♚ℋappily ever after❧another world♔

di AlnyFMillen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi odierai, forse si, ma lo fai sorridendomi ***
Capitolo 2: *** Sole diventerò e ti sorriderò ***
Capitolo 3: *** Come se fossero desideri irraggiungibili ***
Capitolo 4: *** Special ***
Capitolo 5: *** L'unica ragione per arrivare fino in fondo ***
Capitolo 6: *** Ma ti voglio un bene dell'anima ***



Capitolo 1
*** Mi odierai, forse si, ma lo fai sorridendomi ***


||ATTENZIONE||
||raccolta di oneshot happly ever after ispirata a long non ancora pubblicata||
 



 

Mi odierai, forse si, ma lo fai sorridendomi



 
 
 
Portami in mezzo ad un temporale...
 
É una splendida giornata.
Troppo, pensi, per uno come te.
Hai sempre odiato il sole, come i suoi raggi si riflettessero sulla tua pelle senza modo di passarle attraverso. Quel calore, lo stesso che aleggia nell'aria adesso, così piacevole da scaldare almeno un po' il ghiaccio di cui é fatta la tua anima. Non gli permetti nemmeno di sforarti, nascosto dietro le tende spesse che incorniciano la finestra.
É tutto così danntamente verde. Verde smeraldo, puro. Ti costringi ad osservarlo, preda della sadicità verso il tuo intero essere. Sei veramente arrivato ad odiarti tanto da riempiti la testa con quel colore che ricorda perennemente i suoi occhi? Oh, no, non sono quelli di Jack che vedi, lui torna a farti visita nei tuoi incubi la notte, mentre cerchi di prendere sonno. Lui é prevedibile. Questi sono un paio più subdoli, si infiltrano tra le pieghe della tua mente quando meno te lo aspetti, lasciandoti indifeso.
Ridono e piangono gli occhi di Ada.
...Abbracciami...
 
Di tanto in tanto solo a Gilbert é permesso varcare la soglia della tua camera: sembra volerti controllare, proprio come se fosse ancora bambini. Ha paura, tuo fratello, che possa fare qualcosa di stupido come... Ma perché, poi? Aaaah i perché della vita ti hanno sempre affascinato e proprio per questo li ritieni inutili. Hai smesso da tempo di tormentarti con le tue domande, le uniche che ti sei posto sono rimaste comunque senza risposta. Una tra le tante non accenna a voler andarsene e pensi che morirai con quelle parole in testa.
Perché anche Gil? Perché anche Gil? Perché anche Gil? Perché anche Gil? Perché anche Gil? Perché anche Gil?
Chissà se sei nato già rotto, se il tuo sangue era lurido e la tua anima lercia sin dall'inizio. Deve esserlo per forza, non sai darti altra spiegazione.
Nonostante ciò, persino il pensiero di quella donna torna ricorrente.
 
...Voglio cadere insieme a te...
 
Sette mesi, Vincent.
Sono passati solo duecentodieci giorni da quando l'hai respinta e sembra che non voglia ugualmente lasciarti in pace. E poi ti dici che le cinquemilaquaranta ore passate senza averla piú tra i piedi non siano poi così male ed anzi, stai meglio. E poi ti dici che i trentaduemilaquattrocento minuti passati altrove anziché vicino a lei non possano far altro che giovarti.
Ridi di te stesso, della tua ingenuità. Cosa potrebbe mai farti bene, ti chiedi.
Eppure lei é sempre lì, che girovaga tra i tuoi neuroni portandoli alla pazzia, persino più profonda di quella che ti appartiene già.
É la tua nuova persecuzione, come se non ne avessi già abbastanza.
Magari, magari in quest'istante, mentre stai qui a torturarti, é da qualche parte a discutere con delle amiche, ignara che la stai pensando.
Ancora.
Forse--
Forse, forse é con un uomo, sussurra una vocina dai reconditi della tua testa.
A quell'affermazione i tuoi pugni si stringono in una morsa involontaria sull'orsetto di peluche che tieni tra le mani,  il quale si trova presto stritolato, senza via di scampo. Serri la mascella fin quando non senti i denti scricchiolare.
La tua reazione totalmente insensata peggiora le cose: ti infastidisce il fatto che potrebbe importarti qualcosa di lei.
Come se ci tenessi, quasi.
Scagli le forbici lontane, da qualche parte le senti tintinnare, e ti alzi di scatto afferrando malamente la giacca che riposa sul tuo letto sfatto e distrutto da almeno... Sette mesi? Eviti di concentrarti su quel particolare mentre sbatti la porta con furia ed i giunti tremano.
Hai bisogno di uscire.
 
...Ma consapevole...
 
Ne é passato di tempo da quando hai respirato aria fresca. Il primo impatto con la realtà ti fa barcollare all'indietro e rimani quasi stupito che possa esistere ancora un mondo al di là delle quattro mura che ti sei costruito intorno, dopo tutto quello che é successo, per giunta.
Non sai dove stai andando, sono i piedi a giudarti. Ancora non hai imparato che il corpo segue il cuore non appena ti distrai?
Lo capisci solo quando é troppo tardi, quando ti accorgi di aver percorso gran parte della città ed essere arrivato in periferia, dove il verde si fa più fitto. Ti volti, alla ricerca di... non sai nemmeno tu cosa, almeno fino al momento in cui non lo trovi, nelle iridi della sua proprietaria.
Brami quella luce, la senti chiamare, ti ha trovato nella fortezza che continui a portare dietro.  
Non é cambiata, non é passato poi molto dall'ultima volta che vi siete visti. Che lei ha visto te, almeno.
Avrebbe potuto essere in casa, o meglio ancora non esserci affatto. Girata, indaffarata, distratta.
No.
Ha il viso volto nella tua direzione, come se t'aspettasse, come se sapesse.
Stai cominciando a rivalutare le sue doti di chiromante -ha finalmente capito come funzionano le carte del destino?- perché rimani pietrificato, incapace di muovere anche un solo dito. Ti fissa, gli occhi leggermente dilatati per la sorpresa e le guance imporporate, neanche fosse stata sorpresa a far chissà cosa.
Stringe tra le mani un mazzo di fiori campestri tenuti assieme da uno spesso laccio, un po' grossolanamente. Alcuni scivolano dalla sua debole presa e si schiantano a terra con un piccolo tonfo secco. Concentri la tua attenzione sul suo corpo, scivolando dolcemente sulla curva del seno, risalendo sul collo, la bocca, il naso, gli zigomi. La sua pelle candida pare brillare sotto gli spicchi della luce solare.
Sei costretto alla tua ultima risorsa -seppur sembra sempre la prima- l'unica cosa sei capace di fare: scappare.
Caro Vincent, non si può scappare poi così a lungo, il verde ti sta già rincorrendo.
 
...Che come la pioggia...
 
Sguisci dietro ad una casa e scivoli lungo la parete, esausto. Diamine, quella ragazza é un osso duro, ti ha cercato per più di un'ora e hai dovuto nasconderti nei più svariati posti. Ma alla fine c'è l'hai fatta, l'hai piegata. É bastata un'occhiata al locale molto poco raccomandabile dietro l'angolo per accendere la lampadina e portare a galla l'idea.
Agendo con disinvoltura, hai corrotto una delle ragazze all'entrata, come stessi chiedendo una mela al fruttivendolo, e non é servito poi molto altro.
Immaginavi che prima o poi la bionda sarebbe venuta a cercarti persino in quel buco di quartiere: é bastato farti vedere avvinghiato a quella tizia contro il muro, per sentire il ticchettio dei suoi passi sempre più veloci riecheggiare lontano da te. Non hai avuto nemmeno bisogno di inscenare gesti osceni con quella sgualdrina, il che avrebbe comportato qualche problema dato che non sopporti minimamente il puzzo emanato dalla sua pelle.
É strano, solitamente non ti fai di questi problemi.
Fatto ciò, hai pagato quanto dovuto e ti sei allontanato a passo spedito verso un punto ignoto della cittadina. Non hai paura dei "tipi loschi che girano la notte" da cui spesso ti mette in guardia Gil, perché sei tu stesso uno di questi. Diciamo solo che non sei molto affidabile ed incontrarti in un vicolo buio non farebbe piacere neanche a te, ma non puoi permettere che qualcuno ti riconosca, visto e considerato che in realtà saresti presunto morto e comunque -anche in veste di fantasma o demone- trovarti a girovagare per viette isolate e nascoste non sarebbe proprio il massimo per la tua reputazione. Dato che di quella non ti importa, pensi solo a quanto questo influirebbe su tuo fratello, il quale perderebbe inevitabilmente credibilità per averti coperto.
Svolti un angolo e delle grida ti giungono alle orecchie. Muovi su e giú la mano accanto all'orecchio destro come a scacciare una mosca fastidiosa: non é affar tuo, vuoi solo tornare a casa. Ma la voce continua ad urlare, a perforarti le tempie così da far spostare la scarsa attenzione che ti caratterizza, su di lei.
 
...Atterreremo su due foglie...
 
Ah ah ah, strana la vita eh? É quello che rimbomba nella tua mente quando noti che la voce assillante, circondata da tre uomini in preda a rise sguaiate non é altro che Ada.
Uno del gruppo, quello riccio e grassoccio, la prende per un braccio e...
“Buona sera”
Ti appoggi con fare quasi -quasi- annoiato al muro lercio lì accanto, mentre tieni d'occhio ogni eventuale movimento  spostando le iridi eterocromatiche da un individuo all'altro con fare frenetico.
Senti un singulto e nello stesso istante il trio si volta nella tua direzione.
“Deimos”
Una parola, un nome e tre teste rotolano fino ai tuoi piedi. Una di queste ha la bocca ancora semiaperta come a pronunciare parole che non verranno mai dette.
Meglio così, non ti interessa cosa ha da dire una feccia del genere: persino tu non scendi a tali livelli.
É stato tutto molto veloce, se non fosse per gli schizzi di sangue che imbrattano il tuo cappotto e la presenza di quei cadaveri sembrerebbe la stessa serata di prima.
Non un urlo o un rumore di troppo.
Silenzio.
É per questo che trovi il... coraggio? di alzare gli occhi sull'esile figura sconvolta della donna a pochi metri da te. Avanzi di un passo e lei si ritrae portandosi le mani alla bocca. Soffoca un urlo muto.
Ed è forse paura quella che vedi ad incrinare la perfezione dei suoi occhi smeraldo, la stessa che hai cercato di farle provare nei tuoi confronti ma non si é mai presentata. Eccola lì, finalmente ha capito chi sei veramente.
Sorridi senza un briciolo felicità tra i denti.
Un rifiuto.
Un ingannatore.
Un ladro.
Un burattinaio ma assieme una marionetta.
Un assassino.
 
...Tanto il rancore non mi da...
 
Un... Uomo? Anche tu? Persino tu?
Perché é questo che vedi quando una cascata di boccoli dorati ti travolge, mentre con gli occhi sbarrati percepisci dei singhiozzi trattenuti scuotere quello che pare il tuo petto ma solo perché é così vicino ad esso da sembrarlo. E senti di dover stringere il corpo di vetro tra le tue braccia che vuole dirti disperatamente qualcosa,  qualcosa che non ti riesce di mettere a fuoco bene, ma sta chiedendo proprio a te, te e nessun altro.
Non ti é capitato spesso di dover consolare qualcuno piangente. In un primo luogo, perché sei sempre stato tu quello con le lacrime agli occhi e Gil colui che ti é stato costantemente vicino. In secondo, hai sempre creduto che anche se mai  fosse accaduto, non ti sarebbe passato nemmeno lontanamente per la testa di dover aiutare.
Tutto ciò ti ricorda pericolosamente quel giorno. Quello "della Fine", come ormai lo hai battezzato, mentre nel turbine di ricordi che vi inghiottiva hai inconsciamente stretto la presa su di lei, proteggendola.
Le lanci un'occhiata e la scopri svenuta. Almeno non dovrai sopportare per tutto il viaggio la sua parlantina molto poco discreta.
Ma "viaggio" per dove? Lasciala qui, non ti interessa di lei, hai già fatto la tua scelta tempo fa.
Tentenni. Non ti é mai piaciuta, ogni cosa di lei non la sopporti. Poi però ti dici che non avrebbe senso averle levato di dosso quei tre per poi lasciarla di nuovo lì buttata al pari di una prostituta. Così per una volta, forse l'unica nella tua vita, decidi di essere coerente.
Sarebbe stato meglio se avessi lasciato che il corso degli eventi scorresse indisturbato, ricordatelo.
Già, lo stai solo riportano sul suo asse.
 
Lasci che il tuo sguardo si perda nell'arazzo dei suoi capelli, seguendone i fili ricamati messi in risalto dalla tenue luce emessa dal camino. Ormai il sole é stato inghiottito dalle colline già da un pò e non ti é parsa una brutta idea far scoppiettare qualche fiamma in più considerato che siete in pieno inverno. É qualche tempo che la osservi dormire, non hai idea se sia da qualche minuto o più da qualche oretta buona, sai solo che hai provato a riportarla a casa sua ma che a poche miglia dalla tua destinazione hai inchiodato, invertito la rotta, ignorato gli sguardi obliqui della servitù ed ora lei si trova nelle tue camere. Alla prima cameriera di turno hai chiesto di farle indossare una camicia da notte, specificando che sarebbe dovuta servire esclusivamente per tenerla al caldo, così da evitare brutte sorprese.
Perché diamine ti é importato che avrebbe potuto prendere freddo poi? Il tuo lavoro lo hai fatto, anche  egregiamente e corrode le pareti della gabbia toracica il fatto che tu ti stia preoccupando senza che nessuno te l'abbia chiesto.
 
...La stessa libertà...
 
Sei passato a controllare che i tuoi ordini fossero stati eseguiti, con tutta l'intenzione di andartene un po' in giro a schiarirti le idee, magari in qualche locale. Ma arrivato alla porta... Semplicemente non ci sei riuscito, per quanto volessi uscire ed allontanati da lei -ma oh, se lo volevi.
Le voci nella tua testa non si placavano da tempo ed ora riesci a guardare tutto con più chiarezza. Somiglia ad una specie di rimedio per il mal di testa. Sarà l'espressione beata che ha stampata in volto mentre dorme? No, persino quando il suo sonno si fa agitato e tu ti volti nella sua direzione senti solo il silenzio più totale. Nessuna domanda scomoda, niente di niente. Nemmeno Jack. Sembra di essere tornati indietro nel tempo ad un anno fa, quando l'unica preoccupazione era quella di cancellare la tua esistenza. Con la sua presenza, quella fastidiosa vocetta che continua a domandarsi perché ti debba interessare anche minimamente di lei é il piccolo prezzo da pagare per la prima serata di tranquillità dopo tanto.
Giochi con l'imbottitura di una bambola di pezza trovata in un angolo della tua stanza, poi la getti tra le fiamme, guardando come il suo corpo brucia lentamente.
Chissà se anche gli uomini all'inferno bruciano così?
Ti sposti accanto alla finestra poggiando i polsi sulla finestra appannata per la condensa, senza distogliere lo sguardo dal fuoco. La camicia leggera che hai indosso basta ed avanza per proteggerti dal freddo così la tiri  su fino al gomito, quando l'attenzione ti cade su una ciocca di capelli. Te la rigiri tra le mani come fosse letame e sai che dovresti tagliarli perché, che tu prova a coprire il segno della tua dannazione oppure no, quello resterà sempre lì.  
Continui ad osservare le goccioline di condensa venute a formarsi sul vetro, poi sospiri con rassegnazione.
Probabilmente si é svegliata, hai sentito il suo respiro regolare rompersi, ma essendo girata di spalle non puoi esserne certo. Tieni gli occhi fissi sulla sua schiena mentre dopo un profondo respiro la vedi mettersi seduta, indecisa, rigirarsi un lembo del lenzuolo tra le dita e poi finalmente voltarsi a cercare la tua ombra.
 
...Di quando chiudo gli occhi...
 
Trattiene il respiro appena ti nota.
“Vincent-sama...” quando parla il suo tono é basso, si modula in modo tale che l'affermazione risulti una domanda.
“Allora é vero che non... Mi odi” continua con una nota di lacrime nella voce.
Ti infastidisce che l'abbia detto. Ti innervosisce che non sia affatto sorpresa di vederti, vivo specialmente. Odi che non urli, non scappi o chieda almeno spiegazione. Ma più di tutto non sopporti il modo in cui ti sta guardando adesso, come se tu fossi un angelo salvatore sceso dal Paradiso direttamente sulla terra anziché il Diavolo in persona.
Scatti, rabbioso ed a grandi falcate ti avvii verso l'uscio.
“Manderò qualcuno che possa aiutarla a vestirsi, una carrozza la riaccompagnerà a casa” le comunichi freddamente prima di sparire.
Non avevi messo in conto che avrebbe potuto svegliarsi prima dell'alba ma é ora di chiudere qui la storia.
Questi sono alcuni dei pochi momenti in cui ti rammarichi che Echo sia andata via, dai Vessalius, per cui non puoi sfogarti su nessuno.
Anche lei, alla fine, é stata una buona serva e hai acconsentito a licenziarla solo per tutti gli anni i cui ti ha prestato servizio.
Torni in camera tua dopo mezz'ora circa, sicuro di trovarla vuota. Ma quando entri lei é lì, la trovi seduta compostamente sul tuo letto, lo sguardo perso nel paesaggio buio fuori dalla finestra. Indossa lo stesso vestito che hai ordinato venisse buttato: la tua irritazione cresce.
“Non potevo certo andarmene senza salutarla, nobile Vincent. Non sarebbe stato educato e poi... L'ultima volta non abbiamo avuto nemmeno modo di dirci addio”
Lei  non aveva avuto modo di dirti addio. Dal canto tuo, il conto era saldato.
Alza il viso verso te e nonostante i suoi occhi siano lucidi sorride, quel sorriso puro che vorresti ancora incrinare.
 
...E tu ritorni qua...
 
Non é cambiato molto dall'ultima volta: lei sorride, tu menti.
Cammina piano verso la porta quando ad un tratto si volta con ritrovata determinazione. Non può perderti di nuovo, non senza lottare.
“Mi... Mi ascolti bene” dice cercando il tuo sguardo. “Non so se le sembrava stessi scherzando quella volta alla villa, o dopo, in quella città nera, magari nemmeno si ricorda... Ma io... Io non credo sia stata colpa sua!”
Non ti vede sbarrare gli occhi per la sorpresa, stringe i pugni e continua.
“Ecco, si, io gliel'ho già detto e glielo dirò ancora se sarà necessario. Sarò sempre dalla sua parte, qualunque cosa accada perché... Perché anche se non c'è n'è bisogno, io la perdono, la perdonerò... I-io...”
“Zitta”
“Cos--”
Basta, non puoi sopportare oltre. Come può lei sapere i tasti da toccare per farti vacillare e poi cadere, una donna del genere che nemmeno ti conosce? Eppure continua a infilare le dita nelle tue piaghe, strappando la carne tenera con le sue unghie affilate senza alcuna pietà.
“ZITTA, zitta ho detto! Tu non sai niente, niente! Chiudi quella bocca e VATTENE!” urli alla fine.
Ti accorgi a malapena delle lacrime copiose che hanno cominciato a scendere dai quei occhi maledetti e volti il viso verso la parete più vicina appogiandovici un pugno chiuso.
Controllati urla la tua mente.
Fissi l'intonaco bianco, cerchi una briciola remota di ragione che tarda ad arrivare. Non devi mostrati tanto debole di fronte a lei. Chiudi gli occhi con lentezza e preghi con tutto te stesso che ascolti quel che hai detto, che se ne vada, sparisca per sempre, ti lasci macerare nella tua disperazione.
Ma non lo fa. Chiedi a te stesso quando mai ha agito come avevi programmato. Gentilmente, ti scosta e si infila nel piccolo spazio che separa te ed il muro, riempiendo il vuoto. Evita di forzare la vostra vicinanza più del dovuto, lo senti da come congiunge con delicatezza le mani dietro la tua schiena, piegata per il troppo peso accumulato anni che ora siede su di essa. Appoggia piano la guancia sul tuo petto, attenta, là dove teoricamente dovrebbe esserci il cuore.
E la stringi, forte, ma é lei che tiene insieme i pezzi della tua anima. La stringi forte, come quel giorno, ma sai che questo non é un addio e per una volta resterete entrambi lì, immobili.
Non dice niente ma, anche se ti viene da vomitare al solo pensare di aver ammesso una cosa del genere,  seppur solo nella tua mente, quel silenzio parla molto più di quanto le parole non potrebbero mai fare.
Qualcosa di umido e soffice ti sfiora le labbra. Sa di fresco, somiglia ad un pasticcino zuccherato. É timido, appena accennato e totalmente, inaspettatamente, incredibilmente... Dolce.
Ti annienta.
La vuoi plagiare, ma non lascerai che nessun altro la sfiori, mai. Perché vuoi avere la testa sgombra, poter respirare liberamente, sentire il suo profumo tutte le mattine, regolarizzare il battito in un suo abbraccio, guardarla negli occhi senza paura di essere giudicato.
Ma sia chiaro, non per amore.
É solo... Ada. E faresti meglio a starvi attento, trattarci con cautela perché, sappilo, tu le appartieni più di quanto rifiuti di ammettere.
 
Mi odierai, forse si,
Ma lo fai sorridendomi,
Dicendomi che anche se mi sveglio
Tornerai
-Modà
.
.
.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
A(l)n(y)golino:VICADAAAAAAAAAA VINCADA VINCADA VINCADA E ANCORA VINCADA*-* Il mio rosicamento pazzesco sul finale di PH sbarca sul fandom in veste di ff. Che dire? Happly ever after per tutti, era da tanto che volevo scrivere su loro due! Lo stile é un pò buttato lì, l ho scritta un po di tempo fa ma non ho avuto cuore di modificarla, per cui sentitevi liberi di criticare! Detto ciò, mi rifiuto categoricamente di accettare il finale del manga, *SPOILERISSIMI* tra Break, matrimonio random tra Sharon e Reim, Oscar, Zai a caso, Ellliot, Leo/Glen/Oswald con accenni Leviosi sclerati, Rufus che non si sposa con Sheryl neanche dopo millenni, Vincent scomparso, Ada che esce con il cicciociccione paesano coi baffi e facciamo pure un povero accento a quei due crepati di protagonisti che implodono *FINE SPOILERISSIMI* sono morta. Per quanto riguarda Vince, ammetto che mi ha deluso moltissimo il comportamento che gli ha rifilato Jun. Cioè, bene o male tutti i personaggi alla fine si evolvono e trovano la loro strada. Lui no. Lui rimane il solito cretino mongospastico che vuole decidere per gli altri. Sul genere yeah masochizziamoci! anche se ho trollato Gil dicendogli che non voglio più morire un po' di tagliamento di vene ci sta. No comment. Per cui é nata l'idea. E se facesi una mia personale raccolta happy ending per tutti? Quindi eccomi qui!
Aspetto vostri pareri,
AlnyFMillen
 

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Capitolo 2
*** Sole diventerò e ti sorriderò ***


Sole diventerò e ti sorriderò





Mi piacerebbe che io fossi quella che…


Un solo, identico pensiero: correre. Non era volontario eppure la dose di adrenalina che era entrata in circolo nel mio sistema nervoso sembrava gridare impellentemente quell'ordine. Osservai distrattamente i piedi aderire al pavimento gelido per poi risalire in aria incuranti del contatto con il marmo. E di nuovo giù e poi dietro, con movimenti a me sconosciuti, leggiadri eppure al tempo stesso decisi, quasi fosse un passo di danza provato e riprovato sino allo sfinimento, di cui io però non sentivo la stanchezza.
Due gambe slanciate e snelle, le mie gambe slanciate e snelle, si muovevano come guidate da un istinto predominante verso l'unica meta degna di essere raggiunta.
Nella foga, una foga che non avevo mai osato provare, proibita, semplicemente inopportuna per una come me, urtai il carrello di una cameriera al lato del corridoio, rischiando di far cadere l'intero contenuto di quest'ultimo. Mi aggrappai con le prime falangi alla ringhierina guardando con fare mortificato la donna e preparando velocemente delle scuse uscite dalle mie labbra con fin troppa velocità, tanto che fece fatica nel comprendere quel che cercavo di dire.
“Scusami Sussane, mi spiace immensamente provvederò a sistemare tutto”
Spostai, con quanta più gentilezza potessi essere capace nell'istante, la domestica e il carrellino con al di sopra probabilmente la colazione che non avrei mai mangiato. Sentii provenire dalle mie spalle un gridolino di sorpresa, mentre riprendevo la mia corsa e giunse alle orecchie la voce shockata di Sussane
"Ma... Miss Sharon?!"
Prima di svoltare lungo il corridoio che mi avrebbe condotto finalmente alle scale, lanciai uno sguardo estasiato al volto palesemente sbigottito della povera donna.
“Uno, due, tre, dai manca poco” dissi rompendo il tenue silenzio che avvolgeva la magione, la voce ridotta ad un sussurro, rotta dal fiatone.
Feci gli scalini a due a due, rischiando più di una volta di inciampare o sbilanciarmi così da cadere all'indietro ma mi appoggiai prontamente al corrimano in mogano intagliato, che avrebbe risentito parecchio a causa delle svariate volte in cui lo avevo infilzato con le unghie per sorreggermi.
Risi tra me e me. Che esempio avrei dato alla cara Alice se avesse saputo del mio comportamento? Io che avevo cercato di inculcargli con quanta più gentilezza possibile le basi del comportamento tenuto da una signorina per bene.
Non c'era niente del comportamento che avevo adottato quella mattina definibile educato o consono. La schiena non era dritta, il mento non era alto, le buone maniere erano volate altrove. La nonna continuava sempre a ripetere che "Una Rainsworth deve sempre saper dosare le sue emozioni con il contagocce" ed era la regola fissa che avevo sempre seguito, più o meno appropriatamente. Ma non avrei mai pensato di poter mettere in conto una cosa del genere, che dall'oggi al domani--.


…Tu sogni così io mi posso trasformare…

Infine, inchiodai dinanzi alla sua stanza, senza nemmeno degnarmi di bussare ed entrando teatralmente, spalancando la porta e senza curarmi di richiuderla. Girai freneticamente la testa da una parte all'altra fin quando non riconobbi un bozzolo avvolto tra le coperte posto per lo più al centro del letto.
“Xerx-niiii” urlai saltandogli addosso senza troppi convenevoli e cominciando a scuoterlo. Ne era passato di tempo da quando lo avevo chiamato fratellone...
Avrei potuto scommettere l'intero patrimonio dei Rainsworth di non averlo mai visto - ne tanto meno aver mai visto nessun altro- far un salto così alto. Si tirò di scatto a sedere, rischiando di darmi una testata in pieno volto. E forse me la diede pure, ma comunque la mia attenzione non era concentrata su quel minuscolo particolare.
“Break!! Break!!” gridai nuovamente.
Si massaggiò la testa con fare dolorante e strizzò l'occhio come a cercar di attenuare il mal di testa che dovevo avergli fatto scoppiare, per di più da appena svegliato, anzi, più dormiente che altro. O forse stava semplicemente cercando di trovare una spiegazione plausibile a quel che stava accadendo ma, in tutto ciò, non si aveva tenuto conto di una cosa: non mi interessava affatto.
“Cosa c'è di tanto urgente signorina, la residenza sta forse andando a fuoco?” domandò ironico e lievemente irritato.
Mi avvicinai di più a lui scuotendogli le spalle in un modo che avrebbe potuto definirsi tutt'altro che appropriato. Ma cosa, dopotutto, lo era?
“Oh cielo, Break. Guardami. Io... Io... Guardami” balbettai mentre mi indicavo, troppo entusiasta anche solo per terminare una frase.
Con lentezza snervante sollevò le palpebre cercando di metter a fuoco l'immagine che si trovava a pochi centimetri da lui. Poi sbarrò il suo unico occhio, interdetto.
"Ojou-sama...” sussurrò e sembrò quasi avesse il tono di una domanda.
“Si!” confermai gettandogli le braccia al collo. “Si, si, si, si, si” ripetei come un mantra per poi riprendere fiato e continuare “Sono io, sono cresciuta!” conclusi allontanandomi leggermente e guardandolo in volto.
Sorrise, un sorriso sincero eppure... Stonato da qualcosa. Ma cosa?
“Beh, era alquanto prevedibile considerando gli sviluppi negli ultimi giorni...” confidò spostando lo sguardo in alto con fare ovvio.
Non dirmi che...
“Che tu lo sapevi già!” chiesi, ma era ovvio il fatto che fosse un'accusa senza neanche bisogno di conferma.
Allungò una mano verso il proprio comodino alla ricerca di un qualcosa, dolci probabilmente, e rimase soddisfatto nel trovare il cofanetto delle caramelle proprio lì al suo posto. Ne prese una con calma e la mise in bocca masticando pacatamente.
Odiavo quell'aria di suspense che aleggiava intorno ai suoi discorsi.
“Diciamo solo che...” Liberò dal proprio involucro un'altra pallina colorata e me la porse, spingendola fra le mie labbra “... Ero già a conoscenza di alcune cosuccie”


E poi ti posso accontentare, appena sorge il sole…

Non ebbi il tempo di ribattere, sbuffare, prendere il ventaglio, od optare per aggredirlo a mani nude per quella risposta indecente, perché il suo sorriso si fece d'improvvisamente più ampio. Il suo sguardo dardeggiò per l'ambiente fino a soffermarsi nuovamente su di me. Si c'era decisamente qualcosa.
“Cooomunque, non credevo che questa crescita l'avesse entusiasmata tanto da farla diventare una ragazza dai così facili costumi, per così dire” ridacchiò.
Lo fissai interrogativa spostando lo sguardo ancora incredula, sulle mie braccia nude, le mie gambe, la mia camicia da notte stretta, arrivata ormai solo a metà coscia, i--... Aspetta COSA!?
Mi alzai di scatto sul letto, rossa come non avrei potuto mai immaginare. Sentivo le guancie in fiamme e sapere che il suo sguardo canzonatorio era lì, pronto a ricordarmi quanto fossi una facile vittima di cui burlarsi non faceva altro che peggiorare le cose. Cercai di scendere dal letto, con tutta l'intenzione di andarmene indignata e non rivolgergli più la parola per giorni, settimane, mesi appena varcata la soglia di quella porta, no... Aperta! La porta era aperta! Pregai che nessuno, se non Sussane, fosse venuto a conoscenza della mia corsa mattutina, o peggio ancora, di ciò che era accidentalmente stato equivocato giusto cinque minuti prima.
Ma le voci correvano in fretta, dovevo sbrigarmi.
Piede su, scalcia, coperta, groviglio e puf, persi il poco e precario equilibrio che mi rimaneva. Aspettai il contatto scomodo con il tessuto delle coperte ed il tonfo che sarebbe seguito ma né l'uno né l'altro arrivò. Arrivò invece una stretta altrettanto calda, altrettanto morbida e rassicurante ma di gran lunga preferibile ad un piumone.
“Dovrebbe stare più attenta” sentii la voce di Break arrivarmi come amplificata, essendo a stretto contatto con la sua gabbia toracica.
Le mie guance si tinsero nuovamente di porpora. Certo, niente a che fare con l'allarmante colorito violaceo che avevo assunto poco prima, ma quel che bastava per farmi preoccupare che lo avesse notato. E all'improvviso... Non avevo più voglia di muovermi. Tutti i propositi di andarsene erano, per l’appunto, andati a farsi benedire assieme all'angoscia per i pettegolezzi che potevano star dilagando come un fiume in piena per l'intera città.
Poggiai una mano all'altezza del suo cuore premendo leggermente i polpastrelli contro il suo petto, dove il sigillo di un contraente illegale pulsava al solo tatto. Ma il cuore era più potente, e batteva forte, di un suono sordo e rassicurante, dandomi la certezza che a stringermi fra le braccia fosse vivo. Avvampai quando sentii il suo respiro fresco lambire un lembo scoperto del mio collo, mentre affondava il volto nei miei capelli lasciati sciolti sulle spalle, senza curarsi di niente e nessuno.
“B-Bre-eak?!” sussurrai un’ottava sopra il mio tono normale ma in modo appena percepibile.
Fu in quel momento che accadde l'impensabile.
Si udì un singulto provenire dalla nostra destra ed entrambi ci voltammo allarmati.
Sull'uscio stavano due cameriere, munite di grembiulino bianco e espressione a mio parere molto poco rassicurante. Dopo un veloce inchino si dileguarono tra gridolini a bassa voce e schiamazzi, senza nemmeno attendere l'ordine di congedarsi.


…Venendoti a svegliare, per farmi respirare…

“Oh no. Oh nononononono” gridai in preda al panico guardandomi attorno alla ricerca di una soluzione.
Lui soffocò una risatina, guadagnandosi un'occhiataccia. Non poteva essere. Come? Dove? Quando? Come avevo fatto a distrarmi in quel modo?!
“Io un'idea ce l'avrei...” rispose l'assolutamente-non-interpellato.
Avevo incominciato a parlare ad alta voce e nemmeno me ne ero accorta? Di male in peggio.
“Chissà cosa penseranno ora tutti quanti! Non potrò più farmi vedere in città, resterò chiusa dentro la residenza. Anzi no, dentro le mie camere. Oh, cosa dirà la nonna. E le altre casate cosa penseranno dei Rainsworth! Proprio ora che avevo la possibilità di partecipare ad una di quelle tanto bramate feste e conversare con le mie coetanee! Se la voce giungesse poi a quella chiacchierona della contessa di Reville! La nobile Ada non crederà mai più ad una sola parola di quel che le dico e non potrò più sp--" e giù a elencare.
Inaspettatamente, Break uscì dal bagno, dove probabilmente si era rifugiato per sfuggire al fiume in piena di parole che lo avrebbe travolto, già vestito di tutto punto. Tirò fuori un lecca-lecca dalla manica della divisa di Pandora stranamente indossata, e come ci fosse finito lì, solo Dio lo sapeva, mi lanciò un’occhiata troppo divertita per i miei gusti e trattenne un nuovo riso.
Sorrisi anch’io, gentilmente. Un sorriso di avvertimento prima della bacchettata che si sarebbe abbattuta su di lui.
“Che cosa trovi di tanto divertente, Break?” domandai in fare che di rassicurante non aveva proprio niente.
Si avvicinò con molta nonchalance, troppa, e si piegò leggermente per arrivare alla mia altezza. Impossibile come, anche se cresciuta, restassi sempre un pezzo buono più bassa di lui. Lo squadrai distaccatamente, sospettosa, quando ad un tratto la confusione prese il sopravvento al solo contatto che lui aveva creato alzandomi il mento con un dito.
Avvicinò il suo viso al mio, così vicino che potevo sentire il suo respiro infrangersi sulle mie labbra. Il suo profumo zuccherino s’intensificò entrando con irruenza nelle mie narici.
“Non è poi successo un che che di speciale milady” sussurrò a pochi millimetri da me, senza aver la minima e intenzione e di allontanarsi e di avvicinarsi.
Per una frazione di secondo, lo sentii vicino, così vicino da poterlo respirare ma durò un attimo. Poi si allontanò velocemente saltellando verso la porta come nulla fosse, lasciandomi imbarazzata e rigida nel mezzo della stanza.
“Break!” chiama quasi istericamente.
“Si?” domandò con un sorriso angelico stampato in volto.
“Dove vai ora?” dissi la prima cosa che mi passò per la mente. Non 'C-che cosa era qu-quello?!' oppure 'C-cosa avevi intenzione di f-fare?" e nemmeno 'Sei un'idiota'. Solo un 'Dove vai'.
“A riparare al danno prima che sia troppo tardi signorina, oppure credo sarà costretta a prendere seriamente in considerazione la proposta di chiudersi in camera a vita. Provvederò personalmente a procurarle i viveri!” detto ciò, sparì, dileguandosi.


Se il temporale poi, verrà a cercarti per
Portare la tristezza dentro te
Allora io più in alto volerò
Sole diventerò e ti sorriderò
Modà
.
.
.









A(l)n(y)golino:Salve a tutti aggiornamento notturno^^Ok,ok so che alla fine delle scorse note avevo inserito uno stralcio della happy ending di Elliot,Leo,Oz e company,ma…Proprio non mi veniva niente che fosse vagamente decente,per cui sono andata avanti:OMMIODIO BREAKXSHARON FOREVER em em.Ho rosicato come non si sa cosa quando alla fine Sharon è cresciuta solo dopo pochi mesi dalla morte di Xerx TT_TT e poi ha addirittura sposato blah Reim(cosa che trovo totalmente insensata)e quindi puffff.Io personalmente li shippo come non mai e dopo aver letto in una delle scan giapponesi tradotte in inglese nella quale Reim racconta che quando era andato a regalare un mazzo di rose ad una Sharon piccina picciò,lei aveva rifiutato perché da grande avrebbe voluto sposare il suo Xerx-nii AWWWWWW non cel’ho fatta più e scialla sono diventati l’OTP delle OTP.Nonostante questo,ho provato a tenermi un po’(e per questo è un po’cortina)per rispetto nei confronti di chi legge ‘sta roba ma li vede solo come fratello e sorella ;.; spero non essermi jashfuibvpeibeiata troppo.Nel caso della VinceAda è diverso,perché il loro tipo rapporto è palese,mentre qui ci sono più impicci.E niente,vorrei sinceramente ringraziare tutti coloro che hanno letto,messo tra le seguite,le preferite o recensito.In particolare un grande lovvoso thx a whitemushroom FairyTaulNatsueGray Ronnie Stregatto stellaskia #equelladannatageniapigradi _Mamoru_:grazieeeeeeeee
Detto ciò,spero che il capitolo vi sia piaciuto,fatemi sapere,sono sempre accette critiche,consigli,correzioni e quant’altro:P Spero di non aver fatto troppi casini,l’ho appena finita di scrivere e subito pubblicata perché voglio seriamente rispettare il limite di una settimana che mi sono data,anche se la canzone non è scelta proprio con cura ma un po’ così…Dita incrociate!
Alla prossima,
AlnyFMillen

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Capitolo 3
*** Come se fossero desideri irraggiungibili ***



Come se fossero desideri irraggiungibili



 
E'bastato un semplice sguardo per...
 
Presente. Non le piaceva quando era bambina, non le piace adesso e non crede le piacerà mai. Le storie narrate al presente sono troppo forzate, è una costrizione parlare di un accaduto come se ci stessi affondando la testa proprio al momento. Servirebbe a far immedesimare meglio il lettore, obbligandolo a seguire la trama fin alla fine, ma questa risulta spesso null'altro se non estremamente faticosa e noiosa.
Il passato è la scelta opposta: in primo luogo, si può avere una maggiore padronanza dell'ordine cronologico, nel quale si ha la possibilità di far comparire i fatti come piace e pare allo scrittore, e sicuramente c'è anche libertà più ampia per quanto riguarda il mostrare ma non raccontare. Tutti i più grandi romanzi sono scritti al passato, basti pensare ad Orgoglio e pregiudizio, Jane Eyer. Quindi, quale dovrebbe essere il problema? Nessuno, eppure c'è. E' lì davanti che si fa beffa delle sue capacità, ridendo di lei. Per la questione della narrazione in prima o terza persona ha risolto subito, si è messa a scrivere con la seconda, ma ora?
Pensare che "questi non sono pensieri degni di una Baskerville ma al massimo attribuibili ad una Rainswoth" non subisce l'effetto desiderato su Charlotte che, calamaio pericolosamente in equilibrio tra le pieghe della gonna e piuma ancora pregna d'inchiostro, sbuffa. Senza troppi complimenti lascia ciondolare la testa indietro, tirando ritmici colpi sulla corteccia del grande albero alle sue spalle. Per fortuna, non c'è nessuno che può vederla così rintanata tra i cespugli e le foglie a quell'ora di mattina. Si è svegliata di buon'ora, anche troppo presto per i suoi gusti. Se solitamente è una persona mattiniera, oggi avrebbe fatto meglio a non andare a dormire affatto. Per un po', ha pensato di rimettersi a dormire, ma poi un'idea si è impossessata del suo cervello e non ha potuto far a meno di assecondarla e metterla su carta. Poco dopo però, dato che il foglio continuava ed essere ininterrottamente bianco, si è costretta a lavarsi, vestirsi e poi uscire, determinata a farsi svegliare dall'aria frizzantina della residenza e invece... Tiene gli occhi fissi sul foglio ingiallito e scarabocchiato, come se le parole potessero apparire magicamente l'una dopo l'altra. Ma non lo fanno, ovviamente, e lei si ritrova a leggere per la centesima volta in quei due minuti lo stesso identico stralcio che è riuscita a buttare giù con stentatezza.
 
...Capire che nei tuoi occhi mi stavo perdendo...
 
       << 
Era finalmente  arrivata alla festa dopo tut
Entra nella sala e si guarda attorno: nessun viso a lei conosciuto ne tantomen
“Buonasera” salutò galantemente Mr Kant appena la vide
LISCIA LE PIEGHE DEL SUO ABITO MALCONCIO
 
“Elizabeth, aspetti”
 
Chiamò Esclamò una voce poco distante dietro di lei poco distante.
Era una piacevole sorpresa avere l'opportunità POTER vedere il signor Henry venirle incontro, ma convenne fosse più cospicuo non destare sospetti su quella strana ed inusuale simpatia che provava nei confronti dell'uomo. Sia mai gli venissero in mente strane idee sul loro suo conto ma non le ricambiasse pienamente! Sarebbe diventata lo zimbello di tutti ed avrebbe dovuto rinunziare per/sempre al suo orgoglio femminile. Non ebbe la volontà di pensarci nè stette a rifletterci a lungo poiché Mmr Henry era arrivato a raggiungerla con poche falcate ben piazzate.
 
“Mi permetta di disturbarla ma... Oh, state andando via? di già?”
 
Nel suo tono apparve un che di deluso e lei ma Elizabeth ma a quella stupida di una ragazzina depressa non poteva interessare di meno perchè era, come ho appena detto, una ragazzina stupida e depressa ma facciamo anche insensibile, è più chiaro così? Lui ti ama e tu che fai? Ma andiamocene e ignoriamolo che ho paura, e TU, TU ancora che gli vai dietro, non sei da meno allora! ed ella non ebbe cuore di negargli un sorriso, per quanto mesto e contenuto.  
                                                                                                            >>
 
 
“E' solo un dannatissimo pezzo di una dannatissima festa” pensa passandosi una mano sul viso in cerca di un misero rimasuglio di ispirazione. Si impone di pensare, torce le mani nervosa. Tutto quel putiferio per una semplice, mediocre festicciola da quattro soldi alla quale Elizabeth, la protagonista di quella maledetta storia che si è ripromessa di portare a termine, neanche vuole andare! Se non fosse stato per quell'idea grandiosa che la sera precedente le ha portato, ora sarebbe ancora al letto al calduccio, e non magnificamente incastrata in un vestito troppo stretto per una ventenne appallottolata su se stessa a cui manca l'aria ad ogni singolo respiro. Figurarsi se poi la ragazza in questione è proprio lei, che si infastidisce per un nonnulla ed ora è nel pieno di una crisi di nervi. Qualunque rumore, benché minimo potrebbe farla scattare.
Allenta i lacci del corpetto e sfila da testa quelle forcine che le stanno infilzando il cranio, mugugnando uno stizzito "Al diavolo". Si perché, fin quando è in pubblico può benissimo comprendere il perché di tutto quell'abbigliamento, ma questo non è certamente il caso. Passa le mani tra i capelli non tanto per pettinarli e rendersi presentabile quanto per ridargli una loro disordinata forma, il fiocco troppo stretto le ha fatto scoppiare un mal di testa atroce ed ora la cute pulsa insistentemente. Punzecchia con i polpastrelli la base del naso, poi torna ad appoggiare il capo sulla quercia, disperata.

...Sensazione che non provavo da tempo...
 
"Perché diamine non mi viene!" urla serrando i pugni in aria con rabbia.
E'andato tutto liscio fin a quell'istante ma all'improvviso non riesce più a scrivere quattro righe messe in croce. Squadra il giardino da cima a fondo, almeno fin dove riesce ad arrivare dalla sua scomoda posizione. Le serve una foglia, un filo d'erba, una colonna, qualunque cosa possa smuoverla da quello stato di fermo. La vista non le rimanda nulla, quindi decide di chiudere gli occhi, così che i saloni possano dipingersi nel buio della sua mente, le dame possano danzare nelle loro vesti ampie e le candele possano accendersi. Al mormorio degli uccelli che cinguettano sui rami sopra di lei, al suo respiro calmo e pacato si sostituiscono le voci e la musica. I violini – oh, quanto adora i violini- stanno intonando una suoneria fin troppo conosciuta, armonizzata per più strumenti, non proprio proviene da un vecchio carillon dorato ma poco ci manca.
Confidence.
E' una variante un po' più complessa e lavorata di Lacie, più una gemella che una rivisitazione, ascoltata nettamente di rado ma che Lottie ricorda perfettamente ed è riuscita anche ad imparare. Ogni tanto, quando il silenzio è sovrano e poche persone sono all'erta, sgattaiola verso uno strumento e lo lascia parlare, più volte, fin quando non sente che la melodia è perfetta e potrebbe andar avanti per l'intera giornata. Lì smette, non ha spartiti da sistemare perché le uniche sue compagne sono la memoria e le orecchie, solo si accerta di non essere stata vista o sentita, mentre con passo furtivo torna nella propria camera. Certo, perché non ci ha pensato prima! La musica, la musica è la giusta dose di ispirazione che le serve! Dischiude le palpebre attenta a non perdere l'idea. Dovrebbe recarsi nel salone principale, lì dove l'immaginazione potrebbe lavorare meglio. Fa per alzarsi, pulisce la gonna dalla sporcizia e... IL NOBILE GLEN!
Con uno slancio, torna a raggomitolarsi dietro i cespugli, quasi si stende. Non può averla vista, no? E' una macchia rosa nel mezzo del verde ma pur sempre nascosta! E' saltata, ha la guancia a contatto con l'erba bagnata di rugiada ma è ancora rossa come un peperone. Si affretta a stringere il corpetto e arrotolarsi i capelli, ma non trova le forcine, probabilmente perse da qualche parte nella stoffa del vestito, così decide di legarli alla bell'e meglio con il fiocco, lasciando qualche ciocca ad incorniciarle il viso. Riluttante, si sporge di qualche centimetro verso la direzione della villa.
 
...E che ora vivo per te...
 
E' lì, con la solita uniforme nera. Stivali alti fino a pochi centimetri sotto al ginocchio, gilet sopra la camicia bianca, leggermente più chiaro con quattro bottoni sul davanti, fazzoletto bianco a due risvolti. Ma, no, non ha indosso il cappotto a collo alto tanto lungo da toccare terra. Strano, non l'ha mai visto senza, in veste di capo dei Baskerville deve sempre avere un'aria impeccabile e mantenersi superiore. Non che adesso abbia qualcosa di meno, è solo... diverso. Forse, ma solo forse, più uomo che padrone. La solita espressione neutra stampata sul viso dai lineamenti delicati, gli occhi viola scivolano pacatamente sul giardino. Lo sguardo si sofferma qualche tempo in più sulla direzione in cui ha trovato rifugio Charlotte, poi con tranquillità, dopo aver dato un'occhiata veloce all'orologio da taschino, si avvia verso di lei.
Panico.
Non capisce perché stia venendo proprio lì, solitamente avrebbe osservato per un po' il panorama e poi continuato a camminare come se nulla fosse -lo sa perché è capitato più volte che facesse cadere qualcosa mentre sbirciava di nascosto i suoi movimenti e lui l'avesse scoperta. Ma ora è tutto completamente diverso!
Con uno scatto, si tira a sedere, cercando di eliminare completamente le foglie che le si sono impigliate addosso, recupera il taccuino e cerca di darsi un'aria meno agitata, poggiando le mani fredde sulle gote per raffreddarle. E non funziona, si sente più nervosa che mai.
E' sempre più vicino, a separarli ci sono solo pochi passi veloci. Lo vede camminare con compostezza, come ad annunciare il suo arrivo. Ancora non capisce come possa essere amico di quel Jack, il suo completo opposto, eppure sembra che ci sia un legame d'amicizia tanto forte da risultare indissolubile. Sarà merito della tanto famosa Lacie? Da quanto ha capito, è un argomento tabù, che si domandino informazioni su di lei oppure no. Ovvio che Lottie non ha mai chiesto nulla al nobile Glen sul conto di quel nome misterioso, ma quando ha provato a parlarne una volta con il Vessalius, lui si è fatto subito serio -cosa più unica che rara- e con aria trasognata ha accennato a qualcosa come al fatto che fosse la persona più importante delle loro vite. Facendo poi qualche ricerca indiscreta, è venuta a sapere che è la sorella minore del suo padrone. Cosa centri il biondo non le interessa, la sua ricerca è finita quello stesso giorno: un conto può essere nutrire forte ammirazione nei confronti del proprio capo, la propria guida e avere il desiderio di conoscerlo, un altro ficcare il naso in affari troppo privati. Se non se ne discute mai, un motivo ci sarà. Ha avuto ciò che cercava perché, si, deve ammetterlo, un po' era gelosa di questa donna senza volto a cui quei due sono tanto affezionati. E' arrivata al punto di costruirsi storie inverosimili fatte di amanti, tradimenti e chi ne ha più ne metta. Invece, l'unico riflesso che pare esserci di lei è quella malinconica melodia scritta da un fratello a cui è stata strappata la sua unica famiglia. Non ha mai visto quel lato di Glen.
 
...Che prendi posto nei miei pensieri...
 
Improvvisamente si riscuote dai suoi pensieri.
Fai qualcosa non puoi restare a fissarlo! urla dentro di sé, rischiando seriamente di pronunciare le parole ad alta voce e passare per una squilibrata. Apre il quadernino ad una pagina qualunque e comincia a scarabocchiare frasi senza un senso compiuto. Continua a passare e ripassare lo sguardo su quei segni informi, mentre cerca di mantenere una parvenza di disinteresse.
“Charlotte…?”
Nel momento esatto in cui la voce le arriva alle orecchie, sente i passi dell'uomo arrestarsi e scorge la punta delle sue scarpe a pochi metri da lei. Non deve fingere, lui, di non essere minimamente incuriosito da quello che gli accade intorno, la voce ha la stessa, perenne neutralità di sempre.
“N-nobile Glen...?!”
L'esclamazione le esce eccessivamente stridula, come se stesse parlando in falsetto, e non ha bisogno di dimostrarsi forzatamente sorpresa perché lo è già abbastanza. Per quanto fosse stato lampante il fatto che stesse venendo proprio lì, non si aspettava di certo che si presentasse seriamente davanti a lei. Non sul serio. Deve star sognando perché è una situazione totalmente inverosimile che ha paura di crederla concreta. Passa la mano desta sul lato del braccio sinistro e stringe un lembo di pelle tra il pollice e l'indice in un lieve pizzicotto. No, non sta sognando, ha fatto un male cane.
Si alza, fa un veloce inchino, poi due e tre e quattro. Le parole sgorgano fuori dalle sue labbra senza nessun controllo, con una velocità a dir poco impressionante.
“WAAAAAA mi scusi, mi scusi, mi scusi, mi scusi tantissimo, non mi sono nemmeno alzata per salutarla! Buongiorno, ha dormito bene? Spero di non aver disturbato la sua usuale passeggiata mattutina! Non che io sappia se la fa spesso, ma sembra il tipo! Mi scusi, la sto trattenendo ancora, scusi!”
Leggermente shockato, l'altro si limita ad ascoltarla mentre le fa cenno di tranquillizzarsi con una mano. Ma niente, sembra priva di controllo, così che la ragazza, per cercare di fermare il fiume di scuse che ha travolto il capo dei Baskerville e non accenna a terminare, pensa di gettarsi a capo fitto verso il porticato alla ricerca di una fuga disperata. Invece rimane con i piedi incollati al terreno, punta gli occhi sul fiore lì accanto. Lo osserva senza realmente vederlo, ma le sembra che abbia un centro giallo e dei petali bianchi.
Ed eccola arrivata in tutta la sua gravità: la quiete dopo la tempesta. Silenzio, non uno di quelli piacevoli che sono lasciati cadere spontaneamente quando ognuno si perde nelle proprie riflessioni, no, questo è il tipico "sto zitto perché non so cosa dire" o, nel caso più specifico, "sto zitta perché ho paura di dire cose oscene".
Alza lentamente lo sguardo per controllare cosa stia realmente succedendo e incontra due ametiste viola intente a scandagliarle l'anima con una sola occhiata. Distoglie in fretta l'attenzione mentre lui inarca lievemente un sopracciglio. Quello destro, la fronte marmorea è increspata. Tutta quell'assenza di conversazione non sembra infastidirlo troppo, ed anzi, si trova talmente a suo agio che dopo pochi minuti domanda con quanta più glacialità ha in corpo se può accomodarsi lì accanto. O forse è lo stesso tono di sempre, non riesce a capirlo. Magari ha solo voglia di sedersi da qualche parte e lei gli ha rubato il suo nascondiglio preferito, ma si limita ad annuire.
“Con permesso” mormora poi appoggiandosi appena all'erba sottostante, il più lontano possibile da lui ma non poi tanto, come se fosse pronta ad andarsene appena richiesto.
“Mi sono sempre chiesto perché tu e Jack stiate sempre a rincorrervi” dice ad un tratto l'uomo “Ogni volta che cerco tranquillità c'è sempre lui di mezzo”
La schiena della ragazza ha un lieve sussulto nel sentire nuovamente la sua voce. Le sembra scortese non rispondere, sa che non è un tipo di troppe parole, ma le vengono i brividi al pensare che la prima vera e propria conversazione che hanno è basata su Jack, per cui cerca di spostare l’attenzione.
“Sembrate molto legati” azzarda dischiudendo leggermente le labbra.
Occhiata furtiva, respiro trattenuto.
L'altro si rigira tra le mani il vecchio carillon dorato lasciando scattare la molla così che le note di Lacie possano diffondersi per breve tempo in quel vicolo d'erba prima di essere tagliate con uno scatto secco.
“Forse lo siamo. E' un uomo strano, tanto strano che a volte nemmeno io riesco a capirlo” continua “La prima volta che ci siamo incontrati gli dissi che per me era come acqua. Quando lo si ha davanti si prova la fastidiosa sensazione che non ci sia nessuno. Tutt’ora é così”
Lottie soppesa le sue parole, domandandosi perché venga a dire quelle cose così personali proprio a lei, con la quale avrà scambiato si e no due battute, sottoforma di ordini da parte del primo e scuse da parte della seconda. Sembra che quel discorso abbia una notevole importanza per lui.
 
…Come se fossero desideri irraggiungibili…
 
“Quando ero piccola avevo un'amica” 
Chiude gli occhi e lascia che i primi raggi del sole le scaldino il viso. Sa cosa sta per raccontargli, sa di non averlo mai detto a nessuno prima di allora, ma in qualche modo si sente in colpa per aver sbirciato il passato altrui senza ricambiare. 
“Si chiamava Jessy. Eravamo grandi compagne, facevamo gran parte delle cose assieme. Poi un giorno, bussai alla sua porta per chiederle di giocare ma mi venne risposto che non c'era e aveva altro da fare. La stessa scena si ripeté il giorno seguente, poi quello dopo ancora, finché una mattina non la trovai per caso mentre tornavo a casa. Le chiesi perché non mi avesse più cercato, lei mi rispose che l'avevo ferita e non voleva più vedermi. Non seppi mai cosa le avevo fatto né quando, so solo che persi un'amica, che forse neppure era tale” si interruppe un attimo per riprendere fiato “Quel che voglio dire è che la cosa importante non è capirsi, ma accettarsi. Ci sono molte cose nella vita che non possiamo comprendere, che riteniamo comunque degne di attenzione. Non vuol dire che dobbiamo smettere di provare a trovare le nostre risposte ma...”
Aprì finalmente gli occhi, senza più paura di essere giudicata. Stirò le labbra in un sorriso volse il volto verso destra.
“...Se qualcuno le è sempre rimasto fedele, non crede meriterebbe un po' più della sua fiducia?”
Sperò capisse che quel discorso non era assolutamente riferito a quell'idiota di Jack -va bene, forse un minimo lo era- bensì a lei stessa e alla sua cieca devozione verso quello strano individuo che sedeva poco lontano. Ma era ovvio che sarebbe restata a guardarla con il suo solito sguardo, senza un accenno visibile della scintilla che lei sperava apparisse. Probabilmente già sapeva com’era fatta, lo riteneva un più che abile lettore di anime e non doveva averci impiegato molto tempo prima di inquadrarla.
Dal canto suo Glen non poteva far altro se non restare a guardarla. Come dirle? Come dirle che il problema stava proprio nel fatto che non sapeva se Jack fosse restato o meno al suo fianco, se non l’avesse soltanto usato come tramite e sfruttato? Come dirle che aveva sospettato fin dal primo istante di quell’uomo tanto deviato da non poter essere carpito ma il suo cuore debole aveva finito per reputarlo un amico? Come? Non lo sa, forse il modo lo troverebbe, lo trova sempre, fatto sta che, quando fa per aprire la linea fina delle labbra, una voce lo blocca.
Charlotte si volta alla ricerca del suono, un po’ allarmata.
Da sotto le colonne una donna si sta sbracciando urlando il nome di qualcuno. Forse... Oswald? Non conosce nessuno con quell'appellativo dentro la residenza, magari un nuovo arrivato. Segue la linea tracciata dagli occhi di sangue della ragazza, brillanti di curiosità persino dalla distanza media a cui si trova, fino a raggiungere la suddetta persona a pochi centimetri da dove si trova lei stessa.
Oswald si alza silenzioso avviandosi verso la sorella e il proprio migliore amico, sopraggiunto da pochi secondi. Lo sguardo leggermente scocciato, eppure acceso di un amore fraterno, lancia quella che dovrebbe somigliare ad un'occhiata di rimprovero ma non riesce ad esserlo. Prima che sia troppo lontano dedica un ultimo sguardo alla dama sotto l’albero, poi viene preso sottobraccio da Lacie e trascinato di peso fin a chissà dove.
Charlotte si limita a sorridere abbassando lo sguardo, appuntando mentalmente di ringraziare Fang per averle lanciato quella frecciatina secondo la cui non sarebbe in grado di scrivere neanche un misero racconto.
 
 
...E regalarti il giardino più bello
Che c’è nel mio cuore per te
E come i fiori
Hanno bisogno d'acqua

Modà
 .
.
.

 
 
 
 
 
 
 
 
A(l)n(y)golino:Buooondì a tutti:) Finalmente è arrivata la Oneshot su Elliot??Ma che domande,certo che NO.Chiedo venia,so che dovevo pubblicarla già la volta scorsa ed alcuni di voi la stanno aspettando(qualcuno è anche passato alle minacce pesanti O_o hahaha)ma...Non so seriamente quando arriverà.Come ho scritto anche in una risposta di recensione,voglio aspettare che la mia situazione scolastica si calmi un po' prima di scriverla per cui spero solo abbiate pazienza e che poi non vi deluda;.; Mi scuso anche per il ritardo, mancavo di computer-.-" Andando avanti,'sta volta ho deciso di buttarmi su Lottie e Oswald.Non sono brava a scrivere in 3^persona,nè al presente,quindi non ho idea di come sia venuta(mi sono rifiutata di rileggere)E' un po'uno sclero post studio quindi help, SPERO NON SIANO OOC!!Boh,in pratica 'ho usata un po'come valvola di scarico per la frustrazione che ti senti addosso quando hai un blocco dello scrittore:vai così Charlotte!E'cattivo come Jun non parli molto degli interessi dei personaggi per esempio per quanto riguarda la lettura,per cui mi sono chiesta...Perchè lei no?Insomma ha già dimostrato di essere un personaggio molto più profondo di quello che sembrava,quindi ho pensato fosse una cosa carina che per una volta,magari anche sfidata da qualcuno,avesse trovato un bell'hobby.Che dite?Buona idea?Pessima?Note troppo lunghe?Per ora ho la risposta solo all'ultima domanda!Ringrazio seriamente chiunque legga,ricordi,preferisca,segua,recensisca*-*Non nomino un po'di gente solo perchè ho paura seriamente di fare l'angolino troppo angolone.Ok ok,battuta orribile,mi do all'ippica.
Ippica 4ever(?),
AlnyFMillen


 

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Capitolo 4
*** Special ***


Special


 
 
 
_______________
 
Xerxes: Salve bimbi e bimbe che hanno inconsciamente aperto questa pagina sperando in qualcosa di serio! Uh uh uh quanto siete ingenui... Naturalmente qui non c'è niente di-- Oh signorina, vuole che le presenti tutta questa bella gente?
Vincent: Dacci un taglio Cappellaio non interessa a nessuno
Lottie: Per una volta ha ragione Vince, meglio sbrigarci e finire subito qui questa storia, mi sta dando sui nervi
Oswald: Charlotte lei non dovrebbe essere al lavoro a quest'ora della giornata?
Charlotte: N-Nobile Glen i-io n-non pensavo fosse qui, mi scusi, mi scusi!
Vincent: Ma guarda un po', la nostra Lottie si è presa una bella cotta
Charlotte: Sta zitto tu!
Ada: Scusate se mi intrometto, io credo dovremmo pensare almeno un minimo alla storia. Infondo è per questo che siamo qui... Cosa ne dice Nobile Vincent?
Vincent: ...
Xerxes: Aww ma quante belle coppiette che vedo qui
Sharon: Mi trovo d'accordo con Miss Ada 
Xerxes: Ojou-sama... Ojou-sama rimetta a posto quel ventaglio!
Sharon: *smile* Qualcuno ha idee contrarie?
 
...
 
Sharon: Buon pomeriggio a tutti cari lettori è un piacere avervi qui, spero di non avervi fatto aspettare troppo. Scusate la pubblicazione a "due settimane", ma causa fine anno scolastico, debiti da cui fuggire, impegni vari e persino un lutto, non si è potuto far di meglio. Vi starete chiedendo il perchè io sia qui al posto di un nuovo capitolo. Ebbene ecco--
Xerxes: Signorina non vi starete mica prendendo gioco di questi poveri malcapitati eh?
Sharon: << STRAP >>
Sharon: Dicevo? Ah giusto. Ebbene ecco, questo piccolo scorcio è fatto appositamente dall' autrice per poter dar sfogo ai propri scleri chiarire il punto della situazione. Ricapitoliamo quindi assieme come si sono andati a sviluppare gli eventi nella prima terzina. Alternando seconda, prima e poi terza persona, passato e presente, si sono sviluppate tre storie collocate differentemente e nello spazio e nel tempo, tutte accompagnate dal testo di una delle canzoni dei Modà. Nella prima si assiste ad un clima più lugubre, fatto di angoscia e rifiuti. Nella seconda si cambia totalmente stile, più felice e sereno. Nel terzo si va avanti fino a sfociare nel fluff. I protagionisti di questa volta sono stati Vincent Nightray ed Ada Vessalius, Xerxes Break e Sharon Rainsworth, Oswald Baskerville e Charlotte Baskerville, ma più avanti verranno a farvi visita anche il Nobile Oz, suo zio Oscar, Elliot Nightray, Rufus Barma, Echo Baskerville, Jack Vessalius e tanti altri. Vi sembrano storie scollegate? Si, no? Qualunque cosa stiate pensando, la risposta è che no, non sono scollegate. Ancora un po' di tempo e capirete. Ma arriviamo al punto: dato che la suddetta Alny non è tutto questo granchè nello scrivere HAPPY ENDING  e  solo dio da perchè abbia iniziato questa raccolta allora  l'ispirazione è partita per una vacanza per le Maldive, -mi scuso immensamente- non vi è disponibile nulla di vagamente coerente per questa volta. Ma dato che le piange il cuore a non aggiornare, ecco un piccolo approfondimento su un personaggio di sua scelta nel POST FINALE del manga. Spero che basti a tamponare... Buona lettura!
Ada: Prima di incominciare però, vogliamo ringraziare immensamente tutti coloro che prendono minimamente in considerazione questa storia. Uno speciale grazie agli attuali 498 lettori silenziosi e a chi invece si è fatto sentire^^ Godetevi quel che rimane!
 
_______________
 
Un pizzicorio insistente pareva invadere il suo intero corpo. Le sfregava con insistenza la pelle in un modo fastidioso, ma non insopportabile.
Caldo. La luce le feriva gli occhi, passando sotto le palpebre chiuse ed accecandola ma al contempo quella stessa la riscaldava senza esagerazioni, dandole una piacevole sensazione di torpore sul viso e le braccia scoperte. Le ricordava un po' i pomeriggi trascorsi nei giardini della magione, quelle poche volte che riusciva a godere dei raggi solari seduta su di una panchina. Odore... Odore di fiori, c'era anche quello, seppure con qualche sfumatura differente. Papaveri. Ne era certa, conosceva quell'aroma.
Ma... Cosa era successo? Solo pochi secondi fa era avvolta nelle bianche lenzuola della sua camera, attenta nel rassicurare Reim su quando lei sarebb-- Oh. Lo stomaco le si chiuse. Come poteva essere? L'ultimo suo ricordo era quello di aver poggiato il capo sul cuscino morbido, odoroso dei fiori giallo zolfo colti dal calicanto visibile anche dalla sua posizione, oltre lo spesso vetro della finestra. Li adorava, sapevano spaventosamente di miele e giacinto, era un'aroma che rusciva a rilassarla e donargli tranquillità al tempo stesso. Le sembrava quasi che lui fosse lì, steso accanto a lei. Poi apriva gli occhi, le lacrime avevano iniziato a solcarle il viso durante il sonno, senza che potesse più controllarle. Si voltava verso la sua sinistra, trovava il volto dormiente di un Reim restato alzato fin a tardi per controllare il suo sonno, chudeva gli occhi e affondava il viso tra le coperte,soffocando con violenza i singhiozzi, fin quando non sprofondava nuovamente nell'incoscienza. Era sempre la stessa, identica scena. Eppure solitamente non si svegliava in un campo deserto.
Un groppo cominciò a formarlesi in gola, fermando il flusso d'aria che arrivava ai suoi polmoni. Ma se il suo respiro poteva ancora bloccarsi allora forse...
Tirò su quella che credeva fosse una mano e mosse le dita lentamente, portandole poco sopra la bocca, sotto il naso.
Fiato.
Respirava.
Era viva.
Quando aprì gli occhi, il rosso venne sostituito da un bianco accecante, poi un azzurro intenso e compatto. E fu come recuperare tutti i sensi all' improvviso, come se non avesse mai visto nulla nella sua esistenza. Si sorprese di quanto fosse facile alzare il capo, mettersi seduta, senza sentire il minimo accenno di stanchezza pervadere le sue membra. Rinacque. Fu allora che capì di non essere viva ma solo di esistere ancora, da qualche parte, grazie ad uno strano tipo di miracolo divino. Per un istante ne fu delusa, solo un secondo, poi continuò ad osservare affascinata.
Un campo. Le sue supposizioni furono confermate, era in un campo di grano dorato che le parve sconfinato, nel quale di tanto in tanto spuntava un papavero sotto forma di sfacciata macchia rossa.
Notò stagliarsi poco lontano una superficie quadrata, posta in verticale nel mezzo di quel nulla: la porta si ergeva senza bisogno di fondamenta o corridoi di sbocco, dietro di essa solo cielo e spighe. Poteva essere la sua unica possibilità, una via d'uscita.
Oppure d'entrata le suggerì una voce dai reconditi della sua mente.
Avanzò di qualche passo, malferma sulle gambe, come se avesse paura di poter cadere da un momento all'altro. Osservò i suoi piedi riprendere a muoversi, le pieghe della veste rosata che indossava svolazzare a causa di un vento invisibile, inesistente. Nell'attimo in cui fu abbastanza sicura che non sarebbe rovinata a terra, aumentò la velocità, senza più timore, cadendo ed inciampando, rialzandosi. Correva, il sole sul viso e la mente ormai sgombra di qualunque pensiero che non riguardasse quello strano sogno. Che stesso dormendo? Non sentiva pesantezza nemmeno dopo quello scatto sovraumano e arrivata difronte all'obbiettivo prestabilito, il suo respiro era perfettamente regolare. Da quella posizione ravvicinata riusciva a distinguere bene tutti i particolari della superficie legnosa, che si rivelò essere effettivamente una vera e propria porta laccata in bianco ed anche di ottima fattura. Si sporse da un lato e dall'altro di quella strana apparizione per capire dove potesse sbucare, ma trovò davanti a lei solamente altri kilometri infiniti di terreno, ora arido. Mise allora titubante la mano sul pomello finemente intagliato.
Chiuse gli occhi, sospirò, tirò.
Non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettare di trovare al di là. Magari solamente il nulla, come era più probabile, magari una qualche specie di paradiso o inferno, un vecchio dalla barba bianca e qualche angioletto, ma mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti uno specchio.
Non uno vero e proprio di quelli fatti in sabbia silicea, ma ugualmente solido e lucido. Ma, riflettè, in qualche strano modo,anche  fluido ed opaco. Sembrava nascondere più di quanto si credesse, o almeno fu quello che pensò la ragazza prima di concentrarsi sull'immagine apparsa all'interno della superficie.
Una donna dell'età di quasi trentadue anni la fissava con la sua stessa espressione sorpresa. I capelli lunghi fino al gomito erano boccoli, talmente luminosi e definiti da sembrare realizzati con uno stampo e rifiniti poi a mano. Dentro di questi, si erano incastonati piccoli fili d'erba dal colore simile, con una sfumatura leggermente più chiara. Il viso era snello, leggermente arrossato e senza più la tondezza infantile persa ormai da tempo, mentre gli occhi rosei incorniciati da una schiera di ciglia scure; la piccola bocca rossa lasciava intravedere i denti bianchissimi, restando poco dischiusa.
Il corpo minuto, asciutto ma curvato sinuosamente nei punti giusti, veniva fasciato da un abito fatto su misura per lei, agghindato dalle più svariate stoffe.
La donna dello specchio mosse una mano verso di lei toccandole con delicatezza la punta delle dita, poi fondendo le loro mani e così fino al gomito.
Lei... Lei... Quale era il suo nome?
Come mi chiamo?
La domanda emerse dalla sua coscienza ingenua e terrificante.*
Non seppe darsi una risposta. Una stretta gelida le avvolse il torace mentre i colori cominciavano a perdere la loro consistenza. Si guardò la mano ancora esterna, trafitta dai raggi solari. Provò a scandagliare i ricordi, a riportare alla memoria un nome, un volto, qualsiasi indizio l'aiutasse a capire. Le sarebbe bastato persino un odore o un suono. Nulla.
Lo specchio la stava chiamando a sè in un abbraccio freddo e gelatinoso, con tanta semplicità da far paura, e lei non poteva far nulla per liberarsene. Non voleva andare, ma aveva bisogno di qualcosa, un minuscolo frammento di memorie.
Come quando si sta per addormentarsi dopo una lunga e stancante giornata, le palpebre si chiusero involontariamente e il corpo si abbandonò a quella piacevole tortura.
E' finita veramente... pensò, ma non seppe rammaricarsene. Non ne trovava un motivo. Cercava di osservare il suo corpo: non lo riconosceva, le era completamente estraneo.
Poi eccolo. L'eco di una risata.
Sbarrò gli occhi, ritrovandosi a volteggiare nel nulla. Era circondata da quella che somigliava ad acqua scura ed oleosa che le impediva di muoversi e respirare. Si concentrò su quel suono più che poté.
Zucchero. Sentiva il suo sapore in bocca, come se avesse avuto una zolletta proprio lì tra i denti. Cominciò a divincolarsi, cercando di liberare il cuore dalla morsa opprimente che aleggiava sul suo petto. Mancava poco, troppo poco e sarebbe stata interamente sommersa.
Un viso, confuso, sul quale si susseguivano più emozioni ad una velocità impressionante.  Rabbia, rassegnazione, scherno, un misto indefinito. Poi ancora felicità, dolore, paura, indifferenza, amore.
Fu quello stesso volto a darle la forza di ribellarsi, di uscire di lì. Spinse contro il muro che pareva molto più resistente nell'uscita, al contrario di come lo era stato per entrare.
 
Si ritrovò distesa a terra davanti alla porta spalancata, bagnata di un liquido appiccicoso. Tossì per liberare le vie respiratorie mentre spostava i capelli fradici dagli occhi per poter controllare di essere effettivamente tornata nel campo. Aspettò qualche minuto per poter regolare il respiro, prima di alzarsi con nuova determinazione: non poteva gettare la spugna anche se non ricordava ancora il nome di quell'uomo. Al solo pensiero una sensazione di sicurezza l'avvolse, seguita però da un gelido vuoto.
Non ricordava, non ricordava. Guardò nuovamente la sua immagine riflessa, sorridendo nel vederla meno malconcia di quanto pensasse.
Lentamente si ricordò mentre sfiorava la superficie resistendo al suo risucchio.
Tenne fissi gli occhi su l'altra se stessa.
Ricorda il suo viso, ricorda la sua voce, ricorda la sua risata, ricorda il suo profumo, RICORDALO
Lo specchio cominciò a tremare mentre il riflesso mutava trasformandosi in quello di una bambina. Il grano attorno a lei divenne verde, giovane.
Ricorda i suoi vestiti, ricorda i suoi modi, ricorda il suo dolore, ricorda il suo sguardo, RICORDALO
Cominciò ad apparire nelle vesti di una quattordicenne, spaesata, timida. Ricordò il proprio nome: Sharon.
Ricorda i suoi scherzi, ricorda i suoi dolci, la sua lealtà, ricorda Emily, il modo in cui camminava, il suo passato riscritto, RICORDALO
"Break..." sussurrò.
"Cosa ci fanno qui dei bambini?"
 
"Bè, che dire ho pensato che un così bel ragazzino dai tratti infantili potrebbe essere il suo tipo"
"
"Va bene così"
 
"Non si monti la testa signorina io sono una persona che riesce a vivere sempre e solo per se stessa."
 
"Si pente di essere diventata una contraente?"
 
"Ojou-sama... Non ci vedo"
 
"Perciò, dai Sharon, che ne diresti se restassi per un po' così impacciato?"
 
"Visto che dicono io sia un uomo di mezza età che vuole riuscire fare tutto da solo"
 
"Sharon!"
 
"Dove ti ha colpito?"
 
"Non... Voglio morire... Voglio... Restare ancora qui..."
 
Lacrime calde cominciarono a rigarle le guance senza che lei potesse far nulla per fermarle. Mentre sfregava le gote arrossate con il palmo delle mani si diede della bambina.
Bambina.
Guardò ancora una  volta il suo riflesso e si avvicinò per poterlo osservare meglio.
Allora è di questo che si tratta? Una scelta?
Avrebbe dovuto rinunciare per l' eternità a crescere se voleva davvero rivederlo. Pensò alla sua vita, partendo da dove la memoria le consentiva, fino ad arrivare al giorno di ieri. O magari era oggi? Il tempo scorreva in modo così strano in quel luogo e le pareva di essere restata lì per mesi e nel contempo per un secondo.Allungò una mano verso lo specchio, poi la ritrasse.
Sospirò: stava muovendo il primo passo verso l'ignoto.





*citazione Licia Troisi

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Capitolo 5
*** L'unica ragione per arrivare fino in fondo ***


L'unica ragione per arrivare fino in fondo

 
A te che sei l'unica al mondo...


“...ma...”
Su e giù, su e giù, e su e giù e giù e su. Sebbene il suono dei passi fosse attutito dai pochi centimetri della suola gommosa, lo schiocco provocato al contatto scarpe-terreno era diventato semplicemente irritante. Aveva potuto sopportarlo per i primi cinque e i poi seguenti dieci minuti buoni, era un tipo di non poca pazienza lui, ma ora, dopo quella dannata mezz'ora di via vai, non né poteva più. Nella stanza sarebbe regnato il più assoluto silenzio se solo non fosse stato per poche frasi sconnesse e quello scoccare continuo, ormai diventato il metronomo personale della sua intera esistenza, marchiato a fuoco nella mente. 
“...arma...”
Reim sospirò, sfilò gli occhiali e nel contempo riesumò un vecchio panno scamosciato dalla tasca. Pulì con cura le lenti prima di mettere la montatura nuovamente in sella al naso, poco distante dall'attaccatura. La spinse fino all'estremità, in modo che non scivolasse prematuramente e lanciò una nuova occhiata all'uomo poco distante da lui. Era la quinta volta che tentava di richiamare l'attenzione del padrone eppure questo sembrava voler ignorare bellamente la sua voce, o meglio, la sua presenza in generale. 
Aveva sempre creduto che star dietro a tutti i guai di quell'impiastro di Xerxes Break avrebbe fornito almeno una massima predisposizione alla calma verso qualunque altro essere vivente che non fosse lo stesso; pensato di aver raggiunto il limite della sopportazione con il signor Gilbert che, pur essendo gentile e tutta un'altra cosa rispetto allo strano individuo da un occhio solo, sembrava non poter fare a meno di agire in modo confuso e disordinato; preso un gran respiro mentre compilava i documenti e le relazioni di altri impiegati presso Pandora con i quali non aveva scambiato molto se non due chiacchiere in corridoio. 
Davanti a tutto questo ed altro ancora, il carattere a dir poco particolare del suo padrone non sembrava turbarlo poi tanto. Gli assegnava, si, compiti di estrema delicatezza e valore, dal decifrare manoscritti le cui pagine non potevano essere esposte alla luce e nemmeno sfogliate senza riguardo perchè troppo fragili, al consegnare lettere d'amore alla Duchessa Rainsworth -missione che gli era costata cinque anni lontani da casa, una sorella minore e qualche grattacapo in più, tra cui il Cappellaio sopracitato- ma erano cose normali, per un Barma sicuramente. 
Tutte le sue certezze erano crollate non appena Sheryl-sama aveva accettato di sposarlo. Non era stato affatto facile, s'intende, in cinquant'anni passati a cercare di conquistarla nessuno era riuscito nell'impresa e tutt'ora che mancava così poco alle nozze rimaneva un mistero come Rufus fosse riuscito a farsela dar vinta. 
 
L'unica ragione per arrivare fino in fondo…

A quanto pareva era accaduto nel periodo successivo alla battaglia finale, dopo la rivelazione che il Duca fosse ancora vivo e vegeto tra le braccia della sua amata. Non si sa poi nè come nè quando nè perchè, un giorno, forse un giovedì, verso la tarda notte il povero servitore si era sentito svegliare da dei tonfi secchi alla porta. Ancora assonnato, si era diretto verso la soglia, ritrovandosi davanti un Rufus -perchè chiamarlo con il proprio titolo nobiliare gli era alquanto impossibile data la situazione in cui si trovava- esaltato come solo il cielo sapeva, pigiamamunito, lacrime agli occhi, volto stravolto.  Reim si era a dir poco sorpreso di ricevere visite a quell'ora e aveva cercato di darsi un minimo di contregno, senza grandi risultati: le profonde occhiaie che gli solcavano il volto parlavano chiaro. Eppure l'altro non parve farci caso ed invece prese a parlare a raffica, delirando ordini a destra e a manca, cosa che aveva costretto il servitore a restar sveglio tutta la notte per organizzare un ricevimento con i fiocchi, nonostante la scarsa conoscenza sull'argomento. Progetto che si era rivelato del tutto inutile non appena Sheryl e sua nipote si erano presentate a casa Barma declassando la loro come un'organizzazione singolare. Il che corrispondeva ad un no secco. Dopo quel picco, Rufus aveva accelerato i preparativi ed intensificato gli sforzi. Un altro rifiuto, diceva, e quella donna potrebbe perfino ripensarci. Era quello il motivo per cui impiegava tutte le sue risorse, ogni singola ora di ogni singolo giorno per ogni singolo preparativo. 
Il signor Lunettes si chiese quanto ancora sarebbe durato mentre ripensava agli ultimi avvenimenti.

Rufus lasciò vagare lo sguardo cenere per il salone in cerca del primo malcapitato di passaggio e lo richiamò, facendogli cenno di avvicinarsi.
“Lorin, giusto?” domandò, sicuro già da prima che l'altro annuisse di non aver bisogno di conferme.
“Ecco Lorin, credo tu abbia preso conoscenza di quanto sia importante per me il vostro lavoro, vero?” chiese osservando distrattamente il viso del suo interlocutore farsi prima sorpreso, poi stirarsi in un sorriso fiero. 
Un bel ragazzo, niente a che dire: viso snello, ricoperto qua e là da lentiggini; chioma castana, tendente al chiaro, di lunghezza media; occhi che parevano scaglie di cielo incastonate nel mare. Nome semplice, origini semplici, figlio di panettieri o gente simile, con molta probabilità. Proveniva certamente dalla città, ma non sembrava tipo da lavori pesanti. Un ragazzo tale, di un'età riponibile tra il ventisette e i ventinove anni, a giudicare dal complesso, doveva aver per forza una famiglia a cui badare.  Sicuramente si era sposato.
E allora perchè non capiva?
 
…Che hai dato senso al tempo senza misurarlo…

“Mi fa piacere sentirlo dire da lei, signore”
“Bene, e credo anche tu sappia quanto per me sia vitale il fatto che tutto fili liscio in previsione di un giorno tanto importante” continuò il rosso facendo scorrere le dita sul tavolino più vicino "E allora perché, perché mi domando, vi comportate come una massa di emeriti incompetenti!?" 
Con un'espressione disgustata, pinzò un ritaglio circolare in pizzo. 
“«Duca Barma di che colore vuole che sia la base dei centrotavola?» mi avete chiesto «Rosa antico» ho risposto. «E' il colore preferito di Sheryl» ho detto. Li ho esplicitamente richiesti rosa antico. Non un rosa base, non rosa profondo, non rosa chiaro, non rosa scuro. Rosa antico. E tu hai il coraggio di venirmi a presentare questi -indicò quasi rabbrividendo i centrini- straccetti bucherellati, per di più, tinti con un mediocre color carne?” lasciò andare la stoffa sgualcita “Rosa antico, il colore preferito di Sheryl è il rosa antico, mi pareva di essere stato chiaro”
“M-Mi scusi Duca Barma, credevo fosse la tonalità giusta...”
“Razza di incompetente stai forse cercando di boicottare l'intero matrimonio!?! Dov'è quello scansafatiche di Reim quando serve? Ah, ma se ci fosse stato Calm, lui si che avrebbe capito!”


Le sue labbra si stirarono in un lieve sorriso mentre percepiva la tensione aleggiare l'aria.
‘Non c’è due senza tre, no?’ pensò scuotendo leggermente il capo con fare esasperato.
“Duca?”
Quest'ultimo finalmente alzò il capo, sul volto un'espressione stizzita ma al contempo fremente di gioia. 
Restò ad osservarlo per un attimo, segretamente gongolante nel vedere il padrone tanto felice. Raramente Rufus Barma lasciava che le emozioni, per quanto misere, lo influenzassero. La sua vita era fatta di un'infinita e sfiancante serie di sfide accoppiata ad altrettante inevitabili vittorie. Certo, c'era la contentezza dell'apprendere nuove informazioni e, certo, la delusione nello scoprire che le cose non erano andate come previsto. Ma mai, mai un vero e proprio sentimento percepito con tanta forza da divenire concreto, reale. Solo Sheryl era riuscita nel far riemergere quel cumulo di espressioni sopite, sfociate ora in un' unica: l'amore.
Il leggero tremolio che aveva preso possesso del sopracciglio sinistro del Duca indusse Reim ad accantonare le proprie riflessioni e prestare attenzione alle parole che stava per pronunciare così da non rompere il precario equilibrio venuto a crearsi nell'abitacolo.
Aprì la bocca, intenzionato a comunicargli giusto due o tre informazioni prima di congedarsi con le sue più sentite congratulazioni, quando un lieve bussare proveniente dalla porta alle sue spalle lo bloccò.
“Si può?” trillò una vocetta allegra al di là della parete legnosa.
Ci fu un attimo di silenzio totale, che fuori che all'interno della stanza.
Poi il panico, unica emozione che poteva essere pienamente identificata nella mente del povero Reim.  Ne aveva viste di cose lungamente più spaventose di quelle che la maggior parte delle persone poteva immaginare eppure, in quel preciso istante, non poteva evitare alle sue gambe di tremare. 
Panico, panico, panico e ancora panico. Terrore allo stato puro. Crudele, dannoso, impietoso. Al pari di quel che sarebbe stato il suo padrone se il proprietario della voce si fosse ritrovato davvero lì a pochi passi da loro.
 
...Che riesci a render la fatica un immenso piacere...

‘Pazzi. E' un suicidio. Andate via’ ripetè come un mantra, fissando intensamente la porta nel disperato e vano tentativo di far passare i suoi pensieri attraverso.
La conferma di aver fallito bellamente arrivò quando i colpi furono rinnovati ed il bussare si ripetè.
“Ehilààà? Duuuca?” 
Di nuovo la vocetta.
Si chiese distrattamente il perchè di quella visita inaspettata. Avevano rischiato già abbastanza per una vita sola, pensava, sconfiggere degli spiriti millenari e salvare il mondo non era certo cosa da tutti i giorni. Eppure, no, non ne avevano ancora abbastanza loro, volevano proprio essere seppelliti in anticipo loro.
Guardò timoroso in direzione del padrone, sotto il cui sguardo sospettoso persino la polvere pareva tirarsi indietro. Lo vide accennare ad un lieve movimento della mano destra, così da fargli intendere di andare ad aprire prima che le cose potessero degenerare. Se la maniglia si fosse girata senza consenso, nulla avrebbe più potuto tener a bada i nervi del Duca.
Reim avanzò lentamente verso la porta, cauto, ma nel mentre si stava avvicinando due colpi più decisi dei precedenti risuonarono nell'abitacolo.
“Ne ho abbastanza!” ringhiò Rufus prima di dirigersi a grandi falcate verso l'uscio e spalancare teatralmente la porta.
A nulla servirono gli avvertimenti del servitore che subito un fiume in piena si abbattè su chi attendeva di entrare.
“Razza di mocciosi impertinenti, come osate venire a disturbarmi persino oggi?”
“Ehm... Duca Barma...?”
“Non ora Reim! Avrei potuto sopportare la vostra misera presenza in un giorno qualunque ma oggi, oggi non vale la pena star a perde il mio tempo con gente come voi”
“Duca Bar--”
“Ho detto non ora Reim, cos'è sei sordo? Qualcuno dovrà pur dire qualcosa a questi quattro idioti impertinenti!”
“Ma Duca...”
“Duca, Duca, Duca, solo questo sai dire? Cosa, cosa di così importante mi devi dire per amor del cielo!”
Reim indicò con un dito tremante l'uscio verso cui Rufus, probabilmente preso da una rabbia cieca e dalla foga data dall'aver finalmente trovato una valvola di sfogo per il nervosismo accumulato, non aveva rivolto nemmeno uno sguardo. 
Il quintetto felice stava sull'uscio della camera, perfettamente calmo e sorridente. Del gruppo, il 
giovane Vessalius e il vecchio Fantasma Dagli Occhi Rossi rappresentavano coloro che il rosso meno avrebbe voluto trovarsi tra i piedi. Coloro che, almeno all'apparenza ma, ci avrebbe giurato, non solo in quella, sembravano provare un divertimento puramente sadico nel vederlo ridotto in condizioni non proprio appropriate. Pareva proprio traessero gusto ogni qual volta la vena del suo collo pulsava a velocità anormale.
Raven, forse il meno fastidioso del gruppo, stava in disparte al confine del piccolo cerchio, proprio dietro le spalle del padrone. Si limitava a battibeccare con il Coniglio Nero, intimandole il silenzio ogni qualvolta quest'ultima emetteva lamenti agonizzanti, trastullandosi come un animale in gabbia. Il vestito degno di un appartenente all'alta società non si addiceva certo alla sua delicatezza d'elefante, constatò. Sicuramente, le era stato infilato sotto costrizione dalla nipote della sua amata sposa, la quale stava cercando ora di fargli le congratulazioni definitive, incrementando il suo nervosismo. Nulla a che dire, nell'insieme formavano una bella palla al piede, almeno per quanto lo riguardava.
Nonostante ciò, colei su cui si catalizzò improvvisamente la sua intera attenzione, superava di gran lunga gli standard di quei bambocci: al centro di tutto, pochi metri dal viso livido di rabbia del Duca, null'altro che Sheryl Rainsworth nei suoi centosessanta centimetri di altezza ripiegati sulla sedia a rotelle. Il vestito di raso bianco fasciava perfettamente il suo corpo, dando all'uomo l'illusione di essere già morto ed assunto in paradiso prima ancora che potesse pronunciare il fatidico "Lo voglio". Boccheggiò per qualche istante alla disperata ricerca d'aria, poi si ricompose.
“Che diamine ci fai tu qui...” farfugliò in evidente disappunto mentre raddrizzava la postura.
Inutile dire che rivolgersi in modo tanto inappropriato ad una donna come Sheryl, non avrebbe portato altro che guai e Rufus non si aspettava certamente di passarla liscia. Eppure non avrebbe mai potuto immaginare ciò che passava per la mente della donna. Questa, difatti, senza scomodarsi troppo a rispondere, aveva fatto abbattere sulla testa del promesso sposo una ventagliata dalla potenza invidiabile.
“Ed io che ero venuta per farti una sorpresa Ru caro” mormorò portandosi una mano alla guancia con espressione offesa “Sarà per la prossima volta allora” 
Aveva poi girato lentamente la sedia a rotelle ed intrapreso il corridoio che portava all'uscita.
Il Duca Barma, resosi conto di quel che era accaduto, prese a rincorrere l'amica di vecchia data che, dio solo sapeva come, era già arrivata nell'androne principale.
Alcune guardie giurarono di aver visto il Duca aggrapparsi alla carrozzina, trascinarsi in ginocchio per buona parte dei giardini e pregare Sheryl perchè non se ne andasse senza essere degnato di un solo sguardo dalla suddetta interessata.

 
...A te che cambi tutti i giorni 
E resti sempre la stessa
A te che sei l'unica amica che posso avere
L'unico amore che vorrei se non ti avessi
.
.
.
Jovanotti








A(l)n(y)golino:Ma guardate un po'chi è resuscitata!^^Sssalve a tutti e perdonatemi per il mastodontico stacco.L'ispirazione ha proprio deciso di partire per le Maldive.Se ve lo state chiedendo(E so che ve lo state chiedendo)il colore del titolo è un magnifico rosa antico.Hahaha ok no, è più salmone.Insomma,Rufus riesce a coronare il sogno di una vita?Eheheh povero lui,ghettizzato.Si,insomma,ci stava un "piccolo" matrimonietto.Che poi lui abbia fatto casini non ci interessa,l'occasione l'ha avuta u.u A dirla tutta è stato un vero e proprio parto scrivere queste quattro cose messe in croce:non avevo idea di come fare,ogni due righe finivo per sclerare contro la tastiera e più rileggevo,più mi impappinavo.Alla fine,però,ho fatto suonare le campane(o quasi)!E niente,stanno finalmente apparendo più personaggi contemporaneamente, non so perchè ma la cosa mi fa felice. Detto ciò,spero di non sparire,è già in corso la ff su Gil,prego di non doverlo rasare a zero per mancanza di idee.
Grazie a chi continua a leggere,
AlnyFMillen

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Capitolo 6
*** Ma ti voglio un bene dell'anima ***


Ma ti voglio un bene dell'anima

 
Che cos'è un amico nessuno lo sa dire...


Le mattinate nella periferia di Reveille sono estremamente tranquille. Solo gli schiamazzi dei mercanti intenti a vendere la propria merce a clienti abituali fuori dalla finestra e le risate dei bambini che giocavano a rincorrersi per le strade della città. Un piacevole sottofondo che fa compagnia alle abitazioni qui di fianco, eccezion fatta per i piani superiori, più riparati dal vociare. 
Da alcune finestre, rifletti, si può avere una visuale davvero magnifica: se affacciano ad Ovest e sono almeno al quarto piano, per esempio, in lontananza si può persino scorgere le cime delle montragne; ad Est invece, si staglia irraggiungibile la linea sottile e placida del mare. Non è questo il tuo caso, ovviamente una catapecchia tanto piccola non ha una vista straordinaria come quella delle residenze nobiliari eppure, come si suol dire, a caval donato non si guarda in bocca e nonostante tutto il tuo appartamento non è proprio così male.
Eccolo il principale motivo per cui tu, Gilbert Nightray - o meglio quasi Nightray - nel pieno dei tuoi ventiquattro anni - o meglio quasi ventiquattro - hai deciso saggiamente di affittare un monolocale ai margini del centro abitato. 
In quella che ancora ti curi di definire esistenza, tutto è stato pian piano avvolto in un alone colmo di dubbio, originato in primis dal cognome che tutt'ora porti, in secondo luogo dall'età attribuitati tempo addietro dal padroncino Oz. Dopo tutto ciò che è accaduto negli ultimi tempi, poi, solo una rimane la tua assoluta ed indiscutibile certezza: la ricerca di un po' di tranquillità. Nulla è andato storto, certo, l'universo è uscito indenne da qualunque catastrofe fosse stata annunciata ed un bilocale di periferia è il posto più calmo a cui hai pensato. O meglio quasi...
'Allora, se non sbaglio, devo montare a spuma 180 grammi di burro, scorza d'arancia grattugiata e zucchero'
Posizioni la ciotola sul bancone lucidato, scorrendo distrattamente la lista degli ingredienti e prendendo al contempo quegli ultimi dalla dispensa senza però alzare lo sguardo dal foglio. Il burro e lo zucchero arrivano a destinazione sani e salvi, l'arancia cerca di fuggire rotolando giù fino al pavimento ma viene prontamente bloccata dalla mano destra. Il frutto torna al sicuro sul piano.
Estrai la frusta dal secondo cassetto accanto al mobiletto del pane, attento a non ferirti inavvertitamente con altri strumenti appuntiti, e subito teso per arrivare alla bilancia sopra la mensola lì accanto. Con la mano sinistra sorreggi il tomo in modo tale che il pollice possa segnare la pagina centodiciotto, l'indice e l'anulare premono sulla copertina ruvida così da evitare che il libro cada. Sulla prima pagina, più spessa ed ingiallita delle altre, l'inchiostro nero recita fieramente il titolo de << Le quattro stagioni in cucina >>.  

...centomila libri non lo sanno spiegare...

Infili il naso tra le pagine, non prima di aver appoggiato il burro tagliato a lume di naso sul piattino metallico e avergli lanciato una fugace occhiata. Notare, con una punta di compiacimento, che la lancetta rossa della bilancia sfiora circa il centosettantotto, ti fa sorridere.
"Argh"
Il volto viene solcato da una smorfia, espressione più che palese dello sforzo esercitato per mantenere la calma di fronte a un'ennesima distrazione.
'Aggiungere nella terrina le 3 uova... Uhm no, solo i  tuorli. Piano e uno alla volta, devo fare attenzione. Poi 190 grammi di farina setacciata, un cucchiaino di lievito in polvere ed il succo di mezza arancia'
Miracolosamente, la farina rimane nel sacchetto di appartenenza, evitando così di imbrattare l'intera cucina e il cuoco stesso. Picchietti con circospezione il primo uovo sul bordo del tavolo da lavoro, fin quando sulla buccia non viene a crearsi una piccola crepa. Prendi l'ovale mettendo le mani a conca, in modo tale che non gocci, ed infili i due pollici nell'apertura per poterla allargare quel poco che basta. Fai scivolare la parte più chiara in una piccola terrina ed aggiungi il resto del contenuto alla miscela preparata in precedenza. Prendi poi a ripetere l'operazione con le restanti due uova.
Quando arriva il turno di tagliare in due l'arancia e spremerne il succo, eviti con accuratezza di far cadere i semi nell'impasto, elimini quei pochi che erano sfuggiti al suo controllo e, soprattutto, presti attenzione perchè non ti schizzi negli occhi, come già accaduto in precedenza.
'Montare a neve --
"Pff che essere ributtante"
Ti imponi di stare tranquillo e continuare il lavoro da dove hai interrotto
 -- le chiare d'uovo con un pizzico di sale. Ah ecco, fortuna che le ho tenute da parte, avrei dovuto sprecarne altre. Dopo versare in una tortiera larga circa 24 cm, imburrata ed infarinata. Far cuocere nel forno scaldato a 200° per 45 minut --
"AH AH! LURIDO VERME! Pensavi di  sfuggirmi, eh? Ci vuole ben altro per riuscire ad ingannare Alice, stupido moscerino"
"Si può sapere cosa diamine hai da agitarti tanto, Stupido Coniglio!" sbotti alla fine, più un'esclamazione che una domanda.
Nel farlo però ti volti nella sua direzione, la mano ancora occupata nel tenere le uova che finiscono inevitabilmente spiaccicate contro il muro.
"Guarda che mi hai fatto fare"
E prima che tu possa ruotare su te stesso per andare a ripulire, qualcosa colpisce la nuca con forza. Neanche il tempo di lamentarti, subito la voce di Alice riempie la stanza.
"Saranno affari miei il perchè mi agito e non è colpa mia se sei così imbranato da non riuscire neanche a capire che il cibo va masticato, non lanciato"
"Tu..." incominci massaggiando la zona lesa ma, di nuovo, vieni bloccato.
No, questa volta non è colpa della strana ragazza che ti guarda saccente dalla scomoda posizione in cui è seduta sul divano, bensì del tuo sguardo che si posa confuso sull'oggetto imputato.
"E questo cos'è?" chiedi mostrandoglielo.

...forse è tutto qui che cosa vuoi che dica... 

Lei inarca un sopracciglio con fare ovvio e sale in piedi sullo schienale del povero mobile, sotto vigorose ammonizioni da parte tua. Ovviamente, ti ignora.
"Come non lo sai?" enuncia premendo le mani chiuse a pugno sui fianchi.
Detto ciò balza giù dal rialzo ed afferra il parallelepipedo dal peso consistente. Lo brandisce in aria.
"E'una Bibbia che la sorellona Sharon mi ha prestato l'ultima volta. Se la apri - e gli fece cenno di farlo con altezzosità - ci troverai tante pagine scritte che raccontano una storia dal sapore agrodolce. Non mi stupisco che uno come te non sappia..."
"So cosa è un libro!" ti difendi "Mi chiedo invece perchè la nobile Sharon lo abbia prestato proprio a te"
Alice si stringe nelle spalle e spalanca il tomo, poggiandolo sul lembo di tavolo ancora sgombro d'ingredienti. Sfoglia poche pagine fin quando non trova il punto interessato. Indica un'immagine con l'indice e sorride soddisfatta.
"Ecco, vedi? E' grazie a questo che ho imparato a mordere le guance delle persone tristi!" spiega.
"Ma sei proprio stupida, quello non è di certo un morso"
"Non osare darmi della stupida essere miserabile! E poi, se quello non è un morso, cos'altro sarebbe?" chiede con aria di sfida.
A quel punto le parole quasi ti sfuggono dalle labbra ma prima che escano le fermi. Se le dicessi cosa si intende davvero per mordere le guancia poi farebbe domande e non puoi permettere una cosa simile. Non è proprio il tuo campo, questo.
Giri la manovella del forno fino a sfiorare i duecento gradi, surclassando la domanda con un brontolio confuso.
"Ah! Vedi? Ho ragione io" si vanta "Sapevo di essere troppo intelligente per parlare con comuni mortali come te"
"Io non sono un comune mortale e nemmeno i nostri amici lo sono"
"No? E allora perchè non sai portare avanti le tue stesse ragioni, eh?"
"Io... Non è assolutamente vero!"
"Oh, invece credo proprio di si"
Digrignando i denti, sbuffi esasperato.
"E va bene: non è un morso, è un bacio! Contenta?"
La ragazza appare confusa. Si porta una mano sotto al mento e lo massaggia pensierosa. 
Gli occhi viola si scuriscono per un attimo e tu credi di aver risvegliato chissà quali ricordi sepolti sotto un mare di sciocchezze. Non è poi così insopportabile come dici, è stata più volte accanto ad Oz quando tu non ne hai avuto l'occasione, ha un passato tutto fuorché facile e più di una volta hai sospettato che quel suo modo di comportarsi sia solo un modo per alleggerire la situazione: le vuoi un bene dell'anima. Proprio per questo ti stai già pentendo di essere stato così scortese con lei.
"Tipo quello che abbiamo fatto io e Oz nell'Abisso?"

...forse è proprio questo il bello della vita... 

Per poco non soffochi con la tua stessa saliva. 
Il tono di voce innocente e curioso con cui ha pronunciato quelle parole ti fa arrossire, ma anche tornare in te. Possibile che un tipo simile possa essere l'anima gemella del tuo piccolo signorino? No, assolutamente no!
Balbetti una risposta che lei recepisce come positiva, qualche insulto e torni al lavoro. Una torta fragole e panna come quella che hai in mente non si fa certo da sola. Meglio tentare di ritrovare la concentrazione persa. 
Versi il miscuglio ben amalgamato in un tegame rotondo privo di foro al centro. 
Alice non parla, sembra soddisfatta della sua risposta mancata, e chissà cosa pensa che tu le abbia detto. Si limita ad accomodarsi su una sedia scricchiolante e segue con cura le tue dita che abili tagliano e sminuzzano frutta, spostando attenta gli occhi accesi di curiosità di attimo in attimo. Ti viene quasi da pensare che finalmente potrete andare d'accordo, in fondo, un attimo di riposo deve esistere nella vita di chiunque. Eppure, proprio come pochi istanti prima, i tuoi buoni propositi vengono smentiti.
Il Coniglio Nero sbuffa e nel contempo si appoggia con buona parte del suo dolce peso sulla tavola, lasciando sobbalzare gli ingredienti posti al di sopra.
"Mi annoooio" 
Lascia ciondolare la testa prima da un lato, poi dall'altro. Gioca con il fiocco della sua maglia, comincia a picchiettare ripetutamente le dita sulla superficie legnosa. Sbuffa, si passa una mano fra i capelli corvini. E poi di nuovo tutto da capo, in un circolo vizioso infinito. Alle volte appoggia il peso del corpo sul piede destro, dopo sul sinistro.
Non sai quanto ancora riuscirai a mantenere la calma con lei che si dimena come un anguilla, spostando ogni singolo granello di polvere nell'aria.
"Quando torna Oz?" domanda infine.
"Non te lo ricordi, Stupido Coniglio? E' alla Lutwidge Accademy con Elliot ed il suo servitore"
Inforna.
"Scommetto che quell'oca di sua sorella non perderà tempo ad appiccicarglisi"
Abbassa la manopola a centottanta gradi.
"La nobile Ada può fare quello che le pare ma, comunque, ha terminato gli studi"
"Ah si?"
Tu annuisci, pensando al viso ceruleo di tuo fratello il giorno in cui te lo disse.
"Meglio così, almeno non dovrò più avere quel suo brutto muso davanti agli occhi"
Fai per aprire bocca e ribattere - come può permettersi di dire una cosa del genere su uno dei parenti più prossimi del tuo amato signorino? - ma poi ti dici che sarebbe effettivamente inutile e che l'espressione stampata sul suo viso quando ritroverà la fantomatica sorella ad ogni festa o cena sarà un'abbastanza appagante punizione.
Stringi le labbra per concentrarti meglio e continui. 
Lei non è intenzionata a smettere di parlare.
"Capellone?"
"Dimmi"
"Come fai a cucinare?"
Tu alzi il volto, fermando quel che stai facendo per evitare di combinare disastri. Non ti aspettavi una domanda del genere ma, a pensarci bene, è solo una stupida curiosità.
"In realtà è piuttosto facile, basta solo seguire la ricetta" rispondi allora tornando a concentrarti sul tuo lavoro.
Alice sbuffa infastidita.
"Lo vedo, cosa credi?"
"Sei tu che fai domande stupide!"
"Sei tu che dai risposte stupide!"

...essere d'accordo che non si è d'accordo...

"Capellone?"
"Che cosa c'è?"
"No, niente"
Silenzio.
"Capellone?"
"Mh?"
"E' che..." continua.
Il tono di voce leggermente tentennante non è usuale per una come lei e ciò ti fa presagire il peggio. 
Con movimenti fluidi, incominci a decorare il pandispagna. E' un'operazione delicata, dovresti prestare il massimo dell'attenzione, eppure arrischi uno sguardo al suo volto. 
Ai tuoi occhi, appare improvvisamente timida, quasi imbarazzata. Da un po' vuole dirti qualcosa, ma ancora non comprendi bene ciò che potrebbe suscitare in lei emozioni tali.
Hai già avuto modo di sperimentare la sua emotività nel corso del tempo che avete avuto a disposizione per conoscervi e, tuo malgrado, vorresti aiutarla in qualche modo.
Scherza spesso, Oz, nel definirti il loro paparino ma, effettivamente, il più delle volte senti davvero di avere una specie di istinto genitoriale nei loro confronti. Negli ultimi tempi, poi, da quando si è ristabilito l'ordine nella famiglia Vessalius, hai fatto di tutto pur di riconciliarti con quella che ormai è una vera e propria ragazza, non più un chain. Il senso di colpa per aver quasi desiderato la sua scomparsa, pur di proteggere chi ti è caro, attanaglia lo stomaco negli attimi più impensati. Sei quasi felice di poter litigare con Alice, per questo preferisci che le ombre che le oscurano lo sguardo si cancellino il prima possibile.
"Mi chiedevo..."
Pulisci le mani su un panno. Ormai il dolce è terminato, bisogna solo aspettare che si raffreddi per poterlo trasportare più comodamente, senza scottarsi.
Allungandoti di qualche metro al di là del bancone, riesci a poggiare una mano sul capo della ragazza. Le sfreghi leggermente i capelli, in un gesto affettuoso che sai lei apprezza profondamente. Subito il suo sguardo si ravviva, brillante come sempre.
Attendi che continui e stai quasi per incitarla a concludere la frase, quando, di sua spontanea volontà, riprende la parola, un sorriso sfrontato sul volto.
"Credi che Oz rifarebbe quella cosa del bacio con me?"
Ti rizzi di scatto e corri a recuperare il giaccone sull'appendiabiti. Copri la torta in modo possa stare al riparo e la tieni in equilibrio sulla mano.
"Ehi!" grida Alice "Dove stai andando?"
Tu ti volti, già sulla porta.
"Alla tenuta dei Rainsworth. Lì c'è sicuramente qualcuno di più adeguato che possa rispondere alle tue domande"
Detto ciò, con passo spedito, ti avvii verso la carrozza che vi attende proprio fuori dalla porta. Arriverete qualche ora in anticipo, non fa nulla.
"Aspetta Testa D'Alghe, chi dovrebbe spiegarmi cosa? Non scappare, torna qui! Tanto lo sai che ti acciufferei in poco tempo!"
 

...E poter dire un giorno
E' stata una fatica
Ma ti voglio un bene dell'anima 
Io ti voglio un bene dell'anima
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Jovanotti








A(l)n(y)golino:A(l)n(y)golino:Finalmente(ispirata dalle ultime scan di Vanitas),torno nel fanodm!Mamma mia,questa fic è stata un parto!Per scriverla ho:tirato giù tutti i libri di ricette di mia madre;mandato a fuoco la cucina;setacciato il web per un'immagine in cui ci fossero esclusivamente i protagonisti della shot.Gil è colui che racconta tutta la storia ma,sinceramente,non avrei mai creduto di poter scrivere qualcosa su di lui.Mi sono proprio dovuta spremere le meningi,un'ammazzata rara,ma alla fine ce l'ho fatta,spero discretamente.A dirla tutta,la ff è pronta giàda due mesetti,eppure solo ora che l'ho modificata a dovere mi sento di pubblicare.L'OOC mi terrorizza quindi non fatevi scrupoli nel dirmi se sono riuscita o meno nel rendere i pg.Insomma questo è un esperimento quindi cerchiamo di farlo riuscire!Preciso che non shippo AlicexGil,nel manga è palese l'AlicexOz,quindi questo scambio è stato scritto ad un fine puramente amicizievole(?).
Tante caramelle e,soprattutto,tanti grazie a chi ancora segue questa storia,
AlnyFMillen

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