In loving memory di Erse Dewdrop (/viewuser.php?uid=66925)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Pensieri prima della tempesta ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
In Loving Memory___prologo
Premetto subito che questa fanfiction potrebbe non piacere. Basata sul film "Hellboy- The Golden Army", segue in parte lo svolgimento della vicenda originale, ma è incentrata sulla figura del principe Nuada, che passa al ruolo di protagonista. La novità è la storia d'amore tanto infelice quanto improbabile con un nuovo personaggio.
Siate clementi.
Buona lettura!^^
Dedicated to Flavia and Claudia.
Prologo
L'acchiappasogni indiano tintinnò con delicatezza
quando la porta si aprì. Brianna scivolò dentro con
cautela, sapendo bene che camminava su di un terreno minato. L'avevano
avvertita che la liutaia possedeva un pessimo carattere, e il suo
negozio non sembrava meno ostile di lei. Altro che bello e
caratteristico, era una giungla affollata e sporca. Puzzava di chiuso,
sudore e polvere. Ovunque c'erano scaffali ingombri di vecchi strumenti
malandati in legno o in ottone che ostacolavano il passaggio, vari vasi
di fiori erano allineati lungo i davanzali delle finestre impendendo
alla luce di filtrare attraverso i vetri. Nel complesso l'ambiente le
dava l'impressione di soffocare.
"E' permesso?"
Nessuna risposta. Il silenzio era totale, i vetri serrati e lo stereo
spento. Brianna accostò la porta più piano che
potè, sobbalzando al cigolio sinistro dei cardini arrugginiti.
Mosse qualche passo verso l'interno del negozio, incerta sul da farsi.
Tutto attorno a lei non dava segni di vita, persino la proprietaria
sembrava scomparsa, probabilmente inghiottita dalla massa di
cianfrusaglie accatastata in pile disordinate sul pavimento.
Presa da una strana curiosità, la ragazza si spinse fin davanti
al bancone, decisa se non altro a dare un'occhiata in giro. La custodia
del violino pesava come non mai e la impacciava, così lo depose
per terra e si fermò a contemplare il piccolo locale
tutt'intorno.
"C'è qualcuno qui?"
Ancora silenzio. Brianna si chiese se non fosse il caso di ripassare
più tardi. Ma no, non poteva, doveva far riparare quel maledetto
violino prima dell'esame di venerdì, e le occorrevano almeno due
giorni d'anticipo per perfezionare la sua esibizione. O forse, se
avesse lasciato un biglietto...
"Cercavi qualcosa, carina?"
La ragazza sobbalzò e si volse di scatto, rischiando
d'inciampare. La proprietaria era comparsa dal nulla dietro il bancone,
vecchia quanto il suo negozio.
Brianna cercò di recuperare l'uso della parola. "Mi- mi ha spaventato" boccheggiò.
"Lo vedo" la donna ridacchiò sommessamente, ma non era una
risata cattiva, solo divertita. Brianna si sforzò di sorridere,
mentre cercava di misurare la distanza che la separava dalla porta. La
liutaia girò attorno al mobile e le si parò davanti. Era
poco più alta di lei e piuttosto ossuta. Il suo aspetto, a prima
vista, le era sembrato abbinato a quello del negozio, logoro e corroso
dal tempo, ma ora che la vedeva con chiarezza Brianna ebbe modo di
constatare che tutte le storie su di lei erano prive di fondamento. La
signorina Euterpe Allister non era affatto come la descrivevano. Non
era particolarmente anziana nè particolarmente brutta; anzi, da
giovane doveva aver avuto un viso grazioso e un fisico aggrazziato. I
suoi capelli erano raccolti in un nodo elaborato sulla nuca e dietro
gli occhialetti cerchiati di ferro gli occhi erano ancora vispi. Ma
c'era qualcosa di strano, di anomalo in lei, questo sì. Forse
erano i suoi abiti di foggia vagamente orientale, quasi...elfica?
Brianna si sorprese per aver pensato una cosa così stupida.
Attribuì il tutto al ciclo completo del 'Signore degli Anelli'
che le avevano regalato per i suoi diciassette anni. E concluse che
quel genere di libri nuoceva gravemente alla salute mentale.
"Allora, ragazzina, che cosa vuoi?"
L'ostilità con cui era stata posta la domanda la riscosse dai
suoi pensieri. Le sue mani si mossero sicure e rapide verso la custodia
del violino.
"Io.. sono venuta per questo." Così dicendo appoggiò lo
strumento sul legno del tavolo. Le corde si erano tranciate
completamente durante la sua utima esecuzione dell'Inno alla Gioia.
Euterpe Allister si chinò ad esaminare lo stato di usura delle
corde. Brianna contemplò ammirata il lavorio delle sue mani
esili, così accurate, così precise. Realizzò che
non le sarebbe dispiaciuto svolgere quella professione, da grande. Se
non ce l'avesse fatta a passare l'esame s'intende. Se andava tutto
bene, invece, la sua strada era già tracciata. Qualche anno
all'accademia nazionale, e dopo quarant'anni buoni sui palcoscenici di
tutto il mondo.
"Ma che hai combinato, le hai tagliate con le forbici?
Eh?"commentò la liutaia raddrizzandosi. "Conciato com'è,
fai prima a comprartene un'altro, bellina."
Brianna si sentì mancare "Cosa?!"
"Mi hai sentita. Vieni, ti aiuto a sceglierlo. Il tuo amico è
spacciato, spenderesti una fortuna a ripararlo, te l'ho detto."
Senza aggiungere altro, la donna scomparve fra gli scaffali. Brianna la
seguì a ruota, temendo di perdersi. Non riusciva a distinguere
nulla in quella dannatissima semi- oscurità, e ben presto si
trovò stipata fra due stracolme file di spartiti. Respirò
l'odore della carta ingiallita dal tempo e la sua mano si
soffermò a sfiorare inconsciamente il dorso di una specie di
libro. Era più grosso degli altri, più spesso, ruvido al
tatto. La incuriosiva.
Chissà dov'era andata la signorina Allister... forse nel retrobottega. Solo una sbirciatina...
Il volume le scivolò tra le mani prima ancora che lo estraesse
dallo scaffale. Trattenendo il fiato, Brianna lo aprì.
L'immagine che vide subito dopo la copertina la sconvolse. Due grandi,
intensi occhi color oro la fissavano da un antico disegno a china. Il
volto di un ragazzo, giovane, fiero, di una bellezza spaventosa.
Sì, spaventosa, perchè lineamenti così perfetti
non erano- non potevano essere- umani. C'era qualcosa di agghiacciante,
di ultraterreno in lui, qualcosa che accendeva quello sguardo volitivo
e faceva brillare i suoi lunghi capelli, anch'essi di oro pallido.
Sotto il ritratto c'era un pentagramma. Delle note, il testo di una canzone. E un titolo.
"In loving memory."
Brianna lasciò cadere il libro e scattò all'indietro,
finendo lunga distesa sul pavimento. Euterpe Allister torreggiava su di
lei, feroce e molto composta.
Eppure, la sua voce suonava quasi dolce. "Ti piace?"
Sì, le piaceva. Davvero. "E' bellissimo."
La liutaia si appoggiò ad uno scaffale. "L'ho scritta io, sai? Quand'ero giovane, un po' più giovane di te."
Wow. Brava. "Oh, suonavate uno strumento?" Che commento idiota, era una liutaia, dopotutto.
Lei non rispose, il viso in ombra. "Com'è che ti chiami?"
"Brianna. Bree, per gli amici."
"Ce l'hai un ragazzo, Bree?"
Ma cosa diavolo le stava chiedendo? Importava, forse, se aveva un ragazzo oppure no?
"Sì."
"E lo ami?"
Ancora! "Beh, credo di sì..."
Euterpe la guardò sdegnosa. "Lo credi? No, non ci siamo. Non
è abbastanza. Devi amarlo, semplicemente amarlo. Ad occhi
chiusi, tesoro."
La ragazza non rispose. Euterpe Allister gettò un' occhiata al
quaderno sul pavimento e decise di togliersi il dente che le aveva
fatto male per tutti quegli anni. Era arrivato il momento, una volta
per tutte, lo sentiva sulla pelle. Ora o mai più.
"Hai detto che ti piace quella canzone, eh? Ti potrebbe interessare suonarla?"
Brianna la guardò, incerta. "Sì."
"Molto bene. Ma se la vuoi veramente, devi farmi un favore. Devi ascoltare la sua storia."
"Ascoltare la sua storia?"
La liutaia s'inginocchiò accanto a lei, a un millimetro dal suo
viso. "Vedi, questa non è una musica come le altre. Quelle le
suoni e basta. Ma questa...oh questa la vivi. La vivi, Brianna. Questa
è una storia d'amore, di amore feroce, contrastato, impossibile.
Un amore che portò alla morte degli amanti. Qualcosa che ti
brucia e ti distrugge dentro. Non mi aspetto che tu capisca, o
tantomeno che tu mi segua. E' lo stesso, sei troppo... umana."
Troppo umana? Le dita della ragazza si allungarono a sfiorare di nuovo
la copertina. Strinsero con forza il rivestimento di cuoio che le
separavano dalla musica. Dalla storia. Tese il volume alla donna, calma
e decisa. Aveva tutto il tempo che voleva.
"Mi metta alla prova."
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Capitolo 2 *** Pensieri prima della tempesta ***
Scusate tanto per il pessimo postaggio del prologo, sono nuova e ho combinato un casino! Cercherò disperatamente di rimediare con i prossimi capitoli. Grazie infinite a tutti coloro che hanno avuto la bontà di recensirmi
( tenete duro, in questo capitolo il "biondo" c'è! Fuori i pon pon, diamo inizio alle danze! ^w^)
Buona lettura! (inutile dire che imploro ancora la clemenza della corte...)
Un sibilo.
Leggero.
Rapidissimo.
La lancia danzava al suono di una musica ultraterrena fra le sue mani. Un colpo di piatto, uno di taglio, avanti e indietro nell'angusto sotterraneo. Lo spostamento d'aria ad ogni movimento era l'unico rumore presente, discreto e inudibile. I suoi passi erano silenziosi come sempre. Il respiro perfettamente regolare. I muscoli guizzavano asciutti sotto la pelle, tendendosi con il massimo della loro forza ad ogni movimento.
Il freddo avrebbe dovuto aiutarlo a riflettere, alleviare il peso del fardello che portava.
Invece no. L'aria gelida del sotterraneo bruciava a contatto con la pelle.
E si sentiva male da morire.
Si fermò, riprese fiato anche se non ne aveva bisogno. Sapeva bene che non si trattava di un malessere fisico, e sapeva che l'unica cura possibile era allenarsi. Stremare il corpo, spingere le ossa fin sulla soglia della rottura, per liberare la mente. Funzionava, di solito.
Ma quel giorno non era un giorno qualunque. Quel giorno era il suo giorno.
Il Giorno della vendetta.
Il Giorno della rivincita.
Il Giorno del Giudizio.
Non c'era tempo per pensare, per farsi prendere da uno stupido ed irrazionale senso di colpa o tantomeno per tornare indietro.
Bisognava andare avanti, e basta. Senza nessun rimpianto.
Eppure ne aveva di rimpianti, e più di uno. Così insistenti che ormai credeva di poterli vedere. Se solo chiudeva gli occhi, quelli affioravano in lui con il loro carico di ricordi.
Che quei ricordi fossero belli o brutti, non faceva differenza. Nient'altro che fumo, ecco cos'erano in realtà.
Il primo aveva il volto di una fanciulla, bionda, pallida, gli occhi dolcissimi nascosti dalla cascata di capelli.
Il secondo ritraeva un anziano, fiero, ieratico, duro, una corona sul capo irto di rami. Un'immagine che amava e temeva al tempo stesso.
E poi veniva il terzo. Non era mai riuscito a cristallizzarlo entro una cornice, come aveva fatto per tutti gli altri, ed era rimasto il più feroce, indomato e potente.
Dannatamente vivo.
Un campo di battaglia, le pire dei caduti ordinatamente disposte sul terreno. Il cielo rosso sopra di loro, l'erba ancora pregna di sangue sotto i piedi.
Suo padre, il grande condottiero, che stringeva la mano al comandante dei mostri bestemmiatori e assassini.
Sua sorella, la principessa, che sorrideva triste ma serena, speranzosa.
Lui, il principe, che assisteva alla scena impassibile, senza alcuna reazione.
Con l'odore della morte nelle narici, ricacciando le urla in gola. L'anima straziata, il corpo indebolito dalle ferite.
E un pensiero maligno che si dibatteva fra le pareti della sua mente per uscire.
La guerra, l'amata guerra, non si può vincerla nè perderla. Si può solo combatterla, e pregare che serva a qualcosa.
In quel caso particolare, non era servita a niente. Non a lui, almeno.
Lui, la sua guerra, l'aveva persa. In partenza, forse.
Aveva avuto fiducia fino all'ultimo.
Aveva versato sangue, litri su litri, fermandosi il tempo appena sufficiente per estrarre l'arma dallo squarcio.
Poi, di nuovo in battaglia.
Aveva passato notti d'inferno, a supplicare, a piangere nel delirio.
Tutto inutile. La sua devozione e la sua lancia non potevano niente contro la volontà del re.
Di quello stesso re che avrebbe sempre dovuto chiamare padre.
Le dita sbiancarono stringendo l'arma. Ancora un attimo, poi l'esercizio riprese. Via il dolore.
Macchie indistinte, bianche, nere, rosse, si muovevano sotto le sue palpebre.
Sembravano quasi danzare, ora che ci pensava, sì.... una danza di guerra, ma una danza mistica, antica come il mondo, una di quelle che solitamente precedevano un rito, o che servivano come tale. Scuotendo la testa per allontanare quel pensiero, la ragazza riaprì gli occhi e fissò decisa lo spartito che aveva davanti. Si trattava di una vecchia romanza, che con ogni probabilità la signora Blanchard aveva rinvenuto dentro qualche baule in solaio. Non era affatto male, stando a quanto poteva capire dal pentagramma ingiallito, ma il nome- 'Les larmes de la fleur-de-lys'- lasciava presagire qualcosa di antico, lento e melodrammatico. Proprio il genere di canzone che le occorreva per cominciare bene la giornata, pensò sarcastica.
"Cominciamo quando vuoi, Euterpe" disse Ilsa Blanchard, sistemandosi dietro il pianoforte. Sollevando lo sguardo su di lei, Euterpe Allister non potè fare a meno di pensare che, stipate com'erano nell'asfittico salottino grigio topo, con la porta sprangata e le tende tirate, sembravano proprio due perfette congiurate. Chissà, magari anche Catilina e gli altri cospiratori si erano riuniti nel salottino della loro vecchia insegnante di pianoforte per prendere lezioni di canto, all'insaputa dei genitori, prima dell'omicidio di Cesare. Molto improbabile, certo, ma chissà...
"Sono pronta, signora" mormorò in fretta, per mettere fine al lavorio frenetico del proprio cervello.
La corpulenta maestra le sorrise e suonò il preludio della romanza. Euterpe scostò nervosamente una ciocca di capelli scuri dalla fronte, leggermente a disagio, ma comunque troppo felice che Mrs Blanchard avesse accettato di darle lezioni per pensare che l'inevitabile fosse in agguato dietro l'angolo, pronto a rovinarle la giornata. E infatti, al primo acuto, successe. La finestra alle spalle della ragazza andò in frantumi come se fosse fatta di fragile cristallo e non di vetro rinforzato. Una dopo l'altra, tutte le finestre del salotto la imitarono. Fu questione di un secondo.
Invece, Ilsa Blanchard impiegò almeno due minuti prima di trovare la forza di reagire. Euterpe ebbe così tempo a sufficienza per nascondere le lacrime e fingere di essere sorpresa. Ancora una volta, avrebbe dovuto sfruttare la collaudatissima scusante della scossa di terremoto improvvisa.
L'ago s'immergeva nella fine stoffa color muschio con impeccabile precisione, fuori e dentro, fuori e dentro.... poi, troppo velocemente perchè potesse evitarlo, una minuscola goccia scura macchiò un angolo di tessuto, cadendo dalle esili dita bianche artefici di quello splendido lavoro. Il ricamo era riuscito perfettamente, infatti, ed ecco che un' insignificante puntura arrivava a rovinare tutto! La fanciulla si maledisse per la propria sbadataggine, quindi si affrettò ad esercitare pressione sul polpastrello affusolato per interrompere il flusso di sangue. Un cascata d'oro pallido le piovve sul viso e sulla schiena quando si chinò ad esaminare il danno.
Niente di grave, per fortuna. Non se lo sarebbe perdonato, altrimenti. Pur sforzandosi di nascondere a sè stessa il proprio sollievo, la principessa non potè fare a meno di sfiorare con le labbra la minuscola ferita, quasi a volersi scusare del dolore che aveva causato a lui. A suo fratello, al suo amato fratello, nonostante tutto.
Nonostante non avesse mai accettato la decisione del re e avesse rinnegato il proprio ruolo di figlio, esiliandosi volontariamente.
Anche se odiava ammetterlo, lei non lo aveva mai perdonato per averla abbandonata.
Non ci era mai riuscita, mai, e per questo non aveva mai smesso di destestarsi, di considerarsi un'egoista.
Ma ora, per la prima volta dopo tanti anni- così tanti-di distacco sentiva, percepiva dentro di sè la presenza del proprio gemello. Dapprincipio fievole, il loro antico legame andava rinforzandosi di giorno in giorno, più forte, sempre più forte, sempre più vivo ogni secondo che passava.
E l'unica conclusione possibile, era che lui fosse vicino.
Che Nuada, dopo così tanto tempo, avesse scelto di tornare dall'esilio.
Di nuovo, la principessa si portò il dito alle labbra e depose un timido bacio esitante sulla ferita.
Che ne dite? Lasciatemi un commentino, please! ^w^
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