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Salve a tutti e benvenuti a
chi è nuovo, mentre un caloroso ben ritrovati ai miei vecchi amici lettori di
lunga data. Ve l’avevo annunciata ed eccola qui, fresca e profumata, la
raccolta di MissingMoments
tutta dedicata ai vostri personaggi del cuore. Rigorosamente in ordine
cronologico, dal passato più passato fino alle tribolazioni post Il Tesoro di Ulmo, un mix di generi e personaggi, Alatariel
e Aeglos, certo, ma non solo, vecchi e nuovi,
originali e tolkeniani, tutti insieme
appassionatamente solo per voi. Naturalmente si comincia con Aeglos, perché lo so che è il vostro preferito, e si fala
conoscenza della sua allegra famigliola felice e soprattutto ancora viva. Lindir forse lo ricorderete da “Gocce di Luce”, ma gli
altri? Scopriteli con me! Buona lettura!
Musica
Il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore.
(Bob Dylan)
Meldon sollevò leggermente lo
strumento, portandoselo all’altezza degli occhi, osservandolo più da vicino. Il
flauto era sempre incredibilmente difficile da intagliare, la più piccola
sbavatura ne avrebbe compromesso il suono irrimediabilmente e la sua reputazione
ne avrebbe risentito. Costruiva strumenti musicali fin da prima di
intraprendere il lungo cammino verso Ovest, quando non conosceva che la luce
delle stelle e gli Alberi di Aman non erano che
storie incredibili sulla bocca del suo signore Olwё.
Meldon si rigirò lo strumento fra
le mani, con la delicatezza di un amante, saggiandone l’equilibratura, poi se
lo portò alle labbra e ne trasse una nota.
Perfetto.
< Potrei persino essere gelosa! >
La voce di Calimё era come sempre sottile e fresca, lo
faceva sentire come rigenerato.
Sua moglie se ne stava poco distante, con i capelli dorati e
una veste bianchissima, guardandolo lavorare chissà da quanto tempo senza che
lui se ne accorgesse.
Accanto a lei, quasi un suo riflesso in miniatura, con i
capelli biondi spettinati e le guance ancora paffute dell’infanzia, Aeglos osservava rapito il lavoro di suo padre.
< Vorresti essere toccata così, mia signora? > la
provocò scherzosamente, tendendole una mano che lei afferrò. La trasse a sé, e
lei gli si sedette sulle ginocchia, ridendo.
Aeglos si avvicinò e prese il
flauto, soffiandoci dentro come aveva visto fare a suo padre, ma non ne uscì
che un suono stridulo e il bambino si ritrasse, infastidito.
I due elfi risero piano e Calimё scompigliò
affettuosamente i capelli del figlio.
< Non basta soffiarci dentro per poterlo suonare, figlio
mio. Devi imparare la tecnica, sapere come lo strumenti ti parla, solo allora
sarai in grado di parlargli a tua volta e creare musica. >
Aeglos fissò lo strumento creato
da suo padre con ardore, affascinato dai segreti in esso celati. Era solo un
bambino, ma Meldon riusciva a scorgerne distintamente
lo spirito che ardeva in lui, lo stesso amore per la musica che albergava anche
nel suo cuore.
Suo figlio lo fissò negli occhi e improvvisamente gli sembrò
più grande, come se attraverso lo sguardo del bambino riuscisse a scorgere
l’elfo giunto già a piena maturità.
< Insegnami, padre, insegnami come creare musica. >
Nonostante tutto, la sua era ancora la preghiera
dell’infanzia.
Calimё sorrise e attrasse a sé suo figlio,
mentre Meldon annuiva.
La musica era il mio rifugio. Ho potuto strisciare nello spazio tra le
note e dare la schiena alla solitudine.
(Maya Angelou)
Aeglos se ne stava seduto contro
una roccia, mentre la scogliera andava a picco davanti a lui. Sua madre era in
piedi poco distante e teneva in braccio suo fratello Anaròn,
poco più che un fagottino rosa. Cantava per lui, accompagnata dalle note che Aeglos traeva con grazia da una piccola lira dorata.
Era bello guardarli, era bello sapere che quella musica
proveniva da lui, che sua madre poteva cantare su qualcosa che era lui a
comporre, lo faceva sentire utile, in qualche modo vicino alla parte più
nascosta di se stesso.
Suonava e la malinconia che troppo spesso lo attanagliava
lasciava il posto a un sommesso senso di pace.
Calimё alzò lo sguardo verso di lui e sorrise
dolcemente, poi indicò il mare sotto di loro.
< Tuo padre e Lindir stanno
tornando in porto > disse, < andiamogli incontro. >
L’elfa si allontanò, continuando a
cullare il bambino tra le braccia e a cantare tra sé e sé, ma Aeglos non la seguì subito.
Guardò giù: la piccola nave a forma di cigno si avvicinava
alla costa, verso il porto, e lui riusciva a distinguere distintamente
l’argento dei capelli di suo padre e l’oro di quelli di Lindir,
nonostante la distanza fosse molta.
Erano stati via più del solito, ma da Tìrion
avevano sicuramente portato molti oggetti e anche notizie. Era ansioso di
ascoltarli e poi, chissà, di sapere se suo padre gli aveva portato qualche
altro strumento musicale da quel viaggio.
Non si stancava mai di suonare, di imparare nuovi tipi di
musica, non se ne era mai staccato fin da quando, ancora bambino, aveva preso
in mano il flauto che suo padre stava costruendo. Non era riuscito a trarne
nemmeno una nota, eppure il solo averlo tra le dita gli aveva dato un senso di
pace come non ne aveva mai provato prima. In quel momento aveva capito che
qualsiasi cosa fosse accaduta, la musica sarebbe stata sempre il suo rifugio.
Sorrise a quel ricordo. Non era ancora adulto, anche se si
stava lasciando l’infanzia alle spalle, ma era già consapevole che ci sarebbe
stato, per lui, sempre un posto fra le note, quando non sapeva dove andare.
Seconda oneshot di questa raccolta, si
continua con l’infanzia e la scoperta delle radici dei nostri due protagonisti.
Dopo il piccolo Aeglos, non poteva che esserci la
piccola Alatariel… o Losille,
il suo nome paterno. E anche una piccola e spero gradita guest star nel finale!
Lunga vita e prosperità.
Alatariel
< Losille, non allontanarti,
vieni con me. >
Meldon prese la mano di sua figli,
costringendo gentilmente la bambina a entrare con lui attraverso il cancello. I
Giardini di Lorien erano dorati, magici, ma per lui
erano intrisi di una tristezza troppo profonda per riuscire ad apprezzarli.
Quella mattina un messaggero di Irmo lo aveva fatto
convocare e qualcosa dentro di lui aveva tremato. Ora che si trovava lì, si
sentiva spaesato e stringere la piccola mano calda di sua figlia gli dava
forza.
Era solo una bambina, ma in qualche modo Losille
riusciva sempre a capire ciò che la circondava a un livello di profondità
inusuale per la sua giovane età. Si guardava intorno ma sul suo volto non c’era
la meraviglia che ci si sarebbe potuti aspettare, ma una gravità inquietante.
Una fanciulla lo accompagnò dentro e gli indicò un sentiero
che finiva incontro a un salice, sotto le cui fronde c’era una panchina di
pietra. Seduta lì, con i capelli scuri lunghissimi sulle spalle e una veste
azzurra, Calimё
sembrava uscita da un canto, più bella di quanto non gli fosse mai apparsa.
Losille gli si aggrappò alla mano
con violenza, facendogli quasi male.
La raggiunsero, mano nella mano, entrambi ugualmente
terrorizzati per qualcosa che non era ancora accaduto ma che sapevano essere
lì, in attesa.
< Figlia mia, > disse Calimё, prendendo
la figlia fra le braccia. La bambina si irrigidì appena, quando la strinse.
< Perché ci hai fatti venire qui? > Le chiese lui,
< Sono passati due anni, da quando te ne sei andata, senza che nessuna
notizia mi giungesse da te. >
< Ero qui, che altro volevi sapere? >
< Non volevo che tu venissi, prima di tutto. >
< La mia Signora dorme qui da molti anni e io sono stata
lontana da lei fin troppo tempo. Il mio dovere è verso di lei. >
< Il tuo dovere è verso di me, tuo marito, e verso tua
figlia. >
Non aveva nemmeno la forza per infuriarsi, ormai. Quante
volte avevano affrontato quell’argomento? Infinite discussioni che si erano sempre
risolte in un nulla di fatto.
< Non essere in collera con me. >
Calimё lo guardò per un istante che parve
lunghissimo, la sua espressione si accartocciò e credette che avrebbe pianto,
ma non accadde. Guardò la bambina, che se ne stava silenziosa.
< Non devi avercela con me, mia piccola fanciulla
splendente. Tuo padre non riesce a capire e mi odia perché crede che io lo stia
abbandonando, ma non tu, tu devi sapere che il mio amore per te è più grande di
tutto, anche se non posso rimanere con voi. >
< Dove vai, naneth? > Losille guardava la madre e sul suo volto di bambina non si
leggeva niente, né rabbia né tristezza. Ma Meldon
sapeva cosa stava pensando, il grido disperato che stava lanciando, perché era
lo stesso che animava il suo cuore.
Avrebbe voluto gettarsi ai piedi di sua moglie, supplicarla,
ma se c’era una cosa che aveva imparato era che su questo argomento non poteva
imporsi.
< Vado a Mandos, a riposarmi
dalle fatiche della vita e a prendermi cura della mia Signora Miriel. Non odiarmi per questo, quando diventerai più
grande forse capirai e saprai che a volte certe cose sono inevitabili. > La
guardò attentamente, scrutandola. < O forse no, forse siamo troppo diverse,
io e te. Splendi di una luce abbagliante, ma il tuo destino sarà essere sempre divisa
tra il tuo sangue e il tuo cuore. > Le accarezzò i capelli e la baciò sulla
fronte. < Addio, Alatariel. >
Meldon tentò di riprendere la mano
di sua figlia, ma lei si divincolò, fuggendo da lui, da loro, da tutto quello
che non poteva capire.
E non capiva nemmeno lui.
< Sei venuta qui a servire una donna morta, e non ho
detto una parola in merito, > cominciò infine, mentre sua moglie lo guardava
con le lacrime agli occhi e lui invece non riusciva a sopportarne la vista,
< per due anni non ho avuto tue notizie, ho cresciuto nostra figlia da solo,
ho fatto in modo che lei sapesse di avere una madre, che ti conoscesse. Ora ci
fai venire qui per dire che vuoi seguire Miriel? Per
cosa? >
Sembrava una fanciulla, come quando l’aveva conosciuta, come
quando si erano sposati, in una radura alla luce delle stelle, ancora nella
Terra di Mezzo. Avevano percorso così tanta strada insieme per poi finire in
quello scorcio di Tìrion, non comprendendo nulla
l’uno dell’altra.
Meldon, parlami. Non
riesco a indovinare ciò che pensi, il tuo viso mi è impenetrabile. >
< Un tempo riuscivi a sapere sempre cosa provavo. >
< Un tempo ero piena di vita e non sembrava così
difficile leggerti dentro. >
Meldon si sedette accanto a lei e
le prese la mano. Le loro dita si strinsero.
< Non posso accettare di perderti. Non ti conosco più,
eppure l’idea di perderti mi terrorizza. Amo ciò che eri, ma ho paura di non
poter conoscere ciò che sei ora. >
< Mi dispiace, non avrei mai voluto questo. >
La baciò e lei gli si abbandonò contro, esile e debole come
non lo era mai stata, quasi evanescente. E in quell’istante la consapevolezza
che stava morendo, che la fanciulla che aveva amato, quella che rideva
cavalcando nei boschi della Terra di Mezzo, non esisteva più, che la dama che
gli aveva annunciato piena di gioia di vivere di essere incinta aveva esaurito
le forze. Calimё
era morta in quel momento e lui stava abbracciando un’eco di ciò che lei era
nei suoi ricordi.
< Mi prenderò cura di Losille,
> le disse, a mo’ di addio.
< Per Losille hai fatto tutto ciò
che potevi, per Alatariel credo nessuno di noi due
possa fare nulla. >
Alatariel.
Di tutte le parole che sua madre le aveva detto, quel nome
le si era impresso a fuoco nella mente. Vedeva le cose con una chiarezza
disarmante, si sentiva molto più vecchia dei suoi sette anni, come se
l’infanzia fosse rimasta nella dimora di Irmo insieme a sua madre, mentre lei
correva verso un futuro di cui non sapeva niente.
Correva per le strade di Tìrion e
le luci si mescolavano, donando alla città una luce particolare che ogni volta
la faceva sentire più pesante, oppressa. Non c’era nessuno a quell’ora tarda,
se non pochi passanti diretti verso casa e lei si accorse improvvisamente di
essersi persa.
Inciampò, cadendo pesantemente sulle ginocchia e non riuscì
più a trattenere le lacrime.
< Losille? >
Alzò lo sguardo verso l’elfo che l’aveva chiamata per nome:
si era accovacciato accanto a lei e la guardava con apprensione.
Lo conosceva, lo aveva visto qualche volta con suo padre.
Uno dei figli di Finwё,
ma non ricordava il suo nome. Aveva i capelli biondi e occhi grigi e limpidi,
gentili. Non riusciva a ricordare il suo nome, per quanto si sforzasse.
< Che cosa ci fai qui, tutta sola? Dov’è tuo padre? >
Qualcosa scattò dentro di lei e si ritrovò contro il petto
di quell’elfo semisconosciuto, a bagnargli la camicia piangendoci sopra. Lui la
strinse e una sensazione di calore le si infuse dentro. Era al sicuro, non era
sola, niente di terribile sarebbe accaduto e sua madre
non stava per morire.
< Alatariel > disse, tirando
su con il naso.
< Come? >
< Alatariel, non Losille. Mia madre mi ha dato come nome Alatariel.
>
< Ho chiamato così mia figlia, quando nacque, sai? >
La fece alzare e le sorrise, prendendola per mano.
< Vieni, Alatariel, andiamo a
casa mia, manderò un messaggio a tuo padre. >
Lo guardò dal basso, pensando a quanto quel viso gli
sembrasse tanto bello e gentile, di quanto si sentisse a suo agio più con lui
che con chiunque altro avesse mai incontrato. Non aveva mai provato una tale
intimità nemmeno con suo padre e questo la sconvolse.
< Scusa, > gli
disse, sentendosi improvvisamente timida, < non mi ricordo il tuo nome. >
< Sono Finarfin, ma puoi
chiamarmi Arafinwё
se vuoi. >
Si avviarono lungo la via.
< Arafinwё…
Sì, è un bel nome, Arafinwё. Possiamo diventare amici? >
L’elfo strinse un po’ di più la sua mano e le rispose senza
guardarla.
Riusciva sempre a riconoscere i suoi passi, molto prima di
vederlo comparire nel suo piccolo studio ingombro. Aveva un incedere lento,
misurato, con lunghe falcate che producevano un fruscio appena udibile.
Nerdanel sorrise fra sé, modellando con un dito la cera,
fino a formare un braccio minuto. Stava scolpendo le forme di una fanciulla, ma
stranamente non si era ispirata a nessuna in particolare, come se il suo scopo
fosse stato semplicemente catturare la bellezza nella sua forma primaria.
Finalmente Fёanor
comparve sulla soglia. Non poteva vederlo, perché gli dava le spalle, ma ne
sentiva attivamente la presenza come si poteva percepire il temporale
nell’aria.
< Cosa ti porta qui, Curufinwё? >
< Non posso far visita a mia moglie? > rispose lui.
Come al solito la sua voce era sprezzante, una lama che si
conficcava nelle ultime crepe di speranza del suo cuore.
Molti anni prima aveva sofferto per quella freddezza che si
era creata fra loro, ma ora non più. Il ricordo di ciò che avevano condiviso
non era altro che un piacevole racconto del passato, la sua presenza lì
qualcosa che presto svaniva come un sogno.
< Vieni a farmi visita così raramente che temo di
dimenticare il tuo viso. >
< Allora guardami, Nerdanel, e forse lo rammenterai. >
Con calma
misurata tracciò un ultimo solco sulla cera, l’incavo del gomito, poi si girò a
guardare suo marito.
Fёanor se ne stava con le braccia
conserte appoggiato allo stipite, il suo corpo flessuoso che si piegava appena,
le gambe incrociate con noncuranza.
La guardava
e sorrideva, come sempre quando erano solo loro due, anche dopo tutto quel
tempo. Lei rispose al suo sorriso e si sciolse i capelli che teneva raccolti
per evitare che la infastidissero mentre lavorava.
Li scosse e
notò che Fёanor li stava guardando con desiderio. Rabbrividì.
Molti anni
prima, quando erano entrambi giovani, aveva amato i suoi capelli più di ogni
altra cosa. “Fuoco fra le dita” diceva.
< Cosa ti
porta qui? > ripeté e vide il suo sorriso svanire.
< Sono
turbato >
Per un
attimo la sorpresa l’ammutolì. Non ricordava che Fёanor le avesse mai
confessato nulla del genere, nemmeno quando la loro intimità era profonda,
mentre adesso se ne stava lì, appoggiato allo stipite, e la guardava dritta
negli occhi con una sincerità che in lui si vedeva raramente. I suoi occhi neri
erano come pozzi profondi alla luce delle stelle oltre le Pelòri,
ci si poteva perdere in quella profondità oscura senza ritorno.
< Ma non
rispondi alla mia domanda. >
Lui si
staccò dalla porta e le si fece incontro, prendendo una ciocca di capelli fra
le dita, accarezzandoli piano.
< Sai che
un tempo ascoltavo i tuoi consigli. >
< Hai
smesso da molto di chiedere il mio parere su argomento alcuno. >
Lasciò
andare le ciocche rosse che le ricaddero sulla spalla.
< E tu
hai smesso di amarmi, Nerdanel. >
Non era
un’accusa, ma c’era rimpianto nella sua voce, anche se bisognava scavare a
fondo per accorgersene.
< Se tu
mi amassi di nuovo, io tornerei a chiedere il tuo consiglio >
Rimase
vagamente sorpresa delle sue parole e qualcosa dentro di lei si strinse in una
fitta acuta di sofferenza.
< Sei uno
sciocco, se pensi che i miei sentimenti per te siano mutati. Ma sai benissimo
che fra noi non ci può essere accordo. >
< Sì,
> sospirò con la rassegnazione dell’evidenza, < ma non posso fare a meno
di chiedermi se sarebbe potuta andare diversamente e quando sono nel dubbio
ricerco le tue parole. >
Nerdanel
rise sottovoce. Quella situazione era assurda e la voglia di gettarsi fra le
braccia di suo marito e perdersi nel fuoco della passione che suscitava in lei
lo era ancora di più.
< Ho
conosciuto la figlia maggiore di Meldon, cugino di
mio padre. >
<
Conoscevo bene sua moglie, prima che andasse a Mandos.
Ricordo la loro figlioletta, una bambina vivace dallo sguardo altero. >
< Ora è
una giovane appassionata dall’anima di fuoco. >
Con uno
scatto involontario Fёanor le prese la mano, stringendogliela.
< Ho
rivisto me stesso, in lei, ho guardato nei suoi occhi e ho scorto lo stesso
fuoco che mi divora dall’interno, la stessa sete di conoscere, di creare. E lei
lo ha percepito come corporeo fra di noi, ma ne sono rimasto ferito e turbato e
affascinato. >
< Vuoi
possederla, avere il suo spirito. >
< Non
capisci. > Scosse la testa, < lei è già mia.>
< E
allora cosa vuoi? >
Fёanor
parve riflettere per qualche istante. Guardandolo si sarebbe potuto scambiare
per una delle sue statue, tanto era immobile, ma gli occhi gli ardevano come
carbone in un braciere.
Un brivido
di paura la scosse, apprensione per ciò che sarebbe potuto succedere.
<
Lasciala stare,> lo supplicò.
Sentiva di doverlo dire, di non poter permettere che Fёanor rimanesse
saldo in quei propositi. < Hai i tuoi figli, non ti serve un’allieva >
< I miei
figli? > il suo sguardo lampeggiò, < per quanto li ami, nessuno di loro
mi capisce fino in fondo. >
Alla fine
sembrò rilassarsi e le sorrise.
< No, mia
amata Nerdanel, non ascolterò ciò che mi consigli. >
< Sapevi
già che mi avresti ignorata ben prima di venire, perché allora sei qui? >
Lui non
rispose, ma annullò la distanza che li separava. I loro nasi si sfioravano,
poteva vedere ogni più piccola sfumatura delle sue iridi, sentiva il suo fiato
caldo sulle labbra.
La baciò,
spingendo la lingua nella sua bocca in modo famelico, con le mani sulle guance
che le facevano quasi male. E lei rispose, infilandogli le dita fra i capelli,
tirandogli la casacca, senza fiato.
Era sempre
stato così, fra loro, e tutto il ghiaccio non era riuscito ad estinguere
completamente la scintilla che li accendeva di passione ogni qualvolta si
toccavano.
Si
allontanarono bruscamente nello stesso momento, come di comune accordo,
ansimando. Fёanor era rosso in viso e con i capelli in disordine, ma era
certa di non presentare uno spettacolo poi molto diverso.
< Sai
lontano da quella fanciulla, Curufinwё, > gli disse, con voce ferma,
< non tutto ciò su cui posi gli occhi ti appartiene. >
< No,
anche se lo desidererei. >
Aveva
ripreso fiato e la guardava di nuovo con quel misto di malinconia e
indifferenza che caratterizzava il loro rapporto.
< Sarà la
tua rovina, lo sai? Vorrei che lo capissi, vorrei che fra noi ci potesse essere
ben altro che una passione sterile. >
< Non
abbiamo avuto altro che questo, sempre, anche quando pensavamo fosse diverso.
>
Fece per
andarsene ma lei lo richiamò e lui si voltò sulla porta.
< Un
tempo ascoltavi i miei consigli, fallo ancora. >
Fёanor
la guardò per un istante che le parve infinito, tanto che si concesse di
sperare. Ma fu un’illusione presto svanita.
< Non
avrò mai pace, se non la rivedrò. Alatariel è il mio riflesso, brucia del mio
stesso fuoco ed entrambi abbiamo bisogno di appartenerci. Mi dispiace, mia
amata, devo rivederla. >
Uscì senza
più aggiungere altro, lasciandola sola in mezzo ai suoi attrezzi e alle sue
statue. La consapevolezza che ormai Fёanor, per lei, era perduto per
sempre si fece strada nella sua mente, fino a inondarla, finché il
presentimento del disastro verso cui suo marito scivolava non fu troppo
insostenibile.
Si concesso
una sola lacrima, prima di decidere, prima di separare per sempre la sua strada
da quella dell’elfo che, nonostante tutto, aveva amato e amava ancora.
NOTE i versi subito dopo il titolo sono tratti da “Walkthrough the fire”
dall’episodio Once more with feeling di Buffy
Salve, lettori
silenziosi che ormai vi eravate rassegnati alla mia dipartita. Sono di nuovo
qui, dopo una tesi e una laurea e anche un certo periodo in cui, capitemi, la
voglia di fare qualcosa di produttivo era pari a zero, qui con una missing appena sfornata, fresca fresca
per voi. Abbiamo Alatariel, Feanor, l’allegra
famigliola e non solo. Buona lettura!
Il sangue di Feanor
Quando arrivò, erano già tutti lì: Maedhros,
alto e con la testa incorniciata di capelli scarlatti, simili a lingue di fuoco,
stava poggiato al muro con le braccia conserte, molto serio; Maglor era poco distante, immerso nei suoi pensieri,
silenzioso come sempre; i gemelli se ne stavano vicini, leggermente in
disparte, talmente identici che Alatariel non riusciva a distinguerli nemmeno
dopo tutto quel tempo; Celegorm e Caranthir
la guardavano con circospezione, parlottando fra loro a bassa voce; Curufin faceva avanti e indietro per la stanza, le mani
ficcate nelle tasche e una nuvola scura in volto. Tutti la fissarono appena
varcò la soglia, come se avesse suonato un campanello per palesarsi.
Senza parlare si avvicinò a Maedhros,
che la salutò con un cenno del capo e un sorriso tirato.
< Nemmeno voi, quindi, sapete perché siamo qui? >
gli chiese e lui sospirò.
< No, ma pensavamo fosse una faccenda di famiglia. I
miei fratelli di certo non si aspettavano il tuo arrivo. >
< E tu? >
Maedhros la scrutò
intensamente. Nella stanza c’era un camino acceso e il riverbero accendeva i
suoi capelli rossi come fuoco, rendendo il suo volto ancora più pallido di quel
che era realmente.
< Mio padre non riesce a fare a meno di te, dobbiamo
accettarlo > disse. < Comunque a me piaci, Alatariel, se questo ti può
consolare. >
Sorrise di rimando all’elfo al suo fianco. Aveva sempre
l’impressione che i figli di Feanor volessero che lei
sparisse definitivamente in una nuvola di fumo, non riusciva a sentirsi a suo
agio quando loro erano nei paraggi. Si sentiva osservata, aspettavano un suo
passo falso per dimostrare al loro padre che non era altro che una ragazzina,
che non era degna di stare fra loro.
Sapere che Maedhros l’apprezzava
era come una sorsata d’acqua fresca dopo una lunga giornata.
< Mi consola moltissimo, > gli disse, toccandogli
appena un braccio, riconoscente.
Una porta laterale si aprì con uno scatto secco,
facendoli sobbalzare tutti.
Feanor entrò.
Era scarmigliato, con la camicia aperta, i capelli in
disordine, il viso annerito dal fumo della sua fucina, bagnato di sudore, ma i
suoi occhi ardevano come non mai e quando si posarono su di lei, Alatariel si
sentì mancare.
< Padre, > cominciò Caranthir,
facendo un passo in avanti, ma Feanor lo bloccò
alzando un braccio.
< Dovete giurare, > disse, con una voce che
sembrava provenire da un altro mondo.
I fratelli lo guardavano, confusi e accigliati, senza
sapere cosa dire.
< Giurare? > La voce di Maglor
era chiara e armoniosa.
< Giurate su Iluvatar!
Giurate che il nostro sangue viene prima di ogni cosa, prima persino delle
parole di Manwe. >
Sembrava un folle e li guardava tutti con uno sguardo che
avrebbe potuto incenerirli lì dove si trovavano.
< Giuro! >
Si voltarono tutti a guardarla. Aveva parlato con
chiarezza, senza nemmeno pensare a ciò che diceva, nella sua mente solo
l’immagine di Feanor, potente come non le era
sembrato mai.
< Per Iluvatar, io giuro che
niente e nessuno verrà mai prima della Casa di Feanor
e delle parole di Feanor, mio signore. >
Andò verso di lui, gli prese la mano e la baciò. Sentiva
che i fratelli la stavano osservando, ma non importava, c’era solo Feanor, il suo sguardo, il sorriso che le stava rivolgendo.
Si sporse verso di lei e le diede un bacio sulle labbra, facendo tremare ogni
piccolo muscolo del suo corpo.
< Non mi deludi mai, Alatariel, > sussurrò.
< No, mio signore, > rispose, sussurrando a sua
volta, < sono tua. >
Feanor la guardò per un altro
secondo, poi si volse verso i suoi figli.
< Cosa farete allora, figli miei? >
Maedhros si fece avanti e si
mise di fronte a suo padre, guardandolo negli occhi. Facevano un contrasto
impressionante, l’uno con i capelli scuri come la tenebra, trafelato e sporco,
mentre l’altro impeccabile nei suoi abiti candidi e i capelli dai ricci
infuocati. Eppure, guardandoli, era impossibile dubitare della loro parentela,
né di chi dei due fosse quello con maggior potere.
Maedhros baciò suo padre sulla
guancia.
< Giuro, per Iluvatar, che
nulla e nessuno verrà prima delle tue parole, padre. >
Anche gli altri fecero lo stesso e giurarono.
< Ciò che sto per mostrarvi, > disse infine Feanor, < sono stato io a farlo e mi appartiene, ma
molti ne reclameranno la proprietà, se non ora in seguito. Ma sappiate che non
l’avranno mai, perché è mia. >
Fece una pausa, poi prese la sacca che aveva su una
spalla e che fino a quel momento nessuno aveva notato, e la aprì.
Alatariel trattenne il respiro.
Camminava senza pensare davvero a nulla, lasciando che i
suoi piedi si dirigessero verso l’unico posto che aveva sempre considerato casa
sua.
Bussò e fu Dama Galadriel ad
aprire.
< Alatariel > le sorrise dolcemente, facendola
entrare, < non ti aspettavamo. >
La scrutò intensamente, come aveva sempre fatto fin dal momento
in cui si erano incontrate la prima volta, quando entrambe erano solo delle
bambine. C’era una profondità nel suo sguardo che la metteva in soggezione e le
aveva impedito di diventare davvero sua amica, come invece era accaduto con gli
altri figli di Finarfin, in particolare Finrod.
La condusse nel porticato e infine nel giardino interno,
dove Finarfin e sua moglie erano seduti insieme,
conversando.
Quando la videro, entrambi le sorrisero e l’elfo si alzò
per abbracciarla.
< Alatariel, non pensavo che oggi saresti venuta a
farmi visita! >
< Non ti vediamo da molto, > aggiunse Earwen, prendendole la mano e facendola sedere accanto a
sé, < ci sei mancata. >
Finarfin si sedette all’altro
suo fianco e le spostò delicatamente una ciocca di capelli dal viso.
< Sei turbata? > domandò apprensivo.
Avrebbe voluto stringerli, piangere sulla spalla di Finarfin, lasciarsi andare e raccontare tutto ciò che Feanor aveva detto, quello che le aveva mostrato, ma
avrebbe voluto dire venir meno alla parola data. E comunque sarebbe stato Feanor stesso a svelare la creazione dei Silmarils molto presto, allora avrebbero saputo anche loro,
e avrebbero potuto parlarne. Si sentiva sopraffatta dalla bellezza di quelle
gemme, da ciò che aveva provato per Feanor in quel
momento, dalla paura di cosa quell’incredibile creazione avrebbe provocato
nella sua vita.
Guardò Finarfin negli occhi e
vide che lui sapeva, che aveva capito tutto soltanto con quello sguardo, come
nessun altro era mai riuscito a fare.
< Arafinwe, io… >
< Non devi dirmi niente, non ora, > disse lui.
Non riuscì a trattenere le lacrime e scoppiò a piangere
lì, fra le braccia di Finarfin, mentre Earwen le teneva la mano e Galadriel
li lasciava silenziosamente da soli.
Non sapeva nemmeno perché stava piangendo, ma era
irrefrenabile, come non le era più capitato da quando era bambina e sua madre
aveva scelto Lòrien a lei.
Stranamente anche quella volta c’era stato Arafinwe a consolarla, ad accogliere le sue lacrime, anche
se non ne conosceva il motivo.
Durante
un festeggiamento, Morgoth accompagnato da Ungoliant è
penetrato in Valinor e ha attaccato i due Alberi, uccidendoli e
portando l'oscurità su Aman. Un momento difficile per
Aeglos... buona lettura!
Rosso
e Nero
Alatariel
aveva il volto arrossato, i capelli scarmigliati e – non
credeva di averla mai vista in quelle vesti – un lungo abito
rosso. Non appena l'aveva visto, si era letteralmente lanciata fra le
sue braccia e lui non era riuscito a fare altro che stringerla, in
silenzio. Cosa avrebbe mai potuto dirle, in fondo, quando le parole
sfuggivano a lui per primo in quel momento?
Era
successo tutto incredibilmente in fretta, come in un incubo.
L'oscurità era piombata su di loro mentre insieme a Lindir e
suo padre era intento a districare le reti, proprio nel momento in
cui le luci si mescolavano e i marinai Teleri intonavano un canto di
ringraziamento. Un brivido gli era strisciato lungo la schiena, aveva
sentito il cuore rimbombargli nelle orecchie, ogni cosa era diventata
oscurità terribile e accecante. Ogni canzone era cessata.
Qualcuno aveva urlato.
Poi
un'ombra di morte era passata su di loro e un grido aveva gettato un
terrore paralizzante su tutti loro, per poi passare e lasciarli lì,
nel buio più totale.
Aveva
sentito le mani di suo padre sul braccio, una presa quasi frenetica,
come se avesse paura che sarebbe svanito anche lui in tutto quel
nero. Aveva ricambiato la stretta e con l'altra mano aveva cercato
Lindir al suo fianco.
Non
si era nemmeno accorto di star piangendo.
Improvvisamente
si era levato un coro di lamenti, un unico grido di sofferenza, e
l'intera Alqualonde era stata risucchiata in quell'espressione di
sofferenza e panico.
Non
riusciva a calcolare quanto tempo avesse passato così, prima
che venissero accese delle fiaccole, prima che incominciasse il
frenetico tramestio di richiami, pianti, gente che cercava i propri
cari. Aveva guardato in faccia suo padre e gli era sembrato un altro,
qualcuno che non conosceva. Si sentiva le guance bagnate e gli occhi
gli bruciavano, ma suo padre non aveva versato nemmeno una lacrima.
Lindir singhiozzava.
Infine
si alzò in piedi e fu come se Meldon si svegliasse da un lungo
sonno.
<
Dobbiamo tornare a casa, > disse alzandosi, con la voce rotta, <
vostra madre sarà preoccupata. >
Si
sporse per tirare in piedi Lindir e lo scosse leggermente.
<
Non piangere, non ora > gli ordinò.
Aveva
fatto per seguire suo padre e suo fratello, ma poi l'aveva vista là,
trafelata come se avesse corso a perdifiato tutta la strada da
Tirion, e allora si era separato dalla sua famiglia e le era andato
incontro.
Ora
se ne stavano seduti nella tranquillità apparente della sua
stanza, dove nulla era cambiato rispetto a quella mattina, tranne che
dalla finestra arrivava solo la luce rossastra delle torce.
Ogni
cosa taceva.
Non
si erano detti nulla per tutto il tragitto dal porto a casa sua e lui
l'aveva fatta entrare senza dare spiegazioni a nessuno.
Lindir,
che la conosceva, l'aveva osservata per un attimo, ma non l'aveva
salutata come faceva di solito.
Alatariel
sembrava quasi non vedere niente e nessuno.
<
Cos'è successo? > le chiese infine, sottovoce.
Lei
lo guardò per un po', senza rispondere, poi si portò le
mani al volto e si chinò in avanti.
<
Dovresti averlo capito, ormai. >
<
Tu eri là. Voglio sentirlo da te. >
Lei
si raddrizzò e gli puntò gli occhi addosso, quegli
occhi che ogni volta lo turbavano e affascinavano con il loro essere
così distanti. Erano freddi anche in quel momento, quando ogni
altra parte di lei appariva sconvolta.
<
Perché mi chiedi di raccontarti queste cose? Non vedi forse da
te che gli Alberi sono morti? Non hai sentito il grido di Morgoth e
la nera presenza di Ungoliant? Vuoi che ti descriva come sono morti?
>
<
Voglio sapere cosa è accaduto dopo. >
<
Non lo so, non sono rimasta a guardare. Sono corsa subito qui. >
<
Perché? >
Alatariel
sembrò non capire quella domanda.
Gli
prese una mano, allungandosi leggermente verso di lui.
<
Non lo sai? > rispose, < Provo per te un affetto come non ne ho
mai provati, sei mio amico come non lo è nessuno. Non c'è
nessun altro posto in cui vorrei essere. >
Lo
sapeva. Ciò che lo legava a lei era qualcosa che non riusciva
a spiegarsi e sapeva perfettamente che anche per Alatariel era lo
stesso, ma sentirglielo dire, in un momento come quello, era
impagabile. Un gesto egoista, ma non aveva potuto trattenersi.
<
Feanor ti starà cercando. >
<
Sì, mi cercherà di sicuro > esitò appena,
come se parlare di suo cugino fosse penoso, < ma non mi troverà.
Lui non sa della tua esistenza. > Alatariel gli sorrise, con
una punta di divertimento nello sguardo: < Sei unicamente mio. >
Rispose
al suo sorriso e, per la prima volta da quando l'oscurità era
piombata su di loro, si sentì leggero.
Improvvisamente
si librò un canto sommesso.
Si
alzarono per andare alla finestra senza nemmeno accorgersene, si
tenevano per mano, guardando meravigliati il cielo e l'oscurità
ora meno fitta.
Le
stelle brillavano fioche, solo un lontano ricordo di ciò che
era stata la Luce degli Alberi, ma un segnale che non erano stati
dimenticati, che Varda era con loro.
<
Dovrei tornare, > mormorò Alatariel, facendosi appena più
vicino a lui.
<
Rimani, invece. >
Lei
non ribatté, accettando la cosa semplicemente.
<
Dobbiamo andare di là, > disse infine, guardandolo assorta,
tua madre sembrava turbata e tuo fratello era sull'orlo di una crisi
isterica. Non vorrai lasciarli soli. >
Annuì.
Era
quello che bisognava fare, riprendere in mano la sua famiglia,
tranquillizzare tutti.
Suo
fratello Anàron era ancora così giovane!
Voleva
piangere ma non aveva più la forza di fare qualcosa di così
faticoso.
Alatariel
lo trascinò fuori dalla sua stanza quasi di peso e quando
entrarono nella sala da pranzo tutti si voltarono a guardarli.
Lindir
era seduto al tavolo con la testa fra le mani, ancora scosso da
singhiozzi silenziosi, sua madre cercava di tranquillizzare Anàron,
spaventato e aggrappato alle sue gonne, suo padre era in piedi e lo
guardava come se non lo riconoscesse nemmeno.
<
Lei è Alatariel > la presentò, ma a nessuno sembrava
importare di quell'estranea alla cui mano lui si aggrappava
ferocemente.
Fu
sua madre a riscuotersi per prima.
<
Vieni, cara, > disse alzandosi, < aiutami a portare in tavola
qualcosa da mangiare. >
Alatariel
esitò appena, poi lasciò la presa e seguì sua
madre in cucina. Per un momento si ritrovò a pensare a come
doveva apparire a una come lei la vita modesta che conducevano, in
quella casa piccola in una stradina secondaria di Alqualonde, quando
lei abitava nel grande palazzo di Feanor.
Erano
pensieri sciocchi e frivoli, ma la sua mente vi si soffermava
insistentemente, per non dover pensare ad altre cose ben peggiori.
Telperion
e Laurelin erano morti.
Morti.
Era
un avvenimento di tale enormità che risultava difficile
crederci, eppure era buio, buio come se qualcuno avesse chiuso gli
scuri delle finestre del mondo.
Si
sentiva male e cercò la mano di Alatariel, ma lei non era lì
e ne riusciva a sentire la voce ovattata provenire dalla cucina.
Quando
ricomparve, portando una pagnotta di pane e una caraffa di vino,
seguita da sua madre con formaggio e frutta, gli venne quasi da
ridere per l'assurdità della situazione, per come quell'elfa
vestita di rosso, che serviva a tavola, fosse così lontana
dall'Alatariel che conosceva, quella con gli abiti maschili e
l'orgoglio che traspariva dal mento alto.
Eppure
era lei, in ogni singolo aspetto, anche in quel momento.
L'amava.
Se
ne rese conto pienamente solo all'ora e non ci aveva mai pensato
prima, nonostante sapesse che era così fin dal primo istante
in cui l'aveva vista.
Voleva
dirglielo, urlarlo proprio lì, in mezzo ai suoi famigliari,
mentre lei era bellissima e apparecchiava la tavola come se fosse
tutto normale, come se non fosse appena piombata l'oscurità su
Valinor e lei non portasse un vestito lungo e così poco da
lei.
Ma
non lo fece, si sedette a tavola e mangiò in silenzio,
lanciandole solo uno sguardo fugace.
Anche
lei lo guardò e per un momento, forse per colpa della paura o
della disperazione, gli sembrò di vedere lo stesso impulso nei
suoi occhi.
No, non mi
sono dimenticata di questa raccolta, anzi, è una di quelle
cose che occupano costantemente i miei pensieri, ma la vita vera si
mette in mezzo e quindi son passati più di sette mesi
dall'ultimo aggiornamento. Spero che non siate andati via tutti.
Intanto,
piccolo momento in cui protagonista è un personaggio che io
amo molto, Maedhros, figlio maggiore di Feanor, colto poco prima di
partire per le battaglie che alla fine culmineranno nella Nirnaed
Arnoediad, la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime.
Russandol
Quando le mie
guardie mi riferirono il nome dell'elfa che si era presentata alle
porte del mio regno, mi misi a ridere. Naturalmente non poteva essere
davvero lei, una donna che avevo visto l'ultima volta piangere su
quel mucchio di cenere che era stato mio padre, e che poi si era
lanciata a capofitto nella battaglia.
Avevo
concluso che era morta in quell'occasione e che il suo spirito, in
qualche modo finalmente sereno, fosse a Mandos.
Invece me la
ritrovai davanti, accerchiata dalle mie guardie, con la solita
espressione indecifrabile e i capelli legati sulla nuca. Provai quasi
un moto di nostalgia, nel vederla dopo tanto tempo, mi ricordava
giorni più felici, a Tirion, prima che il Giuramento ci
portasse alla guerra.
Con un cenno
ordinai che ci lasciassero soli e le guardie uscirono, così
come gli altri che erano nella Sala del Trono.
< Cosa ci
fai qui, Alatariel? > domandai.
Mi lanciò
un lungo sguardo prima di rispondere, come se stesse soppesando la
mia domanda, o riflettendo sulle parole da dire.
< Non
sarei potuta andare da nessun'altra parte, naturalmente, > disse
infine, piano, < ho sentito che uno dei Silmaril si trova ora
nelle mani di Thingol, nel Doriath. Credevo di trovare un raduno di
eserciti. >
Mi stava
accusando di inoperosità, a modo suo persino di tradimento.
< Non c'è
nessuna sicurezza che effettivamente uno dei Gioielli sia stato
recuperato. >
Fece una
smorfia, come un sorriso storto verso di me.
< Un
mortale e la figlia del Re del Doriath sono entrati nella fortezza
del Nemico. Per quale motivo, secondo te? Una fuga romantica? >
< Non sono
uno sciocco, ma una cosa è ipotizzare, ben altra cosa è
avere la certezza. Sei sempre stata fin troppo impulsiva, ma io non
ho solo la responsabilità di me stesso, come puoi vedere.
Inoltre > aggiunsi, prima che potesse ribattere, < ho mandato
dei messaggi ai miei fratelli, e alle case di Fingolfin e Finarfin,
nonché agli Uomini e ai Nani, perché si riuniscano
contro Morgoth. >
Quando
nominai i miei fratelli sembrò sussultare.
Fra tutti i
figli di Feanor io ero stato l'unico con cui Alatariel era riuscita a
stringere un qualche tipo di rapporto, i miei fratelli non si
fidavano di lei e a volte non potevo fare a meno di chiedermi se non
avessero ragione. Perché mio padre aveva portato un'estranea
fra noi? Era evidente che in un certo qual modo fosse attratto da
lei, ma neanche lontanamente quanto Alatariel, ancora ragazzina, lo
fosse a sua volta da Feanor.
Eppure non
potevo fare a meno di trovarla interessante a mia volta, la sua
compagnia era piacevole e sapeva essere dolce e spiritosa quando si
sentiva a proprio agio. Le avevo confidato della mia amicizia con
Fingon prima che a chiunque altro e lei mi aveva parlato di ciò
che provava per Finrod e di come temesse di non poterlo mai
ricambiare. Era stata mia amica, sotto gli Alberi di Valinor.
Adesso mi
sembrava quasi di avere di fronte un'estranea e probabilmente il suo
pensiero era il medesimo. Guardava la mia mano mancante con
espressione sorpresa, come se si stesse chiedendo se l'elfo che aveva
di fronte fosse il medesimo di sempre o qualcuno di totalmente
diverso.
< Come è
successo? > mi chiese, e stranamente la sua voce era sommessa,
commossa quasi. Come al solito i miei tentativi di decifrare i suoi
pensieri si erano rivelati errati.
< Me l'ha
tagliata Fingon. >
Mi guardò,
gelida. Forse pensava che avessi fatto una battuta, ma non fece
commenti.
< Dove sei
stata tutto questo tempo? La tua presenza sarebbe stata importante. >
Lottava con
se stessa? Non voleva rispondermi, o forse non credeva che mi sarebbe
importato? Non sapere cosa le stesse passando per la mente era
frustrante.
< Dovevo
andare via, non potevo sopportare di rimanere con voi. Mi capisci
vero? >
Annuii. La
capivo meglio di quanto mi fossi mai reso conto. Realizzai
improvvisamente, come se qualcuno mi avesse gettato dell'acqua gelida
addosso gridandomi la verità, che una parte di me aveva
sperato di rimanere per sempre prigioniero su quella maledetta
montagna, in preda ai tormenti. Cos'era, in fondo, il dolore di un
polso rispetto all'atroce sofferenza che mi portavo nel cuore?
C'era una
piccola porzione di Maedhros che non aveva mai lasciato il
Thangorodrim, se ne stava appesa lì come se nulla avesse
importanza oltre a quel dolore lancinante.
<
Combatterò. >
La voce di
Alatariel mi riportò bruscamente alla realtà. Non ero
più lì, Fingon era venuto e mi aveva tagliato la mano
all'altezza del polso, ignorando le mie suppliche. Senza rendersene
conto, aveva fatto molto più che salvarmi dal precipizio, mi
aveva salvato da me stesso.
<
Combatterò con te, per la Casa di Feanor, come sempre. >
< Non ho
dubbi che lo farai, come sempre. >
Mi guardò
di sottecchi e un sorriso sardonico le increspò le labbra:
< Ti
offrirei la mia spada in segno di fedeltà, ma le tue guardie
me l'hanno tolta, mio signore. >
Scoppiai a
ridere.
< Non si
entra nella Marca di Maedhros armati senza che Maedhros non abbia
qualcosa da dire in proposito, > ribattei a mia volta divertito, <
ma non temere, ti verrà restituita presto. >
I miei
fratelli non sarebbero stati affatto contenti, ma non potevo farci
nulla, non avrei potuto tenerla lontana nemmeno se avessi voluto.
Ricordavo Alatariel accanto a me il giorno in cui avevamo giurato di
riprenderci i Silmaril, ricordavo il suo volto rigato di lacrime
quando Feanor era morto, ricordavo la sua presenza come se ci fosse
sempre stata.
Averla di
nuovo intorno era come un barlume di mio padre e della nostra vecchia
vita. Non volevo rinunciarci.
Mi alzai e
scesi i gradini che mi separavano da lei. Mi avviai verso la porta e
lei mi seguì, silenziosa e docile, stranamente. Sentivo
addosso il suo sguardo mentre la precedevo e uscivo nel corridoio,
facendo un cenno alle guardie che si avvicinarono.
Presi la
spada di Alatariel che una di loro mi porgeva: era diversa da quella
che aveva avuto un tempo, quella che si era fatta forgiare a Tirion e
che si era portata dietro fin nella Terra di Mezzo, questa era più
sottile e leggera, con l'elsa di un verde pallido e sottili linee
d'argento intrecciate.
Glie la
restituii senza un commento e lei se la legò alla cintura.
Solo in quel momento mi resi conto che portava gli abiti degli Elfi
dei Boschi. Potevo immaginare il motivo che l'aveva portata
all'isolamento nell'Ossiriand ma non commentai.
Alatariel
finì di allacciarsi la cintura e mi guardò,
sorridendomi sinceramente per la prima volta da quando ci eravamo
ritrovati.
< Sai che
avrai sempre la mia lealtà, vero, Russandol? >
Mi commosse
quel ricorrere al soprannome con cui mi chiamavano solo i miei
fratelli e i miei amici più cari, il soprannome con cui mi
chiamava un tempo. La sensazione del tempo che tornava indietro mi
scaldò il cuore, l'avrei abbracciata se avessi osato, ma
sapevo che non me lo avrebbe mai permesso, che non avevamo quel tipo
di intimità.
Mi chiesi se
qualcuno, su tutta Arda, avesse quel tipo di intimità con
Alatariel. Non riuscivo a immaginare che qualcuno potesse
abbracciarla, tenerle la mano, qualcuno con cui lei non fosse
fredda... a parte mio padre forse.
< Le mie
guardie ti mostreranno una stanza per te, > le dissi, <
considerala casa tua, per tutto il tempo che vorrai stare qui. >
Si inchinò
leggermente e andò via, senza guardarsi indietro.
Si
preparavano venti di guerra, l'ennesima di quella lotta senza fine.
Ma ora
eravamo di nuovo riuniti, i figli di Feanor e Alatariel, insieme nel
giuramento che aveva segnato le nostre vite indelebilmente, che, ne
avevo la certezza come un presagio funesto, ci avrebbe portati tutti
alla rovina.
***
Nota:
“Russandol” vuol dire “chioma di rame” ed è
l'epesse di Maedhros, cioè il soprannome con cui lo chiamavano
i suoi familiari e amici.