By the sea

di emylee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episode 1 ***
Capitolo 2: *** Episode 2 ***
Capitolo 3: *** Episode 3 ***
Capitolo 4: *** Episode 4 ***
Capitolo 5: *** Episode 5 ***



Capitolo 1
*** Episode 1 ***






Il letto sotto cui era steso era soffice eppure ruvido, nulla a che vedere con la morbidezza e comodità di quello che era stato il suo letto per quasi sette anni ad Hogwarts. Si mosse e si rigirò, inquieto, cercando di darsi pace e tregua, ma senza riuscirci, così rimase semplicemente fermo tra le lenzuola sfatte, stanco anche senza aver fatto nulla da quella mattina e sudato anche se era ormai il tramonto e non faceva poi così caldo. La stanza era illuminata d'arancione e dalla finestra aperta entrava un venticello fresco, ma tutto ciò non bastava a fargli trovare anche solo la voglia di alzarsi, uscire dalla porta e tornare a vivere.

Alzò una mano verso il soffitto, osservando con attenzione come le dita si stringevano intorno al legno della bacchetta, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se non servissero a fare nient'altro. Peccato solo che, adesso, quella bacchetta – la bacchetta di Draco Malfoy, quella che aveva ucciso Voldemort, quella che gli aveva portato via la sua magia – era del tutto inutile tra le sue mani.

«C'era da aspettarsi che sarebbe finita così.» disse, a nulla e a nessuno in particolare. Era da solo, in quella camera. Aveva fatto chiudere le barriere di Grimmauld Place a Kreacher prima che Ron o Hermione sarebbero potuti arrivare e cercare di farlo uscire, magari facendogli pure una lavata di capo. Per cosa, poi? Non aveva molta voglia di andare fuori, vedere tutti loro come usavano la magia anche solo per scaldarsi il tea nella tazza, mentre lui sarebbe rimasto a guardarli, invidioso, peggio di un Magonò. E non aveva la forza di sopportare il Mondo Magico adesso, come tutti si sarebbero prostrati ai suoi piedi ringraziandolo dell'enorme sacrificio che aveva fatto, come i giornalisti avrebbero continuato a fare domande su domande sulla sua vita e di come l'avrebbe vissuta da quel giorno in poi. Grimmauld Place, nonostante le sue stanze tetre e le teste degli elfi appese ai soffitti, era di gran lunga più accogliente che il mondo fuori da quelle mura.

Solo... solo che doveva fare un'ultima cosa, prima di abbandonare anche quel posto – odiato quanto amato, l'ultima cosa che gli ricordava Sirius, ma che gli ricordava anche i troppi mesi di latitanza che erano finiti appena un paio di settimane prima, o poco più. Si mise a sedere e strinse la bacchetta di Malfoy, avvicinandosi alla finestra spalancata; su un trespolo appoggiato sul davanzale, stava appollaiato il gufo che Hermione, disperata, gli aveva chiesto, quasi con le lacrime agli occhi, di tenere con sé e di scriverle non appena avrebbe avuto voglia di vederla. Non aveva nome, e non pensava di dargliene uno – non pensava neanche di portarlo con sé, quando sarebbe andato via da lì.

Lo chiamò con un leggero fischio e il piccolo gufo volò fino ad appoggiarsi sul davanzale, allungandogli poi la zampetta, restando in attesa. Senza pensarci troppo a lungo, legò con un nastro di seta nascosto in un cassetto la bacchetta al gufo e disse: «Portala a Draco Malfoy, non aspettare alcuna risposta. Poi va' da Hermione e resta con lei.»

Il gufo, prima di spiccare il volo, piegò la testa, confuso. Si allontanò con la bacchetta attaccata alla zampa: sapeva che non era un modo sicuro per riconsegnare una bacchetta, poteva slacciarsi, cadere e perdersi, oppure qualcuno poteva rintracciarlo e rubarla, ma ormai, cosa gli importava? Non erano più affari suoi dal momento in cui il gufo l'aveva portata via. Adesso, nessun problema del Mondo Magico era affar suo. Se non sarebbe riuscito a vivere in quel mondo che gli aveva dato tanto, ma che gli aveva altrettanto tolto tutto, senza magia, significava che ormai il suo compito, lì, era finito. Aveva fatto il suo dovere, adesso non serviva più.

Harry Potter era tornato ad essere un Babbano come lo era prima dei suoi undici anni – o persino peggio, dato che, anche allora, la magia c'era. Già che c'era, nello stesso cassetto dove aveva trovato il nastro di seta, prese due pergamene e scrisse due lettere differenti a Ron e Hermione, ringraziandoli dal profondo per tutto quello che avevano fatto per lui, e per tutto ciò che erano stati ed erano ancora per lui. Forse era stato un po' troppo sentimentale e melodrammatico, scrivendo loro che non li avrebbe mai dimenticati, sottolineando più volte il suo addio definitivo, ma non poté farci niente. Non voleva essere invidioso, non voleva vivere nella gelosia di vedere come i suoi migliori amici e la sua famiglia potessero finalmente vivere normalmente mentre lui, ancora una volta, doveva essere quello anormale tra loro. Era stanco. Per una volta, voleva essere uno come un altro – non essere né colui che ha ucciso Voldemort tra quelli che lo venerano come il Salvatone, né colui senza magia tra quelli che lo compatiscono.

Si avvicinò allo stesso zaino che Hermione aveva incantato durante il loro viaggio alla ricerca degli Horcrux e ci infilò tutte le sue cose – che erano relativamente poche – e tutti i soldi che era riuscito a ritirare dalla Gringott, ringraziando il fatto che ancora poteva usare oggetti incantati nonostante non avesse più magia in sé. Con un nodo in gola, piegò con cura tutti i maglioni fatti da Molly in tutti quegli anni, portò con sé anche la Mappa del Malandrino – nonostante non servisse più a nulla, ma era un ricordo di suo padre, Sirius e Remus, non poteva semplicemente buttarla via o darla a qualcun altro – insieme al Mantello dell'Invisibilità. Anche se era molto indeciso, mise comunque nello zaino il boccino d'oro dove al suo interno aveva trovato la Pietra della Risurrezione che aveva perso dopo il suo utilizzo nella Foresta Proibita, ma si giustificò dicendosi che anche quello era un ricordo di Silente e null'altro. Aveva un po' il terrore di diventare nostalgico, fin troppo, se tra un po' di tempo avrebbe riguardato tutte quelle cose che avevano segnato la sua vita e l'avevano resa divertente e avventurosa, ma si sarebbe messo l'anima in pace.

In ogni caso, non sarebbe potuto più tornare indietro.

Si mise lo zaino in spalla, dicendosi che aveva rimandato fin troppo la sua partenza. Aveva assistito a tutti i funerali – quelli di Remus e Tonks, quelli di Fred e di Lavanda Brown e Colin Canon erano stati i più difficili da sopportare, ma era rimasto, fino alla fine. Aveva lasciato una testimonianza anche per i Malfoy, non dimenticando quello che Narcissa aveva fatto nella Foresta Proibita e quando Draco non lo aveva smascherato a Malfoy Manor. Non lasciò detto nulla per Lucius, per lui potevano farci quel che voleva – non era più affar suo. Aveva fatto tutto quello che doveva, nulla più, ormai, lo legava al Mondo Magico.

Lasciò le due lettere sul tavolo della cucina, quando uscì dalla sua stanza che era stata, un tempo, quella di Sirius, dicendo a Kreacher di far in modo che sia Hermione che Ron le ricevessero non appena sarebbero venuti a cercarlo, e l'elfo, seppur borbottando che un Magonò non poteva dargli ordini, annuì controvoglia. Fece un respiro profondo, mettendosi lo zaino in spalla. Senza più guardarsi indietro, si chiuse la porta di Grimmauld Place alle spalle e si perse nella nebbia di Londra.



Quando arrivò Settembre, Harry sembrò aver sistemato la sua vita. Con i soldi che aveva preso alla Gringott prima di andar via dal Mondo Magico, aveva affittato un piccolo appartamento più lontano possibile da Londra, ma vicino alla costa. L'appartamento costava un po', ma era piccolo e accogliente, ma soprattutto affacciava sul mare: era stato quel particolare a convincere Harry a mettere radici proprio lì – e anche perché era lontano dai maggiori centri Magici inglesi, così si sentiva con le spalle più coperte.

Non aveva alcun titolo di studio, quindi temeva che quel piccolo appartamento sarebbe durato poco tra le sue mani dato che non avrebbe trovato lavoro facilmente, quindi per i primi tempi non tolse neanche le sue cose dal suo zaino, preferendo non lasciar alcun segno di sé in quella casa per non sentirla sua e rimanerci male se – quando – l'avrebbero sfrattato. Ma la buona stella, per una volta, aveva illuminato il suo cammino quando la vecchietta che gli aveva affittato l'appartamento gli aveva, facendogli persino un occhiolino che lo lasciò piuttosto perplesso, lasciato un biglietto con scritto un indirizzo non molto lontano da casa. Non fece domande – la vecchietta non sembrava molto propensa a dargli risposte che non fossero ʻavanti, caro, non essere timido, puoi provare a chiedere lì, dì che ti mando ioʼ – e scoprì che, una volta arrivato nel luogo del biglietto, era una Libreria Caffè di piccolo calibro, ma molto, molto carina, dove un sacco di turisti si sedevano lì nelle ore più calde a bere qualcosa di fresco o a comprare un libro per portarlo, poi, nella spiaggia poco lontana. Harry si innamorò a prima vista e, non appena fece domanda di assunzione, non dimenticandosi di dire chi lo aveva mandato, lo presero subito come nuovo commesso – che, successivamente, scoprì che il posto era stato lasciato libero solo poche settimane prima dal marito della vecchietta che era andato in pensione alla veneranda età di sessantotto anni.

Quindi, quando l'autunno era ormai alle porte, Harry poté dire di essere, finalmente, in pace con se stesso. O almeno, era quello che cercava di convincersi, dato che, talvolta, durante la notte ancora sognava la guerra e i morti, e di giorno ancora versava qualche lacrima stringendo il tessuto del Mantello dell'Invisibilità tra le mani. Ma prima o poi sarebbe passata, era questo quello che continuava a dirsi ogni giorno. Col tempo sarebbe migliorato, si ripeteva, non appena apriva gli occhi sotto il suono della fastidiosa sveglia.

Quel paese che si affacciava sul mare – forse aveva un nome, o forse era solo un piccolo quartiere anonimo, ma Harry davvero non lo sapeva, e un po' si vergognava a far notare ai cittadini la sua ignoranza a riguardo. Come poteva dire in giro che non sapeva neanche come si chiamava la terra che aveva sotto i piedi? In più, preferiva non saperlo per non cadere nella tentazione di mandare una lettera Babbana agli Weasley e rendersi poi, così, rintracciabile. Talvolta, perdeva ore e ore a pensare a cosa stessero facendo. Ron era entrato negli Auror come avevano intenzione di fare insieme prima della Battaglia? Hermione era tornata ad Hogwarts per finire gli studi come desiderava? E gli altri? Come stava George? E Ginny? Teddy stava crescendo amato e coccolato come meritava, nonostante la morte dei genitori?

Tutto cambiò un venerdì di metà Settembre quando, mentre Harry stava placidamente bevendo un caffè regalatogli dalla proprietaria della Libreria Caffè, Vivianne, arrivò un gufo a beccare proprio una delle vetrate del negozio. Ed era proprio quel gufo, lo stesso che gli aveva regalato Hermione, e che aveva mandato via prima di partire. Nessun gufo sarebbe dovuto riuscire a trovarlo, non avendo più alcuna scia magica, dunque tutte le missive a lui destinate sarebbero arrivate a Grimmauld Place – quindi perché? Perché quel dannato gufetto si trovava proprio lì, a fissarlo con i suoi occhi gialli e la testa piegata, come se fosse la cosa più naturale del mondo?

«Un gufo?» Vivianne, al suo fianco, si grattò la testa ricoperta da infiniti riccioli scuri. Una volta si era tolto gli occhiali per pulirli dalle ditate che aveva lasciato sulle lenti, e la sua forma sfocata gli era sembrata molto Hermione, tanto che stava per chiamare ad alta voce il suo nome e scoppiare a piangere. Ma non lo fece. «Di giorno? Non li avevo mai visti da queste parti. Sai, vicino al mare. Che cosa buffa!»

«Già.» Harry non poté fare a meno di deglutire, il caffé che ormai era diventato imbevibile grazie alla bile che gli stava per salire. «È piccolo, forse si è allontanato da... dalla tana. Volevo dire, dal trespolo. No, dal nido?»

«Harry, non andare nel panico per queste cose!» rise Vivianne, e la sua risata era così diversa da quella di Hermione che ogni volta lo faceva rimanere male, «Se ne andrà da sé, tranquillo. In questo periodo i clienti sono pochi e il paese deserto, dato che ormai è troppo freddo per farsi un bagno al mare. Non farà scappare nessuno, quel povero animaletto!»

«È innocuo,» disse subito, avvicinandosi alla vetrata, «lo mando via.»

Vivianne si limitò a scrollare le spalle e a tornare alle sue faccende. Si avvicinò al gufo e notò praticamente subito il pezzo di pergamena arrotolata e attaccata alla zampina. Senza perdere tempo, lesse velocemente il messaggio al suo interno e non poté fare a meno di sbiancare. Accartocciò la pergamena e la pestò sotto ai piedi, sperando che sparisse.


So dove vivi.


Era una minaccia? Harry si guardò intorno, ma non vide altro che strade deserte e non sentì altro che i gabbiani e il rumore del mare alle sue spalle. Quella scrittura non era di Hermione, poteva metterci la mano sul fuoco. Conosceva bene quella della sua amica, avendo ricopiato pagine e pagine di suoi appunti ad Hogwarts. Non era neanche di Ron, o di Ginny. A sensazione, sapeva che non era di nessuno degli Weasley. Quindi chi diamine...? Non era che chiunque egli fosse, era già a casa sua, a rovistare tra le sue cose, o a dire a tutti dove abitava e cosa il loro Salvatore del Mondo Magico Magonò stava facendo per sopravvivere? Doveva tornare a casa.

Tornò nella Libreria Caffè e andò vicino Vivianne, che stava zuccherando del caffè per un cliente, «Hey, Vivianne, io... devo tornare a casa. Non mi sento per niente bene, ehm, la testa mi sta esplodendo e ho lasciato le medicine a casa.»

Credeva che quella scusa inventata su due piedi avrebbe fatto fare qualche smorfia a Vivianne, perché nonostante la carenza di clienti non poteva lasciare il lavoro così per un mal di testa.

«Oh, non ti preoccupare, capisco!» Vivianne si indicò la sua fronte, assumendo l'espressione di chi sapeva e non aveva bisogno di altre parole. Harry si toccò la fronte nello stesso punto e scoprì che era proprio dove aveva la cicatrice a forma di saetta. «Puoi tornare a casa, se hai bisogno di qualsiasi cosa non esitare a mandarmi un messaggio, chiaro? Anche solo per un'aspirina!»

Gli abitanti del paese lo conoscevano per la balla che aveva detto alla vecchietta che gli aveva affittato casa, e che lei non aveva esitato a raccontare a tutte le sue amiche coetanee: aveva detto di aver avuto un incidente e di aver perso tutto, e di voler ricominciare da capo proprio lì. Un po' era stato per questo che tutti lo avevano aiutato come potevano nel loro piccolo, e lui ne era stato davvero grato. Vivianne, probabilmente, aveva collegato la cicatrice al presunto incidente che aveva avuto – e che gli faceva ancora male. Il tutto non si allontanava poi troppo dalla realtà, anche se ormai la cicatrice non bruciava più da ormai Giugno.

«Me ne ricorderò. Torno domani.» Forse.

Si tolse in fretta il cartellino con su il nome e il camice un po' macchiato di caffè e cioccolata e se lo mise nello zaino, scappando poi a gambe levate senza neanche metterselo in spalla. Poteva sembrare forse maleducato andare via in quel modo senza neanche salutare i clienti – proprio lui che tutte le vecchiette del paesino gli davano carezze dicendo quanto bravo ed educato era, nonostante la sua goffaggine – ma avrebbe chiesto scusa poi. Corse per le strade vuote sotto il sole tiepido, il vento sferzava e gli graffiava la faccia, ma non rallentò comunque, arrivando quasi in tempo record sotto il condominio di cinque piani ed entrò, salendo fino al quarto. Ringraziò i vari anni spesi ad allenarsi a Quidditch che gli avevano dato il fisico dello sportivo, altrimenti, senza ascensore, sarebbe arrivato davanti al suo appartamento con la lingua che arrivava al pavimento.

Con le mani che tremavano dall'agitazione, riuscì comunque ad infilare la chiave della toppa e aprì la porta, osservando subito il piccolo soggiorno luminoso che si ritrovò davanti e trovandolo, fortunatamente, vuoto.

«C'è nessuno?» gridò, posando lo zaino sul tavolo dove di solito mangiava ed entrando nella stanza accanto, la cucina, accendendone la luce, «Se c'è qualcuno che esca fuori altrimenti finisce male!» Non che avrebbe mai potuto far del male ad un Mago, ma forse avrebbe potuto spaventarlo lo stesso. Era o non era, per tutti, colui che aveva ucciso Voldemort?

Tornò nel soggiorno nello stesso istante in cui un'ombra uscì dalla sua camera da letto. Di riflesso, cercò la sua bacchetta sia nelle maniche della maglietta smunta che indossava, sia nelle tasche del jeans sbiadito, prima di ricordarsi che non aveva alcuna bacchetta.

«Cercavi questa, Potter?»

Quando la luce del sole che spuntava dalla vetrata che dava al piccolo balcone colpì la testa del suo nonvoluto ospite, imprecò tra i denti. I capelli biondi sembravano quasi bianchi ed erano più lunghi di quanto ricordasse, tanto che per un secondo, Draco Malfoy gli era sembrato molto suo padre, ma osservando poi il suo tipico sorriso tagliente e sentendo come aveva strascicato le parole e come lo aveva chiamato in quel modo strano tutto suo – molto più Pottah che Potter – si tolse ogni dubbio. E la cosa più strana non era neanche la presenza di Malfoy in mezzo al suo soggiorno Babbano, ma piuttosto era il fatto che gli stava proprio porgendo la bacchetta, la sua bacchetta, quella che aveva restituito prima di andar via.

«Ti sei sistemato bene, vedo. Weasley e Granger continuano a infestare i corridoi di Hogwarts con i loro lamenti sul fatto che non sanno dove sei o che fine hai fatto o anche solo se stai bene, ma immagino che dopo oggi posso rassicurarli.»

«No!» urlò, facendo un passo avanti verso di lui, per poi fermarsi e guardare il pavimento. Maledizione, ci mancava solo questa. «Malfoy, no. Non dire nulla, a nessuno, che sono qui.»

Malfoy, elegantemente, si mise a sedere su una sedia togliendola da sotto il tavolo e accavallò le gambe, fissandolo e giudicandolo con qualche leggera smorfia su come era vestito. «Potrei farlo. Non sono qui per poi andare al Profeta e dire all'intero Mondo Magico dove si nasconde il loro Salvatore.»

«Allora perché sei qui?» chiese, grattandosi la cicatrice. Non bruciava più, ma certe abitudini erano davvero dure a morire. Malfoy osservò quel gesto con indifferenza, ma senza staccargli gli occhi di dosso.

«Senti, so che ti sembrerà strano, ma sono qui per ringraziarti, immagino.»

«Ringraziarmi?» ripeté, incredulo. «Tu?!»

«Io, sì. L'ho detto che ti sarebbe sembrato strano. Senti, Potter, mi hai tolto dai casini quando nessuno te l'ha chiesto: a quest'ora sarei dovuto essere ad Azkaban se non fosse stato per te. Il minimo che potessi fare è trovarti e piegarmi a ringraziarti.»

«Beh, potevi anche non abbassarti tanto, non cercavo dei ringraziamenti quando l'ho fatto!»

Il sorriso di Malfoy si allargò, ma in qualche modo addolcì i tratti, nonostante fosse ancora tagliente come le peggiori lamette economiche che usava per radersi la barba. «Se vuoi, puoi piegarti tu.» Harry non capì subito cosa volesse dire, ma non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni perché Malfoy parlò di nuovo: «In ogni caso, grazie, Potter. E questa non mi serve, puoi tenertela.» Fece sbattere la sua bacchetta sul tavolo e la fece rotolare lontano da lui, come se non volesse neanche più vederla.

«Non ti serve? È tua, non mia. A me serve meno che a te.» disse, amaramente.

«Sei rimasto senza, a quanto so. Io ne ho presa un'altra.»

«Sai bene anche che non posso usarla, Malfoy, quindi smettila di mettere il dito nella piaga, prenditi la bacchetta e sparisci!»

Malfoy sospirò e mise un gomito sul tavolo, per poi appoggiare il mento sul palmo della mano, «Non voglio quella bacchetta. Puoi farci quello che vuoi, ma io non la voglio. Non la sento più mia e, per quanto odi ammetterlo, ha fatto molto più per te. Io la usavo solo per, come dire, darti fastidio. Arrecarti danno. Rovinarti la vita.»

«Ci riuscivi piuttosto bene.»

«Mi ci impegnavo.»

Quella era stata la conversazione più lunga e più strana che aveva mai avuto con Malfoy – senza finire alle mani almeno – e il tutto lo stava lasciando piuttosto confuso perché sembrava così semplice parlarci, quando evitava le peggiori minacce e insulti e quando lui evitava di prendere negativamente ogni parola che usciva dalla sua bocca – gli mancava così tanto parlare con qualcuno della sua vecchia e desiderata vita. Senza volerlo, si rilassò e si sedette sulla sedia di fronte al suo ospite, chiedendosi se non sarebbe stato carino offrirgli forse qualcosa, anche se in credenza non aveva poi molto. Piuttosto, invece che chiedergli cosa desiderasse, aveva un'altra domanda di gran lunga più importante da porgli.

Tossì per schiarirsi la gola, «Come hai fatto a trovarmi?»

«Quel gufo. L'ho costretto a restare con me perché volevo risponderti. Avevo bisogno dei miei tempi, capisci. Poi ho scoperto che te ne sei andato, e non vedendoti neanche tornare ad Hogwarts, l'ho semplicemente seguito, portandomi qui.» disse, indicando con un lungo dito fuori dalla vetrata dove, appollaiato sulla ringhiera del balcone, c'era il gufetto di Hermione.

«Come diavolo ha fatto?! Tutte le mie lettere arrivano a Grimmauld Place!»

«Non lo so,» scrollò le spalle, incurante, «magia?»

«Sai che non è possibile! Non... ehm, non ho magia, non può seguire la mia scia magica, non...»

Malfoy si limitò a scrollare le spalle di nuovo, e il discorso cadde. Probabilmente, quella sarebbe rimasta una delle tante cose che gli succedevano che sarebbero rimaste senza spiegazione.

Dopo momenti di silenzio imbarazzante, Malfoy si alzò con innata grazia e disse: «Si è fatto tardi, devo andare. Devo preparare un saggio per Trasfigurazione, prima comincio e prima finisco.» Entrambi rimasero zitti per dei secondi, poi fu il turno di Malfoy di tossire per schiarirsi la gola. O per togliersi dall'imbarazzo, «È stato bello vederti, Potter. Buona giornata.»

Il suono della smaterializzazione fu l'unico rumore che si sentì per un po' di tempo.


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Capitolo 2
*** Episode 2 ***




Harry non era mai stato il tipo da restare con le mani in mano, o di ignorare per troppo tempo le tentazioni. Il gufetto di Hermione fece il nido ormai fuori sul suo balcone, prendendo la ringhiera come se fosse il suo trespolo – ed avere lì accanto, a pochi metri di distanza da dove mangiava ogni sera, l'unica cosa che avrebbe potuto collegarlo alla sua vecchia vita, lo stava facendo diventare pazzo. Persino la vecchietta della porta accanto, quando era venuta a ritirare l'affitto, gli aveva fatto notare che ormai il suo balcone era diventato una guferia e avrebbe dovuto dare una lavata al pavimento pieno di piume ed escrementi. Harry, arrossendo, si limitò ad annuire.

Fu così che, una settimana dopo la visita di Draco Malfoy, afferrò carta, penna e gufo, e inviò un messaggio proprio a Malfoy.


Domani è sabato e non hai lezione, ti va di bere qualcosa?

  • H


La risposta non si fece attendere molto. Arrivò persino prima che Harry iniziasse a pentirsi di averlo fatto e di aver dato retta al suo istinto che, non poi spesso, lo aveva portato sulla buona strada.


Per il tea delle cinque sarò da te.

  • Draco


Il giorno dopo si svegliò trepidante e agitato. Andò a lavorare con l'ansia che saliva con l'avvicinarsi delle cinque, tanto che, alle tre, Vivianne lo cacciò via dopo aver rovesciato il quinto caffè sul bancone. Se ne andò non prima di aver comprato dei dolci e vari tipi di tea: sapeva che Malfoy aveva dei gusti raffinati, ma se li sarebbe fatti bastare.

Arrivato a casa, si chiese cosa diamine stesse facendo. Aveva così tanta voglia di ricevere un ospite che non fosse la vecchietta della porta accanto che si stava addirittura preparando all'arrivo di Malfoy come se quello fosse... un appuntamento. Dopo quel pensiero, fece sbattere la fronte sul legno del tavolo nello stesso istante in cui sentì il rumore di Malfoy che si materializzò a pochi metri da lui.

«Hai la testa troppo dura, Potter, devi farlo con più forza.»

Harry grugnì, alzandosi per andare a prendere i dolci e il tea, «Ciao, Malfoy.»

In silenzio, prese un piccolo vassoio e ci mise sopra i dolci ripieni di cioccolato e vaniglia, e prese due tazze riempiendole di tea. Sedendosi di nuovo a tavola, per infiniti minuti mangiarono e bevvero in silenzio.

Fu Malfoy a rompere il silenzio, «Questo tea fa schifo, ma i dolci non sono per niente male. Oserei chiederti quasi del succo di zucca al posto di questo.» disse, e indicò la tazza piena a metà di fronte a lui.

«I Babbani non bevono succo di zucca. Ho della Coca Cola se vuoi.»

«Cosa Cosa?»

«Coca Cola.»

Malfoy scosse la testa, una smorfia nascente sulle labbra bianche e sottili, «No, a questo punto preferisco il tea. Perché mi hai mandato quel gufo, Potter?»

Harry posò la tazza davanti a sé e ci giocherellò per un po', godendosi il tepore del tea attraverso la ceramica decorata. Perché l'aveva fatto? La risposta era semplice e se l'era ripetuta per tutta la settimana, cercando di convincersi, prima di farlo, che era una cosa normale e che non avrebbe fatto del male a nessuno. Malfoy non era Hermione, o Ron, o Ginny. Non avrebbe sofferto quando avrebbe di nuovo staccato i ponti, quando la diversità sarebbe stata troppo da sopportare. Poteva godersi la compagnia di qualcuno di magico ancora per un po', perché ogni giorno sembrava che la malinconia e la nostalgia diventavano sempre più insopportabili.

Quando parlò, se ne pentì. «Mi mancavi.»

«Ti mancavo? Questa è nuova.»

Harry arrossì, imbarazzato oltre ogni limite, «Beh, quindi? Anche se in modo negativo, mi sei sempre stato tra i piedi in tutti questi anni, e così come mi manca avere i miei migliori amici accanto, mi manca anche avere il mio peggior nemico.»

«Sono il tuo peggior nemico?»

«Ora che Voldemort è morto, sì.»

Malfoy fece una smorfia che era un misto tra terrore e divertimento, che lo rese persino buffo ai suoi occhi, ma cercò in qualunque modo di non scoppiargli a ridere in faccia. «Non è divertente, Potter. Quel nome ancora non lo dice nessuno.»

«Beh, io lo dico tutte le volte che voglio. Voldemort mi ha tolto tutto: la mia famiglia, la mia vita, la mia magia, e non voglio avere paura anche solo di dire il suo nome. Non ne avevo quando era vivo, e non ne avrò adesso che è morto.»

Malfoy sorrise, sghembo. «Non sei cambiato per niente. Nonostante tutto, sei sempre lo stesso, irritante, eroico, grifondiota, Potter.»

«Cretinverde.»

«Schifondoro.»

«...Serpendiota?»

La risata di Malfoy fu leggera eppur rumorosa, e Harry non riuscì a credere di quanto fosse facile scherzare con Malfoy quando riuscivi a prendere le sue parole alla leggera, quando non c'era più il peso di alcuna guerra sulle spalle di entrambi. Fece sentire un po' meno la nostalgia di casa parlando degli ultimi pettegolezzi di Hogwarts e di come i lavori per ricostruire la scuole non erano ancora finiti, mancavano ancora il campo da Quidditch e i sotterranei da rimettere in piedi. I Serpeverde si erano trasferiti al terzo piano abbandonato e la McGranitt aveva trasfigurato intere aule in dormitori provvisori. Malfoy e gli altri alunni che erano tornati a scuola per il loro ottavo anno, erano stati messi tutti in dei dormitori a parte.

Quando fu l'ora per Malfoy di tornare ad Hogwarts, disse: «Torno domani per il tea. Ma lascia perdere il tea, l'importante che ci siano gli stessi dolci di oggi.»



Tornò il giorno dopo, e anche la settimana successiva. Passò così più di un paio di mesi dove quasi tutti i fine settimana – a parte quando era troppo pieno tra compiti e assegnazioni – Malfoy – Draco – veniva nel suo appartamento e gli faceva compagnia. All'inizio era solo per l'ora del tea, ma con l'andar dei giorni, Draco arrivò per l'ora di pranzo, e restò fino all'ora di cena. Passarono anche Halloween, Natale e Capodanno insieme. Non che Harry avesse voglia di mandarlo via – ed era questo a preoccuparlo di più: non voleva che Draco smettesse di fargli visita, assolutamente. Il suo bisogno di staccarsi da qualsiasi cosa fosse magica sembrava essersi assopito, perché con lui non si sentiva diverso, o anormale. Non esternava troppo la sua magia, a malapena prendeva la bacchetta giusto per smaterializzarsi per andar via – quella di biancospino, ormai, restava abbandonata in un cassetto nella sua camera da letto – e ad Harry non pesava molto il fatto di essere un Magonò. Sembrava assurdo, considerando che colui che lo faceva sentire così era proprio Draco Malfoy, lo spocchioso Purosangue che aveva reso un inferno gli anni scolastici di tutti i Mezzosangue di Hogwarts, figlio di Mangiamorte e Mangiamorte lui stesso.

Passavano i giorni, e Harry scopriva un Draco più divertente e accomodante, di un'intelligenza acuta e sarcastica. Un Draco che non aveva mai perso tempo a conoscere prima, ma che adesso non vedeva l'ora di vedere e contava i minuti che lo separavano dal suo arrivo. Sapeva cosa questo significava, ma non voleva neanche pensarlo per non renderlo più vero: nonostante stesse bene, adesso, continuava ad essere un Magonò, e Draco non avrebbe mai potuto avere un qualsiasi interesse verso di lui che non fosse la novità del momento, il Salvatore del Mondo Magico che richiedeva la sua compagnia. O forse era perché si sentiva in debito, proprio non sapeva, ma era certo che non avrebbe potuto ricevere di più. Poco male, si sarebbe accontentato. Anche se, ormai, sapeva che quelle frasi fatte non lo avrebbero portato da nessuna parte e ci sarebbe cascato lo stesso, proprio come non era riuscito a vincere la malinconia o la tentazione.

«Ma il gufo come si chiama?» gli chiese un giorno Draco, mentre stavano mangiando da asporto a casa sua. Draco non aveva mai mangiato roba Babbana o cibo spazzatura, ma dopo i primi tempi che stava sulle sue e faceva lo schizzinoso, aveva iniziato ad adorare il cibo cinese del ristorante in fondo alla via.

«Ehm, boh.» aveva la bocca piena dal raviolo che stava mangiando, e Draco non mancò di disgustarsi a dovere, anche se non staccò lo sguardo.

«Ingoia prima di parlare, Potter. Sembri un bambino di quattro anni, per Salazar. Comunque, davvero non sai come si chiama? Pensavo fosse tuo.»

Harry fissò il piccolo gufo che si stava arruffando le piume fuori al balcone, e scrollò le spalle. «Era di Hermione, me l'ha dato perché sperava che le scrivessi. Quando ti ho inviato la bacchetta gli avevo detto di tornare da lei, ma a quanto pare, invece, è rimasto con te.»

«Mi serviva.» disse solo, prendendo con le bacchette un raviolo dal piatto – Harry ancora non ci credeva che avesse già imparato a mangiare con le bacchette, lui ancora usava la forchetta – e mangiandolo con modi del tutto opposti a quelli di Harry, «Dagli un nome, allora.»

«Adesso?»

«E quando allora? Ce l'hai già da un po', ed è rimasto per tanto senza nome. Potrebbe non rispondere ad un tuo richiamo, o avvicinarsi a qualcun altro che potrebbe dargli un nomignolo.»

«Oh, er, okay. È un maschio, giusto?» Al cenno affermativo, posò la forchetta e fissò il gufetto. «Edvigo...?»

«Edvigo? Sei serio?»

«La mia civetta di chiamava Edvige e le volevo molto bene, prima che Voldemort mi portasse via anche lei.» fece silenzio per un po', «Magari con lo stesso nome gli vorrò bene allo stesso modo.»

«C'è qualcuno a cui non vuoi bene, Potter? Sarai sempre il solito buonista con il solito cuoricino dolce. Scommetto che i tuoi figli li chiamerai con il nome dei tuoi genitori o di chi– va bene, ho esagerato.»

Harry non rispose. Sapeva bene che non doveva prendere sul serio le frecciatine o le cattiverie di Draco se le diceva con un tono leggero e scherzoso, ormai l'aveva capito, ma certe cose bruciavano e facevano male nonostante tutto. E a quanto pareva, sembrava che gli si leggesse in faccia cosa stesse provando in quel momento. Quindi si alzò e prese il suo piatto ancora mezzo pieno – gli era passata la fame, ma non aveva voglia di litigare, non con l'unica persona che aveva vicino, sicché rimase in silenzio e decise di battere in ritirata.

Ma la mano di Draco lo fermò e gli strinse il polso, costringendolo a fermarsi. «Ho esagerato, Potter, me ne sono reso conto.» Ottenendo sempre silenzio da parte sua e neanche uno sguardo, aggiunse: «Non lo dico spesso, quindi non prendere l'abitudine, ma... mi spiace, Potter. Ho esagerato. Ritieniti fortunato, io non mi scuso mai.»

«Lo so,» sospirò e lo guardò negli occhi, che nonostante sembrassero così freddi di quel colore del ghiaccio, erano piuttosto pentiti. Sorrise, «lo so, Draco. È tutto okay.»

Si rimisero a sedere, ed Harry fece finta di finire di mangiare. Quella notte, però, dormì male – e non era per le parole di Draco, ma piuttosto per il suo comportamento.

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Capitolo 3
*** Episode 3 ***




La settimana dopo, non mandò un gufo a Draco. Di solito, nonostante fosse fisso a casa sua ogni sabato e domenica, entrambi preferivano confermare la presenza all'altro, come ad essere sicuri che entrambi avevano voglia di vedersi, per non imporsi a vicenda e per non rendere la loro amicizia – amicizia? – unilaterale. Anche se, ormai, per Harry c'è già qualcosa di unilaterale, che sentiva solo lui, e forse era proprio per questo che quella settimana non aveva avuto il coraggio di scrivergli. Sperava, forse, che fosse Draco stesso a mandargli un messaggio, anche con un altro gufo, non importava, ma quando si svegliò quel sabato mattina senza aver sentito nulla da parte sua, ebbe la tentazione di infilarsi la biro negli occhi.

Andò a lavoro mogio e, in qualche modo, sconfitto. Aveva davanti a sé tempo fino a pranzo – il sabato lavorava solo mezza giornata – per abituarsi all'idea che quel giorno avrebbe pranzato e cenato da solo, ma, piuttosto che pensarci, preferì concentrarsi come mai aveva fatto prima di allora sulla macchinetta del caffè e nel mettere al proprio posto i libri che i clienti lasciavano in giro.

«Oh, Harry!» ad un certo punto, Vivianne si avvicinò a lui e gli diede una gomitata, attirando la sua attenzione su di lei, «Va' a mettere in ordine quei libri laggiù, qui alla cassa ci sono io. È appena arrivato un turista niente male, io sono single e ho bisogno di rifarmi gli occhi ogni tanto, quindi sciò.»

Ad Harry non importava, in realtà, quindi stava per fare proprio come gli era stato detto, se solo non avesse guardato chi c'era alla cassa e chi lo stava decisamente guardando divertito e un po' irritato.

«Draco?!» Senza neanche rendersene conto, ignorò Vivianne e si avvicinò all'altro ragazzo. A dividerli, c'era solo il bancone.

«In persona, Potter. Questo è un bel posticino, perché non mi ci hai portato prima? Spero che qui facciano dei tea migliori di quello che mi offri sempre a casa tua.» disse Draco, enfatizzando a casa tua in un modo tanto particolare che Harry si sentì inspiegabilmente in imbarazzo.

«Sono gli stessi. Compro i dolci e i tea qui.» rispose, in automatico. Poi aggiunse: «Che ci fai qui? Si può sapere come fai a trovarmi ogni volta?!»

«È pressocché facile. Basta seguire la scia della tua puzza, Potter.»

«Fai come i cani? E poi io non puzzo!»

«Mi stai paragonando ad un cane?!»

«Ragazzi?» Vivianne li interruppe, «State dando spettacolo in mezzo alla caffetteria.» Nonostante quello che aveva detto, non sembrava né arrabbiata, né indispettita. Harry si guardò intorno e vide delle clienti che ridacchiavano in un angolo della stanza, sedute ad un tavolino. Arrossì e si scusò. «Tranquillo,» lo rassicurò lei, «vi conoscete?»

«Siamo...» Draco lo fissò, prima di finire la frase, «...amici.»

«Andavamo a scuola insieme.» aggiunse subito, senza ricambiare lo sguardo di Draco.

«Oh, allora nell'incidente non hai perso proprio tutto, Harry. Sono contenta che qualche amico ti è rimasto! Certo, potevi evitare di tenercelo nascosto, se conoscevi un così bel bocconcino.» Nonostante il complimento era riferito ovviamente a Draco, fu Harry ad arrossire. «Io sono Vivianne, la proprietaria della Libreria Caffè.»

Draco, sotto lo sguardo estrerrefatto di Harry che cercava di nasconderlo il più possibile, strinse la mano che Vivianne gli stava porgendo. «Draco Malfoy.» si presentò.

Vivianne rise, ma vedendo che nessuno dei due ragazzi stava ridendo insieme a lei, chiese: «Draco? È un nome d'arte?»

Draco alzò un sopracciglio, «No. Perché mai–»

«I suoi genitori sono persone particolari. Vero, Draco?» lo interruppe Harry, cercando di dargli una gomitata senza farsi vedere, «Hanno gusti strani.»

Draco non rispose, ma aveva la faccia di chi in quel momento gli avrebbe dato ragione anche se avesse detto che era il sole a girare intorno alla terra e che la terra girava intorno alla luna. Piuttosto, sembrava proprio che non volesse staccargli gli occhi di dosso, ed Harry pensò che forse era molto indispettito da come stavano andando i fatti e che volesse metterlo a disagio con quello sguardo fisso e incandescente. I suoi occhi bruciavano sulla pelle come una marchiatura, ed Harry preferì non incrociare il suo sguardo e guardargli gli zigomi alti, il mento appuntito, il collo sottile, mentre continuavano a scambiarsi convenevoli con Vivianne.

Poco dopo, Draco le chiese, gentilmente, se potesse parlare un attimo con Harry, in privato. E dato che Vivianne, ormai, pendeva dalle labbra di Draco, cinque secondi dopo si ritrovò chiuso nel ripostiglio, circondato dall'odore forte dei barattoli pieni di foglie di tea che gli stava quasi dando alla testa.

«Non devi dirmi nulla?» esordì Draco, quando chiusero la porta dietro di loro.

Harry scrollò le spalle, «Non che io sappia.»

«Mi pare di essermi... scusato per quell'uscita infelice di domenica scorsa. Cos'altro devo fare? Non mi metterò in ginocchio, non per questo almeno, ad invocare il tuo perdono per una cosa che neanche avevo detto per cattiveria, quindi cosa vuoi? Che rinnovi le scuse?»

«No, Draco, davvero. Non è per quello, non è... è per... per un'altra cosa, e io, ehm, non volevo vederti perché mi sa che è arrivato il momento di... staccarci, di smetterla di vederci, perché io non faccio parte più del tuo mondo e non faccio parte della tua vita.» Nonostante il nodo in gola, Harry sentì l'improvviso bisogno di parlare, di chiarire, perché vedere quello sguardo ferito sul viso di Draco gli lasciava l'amaro in bocca – ora che ci pensava, la sua espressione ferita non era mai cambiata negli anni, era la stessa di quando aveva rifiutato la sua amicizia sul treno per Hogwarts otto anni prima. «Sono un Magonò, Draco, nel caso non te lo ricordassi. Sto vivendo come un Babbano e ho bisogno di essere un Babbano, chiamami vigliacco o egoista, non mi importa, ma dopo aver passato quasi la mia intera vita per preservare quella degli altri, stavolta voglio tutelare la mia. Quindi non devo più vederti perché più tempo passa e io più mi sto affezionando a te.» confessò, e non ebbe paura di dirglielo perché Draco sarebbe di sicuro scappato dopo le sue parole, ma era quello che voleva. Gli avrebbe spezzato il cuore, probabilmente, ma il dolore sarebbe passato. Prima o poi. Insieme agli altri.

«Se ti stai affezionando, come dici, a me, non ha senso che tu non voglia più vedermi!»

«Invece sì, perché io mi sto affezionando a te, ma non come un amico. Io mi sto... io mi sto... ma non importa perché in ogni caso, sono un Magonò, sono peggio di un Magonò, che lavora come un Babbano e vive come un Babbano, e sono tutto ciò che tu, Mago Purosangue, non potrai mai... tu non potrai mai affezionarti a me come mi sono affezionato io. Non puoi. E non vuoi. Lo capisco, ma io ho bisogno di superare tutto questo, non restare bloccato così, senza andare avanti ma non tornando neanche indietro.»

Draco aveva le sopracciglia aggrottate e gli occhi socchiusi, non abbassava lo sguardo anche se Harry ormai aveva smesso di guardarlo quando non era neanche a metà del suo discorso incasinato. Dopo interi minuti di silenzio, Harry quasi gli stava per girare le spalle e andare via, ma quando lo sentì sospirare, decise di stare fermo e, timidamente, alzare gli occhi su di lui. Continuava a guardarlo ferito, nonostante tutto.

«Hai finito?» chiese, e quando gli rispose solo stringendo le spalle, fece: «Ora parlo io, e non mi interromperai neanche una volta. Sono stato chiaro? Bene. Hai ragione. Sono un Mago Purosangue, devo pensare a preservare il sangue puro, generare un erede e rinomare di nuovo il nome dell'ormai decadente casata Malfoy. Per colpa tua, ho fatto cose che non avrei mai fatto prima. Sono venuto a casa tua, una casa in un paesino Babbano sperduto nel nulla, per ringraziarti dall'avermi tenuto lontano da Azkaban. Sono tornato per bere e mangiare roba Babbana insieme a te, parlare di cose Babbane con te, usare oggetti Babbani che tu mi aiutavi a capire. Sono venuto a cercarti nel tuo luogo di lavoro Babbano e, per Salazar, sono stato gentile e ho stretto la mano ad una Babbana amica tua. E adesso sono qui, in questo ripostiglio grande neanche la stanza degli elfi domestici al Manor insieme a te, a parlare con te. Ho fatto tutte queste cose che odio e che non sopporto, tutte per colpa tua

Ahia. Era piuttosto doloroso. Non che lo avesse costretto a fare tutte quelle cose, comunque! Poteva rifiutarsi se era un così tale sacrificio passare del tempo con lui, però sentirsi dire quanto fosse stato terribile faceva male, parecchio male. Aveva voglia di urlare e di andarsene, mettere finalmente una pietra sopra a tutto quello, chiudersi in casa per un po' per poi tornare alla vita dei mesi prima dell'arrivo di Draco. Aprì la bocca per mandarlo al diavolo, sbraitare per cinque minuti e girare poi i tacchi, ma il palmo della mano di Draco si alzò intimandogli di fare silenzio perché, no, non aveva finito e aveva detto che non doveva interromperlo neanche una volta.

«Fai silenzio. Ho fatto tutte quelle cose, ma c'è un motivo se le ho fatte. Sei tu. Il filo conduttore di tutto questo sei tu, l'ho fatto per te e perché voglio stare,» si interruppe, deglutì, poi riprese, «stare con te, e insieme a te ho accettato anche tutto il bagaglio di cose che odio. Non mi sembra di essermi mai lamentato – a parte il tea, quello fa davvero schifo – perché, Merlino, non vedevo l'ora ogni settimana che tu mi mandassi Edvigo per dirmi che quel giorno avremmo mangiato una pizza, una scusa per avere la conferma che sarei venuto che non vedevo l'ora di darti, Harry.»

Harry alzò finalmente gli occhi e vide Draco, e lo vide davvero. Lo vide più bello di come lo vedeva Vivianne, più bello di come lo vedeva Pansy Parkinson ad Hogwarts. Lo vedeva persino più bello di quanto lui stesso lo aveva visto cinque minuti prima. «Hai chiamato il mio gufo Edvigo.» disse solo, anche se sapevano entrambi che non era quello il nome che Draco non aveva mai detto, anche se voleva soltanto dirgli di quanto, in quel momento, lui fosse così meraviglioso.

«È il suo nome, no?» gli fece un sorriso un po' teso.

«Mi piaci.» disse invece Harry, arrossendo leggermente.

Ma tutta la vergogna passò in secondo piano, quando vide Draco fare lo stesso, colorando di un tenue rosa pastello le pallide gote. «Cosa sei, un tredicenne?!» berciò, evidentemente in imbarazzo. Era riuscito a rimanere intatto e stoico per tutto il suo incurante sfogo, ma era caduto proprio nella parte più scema. Era quasi buffo, e avrebbe riso, se non fosse comunque teso anche lui. Soprattutto che quel mi piaci era troppo riduttivo rispetto a quello che davvero provava – aveva superato la fase del semplice piacergli quando aveva capito che fremeva ogni minuto che passava senza Draco in attesa che arrivasse.

«Come dovrei dirtelo? Mi piaci, un sacco. Probabilmente più di quanto immagini, ma procediamo per gradi, altrimenti sì che ti faccio scappare. Come se essere un Magonò non fosse abbastanza!» rise, senza troppa allegria. Si grattò la fronte, sulla cicatrice che non bruciava più, uno dei vizi che erano rimasti e probabilmente non sarebbero spariti mai, e cercò di fare mente locale. «Quindi cosa vuoi fare? Ti basta, per ora, stare con... una sottospecie di Babbano?»

Draco sorrise, e tutta l'ansia che provava di sciolse come neve al sole. Vide come a rallentatore una sua mano alzarsi e posarsi sulla sua nuca e le sue labbra avvicinarsi sempre di più, e non fece assolutamente nulla per fermarlo. Perché avrebbe dovuto? Come se non fosse quello che desiderava da qualche mese a questa parte. «Per ora, mi basti. Eccome se mi basti.»

Si baciarono lì per la prima volta, in quel ripostiglio poco illuminato e ricco di odori di vari tipi. Ma le labbra di Draco sapevano di vaniglia come il suo profumo, e pensò che forse il tea alla cannella avrebbe avuto un gusto buono e particolare nella sua bocca. Erano calde, morbide seppur sottili, e non erano nulla paragonate alle labbra di Cho o di Ginny. Erano quelle, le labbra che avrebbe voluto baciare per sempre.

Quando si staccarono, fu Draco a rompere il silenzio, mentre Harry non fece altro che riprendere fiato, dato che lo aveva trattenuto per tutta la durata del bacio, come se avesse avuto paura che un solo sospiro avrebbe fatto allontanare Draco. «Fai schifo a baciare, Potter.»

«Non ho tanta esperienza, scusa.» borbottò, senza però allontanarsi troppo dal viso dell'altro e avere, per ogni evenienza, la bocca di Draco a disposizione.

«In effetti, solo qualche bacetto con la Weasley non è un gran percorso.»

«Ehm, in realtà c'è stata anche Cho, ma dubito valga qualcosa, insomma, è stato un po' tutto saliva e, uhm, boh? Non granché davvero, però ecco...»

«Cho? Cho Chang, la Corvonero?»

«Sì, perché, non lo sapevi? Lo sapeva tutta Hogwarts...»

«Sapevo ovviamente che tu avevi una cotta per lei al quarto anno ma lei faceva coppia fissa con Diggory, non sapevo che andavate a baciarvi in ogni angolo!»

«Non lo facevamo infatti!» si difese, anche se non non aveva fatto nulla per cui difendersi, «È successo solo una volta, al quinto anno! Lei era triste per Cedric e una cosa tira l'altra, io avevo ancora quella cotta, quindi ho accettato il bacio, ma ecco, se sapevo, ai tempi, che i baci potessero essere come quello che mi hai appena dato, mi sarei decisamente tirato indietro e sarei venuto a cercarti.»

Non si era mai immaginato un bacio nascere e crescere con determinate circostanze, ma soprattutto non aveva mai immaginato un bacio tra lui e Draco senza sfondi violenti a farne da contorno. Avevano un modo tutto loro di rapportarsi, erano teste dure, testarde e capricciose che spesso cozzavano, ma funzionavano, in qualche modo. Harry aveva la sensazione che sarebbero durati, un po'. Se solo avesse ancora la sua magia, forse durerebbe un po' di più – ma, per ora, prendeva quel che riusciva a cogliere. E un Draco che, seppur imbarazzato nonostante lo nascondesse così bene, lo baciava ancora e ancora in quell'angolo angusto di mondo, era già l'inizio di un buon raccolto.

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Capitolo 4
*** Episode 4 ***




Passavano i giorni, e Harry non riusciva a togliere le mani di dosso a Draco per più di cinque minuti, quando erano da soli nelle mura sicure di casa sua. Non che fuori riuscisse a stargli lontano comunque, tanto che ormai chiunque, a lavoro, si erano resi conto che il bel turista biondo non era semplicemente un vecchio amico di Harry, ma qualcosa in più. Essendo un paese perlopiù abitato da vecchietti e proprietari di lidi e spiagge, non tutti vedevano di buon occhio il loro essere innamorati – lo erano – ma erano persone gentili e non ricevevano alcuna lamentela o frecciatina, non troppo pesante almeno, e in ogni caso Harry cercava di essere il più discreto possibile, anche se era così difficile resistere dal baciarlo quando entrava nella Libreria Caffè il sabato mattina e limitarsi ad un caldo sorriso che Draco, comunque, sembrava apprezzare.

Non passarono che poche settimane prima che Draco lo trascinasse tra i piaceri del sesso. In quel caso, Harry era davvero senza alcuna esperienza – essere stato un adolescente con il fiato della morte costantemente sul collo non aveva aiutato la sua vita sessuale, peggio di quella sentimentale – ma era stato ben contento di imparare, anche se con un po' di ritardo, e Draco sembrava molto disposto ad essere il suo insegnante. Finalmente, intese quelle battute o precisazioni che spesso faceva con quel sorriso di chi la sapeva lunga ma che lui non capiva, quando Draco si inginocchiò davanti a lui ma non per chiedergli scusa, e quando fu il turno di Harry di piegarsi ma non per ringraziarlo. Dopo una settimana dove Draco sgattaiolava fuori Hogwarts tutte le notti per fare sesso con lui e dormire al suo fianco un paio d'ore, Harry aveva un mal di schiena atroce causato dall'essere stato troppo tempo... piegato.

Un sabato di inizio Aprile, una delle vecchiette solite della Libreria Caffè si avvicinò a lui con passo lento, mentre stava porgendo un caffè a Draco che la notte prima era rimasto a dormire da lui e aveva fatto le ore piccole. «Giovanotti,» cominciò, lanciando occhiate un po' indispettite verso la quasi invisibile carezza che Draco gli aveva dato al fianco per ringraziarlo, «non siamo troppo bigotte, e capiamo che siete innamorati, però potreste essere più discreti? Siamo nate in altri tempi, noi povere vecchiette, non siamo abituate a certe... cose.»

Harry arrossì e si scusò mortificato, «Certo, signora, chiedo scusa.»

«Era solo una carezza,» obiettò invece Draco, sembrando persino più indispettito della vecchietta, «non era niente di scandaloso.»

Stava per dirgli di piantarla perché era pur sempre una cliente, ma la vecchietta gli parlò sopra. «È comunque troppo, ragazzo. Due uomini sono strani da vedere insieme, cerchi di capire.»

«Da dove vengo io, due uomini e due donne possono tranquillamente rapportarsi, sposarsi e avere figli. Sto cercando di capire, ma se neanche lei cerca di capire il nostro punto di vista, a questo punto non mi limiterò a dargli solo una carezza.»

«Draco, basta!» lo ammonì, notando che si stava scaldando ed esagerando, poi si scusò di nuovo con la vecchietta e la accompagnò al suo tavolo insieme alle sue amiche coetanee, che avevano osservato tutta la scena sparlando tra loro.

Quando tornò dietro al bancone, Draco riprese a lamentarsi, «Come se fosse stato davvero qualcosa di scandaloso. Per Salazar, era solo una carezza, non un pompino.»

«Abbassa la voce.» lo ammonì di nuovo, ma non riuscì a dargli torto perché anche lui era piuttosto infastidito da un comportamento del genere. Ma era pur sempre una donna di una certa età, non poteva mettersi a litigare su questioni del genere – finche avrebbe potuto ottenere anche più di una carezza nel privato, non gli importava se in pubblico avrebbe dovuto sopportarne la mancanza. «Non vorrei essere cattivo, Draco, ma queste... incomprensioni bigotte non sono molto differenti da quelle tra Purosangue e Mezzosangue nel Mondo Magico, quindi dovresti capire.»

Draco aggrottò solo le sopracciglia, ma non disse più nulla. Si mise seduto sullo sgabello vicino al bancone a sorseggiare il suo caffè, mentre Harry gli metteva un vassoio con dei piccoli biscotti alla cannella di fronte. Quando Draco disse che erano ottimi, borbottando ancora offeso, Harry fu ancora più convinto che, forse, il tea alla cannella gli sarebbe decisamente piaciuto.

Quando vide l'espressione di Draco tornare ad addolcirsi, Harry chiese: «È vero quello che hai detto prima?»

Aveva detto che nel Mondo Magico due persone dello stesso sesso potevano sposarsi e avere una vita insieme, e che era del tutto normale. Se fosse davvero così, la sua decisione di restare per sempre nel mondo Babbano avrebbe vacillato, e temeva che avrebbe poi ceduto all'ennesima tentazione che no, non poteva permettersi.

Draco posò lo sguardo su di lui e sorrise, «Non mento mai, Potter.»

Sapeva che Draco, ormai, continuava a chiamarlo Potter non in modo dispregiativo ma più per un segno di appartenenza. Era, probabilmente, l'unico che ancora lo chiamava per cognome, o Potty, e ne era molto fiero. Nel privato, era un altro discorso. «Quindi, due Maghi possono sposarsi? Anche due Purosangue?»

«Beh, sì. Nella mia famiglia ci sono stati molti casi, è del tutto normale.»

«E per gli eredi come fate? Cioè, per la purezza del sangue e tutto il resto...»

Draco lo guardò e sbatté le palpebre, particolarmente confuso. «Pensavo che a questo punto, Potter, tu abbia capito come si fanno i bambini, no? O devo spiegartelo? Se vuoi te lo mostro, ancora, non ho problemi, ma quella vecchietta laggiù sicuramente avrà da ridire non appena–»

«So come si fanno i figli!» per fortuna, si ricordò di non urlare, dato che, nonostante la poca quantità di clienti, si trovava ancora a lavoro, «Ma due Maghi, due maschi non possono mica, che ne so, restare incinti!» Quella parola sembrava così strana detta ad alta voce che non riuscì ad evitare di fare una smorfia.

«Oh. Non lo sai? Un Mago può generare figli.»

Lo guardò come se avesse detto la barzelletta più bella di tutti i tempi ma che lui non aveva proprio capito. Se un Mago poteva restare incinto, e da quello che aveva intuito dal discorso generale facendo normalmente sesso, sesso che loro due avevano fatto quasi ininterrottamente per quasi un mese, voleva dire che...

Si portò una mano sullo stomaco, sentendolo sottosopra. «Draco...»

Lo sguardo che Draco gli rivolse fu triste e dolce allo stesso tempo, come se si stesse preparando a dover consolare un bambino che stava per scoppiare a piangere dopo essersi sbucciato un ginocchio, «Harry,» cominciò, «non puoi aspettare un bambino. Per far in modo che due Maghi producano un erede, c'è bisogno della magia di entrambi: lo sperma magico feconda l'ovulo che la magia del ricevente crea, e insieme creano un ambiente adatto alla crescita del feto. Tu non hai magia.»

«Oh.» riuscì solo a dire.

Gli diede le spalle e si avvicinò al lavabo, sciacquando le tazzine e i piattini usati. Gli occhi pizzicavano in modo crudele, e si stupì quando, alla fine, davvero scoppiò a piangere lì, davanti a tutti. Era dalla morte di Sirius che non versava neanche una lacrima. Riuscì a nascondersi coprendo il viso con i capelli, ma non capì se ci fosse riuscito o no. Si asciugò gli occhi e il naso con la manica, sapendo già che Draco gli avrebbe fatto una bella ramanzina per aver imbrattato così la maglietta, ma proprio non riusciva a smettere. Era deluso e frustrato, perché neanche quella gli era andata bene – nella sua vita non era andato mai bene niente. L'unica cosa bella che gli era capitata era, senza ombra di dubbio, la presenza di Draco che, nonostante tutti i suoi difetti e nonostante tutte le cose che stava rinunciando per colpa sua, ancora restava al suo fianco.

«Harry.» Si ritrovò Draco accanto pochi secondi dopo, una mano dietro la schiena e il viso piegato cercando di guardargli la faccia che continuava a nascondere. Aveva il respiro pesante, cercava di non singhiozzare, e Draco tentava di tranquillizzarlo, «Non credevo la prendessi così male, non te lo avrei detto altrimenti. Smettila di fare la mammoletta, sei un Babbano adesso, no?»

«Sono un Babbano perché ho perso la magia, non perché sono nato così. Io... avrei potuto, un giorno... invece questa è l'ennesima cosa che, per colpa mia, tu...»

«Potter, smettila, davvero. Non ti riconosco, sai bene che se mi fosse interessato non sarei qui, quindi basta–»

«Va tutto bene? Harry?» Vivianne, che stava rimettendo nel proprio posto i libri in disordine, si avvicinò con su un'espressione preoccupata. Guardò Draco, «Avete litigato?»

Harry alzò gli occhi e vide Vivianne con dietro di lei le vecchiette di prima che si erano avvicinate per vedere cosa era successo. Andò nel panico, sentendo la vergogna salire per essere crollato così stupidamente lì davanti a tutti. Neanche lui si riconosceva in quel momento, cosa gli era preso? Con tutte le delusioni che aveva avuto nell'ultimo anno, quella non era neanche la peggiore – insomma, non credeva che i maschi potessero avere dei figli, ci aveva già messo una pietra sopra quando si era ritrovato innamorato di Draco – quindi, perché? Probabilmente aveva accumulato troppo e adesso non ce l'aveva fatta più. Era strano comunque, non era da lui. Hermione, se lo avesse visto in quello stato, avrebbe controllato se non fosse malato o non fosse stato maledetto in qualche modo.

«Va tutto bene, scusatemi.» cercò di sorridere e si asciugò le ultime lacrime. Draco non gli disse neanche niente, quando si pulì il naso con la manica della maglietta, ma si limitava a fissarlo colpevole, «Ho avuto un attimo di... credo di non essere molto in forma. È passato, non succederà più, scusate.»

«Non ti preoccupare, vuoi tornare a casa? Non è un problema, qui posso gestirlo da sola per oggi. Così torni lunedì che sei già in forma e recupererai le ore perse.» Vivianne gli fece l'occhiolino, ma persino Harry si accorse che era visibilmente preoccupata. Per Diana, aveva fatto preoccupare mezzo paese con la sua crisi isterica!

«Lo porto a casa io.» disse Draco, prendendogli il braccio come se avesse timore dovesse cadere da un momento all'altro.

«Ma sto bene–»

Vivianne li buttò fuori quasi a calci, «Non ti voglio vedere prima di lunedì!»

Tornarono a casa nel silenzio più assoluto, ma quella stessa sera Draco gli chiese scusa, inginocchiandosi a modo suo, e tutta la delusione che aveva provato quel giorno era passata in secondo piano.

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Capitolo 5
*** Episode 5 ***




Non era stato meglio, dopo quel giorno. Era successo che, a volte, scoppiasse a piangere per le cose più stupide come un film strappalacrime guardato da solo sul divano, alla tv decrepita che aveva trovato nell'appartamento quando si era trasferito – e puntualmente, cercava di nascondere ogni traccia del suo disagio non appena Draco arrivava a casa. Come se non bastasse, stava iniziando ad avere dei dolori atroci allo sterno e alla schiena – e la nausea, quasi perenne, non riusciva a tenere nello stomaco assolutamente nulla per più di qualche minuto che subito andava a rigettarlo nella tazza del water. Ovviamente, per tutta la settimana, aveva cercato di tenere nascosto il suo malessere a Draco, e a parte qualche sguardo preoccupato, era riuscito a non far nascere in lui il dubbio che fosse malato.

Si era distrattamente informato usando il computer di Vivianne, a lavoro, descrivendo i vari sintomi che sentiva e facendo una breve ricerca su internet. Le opzioni non erano molto favorevoli, ma non preannunciavano neanche morte imminente: forse aveva una leggera depressione che lo portava ad avere crolli emotivi, e lo stress accumulato gli stava dando problemi gastrici e alimentari. Decise che sarebbe stato più attento da quel momento in poi, perché proprio diventare anoressico o bulimico non era proprio nei suoi piani – e anche se si sentì un po' in colpa, continuò a non dire nulla a Draco.

Fino a che non poté più nasconderlo. Dopo quasi una settimana dove era andato avanti solo a tea alla menta – che sembrava l'unica cosa che riusciva a non vomitare violentemente dopo poco tempo – il venerdì pomeriggio, nella Libreria Caffè, mentre stava riponendo dei libri su uno scaffale, sentì la testa girare e la terra mancargli sotto i piedi, e fu davvero una fortuna se non sbatté la testa su qualche spigolo, quando svenne per mancanza di forze.

Vivianne lo mandò a casa arrabbiata nera perché, nonostante le avesse detto che stava bene e che non aveva avuto bisogno di un parere medico, le aveva palesemente mentito e aveva minacciato di chiamare il pronto soccorso, la prossima volta che sarebbe successo una cosa del genere, se lui non avesse chiamato subito un dottore e non si sarebbe fatto visitare. Tutto quello che fece, invece, non fu altro che infilarsi a letto e addormentarsi di botto, sentendosi debole come mai era successo in vita sua. Non avvisò neanche Draco che era tornato a casa prima e non era a lavoro.

Infatti, poche ore dopo, si svegliò sotto le urla di Draco che, indignato, cercava di svegliarlo a male parole. «Stai male da una settimana e io vengo a saperlo solo adesso da Vivianne la Babbana dopo che sei svenuto?! Ti rendi conto che, solo per questo, ho terribilmente voglia di lanciarti incantesimi urticanti cosicchè non farai altro che grattarti come un cane pulcioso per tutto il fine settimana?!»

«Draco,» gracchiò, senza uscire dalla fortezza di coperte dove si era avvolto – era Aprile ma non aveva ancora così caldo da evitare il tepore del letto, «mi va bene che tu mi maledica adesso, ma puoi evitare di urlare? Ho un mal di testa atroce.»

Draco sembrò sgonfiarsi come un palloncino. Si sedette sulla sponda del letto, al suo fianco, e cercò di scoprirgli almeno il viso, «Hai battuto la testa quando sei caduto oggi?»

«Veramente non è stata una caduta così violenta. Sono caduto di sedere.» ridacchiò, accontentando Draco e uscendo fuori dal suo nascondiglio, «Sto bene, non preoccuparti. Non mangio bene da giorni e ho una nausea perenne, tutto qui.»

«Tutto qui. Certo. Sei un idiota.»

«Scusa, avrei dovuto dirtelo.»

«Sì, avresti dovuto, Potter.» Draco sospirò, poi lo guardò e sogghignò, «Vuoi farti perdonare?»

Harry arrossì, «Draco, non so se, in questo momento, io sia in grado di fare alcunché, magari se riposo un po' prima...»

«Sei un idiota.» ripeté, alzando gli occhi al cielo, «Non voglio le tue grazie malaticce adesso, e neanche i tuoi vani tentativi di seduzione, che, ammettiamolo, fanno piuttosto pena.»

«Però hanno sempre effetto su di te, non sei mai riuscito a nasconderlo.» gli fece notare, facendo, con un dito, il gesto di qualcosa che si alzava.

«Non lo nego. Tornando al discorso di prima, per farti perdonare devi accettare di prendere delle pozioni che ti porterò, va bene?» Harry si mise a sedere di scatto, guardandolo incredulo di quello che gli stava chiedendo, ma prima che potesse urlare che no, non avrebbe assolutamente fatto sapere a qualche Medimago dove fosse e in che condizioni vivesse, Draco fermò ogni sua protesta, «Dirò che sono per me. Saranno solo pozioni contro la nausea, te lo giuro, Harry. Non dirò a Madama Chips che sei coinvolto.»

Lo fissò, indeciso. Strinse le lenzuola tra le dita, prima di rispondergli, sospirando: «Okay, va bene. Mi fido. Pur di smettere di vomitare non appena metto qualcosa sotto i denti, sono disposto a tutto, a questo punto.»

Dopo un ultimo sguardo pensieroso, Draco si alzò, gli baciò la fronte e disse: «Torno subito.» prima di smaterializzarsi.

Si riaddormentò neanche pochi secondi dopo, avvolgendosi di nuovo tra le coperte del suo letto. Non seppe quanto tempo Draco stette via, ma si rese conto di star sognando quasi subito quando, aprendo gli occhi, si ritrovò davanti Ron che, dallo sguardo ferito, stava lanciando sul letto pozioni su pozioni, mentre al suo fianco c'era Hermione che esibiva la pancia gonfia avvolta da una maglietta troppo stretta. Era in lacrime, stringeva forte la mano di Ron, mentre quest'ultimo gli stava gridando qualcosa che Harry non sentì.

Si svegliò si soprassalto quando sentì il rumore della smaterializzazione di Draco nella sua camera da letto. Lo guardò, sicuramente pallido come un fantasma e zuppo di sudore. Draco fu subito al suo fianco, «Va tutto bene?»

«Sì. Solo un incubo.» lo rassicurò.

«Ti va di raccontarmelo?»

Harry si scusò con lo sguardo, «Magari dopo.» disse, poco convinto. Il sogno lo aveva lasciato scosso, e non aveva voglia di parlarne. Sapeva che Ron ed Hermione erano le persone che gli mancavano più di tutte – persino più di Ginny, anche se ormai non provava più niente per lei in quel senso, restava importante per lui – ma non capiva perché, dopo quasi nove mesi di lontananza, dovesse sognarli proprio adesso. In quel modo, poi.

«Va bene, Harry, come vuoi. Quando te la sentirai, sarò felice di ascoltarti. Ma prima...» Draco tolse dalla tasca del mantello che raramente indossava, almeno quando veniva da lui, un'ampollina contenente del liquido verde scuro, e alla sua sola vista Harry ebbe già il bisogno di correre al bagno e vomitare.

«Devo proprio?» chiese, con tono lamentoso, mentre suo malgrado prese l'ampollina tra le dita e la stappò. L'odore era nauseabondo proprio come l'aspetto, e fino all'ultimo sperò che, almeno il sapore, non fosse persino peggio.

«Sì, devi berlo fino all'ultima goccia. Se...» si fermò e di inumidì le labbra, aveva lo sguardo lontano e pensieroso, «Se non fa effetto, ne ho un'altra più forte. Però promettimi che, se neanche quell'altra ti farà passare la nausea, andrai a farti controllare da un medico, Babbano o no, non mi importa.»

Harry scrollò le spalle noncurante e, in un sol sorso, bevve la pozione verde – come volevasi dimostrare, faceva davvero schifo. Passarono solo pochi secondi prima che Draco fu costretto a trasfigurare il bicchiere d'acqua che aveva appoggiato sul comò in un secchio, perché subito i conati di vomito gli fecero rigettare la pozione e anche il tea che aveva bevuto poco prima di andare a lavoro quella mattina. Quando terminò, Draco fece evanescere ogni cosa.

«Normalmente mi avrebbe dato fastidio l'uso della magia davanti a me, ma in questo momento ringrazio il cielo che tu abbia quella bacchetta. Sarebbe stato orribile dover togliere il vomito dalle lenzuola lavandole a mano.» scherzò, debolmente.

Draco, però, non rise. Prese l'altra ampollina che, anche quella, aveva nascosta tra le pieghe del mantello e gliela porse, non prima di averla fissata con sguardo crucciato. «L'altra l'hai rigettata quindi non ha fatto effetto, prendi questa.»

Quella pozione, diversamente dalla prima, era di un verde un po' più chiaro, ma in egual modo disgustoso. Quando la stappò, però, non aveva affatto un odore insopportabile, ma anzi, sapeva vagamente di menta. Anche quando la bevve, seppur non avesse un buon sapore, aveva quel retrogusto fresco che aveva anche il tea alla menta che aveva preso in continuazione quella settimana.

Aspettò un po', poi sorrise, quando si rese conto che la nausea era del tutto passata. «Ha funzionato!» esultò. Quasi non ci aveva sperato, vedendo come il suo corpo aveva reagito con la prima pozione: per un attimo, aveva pensato che, non avendo adesso la magia, il suo organismo non poteva accettare più neanche gli oggetti magici. «Sto già molto meglio, te lo assicuro. Mi è persino passato il mal di schiena, che in questa settimana è stato come una costante.»

Non si aspettò che Draco lo baciasse, in quel momento. Per Diana, okay che aveva preso una pozione e il saporaccio del vomito era andato via, ma un tipo perfettino come Draco non lo avrebbe mai baciato in quelle condizioni. Fu solo un bacio a stampo che Harry di certo non disdegnò, ma fissò Draco con un sorriso ma con uno sguardo confuso, quando appoggiò la fronte sulla sua.

«Ho appena vomitato.» gli fece notare.

Draco si limitò a sorridere, a sorridere apertamente. I suoi occhi brillavano, felici. «Dobbiamo parlare.»

Harry aggrottò le sopracciglia, «Non è mai una cosa positiva.»

«Questa lo è.» lasciò la presa sul suo viso e si alzò, porgendogli poi la mano per farlo alzare dal letto, «Ma prima andiamo a mettere qualcosa sotto i denti. Hai detto che è più di una settimana che non riesci a mangiare, no?»

Harry annuì e accettò la mano, stringendo le dita tra quelle lunghe di Draco. 



«Però così mi metti un'ansia pazzesca, Draco, sul serio. Sputa il rospo.»

Non appena avevano messo piede in cucina, Draco gli aveva intimato di andare a sedersi sul divano del soggiorno e di non muoversi da lì, mentre lui prendeva qualcosa da mangiare. Incredulo, Harry non fece altro che annuire ed obbedire, per poi rendersi conto che Draco, proprio Draco Malfoy, gli aveva preparato dei toast con formaggio e prosciutto come li adorava mangiare e, come se non bastasse, teneva in mano anche un sacchetto con all'interno un tortino alla melassa e una bottiglia di succo di zucca. Gli mise tutto davanti, sopra uno dei vassoi d'argento che la vecchietta gli aveva lasciato nell'appartamento, mentre lui si prese uno solo dei cinque toast che aveva preparato.

In effetti, Harry aveva una fame che non ci vedeva più, però non poté negare a se stesso che il comportamento di Draco era così non da lui che stava iniziando a preoccuparsi. Dopo aver divorato tre toast e il tortino alla melassa, e aver bevuto un bicchiere di succo di zucca, lo guardò preparandosi al peggio.

Draco sospirò. «So che non mi crederai, non dopo aver avuto quella discussione neanche una settimana fa, ma, Harry, la seconda pozione era per le nausee mattutine.»

«Beh, sì. Di mattina, devo ammettere, che la nausea è sempre stata più violenta, anche non appena mi svegliavo senza aver toccato cibo. Ma anche durante il resto del giorno non mi dava tregua, Draco.» ridacchiò, afferrando un altro toast che, forse perché li aveva preparati Draco per la prima volta soltanto per lui, erano davvero deliziosi.

«Non è quello che intendevo. Le nausee mattutine sono sintomi che hanno, come dire, le donne incinte. Nel Mondo Magico anche i Maghi, ovviamente, ma ecco, era per farti capire senza creare fraintendimenti.»

Il toast gli ricadde sul vassoio, mentre con occhi sgranati e grandi come due piattini da tea fissava Draco senza quasi neanche vederlo. «Stai dicendo che aspetto un bambino? Draco, non è divertente. Sai bene che non è possibile, me l'hai detto chiaramente tu.»

«So cosa ho detto. Ma, Harry, se aspetti quel bambino davvero, sai cosa significa questo? Che hai ancora magia in te. Non so perché non si è manifestata dal giorno della Battaglia, forse è troppo debole o forse è colpa di qualche incantesimo, vorrei dirtelo ma davvero non lo so. So solo che c'è un'alta possibilità che tu sia in dolce attesa.» rise, Draco, e i suoi occhi solitamente gelidi, in quel momento brillavano pieni di gioia, e le sue ginocchia non riuscivano a stare ferme e composte, smaniando per avvicinarsi a lui. «Se non mi credi, o comunque vuoi essere sicuro di tutto, ti prego Harry, vieni con me da Madama Chips.»

«No.»

«Harry, per favore...»

«No.» scosse la testa e, agitato, si alzò, facendo cadere il vassoio per terra. Non se ne curò, ebbe solo la voglia di arrabbiarsi con Draco per stargli facendo quello scherzo di pessimo gusto e di volerlo portare in quel mondo che, dopo tanti sacrifici e tante sofferenze, era riuscito a lasciarsi alle spalle, nonostante la malinconia. «Non so dove tu voglia andare a parare, Draco, ma non è divertente quindi smettila. Non verrò da te da Madama Chips perché è impossibile che io aspetti un bambino, quindi basta così prima che ti lanci qualcosa!»

Anche Draco si alzò e gli fu subito vicino, prendendogli il viso tra le mani e baciandogli le labbra in modo leggero come se fossero una farfalla, con i pollici gli accarezzava le gote in quel modo dolce che Draco raramente aveva ma che più tempo passavano insieme, e più usciva fuori. Si sciolse tra le sue braccia, anche se in quel momento non voleva. «Non ti sto prendendo in giro, te lo giuro su ogni cosa che ho di più caro. Che, beh, al momento sei tu.» rise, e gli diede un altro bacio, «Non ti sto chiedendo di andare al San Mungo, dove chiunque può riconoscerti e correre al Profeta per testimoniare la tua presenza nel Mondo Magico. Ti sto chiedendo di venire con me ad Hogwarts, di venerdì sera, dove ogni alunno, in questo momento, è chiuso nel proprio dormitorio a studiare per avere poi il sabato e la domenica liberi. Madama Chips non dirà nulla a nessuno, e se sarà necessario la oblivierò subito dopo, ma ti prego, se davvero aspetti un bambino non solo saremo le persone più felici di questo mondo, ma vuol dire che hai ancora la magia, e anche abbastanza per creare l'ambiente adatto per la crescita del feto.»

Harry chiuse gli occhi, mentre alzava le mani e le appoggiava sopra quelle di Draco. «Ho mai detto che ti amo?»

«No. Ma lo sospettavo. Io te l'ho mai detto?»

«No.» scosse la testa, e nacque un sorriso specchio di quello di Draco, «Ma lo sospettavo.»

«Quindi cosa farai, Harry? Verrai con me da Madama Chips?»

«Ho altra scelta?» chiese, abbassando gli occhi, «In realtà ho paura di restare deluso di nuovo. Hai detto che è una possibilità, non una certezza, ma farà sempre male se anche questa speranza, alla fine, si rivelerà vana.»

«A questo ci penseremo poi, va bene? Ci penseremo poi.» Fece scivolare via le mani dal suo viso, «Vado a prenderti un mantello, ad Hogwarts piove. Tu va' a cambiarti.»

Indossò senza particolare voglia dei jeans e una felpa non troppo leggera, Mentre si cambiava, si fermò con solo le braccia dentro la ferpa davanti allo specchio del bagno, e i suo occhi caddero sulla sua pancia. Era piatta, come era sempre stata. Anzi, forse era persino più incavata a causa del digiuno forzato della settimana passata, ed Harry si limitò a sospirare. Non sapeva praticamente niente di gravidanze, nè femminili nè, tantomento, maschili, ma era quasi sicuro che la pancia si sarebbe dovuta gonfiare come un palloncino e somigliare ad una balena, invece che averla inesistente e somigliare ad una sogliola.

Corse in cucina quando sentì il rumore della smaterializzazione di Draco. Lo trovò al centro della stretta stanza con in mano uno dei suoi mantelli, segno che era passato al Manor di fretta e furia e aveva preso il primo che gli era parso davanti. Non che ad Harry importasse, comunque. Accettò il mantello e lo indossò nel modo meno goffo che conosceva – non usava un mantello da più di un anno, durante la guerra aveva sempre gli stessi vestiti addosso per forza di cose – poi guardò Draco.

Gli chiese: «Non sei stanco dopo aver usato la Smaterializzazione così tante volte, oggi?»

«No. Chi credi che io sia? Sapevo smaterializzarmi persino prima che tu ti rendevi conto che la magia esistesse.» sorrise, accattivante, e gli porse una mano, «Sei pronto?»

«No. Ma possiamo andare lo stesso.»

Si ritrovò sotto la pioggio con lo stomaco che, invece, era sottosopra. Ringraziò tutti gli Dei quella pozione che aveva preso e che gli aveva fatto passare del tutto la nausea, almeno per quel giorno, altrimenti si sarebbe ritrovato a vomitare proprio davanti alle nuove barriere di Hogwarts. Camminarono in silenzio, superando i cancelli. Da lontano, Harry vide il campo da Quidditch ancora da ristrutturare del tutto, ma a parte le macerie che una volta erano gli spalti, il castello non aveva più alcun segno della guerra.

Quando entrarono e furono coperti da quella pioggia primaverile, notò che i corridoi erano completamente deserti. Fortuna che l'infermeria si trovava nel primo piano e non ci avrebbero messo molto, ma si sentiva troppo esposto in ogni caso, nonostante fosse nascosto sia dal cappuccio della felpa che da quello del mantello. Arrivarono davanti all'infermeria senza aver incrociato neanche un fastasma e, a quel punto, Harry non riuscì a non chiedere: «Non c'è nessuno?»

«Ci sono tutti.» Draco sussurrò, e sembrava così strano. Sembrava un posto abbandonato. «Solo che sono cambiate un po' di cose dall'anno scorso. Tutti i ragazzi preferiscono tornare a casa loro il fine settimana per stare con i propri cari, e chi resta non ha molta voglia di giocherellare in giro, ma resta chiuso nei propri dormitori a studiare o a passare più tempo possibile con i propri amici.»

«È come se... se si fossero annullati tutti?» chiese, incredulo.

«Puoi biasimarli? Tutti hanno perso qualcosa, qui. E poi è passato troppo poco tempo per lasciarsi tutto alle spalle, le immagini che tutti hanno visto tra queste mura sono ancora vivide come se fosse successo ieri.» Draco gli prese la mano e aprì la porta dell'infermeria, donandogli un mezzo sorriso, «Vedrai che tutto tornerà come prima. Solo, non subito.»

Harry annuì, capendo perfettamente. Con tutte le probabilità del mondo, anche lui, se fosse tornato ad Hogwarts, avrebbe agito allo stesso modo. Sarebbe passato nei punti dove aveva visto i corpi senza vita di Fred, Remus e Tonks e sarebbe scappato a rinchiudersi nel suo dormitorio senza uscirne per un bel po'.

Si irrigidì, però, quando nell'infermeria deserta, vide, in un angolo, Madama Chips che stava rimettendo al proprio posto delle ampolle piene di liquidi di vari colori. Draco, facendo forse finta di non vedere il suo disagio, la chiamò. «Madama.»

«Signor Malfoy. Vedo che ha portato il suo amico.» la donna, dal viso più stanco di quello che ricordava, si girò verso di loro e fece un sorriso ad entrambi, anche se vedeva soltanto il viso di Draco.

«Ha fatto solo effetto la seconda pozione.» la informò, mentre Harry, mettendo mano a tutto il coraggio Grifondoro che gli era rimasto, iniziò a scoprirsi dei cappucci zuppi di pioggia che Draco, nell'ansia del momento, si era dimenticato di asciugare. «Se non è un disturbo, dovrebbe toglierci qualche dubbio.»

Madama Chips osservò il viso finalmente libero da qualsiasi nascondiglio di Harry e sgranò gli occhi, facendo come a portarsi una mano alla bocca. «Harry...» sussurrò, per poi ricomporsi quasi immediatamente e fare cenno ad entrambi di avvicinarsi al lettino più lontano dalla porta d'ingresso, ed Harry la ringraziò mentalmente. Non voleva rischiare di farsi beccare dentro Hogwarts da un ragazzino che era caduto dalla scopa.

Madama Chips iniziò a porgli qualche domanda ed Harry, suo malgrado, dovette dirle di tutti gli sbalzi d'umore e di tutti i disturbi e i dolori che aveva tenuto Draco all'oscuro, e sentì il suo sguardo arrabbiato dietro la nuca come se fossero dardi di fuoco, ma non disse nulla. «Signor Potter,» cominciò la donna, afferrando la sua bacchetta e lanciandogli qualche incantesimo, «sa cosa significa se lei, effettivamente, aspetta un bambino?»

«Che ho magia, lo so.» rispose, ma non ne era entusiasta. Sapeva che non era possibile.

«I sintomi sono tutti di quelli di una gravidanza maschile. I dolori alla schiena e allo sterno sono perché il suo corpo sta cercando di adattarsi alla magia sconosciuta e alla nuova vita dentro di lei. Le nausee e gli sbalzi d'umore sono, ovviamente, a causa degli ormoni e del feto.»

«Possiamo saperlo con certezza?» chiese Draco, ed Harry vide che stava iniziando a spazientirsi per l'attesa.

«Certamente, signor Malfoy.» Madama Chips agitò di nuovo la sua bacchetta, stavolta però proprio sulla sua pancia piatta, e davanti a loro apparì un immagine tridimensionale. «Posso dire con certezza, adesso, che lei aspetta un bambino, signor Potter.» annunciò, e con la mano non occupata a tenere la bacchetta sulla pancia, indicò un esserino che Harry non seppe ben capire a cosa somigliasse muoversi agitato. Era piccolo come un fagiolo, o poco più, e alla sua vista gli occhi di Harry si inumidirono.

«Quando è stato... quando...» deglutì, cercando di togliere quel nodo che gli stringeva la gola, «Quanto è grande?» chiese, non riuscendo a fare una domanda di senso compiuto.

«Circa tre settimane. A fine Dicembre potrete abbracciare vostro figlio, direi.»

Da quel momento, non ascoltò più niente che non fosse quel lieve thum thum del cuore di suo figlio – suo e di Draco – e non vide più niente che non fosse quel fagiolino che nuotava nel suo stomaco. Non sentì Madama Chips e Draco che discutevano sui mesi futuri, sul bisogno di costante monitoraggio da parte di medici esperti, di pozioni e vitamine che avrebbe dovuto prendere durante tutto l'arco dei nove mesi. Si estraneò anche solo per quei brevi minuti, per rendersi appieno conto di quanto tutto quello fosse vero. Neanche gli importava, al momento, del fatto che aveva la magia, seppur sopita. Era passato del tutto in secondo piano.

«Harry.» Draco attirò la sua attenzione, prendendogli una mano e stringendola.

«Cosa vuole fare, signor Potter?» chiese Madama Chips, in modo pacato.

Aveva tante cose da fare, adesso. Sicuramente, doveva andare dagli Weasley, chiedere perdono per il suo abbandono, ma desiderava che anche loro facessero parte della vita di suo figlio. Doveva lasciare il lavoro, perché di certo non poteva presentarsi tra i Babbani con il pancione. Immaginava che sarebbe dovuto andare anche dai Malfoy, perché sarebbe stato ciò che Draco desiderava, che, nonostante gli errori, anche i suoi genitori potessero fare i nonni per il suo erede. E ancora, doveva fare in modo di avere una camera per il bambino, comprare una culla e tutti gli oggetti che gli sarebbero stati utili. Aveva davvero un sacco di cose da fare.

Ma per il momento, guardò Draco con così tanta voglia di baciarlo proprio lì, su due piedi, davanti a Madama Chips – e sembrò quasi che gli avesse letto nel pensiero, o che avesse usato su di lui la Legilimens, perché non appena aveva pensato di farlo, Draco si piegò su di lui e gli diede un bacio casto sulle labbra, mentre una mano si appoggiava leggera come una piuma, quasi come se avesse paura di rompere qualcosa di prezioso e fragile come vetro, sulla sua pancia.

«Andiamo a casa.»






Spazio Autrice

Ecco la fine di questa breve storia! Era nata come one-shot, ma mi è venuta particolarmente lunga e mi è sembrato giusto suddividerla in questo modo, anche per creare della suspance (?)
Comunque, spero tanto vi sia piaciuta! <3 Non mi sono fatta sentire finora perché, essendo una one-shot, ho ritenuto giusto non spezzare ancora di più la narrazione con i miei sproloqui!
Ringrazio tantissimo le bellissime persone che hanno recensito, e i lettori silenziosi! E non dimentico di certo le meraviglie che l'hanno messa tra le preferite/ricordate/seguite! <3
A presto! ;)

Emily.

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