221b Baker Street

di Chelinde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Di strane sorprese e di gusti assurdi ***
Capitolo 2: *** 2-Di incubi e musica ***



Capitolo 1
*** 1-Di strane sorprese e di gusti assurdi ***


Personaggi: John Watson & Sherlock Holmers
Ambientazione: all'incirca prima e seconda stagione


1-Di strane sorprese e di gusti assurdi
 
John quella mattina si era svegliato stranamente di buon umore, si era fatto una doccia veloce, aveva indossato un'anonima camicia a scacchi ed un paio di pantaloni comodi, si era infilato le sue scarpe ed aveva inventato una colazione veloce per sé e per il suo coinquilino che ancora dormiva, recuperando le ore di sonno perse durante la risoluzione di un caso che li aveva tenuti impegnati per qualche giorno.
Mangiò con calma, gustandosi ogni morso della sua colazione, infondo aveva guadagnato abbastanza tempo da potersi godere la calma mattutina che aleggiava al 221b quando il corvino non si era ancora svegliato. Faceva strano dirlo, ma quell'appartamento, senza esperimenti sparsi per il pavimento, senza urla e senza fogli sparpagliati sembrava davvero tutta un'altra cosa.
Poggiò i piatti nel lavello lasciando apparecchiato per il giovane Holmes, quindi uscì con un sorriso sul volto.
Aveva un obiettivo e tutta l'intenzione di portarlo a termine.
Fuori il sole era alto, si beò per un attimo dei suoi raggi sulla pelle, del lieve calore che emanava già dalle prime ore della mattina, quindi si incamminò con passo deciso verso il supermercato più vicino.
Erano le otto e mezza di mattino e non incontrò molte persone, giusto qualche turista coraggioso che aveva deciso di svegliarsi presto per godersi i suoi pochi giorni di vacanza, qualche genitore senza figli, qualche lavoratore ed in un attimo John Watson si ritrovò a fare gli stessi ragionamenti che Sherlock faceva ogni giorno. Si ritrovò a catalogare le persone ed a studiarle notando piccoli dettagli che precedentemente probabilmente avrebbe trascurato non dandogli troppa importanza, la cosa terribile è che stava facendo tutto ciò senza neanche rendersene conto.
Notò una donna di mezz'età, giocava con la fede che teneva stretta tra le dita come se fosse un'oggetto di poco valore, sul volto un'aria imbronciata, probabilmente era intrappolata in un matrimonio infelice ed aveva da poco fatto una brutta litigata col marito. Osservò il livido che si iniziava ad intravedere sull'avambraccio della donna, sì, probabilmente l'uomo era tornato ubriaco a casa quella notte, avevano litigato e lui l'aveva afferrata con violenza per il braccio, per questo l'aria imbronciata. Inoltre la donna doveva avere un gatto bianco; infatti indossava una maglietta dai colori accesi, ma all'altezza dello stomaco e del seno si ritrovavano i lunghi e fini peli tipici di un gatto. Doveva essere molto affettuoso.
Il supermercato non era troppo distante, vi entrò senza molte cerimonie ed andò diritto verso il reparto dei surgelati. Si perse un attimo a contemplare l'immensa scelta che aveva davanti, la lingua si leccò istintivamente le labbra davanti a tante cose così buone: aveva davvero l'imbarazzo della scelta.
"Chissà che gusto preferisce Sherlock"
Si stupì egli stesso del suo pensiero, per un attimo arrossì, ma si giustificò velocemente dicendosi che era normale chiedersi quali fossero i gusti preferiti dal suo coinquilino visto che comprava una cosa per entrambi.
Scorse con gli occhi le varie scatoline, una per una, gli occhi attenti. Si sentiva tornato bambino, quando sua madre lo portava nella gelateria vicino casa e permetteva a  lui ed a sua sorella di prendersi un gelato; Harriet sceglieva sempre cioccolato e limone, al solo pensiero John rabbrividì, erano due gusti troppo diversi per stare insieme e non può mai nascere nulla di buono da una combinazione di due cose così diverse.
Lui invece prendeva pistacchio e nocciola, un connubio a sua detta perfetto, dove nessuno dei due gusti uccideva l'altro, ma si mischiavano perfettamente permettendogli di godere appieno del sapore dell'uno e dell'altro, sia separatamente che insieme.
Afferrò un paio di vaschette, una al pistacchio ed una alla nocciola, quindi li inserì in una delle borse frigo che si trovavano alla fine del reparto surgelati per chi se la dimenticava a casa o per chi, come lui, non aveva proprio mai avuto in casa una busta per i surgelati. Quindi passò oltre afferrando anche il cioccolato ed il limone. Fu un gesto inconscio, infondo sua sorella gli mancava, anche più di quanto volesse ammettere a se stesso.
Andando a pagare dedicò uno sguardo carico di odio alla cassa elettronica, non si era certo dimenticato della loro ultima litigata e, siccome non voleva rinunciare al suo prezioso bottino, decise di non provare un secondo round dirigendosi a passo veloce verso una cassa con un essere umano pronto ad aiutarlo.
"Salve"
Salutò gentilmente con un sorriso la giovane cassiera. Era molto carina, capelli neri tenuti a caschetto ed occhi verdi luminosi, era truccata leggermente, gli dedicò un sorriso gentile e cortese.
"Deve lavorare qui da poco" si disse il Dottore notando il tono dolce e squillante della ragazzina. In quel supermercato i cassieri erano tutti abbastanza scorbutici ed all'ex militare venne naturale di domandarsi quanto sarebbe durato il dolce sorriso sulle labbra lievemente carnose della corvina.
Pagò velocemente e scambiò qualche altro convenevole prima di andarsene. In condizioni normali ci avrebbe potuto provare, ma era davvero troppo giovane e lui aveva un tesoro ben più grande da portare a casa: i suoi adorati gelati.
Non vedeva l'ora di mangiarli, già pregustava il loro sapore fresco in bocca, il sollievo che gli avrebbero portato salvandolo almeno per qualche istante dalla calura di quell'estate fin troppo afosa. Sembrava quasi volare verso il 221b, un sorriso stampato in faccia ed il sacchetto tenuto ben stretto per essere certo di portarli tutti interi a casa.
Salì le scale di corsa, come era ormai abituato a sentir fare a Sherlock, stava quasi per mettersi a fare i gradini di due in due se fosse stato certo di non rischiare di scivolare, cadere all'indietro facendo una discreta figuraccia sia con la signora Hudson che con il suo coinquilino che non avrebbe certo tenuto per sé le numerose battute e frecciatine che ne sarebbero nate.
Rientrato nell'appartamento notò che Sherlock non si era ancora svegliato, probabilmente lo avrebbe lasciato riposare ancora un po', infondo era ancora presto, si diresse quindi verso la cucina poggiando il sacchetto dei surgelati accanto al frigorifero. Fischiettava un motivetto allegro quando aprì il congelatore, fu in quel momento che un brivido gelido gli scese lungo tutta la schiena mentre una strana sensazione gli stringeva le viscere in una morsa d'acciaio. Aveva un brutto presentimento.
Si guardò intorno, non c'era nessuno in cucina, stette in silenzio e tese l'orecchio, ma non sentì nulla se non il lieve suono del russare del giovane Holmes nell'altra stanza, quindi si rilassò vistosamente: era stata solo una sensazione.
Con un gesto veloce ed impaziente aprì una delle ante del congelatore e solo dopo voltò lo sguardo osservando il suo contenuto.
C'era una testa mozzata di un uomo.
C'era una testa mozzata di un uomo i cui occhi lo stavano guardando.
C'era una testa mozzata di un uomo i cui occhi lo stavano guardando a bocca aperta.
C'era una testa mozzata di un uomo i cui occhi lo stavano guardando a bocca aperta nel suo congelatore.
"Sherlock!"
L'urlo riecheggiò per tutto l'appartamento, la stessa signora Hudson si ritrovò a sussultare nell'udire quell'urlo, la manina grinzosa che si portava all'altezza del cuore "Quei due mi faranno venire un colpo" sussurrò prima di tornare al suo lavoro a maglia.
Nella sua stanza da letto il giovane al quale apparteneva il nome si ritrovò a scattare a sedere, gli occhi sgranati e la bocca schiusa per la sorpresa. Iniziò a guardarsi intorno spaesato, gli occhi che cercavano di abituarsi all'oscurità rotta solo dai pochi raggi che si infiltravano tramite gli scuri chiusi.
La porta di spalancò con forza sbattendo contro il muro con una violenza tale che l'investigatore si trovò nuovamente a voltarsi verso la fonte del rumore, la mente che ancora non funzionava bene a causa del fatto di essersi appena svegliato e non nel migliore dei modi. "John..."
"Tu adesso questa me la spieghi".
Il dottore aveva il volto rosso ed i lineamenti erano resi più duri e tesi. Le narici erano più divaricate del solito, gli occhi sgranati, i denti digrignati. Si avvicinò con passi pesanti verso il giovane spaesato, lo afferrò per il braccio con molta poca grazia e lo trascinò con forza verso la cucina mettendolo davanti alla scena del crimine.
"C'è una testa nel nostro congelatore"
"Molto bene John, vedo che non perdi un colpo, i tuoi pazienti devono sentirsi al sicuro con te"
Il tono di Sherlock era sarcastico mentre, con un lieve sorriso, andava a dare una leggera pacca sulla spalla al biondo, quasi a volersi seriamente complimentare per la brillante deduzione.
"Sherlock!" lo richiamò con il suo tono da ex militare Watson "Non puoi tenere teste di uomini nel nostro frigo!"
Il corvino scrollò appena le spalle, un'aurea da finto ingenuo sul volto "No, mi avevi detto che non potevo tenerci pollici- e per quella storia aveva fatto la spia la signora Hudson, ne era sicuro- unghie, piedi, capelli, occhi, ma non mi avevi mai detto nulla a proposito delle teste"
John voleva seriamente ucciderlo. Si chiese se Greg lo avrebbe coperto, magari lo avrebbe addirittura aiutato ad occultare il cadavere, infondo lui non ne poteva più esattamente come il povero dottore.
"Okay, facciamo così, non puoi tenere pezzi umani nel frigo della nostra casa, anzi, non li puoi proprio tenere in questa casa, è chiaro?"
Ma Sherlock ormai non lo ascoltava più, era intento a guardare tutt'altro.
"Ma questi sono gelati?" domandò retorico aprendo la busta e studiandone il contenuto "Bell'idea, i gelati mi piacciono".
Detto ciò si voltò verso John dedicandogli uno dei sorrisi che il suo sociopatico preferito dedicava solo a lui.
L'ex militare si sentì attraversato come da una scarica elettrica davanti alla vista di quel sorriso, stava per rispondergli ma si ricordò del piccolo particolare giacente nel congelatore "Sì okay, ma Sherlock per la testa-"
Non ebbe il tempo di finire perché l'investigatore aveva preso in mano le due vaschette di cioccolato e limone e le osservava con gli occhi di un bambino "Oh, i miei gusti preferiti, ma come facevi a saperlo? Adoro il gelato cioccolato e limone!"
John Watson morì in quel momento.
 
Erano due gusti troppo diversi per stare insieme.
Non nasceva niente di buono da una combinazione di due cose così diverse.
John Watson e Sherlock Holmes erano troppo diversi per stare insieme.
Stando insieme erano nate tante cose buone come tante ne erano nate di cattive.
John Watson si rese conto di amare quella quotidianità fatta di teste mozzate ed occhi in barattolo trovati nei posti più strani della casa.


N.D.A.:
Ed eccoci qui con la pubblicazione del primo capitolo di questa raccolta, che dire... è anche la prima volta che scrivo su questo fandom, quindi ci sta un po' di nervosismo XD
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e se volete e vi sentite particolarmente ispirati potete lasciarmi qualche prompt nei commenti, cercerò di accogliere più richieste possibile, i personaggi possono essere tutti quelli della serie ovviamente (vi chiedo di rimanere intanto all'interno delle prime due stagioni che sono quelle che conosco meglio).
Tornerò presto a tormentarvi allietarvi con un nuovo capitolo.
Un bacio Chelinde <3

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Capitolo 2
*** 2-Di incubi e musica ***


Prompt suggerito da scorpio 17 (https://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=502925) che mi ha contribuito alla creazione di un mio nuovo headcanon
Ambientazione: Tra il secondo ed il terzo episodio della seconda serie (2x02 e 2x03), solo perchè c'è una citazione dal Mastino di Bakesville
Personaggi: John Watson & Sherlock Holmes


2-Di incubi e musica
 
John aprì gli occhi, davanti a lui vi era uno spettacolo a dir poco agghiacciante. Si trovava in mezzo ad una distesa brulla, una delle tante che aveva visto durante la guerra in Afganistan. Si guardò intorno, il cuore che gli martellava nel petto, lo stomaco che gli si contorceva dall'odore della morte, anche volendo non sarebbe mai riuscito a capire quanti morti c'erano in quella singola distesa.
Troppi si disse, perché sì, anche uno solo era sempre troppo.
Fece qualche passo titubante, le gambe che tremavano. Si inginocchiò accanto ad uno di quegli uomini, era disteso prono, le mani del dottore si mossero verso il corpo girandolo permettendogli così di scoprirne il volto. Squittì a tale vista.
Si trattava di un vecchio amico che aveva proprio conosciuto durante la guerra, si chiamava Allan e sul suo volto da giovane uomo sempre allegro ed alla ricerca di cose belle si era ora disegnata un'espressione di puro terrore. La bocca era rimasta spalancata, come a voler fare un'ultimo grido verso quella guerra inutile ed insensata, gli occhi, un tempo così pieni di vita e generosi, erano divenuti vacui e sembravano osservare la volta del cielo azzurro in un'ultima preghiera.
John si osservò le mani che si erano tinte di rosso. Si alzò in piedi inorridito osservandole, spostando lo sguardo da quelle al cadavere, gli occhi che lentamente si riempivano di lacrime davanti alla vista del soldato aperto da più di un colpo d'arma da fuoco e del sangue che lo circondava come un lenzuolo.
Si pulì le mani alla camicia con gesti veloci e rabbiosi, le labbra che si stringevano tra di loro disegnando un'unica linea sottile, quindi tornò a guardare quel campo dove, da non molto, doveva essere finita una sanguinosa battaglia.
Quante persone conosceva su quel campo?
Quante erano morte?
Quante avevano quell'espressione di terrore come Allan?
Quante avrebbero voluto dire qualche ultima parola diretta magari ai propri cari e non ne hanno avuto l'occasione?
Si portò le mani al volto sopprimendo un singhiozzo.
Tutto questo era finito, lui era tornato a Londra, non era più in guerra, non doveva più lottare contro ferite d'armi da fuoco con pochi medicinali e pochissime garze. Era tutto finito. Era tornato a casa ed ora viveva bene, sempre in mezzo ai morti, ma morti ai quali cercava di dare una pace trovando chi li aveva uccisi.
Che pace potevano trovare quei corpi distesi?
Nessuna, era l'unica risposta possibile.
Si asciugò le lacrime che gli avevano bagnato il volto e tornò a guardare quello spettacolo raccapricciante, respirò a pieni polmoni quell'aria che parlava di morte e di dolore, ascoltò con attenzione i gemiti, i lamenti di chi stava morendo agonizzante. Doveva imprimerselo nella testa, doveva ricordare ogni volto, ogni lamento, ogni ferita che non era riuscito a curare, non doveva dimenticare, non poteva farlo per chi era morto lanciando un'ultima preghiera al cielo o per chi era morto con l'orrore negli occhi, per chi, in generale, era morto in quella guerra sciocca ed inutile.
"John?"
A quella voce il cuore gli perse un battito. Si girò lentamente, sentendosi come uno dei personaggi di un film horror pregando di essere in errore, ma era impossibile sbagliarsi sentendo quella voce baritonale.
"Sherlock..."
Sussurrò appena quel nome, la voce che gli tremava, gli occhi che volevano sbagliarsi, desideravano aver confuso l'immagine dell'investigatore con qualcun'altro ed invece era proprio lui.
Lui era lì davanti a John e lo guardava con quegli occhi azzurri-grigi così belli, così diversi, così profondi; indossava il suo solito cappotto lungo, il colletto alzato che ne metteva in risalto gli zigomi.
"Per favore puoi evitare di farlo sta volta?"
"Fare cosa?"
"Questa tua mania di alzare il bavero e mettere in evidenza gli zigomi per fare il misterioso"
"E- N-non faccio così"
"Sì che lo fai"   (*)
Il ricordo di quella volta a Baskerville gli riempì il cuore di un sentimento piacevole, che sapeva di caldo e di dolce in mezzo a tutto quell'orrore.
"Cosa ci fai qui?"
Balbettava il dottore, non voleva che lui vedesse tutto quello. Sapeva che Sherlock lavorava con i cadaveri, ma quello era diverso.
Una cosa era andare a caccia di criminali ed assassini, usando l'intelletto e la furbizia che il giovane Holmes aveva in sovrabbondanza, una cosa era vedere tutti quei morti essendo consapevoli di non potere fare niente per loro.
No, non poteva permettere che Sherlock vedesse tutto ciò. Era troppo, ne avrebbe portato i segni per sempre, un po' come faceva lui. Non poteva accettarlo, voleva vedere il suo coinquilino andare avanti nella sua vita come sempre, senza dover portare sul petto quelle ferite che mai si sarebbero potute richiudere.
"Devi andartene da qui. Via! Veloce!"
John riuscì a captare da solo il terrore nella sua voce, le labbra del corvino davanti a lui si schiusero un istante, gli occhi di quel colore così strano e meraviglioso allo stesso tempo si addolcirono appena e gli dedicò un lieve sorriso.
"John, non posso andarmene. Io appartengo a questo luogo"
Quella risposta lo colpì in pieno petto come una freccia. "No!" sembrava un disperato, colui che vuole cercare di mettere in salvo una cosa ancora bella e pura in mezzo ad un mondo nero e marcio. "No, tu non appartieni a questo posto. Tu no, ma io sì!".
Sherlock gli si fece avanti, il sorriso e lo sguardo ancora gentile, il suo braccio desto si alzò lentamente andando ad indicare un corpo poco più in là.
"Sì invece John, io appartengo a questo luogo, va a guardare tu stesso".
Le gambe del dottore si mossero verso la figura che gli era stata indicata, le ginocchia gli tremavano, il cuore sembrava volergli uscire dal petto, per un attimo temette seriamente di crollare a terra prima di aver visto ciò che l'investigatore desiderava mostrargli.
Le parole gli morirono in gola ed il respiro si interruppe per qualche istante mentre osservava la sagoma riversa su un lato davanti a lui. Si chinò lentamente, con terrore, a terra, le mani che si spostavano verso quel lungo cappotto che conosceva fin troppo bene, lo accarezzò leggermente, togliendogli la sporcizia che aveva raccolto cadendo a terra, quindi si mosse verso il volto di chi indossava quel capo.
Il corpo gli dava le spalle ma riuscì chiaramente ad intravedere una montagna di ricci neri ricoperti di sangue rappreso.
Si voltò a guardare indietro. Sherlock era sempre lì che lo osservava con sguardo attento invitandolo a girare il corpo. John si ritrovò a fare una violenza su se stesso per tornare a guardare quella figura voltandola verso di lui e per un attimo il mondo sembrò finire lì.
Non c'era più nessun rumore di gemiti, più nessun odore di morte e non c'era più nessun altro se non lui ed il cadavere di Sherlock Holmes, morto per un colpo sul petto che gli aveva provocato una ferita larga e sicuramente mortale.
Il biondo lo osservò, un dolore atroce che gli dilaniava nel petto.
L'investigatore aveva gli occhi chiusi ed i lineamenti era distesi, non contratti come quelli degli altri morti, sembrava quasi che lui fosse morto in pace.
"Ora hai capito perché ti ho detto che appartengo a questo posto?" gli domandò una voce baritonale all'orecchio.
"No... tu non..." non riusciva a parlare, le lacrime ormai gli rigavano le guance e la voce era spezzata da numerosi singhiozzi. Non era certo una scena virile, ma in quel momento non gli importava. Sentiva come se gli avessero strappato la cosa più importante del mondo con una forza inaudita. "Tu non dovresti essere morto... non qui... io sì... io appartengo a questo posto, a questo orrore, a questa guerra. L'odore dei morti in battaglia è il mio odore, non il tuo".
Probabilmente il dottore avrebbe voluto aggiungere altro ma il rumore di spari lo bloccò mentre si alzava con uno scatto e si voltava verso la fonte del rumore, era iniziata un'altra battaglia e quelli non erano spari amici.
Una pallottola gli entrò nella spalla, un dolore acuto strappò via dalla sua mente ogni altro pensiero, ogni altro dolore e cadde a terra.
 
John aprì di scatto gli occhi saltando a sedere.
Si ritrovò nel buio più completo e ci mise qualche istante prima di rendersi conto che non provava alcun dolore alla spalla. Era nella sua camera al 221b di Baker Street e quello era solo stato un'incubo.
Cercò a tentoni il suo telefono poggiato sul comodino e ne osservò l'ora, erano le quattro del mattino.
Da quant'era che non si faceva una notte intera? Una settimana?
Un mugolio frustrato gli sfuggì dalle labbra mentre si lasciava ricadere indietro sul materasso, una mano prese a carezzarsi il volto trovandolo bagnato di lacrime.
Le prime luci dell'alba trovano l'ex militare con gli occhi aperti a fissare il vuoto disteso sul suo letto. Non era riuscito a chiudere occhio per tutto il testo della notte.
 
Quando Sherlock si alzò erano le otto di mattina, lui aveva dormito così bene da sentirsi fresco e riposato, aveva un umore ottimo e già iniziava a pensare a come passare quella mattinata in attesa dell'arrivo di un caso tanto interessante da tenere occupata la sua frenetica mente.
Entrò nel salottino dell'appartamento trovandovi già John che, seduto al tavolo, leggeva il giornale.
"Buongiorno"
Lo salutò cordiale il corvino. Al suono della sua voce il cuore di John perse un battito, le parole che l'investigatore aveva pronunciato nel suo sogno tornarono nella sua mente impossessandosene con violenza: "Sì invece John, io appartengo a questo luogo, va a guardare tu stesso".
Scacciò via quel pensiero scuotendo appena il capo ed abbassò il giornale rispondendo al saluto del suo coinquilino.
L'investigatore osservò il volto dell'ex militare con grande attenzione: le occhiaie del dottore si erano fatte ancora più scure ed il suo colorito sempre più pallido, ovviamente non dormiva bene da una settimana circa. Inoltre dietro a quegli occhi riusciva leggeva un muto terrore che il biondo cercava di nascondere dietro un sorriso palesemente tirato.
"Sono tornati gli incubi?"
Domandò dunque in maniera fredda e diretta Sherlock. Aveva aspettato ed atteso che il coinquilino glielo dicesse da solo, magari bevendoci su qualcosa, ed invece lo aveva tenuto per sé senza confidarsi con l'amico, probabilmente con l'intento di non farlo preoccupare.
John si ritrovò a sgranare appena gli occhi, lo stupore si dipinse sul suo volto solo per pochi nanosecondi prima che riuscisse magistralmente a nasconderlo, ma quel brevissimo tempo fu sufficiente perché l'investigatore comprendesse di aver fatto centro. Non che ne dubitasse comunque.
"Ma no, ho solo difficoltà a dormire, fa troppo caldo".
A Londra in primavera. Si era inventato una scusa stupida e poco credibile.
I due uomini si guardarono negli occhi un'istante e decisero di passare oltre.
"Pensavo di andare da Molly oggi per vedere se ha qualche cadavere che posso usare per i miei esperimenti, vuoi venire?"
Il dottore si ritrovò ad annuire leggendo negli occhi del coinquilino l'eccitazione di un bambino che progetta di andare in un negozio di giocattoli.
 
La sera era arrivata presto e nessun cliente aveva bussato alla loro porta. Sherlock si era comunque comportato bene, aveva trovato un nuovo esperimento da poter fare con degli alluci che aveva messo a mollo nell'aceto in bagno. In condizioni normali John si sarebbe opposto, arrabbiato ed i due avrebbero avuto una lunga discussione sul perché non si potevano portare pezzi di gente morta in casa, sopratutto se questi pezzi dovevano essere messi nell'aceto come normali piccole verdure, ma era davvero troppo stanco e vedere quell'aria contenta nel corvino gli aveva permesso di dimenticare per un attimo il volto che lo stesso aveva nel suo sogno da morto.
Erano le otto di sera ed il dottore se ne stava seduto sulla poltrona nel salotto del loro appartamento leggendo ancora il giornale quando l'investigatore prese in mano il proprio violino ed iniziò a suonare.
John abbassò immediatamente il quotidiano fissando il suo coinquilino che gli dava la schiena puntando lo sguardo fuori dalla grande finestra, l'arco del violino che si muoveva lento ma sicuro producendo della musica dolce che presto si diffuse per tutto l'appartamento.
Il giornale fu accuratamente ripiegato e posto da una parte, mentre l'ex militare si metteva più comodo sulla poltrona ascoltando quella musica; inutile dire che ogni volta che Sherlock suonava lui si stupiva della sua bravura e si incantava nel guardare tutti i movimenti che compiva, compreso quel leggero movimento delle spalle o della testa che seguiva il ritmo della musica.
Lentamente sentì tutti i muscoli del suo corpo che si rilassavano per la prima volta in quella settimana che era stata caratterizzata da incubi continui ed un lieve ma spontaneo sorriso fece capolino sul suo volto.
Rimase lì ad ascoltarlo per un tempo che non seppe quantificare, forse pochi minuti, forse qualche ora, non gli importava, si sentiva bene e lentamente le palpebre si chiusero mentre la sua coscienza veniva portata via pezzo dopo pezzo dalle dolci mani di Morfeo che parevano proprio muoversi al ritmo della musica.
Prima però che anche l'ultimo pezzo della sua coscienza fosse portato via donando finalmente l'uomo all'oblio del sonno, egli riuscì a formulare un'ultimo pensiero fondamentale; lui non apparteneva a quel mondo orribile che aveva sognato, l'odore dei morti non era il suo, i gemiti dei disperati non erano l'unico suono che le sue orecchie avrebbero dovuto udire, così come i suoi occhi avevano il diritto di vedere altre cose oltre ai paesaggi brulli pieni di morti.
Lui non apparteneva alla guerra ed ai suoi orrori, lui apparteneva a quell'appartamento, al 221b di Baker Street.
Così, per la prima volta dopo tanti incubi, i sogni di John furono animati dal dolce suono del violino, dall'odore dei libri, da qualche sporadico alluce lasciato nell'aceto e da mani dolci e gentili che gli carezzavano i capelli augurandogli la buona notte dopo averlo avvolto in una coperta.



(*) la citazione viene dal secondo episodio dela seconda serie

N.D.A.:
Che dire, questo prompt mi è piaciuto sin dall'inizio, tanto che questo capitolo era pronto già dal 22, ma ho deciso di pubblicarlo solo ora per coccolare me e tormentare voi, sopratutto per fes
teggiare l'essere passata alla teoria della patente *W*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi invito a lasciarmi delle recensioni e, se vi sentite ispirati, prompt che vorreste vedere in questa serie; per questo capitolo tutti i grazie vanno rivolti a scorpio 17 (link all'inizio della pagina) che ha lasciato il prompt "pensavo a John che si addormenta ascoltando Sherlock che suona il violino perché così non ha incubi", spero di averti accontentato! ^_^
Le risposte alle recensioni potrebbero essere lente perché domani parto e tornerò per i primi d'agosto, detto ciò,
a presto,
un bacio, Chelinde
<3

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