La forza dell'amore

di Bibismarty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la forza dell'amore ***
Capitolo 2: *** Vorrei diventare cantante ***
Capitolo 3: *** E' dura essere papà ***
Capitolo 4: *** Man in the mirror ***



Capitolo 1
*** la forza dell'amore ***


…˚*La forza dell’amore*˚…


Ciao a tutti! Io mi chiamo Bill Kaulitz e sono qui a scrivere oggi per raccontavi la mai vita. 

Molti ricorderanno il mio nome urlato, gridato, strillato da un’onda irrefrenabile di ragazze e poi caduto nella polvere circa 9 anni fa, quando cominciò il mio incubo.

Fatico ancora oggi a credere che sia finito tutto da un giorno all’altro. 

Però senza motivo e spiegazione il nome Tokio Hotel è scivolato in un baratro profondo e a soli 18 anni mi sono ritrovato senza un lavoro a girovagare per le vie di Berlino. 

Poi una notte mi sono imbattuto in una ragazza che lavorava come prostituta. 

Da allora la mia vita è cambiata radicalmente.

L’amore che mi ritrovai a provare per quella ragazza era fortissimo. 

Mi rese padre, ma un girono mi svegliai e ritrovai  solo un biglietto al mio fianco con su scritto che era malata. 

Aveva un tumore. 

Il sangue nelle vene mi si era gelato. 

Non aveva molto da vivere e restare ancora ad abbracciare suo figlio le avrebbe fatto solo che male. 

Così da allora io e Tom, come avevo chiamato mio figlio in onore del mio gemello, vivevamo come una piccola famiglia ristretta…

Benvenuti nella la mia vita.

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Capitolo 2
*** Vorrei diventare cantante ***


Salve! questo è il secondo capitolino di questa storia...non costa niente lasciare una piccola recensione, così almeno so se la storia piace o meno, perchè sennò la cancello e poi niente lamentele...cmq in questo piccolo capitolo Bill sarà alle prese con suo figlio. Sarà un buon o pessimo papà? leggete e scopritelo! 

Capitolo secondo: Vorrei diventare cantante

La tapparella della stanza era abbassata e filtrava solo una flebile luce che illuminava il tappeto. Non avevo problemi a orientarmi perché conoscevo la disposizione delle cose. Avanzai verso il letto. “Tom? Dai ometto svegliati…”

Il piccolo corpicino di un bambino di 6 anni si rivoltò sotto le lenzuola. “Ancora un attimo, papà!” borbottò nel sonno.

“Devi andare a scuola…Sveglia!” e con questo alzai la tapparella inondando la stanza di luce, svegliandolo.

Un gemito arrivò dal letto e poi, come uno zombie, Tom, si alzò dirigendosi in cucina mentre si strofinava gli occhi.

Lo seguii per servire in tavola la colazione. “Cosa hai da fare oggi? Quando torni fuori da scuola ti andrebbe di andare al luna park? Ho visto del…”

“Papà non posso. Vado a casa di un mio amico”

Mi strinsi nelle spalle. “An ok sarà per un’altra volta…” Gli misi sotto il naso una tazzina di latte fumante. La bevve tutto d’un colpo e appoggiò la tazzina davanti a sé. Le sue labbra erano tutte sporche di latte. Sorrisi e con un lembo del grembiule lo ripulii.

“Papà?” chiamò Tom. Quando lo faceva era perché doveva chiedermi qualcosa di brutto.

“Si cucciolo dimmi…”

I suoi occhioni color nocciola penetrarono i miei. “Perché mi sento il cuore vuoto? Credi che sia perché mi manca mamma?”

Quella domanda rimbombò nella mia testa cranica per interminabili secondi. Assorbito il colpo mi chinai per essere alla sua altezza. Gli arruffai i capelli affettuosamente. “Ti devo confessare che anche a me manca moltissimo la mamma. Ogni giorno mi chiedo come sarebbe stato averla con noi ancora per un po’. Però poi penso che lei vuole che siamo felici e che guardiamo avanti. Perché ci vuole bene e da lassù ci protegge con ogni sua fibra e ti viene a dare il bacio della buona notte ogni notte!”

Tom si strofinò la guancia con la mano. “Davvero?” chiese incredulo.

Io annuii e i suoi piedini cominciarono a dondolare giù dalla sedia perché ancora non toccava terra.

Sul suo faccino apparve un timido sorriso. Allora lo presi per i fianchi e lo sollevai per prenderlo in braccio. “Quanto pesi! Stai diventando un ometto con i fiocchi!”

“Papà lo dici tutte le volte…” farfugliò piano lui.

Io sbuffai. “Quanto sei lamentino! È la verità…E poi io sono fiero di te…”

Tom mi stampò un bacio sulla guancia e lo portai in camera. Lo aiutai a togliere prima la maglia del pigiamino. E vidi un taglietto di qualche centimetro che solcava il suo bacino. “Tom cos’hai fatto?”

Mio figlio prese la maglietta e cercò di infilarsela senza risultati.

“Tom?” chiesi spazientito, mentre gli rilevai la maglia da addosso.

Continuando a fissare i suoi piedini scalzi borbottò: “Sono caduto al parco…”

Stava mentendo. Ma non capivo perché.

L’aiutai a infilare la testa nel buco e poi un braccio dietro l’altro. “Una cosa alla volta. Sempre una cosa alla volta…”

“Giusto!” esclamò lui.

Poi toccò ai pantaloni del pigiama e i miei occhi caddero su alcuni piccoli ematomi neri sulle gambe. “Anche questi fatti al parco?” domandai preoccupato.

“Si, papà, sono molto esuberante, me l’ha detto una signora che era seduta su una panchina”

Cercai sotto il letto le scarpe e l’aiutai a infilarle, poi le allacciai. “E perché ti ha detto che sei esuberante?”

“Perché correndo non ho visto il suo cane e ci sono inciampato. Poi sono scappato via perché avevo paura mi seguisse…”

Mi stava guardando negli occhi. Non stava mentendo, ora.

“Devi chiedere scusa Tom, quando combini qualcosa che non va!” lo sgridai.

La sua testolina si abbassò per la vergogna. Gli diedi un tenero bacio sulla fronte e lo presi di nuovo in braccio per dirigermi verso l’ingresso.

Il viaggio in auto non fu ricco di parole. Tom non voleva aprire bocca. Giocherellava con il suo uomo ragno gigante facendolo volare per la macchina. Ogni tanto imitava diversi rumori e quando tirò un urlo mi fece prendere un infarto.

“Tom!”

“Scusa papà, ma c’era la maestra in pericolo…” disse assorto nei suoi pensieri.

“Quale maestra?” domandai continuando a fissare la strada.

Silenzio. Borbottii sconnessi. “La mia maestra di italiano…Quella che ci insegna gli scarabocchi…”

“Non sono scarabocchi, Tom. Sono lettere. E ti sarà molto utile nella vita imparare a leggere…” sospirai contrariato.

L’avevo vista poche volte, la sua maestra. Il primo giorno di scuola e qualche volta mentre entrava dal cancello. Era una bella ragazza, giovane, e molto sexy. Di questo però non potevo parlare con Tomi, era troppo piccolo.

“A me piace cantare. Vorrei cantare. Mi piacerebbe diventare cantante, papà!”

“No!” fu la mia secca risposta.

Tom mise il broncio. “Perché ogni volta che voglio cantare mi vieti di farlo? Perché hai paura che canti? Perché sono troppo bravo?” protestò lui serio e triste.

Inspirai aria pulita e espirai. “Perché il cantante non è un bel lavoro. È pericoloso. C’è molta gente cattiva che potrebbe farti del male”

“Ma sono forte io, papà! Ho i muuuuscoli! Anche tu canti sempre sotto la doccia…Secondo me ti sarebbe piaciuto diventare cantante da piccolo…”

Mi si strinse il cuore in una morsa di nostalgia.

“Pà? Perché sei triste? Ho detto qualcosa che non va??”

“No, cucciolo. Niente” dissi, mentre ripensavo alla sensazione di saltare su un palco acclamato da migliaia di ragazze.

E il nostro viaggio ripiombò nel silenzio.

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Capitolo 3
*** E' dura essere papà ***


Terzo capitolo. Licenziamento! Botte! E Lilian! Tutto in una sola giornata! Povero Bill, alle prese con il suo adorato figliolo, con una meaestra giovane e gentile, e dalla parte dei più deboli. Si preparano ad un viaggio verso casa. La vita di papà non è facile! Bill lo sa perfettamente. Ma ha una forza che gli permette di andare avanti: La forza dell'amore. 

Capitolo terzo: E' dura essere papà

Tom aprì la porta della macchina. “Ciao Tomi!”. Lui mi sventolò la manina davanti al volto e poi uscì andando in contro alla sua maestra. La giovane si sporse a guardare dentro la macchina e mi fece un cenno di saluto.

“Salve!” disse lei prima di prendere la manina di Tom e entrare sorridente nel cortile della scuola.

Quella donna era semplice e solare, mi piaceva a impatto. Era una buona maestra.

Ripartii per raggiungere il mio posto di lavoro.

Molti si chiederebbero che lavoro potessi fare se non il musicista.

Effettivamente non sapevo fare altro che il mio ex lavoro, per cui l’unico lavoro che potevo fare subito senza licenza era il cassiere in uno stupido McDonald’s.

Parcheggiata l’auto nel parcheggio entrai dalla porta del retro e indossai il solito stupido camice.

Mi presi una marea di parole dal proprietario per il ritardo e mi diressi alla cassa. Cominciava una noiosissima giornata di lavoro.

Con la faccia che mi ritrovavo, i clienti si fermavano a parlarmi, a insultarmi o a bisbigliare troppo forte e tutto dipendeva dal soggetto.

Quel giorno mi capitò un uomo dall’ampia corporatura. Entrò al seguito dei suoi figli fotocopia fieri dei propri rotoli di ciccia. Arrivato alla cassa mi accorsi che non era molto più alto del banco e cordialmente, come al solito ripetei la solita barbosa frase “Cosa desidera ordinare signore?” Aspettai una sua ordinazione.

Le sue sopracciglia si inarcarono e mi squadrò come fossi un animale da soppesare. “Scusi? Come ha detto?”

Notai che aveva proprio una faccia da schiaffi.

Cercai di essere gentile. “La sua ordinazione prego”

Lui scoppiò in una risata che gli fece vibrare il petto. “Questa è forte. Avete sentito bambini? Questo frocio vuole che ordiniamo qualcosa!”

Si accodarono le loro risa di scherno.

Chiusi le mani a pugno per cercare di trattenermi. “La sua ordinazione prego” ripetei ancora.

“E' un frocio papà!” sghignazzarono i figli. Mentre il padre mi sventolò una banconota davanti. “Prendi questa e vattene fuori dalle palle, frocio!”

Non so cosa mi prese, ma la mia mano corse frettolosamente sul suo enorme collo e cominciai a stringere anche con quell’altra. “Ripeta prego…” dissi a denti stretti, mentre i figli cominciarono a piangere e la gente seduta ai tavoli a urlare.

Un mio collega mi supplicò di mollarlo, ma dalle labbra del ciccione uscì un flebile frocio per l’ennesima volta e la mia mano si alzò prima di riuscire a fermarmi. Il mio pugno lo colpì in pieno viso stendendolo. Lo lasciai cadere a terra e mi slacciai il grembiule che gettai sul bancone.

“Mi licenzio!” urlai furioso con tutti. E come se niente fosse uscii dall’ingresso principale dirigendomi alla macchina.

Oltre il vetro le facce della gente mi guardavano spaventate, mentre l’auto scivolò in strada per non fare più ritorno.


Mi fermai vicino al cancello della scuola.

Mi accasciai sul sedile nel momento esatto che suonò la campanella. Controllai che Tom uscisse, ma tra la marea di gente lui non c’era.

Poi vidi un ammasso di ragazzini in cerchio al centro del cortile muoversi come in una zuffa.

Subito pensai ci fosse Tom coinvolto. Smontai dall’auto e corsi verso di loro.

Da quanto capii vi erano due bande di ragazzi che si stava menando per un motivo sconosciuto nella più assoluta indifferenza degli altri e degli insegnati.

La maestra di Tom fu l’unica che voleva calmare le acque. “Basta!” ma fu colpita da un pugno in viso e rispose con uno schiaffo su un alunno. Questo comportava già il suo licenziamento.

In un attimo la raggiunsi e l’aiutai a fermare quella massa di pesti, quando vidi che al centro di tutto vi era Tom, calpestato dai ragazzi più grandi, fermo a terra.

Il mio cuore vacillò e cominciai a farmi largo tra la folla, per salvare mio figlio.

Gli insulti si spensero in flebili sussurri.

Raccolsi Tom tra le mie braccia e lo abbracciai forte. Tom sorrise, come quando scartava i regali a Natale. Mi alzai e spinsi via dei marmocchi che ancora si ostinavano a covare la loro rabbia.

“Ma andate tutti quel paese. I vostri genitori hanno i criceti nel cervello?” bisbigliai tra i denti.

Furioso mi diressi dentro la scuola. Il preside doveva sentire quanto apprezzavo la sua scuola.


La sedia nel corridoio fuori dall’ufficio del preside era scomoda. Sedevo di fronte alla maestra di Tom provvista di un occhio nero. Teneva lo sguardo basso e le braccia incrociate sul petto. Doveva essere furibonda per quell’inconveniente.

Il preside ci faceva attendere da un'ora ormai. Non gli interessava che noi avessimo ragione. Lui dava ragione a chi pagava di più.

La maestra sbuffò.

“Grazie” dissi in un soffio. Lei però sentì, si voltò e mi sorrise. “Finalmente mi licenzierà!”

La guardai stupito.

Proprio in quel momento la porta si aprì. Entrammo.

Il preside della scuola era un uomo alto e magro. Aveva una postura di un dittatore e il silenzio regnava su tutti i presenti di fronte alla sua scrivania. Le famiglie dei bambini colpevoli della rissa sedevano tronfi e gustavano già la vittoria.

“Mi dispiace che non vi siano ancora sedie a disposizione. Comunque abbiamo trovato una soluzione più che appropriata per quello che è successo oggi. Nella nostra scuola non tolleriamo la violenza su studenti dell’istituto per cui come già avrà capito signorina Lilian proporrò le sue dimissioni il prima possibile, anzi oggi stesso. Inoltre verranno puniti i ragazzi che hanno discriminato Tom ed è stato deciso una espulsione per quest’ultimo per aver reagito con calci e pugni sui suoi compagni. Inammissibile questo comportamento all’interno di un edificio pubblico”.

Le parole del preside mi lasciarono sbigottito. “Cosa? Lei è uno stronzo discriminatore! Mio figlio è stato picchiato e lei lo punisce?? Lei mi fa schifo, se il mondo va a puttane è colpa sua. Mio figlio non metterà più piede in una scuola nazista, quale è la sua!”.

La parola nazista li fece sussultare. Era ancora fresca la cicatrice della seconda guerra mondiale.

Con la gola secca dalla rabbia mi voltai e me ne andai imprecando contro la scuola di merda.

“Papà dove andiamo?” mi chiese timoroso Tom.

“Non lo so piccolo. Ma via da qui il prima possibile” spiegai gentilmente.

Udii qualcuno correre alle mie spalle. “Aspetti!”

“Se ne vada!” urlai esasperato.

Percorremmo il giardino e aprii la portiera per far salire Tom. Gli allacciai la cintura mentre la sua maestra ci raggiunse con il fiatone. “Scusi. È stato un grande. Io sono d’accordo con lei!”

“Grazie davvero. Ma dobbiamo andare!” dissi salendo in macchina e accesi il motore.

La donna si parò davanti all’auto. “Mi ascolti…Solo un attimo!”

La vocina di mio figlio mi fece venire un brivido. “Papà perché non l’ascolti?”

Feci retro marcia.

“La prego un attimo!” urlò battendo sul vetro.

Allora mi fermai e abbassai il finestrino.

“Ha vinto lei…”

La donna di sistemò i capelli. “Guardi che disastro per rincorrerla” aprì il palmo della mano e mi mostrò il tacco della scarpa. “Signor Kaulitz, sono mortificata. È da un pezzo che va avanti questa storia”.

Il mio cuore fece un giro multiplo. “Come?”

“Si, credono che sia gay”.

“Tom è così?” dissi incredulo.

“Ha ragione, papà. Mi hanno detto che ero gay come te e che dovevi morire”.

“Amore di papà! Perdonami se non mi sono accorto prima di tutto questo!” dissi quasi in lacrime.

Tom mi sorrise. “Ti voglio bene, papà!”

Risposi al suo sorriso. “Deve andare a casa a piedi? Non vuole un passaggio?” mi rivolsi poi all’insegnante.

“Andrei in auto, ma mi hanno forato le gomme. Grazie è molto gentile”.

E salì nel sedile accanto a quello del guidatore.


“Cosa farà ora con Tom?” fu la domanda della maestra appena fummo sotto casa sua.

Sospirai esasperato. “Andremo a Loitsche. Là c'è la mia famiglia. Poi mi cercherò un lavoro visto che stamattina mi sono licenziato”.

“Mi dispiace. Non deve essere stata una giornata facile”.

“Sono abituato. La saprà anche lei la storia no?” chiesi titubante,

La giovane sussultò. “Molto bene, avevo diciassette anni quando è successo. È ancora presto per dimenticare”.

Deglutii. Forse lei era una nostra fan. Volevo chiederle quanto avesse sofferto, ma non ne ebbi il coraggio.

La giovane mi guardò cercando di capire come stavo.

“C'è qualcosa che non va?”

Lei scosse la testa. “No, mi chiedevo se non era un disturbo darmi un passaggio. Fino a Loitsche, intendo. Le posso pagare la benzina!”

Tom saltava già dalla gioia. Io invece ero preoccupato.

“La prego! Non le sarò d'intralcio. Starò zitta e muta!”.

In questo momento mi sembrava una bambina dagli occhi dolci.

Sorrisi. “Va bene, ma ad una condizione!”

Annuì già con gli occhi luccicanti. “Non voglio soldi e non deve andare in giro a raccontare ciò che sarà detto dentro questa macchina!”

“Sono due le richieste”.

Rimasi interdetto per vari secondi. Poi capii. “Ah si! Vanno bene anche due?”

La maestra annuì. “Perfetto! Allora a domani mattina! E mi chiamo Lilian. Ciao Tom!”

Tom mosse la sua manina in saluto e poi cominciò a parlare di tutto quello che si ricordava sulla maestra.

Ormai avevo capito quanto in gamba fosse quella ragazza.



AUTRICE:  Questo capitolo è un pochino insipido, ma è in cantiere il prossimo capitolo in cui mi soffermerò di più sulla figura di Bill., sulla sua figura di padre, vedovo e nel corso della storia avverto che dovrà fare i conti con la sua voglia di continuare a cantare.
Naturalmente ci sarà spazio per parlare di Tom, e di tutto il resto del gruppo più avanti. Certamente inserirò la spiegazione del fallimento dei Tokio Hotel. Poi è tutto da vedersi :) Ringrazio chi ha inserito questa storia nei preferiti, chi l'ha recensita e chi semplicemente ha letto! Un saluto dalla neo diciasettenne (mi ci devo ancora abituare!!). Un bacio!

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Capitolo 4
*** Man in the mirror ***


capitolo 4 Nemmeno Bill è immune dal dolore, purtroppo. Le debolezze sono umanee non possiamo eliminarle quando ci fa più comodo. Allora come si fa? Non si può generalizzare, ognuno ha il suo metodo. Bill deve solo avere la forza di guardare dentro di se e trovare quello che gli servirà per andare avanti.

Capitolo 4: Man in the mirror

Quella notte sognai Rahel. Fu un sogno tormentato.

La vidi, bellissima, nel suo accappatoio color pesca che si asciugava i profumatissimi capelli. Ne potevo quasi sentire l'odore pizzicarmi il naso.

Il desiderio di abbracciarla era fortissimo. Volevo darle vita agli occhi persi nel vuoto, come se non ci fosse niente al mondo se non lei.

Io non potevo raggiungerla. Mi sentivo imprigionato dentro una gabbia di vetro. Volevo toccarla, sentire la sua pelle morbidissima, ma non mi era possibile. I miei muscoli erano contratti dallo sforzo, dovevo sfondare quella barriera che mi divideva da lei, dalla donna che avevo amato, che amavo ancora.

Improvvisamente si voltò a guardarmi. I suoi occhi si accesero di un verde intenso. Dalle sue labbra uscirono due parole, che capii al volo. La mia disperazione aumentò, le lacrime non si vergognarono a scendere. “Ti amo anche io Rahel! Ti prego torna!” urlai esasperato.

Rahel scosse la testa. Urlai. La donna si spaventò e si voltò. 

C'era una culla.

Era la culla di Tom. Rahel si avvicinò e accarezzò il bambino che vi dormiva dentro. La sensazione di tenerezza che mi avvolse era sconvolgente. Con tutto il mio corpo la desideravo ancora. Perché era successo? Perché?

“Papà!”

La voce di mio figlio mi svegliò.

Tom mi guardava con il viso pieno di lacrime. Le sue mani stringevano Poppy, il suo peluche preferito.

Preoccupato gli feci segno di entrare sotto le coperte del mio letto. Tom si accoccolò contro il mio petto e chiuse gli occhi gustando il calore. “Che succede, Tom?” sussurrai.

“Ho sognato la mamma”.

Sussultai. Anche Tom non era mai riuscito a dimenticare Rahel. Gli baciai la fronte accarezzandogli i capelli biondi.

“Ho chiesto alla mamma se voleva giocare con me. Ha detto che non poteva perchè doveva andare in un posto bellissimo, ma io non potevo venire. Ho insistito, ma non ha voluto. Se ne è andata salutandomi. La mamma non mi vuole con lei, vero papà?”

Cominciai a piangere e lo strinsi forte. “No, Thomas. La mamma non poteva portarti perchè è malata. La mamma ora vive in una bellissima isola dove può guarire, ma ha bisogno di tanto riposo. Non ti ha portato perchè temeva ti potessi ammalare anche tu. E lei non avrebbe voluto vederti star male”. 

Non sapevo più cosa dire. Come si può affrontare la morte con un bimbo così piccolo? E poi il dolore per la morte della donna che amavo era ancora vivo in me, bruciava più di ogni altra cosa. Cosa era giusto? Dimenticarla? Non ce l'avrei fatta. Tom era uguale a Rahel, impossibile non accorgersene.

Tuttavia continuare a sognarla e chiamarla disperatamente non l'avrebbe fatta tornare. Avrei continuato a soffrire per tutta la vita. Era una giusta prospettiva? E Tom? Le mancava, logico. E' così piccolo.

Il corpicino di Tom aderì al mio petto e le braccine mi avvolsero senza riuscire a congiungersi. “Ti voglio bene, papà!” bisbigliò con la voce impastata. Strinsi i denti. Non potevo urlare, non davanti a Tom. Lo abbracciai come meglio potei e sprofondai la faccia nei suoi capelli.

Avevano lo stesso profumo di Rahel.


Mi risvegliai nel silenzio del mio appartamento. Tom era sdraiato sul bordo del materasso, bastava un soffio per farlo scivolare. Gli feci passare un braccio sotto le spalle e lo avvicinai a me, facendolo strisciare. Tom aprì gli occhietti e mi guardò. Strinse forte Poppy e me lo passò. “Poppy ti ha visto triste. Ha detto che vorrebbe vedere il tuo sorriso”.

Aggrottai la fronte. “Ah, davvero? Siamo sicuri che non sia questo pancino l'artefice di tutto?”

“No” rispose innocente lui.

Le mie mani come due ganasce lo afferrarono dai fianchi e scoppiò la guerra del solletico, tra i valorosi guerrieri della risata. Il cavaliere Dente Scintillante si destreggiava bene con le sue armi, ma non possedeva la potenza del micidiale Signor Sorriso Smagliante.

Tom si contorceva per evitare di ridere rumorosamente e perdere la battaglia, mentre io cercavo di fargliela perdere! O almeno glielo facevo credere. Alla fine fingevo di essere stato colpito da una attacco delirante di risate e morivo sul lettone pregandolo di liberarmi. Tom con molta maestria mi liberava perdonando il mio abbandono dal combattimento; in quel momento mi sembrava un ambasciatore e non potevo fare a meno di sognare per lui un futuro prospero con una bella famiglia.

Sarebbe stato tutto quello che non avrei potuto avere io in tutta la mia vita.

Come sempre caddi all'indietro e mio figlio mi saltò sopra con la sua arma micidiale, pronto a colpire. “Papà è la tua fine!”. La parola papà era ancora più dolce pronunciata con le sue parole d'angelo.

“La prego mi risparmi! Signor cavaliere nessun duello è degno del mio nome”.

Tom si rinvigorì drizzando le spalle, stringendo fiero il peluche e ritraendo l'altra mano a mo di spada. “Il tuo coraggio non è sparito, papi. Diventerai un valoroso cavaliere quanto me un giorno, e ti proteggerò sotto la mia ala, come è mio compito. Proteggerò questa terra” disse indicando la stanza. “Alzati guerriero, i tuoi giorni da perdente sono finiti. Ora comincia il trionfo”.

Lo guardai sbigottito. Da quanto Tom parlava così bene? “Leggi libri, tesoro?”

Tom scrollò le spalle. “So appena l'alfabeto, papà! È la maestra che ci legge libri a scuola su grandi valorosi guerrieri e sulle loro fantastiche avventure!” annunciò pomposamente. 

Storsi il naso. Non credo fosse il caso di riempire poveri bambini di storie troppo fantastiche. Avevano bisogno di divertirsi con cose più concrete, non di sognare ad occhi aperti. Il loro sogno prima o poi in ogni caso sarebbe svanito con tutte le loro aspettative. Era importante la famiglia e salvare i rapporti umani, non far viaggiare i bambini di storie di coraggio. Non avevo niente contro le persone coraggiose, pensavo solo che il valore in questo mondo non serve, non si arriverà da nessuna parte con la giustizia. Se vuoi davvero avere la tua gloria, devi essere uno schifoso bastardo. Non c'era nessun altro modo di sopravvivere.

“Papà?”

Guardai mio figlio, specchio di Rahel. I suoi occhi di un verde luminoso avevano la forma dei miei, ma il colore era quello della mamma. Mi chiedevo come potessero coesistere le nostri caratteristiche in un solo bambino. Quegli occhi così innocenti non smettevano di accarezzarmi l'anima.

“Non ti piacciono gli eroi?” ipotizzò lui, allungando il collo.

Scrollai le spalle. “Non esistono gli eroi, Tom”.

“Si invece! Tu sei un eroe. L'eroe non è solo chi fa imprese galattiche, ma chi ogni giorno si occupa di noi, nonostante le difficoltà. La maestra ce lo ha specificato”.

I miei occhi si addolcirono. Tom era molto più tenerone del suo omonimo, mio fratello gemello alla sua stessa età. 

Tom era sempre passato per un tenero angioletto. Nessuno si sarebbe immaginato mai cosa sarebbe diventato poi. Sorrisi.

“Andiamo a fare colazione, forza ometto!”.

Tom si alzò in piedi sul lettone e saltò con i piedini scalzi, sfoderando un sorriso indescrivibile: il sorriso di un bambino felice.

Allargai le braccia per un abbraccio e Tom si buttò contro il mio petto aderendo perfettamente, come fosse prestabilito. Lo sollevai dal sedere e lo portai trottando in cucina.

Una volta a terra Tom si sedette sulla sua seggiola senza bisogno di aiuto mentre io gli accendevo la televisione. I suoi occhietti si puntarono sui cartoni mattutini nel tempo che impiegai per preparare la colazione.

Ogni tanto lo sentivo ridere di azioni comiche che succedevano, intervallati dai continui battiti dei talloni sulla sedia. Appena il latte fu caldo lo versai in due grandi scodelle e ne posai una davanti a Tom e una nel posto immediatamente vicino. Mio figlio mi ringraziò afferrando il cucchiaino.

Forse mi preoccupavo inutilmente, era fin troppo educato e autonomo. Un bambino della sua età avrebbe dovuto essere esentato da obblighi formali, avrebbe dovuto vivere meglio la sua libertà, almeno finché ne aveva l'opportunità.

Quando ebbi finito lo lasciai ai suoi cartoni e mi diressi in bagno, accesi la musica dello stereo e mi portai davanti allo specchio.

Il mio riflesso con tratti delicati, marcati appena sotto la mandibola, mi fissava. Sembravo molto più un uomo di qualche hanno fa. Purtroppo non si può sfuggire al tempo.

L'audio dello stereo era abbastanza alto per riuscire a capire, che la canzone in quel momento trasmessa era Man in the mirror di Michael Jackson. Sorrisi della coincidenza. Il mio riflesso mi rispose, con sfumature stanche. Mi sentivo un uomo sbagliato nei miei vestiti banali, senza trucco, senza smalto solo con i capelli ancora neri, un piccolo sfizio che non volevo perdere. Non volevo cancellare il passato, sarebbe stato ingiusto.

I’m starting with the man in the mirror
I’m asking him to change his ways
And no message could have been any clearer
If you wanna make the world a better place
Take a look at yourself, and then make a change
Na na na, na na na, na na, na nah

Il ritornello mi accarezzò il corpo. Sentivo il ritmo entrarmi dentro, scuotere, bussare, rivoluzionarmi rapidamente distraendo la ragione. Le mie mani automaticamente afferrarono la spazzola e le labbra si mossero con una forza propria. Nessuna nota, però, ne uscì. Le gambe si piegarono e cominciarono a saltare; una scarica di euforismo mi attraversò il corpo. Sfiorai la felicità per qualche fugace secondo, troppo breve perchè riuscisse a migliorare il mio umore, ma lo accolsi con così tanta gioia da riuscire a sentire che ero ancora vivo.

Allora capii. Rahel avrebbe voluto che continuassi a lottare per me e per Tom, non avrebbe sopportato la visione del mio strazio. Certo non potevo essere sicuro che non l'avrei più sognata, ma avrei cercato di chiuderla nel mio cuore, sigillare il suo ricordo per non dimenticarla, senza soffrire.

Mi fermai, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Nella mia testa svolazzava un'altra consapevolezza. Nessuna sarebbe stata mai come lei. Nessuna l'avrebbe sostituita. Lei era stata e sarebbe stata per sempre la mia unica donna.





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Autrice:  questo capitolo è stato fondamentale per la storia. Se quello precedente gettava la storia in uncrinazione nuova, questo la riporta indietro, tra mailnconie e dolori, verso il raggiungimento della meta: la felicià. Ogni passo è fondamentale, perchè la si costruisce giorno per giorno e non arriva tutta insieme. Bill lo scoprirà presto. Un kuss a tutte le lettrici! 

MyblindedEyes: lieta di risentirti! Questa capitolo mi è stato ispirato da Michael Jackson e da tante canzoni con il pianoforte. Ho scoperto che mi piace un sacco :) è stranissimo che l'unica che abbia recensito il capitolo scorso non abbia interesse per i tokio hotel...non che sia disturbata, anzi ne sono felice che ti piaccia :)  Sarà forse che questa versione di Bill non è tanto Bill, ma molto troppo normale. Ma in fondo anche lui è un uomo e ha i suoi problemi quotidiani. Nemmeno lui è immune dal dolore, purtroppo. Che bella questa frase! credo che la inserirò in alto alla pagina :) Comunque quel capitolo che ti è piaciuto sarà l'ultimo così, era troppo lista della spesa. Non ho curato ne personaggi, ne descrizioni, ho solo accorciato i tempi della storia.  Un bacione! Kissss!


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