Necropolis di Gryfferinpuff (/viewuser.php?uid=998449)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'evasione ***
Capitolo 3: *** Ghiaccio, piante e terrore ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
SUICIDE SQUAD 2 - NECROPOLIS
- Prologo -
-
Scortate il ragazzo nella cella con la massima cautela!
Amanda Waller procedeva impettita lungo il corridoio del terzo piano
del carcere, impartendo ordini ai due soldati intenti a trascinare per
le braccia un giovanotto dall’accento ispanico; quello
gettava occhiate incuriosite oltre le sbarre delle celle, cercando di
vedere quale mostruosità si celasse al loro
interno.
- Voglio parlare col mio avvocato! – gridava di tanto in
tanto. – Non potete chiudermi qui!
Si fermarono finalmente davanti ad un cubicolo chiuso da una pesante
grata metallica, che scattò verso l’alto non
appena Waller ne azionò il meccanismo tramite un piccolo
telecomando.
Il ragazzino si lasciò spingere all’interno del
buco a tre mura, facendo un salto indietro non appena la grata
ridiscese con fastidioso sibilo.
- Allora, come sono andato? – domandò con aria
eccitata. – Ero convincente? Volete rifare la scena?
- Io opterei per un “Buona la Prima” –
replicò la donna di colore, senza lasciar trasparire alcuna
emozione. – Ora resta qui e continua a seguire il piano. La
cella è piccola, ma contiene tutto quello che ti serve. Vedi
quello sportellino alla tua sinistra? Puoi farlo scorrere di lato per
comunicare con la tua vicina di stanza. E’ un lusso che
concediamo a pochi.
- Offerta generosa – sorrise il giovane, esibendosi in un
profondo (seppur irrisorio) inchino. – Non si preoccupi,
Grande Capo, farò del mio meglio e anche di più.
Siete tutti in buone mani ed in contemporanea in una botte di ferro con
me – aggiunse, indicando il braccio cibernetico che spuntava
dalla manica arrotolata della divisa arancione. – O, insomma,
una botte di metallo.
Waller alzò un sopracciglio con fare severo, ma si
limitò a rispondere in modo secco e conciso prima di
allontanarsi imperiosa: - Non deludermi, Bionic
Boy.
Il ragazzo, il cui vero nome era Tobias Castilla Marquez, diede
un’alzata di spalle e sospirò: era eccitato
all’idea di prendere parte ad una missione di alto livello,
ma al contempo sapeva che l’attesa in cella
l’avrebbe annoiato a morte.
Seguendo il suggerimento dell’impassibile e corpulenta donna,
salì in ginocchio sopra al letto, spostò lo
sportellino comunicante con la stanza vicina e sbirciò
attraverso di esso: una ragazza pallida e formosa con i capelli rossi
sedeva in silenzio su una brandina, fissando il vuoto.
Toby si schiarì la voce, attirando la sua attenzione: -
Ciao! Sono il tuo nuovo vicino, spero di non disturbarti.
La prigioniera alzò lo sguardo verso di lui, mostrando
un’espressione disincantata e neutrale; dimostrava poco meno
di trent’anni, aveva grandi occhi celesti e lineamenti
morbidi e graziosi.
- Non mi disturbi – rispose con un lieve accento russo.
– E anche se mi stessi disturbando, probabilmente tra qualche
ora me sarò già scordata.
- Problemi di memoria? – domandò il ventenne
con fare curioso.
La rossa si strinse nelle spalle: - E’ il prezzo dei miei
poteri, a volte ricordo, a volte no. Il più delle volte no.
- Quali poteri hai? Comunque, piacere, il mio nome è Tobias,
ma tutti mi chiamano Toby, o Bionic Boy.
- Raisa Khovansky – disse lei. – Oppure Mnemos. Il
mio potere agisce sulla mente delle persone e in particolare sui loro
ricordi. E questo mi ha incasinato parecchio la testa. Tu hai qualche
potere?
Toby picchiettò un paio di volte sulla propria fronte: - Il
mio cervello. Non per vantarmi ma possiedo uno dei quozienti
intellettivi più alti del pianeta. Vedi questo braccio
bionico? Me lo sono costruito da solo a quattordici anni, quando ho
perso il mio in un incidente. Funziona esattamente come un braccio
normale e in più contiene un sacco di chicche ed accessori
da far invidia all’Ispettore Gadget… è
il personaggio di un cartone che guardavo da piccolo… beh,
non solo da piccolo…
- So chi è l’Ispettore Gadget –
puntualizzò la ragazza, per poi assumere
un’espressione incuriosita. – Sei molto
giovane… come mai sei finito qui dentro? Devi averla
combinata davvero grossa per venire rinchiuso a Belle
Reve…
- Io… - il piccolo genio si morse la lingua. – In
realtà ho promesso al Grande Capo Waller di non parlare con
nessuno di questo argomento. Tu, invece, perché sei
qui?
Raisa strinse le ginocchia al petto generoso: - Ho fatto delle brutte
cose. Cose molto, molto brutte. Te le racconterei,
però… - abbassò lo sguardo al
pavimento – il fatto è che non le
ricordo…
- Perché hai ripreso a strisciare i piedi
nell’acqua? Faccio fatica a sentire la
televisione!
Waylon Jones, alias Killer Croc, si alzò dal divano,
raggiungendo le sbarre della propria sudicia stanza e sbirciando in
direzione della cella opposta. Non riuscì a scorgere chi vi
abitava, ma si sentì rispondere da una voce femminile e
leggermente roca: - Scusa. Tra due settimane ci sarà la luna
calante… quando ci penso divento
nervosa…
- Sarà così tutti i giorni nelle prossime due
settimane? – domandò l’uomo rettile con
aria afflitta.
La voce tacque per alcuni istanti, poi replicò in tono
piatto: - Non lo faccio apposta, quando mi innervosisco comincio a
camminare avanti e indietro. E non ho poi così tanto spazio
a disposizione…
- Perché ti sei fatta rinchiudere qui, allora? –
insistette Jones. – Ci sono alcune celle un po’
più grandi ai piani superiori.
- E’ meglio così. Se ti do fastidio mentre cammino
alza il volume, non saprei cos’altro dirti.
Killer Croc si risedette sul divano, sospirando. La sua vicina era
arrivata pochi mesi prima, ma lui già cominciava a
rimpiangere i bei momenti passati in solitudine nel sotterraneo buio e
umido…
L’ala Est del secondo piano era più silenziosa
rispetto alle altre zone di Belle Reve. Waller procedette da sola lungo
la fila di celle ben distanziate, fermandosi davanti alla terzultima:
le sbarre erano di ferro, a differenza delle altre, e cominciavano
già a presentare un aspetto arrugginito. Presto sarebbe
stato necessario cambiarle.
- Sei una gran rottura di scatole, lo sai? – disse, attirando
l’attenzione della prigioniera che in quel momento le dava le
spalle, affacciata alla piccola finestra che dava sul cortile
principale del carcere – Ti stiamo dedicando fin troppe
attenzioni.
- Solo perché di tanto di in tanto dovete cambiare le mie
sbarre? – replicò quella con un forte accento
irlandese, volgendo di nuovo lo sguardo oltre la finestrella.
– Avete ospiti molto più dispendiosi di me, con
celle a prova di tutto. Non dirmi che i tuoi soldati si sciupano le
manine facendo un lavoretto per il mio misero buco, ogni
tanto.
- Non sono le sbarre il problema, Evergreen –
ribatté Waller, calcando prepotentemente il soprannome della
carcerata. – Ci hai causato un sacco di problemi con la
burocrazia e ogni giorno qualche giornalista da quattro soldi cerca di
intrufolarsi per ottenere informazioni su di te.
- Hai delle guardie pronte a fermarli.
- E pensi che a quelli importi?
L’afroamericana incrociò le braccia al petto con
fare autoritario: - C’è gente disposta a fare
qualsiasi cosa per ottenere riconoscimenti e fama. Quella gente non
teme l’idea di venir disintegrata dai miei uomini, sapendo
quanto offrono le case editrici per ottenere qualsiasi informazione
sullo scandalo poliziesco più in voga al momento. Sono
sempre disposte a pagare oro per poter mostrare al mondo quanto in
basso può cadere una persona, Ashlynn.
Quelle parole furono sufficienti a convincere la prigioniera ad
avvicinarsi alle sbarre per fissare l’interlocutrice dritta
negli occhi: era una donna alta vicina ai quarant’anni, con i
capelli castani raccolti in una coda, le iridi di un colore misto tra
il verde e il nocciola ed i lineamenti irlandesi graziosi ma alterati
dai mesi di prigionia.
- Sei venuta ad infierire, Waller? Hai davvero tanto tempo libero a
disposizione?
La sua voce era pacata ma decisa, in qualche modo lasciava trasparire i
residui di un’autorità ormai cancellata dalla
divisa arancione.
- Il mio tempo lo gestisco come voglio, Leprecano –
replicò la donna più vecchia in tono tagliente.
– Non ho bisogno delle prediche di una
criminale.
- La criminale peggiore qui sei tu – ribatté
l’irlandese, voltandole le spalle e andando a sedersi sul
proprio letto. – E comunque il Leprecano era mia madre.
- Come ti pare – replicò Waller, allontanandosi
con un piccolo ghigno. – Ti auguro una buona giornata.
Ashlynn attese che il suono dei passi della donna scemasse, poi si
voltò, aggrottando la fronte non appena vide qualcosa di
piccolo e dorato a terra, poco oltre le sbarre della cella. Waller
doveva essersi chinata ed averlo lasciato lì nel momento in
cui le volgeva le spalle.
- Lurida bastarda… - imprecò, cercando di
afferrare l’oggetto senza farsi toccare dal ferro.
– Naturalmente doveva lasciarla fuori dalla cella.
Eh sì, lasciamola qua, chissà che Evergreen non
si becchi qualche bella bruciatura…
Non appena riuscì a serrare la mano sul dono di Waller
ritrasse rapidamente il braccio, riuscendo ad evitare il contatto con
le sbarre. Un po’ incredula, Ashlynn dischiuse le dita,
domandandosi il perché di un simile gesto: sul suo palmo
luccicava un’antica moneta d’oro. La sua
moneta.
Deadshot varcò la soglia della cella con un sospiro, attese
che la porta venisse chiusa e sedette a terra, poggiando la schiena
contro di essa. Avrebbe dovuto aspettare un paio di giorni prima di
poter rivedere Zoe e già aveva fatto partire nella propria
mente il conto alla rovescia.
Una voce femminile, bassa e un po’ nasale, vivacizzata da un
singolare accento dell’est Europa lo raggiunse. Proveniva
dalla cella di fronte.
- Com’è andata oggi, Floyd?
Il cecchino si lasciò sfuggire un piccolo sorriso: -
E’ andata bene, ma mi manca già la mia piccola.
Oggi l’ho aiutata a fare i compiti. Qualche esercizio di
Algebra e poi Geografia… anche se ormai il mio aiuto
è un po’ superfluo, se la cava alla grande.
E’ un genio, la mia bambina. Vedrai che tra qualche anno i
college migliori faranno a pugni per lei.
- Meglio i college che i ragazzi, giusto? –
puntualizzò la donna in tono scherzoso.
- Naturalmente – replicò Floyd. –
Nessuno di quegli sbarbatelli è alla sua altezza.
- Non farlo pensare a certe cose, Roma – rise una seconda
voce di ragazza. – Sai che gli viene angoscia. Uuuh, la mia
bambina! I maschi sono tutti brutti e cattivi! Nessuno deve
guardarla!
- Ridi pure, Scarf – disse l’uomo in tono annoiato.
– Non preoccupatevi, comunque, non me la prendo. Capisco
perché la pensate così. Se mai avrete dei figli
capirete.
Seguì un attimo di silenzio imbarazzante, interrotto dalla
tossetta nervosa di Scarf, tanto che Deadshot, realizzando il peso
delle proprie parole, si morse istintivamente la lingua: - Scusa, Roma,
l’ho detto senza pensarci.
- Lo so, Floyd, non serve che ti scusi.
Il tono della carcerata era sincero, ma non bastò a
cancellare il lieve senso di colpa che ormai aveva assalito il
trentottenne.
- Beh – continuò lui, cercando goffamente di
salvarsi in extremis. – Puoi sempre adottare, no?
Cioè, in caso tu…
- Allora, quante volte vi ho detto che non potete parlare tra voi?
– lo interruppe la voce stizzita del secondino –
Attendere l’ora d’aria è tanto
difficile?
- Ehi, ehi, stavamo solo chiacchierando un po’, non
c’è bisogno di fare gli stronzi! –
replicò annoiato Deadshot, sogghignando non appena
udì le risate degli altri prigionieri.
- Comportatevi bene! – grugnì l’altro
secco.
In passato, Floyd Lawton avrebbe provocato quello stupido sbirro fino
allo sfinimento, l’avrebbe portato ad aprire la porta della
cella, in compagnia di una decina di colleghi, armato di manganello o,
perché no, di qualche bastardissimo aggeggio elettrico.
Ma ormai il fatto di poter far visita a Zoe lo rendeva in qualche modo
più tranquillo, poco interessato nel provare uno sfogo
dimenandosi selvaggiamente mentre i secondini lo picchiavano per
impartirgli una lezione che non avrebbe mai imparato.
Si limitò quindi a chiudere la bocca, giocherellando
distrattamente con il piccolo pendaglio a forma di orsetto che Zoe gli
aveva passato di nascosto.
Meno quarantacinque ore, diciotto minuti e dieci secondi.
Non riusciva a capire come fosse possibile, come facesse a provare
ancora delle sensazioni, come facesse a pensare…
Aprì gli occhi lentamente, rendendosi presto conto di essere
disteso dentro una specie di capsula; di tanto in tanto, avvertiva
delle strane vibrazioni pervadergli le membra.
Una ragazza con il camice bianco gli sorrise attraverso il vetro,
agitando una mano in segno di saluto. Poteva avere venticinque anni o
poco più, aveva i capelli mossi e scuri, la carnagione
chiara ed enormi occhi celesti, che parevano guizzare di emozione e
curiosità attraverso le lenti degli occhiali dalla montatura
nera.
- Ti sei svegliato, finalmente! – gli disse. – Come
ti senti?
- Io… - trovare parole adatte gli parve piuttosto difficile.
– Come faccio ad essere ancora vivo?
La giovane si lasciò sfuggire una risatina: - Pensavi
davvero che un’esplosione potesse uccidere il Signore del
Fuoco? Sarebbe come provare ad uccidere un pesce affogandolo, non
trovi?
- In realtà no…
- Non preoccuparti, l’importante è che siamo
riusciti a recuperarti. Presto sarai in grado di camminare di nuovo
sulle tue belle zampette. Io sono Maysie e mi occuperò di te
finché non ti sarai completamente ristabilito.
***
Angolo
degli Autori:
Salve a
tutti! Come avrete notato, in questo angolino si parla al plurale
perchè il profilo è condiviso da tre autori
diversi, tra cui Tinkerbell92
e Marina94.
Da qualche mese stiamo lavorando all'idea di questo sequel, che abbiamo
deciso di rendere più interessante (o almeno si spera)
inserendo dei personaggi nuovi. Non preoccupatevi se non tutti i membri
della Squad originale sono apparsi nel prologo, dal primo capitolo
riprenderanno il proprio ruolo (insieme ad un paio di altri OC).
Piccola nota: il nome della donna che parla con Floyd si pronuncia con
la O aperta, quindi non si chiama come la città.
Speriamo che questo primo assaggio vi sia piaciuto, grazie mille a
tutti coloro che hanno letto!
Gryfferinpuff
|
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Capitolo 2 *** L'evasione ***
SUICIDE SQUAD
2 - NECROPOLIS
- Capitolo 1. "L'evasione" -
Non c’era mai silenzio nella sua testa, ma il sibilo di quel
dannato allarme lo stava facendo impazzire.
“Cos’è?”
“Che sta
succedendo?”
“Fammi
prendere un attimo il controllo, voglio vedere!”
- Ragazzi, vi prego, è solo una stupida sirena. E la porta
della cella si è appena aperta.
“Come
sarebbe?”
“Si
è aperta?”
“Scappiamo!”
“Idioti,
è sicuramente una trappola!”
“Corbin, fammi
guardare!”
“No, fai
guardare me!”
Il giovane uomo premette forte i palmi delle mani contro le tempie,
reprimendo a fatica una smorfia di dolore: - Smettetela! Mi state
facendo diventare matto! State zitti per un secondo!
“Perché,
non sei già matto?”
“La vera matta
qui è Ice”
“Guarda che ti
sento, coglione!”
- Ragazzi, vi prego!
Annaspando come ubriaco, il carcerato avanzò fino alla
soglia della stanzetta in cui si era fatto volontariamente rinchiudere.
Si accasciò quindi contro il muro, cercando di decidere il
da farsi, ma, proprio mentre le altre personalità
riprendevano il chiacchiericcio insistente, la sua attenzione venne
catalizzata da una figura scura ed imponente che avanzava verso di lui
lungo il corridoio solitario.
Il primo impulso fu quello di scappare, poi, però,
all’interno della sua mente giunse un’altra voce,
una voce esterna, tranquilla, androgina e confortante, che lo
isolò completamente dai borbottii irritati degli altri.
“Perché
sei qui?”
- Sono un criminale… - rispose lui, quasi in trance.
– Sono pericoloso.
“Il manicomio
si è rivelato un fiasco, vero?”
Un piccolo sorriso si dipinse sul volto del giovane: - Non so come tu
faccia a saperlo, ma sì… qui è
più sicuro. Qui hanno i mezzi per tenermi a bada.
La voce tacque per qualche secondo, poi sussurrò in tono
ammaliante: “Vorresti
aiutarmi in una piccola missione? Sto cercando di migliorare il
mondo…”
***
- Ma non mi dire…
Digger Harkness sedeva sul letto con aria furtiva, dando le spalle alla
porta. Era riuscito a rubare un giornale durante l’ora
d’aria, con l’intento di provocare un piccolo
falò all’interno della cella - tanto per creare un
po’ di scompiglio - ma il titolo impresso a
caratteri cubitali in prima pagina aveva attirato all’istante
la sua attenzione.
- Disordini in città, eh? – mormorò
l’australiano. – Chi è lo stronzo che si
diverte a fare casino mentre io sono chiuso qua ad ammuffire?
Dunque… strane scosse… cani rabbiosi…
aggressioni… bah, fin qui nulla di che, ma…
sconvolgenti omicidi? Esagerati, sarà qualche serial killer
del cazzo e… aspetta, cuori strappati? Questo inizia ad
essere interessante…
Aguzzò lo sguardo, cercando di capire a quale creatura
potesse appartenere l’ombra impressa sulla fotografia
stampata sopra i paragrafi, quando all’improvviso un suono
acuto e assordate gli colpì i timpani con la violenza di un
pugno.
- Non ho toccato niente, giuro! – gridò, balzando
in piedi. – Stavolta io non c’entro!
Il suono dell’allarme era insistente e fastidioso, di
intensità diversa rispetto al solito. L’ultima
volta che si era udito un simile chiasso era stato alcuni mesi prima,
quando il Joker aveva fatto irruzione nel carcere liberando Harley
Quinn.
Capitan Boomerang si tappò le orecchie con le mani,
sferrando un calcio contro la porta della cella: - Fate smettere questa
fottuta sirena! Mi avete sentito, bastardi? Che cazzo sta succedendo?
Caricò nuovamente la gamba per colpire con un secondo
calcio, quando, con suo sommo stupore, i cardini della porta
cigolarono, per poi scattare con un “clang”
metallico.
Il criminale spalancò gli occhi azzurri, restando per
qualche secondo immobile, con le mani ancora premute contro le orecchie
e la gamba sollevata a mezz’aria. Inizialmente si
aspettò l’irruzione di una decine di guardie
pronte a immobilizzarlo e bastonarlo, ma, poiché non accadde
nulla di simile, prese coraggio e si affacciò alla soglia
della propria sudicia stanza: tutte le celle erano aperte e la feccia
sigillata all’interno fino a pochi istanti prima si stava
riversando in fretta nel corridoio, fuggendo in un tripudio di risa e
passi pesanti.
L’australiano si prese un paio di secondi per metabolizzare
la cosa, poi, esplodendo in un grido di gioia, si unì agli
evasi, dirigendosi verso la via d’uscita più
vicina.
A differenza degli altri, lui aveva ancora quella dannata capsula
esplosiva piantata nel collo, ma avrebbe risolto la questione a tempo
debito.
- Sì! Sono libero! – esultò, facendosi
largo tra i colleghi carcerati a spintoni. – Sono libero,
cazzo! Beccatevi questo, brutti figli di puttana, finalmente
sono…
La sottile puntura di uno spillo interruppe il suo discorso e la sua
fuga. Harkness fece appena in tempo ad estrarre la minuscola siringa
piantata tra il collo e la scapola destra, poi cadde a terra privo di
sensi. Buio.
Toby osservò in silenzio il timer sullo schermo elettronico
incorporato nel polso meccanico. Mancavano cinquanta secondi esatti.
- Finalmente – disse tra sé, inginocchiandosi sul
letto e facendo scorrere lo sportellino che si affacciava sulla cella
di Raisa.
Aveva passato solo tre giorni a Belle Reve, ma, per un ragazzo
iperattivo come lui, quel breve soggiorno aveva rappresentato
un’autentica forma di tortura.
“Se non
corressi il rischio di venire disintegrato, chiederei al Grande Capo un
aumento” pensò, attirando poi
l’attenzione della vicina con un furtivo “pssst”.
Raisa era stesa sul letto e lanciava svogliatamente in aria una pallina
azzurra e arancione, per poi afferrarla al volo e ripetere il
movimento. Volse lo sguardo in direzione del ragazzo, aggrottando la
fronte quando lui sussurrò: - Ascolta, tra qualche secondo
le porte delle nostre celle si apriranno e da quel momento dovrai
soltanto fidarti di me.
- Che stai dicendo? – domandò confusa la russa,
mettendosi a sedere.
- Non potevo spiegartelo prima, Waller mi ha ordinato di agire in
questo modo, suppongo per via dei tuoi problemi di memoria. Se non ti
fidi puoi provare a frugare nella mia mente o fare quello che vuoi, ma
nel momento in cui quelle porte si apriranno dovrai seguirmi ed essere
collaborativa.
- E questo tra quanto accadrà?
Toby controllò il timer: - Tra dieci secondi.
Nove… otto… sette… prepariamoci ad
uscire, davanti alla porta… tre… due…
uno…
Non appena il conto alla rovescia raggiunse lo zero, i cardini
cigolarono, aprendo presto una via di fuga per i due detenuti. Ma non
andò tutto come previsto.
- Cos’è questa sirena? –
gridò Raisa per sovrastare il rumore, tappandosi le orecchie.
Bionic Boy si guardò attorno con aria smarrita, mentre
l’intero corridoio cominciava a brulicare di criminali evasi.
- No, no, no! Questo non fa parte del piano! Perché stanno
uscendo tutti?
- Toby?
Il ventenne diede una rapida controllata allo schermo del timer, ora
occupato dal testo di un messaggio scritto in maiuscolo.
“IGNORA L’IMPREVISTO. CONTINUA AD AGIRE SECONDO IL
PIANO.”
Cercando di non farsi travolgere dai fuggitivi scalmanati,
afferrò la mano di Raisa e cominciò a correre
seguendo la direzione del flusso.
- Appena fuori da questo scompartimento scenderemo le scale, arriveremo
al secondo piano per poi raggiungere l’Ala Est.
- Che cosa c’è nell’Ala Est? –
domandò Raisa, cercando di tenere il passo.
- Incontreremo una persona… o almeno spero riusciremo ad
incontrarla, visto che rischia di perdersi in mezzo agli altri
prigionieri evasi… cazzo, questo intoppo proprio non ci
voleva!
Scesero al secondo piano senza interrompere la corsa, giungendo in una
zona del carcere piuttosto silenziosa e semi-desertica.
Un’ordinata fila di celle vuote si affacciava su un lungo
andito dalle mura grigiastre.
- Forse siamo arrivati tardi – borbottò Bionic Boy
con fare nervoso. – Maledizione, se scopro chi ha provocato
questa evasione di massa io lo…
- Ah, quindi l’intero sistema è andato in tilt
– disse una voce femminile, proveniente da una cella poco
distante. – Carcere di “massima
sicurezza”, dicevano…
Una donna slanciata sulla quarantina fece capolino dal proprio angusto
alloggio con fare flemmatico, poggiando distrattamente la spalla contro
il muro. Aveva i capelli castani raccolti in un approssimativo chignon
ed il volto caratterizzato da marcati lineamenti irlandesi.
Un sorriso speranzoso affiorò sulle labbra di Toby: - Sei
Evergreen?
- Diciamo di sì – rispose quella, gettandosi
un’occhiata annoiata attorno. – Si può
sapere cosa è successo qui?
- Che culo! – esultò il ragazzo, troppo eccitato
per rispondere alla domanda. – Sono così felice
che tu non sia fuggita insieme agli altri, Waller mi avrebbe ammazzato
se non avessi portato te e Raisa al Punto di Raccolta!
- Ah, quindi è Waller l’artefice di questo casino
– osservò Evergreen. – Chissà
perché la cosa non mi sorprende…
- Toby, potresti spiegarmi cosa significa tutto questo?
Perché Waller vuole me e questa donna? E dove si trova il
Punto di Raccolta? – domandò Raisa con fare
spazientito.
Il giovane assunse un’espressione afflitta: - Purtroppo non
posso spiegarvi tutto, non ho idea del perché il Grande Capo
mi abbia chiesto di portarvi da lei, ho semplicemente ricevuto degli
ordini e devo limitarmi ad eseguirli. Vi condurrò al Punto
di Raccolta, dove vi verranno date tutte le informazioni che vorrete.
Potreste fidarvi di me ancora per un po’?
Le due donne restarono in silenzio per qualche secondo, poi, Evergreen
sospirò: - Mi fido.
- Davvero? – s’illuminò il ventenne,
quasi incredulo di fronte alla risposta affermativa.
L’irlandese sogghignò: - Mi fido di quello che ti
succederà se oserai giocarmi un brutto tiro. Avanti,
ragazzino, portaci dalla Somma Megera.
L’ultima cosa che Floyd Lawton si sarebbe aspettato era
vedere la porta della propria cella spalancarsi
all’improvviso, mentre la sirena d’allarme
echeggiava per tutta la prigione con il suo assordante grido.
Il cecchino avanzò lentamente, affacciandosi sulla soglia:
poteva benissimo trattarsi di una trappola organizzata dai sadici
secondini, eppure nessuno dei prigionieri che in quel momento ne
approfittavano per fuggire aveva ancora affrontato conseguenze
spiacevoli.
- Floyd!
Roma si fiondò fuori dal proprio cubicolo, raggiungendo
l’amico ed afferrandogli le mani: il volto dai tratti gitani
era tinto di un’espressione preoccupata e confusa, i lunghi
capelli ricci e scuri sembravano più ribelli e spettinati
del solito.
- Che sta succedendo?
- Non ne ho idea – rispose l’uomo, gridando per
sovrastare il rumore della sirena. – Potrebbe esserci una
falla nel sistema, forse si può davvero provare a scappare,
o almeno tu potrai farlo. Io ho ancora la nano-capsula esplosiva
piantata nel collo, non penso andrei molto lontano…
- Per quella non preoccuparti – s’intromise la
ragazza dai capelli biondi e lo sguardo aggressivo che tanto amava
unirsi alle conversazioni dei due colleghi carcerati. –
Conosco qualcuno che potrebbe aiutarti, ma bisogna fare presto.
- Sono un po’ restio a fidarmi di una come te, Scarf, ma a
questo punto non vedo alternativa, si può provare
– ragionò Floyd, avviandosi con le due donne verso
l’uscita del corridoio. La loro sezione si era svuotata
rapidamente ed erano rimasti soli.
“Se quella
stronza di Waller avesse voluto ammazzarmi forse l’avrebbe
già fatto” pensò tra
sé il cecchino “E’
anche vero che potrebbe essere talmente impegnata a cercare di bloccare
l’evasione di massa da scordarsi della mia capsula e di
quella degli altri… no, impossibile, a quella donna non ne
sfugge una…”
Non era preoccupato per sé stesso, ma per Zoe: non poteva
lasciarla da sola definitivamente, non con quella stronza
irresponsabile della sua ex moglie.
Era talmente preso dai propri pensieri da non rendersi conto che Roma
l’aveva appena afferrato per un polso, cercando di bloccare
la sua corsa: tornò bruscamente alla realtà
quando rischiò di scontrarsi con un soldato alto e atletico,
con i capelli castani quasi rasati.
- Vai di fretta, Deadshot?
Floyd fece un passo indietro, preparandosi ad attaccare, ma
rilassò immediatamente i muscoli non appena riconobbe
l’interlocutore: - Flag… sei venuto qui per
riportarmi in cella? Vuoi farmi saltare la testa?
- Anche per me è un piacere vederti –
replicò ironico l’altro. – Comunque non
sono qui per fermarti né per ucciderti, a meno che non ti
rifiuti di collaborare. Vorrei che tu e le signore mi seguiste in
fretta e senza fare domande.
- E perché dovremmo fidarci di te, Coso? –
ghignò Scarf in tono di sfida.
- Perché non avete alternative – disse calmo Flag.
– O meglio, la mia alternativa sarebbe uccidervi tutti e tre
seduta stante: non siete armati e, per quanto riguarda voi due, signore
mie, i vostri poteri sono neutralizzati dalla droga che vi è
stata iniettata giornalmente. Vi consiglio di decidere in fretta.
Le due donne alzarono istintivamente lo sguardo sul cecchino dalla
pelle scura.
- Floyd – Roma appariva piuttosto titubante. - Tu hai avuto
modo di conoscere quest’uomo, noi no. Dobbiamo prendere una
decisione alla svelta.
-Possiamo fidarci – assicurò infine lui,
rivolgendo al Colonnello un’occhiata severa ma amichevole.
– È un po’ stronzo ma è anche
una brava persona.
- Sagge parole – rispose Flag, ricambiando con un sorrisetto.
– Ora seguitemi.
L’assordante suono della sirena raggiunse in breve tempo la
piccola stanza segreta, mentre le luci dei neon si accendevano e
spegnevano a intermittenza.
Chato Santana batté un paio di volte il palmo della mano
contro il vetro della capsula, cercando di sbirciare gli schermi dei
monitor che lo circondavano. L’espressione allarmata sul
volto di Maysie non prometteva nulla di buono.
- Che succede?
La giovane scienziata armeggiò nervosamente sulla tastiera,
lanciandosi attorno occhiate nevrotiche: - Non lo so… credo
ci sia appena stata un’evasione di massa, sto cercando di
contattare Waller… l’intero sistema ha qualcosa
che non va…
Dopo aver digitato un messaggio breve e conciso, raggiunse la capsula e
cominciò a testarne la funzione: - Sta andando tutto in
tilt… non posso lasciarti chiuso lì dentro, ne va
della tua sicurezza. Dobbiamo anticipare i tempi e arrangiarci da
soli…
Inserì il codice di accesso e premette un grande pulsante
blu: il coperchio della capsula si sollevò
all’istante.
El Diablo provò ad alzarsi per mettersi seduto, ma fu
necessario l’aiuto della ragazza per riuscire a vincere i
capogiri.
- Non mi incenerirai, vero? – domandò lei, con una
comprensibile nota di preoccupazione.
Chato scosse la testa debolmente, cercando a fatica di uscire dal
contenitore in cui aveva riposato per giorni. Indossava soltanto dei
pantaloni dalla stoffa leggera color beige.
- Non ne ho motivo. E anche se volessi, penso di essere ancora troppo
debole per produrre più di una piccola fiammella…
- Ce la fai a camminare?
-Posso provarci.
Maysie circondò le proprie spalle col braccio tatuato del
metaumano e, cercando un po’ goffamente di sostenerlo, si
avviò verso una porticina scura che si affacciava su un
lungo corridoio scarsamente illuminato.
Arrancarono per una decina di metri, raggiungendo un portellone
d’acciaio bloccato da una grossa maniglia circolare.
Lì, la giovane allungò la mano sinistra, facendo
combaciare la parte superiore dell’indice con il centro
esatto della maniglia: quella ruotò un paio di volte su
sé stessa, facendo infine scattare il meccanismo di
apertura.
Una luce artificiale ferì per qualche istante gli occhi
scuri del criminale, che però riuscì presto a
mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si trovavano sulla
soglia di un immenso salone di forma esagonale, le cui pareti erano
quasi interamente coperte da schermi di computer, telecamere e monitor
e, al centro di esso, svettava un imponente tavolo di metallo,
circondato da poltroncine a due posti; c’erano delle persone
radunate lì – persone che Chato conosceva bene- e
lo stavano fissando tutte con aria sbigottita, fatta eccezione per
Amanda Waller e Rick Flag.
- Entriamo – sussurrò Maysie, aiutando il
trentacinquenne a compiere un paio di passi in avanti. Il portellone si
chiuse silenzioso alle loro spalle.
- Che mi prenda un accidente! – esclamò Capitan
Boomerang, sdraiato sul tavolo. – Sono ancora stordito per
via di quel sedativo del cazzo, oppure quello che vedo è il
nostro amico piromane?
- Non sono stato sedato, eppure lo vedo anch’io –
soggiunse Deadshot, con un piccolo sorriso. – Allora sei
sopravvissuto, eh? Che razza di figlio di puttana, avvisare con un
messaggino, no? Una chiamata? Una cartolina?
El Diablo aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotto
dalla voce severa di Waller: - Ebbene sì, il vostro compagno
è vivo, siamo riusciti a recuperarlo soprattutto grazie
all’aiuto della dottoressa Hughes.
- Che sono io – balbettò Maysie un po’
impacciata, alzando la mano.
- Ad ogni modo, ci sono cose più importanti da spiegare, al
momento. Tra pochi istanti arriveranno gli ultimi componenti della
squadra e…
- Gli ultimi… componenti? – mormorò
Chato confuso, guardandosi attorno. C’erano sei persone che
non conosceva in quella stanza: una donna sui quarant’anni,
tre ragazze sulla trentina ed un giovanotto dall’aria
simpatica.
In quel momento, uno dei portelloni si spalancò e Tatsu
Yamashiro, alias Katana, fece il proprio ingresso nella sala,
accompagnata dall’imponente figura di Killer Croc e da due
ragazze poco sopra i vent’anni, una piccola e castana,
l’altra piuttosto alta, dai capelli neri ed il corpo
ricoperto di strani tatuaggi.
- Bene, direi che ci siamo tutti – esordì Flag,
mentre Capitan Boomerang si metteva a sedere, agitando la mano in cenno
di saluto.
- Ciao, Ragazza Samurai! Ti ricordi di me?
- Mi ricordo – replicò Katana, alzando gli occhi
al soffitto con fare annoiato.
Il colonnello rivolse all’australiano uno sguardo severo e
gli fece cenno di scendere dal tavolo: - Non cominciare ad importunare
le ragazze, Harkness. Bene, signori, vi consiglio di prendere posto e
ascoltare attentamente ciò che abbiamo da dirvi.
I componenti superstiti della Suicide Squad ed i membri sconosciuti
obbedirono in silenzio alla richiesta dell’uomo: Waylon Jones
si avvicinò a Chato e gli permise di appoggiarsi alle
proprie braccia, liberando Maysie dal non proprio dolce peso.
- Katana mi ha detto di te, poco fa, ma faticavo a crederle. Sono
contento di vederti, amico.
- Lo sono anch’io – replicò debolmente
El Diablo, sospirando di sollievo non appena si sedette su una delle
poltroncine. Era ancora un po’ stordito e gli girava la
testa.
- Ci siamo tutti, eccetto Harley Quinn che, come si sa, risulta
attualmente dispersa – cominciò Waller.
– Dunque, di recente ho svolto svariate ricerche sui detenuti
di questo carcere, in modo da poter integrare nuovi individui
all’interno della squadra, rafforzandola ed equilibrandola.
Direi di cominciare il discorso con le dovute presentazioni…
- Domanda – la interruppe George Harkness. –
Sbaglio o i nuovi membri sono quasi tutte donne?
- Non sbagli – replicò calma la donna di colore
– Prima eravate quasi tutti uomini, ma non mi pare che Harley
Quinn e Katana abbiano fatto osservazioni idiote o espresso lamentale a
riguardo.
- Ah, non mi lamenterò, promesso –
sogghignò l’australiano con aria furba.
- Come stavo dicendo – proseguì Waller.
– Cominciamo con delle rapide presentazioni partendo dal
membro più giovane: Tobias Castilla-Marquez, alias Bionic
Boy, nato il 20 Maggio 1996. Non sottovalutatelo per via
dell’età, questo ragazzino possiede uno dei
quozienti intellettivi più alti del pianeta, ed il braccio
bionico che ha ideato e costruito da solo contiene al proprio interno
almeno una cinquantina di accessori tecnologici, armi incluse.
- Potete chiamarmi Toby – salutò lui con fare
allegro.
- Come potrete immaginare, Bionic Boy non è un detenuto, ma
un volontario – soggiunse il colonnello Flag, indicando poi
la ragazza bassa che aveva accompagnato Katana e Killer Croc.
– E lo stesso vale per questa signorina: Amelia Capuleti, o
Snakebones, classe 1993. In seguito ad un incidente, la sua intera
colonna vertebrale è stata sostituita da una struttura
resistente ed elastica, frutto di un esperimento ben riuscito al quale
la stessa signorina Capuleti ha avuto il coraggio di sottoporsi.
La giovane si lasciò sfuggire un sorriso, spalancando i
grandi occhi scuri. Portava i capelli tagliati all’altezza
delle spalle ed indossava una canotta tricolore con la scritta
“I love Italy”.
- Raisa Khovansky – proseguì Waller, indicando la
ragazza formosa dalla chioma fulva. – Conosciuta anche come
Mnemos. Nata ad Omsk nel 1988, classificata come metaumano: le sue
abilità influiscono sulla memoria e sui ricordi altrui, al
prezzo di frequenti e pesanti amnesie. Per via di queste amnesie, la
signorina Khovansky non sarà in grado di raccontarvi da
sé il motivo per cui è stata rinchiusa a Belle
Reve, perciò le darò una mano: secondo il suo
fascicolo, è accusata di omicidio, frequenti aggressioni e
rapina a mano armata.
I presenti lanciarono occhiate perplesse alla carcerata rossa, la quale
rispose con un’alzata di spalle. Era vero, non ricordava di
aver commesso quei crimini, ma era propensa a fidarsi delle parole
della corpulenta donna.
- Lei invece è Roma Petrescu, nata nel 1984 con il nome di
Roman – disse Flag, ponendo vicino al volto della gitana la
fotografia di un ragazzo attraente dai lineamenti affilati. –
Arrestata per furto, rapina a mano armata ed aggressione a pubblico
ufficiale. La sua particolarità…
- Ve la spiego io – lo interruppe Floyd, poggiando
i gomiti sul tavolo . – Allora, a diciotto anni Roma si
è sottoposta ad un intervento per il cambio di sesso, ma
è finita inconsapevolmente nelle mani di un ricercatore
fuori di testa. Risultato dell’operazione: questa signorina
può cambiare genere a comando, ecco perché
è conosciuta anche come Shifter. E visto che è
mia amica, vi consiglio fortemente di non fare gli stronzi.
- Perché guardi me? – esclamò Capitan
Boomerang con un tono di voce insolitamente acuto, mentre Roma
rivolgeva all’amico un sorriso di gratitudine.
Waller alzò gli occhi al soffitto: - Bene, ringraziamo
Deadshot per il suo intervento. Passiamo alla prossima componente della
squadra: Clarice Montague, nata a Bray nel 1993. Il suo nome di
battaglia è Hydra e, come potrete immaginare, i suoi poteri
ricordano quelli della creatura mitologica: il suo sangue ed il suo
morso sono velenosi e le parti del suo corpo che vengono tagliate sono
in grado di rigenerarsi, senza però duplicarsi. Incarcerata
con le accuse di svariate aggressioni e distruzione di
proprietà privata. Ah, vi consiglio fortemente di tenere
d’occhio i suoi tatuaggi, soprattutto in periodo di luna
calante.
Clarice lanciò un’occhiata stoica a tutti i
presenti, senza dire una parola, poi abbassò di nuovo lo
sguardo, seguendo distrattamente con il dito le linee misteriose
impresse sulla dorso della propria mano. Nonostante la calma apparente,
muoveva nervosamente la gamba sotto il tavolo.
Fu la volta della ragazza bionda dall’aria tosta, la quale
attese che Flag aprisse bocca per il semplice gusto di interromperlo
brutalmente.
- Visto che possiedo il dono della parola, posso presentarmi da sola:
sono Scarlett Tremblay, conosciuta anche come Scarf, ho
trent’anni e possiedo il potere di muovere telepaticamente le
fibre dei tessuti. Purtroppo, sono stata drogata regolarmente da quando
mi hanno rinchiusa a Belle Reve per omicidio, quindi, in questo
momento, le mie abilità sono un tantino assopite.
- Stamattina non ti è stata iniettata alcuna dose, quindi
l’effetto della droga svanirà nelle prossime
dodici ore – puntualizzò annoiata Waller,
assumendo però un sorriso sadico non appena
realizzò di dover presentare l’ultima componente
della squadra.
- Qualcuno di voi potrebbe aver sentito parlare di questa signora
– cominciò, ricevendo un’occhiataccia
dalla diretta interessata. – Spero vi sentirete onorati di
lavorare con la Commissaria, o meglio, l’ex Commissaria
Ashlynn McKinley, figlia dell’eroina nazionale
Caìtriona Shaw, alias Leprechaun. Avete a che fare con una
donna che è riuscita in un colpo solo a buttare nel cesso
anni di onorata carriera e ad infangare il nome della propria madre,
nascondendosi dietro una maschera di nome Evergreen. Incarcerata con
l’accusa di duplice omicidio, i suoi poteri ricordano in
parte quelli dei folletti irlandesi meglio noti come leprecani:
Evergreen può manipolare la fortuna e la sfortuna con
l’aiuto di un’antica moneta d’oro, oltre
a possedere agilità e velocità leggermente
superiori rispetto la media degli esseri umani.
- Mi sembrava di averla già vista –
sì intromise Killer Croc, squadrando con
curiosità l’ex poliziotta. – Hanno
trasmesso parecchi servizi su di lei in tv.
Evergreen incrociò le braccia al petto con fare scocciato: -
Non siamo qui per soffermare il discorso su di me, comunque. Suppongo
abbiate un valido motivo per aver convocato in questa “super
stanza segreta” un manipolo di detenuti e due ragazzini presi
dalla strada.
- Veramente, io vengo dall’università –
la corresse Toby con un mezzo sorriso, e stava per aggiungere altro
quando Waller lo zittì con un cenno della mano.
Flag posò diversi fascicoli al centro del tavolo, invitando
la squadra a sfogliarli: - A Gotham cominciano ad accadere cose strane.
O meglio, cose molto più strane del solito: sono stati
rilevati giornalmente alti picchi di energia nell’entroterra,
simili a pulsazioni cardiache; emettono qualche
“battito” e si fermano all’improvviso,
per poi ripresentarsi in una zona diversa ad intervalli di tempo
irregolari. E queste anomalie non sono che la punta
dell’iceberg: di recente, in città, diverse
persone sono state aggredite o brutalmente uccise; tutte le vittime
sono state trovate prive del cuore, a qualcuno mancavano anche altri
organi interni. L’ultima ma non meno importante anomalia
riguarda il comportamento animale: i cani sembrano impazzire ogni
qualvolta si ripresenti uno di quei misteriosi picchi di energia,
inoltre sono stati denunciati diversi avvistamenti di sciacalli, lupi,
licaoni ed altre specie “insolite” a zonzo per le
strade urbane. Io e Waller abbiamo ragione di credere che tutto questo
sia opera di metaumani, ecco perché vi abbiamo convocati.
La missione comincerà domani mattina all’alba. I
vecchi membri della Task Force X già conoscono le regole: io
sarò il vostro comandante e la vostra guida, non vi
azzardate a scappare, disobbedire o fare mosse false. A voi nuovi, la
notte scorsa, è stata impiantata nel collo la stessa
nano-capsula esplosiva presente nei vostri compagni veterani,
un piccolo accorgimento che speriamo vi dissuaderà dal fare
cazzate. Ne sono privi Katana, Bionic Boy e Snakebones in quanto
volontari, ma ciò non garantirà loro
l’immunità da eventuali e severe punizioni. Per
ora è tutto, ci sono domande?
- In realtà sì – rispose Toby, alzando
la mano. – L’evasione di massa fa sempre parte del
piano oppure c’è stata una falla nel sistema?
Waller e Flag si scambiarono una rapida occhiata, poi, la donna
replicò con fare spiccio: - Al momento questo non deve
interessarvi. La maggior parte dei detenuti evasi è
già stata sedata e riportata in gabbia. Ora vi consiglio di
godere dei vostri ultimi momenti di riposo: vi aspettano lunghe e
faticose giornate di lavoro.
***
I raggi di una flebile luce diurna filtravano attraverso le tende
tirate, schiarendo appena i contorni della stanza semibuia.
Harley legò le stringhe degli stivaletti, per poi indossare
un attillato corsetto rosso e nero. I suoi movimenti erano silenziosi e
furtivi, di tanto in tanto si voltava per controllare il compagno
addormentato, il cui corpo nudo era celato solo in parte dalle lenzuola
leopardate.
La ventiseienne lanciò un’ultima occhiata allo
specchio a muro che sovrastava un costoso comodino, diede
un’aggiustata ai capelli raccolti in due codini alti e,
quando fu soddisfatta, si avviò in punta di piedi verso la
soglia della stanza.
- Dove stai andando?
Harley si fermò, raccogliendo la mazza da baseball
abbandonata sul pavimento: - Vado a fare un giro, Puddin', a fare un
po’ di casini in città –
sussurrò in tono amorevole.
Il Joker emise una specie di grugnito annoiato: - Fa’ come ti
pare.
La ragazza saltellò per casa fino a raggiungere la porta
d’ingresso, fece scattare la maniglia e scivolò
furtivamente in strada. Erano le prime ore del pomeriggio ed il cielo
aveva un aspetto livido e grigiastro.
Harley sospirò, attorcigliando distrattamente il dito indice
attorno ad una ciocca di capelli, poi si inoltrò in un
vicolo che portava al retro dell’abitazione, saltò
in sella alla moto parcheggiata a ridosso del muro e, dopo aver dato
una bella scossa al motore, accelerò gradualmente,
ritrovandosi presto nel bel mezzo del traffico cittadino.
Non era necessario rivelare a Puddin' ogni dettaglio delle proprie
intenzioni, se le cose si fossero messe male gli avrebbe mandato un
messaggio e lui sarebbe sicuramente corso a salvarla.
“Sì,
il mio pasticcino verrà ad aiutarmi” gongolò
tra sé, mentre svoltava bruscamente a destra, provocando un
incidente “Non
può fare a meno di me.”
Con questi pensieri ed il sorriso stampato sulle labbra cremisi, la
Regina di Gotham si dirigeva rapidamente verso l’ultimo posto
in cui, fino a pochi giorni prima, credeva avrebbe più messo
piede. Non la entusiasmava affatto l’idea di rivedere quella
donna, ma non poteva nemmeno ignorare la notizia appresa quella mattina
stessa: c’erano stati dei casini a Belle Reve, qualcosa come
una tentata evasione di massa, forse collegata a tutto ciò
su cui la polizia stava indagando in quei giorni.
Non aveva naturalmente idea di come stessero Deadshot e gli altri, ma
era piuttosto propensa a fidarsi del proprio istinto, ed il suo istinto
in quel momento diceva che i suoi compagni (perché si
rifiutava di chiamarli ex compagni), i suoi amici, avevano bisogno di
lei.
E questa volta no, non li avrebbe abbandonati di nuovo.
***
Angolo
degli Autori: Ecco qua il primo vero capitolo della
storia!
Finalmente siamo riusciti ad introdurre i nuovi personaggi e tenetevi
forte perché, durante il corso della storia, appariranno
anche quelli legati all’universo DC al di fuori della Suicide
Squad cinematografica.
Il primo “atto” è incentrato su un OC
che al momento preferiamo lasciare avvolto nel mistero, ma che
avrà comunque una funzione importante all’interno
del racconto.
Speriamo inoltre che abbiate trovato IC i vari personaggi non inventati
(noi ODIAMO andare OOC), attingendo un po’ dal film ma anche
un po’ dal fumetto (in particolare per quanto riguarda la
caratterizzazione di Joker ed il suo rapporto malsano con Harley).
Ci auguriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che gli OCs vi ispirino:
siamo solo all’inizio, ognuno di loro ha una
caratterizzazione psicologica approfondita, dei segreti ed una storia
da raccontare, e ci farebbe molti piacere se foste abbastanza
incuriositi da volerli conoscere e scoprire passo per passo.
Si creeranno molte nuove relazioni di tutti i tipi, altre
già esistenti nel film saranno più volte
confermate (come, ad esempio, l’amicizia tra Floyd/Harley e
Floyd/Flag di cui vi abbiamo dato piccoli assaggi) e, in generale, ogni
membro della squadra riuscirà ad imparare qualcosa
interagendo e stringendo legami con gli altri.
Grazie mille a chi ha letto il capitolo, alla prossima!
Gryfferinpuff
|
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Capitolo 3 *** Ghiaccio, piante e terrore ***
SUICIDE
SQUAD 2 - NECROPOLIS
- Capitolo 2. "Ghiaccio, piante e terrore" -
- Fammi capire bene: questa
catapecchia sarebbe il nostro alloggio?
Floyd
osservò il vecchio motel abbandonato con aria disgustata: -
Mai preteso una reggia o un hotel a Cinque Stelle,
però…
- Era
l’unico luogo disponibile per ospitare un gruppo di criminali
– rispose placido Flag, rivolgendo un saluto militare alla
donna soldato che li attendeva all’ingresso. – Il
proprietario ha assicurato che gli impianti funzionano ancora,
basterà solo attivare acqua corrente ed energia elettrica.
Comunque, bando alle lamentele e salutate il Sergente Krane, a cui
dovete essere grati per aver tenuto sotto controllo questa zona in
previsione del vostro arrivo.
- Vi lascio i
documenti, le indicazioni del proprietario e i numeri delle stanze. Le
chiavi si trovano sul bancone, accanto alla cassa. – disse la
donna, porgendo un fascicolo azzurrino al Colonnello.
Sembrava piuttosto
giovane, portava i capelli castani legati in una coda e una catenina
con un ciondolo a forma di cuore appesa al collo sottile.
- Carina! –
esordì Capitan Boomerang, provando a correggersi non appena
il Sergente gli rivolse un’occhiata glaciale. –
Ehm, la collana, intendevo la collana…
- Sì,
naturalmente, la collana – replicò fredda lei,
facendo scattare un piccolo meccanismo. Il ciondolo si aprì,
rivelando una minuscola foto dove la soldatessa sorrideva insieme a un
bambino di pochi mesi e ad un giovane uomo dall’aria
famigliare.
- Aspetta…
- mormorò confuso Deadshot. – Ma quello non
è…
- Ebbene
sì, il Sergente Krane è la vedova del Tenente
Edwards, avete una ragione in più per portarle assoluto
rispetto – spiegò Flag, stringendo la mano della
castana e assumendo un’espressione addolcita. –
Grazie davvero per quello che stai facendo.
- Faccio solo il mio
dovere, Colonnello – rispose lei, tirando fuori dalla tasca
una piccola mappa del motel. – Prima di andare vi spiego
quali sistemazioni vi ha assegnato Waller: tre di voi alloggeranno in
una stanza singola, ossia Katana, Killer Croc e la dottoressa Hughes,
la cui camera sarà tuttavia comunicante con quella del suo
assistito. La stanza tripla sarà occupata da Hydra, Shifter
e Scarf. Per finire, abbiamo quattro matrimoniali: una per Capitan
Boomerang ed Evergreen, una per Diablo e Mnemos, una per Bionic Boy e
Snakebones e, per finire, una per il Colonnello e Deadshot.
Gli ultimi due
nominati si lasciarono sfuggire un sonoro: - COOOSA?
Krane alzò
gli occhi al cielo, tagliando corto: - Waller ha usato un criterio
logico per formare questi abbinamenti, e onestamente non capisco dove
sia il problema.
- Il problema
è che io non voglio dormire nello stesso letto con questo
stronzo! – protestò con forza Floyd.
- Criterio logico un
cazzo! – fece eco Flag. – Scommetto che Waller si
sta vendicando per qualcosa che non so di aver fatto!
- In effetti, sono
anch’io un po’ perplesso – disse Toby,
grattandosi il mento con la mano metallica. – Voglio
dire… dovrei dormire insieme a una ragazza?
- Non preoccuparti,
non ti ucciderò nel sonno – gli strizzò
l’occhio Amy, allungandogli un pizzicotto sul braccio umano.
Evergreen
lanciò un’occhiata scettica al proprio compagno di
stanza, poi domandò dubbiosa: - E quale criterio avrebbe
usato Vossignoria per smistarci, di grazia?
Il sergente
incrociò le braccia con aria impassibile: - Katana
può dormire da sola in quanto membro della squadra
più affidabile, Killer Croc per questioni di spazio, alla
dottoressa Hughes, invece, serve un posto dove sistemare le proprie
apparecchiature; le coppie ed il trio sono stati formati valutando le
possibili influenze che potrebbero avere i membri
più… “tranquilli” nei
confronti dei più problematici. E nel caso ve lo steste
chiedendo: no, non potete fare i furbi e cambiare stanza. Waller si
accorgerà di qualsiasi spostamento. Ora devo salutarvi, ma
sappiate che io e il Colonnello resteremo costantemente in contatto:
qualsiasi cosa vi serva, non esitate a chiamarmi, vi
raggiungerò il prima possibile.
Dopo aver salutato e
ringraziato il sergente, Flag rivolse un’occhiata severa alla
squadra: - Bene, vi invito a sistemare in fretta le vostre cose,
dobbiamo iniziare a lavorare il prima possibile. Chiunque
oserà lamentarsi di questa situazione di merda
riceverà una punizione esemplare.
- Ne sei proprio
sicuro?
Toby digitò
qualcosa sul piccolo monitor incastonato nel braccio bionico: -
Affermativo, signore. Sto registrando un’attività
magnetica insolita: vede questo puntino rosso?
Flag si morse il
labbro con fare nervoso: - Appare e scompare con un ritmo
particolare… sembrano quasi…
- Pulsazioni cardiache
– annuì il ragazzino. – Direi che ci
siamo.
Il colonnello
sospirò, osservando preoccupato
l’edificio di fronte a cui l’intera squadra stava
sostando: si trattava dell’ospedale di Gotham City. In quel
momento, l’improbabile team si era appostato nel grande
parcheggio, al riparo da occhi indiscreti.
- Che voi sappiate,
questo casermone ha dei sotterranei? – domandò
dubbioso Capitan Boomerang. – Non mi attira l’idea
di passare in mezzo a gente malata…
- Sì,
l’edificio è provvisto di un piano sotterraneo
– rispose Toby, prima che qualcuno potesse insultare
l’australiano. – E per tua fortuna, Capitano, il
centro dell’attività magnetica si trova proprio
lì, circa cinquecento metri sotto il terreno.
- Tanto meglio, non ci
toccherà fare irruzioni brusche importunando pazienti e
personale – osservò Rick Flag, cercando di celare
a fatica la propria apprensione.
Deadshot gli
toccò una spalla, assumendo un tono di voce quasi empatico:
- E’ qui che sono ricoverati June e tuo figlio, giusto?
Il leader
annuì: sua moglie, l’archeologa June Moone, aveva
dato alla luce un bambino pochi giorni prima, dopo appena sette mesi di
una gravidanza difficile e piena di complicazioni. Il momento del parto
si era rivelato ancora più insidioso: June era stata operata
d’urgenza e, a distanza di quasi una settimana, ancora non
dava segni di ripresa. Il piccolo, fortunatamente, sembrava cavarsela
meglio: l’ultima volta che il padre l’aveva visto
riposava tranquillo nell’incubatrice
neonatale.
- Direi…
direi di raggiungere il centro del campo magnetico –
proseguì il soldato, scuotendosi dai propri pensieri. - Poi
ci divideremo in tre squadre: una indagherà su questi strani
fenomeni, una pattuglierà il piano sotterraneo e
l’ultima controllerà (con la massima discrezione)
l’intero edificio. Ora, vediamo di…
Un rumore sospetto
proveniente da dietro un’auto parcheggiata portò
l’intera squadra a voltarsi di scatto. Katana
sguainò tempestivamente la propria arma, preparandosi ad
attaccare, ma Killer Croc, dopo aver annusato l’aria,
bloccò la donna guerriera afferrandola per un braccio.
- Aspetta –
disse. – Conosco questo profumo…
- E io conosco il suo
– replicò una voce famigliare in tono scherzoso.
Si udì il rumore di tacchi sull’asfalto, poi, una
figura femminile, di media altezza e dal fisico atletico,
uscì allo scoperto. I suoi capelli biondi, le cui
estremità erano tinte di nero e rosso, erano raccolti in due
vaporosi codini.
Sorrise, mettendo in
mostra una bella fila di denti bianchi, che creavano un singolare
contrasto con il rossetto scuro: - Se non ricordo male, si chiama Tanfo
di Morte, giusto?
La rinata Suicide
Squad fu colta da un senso di stupore collettivo. Fu Deadshot a
prendere parola per primo, facendo un passo verso l’intrusa:
- Harley?
La Regina di Gotham
gonfiò le guance pallide, per poi scoppiare in una folle
risata. Si lanciò tra le braccia dello stupito cecchino e,
nel giro di pochi istanti, si unirono all’abbraccio
Capitan Boomerang e Killer Croc, mentre Katana sorrideva in disparte e
Flag scuoteva la testa, piacevolmente sorpreso.
- Non vi posso
lasciare da soli un secondo, vero? – punzecchiò la
biondina, sciogliendo lentamente l’abbraccio con i ritrovati
compagni. – La vecchia megera vi ha mandati nuovamente a
rischiare la pellaccia mentre lei se ne sta con il culone su una
poltrona di velluto?
- Più o
meno – rispose il Colonnello, indicando poi i muovi membri.
– Ha inoltre aggiunto altra carne da macello alla vecchia
Suicide Squad.
- Noto con piacere che
c’è una forte componente femminile, ora
– osservò Harley soddisfatta. – Piacere,
Harley Quinn. Probabilmente mi conoscete già, io
imparerò i vostri nomi strada facendo.
-
Cioè… hai intenzione di unirti a noi? –
domandò sorpreso George Harkness.
- Beh, siamo amici,
no? E poi mi stavo annoiando un sacco ultimamente…
- Ah, Harley
– la interruppe Deadshot, con un mezzo sorriso. –
Mi pare evidente che tu non te ne sia ancora accorta… beh,
è naturale, visto che lui se ne sta sempre nascosto e in
disparte… vedi, c’è una cosa che ti
farà molto piacere sapere…
Prima che il cecchino
potesse aggiungere altro, il gruppetto aprì una specie di
varco, quasi sotto tacito accordo. I bei lineamenti della Regina di
Gotham si tinsero di un’espressione sorpresa e incredula.
Al centro del varco,
Chato Santana ricambiò in silenzio lo sguardo della bionda,
visibilmente incerto sul da farsi. Non gli fu necessario
però prendere alcuna decisione: Harley avanzò
verso di lui, prima lentamente, poi man mano sempre più
veloce, fino a raggiungerlo gettandogli le braccia al collo.
Dopo un istante di
esitazione, El Diablo ricambiò l’abbraccio,
affondando col volto tra i capelli della giovane criminale.
- Non ci posso
credere… - sussurrò l’ex psicologa con
voce leggermente incrinata. – Pensavo non ti avrei
più rivisto…
- Lo pensavo
anch’io – replicò il metaumano, mentre
lei si scostava asciugandosi una lacrima e stampandogli un sonoro bacio
sulla guancia. – Sono riusciti a riportarmi in vita, anche se
non ho ancora ben capito come e…
- Mi piacerebbe poter
continuare con i festeggiamenti, ma vi ricordo che abbiamo una missione
– s’intromise Rick Flag, con aria più
benevola del solito. – Harley, sei la benvenuta, o meglio, la
bentornata. Sono sicuro che Waller non abbia nulla in contrario nel
ricevere il tuo aiuto, altrimenti, di sicuro, ti avrebbe già
fermata.
- La megera sa tutto
– sbuffò la ventiseienne, senza nascondere
però un sorrisetto di soddisfazione.
Il colonnello
puntò le mani sui fianchi, assumendo nuovamente
un’espressione autoritaria: - Bene, ecco come ci divideremo:
la prima squadra indagherà sul centro del campo magnetico,
sotto il comando della dottoressa Hughes, e sarà composta da
Bionic Boy, Hydra, Scarf e Snakebones. Katana guiderà la
seconda squadra nella ricognizione al piano sotterraneo;
l’accompagneranno Killer Croc, Capitan Boomerang, Evegreen e
Shifter. I componenti restanti, ossia Deadshot, Harley, Diablo e
Mnemos, controlleranno con me il resto dell’edificio. Io,
Katana e Bionic Boy resteremo in contatto tramite ricetrasmittente.
Ora, se non avete domande, direi di mettersi all’opera: ci
ritroveremo qui entro cinque ore.
- Insomma, la cara
vecchia Suicide Squad non ha fatto in tempo a riunirsi che subito devi
rovinare la festa, vero Colonnello? - borbottò Harley agli
ordini comunicati da Flag, strappando un ghigno divertito a Deadshot,
Croc e Boomerang. Katana si limitò a sorridere appena, per
poi annuire e congedarsi, trascinando con sé l'australiano,
il mezzo coccodrillo e le due nuove reclute. Maysie imitò la
guerriera giapponese, seguendo la Squadra 2 nei sotterranei insieme
alla propria ciurma, dei quali solo Toby e Amy rivolsero un saluto
entusiasta al team del colonnello.
Il cecchino dalla
pelle scura si guardò intorno, accennando una risata: - Beh,
sembra che siamo rimasti solo noi. Allora, sentiamo un po': cosa ci
tocca, mammina?
Rick Flag, lo
degnò appena di un'occhiataccia prima di ringhiare di
seguirlo.
- Noioso come sempre,
vero? - sbuffó la Regina di Gotham. Floyd fece un cenno di
assenso, ridacchiando ancora. Ritrovare quella che considerava una dei
suoi più cari amici l’aveva messo piuttosto di
buonumore.
- La tua bambina come
sta? - continuò la ragazza, mentre il gruppo cominciava a
perlustrare l'edificio, attento ad ogni minima anomalia e lasciando che
Flag rassicurasse i medici e gli infermieri che incrociavano di tanto
in tanto lungo i corridoi. - Le stai insegnando a sparare? E qualcuno
ha finalmente spappolato la testa di quella troia della tua ex? -
chiese, con lo stesso tono tranquillo di qualcuno che si informa sul
meteo del giorno successivo.
Deadshot
scoppiò a ridere, divertito all'idea di quella prospettiva
che gli sembrava più rosea di quanto avrebbe dovuto essere.
Mnemos, che fino a quel momento era stata in disparte, seguendo gli
altri in silenzio, spalancò gli occhi in un'espressione
sorpresa.
- Lascia stare, Harley
è sempre un po'... esagerata. Nessuno spappola il cervello di
nessuno. - spiegò Chato, non riuscendo a trattenere una
lieve risata. - Anche se ammetto che una persona come l'ex moglie di
Deadshot non merita che ci preoccupiamo troppo per lei.
Raisa, che
aveva accennato appena un sorriso, lo guardò perplessa.
- In che senso? -
chiese, prendendo la parola per la prima volta. El Diablo non fece in
tempo a spiegare, che Harley si girò, sorpresa
dall'intervento del nuovo acquisto della squadra.
- Nel senso che
è una stronza, tesoro. - rispose serena, squadrandola da
capo a piedi e soffermandosi sul suo abbigliamento. La ragazza con i
capelli rossi indossava un top fucsia, semicoperto da un giacchetto
verde scuro dai risvolti nello stesso colore della canotta, ed entrambi
le lasciavano la pancia scoperta. Una paio di pantaloncini neri, calze
a rete e stivaletti scuri completavano il suo abbigliamento.
- Bello stile! - si
complimentò l'ex psicologa, con un sorriso. Il modo di
vestire della nuova amica le ricordava il suo vecchio completo,
abbandonato in favore di quell'abbigliamento sui toni del rosso e del
nero, ma sempre apprezzato, e la induceva a prenderla in simpatia.
Sì, i nuovi
acquisti della Suicide Squad le andavano a genio.
Nel mentre, Rick Flag,
infilatosi in un grande sgabuzzino, stava trafficando con degli
armadietti e, dopo essersi lasciato sfuggire un paio di imprecazioni,
fece un cenno a Deadshot, chiedendogli di raggiungerlo. Il cecchino si
avvicinò, attraversando un corridoio reso squallido e
sinistro dalle luci al neon che lo illuminavano lateralmente,
riflettendosi sulle pareti grigie e leggermente incrostate.
- Wow, bell'ambiente!
- commentò sarcastico, mentre aiutava il colonnello ad
aprire le serrature bloccate. - Certo che Waller potrebbe fare qualcosa
per questo edificio, nel tempo libero che non impiega per creare carne
da macello come noi.
Flag fece un cenno di
assenso, brusco.
- Ancora
più loquace del solito, Colonnello, mi sorprende. -
scherzò il carcerato.
- Che cazzo dovrei
dire, Deadshot? - sbottò allora il soldato. - Sono in
missione in un ospedale che contiene chissà quale
diavoleria, e guarda caso è lo stesso edificio in cui ci
sono mio figlio e mia moglie, che tra l'altro è sospesa tra
la vita e…
- Non è
detto, Flag. - lo interruppe Floyd, sollevandolo dal dover esporre
quella possibilità. - Ci libereremo di quella diavoleria, e
se Gotham ancora non cade definitivamente a pezzi i medici riusciranno
a curare la dottoressa Moone. - continuò, dimostrando ancora
una volta di capire fin troppo bene le preoccupazioni familiari degli
altri.
Flag annuì
brusco, seppur grato, e lanciò agli altri gli oggetti di cui
si erano finalmente appropriati: camici e guanti, in un travestimento
semplice ma funzionale al loro compito. La squadra li
indossò in silenzio, cercando di apparire meno stravagante
di quanto fosse.
Mnemos, che aveva
coperto i suoi vestiti appariscenti con un camice che era quantomeno
migliore della divisa di Belle Reve, osservò silenziosamente
il resto della squadra, soffermandosi prima su Harley, che guardava il
suo nuovo abbigliamento pensierosa, quasi immersa in un ricordo
lontano, e poi su Chato, che conciato in quel modo sembrava decisamente
a disagio, se non addirittura buffo. Le scappò un sorriso e
il messicano, accorgendosi del suo sguardo, ricambiò con
un’occhiata perplessa, per poi scuotere la testa.
La ricerca
continuò per alcune ore, senza apparenti risultati.
L'edificio era tanto squallido quanto privo di apparenti segni di
stranezza e le stanze apparivano prive di pericoli, a dispetto del
comportamento del team, costantemente in guardia e con le armi puntate.
Qualsiasi cosa avesse generato quel campo magnetico forse lo avevano
già trovato le altre squadre, il che per loro avrebbe
significato fare un buco nell'acqua. Fantastico. Il senso di
competizione di Deadshot stava bruciando al massimo.
Beh, in ogni caso
sarebbe stata colpa di Flag, concluse alla fine tra sé. La
cosa lo tirò decisamente su di morale.
- Ehi? Qui
c'è...ho visto qualcosa!
La voce di Mnemos li
bloccò tutti, riaccendendo un minimo di speranza nel gruppo.
La squadra si voltò verso la ragazza, che stava passando una
mano su un mobile di ferro, poggiato contro una parete.
- C'è
dell'acqua...no aspettate, è ghiaccio! - esclamò
la ventottenne, staccando una piccola stalattite gelata dalla maniglia di
un cassetto. A quella parola, Chato Santana, che si trovava poco distante da lei, si bloccò, come pietrificato,
osservando le piccole zone lucide sulle superfici della stanza. Era
vero: lievi tracce di ghiaccio ricoprivano mobili e pareti, persino le
finestre ne erano ricoperte; una piccola patina argentata che creava
decorazioni fantasiose sul vetro.
Rimase lì,
a fissare sconvolto l'aspetto insolito del luogo, mentre il resto del
gruppo esaminava la stanza, rendendosi conto dell'anomalia non senza un
filo di sorpresa.
- No es posible...
– mormorò il metaumano nella sua lingua natale.
Harley gli si avvicinò, perplessa e leggermente preoccupata
per l'amico appena tornato dal mondo dei morti.
- Chato? -
chiamò, domandando implicitamente una traduzione di quello
che aveva appena detto, mentre Flag e Deadshot continuavano a esplorare
la stanza insieme alla russa, cercando altri indizi e borbottando
qualcosa nelle ricetrasmittenti.
Harley
sollevò un sopracciglio, sventolando una mano davanti al
viso di El Diablo. Il messicano parve riscuotersi solo in quel momento.
-
Cosa...sì, scusatemi. È che... non è
possibile. Pensavo fosse...
Sotto lo sguardo
confuso della bionda, uscì dalla stanza, alla ricerca quasi
ossessiva di una qualsiasi traccia che gli fornisse una pista da
seguire.
- Corbin…
che cosa stai facendo?
Non fu difficile per
le squadre 2 e 3 raggiungere il famigerato piano sotterraneo:
Evergreen si era assicurata che tutto andasse per il verso giusto con
l’aiuto della sua moneta magica.
Il travestimento della
donna irlandese richiamava in qualche modo lo stile tipico dei
leprecani: camicia bianca con scollo a rombo e farfallino nero,
pantaloni verdi, una giacca lunga dello stesso colore, stivali neri,
guanti abbinati, occhialetti dalle lenti verdognole ed un bel cappello
a cilindro del colore dei trifogli.
Roma, invece,
indossava una lunga veste rossa, caratterizzata da un ampio spacco
laterale e abbinata a due lunghi scialli dorati: uno copriva
parzialmente la testa della gitana, l’altro le avvolgeva la
vita a mo di cintura. Coltelli di diverse misure erano legati in
più punti del suo corpo, spesso celati da gioielli o pieghe
dell’abito.
Lo stile di Hydra e
Snakebones era molto meno appariscente: la prima si era abbigliata con
un semplice giubbetto in pelle nero, senza maniche e coperto di
borchie, una canotta bianca, pantaloncini verdemare, scarpe da
ginnastica e mezziguanti scuri, ciascuno provvisto di una coppia di
grossi aghi di siringa utili ad iniettare il veleno dell’idra
nel corpo di eventuali nemici; la seconda, dal canto suo, aveva
mantenuto nel proprio stile i colori della terra natale e indossava una
felpa rossa con cappuccio, semplici stivaletti e un paio di jeans
bianchi, uno a gamba lunga, l’altro tagliato poco sotto
l’attaccatura della coscia. Una lunga calza verde
celava fin sopra il ginocchio la gamba lasciata altrimenti scoperta.
Scarf aveva optato per
uno stile singolare: una fascia nera e rigida le avvolgeva il seno e,
sopra di essa, una maglia smanicata e a collo alto, formata da una
fitta rete scura, creava un curioso effetto vedo-non vedo. A completare
l’opera, giubbetto in pelle, jeans acquamarina,
lunghi guanti senza dita del medesimo colore e, avvolta attorno al
collo, la sua inseparabile sciarpa multicolor.
Per finire, Maysie
vestiva con un corpetto rosso, jeans blu scuro e un lungo camice da
laboratorio, mentre Toby aveva scelto un comodo abbigliamento composto
da pantaloni sportivi bianchi e neri abbinati a una felpa grigia senza
maniche, che gli permetteva di avere a portata di mano qualsiasi
componente del suo braccio bionico.
I membri della nuova
Suicide Squad si guardarono attorno per qualche istante: quello che una
volta doveva essere stato il deposito dell’ospedale, ora era
ridotto ad uno spoglio e trascurato groviglio di stanzette e corridoi,
utilizzato per lo più come ripostiglio per barelle di
riserva, telai di letti singoli e armadietti per vecchissimi archivi,
ormai mezzi vuoti. Le uniche fonti di illuminazione provenivano da
deboli neon appesi alle pareti.
Mentre il team di
Maysie raggiungeva il centro del sotterraneo, Katana volse lo sguardo
verso i compagni e parlò con fare autoritario: - Bene,
possiamo dare inizio all’ispezione. La zona da controllare
è vasta, perciò avrò bisogno della
vostra massima collaborazione. Capitan Boomerang…
- Presente!
– rispose l’australiano con entusiasmo. –
Hai deciso di accettare il mio invito a uscire?
- No –
rispose la ragazza in tono secco. – Ho bisogno che mandi in
avanscoperta i tuoi boomerang-spia, potrebbero alleggerirci il compito
in modo significativo. Shifter, vorrei che tu camminassi con me in
testa al gruppo, so che ti intendi di trappole e sistemi di sicurezza.
- D’accordo,
capo- rispose la gitana, per poi rivolgersi ad un confuso Digger
Harkness. – Prima di essere sbattuta a Belle Reve lavoravo
come tecnico per un’attività che produceva sistemi
d’allarme.
- Killer Croc
– continuò Katana. – I tuoi sensi sono i
più sviluppati, perciò conto su di te per
localizzare eventuali nemici. E per finire, Evergreen, tu hai studiato
per anni il modus operandi di diversi criminali, perciò ti
chiedo di sfruttare al massimo le tue conoscenze, oltre ad assicurarci
un po’ di fortuna, che non guasta mai. Bene, squadra,
cominciamo.
Harkness
liberò cinque boomerang droni, che cominciarono a muoversi
da soli sparpagliandosi per l’intero perimetro.
Attivò quindi un bracciale speciale, regalatogli da Toby
quella mattina stessa, che formò un piccolo
schermo-ologramma che trasmetteva in contemporanea tutte le immagini
riprese dalle spie.
- Per ora tutto
tranquillo – annunciava di tanto in tanto
l’australiano, senza staccare gli occhi dallo schermo.
Evergreen, che
camminava accanto a lui, aveva un’aria cupa, come se non
riuscisse ad allontanare uno sgradevole pensiero dalla testa. Fu Waylon
Jones a notare per primo il suo strano atteggiamento.
- Qualcosa non va?
– domandò, con la sua voce profonda e gutturale.
La donna
sembrò risvegliarsi da un sogno (o forse un incubo) ad occhi
aperti: - Ecco… sì, certo… pensavo che
magari potessimo inviare uno di quei quattro droni a controllare la
Squadra 3, giusto per stare più tranquilli…
- Mi sembra una buona
idea – rispose la leader del gruppo. - Capitan Boomerang,
provvedi.
- Ricevuto.
Katana si
voltò per osservare le espressioni dell’irlandese:
da quando avevano raggiunto l’ospedale era rimasta in
silenzio e pensierosa, tormentata da chissà quali fantasmi
della mente.
- Evergreen, sei
sicura che vada tutto bene?
- Ah…
sì, sì, certo – tagliò corto
l’ex commissaria. – E’ tutto a posto,
davvero.
Roma le
lanciò uno sguardo preoccupato, mentre la guerriera
giapponese assunse un’espressione comprensiva e severa allo
stesso tempo: - Ad ogni modo, qualsiasi pensiero tu abbia
dovrà essere messo da parte. Ora ho bisogno della tua
più completa collaborazione.
-
Sì… lo so – borbottò
l’altra, giocherellando distrattamente con la propria moneta.
- Ehi – le
interruppe Harkness, fissando stranito lo stanzino ripreso da uno dei
boomerang spie. - Cos’è quel coso? Telecamera 2,
c’è una specie di sfera sul pavimento…
- Riesci a zoomare?
– domandò la leader del team, aguzzando la vista.
L’australiano
eseguì: l’oggetto rilevato non sembrava nulla
più che una semplicissima sfera di colore scuro.
- La stanza in
questione è vicina – osservò Killer
Croc. – Potremmo andare a controllare.
- Non vedo alternativa
– replicò pensierosa Tatsu. – Potrebbe
essere una trappola, ma anche un indizio importante. Mi raccomando,
massima allerta.
Raggiunsero lo
stanzino a passo svelto, indugiando per qualche istante non appena si
trovarono sulla soglia: la porta era spalancata e, fatta eccezione per
la piccola sfera misteriosa, il pavimento era completamente
sgombro.
- Vado avanti io
– propose Waylon Jones, muovendosi con cautela. Gli altri,
circospetti, lo seguirono, pronti a tirar fuori le armi.
Fu in quel momento che
una voce maschile, trasmessa attraverso un microfono nascosto della
sfera, cominciò a parlare con tono irrisorio.
- Benvenuti nel vostro
incubo, visitatori incauti! Abbandonatevi tra le braccia di Phobos,
lasciate che Deimos sussurri parole di terrore e disperazione alle
vostre orecchie! Permettete alla paura di penetrare nelle vostre
membra, congelandovi ogni singolo angolino dell’anima!
Prima che i cinque
membri della Suicide Squad avessero il tempo di reagire, la sfera
cominciò a ruotare su sé stessa, rilasciando una
scia di gas verdognolo che riempì presto l’intera
stanza. Una fortissima sensazione di terrore e disperazione pervase
l’intero gruppo, portando i componenti ad accasciarsi a terra
o contorcersi in preda agli spasmi.
La voce
continuò ad infierire sadicamente.
- George Harkness, o
forse dovrei dire Capitan Boomerang… ricordi la tua
infanzia? Guarda, guarda pure dinnanzi a te: non riconosci
l’uomo che ha torturato per anni te e la tua povera madre?
E’ qui, ora, solo per te! Ed è molto arrabbiato
perché sei stato un bambino cattivo!
- No! –
gridò l’australiano, cercando di strisciare
lontano dalla visione del patrigno tornato dalla tomba, che avanzava
verso di lui con una cinghia stretta tra le mani scarne e decomposte.
– No! Vattene! Vattene via, maledetto!
- Waylon Jones
– continuò la voce. – Ascolta le parole
della folla che ti circonda! Senti come ti definiscono? Mostro! Sei
solo un mostro! Ti odieranno, ti daranno la caccia, non sarai mai al
sicuro! Anche i tuoi compagni di squadra ti disprezzano! E tu, dolce
Tastu, moglie fedele, credi davvero di riuscire a sopportare il
fardello dell’eredità del tuo povero marito?
Ascolta il suo spirito che ti parla dalla spada che porti sempre
appresso: lui ti odia, non sei riuscita a salvarlo e non potrai mai
ottenere la vendetta che cerchi! Osserva il volto del tuo amato Maseo,
decomposto, furente, deluso!
Katana
cominciò a urlare, stringendosi la testa tra le mani, mentre
Killer Croc grugniva rabbioso, menando pugni alla cieca.
Evergreen
cercò di lanciare in aria la propria moneta, ma le sue mani
tremavano troppo. La voce raggiunse anche lei.
- Ashlynn, cara
Ashlynn. Forse tu hai già capito chi sono, vero?
- Non… non
ascoltatelo… - biascicò la donna, ma dalla sua
bocca uscì soltanto un flebile sussurro.
- Oh, Ashlynn, devi
sempre cercare di mostrarti forte, sempre nascosta dentro
un’armatura di ghiaccio. Ma il ghiaccio si può
sciogliere o distruggere, lo sai? Perché non racconti ai
tuoi compagni della tua sorellina che è ricoverata in questo
stesso ospedale? Sarebbe davvero brutto se le pareti della struttura
collassassero all’improvviso, non trovi? Oh, cielo, ma quelle
sul muro sono delle crepe? Questo posto si sta sgretolando! Cosa ne
sarà della povera Sibèal? Oh, ma lei è
già condannata!
L’irlandese
cadde sulle proprie ginocchia, cercando in tutti i modi di tapparsi le
orecchie. Era tutto così assurdamente terrificante, tutto
così… reale.
- E per ultima tu,
Roma Petrescu. O forse dovrei dire Roman? Credi davvero di essere
riuscita ad ottenere ciò che volevi? La gente
continuerà a disprezzarti, la tua famiglia ti considera un
fallimento, sei soltanto un oggetto rotto, sei sbagliata. Ricordi le
parole dei tuoi genitori? Sei una delusione per loro. Sei sbagliata.
Sbagliata.
Le lacrime
cominciarono a scorrere copiose sulle guance della gitana, mentre
attorno a sé vedeva radunati i membri della propria
famiglia, pronti ad insultarla e cacciarla via. Ma,
all’improvviso, un piccolo spiraglio di luce si fece strada
in quel tunnel di paura e dolore: in mezzo ai famigliari infuriati
aveva scorto il volto di suo fratello, i cui lineamenti erano
forzatamente distorti.
No, quello non era
sicuramente suo fratello: Dragan era sempre stato l’unico ad
amarla per quella che era, l’unico ad incoraggiarla e
restarle accanto anche nei momenti più difficili.
Dragan non
l’avrebbe mai discriminata e tradita. E finché al
mondo fosse esistita anche solo una persona pronta a rimanere al suo
fianco, lei non si sarebbe mai permessa di sentirsi un fallimento.
Con uno sforzo immane
coprì naso e bocca con lo scialle e, concentrandosi al
massimo, cominciò a mutare il proprio corpo:
guadagnò centimetri in altezza, il seno si
appiattì, i lineamenti assunsero una connotazione maschile e
l’intero fisico diventò più massiccio e
robusto.
Subito, gli effetti
della tossina inalata svanirono, dando modo alla gitana, o meglio, al
gitano, di avanzare verso la sfera e distruggerla con un colpo di
pugnale. La voce si zittì di colpo.
- Trattenete il
respiro! – ordinò Roman ai propri compagni,
afferrando Katana ed aiutandola ad uscire dalla stanza.
Tornò indietro, ripetendo l’operazione con
Evergreen e, seppur con parecchia fatica, con Digger Harkness.
Tuttavia, nonostante la maggiore forza fisica acquisita grazie alla
muscolatura maschile, non aveva idea di come avrebbe fatto a
trasportare Killer Croc lontano da lì.
Fortunatamente, seppur
ancora scossa, Evergreen aveva recuperato sufficiente
lucidità da recuperare la propria moneta dalla tasca e
lanciarla in aria.
Killer Croc, ancora
preda delle allucinazioni, cominciò a correre qua e
là, andando infine a sbattere contro un interruttore
attaccato al muro: come per magia, le ventole di aerazione, ferme da
anni, si riattivarono, risucchiando le sostanze tossiche presenti nella
stanza.
Tossendo e ansimando,
Katana avanzò verso Roma, che era appena tornata nella
propria forma femminile.
- Ti ringrazio, sei
stata provvidenziale. Come hai fatto a guarire così in
fretta dagli effetti del gas?
- Beh –
spiegò la gitana. – Quando cambio genere il mio
corpo si “resetta” completamente, così,
quando sono diventata uomo, è stato come se non avessi mai
respirato quella tossina. E’ stata un’idea del
pazzo che mi ha trasformata in Shifter, naturalmente.
- Quel tipo
sarà pazzo ma in un certo senso ci ha salvati –
borbottò Killer Croc, massaggiandosi la testa. –
Siamo caduti come idioti in una trappola. E abbiamo perso tempo.
- Io non credo
– mormorò Evergreen, schiarendosi la voce non
appena avvertì l’attenzione dei compagni su di
sé. – E’ vero, abbiamo corso un grosso
rischio. Ma abbiamo anche ottenuto un’informazione in
più riguardo lo schieramento nemico.
- Spiegati –
la esortò Katana, mentre Capitan Boomerang si alzava a
fatica in piedi, controllando a stento le gambe traballanti.
L’ex
commissaria sospirò: - Ho già affrontato questo
criminale, una volta. E’ un ex psicologo che agisce
direttamente sulle paure della gente, riuscendo talvolta a manipolare
le menti e spingere ad atti estremi come l’omicidio o il
suicidio. Il suo nome è Scarecrow.
- Sei riuscito a
scoprire qualcosa di nuovo?
Era passate circa due
ore da quando la Squadra 3 aveva cominciato ad indagare sul misterioso
campo magnetico: Maysie picchiettava insistentemente sulla tastiera del
suo piccolo portatile, analizzando i dati raccolti e inviati da Toby.
Si trovavano in una
piccola stanzetta polverosa, con una decina di vecchi armadietti
abbandonati poggiati contro le pareti.
Hydra, Snakebones e
Scarf montavano la guardia e, di tanto in tanto, uscivano dalla stanza
per controllare che nei paraggi fosse tutto tranquillo.
- Al momento nessuna
novità – rispose il ragazzo spagnolo. –
Che sia un campo magnetico e non elettrico ormai è
appurato… continuano a sconcertarmi queste emissioni di
energia pulsante…
- Stando ai calcoli,
pare che il campo sia generato da un singolo magnete…
- Potremmo ottenere
maggiori informazioni inviando una mini-sonda… - Toby si
morse un’unghia, dubbioso.- Però è
anche vero che fare un buco sul pavimento e magari aprire un passaggio
diretto alle forze vettoriali generate dal magnete potrebbe rivelarsi
rischioso… ah, come procede la scansione?
Maysie storse le
labbra in una smorfia: - Non bene, non sono ancora riuscita a
raggiungere il centro… non appena provo ad avvicinarmi
qualcosa mi respinge… ma penso di potercela fare procedendo
per tentativi, ho notato che, nonostante l’impedimento, ogni
volta che avvio la scansione mi avvicino sempre qualche metro in
più…
- Con una sonda
otterremo immagini più precise, ma in effetti questo penso
sia il metodo più sicuro…
Mentre le due menti
scientifiche si scervellavano, le loro compagne di squadra sedevano con
la schiena poggiata alla parete, lanciando di tanto intanto delle
occhiate annoiate allo schermo del pc.
- Ancora tre ore di
snervante attesa – brontolò Scarf, alzando lo
sguardo verso il piccolo boomerang drone che si muoveva lentamente
attorno al perimetro della stanza. Si alzò in piedi, facendo
le boccacce alla telecamera ed alzando il dito medio con entrambe le
mani.
- Almeno
l’australiano avrà qualcosa da guardare
– si giustificò poi, risedendosi. –
Anche se ho il sospetto che gradirebbe di più un nostro
spogliarello.
- Ah, questo
è sicuro – replicò divertita Amelia,
per poi rivolgere l’ennesimo sorriso non ricambiato alla
coetanea dai capelli neri.
Hydra non aveva ancora
aperto bocca quel giorno, se non per rispondere a qualche domanda con
monosillabi, grugniti o cenni della testa. Di tanto in tanto si alzava,
faceva un giro e poi tornava a sedere, tenendo costantemente
d’occhio i tatuaggi impressi sulla pelle.
- Tu non ti stai
annoiando, Clary? – domandò l’italiana,
posando una mano su quella della taciturna compagna. – Non ti
dispiace se ti chiamo Clary, vero? Non che Hydra sia un brutto nome, ma
Clary secondo me è più carino, ti addolcisce.
Preferisco dare dei soprannomi alle persone, me le fa sentire
più vicine. Però se vuoi che ti chiami Hydra
basta dirlo, non c’è problema, sai…
- Chiamami come vuoi
– borbottò l’altra, cercando di
interrompere quel fiume di parole con la massima discrezione.
– Non mi cambia nulla.
- Abbiamo trovato una
che è più scontrosa di me –
osservò Scarf con un ghigno. – Non lo credevo
possibile. Adesso che ho perso il titolo di Antipatica del Gruppo
dovrò cercarmi una nuova funzione… forse potrei
essere la Stronza del Gruppo, oppure “Quella Che Ti
Fotte”…
- Secondo me Clary non
è antipatica – replicò Snakebones,
sistemandosi senza preavviso a cavalcioni sulle gambe
dell’irlandese. – E’ solo un
po’ musona e asociale, non è vero? Ma sono sicura
che sotto quell’aria da dura si nasconda una persona
adorabile!
Questa volta
l’impassibilità di Hydra fu scalfita con successo:
la ragazza spalancò gli occhi chiari, osservando sconcertata
l’italiana accomodata sulle sue gambe
-
Snakebones…
- Chiamami Amy.
- Come ti
pare… si può sapere perché vuoi a
tutti i costi avere a che fare con me?
- Ah, ma allora sei
capace di mettere insieme una frase intera! –
sogghignò Scarf con fare ironico.
Amy si
voltò verso la bionda, facendole la linguaccia, poi
concentrò nuovamente l’attenzione sulla tatuata,
scorrendo il dito indice sui misteriosi marchi che la ricoprivano.
- Sembra che questi
tatuaggi siano per te motivo di preoccupazione… -
osservò con tono improvvisamente meno infantile. –
Ma né tu né Waller ci avete detto il
perché. Che cosa significano?
Clarice si morse la
lingua, quasi desiderando sparire dentro il muro su cui poggiava la
schiena: non era abituata al contatto fisico e in quel momento Amelia
(o Amy) era davvero troppo vicina. Abbassando appena lo sguardo poteva
vedere senza problemi l’interno della scollatura della sua
felpa…
Rivolse gli occhi
verso l’alto, arrossendo, ma, prima di riuscire a farfugliare
una qualsiasi risposta, venne distratta da uno strano movimento
adiacente al soffitto. Aguzzò meglio la vista, un
po’ ostacolata dalla flebile luce dei vecchi neon:
sì, c’era qualcosa sul soffitto, qualcosa che
entrava dalla porta aperta alla loro sinistra e strisciava in un moto
lento e appena percettibile.
- Rampicanti?
– disse ad alta voce, portando le due compagne ad alzare lo
sguardo.
Scarf balzò
subito in piedi, facendo schioccare le dita delle mani: - Pare ci sia
un intruso! Bene, abbiamo qualcosa da fare!
- Toby, May, noi
andiamo a dare la caccia all’intruso –
annunciò Amy. – Voi non fateci caso, sistemeremo
la faccenda in poco tempo. Tu vieni, Clary?
- Ovvio che
sì – bofonchiò l’altra,
spazzando via la polvere dai pantaloncini.
Migliorando la visuale
con l’aiuto di una torcia, le tre ragazze seguirono la scia
di rampicanti, tendendo al massimo sensi e muscoli. Svoltarono un paio
di corridoi, fino a ritrovarsi sulla soglia di una saletta semispoglia:
si affacciarono con cautela. Nell’angolo opposto della
stanza, c’era un grande archivio di ferro ormai arrugginito,
provvisto di una decina di cassettoni scricchiolanti.
Una figura alta e
femminile era intenta a frugare all’interno di uno di essi,
dando le spalle alla porta: la luce era ancora più flebile
in quel punto, visto che un solo neon era ancora funzionante, pertanto,
nessuna delle tre giovani riuscì a identificare in qualche
modo l’intrusa. Una bella massa di folti capelli rossi le
scendevano lungo la schiena, fino a lambirle i fianchi sinuosi. Le
piante attaccate al muro e al soffitto scendevano sul pavimento, fino a
convergere sotto i suoi piedi.
Facendo attenzione a
non emettere alcun rumore, Scarf allungò la mano in
direzione della donna misteriosa, concentrandosi per entrare in
contatto con le fibre tessili che componevano il body succinto che ella
indossava. Tuttavia, dopo diversi tentativi, abbassò il
braccio, sconcertata: non riusciva ad avvertire nulla.
- Non
capisco… - sussurrò rivolta alle altre due.
– Se la vista non mi inganna non mi pare sia nuda…
perché non riesco a…
Prima che la bionda
riuscisse a terminare la frase, i rampicanti che ricoprivano il
soffitto si animarono all’improvviso, scattando come fruste
verso le ragazze della Suicide Squad.
- Attente! –
gridò Hydra, scansandosi giusto in tempo per evitare di
venir colpita al volto. L’intrusa ebbe un sussulto e,
più rapida del vento, fuggì in direzione della
seconda porta che dava sulla saletta. I rampicanti sbarrarono entrambi
gli accessi.
- Inseguiamola per di
qua! – esortò Scarf, cominciando a correre lungo
il corridoio. Per diversi metri, la scia di rampicanti sul soffitto
diede alle giovani donne una pista da seguire, poi, però, si
interruppe bruscamente in prossimità di uno sgabuzzino dalla
porta sigillata.
- Maledizione!
– ringhiò Clary, cercando invano tracce di
qualsiasi tipo.
La sconosciuta era
scomparsa nel nulla.
Intanto, nello
stanzino degli armadietti abbandonati, Maysie lanciò
un’imprecazione, facendo sussultare il compagno.
- Cosa
c’è? Hai visto qualcosa?
- Quasi…
La scienziata si
sfilò gli occhiali, pulendo le lenti su un lembo del camice
bianco: - Ero quasi riuscita a raggiungere il centro, stavolta, poi
quella strana forza mi ha nuovamente respinta. Ma, se abbiamo avuto
fortuna, forse sono riuscita a catturare
un’immagine…
- Parli di
fortuna… ci servirebbe tanto Evergreen in questo
momento…
- Se fosse sicuro
usare il mio potere, forse riuscirei…
Maysie si interruppe
bruscamente, mordendosi la lingua. Senza terminare il discorso, fece
partire la registrazione dell’ultima scansione
dell’entroterra: man mano che i fotogrammi digitali si
susseguivano, un piccolo punto al centro dello schermo
cominciò a prendere forma. Toby collegò il
mini-computer inserito nel braccio al portatile di Maysie, convertendo
i dati in immagini: quello che apparve sul monitor della ragazza
lasciò entrambi a bocca aperta.
- Sembra…
sembra anche a te…
- Mi sa proprio di
sì…
Gli occhi celesti
della ventiseienne incontrarono quelli scuri del ragazzino spagnolo. Le
loro voci parlarono all’unisono.
- Un cuore!
Era ormai sera quando
la Suicide Squad, dopo essersi riunita nel parcheggio
dell’ospedale e riportato gli eventi accaduti durante il
primo giorno di lavoro, fece ritorno al motel.
Maysie si
barricò in camera, cercando di approfondire ed elaborare
meglio i dati registrati, Killer Croc si piazzò davanti al
televisore e Flag, dopo aver fatto rapporto a Waller, uscì
in cortile con una scusa, dedicando una buona mezz’ora ad una
misteriosa telefonata.
Ashlynn, dal canto
suo, dopo aver preparato del caffè per sé stessa
e gli altri membri che si erano accomodati in cucina, varcò
sospirando la soglia della propria stanza, si tolse il cilindro verde
e, scompigliandosi i capelli castani, lo sistemò su uno dei
ganci appesi al muro.
Tornare in
quell’ospedale dopo mesi le aveva lasciato addosso una
sensazione che non riusciva a decifrare: era sgradevole? Era triste?
Entrambe le cose miste ad un più che logico senso di colpa?
Fece per sfilarsi la
giacca, quando, gettando un’occhiata più attenta
all’ambiente che la circondava, realizzò di
trovarsi in mezzo ad un nauseante trionfo di disordine: sul pavimento
erano stati abbandonati in ordine sparso una giacca in pelle blu scuro,
una canotta sudicia e diversi accessori tra cui armi, catene e anelli.
Un paio di jeans stropicciati pendeva da un angolo del letto
matrimoniale, mentre, adagiato delicatamente sul cuscino di sinistra,
un piccolo unicorno rosa di peluche la fissava con i grandi occhioni
finti.
La porta del bagno si
aprì e, tronfio più che mai, con le
nudità avvolte da un semplice asciugamano bianco, il suo
arrogante compagno di stanza uscì fischiettando, lasciando a
terra le impronte bagnate dei piedi. Con quell’espressione
idiota stampata sulla faccia, il corpo pompato di muscoli e buona parte
delle membra ricoperta di peluria bionda, la faceva pensare al frutto
di un incrocio genetico tra un armadio, uno scimmione troglodita e il
dio greco Ares.
L’irlandese
osservò in silenzio per alcuni istanti il colosso scemo che,
come nulla fosse, le rivolgeva un sorriso irrisorio, pescando un paio
di mutande da sotto il letto, poi, il suo autocontrollo di ex
poliziotta andò a far compagnia alle prostitute che avevano
visto per strada tornando al motel.
- Si può
sapere che ti salta in mente? Nel giro di qualche minuto hai
trasformato questa camera in un campo di battaglia!
- Ehi,
perché ti scaldi tanto? – replicò calmo
l’australiano. – Non sarai una di quei maniaci
dell’ordine che…
- Io e te dovremo
convivere all’interno di queste quattro mura
chissà per quanto – lo interruppe furibonda la
donna, raccogliendo gli indumenti da terra e gettandoli sul letto.
– Ed io non ho intenzione di dormire in un porcile! Quindi
prendi questi vestiti e mettili in ordine, subito!
- Va bene, mammina, non ti
scaldare.
Capitan Boomerang
piegò approssimativamente le proprie vesti e le pose su una
sedia, voltandosi poi con fare irriverente verso la compagna di
squadra: - Sei così rompipalle anche con i tuoi figli?
- Io non ho figli
– replicò Ashlynn, sistemando la propria giacca su
un appendino. Harkness sembrò stranito dalla risposta.
- Ah no? Ero convinto
di sì, visto il modo in cui ti comporti. Ma, toglimi
un’altra curiosità, sei sposata?
- Hai intenzione di
farmi il Terzo Grado? – sbuffò l’altra,
piantando le mani sui fianchi. – Comunque, se proprio ti
interessa tanto, no, non mi sono mai sposata e attualmente non mi trovo
coinvolta in nessun tipo di relazione sentimentale. Adesso dormirai
tranquillo?
Il criminale parve
soppesare le parole dell’ex commissaria per diversi secondi,
poi, le sue labbra si piegarono in un sorrisetto furbo: -
Senti… Ashlynn, giusto? Ho come l’impressione che
ad entrambi serva svagarsi un po’, dopo questa giornata
pesante… e visto che dovremmo condividere il letto per
chissà quanto tempo, potremmo anche approfittarne qualche
volta… sai, giusto per divertirci un po’, tutto
qui.
Evergreen
alzò un sopracciglio, lasciandosi poi sfuggire una risatina
irrisoria: - Non ci posso credere… mi stai veramente
chiedendo di scopare con te? Sei fuori di testa, Harkness.
- Perché
no? Non abbiamo nessun tipo di legame, siamo due single attraenti che
si ritrovano a passare la notte assieme. Fossi in te non ci troverei
niente di male.
- Ti conosco da meno
di ventiquattr’ore – replicò con forza
la donna. – Sei un cialtrone, un maniaco sessuale e un ladro,
ti pare che una persona rispettabile come me possa accettare una
proposta simile? E poi sono troppo vecchia per te…
- Per me
l’età non è così importante
– sogghignò Harkness. – E poi scusa,
quanti anni hai?
Ashlynn
alzò gli occhi al cielo: - Trentanove. Ora se non ti
dispiace…
- Beh, io ne compio
trentuno tra qualche mese, non abbiamo poi così tanta
differenza! Senza contare poi - la voce del biondo assunse un tono
leggermente sadico – che tu eri una persona
rispettabile. Adesso sei una carcerata in missione per conto di una
psicopatica che è più criminale di tutti noi
messi assieme. Non sei più così tanto diversa da
me, bambolina. Dai, andiamo… sono sicuro che non ti diverti
da un sacco di tempo. Da quanto non fai qualcosa di
“socialmente” sbagliato, anche solo per il gusto di
infrangere delle stupide regole bigotte? Quand’è
stata l’ultima volta che hai fatto sesso con qualcuno?
- Non sono affari
tuoi. E se mi chiami “bambolina” un’altra
volta ti spacco i denti. Comunque…
Capitan Boomerang
spalancò incredulo gli occhi azzurri alla vista della
compagna di stanza che, con tutta tranquillità, si sfilava
la camicia ed i pantaloni, lasciandoli cadere a terra. Come biancheria
intima indossava un corsetto nero e semplici slip abbinati.
- Va bene.
Ma sì, in
fondo cosa c’era di male? Per tutta la vita Ashlynn aveva
cercato di essere sempre impeccabile, inflessibile, perfetta. La
magnifica Commissaria McKinley, la donna senza macchia. Non si era mai
concessa degli sgarri, aveva sempre seguito le regole con assoluta
dedizione. E dov’è che tutta
quell’ossessione per il controllo e l’ordine
l’aveva portata? Dentro una cella schifosa, nello stesso
carcere in cui lei stessa aveva talvolta sbattuto la peggior feccia
dell’umanità.
Non aveva mai pensato
a sé stessa, aveva sempre agito per un bene comune, aveva
sempre cercato di fare “la cosa giusta”. Si era
persa un sacco di cose, aveva sacrificato quasi quarant’anni
per il nulla.
Pur odiando doverlo
ammettere, quel criminale dalle discutibili qualità
intellettive non aveva tutti i torti: da quanto tempo non si concedeva
un po’ di sano e irresponsabile divertimento? Da quanto non
provava il brivido della trasgressione, il piacere di dare un calcio
alle regole? Quand’era stata l’ultima volta che
aveva avuto un rapporto intimo con qualcuno? A momenti nemmeno lo
ricordava…
- Va bene? –
ripeté il giovane stupito. – Che significa
“va bene”?
- Significa
d’accordo – rispose lei, impassibile. - Questa sera
ci divertiremo. Scoperò con te. Hai già cambiato
idea?
- Oh… no,
assolutamente, certo che no!
Felice della vittoria
ottenuta, Digger Harkness armeggiò rapidamente con il nodo
che chiudeva l’asciugamano avvolto attorno al proprio bacino,
sobbalzando quando Evergreen gli si avvicinò, stampandogli
un rapido bacio sulle labbra.
- Che fai? –
domandò stranito. La mora alzò un sopracciglio
con aria ironica.
- Come sei abituato?
Prendi una ragazza con la forza, la lanci sul letto senza preliminari e
poi ti getti su di lei urlando come un cavernicolo?
L’australiano
aprì la bocca per rispondere, poi scoppiò a
ridere. Serrò le braccia attorno la vita della donna, la
attirò a sé e la baciò a sua volta,
con foga. Non gli dispiacque rendersi conto che lei stava senza
problemi al gioco.
La sollevò
quindi per le gambe e si stese con lei sul materasso cigolante,
permettendole con piacere di passare le mani affusolate tra i propri
capelli biondi e scarmigliati.
Staccarono le labbra
per un istante, guardandosi negli occhi. Digger Harkness si
lasciò sfuggire un ghigno.
- Benvenuta nel Mondo
dei Cattivi, tesoro.
***
Era riuscito in
qualche modo a non farsi scoprire: si era introdotto nel piccolo e
trascurato cortile del motel, con il cappuccio della cappa scura
calato sul volto, si era arrampicato sul vecchio sempreverde i cui rami
arrivavano a graffiare le finestre del piano superiore e, silenzioso
come un’ombra, aveva tirato fuori un paio di misteriosi
occhialetti dalle lenti viola.
“Mi
fai dare un’occhiata, Corbin?”
“Ehi,
perché dovresti guardare tu?”
“Sono
stato io a inventare e costruire quegli occhiali, quindi ho la
precedenza!”
“Idioti,
io sono la più forte qui, quindi spetta a me guardare per
prima!”
- Ragazzi, fate
silenzio – mormorò il giovane, indossando le lenti
speciali. – Per il momento guarderò solo io.
Accontentatevi delle immagini che vi passa il mio cervello.
Ignorando il brusio
stizzito degli altri, Corbin batté le palpebre un paio di
volte, abituandosi quasi subito alla tonalità violetta
assunta dall’ambiente circostante, e cominciò ad
osservare ciò che avveniva all’interno
dell’edificio.
Grazie alla
straordinaria invenzione dello Scienziato, ogni barriera, anche la
più spessa e solida, veniva oltrepassata con
facilità dal suo sguardo vigile, mostrandogli soltanto
ciò che gli interessava vedere.
Gli unici clienti del
vecchio motel erano volti piuttosto noti, Corbin aveva letto spesso di
loro sulle prime pagine dei giornali di Gotham City; tirò
fuori un taccuino e cominciò a stilare una lista. Ricordava
la maggior parte dei nomi di quei criminali.
- Harley
Quinn… Deadshot… Killer Croc… Capitan
Boomerang… questi sono i componenti della squadra che mesi
fa ha fermato l’Incantatrice… ah, quella
è Scarf… e c’è
pure… ehi, Queenie, come si chiama la poliziotta che
è stata sbattuta a Belle Reve?
“Evergreen.
Ora, se mi lasci guardare…”
- La ragazza con i
tatuaggi è Hydra, so solo il suo nome ma non ricordo quali
abilità possieda… ci sono un paio di persone che
non ho mai visto, non credo siano carcerati, probabilmente sono
volontari come Katana… oh, c’è la
gitana, quella che cambia sesso a comando…
“Shifter.”
- Sì, ecco,
Shifter. La redhead,
invece, è la russa che manipola i ricordi…
Mnemos, mi pare. Oh, qualcuno è entrato nella sua stanza, si
tratta di…
Per un attimo, le sue
dita si intorpidirono, rischiando di perdere la presa sulla penna.
Corbin si sporse appena in avanti, incapace di credere ai propri occhi.
- Non è
possibile…
Le voci nella sua
testa ripresero a tormentarlo.
“Chi
è?”
“Corbin,
cos’hai visto?”
“Vuoi
farmi guardare o no? Che sta succedendo?”
“Corbin?
Cosa… oh, cielo…”
La spia ripose il
taccuino nella tasca, appoggiò la schiena contro il tronco
ed emise un paio di lunghi sospiri.
- Non pensavo ti avrei
più rivisto…
“Non
può essere davvero lui!”
“Ma
come ha fatto?”
L’espressione
stoica sul volto dello scozzese si addolcì, mentre le sue
labbra si piegavano appena in un impercettibile sorriso.
- Allora sei
vivo… Chato… amico mio…
***
Angolo
degli Autori: Eccoci qua con un nuovo capitolo!
Vi abbiamo fatti
aspettare parecchio, ma speriamo ne sia valsa la pena. Dunque, abbiamo
incominciato a vedere questa nuova squadra in azione, anche se, per il
momento, non è stato necessario farli muovere tutti assieme.
Ma non temete, le scene di combattimento e azione collettive ci saranno!
Speriamo inoltre che
la lunghezza del capitolo non sia risultata eccessiva, avendo tanto
personaggi certe cose sono inevitabili.
E finalmente hanno
cominciato ad entrare in scena anche altri personaggi
dell’universo DC, che interagiranno sempre
più spesso con la nostra squadra (sicuramente nessuno
avrà capito chi è la donna dei rampicanti,
nooo… XD) Inoltre sì, Harley si è
riunita alla squadra e, come qualcuno avrà indovinato, lo
stile che abbiamo scelto per lei è quello di Arkham City.
E, sempre muovendosi
nell’ombra, il personaggio di nome Corbin acquisisce
importanza all’interno della trama. Vi riserverà
senza dubbio delle belle sorprese.
Ah, cogliamo inoltre
l’occasione di fare un piccolo annuncio: vorremmo fare,
più avanti, un regalino ai nostri lettori,
perciò, se avete personaggi OC, potete mandarci in privato
la scheda di uno/a di loro. No, non appariranno in questa storia, ma
abbiamo in mente una piccola simpatica sorpresa.
Nel prossimo capitolo,
inoltre, abbiamo intenzione di pubblicare le
“tessere” dei nostri OC (tipo carte
d’identità) tanto per farvi avere
un’idea di come li immaginiamo, con pv e tutto.
Grazie a tutti per
aver letto, alla prossima!
Gryfferinpuff
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