possibile che quell’uomo debba sempre lasciarlo a corto di parole? – così è costretto ad abbassare lo sguardo. Non ricorda nemmeno come si sia vestito, quel giorno, non ha mai fatto particolarmente caso alla scelta dei propri abiti. Dopotutto, chi l’apprezza lo fa indipendentemente da ciò che ha indosso o meno, no?
Le solite scarpe basse bordeaux da skater, perché le vecchie abitudini sono sempre dure a morire, un bermuda color cachi e una semplicissima t-shirt blu. Continua a non avere idea del perché Ray sia così entusiasta di quella maglietta – forse gli mette in risalto il fisico asciutto? – fino a quando l’uomo non lascia scivolare le dita sul tessuto morbido dell’indumento, all’altezza del petto del ragazzo.
E Jude capisce che è per via della stampa.
Grandi lettere maiuscole, dal carattere leggermente rovinato per conferirvi un aspetto antico e di un bianco accecante, ruotano attorno ad uno stemma cremisi; all’interno di quest’ultimo, fanno bella mostra di sé tre libri, sulle pagine di ognuno dei quali è stata riportata una sillaba della parola latina “veritas”, verità.
«Harvard» commenta Ray, riconoscendo fin troppo bene il simbolo. «Ti piacerebbe andarci?»
Le guance di Jude tornano a tingersi di rosso, bollenti come due piccoli falò accesi nella note.
«A dire la verità non ci ho mai pensato» ammette, abbassando lo sguardo. «Dopotutto, ho ancora due anni per pensarci bene prima di decidere, no?»
Ray gli accarezza le guance ustionanti, un sorriso lieve che gli spunta sulle labbra. Fino al mese precedente non gli sarebbe sembrato possibile essere lì, con il ragazzo che ama, a parlare di quale università avrebbe frequentato in futuro. Con le dita sfiora lievemente la schiena di Jude, sospingendolo con lentezza a distendersi sul letto alle loro spalle.
I loro corpi atterrano sul materasso; entrambi distesi, sono così felici, le labbra di uno nuovamente a pochi centimetri da quelle dell’altro, il che fa sorridere ancora una volta tutti e due.
«Harvard è stata anche la mia università» gli confessa Ray, massaggiando con levità il volto del ragazzo, partendo dalla zona sotto l’occhio sinistro fino ad arrivare alle labbra. Non riuscirà mai a comprendere se lo confondano maggiormente quelle spettacolari iridi rosse oppure le sue labbra morbide. È più probabile che siano entrambe a sconvolgerlo così tanto – o forse anche solo la semplice presenza del ragazzo basta e avanza a mettere fuori gioco anche l’ultimo briciolo della sua razionalità, chi lo sa.
«Ah, davvero?» lo provoca Jude, le labbra che si arricciano per via del piacere che quel massaggio rilassante gli sta infondendo. «Il college dei cervelloni, tipo Mark Zuckerberg e Bill Gates?»
«Già» risponde Ray, ignorando il punzecchiamento, per poi affondare il volto nel collo del ragazzo, così che mentre continua a parlare le sue labbra possano sfiorargli sensualmente la pelle. «Sono sicuro che riusciresti a entrare senza troppi problemi.»
«Io invece ne dubito» ammette Jude con un sospiro, le guance che tornano ad arrossarsi. «Vengono accettate pochissime persone, bisogna avere una media e delle referenze inattaccabili… e dopo tutti i giorni di assenza che ho collezionato quest’anno non so se riuscirò davvero a farcela…»
Ray puntella i gomiti sul materasso, tirandosi appena un po’ più su, così da poter osservare il suo ragazzo negli occhi. Al momento Jude ha un’espressione così affranta da spezzargli il cuore, tuttavia non riesce ad impedire ad un sorriso di spuntare sul proprio volto.
«Jude» lo chiama, quel nome che esce dalle sue labbra con un soffio leggero. Ama il modo in cui le lettere che lo compongono rotolano sulla sua lingua, e poi scivolino giù lungo il palato. «Assieme a tuo padre siamo – faticosamente – riusciti a giustificare la tua lunga assenza dalla scuola a forza di certificati medici. Per fortuna i tuoi voti sono sempre stati altissimi, quindi non hai avuto troppe difficoltà. Abbiamo trascorso praticamente tutto l’ultimo mese sui libri, per cui voglio seriamente sperare che gli sforzi che abbiamo fatto per recuperare in pochi giorni il programma di un anno e per fare verifiche anche a giugno pur di non farti rimandare siano quantomeno valsi a qualcosa.»
Jude abbassa nuovamente lo sguardo, stavolta non per imbarazzo, bensì per riconoscenza.
Notando che il ragazzo si è fatto di colpo cupo, Ray si affretta a sollevargli il volto, rivolgendogli il suo sorriso migliore.
«Ehi… non devi fartene una colpa» lo rassicura, appoggiando dolcemente la fronte sulla sua. «Non era una cosa che rientrava nel tuo controllo, e questo lo sappiamo perfettamente entrambi. Abbiamo ancora due anni molto intensi che ci attendono, vedrai che andrà sempre meglio. Se vuoi uno di questi giorni posso accompagnarti lì, dista solo un’ora di macchina da Boston, e poi credo che ci siano ancora alcuni dei professori che hanno fatto lezione anche a me. Puoi parlarci, se la cosa ti rassicura… vedrai, sono delle persone gentilissime. Poi posso passarti tutti i miei vecchi libri e depliant informativi, li ho conservati nel corso degli anni nella speranza che mi sarebbero tornati uti—»
Ray non fa in tempo a finire la frase, perché Jude gli ha già gettato le braccia al collo, attirandolo ancor più verso di sé. Finisce così con l’affondare il volto all’interno dei capelli cespugliosi del ragazzo, il respiro accelerato che s’infrange contro la nuca del giovane e il cuore che gli batte all’impazzata all’interno della cassa toracica.
«Ti amo» mormora Jude, poco più sotto, la faccia premuta contro la camicia di lino candido di Ray, le guance leggermente arrossate.
«Oh, penso che dei modi per dirmi che stavo parlando troppo tu abbia scelto il migliore.» Ray ridacchia, scompigliando appena i capelli del giovane. «Ad ogni modo ti amo anch’io, Jude. E stai pur certo che non smetterò di farlo se non sarai ammesso ad Harvard. Se smettessi di amare il ragazzo più bello, intelligente e dolce che io abbia mai conosciuto per una sciocchezza del genere sarei assolutamente uno stupido, senza ombra di dubbio.»
«E non è così, dato che sei un secchione.» Jude ride a sua volta, stringendo forte la mano di Ray, che trova abbandonata tra le lenzuola.
«Uh, siamo una coppia di secchioni!» Ray lo abbraccia, facendolo rotolare sul materasso. Inverte rapidamente le posizioni, lasciando appoggiare Jude sul proprio addome, carezzandogli lievemente i fianchi.
Poco dopo il professore gli posa un bacio sulla fronte: nonostante sia piuttosto riluttante ad interrompere il contatto fisico con il corpo del ragazzo, sa bene che un appuntamento li attende.
«Che dici, andiamo?» gli domanda, lasciando strofinare appena le punte dei loro nasi.
Jude si lascia sfuggire un mugolio contrariato, che non può che suscitare ancor di più l’ilarità dell’insegnante.
«Mhh… e va bene, andiamo» acconsente infine, con un ultimo sospiro.
Si lascia tirare su pigramente, per poi avviarsi assieme a Ray verso l’uscio. Entrambi sorridono mentre si prendono per mano, le loro dita che si stringono come nodi indissolubili.


「  Back Bay, Boston, 12th June
h. 05:02 p.m. 


Piedi candidi di fata calpestano lievi l’arena.
Il vento riempie l’aria dell’odore della salsedine e fa ondeggiare a lunga chioma violacea di Camelia con grazia, mentre la ragazza si volta indietro, un sorriso raggiante ad illuminarle il volto non appena gli occhi si posano sul ragazzo alle sue spalle.
Caleb la segue a qualche passo di distanza, quasi con reverenza. Più guarda la sua fidanzata e più si convince d’aver incontrato il suo angelo custode, con quella pelle eterea e il sorriso scintillante.
Se solo pensa che per un motivo così banale abbia rischiato di non vederla più per almeno vent’anni quasi si sente soffocare.
Quando aveva visto un avvocato entrare nella cella in cui l’avevano rinchiuso il suo primo pensiero era stato quello di aver avuto un’allucinazione. Lui non aveva soldi per permettersi di pagare qualcuno bravo che lo difendesse, perciò la contea avrebbe dovuto affidargliene uno d’ufficio, quel genere di consulenti che non s’impegnano mai troppo per far valere i tuoi diritti, perché d’altronde è lo stato a retribuirli, per cui in fin dei conti mandare un delinquente in più in carcere sarebbe stato quasi un ricambio del favore da parte dell’avvocato. Soldi per carcerati, insomma, nonostante il sovraffollamento degli istituti di detenzione americani.
Poi, però, l’aveva osservato meglio: completo gessato, cartellina professionale… no, quello non era uno dei soliti avvocati d’ufficio. Qualcuno doveva aver pagato la parcella – e anche piuttosto alta, tra l’altro – al posto suo, solo che proprio non era riuscito a immaginare chi potesse essere stato. Era passato troppo poco tempo, neanche con tutte le belle parole del mondo Jude sarebbe riuscito a convincere suo padre, per cui l’aveva escluso a prescindere. Solo che, arrivato a quel punto, non gli erano più venuti alla mente nomi di persone che avrebbero potuto volerlo aiutare e in possesso di una cifra di denaro così alta. Così era arrivato alla conclusione che scoprire chi fosse il suo benefattore non fosse poi così importante: era stanco, non aveva voglia di spremere ulteriormente le sue meningi. Nel giro di poche ore quel tizio elegante l’aveva tirato fuori di lì, per cui il resto non era poi così importante.
Certo, gli aveva scucito il nome del suo spacciatore, tuttavia il pensiero di deludere ancor di più Camelia lo logorava, così aveva preferito ricorrere a tale bassezza, piuttosto che finire in galera. Non che non ci avesse pensato parecchio, prima di dirglielo: in fondo, gli era costato parecchio tradire la fiducia di quel ragazzo, che ormai considerava come un fratello. Hector era nato in una regione dimenticata dell’Africa, e si era trasferito assieme ai suoi genitori in America quando era ancora molto piccolo. Gli aveva sempre detto di non avere molti ricordi di quel periodo, Caleb però sospettava che fosse per via della droga, che ad ogni assunzione gli aveva cancellato un pezzetto di memoria. I suoi non riuscivano a trovare lavoro, inoltre la famiglia in cui viveva era molto povera, così a dodici anni aveva smesso di andare a scuola, iniziando invece a spacciare stupefacenti. Ormai erano quattro anni che andava avanti così, tra stenti e miseria. Non apprezzava la vita che faceva, però se ne prendeva comunque carico, pur di aiutare i suoi genitori.
Caleb aveva sempre provato una forte empatia per la storia di Hector, forse rivedendo se stesso in più punti, come ad esempio quello di essere cresciuto in una famiglia nient’affatto ricca, ecco perché era andato d’accordo con quel ragazzo dal sorriso gentile fin dal primo momento in cui l’aveva incontrato. Proprio per questo motivo consegnarlo alla giustizia era stato ancor più difficile; il suo avvocato, tuttavia, gli aveva assicurato che non sarebbe finito in carcere: vista la situazione in cui viveva e dato che non era ancora maggiorenne, si era deciso di affidare Hector ad un centro di rieducazione, mentre sarebbero stati inviati dei sostegni economici alla sua famiglia, così da permettere loro di vivere in delle condizioni di vita migliori, e certo non più nella fatica di non riuscire ad arrivare a fine mese. L’avvocato aveva preso a cuore la questione, infatti si era impegnato personalmente per risolverla. Con quella promessa, e con le parole che l’uomo gli aveva rivolto all’inizio del colloquio – “chi mi ha assunto mi ha chiesto di dirti che Camelia ti sta aspettando, fuori di qui” – Caleb si era finalmente deciso a confessare. Poche ore dopo, era stato subito rimesso in libertà.
Camelia allunga una mano nella sua direzione e lui l’afferra prontamente, lasciandosi trascinare verso la riva del mare.
«Glielo dirai, prima o poi?»
Un’onda s’infrange contro lo scoglio su cui si sono accomodati. Ray osserva l’orizzonte, il sole è una sfera infuocata che lentamente scivola verso il basso, affondando nel mare. Le parole di Jude l’hanno colpito: crede di sapere a che cosa si riferisce, prima di rispondergli però ha bisogno che il ragazzo gli confermi i suoi sospetti.
«A che cosa ti riferisci?» gli domanda infatti, le mani premute contro la roccia umida.
Lo sguardo di Jude non segue quello del suo insegnante: al contrario, è fermo sulle figure di Caleb e Camelia che, in lontananza, camminano lievi sulla riva dell’oceano, noncuranti dei flutti che continuano ad arrivare, per poi puntualmente tornare indietro. Hanno dei sorrisi meravigliosi stampati sul volto, Jude spera di poterli vedere così felici per sempre.
«Al fatto che sei stato tu a pagare il suo avvocato» ammette infine il ragazzo, i piedi nudi che dondolano appena giù dallo scoglio, riempiendosi di schizzi di candida spuma marina.
Ray sorride appena: come sospettava, in quel momento i pensieri del ragazzo sono rivolti unicamente al suo migliore amico.    
Rinunciare a tutti quegli stipendi che aveva saggiamente messo da parte in passato, in attesa di poterli adoperare per organizzare una sorpresa a Jude – magari una vacanza insieme, chi lo sa – era stato un bel sacrificio, tuttavia i risultati lo avevano sicuramente ripagato: una volta che Caleb era stato scagionato, infatti, la sua ragazza, Camelia, gli aveva proibito di tornare a far parte di quella banda. Il loro gruppo di teppisti si era così sciolto – scegliere tra il continuo rischio di finire in prigione o l’amore della sua ragazza era stata una decisione piuttosto semplice, per Caleb – e i quattro ragazzi erano così tornati a studiare. La loro amicizia era comunque rimasta salda, certamente tuttavia adesso si trattava di un legame molto più sano e sincero per tutti e quattro i ragazzi.
«Non credo» gli confida infine, spostando lo sguardo in direzione dei due ragazzi, che in lontananza continuano a ridere e scherzare. «Guardali, sono così felici… penso che vivranno benissimo anche senza saperlo.»
«Già.» Jude sorride, stringendogli la mano.
Lo sguardo di Ray si posa sul sorriso lucente di Jude: è strano, non avrebbe mai immaginato di poterlo vedere ancora così felice, dopo così tanto tempo e tutto quello che avevano passato.
Non avrebbe potuto desiderare nulla di diverso, in fin dei conti.
Con una mano gli accarezza lievemente una guancia, attirandolo a voltarsi verso di lui.
«Ti amo» sussurra, delicato, prima di baciarlo lentamente.
Sotto di sé, sente le labbra del ragazzo piegarsi in un sorriso dolcissimo, e sa che non avrebbe potuto sperare in niente di meglio.
«Ehi, piccioncini!» dalla spiaggia, la voce canzonatoria di Caleb li riporta alla realtà. «Avete intenzione di restarvene lì sugli scogli ancora per molto o ci raggiungete? E anche voi… Dio, ci manca poco che vi mettiate a rotolarvi nella sabbia!»
Con questo, lancia uno sguardo in direzione di Joe e David, seduti con le schiene premute contro il muretto che delimita il confine tra la spiaggia e la strada. Alle loro spalle, centinaia di automobili continuano a sfrecciare, noncuranti, mentre i due ragazzi continuano a scambiarsi effusioni.
Alle parole di Caleb, Joe e David sollevano la testa, roteando lo sguardo.
«Non ho capito, quindi tu sei l’unico che può baciarsi in santa pace e basta?» protesta il ragazzo dai capelli turchini, con un borbottio infastidito.
Joe, nel frattempo, ha già cominciato a rialzarsi, e una volta in piedi aiuta David a fare altrettanto. Quest’ultimo si aggrappa alle braccia forti del suo ragazzo come se ne andasse della propria vita, scoppiando a ridere di gusto quando si rende conto che la presa di Joe è davvero troppo potente e ci manca poco che non finisca a volare a mezz’aria.
Mentre i due si affrettano ad avvicinarsi alla riva, Jude e Ray hanno già raggiunto Caleb e Camelia. Ormai, i commenti acidi del castano non spaventano più nessuno: hanno capito infatti che, da quando c’è Camelia, non hanno più nulla da temere, perché quella ragazza fatta di luce porterà sempre il loro amico sulla retta via.
Insieme camminano lungo la spiaggia, mentre il sole tramonta e un nuovo giorno muore.



The end.





Angolo autrice

Lo ammetto, sono io stessa la prima ad essere incredula. Se ci fate caso, sul mio profilo ci sono prevalentemente one-shot, mentre le long sono quasi tutte interattive che non sono mai riuscita a portare a termine a causa della mia incostanza. Per me arrivare alla fine di una long è davvero un grande traguardo, non immaginate quanta gioia mi dia premere il quadratino che indica che la storia è completa.
Se sono arrivata qui lo devo a più di una persona. Il ringraziamento più grande va alla mia beta, Gaia aka Shizuha aka Gagiord, che non ha corretto dei capitoli, bensì dei panfleu. Non so come faccia a non avermi ancora azzannato il collo per tutti i punti che mi dimentico ^^" tornando seri, non ho mai incontrato qualcuno tanto gentile e paziente come lei, ha sempre fatto del suo meglio per aiutarmi con la correzione di questi capitoli e perciò le sono infinitamente grata. Per non parlare dei suoi commenti ai capitoli, senza dubbio tra i più belli ed accurati che io abbia mai ricevuto in vita mia. Grazie, grazie e ancora grazie, amica mia <3
È poi d'uopo per me ringraziare le persone che hanno lasciato una recensione alla mia storia, ossia Happy_Ely, Lila May, White_LF e White Realm. Mi dispiace se a volte non sono riuscita a rispondervi o a trasmettervi la gioia che ho provato nel ricevere i vostri pareri, nel caso ve lo dico qui: pensavo che nessuno si sarebbe filato questa storia, e invece sono felice di essere stata smentita!
Un altro grazie gigante va alle persone che hanno inserito la storia tra le preferite e/o le seguite, in particolare C o c o  e  MartyDevil, che su questo fandom sono sempre state le mie "sostenitrici", per così dire.
Anche se non c'entra molto volevo ringraziare anche le mie amiche/colleghe che mi seguono ormai da mesi come delle ombre su Twitter: non potrei esservi più grata, siete le migliori supporter che si possano desiderare! Siete tante, per cui non posso citarvi tutte (altrimenti le note vengono più lunghe del capitolo, sigh) perciò ho deciso di eleggere a "rappresentanti" Ayumu, _Lady di inchiostro_ e nigatsu no yuki. Siete anche delle autrici fantastiche, perciò continuate così, ragazze!
Ho concluso – stavolta per davvero. Già, perché come ho tenuto a dirvi fin dall'inizio, questa è la mia ultima storia su questo fandom. Ormai qui non mi sento più a casa, perciò sarà meglio levare le tende. Penso che non pubblicherò niente di nuovo per un po', comunque, perché ho in mente un progetto per una nuova long, stavolta sul fandom di Boku no Hero Academia, e temo che quest'ultimo mi porterà via un po' di tempo  – per cui insomma, non preoccupatevi se sparirò per qualche mese, non sono morta, ahah! Starò studiando, o al massimo lavorando a questo nuovo progetto.
Bene, è giunto il momento di partire alla volta di questa avventura: sarete con me?

Aria

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