Deceiver Of Fools

di Alli_210
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Ashes ***
Capitolo 2: *** II: Fire ***
Capitolo 3: *** III: Stay ***
Capitolo 4: *** IV: Fall ***



Capitolo 1
*** I. Ashes ***


Ciao a tutti!

qualcuno di voi forse si starà chiedendo come mai questo titolo sia di nuovo sulla pagina degli aggiornamenti dopo così tanto tempo e una spiegazione credo sia dovuta: chi ha seguito la storia di Aerith e Rahma, sa che Deceiver Of Fools era già stata pubblicata nel 2013, seguita da Deceiver Of Hearts e da un - mai terminato- terzo capitolo, Deceiver Of Time. 

Saranno forse stati gli errori grammaticali, la sintassi abbastanza scarna e il fatto che un po’ mi fossero mancati quei primi capitoli, ma ho deciso di dare una sistemata alla storia. Una sistemata che presto si è trasformata in una riscrittura vera e propria: c’erano personaggi di cui andava raccontato di più, momenti dimenticati nei cassetti della mia testa di cui sentivo la necessità di parlare e -forse- anche il bisogno di far crescere un po’ i miei protagonisti, così come sono cresciuta io in questi quattro anni.

Tutto questo per dire che sì, è sempre Deceiver Of Fools ma è molto diversa da quello che avevo immaginato quando ho iniziato a pubblicarla per la prima volta e questo è il motivo per cui ho deciso di voltare pagina e ripartire da zero.

Ci tengo a ringraziare chiunque abbia letto le storie precedenti, che ho eliminato per ovvie ragioni ma di cui ho salvato ogni recensione. Non credo sarò mai abbastanza grata per le migliaia di visualizzazioni a quei capitoli infiniti.

Quindi l’unico modo in cui posso concludere questo sproloquio è con un bentornato a chiunque avesse già letto la storia e un benvenuto a chi si imbatte per la prima volta nei miei lunghiiiissimi capitoli. Ogni opinione ovviamente sarà ben accetta.

Un ringraziamento speciale va alla mitica Saitou Catcher che ha seguito praticamente tutta la mia avventura su questo sito, con le sue bellissime recensioni e il supporto morale via WhatsApp nei momenti di crisi nera. Ho trovato un’amica oltre che una bravissima scrittrice e non smetterò mai di dirti quanto sia contenta di averti conosciuta. 

Detto questo, vi lascio finalmente alla storia, sperando che vi piaccia. 

Buona lettura!



I. Ashes

Aerith trovò la forza di aprire gli occhi solo quando una goccia cadde sulla sua guancia, scivolandole lungo il viso. 

I palazzi ingrigiti dal fumo e dalla polvere incombevano su di lei e il cielo carico di nubi era un chiaro segnale che presto sarebbe cominciato a piovere. 

L’odore di terra ed esplosivo era così forte da toglierle il fiato e le macerie tutt’intorno a lei le ricordarono in fretta dove si trovava. 

Doveva aver perso i sensi quando l’onda d’urto di un’esplosione la aveva scaraventata a terra. Aveva perso il conto del numero di bombe che erano piovute quella notte sulla città e osservando i palazzi sopra di lei si chiese se fosse rimasto altro da annientare oltre agli scheletri di quei palazzi ormai disabitati.

Gli Xenon quella notte avevano deciso di colpire ancora più duramente di quanto non avessero fatto nelle settimane precedenti: era ancora dall’altra parte della città quando aveva sentito le prime esplosioni e aveva visto le fiamme alzarsi sulla zona umana di Avalea.

Ricordava le urla, gli spari, poi il silenzio un attimo prima che un ordigno le esplodesse vicino. Lo stesso silenzio carico di tensione che incombeva su di lei in quel momento.

Doveva andarsene da lì e in fretta.

Con cautela, provò a muovere le mani. La felpa nera che indossava era rotta in più punti, ma non vedeva sangue e quello poteva considerarsi un buon segno. La stessa cosa non si poteva dire per le gambe: la sinistra era rimasta sepolta sotto ai detriti e quando riuscì a liberarla inorridì alla vista dell’enorme macchia rossa all’altezza della coscia. Con cautela sollevò appena un lembo dei pantaloni, rivelando un enorme taglio che le avrebbe reso molto difficile camminare.

Stava per toccarlo quando uno sparo poco lontano la fece trasalire. Per un attimo, si trovò a sperare che dei soldati umani fossero nelle vicinanze, ma sapeva bene che il rischio di finire al centro di un conflitto armato era troppo alto. Gridare per chiedere aiuto poi, era impensabile.

Osservando i palazzi intorno a lei, Aerith si rese conto che non c’era niente che potesse offrirle un riparo: gli edifici sembravano stare in piedi per miracolo, nascondersi lì dentro poteva rivelarsi una morte certa se un’altra bomba fosse esplosa nei paraggi.

Stringendo i denti e puntellandosi sulle braccia, Aerith si alzò. Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che la gamba non le faceva poi così male e con cautela iniziò a muoversi tra i detriti.

Sentì un’altra goccia sul viso: la pioggia la avrebbe aiutata a nascondersi, ma le avrebbe rallentato non poco i movimenti.

Stava camminando lungo un palazzo quando degli spari proprio all’inizio della via la costrinsero a infilarsi in uno stretto vicolo tra i due edifici diroccati. Il suolo era coperto di sassi, assi di legno e rifiuti il cui odore rendeva l’aria quasi irrespirabile, ma sapeva di non avere altra via di fuga. Facendo attenzione a dove metteva i piedi, Aerith cominciò ad avanzare.

Proseguì con cautela, con gli occhi fissi sul terreno: le lastre di pietra che componevano la strada erano distrutte, coperte di detriti, pezzi di vetro, vecchi proiettili. Doveva stare attenta a non calpestarli ed evitare ogni rumore se non voleva farsi sentire.

Non sapeva cosa avrebbe trovato dall’altro capo del vicolo, ma le voci dei soldati alle sue spalle erano la conferma che tornare indietro poteva significare la morte.

Passo dopo passo, avanzò. Era quasi arrivata alla fine della strada. Rimase in ascolto qualche secondo e quando fu sicura che la strada era vuota, si azzardò a sporgere la testa per capire dove dirigersi.

Conosceva bene quelle strade: un tempo erano state il cuore della città, prima di essere devastate dalla guerra. Erano il posto più pericoloso di tutta Avalea, ma anche la strada più veloce per arrivare a casa sua. Era solo qualche isolato, doveva farcela.

Trattenendo il fiato e cercando di ignorare il dolore Aerith si mise a correre. Stava quasi per svoltare l’angolo quando delle grida strazianti la costrinsero a fermarsi, appena in tempo per vedere una squadriglia di militari xenon uccidere una donna.

La paura ebbe il sopravvento quando gli spari dietro di lei le fecero capire che era in trappola. In preda al terrore si accasciò contro ad un muro, mentre i passi dei soldati erano sempre più vicini.

Aerith chiuse gli occhi, ritrovandosi a pregare in qualche miracolo.

Ma quante persone dovevano aver rivolto al cielo le stesse preghiere prima di morire?

Forse però, qualcuno aveva ascoltato le sue: due braccia forti la strinsero in una morsa d’acciaio, trascinandola dietro ad un portone in legno. Il suo primo istinto fu di dimenarsi e probabilmente si sarebbe messa ad urlare se una mano non le avesse prontamente impedito di emettere alcun suono.

Le parole che l’uomo che la aveva appena salvata le sussurrò all’orecchio subito dopo le fecero venire voglia di piangere dalla gioia.

- Stai ferma, sono io!-

Rahma.

Aerith smise di muoversi immediatamente e il ragazzo allentò la presa, permettendole di girarsi quel che bastava per abbracciarlo, stingendolo più forte che poteva. Le braccia di Rahma la strinsero così forte che le mancò il respiro.

-Sei bagnato.- constatò stupidamente. Aveva cominciato a piovere, erano entrambi bagnati fradici.

-Stai sanguinando- rispose lui apprensivo. 

Aerith si sforzò di non guardarsi la gamba. La corsa doveva aver peggiorato la situazione della ferita e il dolore pulsante che proveniva dalla coscia ne era un chiaro segnale.

Alzò la testa e i loro occhi si incrociarono. Conosceva quello sguardo meglio di chiunque altro: era sollevato perché era riuscito ad arrivare appena in tempo, ma sapeva benissimo che il pericolo non era ancora passato. 

Erano ad un passo dalla morte, entrambi.

-Come hai fatto a trov....- Aerith non riuscì a terminare la frase. Rahma la strinse più forte, trascinandola ancora più indietro nel piccolo vano oscuro dove aveva trovato riparo.

Fece appena in tempo a sussurrarle di non muoversi, prima che una decina di soldati passassero proprio davanti a loro.

Aerith sentì Rahma trattenere il respiro e fece lo stesso mentre cercava di ignorare il dolore lancinante alla gamba. Il cuore sembrava stesse per esploderle nel petto, quasi a volerla tradire mentre il nemico era ancora li fuori. 

Non seppe dire esattamente quanto tempo passarono abbracciati in quel modo. Secondi, minuti, forse ore passarono prima che le dita di Rahma le sfiorassero appena la guancia.

-Sono andati via.-

Il sollievo nella sua voce fece rilassare Aerith che si decise a riaprire gli occhi. 

-Mi hai seguita, vero?-

-Pensavi che ti avrei lasciata attraversare la città da sola nel bel mezzo di un attacco?-

-Sei entrato nella zona umana, saresti potuto morire.-

-Saresti morta tu se non lo avessi fatto.- ribatté. -Sei ferita.-

Per un istante si era quasi dimenticata del dolore alla gamba, ma le parole di Rahma riportarono la sua attenzione al taglio che continuava a sanguinare. 

-Non è nulla di grave.- disse trattenendo una smorfia all’ennesima fitta.

Aerith vide Rahma alzare gli occhi al cielo prima di infilarle una mano sotto le ginocchia e sollevarla.

-Lasciami giù, Rahma!- gli disse Aerith a bassa voce. 

Il ragazzo però non sembrava intenzionato ad ascoltarla.

-Non è il momento di fare i capricci. Non puoi camminare così e tantomeno puoi rischiare che la ferita peggiori. Se si infetta rischi di perdere la gamba o morire. Gli ospedali non hanno medicine per i civili.-

Aerith avrebbe voluto ribattere, ma Rahma aveva ragione.

-Questo palazzo ha un’uscita sul retro. Se le strade sono vuote, riusciremo ad arrivare a casa mia senza farci vedere.-

Aerith si irrigidì.

-A casa tua? Rahma io devo tornare a casa mia! I miei genitori non hanno idea di dove sia finita, devono sapere che sto bene. Portarmi a casa tua è troppo rischioso, se qualcuno ci vedesse ti farebbero arrestare!- disse Aerith alzando leggermente la voce. 

-Abbassa la voce Aerith!- la richiamò subito il ragazzo -Se ci scoprono qui non dovremo preoccuparci di essere arrestati.- Aggiunse mentre i suoi occhi correvano verso il portone in legno che li separava dal resto del mondo. Dopo qualche secondo, lo sguardo preoccupato di Rahma tornò su Aerith. 

-Scusami.-

-Non posso lasciarti andare da sola. Ci sono soldati ovunque, sei ferita. Le possibilità che tu possa arrivare fino alla zona sicura senza che ti trovino sono inesistenti e sai meglio di me che lo scopo di queste missioni non è fare prigionieri.-

Aerith abbassò lo sguardo. Quanto avrebbe voluto poter ribattere a quell’ultima affermazione. Ma Rahma aveva ragione: quelle missioni stavano riducendo allo stremo la popolazione umana più di quanto non lo fosse già.  

-Non posso venire con te Rahma. Ti prego. Se qualcuno mi vedesse…-

-So nascondermi bene. Ma dobbiamo andarcene da qui prima che le pattuglie comincino la ricognizione. Se mi trovano con te, non oso pensare a cosa potrebbero farti. Per favore. Non posso proteggerti fuori da qui.- 

Aerith abbassò lo sguardo, appoggiando la fronte alla spalla di Rahma. Era stanca, il dolore per l’impatto causato dall’esplosione stava iniziando a prendere il sopravvento e la paura le impediva di ragionare lucidamente. Tutto quello a cui riusciva a pensare era che sia che lei fosse tornata a casa o che lo avesse seguito, uno dei due avrebbe rischiato la vita.

E il motivo, erano le linee nere che ricoprivano il dorso delle mani di Rahma. Quel disegno intricato  che gli xenon chiamavano marchi, era il simbolo di una differenza che aveva portato alla guerra. 

Una differenza che Aerith non era mai riuscita a comprendere.

Rahma sospirò quando si accorse cosa aveva catturato l’attenzione di Aerith. Lui odiava quei marchi. Odiava con tutto se stesso quella guerra e forse anche la sua razza per aver ridotto il mondo ad un desolato campo di battaglia. 

-Mettiti in salvo. Qui non mi troveranno, l’attacco è quasi finito. Quando tutto si sarà calmato chiederò aiuto e…-

-Aerith per favore non chiedermi di lasciarti qui. Non lo farò, lo sai.- rispose subito lui -Non ti lascio qui a morire.-

Rahma sentì il suo cuore spezzarsi quando vide le lacrime scivolare lungo le guance di Aerith, mentre un sorriso rassegnato si apriva sul suo viso.

-Stiamo già morendo, Rahma.- sussurrò -Giorno dopo giorno. Stanno solo giocando per vedere quanto resistiamo.-

-La guerra finirà prima o poi. Dovete resistere, Aerith-

-Questa guerra finirà solo quando non ci sarà più nessuno rimasto da uccidere. Bruciano le nostre case, ci tolgono le provviste, ci bombardano. Il vostro capo non vuole una resa, vuole la vittoria. Non si fermerà finché anche solo uno di noi vive. Lo sai.- 

Quelle parole furono una pugnalata per Rahma, ma Aerith continuò.

-Il nostro esercito non ha più difese. Le vostre armi sono più forti, voi stessi siete più forti di noi. Possono non dircelo, ma è solo questione di tempo prima che…- La voce le si smorzò in gola, quasi come se anche solo l’idea di pronunciare quelle parole le facesse orrore.

Vedere Aerith spaventata e indifesa era straziante. Lei, che normalmente era così coraggiosa. Forse era anche più coraggiosa di lui.

-Lasciami andare a casa, Rahma. Poi dimenticati per sempre della mia esistenza. Non posso continuare a permetterti di rischiare la vita così.-

Rahma si irrigidì. Per un attimo si chiese se non stesse delirando, ma Aerith era lucidissima.

-Cosa stai dicendo, Aerith? Dimenticarti?-

-Questa non è più una guerra. E’ un gioco che siamo destinati a perdere. E quando sarà finito, sarà meglio che nessuno scopra che hai avuto a che fare con un’umana o riserveranno a te lo stesso destino a cui stiamo andando incontro. Non voglio questo per te. Almeno tu che puoi ancora salvarti.-

Lo xenon sospirò.

-Pensi che mi interessi vivere in un mondo del genere?-

-Hai una famiglia da cui tornare.-

-Una famiglia che non vedo da prima che iniziasse la guerra. Sei l’unica persona che potrei considerare una famiglia ora.- ribatté Rahma -ci siamo fatti una promessa sette anni fa: qualsiasi cosa succeda, insieme fino alla fine. Ricordi?-

-Eravamo bambini. Se stare insieme vuol dire rischiare la tua vita…-

-Tutti rischiamo la vita qui. Non c’è nessuno di noi al sicuro. E ti porterò a casa, ma Aerith ascoltami bene: fino a che tu respiri, per me esiste ancora la speranza. La speranza che la gente capisca che questa è pazzia e che il nostro sangue potrà essere diverso, ma siamo tutti uguali. Sono le parole che mi hai detto tu. Devi solo continuare a crederci.-

I loro occhi si incrociarono di nuovo.

Aerith era speciale: orgogliosa, testarda. Forte. Ma la stanchezza, la paura e la fame la stavano provando ogni giorno di più. Gli zigomi troppo sporgenti, le occhiaie marcate e i vestiti troppo larghi erano un chiaro segno che il suo fisico stava cominciando a cedere.

Avrebbe dato tutto quello che aveva per poterla aiutare, ma ormai nemmeno lui sembrava più essere in grado di fare qualcosa. Perchè Aerith in fondo aveva ragione: la situazione era disperata.

-Voglio andare a casa.-

La voce della ragazza era appena un sussurro, ma Rahma capì. Il suo sguardo rassegnato e spento valeva più di mille parole.

-Promettimi che non ti arrenderai e io ti porto a casa.-

Rimasero a fissarsi in silenzio per qualche secondo prima che Aerith si decidesse ad annuire.

-Tieniti forte.-

Le mani di Aerith strinsero la presa sulle sue spalle mentre Rahma usciva dal loro rifugio, rientrando nella strada ormai deserta. La pioggia battente si era trasformata in una foschia sottile che forse li avrebbe aiutati.

Avrebbero dovuto attraversare quella che ormai tutti definivano la zona rossa: una parte di città che divideva la zona umana da quella xenon, il vero campo di battaglia degli eserciti. A terra era impossibile uscirne illesi, ma lui non aveva intenzione di camminare.

-Dove vuoi passare?-

-Dall’unico posto dove non possono vederci.- disse guardando verso l’alto -Chiudi gli occhi.-

-cosa…?- Prima che Aerith potesse anche solo pensare a ciò che lui le aveva appena detto, Rahma si accovacciò sulle ginocchia per poi spiccare un balzo. Ma i suoi piedi non toccarono mai terra.

Il primo istinto di Aerith fu di guardare verso il basso ma se ne pentì quando si accorse che erano sospesi nel vuoto a cinque metri buoni da terra.

-Rahma! Sei pazzo? Ci vedranno!-

-Non ad occhio nudo. La vostra vista non è così sviluppata.-

Aerith trattenne il fiato. Sapeva bene che Rahma era in grado di volare. Non molti xenon erano in grado di farlo e inizialmente era rimasta sconcertata. Avrebbe voluto fare molte domande, ma per il bene di entrambi si era sempre trattenuta. Rahma, per il suo popolo, era un traditore. Meno avesse saputo di lui, più sarebbe stato sicuro per entrambi.

A dire il vero, Aerith spesso si dimenticava che Rahma non era come lei: era più forte, più veloce. I suoi occhi vedevano molto più lontano e le sue orecchie sentivano cose che Aerith nemmeno immaginava. Tutti gli xenon erano più forti degli umani e Rahma non faceva eccezione. Eppure, Aerith si era sempre chiesta che cosa li avesse portati ad odiarsi così tanto. 

Alla fine, erano tutti fatti di carne ed ossa, il loro cuore batteva nello stesso modo. 

Soffrivano tutti nello stesso modo.

-Non guardare giù. E chiudi gli occhi se ti vengono le vertigini.-

Quando Aerith annuì, Rahma cominciò a muoversi. L’impulso di guardare verso il basso era forte, ma il senso di vuoto sotto di lei la frenò. Si sentiva appesa ad un filo anche se a tenerla erano le braccia sicure di Rahma. 

Non seppe dire per quanto rimasero sospesi in aria. Quando i piedi dello xenon toccano terra, Aerith alzò lo sguardo sul suo viso e si sentì gelare il sangue nelle vene. 

Negli occhi di Rahma c’era il fuoco ed il suo viso era una maschera di terrore.

Lentamente, Aerith trovò il coraggio di girarsi.

Quando i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco lo spettacolo macabro sotto di lei, Aerith capì che la sua vita non sarebbe più stata la stessa.

 

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Capitolo 2
*** II: Fire ***


Ciao a tutti!
Come da abitudine, siamo solo al secondo capitolo e sono già in ritardo con la pubblicazione (ottima premessa devo dire). Giuro, prometto solennemente di non superare le due settimane tra un capitolo e l'altro.
Mi prendi qualche riga giusto per spendere due parole sulle differenze con la storia "originale" di cui parlavo nell'introduzione al capitolo precedente: ovviamente, gli avvenimenti e la conclusione saranno quasi identici quindi non aspettatevi particolari rivoluzioni su quel fronte. Quello che è cambiato sono i dettagli, la prevalenza di alcuni personaggi rispetto ad altri e delle scene completamente diverse se non del tutto nuove. Insomma, ho scelto una strada diversa per arrivare alla stessa destinazione e forse anche la parola fine avrà un sapore diverso questa volta (ma questo sarete voi a dovermelo dire).
Ultima cosa: per chi volesse, l'altra storia che trovate sulla mia pagina autore -Iridescent- è una song-fic ispirata ai nostri due protagonisti. Non è uno spoiler, anche se potrebbe sembrarlo, ma se volete vedere Aerith e Rahma in un contesto un po' diverso vi consiglio decisamente di dare uno sguardo.
Detto questo, vi lascio alla lettura del capitolo con un ringraziamento enorme per chi ha dedicato anche solo un minuto alla lettura di quello precedente. 
Alla prossima!



II. Fire

Niente avrebbe potuto prepararla a ciò che vide non appena ebbe voltato la testa.

Fuoco e macerie erano tutto ciò che rimaneva dell’intero quartiere sotto di loro. Il bombardamento non aveva risparmiato niente. 

Di nuovo, in quella notte che non sembrava avere fine, Aerith si ritrovò a pregare mentre i suoi occhi scorrevano lenti verso il basso. Ma due miracoli in così poche ore erano probabilmente più di ciò che qualsiasi divinità sarebbe stata disposta a concedere. 

Quando il suo sguardo trovò ciò che stava cercando, il suo cuore sembrò fermarsi di colpo. Non sentì più il dolore, la pioggia, la stanchezza e la paura, solo un’enorme vuoto aprirsi sotto di lei, quando la dura verità le trapassò il petto come un pugnale affilato.

Non sentiva più la stretta di Rahma sulle sue spalle, non sentiva più niente. 

Le lacrime avevano già cominciato a scorrere lungo le sue guance quando qualcosa dentro di lei improvvisamente si ruppe, portandola fuori da quella bolla che sembrava essersi creata intorno a lei.

E urlò.

Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, fino a quando la voce non le scomparve per lasciare posto solo alle lacrime ed ai singhiozzi. Non si era nemmeno accorta di essersi accasciata a terra e che Rahma era proprio accanto a lei. 

La aveva abbracciata come a volerla proteggere dall’inferno intorno a loro, ma nemmeno lui avrebbe potuto fare niente in quel momento.

“Devo andare lì” riuscì a sussurrare Aerith tra un singhiozzo e l’altro. “Devo… devo salvarli, io…”

“Aerith”

“Rahma dobbiamo aiutarli, i miei genitori sono lì sotto, dobbiamo…”

La frase le si mozzò in gola, sommersa dai singhiozzi quando Aerith vide riflessa negli occhi di Rahma la dura verità. 

Sotto quelle macerie ormai non era rimasto niente. Aveva ascoltato attentamente, nella speranza di udire qualsiasi segno di vita, ma tutto ciò che aveva sentito era il silenzio sordo e asfissiante della morte. 

Aerith lo stava fissando con la disperazione negli occhi e lui si sentì impotente come mai prima perchè non avrebbe mai potuto darle quello che la guerra le aveva appena tolto. 

Quello che la guerra aveva tolto ad entrambi. 

Incapace di fare altro, Rahma la abbracciò di nuovo, stringendola forte a se. Era così piccola in confronto a lui che se avesse stretto troppo avrebbe avuto paura di poterla rompere. 

“Lasciami andare lì.”

Se non la avesse conosciuta abbastanza bene, avrebbe provato a dissuaderla.

Ma Rahma sapeva che Aerith non se ne sarebbe andata da lì finché non avesse avuto la certezza di aver fatto tutto il possibile. Non si sarebbe mai perdonata il fatto di non aver almeno provato a fare qualcosa.

Osservò con attenzione ciò che stava succedendo sotto di loro: non c’era anima viva in quello che rimaneva delle strade e quello riduceva al minimo le possibilità che qualcuno li vedesse. 

Senza dire una parola, le infilò di nuovo un braccio sotto alle ginocchia e Aerith si lasciò sollevare senza opporre resistenza. 

Nel suo sguardo, oltre alla paura e al dolore, c’era una gratitudine immensa. Sapeva bene a che pericolo lo stava esponendo, ma a Rahma ormai non importava più. Tutto ciò che gli interessava era fare in modo che sotto a quelle macerie, quella notte, non ci rimanesse anche Aerith.

Facendo attenzione, planò lentamente di fronte a quella che doveva essere stata casa sua.

Non la fermò quando, incurante del fumo e delle travi roventi, si avvicinò alle macerie.

La vide sollevare dei pezzi di pietra, spostare i detriti e scavare. Rimase in silenzio mentre Aerith sollevava un masso dopo l’altro, mentre ogni sua speranza si affievoliva sempre di più.

Solo quando si accorse che le sue mani sanguinavano Rahma decise di fermarla. Si avvicinò a lei in silenzio e le afferrò delicatamente le spalle.

Quel gesto per Aerith era inequivocabile. Ricominciò a piangere, lasciandosi cadere sulle ginocchia in mezzo a quel che rimaneva della sua vita e questa volta fu lei a stringere Rahma come a non volerlo mai lasciare. 

Perchè ormai, era l’unica persona che le rimaneva.

Ora lo capiva. Capiva cosa voleva dire essere soli al mondo.

Come aveva fatto lui a sopportare tutto quel dolore in quegli anni?

“Vieni a casa con me. Per favore.” le sussurrò “Lascia che ti porti al sicuro, che ti curi. Non puoi fare più niente per loro, a parte metterti in salvo.”

“Non è giusto” farfugliò lei con il viso appoggiato alla sua spalla e gli occhi chiusi. “Non è giusto.”

“Lo so, Aerith.”

Ma cosa era giusto in quella guerra, in fondo?

“Portami a casa.” la voce di Aerith era debole, appena un sussurro. Non era un ordine, era qualcosa di più simile ad una preghiera. La ragazza alzò la testa per guardarlo negli occhi e i loro sguardi si incrociarono.  Le iridi verdi di Aerith erano ancora lucide per il pianto, ma la cosa che gli fece più male fu vederle spente, vuote. Non sembravano nemmeno i suoi occhi.

La prese in braccio, lasciando che lei si aggrappasse al suo collo e si accoccolasse contro di lui. Lui ricambiò la stretta, sfiorandole appena i capelli con la punta delle dita. Non la aveva mai presa in braccio prima di quella sera e solo ora si rendeva conto di quanto Aerith fosse effettivamente piccola in confronto a lui. Aveva la sensazione che avrebbe potuto romperla se avesse stretto troppo la presa.

Prima di sollevarsi nuovamente in volo, Rahma chiuse gli occhi, concentrandosi sull’ambiente che li circondava. Le sue orecchie erano abbastanza forti da sentire la presenza di uomini entro il raggio di un centinaio di metri e per loro fortuna non c’era nessuno nei dintorni. Nessuno di vivo, almeno. 

Dopo aver lanciato un ultimo sguardo a quella che una volta era stata la casa di Aerith, Rahma si sollevò dal terreno. Prese quota lentamente, assicurandosi che Aerith non subisse lo sbalzo di altezza. Volare era una delle sensazioni più belle che Rahma ricordasse di aver provato, ma il corpo aveva bisogno di adattarsi ad essere sospeso in aria.

Quando finalmente fu abbastanza in alto, cominciò a spostarsi sopra la città. Aumentò la velocità mentre sorvolava i tetti dei palazzi di Avalea in quella notte ormai silenziosa. La guerra aveva lasciato posto alla desolazione così come entro qualche ora, le tenebre avrebbero lasciato spazio alla luce di un nuovo giorno.

Un nuovo giorno e nuove persone che avrebbero dovuto piangere la scomparsa di qualcuno.

Aerith sarebbe stata una di quelle. Quella folle guerra non aveva avuto pietà nemmeno per lei alla fine. E proprio come il resto della città, Aerith era rimasta in silenzio per tutto il viaggio: non un sussurro, un singhiozzo. Sentiva solo il suo respiro sul collo e le sue dita stringergli le spalle. 

Non ebbe coraggio di proferire parola fino a quando, dopo una decina di minuti di volo, non atterrò sul tetto del palazzo trasandato dove viveva. Un edificio in cemento grigio, alto dieci piani. Molte finestre erano state chiuse con delle assi di legno e alcune avevano il vetro sfondato. Una persona con un minimo di senno avrebbe evitato come la peste quel luogo, ma per chi aveva bisogno di essere invisibile non c’era posto migliore dove stare.

“Vivi qui?” la voce di Aerith lo colse di sorpresa. La ragazza aveva il viso sconvolto dal pianto e i capelli spettinati. Nel suo sguardo però era evidente lo sconcerto mentre si guardava intorno. Lei non aveva mai saputo dove viveva, ma di certo l’idea che abitasse in un posto simile non le avrebbe fatto piacere.

“Si.” rispose mentre armeggiava con il lucchetto di una porta tagliafuoco arrugginita. C’erano delle scale d’emergenza lungo tutto il palazzo, ma passare dall’esterno sarebbe stato pericoloso.

“Siamo nella zona xenon?” 

“No. In questo posto a nessuno importa niente. L’unica cosa che devi fare, è non immischiarti nelle faccende degli altri.” disse riuscendo finalmente ad aprire la porta, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Allungò una mano ad Aerith che però esitò. 

“Cosa succede se qualcuno mi vede?”

“Quello che succede sempre: si chiederanno chi sei, decideranno che non gli interessa e si dimenticheranno di te.” Quella che aveva appena detto era niente di più che la cruda verità. Quella zona della città dimenticata da chiunque era il rifugio di tutti i reietti, di quelli che come lui non avevano niente da perdere e dei criminali. I governi di entrambi i popoli sapevano che di ciò che succedeva in quella parte di Avalea, ma evidentemente avevano altro di cui preoccuparsi.

Non aveva paura che qualcuno potesse vederla. In quel palazzo vivevano umani e xenon e tutti avevano qualcosa da nascondere. Nessuno avrebbe avuto la pessima idea di denunciare qualcosa alle autorità sapendo di rischiare la vita.

Quella frase sembrò convincere Aerith, che afferrò finalmente la sua mano e si decise a seguirlo all’interno del vano scuro. Quando la vide zoppicare, si ricordò della ferita alla gamba e la prese in braccio senza che lei si opponesse. Scese velocemente le scale fino al suo appartamento ed entrò.

Richiuse la porta d’ingresso con un calcio, poi attraversò a passo svelto il piccolo salotto fino ad arrivare alla camera da letto. Spostò il copriletto e fece sdraiare Aerith sul materasso sottile. Lo sguardo di gratitudine che lei gli rivolse gli fece dimenticare qualsiasi accenno di vergogna per le condizioni misere dell’appartamento. La fissò, cercando di nascondere il dolore che gli provocava vederla così: aveva il viso pallido, tirato e sporco di terra, gli occhi arrossati e i segni delle lacrime sulle guance. I capelli le si erano appiccicati alla fronte. Si era rannicchiata sul letto ad occhi chiusi, come se tutte le forze la avessero abbandonata di colpo.

Le accarezzò una guancia con la punta delle dita per liberarle il viso dai capelli e solo in quel momento si accorse che stava tremando come una foglia. Era ancora  fradicia, doveva metterla al caldo o si sarebbe ammalata.

Attraversò nuovamente la stanza fino ad arrivare all’armadio, dove recuperò la coperta più pesante che aveva. Stava per posargliela addosso, quando una macchia rossa sotto alla gamba di Aerith lo fece inorridire. Non era per il freddo che stava tremando. Le ferite dovevano essersi allargate durante il tragitto e Rahma sapeva bene che se si fossero infettate le possibilità di sopravvivenza di Aerith sarebbero state molto basse.

“Aerith” la chiamò “Aerith, guardami.”

Le iridi verdi della ragazza trovarono le sue. Era a dir poco esausta e lui stava per cucirle una gamba. 

“Devo pulirti le ferite. Almeno quelle più profonde. Dimmi dove ti fa male.”

Lei indicò prima la gamba, poi la spalla sinistra. La manica della felpa che indossava era lacerata e sporca di sangue in più punti. 

“Pensi di riuscire a toglierti i vestiti da sola?”

Aerith annuì.

“Spogliati, io… dovrei avere delle bende da qualche parte. Qui c’è una coperta, cerca di non prendere freddo.”

“Va bene”

Le porse la coperta, poi si alzò e corse in bagno. Iniziò ad aprire uno ad uno i pochi armadietti alla ricerca di qualsiasi cosa potesse essergli utile e tirò un sospiro di sollievo quando in uno di essi trovò una valigetta di pronto soccorso che non aveva mai usato. Al suo interno c’era tutto ciò che gli serviva: aghi sterili, suture, bende, persino dei medicinali.

Tornò in camera dove trovò Aerith seduta sul suo letto che tentava di togliersi la felpa con una mano sola. I pantaloni e gli stivali erano già finiti sul pavimento e le sue gambe erano coperte dal lenzuolo grigio.

Appoggiò la valigetta ai suoi piedi, poi la aiutò a liberarsi di quello che rimaneva dei suoi vestiti. Per fortuna, la canottiera che indossava sotto era rimasta intatta. 

“Pensiamo prima alla gamba, d’accordo?”

Lo sguardo di Aerith divenne subito preoccupato.

“Farà male, vero?”

“Cercherò di fare piano.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire. “Non guardare” disse mentre afferrava un lembo del lenzuolo. 

Quando lo sollevò, gli venne un colpo. Un taglio di almeno dieci centimetri, profondo e ancora sanguinante. Non sarebbe stata una passeggiata. 

Sperando di trovare qualcosa che potesse alleviarle il dolore, Rahma aprì la valigetta ed estrasse i flaconi che contenevano delle pastiglie di colori e forme diverse. Peccato che lui non avesse idea di cosa potessero voler dire i nomi scritti sulle etichette. 

“Aerith, queste sono medicine che conosci? Credo siano per voi umani, ma non le conosco.”

La ragazza li osservò qualche istante.

“Sono antibiotici.”

No, un antibiotico non sarebbe servito a niente in quel momento. Avrebbe dovuto sopportare il dolore. 

Mentre Aerith lo guardava in silenzio, Rahma aprì la confezione degli aghi e preparò l’occorrente per la sutura. Si era ricucito da solo molte volte, ma il suo corpo era più resistente di quello umano di Aerith e quello lo preoccupava. 

Quando fu pronto, passò una garza imbevuta di disinfettante sulla ferita, bloccandosi di colpo quando Aerith trasalì. 

“Scusami, io…”

“Va tutto bene” disse subito lei trattenendo un gemito di dolore. “Non ti preoccupare, resisterò.”

Rahma la fissò per un lungo secondo, poi si decise a ricucire la ferita sulla gamba. Ogni volta che l’ago penetrava la sua pelle Aerith sobbalzava ma non emise un solo lamento, certa che se si fosse lamentata lui non sarebbe riuscito a continuare. Lentamente finì di richiudere tutto il taglio, cercando di essere il più delicato possibile. 

Quando ebbe finito di darle anche l’ultimo punto di sutura, sentì Aerith tirare un profondo sospiro di sollievo. La fronte era imperlata di sudore per il dolore e la pelle del suo viso era a dir poco cadaverica. 

Osservò di nuovo la sua gamba: intorno al taglio la pelle era arrossata e su tutto il resto della coscia si stavano formando dei lividi violacei. La cosa che più lo disgustò però fu vedere il modo in cui le ossa sporgevano dalla pelle dei fianchi. Era terribilmente magra, più di quanto si immaginasse. 

“Rahma?” 

La sua voce lo distolse da quei pensieri e quando si voltò verso di lei, Aerith allungò una mano fino al suo viso fino ad accarezzargli appena la guancia con un accenno di sorriso.

“Guarirà.” disse, quasi gli avesse letto nel pensiero.

Sì, sarebbe guarita ma non abbastanza in fretta per i suoi gusti.

“Devo pulirti le ferite sulla spalla. Riesci a resistere ancora un po’?”

“Credo di si.” 

“Dammi la mano. Se stai seduta farò più in fretta.”

Lei ubbidì e con tutta la delicatezza di cui era capace Rahma la sollevò fino a quando lei non fu in grado di appoggiarsi al muro. 

Per fortuna i tagli che si era procurata erano solo superficiali. Ci avrebbe messo un po’ a disinfettarli tutti, ma non le avrebbe fatto male. Prese un pezzo di garza pulito e vi versò sopra del disinfettante, poi cominciò a tamponare su uno dei graffi più piccoli.

“Da quanto vivi qui?” 

La domanda di Aerith lo prese in contropiede, ma sapeva che prima o poi glielo avrebbe chiesto. 

“Meno di sei mesi.”

“Hai sempre vissuto in questa zona di Avalea?”

Era la prima volta che Aerith si sentiva di porgli domande su argomenti di cui Rahma non aveva mai voluto parlare. In realtà, di lui sapeva ben poco: non aveva idea di come si guadagnasse da vivere, non sapeva niente della sua famiglia e solo ora aveva scoperto dove viveva. 

In condizioni normali sarebbe stato assurdo non sapere niente di una persona che conosceva da quasi tutta la vita, ma la guerra le aveva insegnato in fretta quanto potessero essere pericolose le informazioni. Che fossero umani o xenon, nessuno di tutti coloro che erano stati accusati di essere a contatto con il nemico era mai tornato vivo a casa.

Rahma correva un serio pericolo per colpa sua, ma anche Aerith non era al sicuro. 

Un’accusa di tradimento sarebbe stata una condanna a morte certa, ma se qualcuno la avesse scoperta, voleva essere sicura di non poter rivelare niente su Rahma. Il fatto che lei fosse in casa sua però, cambiava tutto. Se c’era una cosa che sapeva bene dello xenon, era proprio il fatto che fosse solo. Solo come lo era lei in quel momento. Non avevano bisogno di dirlo ad alta voce, ma entrambi sapevano che la loro sopravvivenza dipendeva da quanto sarebbero stati in grado di fidarsi l’uno dell’altra e di proteggersi a vicenda, ora più che mai.

“Non rimango a lungo nello stesso posto. All’inizio vivevo nelle periferie della zona xenon. Poi ho deciso di venire qui. E’ uno dei punti più pericolosi della città, ma chiunque decida di venire a vivere qui è disposto a correre il rischio pur di diventare invisibile.” 

Aerith lo osservò con la coda dell’occhio mentre parlava. Il ragazzo aveva lo sguardo rivolto sulle ferite e sentiva le sue dita sfiorarle leggere la pelle. Era rimasta stupita da quanto potesse essere delicato il tocco dello xenon.

“Per me però rimane più rischioso che qualcuno mi trovi rispetto alla possibilità di finire in mezzo ad una battaglia.”

In effetti, aveva capito tempo prima che Rahma aveva ben poca paura delle battaglie, ma solo mettendo insieme una serie di piccoli dettagli era arrivata a capire che la sua sicurezza era dovuta alla consapevolezza di essere abbastanza forte da potersela cavare anche in situazioni molto pericolose.

Gli xenon erano più forti degli umani, ma non erano tutti uguali: alcuni avevano una notevole superiorità fisica, i sensi erano più sviluppati. Alcuni, come Rahma, volavano. Era passato molto tempo da quando aveva visto degli xenon oltre a lui, ma la stazza del ragazzo era un indizio più che valido del fatto che probabilmente non avrebbe avuto problemi a sostenere uno scontro. 

“Hai così paura che ti scoprano per cosa? Nessuno sa di noi.”

“Così sembrerebbe.”

“Non è un no. Se qualcuno ti ha visto…”

“Nessuno mi ha visto con te. Mai. Ma ci sono altri motivi per cui qualcuno potrebbe cercarmi: non vedo la mia famiglia da anni, ma ciò non vuol dire che non sarebbero capaci di denunciarmi se capitasse l’occasione” spiegò a denti stretti.

“Perchè mai i tuoi genitori dovrebbero denunciarti?”

“Me ne sono andato di casa prima che la guerra cominciasse. Non era ancora proibito frequentare gli umani, il fatto che non lo vedessero di buon occhio non vuol dire che non sapessero di te. Per quel che ne sanno potrei essere morto, come potresti esserlo tu. Ma non posso permettermi di stare tranquillo.”

Aerith rimuginò per qualche secondo su quella frase. Era una mezza verità, ma era meglio di niente.

“Non me lo avevi mai detto”

Rahma non rispose subito a quella frase e Aerith rimase sulle spine fino a quando il ragazzo non aprì bocca di nuovo.

“Ti avrei persa, se lo avessi saputo.”

Fino alla fine, insieme. Ricordi? Quella promessa l’ho fatta anch’io.”

“La avresti infranta se avessi pensato di essere tu a mettermi in pericolo.”

“Lo faccio, infatti.”

“Come io lo faccio con te.”

Eppure, il fatto di essere in costante pericolo, non era mai stato una motivazione sufficiente a spingerli a dirsi addio. Perché entrambi erano consapevoli che in qualche modo, uno era l’àncora dell’altro. Così diversi e così simili allo stesso tempo. Due persone che non avevano mai trovato il loro posto in quel mondo così violento ma che in qualche modo si erano trovate a percorrere la stessa strada. Una strada che ora stava prendendo una piega che li avrebbe messi alla prova entrambi.

“Ho finito.” disse improvvisamente Rahma buttando via il cotone ormai pregno di sangue con cui le aveva disinfettato le ferite. “Devo solo fasciarti la spalla ora. Non credo sia lussata, ma meglio se la tieni ferma qualche giorno per sicurezza.”

Aerith lo lasciò fare. Le venne spontaneo chiedersi dove avesse imparato tutte quelle cose, ma non era il momento per certe domande. Avrebbero avuto molto tempo da quel giorno, realizzò Aerith solo in quel momento: non sarebbe tornata a casa, perchè non aveva più una casa ne una famiglia. 

Era… sola. 

La sua mente tornò alle immagini della sua casa in fiamme, del fumo e delle macerie e la realtà la colpì come una lama affilata e Aerith si obbligò a riportare la sua attenzione su Rahma: le sue mani, con gli strani simboli neri sopra di esse. I capelli castani lunghi fino alle spalle, l’accenno di barba sulla mascella. Il ragazzo che le aveva salvato la vita quella notte e che ora le stava curando le ferite. Non poteva credere che ormai fosse la sola persona che le era rimasta. 

Avrebbe avuto bisogno di lui più che mai, perché in cuor suo sapeva che era l’unica persona che sarebbe stata in grado riempire il vuoto che si stava formando dentro di lei e forse avrebbe anche potuto placare il dolore che lei stava inutilmente tentando di ignorare. 

Il dolore a causa del quale le lacrime avevano ricominciato a scorrere sul suo viso. 

“Ecco fatto, ora dovrebbe guarire in..” Rahma non terminò la frase quando si accorse che Aerith stava piangendo. Il suo corpo era di nuovo scosso dai singhiozzi e la ragazza stava stringendo il lenzuolo sottile con cui la aveva coperta come a cercare di scaldarsi dal gelo che sentiva dentro in quel momento. Un gelo da cui nemmeno lui avrebbe potuto liberarla. 

Il dolore che probabilmente aveva cercato di ignorare fino a quel momento doveva essere esploso, facendo breccia nell’autocontrollo ferreo di Aerith.

“Rahma... io.. per favore…” lo stava guardando implorante, incapace di parlare a causa dei singhiozzi. 

Lui capì. Prese la coperta che aveva appoggiato ai piedi del letto e gliela mise sulle spalle, dopodiché la abbracciò e lascio che lei si sfogasse. La avrebbe consolata per tutto il tempo necessario e le sarebbe stato vicino finché lei ne avesse avuto bisogno. Sarebbe stata una notte lunga per Aerith, ma lui non la avrebbe mai abbandonata.

Ora più che mai avevano bisogno di essere vicini. 

La sentì accoccolarsi contro di lui, rannicchiandosi quasi a volersi proteggere dal mondo esterno. Avrebbe fatto di tutto per non vederla soffrire così, anche a costo di soffrire al posto suo. La fece sdraiare accanto a lui e le cinse i fianchi con un braccio, mentre con l’altro le accarezzava i capelli. 

Non la lasciò mai, nemmeno per un solo istante. Ogni tanto sentiva i singhiozzi placarsi quando il sonno e la stanchezza prendevano il sopravvento, ma dopo poco tempo Aerith si risvegliava gridando in preda agli incubi. E ogni volta, lui era lì, pronto ad accoglierla tra le sue braccia.

Fu una notte che sembrò non finire mai, ma alla fine entrambi si addormentarono ancora abbracciati alle prime luci dell’alba.

Quello che sarebbe successo da lì in poi era per entrambi un mistero, ma per qualche ora avrebbero avuto bisogno di rimanere in silenzio e al sicuro in quel piccolo angolo di mondo dove la guerra non sarebbe potuta entrare. 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** III: Stay ***


III. 

Aerith aprì gli occhi molto tempo dopo, quando un raggio di sole che penetrava  da uno spiraglio di luce proveniente dalla finestra si posò proprio sul suo viso.

Sentiva la pelle del volto tirare e gli occhi le bruciavano per le lacrime versate quella notte. Nonostante le ore di sonno si sentiva esausta. Aveva male alla spalla e la profonda ferita alla gamba pulsava sotto la benda con cui Rahma la aveva fasciata. 

Si era obbligata a relegare il pensiero di ciò che era successo la sera prima in un angolo della sua mente, promettendosi di non ricominciare a piangere. Le lacrime non avrebbero riportato in vita i suoi genitori e le urla non avrebbero cancellato l’accaduto. Avrebbe pianto, ma non in quel momento. Non mentre il nemico era ancora lì fuori ad attenderla.

Eppure, nonostante oltre quelle quattro mura la guerra stesse ancora mietendo le sue vittime, una strana calma aveva preso il sopravvento su di lei. Solo non avrebbe saputo dire se si trattasse di una sorta di rassegnazione o se il dolore e la stanchezza le stessero giocando dei brutti scherzi. 

Si sentiva diversa, come se qualcuno le avesse completamente svuotato il cervello. Persino le cose intorno a lei sembravano diverse. 

Il primo dettaglio che attirò la sua attenzione furono i raggi di sole che battevano sulla parete di fronte alla finestra inondando la stanza di una luce rossastra. Doveva essere l’alba…oppure il tramonto. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando erano entrati in quella casa, ma non era un dettaglio che le interessava scoprire proprio in quel momento.

Approfittando della luce osservò la camera dove si trovava: le pareti spoglie, il piccolo armadio e il comodino. Rahma le aveva detto che non rimaneva mai molto tempo nello stesso luogo ed evidentemente non sentiva la necessità di curare l’arredamento di casa. 

Eppure, quel posto sapeva di lui: per quanto spoglia, quella casa era accogliente quanto i suoi abbracci e la felpa che le aveva messo addosso per coprirla durante la notte aveva il suo profumo.

La aveva veramente tenuta stretta a se tutta la notte: il suo braccio le stava ancora stringendo la vita e si era addormentato con la fronte appoggiata alla sua schiena, con i capelli che le solleticavano piacevolmente la pelle.

Si girò lentamente, facendo attenzione a non svegliarlo, e lo osservò mentre dormiva. 

Era bello, lo era sempre stato: i capelli castani, appena ondulati e lunghi che gli coprivano il viso. Gli zigomi alti, la linea del naso, le labbra carnose e la mascella squadrata su cui intravedeva un accenno di barba. 

Con il suo metro e novanta di altezza era a dir poco enorme in confronto a lei e i muscoli possenti delle sue braccia erano ben visibili sotto la pelle pallida e tesa. Il suo sguardo si spostò sulle sue mani, dove le spesse linee nere che ne coprivano il dorso spiccavano prepotentemente. Prima o poi le sarebbe piaciuto sapere che cosa volessero dire e forse Rahma si sarebbe fidato abbastanza da rivelarglielo.

 

Con delicatezza, Aerith sfiorò la mano dello xenon. C’erano dei calli che non aveva mai notato e anche delle cicatrici sottilissime che vedeva per la prima volta in quel momento. Erano sottili, piccole increspature leggermente più chiare della sua pelle. Osservando meglio, si accorse che ricoprivano quasi tutto il braccio. Quando se le era fatte? Le sue dita risalirono fino a sfiorarle: le sentiva chiaramente sotto ai polpastrelli. Come aveva fatto a non notarle prima? 

 

Persa nelle sue riflessioni, si accorse appena che il respiro di Rahma era cambiato e solo quando lo senti muoversi si rese conto che doveva essersi svegliato.

Si voltò appena per poterlo osservare in viso mentre lui si sfregava gli occhi con la mano libera. Le sue iridi grigie colpite dalla luce rossastra del sole erano di un colore incredibile e Aerith vi si perse dentro per un istante quando i loro occhi si incontrarono. 

“Ciao.” sussurrò appena, ancora leggermente addormentato.

“Ciao.” 

“Sei sveglia da tanto?”

“Qualche minuto.”

Rahma annuì in silenzio mentre i suoi occhi osservavano un punto indefinito oltre la finestra.

“Abbiamo dormito molto, il sole sta tramontando.” constatò “Sei riuscita a riposare un po’?”

Lei annuì, poi sorprese entrambi, abbracciandolo e posando la testa contro la sua spalla. Rahma ricambiò l’abbraccio stupito: raramente aveva visto Aerith lasciarsi andare a gesti simili.

“Grazie.” 

“Di niente. Lo rifarei sempre se servisse a farti stare meglio…”  

“Non mi riferivo solo a questa notte Rahma.” lo interruppe Aerith “mi riferisco a tutte le volte che mi sei stato vicino, a tutte le volte che hai rischiato qualsiasi cosa per colpa mia, a tutto quello a cui hai rinunciato… ci sei sempre stato per me e io non ti ho mai dato niente in cambio. E sarò egoista ma non voglio rinunciare a te. Non ora. Sei l’unica persona che mi rimane.” 

Rahma la fissò confuso: quelle parole lo avevano preso in contropiede. 

Il loro rapporto era sempre stato molto diverso da quello di chiunque altro: la consapevolezza di avere bisogno l’uno dell’altra pur sapendo dell’enorme pericolo che ciò avrebbe comportato. La fiducia estrema tra di loro, nonostante le mille domande e le spiegazioni mai date. Entrambi sapevano poco e niente dell’altro, ma si conoscevano meglio di quanto un estraneo potesse pensare: solo guardandola, Rahma avrebbe saputo distinguere le emozioni che provava. Sentiva il suo cuore accelerare per la paura, distingueva la cadenza del suo respiro e i silenzi tra le parole. Aerith era come un libro aperto per lui e quel modo così unico di comprendersi era ricambiato.

Era vero che Rahma avesse rinunciato alla sua famiglia per lei, anche se non glielo aveva mai detto esplicitamente, ma Aerith non aveva forse fatto la stessa cosa? Si era sempre preoccupata di essere un pericolo per lui, dimenticandosi che non era l’unico a rischiare la vita se qualcuno li avesse scoperti. 

A differenza sua però, Rahma sarebbe stato in grado di difendersi. Aerith no ed entrambi ne erano consapevoli: la sera precedente non era stata la prima volta che aveva deciso di seguirla dall’alto mentre tornava a casa, dopo che si erano visti in uno dei loro incontri clandestini che ormai andavano avanti da qualche anno.

Quando la guerra era cominciata, si erano giurati di non perdersi mai e per i primi tempi erano riusciti a comunicare con lettere nascoste in punti dove entrambi sapevano che nessuno le avrebbe mai trovate a parte loro. Poi, un giorno, Aerith gli aveva scritto di quanto fosse disperata la situazione per gli umani: mancavano cibo, medicine, beni di prima necessità. 

Era stato quello a spingere Rahma a chiederle di rivedersi: era riuscito a portarle uno zaino pieno di cibo e medicine umane. Ricordava ancora il modo in cui Aerith era scoppiata a piangere quando lo aveva visto dopo quasi due anni di flebili parole scritte su pezzi di carta, parole così leggere da perdersi nel vento eppure così forti da essere diventate il loro unico appiglio. Ricordava ancora la meravigliosa sensazione che aveva provato quando la aveva stretta tra le sue braccia dopo tutto quel tempo in cui l’unica cosa a cui si era aggrappato era il ricordo di lei. Erano ancora piccoli allora, ma non abbastanza per non sapere che non sarebbero riusciti a dirsi addio nuovamente. 

Non avrebbe mai immaginato però che cinque anni dopo si sarebbe trovato di nuovo nella situazione di doverle salvare la vita da quella guerra folle, in una situazione ben più tragica di ogni scenario a cui era riuscito a pensare.

Una guerra che ora li avrebbe costretti entrambi a stringere i denti ancora di più se volevano sopravvivere.

Ma ora non erano più dei ragazzini: Aerith aveva ventidue anni, Rahma venticinque. Erano rimasti soli troppo presto, ma erano insieme ed entrambi sapevano che finché avessero potuto contare l’uno sull’altra ci sarebbe stata speranza per loro.

Qualcuno avrebbe chiamato amore quel sentimento che scorreva tra di loro e non avrebbe avuto torto anche se per entrambi però era qualcosa di molto diverso: era la consapevolezza che in qualche modo sarebbero sempre riusciti a trovarsi. La consapevolezza di essere legati da qualcosa che nemmeno loro erano mai stati in grado di comprendere davvero. 

Non aveva mai provato per chiunque altro il sentimento che provava per Aerith, ma la dura realtà era che non potevano permettersi certe fantasie. Erano diversi, troppo. I marchi sulle sue mani glielo ricordavano ogni giorno.

“Mi hai salvato più volte di quanto credi, Aerith. Non sono solo i proiettili a fare male.” sussurrò “Non sei un peso per me, non lo sei mai stata. Farei per te tutto quello che tu faresti per me.” 

Aerith sorrise a quell’affermazione. Lei non era forte: non sapeva combattere, non poteva volare, non si sarebbe nemmeno mai sognata di toccare un’arma. Ma se c’era una persona per cui avrebbe dato la vita, quella era Rahma.

Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto. Avevano bisogno di godersi quegli istanti di calma apparente, perchè prima o poi avrebbero dovuto affrontare il mondo.

Fu solo dopo un po’ che Aerith si ricordò del particolare che prima aveva attirato la sua attenzione.

“Rahma, da quanto hai quelle cicatrici sul braccio?” chiese, senza neanche voltare la testa verso di lui. 

“Da anni credo. Non mi ricordo nemmeno quando me le sono fatte.”

“Non le avevo mai notate.”  

“A dire il vero non pensavo fossi in grado di vederle.”

“Guarda che non sono una talpa solo perchè non vedo una mosca a cento metri di distanza.” Disse Aerith inarcando un sopracciglio. Sapeva bene quanto i sensi dello xenon fossero molto più sviluppati dei suoi e più volte si era trovata ad invidiare quelle caratteristiche strepitose che contraddistinguevano la sua razza. 

“Vi perdete molti dettagli fondamentali.”

“A chiunque piacerebbe una vista come la vostra, non credi?”

“Non centra la vista. Io penso che voi non vediate solo perché non volete vedere: te ne sei accorta da sola di queste cicatrici, solo perchè ci hai fatto attenzione. Probabilmente se avessi osservato meglio te ne saresti accorta molto prima, no? Stessa cosa vale per l’udito. Non sapete ascoltare. Se i nostri sensi sono molto più sviluppati dei vostri è solo perché voi non vi siete mai impegnati per affinarli. E non parlo di tecnologia, su quella ci avete lavorato fin troppo. Parlo del fatto che pretendiate di vedere cosa c’è al di la del cielo ma non riuscite neanche a vedere i colori dell’alba. Forse è questa l’unica vera differenza tra il mio popolo e il tuo. Anziché lavorare su ciò che avete per natura, vorreste poter fare tutto ciò per cui la natura non vi ha creati.” spiegò “Non so come fossero i nostri antenati, ma il nostro sangue non è così diverso dal vostro. Probabilmente sono solo stati più bravi a sfruttare tutte le potenzialità del nostro corpo.”

Aerith lo fissò senza parole. Avrebbe voluto ribattere, ma Rahma aveva ragione. 

Gli xenon non avevano sempre abitato quel pianeta, anche se i tempi in cui erano arrivati erano talmente remoti che non ne esisteva memoria se non qualche leggenda che gli xenon stessi usavano tramandare. 

Erano un popolo arrivato dal cielo in cerca di una casa. Nessuno sapeva da dove venissero, ne quanto tempo fosse passato dal loro arrivo. Alcuni dubitavano persino che quella leggenda fosse vera, anche se ad Aerith sarebbe piaciuto saperlo. 

Sempre secondo le storie antiche, in quei secoli di pace gli umani avevano offerto loro case, riparo e un nuovo punto di partenza. Gli xenon in cambio avevano messo a disposizione tutta la loro conoscenza, le loro tecnologie, le medicine. 

Si narrava che i primi xenon fossero molto diversi da loro: forti, capaci di volare, persino in grado di spostare gli oggetti con il pensiero. Con il tempo molte di quelle caratteristiche erano andate perse ma gli xenon erano rimasti comunque più forti degli umani. 

I due popoli erano vissuti in pace per millenni, fino a quando una guerra durata quasi cent’anni aveva sconvolto il mondo intero, portandolo quasi alla distruzione. Solo dopo milioni di vittime e due fazioni che non riuscivano a prevalere l’una sull’altra si era arrivati ad una resa e ad una pace precaria durata quasi cinquecento anni.

 

Ma quell’armistizio carico di tensioni non era stato destinato ad essere eterno.

 

La pace si era bruscamente interrotta sette anni prima, quando il misterioso nuovo capo del governo xenon, arrivato al potere in pochissimo tempo, aveva attaccato il Palazzo del Popolo di Avalea, baluardo della cultura umana. 

 

Quello era stato l’inizio della fine. 

Gli attacchi erano diventati sempre più frequenti e distruttivi, le armi dei loro nemici sempre più forti e il terreno a disposizione degli Xenon sempre più vasto. 

Quello che era rimasto dei governi umani si era unito tre anni prima nell’ente governativo meglio noto a chiunque come l’Organizzazione, con sede in uno dei tanti Palazzi di Giustizia che erano stati costruiti nelle varie parti del Continente dopo la prima guerra. 

Nessuno sapeva di preciso in quale di questi si riunissero. La segretezza era l’unico modo per evitare un attacco a tutto ciò che rimaneva delle difese umane, ma un governo lontano dalla popolazione aveva avuto degli effetti devastanti sui civili. 

Le perdite umane erano state altissime fin da subito, quando chiunque si era accorto dell’enorme superiorità della fazione nemica, e tutti gli scienziati più importanti del pianeta collaboravano nel disperato tentativo di trovare qualche arma in grado di aiutare i loro soldati a tenere duro. 

Nonostante tutti i loro sforzi però gli Xenon sembravano essere sempre un passo avanti a loro. 

Erano mesi ormai che i civili avevano perso qualsiasi notizia di cosa stesse facendo il governo. Le uniche informazioni che ancora giravano tra la popolazione erano il numero di morti dopo le battaglie e alcuni sporadici aggiornamenti sulle zone sicure, i rifornimenti di provviste e le cure di primo soccorso. A dire il vero Aerith non aveva idea di cosa fosse successo al di fuori di Avalea negli ultimi due anni. 

Quello che però sapeva bene era che la speranza del suo popolo si stava lentamente spegnendo. Non servivano mezzi di comunicazione per vedere che sempre meno soldati tornavano a casa e l’attacco della sera precedente era stato soltanto l’ennesimo bombardamento sulla popolazione, il terzo avvenuto sulla parte umana di Avalea in meno di un mese.

Quei bombardamenti erano un chiaro segno si come la guerra fosse destinata a non durare ancora molto: per anni gli xenon avevano evitato di attaccare posti dove avrebbero potuto trovarsi anche loro soldati, ma quella che era appena cominciato era la resa dei conti finale e i nemici sembravano pronti a sacrificare anche i loro combattenti pur di vincere. 

Che ne sarebbe stato di lei se gli xenon avessero avuto la meglio?

Aerith chiuse gli occhi, lasciando che una lacrima solitaria le scivolasse sulla guancia. Non si preoccupò che Rahma potesse vederla e subito la mano del ragazzo fu sulla sua spalla.

“Scusa, non volevo farti piangere. Non avrei dovuto dire quelle cose.” disse, pentendosi immediatamente di aver detto parole che avrebbero potuto rafforzare l’idea che ormai per lei non ci fosse più speranza. 

 

“No, Rahma, non è quello che hai detto che mi rattrista, era solo la verità. Ho paura. Ho paura di quello che potrebbe succedere se mettessi piede fuori da qui, se qualcuno ci vedesse insieme, di cosa ne sarà di me quando questa guerra finirà.” 

“Hai paura di morire. Tutti la abbiamo. Ma sai che non permetterei a nessuno di farti del male.”

“Hai così tanta voglia di morire per me?”

Avrebbe avuto senso vivere in un mondo dove mancava lei? Ci aveva pensato molte volte e la risposta a quella domanda non era mai stata affermativa.

“Preferiresti sapermi vivo in un mondo comandato da un pazzo?”

“E’ pur sempre vita.”

“Una vita senza amore non vale la pena di essere vissuta.”

Aerith ammutolì a quella risposta. Era sorpresa, non tanto per le parole che Rahma aveva appena pronunciato, quanto per il fatto che lei avrebbe dato la stessa risposta se qualcuno le avesse fatto la domanda che lei aveva appena posto a Rahma. 

Un sorriso amaro si aprì sul suo viso. Rahma non era solo più forte, era anche più coraggioso. Abbastanza da sfidare chiunque pur di non nascondersi e non perderla. Poteva non essere un soldato, ma anche lui stava combattendo quella guerra rischiando qualsiasi cosa. 

Perchè lui a differenza sua sperava ancora in un futuro dove entrambi sarebbero stati felici. 

Insieme, forse.

Ma Aerith non poteva permettersi quella speranza, non se la posta in gioco era lui. Se lo era promessa sette anni prima, quando in silenzio aveva messo una clausola a quel “insieme, qualsiasi cosa succeda”. Per lei quella promessa sarebbe caduta nel momento in cui proteggerla sarebbe diventata una missione suicida, a costo di non rivederlo mai più.

Sapeva benissimo che vivere senza di lei per Rahma sarebbe stato peggio che morire. Lo sapeva perchè sarebbe stato lo stesso per lei, anche se si rifiutava di dirlo a voce alta. 

“Aerith.” la sua voce la richiamò alla realtà. “Dobbiamo alzarci. Devi mangiare e devo controllarti le fasciature.”

Lei annuì e non esitò ad afferrare la mano che lui le porse per aiutarla a mettersi a sedere. 

Quando provò ad alzarsi però non riuscì a trattenere una smorfia di dolore. La ferita al fianco le stava ricordando prepotentemente la sua presenza, tanto da impedirle di rimettersi in piedi.

“Non ti muovere. Torno subito.”

Rahma scomparve oltre la porta che separava la camera dal soggiorno minuscolo dove Aerith aveva intravisto la sera prima dei fornelli e un frigorifero. Lo sentì armeggiare con degli armadietti e quando tornò aveva in mano un piatto con della frutta e quello che doveva essere pane.

“Non mi è rimasto molto in casa.”

“Non importa. Va bene comunque.”

“Andrebbe bene se non riuscissi a contare le tue costole. Speravo che il cibo che ti portavo fosse  sufficiente.”

Lei abbassò lo sguardo.

“Lo era fino a qualche tempo fa. Poi le razioni per i civili sono diminuite.”

“Dovevi dirmelo.”

“Mi era già abbastanza difficile giustificare dove avessi trovato quello che mi portavi tu.” rispose Aerith fissandolo di sbieco. Rahma scosse la testa.

“Hai ragione, scusa.” disse “Ti hanno mai fatto domande?”

“Non più di quelle che io ho fatto a te sulla provenienza delle medicine umane che mi portavi.” rispose con un’espressione che Rahma non riuscì a decifrare. “Anche se mi piacerebbe davvero sapere per quale motivo tu riesci a reperire degli antibiotici e i nostri ospedali sembrano essere incapaci di curare una banalissima febbre.” 

“Basta sapere dove cercarle e a chi chiedere.” 

La risposta di Rahma era troppo evasiva per suoi gusti, ma Aerith decise di farsela bastare quando si accorse della tensione nello sguardo dello xenon. Stava sfiorando quella linea sottile tra ciò che Rahma poteva e quello che voleva dirle. 

“Dovrai iniziare a fidarti di più, prima o poi.” 

“Non vedo l’ora del giorno in cui non dovrò più avere segreti con te.” disse avvicinandosi a lei. Con delicatezza sollevò la benda con cui le aveva avvolto la gamba. Era impregnata di sangue, ma il taglio sotto di essa aveva smesso di sanguinare e aveva un aspetto decisamente migliore della sera prima.

“Pensi che ci metterà molto a guarire?”

“Se stai a riposo, forse una settimana. Era molto profondo.”

Un’ombra oscurò il viso di Aerith.

“Dovrò rimanere qui fino ad allora.”

Rahma parve confuso a quell’affermazione. Aveva forse pensato di potersene andare in quelle condizioni?

“Beh mi pareva ovvio. Dove altro dovresti stare?” chiese “Oh, giusto, avrai qualcuno che ti sta cercando dopo ieri sera.”

“No, io… non ho parenti o altre persone che potrebbero pensare che sia sopravvissuta ma Rahma, io non potrò rimanere qui per sempre.”

“Aerith che stai dicendo? Certo che puoi rimanere qui. A meno che tu non abbia qualcuno che ti ospiti, scordati che io ti permetta di andare via. Non sarò sempre così fortunato da poterti salvare al momento giusto.” il tono della sua voce era diventato più duro, un silenzioso monito intriso di paura: non la avrebbe lasciata andare questa volta.

“E pensi mai a chi potrebbe salvare te se qualcuno mi vedesse qui?” ribatté Aerith infervorata. “Cosa dovrei fare, chiudermi qui dentro finché la guerra non finisce sperando che nessuno ci scopra?”

La mascella di Rahma era tesa per la rabbia. Odiava la testardaggine di Aerith.

“Smettila di preoccuparti per me. Mi nascondo da sette anni, so quello che faccio. E si, Aerith, tu rimarrai qui con me finché questa dannata guerra non finisce, a costo di doverti legare al letto.” 

Aerith sgranò gli occhi. Non aveva mai visto Rahma arrabbiato e duro come in quel momento, ma ciò non le impedì di rispondergli a tono.

“Lo capisci che non potrai sempre nasconderti per me? Cosa vuoi fare, continuare a vivere come un animale in trappola per il resto della tua vita? Non ti permetterò di farlo. Sai meglio di me che se la guerra dovesse finire in vostro favore il vostro capo ti farà uccidere. Non ti permetterò di suicidarti per…”

“Dannazione Aerith, ma lo capisci che a me non importa niente di vivere se tu sei due metri sotto terra? Che mondo pensi che sarebbe per me?” Urlò in preda alla rabbia. Poi, quasi come se si fosse pentito di aver alzato la voce, si sfregò le tempie con entrambe le mani nel tentativo di calmarsi. “Non ho più niente, a parte la speranza. Se tu te ne vai, io vengo via con te.” 

Fu Aerith ad alzarsi dopo aver udito quelle parole e ignorando il dolore al fianco si avvicinò a lui.

“Dì ancora una volta una cosa del genere e giuro che me ne vado.” Disse con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. “Sei tu a non capire. Sei tu a non renderti conto che se ancora credo ancora che esista una minima possibilità di poter essere felice è perchè so che da qualche parte in questo mondo orrendo ci sei tu. Mi hai sempre detto di non arrendermi, ma ora sei tu che la stai dando vinta a tutti loro. Se tu non ci sei, io non ho più niente in cui sperare.”

Lui la fissò con uno sguardo indecifrabile per qualche istante, mentre le sue mani sfioravano il viso di Aerith.

Vederla in lacrime gli spezzava il cuore.

“Aerith io ti…”

“No.” Lei scosse la testa come a volersi liberare dalla parola che lui non aveva fatto in tempo a pronunciare. “Non dirlo. Non dirlo per favore.”

“E’ così assurdo?” le domandò allentando la presa con cui la stava stringendo.

 Aerith si voltò, dandogli le spalle.

“E’ assurdo. E sbagliato. Lo sai anche tu.” 

La voce di Aerith era debole come le sue parole e Rahma se ne accorse. 

“Cosa c’è di sbagliato? Va bene salvarti la vita quando hai bisogno, farti stare a casa mia, vedersi di nascosto per sette anni, ma non va bene l’essermi innamorato di te?” disse alzando la voce. “Come se tu non lo fossi.”

Quell’ultima frase fu la goccia che fece traboccare il vaso. Aerith si voltò nuovamente verso di lui con la rabbia e il dolore negli occhi.

“Hai così bisogno di sentirtelo dire per crederci? Allora si, ti amo Rahma. Ti amo da così tanto tempo che non riesco nemmeno a ricordarlo. Ti amo abbastanza da fidarmi di te nonostante io non sappia che altro tu abbia fatto in questi sette anni a parte portarmi cibo!” Gridò mentre le lacrime iniziavano di nuovo a rigarle il viso, sfuggendo al suo ormai inesistente autocontrollo. “Ma per quanto io possa amarti, questo non cambia il fatto che io e te apparteniamo a due popolo in guerra e che non possiamo stare insieme se la posta in gioco è la vita di entrambi.”

“Che cosa vale tutto quello che abbiamo passato se non posso nemmeno dirti che ti amo?” sussurrò Rahma senza distogliere lo sguardo ad Aerith. “A che cosa sono serviti sette anni di sofferenze? Dammi una risposta, ti prego. Perchè io non riesco a trovarne una.” 

“Ma non capisci? Rahma, ti conosco meglio di chiunque altro, ti conosco abbastanza da sapere che saresti capace di fare cose folli per una causa persa. Questa guerra non è destinata a finire con un armistizio, è destinata a finire con una strage. Nessuno si fermerà. Tutto ciò che ci rimane è sperare, ma non ti permetterò di guardarmi morire. Sai che non potremo nasconderci per sempre, non c’è un posto dove possiamo stare insieme. Possiamo solo pregare in un miracolo.”

Rahma scosse la testa.

“Non li lascerò vincere così. Non lascerò che mi portino via te.”

Rahma non poteva crederci. Erano davvero arrivati a questo punto? Avrebbe voluto semplicemente prenderle il viso tra le mani e baciarla, farle capire che non le importava niente. 

Ma sapeva che non avrebbe avuto nessun diritto di farlo. 

Si prese la testa tra le mani quasi come a voler mandare via quel pensiero, ma non servì a niente. Sentiva la rabbia bruciargli nel petto, divorarlo dall’interno. 

In preda all’istinto si voltò di scatto tirando un pugno al muro e Aerith trattenne il respiro quando vide la sua mano affondare dentro il cemento, come se questo non avesse avuto una consistenza solida. 

Quando alzò di nuovo lo sguardo, Rahma vide il terrore negli occhi di Aerith. Aveva appena fatto un altro passo falso: vedere quel gesto le aveva tolto il fiato. Le aveva ricordato che per quanto potesse volergli bene, lui era comunque un suo nemico. Il nemico che le aveva appena detto di amarla. 

Rahma spostò la mano dal buco che aveva fatto nel muro. Aveva sentito il respiro di Aerith fermarsi per qualche secondo. Per anni aveva cercato di nasconderle la sua vera forza, probabilmente perché sapeva che essere a conoscenza di cosa avrebbe potuto fare la avrebbe spaventata a morte. 

Così come la avrebbe spaventata sapere che quello era niente in confronto a ciò di cui sarebbe stato capace o conoscere il significato dei disegni che portava sulle mani. Quelle incisioni sulla pelle che erano diventate la sua condanna, il simbolo di una famiglia che lui avrebbe rifiutato volentieri. 

Aerith nel frattempo aveva fatto qualche passo indietro, fino ad arrivare con le spalle al muro. Il suo cervello aveva già inconsapevolmente iniziato a cercare vie di fuga, quasi a prendersi gioco del suo cuore che invece le urlava che quello era sempre il Rahma che conosceva, quello che la aveva accudita quella notte e che aveva accolto le sue lacrime. Avrebbe voluto avvicinarsi, abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene, ma per qualche strano motivo, aveva paura di lui. 

Rimase a fissarlo immobile e Rahma si sentì sconfitto.

Si girò lentamente, e senza guardarla mai negli occhi si diresse verso l’armadio da cui tirò fuori una felpa nera che indossò. Poi, sempre senza guardarla, si diresse verso la porta. 

“Se hai fame, c’è qualcosa nell’armadio in cucina. Io non starò via per molto, ma tu ricordati di tenere chiuse le finestre e di non rispondere al telefono” 

Attese fino a quando Aerith annuì, poi si diresse verso la porta d’ingresso dell’appartamento e uscì.

Prima di avviarsi verso le scale, inserì la chiave nella toppa e la fece girare due volte.

Gli dispiaceva farla sentire imprigionata, ma chiuderlo dentro era l’unico modo per essere certo che lei fosse al sicuro.

Cercando di calmarsi, cominciò a salire le scale fino ad arrivare al tetto del palazzo, proprio nello stesso punto dove la notte prima era atterrato con Aerith in braccio.

Il sole ormai basso aveva colorato il cielo di Avalea di un rosso incredibile e le ombre dei palazzi ormai in disuso creavano uno spettacolo tetro ma tremendamente affascinante. 

Avalea era stata la città più bella del mondo un tempo. Ora era solo l’eco di qualcosa che non esisteva più.

Rahma chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Non si sarebbe spostato in volo questa volta: era ancora giorno e preferiva evitare che qualcuno riferisse di aver visto uno xenon volante sopra il proprio tetto. 

Per sua fortuna però, disponeva di un mezzo molto più rapido, di cui nemmeno Aerith era a conoscenza: era uno dei pochissimi xenon rimasti in grado di smaterializzarsi. Un processo simile a quello che gli umani chiamavano teletrasporto che gli aveva consentito di spostarsi per anni senza che nessuno lo scoprisse.

Ad occhi chiusi visualizzò il luogo dove doveva arrivare e lasciò che il suo corpo si dissolvesse nell’aria. Quando i suoi piedi toccarono terra nuovamente riaprì gli occhi: il posto dove si trovava era stato usato per anni come parcheggio, fino a quando le macchine non erano quasi completamente sparite dalla circolazione. L’enorme androne in pietra grigia era inondato dalla luce rossa del sole che penetrava dalle finestre rotte e i pilastri creavano dei tetri giochi di ombre. Quel posto puzzava di chiuso e di vecchio, ma il fatto che nessuno vi si avvicinasse lo rendeva un luogo perfetto per Rahma e per molte altre persone che come lui sopravvivevano grazie all’enorme rete di contrabbando sviluppatasi in città.

Anche di quell’aspetto della sua vita Aerith non aveva mai saputo niente. Poteva solo immaginare la sua reazione se lo avesse scoperto e Rahma pregava che quel momento arrivasse il più tardi possibile. 

Non era fiero di ciò che faceva, ma per quale motivo si sarebbe dovuto preoccupare dell’opinione altrui quando quasi tutti i suoi simili si erano macchiati di crimini ben peggiori? 

Lui era un ladro, ma almeno non si era mai sporcato le mani di sangue combattendo in nome di un pazzo.

Aveva cominciato a rubare anni prima, quando la sua famiglia lo aveva cacciato di casa: Rahma era molto più forte della maggior parte, più veloce e più furbo. Ci aveva messo poco ad imparare come contrattare per del cibo in cambio di armi o dei pochi oggetti tecnologici rimasti in circolazione da quando la guerra era iniziata. In un mondo dove le informazioni erano fondamentali, la gente era disposta a pagare a peso d’oro un telefono o un ricevitore radio. 

Aveva imparato dove trovare gli oggetti che i suoi sempre più numerosi clienti necessitavano e aveva iniziato a scambiarli per cibo e medicine, gli stessi che poi portava ad Aerith di nascosto. Il teletrasporto e la capacità di volare si erano rivelati fondamentali per quello era diventato il suo lavoro, così come era fondamentale la sua necessità di non farsi vedere e tantomeno riconoscere. 

Non poteva nascondere di essere uno xenon e chiunque fosse della sua razza non avrebbe avuto bisogno di vedere i suoi marchi per capire che avevano di fronte qualcuno con cui era meglio non litigare, ma quelle linee nere sulle sue mani avrebbero rivelato troppe informazioni su di lui.

E ogni giorno, il rischio che qualcuno scoprisse chi era diventava sempre più concreto.

Era un mondo pericoloso quello dove si era infilato: una parola di troppo poteva voler dire finire sulla lista nera del governo e Rahma sapeva bene quanto fossero bravi a trovare le persone che cercavano. Poteva essere forte, ma non avrebbe avuto molte speranze di cavarsela se l’esercito lo avesse messo nella lista dei ricercati. Ancora meno ne avrebbe avute di salvare Aerith, se fosse arrivato ad esporsi così tanto.

Guardandosi intorno un’ultima volta per essere certo che non ci fosse nessuno nei dintorni Rahma si infilò un paio di spessi guanti neri e si coprì il viso con il cappuccio nero della felpa che indossava, poi cominciò a camminare verso il lato opposto del parcheggio.

Quel luogo era nella periferia nord di Avalea, uno dei posti meno esposti ai combattimenti della zona xenon di Avalea. Era lontano dalla zona rossa e soprattutto lontano dai soldati. Era abitata solo dai civili e di certo nessuno di loro sarebbe stato così incosciente da uscire dalla zona sicura per arrivare nella parte abbandonata.

Quei vecchi capannoni disabitati erano il principale punto di accesso ad un mondo sotterraneo di cui pochissimi conoscevano l’esistenza. Miglia e miglia di cunicoli sotterranei diramati sotto tutta Avalea. La popolazione si preoccupava della guerra, ignara che sotto i loro piedi ogni giorno passavano migliaia di casse colme di merce da contrabbando. Lì sotto c’erano più medicine e beni di primo soccorso di quanti ne fossero rimasti negli ospedali. 

Ogni tanto si domandava come potessero i governi non accorgersi di niente ed era abbastanza certo che in realtà stessero in qualche modo sfruttando la situazione a loro vantaggio. Stavano giocando tutti ad un gioco pericoloso e senza regole, ma prima o poi qualcuno avrebbe finito per lasciarci la pelle. Poteva solo sperare di non essere lui, ma ogni giorno che passava il rischio che correva era sempre più alto. 

Se qualcuno avesse capito chi era davvero si sarebbe trovato in guai seri.

Scuotendo la testa come per liberarsi di quei pensieri, Rahma ricominciò a camminare e si fermò solo quando si trovò davanti ad un tombino in la cui copertura in ferro era quasi completamente arrugginita. Quello era il punto d’accesso ad una rete infinita di cunicoli che correvano sotto tutta la città, permettendo ai contrabbandieri di spostarsi indisturbati.

Prima di entrare però, si voltò un’ultima volta a guardare il crepuscolo, mentre l’immagine del viso di Aerith tornava ad invadergli la mente.  

Era passata già mezz’ora da quando la aveva lasciata a casa da sola. Non avrebbe mai voluto abbandonarla, ma vedere quello sguardo di paura nei suoi occhi era stato troppo per lui. 

La sua immagine continuava ad apparirgli nella testa, spezzandogli il cuore. 

Se solo avesse potuto, sarebbe tornato di corsa da lei e la avrebbe abbracciata per ore, come se quello avesse potuto proteggerli da tutto ciò che stava succedendo. 

Aveva bisogno di sentire il suo profumo, il calore del suo corpo e la sua voce. Aveva bisogno di sapere che stava bene.

E quante volte aveva sognato di poterla baciare pur sapendo che lei non glielo avrebbe mai permesso…

Quando quell’immagine proibita gli invase la mente, Rahma capì che era arrivato il momento di muoversi. Non poteva permettersi certe speranze, lo sapeva bene.

Con un gesto sicuro, rimosse la copertura dal vecchio tombino. Era largo a malapena quel che bastava perchè lui potesse passarci, ma Rahma riuscì a calarvisi dentro, per poi ricoprire il vano con la lastra in ferro che aveva appena spostato.

Rimase qualche secondo al buio, permettendo ai suoi occhi di abituarsi

Poi, in silenzio, cominciò a camminare nell’oscurità.

** 

Nel momento in cui aveva sentito la serratura scattare, Aerith aveva sentito le gambe cedere e lei era scivolata per terra, con lo sguardo fisso nel vuoto. 

Se n’era andato.

La aveva lasciata li da sola. 

Quando lo aveva visto avvicinarsi alla porta aveva avuto l’istinto di correre a fermarlo. Non voleva che uscisse da quella casa. Non voleva rimanere sola e il pensiero di Rahma li fuori, in pericolo, la terrorizzava. 

Ma anche vedere Rahma distruggere un muro con una mano sola la aveva terrorizzata: il suo istinto le aveva gridato che quello che aveva di fronte era un suo nemico e il suo cuore aveva perso un battito di fronte a quella consapevolezza. 

Perchè era vera. 

Rahma era uno xenon, lei un’umana. Il predatore e la preda. 

E lei era l’agnello innamorato del lupo.

Fissò il buco che aveva lasciato nel muro.

Se avesse tirato un pugno del genere a lei, probabilmente le avrebbe sbriciolato qualche osso. 

Aveva sempre saputo che Rahma era molto più forte di lei, ma mai avrebbe pensato che fosse capace di fare una cosa del genere. E forse, pensò, quello non era nemmeno tutto. 

Si lasciò scivolare con la schiena contro il muro mentre cercava di riordinare i pensieri e di dare un’ordine razionale a tutti i dubbi che le vorticavano nella mente.

Vedere Rahma sotto quella luce aveva risvegliato in lei tutte quelle domande che non aveva mai potuto farli e tutte quelle risposte che lui le aveva fatto capire di non poterle dare. Domande sulla sua famiglia, sulla sua vita, sul perchè aveva così paura che qualcuno lo trovasse. 

L’immagine di Rahma che aveva andò a sovrapporsi con quella di poco prima e la ferocia che aveva visto in quegli occhi la spaventò a morte. Quello non era il suo Rahma, non era il ragazzo protettivo e razionale che conosceva. Non era il Rahma di cui si era innamorata.

O forse, era solo stata così egoista da non voler vedere.

Era palese che Rahma non fosse uno xenon come tutti gli altri che aveva visto: sapeva volare, era forte. Solo il suo fisico possente incuteva paura, con i suoi quasi due metri di altezza e dei muscoli degni di un guerriero ben addestrato.

Non che potesse escludere l’ipotesi che lui fosse in grado di combattere: il modo in cui si muoveva le aveva sempre ricordato quello di un predatore. Un predatore che però avrebbe dato la vita per proteggerla. 

E la verità, era che tutte quelle risposte che cercava, a lei non interessavano nemmeno così tanto. 

Non voleva sapere perchè Rahma non vivesse con la sua famiglia, non le importava del perchè fosse finito nella zona rossa e non le importava nemmeno di sapere come si guadagnava da vivere.

Tutto ciò che sapeva era che lo amava. Amava il suo sorriso, i suoi occhi argentati, la sua voce calda e i suoi abbracci. Amava il modo in cui si era preso cura di lei, ma odiava l’idea di saperlo costantemente in pericolo a causa sua.

Guardandosi intorno, si chiese in quali condizioni avesse vissuto negli ultimi sette anni. La casa era spoglia e i pochi mobili che la arredavano erano di pessima fattura, vecchi e alcuni persino arrugginiti. I muri del piccolo bilocale dovevano essere stati bianchi un tempo, ma necessitavano di una mano di vernice fresca. I fornelli erano collegati a due bombole di gas lasciate a vista ed appesa in un angolo della cucina una vecchia caldaia ronzava incessantemente da quando i riscaldamenti si erano accesi. 

Rahma le aveva detto che si spostava spesso e quello doveva essere il motivo per cui l’arredamento era così poco curato, ma quello di certo non giustificava il fatto che fosse costretto a vivere nella zona più pericolosa della città, nascondendosi da qualcuno a cui Aerith non avrebbe saputo dare un nome. 

Qualcuno che prima o poi avrebbe iniziato a cercare anche lei, a meno che non lo stesse già facendo.

Aerith tremò al solo pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se li avessero trovati insieme e per un attimo immaginò di tornare indietro a quel mattino, quando si era svegliata tra le braccia di Rahma. Erano nel bel mezzo di una guerra, ma si era sentita al sicuro. 

Se solo avesse potuto impedirgli di andare via…

La sola idea che Rahma potesse non tornare a casa le fece venire voglia di piangere, ma non poteva permettersi di essere debole. Non in quel momento.

Trattenendo una smorfia di dolore si puntellò con il braccio sul bordo del letto e riuscì ad alzarsi in piedi. La ferita alla gamba le faceva male ma non abbastanza da impedirle di camminare e lentamente riuscì ad arrivare al bagno. 

Quando vide il suo riflesso nello specchio le venne un colpo: la pelle del suo viso era spenta e tirata, con due occhiaie violacee in bella vista. Aveva le labbra screpolate, i capelli pieni di polvere e anche il resto del suo corpo non era in condizioni migliori. 

Aveva tremendamente bisogno di una doccia e  sperava che insieme alla sporcizia che aveva sulla pelle dalla sera prima, l’acqua avrebbe lavato via anche la confusione che le attanagliava la testa. 

Cosa stava facendo Rahma in quel momento? Erano passate ormai due ore da quando era uscito e lei era divorata dalla preoccupazione. 

Strinse la felpa che aveva addosso. Rahma gliela aveva messa la sera prima, dopo aver visto come era ridotta la sua maglietta. Aveva il suo profumo. 

Era un profumo che lei amava, il profumo che la faceva sentire sicura.

Facendo attenzione alle suture iniziò a spogliarsi e rimosse una ad una le bende che le avvolgevano la gamba e la spalla. L’aspetto delle ferite non era così nauseante senza tutto il sangue della sera prima, ma Aerith evitò accuratamente di guardarle mentre apriva l’acqua per farla scaldare. 

Quando vide il vapore iniziare ad appannare lo specchio si decise ad entrare nel box doccia, lasciandosi abbracciare dalla coccola rigenerante dell’acqua calda. 

Afferrò la bottiglia di bagnoschiuma rimasta sul fondo della doccia e cominciò a sfregare i capelli. Sentiva i residui di cemento tra le dita e ai suoi piedi l’acqua era diventata grigiastra per la polvere che le era rimasta addosso. Continuò a sfregare energicamente fino a quando l’acqua non tornò ad essere trasparente, poi passò al resto del corpo fino a quando non si sentì finalmente pulita. 

L’acqua calda sembrava averla rigenerata completamente ma Aerith non aveva ancora voglia di uscire. Si sedette sul pavimento in ceramica della doccia, stringendosi le ginocchia al petto e chiudendo gli occhi. 

Nel giro di una notte la sua vita era cambiata per sempre e lei avrebbe dovuto presto fare i conti con la realtà. Era rimasta sola. Non c’erano più ne una casa ne delle persone da cui tornare. Non avrebbe più visto il sorriso caldo di sua madre e non avrebbe più sentito la risata di suo padre. 

Erano morti.

Aerith trattenne il fiato mentre pronunciava con la mente quella parola. 

La morte era diventata una compagna macabra della sua vita da sette anni a quella parte, ma quello non la rendeva meno dolorosa. Un dolore sordo, un enorme buco nero che sentiva proprio al centro del petto che la stava divorando.

Un dolore reso ancora più implacabile dalla consapevolezza che non sarebbe mai potuta tornare indietro: il fatto che lei si trovasse in casa di uno xenon cambiava tutte le carte in tavola.

Ormai erano entrambi troppo compromessi perchè lei potesse ritornare nella zona umana per cercare i suoi genitori. Le avrebbero fatto delle domande e sapeva bene quanto gli ufficiali fossero bravi ad ottenere delle risposte. 

Forse, l’unica opzione era davvero quella di rimanere chiusa li dentro pregando che la guerra finisse in fretta. 

….sempre che fosse finita con la pace. Peccato che una pace in quel momento fosse la cosa meno plausibile a cui avrebbe potuto pensare. 

Sospirando appoggiò la fronte sulle ginocchia, lasciando che l’acqua calda le colpisse la schiena.

Era talmente sopraffatta dalla paura che le venne da piangere di nuovo. 

Avrebbe tanto voluto anche solo una briciola del coraggio di Rahma. Come aveva fatto ad andare avanti scappando e nascondendosi per sette anni? Dove aveva trovato tutta quella forza?

Forse era vero quello che le aveva detto sulla speranza e sull’amore, sul fatto che fossero l’unica via di fuga da quell’inferno. Sarebbe mai riuscita a crederci tanto quanto lo faceva lui?

Non ne era sicura. 

L’unica sua certezza in quel momento era che voleva vederlo entrare dalla porta sano e salvo, voleva abbracciarlo e sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Voleva proteggerlo come lui aveva sempre protetto lei. 

Fino alla fine, insieme

Rahma alla fine aveva ragione di nuovo: niente avrebbe potuto fargli più male di una vita l’uno senza l’altro e lei ci aveva messo così tanto a capirlo. 

Mentre usciva dalla doccia si trovò a sorridere tra se, con una nuova speranza a scaldarle il cuore.

Forse non era ancora tutto perduto.

 

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Capitolo 4
*** IV: Fall ***


Ed eccomi qui, di nuovo, con un altro capitolo!
Come quelli precedenti questo è ancora di una lunghezza accettabile, ma iniziate a prepararvi psicologicamente perchè i prossimi potrebbero non essere così (sproloqui di una lunghezza indecente in arrivo).
Premesso che questo è un capitlo di passaggio, spero di riuscire ad essere più costante con la pubblicazione dei prossimi per arrivare all'inizio dell'azione vera e propria -e anche ai famigerati cambiamenti rispetto all'originale.
Quindi non avendo molto da commentare mi limito ad augurarvi buona lettura e ad invitarvi a farmi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!


IV. 

Rahma aveva attraversato i numerosi tunnel sotterranei ed era finalmente arrivato in un enorme spiazzo sotterraneo, una specie di punto di carico e scarico dove venivano depositate la maggior parte delle merci rubate e destinate ad essere rivendute.  

Nonostante quel luogo fosse proprio nel centro di Avalea, arrivarci sarebbe stato praticamente impossibile senza conoscere perfettamente la strada: era necessario camminare quasi trenta minuti al buio per trovalo e le pareti del deposito erano state rinforzate con il piombo per impedire a chiunque di provare ad entrare smaterializzandosi. 

Non che ora servissero più a molto, dato il numero decisamente irrisorio degli xenon rimasti in vita con quella capacità.

Oltrepassò i numerosi sistemi di sicurezza che bloccavano l’ingresso al deposito e mostrò i documenti falsi all’umano che stava di vedetta alla porte. Era paradossale il fatto che in quei cunicoli sottoterra a nessuno importasse di avere a che fare con un umano o uno xenon. Tutto ciò che contava lì sotto erano i soldi e il silenzio. 

Proprio quell’abitudine alla discrezione gli aveva permesso di poter lavorare indisturbato. Se anche qualcuno per caso lo avesse riconosciuto, probabilmente si sarebbe guardato bene dall’andarlo a dire in giro. 

Osservò le numerose casse contenenti i resti di oggetti estratti dalle macerie, insieme a quelle dove venivano stipate le armi recuperate dai campi di battaglia. Rottami senza valore che affidati alle giuste mani venivano trasformati in oggetti di valore vendibili a caro prezzo. Proprio grazie a quella compravendita lui era riuscito a sfamare se stesso e Aerith per tutto quel tempo, anche se continuava a pregare che lei non lo venisse mai a sapere.

Mentre camminava per l’enorme spiazzo si rese conto degli sguardi stupiti e persino spaventati che i presenti gli stavano rivolgendo. 

Si osservò le mani, temendo di essersi dimenticato i guanti ma quelli erano al loro posto. 

Prima che potesse trovare una spiegazione valida alla reazione delle persone intorno a lui, una voce familiare risuonò alle sue spalle.

“Ma quale onore! Finalmente il re del contrabbando ci degna della sua presenza.” 

“Non cominciare Keith. Ho avuto altro da fare.”

L’uomo che aveva appena parlato era uno xenon sulla quarantina, non molto alto e ormai brizzolato. I marchi sulle sue mani erano molto più sottili di quelli di Rahma ed evidenziavano la notevole differenza tra loro due. 

Una differenza che a Keith era sempre pesata, soprattutto da quando l’allora ragazzino Rahma aveva iniziato a soffiargli i migliori affari. 

“Oh si sappiamo tutti che sei stato impegnato. Spero che tu ti sia almeno goduto la tua umana, visto che il governo ha messo una taglia sulla tua testa” 

A Rahma si gelò il sangue nelle vene quando sentì quelle parole. 

Il suo più grande incubo si era appena realizzato con un tempismo a dir poco perfetto.

Li avevano visti insieme e lui aveva appena lasciato Aerith a casa da sola. 

“Andiamo, non sei ansioso di rivedere la tua famiglia, Rahma Strife?” 

La soddisfazione nella sua voce mentre pronunciava ad alta voce il suo vero nome fece infuriare Rahma mentre altri sguardi attoniti si posavano su di lui.

“Immaginavo che avessi qualcosa da nascondere, ma non pensavo che fossi addirittura il rampollo Strife che tutti davano per scomparso. Il Maestro deve avere avuto un occhio di riguardo per te, la taglia specifica che ti vogliono vivo.” 

Rahma maledisse silenziosamente sia la sua famiglia che il Maestro. Il fatto che lo volessero vivo era quasi più terrificante di sapere che qualcuno lì fuori era pronto ad ucciderlo.

Doveva tornare a casa e anche in fretta.

“Non sei più il benvenuto qui Rahma, sappilo. La prossima volta che metterai piede nei sotterranei ci sarà una pallottola ad attenderti.”

“Dammi i miei soldi e non sarò più un tuo problema.” disse Rahma cercando di mantenere la calma.

Keith però scoppiò a ridere.

“Ma sentilo! I tuoi soldi? Mi credi stupido, ragazzino? Per te qui non c’è più niente. Vattene e non tornare mai più. Sparisci con la tua umana se ne sei capace, oppure preparati a portare tanti saluti al Maestro da parte nostra se non sarai così bravo a scappare come lo sei a rubare.” disse quasi con scherno. “Noi non ti dobbiamo più niente. Tornatene da dove sei venuto, prima che decida di non farti uscire vivo da qui. Ti consiglio di andare a fottere la tua sudicia umana prima che…”

In quel momento la vista di Rahma si annebbiò. Si voltò di scatto e afferrò Keith per il collo, sollevandolo di quasi venti centimetri e inchiodandolo al muro. 

Tutti lo fissarono ammutoliti

Per quanto la stazza di Rahma potesse lasciare presupporre la sua forza, nessuno lì dentro immaginava che lui fosse così forte da sollevare un uomo di almeno cento chili con una sola mano.

Rahma scoprì i denti con un ringhio, quasi a voler ricordare a chiunque con chi avevano a che fare.

Nessuno mosse un muscolo mentre lui sollevava Keith sempre di più fino ad avere il viso all’altezza di quello dello xenon la cui espressione era una maschera di paura.

“Ho sempre desiderato di poterti mettere le mani al collo e strapparti la lingua dalla gola, sai? Se non fosse per il fatto che ho cose ben più importanti da fare, saresti tu a finire sulla scrivania del Maestro, anche se ammetto che preferirei ucciderti con le mie stesse mani.”

Keith non rispose, paralizzato dalla paura. 

Mentre parlava, il cappuccio nero era scivolato indietro fino a scoprire il viso di Rahma.

I suoi occhi erano quelli di un assassino e in quel momento  dubitava che quel ragazzo si sarebbe fatto qualche scrupolo ad ucciderlo se avesse voluto. 

Era la prima volta che vedeva di cosa era veramente capace e ora capiva per quale motivo il Maestro lo volesse vivo. 

Lo xenon che aveva di fronte era tra i più letali che avesse mai visto e per un attimo temette che lo avrebbe ucciso.

Rahma però non sembrava essere interessato a vederlo morto. 

Sorprendendo tutti allentò la presa sulla gola di Keith, lasciandolo cadere per terra, poi, in silenzio, se ne andò.

** 

Aerith si rigirò un’altra volta nel letto mentre lanciava uno sguardo all’orologio sul comodino. Erano passate quasi quattro ore da quando Rahma era uscito e ormai sulla città era calata la notte. Dalle persiane accostate non riusciva a vedere nulla e la paura che qualcuno potesse accorgersi della sua presenza era tale da farla desistere all'idea di socchiuderle per vedere la strada. Si sentiva in trappola, rinchiusa a chiave in quelle quattro mura rovinate rese familiari solo dagli oggetti di Rahma sparsi in giro per la casa.

Era nervosa e spaventata in quell'appartamento vuoto e così tetro senza di lui. Non sapeva dove diavolo fosse e stava cominciando a preoccuparsi sul serio. Che cosa stava facendo? E se gli fosse successo qualcosa? Non se lo sarebbe mai perdonato.

Si strinse di più nella felpa nera con cui si era coperta. La aveva presa tra i vestiti dello xenon dopo aver constatato che quella che indossava al suo arrivo era completamente impregnata di sangue e si era infilata sotto le coperte per ripararsi dal freddo, cercando di ignorare il dolore pulsante sotto alle fasciature sulla gamba.

Voleva solo che Rahma entrasse da quella dannata porta per correre ad abbracciarlo. Aveva bisogno di sentire il suo profumo e il suo calore, di infilargli le dita tra i capelli e stringerlo a se così forte da non lasciarlo mai più andare via.  

Sentiva la pelle formicolarle ed era tesa come non mai, divorata viva da quella sensazione di essere in pericolo senza una via di fuga.

Chiuse gli occhi stringendo di più il cuscino e una lacrima le rigò la guancia mentre nella sua mente il nome di Rahma risuonava come una preghiera.

Poteva solo sperare che tornasse in fretta.

** 

Rahma uscì velocemente dai tunnel sotterranei, percorrendo a ritroso la strada che aveva fatto all’andata. 

La notizia della taglia lo aveva sconvolto e la sua necessità era di tornare da Aerith in più in fretta possibile. Con un po’ di fortuna avrebbe avuto qualche giorno di tempo per pensare a cosa fare prima che lo trovassero. 

Non appena sollevò il coperchio del tombino da cui era entrato iniziò a concentrarsi sulla sua meta, ma prima che potesse avere modo di smaterializzarsi, il suo cellulare squillò. 

Si accigliò quando vide che l’identificatore di chiamata segnalava un numero sconosciuto, ma dopo qualche squillo si decise a rispondere.

“Pronto?”

“Non avrei mai pensato di sentire di nuovo la tua voce, sai? E tantomeno dopo aver ricevuto l’ordine di arrestarti.”

Rahma si pietrificò quando capì chi stava parlando dall’altro capo del telefono. 

“Dren.” 

Erano passati sette anni ma la voce di suo fratello era sempre la stessa. Fredda, controllata. 

“E così, alla fine avevo ragione. Quell’umana ti porterà con lei nella tomba.” lo sentì dire con disprezzo “Non ti è bastato quello che ci hai fatto? Contrabbando, furto, contatti con un’umana. Quante volte ancora dovrai tradirci prima di ricordarti di chi sei?”

“Mi hai chiamato per dirmi questo?” 

Dren non avrebbe mai capito…

“Ti ho chiamato perchè spero che tu non sia così stupido da tentare di scappare. Vieni al Mastio e forse riuscirò a trovare un modo per convincere il Maestro a non staccarti la testa dal collo.”

“Per cosa, vivere il resto della mia vita al servizio di un pazzo?”

“Non ti permettere Rahma! Qui l’unico pazzo sei tu. Hai dimenticato qual’è il sangue che ti scorre nelle vene? Hai il sangue dei nostri antenati e osi proteggere un’umana. Stai tradendo tutta la nostra razza. Falle un favore, uccidila prima che finisca nelle nostre mani se davvero tieni a lei.”

Rahma strinse i pungi tanto da far diventare le nocche bianche.

“Non riuscirai mai a metterle le mani addosso. Ne tu ne quel bastardo del tuo capo.”

“Vi troveremo Rahma.”

“Dovessi morire, puoi stare sicuro che non la troverai neanche se dovessi cercare per tutto il Continente.” ribatté deciso. 

“Vuoi davvero morire così? Per quell’umana?” Dren sospirò “Speravo fossi cambiato in questi anni.”

“Anch’io ho pregato perchè tu potessi capire che stai combattendo dalla parte sbagliata. Evidentemente non è servito.”

“Sei sempre stato un’egoista. Hai mai pensato a nostra madre in tutti questi anni?” gli domandò Dren con disprezzo. “Non hai idea di quanto abbia sofferto.”

“E voi avete idea di quanto abbia sofferto io? No. Non vi interessa. Non vi è mai interessato”

Ci fu qualche istante di silenzio tra i due fratelli prima che Dren parlasse di nuovo.

“Ti do sette giorni per venire da noi di tua spontanea volontà. Il Maestro dimenticherà qualsiasi cosa tu abbia fatto e ti permetterà di tenerti la ragazza. Se non lo fai preparati ad avere un esercito alle calcagna ovunque tu decida di andare. E sappi che la tua umana ne pagherà le conseguenze.” lo minacciò.

“Hai altro da dire?”

“Pensa bene a ciò che potresti perdere.”

Rahma sospirò.

“Perchè mi stai lasciando del tempo per fuggire?” gli chiese senza pensarci. “Tu mi odi.”

“Ma amo nostra madre a differenza tua. Sette giorni Rahma, a partire da adesso.”

Dopo quelle parole Rahma sentì il telefono suonare a vuoto.

Chiuse la chiamata e rimise il telefono in tasca. 

Sette giorni. Erano abbastanza per fuggire, ma ora doveva tornare a casa e spiegare ad Aerith la situazione non sarebbe stato per niente facile.

Con il cuore ancora scosso da quella chiamata, Rahma si smaterializzò.


** 

Aerith era ancora sdraiata sul letto quando sentì la serratura scattare.

Si alzò velocemente, e cercando di fare attenzione alla gamba arrancò fino allo stipite della porta, aggrappandovisi con entrambe le mani. Si affacciò sulla cucina, trattenendo il fiato quando lo vide.

Rahma le dava le spalle, intento a chiudere la porta.

Avrebbe voluto dirgli tante cose in quel momento, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era l'enorme sollievo di averlo di fronte a se, sano e salvo. Erano di nuovo insieme, sarebbe andato tutto bene. 

Aveva avuto paura in quelle ore, in tutti quei minuti che sembravano essere durati un'eternità.

Dove era stato? E con chi? 

Le domande rimbombavano nella sua testa, senza però che lei trovasse il coraggio per porle al diretto interessato. 

Quando lui si voltò tutti quei pensieri scomparvero, sostituiti solo da un immenso sollievo e qualcosa di molto simile alla felicità.

“Sei tornato.” sussurrò appena.

I loro occhi si incontrarono ed entrambi si sentirono di nuovo a casa.

“Sai che non ti lascerei mai.”

Nei suoi occhi Aerith vide un universo: paura, rabbia, speranza... e amore. Un amore così grande da eliminare la distanza tra di loro, avvolgendola in un abbraccio caldo come il sole estivo. Quell'amore a cui si era aggrappata per così tanto tempo mentre il mondo intorno a lei cadeva a pezzi.

“Avevo paura che ti fosse successo qualcosa.” disse, incapace di muoversi e di lasciare l'appiglio sicuro della porta. Sentiva le gambe tremare.

Rahma le sorrise appena mentre si avvicinava di qualche passo a lei. 

“Non lascerò che mi facciano niente.”

Lo xenon si prese qualche secondo per osservarla.

Aerith era in piedi davanti a lui, coperta da una delle sue felpe che le arrivava a metà della coscia. Le sue gambe erano nude e la pelle chiara come la neve contrastava con il nero della felpa e i suoi capelli scuri. Le lunghe ciocche erano scompigliate, ma profumavano di pulito.

Era così piccola in confronto a lui, eppure così forte. 

Rahma cercò gli occhi della ragazza: quelle iridi erano di un verde spettacolare, così chiare da rasentare il bianco. Il suo sguardo era un misto di sollievo e amore che lo fece sciogliere come ghiaccio al sole. 

Avrebbe potuto amarla più di quanto già non facesse?

I suoi occhi scivolarono ancora più in basso, sulla bocca di Aerith.

Quelle labbra carnose che sembravano chiedergli di essere baciate. Si era sempre chiesto come sarebbe stato appoggiare la bocca sulla sua, assaporarla, morderla e sentire i suoi sospiri sulla pelle.

“Rahma, mi dispiace per quello che ti ho detto prima. Non lo pensavo veramente. Io..” 

Non le diede il tempo di finire la frase. Lasciò le chiavi sul tavolo e annullò la piccola distanza tra di loro, abbracciandola. 

“Lo so” le sussurrò all’orecchio “Va tutto bene, sono qui ora.” 

Aerith appoggiò la testa sul suo petto, mentre sentiva le mani di Rahma scorrergli sulla schiena. 

“Ma eri arrabbiato.” sussurrò Aerith spaventata. 

La situazione era delicata, anche se Rahma sembrava tranquillo.

Una calma solo apparente: negli anni Aerith aveva imparato a conoscerlo e sapeva distinguere quando era realmente calmo e quando fingeva. Evitava il suo sguardo, il sorriso era tirato e stanco, gli occhi annebbiati dalla paura e i suoi muscoli erano tesi sotto la pelle calda. 

“Non ero arrabbiato con te. Non mi arrabbierei mai con te. Ero arrabbiato perché questa guerra mi ha portato via tutto e sta facendo soffrire la persona che amo.” le dita di Rahma le scivolarono lungo il mento, costringendola a fissarlo negli occhi. Erano pieni di sofferenza. 

“Questa guerra sta facendo soffrire anche te.” disse lei senza distogliere lo sguardo. 

Sentì le braccia di Rahma lasciare la sua schiena per arrivare alla base del suo collo. Le mani di Aerith raggiunsero quelle di Rahma, mentre questo la spingeva leggermente indietro per poterla guardare negli occhi. 

“L’unica cosa che può farmi stare male ormai è sapere che tu stai soffrendo.” le disse mentre si perdeva nei suoi occhi. “E sapere che non posso fare niente per salvarti.” sospirò, appoggiando la fronte contro quella di Aerith. 

Aerith chiuse gli occhi. 

Non c’è più speranza

“Ormai qui non c’è più posto per te. E non ce n’è neanche per me.” 

“Sei uno xenon. Nel vostro mondo ci sarà sempre un posto per te.”

Aerith corrugò la fronte. Che volesse ammetterlo o meno, ormai quello non era più il mondo degli umani già da un bel pezzo. 

“Il nostro capo ha fatto mettere una taglia sulla mia testa.”

Le parole di Rahma ci misero qualche secondo ad arrivare al suo cervello, ma Aerith rabbrividì quando ne comprese il significato. 

“Ci hanno scoperti.” Disse abbassando lo sguardo. Istintivamente fece per spingersi indietro, ma il suo movimento fu bloccato dalla presa del ragazzo che la riavvicinò a lui. “Come hanno fatto?”

“Mi hanno visto mentre ti portavo via. Qualche ricerca e hanno scoperto tutto il resto.” rivelò, incapace di sopportare l'intensità della paura negli occhi di Aerith.

“Cosa vuol dire? Cos’altro c’era da scoprire?” chiese, incapace di nascondere la tensione nella sua voce. 

Rahma trattenne il fiato mentre i loro occhi si incontravano di nuovo.

“Le medicine, il cibo. Arrivavano dal commercio illegale. Mi hanno accusato di furto e contrabbando.”

Aerith sgranò gli occhi per la sorpresa.

“Mi stai dicendo che tu hai fatto il contrabbandiere per tutti questi anni?”

“Non potevo fare altro, Aerith. Perdonami.”

Aerith scosse la testa.

“Perdonarti per avermi salvato la vita ogni giorno da quando questa guerra maledetta è iniziata?”

“Pensavo che mi avresti odiato.” le disse sfiorandole appena i capelli.

“Io ti amo, Rahma.” Aerith sorrise timidamente quando quelle parole le uscirono dalla bocca con una naturalezza che non si sarebbe mai aspettata. Non c'era niente di sbagliato. "Non potrei mai odiarti, o arrabbiarmi. Ho solo così tanta paura che ti facciano qualcosa. Ti amo." ripeté di nuovo.

Mentre parlava, Aerith allungò una mano verso la sua guancia, posandovela con attenzione e accarezzandolo, sfiorando con la punta delle dita la linea squadrata della mascella.

Rahma la guardò stupito…e felice come mai prima.

“Aerith io… oh, non sai per quanto tempo ho sognato di sentirtelo dire.”

Quello cambiava tutto. 

Non gli importava più della taglia sulla sua testa, delle minacce di Dren, della guerra. 

Aerith gli aveva appena detto che lo amava e quella era l’unica cosa che contava.

Erano al centro dell’inferno, con il mondo intero contro, ma erano insieme e lui si sentiva invincibile.

“Mi perdonerai mai per aver sprecato così tanto tempo?”

Gli occhi di Aerith erano colmi di un amore che lo fece quasi piangere. 

“Promettimi che non avrai mai più paura di dirlo. Promettimi che non penserai mai più di essere tu a mettermi in pericolo.” le disse rapito.

“Insieme fino alla fine, qualsiasi cosa accada.” ripeté Aerith di nuovo. “Non ho più niente a parte te. Dovessi combattere contro il mondo intero, non permetterò mai che ti portino via da me, Rahma.”

Lo xenon le sfiorò il viso con una carezza e Aerith strinse la sua mano come a non volerla lasciare andare mai più.

Quella creatura così speciale era tra le sue braccia e gli aveva appena detto che lo amava

Non riusciva nemmeno a crederci.

Quante volte aveva sognato quel momento? Forse non lo ricordava nemmeno lui. 

Aveva solo voglia di prenderle il viso tra le mani e baciarla.

Quasi come se gli avesse letto dentro, Aerith si alzò in punta di piedi ed annullò la distanza tra di loro, posando le sue labbra su quelle di Rahma e  il mondo sembrò fermarsi.
Entrambi sobbalzarono a quel contatto, poi insieme abbandonarono quel mondo devastato dalla morte per rinchiudersi nel loro piccolo angolo di paradiso.

 

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