R.I.P. & play again di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stop - Reanimator ***
Capitolo 2: *** Backwards - Mirror ***
Capitolo 3: *** Forward - Frankenstein ***
Capitolo 4: *** Flash forward… and play again - Soul ***
Capitolo 1 *** Stop - Reanimator ***
Premessa d'obbligo:
Questa storia sarà composta da quattro capitoli,
né più, né meno, che verranno
regolarmente postati circa una volta a settimana. E' frutto di
un'ispirazione sparaflashante la cui genesi verrà affrontata
sotto per non togliere spazio vitale. E' una storia strana, a tratti
umoristici, a tratti drammatici. E' una SasuNaru e una MadaHashi, anche
se segue i miei personali standard, quindi niente dobe-teme &
parrucconi a profusione, bensì personaggi il più
possibile IC, uno stile spero scorrevole e una trama che allo stesso
modo mi auguro possa sia divertirvi che trasmettervi qualcosa. Forse...
forse tutto il sugo della storia (per dirla alla Manzoni lol) si
comprenderà davvero alla fine.
Buona lettura!
R.I.P. & Play Again
Riposa
in Pace…
Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.
“Now
that he is gone and the spell is broken, the actual fear is greater.
Memories and possibilities are ever more hideous than
realities”
“Ora
che se n’è andato e l’incantesimo si
è rotto, la paura vera e propria è più
grande. Le memorie e le possibilità sono ancora
più orribili delle realtà.”
Herbert
West – Reanimator; By H.P. Lovecraft
I
Stop - Reanimator
Di
solito tutti i grandi incipit cominciano con qualcosa di epico,
qualcosa che rimane inchiodato nella testa del lettore e lo costringe a
leggere, ancora, fino a capire cosa accidenti succede in quella notte buia e tempestosa
o per quale mistico motivo un uomo all’improvviso si
risveglia trasformato,
nel suo letto, in un enorme insetto immondo.
Questo Madara lo sapeva bene, facendo lo scrittore per vivere.
Ed effettivamente la sua storia era iniziata in maniera non solo
accattivante ma addirittura scenografica, pronta per essere scritturata
direttamente da Hollywood: con un’esplosione. Peccato che,
ecco… in quell’esplosione ci avesse rimesso la
vita.
Non che la sua fosse esattamente una vita modello, al contrario: il
fumo, la sodomia, una profusione di parolacce usate come intercalare
erano giusto un breve riassunto di come la sua esistenza fosse ben
lungi dal potersi definire esemplare. Eppure era la sua e
l’uomo, come una buona parte degli esseri umani, tutto
sommato ci teneva. Suvvia, nonostante le scarse aspettative della
collettività era divenuto uno scrittore di successo, autore
persino di favole horror per bambini, amate e puntualmente denunciate
dalle mamme perbeniste del mondo: come si potrebbe non voler continuare
a vivere, dati simili ghiotti presupposti?
La sera in cui tutta quella sua caotica e imperfetta vita era cessata,
Madara stava oltretutto facendo qualcosa di altrettanto caotico e
imperfetto ma che amava alla follia, quasi quanto scrivere;
più precisamente, stava facendo sesso. Aggiungiamo, giusto
per i fanatici dei dettagli, anche un particolare importante
soprattutto per il resto della vicenda a seguire: stava facendo sesso con un uomo.
Sì, forse la parola sodomia buttata nel mezzo
dell’esistenza non-modello dello scrittore poteva essere un
indizio notevole, ma in queste situazioni è meglio non
lasciare nulla al caso: Madara Uchiha era proprio omosessuale.
Torniamo indietro di qualche riga; dicevamo, Madara Uchiha era a letto
con un uomo. Non un uomo qualunque, bensì una persona che
conosceva da decine di anni, con la quale aveva intrecciato un rapporto
lavorativo, poi d’amicizia e infine…
d’amore – o la maniera in cui si poteva definire la
strana e tortuosa relazione che li legava.
Tale persona era il suo illustratore: Hashirama Senju. Le sue tavole, i
suoi scenari, i suoi inchiostri avevano animato le pagine dei racconti
di Madara, rendendo ancora più vive e potenti le sue
già evocative parole, come se davvero i dipinti lunari di
una casa solitaria fossero stati direttamente plasmati dalle righe
scritte su carta.
In quel momento, quando tutto ebbe inizio, Madara stringeva le natiche
di Hashirama, le teneva, contemplandole, osservando la muscolatura
soda, la corporatura alta e asciutta che aveva sempre contraddistinto
l’uomo e i capelli che cadevano sulla schiena, simili a linee
d’inchiostro che, come china sull’acqua,
scivolavano diffondendosi sopra la nuda pelle.
Stava per arrivare all’orgasmo, affondando con spinte sempre
più decise in quel corpo che amava, e così vicino
all’orgasmo notava dettagli che nemmeno credeva di poter
vedere: il modo deciso in cui Hashirama artigliava le lenzuola, la
naturalezza con cui si armonizzava ai suoi movimenti, la bellezza della
muscolatura quando inarcava la schiena, nascondendo nella pelle la
spina dorsale, come se girandosi dovesse proteggerla.
Era quindi un bel momento, l’avrete provato un po’
tutti, in fondo. Capirete dunque che farebbe piuttosto incazzare se
qualcosa, esattamente in quel preciso istante di sublime perfezione,
dovesse non solo interrompere tutto il flusso di orgasmica
felicità ma addirittura uccidervi. Incazzare è
riduttivo, come termine; forse sareste proprio tornati
dall’aldilà giusto per fare un dispetto al creato
– e, sostanzialmente, almeno in parte questo fu quanto
accadde in seguito a quello spiacevole evento. Ma… ci
sarà tempo per parlarne.
Con spiacevole evento, in ogni caso, si intende un incidente non solo
tragico ma altamente improbabile, anzi, con una soglia di
probabilità che rasenta l’1%. Giusto per
intenderci: quante volte si è sentito di qualcuno che ha
perso la vita dopo essere stato colpito da detriti in fiamme di un
satellite che aveva concluso il suo moto gravitazionale?
Ebbene, questo fu ciò che accadde quella sfortunata sera in
un motel lungo una statale a Madara Uchiha e Hashirama Senju: uomini,
amanti, colleghi di lavoro. Travolti da un satellite che andava a fuoco
e morti forse in seguito all’esplosione, forse per via del
crollo dell’edificio che, pur essendo basso, si era ripiegato
su se stesso come carta zuppa d’acqua.
“Porca troia!” esclamò Madara
all’improvviso, annaspando quasi avesse ritrovato la
capacità di respirare, per poi rendersi conto di essere nudo
di fronte all’hotel in fiamme.
“Non me l’aspettavo.” Commentò
Hashirama scuotendo la testa; l’uomo sembrò
comparire al fianco dello scrittore. Anch’egli nudo come
mamma l’aveva fatto, con un’espressione preoccupata
ma non troppo, tanto più tranquillo e razionale in tutto
rispetto al suo compagno.
Madara gli afferrò le spalle: “Ma che è
sta faccia? Guardaci! Siamo nudi, qui fuori! E là
c’è un fottutissimo edificio in fiamme crollato in
mille pezzi! E tutto quello che mi riesci a dire è non me l’aspettavo?”
Hashirama rise, portandosi la mano dietro la testa: “Che vuoi
che ti dica, sei tu lo scrittore qui.”
Lo scrittore in oggetto stava replicando altro, quando a suon di sirene
e frenate brusche entrarono nel piccolo spiazzo del motel delle
ambulanze e dei camion dei vigili del fuoco, seguiti dalla polizia che
sembrava essere venuta lì più a far casino che
altro.
Ulteriori persone uscirono in strada un po’ ammaccate ma
sopravvissute perché distanti dal luogo di impatto, visto
che l’edificio aveva un solo piano, oppure provenienti dalle
strutture adiacenti e pronte ad aiutare. Ci furono pianti, grida e
lamenti in uno scenario quasi apocalittico; nessuno sembrava comunque
eccessivamente turbato dalla presenza di due uomini, nudi, in piedi di
fronte al luogo dell’incidente.
Madara, poco abituato a essere ignorato, stava per dirigersi verso un
soccorritore improvvisato che aveva avuto la brillante idea di scavare
a mani nude tra macerie e detriti metallici roventi, quando si
voltò verso Hashirama per esortarlo a far presente che, ehi, loro erano dei
sopravvissuti, quindi meritavano un po’ di riguardo. In quel
preciso istante un’ambulanza guidò con noncuranza
nella direzione del disegnatore e, prima che loro due potessero fare
qualcosa, l’auto lo travolse in pieno.
Madara, con il cuore in gola e il respiro bloccato, già si
aspettava di vedere il corpo dell’uomo che amava intento a
volare via, cascare a terra e scomporsi come un puzzle malfatto.
Invece, non testimoniò nulla di tanto ordinario;
perché, semplicemente, l’ambulanza
passò attraverso il suo corpo.
Hashirama infatti sentì solo qualcosa di metallico e freddo
entrargli dentro, avvertì i propri capelli venire scossi,
volteggiare e rimanere sospesi, come spinti da una forza inevitabile,
ma non percepì dolore o alcuna parte di sé
spostarsi. Tutto tornò alla normalità –
per quanto quella situazione assurda potesse definirsi normale
– e l’uomo si guardò le mani, il proprio
petto, per poi rendersi conto che non gli era successo assolutamente
nulla, né tantomeno era stato investito.
“Madara…” mormorò poi,
alzando il volto verso di lui.
Sembrò volergli dire altro, un’infinità
di parole e di rivelazioni, ma un vigile del fuoco passò
anche attraverso Madara. Fu come vedere un’immagine
olografica disfarsi dei contorni dove
veniva toccata per poi ricomporsi: scie di luce, frammenti, volarono un
istante ribelli e tornarono al loro posto in un movimento fluido, come
se fossero stati mercurio che fuggiva da un termometro.
Lo scrittore aprì la bocca, rimase immobile un istante, poi
girò lo sguardo verso il motel o ciò che ne
rimaneva. Qualcuno iniziò ad estrarre dei corpi, magari solo
un braccio che spuntava dalle macerie o dei resti schiacciati,
distrutti, da qualcosa di più grande e potente.
“Siamo morti.” Concluse alla fine, lasciando cadere
le braccia lungo i fianchi.
Altra gente li oltrepassò, attraversandoli, scuotendo i loro
capelli, smuovendo gli echi di ciò che erano stati in vita.
Dalla presa di coscienza della propria morte, cominciava anche la vita
di altre due persone: Sasuke e Naruto. Ma, come dicevamo qualche riga
addietro, portate pazienza; prima c’è un piccolo
dettaglio da approfondire: perché, sostanzialmente, due
morti camminavano ancora sulla Terra?
*
Ormai l’incendio era stato spento, i soccorsi prestati, le
macerie tolte e i corpi di chi non ce l’aveva fatta estratti,
per venire messi dentro i sacchi da obitorio. Una fine triste, quasi
ironica, perché chi era andato in quel motel per dormire una
sola notte di certo non si aspettava che lo avrebbe fatto per sempre.
Madara e Hashirama finirono, inconsciamente, per tenersi per mano. In
quelle ore di consapevolezza che chiunque poteva passare loro
attraverso come se essi non esistessero, fu confortante realizzare di
riuscire, invece, a toccarsi; inoltre, fatto non da poco, nessuno
poteva avere qualcosa da ridire, visto che i due amanti erano
sostanzialmente invisibili.
Rimasero lì tutto quel tempo, a guardare i soccorsi, a
vedere altre fiamme e crolli, senza provare sonno, stanchezza, fame o
sete. Si sentivano a vicenda e tanto bastava. Stavano per estrarre gli
ultimi corpi, i loro, forse. Fu difficile respirare o…
insomma, quel gesto che erano così abituati a fare in vita.
“Fidatevi, non volete vedervi.” Disse una voce,
all’improvviso.
I due si voltarono: videro un ragazzo dai capelli lisci e piatti che in
parte ricadevano sulla fronte, con stampato addosso un mezzo sorriso e
gli occhi scuri attenti. Aveva addosso una sorta di tunica semplice,
portava una collana con tantissimi monili diversi e nel complesso
sembrava uscito da un film d’epoca in costume.
“E tu chi cazzo sei? – anche da morto, Madara
sapeva essere sempre gentile
– odio la gente che mi arriva da dietro le spalle.”
“Ho tanti nomi – replicò
l’altro, per nulla turbato dall’accesso
d’ira – ma per semplificarci la vita diciamo che
sono il ponte tra qui e l’aldilà. Chiamatemi
Sai.”
“Mi porti verso l’aldilà?”
domandò Hashirama, scrutandolo.
“Non esattamente. Il passaggio è…
bloccato, per così dire.” Spiegò colui
che, a vederlo, sembrava un ragazzo. I pendenti al collo ciondolarono:
si intravide una croce, un triskell, persino una croce uncinata egizia.
Quasi una fiera di cattivo gusto delle paccottiglie religiose,
eppure… emanava qualcosa di forte, un’aura
assoluta che inchiodava i due uomini lì, davanti a
quell’essere, incapaci di andarsene.
“Bloccato? Nel senso che abbiamo conti in sospeso e tutte
queste stronzate qua?” sbottò Madara.
Sai gli sorrise, ma il suo volto sembrava quasi inquietante:
“No. Nel senso che la vita è stata vissuta nella
menzogna. E questa menzogna sarà rivelata, lasciando
corrotti, incapaci di raggiungere la morte soddisfacente che natura
vorrebbe. Perché avete comunque fatto tutti e due qualcosa
di buono nella vostra esistenza; anche se tu Madara… ecco,
su di te ci sono stati un po’ di dibattiti. La tua
situazione, comprenderai, è diversa da quella di
Hashirama.”
Quest’ultimo non disse nulla. Guardò semplicemente
l’uomo che amava, il quale invece replicò velenoso:
“Dibattiti? Chi è che dibatte? Dio? Buddah? Allah?
Sai quanto cazzo me ne frega? Nulla! Se avevano qualcosa da dirmi che
me lo dicessero quando potevo ancora rispondere, visto che si sono
sempre risparmiati di farsi sentire; io di certo non li ho
cercati.”
Era ateo convinto più o meno da sempre e nemmeno Hashirama,
che pure credeva in qualcosa di più grande, era mai riuscito
a smuoverlo dalle sue posizioni.
“Non sono qui per istruirti di religione o filosofia.
Limitiamoci a dire che ciascuno, nella sua sfera privata, ha attribuito
un nome a ciò in cui crede. Il fatto che tu non abbia
creduto in nulla non fa cessare di esistere ciò che vive nel
cuore e nella mente degli altri. Ora – fece un sorriso ancora
più inquietante – posso concludere o volete
rimanere per sempre nudi di fronte ai resti di un motel?”
Hashirama buttò un occhio alla strada e
all’edificio; avevano portato fuori gli ultimi resti, non
c’era davvero più nulla lì dentro,
oltre alla morte. Non aveva notato il proprio corpo e fu sollevato
all’idea: anche se prima credeva che guardarsi sarebbe stata
l’unica cosa giusta da fare, a posteriori comprese che non
avrebbe tratto alcun beneficio dal vedere il se stesso di tutti i
giorni ridotto a un cumulo di carne.
“Concludi.” Lo esortò, serio. Madara
tacque. Entrambi sapevano, in fondo, a quale menzogna si riferisse
quella creatura.
“Ho un compito da proporre. Evitare che due persone compiano
– fissò entrambi ma specialmente Hashirama
– il vostro stesso errore. O, sostanzialmente, si tratta di
migliorare la loro vita prima che tutto si concluda nel disastro
più totale.”
Madara e Hashirama si lanciarono un’occhiata. Poi lo
scrittore si portò una mano al fianco,
assottigliò gli occhi e replicò, chiaramente
scettico:
“Fammi capire: voi, chiunque voi siate, siete
diventati un’accozzaglia di enti improvvisamente dediti alla
carità? Perché, esseri superiori fantafighi,
dovrebbe importarvi qualcosa di quelle due persone? Di noi vi è
mai importato?”
Hashirama gli lanciò un’occhiata per poi
commentare: “Accidenti, sei davvero polemico! Meno male che
non sei invecchiato oltre o saresti stato come quegli anziani acidi che
si lamentano tutto il tempo.”
Accennò a un sorriso morbido, con un’ombra di
rassegnazione all’idea che l’ironia era tutto
ciò che gli restava, a quel punto.
Lo scrittore borbottò qualcosa ma tacque quando Sai gli
dette le tanto anelate spiegazioni:
“E’ una questione di equilibri. Poi,
sostanzialmente, posso andare anche contro questa forza e portare via
con me l’energia vitale. Ma… non è la
continuazione che entrambi desiderate, o sbaglio?”
Nonostante l’uso del plurale guardò comunque prima
Hashirama. Questi lo fissò, con il volto spaventosamente
serio, marchiato da una consapevolezza in qualche forma più
grande.
Abbiamo parlato tanto di Madara in questo inizio storia, accennando
qualcosa della sua vita, dei suoi orientamenti e del suo carattere. Ma
di Hashirama, filtrato attraverso gli occhi di chi lo amava,
è stato omesso un particolare importante: egli, infatti, era
sposato.
Non certo con Madara, questo era impossibile, bensì con una
donna, moglie e madre dei suoi figli. Figlia, precisamente. Loro due
– la sua famiglia, almeno sulla carta –
congiuntamente alla notizia della morte di Hashirama, avrebbero saputo
che questi non era da solo al momento della sua scomparsa,
bensì era stato trovato nudo nella camera di un motel
assieme a un altro uomo, che peraltro conoscevano. Non ci voleva un
genio per trarre le somme e capire che l’esemplare marito e
padre di famiglia stava tradendo il sacro vincolo del matrimonio con un
amante, per giunta un amante uomo che in svariate occasioni aveva pure
varcato la soglia della loro casa.
No, decisamente non un bel modo di andarsene, un peso tenuto nascosto
per troppo tempo che avrebbe causato ulteriore sofferenza alla
legittima consorte Mito Uzumaki. Forse il poter sistemare delle altre
vite avrebbe in parte compensato le sue mancanze: Hashirama non lo
sapeva, l’unica cosa di cui era certo era che non accettava
di andarsene così, avrebbe tentato di poterle dire ancora
qualcosa, di…
Dannazione. Non avrebbe più abbracciato sua figlia che era
già donna, non l’avrebbe vista invecchiare, far
nascere la bimba che teneva in grembo, diventare una donna in carriera,
realizzarsi. Fu quella consapevolezza, più di qualsiasi
altra cosa, a rendere ad Hashirama così indigesta la morte.
“Non sbagli. Chi dobbiamo aiutare?”
Gli piacque parlare al plurale, sembrava quasi un’avventura.
Madara sospirò ma non disse nulla: aveva proprio voglia di
fumare.
Sai sorrise:
“Oh, vi piaceranno.”
Ecco, se solo Madara avesse potuto prevedere con quella frase cosa, o
meglio, chi esattamente gli sarebbe capitato, avrebbe dato del fuori di
testa ad Hashirama e accettato l’offerta di andarsene con
tutti i pesi del caso. Ma all’epoca, appunto, aveva solo
voglia di fumare, di aiutare l’uomo che amava e con cui aveva
condiviso vita, e morte, a sistemare quel grandissimo casino che era la
loro esistenza.
*
C’era stato un periodo della vita di Sasuke Uchiha in cui
quest’ultimo aveva praticato la boxe a livello agonistico. Un
bel
periodo, nel complesso, fatto di allenamenti intensivi, corse e
incontri nei quali sua madre temeva di vederlo tornare a casa senza un
dente, nonostante le apposite protezioni. Una cosa del genere,
comunque, non era mai accaduta: Sasuke infatti era bravo, atletico,
capace di schivare, tenere alta la guardia e fare le sue dovute
contromosse. Poi era veloce e la pratica saltuaria con le arti marziali
aveva migliorato i suoi già agili riflessi: una macchina da
guerra, nonostante il fisico asciutto e nervoso, dai fasci muscolari
così in evidenza che era possibile vederli guizzare sotto la
pelle. Ricordava Bruce Lee, più che un massiccio pugile
moderno, ed era stato notato dalle federazioni professionistiche che
gli avevano proposto contratti piuttosto appetitosi.
Tutto questo percorso crono storico si era svolto più o meno
in contemporanea a quello del primo, vero, rivale di Sasuke,
nonché amico e compagno di allenamenti, visto che
frequentavano la stessa palestra da anni: Naruto Uzumaki.
Ora, questi due cognomi vi suoneranno famigliari, suppongo.
Ma… andiamo con ordine.
Naruto, al contrario di Sasuke, aveva un fisico meno asciutto, anche se
di pochi centimetri più basso dell’amico e aveva
una notevole forza d’attacco ma difettava nelle schivate.
Incassava bene i colpi, eppure quando l’avversario attaccava
con decisione il ragazzo rischiava di diventare un punching ball umano
e la resistenza negli incontri ne risentiva.
Purtroppo, però, a un certo punto le carriere sportive di
entrambi smisero di correre in parallelo: Sasuke infatti non
poté continuare la sua strada agonistica a seguito di un
incidente che, in un qualche modo profondo che forse leggendo potrete
comprendere, segnò anche Naruto. Quest’ultimo, per
quanto avesse sempre desiderato con tutto se stesso superare Sasuke e
migliorarsi, a sua volta azzerò le sue mire sportive,
accontentandosi, giorno dopo giorno, di venire allenato dal suo
compagno di boxe di un tempo.
Ogni tanto partecipava a qualche incontro ma sembrava più
uno svago, una macchia sul calendario, mentre la sua frequentazione
della palestra era diventata una sorta di tranquillizzante routine,
anziché un impegno vero e proprio.
Sasuke si arrabbiava, anzi, si incazzava a morte nel vedere tutto quel
talento sprecato ma Naruto, testardamente, si ostinava a non voler
sentire ragioni. Nonostante le premesse, ancora non era quello il
motivo vero e proprio per cui Sasuke e Naruto avevano decisamente
bisogno di un aiuto, a modo loro.
La palestra apparteneva al padre di Sasuke, Fugaku, che a sua volta era
stato boxeur e aveva allenato i due ragazzi sin da piccoli;
contrariamente alle opposizioni delle moglie e della madre di Naruto,
ogni volta che poteva si portava i ragazzi agli incontri, convinto che
la boxe fosse un’arte e una scuola di vita che li avrebbe
formati come uomini.
Affascinati, i due bambini guardavano il ring, le luci, la gente,
sognando un giorno di poter essere là sopra, di sentire
l’adrenalina dello scontro, il sudore colare sulla fronte, la
concentrazione verso l’avversario per comprenderne i
movimenti e anticiparli.
Crescendo, erano riusciti ad arrivare a quel punto, a quelle luci, a
sentire le incitazioni della folla, a calcare il suolo già
un po’ vissuto del ring. Ma da lì in avanti le
cose erano poi procedute diversamente rispetto alle aspettative.
Anche quella sera di tanti anni dopo, quando il resto degli atleti o
frequentatori casuali della palestra era andato via, Sasuke e Naruto si
trovavano sul ring ad allenarsi, ancora, assieme. Attorno a loro le
mura di quel luogo che tanto conoscevano, alte, che ricordavano una
fabbrica, con le sue vetrate un po’ sporche, gli infissi di
ferro dalla verniciatura blu scura che in alcuni punti stava saltando,
rivelando l’anima metallica che c’era sotto.
Le lampade, dal filo lungo e spesso, pendevano sopra le travi con la
loro luce gialla e a tratti smorta, come se le lampadine fossero
stanche, mentre il pavimento in pvc portava i segni degli attrezzi
spostati, dei passaggi e dei pesi, graffi e strisce nere simili a
ferite. A tratti c’era odore di ferro, misto a sudore quando
si era in tanti e l’aria era contesa, o quando si guardavano
match organizzati alla buona per capire i propri sbagli o semplicemente
per appassionato divertimento.
“Più alta la guardia! Alta! Bilancia le spalle,
sembri un troglodita!”
Sasuke alzava la voce con Naruto, mentre gli correggeva ogni movimento,
rilevava qualunque falla in una nave da guerra che non poteva
permettersi di affondare. Ma non urlava, mai. Aveva un tono duro,
persino autoritario a tratti, però sapeva distinguere un
incitamento a migliorare da una dimostrazione di rabbia, anche se non
necessariamente tale incitamento era privo di insulti. Quando si aveva
a che fare con Naruto, l’insulto era una parte costante del
dialogo.
Naruto si correggeva, mettendoci ancora più impegno, senza
mancare però di esclamare:
“Fossi un troglodita ti avrei già dato tante di
quelle mazzate in testa, brutto spocchioso, arrogante testa
di…”
Sasuke vide la guardia scoperta, ancora, e pensò bene di
rifilare a quel chiacchierone il pugno che si meritava, anche se era un
allenamento e anche
se in teoria avrebbe dovuto essere lui ad accogliere i suddetti pugni,
non viceversa.
“Ahia – esclamò il pugile dai capelli
biondi che sparavano da tutte le parti, grazie al taglio appena fatto
– sei uno stronzo. Stavo…”
Si rese conto che precisare parlando
non era esattamente una scelta saggia per far valere i propri diritti.
Sasuke si portò ai fianchi le mani coperte dai guantoni e,
con il suo solito cipiglio in parte schifato, in parte divertito, disse:
“Te lo sei meritato. Parla di meno e muoviti di
più, stupido – tacque un istante poi aggiunse,
gettandogli addosso un asciugamano – tra un paio di settimane
ci sarebbe un incontro a…”
“Lascia stare.” Lo interruppe Naruto, sfregandosi i
capelli con il pezzo di tessuto un po’ consumato ma bianco e
odoroso di pulito. Probabilmente c’era lo zampino di Sakura,
anche se Sasuke era sempre stato preciso in quelle cose.
L’altro arricciò appena le labbra sottili ma non
disse nulla, guardando da un’altra parte.
Naruto gli lanciò un occhiata, osservando lo sguardo
profondo e i capelli lasciati crescere fin quasi alle spalle, tirati
indietro da un sottile cerchietto nero: aveva sempre trovato Sasuke
bello, desiderabile nonostante il carattere chiuso, forse
perché in quegli anni aveva avuto modo di conoscere tanti
aspetti di lui.
Gli mise le mani sul collo, tra i capelli, e lo bloccò,
continuando a fissarlo; Sasuke inarcò un sopracciglio ma non
si mosse, né parlò.
“Sei un figo.” Decretò Naruto. Infine,
senza pensarci oltre, lo baciò.
L’allenatore si sfiorò le labbra poi, suo
malgrado, sorrise a sua volta e scosse la testa:
“Questo per che cos’era?”
L’asciugamano era caduto a terra.
Naruto scrollò le spalle: “Nulla in particolare.
Devo approfittarne prima che ti sposi con l’amore della mia
vita.”
Sakura. Maledetto
Sasuke, te l’ho fatta conoscere io. E lei è
cascata ai tuoi piedi. Non ho mai capito se dopo tutti questi anni
l’hai sposata per esasperazione.
“Credevo di essere io l’amore della tua
vita.” Lo prese in giro Sasuke, con quel modo brusco e
dall’ironia graffiante, quasi paradossalmente seria, che
aveva di solito. Raccolse l’asciugamano e lo tenne stretto
tra le dita, fissandolo, rendendosi conto del peso di quelle parole.
Naruto infatti lo colse in pieno e sentì un groppo in gola.
Gli diede un pugno sulla spalla per non pensarci:
“Ehiehi, non dirmi che sei geloso! Dovrei essere io quello
ferito e scartato, qui.”
All’improvviso Sasuke gli afferrò il polso,
bloccandolo:
“Allora…”
Il resto rimase lì, sospeso tra loro. Deviarono gli sguardi,
incapaci di bloccare quella spaventosa serie di eventi che stava
avanzando, inesorabile.
Non erano più ragazzini; erano adulti, avevano dei lavori,
delle vite, degli amici, colleghi e conoscenti al di fuori di quella
palestra nella quale in fondo erano cresciuti. Oh, sì,
casomai vi interessasse saperlo, dopo tutti quegli anni Sasuke e Naruto
erano finiti a letto insieme: era stato quasi naturale, anche se sulle
prime imbarazzante ed erano tutti e due imbranati cronici. Ma
progressivamente avevano imparato a conoscersi pure sotto
quell’aspetto, nonostante non fosse stato decisamente facile
capirsi e, puff,
finire a letto.
Eppure non si erano mai detti un vero e proprio ti amo; infatti,
con il passare del tempo si stavano rendendo conto che nessuno dei due
era in grado di portare a un altro livello la loro relazione, Sasuke
perché aveva un padre che pensava di aver deluso e che
avrebbe voluto vederlo sistemato nella vita, visto che nello sport
tutto era già andato a puttane. Naruto perché
sentiva un grandissimo, enorme, debito nei confronti di Sasuke, che per
colpa sua aveva dovuto dire addio alla boxe che amava con tutto se
stesso, accontentandosi di dover allenare uno stordito come lui e un
altro pugno di gente che non sarebbe andata da nessuna parte, in una
palestra che viveva dei fasti di un tempo ma era solo un rudere
consumato dalla ruggine.
Erano quindi così, in sospeso, qualcosa di indefinito, per
quanto finissero sempre per cercarsi e capirsi, con un senso
d’intesa quasi chimico. Ma la vita, appunto, andava avanti e
a breve Sasuke si sarebbe sposato, i suoi sarebbero stati contenti,
avrebbe avuto una famiglia, magari avrebbe anche allenato di meno in
palestra e con Naruto si sarebbe visto solo ogni tanto, per qualche
sporadica lezione o per un’uscita assieme a tutti quanti.
Naruto avrebbe voluto prenderlo per le braccia e scuoterlo con forza,
visto che ormai la loro storica differenza d’altezza si era
praticamente appianata, per poi dirgli: ehi, deficiente, fregatene dei
tuoi, di quello che la società si aspetta da te e stiamo
assieme!
Ma… no, non poteva proprio portargli via anche quello.
“Cosa ne pensi?” gli domandò Sasuke
scendendo dal ring, anche se Naruto non mancò di notare
nemmeno quella volta che lui, come sempre, claudicava leggermente con
la gamba sinistra.
L’interrogato sgranò un istante gli occhi,
guardò il soffitto nel quale ebbe tempo di notare anche
delle interessantissime ragnatele e tornò a posare gli occhi
sull’amico:
“Ehr… vediamo… domanda di
riserva?”
Si passò la mano dietro la testa, ridacchiando.
Con le braccia incrociate Sasuke notò, glaciale:
“Non mi stavi ascoltando.”
“Bah, ascoltare è una parola grossa,
sopravvalutata direi…”
Ma non finì di parlare che l’allenatore gli
afferrò la caviglia: “Smettila di straparlare e
scendi o la prossima cosa che farò sarà darti una
coltellata al piede.”
“Wow, fai paura Uchiha! Scendo, scendo.”
Borbottò Naruto, anche se piegandosi la mano di Sasuke era
risalita al polpaccio. Si guardarono un istante, fermi così,
con Naruto accovacciato e Sasuke che teneva la testa sollevata per
guardarlo, oltre le corde del ring. Attorno a loro la palestra dalle
mura alte e vuote sembrava silenziosa ma accogliente, nella sua anima
in ferro, cemento e mattoni.
Prima che però il compagno d’allenamenti potesse
muoversi, Sasuke gli spiegò:
“Sakura. Vorrebbe farti conoscere una ragazza. Voleva
organizzare un’uscita assieme.”
Naruto, che lo conosceva bene, scorse un velo di rossore e un certo
cipiglio infastidito. La cosa lo fece genuinamente sorridere,
così si mise seduto per far scivolare le gambe da oltre il
ring e passare sotto le corde con un breve salto.
Si pulì i pantaloncini, ma la sua testa era un continuo:
Che gli dico? Se mi ha
informato è perché evidentemente ci tiene. Ma che
me ne frega a me? Boh, dai, per Sasuke lo posso anche fare, che vuoi
che sia, no?
“Okay! – annuì –
Perché no?”
Per te è
così facile frequentare un’altra persona?
Avrebbe voluto replicare Sasuke ma tacque, limitandosi ad annuire con
un cenno secco della testa.
“Tsk, vedi di non farmi fare brutte figure.” Anche
se non lo pensava davvero. L’ultima cosa di cui gli importava
era proprio fare bella figura con Sakura o chiunque altro. Anzi, forse
in realtà voleva solo lo scatenarsi
dell’Apocalisse, così Naruto non sarebbe mai
uscito con quella ragazza e capito cosa significasse amare davvero
qualcuno. Perché quello stupido testone evidentemente
proprio non aveva alcuna idea a riguardo.
“Ehi, lord, se voglio posso essere un figo anch’io
– gettò i guantoni, si tolse la canotta e, dopo
averla fatta ondeggiare, la lanciò in faccia a Sasuke, per
poi ammiccare cercando di non scoppiare a ridere alla vista della sua
maglietta ancorata alla spalla del ragazzo –
allora?”
L’allenatore afferrò il vestito e lo
lanciò sul ring assieme all’asciugamano:
“Allora mi metti in testa strane idee.”
Lo sospinse contro le corde e lo baciò, sentendo poi le sue
mani su di sé, sul suo corpo, sotto la sua canotta. Non
c’erano state più parole, scherzi o insulti,
quelli li riservavano per quando dovevano riempire i vuoti delle loro
distanze. Avessero potuto continuare così per sempre, con la
palestra, con le loro abitudini, sarebbe stato fantastico ma, appunto,
la vita andava avanti e non aspettava certo le indecisioni o i dubbi
che si trascinavano dietro.
In quel preciso momento, quando si erano tolti anche i boxer e,
indifferenti al sudore o alla stanchezza, avevano finito per
trascinarsi contro il ring, ecco, in quella pessima circostanza
suonò il cellulare di Naruto.
Ma si trattava di una chiamata importante, direi addirittura
fondamentale ai fini della nostra storia: se non avesse risposto,
infatti, forse le cose sarebbero andate in maniera un po’
diversa.
Dopo aver guardato il compagno di boxe, che gli aveva lanciato
un’occhiata seguita da silenziosa ma ben chiara minaccia di
morte se Naruto avesse osato rispondere, il ragazzo sospirò
e spiegò che proprio non poteva ignorare la telefonata, pur
sentendo le sue mani strette attorno al petto e il cazzo di Sasuke che,
sostanzialmente, era lì, tra le natiche. Insomma,
decisamente una situazione non ideale per interagire al telefono.
Ma quella era la suoneria di sua mamma, la quale lo chiamava
all’incirca ogni morte di Papa e, se lo faceva, non avveniva
di certo a quell’ora. Il fatto che telefonasse presupponeva,
dunque, che se non fosse esattamente morta una qualche
autorità religiosa, si trattava comunque di un fatto
abbastanza grave.
“Devo rispondere.” Disse in un sussurro,
semplicemente perché l’eccitazione era ancora
lì e parlare non era poi così facile.
Sasuke si morse il labbro superiore e chiuse un istante gli occhi,
appoggiando la fronte sulla spalla di Naruto. Sospirò,
infine lo lasciò libero dal suo abbraccio:
“Vai, sbrigati.”
Mise una mano sul ring e rimase così, per poi passarsi le
dita tra i capelli.
Impacciato, Naruto corse verso la borsa appoggiata su una panca,
rovistò tra le mille inutilità e cartacce che si
portava dietro, infine rispose. Dopo le lamentele di sua madre,
evidentemente incapace di realizzare che suo figlio avesse qualcosa da
fare nella vita, Naruto cercò di tagliare corto, di certo
non intenzionato a dirle che, insomma, stava facendo sesso con Sasuke,
lo stesso Sasuke tanto carino che portava sempre qualcosa quando
passava a trovarli sotto le feste.
“Dimmi ma’.”
“Tuo zio, il marito di zia Mito – un sospiro
– è morto in un incidente e a quanto pare
è stato coinvolto anche un amico di famiglia. Madara
Uchiha… è parente di Sasuke, no? Dopodomani ci
sarà il funerale.”
Sì, precisamente da questa telefonata e da quella frase
comincia la vera storia di Sasuke e Naruto ma, soprattutto, della loro
relazione con i fantasmi di Madara e Hashirama.
La vita va avanti… giusto?
Sproloqui
di una zucca
Ho concluso questa
storia all'1,30 di notte di qualche giorno fa. Poche settimane addietro
(che terminone, eh?) parlavo con il mio ragazzo che mi chiedeva
un'opinione su come procedere con la stesura di una storia. Gli ho
detto che tendenzialmente quando ho una trama in mente comincio a
buttare giù il tutto, perché poi magari sul
momento mi vengono in mente delle situazioni o idee particolari e mi
piace tornare indietro per inserire dettagli aggiuntivi che le
approfondiscano o le anticipino. Gli ho fatto l'esempio di due tizi che
fanno a botte, sostenendo che sarebbe bello magari riprendere a qualche
capitolo prima e inserire una scena dei due che sono in una palestra ad
allenarsi. Così... sbam, mi è venuta in mente la
scena di questa palestra un po' lasciata andare, stile film di boxe e
redenzione americano. Da lì tutto il resto è
seguito a ruota appena mi sono trovata del tempo, e pensare che nemmeno
abuso di sostanze stupefacenti XD
Le citazioni a inizio
capitolo saranno, tranne in un caso, tratte da libri che ho letto e che
per me hanno significato qualcosa nel frangente di cui ho voluto
scrivere. Lovecraft, per esempio, è uno di questi. Le frasi
in italico a inizio storia sono incipit famosi: Paul Clifford di
Bulwer-Lytton e la Metamorfosi di Kafka.
Per quanto riguarda il
mio racconto vero e proprio... che dire, ha uno stile con accenni
più ironici del mio solito (e, chi mi conosce, sa che
effettivamente so essere molto ironica) e un approccio più
confidenziale, secondo me si adattava alla tipologia di storia.
Ho provato un sincero affetto verso tutti e quattro i personaggi
trattati, da Madara cinico e parolacciaio, passando per Hashirama solo
apparentemente pacato, senza dimenticarci di Naruto, così
vitale ma e caotico ma al tempo stesso pieno di riguardi per Sasuke.
Ah, Sasuke...in tutte le mie storie hai sempre qualche problema,
sei proprio un rottame. E pensare che io lo adoro, davvero. Specie il
Sasuke adulto della new generation anche fisicamente m'acchiappa (uno
dei pochi che sia uscito vincente dai deliri di Kishimoto nel recap
finale).
Spero che il tutto vi piaccia e che vogliate seguirmi anche per i
prossimi capitoli; se commentate giuro che non mordo, ho fatto
appositamente l'antirabbica e pure l'antitetanica, olé!
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Capitolo 2 *** Backwards - Mirror ***
R.I.P.
& Play
Again
Riposa in Pace… Pausa
– una storia di
redenzione e seconde occasioni.
“When
you think the night has seen your mind
That
inside you're twisted and unkind
Let
me stand to show that you are blind
Please
put down your hands
'Cause
I see you”
"Quando pensi che la notte abbia visto ciò che hai nella
testa
Che
dentro sei contorto e scortese
Lascia
che ti mostri che sei cieco
Ti
prego, metti giù le tue mani
Perché
ti vedo"
I’ll
be your mirror, Velvet Underground
II
Backwards - Mirror
Il
funerale di Hashirama Senju si svolse in una bella chiesa
dall’architettura moderna, con tanto di coro gospel che Mito
adorava. Era stato possibile esporre il corpo nella bara aperta grazie
a un ottimo intervento di truccatori che avevano, letteralmente,
ricomposto e restaurato dei resti altrimenti troppo inquietanti per
poter essere visti da occhi non abituati a incidenti di quel tipo.
Così, una volta finita l’onoranza funebre, la
gente aveva cominciato a percorrere la grande navata centrale per
rendere omaggio a un uomo ammirevole, benvoluto da tutti grazie al suo
carattere determinato ma empatico.
Talmente empatico che il suo fantasma, o quello che poteva definirsi
tale, si era sentito chiamato lì, in quel posto, e aveva
trascinato con sé anche Madara.
Vide la moglie in lacrime e la figlia singhiozzare; anche se ormai Hana
era una donna fatta e finita, per Hashirama sarebbe sempre stata la sua
bambina. Erano lì, raccolte nel dolore, e lui non poteva
fare assolutamente nulla, o rivelare che non dovevano sentirsi
così sole perché in fondo era con loro, le vedeva
e le sentiva.
Lanciò un’occhiata a Madara che guardava la scena
con le braccia incrociate. Ovviamente della sua bara o del sentore di
un funerale non c’era manco l’ombra. Aveva tenuto
poco i contatti con la sua famiglia, tranne che per qualche
festività obbligata in cui insultava mediamente due terzi
dei parenti, dunque non c’era da meravigliarsi che,
nonostante il buon numero di Uchiha presenti, manco uno avesse pensato
di omaggiare la salma di Madara con anche solo una breve orazione e
tanti saluti.
Scrollò le spalle; non che gli importasse di ricevere
qualcosa da tutti loro: era morto, che giacesse in una cassa di ebano
extra-lusso o in un scatolone dell’Ikea poco cambiava la
faccenda, i vermi lo avrebbero mangiato comunque.
Gli interessava di più Hashirama che, per quanto meno
influenzabile dalle scosse emotive rispetto a lui, era comunque
costretto a vedere la sua famiglia soffrire e assistere al proprio
funerale: non era decisamente un bello spettacolo, nel complesso. Lo
stesso scrittore avvertiva un certo di disagio misto a un grande senso
di vuoto perché quello nella bara, in fondo, era
l’uomo che amava e loro erano su quella terra solo per un
insieme di circostanze temporanee.
Potevano toccarsi, sentirsi, ma per il resto del mondo non esistevano.
“Brutta situazione, vero? Beh, almeno questa volta siete
vestiti.”
Sussultarono, per poi voltarsi di scatto. Videro Sai, con indosso la
sua solita tunica chiara e i monili che in quella chiesa sembravano
quasi risplendere.
“Non so perché sono arrivato fino a
qui.” Ammise Hashirama.
“Per gli altri siete incorporei; non seguite più
le normali leggi della fisica, né conoscete le varie
dimensioni. Sei qui perché hai sentito la tua famiglia ed
entrambi, inconsciamente, avete percepito i ragazzi di cui vi avevo
parlato. In questo senso potete andare ovunque.”
Spiegò.
I due fantasmi
prima si guardarono, poi scrutarono la gente alla funzione, coro gospel
compreso. Ebbene sì, la notizia che i loro casi disperati
erano tra quel mucchio raccolto di probabili conoscenti li
spiazzò giusto un po’, considerando anche il clima
non propriamente allegro della giornata con cui avevano a che fare.
Sasuke si aggiustò la cravatta; Sakura lo osservava, incerta
se aiutarlo ad allentargli il nodo, mentre Naruto seduto di fianco
all’amico ebbe un brivido:
“Ehi, non hai una strana sensazione?”
“No, l’unica cosa strana qui dentro sei tu. Ora
alziamoci, è il nostro turno.” Esortò
scattando in piedi, dando un buffetto sulla spalla a Naruto,
perché sarebbe toccato a lui avanzare per primo.
Uzumaki conosceva poco lo zio Hashirama, più che altro
perché Mito era una donna abbastanza riservata e non molto
amante delle riunioni di famiglia, come se frequentando troppo i
parenti avrebbe rischiato di svelare qualche suo scheletro
nell’armadio. Però i pochi ricordi che egli aveva
del defunto erano tutti piacevoli, accompagnati dall’immagine
di un bell’uomo coi capelli lunghi e lo sguardo profondo ma
gentile.
Sarebbe stato ipocrita scoppiare a piangere anche se, sinceramente, il
giovane nipote si dispiaceva di non aver potuto parlare di
più con quello zio lontano.
Avanzò, con a fianco Sasuke e poi Sakura, apparentemente
sollevata all’idea che tra qualche giorno sarebbero usciti
con la sua amica – Hinata, come anticipato quasi fosse una
sorta di confidenza – per quanto si fosse premunita di sapere
se Naruto se la sentisse ancora, vista la perdita subita. Per lui
andava bene, no problem,
in fondo a cosa serviva pensarci su? Non poteva certo tornare indietro
e recuperare il tempo perduto.
“Chi sono quei tre che sembrano usciti dai boy
scout?” inquisì Madara, con una smorfia.
Hashirama scosse la testa: “Uno è mio nipote
Naruto e l’altro dev’essere il figlio di tuo cugino
Fugaku, Sasuke. Sei vergognoso.”
Lanciò un’occhiata a sua figlia, di qualche anno
più grande di loro, intenta a osservare i tre sfiorare la
bara. Gli si strinse il cuore. Poi sentì Madara afferrargli
la mano, in quella chiesa, davanti a tutti coloro da cui si erano
nascosti in quegli anni. Fu una sensazione strana, bella e confortante.
“Comunque dovete aiutare proprio loro due.”
Aggiunse Sai, come se si stesse inserendo in una conversazione al bar.
Gli uomini lo guardarono, incerti di aver capito bene. Madara
tornò a fissare i ragazzi intenti a tornare al loro posto,
donna dai capelli rosa compresi. Sorrise, falsissimo:
“Ah, stai scherzando, vero?”
Sai sorrise a sua volta: “No.”
Hashirama suo malgrado accennò a una risata, forse
più per l’espressione impagabile del suo scrittore
preferito, anche se l’idea di vedere uno come Madara alle
prese con persone che avrebbero potuto essere i loro figli restava
ugualmente esilarante. Per un attimo sentì il carico di
dolore farsi più sopportabile.
Dopo un istante di ripresa forzata dalla notizia, il sociopatico Uchiha
in questione concluse, con il fare sbrigativo di uno che voglia saltare
la coda alle poste:
“Beh, mi sembra che la tipa sia presa bene e gliela
darà. A Sasuke, intendo, al biondo manco da lontano. Fatto,
problema risolto. Se ne farà una ragione, buhuh, la vita
è una merda, tanti saluti e ciao. Il mare è pieno
di pesci.”
Hashirama gli girò un dito, doveva far male anche se non
poteva romperglielo.
“Madara! E tu dovresti essere uno scrittore? I tuoi libri
sono tanto toccanti emotivamente quanto tu sei un fottutissimo
schiacciasassi.”
“Ahi! Fanculo, ma che ti prende?”
esclamò l’altro con la sua voce un po’
roca.
Hashirama per tutta risposta gli mise la mano sulla nuca, affondando le
dita tra i capelli, e lo costrinse a girarsi:
“Guarda.”
Madara vide. Vide il modo in cui non Sasuke e Sakura ma Sasuke e Naruto si
guardavano. E capì, capì anche troppo bene.
“Merda.”
“Ti ricordano qualcuno?” domandò
l’illustratore, facendo scivolare la mano dietro la testa di
Madara.
Dopo qualche istante i due si voltarono verso Sai, giusto per capire
che accidenti dovessero farci con dei giovani uomini in preda a turbe
emotive di quel genere, specie conciati com’erano, visto che
sembrava avessero addosso la versione estrema del Mantello
dell’Invisibilità.
Ma… Sai non c’era più, adiós,
sparito. Li aveva anche salutati, però loro erano stati
troppo presi dalla confusione del momento per notarlo.
Madara tirò qualche parolaccia, Hashirama invece si mise a
riflettere, rendendosi poi conto che la chiesa si era quasi del tutto
svuotata. C’erano ancora Sasuke e la sua ragazza, oltre a
Naruto, intenti a incamminarsi per uscire, mentre sua moglie sostava in
piedi accanto alla bara assieme alla figlia.
Si mosse senza pensarci per raggiungerle. E nel farlo
incrociò gli occhi con Sasuke e Naruto che… lo guardarono a loro volta,
sgranando le palpebre.
I ragazzi avanzarono più per inerzia, infine si scambiarono
un’occhiata perplessa; ma, prima di girarsi per cercare di
capire se avessero subito una sorta di allucinazione collettiva, videro
anche Madara e Madara vide loro.
Quella volta si bloccarono e nemmeno lo scrittore si mosse. Hashirama
invece si era avvicinato alla sua stessa bara, in parte convinto di
aver soltanto immaginato che qualcuno lo potesse vedere, in parte
desideroso di poter stare accanto alla figlia.
“Madara?” domandò Sasuke quasi in un
sussurro. Naruto era pietrificato.
Sakura li richiamò, tornando indietro, visto che i due si
erano improvvisamente fermati e avevano l’espressione
sconvolta di chi avesse visto un… ehm, sì,
proprio un fantasma: “Ehi, tutto a posto?”
Non risposero, guardando un punto indefinito di fianco a lei.
Quest’ultima si voltò ma non notò
nulla, né capì cosa esattamente fosse successo.
Agitò una mano davanti a loro e questi la fissarono.
“Non lo vedi?” domandò Naruto, puntando
l’indice dove prima stavano inchiodando gli occhi.
Sakura per un attimo ci cascò, poi puntellò i
pugni ai fianchi, ribadendo: “E’ uno scherzo
stupido, oltre che indelicato. Non siete più bambini! Qui
non c’è nessuno.”
Prima che le cose degenerassero, Sasuke la tranquillizzò:
“Comincia pure ad uscire, noi… –
cercò velocemente una scusa – diciamo una
preghiera.”
Una preghiera.
Sakura lo guardò come se le avesse detto che avrebbe ballato
il limbo ma non commentò, limitandosi ad annuire dopo aver
sospirato.
“Poppanti.” Sbottò Madara, ritenendo
molto più plausibile l’idea dello scherzo che di
essere visto da qualcuno.
“Poppanti a chi?” sibilò Naruto, per poi
venire trattenuto da Sasuke.
Madara, quella volta, non poté fare a meno di sgranare gli
occhi.
“Mi vedete?”
“Certo che ti vediamo.”
Replicò asciutto Sasuke.
Ah, i dialoghi pieni di emozioni di due Uchiha.
A quel punto Madara tese le mani avanti per afferrare i ragazzi: fu il
primo gesto che gli venne in mente di compiere, con
l’intenzione di allontanarli e lasciare Hashirama assieme
alla sua famiglia; realizzò però
l’inutilità del farlo solo quando si mosse. Ma,
con sua estrema sorpresa, le dita invece affondarono nei loro capelli e
lui li strinse, sentendo le ciocche così pienamente da
rimanerne quasi deliziato.
“Fuori, con me.” Aggiunse e, nonostante le loro
proteste, li trascinò all’uscita della chiesa.
*
Mito guardò l’uomo che amava giacere nella bara, i
capelli castani ordinatamente disposti fino a toccare le spalle e
sparire tra le pieghe dei tessuti di raso, il volto sereno,
così bello nonostante la morte. Si portò una mano
alla bocca, come per soffocare il pianto e l’annaspare in
cerca d’aria nel tentativo di controllare la respirazione.
“Perché?” domandò sua figlia,
ormai quasi trentenne con la mano sul pancione di donna incinta.
Aveva il tono di voce duro, persino arrabbiato.
“Perché a volte la vita...” fece per
dire Mito nel tentativo di consolare la ragazza, ma
quest’ultima la interruppe.
“No, quelle sono favole. E’ destino: accade. Non
era però destino che papà si trovasse in una
stanza d’albergo con un altro uomo. Con Madara!”
Lo urlò. E la voce riecheggiò tra le navate, come
se il marmo freddo delle scale e degli altari potesse rispedire
indietro quelle note amare.
Mito, che aveva cercato di trattenere le lacrime, non riuscì
più a fermare il flusso del pianto, proprio non ce la fece;
guardò la sua bambina ormai adulta spararle in faccia la
verità che nessuno aveva osato commentare e lei si era
sentita morire, strappata dalla convinzione che quell’amore
fosse solamente suo.
Hana si morse un labbro, rendendosi conto di essere stata troppo
aggressiva, anche se... faceva così male. Ed era tutto tanto
irreale da farle credere di trovarsi in un brutto incubo, nel quale
nessuno eccetto lei affrontava le cose per quelle che erano. Lei
cercava, cercava davvero di realizzare che suo padre non era
esattamente la persona che aveva sempre creduto, ma si trovava
sopraffatta dal dolore e dal ricordo; l’idea di non poter
più chiedere spiegazioni al genitore che era stato sempre
fonte di consigli la tormentava, lasciando un vuoto enorme che a volte
riusciva ad affrontare solo arrabbiandosi. No, non aveva mai avuto il
temperamento paterno.
Hashirama, in piedi di fronte a loro ma invisibile, le
ascoltò e le vide. Vide le loro espressioni, vide
l’ira e lo spavento sul volto che tanto conosceva bene di sua
figlia e fu allora che si sentì per davvero morire.
Cercò di sfiorarle, di dire loro che potevano ancora
parlarsi, sentirsi, spiegarsi ma... rimase inascoltato e le sue mani
incapaci di afferrare quei corpi pulsanti di vita.
Le guardò stringersi in un abbraccio, accarezzare
un’ultima volta la bara e, dopo aver salutato il prete, le
scorse andar via. Avrebbero dovuto prendere accordi con le pompe
funebri per il trasporto fino al cimitero e sbrigare le ultime
pratiche, una prassi socialmente consolidata eppure difficile da
seguire lucidamente in quei casi.
Hashirama guardò un’ultima volta il se stesso di
un tempo e sentì un vago senso di nausea, trovando assurda
l’idea di essere davvero lui quello racchiuso in una cassa di
legno lucido. Chiuse gli occhi un istante e quando li riaprì
si trovò di fronte alla chiesa, in un angolo poco distante,
con di fianco Madara che stava chiaramente minacciando Sasuke e Naruto.
Sospirò.
“Siete due minorati mentali! Non so quale sia il vostro
accidenti di problema ma, davvero, a vedervi sembrate solo deficienti.
E il fatto che non siate consapevoli di tale suddetto problema mi
conferma questa teoria.”
Naruto fece per afferrargli la maglia in un ringhio di rabbia ma la sua
mano affondò nel nulla, passando attraverso il corpo di
Madara che, nel punto colpito, si disgregò in tanti
splendidi frammenti.
Sasuke, con le braccia incrociate, senza battere ciglio si
limitò soltanto a commentare gelido:
“Ora capisco perché nessuno parla di te in
famiglia. Non so di quali problemi tu stia parlando, né che
stia succedendo esattamente, quindi… vedi di girare a largo."
Prima che Madara potesse replicare, Hashirama gli appoggiò
una mano sulla spalla e disse con quel tono di voce apparentemente
calmo ma che trasudava leadership da ogni sfumatura di voce:
“Piantala ora, Madara.”
Questi strinse i pugni però tacque, fissando
l’altro Uchiha che, sì, trovava proprio uno
stronzo arrogante. Oh, chissà a chi somigliava.
“Zio Hashirama!” esclamò Naruto che, in
tutto quel casino, aveva notato qualche suo parente intento a fissare
lui e Sasuke come se fossero da internare, nonostante i due avessero
cercato di tenere basso il tono di voce. Ma al sentire quelle parole
parecchie persone si girarono, anche se evidentemente preferirono
prendere il tutto come il lamento di dolore a causa del parente
scomparso, non certo come se il poveretto avesse davvero visto
Hashirama, cosa che effettivamente corrispondeva a verità.
“Ciao, Naruto. Mi spiace che dobbiamo vederci in queste
circostanze, mettiamola così.”
Naruto tirò un sospiro, incapace di realizzare che stava
davvero parlando con lo spirito di qualcuno a cui avevano appena fatto
il funerale; Sasuke, decisamente più pratico,
specificò con tono non esattamente morbido ma sicuramente
più gentile di quanto non gli era capitato di fare con
Madara:
“Non so esattamente nemmeno perché vi vediamo,
né che ci fa qui – diede del lei in automatico
– ma noi proseguiamo per la nostra strada e voi per la
vostra, qualunque essa sia.”
“Ehi, aspetta, non essere precipitoso Sasuke, vorrei capire
perché...” iniziò a dire, ma
l’amico proruppe con un secco:
“Io no! Ora andiamocene perché la mia soglia di
sopportazione è già andata oltre il livello
critico.”
“Ecco, ciao, vattene.” Lo salutò Madara,
con un sorriso cattivo sul volto.
Stavano per cominciare altre discussioni, Sakura era in procinto di
arrivare e Madara aveva iniziato a parlare sopra Sasuke, con Naruto che
voleva a tutti i costi dire la sua.
“Piantatela!” esclamò Hashirama.
Gli altri tre tacquero, sentendosi piuttosto stupidi oltre che
infantili. Quella volta diverse persone si voltarono nella loro
direzione, mormorando qualcosa. Sakura sgranò gli occhi, le
sembrava che Sasuke e Naruto stessero litigando senza nemmeno guardarsi
in faccia.
“Forse ci rivedremo.” Disse semplicemente Hashirama
che afferrò Madara per un braccio, così da
portarlo via, anche se lo scrittore si premunì di sollevare
il dito medio verso Sasuke, il quale non replicò solo
perché sapeva che qualcuno in mezzo a tutta quella gente si
sarebbe sentito preso in causa; e vallo a spiegare a un funerale che
era tutto rivolto al suo parente mai più visto non esattamente vivo da
quelle parti.
“Chissà di quali problemi parlava...”
borbottò Naruto, scrollando le spalle mentre li vide andar
via.
Era un bel tipo Madara, un Sasuke ancora più acido e meno
controllato. Chissà se invecchiando sarebbe diventato
così anche il suo allenatore, ridacchiò
pensandolo.
Sasuke gli lanciò un’occhiataccia: “Non
lo so davvero, né mi interessa. Forse è
semplicemente frutto della nostra immaginazione.”
Anche se entrambi provavano in realtà
un’imbarazzata consapevolezza che le cose tra di loro non
erano esattamente a posto, al contrario, erano un disastro tremendo.
Solo che ammetterlo di fronte all’altro, specialmente con
davanti dei pseudo fantasmi giunti da chissà dove, non era
forse il modo migliore di affrontare la questione.
“Tutto bene? – domandò Sakura, sfiorando
il braccio del fidanzato – Stavate... litigando?”
I due si guardarono, perplessi.
“No.” Disse Naruto stupito.
Sasuke si morse un labbro: “Nulla di che, tutto
risolto.”
Poi fece un cenno rapido all’amico il quale, comprendendo che
effettivamente anche Sakura doveva averli visti interagire con
l’aria, si limitò a borbottare qualcosa.
Lei li scrutò, per nulla convinta:
“E’ che ti ho sentito dire il nome di Madara,
pensavo ti fossi arrabbiato per com’era stato trovato assieme
ad Hashirama e...”
Sasuke, a quel punto, sentì un campanello
d’allarme che proprio non comprese:
“E come è stato trovato?”
Sakura aprì un istante la bocca, poi la richiuse e con
maggiore cautela rifletté: “Pensavo te l'avessero
detto.”
Irritato, l’altro sbottò: “Evidentemente
no, altrimenti non te l’avrei chiesto – poi vide il
suo volto offeso e Naruto di contorno gli dette una manata sulla
spalla, gesto che gli avrebbe fatto rimpiangere – scusa, non
ne sapevo nulla.”
La donna sospirò:
“E’ stato trovato con Hashirama –
lanciò un’occhiata a Naruto – in una
camera di un motel. Qualcuno... qualcuno dice che non avevano i vestiti
e... oh, lasciamo perdere, sono tutti pettegolezzi; Naruto, non li
ascoltare, Hashirama era un grande uomo. Ho letto anche dei libri di
Madara, non mi hai mai parlato di lui, Sasuke.”
Fece qualche altra osservazione di circostanza, giusto per alleggerire
l’atmosfera dopo aver lanciato quella bomba. Ma Sasuke e
Naruto la ascoltavano appena, pur guardandola, con in testa
l’idea che quei due uomini non erano solo compagni di morte
ma anche di vita. Nonostante Hashirama fosse un uomo di famiglia,
nonostante Madara sembrasse allergico a qualsiasi forma di relazione...
erano due persone adulte in un motel, che forse stavano facendo sesso,
assieme, lontane dalla famiglia.
Naruto e Sasuke si sentirono improvvisamente come quei due uomini, uno
specchio di ciò che avrebbero potuto essere loro tra qualche
anno, con le bugie, le distanze, i sentimenti che non si sarebbero mai
consumati del tutto.
Persino la convinzione di Madara che avessero una qualche forma di
problema sembrò perfettamente logica e il suddetto problema
evidente.
Ma cosa potevano fare due spiriti che loro, in carne ed ossa, non erano
riusciti a compiere?
Con quella domanda in testa i due ragazzi si separarono. E si
sfiorarono, facendolo, incapaci di realizzare che entrambi stavano
pensando la stessa identica cosa.
Se solo il nostro cuore fosse capace di parlare: una valvola in grado
di sfiatare i sentimenti e soffiarli in
faccia a chi meritava di respirarli, rendendoli suoi.
*
Il ristorante era un locale dall’arredamento moderno ma non
eccessivamente lussuoso, le luci giuste che creavano atmosfera e la
musica jazz di sottofondo, calibrata in modo da non risultare
invadente. Naruto era alla seconda birra, spillata con bravura al
bancone e portata da un cameriere perplesso per quello che,
evidentemente, considerava un beveraggio grezzo rispetto agli standard
locali, corrispondenti tendenzialmente a vino d’importazione
e alcolici di levatura analoga.
Ma, come sempre, a Naruto poco importava di apparire poco sofisticato
per l’ambiente: si sentiva nervoso, nonostante la sua solita
allegria, e la cravatta che aveva cercato di sistemare proprio non
voleva saperne di evitare di soffocarlo. Allargò il nodo e
bevve un altro sorso, per poi lanciare un’occhiata a Sasuke
che, per contro, al suo fianco elegantemente immobile ogni tanto lo
fissava.
Sakura fino ad allora aveva magistralmente tenuto la conversazione del
gruppo, cercando di contenere le risposte inadeguate di Naruto,
scoraggiare la timidezza di Hinata e spronare Sasuke a uscire dai suoi
silenzi. Insomma, non erano decisamente i componenti di un dialogo da
sogno ma non stava andando poi tanto male: nonostante il funerale
recente Naruto pareva non aver perso la sua solita allegria e Hinata,
seduta di fronte a lui, lo guardava con evidente interesse, nonostante
il velo di rossore nel momento in cui il ragazzo le rivolgeva una
domanda o si interessava a lei.
Quest’ultima dopo un po’ riuscì a dire,
stringendo il tovagliolo tra le mani:
“Sakura mi ha detto che… che vi conoscete da tanti
anni tu e Sasuke.”
La voce si affievolì ma almeno non aveva balbettato, era
già qualcosa.
Naruto sorrise, portandosi una mano dietro la testa; Sasuke, al suo
fianco, si pulì la bocca con il tovagliolo.
“Beh, sì, da bambini – rispose il primo
– finivamo per giocare sempre assieme. Giocare…
Sasuke se ne stava per i fatti suoi e quando lo invitavo a partecipare
voleva fare ogni volta a modo suo. Gran belle litigate. Penso che in
un’occasione siamo pure arrivati a morderci.”
Ridacchiò, pensando a come avrebbe reagito il Sasuke adulto
se lui avesse cercato di mordergli una chiappa.
L’allenatore appoggiò un gomito sul tavolo e si
voltò verso Naruto, correggendolo:
“Punto primo, tu non mi invitavi, rompevi le scatole
finché non accettavo e ucciderti sarebbe stato troppo
complicato. Secondo, avevi idee assurde e io dovevo in qualche modo
gestire la situazione.”
“Idee assurde? Quali idee assurde? Con me il divertimento era
assicurato, altroché, ti opponevi solo per paura di farti
venire le rughe a forza di ridere, bambino serioso e
scazzato.” Incrociò le braccia, piccato nonostante
l’insulto appena rivolto all’amico.
Questi aprì di più le gambe e diede una
ginocchiata sulla coscia di Naruto, che protestò facendo
scoppiare a ridere Hinata, ma anche quando Sasuke parlò, la
sua gamba rimase lì, incapace di allontanare qualcosa di
sé dalla persona che aveva a fianco:
“Perché, cercare di costruire un razzo prendendo
la benzina dalle macchine dei nostri genitori e issarci sopra ti
sembrava un’idea normale, divertente e fattibile, razza di
stupido?”
Però, in fondo, Sasuke aveva un leggero sorriso sul volto, con tanto di finto cipiglio irritato.
“Beh, si vede che già da allora dovevo darmi a
ingegneria, modestamente.”
Continuarono per un altro po’, con Hinata che a volte
interveniva, magari coinvolta direttamente da Naruto intento a narrare
qualche loro avventura. Sakura li guardò, silenziosa;
osservò specialmente Sasuke, il modo in cui scambiava
occhiate complici con Naruto ma, soprattutto, la maniera che aveva di
osservarlo, con quei suoi occhi sempre così seri, ora
attenti, quasi dovessero memorizzare ogni dettaglio della persona che
aveva accanto. Si chiese se anche lei, in fondo, stesse guardando
Sasuke allo stesso modo.
Si morse un labbro poi, quasi con tono secco, intervenne:
“Meno male che fanno boxe assieme, altrimenti non si
sarebbero sopportati tutti questi anni.”
Lo aveva detto. Aveva lanciato una pietra in un lago che forse avrebbe
generato uno tsunami; perché nessuno dei due amava ricordare
cos’era accaduto cinque anni fa e com’erano
cambiate le loro vite. Fatto stava che c’era una grande bugia
in quella frase: Sasuke e Naruto avrebbero continuato a vedersi, ancora
e per sempre, con o senza la boxe.
Era calato il silenzio e Hinata, giustamente, non capiva.
“Oh, avete tante cose in comune.” Disse
semplicemente, per poi fissare imbarazzata il piatto.
Sasuke e Naruto evitarono di guardarsi, poi quest’ultimo dopo
essersi schiarito la voce disse:
“Sì, effettivamente…”
Arrivò il secondo, dando a tutti i presenti un gradito
momento di tregua. Naruto sentì ancora il ginocchio di
Sasuke contro la propria gamba, mai eccessivamente invadente, al
contrario, era una vicinanza spaventosamente naturale.
Guardò quel ginocchio e Sasuke fece lo stesso con la gamba
di Naruto. Incrociarono gli sguardi, per poi tornare a mangiare.
Dopo qualche boccone Sakura aggiunse, appoggiando la forchetta accanto
e poi bevendo dell’acqua:
“Dovresti invitare Hinata al matrimonio, Naruto. Siete
entrambi senza accompagnatore, magari è più
comodo per entrambi.”
Accennò un sorriso che voleva essere complice, in
realtà… non seppe bene nemmeno lei cosa fosse: si
sentiva solo spaventata, spaventata da Naruto troppo vicino a Sasuke,
anche adesso, anche a distanza di anni, soprattutto con il matrimonio
incombente che lei aveva organizzato con attenzione, cercando di
coinvolgere il suo futuro marito che sembrava fidarsi totalmente delle
sue scelte.
Non era razionale, se ne rendeva conto, ma si trattava di una
preoccupazione quasi viscerale, che le partiva da sotto la gola fino a
stringerle lo stomaco.
Naruto tossì, Hinata prima sbiancò per poi
diventare bordeaux e Sasuke le lanciò un’occhiata
in parte stupita, in parte seccata.
“Che stupidaggini – disse – possono anche
arrangiarsi da soli.”
“S-sì, non ho bisogno che Naruto mi
accompagni.” Specificò Hinata, torturandosi le
dita.
“No, credo che Sakura intendesse il contrario. Teme che mi
perda, da solo.” Ridacchiò il ragazzo, con neanche
troppo sorprendente spirito di recupero. Sentì gli occhi di
Sasuke su di sé e non capì cosa volesse
esattamente da lui; se dovesse rifiutare o se invece reputasse la
proposta di andare con Hinata la cosa più saggia da fare.
In fondo era una bella ragazza, intelligente dietro il velo di
timidezza, oltre ad avere un bel sorriso. Non era Sasuke ma
d’altronde… lui aveva fatto la sua scelta, no?
Certo, perché
tu non gliene hai mai data nessun’altra. Siete persino andati
a letto insieme ma vi siete sempre rifiutati di affrontare seriamente
la questione: stupidi e orgogliosi, ecco cosa siete!
Maledetto senso
interiore, già sono brillo e triste, non ti ci mettere pure
tu a farmi la predica.
Nel mezzo delle sue mirabolanti considerazioni con se stesso, Naruto
finì per uscirsene con:
“Massì, andiamo assieme Hinata, sarai la mia
ancora di salvezza.”
Decretò, apparentemente allegro e con la lingua che stava
cominciando a impastarsi; oh, la seconda birra era già quasi
finita. D’altronde Sasuke era spaventosamente intelligente,
no? Quindi da lui voleva sicuramente la cosa più furba e
giusta da fare, aveva agito come si doveva.
Ecco, se avesse visto l’espressione di Sasuke e letto i suoi
pensieri, forse Naruto avrebbe decisamente cambiato idea a riguardo.
Naruto, idiota, ti sei
bevuto il cervello? Perché…
Perché devi
cercare di andare avanti anche tu? Non puoi rimanere dove sei, a noi
due? Se continui ad esserci io ho ancora la possibilità di
tornare, in qualche modo.
Che egoista che sei, Sasuke Uchiha.
A quel pensiero, all’improvviso, nel tavolo vuoto di fianco
al loro comparvero Madara e Hashirama: il primo con una sigaretta che
gli cadde dalle labbra assieme alla cenere, il secondo con
un’espressione di pura sorpresa.
Perfetto. Ah-ah, che serata divertente.
*
Per
dovere di cronaca, torniamo indietro nel tempo e vediamo
dov’erano esattamente Madara e Hashirama, mentre Sasuke e
Naruto erano intenti a rovinarsi a vicenda.
Dopo
tutta la pessima faccenda del funerale e l’ancor
più disastroso contatto con le persone che, teoricamente,
avrebbero dovuto aiutare, i due si erano ritrovati a casa
dell’artista, più nello specifico nel suo studio.
Forse
Hashirama, in quel momento, aveva bisogno di qualcosa che gli
trasmettesse serenità, forse di un legame ancora saldo con
la sua vita, e la scrivania, i fogli, gli album, le illustrazioni erano
quel ricordo di cui necessitava. Seduti entrambi a terra, i due uomini
si guardarono un istante attorno, poi Hashirama si alzò e
fece per sfiorare i pennelli e le matite che usava
d’abitudine. Si sorprese quando sentì il contatto
con le setole sottili ma corpose del pennello o il legno soffice della
matita.
“Avete
un eco ancora molto forte. Per questo riuscite a toccare le persone e
gli oggetti, specie quelli che per voi hanno significato qualcosa di
importante o verso i quali mettete una certa energia; anche se tu,
Hashirama, ti senti ancora troppo in colpa per sfiorare tua figlia e
tua moglie, prima forse hai tutti questi casini da risolvere. Inoltre,
come vi ho già detto, vi trasportate dove sentite di voler
andare.”
Sai
comparve all’improvviso, seduto con le gambe incrociate su un
tavolino con sopra dei libri d’arte che sembravano essere sul
punto di cadere, sebbene non li sfiorasse nemmeno di un millimetro.
Madara
strinse i pugni: “Porca puttana, la pianti di comparire
così all’improvviso?”
I
pennelli per contro erano caduti sulla scrivania, perché
anche Hashirama aveva sussultato, in parte colto di sorpresa, in parte
segnato dalla consapevolezza che il suo immateriale subconscio gli
aveva, sperava solo temporaneamente, precluso un contatto con Hana e
Mito.
Sai
guardò Madara, gli sorrise, infine proseguì il
discorso:
“Bel
casino che avete fatto al funerale, eh?”
Continuava
a sorridere.
“Che
cazzo hai da ridere?” sbottò Madara, scattando in
piedi.
Hashirama
gli portò una mano sulla spalla, infine convenne:
“Sì, non è andata particolarmente bene
– non accennò a quello che era accaduto con la
moglie e la figlia, quasi fosse una questione esclusivamente sua
– E temo che dati i nostri pregressi non siamo esattamente un
buon esempio per quei ragazzi.”
“Al
contrario. E’ proprio perché conoscete le
conseguenze dei vostri gesti che potete essere d’esempio.
Avete capito qual è il loro problema?”
domandò Sai, appoggiando il gomito sul ginocchio e tenendo
la testa con il palmo della mano.
“Che
non si parlano. E danno per scontato di agire l’uno per il
bene dell’altro.”
Era
stato Madara a parlare e aveva guardato Hashirama mentre lo diceva.
“Ottimo.
Questa è la base. Perché non provate ad agire
separatamente?” propose il novello Caronte.
Poi,
in un attimo, scomparve. I libri ondeggiarono un istante ma non
caddero, come se ci fosse stato un soffio leggero e infine la quiete.
Hashirama
sospirò. Poi vide che Madara aveva trovato le sigarette nel
cassetto del tavolo e se ne era accesa una, nel silenzio della stanza
che, in qualche forma, calmava anche lui. C’erano le
illustrazioni dei suoi racconti, appese alle pareti e incorniciate,
infine i romanzi di Madara coi disegni di Hashirama usciti in edizione limitata; erano andati a ruba e avevano un notevole valore di mercato:
chissà perché la gente amava collezionare quelle
robe. Eppure quelle copie erano in casa di Hashirama proprio perché gliele aveva regalate Madara. Quest’ultimo si chiese
se Mito non avesse pensato di dar fuoco a tutto, dopo il funerale.
“Agire
separatamente, eh?” domandò pensoso lo scrittore,
espirando, per poi lasciarsi la sigaretta tra le labbra.
“Ti
ricordo solo che l’omicidio non è una
soluzione.” Fece presente Hashirama, neanche troppo scherzoso.
Dopo
quelle parole, infatti, si ritrovarono catapultati su delle sedie, con
un tavolo tra di loro e attorno i rumori tipici di un ristorante.
Girarono la testa di scatto e… si trovarono faccia a faccia
proprio con Sasuke e Naruto. Madara sentì la cenere cadere,
assieme alla sigaretta.
Hashirama
prese un bel respiro, afferrò la sigaretta caduta di Madara
e la affondò in un bicchiere decorativo dentro il quale
galleggiavano ninfee di plastica. Ci fu una leggera nuvoletta di fumo
ma nulla che allarmò i presenti.
Fece
un cenno a Sasuke e Naruto, sorridendo:
“Oh,
continuate pure, non fate caso a noi.”
Madara
si grattò il mento, appoggiò il gomito sulla
sedia e sorrise a entrambi, con quella faccia da stronzo psicopatico
che si ritrovava.
Sproloqui
di una zucca
Ho immaginato
un'ambientazione geografica in stile americano, con bare aperte,
precedentemente statali lunghissime e città ampie ma ho
preferito non dare eccessive impronte culturali. Per il resto consiglio
di ascoltare i Velvet Underground, esponenti di prim'ordine dell'acid
rock (acid perché la gente si calava pasticchine e acidi per
entrare in maggiore sintonia con la musica. Ahah. No, davvero, i suoni
aiutavano i trip. Visto che cose interessanti faccio scoprire, eh?).
Ddddroghe a parte, è un gruppo che mi piace particolarmente,
trovo i testi davvero significativi.
Appunto sulla figlia
di Hashirama: ho provato a spulciare in giro notizie riguardo la sua
prole ma non ho trovato un ghez, si passa direttamente a Tsunade.
Dunque ho creato il personaggio di Hana e... puppa, sostanzialmente. Se
avete un'idea della genealogia Senju più estesa di me - non
che ci voglia molto, ahimé - sarò ben lieta di
venire aggiornata riguardo l'espansione genetica di Hashirama.
In ogni caso,
finalmente il fantastico quartetto delle meraviglie si è
pseudo riunito ma... non poteva essere tutto rose e fiori, no? Cosa
succederà ora? Crollerà il ristorante con tanto
di fungo atomico? Sasuke ballerà davvero il limbo? E Sai
tirerà quattro ceffoni a Madara?
Scherzi a parte (o
forse davvero Sasuke si darà ai
balli caraibici), in questo capitolo hanno iniziato a presentarsi per
bene tutti i personaggi, i rispettivi ruoli e i relativi pensieri.
Anche Sakura ha ben donde di essere sul chi vive e protettiva nei
confronti di ciò che ama (in tante mie storie la vedo
combattiva, sempre e comunque, ma mai la classica femminuccia
stronzetta da usare come sputacchiera negli yaoi).
Nel prossimo capitolo
vedremo come i nostri due prodi Madara e Hashirama agiranno per
sbloccare definitivamente la situazione e far scoppiare davvero la
bomba... muahahah! Poi preparatevi, perché con l'ultimo i
toni saranno decisamente più... nostalgici, diciamo
così.
In attesa, vi delizio
con una fanart trovata sul web (non conosco l'autore, se per caso
capita di averci a che fare/sapere chi è linkerò
i credits aspergendo incenso) che ha l'immenso pregio di riassumere
l'espressione di Madara all'idea di avere a che fare con Sasuke e
Naruto.
<3
Alla prossima! Grazie per
quanti hanno letto (siete tanti, me commossa), deciso di
preferire/seguire/ricordare questa storia e vorranno commentare, che
sia per usarmi come sputacchiera online, o per beatificare Madara e la
sua non-pazienza XD
Ps. Nel dialogo tra
Sasuke e Sakura:
Sakura aprì un istante
la bocca, poi la richiuse e con maggiore cautela rifletté: “Pensavo te
l'avessero detto.”
Irritato,
l’altro sbottò: “Evidentemente no,
altrimenti non te l’avrei chiesto."
Ebbene, la
risposta acido-merdosa di Sasuke è la stessa che avrei dato
io. Bravo Sasuke, così ti voglio! Ecco perché
l'adoro e lo prenderei a cazzottate :3
|
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Capitolo 3 *** Forward - Frankenstein ***
R.I.P.
& Play
Again
Riposa in Pace… Pausa
– una storia di redenzione
e seconde occasioni.
“I
have love in me the likes of which you can scarcely imagine and rage
the likes of which you would not believe. If I cannot satisfy one, I
will indulge the other.”
“L'amore
che è in me è talmente grande che tu stenteresti
a immaginarlo e il mio furore ha un'intensità che tu non
puoi concepire. Se non troverò il modo di soddisfare l'uno,
darò libero sfogo all'altro.”
Kenneth
Branagh's 1994 adaptation of Shelley's novel Frankenstein.
“If
I cannot inspire love, I will cause fear; and chiefly towards you my
arch-enemy, because my creator, do I swear inextinguishable
hatred.”
Frankenstein
– By Mary Shelley
III
Forward -
Frankenstein
Sasuke
e Naruto erano rimasti bloccati a guardare un tavolino per altri vuoto,
sul quale un mozzicone di sigaretta galleggiava in una decorazione
pacchiana.
“Li
ammazzo.” Sussurrò Sasuke, in un rigurgito di
rabbia. Odiava le cose fuori controllo e improvvisate, forse
perché l’unico che potesse farlo deragliare era
Naruto.
Questi,
che a sua volta fissava il tavolo, con Madara e Hashirama che avevano
l’aria di essere due avventori al bar, lo corresse:
“Beh,
teoricamente sono
già più o meno morti.”
Ehm,
Sasuke odiava essere corretto. Specialmente da Naruto. Ma in quel
momento le questioni in sospeso erano troppe per poter dar spazio anche
alla mancanza di tatto dell’amico nei confronti di una delle
tante cose che Sasuke Uchiha detestava.
“Ragazzi?”
Li
richiamò Sakura. Il dolce era arrivato.
I
due scattarono, fissandola.
“Oh,
sì, giusto. Dessert!” esclamò Naruto.
“Il
gelato panna e fragola. Quand’è che tiri fuori
ciuccio e pannolino?” lo prese in giro Madara.
“Quand’è
che ti fai i cazzi tuoi?” sbottò Naruto
puntandogli contro il cucchiaino.
Madara
rise genuinamente, mentre il ragazzo offeso avvertì la mano
di Sasuke sul collo che, con le dita sottili ma forti, lo costrinse a
girare la testa verso il loro tavolo e non verso gli ospiti fantasma.
“Ha
problemi di collocazione mentale. Troppe randellate in testa con gli
anni producono questi effetti.”
“Scherza,
ovviamente.” Precisò Naruto piccato, affondando il
cucchiaino nel gelato per mangiarsi un boccone gigante.
Era
comunque bello sentire le dita di Sasuke sul suo collo, il modo in cui
indugiavano tra i capelli per poi scivolare giù, lentamente,
fino alla schiena, da dove si allontanarono così da
riavvicinarsi al tavolo.
Hashirama
incrociò le braccia e disse in un sussurro, rivolto a Madara:
“Sei
proprio un po’ stronzo.”
“No
– scrollò le spalle – è che
in fondo questi due mi divertono. Già li adoro.”
Sospirò,
resistendo comunque all’impulso di tormentarli.
Hinata
nel frattempo aveva sorriso, mentre Sakura si era risolta a tirare
fuori il cellulare per proporre:
“Dovreste
scambiarvi i numeri di telefono. Ve li invio per messaggio? Naruto
è impedito per certe cose.”
Lo
disse quasi con affetto ma in tutto il resto fu categorica, come se non
fossero ammesse alternative. Era una donna forte, Sakura, Naruto lo
aveva sempre pensato.
Tramite
le riflessioni del nostro biondo pugile, approfittiamone biecamente per
teletrasportarci indietro nel tempo – più per
comprendere meglio gli attuali sviluppi di trama, che per ficcanasare
nelle vite private altrui, per quanto sia sempre molto interessante
farlo: anni fa, infatti, Naruto aveva confuso per amore ciò
che in realtà era ammirazione nei confronti di Sakura. In
fondo era stato comodo ingigantire quel sentimento, per sminuire e
rendere irreale anche con se stesso tutto quello che egli invece
provava... per Sasuke.
Ben
presto fu palese che lei aveva occhi solo per quest’ultimo,
Naruto lo aveva capito persino troppo bene, anche se Sasuke non si era
mai sbilanciato eccessivamente nei confronti della ragazza. Proprio per
questo tutte le volte in cui i due finivano a letto, convinti che tanto
prima o poi tutta quell’attrazione si sarebbe spenta,
dirottata verso delle donne come accadeva a una buona parte dei loro
amici e coetanei, Naruto finiva per fare qualche battuta, sostenendo
che un giorno avrebbe fatto innamorare Sakura per soffiarla a quello
stronzetto del suo migliore amico. Ma il giorno in cui il suddetto
stronzetto se ne era arrivato con un:
Ho deciso di mettermi assieme a
Sakura e l’aveva guardato, in attesa di una sua
reazione, a Naruto era cascato il mondo addosso. Chissà per
quale stupida ragione credeva che non sarebbero mai cresciuti veramente
loro due, che non avrebbero mai dovuto fare i conti con il resto del
mondo o con il fatto che gente tipo Sasuke acchiappava inevitabilmente
il gentil sesso e persino un insofferente come lui ai legami avrebbe
finito per trovare qualcosa di stabile.
Bastardo, non mi hai neanche
dato tempo di contrattaccare.
Non
lottò. Per avere Sasuke, non Sakura. Semplicemente
perché forse Sasuke se la meritava quella vita normale,
specie dopo l’incidente, ed era tempo di passare oltre la
loro indefinita relazione. Peccato che Naruto non fosse a conoscenza
tutti gli infiniti mesi di insistenza della famiglia Uchiha, che vedeva
in quella ragazza tanto affascinante un orizzonte di
felicità per il loro figlio, il quale invece si sentiva
messo alle strette, arrabbiato per l’ottusità di
Naruto e dei suoi stessi genitori. Eppure… come poteva
deluderli, ancora, dicendo loro che l’unica persona che gli
interessava era il suo amico di sempre?
Con
questo spunto di riflessione, infine ritorniamo al nostro ristorante
evidentemente sovraffollato, a una Sakura battagliera, a Hinata vittima
inconsapevole degli eventi, a Naruto convinto di aver fatto la cosa
giusta anziché una supercazzola di dimensioni atomiche e
infine… a Sasuke, futuro sposo. Quest’ultimo
infatti stava stringendo con forza una posata. Pessimo segno. E,
soprattutto, si poneva questioni relative a sentimenti che non avrebbe
mai potuto capire, quali l’istinto femminile di dominio del
territorio: perché Sakura doveva fare così?
Perché? Cos’era quell’invadenza, quella
decisione di accelerare le cose, come se ci fosse una bomba a
orologeria piazzata sotto di loro?
“Va…
va bene.” Annuì Hinata, lanciando
un’occhiata a Naruto, come aspettandosi che questi avrebbe
avuto da ridire.
No, non va bene per un cazzo –
sbottò Sasuke – e l’idiota annuisce
pure. Con quegli altri sottospecie di Casper di categoria zeta a
guardare. Lo strozzo, così va a far loro compagnia, visto
che ci tiene tanto.
“Dai,
Sasuke, non essere geloso, il mio numero ce l’hai
già.”
Buttò
lì Naruto, facendogli l’occhiolino con aria
complice.
Sakura
assottigliò le labbra. Sasuke si voltò a
guardarlo. Nonostante tutto scoprì di aver voglia di
sorridere, per quella battuta quasi provocatoria che manifestava una
ricerca di complicità. Eppure allo stesso tempo
l’allenatore sentiva addosso un inevitabile senso di tragedia.
“Stupido.”
Borbottò.
“Già
– ammise l’amico in un sussurro, massaggiandosi il
collo mentre guardava l’avanzo del dolce – sono
proprio stupido.”
Sakura,
che aveva cominciato a parlare con Hinata del matrimonio e delle ultime
cose da organizzare, non sentì quelle parole. Ma Sasuke le
udì benissimo.
Finirono,
pagarono il conto e si alzarono, ciascuno diretto verso le proprie
direzioni. Hashirama e Madara in silenzio li guardarono andar via e si
resero conto di quanto entrambi fossero, in fondo, tristi.
*
“Allora
ci sentiamo per il matrimonio. Una settimana e ci siamo, eh?”
commentò Naruto, cercando di sorridere.
Hinata
annuì: “Già. Ci sentiamo…
domani? Se non è un disturbo, ovviamente.”
Precisò,
con delicata empatia.
“Ma
quale disturbo, figurati!” la rassicurò.
Sasuke
era rimasto in silenzio. Sakura salutò l’amica e
collega di lavoro poi, finita qualche altra breve chiacchiera, Hinata
chiamò un taxi e si allontanò, dopo essersi
scambiata anche con Naruto un bacio di cortesia sulla guancia, con il
risultato di sentirsi andare a fuoco le gote morbide.
Rimasero
loro tre. Erano sempre e solo loro tre, alla fin fine.
“Spero
che la serata ti sia piaciuta, Naruto – interloquì
Sakura – Hinata è una brava e bellissima
ragazza.”
“Sì,
l’ho visto.” Disse lui, fissandola.
Ci
fu un altro silenzio. Poi la futura sposa esortò con un
sorriso:
“Andiamo,
Sasuke? Domani devi alzarti presto per andare a lavoro e dopodomani
abbiamo la cena con i nostri amici. Devi essere in forze per
festeggiare, se vuoi arrivare vivo al matrimonio.”
Scherzò,
con quell’aria premurosa e al tempo stesso energica che
conquistava gli altri. Certo, all’idea di arrivare vivi a
fare qualcosa c’era da pensare istintivamente a Madara e
Hashirama… chissà se erano ancora dentro il
locale.
“Andiamo.”
Concordò lui, incurvandosi appena nelle spalle mentre le
mani affondavano nelle tasche.
“Hai
bisogno di un passaggio?” domandò però
rivolto a Naruto, come se si aspettasse che dicesse di sì.
Ma
questi scosse la testa, tirando su il pollice:
Eccerto,
vengo a fare il terzo incomodo.
“No,
sono a posto. Ci… sentiamo.”
“Ok.”
Non
riuscirono a dirsi di più. Si separarono, andando in due
direzioni opposte.
Quando
fu certo di aver percorso abbastanza terreno, non sapeva nemmeno
quanto, né dove esattamente fosse, Naruto calciò
un sasso dal marciapiede e urlò, con forza, gridando la sua
rabbia fino a sentire la gola bruciare. Maledisse Sasuke, il suo senso
di colpa, la consapevolezza di averlo bloccato per colpa della sua
stupidità e, allo stesso tempo, odiò la
convinzione di non rappresentare la scelta più ovvia per il
migliore amico.
Non
si erano mai detti ti amo. Avevano fatto sesso, si erano parlati di
tante cosa ma… amare, come un uomo amava una donna? No,
quello non era il loro campo. Rispetto a Sakura proprio non si potevano
avanzare pretese legittime.
Allora…
perché sentiva tutta quella tristezza addosso?
*
Hashirama
e Madara erano fuori dal locale. Quest’ultimo aveva una
sigaretta in bocca, presa da un tizio che non si era reso conto del
pacchetto che si apriva da solo; poi era bastato sottrarre un accendino
senza dare nell’occhio e via, il gioco era fatto. Poteva
quasi abituarsi.
Espirò,
per poi dire dopo aver assistito al saluto dei due:
“Bella
merda.”
“Già.”
Commentò l’altro. All’improvviso
piegò appena la testa e la appoggiò su quella di
Madara, di poco più basso di lui.
Rimasero
così un istante, finché l’illustratore
ammise, con voce leggera ma allo stesso tempo profonda:
“Non
voglio separarmi da te. Sono sempre stato parecchio fiducioso per
quello che mi attendeva oltre ma… restando qui, sospesi, mi
rendo conto che prima o poi tutto questo finirà e io
– fece una breve pausa – io potrei rischiare di
perderti.”
Non
si era mai abituato a passare così tanto tempo con Madara;
non credeva che il miracolo di averlo accanto potesse verificarsi
proprio da morto.
“Non
succederà. Finché
morte non vi separi – l’altro fece un
breve sorriso – è per questo che non ci siamo
sposati, no?”
“E’
che…”
Non
finì la frase, limitandosi a sospirare e a sorridergli.
*
Sasuke
aveva appena riaccompagnato a casa Sakura. Casa loro, a dire il vero.
Ormai mancavano gli ultimi pezzi d’arredamento, i mobili del
soggiorno erano in consegna e le pareti sapevano di vernice fresca.
Tutto perfetto, pronto per quando si sarebbero sposati.
Lei
aveva insistito affinché condividessero lo stesso tetto;
avevano dunque già più o meno convissuto
nell’appartamento di Sakura, che era più grande,
ma Sasuke ogni tanto sentiva bisogno di tornare tra le sue mura, con le
cose che ancora non aveva portato via, come le robe da boxe o le
fotografie della sua infanzia.
Anche
quella sera, nemmeno troppo sorprendentemente, aveva finito per
trasformarsi in un’occasione di lontananza, a discapito di
ciò che Sakura avrebbe voluto. Perché Sasuke, con
il pretesto che il suo appartamento era vicino a lavoro, congiunto
all’obbligo di dover andare via più presto del
solito, aveva ribadito che passare la notte nel proprio alloggio era la
cosa migliore – consapevole comunque che tra un mese quelle
mura tanto vissute sarebbero state vendute, perché era
irreale che lui potesse ancora tornarci.
Almeno
su quello Sakura era stata irremovibile.
Quando
scattò il semaforo, Sasuke ripartì.
“Ti
spiace se ascoltiamo un po’ di musica?”
Sorpreso,
il ragazzo sterzò e le ruote sferzarono la strada. Uno
dietro suonò il clacson ma il guidatore si rimise in fretta
in carreggiata, dopo aver lanciato un’occhiata di
incredulità e fastidio a chi gli era comparso al fianco
senza preavviso, tanto per cambiare.
“Hashirama!
Ancora tu? E dov’è quel cafone del mio finto
parente?”
Aveva
parlato con tono minaccioso, ogni parola era una lamata gelida. Ma
Hashirama non si lasciò certo impressionare, abituato ad
avere a che fare con i disagiati sociali. Per contro, infatti, rise:
“Madara?
– scrollò le spalle – Ah, non lo so.
All’improvviso mi sono ritrovato qui. Gli spostamenti
funzionano un po’ stranamente, sono controllati
dall’emotività.”
“Perfetto,
mi mancavano solo più i fantasmi sensibili.”
Grugnì.
Senza scomporsi, Hashirama accese il lettore MP3. Partì una
canzone pop.
“Katy
Perry?” domandò, divertito.
Sasuke
arrossì e corrugò le sopracciglia, in evidente
imbarazzo: “Non è roba mia. Sakura non sa farsi
gli affari suoi e mette le sue canzoni.”
Tutto
sommato Hashirama non cambiò canzone, limitandosi a
commentare:
“Ah,
i piaceri e i dolori della vita coniugale.”
Sollevando
un sopracciglio, Sasuke inquisì: “Puoi toccare le
cose?”
“Sì.
Se fossi stato Madara avrei aggiunto: e se voglio posso anche prenderti
a schiaffi. Ma non sono Madara, sebbene… sì,
potrei davvero prenderti a schiaffi.”
Fissò
Sasuke che, fermo al semaforo, a sua volta lo guardava, mentre Katy
Perry parlava di giungla e di ringhi. Wow, ci sarebbe stato da
spanciarsi dal ridere, non fosse che l’intera situazione era
sull’orlo del disastro e che un morto sposato, trovato a
letto con il migliore amico, gli parlava di vita coniugale.
“Ok
– disse Sasuke all’improvviso, stringendo il
volante e ripartendo – dimmi che accidenti devo fare per
farvi andar via. Chiamo un’esorcista? Un medium? Mi cospargo
di sale?”
Hashirama
trovò nostalgicamente divertente quel tono acido di parlare.
“Tanto
per cominciare potresti parlare con Naruto. Questa sera mi è
sembrato il perfetto esempio come non parlare.”
“Oh,
perché, tu lo hai fatto in vita?”
sbottò Sasuke per poi bloccarsi e ricomporsi, di nuovo fermo
al semaforo.
“Con
Madara l’ho fatto, a differenza tua. E’ con me
stesso che non ho parlato. E ho dato ascolto a quello che voleva la
società e gli altri; mi sono sposato, con una donna verso
cui provavo comunque amore, ho cresciuto una figlia, che ora ha qualche
anno più di voi, e aspetta una nipotina che io non
vedrò mai – accennò a un sorriso
– sai, ho conosciuto Madara quando ero già
sposato. E Mito era incinta.”
Mi
piace il tuo tratto. E’ malinconicamente bello.
Quelle
erano state le prime parole che Madara gli aveva rivolto, per strada,
dove all’epoca durante le fiere un giovane Hashirama esponeva
le sue opere nel tempo libero, visto che gli altri giorni lavorava per
mantenere la famiglia.
E
Madara, quel giorno, gli era sembrato una macchia
d’oscurità che aveva finito per espandersi in lui,
portandogli in realtà tanta luce. Perché se
all’inizio lo scrittore, autore già di qualche
modesta pubblicazione, sembrava solo uno stronzo arrogante e
pretenzioso, con il tempo si era scoperto una persona sensibile, con
un’emotività travolgente che mascherava tramite il
suo fare in parte scostante, in parte arrabbiato.
Hashirama
aveva finito per innamorarsi di lui.
Tutti
voi, in fondo, avrete sperimentato cosa significhi amare. Come si
può controllare, inscatolare, imbrigliare un sentimento
così forte? Non parliamo dell’attrazione
zuccherosa da romanzi rosa, ma di puro e semplice amore, forse chimico,
forse empatico. Ecco... no, non
si può controllare, né far finta che non esista,
specie se ricambiato.
Perché
anche, e soprattutto, Madara amava, in una maniera così
diretta da far capire ad Hashirama che nessuno dei due avrebbe
più potuto cambiare rotta. E a quel punto rimanevano solo
due possibilità: dire la verità a Mito e passare
il resto della sua vita accanto allo scrittore con cui aveva finito per
collaborare ormai da anni; oppure tacere, vedersi con l’uomo
che amava in qualche motel o con il pretesto dei disegni, e tenere
unita la sua famiglia, consapevole che si sarebbe alzato ogni giorno
vedendo il volto di sua figlia.
Ecco,
come potrete prevedere dall’andamento della storia, Hashirama
aveva scelto la seconda opzione, anche se Hana da adulta era andata ad
abitare con il suo futuro marito e Senju si era lo stesso trovato in
trappola, perché Mito continuava ad esistere e sembrava
sussurrargli nella testa di non lasciarla sola.
Madara
all’epoca si era incazzato e aveva rischiato di mandare tutto
a fanculo ma... alla fine, proprio perché amava
così tanto, era rimasto, accontentandosi. Quello stesso
amore di cui abbiamo parlato sopra non è un bel sentimento,
né è così positivo: chiunque vi dica
il contrario forse è solo stato molto fortunato o, magari,
è semplicemente un illuso. Proprio perché fuori
controllo l’amore finisce per fare quello che vuole, portando
a compromessi e scelte che normalmente non si farebbero, proprio quando
ci si crede invincibili, intoccabili, di fronte a frivolezze come i
sentimenti.
Madara
aveva ben ragione dunque ad essere incazzato, sentimento amplificato
esponenzialmente la sera dell’incidente satellitare.
Non
che Hashirama provasse qualcosa di diverso, semplicemente aveva un modo
diverso di esprimerlo:
“Li
ho lasciati mentendo – concluse, lucidamente –
perché pensavo avrei perso mia figlia per sempre. Sarebbe
bastato essere onesto con me stesso e non credere di dovermi per forza
sacrificare in nome di quello che ritenevo più giusto.
Così facendo ho perso il mio tempo con Madara in vita e il
resto della mia famiglia durante la morte.”
La
canzone smise. Prese al suo posto Pictures of You, dei Cure. E
Hashirama era certo che, nonostante tutto, quella fosse di Sasuke.
Il
quale, in qualche modo, dopo diversi minuti di doloroso silenzio si
ritrovò a spiegare senza nemmeno accorgersi di aver
cominciato:
“Con
Naruto non ho nulla di cui parlare. A lui sta bene così. Non
mi ha mai detto niente quando ho iniziato a uscire con Sakura, non ha
fiatato quando abbiamo iniziato a convivere, né ha replicato
quando gli ho detto che ci saremmo sposati. Nulla, non un cenno. Eppure
a ‘sto stronzo piace comunque scopare!”
Sbatté
una mano contro il volante. Aveva alzato la voce, senza rendersene
conto; anche quelle parole gli erano uscite così dalla
bocca, da sole, e lui non le aveva controllate.
“Questo
perché ti ama.” Disse con estrema
semplicità Hashirama, per poi ricevere lo sguardo
più scettico e disperato che Sasuke fosse in grado di fare,
dietro quella perenne maschera di freddezza che non riusciva proprio a
scrollarsi di dosso.
“No,
io…” cominciò ma Hashirama gli
domandò, abbassando il finestrino per appoggiare il gomito:
“Cos’è
successo, anni fa?”
Sasuke
non rispose. Rimasero in silenzio entrambi, fino a che il ragazzo
parcheggiò vicino a casa. Eppure non scese dalla macchina e
Hashirama guardò davanti a sé, in attesa. Lui
aveva tutto il tempo del mondo.
Il
guidatore si slacciò la cintura, portò la testa
contro il sedile e disse, all’improvviso:
“Una
stupidaggine. Naruto e io stavamo correndo per allenarci. Poi lui ha
attraversato la strada e una macchina che non doveva passare lo stava
per investire. Non ho più pensato: mi sono buttato per
spingerlo via. Sostanzialmente, ciò che non è
toccato a lui, è toccato a me; per fortuna il tizio non mi
ha preso in pieno ma la gamba me la sono giocata, nonostante le costole
rotte e tutto il resto.”
“Hai
detto addio alla tua carriera sportiva, in pratica.”
Anche
Hashirama, esattamente come Madara, sapeva essere spaventosamente
diretto. La differenza era nel tono di voce, così
comprensivo e umano da far pensare che fosse realmente lì,
carne e ossa, in quella macchina.
“Sì.”
Ammise Sasuke, obiettivo. Suo padre, che aveva posto tante speranze in
lui, era rimasto deluso, anche se aveva fatto il possibile per non
farglielo capire, né pesare. Dopo anni i suoi si aspettavano
che il figlio menomato almeno trovasse felicità nella
famiglia, come l’avevano ricevuta loro.
A
volte i genitori sanno essere molto egoisti nei desideri verso i figli,
proprio quando ritengono di pensare solo al benessere di coloro che
hanno messo al mondo.
La
strada era buia e silenziosa, quasi per far sentire meglio le parole di
entrambi.
“E
non pensi che Naruto possa sentirsi in colpa per questo?”
osservò Hashirama, digerendo quelle parole del passato.
“So
che si sente in colpa, dannazione! – scattò
Sasuke, mordendosi poi un labbro – ma cosa devo fare?
Continuiamo ad allenarci assieme, cerco di spronarlo a iscriversi alle
competizioni almeno locali, perché è bravo, ha
talento, e non sopporterei di vederlo ingabbiato in una stupida
palestra che frequenta come se fosse un appuntamento sul calendario,
specie per una colpa che non ha!”
“E…
questo, invece, gliel’hai detto?”
La
domanda di Hashirama rimase lì, sospesa
nell’abitacolo ordinato della macchina.
La
risposta non aveva bisogno di essere detta, entrambi sapevano
già qual’era.
*
“No!”
Esclamò
Naruto, quando Kiba gli propose di prendere un’altra birra.
Erano usciti assieme dopo lavoro, visto che tanto il ragazzo non aveva
granché da fare e di certo non aveva voglia di tornarsene a
casa, non quando sapeva che quella sera Sasuke sarebbe stato a quella
specie di addio al celibato con tutte quelle coppie allegramente
sposate o quasi, assieme alla sua futura moglie. Ma che accidenti di
addio al celibato era? Dov’erano le spogliarelliste, i
costumi a filo interdentale e tutto il resto? Lì
c’era lo zampino di Sakura, che voleva far odorare al marito
l’aria di famiglia, figli e responsabilità in un
clima allegro. Decisamente furba.
Però,
nonostante questo, l’ultima cosa che Naruto voleva fare era
proprio bere. L’altra sera era tornato a casa dopo aver
chiamato un taxi che lo aveva minacciato di morte, se solo avesse osato
insozzare la macchina con il suo vomito; effettivamente Naruto aveva
retto, forse più intimorito all’idea di pagare i
danni che per reale sopportazione, ma una volta giunto a casa si era
fiondato in bagno e aveva rigettato anche l’anima.
Per
quello, decise, doveva rimanere sobrio e non far pensare a se stesso
che tutta quella faccenda del matrimonio lo potesse ridurre a un
rifiuto umano. Poi si era sentito anche con Hinata e si erano messi
d’accordo per andarla a prendere il giorno della cerimonia,
non male, no?
Kiba
l’aveva insultato come meritavano tutti gli astemi o presunti
tali del mondo e se n’era andato fuori a fumare, assieme agli
altri amici. Così Naruto era rimasto solo al tavolo, intento
a sgranocchiare delle arachidi.
Sollevò
la testa e si vide davanti Madara, con i gomiti appoggiati sul legno e
l’aria di chi stava per mandare qualcuno a fanculo.
“Stai
scherzando, vero?” domandò infatti
l’uomo.
Chissà
perché, Naruto pensò di aver sentito comunque,
nella pelle, quel famoso vaffanculo.
“Ti
sembro uno che scherza?”
Ah,
che risposta del cazzo.
“Sì,
effettivamente sì. Sembri proprio un pagliaccio.”
Ecco,
appunto.
“Senti,
Uchiha Ipersociopatico, già mi basta dover gestire Sasuke,
non ti ci mettere anche tu. Non hai tipo da vedere i tuoi cari o tutte
queste robe qui?”
Domandò,
speranzoso, consapevole di non riuscirlo prendere a pugni ma, da quanto
aveva intuito, poter comunque ingiustamente ricevere tante botte.
Madara
finse di pensarci:
“No.
E non me ne fotterebbe ugualmente nulla. Tanto l’unica
persona che amavo è morta e ora mi trovo qui a dover avere a
che fare con una sorta di ragazzo mestruato che esce con gli amici e
non beve. Sei un insulto alla specie umana, che già di per
sé fa piuttosto schifo, immagina quindi a che livello
sei.”
“Certo
che sei proprio stronzo – ammise Naruto, fissandolo quasi con
interesse – è odio represso il tuo o proprio non
ti hanno dato affetto da piccolo?”
All’improvviso,
Madara scoppiò a ridere. Non sapeva bene perché
ma quel ragazzo si rivelava essere a suo modo imprevedibile.
“Nah,
è che mi viene naturale insultare la gente.” Si
limitò a dire, scrollando le spalle.
“Scrivi
dei bei libri, davvero. Sembri un’altra persona.”
Ammise all’improvviso Naruto. Il locale era affollato, ben
pochi avrebbero fatto caso a un tipo solitario che parlava da solo: gli
ubriachi lo facevano tutto il tempo, oltre a vomitare a raggiera.
Madara,
perplesso e quasi spaventato da quell’osservazione piuttosto
intima e maledettamente perspicace, inarcò un sopracciglio,
artigliando inconsapevolmente i polpastrelli sul bordo del tavolo. Che
strana sensazione toccare qualcosa, anche se a tratti sembrava
più un ricordo, quasi un prodotto della sua memoria.
“Scrivere
è l’unica cosa che mi riesce bene, per questo lo
faccio – attese un istante, poi domandò,
assottigliando gli occhi come se si stesse addentrando in un terreno
pericoloso – che libri hai letto?”
Così,
sorprendentemente, dialogarono di libri, di storie e di racconti. Per
la prima volta Madara sentì parlare di qualcosa di suo, di
una sua storia, da una persona che non fosse Hashirama. E fu strano,
persino sconvolgente. Arrogante e indisponente, non aveva mai letto le
belle recensioni dei lettori, né sentito dal suo agente i
dati fantastici di vendita, se non per avere conferma che avrebbe
potuto continuare a scrivere per sempre. Credeva, in fondo, di non
meritare alcun complimento, perché scrivendo rigettava nelle
righe la persona che era e lui… non si era mai reputato un
umano piacevole, come potevano dunque i suoi libri essere anche solo
minimamente belli?
Si
sentì invece sorprendentemente avvolto da quel calore,
dall’entusiasmo, e quasi stordito all’idea che
ciò che scriveva riusciva ad arrivare così in
profondità nelle persone.
Rientrarono
gli amici di Naruto. Perplesso, Kiba domandò:
“Con
chi parlavi?”
Naruto
si grattò il naso, facendo finta di nulla: “Mi
preparavo… il discorso del matrimonio.”
“Ah,
bella, ti voglio sentire. Dai, una birra prenditela!”
Il
ragazzo fece per protestare anche quella volta ma successe qualcosa di
imprevedibile: Madara lo toccò. In realtà con
l’intento di ribaltarlo dalla sedia e dargli una svegliata,
poi il tutto finì per trasformarsi in qualcosa di nettamente
diverso: senza nemmeno comprendere come o per quale strano fenomeno
fisico, lo scrittore si trovò infatti catapultato nel corpo
di Naruto.
Vide
il mondo con i suoi occhi, la gente, i suoni e gli odori. Tutto gli
sembrò tanto vivido e pieno di vita da fargli capire che, da
quando era morto, non c’era nulla di davvero reale come
quando camminava sulla Terra, scriveva, fumava e amava, amava
completamente Hashirama.
Ehi,
che stai facendo?!
Esclamò
la voce di Naruto, che gli rimbombò nelle orecchie. Il vero
proprietario del corpo poteva sentire e vedere come sempre
ma… non riusciva più a muovere un muscolo,
né a parlare. Avvertiva la presenza di Madara, un
marionettista senza fili.
E
che cazzo ne so! Ti sono entrato dentro all’improvviso!
Rise,
per il doppio senso che c’era dietro.
Kiba
lo guardò perplesso:
“Naruto?
Tutto bene?” Okay che l’amico era sempre stato
allegro ma scoppiare a ridere all’improvviso dopo essere
stato depresso tutta la sera era un po’ troppo anche per lui.
“Mai
stato meglio! – esclamò Madara attraverso Naruto
– Ordina quella cazzo di birra e non se ne parli
più!”
Ehi,
stronzo! Che cazzo fai? No, non osare farmi ubriacare!
“Wow!
– esclamò Kiba – Che
aggressività! Così ti voglio, bello
panterone!”
Panterone?
Ma che…
“Fanculo
a Sakura! Sabato mi bombo Hinata e mi fotto anche Sasuke,
già che ci sono!”
Qualcuno
nel pub si voltò.
Kiba
sollevò un sopracciglio. Ehr… sì,
insomma, Naruto più che panterone sembrava decisamente
posseduto. Arrivò la birra e gliela avvicinò,
ridacchiando. Massì, non era male essere così su
di giri.
“Ben
detto! Il mare è pieno di pesci!”
concordò, riecheggiando senza saperlo parole già
dette di recente.
“E
di puttane!” esclamò Madara nei panni del biondo,
un tempo affettuosamente simpatico, Naruto.
Un
altro, meravigliato, esclamò: “Come sei
saggio!”
No!
Ma che saggio?! Te stai fuori!
Madara
per contro trangugiò metà boccale, si
pulì con il dorso della mano e fu fantastico sentire la
birra scorrere giù per lo stomaco, anche se non era
esattamente il suo
stomaco. Ma quelli erano dettagli. Sicuramente quel complessato di
Naruto poteva beneficiare di una bella ubriacatura come si doveva.
Ordinò
un’altra birra e si finì anche quella, cominciando
a chiacchierare coi presenti al tavolo.
Naruto,
sebbene impossibilitato a muoversi in autonomia, si sentì
piacevolmente brillo e finì per trovare gradevole sentire
Madara parlare, raccontare storie, corteggiare le cameriere e insultare
gli amici che, ubriachi marci, ridevano come se stesse facendo loro il
solletico.
Madara
sentiva solo vagamente l’ubriachezza eppure... a modo suo
persino lui si stava divertendo, anche se davvero non capiva come
finisse la gente per volergli comunque parlare, nonostante si fosse
sempre impegnato per allontanarla. Non gli avevano fatto neppure il
funerale, in ogni caso. Decise che avrebbe perseguitato quel figlio di
puttana di Fugaku, contrappasso minimo per avergli sbolognato un
complessato come Sasuke.
“Allora,
tu, coso – Kiba,
dannazione, ci conosciamo da anni – Kiba!
Sigaretta! Ho bisogno di fumare!”
Kiba
rise, anche lui alticcio e incapace di prendersela per quella lieve
dimenticanza sul nome:
“Ma
dai, che dici? Da quando fumi?”
L’altro
sbatté la mano sul tavolo: “Da adesso! Devo
emanare un editto? Un concilio? Adesso.
Quindi sgancia, perché visto che comincio ora non ho
comprato le cazzo di sigarette.”
Perfetto,
no, fai pure, uccidi anche me, tanto a te che cambia?
“E
sta un po’ zitto, cazzo di suora.”
Sbottò.
“Ma
veramente non ho detto altro – replicò Kiba
– va bene comunque, dai, pigliati ‘sta paglia e
andiamo a fumarcene una.”
“Ma
prima – Madara si alzò in piedi di scatto e il
corpo di Naruto traballò un istante –
un’altra birra! Alla goccia!”
“Impossibile!
Muori prima!” replicò qualcuno.
Esatto.
Morire? Presente? Dovresti aver capito come funziona. Minchia ti
riempirei di botte!
Madara-Naruto
si portò un pollice al petto:
“Per
me nulla è impossibile! O non avete abbastanza palle per
sperare di battermi?”
L’altro
amico commentò: “Sei proprio maschio, Naruto. Mi
sorprende che Sakura non te l’abbia data e si sia messa con
quel tuo amico che sembra abbia sempre un palo su per il
culo!”
Naruto
ridacchiò e rise anche Madara.
Effettivamente
ogni tanto Sasuke sembra proprio stare per le sue.
La
risposta di Madara invece fu: “Per forza, lei è
una frigida del cazzo. Si sono trovati, evidentemente!”
Fecero
a gara per chi finiva prima la birra. E quando Madara vinse, decretando
il tutto con un sonoro rutto per colpa del quale Naruto si
sentì quasi sfondare la cassa toracica, il giovane Uzumaki
fu completamente ubriaco e ritenne che era stato persino stupido a non
aver mai sostanzialmente fumato in vita sua, cosa che
confermò quando uscì fuori dal locale e gli
accesero una sigaretta.
Colpa del frigido! Ti fa male!
– nella sua testa scimmiottò Sasuke che lo
rimproverava, quando ancora sperava di portarlo in cima alla vetta
– Che
sportivo saresti? Blahblah!
Ridacchiò
e, a sua volta, Madara rise, aspirando il fumo:
“Cerca
di proteggerti – nel dire quella frase lo scrittore
suonò spaventosamente serio, per poi aggiungere
più scanzonato – Ma tu sei un maschio alpha e un panterone. Hai dei
titoli da difendere!”
Sì, piaciono anche a
me sti titoli – si accorse di star perdendo
delle lettere per strada ma non importava - proteggermi. Bah, considerando
che l’ultima volta si è fatto investire per farlo,
direi che non è stata molto produttiva come scelta.
Gli
altri erano troppo ubriachi per interessarsi di Naruto che, tanto per
cambiare, oltre a fumare e puzzare come tutti loro d’alcool,
parlava da solo facendosi i complimenti. Kiba, nel frattempo,
vomitò sul marciapiede.
“No,
per niente produttiva. Proprio un coglione, vero?” il tono di
Madara suonò quasi... triste.
“Ehi,
coglione sarai te!” esclamò Kiba tra un conato e
l’altro.
Madara
lo ignorò.
Già
– mormorò Naruto – per quello gli devo il favore di
lasciarlo stare. Per colpa mia non può più fare a
botte.
“Boxe,
intendi?” domandò Madara aspirando, con la schiena
appoggiata al muro. Non tanto per far fare a Naruto la figura del figo,
quanto perché ubriaco com’era sarebbe caduto a
terra.
Shi, quella roba lì.
Picchiamo tutti e due, da anni. Ma Sasuke non può
più. E’ giusto che sposi Sakura e abbia una vita
normale, almeno quello glieo deo.
Si
mangiò le ultime parole.
“Ehiehi,
non farti venire la ciucca triste, cazzo! Ma sei scemo o cosa? Credi
davvero che Sasuke sia felice con Sakura? Che quel cazzo di matrimonio
sia ciò che veramente lo renda realizzato?”
“Per
me no, si vede lontano un miglio che non gli si tirerebbe manco se lei
fosse vestita da mandrillona sexy.” Commentò uno
degli amici, per poi porgere un fazzoletto a Kiba.
Io…
Naruto
non seppe che dire. Si sentì stupido, con la testa leggera,
il peso di tutte le cose non dette, l’idea terribile che
Sasuke era da qualche parte in città a festeggiare una cosa
che… che Naruto avrebbe voluto bloccare, con tutte le sue
forze.
Fanculo
al matrimonio! Fanculo a Sakura! E’ con me che devi stare,
stupido Uchiha!
Lo
disse talmente forte nella sua testa da rimanere senza fiato, come se
avesse gridato dalla cima della vetta.
“Tizio,
telefono, ora. Prendilo a Kiba, tanto è più di
là che di qua.” Ordinò Madara, al primo
ragazzo che aveva a tiro.
In
men che non si dica si ritrovò il cellulare di Kiba. Le dita
di Naruto composero istintivamente il numero, la sua testa lo sapeva a
memoria.
Cheffai?
Domandò
il ragazzo, sospettoso ma incapace di alterarsi.
Ma
non fece in tempo ad attendere una risposta, perché nel giro
di qualche secondo rispose la sua voce dall’altro capo del
telefono. La voce di Sasuke.
“Naruto?”
“Proprio
io, testa di cazzo!”
Ci
fu un attimo di silenzio.
Se
Naruto avesse potuto si sarebbe dato una testata sul muro, anche se
avrebbe pagato per vedere l’espressione di Sasuke.
“Sei
ubriaco?”
“Sì,
ma questi non sono fottutissimi cazzi tuoi –
decretò Madara, per poi aggiungere – dove
sei?”
“Naruto,
fatti accompagnare a casa. Ne parliamo domani, ti vengo a
trovar…”
“No,
parliamo proprio adesso. Non domani, ora. Ripeto: dove
sei?”
Ci
fu un altro silenzio. Naruto si sarebbe aspettato che a quel punto
Sasuke avrebbe staccato la telefonata, mandandolo a fanculo; invece,
sorprendentemente, dopo un sospiro apparentemente irritato il ragazzo
indicò il nome del locale e la via.
“Aspettami
lì. Tu e tutti gli altri che giocate alla famiglia di
Barbie.”
“Ehi,
cazzutissimo!” replicò l’amico che gli
aveva passato il cellulare. Madara, sempre nei panni di Naruto, gli
restituì il telefono.
“Anche
voi non siete male. Ci vediamo, ora… ho un conto in sospeso da
risolvere.”
Gli
altri lo guardarono ammirati: il loro amico sembrava proprio un
personaggio uscito da un fighissimo film d’azione con
sparatorie e gnocche assurde. Il ragazzo infatti se ne andò,
con la camminata un po’ traballante ma a suo modo eroica, la
sigaretta gettata via e i capelli biondi che rilucevano sotto le
insegne dei locali.
Ci
fu un istante di silenzio contemplativo. Poi, meditabondo, qualcuno
chiese:
“Sì
ma… ha pagato il pub?”
Altro
silenzio; nessuno rispose. Massì, Naruto era un figo
comunque, anche se aveva bevuto per dieci senza sganciare un centesimo.
E sembrava che il conto che lo aspettava fosse ben più
importante di quello maturato in una sbronza dettata da insoddisfatta
nostalgia.
Sproloqui
di una zucca
Eccoci finalmente al
terzo e penultimo capitolo che, lo ammetto, mi sono divertita tantissimo a
scrivere; era una bella sfida, raccontare qualcosa di così
assurdo come una possessione spirituale e renderla divertente,
sottolineando però aspetti introspettivi importanti dei
personaggi, alternando tra l'ironico e il triste. Mi auguro di esserci
riuscita.
Come avrete notato,
ogni titolo dei capitoli ha una sua ragione contestuale (anche se con
l'ultimo sarà definitivamente chiaro lo stop, backwards
etc.); Frankenstein, colui che ha dato vita alla creatura. Quest'ultimo
essere, prima fenomeno da baraccone, poi temuto e odiato da tutti, in
realtà ha una sua sensibilità, un modo di
percepire il mondo e gli altri molto più intenso di un
qualsiasi essere umano. In questo mi ha ricordato molto il nostro
Madara che, nonostante il carattere scostante, a dire il vero
è capace di amare al punto da offrire ad Hashirama la
possibilità di non disgregare la sua famiglia e di intuire
cose che magari non tutti riescono a cogliere. Non gli chiede di
scegliere e questa è una cosa che pochi riuscirebbero a fare.
Piccolo appunto: la
prima citazione appartiene a un film tratto dal libro di Mary Shelley
e, secondo me, rimane molto evocativa. Nell'originale il discorso della
Creatura è più catgorico: se non
ispirerò amore, ispirerò paura. Credo sia un modo
possibile di reagire di fronte a sentimenti che non ci piacciono.
Quanto adoro Madara,
che scende a compromessi impensabili e che ama così tanto,
ma anche Hashirama che è padre e, assieme a sua figlia,
è cresciuta anche la relazione con Madara, al punto da non
poter scindere né l'una, né l'altra; ma voglio
tanto bene anche a Naruto, con i suoi sensi di colpa, il suo amore, la
sua rabbia e la voglia un po' pazza di riprendersi Sasuke, allo stesso
modo voglio bene anche a Sasuke, che non aveva esitato un istante nel
proteggere il migliore amico e che non prova risentimento nei suoi
confronti, ma solo voglia di vederlo in alto, come meriterebbe.
Con il prossimo
capitolo, che concluderà questa pazza storia, vedremo il
confronto tra Sasuke e Naruto; infine, in base all'esito, comprenderemo
che fine faranno i nostri due fantasmini adorati. Quando giungerete
alla parola fine... consiglio di rileggere da capo, forse ci sono
dettagli che avranno un senso diverso.
Per concludere, vi
lascio con un'altra splendida immagine di Hashirama e Madara, anche in
questo caso perfetta per descrivere un Madara in preda alle affettuose
crisi di gelosia dovute alla neonata che ruberà tutte le
attenzioni di Hashirama XD E, nonostante tutto, Madara accetta per lui
di rimanere nell'ombra T_T
Che dire, grazie per
chi sta seguendo questa storia e per apprezzarla, spero che possiate
continuare a pensarla allo stesso modo sia per questo capitolo che per
il prossimo <3 Alla prossima! Grazie di cuore a coloro che la
commentano e che condividono con me i loro pensieri :3
|
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Capitolo 4 *** Flash forward… and play again - Soul ***
R.I.P. & Play Again
Riposa
in Pace…
Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.
“I
would give you my soul in a blackberry pie; and a knife to cut it
with.”
“Ti
darei la mia anima in una torta di mirtilli; e un coltello con cui
tagliarla.”
The Disorderly
Knights – Dorothy Dunnett
IV
Flash
forward… and play again - Soul
Sasuke si era passato una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi
quasi con disperazione. In parte per quella dannatissima telefonata con
Naruto, che non sembrava davvero in sé, in parte
perché la serata era stata atroce, tra musiche latino
americane e cocktail dai nomi assurdi; per non parlare delle
chiacchiere sui nomi dei bebé, i segreti di una cerimonia
perfetta e le quote di calciomercato. Una merda, insomma.
Con la scusa
di prendere un po’ d’aria uscì fuori,
dato che ormai l’amico doveva essere prossimo ad arrivare; fu
tranquillo che, visto l’andamento delle conversazioni in
sala, almeno per un po’ Sakura non lo avrebbe seguito.
Dopo qualche
minuto se lo vide arrivare: aveva il passo abbastanza tronfio, forse
più perché stava cercando di stare correttamente
in piedi che per reale marzialità dei movimenti, i vestiti
erano stropicciati e i capelli scombinati.
Sospirò:
gli era mancato. Anche in quelle condizioni riusciva comunque a
trovarlo attraente; pessimo, davvero pessimo.
Vai,
Madara, colpisci e affonda il bersaglio!
Naruto si
caricò a mille. Madara era proprio un figlio di puttana, ma
era simpatico e capiva al volo gli altri, per quanto dicesse di
detestarli. Inoltre, quella sera era sicuramente più lucido
di lui, percui Naruto trovò un’ottima cosa il
fatto che lo scrittore avrebbe parlato al posto suo.
“Col
cazzo, ora ci pensi tu. E’ il tuo uomo, mica il
mio!”
Sasuke
sollevò un sopracciglio: con chi stava parlando Naruto?
Uomo? Per un attimo lo sfiorò addirittura l’idea
che lui si fosse visto con un altro.
“Che
stai dicendo?” gli chiese brusco, avvicinandosi di un passo.
In quel
preciso momento, Madara uscì dal corpo di Naruto ma non si
materializzò di fianco a lui. Si ritrovò invece
accanto ad Hashirama, seduto presso la vetrina del locale e intento
guardare i due ragazzi, ora veramente soli nella piazza illuminata
dalle luci cittadine.
Naruto
barcollò un istante: fu come stare su una giostra.
Spalancò le falangi e ritrovò
l’equilibrio, ringraziando di non aver vomitato seduta
stante. Detestò Madara, anche se in fondo lo aveva portato
fino a lì.
Puntò
un dito contro l’amico di sempre, tanto per darsi un contegno:
“Io
e te, dobbiamo parlare!”
Chissà
perché, ma quando c’era Madara quella frase
risultava molto più figa.
Sasuke fece
una smorfia: “Naruto! Ma che cazzo hai fatto? Puzzi di birra
e… hai fumato?”
“Sì,
mammina, ho fumato – lo scimmiottò – e
mi sono scolato tre birre come se non ci fosse un domani. A proposito,
mi sa che devo pagare il conto.”
Ridacchiò,
cercando di rimanere serio.
Okay, sta delirando.
Sasuke lo prese per le spalle, ignorando l’odore di birra e
nicotina.
“Mi
vuoi dire che succede? Ti riaccompagno a casa.”
“Così
facciamo sesso.” Annuì Naruto.
Sasuke
sgranò gli occhi, sconvolto. Sì che Naruto era
sempre stato piuttosto diretto ma sentirsi dire da lui quelle cose, in
quel posto, con tutta la gente dentro che aspettava il futuro marito
perfetto, fu comunque strano e… bello, in
molteplici sensi. Anche se il ragazzo era ubriaco marcio.
“Certo,
sicuro – gli rispose seccato ma condiscendente, per poi
prenderlo per il braccio – dai, dico agli altri che ti
riaccompagno.”
Si
voltò e vide Sakura, in piedi. Dietro c’era anche
qualcuna delle sue amiche, di quelle coi pargoli lasciati ai mariti
dentro il locale, il vestito alla moda e i capelli appena fatti dal
parrucchiere.
Era rimasta
immobile e lo guardava.
“Sakura?”
domandò Sasuke. La domanda gli era sorta istintiva.
Perché era un interrogativo del tipo… quanto hai sentito?
Avrebbe potuto
comunque giustificare quell’uscita di Naruto con dai, guardalo, è
ubriaco da far schifo, non sa quello che dice.
“Che
ci fa lui qui?” domandò la donna, ostile, fissando
il ragazzo dai capelli biondi.
“Che
ci fai tu
qui? Questo è suolo pubblico, sai?”
replicò Naruto.
Non avrebbe
voluto essere così aggressivo; Sakura era una brava persona,
anche se a volte si circondava di gente vuota per colmare la sua
solitudine.
Sasuke
sospirò, seccato: “Lo sto riaccompagnando a
casa.”
Mmmh, forse non era
esattamente la cosa più saggia da dire.
“Che
ci torni da solo. Chiama un taxi. Hai una serata e degli amici che ti
aspettano!”
“Tipo
trucco e parrucco là dietro? Begli amici! Io sono suo amico,
io devo stare con lui.”
Disse quelle
ultime parole quasi con disperazione. Sasuke lo guardò,
stringendogli il braccio più forte.
Sakura si
sentiva braccata, messa alle strette mentre le cose stavano
precipitando e Naruto era lì, chiaramente non in
sé, che rischiava di rovinare tutto, ogni equilibrio tenuto
in piedi fino ad allora; cominciò a sentir cedere la
maschera che aveva tenuto su in quegli anni.
“Smettila.
Stai zitto.” Gli disse. Non urlò ma aveva la voce
dura, come di chi stesse trattenendo tutto quello che aveva dentro.
Qualcuno in
piazza si era fermato a guardare la scena.
Naruto la
fissò, per poi scuotere la testa e scrollare le spalle:
“No,
non sto zitto – si voltò verso Sasuke,
aggrottò le sopracciglia e aggiunse quasi senza rendersene
conto –
non
ti sposare. Ti prego, non farlo.”
Mentre
camminava fino a lì avrebbe voluto gridarlo platealmente
quel non ti sposare,
correre con falcate da film epico e scrollare Sasuke per riportarlo
alla ragione. Ma, ovviamente, le cose non andavano mai come ci si
aspettava, infatti Naruto si era trovato lì, con Sakura
incazzata, il suo fanclub, e aveva detto quelle parole così,
quasi con disperata pacatezza.
Si
sentì stupido.
Il modo in cui
lo guardava Sasuke lo fece sentire stupido, ed egoista.
Perché lui dopo tutto quel tempo, dopo aver lasciato correre
la vita del suo compagno di allenamenti senza far nulla, a pochi giorni
dal matrimonio se ne arrivava ubriaco a chiedergli di non sposarsi. Una
tattica geniale, proprio.
Sakura strinse
i pugni, si avvicinò e diede uno spintone a Naruto, aveva
gli occhi lucidi e le labbra che tremavano ma lo sguardo era fieramente
arrabbiato:
“Sei
uno stronzo! Uno stronzo! Perché, perché adesso?
Vattene!”
Quella volta
aveva finito per gridare e la sua voce era riecheggiata in tutta la
piazza, al punto che la città intera sembrava essersi
zittita.
Naruto
allargò le braccia e non oppose resistenza, quasi fosse
stato in arresto.
Non disse
nulla, si voltò e camminò, passo dopo passo, fino
a cominciare a correre con un’andatura un po’
ciondolante; tutto attorno a lui sembrava così follemente
instabile da fargli credere di star volando. Il fatto era che non
voleva nemmeno andarsene ma sentiva di star perdendo
l’autocontrollo: la rabbia, la voglia di prendere tutti a
cartellate e gridare era troppa. Non desiderava generare una sorta di
compassione in Sasuke; lui avrebbe potuto mandarlo a fanculo, ne aveva
ogni sacrosanto diritto, ma la pietà poteva anche riservarla
a Sakura.
Sasuke lo
guardò andare via, la fidanzata lo fissò, con la
voce che le tremava e la voglia di vomitare, perché la
tristezza sapeva attaccare alla gola, come il migliore degli assassini.
Più
che le parole di Naruto, capaci di farla arrabbiare, ciò che
davvero l’aveva ferita era stata l’assenza di
reazione da parte del proprio ragazzo e futuro marito.
Perché quest’ultimo avrebbe dovuto rispondere
all’esagitato con cui passava tanto tempo assieme di
smetterla di dire cazzate, non starsene zitto,visto che lui amava
Sakura e quel matrimonio era una cosa che dopo anni di fidanzamento, di
amici che si sposavano e figliavano, rappresentava un traguardo
desiderato da entrambi, no?
I genitori di
Sasuke erano così contenti, sembravano quasi sereni non
appena la coppia aveva annunciato loro il matrimonio. E Sasuke?
Dov’era la sua esultanza? Era sempre stato severo, in fondo,
non si lasciava mai trasportare da eccessivo entusiasmo, quindi era
normale che... che...
“Tu
non vuoi sposarti, vero?” gli domandò, riuscendo a
non far tremare la voce.
L’allenatore
avrebbe voluto seguire Naruto, in principio. Dirgli tutte le parole che
aveva tenuto dentro e non sopportava che l’amico, messo alle
strette dalla scadenza impellente di un matrimonio e ubriaco,
l’avesse clamorosamente anticipato, prendendolo in
contropiede. Ma come poteva abbandonare lì Sakura, anche se
si era pateticamente ripetuto allo specchio un discorso per lasciarla?
Con le amiche che, già le sentiva, bisbigliavano tra loro
domandandosi se quei due
fossero gay.
Era brutta
come parola, da sentire così, sussurrata con il sapore della
condanna, in quella piazza dalle luci artificiali e il pavimento
calpestato.
“Voi
ve ne andate fuori dai coglioni?”
La sua voce
suonò come una frustata, secca, persino violenta. Le ragazze
sgranarono gli occhi, provarono a protestare ma Sakura, con fare
apparentemente gentile, le esortò, dicendo loro che dentro
le aspettavano figli e
mariti.
Sembravano quasi malattie.
Tornò
a guardare Sasuke, che le pareva sempre così bello e lei
invece si sentiva tanto brutta, un fallimento di donna.
“Dimmi...
dimmi che contiamo entrambi.” Gli disse. Il matrimonio... oh,
suonava tanto come una catena, attorno a loro.
Per Sasuke non
fu affatto facile ammettere tutto quello che disse in seguito, per
nulla. Aveva vissuto tutti quegli ultimi anni sforzandosi di essere una
persona migliore, di andare bene a lavoro, di ottenere i suoi personali
successi, di archiviare la questione di Naruto razionalizzando e
razionalizzando, di considerare qualcosa di temporaneo persino un
fattore tanto determinante quale il sesso.
Quasi come se
andando poi a letto con Sakura si annientasse tutto il resto.
Lui strinse i
pugni e le disse, guardandola negli occhi:
“Sono
io, quello stronzo. Perché vorrei davvero dirti che
andrà bene, che sarò un uomo esemplare e che noi siamo la scelta
più importante – prese un respiro, le labbra si
assottigliarono per poi aprirsi appena quando ammise – ma non
è così.”
Sakura si
sentì morire. Fu come se le illusioni di anni fossero state
svelate: il mago Sasuke le aveva spiegato il suo trucco.
Però… no, non era Sasuke il mago, era sempre lui,
l’Amore, quello stesso amore che aveva colpito Madara, e
Hashirama, e tutti coloro che rimanevano incantati dalle colombe, dai
fiori e dalle carte, dalle monete che saltavano tra le dita, una per
ogni battito perso, mille, per ogni volta che il cuore batteva
più forte e i compromessi sembravano accettabili.
Le
sfuggì una lacrima, poi dopo aver stretto un istante i denti
gli disse, asciugandosi gli occhi con un gesto brusco:
“Quindi? Che cosa stai facendo ancora qui?”
Avrebbe potuto
insultarlo ancora, denigrarlo, rendere più ferocemente viva
l’idea che con Naruto non fossero mai stati veramente solo
amici, ma non volle. Da come l’uomo la guardava, dalle sue
parole – perché in fondo lo conosceva da un
quantitativo di tempo sufficientemente lungo – Sakura
comprese che forse Sasuke era ancora più confuso di lei.
Prima di aver mentito a lei, infatti, lo aveva fatto con se stesso.
E Sakura era
una donna orgogliosa, intelligente, anche se ferita e con la voglia di
prendere a pugni quella faccia che amava, incapace di muovere le labbra
per sentirsi dire ciò che avrebbe desiderato.
Oh,
se solo tu potessi prendere il mio posto, Sasuke.
Quest’ultimo
chiuse un istante gli occhi, poi li riaprì e mosse la bocca.
Le labbra sembravano formare una scusa, una promessa di parlarsi e di
spiegare a tutta la gente che aveva aspettative su di lui, che tali
aspettative sarebbero state disattese. Sakura non lo sapeva, non
riusciva a mettere bene a fuoco la vista; lo vide voltarsi e cominciare
a camminare, con la gamba che non sarebbe mai stata la stessa da prima
dell’incidente, quando Sasuke ancora correva, come se non
volesse più fermarsi.
Le parole.
Maledette, ancora loro. Ne esistono a migliaia, in ogni lingua del
mondo, ciascuna con le sue sfumature. E quando serve davvero ne usiamo
sempre così poche, oppure finiamo per non usarle affatto.
Se non si
è abituati nemmeno a sentirsele dire, quelle parole, poi
è più difficile reagire; era valso per Sakura e
allo stesso modo valeva anche per Sasuke. Che sembrava aver atteso
tutto quel tempo solo che Naruto gli dicesse di non fare qualcosa,
esortandolo a ribellarsi, talmente era nauseato dalla passiva
accettazione di ciò che accadeva, senza provare
pietà per il povero amico storpio.
Quindi...
sì, Naruto gli aveva letteralmente sparato in faccia la sua
richiesta, nel peggiore modo e momento possibile. E Sasuke non aveva
più nessuna ragione per tornare indietro, anche se
c’era Sakura, la sua famiglia, suo padre... lo avrebbero
odiato? Forse. Compatito? Ancora più probabile.
Sbatté
un pugno contro il muro.
“Dannazione,
stupida, maledetta gamba – percorse il marciapiede, facendo
scostare la gente, infine gridò con rabbia –
Naruto!”
Fu quasi come
essere in palestra, sul ring. Avrebbe voluto riprendere
l’amico, dirgli che come ogni volta aveva la guardia
scoperta, ma quella sera era stato Sasuke a viaggiare con il petto
esposto e Naruto era arrivato, con il suo attacco più
splendido e forte di sempre, affondando le nocche fin dentro il cuore.
Terribile ma anche... liberatorio.
Eppure la
gamba era sempre quella, in un modo o nell’altro, e faceva
dannatamente male.
Poi vide
comparirgli accanto Hashirama, che gli sfiorò le spalle con
la mano:
“Madara
ha fatto di testa sua, non vedo perché dovrei agire
diversamente – appoggiò il palmo, poi gli chiese
– permetti?”
Ma non attese
risposta di Sasuke, perché prese possesso del suo corpo e
ignorò tranquillamente le proteste del possessore del corpo
in oggetto, che credeva di non avere più tempo.
“Oh,
credimi, so cosa voglia
dire aver perso tempo. Tienti forte, smuoviamo un
po’ questi legamenti.”
Hashirama
sentiva ogni tratto del corpo di Sasuke, ogni osso, cartilagine,
centimetro di pelle o lo scorrere del sangue, esattamente come
percepiva in maniera sconvolgente il mondo attorno. Si stupì
nel reputare tanto belle le luci della città, la gente che
parlava per le strade, le statue, i musei, le fontane con la loro acqua
scrosciante. Cose banali, di tutti i giorni.
Corse, Sasuke.
Dopo tanti anni, sentì le gambe distendersi, non
avvertì più il male ma solo l’impatto
dei piedi sul terreno e la sensazione dell’aria sulla pelle.
Si allontanò il malessere per Sakura, per ciò che
gli avrebbe detto suo padre, per i giudizi che minavano il suo
ingombrante orgoglio. Tutto quello che era stato sembrò
così insignificante, paragonato al sentirsi... libero.
Esattamente come Hashirama, anche se egli non era nel suo
corpo, poté percepire un’ultima volta il mondo.
“Naruto!”
gridarono entrambi.
Come se gli
avessero sparato, boccheggiando Naruto si voltò, riuscendo
però ad arrestarsi solo dopo aver percorso stordito ancora
qualche metro.
“Sasuke?”
domandò, quasi in un sussurro. Egli era lì,
davanti a lui, niente Sakura, cene o altro. E... sembrava aver corso.
Sgranò gli occhi.
“Più
o meno. Ti restituisco il pacchetto completo. Madara è per
caso...”
“No,
non è più qui, non dopo aver cercato di farmi
inciampare almeno.”
Ma...
Hashirama, perché era evidentemente lui, non era
già più nel corpo di Sasuke. C’erano
davvero solo loro due, oltre al resto della città.
“Guarda
che mi hai fatto fare.” disse l’allenatore,
lanciando un’occhiata alla gamba che ora sembrava essere
tornata il solito arto danneggiato di sempre. Non faceva male ma...
correre lo aveva fatto stare per un istante sopra il resto del mondo,
anche se aveva toccato solo la terra. Quella frase sembrava infatti
riferita a ben altro.
“Mi
spiace.” Fu tutto quello che Naruto riuscì a dire.
“Quelle
parole – intervenne Sasuke all’improvviso
– intendevi dirle per davvero?”
“Sì,
sarò anche un po’ ubriaco ma so quello che dico e
sostengo, mica lo faccio per caso...”
Stava per dire
altro, per straparlare come al suo solito e mangiarsi qualche parola
nel mezzo, con l’idea che se avesse taciuto magari Sasuke gli
avrebbe finalmente dato del coglione per porgergli i suoi saluti e
addio.
Ma Sasuke lo
afferrò per la maglia, con rabbia, e lo portò di
fronte a sé.
“Lo
sai che per quelle parole ho mandato tutto a fanculo? Ciò
che credevo di aver costruito in anni... volatilizzato, nel giro di
dieci minuti. Per tre vocaboli messi in croce detti da un ubriaco
– schioccò la lingua, mordendosi un labbro che si
distese in un sorriso ironico – devo essere proprio
disperato, vero?”
Naruto lo
fissò. Una parte di sé, quella più
squisitamente egoista, fu in un certo senso felice, mentre
l’altra si rese conto di aver a sua volta gettato nel cesso
tutti i buoni propositi di non immischiarsi nell’andamento
naturale della vita del migliore amico.
“No.
Cazzo, Sasuke, io non credevo che tu avresti davvero fatto una cosa
simile.” gli si torse la lingua. Smise di parlare, sarebbe
stato ipocrita cercare di riparare qualcosa che lui stesso aveva
contribuito a sconquassare.
“Stai
ritrattando?”
“No.”
Ammise sinceramente, senza più pensare.
“Bene.
Perché io non ho più intenzione di tornare
indietro.”
Lo
guardò un istante, con quel suo cipiglio alterato, i capelli
lunghi tutto sommato ordinati e gli occhi scuri profondi. Sembrava
incazzato. Eppure, sostanzialmente, gli stava dicendo che era
lì per lui, perché era tempo di mettere
finalmente ordine a tutto ciò che c’era
d’indefinito nella loro reciproca esistenza.
Già,
solo Sasuke poteva esporsi in maniera così tanto
contraddittoria e far sentire comunque Naruto come se fossero nel ben
mezzo di una delle loro litigate migliori.
Peccato che
l’espressione non contò più nulla.
Perché Sasuke, alla fine, gli strinse le mani sulle spalle
e... lo baciò, lo baciò con la stessa disperata
passione che Naruto aveva messo nel chiedergli di non sposarsi. Anche
se quello stupido puzzava di alcool e sigaretta.
Qualcuno si
girò, altri commentarono ma nessuno osò fermarsi,
perché... sì, perché la vita andava avanti.
Naruto fece
per dire qualcosa, qualunque cosa, nonostante fosse su di giri e allo
stesso tempo sentisse il peso della consapevolezza di ciò
che implicava quel bacio, di conseguenza anche l’obbligo di
farlo razionalmente presente. E notare bene che era lui quello ubriaco,
non il responsabile e preciso Sasuke.
Ma
quest’ultimo gli lanciò un’occhiata,
come intuendo che quello stupido dagli occhi troppo chiari, entusiasti
e pieni di pensieri fosse in procinto di parlare:
“Aspetta.
Non ho finito.”
“Sei
preso bene.” Involontariamente, Naruto ridacchiò.
L’altro
fece una smorfia: “Talmente tanto che posso prendere bene
anche te. A botte. Ora vuoi tacere?”
Pazzesco. L’amore ai tempi del
colera. Insomma, effettivamente dopo tutti quegli anni,
dopo che si conoscevano così bene, se tra loro fossero
volati fiori e cuoricini sarebbe stato piuttosto irrealistico. E, per
quanto Naruto temesse il contrario, Sasuke era spaventosamente lucido.
Talmente tanto che se si fosse fermato, forse non sarebbe
più riuscito a dire quello che ancora mancava.
“Ora
ti farò un discorso e tu mi farai il favore di ascoltarlo
senza interrompermi. Pensi di farcela?”
“Oh,
sono un po’ brillo ma non stupido o sordo. Ti ascolto, parla,
non so quando mi capiterà ancora che tu lo faccia.”
Si fissarono
un istante. Poi Sasuke fu spaventosamente diretto:
“L’incidente.
Non te l’ho ripetuto abbastanza o con sufficiente convinzione
ma ora te lo ribadisco e che ti si imprima a fuoco in quel tuo testone
vuoto: non è colpa tua. E se servisse ad averti ancora con
me, esattamente come sei, lo rifarei, di nuovo. Tra la mia carriera
sportiva e te… sceglierei sempre te, a occhi chiusi. Ho
sbagliato solo a non aver mai voluto fare i conti prima con questa
consapevolezza, ritenendo di fare la cosa giusta nel seguire una vita
che sarebbe andata bene a tutti, te compreso, visto che non ti sei mai
opposto – Naruto fece per aprire bocca ma sigillò
le labbra, in istintiva apnea – poi… sono arrivati
loro, con
gli errori che hanno compiuto e tu, che dopo esserti mostrato
così bravo ad accettare le mie decisioni peggiori, mi chiedi
di non sposarmi più.
Pochi giorni,
per rendermi conto di quanto tempo stessimo perdendo.
Siamo ancora
vivi, Naruto. Ti rendi conto? Noi siamo ancora vivi. E io stavo per
legare la mia vita a una persona che non avrei mai amato, non quanto
amo te.”
Dopo un attimo
di silenzio che seguì quelle parole, improvvisamente
Naruto… scoppiò a ridere, genuinamente, non
perché l’intera situazione facesse ridere, al
contrario, era terribilmente seria, un momento fondamentale della sua
vita, direi, di quelli da raccontare ai posteri negli anni a venire.
E’ importante precisare, però, che non rideva
perché trovava le parole di Sasuke divertenti,
bensì per un motivo molto più semplice e
totalitario: era… felice.
E, allo stesso tempo, al culmine della risata sentì anche la
voglia di piangere, per tutte le volte in cui aveva mancato quella
felicità e per tutte le volte in cui da ora in poi
l’avrebbe provata ancora.
Con le braccia
incrociate Sasuke lo fissò, anche se non riuscì a
evitare di sorridere a sua volta:
“Sei
stupido o cosa?”
Naruto
allargò le braccia e si asciugò una lacrima
dall’occhio destro, esclamando:
“Sono
stupido! E presuntuoso, per aver creduto che saresti stato bene,
facendo tutto quello che la gente si aspettava.”
“Quindi?”
lo osservò Sasuke, in tensione.
“Quindi
che?” domandò l’altro, senza smettere di
sorridere.
L’allenatore
fece per girarsi e prendere grandi falcate di distanza, ma Naruto gli
afferrò il braccio, bloccandolo:
“Quindi
proviamo a passarlo assieme, il resto di questa nostra vita, non con
Sakura, non con Hinata. Per noi, non per gli altri. Questo è
amore? Direi di sì. Abbiamo fatto un casino gigantesco?
Cavoli, sì. Sakura incazzata, i tuoi sconvolti,
probabilmente riceveremo tanti di quei calci in culo da pensare,
infinite volte, di aver fatto una stronzata, preso un abbaglio, un
colpo di testa. Ma… ci parleremo. E io mi
ricorderò sempre di quello che ho provato sentendoti parlare
di noi.”
Sasuke lo
fissò; si ritrovò poi ad annuire, con il cuore
che gli si fece più leggero. Detta così sembrava
quasi facile, meno terribile di come se l’era dipinta nella
testa.
Poi Naruto si
voltò verso il resto della strada, fece
l’occhiolino al suo allenatore dicendogli sta a sentire,
prese un profondo respiro e gridò, sgolandosi:
“Ti
amo, Sasuke Uchiha!”
Quest’ultimo
sgranò gli occhi, arrossì violentemente e lo
strattonò con ancora più violenza, ma non lo mise
a tacere. Si passò una mano tra i capelli, indugiando un
istante vicino al volto come per coprirlo e ritrovare un cipiglio
severo. Non ci riuscì molto bene.
Poi il biondo
pugile gli appoggiò una mano sulla spalla, portando
l’altra al fianco. Prese dei bei respiri. Lo
guardò.
Il ragazzo lo
fissò a sua volta, sollevando un sopracciglio, perplesso
perché l’espressione era cambiata.
“Sasuke...”
sussurrò Naruto.
Poi si sporse
di fianco e vomitò.
*
“Che
schifo! Si vede che non è parente mio.”
Commentò Madara, disgustato ma al tempo stesso divertito.
Hashirama
scosse la testa: “Colpa tua che lo hai ridotto in quel modo.
E’ già tanto se è riuscito ad arrivare
fino a lì tutto intero.”
“Mah,
diciamo che ho giusto incoraggiato qualcosa che voleva fare. Mi sembra
che anche tu abbia seguito questa linea di pensiero.”
Replicò l’altro, scrollando le spalle.
“Sai
che Sasuke si era messo a camminare avanti e indietro a casa, cercando
le parole per annullare il matrimonio con Sakura? Alla fin fine aveva
optato per la linea secca e senza troppi giri, sicuro di non aver
posseduto anche lui?”
Madara rise,
all’idea di Sasuke che pensava al modo giusto di dire un
qualcosa che non sarebbe mai stato corretto, né piacevole,
in fin dei conti. In quello, alla fin fine, Naruto gli era stato di
grande aiuto perché aveva decisamente rotto non solo il
ghiaccio ma direttamente tutti e due i Poli.
“E’
stato bello tornare a sentire il mondo che ci circonda, anche se per
poco.”
Tacquero. Il
ristorante stava chiudendo, i camerieri avevano finito di pulire il
locale e la candela del tavolo di Madara e Hashirama era in procinto di
spegnersi. Nella penombra, le luci della città sembravano
ancora più splendide.
Dopo qualche
istante Hashirama fece per dire qualcosa a Madara ma comparve Sai, in
piedi. I due uomini lo guardarono, silenziosi. Alle loro spalle gli
ultimi passi dei lavoratori intenti ad andarsene.
“Siete
stati bravi.” Ammise l’entità.
Hashirama fece
un cenno con la testa, poi Madara gli chiese:
“Sei
venuto per portarci via?”
Sai sorrise:
“Non lo hai ancora capito?”
“Cosa
c’è da capire?” domandò lo
scrittore ma ebbe come un presentimento, mentre Hashirama taceva.
Prima che
potessero chiedere altro, però, si ritrovarono catapultati
in una stanza del tutto sconosciuta, affondando in un divano
– per quanto i loro corpi potessero effettivamente affondare;
sembrava un soggiorno, a giudicare dal televisore, dai cd accatastati e
dai libri. Poi videro Sasuke e Naruto, in piedi, con degli oggetti in
mano e l’aria sorpresa ma non troppo. Era giorno, come
poterono notare dalla luce del sole che filtrava attraverso le lunghe
finestre.
“Ancora
voi?” domandò Madara, roteando gli occhi.
Sasuke
schioccò la lingua: “Potrei dire lo
stesso.”
Naruto rise e
Hashirama lo imitò.
Parlarono. Di
come si erano risolte le cose, di Sakura, della bomba scoppiata in
famiglia da Sasuke, anche se questi ancora non aveva parlato della
faccenda di Naruto, degli insulti da parte di quella
dell’ex-promessa sposa, anche se lei aveva fatto di tutto per
evitare che si arrivasse a tanto. A cosa serviva, alla fine? Era solo
una questione di scelte, per quanto quelle di Sasuke
l’avessero svuotata, lasciandole nient’altro che la
voglia di piangere. Ma era forte, Sakura, e quando si era sentita con
Hinata aveva finito per darsi della stupida, per averla coinvolta in
qualcosa di sterile.
Ma
l’amica aveva replicato che non importava, che era stata
bene, e che Sakura doveva pensare a rimettersi in piedi, era lei
d’altronde a dover ricominciare una vita.
Tutto era
scoppiato, a ben pensarci. Tabula
rasa. Bisognava solo più ripartire, anche se
era la cosa più difficile.
“Grazie.”
Disse alla fine Naruto.
Sasuke attese
un istante, poi disse a sua volta: “Grazie.”
Guardò
gli scatoloni. Si stava riportando nell’appartamento gli
oggetti provenienti dalla casa che avrebbe dovuto condividere con
Sakura; non si stupì nel realizzare che non erano poi
tantissimi.
“Non
abbiamo fatto nulla di che.” Minimizzò Hashirama.
“Alla
faccia, la prossima volta che pensate di sapere
cos’è meglio fare siete pregati di lasciar perdere
e agire in senso opposto.” Sbottò Madara, anche se
suo malgrado sorrise.
“Ce
ne ricorderemo.” Rise Naruto.
Dopo qualche
istante quest’ultimo domandò, perplesso:
“E ora che succede? Insomma, avete svolto il vostro... compito, Hashirama
dovresti poter passare oltre o come si dice.”
“Sì,
credo di sì.” Asserì il diretto
interessato, poi guardò Madara.
“Quando
sarà il momento passeremo oltre, per usare le tue
parole.” Replicò lo scrittore, accavallando le
gambe mentre appoggiava i gomiti sul divano.
Naruto a sua
volta fissò Sasuke che con le braccia incrociate fece
presente:
“Passeremo?
Perché parlate al plurale?”
Hashirama non
disse nulla. Madara si tirò su la schiena, ancorando
entrambi i piedi a terra:
“Che
domande del cazzo. Siamo morti! Incidente, motel, corpi, hai
presente?”
Sentì
un senso d’inquietudine più forte e una paura
viscerale che non provava da troppo tempo.
Sasuke tacque;
Naruto si sedette di peso su una delle sedie libere, con il cartone
svuotato ancora in grembo. Dopo qualche secondo fu proprio Sasuke a
dire, quasi circospetto:
“Madara...
tu non sei morto. Sei
in coma.”
*
La rivelazione
fu difficile da digerire, soprattutto il fatto che Hashirama non
sembrava altrettanto stupito. E quella volta fu seguendo gli impulsi di
Madara che i due uomini si ritrovarono senza più le soffici
comodità del divano, per sostare in piedi in una stanza
d’ospedale, forse il reparto di terapia intensiva.
Madara vide se
stesso, il suo volto, i capelli comunque pettinati, forse da qualche
infermiera, la maschera per l’ossigeno, i monitor con i
pigolii meccanici e la cartella clinica... tutte le stronzate
appartenenti a un ricovero in grande stile.
“No
– sussurrò, artigliando il letto dalle sbarre
metalliche che sentì gelide – no, no, no. Non
posso essere ancora vivo? Perché?”
Guardò
Hashirama che, con quel suo sorriso imperturbabile, gli
appoggiò una mano sul collo:
“Non
hai un bell’aspetto, credo fratture multiple a giudicare
dagli ultimi referti, qualche vertebra rotta ma nessuna lesione alla
spina dorsale. Sei un puzzle umano però per pura fortuna di
crolli non ti è andata male come a me. Sei vivo!”
Sembrava
felice. Madara invece lo guardava incazzato, spaventato e... deluso.
Perché lui era ancora lì, attaccato a quelle
macchine, operato, osservato, controllato, curato, mentre Hashirama era
sotto terra. Non poteva più fare l’amore con lui,
baciarlo, sentirlo ridere e parlare.
“Tu
lo sapevi.” Disse all’improvviso.
Gli
afferrò la maglia e gli si scagliò addosso:
“Lo sapevi, brutto figlio di puttana e non mi hai detto
nulla!”
Hashirama gli
prese la mani ma non le tolse da sé, le guardò,
con amore, infine guardò Madara:
“Dove
pensi che i miei istinti e i miei sentimenti mi abbiano trasportato,
appena ho realizzato di essere morto? – un leggero
sorriso – Da te, Madara. E una parte di te mi è
rimasta accanto, fino a ora, per aiutarmi a completare ciò
che non sono riuscito a fare in vita. Ora...”
“No!
– esclamò, sgranando gli occhi scuri –
Sta’ zitto, smettila! Non voglio essere vivo! Stacca tutto,
toglimi l’aria, folgorami, uccidimi. Che senso ha?”
Se Hashirama
avesse potuto piangere, l’avrebbe fatto. Ma, purtroppo, non
gli erano rimaste nemmeno le lacrime. Quanto era ingiusto tutto questo.
“Hai
una nuova storia da raccontare, non puoi andartene. E’ la
nostra storia, è quella di Sasuke, di Naruto, ma anche di
chi si tiene le cose dentro e non le tira mai fuori. Per paura dei
giudizi degli altri, perché crede sia la cosa più
facile, perché è considerato forte. Sono tanti i
motivi, noi li conosciamo tutti.”
Madara
sollevò quella maglia e se la portò alla bocca,
vicino alle narici. Respirò l’odore di Hashirama.
Sapeva di tempere e colori ad olio, di un giorno di primavera in cui
gli aveva fatto vedere le prime tavole del suo ultimo libro. Dopo,
avevano fatto l’amore.
“Eppure
ti sei tenuto dentro anche questo, Hashirama. Per tutto il tempo in cui
siamo stati assieme.”
“Non
l’ho fatto per te – ammise, guardandolo –
l’ho fatto per me. Per una volta. Volevo stare assieme a te e
godermi ogni attimo, finché sarebbe durato.
Scusami.”
Madara non
disse nulla. Le macchine ronzavano e l’ossigeno
s’immetteva nei suoi polmoni.
“Allora...
dovrò scrivere proprio un bel libro. Visto che non ci
saranno più i tuoi disegni.”
Rimasero
così, a stringersi, nel silenzio di una stanza
d’ospedale.
Sai comparve,
altrettanto silenzioso, ed entrambi seppero che era tempo di dirsi
addio. La presenza non disse nulla, si limitò a guardarli e
attendere.
“Madara...
avrei un favore da chiederti. Se ti trasmettessi un messaggio lo
potresti far avere a mia figlia?”
“Sono
pur sempre uno scrittore.” Accettò
quest’ultimo in un soffio.
Si guardarono.
“E’
ora per davvero.” Disse alla fine Hashirama.
“Sbrigati
ad andartene – commentò secco Madara –
visto che mi lasci indietro, vedi di fare le cose come si
devono.”
Questi fece
per dire qualcosa ma Madara lo baciò, mettendolo a tacere.
Avrebbe voluto mordergli il labbro, come se questo lo avesse potuto
legare a sé, costringendolo a restare.
“Non
è un addio, Madara. Quando sarai vecchio e stanco di questa
noiosissima Terra ti verrò a prendere. E ce ne andremo
insieme. Potrò vedere i successi che hai avuto,
vedrò mia nipote crescere, mia figlia diventare nonna, mia
moglie invecchiare. Potrò vedere Sasuke e Naruto stare
assieme, litigare, amarsi, invecchiare a loro volta. Non è
un addio – ripeté – ti amo è
presente, ogni singolo giorno.”
“Allora...
a tra qualche anno, Hashirama. Vedi di non farmi attendere
troppo.”
Il corpo di
Madara pianse. Tutte le lacrime che il suo spirito e quello di
Hashirama non avevano potuto versare.
*
Il ring della
palestra era vuoto. Tutti erano andati a casa dopo gli allenamenti
serali, Naruto compreso. Non convivevano ma ogni tanto dormivano
l’uno a casa dell’altro, cominciando a capire con
passaggi graduali le possibilità di condividere qualcosa
come gli stessi spazi.
Sasuke aveva
chiesto a suo padre di passare, settimane dopo che aveva annunciato di
aver lasciato Sakura e rinunciato al matrimonio. La notizia era stata
drammatica, accolta in famiglia come qualcosa
d’incomprensibile. Sorprendentemente Fugaku non aveva reagito
neanche troppo male: si era limitato a guardare il figlio, il quale gli
aveva chiesto del tempo per potergli parlare, loro due.
Non era stato
facile ma alla fine Sasuke aveva chiesto al genitore di vedersi alla
palestra, dove si erano allenati e lui era cresciuto. Se proprio doveva
concludersi qualcosa, tanto valeva che avvenisse in quel posto, sotto
quelle luci e su quel terreno altrettanto vissuto.
Sasuke aveva
ancora i guantoni e la tuta, quando Fugaku entrò e si
appoggiò alle corde per dirgli, prima che il figlio
scendesse:
“Rimani
lì, salgo io.”
Il ragazzo si
bloccò, fissandolo, ma non batté ciglio. Con un
cenno indicò dei guantoni appesi alla parete.
Fugaku se li
mise al collo, si issò sul ring e inspirò un
istante, guardandosi attorno, contemplando gli attrezzi, le vetrate
oltre le quali si vedevano le luci della via e osservando infine suo
figlio, con i capelli portati indietro e lo sguardo serio che
l’aveva sempre contraddistinto.
“Avanti,
su la guardia.”
Gli disse.
Istintivamente Sasuke lo fece. In quell’istante la gamba non
contò più nulla: c’erano solo loro due,
come tanti anni fa, quando Sasuke guardava suo padre prima combattere,
poi insegnargli. Tutto ciò che aveva imparato da lui, lo
aveva imparato su quel ring.
Gli
tirò qualche colpo, rapido, il ragazzo schivò,
difese e contrattaccò. Non riuscì a spostarsi
come avrebbe voluto ma realizzò che in quella schermaglia
nemmeno suo padre si stava muovendo dal proprio posto.
Ogni tanto
riprendeva il figlio con qualche parola rapida, magari per il modo in
cui teneva il gomito, le spalle, ma… erano solo minuzie,
perché in passato Fugaku si era abituato a correggergli ogni
singolo movimento, per quanto il giovane avesse un talento naturale. Si
fermò, quando il pugno di Sasuke gli arrivò,
controllato, a un millimetro dal viso e lui in contemporanea
alzò il braccio per deviarlo.
Rimasero
così, a guardarsi, con un leggero velo di sudore in volto e
la respirazione più veloce.
“Sei
diventato bravo.”
Ammise. Anche
se Sasuke aveva solo allenato, anche se non era diventato
quell’atleta che anni fa ci si aspettava.
Il boxeur
abbassò la guardia e ingerì quel complimento
inaspettato, per poi confessargli, fissandosi i guantoni:
“Devo
dirti una cosa.”
“Chi
ti ha detto di abbassare la guardia? Avanti –
sollevò il palmo coperto dai guanti imbottiti –
due pugni in rapida successione, ricordati del movimento del bacino.
Mai perdere di vista il tuo baricentro.”
Sasuke
assottigliò le labbra. Annuì.
Guardia. Pugno, pugno, preparati a
schivare, torsione eventuale.
Colpì,
Fugaku spostò un braccio per costringerlo a schivare.
“Io
– primo pugno,
espirò – sono gay.”
Altro pugno.
Fugaku lo attaccò, di nuovo.
“Non
ti ho detto di abbassare la guardia.” Ribadì il
padre, dopo che Sasuke pensò che non lo avesse sentito.
Ripeterono il
movimento.
“Cosa
sono questi attacchi? Ti sei rammollito? Più forza. E parla
anche più forte. Non sei combattivo, Sasuke.”
“Io
– alzò la voce – sono gay!”
“Più
forte!”
Sasuke lo
colpì con rabbia, sempre maggiore, veloce, rapido, potente,
le mani del padre indietreggiarono, come frustate:
“Io
sono gay, maledizione!”
Lo
urlò e l’eco ferì le pareti, assieme
alle travi metalliche, alla vernice scrostata, ai vetri annebbiati
dalla polvere e dallo sporco dell’inquinamento al di fuori.
I due
contendenti si guardarono, con la guardia sollevata, ansimando entrambi.
Poi,
improvvisamente, Fugaku annuì:
“Ora
stai attaccando per davvero.”
Sasuke
gettò il guantone a terra, perdendo decisamente il controllo
per la reazione del padre:
“Ma
hai ascoltato o no quello che ho detto?”
Eppure
già sapeva che il genitore aveva sentito tutto, ogni singola
parola. Sasuke aveva passato anni a credere che il proprio padre
avrebbe potuto dare di matto sentendo parole incisive come quelle, ben
lontane dalle evidenti aspirazioni paterne; invece, quando il giorno
della rivelazione era giunto, il ragazzo si era trovato davanti un uomo
orgoglioso che si era limitato a farlo combattere, come se fosse stato
il primo giorno su di un ring. Era sconvolto, Sasuke. E arrabbiato. Per
non aver mai cercato prima una qualche forma di confronto,
né compreso che genere di persona fosse quel padre tanto
idealizzato.
“Certo,
ti ho ascoltato.”
Gli
confermò infine Fugaku mettendosi i guantoni al collo,
appesi per i lacci. Aveva i capelli striati di bianco legati, lo stesso
sguardo un po’ altero del figlio.
“E
quindi? – domandò questi, disorientato –
Cosa devo aspettarmi adesso?”
Fugaku
sollevò un sopracciglio, fissando il ragazzo:
“Quindi cosa? Che credevi? Che ti cacciassi dalla palestra
che hai ereditato o che ti dessi una pacca sulla spalla?”
Sasuke non
seppe cosa rispondere. Se il genitore si fosse arrabbiato forse lo
avrebbe capito, sarebbe stato ciò che si aspettava. Ma
così…
Il padre
appoggiò una mano alle corde, abbracciando con lo sguardo
tutta la palestra:
“Non
ti voglio consolare o metterti in testa strane idee. E’ una
strada difficile, la tua. Ti daranno molti più calci sui
denti. Ma così come quella gamba non ti ha mai fatto
smettere di salire sul ring e di colpire, esattamente come oggi hai
colpito me, allo stesso modo chi sei o chi ami non deve farti cessare
di combattere nella vita e dimostrare quanto vali.
Ci siamo
capiti?”
Lo
guardò, le labbra sottili severe, simili a quelle di un
comandante, per quell’impostazione quasi marziale della voce
e del corpo, nonostante la boxe fosse una danza che non seguiva passi
preimpostati.
Sasuke
annuì. Raccolse il guantone, rimanendo un istante chinato
senza piegare bene il ginocchio, poi si tirò su, deglutendo
mentre lo faceva.
“Naruto
– aggiunse il padre, alzando una corda prima di scendere
– continua ad allenarlo. Portalo in alto. Ci può
riuscire solo con te.”
Si
abbassò e con un salto tornò sul pavimento in pvc
della palestra. Sasuke, in piedi, sul ring, lo guardò e
capì che suo padre non aveva mai davvero creduto che il
figlio avesse smesso di combattere, in nessun singolo giorno della sua
vita.
*
Nella sala
parto si muovevano infermieri, l’ostetrica e il ginecologo,
tutti organizzati, coordinati come una squadra di pallavolo, con i
propri ruoli e posizioni che doveva portare a casa il risultato.
Hana era su
quel lettino, con le gambe divaricate, la respirazione accelerata che
tentava di andare a ritmo con le contrazioni e le spinte, quasi come se
assieme all’ossigeno potesse anche inghiottire il dolore.
Da qualche
parte, nella sua casa presa assieme al compagno, in un cassetto coi
suoi oggetti personali c’era la lettera che le aveva
consegnato niente meno che Madara, ripresosi dall’incidente
qualche mese dopo il funerale del padre. Non si erano parlati: lui non
aveva lanciato alcuna provocazione, lei non aveva voglia di cercare uno
scontro. Era stanca, con il pancione enorme e la consapevolezza che
tanto non avrebbe potuto fare granché per cambiare le cose.
Suo padre le
mancava terribilmente e se avesse parlato con Madara avrebbe finito per
scoppiare a piangere mentre gli gridava contro, quasi fosse stato lui e
non il destino a portarglielo via.
Non era
riuscita a leggere il contenuto di quella busta. Ma ora, mentre sua
figlia stava nascendo, avrebbe voluto davvero aprire quel pezzo di
carta e leggerlo, perché forse almeno così quel
sentimento di nostalgia si sarebbe ammorbidito. Era sicura che ci fosse
suo papà, in quelle righe.
In
realtà, però, anche se Hana Senju non poteva
accorgersene, Hashirama era lì, di fianco a lei. I fantasmi
non seguono le normali leggi della fisica, ignorano le dimensioni,
esistono, in un loro personale ritaglio di mondo.
Fu
l’ultimo luogo in cui egli andò, prima di
andarsene per sempre dopo aver detto addio a Madara.
Vide sua
figlia partorire, dando alla luce una splendida bambina, la sua nipote.
Alla quale non avrebbe potuto leggere le storie di Madara, che non
avrebbe potuto ritrarre per i suoi quadri, portare a passeggio
scherzando per quanto gli altri nonni fossero indietro rispetto a lui,
che ancora girava coi capelli lunghi.
Quante cose,
di cui non sarebbe mai stato parte.
La
sentì urlare, il primo vagito di vita. Urlò come
se fosse già arrabbiata con quel mondo imperfetto, per tutte
le delusioni che avrebbe subito, per tutte le grida, di gioia e di ira,
di paura e di entusiasmo.
Un battito di
ciglia e non c’erano più dottori, c’era
solo lei, Hana, che stanca teneva tra le braccia Tsunade, con qualche
ciuffo biondo che già spuntava sulla testa, cresciuto
selvaggio dentro l’utero. Poi c’era Mito, sulla
sedia.
Si era
addormentata.
Hashirama si
abbassò, appoggiò il capo sul torace della
neonata, così vicina al petto della sua mamma. La
sentì respirare, a fondo, quasi volesse divorare la sua vita
e crescere.
Socchiuse gli
occhi e le abbracciò, le tre donne che gli avevano dato
tanto e che avrebbero continuato senza di lui, vivendo, lottando, come
ogni altro essere umano. Sentì che avrebbe potuto piangere
quando appoggiò l’orecchio sul tessuto morbido
della tutina e udì il cuore battere, quando con il petto toccò
Hana, fino ad abbracciarla e sentire la mano della moglie che tante
volte aveva stretto in vita.
“Perdonatemi.
Vi voglio bene.”
Hana
aprì gli occhi. C’era il sole e un leggero vento
passava dalla finestra parzialmente aperta. Per un istante, un solo,
brevissimo istante, le sembrò di vedere suo padre
avvolgerla, i suoi capelli che scivolavano su di lei come quando
giocavano a chi aveva le ciocche più lunghe, le mani forti
che l’avevano sollevata quando cadeva e tenuta stretta nei
momenti importanti della sua vita. C’era sempre stato, in
spiaggia da bambina che l’accompagnava se non voleva parlare
coi suoi coetanei i primi giorni, durante la consegna del diploma, il
giorno della laurea o quando era andata a fare la prima ecografia.
E anche
allora, in quel risveglio, le sembrò che lui fosse
lì, ad abbracciarla e a chiederle scusa, dicendole che le
voleva bene.
Le
sfuggì una lacrima.
Sbatté
le palpebre e vide solo la sua mamma che stava sorridendo, nel sonno
più sereno di tutti quei mesi, e sua figlia che
già era diventata la sua vita.
“Mi
manchi, papà. Ti voglio bene anch’io.
Sempre.”
Quando giorni
dopo tornò a casa, lesse la lettera.
*
Hashirama
Senju negli anni a venire vide tante cose, esattamente quelle che aveva
previsto, o quasi.
Vide Sasuke e
Naruto iniziare a convivere, allenarsi, Naruto cominciare a vincere gli
incontri, anche se ogni tanto tornava a casa con un occhio pesto o il
labbro spaccato e Sasuke lo aiutava a reggere il ghiaccio, facendogli
notare pignolamente e con zero sensibilità le sue falle
difensive.
Ormai avevano
quasi cinquant’anni; dopo un’onorata carriera ed
essere quasi andato alle olimpiadi con il suo allenatore leggendario,
Naruto aveva appeso i guantoni al chiodo e si era dedicato ad allenare
i ragazzi, ma era scoppiato a ridere di gioia quando si era visto
arrivare Tsunade, con lo sguardo di sfida, il sorriso determinato, e il
DNA di Hashirama. Voleva imparare a tirare di boxe, persino sua madre
per qualche strano motivo non era contraria, sebbene preoccupata di
vederla tornare senza denti, esattamente come all’epoca erano
state preoccupate Mikoto e Kushina.
Sasuke lo
aiutava, anche se nonostante le terapie la gamba ogni tanto gli
lanciava delle fitte antipatiche, come per ricordargli
dell’età che avanzava.
Con il tempo,
comunque, si erano rivisti con Sakura, che si era sposata un fotografo
naturalista conosciuto a uno degli eventi organizzati con Hinata, sua
collega ormai storica; ogni tanto lei viaggiava per il mondo assieme al
marito, mandando a coloro che erano ormai i suoi migliori amici le foto
di dov’era stata.
Il tempo,
appunto, consente di perdonare e rimarginare qualche ferita. Non tutte
ma... è un buon medico da campo, in fondo, se non altro
nella costante battaglia per vivere.
E poi...
c’era Madara. Che, nonostante il fumo e qualche birra di
troppo, era arrivato alla soglia degli ottantanni suonati. Aveva i
capelli bianchi che ricordavano lana e le rughe sul volto, specie sotto
le borse perenni che lo avevano sempre contraddistinto.
Era stato
inonandato di premi, sebbene la stampa lo avesse sempre considerato un
uomo un po’ eccentrico e dal carattere abbastanza
indisponente. Ma questo non aveva impedito al pubblico e alla critica
di apprezzare i suoi lavori, anche se da quando il suo illustratore era
morto nessuno aveva più disegnato nemmeno i suoi visionari
racconti per bambini.
Gli avevano
chiesto di cedere i diritti d’autore per fare un film sul
libro che parlava di fantasmi che aiutavano dei ragazzi a dichiararsi,
questo era stato il riassunto sostanziale della trama, visto che le
tematiche appetitose per il pubblico desideroso di schierarsi dalla
parte degli sfigati sembravano promettere grandi incassi ai botteghini.
Ma Madara aveva rifiutato, dicendo loro di incassare il suo vaffanculo.
Un pomeriggio
di primavera, Madara era seduto sul portico di casa sua. Si era preso
una villetta in campagna, lontano dalla gente. Qualche giorno prima
Sasuke e Naruto erano passati a trovarlo e lui si era bevuto un
bicchiere con loro, in memoria di quando aveva fatto ubriacare a merda
Naruto.
Quel giorno
Madara era seduto sulla sedia, aveva accanto un quaderno
perché l’ispirazione poteva cogliere in qualsiasi
momento, la pastiglia per la pressione che non doveva scordarsi di
prendere e un bicchiere d’acqua. Aveva sete, anche se non
faceva troppo caldo: c’era il sole e l’aria fresca
profumava di fiori.
Con
l’età Madara si era riscoperto nostalgico.
E quello
stronzo di Hashirama non si era fatto più vivo.
L’aveva lasciato, dimenticato, e Madara non aveva mai
più trovato nessun altro, eccetto qualche incontro casuale
che si era sempre rifiutato di approfondire. Andava bene
così, da quando anni e anni fa aveva consegnato la lettera
con le parole di Hashirama: Hana sembrava averlo in un certo senso
perdonato, per come si erano svolti gli eventi, e anche Mito aveva
capito tante cose.
Si
portò una mano al petto. All’improvviso ebbe male,
un male tremendo.
Chiuse gli
occhi e appena li riaprì vide davanti a sé
Hashirama, coi suoi capelli castani, lunghi e belli come Madara ancora
li ricordava. Era giovane, esattamente come quando si erano lasciati.
Mentre lo scrittore era invecchiato, doveva andare al bagno
più spesso di quanto volesse, le ossa ogni tanto gli
facevano male e il cuore gli tirava qualche simpatico scherzo.
Si
vergognò, di essere così vecchio ai suoi occhi.
“Ce
ne hai messo di tempo, eh, stronzo?”
Gli
tremò la voce. La vecchiaia, giusto?
Hashirama gli
tese una mano e lo fece alzare; all’improvviso tutti i dolori
dovuti all’artrosi erano scomparsi.
“Il
mondo meritava di avere le tue opere, tutte quelle che hai potuto
concedere – lo guardò e gli affondò le
mani tra i capelli bianchi – ho sentito ogni tuo trionfo,
successo e fallimento. Sei e resterai per sempre l’uomo
più bello che io abbia mai conosciuto, Madara
Uchiha.”
Le sue rughe,
l’anzianità, i dolori, le delusioni... non
contavano più nulla. C’erano solo loro due, in
quel portico, circondati dai prati, dai fiori, dai libri e dai disegni
di Hashirama protetti dietro quadri di vetro, per non venire
danneggiati dal tempo. Lo stesso tempo che cura e che consuma.
Quel giorno di
primavera, circondato da Hashirama e da tutto ciò che era
stato in vita, lo scrittore Madara Uchiha morì, lasciando
per sempre la Terra, per raggiungere destinazioni forse più
grandi.
Ebbe il suo
funerale ma ciò che contò di più nel
suo cuore fu pianto da Sasuke e Naruto che, quel giorno, cominciarono a
leggere il libro, quel libro che in fondo parlava anche di loro e che
fino ad allora non avevano mai sentito di essere pronti a leggere.
D’altronde...
c’era un momento per ogni cosa.
Cara
Hana, so che riceverai questa lettera in modo un po’
anticonvenzionale ma ti prego di leggere queste mie poche righe
– sì, prometto di essere breve, sei sempre stata
una tipa frettolosa e determinata, no?
Cominciamo
subito con questo: perdonami. Perdonami per averti fatto scoprire
così, senza parlarti, questa parte di me. Non ti chiedo
però perdono per essere quello che sono, né per
amare Madara.
Sì,
lo amo.
Conobbi
Madara quando avevo vent’anni e tua madre era incinta di te;
avevo comunque deciso di costruire una vita con Mito e crescere te, che
a tua volta darai alla luce la figlia che porti in grembo.
Non
mi aspettavo che avrei mai potuto amare così tanto una
persona, eppure, nonostante tutto non ho mai voluto separarmi da voi.
Non mi pento delle mie scelte, sarebbe facile con il senno di poi, ma
anche fosse... come potrei pentirmi di qualcosa che mi ha dato te?
Non
ti chiedo di capirmi, ti chiedo di non odiare Madara per ciò
che ha sempre rappresentato: ha sacrificato tanto, per consentirmi di
non dover scegliere tra lui e voi. Stai vicino a tua madre, forse
capirà che nonostante tutto amavo anche lei.
Ti
auguro solo, nella vita, di amare e di viverla fino in fondo, questa
vita. Il passato è andato, non c’è modo
di cambiarlo. Ma possiamo ancora cambiare ciò che siamo: non
esitare a farlo, se questo ti rende felice.
Accogli
il cambiamento, non negarti nulla di quello che potresti essere,
e… ama, grida, ridi, urla al mondo ciò che sei,
quello che desideri, cosa ti fa stare bene e cosa odi.
Prendi
un microfono, registra la tua voce, dì tutto quello che
provi. Poi, stop, torna indietro e riascolta. Finché vorrai.
Per
non dimenticare chi sei e ciò che desideri.
Sproloqui
di una zucca
Ebbene sì,
la storia è conclusa. Credo mi rappresenti: nell'ironia e
nello spirito nostalgico, forse malinconico, che metto nel pensare alla
vita, alle occasioni mancate, al passato e al futuro. Spero, in
sostanza, che questo scritto forse semplice nella sua stranezza possa
avervi trasmesso qualcosa.
Anche se mi hanno
accompagnato per pochi capitoli mi mancheranno Sasuke e Naruto, con le
loro indecisioni e le cose non dette, perché riflettono
tanti errori che noi realmente tendiamo a fare: mi immagino questi due
allenarsi assieme, a cinquant'anni, con una Tsunade ormai ventenne
(pardon la discrepanza anagrafica ma, diversamente, Hashirama e Madara
avrebbero dovuto essere già belli che anziani una volta
defunti). Ho trovato profondo, in linea con la narrazione, il confronto
tra Sasuke e suo padre.
Mi mancherà
Hashirama, la sua compostezza, la sua nostalgia intrinseca. E mi
mancherà immensamente Madara che non è stato
facile dipingere anziano, coi suoi acciacci e il brutto carattere. Me
lo sono immaginato, seduto sul portico, prima di morire.
Il play again del titolo della storia e il backwards etc. contenuti in
ogni capitolo, sono i tasti per mandare indietro o avanti una canzone:
l'idea di fondo è contenuta nel messaggio di Hashirama, che
invita la figlia a ripetersi sempre e ricordarsi cosa desidera
veramente e cosa la fa stare bene. Un atto d'amore per se stessa.
Grazie
per avermi seguito fino a qui, spero che potremo rivederci in altri
lavori che scriverò.
Questa volta vi lascio non con
un'immagine, bensì una citazione presa da un libro e da
un'autrice che personalmente adoro: Disorderly Knights (in italiano
tradotto come Il Torneo dei Cavalieri) di Dorothy Dunnett - anche la
citazione a inizio capitolo appartiene sempre allo stesso libro.
Credo che riassuma
perfettamente la voglia di vivere, vivere appieno, anche in una persona
che potrebbe sembrare distante o insensibile; senza passioni, senza
qualcosa che ci consenta di andare avanti e sentirci vivi, ci sarebbe
solo il vuoto.
“What
does anyone want out of life? What kind of freak do you suppose I
am? I miss books and good verse and decent talk. I miss women, to speak
to, not to rape; and children, and men creating things instead of
destroying them. And from the time I wake until the time I find I
can’t
go to sleep there is the void—the bloody void where there was
no music
today and none yesterday and no prospect of any tomorrow, or tomorrow,
or next God-damned year.”
“Cosa
vogliono tutti dalla vita? Che
razza di fenomeno da baraccone pensate che io sia? Mi mancano i libri e
la bella poesia e una piacevole discussione. Mi mancano le donne, a cui
parlare, non da stuprare; e i bambini, gli uomini che creano le cose,
anziché distruggerle. E dal momento in cui mi sveglio fino a
quello in
cui mi rendo conto di non riuscire a dormire, c’è
il vuoto – il
dannatissimo vuoto in cui non c’era musica, né
oggi, né ieri e nessuna
prospettiva di alcun domani, che sia l’indomani stesso o il
prossimo
maledettissimo anno.”
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