Hallelujah!

di Sharon_SassyVampire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Someone holy insisted ***
Capitolo 2: *** Our Lady of Sorrows ***
Capitolo 3: *** Devil's Choirs ***
Capitolo 4: *** We are the unholy ***
Capitolo 5: *** You don’t know a thing about my sins ***
Capitolo 6: *** Buried myself alive ***



Capitolo 1
*** Someone holy insisted ***


 
  1. Someone holy insisted

 
 
Le risate dei bambini occupavano ogni angolo della sua attenzione, distraendolo dai suoi pensieri. Correvano instancabilmente da una parte all'altra del piccolo campetto dell'oratorio, lanciando puntualmente la palla contro la rete che li divideva dalla strada e facendo echeggiare le sue molle arrugginite.
 
-"Lo sapevo che non avresti fatto gol nemmeno stavolta! Così impari a scegliermi per la tua squadra la prossima volta."
 
Rise Frank, fingendo di non riuscire a prendere il controllo del pallone.
 
-"Perché mai dovrei volere una schiappa come te!"
 
Lo canzonò divertito il bambino.
Con l'arrivo dell'estate, l'oratorio aveva iniziato a brulicare di ragazzini di tutte le età durante il pomeriggio, occupando gran parte del tempo libero di Frank e facendolo crollare a letto ogni sera.
Non che la cosa gli pesasse, trovava il tempo di studiare al mattino, per poi correre in chiesa per dare una mano in qualsiasi cosa potesse essere utile.
Si divertiva a giocare con i bambini e con i ragazzi, era genuino e puro, che ci fosse un sole cocente o una leggera pioggerellina, lui non si sarebbe mai tirato indietro.
 
-"Goooooooool!!!"
 
Frank si finse abbattuto e incredulo, pensando a quanto fosse semplice rendere qualcuno felice a quell'età.
 
-"Domani vogliamo la rivincita."
 
-"No dai Frank, facciamo un'altra partita! Adessooo!"
 
-"Ma non vi stancate mai?” stirò il colletto della t-shirt portandoselo al viso, asciugandosi grossolanamente alcune gocce di sudore. “e va bene, e va bene. Datemi solo cinque minuti!"
 
Non fece nemmeno in tempo a concludere la frase che tutti erano già pronti a ricominciare.
Sorrise tra sé, cercando di riprendere fiato.
Una bambina gli si avvicinò, lo tirò per la maglietta e gli mostrò un mazzolino di fiorellini, di quelli piccoli e giallognoli, che crescono spontaneamente come erbacce un po’ ovunque, insignificanti ai più, fastidiosi per i giardinieri, abituati ad essere calpestati o ignorati, ma in quel momento il più bel bouquet agli occhi di quella bimba.
Aveva raccolto anche alcune margherite, con i loro petali bianchi ma sfumati sul fucsia verso le punte, che ravvivavano come fiammelle rosate quel prezioso fascio.
 
-"Piaceranno alla mia mamma?"
 
-"Oh ma che belli! Certo che le piaceranno, ne daresti uno anche a me?"
 
Si abbassò, cercando di essere alla stessa altezza della bambina, mentre questa gli porgeva una delle margheritine, e notò che lei scelse proprio la più bella da donargli.
Frank la prese e se la sistemò dietro l'orecchio.
 
-"Come sto?"
 
Chiese con fare vanitoso, guardandosi distrattamente le unghie.
Scoppiarono entrambi a ridere, insieme ad uno dei ragazzini più grandi che nel frattempo si era avvicinato con la palla in mano.
 
-"Dai principessina, la vuoi questa rivincita o no?"
 
-"Ehiehi come mi hai chiamato? Te la faccio vedere io la principessa!"
 
Diede un buffetto sulla guancia della  bambina, pronto a lanciarsi nuovamente nel gioco.
Pochi minuti dopo aver ripreso a correre per il campetto, passò per la strada davanti a loro una macchina che Frank conosceva fin troppo bene, stracolma di scatoloni ammassati gli uni sugli altri, e il già affannato cuore del ragazzo cominciò a volare verso un ritmo quasi impossibile da seguire, fino a precipitargli direttamente alla bocca dello stomaco.
Sembrava fosse lui a tener dietro ai battiti, rincorrendoli per non farseli sfuggire.
Non tardò infatti a fare il suo ingresso una slanciata figura vestita di nero con i capelli leggermente arruffati, come al solito, per noncuranza o pigrizia, ma Frank aveva saputo intravedere un’indole naturalmente ribelle in quel disastro d’inchiostro, ed era piuttosto sicuro che egli li lasciasse così appositamente, se lo immaginava infatti la mattina, davanti allo specchio, scrutarsi con gli occhi ancora socchiusi e, trovandosi i capelli scompigliati dalla notte, metterci una mano in mezzo per disordinarli di più.
Una colonna di scatoloni vivente dotata di due gambe alquanto sottili e di un’acconciatura decisamente meno scarmigliata invece, fece faticosamente capolino non molto più tardi.
Una volta posato disordinatamente a terra tutto ciò che gli ingombrava le braccia, un Mikey accaldato e frettoloso si congedò senza neanche guardare i presenti, raggiungendo già l'uscita a passo svelto.
 
-"Scusate ragazzi, devo correre al lavoro, ci sentiamo più tardi!"
 
Frank e gli altri nel frattempo avevano smesso di giocare a calcio, ed erano già arrivati davanti le quattro scalette che portavano al campetto, sulla ringhiera delle quali si era appena appoggiato Padre Gerard.
 
-"Da quando ha un lavoro?"
 
Chiese sarcasticamente Frank, completamente senza fiato e in leggero imbarazzo per il suo respiro affannato.
 
-"Fare il bibliotecario all'università per ottenere crediti lo chiama lavoro."
 
Gli rispose altrettanto sarcasticamente il sacerdote, allentando con l'indice il collarino e sbuffando per il caldo.
 
-"Padre Gerard! Padre Gerard! Giochi con noi?"
 
-"No ragazzi, ho delle cose da sistemare adesso, e mi dispiace tanto ma dovrò rubarvi anche la mascotte."
 
Gerard lanciò un'occhiata ironica a Frank, alludendo alla sua bassa statura e facendogli l'occhiolino.
Tra i versi di delusione dei più giovani, Frank seguì l'altro all'interno dell'oratorio, fingendosi offeso e tirandogli uno scherzoso pugno sulla spalla.
 
-"Ehi, non si picchiano i preti, ora dovrai confessarti!"
 
Cominciarono a scaricare dall'auto gli scatoloni che vi erano rimasti, posandoli sopra il tavolo da biliardo, mentre le prime mamme erano venute a riprendersi i loro figli.
 
-"Avete finito di prendere tutto quello che ci serve o tu e Mikey vi siete dimenticati di nuovo metà delle cose?"
 
-"Uhm, penso di sì questa volta."
 
Gerard rise leggermente di se stesso e di suo fratello, facendo una di quelle risate ingenue e quasi timide, e si guardò attorno in cerca di un posto adatto per sistemare tutto il materiale.
Si grattò la nuca distrattamente, facendo scorrere lo sguardo per gli armadietti della stanza, e Frank non poté fare a meno di notare come quei capelli si ingarbugliassero sempre di più, contorcendosi in compagnia del suo stomaco.
 
-"Frankie, penso che potremmo sistemarli provvisoriamente là sopra."
 
Indicò nel dirlo un grosso armadio di legno un poco tarlato, contenente vari giochi da tavolo ormai fuori moda e non più nemmeno in commercio probabilmente, e alcune obsolete edizioni di libri per il catechismo.
Tolsero nuovamente gli scatoloni dal tavolo da biliardo e cominciarono a posizionarli, il più ordinatamente possibile, sopra l'ampia superficie dell'armadio.
I ragazzi che frequentavano l'oratorio, nel frattempo, stavano quasi tutti tornando a casa, salutandoli con sincero affetto.
Finirono con il lasciare gli scatoloni sopra ogni ripiano disponibile nella stanza, creando un claustrofobico senso di disordine, evitando comunque di non occupare tavoli e sedie.
 
-"Ma quanta roba avete comprato? Potremmo avere il materiale pronto per i prossimi sei rinnovi!"
 
Frank sbuffò per lo sforzo, girando su se stesso e osservando tutti quei contenitori appena sistemati, fissando infine lo sguardo sul giovane parroco, che aveva già iniziato a riordinare i piccoli disastri creati dai bambini durante la giornata, senza più riuscire distogliere l’attenzione da lui, intento ora a rovistare su un angolo dell’ampia sala.
Probabilmente avevano nuovamente perso la pallina da ping-pong.
 
-"Per quello che ho in mente di fare...ci serviranno parecchi colori."
 
Gli rispose vago, ancora occupato nella ricerca della pallina.
 
-"E cosa ha in mente di fare Padre?"
 
Chiese con finta riverenza Frank, beccandosi la pallina appena ritrovata dritta dritta in mezzo alla fronte.
 
-"Lo vedrai a tempo debito, e visto che sei così umile e rispettoso nei confronti del tuo parroco, ci sono ancora gli scatoloni che Mikey ha lasciato al campetto a cui dare un posto. Sbrigati che dobbiamo chiudere."
 
Frank scagliò a sua volta la pallina, senza la reale intenzione di colpirlo e, difatti, Gerard la evitò ridendo, e tornò indietro insieme a lui, verso la porta che dava sul campetto, a riprendere gli ultimi tre scatoloni rimasti.
Erano ormai rimasti soltanto loro due, e la cosa, per quanto cercasse di negarlo, cominciava quasi ad agitarlo.
Non sapeva esattamente da quando ciò fosse iniziato, qualcosa in lui, quando se lo chiedeva, rispondeva che era stato così da sempre, e col tempo ne era diventato piuttosto consapevole, nonostante continuasse ancora a fingere di respingere quel pensiero.
Aveva un attaccamento morboso e piuttosto inopportuno verso il giovane parroco, ricambiato in parte da un’indissolubile amicizia e da un affetto evidente, che però non era sufficiente a saziare i veri sentimenti che Frank teneva prigionieri, indispettivano giusto il loro appetito, e li nutrivano quel tanto che bastava da non lasciargli nemmeno il sollievo di morire di fame.
Più volte si era ripetuto che la sua non poteva essere altro che una normalissima soggezione derivata dal carisma e dal ruolo ecclesiastico di Gerard, eppure con ciò non era riuscito a giustificare e a reprimere quelle fantasie blasfeme che talvolta sbucavano nella sua mente in presenza dell’altro o che si concedeva quando, arrendendosi alla forza del suo inconscio, si permetteva di pensarlo.
Il ragazzo tentava ardentemente di non pensare all’altro, davvero.
Più passava il tempo e più venivano modellate una serie di immagini peccaminose nella sua mente, ogni giorno spingendolo un po’ di più oltre il debole limite che si era imposto tempo addietro, censurando per pura dittatura della sua coscienza ogni sentimento che andasse oltre la castità, fino a doversi premere dolorosamente i bulbi oculari con le dita, nel tentativo di annerire anche la sua vista interiore, ma lasciando che la sua immaginazione vaneggiasse sempre più spesso in vari scenari improbabili o in profondi dialoghi in cui Gerard era il suo protagonista indiscusso.
 
-“Dai chiudiamo.”
 
Completamente ignaro di ciò a cui stava pensando Frank, il prete lanciò in aria le chiavi dell’oratorio, per poi riprenderle al volo, chiudendole nel pugno della mano destra e facendo un’espressione soddisfatta, come se fosse riuscito in una grande impresa.
Frank si guardò intorno annuendo e si aggiustò la maglia, avviandosi verso l’uscita.
 
-“Io e Mikey andiamo allo Sherlock, vieni vero?”
 
Gerard nel dirlo si era già lasciato il vecchio portone alle spalle, avviandosi verso la sua macchina e continuando a giocherellare con il mazzo di chiavi che aveva ancora in mano, supponendo serenamente che la risposta sarebbe stata affermativa.
Il più piccolo lanciò un breve sguardo su stesso, sentendosi a disagio per il terribile modo in cui era conciato.
 
-“Ehm, no…sono in condizioni pessime e…mh, avrei davvero bisogno di una doccia. Scusatemi.”
 
Si guardò ancora, credendo di poter sentire l’odore acre del suo stesso sudore e maledicendo il misero e scialbo abbigliamento che aveva scelto di indossare prima di partire.
Ebbe persino paura di guardarsi in qualche specchio o nel riflesso di una finestra, di una macchina, di una vetrina, qualsiasi superficie riflettente, temendo cosa avrebbe potuto trovare.
I suoi stessi capelli erano un grumo umidiccio e informe e non riuscì a impedirsi di arrossire.
Avrebbe dovuto smettere di scorrazzare anche lui come un bambino dietro a quel dannato pallone.
Gerard sembrò fare un gesto noncurante e gli fece cenno di seguirlo.
 
-“Ti do uno strappo fino a casa tua, così potrai fare quello che devi fare e andiamo insieme.”
 
-“Non ti preoccupare, andate voi, ho comunque da studiare…”
 
L’altro sospirò roteando gli occhi.
 
-“Non fare l’idiota Frank, almeno il sabato sera svagati un po’, forza, sali.”
 
Il parroco gli aprì lo sportello dal lato del passeggero e lo invitò ad entrare, inchinandosi teatralmente e protendendo un braccio verso il sedile, in un modo che non ammetteva repliche, tralasciando il fatto che, semplicemente, Frank  in realtà non aveva nessuna voglia di replicare.
Salì quindi, sorridendo e accendendo immediatamente lo stereo, aspettando che anche Gerard si sedesse al posto di guida.
Nel breve tragitto verso casa sua Frank perse completamente quella leggera tensione che gli si intrecciava addosso ogni volta che si trovava da solo con il prete, cantando goffamente The Miracle e aiutandosi con la cintura di sicurezza nell’improbabile imitazione di Freddie Mercury e dei suoi baffoni neri. Gerard lo aveva accompagnato cantando leggermente più forte di lui e ridacchiando della pessima riuscita di quei baffi improvvisati.
Ad un certo punto allungò la mano, all’improvviso, per togliere la margheritina che era rimasta dietro l’orecchio di Frank, come se se ne fosse accorto solo in quel momento, e la appoggiò sul cruscotto, gettandovi un’occhiata di tanto in tanto, con uno sguardo che avrebbe confuso chiunque lo avesse potuto vedere, uno sguardo così carico di cose contrastanti tra loro da annullarsi a vicenda, facendolo risultare neutro se non lo si fosse visto attentamente.
O se chi lo avesse guardato non avesse conosciuto Gerard.
Probabilmente non se lo erano mai detti a parole e non avevano mai avuto il bisogno di dirselo, ma erano quelli che chiunque avrebbe definito come “migliori amici.”
Erano abituati a passare la maggior parte del loro tempo libero insieme, anche se raramente da soli, per pura scelta, che nasceva allo stesso modo da entrambi, e l’altro era la prima persona che avrebbero chiamato in un momento di necessità.
Frank era perplesso dalla facilità con cui riusciva ad essere se stesso con Gerard e dalla stessa facilità con cui si rendeva conto di provare un qualcosa di più, molto di più, ma di sbagliato, tragicamente sbagliato.
Non aveva mai avuto il coraggio di chiamare quel sentimento col nome che gli spettava, nemmeno nei suoi pensieri più insani o in quelli più liberi, non ne sarebbe stato capace neanche in sogno, addirittura il suo inconscio se ne sarebbe vergognato.
Era un qualcosa che lo atterriva e che lo faceva sentire sudicio, colpevole, indegno e ingrato, che lo metteva in imbarazzo nei momenti di vuoto, quando si sdraiava al buio nella sua stanza, e che lo lasciava nudo, gettandogli addosso un senso di pudore fuori luogo, allo stesso modo in cui Adamo si rese conto di non avere nulla con cui coprirsi davanti a Dio dopo aver ceduto alla tentazione di mangiare il frutto proibito.
Si limitava a cullarlo nel suo cuore, sognando ad occhi aperti, di prendere un gelato insieme a lui, o di andare al mare in inverno, di parlarci nel cuore della notte in un bosco sperduto attorno ad un fuoco, o di vedere un film horror accoccolati su un divano immaginario, con fuori una terribile tempesta a fare da sottofondo.
Erano tutte cose che avevano fatto o che avrebbero potuto fare in fin dei conti, ma nei suoi pensieri avevano una sfumatura diversa, una sfumatura che rendeva la sua immaginazione più inappropriata di quanto gli era concesso.
Il loro rapporto negli anni era divenuto abbastanza aperto e intimo da permettergli di comportarsi naturalmente quando era con lui, e di dimenticare addirittura ciò che segretamente sentiva.
 
Parcheggiarono sotto al palazzo dove Frank abitava e poco dopo si ritrovarono nel piccolo appartamento del ragazzo.
 
-“I miei ancora non sono tornati, non ti dispiace restare da solo, vero?”
 
-“Non ti preoccupare.”
 
Gerard gli regalò un timido sorriso, o meglio, stava già sorridendo, e non fece altro che allargare la piccola curvatura formatasi sulle sue labbra.
Frank si lanciò nella sua stanza e uscì definitivamente dalla visuale dell’altro, che nel frattempo si era sistemato comodamente sul divano, guardandosi intorno con lo stesso educato imbarazzo che si è soliti provare nelle case altrui.
 
L’acqua era appena passata da tiepida a calda, quasi bollente, e Frank si lasciava picchiare da essa a capo chino, strofinandosi freneticamente per tutto il corpo, cercando di fare il più in fretta possibile.
Mentre il balsamo colava ancora dai capelli fradici e gli gocciolava lungo il collo e le spalle, continuava a passarsi le dita velocemente lungo il petto e l’addome e, scendendo, non riuscì a impedirsi di immaginare che le sue mani fossero quelle di Gerard.
Quelle grandi e calde mani, affusolate ma sicure, pallide, che ricalcavano il tratto dell’ inchiostro del suo ventre tatuato.
Tolse rapidamente le proprie da quel punto come se vi fosse stato lo squarcio di una piaga e la pelle dei suoi polpastrelli fosse stata impregnata d’alcol, per il bruciore, e se le portò tra i capelli, sciacquando via ogni residuo di prodotto e strizzando gli occhi, mentre il getto dell’acqua lo colpiva deciso, pulendosi anche di quei pensieri.
Una volta uscito si asciugò con il primo accappatoio che si era ritrovato davanti, indossò un paio di boxer puliti che sua madre aveva lasciato piegati insieme al resto del bucato sopra la lavatrice, e frizionandosi i capelli con un asciugamano si trascinò in camera.
Aprì la porta distrattamente, richiudendosela alle spalle per evitare di essere visto quasi nudo da Gerard, soltanto per ritrovarselo disteso a pancia in sotto sul suo letto, intento a sfogliare uno dei suoi testi universitari, con la fronte corrugata e lo sguardo fisso, come se stesse davvero cercando di studiare.
Il prete spostò lo sguardo dal libro a Frank, indugiando leggermente per un secondo di troppo.
Nessuno dei due sembrava sentirsi particolarmente a disagio in quel preciso istante, né si poteva dire che  non si fossero mai visti senza nulla addosso a vicenda, ma c’era qualcosa nell’aria che odorava vagamente di malizia, forse nel modo in cui Frank sembrava lusingato dal trovarsi appena coperto della sua intimità davanti all’altro, provocatorio quasi nello sguardo sicuro e indifferente, o forse nel modo in cui Gerard si era soffermato più volte, impunemente, ad ammirare quello che sembrava essergli stato offerto volutamente davanti.
Entrambi difesi dall’innocenza della loro tranquillità.
 
-“Puoi dare l’esame al posto mio quando vuoi.”
 
Frank si abbassò, rovistando tra il disordine del suo armadio, e le parole gli uscirono ovattate e confuse, trattenute dalle ante.
 
-“Ho abbastanza roba da studiare per conto mio.”
 
Sospirò il prete, spostando il libro e seppellendo il viso sul cuscino di Frank, che nel frattempo aveva scovato un paio di jeans e una maglietta quasi nuova, decidendo di indossarli.
Si infilò i pantaloni, completamente esposto alla vista del suo ospite, e una volta allacciati, si sedette accanto a Gerard, ancora a torso nudo, con la maglia tra le mani e l’asciugamano usato che gli circondava le larghe spalle.
 
-“E’ stanco Padre?”
 
Gerard ridacchiò con le labbra premute contro la stoffa, così che il suono gli uscì in modo buffo e goffo, e strofinò la guancia sul cuscino, mugolando e rispondendo alla domanda che gli era stata appena posta annuendo lentamente.
Chiuse gli occhi per qualche secondo, e dagli ampi movimenti del suo busto Frank comprese che stava cercando di rilassarsi.
Gli appoggiò una mano vicino ad una scapola, quasi ad accarezzarlo, per poi scostarla poco dopo e mettersi la maglia.
Il parroco sospirò ancora una volta, sonoramente.
 
-“Hei…”
 
Lo sussurrò, le lettere evaporarono nell’aria, ammirando il ragazzo disteso sotto ai suoi occhi, il nero dei suoi abiti contro l’azzurrino delle sue coperte.
Gerard si voltò improvvisamente, incrociando le braccia dietro la nuca e, se nel sederglisi accanto Frank aveva lasciato un minimo spazio tra di loro, nonostante la ristrettezza del suo letto, nel capovolgersi il prete lasciò che la sua gamba aderisse perfettamente alla parte inferiore della schiena dell’altro.
 
-“Ma che roba è quella che stai studiando?”
 
-“Pedagogia sperimentale…non ne voglio parlare.”
 
-“Sembra interessante.”
 
Gerard riprese il libro che aveva sfogliato poco prima, aprendolo a caso cercando qualcosa di almeno vagamente interessante come a supporto della sua ultima affermazione.
Il più piccolo scosse la testa, arrendevolmente.
 
-“Sembra. Bah, non passerò l’esame, lo so.”
 
-“Sei paranoico.”
 
Lo prese in giro facendo quel suo tipico sorrisino un po’ storto, richiudendo il testo e roteando gli occhi, rivolgendo ora la sua completa attenzione all’amico, con ancora quel sorriso.
Rimasero per un po’ così, l’uno seduto accanto all’altro disteso, Frank rivolto distrattamente verso muro e Gerard che invece era rivolto verso Frank guardandolo, il silenzio non era nemmeno infastidito dal brusio dei pensieri, ed era esattamente di momenti semplici come quelli che avrebbe voluto accontentarsi di vivere.
La silenziosa e sola presenza di Gerard, del tutto dedicata a lui, era abbastanza da trattenere qualsiasi altra tentazione terrena.
Poteva anche essere una bugia, poteva anche mentirsi che ciò bastava, ma lì, nella sua stanza, in quella sera di quasi estate, non avrebbe potuto essere più vero.
 
 
 
Arrivarono al pub con qualche minuto di ritardo e occuparono uno dei tavoli accanto alle finestre perché a Frank era sempre piaciuto mangiare guardando di fuori, aspettando pazientemente Mikey in silenzio, entrambi che fissavano la strada.
 
-“Quindi sei deciso?”
 
Gerard si riscosse dai suoi pensieri e guardò Frank, palesemente confuso, invitandolo con gli occhi a chiarire di cosa stesse parlando.
 
-“Su tutta la questione dell’occultismo e la demonologia e quella roba…”
 
Il prete si sistemò, assumendo una postura rigida ma sicura.
 
-“Sì. Lo voglio davvero.”
 
Aveva negli occhi quel particolare luccichio che divampa ogni qualvolta che si ha l’occasione di parlare di ciò che si ha a cuore, delle passioni e dei sogni.
 
-“Mh…sono…preoccupato.”
 
La risposta quasi timida e titubante di Frank fece sorridere il sacerdote, che si rilassò un poco e si strofinò la fronte e si passò una mano tra i capelli, non sapendo dove iniziare, scompigliandosi come al solito le ciocche scure.
 
-“Lo so. È piuttosto rischioso il lavoro di un esorcista, vi capisco, ma io so che è la mia strada.”
 
D’altro canto, per tutta risposta, l’altro sembrò incupirsi maggiormente, agitandosi leggermente sulla sedia.
 
-“Io avrei paura. Sinceramente…tu non ne hai?”
 
-“«Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» Romani 8.31. No Frank, non ho paura, perché so a chi appartiene la mia anima.”
 
L’auto di Mikey fece la sua comparsa nel parcheggio davanti al locale, e Frank puntò gli occhi sull’accecante luce dei fari, attento nel seguirne le sfumature luminose attenuarsi fino a spegnersi del tutto.
Non poté negarlo, quelle ultime parole lacerarono i tessuti interni di tutto ciò che pulsando lo teneva in vita.
Tremò la sua gabbia toracica, e si rannicchiò anche il suo stomaco, infondendogli un’opprimente sensazione di nausea.
Avrebbe voluto averla per sé, la sua anima, e non era affatto disposto a poterla condividere, nemmeno con Dio.
Si vergognò di sé stesso e abbassò il capo, sentendosi affogare nell’Acheronte della sua debolezza umana, senza il lusso di essere risollevato dalla compagnia degli altri peccatori.
Nel frattempo Mikey sembrava essere svanito durante il tragitto dal piccolo parcheggio al loro tavolo all’interno.
 
-“Non so, ti vedo sempre così stanco ultimamente e a volte mi sembri…cupo, ma se è questo quello che ti rende felice, insomma, quello che voglio dirti è che mi fido delle tue scelte, quindi…lascia stare, io sono con te.”
 
Gerard gli sorrise, ed era un sorriso bello, trasparente, timido e appagato, e quel sorriso lo trafisse come la spina di Cristo aveva potuto trafiggere la fronte di Santa Rita.
Un dolore sacro, che ardeva in una fiamma d’amore e di fede, un dolore condiviso, inflitto ma innamorato e a lungo cercato.
Gli coprì una mano con la sua, facendola quasi sparire, quel sorriso ancora inciso sulle labbra, e con quel gesto inflisse il primo chiodo sulla personale e assolutamente eretica croce di Frank.
 
-“Lo so.”
 
Mikey sbucò in quel momento, buttandosi a peso morto sulla sedia accanto a quella del fratello, interrompendo ingenuamente il loro discorso.
 
-“Scusatemi per il ritardo! Per favore, vi prego, ordiniamo, perché sto morendo di fame.”
 
 
‡†‡
 
 
-“Grazie mille per la serata ragazzi, ci sentiamo domani.”
 
Mikey si sporse dai sedili posteriori dell’auto per salutarlo, dandogli una goffa pacca sulle spalle ostacolata dal sedile stesso su cui Frank era seduto, mentre Gerard, lottando caparbiamente contro lo stretto spazio dell’abitacolo e contro la poco confortevole posizione, si slanciò per avvolgerlo in un abbraccio.
Un abbraccio breve, scomodo, puro, ma che fu abbastanza per placare e allo stesso tempo risollevare le intemperie dell’animo di Frank.
 
-“Domani mattina a messa ragazzino!”
 
Gerard si staccò lentamente nel dirlo, guadandolo poi con un’aria di sfida che agli occhi di Frank non poté che apparire maledettamente provocante, a dispetto dell’ironia e del contesto in cui che il prete stava parlando.
 
-“Capito Frankie? Fai il bravo chierichetto, okay?”
 
Frank scoppiò a ridere, aprendo nel contempo la portiera della vettura.
 
-“Vaffanculo Mikey!”
 
-“Ehm, ehm. Le parole!”
 
Rise con loro Gerard.
 
-“Buonanotte!”
 
-“Buonanotte!”
 
-“Notte notte!”
 
Il ragazzo cominciò a sentirsi già colmo di vuoto non appena l’auto di Gerard girò l’angolo, svanendo dalla sua vista, e senza un motivo preciso, rallentò il passo nel dirigersi verso il portone del suo palazzo.
I suoi stavano guardando tranquillamente uno dei soliti programmi commerciali che la tv manda sempre in onda il sabato sera.
Li salutò frettolosamente e si rinchiuse nella sua camera.
Quella notte, una di quelle particolari notti di fine maggio, dove le temperature calde sono ancora piuttosto acerbe ma la frescura diventa ormai tiepida, il suo letto odorava di Gerard e dei suoi capelli scompigliati.
 
‡†‡
 
 
-“…ed è così. Ogni giorno giungono alle mie orecchie le più disparate giustificazioni. Giustificazioni su tutto, scuse, discolpe. L’animo dell’uomo impuro sa di essere impuro, e quando non sa pentirsi o finge di non accorgersi di essere nel torto, si giustifica. L’ubriaco giustifica il suo vizio di bere dicendo di avere una brutta vita, il goloso di trovare nel cibo il suo unico conforto, l’assassino di aver dovuto vendicare un’ingiustizia. E potrei continuare all’infinito nell’elencare in quanti casi ci giustifichiamo pur di non ammettere di camminare lungo una via sbagliata. Dio è misericordioso cari parrocchiani, e non c’è brutalità o orrore che ai suoi occhi non possa essere perdonato se ci affidiamo al suo immenso amore. Non ascoltate chi vi dice di restare a testa bassa, di avere timore, chi vi parla di un Dio bisognoso delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici perché Lui non ha bisogno di nulla, non si aspetta nulla da noi, come può un Dio Onnipotente e perfetto necessitare di qualcosa? Siamo noi infatti che abbiamo bisogno di lui, del sentirci perdonati e amati e posso assicurarvi che il suo perdono e il suo amore è già qui, anche se nel vostro cuore credete di non poterlo meritare, dovete solo imparare a fidarvi, questo è lo stacco che vi porterà ad un totale abbandono nella sua grazia immensa. Per secoli e ancora oggi, da altri sacerdoti in particolare, sento predicare questa terribile immagine del Signore in cui la limitata conoscenza umana gli ha attribuito tutti i nostri difetti. Hanno attribuito a Dio il nostro desiderio di amore incondizionato, il nostro desiderio di adulazione, potenza, fama!”
 
Il parroco guardò lucidamente verso la sua platea, desideroso di cercare un appoggio o almeno un minimo responso negli occhi dei presenti, prima che si facesse catturare troppo dal suo sermone.
Ciò che trovò fu una massa informe di anziani appisolati, bambini distratti e annoiati, gente al telefono e, ogni tanto, qualcuno che lo stava effettivamente ascoltando che, per la maggior parte, aveva un’espressione tra lo sconvolto e l’interrogativo.
Frank stava a capo chino, con le mani intrecciate sulle ginocchia che sembravano non riuscire a trovar riposo, e molto probabilmente era stato l’unico in tutta la chiesa ad aver compreso ciò che stava dicendo.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli, senza scoraggiarsi comunque in alcun modo e mantenendo ogni più piccola tessera della sua convinzione.
 
-“Concludendo riguardo alle giustificazioni, «Ora se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo devi strappartelo e gettarlo lungi da te; molto meglio per te che perisca un solo tuo membro, piuttosto che l’intero tuo corpo sia gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala via e gettala lungi da te; meglio per te perdere un solo membro, piuttosto che andare nella Geenna con tutto il corpo.» Qualsiasi cosa sia ciò che vi porta a peccare, gettatela lontano da voi, resistete a Satana, alla tentazione! Fatevi quello che apparentemente sembrerà del male, perché la sofferenza che deriva dal rifiuto dei piaceri del male non è altro che l’anticipazione della gioia che verrà! Allontanatevi dall’errore, non giustificatevi!”
 
E con ciò, Padre Gerard terminò l’omelia.
 
Credo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
 
Frank aveva chinato la testa da tempo, e si sarebbe volentieri sradicato gli occhi se solo avesse potuto, ma si era limitato a inchiodare lo sguardo sulla punta delle sue scarpe, come ad obbedire all’ordine di non gettarsi nello scandalo proseguendo nell’osare guardare la sorgente del suo peccato.
 
E in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio.
Nato dal Padre prima di tutti i secoli.
Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero.
 
La purezza, l’esemplare dedizione, la fiamma della verità con cui il prete aveva seminato la Parola piantarono dolorosamente i germogli dell’oblio nella sua coscienza torbida, dettando in maiuscolo la parola “peccatore”.
 
Generato, non creato, della stessa sostanza del Padre: per mezzo di Lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo.
 
Dov’era la salvezza per Frank? Non era forse sufficiente la guerra col suo istinto più animalesco e il sopportare la pesantezza di un sentimento non ricambiato e impregnato di impurità? Avrebbe dovuto gettare non una, ma entrambe le sue povere mani, nemmeno un’ora prima, nell’aiutarlo lui stesso a indossare gli abiti sacerdotali, nel posargli le lunghe stoffe da celebrazione, in quei momenti in cui la parte meno addomesticata della sua anima gli urlava di spogliare, invece che coprire.
 
E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria: e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto: Ponzio Pilato morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è resuscitato secondo le Scritture.
 
Quale anima poteva essere in grado di comandare una tal cosa? Se si fosse lasciato crocifiggere, morendo avrebbe forse potuto espiare le sue colpe, senza la luce di una resurrezione e senza dono di salvezza ad alcuno, se non quella egoistica di sé stesso. Non poteva esistere perdono per i suoi misteri stagnanti, e seppur Dio avrebbe avuto pietà nel perdonarlo, Gerard non sarebbe stato capace di reagire con tale compassione alle sue nefandezze.
 
È salito al cielo: siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine.
 
Era soppresso dal peso di quel giudizio, costretto a terra. Poteva percepire il cigolio delle porte degli inferi nel loro schiudersi al di sotto della pressione del suo corpo, in squilibrio sulla lama tra la vita e la morte spirituale.
 
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita: e procede dal Padre e dal Figlio.
E con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei Profeti.
 
Quella stessa voce, quegli stessi occhi, la sentenza conclusiva del suo destino da condannato a morte e il suo spirare fatale. E la verità, sentenziata e schiaffeggiata contro la sua vergognosa nudità, lo scuoteva così crudelmente poiché risorgeva dall’ultimo cuore da cui avrebbe voluto accettarla. Lo stava accusando, protetto dall’innocenza della sua non consapevolezza.
 
Credo la Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica.
Confesso un solo battesimo per il perdono dei peccati.
 
Nelle sue riflessioni più impenetrabili, l’afflizione era partorita dal rifiuto di accettare che lui non avrebbe mai potuto ricambiarlo, dal provare sulla sua pelle nuda quanto fosse meschino e ipocrita il suo sentimento. Un sentimento di cui riusciva a provare persino gelosia, ossessività, perché era suo, e solo suo, e che nessuno avrebbe mai dovuto toccare o giudicare..
 
Aspetto la resurrezione dei morti.
E la vita del  mondo che verrà.
Amen.
 
Il movimento che lo fece alzare dal suo posto fu quasi innaturale nella sua naturalezza e, preso il cestino delle offerte, si apprestò nel passare per ogni banco e per ogni angolo affollato della Chiesa per l’offertorio.
Nella miscela di vergogna e tormento, gli balenò inaspettatamente in mente il pensiero di Mikey e della sua abitudine di chiamarlo da sempre “chierichetto” e ciò, lo fece quasi sorridere.
 
‡†‡
 
Erano rimasti soltanto i soliti vecchi chiacchieroni e le solite donnine pettegole della domenica mattina e Frank, senza neanche pensare, si nascose nel primo confessionale che si trovò davanti agli occhi nel percorrere la struttura verso la parte opposta all’altare e alla sacrestia, prima che Gerard potesse cercarlo.
Pensò fosse il luogo più sicuro, dove nessuno avrebbe pensato di entrare in quella tarda mattinata domenicale, e nel quale nemmeno il prete stesso, quindi, avrebbe potuto trovarlo.
Non che si stesse effettivamente nascondendo, o che non sarebbero venuto a cercarlo ad un certo punto, ma aveva impulsivamente deciso di rubarsi un momento, uno solo, per calmare i movimenti vorticosi della sua mente che lo stavano lasciando in preda all’angoscia.
Per qualche motivo che non avrebbe saputo spiegare, era affascinato dai confessionali, in special modo da quelli più antichi, quelle grandi casse legnose, così scure, imponenti, strette ma protettive, intagliate e scolpite così finemente da insinuare quei ghirigori nell’anima di chi vi entrasse.
Lo facevano sentire più vicino a Dio nelle sue richieste di perdono, come se avesse raggiunto un luogo che lo conducesse più velocemente a Lui senza la presenza di estranei a processarlo.
Non si inginocchiò propriamente, né si mise a mani giunte, si rannicchiò semplicemente su se stesso come poté, facilitato anche dalla sua piccola statura, e prima di riuscire a formulare una singola parola del suo dialogo interiore con Dio, senza rendersi nemmeno conto del come, si frantumò nelle mille schegge di una rabbia arida.
 
 
 
-“Oh…sei qui!”
 
Frank quasi trasalì nel trovarsi gli occhi di Gerard arrampicati su di sé, due smeraldi incastonati nel ferro della grata, benché avesse già sentito pochi secondi prima sia lo scricchiolio della porta del confessionale nell’aprirsi, sia l’altro entrarvi, gettandosi a sedere sospirando, colpendo il legno con la schiena, l’unico realmente colto di sorpresa.
Non rispose, gli occhi lucidi ma al contempo asciutti, e un espressione imbronciata da bambino.
 
-“Pensavo te ne fossi andato…ti ho chiamato più volte ma non mi hai risposto.”
 
Si ricordò in quel momento di aver lasciato il cellulare impostato sul silenzioso e continuò a non proferire parola, guardandolo come se fosse arrabbiato con lui.
 
-“Frankie…”
 
Gerard tolse con cautela ed estenuante lentezza la grata che impediva ai due di potersi guardare propriamente, in un modo che avrebbe fatto pensare che stesse piuttosto aprendo la gabbia di un leone a digiuno da settimane, e si sporse talmente tanto da dare l’impressione di voler passare per quella minuscola apertura e gettarsi sopra Frank.
 
-“Ehi…che succede? E’ successo qualcosa? Vuoi confessarti?”
 
Frank rispose scuotendo la testa, ma questa volta una lacrima riuscì a solcargli la guancia.
Una lacrimuccia piccola, insignificante, come quelle dei bambini quando vogliono essere colti a piangere per intenerire la mamma e così le forzano ad uscire.
Soltanto che lui aveva tentato davvero di tenerla per sé.
Una di quelle lacrime che volano via tradendoti mentre speri che si asciughi in fretta e svanisca tra le ciglia.
 
“Ho detto qualcosa che ti ha fatto pensare ad una tua qualche azione non bella durante l’omelia?”
 
Senza sapere come rispondere, non reagì semplicemente.
 
-“Sai che puoi parlare apertamente con me, vero?”
 
-“No.”
 
Gerard non si sarebbe mai aspettato una tale risposta, pronunciata con tanta fermezza e serietà dal suo migliore amico.
Era stato un altro atto impulsivo che Frank raramente si concedeva, tuttavia, decise di non volersi mostrare respinto come in realmente si stava sentendo.
 
-“Bhe…capisco che…insomma, magari potresti non sentirti molto a tuo agio nel venire a confessarti da me, davvero. Non mi offenderei se tu andassi da qualcun’altro, lo rispetto e anzi, probabilmente farei lo stesso anche io. Ma se c’è qualcosa, qualche problema o dubbio in cui potrei esserti d’aiuto, sai che sono qui. Non riesco proprio a vederti in questo stato.”
 
Abbassò per un attimo lo sguardo, nascondendolo da qualche parte, per poi rialzarlo ancora su Frank.
 
-“Fai stare male anche me.”
 
La sincerità nel suo tono di voce e il verde vibrante dei suoi occhi afflitti si accanirono sui suoi sensi di colpa e sulla sua vergogna.
 
-“Non è niente di importante.”
 
-“Non mi sembra affatto, Frank, e ad essere sincero è un po’ di tempo che mi sembra di aver notato che c’è qualcosa che non va, non so, non mi sembri tu a volte.”
 
-“Potrei dire lo stesso di te.”
 
Ancora quel tono secco, insofferente, inumidito e zuccherato solo da quell’unica lacrima sfuggita, che non si era curato di asciugare.
 
-“Fino ad ora non mi sono mai nascosto in un confessionale.”
 
-“Cosa ci fai qui allora? Dopo l’ultima messa della domenica mattina con la Chiesa vuota?”
 
Gerard rise, più per se stesso probabilmente o con la prospettiva di addolcire Frank.
 
-“C’è sempre qualche vecchietta che deve confessare di essersi addormentata dicendo il rosario…”
 
Frank sembrò irrigidirsi e infastidirsi maggiormente.
 
“Sto bene. Davvero. Sai, è solo un po’ difficile a volte, quando hai preso certe strade nella vita che inevitabilmente ne escludono altre, soprattutto quando vorresti trovare la forza per scacciare Satana non solo da te stesso, ma anche dagli altri. Comunque non voglio parlare di me, io adesso voglio che tu mi dica cosa sta succedendo a te…”
 
Scivolò un’altra lacrima e Frank si strofinò rudemente il viso, irritato.
 
-“È solo uno di quei momenti un po’ così, tutto qua.”
 
Era ancora arrabbiato e non ne capiva il motivo.
Una rabbia sinuosa e seccante.
 
-“Io ho parlato di giustificazioni. E di seguire una strada giusta.”
 
Gerard fece una pausa prima di seguitare nel suo discorso, osservando anche la più lieve reazione di Frank.
Continuò nel vedere che stava prestando attenzione, seppure si ostinava a non guardarlo negli occhi.
Nonostante non lo stesse guardando direttamente, sapeva che il ragazzo lo avrebbe ascoltato attentamente.
 
-“e ho parlato di perdono, Frank. Dell’immenso amore di Dio. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, voglio che tu sappia che sei già stato perdonato e che il Signore non ti abbandonerà mai. So bene quante volte avrai sentito dire queste parole, ma non ce ne sono altre, è così, ed è meraviglioso e impossibile da immaginare per noi. Non pretendo  nulla da te ora, ma devo essere sicuro che tu ti ricordi di questo. Si fa sempre in tempo a lasciarsi indietro le cose sbagliate. Sei una delle persone più belle che io abbai mai conosciuto, e sono davvero sincero nel dirlo. Hai un gran cuore e se fosse necessario ti affiderei la mia stessa anima, perché mi fido ciecamente di te. Sei quasi sempre qui, con me o con i ragazzi, non capisco cosa sia successo e perché ti abbiano sconvolto così tanto le mie parole oggi. Non ho mai sentito una lamentela da te, tanto meno ti ho mai sentito giustificarti, non sto dicendo che tu sia perfetto, ma non vedo davvero dove potresti star sbagliando e in cosa potresti star persistendo nell’errore giustificandoti. Magari…c’è qualcosa che non mi hai detto…potrà sembrarti presuntuoso da parte mia, ma…credo che lo avrei notato se tu stessi facendo qualcosa di male…”
 
L’intensità del suono della sua voce si era man mano attenuato, fino a ridursi a poco più di un sussurro, e c’era un vago accenno di esitazione e di timore.
Frank era ancora rannicchiato dall’altra parte del confessionale, con le ginocchia strette al petto e le braccia a stringerle.
 
-“Chi ti dice che è per qualcosa che hai detto?”
 
Non avrebbe voluto rispondere così rudemente.
No.
Ma talvolta quell’aggressività tagliente era parte essenziale del suo essere, e non avrebbe potuto trattenerla nemmeno volendo.
 
-“Perché ti conosco. E ti ho visto…mentre parlavo.”
 
-“Non è un qualcosa che ho fatto. È un qualcosa che ho dentro e che non riesco a togliere, non riesco a non pensarci. Ma non è che io mi stia giustificando, davvero non lo faccio. Sono serio quando dico che non riesco a togliere questa cosa, anche se è molto sbagliata.”
 
Era in tensione, conteso dal timore di essersi aperto e insieme dal sollievo di averlo fatto.
 
-“Hai dei brutti pensieri? Come delle emozioni non buone che ti spingono a pensare cose che non ti piacciono?”
 
-“Più o meno. Ma non è esattamente così.”
 
-“È come essere arrabbiato e pensare di fare del male alla persona che ha causato la tua rabbia? Questi pensieri funzionano in questo modo?”
 
-“Diciamo di sì. Ma non sono pensieri brutti quel senso, sono…potenzialmente belli. In un altro contesto lo sarebbero, ma nel mio caso sono peggio del pensare di fare del male a qualcuno con cui si è arrabbiati.”
 
Era evidente la confusione nel volto del sacerdote dal punto di congiunzione delle sopracciglia aggrottate allo sguardo attento e concentrato.
 
-“Mhh…quindi sono pensieri e emozioni che non riesci a non pensare e provare anche se sai che sono sbagliati e non li vuoi?”
 
-“Esatto...e mi sento come se mi stessi giustificando col dire che non riesco ad allontanarli da me, ma davvero non ce la faccio, davvero.”
 
Il minore aveva stretto i pugni e si era colpito diverse volte contro le proprie gambe nel dirlo, con esasperazione, come se ciò lo stesse tormentando come mai prima proprio nel momento stesso in cui ne stava parlando, lottandoci contro, corpo a corpo, eppure la voce non era che un tremolio sussurrato e, quasi impercettibilmente, aggiunse.
 
-“Ti prego Gerard, ti prego, non chiedermi cos’è.”
 
Le labbra di Gerard tremarono per qualche istante, quasi a voler dar voce ad ogni possibile conclusione a cui era arrivato ma tacendo all’ultimo momento, finché non si riposarono, preparandosi, prima di schiudersi definitivamente e parlare.
Le sopracciglia ancora annegate l’una sull’altra e lo sguardo ancora più serio.
 
-“È la tua bisessualità Frank?”
 
Non seppe davvero come reagire, colto in piccola parte nella verità, perciò ripose col guardarlo negli occhi finalmente, supplichevole e indifeso, con il labbro inferiore imprigionato tra i denti e un accenno di umidità tra le ciglia.
Si sentì lievemente più leggero, come se qualcun altro si fosse preso una parte delle sue pene, proprio come Cristo, caricandosi la croce in spalla, si era appesantito del peso di tutti i peccati dell’umanità, ed ora era convinto che ciò che era stato tolto a lui era andato a porsi sulle spalle di Gerard.
Il sacerdote fece una strana espressione, che Frank non gli aveva mai visto, e sembrò davvero che il gravare del suo peccato fosse andato a posarsi pesantemente sopra di lui.
Forse sospirò.
Uscì lentamente dal confessionale.
Sentì ogni passo sul pavimento di marmo della Chiesa.
Sentì quasi il suo respiro.
In quei lunghi secondi Frank abbracciò più forte le sue ginocchia e vi si premette contro, e senza alcun motivo preciso, credette di essere stato abbandonato.
Abbandonato da Gerard, da Dio, dalla sua famiglia, dai suoi amici, da se stesso.
Anche la porta della sua postazione venne aperta, con premura, e Gerard gli si manifestò davanti, con un sorriso così buffo e dolce da coprire la fatica del sopportare quel peso di cui poco prima si era caricato.
Poi una delle sue calde mani si chiuse delicatamente su uno dei polsi di Frank, fino a scivolare sulle dita e tirarle un po’, stavolta intrappolandole con decisione, liberandolo dall’abbraccio con le sue gambe e facendolo alzare.
 

E questo è il mio regalo di Natale per la mia Boo v.v
Chiedo venia per il ritardo ma sai anche tu che Venia non viene mai.
Allora, è una lunga storia, questa cosa era iniziata come semplice oneshot circa a fine luglio, quando la iniziai, poi tra una cosa e l’altra e la mia incapacità di tenere a freno la mente e blabla, è diventata il prequel per un’altra Frerard che omg non vedo l’ora di iniziare, ma non spoilerò niente eheheh, anche se Alberta sa già tutto.
Insomma, anche questa sarà una storia vera e propria, non troppo lunga comunque e niente, spero vi piaccia e ditemi cosa ne pensate per quel poco che avete letto.
L’ho iniziata appunto a luglio e l’ho modificata/ampliata non so quante volte, ci tengo particolarmente.
Premetto che sono credente, ma non seguo nessun credo religioso ufficiale, solo il mio personale, e la particolare impostazione cattolica della storia trova il suo perché nel contesto stesso, anche se poi vedrete (e in parte si vede anche qui) che Gerard sarà un prete particolare e piuttosto “anarchico”, tramite il quale darò voce al mio stesso pensiero.
Ho in mente anche il prequel di questa storia, il prequel del prequel sì, e giuro che quello sarà davvero una oneshot, mi piacerebbe soltanto spiegare un po’ meglio il personaggio di Frank e come si sono conosciuti.
Sono logorroica, scusate, ora me ne vado, pleaaaaase, recensite e fatemi sapere.
 
 

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Capitolo 2
*** Our Lady of Sorrows ***


2. Our Lady of Sorrows
 
Ogni affresco dava l’impressione di inseguirli, con i loro volti alti e intoccabili, incorniciati da tutte quelle insegne in latino che ricordavano a Frank gli anni del liceo e delle versioni copiate all’ultimo minuto.
Camminavano mano nella mano lentamente, e il ragazzo si lasciava guidare dalla presa delicata e calda di Gerard lungo la navata.
Lo condusse in una delle cappelline laterali, quella dove c’era uno dei quadri preferiti di Frank e nella quale, di tanto in tanto, amava rifugiarsi quando era un po’ giù o quando in Chiesa non c’era più nessuno.
Era particolarmente affezionato, si potrebbe dire, a quel suo angolo, forse per caso, senza che vi fosse un motivo, forse perché fu lì che lui e il sacerdote ebbero per la prima volta una vera discussione, forse perché da quel ritratto riusciva a ricevere quella comprensione che non sembrava mai arrivare da nessuno.
Non che Frank volessi farsi comprendere o compatire, tuttavia.
Probabilmente erano quei toni tenui ma in qualche modo vividi, distesi sullo sfondo scuro e impenetrabile, per come Maria sembrava essere teneramente consolata da tutto il suo dolore, e da come, con le braccia spiegate simili ad ali d’angelo, lasciava che quelle sette spade le trapuntassero il cuore immacolato, guardando verso il cielo, verso Dio, con gli occhi dell’amore, così addolorati, così colmi di fede, così calmi.
Guardava però anche Frank, non avrebbe saputo spiegare come ciò fosse possibile, ma sapeva che poteva vederlo, e, soprattutto, poteva ascoltarlo, in ogni momento.
Anche Gerard amava quel quadro, e quante volte lo aveva ascoltato parlare lì sotto.
Sedendosi non aveva lasciato la sua mano, anzi, si affrettò a prendere possesso dell’altra, ammirandole entrambe.
Teneva entrambe le mani del ragazzo nelle sue, accarezzandole delicatamente e con fare premuroso.
Frank guardò il dipinto sopra di loro, e credette di vedere una dolce compassione anche nello sguardo delle Vergine.
Una parte di lui sperava che Lei stesse cercando di dirgli, tramite quei Suoi misericordiosi occhi pennellati, che non c’era nulla di sbagliato nel suo amore.
Gerard, invece, ammirava ancora le sue mani e giocava con le dita intorno ad esse, e tutto quel doloroso peso, che si era trascinato fin lì, sembrava sciogliersi ad ogni carezza.
Frank aveva da sempre notato, talvolta con una certa punta di gelosia, quanto al sacerdote piacesse avere le mani altrui tra le sue, stringerle, punzecchiarle, torturarle.
Mikey non riusciva proprio a sopportarlo e si lamentava di quanto, sin da piccoli, sentisse questa necessità di prendergli le mani ogni volta che doveva dirgli qualcosa.
Quello che invece non sapeva, era quanto il sacerdote amasse custodire le sue, quanto ci indugiasse, quanto avesse il bisogno di insistere su ogni singolo solco e per ogni avvallamento delle dita, e non per semplice abitudine o fissazione.
Guardò ancora la Vergine dipinta.
Aveva le braccia aperte e ancora quello sguardo intenerito.
Sembrava voler abbracciare entrambi.
Col capo reclinato leggermente all’indietro, guardando sia il Signore che Frank, sperò che stesse intercedendo per lui.
 
-“Frankie, ne abbiamo già parlato. Sai come la penso.”
 
-“Mmmh…”
 
“Mmmh cosa?”
 
-“Mmmh lo so!”
 
-“Qualcuno…ti ha detto qualcosa?”
 
-“…no.”
 
-“E allora? Si può sapere come ti sono venute in mente tutte queste stupidaggini all’improvviso?”
 
Gerard si sforzò di emettere una risata.
 
-“Non ne voglio parlare…per favore.”
 
Il parroco smise di accarezzargli le mani e le strinse fermamente.
 
-“No. Tu invece me ne devi parlare. Non ti puoi trattenere sempre tutto dentro, altrimenti…guarda cosa succede. Esplodi. E poi stai peggio. Dimmi, ti prego, dimmi cosa davvero ti fa stare così male. Dio ci ha creati per amare come Lui, e allo stesso modo in cui Lui ci ama tutti allo stesso modo e indistintamente, anche noi possiamo amare chiunque, senza alcuna distinzione…nemmeno di sesso.”
 
-“Dici così perché sono io. E perché sono tuo amico. E perché tu sei tu. Se fosse il caso di qualcun altro e ci fosse un altro prete al tuo posto, avrebbe già iniziato a fargli un sermone su come l’omosessualità sia contro natura, su come sia un male di Satana, e…non devo certo venire a spiegartelo io la posizione della Chiesa riguardo l’argomento gay, bisex, lesbo e quant’altro.”
 
-“Ma io non sono un altro prete e tu sei tu, e anche se fossi un altro ragazzo, ti direi esattamente la stessa cosa. Da quando poi queste storielle tratte fin troppo letteralmente da qualche passo sperduto nella Bibbia sono così importanti per te?”
 
Frank non rispose, spostò lo sguardo sulle loro mani unite e cominciò a sentirsi nervoso.
 
-“Frank…” fece un grande sospiro. “se non mi dici la verità, io non potrò fare nulla per aiutarti.”
 
-“Senti, possiamo lasciar perdere e basta? Non è niente, mi passerà, non è qualcosa a cui do importanza come hai appena detto, mi sono soltanto fatto prendere dalla soggezione per qualche strano motivo.”
 
Gerard riprese lentamente a passare le dita sulle sue mani, con la frotte aggrottata e un’espressione poco convinta ma rassegnata.
Sospirò ancora.
 
-“L’importante è che tu sappia che non c’è nulla di male nell’amore, in tutte le sue forme. Anche quello di Mikey per la sua chitarra.” rise un po’ un’altra volta. “…e che assolutamente, in nessun modo, quello che ho detto era riferito a te o anche solo potenzialmente riferibile a te.”
 
-“Ma che ne sai tu?”
 
Frank si tirò indietro di scatto, ritraendo le mani e stringendole entrambe in due pugni premuti contro il proprio petto.
Chi dei due ci fosse rimasto più male da quella reazione è impossibile dirlo.
Gerard sembrò sul punto di dire qualcosa per un paio di volte, ma finì  con l’abbassare lo sguardo e col flagellarsi il labbro.
 
-“Tu sei così perfetto e impeccabile e…e giusto. Sai sempre cosa fare…non sai come ci si sente a…non puoi capire.”
 
Riabbassò le mani e se le intrecciò tra le ginocchia, ma stavolta l’altro non osò sfiorarle.
Aveva tentato di rimediare al suo gesto di prima addolcendo il tono della voce e cercando di spiegare meglio cosa realmente intendesse con quella frase pronunciata così rudemente, ma il danno ormai era fatto.
Gerard sorrise appena, era più una piccola smorfia che un sorriso, e fu come se fosse tornato a sopportare il fardello di dolore sulle spalle.
 
-“Pensi che io sia perfetto, Frank?”
 
Arrossì talmente tanto da riuscir a seguire con il tatto della propria pelle la scia che il calore aveva percorso dal collo agli zigomi, e dovette guardare altrove per paura che la risposta gli si leggesse negli occhi.
Tornò speranzoso a cercare conforto tra le braccia spiegate della Vergine, mantenendo lo sguardo fisso su quel cuore trafitto nel trovare il coraggio di rispondere.
 
-“In un certo senso…”
 
-“Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima. Luca 2, 34-35…”
 
Fu allora che Frank si accorso che anche Gerard stava ammirando il dipinto.
La profezia di Simeone.
 
-“Sai Frankie, a volte si soffre, si soffre molto. Si può sempre scegliere nella vita, certo, ma qualsiasi scelta farai, porterà a del dolore prima o poi. Io…provo a fare ciò che sembra più giusto. E anche se spesso so che una spada mi trafiggerà l’anima…so anche che quel dolore è…necessario. Vedi, potrà anche sembrare che io non sbagli mai, o che sappia tutto, o che io sia tutto quello che vuoi…”
 
Rimase con la frase in bilico tra le labbra per un po’, sembrava voler trovare anche lui un po’ di calore e di comprensione da quella languida Madre intenerita.
Poi tornò a Frank, con un’espressione così seria e vulnerabile da far venir voglia di piangere al solo vederlo.
 
“ma anche io, quando sono solo e non è rimasto più nessuno all’infuori di me stesso, tante volte sento di essere nient’altro che un completo disastro. E mi vergogno soltanto al pensiero di mostrarmi a Dio.”
 
Frank ricambiò quello sguardo e, se possibile, parve quasi più serio e vulnerabile di Gerard.
 
“Tu non ti devi vergognare di nulla, Gerard.”
 
Lo prese per le mani lui ora, senza stringere, né accarezzare, le teneva soltanto protette nelle sue, quelle grandi mani che davano l’impressione di essere ancora più grandi così raccolte in quelle più minute di Frank.
 
-“Non è vero che non mi riferivo a nessuno prima, durante l’omelia. Sai?”
 
Fece un sorrisino dei suoi, tutto timido e storto.
 
-“A chi ti riferivi?”
 
-“Mi riferivo a me.”
 
Capovolse le loro dita per riprendere possesso delle mani di Frank.
Quanto amava giocherellarci, anche da neonato, gli raccontava sempre sua madre, aveva l’abitudine di afferrarle le dita, sempre.
Era un’abitudine che aveva preso piede durante la crescita, lo faceva sentire egoisticamente dominante e custode dell’altro, ma lo faceva con troppa tenerezza perché qualcuno se ne volesse lamentare.
 
-“è come ricordare anche a se stessi la strada giusta. Sono soltanto un uomo, anche un sacerdote, ma pur sempre un uomo. Ho tentazioni a cui resistere, posizioni da prendere, devo essere trasparente e chiaro e in grado di aiutare più persone possibili, e per questo devo guidare me stesso per primo. Ed è…dura. A volte.”
 
-“Sei molto convincente quando parli, lo sai?”
 
-“Grazie.”
 
Ridacchiarono entrambi.
 
-“Scusami, Gee.”
 
-“Non ti preoccupare. Stai meglio ora?”
 
-“Sì.”
 
‡†‡
 
 
Per quanto odiasse impolverarsi e sporcarsi di robaccia densa e appiccicosa, fu più che felice di abbandonare per qualche ora lo studio e di infilarsi i primi vecchi stracci che aveva trovato nel cassetto degli indumenti per questo genere di cose.
Andò a piedi, per godersi un po’ l’aria di fine primavera, per rallegrarsi dei parchi sempre più affollati e di quei pochi alberi verdi della città.
Chissà se Mikey aveva la più pallida idea di quello che avrebbero dovuto fare.
L’oratorio non era lontanissimo da dove abitava, ma ci metteva sempre un po’ per arrivare, forse perché se la prendeva comoda quando andava a piedi, forse perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, perdeva ancora tempo a fingere di essere inseguito, per quei vicoli intrecciati, da un cecchino pronto ad ucciderlo e a rubargli l’importantissimo segreto di Stato che custodiva nella tasca interna dell’impermeabile.
Impermeabile che non aveva mai avuto, ma questo era poco importante per il suo pedinatore, che continuava a seguirlo dalla quarta elementare senza mai riuscire a sparargli.
Entrando fu leggermente dispiaciuto di dover dire ai ragazzi di non poter giocare con loro.
 
-“Devo aiutare Mikey e Bob, mi dispiace.”
 
Sospirò esageratamente prendendo le scale, come giustificandosi ancora e come fingendo che anche lui non sarebbe voluto andare, ma poco dopo cominciò a salire facendo due scale per volta e quasi correndo.
 
“Ciao brutti stronzi.”
 
Mikey era già imbrattato di azzurro senza che nemmeno avessero cominciato a dipingere e stava manovrando confusamente con due pennelli insieme, mentre Bob era impegnato ad assicurarsi che il pavimento fosse ben tappezzato di giornali e i mobili ben coperti dai teli che vi avevano posto sopra ad impedire che la vernice vi gocciolasse per sbaglio.
 
-“Ciao nano.”
 
Dissero pressappoco all’unisono.
 
“Calmi qua, solo io posso chiamarlo nano.”
 
Gerard sbucò dal ripostiglio spalancando la porta con la gamba e tenendo un enorme scatolone in braccio come se fosse stato fatto d’oro.
 
-“Perché sei ancora più brutto e ancora più stronzo.”
 
Frank si avvicinò ad aiutarlo con lo scatolone e una volta poggiato a terra vide che esso era pieno di tubetti di vernice di ogni colore possibile e di pennelli di tutte le misure esistenti probabilmente.
 
-“Non pensavo ci fossi anche tu.”
 
Disse sempre rivolto al sacerdote e parlando come se la cosa in fondo gli fosse indifferente.
 
-“Mi sono liberato all’ultimo. Che c’è non mi ci vuoi?”
 
Fece una di quelle smorfie serie che talvolta sembravano vere, con le mani sui fianchi e del tutto immobile aspettando la risposta di Frank.
 
-“Eeeeh mi adeguerò, Padre.”
 
Risero un po’ e a Frank sembrò improvvisamente che la giornata fosse un po’ più tiepida, il sole un po’ più luminoso e l’aria un po’ più profumata, e respirò tutto allegro a pieni polmoni cominciando a canticchiare, anche se l’unico sentore che riuscì a inalare fu quello chimico e nocivo della vernice.
Gerard non indossava i suoi usuali pantaloni e camicia neri, né tanto meno il collarino quindi, ma un paio di jeans logori che rimandavano a qualcosa di grunge e una maglia sul verde scuro che più volte in passato aveva visto addosso a Mikey, un verde che combaciava col colore dei suoi occhi e che difatti spingevano tutta l’attenzione su di essi.
Era bello, pensò Frank.
Bellissimo.
Sembrava un qualsiasi ragazzo in jeans e maglietta insieme ai suoi amici, con i capelli scompigliati come al solito che vestito in quel modo lo facevano sembrare uno di quei poeti maledetti da ventunesimo secolo, ribelle e forse un po’ anarchico, nessuno avrebbe mai detto che invece fosse un sacerdote.
Ma un ragazzo qualsiasi d’altronde non lo sarebbe sembrato comunque, perché Gerard, qualunque cosa fosse stato, sarebbe stato sempre unico.
Lo vide prendere la scala e salirvi per avere una panoramica della stanza, come se fosse immensa e dagli orizzonti incerti, col viso in alto e lo sguardo curioso, per poi scendere poco dopo e prendere uno dei pennelli più grandi.
 
†‡†
 
-“Frank, hai presente quella ragazza con cui mi sto sentendo?”
 
-“Quella che mi sta sul cazzo?”
 
-“Sì, proprio quella.”
 
-“Mh, allora?”
 
-“Ha mandato il mio profilo facebook ad una sua amica per farle vedere le mie foto, e siccome in alcune mie foto ci sei anche tu, questa sua amica ha detto che sembri molto carino e che vorrebbe conoscerti.”
 
-“Ripeto. Mh, allora?”
 
-“Allora, ti sto chiedendo se potresti essere interessato a conoscerla.”
 
-“Nah.”
 
-“Ma non ti ho ancora nemmeno detto come si chiama!”
 
-“Ma non mi interessa.”
 
-“Ma che ne sai?”
 
-“Mikey. Mi stai davvero chiedendo di conoscere l’amica di una tipa che mi sta sul cazzo e con cui stai uscendo tu? Immagino che amiche ha.”
 
-“Beh…è carina.”
 
-“Non poi così tanto ad essere sinceri. E non cambia il fatto che mi sta sul cazzo.”
 
-“Non stavo parlando di Alicia. Intendevo l’amica: Jenny, Janet, Jamia…una cosa così. E Alicia è carina davvero.”
 
-“Come ti pare.”
 
-“Dai Frankie, per una sera, così. Una cosa tipo cinema e via.”
 
-“Mikey, sei veramente stressante. Ti ha detto che non gli va!”
Mikey smise per un attimo di spennellare la parete e si voltò con fare tra il finto offeso e il sarcastico.
 
-“Che c’è, temi che se Frankie trovi un po’ di passera smetterà di farti da chierichetto, Gerard?”
 
Gerard si voltò di scatto e schizzò col pennello impregnato di vernice in direzione di Mikey, compiacendosi con soddisfazione nel vedere di essere riuscito a colpirlo con qualche goccia.
 
-“Non essere volgare.”
 
Bob non aveva proferito parola ma aveva continuato nel suo lavoro senza smettere di ridacchiare tra se sé e Frank si limitò a sospirare e a scuotere la testa ridendo anche lui.
Povero ingenuo Mikey, pensò, altro che volgare.
 
-“Non te la prendere, è che non mi interessano flirt e…relazioni? Queste cose insomma.”
 
-“Potreste essere soltanto amici.”
 
Mikey fece spallucce ma in fondo sapeva che Frank non sarebbe mai uscito con quella ragazza.
 
-“Hai appena detto che lo trova molto carino e che vuole conoscerlo e pensi che lei voglia uscirci per fare la sua amichetta del cuore?”
 
-“Discutere di queste cose con uno che ha preso i voti è come parlare di bistecche con Frank mentre si mangia il suo hamburger vegano.”
 
Sì beccò altra vernice addosso da parte del fratello.
 
-“Oh sì, quanto vorrei un hamburger vegano in questo momento. Con tutte quella verdura, e quelle salsette a base di verdura, e l’impasto di legumi e patate lesse. Adoro.”
 
Mikey esagerò un brivido mentre Gerard sembrò pensarci su.
 
-“Non sono male effettivamente dopo tutto.”
 
Bob scosse la testa e finalmente disse la sua.
 
-“Voi siete tutti pazzi. Tutti e tre.”
 
Tornò il silenzio nella stanza e i ragazzi ripreso meticolosamente a dare pennellate di vernice azzurra sulle pareti.
 
-“Frank…”
 
Gerard non smise di fare quello che stava facendo, ma aveva assunto un’espressione seria e solenne.
 
-“Mh?”
 
Il prete, si girò, il pennello stretto nella mano abbandonata lungo il fianco.
 
-“È da un po’ che avrei voluto dirtelo e penso che ora sia arrivato il momento giusto. Mikey, Bob, voi sarete testimoni.”
 
Inspirò a fondo e cercò di rilassarsi.
Avanzò lentamente verso il ragazzo guardandolo negli occhi, intensamente.
Gli si mise in ginocchio davanti e, ovviamente, dovette prendergli una mano.
 
-“Frank. Vuoi essere il mio chierichetto per il resto della tua vita?”
 
Frank si portò una mano al cuore, sorpreso.
 
-“Oh, Gee. Non posso crederci. Non ci speravo più. Certo che sì.”
 
Gerard intinse la punta del dito nel secchio di vernice accanto alla gambe del ragazzo davanti a lui e disegnò quello che avrebbe dovuto essere un anello intorno all’anulare sinistro di Frank.
Mikey e Bob finsero di asciugarsi una lacrima.
 
-“È…è bellissimo.”
 
Si portò la mano davanti agli occhi e se la girò e rigirò mille volte ammirando, per così dire, l’anello.
 
-“oh, Mikey guarda. È stupendo.”
 
-“Ora siamo chierichettocognati Frankie, sono troppo emozionato.”
 
-“CHIERICHETTOCOGNATI! Questa era bella!”
 
Bob cominciò a ridere convulsamente e in poco tempo tutti quanti lo seguirono, con Gerard che si era lasciato andare per il troppo ridere, disteso sulla schiena sopra il pavimento tappezzato di giornali e Frank che non sapeva dove appoggiarsi per tenersi in piedi, rischiando un paio di volte di accasciarsi contro il muro fresco di vernice.
E gli sembrò ancora più bello, sdraiato a terra, felice, sporco di tintura azzurra un po’ ovunque, anche tra il buio disordinato dei capelli sparsi sulla carta stampata da giornale, e il sorriso così ampio da contenere tutto il cuore di Frank e oltre.
Lo guardò, con le iridi che brillavano per le risate anch’esse, ridotte a due fessure smeraldine che lo scrutavano dal basso.
Frank, gli sorrise, complice, e sorrideva solo per lui.
 
‡†‡
 
-“Ci si vede!”
 
-“Ciao ragazzi. Ehm, Gee, non dimenticarti di chiamare mamma stasera perché non ho voglia di ascoltare le sue paranoie su quanto tu non ti faccia mai sentire.”
 
-“Okay okay, ciao.”
 
La stanza, nonostante il grigio disordine di giornali accartocciati e mobili ammassati al centro, respirava già una nuova vita d’azzurro e celeste.
 
-“Non vieni via?”
 
Frank aspettò che l’altro rispondesse appoggiandosi all’arco della porta.
 
-“Uhm, sì. Sistemò un attimo lo scatolone.”
 
Risollevò il grande scatolone che Frank lo aveva visto portare fuori dallo sgabuzzino quando era appena arrivato.
Lo aiutò a sorreggerlo camminando a ritroso, temendo di inciampare nelle cianfrusaglie del ripostiglio.
 
-“Prima di rimettere a posto i mobili dovremmo dare una sistemata anche qua.”
 
-“È nella lista delle cose da fare.”
 
Più che dirlo, Gerard lo sbuffò.
Non era mai stato troppo incline all’ordine.
Una volta posto delicatamente a terra, uscirono e si chiusero la porta alle spalle.
 
-“Adesso mi spieghi perché l’hai voluto tirare fuori se tanto non avresti niente di quello che c’era dentro.”
 
Il sacerdote fece spallucce.
 
-“Mi piaceva averlo lì.”
 
Frank alzò lo sguardo al soffitto, sorridendo sotto i baffi.
Si guardò intorno e pensò che quello era proprio un bell’azzurro.
Era quel tipo di azzurro che faceva pensare sia al cielo che al mare, ma che avrebbe potuto benissimo far pensare a qualsiasi altra cosa meno scontata e meno banale.
Però a Frank faceva venire in mente quando da piccolo andava in spiaggia insieme a sua madre e facevano colazione insieme, in quel piccolo bar ristorante di legno bianco un po’ scrostato che era stato costruito simile ad una palafitta, solo che invece di emergere dall’acqua era sospeso sopra a degli scogli, a qualche metro dal mare.
Era molto tempo che non andavano più in vacanza.
Si concentrò poi sulla parete che era toccata a Gerard, una delle due più ampie, quella opposta alla portafinestra che dava sul terrazzo, che aveva voluto verniciare di una tonalità cerulea che sembrava essere stata privata della sua brillantezza dalle altre tre pareti.
Avevano passato un intero pomeriggio a spennellare e a ridere, finendo di ridipingere solo i muri, e forse se non avessero perso così tanto tempo in scherzi e battute avrebbero potuto fare molto altro.
A nessuno dei ragazzi sembrò importare comunque.
Gerard stava ammirando assorto proprio la sua parete, avvicinandosi e riallontanandosi con le braccia distese in avanti e le mani aperte.
 
-“Dai, Gee. Dimmi cosa vuoi farci.”
 
-“È una sorpresa.”
 
-“Per favore.”
 
Lo supplicò facendo il broncio.
-“Non saprei come spiegartelo a parole senza rovinare l’effetto finale.”
 
-“Ahah! Sapevo che era un disegno.”
 
-“Disegni.”
 
Rispose il prete con aria vaga e di chi sa un segreto.
 
-“Dimmi almeno di cosa.”
 
-“Na-ah. Lo vedrai quando l’avrò finito.”
 
-“Vuoi disegnare tutta la parete?”
 
-“Certo.”
 
-“Da solo?”
 
-“Esattamente.”
 
-“Ma io volevo aiutarti.”
 
-“Mmmh…”
 
-“Hai fatto già il disegno da qualche parte?”
 
-“Beh, sì.”
 
-“Allora fammi vedere quello, così resta lo stesso una sorpresa.”
 
-“Vuoi vederlo?”
 
-“Siiiiiii!”
 
Frank roteò gli occhi per l’ennesima volta e sorrise.
 
-“Vieni allora.”
 
†‡†
 
L’appartamento di Gerard vicino alla Chiesa poteva sembrare più un mercatino dell’usato a prima vista.
Per quanto Frank stesso fosse disordinato, mai avrebbe raggiunto tali livelli, e né avrebbe mai potuto conoscere qualcuno che vivesse in un disordine peggiore di quello.
Lo spazio era piuttosto ristretto di suo, giusto una piccola cucina, un salottino occupato quasi interamente da un unico divano, un bagno, e una camera da letto che in sostanza conteneva un altro appartamento al suo interno e dalla quale Gerard non usciva quasi mai una volta tornato a casa.
Se nelle altre stanze la confusione era stata contenuta dal limitato numero di oggetti in esse contenuti, lì ogni legge della fisica e ogni regola del bon ton casalingo avevano trovato la loro eccezione in natura.
Almeno quattro libri erano sempre abbandonati da qualche parte e lasciati aperti su qualche pagina in particolare, pronti ad essere presi e letti in ogni momento, il letto era perennemente sfatto e cosparso di altri libri ancora.
Sia Frank che Mikey erano certi che dormisse con essi e che li coccolasse pure durante la notte.
Nonostante il diffusore di olii essenziali che se ne stava esasperato sul mobile della libreria, l’odore era sempre quello caldo e accogliente di caffé espresso, per tutte quelle tazzine di plastica che giocavano a nascondino un po’ ovunque per la stanza e vecchie di circa due settimane, considerando poi che a cinque caffé al giorno, nei giorni in cui si dava una regolata, non glieli toglieva mai nessuno.
Aveva tra l’altro una passione per i taccuini, di tutti i tipi, e ogni tanto Frank ne vedeva uno nuovo appoggiato provvisoriamente, come diceva Gerard, da qualche parte.
Ne aveva uno in pelle preso alla visita ad un castello medievale, uno intagliato in legno della Mappa del Malandrino di Harry Potter, uno con il rivestimento rigido e dorato, fitto di incisioni di geroglifici, preso al museo egizio, uno con delle sagome in rilievo che gli era stato regalato da Mikey, uno preso ad Atene tutto contornato da ghirigori e con scritto “All I know is that I know nothing” e la faccia di Socrate disegnata, e  tanti altri di ogni tipo e colore, veramente troppi.
Senza che ci scrivesse nulla.
Erano troppo belli per poterli scribacchiare a caso qualsiasi cosa, voleva aspettare di avere qualcosa di davvero bello da poterci  scrivere.
Di grande importanza inoltre era il suo tavolo, quel tavolo, che già era considerato un mistero il come fosse riuscito a farlo passare per tutte le porte e il come avesse trovato lo spazio in quella minuscola camera.
Bianco, quadrato, un po’ traballante quando qualcuno ci si appoggiava, in effetti piuttosto piccolo come tavolo, ma dava l’illusione di essere parecchio più grande in mezzo a tutto quel pandemonio.
Gerard se ne era innamorato, diceva che finalmente avrebbe avuto un posto per fare tutto in camera, dove scrivere, disegnare, leggere, pensare, secondo Mikey ci ballava anche salendoci sopra.
Ci aveva messo una tovaglia blu con delle margherite disegnate che diceva di odiare e di voler cambiare, ma ancora non si decideva a prenderne una come la voleva lui.
Se lo aveva voluto portare lì a tutti i costi, regalandogli praticamente il poco spazio rimasto, e costringendolo a dover sfogare la sua dromomania* nel bagno e nella cucina, gli unici luoghi dell’appartamento che avevano ancora un po’ di spazio disponibile da concedergli per il suo andare vanti e indietro e che avevano una forma un po’ stretta e allungata, perfetta per passeggiare.
Ma a lui andava bene così, e aveva detto che era stato un compromesso necessario e che il suo tavolo ne valeva la pena.
Frank pensò scherzosamente che forse lasciava i libri sul letto perché ormai dormiva lì.
Servirebbe una settimana intera a descrivere accuratamente quella camera.
Sembrava impossibile come quel luogo riuscisse ad essere così caotico ma allo stesso tempo più o meno pulito e in qualche modo curato, se si escludono i cadaveri dissanguati di caffé delle tazzine di plastica e un po’ di polvere, che però Gerard non lasciava mai accumulare eccessivamente.
Spostava alla meno peggio le cose e puliva, e alla fine rimetteva tutto al suo solito posto, ogni volta un po’ più disordinatamente dell’altra.
Come detto, c’era comunque una meticolosa e affettuosa accortezza in quel posto tutto sottosopra, un suo ordine nel disordine.
Gerard aveva preso un raccoglitore che era stato lasciato ovviamente sopra l’amato tavolo, spostò un po’ di libri e si mise a sedere sul letto, facendo cenno a Frank di sedersi accanto a lui.
Non che ci fosse altro luogo in cui poter stare in quella stanza, eccetto la sedia che però era al momento occupata da alcuni volumi, stranamente.
Frank si scostò dall’entrata e si sedette.
Il letto, uno di quei lettini semplici accostati al muro, aveva le lenzuola e le coperte accartocciate a caso su un lato, e il ragazzo si trovò a doversi accomodare proprio sul coprimaterasso, da cui proveniva un intenso odore di Gerard, come condensato, che fece intrecciare lo stomaco di Frank e che lo fece inspirare profondamente più volte.
Si accorse di trovarsi dove il corpo del sacerdote si posava la notte, in mutande e maglietta, come lo aveva visto tutte le volte che erano andati a dormire fuori per qualche motivo e nello stesso modo in cui dormiva anche il fratello.
Pensò a quante volte quel letto avesse toccato quella pelle e, senza volerlo, rabbrividì.
 
 
*dromomania: tendenza nevrotica ossessiva a camminare senza una meta precisa.
 

Parte seconda del tuo regalo di compleanno Fantasmina♥
Okay, non ho nulla da aggiungere stranamente, quindi ciaooo e vi voglio bene.
I vostri giudizi sono sempre ben accetti ovviamente.♥♥♥

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Capitolo 3
*** Devil's Choirs ***


3.   Devil’s Choirs
 
I’ll carry you my darkest desire
When life sings to you
Through Devil’s Choirs
Fear won’t steal what burns in you
I’ll carry you away from the fire
My desire
Devil’s Choirs
My desire
Devil’s Choirs.

 
 
*trigger warning: potrebbe urtare la vostra sensibilità, non dico altro per non spoilerare*
 
-“Mmmh ho cambiato idea.”
 
-“No dai, Gerard!”
 
-“Sciocco umano, credevi davvero che mi sarei arreso così facilmente?”
 
Frank tentò di prendere alla sprovvista Gerard e si catapultò verso di lui per rubargli il raccoglitore che teneva stretto al petto.
 
-“Nah-ah! Non ci pensare!”
 
-“Sei insopportabile.”
 
-“E tu insistente.”
 
-“Vorrei farti notare che siamo nel tuo letto con i vestiti sporchi di vernice.”
 
-“Non tentare di distrarmi. E comunque avevo intenzione di cambiare le lenzuola.”
 
-“E dai ti supplico.”
 
Si slanciò di nuovo verso il sacerdote ma Gerard si alzò in un lampo, mettendosi anche in punta di piedi e allungando il braccio quanto più poteva verso l’alto, con il raccoglitore esposto sulla quasi in bilico sui polpastrelli come un trofeo.
 
-“Gee…”
 
Frank rimase seduto, con il faccino più docile e supplichevole che i suoi lineamenti potessero modellare.
 
-“Niente “Gee”, non mi farò intenerire…forse se tu fossi un po’ meno nanerottolo riusciresti anche a prenderlo.”
 
Gerard sapeva che si sarebbe pentito di quella frase ancor prima di pronunciarla, ma nonostante ciò, la disse lo stesso.
Poche cose al mondo riuscivano a farlo sorridere come bisticciare con Frank in quel modo e difatti teneva in viso un sorriso così semplice ma così sincero che lo fece tornare bambino.
Lo vide diventare paonazzo e balzare in piedi sul suo letto, con un balzo felino, e rimase quasi immobile ad aspettarlo, lo sguardo canzonante ma felice.
Frank gli si avvinghiò alla schiena, arrampicandoglisi letteralmente addosso nel suo cercare di risalire fino al raccoglitore, proteso verso il soffitto e tenuto in precario equilibrio tra le dita.
 
-“Mollalo!”
 
-“Mai!”
 
E di colpo riportò il raccoglitore al petto, tenendoselo stretto tra le braccia.
 
-“Se non lo molli ti resterò incollato addosso finché non ti arrendi.”
 
-“Dovrai passare sopra il mio cadavere, koala nano!”
 
-“Ah si? Bene, resterò così per sempre allora.”
 
“Benissimo.”
 
Frank si aggiustò sulla schiena di Gerard, rafforzò la presa delle gambe intorno al suo busto e incrociò le braccia sopra le sue, infine si affacciò dall’incavo del collo sistemandosi col mento sulla spalla dell’altro, soddisfatto e come se non fosse mai stato più comodo in vita sua.
Gerard cominciò a camminare verso l’uscio, sbilanciandosi giusto un paio di volte ma restando infine in equilibrio.
 
-“Dove vai?”
 
E il sacerdote si mise a ridacchiare, dirigendosi verso la porta del bagno.
Una volta entrati, Gerard non accese subito la luce, ma aspettò di essere al centro della stanzetta prima di premere sull’interruttore.
Quando la luce li avvolse, quello che si trovarono davanti agli occhi fu il loro stesso riflesso allo specchio ed entrambi, all’istante, scoppiarono a ridere.
A Frank si mostrò l’immagine di se stesso avviluppato intorno all’altro ragazzo, e in un certo senso si rallegrò di non sembrare poi così piccolo in confronto a Gerard.
Nonostante fosse meno dotato di altezza, possedeva delle spalle ed un torace più ampi rispetto a quelli del sacerdote e in quel momento non appariva affatto minuto, ma anzi piuttosto ingombrante, ed era questo, più di ogni altra cosa, a rendere la scena tanto buffa e divertente: Frank arrampicato alla schiena di Gerard come un cucciolo un po’ troppo cresciuto, che faceva capolino dalla sua spalla ridendo come un folle e Gerard ostinato nel proteggere scrupolosamente quel raccoglitore tra le braccia, ridendo a sua volta forse ancora più forte e rischiando in quel modo di farli cadere entrambi, che per di più se ne andava passeggiando di stanza in stanza, addirittura specchiandosi.
 
-“Non riesco a respirare!”
 
Frank rideva così convulsamente da essersi quasi lasciato andare, perciò si sistemò meglio stringendosi ancora più saldamente e posando le braccia poco sotto il collo di Gerard, per guadagnarsi una presa più salda.
 
-“Pesi un po’ gnomo, lo sai?”
 
Riuscì a dire il prete tra una risata e l’altra.
 
-“Meglio.”
 
Rispose Frank con gli occhi appena inumiditi per il troppo ridere.
Lo teneva così stretto a sé, ed era così felice, sobrio e sotto qualche strano effetto al contempo, che per un momento aveva temuto di farsi uscire un sei mio dalle labbra.
Percepiva il suo calore fondersi con il proprio e fu certo che fosse quel suo odore a renderlo ubriaco e in perpetua crisi d’astinenza insieme.
Si chiese se Gerard potesse sentire l’insistente bussare del suo cuore contro la schiena, e se, in quel caso, potesse indovinare che quel picchiare rivoltoso non era stato conseguenza delle molte risa.
Quando riuscirono a calmarsi un poco, si guardarono negli occhi tramite il riflesso allo specchio, quattro feritoie luminose che sfumavano il proprio  verde con quello dell’altro allo specchio, sorrisi di piume e respiri di piombo da dover riacciuffare.
Quando credette che Frank stesse per scivolare Gerard si piegò leggermente in avanti per non farlo cadere e diede un colpetto con la schiena per tirarlo un po’ più su.
D’istinto, per poco non lasciò cadere il raccoglitore coi disegni nell’impulso di andargli a sorreggere le gambe con le proprie braccia.
Tornò nella sua stanza, ridacchiando di tanto in tanto e superando il percorso ad ostacoli che era il suo bordello di pavimento, inginocchiandosi sul letto e trafficando goffamente.
 
-“Certo che sei incredibile.”
 
Nel dirlo Frank scosse la testa, ancora sorridendo, e Gerard civettò.
 
-“Grazie caro.”
 
Dopo essersi sistemato non molto comodamente sulle ginocchia, si lasciò cadere di colpo a faccia avanti, appoggiando poi la guancia destra sul cuscino e seppellendo il raccoglitore tra il petto e il materasso.
 
-“Mh, ecco. Spero tu stia comodo, Frankie.”
 
Frank sbuffò per l’improvvisa prigionia degli arti, così fece sgusciare fuori le gambe da sotto lo stomaco di Gerard, stringendogliele invece ai lati, e si accoccolò abbracciandolo con la testa nascosta tra le scapole dell’altro e le braccia ancora intrappolate sotto al suo petto.
 
-“Comodissimo.”
 
Ascoltava sotto di sé il sorgere e il tramontare profondo del respiro del sacerdote, e il suo stesso corpo che saliva e scendeva leggermente assecondandolo, seguendo quel lento andirivieni ampio e regolare.
Rimasero in silenzio, come se stessero dormendo o stessero aspettando di addormentarsi, dando deciso e concluso il loro accordo di rimanere così per sempre, Gerard che non avrebbe lasciato che Frank vedesse i suoi disegni e Frank che perciò non si ne sarebbe mai più allontanato, entrambi felici e contenti.
Frank ascoltava l’aria che Gerard emetteva dal nasino con attenzione, come se vi lasciasse andare chissà quali segreti invisibili che finivano poi con lo scontrarsi contro la federa del cuscino, fuggendo dall’essere rivelati.
Teneva gli occhi chiusi e il viso sereno, disteso, sebbene non stesse affatto dormendo, e Frank ne approfittò per sollevare un po’ la testa e ammirarlo.
I capelli erano stranamente meno arruffati del solito e solo alcune ciocche si stavano ribellando contro il guanciale, distendendosi sopra di esso come i raggi di un sole d’inchiostro.
Un ciuffo gli si era attorcigliato sulla fronte, minacciando di scivolargli sulle palpebre e Frank dovette richiamare a sé tutta la sua forza di volontà per resistere alla tentazione di soffiarglielo via o di spostarlo con la punta del naso, o anche con le labbra.
Nella calma e nel silenzio del momento l’unica disarmonia era il pulsare folle alla sinistra del suo petto, e a Frank parve così chiassoso e nitido da metterlo a disagio, insicuro nel capire se lo sentisse realmente rimbombare nella stanza o era soltanto l’eco ovattato nelle sue orecchie.
Gerard schiuse un po’ gli occhi e, come se avesse potuto leggergli nel pensiero, sembrò prestare minuziosamente attenzione a quel suono e mettersi in ascolto per udirlo meglio, senza abbandonare quell’aurea di serena beatitudine che gli era volata sul viso sulle ali dell’immacolata tentazione, piumate di smeraldo.
Forse fu quel gesto, osservato come sotto una lente d’ingrandimento dalla sua immaginazione, o forse il profumo di lui che lo stava assaggiando da tutte le parti, o lo straziante desiderio di agrodolci carezze che quei capelli erano capaci di suscitare, probabilmente tutte queste cose e altre ancora, e Frank sentì il basso ventre allagarsi, goccia dopo goccia, di un insidioso calore colpevole.
 
-“Mi si stanno addormentando le braccia, mi arrendo.”
 
Si rialzò con tutta l’indifferenza di cui era capace, nello stesso modo in cui avrebbe fatto se avesse detto la verità.
Sedendo a gambe incrociate sul letto, ancora segretamente imbarazzato di se stesso, accidentalmente lo sguardo gli cadde sul comodino di legno color panna accanto alla testata del letto, dove reclamava la sua autorità una maestosa Bibbia dal rivestimento scuro e dalla scritta incisa a lettere dorate.
Piuttosto semplice e minimalista, ma sapeva senz’altro come imporre la sua presenza e Frank distolse lo sguardo, come un bambino disobbediente che tenta di nascondere qualcosa alla mamma evitando i suoi occhi indagatori.
Ma il bambino sa bene da tempo che la mamma è già a conoscenza della verità.
Anche Frank sapeva più che bene che non sarebbe mai riuscito a fuggire dal Suo osservare onnipotente.
Si sentì disgustato e debole per aver macchiato quel momento con la natura dei suoi desideri.
 
-“Ho vinto io!”
 
Gerard si girò e si distese sulla schiena, con la presa sul raccoglitore ormai allentata.
Riusciva ad essere un po’ impacciato e goffo alle volte, proprio come qualche istante prima, capovolgendosi e dondolandosi con le braccia incrociate, quasi scalciando con piccoli scatti delle gambe, per potersi mettere a pancia in su.
Nonostante il senso di colpa, Frank non poté trattenersi dal volerlo stringere di nuovo.
 
-“Dai…tieni.”
 
Gli allungò sorridendo i disegni, in segno di pace.
Frank li prese con cautela e studiò la copertina del raccoglitore.
Arancione, con una cornice nera.
Non faceva molto Gerard, pensò, ma probabilmente era stato un regalo e lui ci si era affezionato.
Arancione.
Si immaginò Gerard vestito tutto color arancione, collarino e scarpe comprese, che se ne andava a dire il rosario cantandolo a squarciagola, anch’esso arancione, per un aranceto nel pieno della maturazione delle arance.
No, arancione davvero no, non faceva Gerard, ma la parte dell’aranceto non gli sembrava poi così male, né la parte del rosario cantato.
 
-“Nah, ho deciso che voglio la sorpresa.”
 
E lo riposò sopra il tanto amato tavolo.
Gerard lo fissò con un sopracciglio alzato e la faccia tra l’incredulo e il deluso, ma poi sospirò facendo spallucce.
 
-“Frankie…mi aiuti? Odio cambiare le lenzuola e rifare il letto.”
 
 
†‡†
 
 
Per quanto la detestasse, l’emicrania era sempre stata una fedele compagna di vita, e perciò ad un certo punto della serata fu costretto a spegnere la lampada e ha chiudere il libro.
Lo lasciò lì sulla scrivania, storto, come usava metterlo lui per sottolineare i concetti essenziali.
In realtà lui scriveva e scarabocchiava anche sempre e soltanto con libri e quaderni inclinati, al punto da farli stare quasi in verticale sopra alla scrivania o al banco, un’abitudine che aveva sempre avuto ma alla quale non riusciva a darsi una spiegazione.
L’unica cosa che sapeva era che riusciva a scrivere comodamente solo così, altrimenti la sua mano prendeva a tracciare una calligrafia irregolare e lenta, sotto lo sforzo di essere costretta in una posizione diritta.
Frank pensò più di una volta che la cosa lo rispecchiasse, e che dimostrasse quanto lui stesso dovesse sempre percorrere le vie più ostili per avere un’andatura regolare, e quanto vi ci si trovasse a proprio agio.
Anche lui doveva andarsene tutto storto per farne una giusta, e se costretto in qualche modo, cominciava un po’ a rallentare e ad affaticarsi, fino a combinare un disastro e a inciampare su se stesso.
Prese il cellulare e lo sbloccò.
Le 23:47
Non era poi così presto per sospendere lo studio e mettersi a letto.
Si massaggiò lentamente le tempie e chiuse gli occhi.
Maledetta emicrania.
 
Gee♥: stai studiando?    22:34
 
Frank: Sì, stavo studiando    23:49
Frank: Buonanotte♥    23:50
 
Quella notte, nei pochi minuti prima di essere rapito da un sonno profondo, chiese a Dio perché avesse scelto di fargli incontrare Gerard e se fosse davvero così orrendo provare dei sentimenti per lui.
Gli chiese cosa dovesse fare, ma non gli chiese di portarglieli via.
Non glielo chiedeva mai.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, Frank ne ricavava un’impotente gioia alla quale era legato, e della quale reclamava il possesso.
Quei sentimenti erano di sua proprietà e non voleva che gli venissero sottratti.
 
 
‡†‡
 
 
Anche le lenzuola lo opprimevano.
Pesanti morse marmoree.      
Non era riuscito nemmeno a scaldare il letto col suo calore corporeo.
Sentiva molto più freddo di quanto fosse concepibile, date le temperature, e non era certo un prologo di febbre.
Gerard aprì gli occhi, con riluttanza, ma benché avesse il terrore di scorgere realmente qualcosa in quella stanza, sarebbe stato certamente più rassicurante di ciò che gli si andava elaborando nella mente.
Non era un flusso di pensieri che gli apparteneva, né la sua immaginazione sarebbe mai stata capace di dare vita a scene tanto raccapriccianti.
Il percepire lo sfociare indotto con la forza da qualcos’altro dentro la sua psiche, gli annodò rovi di panico alla bocca dello stomaco.
Il buio era palpabile e denso, e inghiottiva il volume della sua camera contaminando anche l’ossigeno con il suo gravare.
Per un attimo ebbe paura di non riuscire a riprendere fiato e si portò le mani tremanti prima sul petto e poi intorno alla gola, a fatica, per l’orrore di sentirsi strangolare da artigli non visibili.
Avrebbe desiderato alzarsi, o costringere i polmoni ad assecondare il loro bisogno di ossigeno, eppure era inchiodato al materasso, e il collo, le braccia, il busto, le gambe, tutto dava l’impressione di essere impassibilmente pesante.
Di nuovo tentò di respirare, ma l’aria era troppo solida per penetrarlo.
Richiuse gli occhi sperando così di potersi calmare, ma quello che vide fu abbastanza per farglieli sgranare di nuovo, i contorni e le linee di quelle mostruosità ancora fluttuanti sul soffitto e sulle pareti, evanescenti ma fin troppo vivide per i suoi sensi, e mentre lasciava gli occhi spalancati con l’angoscia di abbassare le palpebre, innumerevoli pupille si confondevano nell’oscurità maligna delle ore notturne.
Lo fissavano con insistente avidità, se solo lo avessero toccato era certo che non ne sarebbe sopravvissuto.
Li sentiva ammucchiarsi intorno al suo capezzale, lo vegliavano e pregavano sussurrando oscenità alle sue orecchie, preghiere bestemmiate che ronzavano e fischiavano stridule e gravi.
Dalle urla acute che foravano i timpani con le risonanze tetre inghiottite dalla terra.
Padre nostro che sei nei cieli
Sia santificato il tuo nome
Si concentrò sul tirarsi su, sudando freddo e con infinito sforzo, la gravità che disprezzava le leggi della fisica e che aveva moltiplicato la sua forza sulla superficie del suo corpo mortale, respingendo ogni tentativo di rialzarsi.
Venga il tuo regno
Sia fatta la tua volontà
Si opponeva talmente tanto da sentirsi il petto lacerare con lo sfregiare di quella pesantezza, temendo nuovamente di non poter respirare.
La pelle tremava per il gelo, gli organi interni prendevano a consumarsi per il bruciore, fumanti, motori in avaria per i troppi vani tentativi di farli funzionare.
Come in cielo e così in terra
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Una volta riuscito nell’impresa di mettersi a sedere, cercò a tastoni l’interruttore, muovendo le mani alla cieca e temendo cosa potessero trovare quando lui stesso sentiva come se lo stessero palpando dappertutto.
Ogni tanto scene non concepibili dalla natura umana si sovrapponevano nella sua immaginazione, e Gerard a fatica scuoteva la testa con disperazione, per cacciarle via, dimenticarle, ma qualcosa costringeva collo e capo a restare immobili.
E rimetti a noi i nostri debiti
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Il volume della sua anima urlava e scalciava contro quel subdolo stupro spirituale, e riuscì ad accendere la lampada che teneva sul comodino.
Credette di vedere una scia scura fuggire dal fascio di luce, la ignorò per quanto fosse possibile, e approfittò del vantaggio che si era appena procurato per trovare la forza di alzarsi in piedi, con l’unico scopo di trovare l’interruttore di fianco alla porta.
Col lieve chiarore della lampada l’ossigeno sembrò ripulirsi dalle coagulazioni demoniache che lo avevano reso irrespirabile.
E non ci indurre in tentazione
Ma liberaci dal male
Il lampadario lanciò tutta la sua potenza artificiale e per un attimo diede l’illusione di aver messo in fuga gli ospiti indesiderati.
Gerard si guardò intorno.
Sebbene affannato, il respiro aveva ritrovato facile accesso alle sue vie respiratorie.
Si lanciò verso ciò che gli serviva, lo strinse a sé con affamata speranza, aprì la porta della camera e prese ad accendere tutte le luci del suo piccolo appartamento, televisore compreso.
Guardò fuori dalla finestra, le luci della città e i fari delle macchine che passavano erano luci di vita nella notte.
Amen
Si posizionò sul divano, senza mai abbassare la guarda, in allerta, pronto in ogni momento, convincendosi di stare comodo.
Ascoltò gli unici compagni di terrore che dialogavano incuranti di lui attraverso le scene di un film che non aveva nemmeno mai visto.
L’eco del suo battito cardiaco allarmato sembrava voler abbattere la casa.
Padre nostro che sei nei cieli
Sia santificato il tuo nome
Venga il tuo regno
Sia fatta la tua volontà
Come in cielo e così in terra
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
E rimetti a noi i nostri debiti
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
E non ci indurre in tentazione
Ma liberaci dal male
Amen
Riprese da dove aveva interrotto la notte precedente.
 
La proscrizione dei Cananei
50Il Signore parlò a Mosè nelle pianure di Moab, presso il Giordano di fronte a Gerico, e disse:…”
 
Così, ad alta voce, seppur tremolante.
 
†‡†
 
Frank scese dalla macchina e portò fuori le composizioni floreali che Gerard gli aveva chiesto di ritirare.
Ortensie azzurre e qualche altro fiore di cui non sapeva il nome.
Passò per i locali accanto alla chiesa, quelli adibiti per le riunioni, il catechismo per i bambini più piccoli e dove c’era anche lo studio del parroco.
La sacrestia era stata lasciata un po’ in disordine e Frank ridacchiò tra sé e sé.
Richiuse l’anta del ripostiglio delle vesti sacerdotali che era stata lasciata aperta, mise uno sopra l’altro i libri sparsi sul tavolino e si ritrasse all’improvviso, senza un vero motivo, quando si rese conto che erano quegli stessi volumi che Gerard stava studiando per poter diventare esorcista.
Copertine e le rilegature erano rigorosamente nere, o comunque piuttosto scure sui toni del viola e del marrone, uno addirittura senza titolo o altra indicazione.
Quando aprì la porticina che dava sull’altare, vide che il sacerdote era in ginocchio, sul primo banco a sinistra, e che la Chiesa era completamente vuota fatta eccezione di lui.
Fece finta di nulla inizialmente, vedendolo molto concentrato, passò e sistemò con cura i fiori dove sapeva che andavano messi, stando attento a posizionarli con il lato più fresco e bello verso la platea.
Per qualcuno sarebbe potuto sembrare un gesto superfluo, anche stupido e irrilevante o un inutile spreco di secondi preziosi, ma era una caratteristica che Frank aveva sempre avuto, quella di far apparire le cose sempre al loro meglio e di renderle più belle che poteva, di dedicare tempo a quei dettagli che i più ignoravano, forse perché lui invece amava osservare attentamente ciò che lo circondava, si ostinava scovare i minimi particolari, con la speranza di capire ogni cosa e di trovare una risposta a tutto.
Ed era esattamente per questo che si era iscritto alla facoltà di psicologia.
Così come si prendeva cura delle cose, faceva con le persone, ne ammirava o disprezzava le minuzie per riuscire a comprenderle, e di conseguenza avere la risposta giusta.
Sin da piccolo la sua mente era stata una piccola fabbrica di perché e di come e di se e di ma, e inevitabilmente di quindi, di però, e di allora.
Per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi, il colore dei fiori, tutti tendenti all’azzurro e al celeste, non lo entusiasmava molto in contrasto col legno scuro e l’atmosfera generale della Chiesa, ma non ci fece troppo caso e si ritenne abbastanza soddisfatto una volta portata a termine la breve incombenza.
Rivolse l’attenzione a Gerard, ancora inginocchiato dietro di sé e intento nelle sue preghiere probabilmente, e rimase visibilmente deluso per l’essere stato ignorato.
Si avvicinò per vedere se il sacerdote avesse solo aspettato che lui avesse finito coi fiori per parlargli o se davvero non lo avesse notato.
Le sue ginocchia avevano scavato a fondo sul cuscinetto bordeaux dell’inginocchiatoio, segno che era lì in quella posizione da tempo, e che una volta alzato sarebbero rimasti dei solchi per qualche minuto.
Teneva il capo chino sulle mani giunte, o meglio intrecciate tra loro in un unico pugno serrato, e Frank poteva a mala pena scorgergli la fronte.
Fece qualche altro passo verso di lui e ora, essendoci solo loro due e essendo diminuita la distanza tra loro, nel silenzio maestoso della Chiesa si accorse che Gerard stava bisbigliando freneticamente e senza interruzioni, con un rosario tra le mani.
Non era certo la prima volta che Frank lo osservava pregare, ma dava l’impressione di essere agitato, e come se qualcuno lo stesse inseguendo.
Da una settimana, forse un po’ di più, aveva preso ad isolarsi e ad essere sfuggente.
Non parlava molto.
Sebbene fosse del tutto immobile, per qualche ragione, fu questo quello che venne in mente a Frank: che stesse fuggendo e che lo stessero rincorrendo.
Tra le dita candide vide serpeggiare il suo rosario, i cui grani restavano incastonati sulla sua pelle come gemme inchiodate.
A prima vista sarebbe potuto sembrare nero, specialmente se osservato all’ombra, ma in realtà era di uno scarlatto particolarmente scuro, e ogni granulo era sfaccettato in modo tale da riflettere le varie oscure sfumature rossastre che scivolavano sulle pietruzze di tonalità in tonalità, assecondando i giochi della luce.
Frank sapeva che ad un certo punto uno dei granuli era più rosso degli altri, forse per un difetto di fabbrica, ma era quel granulo quasi cremisi che lo rendeva ancora più particolare e affascinante.
Quel rosario faceva molto Gerard, pensò per la milionesima volta, decisamente, al contrario del raccoglitore arancione.
Il prete continuò a non curarsi della sua presenza, chiuso a chiave in se stesso e nel suo pregare.
Il ragazzo era indeciso tra il lasciar correre e l’andargli a parlare, nel caso in cui Gerard non si fosse effettivamente accorto del suo arrivo, così assorto dalle sue preghiere, eppure in entrambi i casi gli sarebbe sembrato strano andarsene così, senza nemmeno salutarlo.
Gli era ormai davanti e aveva appoggiato le mani sul legno del banco, ai lati di quelle del sacerdote avvinghiate al rosario.
Ebbe come l’impressione che ora bisbigliasse più affannosamente di quanto gli fosse sembrato inizialmente e che il sussurrare appena percettibile di prima si fosse convertito in un tono di voce quasi normale.
Le sopracciglia scattarono convulsamente da sopra le falangi delle dita intrecciate.
 
-“Gerard…”
 
Lo disse in una maniera piuttosto bizzarra, strozzata quasi, e si pentì improvvisamente.
Un qualcosa a metà tra il saluto, il preoccupato, l’interrogativo e l’infastidito, con un imbarazzante tono stridulo come risultato finale.
Credette per un momento che non lo avesse sentito affatto e fece per richiamarlo, vagamente angosciato, quando finalmente Gerard alzò lo sguardo.
Fece sbucare appena le pupille da dietro l’intreccio di gemme scarlatte, e il verde impuro delle sue iridi scoppiettava nel contrasto con profonde sottolineature violacee.
Bastò quel solo gesto perché Frank capisse.
Il sacerdote non fece altro, non lo salutò nemmeno, si limitò a mantenere fisso lo sguardo irritato e infossato su quello di Frank.
Il ragazzo poteva udire quella frase tanto nitida quanto lo sarebbe stata se Gerard l’avesse pronunciata anche a parole.
Che vuoi?
Messaggio ricevuto, giornata particolarmente no.
Se non fosse stato per quella fuggevole sensazione d’angoscia che gli si era inchiodata allo stomaco se ne sarebbe tranquillamente andato.
L’altro aveva esattamente la stessa espressione di quando, appena conosciuti, restava tutta la  notte alzato a leggere libri horror per poi andare in overdose di caffé il giorno dopo, e ribattere ad ogni parola di Frank con quel fastidioso e snervante che vuoi?
In quei momenti di alcuni anni prima forse non avrebbe avuto tutti i torti a rispondergli in quel modo, considerando i loro rapporti poco pacifici di allora e tenendo conto dell’impertinenza che Frank non perdeva mai occasione di schiaffeggiargli in faccia, alla perenne ricerca di un pretesto per iniziare un litigio, ma ora non era sicuramente il caso.
Il ragazzo sospirò.
 
-“Volevo solo salutarti…ti lascio in pace. Ciao!”
 
-“Grazie.”
 
Fu quello che si sentì rispondere direttamente dall’abisso di quelle occhiaie, lo sguardo insistente su quello di Frank.
Vattene, cazzo.
Non si sarebbe certamente fatto problemi a mandarlo a fanculo anche in Chiesa se l’angoscia non gli si fosse stretta intorno con un po’ più di forza prima.
Gli dava degli strattoni di tanto in tanto, giusto per ricordargli che lei era lì e che c’era per un motivo ben preciso se lo stava disturbando così tanto, anche se lui non poteva ancora saperlo.
Dopo anni e anni di esercizio mirato a controllare il suo caratterino ribelle, Frank sospirò ancora e si passò le mani sul viso.
 
-“Senti…”
 
Serrò un po’ la mascella.
 
“tutto bene, Gerard?”
 
-“Andava meglio prima che venissi a interrompermi.”
 
Voce monotona, asciutta e davvero, davvero irritante.
Con quel tono saccente e pieno d’insofferenza.
Frank era seriamente sul punto di mandarlo a quel paese.
Era più che sicuro che Dio non si sarebbe offeso per un innocuo vaffanculo, anche se in Casa Sua.
Invece si staccò dal bancone e prese a camminare verso l’uscita, passando direttamente per la navata centrale.
 
-“Okay. Cazzi tuoi, Gerard.”
 
E arrivato al portone d’ingresso, seppure solo con il gesto, lo mandò davvero a fanculo, anche se il prete, ovviamente, non si era minimamente degnato di voltarsi, ma aveva proseguito col suo modo di fare, del tutto incurante.
Non che non conoscesse quel lato ostile di Gerard, ma come lui stesso aveva fatto, con il passare del tempo e il giungere di una sempre maggiore maturità, il sacerdote era riuscito progressivamente a nascondere e a sopprimere il suo essere talvolta scostante e fin troppo introverso, tanto che Frank giungeva persino a dimenticarsene.
Questo finché non accadeva qualcosa che facesse tornare a galla quella parte arrogante di Gerard che tendeva a farlo rinchiudere a riccio e pungere chiunque si avvicinasse.
Non era particolarmente arrabbiato, ma non poteva negare di non esserne rimasto ferito.
Sapeva che in quei momenti Gerard sarebbe stato capace di rispondere a tono anche a Gesù Cristo appena resuscitatogli davanti agli occhi sull’altare, ma avrebbe desiderato essere l’unica eccezione, ovviamente.
Ad essere sinceri, Frank era il primo sul quale sfogava quelle giornate di isolamento e nervosismo, e anche colui al quale si comportava in modo più chiuso.
Giusto per palesargli tutta la sua frustrazione, solitamente il desiderio di baciarlo aumentava in modo direttamente proporzionale alla scontrosità di Gerard.
Forse perché in quegli attimi di pura debolezza umana era più semplice dimenticare che era sacerdote.
Qualcosa però gli suggeriva che c’era dell’altro per farlo reagire in quel modo nel pieno delle sue meditazioni e in Chiesa.
Lo aveva inizialmente percepito dal suo pregare febbrile e sovraeccitato, che mai aveva visto giungere a quei livelli, e lo avevano confermato poco dopo gli atteggiamenti stessi.
L’angoscia non se ne era affatto andata, era perlopiù peggiorata, e non poté fare a meno di preoccuparsi, almeno un poco.
Ma era troppo egoisticamente ferito e orgoglioso per soffermarsi davvero sulla questione.
 
‡†‡
 
 
Gli Apostoli del Punk
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: @Geebigbro oggi continuiamo con i lavori?
 
Gerard sta scrivendo…
 
Gerard: come vi pare
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: dimmi tu, è che oggi sono libero e non abbiamo più fatto niente
 
Bob sta scrivendo…
 
Bob: per me va bene
Bob: verso le tre e mezza circa sono lì
Bob: @Gerard forse è meglio non far entrare i ragazzi a questo punto se arriviamo anche a fare il piano di sotto
 
Gerard sta scrivendo…
 
Gerard: basta chiudere la porta
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: ci lasciamo un cartellino attaccato con scritto “Work in progress…”
Mikey: no okay sa di poracciata da oratorio sfigato, come non detto
 
Bob sta scrivendo…
 
Bob: @Mikey è un oratorio sfigato solo quando ci sei tu
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: @Bobbone non mi va di ribattere lol sei fortunato
 
Bob sta scrivendo…
 
Bob: lol no per favore
Bob: lol proprio no
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: LOLOLOLOLOLOLOLOLOLOLOLOOOOOOOOOL
 
Bob sta scrivendo…
 
Bob: ah ah ah
 
Frank sta scrivendo…
 
Frank: io non ci sono
 
Bob sta scrivendo…
 
Mikey sta scrivendo…
 
Bob: ma come no?
 
Mikey: CHIERICHETTO COME NON CI SEI?
 
Gerard sta scrivendo…
 
Gerard: Perfetto.
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: @FrankieDaGiardino ma perché?
 
Frank sta scrivendo…
 
Frank: devo studiare…
 
Mikey sta scrivendo…
 
Bob sta scrivendo…
 
Mikey: -.-” …
 
Bob: …che palle
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: ti odierò a vita per questo tradimento, sappilo
 
Bob sta scrivendo…
 
Bob: *ti odieremo
 
Frank sta scrivendo…
 
Frank: …scusate(?)
 
Gerard sta scrivendo…
 
Gerard: tranquillo non eri indispensabile Frank.
 
Frank sta scrivendo…
 
Frank: lo terrò a mente in futuro allora.
 
Gerard sta scrivendo…
 
Gerard: Perfetto.
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: AH.
Mikey: ho capito.
Mikey: che è successo qua?
 
@Padre Gerard ha abbandonato
 
Frank sta scrivendo…
 
Frank: ...non ho parole
 
Mikey sta scrivendo…
 
Mikey: ma che è successo?
 
Frank sta scrivendo…
 
Bob sta scrivendo…
 
Bob: avevo notato che oggi gli rodeva il culo
 
Frank: @MikeyFuckingWay lascia perdere
Frank: @BobBear già
 
Visualizzato da tutti
 
†‡†
 
Era stato capace di rimanere sui libri per ben otto ore di fila, beh quasi di fila, senza implodere in un’emicrania lancinante, e già per questo si sentiva fortunato.
I ragazzi si erano organizzati per uscire quella sera, ma lui aveva detto di no.
Anche Gerard aveva detto di no.
Lo avevano scritto quasi nello stesso momento, Gerard mezzo secondo dopo, ed entrambi avevano rifiutato sia per non vedere l’altro, sia per l’assenza dell’altro.
Per un attimo, uno solo, Frank si sentì parecchio infantile, ma poi la testardaggine ebbe la meglio, come al solito.
Capita spesso che gli amici bisticcino e che non si rivolgano la parola per un po’, ma erano passati tre giorni e loro due non si erano più sentiti.
Non era per la brutta risposta, nemmeno per l’atteggiamento insofferente che il sacerdote aveva avuto nei suoi confronti quella mattina, ma era per il semplice motivo che Frank era deluso e ferito da ciò, tanto più per il fatto che Gerard non aveva fatto nulla per riavvicinarsi nei giorni seguenti.
Era un record.
Non erano mai stati per così tanto tempo senza parlarsi da quando si erano conosciuti, all’inizio.
D’altro canto, qualcosa lo turbava.
Ad ogni squillo o minimo suono del cellulare si precipitava nella speranza che fosse lui, non gli aveva bisogni di scuse o troppe cerimonie, bastava anche un semplice “ehi senti mi ero alzato con la luna storta l’altro giorno, mi dispiace di averti risposto male, ci vediamo domani?” come faceva di solito.
Talvolta si sorprendeva nel ricordarsi che Gerard fosse un prete, e non per i suoi sentimenti nascosti, ma per il carattere del ragazzo, e tutto ciò a lui affine.
Era molto giovane, e un po’ imbranato, ma al tempo stesso deciso e sicuro a modo suo, introverso e disordinato, dall’aria costantemente pensierosa e timido.
Non era e non sarebbe mai stato il classico sacerdote con la chitarra in spalla e i bambini alle calcagna, bastava che i ragazzini dell’oratorio gli si avvicinassero per farlo sentire fuori luogo, e anche se non lo aveva mai detto apertamente, Frank sapeva che ciò era causato dal suo timore di non essere all’altezza delle loro aspettative.
Ascoltava punk rock e leggeva libri horror, al cinema ci andava quasi solo se si parlava di possessioni demoniache o qualche altra accozzaglia paranormale.
In effetti era piuttosto facile comprendere perchè diventare esorcista fosse un po’ il suo sogno nel cassetto.
E prima ancora di tutte queste frivolezze c’era la Fede.
Un ragazzo che, nonostante il carattere chiuso, riusciva comunque a farsi amare da più o meno tutti, brillante, dotato di incredibile intelligenza e spirito d’osservazione, oltremisura sensibile e privilegiato dal dono di riuscire a trovare la bellezza ovunque.
Questo era ciò che la gente generalmente pensava di lui, perciò non suonerà certo strano sapere che agli occhi di Frank quel sacerdote planava sul confine con la perfezione.
Poi, accanto a tutto questo, all’ombra di tutto il suo splendore, c’era quel segreto lato schivo e solitario che non aveva ancora perso l’abitudine di mordere quando provocato.
Forse era l’altra faccia della sua innata timidezza o del suo essere fortemente paranoico per certi versi, e allora quel collarino bianco sembrava come stringersi un tantino di troppo attorno alla sua gola, tanto da costringerlo con la forza a starsene buono agli occhi di tutti, quanto a strangolare qulla parte di lui che non sarebbe mai stata capace di uscire dalla sua tana di rovi.
Gerard non aveva mai detto di aver avuto dubbi o rimpianti riguardo al sacerdozio, e Frank non aveva il coraggio di approfondire.
Conoscendolo, e poteva dire di conoscerlo piuttosto bene ormai, probabilmente aveva passato la notte in bianco o era sorto qualche problema che lui aveva ingigantito nella sua mente fino a portarlo ad uno stato di ansia, di qui il modo in cui lo aveva visto pregare così freneticamente, le scie violacee sotto gli occhi e l’atteggiamento brusco.
Tendeva molto a distaccarsi quando era preoccupato.
C’era anche quell’angoscia che non se ne voleva andare dallo stomaco di Frank, insieme alla consapevolezza che doveva essergli davvero successo qualcosa per renderlo così nervoso e distante.
Più volte nell’arco degli ultimi giorni era stato tentato di andare da lui e chiedergli cosa non andava, o magari di telefonargli almeno, ma se Gerard a volte aveva un caratteraccio, Frank d’altra parte aveva il suo, e se possibile ancora peggiore.
Avrebbe dovuto comportarsi da buon amico, ma non è sempre possibile esserlo quando i propri sentimenti scavalcano certi limiti.
Le 23:09
Poteva anche chiudere tutto.
Stavolta i libri li rimise tutti dritti.
Si gettò a peso morto sul letto e riaccese il cellulare, sperando ancora una volta di aver ricevuto un segnale di vita da parte del sacerdote.
3 messaggi non letti su whatsapp.
MikeyFuckingWay: ehi nano    16:52
MikeyFuckingWay: sei vivo o devo preoccuparmi?    17:06
MikeyFuckingWay: chiamami appena puoi    17:07
 
BobBear: fatti sentire ogni tanto    19:25
 
Rispose a Bob e chiamò Mikey.
 
-“Ma che fine avevi fatto?”
 
-“Stavo studiando.”
 
-“Mi sento stressato per te Frank.”
 
-“Preferisco finire il prima possibile e poi rivedere il tutto in vista dell’esame, lo sai.”
 
-“Cose che dovrei fare anche io ma che non faccio mai.”
 
-“Oh, ma voi eravate usciti, scusa ma non ci avevo ripensato. Ti richiamo domani magari, salutami Bob.”
 
-“No, no, non siamo più andati da nessuna parte alla fine perché Bob non si sentiva bene. E poi ti ho chiesto io di chiamarmi appena potevi, volevo solo dirti se domani sera ci facciamo una delle nostre maratone di film, di quelle proprio epiche.”
 
-“Certo! Cazzo, Mikey, quanto tempo che non ci facciamo una maratona cinematografica!”
 
-“Lo so! Quindi deciso?”
 
-“Va benissimo!”
 
-“E senti…ma che era successo con Gee?”
 
Frank ebbe l’impulso di riattaccargli in faccia, invece sospirò e si passò una mano tra i capelli.
 
-“Niente, sai come fa a volte, no? Mi ha riposto a merda. E io me la sono presa a male e ci siamo risposti a cazzo a vicenda. Poi lui mi ha lanciato quella frecciatina sul gruppo e mi sono incazzato davvero.”
 
-“Sì, è un po’ che fa lo scorbutico, lo so. Senti, per favore lascia stare e non te la prendere troppo, è un momentaccio.”
 
-“Oh…uhm, qualcosa di brutto in famiglia?”
 
-“No, non ti preoccupare, è solo che ha alcuni problemi e non ne vuole parlare.”
 
-“Mikey. Così mi fai stare in pensiero. Già mi sentivo un po’ in colpa, adesso mi fai stare proprio di merda.”
 
-“No Frankie, non è niente, non ne parla perché è orgoglioso. Gliel’ho dovuto far dire a forza che cazzo aveva. Ma non farci troppo caso se fa lo stronzo, per favore.”
 
L’angoscia sembrò cominciare a fare le trecce con il suo intestino.
 
-“Mh…va bene…”
 
-“Quindi domani film?”
 
-“Sì!”
 
-“Bene, poi decideremo i film domani pomeriggio.”
 
-“Perfetto. Ehi Mikey, scusami ma sono distrutto e ho troppo sonno. Ti devo proprio lasciare, buonanotte.”
 
-“Buonanotte Frankie, ci sentiamo.”
 
Quella notte, nonostante la reale stanchezza, non raggiunse il sonno con facilità.
Si girava e rigirava nel letto, in preda ad una sorta di vago timore insensato ma opprimente, senza afferrarne l’origine.
Aveva a che fare con Gerard.
Sicuramente non è niente, è solo che mi manca e lui mi sta ignorando.
 
‡†‡
 
Sbucavano dalle fessure.
Ogni tipo di fessura.
Dalla porta e dalla finestra.
Attraverso lo spioncino e il vetro, per poi raggrumarsi in ombre invisibili e vegliarlo da orbite senza pupille.
Più per bisogno fisico che per forza di volontà, Gerard riuscì a immergersi appena sotto alla superficie del sonno, ma si sentì come strattonato e rilasciato con noncuranza contro il letto da mani vuote.
Le palpebre si rifiutavano alla necessità di abbassarsi, scoprendo un paio di occhi sbarrati sullo sfondo sempre più esangue della pelle sgualcita, seppelliti in due profonde pozze indaco.
Assomigliavano più a dei lividi, e di lividi si trattavano, oltre il velo ingannatore della visibilità.
Ave o Maria, piena di grazia
Il signore è con te
Ma sei così debole Gerard.
Così debole.
Solo.
Tu sei benedetta fra le donne
Le donne Gerard, le hai mai guardate le donne?
Ne hai mai desiderata una nella tua vita?
No, Gerard, mai.
E benedetto è il frutto del seno tuo Gesù
Il seno Gerard, a te non piacciono i seni.
Non ti piacciono le sinuose curve delle donne.
Gerard, lo scopriranno tutti.
Sapranno che menti.
Un sacerdote corrotto.
Bugiardo.
Dove andrai, tutto solo, quando lo sapranno?
Santa Maria, madre di Dio
Prega per noi peccatori
Peccatore.
Sei uno sporco peccatore.
Meravigliosamente indegno.
Peccatore.
Peccatore.
Indifeso e sudicio.
Dio sa a cosa pensi.
Lui lo sa e ti vede.
La puzza putrefatta della tua sporcizia arriva fino all’inferno.
Adesso e nell’ora della nostra morte
Amen
 
Ave o Maria, piena di grazia
Hai perso la tua di grazia.
Il Signore è con te
Il Signore non è più con te.
Tu sei benedetta fra le donne
E benedetto è il frutto del seno tuo Gesù
Ti sentiresti meglio a ingoiare il seme dei membri infernali, Gerard?
Saranno lì tutti per te.
Falli demoniaci ti daranno ciò che vuoi e non avrai la voce per urlare.
Dio ti ha abbandonato.
Sei solo, come sei sempre stato.
Santa Maria, madre di Dio
Prega per noi peccatori
Adesso e nell’ora della nostra morte
Amen
 
Ave o Maria, piena di grazia
Il Signore è con te
Tu sei benedetta fra le donne
E benedetto è il frutto del seno tuo Gesù

Santa Maria, madre di Dio
Prega per noi peccatori

NESSUNO ASCOLTERÀ LE TUE PREGHIERE.
Adesso e nell’ora della nostra morte
Amen

 
Ave o Maria, piena di grazia
Il Signore è con te

Tu sei benedetta fra le donne
E benedetto è il frutto del seno tuo Gesù

SCIOCCO, NON HAI LA FORZA PER PREGARE, SEI DEBOLE E FETIDO.
DIO TI HA LASCIATO DA SOLO E NON TI AMA, NESSUNO TI AMA, NON SEI DEGNO DI AMORE.
IL TUO SIGNORE NON TI HA MAI AMATO.
VIVI NELLA MEZOGNA DI QUELLO CHE NON SEI.
LORO LO SAPRANNO E PERDERAI QUEL POCO CHE NON TI SEI MAI MERITATO.

SANTA MARIA, MADRE DI DIO
PREGA PER NOI PECCATORI
ADESSO E NELL’ORA DELLA NOSTRA MORTE
AMEN

 
Il frastuono lacerante e acuto di migliaia di vetri infranti si riprodusse per intoccabili eternità nelle sue orecchie, nel suo cervello e dentro ai suoi occhi.
Non era nulla che questo mondo sarebbe stato capace di offrire.
Eterno, vuoto, rotto dall’interno, colmo di una solitudine che era oltre la solitudine degli infiniti spazi dell’universo immersi nel nulla.
Oltre ogni cosa di mortalmente conoscibile.
Gerard ne provò disgusto e repulsione, terrore.
I suoi incubi da quel momento in poi, e di questo era sicuro, avrebbero preso forma dall’orrore di finire intrappolati in quella disperata disperazione squarciata dal nulla, che restando nel silenzio strideva come vetro infranto e senza voce.
Era buio sotto le espansive luci artificiali dei lampadari, e il buio gli toglieva ancora una volta il respiro.
Guardò la Bibbia che teneva stretta contro il cuore, con quanta più umana intensità potesse, e allungò dolorosamente il braccio.
Tutto gravava su di lui come macigni d’oltretomba appesi all’anima.
Ora il ripetitivo suono vibrante echeggiava nella stanza e sembrava un urlo di opaco orrore.
 
-“Pronto…”
 
-“Mikey…Mikey vieni…qua…corri…”
 
-“Arrivo, arrivo! Respira Gee, respira. Calma.”
 
-“Corri…mi prendono…mi prendono…”
 
-“Non ti prenderà proprio nessuno. Dai insieme: Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra.
 
-“Dacci…o-o-oggi…il…n-n-n-nostro…non…riesco…a…parlare…”
 
-“Okay, okay. Tranquillo. Prego io. Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo! Ne hai parlato con Padre Ray?”
 
-“No…ma…co-o-orri…ti…”
-“Sono appena salito in auto, tieni il telefono vicino, va bene? Parlo io. Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai  nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen. Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai  nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen. Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai  nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen. Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra. Dacci oggi il nostro pane…”
 


Allora.
1) Se non l’avete riconosciuta, la canzone dalla quale ho tratto l’incipit del capitolo e il nome stesso è Devil’s Choir dei Black Veil Brides, vi consiglio di ascoltarla, sia per la bellezza, sia perché vi aiuterà molto ad entrare nel mood giusto per questo capitolo e un po’ la storia in generale. (Non ascoltavo i BVB da qualcosa come due anni lol, ho recuperato ascoltandoli per tipo una settimana intera in loop ed è stato il background della mia ispirazione).
2) Questa è la prima volta che scrivo qualcosa di vagamente horror/paranormale, per quanto sia il mio genere preferito in praticamente tutto (daddy Stephen King über Alles), e mi farebbe davvero troppo piacere sapere cosa ne pensate sinceramente, se dovete criticare ben venga, anzi, meglio.
3) Scusate il ritardo assurdo ma tra la scuola e l’ansia e le paranoie su quanto faccia schifo il capitolo mi hanno trattenuta.
4) Fatemi sapere possibilmente cosa ne pensate in generale.
5) Vi amo tutti♥
 

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Capitolo 4
*** We are the unholy ***


4. We are the unholy


Fu una tiepida notte afflitta da tormente e burrascose afflizioni anche nel letto di qualcun altro.
Frank, nella surreale realtà dei sogni, si trovò in un luogo alquanto familiare, seppur ora oscuro e come nascosto.
Era notte, e lo comprese dal momento in cui l’atmosfera notturna si era insinuata nel tetto dell’edificio in cui si trovava, causandogli un lieve timore.
Vi era qualcosa in quel luogo che si nascondeva da lui, e mentre osservava il buio debolmente illuminato dalla coscienza onirica, riconobbe le maestose mura della Chiesa e i suoi rumori echeggianti nel vuoto silenzio.
Le antiche scritture latine davano l’impressione di vibrare nella notte interiore del luogo, mentre ciò che ad un tratto lo colpì, con il retrogusto dolciastro dell’angoscia, furono i dipinti, gli affreschi, e persino il crocefisso accanto a lui, sull’altare, voltati di spalle.
File di angeli e santi raffigurati nelle tele e nelle pareti, dipinti di spalle, le aureole distorte in un vago tentativo di essere replicate dal subconscio, le schiene scure, diritte, marcate, puntate contro di lui.
Allora Frank capì.
Quel sentimento desolante del non esser degno.
Di  non esser degno di venir guardato da tali sguardi sublimi.
Celavano i loro occhi compassionevoli e inebriati di santità, celavano e rinunciavano anche a quei loro lineamenti accusatori, inclini alla grave solennità del Cielo.
E Frank, come Adamo ed Eva, si accorse tardi, troppo tardi, di esser nudo.
Al centro dell’altare, spogliato d’ogni abito, di ogni diritto caritatevole, di ogni giustizia, nudo nei suoi segreti più celati.
Aveva rubato il frutto proibito e ora si rese conto di esser nudo, pudico di se stesso, di chi era.
Fu così, temendo con lo sguardo le brune panche, crudeli spettatrici senza voce, nude come lo era lui, che gli si presentò all’improvviso chiaro e nitido, quasi evanescente, ciò che dapprima si stava nascondendo da lui.
Lo aveva spiato nella sua timida nudità peccaminosa e ne aveva malignamente riso, o meglio lo aveva deriso, inspirando con trepidante attesa l’invitante odore del peccatore scovato.
Non era chiaro, nel suo sogno, cosa fosse quel gusto così sadico e ambiguo che ora puntava sul suo corpo roseo ed esposto, un’accusa e un desiderio insieme, un desiderio reciproco ma umiliante solamente per Frank.
Nei suoi contorni ora vividi, Gerard lo guardava con sprezzante maliziosità, disgustato eppure attratto, indeciso egli stesso, se voler provenire dal paradiso o dall’inferno.
Il suo rosario vermiglio intrecciato alla mano, e il sorriso compiaciuto di chi sa trovare il bello nel perverso.
Frank, in sogno, poteva percepire tuttavia che il sacerdote era furibondo.
Il collarino riluceva di un candore meraviglioso, che sembrava alimentare il pudore intimorito di Frank.
Gerard lo studiava nei punti più vergognosi e in quelli per cui Frank provava più mortificazione, lo studiava e leggeva nella sua pelle tutti i suoi desideri, apprendendo così ogni sfumatura emotiva del ragazzo.
Leggeva e sapeva.
Frank vedeva in lui una certa nausea soddisfatta e appagata che lo fece vergognare maggiormente.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non esser nudo agli occhi indagatori di Gerard.
Gerard infine si alzò, come oltraggiato, ma in procinto di avvicinarsi a Frank con decisione e una folle felicità, allorquando Frank notò di come le sue sensazioni e i suoi desideri fossero premuti, carnalmente, contro il suo stomaco, caldi, umidi, e pulsanti.
Si svegliò col timore di essere osservato e di non indossar più nulla.
 
‡†‡
 
Uscendo di casa quella sera Frank si sentì avvolgere da una strana atmosfera, particolare.
Non avrebbe saputo definire quella sensazione, né avrebbe saputo dire se fosse bella o meno, ad un certo punto credette persino che non fosse reale, o meglio, che lui stesso non lo fosse.
Guardando dritto davanti a sé e camminando piuttosto lentamente, quasi per rubarsi quanto più tempo possibile per assaporare quell’aria surreale, notò quel particolare brulicare della pelle che da sempre lo sorprendeva ogni qualvolta che il cielo allestiva il palcoscenico per lo spettacolo degli astri notturni.
La scenografia arrossiva leggermente all’orizzonte, mentre più in alto già iniziavano a stendersi drappeggi di zaffiro, appuntati sul fondale dalle prime stelle serali, ed era nella carezza sfumata tra i due colori che veniva solleticata l’anima di Frank.
In realtà il crepuscolo lo coglieva in quel limbo dalle sembianze oniriche soltanto in alcune particolari quanto vaghe occasioni, solitamente quando riusciva a percepire vicina l’estate o quando la stagione estiva era nella sua piena fioritura, e al ragazzo il mondo odorava d’infanzia.
Fluttuando nell’effervescenza di quel tramonto così etereo, troppo lontano da qualsivoglia costrizione terrena, aveva come l’impressione di osservare ciò che lo contornava per la prima volta, come se vi fosse stato appena sospinto da una mano divina.
Eppure, allo stesso modo, sentiva un gorgoglio nell’animo che gli sussurrava di aver vissuto in quell’iperuranio emotivo per tutta la sua vita e che avrebbe continuato a esistervi per sempre.
Era ad un passo dallo sciogliere il suo ultimo addio a quel mondo straniero laminato di realismo  della quale esistenza, per assurdo, non credeva più, quando il suo sguardo cadde sull’esile figura di una donna coi capelli raccolti appoggiata alla ringhiera posta davanti all’entrata principale della casa di riposo.
Di tanto in tanto vagava con gli occhi verso la strada alla sua sinistra, su entrambe le direzioni principali e anche verso il vicolo secondario che vi sboccava, poi si voltava appena come a controllare gli altri due vicoletti dalla parte opposta.
Tornava infine a protendersi, sorretta dallo corrimano, verso il minuscolo giardinetto rannicchiato ai piedi delle scale dell’ospizio, col capo candido rivolto agli arbusti ancora privi di fiori, curva e malinconicamente dolce come i rami di un salice piangente, con l’aria di chi sa di gettare la propria speranza nella vanità ma che si ostina nella bellezza di un fiore che potrebbe sbocciare.
Frank non sarebbe stato capace di distinguere il sentimento in quel volto con certezza, forse era soltanto uscita a respirare il calore dell’aria primaverile, o forse era una sua peculiarità l’avere quell’espressione leggermente rabbuiata, ma nessuna di queste possibilità riuscì a dissuadere quella certezza di solitudine e abbandono che aveva stretto il cuore del ragazzo.
Cambiò direzione e decise all’ultimo di allungare il tragitto, così da dover attraversare il parcheggio e da dover passare sotto le scale della casa di riposo.
Sorrise.
 
-“Buonasera!”
 
-“Buonasera a te! Ma che bel ragazzo.”
 
Le regalò un altro timido sorriso e voltò l’angolo, sentendosi un po’ meglio, ma ormai troppo lontano dal suo idillio crepuscolare e con il pensiero di quell’anziana signora nell’animo.
 
‡†‡
 
Mikey lo stava aspettando in maglietta e pantaloni di cotone, segno che era pronto a restare rinchiuso in casa per tutta la  notte e, possibilmente, senza doversi più alzare dal divano.
Casa Way era un luogo così familiare per Frank che invece di salutare e di aspettare di sentirsi rispondere corse direttamente ad abbracciare la padrona di casa.
 
-“Ho fatto la pizza, spero che siate tutti contenti.”
 
-“Più che contenti!”
 
-“Allora? Come va, Frankie?”
 
Cominciarono a sistemarsi a tavola chiacchierando del più e del meno, e una volta tornato il signor Way, Donald, erano ormai pronti per iniziare a cenare.
 
-“L’eremita pensa di scendere a mangiare o devo avere un permesso speciale per averlo a tavola?”
 
Frank si sentì improvvisamente a disagio, come se fosse stato tradito.
Mikey era a conoscenza della sua discussione con Gerard e non lo aveva avvertito della sua presenza in casa quella sera?
 
-“Lascia stare ma’, si è addormentato e non credo voglia essere svegliato.”
 
-“Per una volta che viene qui e possiamo finalmente mangiare tutti insieme lui che fa? Dorme.”
 
Mikey fece spallucce e sembrò dire qualcosa che Frank non comprese, probabilmente qualcosa sul portare pazienza da quel poco che aveva capito.
Donald scosse la testa ridacchiando.
Mentre Donna Way era combattuta riguardo all’alzarsi e andarlo a svegliare o lasciar correre, il ragazzo lanciò uno sguardo interrogativo all’amico, cercando di non mostrare altro se non curiosità, e senza che Mikey potesse leggergli negli occhi l’infantile sensazione di tradimento che lo aveva pervaso.
Mikey si affrettò a rispondergli con un “Dopo” appena sussurrato, ansioso di cambiare discorso e distrarre la madre.
 
-“Mamma, credo che quella al prosciutto ti si sia cotta un po’ troppo, sai?”
 
†‡†
 
-“Ti dispiace restare in salotto? Gerard si è addormentato in camera mia e non vorrei svegliarlo…”
 
-“Tranquillo, a me va benissimo.”
 
-“Non pensavo che si addormentasse e che p-”
 
-“Mikey, questa è casa tua, e quello è tuo fratello, non devi giustificarti con me della sua presenza soltanto perché io e lui abbiamo avuto un battibecco.”
 
-“Lo so, lo so. Siete due idioti, comunque. Davvero.”
 
Frank si limitò a sorridere e a fingere leggerezza e indifferenza, mentre il sentore amarognolo che aveva provato durante la cena si stava dissolvendo in una pacata serenità di coscienze trasparenti.
-“Vado un attimo a controllarlo.”
 
Quelle semplici parole stonarono in una maniera vaga ma acuta nella distrazione di Frank.
Si raddrizzò da sopra il divano sul quale era sprofondato come improvvisamente colpito da qualcosa.
L’angoscia di cui si era persino quasi dimenticato tornò a risvegliarsi nelle sue viscere, forse dal tono ambiguo della voce di Mikey, forse da quel particolare senso istintivo e profetico che talvolta avverte e sollecita l’animo umano quando questo si trova ai margini di un’ invisibile minaccia.
Senza proferire parola, Frank seguì l’altro ragazzo verso il piano superiore, ignorando il suo orgoglio che temeva di avere un confronto, o piuttosto uno scontro, faccia a faccia con Gerard e decidendo di fingere di aver dimenticato la loro discussione, almeno per il momento.
Desiderava soltanto vederlo e avere la certezza materiale che stesse ancora bene, per placare se stesso, i suoi sensi di colpa e la sua irrequietezza.
C’era qualcosa che nell’atteggiamento di Mikey, nel modo in cui parlava e giustificava il fratello, in ciò che gli aveva raccontato al telefono, che lo aveva messo irrimediabilmente in un limbo di incertezze ansiose e impalpabilmente angoscianti.
Eppure Gerard era lì, dormiente e scomposto in una posa innaturale che lo rendeva simile ad una bambola appoggiata e poi dimenticata nel suo lettino di plastica, dando l’impressione di essere caduto nel sonno per sbaglio e senza alcuna intenzione.
Attraverso lo sbocco di luce proveniente dal corridoio Frank riusciva a scorgere nitidamente il contorno della figura del sacerdote, disteso riverso a pancia in giù e con le gambe come slegate dal resto del corpo, le braccia erano l’una ripiegata malamente accanto al busto e l’altra imprigionata sotto la testa, il viso protetto tra il cuscino e l’incavo tra il polso e il palmo della mano.
Le dita di quest’ultima erano ripiegate su se stesse e si intrecciavano al disastro corvino della sua chioma, come se Gerard avesse voluto accarezzarsi da sé, in un gesto di egoistico affetto.
Più Frank lo guardava più assomigliava ad un burattino che si era intrecciato sui suoi stessi fili e di cui nessuno aveva più avuto la pazienza di districarglieli.
Indossava abiti comuni.
Nel momento in cui la coperta si era appoggiata sulla sua vulnerabile figura, Frank notò la delicatezza silenziosa con cui Mikey gliel’aveva stesa sopra.
Era una di quelle vecchie e calde coperte fatte ai ferri, piene zeppe di scacchi e piccoli ricami di tutti i colori, accostati l’uno all’altro in un tiepido disordine materno e incoerente che riesce a riscaldare il cuore, ancor prima che il corpo.
La riconobbe subito.
Mikey la teneva sempre ai piedi del letto.
I colori sgargianti della lana donavano un particolare effetto di buffa dolcezza al sonno contorto del giovane, così remoto nel suo abbandono, eppure così sereno in tutto il suo immobile travaglio.
Frank aveva osservato la scena dall’arco della porta e non avrebbe saputo dire se le sue preoccupazioni si fossero improvvisamente dissolte o se si fossero al contrario inasprite al punto tale da non percepirle affatto.
Mikey era restato fedele come a un giuramento segreto e aveva mantenuto la parola data, e l’altro ragazzo si torceva nel profondo, sapendo che un tacito consenso, dal quale era escluso, aleggiava nell’aria.
Fu tentato di suggerire di spostare almeno il capo del sacerdote, o anche di provare a sistemarlo in una posizione più confortevole e meno dislocata, ma decise di trattenere i suoi pensieri allorquando comprese quanto Mikey temesse che Gerard si svegliasse.
Gli tornarono alla mente i solchi violacei e gli occhi scontrosi del sacerdote l’ultima volta che si erano incontrati, e senza un motivo razionale, anche Frank cominciò a sperare che continuasse a dormire.
Scesero nuovamente le scale in silenzio, e soltanto quando sentì la morbidezza del divano in soggiorno coprirgli la schiena che si ritenne lontano dall’incantesimo e finalmente libero di parlare.
 
-“È un po’ che sono preoccupato per Gee, lo trovo molto stanco e nervoso e… Mi sento in colpa. Non lo so Mikey, anche tu… Ti comporti in modo strano con lui e sei vago, non-”
 
-“Calma Frank, non essere paranoico. Gerard è solo stanco e ultimamente ha problemi di insonnia, cosa strana conoscendolo perché non è mai stato un suo problema questo, lo so. Probabilmente si è lasciato condizionare da tutti gli impegni e lo studio dell’ultimo periodo, gente che lo chiama a ogni ora e che lo scambia per uno psicologo, comincia a sentire il peso del suo ruolo, la responsabilità che ha. Quando è a casa sua fa le ore piccole per studiare perché dice di non riuscire a dormire, poi la mattina è intrattabile. Sono contento che si sia addormentato e che ora recuperi un po’ di sonno, tutto qui. Non preoccuparti.”
 
Il sorriso sembrava sincero e sbrigativo, uno di quelli veloci che si fanno per le faccende di poco conto.
 
“Comunque, gli dispiace per quel piccolo litigio con te.”
 
-“Anche a me…”
 
Lo sussurrò con poca convinzione nella voce e nella mente, e non perché non intendesse seriamente quelle parole, ma perché non era poi così certo di volerle dire.
In ogni caso, ormai avevano già scavalcato l’incertezza delle sue labbra.
 
-“Quale film vediamo per primo?”
 
‡†‡
 
Soltanto la tranquillità ininterrotta della tarda mattinata poteva disturbare il vuoto sonno dei due ragazzi.
Frank si risvegliò riposato ma confuso in un primo momento, ritrovandosi malamente disteso su un divano non suo.
Quando lo sguardo gli aprì la visione di un Mikey nelle stesse condizioni, raggomitolato e ossuto contro i cuscini, ricordò di aver dormito a casa degli Way e che l’ultima cosa che credeva di aver visto prima di addormentarsi era stata la faccia di Will Smith.
Lui aveva avuto la fortuna di aver passato la notte sulla penisola, mentre l’amico si era accartocciato all’angolo opposto, nonostante avesse avuto a disposizione tutto lo spazio, e solo in quel momento si accorse di quanto fosse effettivamente enorme quel divano.
Si mise a sedere, la televisione era stata spenta da qualcuno ad un certo punto della notte o della mattina, probabilmente da Donna, e prese a tirare l’orlo dei pantaloni di Mikey e a punzecchiargli la caviglia.
 
-“Sì, sì, sono sveglio, un attimo…”
 
-“Ti dispiace se vado in bagno intanto?”
 
-“Fai come se fossi a casa tua e bla bla bla.”
 
E sbadigliando, senza aver aperto gli occhi nemmeno una volta, si raggomitolò peggio di prima.
 
Ebbe tutto il tempo di sciacquarsi il viso, di tornare a prendere le sue cose dallo zainetto per lavarsi i denti e addirittura di darsi una veloce sistemata ai capelli, usando il primo pettine che gli era capitato sotto mano.
Indossava gli abiti della sera prima ma non sembrava fossero ridotti così male.
Quel bagno al primo piano di casa Way lo aveva visto migliaia di volte, eppure sembrava diverso.
Donna amava risistemare e cambiare l’ordine degli oggetti o il colore delle tende molto spesso, e Frank si stupiva, dall’aspetto costantemente perfetto di tutta la casa, come avesse potuto crescere un figlio così accanitamente indisposto nei confronti dell’ordine come Gerard.
Mentre si guardava allo specchio, in quella stanza un po’ troppo illuminata per poter nascondere alcune piccole imperfezioni del suo viso attraverso il riflesso, osservò attentamente, come se sperasse che così avrebbe smesso di prudere, la ricrescita leggermente ispida della poca barba che aveva, e il suo abbigliamento in qualche modo tanto curato quanto trasandato, in qualche modo.
Uscendo vide Mikey scendere le scale, improvvisamente del tutto sveglio, con vestiti diversi.
 
-“Andiamo a fare colazione, nanetto?”
 
-“Va bene.”
 
Anche se non aveva poi così fame e si era anche spazzolato i denti, ma per uno come lui abituato ad una tazzina di caffé e via, fare colazione rappresentava da sempre l’inizio di una giornata speciale, qualcosa che faceva soltanto in occasioni particolari.
Lui e sua madre facevano sempre colazione insieme durante le vacanze, tutte le mattine.
E poi anche lui e Gerard quando d’estate andavano nei campi scuola a fare da animatori.
 
-“Credo ci siano dei biscotti al cioccolato, mh, ora vedo…”
 
Ma entrando nella cucina inondata dalla luce naturale, come se galleggiasse sulla superficie del sole, videro un vassoio colmo di cornetti, e subito la scura massa scompigliata dei capelli di Gerard, intento a guardare fuori dalla finestra con una tazza troppo schiumosa di cappuccino in mano e lo sguardo distratto in tutta la sua concentrazione, una di quelle espressioni tipiche del sacerdote che rendevano impossibile indovinare se stesse semplicemente ammirando il paesaggio o se stesse nel cuore di una profonda riflessione.
Si girò verso di loro dopo qualche secondo come se lo avessero colto di sorpresa nel fare qualcosa che avrebbe voluto tenere nascosto, nonostante doveva pur aver avvertito il loro ingresso nella stanza.
Il suo sguardo e quello di Frank si incrociarono per un istante, ma tornò subito nella sua contemplazione della strada oltre il vetro, sorseggiando il cappuccino.
Frank invece avrebbe voluto parlargli con gli occhi, o meglio urlargli, insultarlo forse, almeno silenziosamente, dicendogli di tutto un po’, dalla sua angoscia alla sua rabbia, dal suo dispiacere alla sua risolutezza, soltanto tramite lo sguardo.
 
-“Gee, li hai presi tu?”
 
Gerard annuì, senza però guardare il fratello, e prese un altro sorso.
 
-“Volevo rimediare con mamma, e visto che ero lì ne ho presi un po’ per tutti…”
 
Fece per avvicinare il cartoncino della bevanda d’asporto alle labbra, e queste tremarono silenziose per un istante, in un balbettio senza parole, finché finì la sua breve spiegazione.
 
“… e due sono alla crema.”
 
Un altro sorso.
Forse credeva che bere quel cappuccino fosse la scusa perfetta per evitare di partecipare a qualunque realtà scomoda che avrebbe altrimenti dovuto affrontare in quella stanza.
Frank avrebbe voluto sorridere ma non lo fece.
E due sono alla crema.
Soltanto una persona preferiva i cornetti alla crema a quelli al cioccolato.
Alla fine però, un sorriso quasi gli uscì lo stesso dalle labbra.
Sussurrò un grazie più incolore possibile, non volendo cedere così facilmente, ma Gerard non reagì in nessun modo, se non sorseggiando ancora.
Forse per colpa della brillante luce del mattino inoltrato che colmava la cucina proprio da quella finestra, Frank si accorse solo in un secondo momento che indossava i suoi abiti sacerdotali.
Lo avvolgevano come se non vi fosse dentro, ma come se fossero quelli ad appoggiarsi sulla sua pelle, il collarino un piccolo spicchio di candore su quel collo teso verso la luce del sole, ormai alta e dominante su di loro.
Portava con sé un qualcosa di sacro e ineffabile, un’impronta di santità inconcepibile dalla semplice ragione, sciolto in quell’ abbraccio luminoso che minacciava di dissolverlo in puro spirito da un momento all’altro.
 
-“Scusate, devo andare.”
 
Lasciò inevitabilmente il cartoncino della tazza da asporto del cappuccino abbandonato sul davanzale, e finalmente riuscì a rivolgersi direttamente verso di loro.
Sia Frank che in particolar modo Mikey lo trovarono in condizioni migliori che negli ultimi giorni.
I solchi violacei sotto ai suoi occhi si erano notevolmente sbiaditi.
Indugiò un momento in direzione di Frank, evitando comunque di far incontrare i loro occhi, per poi donare la sua totale attenzione al fratello minore.
 
-“È il primo giovedì di maggio, quindi…”
 
Forse pensava che Frank se ne fosse dimenticato, o peggio che per le loro incomprensioni non si sarebbe presentato all’incontro con i bambini.
Mikey annuì come se la frase fosse stata realmente diretta a lui e si alzò ad abbracciarlo.
Non che i fratelli Way avessero mai fatto un segreto del loro forte legame, ma per qualche motivo il gesto turbò Frank.
Credette di essere lo spettatore inerme e inconsapevole di qualcosa che lo preoccupava ma che non gli era concesso di sapere.
Fece finta di nulla e paradossalmente si mise a bere il proprio latte, vergognandosi di come ora era lui quello che credeva di potersi estraniare dalla situazione in quel modo.
Credette di aver sentito Mikey sussurrare qualcosa all’orecchio del fratello maggiore, ma non ne era sicuro, poteva essere stata solo una sua impressione.
 
†‡†
 
Non si sentiva così piccolo da molto tempo, ma ora, seduto su quella panca scura col rosario celeste di sua nonna arrotolato in un pugno e il dipinto della Vergine che sembrava rimproverarlo con tristezza, si rese conto di quanto fosse stato immaturo.
O di quanto fossero stati immaturi, per la precisione.
L’angoscia non se ne era andata, ma in fondo si era convinto che non poteva essere accaduto nulla di male.
Era in anticipo di almeno tre quarti d’ora e l’aveva fatto con tutta l’intenzione.
Specialmente in momenti di ansia e agitazione, preferiva essere il primo a trovarsi in un luogo.
Immaginò il momento in cui sarebbe giunto Gerard, probabilmente ora occupato in sacrestia o intento a leggere nello studio.
Non sapeva esattamente come mai si sentisse in quello stato, se per la piccola incomprensione con l’amico o se per quel sentimento di preoccupazione frustrata, che come uno spettro sotto al letto pareva manifestarsi e terrorizzare soltanto a lui.
Il primo giovedì del mese di maggio e il rosario coi bambini.
Non credeva molto a quel tipo di usanze prettamente cattoliche e tradizionali, ma credeva fermamente nell’oasi di pace e sicurezza che stavano cercando di costruire, giorno dopo giorno, per tutti i ragazzi.
Talvolta gli capitava di ridere leggermente di sé, riflettendo in modo sarcastico di quanto fosse effettivamente un chierichetto, come usava chiamarlo Mikey.
Eppure lì era diverso.
Non avrebbe saputo spiegarlo, ma lì era diverso.
Gerard, come sempre più spesso accadeva, probabilmente avrebbe iniziato a spiegare e a illustrare tutte quelle sue idee progressiste e innovative riguardo alla posizione che la Chiesa avrebbe dovuto prendere, un approccio più spirituale e mistico che tradizionale e rituale.
Avrebbe proseguito in un monologo appassionato per ore e ore, forse per giorni, su come credeva che le cose “lassù” funzionassero davvero, tutto quel suo bagaglio filosofico-teologico personale che non faceva altro che procurargli grane con Padre Giordano ma che si ostinava a difendere con tutto se stesso e tutta la sua testarda tenacia sin da quando era ancora un novizio.
Bagaglio grazie al quale l’oratorio era sempre così affollato, nonostante Gerard non fosse una di quelle personalità particolarmente inclini all’estroversione e al ruolo di profeta delle genti.
Erano le persone che si riconducevano in modo naturale a lui, riuscendo ad amarlo semplicemente ascoltando la sincerità delle sue idee, spogliate dai filtri della tradizione cattolica, e dalla bontà del suo carattere timido e riflessivo.
A Frank, dal canto suo, che si era sempre ritrovato ad aleggiare nei meandri della Chiesa per pura adesione al pensiero del giovane sacerdote, piaceva semplicemente dire che lì era diverso.
Non aveva mai nascosto la sua ideologia ostile e ribelle nei confronti delle dottrine ufficiali, né che la sua presenza fosse dovuta a quell’atmosfera di familiare imponenza, anziché di impersonale autorità, che con la sua visione Gerard era riuscito a infondere, nonostante le critiche dei più anziani e soprattutto nonostante i paterni rimproveri di Padre Giordano, che, tuttavia, in un certo qual modo lo sosteneva e lo appoggiava.
Soltanto un fatto era rimasto gelosamente taciuto nel suo animo, ma i suoi sentimenti per Gerard erano un mondo troppo remoto e pudicamente nascosto per trovare una loro rilevanza in quel contesto.
Sentì il ricordo del sapore della crema accarezzargli il retro delle papille gustative e come una delicata mano che avesse iniziato a sfiorargli la guancia per poi schiaffeggiarlo in un gesto inaspettato, provò una sensazione di irrimediabile tristezza senza fine.
Alzò gli occhi e Maria ricambiò il suo sguardo, malinconica e dolcemente sofferente.
Non avrebbe saputo dire se lo stesse ammonendo o se lo stesse al contrario comprendendo.
Vi lesse tuttavia una lieve stonatura di compassione, come se credesse di non esserne abbastanza degno.
Si chiese, ancora una volta, se Lei fosse a conoscenza di tutto ciò che provava per Gerard.
Si chiese anche se Lei avesse avuto la premura di insinuarsi in qualunque fosse il turbinio che sembrava avvilupparsi tetramente nella mente labirintica del sacerdote.
Pensò all’episodio per colpa del quale era nata la loro infantile resistenza nei confronti dell’altro, rivivendo quel momento con quanta più intensità fosse capace.
Rivide quello stesso Gerard dallo sguardo corrosivo e immerso in una stanchezza irritata, quelle mani calde aggrovigliate nel vermiglio scuro del rosario, quella posa supplice e umile sull’inginocchiatoio, col capo chino e nervosamente assorto, portata con una vena di impertinente superiorità.
Se lo figurò ardentemente e con una punta di rabbia nel basso ventre.
Era consapevole del perché quel semplice evento quella mattina lo aveva condotto ad una tale collera, la stessa che in quel momento, ripensandoci, tornava a premere sulle sue viscere.
Conosceva il reale motivo di quel furore, di quell’impotenza disarmante e disgustosa che raschiava e feriva le sue interiora nel desiderio furibondo di baciare Gerard, ferendolo così con la medesima impertinenza.
Una crudele meschinità denudata da qualsivoglia ipocrisia lo premeva contro se stesso, lo spingeva violenta ad affrontare il suo stesso volto peccatore, quasi a ripulire tutti i suoi sensi di colpa e insieme ad accentuarli, contornandoli, incandescenti ma provocanti.
Quell’animalesca ira segreta che forse era la prova del suo candore, lo sollecitava in quel modo intollerabile a desiderare l’amore dell’altro proprio quando questo veniva meno alla sua sacra aurea di intoccabile santità.
Fu allora che cominciò a sostenere il peso di ogni sguardo raffigurato intorno a sé.
Grave, accusatorio, dispregiativo, accanito.
Ebbe l’impressione di percepire il legno delle panche oscurarsi, l’illuminazione già tenue affievolirsi, e l’aria fresca dei marmi farsi gelida nella sua anima.
Inconsciamente si portò, ad un passo dal rabbrividire, un po’ più vicino al suo amato dipinto della Madonna Addolorata, incapace di sostenere il suo viso colmo di dolore questa volta.
Strinse nel palmo della mano leggermente umidiccio il suo rosario ceruleo.
Percepì come la lacerante e affilata lama di una spada il desolante dubbio di aver recato ulteriore dolore a Lei.
Eppure, Frank da qualche parte del suo animo lo sapeva, lo stava amorevolmente cingendo tra le braccia, cullandolo il suo cuore velato di nubi e scacciando la tempesta prima che potesse dilagarsi in tuoni troppo assordanti da tollerare.
Intimorito e flagellato da tutti quegli occhi impassibilmente risoluti, udì un legnoso scricchiolio proveniente da un punto indefinito del suo stesso lato della navata, precluso al suo sguardo dalla parete rotondeggiante della cappellina in cui sedeva.
Si affacciò timidamente, aspettandosi di trovare qualche anziana signora o qualche vecchietto col berretto sotto il braccio.
Fu allo stesso tempo sollevato e imbarazzato di non essere stato solo.
Riuscì a scorgere Padre Giordano che usciva con aria stanca dal confessionale, soffermandosi per qualche momento in più accanto alla porta semiaperta, riaffacciandosi all’interno, come ad aggiungere qualcosa prima di andarsene.
Gli dava quasi le spalle e Frank non riuscì a spiare nessuna espressione dal suo volto.
Lo vide allontanarsi, costeggiando la navata centrale, con passo regolare e deciso, ma col capo chino.
Si domandò su chi potesse mai esserci, lì, nascosto e ignoto nel suo angolo da penitente dentro al confessionale, tanto riservato da non uscirne nemmeno dopo che se ne fosse andato il sacerdote.
Se lo chiese prima che la risposta più ovvia avesse l’opportunità di delineare nella sua mente.
Non era la prima volta che assisteva ad un fatto del genere, eppure  non cessava mai di rilasciare in lui un certo strano effetto, qualcosa di affascinante ma al contempo innaturale, raro.
E difatti, non molto dopo, vide un maremoto di ciocche da incubo, e l’andatura lievemente goffa di Gerard.
Il viso splendidamente afflitto, di una bellezza dolorosa e sofferta, come una Madonna Addolorata trafitta da sette spade, che si muoveva trascinando il peso morto delle sue flagellazioni.
 

Allora, chiedo immensamente perdono per il ritardo enorme, ma il tempo di una maturanda è poco, tanto poco quasi quanto la mia fiducia in me stessa, che mi porta a non essere mai soddisfatta e a deprimermi ogni volta che sento il capitolo come uno schifo.
Mi fa ancora schifo e fosse per me pubblicherei non so quanto per poter modificare e correggere, ma domani parto per la gita (yay) e mi ero ripromessa di aggiornare prima di partire, e quindi niente, eccolo qui. Sinceramente credo che avrei potuto fare di meglio, ma ormai è andata, se mi direste cose ne pensate ne sarei tanto tanto tanto felice.
Perdonatemi se non è all'altezza delle aspettative, mi auguro di aggiornare quanto prima il prossimo capitolo.
Un grazie ad Alby che tollera le mie pippe mentali e con la quale ieri, grazie a questo sito, ho festeggiato il nostro primo amiciziaversario, e qui non aggiungo altro perchè altrimenti finirei domani.♥♥♥

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Capitolo 5
*** You don’t know a thing about my sins ***


5. You don’t know a thing about my sins

 
Gerard si sedette all’estremità opposta della panca in cui si trovava Frank, con il viso talmente oscurato e assorto che quest’ultimo, per un momento, pensò di essere passato completamente inosservato agli occhi del giovane sacerdote.
Frank lo aveva cautamente osservato risalire con discrezione verso la cappellina laterale, e per un qualche motivo si sentì in imbarazzato, sia a causa dall’infelice scena cui aveva appena assistito, sia per i rapporti ultimamente conflittuali con Gerard.
L’altro, tuttavia, si era mostrato piuttosto abile nell’ignorarlo, con una nonchalance che sempre gli era appartenuta e che sempre aveva accompagnato il suo carattere burrascoso, una dote per lui e una maledizione per chi ne veniva eventualmente colpito, grazie alla quale riusciva ad affermare sfacciatamente la propria indifferenza, anche dietro ad un’espressione così sconfitta come quella che aveva dipinta in quel momento.
Eppure Frank sapeva bene, molto bene, che Gerard l’aveva notato, il punzecchio di uno spillo che viene spinto nella carne senza preavviso.
Quella scena gli riportò alla mente un episodio risalente a diversi anni prima, loro due su quella stessa panca, l’uno seduto all’estremità opposta dell’altro, entrambi a disagio e a loro modo colpevoli, con gli sguardi che temevano di incontrarsi e con la Vergine che li osservava dall’alto, malinconica e ammonitrice insieme.
Come se avesse udito il suo pensiero Gerard alzò improvvisamente il capo, volto alla materna figura che li sovrastava.
Cominciò a mordersi le dita intorno alle unghie e ad ingobbirsi, rannicchiandosi lievemente su se stesso.
Gesti che apparivano goffi e al limite del comico a vedersi sul corpo di quello che avrebbe dovuto essere ormai un uomo, un sacerdote per di più, la lunga e scura silhouette che si richiudeva protettivamente in una posizione quasi fetale e le grandi mani affusolate portate alla bocca.
Nervosamente, ora che Frank ci aveva fatto caso.
Un gesto da bambino che per un momento tradì quanto Gerard si sentisse perduto, in ogni significato e interpretazione che questo termine avrebbe potuto assumere nel vocabolario interiore di Frank.
Quando ad un tratto si volse, raddrizzandosi e congiungendo le mani in grembo, Frank distolse l’attenzione e guardò altrove.
Gerard si avvicinò scivolando lentamente verso di lui finché non si trovarono finalmente vicini, i loro gomiti che si sfioravano, e quello che Frank si trovò di fronte quando si voltò di nuovo verso di lui fu prima il volto composto di un parroco, al quale poi si aggiunse, subito dopo, anche quello vero e proprio di Gerard.
-“Quale penitenza devo soffrire affinché tu mi ritenga degno dell’assoluzione, Frank?”
Il sorriso era sghembo e sarcastico, ma allo stesso tempo timido e leggermente triste, come se fosse comunque memore di una sofferenza segreta.
Questa volta fu Frank a percepire la punta acuminata di uno spillo, dritta nel suo stomaco.
-“Portarmi cornetti alla crema pasticcera a colazione per una settimana intera potrebbe essere sufficiente. Anzi no, facciamo due settimane.”
-“Sono piuttosto mattiniero, dovrei svegliarti molto presto per portarteli.”
-“Oh no, ovviamente dovrai aspettare che io sia sveglio e ti chieda di andare a comprarmeli.”
-“Va bene.”
Si lasciò sfuggire una timida risata non appena si accorse del sorriso sulle labbra di Frank, per poi divenire bruscamente serio.
-“Mi dispiace… Devi scusarmi, sono molto nervoso in questi ultimi tempi e mi rendo conto di essermi comportato in modo davvero imperdonabile.”
-“Non ti preoccupare. Lo capisco. Hai molte cose a cui pensare e può capitare di av- “
-“No, Frank. Non può capitare.”
-“Sì che può capitare, sei solo… molto sotto pressione ultimamente… da come credo di poter intuire.”
-“No. Non ad un sacerdote.”
Lo disse con una risolutezza e una fermezza tali che Frank non poté fare altro che restarsene in silenzio, consapevole di non poter trovare una risposta immediata.
Quello che disse poco dopo defluì dalle sue labbra con la stessa forza improvvisa e irrequieta di un fulmine che appaia in cielo quando nessuno si aspetterebbe una tempesta in arrivo.
-“Sei un bravo sacerdote, Gerard. Lo sei davvero. Non so esattamente cosa ti stia mettendo così a dura prova di questi tempi e posso capire che sono questioni che non dovrei sapere, per quanto vorrei essere nelle condizioni di aiutarti, ma sono convinto che non ci sia nulla di male se ogni tanto ti lasci un po’ andare con qualcuno che conosci e con cui puoi permettertelo. Solo che… Ad essere sincero, parlando egoisticamente, devo ammettere che mi ferisce in modo particolare questo tuo modo di indirizzare sempre su di me le tue frustrazioni e i tuoi nervosismi, senza poi spiegarmi cosa c’è che non va. Da quando ci conosciamo, spesso mi è capitato di notare quanto io venga da te a confidarmi, a sfogarmi, a raccontarti di ciò che mi accade e dei dubbi che mi assillano, ma tu… Tu con me questo non lo fai mai, o meglio, quasi mai. So che probabilmente il ruolo che ricopri te lo impedisce, e so che non vuoi gravarmi con il peso dei tuoi pensieri, ma non posso impedire a me stesso di sentirmi così impotente e inutile. Ti vedo uscire distrutto dopo aver parlato nel confessionale con Padre Giordano con la consapevolezza che non mi dirai mai cosa è successo, ma anche con la consapevolezza che sarai di pessimo umore e irritabile, e che ciò ricadrà esclusivamente su di me. E sono stanco di essere costantemente in ansia per te senza capirci mai nulla.”
Mano a mano che Frank aveva condotto il suo piccolo monologo il volto di Gerard aveva preso ad incupirsi e ad oscurarsi sempre più, mentre abbassava inconsciamente lo sguardo in preda ad una singolare vergogna, le labbra strette in una linea tremante.
Non parlò subito, ma continuò a far scorrere lo sguardo su per il pavimento.
Schiuse le labbra, e l’altro si accorse di quanto effettivamente tremassero.
Gerard accolse le mani di Frank nelle sue, e il caldo e familiare tocco colse quest’ultimo impreparato.
-“Frankie…”
Nel pronunciare il suo nome rialzò lo sguardo, gli occhi che davano l’impressione di vibrare.
“i miei pensieri, i miei dubbi, le mie paure, non… non sono puri come i tuoi. No. Non ho né il privilegio, né la possibilità, anche se lo volessi, di poter parlare liberamente come te e soprattutto, con te.”
La presa sulle mani dell’altro si fece più forte, benché ormai tremassero anche le sue dita.
Scosse la testa, come a rimproverare se stesso.
Era serio e lontano come raramente Frank lo aveva visto, ma allo stesso tempo lo sentiva così vicino, così sinceramente esposto, che il contrasto lasciava il presagio di un sapore assai amaro.
“chi sono e cosa sono, sia come uomo che come funzionario di Dio, sono la prova di ciò. Frank, tu, insieme alla mia famiglia, per il semplice uomo mortale che è in me, sei la persona a cui tengo di più a questo mondo. Ma lo sai che, per il sacerdote invece, dovresti essere un fedele come tutti gli altri, sai che non potrei permettermi nessuna preferenza, e questo mio dualismo, insieme a molte altre cose, moltissime altre cose, mi aiuta e mi costringe a doverti tenere lontano e all’oscuro di parecchi dei miei problemi. Non ho il candore che ti aspetti… io sono in difetto di… troppe doti che mi vengono attribuite… che tu mi attribuisci. Io non posso rovesciarti addosso le responsabilità di un sacerdote e di conseguenza non posso metterti nelle condizioni di venire a conoscenza di qualsiasi altro dei miei pensieri più dolorosi di uomo.”
Gerard guardò in alto, rifiutando le lacrime, e si voltò per un istante a guardare il dipinto della Madonna.
Il suo stato d’animo già provato e giunto ben oltre il limite della sopportazione era sul punto di frantumarsi del tutto, da un momento all’altro, la tempesta preannunciata inaspettatamente dal fulmine che ora mandava inequivocabilmente le prime gocce contro il suolo.
“non posso parlartene e non voglio che tu sappia, ed è per questo che non saprai mai, né tu, né nessun’altro.”
Rise amaramente, mentre una lacrima solitaria gli cadde a terra, senza nemmeno inumidirgli la pelle, ma gettandosi direttamente al suolo come se si fosse pentita di essersi esposta.
Senza capire cosa stesse accadendo, tanto fu rapido e inspiegabile il cambiamento, Frank vide panico e confusione rincorrersi freneticamente nel viso e nella voce alterata di Gerard, l’autoritratto isterico e surreale che il sacerdote stava scarabocchiando in modo cieco e confusionario.
C’era qualcosa di stralunato ed esasperato nei suoi occhi irrequieti, come se cercassero una rassegnazione necessaria ma non voluta.
“sono un completo fallimento. Tutta la mia vita è stata un fallimento. Non dovrei affatto essere qua. Ti sto parlando della mia dualità ammettendo quanto io sia falso dopotutto. Una dualità che non dovrebbe neppure esistere. Sai, è esattamente questo ciò che mi ha detto Padre Giordano durante la mia confessione, e la cosa più esilarante è che non sono stato nemmeno in grado di confessare tutto. Non ne sono mai stato capace. Me lo ha detto chiaramente e in faccia, per la prima volta, anche se so che lo ha sempre pensato. Non sono adatto ad essere un sacerdote. Me lo ha proprio detto. Non so adeguarmi alla dottrina cattolica, non sono ben allineato con il metodo della Chiesa, e continuo a distinguere me stesso dal mio ruolo di sacerdote, quando questi due lati della mia vita dovrebbero essere un tutt’uno, la mia sola e unica condizione di esistenza e la mia sola e unica personalità. E non solo le tengo distinte, ma sono del tutto incapace di gestirle, sia separatamente che insieme. Se solo sapesse poi quante cose gli ho nascosto, tutte quelle cose che non ho mai avuto il coraggio di raccontare, nemmeno nel segreto del confessionale.”
-“Gerard, ma che dici?”
-“Non guardarmi così, Frank. Questa è la realtà. Non so gestire le mie responsabilità e le mie scelte come sacerdote, non sono capace di essere semplicemente questo, né nient’altro. Non avrei dovuto nemmeno farti tutti questi discorsi, Dio mio, ma cosa ho in testa. Non posso davvero dirti cosa mi tiene sveglio quasi ogni notte, ma conosci piuttosto bene le mie reazioni in quanto ne sei stato la vittima, e te ne chiedo ancora scusa. Non è ammissibile. Tu sei un fedele come tutti gli altri, e io non posso permettermi di trattarti in quel modo, e allo stesso tempo non posso permettermi di ferire senza motivo il mio migliore amico. Ho sbagliato terribilmente su tutti i fronti, e tutto a causa della mia instabilità e del mio carattere, inadatto al sacerdozio. Dio mio, Dio mio, aiutami Tu …”
Frank provò la stessa straziante visione che aveva avuto qualche domenica prima, la visione di un grosso macigno di dolore che si sollevava e che poi si posava sopra la schiena di Gerard.
-“Credo che ora tu sia solo confuso e frastornato. Parli come se io non ti conoscessi affatto, come se non passassi la maggior parte del mio tempo con te, come se non vedessi ogni giorno la splendida persona che sei, e non solo, perché credimi quando ti dico che sei un prete eccezionale. È vero, non rispecchi la classica figura del prete tradizionale, ma questo non significa assolutamente nulla, anzi hai fatto così tanto, hai migliorato questo posto come nessuno aveva mai fatto prima. Padre Giordano ormai è vecchio e a volte fin troppo antiquato, sicuramente oggi si è alzato anche lui con la luna storta. Gerard, io non capisco di cosa tu stia parlando, tu non-“
-“Non devi capirlo. E questa è la prova del perché non posso raccontarti alcune cose che mi riguardano. Non avrei dovuto dirti nulla di tutto ciò e mi sono lasciato andare fin troppo. Non ne ho il diritto, e tu non devi sopportare sulle tue spalle il peso di faccende che nemmeno io riesco a reggere. E come ti ho già detto, non potrei parlartene in ogni caso.”
Quando una coppia di lacrime scese greve e questa volta limpidamente sulle guance di Gerard, Frank, nel turbinio di quelle parole prive di reale significato ai suoi occhi, liberò una delle mani dall’addolorata presa di Gerard e gliela posò sul viso, ripulendolo da una delle lacrime.
-“Ma Gerard, io voglio sapere, io voglio che tu ti confidi con me. Perché anche tu, insieme a pochissimi altri, sei la persona a cui tengo di più nella mia vita, e non ce la faccio a vederti così senza poter fare niente. Tu come uomo, come sacerdote, come qualsiasi cosa tu sia.”
E liberata l’altra mano, accarezzò via anche l’ultima lacrima.
Era tutto così surreale e distorto, simile ad una stanza ordinata che venga messa improvvisamente a soqquadro, che Frank non si preoccupò affatto dell’intimità di quel gesto.
Ogni residuo di infantile ed egoistica rabbia si era perduto tra le mani calde di Gerard da molto tempo.
Reggeva a accarezzava il suo viso smarrito, vedendovi nient’altro che la figura angelica quale egli realmente era, e sperò ardentemente che il suo sguardo riuscisse a raccontare quella dolce visione senza l’ausilio delle parole.
Con gli occhi ancora impregnati ma decisi a non gettare altre lacrime, Gerard scosse il capo.
Afferrò i polsi di Frank con una fermezza e una violenza che stridevano con la sua espressione fragile e angosciosamente disperata, e allontanò dal suo viso le mani del ragazzo.
Senza rendersene conto, Frank provò a fare resistenza, in una silenziosa lotta contro la dura presa del parroco, finché si ritrovò libero e con le mani abbandonate sul legno della panca, mentre Gerard si allontanava, ignaro o solo incurante dell’asprezza del suo gesto, gli occhi indecifrabili.
-“Non fare così. Ti prego. Tu non puoi capire, Frank. Tu non puoi capire.”
 
†‡†
 
Tornando a casa, Gerard non si fermò.
Proseguì senza il bisogno di rifletterci sopra, oltrepassando le estranee e anonime abitazioni della città, la grigia zona periferica e gli ultimi accenni di vita cittadina.
Presto lo abbracciarono le morbide colline della campagna nel suo pieno splendore primaverile, circondandolo finché scomparve anche l’ultima traccia urbana alle sue spalle.
Per qualche ragione si sentì un fuggiasco, e quando questa riflessione si concretizzò razionalmente tra i suoi pensieri storditi lo colse una lieve angoscia di essere raggiunto da qualcosa che voleva fuggire.
Tentando di trovare uno sbocco di libertà per la sua anima tra i suoi più cari paesaggi, venne invece preso da una pesante quanto familiare oppressione, un fardello che non riusciva ad abbandonare.
Continuò a guidare la sua auto ammirando il paesaggio che gli si prospettava davanti, le strade prive di asfalto e le coltivazioni ancora acerbe che guardavano con mortale consapevolezza all’estate.
Il cielo era cupo e nuvoloso, e sembrò stupirsene, come se non se ne fosse accorto prima e si aspettasse di vedere quindi un sole abbagliante.
Eppure di tanto in tanto il sacerdote vi scorse, caldo e imperioso, un raggio trafiggere il tessuto di nubi, come se lo sguardo di Dio volesse avvicinarsi all’infelicità umana con la sua sicura promessa di calore, a ricordare l’amorevole e salvifica presenza della Sua luce tra il cieco vagabondare nelle tenebre.
Gerard pensò a tutto questo, indeciso se sentirsene rassicurato o terrorizzato.
 
‡†‡
 
Frank sedeva insonne accanto alla finestra, un libro in mano e una sensazione di smarrimento nel cuore.
Riprese a leggere, deciso ad impedirsi di pensare a Gerard e alle sue parole.
Impotente e confuso, sperò di potersi addormentare per ritrovarselo almeno nel sonno.
 
†‡†
 
Due settimane dopo
 
Come preso dal torpore di un sogno, Gerard udiva distrattamente il profondo susseguirsi delle note sopra di sé.
L’organo sembrava sospirare ogni suono con una grave solennità che giungeva remota alla sua mente assorta, il fragore di un giudizio che appesantiva le sue preghiere disperate.
La Toccata e Fuga in Re Minore si ripeteva e si rincorreva incessantemente per le mura della Chiesa, e sebbene non potesse vederlo, la parte di lui che era rimasta legata alla realtà sapeva che John ne era l’esecutore.
Tuttavia, non poté fare a meno di sentirsene ammonito e nauseato.
Nauseato dall’impossibilità di sentirsi di nuovo libero.
Mentre si sforzava di immaginare la chioma bionda e lo sguardo concentrato di John, cercando di aggrapparsi più che poteva a quella figura reale, cedette ad un’inquietante istinto irrazionale di andarsene, sentendosi braccato dal Demonio e giudicato da Dio, cosicché fu lui stesso in fuga e ansioso di uscirsene al più presto da quel luogo sacro e, a suo modo, paradossalmente senza pietà.
Col rosario ancora avvinghiato tra le dita uscì all’aria aperta, quasi correndo, oltrepassando sgraziatamente il portone principale, indeciso se credere di esserne fuggito per proprio volere o se piuttosto sentirsene cacciato.
Condannato e maledetto dal proprio tribunale interiore, se ne andò.
In auto, avvolto dalla calda aria di metà maggio, i finestrini abbassati e le maniche della camicia nera arrotolate maldestramente fino al gomito, si diresse accelerando verso il suo solito luogo, con la campagna che si dischiudeva in una materna promessa davanti ai suoi occhi.
Avvertiva la glaciale sensazione del sudore freddo che gli impregnava fronte, collo e schiena contro il calore ingenuo e inconsapevole del sole, ogni giorno sempre più estivo.
Senza che ne fosse realmente consapevole, la melodia di Bach veniva ancora involontariamente eseguita nei suoi pensieri.
Un nastro nero di cui ignorava l’origine era annodato alla base dello specchietto laterale situato alla sua sinistra, un piccolo fiocco con una delle due estremità che si allungava in un’elegante coda, e fu solo in quel momento che si ritrovò consapevole della musica che continuava a danzargli nella mente, accompagnando il nastro accarezzato dal vento.
Non sapeva se fossero le note provenienti dall’organo, fresche e vivide nella sua memoria, a suggerire i passi di danza all’affusolata gamba di tessuto del fiocco, o se fosse invece quest’ultimo a dirigere l’esecuzione della sinfonia, ma Gerard rimase incantato ad osservare quel balletto trascinato dall’aria.
La musica che si faceva rapidamente più concitata, il nastro che ne seguiva prontamente il ritmo, rendendosi sempre più ipnotico, la brezze che lo solleticava con insistenza sempre maggiore, grazie all’auto che accelerava considerevolmente e al sacerdote che non se ne rendeva conto.
Osservava ammaliato la nera coda ballerina del nastro che si contorceva in modo tanto sbarazzino quanto funereo poco più in là del suo finestrino abbassato, e per un istante, in una delle sue celeri contorsioni, sfiorò in modo surreale il gomito di Gerard.
La melodia era divenuta così limpida e forte da dare l’impressione di provenire dall’esterno, come se qualcuno la stesse suonando da qualche parte nella sua macchina.
Non vedeva né il volante, né la strada, né le colline coltivate, non si accorgeva del rossore del tramonto, non sentiva il rombo furente della vettura che saliva in velocità e non avvertiva il vento fischiare dai finestrini spalancati.
Come sotto l’effetto di un incantesimo, il suo sguardo era fisso sul fiocco danzante, ignaro di tutto il resto, eccetto quella musica che gli impregnava le orecchie.
Col piede premuto sull’acceleratore, abbandonò lentamente il volante, una mano che si appoggiava al bordo del finestrino abbassato e l’altra che si allungava verso l’esterno, le dita distese e il palmo accogliente, pronto a ricevere il tocco di quel nastro magico.
Un suono metallico e improvviso, un rimbombo lontano e inizialmente ovattato, poi sempre più concreto, tintinnante.
Ora echeggiava intromettendosi in quella magistrale esecuzione della Fuga di Bach, riportandolo lentamente a galla, verso il suo stato cosciente.
Il tintinnare lontano si rischiarava e si faceva mano a mano più familiare, più complice, più ammaliante di quella melodia.
Uno stridore assordante di urla disumane che urlavano distintamente soltanto dentro la sua testa e una glaciale stretta attorno al cuore e allo stomaco.
Quando tornò del tutto in sé, fece solo in tempo a pensare “Dio, perdonami!”, frenando bruscamente all’ultimo secondo, le mani di disperate intorno al volante spinto da tutta la sua forza di volontà e da tutto il suo spirito.
Oltre il muso della macchina, a pochi centimetri dalle ruote anteriori, il precipizio si apriva minaccioso attorno alla curva e gli alberi là sotto già prigionieri delle ombre artigliate della notte, gli ultimi raggi di sole che invece lo colpivano al viso e che si andavano estinguendo dietro ai contorni delle montagne più lontane.
Il suono metallico ora era divenuto presente e nitido, costante e rassicurante, e si stava prolungando stranamente a lungo, come se avesse dovuto dire qualcosa di eccezionale che solitamente non diceva.
Alzò gli occhi e cercò con lo sguardo la direzione dalla quale giungeva quel tintinnare, benché sapesse perfettamente che cosa fosse e da dove provenisse.
Lucente per il crepuscolo, alta tra le case della piccolo paesello addormentato di campagna, la Chiesa lo sovrastava, le campane che ancora non cessavano di suonare.
Il nastro era scomparso.

 

Innanzitutto vorrei chiedere umilmente perdono per il ritardo disastroso di questo aggiornamento. Tra la maturità, lo scoraggiamento generale che ogni tanto mi coglie, il piccolo lavoro estivo che ho trovato e tutto, ho rimandato sempre di più la stesura del nuovo capitolo. So che suonerò patetica e paranoica, ma questo è il brutto delle persone ipomaniache come me, perciò vorrei chiedervi di dirmi sinceramente cosa ne pensate di questa storia. Come ho già detto in passato era nata come una breve OS, poi decisi di allungarla leggermente e all’improvviso mi sono venute sempre più e più idee, e ora eccoci qua, è anche un po’ per questo se impiego secoli per aggiornare, perché ho mille dubbi e ripensamenti. Solo che appunto per questo i personaggi hanno cominciato ad essere sempre più indipendenti e a voler comandare, ed eccomi qua a chiedermi se ho praticamente rovinato tutto o se invece sto facendo un buon lavoro. La parte di azione e davvero articolata l’avevo pensata per il seguito che ho in mente da un anno, e quindi questa qui mi sembra così dark e così… non lo so, perdonatemi, sono davvero un disastro in tutto.

Vorrei comunque ringraziare in modo particolare Chiara ed Alessandra per il fangirlamento e il sostegno, e per avermi fatto credere un po’ di più in me e sulle mie capacità,“John” aka Costanza per essere il mio principe e per avermi dato l’ispirazione di citare Bach (sappi che l’idea mi è venuta ascoltando le fughe che mi avevi mandato e scusami se non sono stata “musicalmente accurata” nel parlarne, e ti avevo detto di ricordarti di John eheheh), e soprattutto vorrei ringraziare Alberta per essere sempre la mia best fangirl e per molte altre cose per cui non mi basterebbe una giornata per dirle tutte, basti dire che è in grado di sopportarmi e di essere al mio fianco quotidianamente e non so come ci riesca senza avermi già ucciso lol.
Ma insomma vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita e a cui piace la storia, anche se magari silenziosamente.

Okay mi sono dilungata un sacco e ora me ne vado, fatemi sapere e spero che vi piaccia questo nuovo capitolo. Un abbraccio e tante ostie(?)

p.s. non sono morta, sono solo senza un telefono da più di una settimana.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Buried myself alive ***


I think the chain broke away
And I felt it the day that I had my own time
I took advantage of myself and I felt fine
But it was worth the night
I caught an early flight and I made it home
 

 
Inutile dire che quella notte Gerard non chiuse occhio. Era tornato a casa tremando, in fuga, la mente disturbata da severi rintocchi di campana e minacciose melodie musicali. La notte aveva cominciato ad allungare i suoi artigli lungo la strada e ad ogni nuova curva solitaria provava il terrore di essere accarezzato da innumerevoli nastri di velluto nero, la mano guantata del demonio.
Era rientrato parcheggiando in fretta, chiudendosi inutilmente la porta alle spalle, cercando così di isolarsi da qualunque forza oscura che lo bracconava nel buio.
Si tolse i vestiti, strappandosi rabbiosamente via il collarino, e si gettò sotto il gelido flusso della doccia, bisognoso di lavarsi, di sfregare via la sua impurità.
Fu una notte lunga e dolorosa, dove la disperazione fu per lui il frutto più dolce tra tutte le asprezze dello spirito, una disperazione assoluta, liquida, che impregnava ogni singolo meandro del suo essere e lo accompagnava verso un’agonizzante frustrazione fatta di paura e follia.
La morte, era la morte, che lo chiamava, che lo seduceva, e insieme lo rifuggiva, in un tormento senza fine che lo dissanguava spiritualmente, fino a ritrovarsi in un limbo senza nome in bilico tra l’umanamente comprensibile e un oblio estraneo a questo mondo.
Un luogo quello che sarebbe dovuto rimanere proibito alla mente dell’uomo.
Pregava, o credeva di pregare, ma la sua anima era muta, la sua ragione troppo vigile, e Dio era lontano, disperso, forse morto, o inesistente.

 
†‡†
 
 
Gerard era distrutto.
Sporco di vernice e impolverato, aveva iniziato a tratteggiare le linee delle figure sulla parete che aveva intenzione di disegnare.
Era esausto, provato da diverse notti insonni e con i nervi a fior di pelle. L’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era quella di essere sorpreso in maglietta, jeans e scarpe da tennis, coi capelli più spettinati che mai e con una striscia di vernice nera sotto lo zigomo destro da una delle persone più irritanti e bigotte che Gerard avesse mai avuto il dispiacere di conoscere.
All’ennesimo, fastidioso trillo del campanello, rassegnato, riuscì a raggiungere la porta dell’oratorio e ad aprila più violentemente di quanto ne avesse avuto l’intenzione.
Arcigna e impettita come al solito, Maria Bordini se ne stava davanti all’entrata, con la sua tuta in ciniglia da perfetta casalinga indignata dalla moda di certe donne al giorno d’oggi e la bocca distorta da una smorfia indispettita.

-“Padre Giordano non c’è?”

Gerard non riuscì a trattenere un gran sospiro.

-“No, sarà impegnato per tutto il pomeriggio. Può dire a me, signora”

Maria Bordini storse il naso, insofferente, per poi entrare e dirigersi in una delle stanze adibite ad ufficio.
Gerard la seguì, maledicendosi e preparandosi ad una lunga sessione di noiosi ed inutili monologhi da parte della donna.
Sicura e del tutto indifferente nei riguardi della figura di Gerard si sedette davanti la scrivania, guardando la disordinata superficie con evidente apprensione.
Che non avesse alcun rispetto per il giovane sacerdote non lo aveva mai nascosto, dopotutto.
Gerard cercò di darsi un tono, scivolando sulla poltroncina della sua scrivania con quanta più grazia e disinvoltura riuscisse a fingere.

-“Passerò un altro giorno per parlarne più accuratamente con Padre Giordano, ma dal momento che sei tu ad occuparti dei ragazzi…” un’evidente espressione di disprezzo le sfigurò il volto “sarà bene che ne parli anche con te dal momento che ormai sono qui.”

-“Certamente, mi dica.”

-“Sai come siamo messi di questi tempi, Satana regna sul mondo e la dottrina cattolica viene messa alla gogna ogni giorno sempre di più. I nostri ragazzi non sono mai al sicuro ed entrano a contatto con il peccato ogni volta che mettono piede fuori casa, in primis nelle scuole! Dove vengono addirittura insegnate certe assurdità che, oh, lasciamo stare. Ho pregato tanto, Dio lo sa, tutti i giorni Lo prego, perché possa mandarmi un aiuto in tutta questa perdizione! E proprio ieri pomeriggio ho avuto l’illuminazione che cercavo. Ti chiedo ora di ascoltare queste parole con la massima discrezione, come se fossimo in confessionale.”

-“Non si preoccupi, stia tranquilla.”

-“Mio figlio Matteo, il minore, si è rifiutato di andare dal parrucchiere.”

A queste parole la signora Bordini si interruppe, come se stesse soffrendo profondamente.

-“Oh, uhm, i ragazzini a volte fanno di questi capricci. Quanti anni ha Matteo? Se non sbaglio ne dovrebbe avere nove.”

-“No, no, non si trattava di un comune capriccio. Sai cosa mi ha detto? Cosa ha avuto il coraggio di dire?”


-“Non riesco ad immaginarlo, signora.”

Maria Bordini tirò un gran sospiro, come a raccogliere le sue ultime forze, e con fatica parlò.

-“Mi ha detto che voleva avere i capelli lunghi. I capelli lunghi. Come una femmina!”

Di fronte all’espressione tragica dipinta sul volto della donna, Gerard rimase altrettanto sbalordito. Tentò la carta dell’accondiscendenza.

-“Sa, in molti cartoni i protagonisti hanno i capelli lunghi, sicuramente avrà-“

-“Assolutamente no! Non esiste, non in casa mia. Ovviamente l’ho portato dal parrucchiere e l’ho fatto rasare. A zero. Così ricorderà meglio cosa un maschio deve e cosa non deve fare.”

Gerard aveva sonno. Ed era stanco. Era nervoso e al limite del proprio livello di tolleranza. La sua gamba si muoveva irrequieta sotto la scrivania e prima che potesse raccogliere quel poco di pazienza rimastagli, si ritrovò faccia a faccia con un foglio scritto a mano che in poche righe mostrava e sintetizzava le sofferenze di una vita.

-“Ho pensato che sarebbe stata una buona iniziativa quella di organizzare degli incontri per i più giovani dove venisse adeguatamente trattato l’argomento. In molte parrocchie in Italia lo hanno già fatto e a questo punto ritengo opportuno prendere delle precauzioni anche qui. Una specie di catechismo speciale in cui i ragazzi possano comprendere il male che si cela dietro certe tendenze abominevoli. Ho scritto qualche riga giusto per mettere nero su bianco alcuni punti che reputo essenziali.”

In una brutta e aspra calligrafia, erano inflitte tutte le parole che inchiodavano Gerard alla propria croce personale.
 
Posizione generale attuale della Chiesa Cattolica in merito all’’omosessualità, espressa nella Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede, nel 1976:
“Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile.”
E nella De pastorali personarum homosexualium cura, nel 1986
“Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata.”
Dio ci creò maschio e femmina per procreare
Satana conduce al dubbio per sfruttare il tuo corpo usandolo come mezzo per fare il male
L’atto omosessuale è contro natura
Il nostro corpo è Tempio di Dio, perciò bisogna renderne conto a Lui
 
Maria Bordini sembrava soddisfatta e orgogliosa di sé nell’osservare lo sguardo finto interessato di Gerard.
Il giovane sacerdote finse di prendere seriamente la questione e lesse tre volte le stesse poche frasi, leggendole con la leggerezza di chi ha sottoposto la propria mente ad un’anestesia preventiva contro l’imminente arrivo del bruciore da quella ferita aperta.
Righe scopiazzate da Wikipedia e portate con superbia al cospetto di un sacerdote che aveva da poco più di un anno conseguito Il baccellierato canonico in teologia ed era prossimo al conseguimento della licenza in teologia con specializzazione in teologia morale.

-“Guardi, ne riparlerò con Padre Giordano. Abbiamo già organizzato diverse attività per i ragazzi, non so se troveremo il tempo neces-”

-“Ah certo. Anche io ne riparlerò con Don Giordano, e sono sicura che troverà il modo di trattare una cosa di tale importanza.”

La donna si alzò, sicura e strafottente in tutta la sua spavalda sciatteria.

-“Permettimi di dire, tra le altre cose, che non reputo molto appropriato per un prete andare in giro conciato in questo modo. Forse con Padre Giordano dovrò anche parlare del fatto che delle persone come te e i tuoi pupilli non sono adatte alla gestione dei più giovani.”

Gerard restò talmente di stucco da non riuscire a proferire parola. Rimase a bocca aperta e con gli occhi stralunati, mentre lottava tra lo stupore immobilizzante e il desiderio di rispondere per le rime a quella bigotta troppo impegnata a guardare il mondo dall’alto del suo piedistallo fatto di mezze verità cristiane e cieche credenze.
Poco prima di uscire, si voltò un’ultima volta verso il sacerdote, piena di velato disprezzo.

-“Una tagliata a quei capelli sarebbe opportuna anche per te, Padre.”

Solo nell’ufficio, Gerard si riprese dallo sconcerto iniziale, portandosi una mano tra le folte ciocche che dominavano la sua testa. Si voltò verso l’anta di vetro della libreria, e osservò con rammarico la sua figura riflettersi sulla superficie vitrea.
Trovò un grottesco ritratto di se stesso, con la striscia di vernice ancora sullo zigomo e lo sguardo profondamente segnato dal deperimento tanto fisico quanto spirituale.
Un sentimento irrequieto e subdolo oscurò la sua vista, e ciò che vide nel riflesso gli apparve raccapricciante e malvagio.
La sua stessa immagine gli apparve ora autentica, ora distorta in una blasfema e diabolica trinità rovesciata, nella quale la sua anima, da una, si lacerava affinché ne fuoriuscissero altre due perfide e sconosciute presenze. Una di esse non era altro che il frutto malformato di anni e anni trascorsi a sopprimere ogni esternazione umana di rabbia e frustrazione, un mostro silenziosamente sopravvissuto all’aborto volontario dettato dal sacerdozio. L’altra, illuminata dal vermiglio bagliore del desiderio negato, risuonava già nel suo corpo. Invocata dalle dolci preghiere della carne.
Tentò di pettinarsi la chioma arruffata, cercando salvezza nell’aranciata luce del tardo pomeriggio. Quella luce che tanto evocava, e che ora pioveva sui contorni dei palazzi e delle colline all’orizzonte, emanando una debole ma terrificante luminescenza infernale, ammiccando perfida alla cruda promessa dell’imminente notte.
Qualunque cosa fosse ciò che comunemente gli uomini di fede - di ogni fede - chiamano spirito vitale, in quel momento fu certo di esserne stato irrimediabilmente privato. E un pensiero angoscioso lo perseguitava, stagnante nei recessi paludosi della sua mente: l’orrore disumano di perdere la propria anima.

-“Gerard?”

Si riscosse udendo il proprio nome, e volse lo sguardo verso l’inaspettata apparizione di Frank sull’arco della porta.

-“Ehi!”

-“Che è successo? Ti vedo sconvolto.”

-“Non ne voglio parlare, è passata Bordini poco fa. Ti lascio immaginare.”

-“E che voleva? Un incontro settimanale in più per la catechesi o più ore di catechismo per i bambini?”

-“Voleva essere mandata a fanculo.”

Frank rise, e per un momento il suono di quella leggera e familiare risata riportò Gerard al calore della realtà.

-“Senti, domani ho un esame e vorrei passare la serata rilassandomi un po’. Ti va di fare qualcosa insieme?”

Aspettando la risposta, Frank si avvicinò alla scrivania dietro la quale era seduto il sacerdote e allungò una mano verso il viso di Gerard, cercando di strofinare via la striscia di vernice che ancora ingombrava il suo zigomo.
Crogiolandosi nel tepore di quelle dita, Gerard sospirò profondamente, chiudendo gli occhi e rispondendo con voce flebile.

-“Sono troppo stanco per uscire, Frankie. Ma a casa ho della pizza congelata e delle patatine fritte da preparare al forno.”

-“Non potevo chiedere di meglio. Ohw, comunque non riesco a mandare via questo segno nero.”

Tanto la mano di Frank indugiava sul volto di Gerard, tanto quest’ultimo rimpiangeva già il momento del distacco.
La solita espressione vispa e un po’ fanciullesca del più giovane guizzò di curiosità nel notare il foglio di quaderno scritto a mano che giaceva sulla scrivania.
Lo prese prima che Gerard potesse fare altro.
Il giovane prete si portò entrambe le mani tra i capelli, appoggiando i gomiti al tavolo e osservando Frank con occhi spenti e opachi.

-“Gerard. Ma…”

-“Lascia stare…”

Gerard gli tolse il foglio dalle mani e in un impeto di irritazione lo accartocciò, lanciandolo nel cestino accanto alla scrivania.
Se ne sarebbe pentito nel momento in cui Padre Giordano fosse venuto da lui per riparlargliene, ma al momento la questione non era di suo interesse.

-“Era per parlare di questo che è venuta la Bordini?”

-“Già… Ma non pensiamoci ora.”

 
‡†‡
 
 
Raggomitolato sul vecchio divano, Frank si era appisolato da qualche minuto. Le braccia intrecciate sul petto, il collo scoperto, l’addome che si muoveva a ritmo del respiro. Un corpo vulnerabile e indifeso, catturato dalla prigionia del sonno ed esposto allo sguardo famelico e predatorio di Gerard.
Gerard che seduto sulla sua poltrona seguiva con vana frenesia ogni linea e ogni contorno del ragazzo, nella tensione tra il sentimento di un’irrimediabile fato e al tempo stesso di un’atroce speranza.
Ogni attesa, ogni silenzio, ogni timore, ogni scintilla di desiderio scaturita dallo sfregare continuo di pulsioni celate e bisogni inappagati.
Era debole, nel corpo tanto quanto nello spirito, e quell’amore misericordioso che custodiva come una reliquia negli altarini blasfemi del suo cuore, ora era offuscato da un ebbro furore squisitamente carnale.
Quella notte riuscì a dormire dopo tanto.
Una volta rimasto solo, con Frank che se ne era voluto tornare a casa propria e le stanze di nuovo freddamente vuote, Gerard iniziò una lunga e sfiancante lotta, che gli permise però di godere dell’infame riposo dei vinti.
Non appena Frank se ne fu andato, si sedette laddove il ragazzo si era addormentato, e il dolciastro odore dell’altro prese sin da subito d’assalto i suoi sensi.
L’esasperazione della mancanza di sonno e l’insoddisfazione lo condussero ad una dolorosa e acuta disperazione silenziosa. Si mise a letto, cercando di trovare un po’ di quiete, e intrecciò il rosario tra le dita, balbettando versi dell’Ave Maria come se delirasse.
L’aria era calda e opprimente, il traffico lontano, nessuno che poteva portarlo in salvo.
I terrori della notte tardavano a raggiungerlo quella sera, in agguato dietro le tende, dietro le ante dell’armadio, oltre il bordo del letto, creature invisibili che lo spiavano con occhi di rubino, in attesa.
E attendevano, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo, sospiro dopo sospiro, che Gerard crollasse, che si arrendesse.
Ma questa volta non per torturare la sua psiche con orrori infernali.
Volevano una sua dolce, spontanea, colpevole resa.
Mentre annaspava tentando di pregare, con i grani del rosario che sembravano così estranei nei palmi sudati delle sue mani, in balia della sua stessa inquietudine, strinse forte gli occhi, e il buio dietro le palpebre lo costrinse a guadare in se stesso
Ad ascoltare se stesso.
Il sangue che affluiva nelle sue vene lo rendeva consapevole di ciò che la sua coscienza non avrebbe mai osato ammettere.
La sua mente era ingombra di strani ritagli di immagini, di frasi casuali lasciate in sospeso, di situazioni irrealizzate. I suoi pensieri oscillavano tra vaghi tentativi di distrazione e indicibili sussurri peccaminosi.
Le preghiere si disperdevano vuote verso il soffitto, sospirate appena.
Il movimento delle labbra, abbandonata la casta purezza della fede, assunse sfumature impalpabili, lascive.
Con l’innocenza della naturalità, una mano, dimenticando il rosario, sfiorò il cavallo dei pantaloni. Meravigliato del proprio gesto e insieme più lucido di quanto non fosse mai stato nell’ultimo periodo, contrasse i muscoli dell’addome, incerto se per trattenersi o per altro. Il bacino si mosse impercettibilmente in avanti, la pressione sanguigna si alzò, concentrandosi laddove ora si infrangevano calde onde di lussuria. Riaprì gli occhi in cerca di un aiuto, di un qualsiasi appiglio salvifico che lo potesse ricondurre alla rettitudine, con la vana speranza di ritrovare il controllo di sé. 
Guardò le dita della mano attorno la quale era ancora aggrovigliato il rosario e in quel momento, quel serpeggiare vermiglio sulla propria pelle, gli parve una ferita aperta.
Il punto di non ritorno che condusse alla fatale conclusione, fu l’inevitabile conseguenza di ciò che Gerard fece poco dopo.
Facendo forza sui gomiti alzò lo sguardo, portandolo sulla parte di sé che si era ostinato a fingere di ignorare.
Si guardò.
Gerard si guardò.
Si vide grosso, duro, virile. Si vide uomo, in tutta la sua gloriosa mascolinità, e se ne compiacque. Sgusciato fuori dai candidi piumaggi della santità, si ritrovò finalmente ad essere animale, predatore, costituito da pelle, sangue, ossa e viscere.
In coda al seguito del Trionfo della Natura, percepì all’improvviso, come se fosse la prima volta, tutte le vitali pulsazioni che riflettevano il picchiare rumoroso del cuore. Alla tempia, sul collo, sui polsi, sul proprio membro in erezione.
Gerard dimenticò Frank in quell’oblio, o perlomeno il Frank che amava.
C’erano solamente lui e il suo essere maschio, forte e massiccio. Ricordò con orgoglio cosa voleva dire essere un uomo.
Gettò la testa all’indietro, invaso da quel grezzo istinto mascolino.
Lasciò andare del tutto il rosario, si distese di nuovo e allargò le cosce.
Si avvicinò all’inguine con una mano, ora più consapevole delle sue azioni, e iniziò ad accarezzarsi timidamente, come se provasse un certo pudore.
Si muoveva incerto, con tocchi lenti e irrazionali, guidati da un piacere inesperto che ancora persisteva nella negazione.
Non ci volle molto perché giungesse alla necessità di esigere di più.
Preso da una frenesia che non credeva di possedere si sbottonò i pantaloni, iniziando a toccarsi con maggior insistenza e maggior bisogno.
Contorceva i fianchi contro il palmo nell’impossibile tentativo di trattenersi, di aspettare, di fermarsi e cambiare idea.
Si sfiorava, si accarezzava, si palpava, muoveva le dita con esitazione, sussultando al suo stesso tocco come terrorizzato da se stesso.
La resa fu penosa, il piacere pungente.
Rassegnato e oramai indifferente di fronte alla propria debolezza Gerard si lasciò andare al lusso della masturbazione.
Nella tensione inconsapevole del peccato e della trasgressione, nell’ostile proponimento che questa sarebbe stata l’ultima volta, si agitava sopra le lenzuola, sospirando e stringendo i denti silenziosamente.
Era doloroso ed umiliante.
Timore e inquietudine intralciavano il flusso del piacere, rendendo tragico l’atto.
I muscoli delle cosce spalancate, del fondoschiena e dell’addome si contraevano tra sofferenza e istinto. Giunse ad un punto in cui Gerard perse il controllo dei fianchi, convulsi e disperati contro il proprio pugno.
Dopo non molto fu così vicino al culmine da sentirsi grato per essere finalmente giunto quasi alla fine di quello strazio. La primordiale sensazione dell’arrivo dell’orgasmo lo colse impreparato e colmo d’orrore.
Lo schiocco di adrenalina lo scosse talmente tanto violentemente da riportargli lucidità e controllo.
Lasciò la presa e interruppe bruscamente l’afflusso dell’imminente gioia.
Si alzò dal letto, sconvolto, con l’erezione che premeva esigente contro il suo basso ventre.
La punitiva presa di coscienza che ne seguì lo condusse ad un improvviso stato di allarme e agitazione. Corse in bagno, si tolse i vestiti con frenesia e si condannò al gelido flusso dell’acqua.
Cominciò a tremare e a stringere i denti, le mani appoggiate sulle piastrelle del muro e i capelli che si bagnavano gocciolando lungo il collo.
Orrore e sgomento furono gli ultimi resti di ciò che l’acqua aveva già sciacquato via. Il senso di colpa si era indebolito al punto da essere totalmente dimenticato.
L’adrenalina e il testosterone che si agitavano nel suo corpo si acuirono in quel glaciale contrasto, e l’erezione arrivò ad un livello di eccitazione e dolore al limite del sopportabile.
La sua stessa virilità lo richiamava a sé con l’insistenza di chi è stato trascurato troppo a lungo, vivida ed opprimente.
La voce grezza e penetrante del piacere egoistico della masturbazione gli indicava a ritmo di pulsazioni cardiache la mela e insieme ad essa il peccato originale al quale lo avrebbe condotto, in un Eden di lussuria e disobbedienza fini a loro stesse. 
Sospirò, ancora tremando leggermente sotto al freddo getto della doccia, e si tirò indietro le ciocche di capelli fradice che gli imperlavano la fronte e le palpebre.
Una volta soltanto. Una.
Doveva solo cedere. Se avesse ceduto, questa volta soltanto, lo avrebbe dimenticato in poco tempo, senza logorarsi ulteriormente con imperdonabili voglie.
Doveva solo ignorare, per una volta, i suoi voti e la sua dottrina cattolica.
Ma io non ci credo nemmeno più.
Queste parole echeggiavano fastidiose nella sua mente, alimentando la sensazione angosciosa che lo attanagliava.
Ma io non ci credo nemmeno più. Ma io non ci credo nemmeno più. Ma io non ci credo nemmeno più.
La momentanea riconquista della sua mascolinità non fu né gloriosa, né liberatoria.
Riprese a toccarsi, mortificato e patetico, ansimando con sospiri strozzati, in fretta, privato del vero piacere e pregustando l’orrido sapore del pentimento.
Le sue gambe non ressero molto, sopraffatte dalla gravità di quegli stati d’animo turbolenti piuttosto che dall’estasi, così si inginocchiò sulle mattonelle umide della doccia, come un penitente.
Non perse mai il controllo questa volta, cercò solo di concludere in fretta quella prostituzione del suo stesso corpo con la sua stessa anima, e senza rendersene realmente conto si mise a piangere. Non ebbe né il coraggio di singhiozzare, né di gemere, pianse in silenzio e con rassegnazione, lasciando che le lacrime e l’acqua gli offuscassero la vista.
Quando finalmente concluse, provò la più grande insoddisfazione e il più grande disprezzo della sua vita. Si tirò su un po’ traballante, chiuse l’acqua, si asciugò il viso e uscì dalla doccia.
Erano quasi le due di notte e lui era in bagno, grondante e intento a frizionarsi i capelli con la calma di chi non ha più nulla da perdere.
L’ultima lacrima gli scivolò via mentre ripuliva il marchio simbolico della sua disfatta dall’addome.
Eppure, una volta tornato a letto, nel cuore delle tenebre e nell’ora delle bestie infernali, quella notte Gerard riuscì a dormire.
Quella notte creature silenziose e inconoscibili cullarono il suo animo tra dolci sogni in putrefazione.
Gerard aveva ceduto, le mura esterne della sua fortezza avevano cominciato ad essere abbattute, non c’era più nessuno da vincere quella notte per loro.

 
†‡†
 
 
-“Ieri notte, quindi?”

-“Sì.”

-“Quante volte è accaduto?”

-“Una sola.”

-“Soltanto ieri dall’ultima volta che hai confessato lo stesso peccato?”

-“Sì, padre.”

-“Figliolo, c’è altro di cui vorresti parlarmi?”

-“Non saprei, non è cambiato molto da ieri. Temo di essere stato sopraffatto dall’enormità dei miei doveri ultimamente. Ma supererò questa prova.”

-“Gerard, l’altra volta forse sono stato un poco troppo duro con te, ma ho dovuto farlo per il tuo bene, per poter comprendere poi la tua conseguente reazione. Se da un lato noto una sempre maggiore debolezza d’animo, dall’altro vedo umiltà e determinazione. Ne ho conosciuti pochi di sacerdoti che hanno preso i voti alla tua età… eri poco più che un ragazzino, e la vostra strada è faticosa e in salita, più che per altri più maturi. Le tentazioni della gioventù, l’incontenibile gioia di vivere che a volte conduce all’incoscienza tipica dei ragazzi. Mi chiedo se tu sia mai stato davvero adatto a tutto questo, o perlomeno se all’epoca fu quello il momento giusto. Rifletti bene figliolo caro, il sacerdozio è una scelta che porta gioia e serenità, ma solo se il cuore è davvero pronto alla chiamata di Dio.”

-“Mi ferisce molto sapere che pensi questo di me… Io voglio questa vita, voglio contrastare le azioni di Satana e diventare esorcista.”

-“Non avevo intenzione di mettere in dubbio la tua Fede, né il tuo operato. Nonostante le tue idee, come dire, progressiste, hai sempre svolto il tuo dovere in modo eccellente, e i giovani nutrono grande stima verso di te e gli altri ragazzi. Quello che dico, lo dico pensando solo al tuo benessere, con l’egoismo proprio di un padre, più che con l’occhio giudizioso del prete. Ed egoisticamente parlando preferirei vederti felice, piuttosto che proseguire per un cammino che ti renda insoddisfatto.”

-“Padre Giordano, ti sbagli, io non sono affatto insoddisfatto, né ho mai pensato di abbandonare il mio percorso. Apprezzo molto il tuo affetto nei miei confronti, ed è totalmente ricambiato, ma non credo sia quello il mio reale problema… ho solamente… Paura. Ma sono consapevole del fatto che sia un ostacolo del tutto naturale per chiunque fosse intenzionato a praticare esorcismi. Quello di ieri è stato solo un momento di debolezza, una semplice pulsione naturale che purtroppo ho finito con l’assecondare.”

La grata del confessionale era aperta e attraverso di essa Gerard colse un guizzo nello sguardo ceruleo di Padre Giordano, un barlume di intuito appiccato dalla debole luce proveniente dai candelabri appesi al soffitto della Chiesa.

-“Era esattamente questo ciò a cui mi riferivo. Ho provato a darti la possibilità di entrare in argomento di tua spontanea volontà, ma ho sempre avuto come l’impressione che invece tu lo evitassi appositamente, confermando sempre di più i miei dubbi. Te lo chiederò ora, e dovrai essere sincero Gerard.”

Gerard annuì, sudando freddo e iniziando a percepire i segni della nausea. Gli occhi del sacerdote più anziano lo scrutarono con fermezza, mentre gli chiese:

“Gerard, tutto ciò ha a che fare con una donna?”


 


 
Il 24 luglio è stato un anno dall'ultimo aggiornamento di questa storia e niente, la cosa si commenta già di per sé. Siate clementi con me, sono solo una povera vampira matricola, e siate clementi anche con la mia prima scena pseudo smut.
Chiunque abbia letto Unholyverse troverà molti riferimenti a quella fanfiction, e volevo rendere noto che sono voluti e pienamente consapevoli.
Ho deciso di accostare questo capitolo a Buried myself alive dei The Used, non so nemmeno perché ho scelto questa canzone ma mi è venuto spontaneo collegarla allo stato d’animo di Gerard.

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