Terzo
capitolo. Licenziamento! Botte! E Lilian! Tutto in una sola giornata!
Povero Bill, alle prese con il suo adorato figliolo, con una meaestra
giovane e gentile, e dalla parte dei più deboli. Si
preparano ad un viaggio verso casa. La vita di papà non
è facile! Bill lo sa perfettamente. Ma ha una forza che gli
permette di andare avanti: La forza dell'amore.
Capitolo
terzo: E' dura essere papà
Tom
aprì la porta della
macchina. “Ciao Tomi!”. Lui mi sventolò
la manina davanti
al volto e poi uscì andando in contro alla sua maestra. La
giovane si sporse a guardare dentro la macchina e mi fece un cenno di
saluto.
“Salve!”
disse lei prima di
prendere la manina di Tom e entrare sorridente nel cortile della
scuola.
Quella donna era
semplice e solare, mi
piaceva a impatto. Era una buona maestra.
Ripartii per
raggiungere il mio posto
di lavoro.
Molti si
chiederebbero che lavoro
potessi fare se non il musicista.
Effettivamente
non sapevo fare altro
che il mio ex lavoro, per cui l’unico lavoro che potevo fare
subito
senza licenza era il cassiere in uno stupido McDonald’s.
Parcheggiata
l’auto nel parcheggio
entrai dalla porta del retro e indossai il solito stupido camice.
Mi presi una
marea di parole dal
proprietario per il ritardo e mi diressi alla cassa. Cominciava una
noiosissima giornata di lavoro.
Con la faccia
che mi ritrovavo, i
clienti si fermavano a parlarmi, a insultarmi o a bisbigliare troppo
forte e tutto dipendeva dal soggetto.
Quel giorno mi
capitò un uomo
dall’ampia corporatura. Entrò al seguito dei suoi
figli
fotocopia fieri dei propri rotoli di ciccia. Arrivato alla cassa mi
accorsi che non era molto più alto del banco e cordialmente,
come al solito ripetei la solita barbosa frase “Cosa desidera
ordinare signore?” Aspettai una sua ordinazione.
Le sue
sopracciglia si inarcarono e mi
squadrò come fossi un animale da soppesare.
“Scusi? Come ha
detto?”
Notai che aveva
proprio una faccia da
schiaffi.
Cercai di essere
gentile. “La sua
ordinazione prego”
Lui
scoppiò in una risata che
gli fece vibrare il petto. “Questa è forte. Avete
sentito
bambini? Questo frocio vuole che ordiniamo qualcosa!”
Si accodarono le
loro risa di scherno.
Chiusi le mani a
pugno per cercare di
trattenermi. “La sua ordinazione prego” ripetei
ancora.
“E' un
frocio papà!”
sghignazzarono i figli. Mentre il padre mi sventolò una
banconota davanti. “Prendi questa e vattene fuori dalle
palle,
frocio!”
Non so cosa mi
prese, ma la mia mano
corse frettolosamente sul suo enorme collo e cominciai a stringere
anche con quell’altra. “Ripeta
prego…” dissi a denti stretti,
mentre i figli cominciarono a piangere e la gente seduta ai tavoli a
urlare.
Un mio collega
mi supplicò di
mollarlo, ma dalle labbra del ciccione uscì un flebile
frocio
per l’ennesima volta e la mia mano si alzò prima
di riuscire
a fermarmi. Il mio pugno lo colpì in pieno viso stendendolo.
Lo lasciai cadere a terra e mi slacciai il grembiule che gettai sul
bancone.
“Mi
licenzio!” urlai furioso con
tutti. E come se niente fosse uscii dall’ingresso principale
dirigendomi alla macchina.
Oltre il vetro
le facce della gente mi
guardavano spaventate, mentre l’auto scivolò in
strada per
non fare più ritorno.
Mi fermai vicino
al cancello della
scuola.
Mi accasciai sul
sedile nel momento
esatto che suonò la campanella. Controllai che Tom uscisse,
ma
tra la marea di gente lui non c’era.
Poi vidi un
ammasso di ragazzini in
cerchio al centro del cortile muoversi come in una zuffa.
Subito pensai ci
fosse Tom coinvolto.
Smontai dall’auto e corsi verso di loro.
Da quanto capii
vi erano due bande di
ragazzi che si stava menando per un motivo sconosciuto nella
più
assoluta indifferenza degli altri e degli insegnati.
La maestra di
Tom fu l’unica che
voleva calmare le acque. “Basta!” ma fu colpita da
un pugno in
viso e rispose con uno schiaffo su un alunno. Questo comportava
già
il suo licenziamento.
In un attimo la
raggiunsi e l’aiutai
a fermare quella massa di pesti, quando vidi che al centro di tutto
vi era Tom, calpestato dai ragazzi più grandi, fermo a
terra.
Il mio cuore
vacillò e cominciai
a farmi largo tra la folla, per salvare mio figlio.
Gli insulti si
spensero in flebili
sussurri.
Raccolsi Tom tra
le mie braccia e lo
abbracciai forte. Tom sorrise, come quando scartava i regali a
Natale. Mi alzai e spinsi via dei marmocchi che ancora si ostinavano
a covare la loro rabbia.
“Ma
andate tutti quel paese. I vostri
genitori hanno i criceti nel cervello?” bisbigliai tra i
denti.
Furioso mi
diressi dentro la scuola. Il
preside doveva sentire quanto apprezzavo la sua scuola.
La sedia nel
corridoio fuori
dall’ufficio del preside era scomoda. Sedevo di fronte alla
maestra
di Tom provvista di un occhio nero. Teneva lo sguardo basso e le
braccia incrociate sul petto. Doveva essere furibonda per
quell’inconveniente.
Il preside ci
faceva attendere da
un'ora ormai. Non gli interessava che noi avessimo ragione. Lui dava
ragione a chi pagava di più.
La maestra
sbuffò.
“Grazie”
dissi in un soffio. Lei
però sentì, si voltò e mi sorrise.
“Finalmente
mi licenzierà!”
La guardai
stupito.
Proprio in quel
momento la porta si
aprì. Entrammo.
Il preside della
scuola era un uomo
alto e magro. Aveva una postura di un dittatore e il silenzio regnava
su tutti i presenti di fronte alla sua scrivania. Le famiglie dei
bambini colpevoli della rissa sedevano tronfi e gustavano
già
la vittoria.
“Mi
dispiace che non vi siano ancora
sedie a disposizione. Comunque abbiamo trovato una soluzione
più
che appropriata per quello che è successo oggi. Nella nostra
scuola non tolleriamo la violenza su studenti dell’istituto
per cui
come già avrà capito signorina Lilian
proporrò
le sue dimissioni il prima possibile, anzi oggi stesso. Inoltre
verranno puniti i ragazzi che hanno discriminato Tom ed è
stato deciso una espulsione per quest’ultimo per aver reagito
con
calci e pugni sui suoi compagni. Inammissibile questo comportamento
all’interno di un edificio pubblico”.
Le parole del
preside mi lasciarono
sbigottito. “Cosa? Lei è uno stronzo
discriminatore! Mio
figlio è stato picchiato e lei lo punisce?? Lei mi fa
schifo,
se il mondo va a puttane è colpa sua. Mio figlio non
metterà
più piede in una scuola nazista, quale è la
sua!”.
La parola
nazista li fece sussultare.
Era ancora fresca la cicatrice della seconda guerra mondiale.
Con la gola
secca dalla rabbia mi
voltai e me ne andai imprecando contro la scuola di merda.
“Papà
dove andiamo?” mi
chiese timoroso Tom.
“Non
lo so piccolo. Ma via da qui il
prima possibile” spiegai gentilmente.
Udii qualcuno
correre alle mie spalle.
“Aspetti!”
“Se ne
vada!” urlai esasperato.
Percorremmo il
giardino e aprii la
portiera per far salire Tom. Gli allacciai la cintura mentre la sua
maestra ci raggiunse con il fiatone. “Scusi. È
stato un
grande. Io sono d’accordo con lei!”
“Grazie
davvero. Ma dobbiamo andare!”
dissi salendo in macchina e accesi il motore.
La donna si
parò davanti
all’auto. “Mi ascolti…Solo un
attimo!”
La vocina di mio
figlio mi fece venire
un brivido. “Papà perché non
l’ascolti?”
Feci retro
marcia.
“La
prego un attimo!” urlò
battendo sul vetro.
Allora mi fermai
e abbassai il
finestrino.
“Ha
vinto lei…”
La donna di
sistemò i capelli.
“Guardi che disastro per rincorrerla”
aprì il palmo della
mano e mi mostrò il tacco della scarpa. “Signor
Kaulitz,
sono mortificata. È da un pezzo che va avanti questa
storia”.
Il mio cuore
fece un giro multiplo.
“Come?”
“Si,
credono che sia gay”.
“Tom
è così?” dissi
incredulo.
“Ha
ragione, papà. Mi hanno
detto che ero gay come te e che dovevi morire”.
“Amore
di papà! Perdonami se
non mi sono accorto prima di tutto questo!” dissi quasi in
lacrime.
Tom mi sorrise.
“Ti voglio bene,
papà!”
Risposi al suo
sorriso. “Deve andare
a casa a piedi? Non vuole un passaggio?” mi rivolsi poi
all’insegnante.
“Andrei
in auto, ma mi hanno forato
le gomme. Grazie è molto gentile”.
E
salì nel sedile accanto a
quello del guidatore.
“Cosa
farà ora con Tom?” fu
la domanda della maestra appena fummo sotto casa sua.
Sospirai
esasperato. “Andremo a
Loitsche. Là c'è la mia famiglia. Poi mi
cercherò
un lavoro visto che stamattina mi sono licenziato”.
“Mi
dispiace. Non deve essere stata
una giornata facile”.
“Sono
abituato. La saprà anche
lei la storia no?” chiesi titubante,
La giovane
sussultò. “Molto
bene, avevo diciassette anni quando è successo. È
ancora presto per dimenticare”.
Deglutii. Forse
lei era una nostra fan.
Volevo chiederle quanto avesse sofferto, ma non ne ebbi il coraggio.
La giovane mi
guardò cercando di
capire come stavo.
“C'è
qualcosa che non va?”
Lei scosse la
testa. “No, mi chiedevo
se non era un disturbo darmi un passaggio. Fino a Loitsche, intendo.
Le posso pagare la benzina!”
Tom saltava
già dalla gioia. Io
invece ero preoccupato.
“La
prego! Non le sarò
d'intralcio. Starò zitta e muta!”.
In questo
momento mi sembrava una
bambina dagli occhi dolci.
Sorrisi.
“Va bene, ma ad una
condizione!”
Annuì
già con gli occhi
luccicanti. “Non voglio soldi e non deve andare in giro a
raccontare ciò che sarà detto dentro questa
macchina!”
“Sono
due le richieste”.
Rimasi
interdetto per vari secondi. Poi
capii. “Ah si! Vanno bene anche due?”
La maestra
annuì. “Perfetto!
Allora a domani mattina! E mi chiamo Lilian. Ciao Tom!”
Tom mosse la sua
manina in saluto e poi
cominciò a parlare di tutto quello che si ricordava sulla
maestra.
Ormai avevo
capito quanto in gamba
fosse quella ragazza.
AUTRICE: Questo capitolo è un pochino
insipido, ma è in cantiere il prossimo capitolo in cui mi
soffermerò di più sulla figura di Bill., sulla
sua figura di padre, vedovo e nel corso della storia avverto che
dovrà fare i conti con la sua voglia di continuare a
cantare.
Naturalmente ci sarà spazio per parlare di Tom, e di tutto
il resto del gruppo più avanti. Certamente
inserirò la spiegazione del fallimento dei Tokio Hotel. Poi
è tutto da vedersi :) Ringrazio chi ha inserito questa
storia nei preferiti, chi l'ha recensita e chi semplicemente ha letto!
Un saluto dalla neo diciasettenne (mi ci devo ancora abituare!!). Un
bacio!
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