Blood Brothers

di Mnemosine__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***
Capitolo 11: *** Undici ***
Capitolo 12: *** Dodici ***
Capitolo 13: *** Tredici ***
Capitolo 14: *** Quattordici ***
Capitolo 15: *** Quindici ***
Capitolo 16: *** Sedici ***
Capitolo 17: *** Diciassette ***
Capitolo 18: *** Diciotto ***
Capitolo 19: *** Diciannove ***
Capitolo 20: *** Venti ***
Capitolo 21: *** Ventuno ***
Capitolo 22: *** Ventidue ***
Capitolo 23: *** Ventitré ***
Capitolo 24: *** Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Venticinque ***
Capitolo 26: *** Ventisei ***
Capitolo 27: *** Ventisette ***
Capitolo 28: *** Ventotto ***
Capitolo 29: *** Ventinove ***
Capitolo 30: *** Trenta ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 35 ***



Capitolo 1
*** Uno ***


                                   

                                        UNO                                                                                                                         
 

"Bene, chi ha voglia di rispondere a qualche domanda?" La voce del giovane supplente di letteratura fece scendere dalle nuvole le menti dei suoi studenti, risvegliandoli da uno stato di dormiveglia.

 C'era chi fantasticava sullo splendido pomeriggio che avrebbe passato fuori da scuola e chi, come la maggior parte delle ragazze, fissava il docente come Tantalo guarda il cibo. Non avevano torto però, non capitava tutti i giorni di avere per supplente di letteratura un giovane uomo con un fisico perfetto e abbronzato, gli occhi azzurri coperti da un paio di occhiali da sole e dei morbidi boccoli biondi che si spostavano ad ogni suo movimento. Insomma, non capitava spesso di ritrovarsi una specie di super modello al posto del vecchio professore decrepito a fare lezione.

Alcuni di loro sobbalzarono, guadagnandosi un'occhiataccia dall'insegnante. Altri sbatterono ripetutamente le ciglia, accigliati, come per constatare di aver sentito bene.

Stava spiegando le avventure del mitico Odisseo, l'uomo dall'agile mente, ai suoi alunni; ma si era accorto che nessuno di loro prestava attenzione alle sue parole, così l'uomo decise di rovinare la giornata a tutti i ragazzi nell'unico modo che conosceva: interrogando.

L'intera aula ammutolì. Sul volto del giovane insegnante, che non doveva superare i venticinque anni, si dipinse un ghigno vittorioso.

"Nessuno? Non mordo mica." Continuò lui facendo scorrere gli occhi azzurri come il cielo sugli alunni, occhi che, famelici, cercavano una potenziale vittima; dopo una silenziosa ricerca sorrise. Incrociò un paio di occhi verdi come il mare, gli unici che non mostravano paura.

La padrona di quegli occhi si portò una ciocca di capelli, che era sfuggito dall'elegante treccia in cui era raccolta la lunga chioma ramata, dietro l'orecchio e lo guardò con disappunto.

"Jackson, ti va di raccontarmi qualcosina riguardo a Scilla? E, bada, non voglio sentire le solite cose come: è un mostro che incontra Odisseo, ma qualcosa di nuovo."

L'insegnante sentì l'aria che usciva dai polmoni degli altri studenti, aria trattenuta per paura di un'imminente interrogazione. Guardò la ragazza che aveva davanti accavallare le gambe, perfettamente a suo agio, senza però cambiare espressione.

"Ci sono molti miti su come Scilla si è trasformata in un mostro, questa è la versione che preferisco io. Anfitrite, la sposa di Poseidone, era, tra le mogli degli dei, la più fedele e meno gelosa di tutte.

Non si arrabbiava se il marito corteggiava altre donne, mortali e immortali, e accoglieva a braccia aperte i suoi figli illegittimi.

Una volta però, Anfitrite si ingelosì e volle vendicarsi sulla rivale: una bellissima ninfa, Scilla, figlia di Ecate e di Forcis, il vecchio dio marino che aveva oltre a Scilla e a Toosa, altri figli, come le Graie e le Gorgoni. Quando Anfitrite si accorse dell'amore tra Poseidone e la bella ninfa, chiese consiglio a Circe, la maga figlia di Helios, la quale le diede delle erbe magiche da stemperare nelle acque dove la ninfa era solita fare il bagno, una costa della Calabria sullo stretto di Messina.

Appena Scilla si immerse nelle acque venne trasformata in un mosto con dodici piedi e sei lunghissimi colli, con sei teste dalla cui bocca uscivano insistenti latrati. Il mostro prese possesso di una caverna della costa calabra di fronte al quale, sulla costa siciliana, c'era un'altra caverna dove abitava un altro mostro, Cariddi, figlia di Poseidone e di Gea.

Le navi per attraversare lo stretto, dovevano evitare di cadere nel vortice d'acqua provocato da Cariddi, che inghiottiva e rigettava poi fuori il mare, e Scilla che poteva divorarle." Finito il racconto, sia il professore che la narratrice poterono notare, con rammarico il primo e con soddisfazione la seconda, che tutti i compagni erano rimasti ad ascoltare la storia a bocca aperta.

"C'è qualcos'altro che desidera chiedermi professore?" chiese la ragazza pronunciando con scherno l'ultima parola.

L'uomo trattenne un sorriso, certo che la sua allieva non sapesse rispondere e chiese, con un misto di tristezza quasi nostalgica nella voce: "Nell'Iliade, abbiamo accennato ad un certo Ascelpio. Chi era?"

"In Grecia, Asclepio, o Esculapio decida lei come lo vuole chiamare, veniva venerato come il dio della medicina, delle guarigioni e dei serpenti. Molti riferimenti ad Asclepio sono stati ritrovati anche in ambito "occulto": la sua capacità di riportare in vita i morti lo rendeva difatti anche il dio invocato dai negromanti."

 Il sorriso gli si spense in un baleno, man mano che la ragazza parlava. Si passò una mano tra i boccoli biondi, nervoso.

"Apollo si innamorò di Coronide mentre ella faceva il bagno in un lago. I due consumarono la loro passione, poi il dio andò via, lasciando un corvo a guardia della ragazza."

Il professore sospirò, quasi malinconico.

"Coronide decise di sposarsi con Ischys, e il corvo, quando li vide assieme, volò da Apollo per riferire. Quando scoprì che Coronide era incinta, il dio decise di punire il corvo, tramutandogli le piume da bianche in nere, poiché non aveva allontanato Ischys da Coronide.

Artemide uccise Coronide trafiggendola con un dardo, per vendicare il fratello disonorato. Apollo, però, decise di salvare il piccolo che Coronide aveva in grembo, e chiese ad Ermes di prenderlo dal corpo della madre. Apollo decise di dare al piccolo il nome di Asclepio.

Secondo quello che si racconta, il semidio Asclepio ricevette dalla dea Atena il dono di cambiare il suo sangue con quello di Medusa la Gorgone. Da allora il sangue che sgorgava dalle vene del suo fianco sinistro era velenoso e portatore di sventure, ma quello del fianco destro aveva il potere di guarire qualsiasi malattia e persino di fare risorgere i morti, ciò fece arrabbiare sia Zeus che Ade, poiché l'afflusso dei morti dell'oltretomba diminuiva.

Proprio per questi poteri simili a quelli di un negromante, ovvero guarire i mali, riportare in vita i morti e garantire una vita straordinariamente lunga, Zeus decise di fulminarlo perché temeva che il particolare potere che Esculapio condivideva con gli uomini avrebbe potuto minacciare la fede negli dei, annullando di fatto la sostanziale differenza fra divinità e uomini, ovvero l'immortalità. Apollo però, si sentì oltraggiato per il trattamento severo riservato a suo figlio e si vendicò uccidendo i tre Ciclopi che forgiavano le folgori di Zeus.

Per placare Apollo, Zeus rese Asclepio immortale facendolo diventare un dio minore."

Il giovane docente si alzò dalla sedia su cui era seduto, per avvicinarsi alla ragazza. "E cosa mi diresti di Apollo?"

Lei lo fissò negli occhi e, incredula, rispose: "Apollo è il dio del sole, molte volte confuso con il titano Elio. Figlio di Zeus e gemello di Artemide, è il dio degli oracoli, della medicina e di tutti i tipi di arte; la sua arma prediletta era l'arco, tipo di arma che usava anche sua sorella Artemide, nessuno poteva sfuggire ad un suo dardo, le frecce tirate dai gemelli facevano sempre centro."

"Vai avanti." La incalzò lui, come se fosse desideroso di ascoltare.

"Apollo... lui è sempre stato rappresentato con un fisico tonico e con una muscolatura asciutta, aveva riccioli biondi e occhi azzurri come il cielo. E..."

 "E...?"

"Ed era un grande pallone gonfiato. Pardon, un grande rubacuori. Non ha mai avuto una relazione stabile e non faceva differenza tra maschi e femmine." Concluse lei con una punta di acidità nella voce.

Tutta la classe ascoltava in silenzio, sapevano tutti che, oltre al greco e al latino, quella era l'unica materia in cui la loro compagna era allo stesso livello di conoscenza degli insegnanti, se non più alto. Nelle altre materie invece... arrivava a stento alla sufficienza. Tutto questo, però, era causato da un disturbo del deficit dell'attenzione.

Il professore la guardava negli occhi come se fosse appena stato offeso, poi sorrise e ritornò alla cattedra.

"E cosa mi sai dire di Poseidone?"

"Poseidone, figlio di Crono e Rea, è il fratello maggiore di Zeus e minore di Ade. È il dio del mare e..."

Il racconto venne interrotto dal suono della campana che indicava il termine della lezione e gli studenti cominciarono ad uscire dalla classe.

"Jackson, rimani qui." Disse l'insegnante.

La ragazza annuì e si sedette sul banco dove prima erano appoggiati i libri. Ripose le penne e i quaderni nella borsa e attese. Quando tutti gli alunni furono usciti dall'aula lasciò la borsa su un banco e si avvicinò all'insegnante. Lui alzò gli occhi dal registro e si alzò in piedi per sbilanciarsi in avanti e appoggiare le sue morbide labbra sulla guancia dell'allieva. Lei sorrise e chiuse gli occhi per assaporare quel leggero contatto.

 "Che cosa ci fai qui?" chiese sorridendo e sedendosi sulla cattedra.

"Volevo vedere come sta la mia cuginetta adorata."

"Di solito, quando vieni a trovarmi, mi dai appuntamento in un bar o sulla spiaggia e hai le sembianze di un diciassettenne."

Il dio si strinse nelle spalle "Mancava il tuo insegnante e io ne ho approfittato."

Lei alzò un sopracciglio, scettica. Il nume alzò le mani in segno di resa, cercando di trattenere un sorriso. "E va bene, volevo rimorchiare qualche bella mortale".

Elisabeth abbassò lo sguardo per non far incrociare i suoi occhi con le iridi turchesi del dio, ma non fu abbastanza veloce.  La divinità batté gli occhi, perplesso, quello che aveva visto negli occhi della cugina non era tristezza, vero?

No, tra loro non c'era quel tipo di affinità. Certo, i due erano molto uniti, amici per la pelle Nient'altro, giusto?

Il figlio di Zeus sentì una stretta al cuore, senza però, riuscire a capire a cosa collegarlo. Non poteva sentirsi in colpa per aver detto all'amica di volersela spassare con qualche ragazza. Nossignore.

Passò il peso da un piede all'altro.

"Che ci fai ancora qui? Non dovevi andare da qualche mortale?" chiese lei, per rompere il silenzio. La voce le si incrinò leggermente, e lui fece finta di non essersene accorto.

Il dio scosse la testa e tirò fuori dalla tasca della sua camicia un paio di Ray-Ban, mettendoseli tra i capelli. "Vorrei passare un po' di tempo con la mia migliore amica, è da tanto che non ci vediamo."

"E poi sono venuto per dirti che tuo padre ha detto che lo puoi incontrare." Disse per cercare di cambiare argomento.

I libri che la ragazza aveva in mano caddero a terra con un tonfo. In pochi attimi Elisabeth fu a pochi centimetri dalla divinità, e lo guardava con occhi supplichevoli e commossi.

"Da- davvero?"

Lui le mise una mano sulla spalla con fare fraterno e annuì.

"Grazie"

"Te lo meriti. Meriti di vedere com'è diventato, dopo quello che hai fatto." 

"Dov'è?" Elisabeth piangeva di gioia. Dopo ben diciotto anni, avrebbe potuto abbracciarlo, tenerlo stretto a se. In un momento i pochi ricordi che aveva di lui le invasero la mente, belli e vividi come quando li avevano creati insieme. Aveva pregato per anni tutti gli dei, per poterlo rivedere anche solo un momento. Ed ora, il dio che glielo aveva strappato dalle braccia le proponeva di incontrarlo.

"Al Campo Mezzosangue" rispose il signore della musica "Ti ci porto io, ma prima..." fece un gesto con a mano e gli occhi arrossati dal pianto di Elisabeth tornarono normali. "Così nessuno potrà dire che ti sei commossa."

Lei lo ringraziò con un sorriso.

"Ora vieni." Disse il nume prendendola per un braccio e conducendola fuori dall'aula.

Molte delle compagne di classe di Elisabeth che avevano passato la lezione a contemplare i muscoli del professore che la camicia non riusciva a nascondere la guardarono con gelosia.

Il cugino le mise un braccio intorno alle spalle per alimentare quel sentimento e diede sfogo al miglior repertorio di sorrisi rubacuori che aveva.

"Ti diverti?" chiese lei. Lui non rispose, cercando di non dar peso al tremolio di voce di lei, e continuò a sorridere alle varie ragazze (o docenti) che incontravano per i corridoi della scuola.

Quando uscirono, Elisabeth poté notare un mucchio di ragazzi intenti ad ammirare una magnifica Ferrari che rifletteva alla perfezione il colore del sole.

"L'hai cambiata." Fu l'unico commento che il ragazzo poté ottenere. 

Lui rise e disse: "Dolcezza, la moda cambia." Poi aggiunse ad alta voce per sovrastare i commenti dei giovani: "Io dovrei entrare nella mia macchina, è possibile?"

Tutti gli studenti si girarono per vedere a chi appartenesse la voce, rimasero sorpresi nel notare che, a parlare, era stato il nuovo supplente di letteratura che aveva fatto una strage di cuori tra studentesse e insegnanti. Il volto di alcuni di loro rifletteva invidia, quello di altri gelosia, ma la maggior parte mostravano rispetto; perché, si sa, ai maschi le macchine piacciono davvero.

Poco a poco la folla se ne andò, chi a casa e chi in qualche locale.

Il biondino aprì lo sportello dalla parte del passeggero interpretando la parte del galantuomo dicendo: "Prego."

Lei all'inizio sbuffò, ma poi si costrinse a sorridere e ad entrare nel veicolo. Quando tutti e due si sedettero e misero le cinture, lui accese il motore e disse, prima di partire, con una voce suadente che, conoscendo la figlia di suo zio, l'avrebbe solo irritata: "Allora dolcezza, davvero ti sembro un grande pallone gonfiato?"

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Capitolo 2
*** Due ***






Nico Di Angelo stava facendo il suo turno di guardia ai confini del campo. Era seduto su un tronco cavo e fissava davanti a sé. Aveva, nel fodero appeso alla cintura, la sua spada di ferro dello Stige. I suoi capelli neri, sempre più lunghi del previsto, cercavano di nascondere le occhiaie che il piccolo Di Angelo aveva sotto gli occhi.

Indossava una maglietta con su scritto Campo Mezzosangue nera (fatta appositamente per lui), seminascosta dalla sua giacca da aviatore, un paio di pantaloni neri e attillati e il suo fidato anello con il teschio che non toglieva mai.

Il solito Nico Di Angelo insomma.

Dopo la guerra contro Gea il figlio di Ade si stabilì nella cabina 13 del Campo Mezzosangue, aiutando Chirone e i nuovi arrivati come poteva, anche se molti facevano ancora fatica a stargli intorno.

Il ragazzo stava giocherellando con il suo anello, quando sentì un fruscio. Subito si alzò in piedi con la spada sguainata e si guardò intorno, in cerca di un qualche pericolo.


Avvertì dei fruscii e il rumore secco di rami spezzati, foglie calpestate e rami spostati. Sicuramente una persona, magari un semidio che si stava recando al campo per passarci l'estate.

Allungò il collo, per vedere chi si stava avvicinando e inciampò su una radice. Cadde a terra e, accidentalmente, nel tentativo di appigliarsi a qualcosa per non cadere sulle semidivine chiappe, travolse anche la persona che cercava di spiare.

Quando Nico aprì gli occhi si trovò a pochi centimetri da un paio di pozze verdi; all'inizio credette di essere caduto su Percy Jackson, il solo pensiero di trovarsi sopra la sua ex-cotta lo fece diventare rosso come un peperone, ma allungando lo sguardo notò che quelle iridi marine appartenevano ad una ragazza. E, fino a prova contraria, Percy era un maschio.

Il figlio di Ade si rese conto di quello che era successo solo quando la ragazza si schiarì la voce e disse: "Mi staresti schiacciando, potresti alzarti?" In due secondi Nico visualizzò nella sua testa una parola: contatto.

Nico si riscosse e annuì, mettendosi in piedi e aiutando la sconosciuta a fare altrettanto.

 "Mi dispiace sono inciampato." Disse Nico.

"Non fa niente." Rispose lei sorridendo.


"Figlio di Ade." Disse una terza voce. Nico si girò di scatto e si ritrovò davanti un sedicenne con il fisico slanciato, i capelli biondi e un bel paio di occhiali da sole che gli coprivano gli occhi.


Il più piccolo si inchinò all'istante davanti al dio. "Divino Apollo, è un piacere rivederla."


"Anche per me, Di angelo. Sembra ieri che ti portai qui." Nico lo guardò un secondo negli occhi, grato che non avesse accennato a Bianca.


"Che cosa ci fa qui, se posso chiedere?"


Apollo si strinse nelle spalle ed ammiccò alla ragazza "Devo portare la mia cuginetta al Campo e assicurarmi che non ci siano risse di alcun tipo al suo arrivo."


In quel momento il piccolo Di Angelo poté studiare la sventurata che aveva travolto per colpa di una stupida, stupidissima radice. Demetra ce l'aveva proprio con lui.

Aveva dei lunghi capelli ramati raccolti in una morbida treccia laterale, indossava una canottiera verde che metteva in risalto i suoi occhi e le curve, dei jeans blu e un paio di All Star nere. Sull'anulare della mano destra portava un anello e aveva su una spalla una borsa dall'aria pesante. E, cosa più importante, i dieci centimetri finali dei capelli erano blu.

Doveva avere si e no sedici o diciassette anni. I tredici li aveva passati da un pezzo. 

 "Ho qualcosa in testa?" chiese lei. 

Nico rispose qualcosa di indefinito, tipo: "Uh?"

Lei sorrise di nuovo. "Mi stavi fissando, così ti ho chiesto se avevo qualcosa in testa." 

Lui annuì e le se avvicinò con una mano al viso e, prima di darle il tempo di scansarsi, le tolse una foglia dai capelli. Se la rigirò tra le dita scheletriche, mostrandola alla ragazza che arrossì leggermente.

"Grazie." Poi aggiunse porgendogli la mano: "Mi chiamo Elisabeth, comunque." 

Lui gliela strinse, non molto convinto dal nuovo contatto, e aggiunse: "Io sono Nico."

Nico non sorrise, ma la bocca gli si incurvò in qualcosa di simile.


Un grugnito del dio lo fece sobbalzare. Il nume in questione gli fece l'occhiolino. "Andiamo?" chiese alla ragazza. Lei annuì e fece un passo avanti annuendo. Nico decise di seguirli, potendo così chiedere a Trevis di dargli il cambio.
Non parlarono durante il tragitto, ma arrivati davanti all'entrata del campo, Elisabeth si fermò di scatto. "Non ce la faccio".


Apollo le si avvicinò e le mise una mano sul braccio "Certo che ce la fai, hai aspettato quasi dieci anni per vederlo."


Lei abbassò la testa e la scosse più vote. Anche Nico le si avvicinò, volendo scoprire che cosa stesse succedendo.


"E se non si ricordasse di me? E se fosse arrabbiato?" La ragazza alzò gli occhi, in cerca di un appiglio in quelli del dio.


Lui le prese la testa tra le mani "Non può essersi dimenticato di te, dolcezza. Appena ti vedrà sono sicuro che ti riconoscerà."


"E allora perché non mi ha mai cercato in questi anni?"


"Perché vostro padre mi ha costretto a chiudere i suoi ricordi nel luogo più profondo della sua testa, e di farli uscire solo al momento giusto. Appena ti vedrà lascerò quei ricordi liberi di invadergli la mente."


Disse il dio guardandola negli occhi. Lei abbassò lo sguardo e annuì. "D'accordo. Andiamo."


Apollo sorrise e riprese a camminare a passo spedito verso il campo. "Non vedo l'ora di vedere che faccia faranno tutti!"


Nico guardò interrogativo la ragazza al suo fianco e lei arrossì, distogliendo lo sguardo e seguì il nume del sole.



Quando arrivarono all'arena Nico poté constatare che molti dei semidei che passavano l'estate al campo erano già arrivati, perché sugli spalti c'erano già una quarantina di ragazzi che ammiravano gli allenamenti dei veterani.
I tre si fermarono all'entrata dell'edificio, per non disturbare.



Chirone, un centauro dal manto bianco, era al centro dell'arena e osservava le due ragazze che stavano combattendo in quel momento.

Una era grossa quanto un giocatore di football, aveva i capelli castani tenuti fermi da una bandana e combatteva come un'ossessa; l'altra aveva dei ricci biondi raccolti in una coda disordinata, brandiva una spada fatta con un materiale strano, sembrava quasi un osso.

Erano Clarisse La Rue e Annabeth Chase. 

Elisabeth sfiorò con un braccio quello di Nico e chiese indicando la ragazza massiccia: "Figlia di Ares?"

Lui annuì, non riuscendo a staccare gli occhi dal combattimento. Le due ragazze continuavano a ferirsi a vicenda, ma nessuna delle due dava cenni di cedimento. La differenza tra gli stili di combattimento delle due però, era palese: Clarisse attaccava senza sosta e senza pensare, Annabeth calcolava ogni colpo prima di contrattaccare. La sapienza vince sempre, o quasi sempre.

"L'altra chi è?" Chiese Elisabeth. Nico rispose senza guardarla. "Figlia di Atena."

"Ah."

Da lì in poi fu un susseguirsi di parate e stoccate, tagli e squarci, finché il centauro non constatò che le ragazze avevano perso troppo sangue per continuare e fermò l'incontro.

Le due duellanti si guardarono in cagnesco prima di scoppiare a ridere e complimentarsi a vicenda per l'ottimo combattimento. 

"Fantastico Clare! La prossima volta vincerò io." Disse la figlia di Atena.

"Continua a sperare Principessa." Ribatté l'altra.


Apollo, che era rimasto dietro ai due ragazzi per tutto il tempo si sporse verso Nico, facendo in modo che Elisabeth non lo sentisse, e gli chiese: "Percy Jackson è già tornato?"


Nico fece segno di no con la testa, cercando di capire il perché di quella domanda.


Apollo, evidentemente insoddisfatto dalla risposta, si posò gli occhiali da sole sugli occhi e mise una mano sulla spalla della ragazza: "Tu vedi di non scappare o te lo rinfaccerò per sempre." Lei non rispose, ma fece segno di aver capito. Il piccolo Di Angelo poteva percepire perfettamente il suo nervosismo.


Continuava a torturarsi le mani e i capelli e respirava a fatica.


Apollo entrò definitivamente nell'arena con passo deciso.


All'improvviso tutto il vociare dei semidei si fermò e nell'arena si instaurò un silenzio tombale.


Chirone, Annabeth e Clarisse, insieme agli altri veterani si inchinarono all'istante. I novellini, invece, che non avevano mai visto il dio del sole, ci misero un po' di più; ma, alla fine una quarantina di semidei e un centauro si erano inchinati al cospetto del dio.


Apollo fece segno a Chirone e a tutti i suoi figli di alzarsi, facendo rimanere gli altri in ginocchio. Sorrise calorosamente a Will Solace, che stava medicando un taglio superficiale sul braccio di Annabeth, e si rivolse ai mezzosangue.


"Come butta?" in un secondo, si poté sentire il tonfo provocato dalle mascelle dei novellini, cadute al suolo per la sorpresa di quell'approccio divino.


"Vi ho portato una nuova compagna" disse girandosi verso Elisabeth. Le fece segno di avvicinarsi, intimandole silenziosamente di non scappare. Lei si fece coraggio e, insieme al figlio di Ade, raggiunse il dio, che le mise prontamente un braccio sulle spalle per non farla fuggire via.


Chirone fece una faccia sorpresa, poi però venne sostituita da un sorriso paterno. "Ben tornata figliola."


Apollo piegò la testa da un lato e sorrise "Oh, potete alzarvi. Comunque, lei è la mia cuginetta Elisabeth. Trattatemela bene o vi faccio secchi." Disse ammiccando a nessuno in particolare.


 


 


Un lungo latrato distolse l'attenzione dei ragazzi dal dio, portandola all'entrata dell'arena.


Lì, sostavano un segugio infernale (con collare e medaglietta giganti) e un ragazzo dai capelli corvini. Indossava un paio di scarpe da ginnastica, Jeans blu e la maglietta del Campo. Le sue labbra erano piegate all'insù e i suoi occhi verdi, colore dell'oceano, risplendevano alla luce del sole.


Apollo sussurrò: "Ci siamo".


Il corvino sorrise al centauro e a tutti i suoi amici. La bionda, Annabeth, gli sorrise con affetto, e sarebbe corsa da lui se solo il sorriso del ragazzo non fosse mutato tanto velocemente. L'espressione felice si spense quando posò il suo sguardo sulla ragazza dagli occhi verdi, verdi come i suoi.


Lei fece un passo avanti, spronata dal dio.


Lui si appoggiò contro una delle enormi zampe del cane. Incredulo.


Nico pensò che i due dovevano per forza conoscersi, infondo anche Apollo gli aveva chiesto di lui, ma non aveva idea del come.


"Pierce." Sussurrò Elisabeth, aveva gli occhi lucidi, stava per piangere di gioia.


Il ragazzo sussurrò quasi impercettibilmente: "Liz..."


Lei represse un singhiozzo e annuì.


I due si guardarono di nuovo negli occhi e poi cominciarono a correre, uno verso l'altro.


Lei gli si buttò letteralmente tra le braccia e lui la fece girare sollevandola da terra. Con i piedi di nuovo sul terreno, Elisabeth strinse a sé il ragazzo e inspirò il suo profumo, lo stesso odore che proveniva dalla sua pelle.


Si allontanarono solamente per guardarsi negli occhi, quegli occhi identici in tutto e per tutto, per poi stritolarsi di nuovo in un lungo abbraccio.


Apollo guardava la scena con un sorriso soddisfatto, Chirone guardava i due ragazzi estasiato, Nico aveva la bocca spalancata in un'enorme "O" e Annabeth...


Già, Annabeth. Un lampo di gelosia le esplose negli occhi.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Angolo autrice: sono vivaa! Non ci credevate più eh? ;) eccomi qui, con un nuovo piccolo capitolo sfornato stamattina. Mi dispiace di aver smesso di scrivere, ma non avevo proprio tempo. Comunque questa storia andrà avanti, pian pianino, ma arriverà alla fine. 
Piccolo appunto: ho modificato i due precedenti capitoli, quindi vi consiglio di tornare indietro e dargli un'occhiata.
ci vediamo presto (spero). 
mi raccomando, fatemi sapere che cosa ne pensate ;)


                                          Tre


Quando i due si staccarono poterono notare che l'intera arena era avvolta nel silenzio. 
Elisabeth si alzò sulle punte dei piedi per lasciare un dolce bacio sulla fronte del ragazzo, che non smetteva di sorridere. 
"Sei cresciuto" notò lei. 
"Gli anni passano" rispose il corvino. Un lampo di tristezza passò negli occhi di entrambi.
Era passato un decennio dall'ultima volta che si erano potuti vedere.
 "Io..." Dissero insieme.
"Perseus Jackson!" I due vennero interrotti dall'urlo di una certa figlia di Atena. 
Tutta l'arena sentì il dio del sole bisbigliare "Allarme ragazza infuriata a ore dodici!"
La bionda si stava avvicinando con passo spedito ai ragazzi, pugni stretti e occhi che lanciavano fulmini.
"Ciao Sapientona!" La salutò Percy senza rendersi conto della situazione. "Mi sei mancata tantissimo!" Disse con il sorriso da piantagrane che aveva fatto breccia nel cuore della bionda.
Lei sembrò non averlo minimamente sentito, si ergeva dritta e fiera davanti alla ragazza dai capelli ramati che, lo avevano notato tutti, non voleva staccarsi dal figlio di Poseidone. 

"Chi è lei?" Chiese con tono tagliente Annabeth lanciando alla nuova arrivata un'occhiata di quelle che facevano scappare i mostri al primo sguardo. Lei, leggermente intimorita, scambiò con Percy un'occhiata confusa.  
E, visto che lui non era intenzionato a muovere un dito per spiegare la situazione, lei decise che la scelta più intelligente fosse quella di presentarsi: "Ciao io sono Elisabeth." Disse tendendole la mano , Annabeth la strinse educatamente per poi tornare a guardare Percy "Allora?" Indagò "Chi è?" 

Percy si guardò intorno, cercando un volto amico che lo salvasse dalla furia della sua fidanzata, si voltò verso Nico, ma il figlio di Ade lo guardava confuso, così come tutta l'arena. 
Strano ma vero, anche la Signora O'leary sembrava non capire la situazione. Possibile che non annusasse la paura del suo padrone? 

Percy rimase sorpreso quando, sicuro che la furia omicida della sua ragazza non lo avrebbe risparmiato, il più insolito tra i suoi alleati si fece avanti.
"Aspettate un attimo gente!" Urlò Apollo "Annabeth Chase, non sarai mica gelosa?" 
Elisabeth fece un sorriso al nume, per ringraziarlo di aver spostato l'attenzione della ragazza da loro.
Annabeth arrossì "Può darsi, divino Apollo."
Fu in quel momento che Percy scoppiò a ridere senza  ritegno  davanti all'espressione indignata della sua ragazza.
Elisabeth si lasciò scappare un sorriso e chiese al moro:"Questa è la tua ragazza?" 
Lui annuì non smettendo di ridere.
Da lontano si sentì anche la risata cristallina di Apollo. Tutti si girarono verso il nume e lui li guardò accigliato "Cosa c'è? Non si può più ridere per una situazione divertente al giorno d'oggi?" 
"Cosa c'è da ridere?" Chiese la figlia di Atena spazientita.
Percy, che intanto era riuscito a riprendere fiato, le mise un braccio intorno alle spalle "Sapientona non c'è nessuna ragione per cui tu debba essere gelosa di questa ragazza! Davvero."
"E posso sapere perché, di grazia?" Chiese lei indagatrice.
"Perché sono sua sorella maggiore" rispose Elisabeth. 


🙊🙉🙈 tatataddaaaaaaam 

La prima che si riscosse dallo stato di sorpresa che aveva colpito tutti, tra i semidei, fu la Signora O'Leary. La cagnona infatti si diresse scodinzolando verso Nico e, dopo averlo salutato con tanto di leccata salivosa, camminò incerta verso la sorella di Percy.
La ragazza, che non sapeva come comportarsi con quell'enorme molosso, guardò il figlio di Poseidone chiedendogli cosa fare.  
Lui le sorrise e si mise a grattare la sua cagnolina dietro le orecchie. "Liz, ti presento la Signora O'Leary, Signora O'Leary ti presento mia sorella Elisabeth." 
Il cane iniziò immediatamente a scodinzolare,  e fece le feste alla nuova arrivata. Dopo un momento di indecisione anche Elisabeth sorrise e accarezzò il cane sulla testa, ricevendo una bella slinguazzata come ringraziamento.
Contenta di aver salutato adeguatamente tutte le persone degne della sua attenzione, la Signora O'Leary si tuffò scodinzolando nell'ombra del figlio di Ade, sparendo in un viaggio-ombra.

La seconda a riscuotersi fu Annabeth, che guardò Chirone per chiedere la conferma. "Sua sorella?" 
Il vecchio centauro annuì "Si bambina." Poi, rivolgendosi all'intera arena, disse: "Ave Elisabeth Jackson, figlia di Poseidone, signore dei cavalli, scuotitore della terra, dio del mare."

Tra i semidei si andò a creare un mormorio sottomesso, tutti si chiedevano da dove fisse saltata fuori la ragazza e perché il dio del sole l'avesse portata al campo in quell'esatto momento. 
Insomma, gli dei non avevano prestato giuramento?
Apollo, che intanto aveva cominciato una fitta discussione con Will riguardo a non si sa quale suo haiku evidentemente venuto male, batté le mani guadagnando silenzio assoluto.
"Ragazzi, Elisabeth non è mortale come voi, e se vi state chiedendo perché non l'avete vista durante la guerra è perché si è dovuta nascondere da Crono, visti i loro trascorsi. Questa ragazza ha sedici anni da tre millenni, è immortale come le ancelle della mia sorellina." Spiegò.
Quaranta paio di occhi fissarono la figlia di Poseidone sorpresi e meravigliati.

Percy sorrise alla sua ragazza, con cui stava parlando sottovoce cercando di spiegarle a grandi linee la situazione e le disse "Devo parlare con lei, Ragazza Saggia, ho aspettato dieci anni per farlo."
Lei annuì, finalmente comprensiva e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra.

Il moro si voltò verso la ragazza, le sorrise e guardò Chirone. "Potente andare, ragazzi, ci vediamo al falò."
Elisabeth spostò lo sguardo dove pochi minuti prima c'era Apollo per ringraziarlo di averla riportata al campo, ma il dio era sparito. Delusa, si voltò verso i fratello.
I due figli del dio del mare si allontanarono, andando verso il laghetto.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


È strano come a volte desideriamo così tanto una cosa da pensare solo a quella fino a quando non la stringiamo tra le mani. 
La sensazione di non riuscire a vivere senza di essa è opprimente.

La figlia di Poseidone aveva desiderato così tanto rivedere il fratello: aveva pregato più volte suo padre per permetterle di vederlo, specialmente quando Percy aveva scoperto di essere un semidio.
Poseidone, però, rimandava sempre la questione, dicendo che se si fosse mostrata avrebbe distratto il ragazzo causando la caduta dell'Olimpo.

Poi, dopo la caduta di Crono, le aveva lasciato il via libera. Ma Percy era misteriosamente sparito dalla circolazione e poi, con Gea e tutti gli altri problemi, nessuno aveva più toccato l'argomento.
Ma, adesso che cel l'aveva davanti, non sapeva come comportarsi con lui. 
Ormai erano passati dieci anni da quando giocavano insieme, da quando Percy era un bellissimo ma ingenuo bambino iperattivo.
Ora era un uomo fatto e finito, aveva partecipato a due guerre ed era stimato dalla maggior parte delle divinità come il più potente semidio della storia. 

A cosa gli poteva servire una sorella maggiore? A difendersi no di certo.
E poi, ormai Percy si era creato il suo equilibrio di vita, una sorella ritrovata avrebbe solo incasinato le cose.

I due fratelli erano ormai arrivati al laghetto da alcuni minuti, si erano seduti sul molo ed avevano immerso i piedi nell'acqua.
Percy non la smetteva di guardare Elisabeth, avendo paura di vederla sparire da un momento all'altro.  
Non riusciva a credere che la sua sorellona, quella che lo aiutava a mandare via i bulli fuori da scuola, fosse davanti a lui.
Ma anche il ragazzo, esattamente come lei, non sapeva in che modo comportarsi.
Tra i due si era creato un silenzio imbarazzante, che lui cercò di rompere.

"Dei, mi sei mancata tantissimo." Disse prendendole la mano.
Lei gli sorrise "Anche tu." 
Nessuno dei due sapeva cosa dire, anche se ne avevano entrambi di cose da raccontarsi.

"Non riesco a crede di averti qui, davanti a me. Dei, Liz, mi dispiace di essermi dimenticato di te, di non averti cercata." Disse Percy stringendole la mano.
Lei gliela strinse a sua volta "Non dipendeva da te, papà ha voluto che dimenticassi, lo ha fatto per il tuo bene."

"Ma tu non mi hai dimenticato" notò lui. 
"Uno dei due doveva ricordare, non credi?"
Elisabeth iniziò a disegnare di cerchi nell'acqua con le punte dei piedi.

"Liz?" 
"Si, piccolo Calamaro?"
"Perché non mi hai mai cercato?" Non c'era risentimento nel tono di Percy, solo curiosità. Non era arrabbiato con lei per non averlo cercato negli anni trascorsi, ma era desideroso di sapere.
"Non potevo. Poseidone e Apollo me lo hanno ordinato. Io non volevo, ma era per il tuo bene." Disse lei alzando lo sguardo e ancorando le iridi marine del fratello alle sue.
"Se Zeus si fosse insospettito e ti avesse trovato..." 
La voce le si incrinò. "Dei, Percy non so cosa avrei fatto se ti fosse successo qualcosa." 
In un secondo tutte emozioni che aveva provato in quegli anni di lontananza si riversarono dentro il suo cuore. La nostalgia, il dolore, la tristezza.
Le lacrime iniziarono a sgorgare, calde, dai suoi occhi.
Lo sguardo di Percy si posò sul viso di Elisabeth, riuscendo e capirne le emozioni. 
Non disse niente, la abbracciò e basta. Le fece sentire tutto l'affetto e l'amore fraterno provato nei suoi confronti, avvolgendole le spalle con le braccia muscolose. 
Lei appoggiò la testa sulla sua spalla e diede sfogo ad un grande e lungo pianto liberatorio, pianse tutte le lacrime che si era tenuta dentro al momento della separazione. 
Inspirò lentamente l'odore di salsedine proveniente dalla pelle del ragazzo, crogiolandosi tra le sue braccia.
Non c'era bisogno di parole tra i due, tutto si spiegava in quel contatto. 
Rimasero così a lungo. Anche quando lei smise di piangere, loro rimasero stretti l'uno tra le braccia dell'altra. 

Elisabeth sciolse l'abbraccio per tastarsi il collo, dopo svariati tentativi prese una catenina d'argento tra le dita. Quando mostrò il pendente a Percy, gli occhi del semidio si inumidirono.
La ragazza teneva tra le dita una piccola conchiglia rosea, con un buchino su un'estremità da cui passava la catenina. 
Sorrise, felice che il ragazzo avesse riconosciuto il piccolo oggetto. 

~•~ Un bambino dai capelli corvini correva per la spiaggia, felice. 
Dietro di lui due donne, una sedicenne ed una donna che aveva da poco superato la ventina, cercavano di stargli dietro. 
"Pierce, aspettaci!" Urlò la ragazza. Ormai il sole stava tramontando, la spiaggia era deserta. L'unico rumore che si sentiva era quello delle onde che si infrangevano sulla sabbia. 
Il piccolo, senza ascoltare gli avvertimenti delle due, correva spensierato verso alcuni grandi massi (poi avrebbe scoperto che si chiamavano scogli) vicino all'acqua.
La donna più anziana si fermò per prendere fiato e appoggiare il telo da mare sulla sabbia. L'altra, fermatasi anche lei, non toglieva gli occhi dal piccolo.
"È inutile Sally, non riusciremo mai a stargli dietro." Disse con un mezzo sorriso.
Sally sorrise, portandosi alcuni ciuffi ribelli dietro l'orecchio. "Degno figlio di suo padre."
Quando le due si girarono verso il bambino, però, si accorsero che era sparito.  
"Vado a cercarlo" disse la ragazza, pregando una divinità a caso, andò a vedere se per caso il bambino era dietro agli scogli. 
Quello che vide la lasciò di stucco.
Percy era in piedi e teneva in mano una conchiglia che aveva sfumature rosa e la guardava curioso. 
Davanti a lui c'era un uomo sulla trentina. Aveva i capelli e la barba neri, gli occhi dello stesso colore del mare e portava una camicia hawaiana dalle dubbie origini.
L'uomo era inginocchiato per far si che lui e il bimbo fossero più o meno alla stessa altezza e gli sorrideva con calore. 
Percy gli stava parlando con il tono innocente caratteristico di tutti i bambini di cinque anni. 
"Checcos'è?"
L'uomo represse una risata "Questa, piccolo è una conchiglia."
Percy annuì come se avesse capito, poi lo guardò con un'espressione confusa "E checccos'è  una conchiia?"
"È la casa dei molluschi; questa però è vuota, significa che il piccolo mollusco ha deciso di traslocare." 
"Capito." Disse Percy concentrato cercando di imprimere nella memoria l'informazione ricevuta. 
"Signore?" Chiese "Che cosa ci devo fare io con una conchiia?" 
Lui sorrise al piccolo "Vediamo" disse facendo finta di pensare "Potresti regalarla alla tua ragazza , faresti un figurone!" 
Il bambino lo guardò perplesso "Io non ho nessuna ragazza. Però ho una sorella." Disse "Va bene lo stesso se la regalo a mia sorella?" 
"Certo. Puoi darla a chi vuoi." Rispose l'uomo alzando lo sguardo e notando la ragazza che li fissava vicino agli scogli. "È quella, tua sorella?" Chiese a Percy. 
Lui si girò e annuì "Si!" Disse correndo verso di lei. La ragazza, riconosciuto l'uomo, aveva iniziato a camminare verso i due. 
Percy si fermò a metà strada e tornò indietro. "Grazie signore."
"Grazie a te Perseus." 
"Come fa a sapere come mi chiamo?" Chiese il bambino.
L'uomo gli fece l'occhilino "Sono il dio del mare, io so tutto." 
~•~
La ragazza appoggiò la testa sulla spalla di Percy e lui le mise un braccio intorno alle spalle.
Poi, piano piano, iniziarono a raccontarsi le reciproche avventure.
Percy le raccontò di quando aveva scoperto di essere un semidio, di Gabe il Puzzone e del Minotauro. Le descrisse il suo primo incontro con Annabeth sorridendo al ricordo mentre lei si sbellicava dalle risate a causa di "quando dormi sbavi".
Elisabeth gli raccontò di come si era mescolata ai mortali per nascondersi da Crono mentre si svolgeva la battaglia e di come, disubbidendo a loro padre, lo aveva aiutato a creare il tornado durante lo scontro con Iperione.
Passarono il resto del pomeriggio lì sul molo, a raccontarsi episodi divertenti della loro vita durante la separazione e a punzecchiarsi a vicenda con vecchie scaramucce.
Saltarono la cena, rimanendo a parlare.

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Ciao.... Mi dispiace d non essermi fatta viva, ma ho avuto un sacco da fare con la scuola e non sono riuscita ad aggiornare prima... Quindi scusate, non uccidetemi. Da adesso fino alla fine aggiornerò regolarmente (anche perché ho già pronti dieci capitoli ;) ) 
quindi... Ecco qui.


                                         CINQUE 



Quella sera Chirone fece un lungo discorso sull'inizio dell'estate, dando il benvenuto e bentornato a tutti.
Quell'anno erano arrivati più di venti nuovi semidei figli di divinità minori e una decina di quelle maggiori.
Il maestro fece un lungo discorso di speranza per i tempi futuri, pregando di non vedere altre Grandi Profezie per almeno un centinaio d'anni.
"La scorsa estate siamo venuti a conoscenza dell'esistenza del Campo Giove, il campo romano, e con i pretori abbiamo deciso di dare il via a degli scambi di ogni genere tra i due campi. Potremo allenarci tutti inseme ed imparare gli uni dagli altri."
Ci furono dei mormorii di esultanza.
"Alla fine dell'estate faremo delle gare tra Greci e Romani: combattimenti, cacce alla bandiera, tiro con l'arco e cose di questo tipo."
Percy si alzò in piedi, esultando "Si! Così Grace dovrà ammettere davanti a tutti che sono il migliore!"
Nico lo prese per un braccio e lo tirò giù, per farlo sedere.
Chirone sorrise "Saranno gare del tutto amichevoli, Percy. Comunque spero facciate del vostro meglio." 
"Ora" disse il vecchio centauro "Vorrei raccontare una storia ai più piccoli." 
Così Chirone si mise a raccontare della guerra contro Gea. 
Raccontò di Percy e Jason, dei sette e dello scontro a Roma con i Giganti.
Raccontò di come Nico era entrato ed uscito dal Tartaro, di come aveva trasportato l'Atena Parthenos fino alla Collina Mezzosangue.
Raccontò di come Percy ed Annabeth fossero caduti nel Tartaro e di come avevano chiuso le Porte della Morte. 
Descrisse la battaglia contro i Giganti, di come gli dei e i sette li avevano sconfitti.
Infine, raccontò di come Leo Valdez si era sacrificato per salvarli.   
Alla fine della storia, tutti gli occhi erano puntati su Percy, Annabeth, Nico e Piper McLean. 
Anche Elisabeth, che aveva seguito le avventure del fratello, era rimasta sorpresa. 
Una ragazza, la figlia di Ares che quel pomeriggio aveva combattuto con Annabeth, si alzò in piedi "Detesto ammetterlo pivello, ma tu e i tuoi amici avete fatto un bel lavoro." Disse.
"Grazie Clarisse." Rispose Percy evidentemente sorpreso dal suo comportamento.
Clarisse, intanto, con qualche coppino e calci negli stinchi aveva fatto alzare in piedi tutti i suoi fratelli e, dopo un momento di stallo, iniziò ad applaudire seguita da tutti gli altri.
La figlia di Poseidone era ammirata, il suo piccolo Percy era un vero eroe. 

Elisabeth era inquieta, suo padre l'aveva chiamata e fatta andare in un grande condominio dicendo che si sarebbero visti lì, che avrebbero parlato e che era urgente.
Quando entrò nell'atrio del palazzo, individuò subito il dio e gli si avvicinò.
"Perché mi hai voluto incontrare qui? E cosa c'è di così urgente?" 
L'uomo la prese da parte "Ti devo far vedere una cosa. Ho combinato un disastro."
Disse lui con tono preoccupato.
"Prima però mi devi giurare che mi aiuterai a nasconderlo a Zeus." 
A questo punto un campanello d'allarme risuonò nella testa della ragazza, una questione da nascondere a suo zio equivaleva ad un grosso, grosso problema.
"Che hai combinato?"
"Prima devi giurare." 
Lei alzò gli occhi al soffitto, conscia che se l'avesse fatto si sarebbe immischiata presto in un grande guaio.
"Giuro sullo Stige che ti aiuterò a nascondere a Zeus qualunque cosa tu mi dirai ." Un tuono scosse il cielo e i due rabbrividirono.
"Perfetto, vieni." Disse il padre agguantandola per un braccio e portandola verso le scale che conducevano agli appartamenti. 
Si fermarono davanti ad una porta e Poseidone bussò. Subito venne ad aprire una giovane donna dai capelli castani.
"Sally" la salutò lui. "Lei è Elisabeth, mia figlia." 
La donna le sorrise immediatamente "È un piacere conoscerti, io sono Sally. Entrate pure." 
Il dio si fiondò dentro la casa, ma la ragazza era rimasta immobile.
"È identica a lei." Disse.
"Per questo ti ho fatto venire. Devi aiutarci." 
"Chi è identica a chi?" Chiese la donna.
"Tu, sei identica a mia madre." 
"Sally, su di me c'è una specie di maledizione.
La madre di Elisabeth fu la prima donna di cui mi innamorai, quando morì ne fui distrutto. Così mi maledissi, non mi sarei più innamorato di nessuna donna. 
Fortunatamente in quel momento Afrodite era vicina e, sentite le mie parole, decretò che ogni mille anni sarebbe nata una reincarnazione di quella donna, così che io fossi di nuovo felice. In questo modo Anfitrite non poteva essere gelosa più di tanto, perché lei è arrivata dopo.
Così ogni mille anni io cerco questa donna e mi innamoravo di lei nuovamente, solo poche volte ho avuto dei figli. Le altre donne sono state scherzi del destino, cotte passeggere, ma mai vero amore." Spiegò il dio del mare.
"Dopo aver raccontato la bella storiella che ne dite di dirmi del perché io sono qui?"
Chiese la ragazza, spazientita.
In quel momento il pianto di un neonato si sparse per la stanza. 
"Scusatemi." Disse Sally correndo in una stanza. 
Poseidone la seguì immediatamente così, dopo aver aspettato chissà che cosa, sua figlia si vide costretta a fare lo stesso.
Quando entrò nella stanza rimase di sasso.
Poseidone e Sally erano una di fronte all'altro, e il dio teneva fra le braccia un fagottino. 
Il suddetto fagottino piangeva.
La ragazza perse un battito "No..." Sussurrò.
Poseidone alzò lo sguardo dal fagottino e guardò la figlia "Liz, ti prego." 
"Avevi giurato." Si oppose lei. "Avevi giurato di non avere più figli mortali." 
"E tu hai giurato di aiutarmi" ribatté lui. 
"Zeus mi ucciderà."
"Non se mi aiuterai a nasconderlo. Me lo hai giurato." 
Fu come se un camion le fosse passato sopra "Cavolo!" Urlò frustrata e uscendo a passo spedito dalla stanza. 
Ignorò i richiami del padre e uscì dall'appartamento sbattendo la porta. 

I figli di Apollo iniziarono a cantare e molti semidei si unirono a loro. 
Percy presentò ufficialmente ad Elisabeth la sua ragazza, che si scusò per il suo comportamento. 
"Tranquilla, ho dovuto sopportare di peggio con questo qui come fratello." Rise la figlia di Poseidone.
"Hei!" Si offese Percy.
"Sai, Testa d'Alghe? Credo che Elisabeth mi possa raccontare un sacco di aneddoti divertenti su di te."
Gli occhi delle die ragazze brillarono, complici "Ci puoi giurare."

Dopo aver corso per qualche isolato, essersi fermata a prendere una camomilla in un bar, aver insultato più volte chiunque avesse inventato i giuramenti sullo Stige ed essere tornata indietro, Elisabeth si ripresentò all'appartamento di Sally.
"Cosa vuoi che faccia?" Chiese senza tanti convenevoli quando suo padre le aprì la porta.
"Vivere qui. Dovrai proteggerlo dagli occhi degli dei e dei mostri." 
"Cioè vuoi che rinunci alla mia vita per fare da baby-sitter. Va bene, lo farò. Ma se Zeus lo scoprirà ti prenderai tutta la colpa.
"Grazie" 
"Ringrazia di avermi fatto giurare." Ringhiò lei. "Allora? È un maschio o una femmina?" 
Poseidone fece segno a Sally di avvicinarsi con il fagottino. 
"Ti presento Perseus, tuo fratello." Elisabeth sbuffò imponendosi di odiare da subito il fagottino, lo avrebbe solo protetto come voleva suo padre e quando la pulce fosse stata abbastanza grande l'avrebbe lasciato e sarebbe tornata a fare i cavoli suoi.
Quando, però, gli occhi dei due si incontrarono tutti questi propositi andarono dritti dritti al Tartaro. 
Quel bambino era speciale. 

Annabeth aveva preso da parte Percy per fare quello che una dei sette della profezia, Hazel, avrebbe definito come le cosacce. 
Così, rimasta sola, Elisabeth si affiancò al figlio di Ade.
"Come ti sembra il campo?" Le chiese.
"Fantastico. Non so perché non ci sia mai venuta."
"Aspetta" disse Nico "Vuoi dire che non c'eri mai stata?" 
Lei scosse la testa, arrossendo. "Non ne ho mai avuto il motivo. Mi spostavo continuamente, non ho mai avuto una vera 'casa'."
Il figlio di Ade le avvicinò e abbozzò una specie di sorriso. "Bè, ora cel'hai."
"Sembra proprio di si."

Elisabeth era comodamente seduta sul divano di casa Jackson, stava facendo zapping in TV quando suonò il campanello.
"Vado io, Sally!" Disse alzandosi. 
Arrivò una risposta ovattata dal bagno, dove Sally era appena uscita dalla doccia.
Quando aprì la porta sobbalzò notando che sul pianerottolo c'era un ragazzo della sua età, biondo e con un paio di occhiali da sole che gli coprivano il viso. Si gelò sul posto.
"Apollo." Lo salutò. 
Il giovane  la guardò da dietro le lenti degli occhiali. "Liz." 
La ragazza si chiuse la porta alle spalle, temendo che lui guardasse dentro la casa.
"A cosa devo la visita?" Gli chiese mascherando il suo nervosismo.
Apollo si strinse nelle spalle. "A niente in particolare. Passavo da queste parti... Da quant'è che ti sei trasferita qui?" 
"Alcuni anni, ormai. Perché?"
"Hai smesso di salire sull'Olimpo. Noi non ci vediamo quasi più. Te ne stai sempre rintanata in questo appartamento e non riesco a capirne il motivo." 
"Ho solo voglia di prendermi una pausa, vorrei vivere una vita normale per un po'."
Disse lei. 
Il dio si tolse gli occhiali dagli occhi, rivelando due iridi dorate. "È strano, anche Poseidone è molto riservato in questo periodo."
"Allora sarà un problema di famiglia" cercò di dire lei.
"Io non credo. State nascondendo qualcosa, voi due. E io lo scoprirò." Disse Apollo avvicinandolesi pericolosamente.
La ragazza riusciva a sentire il respiro caldo del dio sul suo viso. "Stammi bene, dolcezza."  

Elisabeth sostava sulla porta della capanna tre, pronta per entrarci. "Andiamo?" Le chiese Percy indicando la porta. Lei annuì e entrò a casa.

Sally era andata a fare la spesa, Percy ed Elisabeth erano rimasti a casa.
Erano passati dieci giorni dalla visita di Apollo e Elisabeth era sempre più preoccupata.
Apollo era il tipo di dio che se si metteva in testa una cosa poi la doveva fare per forza, anche a costo di spostare una montagna.
E se adesso era intenzionato a scoprire cosa, o meglio chi, nascondevano Poseidone e sua figlia... Presto ci sarebbe riuscito.
E sarebbero stati guai per tutti.
 Percy giocava in salotto, suonò il campanello. 
"È la mamma?" Chiese  alla sorella.
Lei ci pensò su "È uscita da cinque minuti e ha le chiavi." Un dubbio le passò per la mente. "Percy, vai in camera tua."
Il bambino, forse spaventato dal tono imperioso della ragazza, eseguì l'ordine senza fiatare. Il campanello suonò di nuovo e lei andò ad aprire la porta.
"Ciao, dolcezza."  Salutò Apollo "Non mi inviti ad entrare?"

La cabina di Poseidone era strabiliante, in fondo alla stanza c'era una fontana e anche cavallucci marini di bronzo appesi alle pareti.
"Benvenuta a casa" le disse Percy.

"Allora?" Insistette il dio. 
"Cosa?" Chiese lei confusa.
"Mi fai entrare o no?" Le chiese lui.
No, avrebbe voluto rispondergli. "Certo" disse aprendo la porta e facendolo accomodare in soggiorno. 
Apollo era in casa e Percy in camera. 
Il dio si guardò intorno, guardando la disposizione dei mobili e i colori della stanza.
"Potresti aspettarmi un secondo?  Devo cambiarmi la maglietta." 
"Secondo me stai benissimo così." Ribatté lui.
"Ci vorrà solo un secondo." Disse lei mentre schizzava in camera da letto.
Si chiuse la porta alle spalle. Percy era sul suo letto e la guardava. 
"Chi era?" 
"Una persona. Percy, non muoverti da qui finché non te lo dico io, intesi?"  Chiese guardandolo negli occhi, preoccupata.
"Perché?"
"Quel ragazzo non deve sapere che ci sei anche tu. Ti prego, rimani qui." Gli disse implorante.
Qualcuno bussò alla porta "Liz? Quanto ci vuole per cambiarti?"
Le si gelò il sangue nelle vene. "Arrivo. Tu non entrare !"
"Guarda che ti ho già vista in reggiseno, non c'è bisogno che stia fuori." Disse Apollo aprendo la porta.
Elisabeth trattenne il respiro. 
Il dio si era immobilizzato alla vista del bambino. Un barlume di comprensione passò nei suoi occhi. "Ecco che cosa macchinavate tu e tuo padre."
"Apollo, non è come pensi."
"No?" La guardò, scettico.
"Ti chiami Apollo? Come il dio?" Chiese Percy ingenuamente. 
"Esatto." 
"Sto facendo la baby-sitter." Cercò di dire Elisabeth. 
"Davvero? Perché la somiglianza è strabiliante."  Si avvicinò alla ragazza, per guardarla negli occhi, lentamente si abbassò fino al suo orecchio provocandole un brivido lungo la schiena e sussurrò :
"Mi chiedo come reagirà mio padre. Sicuramente ucciderà il bambino e tu e Poseidone farete una brutta fine."  
"Apollo ti prego." 
"Signore?" Li interruppe una vocina. 
I due si girarono verso il piccolo, che li guardava intensamente. 
"Tu sei il fidanzato di mia sorella?" 
Elisabeth abbassò lo sguardo, arrossendo e scosse la testa.
"Purtroppo no, ma sono sicuro che a lei piacerebbe molto l'idea." Disse lui guardandola di sottecchi.
"Signore?" Chiese di nuovo Percy.
"Si?" 
"Se tu sei amico di mia sorella, giocheresti con me?"  In quel momento Apollo capì che quel bambino non era come tutti gli altri.

Fin da quando era piccolo, Percy si salvava da solo. In ogni situazione, bella o brutta che fosse, lui riusciva ad uscirne vivo.
"Puoi dormire qui." Disse indicando un letto alla sorella. 
"Grazie." Lei gli sorrise. 
"Buonanotte Calamaro."
"Notte Liz."

"Cos'hai intenzione di fare?" Chiese la ragazza.
Apollo, che era seduto davanti ad una tazza di caffè nella cucina dei Jackson, guardava pensieroso la tazza. 
Aveva appena terminato di giocare con Percy che, tra parentesi, doveva ancora capire bene che per giocare a nascondino non poteva saltare fuori all'improvviso dal nascondiglio, ma che doveva aspettare che qualcuno lo trovasse.
"Cosa?" Chiese lui distrattamente.
"Lo dirai a tuo padre?" 
"Non lo so." Disse lui continuando a pensare. Si portò la tazza alle labbra, bevendo la bevanda ormai fredda.
"Come minimo mi punirà per un secolo, se lo venisse a scoprire."
"Quindi glielo dirai?" Chiese le i terrorizzata. 
Lui alzò gli occhi dalla tazza e sorrise "Io sono immortale, un secolo di castigo non sarà un problema."
In un nano secondo il dio si ritrovò la ragazza tra le braccia. 
"Non glielo dirai?" Chiese commossa. 
Lui la guardò negli occhi, oro nel verde, e le baciò la fronte.
"No, dolcezza. Anzi, vi aiuterò a proteggerlo."

Angolo autrice: allora... Che cosa devo dire? Questo capitolo è concentrato più che altro sull'incontro di Percy e Elisabeth.
All'inizio Elisabeth non riesce a capacitarsi che suo padre abbia infranto il giuramento, ma quando vede Percy non può fare altro che amare il piccolo calamaro. Perché Percy da piccolo io me lo immagino come la tenerezza iperattiva fatta a persona. ;)
Ci ho infilato anche Apollo perché, se non si è ancora capito, io lo adoro come personaggio. Quindi lo vedrete molto spesso in questa storia.
Quindi... Ci vediamo, alla prossima!

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Capitolo 6
*** Sei ***


                                 SEI



La stanza era avvolta nel silenzio. Due dei tre letti della cabina 3 erano occupati. 
Elisabeth era vicino alla finestra, da cui proveniva una tenue luce. 
Lì, un raggio di sole più potente degli altri si posò sul suo viso, delicato come una carezza. 
La figlia di Poseidone aprì gli occhi, lentamente, e si tirò a sedere.
Sbadigliò, aprendo la bocca senza alcun ritegno producendo un suono simile a "waann mlmlml", e fece alcuni versi indistinti aprendo e chiudendo gli occhi. 
Si mise una mano tra i capelli sciolti, scombinandoli in un ammasso confuso e si lasciò ricadere sul cuscino.

"Sapevo che non eri una persona mattiniera, dolcezza, ma credevo avessi un po' più di classe. "

La ragazza borbottò qualcosa simile a "Vattene via riccioli d'oro, è ancora presto" 
"Suvvia, il sole è sveglio, perciò io sono sveglio!" (Ctz presa da Frozen)
Apollo si sedette sul bordo del letto dell'amica, togliendole le coperte da sopra il viso.
"Ridammele!" Pigolò lei cercando di recuperare le coperte a tentoni e allungando la e più del dovuto.
"Sveglia, sveglia pigrona!" 
"Sei un rompiscatole." Borbottò lei chiudendo gli occhi e facendo a meno delle coperte. 
Lui si alzò in piedi e le lanciò il lenzuolo in faccia.
"E tu sei sei poco collaborativa. Me ne vado, non voglio stare dove non sono benvoluto."
Girò i tacchi e dirigendosi verso la porta, ma venne presto colpito alla nuca da un oggetto indistinto.
Quando si girò vide che l'affare incriminato era il cuscino su cui prima l'amica aveva poggiato la testa, solo che adesso l'oggetto era ai piedi del dio.
Apollo lanciò un'occhiata di sfida alla ragazza, che intanto si era seduta sul letto e lo guardava a braccia incrociate.
"Se è la guerra che vuoi, la guerra avrai." Disse raccogliendo il guanciale e prendendo la mira.

La porta dell'appartamento si spalancò e Poseidone fece il suo ingresso nella piccola casa Jackson.
"Cosa vuol dire che Apollo lo sa?" Ringhiò il dio entrando in soggiorno.
Sally che era tornata a casa da poco, non rispose. 
Quando aveva aperto la porta si era trovata davanti un ragazzo che parlava con la sua figliastra, all'inizio credeva fosse un amico, ma poi, dopo che si fu presentato, lei andò nel panico.
Se il dio avesse detto a Zeus dell'esistenza di suo figlio sarebbero stati tutti morti.
"Papà!" Strillò Percy correndo verso il dio.
Poseidone gli sorrise, lasciandogli una carezza. 
Adocchiato il dio del sole in fondo alla stanza gli si avvicinò, minaccioso.
"Prova a toccare in qualche modo mio figlio, ragazzino, e rimpiangerai di non poter morire."
"Non farò assolutamente niente a tuo figlio, noi siamo amici, vero Pulce?" Disse Apollo rivolgendosi a Percy.
Il bambino annuì sorridendo. "L'amico di Liz è tanto simpatico. E mi ha insegnato a giocare a nascondino!" Disse tutto contento.

Poseidone incenerì con lo sguardo il dio più giovane.
"Che cosa credi di fare, Apollo?" 
"Stai tranquillo zietto, manterrò il tuo segreto." 
"Come faccio a sapere che non andrai a spifferare tutto a tuo padre?"  
"Perché me l'ha giurato." Disse Elisabeth spuntando dalla cucina. 
"Mi ha anche promesso di proteggerlo, come io l'ho promesso a te." 

Dopo un primo momento Apollo, che si avvicinava sempre di più ad Elisabeth, scivolò su un paio di boxer con i pesciolini rossi e, con la grazia di un dio (da leggere ippopotamo) cadde a terra. 
Durante la caduta, Apollo, cercando qualcosa a cui aggrapparsi, afferrò il braccio dell'amica portandola con se sul pavimento.
Lei, cercando a tentoni qualche appiglio, riuscì in qualche modo a tirare giù anche il comodino.
La caduta produsse un fracasso infernale, tanto che Percy, il quale non si sarebbe svegliato nemmeno con lo scoppio di una bomba, aprì gli occhi.
"Che succede?" Chiese boccheggiando e facendo scattare Vortice.
Si guardò intorno, guardingo, e non notando niente di strano pensò di essersi sognato tutto.
Poi, però, dei mugoli di dolore gli fecero posare gli occhi su un ammasso indistinto. 
Sul pavimento, ingarbugliati in un miscuglio di braccia, gambe e un lenzuolo, c'erano Apollo ed Elisabeth. 
"Ehm..." 
"Percy, ben svegliato!" Salutò il dio mostrando un sorriso smagliante.
"Ciao" la sorella gli sorrise, timida.
"Che cosa è..."
"È colpa sua!" dissero in coro.


Percy e sua sorella erano seduti al tavolo di Poseidone. 
Apollo era tornato sull'Olimpo a causa di una convocazione da parte del padre, così i due fratelli erano andati al padiglione della mensa Per fare colazione.
Percy, che non mangiava dal pranzo del giorno prima, aveva riempito il piatto con una montagna di Bacon con i pancakes blu e
Si stava strafogando. Elisabeth, invece, si accontentò di un'intera torta con glassa azzurra. 
Piano, piano iniziarono ad arrivare anche gli altri ragazzi riempiendo il padiglione di risate sorrisi. 

"Mi sono appena ricordato di una cosa." Disse Percy a bocca piena smettendo di masticare e guardando il vuoto.
"Che cosa?"
Lui diventò rosso fino alla radice dei capelli.
"Da bambino giocavo con Apollo." 
"Detto così sembra un problema." Disse lei scoppiando a ridere.
"Infatti è un grandissimo problema." Rispose facendo su e giù con la testa, per sottolineare il concetto.
"Avrete giocato insieme si e no  tre volte in tutto."
"Esatto! Cioè! Invece di stare con i suoi figli se ne stava con me! Mi sento una persona orribile. Ho privato i miei amici del loro padre." Continuò lui disperato.
"Lo sai che in quattro anni lui sarà venuto a trovarci sei volte in tutto, vero? E anche che gli dei non hanno contatti con il loro figli?"
"Ecco! Altri sei figli a cui ho tolto la possibilità di stare con il proprio padre."
"Percy"
"Si?."
"Smettila" 
Lui le fece la linguaccia e lei la ricambiò prontamente .

"Come mi dovrò comportare con lui adesso? Gli dovrò dare del tu? Del lei?"
"Del... Tu?" Chiese lei incerta.
"Ecco! Se non lo sai nemmeno tu come dovrei saperlo io!"

All'improvviso lampo di luce illuminò  la mensa, quando si spense un uomo era apparso davanti al tavolo dove erano seduti Chirone e il Signor D.
Indossava una tuta da ginnastica e teneva un caduceo in mano. 
I ragazzi del tavolo di Hermès furono i primi ad inchinarsi davanti al padre, subito seguiti da tutti gli altri.

 Il dio era affiancato da un ragazzo biondo che stranamente aveva perso il suo caratteristico sorriso e non osava alzare lo sguardo da terra.

Hermes  sorrise ai semidei facendogli segno di tornare a sedersi.
"Ho un importante messaggio da parte di Zeus" disse "Il re degli dei a stabilito la punizione per il comportamento di Apollo durante la guerra contro Gea". 

Immediatamente, a partire dei figli del dio del sole, I ragazzi iniziarono a mormorare, più per curiosità che per timore. 
La figlia di Poseidone sbatte più volte le palpebre, interdetta. 
Sotto lo sguardo stupito degli altri semidei alzò in piedi e si avviò verso le due divinità.

Il dio dei ladri la riconobbe subito "Liz" salutò.
"Divino Hermes " la ragazza voltò lo sguardo verso Apollo. "Che cos'hai fatto stavolta ?"
"Potrei accidentalmente permesso di usare la cura del medico ad un mezzosangue." Disse il dio del sole in un sussurro.

"Accidentalmente?" Chiese Hermès, scettico. 
"Quel ragazzo mi ha costruito un nuovo strumento musicale! Il Valdezinador non poteva non essere mio!" Scattò lui, rosso in viso.

Il fratello alzò gli occhi al cielo e gli diede delle pacche sulle spalle.
"Zeus ha stabilito che Apollo passerà i prossimi cinquant'anni come mortale, qui al campo." Disse Hermes rivolto ai semidei.
Un coro di esclamazioni sorprese si levò tra i mezzosangue.
"Io trovo questa decisione una cosa stupida e inadeguata, ma non possiamo contraddire il volere di Zeus. Oltre a tutti voi marmocchi mi tocca fare da balia anche al marmocchio immortale." Si intromise Dioniso.
Un tuono rimbombò nel cielo "Bla, bla, bla." Lo scimmiottò il Signor D per poi sparire in un lampo di luce viola.

"Andrà a vivere nella cabina di Apollo, per l'appunto. Potrà dare una mano in infermeria, dare lezioni di tiro con l'arco oppure aiutarvi nei vostri compiti." Continuò Chirone.
Una ragazzina bionda, sicuramente sorella di Annabeth, si alzò in piedi "E il sole? Chi lo porterà in giro?"
"Il titano Elio riprenderà questo compito per tutta la durata della punizione." Disse il dio dei ladri.

Apollo, intanto, si era avviato mogio mogio verso il suo tavolo, sedendosi vicino a Will. I suoi figli erano sorpresi, ma lo accolsero senza protestare.

"Zeus gli ha tolto i poteri da dio, adesso è come tutti i suoi figli."

"Se volete scusarmi, io ho altri messaggi da consegnare." Si congedò Hermes sorridendo ai suoi figli e sparendo borbottando qualcosa sui topi che aveva chiesto George.

Chirone batté le mani per richiamare l'attenzione su di sé.
"Diamo il benvenuto ad Apollo."



"Ehm... Benvenuto a casa." Disse Will al padre fermandosi davanti alla cabina di Apollo.
Gli altri figli di Apollo erano dietro di loro, aspettando una qualche reazione da parte del dio. Insieme a loro c'era anche la  figlia di Poseidone, la quale però se ne stava in disparte ad osservare.
Apollo sorrise al figlio "Tu sei il capo cabina, giusto?" 
Will sorrise a sua volta, imbarazzato. "Esatto." Mise la mano sulla maniglia della porta "Vuole... Vuoi entrare?" 
"Certo." Disse Apollo seguendo Will dentro la capanna.
L'interno era dipinto di colori caldi e vivaci, le coperte dei letti erano tutte rosse, gialle e arancioni. 
Addossati alle pareti c'erano una decina di letti, alcuni dei quali a castello.
C'erano, vicino ad ogni letto, un cassettone e una scrivania a testa.
Le pareti erano piene di strumenti appesi e di archi e faretre.

"Puoi dormire qui." Disse Will indicando un letto un po' più lontano dagli altri, per regalare al dio un po' di privacy.
"Grazie, Will." Apollo si rivolse a tutti gli altri "Ringrazio tutti voi per non aver protestato. Non mi stupirei se mi odiaste." Disse abbassando lo sguardo "Non sono stato un buon padre, non lo sono stato affatto." 

"Però potremmo conoscerci meglio adesso che sono qui. Potrei insegnarvi un sacco di cose." Propose un po' imbarazzato.
"Sarebbe... Bello. Grazie Apollo."
"Papà." Lo corresse lui "Chiamatemi papà."
Will, come tutti i suoi fratelli, sorrise. 

Tra i semidei si fece avanti una bambina, i capelli biondi facevano contrasto con la pelle abbronzata. 
Era molto giovane, più o meno di sette o otto anni.
"Tu sei Apollo, il mio papà?" Gli chiese avvicinandosi.
"Si, Sun" Sussurrò lui riconoscendo la figlia. "Come sei cresciuta." Il viso gli si distese e il dio sorrise con calore.
"Ti voglio bene papà." La piccola Sun lo abbracciò di scatto.
Apollo rimase sorpreso da quel gesto. Cercò con lo sguardo le due iridi marine che sostavano sulla porta. Elisabeth gli fece cenno di ricambiare l'abbraccio prima di dileguarsi. 
Apollo, leggermente impacciato, si chinò e prese la bambina in braccio. Appena la sua pelle toccò quella della figlia il suo petto venne invaso da un'enorme quantità di calore. 
"Anch'io ti voglio bene piccolina."

Angolo autrice: Ciauu bella gente! 
Apollo e la sua punizione, che ne pensate? 

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Capitolo 7
*** Sette ***



"Benvenuti alla vostra prima lezione di scherma." 
Percy era al centro dell'arena ed era accerchiato da una ventina di ragazzini tra gli undici e i tredici anni, tutti nuovi arrivati.
Alcuni giorni prima dell'inizio delle vacanze estive Chirone aveva chiamato il corvino con un messaggio Iride per chiedergli se quell'estate avesse voluto fare da insegnante ai nuovi mezzosangue.
Percy, ovviamente, accettò subito, volenteroso di prendere il posto del vecchio maestro per la scherma.
"Non dovete essere preoccupati, in tutti voi scorre sangue divino. Avete la scherma nel sangue." Continuò il figlio di Poseidone.
"Io sono Percy Jackson, il figlio di Poseidone e sarò il vostro insegnante." Si presentò. 
Il figlio di Ade era seduto sugli spalti, per vedere il cugino in versione professore. 
Poco prima era passato alla cabina di Apollo, per vedere come se la cavava Will con il padre.
Indossava la maglietta arancione del campo più grande di alcune taglie. (Nda a chi capisce do un biscotto)
Elisabeth, silenziosa come una gatto, gli si affiancò.
"Come sta andando?" Chiese al Re degli Spettri.
"Fin ora bene, considerando che non hanno ancora fatto niente." 
"Non mi stupirei se scoppiasse un incendio."
Ridacchiò lei.
"Con la fortuna che ha Percy nel cacciarsi nei guai credo ci siano molte probabilità che succeda." Disse Nico facendo qualcosa di simile ad un sorriso.

"Prima di tutto dovete trovare una spada che vi vada bene. Ricordate, la spada dev'essere l'estensione del vostro braccio, una specie di appendice, non un peso." Percy indicò un grande baule pieno di armi "Provate a vedere se trovate una spada adatta a voi."
I suoi allievi, seppur timorosi, si avvicinarono all'oggetto indicato e iniziarono a provare le varie lame.

"È una mia impressione o i ragazzini lo stanno guardando in modo strano?" Chiese ad un tratto Elisabeth.
"Percy è una specie di celebrità ormai, lo stereotipo dell'eroe. Credo sia normale che i nuovi arrivati, soprattutto i più piccoli, lo guardino adoranti e lo prendano come esempio." Rispose Nico pensando alla propria esperienza.
"Hai ragione." 

"Bene. Venite tutti qui. Ora vi mostrerò le basi." Disse Percy. 
Quando fece scattare Vortice i novellini produssero una serie di "ohh" a non finire. 
Il figlio di Poseidone iniziò a fare e a descrivere lentamente alcune mosse, spiegando esattamente come ci si dovesse muovere. 
Dopo un paio di volte le fece ripetere ai suoi alunni, correggendo chi sbagliava e lodando a chi veniva bene il movimento.

"Percy... Maestro Percy, quando combattiamo?" Chiese una figlia di Ares in modo brusco.
Al figlio di Poseidone si strinse il cuore, adesso lui era un maestro.
Maestro Percy, continuava a ripetersi nella mente tutto eccitato, mi piace!
"Se credete di aver capito per me potete farlo anche subito." 
Percy batté le mani per attirare l'attenzione degli alunni "Formate delle coppie equilibrate e provate a combattere, se avete capito." 

I ragazzi, riluttanti, fecero come aveva detto. 
La figlia di Ares che aveva parlato agguantò una figlia di Afrodite dai lunghi capelli scuri e si mise ad attaccarla con ferocia. 
La poveretta, terrorizzata, cercava di parare le stoccate come meglio poteva, ma in poco tempo rimase disarmata e con una spada alla gola.  
La figlia di Ares si mise a ridere, prendendola in giro.

Elisabeth, dagli spalti, stava per alzarsi in piedi e incamminarsi verso le due, ma Nico la prese per un braccio e le indicò il fondo dell'arena. 

Clarisse, che si stava allenando poco lontano e che aveva visto tutto, pose fine al suo combattimento e si avvicinò al gruppo di Percy insieme ai suoi fratelli.
Il figlio del mare aveva già indurito lo sguardo e stava per intervenire quando Clarisse le si parò davanti mettendosi tra lei e la figlia di Afrodite.

"Tu chi sei?" Chiese alla sorellastra con un ringhio.
"Alexa Walter." Rispose lei con una punta di superiorità nella voce.
"Sei la figlia di Ares arrivata due giorni fa, vero?" Continuò imperterrita Clarisse. 

Percy, intanto, aveva fatto alzare in piedi la figlia di Afrodite e l'aveva portata vicino a dove tenevano le bevande. 
Prese una bottiglietta d'acqua facendo si che il liquido si andasse a posare sui leggeri tagli che Alexa le aveva procurato, guarendola.
"Come ti chiami?" Chiese.
"Lyla. Sono figlia di Afrodite." Rispose lei con voce tremante. 
"È tutto finito stai tranquilla, conoscendo Clarisse Alexa avrà la sua punizione."

Clarisse aveva iniziato a stringere la spada con più forza.
"Hai disonorato il principio di combattimento dei figli di Ares, noi siamo figli del dio della guerra, le nostre vittorie le otteniamo con il coraggio." 
"E con questo?" Chiese la ragazza, alzando gli occhi al cielo.
"Non andiamo a cercare la gloria combattendo contro i figli della dea dell'amore. Questo è da codardi." 
"Mi stai dando della codarda?"
Clarisse non rispose, si girò verso Percy chiedendogli con lo sguardo come sesse la ragazza, lui le fece segno di non preoccuparsi e di continuare tranquillamente.
"Pivello?" Chiese allora Clarisse. "Alexa è una novellina, non ha ancora avuto l'onore di avere il mio benvenuto, vero?" 
"Non mi pare, Clare." Disse Percy ridendo sotto i baffi.
"Quindi non ti dispiacerà se me la porto via, vero?"
"È tutta tua." 
Clarisse fece segno a due dei suoi fratelli e che la presero per le braccia dirigendosi ai bagni comuni.
"Che fate?" Chiese Alexa iniziando a preoccuparsi. 
"Ti diamo il benvenuto al campo." Rispose uno sghignazzando.

"Vado da Will." 
Nico salutò Elisabeth e si alzò, diretto alla cabina di Apollo.

"Per oggi la lezione è finita. Ci vediamo domani." Congedò i ragazzi.
Percy si avvicinò a Clarisse. "Perché l'hai fatto?"
Lei si girò a guardarlo. "Non mi piace quando i miei fratelli combattono contro i più deboli." 
"Clarisse..." Disse lui addolcendo lo sguardo.
"Lyla somiglia a Silena." Disse soltanto per poi correre verso i bagni.

                                      ~•~

Percy era rimasto nell'arena ad allenarsi con un manichino. 
La sua prima lezione era stata uno schifo, insomma, era partito bene! Perché quella figlia di Ares le aveva volute dare a quella figlia di Afrodite?
Adesso stava scaricando tutta la frustrazione provata sul manichino. 
"Povero fantoccio." Commentò una voce alle sue spalle. 
"Non sono in vena Liz." Rispose lui sbuffando.
"Sono qui per questo. Invece di massacrare quel manichino perché non ti batti con me?" 
"Perché non voglio farti male." Infilzò il fantoccio con Vortice.
"Devo ricordarti che papà ha chiesto a me di proteggerti da piccolo? So badare a me stessa, Pierce." 
Percy sentì il suono di una lama sguainata. 
"Devo attaccarti alle spalle o ti giri?" Chiese lei divertita. 
Il semidio fece in tempo a ruotare il suo corpo di novanta gradi. Una spada dalla lama di due colori comparve sul fantoccio.
Elisabeth teneva l'elsa stretta, impugnandola con sicurezza. 
A differenza di Vortice la spada della sorella somigliava molto a Vipera, la lama appartenuta a Luke Castellan. Una parte della lama era di bronzo celeste e l'altra d'acciaio. 
Alla fine dell'elsa era incastonato uno zaffiro.
"Allora?" Lo spronò. 
Ritirò la lama e si preparò ad attaccare. "Vediamo chi è il più forte? Gli altri ragazzi del campo dicono che Jason Grace è molto più potente di te." Lo schernì.
Tasto dolente. Percy impugnò la spada con più forza e attaccò.

Adesso, spiegare e descrivere come si è svolto  esattamente il combattimento sarebbe per me impossibile. 

Entrambi sapevano perfettamente come maneggiare una lama, entrami conoscevano un miliardo di mosse e avevano la loro strategia personale.
Il duello presto si trasformò in una specie di danza, in cui i due erano i ballerini.
Sembravano leggiadri, quasi non toccavano terra con i piedi. 
I loro movimenti erano precisi, forti e totalmente studiati. 
Man mano che passava il tempo, invece di perdere forza e rallentare, la danza mortale aumentava velocità e intensità.
Ogni tanto Elisabeth faceva una battuta rivolta a Percy per stuzzicarlo. 
Il suo intento era quello di far sbollire la rabbia e la frustrazione che il fratello aveva in quel momento e voleva anche testare le sue capacità complete.
Molti l'avevano descritto come il semidio più potente della storia, e lei desiderava confrontarsi con lui in tutta la sua forza.

Ben presto l'arena si riempì di nuovo e intorno ai due duellanti si formò un cerchio.
Tutti desideravano vedere i figli di Poseidone battersi.
Percy, mentre combatteva contro la sorella, riusciva a notare quanto le loro tecniche fossero diverse. 
Alcune volte intravedeva una mossa appartenente allo schema di combattimento greco, altre a quello romano e altre ancora non riusciva a capire da dove le avesse prese.

Anche se i due erano forti, dopo una mezz'ora la stanchezza iniziava a farsi sentire. 
La prima a cedere fu la ragazza. Percy fece pressione sulla sua lama con il polso e lei perse la presa. 
In un secondo si ritrovò stesa a terra con una lama puntata alla gola. 

Entrambi avevano il fiatone.
"Wow." Sussurrò il figlio di Poseidone. "È stato..."
"Fantastico." Finì per lui Elisabeth.
Gli occhi di tutti e due brillarono. 
Percy sì alzò in piedi, aiutando la ragazza a fare altrettanto.
"Ti senti meglio?" Chiese lei.
Percy annuì "Grazie"
Indicò la spada della sorella con in cenno "Bella."
"È antica. Risale ai tempi in cui i semidei dovevano combattere contemporaneamente contro mostri e mortali." Disse Elisabeth raccogliendola.
 Toccò lo zaffiro e la spada si trasformò nel piccolo anello che portava sempre al dito.
"Dovremmo rifarlo qualche volta." Propose lui riferito al combattimento.
Lei sorrise "Sono a tua disposizione."

Annabeth entrò nell'arena. 
Percy la notò e sorrise istintivamente. 
"Vai." Lo spronò Elisabeth.  "Ci vediamo a cena."
Lui la ringraziò con lo sguardo e corse dalla sua ragazza. 

La figlia di Poseidone uscì dall'arena, dirigendosi verso la baia, desiderosa di fare un bagno. 
Arrivata alla spiaggia si fermò di scatto, nascondendosi dietro ad un albero. 
Seduto sulla sabbia c'erano Apollo e una bambina, Sun.
I due stavano ridendo insieme mentre costruivano un castello di sabbia.
Il dio si era tolto gli occhiali da sole per posarli sulla testa della figlia, anche se le erano grandi. 
La piccola sorrideva entusiasta a Apollo sembrava davvero felice. 

La scena le scaldò il cuore e sorrise istintivamente.
Rimase a fissare i due per un tempo indeterminato, senza accorgersi che piano piano il sole spariva sotto l'orizzonte.
Per poco non cacciò un urlo quando sentì la conchiglia che annunciava che era ora di cena. 
Senza farsi vedere corse verso il padiglione con un sorrisino  stampato in viso.
Quando si sedette al tavolo di Poseidone, Percy la guardò sospettoso.
"Perché sorridi?" 
"Niente, niente." Disse lei minimizzando.

Dopo la cena, Chirone si alzò in piedi. 
In realtà era già in piedi, diciamo che si fece avanti.
"Ho un piccolo avviso per tutti: domani arriveranno alcuni ragazzi dal Campo Giove." 
Un coro di esultanza si alzò tra i Semidei.
"Quindi spero che li trattiate come si deve." Disse lanciando un'occhiata di ammonimento ai figli di Hermes.
"Siete liberi di andare dove volete, ma ricordate che il coprifuoco è alle dieci esatte."


Angolo autrice: ciao bella gente! Mi sono accorta che avevo già scritto tempo fa questo capitolo e quindi eccolo qui! 
Eheheh ups. 
Clarisse si dimostra protettiva con una ragazza che le ricorda Silena, Percy ed Liz nel loro primo scontro, Apollo che gioca con sua figlia... Che ne pensate?

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Capitolo 8
*** Otto ***


Tutti i semidei del campo Mezzosangue erano sulla collina vicino all'albero di Talia.
Aspettavano con ansia l'arrivo dei compagni del campo Giove.
Appoggiati al tronco del pino, un po' in disparte, c'erano Annabeth, Nico, Percy e Piper. 
La figlia di Poseidone stava chiacchierando allegramente con Apollo sotto un altro albero, seduta sulle sue radici. 

Un'improvvisa folata di vento fece sbilanciare Percy. "Bro!" Urlò qualcuno dall'alto.
Percy alzò lo sguardo e vide Jason Grace planare verso di lui.
Appena poggiati i piedi a terra Percy gli saltò addosso "Bro!"
I due si abbracciarono calorosamente. Il figlio di Poseidone fece in tempo a spostarsi che due secondi dopo anche Piper si lanciò verso Jason. 
Ai piedi della collina, intanto, avevano parcheggiato un grande numero di Suv, da cui avevano iniziato a scendere i semidei Romani. 

Da una macchina più grande scesero i due pretori, e un centurione. 
I tre risalirono velocemente la collina per poi lanciarsi tra le braccia degli amici.
Hazel e Frank, a turno, vennero stritolati da tutti. 
Nico sorrise, timido, a Reyna. 
La pretore lo abbracciò d'impeto e il figlio di Ade, dopo un momento di esitazione, ricambiò l'abbraccio.

Percy fece l'occhiolino a Jason "Bro, ti devo raccontare delle novità." 
Gli parlò della punizione di Apollo, indicandoglielo poi con un cenno del mento.
Jason notò la figlia di Poseidone, quella ragazza aveva qualcosa di familiare.
I gesti, la postura composta... Li aveva già visti.
"Chi è la ragazza con cuoi sta flirtando?"
Percy avvampò "Non stanno flirtando!"
"A me sembra proprio di si, invece." Ribatté il figlio di Giove. 
Percy sbuffò e si avvicinò ai due, subito seguito da Jason.
"Ragazzi." Li chiamò il figlio di Poseidone.
Il dio si aprì in un sorriso che andava da un'orecchia all'altra. 
"Fratellino!" Urlò rivolto a Jason "Che bello rivederti!"
"È un piacere anche per me, divino Apollo." Rispose Jason inchinandosi. 
"Oh non ce n'è bisogno." Minimizzò il dio con un cenno della mano senza perdere il suo caratteristico sorriso.
 "Ora sono mortale e bla, bla, bla. Ma  apprezzo il tuo gesto."
Percy si rivolse a Jason "Bro, ti presento..."
Quando lei si girò, il figlio di Giove perse un battito.
"Liz?" Sussurrò, come a chiederne la conferma.
La ragazza sorrise "Ciao Jason." 
"Un momento... Vi conoscete?" Chiese Percy, sconvolto. I due non diedero segno di averlo sentito.
Apollo prese il figlio si Poseidone per un braccio e lo portò  vicino ad un altro albero "Vieni, Pulce. Lasciamo che si chiariscano." 



Il campo Giove era in fermento. Un bambino che non aveva più di tre anni era appena arrivato, accompagnato da Lupa in persona, alla roccaforte Romana. 
Davanti al Piccolo Tevere sostava gran parte della legione. 
Sull'altra sponda del fiume, la dea aspettava con il cucciolo-uomo. 
I militi non sapevano come comportarsi con la dea, aspettavano tutti l'arrivo dei pretori e i loro ordini.
Qualcuno gridò "Arrivano i Pretori!" 
I legionari si fecero da parte, formando un corridoio, per lasciar passare i due ragazzi dai mantelli viola. 
"Che cosa sta succedendo?" Chiese Giulio, figlio di Marte, pretore della dodicesima legione. 
"Non lo sappiamo, signore. Guardi al di là del fiume." Rispose un centurione.
Il giovane si fermò all'istante alla vista di Lupa. Si inchinò, così come tutti, sotto il suo esempio. Tutti, tranne una.
"Giulio..." Sussurrò la ragazza accanto a lui.  
"Cosa c'è?" Chiese.
Lei non rispose subito. 
Scambiava strani sguardi con la dea, come se in quel momento stessero parlando con gli occhi. 

 Ad un certo punto la ragazza si accigliò. 
"Non è possibile." Disse scuotendo la testa, rivolta alla dea. 
Lei ringhiò, come per sfidarla a non credere alle sue parole. 
Con il muso fece segno al bambino di fare un passo in avanti.
"Elisabeth, che cosa sta dicendo?" 
Lei continuò ad ignorarlo, troppo concentrata nella sua conversazione con Lupa. 
La figlia di Nettuno annuì "Va bene." 
Giulio, e anche tutti i semidei presenti, continuavano a non capire cosa stesse succedendo. 
Fece un passo in avanti, e con un gesto della mano ordinò alle acque del fiume di separarsi. 
Camminò senza fatica sul letto del fiume e, arrivata dall'altra parte, si inginocchiò di fronte al bambino. 
"Come ti chiami?" Chiese.
"Jason Grace." Rispose subito lui, gonfiando il petto. 
"E sai anche dirmi di chi sei figlio, Jason?" 
"La mia mamma si chiama Baryl. Il mio papà... Non so come si chiami il mio papà, non sono nemmeno chi sia il mio papà." 
Lupa emise un suono gutturale, è guardò negli occhi la ragazza. 
Lei impallidì. 
"Ti va di venire con me, Jason? Qui avrai una nuova casa, una famiglia." Gli disse. 
"Io voglio la mia mamma." Rispose lui.
"Lo so, ma la tua mamma ti ha affidato a Lupa" disse lei indicando la dea "E lei ha deciso che sei pronto per il campo." 
"Che cos'è un campo?" Chiese lui.
"Un posto..." Si bloccò "L'unico posto dove quello come noi posso vivere al sicuro." 
"E si gioca?" 
"Si, certo." 

Lupa ringhiò, come a ricordare ai due di non avere tempo da perdere. 
"Scusa." Disse la ragazza. "Mi occuperò di lui."
La dea sembrò soddisfatta e, senza guardarsi indietro, corse verso il suo branco che la aspettava all'ingresso del tunnel.
Il piccolo la guardò, triste, e fece ciao con la manina.
"Vieni?" Chiese Elisabeth a Jason.
Lui annuì e le prese la mano.
Insieme attraversarono il fiume e appena poggiati i piedi sulla sponda, l'acqua ricadde pesantemente sul letto e ricominciò a scorrere. 
"Che cos'ha detti Lupa? Chi è lui?" Chiese il pretore alla collega.
Lei si rivolse all'intera valle"Romani! Salutate Jason Grace, figlio di Giove!"



Jason era paralizzato.
Elisabeth, invece, sembrava a proprio agio.
"Ti trovo in forma." Constatò. 
"Liz." Ripeté Jason senza sapere cos'altro dire "Tu eri..."
"Morta? No." Disse lei scuotendo la testa. "Apollo mi ha guarita immediatamente."
"Sei viva..." 
"Già." 
Jason fece un passo in avanti e, con un grande atto di coraggio, la abbracciò.
"Sei viva!" Ripeté sorridendo. 
"E tu porti gli occhiali." Commentò lei reprimendo un sorriso.
"Ecco... La mia vista è un po' decaduta..." 
"Diciamoci la verità JayJay, tu sei sempre stato un po' miope." 
JayJay, A Jason si strinse il cuore sentendo quel nomignolo. 
"Io ci ho sempre visto benissimo!" Disse lui gonfiando il petto.
"L'importante è crederci, JayJay." 




Erano ormai passati due anni dall'arrivo di Jason. 
Tutti, fin dal primo giorno, avevano riservato al piccolo tutti i tipi di attenzioni.
I figli di Venere facevano a turno per fargli da babysitter e i figli di Mercurio si divertivano a preparare scherzi e ad insegnare il mestiere del furto al bambino, il quale però, dopo aver rubato qualcosa, tornava subito indietro a restituirla, dicendo che non era leale rubare di nascosto.
Jason adorava tutti quei ragazzi gentili che stavano con lui, ma adorava ancora di più la ragazza che lo aveva portato al campo.

Molti pomeriggi si fermava a giocare con lui, gli aveva insegnato a leggere, scrivere e contare sia in inglese che in latino, gli aveva insegnato ad usare il suo piccolo spadino di legno che un figlio di Vulcano aveva intagliato per lui...
 
Lei era gentile, ma ogni volta che incrociava il suo sguardo Jason vedeva che la ragazza aveva un non so che di malinconico negli occhi.
Così, un giorno, il piccolo Jason decise che la sua missione sarebbe stata far sorridere Elisabeth.
 Il piccolo ometto era andato da una figlia di Cerere, chiedendole un bel fiore da regalarle.  
Ecco, quindi, Jason che corre verso la pretore con una bella rosa azzurra in mano. 
"Liz! Liz! Guarda che ti ho portato!" 
Lei alzò gli occhi dal libro che teneva in mano e lo sguardo le si addolcì. 
"Che cosa fai, JayJay?" 
"Guarda cosa ti ho portato! Nina me l'ha data dicendo che è il tuo fiore preferito! Ti piace?" 
"È molto bella Jason, grazie." Gli disse prendendo il mano il fiore.
Jason si grattò la testa "Perché non sorridi?"
"Perché sono triste, JayJay." 
"E perché?"
"Perché mio padre due mesi fa mi ha proibito di vedere mio fratello." Disse lei con voce tremante. 
"E perché?" 
"Se lo incontrassi, lui sarebbe in pericolo." 
"E perché?" 
"Perché... Jason, non voglio parlarne." 
"E perché?" 
"Perché no. È un argomento che non dovrai mai più tirare fuori, mai più." Disse lei, rigida.
"Ma..." 
"Niente ma. Il discorso si chiude qui."




"Quindi... Non sei figlia di Nettuno, ma di Poseidone." 
"Esatto." 
"Non sei romana."
"Per un certo periodo lo sono stata, duemila anni fa."
Jason sorrise. 



Le porte della casa pretoria dove alloggiava là figlia di Nettuno vennero aperte con forza, sbattendo contro il muro.
Jason, ormai un tredicenne, entrò nella stanza della pretore con gli occhi che lanciavano fulmini. 
Lo seguiva una ragazza arrivata da poco, figlia di Bellona.
Elisabeth sostava davanti al letto, a capo chino, mentre preparava un borsone.
"Che cosa vuol dire che tu e Giulio ve ne andate?" Ringhiò Jason.
"Quello che hai appena detto." Rispose lei secca, senza alzare lo sguardo. 
"Riformulerò la domanda, che cosa vuol dire che tu te ne vai?"
"Crono (nda. Non ho scritto Saturno perché per i romani è un dio agreste, non il re dei titani) si sta risvegliando e noi dobbiamo intervenire." Si limitò a rispondere.
"E perché non mandate qualcun altro?"
"Perché, in questo momento, io e lui siamo i guerrieri più forti del campo. Te escluso."

"Mandate me, allora." 
Elisabeth alzò gli occhi dal bagaglio, sbuffando.
"Sei troppo giovane e inesperto." Disse piccata.
"Io giovane e inesperto? Guarda te e Giulio! Non fate altro che stare dietro una scrivania! Nessuno, in questi anni vi ha mai visto combattere!" 
"Io e Giulio ci alleniamo tutte le notti, quando tu e i tuoi compagni dormite!" 
"Ma nessuno vi ha mai visti! Come facciamo a sapere che siete davvero così forti?"
Senza volerlo i due si erano messi ad urlare, l'uno contro l'altra.
La figlia di Nettuno indurì lo sguardo e in un secondo Jason si ritrovò a sbattere contro la parete, perdendo ogni volontà sul suo corpo.
Una forza invisibile lo aveva spinto con grande energia.
"Ti sembro così debole? Potrei spezzarti il collo con un battito di ciglia." Gli urlò in faccia Elisabeth. 
Ruotò, rapida, il polso e Jason si accasciò a terra, riuscendo di nuovo a muoversi decise di alzarsi.
"Come...?"
"Nel sangue c'è acqua." 

La pretore si voltò verso Reyna, la figlia di Bellona "Ti sei guadagnata il posto come nuovo pretore Ramirez-Arellano. Scegli il tuo collega con cura." 
Prese la borsa e, lanciando un'occhiata a Jason come a sfidarlo a fermarla, uscì dalla stanza per raggiungere Giulio. 




"Perché non sei mai tornata?" Chiese ad un tratto.
"Giove mi ha fatto giurare di non tornare più al campo Giove. Io e te non ci saremmo mai dovuti conoscere." 


"Jason." Lo chiamò Reyna. 
Lui non diede segno di averla sentita.
"Jason." Ripeté con un tono più dolce.
"Non ci sono più." Sussurrò lui.
"Lei non c'è più."
"Mi dispiace." Disse Reyna mettendogli una mano sulla spalla. "Mi dispiace tanto." 

~•~

"Allora, bro, come conosci mia sorella?" Chiese Percy a Jason mentre camminavano verso le porte del campo. 
Apollo ed Elisabeth gli camminavano dietro.
"Tua sorella?" Chiese il figlio di Giove "Non sorellastra?"
"Si... Credevo lo sapessi. Lei è mia sorella maggiore."
"Ok, sono confuso." Dichiarò.
Percy si mise a ridere "Ci credo."
"Aspetta, stai dicendo sul serio? Ma non eri l'unico figlio mortale di Poseidone?" 
"Infatti lo sono." Disse Percy mandando ancora più in confusione l'amico.
"Uh? Non credo di capire, fratello." Jason si grattò la testa.
"Ricordati che io sono immortale." Spiegò Elisabeth "Perciò Percy rimane l'unico figlio mortale di Poseidone."
"Ehm..."
"Ti basti sapere che io e Percy siamo fratello e sorella, il resto è una storia complicata." Disse Elisabeth.
"Quindi è lui il bambino di cui mi parlavi quando ero piccolo?" Chiese Jason.
Lei fece segno di si con la testa.
"Dove vi siete conosciuti?" Chiese Percy al cugino.
"Al Campo Giove."
"Sei stata al campo?" Chiese alla sorella "Credevo non avessi mai visitato né il campo Mezzosangue né il campo Giove." 
"Quando Papà mi ha ordinato di lasciarti mi ha anche consigliato di prendermi una pausa dai greci, così sono andata al campo Giove." 

"Ho voglia di andare in spiaggia." Li interruppe il dio soprappensiero. Si rivolse all'amica "Vieni con me?" 
Lei annuì e baciò il fratello sulla guancia "A dopo."

Quando si furono allontanati Jason commentò 
"Bro?"
"Dimmi bro."
"La nostra è una famiglia davvero strana."
"Puoi dirlo forte."

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Capitolo 9
*** Nove ***



"Tuffo a bomba!" 
La tranquillità dell'acqua della baia venne infranta da Travis Stoll, che si tuffò in acqua dopo aver preso la rincorsa, seguito immediatamente dal fratello.
I figli del dio del Sole, saputo che il padre era andato in spiaggia, avevano improvvisato una festa per celebrate l'arrivo dei semidei Romani.
I figli di Bacco e Polluce avevano rimediato un sacco di bibite di ogni tipo, i figli di Ares e Marte avevano portato in spiaggia tavoli e sedie e i figli di Mercurio e Hermes si erano procurati un enorme impianto stereo per la musica.

Apollo era seduto sulla sabbia, indossava un costume arancione e aveva gli occhiali da sole appoggiati davanti agli occhi. 
Le figlie di Afrodite, stese sui loro asciugamani, ammiravano le curve del dio e i muscoli in bella vista. 

Apollo, ben conscio di tutte quelle attenzioni, faceva l'indifferente. 
Una ragazza dai tratti orientali, stretta in un bikini rosa confetto, gli si avvicinò sculettando. 
"Divino Apollo." Lo chiamò. "Non mi sono ancora presentata, sono Drew Tanaka, figlia di Afrodite."
Il dio alzò lo sguardo e si mise in piedi, sorridendole.
"La tua bellezza è degna di quella di tua madre, Drew." 
La ragazza rise, civettuola. "La ringrazio, divino Apollo." 
"Tanaka sparisci." Disse una voce, tagliente.

Elisabeth si ergeva ritta e fiera sulla spiaggia, conscia che nel suo territorio emanava un'aura di potere e bellezza che solo la vicinanza al mare le conferiva.
Indossava un costume a due pezzi di pizzo blu, che risaltava i suoi capelli.
Gli occhi avevano delle sfumature bluastre, come se brillassero al sole ma, invece di emettere bagliori bianchi, riflettevano i colori dell'acqua.
I capelli, sciolti, erano mossi dalla lieve brezza marina come se fossero nati per quello.
"Non credo proprio, tesoro.Ora tu sparirai." Disse la figlia della dea dell'amore usando la lingua ammaliatrice. 
"Credo che resterò qui, invece." Le rispose Elisabeth. 
Drew la guardò, incredula. "Come puoi resistere alla mia voce?" 
In un attimo la figlia del mare fu accanto al dio "Siamo nel mio territorio, qui. Le regole le decido io." 
"Allora ce ne andremo io e il divino Apollo, vero?" Chiese al dio infondendo nella sua voce una grande quantità di potere.
"Ehm..."
In quel momento Apollo sembrò confuso "Credo che si possa fare..."
Elisabeth schioccò le dita davanti agli occhi dell'amico "Sveglia!" 
Si rivolse a Drew "Provare a stregare una divinità? Davvero? Non credevo che le figlie di Afrodite fossero cadute così in basso."
"Io non..." 

"Cos'è successo?" Chiese Apollo, svegliandosi dallo stato di trance di pochi secondi prima.
"Questa ragazza ha provato ad usare la lingua ammaliatrice si di te." Spigò Liz.
"Che cosa? Come hai osato, piccola ragazzina?"
"Io..." 
"Sei fortunata che mi abbiano tolto il potere di incenerire le persone." Le disse Apollo con occhi ardenti. 
"Sparisci dalla mia vista. Ora." Fece finta di scacciare un insetto con la mano.
Drew incenerì con lo sguardo la rossa, ma obbedì senza fiatare.

Apollo si sistemò gli occhiali sui capelli. 
Lanciò un'occhiata all'amica, visto che non era ancora riuscito a guardarla come si deve. 
Si soffermò a fissare il suo corpo, allenato, e la sguardo si posò sulle sue curve.
Lei, seguendo lo sguardo del dio e vedendo cosa stava guardando, arrossì cercando di ignorare la cosa.
Lui si riscosse e abbassò lo sguardo, imbarazzato. Poi alzò il viso incrociando gli occhi con quelli della cugina e disse:
"Allora dolcezza... Non è che sei gelosa?"
Inutile dire che il dio si beccò un'infradito in faccia.

~•~

I figli di Hermes avevano fatto partire la musica, dando ufficialmente inizio alla festa.
Molto dei ragazzi entrarono subito in acqua, per poi iniziare a schizzarsi a più non posso.
All'improvviso un'enorme ondata si alzò dalla liscia superficie dell'acqua andando a schiantarsi sulla spiaggia. Quando l'acqua si ritirò, Percy emerse dal mare.
"Che ne pensi Grace?" Urlò verso l'alto.
Jason gli atterrò di fianco. "Penso che tu sia uno sbruffone e che potrei batterti in qualunque cosa ad occhi chiusi." 
"Vedere per credere, Bro." 

"Quando la smetterete di fare a gara, voi due?" Chiese Annabeth avvicinandosi ai due insieme a Piper. 
"Quando ammetterà che sono il migliore." Rispose Percy sorridendo alla sua ragazza. 
Si rivolse a Jason "Gara di castelli di sabbia?" 
"Gara di castelli di sabbia." Confermò il figlio di Giove mettendosi a correre in cerca di uno spiazzo per erigere il suo fortino, seguito subito dal figlio di Poseidone.
"Idioti." Disse Piper scuotendo la testa prima di stendersi accanto ad Annabeth sul suo telo.
Dopo pochi minuti si unirono alle due anche Hazel, Frank  e Reyna. I cinque si raccontarono delle rispettive avventure e dei progressi che il campo Giove aveva fatto: i romani avevano costruito nuovi templi e strutture per ospitare i compagni greci. 
E i greci avevano eretto delle case per i figli degli dei solo romani, come Bellona.



Così, adesso, tutti i mezzosangue si trovavano in spiaggia, chi a giocare, chi a prendere il sole.
O almeno, quasi tutti. 
Infatti un certo figlio di Apollo, il cui nome iniziava per W e finiva con ill Solace, si trovava ( in tenuta da spiaggia con infradito ai piedi, occhiali sulla testa e costume giallo che contrastava la sua abbronzatura)  davanti alla cabina tredici.
Il biondo stava aspettando un certo figlio di Ade per andare in spiaggia insieme.
"Nico, esci."
"Nemmeno per sogno." Rispose la porta.
"Su, stai benissimo !"
"Non è vero! Sono praticamente nudo!" 
"Ma sei indossi i bermuda!" 
"Ma tutto il resto è scoperto!"
"Stiamo andando in spiaggia Nico, è ovvio che tutto il resto sia scoperto." Disse Will alzando gli occhi al cielo.
"Fottiti, Solace." Ringhiò la porta.
Will sorrise, immaginandosi Nico davanti allo specchio mentre si squadrava da capo a piedi. 
"Arriveremo tardi." Continuò il biondo.
"Chissene frega." 
"Nico..." 
"Io. Non. Esco." 
"Nico..."
"Insomma, io non ci voglio nemmeno andare, alla festa!"
"Nico..." 
"E poi..."
"Nico. Di. Angelo. Esci. Immediatamente. C'è Hazel fuori!" Urlò il figlio di Apollo.
Subito la porta della cabina di Ade si spalancò. 
Nico si guardò intorno, cercando la sorella.
Quando, però, si accorse che non era fuori, mandò un'occhiata di fuoco a Will.
Il figlio di Apollo, intanto, si era avvicinato pericolosamente a Nico.
Con uno scatto fulmineo si caricò il figlio di Ade in spalla.
"Solace. Mettimi subito giù!" Ringhiò Nico.
"Tra poco, Raggio di Sole, tra poco." Disse Will andando verso la spiaggia cercando di non far cadere il più piccolo, visto che continuava a dimenarsi.

Al loro arrivo tutti si girarono verso i due per vedere la divertente scenetta. 
Nessuno, però, osò ridere per paura della reazione di Nico che, essendo già alterato di suo, poteva avere una reazione esagerata.
Gli unici che invece risero senza alcun timore del piccolo, furono Annabeth, Frank, Piper, Reyna ed Hazel.

Mentre Will passò di fianco al gruppo, Nico lanciò occhiate imploranti alla sorella ma lei, invece di intervenire, si limitò a fargli ciao ciao con la mano e sorridergli.
Gli occhi di Nico si sposarono verso Reyna, ma l'amica gli alzò i pollici in su senza dare il minimo segno di volerlo aiutare.
Allora Nico cercò con lo sguardo Annabeth, ma anche lei gli sorrise e rimase dov'era.
Piper continuava ad additarli e sghignazzare, dicendo alle amiche quanto i due fossero carini e Frank...
Frank per solidarietà maschile gli sorrise come a dire 'mi dispiace amico' ma pure lui non si mosse di un millimetro.  

Will camminò a testa alta fino ad immergere i piedi in acqua, continuando ad andare avanti finché l'acqua non gli arrivò all'altezza dell'ombelico.
"Will! Mettimi giù!"
"Come vuoi tu, Raggio di sole!" 
Troppo tardi Nico si accorse di cosa stava facendo Will, e troppo tardi urlò "No! Ferm..."
Splash! 
Will lo aveva lanciato in acqua. 

Nico riemerse poco dopo, con i capelli bagnati appiccicati sul viso, sputacchiando acqua e tossendo.

Per un momento tutt'intorno ci fu silenzio. 
Si sentivano solo le grida di Jason e Percy che si stuzzicavano a vicenda, ignari di quanto era appena successo.
Nessuno aveva il coraggio di fiatare.
Tutti volevano vedere come avrebbe reagito il figlio di Ade.
Nico, con un tono di voce troppo calmo, disse: "Solace." 
"Si?" Chiese Will ingenuamente.
"Corri."
"Subito!" Disse il figlio di Apollo correndo fuori dall'acqua e dirigendosi verso i suoi fratelli per cercare un po' di sostegno. 
Nico, un po' più lentamente e appesantito dall'acqua lo seguì urlando il suo nome.

Gli altri figli di Apollo non fecero nulla per salvare il fratello dalla furia omicida di Nico, e Will si vide costretto a correre verso il bosco. 
"Solace! Se ti prendo non sai cosa ti faccio!" Urlò Nico dietro di lui.
"Io avrei una vaga idea, Raggio di Sole!" Urlò Will ammiccandogli e accelerando la corsa.

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Capitolo 10
*** Dieci ***


Percy e Jason erano concentratissimi nella loro missione.
Ogni minima mossa era calcolata.
Destrezza, delicatezza, fermezza e decisione.
Ecco le qualità che servivano, senza le quali non sarebbero arrivati a quel punto.
Una goccia di sudore imperlava la fronte di Percy mentre alzava le mani per la sua ultima mossa.
Appoggiò delicatamente una conchiglia dalle sfumature verdastre sopra la soglia del suo palazzo e tirò un sospiro. 
 Accasciandosi sulla sabbia come un sacco di patate, fece dei lunghi respiri per riprendere fiato.
Lanciò uno sguardo a Jason che, proprio di fianco a lui, stava rifinendo con le dita gli angoli della sua opera. 
Percy ghignò, conscio che il suo castello (una perfetta copia del vecchio palazzo di suo padre) era molto più bello ed imponente di quello di Jason (una riproduzione mal riuscita del Colosseo). 
Il palazzo di Percy si estendeva per più di due metri quadrati e ogni dettaglio era curato al meglio. 
Il portico, le colonne e i giardini erano stati rifiniti con coralli e conchiglie, le mura del palazzo erano interamente ricoperte da piccole perle che il figlio di Poseidone aveva richiamato dal mare e le strade erano contornate da alcune scaglie domategli da pesci che volevano vederlo trionfare sul figlio di Giove. 
Il moro era rimasto stupito delle sue stesse capacità, mai e poi mai si sarebbe sognato di riuscire a produrre una cosa del genere con della sabbia. 

Jason, del canto suo, era leggermente in difficoltà.
Il Colosseo che aveva provato a costruire non stava in piedi. 
Forse perché la sabbia usata era troppo asciutta, forse perché l'aveva lavorata troppo, i granelli rotolavano giù dalla sommità della costruzione. 
 "Bro?" Lo chiamò Percy. 
"Mhmm?" Rispose Jason cercando di rimettere al suo posto la sabbia caduta. 
"Come va? Io ho finito." 
Jason decise che non poteva darla vinta a Jackson, e che quindi doveva fare in modo di creare qualcos'altro, che avesse almeno un aspetto decoroso. 
"Non mi piace." Disse alzandosi in piedi e calpestando quell'obbrobrio.
"Ma che fai?" Chiese Percy. 
"Non mi piaceva." Spiegò il biondo. "Facciamo qualcos'altro." 
"Ma io ho fatto il castello!" Protestò Percy. 
"Quindi adesso tu ti metti lì e mentre io cerco un giudice imparziale costruisci qualcosa."  
Disse "Oppure ammetti che sono migliore di te." 
Jason assottigliò gli occhi "Cerca un giudice, Jackson." 
Percy sorrise e si mise a pensare: Annabeth e Piper sono le nostre ragazze, non saranno mai imparziali.
Hazel sceglierebbe me di sicuro, perché sono piu figo, Frank non vorrebbe far dispiacere a nessuno e direbbe che entrambi i castelli sono belli, Liz è mai sorella e voterebbe per il palazzo di papà, Apollo è Apollo ed è meglio non chiedergli di fare da giudice e Reyna... 
Reyna sarebbe imparziale! 
"Reyna!" Iniziò a chiamarla Percy correndo verso di lei. 
Arrivò come una furia davanti alla figlia di Bellona, la quale stava tranquillamente chiacchierando con Annabeth e Piper. 
"Reyna!" 
"Chi ha vinto la gara?" Chiese Annabeth. 
"Nessuno." Si rivolse alla mora "Devi farci da giudice."
"Che?" Chiesero Annabeth e Piper visibilmente offese.
"Reyna sarà imparziale." Disse Percy facendo gli occhi da cucciolo "Vero Reyna?" 
Lei alzò gli occhi al cielo.
La ragazza non aveva ancora dato il suo consenso e Percy aveva già dato la cosa per scontato?  
Avrebbe risposto di no, non si sarebbe alzata dal suo comodo asciugamano per andare a fare da giudice ad una gara di castelli di sabbia di due esaltati, nossignore. 
Ma, evidentemente, non aveva fatto i conti con gli occhi da cucciolo di foca di Percy. 
In un primo momento riuscì a resistergli, ma poi il ragazzo si mise anche a fare il labbruccio e Reyna cedette.
"E va bene!" Disse alzandosi in piedi. 
"Dove sono i castelli?" 
Percy esultò perché nessuno riesce a resistermi, e fece strada al nuovo giudice verso la sua costruzione e quella di Jason. 
Annabeth, Piper e Frank, i quali volevano vedere che cosa erano riusciti a combinare gli amici, li seguirono.

Quando arrivarono davanti ai castelli tutti, a partire da Annabeth, rimasero a bocca aperta guardando il palazzo di Poseidone.
Jason si stava togliendo il sudore dalla fronte. 
Davanti a lui si ergeva un piccolo fortino, come quello che costruivano per i ludi di guerra. 
"Fatto." Disse Jason tra se e se. 
"Jason" lo chiamò il figlio di Poseidone "Reyna sarà il nostro giudice." 
Il biondo annuì. 

La ragazza, seguita da Annabeth, fece il giro dei palazzi, guardò ogni rifinitura e angolo. 
Alla fine si rivolse al figlio di Giove.
"Mi dispiace Jason, ma il castello di Percy è più bello..." 
"Si! Alla faccia tua Grace!" Esultò Percy.
"Che cosa? Ma non hai visto il mio fortino? Dov'è finita la solidarietà romana? Eh?" 

Piper gli si avvicinò, come per spiegargli che fin da subito, a prima vista, tutti avrebbero notato che il palazzo di Percy era splendido. 
Annabeth era incantata: le proporzioni, gli intarsi di perle, la forma della costruzione... Era tutto perfetto.
"L'hai fatto tu?" Chiese a Percy.
Lui si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. "Si... Ti piace?" 
"È meraviglioso!" Annabeth gli sorrise, i due erano sul punto di baciarsi che vennero interrotti. 
"Voglio la rivincita, Jackson."
Percy sbuffò, allontanandosi da Annabeth. 
"Perché non ammetti che sono il migliore?" 
"Perché non lo sei." Si impuntò Jason.

"Facciamo una partita a Beach volley." Propose Jason. 
"E perché dovrei? Ho vinto io la gara di castelli." 
"Vuoi dire che ti tiri indietro?" Lo provocò il biondo. 
Percy strinse i pugni. "Trova una palla, Grace." 
Annabeth si schiarì la voce. "Ehm... Mi dispiace intromettermi, ma uno di voi due idioti ha riflettuto sul fatto che dovete essere in otto per giocare?" 
Percy la guardò come se la risposta fosse ovvia "Certo che si, Ragazza Saggia, ecco perché voi" indicò Frank, Hazel, Reyna, Piper e la sua ragazza "Giocherete con noi." 
Jason annuì, come se avessero già dato tutti il loro consenso. 
"Io gioco!" Disse Hazel sorridendo "E anche Frank!" 
"Se con questa partita finirete di fare a gara..." Disse Annabeth, subito seguita da Piper. 
"Io faccio da arbitro!" Si prenotò la figlia di Bellona. 
"Mancano ancora due giocatori" notò Jason. 
"Grazie per averci mostrato di saper fare i conti, Grace, ma ti sbagli." Disse Percy mettendo un braccio attorno alle spalle del cugino. 
Adocchiò sua sorella e Apollo che stavano tranquillamente chiacchierando all'ombra.  
Vinceremo di sicuro, pensò.

~•~

"Punto!" Esultò Percy dando il cinque alla sorella.
Annabeth e Apollo, i loro compagni di squadra, sorrisero. 
Continuarono a giocare per molto tempo, quando Percy segnò l'ennesima vota Jason assottigliò gli occhi, facendo segno ad Hazel di servire. 

Intorno ai ragazzi si era raccolto un gruppo di semidei che incitavano l'una e l'altra squadra. 
I figli di Hermes e Mercurio giravano tra i mezzosangue facendo scommesse sui vari giocatori. 
"Chi scommette su Percy Jackson? Dieci dracme che segna il punto decisivo!" 

Sun, la piccola figlia di Apollo, era seduta vicino a Reyna per aiutarla a tenere i punti. 
Un punto e la squadra di Jason avrebbe vinto, due punti e lo avrebbe fatto quella di Percy.
La palla volò in aria, con un rapido passaggio Piper la alzò davanti alla rete e Jason prese la rincorsa per schiacciare. 
Percy, intuite le sue intenzioni, piegò le gambe e si preparò a fare muro. 
Jason alzò il braccio e colpì la palla e il figlio di Poseidone saltò per intercettarla e, presa, la passò ad Apollo che la mandò nell'altro campo. 
Reyna fischiò. 
Percy sorrise e Apollo alzò un pugno in aria "Yes!" 
Un punto e avrebbero vinto. 
Annabeth prese la palla, preparando il servizio. 
Hazel rispose con un bagher (come si scrive?) 
Quando la palla fu in aria, Elisabeth la alzò al fratello, il quale la schiacciò dall'altra parte. 
Frank si tuffò sulla sabbia e la salvò per un soffio. 
Piper riuscì a rimandarla dall'altra parte.
Da qui iniziarono un numero infinito di passaggi da una parte all'altra del campo, nessuno voleva lasciar cadere la palla. 
Alla fine Piper riuscì a segnare l'ultimo punto, facendo così vincere la squadra di Jason. 
Il figlio di Giove la prese tra le braccia e la baciò, per ringraziarla. 

"Alla faccia tua Jackson." Schernì il cugino. 
Percy sorrise, felice di essersi divertito. 
A partita finita Percy fece conoscere la sorella agli amici, visto che non aveva avuto il tempo di farlo prima della partita. 

Presentò Elisabeth ad Hazel e Frank, i quali rimasero piacevolmente sorpresi della sua esistenza. 
Reyna, dal canto suo, la stritolò in un abbraccio.

"Nuova gara?" Chiese Percy.
"Ci puoi scommettere." Rispose Jason. 

Apollo si avvicinò ad Elisabeth. 
"Io vado a surfare." L'avvisò. "Me li tieni?" Chiese porgendole gli occhiali da sole. 
Lei annuì e li indossò. 
"Ti stanno molto bene, dolcezza." Le disse. 
"Ovvio." Scherzò lei. 

"Gara di Surf!" Gridò Percy a Jason.
"Andiamo!"
"Tanto ti batto!" Urlò il moro. 
"Sogna, sogna!" 

"Io vado a farmi un riposino." Li avvertì Piper. 
"Ti seguo." Disse la figlia di Bellona. 
Hazel e Frank si allontanarono, mano nella mano, verso gli alberi. 
 Rimasta sola, Elisabeth, si sedette sulla sabbia, proprio davanti al bagna-asciuga. 
Ti lasciò cullare dal rumore del mare, dal suo suono melodioso che significava casa. 
Chiuse gli occhi e si rilassò, inspirò l'odore salmastro che proveniva dall'acqua. 

~•~

Elisabeth stava aiutando Percy a fare i compiti, il piccolo era interamente concentrato nel cercare i fare i compiti di matematica sul suo quaderno. 
Bussarono alla porta. 
"Liz, vai tu?" Chiese la voce di Sally dalla cucina. 
Lei rispose di si e, alzatasi in piedi, si avviò verso la porta. 
Quando l'aprì non si scompose più di tanto nel vedere Apollo appoggiato allo stipite. 
Si preoccupò, invece, quando dietro di lui vide suo padre. 
"Dobbiamo parlare." Disse il dio del mare. 
Lei si fece subito da parte per lasciarli entrare nel piccolo appartamento.
"Chi era, cara?" Chiese Sally uscendo dalla cucina mentre si asciugava le mani sul suo grembiule. 
Si bloccò quando vide i due dei. 
"Abbiamo un problema." Disse Apollo. 
Intanto Percy, aveva sentito delle voci in ingresso, sorrise vedendo il padre e lo 'zio Pollo'. 

Si sedettero tutti e cinque in soggiorno e Percy si mise sulle gambe del suo papà.
"Zeus ha dei sospetti."  Disse Poseidone. 
Sally ed Elisabeth si irrigidirono.

"Vuoi dire che lo sa?" Chiese la ragazza. 
"No, non ne è sicuro, almeno. Dobbiamo nasconderlo."
"Potremmo dire che è mio figlio, per spiegare la somiglianza." Propose Elisabeth. 
Poseidone scosse la testa "Se tu avessi avuto un bambino lo avrebbe saputo tutto l'Olimpo. E poi, anche se fosse, chi dovrebbe esserne il padre? Mio fratello lo vorrebbe sapere." 
"Apollo." Si intromise una vocina.
Tutti si girarono verso Percy "Lui potrebbe essere il mio finto papà, lui e Liz stanno tanto bene insieme." 
Elisabeth arrossì.
Apollo, a braccia conserte, alzò lo sguardo.
"Nah, Pulce. Tutti i miei figli sono biondi e hanno gli occhi azzurri. Ma forse..." 

"Percy" lo chiamò Poseidone "Ho messo in camera tua un regalo, una sorpresa, perché non vai a giocarci?" Chiese il dio. 
Percy alla parola 'sorpresa'  si alzò sull'attenti e corse in camera.
Il dio del sole si mise a riflettere "E se io cancellassi la memoria alla Pulce e a Sally?" 
"E questo come può proteggere il mio bambino?" Chiese Sally.
"Dobbiamo tagliare i nostri contatti con voi." Spiegò. 
"Che vuoi dire?" Domandò la figlia di Poseidone. 
"Pensateci" Apollo cambiò posizione "Se facessimo come se non ci fossimo mai conosciuti? Sally e Percy non si ricorderebbero di niente e potrebbero vivere le loro vite normalmente. Noi smetteremmo di venire qui e..." 
"Frena, frena, frena." Lo interruppe la cugina.
"Vuoi dire che dopo essermici affezionata dovrei abbandonarli?" 

Lui annuì con aria grave. 
"Nemmeno per sogno." 
"Pensaci, se troviamo il modo di nascondere l'odore da mezzosangue di Percy... Zeus non potrebbe trovarlo." 
"Mi rifiuto." Rispose lei secca. 
"Come facciamo a nascondere il suo odore?" Chiese di nuovo Sally.
Elisabeth la guardò malissimo. Lei era d'accordo? 
"Dovrebbe vivere vicino a più di un mortale, uno dei due deve avere un forte odore, così da mascherare e coprire quello di Percy."
"E come ?" 
"Dovresti sposarti." 
Sally rimase spiazzata, ma dopo una attimo di comprensione annuì. "Va bene." 

Elisabeth era sconvolta. Guardò suo padre, chiedendogli con gli occhi cosa volesse fare. 
"Mi sembra una buona idea." 
Le tubature della cucina scoppiarono. "Stai scherzando?" Ringhiò la figlia.
"È l'unico modo di proteggere Percy." 
"Puoi portarlo nel tuo palazzo." Ribatté lei.
Il dio scosse la testa. 
"Se lo portassi lì Zeus lo  scoprirebbe."
"Quindi dopo sei anni di vita con un vero fratello, dopo essermici affezionata, ora mi chiedi di fare come se niente fosse? Tornare a vivere la mia vita sapendo che mio fratello non si ricorda di me?" 
"Lo so che è un grande sacrificio ma..." 
"Sacrificio? Tu mi hai imposto di proteggerlo e di rimanere con lui e adesso pretendi questo ?" 
"Lissandra." La riprese suo padre con voce gelida.
Elisabeth rimase si sasso. 
Poseidone la chiamava con il suo vecchio nome solo quando era veramente arrabbiato.
"Tu farai come ti dico, che ti piaccia o no." 
Sulla strada davanti all'appartamento scoppiarono due idranti.
 "Bene." Rispose lei, piatta. "Ma poi non provare a chiedermi aiuto. Mai più." 

~•~

Elisabeth sorrise guardando Percy e Jason mentre facevano acrobazie sulle onde (o meglio, Percy faceva acrobazie sulle onde, Jason cercava di stare in equilibrio sulla tavola). 
Era stupita di quanto fossero maturati, sia moralmente che fisicamente, i bambini di cui si era presa cura.

Spostò lo sguardo su Apollo. 
Il dio si muoveva sulla sua tavola come se non avesse fatto altro nella vita, sul suo viso trasparivano sicurezza e allegria.
Due figlie di Afrodite che passarono lì accanto ridacchiarono guardando il biondo. 
Fecero commenti adulatori verso il giovane, senza smettere di fissarlo.
La ragazza sentì una fitta provenire dal suo petto, iniziata quando le due oche avevano fatto gli occhi dolci al cugino. 
Provò un sentimento nuovo, corrosivo. Che diavolo le stava succedendo?

Angolo autrice:
Buon pomeriggio a tutti! 
Alluora... Gara tra Percy e Jason, che ne pensate? I due si vogliono un gran bene ma sono sempre in competizione... Idioti. :)
Percy si crede un figo... Come dargli torto 😎?
Nel flashback troviamo la spiegazione del perché Percy non ha mai cercato la sorella e perché con lui e Sally c'è stato Gabe il Puzzone.
Ditemi che ne pensate, se avete idee o consigli e via dicendo! 

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Capitolo 11
*** Undici ***


Elisabeth si trovava sul terrazzo sopra uno dei più alti grattacieli di New York. 
Era appoggiata alla balaustra. 
Aveva appena salutato per sempre, o per un tempo molto lungo, il suo fratellino. 
Lo aveva abbracciato, baciato e accarezzato. Aveva cercato di imprimere nella sua mente ogni piccolo dettaglio del bambino.
Poseidone aveva augurato il  meglio a lui e a Sally prima di sparire lasciando nell'appartamento una lieve brezza marina.
Apollo era rimasto con Sally e Percy. 
Manipolare la foschia e i ricordi dei due non sarebbe stato una passeggiata.
Avrebbe dovuto cancellare i ricordi di tutte le persone venute a contatto con loro, avrebbe dovuto creare ricordi falsi degli anni passati, trovare un mortale per Sally e manipolare la sua memoria per fargli credere di essersi conosciuti tempo prima.
Avrebbe dovuto anche cancellare tutti gli insegnamenti che Percy aveva appreso sul mondo divino.

Una lacrima solitaria si fece strada dal suo occhio, scendendo sulla guancia, fino a cadere giù dal mento. 
Toccò la catenina argentata che aveva appesa al collo, stringendo la conchiglia che fungeva da pendente. 
Le venne in mente il momento in cui Percy glie l'aveva donata.
Ricacciò indietro le lacrime, cercando di pensare a qualcos'altro. 
 "Mi piace questo posto." Disse una voce maschile dietro di lei. "È rilassante." 
Seguirono alcuni minuti di silenzio. 
Elisabeth aveva stretto gli occhi, provando a non piangere.
"Da quassù ti puoi sentire padrone del mondo, non trovi anche tu? Anche se detto da un dio suona strano." 
Lei non rispose. 
"Non potrai avercela con me per sempre, dolcezza." Disse cercando di sdrammatizzare la situazione.
"Va via." Disse lei acida. 
"Nah. Quassù sto bene." 
Il biondo le si avvicinò. "Tu no, però."

"Lo sai che prima o poi sarebbe successo. Era solo questione di tempo." Continuò con tono più dolce "È l'unico modo per proteggerlo. Per proteggervi entrambi." 
Le mise una mano sulla spalla. A contatto con la pelle del dio la ragazza venne scossa da un brivido e si staccò da lui, fulminea. 
"Non toccarmi." Ringhiò. "È colpa tua se l'ho perso." 
"Era l'unica alternativa possibile." 
"No! È stata una tua idea! Tu..." Elisabeth prese un lungo respiro.
"È tutta colpa tua!" Gli gridò iniziando a tempestare il busto del dio con forti pugni.
Il nume li incassò senza battere ciglio.
"So come ti senti, dolcezza, stai soffrendo. Hai bisogno di scaricare la sofferenza sugli altri." 
L'amico la lasciò sfogare finché ne ebbe bisogno. Lei smise di picchiare Apollo, stringendo tra le mani i lembi della maglietta dell'amico. 
"Perché l'hai fatto? Perché non potevamo cercare un'altra soluzione?" 
Lui non rispose.
Elisabeth sentì la rabbia e il dolore arrovellarsi dentro di se. 
"Perché tutto d'un tratto tu e mio padre andate d'accordo?"
"Abbiamo collaborato per un bene comune a tutti e due." 
"Percy sarebbe stato al sicuro con me. Lo è sempre stato. Tuo padre non l'avrebbe mai trovato." 
"Forse. Ma se l'avesse fatto?" 
"Avrei difeso mio fratello."  Assottigliò gli occhi.
Lo sguardo del dio si indurì. 
"Davvero? E chi avrebbe protetto te?" 
"Non mi interessa." Si voltò. Fece per tornare dentro. "Me ne vado." 
"Ferma." Sibilò lui afferrandole il polso e stringendolo con forza. 
"Magari a te non interessa vivere o morire, ma non pensi agli altri?" 
La figlia di Poseidone si ritrovò schiacciata tra la balaustra e il corpo del dio. 
Apollo era così vicino che riusciva a sentirne il fiato caldo sulla pelle e il suo profumo d'estate.
"Se mio padre ti avesse fatto qualcosa io... Io non sarei riuscito a sopportarlo."
"Apollo..." 
"Avrei scatenato una nuova guerra, lo capisci questo? Tutti quello che ho fatto per la Pulce non l'ho fatto per lui, ma per proteggere te."
Apollo si distanziò di qualche centimetro.
"Io..." Abbassò lo sguardo, non riuscendo a sopportare quello di lui.
Il dio, rendendosi conti delle parole appena pronunciate, sorrise facendo finta di niente.

"Lo sai che prima o poi sarebbe successo, Liz. Era solo questione di tempo, ora devi voltare pagina, per il bene di Percy." 


Percy. 
Quel piccolo le aveva fatto provare emozioni  nuove, che non aveva sentito con nessun altro. 
Il senso di protezione che aveva nei suo confronti ogni volta che lo vedeva, l'amore che si rispecchiava nei suo occhi quando lo guardava, la gioia di vederlo sorridere... 
Tutti le emozioni negative vennero spazzate via dall'amore che provava per il fratellino.
Sapeva che doveva staccarsi da lui per proteggerlo, ma sapeva anche che il distacco le avrebbe prodotto un vuoto nel cuore.
Lei alzò lo sguardo e incontrò le iridi dorate del dio.
"Lo so." Soffiò. "Ma fa male." 
Apollo le sorrise, nei suoi occhi si riversò un'enorme quantità di dolcezza. 
"Vieni qui." Le disse aprendo le braccia.
Lei non se lo fece ripetere due volte e si tuffò tra le braccia confortanti dell'amico.
Il suo corpo era percorso da tremiti, così il dio la strinse contro il suo petto. 
"Puoi piangere, se vuoi."  Le sussurrò. 
Lei scosse la testa, ma una lacrima traditrice le scese sulla guancia. 
"Fa bene piangere in momenti come questo."
Ed Elisabeth pianse. Pianse calde lacrime. 
Presto le gambe le cedettero, e Apollo la accompagnò lentamente sul pavimento. La tenne stretta a lui mentre si sedevano insieme poggiando la schiena sulla ringhiera. 
Le fece appoggiare la testa sul suo petto, cercando di darle conforto.
Ed Elisabeth pianse, lasciandosi cullare dai colori del tramonto e dalle braccia del Sole.

~•~

Elisabeth aprì gli occhi. 
La prima cosa che vide furono un paio di iridi d'ambra.
"Ben svegliata, pigrona. Dormito bene?" Le chiese Apollo sedendosi di fianco a lei.
La ragazza tirò su la schiena e si massaggiò la testa. 
"Quanto ho dormito?" Chiese.
"Un'oretta circa." Le si avvicinò e le accarezzò la guancia. 
A contatto con la sua pelle calda la figlia di Poseidone sentì una strana sensazione alla base dello stomaco. 
Guardò il dio, sorpresa dall'audacia di quel gesto, e lui si limitò a scrollare le spalle. 
Delicatamente le sfilò gli occhiali da sole dai capelli, indossandoli. 
"Questi sono miei." 
Il dio si distese comodamente sulla sabbia morbida e incrociò le braccia dietro la testa. 
Elisabeth lo guardava, ancora imbambolata a causa della carezza.
"Apollo io..." Iniziò a dire, ma venne interrotta da Austin, suo figlio, che correva verso di loro.
"Ap... Papà!" 
"Ciao!" Lo salutò il padre. 
"Io e gli altri ci chiedevamo... Non è che potresti insegnarci qualche mossa sulla tavola da surf?" Chiese arrossendo sulla punta delle orecchie. 
Gli occhi si Apollo si illuminarono. "Certo..." 
Si voltò a guardare Elisabeth. 
"Vai." Gli disse sorridendo. "Ci vediamo dopo." 
"Grazie." 
"E di cosa? Muovi il culo, i tuoi figli aspettano." 

Apollo non se lo fece ripetere due volte e insieme a Austin corse verso il gruppo di ragazzi biondi che li aspettavano sul bagna-asciuga. 

~•~ ~•~

Hanno trovato una postazione perfetta. I cespugli, le rocce e gli alberi lì accanto creano un punto magnifico e straordinariamente comodo per sedersi e offrono una visuale perfetta.
-Oh, miei dei. Non posso credere che stia succedendo!- esclama Jason, meritandosi un'occhiataccia da Reyna.
Dopo che Percy aveva vinto la gara di surf, Jason e Reyna erano andati a cercare Nico e Will, che non si trovavano da nessuna parte.

-Ma che diavolo hai che non va? Non hai visto come si guardano di solito?- Prova a mettersi più comoda sull'erba su cui era seduta non staccando però gli occhi dalle due persone sedute su un tronco a pochi metri da lei.

Non sente di cosa stanno parlando, ma gli occhi di Nico che cercano continuamente di guardare qualcos'altro che non siano quelli del figlio di Apollo dicono tutto quello che c'è da sapere. 

-Se non lo bacia adesso giuro che impazzisco- dice Jason a denti stretti. -Lo deve baciare. Immediatamente.-

Elisabeth , che li aveva seguiti fin dall'inizio, non risponde, troppo scioccata dalla scena che si sta svolgendo: improvvisamente Will dice qualcosa mentre il figlio di Ade continua ad arrossire. 

Rimangono fermi, a parlare. 

Dopo qualche minuto, oppure ora, (nel quale Jason non ha fatto altro che pregare Afrodite di intervenire e smuovere un po' le acque), sente i passi di qualcuno poco distanti. 

Automaticamente si alza, sfoderando la sua spada. 

-Ehi, calmino!- strilla una voce. Il figlio di Giove si accorge di avere la spada puntata al collo di Jackson. Neanche un secondo dopo, vede la sorella gettarsi su di lui, probabilmente per farlo stare zitto. 

Mentalmente prega gli dei (soprattutto Afrodite) che Will e Nico non lo abbiano sentito. Sarebbero stati guai seri.

Intanto Percy è riuscito a scollarsi di dosso sua sorella che gli fa cenno di tacere.

-Devi stare zitto!- ringhia il figlio di Giove. 

Percy alza le mani in segno di resa e fa segno di aver capito.

-Vi stavamo cercando, è da due ore che siete spariti.-

Invece di rispondere, Jason tira giù Percy, facendolo sedere accanto a lui. -Un momento... Sono Nico e Will!-, esclama Percy. 

-Certo, che ti aspettavi stessimo facendo? Guardare le stelle?-, ribatte il biondo, senza distogliere lo sguardo da quello che ormai è il suo obbiettivo. 

-Quindi è questo che intendeva Nico dicendo non sei il mio tipo... Ehi! Che cos'ha Will che io non ho?-. 

-Il non essere etero per esempio?- ribatte la sorella. 

-Zitti!- dice Jason. 

Percy finalmente tace, anche lui continua a fissare i due ragazzi. 

Rimangono così qualche minuto, quei due semidei sembra proprio che non vogliano darsi una mossa ad accontentare il figlio di Giove che intanto continua a pregare la dea dell'amore perché faccia il suo dovere.

Reyna sente che sta per avere una crisi di nervi con Jackson che continua a elencare i suoi pregi contro a quelli del figlio di Apollo.

Ancora una volta sentono dei passi. Si gira appena in tempo per vedere Hazel e Frank lì davanti, che si tengono per mano. -Che state facendo lì seduti, ragazzi?-.

Jason si gira. -Oh, Hazel! Vieni a vedere!-. 

Senza aspettare una risposta tira la figlia di Plutone per il braccio seguita da Frank, facendoli sedere dietro ai cespugli. -Oh, dei! Sono così dolci!-, esclama, per poi notare lentamente che il figlio di Apollo sta stringendo la mano a Nico. -Ma cosa...?-

-Ehi, boys!- la voce di Apollo riscuote tutti. Elisabeth ha appena il tempo di lanciare un'occhiata a Nico e Will per assicurarsi che non abbiano sentito prima di gettarsi sul dio del sole per chiudergli la bocca. 

-Dolcezza, so di essere irresistibile, ma così potrei non riuscire a trattenermi !-

Lei gli lancia un'occhiataccia. Annabeth, arrivata subito dopo Apollo, guarda lei e gli altri con un'espressione confusa.

Tutti si risiedono nel punto dietro ai cespugli, che improvvisamente si è fatto particolarmente stretto. 
-Ma quello è mio figlio! Il mio Will!- esclama Apollo. 
-Shh!-  gli urla Jason, fregandosene se sta dicendo di tacere ad un dio. Quella è la sua OTP. Nessuno può mettersi in mezzo alla sua OTP senza passare sul suo cadavere. 

C'è un minuto di silenzio. Will si sta lentamente alzando, pronto ad avvicinare il suo viso a quello di Nico. Jason lo prevede. Sta per baciarlo. Ringrazia mentalmente Afrodite o Venere che sia per questo. 

Pochi centimetri li separano.

-Finalmente uno dei miei figli ha preso da me! E con il figlio di Ade, poi!- gongola Apollo.

Will sta sussurrando qualcosa. Sembrerebbe interessante. 

Nico sta sorridendo.

-Baciatevi, baciatevi, baciatevi, baciatevi, baciatevi... ti prego Venere falli baciare-.

Nico sta piegando la testa di lato per farsi più vicino.

Will gli accarezza la guancia e...

-Ma è possibile che gli piaccia Will? Che cosa diavolo ha più di me?-  

E a quel punto che Reyna  esplode. -Volete chiudere quelle vostre stupide bocche?! Noi stiamo aspettando che questi due idioti si mettano ufficialmente insieme e se non state zitti non lo faranno mai!-. 

La figlia di Bellona si accorge di aver parlato troppo forte. 

Lentamente si volta vedendo Annabeth che di fianco a lei sbianca.

Nico è saltato in piedi. Fa davvero, davvero paura. Il viso di solito pallido e tranquillo all'improvviso è diventato del colore del vino che beve Dioniso. Gli occhi sono ridotti in due piccole fessure. Respira lentamente, per contenere tutta la rabbia e la vergogna provate in quel momento.

-Cominciate a correre- dice. Quelle tre parole, dette con quel tono calmo, celano una rabbia pari all'esplosione di un vulcano.

In meno di due secondi tutti i ragazzi si alzano in piedi di scatto, rivelandosi e iniziano a correre verso il campo con il figlio di Ade che impugna la sua spada e un esercito di guerrieri-scheletro alle calcagna e Will che urla frasi come: "non evocare nulla, ordini del dottore!"

Angolo autrice: solo una parola... Solangeloooo!
Poveri Nico e Will, stavano per baciarsi e Percy (perché è sempre sua la colpa) ha rovinato tutto! 
Nico poi è molto, ma molto arrabbiato. :) 

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Capitolo 12
*** Dodici ***


L'intero campo era avvolto dal silenzio. 
Un fresco venticello soffiava tra le fronde degli alberi, dando sollievo alle driadi che soffrivano il caldo afoso dell'estate. 
I caldi raggi del sole, trainato da Elio e il suo carro di fuoco, illuminarono il cielo, dando ad Artemide e alla Luna un po' di riposo.
Stavano tutti dormendo.

La casa di Apollo era silenziosa, tutti i suoi componenti stavano felicemente riposando dopo la faticosa giornata al mare. 
Austin, per esempio, era disteso sul suo letto a castello mentre rissava sonoramente, con un braccio a penzoloni e la bocca aperta dalla quale usciva un filetto di bava che minacciava di cadere pericolosamente sulla faccia di Sun, che dormiva nella parte bassa del letto stringendo tra le braccia il suo se di peluche.
Mancavano, però, due persone. Apollo e Will. 
I due, infatti, stavano discutendo (vicino ai confini della foresta) sulla figuraccia appena fatta dal padre davanti al "quasi" fidanzato di Will. 

"Will..." 
Il dio del sole era in piedi a capo chino, davanti al suo figlio prediletto, pronto a sorbirsi una sfuriata da parte di Will. 
"Non ci posso credere!" Disse Will rosso in viso, a pugni serrati.
Apollo aveva le sembianze di un sedicenne, forse per provare a far pietà al figlio e salvarsi la divina vita.
Aveva, insieme ai sette,Reyna e la sorella di Percy, appena beccato Will e Nico intenti ad amoreggiare nel bosco. 
Gli spioni, per colpa della figlia di Bellona, erano stati beccati dai due piccioncini.
Nico si era riscosso per promo, iniziando a rincorrere Jackson e Grace minacciandoli di una morte lenta e precoce. 
Will, invece, si era limitato ad arrossire. 
Ma, accortosi della presenza del padre, era scoppiato.
Adesso, mentre Il figlio di Ade correva per tutto il campo in cerca dei suoi cugini idioti e ficcanaso, il figlio di Apollo era con quest'ultimo nella stessa radura in cui si trovava poco prima con Nico.
"Davvero, papà, come hai potuto?" 
Il dio voleva rispondere, dicendogli che non li aveva spiati di proposito, ma che si era ritrovato in mezzo al cespuglio usato dai semidei per spiare Will e Nico senza volerlo.
Lui stava cercando la figlia di Poseidone, ma trovare il suo piccolo Will intento ad amoreggiare con un altro ragazzo lo aveva spinto a fermarsi a guardare con gli altri.

"Adesso sarai deluso..."
Apollo stava per aprire bocca, volendo spiegare al figlio che non era affatto deluso della sua cotta per il figlio di Ade, anzi.
Ne era felice. Felice che il figlio avesse trovato qualcuno con cui si trovava bene.
"E poi, proprio tu mi vorresti fare la predica?" Chiese ancora Will.
"Ma veramente..." 
"Insomma, anche a te era piaciuto un ragazzo, Giacinto, come puoi essere contrario alla mia relazione?"
"Ma non sei arrabbiato perché ti ho spiato?" Chiese Apollo.
"Non sei arrabbiato perché sono gay?" Chiese di rimando Will.
"Ehm... No." Disse Apollo. 
"Ok... Allora va bene..." Poi, come se si fosse ricordato di una cosa importante Will divenne rosso in viso "Sono comunque arrabbiato! Perché ci avete interrotti?
"Will... Non l'abbiamo fatto apposta." Piagnucolò 
"Papà come hai potuto?" Strillava.
"Will..."
"Ci stavamo per baciare, dei! Perché ci avete interrotto proprio in quel momento?" 
Apollo stava per rispondere, ma Will continuava a parlare.
"Mi sono trovato Nico da solo, l'ho avvicinato da solo, ho stretto amicizia con lui da solo, ho scoperto di provare qualcosa per lui da solo... E, ora che ero riuscito a rimediare una specie di appuntamento con lui sempre da solo, tu mi interrompi!" 
"Tecnicamente è stata la figlia di Bellona..." Puntualizzò il dio.
"Ma c'eri anche tu! E ci stavamo per baciare, papà! B-A-C-I-A-R-E!" 
"Figliolo, mi dispiace..." Si scusò il padre. 
Lui era veramente dispiaciuto, il suo bambino, il suo Will si era trovato il ragazzo, per gli dei! E che ragazzo! 
Apollo non si faceva problemi ad ammetterlo, il figlio di Ade aveva il suo fascino. Ed era figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, diamine! 
"... Ma vedila così: avrai una scusa per andare di nuovo da lui! Magari questa volta potrete fare qualcosa in più di un semplice bacio!" Disse ammiccandogli. "Anche se prima dovrò fare un discorsetto a te e a Di Angelo sulla funzione delle protezioni..." 
Will diventò rosso come un pomodoro "Papà!"

Dopo questa piccola parentesi, torniamo al nostro giro delle cabine. 
Le case dei nostri Bro, rispettivamente la 1 e la 3, erano stranamente vuote. 
I loro proprietari, infatti, in quel momento erano leggermente occupati a correre per sfuggire alla furia omicida di Nico. 
Il quale, ovviamente, dopo averli sgamati a spiare lui e Will, si era gettato al loro inseguimento ignorando gli altri, per il momento. (Qui ci starebbe una risata malvagia)

-L'abbiamo seminato?- chiese il figlio di Giove mentre riprendeva fiato a Percy che, coincidenza oppure no, era scappato nella sua stessa direzione.
-Non lo so!- disse.
-E poi hai visto quant'è veloce?-.
-Ma perché diavolo si è arrabbiato?-
-Magari perché lo stavamo spiando in un momento privato, che ne dici Jackson?- 
-Sarà, ma aizzarci contro un branco di quei cosi-scheletro mi sembra un tantino esagerato-. 
Si trovavano dietro la casa Grande, pochi metri e sarebbero stati al sicuro.
-Mi sento un po' in colpa... Infondo stavano per baciarsi e noi li abbiamo interrotti-.
-Tecnicamente è stata Reyna ad urlare, non noi-
-Ma è colpa nostra se ha urlato. E comunque non dovevamo spiarlo-.
- Disse quello che ho trovato dietro un cespuglio. Amico, lui per me è come un fratellino minore. È normale che lo controlli così-. Percy si passò una mano tra i capelli, imbarazzato per la frase appena detta.

-Anche per me è come un fratello, è il mio migliore amico- disse Jason.
-E poi è il nostro cuginetto.- concluse con un mezzo sorriso. 
L'altro annuì  -Già-.
-Continuo a non capire cos'abbia Will più di me. Insomma, guardami!- si indicò con fare teatrale -Sono perfetto-.
-Continua a sognare Percy. Magari un giorno lo diventerai-.
-Che cosa vorresti insinuare? Ti credi tanto più figo di me solo perché sembri un modello dell' Abercrombie?-
-Da quando in qua ti intendi di modelli?-
-Oh... Io... Niente è che... Lo so e basta!- farfugliò.

-Vediamo se possiamo uscire da qui dietro-.
Jason si sporse lentamente allo scoperto per vedere se c'era un certo figlio di Ade nei paraggi, ma vedeva tutto sfuocato. 
Maledetti occhiali, dove siete quando servite?
-Non vedo un accidente senza gli occhiali!- sbottò tornando dietro alla parete della casa.
-Povero Grace, non vede niente...- lo canzonò lui. -Piantala e guarda se c'è il via libera- lo spinse.
-Allora? Che vedi?-
Lui indietreggiò lentamente -Grace?-
-Che c'è?- 
-Corri!- urlò.

I due si misero a correre fuori dal loro nascondiglio. 
Percy inciampò nella fretta cadendo a terra. Jason lo prese di peso per un braccio rimettendosi a correre. 
Sentirono una voce dietro di loro che urlava -Non fateveli scappare! JACKSON! GRACE! VENITE QUI!- 
-Casa Uno! Forza! Forza! Forza!- gridò il proprietario della cabina indicando la porta che guarda caso era aperta.
-NON POTETE SCAPPARMI! SE VI PRENDO VI AMMAZZO!-
Jason schivò un guerriero-scheletro che gli era saltato di fianco e si tuffò letteralmente nella cabina con Percy a seguire, appena entrati si fiondarono a chiudere la porta. A chiave.
-NON POTETE RIMAERE CHIUSI IN QUELLA CASA A VITA! QUANDO USCIRETE VEDRETE COSA VI FACCIO, E IL TARTARO SEMBRERA' UNA PASSEGIATA IN CONFRONTO JACKSON!- (NDA sembrerà ha l'apostrofo perché non so come mettere l'accento sulla A in maiuscolo).

-Tanto noi non usciremo da qui molto presto!- gli rispose Percy facendogli la linguaccia, anche se Nico non poteva vederla.
-USCITE DA Lì!- il tono di Nico era più minaccioso che mai.
-ΝΟ!-
I due tirarono un sospiro di sollievo, appoggiandosi al legno della porta.


-MA CHE DIAVOLO COMBINATE IDIOTI CHE NON SIETE ALTRO?- una voce proveniente dall'interno della casa li fece sobbalzare, Percy sguainò Vortice, impaurito.
-Ma che cosa...?-
-Si può sapere perché cazzo stavate correndo nel cuore della notte inseguiti dal piccolo figlio di Ade e una banda dei suoi soldatini morti?!?-
Percy, riconoscendo la persona che avevano davanti, rimise il cappuccio alla sua spada e la rinfilò in tasca. -Tempismo perfetto Faccia di Pigna. Ora, ti saremmo grati se ci togliessi dai guai.-

-E tu che cosa ci fai qui?- chiese Jason sorridendo.
-Artemide mi ha dato una settimana di pausa, a causa della punizione di Apollo. Mentre lei cercherà di accorciargli la durata della pena io starò qui a divertirmi. Adesso spiegatemi che diavolo era quello spettacolino-.
Di fronte ai due  c'era una ragazza dai capelli corvini e tagliati alla ben e meglio, gli occhi di un blu elettrico contornati da una grossa linea di eye-lyner che sembravano poterti fulminare in ogni secondo e i vestiti neri punk coperti da una giacca mimetica argentata. Il tutto rifinito da un cerchietto d'argento posato sul capo che la distingueva dalle sue compagnie. 

-È da un sacco che non ci vediamo cuginetto, come te la passi?- chiese lei rivolta a Percy.
-In questo momento non tanto bene perché abbiamo un certo figlio di Ade che ci aspetta fuori dalla porta per sbranarci e... ohio Tals!- la figlia di Zeus aveva appena tirato un cazzotto in piena faccia al Calamaro.
-Questo è per non aver ricevuto tue notizie per quasi un anno, e questo- aggiunse tirandogli una ginocchiata nello stomaco-È per tutta la preoccupazione che mi hai fatto provare. Cielo Jackson, sai quanta paura ho avuto? Ho perso dieci anni di vita!-
-Tanto per te non è un problema...- borbottò il figlio di Poseidone.
-E tu- indicò il biondo -Non ti picchio solo perché sei mio fratello, ma una bella ramanzina con i contro fiocchi non te la toglierà nessuno, stanne certo!- lui annuì piano, deglutendo sonoramente.
-Anyway, spiegatemi perché fuori da casa mia c'è un Nico alquanto arrabbiato. Ora.- incrociò le braccia al petto.
-Ecco... abbiamo trovato Nico e Will che stavano per baciarsi e li stavamo... spiando ecco. Poi Reyna ha urlato e loro ci hanno scoperti. E Nico si è arrabbiato. Molto-. Disse Percy sottovoce.

Talia si era fatta tutt'un tratto silenziosa e dopo cinque lunghi minuti di meditazione proruppe in un gridolino che non le si addiceva per niente.
-Nico è gay?- loro annuirono.
-Oh Dei! Nico ha il ragazzo! Nico! Il nostro piccolo cuginetto! E LUI NON MI HA DETTO NIENTE?!? Adesso vado lì fuori e mi congratulo con tutti e due! Oh si!-

Una voce (ovviamente di Nico) arrivò fino all'interno della casa -Grace! Vieni fuori! Jackson ti torturerò fino alla fine dei tuoi giorni! Io sfondo la porta e vi spenno!-

-Sembra alquanto arrabbiato- disse Talia -Ora vado e squarto anche lui per non avermi dato sue notizie per così tanto tempo. Comunque, in quanto unica intelligente tra noi figli dei Pezzi Grossi, credo di avere tutto il diritto di rimettere voi tre in riga.-

-Ma dai Tals! Siamo grandi non abbiamo bisogno della baby sitter!- si lamentò Percy.
-Qui non si tratta di babysitter Perce, ma di qualcuno che vi rimetta in riga. E, siccome le vostre fidanzatine vi hanno allentato il guinzaglio, sarà meglio che ci pensi io- concluse con un ghigno malefico.
-Sorellina, non fare niente di avventato... Per favore?- chiese Jason con un tono di voce più incerto che altro.
Lei fece un movimento con la mano, come per scacciare un insetto fastidioso 
-Tranquillo Jas. Di che avete paura?-
-Di te Talia, non si sa mai che fare quando ci sei di mezzo tu-.
-Stai sciallo Jas, non mordo mica, al massimo ti tempesterò di così tante botte che non farai più niente di stupido o avventato in vita tua-.
-Appunto-.

-JACKSON, GRACE! USCITE TUTTI DA Lì DENTRO!-

Talia sbuffò -Andrò a salvarvi il culo, ancora. E a fare una lavata di capo a quell'incosciente di un figlio di Ade. E mi farò presentare il fidanzatino-.
-No Tals non uscire!- Percy cercò di fermarla ma lei gli diede la scossa, Jason la prese per un braccio. -Talia...-
-Cosa? Devo andare a complimentare con loro E VOGLIO SAPERE TUTTI I DETTAGLI!- si liberò dalla sua presa e aprì la porta della cabina di Zeus urlando a squarcia gola -NICUCCIO? VIENI A PRESENTARMI IL TUO BEL FIDANZATINO!-
Jason si schiaffò  una mano sulla fronte e Percy fece lo stesso. Inutile dire che Nico si arrabbiò ancora più di prima.

Angolo autrice: buon salve! Eccoci al cap 12. Che ne pensate? 
Will rimprovera suo padre per aver fatto lo spione e Apollo se ne esce con una stupida battuta stile-Leo. 
Nico arrabbiato ricorre Percy e Jason cerando di ucciderli.
Talia che salva la situazione, più o meno. Personalmente adoro io suo personaggio e non potevo non infilarcelo. 
Bien, alla proxima

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Capitolo 13
*** Tredici ***



"Reyna Ramirez-Arellano!" 
La figlia di Bellona era tranquillamente seduta sull'erba vicino al campo di fragole. 
Si, proprio tranquillamente. 
Era sicura, infatti, che Nico l'avrebbe risparmiata. 
Non era, in fondo, la sua migliore amica? 
Lei ne era sicura. Il modo in cui Nico le si stava avvicinando, però, le fece provare paura.
Lo affiancava Talia Grace, luogotenente della dea Artemide. 
"Ciao Nico! Talia!" Li salutò, nervosa. La figlia di Zeus le fece segno di scappare.
"Perché l'hai fatto?" Chiese subito Nico. 
L'erba intorno ai suoi piedi si annerì, morta.
Lei non rispose, non trovando le parole. 
"Insomma, quello era il mio momento speciale con Will." Biascicò.
Talia batté le mani compiaciuta "E bravo il mio piccolo cuginetto! Adesso lo ammetti!" 
Lui le lanciò un'occhiata di fuoco, che avrebbe fatto scappare chiunque altro a gambe levate, ma la figlia di Zeus non batté ciglio. 
"Ho ottantasei anni Talia, non sono piccolo." 
"Dettagli, piccoletto. Ne dimostri meno di me." 
"Ancora per poco." Ringhiò lui. 
"Certo, piccoletto, certo." 
Nico si girò verso Reyna. "Allora?" 
"Nico io... Mi dispiace. Non avrei dovuto seguirti ma... Da quando abbiamo viaggiato insieme con l'Atena Parthenos mi sento molto protettiva nei tuoi confronti. Come se fossi una specie di fratellino minore. E vederti lì con Will... Non ho potuto resistere." 
Nico rimase colpito dalla risposta.
Sentì diffondersi nel petto del calore, simile a quello che provava quando parlava con Bianca. 
"Reyna..." Di colpo tutta la rabbia che provava sparì. Sostituita da quel sentimento, l'affetto, che non provava da molto tempo.
"Io... Io devo andare!" Disse velocemente. 
Senza nemmeno salutare Talia si girò e corse via.
"Ehi Nico! Ricordati che devi presentarmi il tuo ragazzo!" Urlò la figlia del re dei cieli. 
Nico gridò "Non è il mio ragazzo!" Continuando a correre. 
Peccato, però, che inciampò su una radice ruzzolando a terra.
Immediatamente si rialzò in piedi e continuò a muoversi cercando di allontanarsi dalle due. "Sto bene!" 
"Quel piccoletto ha qualche rotella scheletrica fuori posto." Disse la mora guardando Nico sparire tra gli alberi. 
Reyna annuì, poco convinta.

Percy e Jason, se ve lo state chiedendo, sono salvi.
La figlia di Zeus era riuscita a far sbollire Nico, e a far magicamente sparire la furia omicida dal figlio di Ade, consegnatogli delle foto di Jason da bambino e promettendogli che ne avrebbe trovate anche di Percy. 



Annabeth, Hazel e Frank, fortunatamente, erano stati risparmiati dalla furia del figlio di Ade. La prima perché, sotto sotto, Nico aveva paura di lei. 
La seconda perché era sua sorella, e poi lui aveva fatto fatica ad accettare il figlio di Marte come suo cognato.
Il terzo... Frank era Frank. Non ci si poteva arrabbiare con lui, anche perché gli avrebbe fatto gli occhi da gatto con gli stivali per farsi perdonare, letteralmente.
Si sarebbe trasformato in un tenero micetto e avrebbe continuato a fare gli occhi dolci finché non fosse stato perdonato.
Elisabeth e Apollo, infine, erano due immortali. E Nico non aveva proprio voglia di uscire dalle loro grazie cercando di ammazzarli. Anche perché, se poi si fossero arrabbiati, l'avrebbero perseguitato fino alla fine dei suoi giorni.
Anche perché Apollo era il padre di Will, quindi il suo quasi-futuro-cognato.

A proposito di Elisabeth. 
Lei e Talia non si conoscevano ancora. 
Quando Jason e Percy le presentarono le due sorrisero immediatamente in modo sadico. 
E questo spaventò i due, certi che farle incontrare fosse stato un grande sbaglio. 
"Piacere Talia, figlia di Zeus e Luogotenente di Artemide." Disse Talia porgendo la mano alla ragazza. 
"Elisabeth, figlia di Poseidone e Prima mezzosangue." Disse stringendo la mano di Talia.
"Così anche tu sei immortale?" Chiese Talia.
"Esatto." 
Le due si guardarono negli occhi per poi spostare lo sguardo sui fratelli e riportarlo su di loro. 
"Pensi anche tu quello che penso io?" Chiese la figlia di Poseidone.
"Certo. Ci divertiremo un mondo."
Percy e Jason si guardarono, preoccupati.
"Ehm... Di che parlate?" 
"Stai sciallo Testa d'Alghe. Io e tua sorella stavamo solo pensando che vi tortureremo per l'eternità." Disse Talia raggiante.
"Io non ci giurerei Faccia di Pigna." Borbottò Percy. 
"No?" Chiese Elisabeth.
"Siamo due ragazze immortali e figherrime, ragazzi. Mettetevela via." 
"Tals!" Protestò Jason. 
"Mi immagino già voi due nella casa di riposo con le vostre spade in mano che vi punzecchiate a vicenda mentre io e Elisabeth ci occupiamo delle vostre dentiere." 


I ragazzi passarono una settimana tra giochi, feste e allenamenti. 
I romani insegnavano ai greci e i greci ai romani.  
Apollo aveva insegnato ai suoi figli come costruire splendidi strumenti musicali, archi e faretre con le loro mani. 
Percy ed Elisabeth recuperarono momenti mancati stando insieme, lei gli insegnò qualche trucchetto con l'acqua e lui qualche tecniche moderne di scherma.
Nico e Will si riavvicinarono.
Insomma, furono due settimane tranquille.
Tanto che Chirone decise che i suoi ragazzi , che avevano più di sedici anni, potevano uscire dal campo per una sera e andare a divertirsi in un locale per mortali. 
Quindi quel pomeriggio le ragazze erano andate a New York a fare compere e la sera dopo i sette, Apollo, Reyna, Nico, Elisabeth, gli Stoll, Clarisse, Chris e Will sarebbero andati in discoteca. 



"Buona notte, ragazzi."
"Notte papà." Rispose un coro assonnato dai letti vicini.
Steso sul suo letto, quella sera, il dio chiuse gli occhi, ripensando a quello che gli era successo pochi giorni prima.
Apollo era appoggiato al legno di un'albero, teneva le braccia conserte e gli occhiali da sole sulla testa. 
Elisabeth, davanti a lui, era seduta su un piccolo masso.
"Allora, dolcezza, lo vuoi sentire un nuovo haiku?" Chiese lui speranzoso.
Gli occhi di lei si riempirono di terrore tanto che disse, forse troppo velocemente, "No! Non ce n'è bisogno!" 
"Ma dai dolcezza, non ti mancano le mie poesie? È da un sacco di tempo che non ne scrivo!" Protestò lui. 
Elisabeth avrebbe voluto rispondere che no, non le mancavano per niente i suoi terribili haiku e che sarebbero stati tutti più felici senza. Ma ovviamente non voleva offendere il dio della poesia dicendo che in un certo tipo di poesie faceva schifo, quindi strinse i denti.
"Sentiamo, allora." 
Gli occhi di Apollo si illuminarono, letteralmente. 
"La luna nel blu
argento sulla terra
eternamente." Recitò. 
Questo era quasi decente pensò lei. 
Gli sorrise "Mi piace." 
Lui ricambiò il sorriso "Splendido! Ne ho pronto un'altro..." 
Per fortuna della figlia di Poseidone una voce li interruppe. 
"Sono convinta che il tuo haiku sia magnifico, fratello, ma ho urgente bisogno di parlare con te."
Davanti ai due era comparsa una ragazzina dai capelli scuri, vestita d'argento, con arco e faretra in mano e un cerchietto argentato posato sul capo. 
"Sorellina!" La salutò Apollo.
"Divina Artemide." Disse la semidea. 
"Ciao Liz. Pollo." Li salutò la dea. "E non chiamarmi sorellina!"
"Ci vediamo dopo." Disse Elisabeth al dio.
Lui la prese per un braccio "Non mi lasciare con lei. È cattiiiva!" 
"Sono sicura che sopravviverai." Rispose lei sfuggendo dalla sua presa. 
"A dopo!" Gli fece l'occhiolino prima di girarsi e correre via. 

Apollo si girò verso la sorella e ripeté "Sorellina!"
"Ti donano le vesti da mortale." Rispose secca "Ti danno un non so che di... Umano." 
"Ehm... Sorellina!" Ripeté ancora Apollo.
"Ho parlato con nostro padre." Disse lei. 
Il sorriso del dio si spense. "E..."
"Ha acconsentito a diminuirti la pena. Invece di 50 anni, avrai un'estate di punizione." 
Apollo sorrise e andò ad abbracciare Artemide "Grazie! Grazie! Grazie! Sei la migliore sorellina del mondo!" 
"Ma..." 
"E ti pareva." Borbottò. 
"Non sai quanto mi duole dirlo, fratello." Incominciò lei "Se ci fosse un altro modo..." 
"Vai al punto, Arti." 
"Devi trovarti una compagna stabile tra i semidei." 
"Cosa?" 
"Papà non vuole più persone come Esculapio girargli tra i piedi. Sa che anche dopo il matrimonio continuerai ad avere figli, ma saranno comunque di meno." 
"Io..." 
"Mi dispiace fratellino. Hai fino a Settembre."
Disse lei addolorata. Sparì in una nuvola di polvere argentata, lasciando Apollo da solo.

Angolo autrice: alluora... Che dire... Questo capitolo è una schifezza. 
Ma una schifezza di passaggio :) 
Mi scuso per la misera lunghezza

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Capitolo 14
*** Quattordici ***


La musica ad alto volume si sentiva fino ad un isolato di distanza. 
Le luci colorate illuminavano il tenue buio dell'enorme sala. 
Corpi contro corpi, labbra contro labbra, la stanza era piena di mortali che si strusciavano, ballavano uno sull'altro in un intrigo di braccia e gambe.
C'era chi era già ubriaco alle nove di sera, e chi invece guardava famelico il barman che serviva alcolici ripetendosi di aspettare a bere. 
Il locale si trovava in una delle vie più festose di New York, vicino all' Empire State Building. 
"Così se succede qualcosa potete rifugiarvi lì." Aveva detto Chirone. 
Argo aveva accompagnato  i semidei vogliosi di fare festa con un piccolo pulmino, facendosi promettere (a gesti) che si sarebbero fatti riportare al Campo prima che facesse giorno.

Clarisse e Chris furono i primi ad entrare. Lei indossava un paio di jeans e una camicia, troppo restia all'idea di indossare una di "quelle cose" chiamate gonne. 
I capelli, sempre stretti nella sua bandana rossa, avevano un qualcosa di più elegante del solito. 
"Ti va di bere qualcosa?" 
Chris portò la figlia di Ares vicini alla pista, e iniziò a giocherellare con un portafoglio spuntato da chissà dove.
"E quello?" Chiese lei.
"Oh... Ma tu guarda, me lo sono ritrovato in mano." Le sorrise lui, malandrino. 
"Ahi!" Si lamentò quando Clarisse gli mollò uno scappellotto. 
"Fila a rimetterlo nella tasca da cui l'hai rubato." Ordinò lei, imperiosa. 
"Ma perché?" Chiese lui.
"Ho detto fila!" 

Dopo aver fatto esattamente come voleva lei, mi sento in dovere di aggiungere che il ragazzo a cui aveva rubato il portafogli non se n'era nemmeno accorto, il figlio di Ermes prese la sua ragazza per un braccio incitandola ad avvicinarsi al bancone dove servivano da bere.
"Non voglio ubriacarmi." Assicurò subito mentre Clarisse lo guardava scettica mentre si incamminavano verso due sedie.
"O almeno non  subito." Sottolineò lui. 

I due furono subito seguiti da Drew Tanaka. 
La ragazza era riuscita a convincere Chirone a lasciarla uscire dal campo dicendo che se Piper ci poteva andare, perché lei no?
La figlia di Afrodite era stretta in un vestitino che lasciava molto, ma proprio molto poco all'immaginazione. 
Adocchiò un paio di bei ragazzi intenti a fissarla e gli sculettò incontro. 
Si fece offrire da bere senza l'uso della lingua ammaliatrice.

Entrarono anche Piper e Annabeth. 
La prima indossava un grazioso vestito verde chiaro in tinta con le piume intrecciate tra i capelli, la seconda un abito argentato che risaltava gli occhi. 
Le due erano raggianti, i ricci di Annabeth, sciolti, ricadevano morbidi sulle sue spalle e oscillavano ad ogni suo movimento e gli occhi di Piper sembravano cambiare colore di propria iniziativa.
Ovviamente, vennero immediatamente affiancate dai loro baldi giovani, che rifilarono le classiche occhiatacce che facevano scappare anche i mostri a gambe levate ai ragazzi che avevano iniziato a guardare maliziosamente le loro fidanzate. 
Inutile dire che quei ragazzi si dileguarono. 
I due sorrisero "Mortali idioti." Li prese in giro Jason. "Non sono degni di respirare nemmeno la vostra aria, ragazze."

"Andiamo a ballare." Disse prendendo per mano la sua ragazza e portandola sulla pista. 
"Tu non mi inviti a ballare, Testa d'Alghe?" Chiese Annabeth sorridendo al suo ragazzo.
Dei, è meravigliosa pensò Percy ammirandola. 
"Certo che si." Rispose indicandosi il petto con il pollice "Sono un asso nel ballo, io." 
Annabeth, scoppiando a ridere, si lasciò guidare tra la marmaglia di gente e iniziò a muoversi a ritmo di musica insieme a Percy. 

Hazel, fasciata dal suo bello ma semplice vestito rosa pesca, guardò stranita l'intero locale. 
"Ma la musica moderna è tutta così?" Chiese.
"Non tutta. Anzi, ci sono alcune canzoni davvero dolci. Vieni." Frank le prese una mano, invitandola a cercare un luogo appartato dove rifugiarsi da tutta quella confusione.

"Forza Raggio di Sole!" Gridò qualcuno dall'anticamera del locale. 
"No! Questo posto è pieno di persone vive." 
"Anch'io lo sono, Dolcezza."
"Ma questi sono vivi mortali." 
"Io lo sono per metà." 
"Dettagli, Solace." 
"Quindi se io fossi mortale ti piacerei lo stesso?"
"Nessuno ha mai detto che mi piaci."
"Non l'hai detto, ma lo pensi." 
"Che cos'hai detto?"
"L'ho detto ad alta voce?"
"Sembra proprio di si."
"Non importa."
"Ehm..."
"Nico?"
"Mh?"
"Muovi quel bel culetto che ti ritrovi e andiamo!"
Will si fece strada tra la marea di persone trascinando Nico per un braccio.
"Dannazione, Solace!"
"Andiamo Re degli Spettri! Una piccola festa non fa male a nessuno!"
"Questa è la tua opinione, Will." Disse Nico fissando una coppia che puzzava di alcool limonare davanti a loro.
"Dovrebbe essere anche la tua, Nico." Ribatté Will indicando al più piccolo Reyna.
La ragazza, fiera nello sfoggiare il suo vestito viola, era stata affiancata da un giovane. 
Il ragazzo doveva avere più o meno la sua età e sembrava che a Reyna fosse simpatico. 
Era alto, riccio e moro. 
Lui le chiese qualcosa, lei sorrise e annuì. 
Lui le prese la mano. Lei arrossì e abbassò lo sguardo.
Si diressero verso un divanetto e iniziarono a parlare. Al figlio di Ade si scaldò il cuore vedendo Reyna finalmente felice.
"Si, forse le feste fanno bene..." Nico sorrise.

Elisabeth entrò nel locale per penultima, seguita subito dal dio biondo. 
Lei, comoda nel suo top azzurro e i jeans a vita alta, si guardò intorno e, voltasi verso l'amico, disse "Allora, come si diverte il dio del sole ad una festa?" 
Gli occhi di lui brillarono. "Ti va di ballare?"

Jason era davvero felice. Poteva vivere una serata normale, come un ragazzo normale, insieme alla sua ragazza. 
Piper gli sorrise e lui si specchiò nei suo occhi.
"Sei bellissima, Piper." Le sussurrò all'orecchio. Lei arrossì. 
Jason sorrise, pensando che il rossore sulle guance la rendesse ancora più bella. 
Le loro labbra si sfiorarono, timide. Jason si bloccò.
Si ritrasse immediatamente, come se fisse rimasto scottato. 
Lei lo guardò, interrogativa. 
"Cosa..." 
"Shh!!" Fece lui. "Guarda!" 
Lei spostò lo sguardo verso il punto in cui guardava il suo ragazzo e le si scaldò il cuore.
Nico era seduto su una sedia, in un angolo. 
E sorrideva. Si, esatto. S-O-R-R-I-D-E-V-A. 
Will, davanti a lui, ballava in modo strano, confusionario, senza un senso logico, e questo a Nico piaceva. 
Il più grande era felice, finalmente, di essere riuscito a far ridere Nico.
Tanto che si sporse in avanti e lo abbracciò. 
Nico rimase di sasso ma, invece di spingerlo via come era solito fare, lo strinse a se.
Jason strinse la mano a Piper, che ricambiò la stretta. 
La guardò negli occhi e disse, più serio che mai "La Solangelo regna."


Elisabeth era riuscita a trovare il cortile interno del locale e in cui, magicamente, non c'era anima viva. 
Un albero era al centro del piccolo giardino e tra i suoi rami erano appese piccole lanterne che illuminavano l'interno. 
Tra l'erba intorno alle radici crescevano piccoli fiorellini colorati. 
Le pareti, che salivano per una quindicina di metri e che poi lasciavano il cielo scoperto, erano fatte di semplici mattoni. 
Le stelle brillavano come piccoli brillantini su una distesa di blu.
La figlia di Poseidone si diresse verso l'albero.
Ne toccò la corteccia rugosa, appoggiandoci delicatamente le dita, e chiuse gli occhi. 
Si concentrò fino a sentire l'acqua che si muoveva dentro la pianta, la vita che scorreva davanti a lei.
Aprì la propria mente per fonderla con l'essenza della pianta. 
Quello era un albero centenario, lasciato vivere in quel piccolo guardino per paura di rovinare una vita che aveva visto passare davanti a se centinaia di anni. 

Provò a salire più in alto con l'intenzione di percepire il liquido fino al più alto ramo e alle piccole foglie verdi. 
Diede un po' di sollievo all'albero, che sentiva il caldo dell'estate come tutti loro, rinfrescando la linfa che ne scorreva all'interno.
Decise allora di scendere verso alle radici e poi più giù, fino alla terra bagnata. 
La sua coscienza si estese ancore di più, arrivando all'erba e ai fiorellini. 
Sentiva le piccole formiche lavoratrici zampettare sul terreno e poi scendere per i cunicoli da loro costruiti, per andare a riposare. 
Sentì una coccinella posarsi sulla foglia di un fiore.
Un'ape volare fino alla corolla di un fiore giallo per prenderne il nettare. 
Elisabeth era tutt'uno con quel piccolo angolo di paradiso. 
Un piede si posò sull'erba e la magia di quel contatto si ruppe. 
La sua coscienza ritornò nella testa veloce, lasciando la figlia di Poseidone stordita per qualche secondo. 
Quando aprì gli occhi vide il dio che le si avvicinava lentamente. 
"Ti ho cercata dappertutto, dolcezza." Disse Apollo con uno dei sui ormai abituali sorrisi.
"Sono sempre stata qui." Rispose lei andandogli incontro. 
Arrivati uno davanti all'altra si fermarono. 
"Sai che il mio Will sta ballando, si proprio ballando, con Nico?" Chiese lui con un po' troppa foga. 
"Sai che tuo figlio potrebbe arrabbiarsi sul serio se continui a stalkerarlo?" 
Apollo sembrò pensarci su, serio. Poi sorrise "Nah." 
Elisabeth scosse la testa, divertita. 
"Che cosa ci fai qui? Voglio dire, non ti diverti?" Chiese lui. 
"Avevo bisogno di una pausa." Mentì lei.
~•~

"Vado un attimo in bagno." Disse Elisabeth. Lui annuì, sorridendo e facendole fare una giravolta. 
Elisabeth ci mise un po' a trovare il bagno in tutta quella confusione, e quando ci riuscì era già passato un quarto d'ora. 
Si rinfrescò il viso accaldato ed uscì, tornando verso Apollo. 
Ma si bloccò prima di arrivarci. 
Il biondo era circondato da cinque oche che gli ballavano intorno, gli si strusciavano addosso e facevano molte altre cose che lui sembrava gradire. 
In più lui teneva in mano un bicchiere contenente qualcosa di indefinito, che sorseggiava a tratti. 
~•~
"Sei davvero bella stasera, dolcezza." Disse lui sfiorandole il braccio con la mano.
Quel gesto, apparentemente innocuo, le fece scendere un brivido lungo tutta la spina dorsale. 
"Anche tu non sei male." Rispose lei facendo alcuni passi verso la porta. "Io tornerei dentro." 

Apollo, veloce, la bloccò prendendole il braccio con una mano. Al contrario di ogni altro suo tocco, però, la teneva stretta. 
"Apollo..."
"Perché ho l'impressione che tu voglia evitarmi?"
"Non lo so." Disse lei piccata. "Adesso mi lasceresti?" 
"No." Rispose lui.
"Come sarebbe a dire no?" 
"No, vuol dire che non ti lascio." 
Si portò davanti a lei e fece alcuni passi in avanti, facendola indietreggiare.
"Apollo..." Inciampò in una radice, ma il dio la tenne in piedi.
"Lo vedi?" Chiese "Se ti avessi lasciato adesso saresti per terra." 
Apollo continuava a camminare in avanti e lei era costretta ad andare all'indietro. 
Elisabeth toccò con la schiena alla corteccia dell'albero e il dio le si piazzò davanti.
Si appoggiò con le braccia al legno, ponendole all'altezza del collo di lei. 
Si avvicinò con la testa al suo orecchio sinistro.
"Perché mi eviti?" Chiese di nuovo con la sua voce baritonale. 
"Perché nell'ultimo secolo mi sembri diversa?" Le chiese sussurrando. "Perchè ho il sospetto che tu provi qualcosa per me che va oltre l'amicizia, Liz?" 
"È solo una tua impressione."
"Davvero?" Chiese lui ridendo. "Perché io sono un dio, vedo tutto e sento tutto. Non posso essermi sbagliato." 
"Anche i migliori sbagliano, a volte." 
"Già. Ma io non sbaglio mai." Apollo incatenò i suoi occhi dorati con quelli color del mare di Elisabeth. 
"Perché, se fosse davvero così, se ti dicessi che anche io provo qualcosa per te, tu cosa faresti?"
Apollo abbassò le iridi ambrate e, per un piccolo secondo, si chiese che sapore avessero le labbra dell'amica. 
"Apollo..." Chiese la ragazza. 
Il dio si avvicinò impercettibilmente a lei socchiudendo gli occhi. 
"Io non..." 
Attirata come da una calamita, lei ruotò leggermente il capo, chiudendo le palpebre.
Apollo appoggiò delicatamente le labbra sulle sue.

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Capitolo 15
*** Quindici ***


Qualcuno si era dimenticato di chiudere le imposte delle finestre. 
Raggi di luce, infatti, invadevano la stanza. 
Ed erano tremendamente fastidiosi, tanto che Apollo aprì gli occhi, chiudendoli subito dopo per il contatto con la luce avvenuto troppo velocemente.
Cercò, allora, di abituarcisi piano piano. 
Anche se era il dio del sole, poteva esserne infastidito comunque, specialmente di prima mattina. 
Aprì piano le palpebre, e si ritrovò a fissare un soffitto da cui pendevano cavallucci marini di bronzo. 
Strano Pensò Lì appesi non dovrebbero esserci dei piccoli soli?
Quella mattina, poi, il dio aveva un gran mal di testa, segno che la sera prima aveva bevuto. 
Doveva ancora abituarsi al suo essere mortale, il che includeva anche il mal di testa dopo essersi ubriacato.
Spostò lo sguardo verso il letto di Will. 
Vide suo figlio riposare beatamente. Insieme a lui dormiva una ragazza dai capelli biondi e Will... Aveva un rivolo di bava che scendeva gocciolando dalla guancia fino al suo cuscino. 
Tutto normale, anche se si contava il fatto che Will aveva i capelli scuri e nella stanza c'erano solo tre letti.
Appeso sopra il letto di Will, poi, c'era un corno di Minotauro.
Aspetta un momento... Apollo strizzò gli occhi, per guardare meglio. Will non ha i capelli neri!
Il biondo si mise a perlustrare con gli occhi la stanza in cui si trovava. 
E non era certamente la cabina di Apollo.
Sentì un peso sulla sua spalla, così girò la testa per vedere cosa c'era appoggiato.
Per le mutande di Ade! 
Elisabeth dormiva di fianco a lui e aveva la testa appoggiata su di lui.
I ricordi della sera prima gli invasero la mente. 

L'aveva incastrata tra il tronco dell'albero e il suo corpo, non le aveva lasciato nessuna via di fuga. 
Voleva vederci chiaro in quella storia. 
"Perché mi eviti?" Le chiese di con la sua voce baritonale. 
"Perché nell'ultimo secolo mi sembri diversa?" Sussurrò "Perchè ho il sospetto che tu provi qualcosa per me che va oltre l'amicizia, Liz?" 
"È solo una tua impressione."
"Davvero?" Chiese lui mettendosi a ridere. "Perché io sono un dio, vedo tutto e sento tutto. Non posso essermi sbagliato." 
"Anche i migliori sbagliano, a volte." 
"Già. Ma io non sbaglio mai." Apollo incatenò i suoi occhi dorati con quelli color del mare di Elisabeth. 
Gli venne in mente del patto che sua sorella Artemide aveva stretto con suo padre per salvarlo da quella vita mortale. 
Lui doveva prendere moglie.
Quando l'aveva scoperto aveva subito pensato di sposarsi con una mezzosangue, di non renderla immortale, aspettare che invecchiasse e poi continuare con la sua vita come aveva sempre fatto.
Ma se avesse sposato un'immortale...
"Perché, se fosse davvero così, se ti dicessi che anche io provo qualcosa per te, tu cosa faresti?"
Apollo abbassò le iridi ambrate e, per un piccolo secondo, si chiese che sapore avessero le labbra dell'amica. 
"Apollo..." Chiese la ragazza. 
Il dio si avvicinò impercettibilmente a lei socchiudendo gli occhi. 
"Io non..." 
Attirata come da una calamita, lei ruotò leggermente il capo, chiudendo le palpebre.
Forse a causa dell'alcool, forse perché lo voleva fare da tempo, Apollo appoggiò delicatamente le labbra sulle sue.

Elisabeth sapeva di mare ed estate e le sue labbra erano fresche e salate.
Apollo fu il più delicato possibile, anche per godere appieno di quel momento speciale.

Non fu qualcosa di passionale o ardito, ma un semplice e timido sfiorarsi delle labbra. 
Fu qualcosa di piccolo è innocuo, ma entrambi sentirono i fuochi d'artificio esplodere dentro di loro. 
Si staccarono dopo poco e, quando lo fecero, Elisabeth abbassò lo sguardo, stordita.
"Apollo... Io... Noi non..." 
Lui le prese il viso tra le mani, con una delicatezza inaudita e fece aderire le loro fronti.
"Non dire niente, almeno non stasera." La pregò lui. 
Lei sembrò sul punto di voler ribattere, ma si trattenne da dire quello che le era passato in mente.
"Aspettavo da secoli questo momento, Liz." 
Disse con vice tremolante "Ma credevo di essere solo un amico per te." 
Lei sorrise "Non lo sei mai stato." 
Gli occhi di lui si illuminarono "Davvero?" 
"Davvero." 
Apollo sorrise ancora e, chiudendo gli occhi, fece aderire di nuovo le loro labbra. 

Un piccolo sorriso gli spuntò sulle labbra, andando ad aprirsi sempre di più. 

"Andiamo a ballare?" Chiese il dio quando interruppero il bacio. 
"Perché? Non hai ballato abbastanza con le tue oche?" 
"Cosa?" Chiese lui senza capire. 
"Hai ballato per mezz'ora con delle mortali, testa di legno." 
Apollo la guardò con uno strano luccichio divertito negli occhi per poi scoppiare a ridere. 
"Sei gelosa!" 
"Che?" Chiese lei arrossendo leggermente sulla punta delle orecchie, fortunatamente coperte dai capelli.
"Non fare la finta tonta, dolcezza. So che sei gelosa." Le disse accusatorio posandole l'indice sul petto.
"E poi non ci sarebbe niente di male, guardami! Come si fa a non essere gelosi di me?" 
"Sei veramente un idiota." Disse Elisabeth. 
Mai e poi mai avrebbe ammesso di aver provato un minimo di gelosia nei confronti del biondo con quelle mortali, e nemmeno con le altre oche semi divine che gli sbavavano dietro come se nulla fosse.
C'era il suo orgoglio in gioco, e non l'avrebbe mai ammesso davanti a nessuno. Specialmente davanti a quel coso che si ostinava a farsi  chiamare dio del Sole.
"Puoi dirlo che sei gelosa, non è mica colpa tua se sono così figo." 
Lei alzò gli occhi al cielo "Te lo ripeto per l'intima volta, io non sono gelosa. La gelosia è un sentimento che non ho mai provato e mai proverò per ne..."
Non riuscì a continuare, a causa delle labbra di Apollo che si erano posate nuovamente sulle sue. 
"D'accordo, tesoro, tu non sei gelosa. Ho capito." Disse Apollo ad un centimetro dal suo viso. 
Elisabeth sapeva che dopo una frase del genere la cazzata sarebbe arrivata, Apollo come lei era un tipo molto orgoglioso, ma non aveva idea che sarebbe stata così tanto idiota.
"Sei stata cotta a puntino dal Sole." 
Silenzio.
"L'hai capita? Io sono il sole e tu sei cotta di me." 

Scostò una ciocca di capelli dal viso della ragazza, e le passa un braccio intorno alla spalle, tenendola stretta.

"Vieni, dolcezza? Ti offro da bere." 
"Non credo sia una buona idea, tutti gli altri sono ubriachi e qualcuno dovrebbe rimanere sobrio insieme a Will e Nico per riportarli al Campo."
"Solo un bicchiere. Solo uno, promesso." 

Lei continuò a dormire tranquilla stringendosi inconsciamente a lui. 
Le sue palpebre tremolarono leggermente e aprì gli occhi. 
Quando vide il dio steso di fianco a lei per poco non prese un colpo. 
"Ma che...?" Balbettò alzandosi di scatto. 
"Shh, fai piano dolcezza, non vorrai svegliare gli altri." Sussurrò lui indicandole Percy e Annabeth che riposavano. 
"Cosa ci fai tu qui?" Gli chiese abbassando il tono di voce.
"Non lo so, tesoro, dimmelo tu." Rispose lui provocante. "Siamo mezzi nudi nel tuo letto, dopo una festa con molto alcool e dopo esserci baciati sotto le stelle." 
Elisabeth impallidì, perché quando abbassò lo sguardo vide che Apollo era a petto nudo.
"Abbiamo... Abbiamo fatto...?"
"Cosa?"
"Sesso?" Disse quasi sussurrando.
"No, se è questo che ti preoccupa. Sei crollata dal sonno subito dopo aver portato a letto la Pulce ubriaca e la sua ragazza." 
Disse lui sorridendo e scrollando le spalle.  "Peccato, sarà per la prossima volta." 
Lei lo fulminò con lo sguardo."Io non credo." 
Lui si strinse nelle spalle "Io ci ho provato." 

La figlia di Poseidone si passò una mano tra i capelli, imbarazzata.
"Tranquilla" disse il biondo "Ti lascerò tutto il tempo che vuoi. Non voglio metterti fretta."
Apollo si sporse verso di lei per baciarla, ma Elisabeth si scostò. 
"Cosa c'è, dolcezza? Credevo ti piacessi." 

"Devi dirmi la verità, giurami sullo Stige che lo farai." Disse seria cambiando completamente espressione.
Apollo aggrottò le sopracciglia, confuso.
"Che cosa?" 
"Per favore." Lo supplicò lei. 
Vedendola così seria, lui annuì."Giuro sullo Stige che ti dirò la verità, anche se non capisco cosa sta succedendo." 
"Davvero ci siamo baciati ieri?" 
"Si, perché me lo chiedi?" 
Lei abbassò lo sguardo, mortificata.
"Io non... Non ricordo niente." 

Fu come se un camion gli lo avesse appena investito. "Cosa?" 
"Non ricordo nulla. Solo Io te e i ragazzi che entravamo nel locale, nient'altro." 
Lo sguardo di Apollo si fece preoccupato "Quanto hai bevuto?" 
"Niente. Credo, non... Non me lo ricordo."
"Non è possibile." 
Apollo si mise a guardare intensamente una piega del lenzuolo "Tra tutti quelli che conosco tu sei quella che non beve  così tanto da dimenticare tutto." 
"Mi... Mi dispiace. Credo." 
Apollo si sentì colpevole, era stato lui a convincere la ragazza a bere più di un bicchiere.
Lui alzò lo sguardo di scatto, portando le sue iridi dorate a fissare intensamente il viso della ragazza. 
"Non devi dispiacerti, dolcezza. Questo vuol dire che anche tu ti sai lasciare andare, a volte." 
Lei annuì abbassando lo sguardo e abbracciando il cuscino. 
"Che cos'altro abbiamo fatto?" Chiese dopo un po'. 
"Abbiamo parlato, ci siamo divertiti." 
"Solo parlato?" 
"Si, non preoccuparti." Le sorrise 
"E poi..." aggiunse "Anche se avessimo fatto qualcosa ti saresti potuta vantare di essere stata con il sottoscritto." 
"Finiscila!" Elisabeth arrossì leggermente tirandogli subito il cuscino in faccia. 
"Ehi! Non è puoi tirare cuscinate ad un dio!" 
"Invece si!" 
Apollo sorrise ancora si più e le si lanciò addosso.
Elisabeth atterrò con la schiena sul materasso, Apollo era sopra di lei. 
"So che non ricordi quello che è successo, ma forse potrei aiutarti a ricordare, oppure a costruire nuovi ricordi su cui basarti." Le propose.
"E come pensi di fare?" 
"Potrei ripeterti quello che ti ho detto ieri sera, per esempio." Disse guardandola negli occhi "Potrei dirti che non mi sei indifferente, che provo qualcosa per te e che vorrei provare ad andare oltre il nostro rapporto di amicizia." 
Apollo abbassò il viso, portandolo sempre più vicino a quello di lei. 
"E se, per esempio io adesso ti baciassi..." continuò lui "Tu cosa faresti?" 
"Te lo lascerei fare." Sussurrò Elisabeth avvicinando il suo viso a quello del dio.
Quando Apollo la baciò fu anche meglio della prima volta. 
Le labbra salate sella ragazza sembravano essere state fatte appositamente per combaciare con le sue.

Apollo le abbracciò  i fianchi facendole inarcare la schiena nell'impeto di quel bacio che stavano già iniziando ad approfondire.
 I loro petti aderirono tra loro ed Elisabeth mugolò per le sensazioni che le faceva provare quel contatto.
Schiuse le labbra piano, lasciando che la lingua del dio potesse giocare con la sua.

Apollo le mordicchiò  il labbro inferiore con un sorriso e le accarezzò il corpo portando le sue mani sul suo collo e poi sulle guance.
Una carezza e la fece rabbrividire.
Si strinse ancora di più a lui ed Apollo sorrise, senza che quel bacio potesse finire.
Le le loro labbra si separarono con uno schiocco per un paio di secondi e si guardarono negli occhi per alcuni istanti, quei bellissimi occhi verdi e ambrati, prima di tornare a cercarsi, volersi e bramarsi più che mai.
Elisabeth affondò le mani nei suoi capelli e si lasciò andare con un sospiro stanco mentre con le sue braccia Apollo le circondò i fianchi e la portò ancora più vicina a lui.
Si staccarono sorridendo e la figlia di Poseidone guardò negli occhi del dio. 
Spostò lo sguardo sul suo petto allenato, che conteneva il suo respiro a fatica. 
Portò una mano sul suo capo, mettendosi a giocherellare con quei ricci disordinati.
"Ti ho aspettata per tre millenni, dolcezza, non credi dovremmo recuperare il tempo perso?" Le chiese Apollo maliziosamente prima di avventarsi sulle labbra della figlia di Poseidone.


Intanto, due occhi color del mare li fissavano, addolorati, dalla fontana al centro della stanza.

Angolo autrice: giorno bella gente! Eccoci qua. Allora, questo capitolo è incentrato sulla Elipollo (nome della ship coniata da @ValeGranger a proposito grazie ;) )
Non so se ho reso l'idea che Elisabeth ha bevuto così tanto da dimenticare tutto, se non si capisce mi dispiace, ma volevo far capire che è stata una super festa in cui tutti hanno bevuto fino a rincitrullulirsi completamente. E volevo anche mostrare un suo difetto: non regge per niente l'alcool. 
Ditemi che ne pensate, se avete consigli o idee io sono qui

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Capitolo 16
*** Sedici ***


Quel tardo mattino, quando Elisabeth si svegliò, l'altro lato del letto era vuoto e freddo. La figlia di Poseidone chiuse gli occhi. Non doveva essere tanto sorpresa, Apollo le aveva detto che doveva tornare nella sua cabina perché aveva promesso a Sun di insegnarle ad accordare la lira.

La ragazza si avvolse per bene nelle coperte poi, con gli occhi ancora chiusi, cercò con le dita il cuscino di Apollo e lo avvicinò al viso, decisa ad affondarvi e respirare il profumo del suo ragazzo.

"Il mio ragazzo" pensò sorridendo mentre si lasciava cadere sul morbido cuscino...

Qualcosa di freddo le graffiò il volto.

Aprì gli occhi di scatto, la mano pronta ad afferrare l'anello appoggiato sul comodino di fianco al letto. 
Guardò il cuscino. Sopra c'era una busta verde. 
Aveva ancora mal di testa, segno che veramente la sera prima aveva bevuto parecchio.
Elisabeth la aprì e lesse con fatica la lettera, sgranando sempre di più gli occhi a mano a mano che procedeva con la lettura.


"Ti sei alzata presto stamattina." Commentò Percy mentre si infilava in bocca un'intero muffin blu.
Elisabeth annuì distrattamente e si passò una mano sulla fronte. 
"Potresti smetterla di urlare?" Chiese.
Percy la guardò confuso. "Ehm... Non sto urlando."
"Allora credo di aver bevuto troppo." 
"Non hai preso un po' di ambrosia?" 
Lei scosse la testa. 
Percy le porse due quadratini del cibo dorato,  e la ragazza li ingoiò in due secondi. "Grazie" disse iniziando già a sentirsi meglio.
"Ora che non hai più la mente annebbiata, mi diresti perché Annabeth mi ha detto che stamattina ha aperto gli occhi per alcuni secondi e ha visto te e Apollo nel tuo letto?"
"E perché tu eri con Annabeth?" 
"È la mia ragazza." 
"Sei troppo piccolo per fare certe cose Pierce." Commentò lei. 
"Guarda che ho diciotto anni, sorellina. Tu ne hai sedici, sono io quello che ti deve controllare." 
"Sono sedici solo esteriormente." 
"Fatto sta che sembro più grande di te." Disse lui sfoggiando un sorriso "E sono molto più figo." 
"Certo Pierce, certo." 
Seguirono degli attimi di silenzio in cui Percy tornò ad abbuffarsi, Elisabeth spostò lo sguardo verso il tavolo di Apollo, guardandolo di sottecchi. 
Sembrava così felice con i suoi figli, con la sua famiglia. 
Lui quando si accorse che lo stava guardando le sorrise con calore e lei ricambiò. 
"Allora?" Chiese Percy.
"Allora cosa?"
"Perché tu e Zio Pollo eravate insieme?" 
"E perché tu non ti fai gli affari tuoi?" Chiese di rimando lei.
Lui le fece la linguaccia "Rompiscatole." 
Elisabeth si strinse nelle spalle "Io non ti chiedo mica perché tu e Annabeth fate certe cose." 
"Ma con zio Pollo è diverso. Insomma... É di Pollo che stiamo parlando!" 
"Pierce?"
"Si sorellina?" 
"Papà ci ha invitati a cena stasera."
Percy per poco non si strozzò con il succo ai mirtilli che stava bevendo. 
"Che?" 
"Papà ci ha invitati a cena con lui, Anfitrite e Tritone." Ripeté lei.
"Che?" 
"Ho detto che papà..."
"Ho capito che cos'hai detto!" Sbottò lui. 
"Ma non riesco a... Perché proprio adesso..." Cominciò a balbettare. "E Tritone..."
"Sono scioccata quanto te. È per questo che mi sono alzata presto." 
"Ma perché? Voglio dire, è grandioso che papà ci abbia invitato, ma perché con Tritone?"
"Perché è il primogenito che ha avuto da sua moglie, il suo erede... Cosa che dovrei essere io visto che sono nata prima di lui." Borbottò lei. 
"Dove ceneremo?" 
"Qui vicino, in un ristorantino sulla spiaggia." Rispose guardando il piatto.
"E Tritone come farà a..."
"Avrà le gambe." 
"Ovviamente." Sbottò Percy. 

Qualcuno fischiò dal tavolo di Apollo. 
Io dio era in piedi e faceva segno alla ragazza di raggiungerlo. 
Lei alzò gli occhi al cielo e annuì.
Elisabeth si infilò una mano un tasca, tirando fuori la busta incriminata un po' spiegazzata e la porse al fratello. "Leggi." 

Cari ragazzi miei, 
Lo so che forse per voi non è il momento più adatto, ma ci farebbe piacere (a me, vostro fratello e la vostra matrigna) di cenare con voi. 
Pertanto vi aspetto stasera alle otto in punto davanti all'entrata del ristorante proprio fuori a Long Island. 

P.S. Liz, se tu e Apollo dovete fare quello che fate, vi prego di non farlo davanti a me come stamattina. 
Poseidone.

Erano le otto meno un minuto.
I due Jackson erano davanti all'entrata del ristorante.
Percy indossava un'elegante camicia blu e i pantaloni, da quanto ci passava le mani sopra a causa del nervosismo, avevano fatto arrossare e indurire leggermente la pelle delle sue mani.
Elisabeth aveva messo un vestito dello stesso colore della camicia del fratello e continuava a lisciarsi e arrotolare i capelli per la tensione.
"Quanto manca?" Chiese.
"Sono le 19.59." Rispose lui come se lo avesse già fatto due secondi prima.
"E adesso?" 
"Sono passati solo pochi secondi." 

"Per gli dei, Percy smettila di strisciare le mani sui pantaloni!" Sbottò lei.
"E tu allora piantala di toccarti i capelli!" 

"Secondo te verranno sul serio?" 
"Spero di no ma credo di si." 

"Sono le otto." 
"Già"
"Ragazzi miei!" 
Una voce li fece girare. 
Davanti al loro c'era una macchina nera da cui era sceso un uomo dai capelli e la barba neri, gli occhi verdi e la pelle abbronzata. 
Indossava una delle sue camicie strampalate e i suoi pantaloncini color cachi. 
Stava aiutando a scendere dal veicolo una bellissima donna dai capelli scuri, un bel vestito verde le fasciava il corpo. 
L'ultimo che uscì dall'auto fu un ragazzo.
Immaginatevi di sentire la solita musica che parte nei film quando i protagonisti fanno la loro entrata spettacolare poi aggiungete un po' di brezza marina. 
Aggiungete un bel ragazzo, molto simile a Percy, che indossava una bella camicia bianca e che, cosa più importante, non era verde o ricoperto di squame. 
Anfitrite si avvicinò ad Elisabeth insieme al marito. 
"Lissandra." Salutò la nereide. 
"Anfitrite." Le sorrise la ragazza. 
"È passato tanto tempo Liz." Disse il padre. 
Lei abbassò gli occhi per non incrociarli con quelli del dio "Già." 
"Ciao Percy." Poseidone si rivolse al figlio minore.
"Ciao papà." Disse Percy mentre il padre si avvicinava per abbracciarlo. 
Quando si staccarono Percy sorrise alla matrigna "Grazie per i biscotti che mi hai mandato. Erano ottimi." 
Lei gli sorrise "Volevo farti capire che non sono come la matrigna cattiva delle favole mortali." 
Sia padre che sorella lo guardarono straniti. Lui si strinse nelle spalle "Anfitrite mi ha mandato dei biscotti al cioccolato l'ultimo giorno di scuola." 
"A me non hai mai fatto i biscotti al cioccolato, mi fai solo quelli con i cereali di Demetra!" Si lamentò Poseidone.
"Tu non li hai mai chiesti." Si limitò a rispondere la moglie. 
Percy scoppiò a ridere e poco dopo Poseidone si unì a lui.
Elisabeth sorrise e spostò lo sguardo verso il fratellastro che era appena sceso dal veicolo.
Tritone era raggiante e sprigionava un senso di superiorità da tutti i pori.
Inchiodò subito i suoi occhi in quelli di Percy e i due iniziarono una muta lotta di sguardi d'odio puro, nessuno si azzardava ad abbassare lo sguardo.
Percy strinse impercettibilmente i pugni e Tritone indurì la mascella.
Elisabeth, che si era accorta della guerra in corso, fece segno al padre di intervenire prima che i due combinassero qualche pasticcio. 
Poseidone, allora, mise una mano su una spalla di Percy e una su quella di Tritone, interrompendo il contatto tra i due "Che ne dite di andare a mangiare?"
Angolo me: buona sera! Piaciuto il capitolo? Ho modificato il titolo della storia con Blood Brothers. Bene, vi avviso già che nel prossimo Tritone e Percy faranno a botte e ci sarà un colpo di scena, quindi preparatevi. Ditemi che ne pensate e se avete consigli!

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Capitolo 17
*** Diciassette ***


"Cosa vi posso portare signori?" 
Il tavolo prenotato dal dio del mare si trovava su una terrazza scoperta che dava sulla spiaggia, era in una angolino leggermente più appartato ed era il tavolo più vicino al mare. 
Il profumo inebriante del mare riempiva le narici dei commensali e faceva sentire a casa i nostri protagonisti.
Poseidone sorrise alla moglie. "Prego mia cara." 
La cameriera era in attesa. 
Tutti fecero i loro ordini ma, quando fu il turno di Tritone lui le sorrise "Che ne dici delle tue labbra?" 
La ragazza, così come i genitori di lui, spalancò gli occhi, stava anche per rispondergli per le rime, ma la figlia di Poseidone la precedette forse salvandola dall' eventuale ira del dio. 
"Perdonalo..." Diede un'occhiata alla piastrina sulla maglietta della ragazza "...Stacy. Mio fratello non sa quando chiudere la bocca e masticarsi la lingua." Disse con un sorriso smagliante fissando il fratellastro negli occhi in segno di sfida a contraddirla. "E comunque, per rispondere alla tua domanda: si può avere una porzione di quel meraviglioso tritone che era sul menù?" 

A portare i piatti ai nostri commensali fu un giovane cameriere, che sicuramente aveva fatto a cambio con la povera Stacy. 
Servì egregiamente tutti e, riempiti i loro calici con un pregiato vino rosso proveniente dalla personale cantina di Dioniso e gentilmente fornito da Ermes (cosa che il dio del vino non dovrà mai sapere), augurò buon appetito e se ne andò. 
"Anfitrite" Percy richiamò l'attenzione della matrigna "Mia madre voleva sapere la ricetta dei tuoi biscotti." 
La donna sorrise "Gliela darò senz'altro. A patto che lei mi dia la sua ricetta dei suoi biscotti blu, credo che potrebbero piacere molto a tuo padre." 
"Si! Biscotti!" Esultò il dio del mare "Basta con quella robaccia di Demetra." 
Le carote che erano nel suo piatto gli saltarono (si, ho detto saltarono) dritte in faccia. 
"Puah!" Poseidone si rivolse furioso alle carote che ormai erano sparse un po' dappertutto "Demetra" ringhiò. "Non è colpa mia se ormai tutto l'Olimpo si è stufato dei tuoi stupidì cereali!" 
La bocca di Poseidone, ancora aperta dopo aver parlato, venne riempita magicamente da un sacco di cereali, che lui sputò nel piatto borbottando insulti contro la sorella. 

"Percy, ho saputo che tu sei iscritto all'università di Nuova Roma." Disse Anfitrite "In cosa vorresti laurearti?" 
"Annabeth vuole fare architettura, ovviamente, io invece ci ho pensato molto e ho deciso di studiare lettere." 
"Scusami, figliolo, ti senti bene per caso?" Chiese Poseidone evidentemente preoccupato.
"No perché ?"
"Non volevi fare zoologia marina?" 
"Si, ma poi ci ho riflettuto parecchio. Voglio fare lettere e poi vorrei insegnare mitologia greca e romana." 
"Percy, sei sicuro? Non ti piacerebbe studiare gli animali del nostro regno?" 
"Si. E poi posso farlo comunque. Mi sono iscritto ad un corso facoltativo sulla vita negli oceani, ma perché studiare gli animali da un libro quando posso parlare con loro?"
"Saggia risposta. Forse, in fondo, Annabeth Chase costituisce un buon esempio di vita per te." Conclude suo padre con un sorriso. 
"La figlia di Atena?" Chiese Tritone "Padre, come puoi permettere che un tuo discendente mischi il nostro sangue con quello della dea della saggezza?" 
"Come osi parlare di lei in questo modo?" Chiese Percy alzando la voce. 
"Come osi tu sporcare il nome della famiglia stando con una così!" 
"Tritone." Fu la voce glaciale di Anfitrite a far fermare immediatamente il ragazzo. "Non hai il tuo pesce da mangiare?" 
Tritone spalancò gli occhi, incredulo che la madre potesse mettersi contro di lui. 
Ma non osò contraddirla e iniziò a mangiare in silenzio maledicendo mentalmente i due Jackson. 
"Ho conosciuto la ragazza. Annabeth è una persona dal cuore puro, è una delle donne più coraggiose che abbia mai conosciuto nell'ultimo secolo. Percy, tienitela stretta." Disse sorridendo al figliastro. 
Lui sorrise a sua volta e si riempì la bocca con il suo hamburger. 

Si parlò del più e del meno, finché non finirono il cibo nei loro piatti e il vino nella bottiglia. 

"Allora, fratellino, come te la passi?" Chiese Tritone ad un certo punto rivolgendosi a Percy e pronunciando con disprezzo la parola fratellino.
"Non c'è male sai, ho salvato il mondo due volte mentre tu giocavi con i soldatini e suonavi la tua trombetta." 
Elisabeth scoppiò a ridere e batté il cinque al fratello. Poseidone si lasciò scappare un sorriso, ma sparì subito dopo un'occhiataccia della moglie.
"Bé si dà il caso che io sia il capo di quei soldatini e che quindi io, al contrario di te, sia il luogotenente del mio divino padre. Il suo secondo..." E aggiunse guardando la sorella "E si dà il caso che sia anche il suo erede." 
"Tu brutto pesce..." Iniziò a dire Elisabeth, ma fu prontamente fermata da Percy che sorrise a Tritone. 
"Si dà il caso, fratello, che quando gli dei mi hanno offerto l'immortalità mi hanno anche offerto di prendere il tuo posto. Quindi mi sembra che tu non sia così bravo se papà cerca un sostituto ..."
"Senti, mortale, non osare mancarmi di rispetto..." Iniziò a dire con tono alterato Tritone che però fu interrotto da Elisabeth "Tritone, perché non mangi il tritone che hai nel piatto? Non vorrai dirmi che ti piace sprecare il cibo." 
"Oh, adesso ti ci metti anche tu?" 
"Ho solo fatto una considerazione." 
"Secondo me invece lo hai detto apposta." 
"Infatti, tu non stai mangiando. Cosa si prova a masticare un tuo omonimo?" Disse Elisabeth incrociando le braccia al petto. 
Tritone strinse con forza le posate tra le dita.
"Adesso basta!" Sbottò Poseidone. "Questa è una cena in famiglia, quindi cercate di comportarvi come tale."

Tritone assottigliò gli occhi, ma non proferì parola dopo aver visto l'occhiataccia tagliente della madre con cui gli ordinava di tacere. 

"Credo sia ora di ordinare il dolce."  Disse Anfitrite facendo segno al cameriere di  portare via i piatti vuoti. 
"Se non ti dispiace, madre, andrei a vedere il banco dei dolci, potrei anche ordinare per voi." Si offrì Tritone. 
"Possiamo scegliere da soli." Disse subito Percy sospettando che il fratellastro volesse vendicarsi in qualche modo. 
"Ma non mi sembra educato alzarci tutto insieme." Rispose Tritone. 
Poseidone gli fece un segno affermativo "Vai pure, sono certo che quello che sceglierai piacerà a tutti." 
Il dio più giovane sorrise e si alzò, avviandosi verso il banco dei dolci. 
Tornò poco dopo, insieme a due camerieri che trasportarono i piatti. 
"Buon appetito" augurarono prima di andarsene. 
"Liz, non mangi?" Chiese suo padre.
Quando Elisabeth vide il suo dolce scoccò un'occhiata furente al fratellastro. 
<> pensò lei.
Lui la guardò come per rispondere <>

"E questi che cosa sono?" Chiese additando le piccole palline viola riposte in una vaschetta e cosparse di panna. 
"Mirtilli." Rispose l'altro tranquillo. "Sai, quei fruttini di bosco che crescono da delle piante che vivono a raso terra..."
"So che che cosa sono i mirtilli, idiota!" 
"E allora qual'é il problema?" 
"Lo sai benissimo." 
"Invece no." Disse con aria innocente ma con gli occhi che lampeggiavano divertiti.
"Sei veramente uno stronzo." 
"Padre, tua figlia ha detto che sono stronzo." 
"Oh ho sentito benissimo." Rispose Poseidone "Ma vedi, questa volta devo darle ragione." 
"Che cosa?" 
"Credi che mi sia dimenticata della volta in cui hai provato ad ammazzarmi?" 
"Ero solo un bambino, non lo sapevo mica!" 
"Scusate, di cosa state parlando?" Chiese Percy confuso.
"Quando Tritone aveva dieci anni ha nascosto dei mirtilli nella mia macedonia e io li ho mangiati tutti." Disse Elisabeth guardando storto il fratellastro "Solo che io sono altamente allergica. È stata una fortuna che Apollo fosse nei paraggi, perché senza di lui sarei morta a causa di questo stupido frutto." 
"Avevo solo dieci anni, come potevo saperlo?" 
"Forse perché te l'ho detto io il giorno prima?" Chiese retorica.
"L'abbiamo messo subito in punizione, comunque. Gli abbiamo requisito il suo corno." Disse Anfitrite. "E lo faremo di nuovo quando torneremo a casa, stasera." 
"Che cosa?"
"Hai di nuovo dato quei mirtilli a tua sorella. Se non hai imparato la lezione non è colpa mia."
"Ma madre..." 
"Niente ma Tritone." 
"Non è mica colpa mia se è allergica." Borbottò lui masticando le parole.

"Comunque, Percy, tu e Annabeth vi trovate bene, vero?" Chiese Poseidone
"Si, molto... Perché questa domanda?" 
"Solo perché volevo dirti che sia io che Atena approviamo." 
Il viso di Percy sì illuminò "Davvero?" 
Il padre sorrise "Davvero." Disse Poseidone guardando Percy con aria complice e ignorando le occhiate confuse degli altri commensali. 
"La Vecchia Gufa ha ammesso che siete una coppia perfetta. E quindi abbiamo pensato di darvi questo" disse il dio porgendogli una scatolina di velluto grigia. 
Percy spalancò gli occhi "G-Grazie... Wow!" 
"Afrodite ha ragione, la Percabeth regna." Disse Poseidone.

Percy aggrottò la fronte "La che?"
"Oh, niente. Una cosa di Afrodite." Minimizzò il dio. 
"Adesso" puntò il dito verso la figlia "Parliamo un po' di quello che ho visto stamattina." 
Elisabeth si sentì invadere dalla paura. Quanto aveva visto suo padre?
"Ehm..." 
"Quando pensavi di dirmelo che tu e Apollo state insieme?" 
Tritone si soffocò. "Che cosa?" 
"Io... Ecco... È una cosa recente..." 
"Soprattutto, perché non mi hai detto che è una cosa seria?" 
"Seria? Stiamo insieme solo da un giorno... Non mi sembra..." 
"Lui ti ha baciata." 
"Si..." 
"Allora è una cosa seria." Disse Poseidone "Nessuno può baciare la mia bambina se non è una cosa seria." 
"Hei!" Sbottarono Percy e Tritone "A me non l'hai detto questo!" 
Poseidone li guardò male "Voi siete maschi. Ai maschi non servono questi discorsi. A Bentesicima e Rode l'ho detto." 
"Comunque... Spero tu sappia che Apollo è un rubacuori e che cambia la fidanzata una volta ogni due settimane."
"Papà..." 
"Perché se ti molla per un'umana adesso che è mortale lo incenerisco." 
"Non credo che la mollerà." Disse Tritone.
Poseidone voltò lo sguardo verso il figlio.
"Come?" 
"Sta cercando una moglie." Disse masticando una fetta di torta "Quindi se non ti chiede di sposarti non ho la più pallida idea del perché si sia messo con te." 
Ad Elisabeth mancò un battito "Che cosa?" Chiese a fil di voce. 
"Deve sposarsi e sta cercando una moglie. Le notizie girano sull'Olimpo. Si dice che Zeus gli abbia messo questa condizione per accorciargli la pena. Ha ancora due mesi per sposarsi."
Guardò la sorella "Non lo sapevi? Credevo te lo avesse detto." 
"No." La ragazza sentì come una pugnalata nel petto. "Non me lo aveva detto." 
"Beh, ora lo sai." Disse Tritone con una punta di soddisfazione nella voce. "Cosa si prova ad essere usati in questo modo, sorella?" 
Elisabeth sentì un macigno posarsi non molto elegantemente sul suo petto. 

"Papá? Posso tornare a casa?" Chiese con un sussurro.
"Certo ma... Non vuoi tornare al campo?" 
"Vorrei stare a casa per un po'."
"Come desideri. Percy?" 
"Io torno al campo." 
"Credo sia ora di salutarci." Disse Anfitrite "È tardi." 
Tutti si alzarono da tavola, incamminandosi verso la spiaggia. 
Poseidone, Anfitrite, Tritone e Elisabeth immersero i piedi in acqua. 
"Liz?" Chiamò Percy. "Puoi venire un momento?" 
Lei sorrise e gli si avvicinò, incoraggiata dal padre.
"Anche se Apollo è un dio, vuoi che lo picchi?" 
Lei sorrise "No. Non dirgli nulla."
"Cosa?" 
"Ti prego. Se chiede spiegazioni inventati qualcosa." 
"Ma..."
"Per Favore." 
"Solo perché me lo chiedi tu." Disse.
"Mi mancherai." Disse abbracciandola. 
"Non starò via molto." 
Gli baciò la fronte "Ci vediamo Fratellino." 
"Ciao Liz."
Elisabeth si avviò verso l'acqua e si voltò per guardare il fratello. 
Anche lei, come gli altri, sparì inghiottita dai flutti.

Ciao!! Eccoci qui con una nuova parte della storia. Cena in famiglia, che ne pensate?
Tritone fa lo stronzo e guardate come si mettono le cose... 
Beh, alla prossima! Ditemi che ne pensate! ;)

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Capitolo 18
*** Diciotto ***


Elisabeth chiuse la porta della sua stanza con forza. 
Si guardò intorno; quelle pareti così familiari, l'odore salmastro che l'aveva sempre caratterizzata, tutto l'ambiente le faceva pensare ad una sola parola "casa". 
Nuotò velocemente verso il letto, sdraiandocisi immediatamente e avvolgendosi nelle coperte. 
Tutte quelle attenzioni improvvise, la dichiarazione detta così da un giorno all'altro... Voleva solo salvarsi il culo.
Elisabeth sentì le lacrime formarsi nei suoi occhi, pronte a scendere sulle guance. 
Rimase lì a letto per due giorni, gentili sirene le portavano del cibo ogni ora, ma lei rifiutava sembra tutto e tutti e rimaneva lì a letto.

Qualcuno bussò alla porta.
"Va via." Disse stupendosi del tremolio nella sua voce. 
La porta si aprì lo stesso è una testa corvina fece capolino. 
"Ho detto fuori, idiota." Ringhiò al fratellastro. 
"Senti, voglio solo chiederti scusa." Disse lui alzando le mani in segno di pace. 
Il suo petto tonico era stato di nuovo spogliato dagli indumenti terrestri e le squame della coda mandavano tenui riflessi verdi.  
Lei sbatté le palpebre, perplessa. "Come hai detto?" 
"Senti" Tritone nuotò veloce verso di lei e si sedette sul letto. "Ho sbagliato, lo so."
"Chi ti ha detto che puoi sederti?" Lo interruppe.
Lui alzò gli occhi al cielo e si alzò, rimanendo in piedi davanti a lei.
"Non dovevo dire quelle cose." Ricominciò Tritone "Ti ho fatto male, ma non era una cosa intenzionale." 
"Certo come no." 
"Dico sul serio! Siamo fratelli, credevo che fosse normale punzecchiarci di continuo." 
"Punzecchiarci è una cosa, Tritone, spezzare il cuore a tua sorella è un'altra."
"Io... Non volevo farti male sul serio." 
Lei sbuffò e si girò dall'altra parte.
"Ascolta, non è una cosa semplice fare questo discorso proprio con te, quindi cerca di collaborare un po'." Sbottò lui sedendosi di nuovo e ignorando le imprecazioni di Elisabeth disse "Quello che voglio dire è che da quando sono nato noi due ci siamo sempre fatti scherzi e dispetti, abbiamo litigato così tante volte che ormai ho perso il conto."
"Ti ha mandato papà?" Chiese lei.
Lui la guardò perplesso. "No. Lui non sa nemmeno che io sono qui." 
"E allora perché diavolo sei venuto?" 
"È quello che sto cercando di dirti! Voglio chiederti scusa. Mi dispiace." 
"Tu mi odi." Ribatté lei.
"Cosa? No. Io non ti odio, non ti ho mai odiato." 
"Certo, adesso mi dirai anche che Roda E Bentesicima non sono oche e che gli asini volano." 
"Non sto scherzando! Credevo lo sapessi." 
"Tu non mi sopporti, ogni volta che mi vedi devi sputtanarmi." 
"Lo faccio solo perché se non ti do fastidio tu non mi consideri minimamente!" Urlò lui. "Tu non vieni qui a Palazzo quasi mai e quando vieni non mi guardi minimamente a meno che io non ti dia fastidio. L'ho fatto solo perché volevo stare con mia sorella. 
Tu sei sempre stata un esempio, ed eri la maggiore. Tutti sanno che i fratelli più piccoli vedono i maggiori come degli idoli." Tritone guardò la sua coda, troppo imbarazzato dalle sue parole per guardare negli occhi la sorellastra. 
"Cosa? Io non ti guardavo perché se lo facevo tu mi avresti fattori delle cattiverie." Disse lei. "Ma perché non me l'hai mai detto?"
"Ormai eravamo famosi in tutto l'Olimpo per i nostri battibecchi, che figura ci avrei fatto?" 
Si strinse nelle spalle. 
"Ma io, nel profondo del mio cuore, in un angolino dimenticato, nel luogo del mio cuore in cui nessuno andrebbe a guardare, ti voglio bene. E rimetterò le cose a posto. Lo giuro sullo Stige." 
Disse abbassando lo sguardo e nuotando verso la porta.
Elisabeth rimase sorpresa. Aveva occhi e bocca spalancati. Dopo un po' di tempo si riscosse. "Tritone." Lo chiamò "Ti voglio bene anche io."

Percy aprì gli occhi convinto che ci fosse qualcuno che bussava nella sua testa. 
Si passò una mano tra i capelli e si accorse che stavano bussando non nella sua testa,  ma sulla porta. E anche con insistenza. 
Spostò lo sguardo sull'orologio appeso alla parete e sgranò gli occhi. 
11.50 
Annabeth l'avrebbe ucciso, avrebbero dovuto vedersi davanti al lago delle canoe per andare insieme a colazione circa... Tre ore prima. 
Si alzò dal letto inciampando nel lenzuolo e finì per terra, rotolò velocemente verso la porta e, ancora steso sul pavimento, aprì la porta. 
"Annabeth mi dispiace! Non mi sono svegliato..." 
Si trovò davanti una zazzera di capelli biondi, ma il problema era che il padrone di quei capelli non era Annabeth, ma il dio dagli occhi d'ambra.
"Apollo."
"Ehm... Ciao Pulce. Non sono Annabeth... C'è Liz?" 
Percy si alzò velocemente in piedi e strinse i pugni. 
"Liz?" Chiese assottigliando gli occhi. 
"Si... Tua sorella." 
"Non c'è." Disse asciutto cercando di chiudere la porta. 
"Come non c'è?" Chiese Apollo fermando la porta con un piede. 
"Non è qui." Percy si girò è andò verso l'armadio. 
"E allora dov'è?" Chiese il dio seguendolo.
"Da papà." Il figlio di Poseidone prese una maglietta del campo e se la infilò. 
"È quando torna?" 
"Non lo so. Annabeth mi aspetta." 
Percy infilò la porta e uscì.
"Percy aspetta!"
"Cosa vuoi?" Chiese brusco. 
"Che cos'è successo? Perché hai detto che Liz non torna?"
"Ha deciso di prendersi una pausa." 
Apollo lo guardò interrogativo "Da cosa vuole prendersi una pausa, esattamente?" 
Percy gli si avvicinò minacciosamente, cosa che non aveva mai fatto, e lo guardò dritto negli occhi "Non mi importa se sei un dio, se fosse per me ti avrei già preso a pugni. Ringrazia che Liz ci tenga a te e rifletti sulle tue azioni." Ringhiò prima di andarsene con ampie falcate verso la casa di Atena. 
Apollo rimase lì, immobile come una statua e con la bocca aperta, fermo a chiedersi cosa diavolo avesse fatto di sbagliato.

Percy continuò a camminare impettito finché qualcuno non lo prese per un braccio e lo fece cadere dietro ad un cespuglio. 
"Ma che diavolo?" 
"Shhh!" Gli intimarono un paio di occhi azzurri. 
"Guarda e taci Jackson!" Disse Jason indicandogli due figure poco più avanti. Percy si sporse leggermente oltre al cespuglio ancora senza capire niente e vide Will e Nico litigare. 
Il figlio del Pollo, infatti, stava alzando la voce con il figlio di Ade. 
"Tu non hai ancora capito che non puoi più viaggiare nell'ombra? Ti fa male!" 
"Basta, Will. Non voglio più sentirti." 
"E allora smetti di fare i tuoi viaggi-ombra." 
"Guardali!" Disse Jason "Non sono una coppia perfetta?" 
"Sai una cosa? Vai all'Inferno, Solace." Disse Nico con stizza. 
Tutto a un tratto Will sbiancò. Poi iniziò a balbettare e prese Nico per un braccio "Ma sei fuori?" Gli urlò praticamente nelle orecchie "Non sono ancora pronto a conoscere tuo padre!" 
Nico si fermò e pensò alle parole appena dette, poi sbiancò anche lui "Ma cos'hai capito! Ti stavo mandando a fanculo, Solace!"
"Oh..." Disse Will un po' deluso "Quindi non vorrai presentarmi a tuo padre un giorno?" 
Nico arrossì violentemente "Cos... Si! Cioè no! In realtà... Ma che diavolo dici Will!" 
"Hai visto che carini che sono?" Chiese di nuovo Jason a Percy mentre gli strattonava il braccio. 
"A me sembra che stiano litigando." 
"Ma sono dolcissimi! Dobbiamo farli mettere insieme!"
"Veramente io dovrei andare da Annabeth..." Disse Percy.
"Da Annabeth ci andrai più tardi." Disse Jason autoritario. 
"Diamo inizio alla Missione Solangelo." 

Quando Percy riuscì ad andare dalla sua ragazza, era ormai sera inoltrata. Aveva un grande livido violaceo sulla spalla (colpa di Nico) e tutta la maglietta bruciacchiata (colpa di Jason). 
Il figlio di Giove infatti lo aveva trascinato un po' per tutto il campo "per fare una sorpresa ai Solangelo", sue testuali parole.
Il problema è che Nico, dopo averli scoperti e facendo finta di non sentire gli ammonimenti di Will, ha ordinato ad una decina di scheletri di inseguirli e Jason (che poi ha anche sbagliato mira) ha evocato un fulmine prendendo, però, Percy in pieno. 
Così, ecco il nostro figlio di Poseidone avanzare vittorioso (più o meno) verso Annabeth, la quale gli ha concesso un'altra possibilità di incontrarsi al molo. 
"Ciao... Miei dei Percy che ti è successo?" Chiese inquisitoria dopo aver visto lo stato in cui il suo ragazzo era conciato. 
"Sto bene, tutta colpa della Missione Solangelo." 
"La che?"
"Lascia stare." Disse Percy sospirando. 
"Io... Devo dirti una cosa." 
"Ti ascolto." Disse lei aprendo le sue labbra in un dolce sorriso. 
"Dovevo dirtelo stamattina ma non mi sono svegliato, poi è arrivato Apollo , dopo c'è stato stato Jason e io adesso non so più dove trovare il coraggio per dirtelo." Disse Percy scoraggiato.
"È una cosa brutta, quella che devi dirmi?" Chiese lei iniziando a preoccuparsi.
"Cosa? No! Io... Forse." 
"Allora dimmi." 
"Annabeth... Ci ho pensato molto in questi giorni." Disse lui prendendo un respiro profondo "E mi sono accorto che il tuo cognome non ti sta proprio bene, anzi. Fa proprio schifo." Disse lui con gli occhi che brillavano.
Annabeth spalancò gli occhi, offesa "Ma che cosa stai blaterando?" 
"Sai Annabeth? Chase è insensibile vicino al tuo nome, forse anche impronunciabile."
"Percy... Ti senti bene? Hai per caso preso un'altra zoccolata in testa da Blackjack?" Chiese lei adesso preoccupata sul serio. 
"Sto benissimo. Ma ti stavo dicendo che il tuo cognome non mi piace proprio, secondo me dovresti cambiarlo." Disse lui iniziando ad allontanarsi da lei ad andare verso la fine del molo.
"Cosa?" Chiese la figlia di Atena ora più confusa che mai. 
"Potresti, che so, cambiarlo in Jackson per esempio." Disse lui prima di tuffarsi nel laghetto. 
E Annabeth rimase lì, per poi spalancare gli occhi e correre verso l'acqua.
"Tu mi hai... Mi hai appena...? Jackson vieni subito qui!" Urlò rivolta all'acqua.
"Conterò fino a tre! Uno..." Gridò imperiosa "...Due... Tr..." 
Percy sgusciò fuori dal lago per posare le labbra su quelle della bionda e si appoggiò sul legno del molo con le braccia.
Quando si staccarono entrambi sorridevano come bambini. 
"Allora, Ragazza Saggia?" 
"Allora cosa?" 
"Che mi rispondi?" 
"Non mi hai fatto nessuna domanda, perciò io non sono tenuta a darti nessuna risposta." Disse lei maliziosa. "O me lo chiedi come si deve o io non rispondo, Testa d'Alghe." 
Lui alzò gli occhi al cielo e sorrise. 
Uscì dall'acqua e sì inginocchiò "Allora credo che darti questo sia d'obbligo." Disse mentre prendeva la scatolina di velluto che gli era rimasta tutto il giorno in tasca.
Annabeth si mise le mani davanti alla bocca "Pery non dovevi..." 
"È un regalo dai nostri genitori." 
"Che Cos..." 
"Annabeth Chase" la interruppe aprendo la scatolina "Vuoi diventare mia moglie?"
"Percy io..." 
"Lo so che forse siamo troppo giovani, ma siamo semidei Annabeth, ne abbiamo passate tante e potremmo morire da un giorno all'altro. Io voglio passare ogni attimo che rimane della mia vita al tuo fianco..."
"Si!"
"Hai detto sì?" 
"Ho detto sì, Testa d'Alghe!" Disse lei buttandogli le braccia al collo. 
"Avete sentito ragazzi?" Urlò una voce che entrambi conoscevano bene. 
Una ventina di ragazzi, tra cui tutti i loro amici, capeggiati da Clarisse uscirono a dietro ai cespugli. 
"I due piccioncini si sposano!" 
"Oh non di nuovo Clare!" Si lamentò Percy mentre la figlia di Ares correva verso di loro. 
"Dobbiamo festeggiare e voi siete anche già  qui al lago." Disse lei mentre si caricava, insieme a tutti gli altri, la coppia sulle spalle. 
Annabeth e Percy , così come la prima volta si tennero per mano finché no vennero lanciati in acqua.
E il bacio che ne seguì fu ancora meglio del precedente.

Angolo autrice: buona sera ;) ecco il cap. 18. 
Che ne pensate Tritone? E di zio Pollo? 
Annabeth e Percy... Il fidanzamento!!! Perchabeth!!! 
Bien! Ci vediamo

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Capitolo 19
*** Diciannove ***


È curioso il modo in cui, la maggior parte delle volte, scelte insignificanti e magari prese senza pensare alle conseguenze che ne seguiranno possano creare così tanti problemi.
Certe volte si prendono decisioni prese alla leggera ed è proprio questo prenderle alla leggera la causa di tutti i problemi che si presenteranno in seguito.
Apollo non aveva la più pallida idea del perché il cugino gli avesse ringhiato contro in quel modo quella mattina, e non riusciva nemmeno a capire il senso delle parole da lui pronunciate il giorno prima. 
Non sapeva nemmeno il motivo per cui Elisabeth avesse deciso di andarsene con così poco preavviso, proprio nel momento in cui le cose tra loro avevano cominciato a funzionare. 
'Cioè sono magnifico! Perché se n'è andata?'
In quel momento il dio era seduto sul muretto vicino al laghetto delle canoe  insieme a Sun. La bambina stava cercando di prendere il suo arco e di incoccare una freccia, senza successo. 
La freccia continuava a scivolare via dall'arma, e l'arco sembrava troppo grande per lei.
Apollo decise che per la sua sanità mentale 'non posso mica diventare matto a causa di una donna, io'
fosse meglio chiedere consiglio ad un esperto, qualcuno di cui potersi fidare e che conoscesse il pensiero delle donne.
"Sun" la richiamò il padre.
"Mhmm?" Fu la risposta molto interessata della bambina mentre, nella maniera più concentrata del mondo, cercava di incoccare quella maledetta freccia.
"Credi che ci sia qualcosa di sbagliato in me?" Le chiese Apollo.
 Sun si fermò a pensare appoggiando la freccia a terra "Certo che no. Tu sei il papà migliore del mondo!" 
Apollo sorrise con affetto alla figlia sentendo quella risposta, era la prima volta che un suo discendente gli diceva quelle parole. E sentirle dire della bambina gli fece provare un piacevole calore all'altezza del cuore.
Aprì la bocca per parlare, ma lei continuò impettita. "Però come fidanzato fai proprio schifo." Disse con quel tono ingenuo e intelligente allo stesso tempo che solo i bambini avevano.
"Come, scusa?" Chiese il dio leggermente irritato e stupito dal coraggio della figlia nel pronunciare quelle parole. 
'Io sono magnifico in tutti i sensi.'
"È semplicissimo da capire, papà. Non sei il fidanzato ideale, cambi ragazza ogni secondo! Per i primi giorni sei gentile e carino, ma poi il tuo unico desiderio è fare le... cosacce, come dice Zia Hazel." Sun alzò il visino con fare saputello. 
"Che hai detto? Le-le... Chi ti ha detto questo?" Disse non riuscendo a capacitarsi del fatto che la figlia avesse detto cosacce.
"E dopo aver fatto le cosacce te ne vai da un'altra! Lo ha detto la mamma!" 
L'occhio del dio iniziò a ticchettare in modo strano.
"La mamma ha detto che io faccio le cosacce?" Chiese di nuovo.
"Si!" Rispose la bimba sorridendo. 
"E cosa intendi tu, per cosacce?" Chiese sperando che la bambina non intendesse dire quello che credeva di aver capito. 
Lei arrossì e abbassò lo sguardo.
"Beh... Sai quando due persone si vogliono bene... E arriva la cicogna... Ma insomma papà non devo mica dirtele io queste cose!" Sbottò infine.
"Non posso credere di parlare di questo con te." Borbottò Apollo mettendosi una mano tra i capelli.
"Però forse hai ragione."
"Certo che ho ragione." Disse lei tornando a concentrarsi di nuovo sul l'arco.
"Tesoro, forse quell'arco è un po' troppo grande per te." Le disse Apollo. 
"No..." Rispose lei incoccando la freccia. "Ce la faccio..." 
Lasciò andare la freccia e questa, visto che non aveva una traiettoria studiata, cadde nel laghetto, sprofondando.
"Sun..."
"Ops!"
"Vieni" disse Apollo. La bambina gli salì in braccio e si sedette sulle sue gambe.
"Dimmi, che cosa dovrei fare secondo te per essere un fidanzato ideale?" 
Lei gli sorrise e rivolse lo sguardo verso il Sole "Vediamo... Prima di tutto dovresti fare alla tua fidanzata molti regali! Come la collana che hai regalato alla mamma!"
Il dio sorrise "E che altro?" 
"Tanti orsetti di peluche, gioielli, fiori, cioccolatini..." 
"E cos'altro dovrei fare?"
"Devi trattarla bene, portarla in giro..." La bambina si fermò all'improvviso.
"Papà?"
"Si?"
"A te Elisabeth piace davvero?" 
"Io... Sun... Ma che domande fai?" Disse Apollo abbassando lo sguardo.
"Dico sul serio papà. Liz sembra simpatica, non prenderla in giro."
"Io non la prendo i giro." Disse lui cupo. 
"E allora perché se n'è andata?" 
"Non lo so..." Soffiò piano.
Ad un certo punto un corvo nero atterrò sulla spalla di Apollo e gli cinguettò qualcosa all'orecchio. 
"Cos'hai detto?" Chiese lui arrabbiato all'uccello. 
'Quando lo vedo lo ammazzo, e non me ne frega un accidente se ora sono mortale.'
L'animale cinguettò delle scuse e volò via prima che il dio potesse fargli del male. 
"Che ha detto?" Chiese Sun.
"Niente di importante, piccola. Vieni qui." Disse lui ritrovando la calma esteriore.
Si distesero sull'erba. Lei appoggiò la testa sulla spalla del padre e lui l'abbracciò piano.
Passarono alcuni minuti in cui i due non dissero niente, guardarono le nuvole e il cielo.
"Papà?" Lo chiamò ad un certo punto.
"Si tesoro?"
"Devo dirti un'altra cosa che assolutamente non devi fare con le ragazze."
"Dimmi."
"Tu russi. Tanto. Non farlo." 
Apollo si alzò a sedere di scatto.
"Che cosa?!" Strillò.
"È vero! Will dice che potresti far crollare la cabina 7!" 
"Cosa dice Will?!"
"Fai un baccano tremendo ogni notte." Disse lei risoluta.
"Non è possibile! Io non ho mai russato in quattromila anni! E sono perfetto! I perfetti non russano!"
"Tu sì." 
"Io non russo, Sun." 
"E allora perché prima di andare a dormire ci mettiamo tutti i tappi per le orecchie?" 
"Ma per non sentire il canto del gallo, ovviamente!"
"Noi non abbiamo un gallo." Disse lei piccata.
"Bé allora dovremo averne uno!" Urlò Apollo. "Vieni qui monella che non sei altro!"
Disse prendendo la bambina per i fianchi e iniziando a muovere le sue dita affusolate sul suo corpo. 
Lei scoppiò a ridere.
"Papà! Mi fai il solletico!" 
"Ma davvero?" Chiese lui con un finto tono sorpreso "Io ti sto accarezzando!"
"Papà ti prego! Smettila!" Disse lei in preda alle risa.
"Lo farò solo se ammetti che io non russo!" 
"Ma non è vero! Russi peggio di un elefante!" 
"E allora continuerò a farti il solletico fino alla fine dei tuoi giorni!" 
Sun iniziò a piangere da quanto rideva e ad un certo punto in preda allo sfinimento gridò "Va bene! Tu non russi!" 
Apollo smise di solleticarle la pancia e sorrise vittorioso. "Visto? Lo dicevo io che non russo." 
Lei alzò gli occhi al cielo. "Sei proprio un bambino, papà."
"È quello che penso anche io." Disse una terza voce.
Apollo alzò lo sguardo e si guardò intorno portando un braccio davanti alla figlia, protettivo.
"Sono quaggiù, cugino." 
Il dio abbassò lo sguardo verso il lago. 
Appoggiato con le braccia al molo c'era un ragazzo dai capelli scuri molto simile a Percy.
"Papà chi è?"
Lui non rispose, indurì lo sguardo e chiese brusco al cugino "Che cosa vuoi, trombettista stonato?" 
L'altro gli sorrise "Così mi ferisci, cugino." 
"Per te sono il divino Apollo." Ringhiò lui. 
"Da dove viene tutto questo astio per me?" Chiese lui innocente.
"Non fare l'innocente con me Tritone, sono il dio della profezia e certe cose le so." 
"Ora sei mortale." 
"Facciamo così, tu adesso apri la bocca e inghiotti la tromba."
"Vorrei tanto farlo ma vedi, non ci entra." Rispose il ragazzo ampliando il sorriso.
"Sei un dio. Adattati."
"Non c'è bisogno di tutta questa scortesia, Apollo. Sono qui per due ragioni." 
"Non mi importa, vattene." 
"Mmm... No." 
"Ho trovato questa sul fondo del lago." Disse cambiando argomento e porgendo a Sun la sua freccia. "È forse tua?" 
Lei annuì e si avvicinò al dio per prenderla ma Apollo le sbarrò la strada. 
"Ferma Sun." Si avvicinò al cugino e gli strappò l'arma dalla mano "Non avvicinarti più a qualcosa a cui tengo." Disse con tono duro.
"Tieni tesoro." Diede la freccia alla figlia "Andiamo via." 
"Fermi!" Tritone si agitò nell'acqua. "Ho detto che avevo due ragioni per essere qui. Una la sai, ma l'altra..."
"Tu hai la coda!" Gridò la bambina. 
Tritone sorrise.  "Certo. Vuoi toccarla?" 
"No!" Si impose il padre. "Tu non puoi palpare le sue stupide squame." 
"Ma..." 
"Niente ma, signorina. Se vuoi puoi andare da zio Percy e chiedergli di giocare con gli ippocampi, ma con lui" indicò il tritone "Non devi averci niente a che fare." 
Lei annuì, spaventata dallo sguardo d'odio che Apollo rivolgeva a Tritone. Prese arco e freccia e andò verso la cabina tre. 
Quando se ne fu andata Apollo sia avvicinò al dio con i pugni serrati e gli mollò un gancio destro. Il viso di Tritone scattò a destra, seguito da un sonoro crack. 
"Ahia."  Disse massaggiandosi la mascella. 
"Non lamentarti." 
"Per essere mortale picchi ancora bene."
"Io picchio bene sempre e comunque, ricordalo." 
"Certo cugino..." 
"Parla velocemente. Non ho tutta la giornata." 
"Sono qui per Liz." 
"Non hai il diritto di parlare di lei dopo quello che hai fatto." 
Gli occhi di Apollo, solo per un momento, ritornarono ad ardere del fuoco d'oro che lo distingueva dagli altri dei quando era una divinità. Una scossa di energia investì la piccola radura ma, così com'era apparsa, sparì in pochi secondi. 
Per pochissimi attimi, Apollo era tornato ad essere una divinità.
Tritone era sbigottito, tanto che aveva nuotato indietro per alcuni metri.  
"Come..?"
Apollo era sbigottito quanto lui, ma non voleva darlo a vedere e perdere l'aura di sicurezza che si era creata intorno a lui. 
"Mi hai capito?" Chiese duro. 
Tritone rimase in silenzio per alcuni minuti, ancora stranito dall'accaduto di poco prima. 
"Liz sta male." 
"Non hai risposto." 
"Non posso non parlare di lei. Sono qui per rimediare." 
"Sei un'idiota." 
"Senti." Disse Tritone nuotando di nuovo verso il molo. 
"Non ho fatto tutta questa strada per niente. Le ho spezzato il cuore dicendo la verità, ma tu sei colpevole quanto me per aver deciso di accettare le condizioni di tuo padre."
"Non avrebbe dovuto saperlo per forza." 
"Siamo stati entrambi cretini, ma se ora non fai qualcosa..."
"Io? Sei tu che glielo hai detto!" 
"Ma credevo che lo avessi fatto tu già da tempo!" 
"Vai al tartaro, pesce." Disse Apollo prima di girarsi e camminare verso gli alberi.
"Cosa provi per mia sorella, dio del Sole?" Gli urlò Tritone.
Apollo si fermò e abbassò la testa. "Qualcosa mai provato prima." Sussurrò. "E non ho la più pallida idea del perché lo Sri a dicendo a te."
"Vuoi riprendertela?" 
"Secondo te? Ora per colpa tua non mi parlerà comunque. Figurati se le chiedo di sposarmi." Disse tirando fuori dalla tasca una scatolina di velluto rosso. 
Tritone spalancò gli occhi. 
"Ho accettato la proposta di Zeus solo perché avevo già in mente di sposarmi. Avevo commissionato questo una settimana prima ad Efesto." 
Giocherellò con la scatola. "Ma ora non servirà più a niente." Disse affranto. 
"Dici davvero? Guarda." Gli chiese il cugino sorridendo. 
Il dio del sole si girò verso Tritone. Il ragazzo aveva spostato alcune canne cresciute vicino all'acqua. Dietro di loro era nascosto un piccolo schermo di un messaggio-Iride. 
Solo che lo schermo era vuoto, mostrava solo una stanza ben arredata del nuovo palazzo di Poseidone.
"Sta arrivando." Disse sorridendo il dio minore. "E ricorda che mi dovete entrambi un favore!" Urlò prima di tuffarsi in acqua.
"Aspetta! M che Cos..." 
L'acqua del lago ribollì. Due sagome stavano salendo in superficie.

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Capitolo 20
*** Venti ***


Il primo ad uscire dall'acqua fu un grande ippocampo dal manto argentato. 
Inarcò il collo e soffiò piano sul viso del dio, che lo guardava ammirato.
"Argurion" lo salutò "Da quanto tempo, amico." Il cavallo gli diede una leggera spintarella con il muso. 
"Non ho nessun dolcetto, mi dispiace." 
Lui nitrì, deluso. 
La seconda figura si stava avvicinando e Apollo preparò il suo sorriso più smagliante pronto ad accogliere la ragazza, ma appena vide chi stava uscendo dal lago pensò seriamente di scappare.
"Apollo." La sua voce rimbombò in tutta la valle.
"Po-Zietto adorato!" 
Poseidone si ergeva in tutta la sua potenza e magnificenza davanti al piccolo dio del sole. 
Per incutere ancora più timore, aveva preso la sua forma di tre metri e indossava l'armatura completa.
"Apollo."  Disse di nuovo. 
"Zietto! Cosa ti porta qui?" Chiese cercando di mascherare il terrore. 
"Lo sai cosa ci faccio qui." Rispose gelido il figlio di Crono. 
Il più giovane ebbe la buona idea di stare zitto. 
"Fino a dove credi che arrivi la mia pazienza, Apollo?" Poseidone gli puntò contro il tridente.
"Non credere che non sia ancora arrabbiato con te per aver influenzato l'infanzia di mio figlio." 
"Non è stata una cosa intenzionale." Si difese lui. 
"Taci. Passino tutte le cazzate che hai fatto con le mortali in questi anni, non sono affar mio. Ma se credi che chiuderò un occhio dopo che tu hai promesso a tuo padre di sposarti privando mia figlia della sua libertà..."
"Adesso non esageriamo..." Borbottò Apollo.
"... Solo per accorciare la tua pena, ti sbagli di grosso." 
"Non l'ho fatto per accorciare il periodo di punizione... Ok forse l'ho fatto anche per quello..." Argurion lo guardò male come per dire "non stai migliorando la tua situazione dicendo così."
"...Ma il mio pensiero primario era quello di voler trovare una vera compagna con la quale poter passare il resto della mia vita. E quella ragazza è tua figlia." 
Poseidone gli rivolse un'occhiata di fuoco. 
"Tu menti. Non ti è mai importato di nessuno oltre che te stesso. Sei un narcisista, pallone gonfiato, egocentrico mortale." 
"Mortale solo momentaneamente." Puntualizzò Apollo.  "E poi pensa, Poseidone, se tua figlia mi sposasse avrebbe un matrimonio più che vantaggioso. Starebbe con uno dei Dodici, sarebbe protetta e amata e..."
"E tu credi che dopo quello che hai fatto a mia figlia lei accetterebbe la tua proposta?" 
"Io..."
"Le hai spezzato il cuore." 
"Tecnicamente è stato tuo figlio." 
"Sei tu che l'hai presa in giro, idiota!" 
"Le avrei chiesto di sposarmi comunque, non c'era bisogno che sapesse della promessa fatta a Zeus!" 
Poseidone avvicinò al suo viso le punte del tridente.. 
"Comunque, anche se avesse acconsentito lei avresti dovuto prima chiedere il permesso a me."
Il dio del mare fece una pausa.
"Prima ti avvicini a mio figlio senza il mio consenso, poi baci mia figlia senza il mio consenso, prometti a tuo padre di sposarti con mia figlia entro un mese sempre senza il mio consenso e adesso viene fuori che volevo sposarla già da prima?" Disse il dio del Mare con voce penetrante.
"Io... Mi dispiace Poseidone." 
"Ti dispiace?" Gridò il dio.
"I miei figli non sono giocattoli. Non puoi giocare con i sentimenti di mia figlia come fai con i mortali..."
"Io non gioco con Liz..." 
"Ho detto di tacere! Tra tutte le divinità con cui poteva mettersi tu sei il peggiore!" 
"Questo non è..."
"Dovrei annegarti per come ti sei comportato." 
"Ma adesso sono mortale..."
"Infatti." Ringhiò Poseidone.
Per fortuna di Apollo, l'ippocampo nitrì rivolto al suo padrone. 
"Non mi importa se urlare in questo modo non si addice ad un dio. Apollo merita tutte le mie parole." 
Argurion protestò di nuovo. 
"Ma..." 
Il cavallo lo interruppe. 
"Però..."
L'ippocampo sbuffò.
"E va bene." Poseidone sbuffò alzando gli occhi al cielo e rivolse di nuovo la sua attenzione ad Apollo.
"Bene ragazzo. Sei fortunato che ci sia qui Argurion a ricordarmi le promesse fatte." 
"Che promesse...?" 
"Ho promesso a mia figlia che non ti avrei toccato in alcun modo." Sbuffò di nuovo guardando male il cavallo. 
"Quindi..." 
"Quindi non ti ucciderò." Concluse Poseidone. "Per adesso." Aggiunse poi sottovoce. 
"Grazie tante." 
Il vecchio dio si passò una mano sul viso e tornò alla sua forma normale: statura media, pantaloni color cachi è una discutibile camicia hawaiana. 
"Voglio darti un'opportunità." Disse. 
Apollo non rimase sorpreso del repentino cambio di decisione dello zio, sapeva ormai che Poseidone era come il mare: un'attimo prima burrascoso è arrabbiato e quello dopo calmo e tranquillo. 
"Giura sullo Stige che risponderai sinceramente a quello che ti chiederò." 
"Sullo... Stige?"
"Si." Rispose tranquillo. "Se provi veramente qualcosa per mia figlia non hai nulla da temere. Ma se invece era solo un trucco per salvarti la pelle..."
"Giuro sullo Stige che ti dirò la verità." Lo interruppe Apollo. Un tuono percorse il cielo per sancire il giuramento, oppure era Zeus che rideva del figlio.
Poseidone parve sorpreso, ma domandò comunque "Da quanto provi qualcosa per Elisabeth?" 
"Da tutta la vita, credo. Non lo so con sicurezza." 
"E da quanto avevi intenzione di chiedere la sua mano?" 
"Ho iniziato a pensarci all'inizio di questa estate, e ho preso la mia decisione una settimana dopo circa."
Il dio del mare rimase impassibile. "Se e dico se, in un ipotetico momento futuro io ti dessi il permesso di sposare Elisabeth, tu come la tratteresti?" 
"Come una regina." 
"Questo lo dicono tutti. Guarda Era, lei è una regina ma Zeus non la tratta come tale." Un tuono rimbombò nel cielo seguito da fulmini e lampi. Poseidone guardò il cielo "Lo sappiamo tutti e due che è così fratellino, non lamentarti." 
Ad Apollo scappò un sorriso, felice che l'attenzione dello zio si fosse spostata, anche se per un solo momento, su un altro soggetto.
"La tradiresti per qualche mortale?" 
"No. Voglio dire...Non subito... Magari tra qualche secolo..."
"Che hai detto?" 
"Che cosa dovrei dire? Guarda che anche tu sei sposato, ma hai Percy e hai avuto una svalangata di figli prima di lui." 
Poseidone sbuffò "Si... Forse qualche piccolo tradimento l'ho fatto..."
"Visto?"
"Ma non è di me che parliamo. Qui si tratta della mia primogenita." 
"Lo so." 
"Ed è tua cugina."
"Mio padre si è sposato con vostra sorella."
"Questo è vero." Annuì Poseidone. "A volte lo dimentico." 
Apollo lo guardò sorpreso mentre si chiedeva come diavolo si faceva a dimenticare una cosa come quella. 
Aprì la bocca per parlare ma Poseidone lo troncò sul nascere. 
"E dove andreste a vivere?" 
"Ehm... Nella mia reggia?" Rispose. "Credevo fosse ovvio." 
"Mhmm." 
"Senti Poseidone. Lo so che non sono il prototipo del marito o fidanzato perfetto, anche se sono perfetto in tutti gli altri sensi, ma non è propio questo sapere di non essere perfetti a renderci tali?" 
"Ma che perla di saggezza." Lo prese in giro il più vecchio.
"Modestamente." Rispose Apollo senza accorgersi della presa per i fondelli divini. 
"Senti." Disse infine Poseidone. "Mia figlia ha snobbato tutti i pretendenti che avevo scelto per lei, perché credi di essere diverso da loro?" 
"Vuoi scherzare mi auguro, ma mi hai visto?" Disse indicandosi. "Ok che non sono nella mia forma migliore ma sono comunque magnifico." 
"E poi credi che tua figlia abbia snobbato tutti perché nessuno di loro era la persona giusta." 
"E tu? Credi di essere quello giusto?"
"Si." Rispose subito. "Sono io."
"Perché?"
"Lo so e basta. E se fossi un dio saprei anche se lei prova lo stesso per me." 
Poseidone sorrise non volendo dargli la soddisfazione di rivelargli che sua figlia aveva risposto nello stesso modo.
"Che cosa provi per lei?" 
Apollo rimase in silenzio per qualche secondo. "Io credo di amarla." 
"Tu credi o ne sei sicuro?" 
"Io... Non so esattamente che cosa sia l'amore. Ho scritto poesie, canzoni, ballate è molto altro sull'argomento, ma non so dargli una descrizione."
"Che cosa senti quando vedi Elisabeth?" Chiese di nuovo Poseidone. 
"Un grande calore irradiarsi e crescere nel mio corpo, le mie labbra si curvano spontaneamente all'insù e credi che i miei occhi brillino. Mi sento felice e agitato nello stesso momento..."
"Ultima domanda. Questa è la più difficile. Se ce ne fosse il bisogno, daresti la tua immortalità per salvarle la vita?" 
Apollo alzò lo sguardo e incatenò le sue iridi dorate con quelle marine di Poseidone. 
"Si." 
Il dio sorrise "Bene. Ti avviso che ci vorrà un po' per convincerla a perdonarti." Disse iniziando a sparire nell'acqua. Sorrise ad Apollo e prima di immergere la testa disse "Avete la mia benedizione." 

Apollo sorrise felice e si lasciò cadere sull'erba, quel colloquio con suo zio barra futuro suocero lo aveva sfinito; tutta colpa della poca resistenza alla tensione del suo corpo mortale.
Apollo guardò l'acqua, certo che da un momento all'altro Elisabeth fosse uscita dall'acqua. 
Insomma, quanti ci voleva per perdonarlo? 
L'ex dio del Sole rimase davanti al laghetto tutto il giorno ad aspettarla, ma della figlia di Poseidone no  c'era traccia.
Sun lo andò a chiamare verso l'ora di cena e lui, solamente perché non poteva lasciare vuoto il suo stomaco perfetto, la seguì per mangiare. 
Dopo cena tornò in riva al lago e aspettò fino a notte fonda, finché Will e Austin non lo presero di peso per portarlo a dormire nella loro cabina. 
Il giorno dopo ritornò di nuovo davanti all'acqua e ci rimase per l'intera giornata, i suoi figli gli portarono i pasti e si fermarono a mangiare con lui. 
Il giorno dopo decise di aspettarla in riva al mare, perché forse era più sensati che la figlia del dio del mare passasse per di là. 
Ma di Elisabeth non c'era traccia. 
Passarono quasi due settimane dalla chiacchierata con Poseidone, in cui Apollo un po' rimaneva sulla spiaggia ad aspettare e un po' faceva delle commissioni per Chirone. 


Quando Elisabeth uscì dal mare, Apollo credette di sognare. La ragazza era sul bagnasciuga, indossava un leggero chitone blu notte e aveva i capelli intrecciati insieme a nastri argentati.
Apollo si alzò in piedi di scatto, togliendosi la sabbia che si era appoggiata ai bermuda. 
"Ciao." Lo salutò lei abbassando lo sguardo.
"Ciao, dolcezza." Rispose lui sorridendole con affetto.
Lei arrossì nell'udire quel nomignolo così fastidioso ma anche estremamente familiare. 
"Papá... Lui e Tritone mi hanno spiegato tutto."
"Tutto?"
"Si... Bé non proprio tutto. Hanno detto che devi parlarmi."
"Si... Ecco... A tal proposito..."
Elisabet indurì lo sguardo e incrociò le braccia. 
"Mi hai preso in giro?"
"Certo che no!"
"Però mi hai mentito." 
"Una bugia piccola piccola..."
"Piccola? Sai che hai infangato la mia reputazione? Adesso per tutte le divinità marine minori sono diventata "la ragazza che non ha mai filato nessuno e che si è fatta prendere per il culo da Apollo." Una mi ha perfino chiesto se il mio vero nome è Dafne." 
"E tu cosa le hai detto?" 
"L'ho mandata a pulire i bagni dei ciclopi nelle fucine."  
Apollo cominciò a ridere. La sua risata era cristallina, un suono melodioso simile al canto degli uccelli, Elisabeth per un momento dimenticò la rabbia che provava nei suoi confronti e rimase ad ascoltarlo estasiata. 
"Comunque mi dispiace davvero per quello che ho fatto." Disse Apollo quando riuscì a calmarsi. "Non dovevo mentirti. Ma credevo che non avrebbe fatto differenza per te saperlo o no, perché comunque io ti amo. E se fossi tornato ad essere un dio tu avresti potuto avere un matrimonio sfarzoso sull'Olimpo, diventare la Signora della mia reggia... E non avresti dovuto aspettare cinquant'anni o sposare un vecchio." 
Il cuore di Elisabeth venne scosso da un fremito. 
Non aveva nemmeno ascoltato quello che aveva detto il biondo, le sue orecchie avevano smesso di sentire le sue parole dopo la ventesima.
"Che... Che cos'hai detto?" 
Lui sembrò confuso. "Che non credevo ti sarebbe importato se avevo promesso a Zeus di prendere moglie."
"No, dopo." Disse lei.
"Ehm... Che non volevo farti aspettare?".
"No, quello che hai detto in mezzo." 
"Ah, io ti amo." 
Le labbra della figlia di Poseidone si incurvarono all'insù. 
"Cosa c'è?" Chiese lui non capendo il perché della comparsa di quel sorriso ebete sulla sua faccia.
"Non me lo avevi mai detto." Sussurrò.
"Che ti amo? In realtà si. La sera della festa."
"Si ma non avevi detto quelle parole."
"Beh, è là verità dolcezza." Si strinse nelle spalle e fece un passo in avanti bagnandosi i piedi. 
"E tu?" Le chiese scrutandola con i suoi occhi ambrati "Tu mi ami?" 

Angolo autrice: giorno a tutti! Allora ? Che ne pensate? Mi piace un sacco tenerci sulle spine lol😂. 
Alluora.... Papá Posey è un po' preoccupato e fa il genitore apprensivo.
Apollo è cuccioloso e allo stesso tempo idiota, ahimè nessuno è perfetto

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Capitolo 21
*** Ventuno ***




"E tu?" Le chiese Apollo scrutandola con i suoi occhi ambrati "Tu mi ami?"
Elisabeth rimase zitta per quelli che al dio sembrarono anni. 
"Da sempre." Sorrise abbassando gli occhi. 
Apollo sorrise di rimando "Che cosa, da sempre? Lo voglio sentire."
"Da sempre ti amo." Rispose lei prima che lui abbassasse la testa per poggiare le labbra sulle sue. 
"Tornerai a vivere qui al campo?" Le chiese a pochi centimetri dal suo viso.
"Dipende." 
"E da cosa?" 
"Da quello che vuoi fare tu." 
Apollo ridacchiò. "Io una mezza idea di quello che voglio fare ce l'avrei..." Disse lanciando uno sguardo malizioso verso le case. 
"Sei un'idiota." Disse lei tirandogli un coppino. 
"Ma mi ami lo stesso. Non è vero, dolcezza?" Chiese massaggiandosi il collo.
"Mhmmm." 
"Non sembri convita." 
"Invece si." 
"Vieni." Disse Apollo prendendola per mano. "È quasi ora di cena e tuo fratello ti starà aspettando." 

Altri due ragazzi erano più o meno nella loro stessa situazione, uno era un certo figlio del dio citato sopra e l'altro il pargolo del re dei morti.
I due, anche loro sulla spiaggia, stavano avendo una specie di conversazione.
Nico aveva una strana espressione sul viso.
Sembrava che stesse sorridendo.
Okay, più che sorridere quello era tirare le labbra in modo forzato e sgranare gli occhi, diventando terribilmente inquietante.
Ma, sì, se strizzavi gli occhi e inclinavi un po' la testa verso destra, sembrava quasi un sorriso.

La cosa che ci interessa però è che quello non era un sorriso timido come i suoi soliti,  ma un sorriso da innamorato felice. 
Will invece aveva un'espressione quasi timida, cosa molto strana per il nostro Solace. 
Sembrava quasi che i ruoli e le solite emozioni dei due si fossero invertite, anche perché si vedeva lontano un miglio che i due non erano soliti comportarsi in quel modo. 
Will continua a torturarsi le mani, cosa che a Nico dava parecchio fastidio, e a guardare in basso. 
"Perché mi hai portato qui, Solace?" Chiese il figlio di Ade cercando di nascondere la felicità immensa che stava provando in quel momento. 

Poco prima Will era passato davanti alla cabina di Ade per prelevarne l'inquilino -Muovi il sedere Ghost King, devo dirti una cosa- e portarlo al limitare del bosco, sulla spiaggia senza dargli spiegazioni. 
Nico aveva anche protestato dicendo che era ora di cena e che lui aveva fame, ma il figlio di Apollo non l'aveva ascoltato e lo aveva portato di peso (più che altro lo aveva trainato) alla baia.

Sembrava anche che il figlio di Apollo non avesse fatto caso all'abbigliamento di Nico, il quale era appena uscito dalla doccia. 
E adesso Nico aspettava paziente che Will si decidesse a spiegargli perché lo avesse portato sulla spiaggia (con solo un asciugamano legato in vita) privandolo della sua preziosissima cena.
Il problema era che Will si era appena accorto di com'era vestito l'altro, ed era tremendamente in imbarazzo. 
Continuava a lanciare sguardi veloci al fisico allenato del ragazzo, gli occhi  si soffermavano sui particolari e sulle braccia ormai piene di muscoli dovuti all'intenso allenamento.

"Allora?" Chiese Nico che non si era accorto delle occhiate di Will.
"C-cosa?" Chiese il biondo.
"Perché mi hai portato qui, adesso e... Così..." Disse, con le guance che si erano inevitabilmente arrossate, indicando l'asciugamano. 
"Ehm... In realtà quello non rientrava nel mio piano..." Rispose Will ancora più in imbarazzo. 
"Io... Devo dirti una cosa..." 
Nico lo guardò curioso. Un pensiero però gli passò per la testa; Will non voleva chiedergli quello, vero? 
Il panico lo assalì all'improvviso. 
Come poteva chiederglielo lì, in quel momento? Non era psicologicamente e interiormente pronto per quello! 
Loro due poi erano solo amici, non si erano mai dato segnali troppo evidenti tranne quella volta nel bosco! 

E poi non sapeva nemmeno se Will era attratto dalle ragazze o dai ragazzi, come poteva...
Probabilmente Will si rese conto del cambio di espressione di Nico, perché la timidezza sparì subito e gli chiese.
"Ehm... Stai bene Raggio di Sole?" 
"Certo!" Disse Nico imbarazzato. "Ti ascolto."
"Ecco... Ho bisogno di un consiglio." 
Metà delle speranze di Nico andarono al Tartaro. Ma lo incitò comunque ad andare avanti.
"Sul fronte amoroso." 
In quel momento Nico si sentì morire. Tutte le sue speranze andarono al Tartaro.
'A Will piace una ragazza. '
"Vedi... Credo di essermi innamorato." Continuò Will.
'Ha solo bisogno di una presenza maschile a cui dirlo.'
"Ma non so se sono ricambiato." 
'E mi vuole chiedere un consiglio perché sono suo amico'
"Voglio fare a questa persona un regalo." 
'Me lo vuole far vedere perché sono solamente un amico per lui.'
Will tirò fuori dalla tasca dei bermuda due catenine con due pendagli. 
Su una c'era un sole e sull'altra... Un teschio. 
'Guarda che scherzo del destino. Vuole regalarle un teschio. '
"Credi che gli piacerà ?"
'Forza Nico, sei un Di Angelo. Digli che ti piace e che la farà  felice. '
"Sono sicuro che le piacerà sicuramente." Disse freddo. 

"Ci vediamo, Solce." Girò i tacchi e iniziò a camminare verso la sua capanna.
'Rassegnati Nico, sei un figlio di Ade, un reietto. Nessuno vuole stare con te, specialmente Will.'
Will lo guardò allontanarsi, confuso. "Le? Chi ha mai parlato di una ragazza?" Si chiese non capendo di che cosa stesse parlando Nico. 
'Non crederà mica che io sia etero... 'Pensò spalancando gli occhi.

"Ehi Nico, aspetta!"
Gli corse dietro.
"Che vuoi?" Gli chiese Nico, brusco. 
"Toglimi una curiosità Re degli Spettri. Non è che credi che io sia etero, vero?"
"Chiedilo a tutte quelle che ti vengono dietro. Io vado a cena." Nico indurì lo sguardo e fece l'espressione che faceva scappare anche i mostri, ma il biondo non batté ciglio.
"Ma nessuno mi viene dietro!" Disse Will.
"E poi lo sanno tutti al campo che sono gay!" 
Nico sorrise interiormente, per poi ricordarsi che non era lui quello che gli piaceva e che quindi non faceva alcuna differenza.

"E allora perché hai detto che ti piace una ragazza?" 
"Io non l'ho detto. Ho detto che mi piace una persona, persona è una parola neutra." 
Disse Will pacato.
"Bene! Allora vai dal ragazzo che ti piace!" 
Urlò Nico per poi tornare a camminare spedito verso la cabina 13.
"Sei tu che mi piaci, idiota!" Urlò Will. 
Nico si fermò di colpo. Si girò lentamente, certo di aver sentito male. 
"Cosa?"
"Ho detto che mi piaci, stupido ragazzo morto!" Disse il figlio di Apollo avvicinandosi a grandi falcate "Per questo ho chiesto a Nyssa di preparare questi due ciondoli." 
Nico si ritrovò in mano quello con il sole.
"Guarda. Sul teschio c'è scritto you are my Sunshine N. e sul sole you are my Ghost King W."
Nico aveva smesso di pensare, le uniche frasi compiute che gli vorticavano nella sua testa scheletrica erano: 'Io piaccio a Will. Oh sì. Will ha fatto fare due ciondoli per noi. Che bello. Will ha detto che gli piaccio. Sono all'Elisio. I-O G-L-I P-I-A-C-C-I-O.'

"Ecco. Io te l'ho detto. É per questo che ti ho fatto uscire stasera. Volevo un'atmosfera speciale per chiederti se volevi diventare ufficialmente  il mio ragazzo." Sussurrò Will. "Ma ora è chiaro che non ti interesso. Guardati, segretamente tutte le figlie di Afrodite sognano di stare con te anche solo per un secondo. Che speranze avevo io, un povero figlio di Apollo?" 
Si riprese il ciondolo dalle mani di Nico e, nel momento in cui si toccarono, entrambi sentirono una piacevole scossa che si diffuse in tutto il corpo. 

Nico, che non riusciva ancora a mettere insieme due parole di senso compiuto, stava cercando di fargli capire che lui lo amava segretamente dal primo momento in cui quegli occhi azzurri si erano incrociati con i suoi. Ma quello che gli uscì dalle labbra fu una cosa come "No... Tu... Io... Noi... Will..." 

"Non serve che ti scusi, io sono gay e tu no, non è un problema. Spero resteremo amici." Disse deluso Will.
Nico, disperato, fece l'unica cosa che gli venne in mente. 
Lo prese per un polso e fece combaciare le loro fronti.
Will all'iniziò non capì, ma quando il moro posò le labbra sulle sue percepì l'amore che sentiva per l'amico e capì che questo era ricambiato. 
All'inizio fu un bacio a stampo, un leggero toccare di bocche. 
Fece impazzire entrambi, ovviamente, gli stomachi in subbuglio e le farfalle che volavano libere per tutto il corpo. 
Poi Will si staccò, per riprendere fiato. 
"Perché?" Chiese.
"Perché anche tu mi piaci, Solace." 
A Will si illuminò lo sguardo e lo abbracciò, più felice che mai. 
"Allora vuoi essere il mio ragazzo?" 
"Certo che sì."
"Allora baciami, ordini del dottore."

E Nico obbedì felice, senza fare caso al cespuglio da cui provenivano due voci maschili e che si muoveva in mondo non cespuglioso. 

Elisabeth e Apollo erano arrivati in mensa da venti minuti circa e si erano seduti ai loro tavoli. Il problema era che mancavano quattro semidei. 
Uno al tavolo di Poseidone, uno a quello di Zeus, uno a quello di Apollo e uno a quello di Ade. 

I semidei stavano tranquillamente mangiando quando un urlo doppio li fece saltare dalla panca su cui erano seduti. 
Percy e Jason correvano verso di loro con un ghigno vittorioso in volto. 
Annabeth e Piper, che stavano ammira di il regalo di compleanno di Percy (una bellissima collana di perle)  alzarono gli occhi al cielo non volendo nemmeno sapere che cosa diavolo avessero combinato quei due.


"Ce l'abbiamo!" Gridò Jason. 
"Stoll! Avete ancora la TV ?" Chiese Percy rivolto ai gemelli. 
I due annuirono e corsero come due forsennati verso la cabina di Hermes lasciando il loro pasto nelle mani dei fratelli. 
Intanto I due Bro avevano ripreso fiato. 
Si accorsero entrambi  della figlia di Poseidone e dissero in coro "Ciao Liz." 
Lei lo salutò con la mano. 
Jason salì sul suo tavolo. 

Immediatamente il Signor D lo rimproverò. 
"Jonny scendi da lì o ti trasformo in un delfino." 
"Ma Signor D! Abbiamo visto la la nascita ufficiale della Solangelo!" Protestò.
"E l'abbiamo anche filmata!" Aggiunse Percy mostrandogli la telecamera che aveva in mano.
"Oh in questo caso..." Disse Dioniso. Percy era certo che avrebbe trasformato il cugino in un delfino in un batter d'occhio, ma si sedette sulla sua sedia e sorrise "... Voglio vedere anch'io!" 
"Signor D! Non dobbiamo incoraggiare i nostri ragazzi a spiarsi a vicenda!" Disse Chirone.
"Infatti, soprattutto se si tratta del mio piccolo Will." Lo appoggiò Apollo. 
"Visto?" Chiese Chirone. "Ora mettete via la telecamera e..."
"Ma si sono anche baciati!" Protestò Percy facendo gli occhi da cucciolo. "Per favore..." 
"Aspetta!" Disse Apollo facendo segno di Time out. "Will e Nico si sono baciati?" 
Percy e Jason annuirono. 
"Ma questo cambia tutto! Voglio vederli!" Disse Apollo iniziando a saltellare per il padiglione. 
"Bene." Disse Percy collegando la telecamera alla TV che gli Stoll avevano posizionato in mezzo alla mensa. 

"Fermi!" Gridò una voce tenebrosa prima che Percy schiacciasse play.

Angolo autrice: ciao a tutti! Che ne pensate? Will e Nico finalmente sono una coppia!!!!!!
Elisabeth e Apollo hanno fatto pace!
Percy e Jason sono degli idioti... 
Chi sarà il proprietario della voce?
Alla prossima! Ditemi che ne pensate!

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Capitolo 22
*** Ventidue ***



Il Signore dei morti si materializzò vicino ad Apollo. 
Ade indossava vestiti di pelle rigorosamente neri e rosso sangue, aveva ai piedi degli anfibi di pelle e una cintura decorata con piccoli teschi.
Immediatamente tutti i semidei si inchinarono, impauriti.
"Sono commosso dal rispetto che mi portate, ma adesso sedetevi." Disse Ade con fare annoiato. 
"Divino Ade." Salutò Jason cercasi di mascherare il tono terrorizzato.
"Figlio di Giove." Lo salutò Ade con la mano.
"Zietto!" Lo salutò Percy saltellandogli incontro per salutarlo. 
Da quando la guerra contro Gea era finita Percy e Ade avevano sotterrato l'ascia di guerra per il bene di Nico e avevano iniziato a rapportarsi in modo civile, quasi come una famiglia.
Ade alzò gli occhi al cielo e gli strinse la mano.
"Non chiamarmi così, nipote." Lo rimbeccò. "Bene. So che tu e Jason Grace avete filmato Nico mentre stava con il figlio di questo qui." Disse indicando Apollo. 
"Ehi!" 
"Non rompere le uova Pollo." Lo zittì Ade. Batté le mani. "Hahahaha!"
"In realtà a me sembra una pessima battuta." Sussurrò Percy a Jason facendo donata di ridere. 
"È vera tutta la storia del filmino ?" Chiese Ade quando si fu ricomposto.
"Si zietto." 
"Non so ancora perché ti permetto di chiamarmi così... "
"Credo di essermelo meritato..."
"Ah non importa. Schiaccia play." Disse Ade guardando lo schermo. 
"Cosa?" Chiese Percy, interdetto. 
"Certo che l'essere figlio di tuo padre ti ha rincitrullito, nipote. Dammi il telecomando!" Ade gli strappò il telecomando dalle mani e fece partire il video. 

Da quando la registrazione partì tutti i semidei, chi da subito e chi con il passare del tempo, produssero sospiri estasiati. 
Jason e Percy si batterono in cinque soddisfatti.
Ade e Apollo guardavano con occhi a cuore sussurrando "Questa volta Afrodite ha fatto centro."
"Che carini."
"Dobbiamo assolutamente festeggiare il Natale insieme."

Proprio mentre Will e Nico si stavano baciando, una voce troppo simile a quella di quest'ultimo urlo: "Ma che cosa diavolo state facendo?!"

Più di trecento paia di occhi si voltarono verso l'entrata del padiglione. 
Lì c'erano Nico e Will. 
Che si tenevano per mano.
Nico era rosso come un pomodoro e, dopo aver mollato con uno scatto la mano di Will, aveva stretto i pugni lungo i fianchi. 
"Ehm... Nico! Tu e Will avete già finito?" Chiese Percy beccandosi una sberla sul collo da Jason. 
"Ma che diavolo dici? Adesso sapranno che li stavamo spiando!" 

Nico strinse la mano sull'elsa della spada e fece la sua faccia. Quell'espressione che faceva scappare anche le chimere a gambe levate. 
I due si abbracciarono, terrorizzati. 
"Questa volta io vi accorcio l'esistenza." Sibilò rivolto ai due cugini.
"Non è vero Will?" 
Nessuna risposta. 
"Will?" 
Nico si accorse che il suo neo-ragazzo era rimasto pietrificato. E guardava verso una persona.
E quella persona somigliava moltissimo a suo padre. 
"Nico!" Lo salutò una voce che conosceva fin troppo bene.
"Non mi presenti il tuo ragazzo?" 
"Papà?!?" Chiese lui ancora più alterato di prima. "Che cosa ci fai qui?" 
"Beh... Passavo da queste parti e mi sono unito ai tuoi cugini per vedere questo bel video." Ade si rivolse a Percy. "A proposito ne voglio una copia da mettere tra i filmini di famiglia." 
"Certo." 
"Perché?" Chiese Nico. 
"Tu hai detto che sono un padre poco presente e cercavo di essere ecco... Più presente." 
"E dovevi essere presente proprio adesso?" 
"È un momento importante per te." Si giustificò il padre. 
"Appunto." 
"Dovevo conoscere il tuo ragazzo." 
Nico diventò rosso, così come Will. 
"Apollo conosce te e io non conosco Will. Mi sembra ingiusto."
"Ma tu non conosci nemmeno Frank." Ribadì Nico.
"In realtà si." Disse Ade salutando il pretore che ricambiò il saluto in modo molto impaurito. 
"Abbiamo cenato una settimana fa, io gli ho spiegato cosa può e non può fare con tua sorella." 
"Che cosa?!"
"Padre... Forse Nico vuole rimanere da solo con Will." Intervenne Hazel. 
"Sciocchezze. Devo complimentarmi con Nico per la scelta. Insomma, non hai scelto né Jackson né Grace. Complimenti!" 
Nico era rimasto così senza parole, ma così senza parole che gli era partito un brutto tic all'occhio.

Il resto dei semidei era concentratissimo ad assistere alla scena. Insomma, molti di loro non conoscevano nemmeno il proprio genitore divino e vedere un dio in qualità di genitore, specialmente Ade, era una cosa abbastanza insolita. 
"Ma guardatevi! Siete così belli insieme!" Disse Ade tirando fuori una macchinetta fotografica e facendo una foto. 
Nico e Will rimasero accecati a causa del flash. 
"Questa la devo assolutamente mostrare alla tua matrigna!" 
"Papà..."
"Però voglio una foto di voi due che vi baciate e che vi abbracciate e magari una in cui sorridete."
"Papà..."
"In questa sembra che tu sia contrariato e Will ha le guance troppo arrossate."
"Papà..." 
"Pensa che io e Persefone avevamo pure scommesso su di voi! Mi deve venti dracme." 
"Papà..."
"E poi questa foto la voglio incorniciare. Pensa che bene che starà nella sala del trono, o sulla mia scrivania."
"Papá..." 
"Si Nico?"
"Vattene via!!" Gridò. 
"Uff va bene, va bene..." Disse Ade adattandosi alla richiesta del figlio.
"Ma ricordati di portare a spasso il piccolo Cerbero, cosa che dovevi fare tu questa settimana. L'ho scritto sul frigo più di due giorni fa." 
Percy ebbe la faccia tosta di ridere. Cosa che a Nico procurò l'acceleramento del tic all'occhio.
"Perseus io ti uccido mentre dormi." Sussurrò al cugino con un tono di voce e un'espressione così seria che il figlio di Poseidone indietreggiò fino al braciere delle offerte. 
"Nico, devi ammettere che è abbastanza divertente." Disse Jason appoggiando il suo Bro. 
Il figlio di Ade portò lo sguardo sul figlio di Giove e fece l'espressione più paurosa è preoccupante del suo repertorio "Jason, ricordati che ho delle tue foto imbarazzanti. Posso metterle su InterGoods quando voglio." 
"Non oseresti."
"Tu credi?" 
Jason non disse niente, spaventato per la sua reputazione. 

Nico, soddisfatto di aver spaventato Percy e Jason si rivolse di nuovo verso suo padre. 
"Papà vai via!" 
"Sto andando!" Ade ridacchiò, cosa molto inquietante "Tu e Will dovete assolutamente cenare da noi uno di questi giorni." Disse prima di sparire.
"Che cosa?!" Urlò Nico precipitandosi verso Ade per fermarlo. 
"Ciaoooo!" Salutò il padre diventando fumo. 
Nico ci andò dentro e iniziò a tossire e sputacchiare fumo nero. 

Il silenzio nella mensa era surreale. Nessuno osava parlare. 
Fortunatamente il tic all'occhio di Nico era sparito, ma la sua espressione non era cambiata di una virgola. 
Percy e Jason tornarono a respirare, certi di aver scampato il pericolo. 

Nico gli rivolse un'occhiata poco rassicurante. "Questa volta non ci sarà Talia a salvarvi. Che i settantaseiesimi Hunger Games abbiano inizio, possa sempre la fortuna essere a vostro favore." Disse sorridendo in modo strano. 
"Che cosa vuoi dire con questo?" Chiese Percy poco tranquillo. 
"Ci sta mandando al macello, idiota." 
Sussurrò Jason. 
"Questo l'ho intuito anche io, ma speravo scherzasse." 
Jason alzò gli occhi al cielo. 
Percy si guardò intorno, preoccupato "Liz?" 
"Si?" Rispose la ragazza che era comodamente seduta al tavolo di Poseidone con tanto di popcorn in mano.
"Aiuto?" 
"Nah. Ve lo meritate entrambi. Non muoverò un dito per tirarvi fuori dai guai, sappilo." 
"Ma sono il tuo unico fratello! Non puoi lasciarmi morire!"
"Nico non ti ucciderà e comunque ho una sfilza di fratellastri." Disse lei sorridendo e appoggiando il cuginetto. 
"Ma non è giusto!" Si lamentò lui.
"Reyna?" Chiamò Jason. "Tu e Nico siete amici, digli di lasciarmi stare." 
"Mi dispiace ma concordo con Elisabeth." Disse Reyna nella stessa posizione della figlia di Poseidone mentre masticava popcorn.
"Ma...!"
"Comportati da romano Jason, affronta la morte con onore. Non mi offrirò come tributo al posto tuo." 
"Sappi che sono molto deluso." Disse Jason facendole la linguaccia. 
"Salutate i vostri cari, perché solo uno di voi tornerà, sarà incoronato vincitore degli Hunger Games e a lui verranno concesse gloria e onore." Disse Nico ghignando. 

Will fischiò in modo strano e, unite le dita, fece il segno del distretto 12. 
Solo Reyna gli rispose immediatamente. 

Anche Nico fischiò. Un fischio lungo e acuto, che arrivò fino ai confini del campo, molto simile a quello che Percy usava per richiamare la Signora O'Leary. 
Solo che al posto della cagnolina, davanti a lui si materializzò un enorme cane a tre teste. 
"Ciao Cerbero." Lo salutò Nico grattandolo dietro le orecchie su tutte e tre le teste. 
I semidei si nascosero sotto i tavoli, impauriti. 
Cerbero ringhiò verso di loro per poi iniziare a scodinzolare felice della grattatina. 
"Ti piace, vero piccolo?" 
Chiese Nico sorridendo. 
"Ti presento Will, è il mio ragazzo" diventò rosso "Quindi trattiamolo bene." Disse.
Cerbero si fermò ad annusare il figlio di Apollo per poi leccarlo dalla testa ai piedi.
"Ciao... Bello!" Lo salutò Will pieno di bava. 

"Ti ricordi di Percy?" Gli chiese Nico mentre il cane si avvicinava al semidio.
"Ciao cucciolone! Io sono il padrone della tua fidanzata, ti sto simpatico vero?" Chiese Percy guadagnandosi una leccata dalla testa centrale che per fortuna non lo bagnò.
"Non devi leccarlo, Cerbero!" Urlò Nico.
Il cane uggiolò. 
Il figlio di Ade consegnò a Jason un'enorme corda rossa molto simile ad un guinzaglio gigante. 
"E questo?" Chiese lui. 
"È per voi, vi servirà." Disse Nico.
"Cerbero?" Richiamò il suo cane. 
Lui iniziò a scodinzolare.
"Adesso Percy e Jason ti porteranno a correre lungo la spiaggia, non devi portarli sulla groppa, ma devi trascinarli in giro." Lo istruì. 
Consegnò a Percy un enorme sacco e una piccola paletta. "No!" Disse subito lui capendo a cosa serviva. "Mi rifiuto! Ho già la cacca della mia cagnolona a cui pensare." 
"Farai uno sforzo in più." Disse Nico alzando le spalle. 
"E mi raccomando, non lasciate sporco in giro, i bisognini dei cani vanno sempre raccolti." 
"Nico non provare nemmeno... " iniziò Jason. Ma Nico allacciò il guinzaglio al collare della testa centrale di Cerbero e lo mise in mano ai due cugini.
Sorrise. 
"Cerbero. Vai." 
E il cane partì a tutta carica, portandosi dietro i due ragazzi urlanti.

Di nuovo, nessuno osava parlare. 
"Ehm... Raggio di Sole?" Lo chiamò Will.
"Si?"
"Non credi di aver esagerato?" 
"No, perché?"
"Beh... Hai mandato via tuo padre e hai lasciato Percy e Jason a Cerbero..."
"Se lo meritavano."
"Ma che c'è di male se tutti sanno che stiamo insieme?" 
"Non è questo. Quei due idioti ci stalkerano da quando ci siamo conosciuti!"
Un coro si levò dal tavolo di Afrodite "Aww Solangelo!"
"Sol che?" Chiese Nico.
"Boh, io quelle persone non le capisco proprio."
Disse Will mettendogli un braccio attorno alle spalle che produsse altri sospiri da tutti i tavoli della mensa.
Un flash lo accecò di nuovo. 
"Papà! Via di qui!" Gridò Nico.
"Si, si." Disse Ade da dietro un albero. "Questa la metto in camera tua!" 
Nico si schiacciò una mano sulla fronte, esausto. 

"Solangelo é il nome della vostra coppia." Disse Apollo. 
"E comunque non è vero che conosco Nico. Ci vediamo in giro e basta." Batté le mani. 
"Quindi credo che ceneremo insieme anche noi." 
"Papà ?" Chiese Will preoccupato mentre vedeva Nico diventare rosso. 
"Forse è meglio se scappi." 
Apollo guardò Nico "Mhmm. Will? Sai che potresti sostituirmi come dio della profezia? Sei bravo. E Nico potrebbe fare il tuo assistente." 
Una mano scheletrica uscì da una crepa nel pavimento. 
"Papà. Corri!" Urlò Will mentre due scheletri uscivano da sottoterra e si avvicinavano al padre. 
"Forse è meglio." Annuì Apollo prima di girarsi e correre via come una scheggia seguito dai morti. 
Will lanciò a Nico un'occhiataccia.
"Non ti avevo detto di non usare più i tuoi poteri?" 
"Corro anche io, Will?"
"Corri anche tu, Nico."

Angolo: allora piccolo avviso per voi----> Stanotte parto per la Polonia per la Giornata Mondiale dei Giovani, quindi passerà del tempo per il prossimo aggiornamento. 
Qualcuno di voi ci va? Sarebbe bello incontrarci ;) 
Baci
Susbetty

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Capitolo 23
*** Ventitré ***


Era appena sotto il sole, un urlo riecheggiò ai confini del campo Mezzosangue.
"L'abbiamo trovato!" 
Will e Austin, che erano in cerca del padre ormai dato per disperso, avevano trovato il dio del Sole incastrato in un cespuglio di rose. 
Subito l'avevano portato nella loro cabina è chiamato i rinforzi. 
 Un satiro volenteroso di aiutare a curare il dio del Sole era sul procinto di bussare alla porta della cabina di Apollo, ma dopo pochi minuti rimasto ad ascoltare le voci che provenivano dall'interno decise che era meglio girare i tacchi e scappare lontano. Magari da una bella driade...
"Ahi!" 
"Piano mi fai male!" 
"Ahiahiahi!" 
"Will! Anestetizzami tuuutto ti prego!" 

Dalla cabina sette provenivano urli e grida di questo tipo da alcuni minuti ormai. 
"Austin! Prendi carta e penna, devo scrivere il mio testamento!" 
Apollo, ovviamente queste grida provenivano da lui, era steso sul suo letto. 
Tutti i figli erano seduti intorno a lui, insieme a bende, cerotti e creme di ogni tipo. 
E tutti stavano per uscire di testa.
"Papà stai fermo!" 

"Ma mi fai male!" 
"Se non disinfetto la ferita farà ancora più male!" 
"Ma che bravo il mio bambino! Sai proprio tutto! Ahia!" Gridò Apollo sfilando il braccio dalla presa del figlio. 
"Austin scrivi: alla mia sorellina lascio il mio fantastico arco  e le mie frecce,
 a mio padre lascio i miei bellissimi haiku,
alla mia mamma Leto lascio la mia fighissima  copertina con i soli sorridenti, 
a mio figlio Austin lascio i miei meravigliosi occhiali da sole firmati, 
a Sun lascio la mia collezione di canzoni della buonanotte, 
a Kyala lascio il mio violino, 
a Will il mio super kit da medico, tutti i miei appunti sulla medicina in generale e la prima copia autografata da me di 'Gay e fieri.'...

"Finalmente l'avete trovato!" Lo interruppe una voce con tono sollevato. Elisabeth entrò nella cabina di Apollo cercando il volto del suo ragazzo. 
Anche lei come i figli del dio biondo non aveva dormito quella notte a causa della ricerca del dio perduto.
"Forse è meglio se non lo vedi adesso..." 
"Perché... Ma che diavolo ti è successo?!" Chiese lei alterata. 
Apollo, tralasciando l'innumerevole quantità di spine che si erano infilate nella sua morbida pelle, aveva una serie di lividi violacei sparsi per tutto il corpo, un grande bernoccolo sulla fronte (che a detta sua lo faceva sembrare un maledetto unicorno) e un lungo taglio si estendeva su tutto il braccio destro dalla spalla fino all'avambraccio. 

"Ehm... Ciao Dolcezza. Ahi Will!" 
"Papà in qualche modo le spine devo toglietele!" 
"Beh fai più piano!" 

Elisabeth si avvicinò piano ad Austin, che era intento a disinfettare e pulire la ferita sul braccio. 
"È stato Nico a conciarlo così?"
Il ragazzo scosse la testa. "Magari. No, i suoi scheletri l'hanno solo rincorso fino ai confini del campo in cima alla collina e poi si sono ritirati nell'Ade."
"E com'è che tuo padre è ridotto così?"
"Ah... È inciampato su un sasso."

"Non era un sasso. Era un enorme mostro di pietra che mi ha preso e lanciato da tutte le parti e io non l'ho ucciso solo perché sono un dio di buon cuore!"
"E poi è rotolato. Giù per tutta la collina. E credo che sia atterrato su un cespuglio di rovi." Continuò Austin come se niente fosse. 
"Quella è stata la vendetta di Demetra! E poi non sono rotolato giù, magari sono sceso di qualche metro ma io non rotolo. Maledizione Will!"
"Papà sei il dio della medicina! Dovresti saper sopportare un po' di disinfettante."
"Ma brucia!"
La figlia di Poseidone alzò gli occhi al cielo, esasperata "E io che credevo fosse qualcosa di grave." 
"Ma è qualcosa di grave! La mia pelle! La mia bellissima pelle è rovinata!" 
"Sei bellissimo anche così." Ribatté lei.
"Lo dici solo perché mi ami. Ma io so che in realtà adesso sono orribile!" 
"Quante storie per un po' di spine..."
"È con questo bernoccolo sembro un maledettissimo unicorno!"
"Per me sei un bellissimo unicorno, invece." Disse Elisabeth. "Comunque se ti dà proprio fastidio essere curato con i tuoi metodi, forse potresti guarire con i miei." 
Apollo sembrò esultare "Oh sì! Ti prego non c'è la faccio più! Brucia tutto!" 
Elisabeth soffocò una risata e si rivolse a Will "Potreste portarlo alla spiaggia?"
"Certo." Disse Will capendo le sue intenzioni. 
"Così potremo tornare dai nostri adorati pazienti che amano le nostre cure." 
"Non ho detto che non mi piace essere curato dai miei talentuosissimi figli, ho solo detto che le cure che ho inventato bruciano!" Disse Apollo, offeso. "Sun scrivi sui miei appunti per quando tornerò immortale: inventare un disinfettante che non bruci." 
"Forza ragazzi, portiamolo fuori." Will incitò i fratelli e insieme caricarono il padre su una barella (perché, a detta sua, lui era troppo malato e ferito per poter camminare) e lo portarono in riva al mare per poi posarlo delicatamente in acqua.

In realtà lo lanciarono in mare mettendosi a ridere subito dopo mentre lui riemergeva annaspando e sputacchiando "Aiuto! Ferito in mare!" 
"Tesoro, guarda che ci tocchi." Disse la figlia di Poseidone spuntando da dietro di lui e aiutandolo a rimettersi in piedi. 
L'acqua gli arrivava alle ginocchia. 
"E comunque non sei più ferito." Disse scompigliandogli i capelli in modo affettuoso. 
Con l'aiuto dell'acqua, infatti, le ferite erano scomparse del tutto, solo sul braccio era rimasta una piccola cicatrice quasi trasparente.
"Uhm... Lo sapevo... Era tutta scena..." Borbottò lui tra le risate dei suoi figli.
"Grazie dolcezza. Potresti aprire un centro medico." Disse Apollo rivolto alla sua ragazza. 
"Questo potere va usato solo per le emergenze." Scosse la testa. 
"Quindi io sarei un'emergenza?" 
"Tu sei al centro dei miei pensieri..."

"Forse è meglio se li lasciamo soli. Tornate  in infermeria ci sono due ragazzi che hanno preso in giro Clarisse." Sussurrò Will ai fratelli.
"E tu dove andrai?" Chiese Austin.
Will arrossì e corse via senza rispondere. 

"Davvero dolcezza?" Chiese Apollo prendendo le mani della ragazza nelle sue.
"A meno che tu non conosca altri dei del sole tremendamente narcisisti e affascinanti direi di sì." 
"Ma io non sono narcisista." 
Lei lo guardò, eloquente. 
"Mhmm... Ok forse in pochino lo sono." Acconsentì il biondo. 
"Andiamo?" Chiese uscendo dall'acqua. 
Lei lo seguì. 
Mentre camminavano Elisabeth disse "Nico è molto dispiaciuto per quello che è successo. Lui voleva solo farti un po' di paura. Per evitare che mettessi lui e Will in imbarazzo di nuovo."
"Ma non è il compito dei padri? Mettere in situazioni imbarazzanti i figli e i loro fidanzati, intendo."
"Credo sia una regola non scritta." Disse lei sorridendo imbarazzata ripensando a tutte le figuracce che le aveva fatto fare Poseidone. 
"Comunque non mi sono arrabbiato con il figlio di Ade. Può stare tranquillo. Se però i suoi scheletri avessero evitato di farmi finire dove c'era quel mostro di pietra..."
"Vorrai dire piccolo, innocente sassolino..."
"Quello che è... Avrei evitato di scivolare per un po' e atterrare sulle spine rovinando il mio bellissimo fondoschiena."
Elisabeth scoppiò a ridere buttando la testa all'indietro. 
"Non c'è niente da ridere Liz! Guarda che quello che riguarda il mio didietro dovrebbe interessarti molto più del dovuto!" Disse lui offeso. 
"Oh, ma mi importa moltissimo del tuo fondoschiena divino, è solo che mi fai ridere tu."
"Io ti faccio ridere?" Chiese lui sorridendole in modo malizioso.
"Esatto."
"Allora vediamo se riderai anche per questo!" Disse lui caricandosela in spalla e iniziando a correre per la spiaggia. 
"Apollo mettimi giù!"  
"Solo un momento dolcezza, solo un momento." Sussurrò dirigendosi verso l'acqua. 
Prese la rincorsa e si buttò dentro la distesa blu producendo schizzi e spruzzo da tutte le parti. 
Quando riemersero Apollo si passò una mano tra i capelli bagnati. E sgranò gli occhi. 
Davanti a lui c'era la sua ragazza, ma in una versione ancora più bella. 
Lei, infatti, in preda alle risa si era dimenticata di ordinare all'acqua di farla rimanere asciutta. 
I capelli bagnati erano un po' più scuri del solito, i vestiti le si erano appiccicati addosso, rivelando le curve che la ragazza cercava sempre di nascondere. 
I muscoli del viso e del corpo intero erano distesi, come se solo in quel momento si fossero rilassati sul serio. 
Gli occhi riflettevano tutte le colorazioni che il mare aveva in quel momento.
E Apollo ci poteva leggere felicità pura e amore. L'amore che lei provava per lui.

"Sei bellissima." Gli uscì dalle labbra. 
Lei sorrise, questa volta senza arrossire, e gli si avvicinò senza alcuno sforzo. 
"Anche tu, come un piccolo pulcino bagnato." 
Lui sorrise di rimando, ma un attimo dopo la sua espressione si fece buia. 
"Cosa c'è?" Chiese Elisabeth preoccupata.
"Ti sto portando via dal mare. Ti sto allontanando dalla tua casa." 
"Cosa?"
"Lo vedo come guardi il mare ogni volta che ne hai l'occasione. Lo brami più di ogni altra cosa. Vedi come sei felice ogni volta che entri in acqua. O che vieni in spiaggia.
Ho paura che piano piano ti staccherò dal tuo mondo." 
Lei lo guardò con occhi spalancati. 
"Ehi... Sei tu la mia ragione di vita ormai." 
"E il mare?"
"Potrò sempre tornarci. In questo momento voglio stare con te." 
"Davvero?"
"Davvero." Annuì lei un attimo prima che le labbra di lui la raggiungessero. 

Camminarono un po' sulla spiaggia, finché lui non si fermò e la guardò serio negli occhi.
"Sai dolcezza?" Iniziò "È la prima volta che faccio un discorso così." Disse. 
Lei lo guardò senza capire. 
Apollo si passò una mano tra i capelli e la figlia di Poseidone desiderò tanto poterci giocare in quel momento. 

"Anche se sono il dio della poesia non riesco a trovare le parole giuste per dirtelo..." 
Lui le prese una mano. 
"... E dopo quello che ti ho fatto passare spero che mi perdonerai." 
Sorrise, e quel sorriso fece fare le capriole allo stomaco della ragazza, già in subbuglio da prima, da quanto era bello. 
Apollo aveva due splendide fossette che spuntavano ogni volta che sorrideva. 
"E credo anche che dopo quello che è successo tu te lo aspetti di sicuro, ma voglio chiedertelo lo stesso nel modo giusto..." 
Fece per inginocchiarsi "Allora Dolcezza, mi vuoi sposare?" 
Tra tutte le risposte che si aspettava quella era l'unica che non aveva calcolato minimamente.
"No" pronunciato in modo secco e risoluto, quasi glaciale. 
Per un momento Apollo credette perfino di aver sentito male, lei non lo aveva appena rifiutato, vero? 
"Che cosa?" Chiese. Si sorprese quando la sua voce si incrinò.

Elisabeth tentennò leggermente "Sono disposta a perdonarti da tutto, a stare con te per sempre, ma non voglio sentire più la parola matrimonio." 
Per il dio questo fu come uno schiaffo ricevuto in pieno viso. 
"Posso... Posso chiederti perché?" 
"Ogni volta che si parla di matrimonio con me succede un disastro." Disse lei è abbassando lo sguardo per tentare di nascondere gli occhi ormai lucidi.
"Oh. Dici per quello." Apollo sembrò ricordarsi di qualcosa. Lei annuì impercettibilmente. 
Si alzò in piedi, fulmineo, per tornare a guardarla negli occhi.
Quegli occhi che per colpa sua stavano rivivendo un momento della sua vita ormai sepolto da secoli nei meandri inesplorati della sua memoria.
"Mi... Mi dispiace dolcezza... Io... Io non volevo rievocarti quei ricordi... Volevo solo..." Ma vedendo l'espressione della ragazza si corresse "Vieni qui." Disse aprendo le braccia. Lei non aspettò altro e ci si tuffò iniziando a piangere. 
"Sono un idiota. Mi dispiace tanto, amore mio. Avrei dovuto pensarci." Farfugliò mentre la stringeva a sé. "Io non voglio che tu soffra, ma voglio farti sapere lo stesso che io ti tratterei come una regina, non come ha fatto quel maiale." 
Apollo iniziò a giocare con i suoi capelli "E se ti può fare piacere sentirlo, l'ho conciato per le feste insieme a tuo padre."
E, mentre diceva quelle parole cercando di consolarla, la scatolina di velluto rosso che ormai aveva preso posto fisso nella tasca destra dei sui bermuda diventava sempre più pesante. 

Angolo autrice: buon giorno a tutti! Sono tornata la settimana scorsa dalla GMG ed è stato pazzesco. Tralasciando il fatto che erano quasi tutti italiani (se are the boss), è stato bellissimo! Ho conosciuto un sacco di genere di altri paesi e la cosa più bella è che per la strada ci salutavamo tutti nelle nostre lingue senza conoscerci nemmeno! 
Bien! 

Che ne pensate del capitolo? Cosa sarà successo a Elisabeth? Cosa intendeva Apollo con quello? 
Votate e commentate!
Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Ventiquattro ***


Quel giorno il santuario di Delo era quasi vuoto, poche persone chiedevano aiuto al dio Pizio. 
Verso mezzogiorno, proprio quando il sole era nel suo punto più alto, fece il suo ingresso nel tempio una donna accompagnata da due grossi uomini e un'ancella. 
Tutti erano vestiti rigorosamente di blu. 
La donna aveva il volto coperto da un velo, portava sandali pregiati ai piedi e indossava una lunga tunica di lino. 
Un sacerdote, visto che era un evento raro vedere girare una donna ricca o nobile che fosse senza un uomo, le si avvicinò. 
"Signora, cosa ci fate nel nostro tempio?" Chiese accennando ad un inchino con il capo. 
Lei irrigidì le spalle e con un gesto fluido si tolse il velo dal capo, rivelando un giovane volto. 
Sorrise, mesta, e i suoi occhi verdi brillarono. 
"Vorrei chiedere consiglio al dio." 
Lui rimase sorpreso. Prima di tutto era raro vedere una ragazza così giovane rivolgersi ad un uomo senza abbassare mai lo sguardo e, in secondo luogo, fu colpito dalla colorazione degli occhi e dei suoi capelli. 
Annuì poco dopo. "Certo." Si girò e continuò a camminare. 
La ragazza, insieme alle sue guardie e alla serva, si incamminò dietro al sacerdote. 
Un ragazzo, di sicuro un novizio, stava pregando davanti alla statua di Apollo che era al centro del tempio.

Si fermarono vicino ad una colonna in un lato del santuario. 
"Se volete aspettarmi qui, preparerò la Pizia affinché le facciate il vostro quesito." 
Lei annuì leggermente e seguì con lo sguardo il vecchio che sparì dietro una nicchia. 
"Aspettatemi fuori." Disse gelida alle guardie.
"Mia signora, dovete essere protetta." 
"Non sono ancora la tua signora. Il tuo padrone dovrebbe sapere che bado meglio da sola a me stessa di come lo fareste voi."
"Ma gli ordini..."
"Siete solo una donna, avete bisogno di protezione." Sbottò l'altra guardia. 
Fu così veloce che l'occhio umano della sentinella non lo calcolò nemmeno. 
Il pugno ben assestato centrò il viso dell'uomo, e quando raggiunse il naso il contatto produsse un sonoro crack. Lui rotolò per terra a causa della forza del colpo.

"Ti sembra che abbia bisogno di protezione? Non sono come le vostre donne, fragili e sottomesse. Nel mio sangue scorre quello di Poseidone, dio del mare." Sibilò lei a denti stretti. 
L'altra guardia la guardò stordito. Un attimo prima il suo compagno e lui stavano discutendo con la futura sposa del suo padrone, un attimo dopo l'altro era steso per terra con il naso rotto e un livido violaceo sul viso.

"Il mio ordine è che tutti voi aspettiate fuori." Ringhiò lei alla guardia. "E la prossima volta ricordati qual'é il tuo posto, mortale." 

L'uomo abbassò la testa e, dopo averlo aiutato ad alzarsi, fece segno al suo compagno di uscire dal santuario. L'ancella li seguì. 

La ragazza si guardò intorno. Ora era sola, escludendo il novizio.
Si mise a fissare la statua. Si soffermò sui segni distintivi del dio e cercò di non sorridere troppo mentre notava l'aspetto totalmente diverso da quello di Apollo.
"Dove siamo finiti eh, io che devo sposare un mortale e tu che vieni ritratto in modo spastico." Disse alla statua.

"È quello che penso anche io. Gli scultori dovrebbero prima sapere com'è fatta una persona e poi ritrarla." Disse una voce. 
Per un momento la ragazza credette che la statua le avesse risposto, ma poi si accorse che era stato il novizio a parlare. 
"Trovo che i capelli siano troppo lunghi, e il corpo non rispecchia tutti i muscoli dell'Illustrissimo." Continuò il ragazzo mentre le si avvicinava.  

Aveva un aspetto giovane e atletico, i capelli erano neri come la pece, ma aveva due occhi più azzurri del cielo. Indossava un leggero chitone che lasciava intravedere il fisico allenato, inusuale per un iniziato all'ordine sacerdotale.
"Ma credo che ormai voi siate abituata a vedere i vostri familiari ritratti in modo diverso da come sono realmente."  Disse alzandosi in piedi e sorridendo alla ragazza. "Dico bene?"

Lei non rispose, si limitò a guardare di nuovo la statua d'oro.
"Come mai siete qui?" Chiese il ragazzo.
"Non sono affari che ti riguardano." 
"Io credo di sì, invece. Tutto quello che riguarda il dio riguarda anche me." Si passò una mano tra i capelli. 
"Devo parlargli. E questo è l'unico modo che ho per farlo." 
"Non potete salire sull'Olimpo?"
Lei lo fissò interdetta. "Come sai che...?"
"Ve l'ho detto. Tutto quello che riguarda l'Uccisore di Pitone riguarda anche me." 
"Non potrò più salirci per un po' ." Disse lei evasiva. 

"Sei giovane per essere un novizio." Cambiò argomento.
"E voi lo siete per andare in giro da sola e parlare così apertamente con un uomo che non sia vostro marito." 
Finalmente, lei sorrise. 
"Ho sentito il richiamo del dio molto presto." Disse il ragazzo. "Siamo molti in famiglia a venerarlo più di tutti gli altri dei."
"Dovete essere molto devoti per farlo."  
"Già." Sorrise anche lui. 

"Io sono uno spirito libero. Non mi piace attenermi alla regola non scritta che la donna deve sempre dipendere dall'uomo." Si giustificò lei. 
"Si vede." 
"Quanti anni avete, se posso chiedervelo?" 
"Sedici e tu?"
"Diciotto." 

"Posso chiedervi una cosa?" 
"Certo." Fece lei accondiscendente.
"È vera la voce che dice che Poseidone darà in sposa sua figlia?" 
"Si." Sussurrò lei. "Ma io sono contraria." 

Il giovane sorrise di nuovo. "Gli uomini che vi hanno accompagnata, non fanno parte della vostra scorta, dico bene?" 
"Infatti." Lei si guardò indietro. "Sono i servi dell'uomo che vuole la mia mano." 
"Volete dire dio..." 
"No. Uomo. Mortale. Idiota che non sopporto anche se non lo conosco." 
Lui rimase interdetto "Un mortale? Ma vostro padre...?"
"Poseidone è d'accordo. Ha fatto sposare Teti con Peleo, perché non far sposare sua figlia con un altro mortale solo per far vedere agli umani che gli dei si prendono cura di loro?" Sbottò. 
Si accorse del tono che aveva appena usato e abbassò lo sguardo per un secondo "Scusa. Questo è un mio problema, non tuo."
"No... Va bene. Cioè fa bene sfogarsi con gli sconosciuti, a volte." 
"Sei strano per essere un novizio." Disse guardandolo di sbieco. 
Lui si strinse nelle spalle "Oh beh. Che ci posso fare?"

"La Pizia è pronta, Signora." Disse il vecchio sacerdote camminando verso di loro. "Principe, vostro padre vi reclama." 
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. 
"Principe, eh?" Chiese lei divertita. 
"Voi siete la figlia di Poseidone, divina Lissandra, perché io non posso essere un principe?" Disse lui. 
"Posso sapere il tuo nome?" Chiese la ragazza. 
Lui scosse la testa e sorrise scoprendo i denti candidi. 
"Non potete sapere tutto di me al primo incontro, giusto?" Le chiese retorico prima di sparire dietro una nicchia. 

Lei sorrise e seguì il sacerdote. 
La Pizia era seduta vicino a un treppiede, da cui proveniva fumo verdastro. 
"Chiedi, figlia del Mare." Disse solenne a Lissandra.
"Che cosa devo fare?" 
Il fumo verde uscì dal braciere e gli occhi della sacerdotessa diventarono del medesimo colore. Il vecchio aspettava trepidante, ma rimase basito quando sentì Figlia del Mare uscire dalla bocca della sacerdotessa. 
La ragazza fu percorsa dagli spasmi, gridò e urlò ma alla fine si rimise in posizione eretta. 
"Spiaggia ." Disse soltanto per poi ricadere svenuta sul pavimento. E quella non era la solita voce che usava quando cantilenava le profezie, quella era una voce maschile. 

Davanti alle mura di Troia regnava il silenzio assoluto. 
Il tempio di Apollo troneggiava sulla spiaggia e la sua statua aveva lo sguardo fisso sul mare. 
Lissandra uscì dalle porte e si incamminò verso il tempio, sempre seguita dai due uomini. 
"Ho detto di lasciarmi da sola." Sbottò a metà del tragitto. 
"Mia signora... Non possiamo lasciarvi..." 
Disse incerta la guardia sana avendo paura di un altro scatto d'ora. 
"Almeno state a debita distanza." Sbuffò lei. 
"Certo, come volete." Disse rallentando il passo. 
Continuarono a camminare per alcuni minuti, fino a quando Lissandra non si fermò di scatto e alzando il braccio. 
Aveva stretto nel pugno una freccia. 
"Ma cosa..." Chiese una guardia. 
L'altra corse dalla ragazza "State bene?"  
"Certo che sto bene." ringhiò lei "A che cosa mi servono due guardie del corpo se non riuscite nemmeno a fermare una singola freccia rivolta a me?" 
"È spuntata come un lampo..." Si giustificò lui.  
Si fermò quando sentì una risata. 
Proveniva dal tempio. 
Alzando lo sguardo la guardia vide un ragazzo dai capelli biondi che si apprestava a scendere dalla statua su cui era salito. 
Il ragazzo si stava avvicinando ai tre. Aveva arco e faretra pregiati in spalla, indossava una semplice tunica bianca e monotoni calzari ai piedi; ma, anche con un abbigliamento tanto semplice, riusciva a sprizzare un'aula di importanza da tutti i pori. 
Le due guardie si misero davanti alla loro protetta. 
"Chi sei?" Chiese brusco quello con il naso rotto. 
"Un cacciatore." Disse lui sorridente. "Mi chiamo Apollo." 
"Chi è la madre che osa dare a suo figlio il nome del nostro protettore." 
"Mhm non so, forse Leto?" Chiese Apollo con aria di sfida. 
Si rivolse alla ragazza "La freccia la puoi tenere, Dolcezza." 
Lei sorrise leggermente e si rivolse alle guardie "O ve ne andate immediatamente o dirò a Priamo che avete permesso ad un cacciatore di tirarmi contro dei dardi." 
I due uomini abbassarono lo sguardo. 
"E questo cacciatore?" 
"Devo parlare con lui da sola." 
"Rimaniamo qui." 
"Invece ve ne andrete." Disse Apollo battendo le mani. 
"Vi aspettiamo alle mura." Disse quello con il naso rotto girando i tacchi e andandosene. 

"Facciamo una passeggiata?" Le indicò la spiaggia. 
Iniziarono a camminare, in silenzio. 
"Perché sei andata fino a Delo?" Le chiese Apollo.
"Tu non mi rispondevi." 
"Sei che non mi è più permesso farlo. Non direttamente almeno." 
"Perché deve essere tutto così complicato?" 
"Perché è questo che tuo padre ha deciso per te." 
"Sì ma... Un mortale? Vivrò con lui per trent'anni e poi?" 
"Poi tornerai alla tua vita. E ricordati che è un principe."
"Un Troiano." Disse lei come se fosse un insulto. 
"Anche io lo sono, in un certo senso. È la mia città." 
"Tu sei solo il protettore di Troia. E questo non lo sopporto. Non sopporto che dovrò viverci e che dovrò addirittura dividere il talamo con uno di loro." 
"Io ho diviso il letto con una di loro, non è stato tanto male." 
"Se parli di Cassandra io direi che non è stata una delle tue conquiste migliori." 
"Abbiamo avuto solo qualche complicazione. Ma è lei che non ha prestato fede al nostro patto." 
 
Tra loro scese di nuovo il silenzio. 
"Che cosa devo fare?" Chiese Lissandra al dio con voce tremante. 
"Pammone non mi piace neanche." 
"Devi assecondare il volere di tuo padre. È lui che decide." 
"Ma non è giusto." 
"Lo so, Dolcezza. Il problema è che sei nata donna. Se fossi stata un uomo forse... Ti prometto che ti aiuterò. In fondo Troia è la mia città." 
Lei non sembrò convinta. 
"Senti. Questo è un ordine di tuo padre. Devi farlo. Verrò a farti visita, ti farò compagnia." 
"Non posso rifiutarmi, vero?"
"Temo di no." Disse. "Quando dovrai incontrare Pammone?" 
"Questa sera." 
"Allora che aspetti? Vai a prepararti. Devi fargli capire che per stare con un'Immortale dovrà fare molto più che rimboccarsi le maniche." 
Disse sorridendole. 
"Grazie." Disse lei sfiorandogli il braccio con una carezza. 
"E di cosa?" 
"Di portare la luce quando c'è il buio."
Lui sorrise e le portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 
"Stammi bene, Dolcezza. Se hai bisogno di me questa sera, chiamami." Disse prima di sparire in un lampo di luce.
"Lo farò." Sussurrò lei al vento.

Ciao!
Questo è un piccolo pezzo del passato della nostra Liz. Pammone per chi se lo sta chiedendo è uno dei figli avuti da Priamo e Ecuba, ed è tipo nato per quarto. 
E il novizio? Chi è?
Quindi non ci resta che vedere come vanno le cose. Alla prossima

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Capitolo 25
*** Venticinque ***


"Che cosa desiderare indossare questa sera, mia signora?" Chiese la schiava mentre passava la spugna sulle spalle della padrona. 
"Non lo so. Qualcosa di non troppo appariscente, ma che faccia comunque la sua figura." Disse lei prima di immergersi interamente nell'acqua della vasca bagno. La serva non si preoccupò quando la padrona non riemerse dopo pochi minuti, le avevano detto che la ragazza era figlia del dio del mare e che poteva stare in acqua tutto il tempo che voleva.  

Riemerse venti minuti dopo e uscì. La serva l'aiutò a coprirsi con un leggero telo di lino e iniziò ad asciugarle i capelli tamponandoli con altra stoffa. 
Bussarono alla porta. 
"Vado?" Chiese la serva.
Lissandra fece segno di sì e seguì con lo sguardo la giovane ragazza fino alla porta. 
"C'è la tua padrona? Ho un regalo per lei." Disse una voce che Lissandra conosceva bene. 
"Ehm si..." 
"Fallo entrare." La interruppe la rossa. 
Dalla porta fece capolino lo stesso cacciatore di quel pomeriggio, solo che adesso indossava una tunica con intarsi dorati e aveva una corona d'alloro poggiata delicatamente sui boccoli biondi. 
"Ciao Liz." La salutò.
Lei gli sorrise e strinse a sé il telo che la copriva. 
"Me ne vado subito, ti ho solo portato una cosa." Disse Apollo lasciandole sul letto un involtolo verde acqua. 
"Che cos'è?" 
"Il mio regalo di fidanzamento." 
Lissandra lo prese tra le mani e lo srotolò. 
Stringeva tra le mani un meraviglioso chitone. 
"Su, provalo." La incitò il dio, gli occhi che brillavano.
Lei fece segno alla serva di seguirla dietro al vestibolo e si fece aiutare per indossarlo. 
"A cosa devo tanta gentilezza?" Chiese mentre allacciava le spalline argentate. 
"Ti ho promesso che avrei fatto sì che il tuo soggiorno nella mia città fosse piacevole." 
"Come sto?" Chiese lei titubante mostrandosi al cugino. 
La gonna le arrivava fino alle caviglie, la schiena era scoperta e la scollatura era ben visibile, ma lasciava molto spazio all'immaginazione non mostrando niente di troppo. 
"Sei meravigliosa." Disse sincero. 
"Grazie. Per tutto." 
"E di cosa dolcezza? È solo un vestito." Disse lui fingendosi noncurante, in realtà entrambi sapevano che a lui importava molto dell'amica, ma non voleva mostrarlo agli altri. 
"Bene, ma per una ragazza speciale serve un gioiello speciale." Disse avvicinandola. 
Le sfiorò la spalla e si portò dietro di lei. Le accarezzò i capelli e, nel farlo, lasciò scivolare fuori dalla mano una collana con appeso un piccolo sole con incastonati diamanti e zaffiri, così come il pendaglio anche la catenina era fatta di piccoli diamanti attaccati uno vicino all'altro. 
"L'ha fatto Efesto." Disse allacciandole la collana al collo. "Così tutti sapranno che sei una mia protetta." 
"Io... Non so cosa dire." Disse lei ammirando il gioiello. 
"Non dire niente, lasciali tutti a bocca aperta." Le sussurrò Apollo prima di sparire  trasformandosi in piccola pioggia dorata. 


I musicisti suonavano, le ballerine si muovevano a ritmo di musica e il vino era pronto nelle brocche. 
Nella grande sala era presente tutta la famiglia reale, che equivaleva a circa un centinaio di persone, più i nobili e i comandanti dell'esercito.
Tutti erano nervosi, visto la loro nuova ospite. 
Un nobile si avvicinò ad un amico "Si dice che la ragazza sia una principessa estera." 
"Ma cosa dici, io ho sentito che è una protetta degli dei." 
"Comunque sia deve essere una persona importante per far sì che il nostro re organizzi un banchetto del genere solo per riceverla." 
Quando le porte del salone si aprirono tutte le voci, la musica, le danzatrici... Tutti si fermarono, come incantati.
Gli occhi dei commensali erano rivolti, curiosi, verso la porta. 
La ragazza fece il suo ingresso senza scorta né paggi, da sola. 
Camminò ritta e fiera per tutta la sala, con gli invitati che le facevano spazio per lasciarla passare, fino al trono. 
Mentre camminava tutti, specialmente i più vicini, avevano potuto sentire il forte profumo salmastro del mare e alcuni credevano perfino di aver percepito una certa aura di forza intorno a lei. 
Il vecchio re le sorrise per poi alzarsi dal suo trono e portarsi davanti a lei.
E, stupendo tutti, si inchinò al suo cospetto baciandole le mani. 
Lei fece un leggero cenno del capo per fargli capire che poteva alzarsi. 
"È un piacere conoscerti di persona, re Priamo." Disse con un piccolo sorriso sincero. 
"Per me e la mia famiglia è un vero onore, quello della vostra presenza qui, mia signora."  Rispose lui. "Quest'unione sancirà la pace tra le nostre famiglie." 
"Lo spero." Sussurrò la rossa. 
Priamo fece segno verso uno dei giovani più maturi che erano disposti intorno a lui. 
"Pammone." Un ragazzo di circa venticinque anni fece un passo in avanti. 
Lissandra lo guardò, non aveva niente di particolare, gli occhi e i capelli erano scuri come quelli degli altri fratelli, non era molto muscoloso e come lei non sembrava molto felice della situazione. 
"Questo è il mio quarto figlio, Pammone, il vostro futuro marito."
Si rivolse al figlio "Figlio mio, lei è Lissandra figlia Immortale di Poseidone e..." Guardò il ciondolo che aveva al collo "... Pupilla di Apollo." 
A quelle parole tutti si inchinarono, sgomentati, al cospetto della ragazza.
"Che il banchetto abbia inizio!" Gridò felice Priamo alzando le braccia al cielo. 

"E così... Vi piace il mare?" Chiese Pammone dandosi dell'idiota subito dopo. 
"Ehm... Si. Mio padre è il dio del mare, sai com'è." Disse lei leggermente a disagio. 
"Ti piace il combattimento?" Chiese dopo un po' "Non molto. A differenza dei mie fratelli non sono attratto dalle armi, ma se devo combattere per la mia famiglia lo faccio con onore." Rispose Pammone.

"Qui le donne non combattono, vero?"
"No."  Disse lui tranquillamente. "Volevi imparare?" 
"Non proprio..." Lissandra lasciò la frase in sospeso. 

"Quanti anni hai, se posso saperlo?" Chiese Lissandra prendendo un chicco d'uva. 
"Ventiquattro. Voi invece sedici, o sbaglio?" 
"È giusto. Se si contano gli anni che dimostra il mio corpo. Sono immortale." 
"Quindi quando io sarò vecchio voi dimostrerete ancora sedici anni?" 
"Esatto." 
La figlia d Poseidone si guardò intorno, tutti gli uomini della sala ridevano e bevevano come se non ci fosse stato un domani. 
"Spete" iniziò lui con tono leggermente insicuro "Mi dispiace per come il mio avo ha trattato Poseidone, credo che sia mio dovere farlo sapere alla tua famiglia." 
"Credo che le scuse del tuo re siano state accettate da mio padre, altrimenti io non sarei qui." 
"È vero." Disse lui guardando la schiava che si muoveva a ritmo di musica davanti a lui. 
"Quando siete nata, se posso chiedertelo?" 
"Dopo cinque anni dall'inizio della Guerra dei Titani." 
"Sono molti anni, è una fortuna che il vostro corpo sia immortale." 
 
 Lei si accigliò alzando lo sguardo sulla ballerina che danzava nuda davanti a loro come aveva fatto il suo nuovo fidanzato poco prima. 
Pammone finalmente notò il suo disagio. "Balla davanti a qualcun altro." Disse mandandola via. 
"Grazie." 
"Credo di capire il vostro disagio, siete qui da sola, senza una figura maschile a cui aggrapparvi a parte me e non conoscete praticamente nessuno." 
Lei lo guardò per un attimo, poi scoppiò a ridere. 
"Dovrai imparare che io non dipendo da voi uomini, e non dipenderò nemmeno da te. Il mio disagio è nato nel vedere tanti mortali che ballano e si ubriacano tutti insieme. Io sono abituata a vedere esseri perfetti prendere parte ai banchetti, non mortali che si credono importanti quando invece sono solo formiche in confronto agli Olimpi. E mi fa ridere quanto a voi uomini mortali piacciano più i corpi delle giovani ragazze che quelli di donne mature."
"Io..." 
"Scusami ho bisogno d'aria."  Disse prima di alzarsi e andare verso il grande terrazzo.
Si appoggiò alla balaustra di marmo e chiuse gli occhi, inspirando l'odore salmastro del regno di suo padre. 

"Vedo che ti stai divertendo molto." Disse una voce alle sue spalle. 
Lissandra aprì gli occhi pronta a inveire contro la persona che si era presa la libertà di parlarle con un tono così confidenziale, ma si fermò  per mettere a fuoco la figura del ragazzo che aveva incontrato giorni prima al santuario di Delo. 
"Tu..." 
"Sono io. Scusa mio fratello, ma pensa che  non dev'essere facile nemmeno per lui."
"Tuo fratello?"  Chiese ignorando il fatto che il ragazzo le stesse dando del tu senza averle chiesto il permesso.
"Si, il principe Pammone." Disse il ragazzo facendo segno ad una schiava di portargli due coppe di vino. 
"Quindi anche tu saresti un principe di Troia." 
"Indovinato." 
Disse lui appoggiandosi di schiena al duro marmo del balcone. Indossava una tunica pregiata blu notte e aveva quel qualcosa in più che mostrava a prima vista che faceva parte della famiglia reale. 
Prese le coppe di vino dalle mani della schiava e ne porse una alla ragazza. 
"Magari non sarà il vostro nettare, ma anche questo vino ha i suoi pregi." Disse portandoselo alle labbra. 
"A questa nuova Unione." Brindò. 
Lei fece sfiorare la sua coppa con quella del ragazzo, poco convinta.

"Dovrai essere felice di aver finalmente conosciuto il mortale idiota." Disse lui reprimendo un sorriso. 
"Non sapevo fosse tuo fratello. E comunque non lo sono." 
"E perché mai?" 
"Quando gli ho detto quanti anni ho, lui ha detto che è una fortuna che il mio corpo sia immortale." 
"Ha bevuto tre coppe prima del vostro incontro. Come te anche lui era spaventato." 
"Oh..."
"Non fa niente." Il moro si girò a guardare il mare. 
"Troppo vino fa sì che certi pensieri escano dalla bocca invece di rimanere nella mente." 
Disse guardando il suo vino "O almeno questo è quello che succede ai mortali." 
"Oh, con gli Olimpi è peggio. Specialmente se Dioniso ci mette le mani." Disse lei ridendo leggermente. 
"Davvero?" 
"Si. Prova a immaginare dei altri sei metri scorrazzare ubriachi nelle strade dell'Olimpo. Una volta siamo perfino riusciti a far bere un sorso ad Atena." 
"E..." Un tuono squarciò il cielo sopra di loro. 
"Non credo di poterti raccontare altro." Disse rammaricata. 
"Mi basta il tuo sforzo." 

Lui indicò il mare. "Dovrà mancarti molto." 
"Non sai quanto." 
"Potrei portartici, qualche volta. A differenza dei miei fratelli più grandi io non ho doveri a parte comandare l'esercito insieme a Ettore quando siamo in guerra. Sono il più piccolo." 
"È un'offerta gentile da parte tua. Grazie." 
"Sei la nostra ospite e in te vedo una probabile amica e alleata." Disse strizzandole l'occhio. 

"Ma non sei un sacerdote novizio ?"  Chiese lei guardando le onde. 
"Non proprio. In realtà no. È che ho perso una scommessa che avevo fatto con Briseide. Quindi lei mi ha obbligato a seguire la vita da sacerdote per un mese." 
"E com'è ?" Chiese dopo essere scoppiata a ridere. 
"Estenuante. Non lo farò mai più. Preferisco l'allenamento militare." 
"Ti piace combattere?" Chiese interessata.
"Molto. Mi addestro da quando era piccolo e ora riesco a tenere testa perfino a mio fratello Ettore." 
"E a te? Ti piace assistere ai combattimenti?" 
"In un certo senso." Disse lei sorridente. 
"Potresti guardare le sessioni di allenamento dei nobili, se ti piace." 
"Ci penserò." 

"Cosa farai dopo il matrimonio? La cerimonia sarà la settimana prossima." 
"Credo che vivrò qui e cercherò di comportarmi da mortale per un po'."
"Azione non facile per una come te." 
"Mi impegnerò." Disse lei reprimendo un sorriso.
Il giovane si guardò alle spalle, Pammone li stava guardando. 
"Credo di averti trattenuta fin troppo, il tuo fidanzato ti reclama." 
"Mi ha fatto piacere la tua compagnia." Disse lei avviandosi verso il maggiore. 
"Il piacere è reciproco." Sorrise arrivando all'entrata della grande sala. 
"Buona festa."

Il moro la guardò negli occhi e sorrise 
"Anche a te. Ah, sono Troilo, comunque."

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Capitolo 26
*** Ventisei ***



"Neeks!" 
"Ciao Solace." Lo salutò il moro con un sorriso. 
Il biondo si fermò per respirare appoggiandosi sulla spalla di Nico. 
Poi alzò lo sguardo. E aggrottò le sopracciglia.
"Ehm... Tesoro, cosa stai combinando?" Chiese spaventato. 
Solo allora si accorse che Nico si trovava nel campo di allenamento dei figli di Apollo, dove era pieno di bersagli di ogni tipo. 
Uno in particolare aveva attirato la sua attenzione. 
L'unico bersaglio in cui le frecce erano conficcate intorno al bersaglio, e non sopra.
"Imparo a tirare con l'arco." Rispose ovvio l'altro.
"Ma... Perché ? Sei così bravo con la spada. E poi non hai notato che voi figli dei Pezzi Grossi maschi non sapete tirare con l'arco?" 
"Ehm no, non credo di averlo mai notato. E comunque credevo ti facesse piacere." Disse Nico un po' deluso.
"Mi fa molto piacere, ma non credo che questa sia la maniera giusta per imparare. Ti serve un maestro." Will gli mise le mani sulle spalle e lo guardò attentamente. 
"Uno bravo." 
Nico annuì, come se quel a fosse stata un'idea a cui non aveva ancora pensato.
"Allora posso andare da Austin lui è molto bravo..." 
"Ti insegno io!" Urlò immediatamente Will.
"Will... Tu sei un guaritore." Obbiettò il moro.
"Sono figlio di Apollo. Sono anche un arciere. Vieni qui." Disse facendogli segno di andare più vicino. "Immediatamente." 

~•~

"Vi dichiaro marito e moglie." Disse Priamo. 
Dagli invitati si levarono urla di approvazione e applausi. 
Gli sposi salutarono i familiari e sorrisero agli ospiti. 
"Che inizi la festa!" Gridò Pammone. 
  Il matrimonio era stato celebrato sulla spiaggia, al tramonto. 
In mezzo agli invitati c'erano gli dei dell'Olimpo, tutti nessuno escluso, nelle loro forme mortali. 
I due sposi avevano preso posto sui piccoli troni fabbricati per l'occasione e gli invitati, uno ad uno, gli portavano il loro regalo di nozze. 
C'era chi aveva donato gioielli, armi, animali, stoffe, spezie e cibi pregiati, c'erano doni d'ogni genere. 
Il primo a omaggiarli fu il padre dello sposo, che regalò alla coppia il nuovo talamo che aveva già fatto portare nella loro nuova stanza. 
Dopo di lui li salutarono fratelli e cugini di Pammone, Ecuba e Cassandra e alcuni generali. 
Ad un certo punto si fece avanti una coppia. La donna aveva un'aria regale e guardava tutti dall'alto in basso. L'uomo aveva i capelli ingrigiti dal tempo e gli occhi di un azzurro elettrico. 
Immediatamente la sposa si alzò dal trono e si inchinò; lo sposo, vedendo quello che aveva fatto la nuova moglie, la imitò. 
"Nipote." La salutò l'uomo. "Sono felice che tu ti sia sistemata, finalmente."
"Anche se tuo marito è un mortale." Puntualizzò la moglie. 
"Vi ringrazio." Disse Lissandra senza alzare la testa. 
"Io e Zeus ti abbiamo fatto due doni separati." Disse la donna. "Nelle vostre stalle troverete una mucca dal manto bianco, è una vacca magica, fornirà buon concime per i vostri campi." 
"Ehm.. Grazie divina Era. Il vostro è un bellissimo dono." Disse la sposa quasi senza parole.
"Io invece vi ho portato questo." Zeus sorrise malizioso e fece apparire un'anfora. "Qui c'è un unguento speciale." Ammiccò a Pammone "Servirà ad allietare la vostra prima notte e, se posso esprimermi, funziona a meraviglia con le donne giuste..." 
"Che cosa?" Strillò Era. 
"Ehm... Amore... Sto parlando di..." Iniziò a balbettare il re degli dei. 
"Tu con me non l'hai mai usato!" 
"Ma non è vero..."
Era arricciò il naso, sdegnata. "Sei un porco!" Gridò al marito prima di svanire. 
Zeus sospirò. "Ah... Beh le passerà." Disse adocchiando una delle figlie di Priamo. 
"Ehm... Ci vediamo dopo nipote." 

 Pammone guardò la moglie, in cerca di una spiegazione logica, ma lei minimizzò il tutto con una scrollata di spalle. 
Fu il turno di un uomo in armatura, le sue armi erano ben appese alla cintura e l'elmo che gli copriva gli occhi. 
"Pammone" lo richiamò la sposa abbassando la mano e facendogli segno di inchinarsi. Il giovane (fortunatamente) fece come da lei indicato, ma l'uomo non lo degnò di uno sguardo.
"Chi l'avrebbe mai detto che ti saresti sposata con un mortale, eh cugina?" Disse prima di scoppiare a ridere. Le passò un pugnale dalla doppia lama. "Vedi di non usarlo per uccidere il tuo nuovo marito, non voglio una guerra tra mortali e Olimpi." 

Poi fu il turno di una ragazza minuta, con arco e faretra in spalla, e una donna che indossava anche lei un'armatura.
"Noi non riusciamo ancora a capire perché tu non abbia fatto voto di castità." Disse la più giovane. "Ma ti diamo comunque questo." Disse l'altra mostrandole un piccolo pendaglio a forma di campanella. 
"Se avrai bisogno di aiuto suonalo e qualcuno di noi verrà subito." 
"Grazie Atena, Artemide."

Dopo le dee li salutarono molti nobili e guerrieri troiani, tutti volevano conoscere di persona la neo sposa e complimentarsi con il principe per la fortuna che aveva avuto. 

~•~

Percy entrò nella sua cabina che ormai era sera. Annabeth l'aveva tenuto occupato tutto il giorno: avevano fatto un giro del lago (da sotto, ovvio), mangiato ogni tipo di dolcetto blu e si erano rifugiati nel bosco per fare quello che Hazel avrebbe definito le cosacce. 
Insomma, dopo tutte quelle attività compleannesche il figlio di Poseidone aveva una gran voglia di dormire.
Ma, quando accese la luce, un grido gli fece subito sguainare la spada. 
"Sorpresa!" 
Subito dopo questo, un altro grido gli fece rimettere Vortice in tasca. 
"Stai più attento!" Gridò Apollo. "Mi hai quasi sgozzato!" 
Disse isterico. Poi si rese cono della situazione e si corresse "Ma... Ovviamente i miei figli e le mie doti curative mi avrebbero salvato di sicuro..." 
Un coro di risa si fece largo tra i semidei presenti. C'erano proprio tutti: Annabeth e sua sorella, i 'cinque', Nico, Clarisse, i suoi genitori, Will, Tyson e Reyna...
Il figlio di Poseidone strizzò gli occhi per guardare meglio. 
"Mamma?!" Chiese Percy alla donna. 
"Buon compleanno, caro." Disse l'immagine Iride proiettata nella fontana. 
"Paul !" 
"Ciao Percy." Lo salutò il patrigno. 
"Ti ho mandato la torta." Gli disse la madre. "E qui c'è un regalo che ti aspetta per quando tornerai a casa." 
"Grazie... Vorrei che foste qui." Disse avvicinandosi alla fontana. 
"Anche noi ma sai che non si può. Appena torni festeggeremo insieme."  Disse Sally. 
"Ci puoi contare mamma. Ciao!"percy salutò i genitori e il contatto si interruppe. 
"Beh... Testa d'Alghe. Buon diciannovesimo compleanno." Disse Annabeth baciandolo sulla guancia. 

~•~

"Spero di non aver commesso un errore a darti mia figlia in moglie, principe Troiano." Disse un uomo in armatura avvicinandosi al principe. 
Aveva gli occhi come quelli di Lissandra e teneva in mano un tridente. 
Pammone, riconosciuto il dio, si inchinò. 
"No, divino Poseidone. Tratterò vostra figlia come se fosse la cosa più importante che possiedo. La proteggerò da tutto e non le farò mancare nulla." 
"Oh, sono sicuro che non le mancherà nulla, è mia figlia non una principessa qualunque." Disse lui duro. "Spero per te che verrà trattata come una dea." 
"Certo divino Poseidone." Pammone guardò la ragazza. "Niente le potrà nuocere." 
"Lo spero." Disse Poseidone "Perché se le succedesse qualcosa, qualunque cosa, della tua piccola città non resterebbe nemmeno una briciola." 
"Padre..."  Lo richiamò lei. "Ho fatto qualcosa di sbagliato per meritarmi questo?" Chiese lei sottovoce. 
"Cosa? Certo che no." Disse il dio senza capire perché la ragazza gli avesse fatto quella domanda.
"E allora perché sono qui?" 
"Perché sei la più intelligente e coraggiosa tra le mie figlie, se avessi mandato qui Roda o Bentesicima sarebbe successo un disastro. Zeus mi ha intimato di fare la pace con questa città, e tu sei il mezzo perché quest'ordine venga rispettato. Io mi fido di te." 

~•~

"Questo è il primo compleanno che passiamo tutti insieme." Disse Tyson battendo le mani. 
"Tyson vuole bene a Percy e Liz!" 
I due sorrisero "Anche noi te ne vogliamo."
"Allora." Disse Percy "Da quanto vi conoscete tu e Tyson?" 
"Da quattro anni..." Disse Elisabeth. "Ma lui non poteva parlarti di me, ordini di papà." 
"Tyson ha promesso." Si intromise il ciclope con tono colpevole.
"Papà ti ha fatto promettere di non parlarmi di Liz? Perché?" Chiese Percy.
"Papà ha detto che ti saresti distratto e avresti perso la guerra." 
Il moro sospirò. "Giusto..."

~•~

Pammone era al culmine della gioia, la sua famiglia era fiera di lui e i suoi fratelli a avevano smesso di prenderlo in giro visto che prima di allora non si era ancora sposato.
Adesso invece aveva una moglie, una moglie immortale e bella come poche -non che lui ne avesse viste molte di dee, però sua moglie gli era sembrata molto più bella delle altre- e sembrava anche simpatica. 
Ora era in piedi sulla spiaggia accanto alla moglie a guardare il mare. 
I festeggiamenti si erano ormai conclusi e Lissandra aveva espresso il desiderio di fare una passeggiata vicino al mare prima di andare al talamo. 
"A cosa state pensando?" Le chiese dopo un po'.
"Vuoi la verità?" Lei prese gli orli della tunica bianca tra le mani e immerse i piedi nell'acqua. 
Lui annuì "Sarebbe gradita." 
"Ho paura." Sorrise "Lo so, è strano sentirlo dire da una come me." Portò lo sguardo in quello di Pammone, ma lo distolse subito.
"Non so bene come dovrei comportarmi con te e con la tua famiglia." 
"Io credo sia normale." Le prese una mano, titubante.
"È la prima notte di nozze, e dovrete passarla con un uomo che conoscete solo da una settimana e che ha otto anni in più di voi." 
"Non mi rendi le cose più facili, così." 
"Anche io ho paura, sapete? Non capita tutti i giorni che uno come me sposi un'Immortale." 
Anche il principe sorrise "Credo però che potremo imparare a conoscerci meglio, magari diventare amici e poi, chissà, potrebbe anche arrivare l'amore." 
Lissandra si inginocchiò e immerse una mano nella sabbia morbida. Quando tirò fuori la mano tra le dita stringeva un piccolo paguro; la sua conchiglia era composta per metà. 
"Questo piccolo paguro sta costruendo la sua casa, potremmo provare a farlo anche noi." Disse. 
Fece un piccolo gesto con la mano libera e la conchiglia si completò in un battito di ciglia. 
Lei sorrise a Pammone e rimise il paguro nell'acqua.
Il piccolo animaletto sembrò salutarla, per poi tornare sotto la sabbia. 
"È una buona idea. E comunque oramai siamo sposati, non possiamo più tornare indietro." 

~•~

"Tanti auguri a te..." Finirono di cantare i ragazzi. Il figlio di Poseidone spense le candeline (blu) sulla torta (blu). 
"Esprimi un desiderio!" Gli ricordò Hazel. Percy chiuse gli occhi e desiderò quello che desiderava. (NdA Si lo so, detto così suona malissimo.)
"Siiii! Adesso possiamo mangiare la torta!" Esultò Jason beccandosi un'occhiataccia collettiva. 
Così Elisabeth e Annabeth tagliarono la torta di Sally e la distribuirono agli invitati. 
I ragazzi diedero i loro regali al festeggiato e rimasero nella cabina 3 a festeggiare fino a notte fonda. 
Si addormentarono lì sul pavimento, sfiniti. 

~•~

I neo sposi entrarono nella stanza a loro assegnata, la vecchia camera di Pammone. 
L'interno era stato ristrutturato, c'erano nuovi mobili e tende. 
Pammone guardò la moglie avvicinarsi all'angolo della stanza dove erano state riposte le sue armi. "Avevi detto che non eri un amante della guerra." 
"Non lo sono, ma come tutti ho ricevuto un addestramento militare e mi alleno tutt'ora."  Disse Pammone.
La vide sfiorare la sua armatura e prendere in mano un piccolo pugnale. 
"State attenta." Si preoccupò subito. 
"Tranquillo. Sono perfettamente in grado di maneggiare una così piccola arma per alcuni secondi." Disse lei riponendolo nel suo fodero. 
La principessa camminò fino a dove era stato riposto il letto, sul baule posto ai piedi del giaciglio apparve l'anfora di Zeus. 
Le scappò un secco "No!" Dalle labbra. Velocemente prese il contenitore e lo portò fino alla stanza da bagno, riponendola il più lontano possibile da lei. 
Quando tornò nella stanza sorrideva soddisfatta.
Lui le si avvicinò. 
"Questa è la prima notte di nozze. Sapete che cosa vuol dire?" Chiese portando lo sguardo sul grande giaciglio. 
Lei annuì. "Ma prova solo a pensare di usare il regalo di Zeus e ti ritroverai senza una moglie e una patria." Minacciò. 
Pammone si lasciò scappare una leggera risata. 
Timidamente la prese per mano e la fece distendere sul letto. 
"Come volete." Acconsentì lui prima di baciarla. Lei chiuse gli occhi a quel contatto, per poi riaprirli subito dopo. 
Lo sguardo andò alla finestra, dove un corvo dagli occhi d'oro la fissava. 
Pammone smise di baciarla per girarsi anche lui "È solo un uccello." Disse "Non ci disturberà." E tornò a baciarle le labbra, scendendo per il collo fino alla clavicola. 
Lei continuò a guardare l'animale con la coda dell'occhio. 
Il corvo, dopo uno po', lanciò un ultimo sguardo alla ragazza per poi volare verso l'alto.  

In quel talamo i due consumarono la prima notte di nozze e, se per Pammone ha significato qualcosa, la figlia di Poseidone non ha provato nulla. 

Angolo me: ciao babbani! Come va? Che ne pensate di questo nuovo capitolo? 
Will è geloso, Percy mangia la torta blu  e Apollo stalkera Liz sotto forma di un brutto uccellaccio.  ditemi che ne pensate! Ci vediamo!

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Capitolo 27
*** Ventisette ***


Nico stava dormendo beatamente nel suo adorato letto quando un urlo agghiacciante lo fece svegliare di soprassalto. Spalancò gli occhi rivelando due pozzi neri come la pece del tutto spaesati. Subito allungò la mano sotto il letto, si liberò dalle coperte alzandosi in piedi e sguainò la sua spada nera. 
Guardò la stanza, ma non c'era nessuno. 
Hazel era uscita con Frank quella sera e i due si sarebbero fermati a dormire in un albergo  Nico visto che era rimasto da solo ne aveva approfittato per andare a letto presto perché -ordini del dottore- doveva dormire di più.

Solo che ormai erano le tre di notte, e nessuno urla a squarcia gola a quell'ora se non per un'emergenza. 
L'urlo si ripeté, questa volta più vicino.
Sobbalzò quando qualcuno bussò alla porta con insistenza. 
Si avvicinò all'uscio, circospetto e con un movimento rapido aprì la porta e alzò la spada sopra la testa pronto a colpire...
"Will!"
Adesso, spiegarvi la faccia che Will aveva sarebbe leggermente complicato. Immaginatevelo tutto rosso, con il fiatone e gli occhi fuori dalle orbite. 
Ah, ovviamente con un sorriso nervoso e inquietante che andava da un'orecchio all'altro. 
"Non voglio morire!" Gridò il biondo buttandosi tra le sue braccia. 
Ora, facciamo caso al pigiama che stava indossando il figlio di Apollo: un paio di boxer con i soli sorridenti. 
Nico sorrise notandoli e Will non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello il suo ragazzo appena sveglio. 

Qualche semidio assonnato fece capolino dalla propria porta con addosso pezzi vari di armatura. 
C'erano anche Percy e Jason senza maglietta che, uno con gli occhiali storti e l'altro con una scarpa sola, si avvicinarono con le spade in pugno ai due ragazzi. 
"Cos'è successo?" Chiese Jason reprimendo uno sbadiglio. 
"Abbiamo sentito gridare." Disse Percy.
"Allora... Qualcuno ti vuole uccidere?" Chiese titubante il figlio di Ade al suo ragazzo. 
"Probabile." 
"Ehm... Posso chiederti perché?" 
"Pivelli! Chi diavolo ha urlato a quest'ora?" Gridò Clarisse avvicinandosi con passo di marcia ai quattro. 
"Will." Disse Percy. 
"E perché diavolo lo hai fatto Solace? Stavo dormendo!" 
"Perché prima di andare a dormire papà mi ha annunciato la mia sentenza di morte." Disse Will guardando in basso. 
Gli altri aggrottarono le sopracciglia, non capendo.
"Ha detto che domani sera lui, Liz, Ade e Persefone ci porteranno a cena fuori." 
Nico spalancò gli occhi. "Cosa?"
Clarisse li alzò al cielo e Percy e Jason li incrociarono iniziando a sorridere in modo strano. 
"Io non voglio andare." Piagnucolò Will. 
"Io torno a dormire." Disse Clarisse incamminandosi verso la casa di Ares. 
"Ma... Perché?" Chiese Nico. "Perché dobbiamo fare questa cosa?" 
"Papà ha detto che dobbiamo conoscere le reciproche famiglie." 
"Sei sicuro che non stesse scherzando?" 
"Si." 

Percy sorrise. "La solangelo è diventata ufficialmente la mia ship  preferita. Dopo la Percabeth, ovvio." 
Jason si rimise a posto gli occhiali "Concordo, solo che io preferisco me e Piper." 
Nico e Will li guardarono senza capire bene a cosa si riferissero i due svitati. 
"Di che parlate?" 
"Ma di voi, naturalmente!" Disse Jason. "Dovete ringraziarmi un giorno o l'altro, ho creato la Solangelo."
Percy lo guardò male "Vorrai dire che io ho creato la Solangelo." 
"No, Percy. Sono stato io." 
"Ma è grazie a me se Will ha trovato campo libero." 
"Però è grazie a me che Nico ha ammesso di preferire i maschi." 
"Ma l'ha scoperto con me." 
Jason lanciò un'occhiataccia a Percy e poi disse "Si, ma chi ha la maglietta ufficiale della Solangelo?" 
"Ehm..." 
"Io! Quindi taci Jackson!" 

Will e Nico si scambiarono uno sguardo veloce "Allora... Dobbiamo vestirci eleganti per la cena?"

~•~

Lissandra aprì gli occhi. Erano passate ormai due settimane dal matrimonio, ormai si era quasi abituata all'idea di essere sposata. 
L'altro lato del letto era vuoto. Pammone doveva essersi alzato da un po', perché il materasso era freddo. 
La ragazza si tirò a sedere e si guardò intorno. L'armatura e le armi del marito erano sparite, segno che era andato ad allenarsi. 

Da quando lei e Pammone si erano sposati Lissandra si comportava da nobile Troiana: indossava sempre lunghe tuniche colorate e gioielli pregiati, passava il giorno a tessere e a guardarsi allo specchio provando i vari abiti che le erano stati donati per le nozze. 
E questa cosa la stava facendo dare di matto. 

E le altre donne parlavano a vanvera degli argomenti più unitili del mondo; parlavano e si atteggiavano come se fossero state padrone di tutto anche se Troia era solo un piccolo pezzo della Terra creata da Caos. 
Ridevano in modo sconsiderato per ogni cosa e quando le capitava di parlare con una di loro finiva sempre che le chiedevano le cose più assurde, per esempio come ci si sentiva a trasformarsi in una pecora. 
Ma dico, una pecora? Ma stiamo scherzando? 

Decise che quindi quel giorno anche lei ci sarebbe andata, agli allenamenti, anche perché non poteva rimanere chiusa nel palazzo per sempre. 
Prese così un leggero chitone verde e lo indossò velocemente, si legò i capelli e uscì dalla porta. 

Quando arrivò al campo di addestramento vide che tutte le donne erano riunite a guardare su un piccolo palco rialzato. 
Tutti le rivolsero una breve occhiata fugace, per poi ritornare ad allenarsi. 
Intravide gli occhi neri di Pammone e gli dedicò un sorriso.
Lui ricambiò e le andò incontro. 
"Finalmente sei venuta a vedere. Forza, ti porto dalle altre donne."
Lei lo guardò per un attimo come se avesse voluto dire qualcosa, poi annuì e si lasciò accompagnare verso il palchetto.
Prese posto vicino a Cassandra, la ragazza di cui Apollo le aveva parlato in precedenza. 
Rimase lì a fissare gli uomini che si prendevano a pugni e calci, come le altre donne fece finta di esultare quando suo marito vinceva un duello o faceva segno con una freccia in un bersaglio (anche se nel farlo si sentiva una stupida). 

Ad un tratto però, quando ormai aveva preso sonno, qualcuno le toccò una spalla facendola sussultare. 
Cassandra le stava indicando un bel giovane dai capelli dorati come il grano e dagli occhi azzurri. 
Camminò fino al centro del campo, dove ci si allenava con la spada, e sguainò la sua. 
"Non è bellissimo?" Sospirò una ragazza dietro di lei. 
La figlia di Poseidone dovette ammettere che si, quel giovane era davvero bello; ma aveva qualcosa di familiare, forse nei tratti o nel portamento. 

"Oddei sta venendo qui!" Squittì un'altra notando che il ragazzo non si era fermato a combattere ma aveva proseguito verso di loro. 
La principessa notò gli occhi di tutti gli uomini presenti mostravano un gran rispetto al giovane. 
Lui sorrise alle donne, che sospirarono leggermente, e si rivolse proprio a lei. 
"Tu non ti alleni?" Le chiese. 
Un centinaio di uomini e una ventina di donne rimasero a bocca aperta. 
Per i mortali era una cosa impensabile quella di vedere una donna con in mano un'arma a meno che non fosse stata un'amazzone.
Lei mascherò la sorpresa provata per quella domanda, scosse la testa e gli sorrise. "Non credo di poterlo fare, sono una donna dopotutto." Disse marcando la parola donna e indicando la folla riunita intorno a loro. 
"Scusa, ma tu non sei una guerriera?" Il giovane la guardò interrogativo.
"Può darsi."  Le brillarono gli occhi.
"Ti andrebbe duellare con me? Oggi Ettore non c'è e lui era l'unico capace di tenermi testa." Chiese lui indicandole lo spiazzo davanti a loro.
"Finalmente qualcuno me lo chiede." Disse Lissandra scattando in piedi e scavalcando agilmente la ringhiera che separava le donne dagli uomini.

Gli altri la guardarono confusi. Quando incontrò gli occhi di Pammone lo vide sibilarle un "Che cosa vuoi fare?" 
Lei gli fece segno di stare tranquillo e indicò il giovane biondo. 

"Scusate." Disse il giovane alla folla che si era radunata intorno a loro. "Qualcuno le presterebbe una spada? " 
"Non c'è n'è bisogno." Disse la figlia di Poseidone alzando la mano ornata solo da un piccolo anellino. 
Sfiorò il metallo e un bagliore le illuminò le dita, in mano le era comparsa la sua spada. 
Un mormorio sorpreso si fece largo tra i guerrieri. 
Il biondo le chiese solo "Efesto?" 
Lei annuì."Già." Guardò la spada del ragazzo e riconobbe la fattura "Anche la tua è..." 
"Si. Mia madre glielo ha chiesto quando ho imparato le basi della scherma." 
"Aspetta... Sei Enea?" Chiese incredula.
Lui annuì "Esatto." 
"Allora sarà un onore poter incrociare la lama con uno come te." Disse mettendosi in posizione. 
Pammone le si avvicinò e si mise in mezzo si due "Che cosa state facendo?" Chiese. 
"Tu che dici?" 
"Vuoi forse farti ammazzare?" Disse senza rendersi conto che era passato a darle del tu senza il suo permesso.
"Certo, come no. È solo un piccolo allenamento." 
"Ti farai male." 
"È probabile, Enea non è un mortale come voi." Disse lei tranquilla. 
"Questo non è un gioco." 
"È solo un duello amichevole, di cosa ti preoccupi?" Chiese la ragazza alzando gli occhi al cielo. 
"Non hai nemmeno le protezioni!" 
"Mi rallentano. E, come ho detto, è solo un duello amichevole, non servono." 
"Cugino." Lo richiamò Enea "Lasciala combattere." 
"Così che tu le possa fare del male? È mia moglie." 
"Tu non sai nemmeno come combatto." Disse Lissandra guardandolo negli occhi con aria di sfida "Potrei essere completamente negata come tutte le donne qui dentro, ma potrei essere anche più forte del vostro Ettore, tu che ne sai?" 
"Ne so abbastanza per dire che non puoi combattere, vedi altre donne con una spada in mano?" 
"No, ma non  è colpa mia se siete tutti maschilisti." 
"Non è compito della donna quelli di fare la guerra." 
"E non è compito di un uomo quello di cucinare, giusto? Però la maggior parte dei cuochi nelle cucine sono maschi." 
"Stiamo parlando di due cose diverse. Ho detto con non puoi e non potrei combattere, torna con le altre a guardare." 
"È perché dovrei? Questo corpo non si mantiene così stando seduta a guardare delle scimmie che se le danno di santa ragione." Disse indicando sé stessa. 
"Stiamo dando spettacolo. Smettila di contraddirmi." 
"Stai facendo tutto da solo, se mi lasciassi combattere per cinque minuti con tuo cugino gli altri dimenticherebbero quello che stiamo dicendo adesso." 
"Si, e tu ti faresti male."
"Magari qualche innocuo graffietto, ho comunque molti anni di pratica sulle spalle." 
"Tu sei una bambina. Io sono tuo marito e farai quello che dico io. Adesso torni nelle nostre stanze." Ringhiò il principe.
Sotto gli occhi di tutti alzò un braccio pronto per colpirla, ma la ragazza intercettò il colpo e strinse forte il polso del marito. Velocemente ruotò su sé stessa e glielo storse poi, rendendosi conto di quello che aveva fatto liberò l'arto del marito dalla scomoda posizione, senza però smettere di stringerlo molto forte.
"Non provarci mai più." Disse gelida. "Quando ci siamo conosciuti ti ho detto chiaramente che sono diversa dalle altre donne che vi piacciono tanto. E, se proprio non ti fidi di tuo cugino, perché non duelli tu con me?" Chiese tornando ad un tono di voce accondiscendente.
"Neanche per sogno." Disse lui strappando via il braccio dalla sua presa.
Subito lo strinse a sé per nascondere il segno delle dita che la ragazza aveva lasciato.
Si guardò intorno e sbuffò "Fai quello che ti pare, ma poi non venire a piangere da me se le tue preziose unghie si romperanno." 
Pammone guardò il Sole "È tardi, ho un'udienza con mio padre." 
Disse lanciando alla moglie un'ultima occhiata di fuoco prima di camminare pesantemente verso il palazzo.

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Capitolo 28
*** Ventotto ***


Silenzio. 
Quella era l'unica cosa che si poteva sentire nel campo di addestramento. 
Lissandra era rimasta imbambolata a guardare il principe dirigersi verso la reggia. 
I nobili non sapevano come comportarsi: se ritornare ad allenarsi oppure deporre le armi e dedicarsi ad altro. 
Enea era ancora in piedi a pochi metri dalla ragazza, aspettava una sua reazione, che però non arrivò.
La ragazza era ancora lì immobile, o almeno così sembrava. Ma, sotto lo sguardo di un'occhio esperto e iperattivo come quello del figlio di Afrodite, si poteva notare il leggero irrigidimento della mascella e le dita che stringevano troppo forte l'impugnatura della spada. 
Lo sguardo era rivolto verso dove si era diretto Pammone così che nessuno riuscisse ad incrociare lo sguardo con lei. 
Enea le si avvicinò e le mise una mano su una spalla. Quando Lissandra si girò il semidio vide ardere nei suoi occhi fuoco verde, un mare in tempesta. 
Lei abbassò lo sguardo un attimo dopo, molti pensarono che avesse paura di ricevere una punizione ma Enea lo sapeva, voleva solo evitare che vedesse la sua parte divina fuori controllo.
Qualcuno batté le mani più e più volte.
Tutti alzarono lo sguardo, seguendo il suono. 
Un ragazzo biondo era seduto sull'alto tetto dell'armeria e stava applaudendo con un sorriso stampato in faccia. 
Dondolava i piedi nel vuoto  come se non avesse avuto paura di cadere.
"Complimenti tesoro, non ti facevo così audace da mancare di rispetto a tuo marito davanti a tutti." Disse sogghignando.
Lei lo guardò male e quando la fece uscire, la sua voce tremò. "Stava esagerando." 
"E anche per picchiarti." Disse lui guardandola serio. 
"Giuro, se non sapessi di conoscerti meglio di ogni mio tempio sarei sceso e lo avrei fermato io stesso." Lanciò uno sguardo alla distesa blu verso l'orizzonte. "Se tuo padre lo sapesse..." 
"Mio padre non lo saprà, e se anche fosse è lui che mi ha fatto sposare Pammone." Chiuse il discorso lei, secca.
Lui guardò il Sole per alcuni secondi stupendo i soldati e i nobili che stavano assistendo alla scena e che avevano visto il litigio della neo coppia. 
Nessuno poteva guardare il sole direttamente senza rimanere accecato. 
Era segno di mancanza di rispetto ad Apollo.
"Ti ricordo che sei sotto la mia protezione."
"Lo so." 
"Questa è la mia città." Disse il biondo. 
Alcuni nobili lo guardarono male "La città appartiene a Priamo, ragazzino. Potremmo farti frustare per quello che hai detto." Disse uno. 
Il dio lo ignorò "Se desideri qualcosa non dovrai fare altro che chiederla." 
"Quindi posso anche andarmene?" Chiese lei sarcastica.
"Tutto tranne questo." Apollo si concesse un sorriso. 
"Desideri altro? Gioielli, vestiti, una stanza più grande..." 
"Magari un bel tramonto colorato questa sera." Disse lei. "Oppure puoi chiedere a Eris di venirmi a trovare..."
"Credo che ti farò avere un bel tramonto." La bloccò lui. "E non farti venire strane idee in mente." 
"Non prometto nulla, Pollo." 
Lui sorrise.
"Ora devo andare, il Sole è rimasto fermo troppo a lungo. Ci vediamo, dolcezza." Guardò Enea "Tua madre ti vuole bene, ragazzo, non dimenticarlo." 
E, sotto gli occhi sorpresi di tutti si lasciò cadere nel vuoto. Prima di toccare il suolo, però, si trasformò in un corvo e volò via, verso il Sole.

~•~

Will e Nico erano davanti al piccolo ristorante che dava sulla baia ed entrambi indossavano jeans e camicia, solo che una era nera e l'altra arancione con delle strane  palme stilizzate. 
Li aveva accompagnati l'autista francese di Nico, J.Albert. 
 Videro avvicinarsi il pulmino del Campo guidato da Argo, il custode parcheggiò davanti a loro. 
Dalla macchina scese Elisabeth e Nico si sentì leggermente sollevato, magari la cugina avrebbe avuto pietà di loro e avrebbe tenuto a freno Apollo dal fare domande troppo imbarazzanti. 
La ragazza indossava un leggero vestito blu scuro e Apollo, appena sceso dall'auto... L'espressione di Nico cambiò in una smorfia alla vista della camicia giallo canarino con smile sorridenti che il padre Will indossava. 
Will gli andò incontro "Papà! La tua camicia è meravigliosa!" 
Apollo gettò un'occhiata fugace alla fidanzata "Hai visto? Te l'avevo detto io che questa camicia è bellissima! Io e Will si che abbiamo gusto nel vestire, al contrario di voi plebei." 
Lei scambiò uno sguardo rassegnato con Nico. 
Argo ripartì e al suo posto comparve una lunga limousine nera. Lo sportello si aprì e Ade fece la sua entrata. 
Anche lui come il figlio aveva messo una camicia scura. 
Persefone invece indossava un abito bianco con piccoli fiorellini colorati. Era uno splendore. 
Ade guardò Apollo "Ma che diavolo ti sei messo?" 
"Questo, mio caro Ade, è stile." Rispose l'altro mellifluo. 
"Sembra che un canarino si sia spiaccicato su di te. E su tuo figlio." Continuò il dio dei morti. 
Apollo lo guardò indignato "Noi siamo bellissimi, tu sei solo invidioso." 
"Oh, mi dispiace deluderti ma anche con tutto l'oro del mondo non metterei mai una cosa del genere né su di me né su mio figlio." 
"Beh, lo credo bene... Tu ti vesti sempre nello stesso modo da due decenni ormai." 
Elisabeth, Persefone e Nico alzarono gli occhi al cielo, quella sarebbe stata una lunga serata.

~•~

"Allora... Hai ancora voglia di combattere con me?" Chiese la figlia di Poseidone ad Enea. 
Lui annuì e sorrise. Fece cenno ai soldati di creare lo spazio e permettere ai due di confrontarsi. 
Gli uomini rinfoderarono le proprie armi e si posero in cerchio, intorno ai semidei. 
Tutti volevano vedere, ormai, la ragazza combattere. Non era mai successo a Troia di vedere una donna con in mano un'arma più grande di uno stiletto usato per uccidere il marito, figuriamoci poi una donna che la sapeva anche maneggiare. 
Lissandra strinse le dita sull'impugnatura della spada e, sotto gli occhi sorpresi delle altre donne, chiamò una delle anziane schiave che erano a disposizione dei soldati. 
"Che cosa posso fare per voi?" Chiese la donna con voce esile. 
Lei guardò Enea negli occhi. "Togli i fermagli che ho sulla tunica e allarga i lacci."
La serva la guardò scandalizzata "Ma così vi ritroverete nuda!" 
"Fai come ti ho detto, sei forse dura d'orecchi?" 
La vecchia guardò Enea, come per chiedergli il permesso. Lui annuì tranquillo, come se quella fosse stata una richiesta del tutto normale. "Muoviti." 
La donna, ancora interdetta, fece come le era stato ordinato. 
La tunica verde cadde a terra, e la schiava tirò un sospiro di sollievo. 
La ragazza indossava un corpetto di cuoio che le fasciava stretto il seno, arrivandole fino al ventre, per poi finire in morbida stoffa blu che lasciava scoperta gran parte delle gambe toniche.
Lei raccolse la tunica ormai piena di polvere e la diede alla donna, dicendole di farla lavare e riporla nei suoi appartamenti.
Enea la guardò "Sei pronta?"
Per tutta risposta lei fece roteare la spada nella sua mano con un movimento fluido. 
Tra la folla riunitalesi attorno, vide gli occhi di Troilo brillare divertiti.
Il figlio di Afrodite sorrise e attaccò. 
Tirò un fendente diretto al fianco della figlia di Poseidone, la quale lo schivò velocemente, fece una piccola giravolta e gli ferì il braccio, procurandogli un piccolo taglio da cui iniziò subito ad uscire sangue.
Enea guardò lei e poi il sangue, con uno scatto riuscì a farle un leggero graffio all'altezza della clavicola, vicino alla gola. 
Il semidio cominciò a bersagliarla di colpi così veloci che erano quasi impossibili da seguire ad occhio nudo. E lei li parava tutti.
Enea sferrò un altro fendente, Lissandra lo deviò di nuovo, anche se in ritardo. La spada del ragazzo le ferì il fianco. 
Lei fece una smorfia, ma niente di più.
Si avvicinò e cercò di confonderlo con una finta, ma lui la respinse, accorgendosi in tempo che la traiettoria della lama era un'altra.
I due si scambiarono fendenti e stoccate a non finire, ma nessuno dei due aveva la meglio sull'altro.
Quello non era un semplice duello. Era una danza mortale, dove ognuno conosceva alla perfezione i passi. I loro movimenti erano precisi, in perfetto equilibrio, veloci e micidiali. 
Le loro mosse erano fluide e perfettamente calcolate, da quanto erano in sincronia sembrava che avessero studiato i movimenti prima del combattimento. 
I principi guardavano ammirati, nessuno aveva mai visto Enea combattere in quel modo, sembrava un'altra persona. E la principessa, lei aveva perso la sua solita delicatezza, maneggiava la sua lama con una sicurezza che non possedeva nemmeno un mastro spadaio. 
A volte si scopriva, lasciando la spada dietro il suo corpo, ma non si capiva mai completamente se stesse attaccando o si stesse difendendo. 
Il semidio si lanciò in avanti forse troppo velocemente, la spada della ragazza gli procurò un taglio netto sulla coscia e lei lo disarmò con un colpo secco, gli diede un calcio al petto e lo fece volare per un paio di metri, facendolo sbattere su un muro. Atterrò di schiena, la spada a pochi metri da lui. 
Lissandra gli corse in contro e diede un calcio alla lama, mandandola lontano. 
Porse una mano al giovane che l'accettò è lo aiutò ad alzarsi. I due si guardarono negli occhi per poi scoppiare a ridere. 
"Wow... Io... Non avevo mai combattuto così." Disse Enea tra le risate. 
"È stata un'esperienza che dovremo ripetere sicuramente." Disse lei. Poi vide che tutti la stavano fissando, o meglio, fissavano le sue ferite. 
Si tastò delicatamente il fianco e strinse i denti a causa di una fitta. "Ahia." 
Si guardò le dita, sporche di sangue. "Che c'è?" Chiese brusca ai mortali che la guardavano. 
"È d'oro." Disse riferendosi al sangue "E allora?" Loro abbassarono gli occhi e borbottarono qualcosa. 

Enea intanto aveva chiamato due ancelle che erano accorse con delle bende e dell'acqua pulita per le ferite. 
Lissandra sussultò.
Qualcuno le stava tamponando la ferita sul fianco con un piccolo telo di lino bagnato. 
"È profonda." 
Troilo era al suo fianco. "Non credo che basti un po' d'acqua per farla guarire, forse dobbiamo chiamare un medico." 
Lei gli sorrise. "Non serve, guarda." 
Indicò la ferita che si stava già richiudendo.
"Come...?" Chiese lui mette ammirava la pelle che si riformava.
"L'acqua mi rafforza e sostiene, è il mio elemento."
Lui la guardò "Non avevo mai visto nessuno combattere in quel modo, e non lo dico perché sei una donna." Disse "Sei fantastica." 
Lei abbassò lo sguardo "Io... Credo di dover andare." 
"Pammone sarà arrabbiato. Conosco mio fratello, forse è meglio se lo lasci calmare un po'." 
"E cosa dovrei fare, intanto?" 
Gli occhi del ragazzo brillarono "Tuo marito non ti ha ancora mostrato le bellezze della città, vero?" 
"No, non mi ha mai mostrato nulla. Pensa che ho dovuto trovare questo campo da sola." 
"Che ne diresti di fare un giro per Troia?" Chiese lui tendendole la mano. 
"Direi che è una splendida idea." Disse prendendola.

~•~


"Allora Nico... Raccontami un po' di te." Disse Apollo indicandolo con la forchetta "Come procede la tua vita sessuale? Ahi!" 
Nico e Will per poco non si soffocarono con il cibo. 
Ade si schiaffò una mano sul viso e Persefone alzò gli occhi al cielo.
Apollo fece una smorfia e si massaggiò lo stinco da sotto il tavolo. Scoccò un'occhiataccia alla sua ragazza "Perché mi hai dato un calcio?" 
Lei ricambiò lo sguardo "Idiota. Non puoi chiedergli queste cose." 
"Ma perché no? Tuo padre a me le ha chieste." 
"Non mi interessa. Quello che Nico fa o non fa non è affar tuo. Evita di impicciarti." 
Ancora una volta nell'arco della serata, Nico guardò grato la cugina. Era la terza volta quella sera che aveva salvato lui e Will dal rispondere a domande imbarazzanti.
Come per esempio quando Apollo gli aveva chiesto da quanto si era accorto di provare qualcosa per l'altro sesso, qui Elisabeth aveva tirato in ballo la storia di Giacinto per far stare zitto il dio.
Oppure quando gli aveva domandato se avesse voluto prendere lezioni poesia con lui in persona, in questo caso alla ragazza era bastata un'occhiata di ammonimento. 
E Persefone faceva lo stesso con Ade, il dio dei morti aveva fatto parecchie domande a Will su come ci si sentiva ad essere attratti dall'altro sesso, e Persefone gli aveva tirato uno scappellotto, oppure se avesse volto passare il fine settimana negli inferi, o se avesse usato la scusa dell'infermeria per stare più tempo con Nico. 
E tutto questo si era svolto durante l'antipasto. 

Quando il cameriere arrivò con la portata principale Apollo batté le mani. 
"Ho un'idea!" Disse, guardando tutti, sorridente. 
"Ehm... Papà... Tu e le tue idee..." 
"Shh Will. Questa è un'idea strabiliante."
Guardò Ade "Sfida di haiku. Tra me e te. Chi vince ospiterà Will e Nico per Natale." 
Ade sogghigno "Tu non sei più il dio della poesia. Ci sto." 
In sottofondo si poté sentire il rumore delle testate che gli altri quattro commensali stavano dando contro il muro.

Angolo autrice: buon salve. Alluora... Chi vincerà la gara di haiku? Che ne pensate di Enea e Troilo? 
E Apollo? 
Per il prossimo capitolo avete qualche haiku divertente in mente? Se si fatemelo leggere, e vedrò se si potrà metterlo nella gara. Specificate anche se è per Ade o Apollo. 

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Capitolo 29
*** Ventinove ***


"Dove sei stata?" Pammone la guardava con occhi indagatori. Era appoggiato a braccia conserte sul letto. 
Lissandra guardò fuori e vide che era quasi buio. Apollo si era superato quella sera, il tramonto era stato pazzesco. 
Lo aveva ammirato insieme a Troilo sulle mura della città. Il giovane l'aveva portata nei luoghi più belli di Troia, avevano passato una splendida giornata insieme.
"In giro." 
"Dove?" Ripeté lui. 
"Ho fatto un giro per la città." 
"Ti ho fatto portare la cena." Disse indicandole un vassoio di frutta. Lei lo ringraziò con lo sguardo e si versò una coppa di vino. 
Pammone le camminò incontro. "Che diavolo hai addosso?" Le chiese vedendo il corpetto di cuoio e la corta gonna. 
"Una delle tenute da allenamento che possiedo." Disse lei stringendosi nelle spalle, prese una fragola. "Come va il braccio?" Chiese notando il rossore. 
"Benissimo." Rispose lui a denti stretti. "È il mio orgoglio quello a pezzi." Batté una mano sul piccolo tavolino di legno su cui erano appoggiati i monili della moglie. 
"Come hai osato mancarmi di rispetto in quel modo?" 
"Come hai osato provare a picchiarmi?" Chiese lei di rimando. 
"Non l'avrei fatto se non mi avessi dato una ragione per farlo. Io sono tuo marito. Devi obbedire!" Gridò guardandola negli occhi. Lei mantenne il contatto visivo senza battere ciglio. "Io sono l'uomo! Quello che combatte e ti protegge! Tu... voi donne servite per darci piacere ed eredi. Non per combattere!" 
"Non voglio ricominciare a discutere Pammone..." Sbuffò. 
"Infatti. Noi non discuteremo, ti sei divertita oggi con mio cugino? Bene, perché è l'ultima volta che prendi in mano un'arma che non sia un pettine!" Disse stringendole la mano con l'anello tentando di sfilarglielo. 
"Non ci provare, principe. Ti ho già detto che non sono una delle deboli donne mortali a cui sei abituato, io sono una guerriera. Sono stata addestrata fin dalla nascita a combattere! Mi ha allenata Chirone!" 
"Non mi interessa! Nuova città, nuovo marito, nuove regole!" 
Lei tolse la sua mano dalle sue. "Io non smetterò di usare le armi." Ringhiò.
"Si invece!" 
"Ma perché non puoi capire che non c'è niente di male se la vostra città ha una altro semidio in grado di maneggiare bene la spada!" 
"C'è di male che sei una donna, mia moglie e protetta di Apollo." 
"E allora?" 
"Presto avremo una famiglia, dovrai prenderti cura della casa. Non ci sarà il tempo di allenarsi." 
"E chi ha detto che voglio formare una famiglia?" 
"Io. Voglio un erede maschio al più presto." 
"Io non voglio farlo." Disse lei. "Basta." 
"Invece lo farai." Disse Pammone prendendola per le spalle. E spingendola verso il letto.  "Ti comporterai da principessa, come si addice ad una donna del tuo rango e mi darai un'erede." 
La spinse sul materasso "E non potrai dire che ho abusato di te, visto che è il tuo dovere partorire figli al più presto."  
"Ma hai bevuto?" Chiese lei mentre lo teneva a debita distanza con le braccia. 
"Un po'." 
Qualcuno bussò alla porta e Lissandra sospirò sollevata. "Chi è?" Gridò Pammone in modo sgarbato. 
La porta si aprì ed entrò Troilo. 
Quando vide la posizione in cui erano i due guardò Pammone in malo modo. 
"Che vuoi? Non vedi che siamo occupati?" Ringhiò il maggiore. 
La ragazza riuscì a scrollarselo di dosso e si allontanò da lui. "Tu sei occupato. Io no." 
Troilo continuò a guardare il fratello. "Che cosa le stavi facendo?" Chiese. 
"Quello che fanno le persone sposate. Vattene fratello." 
"Non mi sembra che la tua sposa sia molto d'accordo con quello che volevi fare." 
"Non sono affari tuoi." 
Troilo guardò fuori dalla finestra mentre stringeva i pugni e annuì poco dopo. "Hai ragione. Comunque è stato nostro padre a mandarmi qui. Mi ha detto di comunicarti che partirai domani per Argo, poi andrai a Delo a rendere omaggio al dio per conto della famiglia e a Sparta. Starai via per sei mesi, viaggio compreso. Con te verrano anche Ettore e Paride."  
Pammone strinse le nocche "Cosa?" 
"È un viaggio che alcuni di noi principi fa ogni anno, quest'anno nostro padre ha scelto te e i nostri fratelli. Quindi prepara le valige." Disse asciutto. 
L'altro fece per parlare, ma richiuse la bocca poco dopo. Sapeva che disobbedire a Priamo non era un'opzione.
 "Farò come vuole nostro padre." Guardò la moglie, ancora in piedi di fianco al letto. "E lei?
"Tua moglie resterà qui. Papà la vuole conoscere per bene. Mi ha nominato sua nuova guardia, durante la tua assenza. Dovrà obbedire a me come se fossi te." 
Pammone annuì piano. Lissandra scoccò un'occhiataccia a Troilo, ma lui fece finta di ignorarla. 
Il più giovane fece per andarsene.

"Va bene. Fratello?" Lo richiamò Pammone. 
"Si?"
"Fa si che mia moglie non tocchi una sola lama, durante la mia assenza. Voglio che la controlli sempre, dovunque e ovunque." 
"Che hai detto?" Scattò la rossa. 
L'altro annuì piano e le fece segno di tacere. 
Non si sa come, ma lo ascoltò. 
Troilo aprì la porta "Devo fare altro?" 
"Controlla che si comporti da donna e non da guerriera." 
Il ragazzo annuì di nuovo. "Va bene. Buon viaggio fratello." Disse prima di uscire e richiudersi la porta alle spalle. 

Pammone guardò la moglie. "Torna qui, principessa." Ordinò. "Voglio vederti con il mio erede in grembo quando tornerò." 

~•~

Apollo guardò negli occhi Ade e recitò 
"Ade perderà 
Apollo trionferà 
Will e Nico sono miei..." 
Si rese conto di aver sbagliato a contare "No! Aspetta! Ho sbagliato!" Gridò alzandosi dal tavolo e sbracciandosi in avanti. Will alzò gli occhi al cielo. 
Ade non si scompose e disse "Sei idiota
Ci vediamo nell'Ade
Ti ho battuto." 
A tavola scese un silenzio tombale. 
"Cosa-che co-sa?" Chiese Apollo. 
"Ho vinto. Ti ho battuto. Il Natale lo passiamo negli Inferi." Spiegò Ade con un piccolo sorrisetto soddisfatto. 
"Io non posso perdere! Non in  una gara di haiku!" Protestò il biondo. 
"Ehm... Papà potresti sederti? Stai dando spettacolo." Disse Will prendendolo per un braccio e portandolo sulla sedia. 
Lì Elisabeth si mise a dargli piccoli finti colpetti  comprensivi sulle spalle.
"È passato, fai un respiro profondo." 
"Ma... Ma..." 
"Shhh. Va tutto bene." 
"Però lui..." 
"Respira. Inspira ed espira." Disse Elisabeth cercando di non ridergli in faccia per la scenata che stava facendo, erano solo haiku dopotutto!
"Si Apollo, respira, ti ho solo battuto nel tuo campo!" Disse Ade prima di scoppiare a ridere. 
Nico e Persefone lo seguirono con risate finte, ma Will e Apollo misero il broncio. 
Fortunatamente la figlia di Poseidone chiamò un cameriere "Possiamo avere la lista dei dolci?"

~•~

La nave stava lasciando il porto di Troia proprio in quel momento.
Lissandra pensò per un momento di ordinare alle acqua di farla affondare, ma solo per un momento. 
Troilo l 'affiancò. 
"Come va?" 
Lei non rispose. Un'onda enorme e solitaria colpì la nave, che traballò per un po'.
"Ok, cos'è successo ieri notte?"  Chiese. 
"Niente." Disse lei piatta. "Sono cose che non ti riguardano, lo hai detto tu stesso ieri sera." 
Disse stringendo lo scialle blu notte che aveva sulle spalle.  
"Sai che se mi fossi messo in mezzo sarebbe stato peggio." Ribadì Troilo. 
"Niente sarebbe stato peggio di quello che ho perso." 
Lei gli lanciò un'occhiata carica d'odio, girò i tacchi e si incamminò verso il cavallo che le aveva dato Priamo.
"Ehi piccolo" lo salutò prima di salirci agilmente in groppa. Non si guardò nemmeno indietro, diede gambe e galoppò via.
Troilo montò sul suo cavallo e gridò "Lissandra, aspettami!" 

~•~

"Non è giusto!" Piagnucolò ancora Apollo mentre lui, Liz, Will e Nico salivano nell'auto del figlio di Ade.
"Perché ha vinto?  Domandò di nuovo più a sé stesso che agli altri. 
"Non voglio andare negli inferi per Natale. Lì c'è tanto caldo e tanti morti che urlano." Si lamentò. 
"A me piacciono i morti che urlano. Sono amici del mio Scheletrino. Quindi sono amici anche miei." Disse Will. 
"Aspetta, se sono amici tuoi sono anche miei allora." Disse Apollo molto convinto.

Elisabeth si sporse verso Nico. "Grazie del passaggio, non so se sarei riuscita a riportarlo a casa." 
"Figurati. Grazie di avermi salvato da domande imbarazzanti." 
Lei si strinse nelle spalle "Non doveva chiederti cose di quel tipo. Punto." 
Nico sorrise "Li portiamo dentro uno alla volta, ti va?" 
Will ridacchiò contro la spalla di Nico e Apollo crollò sulle gambe della ragazza subito dopo aver detto di nuovo che doveva vincere lui. 
"Perché abbiamo permesso a mio padre di offrigli da bere?" 
"Non lo so. Ma sono più che ubriachi." Sospirò lei. "Ho paura che dovremo portarli in braccio."

~•~

Quando Troilo la trovò, la figlia di Poseidone era seduta sul bordo di un'alta scogliera, con le gambe a penzoloni. 
Seduto di fianco a lei c'era un ragazzo. E le stava vicino, molto vicino. 
Il principe si nascose dietro una roccia.

Il ragazzo era di spalle, ma si potevano notare i capelli biondi e le spalle larghe. 
E stava chiedendo la stessa cosa che le aveva chiesto lui: cos'era successo l'altra sera.
Lissandra non disse niente. 
"Liz, devi dirmelo." Disse il biondo. 
Troilo sussultò quando sentì il ragazzo chiamarla in quel modo. Doveva essersi preso molta confidenza con lei. 
Lei scosse la testa. 
"Tesoro, sono preoccupato per te. Ti prego, se ti ha fatto qualcosa, qualunque cosa, devo saperlo. Non lo dirò a tuo padre, te lo prometto." Riprovò lui. 
E Troilo vide una cosa che si era solo immaginato, non aveva mai pensato che potesse succedere ad una come lei. 
Una lacrima solcò la sua pelle, e cadde pesante sul collo. 
"Liz?" La chiamò di nuovo il ragazzo. 
"Abbiamo solo discusso." Disse, la voce tremolò leggermente. "E in quella discussione la mia dignità se n'è andata a farsi benedire."
"Se aveste solo parlato tu non saresti così." 
"La verità è che non ne sono sicura, ho delle brutte immagini nella mente, quando mi sono svegliata Pammone aveva i postumi di una sbornia bella forte e mi ha detto che aspetto il suo erede." 
"Ti ha drogata?" Chiese lui. 
Lei annuì. "Che stupida, eh? Nessuno ci riusciva da tanto." 
"E ha detto che aspetti suo figlio?" Il suo tono di voce gelido come il vento che iniziava a soffiare sugli scogli. 
Lei annuì e un'altra lacrima le scese sul viso. 
"Vuoi dire che ti ha..." 
Il principe trattenne il respiro. 
"Non dirlo." Disse lei iniziando a tremare "Non voglio sentirlo. Preferisco pensare che sia stato solo un'incubo." 
Il giovane fece per abbracciarla. Ma lei si scansò. 
"Ti prego. No." 
"Lo brucerò vivo." Ringhiò il biondo.
"Io... Posso fare qualcosa per te?" Chiese lui impotente.
"Toglimi questo senso di sporco di dosso." Implorò lei. 
Lui annuì come se non ci avesse pensato. "Vuoi che ne cancelli anche il ricordo?"  
Lei annuì di nuovo. "Toglimi quell'immagine dalla testa."
Troilo si chiese come facesse una persona a cancellare un ricordo del genere.
"Certo Dolcezza." Alzò una mano da cui si sprigionò una luce dorata. "Lo ricorderò io per te. Vuoi che lo incenerisca?" 
"No. Era ubriaco. E così scateneresti un'altra guerra." 
"Per una buona causa." Sussurrò lui prima di poggiarle la mano sul petto. Una luce accecante invase lo spazio visivo di Troilo. 

Quando la luce si spense Apollo era dietro di lui. "Che ci fai qui, principe?" 
Il dio lo sovrastava di quindici centimetri buoni, e questo contribuì a far fare un passo indietro al ragazzo. 
"Chi... Chi sei?" Chiese Troilo. 
Il biondo sbuffò. "Non mi riconosci? Hai anche servito nel mio tempio." 
"Apollo?" Chiese. 
Il dio annuì. Troilo fece per inchinarsi, ma lui lo fermò. "Tratta bene la piccola Liz. Tu sei l'unico in quella famiglia a volerle bene. E si..." lo interruppe sul nascere "So cosa provi per lei."
Troilo sgranò gli occhi.
"Non dirle che sono stato qui." Continuò Apollo. "Si ricorda solo che ieri sera lei e quel maiale hanno provato insieme ad avere un bambino. Peccato che tuo fratello sia sterile." Sorrise "Da questo esatto momento." 
"Cos..." 
"E la creatura che si stava per creare nel ventre di Liz è sparita."
"Mio signore..."
"Trattala bene. O non sarò clemente con te." Minacciò Apollo prima di sparire.

Angolo me : ciao sono di fretta quando sarò di poche parole. Se ve lo state chiedendo la cosa che ha fatto Pammone a Liz non è questa, solo che mentre scrivevo è venuta fuori da sola...
Apollo ha perso la gara di haiku... Poretto:) beh è la vita. 

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Capitolo 30
*** Trenta ***


Quando Apollo si svegliò si ritrovò con un mal di testa lancinante. Tanto che dopo essersi messo a sedere sul letto cadde all'indietro. 
Si guardò intorno. La cabina era vuota. Il sole illuminava la stanza.
Tutti i letti erano rifatti, a eccezione di quello di Will. 
Suo figlio dormiva beatamente con metà del corpo fuori dal letto, sul pavimento. 
I ricordi della sera prima erano confusi, tanto che credeva di aver sognato di partecipare ad una gara di haiku con Ade e di aver perso. 
Un momento... 
Forse quello non era un sogno, anche perché aveva la vaga idea di dover passare il Natale negli Inferi.
No, quello decisamente non era un sogno, era un maledettissimo incubo.
Sentì un tonfo. 
"Ahi! Ma cos...?" La voce di Will si propagò per la cabina 7. 
Apollo sbuffò, doveva trovare un'aspirina.

~•~

Era passata una settimana dalla partenza dei tre Principi. 
Una settimana passata velocemente per la semidea, la quale l'aveva passata quasi tutta nelle sue stanze a causa della presenza continua di un certo figlio del re. 
Troilo seguiva la figlia del dio del Mare ovunque andava, non la lasciava mai sola.
Da quando era partito Pammone Troilo sembrava molto protettivo nei confronti della ragazza, che cercava di sfuggirgli in tutti i modi.
Voleva essere lasciata in pace per un po', anche perché così si sarebbe potuta allenare senza che occhi indiscreti la guardassero.
Quel giorno il principe l'aveva accompagnata fuori dalla città per fare una passeggiata. 
Questo almeno era quello che aveva detto Troilo alle sentinelle. 
Quando arrivarono in una piccola radura a  mezz'ora di cammino dalla città i due si fermarono. 
C'era un piccolo laghetto al centro del prato che rifletteva sull'acqua le nuvole presenti in cielo. Un corvo atterrò su uno dei rami di un albero. 
Lissandra sguainò la sua spada e ne saggiò la lama.
"Vedi di non farti troppo male." La avvertì Troilo mentre liberava i cavalli dai finimenti. 
Lei annuì e il corvo prese forma umana.
"Spada?" Chiese il dio del Sole. 
Lei annuì guardando la sua. 
Apollo scambiò un muto saluto con il principe, che si sedette sull'erba ad affilare la sua spada. 
"Molto bene." Disse Apollo facendosi apparire nella mano una lama dorata. 
"Anche se continuo a preferire l'arco." 
Il dio attaccò. 
Anche se era un arciere Apollo era portato anche per gli altri generi di combattimento, i suoi movimenti erano eleganti e fluidi, la sua espressione esteriormente serena e rilassata. 
Ogni volta che la sua spada fendeva l'aria produceva un suono armonioso.
Troilo si alzò per andare a caccia, dovevano pur mangiare qualcosa e non avevano portato nulla. 
I due combatterono per due ore buone, senza mai fermarsi e cedere. 
A differenza del duello con Enea questo era qualcosa di epico, perché i due combattenti capivano le intenzioni dell'altro solo con uno sguardo e conoscevano le proprie mosse e lo stile. 
Quando Apollo la disarmò, la figlia di Poseidone assottigliò lo sguardo e il corpo del dio si immobilizzò. 
"Non è giusto! Stai barando!"
Lei sorrise "Nessuno ha detto che non possiamo usare i nostri poteri." 
Gli occhi del dio brillarono "Oh... Allora..." Il suo corpo si illuminò di luce dorata sempre più abbagliante, che crebbe  fino ad accecare la ragazza.
Quando riaprì gli occhi Lissandra sbuffò "Sei un rompiscatole." 
 Apollo era scomparso, ma un raggio di sole le illuminò la guancia "Io dico che ho la vittoria facile. Divertiti con il mortale, dolcezza." 
Lei rivolse un fugace sguardo al sole e si sedette sull'erba.

Quando il principe tornò nella radura, poco dopo, aveva appeso alle spalle due grandi fagiani. 
Accese un fuoco, li spennò e cucinò sotto gli occhi stupiti della ragazza, non era usuale infatti per un nobile di quel rango saper fare da mangiare, anche se tutti sapevano cacciare.
~•~

"Ciao Pierce." Salutò Elisabeth quando aprì gli occhi. Era ormai mattina inoltrata, la sera prima la figlia di Poseidone e Nico avevano portato a letto Apollo e Will, troppo ubriachi perfino per camminare. 
Dal letto accanto provenne un grugnito indistinto. Seguito da una voce femminile che la salutava.
Elisabeth si girò verso il letto del fratello e sorrise ad Annabeth. 
La figlia di Atena era sveglia, tra le braccia del suo ragazzo. 
"Sei tornata tardi ieri sera." Disse la bionda. "Com'è stata la cena?" 
"Estenuante." Sospirò l'altra. "Apollo ha anche perso una gara di haiku." 
"Contro Will?" 
"No, Ade." 
Annabeth ebbe il buon senso di non ridere. "Sul serio?" 
"Già. Credo che l'essere mortale gli abbia tolto qualsiasi dote che aveva come dio della poesia. Spero di non vederlo mai con un arco in mano finché non tornerà immortale, ho paura di dove potrebbe tirare le frecce." 
"Credo anche io." 
Elisabeth si mise a sedere e abbracciò il cuscino. "E voi invece che avete fatto?" 
Gli occhi di Annabeth brillarono. 
"Abbiamo cenato in mensa, poi Percy mi ha portato al laghetto delle canoe e ha creato la solita bolla per farmi respirare sott'acqua. Abbiamo passato tutta la sera sotto il lago." 
"Immagino vi siate divertiti." 
"Molto." Annabeth lanciò uno sguardo al l'anello di diamanti che portava al dito. 
"Abbiamo deciso una data." 
"Davvero?" Chiese entusiasta Elisabeth. 
"Si. Prima di sposarci però abbiamo deciso -rettifico io gli ho imposto- di fare un anno di università a Nuova Roma. 
Prenderemo un appartamento e ci stabiliremo lì. Ci sposeremo il primo Giugno." Disse sorridente. 
"È fantastico. Congratulazioni, davvero." La figlia di Poseidone si alzò. "Verrei ad abbracciarti ma..." Disse indicando Percy. 
"Tranquilla." 
"Vado a svegliare il Pollo per fargli prendere qualcosa per l'imminente mal di testa che gli verrà." 
"Io credo che rimarrò qui." Disse Annabeth crogiolandosi nel l'abbraccio di Percy.
~•~

"Grazie per la splendida giornata." Disse la principessa sulla soglia delle porte della città, mentre due uomini si apprestavano ad aprirle. 
"Grazie a te della tua compagnia." Troilo le sorrise. 
Insieme cavalcarono fino al palazzo, dove il principe lasciò i cavalli ad un servo e l'accompagnò fino ai suoi appartamenti. 
"Ti va di cenare con me?" Chiese ad un certo punto lui. 
"So che quando ci si sposa è tradizione mangiare nelle proprie stanze, ma so anche che sei da sola quindi..." 
Lei lo guardò intensamente e sotto quello sguardo Troilo non riuscì a non abbassare gli occhi. 
"Scusa... Forse non avrei dovuto chiedertelo..." 
"Va bene." 
"...  Magari viene qui Apollo... Hai detto si?"
"Ho detto si. E per la cronaca Apollo deve cenare sull'Olimpo." Sorrise lei. 
"Fammi cambiare un momento e sono da te." Disse accennando alla tunica corta poco consona alla vita di palazzo.

~•~

"Percy." Annabeth scostò il braccio del semidio che le cingeva il fianco. 
"Svegliati." 
Il figlio di Poseidone dormiva beato come se niente fosse, con il suo rivolo di bava che bagnava il cuscino. 
Annabeth si fermò a guardare la sua espressione serena, cosa che non aveva spesso quando dormiva. 
"Ti amo Testa d'Alghe." Sussurrò facendogli una leggera carezza.
"Anche io Sapientona." Disse lui con la voce impastata dal sonno. Aprì un occhio per guardare la sua ragazza, per poi richiuderlo subito dopo. 
"Troppa luce." 
"Non lamentarti, è ora di pranzo." 
"Ma io ho ancora sonno." Protestò lui. "Sono piccolo e ho bisogno di dormire." 
"Sei proprio un bambino." Lo prese in giro Annabeth mettendogli una mano tra i capelli e iniziando a pettinarglieli piano. 
"Non ero un Testa d'Alghe?" 
"Anche quello." 
Percy aprì entrambi gli occhi per guardarla e  sorriderle.
Anche se da appena sveglia Annabeth gli sdentava bellissima. 
"Vieni qui Sapientona." Disse aprendo le braccia.
La figlia di Atena non se lo fece ripetere due volte ed entrò nell'abbraccio del fidanzato. 
"Ti amo Annabeth." 
"Anche io Percy." 
~•~


"Benvenuta figliola." L'accolse Priamo. 
Lei sorrise e raggiunse Troilo. "Mi dispiace essermi aggiunta all'ultimo minuto." 
Il vecchio re le sorrise di rimando "Sciocchezze. E poi noi due non ci siamo ancora conosciuti come si deve, siediti vicino a Troilo." 
Avevano apparecchiato la tavola su una delle grandi terrazze del palazzo che davano sui giardini, Priamo era a capotavola, di fianco a lui c'era la moglie Ecuba che era affiancata da Enea, davanti al quale era seduto Troilo. 
La figlia di Poseidone si sedette vicino al re. 
"Posso chiedere come mai mangiate insieme solo voi, anche se la vostra famiglia è più che numerosa?" Chiese rivolgendo all'altro semidio un cenno di saluto. 
"Oh, beh. È semplice: ogni cena si trasformerebbe in un banchetto, quindi ogni sera io e mia moglie ceniamo con figli e nipoti diversi." 
Priamo batté le mani e due schiave di accinsero a riempire di vino le coppe dei commensali. 
"Credo che anche vostro padre debba fare la stessa cosa, d'altronde anche voi siete molti in famiglia."
Enea sobbalzò sentendo quello che aveva detto lo zio, e la figlia di Poseidone strinse la coppa tra le dita. 
"No. Mio padre mangia con la sua divina moglie." 
"Zio, le tradizioni sull'Olimpo sono diverse dalle nostre." Disse il figlio di Afrodite. "E poi non sono cose che riguardano i mortali, queste." 
"Ma è la moglie di mio figlio." 
"Però padre devi ricordare che è anche la figlia di Poseidone." Intervenne Troilo. 
Priamo annuì e la ragazza guardò il principe, grata.
Continuarono a mangiare parlando di argomenti futili come il commercio Toiano, i magnifici esemplari di cavalli che allenava il re e la svalangata di nipoti che aveva il monarca. 
"Come trovate mio figlio?" Chiese ad un certo punto Ecuba. 
Lissandra stette un attimo in silenzio, come per cercare di trovare le parole giuste. 
"Ecco... Diciamo che abbiamo idee diverse." "Su cosa?" Chiese il re.
"Sul mio ruolo qui e su quello che posso o non posso fare in quanto all'essere sua moglie." 
"Pammone è molto protettivo neo confronti delle persone a cui è legato, magari è questo." 
"Sarà... Ma comunque è un mio problema, non vostro." 
Ecuba la guardò comprensiva e poi chiese ancora "Volevo chiedervelo dà un po', lo avete notato bere di recente?" 
"Io..." Tentennò guardando Enea e Troilo in cerca di aiuto. 
"Continua a bere, se è questo che vuoi sapere madre." Disse il più giovane. 
"Speravo avesse smesso una volta sposato." 
"Cercherò di farlo smettere." Disse ancora a disagio lei.
"Moglie mia, questi saranno problemi della giovane coppia, non nostri." Disse Priamo mettendo una mano su quella di Ecuba. 
"Parliamo di cose importanti." 
Il vecchio re sorseggiò il suo vino "So che siete stata al campo di addestramento dei nobili." 
"Ecco..." 
"Uno dei miei generali mi ha detto che hai anche combattuto contro mio nipote." Guardò Enea. "E che sei brava." 
"Priamo, la mia istruzione è prevalentemente militare." 
"Ma sei una donna. Ed è inusuale vedere una donna con in mano un'arma." 
"L'ho già detto a tuo figlio e non lo voglio ripetere, non sono una mortale come le vostre donne. È anche la prima volta che indosso tuniche lunghe per così tanto tempo."
"Vuoi dire che sei una guerriera?"  Il vecchio re la guardò con una strana luce negli occhi.
"Si." 
"Era quello che volevo sentire." Disse alzandosi in piedi. 
Gli altri lo imitarono, interdetti. 
"Seguitemi."

Angolo autrice: eccomi qui. Allora... Questo capitolo è concentrato sul passato di Liz (siamo quasi alla fine, tra poco torneremo al presente) e sulla Percabeth (perché si, ci stava.) 
Scusate se non aggiorno da un po' ma con l'inizio della scuola sono rimasta un po' incasinata. Com'è andato il vostro rientro? 

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Capitolo 31
*** 31 ***




Priamo li aveva portati in una grande sala adiacente alla sala del trono. 
C'erano molti seggi di pietra posti su due file parallele, con a capo un seggio più grande. 
"Te ne intendi di guerra, strategie e combattimenti, vero?" Chiese a Lissandra. 
Lei annuì come se fosse una cosa ovvia "Certo." 
"Questa è la sala del consiglio militare." 
Disse Priamo avvicinandosi ad uno dei seggi più vicini al suo trono. 
"Questo era il posto del mio più fidato generale che, purtroppo a causa dell'età, ci ha lasciati." Guardò la ragazza. "Voglio che lo prenda tu." 
Lei non si scompose, ma gli occhi tradirono la sua sorpresa. 
"Davvero?"
"Da quello che mi ha raccontato Enea sai usare la spada meglio di chiunque altro, e sei la figlia del dio del Mare nonché moglie i mio figlio. Direi di sì. Non mi importa se sei una donna." 
Troilo e Enea le sorrisero. 
"Allora, vuoi diventare uno dei miei generali? Ti allenerai tutti i giorni con i miei figli e prenderai parte alle riunioni militari. La tua parola sarà legge, sarai seconda solo al re." 
Gli occhi della ragazza brillarono "Con piacere."
Il re batté le mani felice "Bene, domani ti assegnerò delle truppe. Ah..." Si mise una mano in tasca e ne tirò fuori un anello. 
"Metti questo, lo indossano tutti i miei generali." Disse mettendoglielo tra le mani. 
Era identico a quello che avevano Troilo, Enea, Ettore e altri due uomini che lei non conosceva. Un anello d'oro con incastonato uno smeraldo.
"Ora è tardi e vi voglio tutti riposati per domani, verrò io stesso a vedere come procedono gli allenamenti." 

         
Troilo accompagnò la principessa fino alla sua stanza. Si fermò davanti alla porta. 
"Generale, eh?" Le chiese con una punta di orgoglio nella voce. 
"Così sembra. Grazie per la serata." Disse lei mettendo una mano alla porta. 

"Senti..." Cominciò il principe avvicinandolesi.
"Tu e mio fratello... Lo so che è partito solo da una settimana ma..." Tentennò avvicinandosi ancora di più, pochi centimetri li separavano. 
"Cosa c'entra..." Disse lei prima che le labbra del principe la zittissero.
All'inizio la ragazza rimase rigida, ma quando lui le le portò le braccia lungo i fianchi chiuse gli occhi e rispose al bacio. 
Gli stava per portare una mano tra i capelli quando si bloccò e lo spinse via. 
"Non possiamo." Sussurrò quasi tremando. "Sono sposata." 
Lui scosse la testa e la intrappolò alla parete appoggiandocisi con le braccia. "Ma lui non ti piace." 
Si sporse di nuovo verso di lei con l'intento di baciarla ancora, ma Lissandra girò il capo. 
"Ho detto che non posso." 
Gli fece una carezza. "Devo obbedire a mio padre."
Troilo abbassò gli occhi per posarli sulle sue labbra "Non è giusto." 
"Lo so. Ma non posso tradire mio marito, neanche se è solo un mortale." 
"Anche io sono solo un mortale." 
"Tu sei molto di più." Disse prima di uscire dalle braccia del principe e aprire la porta della sua stanza. 
"Buona notte." Disse lui avvicinandolesi per poggiare le sue labbra sulla sua guancia. "Questo posso farlo, visto che sono tuo cognato." 

-•-

Apollo si trovava nella casa di Artemide. 
Aveva preso l'aspirina e la pastiglia stava già facendo effetto. 
Però si sentiva uno schifo lo stesso, aveva visto la data sul calendario. 
"È il 21 Agosto, fratello. Il tempo stringe." Disse una giovane voce. 
"Lo so, Arti."
"Devi sbrigarti." Artemide gli mise una mano sulla spalla. 
"Le ho già chiesto se vuole sposarmi, Arti." Sputò fuori lui. 
"Allora è fatta, basta celebrare la cerimonia..." 
"Ha detto di no." Apollo si lasciò scivolare sul marmo.
"Non posso farle pressioni." 
"Ha detto no?" Chiese lentamente la dea.
"Ha detto no." Ripeté Apollo. "Ha detto che starà con me per sempre, ma che non vuole sposarsi." 
"Beh... Magari posso parlare con papà, magari gli va bene anche se non ti sposi..." 
"No, Arti. So che papà voleva un matrimonio. Non cambierà idea." 
"Quindi rimarrai mortale?" Chiese lei inginocchiandosi vicino a lui. 
"Si."
"Ma... Ma così potrai essere ucciso!" 
"Non importa. Le ho chiesto di fare una cosa troppo grande per lei. L'ho fatta star male."
"Però..."
"Ha paura del matrimonio com'è giusto che sia dopo quello che ha passato, non voglio farle paura anche io." 
Apollo si appoggiò alla sorella. "Perché l'amore fa così schifo? Prima Giacinto, Dafne, Otrera... Tutti prima o poi mi lasciano." 
"Non lo so, Afrodite si diverte così." Sussurrò lei. "Le parlerò io." 
"No." La bloccò lui alzando di scatto il capo. Gli occhi gli brillavano come se avesse avuto un'idea geniale. "Non con Afrodite. Parla con Ade. Digli che deve farmi un favore."

-•-

Sul piccolo palco usato dalle donne e dai vecchi mobili per vedere i giovani allenarsi era stato riposto un trono. 
Priamo sedeva in prima fila, insieme alla moglie e alle altre spettatrici. 
"Fate come se non ci fossi." Aveva detto il vecchio re.
I principi e i giovani presero in mano le armi, Enea e Troilo compresi.
Poco dopo la figlia di Poseidone li raggiunse. Accennò ad un inchino verso il re con il capo e guardò i due principi. 
Si avvicinò ad Enea i due scambiarono solo uno sguardo e simultaneamente incrociarono le loro lame.
L'incontro durò a lungo, sembrava quasi che i due avessero stretto un muto accordo di andarci piano. Entrambi maneggiavano perfettamente le lame, ma evitavano le ferite e il corpo a corpo, il loro era uno scambio di stoccate e parate. 
 
A metà della mattina, quando nessuno dei due semidei aveva ancora dato segni dì cedimento, Priamo si alzò dal suo trono. 
Nel campo scese il silenzio, mentre gli occhi di tutti erano rivolti verso il re. 
"Che ne dite di due contro uno?" Chiese lui rivolto alla ragazza. 
Lei venne percorsa da un fremito di adrenalina mentre annuiva.
Priamo annuì "Ovviamente combatterai con i miei soldati migliori."
Gli occhi del figlio filo di Afrodite vennero percorsi dal desiderio di combattere, Troilo annuì.
Lissandra schioccò le dita e nella mano libera le apparve una perfetta copia della sua spada che fece roteare elegantemente. 
"Sai combattere anche con la sinistra?" Chiese Enea ammirato. 
"Se mi infortunio la festa devo saper usare altrettanto bene anche la sinistra."
Bastò uno sguardo e i tre iniziarono. 
Fu un incontro epico, I due principi non avanzarono colpi di nessun tipo, si alternavano ad un ritmo quasi surreale. 
E Lissandra teneva testa ai due come se non avesse fatto altro nella vita. Il problema era che non guardava mai il figlio del re meglio occhi, come invece faceva con Enea.
I tre combatterono senza sosta fino a quando il re stesso non disse che dovevano fermarsi. 
"Fantastici." Disse solo prima di alzarsi e tornare a palazzo. 
I tre si guardarono a lungo prima di lasciar cadere le armi a terra e riprendere fiato. 
"Per oggi io ho finito." Disse lei recuperando le spade dalla sabbia "Ci vediamo." Salutò prima di correre verso il palazzo.

-•-


"Raggio di Sole... Mi prendi un'aspirina?" Chiese Will al suo (finalmente)ragazzo.
Il figlio di Ade, ancora mezzo addormentato, aveva raggiunto Will appena si era svegliato, per vedere se il biondo stesse bene. 
Nico gli porse una scatolina che aveva in tasca già da prima, pronta all'uso. 
Will ancora tramortito dall' alcool ingerito la sera prima, stava ammirando il suo fidanzato in tutta la sua assonnata bellezza. 
Nico era ancora in pigiama, rigorosamente nero, e aveva i capelli sparati ovunque. 
"Mi fa male la testa." Disse Will mentre cercava di prendere la pastiglia tra le dita.
"Ci credo, con quello che hai bevuto." Disse Nico prendendogli la pillola dalle mani e mettendogliela, brusco, in bocca. 
"Manda giù." Ordinò porgendogli un bicchiere d'acqua. 
Will obbedì per poi sorridere "Sembra che tu sia un ottimo dottore del dottore, Nico." 
"Zitto Solace." Borbottò il figlio di Ade cercando di nascondere il rossore apparso sulle sue guance. 
"Come vuoi." Disse Will distendendosi a letto. 
"Mi ripeti cos'è successo?" Chiese stanco passandosi una mano sulla fronte.
"Papà era così felice della vittoria su Apollo che ha ordinato tre bottiglie di vino. Dovevamo dividercele ma non so come tu e tuo padre vi siete scolati le prime due." 
Nico sorrise leggermente e si guardò i piedi "Doveva essere proprio forte quella roba per conciarvi così." 
"E..."
"E vi siete messi a blaterare insieme cose senza senso come il perché non possiamo mettere costumi agli insetti o come sarebbe stato mio padre vestito da donna." Lo guardò ghignando "E l'ultima era tua." 
"Oddei."
"Già. Fortunatamente anche mio padre si è ubriacato, spero non ricordi nulla pure lui." Disse Nico alzandosi in piedi. "Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Tu non vomitare in giro."
"Scusa Nico?" Lo fermò Will.
"Sono sicuro di non aver avuto questa maglietta ieri sera." Disse indicandosi la maglia bianca che indossava "Mi hai cambiato tu?" Gli chiese malizioso. 
Nico diventò rosso come un peperone "Devo prendere il bacon!" Farfugliò prima di correre fuori dalla cabina di Apollo.
Will lo seguì con lo sguardo "Ma se a te non piace nemmeno..."

-•-

Troilo era appena uscito dalla vasca da bagno. Uno schiavo gli porse un telo e lo aiutò a coprirsi.
La porta della sua camera si aprì e la figliastra i Poseidone fece capolino. 
"Però... Carina la tua stanza." Disse entrando del tutto e appoggiandosi alla porta. C'erano armi sparse quasi ovunque, pezzi di armature varie erano stati lasciati per terra, sul letto, sui mobili di legno...
Troilo rimase sorpreso, era seminudo e lei non aveva battuto ciglio. 
"Hai bisogno di qualcosa?" Chiese brusco ricordandosi del rifiuto ricevuto la sera prima. 
"In realtà no." Si strinse nelle spalle. 
"Allora perché sei qui?"
"Non lo so." Disse abbassandosi per raccogliere una placca di metallo. 
"Se non lo sai potresti andartene." 
"Senti." Cominciò lei. "Non è facile per me." 
"Cosa?" 
Lei gli lanciò la protezione che aveva in mano e il principe la prese al volo per poi buttarla di nuovo sul pavimento. 
"Questa situazione." 
Lissandra prese a camminare verso di lui. 
"Non mi è mai piaciuto un mortale." Sussurrò. 
Lui cambiò espressione e fece alcuni passi in avanti. 
"Vuoi dire che ti piaccio?" 
"Non montarti la testa." Disse secca. "E poi sono sposata." 
Girò i tacchi e aprì la porta "Volevo solo che lo sapessi." Uscì sbattendo il portone di legno. 
Troilo rimase imbambolato per alcuni secondi, finché la porta non si aprì di nuovo e la figlia di Poseidone camminò veloce verso di lui. 
"Sai che c'è? Non me ne frega niente se ho un marito." Disse prima di avventarsi sulle sue labbra. Fu un bacio casto, uno sfiorarsi leggero di labbra. Niente di più.
Lui si staccò dopo poco "Sicura?" 
"Si." Riuscì a dirgli prima di trovare di nuovo le labbra impegnate.
Il principe sorrise prima di prenderla in braccio e portarla verso il morbido materasso. 
Angolo autrice: ciao... lo so, è da un po' che non mi faccio sentire... spero possiate perdonarmi con questo capitolo nuovo nuovo, perché mi sto davvero facendo in quattro tra la scuola, lo sport e la scrittura. Quindi niente, buon natale in ritardo, fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima.

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Capitolo 32
*** 32 ***


"Pronta?" Chiese Il figlio di Afrodite stringendo l'impugnatura della sua spada. 
"Solo se lo sei anche tu." Rispose la figlia di Poseidone prima di partire all'attacco. 
Era passato un mese dalla partenza dei tre Principi, tre settimane dal tradimento del marito da parte della ragazza. 
Entrambi sapevano che era sbagliato, ma nessuno dei due poteva fare a meno dell'altro.
Da quel momento, infatti, due amanti approfittavano di ogni momento libero per trovare un luogo appartato dove poter stare da soli.
Ovviamente non erano mancate le volte in cui avevano rischiato di farsi scoprire, ma ogni volta erano riusciti a scampare il pericolo. 
Solo una  sera erano stati colti in flagrante, dal figlio della dea dell'amore, mentre si tenevano per mano cercando un posto dove poter fare altro.
Fortunatamente Enea aveva promesso di mantenere il segreto, anche perché in qualità di figlio dell'Amore, era suo compito proteggere i due amanti. 
E poi ad Afrodite piacevano tanto queste storie al di fuori del matrimonio.  
Ora Troilo aveva preso parte ad una battuta di caccia insieme a suo padre e ad altri nobili, il gruppo sarebbe tornato solo verso l'ora di cena.  
Enea e la filia di Poseidone si stavano allenando nel campo di addestramento. 
Priamo aveva cancellato l'ordine di Pammone che vietava alla nuora di non combattere, visto che l'aveva scelta come suo generale.
Lissandra alzò entrambe le braccia per bloccare l'assalto dell'amico per poi obbligarlo a fare alcuni passi all'indietro. 
"Sei migliorato." Disse prima di piantare la punta della lama nella terra e prendere un piccolo pugnale. 
"Vediamo come va con il corpo a corpo." 
Il principe sorrise e seguì il suo esempio.  
Enea le si avvicinò e caricò il primo affondo, che la ragazza schivò velocemente per poi abbassarsi e ferirlo sulla gamba. 
Enea sussultò e fece un passo indietro, solo per vederla impallidire velocemente. 
"Stai bene?" Chiese il principe. 
"Non lo so..." Le ginocchia cedettero. Perse la presa sulla spada. 
Enea si sporse in avanti appena in tempo per non farle sbattere la testa a terra. 
La scosse leggermente, senza però ottenere risposta. 
Subito alcuni nobili gli si fecero attorno "Ma che cosa le hai fatto?" Chiese suo cugino Polidoro. 
"Niente! È svenuta." 
"Stendila su un fianco." Disse una melodiosa voce baritonale.
Un giovane dai biondi boccoli d'oro lo affiancò. 
Tutti lo riconobbero, era il ragazzo che si era trasformato in un corvo poche settimane prima. 
"Liz..." Guardò Enea.
Il principe abbassò lo sguardo "Mio signore io non..." 
"So che non sei stato tu, figlio di Afrodite. Non sono stupido. Dai ordine che un guaritore la raggiunga nelle sue stanze. " Disse imperioso. "Devo parlare con tua madre."

"Come volete." Disse il principe prendendo in braccio la ragazza. 
"Chiamate il migliore medico che abbiamo." Ordinò ad uno dei soldati.
Si girò verso Apollo per chiedergli cos'altro dovesse fare, ma il nume era già sparito. 

 Enea posò delicatamente la principessa sul suo letto. Senza muoverla troppo le sfilò l'armatura, lasciandole la sottile tunica di lino che indossava sotto. 
Le tolse la cintura a cui era appesa la spada e fece per riporla su un baule quando venne mandato fuori dalla stanza dalla regina Ecuba, che poi gli chiuse la porta in faccia. 
Poco dopo la donna uscì, chiudendosi la porta alle spalle. 
"Come sta?" Chiese il principe.
Lei sorrise. "Benissimo. È solo un po' stanca." 
"Quindi non era una cosa grave?" 
"Cosa? Oh certo che no." Disse Ecuba prima di dirigersi verso la sala del trono.

<•>

"Che cos'hai fatto, Afrodite?" 
Chiese il signore del Sole comparendo davanti alla splendida dea. 
Lei lo guardò con la coda dell'occhio, mentre tutta la sua attenzione era rivolta verso le sue unghie perfette. 
"Cosa dovrei aver fatto, esattamente?" 
Il dio dagli occhi d'ambra assottigliò lo sguardo. "Lo sai. Se Poseidone lo venisse a sapere..."
"Ma Poseidone non lo saprà. A differenza mia lui non presta molta attenzione a quello che fa sua figlia, o insieme a chi sta." Disse lei marcando le ultime parole. 
"Quindi ammetti di aver combinato un disastro?" 
"Disastro?" La dea rivolse gli occhi chiari verso di lui. 
"È un capolavoro." La dea riportò lo sguardo sulle sue mani "E poi, tu, che cosa centri con tutto questo?"
Già, cosa centrava lui con tutto quello? 

<•>

Troilo era appena tornato dalla battuta di caccia portando con sé un meraviglioso esemplare di cinghiale adulto. 
Si stupì quando ad attenderlo elle sue stanze trovò sua Madre. 
"Mamma?"
"Figlio mio com'è andata? So che sei stato tu ad uccidere il cinghiale." 
"È andata bene mamma." Si guardò intorno e adocchiò la vasca da bagno piena di acqua fumante. 
"Ehm... Mamma?" 
"Si tesoro?"
"Potresti uscire?" Chiese leggermente in imbarazzo. 
"E perché dovrei?" 
"Ecco... Mi dovrei lavare... Tu non puoi vedermi..."
"Nudo? Tesoro mio guarda che ti ho portato nel mio grembo e dato alla luce io. E, per tua informazione, i bambini nascono nudi. Sono la tua mamma, non ti preoccupare." 
Disse lei avvicinandoglisi e iniziando a togliergli la pesante corazza. 
"Ma mamma... Sono... Sono grande adesso..."
"Sciocchezze! Sei il mio bambino." 
"Mamma ti prego potresti uscire da qui?!" 
Gridò Troilo. 
"Ieri mentre tu e tuo padre eravate fuori abbiamo scoperto una cosa bellissima. " disse Ecuba mentre il figlio la conduceva verso la porta.
"Ho già mandato un messaggero a Pammone." Disse euforica imboccando la porta. "Sarà così felice!" 

Quando il principe arrivò davanti alla porta degli appartamenti di Pammone si fermò sulla porta a riprendere fiato. 
Si appoggiò al pesante portone, accorgendosi che era socchiuso. 
Fece per entrare, ma si fermò brusco quando sentì dei singhiozzi.
"Allora?" Sentì la voce della principessa. All'inizio Troilo non capì con chi stesse parlando, ma decise che era meglio aspettare fuori dalla porta. 
Seguì del silenzio.
"Tesoro..." Disse piano il dio del sole. "Entra Troilo." Disse a voce più alta conscio che il ragazzo li stava ascoltando. 
Il principe aprì la porta con espressione colpevole.  
Apollo era seduto sul grande letto e teneva Lissandra, in lacrime, tra le braccia. 
Il dio gli fece segno di chiudere la porta ed avvicinarsi. 
"Cos'è successo?" Chiese il principe, anche se un sospetto lo aveva.
"Da un po' di tempo ho giramenti di testa." Disse la ragazza passandosi una mano tra i capelli. "E ieri sono svenuta." 
"Enea ha fatto chiamare uno dei miei sacerdoti." Continuò Apollo. 
"È tanto grave?" 
"Dipende dal punto di vista." Scherzò il dio.
"Sono incinta." Sputò fuori lei. 
"Oh." Disse il principe. "Sono felice per te e Pammone." Un peso gli si formò nel cuore, rendendosi conto che la ragazza che amava era la moglie di suo fratello.
Lui non avrebbe mai avuto una vera famiglia con la donna che amava.
"Ma non dovresti essere felice?" Chiese prendendole una mano tra le sue. 
Infondo era una cosa bella no? Dare un erede a suo fratello. 
Lei scosse la testa e abbassò lo sguardo.
"Il bambino non è di tuo fratello." Disse Apollo con voce lugubre prima di trasformarsi in un corvo e volare via dalla finestra.
"No?" Chiese stupito Troilo. "E allora di... No." Il principe si alzò di scatto dal letto su cui era seduto e si avvicinò alla finestra. 
"Non è possibile. Non... Non doveva succedere. Io non ho mai voluto avere figli." 
Lissandra si lasciò scappare un'altro singhiozzo. 
Troilo si rese conto di quello che aveva appena detto. Velocemente fece il giro del letto e abbracciò la ragazza. "Non volevo dire questo. È che non sono... Non ero pronto. Non so come mi devo comportare e non..." Fece un lungo respiro. 
"No hai ragione." Disse lei con voce tremante mentre si alzava in piedi.
"Questo è stato uno sbaglio. Non dovevo lasciarmi andare a passioni mortali. Non dovevo familiarizzare con te. Avrei dovuto trattenermi quella sera invece no! Mi sono lasciata andare e guarda cos'è successo!" Si indicò il ventre.
"Non posso nascondere a mio padre un bambino figuriamoci una gravidanza intera! E poi c'è tuo fratello!" 
La figlia di Poseidone continuò a parlare è gridare agitando le mani e toccandosi la pancia.
Troilo si fermò a guardare la ragazza che aveva di fronte. Per la prima volta la vide senza la sua abituale corazza, completamente inerme. Per la prima volta, mentre la guardava, vide quanto era fragile. L'occhio gli cadde sulla sua pancia coperta dalla tunica e si rese conto che lì dentro ormai c'era una piccola vita, un cuore che batteva, lì c'era suo figlio. Una piccola parte di lui cresceva lì dentro.
Immediatamente provò un senso di protezione per quella creatura a non ancora nata.
"Cosa dovrei andargli a dire? Ben tornato Pammone com'è andato il viaggio? Aspetta, sai che sono incinta di tuo fratello?" 
Continuò lei ormai in preda ad una crisi di panico. "Sai cosa succede se una donna tradisce il marito? Muore! E nel caso degli immortali è ancora peggio!" 
"Liz calmati adesso." Sussurrò il principe prendendola per le spalle. 
"No che non mi calmo! Mio padre mi farà a pezzi, se verrà a saper che gli ho disubbidito, mi manderà sull'isola di Circe oppure mi segregherà come Calypso... " 
Troilo la baciò. Assaporò le sue labbra guatandosi il loro sapore salmastro accentuato dalle lacrime salate.
"Non ti succederà niente di tutto questo. Vi proteggerò entrambi." Sussurrò a fior di labbra." Troverò un modo."

Angolo autrice: ciao! Ringrazio Zeref per le sue puntuali recensioni che mi ormai sono diventate una cosa abitudinaria, a cui non rispondo solo perché sono pigra. 
Questo capitolo è incentrato sul passato, perché mi sto seriamente stufando di scriverlo e devo arrivare ad un punto preciso della storia perché possiate capire tutto. Quindi niente... ciao 

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Capitolo 33
*** 33 ***


Pammone entrò nella sala del trono seguito da Ettore. Ormai i sei mesi erano passati, i principi avevano concluso le trattative di pace con le altre città ed erano finalmente tornati a casa. 
Tutta la famiglia reale era riunita nella grande sala, Priamo ed Ecuba sedevano sui loro troni. 
Andromaca corse verso Ettore buttandoglisi tra le braccia. 
La reazione di Lissandra fu leggermente diversa. Pammone la guardò, sorridente. Lei invece sussultò. Troilo, dietro di lei, le mise una mano sulla spalla, per infonderle coraggio.
La figlia di Poseidone indossava un chitone blu notte, le spalle, così come il ventre un poco rigonfio, erano coperte da un mantello.
Lei fece alcuni passi titubanti verso il marito, stringendo il mantello tra le mani. 
La pancia ormai era ben visibile, ma coperta dalla stoffa scura. 
Fu Priamo a rompere il silenzio, visto che nessuno dei due era intenzionato a muoversi o ad aprire bocca.
"Pammone, durante la tua assenza sono avvenuti alcuni cambiamenti." Disse aprendo le mani "Ho scelto tua moglie per rimpiazzare il vecchio Agerione." 
La mascella del principe ebbe un fremito. "Cosa?" 
"È una dei migliori combattenti che abbia mai visto, fa parte della famiglia reale ed è  la figlia di un dio."
"Avevo esplicitamente detto che non avrebbe mai più dovuto prendere un'arma in mano." 
"Pammone. Sarebbe uno spreco non farla combattere." 
"Ma..."
"Sono io che decido, Pammone." 
Il principe strinse i pugni, ma non osò dire altro. "Come volete, padre." 
"C'è un'altra cosa." Disse la regina Ecuba facendo segno affermativo alla ragazza. 
Lei si girò a cercare lo sguardo di Troilo, che annuì impercettibilmente. 
"In questi ultimi tempi non sono stata molto... Bene."
"Sei malata?" Chiese il principe preoccupato. 
Lei scosse la testa. "Non esattamente." Disse mentre il marito le si avvicinava senza capire. 
"Avrai un bambino." Disse piano togliendo il mantello dalla pancia e scoprendo il piccolo rigonfiamento che si stava andando a creare.
Sul viso di Pammone si andò ad aprire un enorme sorriso. 
"Oddei! È meraviglioso!" Disse prendendo la moglie tra le braccia e baciandola. Quando si staccarono Troilo vide Pammone che sorrideva come un bambino. Guardò la ragazza fare un sospiro di sollievo, sperando che il fratello non sarebbe venuto mai a sapere la verità. 
Tutti dovevano credere che il bambino fosse di Pammone, nessuno avrebbe mai dovuto scoprire la verità.
Troilo fece una smorfia. Avrebbe visto suo figlio crescere senza poterglisi mai avvicinare come avrebbe voluto. E il piccolo non avrebbe mai potuto sapere la verità.
Ettore si schiarì la voce, per attirare l'attenzione del fratello. 
"Mi spiace interrompere la tua gioia, fratellino, ma abbiamo cose più importanti a cui pensare." 
"Scusa." Disse Pammone rivolto al maggiore dopo essersi staccato dalla ragazza. 
"Padre abbiamo un problema." Disse con tono grave.
In quel momento altre due persone fecero il loro ingresso nella sala, ed entrambi erano reputati come i mortali più belli di tutta la Grecia. 
Priamo si alzò in piedi, sconvolto.
"Padre, Il principe Alessandro si è scelto una sposa..." Disse Ettore con tono ironico. 
 "E non è una principessa qualunque." Aggiunse Pammone. 
Paride teneva per mano la regina di Sparta.
Tutti erano sconvolti. 
"Perché Elena di Sparta non è con suo marito?" Chiese la figlia di Poseidone indurendo lo sguardo. 
"Elena di Troia." La corresse Paride.
"Paride..." Disse Priamo "Che cosa hai fatto?" 
"Non l'ho rapita padre. Elena è venuta con me per sua spontanea scelta." 
Subito un coro di proteste si levò nel salone. 
Priamo non sapeva chi ascoltare e le voci si andavano via via a trasformare in urla. 
"Silenzio!" Gridò il re. "Paride, porta Elena nelle tue stanze e non uscite. Voglio una riunione con i miei consiglieri e generali. Subito." 

"Com'è successo?" Chiese il re, stanco, massaggiandosi le tempie. Ettore abbassò lo sguardo. "L'ha tenuta nascosta nella stiva per quasi tutto il viaggio, portarla indietro avrebbe dato a noi morte certa." 
Priamo annuì gravemente. 
"Come dobbiamo procedere, padre?"
 Chiese Troilo. 
"Dobbiamo cercare di trovare un compromesso con Menelao. Possiamo spiegargli di un malinteso..." Disse un vecchio nobile. 
"Oppure possiamo mandare una nave con la regina a Sparta, così che Menelao ci perdoni."  Suggerì un altro.
"Menelao non lo farà mai. E nemmeno Paride." Disse Enea. 
"L'amore tra i due è forte, scommetto che si farebbe uccidere pur di non lasciarla." 
"L'amore è una stupidata ragazzo, porta solo a guai." Disse un altro vecchio.
"L'amore è sia vita che morte, porta a speranza e disperazione, senza l'amore che provate voi per mio zio il re questa città non sarebbe tale." Rispose il figlio di Afrodite. 
"Sarà, ma resta il fatto che la regina di una delle più potenti città della Grecia è qui."
Disse l'uomo.
"Dobbiamo scendere a patti. Non c'è altra soluzione." Disse Priamo. 
"Padre, Menelao non accetterà una soluzione diplomatica, ormai, c'è il suo onore in ballo." Obbiettò Ettore cercando di sovrastare le voci che ormai riempivano la stanza. 
"Dobbiamo mandare subito un messo a Sparta !" Gridò uno.
"Possiamo aggiungere doni come risarcimento!" Gridò un altro.
Priamo non sapeva da che parte girarsi. Ormai aveva perso il controllo della situazione. 
Una risata risuonò nella sala. Così cristallina e in una così insolita situazione che finì per far tacere tutti.
La figlia di Poseidone aveva una mano appoggiata al ventre, scosso leggermente dalle risate. 
"Cosa ci trovi da ridere?" Chiese Troilo.
"Oh scusate. Ma è una situazione esilarante." 
"Lo trovi divertente?" Chiese Ettore, brusco. 
"In un certo senso." Disse lei smettendo di ridere.
"Ecco perché una donna non merita di stare qui." Borbottò l'uomo al fianco del re. 
La ragazza alzò un sopracciglio, ma non disse niente. 
Priamo fece segno all'uomo di tacere. 
"Come volete mio re. E sentiamo, come risolveresti le cose?" Le Chiese.
"Non c'è una soluzione." Guardò Ettore che come lei era l'unico ad aver capito. "Scusate. Ma é così divertente vedervi cercare una soluzione diplomatica." 
"La diplomazia è la prima scelta, se si può arginare la guerra." Disse Priamo.
"Peccato che a voi non serva a niente. Il tuo figlio maggiore ha ragione Priamo, dovresti ascoltarlo." Inchiodò gli occhi in quello del re. "Mandate un messaggero a Sparta e Menelao lo ucciderà personalmente, mandategli dei doni e lui li brucerà, provate con un accordo di pace e lui inizierà una guerra." 
"Cosa stai cercando di dire?" Chiese Il re.
"La scappatella di tuo figlio è solo la scusa che l'intera Grecia aspettava per prendere la vostra città. Agamennone sta già mandando messaggeri ovunque per reclutare gli altri sovrani." 
"E come lo sai?" 
"Conosco la mente di voi mortali. Siete tutti ostinati e orgogliosi, chi più chi meno, tutti volete la gloria e il potere assoluto." Si strinse nelle spalle. 
"Il mio consiglio per voi è di fortificare le mura, chiamare alleati, fare rifornimenti. Perché quando arriveranno, e lo faranno, se ne andranno solo quando Troia sarà caduta." 
Si alzò in piedi e iniziò a camminare verso la porta.
"Ho il presentimento che sarà una battaglia epica, specialmente se Achille prenderà parte alla spedizione." Disse guardando Ettore.
"Mi domando chi tra i guerrieri più forti della Grecia vincerebbe in un duello alla pari." 
"Dove stai andando?" Chiese Troilo.
"Fuori da qui." Disse lei aprendo la porta. "Credo di dover andare a vomitare." Disse tenendosi la pancia e facendo una smorfia. 
"Vi avviso" guardò Ettore negli occhi "Questa guerra non sarà mai dimenticata, né gli eroi che la combatteranno." 



Troilo era sulla grande balconata sulle mura riservata alla famiglia reale. 
Il sole stava sorgendo, il cielo era tinto di rosso. 
Guardava il mare in cerca di un qualche segno che gli indicasse che i greci stavano per arrivare. 
Come aveva presupposto la figlia di Poseidone, Menelao aveva chiesto a tutte le altre città manforte, e il principe sapeva che non avevano accettato per salvare l'onore del re di Sparta, ma perché volevano vedere Troia bruciare.
La loro città era a capo di tutte le vie di commercio marittime, questo implicava che la loro città era in un ponto strategico sia per creare e mantenere le rotte commerciali che per manovrare le proprie flotte in caso di guerra. 
Qualcuno gli mise una mano sulla spalla. 
"Sei preoccupato?" Chiese una voce femminile.
"Dovrei?"
"Dipende." Disse lei abbracciandolo da dietro. "Apollo ci sta donando un'ultima alba pacifica e tranquilla." Sospirò.
"E questo è un cattivo segno." 
"Non voglio vedere crescere mio figlio in mezzo alla guerra." Disse lui. "E Troia non resisterà per sempre." 
"Mio padre ha costruito le vostre mura, nessuno può distruggerle." 
"Ma ci sono altri modi per entrare. Basta un piccolo errore, una disattenzione e la città cadrà nelle loro mani." 
"Sono arrivati i vostri alleati questa mattina. Non vi lasceranno soli. E poi ci siete tu, Ettore, Enea e tutti i vostri fratelli."  
"Nemmeno noi dureremo per sempre." Troilo la guardò negli occhi "Se davvero arriveranno tutte le città della Grecia non avremo scampo, comunque saranno molti più di noi." 
"Voi avete gli arcieri migliori, e i cavalli. Non riusciranno nemmeno ad avvicinarsi. E Ares mi ha detto che anche gli immortali scenderanno in campo. Si sono già divisi in due fazioni." 
"Dov'è Pammone?" Chiese Troilo.
"Dorme." 
Lissandra gli prese una mano e la poggiò sulla sua pancia. "Ascolta." 
Troilo chiuse gli occhi. Una lacrima di commozione scese sulla sua guancia. 
"Lo sento... si è mosso." 
Lei gli sorrise. "Io non posso combattere in queste condizioni. Vi aiuterò come potrò da qui." 
"Certo che non combatterai con nostro figlio in grembo, ci mancherebbe altro." Sorrise a sua volta avvicinandolesi fino a sfiorarle l'orecchio con le labbra. "Vi amo." 
Lei sussultò. 
"Cosa c'è?" Chiese il principe preoccupato.
"Mi ha tirato un calcio." Si accarezzò il ventre. "Ti ha sentito." 
"Oh... può farlo?" 
"Si. In qualche modo i bambini riescono a riconoscere la voce dei genitori. Anche se non ne sarà sicuro, lui saprà sempre chi sei veramente." Gli fece una carezza. 
"Quindi stagli il più vicino possibile." 
"Ci proverò. Sarò il suo zio preferito." 
Sorriderò entrambi e si avvicinarono l'uno all'altra per baciarsi, ma dopo aver sfiorato le labbra di Troilo Lissandra si staccò velocemente e guardò il mare. 
"Avverti tuo padre. Subito." 
"Cosa... cosa c'è?" Chiese lui non capendo. Poi lo vide. Un minuscolo puntino nero si faceva largo sull'orizzonte. 
"Sono arrivati." Concluse Troilo. "Riesci a riconoscere la nave?" 
Lei annuì. "Dai l'allarme. Corri dai tuoi fratelli. Se Achille scende per primo prenderà la spiaggia." 


"Ti ha lasciato andare?" Chiese Priamo. 
"Si." Disse Ettore. "Padre quell'uomo non è un mortale. Non avevo mai visto nessuno combattere così." Posò lo sguardo su Enea e Lissandra "Tranne loro." 
Priamo annuì. "Era il figlio di Teti." 
"Padre tu non capisci. Era immune a qualsiasi ferita. Nessuna lama lo ha ferito."
I figli degli dei si scambiarono un veloce sguardo. 
La battaglia era da poco finita. Achille aveva preso la spiaggia causando molti morti e feriti ai soldati troiani, tra i suoi erano morti solo in due. 
"Forse avremmo dovuto dirvelo prima." Disse Enea. 
"Dire cosa?" Ringhiò Ettore, il quale era amareggiato per le innumerevoli perdite subite. 
"Achille non può essere ucciso. Teti lo ha immerso nello stige." 
"E nessuno sa qual'é il suo punto debole." Aggiunse la ragazza. 
"Fantastico." Sbuffò l'erede al trono passandosi una mano tra i capelli. 
"Cosa consigli di fare figliolo?" 
"Continuare a combattere. Difendere le mura. Riconsegnare Elena a Menelao non risolverebbe nulla ormai." Disse Ettore stanco. 
"Riposatevi." Disse Priamo dopo un lungo silenzio di riflessione. "Domani attaccheremo all'alba."

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Capitolo 34
*** 34 ***


Il rumore delle onde risuonava nell'accampamento come a cullare il sonno dei soldati achei. 
Tutto era fermo, tutti dormivano. 
Le tende dei sovrani erano buie, piene di condottieri stanchi a causa del viaggio e della battaglia. 
Mancavano ancora molte ore all'alba, ore che i soldati avrebbero sfruttato per riposare le membra stanche, oppure per regalarsi un momento di piacere con le nuove schiave appena catturate.
Una tenda in particolare era più silenziosa delle altre. 
Un lembo della stoffa che faceva da porta venne aperto, facendo entrare alcuni raggi della luna ad illuminarne l'interno. 
Due giovani dai capelli dorati erano coricati insieme nel grande giaciglio. Una schiava Troiana riposava sul fondo della tenda. 
Una figura nera e incappucciata si mosse nel buio, fino ad arrivare ad uno dei due biondi, per avvicinare la mano al suo viso. 
Nel completo silenzio il giovane aprì gli occhi chiari e bloccò la figura al terreno puntandole un pugnale alla gola. 
"Forza cugino, voglio proprio vedere come uccidi una donna in dolce attesa."


"Che cosa ci fa qui la nuova principessa di Troia?" Chiese il giovane con una nota di scherno nella voce. 
"Non lo so." Rispose lei porgendogli una mano per farsi aiutare a sedere sulla sabbia.
"Certo che il tuo ragionamento non fa una piega. Sei venuta nell'accampamento nemico rischiando la pelle e non sai nemmeno tu perché." 
"Questa guerra non finirà bene, Achille, specialmente per te." 
"Io sono venuto qui per la gloria eterna. Non mi interessa come andrà a finire." 
"Dovrebbe invece. Hai un figlio." Obbiettò lei.
"Neottolemo sa badare a se stesso." Sbuffò lui.
"Che cosa vuoi veramente?" 
"Forse avevo solo bisogno di rivedere un volto conosciuto." 
"Oppure vuoi chiedermi qualcosa. Ti conosco. Sai che non ti direi mai di no. Siamo cresciuti insieme." Il figlio di Peleo si sedette affianco a lei.
La ragazza sorrise "Torna a Ftia. Lascia Troia." 
"Mi correggo. Direi di sì a tutto tranne che a questo." 
"Perché ci tieni così tanto alla gloria? Non ti basta essere ricordato per quello che sei?" 
"Prima di partire mia madre mi disse che avevo una scelta da compiere." Achille guardò il mare di fronte a lui. "Potevo restare a casa e il mio nome sarebbe stato ricordato per un paio di generazioni. Oppure potevo venire qui, morire ed essere ricordato in eterno." 
"E tu ovviamente vuoi che il tuo nome diventi immortale, asino cocciuto." 
"Non c'è niente di male a volerlo. Tu sei immortale per nascita, ma noi semidei mortali abbiamo solo un modo per vivere per sempre. Il nostro nome deve essere ricordato da tutti." 
"Sai che se rimani saremo nemici, vero?" 
"Basta non incontrarci sul campo di battaglia. Io ti posso vedere ma far finta che tu non ci sia." Sorrise lui. 
"E poi non credo che ci incontreremo molto presto, viste le tue condizioni." Disse indicandole la pancia.
Lissandra la coprì con le mani istintivamente. 
"Ci avresti mai pensato, a noi come genitori?" 
"No. Siamo due guerrieri." Disse lui. "Ma una volta che succede credimi, è la sensazione più bella del modo." 
"Ti manca?" Chiese lei riferendosi a Neottolemo. 
"Ha dieci anni. È un uomo ormai." Disse lui cercando di divagare.
"Lo so che ti manca. Si vede da come ne parli." 
"L'ho lasciato con due mirmidoni. Lo addestreranno così che possa raggiungermi qui." 
Continuarono a parlare per un paio d'ore, ma quando un corvo gli volò accanto Lissandra sospirò. Stava per sorgere il sole.
Lei si morse le labbra e fece segno al cugino di aiutarla ad alzarsi. 
"Sveglia i tuoi uomini e tienili pronti." Disse. 
"E cerca di non morire subito."

~•~

Ventitré Agosto. Mancavano meno di due settimane  allo scadere del tempo. Alla sua condanna alla mortalità. 
Apollo chiuse gli occhi, stanco.  La spiaggia era deserta, il sole stava sorgendo.
Il biondo ammirò il cielo tingersi di quelle tonalità calde che tanto lo rappresentavano, mentre Elio tirava la sua stella con il suo vecchio carro. E rimaneva lì, fermo, quasi a farsi beffe di lui.
Le onde del mare producevano un suono che da secoli riusciva a calmarlo, avevano una musicalità straordinaria, quasi surreale. 
Troppi sentimenti contrastanti si muovevano indisturbato dentro di lui, senza pensare al dolore che gli provocavano.
Lui, il grande dio del Sole, ridotto alla vita da mortale per colpa dell'amore. 
Già, proprio lui che amava le storie brevi, quelle da una botta e via, che aveva fatto la proposta ad una vita di coppia duratura. Proprio quando lui aveva deciso di prendersi un impegno come quello, era stato respinto. 
E per colpa di cosa, poi? Di una storia morta e sepolta più di duemila anni prima. 
Anche se la prima vota era andata male, cosa voleva dire che sarebbe stata così anche la seconda? 
L'ormai ex dio sbuffò, pronto ad alzarsi in piedi. 
Un rumore lo fece rimanere, però, seduto. 
"Fratellino." Artemide gli comparì di fianco. 
"Ciao Arti." 
"Ho parlato con nostro zio." Disse. "Credo di averlo colto in un momento di pazzia, perché stava riempiendo il suo palazzo di foto dei vostri figli e di strane decorazioni natalizie." 
Apollo sorrise. "Ma è estate." 
"Tra poco sarà finita." Lo corresse lei.
"Comunque ha accettato. Cosa che mi ha insospettita parecchio." 
"Ha detto di sì?"
"Già, ha detto che lo fa solo perché sei il padre del suo genero. E perché sei ridotto da schifo." 
"Grazie." Apollo fece una smorfia. 
"Vi aspetta questa sera si confini del campo."

~•~

Delle urla risuonarono negli appartamenti del quarto figlio di Priamo. 
Pammone era fuori dalla porta, insieme a molti tra i suoi fratelli, Priamo ed Enea. 
Una donna uscì dalla stanza sbattendosi la porta alle sue spalle, teneva tra le braccia alcuni panni sporchi che portò a lavare. 
Pammone guardò Troilo, il fratello con cui aveva stretto un legame più saldo rispetto agli altri. Anche lui sembrava preoccupato, più degli altri. 
Un altro grido ruppe il silenzio che si era creato tra gli uomini. 
A quel punto il principe mise una so sulla porta "Adesso io..." 
"Non puoi entrare, figliolo." Lo fermò Priamo. "Di questo se ne devono occupare le donne, tu saresti solo d'intralcio." 
Un ragazzo biondo comparì silenzioso dietro il figlio di Afrodite. "Come sta andando?" Chiese. "Era si rifiuta di alleviare il dolore del travaglio." Disse facendo una smorfia. 
"Dice che per capire cosa vuol dire essere madre bisogni soffrire fino in fondo, brutta vacca." 
"Non bene." Rispose Enea. "È così da ore e noi uomini non possiamo entrare." 
Troilo alzò lo sguardo, era pallido in volto. "Non è che voi potreste fare qualcosa?" Chiese lugubre. 
"Io..." tentennò il dio della medicina. "Non so niente di come nascono i bambini." 
"Ma potresti darle una mano lo stesso. Non puoi schioccare le dita e far uscire il bambino?" Chiese Enea. "Mia madre ha fatto così." 
"Tu sei in parte un dio, il bambino che sta nascendo no. O almeno prevale in lui la parte umana." 
Apollo si grattò la testa. "Però posso andare a vedere come va." Disse incamminandosi verso la porta sotto lo sguardo stupito degli altri uomini. 
"Dove stai andando ragazzino?" Chiese Pammone. 
"Sono un guaritore, ho sempre aiutato tua moglie da quando è incinta. Vedrò di aiutarla anche adesso." Disse prima di aprire le porte e infilarsi nella stanza. 
Pochi secondi dopo venne buttato fuori dalle ancelle che assistevano le levatrici.
"Ma perché?" Chiese senza capire il dio. 
"Sei un maschio, anche se sei un guaritore." Disse Priamo. 
Apollo fece una smorfia indignata "Io sono un dio. Se voglio entrare in una stanza non sarà il mio sesso a fermarmi." Disse schioccando le dita.
"Non mi sono mai sentito così umiliato in vita mia." Disse, sotto gli occhi sgranati di tutti i nobili della famiglia reale, toccandosi i lunghi boccoli biondi e le curve appena cresciute. 
"Ma come hai fatto?" Chiese Pammone sconvolto. 
"Sono Apollo, dio del Sole." Disse il... la bionda. "E ora entro." 

~•~

"Dolcezza, questa sera sei libera?" Chiese il biondo alla ragazza. 
I due erano distesi sull'erba sotto il pino di Talia. 
"Perché?" Chiese lei appoggiando la testa sulla sua pancia. 
"Voglio portarti in un posto." 
"E che posto sarebbe?" 
"Un posto." Disse lui iniziando a sfiorarle ripetutamente un braccio. 

~•~

"Aferio. Ecco come si chiamerà." Disse Lissandra mentre teneva tra le braccia un piccolo fagottino. 
Pammone era seduto di fianco a lei e le teneva la mano, mentre con l'altra accarezzava la manina del bambino. "È bellissimo." Disse. 
Troilo guardava il bambino, un po' in disparte, cercando di non commuoversi. Suo figlio, il suo bambino era lì davanti a lui e lui non poteva nemmeno avvicinarglisi. 
Pammone lo prese in braccio, un po' incerto, tanto che la madre Ecuba dovette sistemargli le braccia nel modo più adatto a non farlo cadere. Il bimbo iniziò a piangere, tanto che, dopo che Pammone non riuscì a calmarlo, anche la nonna provò a farlo smettere.
Poco a poco tutti tennero in braccio il bambino, Enea lo guardò sorridente prima di passarlo a Troilo.
Il principe lo prese subito con fare sicuro, con movimenti esperti che non sapeva nemmeno di conoscere. 
E magicamente il piccolo smise di piangere, anzi, iniziò a guardarlo con quei due grandi occhioni azzurri che tutti i neonati possiedono, prima di iniziare a ridere mostrando la bocca senza denti.
Troilo gli sorrise per poi alzare lo sguardo verso la madre di quella creatura a che teneva tra le braccia. 
La ragazza, commossa gli sorrise. 

~•~

Nico di Angelo si trovava davanti ai confini del campo, dove la barriera magica proteggeva i semidei dal mondo mortale e dai nostri. 
Apollo sorrise ad Elisabet, che lo seguiva senza capire. 
"Ciao Nico." Lo salutò il padre del suo ragazzo. 
"Apollo." 
"Non doveva esserci tuo padre?" Chiese il dio. 
"Lui vi aspetta lì. Vi ci porto io." 
"Aspettate un momento. Dove stiamo andando?" Chiese la figlia di Poseidone.
"Devo farti vedere una cosa, Ade mi ha dato il suo permesso." Disse Apollo. 
"E questa cosa è negli inferi." Disse  Nico. "Potrei farlo anche io, ma per colpa di tuo figlio non posso più usare i miei poteri se non in circostanze di massima importanza." Alzò gli occhi al cielo.
Apollo gongolò "Il mio bambino è un bravo dottore."
"E chi ci porterà giù?" Chiese dopo aver ricevuto un'occhiataccia dagli altri due. 
Un triplo latrato rispose alla sua domanda. Cerbero li stava aspettando.

~•~

"Quando finirà questa guerra zio?" Chiese il bambino di dieci anni al principe ormai ventottenne. 
Fissò il principe con il suo paio di occhi azzurri come il cielo, identici a quelli del padre, che la madre si ostinava a nascondere.
"Presto, ora che Ettore è morto." 
"Dov'è papà?" Chiese Aferio. 
"Pammone sta parlando con il nonno." Disse Lissandra avvicinandosi al figlio. "Stanno cercando di riavere il corpo dello zio per dargli gli onori funebri che merita. Sempre che Achille superi il suo orgoglio."
"Mi dispiace per lo zio Ettore, ma anche per Achille." Disse il bambino. "Lo zio ha ucciso il suo amico." 

~•~

"Dove siamo?" Chiese Elisabeth mentre camminava al buio, le mani di Apollo a coprirle gli occhi. 
"Negli inferi, tesoro." Rispose mellifluo. 
"Grazie capitan Ovvio, non lo avevo capito." Disse sbuffando. "Sul serio, dove siamo?" 
Non sentiva urlano grida e questo la preoccupava. 
"Siamo quasi arrivati." Disse lui arginando la risposta.
"Tranquilla, non ti porterò in luoghi pericolosi." 
"Soprattutto perché ora è mortale e potrebbe lasciarci le penne." Aggiunse la voce del dio dell'Oltretomba. 
"Grazie, Ade. Mi sento molto meglio ora." 
"Non c'è di che. Ah a proposito, al posto della stella di Natale, sull'albero, non potremmo metterci un bel teschio? Attento allo scalino."  
"Neanche per sogno." Grugnì l'ex dio prima di inciampare e portarsi dietro la ragazza.

Ciao! Ecco che ho messo una parte del presente! Mi sento molto brava in questo momento. 😌
Comunque (adesso lo dico sul serio) ci stiamo avvicinando davvero alla fine della storia, quindi niente... ditemi che ne pensate!

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Capitolo 35
*** 35 ***


Il cavallo era al centro della piazza. Intorno al gigante di legno c'erano ballerine e danzatori, schiavi servivano il vino ai nobili e i suonatori intonavano canti di vittoria. 
Tutti facevano festa, i Greci avevano abbandonato Troia. 
Tutti tranne una. 
Lissandra sapeva chi c'era dentro al cavallo, sapeva che Troia sarebbe stata distrutta appena i suoi abitanti avessero chiuso gli occhi. Ma le era stato intimato di tacere. 
Il destino della città era quello della caduta. 
La figlia di Poseidone, dopo aver controllato che Pammone fosse occupato con una concubina, era nei suoi appartamenti con suo figlio e il principe Troilo.
"Aferio, quello che sto per dirti e molto importante. So che farai fatica a crederci, ma giuro sullo Stige che è la verità." Disse prendendo il bambino per le spalle. 
"Tuo padre non è chi credevi che fosse." 
"Non credo di capire." Disse lui confuso.
"Pammone non... non è tuo padre. Lo ha solo creduto. Tuo padre è una persona diversa, ma che ti ama immensamente."
"Mamma, stai delirando?" Chiese Aferio.
"No. Ascoltami è importante. Devi andartene dalla città, dovete andarvene entrambi." Disse guardando il figlio e Troilo. 
"Mamma, forse devo chiamare un guaritore." 
"Aferio, tua madre sta dicendo la verità." 
"Tuo padre è la persona che ti è sempre stata accanto, molto più di quanto lo sia stato Pammone."disse lei indicando il giovane. 
"State scherzando?" Il bambino indietreggiò. 
"Aferio, devi credermi. Guardati allo specchio, a chi somigli di più, a Pammone o Troilo?"
"Molti hanno detto che i miei occhi azzurri sono strani." Disse lui guardandosi. "Ma credevo di averlo preso da te, mamma." 
Lei scosse la testa e guardò Troilo.  
Aferio iniziò a guardare il suo riflesso distogliendo lo sguardo solo per posarlo su alcuni tratti del principe. 
"Se state dicendo davvero la verità, perché me lo dite adesso?" Chiese alla fine.
"Perché dovete andarvene dalla città, e io non posso venire con voi." 
"Cosa? Ma abbiamo vinto, perché dovremmo andarcene?" 
"Fidatevi di me. Non abbiamo vinto." Disse lei mordendosi un labbro.

~•~

"Posso aprire gli occhi, adesso?"
"Non ancora." Disse Apollo. "Tra poco."
"Ma volete spiegarmi dove diavolo mi state portando?" Chiese lei ormai esasperata.
"Ho solo pensato che per iniziare una storia nuova avresti dovuto chiudere per bene quella vecchia." Disse lui così vicino che la ragazza poteva sentire il suo fiato caldo sul collo. 
"Ci siamo." Disse Ade. "E ricordati Pollo che anche il capodanno lo faremo qui negli inferi." 
"Certo, certo." Disse Apollo sbrigativo prima di togliere lentamente le sue mani dagli occhi della figlia di Poseidone e poggiargliele sulle spalle. 
"Finalmente, non c'è la facevo..." ma la voce le morì in gola. Si portò le mani al petto e una lacrima solitaria le scese sulla guancia. 
"Dieci minuti." Intimò Ade prima di sparire insieme a Nico e Apollo.

~•~

"Promettimi che starai con tuo padre, promettimi che vi prenderete cura l'uno dell'altro." 
Troia era in fiamme, i Greci stavano per arrivare al palazzo, tutti il resto era già distrutto. 
"Lo prometto mamma." Disse il bambino mentre l'abbracciava. 
Troilo si unì all'abbraccio in pochi secondi."Vi amo tutti e due, immensamente." Sussurrò. 
Le porte dell'appartamento di Troilo si aprirono. 
Sia Lissandra che il principe sguainarono le spade. Tre uomini armati fino ai denti erano di fronte a loro.
"Sono qui per primo, cugina. Come avevi chiesto, e tu mi rivolgi contro una lama come ringraziamento?" Chiese il Pelide. 
Lei fece un sospiro di sollievo. "Dei, Grazie." Disse rinfoderando la spada. 
"Mamma ma lui è..." 
"Si, è un mio amico. Vi aiuterà ad andarvene via da qui." 
"C'è una nave che vi aspetta esattamente sulla spiaggia, i miei soldati eseguiranno gli ordini del principe come se fossero i miei." Disse indicando Troilo. 
"Vi porteranno in un luogo sicuro, dove potrete ricominciare una vita pacifica." 
"E tu?" Chiese lei ad Achille "Non vuoi andartene?" 
"Il mio destino è un'altro, ricordi? La gloria eterna." 
Disse abbracciandola. 
 "È stato un onore combattere con te." Disse lei ricambiando l'abbraccio. 
"Ora dovete andare." Si rivolse al figlio e la principe. 
"Non guardatevi indietro. Correte via il più velocemente possibile." 
"Ma perché, tu non vieni?" Chiese il bambino. Lei sussultò. 
Achille le mise una mano sulla spalla. "Tuo nonno Poseidone è stato informato da Afrodite che non sei figlio di Pammone, ha lasciato a tua madre poche ore per metterti in salvo prima di metterla... in punizione." 
"In punizione?"
"Esatto. Deve imparare ad eseguire gli ordini e prendersi la responsabilità di tutte le sue azioni." 
La ragazza sorrise al figlio "Ti voglio un modo di bene, non dimenticarlo mai." 
"Anche io ti voglio bene mamma." Disse lui abbracciandola stretta. 
Quando gli occhi verdi di Lissandra incontrarono quelli azzurri di Troilo, il ragazzo fece un passo in avanti per stringerla stretta. Lui sapeva cosa l'aspettava, che non avrebbe vissuto abbastanza a lungo per rivederla. 
"Ci rivedremo presto nell'Elisio." Sussurrò lei inspirando il suo profumo. 
"No. Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu devi continuare a vivere, noi ci rivedremo un giorno, certo, ma non dovrà essere tanto presto." La guardò negli occhi. "Promettimelo. Promettimi che non morirai." 
"Lo prometto."

~•~

"Com'è possibile?" Sussurrò lei alternando lo sguardo tra le due anime che aveva di fronte. Un uomo orami quarantenne ed un giovane.
"Mamma?" Chiese il ragazzo. 
"Siete... siete cresciuti." Disse Elisabeth senza parole. 
"E siete qui davanti a me." Concluse scoppiando a piangere. 
"Ma sei ancora viva?" Chiese il giovane. 
Lei annuì piano. "So di non potervi toccare, ma non so cosa darei per potervi abbracciare di nuovo."
"Quanti anni sono passati, nel mondo dei vivi?" Chiese di nuovo Aferio. 
"Tanti. Troppi." Rispose lei facendo una carezza sul viso incorporeo del figlio, ritirando la mano quando passò attraverso la sua pelle. 
"Mi mancate tanto." Disse cercasi lo sguardo di Troilo, invano. 
"Anche tu." Disse il ragazzo. 
"Quanti anni hai? Cioè sei giovane, a quanti anni sei morto?" Chiese lei con voce tremante. "Dimmi che non sei morto così presto..."
"Non lo sai?" 
"Mi hanno tenuto in isolamento per cinquant'anni dopo che hanno scoperto che non eri figlio di Pammone." Elisabeth portò lo sguardo sui suoi piedi.
"Quando sono uscita volevo venire da te, anche se ti avrei trovato vecchio. Ma quando mi hanno detto che eravate stati uccisi non c'è l'ho fatta. Non ho voluto sapere altro." 
"Venti. Avevi vent'anni quando Pammone ci ha trovati." Disse il ragazzo. 
"Si è salvato in qualche modo dai Greci e si è rifugiato da un nostro cugino, chiedendogli soldati. Sono arrivati di notte, e senza onore hanno ucciso tutti. Noi compresi. Qualcuno doveva averlo informato." Fece un sorriso. "Ma la sua anima non ha ancora trovato pace  e  noi siamo nell'Elisio."
Alcune lacrime le scesero sulle guance.
 "Apollo e il nonno hanno fatto affondare la sua nave." Continuò il ragazzo. "Sai bene che chi muore in mare non avrà mai una sepoltura e la sua anima sarà come stretta a vagare nel limbo per l'eternità. Onestamente credo che sia andata meglio a noi che a lui in ogni caso." 
"Sei così grande." Disse lei guardandolo negli occhi. 
"E io non ti ho visto crescere." 
"Ma ci hai salvati." 
"Per poi non essere con voi al momento del bisogno." 
"Sei stata punita." 
Lei annuì facendo un leggero sorriso. Portò lo sguardo sull'altra anima, che non aveva proferito parola per tutto il tempo. 
"Troilo?" Lo richiamò. Il principe non disse niente e tenne lo sguardo fisso in un punto lontano da lei. 
"Perché non dici niente?" 
Chiese lei facendo un passo in avanti. "Dei, mi manchi immensamente. Non c'è giorno in cui non penso a voi." 
Lui alzò gli occhi e la guardò, serio. "Non devi dirlo nemmeno per scherzo." Disse. 
"Cosa? Perché?" 
"Noi non ti dobbiamo mancare, siamo morti da più di duemila anni ormai, dovresti averci dimenticati." 
"Come potrei dimenticarvi?"
"Non puoi continuare a vivere nel nostro ricordo. Devi trovarti un altro, farti una nuova famiglia. Devi essere felice." 
"Ma io sono felice. Vi ho rivisti, dopo così tanti anni vi ho potuto parlare di nuovo." 
"Dovevi averci dimenticati. Prima o poi ci rivedremo, ma fino ad all'ora vivi la tua vita immortale, ama di  nuovo, divertiti. Sicuramente c'è qualcuno che ti piace, adesso." 
Lei rimase zitta, non disse niente. 
Aferio sorrise. "Ti abbiamo vista arrivare con Apollo e un ragazzo, chi è dei due?"
"Nico è fidanzato." Disse lei sottovoce. 
Troilo sorrise insieme al figlio. "Rifatti una famiglia, vera. Quello ti viene dietro da troppo tempo." Disse prima di sparire, lasciando sola la ragazza.
Quando Ade riapparve portandosi dietro il figlio e Apollo i fantasmi se n'erano andati da pochi minuti. 
Elisabeth era girata di spalle, il corpo era percorso da piccoli brividi e tremolii momentanei. 
Apollo la chiamò "Liz?" 
Poi si rese conto che stava piangendo e l'abbracciò da dietro circondandola con le sue braccia. 
"Tesoro..." 
"Portala a casa, è stato un duro colpo per lei rivederli." Disse Ade. 
"Grazie." Apollo lo guardò negli occhi. "So che non l'hai fatto solo per avere Nico e Will qui per Natale e Capodanno." 
"Certo che l'ho fatto per quello, per cos'altro sennò? Per te no di sicuro." Rispose Ade guardando la nipote. 
"Cerbero ci aspetta." Disse Nico indicando il grande cane che li aspettava all'entrata dei campi.
Apollo annuì riportando lo sguardo su Ade, per ringraziarlo ancora, ma il suo se n'era andato. 

Quando tornarono al Campo Apollo portò Elisabeth nella cabina tre, la stese a letto rimboccandole le coperte e aspettò che si addormentasse, seduto su una poltrona. 
La figlia di Poseidone non aveva aperto bocca per tutto il tragitto dal bosco alla casa, si era limitata a camminare, in silenzio e trattenendo le lacrime. 
Apollo aveva provato a starle vicino, ma sapeva che in momenti come questi le prole erano inutili, doveva lasciare che lei si sfogasse. 
Si era fatto portare una tazza di camomilla con un sonnifero da Austin, così che Elisabeth si addormentasse subito senza che si accorgesse del sonnifero. 
"Cos'è?" Chiese con la voce leggermente impastata, a causa del pianto. 
"Camomilla. Ti aiuterà a rilassarti." Disse lui portandogliela alle labbra. 
"Questa non è camomilla." Disse Elisabeth sentendo il  diverso sapore.
"È una camomilla speciale." Le sorrise. "Bevi." 
Lei, ormai sotto l'effetti del calmante, annuì piano. 
"Ecco. Adesso starai meglio." Disse Apollo poggiando la tazza sul comodino. 
"Apollo?" Lo chiamò piano lei. 
"Starò qui tutta la notte, dolcezza, non ti preoccupare." Disse lui prendendole la mano. 
"No, non volevo dire quello." Gli occhi iniziarono a chiudersi. "La domanda che mi hai fatto pochi giorni fa, ti ricordi?" 
Lui si grattò la testa. Le aveva fatto un sacco di domande in quei giorni, come faceva a ricordarmene una in particolare? Sarà stato quando le aveva chiesto di comprare i costumi da bagno con i soli abbinati? 
Oppure quando le aveva domandato se lo preferiva con la cresta o i capelli ricci?
"Certo." Sorrise accondiscendente. 
"Sono ancora in tempo per risponderti?" Chiese lei iniziando ad addormentarsi. 
Lui, ancora più confuso, annuì. 
"Si..." 
Lui sfilò la mano da quella di Elisabeth e se la portò in tasca, dove le dita sbatterono contro qualcosa di duro e liscio.  Era un qualcosa di quadrato, quasi rettangolare e spigoloso. 
Non ricordandosi cosa ci avesse messo dentro lo tirò fuori. 
In mano aveva una piccola scatolina di velluto rosso, contenente l'anello che avrebbe voluto regalarle dopo la proposta di matrimonio.  
Aprì la scatola e rimirò il piccolo anellino che aveva scelto per lei. 
Lo sguardo gli cadde sulla figlia di Poseidone, che intanto si era girata per stare più comoda. 
Poi guardò di nuovo l'anello.
"Aspetta che..." Disse Apollo accorgendosi poco dopo che ormai la ragazza si era addormentata, e che non si sarebbe svegliata prima di quindici ore. 
Non sarà stata mica quella domanda, vero? 

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Capitolo 36
*** 35 ***


 Apollo si mosse infastidito nel sonno, qualcuno gli stava toccando ripetutamente una spalla con ritmo altamente fastidioso. 

Decise di ignorare il fastidio e cercare di tornare a dormire, ma quando il ticchettare si fece più insistente aprì gli occhi preparandosi a mandare allo sventurato disturbatore un'occhiataccia pari a quelle di Nico da Angelo. 

Quando però si ritrovò faccia a faccia con Percy e  notò l'espressione preoccupata sul suo viso decise che forse era meglio essere magnanimo ed evitare di mandarlo al diavolo come invece era solito fare il suo piccolo genero. 

"Che cosa c'è, Pulce?" Borbottò con la voce impastata dal sonno. 

"È ora, Apollo." 

Subito il dio si risvegliò dallo stato di precedente torpore e si alzò in piedi. 

"Di già?" 

Chiese massaggiandosi la schiena intorpidita -stupido corpo mortale-.

"Si, dobbiamo andare. Ermes è qui fuori." Disse il figlio di Poseidone. "Vuoi salutarla?" Percy indicò la sorella. 

L'ex dio annuì mogio e si girò a guardare la sorella della Pulce. 

"Ermes mi ha detto di dirti che dovrai andare a vivere nel mondo dei mortali, senza poter fare affidamento a nessun dio o semidio per tutta la durata della punizione." Disse Percy dispiaciuto. "La devo svegliare?" 

La ragazza dormiva tranquilla sul suo letto, ignara che forse non l'avrebbe più rivisto per un po'-giusto una cinquantina di anni-. 

Apollo le si avvicinò e le baciò delicatamente la fronte. "No. Voglio che mi ricordi come un Figo pazzesco, non come un ex dio sfigato." 

Prese dalla tasca dei bermuda la scatolina di velluto rosso contenente l'anello che voleva regalarle e se la rigirò in mano, fece un sospiro e lo appoggiò sul comodino accanto al letto. 

"Hai carta e penna?" Chiese al moro.

Percy annuì, prese un foglio dalla scrivania mai usata che si trovava nella stanza e gli porse Vortice. 

Apollo ringraziò, scarabocchiò un paio di righe veloci e lasciò il foglio accanto all'anello per poi incamminarsi verso la porta della capanna. "Andiamo."

 

"Silenzio!" Tuonò la voce possente del re degli dei. 

Subito il vociare prodotto dalle altre divinità e dai loro figli si zittì. 

C'erano tutti i semidei, greci e romani, mancava solo la figlia di Poseidone. 

Per l'occasione era stato invitato anche il dio degli inferi, che sedeva su un'anonima sedia di pietra accanto agli altri.

"Apollo." Chiamò Zeus. 

L'ex dio fece alcuni passi in avanti e si portò al centro della grande sala. 

Accidenti, pensò, faceva un certo effetto stare dalla parte dei mortali. Davanti a lui si ergevano gli altri undici dei, alti tre metri, seduti sui loro troni. 

Portò lo sguardo sul suo e per poco non gli venne un colpo al cuore. Il suo magnifico trono dorato era sparito, al suo posto c'era solo vuoto, aria, niente di niente. 

Riportò lo sguardo sul padre, che lo guardava come se si stesse aspettando qualcosa dal figlio.

"Non mi inchinerò davanti a voi, se è questo che stai aspettando." Disse incatenando il suo sguardo con quello di Zeus. 

"Come?" 

"Anche che se in questo momento sono solo un mortale, sono e sarò sempre un dio." Rispose semplicemente lui. "E poi anche con questo corpo sono molto più figo di tutti voi." Aggiunse meritandosi un'occhiata di ammonimento dalla sorella.

Zeus strinse i pugni. "Come osi...?"

"Padre." Lo richiamò Artemide. "Apollo deve ancora scontare il resto della pena, lascia che impari la lezione." 

"Potrei punirlo all'infinito e lui non imparerebbe comunque nulla." Borbottò il re degli dei. 

"Uhm... va bene." Sbottò dopo che Artemide lo ebbe guardato in modo persuasivo. 

"Hai rispettato la scadenza che ti avevo posto per mettere fine alla punizione?" Chiese il re degli dei.

"No." Impercettibilmente il biondo strinse i pugni.

"Lo sospettavo." 

"Chi tra gli dei di questo consiglio vita di punire In definitivo Apollo?" Chiese Era prima che Zeus parlasse a sproposito.

Tutti seguendo l'esempio del dio del cielo alzarono una mano, tutti tranne Artemide, Ade e Poseidone.

Apollo sorrise agli zii, grato. 

"Bene, ha vinto la maggioranza." Zeus fece un respiro profondo e iniziò a dare la sentenza finale.

"Apollo, per il tuo comportamento e per quello che hanno avuto i tuoi discendenti durante il corso della guerra contro Gea, per aver contribuito a dare la cura del medico ad un mortale e per non aver rispettato la data di scadenza che ti avevo imposto per trovare una compagna, sei condannato a mezzo secolo di mortalità. Non potrai avere nessun tipo di contatto con semidei, dei o loro discendenti e..." 

Poseidone si schiarì la voce, interrompendo il fratello.

"Cosa vuoi?" 

"Perdonami, fratello, ma sbaglio o oggi è l'ultimo giorno d'estate?" Chiese con aria innocente. 

"Si, certo." 

"Quindi il biondino sarebbe ancora in tempo per sposarsi, giusto?" Si aggiunse Ade. 

"Oh... si... ma Apollo non ha trovato nessuno, pertanto lo dichiaro..." 

"Scusa fratellino, ti interrompo di nuovo." Disse Poseidone prendendo il suo tridente e facendolo ondeggiare davanti a lui. 

L'aria tremolò e Elisabeth apparve di fronte al padre. Aveva i capelli spettinati e un'aria assonnata ma, dopo essersi resa conto della situazione in cui si trovava, cercò di riprendere un minimo di contegno. 

La ragazza si inchinò velocemente sia davanti al dio del mare -grazie papà- che a Zeus e si voltò verso Apollo. 

Zeus sbuffo doppiamente e si ingobbì nel suo trono.

Niente punizioni per oggi...

"Tu!" Gridò la ragazza andando a passo di marcia verso il biondo. 

"Mi spieghi cosa diavolo è questo?" Gli urlò di nuovo sbattendogli in faccia un foglietto stropicciato. 

Apollo lo prese in mano. 

 

Aspettami ok?

Ti amo mio amor, 

Sono un figo. 

 

"È un haiku." Disse ovvio dopo averlo letto. "Una delle mie uscite migliori, a dire la verità." 

Lei gli strappò di mano il foglio e indicò la prima riga. 

"Aspettami. Perché hai scritto aspettami?" 

"Perché per i prossimi cinquant'anni dovrò tagliare i miei contatti con tutti voi, quindi ci vedremo tra mezzo secolo." Rispose lui come se fosse stata una cosa ovvia. 

"E questo?" Chiese lei lanciandogli la scatola di velluto. "È un regalo d'addio?" Ringhiò. 

"Ma non volevi usarlo come regalo di fidanzamento?" Chiese gli Efesto. 

"Efesto... non serve più per quello..." 

"Sei un idiota." Lo interruppe lei. 

"Perché, scusa? " 

"Perché se credevi che ti avrei lasciato andare così ti sbagliavi di grosso, ti sposo idiota ed egocentrico di un dio che non sei altro." 

Disse la ragazza prima di aggredire le rosee labbra di Apollo. 

"Si!" Gridò Ade dando il cinque a Poseidone. 

"Ehm... scusate." 

 

Quando i due si staccarono Apollo boccheggiò come un pesce. "Mi sposi?" 

"Ti sposo." Annuì lei felice facendo combaciare le loro fronti. 

"Davvero?"  Chiese lui con gli occhi che brillavano. 

Lei annuì. 

"Ma oggi è l'ultimo giorno..." provò a dire Zeus. 

Artemide guardò male il dio "È l'ultimo, vuol dire che c'è ancora tempo.

Il padre alzò gli occhi al cielo e sbuffò. "E va bene." 

Demetra, dopo essere stata spronata da Ade, additò la sorella.

"Era cara, potresti..."

"D'accordo." Sbuffò la dea prima di tirare su col naso. Schioccò le dita e la sala del trono si illuminò come colpita da un flash. Quando la luce si spense tutti rimasero sorpresi. La stanza si era riempita di decorazioni d'oro, i vestiti di Apollo si erano trasformati  in un meraviglioso vestito dorato, con tanto di cravatta luccicante. 

Quando portò lo sguardo sulla fidanzata il biondo rimase a bocca aperta. 

Un vestito di pizzo le fasciava il corpo lasciando molto poco spazio all'immaginazione, visto che molte parti del vestito lasciavano intravedere alcune porzioni di pelle, ogni curva era valorizzata al punto giusto.

"Bene, direi che possiamo cominciare." Disse Era apparendo davanti alla coppia. 

 

La cerimonia durò poco, tempo di recitare qualche inno agli dei e di fare il cambio di patria potestà da Poseidone ad Apollo che venne il momento di rispondere alla fatidica domanda. 

Era si girò verso Apollo "Vuoi tu, Apollo, prendere Lissandra figlia di Poseidone come tua sposa?"

Il biondo annuì "Lo voglio." 

"E tu, Lissandra, vuoi prendere Febo Apollo, dio della medicina e della malattia, del sole, dell'arte..."

"Bla, bla, bla, se vai avanti finirai domattina." La interruppe Ade beccandosi subito un'occhiata di fuoco dalla regina degli dei.

"... come tuo sposo?" 

"Lo voglio." 

"Bene, vi dichiaro marito e moglie, finalmente." Disse Era "Puoi baciare la sposa." 

Apollo non se lo fece ripetere due volte e prese il viso della neo sposa tra le mani e fece combaciare le loro labbra. 

Immediatamente una luce calda e dorata si accese a partire dal corpo di Apollo e lentamente illuminò l'intera sala del trono fino a raggiungere l'Olimpo intero. 

Quando si ridusse leggermente, la luce si trasformò in una pioggerella a d'oro, che cadeva leggera sul pavimento di marmo e si posava sui capelli degli ospiti. 

Apollo era raggiante, illuminato di luce propria, risplendeva come una piccola stella. Gli occhi erano tornati ad assomigliare a due pozze dorate. 

"Sono tornato ad essere un dio stra Figo!" Esultò il dio quando lui e la moglie si staccarono. 

Elisabeth gli sorrise raggiante e Apollo non poté non ritenersi il dio più fortunato dell'Olimpo. 

"Che la festa dei due idioti inizi!" Gridò Ares.

 

Le muse cantavano e suonavano, i satiri, le ninfe, semidei e persino alcuni dei ballavano felici sulla pista. 

La neo coppia era al centro della sala, che ballava un lento. 

Apollo strinse il corpo esile di Elisabeth tra le braccia e le sussurrò all'orecchio un leggero 

"Grazie..." 

"E di cosa?" Chiese lei baciandogli la guancia. 

"Di avermi sottratti dal destino da mortale, di esserci sempre stata, di tutto. So che non deve essere stato facile sposarmi." 

Elisabeth sorrise. "Sai che ti avrei sposato anche la prima volta che me lo hai chiesto, vero?"

"Che?" Chiese lui indignato. 

"Se avessi aspettato la fine della mia lunga crisi esistenziale e me lo avessi richiesto ti avrei risposto di sì." Disse la rossa prima di lasciargli un veloce bacio a stampo sulle labbra sconvolte e correre verso Percy lasciando il dio a bocca aperta. 

"Aspetta un momento dolcezza! Non puoi lasciami così!" Gridò Apollo quando si fu risvegliato dallo stato di trance in cui era entrato pochi secondi prima.

 

Apollo rincorse la moglie per abbracciarla da dietro, le scostò i capelli da una spalla e baciò la pelle candida assaporandone il profumo salmastro.

"Vieni." Disse poi adocchiando Will, Austin, Kyla, Sun e tutti gli altri suoi figli, romani e greci. 

La prese per mano e si voltò verso i suoi figli "Beh, ragazzi, se mi sono sposato vorrà dire niente figli illegittimi per un p... ahai!" 

La figlia di Poseidone lo guardò con aria innocente, ritirando il piede con cui gli aveva tirato un calcio. 

"Voglio dire... niente figli illegittimi." Si corresse sofferente. Guardò la moglie con uno sguardo non del tutto casto e disse "Ma questo non vuol dire che non mi impegnerò per farvi avere al più presto una sfilza di nuovi fratellini!"

 

Angolo me: 

Ciao. Cioè... arrivederci. Come credo abbiate capito questo era l'ultimo capitolo della storia, che non avrà un seguito siamo chiari. (Forse) 

Volevo ringraziarvi tutti, perché avete sopportato i miei ritardi e i miei scleri.

Vi voglio bene e spero che la storia vi sia piaciuta. 

Grazie per le recensioni, i consigli e tutti i lettori silenziosi (so che ci siete eh...) :) 

Anche se non è un capolavoro (anzi...) ci tenevo a fare più o meno una descrizione del matrimonio (orrenda ma io può perché io essere autrice) quindi ecco. 

Ci vedremo forse per missing moments o altre cose del genere. 

Susbetty

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