Higanbana.

di KH4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Autumn. ***
Capitolo 2: *** Winter (I). ***
Capitolo 3: *** Winter (II). ***
Capitolo 4: *** Spring. ***
Capitolo 5: *** Summer. ***



Capitolo 1
*** Autumn. ***



HIGANBANA / AUTUMN.
 
"Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?"
Ricordava ancora quando lei glielo aveva domandato per la prima volta.

Le porte dell'Estate si erano già chiuse, lasciando la strada libera affinché l'Autunno compisse il medesimo passo fra il seccarsi di foglie colorate che avrebbe smagrito la natura sotto cieli ingrigiti dalla pioggia e una traboccante fioritura di Higanbana che bruciava la terra gelida con il lustro dei suoi steli sottili. Quell'anno il carico di rosso che vergava le tombe dei defunti librava una dolce malinconia appena appuntita dal freddo precoce. Yuya Sakaki si era quasi indotta a credere che dietro l'improvvisa rigidità che ne pizzicava le guance rosee ci fosse la mano di un qualche spiritello furbone, ma altri erano i crucci che ne affollavano la testolina arruffata, annegandone i sensi in un'espressione quasi di convenienza, per il suo animo scisso in due opposti accesi. 
Quando Reiji Akaba la sconfigge il sentimento che spezza la sua esistenza sa di perdita, perché il Pendolo che oscilla in mani altrui è una visione orribile che le fa mancare la terra sotto i piedi mentre le unghie affondano nei palmi, dove il livore germoglia in fiori velenosi che tuttavia non brillano di rivalsa, ma di amarezza nel vedere il suo piccolo orgoglio essere esibito affinato e al tempo stesso incompleto di ciò che lei ancora non ha realizzato. 
Eppure, la gentilezza con cui quel ragazzo sbucato dal nulla le chiese scusa successivamente, dando voce al perché di quelle migliorie che palesano un abisso fra le rispettive inventive, dissipò il sapore acre addensatosi in bocca, cospargendoci sopra un pizzico di indefinito sollievo. Reiji Akaba – e questo lo avrebbe ricordato fino all'ultimo – apparteneva a una categoria di persone non collocabile in un contesto quale era il suo; l'allinearsi dei suoi discorsi seguiva più fili, inanellati in una logicità a sua volta fulcro di una maglia di pensieri scevra di superficialità, distinta e asettica per quel creare l'illusione che il proprio tornaconto personale fosse una ragione più che plausibile per soprassedere alla volontà delle persone. Contrariamente, lei soleva risaltare con intensità infusa di una vistosità molto più sciolta, crepitante cromie solite a discostarsi dalle sorelle uggiose.
Avrebbe dovuto guardarsi bene da una persona che ne sapeva più di lei, precisa nel perseguire un obiettivo drappeggiato dall'enigmaticità che splendeva affilata nelle iridi ametista, ma all'epoca neppure lui aveva idea di quanto sarebbe stato grato a quel "Sì", semplice e spontaneo che lei gli diede, lasciandolo incerto a causa del dubbio suscitato per quella concessione richiesta eppure così inaspettata per la vivida fiducia che lo attraversò da una parte all'altra.
 
Note di fine capitolo.
E...Salve a tutti quanti. Parto subito col dire che questa storia avrebbe dovuto essere una One-shot, ma per esigenze ho finito per dividerla. Come avrete notato, Yuya qui è una ragazza. Perché, vi chiederete? Semplice: io adoro il gender bender e su pixiv ho visto dei disegni che mi hanno praticamente stregato. I capitoli, posso già dirlo, sono cinque e cercherò di postarli brevemente. Mi auguro che i personaggi siano IC il più possibile, non ho seguito la serie, giusto conosco di nome e grossolanamente i personaggi, quindi siate clementi, per favore "^^. Avverto subito che le note del capitolo le metterò qui e nell'ultimo capitolo, salvo veloci specificazioni. Spero vi possa piacere, auguro a tutti una buona lettura! Scrivetemi in numerosi.

 

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Capitolo 2
*** Winter (I). ***


HIGANBANA / WINTER (I).

"Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?"
Cominciò a rendersene conto sotto le prime forme spumose dell'Inverno. 
L'accorciarsi dei giorni e il congelare dei polmoni con la forza di un singolo respiro l'avevano visto ponderare la ferma decisione di abbandonare l'isolato studio in virtù di una morale che gli imponeva di accompagnare almeno quel dì la ragazza nel suo tragitto verso casa. Pur fosse stato lui ad avanzare la richiesta di poter partecipare, in veste di osservatore, al lavoro sull'Evocazione Pendolo, era occorso poco per fare della costanza la qualità a cui Yuya Sakaki più attingeva per riuscire nei suoi piccoli intenti. O cocciutaggine, dipendeva dai casi, ma i suoi piedi l'avevano già portato fuori dall'edificio quando ancora stava riflettendo su quale fosse la definizione più adeguata per un simile carattere. Tutti i giorni le porte vetrate del grattacielo le davano il benvenuto e fra il cemento e l'acciaio che incastravano i lussuosi piani si avvertiva distintamente il palesarsi di uno spaccato fra la sistematicità dominante e lei, predisposta a irradiare affetto discostando particolarità o complicanze che ostruirebbero il senso delle sue azioni.
"Coraggio, Senpai! Non morirai mica se prendi un pò d'aria!"
Entrava dentro qualunque cosa fosse per legge impenetrabile. Non una volta aveva mancato di salutarlo. Di sfasare la giornata programmata con qualche imprevisto dipartito dal volerlo scrollare da tanta sedentarietà. Ad aggiornarlo anche del benché minimo progresso su quella magia cristallina la cui pienezza calcava un'intima importanza, immensa più di quanto lui stesso concepiva. A ricordargli di mangiare e dormire fra una riunione e l'altra. A dissipare un pezzettino alla volta la fragile emotività di Reira, a lei affezionatosi in una misura pari a quella covata per lui, dove le manine minute stringevano la maglietta arancione della ragazza con la tacita richiesta di rimanere un paio di minuti in più. E in tutto ciò non c'era stata maniera che lei accettasse un singolo "No", sebbene non di rado la sua perseveranza avesse superato l'invisibile linea di confine che Reiji aveva segnato per mantenere integra la propria privacy; da parte sua, condivideva la stessa prerogativa, sicché difficilmente riusciva a distogliere l'attenzione da qualcosa che voleva ottenere - e che otteneva considerata la riluttanza ad arrendersi -. 
La prima neve cominciò a cadere nell'istante in cui la scorse in mezzo alla folla del quartiere tradizionale; la chioma carmina ondulava in un'unica fiamma scarlatta che non concedeva paragoni alle misere luci quiete delle lanterne di carta. In mezzo alla folla, scivolava sapendo esattamente dove andare, sicura nei passi che percorsero la curva gradinata grigia che portava a un tempietto scintoista dove il ragazzo la vide, per i giorni che seguirono, porre un'offerta e battere le mani prima di rivolgergli la sua preghiera. 
Quale che fosse l'ora o il tempo, la osservò ripetere il rito del kashiwade* senza aggiunte o mancanze, con una dedizione da cui trasparì un'essenza che riuscì a irrigidirne le fredde ametiste, fin troppo cosciente di doversi salvaguardare da ferite la cui lettura non poteva ne doveva valicare il muro che la sua bocca rendeva pressoché inespugnabile. 
Conosceva il dolore, Yuya Sakaki, profondo e fisico che è destinato a fermentare con il prolungarsi dell'attesa. L'amaro sapore di un vuoto intessuto sotto le membra, ferite che faticavano a cicatrizzarsi completamente e sopra cui aveva imparato a sorridere per non lasciarle espandersi oltre le sbucciature. Il suono cristallino che ha avuto il privilegio di udire non si era mai lasciato sfuggire un singolo singulto da parte di quelle mancanze significative, nascoste nel buio.
Dietro, un volto rattrappito dal silenzio, la tristezza acciambellata fra le lacrime incastrate nelle ciglia nere dove la carne scoperta affievoliva quell'intensità che la rendeva lei e basta, senza paragoni, similitudini, immagini definite in uno spazio comunque troppo minuscolo per contenerne la totalità. Nel flebile eco delle mani che si congiungevano, schioccando sordamente, l'eco di una promessa che tesseva quella trama di gioia, abbandono e incertezza a cui la fedeltà della ragazza rivolgeva ogni singola briciola di fulgida determinazione, l'impervia costanza nel voler creare con il Pendolo un messaggio che, sperava, raggiungesse il suo Tou-san e lo riportasse a casa, ovunque fosse.
E benché l'addensarsi di quella afflizione si tingesse di empie tonalità, deturpando lo splendore racchiuso nelle iridi vermiglie, Reiji Akaba, in quel preciso istante, pensò ugualmente che Sakaki-san fosse come gli ultimi Higanbana rimasti a guardia del tempietto, simbolo di morte, abbandono e di memorie destinate a disperdersi nelle torbide acque che miscelano il tempo, intoccabili per il veleno che scorreva nei gambi sottili: bellissima.

Note di fine capitolo:
Kashiwade*: termine che denota il gesto di battere le mani quando si prega in un tempi shintoista.
 

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Capitolo 3
*** Winter (II). ***


HIGANBANA / WINTER (II).

"Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?"
Quell'istante rapido e indelebile non sarebbe mai dovuto esistere.

Mirare il proprio riflesso allo specchio per cogliere un'immagine che capitolava nella convergenza di lineamenti via via sempre più affini a una completa femminilità non era mai riuscito a farle apprezzare da un punto di vista estetico quella fisicità che incespicava fra i lacci delle scarpe da ginnastica. Semplicemente, non le si era presentata l'occasione di vivere un divario che la mettesse di fronte a un modo di essere opposto al suo, forte di un ordine simmetrico che tutto pareva calcolare secondo uno schema predefinito. Poteva immaginarlo lì e subito il ragazzo che governava un impero con i gomiti puntati al tavolo e gli occhiali dalla montatura scarlatta ben inforcati sul viso, compararlo alla grettezza che la diversificava dalle mani affusolate sopra cui poggiava il mento quando elevava il suo interesse a un livello ancor più severo. L'eleganza accompagnava ogni gestualità di Reiji Akaba infiltrandosi perfino nelle cuciture della sciarpa carmina che ne adornava il collo.
Onestamente, cosa aveva lei, una testolina di pomodoro, di tanto speciale da attirare l'attenzione di una persona che poteva riuscire in tutto ciò che si cimentava?
Davvero, non lo capiva...
Eppure le evidenti discrepanze non erano state sufficienti a omettere l'innegabile sintonia creatasi, sfacciatamente scontata nella lucida evidenza rafforzatasi nei giorni che andarono a compattarsi in mesi, in un crescente che culminò in un bacio sotto il tiepido sciogliersi dell'ultima neve.
Le labbra di Yuya sapevano di fresco, una squisita morbidezza dall'invitante color ciliegia rassomigliante dei piccoli petali tumidi. Le mani scorrono lungo il viso, lasciando che i pollici premano delicatamente sugli zigomi. E' l'implodere di una moltitudine di sensazioni contrapposte che arroventano le dita mentre risalgono sotto la nuca e le spalle di lei si stringono, tentando di ritrarsi d'innanzi alla decisa luce sigillata nel gelo che ottenebra le ametiste fisse sulla sua figura. Vibrano di un tepore spento, pallido, dove il sangue scorre in reticolati venosi impervi, saldi al pari del tronco nodoso degli alberi che a contatto con la brina rilucono di diamanti.
Nella mente, l'astruso desiderio di un contatto mascherato dalla costante inespressività fece infine capolino con un rosso acceso che fluì placido nello snodarsi di un unico sentimento in tanti viticci. 
Rosso come gli occhi di Yuya, brillanti e vividi, come i suoi capelli, o ancora quegli Higanbana che accompagnavano le sue preghiere, il cuore caldo di assurda leggibilità e per questo capace di attirarlo verso un'umanità che non poteva replicare artificialmente, ma solo sperare di ricevere.
Quello stesso rosso che era il colore della sua anima infinita, che quasi obbligava a un'indiscrezione impudente per poterla ammirare da tutte le prospettive inimmaginabili. 
Quello stesso rosso di cui si gonfiavano le labbra carnose tutte le volte che la toccava, bruciando il buio silenzioso di suoni gutturali che singhiozzavano flebili fra le luci arcobaleno della città risplendente sotto il suo ufficio. 
Quello stesso rosso che vomita vermiglio sul pavimento in un giorno qualunque e la costringe a carponi.   


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Capitolo 4
*** Spring. ***


HIGANBANA / SPRING.

"Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?"
L'Hanami* soleva schiudersi pacato, ma alla loro Primavera era bastato un frangente per perdere tutti i petali.

Aveva il cancro. Una di quelle sorprese che sanno sempre come mandare in pezzi tutto e subito. Sarebbe volentieri annegata nel delirio onirico che acuiva lo scalciare del suo cuoricino impavido se le avesse concesso di ripristinare le cose ad uno stadio precedente la tempesta, quando tutto era fattibile, quasi indolore per certi versi.
L'effige dello schizzo allungatosi sul pavimento si alterna alle luci abbacinanti sopra la sua testa, il ronzio della barella a grattare sui nervi sobbarcati dallo zigrinato cigolare. Da qualche parte, fuori, gli steli dei ciliegi si attorcigliano ai fili d'erba dopo aver delicatamente graffiato i rami, il tenue profumo sovrapposto all'incenso ingarbugliatosi nell'aria; nulla in confronto agli Higanbana e al loro rosso imbevuto di passione, però da che mondo è mondo non si porgono i dovuti ossequi ai primi tepori primaverili?
Non sarebbe stata Yuya Sakaki se non si fosse arrischiata dall'evitare che un simile affronto la perseguitasse negli anni avvenire. 
Doveva solo liberarsi di quegli occhi violetti. Neanche sapeva perché ce li avesse piantati in testa, ma per un attimo temette di annullarsi nel magnetismo scanalato fra le scure screziature che la fissavano inorridite, che la seguivano a costo di perdersi con lei nel cunicolo di tenebre oblunghe, ma provare a ricollegarle a un volto familiare annebbiava il poco chiarore non ancora disperso nella calca dei sensi. 

Non aveva mai saputo, ne si era data pena di cercare una spiegazione sull'insensatezza toccatale. C'era sempre e soltanto stata la torbida sensazione che l'intera consistenza dell'Universo fosse trascesa in un singolo punto, l'istante dove vita e morte camminano a fianco e l'una attende l'inciampare dell'altra. Discinti, i ricordi si rapprendevano fra le sue mani come i capelli a lungo fissati nei piccoli palmi tutte le volte che li aveva afferrati per distrazione. A cinque anni una mancanza d'aria sotto lo sciogliersi del tendone colorato del circo tanto atteso; a nove una ricaduta accanitasi per vederla combattere senza il suo punto di riferimento; a sedici si palesa complicato ipotizzare cosa ci sarà di diverso dal nastro che si riavvolge sotto l'incresparsi della fisicità che annerisce sibillina. Eppure non le aveva mai fatto troppo male essere comparata a una cartellina giallo canarino, purchè la sua corposità non lanciasse contro gli altri tracce multicolori.
"Tou-san vive per rendere le persone felici. Io voglio fare lo stesso per lui."
Yuya Sakaki abbracciava la vita perché amarla era nel suo pieno diritto benché un contenitore arancione dettasse una dipendenza forzata e le molte limitazioni accrescessero tuttora il tacito godimento di quel segreto avvezzo a fare scempio del suo essere a cadenze irregolari. L'amava benché durante giorni impetuosi finisse per assecondare l'insolito ritrarsi in sè stessa, mimando la mobilità di un guscio vuoto che tremolava al cogliere gocce di rugiada sfiorarne la capillare superficie; l'amava benché il discernere fra illusione e realtà si fosse annodato in un groviglio inesplicabile, privandola di darsi una speranza la cui voce era già andata perduta.
"Torni presto, vero, Tou-san?"
Le scarpe sporgevano indecise dal ciglio della porta mentre una minuscola ruga aggrotta la fronte della bimba di sette anni che rigira le dita attorno al Pendolo cristallino. Lo sguardo non perde d'occhio la coda sgargiante dell'abito del genitore, la linea di colori eccentrici che collide in un unico brillio traboccante sulla cima di ciuffi neri solcati da un cilindro anch'esso variopinto. La costanza nell'indossarli incarnava quel suo vivere per il palcoscenico che anche lei sognava di irradiare con inchini e capriole.
"Prestissimo. Promesso"

Ma era una bugia.
Come la fontana di luci stroboscopiche che deliziano i sensi degli spettatori, la consistenza della magia nasconde il suo segreto nell'impressione che regala allo spirito. E il sorriso in veste di garanzia, per inneggiare l'ilarità che le lancia con la mano alzata in direzione dell'orizzonte ignoto, è un'illusione che cela una verità dal fondo colmo di misera codardia. Oramai il palpito che ansimava inappropriato non languiva più contorni fatti di carta; ringhiava in direzione di un'incorporeità diafana. Gli aveva dato tutto, a quel Tou-san scheggiato nell'anima orgogliosa, e dopo tanto confidare in una persona che ha sempre saputo di non voler essere trovata, tempo e forze si annullano nella serafica profondità dell'oblio, rifuggono dall'essere impiegate contro una malattia che l'ha tartassata non una, ma due volte; l'accoramento di tutte le terapie che i dottori le illustrano, pensando di regalarle qualcosa che già soffocava ingozzandosi di pasticche, inasprisce un rigetto che supera il sapore velenoso del suo sangue.
Vuole solo smettere di sentire i vuoti, i muscoli impietrirsi, spronarsi nel riempirli con inerzia sufficiente da sostenere la possibilità di riallacciare il passato al presente in un unico filo conduttore.
Quando capisce che la sola maniera concessale di godere della Primavera è di carezzare con l'olfatto la brezza arrotolata fra le tende di lino della sua stanza, le dita sfiorano la carnosità delle labbra, cogliendo uno strascico zuccherino scorrere sotto la pelle che vibra di egoismo, dolcezza, ingiustizia, rassicurazione, follia e desiderio turbinante in un calore confortante. Ci è già passata, una cicatrice in più non può farle più male delle altre. Ma ad consentire al terrore di disarmarla non è la prospettiva di un nuovo travaglio a scavare nella sua pelle d'avorio. E' Reiji Akaba che le si siede accanto con l'intenzione di non lasciarla sola
.

Note di fine capitolo:
Hanami: termine che si riferisce all'usanza giapponese di godere della bellezza primaverile degli alberi.
 

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Capitolo 5
*** Summer. ***


HIGANBANA / SUMMER.

"Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?"
Era con quella domanda che aveva iniziato a chiedersi se amasse Yuya o soltanto la consistenza delle proprie labbra sopra le sue, ma la risposta per sciogliere quell'intricato annodarsi lui l'aveva carpita prima ancora che le vesti ondose dell'Estate si adagiassero sulla città. 
Non occorse poi chissà quale ragionamento per giungere alla conclusione che Reiji Akaba prediligesse un atteggiamento impuntato più sui fatti che sulle parole: non si ha bisogno di quest'ultime quando il mondo crolla, la loro utilità capitola nella greve superficialità, uno scomodo incalzare che acuisce il frammentarsi generale e ostacola il bisogno di abbandonarsi a se stessi, a ciò che si ha dentro e prega di sgorgare. 
Aveva imparato a cucirsi addosso la realtà che viveva studiando dal principio la composizione del corazzarsi. Ne aveva saggiato il sapore metallico, studiato la densità, sperimentato le possibili variazioni creando infine una bolla artificiale di luci ai cristalli liquidi che si rifletteva nei monitor, al cui interno sequenze olografiche si riavvolgevano a un suo minimo comando. Tutto aveva il suo ordine, la sua disposizione, come voleva lui e quando voleva lui, con l'isolamento a essere una controindicazione alla fin fine accettabile, poiché null'altro se non le pareti lastricate di metallo e la muraglia di fili elettrici consentivano alla razionalità concessagli tutta la multifunzionalità che l'innato bisogno di controllo esigeva. Perciò, di quei filmati catalogati per ora e data, analizzati da ogni angolatura sopportata dalle palpebre sottilmente emaciate, non poteva esserci niente sopra cui lui non avesse già operato o che non avesse trasformato, migliorato.
Tuttavia...L'altalenare del Pendolo azzurrino continuava a imprigionarlo in una scomoda incompletezza, l'assidua e deludente verità di aver realizzato soltanto una copia senz'anima di quell'evocazione raggiante che richiamava a sé le stelle di ogni cielo. La cosa assurda era che, come sapeva bene quanto fosse facile all'importanza del suo orgoglio travalicare quella del proprio raziocinio, altrettanta cognizione si insinuava nella fondata certezza che l'Evocazione Pendolo non si riducesse a una questione tecnica o di esteticità: replicare uno spirito non era dono concesso agli umani, dunque esporsi per una sola volta, aveva pensato, non era ciò che poteva definirsi un rischio per la buona riuscita del suo progetto. 
Un tonfo e le sue mani erano affondate nel sangue.
Incastrata fra il bianco delle pareti i suoi lineamenti erano apparsi spaventosamente evanescenti, le guance più scavate. Sarebbe scomparsa se avesse provato ad afferrarla?
L'ossessione per il rosso vivido rovesciato sul metallo inattingibile che credeva essere la sua volontà filtrava ancora tremiti di quel male disserratosi a presunzione per l'essersi convinto di padroneggiare la metafisica umana; se tutto era riconducibile a una materia composta da elementi, alla loro corretta interpretazione corrispondeva l'ebrezza di un nuotatore dopo aver domato la più pericolosa fra le onde. 
Raccogliere Sakaki-san aveva soltanto affondato una stretta fissatasi attorno alla disciplina che credeva di esercitare su di sé, spremendo l'agonia che accartoccia il corpo quando incassa un pugno per il realizzare l'intima rassomiglianza con una di quelle bambole antiche che si vendono negli antiquariati, la cui utilità finisce una volta che si ripongono in una vetrinetta per non dare troppa corda al timore di scheggiarla. 
Non era stata la paura di poterla rompere a frenarlo tanto, quanto più lo scoprire di non essere capace di nascondere la propria interiorità al punto da dimenticarla. La verità che cerca di tenere fra i pugni turbina a livelli insani. Ma la bambola era bella e benché disagio e piacere si effondevano stremandolo, accontentarsi dell'incanto visivo ne invogliava le mani a sollevarla dal suo piedistallo per poterci giocare quella che non sarebbe stata sicuramente l'ultima volta, a toccarne l'incarnato rosseggiato di uno sfumato imbarazzo, gli occhi vellutati di iridescenze che parevano regalare lampi di carezze, assaporando l'ambrosia dei suoi sorrisi mentre la pelle di ceramica si allisciava sotto i suoi polpastrelli.
Non avrebbe dovuto sapere, vedere, l'appaiarsi di un'anima così limpida a un corpo incapace di renderle giustizia. Non avrebbe dovuto avanzare e basta.
Se vi era stata una possibilità per lui di indietreggiare, per Yuya, resistere alla tentazione di appoggiarsi al suo fianco la mattina successiva, quella dopo ancora e tutte le altre che arroventarono l'Estate di un calore arioso, scemò nell'apprendere che quei baci schioccati sul filo della varietà non erano destinati a morire incolti. 
La loro era una relazione fatta di fili carmini intrecciati che evocavano la stessa sinuosità degli Higanbana quando arricciavano le punte e si sporgevano in più direzioni con la corolla a fiammeggiare orgogliosa. Tutto si sarebbe potuto dire di quel ragazzo ligio ad un onore distinto nella morale, incentrata in principi che facevano della pacatezza uno dei suoi più fulgidi cavalli di battaglia, la solidità senza confini nel voler rimanere lì nonostante il dolore inscurisse il velo di smorfie attorno al viso di lei. Pertanto, quando ravviva la monotonia pallida della sua stanza trasformandola in un paradiso floreale – con la promessa di portarla a vedere la prima fioritura di Higanbana alla fine dell'Autunno -, o disdice la prenotazione nel ristorante più costoso della città per riempire la sala da pranzo dell'ospedale di candele e organizzare lì il loro primo appuntamento – perché le gambe non riescono più a sostenerle il peso e un uomo che conosce il giusto valore del potere sa sempre come impiegarlo -, o lo ritrova alle due di notte accanto a lei, nel letto duro dell'ospedale, la cravatta appena allentata e le dita strette attorno le fedi d'argento scambiatesi sotto lo squittire delle infermiere pettegole, Yuya Sakaki non ha pensieri al riguardo della pazzia che si astiene dal manipolare il suo dolore e addolcisce quanto ne è conseguito: lui, lei, loro, quale che fosse la forma associata al viticcio che li legava, snebbiava la coltre plumbea strettasi alle ombre di entrambi. 
"Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?"
Mancava esattamente un mese prima che gli Higanbana tornassero a decorare l'Autunno.
Lei non ci arrivò mai.

Note di fine capitolo.
E siamo arrivati alla fine. Cinque capitoli sudati, riscritti, arricchiti - benché dovessero essere ancor più concisi -, ma infine ecco concluso Higanbana. Un progetto piccolo, sì, ma importante per me, poichè mi ha aperto le porte a questa saga che conosco molto di sfuggita. Chi si aspettava il lieto fine, mi spiace tanto, ma questa storia era pensata per finire male e male è finita:  ammetto di aver trovato difficoltà in certi attimi a trovare le parole giuste, specie qui nell'ultimo capitolo, ma alla fine mi sono accontentata di quello che avevo preparato senza essere troppo pretenziosa come al solito mi trovo essere; non amo le sdolcinatezze e spero di non essermi calata troppo, cercando di rimanere sul mio il più possibile. Prima di lasciarvi, ho giusto un paio di cosine da dire: Efp non è stata la piattaforma di esordio di Higanbana, bensì è stata Wattpad. Lì sono conosciuta come Ciril09 e chiunque volesse leggere ancora su Yu Gi Oh Arc V o voglia leggere alcune rivisitazioni di Zexal, troverà la Zexal/ Arc C Collection, dove sono aperte gratuitamente richieste per qualunque genere di coppie inerenti a questi due fandom; anche i commenti sono ben accetti. A breve pubblicherò il settimo capitolo, non appena sarà ultimato. Oltre a ciò, troverete Hell's Road completamente rivisitato da quello che conoscete qui su Efp. Per concludere, voglio porgere i miei ringraziamenti a tutti coloro che hanno letto e recensito la mia storia: ringrazio prima di tutto SuorMaddy2012 (alias Selena Leroy) per avermi incitato a pubblicare anche qui e Servo di Horus per le meravigliose recensioni e i complimenti fattimi: magari un giorno riuscirò a pubblicare qualcosa di mio, pian pianino...
Mando un bacione a tutti quanti e a presto!
 

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