By the sea di emylee (/viewuser.php?uid=72317)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episode 1 ***
Capitolo 2: *** Episode 2 ***
Capitolo 3: *** Episode 3 ***
Capitolo 4: *** Episode 4 ***
Capitolo 5: *** Episode 5 ***
Capitolo 1 *** Episode 1 ***
Il
letto sotto cui era steso era soffice eppure ruvido, nulla a che
vedere con la morbidezza e comodità di quello che era stato
il suo
letto per quasi sette anni ad Hogwarts. Si mosse e si
rigirò,
inquieto, cercando di darsi pace e tregua, ma senza riuscirci,
così
rimase semplicemente fermo tra le lenzuola sfatte, stanco anche senza
aver fatto nulla da quella mattina e sudato anche se era ormai il
tramonto e non faceva poi così caldo. La stanza era
illuminata
d'arancione e dalla finestra aperta entrava un venticello fresco, ma
tutto ciò non bastava a fargli trovare anche solo la voglia
di
alzarsi, uscire dalla porta e tornare a vivere.
Alzò
una mano verso il soffitto, osservando con attenzione come le dita si
stringevano intorno al legno della bacchetta, come se fosse la cosa
più normale del mondo, come se non servissero a fare
nient'altro.
Peccato solo che, adesso, quella bacchetta – la bacchetta di
Draco
Malfoy, quella che aveva ucciso Voldemort, quella che gli aveva
portato via la sua magia – era del tutto inutile tra le sue
mani.
«C'era
da aspettarsi che sarebbe finita così.» disse, a
nulla e a nessuno
in particolare. Era da solo, in quella camera. Aveva fatto chiudere
le barriere di Grimmauld Place a Kreacher prima che Ron o Hermione
sarebbero potuti arrivare e cercare di farlo uscire, magari
facendogli pure una lavata di capo. Per cosa, poi? Non aveva molta
voglia di andare fuori, vedere tutti loro come usavano la magia anche
solo per scaldarsi il tea nella tazza, mentre lui sarebbe rimasto a
guardarli, invidioso, peggio di un Magonò. E non aveva la
forza di
sopportare il Mondo Magico adesso, come tutti si sarebbero prostrati
ai suoi piedi ringraziandolo dell'enorme sacrificio che aveva fatto,
come i giornalisti avrebbero continuato a fare domande su domande
sulla sua vita e di come l'avrebbe vissuta da quel giorno in poi.
Grimmauld Place, nonostante le sue stanze tetre e le teste degli elfi
appese ai soffitti, era di gran lunga più accogliente che il
mondo
fuori da quelle mura.
Solo...
solo che doveva fare un'ultima cosa, prima di abbandonare anche quel
posto – odiato quanto amato, l'ultima cosa che gli ricordava
Sirius, ma che gli ricordava anche i troppi mesi di latitanza che
erano finiti appena un paio di settimane prima, o poco più.
Si mise
a sedere e strinse la bacchetta di Malfoy, avvicinandosi alla
finestra spalancata; su un trespolo appoggiato sul davanzale, stava
appollaiato il gufo che Hermione, disperata, gli aveva chiesto, quasi
con le lacrime agli occhi, di tenere con sé e di scriverle
non
appena avrebbe avuto voglia di vederla. Non aveva nome, e non pensava
di dargliene uno – non pensava neanche di portarlo con
sé, quando
sarebbe andato via da lì.
Lo
chiamò con un leggero fischio e il piccolo gufo
volò fino ad
appoggiarsi sul davanzale, allungandogli poi la zampetta, restando in
attesa. Senza pensarci troppo a lungo, legò con un nastro di
seta
nascosto in un cassetto la bacchetta al gufo e disse:
«Portala a
Draco Malfoy, non aspettare alcuna risposta. Poi va' da Hermione e
resta con lei.»
Il
gufo, prima di spiccare il volo, piegò la testa, confuso. Si
allontanò con la bacchetta attaccata alla zampa: sapeva che
non era
un modo sicuro per riconsegnare una bacchetta, poteva slacciarsi,
cadere e perdersi, oppure qualcuno poteva rintracciarlo e rubarla, ma
ormai, cosa gli importava? Non erano più affari suoi dal
momento in
cui il gufo l'aveva portata via. Adesso, nessun
problema
del Mondo Magico era affar suo. Se non sarebbe riuscito a vivere in
quel mondo che gli aveva dato tanto, ma che gli aveva altrettanto
tolto tutto, senza magia, significava che ormai il suo compito,
lì,
era finito. Aveva fatto il suo dovere, adesso non serviva
più.
Harry
Potter era tornato ad essere un Babbano come lo era prima dei suoi
undici anni – o persino peggio, dato che, anche allora, la
magia
c'era.
Già che c'era, nello stesso cassetto dove aveva trovato il
nastro di
seta, prese due pergamene e scrisse due lettere differenti a Ron e
Hermione, ringraziandoli dal profondo per tutto quello che avevano
fatto per lui, e per tutto ciò che erano stati ed erano
ancora per
lui. Forse era stato un po' troppo sentimentale e melodrammatico,
scrivendo loro che non li avrebbe mai dimenticati, sottolineando
più
volte il suo addio definitivo, ma non poté farci niente. Non
voleva
essere invidioso, non voleva vivere nella gelosia di vedere come i
suoi migliori amici e la sua famiglia potessero finalmente vivere
normalmente
mentre
lui, ancora una volta, doveva essere quello anormale
tra
loro. Era stanco. Per una volta, voleva essere uno come un altro
–
non essere né colui che ha ucciso Voldemort tra quelli che
lo
venerano come il Salvatone, né colui senza magia tra quelli
che lo
compatiscono.
Si
avvicinò allo stesso zaino che Hermione aveva incantato
durante il
loro viaggio alla ricerca degli Horcrux e ci infilò tutte le
sue
cose – che erano relativamente poche – e tutti i
soldi che era
riuscito a ritirare dalla Gringott, ringraziando il fatto che ancora
poteva usare oggetti incantati nonostante non avesse più
magia in
sé. Con un nodo in gola, piegò con cura tutti i
maglioni fatti da
Molly in tutti quegli anni, portò con sé anche la
Mappa del
Malandrino – nonostante non servisse più a nulla,
ma era un
ricordo di suo padre, Sirius e Remus, non poteva semplicemente
buttarla via o darla a qualcun altro – insieme al Mantello
dell'Invisibilità. Anche se era molto indeciso, mise
comunque nello
zaino il boccino d'oro dove al suo interno aveva trovato la Pietra
della Risurrezione che aveva perso dopo il suo utilizzo nella Foresta
Proibita, ma si giustificò dicendosi che anche quello era un
ricordo
di Silente e null'altro. Aveva un po' il terrore di diventare
nostalgico, fin troppo, se tra un po' di tempo avrebbe riguardato
tutte quelle cose che avevano segnato la sua vita e l'avevano resa
divertente e avventurosa, ma si sarebbe messo l'anima in pace.
In
ogni caso, non sarebbe potuto più tornare indietro.
Si
mise lo zaino in spalla, dicendosi che aveva rimandato fin troppo la
sua partenza. Aveva assistito a tutti i funerali – quelli di
Remus
e Tonks, quelli di Fred e di Lavanda Brown e Colin Canon erano stati
i più difficili da sopportare, ma era rimasto, fino alla
fine. Aveva
lasciato una testimonianza anche per i Malfoy, non dimenticando
quello che Narcissa aveva fatto nella Foresta Proibita e quando Draco
non lo aveva smascherato a Malfoy Manor. Non lasciò detto
nulla per
Lucius, per lui potevano farci quel che voleva – non era
più affar
suo. Aveva fatto tutto quello che doveva, nulla più, ormai,
lo
legava al Mondo Magico.
Lasciò
le due lettere sul tavolo della cucina, quando uscì dalla
sua stanza
che era stata, un tempo, quella di Sirius, dicendo a Kreacher di far
in modo che sia Hermione che Ron le ricevessero non appena sarebbero
venuti a cercarlo, e l'elfo, seppur borbottando che un
Magonò non
poteva dargli ordini, annuì controvoglia. Fece un respiro
profondo,
mettendosi lo zaino in spalla. Senza più guardarsi indietro,
si
chiuse la porta di Grimmauld Place alle spalle e si perse nella
nebbia di Londra.
Quando
arrivò Settembre, Harry sembrò aver sistemato la
sua vita. Con i
soldi che aveva preso alla Gringott prima di andar via dal Mondo
Magico, aveva affittato un piccolo appartamento più lontano
possibile da Londra, ma vicino alla costa. L'appartamento costava un
po', ma era piccolo e accogliente, ma soprattutto affacciava sul
mare: era stato quel particolare a convincere Harry a mettere radici
proprio lì – e anche perché era lontano
dai maggiori centri
Magici inglesi, così si sentiva con le spalle più
coperte.
Non
aveva alcun titolo di studio, quindi temeva che quel piccolo
appartamento sarebbe durato poco tra le sue mani dato che non avrebbe
trovato lavoro facilmente, quindi per i primi tempi non tolse neanche
le sue cose dal suo zaino, preferendo non lasciar alcun segno di
sé
in quella casa per non sentirla sua e rimanerci male se –
quando –
l'avrebbero sfrattato. Ma la buona stella, per una volta, aveva
illuminato il suo cammino quando la vecchietta che gli aveva
affittato l'appartamento gli aveva, facendogli persino un occhiolino
che lo lasciò piuttosto perplesso, lasciato un biglietto con
scritto
un indirizzo non molto lontano da casa. Non fece domande – la
vecchietta non sembrava molto propensa a dargli risposte che non
fossero ʻavanti, caro, non essere timido, puoi provare a chiedere
lì, dì che ti mando ioʼ – e
scoprì che, una volta arrivato nel
luogo del biglietto, era una Libreria Caffè di piccolo
calibro, ma
molto, molto carina, dove un sacco di turisti si sedevano lì
nelle
ore più calde a bere qualcosa di fresco o a comprare un
libro per
portarlo, poi, nella spiaggia poco lontana. Harry si
innamorò a
prima vista e, non appena fece domanda di assunzione, non
dimenticandosi di dire chi lo aveva mandato, lo presero subito come
nuovo commesso – che, successivamente, scoprì che
il posto era
stato lasciato libero solo poche settimane prima dal marito della
vecchietta che era andato in pensione alla veneranda età di
sessantotto anni.
Quindi,
quando l'autunno era ormai alle porte, Harry poté dire di
essere,
finalmente, in pace con se stesso. O almeno, era quello che cercava
di convincersi, dato che, talvolta, durante la notte ancora sognava
la guerra e i morti, e di giorno ancora versava qualche lacrima
stringendo il tessuto del Mantello dell'Invisibilità tra le
mani. Ma
prima o poi sarebbe passata, era questo quello che continuava a dirsi
ogni giorno. Col tempo sarebbe migliorato, si ripeteva, non appena
apriva gli occhi sotto il suono della fastidiosa sveglia.
Quel
paese che si affacciava sul mare – forse aveva un nome, o
forse era
solo un piccolo quartiere anonimo, ma Harry davvero non lo sapeva, e
un po' si vergognava a far notare ai cittadini la sua ignoranza a
riguardo. Come poteva dire in giro che non sapeva neanche come si
chiamava la terra che aveva sotto i piedi? In più, preferiva
non
saperlo per non cadere nella tentazione di mandare una lettera
Babbana agli Weasley e rendersi poi, così, rintracciabile.
Talvolta,
perdeva ore e ore a pensare a cosa stessero facendo. Ron era entrato
negli Auror come avevano intenzione di fare insieme prima della
Battaglia? Hermione era tornata ad Hogwarts per finire gli studi come
desiderava? E gli altri? Come stava George? E Ginny? Teddy stava
crescendo amato e coccolato come meritava, nonostante la morte dei
genitori?
Tutto
cambiò un venerdì di metà Settembre
quando, mentre Harry stava
placidamente bevendo un caffè regalatogli dalla proprietaria
della
Libreria Caffè, Vivianne, arrivò un gufo a
beccare proprio una
delle vetrate del negozio. Ed era proprio quel
gufo,
lo stesso che gli aveva regalato Hermione, e che aveva mandato via
prima di partire. Nessun gufo sarebbe dovuto riuscire a trovarlo, non
avendo più alcuna scia magica, dunque tutte le missive a lui
destinate sarebbero arrivate a Grimmauld Place – quindi
perché?
Perché quel dannato gufetto si trovava proprio
lì, a fissarlo con i
suoi occhi gialli e la testa piegata, come se fosse la cosa
più
naturale del mondo?
«Un
gufo?» Vivianne, al suo fianco, si grattò la testa
ricoperta da
infiniti riccioli scuri. Una volta si era tolto gli occhiali per
pulirli dalle ditate che aveva lasciato sulle lenti, e la sua forma
sfocata gli era sembrata molto Hermione, tanto che stava per chiamare
ad alta voce il suo nome e scoppiare a piangere. Ma non lo fece.
«Di
giorno? Non li avevo mai visti da queste parti. Sai, vicino al mare.
Che cosa buffa!»
«Già.»
Harry non poté fare a meno di deglutire, il caffé
che ormai era
diventato imbevibile grazie alla bile che gli stava per salire.
«È
piccolo, forse si è allontanato da... dalla tana. Volevo
dire, dal
trespolo. No, dal nido?»
«Harry,
non andare nel panico per queste cose!» rise Vivianne, e la
sua
risata era così diversa da quella di Hermione che ogni volta
lo
faceva rimanere male, «Se ne andrà da
sé, tranquillo. In questo
periodo i clienti sono pochi e il paese deserto, dato che ormai
è
troppo freddo per farsi un bagno al mare. Non farà scappare
nessuno,
quel povero animaletto!»
«È
innocuo,» disse subito, avvicinandosi alla vetrata,
«lo mando via.»
Vivianne
si limitò a scrollare le spalle e a tornare alle sue
faccende. Si
avvicinò al gufo e notò praticamente subito il
pezzo di pergamena
arrotolata e attaccata alla zampina. Senza perdere tempo, lesse
velocemente il messaggio al suo interno e non poté fare a
meno di
sbiancare. Accartocciò la pergamena e la pestò
sotto ai piedi,
sperando che sparisse.
So
dove vivi.
Era
una minaccia? Harry si guardò intorno, ma non vide altro che
strade
deserte e non sentì altro che i gabbiani e il rumore del
mare alle
sue spalle. Quella scrittura non era di Hermione, poteva metterci la
mano sul fuoco. Conosceva bene quella della sua amica, avendo
ricopiato pagine e pagine di suoi appunti ad Hogwarts. Non era
neanche di Ron, o di Ginny. A sensazione, sapeva che non era di
nessuno degli Weasley. Quindi chi diamine...? Non era che chiunque
egli fosse, era già a casa sua, a rovistare tra le sue cose,
o a
dire a tutti dove abitava e cosa il loro Salvatore del Mondo Magico
Magonò stava facendo per sopravvivere? Doveva tornare a casa.
Tornò
nella Libreria Caffè e andò vicino Vivianne, che
stava zuccherando
del caffè per un cliente, «Hey, Vivianne, io...
devo tornare a
casa. Non mi sento per niente bene, ehm, la testa mi sta esplodendo e
ho lasciato le medicine a casa.»
Credeva
che quella scusa inventata su due piedi avrebbe fatto fare qualche
smorfia a Vivianne, perché nonostante la carenza di clienti
non
poteva lasciare il lavoro così per un
mal di testa.
«Oh,
non ti preoccupare, capisco!» Vivianne si indicò
la sua fronte,
assumendo l'espressione di chi sapeva
e
non aveva bisogno di
altre parole. Harry si toccò la fronte nello stesso punto e
scoprì
che era proprio dove aveva la cicatrice a forma di saetta.
«Puoi
tornare a casa, se hai bisogno di qualsiasi cosa non esitare a
mandarmi un messaggio, chiaro? Anche solo per un'aspirina!»
Gli
abitanti del paese lo conoscevano per la balla che aveva detto alla
vecchietta che gli aveva affittato casa, e che lei non aveva esitato
a raccontare a tutte le sue amiche coetanee: aveva detto di aver
avuto un incidente e di aver perso tutto, e di voler ricominciare da
capo proprio lì. Un po' era stato per questo che tutti lo
avevano
aiutato come potevano nel loro piccolo, e lui ne era stato davvero
grato. Vivianne, probabilmente, aveva collegato la cicatrice al
presunto incidente che aveva avuto – e che gli faceva ancora
male.
Il tutto non si allontanava poi troppo dalla realtà, anche
se ormai
la cicatrice non bruciava più da ormai Giugno.
«Me
ne ricorderò. Torno domani.» Forse.
Si
tolse in fretta il cartellino con su il nome e il camice un po'
macchiato di caffè e cioccolata e se lo mise nello zaino,
scappando
poi a gambe levate senza neanche metterselo in spalla. Poteva
sembrare forse maleducato andare via in quel modo senza neanche
salutare i clienti – proprio lui che tutte le vecchiette del
paesino gli davano carezze dicendo quanto bravo ed educato era,
nonostante la sua goffaggine – ma avrebbe chiesto scusa poi.
Corse
per le strade vuote sotto il sole tiepido, il vento sferzava e gli
graffiava la faccia, ma non rallentò comunque, arrivando
quasi in
tempo record sotto il condominio di cinque piani ed entrò,
salendo
fino al quarto. Ringraziò i vari anni spesi ad allenarsi a
Quidditch
che gli avevano dato il fisico dello sportivo, altrimenti, senza
ascensore, sarebbe arrivato davanti al suo appartamento con la lingua
che arrivava al pavimento.
Con
le mani che tremavano dall'agitazione, riuscì comunque ad
infilare
la chiave della toppa e aprì la porta, osservando subito il
piccolo
soggiorno luminoso che si ritrovò davanti e trovandolo,
fortunatamente, vuoto.
«C'è
nessuno?» gridò, posando lo zaino sul tavolo dove
di solito
mangiava ed entrando nella stanza accanto, la cucina, accendendone la
luce, «Se c'è qualcuno che esca fuori altrimenti
finisce male!»
Non che avrebbe mai potuto far del male ad un Mago, ma forse avrebbe
potuto spaventarlo lo stesso. Era o non era, per tutti, colui che
aveva ucciso Voldemort?
Tornò
nel soggiorno nello stesso istante in cui un'ombra uscì
dalla sua
camera da letto. Di riflesso, cercò la sua bacchetta sia
nelle
maniche della maglietta smunta che indossava, sia nelle tasche del
jeans sbiadito, prima di ricordarsi che non aveva alcuna bacchetta.
«Cercavi
questa, Potter?»
Quando
la luce del sole che spuntava dalla vetrata che dava al piccolo
balcone colpì la testa del suo nonvoluto ospite,
imprecò tra i
denti. I capelli biondi sembravano quasi bianchi ed erano
più lunghi
di quanto ricordasse, tanto che per un secondo, Draco Malfoy gli era
sembrato molto suo padre, ma osservando poi il suo tipico sorriso
tagliente e sentendo come aveva strascicato le parole e come lo aveva
chiamato in quel modo strano tutto suo – molto più
Pottah
che
Potter – si
tolse ogni dubbio. E la cosa più strana non era neanche la
presenza
di Malfoy in mezzo al suo soggiorno Babbano, ma piuttosto era il
fatto che gli stava proprio porgendo la bacchetta, la sua bacchetta,
quella che aveva restituito prima di andar via.
«Ti
sei sistemato bene, vedo. Weasley e Granger continuano a infestare i
corridoi di Hogwarts con i loro lamenti sul fatto che non sanno dove
sei o che fine hai fatto o anche solo se stai bene, ma immagino che
dopo oggi posso rassicurarli.»
«No!»
urlò, facendo un passo avanti verso di lui, per poi fermarsi
e
guardare il pavimento. Maledizione, ci mancava solo questa.
«Malfoy,
no. Non dire nulla, a nessuno, che sono qui.»
Malfoy,
elegantemente, si mise a sedere su una sedia togliendola da sotto il
tavolo e accavallò le gambe, fissandolo e giudicandolo con
qualche
leggera smorfia su come era vestito. «Potrei farlo. Non sono
qui per
poi andare al Profeta
e
dire all'intero Mondo Magico dove si nasconde il loro
Salvatore.»
«Allora
perché sei qui?» chiese, grattandosi la cicatrice.
Non bruciava
più, ma certe abitudini erano davvero dure a morire. Malfoy
osservò
quel gesto con indifferenza, ma senza staccargli gli occhi di dosso.
«Senti,
so che ti sembrerà strano, ma sono qui per ringraziarti,
immagino.»
«Ringraziarmi?»
ripeté, incredulo. «Tu?!»
«Io,
sì. L'ho detto che ti sarebbe sembrato strano. Senti,
Potter, mi hai
tolto dai casini quando nessuno te l'ha chiesto: a quest'ora sarei
dovuto essere ad Azkaban se non fosse stato per te. Il minimo che
potessi fare è trovarti e piegarmi
a
ringraziarti.»
«Beh,
potevi anche non abbassarti tanto, non cercavo dei ringraziamenti
quando l'ho fatto!»
Il
sorriso di Malfoy si allargò, ma in qualche modo
addolcì i tratti,
nonostante fosse ancora tagliente come le peggiori lamette economiche
che usava per radersi la barba. «Se vuoi, puoi piegarti
tu.» Harry
non capì subito cosa volesse dire, ma non ebbe il tempo di
chiedere
spiegazioni perché Malfoy parlò di nuovo:
«In ogni caso, grazie,
Potter. E questa non mi serve, puoi tenertela.» Fece sbattere
la sua
bacchetta sul tavolo e la fece rotolare lontano da lui, come se non
volesse neanche più vederla.
«Non
ti serve? È tua, non mia. A me serve meno che a
te.» disse,
amaramente.
«Sei
rimasto senza, a quanto so. Io ne ho presa un'altra.»
«Sai
bene anche che non posso
usarla,
Malfoy, quindi
smettila di mettere il dito nella piaga, prenditi la bacchetta e
sparisci!»
Malfoy
sospirò e mise un gomito sul tavolo, per poi appoggiare il
mento sul
palmo della mano, «Non voglio quella bacchetta. Puoi farci
quello
che vuoi, ma io non la voglio. Non la sento più mia e, per
quanto
odi ammetterlo, ha fatto molto più per te. Io la usavo solo
per,
come dire, darti fastidio. Arrecarti danno. Rovinarti la
vita.»
«Ci
riuscivi piuttosto bene.»
«Mi
ci impegnavo.»
Quella
era stata la conversazione più lunga e più strana
che aveva mai
avuto con Malfoy – senza finire alle mani almeno –
e il tutto lo
stava lasciando piuttosto confuso perché sembrava
così semplice
parlarci,
quando
evitava le peggiori minacce e insulti e quando lui evitava di
prendere negativamente ogni parola che usciva dalla sua bocca
– gli
mancava così tanto parlare con qualcuno della sua vecchia e
desiderata vita. Senza volerlo, si rilassò e si sedette
sulla sedia
di fronte al suo ospite, chiedendosi se non sarebbe stato carino
offrirgli forse qualcosa, anche se in credenza non aveva poi molto.
Piuttosto, invece che chiedergli cosa desiderasse, aveva un'altra
domanda di gran lunga più importante da porgli.
Tossì
per schiarirsi la gola, «Come hai fatto a trovarmi?»
«Quel
gufo. L'ho costretto a restare con me perché volevo
risponderti.
Avevo bisogno dei miei tempi, capisci. Poi ho scoperto che te ne sei
andato, e non vedendoti neanche tornare ad Hogwarts, l'ho
semplicemente seguito, portandomi qui.» disse, indicando con
un
lungo dito fuori dalla vetrata dove, appollaiato sulla ringhiera del
balcone, c'era il gufetto di Hermione.
«Come
diavolo ha fatto?! Tutte le mie lettere arrivano a Grimmauld
Place!»
«Non
lo so,» scrollò le spalle, incurante,
«magia?»
«Sai
che non è possibile! Non... ehm, non ho magia, non
può seguire la
mia scia magica, non...»
Malfoy
si limitò a scrollare le spalle di nuovo, e il discorso
cadde.
Probabilmente, quella sarebbe rimasta una delle tante cose che gli
succedevano che sarebbero rimaste senza spiegazione.
Dopo
momenti di silenzio imbarazzante, Malfoy si alzò con innata
grazia e
disse: «Si è fatto tardi, devo andare. Devo
preparare un saggio per
Trasfigurazione, prima comincio e prima finisco.» Entrambi
rimasero
zitti per dei secondi, poi fu il turno di Malfoy di tossire per
schiarirsi la gola. O per togliersi dall'imbarazzo,
«È stato bello
vederti, Potter. Buona giornata.»
Il
suono della smaterializzazione fu l'unico rumore che si
sentì per un
po' di tempo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Episode 2 ***
Harry
non era mai stato il tipo da restare con le mani in mano, o di
ignorare per troppo tempo le tentazioni. Il gufetto di Hermione fece
il nido ormai fuori sul suo balcone, prendendo la ringhiera come se
fosse il suo trespolo – ed avere lì accanto, a
pochi metri di
distanza da dove mangiava ogni sera, l'unica cosa che avrebbe potuto
collegarlo alla sua vecchia vita, lo stava facendo diventare pazzo.
Persino la vecchietta della porta accanto, quando era venuta a
ritirare l'affitto, gli aveva fatto notare che ormai il suo balcone
era diventato una guferia e avrebbe dovuto dare una lavata al
pavimento pieno di piume ed escrementi. Harry, arrossendo, si
limitò
ad annuire.
Fu
così che, una settimana dopo la visita di Draco Malfoy,
afferrò
carta, penna e gufo, e inviò un messaggio proprio a Malfoy.
Domani
è sabato e non hai lezione, ti va di bere qualcosa?
La
risposta non si fece attendere molto. Arrivò persino prima
che Harry
iniziasse a pentirsi di averlo fatto e di aver dato retta al suo
istinto che, non poi spesso, lo aveva portato sulla buona strada.
Per
il tea delle cinque sarò da te.
Il
giorno dopo si svegliò trepidante e agitato. Andò
a lavorare con
l'ansia che saliva con l'avvicinarsi delle cinque, tanto che, alle
tre, Vivianne lo cacciò via dopo aver rovesciato il quinto
caffè
sul bancone. Se ne andò non prima di aver comprato dei dolci
e vari
tipi di tea: sapeva che Malfoy aveva dei gusti raffinati, ma se li
sarebbe fatti bastare.
Arrivato
a casa, si chiese cosa diamine stesse facendo. Aveva così
tanta
voglia di ricevere un ospite che non fosse la vecchietta della porta
accanto che si stava addirittura preparando all'arrivo di Malfoy come
se quello fosse... un appuntamento. Dopo quel pensiero, fece sbattere
la fronte sul legno del tavolo nello stesso istante in cui
sentì il
rumore di Malfoy che si materializzò a pochi metri da lui.
«Hai
la testa troppo dura, Potter, devi farlo con più
forza.»
Harry
grugnì, alzandosi per andare a prendere i dolci e il tea,
«Ciao,
Malfoy.»
In
silenzio, prese un piccolo vassoio e ci mise sopra i dolci ripieni di
cioccolato e vaniglia, e prese due tazze riempiendole di tea.
Sedendosi di nuovo a tavola, per infiniti minuti mangiarono e bevvero
in silenzio.
Fu
Malfoy a rompere il silenzio, «Questo tea fa schifo, ma i
dolci non
sono per niente male. Oserei chiederti quasi del succo di zucca al
posto di questo.»
disse, e indicò la tazza piena a metà di fronte a
lui.
«I
Babbani non bevono succo di zucca. Ho della Coca Cola se
vuoi.»
«Cosa
Cosa?»
«Coca
Cola.»
Malfoy
scosse la testa, una smorfia nascente sulle labbra bianche e sottili,
«No, a questo punto preferisco il tea. Perché mi
hai mandato quel
gufo, Potter?»
Harry
posò la tazza davanti a sé e ci
giocherellò per un po', godendosi
il tepore del tea attraverso la ceramica decorata. Perché
l'aveva
fatto? La risposta era semplice e se l'era ripetuta per tutta la
settimana, cercando di convincersi, prima di farlo, che era una cosa
normale e che non avrebbe fatto del male a nessuno. Malfoy non era
Hermione, o Ron, o Ginny. Non avrebbe sofferto quando avrebbe di
nuovo staccato i ponti, quando la diversità sarebbe stata
troppo da
sopportare. Poteva godersi la compagnia di qualcuno di magico ancora
per un po', perché ogni giorno sembrava che la malinconia e
la
nostalgia diventavano sempre più insopportabili.
Quando
parlò, se ne pentì. «Mi
mancavi.»
«Ti
mancavo? Questa è nuova.»
Harry
arrossì, imbarazzato oltre ogni limite, «Beh,
quindi? Anche se in
modo negativo, mi sei sempre stato tra i piedi in tutti questi anni,
e così come mi manca avere i miei migliori amici accanto, mi
manca
anche avere il mio peggior nemico.»
«Sono
il tuo peggior nemico?»
«Ora
che Voldemort è morto, sì.»
Malfoy
fece una smorfia che era un misto tra terrore e divertimento, che lo
rese persino buffo ai suoi occhi, ma cercò in qualunque modo
di non
scoppiargli a ridere in faccia. «Non è divertente,
Potter. Quel
nome ancora non lo dice nessuno.»
«Beh,
io lo dico tutte le volte che voglio. Voldemort
mi
ha tolto tutto: la
mia famiglia, la mia vita, la mia magia, e non voglio avere paura
anche solo di dire il suo nome. Non ne avevo quando era vivo, e non
ne avrò adesso che è morto.»
Malfoy
sorrise, sghembo. «Non sei cambiato per niente. Nonostante
tutto,
sei sempre lo stesso, irritante, eroico, grifondiota, Potter.»
«Cretinverde.»
«Schifondoro.»
«...Serpendiota?»
La
risata di Malfoy fu leggera eppur rumorosa, e Harry non
riuscì a
credere di quanto fosse facile scherzare con Malfoy quando riuscivi a
prendere le sue parole alla leggera, quando non c'era più il
peso di
alcuna guerra sulle spalle di entrambi. Fece sentire un po' meno la
nostalgia di casa parlando degli ultimi pettegolezzi di Hogwarts e di
come i lavori per ricostruire la scuole non erano ancora finiti,
mancavano ancora il campo da Quidditch e i sotterranei da rimettere
in piedi. I Serpeverde si erano trasferiti al terzo piano abbandonato
e la McGranitt aveva trasfigurato intere aule in dormitori
provvisori. Malfoy e gli altri alunni che erano tornati a scuola per
il loro ottavo anno, erano stati messi tutti in dei dormitori a
parte.
Quando
fu l'ora per Malfoy di tornare ad Hogwarts, disse: «Torno
domani per
il tea. Ma lascia perdere il tea, l'importante che ci siano gli
stessi dolci di oggi.»
Tornò
il giorno dopo, e anche la settimana successiva. Passò
così più di
un paio di mesi dove quasi tutti i fine settimana – a parte
quando
era troppo pieno tra compiti e assegnazioni – Malfoy
– Draco
– veniva nel suo appartamento e gli faceva compagnia.
All'inizio
era solo per l'ora del tea, ma con l'andar dei giorni, Draco
arrivò
per l'ora di pranzo, e restò fino all'ora di cena. Passarono
anche
Halloween, Natale e Capodanno insieme. Non che Harry avesse voglia di
mandarlo via – ed era questo a preoccuparlo di
più: non voleva
che
Draco smettesse di
fargli visita, assolutamente. Il suo bisogno di staccarsi da
qualsiasi cosa fosse magica sembrava essersi assopito,
perché con
lui non si sentiva diverso, o anormale. Non esternava troppo la sua
magia, a malapena prendeva la bacchetta giusto per smaterializzarsi
per andar via – quella di biancospino, ormai, restava
abbandonata
in un cassetto nella sua camera da letto – e ad Harry non
pesava
molto il fatto di essere un Magonò. Sembrava assurdo,
considerando
che colui che lo faceva sentire così era proprio Draco
Malfoy, lo
spocchioso Purosangue che aveva reso un inferno gli anni scolastici
di tutti i Mezzosangue di Hogwarts, figlio di Mangiamorte e
Mangiamorte lui stesso.
Passavano
i giorni, e Harry scopriva un Draco più divertente e
accomodante, di
un'intelligenza acuta e sarcastica. Un Draco che non aveva mai perso
tempo a conoscere prima, ma che adesso non vedeva l'ora di vedere e
contava i minuti che lo separavano dal suo arrivo. Sapeva cosa questo
significava, ma non voleva neanche pensarlo per non renderlo
più
vero: nonostante stesse bene, adesso, continuava ad essere un
Magonò,
e Draco non avrebbe mai potuto avere un qualsiasi interesse verso di
lui che non fosse la novità del momento, il Salvatore del
Mondo
Magico che richiedeva la sua compagnia. O forse era perché
si
sentiva in debito, proprio non sapeva, ma era certo che non avrebbe
potuto ricevere di più. Poco male, si sarebbe accontentato.
Anche
se, ormai, sapeva che quelle frasi fatte non lo avrebbero portato da
nessuna parte e ci sarebbe cascato lo stesso, proprio come non era
riuscito a vincere la malinconia o la tentazione.
«Ma
il gufo come si chiama?» gli chiese un giorno Draco, mentre
stavano
mangiando da asporto a casa sua. Draco non aveva mai mangiato roba
Babbana o cibo spazzatura, ma dopo i primi tempi che stava sulle sue
e faceva lo schizzinoso, aveva iniziato ad adorare il cibo cinese del
ristorante in fondo alla via.
«Ehm,
boh.» aveva la bocca piena dal raviolo che stava mangiando, e
Draco
non mancò di disgustarsi a dovere, anche se non
staccò lo sguardo.
«Ingoia
prima di parlare, Potter. Sembri un bambino di quattro anni, per
Salazar. Comunque, davvero non sai come si chiama? Pensavo fosse
tuo.»
Harry
fissò il piccolo gufo che si stava arruffando le piume fuori
al
balcone, e scrollò le spalle. «Era di Hermione, me
l'ha dato perché
sperava che le scrivessi. Quando ti ho inviato la bacchetta gli avevo
detto di tornare da lei, ma a quanto pare, invece, è rimasto
con
te.»
«Mi
serviva.» disse solo, prendendo con le bacchette un raviolo
dal
piatto – Harry ancora non ci credeva che avesse
già imparato a
mangiare con le bacchette, lui ancora usava la forchetta – e
mangiandolo con modi del tutto opposti a quelli di Harry, «Dagli
un nome, allora.»
«Adesso?»
«E quando allora?
Ce l'hai già da un po', ed è rimasto per tanto
senza nome. Potrebbe
non rispondere ad un tuo richiamo, o avvicinarsi a qualcun altro che
potrebbe dargli un nomignolo.»
«Oh, er, okay. È
un maschio, giusto?» Al cenno affermativo, posò la
forchetta e
fissò il gufetto. «Edvigo...?»
«Edvigo?
Sei serio?»
«La mia civetta di
chiamava Edvige e le volevo molto bene, prima che Voldemort mi
portasse via anche lei.» fece silenzio per un po',
«Magari con lo
stesso nome gli vorrò bene allo stesso modo.»
«C'è qualcuno a
cui non vuoi bene, Potter? Sarai sempre il solito buonista con il
solito cuoricino dolce. Scommetto che i tuoi figli li chiamerai con
il nome dei tuoi genitori o di chi– va bene, ho
esagerato.»
Harry non rispose.
Sapeva bene che non doveva prendere sul serio le frecciatine o le
cattiverie di Draco se le diceva con un tono leggero e scherzoso,
ormai l'aveva capito, ma certe cose bruciavano e facevano male
nonostante tutto. E a quanto pareva, sembrava che gli si leggesse in
faccia cosa stesse provando in quel momento. Quindi si alzò
e prese
il suo piatto ancora mezzo pieno – gli era passata la fame,
ma non
aveva voglia di litigare, non con l'unica persona che aveva vicino,
sicché rimase in silenzio e decise di battere in ritirata.
Ma
la mano di Draco lo fermò e gli strinse il polso,
costringendolo a
fermarsi. «Ho esagerato, Potter, me ne sono reso
conto.» Ottenendo
sempre silenzio da parte sua e neanche uno sguardo, aggiunse:
«Non
lo dico spesso, quindi non prendere l'abitudine, ma... mi spiace,
Potter. Ho esagerato. Ritieniti fortunato, io non mi scuso mai.»
«Lo so,» sospirò
e lo guardò negli occhi, che nonostante sembrassero
così freddi di
quel colore del ghiaccio, erano piuttosto pentiti. Sorrise,
«lo so,
Draco. È tutto okay.»
Si rimisero a
sedere, ed Harry fece finta di finire di mangiare. Quella notte,
però, dormì male – e non era per le
parole di Draco, ma piuttosto
per il suo comportamento.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Episode 3 ***
La
settimana dopo, non mandò un gufo a Draco. Di solito,
nonostante
fosse fisso a casa sua ogni sabato e domenica, entrambi preferivano
confermare la presenza all'altro, come ad essere sicuri che entrambi
avevano voglia di vedersi, per non imporsi a vicenda e per non
rendere la loro amicizia – amicizia?
– unilaterale. Anche se, ormai, per Harry c'è
già qualcosa di
unilaterale, che sentiva solo lui, e forse era proprio per questo che
quella settimana non aveva avuto il coraggio di scrivergli. Sperava,
forse, che fosse Draco stesso a mandargli un messaggio, anche con un
altro gufo, non importava, ma quando si svegliò quel sabato
mattina
senza aver sentito nulla da parte sua, ebbe la tentazione di
infilarsi la biro negli occhi.
Andò a lavoro
mogio e, in qualche modo, sconfitto. Aveva davanti a sé
tempo fino a
pranzo – il sabato lavorava solo mezza giornata –
per abituarsi
all'idea che quel giorno avrebbe pranzato e cenato da solo, ma,
piuttosto che pensarci, preferì concentrarsi come mai aveva
fatto
prima di allora sulla macchinetta del caffè e nel mettere al
proprio
posto i libri che i clienti lasciavano in giro.
«Oh, Harry!» ad
un certo punto, Vivianne si avvicinò a lui e gli diede una
gomitata,
attirando la sua attenzione su di lei, «Va' a mettere in
ordine quei
libri laggiù, qui alla cassa ci sono io. È appena
arrivato un
turista niente male, io sono single e ho bisogno di rifarmi gli occhi
ogni tanto, quindi sciò.»
Ad Harry non
importava, in realtà, quindi stava per fare proprio come gli
era
stato detto, se solo non avesse guardato chi c'era alla cassa e chi
lo stava decisamente guardando divertito e un po' irritato.
«Draco?!» Senza
neanche rendersene conto, ignorò Vivianne e si
avvicinò all'altro
ragazzo. A dividerli, c'era solo il bancone.
«In
persona, Potter. Questo è un bel posticino,
perché non mi ci hai
portato prima? Spero che qui facciano dei tea migliori di quello che
mi offri sempre a casa tua.» disse Draco, enfatizzando a
casa tua in
un modo tanto particolare che Harry si sentì
inspiegabilmente in
imbarazzo.
«Sono gli stessi.
Compro i dolci e i tea qui.» rispose, in automatico. Poi
aggiunse:
«Che ci fai qui? Si può sapere come fai a trovarmi
ogni volta?!»
«È pressocché
facile. Basta seguire la scia della tua puzza, Potter.»
«Fai come i cani?
E poi io non puzzo!»
«Mi stai
paragonando ad un cane?!»
«Ragazzi?»
Vivianne li interruppe, «State dando spettacolo in mezzo alla
caffetteria.» Nonostante quello che aveva detto, non sembrava
né
arrabbiata, né indispettita. Harry si guardò
intorno e vide delle
clienti che ridacchiavano in un angolo della stanza, sedute ad un
tavolino. Arrossì e si scusò.
«Tranquillo,» lo rassicurò lei,
«vi conoscete?»
«Siamo...»
Draco lo fissò, prima di finire la frase, «...amici.»
«Andavamo a scuola
insieme.» aggiunse subito, senza ricambiare lo sguardo di
Draco.
«Oh, allora
nell'incidente non hai perso proprio tutto, Harry. Sono contenta che
qualche amico ti è rimasto! Certo, potevi evitare di
tenercelo
nascosto, se conoscevi un così bel bocconcino.»
Nonostante il
complimento era riferito ovviamente a Draco, fu Harry ad arrossire.
«Io sono Vivianne, la proprietaria della Libreria
Caffè.»
Draco, sotto lo
sguardo estrerrefatto di Harry che cercava di nasconderlo il
più
possibile, strinse la mano che Vivianne gli stava porgendo.
«Draco
Malfoy.» si presentò.
Vivianne rise, ma
vedendo che nessuno dei due ragazzi stava ridendo insieme a lei,
chiese: «Draco? È un nome d'arte?»
Draco alzò un
sopracciglio, «No. Perché mai–»
«I
suoi genitori sono persone particolari.
Vero,
Draco?» lo interruppe Harry, cercando di dargli una gomitata
senza
farsi vedere, «Hanno gusti strani.»
Draco non rispose,
ma aveva la faccia di chi in quel momento gli avrebbe dato ragione
anche se avesse detto che era il sole a girare intorno alla terra e
che la terra girava intorno alla luna. Piuttosto, sembrava proprio
che non volesse staccargli gli occhi di dosso, ed Harry
pensò che
forse era molto indispettito da come stavano andando i fatti e che
volesse metterlo a disagio con quello sguardo fisso e incandescente.
I suoi occhi bruciavano sulla pelle come una marchiatura, ed Harry
preferì non incrociare il suo sguardo e guardargli gli
zigomi alti,
il mento appuntito, il collo sottile, mentre continuavano a
scambiarsi convenevoli con Vivianne.
Poco dopo, Draco le
chiese, gentilmente, se potesse parlare un attimo con Harry, in
privato. E dato che Vivianne, ormai, pendeva dalle labbra di Draco,
cinque secondi dopo si ritrovò chiuso nel ripostiglio,
circondato
dall'odore forte dei barattoli pieni di foglie di tea che gli stava
quasi dando alla testa.
«Non devi dirmi
nulla?» esordì Draco, quando chiusero la porta
dietro di loro.
Harry scrollò le
spalle, «Non che io sappia.»
«Mi pare di
essermi... scusato per quell'uscita infelice di domenica scorsa.
Cos'altro devo fare? Non mi metterò in ginocchio, non per
questo
almeno, ad invocare il tuo perdono per una cosa che neanche avevo
detto per cattiveria, quindi cosa vuoi? Che rinnovi le scuse?»
«No,
Draco, davvero. Non è per quello, non è...
è per... per un'altra
cosa, e io, ehm, non volevo vederti perché mi sa che
è arrivato il
momento di... staccarci, di smetterla di vederci, perché io non
faccio
parte più del tuo mondo e non
faccio
parte della tua vita.» Nonostante il nodo in gola, Harry
sentì
l'improvviso bisogno di parlare, di chiarire,
perché
vedere quello sguardo ferito sul viso di Draco gli lasciava l'amaro
in bocca – ora che ci pensava, la sua espressione ferita non
era
mai cambiata negli anni, era la stessa di quando aveva rifiutato la
sua amicizia sul treno per Hogwarts otto anni prima. «Sono un
Magonò, Draco, nel caso non te lo ricordassi. Sto vivendo
come un
Babbano e ho bisogno
di
essere un Babbano, chiamami vigliacco o egoista, non mi importa, ma
dopo aver passato quasi la mia intera vita per preservare quella
degli altri, stavolta voglio tutelare la mia. Quindi non devo
più
vederti perché più tempo passa e io
più mi sto affezionando
a
te.» confessò, e non ebbe paura di dirglielo
perché Draco sarebbe
di sicuro scappato dopo le sue parole, ma era quello che voleva. Gli
avrebbe spezzato il cuore, probabilmente, ma il dolore sarebbe
passato. Prima o poi. Insieme agli altri.
«Se ti stai
affezionando, come dici, a me, non ha senso che tu non voglia
più
vedermi!»
«Invece
sì, perché io mi sto affezionando a te, ma non
come un amico. Io mi sto... io mi sto... ma non importa
perché in
ogni caso, sono un Magonò, sono peggio
di
un Magonò, che lavora come un Babbano e vive come un
Babbano, e sono
tutto ciò che tu, Mago Purosangue, non potrai mai... tu non
potrai
mai affezionarti a me come mi sono affezionato io. Non puoi. E non
vuoi. Lo capisco, ma io ho bisogno di superare tutto questo, non
restare bloccato così, senza andare avanti ma non tornando
neanche
indietro.»
Draco aveva le
sopracciglia aggrottate e gli occhi socchiusi, non abbassava lo
sguardo anche se Harry ormai aveva smesso di guardarlo quando non era
neanche a metà del suo discorso incasinato. Dopo interi
minuti di
silenzio, Harry quasi gli stava per girare le spalle e andare via, ma
quando lo sentì sospirare, decise di stare fermo e,
timidamente,
alzare gli occhi su di lui. Continuava a guardarlo ferito, nonostante
tutto.
«Hai
finito?» chiese, e quando gli rispose solo stringendo le
spalle,
fece: «Ora parlo io, e non mi interromperai neanche una
volta. Sono
stato chiaro? Bene. Hai ragione. Sono un Mago Purosangue, devo
pensare a preservare il sangue puro, generare un erede e rinomare di
nuovo il nome dell'ormai decadente casata Malfoy. Per colpa tua,
ho fatto cose che non avrei mai fatto prima. Sono venuto a casa tua,
una casa in un paesino Babbano sperduto nel nulla, per ringraziarti
dall'avermi tenuto lontano da Azkaban. Sono tornato per bere e
mangiare roba Babbana insieme a
te,
parlare di cose Babbane con
te,
usare oggetti Babbani che
tu
mi aiutavi a capire. Sono venuto a cercarti
nel tuo luogo di lavoro Babbano e, per Salazar, sono stato gentile e
ho stretto la mano ad una Babbana amica tua.
E adesso sono qui, in questo ripostiglio grande neanche la stanza
degli elfi domestici al Manor insieme a
te,
a parlare con
te.
Ho fatto tutte queste cose che odio e che non sopporto, tutte per
colpa tua.»
Ahia. Era piuttosto
doloroso. Non che lo avesse costretto a fare tutte quelle cose,
comunque! Poteva rifiutarsi se era un così tale sacrificio
passare
del tempo con lui, però sentirsi dire quanto fosse stato
terribile
faceva male, parecchio male. Aveva voglia di urlare e di andarsene,
mettere finalmente una pietra sopra a tutto quello, chiudersi in casa
per un po' per poi tornare alla vita dei mesi prima dell'arrivo di
Draco. Aprì la bocca per mandarlo al diavolo, sbraitare per
cinque
minuti e girare poi i tacchi, ma il palmo della mano di Draco si
alzò
intimandogli di fare silenzio perché, no, non aveva finito e
aveva
detto che non doveva interromperlo neanche una volta.
«Fai
silenzio. Ho fatto tutte quelle cose, ma c'è un motivo se le
ho
fatte. Sei tu. Il filo conduttore di tutto questo sei tu, l'ho fatto
per te e perché voglio stare,»
si interruppe, deglutì, poi riprese, «stare con
te, e insieme a te
ho accettato anche tutto il bagaglio di cose che odio. Non mi sembra
di essermi mai lamentato – a parte il tea, quello fa davvero
schifo
– perché, Merlino, non vedevo
l'ora ogni
settimana che tu mi mandassi Edvigo per dirmi che quel giorno avremmo
mangiato una pizza, una scusa per avere la conferma che sarei venuto
che non vedevo l'ora di darti, Harry.»
Harry alzò
finalmente gli occhi e vide Draco, e lo vide davvero. Lo vide
più
bello di come lo vedeva Vivianne, più bello di come lo
vedeva Pansy
Parkinson ad Hogwarts. Lo vedeva persino più bello di quanto
lui
stesso lo aveva visto cinque minuti prima. «Hai chiamato il
mio gufo
Edvigo.» disse solo, anche se sapevano entrambi che non era
quello
il nome che Draco non aveva mai detto, anche se voleva soltanto
dirgli di quanto, in quel momento, lui fosse così
meraviglioso.
«È il suo nome,
no?» gli fece un sorriso un po' teso.
«Mi piaci.» disse
invece Harry, arrossendo leggermente.
Ma
tutta la vergogna passò in secondo piano, quando vide Draco
fare lo
stesso, colorando di un tenue rosa pastello le pallide gote.
«Cosa
sei, un tredicenne?!» berciò, evidentemente in
imbarazzo. Era
riuscito a rimanere intatto e stoico per tutto il suo incurante
sfogo, ma era caduto proprio nella parte più scema. Era
quasi buffo,
e avrebbe riso, se non fosse comunque teso anche lui. Soprattutto che
quel mi
piaci era
troppo riduttivo rispetto a quello che davvero provava –
aveva
superato la fase del semplice piacergli quando aveva capito che
fremeva ogni minuto che passava senza Draco in attesa che arrivasse.
«Come dovrei
dirtelo? Mi piaci, un sacco. Probabilmente più di quanto
immagini,
ma procediamo per gradi, altrimenti sì che ti faccio
scappare. Come
se essere un Magonò non fosse abbastanza!» rise,
senza troppa
allegria. Si grattò la fronte, sulla cicatrice che non
bruciava più,
uno dei vizi che erano rimasti e probabilmente non sarebbero spariti
mai, e cercò di fare mente locale. «Quindi cosa
vuoi fare? Ti
basta, per ora, stare con... una sottospecie di Babbano?»
Draco sorrise, e
tutta l'ansia che provava di sciolse come neve al sole. Vide come a
rallentatore una sua mano alzarsi e posarsi sulla sua nuca e le sue
labbra avvicinarsi sempre di più, e non fece assolutamente
nulla per
fermarlo. Perché avrebbe dovuto? Come se non fosse quello
che
desiderava da qualche mese a questa parte. «Per ora, mi
basti.
Eccome se mi basti.»
Si baciarono lì
per la prima volta, in quel ripostiglio poco illuminato e ricco di
odori di vari tipi. Ma le labbra di Draco sapevano di vaniglia come
il suo profumo, e pensò che forse il tea alla cannella
avrebbe avuto
un gusto buono e particolare nella sua bocca. Erano calde, morbide
seppur sottili, e non erano nulla paragonate alle labbra di Cho o di
Ginny. Erano quelle, le labbra che avrebbe voluto baciare per sempre.
Quando si
staccarono, fu Draco a rompere il silenzio, mentre Harry non fece
altro che riprendere fiato, dato che lo aveva trattenuto per tutta la
durata del bacio, come se avesse avuto paura che un solo sospiro
avrebbe fatto allontanare Draco. «Fai schifo a baciare,
Potter.»
«Non ho tanta
esperienza, scusa.» borbottò, senza
però allontanarsi troppo dal
viso dell'altro e avere, per ogni evenienza, la bocca di Draco a
disposizione.
«In effetti, solo
qualche bacetto con la Weasley non è un gran
percorso.»
«Ehm, in realtà
c'è stata anche Cho, ma dubito valga qualcosa, insomma,
è stato un
po' tutto saliva e, uhm, boh? Non granché davvero,
però ecco...»
«Cho? Cho Chang,
la Corvonero?»
«Sì, perché, non
lo sapevi? Lo sapeva tutta Hogwarts...»
«Sapevo ovviamente
che tu avevi una cotta per lei al quarto anno ma lei faceva coppia
fissa con Diggory, non sapevo che andavate a baciarvi in ogni
angolo!»
«Non lo facevamo
infatti!» si difese, anche se non non aveva fatto nulla per
cui
difendersi, «È successo solo una volta, al quinto
anno! Lei era
triste per Cedric e una cosa tira l'altra, io avevo ancora quella
cotta, quindi ho accettato il bacio, ma ecco, se sapevo, ai tempi,
che i baci potessero essere come quello che mi hai appena dato, mi
sarei decisamente tirato indietro e sarei venuto a cercarti.»
Non si era mai
immaginato un bacio nascere e crescere con determinate circostanze,
ma soprattutto non aveva mai immaginato un bacio tra lui e Draco
senza sfondi violenti a farne da contorno. Avevano un modo tutto loro
di rapportarsi, erano teste dure, testarde e capricciose che spesso
cozzavano, ma funzionavano, in qualche modo. Harry aveva la
sensazione che sarebbero durati, un po'. Se solo avesse ancora la sua
magia, forse durerebbe un po' di più – ma, per
ora, prendeva quel
che riusciva a cogliere. E un Draco che, seppur imbarazzato
nonostante lo nascondesse così bene, lo baciava ancora e
ancora in
quell'angolo angusto di mondo, era già l'inizio di un buon
raccolto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Episode 4 ***
Passavano
i giorni, e Harry non riusciva a togliere le mani di dosso a Draco
per più di cinque minuti, quando erano da soli nelle mura
sicure di
casa sua. Non che fuori riuscisse a stargli lontano comunque, tanto
che ormai chiunque, a lavoro, si erano resi conto che il bel turista
biondo non era semplicemente un vecchio amico di Harry, ma qualcosa
in più. Essendo un paese perlopiù abitato da
vecchietti e
proprietari di lidi e spiagge, non tutti vedevano di buon occhio il
loro essere innamorati
–
lo erano – ma erano persone gentili e non ricevevano alcuna
lamentela o frecciatina, non troppo pesante almeno, e in ogni caso
Harry cercava di essere il più discreto possibile, anche se
era così
difficile resistere dal baciarlo quando entrava nella Libreria
Caffè
il sabato mattina e limitarsi ad un caldo sorriso che Draco,
comunque, sembrava apprezzare.
Non
passarono che poche settimane prima che Draco lo trascinasse tra i
piaceri del sesso. In quel caso, Harry era davvero senza alcuna
esperienza – essere stato un adolescente con il fiato della
morte
costantemente sul collo non aveva aiutato la sua vita sessuale,
peggio di quella sentimentale – ma era stato ben contento di
imparare, anche se con un po' di ritardo, e Draco sembrava molto
disposto ad essere il suo insegnante. Finalmente, intese quelle
battute o precisazioni che spesso faceva con quel sorriso di chi la
sapeva lunga ma che lui non capiva, quando Draco si
inginocchiò
davanti a lui ma non per chiedergli scusa, e quando fu il turno di
Harry di piegarsi ma non per ringraziarlo. Dopo una settimana dove
Draco sgattaiolava fuori Hogwarts tutte le notti per fare sesso con
lui e dormire al suo fianco un paio d'ore, Harry aveva un mal di
schiena atroce causato dall'essere stato troppo tempo... piegato.
Un
sabato di inizio Aprile, una delle vecchiette solite della Libreria
Caffè si avvicinò a lui con passo lento, mentre
stava porgendo un
caffè a Draco che la notte prima era rimasto a dormire da
lui e
aveva fatto le ore piccole. «Giovanotti,»
cominciò, lanciando occhiate un po' indispettite verso la
quasi
invisibile carezza che Draco gli aveva dato al fianco per
ringraziarlo, «non siamo troppo bigotte, e capiamo che siete
innamorati,
però
potreste essere più discreti? Siamo nate in altri tempi, noi
povere
vecchiette, non siamo abituate a certe... cose.»
Harry
arrossì e si scusò mortificato, «Certo,
signora, chiedo scusa.»
«Era
solo una carezza,» obiettò invece Draco, sembrando
persino più
indispettito della vecchietta, «non
era niente di scandaloso.»
Stava
per dirgli di piantarla perché era pur sempre una cliente,
ma la
vecchietta gli parlò sopra. «È comunque
troppo, ragazzo. Due
uomini sono strani
da
vedere insieme, cerchi di capire.»
«Da
dove vengo io, due uomini e due donne possono tranquillamente
rapportarsi, sposarsi e avere figli. Sto cercando di capire, ma se
neanche lei cerca di capire il nostro punto di
vista, a questo
punto non mi limiterò a dargli solo una carezza.»
«Draco,
basta!» lo ammonì, notando che si stava scaldando
ed esagerando,
poi si scusò di nuovo con la vecchietta e la
accompagnò al suo
tavolo insieme alle sue amiche coetanee, che avevano osservato tutta
la scena sparlando tra loro.
Quando
tornò dietro al bancone, Draco riprese a lamentarsi,
«Come se fosse
stato davvero qualcosa di scandaloso. Per Salazar, era solo una
carezza, non un pompino.»
«Abbassa
la voce.» lo ammonì di nuovo, ma non
riuscì a dargli torto perché
anche lui era piuttosto infastidito da un comportamento del genere.
Ma era pur sempre una donna di una certa età, non poteva
mettersi a
litigare su questioni del genere – finche avrebbe potuto
ottenere
anche più di una carezza nel privato, non gli importava se
in
pubblico avrebbe dovuto sopportarne la mancanza. «Non vorrei
essere
cattivo, Draco, ma queste... incomprensioni bigotte non sono molto
differenti da quelle tra Purosangue e Mezzosangue nel Mondo Magico,
quindi dovresti capire.»
Draco
aggrottò solo le sopracciglia, ma non disse più
nulla. Si mise
seduto sullo sgabello vicino al bancone a sorseggiare il suo
caffè,
mentre Harry gli metteva un vassoio con dei piccoli biscotti alla
cannella di fronte. Quando Draco disse che erano ottimi, borbottando
ancora offeso, Harry fu ancora più convinto che, forse, il
tea alla
cannella gli sarebbe decisamente piaciuto.
Quando
vide l'espressione di Draco tornare ad addolcirsi, Harry chiese:
«È
vero quello che hai detto prima?»
Aveva
detto che nel Mondo Magico due persone dello stesso sesso potevano
sposarsi e avere una vita insieme, e che era del tutto normale. Se
fosse davvero così, la sua decisione di restare per sempre
nel mondo
Babbano avrebbe vacillato, e temeva che avrebbe poi ceduto
all'ennesima tentazione che no, non poteva permettersi.
Draco
posò lo sguardo su di lui e sorrise, «Non mento
mai, Potter.»
Sapeva
che Draco, ormai, continuava a chiamarlo Potter
non
in modo dispregiativo ma più per un segno di appartenenza.
Era,
probabilmente, l'unico che ancora lo chiamava per cognome, o Potty,
e
ne era molto fiero. Nel privato, era un altro discorso.
«Quindi, due
Maghi possono sposarsi? Anche due Purosangue?»
«Beh,
sì. Nella mia famiglia ci sono stati molti casi,
è del tutto
normale.»
«E
per gli eredi come fate? Cioè, per la purezza del sangue e
tutto il
resto...»
Draco
lo guardò e sbatté le palpebre, particolarmente
confuso. «Pensavo
che a questo punto, Potter, tu abbia capito come si fanno i bambini,
no? O devo spiegartelo? Se vuoi te lo mostro, ancora, non ho
problemi, ma quella vecchietta laggiù sicuramente
avrà da ridire
non appena–»
«So
come si fanno i figli!» per fortuna, si ricordò di
non urlare, dato
che, nonostante la poca quantità di clienti, si trovava
ancora a
lavoro, «Ma due Maghi, due maschi non possono mica, che ne
so,
restare incinti!»
Quella parola sembrava così strana detta ad alta voce che
non riuscì
ad evitare di fare una smorfia.
«Oh.
Non lo sai? Un Mago può generare figli.»
Lo
guardò come se avesse detto la barzelletta più
bella di tutti i
tempi ma che lui non aveva proprio capito. Se un Mago poteva restare
incinto,
e
da quello che aveva intuito dal discorso generale facendo normalmente
sesso, sesso che loro due avevano fatto quasi ininterrottamente per
quasi un mese, voleva dire che...
Si
portò una mano sullo stomaco, sentendolo sottosopra.
«Draco...»
Lo
sguardo che Draco gli rivolse fu triste e dolce allo stesso tempo,
come se si stesse preparando a dover consolare un bambino che stava
per scoppiare a piangere dopo essersi sbucciato un ginocchio,
«Harry,» cominciò, «non puoi
aspettare un bambino. Per far in
modo che due Maghi producano un erede, c'è bisogno della
magia di
entrambi: lo sperma magico feconda l'ovulo che la magia del ricevente
crea, e insieme creano un ambiente adatto alla crescita del feto. Tu
non hai magia.»
«Oh.»
riuscì solo a dire.
Gli
diede le spalle e si avvicinò al lavabo, sciacquando le
tazzine e i
piattini usati. Gli occhi pizzicavano in modo crudele, e si
stupì
quando, alla fine, davvero scoppiò a piangere lì,
davanti a tutti.
Era dalla morte di Sirius che non versava neanche una lacrima.
Riuscì
a nascondersi coprendo il viso con i capelli, ma non capì se
ci
fosse riuscito o no. Si asciugò gli occhi e il naso con la
manica,
sapendo già che Draco gli avrebbe fatto una bella ramanzina
per aver
imbrattato così la maglietta, ma proprio non riusciva a
smettere.
Era deluso e frustrato, perché neanche quella gli era andata
bene –
nella sua vita non era andato mai bene niente. L'unica cosa bella che
gli era capitata era, senza ombra di dubbio, la presenza di Draco
che, nonostante tutti i suoi difetti e nonostante tutte le cose che
stava rinunciando per colpa sua, ancora restava al suo fianco.
«Harry.»
Si ritrovò Draco accanto pochi secondi dopo, una mano dietro
la
schiena e il viso piegato cercando di guardargli la faccia che
continuava a nascondere. Aveva il respiro pesante, cercava di non
singhiozzare, e Draco tentava di tranquillizzarlo, «Non
credevo la
prendessi così male, non te lo avrei detto altrimenti.
Smettila di
fare la mammoletta, sei un Babbano adesso, no?»
«Sono
un Babbano perché ho perso la magia, non perché
sono nato così.
Io... avrei potuto, un giorno... invece questa è l'ennesima
cosa
che, per colpa mia, tu...»
«Potter,
smettila, davvero. Non ti riconosco, sai bene che se mi fosse
interessato non sarei qui, quindi basta–»
«Va
tutto bene? Harry?» Vivianne, che stava rimettendo nel
proprio posto
i libri in disordine, si avvicinò con su un'espressione
preoccupata.
Guardò Draco, «Avete litigato?»
Harry
alzò gli occhi e vide Vivianne con dietro di lei le
vecchiette di
prima che si erano avvicinate per vedere cosa era successo.
Andò nel
panico, sentendo la vergogna salire per essere crollato così
stupidamente lì davanti a tutti. Neanche lui si riconosceva
in quel
momento, cosa gli era preso? Con tutte le delusioni che aveva avuto
nell'ultimo anno, quella non era neanche la peggiore –
insomma, non
credeva che i maschi potessero avere dei figli, ci aveva già
messo
una pietra sopra quando si era ritrovato innamorato di Draco
–
quindi, perché? Probabilmente aveva accumulato troppo e
adesso non
ce l'aveva fatta più. Era strano comunque, non era da lui.
Hermione,
se lo avesse visto in quello stato, avrebbe controllato se non fosse
malato o non fosse stato maledetto in qualche modo.
«Va
tutto bene, scusatemi.» cercò di sorridere e si
asciugò le ultime
lacrime. Draco non gli disse neanche niente, quando si pulì
il naso
con la manica della maglietta, ma si limitava a fissarlo colpevole,
«Ho avuto un attimo di... credo di non essere molto in forma.
È
passato, non succederà più, scusate.»
«Non
ti preoccupare, vuoi tornare a casa? Non è un problema, qui
posso
gestirlo da sola per oggi. Così torni lunedì che
sei già in forma
e recupererai le ore perse.» Vivianne gli fece l'occhiolino,
ma
persino Harry si accorse che era visibilmente preoccupata. Per Diana,
aveva fatto preoccupare mezzo paese con la sua crisi isterica!
«Lo
porto a casa io.» disse Draco, prendendogli il braccio come
se
avesse timore dovesse cadere da un momento all'altro.
«Ma
sto bene–»
Vivianne
li buttò fuori quasi a calci, «Non ti voglio
vedere prima di
lunedì!»
Tornarono
a casa nel silenzio più assoluto, ma quella stessa sera
Draco gli
chiese scusa, inginocchiandosi a modo suo, e tutta la delusione che
aveva provato quel giorno era passata in secondo piano.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Episode 5 ***
Non
era stato meglio, dopo quel giorno. Era successo che, a volte,
scoppiasse a piangere per le cose più stupide come un film
strappalacrime guardato da solo sul divano, alla tv decrepita che
aveva trovato nell'appartamento quando si era trasferito – e
puntualmente, cercava di nascondere ogni traccia del suo disagio non
appena Draco arrivava a casa. Come se non bastasse, stava iniziando
ad avere dei dolori atroci allo sterno e alla schiena – e la
nausea, quasi perenne, non riusciva a tenere nello stomaco
assolutamente nulla per più di qualche minuto che subito
andava a
rigettarlo nella tazza del water. Ovviamente, per tutta la settimana,
aveva cercato di tenere nascosto il suo malessere a Draco, e a parte
qualche sguardo preoccupato, era riuscito a non far nascere in lui il
dubbio che fosse malato.
Si
era distrattamente informato usando il computer di Vivianne, a
lavoro, descrivendo i vari sintomi che sentiva e facendo una breve
ricerca su internet. Le opzioni non erano molto favorevoli, ma non
preannunciavano neanche morte imminente: forse aveva una leggera
depressione che lo portava ad avere crolli emotivi, e lo stress
accumulato gli stava dando problemi gastrici e alimentari. Decise che
sarebbe stato più attento da quel momento in poi,
perché proprio
diventare anoressico o bulimico non era proprio nei suoi piani
– e
anche se si sentì un po' in colpa, continuò a non
dire nulla a
Draco.
Fino
a che non poté più nasconderlo. Dopo quasi una
settimana dove era
andato avanti solo a tea alla menta – che sembrava l'unica
cosa che
riusciva a non vomitare violentemente dopo poco tempo – il
venerdì
pomeriggio, nella Libreria Caffè, mentre stava riponendo dei
libri
su uno scaffale, sentì la testa girare e la terra mancargli
sotto i
piedi, e fu davvero una fortuna se non sbatté la testa su
qualche
spigolo, quando svenne per mancanza di forze.
Vivianne
lo mandò a casa arrabbiata nera perché,
nonostante le avesse detto
che stava bene e che non aveva avuto bisogno di un parere medico, le
aveva palesemente mentito e aveva minacciato di chiamare il pronto
soccorso, la prossima volta che sarebbe successo una cosa del genere,
se lui non avesse chiamato subito un dottore e non si sarebbe fatto
visitare. Tutto quello che fece, invece, non fu altro che infilarsi a
letto e addormentarsi di botto, sentendosi debole come mai era
successo in vita sua. Non avvisò neanche Draco che era
tornato a
casa prima e non era a lavoro.
Infatti,
poche ore dopo, si svegliò sotto le urla di Draco che,
indignato,
cercava di svegliarlo a male parole. «Stai male da una
settimana e
io vengo a saperlo solo adesso da Vivianne la Babbana dopo che sei
svenuto?! Ti rendi conto che, solo per questo, ho terribilmente
voglia di lanciarti incantesimi urticanti cosicchè non farai
altro
che grattarti come un cane pulcioso per tutto il fine
settimana?!»
«Draco,»
gracchiò, senza uscire dalla fortezza di coperte dove si era
avvolto
– era Aprile ma non aveva ancora così caldo da
evitare il tepore
del letto, «mi va bene che tu mi maledica adesso, ma puoi
evitare di
urlare? Ho un mal di testa atroce.»
Draco
sembrò sgonfiarsi come un palloncino. Si sedette sulla
sponda del
letto, al suo fianco, e cercò di scoprirgli almeno il viso,
«Hai
battuto la testa quando sei caduto oggi?»
«Veramente
non è stata una caduta così violenta. Sono caduto
di sedere.»
ridacchiò, accontentando Draco e uscendo fuori dal suo
nascondiglio,
«Sto bene, non preoccuparti. Non mangio bene da giorni e ho
una
nausea perenne, tutto qui.»
«Tutto
qui. Certo. Sei un idiota.»
«Scusa,
avrei dovuto dirtelo.»
«Sì,
avresti dovuto, Potter.» Draco sospirò, poi lo
guardò e sogghignò,
«Vuoi farti perdonare?»
Harry
arrossì, «Draco, non so se, in questo momento, io
sia in grado di
fare alcunché, magari se riposo un po' prima...»
«Sei
un idiota.» ripeté, alzando gli occhi al cielo,
«Non voglio le tue
grazie malaticce adesso, e neanche i tuoi vani tentativi di
seduzione, che, ammettiamolo, fanno piuttosto pena.»
«Però
hanno sempre effetto su di te, non sei mai riuscito a
nasconderlo.»
gli fece notare, facendo, con un dito, il gesto di qualcosa che si
alzava.
«Non
lo nego. Tornando al discorso di prima, per farti perdonare devi
accettare di prendere delle pozioni che ti porterò, va
bene?» Harry
si mise a sedere di scatto, guardandolo incredulo di quello che gli
stava chiedendo, ma prima che potesse urlare che no, non avrebbe
assolutamente fatto sapere a qualche Medimago dove fosse e in che
condizioni vivesse, Draco fermò ogni sua protesta,
«Dirò che sono
per me. Saranno solo pozioni contro la nausea, te lo giuro, Harry.
Non dirò a Madama Chips che sei coinvolto.»
Lo
fissò, indeciso. Strinse le lenzuola tra le dita, prima di
rispondergli, sospirando: «Okay, va bene. Mi fido. Pur di
smettere
di vomitare non appena metto qualcosa sotto i denti, sono disposto a
tutto, a questo punto.»
Dopo
un ultimo sguardo pensieroso, Draco si alzò, gli
baciò la fronte e
disse: «Torno subito.» prima di smaterializzarsi.
Si
riaddormentò neanche pochi secondi dopo, avvolgendosi di
nuovo tra
le coperte del suo letto. Non seppe quanto tempo Draco stette via, ma
si rese conto di star sognando quasi subito quando, aprendo gli
occhi, si ritrovò davanti Ron che, dallo sguardo ferito,
stava
lanciando sul letto pozioni su pozioni, mentre al suo fianco c'era
Hermione che esibiva la pancia gonfia avvolta da una maglietta troppo
stretta. Era in lacrime, stringeva forte la mano di Ron, mentre
quest'ultimo gli stava gridando qualcosa che Harry non sentì.
Si
svegliò si soprassalto quando sentì il rumore
della
smaterializzazione di Draco nella sua camera da letto. Lo
guardò,
sicuramente pallido come un fantasma e zuppo di sudore. Draco fu
subito al suo fianco, «Va tutto bene?»
«Sì.
Solo un incubo.» lo rassicurò.
«Ti
va di raccontarmelo?»
Harry
si scusò con lo sguardo, «Magari dopo.»
disse, poco convinto. Il
sogno lo aveva lasciato scosso, e non aveva voglia di parlarne.
Sapeva che Ron ed Hermione erano le persone che gli mancavano
più di
tutte – persino più di Ginny, anche se ormai non
provava più
niente per lei in quel
senso,
restava importante per lui – ma non capiva perché,
dopo quasi nove
mesi di lontananza, dovesse sognarli proprio adesso. In quel modo,
poi.
«Va
bene, Harry, come vuoi. Quando te la sentirai, sarò felice
di
ascoltarti. Ma prima...» Draco tolse dalla tasca del mantello
che
raramente indossava, almeno quando veniva da lui, un'ampollina
contenente del liquido verde scuro, e alla sua sola vista Harry ebbe
già il bisogno di correre al bagno e vomitare.
«Devo
proprio?» chiese, con tono lamentoso, mentre suo malgrado
prese
l'ampollina tra le dita e la stappò. L'odore era nauseabondo
proprio
come l'aspetto, e fino all'ultimo sperò che, almeno il
sapore, non
fosse persino peggio.
«Sì,
devi berlo fino all'ultima goccia. Se...» si fermò
e di inumidì le
labbra, aveva lo sguardo lontano e pensieroso, «Se non fa
effetto,
ne ho un'altra più forte. Però promettimi che, se
neanche
quell'altra ti farà passare la nausea, andrai a farti
controllare da
un medico, Babbano o no, non mi importa.»
Harry
scrollò le spalle noncurante e, in un sol sorso, bevve la
pozione
verde – come volevasi dimostrare, faceva davvero schifo.
Passarono
solo pochi secondi prima che Draco fu costretto a trasfigurare il
bicchiere d'acqua che aveva appoggiato sul comò in un
secchio,
perché subito i conati di vomito gli fecero rigettare la
pozione e
anche il tea che aveva bevuto poco prima di andare a lavoro quella
mattina. Quando terminò, Draco fece evanescere ogni cosa.
«Normalmente
mi avrebbe dato fastidio l'uso della magia davanti a me, ma in questo
momento ringrazio il cielo che tu abbia quella bacchetta. Sarebbe
stato orribile dover togliere il vomito dalle lenzuola lavandole a
mano.» scherzò, debolmente.
Draco,
però, non rise. Prese l'altra ampollina che, anche quella,
aveva
nascosta tra le pieghe del mantello e gliela porse, non prima di
averla fissata con sguardo crucciato. «L'altra l'hai
rigettata
quindi non ha fatto effetto, prendi questa.»
Quella
pozione, diversamente dalla prima, era di un verde un po'
più
chiaro, ma in egual modo disgustoso. Quando la stappò,
però, non
aveva affatto un odore insopportabile, ma anzi, sapeva vagamente di
menta. Anche quando la bevve, seppur non avesse un buon sapore, aveva
quel retrogusto fresco che aveva anche il tea alla menta che aveva
preso in continuazione quella settimana.
Aspettò
un po', poi sorrise, quando si rese conto che la nausea era del tutto
passata. «Ha funzionato!» esultò. Quasi
non ci aveva sperato,
vedendo come il suo corpo aveva reagito con la prima pozione: per un
attimo, aveva pensato che, non avendo adesso la magia, il suo
organismo non poteva accettare più neanche gli oggetti
magici. «Sto
già molto meglio, te lo assicuro. Mi è persino
passato il mal di
schiena, che in questa settimana è stato come una
costante.»
Non
si aspettò che Draco lo baciasse, in quel momento. Per
Diana, okay
che aveva preso una pozione e il saporaccio del vomito era andato
via, ma un tipo perfettino come Draco non lo avrebbe mai baciato in
quelle condizioni. Fu solo un bacio a stampo che Harry di certo non
disdegnò, ma fissò Draco con un sorriso ma con
uno sguardo confuso,
quando appoggiò la fronte sulla sua.
«Ho
appena vomitato.» gli fece notare.
Draco
si limitò a sorridere, a sorridere apertamente. I suoi occhi
brillavano, felici. «Dobbiamo parlare.»
Harry
aggrottò le sopracciglia, «Non è mai
una cosa positiva.»
«Questa
lo è.» lasciò la presa sul suo viso e
si alzò, porgendogli poi la
mano per farlo alzare dal letto, «Ma prima andiamo a mettere
qualcosa sotto i denti. Hai detto che è più di
una settimana che
non riesci a mangiare, no?»
Harry
annuì e accettò la mano, stringendo le dita tra
quelle lunghe di
Draco.
«Però
così mi metti un'ansia pazzesca, Draco, sul serio. Sputa il
rospo.»
Non
appena avevano messo piede in cucina, Draco gli aveva intimato di
andare a sedersi sul divano del soggiorno e di non muoversi da
lì,
mentre lui prendeva qualcosa da mangiare. Incredulo, Harry non fece
altro che annuire ed obbedire, per poi rendersi conto che Draco,
proprio Draco Malfoy, gli aveva preparato dei toast con formaggio e
prosciutto come li adorava mangiare e, come se non bastasse, teneva
in mano anche un sacchetto con all'interno un tortino alla melassa e
una bottiglia di succo di zucca. Gli mise tutto davanti, sopra uno
dei vassoi d'argento che la vecchietta gli aveva lasciato
nell'appartamento, mentre lui si prese uno solo dei cinque toast che
aveva preparato.
In
effetti, Harry aveva una fame che non ci vedeva più,
però non poté
negare a se stesso che il comportamento di Draco era così non
da lui che
stava iniziando a preoccuparsi. Dopo aver divorato tre toast e il
tortino alla melassa, e aver bevuto un bicchiere di succo di zucca,
lo guardò preparandosi al peggio.
Draco
sospirò. «So che non mi crederai, non dopo aver
avuto quella
discussione neanche una settimana fa, ma, Harry, la seconda pozione
era per le nausee
mattutine.»
«Beh,
sì. Di mattina, devo ammettere, che la nausea è
sempre stata più
violenta, anche non appena mi svegliavo senza aver toccato cibo. Ma
anche durante il resto del giorno non mi dava tregua, Draco.»
ridacchiò, afferrando un altro toast che, forse
perché li aveva
preparati Draco per la prima volta soltanto per lui, erano davvero
deliziosi.
«Non
è quello che intendevo. Le nausee mattutine sono sintomi che
hanno,
come dire, le donne incinte. Nel Mondo Magico anche i Maghi,
ovviamente, ma ecco, era per farti capire senza creare
fraintendimenti.»
Il
toast gli ricadde sul vassoio, mentre con occhi sgranati e grandi
come due piattini da tea fissava Draco senza quasi neanche vederlo.
«Stai dicendo che aspetto un bambino? Draco, non è
divertente. Sai
bene che non è possibile, me l'hai detto chiaramente
tu.»
«So
cosa ho detto. Ma, Harry, se aspetti quel bambino davvero, sai cosa
significa questo? Che hai ancora magia in te. Non so perché
non si è
manifestata dal giorno della Battaglia, forse è troppo
debole o
forse è colpa di qualche incantesimo, vorrei dirtelo ma
davvero non
lo so. So solo che c'è un'alta possibilità che tu
sia in dolce
attesa.» rise, Draco, e i suoi occhi solitamente gelidi, in
quel
momento brillavano pieni di gioia, e le sue ginocchia non riuscivano
a stare ferme e composte, smaniando per avvicinarsi a lui.
«Se non
mi credi, o comunque vuoi essere sicuro di tutto, ti prego Harry,
vieni con me da Madama Chips.»
«No.»
«Harry,
per favore...»
«No.»
scosse la testa e, agitato, si alzò, facendo cadere il
vassoio per
terra. Non se ne curò, ebbe solo la voglia di arrabbiarsi
con Draco
per stargli facendo quello scherzo di pessimo gusto e di volerlo
portare in quel mondo che, dopo tanti sacrifici e tante sofferenze,
era riuscito a lasciarsi alle spalle, nonostante la malinconia.
«Non
so dove tu voglia andare a parare, Draco, ma non è
divertente quindi
smettila. Non verrò da te da Madama Chips perché
è impossibile che
io aspetti un bambino, quindi basta così prima che ti lanci
qualcosa!»
Anche
Draco si alzò e gli fu subito vicino, prendendogli il viso
tra le
mani e baciandogli le labbra in modo leggero come se fossero una
farfalla, con i pollici gli accarezzava le gote in quel modo dolce
che Draco raramente aveva ma che più tempo passavano
insieme, e più
usciva fuori. Si sciolse tra le sue braccia, anche se in quel momento
non voleva. «Non ti sto prendendo in giro, te lo giuro su
ogni cosa
che ho di più caro. Che, beh, al momento sei tu.»
rise, e gli diede un altro bacio, «Non ti sto chiedendo di
andare al
San Mungo, dove chiunque può riconoscerti e correre al Profeta
per
testimoniare la tua presenza nel Mondo Magico. Ti sto chiedendo di
venire con me ad Hogwarts, di venerdì sera, dove ogni
alunno, in
questo momento, è chiuso nel proprio dormitorio a studiare
per avere
poi il sabato e la domenica liberi. Madama Chips non dirà
nulla a
nessuno, e se sarà necessario la oblivierò subito
dopo, ma ti
prego, se davvero aspetti un bambino non solo saremo le persone
più
felici di questo mondo, ma vuol dire che hai ancora la magia, e anche
abbastanza per creare l'ambiente adatto per la crescita del
feto.»
Harry
chiuse gli occhi, mentre alzava le mani e le appoggiava sopra quelle
di Draco. «Ho mai detto che ti amo?»
«No.
Ma lo sospettavo. Io te l'ho mai detto?»
«No.»
scosse la testa, e nacque un sorriso specchio di quello di Draco,
«Ma
lo sospettavo.»
«Quindi
cosa farai, Harry? Verrai con me da Madama Chips?»
«Ho
altra scelta?» chiese, abbassando gli occhi, «In
realtà ho paura
di restare deluso di nuovo. Hai detto che è una
possibilità, non
una certezza, ma farà sempre male se anche questa speranza,
alla
fine, si rivelerà vana.»
«A
questo ci penseremo poi, va bene? Ci penseremo poi.» Fece
scivolare
via le mani dal suo viso, «Vado a prenderti un mantello, ad
Hogwarts
piove. Tu va' a cambiarti.»
Indossò
senza particolare voglia dei jeans e una felpa non troppo leggera,
Mentre si cambiava, si fermò con solo le braccia dentro la
ferpa
davanti allo specchio del bagno, e i suo occhi caddero sulla sua
pancia. Era piatta, come era sempre stata. Anzi, forse era persino
più incavata a causa del digiuno forzato della settimana
passata, ed
Harry si limitò a sospirare. Non sapeva praticamente niente
di
gravidanze, nè femminili nè, tantomento,
maschili, ma era quasi
sicuro che la pancia si sarebbe dovuta gonfiare come un palloncino e
somigliare ad una balena, invece che averla inesistente e somigliare
ad una sogliola.
Corse
in cucina quando sentì il rumore della smaterializzazione di
Draco.
Lo trovò al centro della stretta stanza con in mano uno dei
suoi
mantelli, segno che era passato al Manor di fretta e furia e aveva
preso il primo che gli era parso davanti. Non che ad Harry
importasse, comunque. Accettò il mantello e lo
indossò nel modo
meno goffo che conosceva – non usava un mantello da
più di un
anno, durante la guerra aveva sempre gli stessi vestiti addosso per
forza di cose – poi guardò Draco.
Gli
chiese: «Non sei stanco dopo aver usato la Smaterializzazione
così
tante volte, oggi?»
«No.
Chi credi che io sia? Sapevo smaterializzarmi persino prima che tu ti
rendevi conto che la magia esistesse.» sorrise, accattivante,
e gli
porse una mano, «Sei pronto?»
«No.
Ma possiamo andare lo stesso.»
Si
ritrovò sotto la pioggio con lo stomaco che, invece, era
sottosopra.
Ringraziò tutti gli Dei quella pozione che aveva preso e che
gli
aveva fatto passare del tutto la nausea, almeno per quel giorno,
altrimenti si sarebbe ritrovato a vomitare proprio davanti alle nuove
barriere di Hogwarts. Camminarono in silenzio, superando i cancelli.
Da lontano, Harry vide il campo da Quidditch ancora da ristrutturare
del tutto, ma a parte le macerie che una volta erano gli spalti, il
castello non aveva più alcun segno della guerra.
Quando
entrarono e furono coperti da quella pioggia primaverile,
notò che i
corridoi erano completamente deserti. Fortuna che l'infermeria si
trovava nel primo piano e non ci avrebbero messo molto, ma si sentiva
troppo esposto in ogni caso, nonostante fosse nascosto sia dal
cappuccio della felpa che da quello del mantello. Arrivarono davanti
all'infermeria senza aver incrociato neanche un fastasma e, a quel
punto, Harry non riuscì a non chiedere: «Non
c'è nessuno?»
«Ci
sono tutti.» Draco sussurrò, e sembrava
così strano. Sembrava un
posto abbandonato. «Solo che sono cambiate un po' di cose
dall'anno
scorso. Tutti i ragazzi preferiscono tornare a casa loro il fine
settimana per stare con i propri cari, e chi resta non ha molta
voglia di giocherellare in giro, ma resta chiuso nei propri dormitori
a studiare o a passare più tempo possibile con i propri
amici.»
«È
come se... se si fossero annullati tutti?» chiese, incredulo.
«Puoi
biasimarli? Tutti hanno perso qualcosa, qui. E poi è passato
troppo
poco tempo per lasciarsi tutto alle spalle, le immagini che tutti
hanno visto tra queste mura sono ancora vivide come se fosse successo
ieri.» Draco gli prese la mano e aprì la porta
dell'infermeria,
donandogli un mezzo sorriso, «Vedrai che tutto
tornerà come prima.
Solo, non subito.»
Harry
annuì, capendo perfettamente. Con tutte le
probabilità del mondo,
anche lui, se fosse tornato ad Hogwarts, avrebbe agito allo stesso
modo. Sarebbe passato nei punti dove aveva visto i corpi senza vita
di Fred, Remus e Tonks e sarebbe scappato a rinchiudersi nel suo
dormitorio senza uscirne per un bel po'.
Si
irrigidì, però, quando nell'infermeria deserta,
vide, in un angolo,
Madama Chips che stava rimettendo al proprio posto delle ampolle
piene di liquidi di vari colori. Draco, facendo forse finta di non
vedere il suo disagio, la chiamò.
«Madama.»
«Signor
Malfoy. Vedo che ha portato il suo amico.»
la donna, dal viso più stanco di quello che ricordava, si
girò
verso di loro e fece un sorriso ad entrambi, anche se vedeva soltanto
il viso di Draco.
«Ha
fatto solo effetto la seconda pozione.» la
informò, mentre Harry,
mettendo mano a tutto il coraggio Grifondoro che gli era rimasto,
iniziò a scoprirsi dei cappucci zuppi di pioggia che Draco,
nell'ansia del momento, si era dimenticato di asciugare. «Se
non è
un disturbo, dovrebbe toglierci qualche dubbio.»
Madama
Chips osservò il viso finalmente libero da qualsiasi
nascondiglio di
Harry e sgranò gli occhi, facendo come a portarsi una mano
alla
bocca. «Harry...» sussurrò, per poi
ricomporsi quasi
immediatamente e fare cenno ad entrambi di avvicinarsi al lettino
più
lontano dalla porta d'ingresso, ed Harry la ringraziò
mentalmente.
Non voleva rischiare di farsi beccare dentro Hogwarts da un ragazzino
che era caduto dalla scopa.
Madama
Chips iniziò a porgli qualche domanda ed Harry, suo
malgrado,
dovette dirle di tutti gli sbalzi d'umore e di tutti i disturbi e i
dolori che aveva tenuto Draco all'oscuro, e sentì il suo
sguardo
arrabbiato dietro la nuca come se fossero dardi di fuoco, ma non
disse nulla. «Signor Potter,» cominciò
la donna, afferrando la sua
bacchetta e lanciandogli qualche incantesimo, «sa cosa
significa se
lei, effettivamente, aspetta un bambino?»
«Che
ho magia, lo so.» rispose, ma non ne era entusiasta. Sapeva
che non
era possibile.
«I
sintomi sono tutti di quelli di una gravidanza maschile. I dolori
alla schiena e allo sterno sono perché il suo corpo sta
cercando di
adattarsi alla magia sconosciuta e alla nuova vita dentro di lei. Le
nausee e gli sbalzi d'umore sono, ovviamente, a causa degli ormoni e
del feto.»
«Possiamo
saperlo con certezza?» chiese Draco, ed Harry vide che stava
iniziando a spazientirsi per l'attesa.
«Certamente,
signor Malfoy.» Madama Chips agitò di nuovo la sua
bacchetta,
stavolta però proprio sulla sua pancia piatta, e davanti a
loro
apparì un immagine tridimensionale. «Posso dire
con certezza,
adesso, che lei aspetta un bambino, signor Potter.»
annunciò, e con
la mano non occupata a tenere la bacchetta sulla pancia,
indicò un
esserino che Harry non seppe ben capire a cosa somigliasse muoversi
agitato. Era piccolo come un fagiolo, o poco più, e alla sua
vista
gli occhi di Harry si inumidirono.
«Quando
è stato... quando...» deglutì, cercando
di togliere quel nodo che
gli stringeva la gola, «Quanto è
grande?» chiese, non riuscendo a
fare una domanda di senso compiuto.
«Circa
tre settimane. A fine Dicembre potrete abbracciare vostro figlio,
direi.»
Da
quel momento, non ascoltò più niente che non
fosse quel lieve thum
thum del
cuore di suo figlio – suo e di Draco – e non vide
più niente che
non fosse quel fagiolino che nuotava nel suo stomaco. Non
sentì
Madama Chips e Draco che discutevano sui mesi futuri, sul bisogno di
costante monitoraggio da parte di medici esperti, di pozioni e
vitamine che avrebbe dovuto prendere durante tutto l'arco dei nove
mesi. Si estraneò anche solo per quei brevi minuti, per
rendersi
appieno conto di quanto tutto quello fosse vero. Neanche gli
importava, al momento, del fatto che aveva
la magia,
seppur sopita.
Era
passato del tutto in secondo piano.
«Harry.»
Draco attirò la sua attenzione, prendendogli una mano e
stringendola.
«Cosa
vuole fare, signor Potter?» chiese Madama Chips, in modo
pacato.
Aveva
tante cose da fare, adesso. Sicuramente, doveva andare dagli Weasley,
chiedere perdono per il suo abbandono, ma desiderava che anche loro
facessero parte della vita di suo figlio. Doveva lasciare il lavoro,
perché di certo non poteva presentarsi tra i Babbani con il
pancione. Immaginava che sarebbe dovuto andare anche dai Malfoy,
perché sarebbe stato ciò che Draco desiderava,
che, nonostante gli
errori, anche i suoi genitori potessero fare i nonni per il suo
erede. E ancora, doveva fare in modo di avere una camera per il
bambino, comprare una culla e tutti gli oggetti che gli sarebbero
stati utili. Aveva davvero un sacco di cose da fare.
Ma
per il momento, guardò Draco con così tanta
voglia di baciarlo
proprio lì, su due piedi, davanti a Madama Chips –
e sembrò quasi
che gli avesse letto nel pensiero, o che avesse usato su di lui la
Legilimens, perché non appena aveva pensato di farlo, Draco
si piegò
su di lui e gli diede un bacio casto sulle labbra, mentre una mano si
appoggiava leggera come una piuma, quasi come se avesse paura di
rompere qualcosa di prezioso e fragile come vetro, sulla sua pancia.
«Andiamo
a casa.»
Spazio
Autrice
Ecco
la fine di questa breve storia! Era nata come one-shot, ma mi
è
venuta particolarmente lunga e mi è sembrato giusto
suddividerla in
questo modo, anche per creare della suspance (?)
Comunque,
spero tanto vi sia piaciuta! <3 Non mi sono fatta sentire finora
perché, essendo una one-shot, ho ritenuto giusto non
spezzare ancora
di più la narrazione con i miei sproloqui!
Ringrazio
tantissimo le bellissime persone che hanno recensito, e i lettori
silenziosi! E non dimentico di certo le meraviglie che l'hanno messa
tra le preferite/ricordate/seguite! <3
A
presto! ;)
Emily.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3685598
|