Atmosphere

di mindsbloom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Pioveva.
Pioveva così forte fuori, ma come quasi ogni giorno praticamente.
Londra era come al solito umida, fredda e persino la sera nelle strade più famose della capitale si respirava il profumo del terreno bagnato; per quanto tu volessi divertirti, per quanto tu volessi passare il tempo a passeggiare. Che tu fossi un turista o no: non potevi sfuggire dalla pioggia.
Nessuno poteva, tranne chi, più pigro, se ne infischiava di quello che succedeva fuori quelle mura.
Le mura del loro pub preferito.


Seduti al loro solito tavolo, al loro stessi posti, le solite quattro persone.
«Comunque, questa birra fa schifo», Pete.
«Lo dici sempre e non ne prendi mai un'altra», Sonny.
«Questo perché gli piace lamentarsi», Kyle.
«Oh, non riprendete, vi prego» e Wallace.


Quattro amici da sempre… O quasi amici. Non tutti erano sicuri che la loro fosse vera amicizia.
Come Kyle.
Tratti occidentali, ben marcati, pelle chiara, troppo, e sarebbe stato il solito e scontato inglese, se non fosse stato per i suoi capelli neri. In cambio, i suoi occhi celesti e la sua cattiveria in fatto di battute, portava onore alla sua terra natia. Lui era sincero e parlava col cuore quando diceva agli altri cose come «non so neanche perché continuo ad uscire con voi, forse per abitudine».
«Vi conosco da dieci fottutissimi anni, ancora non c'è uno di voi che mi sia simpatico» e diceva, ancora quella sera.
Wallace rideva, Sonny si mostrava un po' indispettito.
«La porta è sempre quella» continuava Pete, con una voce seria che andava scemando in una risata.
«Da tre fottutissimi anni» aggiungeva Wallace.
Wallace era il più allegro di tutti. Se ti capitava di vederlo per strada in una delle sue giornate buone, l'avresti visto sempre sorridere; con l'estremità delle labbra rivolte verso l'alto. «Hai una paralisi facciale» non mancava Kyle.
«Ha parlato il depresso» rispondeva Pete.
Pete, Pete era come lo vedevi: un volgare ragazzo australiano, con una spiccata passione per le donne; se fosse stato per lui avrebbe tirato su una "wall of fame" con tutte le foto e gli indumenti intimi delle sue conquiste appesi lì sopra.
Al contrario suo, Sonny, era più riservato. Migliore amico di Pete, il preferito di Kyle: adorava fare battute sulla sua omosessualità, si faceva le migliori risate, uscendosene con «Sonny usa solo le saponette per lavarsi», puntualmente rideva solo lui.
Gli omosessuali e gli ebrei erano i suoi preferiti da prendere in giro, ma non è che li odiasse. Non era neanche un po' contro di loro, non era omofobo o razzista ma si divertiva così, si divertiva soltanto lui così.
Poi, c'era Wallace; Sonny a Wally non piaceva.
Forse perché non impazziva per i tipi silenziosi, forse perché reggeva l'alcol meglio di lui, probabilmente perché era gay e da quando l'aveva visto baciarsi con un ragazzo qualcosa tra di loro era cambiato.


«Io non me ne vado da qui. Chi me lo dice che Sonny, poi, non mi guardi il culo?» rispondeva Kyle, nel frattempo.
«Preferisco diventare etero. E poi, quale culo?»
A Kyle piaceva quando gli si rispondeva così. Insomma, poteva continua a scherzare.
«Allora me l'hai guardato.»
In realtà sì, ma Sonny lo trovò un dettaglio inutile.
Nel frattempo, Wallace beveva, guardandoli e seguendo il discorso.
«Mai. Che schifo» fece il serio e continuò «e poi mi sento con uno». Ruotò lo sguardo, indirizzandolo a Pete; lui non se ne accorse.
«Con Pete?» chiese e rise Kyle.
Pete alzò lo sguardo dal cellulare, accigliato. «Io non c'entro nulla, non lo sapevo neanche», fa spallucce.
Per quanto fossero coinquilini, non parlavano mai delle loro relazioni. A Sonny davano in qualche modo fastidio tutte le scopate di Pete e a Pete non piaceva sapere quante volte il suo migliore amico fosse saltato da un uccello all'altro nel giro di un mese. Le cose andavano benissimo così.

 «No, non con Pete, idiota. Mi sento con un ragazzo, è carino».
Nessuno disse nulla, solo Kyle alzò entrambe le sopracciglia, facendo la smorfia di uno che approva. Si divertiva e basta, per lui ogni occasione era buona per ridere degli altri. Amava i pettegolezzi, così poteva prendere ancora più per il culo chi gli capitava sotto tiro.
«Wow, fantastico, abbiamo finito?» chiedeva Wallace, posando la bottiglia di birra, praticamente dimezzata, sul tavolo. Non gli piaceva sentirlo parlare di queste cose, non c'era molto da dire a riguardo. Era così e basta.
«Parliamo di cose importanti» riprendeva, sospirava e si passava una mano sulla fronte, poi si grattava una guancia, «mi serve un lavoro. Questo mese sono nella merda se non pago l'affitto». Fine e conciso. Chiudeva gli occhi, un po' stanco della sua situazione.
«Prostituisciti» suggeriva Kyle, facendo spallucce.
«Prostituisci qualcun altro al posto tuo» continuava Pete, trattenendo un sorriso, per sembrare davvero serio.
«Io-...» e tutti si girarono a guardare Sonny.
«A me avrebbero proposto un lavoro l'altro giorno, ma per quel giorno sono già impegnato con i cani della signora Middleton», annuiva, poi iniziò a cercare qualcosa nelle tasche della giacca.
«Ah, Mrs Middleton» scuote il capo, sempre il solito, quello che sparava le battute tristi, «se non sapessi che sei gay, direi che lavori ancora per lei per portartela a letto». Annuiva, davvero convinto delle cazzate che sparava.
Sonny aveva la faccia di uno che non voleva perdere tempo a scherzare su certe cose. Era il solito "lo scherzo è bello quando dura poco", ma quello non la smetteva mai di scherzare e diventava pian piano sempre più ingestibile. Lo prendeva in giro per tutto, e lo infastidiva così tanto, delle volte, che si sorprendeva di se stesso quando riusciva a sopportarlo.
Una volta aveva scherzato persino sui suoi vestiti, gli chiese come mai vestiva così male dato la sua omosessualità; era un modo velato di prendere in giro le persone e questo l'avevano capito tutti.
Kyle non ci faceva caso. Conosceva quei cazzoni da una vita, sapeva che l'avrebbero sopportato sempre.
«Be', nessuno può negare quanto sia milf la signora» aggiungeva Pete, acconsentendo a quando aveva detto prima Kyle, «piuttosto, chiedile se ha qualche lavoretto per me».
Wallace era ancora per i fatti suoi, a pensare a quel lavoro che Sonny gli aveva detto quando, appunto, quell'ultimo gli diede il bigliettino tanto ricercato nelle tasche della giacca.
«Qua c'è il numero. È un tizio che cercava aiuto per ripitturare casa, nulla di ché, ma ci vorrà una settimana tipo, almeno guadagni».

Chissà se aveva saltato dei particolari. Chissà se l'aveva fatto apposta.
Wallace diede un'occhiata a quel numero di telefono, quel "Andrew Lewis" appena sgualcito, lo piegò con attenzione, come se si trattasse di un foglio davvero prezioso e se lo cacciò in una tasca dei pantaloni.
Accennò un segno col capo per ringraziare l'amico, poi riprese a bere.





«Pronto? Cercavo il signor Lewis», Wallace e la voce rauca di chi si è appena svegliato a mezzogiorno.
«Sì, ehm- sono io, con chi parlo?» era una voce spaesata, anche affannosa. Si chiedeva cosa avesse.
«Sono» ed il suono della macchina del caffè lo interruppe, accennò una leggera risata, solo un po' imbarazzata, così, senza nessun motivo apparente, poi continuò, servendosi il caffè in una tazzina: «sono un amico di Sonny Murphy, ha detto che aveva del lavoro da offrire, così...» e non continuò, come se volesse l'altro a continuare la frase.
«Oh! Sì! Murphy, Murphy! Quindi puoi occuparti tu dei muri?» e la strana sensazione di spaesamento, sembrava essere scomparsa. Wallace annuì, come se l'altro potesse vederlo attraverso il telefono.
«Sì, posso. Quanto sarebbe la paga?», era l'unica cosa che gli importava, dopotutto.
«Perché non vieni oggi a casa mia? Ti faccio vedere il lavoro, e poi ne discutiamo insieme», sembrò felice, anche se con un filo di tremolio nella voce.
Wallace amava scorgere dettagli nelle voci della gente con cui parlava al telefono. Gli piaceva potersi immaginare le loro espressioni, le loro sensazioni. Ma di questo Andrew non conosceva nemmeno la faccia. Così, accettò e dopo essersi messi d'accordo, chiusero entrambi la chiamata.
La cosa prometteva più o meno bene: aveva un lavoro, il proprietario della casa gli dava l'idea di un sempliciotto, e questo valeva a dire che bastava parlarne un po', ed avrebbe ottenuto più soldi.
Beveva il suo caffè ed alternava lo sguardo dalla lettera al divano, come se quella lettera di sfratto potesse scomparire nel momento in cui lui non la guardava più.





{ H e y t h e r e b o y s a n d g i r l s
​Che schifo avete letto? Idk!!!
​Le cose mi sembrano molto più carine mentre le scrivo, poi quando leggo sono tipo "oh no... poverina m e" ma è ok perché voglio rimettermi in gioco e mi era mancato tanto scrivere!
​Spero vi piaccia, aggiornerò molto presto e credetemi che ho in mente tantissime cose per questa storia. Se vi va recensite pure e fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe davvero molto piacere aaaaaaaaa


 

 

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Capitolo 2
*** II ***


Wallace era già pronto da un po'.
Erano le cinque del pomeriggio ed ormai era davanti allo specchio da quasi dieci minuti.
Avrebbe potuto prendere in giro Sonny quanto voleva ma almeno l'altro non rimaneva così tanto tempo a guardarsi allo specchio.
Si accarezzava la giacca nera di pelle, cercava di assottigliare lo sguardo per mettere meglio a fuoco sulla sua figura per assicurarsi che non ci fossero imperfezioni, qualche capello di troppo sulle spalle, qualche macchia di birra che gli era sfuggita dalla sera prima.
Ma nulla, non trovò nulla di tutto questo e si sentì poco più sicuro di sé.
Non che non lo fosse, per carità.
Più si guardava, più si compiaceva della sua figura.
«E beato lui» avrebbe detto Kyle, forse il più bruttino dei quattro, ma che in ogni caso, preferiva puntare sulla simpatia, piuttosto che sulla bellezza.
Passò al guardarsi il viso e si avvicinò ancora allo specchio della sua camera da letto, che gli permetteva di specchiarsi per intero.
Capelli castani, lisci, cadevano sulla fronte con una frangetta teoricamente ridicola a detta di molti, praticamente affascinante a detta di altre. Capitava se li tirasse indietro ma non c'era modo di tenerli lontano dalla fronte, alla fine qualche ciuffo ritornava sempre al suo posto. Proprio quei ciuffi gli davano un'aria più virile. Ah, la sua virilità. Strano a dirsi ma non si sentiva mai, neanche un po', bigotto.
Maschilista incallito senza neanche averne idea.
Passava i polpastrelli, delicatamente, sulla barba folta che si era fatta crescere lo scorso mese: "No shave November" dicevano, e lui ed i suoi amici seguivano sempre questa stupida tendenza, ogni anno. Poi a lui la barba piaceva quindi poi la lasciava anche dopo il mese di Novembre, ma questi erano piccoli dettagli.
Si diede un'ultima occhiata, Narcisio; si guardò di lato, poi abbassò lo sguardo e le scarpe erano ok.
Uscì dalla camera da letto, prese il suo portafoglio, le chiavi di casa, l'ombrello ed uscì.
E le chiavi della macchina?
E la macchina?
Niente di niente.
Una volta arrivato fuori aprì l'ombrello, si guardò intorno pensando bene a dove stava andando.
Pioveva, come al solito pioveva.
Sapeva benissimo che avrebbe dovuto comprarsi una macchina o almeno un motorino,  avrebbe davvero dovuto farlo.
Gli serviva, bisognava essere chiari… Ma prima di tutto, gli servivano dei soldi perché tra almeno una settimana, non solo si sarebbe ritrovato senza macchina ma anche senza casa.
E non è il massimo andare a stare sotto un ponte, coi tempi che girano. Non è il massimo chiedere ai tuoi amici di ospitarti a casa loro.
E a chi, poi? A Kyle? Che viveva con Maddie? La sua stupida, ma carina, coinquilina? Dio, quella ragazza era stupida come una gallina e rideva come un cavallo.
Non ci avrebbe mai messo piede.
A chi avrebbe chiesto? A Pete e a Sonny, che abitavano insieme?
Sì, certo. Così, a turno, una notte si sarebbe addormentato con i dolci gemiti delle conquiste di Pete, e l'altra con le acuti, pensava lui, urla di Sonny; come una ninna nanna.
La cosa non prometteva bene neanche un po', e mentre aveva messo il piede dritto su una pozzanghera e stava maledicendo chissà quanto quell'Andrew per non abitare vicino casa sua, pensava che doveva assolutamente fare quel lavoro nonostante le condizioni, nonostante glielo avesse consigliato proprio Sonny.
 
 
«Chi è?» guardava dall'occhiello, Andrew.
Wallace cercò di non essere sgarbato, neanche un po', nonostante fosse bagnato fradicio e si pentì di non aver preso un taxi, poi ci pensò di nuovo: chi li aveva gli stramaledetti soldi per un taxi?
«Sono io, il ragazzo che ha chiamato questa mattina, Wallace Baker» e dicendolo dietro la porta, anche un po' morto di freddo, pensava che quella mattina non si era neanche presentato come si deve al telefono.
Andrew non perse tempo ad aprire la porta e a lasciarlo accomodare in casa.
Gli indicò il tappetino all'entrata, «puoi asciugare le scarpe lì» disse e poi accennò un sorriso, un po' timido, un po' dispiaciuto.
Wally abbassò lo sguardo sul tappetino, strofinò un paio di volte le scarpe su di esso, poi rialzò gli occhi e lo guardò per un attimo, prima di rendersi conto che non aveva davanti altro che un ragazzo che avrebbe potuto avere sì e no, la sua età.
Come fa male, eh? La tua età, ha una casa sua e la sta anche rimettendo a nuovo.
Quel ragazzo, allora, fece qualche passo indietro per poi voltarsi e portarlo in cucina, dove quel poco di vapore che si era creato, apparentemente per il tè appena fatto, aveva prodotto un po' di calore, per niente fastidioso.
«Bene, Wallace... Posso offrirti una tazza di tè? L'ho appena fatto» e continuava a sorridere. Sorrisi che si alternavano ad attimi di inespressività completa, e lui continuava ad osservarlo.
Lui amava notare i dettagli. Il tono con cui parlava era tremante come quello di questa mattina, come se avesse paura. La sua voce era spezzata, ma chi lo sa, forse solo dalla timidezza.
«Sì, grazie, mi andrebbe proprio» rispose, cordiale, forse solo con la gente che non conosce troppo bene. Si mise seduto a tavola dopo un segno dell'altro, che gli porse una tazza ben piena di tè caldo. Profumava, quel tè profumava tanto. Wallace si ritrovò un attimo ad odorare per bene quel profumo, ed era -sosteneva- ai frutti di bosco. Un vero inglese ha sempre in casa tanti tipi di tè, pensava, ma lui aveva negli armadietti solo caffè su caffè.
Che vergogna, pensava, avrebbe dovuto comprare del tè.
Andrew, nel frattempo, si era servito da solo, e si era messo a fare compagnia all'altro, seduto a tavola, con i palmi della mano a circondare la tazza, come se stesse in qualche modo cercando di riscaldarsi. Wallace lo notò, ma pensò fosse nervoso.
Era, per abitudine alle brutte avventure, pessimista.
Bevvero entrambi un sorso della loro bevanda calda.
«Quindi, parlando per quel lavoro...» disse, e la sua voce suonò quasi pretenziosa, ma Andrew sorrise ugualmente. Lo fece anche l'altro, solo imbarazzato.
«Ci sono le pareti del salone da pitturare» diceva e man mano che parlava, andava abbassando la voce, «non è niente d'impossibile da fare, penso che una settimana o poco più, dovrebbe bastarti», annuiva.
Wallace strinse le spalle. Bene, ed ora come lo spiegava che aveva a che fare con un grosso problema?
«Poco più?
«Be', non che ci sia qualche problema, ma io avrei bisogno della paga almeno prima di venerdì» la sua espressione si fece preoccupata, ed Andrew inclinò il capo, non capendoci molto.
«Ma oggi è lunedì, dovrei anticiparti qualcosa?» il solito tono di voce, solo più apprensivo, oserebbe dire Wallace: paterno. Come se fossero state le parole di un padre che si rivolge ad un figlio che gli ha appena chiesto dei soldi.
«Dovrei?», chiedeva.
Sì, doveva. Ma bisognava essere gentili.
«Quanto sarebbe il guadagno?» bevve un altro sorso di tè, distogliendo lo sguardo dall'altro, che si mostrava indeciso sulla cifra, a quanto pareva.
    «Non… Non ricordo benissimo, puoi aspettare un attimo?» aveva detto, poi aveva allontanato la tazza e tremava, giurava Wallace, che l'altro stava tremando. Andrew si era alzato ed era uscito dalla cucina.
L'inglese, rimasto solo in cucina, ebbe il tempo di guardarsi intorno un bel po' di volte, osservare la cucina, con quei colori così caldi: marrone ed arancione. Quasi tutto era di questi colori in quella stanza tranne il frigorifero, quello era nero.
Il pavimento era in mattonelle bianche; Wallace iniziò a ticchettare le dita sul tavolo, chiedendosi che cosa stesse facendo quel tizio, quando ecco che rientrò in cucina.
Non da solo.
«Buonasera», sì, buonasera. Wallace si alzò, e porse la mano a quell'uomo. Per uno che nota dettagli, quel viso pensò gli sarebbe rimasto in testa per tutta la vita: zigomi alti, mandibola marcata, naso fine, pur sempre troppo spinto in avanti. Un accenno di barba, pelle abbronzata, capelli castano scuro, occhi-, occhi che non si capivano. Non li capiva. Erano castani, o erano neri? Non ne capiva neanche l'espressione.
«Buonasera» aveva risposto Wallace, e nel mentre quell'uomo gli aveva lasciato la mano. Ma era un uomo, sicuro? Insomma, quanti anni poteva avere?
«Lui è il mio compagno» parlò Andrew.
Oh, il suo compagno.
"Bene, è stato un piacere, arrivederci!".
Ma non poteva uscirsene così. Accennò un sorriso, squadrò entrambi. Andrew molto più minuto dell'altro che a differenza sua aveva una gran massa muscolare ed era anche più alto: ad occhio e croce, sette, sei centimetri più alto.
Ma la differenza si vedeva, ed anche tanto.
«Bene, piacere, io sono Wallace, il ragazzo che dovrebbe pitturare il salone», si mostrò quanto più gentile del solito. Davanti a quel tizio, che fosse gay o etero, non importava, se sbagliava a parlare aveva l'impressione l'avrebbe pestato di botte, quindi era meglio evitare qualche passo falso.
«Io sono Ronald, e sì, so chi sei», freddo.
Wallace avrebbe sentito un brivido alla schiena, se non fosse stato che voleva mostrarsi più composto che mai. Quell'uomo gli metteva soggezione.
«Ron, prima mi chiedeva quanto sarà il suo pagamento, per questo sono venuto a chiamarti», l'aveva chiesto con dolcezza, Andrew, ma ottenne uno sguardo truce, sinonimo di "non sai fare neanche questo da solo", Andrew abbassò il capo, dispiaciuto; Wallace percepì la tensione e sperò di poter usare il cellulare per chiamare la polizia, prima di essere morto.
«Cinquecento sterline» cinquecento.
Oh, be', se il suo affitto per quella topaia era di duecento allora le cose non erano così male come sembravano.
«E potrei avere un anticipo?» chiedeva, come se fosse una cosa da nulla.
«No, prima lavora, poi ti diamo i soldi. Vuoi fregarci?»
Ah, cielo.
Da quando in qua un anticipo era sinonimo di fregatura? si chiedeva Wallace, ma rimase zitto solo perché quando prima gli aveva stretto la mano si era accorto di quanto fosse grande pure quella, e il pensiero di trovarsi quelle mani intorno al collo non lo faceva impazzire.
Annuì, fu costretto ad annuire, «va benissimo, allora, niente anticipo».
Ronald fece un'espressione compiaciuta, «mi sembrava ovvio» e poi si voltò verso Andrew che teneva la testa a mezz'aria, indeciso chi guardare tra i due e quando sentì lo sguardo dell'altro addosso, si azzardò di guardarlo. «Scusami, avrei dovuto sbrigarmela da solo», sussurrò, Wallace non sentì, o quasi, e Ronald scosse il capo.
«Vieni domani all'una di pomeriggio per lavorare, non devi portare nulla», il ché sembrava tanto una minaccia: "non portare nessuno, vieni da solo", ma sapeva, in fondo, che voleva dire semplicemente che c'era già tutto pronto e non doveva portare nessun pennello, nessuna vernice.
«Allora a domani, Wallace» deciso e forte, Ronald fece anche un leggero cenno col capo, come per accentuare il fatto che lo stava praticamente cacciando di casa.
Wallace annuì di nuovo, «a domani…», provò un minimo di pena per il più piccolo, poi andò all'ingresso, prese il suo ombrello ed uscì da quella casa.
 
In un primo momento non seppe decidere se quel freddo improvviso gli era piaciuto o no; be', sicuramente lo preferiva al caldo asfissiante che, all'entrata di quel Ronald, aveva provato sempre di più.
Sentì le scarpe inumidirsi di nuovo.  
I pensieri arrabbiarsi con Sonny, quello stronzo, pensava, mi ha cacciato in una casa di gay.
E non sapeva neanche cosa cenare questa sera.
 





{He l l  l o a g  a in ,,, it is me
​Seriamente ily a tutti quanti che avete letto il primo capitolo e che avete aggiunto la storia nei preferiti/seguite/ricordate, mi rendete davvero un fagiolo f e l i c e!
​Spero che questo capitolo via sia piaciuto e che in qualche modo questa storia v'interessi gghgh avete presente quando mettete tanto impegno in qualcosa e decidete che è il momento di condividerlo con qualcuno MA HAI L'ANSIA? hah  that's me rn tbh
​Comunque sia, grazie ancora per aver letto e se avete qualche mini parere o anche BIG ASS parere, fate pure heh, xoxo /???/

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