Existence

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Cap 9 ***
Capitolo 10: *** Cap 10 ***
Capitolo 11: *** Cap 11 ***
Capitolo 12: *** Cap 12 ***
Capitolo 13: *** Cap 13 ***
Capitolo 14: *** Cap 14 ***
Capitolo 15: *** Cap 15 ***
Capitolo 16: *** Cap 16 ***
Capitolo 17: *** Cap 17 ***
Capitolo 18: *** Cap 18 ***
Capitolo 19: *** Cap 19 ***
Capitolo 20: *** Cap 20 ***
Capitolo 21: *** Cap 21 ***
Capitolo 22: *** Cap 22 ***
Capitolo 23: *** Cap 23 ***
Capitolo 24: *** Cap 24 ***
Capitolo 25: *** Cap 25 ***
Capitolo 26: *** Cap 26 ***
Capitolo 27: *** Cap 27 ***
Capitolo 28: *** Cap 28 ***
Capitolo 29: *** Cap 29 ***
Capitolo 30: *** Cap 30 ***
Capitolo 31: *** Cap 31 ***
Capitolo 32: *** Cap 32 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


La biblioteca della scuola era il luogo perfetto per scrivere e per allontanarsi dal mondo che lo circondava.
In quegli anni aveva sempre scelto il tavolo più separato dagli altri e quello che gli permetteva di scrutare le persone con la sua solita aria apatica e di sufficienza.
“Parla del periodo delle superiori.”
Era questo il tema che il professore di letteratura moderna gli aveva assegnato.
Se paragonati ai temi che i suoi compagni presentavano con orgoglio, la sua opera era di una scarsità estrema.
Non lo aveva neppure riletto e percorse i pochi metri che lo separavano dallo studio, pensando a tutt’altro.
Era entrato nella sala muovendosi come un automa e aveva appoggiato il foglio su una serie di compiti.
Il suo, rispetto agli altri, era l’elaborato che giungeva sempre in ritardo e che rappresentava solo un contentino per tutti i suoi sforzi.
Perfino all’unico esame sostenuto, gli era risultato difficile far scorrere la penna sul foglio e questo perché ogni cosa tendeva ad annoiarlo.
Comunque non dovette perdersi troppo nei ricordi, dato che il vecchio prof prese subito tra le mani il suo compito e iniziò a studiarlo con attenzione.
“La giovinezza è sia una bugia, che un male. Quelli che elogiano la giovinezza stanno solo ingannando se stessi e chi gli sta vicino. Credono che quelli che gli stanno attorno approvino sempre gli atti che compiono.
Usando la parola giovinezza, loro alterano e stravolgono il buonsenso e qualsiasi cosa ci sia di logico.
Per loro bugie, segreti, peccati e insuccessi non fanno altro che aggiungere pepe alla loro giovinezza.
Se il fallimento è il simbolo dell’essere giovani come dicono, allora qualcuno che non è riuscito a farsi degli amici dovrebbe essere all’apice della sua giovinezza, giusto?
Ma di certo, nessuno di loro lo ammetterebbe mai perché tutto deve andare come più gli torna comodo.
Per concludere: gli idioti che si godono la loro gioventù dovrebbero suicidarsi”.
 
Sapeva bene che il professore non ne sarebbe stato soddisfatto e infatti quando alzò lo sguardo dal foglio, gli piantò uno sguardo demoniaco.
“Sei tu quello che dovrebbe uccidersi.” Borbottò l’uomo, scontrandosi con il silenzio dell’allievo.
“Qual era il compito che vi ho assegnato, lo ricordi?”
“Le nostre riflessioni sulle superiori.”
“E questo cosa centrerebbe con il compito?” Chiese l’uomo, appoggiando il foglio sulla cattedra.
“La mano si è mossa da sola.”
“E il cervello dov’era?”
“Non sono tutti così i liceali della mia età?” Soffiò, senza rispondere alla provocazione del professore.
L’uomo, quindi, allungò una sedia verso l’allievo e lo invitò a sedersi per parlare con calma.
Passi per il compito penoso che aveva portato, ma c’era ancora qualcosa di cui doveva essere a conoscenza. Una cosa che avrebbe notato se non fosse rimasto scazzato e disinteressato per tutte quelle settimane.
“E cosa ne pensi della gita?”
“Siamo già in settembre?” Chiese il giovane, gettando la cartella al suolo senza preoccuparsi di distruggere qualcosa.
“Siamo quasi in ottobre.” Lo corresse l’uomo, sistemando la sua amata e folta chioma.
“Non me ne sono nemmeno accorto.”
“Ne sono convinto.” Sbuffò il professore.
“È tutto così noioso.”
“Anche la gita?”
“Tutti decidono cosa sia meglio per i loro amici e per loro stessi, ma non avendo nessuno da considerare perché dovrei preoccuparmi?”
“Perché è la tua classe.” Gli rispose l’uomo.
“Non sono stato io a chiedere una classe simile.”
“Che moccioso insolente.”
“Moccioso?” Chiese infastidito, contorcendo le labbra a formare un ghigno poco rassicurante.
“Uno che parla così è solo un bambino.”
“Chi ha vinto infine?”
“Le ragazze.”
“Di andarsi a impiccare o di farsi una nuotata con i piranha?” Borbottò serafico senza aspettarsi una reazione dall’uomo.
“In montagna ovviamente.”
“Quindi il congelamento…come sospettavo.”
“Lo sai che sei un moccioso interessante?” Gli chiese il professore, facendogli scrollare le spalle.
Di quello che pensava, gl’importava relativamente e anzi a dirla tutta non era nemmeno una voce da considerare troppo.
Infatti era tornato quasi subito a ignorarlo.
Non aveva nemmeno ascoltato il resto delle sue parole che spingevano la sua bocca a muoversi freneticamente. Il giovane si chiedeva cosa ci fosse di così importante in tutto quel ciarlare inutile.
In fin dei conti si trattava solo di una stupida gita a cui era obbligato partecipare.
Tutta colpa della vecchia iena con cui divideva la casa e che l’aveva convinto a smuovere il culo per fare nuove esperienze di vita.
A tal riguardo non aveva nulla da ridire, o meglio aveva altro su cui ridire.
Per esempio il periodo scelto per andare in montagna: gennaio non era e non sarebbe mai stato il mese adatto a lui. Troppo freddo e noioso per prendere in mano un paio di sci in affitto con cui sbattere contro qualcosa.
Però nemmeno il mare, con la remota possibilità di un bagno ghiacciato da polmonite, lo attirava poi molto.
Esclusi questi elementi su cui poteva anche sorvolare, c’era un’altra cosa che lo seccava e che faceva rima con compagni di classe.
Alcuni sarebbero stati da uccidere fin dalla nascita, mentre altri sarebbero stati da imprigionare solo per il fatto di respirare.
Era per questo che tra mare e montagna non vedeva nulla di buono. Entrambi erano dei mali che non lo avrebbero guarito.
Questa era la cosa peggiore, insieme al viaggiare con dei tizi con cui aveva scambiato ben poche parole in quei 4 anni di scuola.
Un’eternità che l’aveva sempre visto indossare i panni dell’emarginato senza speranze e abulicamente annoiato.
“In ogni classe c’è un fantasma di cui nessuno si ricorderà mai e che vorrebbe solo svanire nel nulla.”
Era questo il suo credo e non lo avrebbe mai rinnegato.
 
Fu quando sentì una mano sulla spalla e notò un foglio che gli veniva sventolato a pochi centimetri dagli occhi che si ridestò.
Non durò molto e presto il suo sguardo ritornò ad essere grigio e vuoto come al solito.
Se qualcuno gli avesse chiesto perché era solo, lui avrebbe risposto che nella solitudine si sentiva perfettamente a suo agio.
Dopotutto anche a questo riguardo aveva qualche motto che sbuffava, di tanto in tanto, lungo i corridoi deserti della scuola.
“Se non facessi compagnia alla solitudine, essa si sentirebbe sola.”
Ciò però contrastava le intenzioni del professore che voleva che tutti avessero qualcuno cui fare affidamento.
Qualcuno a cui confessare qualche timore, segreto o difficoltà.
Come se per Scott questo fosse importante.
Il ragazzo era cresciuto con l’insegnamento, utile o dannoso, ancora non l’aveva capito, che per diventare qualcuno bisognava pur affrontare da solo i propri demoni.
E i demoni o problemi erano delle grandi difficoltà in teoria insormontabili, ma che all’atto pratico non valevano nulla.
Era questo il suo pensiero fisso e non sembrava nemmeno troppo lontano dalla realtà.
Queste riflessioni, però, tendevano a scontrarsi con il vecchio McLean che in questi casi si trasformava nella sua nemesi.
Chris voleva spingerlo verso una direzione diversa, senza considerare che proprio le diversità rendevano interessante quello scorbutico moccioso.
E con quel programma di cui era venuto a conoscenza sperava vivamente d’insegnare qualcosa al suo allievo.
Assunse infatti uno sguardo fiero e orgoglioso per quell’intuizione improvvisa, immaginando che lui non ne sapesse nulla.
Del resto se non ne era venuto a conoscenza durante i suoi riposini rilassanti, perché doveva saperne qualcosa?
“Credo che questa attività possa aiutarti.” Ammise, mentre il ragazzo imprecava mentalmente, rafforzando la sua teoria sulle delusioni.
“Non aspettarti qualcosa dal mondo, se ti ferisce e soffri, questo ti deluderà ancora.”
Il ragazzo annuì appena, mentre l’uomo si rimetteva in piedi.
Scott aveva intuito che doveva seguirlo, infatti si ritrovò a salire alcune rampe di scale e giunse davanti alla porta di uno strano club.
Da fuori sembrava noioso e assolutamente evitabile, ma la figura dinnanzi a sé non era dello stesso avviso.
“Questo è il club del Volontariato e da oggi ne sei membro.”
“Come?” Chiese semplicemente.
“Credo che questo club possa farti crescere e non accetterò un no come risposta, se prima non riuscirai ad aiutare almeno 3 persone.”
“Ci metterò un secolo.” Borbottò il ragazzo, cacciando le mani nelle tasche dei jeans e fissando il professore con sguardo scazzato.
Non c’era nemmeno bisogno che lo chiedesse, tanto quel maledetto avrebbe aperto la porta per lui e avrebbe fatto le dovute presentazioni con quelli presenti nel club.
 
La porta cigolò sui cardini e mostrò con orgoglio l’interno dell’aula.
Era spoglia e insignificante.
Un solo tavolo nel centro della sala con alcune sedie intorno e un mucchio di scatoloni nel fondo che contenevano cianfrusaglie da buttare.
Su una delle sedie era seduta una ragazzina intenta a leggere che si scompose solo nel sentir tossicchiare il professore.
Quella richiuse il libro e rialzò lo sguardo, sorprendendosi per quella visita insolita.
“Prof McLean.” Soffiò, alzandosi in piedi.
“Signorina Dawn come vanno le cose?”
“Quante volte le ho detto di bussare?”
“Non rispondi mai quando busso.” Brontolò il professore.
“Perché non aspetta una risposta prima di entrare.”
“Sono qui per affidarti un ragazzo che ti tornerà utile. Dovresti conoscerlo, vero?” Alzò leggermente la voce, indicando l’allievo.
“Certo.”
“Volevo avvertirti che, da oggi, il signor Scott farà parte del suo club.”
“Vecchiaccio.” Borbottò l’interessato, evitando di farsi sentire.
Scott inizialmente ascoltò la ragazza parlare con il professore e poi volse la sua attenzione altrove.
Non c’era nulla in quel club che attirasse la sua attenzione.
Tutto era dannatamente monotono.
La stessa Dawn era così.
Non aveva alcuna dote particolare.
Parlava a vanvera con le sue amiche, si chiudeva nel suo mondo fatto di menzogne, sorrideva e si faceva vedere di buonumore.
Come se gli importasse qualcosa della sua vita.
Eppure era la compagna di classe che, almeno in teoria, doveva conoscere meglio. La persecuzione a suo carico era iniziata alle elementari e alle superiori era ancora intatta.
Si risvegliò, per la seconda volta in quel pomeriggio, solo quando avvertì la mano del professore a stritolargli i nervi della spalla.
“Buona fortuna.” Disse, uscendo e sbattendo la porta, lasciando in Scott un piccolo dubbio.
A chi era rivolto quell’augurio?
Non si preoccupò troppo di formulare una risposta valida: gettò la cartella al suolo e si sedette tranquillamente.
Di certo non voleva fare conversazione e avrebbe aspettato pazientemente che le ultime 2 ore scivolassero via.
L’unica attività sensata era dormire ed estraniarsi dal mondo falso e malvagio che lo circondava.
 
Era già quasi passato tutto quel pomeriggio, prima che lui si risvegliasse.
Quella, secondo Scott, era rimasta a leggere per tutto il tempo quel volumetto nero dal titolo argentato e con la figura di un salice piangente, mentre lui cercava di capire cosa centrasse lei con il club.
Era assurdo che una delle ragazze più popolari e apprezzate della scuola venisse costretta a partecipare a delle attività tanto inutili.
Un simile pensiero poteva sposarsi bene per lui che era l’antisocialità e misantropia fatta persona, ma non per lei.
“Da quanto?”
Scott non rispose e continuò a fissare il nulla della parete scrostata che aveva davanti a sé.
Non aveva mai fatto conversazione con nessuno e non voleva di certo iniziare ora.
“Quanti anni sono che non parli con una ragazza?”
Il giovane non considerò quella domanda come necessaria di spiegazioni e rimase fedele al suo silenzio.
“Questo club esiste per i ragazzi che ne hanno bisogno e dato che mi è stato chiesto di aiutarti, sei sotto la mia responsabilità.”
Scott non si scompose.
Continuò a fissare l’orologio sulla parete e solo quando l’ora scoccò, decise di rimettersi in piedi.
“Perché non parli? Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?”
Era convinto che non dovesse abbassarsi al suo livello e raccolta la borsa, se ne andò senza nemmeno salutarla.
Non aveva motivo d’odiarla, ma nemmeno d’apprezzarla se per questo.
Quello era semplicemente il suo carattere.
Se non parlava con nessuno era solo perché non aveva nulla d’importante da dire.
Non gl’importava se la conosceva da anni.
Lui non l’avrebbe mai sopportata.
Lei era troppo popolare per abbassarsi al livello di un fantasma insignificante.
Troppo intelligente per dibattere con un mediocre che usava il cervello solo quando voleva ottenere qualcosa.
Troppo furba per stare con uno scapestrato che causava solo problemi e che poteva manipolare anche i professori.
Dopotutto Scott sapeva di essere il peggiore della classe, se non della scuola, ma se a nessuno importava, perché doveva preoccuparsi lui per primo?
Se qualcuno avesse avuto a cuore il suo futuro, quel qualcuno avrebbe dovuto toglierlo dalla cattiva strada, ma essendo tutti dotati di una vista oscurata e che filtrava solo le persone comode alla loro reputazione, Scott diventava ingombrante e insignificante.
Nessuno mai avrebbe alzato un dito per aiutarlo.
Lo avrebbero sempre considerato un essere inferiore, talmente inferiore da essere in grado di studiare ogni cosa nel dettaglio e capace di evitare problemi che non lo avrebbero mai riguardato da vicino.
E così sarebbe stato per tutto il resto della sua vita.
Anche nel mondo del lavoro voleva usare la stessa tattica: sacrificare i colleghi stolti e parassiti per giungere in vetta.
La scalata avrebbe dimostrato quanto un essere insignificante non debba mai essere considerato stupido.
Perso nei suoi pensieri, percorse il lungo corridoio e varcò il cancello.
Per tutto il tragitto non fece nulla di particolare, se non osservare con sufficienza le persone che incrociava sul suo cammino.
Giunto ad una serie di palazzoni, girò a sinistra ed entrò per delle stradine poco raccomandabili. Si trattava solo di alcune scorciatoie che sfruttava da anni.
Nessuno mai lo aveva disturbato, tanto era insignificante per i criminali del posto.
Non aveva nulla da offrire, se non uno sguardo apatico che rovinava la giornata alle persone che lo circondavano. 
 
Erano circa le 17, quando rientrò a casa.
Fissò con sufficienza la sorella che era tornata in mattinata dal viaggio in Cina, mentre questa lo abbracciava con forza.
Se non fossero stati parenti, nemmeno con lei avrebbe aperto bocca.
“Tutto bene fratellino?” Chiese la ragazza, invitandolo a sedersi sul divano.
“Sì.”
“Non sembra.”
“McLean e il suo club.”
“Ti sei fatto fregare da quel prof psicopatico?” Domandò lei con il sorriso tra le labbra.
“Già.”
“E dimmi, c’è qualche bella ragazza nel club?”
“Non so.”
“Ma hai dormito per tutto il tempo?” Chiese perplessa la giovane.
“Con Dawn è normale.”
“Quindi una ragazza c’è.” Constatò la sorella.
“La odio.”
“Finché consideri tutte le persone del mondo come delle perdite di tempo è normale non trovare nulla d’interessante.”
“Che noia.” Sbottò il ragazzo.
“Non hai prestato attenzione, vero?” Sbuffò, ben sapendo che lui era troppo preso dai suoi complicati pensieri per ascoltarla.
Alberta avrebbe tanto voluto sapere il motivo che teneva il fratellino sempre sotto pressione.
C’era sempre qualcosa che ronzava nella sua testa, ma il non conoscere se queste sue idee fossero positive o negative la faceva impazzire.
Nemmeno la madre, spesso assente per motivi di lavoro, poteva essere di molto aiuto.
Quando tornava, lei si chiudeva in camera per dormire e il dialogo si concludeva con poche battute.
Alberta non voleva essere al posto di Scott. Restare con una persona che ti fa sentire ancora più solo sarebbe stato parecchio demoralizzante.
La ragazza si era preparata ad una certa risposta, ma non immaginava che essa potesse essere così tagliente e disinteressata.
“Sei noiosa Alberta. Perché non esci con il tuo ragazzo?”
Quella semplice domanda l’aveva ferita.
Scott riusciva sempre a farla arrabbiare e se ne fregava altamente della sua vita, anche se per un breve periodo non era stato così.
Aveva provato ad essere normale, ma gli era sembrato d’essere alquanto ridicolo in quei panni insoliti.
“Sono tornata dopo 5 mesi e quello che mi consigli è di andarmene?” Domandò alterata, scontrando i suoi occhi fiammeggianti con quelli apatici del fratello.
“Non sono stato io a chiederti di tornare. Potevi anche rimanere in Cina…per quello che m’importa.”
“Sei solo un ingrato.”
“Forse.” Borbottò il ragazzo, facendole intuire che era molto meglio accontentarlo.
Quando era in quegli stati era saggio scappare lontani, giusto per non litigare e per non avere la reputazione compromessa per un eventuale omicidio.
Alberta aveva, quindi, deciso di accontentarlo e di tornare dal suo Lucas.
Presa la borsa, raccolto il cellulare e le chiavi che aveva sul tavolino, si fermò per osservare il fratello che era disteso sul divano.
“Prima che tu esca…”
“Sì?” Domandò la giovane, sperando che chiedesse scusa.
“Passa per il centro e prendi un paio di ciambelle.”
“Stronzo!” Urlò lei, sbattendo la porta con rabbia e facendolo sorridere appena.
 



Angolo autore:

Ryuk: Come promesso eccoci con una nuova storia.

Ci accompagnerà per un po' di tempo.

Ryuk: Nelle indicazioni è riportata la presenza di quasi tutti i personaggi, anche se non è così.

La loro presenza è legata al club.

Ryuk: Ci scusiamo per eventuali errori e vi confermiamo l'aggiornamento per martedì.

A differenza di Moments non ci saranno molti momenti romantici.

Ryuk: Ma ci saranno.

Rari e molto in là con il tempo.
Non ho nulla da aggiungere (il rischio spoiler è elevato) e spero che la storia vi piaccia e che vi spinga a recensire/seguire il tutto.
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


“Descrivi il comportamento di un animale selvatico.”
Era questo il tema che aveva portato a casa quel pomeriggio e che l’aveva tenuto occupato, mentre rimaneva disteso sul divano.
Lo completò in appena 20 minuti e subito rimise il foglio nello zaino, ben sapendo che il prof Hatchet avrebbe avuto qualcosa da ridire.
Di conseguenza lo avrebbe passato al collega McLean e questi lo avrebbe disturbato di nuovo con le sue paranoie.
Per il momento però non era un suo problema.
Restò immobile per molte ore e solo verso le 21 si rialzò per preparare una rapida cena e per poi filare dritto a letto, ben sapendo che era inutile restare sveglio per un qualcuno che avrebbe fatto molto tardi.
Alberta sarebbe rimasta con il fidanzato, mentre la madre si sarebbe trattenuta al lavoro per gli straordinari.
“Perché devono impegnarsi tanto, se la felicità è solo una gioia effimera?”
Aveva provato a rifletterci, ma non c’era nulla di buono in quella domanda.
Era solo un’ansia che non lo riguardava e che creava una visione distorta nella solitudine a cui lui faceva compagnia.
Sapeva che trovare la soluzione a quel problema avrebbe solo rovinato la sua visione.
Era troppo complicato cambiare opinione e per questo preferiva tenersi stretta la sua vita da emarginato sociale.
La solitudine non faceva domande come la compagnia e non era nemmeno così complicata da ottenere.
“Una persona è libera solo quando conosce la solitudine e ci sa stare senza problemi.”
Quanta ragione in così poche parole ben portate.
 
L’indomani, verso le 14, si ritrovò, così come aveva fantasticato il giorno prima sul suo divano, nell’ufficio del coordinatore McLean.
“Gli animali istintivamente formano un branco.
I carnivori formano una gerarchia sociale all’interno del branco.
Coloro che falliscono nel diventare leader ne portano il peso fino alla morte.
Sono sicuro che gli erbivori si sentano colpevoli quando sacrificano i loro compagni per sfuggire ai predatori e continuare a vivere.
In questo mondo formare un branco non porta benefici.
Per questo, ho scelto la vita dell’orso solitario che non si aggrega al branco.
L’orso non si sente a disagio a vivere da solo.
Ne è fiero.
Inoltre va in letargo in inverno.
Deve essere proprio fantastico.
Non ho dubbi.
Nella mia prossima vita, voglio essere un orso.”
Era una delle sue opere migliori.
Fissò il professore intento a rileggere quelle poche righe e intuì subito quale sarebbe stata la sua futura reazione.
Lui che sbatteva una mano sul tavolo, che gli avvicinava una sedia e che iniziava con i suoi rimproveri.
Effettivamente era stufo di quella scuola fastidiosa e rumorosa, di quei professori sapientoni e di tutti i suoi compagni chiacchieroni.
Ogni angolo della scuola incontrava il suo disappunto.
“Ti piacciono molto gli orsi.” Gli fece notare seccato il supervisore, sollevando il foglio in aria per poi adagiarlo su un piccolo mucchio.
“Pensavo che insegnasse letteratura moderna.”
“Sono anche il vostro coordinatore. Ecco perché il tuo professore di biologia mi ha chiesto di occuparmi di questo. Cosa centra con il compito che vi ha assegnato?”
“È una critica alla gerarchia sociale del branco.”
“Smettila di straparlare. Lo fai sembrare come se formare un branco fosse un crimine.”
“Forse lo è.” Sbuffò il ragazzo.
Il professore intuendo che non poteva ricavarne nulla di buono, cambiò volutamente discorso, mentre lui si metteva a sedere.
Scott conosceva bene le sue reazioni.
Non avendo ottenuto nessun risultato, lo avrebbe minacciato e rispedito nel club, laddove avrebbe passato il suo tempo a dormire.
E questo fino a quando non avesse notato un cambiamento profondo che non si sarebbe mai verificato.
“Come ti sembra il club?”
“Noioso.”
“Lo immaginavo.”
“Se lo sapeva perché non l’ha evitato?” Domandò il giovane, assottigliando lo sguardo e arricciando le labbra a formare un ghigno maligno.
“Perché mi sembrava divertente.”
“Voialtri avete una concezione di divertimento che non comprendo.”
“Cosa ne pensi della signorina Dawn?” Chiese il professore, sfoggiando un sorriso fastidioso.
“La odio.”
“Anche questa volta non mi sorprendi.”
“Non ha intenzione di lasciarmi libero, vero?”
“Lei è una studentessa davvero brillante, ma anche i talentuosi hanno i loro problemi. In fondo è una ragazza gentile e corretta, ma il mondo non è mai troppo gentile e corretto con voi. Credo che sia dura per lei. Le vostre personalità sono così contorte che temo non riuscirete mai ad adeguarvi alla società. Ecco perché voglio che partecipiate alle attività del club.”
“Un club come casa di cura?”
“Si potrebbe chiamare così.” Ridacchiò divertito l’uomo.
 
Conoscendo la punizione che lo attendeva, era inutile restare a lungo nella sala dei professori.
Raccolse lo zaino che si era portato dietro e si avviò verso il suo patibolo.
Non occorreva nemmeno bussare.
Tanto Chris non l’aveva messo in guardia.
Se ci fosse stato qualche sprovveduto che aveva deciso di partecipare alle attività del club, il vecchio coordinatore lo avrebbe avvertito.
Sapeva, quindi, che era presente solo Dawn e la sua aura falsa e angelica.
Aprì la porta e si sistemò nel posto del giorno prima, mentre lei continuava a leggere ben sapendo chi era l’individuo che si era seduto a pochi metri.
“Non pensavo saresti tornato.”
Non la salutò e riprese da dove si era interrotto il giorno prima: finché dormiva tutto sarebbe andato per il meglio e non si sarebbe contaminato.
“Sai che se il prof venisse a sapere che non interagisci, potrebbe sospenderti?” Domandò serafica, facendolo voltare nella sua direzione.
“È un ricatto.”
“Allora sai parlare.”
“Parlo solo quando ho qualcosa d’importante da dire: non mi va di sprecare fiato inutilmente.”
“Quindi devo dedurre che tu non abbia amici.” Sospirò Dawn, chiudendo il libro e appoggiandolo sul tavolo.
“A cosa servono?”
“Gli amici non sono degli oggetti che puoi utilizzare a tuo piacimento.”
“Non saprei.” Borbottò il ragazzo, alzandosi in piedi e avviandosi verso la finestra.
Era la prima volta che rimaneva senza parole e senza la possibilità di ribattere.
Di solito si zittiva perché il suo stato di mutismo assoluto glielo ordinava, ma questa volta era diverso.
“Ne hai mai avuto uno?” Richiese Dawn con un terzo grado che il rosso considerava eccessivo.
“Perché tutte queste domande?”
“Perché stiamo risolvendo i tuoi problemi.”
“Non credo di averne.”
“Se il prof ti ha costretto a partecipare, significa che sei nei guai.”
“Se anche fosse, chi ti ha chiesto di risolverli?” Chiese, alzando la voce, ma senza spaventarla minimamente.
“Se sei tornato, vuol dire che ci speri.” Gli fece notare la ragazza con un sorriso contro cui Scott adottò uno sguardo infastidito.
Veder sorridere le persone era una menzogna.
Non c’era nulla per cui essere felici nel loro mondo.
Nulla era mai stato come lo desiderava e ovviamente era da stupidi cercare di dimostrare il contrario.
“Sono tornato perché sono costretto. Se non lo fossi, sarei a casa a dormire sul divano.” Precisò, tornando al suo posto.
“Ti sentiresti meglio, se mi esponessi il tuo caso.” Riprese Dawn, senza prestare attenzione alle parole del compagno.
“Perché non mi esponi il tuo di caso? Se sei a capo del club significa che hai bisogno di aiuto e risolvendo i tuoi problemi, posso sbarazzarmi anche di te.”
Era crudele da dire, ma era ciò a cui ambiva.
Con l’aula a sua completa disposizione avrebbe potuto liberarsi in un attimo del programma del prof McLean.
Dopotutto si trattava di 3 idioti senza speranze che lui doveva sentir parlare e a cui dover dare un consiglio.
Senza Dawn in mezzo ai piedi avrebbe potuto dire che tutto era risolto e che le ore al club erano effettivamente concluse.
“Sono convinta che nessuno nella mia classe sia veramente mio amico, ma questo dovresti saperlo dato che siamo nella stessa sezione.”
“E saresti qui solo per questo?”
“Non ti sembra un motivo sufficiente?”
“No.” Rispose sinceramente il giovane, prima che scendesse il silenzio.
Non sapeva se facesse parte della prova del supervisore o se fosse una sorta di test d’iniziazione.
Qualsiasi cosa fosse non voleva correre rischi.
Lei sembrava aspettare solo le sue deduzioni e non voleva cannare la risoluzione del primo test ai suoi danni.
“Se si trattasse di un problema da nulla o che riguarda solo i nostri compagni di classe non capirei la tua scelta, ma essere a capo di un club come questo pone una questione ben più seria su cui concentrarsi.”
“Non ti si può nascondere nulla.”
“Ognuno ha dei segreti che non confesserà nemmeno sotto tortura.”
“In effetti…ho un problema a casa.”
“Grave?” Chiese istintivamente il ragazzo.
“Forse.”
“Immagino che la storia degli amici fosse solo una facciata per notare una reazione su cui poi avresti riflettuto  In base alle mie parole avresti fatto finta di nulla oppure mi avresti raccontato ogni cosa.” Riprese Scott.
“Non sei così stupido.”
“Vediamo cosa posso fare.” Sospirò il giovane, abbandonando, per una volta, i suoi propositi di riposo.
Anche se era costretto al club, nulla gli vietava di risolvere i problemi che gli venivano sottoposti.
Inoltre Chris avrebbe voluto dei risultati immediati e forse non era un caso se lui era stato obbligato a partecipare.
Forse lui sapeva che il rosso, in tutta la sua inadeguatezza, era l’unico capace di liberare la mente e lo spirito della povera Dawn.
“Odio mio padre.”
Erano bastate quelle poche parole a incuriosirlo.
Odiare?
Come poteva esistere una persona al mondo, una così giovane poi, che sapesse odiare senza mostrare nulla?
Scott era abituato al suo di caso, se così poteva essere definito, ma dallo sguardo da lei assunto e successivo a quella verità, capì che non era proprio odio.
Era solo astio o antipatia: non era mai stato odio.
“E lui che dice?” Chiese il ragazzo.
“Non dice nulla.”
“Uno si fa odiare e non dice nulla?” Sbuffò scettico, pretendendo ulteriori spiegazioni che non sarebbero tardate ad arrivare.
“I miei genitori hanno divorziato quasi 5 anni fa e per quanto mia madre abbia cercato di ricostruire la famiglia, non ci è mai riuscita.” Gli spiegò la giovane, facendolo annuire.
“Credi sia stato uno sforzo vano?”
“Non saprei.”
“Io considero ogni legame come qualcosa di inutile, ma non è così quando si parla di una famiglia che ti ama e che ti vuole bene.” Constatò il giovane, guardando verso il soffitto.
“Alquanto triste da parte tua.” Gli fece presente la ragazza.
“E tu?”
“Io?” Domandò perplessa Dawn.
“Tu hai mai provato ad aiutarla? Hai mai parlato con tuo padre per capire i motivi che l’hanno spinto a chiedere il divorzio, oppure sei scappata dinnanzi a ciò che il destino aveva stabilito?”
“Non capisco.”
“Se vuoi che ci sia un cambiamento devi essere tu per prima a permettere che il cambiamento avvenga.” Borbottò, cercando un esempio che potesse soddisfarla.
“Non so cosa intendi dire.”
“Se hai paura di nuotare e non ti tuffi mai, è ovvio che temerai l’acqua per tutta la vita. A volte bisogna saper correre il rischio e se poi lui non ti vorrà ascoltare, significa che ha fatto una scelta e che la devi rispettare, giusta o sbagliata che sia.”
“Dovrei parlare con quello?” Chiese con scetticismo.
“Perché no?”
“Quello è spazzatura e io non lo voglio in mezzo ai piedi.” Ribatté acida, senza ottenere nulla di concreto.
“Noi stessi creiamo e siamo spazzatura. Cosa c’è di tanto strano se due sacchetti cercano di fare amicizia?”
“Io non sono spazzatura e non voglio averci a che fare.”
“Queste sono le parole di colei che vuole conoscere i problemi degli altri e che non desidera risolvere i propri. Finché sarai così ipocrita a tirare avanti questo stupido teatrino, come puoi sperare che la tua famiglia si ricomponga?”
“Se sono qui non significa che desidero migliorare ogni cosa.”
“Molto bene.”
“Non sei poi molto bravo ad aiutare le persone.” Lo punzecchiò, facendolo annuire appena.
“Potrei sapere, così per riconferma, cosa ne pensi della solitudine?” Chiese lui, cambiando discorso.
“Che nessuno è veramente solo.”
“Dovresti essere più realista.”
“Come dovrei?” Chiese sorpresa la giovane.
“Io non conosco nessuno nella nostra classe.” Borbottò Scott, facendole sgranare gli occhi dalla sorpresa.
“Conosci me.”
“Non accetto la tua esistenza e quindi per me sei un nessuno come gli altri.”
“È questo il tuo problema?”
“Evitare le persone che causano problemi è un problema? Che pensiero egoista.” Ribatté sarcastico, concentrandosi sul volto arrossato della ragazza.
“Tu sei strano.”
“Forse siete voi quelli strani. Quelli che cercano di avere amici ovunque sono il simbolo della stranezza.”
“Con degli amici ti sentiresti meglio.”
“Allora perché eviti di ricostruire la tua famiglia? Scommetto che hai paura di non sentirti meglio nell’avere molte persone vicino.” Ribatté, spiazzandola.
“Tu non capisci.”
“Sei così stolta da poter scegliere e preferisci stare lontano da lui. Ci sono persone che pagherebbero per essere al tuo posto e che invece devono accontentarsi.”
“Ma questo…”
“Così va il mondo e tu per orgoglio stai impedendo a tua madre di tornare ad essere felice.”
“Come fai a sapere cosa si prova?” Chiese la ragazza, sperando d’aver trovato qualcosa di cui poter parlare con Scott.
Quella però non era un’apertura sufficiente.
Se avesse compreso che lui al posto del cuore aveva un blocco di cemento, forse anche lei si sarebbe arresa e gli avrebbe voltato le spalle.
“Dinanzi ad un problema irrisolvibile, bisogna voltarsi e lasciar correre.”
“Leggo troppe riviste.” Borbottò il rosso con un ghigno appena accennato.
“E nelle riviste ti insegnano anche a risolvere questi problemi? Mi sembra qualcosa di troppo personale per rientrare nel gossip.”
“Dipende da quali riviste leggi.”
“Non cambiare discorso. Conosci qualcuno che potrebbe volere qualcosa di simile?”
“Non credo t’interessi del tizio con i baffi sulla prima pagina.”
“E se invece volessi saperlo?”
“Pensa al tuo di problema e non soffermarti troppo su quello degli altri.”
“Ma questo è…”
“Tu sai che ho ragione.” L’interruppe bruscamente, facendola annuire.
Un ulteriore silenzio scandì quei minuti.
Scott poteva solo leggere il suo sguardo e i suoi movimenti appena accennati, mentre lei rifletteva molto su quelle dure parole.
“È vero che una seconda opportunità non si nega a nessuno e che lui potrebbe essere pentito, ma un giorno torneremo su questo discorso.”
“Forse.”
“Mi parlerai dei tuoi problemi e riuscirò a risolverli.” Riprese la giovane, alzando la voce e sperando di contagiare con la stessa allegria anche il compagno di classe.
“Illusa.”
“Riuscirò a sistemare le cose e a capire cosa ti tormenta.”
“Fai come vuoi.”
“Ma ora devo trovare il coraggio di parlarci.” Borbottò lei, ritornando sulla questione della sua famiglia e chiudendo momentaneamente quello relativo al ragazzo.
“Se è destino che tutto si sistemi, troverai un modo e con qualsiasi risultato ti sentirai in pace con te stessa.” Spiegò infine, riprendendo tra le mani il libro che aveva chiuso in precedenza, senza preoccuparsi di come Dawn avrebbe speso il suo tempo.
 
Il resto del pomeriggio scivolò via in pochi attimi.
Lei era persa in un certo discorso da imbastire con suo padre, mentre lui era tornato a stravaccarsi sul banco.
Dawn, fissandolo, si era resa conto di una cosa.
Aveva compreso quanto conoscesse poco e male il ragazzo con cui condivideva la passione di quel club.
Anche se per Scott di passione non si poteva parlare: quella era solo una minaccia che il vecchio McLean gli aveva rivolto.
L’unica consolazione di Dawn era nell’apprendere che partiva sullo stesso livello degli altri, dato che nessuno nell’intero edificio conosceva qualcosa a suo carico.
Lei stessa era convinta, però, che lui conoscesse almeno qualcosa dei suoi gusti e delle sue amicizie e anche se non si era mai aperto con nessuno, ciò aveva fatto intuire a Dawn il motivo del suo ingresso nel club.
Sentiva che era suo dovere scardinare le sue difese, ma se lui spiccicava parola solo quando era alle strette, ecco che si ritrovava in grave difficoltà.
Se fosse stata a conoscenza di qualche sua passione particolare, allora sarebbe stato tutto più semplice.
Uno sport o un hobby sarebbero stati sufficienti, ma dallo sguardo del rosso non traspariva nulla, se non un velo di malinconia che non era mai svanito in quei lunghi anni di conoscenza.




Angolo autore:

Ryuk: Eccoci di nuovo qui.

Prima di fare come l'altra volta è il caso di lasciare un avvertimento.
Questa storia prende spunto da un anime giapponese, tale Yahari (non vi scrivo l'intero nome che è lungo quasi quanto questo capitolo).
Volevo scriverlo nel primo capiolo, ma la mia pessima memoria è molto più avanti di me.

Ryuk: Alcuni capitoli potranno sembrarvi simili a quell'anime, ma non sarà sempre così. Questo è un motivo in più per continuare a seguire la nostra storia.

Cosa aggiungere?
Il prossimo capitolo uscirà venerdì.
Scott continua con i suoi pensieri orribili.

Ryuk: Parla di Alberta...

Come ho scritto in un'altra recensione, le descrizioni (fisiche almeno) della famiglia di Scott saranno quasi identiche a quelle di Moments.

Ryuk: Ci scusiamo per il disagio, ma purtroppo ci tocca.

Prima di chiudere, ringrazio i recensori e coloro che seguono la storia.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Dawn, per quel pomeriggio, non parlò più della sua famiglia e Scott con il suono della campanella si avviò verso il portone.
Giusto il tempo di arraffare un panino dalle macchinette, d’uscire dalla struttura e alle 17 era già disteso sul suo caro vecchio divano.
Era stato sufficiente guardare il tavolino per capire che non era solo e che la sorella non era ancora tornata all’ovile.
Doveva essere ancora infuriata per la faccenda di qualche ora prima.
Per quando, ad essere precisi, l’aveva invitata ad andarsene da Lucas.
Non che gli importasse d’apparire troppo freddo e distaccato, ma non voleva nemmeno che Alberta lo odiasse a morte.
Era solo questo il suo punto debole.
Non era l’analizzare tutto con calma e con lucidità la sua debolezza: era il timore di farsi odiare ciò che non sopportava.
“Da quanto sei tornato?”
“Poco.”
“Vuoi che ti prepari qualcosa?”
“Non occorre.”
“Come è andata a scuola?” Tentò nuovamente, sperando di trovare qualcosa di cui parlare.
Purtroppo per lei, Scott non aveva voglia d’ascoltare i versi di una iena che per una volta manteneva la calma.
Lui voleva solo dormire o fissare il vuoto del soffitto.
Parlare e dare aria alla bocca era l’ultimo dei suoi pensieri.
“Bene.”
“E la gita procede come al solito?”
“Sì.”
“Sicuro di non avere nulla da dirmi?” Domandò la madre, facendolo riflettere per un secondo.
Dentro di sé sentiva che doveva parlare della sorella, ma reputava tutto ciò come un qualcosa d’inutile.
Tanto sapeva come sarebbe andata a finire.
Lei avrebbe saputo la verità, se non la conosceva già, si sarebbe infuriata, facendo vibrare le pareti e poi avrebbe sistemato le cose a modo suo.
“Sì.”
“Stai rispondendo di sì solo perché speri che ti lasci in pace?”
“Sì.” Rispose il ragazzo.
“E quindi credi che non sappia di tua sorella?”
Scott si accontentò di negare con il capo, quasi come se quella questione fosse sorta per colpa di Alberta.
Lui non si sentiva colpevole in alcun modo.
Non era colpa sua, se lei era fuggita e se era sempre stata troppo debole per sopportare una verità nuda e cruda.
“Perché l’hai mandata via?”
“La sua vista mi disturbava.”
“Ma siete fratello e sorella e tra voi dovrebbe esserci un ottimo rapporto.” Lo rimproverò la donna, aggiungendoci un’occhiataccia.
Solo Scott sapeva quanto si sbagliasse.
Tra loro non c’era amore fraterno, ma solo odio e disprezzo.
Lui non si era mai sentito parte della sua vita e quindi credeva giusto escluderla dalla propria.
Inoltre credeva controproducente per la sua psiche interessarsi della sfera sentimentale e dei progetti futuri di Alberta.
“Balle.”
“Da quando sei così sfrontato?”
“Non so.”
“Dov’è quel bambino che, correndo felice e spensierato, donava armonia in questa famiglia?” Nel dirlo, la donna aveva afferrato anche la foto che aveva sul mobile del salotto, quasi volesse ricordare il passato.
Quanto le sarebbe piaciuto rivedere il sorriso reale e delicato dell’immagine e non più quello spento e fasullo che il figlio adottava per evitare troppe domande.
“Non ricordo quel giorno.”
“Sei un ragazzo impossibile.”
“Credi davvero che io sia impossibile, mamma? Mi puoi spiegare cos’è rimasto di quel sogno che volevi tanto realizzare? Perché dovrebbe importarmi qualcosa di questo posto?” Chiese, facendo riflettere la donna.
Quei quesiti così spietati, tipici di Scott, sarebbero stati capaci di zittire anche il più inguaribile degli ottimisti.
E in quel pomeriggio era riuscito a distruggere la poca speranza che viveva nella madre.
Scott non si voltò, nemmeno quando la sentì piangere e chiudere con rabbia la porta della sua camera.
Tanto sapeva bene come sarebbe finito quel pomeriggio.
Tempo qualche ora e la vecchia iena sarebbe uscita dalla sua tana.
Avrebbe preparato qualcosa da mangiare, avrebbe parlato al telefono con Alberta e si sarebbe dileguata senza degnarlo di uno sguardo.
“E poi osa chiedermi cosa c’è che non va.” Brontolò il ragazzo.
Non riusciva proprio a comprendere quegli sforzi inutili.
“Perché tentare d’incollare qualcosa, sapendo che ti mancano tanti pezzi?”
Quanto erano patetici quei tentativi.
Lui lo sapeva e per non venire meno ai suoi intenti, avrebbe lasciato che la madre continuasse con quel sogno irrealizzabile.
Forse un giorno avrebbe compreso e sarebbe stata felice.
Magari trasferendosi nella nuova casa che Alberta avrebbe comprato non appena si fosse sposata con Lucas.
Tanto ne parlavano spesso e rimanere solo per Scott non faceva più alcuna differenza.
Solo lo era con loro due in mezzo ai piedi e senza sarebbe stato ancora più facile.
 
Erano circa le 21 quando sentì il campanello suonare.
Con tutti gli orari possibili e con tutti i giorni a disposizione, Scott si era chiesto chi potesse essere.
Non guardò nemmeno dalla finestra e subito aprì la porta, trovandosi davanti una valigia e una figura che lo fissava emblematica.
“Sto aspettando le tue scuse.”
“Le mie…cosa?”
“Mamma ha detto che potevo tornare perché eri pentito.”
Il ragazzo si voltò verso la figura in vestaglia alle sue spalle che sorniona era riuscita a fargliela da sotto il naso.
Aveva passato il primo scontro pomeridiano, incassando poi in serata un micidiale colpo che avrebbe stroncato chiunque.
Scott si ritrovò a negare con il capo, quasi volesse farle capire che non era ben accetta, anche se la invitò comunque ad entrare.
“Non sembri felice di vedermi.”
“Lo sono così tanto che organizzerei una festa.” Ribatté sarcastico, facendola quanto meno sorridere.
“È così che dovrebbero comportarsi fratello e sorella.” Intervenne la madre che cercava di smorzare ulteriormente le frecciatine di Scott nei confronti di Alberta.
Di certo non voleva che lei se ne andasse di nuovo.
Non poteva sopportare che i suoi tentativi fossero vani e poi per la prima volta, dopo tanti mesi, aveva notato qualcosa di diverso nello sguardo di Scott.
C’era una sorta di rilassatezza verso quel compromesso.
“Prima faccio la morale e poi sputo dove mangio?”
Era questo il motivo per cui si era rassegnato.
Il suo orgoglio gl’impediva di rimangiarsi la lezione che aveva insegnato a Dawn.
Sarebbe passato come un bugiardo e questo non gli andava a genio.
“Sì come vuoi tu.”
“Mi sembri più fiacco oggi, fratellino.”
“È l’età Alberta.”
“Ti consideri più vecchio di me?” Domandò sorniona la giovane, facendo sorridere anche la madre dopo molto tempo.
“Anche se fosse, ricorda di non starmi tra i piedi.”
Scott dopo aver dettato quella semplice regola, raccolse la valigia e la portò nella sua stanza, lasciando le due iene e confabulare e a confrontarsi su quanto erano riuscite ad ottenere.
 
Scott, nel ritornare in salotto, sapeva come si sarebbe conclusa quella breve serata.
Sua madre sarebbe andata a dormire dopo qualche minuto, mentre Alberta avrebbe occupato la sua stanza e avrebbe riunito i 2 letti singoli, ben sapendo che il fratello mai si sarebbe sognato di dormire nella stessa stanza.
Lui non l’avrebbe mai voluta vicino e pertanto accettava di buon grado di trasferirsi sul divano.
In passato avrebbe risposto che gli dava fastidio il suo russare o il suo parlare nel sonno, ma in verità la sua vista gli recava fastidio.
Sul divano, invece, avrebbe passato qualche ora di sollievo.
Nonostante questa cieca convinzione e nonostante una posizione ben studiata c’era qualcosa che continuava a tenerlo sveglio.
Si sentiva d’escludere il ritorno repentino di Alberta e le problematiche scolastiche e pertanto cercava il motivo che tenesse occupata la sua mente.
Senza nemmeno badare all’ora tarda e senza considerare di fare troppo baccano, si avviò verso la cucina per fissare il calendario sulla parete.
C’era un qualcosa in quel numero che aveva cerchiato di rosso che non lo rendeva tranquillo.
Perché avrebbe dovuto significare qualcosa per lui il 24 ottobre?
Sarebbe stato un giorno come tanti altri.
Sempre uguale nella sua monotonia e sempre lento nel passare.
L’ho invitato a casa per lunedì prossimo.”
Scott nell’osservarlo intensamente per qualche secondo aveva compreso il motivo.
Se quella giornata fosse andata così come le aveva consigliato, lui si sarebbe sbarazzato del primo sciagurato del club di Volontariato.
Di per sé non temeva il suo fallimento.
Temeva solo di non essere libero.
Libero di dormire nella stanza del club e libero di riferire con orgoglio verso dicembre che lui aveva portato a termine la sua missione.
Poco gl’importava che nessuno varcasse più la porta per chiedergli consiglio.
Lui avrebbe mandato via chiunque volesse disturbarlo dalle sue attività ricreative e rilassanti, ad eccezione ovviamente di Dawn e del vecchio McLean.
Fu solo quando sentì un lieve fruscio alle sue spalle che si risvegliò.
“Sei un tipo mattiniero, fratellino.”
“Che vuoi?”
“Scortese come sempre.”
“Quanto ti serve?” Domandò il ragazzo, spostando il suo sguardo severo verso la sorella.
“Perché credi che abbia bisogno di denaro?”
“Perché sei una donna.”
“Volevo chiedertelo prima, ma non ci sono riuscita: dimmi Scott cosa rappresenta quel numero cerchiato?”
“Il mio funerale…l’ho organizzato mentre non c’eri.” Rispose il ragazzo, prendendo dal frigo una bottiglia d’acqua.
“Credevo volessi organizzarlo dopo il mio matrimonio.”
“Quel fesso di Lucas deve essere impazzito per volerti sposare.” Sbuffò il giovane, bevendo velocemente un primo sorso.
“E tu?”
“Sei peggio della mamma.” Ringhiò il rosso, ben sapendo dove volesse andare a parare.
Alberta non si era ancora rassegnata d’aver fallito con i suoi propositi di trovare l’anima gemella al fratello e pertanto non credeva possibile che dopo 4 lunghi anni di superiori, Scott si ostinasse a restare single.
“E Dawn come sta?”
“Persa nel suo mondo.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Vorresti farne parte? Del suo mondo intendo.”
“Perché dovrebbe importarmi qualcosa di una persona che ho sempre disprezzato?” Domandò il giovane, fissando la maggiore che continuava a stringersi nelle spalle.
“Perché la conosci da tanti anni.”
“Anche tu conoscevi il tuo ex da tanti anni, ma quello ti ha tradito comunque.”
“Hai ragione.”
“Si può sapere, cosa vuoi da me?” Richiese Scott, mentre la sorella si sedeva e beveva un goccio di una bibita dimenticata sopra il tavolo.
“Vorrei sapere il perché mi odi.”
“Ti ho dato questa impressione?”
“Suvvia Scott, non prendermi in giro. Ci deve essere un motivo per cui negli ultimi anni ti sei fatto così freddo e distante.”
“Hai mai pensato che potrebbe essere il mio carattere?” Domandò il rosso, facendo annuire la maggiore.
“Certo che ci ho pensato.”
“E quale conclusione ne hai tratto?”
“C’è qualcosa che ti ha costretto a diventare così, ma non riesco a capire cosa.” Rispose la ragazza, fissando il fratellino che continuava a bere tranquillo.
“Ti preoccupi per me?”
“Non dovrei?”
“Non ne vedo il motivo. Non ho nulla da spartire con te e i miei pensieri non ti riguardano in alcun modo.” Ribatté con freddezza, senza riuscire a scalfirla.
“Hai mai trovato qualcuno per cui valesse la pena cambiare?”
“Perché dovrei risponderti?”
“Perché, se mi rispondi, significa che non hai nulla da nascondere.”
Scott assaggiò per qualche secondo quelle parole.
In effetti non era in errore. Era una domanda legittima, anche se ad essere sinceri non si era mai scontrato con qualcuno che meritasse la sua approvazione o il suo interesse.
“Direi di no.”
“E i tuoi amici?”
“Non so se l’hai notato Alberta, ma io non ho amici. Conosco solo qualcuno con cui condivido un’esistenza penosa.”
“Il tuo pensiero conclusivo sulla vita sarebbe questo?” Chiese la sorella, continuando con il suo interrogatorio.
“La vita è solo un’immensa fregatura. Quando credi che tutto vada bene, devi sempre aspettarti una pugnalata alle spalle.”
“E allora cosa ne pensi del mio futuro matrimonio?”
“Sei troppo giovane per sposarti.” Borbottò il rosso, riponendo la bottiglia in frigo e negando con la testa, quasi considerasse quella scelta come una pazzia evitabile.
“È solo questo il tuo pensiero?”
“Non capisco cosa puoi guadagnarci nel vivere per sempre con una persona che potrebbe renderti felice, ma di cui ricorderai più difetti che pregi.”
“È l’amore, fratellino. Qualcosa che comprenderai quando sarai più maturo.”
“O più stupido.” La corresse il rosso.
“Lo credi tu.”
“Già.”
“E il 24 ottobre cosa dovrebbe succedere?” Domandò di nuovo a distanza di qualche minuto dalla prima volta.
Sperava che quella breve conversazione avesse reso più malleabile il fratello.
Ad essere sinceri Scott, escludendo le sue paranoie e le sue idee malsane, era un tipo abbastanza interessante.
Un tipo però che combatteva con i rari sprazzi di loquacità e che evitava di essere al centro dell’attenzione, riuscendoci meravigliosamente in quei pochi anni.
Anche se Albert avesse fermato i suoi compagni di classe, quest’ultimi avrebbero ricordato di Scott solo la chioma rossastra e il carattere indecifrabile.
“Sei troppo curiosa.”
“Riguarda Dawn?”
“Perché dovrebbe riguardarla?” Domandò il rosso, cercando di comprendere come avesse fatto a risalire al motivo di tanto finto interesse.
“Perché se non riguarda noi e non riguarda te, l’unica persona di cui parli, anche se poco, è proprio quella ragazza.”
“Non eri così sveglia da quando hai fregato il rossetto alla mamma.” La derise Scott, facendola ridacchiare.
“Allora?”
“Un giorno potrei raccontarti tutto, ma non farti strane idee.” Rispose con freddezza, prima di uscire dalla cucina per poi distendersi sul divano.
Lei, nonostante non fosse poi così soddisfatta di quel dialogo, non poté far altro che tornare nella sua stanza, non prima d’aver gettato uno sguardo verso il fratello che con i suoi occhi spiritati continuava a fissare il soffitto privo di vita.
 
Quei pochi giorni che separavano Dawn dall’incontro con suo padre erano passati in fretta.
Le stesse ore nel club erano volate nel silenzio.
Scott continuava a fissare il muro davanti a sé, mentre lei cercava di comunicare e di chiedergli consiglio.
Ogni tanto rispondeva a monosillabi, anche se era più il tempo che passava fuori dall’aula o a rapporto dall’esaminatore che quello legato alle attività previste dal Volontariato.
Stranamente, però, quel lunedì si sentiva in vena di parlare.
“Paura?” Chiese, riferendosi a ciò che l’attendeva.
“Un po’.”
“Non dovresti averne.”
“Sarebbe magnifico se la mia famiglia si ricomponesse.”
“Se lo affronti con questo spirito, non resterai delusa.” Borbottò il rosso, osservando il cellulare senza vita che gli faceva compagnia.
“Certo che questo club è sempre così vuoto.”
“Credevo sapessi che questi club sono per buona parte inutili.” Riprese lui con un sorriso appena accennato.
“Speravo di trovare qualche amico.”
“Non ti bastano i nostri compagni?” Domandò Scott, fissando l’orologio alla parete, per poi riporre il libro che aveva sopra il tavolo dentro lo zaino.
“Siamo in classe insieme e non sai nulla?”
“Osservo e ricordo solo le cose utili.”
“E la ragazza che conosci da molti anni non ti sembra importante?” Chiese la giovane, bloccando il rosso in una domanda trabocchetto.
In altre situazioni avrebbe ammesso candidamente che non gliene poteva importare di meno.
Che per quello che lo riguardava, lei poteva anche rimetterci le penne.
Che poteva anche trasferirsi in un altro Stato, ma tanto lui non avrebbe versato nemmeno una lacrima.
Purtroppo quel giorno non poteva farlo.
Una risposta negativa l’avrebbe demoralizzata o fatta arrabbiare.
Di certo non era nelle sue intenzioni farle affrontare la discussione con suo padre in una simile condizione.
Da furiosa o triste avrebbe fatto una pessima figura e non sarebbe stata convincente.
Però non voleva nemmeno essere considerato un debole.
Se dalla sua bocca fosse uscita una frase positiva, avrebbe avuto pronta una grossa verità: quelle parole sarebbero servite in futuro.
Con la rinascita della sua famiglia, tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Senza più problemi, senza più le motivazioni per continuare, Dawn avrebbe ritirato l’iscrizione dal club e avrebbe passato quei mesi insieme ai suoi genitori.
Avrebbe recuperato gli anni perduti con la loro distanza e Scott ci avrebbe solo guadagnato.
Senza Dawn, lui sarebbe stato l’ultimo membro rimasto del club e avrebbe ricoperto il ruolo di Presidente, continuando così a ignorare il suo problema e a fingere.
E verso dicembre o al massimo gennaio, i pomeriggi scolastici sarebbero tornati ad essere spesi nell’ozio più totale sul divano del suo salotto e si sarebbe concentrato a scrivere qualche storiella con cui deprimere i professori o con una qualche battuta acida che potesse schiodare da casa quella sanguisuga di sua sorella.
“Ritieniti fortunata che sei abbastanza importante.” Ghignò il rosso, facendole credere che forse il suo non era un caso così disperato.
“Non ho poi molti amici.”
“Quando la tua famiglia si sarà riunita anche il tuo carattere ne troverà beneficio e quindi potresti averne di nuovi.”
“Davvero?” Chiese la giovane con un sorriso contagioso.
“Sì.”
“Rispondi così solo perché speri che ti lasci in pace?”
“Forse.” Ridacchiò il giovane, concentrandosi sulla sua figura che sembrava soddisfatta da quelle parole
Scott nel vederla così felice e nel sapere cosa l’aspettava, per una volta, l’unica in vita sua, si sarebbe comportato bene nei suoi confronti.
Solo perché era il giorno che tanto attendeva.
“Vai pure prima che si faccia tardi, lo chiuderò io il club.” Si propose con una carineria che gli suonava strana.
Lei, raccogliendo quell’invito insperato, prese la borsa contenente ancora i libri scolastici, gli porse le chiavi della stanza e lo salutò.
Dawn, uscendo dall’aula e scendendo le scale, si rese conto che, continuando in quel modo, non sarebbe mai stata capace di ricambiare i suoi sforzi.
Le risultava difficile trovare un modo con cui aiutarlo, dati i suoi tentativi di risultare invisibile e di farsi odiare dal mondo.
 



Angolo autore:

Non so nemmeno cosa scrivere.

Ryuk: Ci penso io.

Davvero?

Ryuk: Mettetevi in testa che Scott sarà molto diveso rispetto ai nostri standard.

Non essere aggressivo Ryuk.
I pensieri di Scott saranno contorti: alcuni li avete appena notati, altri usciranno molto più avanti.
Piccolo spoiler...il primo che avrà bisogno del club interverrà nel quinto capitolo e sarà una ragazza.

Ryuk: Abbiamo detto anche troppo.

Ora andiamo che ci sono altri progetti da finire.
Ringraziamo chi ha recensito questi 2 capitoli e chi segue la storia, anche se in silenzio.

Ryuk: Ci risentiamo martedì per l'aggiornamento.

Vi auguro un buon week-end.
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Solo per le 18 era riuscito a ritornare alla sua amata baracca.
Sapeva che non vi avrebbe trovato sua madre, troppo impegnata con del lavoro in arretrato, ma avrebbe incrociato sua sorella e questa era una punizione fin troppo eccessiva per i suoi gusti.
Dopo quasi 10 ore spese a scuola quell’incontro poteva essere la goccia che faceva traboccare il vaso e poteva sancire una nuova fuga d’Alberta verso la casa del suo amato Lucas.
“Come è andata a scuola?” Esordì quel pomeriggio senza dargli nemmeno il tempo di appoggiare le chiavi sulla mensola.
“Come al solito.” Rispose con freddezza, sedendosi sul divano.
“Oggi è il 24 ottobre, ricordi?”
“E allora?”
“A quanto pare avevo ragione.” Affermò Alberta, squadrandolo e notando quanto fosse stravolto dopo tutte le ore passate a scuola.
“A che proposito?”
“Il numero cerchiato non riguardava te, ma solo Dawn.”
“E avresti sprecato tante energie solo per pensarci?”
“Cos’è che la tormentava?” Chiese la ragazza, facendo ghignare Scott.
Era proprio questo ciò che lui considerava inconcepibile. Non capiva il perché dovesse darle spiegazioni.
Aveva passato la mattinata in compagnia di tizi insopportabili, di professori in piena crisi isterica e ora doveva ascoltare anche i vaneggi di una iena.
E non era solo questo che gli creava fastidio. Se lei affermava che era diverso, perché non tentava con i suoi sforzi di comprendere il motivo di un così strano comportamento?
Forse perché lei, in fondo al suo cuore, sapeva che non avrebbe mai ammesso la verità e che si sarebbe sempre chiuso in una bugia quasi perfetta.
“Perché dovrei dirtelo?”
“Perché sono curiosa.”
“Riguarda il nostro club ed è una questione delicata.” Sbuffò, sapendo comunque che sua sorella non si sarebbe arresa con così poco.
“È insolito che tu voglia proteggere qualcuno.”
“Vorresti forse dire che sono un egoista?”
“Questo è ciò che credi tu.” Rispose la ragazza, facendolo annuire lievemente e facendogli rendere conto che tutti quegli sbagli insoliti stavano compromettendo la sua già scarsa sicurezza.
“Possibile che tu non abbia nulla da fare?” Protestò, sperando di togliersela di torno prima di offenderla in qualche modo.
“Mi diverto a disturbarti.”
“Non hai nessuno da annoiare? Compagne di scuola, Lucas, qualche serpente velenoso.” Elencò, sperando in una via di fuga.
“Sono libera.”
“Anche di seccarmi?” Domandò ironico, facendola sorridere.
“È da tanto che non parliamo.”
“Da ieri sera, quando mi hai chiesto come andavo a scuola.”
“Parlavo di faccende private.” Puntualizzò lei.
“La scuola è una cosa privata.”
“Non hai intenzione di dirmi nulla su Dawn?”
“È seccante, noiosa e antipatica come al solito.”
“Passi tanto tempo con lei e non hai ancora cambiato opinione. Non hai trovato nessun pregio da ricordare o pensi di fare troppa fatica nel studiare una persona?” Chiese Alberta, puntando sulla nota pigrizia che faceva compagnia a Scott e sul suo odio smisurato per quelli che considerava sforzi inutili.
Buttare l’immondizia, comprare un giornale, salutare un vicino di casa: questi erano azioni comuni per ogni persona dotata di buonsenso, ma il rosso considerava tutto ciò come una perdita di tempo e come un qualcosa di noioso.
L’immondizia era compito d’Alberta per i tanti mesi passati in Cina, il giornale sarebbe presto finito in qualche sacchetto e i suoi vicini erano tutti pettegoli e logorroici.
Per Scott quello di osservare una persona odiata era uno spreco di energia evitabile e paragonabile proprio alle azioni che controvoglia si ritrovava a svolgere almeno una volta a settimana.
“Direi soltanto che nel suo impegnarsi è lodevole.”
“È già un inizio: tempo fa mi avresti detto che la detestavi e che non c’era nulla d’importante da ricordare.”
Scott, sconfitto da una logica quasi schiacciante, preferì rialzarsi dal divano per raccogliere un nuovo tema che attendeva soltanto d’essere svolto.
Alberta vedendolo pronto a studiare, se ne tornò in stanza, riflettendo sul lieve cambiamento che aveva notato in suo fratello e sorridendo dinanzi alla possibilità che finalmente il club stesse iniziando a forgiare il suo carattere grezzo.
 
Il nuovo compito buttato su un foglio in appena 2 righe era strettamente legato con un’uscita di orientamento per il mondo del lavoro.
Scott aveva già le idee abbastanza chiare su quale attività avrebbe incontrato il suo interesse, ma nulla gli vietava di demoralizzare il morale del professore.
Ormai quello era solo un gioco innocente che lo vedeva impegnato contro Chris McLean.
Qualsiasi cosa avesse scritto con qualche accenno di negatività, tanto lui si sarebbe ritrovato in un nuovo colloquio sul futuro.
E poi la sua punizione sarebbe scaturita in una nuova visita al club di Volontariato.
Però questa volta era convinto che sarebbe andata diversamente.
Fino al richiamo e alla sanzione non vi sarebbe stata una virgola fuoriposto, ma uscito dall’ufficio avrebbe notato un cambiamento e salendo le scale le sue certezze si sarebbero moltiplicate nel constatare che il club era finalmente deserto.
Nessuna ragazza a leggere.
Niente Dawn con minacce annesse per renderlo loquace.
La minaccia di Chris gli si sarebbe ritorta contro, tutto si sarebbe sgonfiato come in una bolla di sapone e si sarebbe concesso alcune semplici ore di solitudine e riposo.
Libero da vincoli e da costrizioni poteva scrivere come voleva, senza badare troppo di risultare pessimista e misantropo.
“Pensiero sul mondo del lavoro.”
In sintesi era questo il titolo che avevano sbattuto sulla lavagna e a una prima occhiata non era poi così accattivante.
Certo era un argomento molto ampio su cui scrivere, ma non per questo utile a Scott.
Il rosso si accontentava di poche righe sintetiche con cui avrebbe dichiarato guerra alle paginone dei suoi compagni di classe.
Per essere ironici lui lo faceva anche per il prof.
Con meno roba da leggere avrebbe guadagnato tempo e avrebbe avuto bisogno degli occhiali solo dopo qualche anno.
Meritava un premio per quel regalo atto a migliorare il servizio scolastico o così credeva, anche se  la sacrosanta verità era che la pigrizia gli impediva di tenere la penna in mano per più di mezzora.
Superato il tempo limite, sentiva la stanchezza prendere il sopravvento e doveva abbandonarsi a qualche ora di riposo.
 
“Lavorare è uno spreco di energia.
Lavorare significa rischiare qualcosa per ottenere una ricompensa.
Per questo, la mia scelta di rimanere a casa e non lavorare è perfettamente sensata e assolutamente giustificabile.
Per cui, per la prossima eventuale uscita didattica, vorrei visitare il posto dove lavora mia sorella, cioè casa mia.”
Lo sguardo inferocito del professore non lasciava presagire nulla di buono.
Tutto ciò però invogliava Scott a mantenere la sua aria impassibile, giusto per farlo innervosire ancora un po’.
“Sai già cosa sta per succedere, non è vero?” Chiese il professore, alzandosi in piedi e avvicinando una sedia al ragazzo.
“Dovrei riscrivere il tema?”
“Sempre che tu non voglia essere sospeso.” Rispose l’uomo, restituendogli il compito di poche righe che aveva ricevuto.
Scott ricevendo il foglio indietro si era chiesto il perché tutti tirassero in ballo la figura dittatoriale del Preside.
Sapeva che era assai temibile, ma ora stavano esagerando.
Prima Dawn con la sua minaccia iniziale, poi il supervisore della sua classe: sembrava quasi che si fossero messi d’accordo per rendergli la vita impossibile.
“Lo riscriverò.”
“Un giorno dovrai spiegarmi il perché temi la sospensione.”
“Mia madre non è buona come sembra.” Borbottò il ragazzo, riponendo la scheda nello zaino e facendo sorridere il suo professore.
“Non sarebbe felice di averti a casa?”
“Non è mai stata troppo felice d’avermi in generale.” Sospirò il giovane.
“Forse è colpa del tuo carattere.”
“Probabile.”
“Pensavo che fossi cambiato con tutto il tempo che hai trascorso al club, ma a quanto pare le sue attività non hanno ancora sortito effetto.”
“La mia filosofia è di raggiungere gli obbiettivi che mi sono prefissato poco alla volta, quindi non accadrà mai.” Riprese Scott, spiegando le sue motivazioni.
“Non dire un’altra parola, a meno che tu non voglia essere sospeso.”
“D’accordo.”
“Comunque dovresti restituirmi il compito quanto prima. Ti consiglio di andare al club e di chiedere aiuto alla signorina Dawn.” Riprese l’uomo, prendendo la scheda della ragazza e mostrando con orgoglio il suo elaborato.
“Sempre che sia presente.” Si lasciò sfuggire Scott, catturando l’attenzione di Chris.
“Perché non dovrebbe?”
“Perché deve risolvere alcuni problemi famigliari. Mi sembra strano che lei non sappia nulla della sua situazione.”
“So solo che i suoi sono divorziati.” Spiegò il professore, facendo annuire il ragazzo.
“Le ho consigliato di affrontare la questione e di parlare con suo padre.”
“Strano che tu faccia qualcosa senza ricercare nulla in cambio.” Gli fece notare il professore, prendendo in controtempo il ragazzo.
“Mi sta dando della sanguisuga?”
“È solo una tua impressione.” Ridacchiò l’uomo.
“Se la sua famiglia si è ricomposta, non avrà più tempo per il Volontariato.”
“Speri davvero che ti tolga dal club?” Chiese canzonatorio l’uomo, senza tuttavia ottenere alcuna risposta dallo sguardo indecifrabile del rosso.
Scott, non sapendo cosa dire, preferì uscire dallo studio per avviarsi lentamente verso l’aula dedicata al club.
Con le chiavi in tasca e con la consapevolezza di averne l’unica copia sapeva che nessuno lo avrebbe più disturbato.
 
Lo credeva fino a quando, dopo aver salito l’ultima rampa di scale, si ritrovò davanti una brutta sorpresa: davanti alla porta c’era lei.
Scott vedendola con un’aria stanca e insolita aveva creduto che il suo tentativo fosse naufragato e mentre percorreva quei pochi metri che lo separavano da Dawn, stava cercando qualcosa da dire in simili frangenti.
“Non arrabbiarti, hai fatto del tuo meglio.” Borbottò, aprendo la porta del club ed invitandola ad entrare.
Lei senza aggiungere nulla si avviò al suo posto e aprì la finestra, facendo circolare un po’ d’aria fresca.
Giusto il tempo di mettersi comodi che lei iniziò a parlare.
“Devo ringraziarti, Scott.”
“L’avrebbe fatto chiunque.” Si sminuì.
“Sono felice.”
“Per cosa? Credevo avessi fallito.”
“Cosa te lo fa credere?” Domandò la giovane.
“Mi sembravi giù di morale e invece devo supporre che fossi solo impaziente di vedermi.”
“Era da mezzora che ero in piedi.” Sospirò, facendolo sorridere appena.
“Sono stato chiamato nell’ufficio di Chris.”
“Ormai ci fai meta fissa.”
“Purtroppo.” Borbottò, raccogliendo il foglio che il professore gli aveva restituito qualche minuto prima.
“Non era soddisfatto del tema?”
“Dovresti leggerlo per sapere cosa ne pensa.” Sospirò, allungando il foglio alla ragazza che dopo averlo letto si ritrovò a ridere appena.
Dawn finalmente capiva il perché Scott venisse sempre chiamato dal supervisore e aveva anche capito che per ora i suoi sforzi di riabilitarlo erano stati vani.
“Dovresti essere meno crudele quando scrivi.”
“Non parliamo di come dovrei essere. Parliamo piuttosto di come è andata ieri con tuo padre. Sei riuscita a sistemare le cose?”
“Ieri sera ne abbiamo parlato, ha capito che la separazione non era la soluzione. Oggi ceneremo tutti insieme come una vera famiglia e nel week-end andremo a mangiare fuori.
Dobbiamo provare a sistemare le cose in qualche modo e questa potrebbe essere la soluzione perfetta.”
“Così sembra.”
“Credo di essere in debito nei tuoi confronti, Scott.”
“Non credo proprio.”
“E tu? Sei felice che io sia riuscita a sistemare le cose?” Chiese la giovane, facendo alzare lo sguardo al suo interlocutore.
Ad essere sinceri Scott non era per nulla contento.
Il suo bel programma era andato in frantumi.
Altro che restare da soli e in pace per molti mesi prima di chiudere quella sciocchezza chiamata club, ora era costretto a restare con una che avrebbe cercato in ogni momento di fare qualcosa di carino per sdebitarsi.
E di questo lui non ne aveva affatto bisogno.
Perché la verità è che Scott avrebbe venduto anche sua sorella per un po’ di solitudine.
Sarebbe stato felice solo se Dawn avesse rinunciato al club.
E invece dalla situazione migliore possibile era appena naufragato in quella peggiore.
Un conto sarebbe stato il fallimento: lei non gli avrebbe più rivolto la parola, lo avrebbe odiato per un consiglio non richiesto e quei mesi sarebbero passati in un clima teso e silenzioso.
Poteva essere un clima idilliaco per una persona malvagia fino al midollo, anche se Scott tra i contrasti non sapeva starci perché restava sempre schiacciato dai sensi di colpa.
Quello che si era materializzato era lo scenario peggiore: lei che riusciva nell’impossibile e che manteneva il controllo del club, costringendolo a passare un anno orribile.
“Certo che ne sono felice.” Mentì, cercando di risultare sincero.
“Davvero?”
“Se non fossi riuscita a venire, avrei preso il tuo posto e lo avrei tenuto fino a quando non avessi trovato qualcuno di degno.”
“E invece non accadrà.”
“Sicura che sia la soluzione migliore? Non credi sia più utile sfruttare il tempo che guadagneresti, rinunciando al club, per restare con la tua famiglia?” Chiese il giovane, sperando in un suo ripensamento.
Scott aveva tentato un’ultima sortita, anche se era quasi certo che lei non si sarebbe rimangiata quel pensiero.
Sarebbe rimasta fissa su quella decisione perché non voleva lasciare da solo l’unico che si era premunito nel donarle un minimo conforto.
Anche se non era stato un consiglio troppo elaborato e in barba all’esperienza degli adulti, alla fine Scott era stato l’unico a darle una soluzione sensata.
“Mia madre è casalinga e mio padre lavora fino a tardi.”
“Io sono convinto che la soluzione migliore sia quella che ti ho esposto.” Continuò il giovane, intuendo che ogni parola stava diventando superflua.
“Tanto mio padre, appena finito di lavorare, verrà a prendermi e così passeremo insieme un po’ di tempo.”
“Qualsiasi cosa dica, credo che ormai ti sia decisa a continuare.” Sospirò Scott, aprendo lo zaino in cerca dell’astuccio.
Se quelle ore erano vuote da impegni tanto valeva portare a termine il compito che il prof gli aveva assegnato.
Prima di cominciare aveva avvertito la ragazza di non disturbarlo troppo.
Doveva accumulare idee positive e farle convergere sulla penna.
Avrebbe scritto le sue speranze per il futuro lavorativo che attendeva la moltitudine di giovani che si apprestavano ad uscire dalle scuole e avrebbe aggiunto la meta per l’uscita didattica.
Non era nelle sue intenzioni risultare un lecchino, ma avrebbe aggiunto due possibilità.
La prima avrebbe riguardato sua madre con una visita nel suo ufficio, mentre la seconda nei confronti dell’Università di sua sorella.
Qualunque cosa stesse scrivendo non proveniva in alcun modo dal suo cuore.
Erano solo concetti ragionati e necessari per evitare sospensioni o espulsioni.
 
Impiegò quasi un’ora per concludere quelle 2 pagine striminzite e, infatti, verso le 17, Dawn e Scott si ritrovarono a chiudere l’aula del club.
Tempo soltanto di uscire dal cancello e un auto scura li fece salire a bordo.
Il rosso non credeva che la bontà avesse i suoi vantaggi.
Quell’insperato passaggio gli avrebbe fatto risparmiare almeno mezzora di viaggio.
Sperava che la compagna non fosse troppo arrabbiata per aver accettato la proposta di suo padre, ma uno sguardo verso di lei che sorrideva radiosa, l’aveva convinto.
Quei pochi minuti sarebbero tornati utili ad entrambi.
A lei per conoscere meglio il compagno di classe che per tanti anni era sempre stato un’ombra presente e silenziosa.
A Scott invece per osservare il suo operato e per avvertire una sensazione di calore in fondo al cuore.
Sentiva un qualcosa di strano nell’aver aiutato qualcuno.
Era soddisfatto per quel consiglio che era stato ben interpretato e orgoglioso per l’impegno che Dawn ci aveva messo.
E quei sentimenti così limpidi avevano vinto, seppur per pochi attimi, su tutte le menzogne che raccontava.




Angolo autore:

Chiedo scusa se aggiorno a quest'ora.

Ryuk: Siamo un po' in ritardo.

E sono pure stanco.
Tagliamo corto: ringrazio i recensori, chi legge e segue la storia.
Spero che non ci siano errori che con la stanchezza potrebbero essermi scappati e vi confermo l'aggiornamento per venerdì.
Spoiler confermato per il prossimo capitolo: passato il problema di Dawn, toccherà al club e al primo/a sventurato/a.

Ryuk: Ci vediamo...

Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


Ciò che Scott credeva possibile, non era nemmeno lontanamente reale.
Di certo non si aspettava che il club potesse rinascere, né che la pubblicità facesse miracoli e catturasse sprovveduti a grappoli.
Scott, quando era entrato quel pomeriggio nell’aula, aveva trovato solo un’allegra Dawn intenta a leggere e non c’era nulla che lasciasse presagire una svolta inaspettata per quella giornata.
Anche se la sua previsione finale sul padre di Dawn non era stata totalmente infondata.
Con la rinascita famigliare, anche il carattere della compagna ne aveva beneficiato. Si era riavvicinata alle ragazze della sua classe e della scuola e questo per il rosso avrebbe sancito l’inizio dei suoi guai.
Lui sapeva che per attirare qualcuno in trappola era sufficiente descrivere meravigliosamente un posto che, al contrario, era un Inferno.
E Dawn con le sue belle parole e promesse aveva ridato nuova linfa al club di Volontariato.
Tappezzare l’intera scuola con qualche fascicolo o poster non sarebbe stato altrettanto convincente, quanto spargere la voce.
Il miracolo che aveva attuato, era passato di classe in classe e per la Presidentessa non fu una sorpresa, quando sentì bussare verso le 15.
“Chissà chi è.”
“Non ci resta che invitarla ad entrare.” Borbottò Dawn, appoggiando il libro sul tavolo e pregando lo sconosciuto di farsi avanti.
Scott in quei pochi secondi che gli restavano di pausa si era chiesto chi potesse essere lo sfigato che aveva bisogno di loro.
Nel suo immaginario vedeva il volto magro di un ragazzino di prima preoccupato per il suo aspetto e con dei brufoli più grandi della faccia.
Di certo non si aspettava che il mostro che aveva delineato nella sua mente fosse una ragazza come tante.
Non era un angelo sceso in Terra, come quelle della sezione F, ma era passabile.
I suoi occhi, neri come il petrolio, avevano una lieve nota d’impazienza e sembrava stesse convincendosi che quella era l’unica soluzione per sistemare il suo problema.
“Mi hanno detto che potete aiutarmi con una piccola questione che mi sta a cuore.”
“Certamente.” Sorrise Dawn, invitandola a sedersi vicino a lei, mentre Scott veniva snobbato e sospirava infastidito.
“Non riguarderà l’amore voglio sperare.” Sbottò il rosso, facendo sobbalzare la neo arrivata.
“Non ascoltarlo, Carrie.”
“Come fai a conoscerla?” Chiese Scott, studiando con attenzione la ragazza.
“Lei è Carrie Cheney e si è classificata terza nell’ultimo esame scolastico.”
“Se mi conosci, riusciremo a guadagnare tempo.” Riprese la giovane con un sorriso appena accennato.
“Lei conosce tutti i ragazzi di questa scuola.” Borbottò il rosso.
“Purtroppo non tutti.” Ribatté Dawn.
“Davvero?”
“Non ti conosco ancora a sufficienza per i miei gusti.” Ammise, facendolo annuire debolmente.
“E questo dovrebbe consolarmi?” Domandò il giovane, aspettandosi una reazione piccata da parte di Dawn
“Percepisco del sarcasmo.”
“Pensavo non sapessi cosa fosse il sarcasmo.”
La ragazza non ebbe modo di controbattere che Carrie applaudì per attirare tutta l’attenzione verso di sé.
“Questo club sembra molto divertente.”
“Io sono costretto a stare qui e non lo vedo questo grande divertimento.” Borbottò Scott, ripensando a cosa avesse fatto di male per meritarsi quell’ingiusta punizione che Chris gli aveva affibbiato.
“Anche se non ho ancora capito chi sei.” Continuò Carrie.
“Fottiti, puttana.” Bisbigliò il rosso, facendola infuriare.
Tutt’attorno a lei sembrava esserci un’aura maligna e anche lo sguardo infastidito di Dawn, gli aveva fatto capire d’aver esagerato.
Anche se ad essere sinceri era stata l’ospite a cominciare con una verità orribile che conosceva bene e che avrebbe sempre cercato d’evitare.
Non perché temesse di non sentirsi adatto, ma solo per non perdere tempo con delle riflessioni superflue.
“Cosa? Chi hai chiamato puttana? Sono ancora...”
“Vergine?” Chiese il ragazzo con un ghigno strafottente.
“Non è poi una cosa così importante alla nostra età.” S’intromise Dawn, cercando di venire incontro ad entrambi.
“Cosa stai dicendo? Questo è il mio quarto anno e sarebbe molto imbarazzante.”
“Provi imbarazzo per nulla.” Ribatté nuovamente Dawn, prendendo le difese di Scott.
“Ma io…”
“Imbarazzante? Se non lo fosse saresti una vera puttana.” Intervenne il rosso, rigirando il coltello nella piaga.
“L’hai detto di nuovo. Non posso credere che tu vada in giro ad offendere le persone. Sei solo un verme.”
“Che nesso ha il fatto che ti chiamo puttana con l’essere un verme? E non darmi mai più del verme, puttana.”
“Sei il ragazzo peggiore che abbia mai conosciuto.” Sbottò Carrie, facendo sorridere Scott che si beava di quelle offese.
“Faccio del mio peggio.”
 
Quel vivace battibecco a cui aveva assistito, era stata sufficiente a Dawn per conoscere meglio i problemi che infastidivano Scott.
Con alcune persone tendeva ad essere crudele. Se ne usciva con delle frasi che facevano infuriare le persone  e che lo spingevano a essere ignorato e snobbato dalla comunità.
Se fosse stato un po’ più dolce e scherzoso non avrebbe avuto simili problemi.
Tuttavia non era solo questo.
Lui non l’aveva mai offesa più di tanto e, quindi, doveva pur significare qualcosa.
Forse temeva le conseguenze oppure non aveva nulla da ridire in quanto il suo carattere mite e poco vendicativo si conciliava alla perfezione con il suo.
Dalla sua analisi gli sembrava sempre teso e impegnato a tenere un certo tipo di comportamento che tendeva a sfiancarlo.
Per Dawn era chiaro che Scott non fosse mai naturale e che quel comportamento fosse deleterio oltre che per la sua testa anche per il club che esisteva solamente per aiutare la comunità.
Dawn non voleva pensare che lui potesse essere così egoista da desiderare solamente di fare una cattiva impressione per poi sperare che Carrie, una volta risolto il problema, sparlasse delle loro attività, distruggendo quella poca pubblicità positiva che aveva messo in giro.
I suoi sforzi per risollevare il club sarebbero stati vani e quel mese di riabilitazione su Scott non avrebbero sortito alcun effetto significativo.
“Spiegatemi perché devo aiutarvi a cucinare dei biscotti.” Sospirò il ragazzo, sedendosi su una sedia dell’aula dedicata ai lavori domestici.
“Perché abbiamo bisogno dell’opinione schietta di uno come te.”
“Vuoi forse dirmi, Dawn, che sono importante?” Ridacchiò Scott.
“Se non ti secca Carrie, potresti ripetergli quale problema devi risolvere?” Sviò Dawn, evitando di rispondere.
“Mi piace un ragazzo e voglio fare qualcosa di carino per lui.” Arrossì la giovane, vergognandosi per quella faccenda privata.
“Stai parlando del capitano di basket?” Chiese il rosso, facendole voltare di scatto nella sua direzione.
“Come…come lo sai?” Balbettò Carrie confusa.
“Lo spirito d’osservazione non mi manca.”
“Quindi sarebbe Devin.” Intervenne Dawn, sorridendo nel conoscere l’identità del ragazzo cui Carrie era interessata.
“Potete aiutarmi?” Chiese, arrossendo vistosamente.
“Credevo che voi ragazze foste brave in cucina.”
“Carrie non si fida delle sue capacità e vorrebbe che noi l’aiutassimo.” S’intromise Dawn, ribattendo al pensiero di Scott.
“Perché non l’hai chiesto ai tuoi amici?” Domandò il giovane, grattandosi la testa, cercando di trovare un motivo valido che l’avesse spinta a bussare alla porta di un gruppo di sconosciuti.
Lui non vedeva motivo di nascondere una cosa tanto lampante: se i suoi amici avevano a cuore la sua felicità, l’avrebbero aiutata ben volentieri.
“Non voglio che lo sappiano e poi mi prenderebbero in giro.”
“Immagino tu lo conosca da tanto.” Commentò Scott, assumendo un tono serio.
“Siamo compagni di classe dalle elementari.”
“E non si è mai accorto di cosa provi?”
“Sono sempre stata brava a tenerlo nascosto.”
“La cosa non mi è chiara. Se tu lo ami perché vuoi ancora tenerlo nascosto? Non sarebbe più semplice andare da lui e confessargli i tuoi sentimenti?” Domandò il rosso, cercando da solo una spiegazione valida.
“Mi vergogno troppo.”
“E dei biscotti dovrebbero darti il coraggio di cui hai bisogno?” Ridacchiò il giovane, porgendo loro gli ingredienti che iniziarono subito a lavorare.
Seguirono alcuni minuti riempiti dai consigli che Dawn rivolgeva a Carrie e che lei sembrava assimilare senza fatica.
Tuttavia dopo 15 minuti di cottura era emerso il risultato che Scott si aspettava.
Se lei non aveva mai cucinato in vita sua, anche una teglia di biscotti poteva risultarle impossibile.
“Come puoi fare tanti sbagli in una volta sola?” Si chiese Dawn, guardando i biscotti disposti sul piatto, mentre Scott si avvicinava preoccupato al tavolo.
Il suo compito era quello di assaggiarli, anche se non era troppo elettrizzato dall’idea.
Vedendo quello schifo  color pece già pensava  alla lavanda gastrica che lo attendeva e alla settimana di convalescenza che gli avrebbero dato i medici.
“La consistenza è quella del carbone e potrebbero essere anche velenosi.”
“Forse hai ragione.” Sbuffò Carrie.
“Dobbiamo pensare ad una soluzione che sia perfetta per tutti.” Intervenne Dawn, disponendo una nuova ciotola davanti a sé e pensando ad una nuova ricetta.
“Potresti non farle più mettere piede in cucina.” Propose Scott, non aspettandosi che la loro ospite fosse tanto onesta dall’ammettere d’essere disperata e di non possedere il talento necessario per conquistare il suo Devin.
Come se quest’elemento potesse fare qualche differenza.
Dopotutto nemmeno Scott sentiva d’avere quello che lei definiva classe o talento. Lui era uno di quelli che non avrebbe mai combinato niente di buono in vita sua e che si divertiva a demoralizzare coloro che stavano per conquistare qualcosa.
“L’unico modo per risolvere i problemi è l’impegno. Tutti hanno un talento speciale e si può sempre imparare qualcosa che ci risulta difficile.”
“Lo so, ma io non ne sono in grado.”
“Tutti hanno un talento che possono coltivare, anche questo verme che tu detesti tanto.” Sorrise Dawn, additando il compagno che non se ne ebbe a male per essere stato tirato in mezzo.
Ciò che incuriosiva Scott era il fuoco che aveva scorto negli occhi di Carrie, la quale sembrava non voler accettare un nuovo fallimento.
Nonostante quella volontà così ferrea fosse apprezzabile, imparare qualcosa in tempi brevi era quasi impossibile.
Infatti dopo una buona mezzora i risultati delle due prove erano sopra il tavolo.
I biscotti di Dawn avevano un aspetto invitante, mentre quelli di Carrie erano meno attraenti e dal gusto molto più deciso.
Entrambe erano abbattute per quello che non erano riuscite a realizzare, mentre il rosso fissava i piatti con una strana idea per la testa.
Un’idea assurda che non poteva che farlo sorridere.
“Perché cercate di fare dei biscotti deliziosi?”
“Cosa vorresti dire?” Chiese Carrie, fissando il ragazzo.
“Voi credete che gli uomini siano difficili da accontentare?” Domandò Scott.
“Forse.” Rispose Dawn.
“Gli uomini sono creature semplici, si turbano non appena una ragazza parla e con dei biscotti fatti a mano li rendi felici. Anche se hanno un gusto strano, quando Devin saprà che hai fatto del tuo meglio e che li hai fatti solo per lui, ne sarà contento.”
“Non credevo funzionasse così.” Borbottò Dawn, addentando uno dei biscotti cucinati dall’amica.
“Tu ne saresti contento, Scott?” Tentò Carrie.
“Credo di sì.”
“Allora Carrie…cosa farai ora?” Intervenne Dawn, fissando la ragazza che sembrava soddisfatta nonostante tutto.
“Proverò a rifarli a casa e poi mi farò avanti con Devin.”
Dopo aver riordinato la cucina e essere tornati nel club per l’ultima mezzora, i 3 si separarono.
Anche se non era stato un problema irrisolvibile, Scott sapeva che quello non avrebbe contato più di tanto nella valutazione di Chris.
Poteva affermare con assoluta certezza che i consigli dispensati erano stati inutili per il conteggio finale.
 
La situazione di quella sera in divano gli diceva che aveva ancora 3 persone d’aiutare prima di essere lasciato in pace e prima che Dawn diventasse troppo curiosa.
L’argomento toccato nei giorni successivi era inutile da chiedere.
Per un po’ Carrie sarebbe stato il nome che avrebbe riempito quella stanza.
“Era la cosa giusta da fare?” Chiese la giovane un pomeriggio.
“Sono pronto a credere che l’avresti risolta diversamente, anche se con il tuo metodo Carrie non avrebbe imparato a cucinare nemmeno tra 20 anni e in questo periodo Devin poteva trovare una nuova ragazza, sposarsi e mettere su famiglia.”
“Sembra che questa richiesta ti abbia aiutato a crescere.”
“Forse.”
“Se t’impegnassi sarebbe tutto più facile.” Borbottò sconsolata, stringendosi nelle spalle.
“L’impegno non ti tradisce mai.” Sbuffò annoiato.
“Già.”
“Anche se a volte, l’impegno può tradire i sogni. L’impegno non farà avverare necessariamente i tuoi sogni ed è molto probabile che non ti dia il risultato sperato. L’unica cosa che ti consola è il fatto che sai d’aver dato il meglio di te.” Spiegò con aria distratta.
“Questa è solo una sensazione di soddisfazione superficiale.”
“Però non puoi negare che nelle mie parole ci sia una piccola verità.”
“Piccola e molto triste.” Sospirò la giovane, venendo salvata dalla porta che si apriva senza preavviso.
Da dietro di essa comparve Carrie in compagnia di Devin.
Se quei due si tenevano per mano forse il club aveva funzionato.
Infatti la ragazza consegnò a Dawn e a Scott 2 pacchettini contenenti dei biscotti fatti in casa.
Giusto il tempo di osservare quel dono tanto inatteso, di avvertire alcune parole di ringraziamento che i 2 si erano già defilati.
Per un breve istante si fissarono negli occhi e si sorrisero.
Quella prima avventura era finita bene e avevano ottenuto anche un premio.
Fu quando aprirono il pacchetto che vi trovarono dei biscotti alquanto sinistri.
“È un’espressione di gratitudine: speriamo siano buoni.”
“Lascio a te l’onore.” Rise la giovane, assaggiando ciò che l’amica aveva preparato.
Anche se l’aspetto tradiva le attese, alla fine non erano poi così immangiabili e con una buona tazza di tè quel primo problema del club di Volontariato era stato finalmente risolto.






Angolo autore:

Buonasera cari lettori.
Mi scuso per il ritardo con cui ho aggiornato, ma ieri mi è stato impossibile pubblicare qualcosa.

Ryuk: Speriamo che sia all'altezza e che vi faccia dimenticare il nostro piccolo sbaglio.

Anche se pubblico oggi, ciò non significa che martedì dovrebbe uscire il prossimo capitolo.

Ryuk: Con un nuovo sciagurato nel club dopo la comparsa di Carrie.

Sorpresi dalla sua visita o ve l'aspettavate?
Spero sia stato un colpo a sorpresa.

Ryuk: E ovviamente speriamo di ricevere u buon risultato da questo capitolo.

Ringraziandovi per il sostegno, per le recensioni, i complimenti e i consigli vi saluto e vi auguro un buon week-end.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Novembre era finalmente giunto.
Il suo clima freddo e le piogge incessanti costringevano gli studenti delle varie sezioni a rintanarsi nelle aule durante il pranzo.
Questo per Scott, manco a dirlo, era un grave problema.
Doveva ascoltare le chiacchiere insopportabili dei suoi compagni e doveva osservare le angherie che alcuni di loro subivano.
Era per questo che anche nelle giornate di pioggia provava a defilarsi.
Il giardino, per ovvi motivi, era inagibile e quindi gli restava un’unica soluzione.
Non stava pensando al club di Volontariato in quanto le chiavi erano ancora nelle mani di Dawn e tantomeno voleva rifugiarsi nell’ufficio del coordinatore.
Nel primo caso sarebbe stato costretto a schiodarsi dal suo posto per andare dalla ragazza, la quale non gli avrebbe consegnato ciò che voleva.
Avrebbe fatto tanta fatica per nulla e si sarebbe trovato al centro dell’attenzione.
Nel secondo caso una visita nello studio dei professori, senza un valido motivo, poteva essere sanzionata con la sospensione.
Nonostante vi fossero molte altre stanze, lui aveva un luogo in particolare che amava sfruttare e che in pochi conoscevano.
Dopo aver salito una rampa di scale ed essersi guardato intorno con cautela, aprì la porta in ferro che lo separava dal suo Paradiso.
Richiusa la possente porta alle sue spalle, studiò il panorama che si stendeva davanti a sé e si sedette comodamente, appoggiando la schiena al muro e ritrovandosi riparato da una comoda tettoia.
Aveva scoperto quel luogo durante il secondo anno e da allora, quando non aveva altri posti dove nascondersi, lo sfruttava per le sue esigenze.
Per evitare che qualcuno venisse a sapere di quel rifugio e che poi lo facesse diventare di dominio pubblico, era stato costretto a ridurre il numero delle visite al suo Paradiso.
All’inizio lo usava tutti giorni, salvo poi diradare le sue presenze ad una volta alla settimana.
Bastava che qualcuno notasse la sua fuga strategica, che spifferasse qualcosa e quella porta si sarebbe chiusa al passaggio del bidello. 
“È da un po’ che nessuno viene al club.” Si disse, bevendo dalla lattina e ripensando all’unico caso che avevano risolto.
Con l’aiuto dato a Carrie, Scott si era illuso che vi fosse la fila fuori dal club e invece aveva riscontrato un’amara sorpresa: una bella figura non era sufficiente per attirare le persone.
Avevano bisogno d’altro per risollevare il club.
Non che gl’importasse dato che gli restavano ancora 2 colpi da sparare.
Tanto, prima o poi, qualcuno, anche solo per sbaglio, avrebbe chiesto il loro aiuto e lui sarebbe stato pronto a riottenere la pace.
Sempre che il vecchio Chris non avesse qualcosa da ridire.
Sempre che la stessa Dawn non chiedesse al supervisore una proroga e non confidasse al professore che non era cambiato di una virgola.
A ciò non voleva proprio pensare.
Sarebbe stata la fine della sua scarsa autostima e di certo non voleva cambiare per una piccola paura innocua.
“Perché tutti cercano di aiutarmi?”
A questa domanda non trovava risposta.
Si chiedeva perché tutti fossero così cocciuti nel credere che lui aveva bisogno di cambiare.
Le prime ad iniziare quella persecuzione erano state sua madre ed Alberta e non sortendo alcun risultato avevano puntato sulla scuola.
Con tutte le ore che vi passava al suo interno doveva pur modificare il carattere impossibile che si ritrovava.
Invece Chris McLean non aveva ottenuto nulla, cannando ogni colpo e aveva ripiegato sull’ultima carta che poteva giocarsi.
Se nemmeno il club e Dawn riuscivano a sortire qualche effetto, allora nulla sarebbe mai riuscito a smuoverlo.
“Vorrei solo essere lasciato in pace.” Sbuffò Scott, osservando il cielo plumbeo che sembrava condividere la sua malinconia.
Stanco di quel luogo e con l’orario che non gli lasciava scampo, si rialzò in piedi, calpestò la lattina ormai vuota e tornò nella sua classe, in attesa che quelle ultime ore gli consegnassero la pace del suo club.
 
Come di consueto era stato trattenuto dal supervisore che aveva bisogno di scambiare quattro chiacchiere con lui.
Aveva ricevuto i complimenti per il lavoro svolto nel caso di Carrie, anche se Chris non era soddisfatto di ciò che Dawn aveva constatato.
Così come aveva temuto durante il pranzo, Scott aveva ascoltato un discorso che non avrebbe mai voluto sentire.
Dawn raccontava dettagliatamente ciò che lui faceva nel club, come si comportava e quali parole spendeva per risolvere i problemi.
E i tratti carichi di pessimismo e negatività venivano descritti con la massima precisione.
Per oltre 10 minuti era stato a rapporto dal supervisore e quando si ritrovò a salire le scale, aveva l’insana idea d’imprecare contro la compagna.
Credeva che, quello che accadeva dentro l’aula, dovesse restare tra loro e che quindi nessuno dovesse conoscere i loro segreti, sogni e paure.
Invece lei  aveva tradito la sua fiducia, anche se non avevano mai messo in chiaro un qualcosa di così importante.
“Quella ragazzina è fastidiosa.”
Ancora qualche gradino e poi avrebbe potuto dirglielo in faccia.
Invece tutto il suo discorso era naufragato, quando l’aveva intravista fuori dall’aula, impegnata a fissare preoccupata il suo interno.
Sembrava avesse appena visto un fantasma, mentre Scott, avvicinandosi di soppiatto, si chiedeva cosa vi fosse di così spaventoso da tenerla fuori.
Credeva che Dawn non avesse timore di nessuno e invece quel velo di freddezza che aveva indossato per troppo tempo era scivolato via, mostrando un lato di debolezza che lo lasciò comunque indifferente.
“Cosa stai facendo?” Chiese, facendola sobbalzare.
“Potresti imparare a non spaventare le persone?”
“Beh, scusa. Allora cosa stai facendo?”
Dawn, senza dargli risposta, tornò a controllare dalla fessura della porta che il mostro non fosse scomparso.
Come se potesse riuscirsi: erano al terzo piano e di certo un salto dalla finestra gli sarebbe stato letale.
“C’è una persona sospetta dentro la stanza.” Borbottò lei.
“Sospetta?” Domandò, avvicinandosi alla porta e aprendola di colpo.
Di spalle, coperto da un cappotto molto pesante, vi era uno strano mingherlino.
Scott si chiese come potesse temere uno così. Non valeva una cicca.
Quello si vantava di essere in grado di stendere una miriade di ninja, ma poi cadeva con un innocuo sgambetto e ci rimetteva il paio di occhiali che tanto odiava.
Attorno a lui stavano svolazzando una serie di fogli e una lieve risata fastidiosa riempiva quella stanza.
“Non avrei mai pensato di incontrarti qui! Ti stavo aspettando, Scott Black!” Urlò la figura, girandosi di colpo.
“Una tua conoscenza?” Chiese Dawn, fissando il rosso.
“Non lo conosco. E anche se lo conoscessi, negherei.”
“Oh, quindi rinnegheresti un tuo caro amico? Mi deludi, Scott.”
“Ti ha appena definito suo amico.” Gli fece notare la ragazza, concentrandosi sullo sguardo e sulle reazioni del compagno di club.
“Esatto, amico! Sicuramente ricorderai quei giorni maledetti quando correvamo per il campo di battaglia.”
“Forse eravamo compagni di palestra.” Lo snobbò nuovamente Scott, rattristando colui che si definiva suo amico.
“Che vile tradimento! Fai coppia con chiunque ti capiti? Preferisco morire che chiedere un favore a uno come te.” Riprese, serrando la mano destra in un pugno.
“Che cosa vuoi, Harold?”
“Allora lo conosci.” Insistette Dawn, voltandosi a fissare il volto deluso di Scott.
Quest’ultimo si era chiesto come potesse avere un amico del genere.
Non capiva cosa avesse lui da condividere con un simile sfigato che probabilmente bagnava ancora il letto.
“Sono il samurai nemico dei ninja, Harold McGrady.”
“Penso che il tuo amico voglia qualcosa da te.” Tentò Dawn, facendo annuire lievemente il rosso.
“Già, anche se non è un mio amico.”
“Esattamente: io non ho amici. Sono un solitario. Ad ogni modo, ho una richiesta per te, Scott. Questo è il club del Volontariato, vero?”
“Sì.”
“In quanto membro del club sei obbligato a realizzare i miei sogni.”
“I membri del nostro club non realizzano i desideri, ma prestano solo una mano.” Intervenne Dawn, mettendo un limite alle richieste che Harold avrebbe avanzato nei loro confronti.
“Scott dammi una mano. Un tempo eravamo compagni ed è ora di tornare a combattere insieme per il bene della nazione.”
“Ma non eri solo il mio servitore?” Chiese Scott, maledicendo il periodo a cui faceva riferimento Harold.
Non era colpa sua se da bambino era così stupido da credere ad ogni cosa.
Quanto avrebbe voluto cancellare quella macchia che mirava a danneggiare ciò che aveva faticosamente creato e che voleva spazzare via il suo orgoglio.
“Certe cose dovrebbero rimanere tra noi.”
“Scusa un attimo.” S’intromise Dawn, prendendo in disparte Scott e lasciando lo sconosciuto in preda ai suoi vaneggi.
I due si allontanarono di qualche metro per non fargli sentire ciò che dovevano dirsi.
“Che c’è?” Chiese svogliato, degnandola solo di una fugace occhiata.
“Cosa sarebbe questa cosa del samurai?”
“In poche parole quello di cui è vittima non è una malattia reale. Crede semplicemente di essere ancora un bambino.”
“Si comporta come un personaggio basato sulle sue fantasie?” Domandò perplessa, tornando a fissare lo sconosciuto che nel frattempo aveva assunto delle pose di combattimento tipiche di quelle dei supereroi televisivi.
“Più o meno è così.”
“Che tristezza!”
“Almeno le sue fantasie non sono così dannose e sono legate solo ad una determinata figura. Là fuori ho visto anche di peggio.”
“Peggio di così?” Chiese sbigottita.
“Non lo immagini nemmeno.”
“Pazzesco.”
“Ad essere sinceri, anch’io ne soffrivo in passato, ma ora non più.”
Scott era convinto di ciò che diceva. Non aveva più fantasie ridicole.
Ormai tendeva a razionalizzare tutto all’inverosimile.
Ribatteva sprezzante colpo su colpo alle insinuazioni degli altri e il suo solo sguardo era un’offesa più che sufficiente.
Aveva smesso di tenere sia i diari dell’oltretomba che i fascicoli delle relazioni governative.
Solo una cosa aveva avuto a cuore di custodire: un quaderno con la lista delle persone da uccidere e con il motivo valido per cui meritavano una pessima fine.
Anche quello però non veniva aggiornato da un pezzo ed era finito in uno dei cassetti nascosti della sua stanza.
“Forse ho capito. La tua richiesta è di curarti dalla malattia mentale in cui ti trovi?” Riprese Dawn, avvicinandosi ad Harold, mentre uno stanco Scott non poteva che assecondare quei 2 pazzi che gli stavano rovinando il pomeriggio.
“Sono venuto fin qui solo per fare appello al contratto che abbiamo stipulato.” Rispose, indicando Scott.
“Te lo ripeto, vuoi che ti curiamo dalla tua malattia mentale?”
“Non è proprio una malattia.” Borbottò sinceramente.
“Va bene, ti aiuteremo.” Sbuffò Scott, ben sapendo che non poteva esimersi da quel compito.
Dawn l’avrebbe presa malissimo, Harold l’avrebbe minacciato con qualche sua stramberia e Chris avrebbe potuto chiedergli uno sforzo extra, pretendendo che lui aiutasse qualche persona in più prima d’essere libero.
Rabbrividendo al solo pensiero, raccolse alcuni fogli che riempivano il pavimento e si chiese se non fossero proprio questi il motivo della sua richiesta.
Dopo averli raccolti tutti e averli disposti sul tavolo, si voltò verso Harold che aveva espresso i suoi dubbi e si era soffermato a fissare l’unica ragazza presente.
“Una bozza?” Chiese il rosso.
“Ho intenzione di iscrivermi ad un contest per autori emergenti, ma non avendo amici nessuno può giudicarlo.”
“Vorresti quindi che lo leggessi e che ti dicessi cosa ne penso?”
“Esatto.”
“Penso comunque che Dawn sarà spietata.” Borbottò Scott, porgendo una copia anche all’amica che la ripose subito nello zaino.
 
Con quello che era successo le ore nel club erano volate e infatti dopo neanche 10 minuti Scott e Harold stavano percorrendo la stessa strada insieme.
Dawn, piuttosto di stare con 2 tizi così strani, aveva preferito incamminarsi con Carrie e Devin.
Lei non aveva nulla da ridire su Scott, ma sull’altro avrebbe steso un velo pietoso.
“La storia si sviluppa attorno ad una frattura spaziale.” Iniziò Harold con una tortura che avrebbe accompagnato il rosso per metà percorso.
Nel tratto finale, con una profonda emicrania a fargli compagnia, si era chiesto chi era il maledetto che aveva accettato quell’incarico folle.
Già a sentire il riassunto della trama si aspettava un parto doloroso e terrificante.
Erano circa le 21 quando iniziò a leggere quella storia e la stessa Dawn era nelle medesime condizioni.
Ogni tanto si fermava per un goccio di caffè o per annotare qualcosa che rasentava la follia, salvo poi riprendere da dove si era interrotto.
Quella terribile notte avrebbe lasciato molti segni sui loro volti.
Giunsero a scuola per miracolo, Scott aveva cercato di dormire sul banco, ma non vi era riuscito e giunto al club, aveva trovato Dawn riposare beata.
Fu nel vederla così debole e innocente che Scott si avvicinò con il chiaro intento di svegliarla e di riportarla nel mondo dei vivi.
“Hai fatto un buon lavoro?” Chiese, accennando un sorriso.
Lei però non rispose e il rosso preferì non insistere.
Restò comunque fermo a studiarne il volto rilassato e quando lei riaprì gli occhi, si accorse di quello sguardo diverso dal solito.
“Incredibile. Dopo aver visto la tua faccia, non sono più assonnata.” Ridacchiò la giovane, sbadigliando rumorosamente e facendo sorridere anche il compagno di club che si era seduto al suo posto.
A distanza di qualche minuto anche Harold aveva varcato la porta e si era messo a fissare la reazione dei 2.
Dal loro sguardo assonnato credeva che avessero divorato il libro tanto era interessante e avvincente.
“Quali sono le vostre opinioni?”
Scott e Dawn si scambiarono uno sguardo e il rosso quasi invitò la compagna a iniziare con le sue annotazioni.
“Non m’intendo molto di queste storie.”
“Non importa: voglio sentire lo stesso quali idee ti sei fatta in proposito. Dì pure tutto quello che pensi.”
“Va bene.” Sospirò lei, accompagnando il tutto con un nuovo sbadiglio.
“È spazzatura. Non credevo che esistesse qualcuno in grado di scrivere così male.”
Quelle semplici parole furono come una prima pugnalata ad Harold che si ritrovò a fare una smorfia e a sentire qualcosa spezzarsi in fondo al cuore.
“In cosa potrei migliorare per il futuro?” Domandò con paura, balbettando e rischiando di mangiarsi metà parole.
“Dovresti lavorare sulla grammatica, dovresti ultimare un lavoro prima di farlo leggere a qualcuno e infine dovresti studiare meglio l’argomento su cui vuoi scrivere.”
Quei nuovi consigli erano dei colpi che l’autore faticava ad incassare.
Non credeva di essere un così scarso scrittore.
Senza volerlo si era ritrovato a rantolare al suolo in preda agli spasmi.
“Penso sia abbastanza.” Tentò Scott, provando pietà per quello sciagurato ragazzo che aveva chiesto il loro aiuto.
“Avrei anche altre cose da dire, ma credo che questa sia la parte maggiore.”
“Scott…puoi capirlo, vero?” Chiese Harold, volgendo il suo sguardo supplichevole verso il rosso, il quale rispose con un sorriso accennato.
Un sorriso nel quale Harold poteva trovare almeno una piccola ancora di salvezza.
“Chi stai plagiando?” Domandò Scott, colpendo duramente il vecchio amico.
“Sei crudele.” Gli fece notare Dawn.
“Harold.”
“Sì?” Chiese il giovane, sentendo la serietà nella voce del rosso.
“I disegni sono la parte peggiore e i contenuti sono orribili.”
Il giovane autore avrebbe voluto piangere, ma quella era una lezione che doveva imparare.
Sapeva che non tutti potevano essere soddisfatti delle sue opere, ma sapeva che poteva anche contare sulla sincerità di Scott.
Abbattuto da ciò, raccolse le copie piene di consigli che i 2 membri del club gli avevano dato e le sistemò nella sua borsa.
Con la promessa che Dawn e Scott avrebbero riletto le sue storie, uscì dall’aula.
I 2 giovani si osservarono per un breve istante e sorrisero nel pensare a ciò che erano stati costretti a fare.
Il rosso sapeva che Harold non si sarebbe arreso.
Poteva anche essere un bambino, ma in lui la sindrome dello scrittore avrebbe sempre pulsato.
Avrebbe sempre scritto perché amava scrivere.
E se fosse riuscito a smuovere qualcuno con le sue opere, lui ne sarebbe sempre stato felice.
“Che ne dici di un buon caffè?” Domandò Scott ad un certo punto.
“Credevo mi trovassi noiosa e che non volessi stare con me fuori scuola.”
“Sei rimasta sveglia fino a tardi e questo solo a causa mia. Mi sentirei in colpa se non ripagassi le tue fatiche in qualche modo.”
“Andiamo allora.” Esultò la giovane, alzandosi in piedi e avviandosi verso la porta, mentre Scott la seguiva a qualche passo di distanza.
“Certo.”
Con un semplice sorriso stampato sul volto, si avviarono verso il bar che Scott voleva visitare e, per la prima volta da quando era entrato nel club, non stava pensando che gli mancava una sola tacca per lasciare Dawn da sola.
Era come se qualcuno avesse cancellato quel pensiero dalla sua mente e avesse concesso al giovane qualche attimo di gioia.





Angolo autore:

Buonasera cari lettori, anche questa volta ero a rischio di mancato aggiornamento.

Ryuk: Harold fa la sua comparsa trionfale.

Trionfale...non esageriamo.
Ha fatto la sua solita pessima figura.

Ryuk: Problema molto semplice per il club.

Non sarà sempre così.
Cosa ne pensate finora di Dawn e Scott?
Qualche teoria sul motivo per cui il rosso è così cinico?

Ryuk: Nel prossimo capitolo vi spoileriamo solo che Scott scriverà un nuovo tema da consegnare a Chris.

Non vi diremo chi passerà per il club e nemmeno per quale motivo.
Solo venerdì scorprirete cosa bolle in pentola.
Intanto vi ringrazio per il vostro interesse e vi saluto.
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


Si era appena disteso sul divano che qualcosa risvegliò la sua attenzione.
Normalmente sarebbe scattato in piedi perché sua sorella gli sbraitava contro qualcosa, ma quella sera non correva il minimo pericolo.
Le 2 iene erano state invitate a cena dai genitori di Lucas.
Ad essere onesti anche lui era stato invitato, ma aveva bellamente rifiutato l’invito inscenando un malanno stagionale.
Tanto quei vecchi si sarebbero bevuti ogni cosa e non avrebbero mai messo in discussione la parola di sua madre.
Solo un tema poteva fargli riaprire gli occhi.
Ricordava ancora il titolo noioso che avrebbe incrociato la sua strada.
“Descrizione di un sentimento.”
Era un qualcosa d’immenso.
Ancora più grande del lavoro che aveva descritto giorni prima, ma nonostante ciò non riusciva a scegliere quale sentimento mettere su carta.
Voleva parlare dell’odio, ma già vedeva il volto sbigottito del prof.
Nemmeno l’apatia e la noia potevano essere delle armi da sfruttare.
Giusto per movimentare il tutto avrebbe parlato di un’illusione.
Un qualcosa che potesse convincere Chris di un suo cambiamento, ma che in verità era l’ennesima menzogna.
Lo stesso professore aveva chiesto di aggiungere anche un collegamento a qualche persona, giusto per rendere il tema più lungo e interessante.
Scott, comunque, non avrebbe mai faticato con nomi e cognomi e avrebbe parlato solo in generale.
“Non ho mai odiato me stesso.
I miei elevati standard, il mio aspetto nella media, la mia visione realista della vita: non odio nulla di tutto ciò.
Tuttavia, per la prima volta, inizio a odiarmi.
Ai miei occhi le persone gentili sono sempre apparse splendide, sincere, incapaci di mentire e in grado di cavarsela da sole.
Credo di ammirare queste persone per diversi motivi e spesso ripongo in loro le mie aspettative.
Tendo anche a vedere in loro i miei ideali.
Spesso m’illudo di capirle e, di conseguenza, resto deluso da ciò.
Molte volte mi metto in guardia, ma alla fine cedo comunque.
Perfino le persone gentili mentono.
Non riuscendo ad accettare un fatto tanto evidente, io…odio me stesso.
Questo però non è l’unico odio che mi pervade.
Io sento di odiare anche le ragazze gentili.
Basta solo salutarle e non te le togli più dalla testa.
Si inizia con un semplice messaggiare e il cuore batterà sempre più forte.
Se poi ti chiamano, il gioco è fatto.
Comincerai a guardare lo schermo del telefono come un ossessionato con un sorriso ebete.
Per questo è meglio non farsi fregare.
Questa è quella che voi chiamate gentilezza.
Se qualcuno è carino con me, lo è anche con gli altri.
E di questo finisco quasi sempre per dimenticarmene.
La verità è crudele, quindi sono sicuro che le menzogne siano gentili.
Penso, quindi, che la gentilezza in sé sia solo una menzogna.
Qualcuno ha sempre sperato.
Qualcuno ha sempre interpretato male.
Ma ad un certo punto, quel qualcuno ha smesso di sperare.
Un solitario esperto non può cadere nella stessa trappola per 2 volte di fila.
Come un veterano in questo campo di battaglia della vita, ci si abitua a perdere.
È per questo che…odierò sempre le ragazze gentili.”
 
Credeva che fosse lampante: lui non ce l’aveva con nessuno.
Invece il vecchio Chris aveva frainteso alla grande.
Gli aveva chiesto se parlasse per esperienza personale e più tentava di negare, più affondava nelle sabbie mobili.
Lui non odiava nessuno al punto di scriverci un tema.
Erano tutti nella stessa posizione ed erano ben poche le persone che potevano vantarsi di essere meno disprezzate rispetto ad altre.
Impiegò quasi 20 minuti per sbarazzarsi del prof e altri 5 minuti per giungere davanti alla porta del suo club.
Non bussò nemmeno e chiuse gli occhi, pronto a sentire i rimproveri di Dawn per quel ritardo ingiustificato.
“Scusa per il ritardo.” Borbottò, mentre 4 ragazze si voltavano a fissarlo.
Una la conosceva bene, mentre le altre erano delle perfette sconosciute.
“E lui chi sarebbe?” Chiese quella che doveva essere la leader del gruppetto.
“Lui è l’ultimo membro del club.”
“Non credevo che foste solo in 2.” Ghignò quella che, a detta di Scott, sembrava una sporca sanguisuga.
“Ci potresti ripetere perché sei qui?” Domandò Dawn, facendola annuire.
Giusto il tempo di sedersi che Scott capì il motivo di tanto interesse per il loro club.
La leader, Heather Wilson, era anche la Presidentessa della scuola e aveva bisogno di alcuni consigli con la festa di fine anno.
Una festa che era sempre più bella rispetto alla precedente e che tutti consideravano inferiore solo al Natale.
“Sono al mio primo anno come Presidentessa d’Istituto e non ho molta esperienza con feste come quella di fine anno.”
“Saresti venuta solo per chiedere il nostro aiuto?” Chiese Scott, fissando sconcertato le 3 gallinelle che gli stavano rovinando il pomeriggio.
Le 2 che accompagnavano la leader non si erano manco presentate e il rosso era convinto che non andassero nemmeno in bagno senza che Heather lo ordinasse.
“Questo non ti aiuterà a crescere come persona.” Borbottò Dawn, stringendosi nelle spalle, mentre la mora continuava a lanciare occhiatacce in giro.
“Non voglio rovinare tutto e poi anche lavorare insieme per un obiettivo può aiutare a far crescere le persone.”
“In cosa dovrebbe consistere il nostro lavoro? Sguatteri, portaborse o che altro?” Domandò Scott con acidità, fronteggiando lo sguardo di Heather.
“Voi dovete darmi una mano.”
“Noi non accettiamo ordini da nessuno.” Sbottò Scott, rialzandosi in piedi.
“Certo, certo.” Ribatté lei, sminuendo le parole del rosso.
“Si può cominciare con della buona pubblicità e si potrebbero invitare anche delle persone estranee alla scuola. Dopotutto la festa acquisterebbe importanza e con un po’ di fortuna il giornale locale potrebbe decantare le lodi dell’organizzazione.”
“Hai visto? Lei è decisamente più buona di te.” Lo canzonò la bionda procace che aveva aperto bocca per la prima volta.
A Scott ricordava una svampita senza speranze.
“Fate come vi ho consigliato e se avete qualche dubbio possiamo riaggiornarci domani.” Riprese Dawn, facendo annuire le 3 ragazze.
Tempo di raccogliere qualche poster e le cartelle ed erano tornate ai loro impegni.
Scott, tornata la pace, avrebbe tanto voluto urlare contro Dawn.
Avrebbe voluto chiederle se era impazzita per caso.
Non doveva aver ben chiaro quanto lavoro sarebbero stati costretti a fare, se Heather e le altre 2 oche non avessero risolto una mazza.
E di questo non ne dubitava.
Tuttavia non se la sentiva di rimproverarla.
Dawn era troppo buona per negare un favore a qualcuno e il rosso sapeva che era ormai tardi per tirarsi indietro.
L’avrebbe appoggiata qualsiasi cosa decidesse.
“Ho fatto male, Scott?”
“Se tu pensi che sia stata la scelta migliore, non hai nulla di cui pentirti.”
“Tu cosa avresti fatto?”
“Probabilmente avrei rifiutato.” Rispose sinceramente il ragazzo, mentre Dawn scriveva qualcosa su un quaderno.
“Potevi farlo.”
“Non mi piace abbandonare qualcuno, anche se devi ricordare che il nostro compito è solo d’aiuto e che non devi sforzarti troppo.” Sbuffò, facendola annuire.
Il rosso poteva solo chiedersi se quelle parole fossero riuscite a farla riflettere almeno un po’, anche se aveva qualche dubbio a riguardo.
 
Mancavano ancora 2 settimane alla festa e ovunque si vedevano ragazzi che correvano avanti e indietro per dare una mano.
Scott era rimasto solo nel club di Volontariato, in quanto Dawn era sempre con Heather per gli ultimi preparativi.
Avevano perfino trovato i fondi per un concerto, per la vendita di prodotti, per recite di varia importanza e per un discorso finale degno di questo nome.
E con l’arrivo dei fondi, le responsabilità erano aumentate.
Il rosso aveva cercato di far desistere Dawn, ma inutilmente.
Quando lei si metteva in testa qualcosa non c’era verso di farle cambiare idea.
Non finivano nemmeno le lezioni che lei scappava di corsa con altri alunni, mentre Heather e le 2 oche giulive restavano in classe a scherzare e si presentavano con alcune ore di ritardo.
Lui lo sapeva perché si era messo ad osservarle.
Lo spirito d’osservazione, cosa di cui andava estremamente fiero, non lo aveva mai tradito e aveva notato quell’abuso che gli faceva salire il sangue alla testa.
Essendo la Wilson a capo della scuola, era lecito aspettarsi che fosse sempre in prima linea e non a delegare qualcuno per dei compiti umili e pesanti.
Lei invece non lo faceva e avrebbe raccolto il frutto del lavoro altrui.
Non lo meritava.
Non lei che mai si era sbattuta in quel periodo.
Se avesse contato qualcosa in quel stramaledetto Istituto, avrebbe alzato la voce e avrebbe fatto in modo che le venisse tolto l’incarico.
Tuttavia lui era un nessuno.
E come un nessuno la sua opinione non valeva nulla.
Era il penultimo martedì prima della festa, prima che la porta del club si aprisse e prima che Heather Wilson entrasse trafelata.
Scott le rivolse subito un’occhiata carica di disprezzo, ma con scarsi risultati.
“Dov’è Dawn?” Chiese subito lei, facendolo negare con il capo.
“Ti ha chiesto dov’è.” Ripeté la bionda svampita che rispondeva al nome di Lindsay.
“Si è data malata.”
“Con tutto il lavoro che c’è da fare? La povera Heather non può fare tutto.” S’inserì Beth, facendo innervosire il giovane.
Se quella dittatrice fosse stata veramente impegnata, non avrebbe sprecato nemmeno un secondo del suo tempo per sapere di Dawn.
Sarebbe corsa dappertutto pur di dare una mano e non lo avrebbero mai risvegliato dai suoi pensieri.
Si sarebbero ridotte ad un semplice messaggio e invece erano lì con la loro aria dispotica a dare ordini a tutti.
“Io l’avevo avvertita di non accettare il vostro lavoro.”
“È un qualcosa che riguarda la scuola e quindi anche tu ci sei dentro.”
“Non puoi obbligarmi.” Continuò Scott.
“Però tu sei il gregario di Dawn e so che un fallimento non sarebbe accettato. Se questa festa dovesse finire male, scaricherò la colpa sulla tua amica e farò in modo che venga sospesa per qualche giorno. Come ti suona così?” Domandò Heather, mettendo con le spalle al muro quello che poteva essere considerato il Vicepresidente del club.
Scott non voleva che lei soffrisse per colpa di una sensazione positiva che voleva portare avanti a tutti i costi.
Non era arrabbiato con Dawn.
Era incazzato nero con la Wilson.
Se lei fosse stato un uomo, in barba alla sua scarsa forza di volontà, l’avrebbe riempita di pugni e l’avrebbe mandata in ospedale.
Tuttavia, per una serie di motivi, era costretto a trattenersi e a piegare la testa.
“Ti prometto che la pagherai cara.” Borbottò Scott, mentre le 3 uscivano dall’aula ridacchiando tra loro.
Il rosso ora era in ballo e non poteva più tirarsi indietro o permettere che lei ottenesse ciò che voleva.
Le avrebbe rovinato i suoi bei programmi.
A distanza di molti giorni, anche l’ultimo ragazzo nella scuola era pronto ad entrare in campo e ad aiutare per la festa.
 
Nonostante avesse ben poca voglia di sforzarsi, chiuse la porta dell’aula e si avviò verso l’abitazione di Dawn.
Sperava di poterla aiutare, anche solo con qualche sciocco documento su computer.
Anche solo un foglio compilato lo avrebbe fatto sentire utile alla causa.
Dopo neanche mezzora già suonava al suo campanello.
“Chi è?” Chiese sua madre.
“Signora, sono un compagno di Dawn e ho bisogno di parlare con sua figlia.”
Era sicuro di essere stato convincente.
Infatti tempo di salutare e ringraziare la donna che lui si ritrovò nella stanza scarsamente illuminata dell’amica.
Lei era fissa al pc e non aveva sentito quell’intromissione in stanza.
Non si era nemmeno accorta che qualcuno aveva suonato il campanello e che sua madre aveva aperto la porta.
“Al buio ti fanno male gli occhi.” La rimproverò, mentre lei si girava per verificare che non fosse un allucinazione dovuta alle tante ore spese sul pc.
“Scott io…”
“Ricordi cosa mi avevi detto? Mi avevi promesso che non ti saresti stancata troppo con la festa e invece hai fatto il contrario.” Borbottò, incrociando le braccia, mentre i suoi occhi saettavano per quella stanza.
“Però…”
“Ti sei presa una giornata di riposo perché non ce la fai più. Ammettilo per una volta e non trattarmi come un’idiota, anche se ti è più semplice crederlo.”
“Io…”
“Non dovevi prenderti carico di tutto. Un team si riconosce quando il lavoro viene diviso e questo non è il gioco di squadra di cui si ha bisogno.”
“Ma io…”
“Devi fidarti delle persone che ti stanno vicino e di quelle che Heather ti fa affidato.”
“Credevo la odiassi.” Borbottò la ragazza, facendolo annuire.
“Odio il suo comportamento, non quello che vuole ottenere.”
“Capisco.”
“Tanto so che non ti affiderai a nessuno.” Sospirò il giovane, accomodandosi sull’ultima sedia rimasta libera.
“Pensavo volessi lasciarmi da sola.”
“La Wilson, in caso di fallimento, vuole scaricare su di te la colpa. Se tutto finisce bene, si prenderà i meriti senza spartirli con nessuno, altrimenti ti darà in pasto alla scuola. Non ti sto chiedendo di sabotare il suo lavoro, ma nemmeno di stare al suo gioco. Se tutti collaborano, ma falliscono, lei non può scaricarvi la colpa.”
“E cosa vorresti fare?”
“Mia madre mi ha sempre raccontato una storia. Ti va di sentirla?”
“Che non sia lunga, che ho del lavoro da svolgere.” Rispose la giovane, staccandosi dalla scrivania e prestando la sua completa attenzione all’amico.
“Tutti dicono che se si cambia sé stessi, poi si può cambiare il mondo, ma questa è una completa bugia. Stanno solo alimentando le nostre bugie e se credi che facendocela da sola, puoi cambiare il mondo, mi spiace per te, ma non ci riuscirai.”
“Cosa significa?” Chiese la giovane, osservando l’amico.
Quest’ultimo non rispose e appoggiò il suo zaino sulla scrivania.
Da esso tirò fuori il suo pc portatile e dopo averlo accesso, volse la sua attenzione a Dawn.
Era chiaro cosa volesse fare: voleva impedirle di fallire.
“Sei tonta nel capire le cose.”
“Tu…”
“Ti aiuterò a ultimare questi fascicoli, così domani potrai tornare a scuola.” Sospirò il giovane, ben sapendo quanto lavoro sarebbe stato costretto a fare.
Se pensava a quando aveva detto che il lavoro era una rottura e che solo un folle poteva accettare qualcosa di simile, ecco che sentiva una voce dargli del bugiardo.
Per 4 lunghissime ore infilò fogli, cancellò, inserì numeri e corresse gli errori madornali che quelli scelti da Heather avevano commesso.
La stessa Dawn cliccava e digitava senza sosta e senza mostrare la benché minima stanchezza.
Sembrava quasi avesse appena iniziato e invece era da molte ore chiusa in camera.
Nel mezzo avevano anche trovato il tempo di fare delle minuscole pause, tutte dettate da Scott che conosceva l’importanza di quei momenti di riposo.
Tante ore davanti ad uno schermo potevano farla impazzire e lui stesso non ne era abituato.
“Ce l’abbiamo fatta.” Sospirò uno stanco Scott, non sentendosi nemmeno più le mani da quanto aveva scritto.
“Siamo stati bravi.”
“Sei stata brava.” La corresse con un ghigno.
“Tu non vuoi prenderti qualche merito?”
“Non ho fatto nulla d’eccezionale se non farti rifiatare ogni tanto e darti qualche consiglio.”
“Sapevo che non ti piace stare al centro dell’attenzione.”
“E questo mi rende più problematico?” Domandò Scott, facendola stringere nelle spalle.
“Affatto.”
“Quanto lavoro ti resta da svolgere?” Chiese il giovane, fissandola negli occhi.
“Poco.”
“Anche quando sono entrato era poco e invece siamo stati impegnati per molte ore. Se non vuoi farmi arrabbiare ti conviene rispondere.”
“Forse in 2 ore posso cavarmela.” Sbuffò Dawn, studiando l’ultima pila di documenti che gli era rimasta.
“E sono quasi le 21.” Notò Scott, osservando l’ora dal cellulare.
“Si è fatto tardi.”
“Se mia madre venisse a sapere che lascio qualcuno nei guai, potrebbe anche uccidermi.”
“Ma sarai stanco.”
“Mai quanto te.” Ribatté prontamente, raccogliendo il fascicolo e osservandolo con attenzione.
“Però…”
“Io ora tornerò a casa e sistemerò questi documenti, mentre tu andrai a dormire e non penserai alla festa.” Riprese con freddezza Scott, avviandosi verso l’uscita e salutando i genitori dell’amica che, ancora svegli, stavano guardando la televisione.
Il ragazzo non voleva risultare troppo aperto al cambiamento, ma non poteva negare che quel club gli stava dando un aiuto insperato.
Nonostante non avesse ancora affrontato il problema, si era leggermente affezionato a Dawn.
Aveva creduto che per lei fosse impossibile, eppure era riuscita a fargli credere che forse potevano provare ad essere amici.
Aveva capito tardi che era inutile farle la guerra: alla fine la sua semplicità avrebbe sempre vinto e l’avrebbe spinto ad avvicinarsi.
Era cresciuto con l’idea di una grande cazzata, ma ora si rendeva conto che qualcosa era cambiato.
La sua rinascita era lenta, ma inesorabile.
E come lui stava cambiando, allo stesso modo stava modificando le persone che gli erano vicine.
E di questo non sapeva se esserne sorpreso, affascinato o semplicemente preoccupato.
 



Angolo autore:

Buonasera lettori...sarò breve.

Ryuk: Heather è comparsa.

Non disturbare Ryuk.
Siccome non ho avuto troppo tempo per leggere, mi scuso per eventuali sviste.
Riconfermo l'aggiornamento per martedì che vedrà la prosecuzione, come è ben intuibile, del festival.
Il nostro caro festival ci accompagnerà per qualche capitolo e questo è l'unico spoiler che preferisco lasciarvi.

Ryuk: Prima che mi arrabbi.

Come se avessi paura di te.
Detto questo vi saluto e vi auguro un buon week-end.
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


Scott era pronto a giurare di non aver mai lavorato così tanto in vita sua.
Lavorava a scuola e lavorava pure a casa.
Per molti giorni non aveva nemmeno avuto il tempo di rilassarsi e come se non bastasse si era fatto sfuggire il discorso della festa con sua sorella.
Alberta non vedeva l’ora di presenziare e aveva promesso che si sarebbe fatta accompagnare da qualche amica e dal fidanzato.
Era pronta a scommettere che suo fratello si sarebbe opposto in qualche modo, ma lui era troppo stanco per avanzare una scusa efficace.
Del resto correva avanti e indietro senza sosta, aiutava gli organizzatori dell’evento e veniva comandato a bacchetta da Heather e dalle altre 2.
Un giorno, senza che nessuno lo sospettasse, si sarebbe vendicato.
Intanto però era costretto a eseguire alla lettera ogni ordine.
E tutto ciò fino all’arrivo della festa.
Quel maledetto martedì d’introduzione era arrivato ed era volato via in un lampo.
Doveva spremersi per quei 2 giorni e con il discorso finale della Wilson sarebbe stato libero di tornare ai suoi impegni.
Vi era stato solo un momento di stranezza quando, durante il discorso iniziale, il microfono aveva fatto le bizze.
Un istante che aveva fatto ridere tutti i presenti e che aveva imbarazzato da morire la Presidentessa.
Vedendo quella scenetta, Scott si era quasi convinto che il karma esistesse e che si stesse vendicando a suo modo con quella vipera.
Quelle risate di scherno erano l’arma migliore per una che si credeva perfetta e superiore agli altri.
 
Il mercoledì, oltre a essere l’ultimo giorno del festival, era dedicato alle rivisitazioni teatrali e Scott non intendendosi affatto di quegli spettacoli, era finito con il restare vicino all’ingresso, svolgendo il ruolo di assistente al banco Informazioni.
In poche parole quelli che erano troppo decerebrati per riuscire a decifrare il cartello rosso situato vicino al cancello si fermavano per chiedere indicazioni.
Inutile nemmeno chiedersi dove fosse Dawn: era troppo impegnata ad aiutare tutti.
Un po’ come i suoi compagni di classe.
Geoff era occupato a teatro insieme a Bridgette, Duncan, Courtney, DJ e Trent, mentre le altre ragazze si occupavano di costumi ed effetti di luce.
In poche parole, dopo aver corso avanti e indietro, era tornato disoccupato.
“Ehi fratellino.”
“Alberta.” Borbottò il ragazzo, girandosi verso la sorella che era appena giunta con un pacchetto contenente qualcosa da mangiare.
Lei, essendo stata per 5 anni in quella scuola, sapeva che le feste concedevano ben pochi momenti di svago o riposo e quello di Scott poteva interrompersi in ogni istante.
“Avete lavorato sodo.”
“Penso di sì.”
“Tutti sanno che hai partecipato, Scott.”
“Ti sei persa qualcuno per essere qui al banco con me?” Domandò il giovane, mentre la sorella scioglieva il pacco e gli passava una ciotola con il pranzo.
“Lucas è a casa e la mamma ha trovato qualcuno con cui chiacchierare.”
“Come al solito.”
“E dove sta la tua fidanzatina?” Chiese Alberta, facendo arrossire il fratellino che rischiava pure il soffocamento a causa del boccone appena ingoiato.
“Non ricordo di essermi mai impegnato con nessuna.”
“Credevo che tu e Dawn foste molto più che amici.”
“Non so nemmeno se definirla mia amica.” Borbottò il rosso, bevendo un sorso d’acqua.
“Sei anche andato a casa sua.”
“Era necessario: se non l’avessi fatto, sarebbe stata espulsa.”
“Sbaglio o è la prima volta che ti interessi così apertamente di qualcuno, senza ricercare nulla in cambio?”
“E questo cosa significa?”
“Se non t’importasse nulla di Dawn, l’avresti fatta sospendere senza colpo ferire, ma non è andata così. Ti sei coalizzato con lei solo per eliminare un nemico imbattibile oppure la vuoi tenere d’occhio?”
“Detta così sembrerebbe che sia un egoista.” Gli fece notare Scott, addentando poco dopo un pezzo di pane.
“Se la odiassi, non t’importerebbe nulla di cosa le accade intorno. Devo dedurre che hai cambiato opinione sul suo conto?”
“I suoi difetti sono rimasti intatti, ma conoscendola meglio, devo dire che ha dei pregi che non avevo mai notato.” Ammise, facendo ridacchiare la sorella che aveva riposto le ciotole nel sacchetto di prima.
“Credevo ti fosse riconoscente e invece sei qui a lavorare come uno schiavo.”
“A essere sinceri mi sto solo riposando.”
“Quindi se andassimo a salutare il vecchio McLean nessuno avrebbe da ridire.”
“Credo di no.”
“Andiamo allora.” Gli fece forza la giovane, costringendolo ad alzarsi.
Percorso il lungo corridoio e scese la rampe di scale, si ritrovarono in palestra, giusto in tempo per assistere, da posizione vantaggiosa, al concerto.
Da posizione sopraelevata potevano ascoltare quelle melodie soavi che vedevano impegnate Courtney e Carrie, mentre Dawn dava gli ultimi dettagli per le esibizioni rock del gruppetto di Duncan.
Unico escluso il povero Geoff che non era in grado di tenere in mano manco una chitarra senza fare danni.
“Ti spiace Alberta, se vado un attimo dal vecchio Chris?” Chiese il ragazzo.
“Certo che no.”
“Resta qui e non perderti.” Borbottò, scendendo i scalini e avviandosi dietro le quinte dove Chris e Chef stavano facendo avanti e indietro.
Non erano agitati per via dello spettacolo, quello stava procedendo alla grande, ma c’era un qualcosa che li rendeva preoccupati. Era stato sufficiente studiarli per qualche secondo e Scott aveva capito che la faccenda era seria.
“Heather è scomparsa, non risponde nemmeno al cellulare.” Sbuffò Dawn, facendo preoccupare ancora di più i 2 professori.
“E senza di lei non possiamo concludere la cerimonia.” Brontolò Chef, mentre Scott ascoltava quei discorsi.
A quanto aveva capito la Wilson si era spaventata a morte e non aveva il coraggio di concludere la festa.
Forse la brutta figura all’apertura del festival le era stata di lezione per farle perdere tutta la spavalderia che sfoggiava abitualmente.
“Usate un sostituto.” Tentò Chris.
“Potrebbe funzionare con il discorso finale, ma Heather è l’unica che conosce i risultati dei vari concorsi.” S’intromise Dawn.
“Perché non inventiamo i risultati? Tanto è impossibile annunciare i dati precisi.” Propose Scott.
“È un’idea che non possiamo prendere in considerazione.” Si oppose Dawn.
“Posticipiamo la consegna dei premi finali?” Tentò Chris.
“Le persone potrebbero innervosirsi.” Rispose Scott, bocciando quella proposta.
“Possiamo solo guadagnare tempo sperando che lei ritorni.” S’intromise Duncan che aveva appena terminato la sua esibizione.
“Non tornerà. Se avesse voluto farci preoccupare, per poi dimostrarci che non possiamo fare a meno di lei, sarebbe già qui.” Nicchiò il rosso con calma glaciale.
“Dobbiamo cercarla.” Borbottò Bridgette.
“Cercarla senza avere la minima idea di dove sia, è inutile, e poi per girare la scuola ci vogliono più di 15 minuti.”
“E se riuscissimo a posticipare il discorso ancora un po’, pensi di riuscire a trovarla, Scott?” Chiese Duncan, osservando il compagno che si stava sforzando di trovare una soluzione.
“Come pensi di posticiparlo?” Domandò il rosso.
“Non lo so.”
“Voi sarete in debito.” Sbuffò Scott, afferrando il cellulare, e invitando la sorella a muoversi nel raggiungerlo dietro le quinte.
Dovette aspettare quasi un minuto prima che la ragazza entrasse e chiedesse al fratellino di cosa avesse bisogno.
“Mi stai chiedendo di aiutarti?” Chiese Alberta, mentre i vari ragazzi studiavano i 2.
“Questa non è una richiesta, ma un ordine.”
“E cosa faresti se mi rifiutassi?”
“Non puoi rifiutarti.”
“Mi stai minacciando con qualcosa simile ad un’espulsione o a un richiamo? Mi sembra di non essere più in questa scuola.”
“Vuoi passare per la cattiva della situazione e rovinare ciò che abbiamo creato?” Tentò il rosso, facendo appello alla sua bontà.
“Non lo faccio per te. Lo faccio soltanto perché so quanto sei vendicativo e non voglio perdermi i tuoi tentativi di ricambiare il mio favore.”
“Te ne sono riconoscente.” Borbottò Scott, lanciando alla sorella una chitarra elettrica che lei afferrò al volo.
“Non mi dirai che sarò sola ad esibirmi.”
“Affatto…riceverai il nostro aiuto.” Si fece avanti Dawn, mentre anche Carrie e Courtney prendevano gli strumenti utili con cui iniziare lo spettacolo.
Scott vedendo che tutto si stava volgendo per il meglio si defilò e si avviò verso l’uscita.
Lontano dal frastuono che proveniva dalla palestra poteva riflettere e trovare la fuggitiva.
Era impensabile che fosse tornata a casa, ma ciò non gli era di molto aiuto.
Sotto un tiepido sole, il rosso iniziò a pensare a dove Heather Wilson potesse essersi cacciata.
 
Più camminava per la scuola più pensava a cosa potesse desiderare un qualcuno che aveva perso una determinata posizione.
Era innegabile che la Wilson avesse perso d’importanza in quella festa e la figuraccia del primo giorno era stata una mazzata che lei non aveva assimilato del tutto.
Nonostante fosse una serpe, Scott sapeva che quando qualcuno si nascondeva,  lo faceva con il desiderio di essere trovato quanto prima.
Ma quello di Heather si preannunciava come un nascondino problematico da risolvere.
Lui non aveva garantito nulla, avrebbe solo provato a cercarla, ma se avesse fallito non ne avrebbe fatto una questione d’onore.
Per quello che gli importava quella vipera poteva anche sparire nel nulla che tanto ne sarebbe stato felice.
Siccome desiderava essere trovata, aveva la certezza che lei fosse ancora a scuola e che non si trovasse in un luogo troppo complicato.
Il problema era solo questo: il rosso non sapeva quale fosse il posto scelto dall’enigmatica Wilson.
Aveva solo una carta da giocare e gli seccava molto sfruttarla in simili frangenti.
Solo una persona conosceva ogni angolo della scuola e con il suo aiuto sarebbe riuscito a trovarla per tempo.
15 minuti si ripeté per darsi forza.
Scott, conscio che ogni secondo potesse essere prezioso, afferrò il cellulare e chiamò il suo asso nella manica.
“Ossequi.” Rispose il tizio all’altro capo.
“Harold, dove vai di solito quando sei solo a scuola?”
“Come mai questa domanda?”
“Sto per riattaccare.”
“Aspetta! Aspetta, per favore! Hai detto quando sono solo, vero?”
“Sei diventato sordo? Sì e rispondimi in fretta che è importante.” Borbottò, sperando che lo sfigato non la tirasse per le lunghe.
Aveva solo bisogno di qualche indicazione e non di sentire l’intera vita scolastica del suo vecchio amico.
“Di solito sto in infermeria o in cortile, anche se ogni tanto mi ritrovo in biblioteca.”
“Tutto qui?”
“Raramente uso il tetto.” Rispose Harold, facendo ghignare il rosso.
Aveva ottenuto la risposta di cui aveva bisogno.
Dopo averlo ringraziato, iniziò a correre verso le scale del tetto, dove, Heather stava aspettando qualcuno.
Poteva arrivarci anche da solo, se non fosse stato troppo stanco per via di quella festa.
Dopotutto era abbastanza logico. L’infermeria, il cortile e la biblioteca erano luoghi molto frequentati, mentre il tetto era sempre deserto.
E un nascondiglio funziona solo quando non c’è nessuno intorno.
 
Scott aprì lentamente la porta e dinanzi a sé, a fissare il panorama, vi era la Wilson.
Fu nel sentire la porta cigolare e poi richiudersi che lei si voltò, rivolgendogli un’occhiataccia.
Entrambi erano pronti a scommettere che non sarebbero mai riusciti ad andare d’accordo e ritrovarsi soli in quel posto poteva soltanto far presagire uno scontro verbale in piena regola.
“La cerimonia di chiusura inizierà a breve. Ti conviene tornare indietro.”
“Probabilmente è già iniziata.”
“Lo sarebbe in circostanze normali, ma in qualche modo stanno guadagnando tempo, quindi…”
“A chi ti riferisci?” Chiese la giovane
“Dawn, Duncan e gli altri.”
“Allora chiedilo a Dawn. Lei può fare tutto.”
“Non è questo il problema: tu hai ancora i risultati del concorso.”
“Allora perché non li prendi?” Domandò Heather, stringendo i fogli che teneva in mano.
Scott avrebbe tanto voluto afferrarli, ma questo avrebbe confermato che gli sforzi profusi da Dawn erano stati inutili.
Sapeva che lei aspettava soltanto di sentirsi dire determinate cose e lui era pronto ad accontentarla.
Non era affar suo sapere come sarebbe passato agli occhi delle altre persone.
Gl’importava soltanto che Dawn fosse soddisfatta del risultato ottenuto.
Prima che riuscisse a rispondere alla sua domanda, la porta cigolò nuovamente sui cardini.
“Geoff.” Borbottò Scott, squadrando le 2 tirapiedi di Heather che rispondevano al nome di Beth e Lindsay.
“Eravamo preoccupati perché non riuscivamo a trovarti, quindi abbiamo chiesto in giro e un ragazzo ci ha detto che ti ha visto salire le scale. Sbrighiamoci e torniamo indietro che tutti ci stanno aspettando.”
“Sono tutti preoccupati.” Ripeterono in sintonia le amiche della Wilson, mentre Scott si metteva seduto e osservava quella scena con interesse.
“È tardi per tornare indietro.”
“Non è vero, siamo ancora in tempo.” Intervenne Beth, facendo annuire Lindsay.
“Ho causato problemi a tutti.” Riprese Heather, ritrovandosi a raccontare un’altra menzogna e assumendo uno sguardo falso e desolato.
Tutti potevano bersi quella finzione, ma non il rosso che conosceva quel comportamento da una vita, avendolo adottato fin troppo spesso.
“Non preoccuparti per questo: i problemi si possono risolvere.”
Con quelle parole la Wilson sarebbe rimasta al suo posto.
Scott sapeva che, Dawn, rimanendo fedele al suo credo, aveva raggiunto un ottimo risultato e anche lui avrebbe agito a modo suo.
Sarebbe stato corretto, faccia a faccia, in modo vile e ignobile.
“Sono la peggiore…” Ripeté diverse volte la Presidentessa, facendo ridacchiare il rosso che si ritrovò ad attirare tutta l’attenzione verso di sé.
“Lo sei davvero. Alla fine, vuoi solamente essere viziata, non è vero, Heather? Stai facendo tutto questo solo per attirare l’attenzione. Perfino ora, vuoi solamente che tutti ti dicano che c’è bisogno di te. È così ovvio che una persona del tuo calibro non possa ricevere il rispetto che si meriterebbe.”
“Cosa stai…”
“In realtà, vorresti che le persone contassero solo su di te. Ecco perché ti sei attaccata al ruolo di Presidentessa. Tu vuoi soltanto confermare la tua superiorità, giudicando e guardando gli altri dall’alto. Sono solo queste le ragioni della crescita che tanto cercavi. Vuoi sapere una cosa divertente? Tutti l’hanno notato, considerando che l’ho fatto io che nemmeno ti conosco così bene.”
“Non mettermi al tuo livello.” Ringhiò, mentre Geoff e le 2 ragazze osservavano quell’intenso scambio di sguardi.
“La verità è che noi siamo simili. Siamo entrambi membri dello strato più inferiore della società. Pensa a questo: non me ne importa niente di te, eppure sono stato il primo a trovarti. Ciò significa che nessuno ha veramente cercato di trovarti. Lo sai, vero? Per me e per gli altri, tu non conti niente.” Ridacchiò il giovane, facendo sbiancare Heather.
“Scott…stai zitto!” Gli ordinò Geoff, facendolo ghignare.
Le 2 giovani oche si erano avvicinate all’amica e l’avevano convinta a farsi forza.
Erano riuscite a portarla in palestra, lasciando soli i 2 .
Geoff, nonostante il suo pessimo rapporto con Heather, aveva molte cose da dire, anche se non sapeva se era il caso di affrontare subito la questione oppure di aspettare il discorso conclusivo.
Alla fine prese una decisione.
 




Angolo autore:

Ryuk: Io vi voglio bene.

Non m'interessa Ryuk.
Per colpa tua sono caduto in un trip mentale.

Ryuk: Solo perchè eri convinto di aver pubblicato martedì?

Mi hai fatto mangiare le tue mele allucinogene e ho fissato per delle ore il soffitto prima di rendermi conto di quanto fosse patetica la mia aria da pesce lesso.

Ryuk: Scusa.

Avrei potuto pubblicare ieri, ma mi seccava fare 2 capitoli in 2 giorni.
Per questo ho saltato un'intera settimana.
Almeno ho avuto modo di sistemare il capitolo.
Allora cosa ne pensate?
Heather ha avuto ciò che si merita o Scott doveva essere ancora più cinico?

Ryuk: Un'altra mela boss?

Non fiatare!
Sono stanco di patire i tuoi stupidi scherzi.
Vedrò di essere puntuale martedì con la speranza che voi, cari lettori e recensori, non siate troppo arrabbiati.
Chiedo venia.

Ryuk: Arrabbiatevi con me piuttosto.

Sarebbe la prima cosa carina che dici.
Spero che abbiate pietà di un povero shinigami: dopotutto mi deve servire per ancora qualche annetto.
Alla prossima (martedì lo giuro)!

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Capitolo 9
*** Cap 9 ***


Geoff chiuse la porta alle loro spalle e si mise a fissare il compagno di classe.
Non poteva credere che un individuo normalmente così silenzioso fosse in grado di fare tanti danni.
Era riuscito ad annientare l’immenso ego che albergava in Heather e ne aveva restituito un guscio vuoto, capace solo di piangere e di sostenersi sulle sue amiche.
“Perché conosci solo questo metodo per risolvere le cose?”
“Non avreste risolto nulla continuando in quel modo.” Rispose con freddezza.
“Non potevi andarci più leggero?”
“Cosa sarebbe cambiato?”
“Non ti capisco.”
“Tu capisci solo quelli che ti fa comodo sfruttare e non ti concentrerai mai su un qualcuno che non ha nulla da offrire.” Gli puntò contro un dito accusatorio, facendogli intuire che non avrebbe accettato una soluzione diversa da quella adottata.
“Se solo capissi.” Borbottò il biondo, uscendo dal tetto e ritornando in palestra per il discorso finale.
Con tutto quello che aveva sentito si era quasi dimenticato il reale motivo per cui fosse andato sul tetto.
Seppur con un metodo poco ortodosso doveva ammettere che Scott era riuscito a smuovere la situazione.
Gli seccava solamente che fosse ricorso a delle parole tanto pesanti.
 
Il rosso, rimasto solo, si concentrò a fissare il cielo.
Avrebbe tanto voluto che il tempo si fermasse. Restare per sempre in quel luogo con una  lieve musica in sottofondo.
Nell’ascoltare quelle note intuì che i suoi compagni ce la stavano mettendo tutta per sopperire all’assenza di Heather.
Ben presto, però, quella soave melodia si sarebbe spenta e tutti si sarebbero chiesti dove si fosse cacciato. Nonostante tutto quello che aveva passato e tutti gli sbattimenti per mandare Heather nella palestra, non voleva perdersi il discorso finale.
Giunse giusto in tempo per sentire la conclusione della canzone che sua sorella e le altre ragazze cantavano con tanto impegno.
Sicuramente era opera di Alberta che, gli sembrava, l’avesse cantata anche durante la chiusura del festival di qualche anno prima.
Al termine di quel concerto improvvisato sarebbe toccato al discorso finale.
Infatti, liberato il palco dai vari strumenti, Heather con alcuni organizzatori alle spalle aveva iniziato a leggere il discorso con i risultati finali.
Nemmeno in questa situazione lei aveva ritrovato la sicurezza.
Aveva ancora la voce rotta dal pianto e lo stesso si era riscontrato, mentre Scott aiutava gli altri a chiudere alcune sedie.
Sentiva chiaramente che tutti lo incolpavano.
Era colpa sua se Heather non aveva affrontato il discorso con lo spirito giusto.
Era colpa sua se alcune attività della festa non erano andate poi così bene.
Era colpa sua se Dawn era stanca morta.
Non capiva il perché fosse sempre lui il capro espiatorio di ogni situazione e il perché tutti lo incolpassero di una colpa non sua.
Heather se l’era meritato: aveva seminato zizzania, rancore e odio in giro e non poteva aspettarsi parole al miele per il suo operato o che tutti fossero soddisfatti.
Perso nei suoi pensieri, non si accorse di avere la sorella alle spalle.
“Sei il migliore, Scott. Ho sentito cosa hai fatto con quella di prima e ti dico che hai fatto bene. Non dovresti permettere che la tua ragazza si stanchi troppo a causa di quella.” Sorrise, facendo arrossire il fratello.
“Dawn non è la mia ragazza.” Borbottò il rosso, prendendosi un momento di pausa.
“Sei stato tu a menzionare Dawn.”
“Di qualsiasi ragazza stessi parlando non potrebbe mai funzionare.”
“Lo so perché tu vuoi solo una persona.” Ribatté la maggiore, scontrandosi con lo sguardo rilassato del fratello.
“Senti Alberta, inizio ad essere stanco e se vuoi divertirti aspetta domani.”
“Sai che una buona azione potrebbe pareggiare il conto?”
“Avrei bisogno di un secolo per realizzare quel che dici.” Sospirò il ragazzo.
“È da tanto che volevo dirti una cosa.”
“Quale? Che non vedi l’ora di sposarti?”
“Anche, ma non solo. Sei cambiato in questi ultimi tempi e devo essere sincera con te, ne sono veramente felice. Questo è il più bel regalo di matrimonio che potessi farmi, giusto perché è insperato e proviene dal cuore.”
“Non capisco cosa centra con il mio futuro.”
“Cos’hai intenzione di fare con il club?” Domandò Alberta, facendolo sussultare.
“Non saprei.”
“Sei combattuto, vero?”
“Se me l’avessi chiesto quando ero ancora all’inizio, ti avrei risposto che contavo i giorni per andarmene, ma oggi è diverso.”
“C’è un motivo in particolare che ti ha fatto cambiare idea oppure le attività iniziano a divertirti e ad interessarti?”
“Non so cosa dirti. Un giorno forse lo scoprirò, ma probabilmente sarà troppo tardi.” Brontolò, rialzandosi in piedi e tornando al lavoro.
“Ah…prima che me ne dimentichi. Questa mattina nella cassetta della posta ho trovato una busta per te e l’ho presa, sperando di incrociarti alla festa.”
“A cosa pensavi che servisse la pausa?” Le fece notare Scott, negando con il capo, quasi cercasse di farsi forza con quella smemorata.
“Me ne sono scordata.”
“La leggerò quando avrò tempo.” Sbuffò Scott, piegandola e riponendola nella tasca dei jeans.
“Ci vediamo a casa.” Borbottò Alberta, salutando il fratello con un abbraccio e tornando dalla madre che attendeva pazientemente vicino al cancello d’uscita.
 
Appena la sorella fu lontana, Scott avvertì alle sue spalle una nuova presenza molto più minacciosa rispetto alla precedente.
Sperava vivamente si trattasse di un suo compagno di classe e invece si scontrò con il supervisore che sembrava avere qualcosa d’importante da dire.
“Sia durante l’organizzazione del festival che per il caso Heather te la sei cavata bene, se guardiamo ai risultati ottenuti. Non posso però lodarti, in quanto ho sentito alcune voci in giro.”
“Cosa deve dirmi?”
“Contando il caso di Dawn, di Carrie, di Harold e quello odierno sei libero di non presentarti più al club di Volontariato.”
“Crede sia guarito?” Chiese il ragazzo.
“No, ma una promessa resta tale ed io non voglio passare per un bugiardo.”
“Tutti mentono.”
“Mi dispiace Scott, ma a meno che tu non voglia restare, sei libero di andartene.” Borbottò il professore, leggendo negli occhi dell’allievo una strana luce.
“No.”
“Pensavo odiassi il club.” Sorrise il vecchio, nel sentire quell’opposizione alquanto insolita da parte del suo studente.
“Una volta forse.”
“Credevo amassi la solitudine.” Gli fece notare Chris.
“Mi piace, ma anche la compagnia non è poi così male.”
“Cosa vuoi dirmi infine, Scott?”
“Non voglio lasciare il club, non ora almeno.”
“Per quale motivo?”
“C’è un qualcuno che non conosce mezze misure e che potrebbe star male se dovesse rimanere sola.”
“Capisco.”
“Sarò la voce imparziale del club, almeno fino a quando non sarà pronta a cavarsela con le sue forze.” Tentò il giovane, sperando che il prof non gli negasse quel desiderio.
Dopotutto era la prima volta che si mostrava veramente interessato a qualcosa. Non lo faceva per ricercare qualche guadagno futuro: desiderava soltanto fare compagnia ad una ragazza ancora troppo fragile per affrontare il mondo.
Quando quella fragilità si sarebbe trasformata in forza, allora avrebbe saputo che il suo lavoro era compiuto.
Solo quel giorno sarebbe stato il suo traguardo.
Non il presente, non il giovedì che lo attendeva, ma un prossimo futuro.
“E come pensi di cavartela?”
“M’inventerò qualcosa.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Sei un furbacchione.” Ridacchiò l’uomo.
“Non le dispiace?”
“Se me lo chiedi, significa che ci tieni molto.”
“Abbastanza.”
“Ricorda una cosa, Scott. Aiutare una persona non deve essere una giustificazione per far male a te stesso.”
“Non mi sto facendo del male.” Ribatté con tenacia, perdendo lo scontro con lo sguardo sicuro del professore.
In altri frangenti sarebbe stato capace di resistere e di risultare convincente, tuttavia c’erano molti fattori a pesargli addosso.
“Vale anche se sei abituato al dolore. Ricorda che ci sono molte persone che soffrirebbero se ti vedessero star male e di questo dovresti rendertene conto presto.”
“Lo farò.” Borbottò il giovane.
“E con questo fine della lezione odierna.” Sorrise il professore, raccogliendo la sua borsa e ritornando a chiacchierare con alcuni colleghi.
 
Impiegò ancora qualche minuto del suo tempo prima di raccogliere il suo zaino e di avviarsi verso il club.
Nel mezzo aprì la busta che sua sorella aveva preso e subito lesse il carattere forte e deciso che vi era all’interno.
Quelli che lo incrociavano, dovevano aver notato nel suo sguardo alcuni cambiamenti insoliti.
Nel superare uno degli ultimi scalini era sbiancato e si era messo a deglutire nervosamente.
“Presto.” Si disse.
Non sapeva quando, ma avrebbe trovato la forza per farlo.
Era un’informazione che sperava di non dover mai ricevere, ma ora che l’aveva ottenuta, si chiedeva cosa fosse più giusto fare.
Di una sola cosa si sentiva sicuro: nessuno doveva saperlo.
Quella faccenda privata riguardava lui soltanto e se avesse avuto disperato bisogno di consiglio sarebbe bastato alzare la voce.
Gli unici con cui poteva sbilanciarsi erano il vecchio Chris, anche se temeva la sua risposta, oppure Dawn.
Malgrado tutto, avrebbe provato a tenerlo per sé e vi avrebbe riflettuto con attenzione per molte notti, fino a quando non avesse vagliato ogni possibilità.
Una in particolare in quei momenti, però, aveva attirato la sua attenzione e anche se era una pazzia evitabile, lui sentiva che era l’unica scelta sensata che poteva farlo crescere e che poteva essere il segnale di svolta per il suo futuro.
Mentre pensava a tutto ciò, bussò alla porta del club e dopo aver udito risposta, vi entrò, nascondendo la busta in una tasca sicura del suo zaino.
“Finalmente in pace.” Borbottò Scott, sedendosi al suo posto, mentre Dawn continuava a scrivere indisturbata.
“Bentornato, ragazzo più odiato di tutta la scuola.”
“Cerchi rogne?”
“Non sei andato alla festa di Duncan?”
“Non farmi domande di cui sai già la risposta.” Sospirò, aprendo lo zaino ed estraendo un fascicolo con dei rapporti da ultimare.
“Allora? Come ci si sente a essere odiati da tutti?”
“Far conoscere la propria esistenza alle persone è una cosa meravigliosa.” Ghignò, facendo ridacchiare l’amica.
“Non so se esserne sorpresa o disgustata. Sei strano, ma non mi dispiace come affermi le debolezze altrui.”
“Vuoi che ti insegni come si fa?” Chiese, ridendo per quella battuta che lei non avrebbe mai preso in considerazione.
“Preferisco restare così come sono.”
“E tu cosa stai facendo?” Domandò Scott, alzando lo sguardo per qualche attimo.
“È da tanto che sono lontana dal club e volevo rilassarmi.”
“Le grandi menti ragionano allo stesso modo.” Borbottò il rosso, compilando alcuni campi di una scheda.
“Credo sia il normale comportamento di un solitario.”
“Il tuo ragionamento può essere adeguato per uno come me e di certo non per qualcuno che mette il bene degli altri prima del proprio.”
“E te allora?” Domandò Dawn, facendolo riflettere.
“Sono qui perché cercavo un posto tranquillo.”
“Credevo fossi libero dall’obbligo imposto da Chris.”
“Lui dice che non sono ancora cambiato e che dovrei restare.”
“Lo immaginavo.” Sospirò la giovane, accorgendosi che Scott aveva abbassato istintivamente lo sguardo.
Scott non riusciva a raccontarle la verità.
Doveva ammettere che lui rimaneva solo per tenerla d’occhio?
Mettendola in quel modo, sarebbe stato lampante che era guarito totalmente e che Dawn non aveva  più motivo di aiutarlo.
Nonostante gli seccasse vanificare i suoi sforzi, doveva involversi nuovamente. Non era per cattiveria o per sminuire la sua incredibile abilità, ma lo faceva solo per restare ancora un po’ in sua compagnia.
Forse era egoistico pensarlo, ma gli pareva la cosa più giusta.
Qualcuno là fuori poteva aver bisogno della consulenza e del sostegno del club per risorgere e Dawn non avrebbe più avuto il tempo per uno che era ufficialmente guarito dalla terribile solitudine con cui aveva vissuto a lungo.
Scott occupava quel posto solo perché sentiva di doversi sdebitare con la piccoletta che aveva davanti e che con i suoi occhi indagatori riusciva a cancellare le sue ripetute menzogne.
“Scommetto che non ti dispiace la mia presenza.”
“È difficile sopportarti.”
“Lo so, Dawn.”
“Non stai mentendo, vero?”
“Io mentivo spesso in passato. Andavo avanti, fingevo di ignorare qualcosa che conoscevo e cose simili. Costringevo gli altri a giocare seguendo le mie regole, ma questa è una cosa più strana che accettare le cose come stanno veramente.”
“Vorrei sapere la verità.”
“Accetteresti un amico anche se le sue parole facessero male?” Domandò il ragazzo, sollevando lo sguardo dai fogli.
“Solo se vengono dal cuore.”
“Chris non centra nulla.” Mormorò, cancellando una riga di rapporto che una dei consiglieri di Heather aveva cannato alla grande.
“Perché? Credevo non ti piacesse questo posto.” Gli fece notare Dawn, facendolo annuire parzialmente.
“Non si può cambiare idea?”
“Certo, ma vorrei conoscerne il motivo.”
“La tua ingenuità non ti farà mai crescere e potrebbe causarti molti problemi.”
“Mi stai dicendo che lo fai solo per me?” Chiese la ragazza, rialzandosi in piedi e ponendo la sua sedia vicino a quella del compagno.
Scott nel ritrovarsela affianco sobbalzò appena, salvo poi tornare a concentrarsi sull’ultimo foglio che attendeva d’essere compilato.
“Ti dispiace?”
“No…ne sono felice.” Si spostò, abbracciandolo, mentre lui sentendo quel contatto si ritrovò a sgranare gli occhi sorpreso.
Era insolito che proprio lei lo cercasse senza preavviso.
Non osava chiedersi cosa le sarebbe accaduto senza la sua presenza e senza i suoi preziosi consigli che la proteggevano da situazioni irrisolvibili.
“Resterò con te fino a quando non avrai più giudizio.”
Anche se non era ciò che lei voleva, era un’ottima base su cui continuare il lavoro di riabilitazione che Chris le aveva lasciato.
Colpita da questa sua premura si ritrovò ad arrossire, sfogliando distrattamente i fogli che Scott aveva compilato, cercando di trovare qualcosa che potesse essergli sfuggito.
 
I mesi seguenti, quelli che combaciavano con il resto di dicembre e i primi di gennaio, furono di pura e semplice vacanza.
Il sopraggiungere del Natale costrinse i vari ragazzi a dividersi per passare le festività in famiglia e al loro ritorno c’erano gli ultimi preparativi per il viaggio in montagna.
Quelle 2 settimane di vacanze erano riuscite a ritrasformare Scott quasi nello stesso individuo che era stato costretto al club da Chris.
Senza il club, senza Dawn intorno e con la sorella in mezzo ai piedi era rientrato con una dose eccessiva di negatività.
Un qualcosa che non trovava sfogo nemmeno negli impegni di gennaio, troppo leggeri per essere presi in considerazione e per far convogliare l’impegno in quella direzione.
Non a caso il ritorno a scuola fu parecchio traumatico.
Il club era subito ritornato alle sue normali attività e non a caso, nei momenti di vuoto, Scott e Dawn si erano ritrovati a parlare del minuscolo viaggio che li attendeva.
Non c’era giorno che il rosso ritornasse sull’argomento e che rimarcasse il fatto che quel viaggio si annunciava noioso e terribile per la sua salute.
Per la Presidentessa riempire tutte quelle settimane con gli stessi argomenti era demoralizzante e si ritrovò, suo malgrado, nervosa già a pochi giorni dalla partenza.
“Questo viaggio farà pena.” Sbottò nuovamente Scott alla vigilia del week-end, facendo scattare come una molla l’amica.
“Perché?”
“Perché sono costretto a venire.”
“Volevi restare a casa?” Domandò lei, facendolo annuire.
“Sarebbe stato meglio dato che sarò in stanza da solo.”
“Non è mica colpa nostra se nessuno vuole stare con te.” Si lasciò sfuggire Dawn stanca di quel discorso, rimproverandosi per quelle parole.
Non voleva ferirlo in quel modo, ma era sfinita da tutte quelle teorie complottistiche con cui il compagno riempiva l’aula.
“Quindi nemmeno tu.”
“Non ho detto questo.”
“Ti sei fatta capire a meraviglia.” Borbottò, pungendola sul vivo e facendole rimpiangere quell’uscita involontaria.
“Non fare la vittima…sei cambiato, ma per i nostri compagni non è sufficiente.”
“Perché non dormi tu con me?” Le propose con malizia, facendola arrossire.
“Ti piacerebbe.”
“Neanche morto.” Ribatté sprezzante.
“Puoi sempre darti malato.”
“Quindi se non venissi, ti farei solo un favore.”
“Non mettermi in bocca cose che non direi mai, Scott.”
“Basta solo pensarlo per far male, non lo sai?” Domandò il giovane, rimettendosi in piedi e avviandosi verso la porta.
“Non puoi andartene.”
“Chi me lo vieta? Ho capito che la mia compagnia ti disturba.”
“Io…”
“Non sei nemmeno in grado di affermarlo e questa è sempre una grande sconfitta.
“Sei solo uno stupido.” Ribatté, abbassando la testa e riconcentrandosi sul libricino che non era ancora riuscita a terminare.
Fu quando sentì sbattere la porta con rabbia che Dawn rialzò la testa e si chiese cosa avesse combinato.
Senza volerlo aveva complicato la cura su Scott.
Era convinta che bastasse ascoltarlo e rincuorarlo e invece si era comportata in modo odioso nei suoi confronti.
E ora non era più nemmeno costretto a presentarsi.
Una volta poteva stuzzicarlo, sapendo che lui aveva le mani legate dall’obbligo imposto da Chris, ma con la libertà acquisita poteva scappare quando voleva.
Sperava solamente che quella gita potesse ricucire lo strappo a cui erano andati incontro.
In quella settimana i suoi tentativi di riconciliarsi e di rivolgergli la parola furono vani.
Scott sapeva come evitarla e come sminuire la sua presenza e Dawn, richiudendosi nel club, aveva ipotizzato che quella fosse la fine del loro rapporto.
Sentiva chiaramente d’aver fallito e che nei giorni successivi lui sarebbe tornato a essere lo stesso marcio individuo che aveva occupato l’ultima fila della sua classe.
Si sentiva dispiaciuta per aver fallito, per aver illuso la sua famiglia di un suo possibile cambiamento e per aver convinto Chris che ormai era sulla via della guarigione.
Il sottile legame che li univa si era spezzato con un colpo secco e Scott aveva cestinato la loro amicizia senza mostrare il minimo rimorso.
 



Angolo autore:

Finalmente siamo puntuali per una volta.

Ryuk: Possiamo urlare al miracolo.

Anche se è stato un elemento poco descritto, ricordatevi della lettera.
Svolgerà un ruolo abbastanza importante nel complesso, ma non vi anticipo nulla.

Ryuk: È un elemento che non vi conviene sottovalutare.

Per quanto riguarda questo capitolo posso solo scusarmi per l'ultima parte.
So che il litigio è stato un po' troppo rapido, ma mi seccava di creare un capitolo di poche righe solo per farli dividere.

Ryuk: Avevamo finito la nostra dose di fantasia.

E ora tutti mi odieranno per questo legame spezzato.

Ryuk: Non vorrei essere nei tuoi panni.

Chissà cosa accadrà ora tra i monti.
Come avevo detto ad alcuni di voi, la scelta di Geoff non è stata così determinante, ma anche ad alta quota ci sarà qualche problema che Scott dovrà risolvere.

Ryuk: Ora possiamo anche andare.

Prima, però, ringraziamo tutti quelli che ci seguono e che hanno letto la storia fino a qui.
Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Cap 10 ***


Scott non aveva trovato una scusa valida per evitare la partenza, anche se quella settimana era perfetta per allontanarsi dalle 2 iene con cui viveva.
Era in una situazione bizzarra: voleva partire e allontanarsi da sua madre e Alberta, ma non se questo significava stare con i suoi compagni.
Si chiese il perché non vi fosse una via d’uscita da quella situazione che veniva sempre rincarata da Alberta.
Ogni pomeriggio, al momento del suo rientro, lei gli chiedeva come andavano le cose al club, anche se aveva intuito che Dawn e Scott avevano discusso e di conseguenza aveva scaricato la colpa sul fratello.
Ad essere sinceri, lui era propenso a metterci una pietra sopra, ma non aveva ancora trovato il momento per parlarle.
Si sentiva un codardo solo perché non riusciva ad ammettere che la sua assenza gli pesava.
Era l’unica che l’aveva scalfito, ma il suo orgoglio gl’impediva di muoversi. Avrebbe tanto voluto varcare la porta del club, sedersi al suo posto e ascoltare i suoi consigli, ma il suo orgoglio lo costringeva a rimanere impassibile e a fissarla mentre parlava con le altre in classe o nell’ampio giardino.
“Ricorda che devi divertirti.” Sbadigliò Alberta quella mattina.
“Pensavo mi pregassi di stare attento.” Rise Scott, raccogliendo la valigia.
“Sfrutta questa settimana per sistemare ciò che devi.”
“Non so di cosa parli.”
“Che faccia da miserabile.”
“Non ti prometto nulla.” Borbottò, salutandola e abbracciando la madre che si era appena svegliata.
Già nei giorni precedenti aveva ascoltato le loro raccomandazioni e con la loro voce ancora nelle orecchie s’incamminò verso la scuola.
Il programma prevedeva lo scoglio del viaggio in autobus di 3 ore e poi la tanto agognata libertà per una settimana intera.
Scott avrebbe speso il suo tempo restando nel bar dell’albergo a sorseggiare bevande calde e uscendo ogni tanto in pista solo per fissare le scivolate dei suoi compagni.
Almeno il suo umore poteva trarne beneficio e, volendo, si sarebbe potuto concedere qualche discesa ogniqualvolta ne aveva desiderio.
 
Erano circa le 14 quando giunsero a destinazione.
Alcuni non vedevano l’ora di iniziare a divertirsi, mentre altri preferivano aggirarsi per il minuscolo centro del paese.
Scott anche in questo era un eccezione.
Lui voleva soltanto sistemare le sue poche cose, distendersi a riposare, cenare e poi andare a dormire.
Il primo giorno sarebbe passato così e non sarebbe stato determinante per il suo futuro, anche se quella sera il destino sembrava avergli allungato una mano.
Tutto accadde verso le 21 quando, stanco di restare nella sua stanza, iniziò ad aggirarsi per il corridoio, sorprendendosi degli incredibili panorami invernali che erano stati ritratti su alcuni quadri.
Il coprifuoco gli forniva un ottimo schermo protettivo, ma ciò che lo aveva incuriosito era una strana figura che lo seguiva a qualche metro di distanza.
“Sei venuto alla fine.”
“Mia sorella sa essere molto convincente.” Borbottò con noncuranza.
“Ascolta Scott, io…”
“Avrei una certa fretta e dubito che tu voglia parlare con uno come me.”
“Promettimi che tornerai al club.” Tentò lei, sperando di strappargli una promessa.
“Non so.” Sbuffò annoiato, scendendo le scale e ritrovandosi nell’ampio salone dell’ingresso.
Una semplice occhiata alle piste e si sentì in dovere di darsi dell’idiota.
Aveva avuto l’occasione di scusarsi con Dawn e non l’aveva raccolta.
Non doveva nemmeno perdere la faccia, dato che era stata lei la prima ad avvicinarsi senza motivo apparente.
Fu nel notare la presenza dei suoi compagni di classe che preferì ecclissarsi.
Non voleva vedere Geoff e Bridgette che si sbaciucchiavano senza ritegno.
Non voleva ritrovarsi invischiato in mezzo a quegli idioti che gli avevano rovinato la vita.
E come se non bastasse in mezzo a loro vi era anche una sua vecchia nemica.
Qualcuno che sperava di non dover mai più incrociare e che veniva accompagnata ovunque dalle sue fedeli tirapiedi.
Com’era plausibile la Wilson non aveva imparato nulla dal festival.
Scott invece aveva imparato a farsi gli affari propri e a defilarsi prima che i problemi assumessero contorni drammatici.
Avrebbe voluto passare quella notte seduto nel bar a bersi qualcosa e invece era stato costretto a rifugiarsi in camera.
Dalla finestra poteva solo fissare il panorama, facendosi compagnia con una lattina di Coca e con un dolcetto che si era portato da casa.
Dopo aver abbandonato le stelle, si spostò sotto le coperte a crucciarsi per quella situazione che non riusciva ad affrontare.
“Chissà quando mi capiterà di nuovo di parlarle.” Sospirò, abbandonandosi all’assoluta oscurità della notte.
Un momento troppo breve che si interruppe con l’incessante bussare alla sua porta.
Un’occhiata al telefonino e si accorse che non erano nemmeno le 22.
Poteva trattarsi di Chris con i suoi controlli serrati oppure di qualche ospite che aveva bisogno di un favore in particolare.
Si rialzò con fatica, aprì parzialmente la porta, facendo entrare uno scorcio di luce e si ritrovò davanti la figura allampanata di Mike.
“Che vuoi?” Lo accolse scorbuticamente.
“Devo chiederti un favore.”
“Un favore lo si chiede ad un amico, non ad uno che conosci a mala pena.”
“Ho sentito che hai risolto molti problemi.”
“Se non è una cosa lunga puoi entrare, altrimenti ripassa domani.”
“Non so per quanto ancora riuscirò a tenere questo segreto per me.” Borbottò il moro, perdendosi nello sguardo freddo e distaccato del rosso.
“Dovresti sapere che non faccio più parte del club.”
“Lo so, ma il bello di una cosa che si rompe è il poterlo aggiustare.”
“Una cosa breve che ho da fare.” Ripeté Scott, sperando che quella scocciatura durasse pochi minuti.
 
Dopo essersi seduto sul suo letto, il rosso rivolse al compagno la sua attenzione.
Non credeva che Mike avesse davvero bisogno di lui.
Era sempre riuscito a cavarsela da solo, vantandosi di quell’abilità che a suo dire era ereditaria.
La prima volta che aveva sentito quella bizzarra teoria, Scott si era crucciato, chiedendosi se fosse vero e se in qualche modo la sua infelicità fosse causa della cattiva sorte.
Per quasi una settimana era rimasto su quel pensiero e poi aveva capito che, se si preoccupava di una cosa simile, era solo uno stupido ragazzino.
La genetica non centrava e nemmeno la scienza.
La sua era solo una fortuna sfacciata che rideva dell’immensa iella che dimorava nei dintorni del rosso.
Quella sera, però, la sua fortuna si era presa una vacanza e l’aveva lasciato nudo di tutte le sue certezze.
“Perché sei venuto?” Chiese Scott.
“Ho bisogno di un consiglio.”
“Potevi andare al club e ne avresti parlato con Dawn.”
“Lei è una ragazza e non capirebbe.”
“Se parli con uno che odi, significa che c’è qualcosa di serio.” Sospirò, fissando negli occhi il suo interlocutore.
“Tu sei imparziale.”
“Diciamo pure che me ne sono sempre fregato della vostra vita.”
“Non so come comportarmi con una ragazza.” Ammise Mike, scontrandosi con un ghigno compiaciuto del compagno di classe.
“Dimmi qualcosa che potrebbe interessarmi.”
“Come consideri Zoey?”
“Alla pari di un’oca, perché?” Domandò il rosso, rialzandosi in piedi e trascinandosi per la stanza, rischiando di scivolare sulla sua valigia.
“Non so cosa fare.”
“Ascolta Mike, sono stanco e non puoi pretendere che capisca i tuoi pensieri al volo. So che sei fidanzato con Zoey e se sei venuto qui solo perché sei geloso del mondo intero, non sono affari che mi riguardano.”
“Sono combattuto.” Continuò, scontrandosi con lo sguardo annoiato del compagno di classe.
“Lo immagino.”
“Temo d’aver tradito Zoey.”
“Temi o l’hai fatto?” Chiese Scott consapevole, ormai, che fosse difficile liberarsi di Mike in tempi rapidi.
“Io e Anne Marie non ricordiamo cosa sia successo.”
“Adesso mi verrai a dire che ti sei svegliato nudo come un verme, insieme a qualche bella sventola e senza ricordare se ci hai detto dentro tutta la notte oppure se stavate dormendo solo per colpa dell’alcool.”
“Eri presente anche tu?” Chiese il moro con il sorriso sulle labbra.
“Ho sempre evitato le vostre feste.”
“Sono passato per sapere come devo comportarmi.”
“Come se avessi esperienza in fatto d’amore e tradimenti.” Lo derise, ben sapendo che poteva parlare solo per intuito.
“Anche con Carrie non avevi esperienza eppure sei riuscito ad aiutarla.”
“Ora capisco perché non sei andato al club. Sapevi che Dawn non sarebbe riuscita a farcela e contavi sul mio silenzio.”
“Non voglio il tuo silenzio, voglio solo un consiglio.”
Nel sentire quelle parole Scott si mise a riflettere.
Tutto dipendeva da cosa Mike volesse sentirsi dire e per dire qualcosa di convincente doveva insinuarsi nei suoi pensieri più intimi.
“Conosci da tanto Zoey?”
“Dalle medie.”
“E da quanto uscite insieme?”
“Quasi 3 anni.”
“Se lo venisse a sapere non la prenderebbe bene.” Commentò, notando in Mike uno sguardo assente.
“Potrei anche perderla.”
“Se l’amassi veramente non l’avresti mai tradita.” Borbottò Scott, sconfiggendo il compagno con una logica schiacciante.
“Ero ubriaco.”
“Dare la colpa all’alcool è la cosa più stupida che si possa fare.”
“Io…”
“Quella puttanella che ti sei fatto, la rivedrai ancora?”
“Si è trasferita in Canada.”
“Sei venuto da me solo per avere una riconferma?”
“Come?”
“Per come la vedo io, hai ben poche possibilità.” Sbuffò Scott, iniziando a contare le ipotesi più verosimili e utili.
“Davvero?”
“La prima: non dire niente a nessuno. Questo segreto non uscirà da questa stanza, Zoey non lo saprà mai, ma tu morirai ogni volta che la stringerai a te perché sei solo un vile traditore.” Ghignò il giovane, facendo sussultare Mike e facendolo negare.
“Non posso fare altro?”
“Potresti dire la verità a Zoey: se vi amate, capirà questo momento di debolezza e potrebbe perdonarti. Ovviamente questo sarebbe un perdono di una sola volta, rispetto agli infiniti regali che le faresti se accettassi la mia prima soluzione.”
“Poi?”
“Puoi anche lasciarla per sempre o prenderti del tempo per riflettere, ma questo sarebbe dannoso per il vostro rapporto.”
Quelle erano le poche possibilità che Scott aveva considerato come applicabili.
Per come la vedeva lui, Mike poteva anche sviare da ciò e trovare una soluzione alternativa, ma ugualmente rischiosa. Poteva ragionare in modo contorto, anche se quelli che aveva esposto erano dei pensieri lineari e immediati.
“Tu che faresti se fossi al mio posto?” Domandò Mike.
“Se fossi innamorato di una ragazza non l’andrei a tradire con una puttanella solo perché sono triste, depresso o ubriaco.”
“Ti prego.” Tentò il moro, facendo leva sul buon cuore del compagno di classe.
Sperava che le voci sul suo cambiamento fossero vere, anche se per il momento non aveva dubbi: Scott non era più freddo e distante come prima. Sentiva che se avesse avuto quel problema, quando lui era ancora escluso dal Volontariato, Scott gli avrebbe sbattuto la porta in faccia e lo avrebbe fatto annegare.
Tutto questo perché non gliene fregava niente di nessuno. Anche quella sera era chiaramente disinteressato, ma era evidente la lontananza dai primi giorni di scuola, dove mai avrebbe aiutato la comunità.
“Quanto ami Zoey?”
“Darei la vita per lei.”
“Non posso aiutarti più di così: la scelta è solo tua.”
“Ho capito.” Bisbigliò il moro, rimettendosi in piedi e ringraziando il compagno con una stretta di mano.
Mike lo avrebbe ripagato diversamente, se ne avesse avuto la possibilità, ma qualcosa gli diceva che Scott non avrebbe mai accettato denaro.
Sapere di aver sforzato la sua mente e di non essersi annoiato troppo gli era sufficiente.
 
Il rosso, osservando l’ora, capì che era inutile rimettersi a letto: non sarebbe più riuscito a prendere sonno.
Accese quindi il televisore e se ne restò tranquillo, perso nei suoi pensieri.
Nemmeno durante le vacanze poteva starsene in pace.
Aveva risolto un nuovo problema che non sarebbe mai stato considerato dal club in quanto discusso privatamente.
In minima parte comprendeva i dubbi del moro, anche se quella cazzata sperava fosse capace di far crescere Mike.
Era consapevole che mai più si sarebbe sognato di tradire Zoey.
Dopotutto i sensi di colpa lo avevano spinto a chiedere consiglio a una persona che ignorava o che sopportava poco volentieri, anche se Scott aveva evitato di porre la domanda inversa e quella migliore possibile.
“Quanto è passato da quella sera?”
Era un quesito necessario.
Se Mike era amareggiato e non dormiva la notte, significava che era trascorso ben poco, anche se non ne aveva la certezza.
Potevano essere trascorse anche delle settimane prima che il topo, sentitosi in trappola, cercasse una via di fuga.
“La festa di Duncan?”
Era l’unica festa di cui aveva sentito parlare in quei periodi.
Solo lì poteva aver tradito Zoey, anche se era una semplice supposizione.
Se avesse immaginato di rifletterci tutta la notte e di dissolvere il suo dubbio solo con il sopraggiungere dell’alba, avrebbe posto subito quella domanda.
Erano circa le 7 prima che uscisse dalla sua stanza e si avviò, quindi, verso la grande sala con l’intento di concedersi una rapida colazione.
Lanciò una breve occhiata a Mike impegnato a parlare con Zoey e poi a Geoff troppo preso ad ascoltare Bridgette per accorgersi del mondo che lo circondava.
Studiò con attenzione via via tutti i suoi compagni e poi si soffermò su Dawn e sul suo aspetto come sempre impeccabile.
Quelle poche ore circondata da aria fresca, pulita e frizzante l’avevano resa ancora più rilassata e tranquilla di quanto non fosse già.
Lui invece era nella condizione inversa: aveva un sonno pazzesco, si reggeva in piedi a fatica e non avrebbe chiuso occhio ancora per qualche sera.
Non era solo la questione del club o di Mike a tenerlo sveglio.
La questione che lo teneva vigile era nella busta che aveva ricevuto da Alberta e che non riusciva a lasciarlo indifferente.
In quelle parole c’era una grossa verità che avrebbe dovuto affrontare per avere la coscienza pulita.
Sperava che raccogliendo gli sci, compiendo qualche discesa e scontrandosi talvolta con i suoi compagni, quelle poche righe svanissero.
Appurato che fosse inutile intestardirsi in quel modo, si avviò verso le piste e mentre scendeva, studiò il panorama.
Alla destra della vetta e lungo tutto il versante si stendeva un bosco fitto e profondo che rappresentava l’unico pericolo di quel posto.
Un pericolo transennato per evitare che qualcuno corresse dei rischi inutili.
Un pericolo letale come l’inchiostro che aveva macchiato la lettera ricevuta e che senza sosta lo torturava.




Angolo autore:

Anche se è un po' tardi, riesco ad aggiornare.

Ryuk: E finalmente l'azione si sposta in montagna.

Quanto adoro le montagne.
Freddo, neve, bevande calde, piumone...quasi quasi chiederei di chiudere con l'estate per passare già all'inverno.

Ryuk: A me sta bene...tanto non sento niente.

Per qualche capitolo resteremo al fresco.

Ryuk: Riuscirà il nostro eroe a fare pace con Dawn? Cosa nasconde la lettera che ha ricevuto? E rocchi riuscirà a mantenere vivo il vostro interesse prima di essere costretto a cambiare il testo introduttivo? Queste e molte altre domande solo su Existence.

Ha già detto tutto lui.
Posso solo ringraziare chi ha recensito e seguito la storia fino a qui e augurarvi un buon week-end.
Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Cap 11 ***


I professori, durante il viaggio in pullman, erano stati molto chiari: tutti dovevano ripresentarsi all’albergo alle 19 puntuali.
Poco gl’importava come passassero la giornata e se pranzassero o meno.
Contavano sulla maturità dei ragazzi, sul loro grado di giudizio e sulla conoscenza dei pericoli che avrebbero corso tenendo un certo tipo di comportamento.
Non erano più dei bambini dell’asilo che dovevano essere tenuti per mano: erano grandi e non avevano più bisogno di qualcuno sempre addosso.
Scott era abituato a quella considerazione.
Lui  che era sempre stato solo, sapeva di non poter abusare della sua scarsa fortuna.
Che si trattasse di un progetto scolastico o qualcosa di simile non aveva mai trovato una squadra che lo sostenesse.
E anche quella gita non era poi così diversa.
Tutti facevano a gara per vedere chi arrivava primo ad un traguardo inventato sul momento, mentre lui cercava soltanto di non uccidersi.
Ogni volta si ritrovava a sciare vicino alle transenne, nonostante cercasse di evitare quella sottile rete di plastica arancione che poteva essere sfondata con facilità.
Bastava appoggiarsi per ruzzolare nel bosco sottostante e per scivolare su una lastra di ghiaccio che a contatto con i raggi del sole sembrava luccicare come uno specchio colpito da una luce intensa.
Più volte aveva cercato di allontanarsi e di provare alcune accortezze atte ad evitare un incidente che l’avrebbe messo al centro dell’attenzione. Pure i richiami dei vari istruttori che giungevano alle sue orecchie non riuscivano ad allontanarlo da quella recinzione che lo attraeva manco fosse dotata di una qualche forza misteriosa.
Erano circa le 11 quando decise di smettere.
Non voleva spomparsi del tutto prima di sera e infatti si ritrovò al bar dell’albergo, dove poteva leggere i quotidiani.
Senza volerlo sfogliò distrattamente le varie pagine per poi ritrovarsi ad origliare un discorso interessante che si stava tenendo tra il gestore e alcune sue conoscenze.
“Ogni anno puntuale peggiora.” Borbottò un vecchietto, fumando la sua immancabile pipa e stringendo un bastone da passaggio.
“Tutta colpa delle correnti fredde.”
“E anche quest’anno avremo una tempesta in piena regola.” Sbuffò, sorseggiando il suo caffè.
“Dura pochi giorni, ma t’impedisce d’uscire.”
“E spesso le nostre attività ci rimettono.” Sibilò nuovamente, notando lo sguardo del ragazzo seduto vicino a lui.
Scott appena notò i suoi occhi, distolse l’attenzione, seppur fosse ormai tardi.
“Lo trovi interessante, ragazzo?” Chiese il gestore, fissando il cliente.
“Cosa?”
“Parlo della tempesta che imperversa in queste zone.”
“Non ne sapevo nulla.”
“Devi sapere che c’è una leggenda a riguardo. Ti va di sentirla?” Domandò l’uomo con un sorriso appena accennato.
“Non mi dispiacerebbe.”
“Ieri sera hai per caso sentito un urlo?”
“Un urlo?” Mormorò Scott, cercando di riflettere.
“Devi sapere che quando di notte si sente dalla montagna un fischio che sembra un urlo, il gelo non è lontano.”
“Forse la televisione mi ha distratto.” Ammise il rosso, facendo annuire il proprietario.
“Devi sapere che la tempesta è il manto che proteggeva queste valli e alcuni giurano ancora oggi di vedere una donna dai bianchi veli, camminare sopra la neve.”
“Ma questo è impossibile.” Commentò il giovane.
“Lei  si aggira tra queste montagne in cerca del suo tesoro perduto e pare che almeno una volta all’anno si fermi nel nostro bosco.”
“Un tesoro?”
“Non si tratta di oro o denaro e il fischio di cui ti parlavo è il suo avvertimento.”
“Per cosa?”
“Ci sta avvertendo che non vuole essere disturbata, mentre sta visitando le nostre montagne.”
“Interessante.” Borbottò, deglutendo nervosamente e intingendo un biscotto nella sua cioccolata calda con panna.
“La donna del gelo è come una divinità.”
“Non lo sapevo.”
“So che è difficile da credere, ma io l’ho vista.” Sogghignò l’uomo, facendo sobbalzare il ragazzo.
Scott era pronto ad ammettere che il vecchio aveva bevuto un po’ troppo e che era davvero bravo a raccontare quelle storie.
Dopotutto era solo una leggenda che per alcuni poteva diventare allucinazione.
Dal punto di vista della ragione era pronto a credere che non esistesse nessuno in grado di camminare tra la neve solo con un velo leggero e senza nulla ai piedi.
Quella era come una delle tante leggende giapponesi: raccontate da qualche vecchietto giusto per spaventare i bambini e per costringerli ad andare a letto con il tramontare del sole per non invitare qualche spirito a punirli.
Se schiattava di freddo con maglietta, maglione e giubbotto pesante, non osava chiedersi come potesse resistere uno spirito, ammesso che esistesse ovviamente.
“Fantastico.” Esultò con una lieve nota di sarcasmo.
“Non credere che lo sia.”
“Perché?”
“Storie così non sono mai piacevoli da raccontare.”
“Non mi può lasciare a metà.” Sbuffò il giovane, mentre vedeva che l’uomo si preparava qualcosa da bere.
“T’incuriosisce?”
“Molto.”
“Sei giovane, ma storie come queste sono difficili da ascoltare.” Sospirò l’uomo, bevendo il cappuccino che si era preparato.
“Ho ascoltato storie di ogni tipo, ma se lei non vuole…” Lo provocò il giovane, mentre il gestore cascava nel suo trucco.
Nel guardarsi intorno notò che la sala era quasi deserta, tranne per una giovane coppia che era vicina al camino, e che la consorte era troppo lontana per sentire quella storia.
Nel vederla impegnata con le cameriere, si era convinto di raccontare il suo passato più triste al giovane.
“Mi stavo aggirando per un bosco situato nel versante opposto a questa montagna. Stavo aiutando un amico a segnalare gli alberi malati della zona in modo che i boscaioli potessero abbatterli senza creare danni. Ero impegnato a raccogliere degli strumenti che mi erano scivolati quando, rialzando lo sguardo, vidi una donna camminare tranquilla.”
“Cavolo.” Borbottò Scott a bassa voce.
“Senza fare rumore mi sono avvicinato e lei era sospesa dal suolo. Ad un certo punto si girò nella mia direzione e mi squadrò. Ricorderò quegli occhi per sempre.”
“Perché?”
“Erano rossi come il sangue, il volto piegato in un ghigno malvagio e privo di rimorsi. Provai ad aprire bocca, ma lei svanì in un lampo. Paralizzato da quella visione, tornai a casa e consultai tutti i libri che avevo nel mio studio.”
“E cosa ha trovato?”
“Si narra che la regina del gelo sia uno spirito in cerca di vendetta. Molti dicono che, prima di morire, stesse aspettando il ragazzo di cui era innamorata, ma che quest’ultimo non si sia mai presentato durante quella lunga notte.”
“Morì?”
“Da quella notte lei continua a cercarlo per vendicarsi e poco le importa se qualcuno ci rimette la vita.”
“È come un fantasma che non può riposare in pace perché ha ancora qualcosa da fare.”
“Probabilmente è così, anche se la seconda parte della storia non ti piacerà. Il cuore della regina è freddo e disinteressato e quando qualcuno disturba il suo passaggio o incrocia il suo sguardo, lei esige qualcosa in cambio.”
Nel dirlo gli occhi dell’uomo si erano inumiditi e la sua voce si era fatta roca e rotta dai singhiozzi: era evidente che faticasse a continuare.
Scott avrebbe voluto sapere il resto per poi chiedere a Chris se conosceva quella strana leggenda che lo stava tenendo occupato.
Se a quell’uomo era capitato qualcosa, non poteva essere una bugia. Il rosso non capiva cosa avrebbe guadagnato nel mentire spudoratamente, raccontando magari qualche dettaglio macabro ed infelice.
“Non dovrebbe sforzarsi così tanto.” Tentò Scott, alleggerendo parte della sua sofferenza.
“Era una mattina d’inverno quando andai a sciare con uno dei miei figli, ma quella sera tornai solo a casa: la regina del gelo lo portò via con sé.”
Quelle poche parole riuscirono a farlo rabbrividire, confermando che la sua scelta di starsene a casa non era poi così insensata.
Non era mai stato un vigliacco, ma esisteva sempre una prima volta.
Scott non voleva ignorare il rischio che qualcosa andasse storto e che segnasse il resto della sua esistenza.
“Se posso darti un consiglio, resterei nella mia stanza per i prossimi 2 giorni.”
“Come?”
“I nuvoloni grigi che rendono invisibile la vetta sono un avvertimento della regina per la tempesta che si scatenerà in serata.”
“Lo farò.” Promise, uscendo e studiando la montagna innevata in lontananza.
 
Così come si era promesso, Scott ritornò sulle piste per qualche ora, salvo far ritorno nella sala verso le 15.
La temperatura era scesa notevolmente e ciò lo aveva spinto ad indossare un maglione in più.
Sperava che anche gli altri ritornassero in albergo e che non facessero qualche bravata che potesse compromettere le loro vacanze.
Per un qualcuno che aveva ascoltato quella preghiera c’era sempre qualcuno che continuava imperterrito e che rischiava di farsi male.
Anche se odiava la sua classe non voleva vedere nessuno farsi male e uscire da quella settimana con stampelle o fasciature.
Di quel gruppo, su una in particolare aveva posato gli occhi: non voleva tornare a casa senza Dawn e la sua proverbiale calma.
Sperava che quei primi deboli fiocchi, piccolo e insperato dono per i tanti visitatori, convincessero gli altri a rientrare, ma il gruppo e l’orgoglio di non mostrarsi deboli e codardi aveva vinto sul buon senso.
Perfino il gestore si era avvicinato alla finestra, pregando la divinità di non fare scherzi e ricevendo un sorriso di conforto dal rosso, salvo poi concentrarsi verso i sciatori che entravano nella hall dell’albergo.
Scott riusciva a riconoscere facilmente le varie sagome che entravano in quel momento, anche se una di loro, seduta a crogiolarsi vicino al fuoco emanato dal camino, riuscì ad attirare la sua attenzione.
“Glielo hai detto alla fine?” Chiese il rosso, fissando il compagno di classe inquieto e assente allo stesso tempo.
“Sì.”
“Non ne sembri felice.”
“Sto riflettendo.”
“Hai fatto la scelta migliore.” Borbottò Scott.
“Come puoi sapere quale scelta ho intrapreso?”
“Non lo so infatti. Vederti così però è un segnale sufficiente.”
“Ero così anche ieri.”
“Ieri non eri distratto.” Lo punzecchiò il rosso con un ghigno.
“Temo di aver fatto una cazzata alla festa.”
“Dovevi pensarci subito e non in questi giorni.”
“Credevo di riuscire a tenerlo per tutta la vita.” Ammise il moro, facendo negare il suo interlocutore.
“Da quanto lo nascondi?”
“Alcune settimane.”
“Non avrai detto a Zoey questa cosa, spero.” Sbuffò il rosso.
“Su questo ho evitato.”
“Raccontare una mezza verità è molto meglio che cullarsi in un’eterna bugia. Magari un giorno, ci riderai su e potrai raccontarle tutta la storia, anche se te lo sconsiglio vivamente.”
“E tu come sai tutte queste cose?”
“Ad essere sinceri non lo so.” Borbottò il rosso.
“Come fai allora?”
“Hai mai avuto la sensazione di conoscere qualcosa senza sapere il come?” Sussurrò Scott, stringendosi nelle spalle.
“Credo di no.”
“A me succede di continuo.”
“So solo che sono riuscito a sistemare le cose con Zoey.” Riprese il moro, tornando a sorridere dopo una giornata difficile.
“Ne sono sollevato.”
“Se posso fare qualcosa per te, basta dirlo.” Ricominciò Mike, mentre il compagno era tornato a fissare il panorama fuori dalla finestra.
Nel vedere quella lieve nevicata e l’orario, ancora lontano dalle 19, gli era tornata la voglia di concedersi una sciata.
Nella sua mente era ancora presente la leggenda che il gestore gli aveva raccontato, ma restare senza fare nulla non era da lui.
Doveva pur trovarsi qualcosa con cui ammazzare il tempo e quella era l’unica attività su cui poteva tuffarsi.
“Non tradire più Zoey.” Rispose con voce demoniaca, facendolo trasalire.
“Sarà fatto.”
“Una volta è semplice correzione, ma alla seconda è perversione.”
“E tu, Scott?” Domandò il moro.
“Io?”
“Sei mai stato innamorato o fidanzato?”
“Perché vuoi saperlo?” Chiese il rosso, sfiorando la finestra che iniziava ad appannarsi e concentrandosi sulla montagna che si stendeva maestosa.
“Vorrei solo conoscerti meglio.”
“Non so nemmeno cosa sia l’amore.” Sbuffò, dandogli le spalle.
“E ti riesce di dare simili consigli?”
“Perché ti ostini tanto a conoscere un qualcosa di cui non capirai mai le motivazioni? Non sarebbe più semplice continuare come se nulla fosse successo, piuttosto d’intestardirsi?”
“Mai che si possa parlare con te senza problemi.” Sbottò Mike, alzandosi in piedi.
“Dovresti sapere come sono fatto.”
“Se ti sforzassi a parlare con noi, sarebbe meglio.” Gli fece notare il moro, facendolo annuire appena.
“Non vedo il problema.”
“Un giorno dovrai mollare questa freddezza.”
“E va bene, rompiscatole. Tempo fa anch’io sono stato innamorato, ma ho dovuto dimenticarla perché era la cosa più giusta da fare.” Sussurrò il rosso, girando la testa nella direzione del compagno.
“Ci sei riuscito?”
“Te l’ha mai detto nessuno che sei un ficcanaso? Normalmente direi che tutto dipende dalla forza d’animo della persona o dal legame che l’unisce alla ragazza, ma non questa volta. Io mi vanto d’esserci riuscito, ma voi non ne sareste in grado.”
“Come?” Domandò Mike.
“Tu dimenticheresti Zoey? Da quel che ho visto credo di no.” Borbottò il rosso, avviandosi verso l’uscita.
Scott sapeva che nessuno avrebbe mai compreso la sua scelta.
Lui era riuscito a buttarsi via pur di non farle sapere la verità.
Forse se avesse tentato non si sarebbe demoralizzato così tanto, anche se ormai era tardi per lamentarsi.
Troppi anni erano scesi e lui non era più quello di un tempo.
Non ricordava nemmeno com’era e non se la sentiva di ripresentarsi e di dichiararle i suoi sentimenti.
Già una volta non era stato corrisposto ed era stato costretto ad allontanarsi, ponendo su quello strappo una pezza che rischiava di scucirsi.
Ricordava quando la osservava da lontano.
Meravigliato dalla sua unicità non aveva mai trovato il coraggio di avvicinarsi.
Si accontentava che lei fosse felice per ritenersi soddisfatto.
Poi aveva iniziato a chiedersi se fosse il caso d’osare oppure di restare in disparte.
Il destino aveva già fatto la sua scelta e lui non era considerato nella trama principale. Scott si era ritrovato confuso, nel mezzo di un’infelice verità e aveva preferito voltare le spalle a lei, al caso, alla sua sicurezza e scappare.
Non era fiero di tutto quello che aveva fatto, ma era sicuro che l’avrebbe rifatto senza sentirsi in colpa.
 
Una nuova sciata gli avrebbe fatto dimenticare anche quella faccenda.
Mancavano pochi minuti alle 19, tempo limite fissato dai professori e il cielo grigio non lasciava presagire nulla di buono.
Molti visitatori si erano rintanati nell’albergo e la neve sempre più fitta impediva di scorgere il paesaggio tutto intorno.
Quella che era iniziata come una semplice nevicata stava peggiorando sempre più.
Conscio che fosse troppo rischioso continuare, Scott decise di concedersi l’ultima discesa di quella giornata.
Fu nel scendere dalla seggiovia e nel compiere qualche passo verso la vetta che respirò l’aria frizzante.
Non era strano che il numero di sciatori fosse diminuito, ma vi era una sensazione che lo attanagliava.
L’aveva riscontrata quando, all’inizio del versante, la rete di separazione tra bosco e piste aveva ceduto.
All’inizio si era quasi convinto che vi fossero dei segni di sci.
Si era, quindi, avviato un’ultima volta verso quello sbarramento, ma la neve che scendeva copiosa unita alla sua stanchezza lo avevano convinto che stesse sbagliando.
Quei segni erano talmente lievi che gli sembrava inverosimile che qualcuno potesse essere uscito di pista, sfondando del tutto la recinzione.
Con fatica si era convinto che quel cedimento fosse presente ormai da giorni e che l’avesse ignorato per tutto il tempo.
Magari gli operatori l’avrebbero sistemata non appena le condizioni fossero migliorate a tal punto da permetterne i lavori.
Oltre a questo c’era un’altra cosa a tranquillizzarlo: se lui non si era fatto male, nessun altro poteva rischiare qualcosa.
Era pronto a metterci la mano sul fuoco.
Senza ritornarci su, si avviò verso l’albergo, varcandone la porta, in attesa che Chris e Chef si palesassero per l’appello.





Angolo autore:

Per alcuni di voi sara elementare capire cosa accadrà e pertanto vi pregherei di non rovinare l'attesa degli altri lettori.

Ryuk: La leggenda della regina del gelo.

So che sembra demenziale, ma le leggende come quelle giapponesi le adoro terribilmente.
Prima di dilungarmi, mi scuso per eventuali errori e vi ringrazio per l'interesse che continuate a dimostrare.

Ryuk: Non è tutto.

Ancora poche recensioni e supererò il mio vecchio record di Naruto e questo mi renderà felice.

Ryuk: E fatelo contento per una volta? Non vi fa tenerezza rocchi e il suo sguardo da cane bastonato?

Ehi!
Non esagerare.
E comunque è un bel traguardo.
Detto questo e ringraziandovi per le recensoni, i consigli e i complimenti vi saluto.
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Cap 12 ***


In quella breve giornata aveva spesso fatto avanti e indietro.
Si era diviso tra la sala dell’albergo, le piste e la sua stanza e ora finalmente poteva rilassarsi con pieno merito su una delle tante poltroncine rosse che riempivano la hall.
Mancavano pochi minuti alle 19 e su tutti spiccava l’assenza di una figura che Scott non vedeva da un pezzo.
Credeva che fosse in stanza, impegnata magari a darsi una sistemata e incurante di una qualche minaccia assurda che i prof avrebbero smosso prima di ordinare il classico rompete le righe.
Buona parte dei suoi compagni era elettrizzata per la prima sera fuori casa, anche se Scott  aveva già premeditato di abbandonarsi a guardare la televisione.
Una breve occhiata alla fitta nevicata e rientrò, aspettando che Chris e Chef uscissero allo scoperto.
“Ci siamo tutti?” Domandò Chris, sbucando all’improvviso e guardando la classe.
“Perché non fa l’appello?”
“Perché credo, Duncan, che voi siate abbastanza maturi per essere puntuali.”
“Sembra che qualcuno sia in ritardo.” Sbuffò Chef, fissando l’orologio che portava al polso.
“Qualcuno sa dove sta la signorina Dawn?” Chiese Chris, rivolgendosi alle compagne di stanza.
“È da qualche tempo che non la vediamo.” Rispose Zoey.
“Potrebbe essere in camera.” Intervenne Mike, facendo negare le ragazze.
“Impossibile: l’unica chiave ce l’ho io.” Affermò Bridgette, togliendosi i guanti e sistemandosi i capelli.
“Se non è in stanza, forse è impegnata con l’ultima discesa.” Tentò Duncan, fissando i professori preoccupato per la loro possibile reazione.
Di per sé Chef sembrava nervoso, ma non rasentava lo sguardo iracondo assunto dal collega che sembrava incenerire ogni persona destinata ad entrare nella hall.
Il suo intento era di far capire alla ritardataria che non era da persone mature far aspettare qualcuno in quel modo.
Alcuni già ridacchiavano tra loro, pensando a cosa l’amica dovesse subire, ma l’unico che non si capacitava di quel ritardo era Scott.
Osservava la lancetta dei secondi che rincorreva quella dei minuti e per ogni ticchettio aumentavano i suoi dubbi.
Perché, ad essere sinceri, Dawn non era mai stata in ritardo. Poteva anche crollare il mondo, ma lei sarebbe sempre stata puntuale.
Scott senza prestare particolare attenzione si avvicinò al camino e poi rivolse un’occhiata stralunata alla montagna.
Era rimasto fermo a fissare quelle vette per molti minuti, prima che la mano gelida di Chris lo risvegliasse. Non aveva nemmeno sentito il loro ultimo ordine ed era rimasto lì, conteso nel fissare un istante il panorama innevato e un altro attimo l’ingresso dell’albergo.
“Cosa ti turba?”
“Non lo so.” Rispose sinceramente il ragazzo.
“Forse è andata in centro.”
“Forse.”
“Non ne sembri convinto.”
“Che ore sono?” Domandò il rosso.
“E questo cosa centra?”
“A seconda dell’ora potrebbe essere in un luogo o in molti altri.”
“È già passata mezzora.” Borbottò Chris, assecondando il discorso dell’allievo.
“Non è mai stata in ritardo.”
“Esiste sempre una prima volta.”
“Forse ha ragione.” Sbuffò il rosso, staccandosi dal vetro quasi appannato e avviandosi verso le scale.
“Guarda che la cena è pronta.” Gli fece notare l’uomo, facendolo annuire.
“Non ho fame.” Scott salì, quindi, i gradini e si avviò preoccupato verso la sua stanza.
 
Nel percorrere il lungo corridoio dell’albergo, tornò a riflettere su ciò che aveva sentito: Dawn era in ritardo.
Gli sembrava impossibile e anche Chris aveva fallito nel tentare di portarlo verso quella direzione.
Volevano fargli passare degli elementi che non riuscivano a incastrarsi in modo logico tra loro.
Perso nel silenzio e nell’oscurità della stanza, Scott iniziò con il fare mente locale.
L’ultima volta che l’aveva intravista era quando si era messa a parlottare sulla funivia e poi a sciare con Bridgette e Zoey.
Poi tutte quelle ore di vuoto.
Non era da lei svanire senza motivo e non era da lei andare per negozi da sola, senza avvertire nessuno e sapendo che poteva sfruttare l’ultimo giorno di vacanza.
Il giovane si rimise in piedi e si avviò verso la finestra, dove constatò che la regina delle nevi sembrava divertirsi un mondo con quella tempesta.
Come se avesse sciolto tutti i dubbi su quella leggenda.
Non metteva in dubbio la morte orribile del figlio del gestore, ma non era convinto che fosse dettata dalla presenza della strega.
Lui sarebbe sempre stato convinto che si trattava di una triste casualità e che quella tempesta fosse frutto di una natura troppo ribelle per essere domata.
In tutto questo, riusciva a scorgere solo una minima parte del panorama che si stendeva davanti ai suoi occhi.
Fu nell’osservare l’innevata vetta, ancora parzialmente visibile, che un’idea lo colpì.
Senza pensarci, raccolse i vestiti più pesanti che aveva e li indossò.
Scese nuovamente le scale e, senza farsi vedere, scivolò fuori dall’albergo.
Era solo una possibilità remota che lui voleva controllare per sicurezza.
Anche se l’avesse riferito ai professori, poi i soccorsi si sarebbero mossi con ritardo e lei sarebbe potuta morire.
Inoltre se era vero che lei era solo in ritardo e in giro per negozi, non avrebbe disturbato il lavoro prezioso dei soccorsi.
Se lei non era laddove lui pensava, allora sarebbe tornato indietro senza colpo ferire.
Spavaldo e senza timore si avviò in mezzo alla tormenta, sprofondando già dopo qualche metro.
Il solo contatto gli gelò il sangue e gli pareva di sentire i piedi pesanti come piombo.
Sicuramente era passato parecchio dalla sua partenza, ma alla fine era riuscito a raggiungere il luogo dove la rete era stata distrutta.
Prima di scendere, respirò profondamente e s’immerse nel bosco.
Il destino aveva scelto la nottata perfetta per mettere nei guai Dawn, anche se non era propriamente colpa sua.
La colpa, Scott, era propenso a scaricarla contro di sé.
L’aveva lasciata da sola. Di nuovo.
Non era bastato il festival a dividerli e ora si era messa di mezzo anche quella sfortunata gita.
Dawn era sempre stata al suo fianco e lui, da perfetto ottuso, non solo non se ne era accorto, ma aveva sorvolato su tutto ciò.
E ora quel problema che sembrava insormontabile.
Con la neve che lo faceva sempre più sprofondare e con i sensi di colpa che gli riempivano il cuore, aveva difficoltà ad andare avanti.
Avrebbe dato la vita pur di trovarla e di salvarla.
Se l’avessero saputo in giro, gli avrebbero detto che quello era il suo problema.
L’avrebbero considerato strano solo perché, desiderando che tutti fossero felici, era pronto a compromettere anche la sua felicità.
 
Con difficoltà scese e raggiunse una zona priva di intralci.
Aveva assoluto bisogno di un segno che lo spronasse a continuare in una determinata direzione.
Dawn aveva avuto un po’ di forza per strisciare o camminare, ma quelle tracce erano state ormai nascoste dalla recente nevicata.
Almeno tra tutti quegli alberi la tempesta si era placata e poteva avere una visione più lineare rispetto a quella delle piste.
Senza aver ben chiaro la vastità del bosco, si preparò per scendere. Era inverosimile che lei avesse cercato di risalire verso la vetta, dato che l’albergo e, quindi, i soccorsi si trovavano molto più a valle.
La disperazione avrebbe potuto influire sul suo senso d’orientamento, ma Scott sentiva che quel percorso era la via di fuga che Dawn aveva scelto.
Un paio di passi e si ritrovò ad affondare nella neve fresca e, qualche metro più avanti, uno strano cumulo attirò la sua attenzione.
Quella piccola montagnola era auspicabile solo se realizzata con un intreccio di rami oppure con un corpo raggomitolato.
Senza ripensarci si avvicinò, quasi correndo. Subito liberò il corpo tremante che si trovava sotto la neve e lo girò verso di sé.
Era coperta dallo strato di gelo, bianca come un cencio e fredda come il ghiaccio stesso.
Il suo respiro ormai flebile alimentava le scarse speranze di Scott, il quale la strinse il più possibile e le baciò appena la fronte.
“Dawn…Dawn…” La smosse, cercando di risvegliarla.
“Sono…caduta.”
“Dawn.”
“Sono…stanca.” Ammise, sbattendo gli occhi.
“Non puoi dormire, sono qui...” Mormorò il rosso, ben sapendo che se si fosse appisolata sarebbe stata la fine.
“Io…”
“Resisti piccola.” Sussurrò il giovane, togliendosi il giubbotto per metterglielo addosso.
“Aiutami…” Sospirò diverse volte.
“Ci sono io Dawn: andrà tutto bene.” La rassicurò, carezzandole il volto e caricandosela con fatica in spalla.
Con quello che aveva passato e con tutte le ore passate al freddo era già un miracolo che non fosse morta. Aveva un principio d’ipotermia, tremava come una foglia scossa dal vento e ogni secondo poteva esserle fatale.
Scott, comunque, non se la sentiva di uscire dal bosco e di affrontare la tempesta.
Non era nelle giuste condizioni per farlo e pertanto avrebbe usato la stessa strategia adottata da Dawn: scendere dal bosco.
Quella fitta vegetazione, sconosciuta anche ai più esperti, era la loro unica scorciatoia.
A essere positivi, Chris doveva aver già allertato i soccorsi e pertanto Scott si sentiva sicuro: prima o poi, qualcuno con cani e torce li avrebbe trovati.
Probabilmente sarebbero partiti per cercare una ragazza e non si sarebbero aspettati la sua figura, ma poco gli importava.
I rimproveri di Chris e Chef gli sarebbero scivolati addosso e non lo avrebbero scalfito neanche un po’.
Sapere di potersi beare del sorriso di Dawn per ancora molti anni era un premio più che sufficiente per vincere contro le condizioni avverse.
La sua fuga, così poteva chiamare quell’uscita furtiva dalla sua stanza senza che nessuno fosse riuscito a scorgerlo, non sarebbe stata punibile.
Riflettendo su questo e tanto altro e con volontà incrollabile continuò per la sua strada, sperando che le condizioni migliorassero. Non solo quelle atmosferiche o del tragitto, ma anche di Dawn che spesso si zittiva, facendolo cadere nello sconforto.
In questi casi si fermava, la appoggiava un attimo, la fissava preoccupato, l’abbracciava e poi ripartiva.
Dopo alcune volte era riuscito a farle capire cosa doveva fare: parlare, ridere se ci riusciva e restare vigile.
Doveva discutere, sorridere per la nenia che Scott ripeteva e che lo spronava a continuare e vaneggiare per darsi una possibilità. Era difficile, ma sentiva che doveva combattere contro il suo corpo che le ordinava di chiudere gli occhi, di rilassare i muscoli, d’immaginare la schiena del ragazzo come un comodo materasso cui adagiarsi del tutto, di rallentare il respiro pesante e di dormire.
“Un altro passo.” Mugugnava per farsi forza.
 
La neve continuava a cadere, pesava sempre più sul terreno e sui loro corpi carichi di vestiti ormai inzuppati.
Scott, nonostante la stanchezza, continuava imperterrito a seguire il suo istinto.
Prima di darsi una scrollata per risvegliare i muscoli un po’ intorpiditi per via del freddo, aguzzò la vista e intravide poco lontano una figura.
Era vestita di bianco, sembrava leggera come una nuvola e lo precedeva di qualche passo.
Fu nel voltarsi che la leggenda prese forma.
Era lei…la regina che aveva immaginato con il racconto del gestore.
I suoi occhi erano così freddi che sembravano ancora più gelidi di quella nevicata e il suo ghigno affilato e troppo spaventoso per essere descritto.
Prima che riuscisse a dire qualcosa, lei gli andò incontro.
Scott si sorprese e, per un breve attimo, pensò di scappare lontano, incurante della stanchezza e del terreno infido.
Un debole soffio lo riscosse e si ritrovò quel fantasma a un palmo di naso.
Non sembrava più una megera. Il suo sguardo si era trasformato in una carezza e il suo ghigno era diventato un sottile sorriso.
“Non devi essere cattivo, lei ti vuole bene.” Mormorò quella donna, facendo tremare il ragazzo.
“Io…”
“Dove sei stato finora?”
“Cosa…”
“Le vuoi bene, vero?”
“Sì.”
“Anche se affermi il contrario, tu non sei così vuoto come appari.” Soffiò, rinfrescandogli il volto arrossato.
“Cosa vuoi…da me?”
“Sei tu il tesoro che stavo cercando: mi hai dimostrato che gli uomini possono essere buoni e che meritano fiducia.” Sorrise, svanendo in un fascio di luce che lasciò di stucco Scott.
Rimasto solo, Scott si sfregò intensamente gli occhi e si chiese se non fosse diventato pazzo.
Di certo non avrebbe fatto parola con nessuno di quella strana visione.
L’avrebbe tenuta solo per sé e non avrebbe menzionato quella leggenda che aveva appoggiato ai suoi piedi un piccolo scialle che Scott sfruttò per coprire ulteriormente Dawn.
Per quel breve istante si era fermato, ma poi riprese a muoversi, ben sapendo che doveva continuare.
Con qualche nuovo chilometro sulle spalle e con gli occhi ancora più pesanti credette di essere perduto.
Dinanzi a sé vedeva solo alcune immagini sfocate che apparivano veloci come lampi e che lo deridevano.
Fino a quando non vide quella che sembrava una capanna.
Credeva di sognare e infatti si passò una mano davanti al viso per essere sicuro d’essere sveglio.
Fu quando sentì il rassicurante legno tra le mani che si sentì salvo. Si appoggiò alla porta ed essa si aprì. Subito la richiuse alle sue spalle, bloccandola al meglio delle sue possibilità e studiò ciò che lo circondava.
A prima vista sembrava la capanna di un cacciatore e per una notte di solo riposo sarebbe stata più che sufficiente.
Scott adagiò subito sul letto la ragazza, si sedette sull’unica sedia presente e cacciò un profondo respiro.
Dopo essersi riposato per pochi minuti, si concentrò sul camino e con fatica riuscì ad accenderlo, ben sapendo che non era ancora finita.
Sapeva i rischi che avrebbe corso, ma non poteva esimersi dal farlo: era necessario per la sua salute.
Il suo corpo era coperto da un maglione zuppo e non osava immaginare le condizioni di Dawn che aveva passato chissà quanto tempo sotto la neve.
Quel poco di calore che lei emanava quando era andata fuoripista aveva sciolto lo strato superficiale che si era insinuato sotto i suoi vestiti.
La situazione di certo non era delle migliori e lei era troppo stanca per liberarsi di quel peso.
“Mi dispiace.” Bofonchiò Scott, avvicinandosi.
Sapeva che era da pervertiti, ma doveva farlo.
Se avesse dormito in quello stato non solo avrebbe passato l’intera nottata insonne, ma poteva ammalarsi gravemente.
Pregava che Dawn capisse che lo faceva per il suo bene. Avrebbe tanto voluto chiederle il permesso per insinuare le sue mani laddove non poteva e per toccare il suo corpo che sembrava un cristallo di ghiaccio.
Con delicatezza iniziò a toglierle i vestiti e a gettarli sul pavimento.
Prima il giubbotto che le aveva prestato, poi quello con cui era uscita, il maglioncino pesante, la maglietta a maniche lunghe e infine gli scarponi, i pantaloni e le calze.
La fece rimanere solo in biancheria intima, convinto che non fosse necessario vederla completamente nuda.
Era talmente spaventato che in un batter d’occhio lei si ritrovò sotto le coperte per farle recuperare dalle fatiche di quella giornata.
Aveva afferrato, quindi, i vestiti che aveva gettato al suolo e li aveva posti vicino al camino per fare in modo che si asciugassero.
Stesi per bene, era tornato alla porta e ne aveva controllato la solidità, facendogli sorgere un sorriso accennato.
Seppur fossero al sicuro, non poteva comunque mettersi a dormire.
Era da folli pensarlo, ma in quella nottata doveva sincerarsi che le condizioni di Dawn non peggiorassero.
Se si fosse anche solo appisolato e lei fosse peggiorata, non se lo sarebbe mai perdonato.
Si accontentava di rimanere disteso sul letto a riposare gli arti indolenziti o la schiena malridotta, tenendo sempre un occhio aperto per sicurezza.
Prima di ammalarsi e di complicare il programma dell’indomani, Scott si spogliò del tutto e alimentò il fuoco con della legna.
Il maglioncino nero che si era tolto sembrava fosse stato immerso in una vasca, tanto era pesante. La stessa maglietta verde a maniche lunghe che portava sotto era umida da far schifo e pertanto dovette farne a meno.
Gli scarponi non erano nemmeno da considerare, tanto era affondato in quelle distese innevate, e i pantaloni, oltre ad essere destinati all’asciugatura, erano lacerati poco sotto il ginocchio destro a causa dell’urto con un albero.
Rimasto praticamente nudo ad esclusione dei boxer che coprivano la sua intimità, stese i suoi abiti, allineati a quelli di Dawn, e si mise a fissare le fiamme, sentendosi impotente.
Avvertiva i morsi della fame, era stanco morto e dinanzi alla furia della natura si sentiva insignificante.
Sperava almeno che Dawn non gli facesse pesare la cosa, o forse l’avrebbe fatto solo per la questione dello spogliarello cui era stata obbligata.
Scott, nel riflettere su quanto avrebbe voluto essere tranquillo nella sua baracca, anche con quella rottura di sua sorella, sospirò deluso.
Anche da sotto le coperte era evidente che Dawn soffrisse terribilmente.
Perfino le coperte tremavano per quel movimento disperato alla ricerca della posizione migliore per ottenere calore. Scott, nel vederla così sofferente, si sentì struggere dal dolore e iniziò a cercare disperatamente qualcosa.
Qualsiasi cosa che fosse di stoffa e che fosse asciutta poteva aiutarla a farla stare meglio.
Una coperta magari dimenticata da un cacciatore nello sgabuzzino dei viveri, una tovaglia come quella a quadrettoni rossi che sua madre usava di solito per il pranzo domenicale, anche un paio di tende potevano andare bene.
Per 10 minuti aveva cercato, rovesciando scatole e arrampicandosi su cartoni, qualcosa che potesse alleviare il fastidio di Dawn.
Inutile: quella struttura fatiscente, ingobbita dagli anni e dal peso della neve sul tetto, non aveva niente da offrire per gli sventurati che si perdevano tra i sentieri.
Sconfitto da quel pessimo risultato, ritornò in sala e gettò altra legna nel fuoco.
Iniziò a brontolare e imprecare sul senso di tenere una casetta sperduta in mezzo al bosco se poi si rivelava inutile per la contemporanea mancanza di viveri, kit medici e generi di prima necessità come coperte e altro.
E Dawn continuava a tremare.
Quelle che coprivano il suo fragile corpo sembravano le vesti della regina del gelo.
Soffriva, piangeva e pregava: Dawn non si dava pace.
Il gelo la stava uccidendo sempre di più e la stava allontanando sempre più.
Scott non riusciva a sopportarlo e si convinse che quella era l’unica soluzione possibile per farla star bene.
Tanto, almeno in teoria, l’aveva spogliata e l’aveva intravista quasi nuda e quello era solo il passo successivo. Era un discorso valido per una relazione solida e con ampie possibilità di stare insieme un giorno, ma a lui bastava.
L’autosuggestione vinse sul buon senso e lo spinse ad avvicinarsi al letto.
Lei tremava ancora.
Per quanto bruciasse e quanto sentisse l’adrenalina scorrergli in corpo, era ancora restio.
“Perdonami.” Borbottò in un attimo di ripensamento.
Prima di ripensarci e di vederla ancora soffrire, Scott s’inserì sotto le coperte e si attaccò a lei.
Con la poca luce presente, proveniente dal fuoco del camino, poteva vederne il volto piegato dalla fatica e dalla stanchezza.
Il gelo di Dawn cozzò contro il calore emanato dal corpo di Scott e per un attimo prese il sopravvento.
Prima d’essere sconfitto, però, la fece girare su un fianco e l’avvolse totalmente.
Dawn, avvertendo quella nuova fonte di calore, aprì gli occhi.
All’inizio fece fatica, li sgranò confusa, cercando di stropicciarli con una mano, poi sussultò: non aveva mai sentito che esistessero angeli così dolci e corporei, né che avessero i capelli rossi e un viso così famigliare.
Le sue braccia risposero ai suoi ordini e ricambiò la stretta ferrea dell’amico, sorridendo debolmente.
“Scott…”
“Ti chiedo scusa…non avercela con me.”
“Io…”
“Pensa a riposare, ne riparleremo domani.” Sussurrò il giovane.
 
Sapere di averla salvata, lo faceva star bene, anche se in quella lunga notte poté solo vegliare su di lei.
Ne avevano passate tante insieme, risolvendo problemi su problemi.
Erano diventati amici, cosa impossibile a detta di Scott che l’aveva sempre considerata una piattola fastidiosa.
Quanto si sbagliava: lei era solo una fragile creatura, da cui un giorno si sarebbe dovuto allontanare per forza.
Scott era convinto che lei non avesse guadagnato nulla da quell’amicizia e che ci avesse solo rimesso.
Se lui non fosse stato presente, quella brutta avventura non si sarebbe mai presentata.
Si sentiva colpevole di un qualcosa che non aveva commesso e questo solo perché per lui rappresentava qualcosa di unico.
Era stata la prima ragazza capace di scalfire la sua corazza e lui non solo l’aveva ferita, ma l’aveva anche abbandonata.
Come se non fosse già accaduto.
Anni prima aveva compreso quanto le volesse bene, ma poi si era allontanato in silenzio.
L’aveva dimenticata proprio quando aveva capito d’amarla.
Dentro di sé sentiva che non sarebbero bastate le scuse più accorate per ottenere il suo perdono.
Il ragazzo poteva solo coprirla e sperare che tutto tornasse come un tempo.
Una volta al sicuro avrebbero continuato come se nulla fosse successo: l’avrebbe aiutata con il club, avrebbe ascoltato i suoi sogni, progetti e preoccupazioni e le sarebbe stato vicino il più possibile, senza mai compiere il passo successivo.
Lui sarebbe rimasto solo ad osservare.
Un giorno poi avrebbe udito qualche promessa che non lo riguardava appieno.
Si sarebbe ritrovato con l’annuire per evitare problemi e non si sarebbe sbilanciato. Poi sarebbe svanito e avrebbe perso ciò che stava faticosamente creando.
Ne avrebbe sofferto, ma poi anche quella ferita si sarebbe rimarginata.
“Dormi.”
“Scott...” Borbottò lei, rincorrendo il sogno che stava svanendo.
“Andrà tutto bene.” La rincuorò, allentando leggermente il contatto.
Nonostante fosse sfinito, l’ascoltò per tutta la notte e solo verso mattina, si staccò dal suo corpo ormai ristabilito e tornò vicino al camino.
Fissò brevemente il paesaggio dalla finestra appannata e vide che finalmente aveva smesso di nevicare.
Entrambi, però, avevano due idee divergenti su quell’avventura.
Per Scott quello era solo l’inizio della fine e ciò li avrebbe portati solo ad una faticosa e giusta divisione.
Per Dawn, invece, sanciva la rinascita di un legame perduto nel tempo.





Angolo autore:

Capitolo extra long questa sera, ma non sarà sempre così.
Sono successe tante cose.
Dawn è caduta nel bosco, Scott è partita per salvarla, hanno incontrato la regina del gelo (che fino a qualche settimana fa non doveva nemmeno apparire), si sono nascosti in una capanna e hanno dormito insieme.

Ryuk: Tanta roba sto capitolo.

E con le recensioni delle scorse volte ho superato il mio vecchio record.
Un ringraziamento sentito a Dawn-Scott, Tirene, Face of fear, Charly e Anown per aver reso possibile tutto ciò.

Ryuk: Oggi siamo di buonumore.

Spero che questo momento Dawn-Scott vi sia piaciuto, ma vi avverto: la storia non è ancora finita.
Ci sono ancora molte cose da risolvere, ma questo lo noterete nel prossimo capitolo.

Ryuk: Ora possiamo anche andare.

Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Cap 13 ***


La mattina non aveva cancellato gli strascichi della giornata precedente e ciò era evidente nell’osservare gli occhi di Scott.
Era evidente che fosse a pezzi e che avesse bisogno di riposo.
Già prima di partire per il salvataggio di Dawn non era in forma e tra l’ennesima nottata in bianco e il non aver mangiato si chiedeva dove avrebbe trovato le energie per partire.
Si sentiva meglio solo quando pensava a Dawn e alle sue condizioni.
Anche se non era ancora sveglia, poteva immaginare che fosse quantomeno riposata e quindi non avrebbe patito lo strapazzo del viaggio.
Per forza di cose dovevano ritornare all’albergo in giornata.
Aveva provato a contattare i professori, ma il cellulare non prendeva il segnale e sperava che i soccorsi fossero già in viaggio e che gli evitassero un bel po’ di fatica.
“Scott…”
Fu nel sentire la sua voce che si voltò a fissarla.
Dal cumulo di coperte sbucava soltanto la sua testolina e quella semplice visione era stata capace di farlo ghignare dopo 24 ore infernali.
“Ti senti bene?” Domandò, avvicinandosi a lei.
“Cosa mi è successo?”
“Non ricordi nulla di ieri?”
“Poco.” Sussurrò, mentre Scott si sedeva ai piedi del letto.
“Quando ti ho trovato, credevo fossi morta, ma per fortuna non lo eri.”
“Io…”
“Non sforzarti. Riposa ancora qualche minuto.”
“Vorrei chiederti una cosa.” Bisbigliò la giovane, abbassando la testa e notando di essere in biancheria intima.
La domanda che doveva porgli non riguardava quella situazione imbarazzante, ma era collegata a qualcos’altro.
Tuttavia si ritrovò ad arrossire, quasi temesse che lui potesse prenderla in giro per il fisico gracile e ben poco prosperoso di cui era dotata.
“Dimmi…ti ascolto.”
“Perché mi hai salvato?”
“Perché qualcuno potrebbe soffrire se non dovessi tornare a casa.” Rispose, facendola annuire.
“Non eri costretto.”
“Ci conosciamo da tanto e secondo te non dovevo salvarti? Scusami se mi sembrava la scelta più saggia.” Ribatté con fastidio.
Non era sua intenzione offenderla o che altro, ma quella gli sembrava veramente la scelta più logica che potesse fare.
Scott non sarebbe mai stato in grado di vivere la propria esistenza, sapendo d’avere una povera vittima sulla coscienza.
“Io…”
“Non pensare che l’abbia fatto solo per te. L’ho fatto anche per i tuoi amici e poi senza la tua presenza, il club diventerebbe di una noia mortale.” Sorrise, contagiando anche la compagna che continuava a coprirsi.
Le sembrava strano che lui non capisse d’aver bisogno dei suoi vestiti.
Lui era quasi completamente coperto, fatta eccezione del giubbotto pesante, mentre lei era ancora rintanata sotto le coperte.
“Vorrei uscire da qui.” Borbottò lei con sguardo piuttosto eloquente.
“Ah sì, scusa.” Riprese, avviandosi verso il camino e controllando che anche i suoi vestiti fossero asciutti.
Verificato che fossero in condizioni discrete, li prese in mano e li porse alla compagna che tuttavia si rifiutava ancora di uscire.
Mancava solo una cosa perché lei si sentisse sicura: la privacy. Fino a quando Scott, nonostante le buone intenzioni, fosse rimasto ad osservarla con sguardo spiritato, lei non si sarebbe mossa di un millimetro.
“Ti spiace?” Chiese, stanca d’avere i suoi occhi addosso.
“Non mi sembra d’averti disturbato la scorsa notte mentre ti scaldavo.” La punzecchiò, facendola arrossire.
“Tu…cosa?”
“Non fare quella faccia: non ti si addice.”
“Sai cosa potrei farti per quello che hai combinato?” Domandò, alzando la voce, senza intimorirlo in alcun modo.
“Sono stato costretto.”
“Io non ricordo nulla.” Sospirò la giovane.
“Stavi tremando di freddo, i vestiti erano fradici e sono stato obbligato a spogliarti se non volevi una polmonite. Volevo solo aiutarti e l’unica possibilità era nel dormire abbracciati.”
“Io…”
“Se avessi saputo d’offenderti, non l’avrei mai fatto.” Sbuffò Scott, tornando vicino al camino e aspettando che la ragazza terminasse di prepararsi.
 
La stanchezza unita ad altro aveva fatto arrabbiare il ragazzo.
Scott aveva capito che, per quanto s’impegnasse, l’incompatibilità dei loro caratteri era più che lampante.
E questo era solo uno dei motivi per cui Scott dubitava di contare qualcosa per lei.
L’aveva salvata, prendendosi cura di lei ed era stato trattato come l’ultimo degli idioti.
Aveva provato ad essere carino e non l’aveva capito.
Qualsiasi cosa facesse, era tutto sbagliato.
Nemmeno lei aveva mai elogiato i suoi meriti e si era convinto che mai l’avrebbe fatto.
Quando era freddo e menefreghista non andava bene.
Ora che era accettabile risultava comunque indigesto.
Nel fissare le fiamme si era chiesto cosa volesse di più.
Lui aveva provato a cambiare e non se ne era accorta.
Scott si era convinto che forse era il caso di tornare a com’era prima: tanto non avrebbe notato la benché minima differenza.
Mai un segnale d’incoraggiamento, mai una parola dolce per spronarlo a continuare in quella direzione: tutto era stato lasciato al caso.
Era giunto a credere che aveva fatto male a rifiutare la proposta di Chris.
Avrebbe dovuto lasciarla da sola in balia degli eventi.
Invece era rimasto al suo posto.
Un po’ perché si divertiva a stare con lei e un po’ perché sperava di diventare qualcosa di speciale.
Non di certo come l’ultimo degli idioti che si gettava nella tempesta per salvarla.
I suoi compagni si sarebbero detti spaventati e avrebbero ottenuto il suo perdono, ma lui che si era buttato, che non aveva chiuso occhio, che non aveva mangiato e che aveva vegliato su di lei, sarebbe passato come il classico coglione.
Nonostante fosse preso a sminuire i suoi meriti, si alzò con sicurezza non appena percepì il suo avvicinarsi.
Senza dire nulla raccolse il giubbotto, spense il fuoco e uscì dalla capanna, sperando che Dawn non gli complicasse la vita.
Se non era stupida, avrebbe capito che doveva essere seguito e che la distanza che li separava doveva rimanere intatta.
Non aveva troppo tempo da perdere con una ragazza così superficiale, anzi ne aveva già speso fin troppo per i suoi gusti.
“Potresti aspettarmi?” Chiese lei, avendo qualche difficoltà a stargli dietro.
“Credevo avessi fretta.”
“Vorrei solo tornare all’albergo e restare in pace.” Ammise, risistemandosi lo scialle che aveva trovato vicino al camino.
“Perché a me piace stare qui con te e congelarmi. Sto ottenendo il massimo dalla vita.” Ribatté sarcastico.
“Non volevo dire questo.”
“Ti consiglio di smetterla di seccarmi. Qualsiasi cosa ci diciamo, m’infastidisce.”
“Non ho ancora capito cosa non ti dia fastidio.”
“Perché non sono rimasto a casa?”
“Non sono stata io a costringerti a venire.” Borbottò la ragazza, facendolo fermare di colpo.
“Ne sei sicura?”
“Sei venuto solo per me?” Domandò lei con un sorriso appena accennato.
Un sorriso che sembrava quasi una presa in giro e che aveva fatto aumentare la rabbia di Scott.
Perché pazienza il non essere nemmeno considerato, ma l’essere così declassato gli sembrava un affronto bello e buono.
“Sono venuto solo per perdermi tra queste montagne, ma qualcuno non riesce nemmeno a sciare senza uccidersi.”
“Io…”
“Andiamo prima che sia tardi. Non voglio perdermi il pranzo.” Sbottò, dandole le spalle e riprendendo a camminare.
“Non potrai scappare per sempre.” Bisbigliò, senza che l’amico riuscisse a sentire quelle poche parole.
Qualsiasi cosa avesse da dire non sarebbe stato poi così importante.
Per qualunque faccenda privata ne avrebbero riparlato con più comodo, non appena entrambi fossero stati in buona forma e, cosa più importante, da soli.
 
Le tante ore passate sotto il cumulo di neve non erano state assorbite completamente dal fisico gracile di Dawn.
Si sentiva esausta nonostante le ore di riposo che si era concessa.
La testa era chiusa in una tenaglia e ogni passo le era difficile.
Vacillava sempre di più e la figura di Scott si allontanava passo dopo passo.
Non voleva essergli d’intralcio, non dopo quello che si era lasciata sfuggire e per questo ringraziava che avesse smesso di nevicare e che le fosse più facile tenerlo d’occhio.
“Scott…” Sospirò diverse volte, sperando che lui riuscisse a sentirla.
Invece imperterrito continuava a camminare per quel bosco con una tale sicurezza da far invidia a quelli che conoscevano quei luoghi da anni.
Dopo quasi 10 minuti che continuava a seguirlo, alla fine si ritrovò a crollare al suolo.
Un lieve tonfo sulla candida neve e il rosso si voltò a fissare cosa aveva provocato quel rumore.
Fu nel vederla a terra che si avvicinò nuovamente e si chiese come potesse così debole dal non riuscire nemmeno a proseguire.
“Sei proprio un’imbranata.”
“Scott…”
“Non mi riesce a stare arrabbiato con te.” Sbuffò il ragazzo, accarezzandole il volto e notandola più rossa del solito.
“Io…”
“Hai la febbre e anche molto alta.” Borbottò, caricandosela sulle spalle, mentre lei piagnucolava qualcosa.
“Scott…”
“Quando non ce la fai, non devi continuare per compiacermi. Dovresti darmi ascolto, zuccona.”
“Scusami.”
“Pensa a riposare, lascia a me il resto.” La rassicurò, mentre riprendeva già a muoversi.
Quando l’aveva raccolta e se l’era portata sulle spalle l’aveva trovata ancora più angelica, anche se aveva già deciso di continuare come se quell’intoppo non si fosse mai verificato.
Anche perché una scusa dettata in quel modo perdeva ogni significato e quelle parole potevano contare ben poco.
Così come aveva fatto qualche ora prima, avrebbe affrontato con le sue sole forze quella nuova avventura.
Secondo i suoi calcoli la capanna in cui avevano trovato riparo era ancora parecchio distante dall’albergo.
Con il breve tratto però che Dawn era riuscita a fare, gli restava meno strada, anche se questa era resa difficile dal peso extra che doveva sopportare.
Ogni tanto, per pochi minuti, si fermava e controllava le sue condizioni di salute.
In quelle brevi pause aveva sempre riscontrato una temperatura abnorme che aveva bisogno d’essere abbassata il prima possibile, magari sfruttando l’infermeria interna all’albergo in cui alloggiavano.
Il suo compito per quella giornata era proteggerla, raggiungere l’albergo in tutta sicurezza e buttarsi finalmente a dormire.
Si sarebbe accontentato anche dell’aiuto dei soccorsi, ma fino a quel momento non avevano incrociato ancora nessuno.
L’unica cosa che gli faceva compagnia erano i suoi vaneggi.
Sparlava del periodo delle medie.
Poi si era spostata verso la famiglia e di quanto fosse felice che suo padre fosse tornato.
Poi piccole storielle divertenti che riguardavano le superiori e l’ultimo periodo.
Normalmente sarebbe stato seccante dover ascoltare quei lunghi discorsi, ma il sentirla parlare, lo rassicurava.
Con quel poco di benzina che aveva in corpo, uscì dal bosco e con sommo piacere poté scorgere, a quasi 15 minuti di distanza, la struttura dell’albergo.
Stringendo i denti e con gli occhi ridotti quasi ad una fessura , si fece forza e riprese a camminare.
Non sapeva nemmeno cosa fare dopo aver affidato Dawn alle cure dei medici.
Lui essenzialmente voleva dormire, ma aveva bisogno anche di mangiare e di un bagno caldo con cui sistemare i muscoli indolenziti.
Avrebbe improvvisato.
Con fatica aprì la porta d’ingresso dell’albergo e subito si ritrovò attorniato da un gruppo di persone che lo fissavano a bocca aperta.
“Scott…dove sei stato?”
“Duncan dovresti lasciarlo in pace.” Borbottò Chris, sorpreso nel vedere l’allievo in quelle condizioni pietose.
“Dawn?” Chiese Bridgette, notando l’amica.
“Dove l’hai trovata?”
Scott, nonostante sentisse tutte quelle domande, non aveva nemmeno voce per rispondere.
Troppo stanco per farlo e con il fisico che gli ordinava di crollare, lui ebbe solo la forza di affidare Dawn alle cure dei medici e di salire in stanza per riposare.
Tempo di buttarsi a peso morto sul letto ed era definitivamente volato nel mondo dei sogni, ben sapendo che lei era finalmente al sicuro.
Lei avrebbe ricevuto molte visite, nonostante fosse ancora addormentata.
Tutti erano andati a trovarla, mentre di Scott si sapeva soltanto che russava e che stava discretamente bene.
 
Solo verso le 15 lei iniziò a dare i primi segnali di risveglio.
Dawn con le medicine in corpo e ancora febbricitante si era resa conto d’essere salva e di dovere tutto ciò ad un caro amico.
“Dove mi trovo?” Chiese dopo essere riuscita a mettere a fuoco Bridgette.
Vicino a lei si trovava anche Zoey che tuttavia era impegnata a leggere una rivista per accorgersi del risveglio dell’amica.
“Sei al sicuro adesso.”
“Bridgette.”
“Siamo stati in ansia per te.”
“Lo so, Zoey.”
“Deve essere stato difficile stare con quel cafone di Scott.” Borbottò nuovamente la rossa, facendo negare l’amica.
“Lui mi ha salvato la vita.”
“Lo sappiamo e di questo gliene siamo riconoscenti.” Intervenne Bridgette, lanciando un’occhiataccia a Zoey.
“No…voi non lo sapete. Lo abbiamo sempre giudicato male e lui non solo mi ha salvato, ma ha anche vegliato su di me.”
“Sicura di non dargli qualche merito di troppo? Lui è lo stesso che non ci ha mai rivolto la parola in questi anni.”
“Lui ha fatto fin troppo per me, Zoey. Sarebbe il caso che anche voi iniziaste a considerarlo sotto un diverso punto di vista.” Sbottò Dawn.
“Se lo dici tu.”
“Perché tutto questo astio nei suoi confronti? Non ha ucciso nessuno.” Intervenne Bridgette, prendendo le difese di Scott.
“Forse se vi dicessi cosa ha detto al mio Mike, cambiereste idea.”
“Avanti allora.” La esortò Dawn.
“Mike mi ha tradito con una che adesso è in Canada.”
“E allora?”
“Allora? Dawn, ma mi hai ascoltato?”
“Mike ti ha fatto le corna, ma non capisco cosa centri Scott.” Sbuffò la giovane, mentre Bridgette preferiva restare in silenzio e riascoltare quella storia per l’ennesima volta senza esprimersi di nuovo.
Già durante la notte precedente era stata costretta ad ascoltarla per quasi 5 volte e anche in quel caso, la cornuta, aveva scaricato la colpa sul rosso.
Come se il consiglio di Scott fosse stato quello di mantenere il silenzio fino alla morte e di negare anche davanti alla verità.
“Gli ha consigliato che forse era meglio non dirmi nulla.”
“Zoey.” La rimproverò Bridgette che sapeva cosa stava nascondendo la rossa.
Quelle non erano le esatte parole che aveva udito da Geoff.
Dal fidanzato aveva sentito invece che Mike sarebbe sempre stato grato al misantropo compagno e che avrebbe fatto di tutto per sdebitarsi.
Zoey stava mentendo solo perché le faceva più comodo comportarsi così.
Voleva che Scott restasse da solo ancora un po’, giusto per ripagarlo della stessa medicina che lui aveva usato con loro, e quale modo migliore se non quello di staccarlo dall’unica che aveva a cuore il suo futuro?
“Mi sembra impossibile.”
“Infatti lo è, Dawn.” Continuò Bridgette, fissando l’amica.
“Allora perché lo sta screditando?”
“Scott ha consigliato a Mike di dire la verità e quella che gli ha esposto era solo una possibilità da non considerare troppo.”
“Perché Zoey?” Domandò Dawn, fissando sconcertata l’amica.
Non poteva credere che lei si concedesse quegli orribili giochetti.
Non voleva pensare che lo stesse facendo solo per isolare una persona che non se lo meritava affatto.
“Lui non doveva dire quelle cose.”
“Perché sei così egoista?”
“Egoista?”
“Scott sta facendo di tutto per farsi apprezzare da noi, ma se gli mettiamo i bastoni tra le ruote i suoi dubbi aumenterebbero e basta.”
“Non ti sei resa conto che sta solo giocando con te?” Chiese la rossa, facendo negare sia Dawn che Bridgette.
“È solo merito di Scott se Mike ti ha raccontato la verità!” Sbottò, zittendo ogni possibile replica.
“Io…”
“Non gli dirò nulla, Zoey, ma ti pregherei di ripensare a ciò che ha fatto per te e Mike. Se non lo vuoi fare per lui, fallo almeno per l’amicizia che ci lega.” Propose Dawn, allungando una mano verso l’amica, la quale la strinse appena.
“Ci proverò.”
“A proposito, dove si trova?” Chiese Dawn, rivolgendosi più a Bridgette che a Zoey.
“Il prof McLean ha detto che sta riposando.”
“Se l’è meritato.”
“Anche tu però avresti bisogno di rilassarti un po’.” S’inserì la rossa, convincendo Dawn a seguire quel consiglio.
Prima che riuscisse a ribattere, le 2 erano già uscite e l’avevano lasciata a riprendersi dopo la brutta avventura che aveva passato.
 



Angolo autore:

Ryuk: rocchi non sta tanto bene...è già sotto le coperte.

It: Influenza pesante.

Ryuk: Non prendetevela con noi se ci sono errori.

Freddy: La colpa è di rocchi.

Ryuk: Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Cap 14 ***


Dawn, rimasta sola, si ritrovò a pensare.
Stava discretamente bene e di questo doveva darne merito al suo salvatore.
Non appena l’avesse rivisto, gli avrebbe presentato il suo grazie.
Ad essere sinceri, appena uscita di pista, aveva temuto il peggio.
Mentre strisciava per raggiungere l’albergo, credeva impossibile che qualcuno riuscisse a trovarla, ad aiutarla e a riportarla alla vita.
Invece aveva trovato un amico che non si era mai arreso.
Aveva lottato contro la tempesta, la fatica e la stanchezza pur di farcela.
E solo quando si era ritrovata tra le calde coperte della sua stanza, aveva compreso di averlo sempre trattato male.
L’aveva subito difeso dagli assalti velenosi di Zoey, ma qualche ora prima si era mostrata ancora più superficiale e distaccata dell’amica.
“Perché mi sento così male?”
Non stava provando un dolore dettato da qualche ferita patita il pomeriggio prima e che i medici avevano dimenticato di disinfettare.
Il suo era un qualcosa di molto più profondo. Era come se qualcuno le avesse chiuso il cuore in una morsa, impedendole di trovare qualcosa che potesse darle sollievo.
Sperava che sdebitandosi con Scott quella sensazione svanisse.
Doveva essere convincente e ringraziarlo per tutto quanto: dopotutto era stato l’unico a provarci e che avrebbe sempre avuto il mix di coraggio e pazzia utile per buttarsi in una situazione più grande delle sue capacità.
Sperava di rivederlo subito, anche se le pareva impossibile che lui bussasse alla sua porta con il solo rischio di ritrovarsi i suoi stessi compagni addosso.
Possibilmente ne avrebbero riparlato con calma durante le attività del club, sperando che Scott accettasse di tornare.
Con quello che aveva passato e per come era stato trattato, Scott non avrebbe più fatto la prima mossa.
Lui ne aveva fatte diverse, tutte verso un unico obiettivo e lei non le aveva mai riconosciute.
Era stata troppo presa a considerarlo un paziente insopportabile, per accorgersi che stava descrivendo i sintomi di cui era vittima.
Proprio alla faccia dell’abilità che lei credeva di possedere e che l’aveva convinta di essere capace di leggere nel cuore delle persone.
“Aveva provato ad avvicinarsi e noi non lo abbiamo compreso.”
Era un qualcosa di talmente assurdo che, conoscendo la persona, sfociava nell’impossibile.
Eppure lui aveva provato a forzare quella concezione e aveva capito che nessuno mai gli avrebbe allungato una mano. Tutti avrebbero sempre tentato di ricacciarlo indietro, un po’ come aveva fatto Zoey per difendere il fidanzato.
Se provava a cambiare non andava bene.
Se restava fermo nella sua posizione passava per un disgraziato misantropo che non avrebbe mai ottenuto nulla dalla vita.
Qualsiasi tentativo facesse, restava nel limbo.
Scott, dopo tanta fatica sprecata nel muoversi, per poi rimanere immobile, aveva compreso il lato negativo dei cambiamenti.
Se provengono dal cuore sono inutili.
Se provengono dalla ragione sono spregevoli.
Se provengono da una necessità assoluta sono deleteri.
Se non interessano a nessuno sono perfetti.
Era solo questo il motivo di tanto menefreghismo.
Aveva provato a cambiare, in meglio, ed era stato bacchettato, quindi, non vedeva motivo di forzarsi tanto.
Avrebbe tentato solo con le persone che gli davano una garanzia di successo.
E con Dawn aveva riscontrato quella garanzia, salvo poi pentirsene.
Era logico aspettarsi che lui ci andasse con i piedi di piombo: non voleva cadere nuovamente in un inganno.
 
Furono necessarie altre 4 ore prima che Scott riuscisse a rimettersi in piedi.
Con quello che aveva vissuto, avrebbe tanto voluto restare tra le coperte per un mese intero.
Purtroppo c’erano alcune cose che andavano ben oltre la sua forza di volontà.
Si trattava di bisogni impellenti, anche se uno di essi poteva essere facilmente evitabile con delle domande accurate.
Non l’aveva fatto di proposito, eppure il primo pensiero che entrò nella sua mente, era stato capace d’innervosirlo: Dawn.
Non voleva più stare con lei per farla soffrire.
Più lo prometteva, più si sentiva in colpa.
Iniziava a credere che la brutta avventura che avevano vissuto non fosse dovuta ad una sua distrazione.
Lui stesso sentiva d’aver contribuito a quell’incidente, anche se non sapeva come.
Una volta in piedi si avviò verso il bagno con il chiaro intento di darsi una rinfrescata.
In tempi record era uscito dalla sua stanza e si era avviato verso l’infermeria dove sperava di ricevere qualche buona notizia.
Perso nei suoi pensieri incrociò alcuni compagni di classe e Chris.
Quest’ultimo non lo aveva fermato solo per parlare, ma lo aveva abbattuto con una micidiale pacca sulla spalla destra.
“Credevo non t’importasse nulla delle persone.” Esordì con un sorriso da saputello.
“Lei sa che non è così.”
“Non immaginavo fossi così furbo dal sgattaiolare fuori per salvarla.” Sorrise il professore.
“Un furbo non ci rimette la vita.”
“Questo è vero, ma almeno sta bene.”
“Cosa vuole dirmi?” Domandò il ragazzo, studiando il volto rilassato dell’uomo.
“Nulla d’importante.”
“Tanto scoprirò cosa nasconde: è solo questione di tempo.”
“Ne abbiamo già discusso durante la festa, ma voglio richiedertelo per sicurezza. Lo fai solo per i sensi di colpa o ci tieni veramente a lei?”
“Ed io le rispondo come l’altra volta: non lo so.” Sbuffò, grattandosi la testa e cercando una risposta soddisfacente.
“I sensi di colpa sono terribili, ma non sono un buon motivo per negare.”
“Io non sto negando.”
“Anche se non ero presente, posso immaginare la fatica che hai fatto per restituire a noi e alla sua famiglia una speranza.”
“Non avrete chiamato i suoi genitori, spero.” Borbottò Scott, quasi temesse la comparsa anche di Alberta.
Se avessero saputo che si erano cacciati nei guai, sarebbe stata la fine.
Lo avrebbero incolpato di non averla tenuta d’occhio e lo avrebbero colpito ben più duramente di quanto lui non stesse facendo già.
Sarebbe venuta fuori la nottataccia che avevano passato e il padre di Dawn lo avrebbe fustigato fino alla morte.
“Ho preferito aspettare qualche ora.”
“Quasi sapesse che ero con lei.”
“Stai insinuando che ti ho lasciato andare senza conoscere i pericoli?”
“È lei che lo sta dicendo.” Sbuffò il ragazzo.
“Fermandoti, ti saresti rassegnato?”
“Non lo so.”
“Non conosci nemmeno cosa vuole il tuo cuore?” Domandò il professore, facendo negare con decisione il suo allievo.
“Ho sempre preferito seguire la ragione al cuore.”
“Come quando sei partito per salvarla?”
“Esatto.”
“Scott…non devi mentire solo per compiacermi.” Ridacchiò l’uomo.
“Perché dovrei?”
“Perché la bugia è la strada più semplice, ma non la migliore. Se avessi seguito veramente la ragione, così come fai abitualmente, avresti evitato di impicciarti in una situazione come questa.
Avresti studiato ciò che ti circondava e avresti diretto i soccorsi verso un luogo preciso, ma non l’hai fatto: tu hai rinnegato la ragione per seguire il cuore.” Rispose il professore con una spiegazione elementare.
“E questo mi renderebbe un pericolo per Dawn?” Chiese il ragazzo, facendo ridere di gusto il suo insegnante che non sentiva una simile sciocchezza da diverso tempo.
“Non pensare che voglia dividervi: se l’avessi desiderato, non saresti nemmeno entrato nel club.”
“Credevo l’avesse fatto per farmi crescere.”
“Non pensi in grande. Voi avete delle personalità contorte che potrebbero aiutarsi per un bene comune.”
“Come?” Domandò il rosso.
“Le persone che hanno bussato alla vostra porta, ne sono uscite con maggiore sicurezza e anche voi state guarendo dalla vostra malattia.”
“Lei è troppo sicuro di sé e spesso questa è la rovina delle persone.” Borbottò Scott, girandosi e avviandosi verso l’infermeria.
Nonostante Chris fosse sempre stato sicuro di cosa aveva realizzato, quelle parole avevano insinuato in lui un piccolo dubbio.
Sapeva d’aver fatto la cosa più giusta, ma si sentiva infastidito per quelle parole tanto improvvise quanto sagge.
Fissandolo mentre percorreva il corridoio, si rasserenò. Lui, seppur barcollante, si stava sforzando solo per rivedere Dawn e ciò aveva riconsegnato all’uomo una piccola dose di sicurezza.
Nel voltarsi verso la finestra, scrutò il bosco e sorrise divertito: nulla sarebbe più stato come quando erano partiti.
 
Scott, dopo essersi liberato di Chris, era convinto che nessuno lo avrebbe più disturbato.
A causa del professore che aveva sballato il suo bel programma, lui aveva sprecato parte del suo prezioso tempo.
Il suo piano era quello di fare una capatina nell’infermeria per monitorare le sue condizioni e per apprendere il suo stato di salute.
Tuttavia qualcosa gl’impediva d’aprire quella porta.
Non voleva disturbarla, ma non voleva nemmeno passare per un insensibile che non si cura degli altri.
Purtroppo quando l’aveva salvata, non si era soffermato ad ascoltare i dottori con le loro diagnosi e si era avviato verso la sua stanza, ignorando le medicazioni e le informazioni sulla sua condizione.
Spaesato e preoccupato di ricevere una brutta notizia, si guardò intorno diverse volte con sospetto e sospirò.
Sarebbe passato l’indomani, quando a suo avviso la sua situazione si fosse stabilizzata.
Avrebbe bussato, sarebbe entrato, le avrebbe rivolto il suo solito ghigno strafottente e le avrebbe fatto compagnia, evitando ogni possibile contatto con gli sci e sviando da quanto era successo nella capanna.
Già una volta la montagna e la sua leggenda gli avevano allungato la mano, donandogli una seconda possibilità e lui non aveva intenzione di abusare della poca fortuna avuta.
Lui con tutte le attività legate all’inverno aveva chiuso.
Non voleva più rimetterci l’osso del collo e se Dawn era così folle da voler riaffrontare il destino, quello non era un affare che lo riguardava.
Conscio di ciò, superò la porta di alcuni metri, prima che una mano gelida si piantasse sulla sua spalla.
Sembrava la mano di un morto o magari di quella regina del gelo che aveva incrociato nel bosco per pochi minuti e che aveva cambiato opinione sul suo conto.
Sentì il corpo congelarsi e un brivido insinuarsi per tutta la schiena che lo mandò in tilt, prima di riconquistare la sua proverbiale lucidità.
Scott si voltò, quindi, con lentezza quasi meccanica e sgranò gli occhi dalla sorpresa.
Quella sembrava la settimana delle prime volte.
E anche in quel momento si convinse che era la prima volta che lei si azzardava a toccarlo e a rivolgergli la parola.
I 2, prima di quel pomeriggio, si erano sempre evitati.
Scott per il timore reverenziale dettato dalla popolarità che sembrava traboccare e lei per non sfiorare quella, che a detta della scuola, era solo semplice feccia.
Se a settembre il rosso e Dawn erano come il giorno e la notte, quei 2 che si trovavano nel corridoio dell’albergo erano ancora più distanti.
Infatti ogniqualvolta s’incrociavano, i loro sguardi facevano scintille e promettevano guerra.
Scott, tuttavia, non avrebbe mai alzato un dito su Zoey, giusto per non compromettere l’amicizia che la legava a Dawn e per non mettersi in una brutta posizione al suo rientro a scuola.
“Sembra che tu abbia visto uno spettro.” Esordì, mentre lui si scostava seccato.
“Possibile.”
“Credevo non fossi capace di fare qualcosa di buono.” Sospirò lei.
“Non mi sembra che tu abbia fatto qualcosa di speciale.” Ribatté con franchezza, aspettandosi una risposta piccata.
“Sempre sulla difensiva.”
“Io?”
“E chi altri? Quelle poche volte che ti ho ascoltato, sono arrivata alla conclusione che per te sono sempre gli altri i colpevoli.”
“Questo sarebbe il momento in cui ammetto che hai ragione e che esci per strada e la urli come notizia del secolo?” Domandò provocatorio, notando sul suo volto un lato meno aggressivo.
“Non sono qui per questo.”
“Lo immaginavo.”
“Sei passato a salutare Dawn?” Chiese, facendolo sussultare.
“Non ancora.”
“Si può sapere cosa aspetti? Un permesso scritto?”
“Abbiamo passato una brutta giornata e lei merita un po’ di riposo. Non appena starà meglio, le darò un’occhiata.”
“Lei sta già bene e ha chiesto di te.” Borbottò Zoey.
“Non cambia di molto le cose.”
“Le hai dimostrato di avere un cuore e questo l’ha resa felice.”
“Spesso però la felicità è solo apparente. Hai mai pensato che possa essere felice solo perché l’ho salvata da morte certa?”
“Le sue parole erano sincere.”
“Tante persone sono sincere, almeno fino a quando non impari a conoscerle.” Sbuffò Scott.
“Vuoi forse dirmi qualcosa?”
“È inutile che parli di sincerità, quando stai con uno che senza troppi complimenti ti ha fatto le corna.”
“Tu…”
“Non puoi menare la storia della sincerità, della bontà o dell’amore quando stai con un traditore della peggior specie.
Inoltre non puoi garantirmi che tu sia sempre stata fedele a Mike.
Questo sarebbe l’amore che voi tanto apprezzate: siete solo dei burattini nelle mani di persone che voi crediate provino amore.” Replicò, mentre Zoey cercava di accontentare Dawn e di placare la furia che stava provando.
“Mike ha fatto solo uno sbaglio.” Protestò la rossa, difendendo il fidanzato.
“L’ho notato.”
“Tu ne hai mai fatti in vita tua, Scott?” Domandò la ragazza con rabbia.
“Sempre, ma non in amore.”
“E di questo ne vai fiero?”
“Non sono affari tuoi.”
“Lo sono, se fai soffrire Dawn.” Ribatté Zoey, sfidando lo sguardo rilassato del compagno.
“Non capisco perché dovrebbe soffrire per uno come me.”
“Dovresti chiederglielo prima che sia tardi.”
“Voi non potete comprendere ciò che abbiamo passato.” Sospirò il giovane.
“Potremmo se ce lo spiegassi.”
“Dovrei mettermi qui e darvi delle lezioni di buonsenso? Dov’eravate, quando Dawn è andata fuoripista? Dove vi siete ritrovati, quando non tornava indietro? Vi siete preoccupati così tanto che potesse star male, che non vi siete mossi dalla sala. Non siate ipocriti.” Ribatté con acidità il ragazzo.
“Lo so, ma avevamo paura.”
“Ed io non ne avevo?”
“Tu…”
“Non siete gli unici ad avere famiglia, eppure ho tentato.”
“Non parli mai della tua famiglia.”
“Lo so e comunque farò visita a Dawn non appena ne avrò voglia.” Sbuffò, allontanandosi di qualche passo.
Ebbe solo il tempo di superarla che presto se la ritrovò davanti con uno sguardo che non ammetteva repliche.
“Questa sera…te ne prego.”
“Perché dovrei accettare i tuoi trucchi?”
“Perché le vuoi bene e se non vuoi che le menta, ti conviene stare al mio gioco.”
“Come se potessi rimetterci qualcosa.” La sminuì, superandola nuovamente.
“Dovresti conoscere Dawn.” Sussurrò la giovane, allontanandosi e avviandosi verso la sua stanza.
Nel riflettere su queste parole, Scott non si era nemmeno accorto di aver sceso le scale e di essere arrivato in sala.
Con tutto ciò che aveva passato, c’era solo una cosa di cui era sicuro: doveva far visita a Dawn il prima possibile.
Prima che la stessa Zoey si mettesse in moto e realizzasse i suoi propositi.
Nel ripensarci, il ragazzo si ritrovò a sorridere e si sedette vicino al bancone del bar, dove finalmente poteva mangiare qualcosa.
 



Angolo autore:

Ebbene sì miei pavidi lettori...sono ancora qui.

Ryuk: coff...coff...influenzato prima dell'autunno...coff...coff

Stai zitto!
So bene che è una cosa umiliante, ma è successo.
Non è mica colpa mia se sto fisico maledetto si è beccato le peggiori cose in manco 24 ore.

Ryuk: Ora stiamo meglio.

Parla per te.

Ryuk: I nostri lettori saranno felici di leggere i nostri scleri.

Siamo puntuali solo perchè Ryuk mi ha costretto.
Io sarei già addormentato e sotto le coperte, se sto coso non mi avesse stressato.
Per la puntualità...ringraziate lui.
Io vi avrei fatto aspettare fino a martedì prossimo.

Ryuk: Sono il vostro benefattore.

Taglia corto con ste cavolate.
Dimmi cosa vuoi che me ne vado felice.

Ryuk: Qualche mela e un grazie.

Apprezzo ciò che hai fatto e buonanotte.

Ryuk: Ho detto un grazie.

Hai fatto un buon lavoro e di questo te ne sono grato.

Ryuk: UN GRAZIE!

E sia.
Grazie Ryuk...ma non farci l'abitudine.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Cap 15 ***


Durante la cena aveva fatto in modo di consumare più cibo possibile.
Fu quando notò che tutti si stavano avviando verso le rispettive stanze, che scivolò nell’infermeria, dove Dawn stava riposando tranquilla.
Vicino a lei, sul comodino, vi era ancora il piatto della cena, segno che non era passato molto da quando si era messa a sonnecchiare.
Di certo se Scott l’avesse anche solo immaginato, avrebbe aspettato veramente l’indomani, ma, prima Chris e poi Zoey, gli avevano messo fretta.
“Mi dispiace, ma è proprio vero che senza di te non ci so stare.” Borbottò il rosso, sorridendo appena.
Sarebbe rimasto così fino a quando il dottore non fosse entrato e non avesse cominciato a menarla con i rischi che aveva corso.
Non appena avrebbe sentito la porta cigolare, se la sarebbe svignata.
Avrebbe sempre negato che provava qualcosa per Dawn e in fin dei conti, tranne per l’affetto, non c’era nulla che lo legasse a lei.
Potevano anche impegnarsi e diventare amici, ma sarebbe stato un legame a tempo: lui doveva seguire quella lettera e ciò l’avrebbe condotto su dei percorsi impervi che nessuno avrebbe mai compreso.
“Da quanto sei qui?”
Fu nell’udire quella domanda che sobbalzò.
Senza volerlo, imbarazzato da quanto si era lasciato sfuggire, si ritrovò ad arrossire, causando in lei lo stesso effetto.
“Ti sei svegliata.”
“Scott, io…”
“Immagino che sia colpa mia.” Borbottò il rosso, arricciando le labbra a formare un debole sorriso.
“Per cosa?”
“Beh sai…non è che mi sia chiaro cosa ti è successo.”
“Ho perso il controllo degli sci e sono finita fuoripista.” Spiegò, facendo annuire il suo interlocutore.
“Sono cose che non credi mai ti possano capitare, fino a quando non le vivi di persona.”
“Pensavo di essere spacciata.”
“A volte non so nemmeno il perché la mia vita mi dia sempre queste brutte sorprese.”
“Di che parli Scott?”
“Appena mi accade qualcosa di bello, subito dopo le cose precipitano.” Soffiò il rosso, abbassando la testa.
“Tipo?”
“Non so perché, ma ho sempre la sensazione che tu quello che mi circonda sia una bugia e che prima o poi la realtà mi ricorderà che sono un fallimento su tutta la linea.”
“Questo cosa centra con il mio incidente?” Domandò stizzita Dawn, cercando di sollevarsi appena, riuscendoci con fatica.
“Dovevo tenerti d’occhio e non l’ho fatto.”
“Tu non hai colpe.”
“Lo credi davvero?” Chiese, inspirando profondamente.
“Sono stata io a perdermi e tu mi hai portata al sicuro.”
“Non so che dire.” Bisbigliò il giovane che non era abituato a ricevere troppi complimenti.
“Ti chiedo scusa per quello che ti ho detto. Non volevo ferirti o farti star male, ma ero ancora risentita dalla tua fuga dal club.”
“Capisco.”
“E capirò se tu non vuoi tornare.” Borbottò Dawn, mentre Scott si avvicinava al letto.
“Se non tornassi, mi sentirei un bastardo.”
“Non voglio obbligarti.”
“Nessun obbligo e poi ne parleremo meglio nei prossimi giorni.” Sbuffò, avviandosi alla porta.
“Certo, ma ora riposati.” Sorrise lei, contagiando parzialmente l’amico.
“Mi hai rubato le parole di bocca.”
“Scott…”
“Sì?” Chiese il giovane, rigirandosi di nuovo nella sua direzione.
“Mi farai compagnia in questi giorni?”
“Credi che abbia ancora voglia di sciare dopo quello che abbiamo passato? Non ho più intenzione di rischiare.”
“Nemmeno io.”
“Resteremo nella sala.” Tentò, facendola annuire e uscendo dall’infermeria.
 
Quella settimana di gita era volata in un attimo.
Scott e Dawn non erano più andati alle piste e si erano accontentati del sicuro albergo o di qualche passeggiata per il centro.
I loro compagni di classe, immaginando il loro malessere e credendo non fosse saggio provocarli in modo tanto orribile, non avevano forzato la mano.
Speravano che un giorno riuscissero a vincere la paura, tentando una discesa, ma sarebbe stato molto in là come futuro.
Avrebbero dovuto attendere con pazienza che metabolizzassero quella botta psicologica.
Vedere tutti che si divertivano, mentre loro erano fermi e impauriti non era il massimo dalla vita.
Per questo ringraziarono il destino quando si ritrovarono sull’autobus per ritornare a casa, abbandonando le montagne e ritrovandosi davanti al vecchio cancello scolastico dopo molte ore di viaggio.
Appena scesi, recuperate le valigie e salutati i compagni di classe, i 2 si ritrovarono trattenuti per qualche istante dalla figura prima di Chef e poi di Chris.
McLean dall’aria assorta e pensierosa delle ultime ore doveva avere qualcosa di strano e infatti cominciò a parlare lentamente, senza attingere alle sue classiche sigarette.
“In cuor mio sono felice che voi siate tornati sani e salvi da quella brutta avventura.”
“Sì prof.” Borbottò Dawn.
“So che siete stanchi, ma ho una richiesta da farvi.”
“Una richiesta?”
“Sì, Scott. C’è il caso di un amico che mi sta molto a cuore. Insegna alle elementari e durante il prossimo week-end, la sua classe sarà impegnata con il campeggio.”
“Lo abbiamo fatto anche noi, quando eravamo bambini.” Ammise Dawn, ricordando la tenda che aveva allestito con alcune sue amiche.
“Sì, ma in quella classe c’è una bambina particolare e Don mi ha chiesto di aiutarla.”
“Come?” Domandò il rosso.
“Gli ho raccontato del vostro club, di come state cercando di aiutare i vostri compagni di classe e vorrebbe un consiglio.”
“Non può anticiparci nulla?”
“Ne so ben poco.” Sbuffò l’uomo, accendendosi una sigaretta.
“Questo non renderà le cose semplici.” Borbottò Scott, facendo annuire Dawn che vicino a lui si era stretta nelle spalle.
“Don mi ha solo descritto la bambina e ti assomiglia molto, Scott.”
“Non sarà mica mia sorella.” Ridacchiò il giovane, smorzando la tensione.
“Temo di no.”
“E non può farsi dire nulla dal suo amico?” Tentò Dawn, facendo negare il professore.
Prima di fornirle una risposta, aspirò 2 volte l’aroma intenso del tabacco e lo gustò con attenzione come se fosse un vero esperto.
“Potrebbe, ma non è il supervisore della classe. Ha solo la fortuna di accompagnarli durante il week-end e poco altro.”
“Questo renderà le cose difficili.” Sbuffò la giovane.
“Neanche troppo, Dawn. Se la bambina mi assomiglia, non dovrebbe essere troppo difficile trovare una soluzione per aiutarla.”
“Comunque non vi sto chiedendo di perdere il sonno per questo problema.”
“Ha qualcos’altro da aggiungere?” Domandò Scott.
“Mike, Geoff, Bridgette e Zoey verranno con noi.”
“Anche lei, prof?” Chiese Dawn.
“Sarete in mezzo a dei bambini ed è giusto che io vi tenga d’occhio.”
“Credevo si fidasse della nostra maturità.” Ghignò il rosso.
“Di voi 2 mi fido, ma sugli altri ho ancora qualche dubbio.”
“Farebbe prima a dire che siamo dei bambinoni.” Sussurrò Dawn, facendo annuire l’uomo.
“Credo che voi siate stanchi di parlare e non vediate l’ora di rivedere le vostre famiglie. Se saprò qualcosa in più, v’informerò durante le ore del club.”
Detto questo sia Dawn che Scott si avviarono verso le rispettive abitazioni.
La prima avrebbe trovato i suoi genitori intenti a guardare un film, mentre il secondo si aspettava l’ennesima discussione tra sua madre e Alberta per i preparativi del futuro matrimonio con Lucas.
Una breve occhiata alle famiglie e filarono dritti in stanza con il chiaro intento di sistemare le valigie e di riposare un po’.
 
Nonostante si fossero promessi di non pensarci, alla fine non avevano mantenuto la parola data.
I pomeriggi deserti nel club gli avevano permesso di trarre alcune considerazioni che però evitavano di prendere troppo seriamente.
Era risaputo che gli adulti ingigantivano spesso i problemi e magari una bambina più silenziosa e timida passava come una possibile solitaria.
Non che per il rosso vi fosse qualche problema.
Avrebbe inventato qualsiasi scusa pur di non stare a casa il week-end.
Conosceva e temeva i pomeriggi dove sua madre e Alberta erano insieme e quella scappatoia era quanto di più insperato potesse esistere.
Tuttavia non aveva ancora capito cosa centrassero Mike e gli altri con quell’attività che sembrava legata solo al loro club.
Erano circa le 7 di un sereno sabato, quando si ritrovarono davanti al vecchio parco.
Alla guida il prof McLean con Scott alla sua destra e tutti gli altri dietro intenti a fare conversazione.
Durante il viaggio, il rosso fu costretto ad ascoltare le chiacchiere degli altri e a fissare il panorama che mutava con velocità.
Erano trascorse quasi 3 ore da quando erano partiti e Scott si era appisolato.
Non avendo una qualche attività che tenesse impegnato il suo cervello, sarebbe sempre stato destinato a prendere sonno.
Fu quando sentì la macchina frenare bruscamente che il rosso si risvegliò e scese.
“Questo posto non è cambiato.” Sbadigliò Scott, fissando la natura che lo circondava.
“Lo riconosci dopo così tanti anni.”
“Ci mancherebbe, Dawn.” Sospirò, continuando a sbadigliare.
“Ora andiamo, dovete farvi conoscere dai bambini.” Mormorò Chris, guidando i suoi studenti verso un piccolo palco improvvisato.
Com’era lecito aspettarsi solo una persona poteva unire le persone e, infatti, Mike iniziò a parlare e a fare promesse che Scott avrebbe smontato in pochi minuti.
Per quella volta sarebbe rimasto zitto e avrebbe permesso ai bambini di riempirsi la testa di idiozie, sfruttando quel momento per assillare Chris e per chiedergli cosa centrassero i suoi compagni con le attività del club.
“Non eravamo sufficienti per partecipare e quindi ho messo un annuncio in bacheca che prometteva crediti extra per attirare con l’inganno le persone.” Spiegò l’uomo, fissando con attenzione la platea che aveva davanti.
“Li ha presi in giro.”
“Non è vero, Scott. Questa è una buona opportunità per voi ragazzi d’imparare ad aver a che fare con dei bambini.”
“Non crede che ci stia chiedendo l’impossibile?” Replicò, facendo annuire anche la compagna di club.
“Sarà difficile andare d’accordo con loro.”
“Non serve che andiate d’accordo, Dawn. Vi chiedo soltanto d’imparare qualcosa dai bambini e di risolvere il problema che presto incontrerete.”
“Faremo il possibile.” Bisbigliò la ragazza.
Dovettero seguire ancora parte del discorso di Mike, prima che gli organizzatori predisponessero l’inizio dell’orientamento.
Ogni ragazzo delle superiori doveva controllare un piccolo gruppetto di bambini.
Prestargli aiuto, dargli consigli, ascoltare i loro problemi e fargli trovare ciò che i loro maestri chiedevano.
Fu nel leggere la lista con i nomi che Scott sbuffò annoiato, prima di volgere la sua attenzione verso il suo gruppo.
L’unica cosa che l’aveva insospettito era il numero 1 in cima al foglio e la consegna proveniente direttamente da Chris.
Nel studiare le sue mosse si era convinto che quella era una delle sue forzature e che il problema era nato e rischiava di diffondersi proprio a causa del gruppetto di bambine che, a primo acchito, aveva snobbato senza ripensamenti.
Prima di cominciare, però, si arrischiò a leggere le liste dei suoi compagni di classe e si ritrovò partecipe di una discussione che avrebbe preferito evitare.
“Quando ero alle elementari, i liceali mi sembravano davvero grandi.”
“Credo sia naturale, Bridgette, anche se Scott non mi sembra così grande.” Ridacchiò Mike, facendo risentire un po’ l’interessato.
“Sono assolutamente un adulto. M’infastidisco, mi lamento, mento in continuazione e faccio cose ingiuste”
“Li vedi così gli adulti, Scott? Che cosa triste.”
“Non si può nemmeno più scherzare che qualcuno la prende seriamente.” Sbuffò il rosso, punzecchiando Dawn che sorrise appena.
“Credo comunque che sia doveroso ascoltare i consigli del prof.” S’inserì Geoff, proponendo una soluzione che potesse andare bene a tutti, meno che a Scott, il quale non aveva la minima voce in capitolo.
 
I gruppetti si erano incamminati da un bel po’ e Scott seguiva le bambine che gli erano state affidate.
Tranne per il consiglio di seguire il sentiero, lui era sempre rimasto in silenzio.
Il suo gruppo comprendeva 5 membri con 4 marmocchie davanti come apripista e con dietro di loro, distanziata di una trentina di passi, una compagna lasciata a sé stessa.
Era tranquilla, minuta, capelli rossi e un viso rilassato.
Gli occhi, coperti da un paio di occhiali, erano di un verde oliva intenso, anche se la parte più curiosa era nel suo sguardo.
Intenso e distaccato insieme.
Un qualcosa che Scott conosceva bene.
Del gruppetto che gli era stato affidato, aveva già intuito parte della sua responsabilità.
Chris non faceva nulla per caso e quella bambina, sempre in disparte, era il motivo per cui Don aveva bussato alla porta del loro club.
Non aveva ancora collegato tutti i nomi con i rispettivi volti e caratteri, ma di certo l’avrebbe studiata con un occhio di riguardo.
Sapeva che quelli che avevano un determinato potere erano attratti da qualcuno con le medesime capacità e spesso per un solitario notare un emarginato era di una facilità disarmante.
Infatti anche lei stava sempre sola, non avvicinandosi alle altre nemmeno quando giungevano davanti ad un obbiettivo ed era concesso loro qualche attimo di pausa.
Scott aveva rimuginato per tutto il pomeriggio su quell’esclusione che gli sembrava assurda e dolorosa.
Trovava incredibile e ingiusto che fosse un qualcosa di naturale anche per dei semplici bambini.
Poco dopo le 18 avevano fatto ritorno al campo base e le bambine avevano subito iniziato ad aiutare gli altri a preparare la cena.
Lui, durante quelle preparazioni, s’era messo in disparte a fissare come se la cavava l’emarginata con le indicazioni dei suoi compagni.
E anche qui aveva notato le risatine di scherno che le altre bambine le rivolgevano quando qualcuno si avvicinava.
La piccola era, però, sfuggita alle domande insistenti di Geoff e si era portata in una zona tranquilla, vicino al suo sguardo vigile.
Poi era venuta fuori una storia assurda, a tratti demenziale, e Zoey aveva fatto ridere tutti con una sua uscita spontanea.
“Dev’essere ritardata.” Sospirò Scott, fissando la scena.
“Veramente sono tutti ritardati.” Borbottò la bambina.
“La maggior parte del mondo è così. Buon per te che l’hai capito in fretta.”
“Non fai parte anche tu di quel gruppo?” Chiese Dawn, avvicinandosi ai 2 che sembravano, nonostante la differenza d’età, molto simili.
“Non sottovalutarmi. Possiedo il talento di essere un solitario anche nel gruppo più solido.”
“Sono sconcertata da tanta sincerità.”
“Superato questo stadio di solito si giunge al rispetto, Dawn.” Ribatté il rosso, mentre la bambina ascoltava quel dialogo molto insolito.
Perfino Dawn si era accorta di quella situazione.
La fuga strategica che aveva adottato per sottrarsi ad una risposta da dare a Geoff e quegli sguardi stanchi e abbattuti.
Insomma le altre bambine, nella loro vivacità e allegria, sembravano perfettamente normali e solo lei aveva qualcosa di strano.
Aveva testato la sua sensazione, imbastendo con il compagno una discussione che potesse farla uscire allo scoperto e ne era soddisfatta.
Era giunta ad una soluzione, la medesima di Scott: quella pulce era il motivo della loro gita in campeggio.
“Nome?” Chiese la bambina, rivolgendosi al ragazzo.
“Nome? Di cosa?”
“Voglio sapere il tuo nome.”
“Di solito ci si presenta prima di chiedere il nome.” La rimproverò Dawn, provando una sorte di gelosia per quella bambina che era riuscita a risvegliare l’interesse del compagno.
“Scarlett Arose.”
“Sono Scott Black.” Borbottò il giovane.
“Penso di essere diversa…come voi 2.”
“Diversa?” Chiese Dawn.
“Sono tutti dei marmocchi e per questo sto bene da sola.”
“Guarda che anche le elementari e i loro ricordi sono importanti.” Replicò Dawn, risultando poco convincente.
“Non mi servono i ricordi: una volta entrata alle medie diventerò amica dei ragazzi che verranno dalle altre scuole.”
“Purtroppo questo non accadrà. Alcune delle persone che ti stanno lontane adesso, andranno nella tua stessa scuola. La storia tende a ripetersi e lo stesso si verificherà nel tuo caso.” Borbottò Dawn, gelando la sua sicurezza.
“Io...”
“Deve essere successo qualcosa per tenerti lontana.” Tentò la ragazza, mentre Scott seguiva il filo del discorso con particolare interesse.
“Di solito, per scherzo, lasciavamo fuori dal gruppo una persona e la ignoravamo per un po’. Dopo qualche giorno tornavamo a parlarci, ma poi mi hanno lasciata fuori, anche se non ho fatto nulla. Sarà così anche alle medie?” Chiese la bambina, ritornando in cucina, lasciando i 2 con l’amaro in bocca.
 
La cena per i bambini era passata senza sussulti e i liceali si erano ritrovati per discutere del problema originale.
Dovevano aiutare Scarlett a cambiare, anche se ogni possibile consiglio sembrava difficile da portare avanti.
Mike aveva constatato che era un bel problema e Scott sapeva che isolarsi non era un male, se dietro non vi era alcun obbligo preciso.
Era parere diffuso che dovessero aiutarla, anche se non sapevano come.
L’ostacolo maggiore, neanche a dirlo, era rappresentato dalla bambina stessa.
Per una nuova amicizia era necessario che lei si aprisse al mondo, ma nessuno riusciva a immaginare quella possibilità.
Scarlett sarebbe sempre rimasta chiusa in sé stessa, sperando che qualcuno riuscisse a far breccia nella sua corazza.
Scott era pronto a scommetterci: quella faccenda era identica a ciò che aveva vissuto sulla sua pelle qualche mese prima.
Ricordava di quanto si fosse riavvicinato agli altri grazie al club e a Dawn e quella era un’ottima possibilità per dimostrare a tutti che era cambiato e che le tante ore spese erano servite a renderlo una persona migliore.
La sua riabilitazione, però, non era così semplice come quella di cui Scarlett avrebbe avuto disperato bisogno.
Era difficile per lei maturare così tanto in un così breve periodo.
Nel suo caso aveva cercato di rendere proficui gli sforzi della compagna di club ed era cresciuto molto, ma per Scarlett si parlava di far maturare le altre bambine.
Dovevano essere loro ad adattarsi, ma quella possibilità era improbabile e irrealizzabile.
Era come chiederle di cambiare il mondo con le sue sole forze: troppo difficile per qualcuno di così giovane e inesperto.
Per quel problema un’ora era volata in cerca di una soluzione che accontentasse tutti, senza che avessero trovato qualcosa di sostanzioso.
Scott era rimasto quasi sempre in silenzio, bocciando mentalmente tutte le proposte e rimanendo sorpreso di quanto Dawn fosse diventata empatica.
Laddove credeva fosse una scemenza o fosse indelicato chiedere aiuto a Chris o Don, ecco che lei dava voce alla sua riflessione, facendolo ghignare come se avesse vinto alla lotteria.
Gli sembrava strano, ma l’amica aveva imparato sul suo conto.
Fu nel distendersi a letto e nel rimanere incastrato su questo pensiero che arrossì, ringraziando l’oscurità per non rendersi ridicolo.
Rigirandosi più volte tra le coperte e  innervosito per il costante russare dei suoi compagni, mentre l’intero campeggio dormiva beatamente, sgattaiolò fuori dalla casetta e si distese sul prato a fissare la Luna.
Sperava che il cielo gli fornisse in tempi brevi la soluzione migliore possibile, anche se ne dubitava fortemente.
Almeno quella visione gli avrebbe conciliato il sonno.




Angolo autore:

Chi se l'aspettava che Scarlett sbucasse all'improvviso?

Ryuk: Mossa a sorpresa.

L'ho fatta diventare una bambina.
Diciamo che il suo lato insicuro è precedente alla sua crisi isterica (intendo nella serie).

Ryuk: Dawn e Scott hanno fatto pace.

Quanta fretta.
Già cantate vittoria e non avete ancora letto cosa farà Scott per aiutare Scarlett.

Ryuk: Aiutare...potrebbe anche danneggiarla.

Esattamente.

Ryuk: Passiamo ai ringraziamenti...

È incredibile, ma abbiamo raggiunto le 60 recensioni e questo per me è già un risultato eccellente.
Detto questo vi saluto e spero che la storia continui ad interessarvi.
Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Cap 16 ***


La colazione gli avrebbe permesso di tornare sul problema di Scarlett.
Scott, durante la notte, aveva pensato ad una strategia sensata, ma quasi tutte le sue idee venivano cestinate poiché molti elementi non combaciavano tra loro.
Aveva bisogno di una situazione particolare per realizzare l’unico piano sensato che avrebbe messo in luce il suo lato più freddo e disinteressato.
Pur di farla guarire, era pronto anche a quella mossa disperata.
“Allora Scott, cosa ne pensi?” Gli chiese Mike, mentre il rosso fissava pensieroso la ciotola che aveva davanti.
“Bocciato.”
“Perché?”
“Perché non mi convince.”
“Potresti essere più chiaro?” Domandò Zoey, mentre tutti rivolgevano la loro attenzione nelle torture che Scott donava a ciò che aveva nel piatto.
“Mettere una bambina al centro dell’attenzione per la chiusura di questi giorni, la metterebbe solo in imbarazzo. Fareste il gioco delle altre bambine che desiderano che lei provi vergogna in quel che fa.”
“Che crudeltà!” Sbottò Dawn.
“Vi consiglio di lasciar perdere e di sistemare i dettagli della prova di coraggio.” Avanzò Chris che per tutto il tempo aveva seguito i loro discorsi, assaggiando il suo immancabile caffè amaro.
“Prova di coraggio?”
“Sì Scott. Ne abbiamo parlato ieri sera.”
“Interessante.” Borbottò il giovane, avviandosi verso il bosco.
Non sapeva come, ma quella piccola notizia gli poteva tornare molto utile.
Forse era proprio questo l’elemento di cui aveva bisogno per far combaciare le varie possibilità.
Magari qualche ora di riflessione nella natura, all’ombra di un qualunque albero, poteva donargli l’intero piano d’azione.
Seguirlo sarebbe stato inutile. Non avrebbe confidato a nessuno le sue idee e prima o poi si sarebbe rifatto vivo con la sua tipica negatività.
Nonostante tutto, gli altri erano tornati al loro breve lavoro e dopo qualche ora d’impegno erano andati al fiume per rilassarsi un po’.
E fu qui che lo ritrovarono intento a riflettere.
In quella mattinata, oltre al lavoro, si stava perdendo il divertimento dei suoi compagni.
Lui poteva solo osservarli in costume, mentre si bagnavano a vicenda e giocavano come dei semplici bambini.
L’attenzione di Scott venne catturata per un breve istante da Dawn che parlottava con Zoey e senza volerlo si ritrovò ad arrossire.
L’aveva già intravista quasi nuda, anche se in quei momenti riusciva ad apprezzarne il lato più puro e femminile.
Troppo breve quella distrazione perché diventasse rilevante e, infatti, tornò a concentrarsi su una figura che si era appena seduta all’ombra del suo stesso albero.
“Ciao.” Borbottò il rosso.
“Perché sei da solo?”
“Non ho portato il costume. E tu?”
“Finita la colazione, quando sono tornata in stanza, non c’era nessuno.”
“Potresti giocare con i miei compagni.” Le fece notare Scott, facendola negare con il capo.
“Scott, hai ancora qualche amico di quando andavi alle elementari?”
“No e penso che sia lo stesso per la maggior parte delle persone. Dimenticati di loro perché, finite le elementari, non gli parlerai mai più.” Ammise, maledicendosi per quell’uscita che avrebbe potuto far soffrire Scarlett.
“Sicuro di quel che dici, Scott?” Chiese Dawn che si era avvicinata nel notare che la bambina stava con il rosso.
“Dawn …con quanti amici delle elementari parli ancora?”
“Tu.”
“Solo perché abbiamo la sfortuna di abitare vicini.” Sbuffò il ragazzo, stiracchiandosi appena e facendo ridacchiare la compagna.
“Già.”
“E quanti studenti c’erano nel nostro anno?”
“Eravamo tre classi da trenta.” Rispose la giovane, mentre Scarlett cercava di comprendere i ragionamenti intricati del liceale.
“Il che significa che restare amici con qualcuno delle elementari è molto difficile. Dawn ha la fortuna di avere molti amici perché è carina praticamente con tutti.”
“Carina?” Chiese arrossendo.
“Una persona normale non va d’accordo con tutti e allora puoi notare che la percentuale d’amicizia dopo le elementari cala drasticamente. Ti posso concedere poche possibilità, ma il dato è vicino allo zero.”
“Mia madre dice che dovrei essere carina con tutti, ma non è così semplice come crede.” Bisbigliò Scarlett, facendolo annuire.
“Essere lasciati in disparte è frustrante e ti fa sentire inferiore.” Sospirò Scott.
“Davvero?” Chiese Dawn.
“Anch’io credo di essere stata abbandonata. Non riesco ad andare d’accordo con loro e anche se riuscissimo a tornare amiche, poi potrebbe accadere di nuovo.”
Quel semplice dialogo aveva convinto Scott che il suo ultimo piano non era poi così brillante.
Avrebbe fallito solo per un motivo: Scarlett si era arresa.
Tutti potevano affermare che cambiando se stessi, poi il mondo era più semplice da modellare, ma quella era l’eterna bugia che aveva raccontato anche a Dawn.
Quando le persone giudicano qualcuno, non cambiano facilmente idea.
Un solitario è costretto a rimanere solitario.
Scott sapeva che se Scarlett avesse compiuto qualcosa di buono, poi le altre bambine l’avrebbero sfruttato come mezzo per criticarla.
“Odi essere patetica?” Chiese Scott, rimettendosi in piedi e fissandola con attenzione.
“Sì.”
“Credo che la prova di coraggio sarà divertente.” Sbuffò, allontanandosi in solitaria verso uno dei pochi sentieri segnalati.
 
Dawn avrebbe tanto voluto seguirlo, ma vi rinunciò per i preparativi di quella prova in cui doveva dare una mano.
Dallo sguardo di Scott sembrava avesse trovato qualcosa con cui risvegliare Scarlett e qualcosa con cui riabilitarla agli occhi delle altre bambine.
Tuttavia, se non aveva chiesto la sua presenza, significava che doveva rimuginarci su e che aveva assoluto bisogno di quiete.
Prima del dialogo aveva gettato le basi per qualcosa di buono, ma questo era stato spazzato via con le parole della piccola.
Successivamente aveva ritoccato il suo piano e aveva pensato agli aspetti negativi, ritornando verso le 14 al campo.
Tutti avevano già pranzato e stavano preparando la location con gli ultimi dettagli, ma lui aveva qualcosa di grande da realizzare.
Infatti li richiamò vicino al falò e spiegò ciò che aveva appreso durante quei giorni.
Scott sapeva che il mondo non sarebbe mai cambiato, ma questo non era un buon motivo per non tentare di cambiare con le proprie sole forze.
L’unica domanda era il sapere come poter cambiare senza l’aiuto di nessuno.
E per lui la risposta era elementare: diventi il Dio di un nuovo mondo.
Qualcuno avrebbe potuto rinfacciargli che era paranoico, ma la sua strategia avrebbe schiacciato anche le domande più disperate.
“Puoi dirci perché ci hai fatto chiamare? Vai avanti e indietro senza meta e poi ricompari all’improvviso.” Esordì Mike.
“Avete visto i costumi?”
“Per una prova di coraggio potrebbero andar bene.” Replicò il leader, facendo incupire il rosso che invece non ne era proprio soddisfatto.
“C’è qualcosa che devi dirci?” Chiese Dawn.
“Avete ripensato a come affrontare quella faccenda?” Domandò Scott, sperando che qualcuno avesse un’idea migliore della sua.
“La bambina potrebbe parlare con i suoi amici.” Tentò Bridgette, incontrando l’opposizione di Geoff.
“Verrebbe presa in giro da tutti se lo facesse.”
“E separatamente?”
“Non cambierebbe nulla perché potrebbero comportarsi in modo gentile al momento per poi sparlare di lei.”
“A tal proposito ho la soluzione.” S’intromise Scott.
“Non sarà una buona soluzione.” Borbottò Dawn.
“Dovreste ascoltarmi, prima di bocciare la mia proposta.”
“Continua.” Lo invitò Mike.
“Dobbiamo usare l’opportunità che la prova di coraggio ci concede.”
“Come?” Chiese Zoey, mentre Scott dava loro le spalle.
“Se hai dei problemi nelle relazioni con gli altri, tutto ciò che devi fare è distruggerle. Quando tutti diventeranno dei solitari, non ci saranno più conflitti.” Rispose, assumendo un ghigno demoniaco che fece trasalire i suoi compagni.
In pochi minuti tutti vennero a sapere cosa riguardava il suo piano che, anche se ignobile, era l’unica soluzione che avevano in mano.
Di certo non avrebbero guadagnato le lodi dei professori, ma almeno avrebbero guarito una bambina che non meritava la solitudine.
 
I gruppetti che avrebbero affrontato la prova sarebbero stati gli stessi della divisione del primo giorno.
Scott si era premunito nel far sapere a tutti che esigeva un messaggio sul cellulare non appena quelle del suo gruppo avessero cominciato.
Vicino a lui, c’era la figura silenziosa di Dawn che doveva svolgere il ruolo della regina del ghiaccio, ma che invece la faceva sembrare ancora più bella.
Il rosso per un momento pensò che erano soli in un bosco immenso e che vicino a sé aveva la ragazza di cui era segretamente innamorato.
Tuttavia non poteva mettersi a fare il cascamorto, né tantomeno poteva permettersi d’essere deriso, evitato e rifiutato nuovamente.
E poi prima di ogni cosa doveva riabilitare Scarlett.
Erano le 20 in punto quando le bambine partirono verso il sentiero che Chris e Don indicavano.
Se le prime coppie avevano trovato dei ragazzi vestiti con semplici costumi, con quelle mocciose ci sarebbe stato un cambio di programma e le avrebbero terrorizzate a morte.
Infatti quest’ultime non appena notarono che Mike e Zoey erano vestiti normalmente, iniziarono con il deriderli.
“Con chi pensate di avere a che fare?” Chiese il moro con uno sguardo terrificante.
“Non credete di essere troppo impertinenti?” Borbottò Zoey.
“Aspettate un secondo…credo che qualcuno vi abbia chiamati ritardati.” Intervenne Geoff, sbucando alle spalle delle bambine.
“Chi è stato?” Chiese Bridgette, avvicinandosi al gruppetto.
“Scusateci…”
“Il saputello deve venire fuori.” Alzò la voce Mike, tirando un calcio ad un albero vicino.
“Pensate sia un gioco?” Domandò Zoey.
“Forse è ora che imparino le buone maniere.” Borbottò Geoff, afferrando un bastone e osservandolo per un breve istante.
“Saremo clementi con voi: metà di voi possono andare, ma l’altra metà…dovrà restare qui.”
“Decidete in fretta chi resta e chi no.” Sbottò Bridgette.
Le bambine senza manco volerlo, prese dalla paura e dal rimorso, iniziarono con lo scusarsi e con il promettere che non si sarebbero mai più comportate male nei loro confronti.
Una promessa che Scott aveva messo in preventivo fin dall’inizio.
In questo caso non dovevano smettere, anzi dovevano torturare quel tasto con maggior ferocia e intensità di quanto non avessero già fatto.
“Metà di voi.”
“Non avete sentito, Mike? Muovetevi a scegliere.”
“Oppure credete di poterlo ignorare?” Chiese Bridgette, dando manforte a Zoey.
“Non ho tutta la notte per allenarmi con la boxe. Chi rimarrà a farci compagnia?” Urlò Geoff, passandosi il bastone tra le mani e puntandolo verso le bambine.
Senza nemmeno pensarci le bambine avevano già scaricato Scarlett.
Era bastata una parola per allontanarla e, da dietro la vegetazione, Scott si ritrovò ad annuire, notando che il piano stava procedendo senza intoppi.
“Era questo che volevi, giusto?” Chiese Dawn.
“Distruggerò tutte le relazioni che circondano Scarlett.”
“Dovevamo pensarci prima.” Borbottò lei, mentre la sua attenzione restava fissa su quello che accadeva a qualche metro di distanza.
 
Il piano che aveva elaborato in poche ore era degno di un genio.
Nessuno avrebbe potuto fare di meglio con le sue poche conoscenze e con il carattere problematico che si ritrovava.
Scott sapeva che quando una persona era veramente spaventata, non pensava più a nessun altro.
Quella persona avrebbe cercato a tutti i costi di sopravvivere, anche se questo significava sacrificare tutti gli altri.
Quando questo aspetto sarebbe venuto alla luce e nessuno di quel gruppo sarebbe più stato unito, allora avrebbero potuto ricostruire ogni cosa.
Non avrebbero risolto il problema alla radice, ma avrebbero potuto farlo sparire senza troppa fatica.
“Ne mancano 2.”
Scott doveva ammettere che il ruolo affibbiato a Mike era perfetto: lui stesso non avrebbe saputo fare di meglio.
E anche il suo gruppo stava funzionando bene.
Bridgette e Zoey spegnevano la gioia delle bambine, mentre Geoff con la sua arma e il suo insensato desiderio di picchiare qualcuno faceva il resto.
Le bambine, anche facendo le spie, non avrebbero guadagnato nulla.
Sarebbero passate come paranoiche solo per qualche sguardo storto e per qualche frase più malvagia del normale.
E anche la seconda bambina era caduta nel loro gioco.
Una morettina dai grandi occhi verdi era stata scaricata e sacrificata dal gruppo a cui lei era tanto legata.
“Avete ancora pochi secondi per scegliere l’ultima.”
Il tempo che Mike aveva concesso loro era svanito, ma il breve attimo che concessero alle bambine per scambiarsi un occhiata e Scarlett era riuscita, seguita dalle altre, a scappare nel sentiero che avevano alle spalle.
Scott non si aspettava una contromossa così rapida e si sorprese per ciò che erano riuscite a fare.
Alla fine la bambina che più di tutte odiava il gruppo, era colei che avrebbe permesso al gruppo di sopravvivere.
“Le ha salvate.” Borbottò Dawn.
“Non doveva finire così.”
“Forse erano davvero amiche.” Tentò Bridgette, avvicinandosi ai 2 che erano ancora nascosti dietro i cespugli.
“Non è possibile che, dei bambini che potevano essere amici solo prendendo in giro qualcun altro, possano essere veri amici. Comunque se ha voluto aiutarle, anche sapendo che erano delle false, allora dovrebbe essere elogiata perché, forse, è guarita dal suo problema.”
 
Ciò che erano riusciti a fare, giunse all’attenzione di Chris che accolse Scott come se fosse stato un eroe.
Certo era riuscito a risolvere un qualcosa che nemmeno gli adulti potevano affrontare, anche se il suo piano non era irreprensibile.
A studiarlo con attenzione vi erano delle falle che potevano distruggere ancora di più il fragile equilibrio esistente tra le bambine.
Almeno ora nel vedere Scarlett felice con il suo gruppo originale, Scott non poteva sentirsi in colpa.
Aveva aiutato un solitario a fuggire dalla stessa terribile trappola che lui malediceva e in cui era ancora invischiato.
Come se ora potesse pretendere un suo aiuto.
Quando un solitario esce dal nucleo in cui era chiuso in principio, poi non riconosce più quelli che erano nella medesima soluzione.
Scarlett Arose non sarebbe mai più stata sola.
“Hai camminato sul filo del rasoio.” Soffiò Chris, fumando una sigaretta e fissando, da lontano, il falò e i vari festeggiamenti.
“Così sembra.”
“Un piccolo passo falso e tutto questo si sarebbe trasformato in un grosso problema.”
“Scusi.”
“Non ti sto criticando e anzi sono soddisfatto di quanto tu sia riuscito ad ottenere in così poco tempo.”
“Anche se ho scelto il metodo peggiore.” Ammise Scott, fissando il cielo pieno di stelle e chiedendosi se anche loro si sentissero sole nell’infinito Universo.
“Sei terribile.”
“Perché stiamo parlando di me? Non stavamo discutendo del metodo che ho usato per affrontare il problema?”
“Usare un simile metodo dimostra quanto tu sia terribile.”
“Lo immaginavo.”
“Riuscire a risollevare qualcuno che è caduto in profondità, però, è un grande merito ed è una qualità molto rara.”
“Grazie per il complimento.” Sorrise il giovane, mentre il prof si allontanava per festeggiare con il suo vecchio amico.
Tanto il rosso sapeva che non avrebbe ricevuto alcuna ricompensa.
Il metodo che aveva usato, gli aveva pregiudicato la felicità, ma almeno il risultato era accettabile.
Vedere le 5, senza più alcun muro tra loro, ridere e scherzare, era un qualcosa d’insperabile fino a qualche giorno prima.
“Devo ammettere che è stato divertente.” Esordì una figura che conosceva bene e che gli si era seduta vicino.
“Tu trovi tutto divertente, anche se preferirei non parlarne più.”
“Possiamo dire finalmente che nessuno è più solo in questo campo.” Esultò Dawn, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Così sembra.”
“Un’ultima cosa, Scott.”
“Ti ascolto.”
“Tua madre ha parlato con Chris la scorsa settimana e mi è stato riferito che durante i prossimi mesi studieremo assieme.”
Nel sentire quelle parole il rosso si ritrovò a tremare.
Sapeva che la sua media non era invidiabile, ma non credeva nemmeno fosse il caso di scomodare il supervisore.
Lui sapeva bene a chi dare la colpa.
Sicuramente centrava la piattola fastidiosa che tornata dalla Cina non aveva fatto altro che rovinargli quei mesi.
Lei doveva essersi accorta del legame che stava costruendo con Dawn e voleva dargli una mano a modo suo.
Una forzatura che Scott avrebbe sempre detestato.
Se avesse avuto bisogno di stare con lei e di dirle la verità, lo avrebbe fatto.
Avrebbe seguito semplicemente il suo ritmo nel fare le cose che tutti sapevano essere molto lento.
A dirla tutta non lo avrebbe mai ammesso perché teneva troppo a lei e ora sua sorella Alberta lo stava quasi obbligando.
“E il Volontariato?” Chiese, sperando di appellarsi a quella possibilità.
“Chris ha deciso di sospenderlo, almeno fino all’anno prossimo.”
Sembrava che tutto fosse contro di lui, anche se poteva intuire chi aveva partecipato a quella organizzazione così distruttiva.
Lui sapeva bene che Chris McLean era un vecchio amico di sua madre e pertanto non le avrebbe mai negato un favore.
E lui, invece, era con le spalle al muro ed era costretto a ricambiare l’abbraccio letale che Dawn gli stava, inconsapevolmente, donando.
 



Angolo autore:

Ryuk: Rieccoci di nuovo in vostra compagnia.

Vi piace come si sono evolute le cose?
So che con Scarlett sarebbe dovuta finire diversamente, ma volevo discostrami almeno un po' dall'anime da cui ho preso spunto.
Un copia e incolla classico sarebbe stato noioso e per questo ho apportato qualche lieve modifica.

Ryuk: Ora possiamo anche andare.

Purtroppo siamo di fretta e al massimo possiamo ringraziarvi per l'appoggio fin qui dimostrato.
Alla prossima!

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Capitolo 17
*** Cap 17 ***


Erano scesi alcuni giorni dalla faccenda problematica di Scarlett e Scott rimuginava, durante il cammino, sul perché dovesse sottostare alle rigide regole che gli erano state imposte.
Non era poi così disperato da rischiare la bocciatura e da mobilitare il supervisore.
Anche se avesse affrontato sua madre e sua sorella, separatamente o insieme, non c’era differenza: avrebbero negato fino alla morte.
Alberta, in particolare, gli avrebbe posto la fatidica domanda.
“Non sei felice di studiare con Dawn?”
In parte poteva anche ammettere d’essere felice per quella situazione, ma d’altra parte non voleva rovinare il fragile legame che li univa.
Perché con Dawn era dannatamente difficile.
Bastava una parola fuoriposto, un’occhiata diversa dal solito e lei si faceva un sacco di paranoie.
Un po’ com’era tipico del suo essere così solitario.
E questi pensieri che affollavano la sua mente non lo lasciavano in pace e gl’impedivano di destreggiarsi in una situazione che richiedeva tatto.
Se ci fosse andato con il tipico cinismo avrebbe rovinato tutto e questo avrebbe complicato ulteriormente le cose.
Conscio di essere nei guai fino al collo e con nessuna possibilità di salvezza, si voltò a fissarla.
“Cosa può ottenere lei da tutto ciò?”
Sperava soltanto che tutto fosse rapido e indolore, come se non immaginasse cosa sarebbe successo non appena avrebbero varcato la porta.
I due, lei in particolare, sarebbero stati presi d’assalto e riempiti di domande.
Quella prima giornata di studio intensivo sarebbe stata alquanto complicata.
Non appena entrò in casa, i suoi timori trovarono fondamento.
Dawn, che era sempre rimasta alle sue spalle, venne prelevata dalle due donne, mentre Scott cercava di capire cosa avesse fatto di male per meritarsi una famiglia simile.
“Scusaci se abbiamo insistito tanto con questi ripassi.”
“Lo faccio volentieri, Alberta.”
“Davvero?” Chiese lei, mentre il rosso si avviava verso il frigo, ignorando quelle conversazioni noiose.
“Sì e poi Scott mi parla spesso di te.”
“Spendi belle parole, vero?” Domandò, girandosi verso il fratello che preferì rispondere con una scrollata di spalle.
“Mio figlio è un po’ problematico, ma non è cattivo.” Bisbigliò la madre.
“Lo so.”
“Gli conviene stare promosso se non vuole finire male.” Ridacchiò Alberta, mimando con le mani il tipico gesto delle ossa rotte.
Scott, unico uomo di casa presente in quel momento, preferì mantenere la sicura linea del silenzio per evitare di scavarsi la fossa con largo anticipo.
“Non accadrà.” Le rassicurò la giovane.
“Ci fidiamo di te, Dawn.” Borbottò la madre di Scott.
“Un’ultimo consiglio.”
“Sì?” Chiese, rivolgendosi ad Alberta.
“Se mio fratello dovesse fare qualcosa di strano, da pervertito per essere precisi, ti prego di picchiarlo e di chiamarci.”
“Pervertito?” Bofonchiò il rosso, studiando la sorella.
Se era nelle sue intenzioni fargli fare brutta figura, lei ci stava riuscendo meravigliosamente bene.
Credeva avesse realizzato quel programma solo per aiutarlo con la ragazza che amava e invece sembrava remargli contro.
A tratti sembrava sospingerlo per una faticosa salita, mentre nei momenti di distrazione si divertiva a rallentarlo, trasformandosi in un’adorabile palla al piede.
“Io…”
“Sei una ragazza molto carina e mio fratello è bizzarro.”
“Ehi!”
“Sei la prima ragazza che viene per casa e non vorrei che ti trattasse male.” Continuò Alberta, facendo annuire anche la madre che le era seduta vicino.
“Non credo ne sia in grado.” Tentò la giovane, arrossendo appena, mentre Scott la fissava con attenzione.
In effetti non aveva motivo di approfittarsi di Dawn.
Era una ragazza dolce e cortese e l’unica veramente in grado di creare un collegamento con gli altri suoi compagni.
Deluderla e sfruttarla non avrebbe solo ostacolato il suo piano di riabilitazione, ma avrebbe mostrato alla società che lui, anche con tutta la buona volontà di questo mondo,  non era capace di farsi benvolere e pertanto sarebbe stato destinato alla solitudine.
Neanche nei suoi sogni più orribili avrebbe alzato un dito su Dawn o su una qualsiasi donna in generale.
L’unica, se proprio c’era bisogno di un’eccezione, che non riusciva a digerire era Heather Wilson che con la sua aura manipolatrice faceva figurare Scott come un tenero agnellino.
“Scott è particolare.” Continuò la madre, risvegliandolo dalle sue profonde riflessioni.
“Mio fratello cambia da un momento all’altro e potrebbe comportarsi in modo insolito senza preavviso.”
“Mi state descrivendo come un criminale.” S’inserì, facendole voltare tutte nella sua direzione.
“Non sei un santo, fratellino.”
“Lui non potrebbe ferirmi perché noi siamo amici e poi, se fosse cattivo, non mi avrebbe aiutato quando ne avevo bisogno.”
“E quando l’avrebbe fatto?” Chiese Alberta, facendo sussultare la giovane ospite.
“Testa di segatura non ricordi la festa?” S’inserì Scott, cercando di evitare discorsi troppo imbarazzanti e privati.
“Me ne ero quasi dimenticata.”
“Ora se non vi spiace vorrei studiare.” Brontolò il rosso che, pur d’uscire da quella situazione, sarebbe stato propenso a qualsiasi tipo di sotterfugio.
Raccolti gli zaini e salite le scale, i due si chiusero nella stanza e Scott la sigillò a chiave per evitare ogni forma di disturbo.
Non era raro infatti che la sua famiglia si mettesse ad origliare o che sua madre disturbasse il vicinato con una soap opera a tutto volume.
A volte sua sorella metteva su un qualche disco e le casse pompavano ad un ritmo folle, impedendogli ogni forma ricreativa.
Il suo riposo, sacro e prezioso, s’infrangeva dinnanzi alla sua famiglia.
Normalmente lo studio sarebbe venuto sempre per ultimo, ma in quel caso sperava di sfruttare quelle odiate materie come mezzo per incunearsi nel cuore di Dawn.
Sperava d’ottenere qualcosa in più di quell’amicizia stiracchiata che non riusciva proprio a rallegrarlo.
 
Quelle 2 ore scarse di studio erano volate via.
Nonostante avesse ancora tanto da recuperare, erano giunti al tacito accordo che per quella giornata fosse sufficiente.
L’indomani avrebbero avuto più tempo da spendere in quanto l’interrogatorio di cui erano state vittime non si sarebbe svolto, anche a causa della contemporanea assenza delle padrone di casa.
Se Scott si sentiva tranquillo e quantomeno rilassato, c’era qualcosa che la ragazza ancora non capiva e che la teneva tesa come una corda di violino.
“Cosa c’è?” Chiese il rosso, notando quella stranezza e non sopportando il rigoroso silenzio che era calato dopo quelle ore di ripasso.
“Nulla.”
“Non raccontare bugie.”
“Non sto mentendo.”
“Le tue bugie sono così deboli e ovvie. I tuoi occhi si abbassano, il tuo respiro accelera e non riesci a tenere ferme le mani.” Ridacchiò il giovane.
“Come fai a saperlo?”
“Cambi discorso? Non ci provare.”
“Stavo pensando.” Sussurrò lei, facendolo annuire.
“L’avevo intuito. C’è qualcosa in particolare che merita la tua attenzione?”
“Tu non mi hai salvato solo il giorno della festa.”
“Davvero? Non ricordo altri momenti.” Ammise Scott, facendola innervosire.
“La gita in montagna.” Replicò, ringhiando appena.
“Credevo ricordassi quel giorno solo per le mie scellerate azioni.”
“Perché non vuoi che la tua famiglia lo sappia?” Chiese la ragazza, scontrandosi con lo sguardo glaciale dell’amico.
“E perché tu vuoi che lo sappia?”
“Perché tua sorella cambierebbe idea sul tuo conto e poi merita di sapere che tu in qualche modo stai diventando grande.” Soffiò tranquilla, facendolo sorridere.
“Non è una cosa poi molto importante.”
“Ti sbagli.”
“La verità Dawn è che quel giorno non sono stato io a salvarti.” Ammise, vedendola sussultare.
“Io ricordo d’averti visto.”
“Hai frainteso.”
“Tu eri lì e mi stringevi.” Ribatté, ottenendo un sorriso che la spiazzò.
“Ti giuro che non ero io.”
“Lo neghi ancora?”
“Dawn…”
“Io sono sicura di quel che ho visto e non riuscirai a farmi cambiare idea.” Replicò, fissandolo intensamente negli occhi.
“E va bene Dawn.”
“Ero sicura di non sbagliarmi.”
“Anche se devo essere sincero nei tuoi confronti.”
“Mi hai nascosto qualcosa?” Abbozzò, temendo si trattasse di qualcosa di terribilmente imbarazzante.
Magari qualcosa legato a quell’orribile notte che li aveva visti abbracciati oppure a quello spogliarello a cui era stata obbligata.
Non voleva credere che lui, dopo alcune settimane, si arrischiasse in qualche complimento che potevano mettere in luce le sue fragilità.
Perché Dawn non si sentiva così bella, prosperosa o interessante come altre ragazze.
Credeva d’essere piuttosto anonima agli occhi dei vari ragazzi e sentirselo dire da Scott sarebbe stata una mazzata difficile da digerire.
Anche se il suo timore più grande era un altro: era preoccupata che lui avesse sfruttato la situazione, tentando un qualche bacio o carezza che mai si sarebbe sognato nel caso fosse stata vigile e in ottima forma.
“Quell’orribile sera è stata il mio incubo e ancora oggi non riesco ad abituarmi a quanto abbiamo vissuto.”
“Cosa è successo?”
“Credo d’aver avuto una visione, ma non è questa la cosa che più mi ha spaventato.” Spiegò, distendendo le mani e piegandosi ad appoggiare i libri sul pavimento.
“Una visione?”
“Ti basti sapere che lo scialle che ti ho regalato non l’ho mai visto prima di quella sera.”
“Cosa stai farneticando?” Domandò in un mix tra lo stizzito e il preoccupato.
“Ancora oggi ripenso a cosa sarebbe successo se fossi giunto con qualche minuto di ritardo.”
“Scott…”
“Se ti avessi perso, sarebbe stata la mia fine.”
“Tu…”
“Non volevo perderti e per questo posso dirti che sei stata tu a salvare me.” Sospirò, grattandosi imbarazzato la testa.
“Come?”
“Mentre ti cercavo, ero vittima dei sensi di colpa. Non ti avevo tenuto d’occhio ed era colpa mia se ti ho fatto vivere un momento simile.”
“Ti stai sbagliando.”
“Per te sarà anche così, ma devi sapere che se fossi morta, non me lo sarei mai perdonato e non sarei nemmeno più qui. Quella notte sei stata tu a salvarmi la vita.”
“Io…”
“Non devi sentirti obbligata: tu con me non hai alcun debito.” Sorrise, alzandosi in piedi e aprendo la finestra della sua stanza.
Ad entrare fu una ventata d’aria fresca che gli solleticò la pelle e che lo spinse a socchiudere gli occhi.
“Non credevo lo nascondessi.”
“Lo nascondo solo perché temo che qualcuno possa usarlo per ferirmi. Non sarà la mia famiglia, ma potrebbe essere chiunque là fuori.”
“Credi che non meritino di sapere la verità?” Chiese la ragazza, andandogli alle spalle e fissando con lui il panorama.
“La tua famiglia lo sa?”
“Non dovrebbe?” Domandò Dawn, facendolo negare appena.
“Credevo che tuo padre non avrebbe mai accettato che la sua principessa venisse salvata da un mostro come me.”
“Non sono più una bambina e poi non devi parlare così male delle tue azioni. Tu sei molto più speciale di quanto vuoi farci credere.” Lo rimproverò, mentre gli posava una mano sulla spalla, facendolo trasalire.
“Beh…si è fatto tardi.”
“Quando ti trovi in difficoltà, cerchi di cambiare discorso?” Lo punzecchiò, facendolo sorridere.
“Vediamo cosa hanno deciso le 2 pazze.” Sbuffò il giovane, scendendo i gradini e lasciandola sola nella stanza.
Scott non aveva intenzione di ritrovarsi nella medesima situazione di qualche ora prima e sperava che la momentanea assenza di Dawn potesse tornargli utile.
Avrebbe tanto voluto che si fermasse per la cena, sperando però che non si lasciasse sfuggire qualche dettaglio sulla gita che li aveva visti protagonisti.
Non era un eroe.
Non lo sarebbe mai stato perché non ne era propriamente in grado.
Un vero eroe avrebbe sempre avuto la sua bella da cui correre una volta che aveva finito di fare il suo lavoro.
Lui non aveva nessuno e per quanto potesse impegnarsi, alla fine, il sudore speso non avrebbe realizzato il sogno a cui tanto ambiva.
 
In quei pochi minuti era tornato sul suolo nemico dove una disperata Alberta stava seguendo la sua serie televisiva dove un certo Richard stava operando la fidanzata in un’operazione che solo in un caso su 10 aveva successo.
Nel vedere i lacrimoni sugli occhi della sorella e su quelli della madre, Scott s’immaginò che il loro amato dottore aveva toppato e che si stava struggendo dal dolore.
Il rosso non sapeva se ridere, correndo il rischio di una pentola stampata sulla testa, o se mantenere un basso profilo.
Conscio di essere in difficoltà per qualche minuto preferì restare in silenzio, quasi condividesse il dolore provato dalla sua famiglia.
In questi istanti, rimasta sola, Dawn s’accorse di quanto potesse essere disordinata la stanza di un ragazzo complicato come Scott.
Sapeva che per l’amico l’ordine non era il desiderio massimo della propria esistenza, ma non credeva in un simile caos.
Roba sparsa ovunque, vestiti appoggiati su una sedia che stava quasi per collassare e tanti fogli sparpagliati per terra e sulla scrivania.
Nel vedere tutta quella carta, si ricordò del secondo caso che avevano affrontato.
Quello di Harold e della sua storia che lei non sapeva come catalogare.
Era un autentico minestrone di generi che andavano dal fantascientifico, al giallo, al romanzo rosa, alla poesia in poche pagine.
Un qualcosa di cui avere gl’incubi per una vita intera.
E mentre provava a fare ordine, sperando nel successivo ringraziamento di Scott, notò una busta sporgere da un libro di scuola.
Poteva essere un dettaglio insignificante, ma era attratta da essa.
Vinta dalla curiosità la prese in mano.
Avrebbe tanto voluto leggerne il contenuto, tuttavia non ne ebbe il tempo materiale.
Scott era rientrato e vedendola con quella busta marroncina tra le mani, si sentì in pericolo e tremò per il timore che lei fosse venuta a conoscenza di quella lettera.
Avrebbe voluto afferrarla e ordinarle minacciosamente di starsene zitta, ma sentiva che non avrebbe ottenuto nulla.
Se non aveva avuto modo di leggerla, lei avrebbe avuto i migliori motivi per allarmarsi e ciò avrebbe complicato la sua vita.
Nel caso opposto, qualora i suoi occhi avessero osservato quelle poche righe, si sarebbe messo sulla difensiva e avrebbe promesso che era pronto a discuterne con Alberta e sua madre.
Avrebbe inventato qualsiasi cosa pur di non rischiare, anche se in quel caso preferiva richiamare le sua attenzione e invitarla a porgergli ciò che stringeva tra le mani.
“A quanto sembra non hanno molta voglia di cucinare.”
“Sarà per un’altra volta.”
“Mi hanno comunque ordinato di accompagnarti a casa.” Borbottò il rosso, afferrando la busta che lei porgeva e mettendola nella tasca dei jeans.
Sperava che non avesse spulciato quelle righe e che non si mettesse a sparlare di quella faccenda che, divenuta di dominio pubblico, gli avrebbe impedito di realizzare i suoi progetti.
“Non è così tardi.”
“Non mi fido a lasciarti andare da sola.”
“È un obbligo che ti hanno imposto oppure ti fa piacere la mia compagnia?”
“Entrambe le cose.” Ammise, cercando di risultare convincente e sperando che lei non avesse letto mezza parola.
Non c’era nulla d’imbarazzante in quei fogli, ma preferiva evitare fraintendimenti.
Il problema era solo tirare fuori il discorso adatto.
Aveva ascoltato e ignorato le minacce di sua madre e di Alberta che lo invitavano a prestare completa attenzione a Dawn.
Loro non volevano che lei corresse pericoli inutili e lui doveva proteggerla a costo della sua vita.
Scott, se non fosse stato troppo preso a pensare, avrebbe fatto notare loro diverse situazioni passate che non mettevano in dubbio la sua figura.
Anche quando si ritrovò per strada non spiccicò parola e fu solo nell’ultima metà del tratto che venne colpito dalla soluzione.
“Ti ringrazio, Dawn.”
“Per cosa?”
“Mi stai aiutando con lo studio e non mi stai chiedendo nulla in cambio.”
“Potresti studiare anche da solo.”
“Inizi già con le richieste?” Domandò scherzosamente, facendola sorridere.
“È divertente.”
“Lo so.”
“Comunque dovresti spiegarmi perché non t’impegni con lo studio.” Borbottò la ragazza, facendolo annuire.
“Forse perché non ci sei tu.” Ribatté, facendola arrossire.
“Non prendermi in giro.”
“Dovresti credere a ciò che dico.”
“Anche se ci dai sempre l’impressione che tu stia mentendo?” Domandò Dawn, facendolo sussultare.
“È da un po’ che evito di farlo.”
“Perché?”
“Le menzogne hanno reso difficile e infelice la mia vita e ho intenzione di usarle solo quando non posso fare diversamente.” Spiegò il giovane.
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“Tante cose, ma la maggior responsabile credo sia sempre tu.”
“Non credevo d’avere tanti meriti.”
“Non ne avrai mai a sufficienza.” Sospirò Scott.
“Credo, però, di non averti mai donato nulla per tutti gli aiuti che mi hai dato.” Gli fece presente la ragazza.
“Hai sistemato la mia stanza e hai trovato una busta che credevo d’aver perso: se questo per te è niente.”
“Era così importante?” Chiese lei, facendogli intuire che non aveva avuto il tempo materiale per conoscere la verità.
“Il ricordo di un vecchio amico.”
“Una lettera?”
“E alcune foto.” Sospirò lui.
Ora che era certo che Dawn non sapesse nulla del suo segreto si sentiva meglio.
Avrebbe affrontato quelle settimane con tranquillità e avrebbe nascosto quella busta in un posto sicuro.
Non poteva correre il rischio che Alberta o sua madre la trovassero e se mai l’avesse persa per la città, era assai improbabile che qualcuno capisse a chi era destinata.
 
A distanza di pochi minuti giunsero davanti alla casa della ragazza, la quale invitò l’amico ad entrare.
Scott si sentiva fuoriposto, anche perché non erano propriamente soli e non si sentiva molto benvisto dal padre di Dawn.
“Se non ti spiace perché non studiamo qui?” Chiese lei.
“Qui o a casa mia non fa differenza finché ci sei tu.” Rispose, facendola arrossire violentemente e sorridendo.
“Quindi?”
“Se è più comodo per te, non ci sono problemi.”
“Non vorrei che fossi in imbarazzo.”
“Ci sono abituato ormai.” Sussurrò lui.
“E poi non voglio che ti preoccupi troppo durante il viaggio di ritorno.”
“Anche se studiassimo sempre da me, troverei il tempo per accompagnarti a casa.” Ribatté il giovane, facendola annuire.
“Come preferisci.”
“Una volta a testa e non ci saranno problemi.” Propose, facendola stringere nelle spalle.
“A domani allora, Scott.”
“Certo.”
Nel ritrovarsi per strada il rosso si ritrovò a riflettere e a controllare che la lettera fosse al suo posto.
Senza volerlo si ritrovò a contare.
Non lo faceva come ripasso di matematica, ma solo per aver ben chiaro il suo obiettivo.
Poche settimane e avrebbe saputo ciò che gli altri ignoravano.
Sarebbe stato difficile, ma ogni scelta, significativa o meno che fosse, tendeva a lasciare una traccia alle persone che incrociava.
Scott sperava che non fosse una cicatrice troppo ampia e che qualcuno un giorno capisse il suo gesto.
Che almeno lei, in un lontano futuro, potesse accettare il suo sacrificio.
Non gl’importava troppo degli altri, ma di lei sì.
In ogni caso non l’avrebbe messa in guardia e avrebbe osato con quella sorpresa disgustosa.
Magari come una di quelle feste di compleanno che lui aveva sempre evitato per non rovinare il clima interno.
Questa volta, però, era molto più intrigante di una stupida festa.
Scott sperava che quel gesto potesse essere notato dalla sua intelligenza e che lei aspettasse con pazienza una sua apertura.
Perché di una cosa era certo: un giorno le avrebbe confidato il problema che si portava dietro da tanti anni.




Angolo autore:

Saremo piuttosto brevi.

Ryuk: Ringraziamo tutti per il sostegno e preparatevi per una bella sorpresa.

Recenti studi hanno osservato che con il prossimo capitolo inizierete ad odiarmi.
Ma non preoccupatevi...ci sono abituato.
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** Cap 18 ***


 
 
Quelle poche settimane che mancavano alle vacanze estive erano volate in un batter di ciglia.
Scott, con l’aiuto di Dawn, era riuscito a recuperare tutte le insufficienze lasciate in sospeso, nonostante non desiderasse muoversi in quella direzione.
Se si era impegnato, era solo per non vanificare i suoi sforzi e per non essere considerato un fallimento dalla sua famiglia.
Non voleva essere considerato in quel modo e poi una bocciatura gli avrebbe impedito di rivedere i suoi compagni, obbligandolo a stare con una classe di marmocchi.
Analizzando tutti i pro e i contro si era accorto che non era questo ciò che voleva.
Lui doveva essere presente per ascoltare i sogni di Mike e degli altri e per prendersene beffa una volta che questi gli voltavano le spalle.
E poi c’era Dawn.
Come poteva avere una possibilità nel starle vicino, se si bruciava ogni occasione?
Perché era di questo che si trattava.
Ai primi di giugno sentiva di non aver ancora avuto l’occasione che tanto sognava.
Non che si aspettasse qualche strano fenomeno astrologico per sapere che era arrivato il momento di provarci del tutto.
C’era solo una cosetta che gli dava noia: la lettera.
Era passato parecchio da quando l’aveva ricevuto e si era accorto di quanto amasse quella strana vita che aveva sempre disprezzato.
C’era una persona che amava più di tutte e che, però, non meritava di soffrire.
Aveva perso molto tempo a capire quanto amasse Dawn e si era accorto che il suo equilibrio l’aveva affascinata.
Più volte era stato sul punto di scivolare e di confessarle il contenuto della lettera, ma aveva sempre rinviato ogni forma di confronto.
Spesso rimaneva come pietrificato dai suoi occhi, perdendo il filo del discorso, mentre altre volte veniva interrotto e, quindi, disturbato.
Dallo sguardo di Dawn aveva letto una nota d’interesse.
Un tempo era convinto di essere il solo a remare verso il suo cuore, ma dopo l’avventura in montagna, l’aiuto dato a Scarlett e gli intensi pomeriggi passati a studiare e a fare programmi per il futuro, aveva sorriso nell’apprendere che anche lei si era tuffata.
I motivi per cui si era mossa potevano essere i più disparati possibili, ma a lui ciò non importava. Gli era sufficiente sapere che lei era rimasta abbagliata da qualcosa e che questo qualcosa fosse motivo di ringraziamento per Scott.
Il rosso era pronto a scommettere che non era il carattere ad averla meravigliata o l’aspetto, ma il mistero che lo avvolgeva e che lo rendeva affascinante.
Nonostante questa cieca convinzione non si era arrischiato nei tanti pomeriggi passati insieme, aspettandosi che facesse lei la prima mossa.
Di tutt’altro avvisto era la compagna che invece meditava su quei strani sentimenti che stavano prendendo il sopravvento e che gli facevano dubitare d’ogni cosa, compresa la sua possibile nuova iscrizione il prossimo anno al club se non per aiutare il lunatico compagno.
Perché rimaneva sempre spiazzata quando si scontrava con le sue idee e teorie strampalate e ancora più preoccupata era nel constatare il carattere mutevole e l’alternanza tra freddezza e consigli amorevoli.
Quel sottile equilibrio che si notava tra loro, era rimasto intatto per tutto quel tempo, nonostante i tentativi di Scott che oltre a infrangersi come le onde sugli scogli, raramente si concludevano con innocui scherzi o con battute infelici che riuscivano a farla arrossire vistosamente.
A osservare il cerchio con cui aveva avvolto il numero di quello strano e tiepido giugno si era detto che era inutile illudersi.
Quella mattina in particolare si sentiva molto giù e ancora più sfiduciato del suo solito.
Aveva avuto tante occasioni e non era mai riuscito a mettere in fila due parole gentili con cui ammettere i suoi sentimenti.
E di nuovo si rese conto che quello era l’ultimo giorno di scuola.
Poi tutti si sarebbero divisi.
Qualcuno avrebbe passato quei mesi dai nonni, altri in montagna, qualcuno in spiaggia, mentre quelli messi peggio sarebbero rimasti a casa.
Scott invece aveva un altro progetto.
La stessa Dawn l’aveva invitato nella villetta al mare dei suoi genitori, ma lui aveva declinato l’offerta. Avrebbe tanto voluto passare alcune settimane in sua compagnia, magari passeggiando per il centro e cullandosi di quei preziosi momenti, ma non poteva.
Non pensava che lei volesse vederlo anche finite le lezioni e per quanto fosse sorpreso, aveva espresso il suo rifiuto, mugugnando qualcosa su un impegno preso in precedenza che gli impediva d’accettare.
Poteva essere la verità come una delle sue ultime menzogne: non sapeva nemmeno più come classificarla.
 
Quelle sarebbero state le ultime 6 ore di quell’anno scolastico.
Tutti erano vestiti elegantemente e senza la zavorra di libri e quaderni, i quali erano stati abbandonati, per una volta, a casa.
Quella era l’ultima occasione per divertirsi e, infatti, il Preside aveva dato il suo benestare per una piccola festicciola.
Un qualcosa condito da bibite, cibarie, canzoni da discoteca e tanto divertimento.
Una festa in cui ognuno si sentiva partecipe e che passava tra abbracci, pacche sulle spalle e chiacchiere con i professori.
Solo uno di loro non si sentiva totalmente in vena.
Era presente solo per aver un ricordo di quella giornata e per mangiucchiare alcune pizzette della mensa, anche se si sentiva chiaramente fuoriposto.
Non aveva aiutato con i preparativi.
Non era al centro dell’attenzione come Geoff che provava a ballare o come Duncan che scuoteva le sue corde vocali con una canzone scassa timpani, ma lui provava solo il desiderio di dileguarsi.
Cercando di non farsi vedere, era riuscito a sgattaiolare fuori, evitando i controlli serrati e si era avviato verso le scale.
Non voleva andarsene senza aver prima salutato un luogo che non sapeva se avrebbe mai più rivisto.
A essere sinceri non sapeva nemmeno se sarebbe più tornato a percorrere i corridoi polverosi e anonimi della sua vecchia scuola.
Ma prima di giungere a destinazione, si scontrò con una persona che era sia croce che delizia per la sua povera psiche.
“Nemmeno oggi smetti i tuoi panni d’emarginato?”
“Prof McLean.”
“Credevo che tutti si divertissero, ma a quanto pare mi sbagliavo.”
“Non sono cambiato del tutto.” Sbuffò il giovane, facendolo annuire.
“Lo vedo.”
“Prima di andarmene volevo controllare il club.”
“Ti sei affezionato?”
“Dopo un po’ credo sia normale.” Sospirò il rosso.
“Spero soltanto che questi mesi possano renderti maggiormente sopportabile.”
“Chissà.”
“Ricorda d’essere puntuale ragazzo.”
“Vedremo.” Ridacchiò, allontanandosi dall’uomo che scendeva le scale per avviarsi verso la palestra.
Superato quell’ultimo scoglio, il giovane credette d’avere l’intero terzo piano a sua completa disposizione.
Nessuno poteva allontanarsi da quella festa.
Tutti, chi più e chi meno, l’avevano attesa con impazienza.
Non lui.
Lui doveva salire le scale dell’Inferno, fissare la porta scura del club, aprirla, respirare l’odore pungente di chiuso della stanza e farsi cullare dai ricordi.
Quante ne aveva passate lì dentro.
Quasi aveva perso il conto di tutti gli sforzi mentali che aveva compiuto in quei mesi e se ci ripensava solo un sorriso gli solcava il volto.
E poi si ripresentava la lettera.
Un qualcosa che lo schiaffeggiava pesantemente.
Un qualcosa che gli faceva ricordare di come lui non avesse conquistato nulla.
Un qualcosa che gli faceva presente di quanto inutile ed indesiderata fosse la sua esistenza.
Quella voce, fastidiosa come i rimproveri di Heather Wilson durante le varie assemblee, si scontrava con la sua coscienza.
Con qualcuno che gli ripeteva che non era marcio fino al midollo, che aveva tentato di correggersi per tempo e che qualcuno si sarebbe buttato nel conoscere le sue intenzioni.
Questo, però, non bastava per rimandare il suo progetto futuro.
 
Preso un ultimo e pesante respiro, richiuse la porta alle sue spalle.
Sapeva che quel segno poteva essere l’ultimo della sua vecchia vita.
Scese nuovamente le scale e, dopo aver recuperato un pacchetto di wafer dalla macchinetta, si ritrovò in palestra dove il ritmo continuava ad essere assordante.
In mezzo a tutto quel caos, lui non sembrava nemmeno essere scomparso.
“Se non ci fossi, nessuno se ne accorgerebbe.”
Non gli restava altro da fare che fissare gli altri.
Alcuni che ballavano come matti.
Altri che s’ingozzavano come maiali.
Qualcuno che provava a giocare con qualche pallone sgraffignato dallo stanzino degli attrezzi.
E tanti che si professavano cantanti, ma che erano stonati come pochi.
Un’accozzaglia di malati che facevano sentire Scott meno solo.
Anche se la loro malattia era solo apparente.
Loro, finita quella pagliacciata, potevano tornare seri e restarvi per una vita intera, ma lui in quegli anni si era sempre fatto contaminare.
Non c’era quasi più nulla di decente da salvare in lui.
Era solo un guscio vuoto che ogni tanto poteva riempirsi, ma che non sarebbe durato in eterno.
Tutti potevano essere felici per una vita intera. Sorridere agli altri. Ottenere il massimo da ogni cosa, ma non lui. Scott avrebbe sempre avuto quella lettera e quelle orribili verità a riportarlo nell’oblio.
Un qualcosa che gli avrebbe sempre ricordato l’impossibilità di passare l’intera esistenza con il sorriso sul volto.
Per rendere tutti felici, lui stesso doveva inventarsi l’ennesima orribile menzogna e fingere che tutto filasse meravigliosamente.
Senza nemmeno accorgersene, perso nei suoi pensieri, una mano si posò sulla sua.
“Scott.”
Ci vollero alcuni secondi e una mano sventolata davanti ai suoi occhi per farlo riemergere dal buio in cui era sprofondato.
“Cosa c’è, Dawn?”
“Dobbiamo fare la foto di gruppo.”
“Foto di gruppo?”
“Non dirmi che te ne sei dimenticato. Te ne ho parlato spesso in questi giorni.” Sbuffò, imbronciandosi appena.
“Ci tenete così tanto nell’avermi come ricordo?”
“Io sì.”
“E la metterai nella tua bella stanza, per poi fissarmi prima d’addormentarti?” Chiese con malizia, facendola arrossire.
“Certo che no.”
“Se non la tieni per questo, a che ti serve?”
“È uno dei pochi ricordi che avremo di questi anni e tu devi esserci.” Rispose risoluta, cercando di convincerlo.
“Io continuo a credere che sia una scemenza, ma se ti rende felice perché dovrei rovinarti questa giornata?”
“Allora andiamo che il prof si sta stancando di fare i tuoi comodi.”
“I nostri comodi.” La corresse, facendola sussultare.
“Ricorda di sorridere e di non rovinare la foto con scherzi di pessimo gusto.” Ribatté, strattonandolo verso la loro classe.
“E tu mettiti in una posa decente e non quella classica a cui ci hai abituato in questi anni.”
“Quale posa?”
“Sei l’unica che sorride per ogni cosa.” Borbottò il rosso, mentre lui ricordava le sue vecchie foto di classe.
Tutte le volte era stato beccato in momenti poco opportuni.
La prima a sbadigliare.
La seconda a fare dei gestacci.
La terza e ultima a fissare con sguardo omicida il compagno che aveva osato appoggiargli il braccio sulla spalla. 
“Non dovrei?”
“Fai come vuoi.”
“Ricorda che l’hai promesso.” Sussurrò la giovane, prima che Zoey avvicinasse a sé Dawn e prima che Geoff facesse lo stesso con il rosso.
Impossibilitato quasi a muoversi si era chiesto come fosse riuscito a farsi incastrare in quel modo.
Di chi fosse il merito per quella situazione, anche se sapeva che era colpa dello sguardo magnetico della ragazza di cui era innamorato.
Sconfitto e in trappola, tirò fuori il suo miglior sorriso possibile e in pochi secondi il vecchio Hatchet scattò la foto.
Probabilmente era qualcosa d’imbarazzante, ma era comunque uno dei rari ricordi felici che lui avrebbe avuto di quei lunghi anni.
Liberatosi da quello strazio, se l’era svignata in giardino e con lui buona parte della classe.
Il cielo di un azzurro intenso con qualche candida nuvola lasciava presagire ad un’estate dalle ottime giornate.
E Scott, a delinearne la forma, si era chiesto come fosse stare sopra una di quelle cose.
A fissare tutti dall’alto.
A non avere pensieri, preoccupazioni o che altro.
A sentirsi liberi di fare tutto ciò che si desidera.
“Non accadrà mai.” Sbuffò annoiato, cacciando le mani nelle tasche dei jeans.
“Che cosa Scott?”
“Nulla d’importante, Dawn.”
“Ne vuoi parlare?”
“Di cosa?”
“Di quello che credi non accadrà mai.” Rispose la giovane con un sorriso che lasciò piuttosto indifferente l’amico.
“Riguarda il prossimo anno scolastico.”
“Temi forse che non avrò tempo per aiutarti?”
“Non è questo.”
“Allora cos’è?” Chiese nuovamente, sperando d’ottenere qualcosa in quella giornata.
In tutti quei mesi che avevano passato insieme non aveva ricevuto nulla di concreto e sperava in quei minuti di riuscire a mettere una toppa a questa svista.
Avrebbe comunque avuto un anno intero per liberarlo dal fardello che si ostinava a trascinare senza nessuno.
“Spero d’essere promosso.”
“Se ci sei riuscito quest’anno, perché il prossimo dovrebbe essere tanto diverso?”
“Ogni anno credo sia peggio.”
“Dovresti essere più ottimista.” Gli fece notare la giovane, facendolo annuire.
“Dobbiamo pur compensare le nostre mancanze.”
“Come?”
“Tu sei troppo ottimista e non studi ciò che potrebbe accadere, mentre io seguo troppo la ragione a scapito dei sentimenti.”
“È per questo che il nostro club funzionava alla perfezione.” Riprese Dawn.
“Sarebbe stato un problema se fosse stato imperfetto.”
“Hai ragione. E comunque ci rivedremo presto, ascolteremo i nuovi problemi che ci verranno proposti e studieremo ancora insieme.”
“Non lo so.”
“Non vuoi più stare con me?” Chiese la giovane, arrossendo, senza coinvolgere l’amico che si era perso a fissare il vuoto.
“Il destino potrebbe anche decidere che questo è il nostro ultimo giorno da liceali.” Rispose, perdendosi a fissare il cielo azzurro, mentre Dawn si chiedeva il senso di quelle parole.
 
Nemmeno il breve tragitto era riuscito a farle trovare una risposta.
Che Scott non fosse un tipo troppo semplice da capire questo era innegabile, ma con un discorso così contorto nessuno avrebbe mai capito qualcosa.
Sembrava sempre più un mistero.
E mentre lui si allontanava, dopo aver salutato i genitori della ragazza, a Dawn non restava altro che osservarlo.
Con tranquillità e sicurezza aveva attraversato la strada, diventando sempre più piccolo e sparendo una volta girato l’angolo.
Il rosso terminata quella giornata aveva un progetto interessante da portare a termine.
Si trattava di tante piccole azioni da collegare tra loro e di qualche altro dettaglio da ultimare.
Innanzitutto era riuscito a tenere il segreto.
Nessuno sapeva nulla di quell’idea malsana e questo era un bene.
Non potevano nemmeno sospettarlo o immaginarlo e questo continuava a giocare a suo favore.
L’unico intoppo era dentro di lui.
C’era una sensazione che non voleva concedergli quella possibilità.
Per conoscere il passato lui doveva sacrificare il presente con tutti gli errori del caso.
Era solo questo il suo dubbio.
Doveva sapere la verità a scapito di quello che aveva faticosamente ricostruito?
“Io ne ho bisogno.”
Non sarebbe stato per nulla facile.
Se non ne fosse stato soddisfatto, dove avrebbe ritrovato il coraggio di fare un passo indietro?
Dove avrebbe cercato la forza di ripresentarsi a Dawn e di raccontarle ciò che aveva passato?
Non sapeva nemmeno se avrebbe mai ottenuto il perdono della sua famiglia.
Sperava soltanto che quella valigia che avrebbe liberato dall’armadio, tornasse ben presto nel luogo a cui era destinata.
 
Era il 3 luglio quando lui, Scott Black, ragazzo solitario, misantropo, problematico e imprevedibile, raccolse la sua borsa.
Al suo interno tante speranze per il futuro, qualche vestito di ricambio, i suoi risparmi, l’immancabile lettera e l’ultima foto di classe a fargli compagnia.
Non sapeva quando e se sarebbe tornato, ma questo era solo relativo.
Poteva tornare in pochi giorni, come poteva impiegarci una vita intera.
Dietro di sé lasciava solo qualche ricordo sbiadito nella mente delle persone.
Qualcosa che se qualcuno parlava male di lui, poi temevano di vederselo ricomparire davanti con i suoi occhiacci grigi.
Aveva solo 18 anni e tante domande per la testa.
Dietro di sé, in una casa accogliente, seppur strana, aveva lasciato la madre a struggersi dal dolore e la sorella a leggere qualche riga che lui aveva lasciato.
Voleva che sapessero che lui sarebbe tornato.
Voleva che approvassero quella pazzia e che portassero pazienza.
Per il loro cuore affranto sarebbe sempre stato troppo tardi nel vederlo tornare indietro con passo sicuro e con sguardo di sfida, ma Scott sperava non perdessero la speranza.
Almeno quella doveva rimanere, dato che nemmeno lui l’aveva perduta in tutti quegli anni di lenta agonia che l’avevano sempre sbeffeggiato.





Angolo autore:

Qualcuno tra voi se lo aspettava, vero?

Ryuk: Non eravamo soddisfatti di aver reso la vita di Scott così schifosa.

Ci voleva ancora qualcosa, ma come potete ben vedere la storia non è ancora completa.
The show must go on.

Ryuk: C'è ancora carne al fuoco e se continuate a seguirci non resterete delusi.

Ovviamente ringraziamo chi legge, recensisce e segue la nostra storia.
Grazie di tutto e dei vostri consigli/complimenti.
Alla prossima!

Ryuk: Non odiateci per questo...

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Capitolo 19
*** Cap 19 ***


Alla fine quei mesi di vacanza erano passati in un attimo.
Almeno era questo che credevano i ragazzi quando varcavano nuovamente il cancello, anche se per Alberta e sua madre ogni secondo era stato impossibile da sopportare.
Avevano sempre sperato che Scott tornasse in tempo, ma la loro illusione si spense nel notare che il miracolo non si era realizzato.
La scuola con la sua cerimonia d’apertura era cominciata sotto i migliori auspici e la famiglia di Scott quasi era seccata dal dover rovinare il tutto.
Avevano avvertito il prof McLean di quella triste novità solo quando mancavano pochi minuti dal suono della campanella.
Il coordinatore, nell’apprendere quella notizia, quasi rimpiangeva che gli toccasse un compito così ingrato.
Nella sua breve esperienza era convinto di aver vissuto ogni momento possibile, passando da sospensioni, espulsioni, rimproveri a grandi complimenti e strette di mano.
Non era abituato a dover dare una così terribile notizia.
Ascoltate le parole della giovane Alberta, era rimasto catatonico per molti minuti prima di rendersi conto che l’aula era rimasta deserta e che era a completa disposizione dei suoi studenti.
Tra questi qualcuno era ancora in ritardo, anche a causa del cambio aula che era stato solamente ipotizzato durante lo scorso maggio.
I classici ritardatari e quelli che non trovavano la sezione avevano ancora qualche minuto bonus da sfruttare.
Ben presto però i banchi erano già stati divisi tra i ragazzi e, da seduti, avevano iniziato a confabulare riguardo vacanze e avventure che avevano vissuto nei giorni precedenti.
Chris era entrato in aula, con tutte queste chiacchiere in sottofondo, e accomodatosi sulla cattedra con il suo immancabile pc e con il registro non riusciva a trovare la concentrazione adeguata con cui esprimersi ai suoi ragazzi.
Fu quando giunse al punto di non ritorno, soffocando i suoi singhiozzi, che alzò lo sguardo.
Per tutto il tempo aveva fissato il vuoto, in cerca delle parole migliori con cui cominciare quella giornata.
Come se fosse difficile notare la sua assenza.
Non tanto per la rumorosità, ma più che altro per la zazzera che rispecchiava nella stanza.
Inoltre il suo posto era fisso da anni.
Mai si schiodava dagli angoli che gli permettevano una visione panoramica della città.
Quello era sempre stato il suo posto preferito e i pochi che osavano occuparlo, si erano ritrovati a scontrarsi con la sua acidità e con offese che, prima di attenuarsi, rimanevano impresse per molte settimane.
“Sono felice di rivedervi.” Iniziò l’uomo con evidente difficoltà.
Tutti si fissarono confusi, quasi volessero fargli notare che a dire il vero qualcuno era ancora assente.
“So che non è facile, ma devo comunicarvi una notizia che vi rattristerà. Il vostro compagno Scott, per motivi che non vi è dato sapere, non parteciperà a quest’anno scolastico. Poco fa sono stato contattato dalla sua famiglia e non mi hanno saputo dire nulla di più.”
Il silenzio scese come un macigno sulla classe e spazzò via il brusio che era rimasto in sottofondo.
Perfino Chris era crollato con quella notizia.
Mentre percorreva il lungo corridoio, cercava di capire il motivo di quello strano comportamento.
Non c’era nessuno che lo odiava a un punto tale da invitarlo a non presentarsi più
E non aveva mai evidenziato timore per una possibile bocciatura proprio all’ultimo anno.
In quei rari temi che avevano affrontato insieme, discutendo come padre e figlio, Chris aveva intuito che Scott mai sarebbe scappato dinanzi a un qualcosa che non conosceva.
La verità è che non era tipica del suo carattere.
Perso in questi pensieri, Chris non si era accorto che anche i compagni di Scott avevano cominciato con delle teorie che ben presto lasciarono il posto alla rabbia.
Non credevano che proprio lui potesse essere il primo artefice del disfacimento della loro unità e quella perdita, avvenuta senza motivo, aumentava il loro fastidio.
“È stato costretto a non presentarsi o è una sua scelta?” Chiese Duncan, scattando in piedi e alzando la voce, facendo sussultare la compagna di banco.
“Non è possibile, perché non ci ha detto nulla?” Borbottò Mike, girandosi a fissare prima Zoey e poi Dawn.
Quest’ultima, in terza fila, aveva subito il contraccolpo peggiore.
Era sbiancata e tremava come una foglia sferzata dal gelido vento invernale.
Se qualcuno le avesse chiesto perché era ridotta come uno straccio, lei avrebbe giurato che non trovava spiegazioni e che la sola possibilità era da ricercare nella mossa appena compiuta dal compagno di club.
Quando si erano salutati a giugno, si erano ripromessi di ritrovarsi in classe all’inizio del nuovo anno.
Lui si era messo a brontolare qualcosa riguardo il destino e si era messo a fissare il cielo azzurro.
Se avesse ipotizzato che quella sarebbe stata l’ultima immagine che avrebbe ricordato di lui, lo avrebbe trattenuto.
Gli avrebbe chiesto quale problema non avesse mai sviscerato.
Invece mossa dalla consapevolezza che si sarebbero rivisti, aveva lasciato correre.
“Nella vostra vita, tutti voi vi troverete difronte ad innumerevoli bivi. Magari vorreste restare fermi o tornare indietro, ma purtroppo dovrete prendere una decisione. La scelta di Scott potrebbe essere dura da accettare, ma dobbiamo offrirgli il nostro appoggio.” Spiegò Chris, rimanendo scioccato da tutto l’interesse che Scott era riuscito a catalizzare su di sé.
L’aveva sempre considerato un emarginato senza speranze, ma forse quel lieve avvicinamento che aveva tentato era stato sufficiente per gli altri.
Quei conoscenti che l’avevano sempre evitato o che preferivano tenersi a distanza e che non rientravano nel piccolo gruppo di amici che aveva imparato ad apprezzare.
I suoi compagni più stretti, però, com’era lecito aspettarsi non l’avevano presa bene.
Dawn aveva serrato la mano destra in un pugno, aveva preso la borsa contenente un quaderno a quadretti, il libretto delle presenze e la merenda e se ne era andata non appena aveva udito la morale dell’insegnante.
Allo stesso modo anche Mike, Zoey e Bridgette si erano presi la libertà di sgusciare fuori dalla classe, facendo intuire al prof che l’avrebbero portata a più miti consigli.
 
Con passo incerto la fuggitiva si stava incamminando verso il vecchio club di cui aveva ancora le chiavi, ma prima di salire la scalinata si girò verso una serie di passi che avevano corso per tutto il corridoio, incuranti dei possibili richiami del Preside.
“Cosa c’è?” Chiese con sguardo spento, spaventando i suoi amici che mai l’avevano vista in quello stato.
“Perché non è venuto?”
“Non lo so, Zoey.”
“Perché non ci hai detto che non sarebbe venuto?” Continuò la rossa, facendo aumentare la rabbia di Dawn.
“Io…”
“Dovevi dirgli la verità, stupida.” Alzò la voce, avvicinandosi di qualche passo e colpendo l’amica con un sonoro ceffone che sembrò rimbombare per intera scuola.
Nel vedere quella mano alzarsi e nel notare gli occhi sgranati di Dawn, gli altri ragazzi si sorpresero e sussultarono.
Da che aveva memoria Mike e Bridgette non ricordavano una simile scenata ad opera di Zoey, né che lei avesse mai alzato un dito verso Dawn.
Questa volta non era stata capace di controllarsi e solo perché si sentiva colpevole di tutte le cattiverie con cui aveva sotterrato Scott.
Se era isolato dal resto della scuola era colpa della sua lingua lunga che non faceva altro che sputare menzogne utili solo a screditarlo.
Zoey era pronta a scommettere che avesse intrapreso quella scelta solo per fermare le chiacchiere che lei alimentava in continuazione.
Quel ceffone che aveva stampato sul candido volto dell’amica l’avrebbe rigirato volentieri su di sé, ma non avendo modo di renderlo possibile aveva alzato la mano, ferendo la compagna.
Perfino i suoi occhi sembravano volerla disintegrare, anche se in verità Zoey voleva essere fermata e riempita di sberle e rimproveri.
“Smettila, Zoey.” S’inserì Mike, placando la fidanzata, mentre la sopraggiungente Bridgette se ne restava in disparte.
“Vi giuro che non so dove sia.”
“Stai mentendo.”
“Perché dovrei?”
“Forse perché hai paura d’ammettere la verità.” Sbuffò la rossa, scontrandosi con l’opposizione della ragazza.
“Credi che se sapessi dove si trova, non sarei già andata a prenderlo?”
“Dawn…”
“Non so perché se ne sia andato e perché l’abbia deciso senza prima confrontarsi con me e sono sicura che lui abbia un buon motivo per essersi comportato così.” Replicò Dawn, difendendo il compagno e sperando di non doversene pentire.
“Però…”
“Lui tornerà, Zoey.”
“Lo spero per te.” Sussurrò l’amica, mentre Dawn riprendeva il suo percorso verso il club.
 
Nel salire le scale e nel giungere davanti alla porta sentì gli occhi pizzicarle terribilmente.
Non credeva che la sua sola mancanza fosse in grado di distruggerla così e di farle smarrire tutta la sua sicurezza.
L’aveva sempre dato per scontato, ma ora che non c’era si sentiva vuota.
Quel fastidio l’aveva provato anche durante il periodo estivo, ma era sempre riuscita a superare quei momenti d’appannamento, aggiungendo e riempiendo la sua agenda pur di non pensare alla figura che aveva lasciato in città.
E se durante i suoi tour tra negozi o le passeggiate in riva al mare riusciva ad accantonare quel pensiero, ecco che durante la notte si scontrava con incubi orribili e con una distanza che le faceva sanguinare il cuore.
Per delle ore si torturava in cerca di una risposta che l’aiutasse a capire il perché quei giorni fossero così desolatamente privi d’interesse.
Se avesse immaginato che era lui l’artefice di quell’insicurezza e che potesse scappare, allora glielo avrebbe impedito.
Gli avrebbe sbarrato il passo, l’avrebbe tenuto vicino a sé e l’avrebbe portato a più miti consigli.
Ciò che la faceva riflettere è che non aveva avuto fiducia in nessuno.
Nessuno era stato avvertito di quella sua fuga così improvvisa e questo le faceva ancora più male.
Lei credeva di contare qualcosa per lui, ma il silenzio aveva ribadito la sua presa di posizione.
Scott non la considerava tanto importante da sprecare fiato, anche se una piccola vocina le ripeteva che era cambiato,  che non doveva dubitare di tutto l’impegno che ci aveva messo per aiutarlo e che lui ci teneva alla sua felicità.
Sembrava quasi le suggerisse che il suo silenzio e la sua scelta era maturata solo per proteggerla così come faceva abitualmente.
Nel riflettere sulle varie possibilità, non si era nemmeno accorta che il tempo era volato via.
Smarrita nei pochi ricordi che aveva con lui, si era persa tutte le 4 ore di scuola.
Fu solo quando sentì bussare alla porta che si ridestò e dopo poco vide apparire il prof McLean preoccupato per la sua assenza.
“Signorina Dawn.”
“Mi scusi, se sono andata via.” Tentò lei, abbassando il capo in segno di pentimento.
“Probabilmente avrei fatto anch’io lo stesso.”
“Perché è qui?” Chiese la giovane, mentre l’uomo si sedeva al posto che Scott usava abitualmente.
“Volevo sapere come stava.”
“Male.”
“All’inizio, quando l’ho portato qui, non credevo che potesse accadere.” Borbottò l’uomo, girandosi a fissare l’allieva.
“Cosa?”
“Credevo impossibile che ti affezionassi a lui, ma a quanto pare non è solo questo. Tu provi qualcosa che va oltre la semplice amicizia.”
“Io…”
“Non posso comunque chiederti di far finta di nulla. Sarebbe ipocrita sforzarti nel continuare come se nulla fosse successo, dato che anch’io sento la sua mancanza.” Continuò il professore, grattandosi la barba appena accennata.
“Ma io…”
“Mi piacerebbe darti una speranza, ma non ce la faccio.”
“Posso chiederle  una cosa?” Tentò la giovane, rialzando la testa e sperando che l’uomo non bocciasse quella sua richiesta.
“Ti ascolto.”
“Io voglio riprendere il lavoro del club.”
“Da sola?”
“Non sarò sola. Anche se fisicamente sarò l’unica presente, avrò sempre il suo pensiero a darmi consiglio.” Rispose, arrossendo un po’.
“Sicura che non sia troppo faticoso?”
“Prima che lui arrivasse non sono mai crollata.”
“Se sapesse che accetto mi darebbe dell’idiota, anche se sono il vostro insegnante.” Ridacchiò, facendo comparire sul volto della giovane un debole sorriso.
Quella dell’offendere i prof, dopotutto, era una delle sue abitudini.
Era un qualcosa che risollevava sempre l’umore di Dawn.
Ma ora che lui mancava tutto sarebbe stato più difficile.
Fu quando il prof uscì dal club che la ragazza tornò a riflettere.
Ora non c’era più nessuno a sostenerla.
Aveva ancora i suoi amici, ma loro non erano come Scott.
Lui era in grado di spronarla e di darle la forza che troppo spesso svaniva nel nulla.
Sperava che si rifacesse vivo, ma calcolare la possibilità che lui non tornasse più, la stroncava.
Non riusciva a vedersi per una vita intera senza qualcuno cui sfogarsi e cui confidare segreti, sogni e speranze.
La stessa persona che un giorno avrebbe ricevuto il suo cuore colmo d’amore.
Perché di una cosa Dawn si sentiva sicura: quando aveva saputo della sua fuga, aveva sentito qualcosa sbriciolarsi.
Un qualcosa che era sempre stato pronto ad uscire, ma che aveva sempre bloccato per la paura di non essere corrisposta.
Magari un giorno l’avrebbe anche rivisto e sperava che i sentimenti verso di lui rimanessero intatti fino ad allora.
Non avrebbe mai sopportato l’illudersi in quel modo.
Stanca di quel malessere si trascinò fino a casa, dove la madre non riuscì a fare nulla per restituirle il candido sorriso abituale.
Per molto tempo la tristezza sarebbe stata l’unica espressione che avrebbe solcato il suo viso e questo fino a quando il suo Sole non fosse tornato a splendere.
 
La stessa sensazione la stavano provando da alcune settimane anche la madre e la sorella di Scott.
Era incredibile vedere 2 donne così forti in difficoltà.
La prima poi sembrava invecchiata di una decina d’anni in un colpo solo.
Gli occhi perennemente arrossati, il corpo che si reggeva con pochissime ore di sonno e una perdita di peso lampante.
Erano questi i segni che i suoi conoscenti riconoscevano ad occhio nudo.
Inoltre anche il suo carattere era cambiato.
Un tempo molto aperto e vivace si era trasformato in chiuso e spento.
Nemmeno durante il sonno poteva dirsi tranquilla e rilassata.
Spesso, pensando al figlio, si svegliava di soprassalto e andava nella sua stanza, ridestando così anche Alberta.
E tutte le volte scontrava la sua tormentata psiche con una negazione: Scott non era tornato.
Lei, con poche parole, diceva che solo Dio avrebbe deciso se restituirgli o meno l’adorato figlio, anche se per ogni minuto che scendeva, la speranza scemava sempre più, contravvenendo a ciò che il rosso aveva pregato loro di non fare.
Era la sua presenza a creare un clima disteso in quella baracca.
Seppur fosse strano, dato il suo carattere distaccato e cinico, era lui il vero collante di quella famiglia.
Lui riusciva a far andare d’accordo le 2 iene che avevano un obiettivo in comune contro cui schierarsi.
Senza di lui, però, tutto ciò svaniva: non c’era nessun nemico da fronteggiare, nessuno da correggere o da riprendere per le dure intemperanze che lui continuava a far perdurare e tutto ciò perdeva di significato.
Il tutto stava distruggendo la sua famiglia.
La stessa Alberta, considerata da tutti come la roccia, stava dando i primi segni di cedimento.
Doveva fronteggiare i cali di sua madre e inoltre doveva tirare avanti, senza sapere per quanto ne sarebbe stata in grado.
L’unico che riusciva a farla stare meglio era il futuro marito. Lucas, infatti, si era fatto ancora più presente e gli stessi suoceri avevano mostrato il loro attaccamento verso la giovane nuora e verso la consuocera.
Avevano fatto sapere loro che erano propensi ad ospitarli se ne avessero avuto bisogno, ma Alberta si era opposta.
Non voleva risultare un peso per nessuno e per questo aveva continuato a portare pazienza.
Se sua madre era pessimista a riguardo, lei coltivava ancora la speranza.
Non poteva credere che suo fratello fosse così stolto.
Così idiota da perdersi il futuro.
Così imbecille da non presentarsi al suo matrimonio, da non conoscere i suoi futuri nipotini, da non voler approfondire il suo rapporto con Dawn.
“Alberta...” Sussurrò la donna un pomeriggio, senza continuare il discorso.
“Sì?”
“Sono stanca.”
“Se la smettessi di pensarci, forse sarebbe meglio.” Replicò con insolita freddezza, rimproverando la madre.
“Non riesco a non pensare che lui se ne sia andato per colpa nostra.”
“Perché doveva andarsene?”
“Non lo so.”
“Lo abbiamo forse offeso in qualche modo? Gli abbiamo detto qualcosa che potesse spingerlo ad andarsene?” Chiese, alzando la voce.
“Non mi sembra.”
“Anch’io sento la mancanza del mio fratellino, ma non si può piangere per sempre su ciò che è successo.”
“Tu sei…”
“Io continuo a credere in lui.” Riprese la giovane, scontrandosi con lo sguardo abbattuto della donna e sorprendendosi nel notare come si fosse ridotta.
Era assurdo, eppure era successo.
Perfino la telefonata fatta a Chris le era risultata difficile, anche se aveva avuto molti mesi per prepararsi all’idea.
Tutti sembravano avere la stessa speranza: credevano che lui sarebbe tornato, anche se il tempo con cui quantificavano quella possibilità era diverso da una persona all’altra.
Alberta era convinta che ogni secondo potesse essere quel buono per sentire lo scrocchio della serratura, mentre la madre era di tutt’altro avviso.
Sentiva qualcosa che le diceva che sarebbe trascorso troppo tempo prima che rientrasse e che riprendesse la sorella per qualche strano motivo.
Gli stessi compagni di classe avrebbero avuto un pensiero diverso.
Tutti comunque si erano spinti nel mandargli almeno un messaggio o una qualche chiamata, ma il suo cellulare risultava spento.
Come se da accesso cambiasse qualcosa.
Lui avrebbe visualizzato la chiamata, ma non avrebbe mai risposto per timore che qualcuno lo riprendesse per quel comportamento da bambino. Perché quella sua fuga aveva sottolineato tutta l’aria d’esserlo.
Sembrava un marmocchio che scappava dopo averle prese da un coetaneo.
E lui stesso se l’era svignata per timore di una qualche ombra adolescenziale.
Di una cosa tutti erano certi: quella ferita un giorno si sarebbe rimarginata.
 
Scott, andandosene, aveva creduto che nessuno avrebbe sofferto troppo perché difficilmente avevano a cuore la sua felicità
Credevano non avessero memoria di un tizio perennemente annoiato, triste e cinico e pertanto nessuno avrebbe potuto soffrirne.
Sarebbe stato impossibile soffrire per qualcuno che non si conosce del tutto e se anche qualcuno avesse provato un minimo fastidio, ecco che esso sarebbe scomparso come un malanno stagionale.
Tempo qualche giorno e si sarebbero chiesti perché percepivano quel fastidio per poi catalogarlo come tempo speso male.
Solo la sua famiglia avrebbe continuato a sperare.
Alla faccia di tutte le persone che conosceva, il dolore si sarebbe ristretto a 2 unità.
Presto o tardi anche Dawn l’avrebbe dimenticato così come si dimentica una foglia secca che si stacca dall’albero e che si posa insieme alle altre sul prato.
Per quanto si tenti di sforzarsi alla fine quell’elemento studiato si nasconde all’occhio e alla memoria umana.
Sarebbe stato doloroso, ma sarebbe successo.
Se poi non ci fosse riuscito, non sarebbe tornato: era questa l’unica cosa certa.
Avrebbe spedito una lettera alla sua famiglia e avrebbe pregato loro di continuare a vivere.
Perché se avesse fallito non avrebbe avuto il coraggio di ripresentarsi.
Sarebbe stato un perdente e questo gli avrebbe pesato per una vita intera.
Di questo era convinto quando, fermo all’ennesima fermata dell’autobus, aspettava con ansia l’arrivo del mezzo che gli avrebbe evitato la pioggia torrenziale a cui era stato costretto in quei lunghi 3 giorni di peregrinare.





Angolo autore:

So bene che potevo allungare un po' la storia, parlando dell'estate di alcuni protagonisti, ma non avevo idee a riguardo.

Ryuk: Purtroppo stiamo andando di fretta e l'angolo sarà piuttosto breve.

Vi avverto soltanto che nel prossimo capitolo il club avrà un nuovo caso da risolvere.
Alla prossima!

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Capitolo 20
*** Cap 20 ***


Anche quel settembre era sceso ed era passato.
E ottobre non accennava a rallentare la sua corsa.
Da quando Dawn aveva riaperto il club, non aveva trovato nessuna questione degna d’essere studiata con attenzione.
Aveva ricevuto solo l’ennesima visita di Harold con una qualche sua storia demenziale e quella del gruppo del tennis che voleva far nascere un club.
Lei aveva provato più volte a convincerli che era impossibile, ma non ci era riuscita.
Un club sportivo doveva nascere per uno scopo rappresentabile con un torneo o una manifestazione importante e doveva contare almeno una decina d’affiliati.
Non poteva crearsi con la buona volontà di appena 4 studenti.
Inoltre serviva l’appoggio di uno dei professori di educazione fisica, cosa che al momento quegli sprovveduti non avevano.
Con la coda tra le gambe e nell’apprendere che la Presidentessa del club di Volontariato non si sarebbe battuta al loro fianco, se l’erano svignata.
Dawn ne aveva discusso con il prof McLean, ma lui aveva ribadito la regola principale e di come non fosse possibile applicare alcuna deroga.
Se loro fossero stati accontentati, allora dovevano accettare anche la richiesta di tanti altri studenti.
La lista era lunghissima e comprendeva il club di fumetti, di scacchi, di nuoto, di francobolli e perfino di fotografia.
Accontentarne uno significava mettersi nei guai con una decina di possibili gruppi che potevano nascere e che promettevano il massimo impegno.
Impegno che poteva essere innegabile, ma che non dava garanzie.
Era l’ennesimo triste e grigio pomeriggio d’ottobre, quando lei, finite le lezioni e il breve pranzo, si trovò ad aprire il club.
La stanza era avvolta da un’oscurità piacevole e lei, senza badarci troppo, iniziò a leggere.
Sapeva che se lui fosse stato presente, l’avrebbe rimproverata per quella mania che poteva rovinarle la vista.
Tuttavia non le importava.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederlo tornare, anche compiere una qualche azione scellerata che poteva rivoltarsele contro.
E invece non era ancora successo nulla.
Non si era ancora abituata a quella solitudine e spesso si chiedeva come l’amico potesse  trovare quell’isolamento così piacevole ed essenziale per la sua vita.
Alcune volte si estraniava dal suo club, spalancando la finestra e fissando i ragazzi che correvano spensierati per il giardino.
Si trattava perlopiù di ragazzi di prima o seconda e in quel pomeriggio 2 figure si erano sedute su una panchina, scambiandosi qualche semplice gesto e credendo pertanto di non essere notati da nessuno.
Dawn avrebbe desiderato essere al loro posto, anche se la figura che doveva affiancarla era come avvolta dalla nebbia.
Di lui scorgeva solo un ghigno che in passato le avrebbe fatto paura, ma che in quei giorni la faceva sorridere di rimando.
Era quando fissava il panorama che si perdeva nelle sue riflessioni e spesso dopo una buona mezzora era ancora ferma come una statua.
A volte si scontrava con Zoey e il vecchio McLean per quella strana abitudine che avrebbe attirato un qualche malanno stagionale.
Quel pomeriggio, però, Dawn era persa a fissare quei giovani, troppo innamorati per aspettare di essere a casa.
Lui era molto più basso della fidanzata e sembrava anche più tranquillo e meno irrequieto.
Al contrario di lei si notava un colorito olivastro e i capelli leggermente violacei.
“Stai osservando Cody e Sierra in uno dei loro soliti pomeriggi di studio.” Ridacchiò una voce che la fece sbuffare.
“Mi chiedevo chi fosse così stupido da stare ancora qui quando può tornarsene a casa.” Mormorò Dawn, staccandosi dalla finestra e sedendosi al suo posto.
“Da quando sei così fredda?”
“Questo non ti riguarda.”
“Oh mi riguarda eccome invece.”
“Inizio a odiare questa città.” Sbottò, gettando al suolo i libri che, fino a quel giorno, aveva trattato con tanta cura.
“Non puoi ritrovarlo senza nemmeno sapere dove si sia cacciato.” La rimproverò, intuendo i suoi pensieri.
“Zoey…vattene!” Le ordinò Dawn, alzando lo sguardo e scrutandola con occhi pieni di cattiveria.
“No!”
“Vorrà dire che ti chiuderò qui dentro.”
“Da quando abbandoni il club prima che siano le 17?” Domandò Zoey, facendola sbuffare innervosita.
“Da quando nessuno ha dei problemi degni della mia attenzione.”
“Potrei sapere perché odi la nostra città?” Ricominciò la rossa, sperando che l’amica si fosse convinta a parlare.
“È piena di ricordi che vorrei solo dimenticare. Venire a scuola ogni giorno, incontrare voi e poi ritornare a casa. Cambierà mai qualcosa? Se dovessi scegliere un posto dove stare, di sicuro non sarebbe in questa città.”
“È solo questo che ti deprime Dawn?”
“La mia vita non ha più alcun senso. Una volta riuscivo a divertirmi e trovavo sempre qualcosa di nuovo da fare, ma ora tutto mi sembra uguale.”
“Scott non vorrebbe mai vederti in questo stato.” La rimproverò, sperando di risvegliarla dallo stato di trance in cui era precipitata.
“Non devi parlare di lui.”
“Se sono qui è solo per un motivo.” Replicò Zoey, avviandosi alla porta e aprendola leggermente.
“Ti sei decisa a lasciarmi in pace?” Tentò, sperando di tornare ai suoi passatempi.
Fu nel veder entrare una nuova figura che Dawn sussultò.
Sperava di starsene tranquilla e di poter ritornare a fissare il panorama, ma l’amica non era dello stesso avviso.
Zoey, comunque, temeva per quel caso.
Era stata lei stessa a convincere la ragazza che aveva dietro di sé e non voleva immaginare una mancata risoluzione.
A vantaggio di questa ipotesi aveva fatto una considerazione che non poteva ignorare: rispetto all’anno prima, quando Scott era ben presente e accoglieva i suoi ospiti con del sano cinismo, Dawn era cambiata in peggio.
Si era fatta più schiva e riservata.
Inoltre comunicava raramente, riservava ai suoi interlocutori uno sguardo stanco e senza stimoli e aveva iniziato a fare qualche manca.
Quando l’assenza di Scott e il suo pensiero diventavano insostenibili, allora se la svignava al parco e si metteva a riflettere.
Quel pomeriggio invece si sarebbe scontrata con qualcosa di nuovo.
Una questione che in qualche modo poteva restituirle un periodo di sollievo, anche se poi sarebbe nuovamente piombata nell’oblio.
“Ora che ti ho portato questo nuovo caso da risolvere, posso anche andare.” Borbottò Zoey, scambiando uno sguardo d’intesa con la nuova ospite del club e uscendo velocemente dall’aula.
“Io non ho richiesto nessun nuovo caso.” Puntualizzò Dawn, iniziando a studiare la giovane che si era fatta ingannare da Zoey.
“E quindi sarebbe questo il club del Volontariato?” Chiese la nuova ospite, studiando l’aula e accorgendosi che non rappresentava le descrizioni che erano giunte alle sue orecchie.
“Purtroppo è così.”
“Avrei bisogno di una mano.”
“Come tutti.” La sminuì Dawn, invitandola ad accendere la luce e ad accomodarsi difronte a lei.
“Io sono…”
“Sei la Presidentessa del club di Letteratura.” L’anticipò, senza darle nemmeno il tempo di finire di parlare.
“Mi conosci?”
“Ti chiami Courtney e sei la ragazza del leader della band scolastica.”
“Come sai tutte queste cose?” Domandò, facendo sospirare profondamente la biondina.
“Sei abbastanza famosa e il giornalino scolastico parla spesso di persone talentuose come te.”
“Beh…grazie.”
“Il mio non era un complimento.” Sbuffò, mentre Courtney si sedeva tranquillamente vicino a lei.
“Certo, certo.”
“Per quale motivo sei qui?” Chiese Dawn, andando dritta al sodo.
“Ho un favore da chiederti.”
“Un favore?”
“Non si tratta di un qualcosa che riguarda direttamente la scuola, anche se posso dire che ci si avvicina parecchio.”
“Il club risolve anche questioni private.” Tentò la biondina.
“Questa è a metà strada.”
“Metà riguarda te o la tua famiglia e l’altra riguarda la scuola?”
“Esattamente.” Annuì Courtney, facendo riflettere Dawn.
Quella era la prima volta che le capitava un caso a metà strada, se così poteva essere definito.
Con Carrie si trattava di una questione privata.
Anche Harold con il suo libro era una questione personale.
Solo Heather e gli sprovveduti del team del tennis riguardavano la scuola che frequentava.
“Cosa dovrei fare?”
“Per il momento vorrei che ascoltassi le mie parole.”
“Se si tratta solo d’ascoltare, hai la mia attenzione.” Sbuffò, bevendo un sorso d’acqua e girandosi completamente verso Courtney.
“Dawn hai mai saputo chi è il fondatore del mio club?” Chiese la Presidentessa in visita.
“Non mi sono mai chiesta nemmeno chi abbia fondato questo club.”
“Credevo fossi un po’ curiosa.”
“Stai sviando dal tuo problema.” Le fece notare, facendola sospirare delusa.
“Il fondatore del club di Letteratura è stato mio zio Steve.”
“E questo cosa centra con il club del Volontariato?”
“Vorrei che mi aiutassi a ricordare cosa mi disse.” Rispose, scontrandosi con lo sguardo dubbioso e confuso di Dawn.
La biondina si era chiesta come potesse sapere un qualcosa da cui era sempre stata totalmente esclusa.
Se fosse stata presente quel giorno, avrebbe capito la richiesta di Courtney, ma non avendo nulla in mano non sapeva nemmeno da dove cominciare.
Sperava soltanto che lei avesse un qualche indizio da sfruttare a suo vantaggio.
“Non ho idea di cosa tu stia dicendo.”
“Forse sono saltata subito alle conclusioni e per questo ti prego di aspettare un po’.”
“Continua.”
“Mio zio è partito per l’India quasi 2 anni fa e da allora è scomparso. Quando ero bambina, ero molto legata a lui. Lui aveva sempre molto tempo per me, rispondeva ad ogni mia curiosità, anche alla più ridicola.”
“Posso chiederti se hai idea del perché sia scomparso?” Chiese Dawn, interrompendo Courtney, la quale negò con il capo.
“Non lo so. Posso comunque dirti che venni a sapere del fatto che lui era il fondatore del club quando ero ancora all’asilo e la cosa m’incuriosì parecchio.”
“Credo sia comprensibile.”
“Un giorno gli chiesi di parlarmi di questo club, ma non mi rispose.”
“Strano.”
“È quello che ho pensato anch’io.” Borbottò Courtney.
“E poi?”
“Ho insistito fino a quando non ha ceduto, ma la sua risposta…”
“Com’era?” Chiese Dawn, fissando il volto triste e contratto dell’ospite.
“Mi fece piangere.”
“Piangere?”
“Ricordo che mio zio non cercò nemmeno di consolarmi.”
“Insolito per un uomo che voleva molto bene alla sua nipotina.” Rifletté Dawn ad alta voce.
“Questa divenne una mia ossessione e ancora oggi non riesco a trovare una risposta.”
“Una questione personale complessa.”
“Ho provato a cercare qualche indizio in giro, ma non ho trovato nulla.”
“Perché stai chiedendo aiuto a me, se nessun professore è stato in grado di darti la risposta che cercavi?”
“Perché il vostro club è grande.” Sorrise, cercando di sbilanciare la risposta di Dawn verso una direzione a lei congeniale.
“Non puoi aspettare di ricordarlo senza troppi sforzi?”
“Il passo da ricordare a dimenticare è assai breve, Dawn.”
“Non posso garantirti nulla, ma se vuoi ripresentarti tra qualche giorno, potrò informarti di ciò che ho sentito.”
“D’accordo.” Sospirò, raccogliendo la sua borsa, ringraziando Dawn che era tornata a leggere e uscendo dal club.
 
Per quasi mezzora era rimasta a leggere quelle poche righe e solo quando le parole avevano perso significato, si era staccata dal libro.
Da quel che sapeva il club di Letteratura ogni anno doveva pubblicare una sorta di annuario che finiva puntualmente in biblioteca.
Magari non era questa gran cosa, ma quello era un buon punto di partenza.
Inoltre aveva una chiacchierata da fare con il prof McLean, dato che lui stesso era stato in quegli anni un ragazzo dell’Istituto.
Con un colpo di fortuna insperato poteva venir fuori che Chris conosceva il fantomatico zio Steve.
Nonostante fosse noioso, la ragazza si ritrovò nell’immensa biblioteca.
L’ambiente era tranquillo e assai rifornito e per non perdere ulteriore tempo si avvalse dell’aiuto di una delle bibliotecarie.
Quella dannata le aveva aperto un mondo davanti.
Due interi scaffali occupati da pubblicazioni del club di Letteratura e di vecchie attività chiuse per mancanza di fondi o per l’assenza di nuovi membri.
“Fantastico.” Si ritrovò a borbottare, sfogliando uno dei volumi intermedi e leggendo distrattamente le pagine.
Da quel che sapeva, Steve era stato l’ideatore di quel gruppo e, quindi, doveva aver partecipato quanto meno ai primi 2-3 volumi.
Raccolse il primo e vi notò un disegno insolito che la incuriosì parecchio.
In fondo alla pubblicazione poté leggere la firma dei membri e tra questo vi era il cognome in comune con quello di Courtney.
Inoltre in ultima, in piccolo, vi era anche McLean, segno che il vecchio Chris aveva partecipato a quell’attività.
Dal secondo volume in poi, però, Steve era scomparso.
Dawn non poteva credere che il fondatore avesse partecipato solo durante l’ultimo anno o che avesse deciso di rinunciare ad una sua stessa idea.
Seppur in misura minore aveva aggiunto anche l’espulsione alla lista delle possibilità.
Un gesto di quelle portate avrebbe stroncato la sua partecipazione ed ecco spiegato il motivo per cui, dal secondo volume, lui era stato gettato nel dimenticatoio.
Inoltre non vi era nemmeno una citazione a suo riguardo e forse questo era un indizio in più per quella sua prima teoria.
Convinta che non vi fosse null’altro da fare in quel pomeriggio, Dawn raccolse i primi 5 volumi e ripose in ordine quelli che aveva sfogliato con svogliatezza.
Firmata una scheda e promesso di restituirli in 2 settimane, s’incamminò verso casa con il chiaro intento di studiarli con maggiore attenzione.
Giunta dinanzi alla sua scrivania, provò a fare mente locale e a tracciare un senso logico, ma Courtney la chiamò nuovamente.
“So che è tardi, ma mia madre mi ha detto che in quegli anni è successo qualcosa di strano al festival.”
“Qualcosa di strano?”
“Lei dice che è stato un anno complicato, anche se fatica a ricordare il perché.”
“Interessante.”
“C’è altro che posso fare per aiutarti, Dawn?”
“Appena ricordi qualcosa mandami pure un messaggio e ti prego di perdonarmi, ma sarebbe meglio se c’incontrassimo venerdì.” Tentò la biondina, mentre Courtney prometteva che si sarebbe impegnata al massimo.
 
Dalle pubblicazioni che aveva ricevuto, Dawn aveva notato che erano riportate anche delle note di biasimo e degli accenni ad avvenimenti violenti.
Innanzitutto si parlava di opposizioni tra professori e studenti.
Di alcuni ragazzi che avevano rischiato e che per poco non erano finiti sulla graticola.
Di una situazione inconciliabile.
Di quanto il Preside, predecessore di quello attuale, fosse furibondo.
Di quanto gli studenti si fossero comportati come delle bestie e di altre argomentazioni più o meno rilevanti che erano finite sul quaderno degli appunti di Dawn.
C’era tanta carne al fuoco.
Tanta confusione sia nella sua testa che sulla carta stampata e una risposta impossibile da trovare dopo così tanti anni.
Eppure quelli erano degli indizi.
Prove inconfutabili che qualcosa era accaduto e che Steve era intervenuto per riporvi rimedio.
E poi vi era l’illustrazione.
Il disegno del primo volume che lasciava di sasso chiunque e una frase enigmatica che lasciava presagire a qualche situazione estrema.
“Non è ciò che sembra.”
In un titolo così difficile si nascondeva l’intera soluzione e di questo ne era abbastanza convinta.
Tuttavia mancava il motivo vero e proprio.
Steve si era battuto per un festival più lungo rispetto ai 2 giorni canonici e aveva ottenuto il consenso del corpo docente.
Certo era stata un’assemblea difficile, ma ne era valsa la pena, dato che aveva ottenuto ciò che tutti volevano.
Ora però nasceva il dubbio.
Finito il festival, Steve era stato dimenticato.
Di spontanea volontà o erano stati costretti a dimenticarlo?
Dalle pubblicazioni sporgeva l’idea che fosse stato costretto ad andarsene.
Da persona comune a fantasma.
Dawn, stanca di quella rappresentazione, staccò gli occhi dai volumi.
Per un breve attimo si posizionò vicino alla finestra per fissare il Sole che tendeva a tramontare e poi verso la natura che si stendeva nel parco vicino casa.
Dopo aver osservato i bambini giocare e divertirsi, si ricordò dell’amico che era scappato e senza volerlo si voltò verso la mensola.
Su di essa era adagiata la foto che avevano scattato l’ultimo giorno di scuola e quell’immagine la colpì all’improvviso.
“Che stupida.”
Se ne era dimenticata: la palestra.
La soluzione era sempre stata lì a portata di mano e lei l’aveva sempre ignorata.
Ecco di cosa parlava la madre di Courtney quando diceva che era accaduto qualcosa di strano.
Ora aveva tutte le carte in regola per risolvere il problema dello zio di Courtney e poteva avere un confronto anche con il prof McLean.
 
Quel tanto atteso venerdì era giunto, ma quando la diretta interessata aveva aperto la porta, oltre a Dawn vi aveva trovato il professore.
“Cosa ci fa lui qui?” Chiese subito.
“Ci aiuterà a chiarire la faccenda.”
“Dawn mi ha raccontato cosa vuoi sapere e se possibile voglio esservi d’aiuto.” Tentò l’uomo, facendo annuire la ragazza.
“So con certezza che tuo zio Steve è stato espulso dopo il festival.”
“Come?”
“In quegli anni il consiglio studentesco era convinto che 2 soli giorni per il festival non fossero sufficienti e pertanto lottarono a lungo con i professori per ottenere qualche giorno in più.”
“E mio zio cosa centra?” Chiese la ragazza.
“Il consiglio lo aveva scelto come supervisore e aveva garantito per tutti. Tuttavia i professori non volevano accettare la proposta e il corpo studentesco li hai ricattati con la minaccia di scioperi e di occupazioni dell’Istituto.”
“Ma questo…”
“Secondo i giornali  della biblioteca sembra che i docenti fossero terrorizzati all’idea di appoggiare gli allievi.”
“Non capisco il perché sia stato espulso dopo il festival, se le manifestazioni sono cominciate 3 mesi prima.” Tentò Courtney, facendo sorridere Dawn.
“Me lo sono chiesta anch’io, ma poi ho studiato la storia della scuola.”
“E?” Chiese l’ospite.
“Secondo te perché la palestra sembra più vecchia rispetto alla scuola?”
“Non lo so.”
“La scuola è stata rimodernata circa 8 anni fa, ma la palestra non è stata toccata perché era stata ricostruita da poco.”
“Da poco?” Domandò Courtney, facendo annuire il professore che seguiva quel discorso senza nemmeno perdersi una parola.
“L’anno della manifestazione e dell’espulsione di tuo zio il festival si celebrò nella palestra esterna.”
“Non lo sapevo.”
“Era una tradizione e quando tua madre ti ha raccontato di qualcosa di strano…beh devi sapere che riguardava proprio la palestra.”
“Perché?”
“Tuo zio è stato espulso perché, durante l’ultima notte, la palestra era andata a fuoco e qualcuno gli scaricò la colpa. Un atto così grave e orribile convinse i docenti a prendere misure drastiche.”
“Come?”
“Accorciarono la lunghezza del festival, cacciarono tuo zio, ma non lo denunciarono. Preferirono allontanare l’artefice dei loro guai, anche se ignoravano il fatto che Steve fosse solo un pupazzo nelle mani di studenti più influenti.”
“Non capisco.”
“Nel giornale si parlava di uno comune che non diventa un eroe. Lui era solo il burattino di qualcun altro che non si è preso la colpa.”
“Impossibile.” Tentò Courtney, mentre il professore annuiva mestamente.
“Gli altri studenti, ottenuto ciò che volevano, non manifestarono. Avevano conquistato ciò che si erano prefissati d’ottenere e poi una loro opposizione sarebbe stata poco benvista dalla società.”
“Infami.”
“Il Preside era pronto a rispondere con una denuncia e i ragazzi furono costretti a lasciare tuo zio in pasto ai professori.”
“Lui…” Borbottò Courtney, prima d’essere interrotta nuovamente.
“Aveva intuito in quale guaio si era cacciato. Sapeva che nessuno si sarebbe buttato nel fuoco per salvarlo da accuse tanto infamanti e, piuttosto di rovinare il clima scolastico, si è sacrificato per il bene comune.”
“Maledetti.”
“A quel tempo eravamo terrorizzati, ma lui ci aveva garantito che gli andava bene così. Se le famiglie avessero saputo ciò, probabilmente sarebbe venuto fuori il finimondo.” Borbottò dispiaciuto Chris, mentre qualche lacrima gli rigava il volto.
“Non è diventato un eroe, perché lui ha scelto di farsi espellere di sua spontanea volontà con una speranza che l’ha tradito.”
“Di che parli, Dawn?”
“Continuo io o pensa di farcela, prof?” Chiese la biondina, rivolgendosi all’uomo, mentre questi negava con il capo.
“Non saprei che dire.”
“Tuo zio, Courtney, è stato espulso perché è stato usato come capro espiatorio. I professori non avevano prove contro di lui, ma un fuoco non si accende senza la presenza di qualcuno.”
“Ma se…”
“Non aveva colpe, ma è rimasto comunque in silenzio.”
“Zio Steve.”
“Lui è stato costretto ad andarsene e questo è il motivo di questa rappresentazione.” Spiegò Dawn, spingendo verso Courtney la copertina del primo volume.
C’aveva impiegato un po’ per capire il motivo d’inserire degli animali, ma poi c’era arrivata.
Sul davanti vi era un cane che sbranava un coniglio, mentre, in disparte, altri conigli assistevano alla scena senza intervenire.
Quell’immagine era un paragone calzante.
Il coniglio lasciato in pasto era lo zio di Courtney, mentre il cane rappresentava il corpo formato dai professori.
Inutile spiegare chi fossero gli altri conigli in fondo, dato che era ovvio che fossero tutti gli studenti che non avevano mosso un dito.
“Mi sono pentito di questa cosa ed è per questo che sono diventato professore.” Ammise Chris, allontanando l’illustrazione che conosceva bene.
Per quasi 2 mesi da quando Steve era stato cacciato, quell’immagine raccapricciante gli disturbava il sonno.
Solo grazie a delle terapie, all’ipnosi e ad alcune pillole naturali concilianti il riposo, aveva superato quell’ossessione.
“Come?” Chiese Courtney.
“Non voglio che simili episodi si verifichino di nuovo e per questo aiuterò gli studenti a trovare la loro via.”
“Lei…”
“So benissimo che abbiamo sbagliato, che le nostre scuse non saranno mai sufficienti per rialzare il nome di una famiglia ingiustamente lasciata nel fango e che non potrò fare nulla per non sentirmi più un codardo.”
“Mi dispiace Courtney, ma questa è la fine della storia.” Borbottò Dawn, mentre la diretta interessata, raccolte le sue cose, era uscita senza ringraziare nessuno.
Dawn e Chris capivano il suo stato d’animo.
Ciò che credeva limpido e privo di crepe aveva mostrato il suo lato più malvagio e subdolo.
La scuola nella quale aveva molti amici, un fidanzato meraviglioso e che aveva coltivato le sue passioni, le aveva appena dato una severa lezione.
Anche l’elemento reputato più corretto nasconde degli aspetti più sottili.
Sorpresa che le sue sicurezze avessero appena tradito la sua fiducia e quella dello zio, era uscita barcollando.
La medesima fuga che Chris abbozzò qualche minuto più tardi, avvertendo una tensione esagerata.
Rimasta sola, Dawn si rialzò, tornando a fissare il panorama grigio e infelice che si stendeva pietosamente davanti a lei.  
Nella testa ancora quell’immagine raccapricciante e senza volerlo una connessione orribile con ciò che Scott aveva vissuto.
Allo stesso modo anche lui era stato abbandonato alle fauci del suo destino.




Angolo autore:

E Courtney fa la sua trionfale comparsa.

Ryuk: Prima o poi anche lei doveva apparire.

E oltre alla fissata con gli avvocati, abbiamo notato Sierra e Cody che sono due new entry dell'ultima ora.
Fino a ieri non li avevo manco calcolati.

Ryuk: Come non era prevista la presenza di Zoey in questo capitolo.

Difficilmente qualcuno di voi conoscerà questo caso, ma è abbastanza simile a quello presente in Hyouka (spero si scriva così).
È una light novel carina (non è il mio genere, ma alcune parti sono ben fatte).

Ryuk: Se qualcuno è interessato, gli dia pure un'occhiata.

E come mi succede raramente, questa sera capitolo very long.
Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Cap 21 ***


Coloro che non avevano perso la speranza, sarebbero stati premiati.
Passarono molti giorni da quando Dawn aveva risolto il problema di Courtney e in tutto questo il club ci aveva guadagnato un’ottima visibilità.
Capitava frequentemente che qualcuno entrasse in cerca di un consiglio e che ne uscisse poi con un entusiasmo contagioso.
In tutto questo, però, Dawn era cambiata.
Non dava più consigli con lo spirito gioioso dell’anno prima, ma almeno era abile a mascherare il tutto e a sforzarsi di sembrare la più naturale possibile.
Il gruppo del tennis aveva continuato a farle visita molte altre volte, ma lei era sempre rimasta sulle sue posizioni.
Le avevano chiesto di rinunciare al ruolo che ricopriva con le sue sole forze, con la speranza che si accasasse nel loro team.
Con la popolarità di Dawn e con la sua influenza nella scuola, potevano avere qualche chance in più di strappare un consenso ai professori.
Invece lei era rimasta inamovibile.
Non avrebbe mai lasciato il club del Volontariato perché si sarebbe sentita in colpa.
Sperava che un giorno Scott varcasse la porta, che si sedesse al suo posto e che con la solita aria menefreghista risolvesse i problemi.
Quelle preghiere che rivolgeva ogni sera al cielo, sembravano rivolte al caso.
Eppure il caso non l’aveva mai tradita.
Nemmeno quando credeva che sarebbe caduta nell’oblio, dato che apparentemente nessuno sembrava avere a cuore la sua felicità.
E invece prima Zoey e poi gli altri le erano state vicini.
E quel 6 novembre avrebbe ricevuto il regalo che tanto aspettava.
 
Così come se ne era andato in una calda e afosa giornata di luglio, allo stesso modo aveva fatto ritorno.
Senza avvertire nessuno aveva riabbracciato con lo sguardo la sua città.
Non era poi cambiata molto in quei lunghi mesi di lontananza.
Si era preso qualche ora per visitare i posti a lui più cari e poi, sotto mezzogiorno, aveva fatto ritorno alla baracca.
Per la sorella e la madre fu quasi un infarto sentire la serratura dare segni di vita.
In pochi secondi erano scattate in piedi e avevano aperto la porta, prendendo in contropiede Scott.
Lui si aspettava qualche rimprovero, ma il figliol prodigo era stato rinchiuso nelle forti braccia delle 2 donne.
E come era tornato a casa, allo stesso modo avrebbe ripreso le sue vecchie abitudini.
Infatti l’indomani si era ripresentato a scuola.
Tutto risolto secondo la maggior parte della comunità, ma tutto più complicato per quelli che lo conoscevano bene.
Anche nella sua sezione aveva ricevuto molti abbracci insoliti e molte parole di sostegno, ma in tutto ciò una cosa sola era cambiata.
Il suo sguardo ferito era la prima cosa che in molti avevano notato.
Uno sguardo vitreo, sofferente, deluso e un viso scavato da quella che sembrava una strana malattia, ma che era molto peggio.
Sembrava avesse appena finito di combattere in una rissa in cui le aveva buscate alla grande.
Alle poche domande che gli venivano rivolte, lui rispondeva senza proferire parola.
Solo il silenzio non lo tradiva.
Anche con sua madre e con Alberta non aveva detto nulla.
Aveva ascoltato i loro rimproveri e il loro sollievo, ma non erano riuscite a restituirgli un pizzico di gioia.
Lui le fissava e sembrava sempre sul punto d’esplodere, salvo poi accontentarsi di un sorrisino appena accennato.
Non era la mancata loquacità di Scott a renderle pensierose, ma la sua indole.
Una volta cinica e apatica ora sembrava limitata.
Quando aveva salito le scale per portare la valigia in stanza, avevano notato la difficoltà nei movimenti.
Prima di luglio quasi correva per buttarsi sul divano, mentre ora si sorreggeva sul supporto, quasi non avesse le forze per continuare.
Inoltre quando era uscito per avviarsi verso scuola, avevano notato un passo ancora più lento e indeciso.
Credevano avesse paura d’affrontare i suoi compagni, anche se sospettavano che non fosse solo questo.
La verità è che lui si trascinava ovunque.
Trascinava il suo inutile corpo dove non avrebbe potuto causare danni a nessuno e anche quel poco di felicità, che aveva nell’anima prima di partire, si era estinta.
Tutta colpa di quel viaggio malsano che aveva spezzato una sciocca illusione.
Per oltre 4 mesi aveva girato senza meta con la speranza d’ottenere una risposta e in nemmeno 5 minuti era stato disintegrato.
Terminate le prime 6 ore di scuola dopo il suo improbabile ritorno, si era defilato nel vecchio club di Volontariato con la speranza che, almeno lì, potesse esistere in santa pace.
Non aveva fatto i conti con l’esuberanza e la gioia di una sua conoscente che in quei mesi aveva patito la sua assenza.
Era appena entrata e lui fissava il vuoto della parete bianca dinanzi a sé con le lacrime agli occhi.
Fu quando sentì la porta cigolare che ebbe l’istinto di asciugarsi il volto, ma quel movimento non passò inosservato all’amica.
“Dove sei stato?”
“Ti prego Dawn, non chiedermelo.”
“Sai cosa abbiamo passato senza di te? Sai quanto mi sono sentita sola?” Chiese, arrossendo un po’, senza scioglierlo in alcun modo.
“È stato tutto uno sbaglio.”
“Perché?” Domandò lei, sedendosi al suo vecchio posto.
“Lasciami in pace.” Sussurrò, appoggiando la testa al banco con la speranza che lei seguisse il suo consiglio.
Non aveva fatto i conti con la sua testardaggine e infatti aveva subito sentito un abbraccio capace soltanto di farlo singhiozzare.
Scott credeva che lo facesse di proposito ad approfittarsi dei suoi rari momenti di debolezza, ma doveva ammettere che quella sensazione era assai piacevole.
“Cosa ti è successo, Scott? Non eri così mesi fa.”
“Sono stanco Dawn.”
“Non ne capisco il motivo.”
“Se tu sapessi quanto fa male.” Borbottò il ragazzo, rialzando il volto e mostrando i suoi occhi segnati dalle troppe lacrime versate.
“Se mi spieghi cosa ti è successo, posso aiutarti.”
“Nessuno può aiutarmi.”
“Spiegami il perché.” Continuò, facendolo negare con il capo.
“Non importa.” Ammise con un ghigno forzato e accarezzandole la testa, quasi volesse farle capire che apprezzava il suo interesse.
“Tu mi hai sempre protetto, perché non vuoi fidarti di me?”
“Credevo di sostenerlo da solo e tu non sei in grado di sopportarlo. Te ne prego Dawn, lascia perdere.”
“No.”
“Dovresti evitarmi così come hanno sempre fatto gli altri.” Riprese il giovane.
Quel segreto, lo sentiva fin nelle viscere, lo stava uccidendo.
Era logorante e diventava sempre più insopportabile.
Se solo fosse esistito uno uguale a lui, cinico e freddo nella stessa misura, allora avrebbe potuto confidarsi.
Ma con Dawn gli risultava impossibile.
“Se non lo dici a nessuno, continuerai a soffrire.”
“Ci sono abituato ormai.”
“Perché non me ne parli?” Ripeté, cercando di smuoverlo.
“Non posso…non capiresti.”
“Cos’è che non capirei?”
“Non ha importanza.” Sussurrò il giovane con molta fatica.
Anche parlare gli sembrava inutile ormai.
Cosa aveva ottenuto menando la bocca inutilmente se non dolore e sofferenza che poteva benissimo evitare?
“Come?”
“A volte succedono delle cose terribili e tu non puoi farci niente per evitarle. Perciò perché preoccuparsi?”
Non aveva notato nulla di diverso, se non uno sguardo più rabbioso da parte sua.
Si accorse della sberla di Dawn solo quando vide la mano scattare verso il suo volto.
Non era stato un colpo molto violento.
Gli sembrava impossibile anche solo d’aver sentito quella debole mano stampargli uno schiaffo.
Infatti quell’istante d’ira era durato pochi attimi e lei era subito tornata ad essere apprensiva e dolce come al solito.
“Quando capirai che tengo molto a te?” Domandò lei, stupendolo per quel repentino cambio d’umore.
“Dawn…io…”
“Lo so Scott…ho un po’ esagerato.” Sorrise la giovane, mentre lui cercava di trovare qualcosa da poter dire in quei frangenti.
Sapeva d’essere in torto e non lo negava, ma non trovava le parole adatte per sentirsi meglio.
Avrebbe voluto liberarsi di quel fardello, ma non se questo significava far soffrire la ragazza di cui era innamorato e che aveva sempre avuto fiducia in lui.
Si sarebbe sentito un infame.
“Credimi…vorrei parlartene, ma non ci riesco.”
“Già il solo volerlo è un passo in avanti. Non appena ti sentirai pronto per affrontare i demoni che ti tormentano, potrai contare su di me.”
“Tu e le tue frasi fatte.” Borbottò il rosso, strappandole un sorriso appena accennato.
“Sono seria.”
“Lo so.”
“C’è nulla che possa fare per te?” Chiese Dawn, sostenendo il suo sguardo carico di dolore e sofferenza.
“Potresti venire a casa mia?”
“Non vorrai mica approfittarti della situazione?” Domandò la ragazza, restituendogli un minimo di colore sulle guance cadaveriche.
“Vorrei solo che mi aiutassi con le lezioni perse.”
“Certo.”
Dawn conscia di non poter ottenere nulla più da quel pomeriggio, decise di aprire un libro, mentre Scott preferiva fissarla con attenzione.
Nonostante fossero passati solo pochi mesi, doveva ammettere che era cambiata molto.
Aveva fatto cadere il velo che la circondava ad appannaggio di una semplicità sconcertante.
Si era fatta più interessante sotto molti punti di vista, anche se la prima volta che il vecchio McLean lo aveva trascinato nel club l’aveva considerata malissimo.
Quanto si era sbagliato.
Le sue scuse non sarebbero mai state sufficienti per distruggere quel pregiudizio che lo aveva infastidito.
Forse era poco, ma almeno doveva farle sapere che apprezzava il suo aiuto.
“Grazie Dawn.” Sussurrò appena, mentre lei alzava gli occhi dal libro e gli rispondeva con un sorriso.
 
Quella mezzora che li separava dalla libertà era passata velocemente.
I due erano usciti dal club e da lì si erano diretti verso la casa del ragazzo con il chiaro intento di studiare e di permettere a Scott di recuperare il tempo perso.
Riuscirono con molta fatica a raggiungere la stanza del rosso, dato che prima sua madre e poi sua sorella avevano interrogato a lungo Dawn.
Solo quando sentirono che si trattava di studio lasciarono perdere, tornando ai loro impegni.
“Scusale…a volte sono un po’ seccanti.”
“A me piacciono.”
“Sei la prima che lo dice.” Borbottò il rosso con un ghigno appena accennato.
Comparato a quello con cui sbeffeggiava di solito gli altri non valeva nulla, ma almeno era un inizio incoraggiante.
Era un qualcosa che ricordava a tutti che lui era Scott e che nessuno gli avrebbe mai tolto.
“Vorrei ricordarti che siamo qui per studiare.” Riprese la giovane.
“Lo so.”
“Vediamo se ricordi gli argomenti dell’anno scorso.”
La ragazza afferrò, quindi, la borsa e appoggiò sul letto i libri che potevano tornarle utili.
Subito Scott si avvicinò e si sedette per osservare i suoi appunti.
Lui non sapeva quantificare quanto tempo era passato.
Quanti mesi erano trascorsi dall’ultima volta che lei aveva cercato di inculcare nella sua testa qualche nozione o formula importante.
Quanti mesi erano scivolati da quando lei si confidava e contava sulla segretezza di Scott.
Effettivamente era passato tanto tempo.
La sua mano si muoveva su quei fogli con una semplicità tale da farle dubitare che lui fosse scappato per tutto quel tempo.
“Scott qui hai commesso un errore.”
Alla stessa Dawn suonava insolito, eppure era successo.
Però non fu questo a stupirla e a farle sgranare gli occhi dalla sorpresa.
Lui stava piangendo, di nuovo, senza che lei ne capisse il motivo.
Non aveva detto, né fatto nulla per farlo star male e anzi aveva pesato con attenzione ogni parola che faceva uscire dalla sua bocca.
“Errore.”
Quanto faceva male quell’unica parola.
Peggio di una pugnalata al cuore.
Era bastata solo la parte di una frase senza senso, per far riemergere quella debolezza.
Non aveva motivo di piangere.
Non per quella freddezza che aveva ascoltato.
“Cosa ti succede Scott?”
Non si era nemmeno accorto che lei lo stava abbracciando di nuovo.
In quegli istanti si era chiesto quanto patetico dovesse sembrare ai suoi occhi.
“Secondo te...sono sbagliato?”
“Sbagliato? In che senso?” Domandò, staccandosi da lui e sforzandosi di ricordare un altro giorno in cui l’avesse visto così triste.
“Credi che io sia sbagliato per questo posto?”
“Come puoi pensarlo?”
“È solo una domanda.” Rispose il giovane, asciugandosi il viso.
“Tu non sei mai stato uno sbaglio. Nessuno lo è.”
“Però…”
“Tu hai risolto tanti problemi e non te ne rendi conto.” Lo interruppe Dawn, sfiorando il suo viso con una carezza.
“Davvero?”
“Non ricordi che mi hai salvato la vita?”
“Lo avrebbe fatto chiunque.” Borbottò il rosso, facendola negare.
“Tu non hai mai avuto paura quel giorno e sei stato il primo ad uscire con la tempesta. Se tu sei un errore, io cosa sono?”
“Sei solo un po’sbadata.”
“Anche tu lo sei, ma non sarai mai uno sbaglio.” Soffiò, zittendo Scott che si ritrovò a riflettere per quelle parole così dolci.
“Credo che per un po’ dovrai stare con un ragazzo molto giù di morale.” Le fece presente il giovane, facendole scrollare la spalle.
Per Dawn quello non era un problema.
Un giorno o l’altro si sarebbe liberato del peso opprimente che si portava dietro e lei sarebbe stata presente per rialzarlo.
“Non preoccuparti. L’importante è che tu stia bene.”
“Grazie Dawn.”
Senza che lei se lo aspettasse, Scott la avvicinò a sé per un abbraccio che gli serviva per recuperare la sicurezza perduta.
Allo stesso modo quella stretta permetteva all’amica di sentirsi protetta.
Anche se lo aveva sempre considerato un pervertito, Dawn sentiva che quella vicinanza era l’unica medicina di cui aveva bisogno.
L’unica soluzione che gli permettesse di sconfiggere le insinuazioni velenose che aveva ascoltato durante il suo viaggio.
E poco gl’importava che qualcuno potesse rovinare quel momento.
In altri frangenti il suo timore sarebbe stato quello d’evitare che la madre e Alberta vedessero quell’abbraccio, ma ora non poteva comportarsi diversamente.
Tanto sapeva che le due iene avevano osservato le sue mosse per tutto il tempo.
 
Come accadeva di consueto nell’anno precedente, Scott la riaccompagnò a casa e appena tornato, sua madre e sua sorella iniziarono con un interrogatorio assai pesante.
Doveva chiarire con loro quella situazione, la fuga che aveva inscenato e il posto in cui era stato per tutti quei mesi.
Parzialmente raccontò parte della storia, omettendo i dettagli più dolorosi e specificando che Dawn dovesse ignorare la verità.
Un giorno si sarebbe preso la briga di risolvere anche quella faccenda, ma prima voleva metabolizzare la botta.
“E con Dawn?”
“Non complicatemi la vita.” Rispose il rosso, fissando la sorella.
“Tanto te la complichi da solo.”
“Io ho capito molte cose in questi mesi lontano da casa.”
“E lei cosa centra?” Domandò la madre che era tornata gioiosa come in principio e che faceva di tutto per star vicina ai suoi figli, quasi credesse di sognare.
“Vuole sapere la verità.”
“Sbaglio o è la prima volta che qualcuno s’interessa così tanto a te, fratellino?” Chiese Alberta.
“È di questo che ho paura.”
“In che senso?”
“Mamma…se lei sapesse qualcosa che non le piace, potrei perderla per sempre.”
“E il vostro rapporto può basarsi su un segreto?” Tentò la sorella, facendo negare Scott.
“Perché è così difficile?”
“Qualsiasi cosa accada, sai che puoi contare sul nostro sostegno. Noi non ti abbandoneremo, anche se dovessi farla soffrire.”
“Spero solo che il tempo possa rendere il tutto più semplice.” Borbottò il rosso, alzandosi dal divano e avviandosi con lentezza verso la sua stanza.
Scott era convinto che tutto fosse questione di pazienza e che prima o poi avrebbe trovato il coraggio di raccontare a Dawn il segreto che si ostinava a nascondere.
E prima o poi avrebbe avuto la forza di ammettere i suoi sentimenti.
Tanto sapeva che un rifiuto da parte sua non sarebbe mai stato micidiale quanto la botta che aveva ricevuto durante quei 4 lunghi mesi d’assenza.




Angolo autore:

Ryuk: Forse abbiamo affrettato un po' i tempi del ritorno di Scott, ma non avevamo idee.

Già.

Ryuk: E dato che siamo bravi, abbiamo omesso il motivo della sua fuga.

Vi terremo sulla graticola fino alla fine della serie.
Anche se credo che qualcuno di voi abbia già intuito cosa sia successo.

Ryuk: Ringraziamo tutti i lettori di questa serie e ci auguriamo che non ci siano errori.

Alla prossima!

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Capitolo 22
*** Cap 22 ***


Dawn, rimasta sola nella sua stanza, si sentì subito più leggera.
Il macigno che aveva portato nel cuore era svanito non appena lo aveva rivisto.
Avrebbe ricordato per sempre il volto stravolto di Chris, tendente al bianco, che sembrava vicino all’infarto.
E poi aveva sentito ricomporsi la sicurezza che era andata perduta con la sua fuga.
L’unica cosa che le dava fastidio era il non avergli detto la verità.
Si era accontentata del suo volto e della sua voce per tornare a vivere.
Aveva sognato di restare da sola con lui e di ammettere i suoi sentimenti, tuttavia non era riuscita a proseguire.
Si era scontrata con la sua fragilità emotiva e aveva desistito perché non voleva confonderlo ulteriormente.
Gli era stato difficile tornare nella sua città e Dawn era convinta che una dichiarazione simile potesse distruggere le sue poche certezze.
Non appena si sarebbe sentito bene, avrebbe tentato quella pazzia.
Intanto ringraziava il destino per averlo spinto a tornare e sorrideva nel ripensare che l’indomani avrebbero passato il pomeriggio insieme.
Sperava che nulla s’inserisse nel silenzioso club e che quelle ore passassero con il loro intenso scambio di sguardi.
 
Anche per l’indomani avrebbe dovuto avere pazienza.
Scott era un ritardatario cronico e quel pomeriggio sarebbe entrato con 10 minuti di penalità, anche per colpa di Chris.
Il supervisore lo aveva invitato a fermarsi nel suo ufficio e gli aveva consigliato di recuperare il tempo perso.
Come se il rosso non sapesse d’essere ripartito dopo quasi 2 mesi di inattività.
Tuttavia era riuscito a trovare il coraggio per chiedere al professore un grande favore.
Sapeva che lui poteva fare ogni cosa e sperava che potesse accontentarlo.
“Ho bisogno di un favore.” Esordì subito il ragazzo.
“Nemmeno sei tornato e sei già nei guai?”
“No.”
“Di che genere di favore avresti bisogno?” Chiese l’uomo, firmando una verifica che aveva appena finito di correggere.
“Ho bisogno che qualcuno abbia dei crediti extra.”
“I crediti non sono dei regali che puoi dare con troppa libertà.”
“Vorrebbe forse dirmi che ci sono dei limiti?”
“Esattamente.”
“E i crediti che ha assegnato a Mike e agli altri a cosa sono serviti? Loro sono stati inutili durante il campeggio.” Gli fece notare il ragazzo, facendo annuire il supervisore.
“Si trattava di una promessa.”
“Lei ci ha sempre detto che gli aiuti vanno premiati con dei crediti.”
“Vi ho anche detto che non devono essere vincolati alle attività dei club.”
“Chi ha parlato di club?” Domandò serafico il ragazzo, massaggiandosi una spalla indolenzita e fissando con furbizia il professore.
“Sei davvero impossibile.” Sbuffò l’uomo.
“Se il Preside venisse a sapere di questi regali, come la prenderebbe?” Chiese il giovane.
“Nemmeno tu saresti al sicuro se quello lo venisse a sapere.”
“Sembra che l’accordo sia vicino.”
“Cosa vuoi infine?” Domandò l’uomo.
“Io voglio che Dawn abbia dei crediti extra.”
“Ora sì che capisco molte cose.” Ghignò, scontrandosi tuttavia con lo sguardo glaciale e impassibile del ragazzo.
“Lei mi sta aiutando a studiare, nonostante tutto.”
“State usando il tempo del club.”
“Tempo del club o meno, lei mi ha promesso una cosa durante lo scorso festival.” Gli fece presente, mentre Chris scrollava le spalle.
“Non ricordo.”
“Lei mi ha detto che potevo chiedere qualcosa in cambio.”
“Non mi sembra d’aver parlato di premi.” Tentò il professore, sistemando una fila di fogli che stava scivolando.
“Io desidero che lei abbia questi crediti.” S’impuntò il giovane.
“Perché?”
“Se li merita, non crede?” Ridacchiò il ragazzo.
“Spiegati meglio.”
“Lei mi ha aiutato a cambiare, mi ha fatto affrontare difficoltà che credevo insormontabili, mi ha sempre sostenuto e mi ha spronato a migliorare.”
“Sbaglio o è la prima volta che ti fissi così?” Chiese il professore, raccogliendo dal secondo cassetto della scrivania un foglio che arrecava il timbro e la firma del Preside.
“Spesso funziona.”
“In effetti la signorina Dawn ha mostrato un gran impegno nell’anno passato e credo che l’aiuto attuale possa essere considerato come un’attività di recupero crediti.”
“Gliene sono riconoscente.” Borbottò il rosso, mentre Chris apponeva anche la sua firma sul foglio e lo consegnava nelle mani dell’allievo.
“Ci tieni tanto alla sua felicità, vero?”
“È stata l’unica a preoccuparsi per me.”
“Almeno l’hai capito.”
“Potevo capirlo prima, se non mi fossi intestardito nel volerla considerare come una ragazzina insopportabile.” Sbuffò Scott, riponendo il documento appena ricevuto in una cartellina del suo zaino.
“Il tempo è tutto dalla vostra parte.”
“Anche se credo d’averne sprecato fin troppo.”
“Almeno potrai spendere questi mesi con maggior giudizio.” Tossicchiò il professore, prima d’accendersi una sigaretta.
“Lo so.”
“Ricordati un’altra cosa.” Riprese Chris, allontanando la cicca dalle sue labbra e riempiendo l’ufficio con l’aroma intenso del tabacco.
“Che cosa dovrei ricordare? Lei, piuttosto, dovrebbe sapere che fumare qui dentro, potrebbe causarle molti guai.”
“Non parliamo delle mie brutte abitudini.” Aspirò l’uomo, gustando con attenzione ogni piccola nota derivante dalla sigaretta.
“E di cosa?”
“Te l’ho spiegato diverse volte: aiutare gli altri non è un buon motivo per farsi del male. A volte, Scott, bisogna saper mettere la propria felicità prima di quella altrui, anche se ciò va contro i nostri principi.”
“E lei prof?”
“Io non ho nulla da rimproverarmi.”
“Sa che il club è aperto anche a voi, vero?” Chiese il ragazzo, facendo sussultare il professore che si ritrovò irrigidito lungo lo schienale.
“Lo terrò in mente.”
“L’aspettiamo.” Ridacchiò, uscendo poco dopo dallo studio del supervisore, salendo le scale e avviandosi verso l’aula del club.
 
Una volta entrato, si accomodò al suo posto e per un breve istante studiò Dawn.
Era sempre così carina e angelica.
Persa nel suo mondo, di cui avrebbe tanto voluto farne parte.
Inoltre sfogliava quel libro con interesse, anche se ogni tanto i suoi occhi spaesati si posavano altrove.
Vedendola così tranquilla, si era convinto che quello fosse il regalo migliore per una come lei.
Per una che si era sempre impegnata e che non aveva mai ricercato nulla in cambio.
Per una che mai si era approfittata della sua fama per ottenere risultati.
Per una che metteva spesso il bene degli altri prima del proprio e che, almeno ai suoi occhi, risultava perfetta.
“Credo dovremo iniziare a studiare.” Tentò il giovane, facendola sorridere.
Non era nelle sue intenzioni riportarla alla realtà, rovinarle quel momento e perdersi il suo volto rilassato.
Eppure sentiva che era giusto così.
Ne avrebbe avuto di tempo per bearsi di quella visione non appena tutto si fosse risolto.
“Sì.”
“Hai qualche idea, Dawn?”
“Un argomento vale l’altro, tanto dovremo rivederli tutti.” Borbottò, sedendosi vicino a lui e aprendo i libri.
“Prima però devo darti una cosa.”
“Non puoi aspettare?” Chiese, notando la sua rigidità.
“Ho paura di dimenticarmene.”
“Qualsiasi cosa tu voglia darmi, io sono già felice.” Tentò, facendolo sussultare.
“Come?”
“Prima che ritornassi ero infelice e non riuscivo a trovare nulla di positivo in ciò che mi circondava.” Ammise, abbassando il capo.
“Non dovevi cambiare solo perché ero assente.”
“Credevo non saresti più tornato.” Si rattristò, versando qualche lacrima che Scott raccolse immediatamente.
“Ora sono qui e andrà tutto bene.”
“E ciò mi rende felice.” Borbottò, asciugandosi il volto, mentre il rosso l’abbracciava e le accarezzava la schiena.
“Ed io sono felice d’essere tornato.”
“Io credo d’essere in debito con te, Scott.”
“Non lo sei.” Ribatté il ragazzo, raccogliendo lo zaino ed estraendo la cartellina contenente il documento che doveva consegnarle.
“Sì invece.”
“Oggi ho fatto tardi perché dovevo parlare con Chris.” Sviò il giovane.
“E di cosa?”
“Qualcuno in questa scuola non è passato inosservato.”
“Di chi stai parlando, Scott?”
“Pensavo ti piacessero i misteri.”
“Solo quando riesco a risolverli con le mie forze.”
“Allora questo premio ti piacerà.” Ridacchiò, porgendo, nelle delicate mani dell’amica, il foglio contenente i 3 crediti che le sarebbero stati affidati a fine anno.
Giusto il tempo di leggere quelle poche righe che lei si ritrovò ad alzare gli occhi e a posarli su Scott.
Senza volerlo si ritrovò ad arrossire e ringraziò nuovamente il rosso per quel regalo improvviso.
“Io…non dovevi.”
“Ti meritavi qualcosa di speciale e questo è il massimo che posso fare per te.”
“Perché?” Chiese, guardandolo negli occhi, mentre lui li distoglieva per evitare d’essere troppo impacciato.
“Perché mi hai sempre aiutato e mi hai dato dei consigli preziosi.”
“Questo comunque non è sufficiente per smettere d’impegnarti.” Ridacchiò, strappando all’amico un sorriso appena accennato.
Dawn era quasi certa che da quando era tornato, quello era il suo primo momento di felicità.
Mai aveva sorriso o si era mostrato rilassato.
Era sempre stato teso o preoccupato.
Almeno ora poteva recuperare un po’ di tranquillità.
Tanto quel problema non si sarebbe più ripresentato e sarebbe sempre stato lontano dalla sua vita.
 
Prima che quella settimana avesse fine, ricevettero una visita insolita.
Una richiesta che fece sgranare gli occhi di Dawn e che fece sorridere Scott.
Il rosso non aveva motivo di stupirsi.
Lui aveva gettato l’amo, conscio che avesse bisogno d’aiuto e che non sarebbe passato poi molto, prima che lui varcasse la porta.
Inoltre quella persona era così influente che avrebbe donato qualcosa d’importante al club.
Non che il ragazzo volesse ricattarlo, anche perché era da mesi che aveva intuito le preoccupazioni di Chris.
“Io sono qui per esporvi un problema personale.” Iniziò subito, facendoli annuire.
“Credevo non si sarebbe mai presentato.”
“Non ho paura del giudizio altrui, ma di quello che potrebbe accadere.”
“Comprensibile.” Borbottò Scott, mentre Dawn restava in silenzio e cercava di capire di cosa stessero parlando.
“Forse è meglio partire dall’inizio.”
“Sì, altrimenti Dawn capirà ben poco.” Sorrise il giovane, volgendo la sua attenzione verso la ragazza che si ritrovò a riporre i libri nella borsa.
“Questo comunque non ti eviterà di ripassare con me.” S’inserì la diretta interessata, minacciando l’amico.
“Ovviamente.”
“Forse nemmeno Scott conosce tutta la storia e poi potrebbe avere qualche notizia non corretta.”
“Possibile.” Ribatté il giovane.
“La prego, prof McLean, cominci pure.”
“Se sono qui, oggi, è solo perché ho bisogno di un consiglio spassionato. Ne ho parlato anche con Chef, ma lui, essendo un caro amico, non mi ha dato una risposta imparziale.”
“E qui entra in gioco il nostro club.” Borbottò il rosso.
“Di voi mi fido e so che non ne fareste mai parola con nessuno.”
“Vedremo di non deluderla.” S’inserì nuovamente Dawn, facendo annuire il professore che sentitosi tranquillo, prese posto su una sedia e cacciò un profondo respiro.
In situazioni di ansia avrebbe sempre afferrato il pacchetto di sigarette, ma non essendo nel suo studio quello era un azzardo.
Con Scott non correva pericoli, ma Dawn non sembrava propensa d’accettare un fumatore nella loro stanza.
Così Chris si ritrovò senza lo strumento che più di tutti gli tornava utile per rilassare i nervi e per trovare una qualche risposta ai suoi dubbi.
“È da quasi 2 anni che cerco d’evitare guai.”
“Non le sembra di esagerare?” Azzardò Scott che, conoscendo la storia, poteva permettersi simili discorsi.
“Essere nella mia posizione non rende le cose facili.”
“Almeno ha l’ottima scusante della reputazione.” Sorrise sarcasticamente il giovane, mentre la Presidentessa seguiva quell’intenso scambio di battute.
“La potete smettere con questi misteri?” Chiese Dawn.
“Credo sia meglio.” Ammise Scott.
“Vedete ragazzi, io e la signorina Blaineley ci conosciamo da quando facevamo le superiori e oggi siamo colleghi in questa scuola.”
“Questo lo sappiamo.” Borbottò Scott, mostrandosi poco interessato a quelle parole.
“Siamo fidanzati da quasi 2 anni, ma temo che la nostra relazione possa essere malvista in questa scuola.”
“Malvista?” Chiese Dawn.
“È raro che due innamorati frequentino lo stesso luogo di lavoro.” Spiegò Scott, anticipando il professore.
“Temo che qualcuno possa spargere la voce in giro e che mettano in risalto il lato positivo di una relazione con un superiore.”
“In che modo?” Domandò ingenuamente la ragazza.
“La risposta è semplice. Il nostro prof è supervisore della classe e questo lo rende il braccio destro del Preside.”
“Continuo a non capire.” Borbottò Dawn.
“La signorina Blaineley, la mia fidanzata, non è ancora sicura del posto.”
“Non è assunta?” Chiese la giovane, facendo negare l’uomo.
“Riceve lo stipendio della scuola, ma è precaria.”
“E quindi?” Domandò la ragazza.
“Immagina Dawn cosa accadrebbe se lei ottenesse il posto e se tutti venissero a sapere di questa storia.” Borbottò Scott.
“Tutti crederebbero, erroneamente, che è venuta a letto con me solo per il posto.”
“Teme che sia così?” Tentò Dawn, sperando di non ferire il suo professore.
“Io e Blaineley ci conosciamo da tanto e non sarebbe capace di una cosa simile.”
“Però temete le conseguenze.” S’inserì Scott.
“Se venisse assunta e questa notizia dovesse uscire, allora la tratterebbero come una raccomandata.”
“Lei è convinto della sua fedeltà?” Chiese il rosso.
“Certo.”
“È solo questo che la preoccupa?” Soffiò la ragazza.
“Temo che la scuola possa perdere una figura che ha sempre svolto bene il suo lavoro e che ama insegnare.”
“Cosa ci sta chiedendo infine?” Borbottò Dawn.
“Vorrei sapere come devo comportarmi.”
“Ognuno ragiona in base alla propria esperienza ed io ho qualche buon consiglio da darle.” Rispose il rosso.
“Se è per questo, anch’io ho qualche idea.” S’inserì la giovane.
“Sentiamo.” Tossicchiò Chris, spostando la sua attenzione verso Scott.
“Secondo me dovrebbe fregarsene di ciò che gli altri pensano. Voi dovete vivere la vostra vita e poco importa se qualcuno pensa male di voi.”
“Ma noi…”
“Fategli credere quello che volete, ma voi dovete costruire il vostro futuro insieme, senza preoccuparvi del giudizio altrui.”
“Mi sembra difficile.” Tentò il professore.
“Io sono d’accordo con Scott.”
“Anche lei, signorina Dawn?”
“Dopotutto non è una cosa di cui vergognarsi e il nostro Preside potrebbe essere felice di apprendere l’operato della sua ragazza. Poi, come ha detto Scott, ignorate le voci che potrebbero inserirsi tra voi e continuate ad amarvi.” Spiegò la giovane, facendo annuire il rosso che non aveva minimamente pensato di giocarsi l’amicizia con il Preside.
“Quindi noi…”
“Domani andrete dal Preside e gli spiegherete la situazione.” Riprese Scott.
“Io temo che possa farsi un’idea sbagliata.”
“Il Preside è un brav’uomo e poi cos’ha da perdere?” Chiese la giovane.
“In effetti…”
“Questi sono i nostri consigli e non è obbligato a fare come le abbiamo consigliato.”
“Lo so, Scott.”
“Pensate bene a quello che dovete dire.” Consigliò Dawn, lasciando il professore a riflettere.
Nel silenzio del club, lui aveva trovato una risposta che potesse andargli bene e rinfrancato da ciò, si rialzò in piedi e se ne tornò in ufficio.
Giusto il tempo di chiudere la porta alle sue spalle che i 2 ragazzi tornarono a riprendere a studiare.
“Sei migliorata molto in questi mesi.” Commentò lui, al termine di un’ora di ripasso.
“Non potevo lasciare il peso del club sulle tue sole spalle.”
“Credo tu abbia ragione.”
Gli ultimi 5 minuti di pausa volarono in un attimo e senza nemmeno accorgersene, si ritrovarono a camminare per il tragitto che seguivano abitualmente.
Anche quel problema si era risolto con facilità e li aveva lasciati con una sola domanda: chi sarebbe stato il prossimo a varcare la porta del club?
 



Angolo autore:

Buonasera lettori e scusate se aggiorno con qualche giorno di ritardo.

Ryuk: Vorrete sapere il motivo per questa nostra assenza e ne avete tutto il diritto.

Nella zona dove abito hanno iniziato i lavori per la fibra ottica e giù casini con la connessione che va e viene.
In questi momenti non riesco nemmeno ad accadere e, quindi, non ho modo di pubblicare.
Avrei potuto usare l'Internet che ho sul cell, ma per ricopiare tutto il testo ci avrei messo una vita.
Prima ancora ho avuto una lieve influenza e ho saltato lo scorso venerdì.

Ryuk: Solo ora riusciamo a pubblicare.

Sembrerebbe, ma preferisco dirlo sottovoce, che abbiano terminato i lavori e che per un po' riuscirò a continuare con i miei ritmi.
Il capitolo 23 dovrebbe uscire martedì e vi avviso che questo di oggi potrebbe essere con qualche svista.
Preferisco andare di corsa e aggiornare piuttosto di rimanere senza connessione e di tenere questa storia in ghiaccio.

Ryuk: Tutto qua...ne più ne meno.

Ancora una volta mi scuso per il ritardo e vi auguro un buon week-end.
Alla prossima!

 

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Capitolo 23
*** Cap 23 ***


Passarono molti giorni prima che qualcun altro varcasse la porta e dimostrasse l’effettivo bisogno del loro club.
Scott credeva che in molti fossero interessati al loro aiuto, ma che non entrassero per timore d’essere giudicati. In qualche modo credevano che fosse controproducente chiedere sostegno a 2 ragazzi che potevano sviscerare i loro segreti per ottenere un vantaggio futuro.
Ad una primissima occhiata Dawn non ne sarebbe stata in grado. Troppo buona, gentile ed empatica per sfruttare gli altri solo per semplice tornaconto personale.
Scott, al contrario, anche con una fugace occhiata, appariva sotto la luce che l’aveva sempre contraddistinto. Nonostante il viaggio in solitaria, l’impegno di migliorare e l’aspetto leggermente più curato non si era ancora scrollato di dosso l’etichetta dell’anno precedente. Per assurdità e per riderci su, aveva convenuto con Dawn che il suo compito fosse quello di repellente per sfiduciati e depressi.
Tuttavia, al contrario di questi pensieri e della sua nota fama di sciagura, qualcuno trovò il coraggio d’entrare e di affrontarli.
“Ehilà, ragazzi.”
Il rosso conosceva solo una persona con un tono di voce così fastidioso. Un qualcuno capace di fargli ribollire il sangue e di fargli perdere le staffe solo per l’aria da finto buonista che indossava e che spesso abbandonava per mostrare un lato cinico e disinteressato.
Era il suo essere dannatamente insopportabile ciò che spingeva Scott a non fidarsi ciecamente di lui. In passato l’aveva considerato un ragazzo impeccabile. Del resto come poteva una persona essere odiosa se era così diligente e studiosa, impegnata nel sociale, in progetti ecologici e negli sport? Era il tipico giovane di bell’aspetto che ogni mamma avrebbe voluto per la sua bambina.
E la stessa persona che aveva accompagnato in quel pomeriggio poteva rientrare ampiamente nella categoria dei bravi ragazzi che erano apprezzati da ogni famiglia di questo mondo.
Dietro di lui, infatti, si poteva notare la presenza di un certo Trent, famoso per essere il chitarrista della band scolastica. Fino all’anno prima Scott non sapeva nemmeno dell’esistenza di una band scolastica, ma con il suo ritorno e con le chiacchiere che aveva ascoltato in giro si era accorto della sua dimenticanza.
Era stato durante uno dei tanti pomeriggi privi d’interesse che Scott entrò in confidenza con i casi risolti da Dawn e così facendo conobbe le ansie di Courtney sul suo passato e il motivo per cui il vecchio Chris aveva deciso di dannarsi il fegato dietro a dei mocciosi che non avrebbero mai raccolto i suoi insegnamenti.
Parlando dello zio Steve e descrivendo la testardaggine e la fiducia di Courtney, Scott aveva analizzato, giusto per curiosità, il resto dei suoi legami.
Quest’ultima, da chiacchiere di corridoio, era parecchio amica di Zoey e Mike ed era fidanzata con Duncan che oltre ad essere il leader della band scolastica era quello dal look più rivoluzionario con capelli alla moicana e uno sguardo perso nel grigiore dell’aula. 
Un’altra rapidissima ricerca aveva mostrato il resto della band.
“Mike.”
“Non credevo fossi presente, Dawn.” Borbottò sorpreso il fidanzato di Zoey.
“Perché siete venuti qui?” Chiese Scott, mentre i loro ospiti, prendendo le sedie, si sistemavano tranquilli proprio di fronte a loro.
“Mike…non mi avevi detto di rivolgermi a Scott.” Soffiò Trent con voce molto bassa.
“Lo so Trent, ma fidati.”
“A quanto pare qui qualcuno non è molto ben visto.” Sbuffò Dawn, spostando il suo sguardo verso il compagno di club che rispose con una scrollata di spalle.
“Non è stato descritto molto bene dai miei amici e io non mi fido di uno così.” Continuò Trent.
“Prova a dargli una possibilità.” S’inserì Mike, prendendo le difese del rosso.
“Non credo si possa incolpare Scott per i suoi metodi.” Tentò Dawn.
“Però…”
“Sono spiacente, Mike, ma quella è la porta.” Ribadì  la ragazza.
“Perché?”
“Non posso e non voglio risolvere nessun caso se i miei ospiti non hanno fiducia nella persona che ho scelto d’avere al mio fianco.”
“A volte esageri un po’ troppo Dawn.” Gracchiò Mike, facendo incupire il rosso che si era accorto di quanto fosse bugiardo.
Prima l’aveva ingraziato con un complimento e poi l’aveva gettato nell’immondizia come se non contasse nulla.
“Io posso anche andare, Dawn.” Borbottò il rosso.
“Preferisco mandare via loro, piuttosto che rinunciare al tuo aiuto.” Replicò stizzita, facendolo sospirare.
“Credo di non riuscire a esporre il mio problema se lui è presente.” Riprese Trent, sperando di levarsi di torno la sua paura.
“La fiducia è il dettaglio più importante delle persone e io non voglio ascoltare i vostri dubbi, se Scott dovesse andarsene.”
“Hai così tanta fiducia in lui?” Domandò Mike, girandosi verso il rosso che era arrossito leggermente nel sentire quella mezza verità da parte dell’amica.
“Gli affiderei la mia vita stessa. Ma se voi non lo volete, allora significa che il vostro problema non è così serio come volete farmi credere.”
“Se voglio andare in fondo a questa cosa, significa che dovrò accettare di parlare con Scott.” Ribatté il chitarrista.
“Non te ne pentirai.” Promise il rosso, anticipando di pochi attimi la compagna e rivolgendole un sorriso per il sostegno ricevuto.
“Mi piace una ragazza.” Borbottò il chitarrista, facendo ghignare Scott.
Questo era uno di quei problemi amorosi che entrambi speravano di non dover mai affrontare.
Come potevano dare un consiglio spassionato a un semi-sconosciuto se loro stessi non sapevano nemmeno ammettere all’amico che provavano qualcosa di simile?
Qualsiasi cosa uscisse dalle loro labbra era solo un consiglio alquanto elementare che non li rispecchiava totalmente.
Né Scott, né Dawn sapevano cosa fosse giusto fare in quei frangenti.
Un conto era stato il caso di Carrie, quando ancora non riuscivano a capirsi o a dialogare normalmente, ma ora che erano pervasi dal terrore di compromettere la loro amicizia per qualcosa di molto più forte non sapevano nemmeno come comportarsi.
Di certo non si aspettavano quella notizia giunta come una pioggia gelata a bagnare tutte le loro sicurezze.
E non erano gli unici che avevano subito quel bagno fuoristagione.
Nemmeno gli amici di Trent erano a conoscenza di questa faccenda. Tutti meno che Mike, il quale aveva ascoltato il suo dubbio e poi l’aveva invitato ad entrare nel club del Volontariato.
L’unica cosa che lo infastidiva era l’abitudine di Mike d’impicciarsi in affari che non lo riguardavano e che dovevano restare privati. Quest’ultimo purtroppo era sempre in mezzo e non faceva altro che ingigantire o ridimensionare i meriti e i pregi delle persone che incrociavano tra i corridoi.
Era sicuramente un bravo ragazzo, ma a volte era più impiccione e logorroico di tante altre oche che starnazzavano per il giardino.
E anche quel pomeriggio, quando avrebbe potuto affrontare da solo i membri del club del Volontariato, la sua balia non aveva smesso d’indossare il suo invisibile grembiule e di accompagnarlo dinanzi alla loro porta, esaltando durante il tragitto le abilità della Presidentessa e il carattere complicato del suo Vice.
“Saresti venuto qui solo per convincere una ragazza ad uscire con te?” Domandò il rosso, facendo mente locale dopo il problema che Trent aveva descritto, girandosi poi a fissare la compagna che era intenta a riflettere su come aiutare il loro ospite.
“Non voglio beccarmi un due di picche.”
“Trent hai tutto il nostro appoggio.” Affermò Dawn, incontrando però il disappunto di Scott che non ne era molto convinto.
“Non vedo come potremmo aiutarlo.”
“Troveremo un modo.” Borbottò Dawn, sciogliendo la debole opposizione del compagno.
“Se la Presidentessa ha deciso, chi sono io per oppormi?” Sbuffò sconsolato.
“Credo che Trent debba spiegare un po’ meglio il principio di questo legame.” S’inserì Mike, invitando l’amico a scendere nei dettagli.
“Vedete…io e Gwen siamo amici da molti anni, ma da un po’ di tempo la vedo sotto una luce diversa e non riesco a togliermela dalla testa.”
“Sembra la trama di un film.” Riprese Dawn.
“La cosa, però, non è priva di rischi.” S’inserì Scott, gelando la sicurezza dell’amica.
“Rischi?”
“Si deve pensare alla possibilità che lui si dichiari e venga rifiutato.”
“Lo dai già per spacciato?”
“È una possibilità e di conseguenza il giorno dopo lo verrebbe a sapere tutta la scuola. Questo non sarebbe un grosso problema, ma la gente ama spettegolare e la cosa non è piacevole. Se i 2, poi, sono anche amici di lunga data, un rifiuto potrebbe rovinare il loro legame.”
“Abbiamo capito, Scott.” S’intromise Mike, rasserenando un po’ gli animi.
“Se volete possiamo rincontrarci nei prossimi giorni per discuterne con maggior attenzione e senza affrettare troppo le cose.” Borbottò Dawn, incontrando il consenso del diretto interessato.
Trent, seguito a ruota dalla sua improvvisata balia, si ritrovò quindi a salutare i membri del club e a passeggiare distrattamente per i corridoi della scuola.
 
Rimasti soli Scott e Dawn si ritrovarono a pensare come comportarsi in quel frangente.
Apparentemente non era la prima volta che aiutavano qualcuno in questioni sentimentali, anche se Carrie aveva sempre avuto ben chiaro cosa fare.
Era sempre stato Devin il suo obiettivo e non aveva mai meditato la possibilità di un possibile rifiuto. Aveva tutto per far breccia nel cuore del suo amato: l’aspetto funzionava, il carattere era positivo e i suoi atteggiamenti fungevano da cornice perfetto.
Neppure per un istante aveva vacillato o dubitato quando le era stato detto che forse Devin poteva rifiutarla. La sua paura era di non essere corrisposta, ma per il resto avrebbe sempre lottato per fargli cambiare idea.
In questo Carrie era stata unica e aveva solo necessitato di una lieve spintarella per trovare il coraggio di dichiararsi.
Qui invece si trattava di un sostegno vero e proprio.
Trent non aveva le idee ben chiare e non aveva manifestato la sicurezza di quello che ha tutte le carte in regola per scroccare un appuntamento.
Sembrava un pulcino bagnato e spelacchiato quello che era stato accompagnato da Mike.
Tuttavia tra il caso di Carrie e quello di Trent c’era un punto in comune su cui Scott e Dawn dovevano concentrarsi. Così come avevano fatto con il capitano di basket allo stesso modo dovevano approfondire a fondo il legame che univa Gwen al chitarrista.
“Non possiamo comunque pensare di fare tutto: se lei non è interessata, Trent è fregato.” Sospirò ad un certo punto il rosso.
“Lo so, però...”
“Forse è solo una mia fissa, ma non ti sembra che qualcosa sia cambiato nel loro gruppo?”
“Di che parli?” Domandò la giovane.
“Intendo i rapporti tra Mike, Zoey e gli altri.”
“A me sembrano sempre gli stessi.”
“Non lo so…mi sembrano più tesi negli ultimi giorni.” Spiegò il giovane, lanciandosi in un’arringa a sostegno della sua tesi.
Di come Duncan avesse litigato con Trent per via di alcune canzoni non proprio graffianti e di come Gwen fosse intervenuta a sistemare le cose, stuzzicandone il leader con conseguente battibecco con Courtney che credeva stesse cercando di flirtare con il fidanzato.
A ciò si aggiungevano poi piccole divergenze di vedute sul futuro scolastico e di come le uscite di gruppo si risolvessero in un nulla di fatto. Accadeva infatti che alcuni tirassero pacco all’ultimo, lasciando gli altri a rigirarsi i pollici per pomeriggi interi.
“Forse sono solo preoccupati per gli esami.”
“Pregiudicare un’amicizia per un test non mi sembra una cosa che i veri amici possano fare a cuor leggero.”
“In tal caso possiamo invitare Gwen e vedere cosa dice.”
“Come se non sapessi che tra 5 minuti ce la ritroveremo qui, mentre si svuota la coscienza di tutti i suoi peccati giovanili.” Sospirò il rosso, cogliendo di sorpresa Dawn che aveva già invitato la diretta interessata.
Infatti, dopo poco, la dark che aveva rubato il cuore a Trent, si era presentata dinanzi a loro e appena seduta aveva cominciato a parlare.
Dapprima l’aveva presa da lontano, esponendo i suoi sogni e desideri e poi si era focalizzata nell’ultimo periodo e in particolar modo sulla tensione che si respirava nella classe e nel gruppo che tanto adorava.
“Mi sono resa conto che le cose sono cambiate e non mi piacciono come sono attualmente. Sono venuta qui solo per chiedervi se è possibile farle tornare com’erano un tempo.”
“Tutto è possibile.” Sospirò Scott.
“Io non capisco cosa desideri veramente.”
“Vedi Dawn, le cose prima erano così semplici. Io mi divertivo con Courtney e gli altri, ma da un po’ mi sento messa in disparte e giudicata.”
“Mai pensato che Courtney stia difendendo ciò che è suo?” Domandò il rosso.
“Io non ho mai avuto interesse per Duncan.”
“Io non ho mai fatto il nome di Duncan: hai fatto tutto da sola.”
“Mi sembra logico.” Borbottò Gwen.
“Così logico da diventare il tuo pensiero immediato non appena messa alla strette?” Chiese Dawn, poggiando il suo sguardo sull’amica.
“Forse siamo fatti tutti così.”
“Difendere una persona che ci piace, credo sia un comportamento più che normale.” Spiegò Scott, annuendo appena.
“Non sono l’unica ad essere così.” Ringhiò, alzandosi in piedi.
“Così, come?”
“Perché non provi a parlare con Mike, Scott?” Domandò, avviandosi verso l’uscita e sbattendosi la porta alle sue spalle.
“Non è andata molto bene.” Constatò Dawn, facendo annuire il rosso.
“Mi chiedo cosa centri quell’idiota.”
“Forse Gwen era in difficoltà e aveva bisogno di cavarsi dagli impicci.”
“Non mi sembrava in difficoltà.”
“Da quando la conosci così bene?”
“Non la conosco, anche se temo che Mike ci stia nascondendo qualcosa e che, forse, è proprio lui il motivo di questi contrasti.”
“Colui che chiede il nostro aiuto potrebbe essere nostro nemico?” Chiese la giovane, facendo annuire Scott.
“Un po’ come Heather, ricordi?”
“Sì.”
“Domani discuteremo con lui, riguardo questa cosa.” Sospirò il rosso, invitando l’amica ad avviarsi verso casa, data l’ora che si era fatta.
 
Disteso sul suo letto Scott sapeva che Mike avrebbe potuto sottrarsi dalla loro trappola, specie se aveva qualcosa di molto imbarazzante da nascondere.
Non poteva permettersi di essere il docile agnellino che aspetta i comodi degli altri prima di avanzare una proposta o una richiesta. Se possibile doveva essere leggermente cinico ed egoista, costringendo Mike a sottostare alle sue regole.
Gli avrebbe reso la giornata impossibile e l’avrebbe obbligato a seguirlo nel club, pena sviscerare a Zoey la parte di segreto che lui aveva sempre nascosto.
Era un ricatto?
Non per Scott. Quello era l’unico asso che poteva sfoggiare in una mano sfortunata e che, se giocato con giudizio, poteva fargli vincere la partita.
Se Zoey avesse saputo la piccola parte che il fidanzato ancora teneva nascosta, allora sarebbero stati guai e il gruppo che tanto amavano si sarebbe sfaldato in un milione di pezzi.
Asfissiante e onnipresente l’avrebbe obbligato a presentarsi nel club e gli avrebbe impedito di trovare una scusa valida per defilarsi da quell’incontro.
Lo avrebbe fatto sentire sotto pressione e l’avrebbe bersagliato in continuazione, fino a quando, vinto dalla stanchezza, si sarebbe arreso e avrebbe svuotato il sacco.
Era così che lo avrebbe accolto quel pomeriggio e infatti, quando Mike varcò la porta, si ritrovò davanti lo sguardo sprezzante di Scott e quello molto più rilassato di Dawn.
Il rosso sembrava conoscesse tutto: perfino cosa aveva mangiato a colazione, quando aveva dato il primo bacio, cosa aveva fatto durante il periodo delle medie e il titolo del libro che non aveva ancora restituito alla biblioteca.
Sembrava un’ombra inseguitrice e poco indulgente.
“Perché la situazione non cambia?” Esordì il rosso con una voce molto più fredda del solito.
“Non cambia?”
“Stai incasinando tutto con il tuo silenzio.”
“Cosa stai blaterando?” Domandò Mike, reggendo alle provocazioni di Scott.
“Trent ama Gwen, ma lei non è interessata.”
“E tu come lo sai?” Domandò, volgendo la sua attenzione anche verso Dawn.
“Stai alimentando le difficoltà del gruppo perché temi che esso possa sciogliersi se Gwen si metterà a rifiutare Trent.”
“Sciocchezze.”
“Basta poco: alimenti qualche pettegolezzo e fai in modo che Trent non ci caschi come un’idiota. È questa la soluzione che ti aspettavi, vero?” Chiese Scott, mentre Dawn scattava in piedi.
La sedia trascinata sul pavimento provocò un rumore sinistro capace di zittire ogni possibile provocazione e discussione
“Smettetela per una buona volta!” Ordinò lei, cercando di placare gli animi.
“Scott deve aver bevuto.”
“Ricominciamo da zero.” Tentò Dawn.
“E sia…dimmi Mike, quando e dove ci sarà la dichiarazione?” Chiese il rosso.
“Trent vuole aspettare il prossimo martedì al laghetto vicino al parco.”
“Faremo in modo d’essere presenti.” Sbuffò Scott.
“Se avete finito, dovrei andare.”
“Credo che Scott non abbia più nulla da dirti.” Riprese la ragazza, facendo annuire il compagno di club.
Dopo che Mike fu uscito, Scott rivolse un’occhiata seccata alla compagna.
Dawn, a suo avviso, aveva sbagliato di nuovo.
Sentiva che messo alle strette, il moro avrebbe potuto svuotarsi la coscienza.
Invece lei era rimasta salda sulle sue posizioni.
Convinta che in quanto fidanzato di Zoey, lui non avrebbe mai avuto nulla da nascondere ad un amico.
Tuttavia tutti nascondevano qualcosa e il rosso lo sapeva bene, dato che era la stessa tecnica che stava usando con Dawn.
Anche con lei stava zitto per evitare che venisse a conoscenza dei suoi veri sentimenti.
“Ora sono certo che verrà rifiutato.” Esordì dopo qualche minuto di silenzio.
“Come?”
“Gwen è stata chiara fin dall’inizio: lei non considera Trent come un possibile fidanzato.”
“Non l’ha mai detto.”
“Dovresti imparare a leggere tra le righe.” Sospirò il rosso.
“In una settimana molte cose possono cambiare.”
“Ma anche peggiorare.” Borbottò, uscendo dall’aula e avviandosi verso casa.
Scott, durante il tragitto, seppur fosse molto restio ad ammetterlo, sentiva che a Mike non poteva fargliene una colpa.
In fin dei conti stava proteggendo la cosa a cui era più legato: il suo gruppo.
Lui stesso si sarebbe comportato così, se avesse avuto un qualche amico con cui condividere ancora molti anni di scherzi, cui voleva molto bene e a cui avrebbe voluto evitare una facciata imbarazzante.
Tuttavia non era possibile.
Conscio di ciò e deciso a risolvere tutto lasciando all’oscuro Dawn, afferrò con sicurezza il cellulare e invitò Mike a incontrarsi durante il week-end vicino al lago che avrebbe sancito il probabile fallimento di Trent.
Non avrebbe passato il tempo a contare i giorni che gli restavano prima di quell’incontro e anzi sarebbe stato il più naturale possibile.
Fu così che in una fresca giornata i 2 s’incontrarono per discutere.
Il moro giunse con quasi 10 minuti d’anticipo, mentre Scott si avvicinava al posto indicato con estrema calma.
Le mani ficcate nei jeans e lo sguardo perso nel vuoto già lasciavano presagire l’immensa delusione che lui aveva provato nel notare che Mike non era cresciuto poi molto dalla questione che l’aveva visto protagonista con Zoey.
S’era presentato, quella notte all’albergo, strisciando come un verme, s’era fatto perdonare e ora stava facendo strisciare alcuni suoi amici solo perché desiderava ardentemente che il suo gruppo restasse unito.
Quella era solo un’illusione, in quanto quel gruppo poteva sciogliersi sotto le pesanti osservazioni mosse dai loro membri.
“Non sei di grande aiuto, Mike.”
“Tu credi?”
“Ho ancora la sensazione che tu voglia ostacolarci.”
“Se avessi voluto ostacolarvi non ti avrei mai detto il luogo del loro incontro.”
“Credere che io sia stupido solo perché parlo raramente, non mi sembra un buon motivo per mentire in continuazione.”
“Ti giuro, Scott, che non era mia intenzione rendervi le cose difficili.” Ribatté il moro.
“Eppure continui a farlo.”
“Il problema è che mi piace come stanno le cose ora. Mi piace il gruppo e il tempo che passiamo tutti insieme.”
“Se basta così poco per rovinare la vostra amicizia, allora non è così profonda.”
“Può darsi, però non si può recuperare ciò che si è perduto.”
“E io ti ripeto che è ridicolo avere tanto a cuore un’amicizia così falsa.”
“Dici? Io non la considero falsa.” Borbottò Mike con un sorrisino fastidioso.
“Non pensi a Trent?”
“Io gli ho detto di lasciar perdere. Dopotutto Gwen non è ancora pronta per aprire il suo cuore e non sapendo cosa ci aspetta il futuro, non volevo che lui affrettasse le cose .”
“Il solito so tutto io.”
“Tu che avresti fatto, Scott?” Chiese il moro, fissando il compagno.
A questa domanda il rosso era preparato.
Sapeva che dinanzi ad un problema spinoso, qualcuno cercava sempre di trascinare nel pantano un’ignara vittima, ponendogli un quesito esistenziale.
La verità è che a lui del gruppo di Mike importava ben poco.
Non avendone mai fatto parte, per lui quell’unità era solo uno stupido scherzo.
Infatti di quella combriccola sentiva di difendere solo Trent e Gwen.
Gli altri erano degli stupidi egoisti.
Tuttavia non poteva evitare in alcun modo quella constatazione.
Lui si sentiva diverso da Mike e allo stesso modo Trent era diverso da loro.
Era solo per questo che il suo pensiero diventava ininfluente.
“Quello che avrei fatto non è affar tuo.” Ribatté, retrocedendo di qualche passo.
“Tu l’hai capito fin dall’inizio.” Sbuffò Mike, perdendosi a fissare il cielo.
“Potevi evitare di rivolgerti a noi e farlo desistere.”
“C’ho provato.”
“La soluzione non ti piacerà.” Sospirò Scott, allontanandosi nuovamente e ritornandosene a casa.
Fortuna voleva che mancassero pochi giorni al tanto atteso appuntamento e Scott aveva già trovato un modo per sottrarre i 2 dalla peggior fine possibile.
Gli unici che alla fine non avevano colpa erano Gwen e Trent e pertanto doveva battersi perché la loro amicizia restasse salda, nonostante tutto.
 
Il tanto atteso martedì era arrivato e, nascosti nella vegetazione, sia Scott che Dawn stavano studiando la scena.
“Credi che verrà rifiutato?”
“Sì.”
“Non pensi ad una sorpresa futura?”
“Neanche per sogno.” Borbottò, mentre Trent raggiungeva il punto d’incontro.
L’orario era prefissato per le 16 e con molta fortuna Gwen non sarebbe scappata.
Infatti a distanza di pochi minuti dall’orario stabilito, la figura della dark comparve.
Nel solo vederla il povero chitarrista era stato preso dal nervoso e lo stesso Scott che fissava la scena, pregava di non trovarsi nella sua situazione.
Sapere che ci sono almeno 8 persone che ti fissano in attesa di un segno non doveva essere per nulla piacevole.
Infatti non erano gli unici presenti e anche Mike, Zoey e l’allegra combriccola avevano partecipato a quella pagliacciata.
Chi mosso verso un obiettivo, chi verso un altro, tutti erano finiti con l’ostacolarsi quasi inconsapevolmente.
“Io ci spero.”
“In tal caso c’è solo un modo per risolvere la questione in modo pulito.”
“Mi fido di te, Scott.”
Nel corso di quel brevissimo scambio d’idee la dark si era avvicinata ulteriormente, mentre Trent tremava sempre più come una foglia.
Era inutile negarlo: si vedeva lontano un miglio che Gwen l’avrebbe rifiutato senza colpo ferire.
“Gwen…ecco…io…”
Inutile.
Secondo Scott quello sforzo era vano.
Tutti volevano che tra i 2 regnasse una splendida amicizia e pertanto vedevano quella dichiarazione con timore. Non avevano mai voluto che Gwen venisse emarginata in seguito ad un rifiuto e che Trent rimanesse a crucciarsi per essere stato rifiuto.
E non volevano nemmeno che lei accettasse per poi lasciarlo subito dopo.
Si sarebbe perso lo splendido legame instaurato e a detta loro ciò era ingiusto.
Ingiusto.
Come se pregiudicare la felicità di una persona per uno sciocco desiderio fosse un qualcosa di corretto e limpido.
Tutto era il contrario di tutto e per evitare a Trent una facciata tremenda, Scott era arrivato ad una sola soluzione.
Orribile per il suo futuro, ma una chance insperata per quel chitarrista sfrontato.
Senza che nessuno se ne accorgesse, uscì dalla vegetazione e si avvicinò lentamente ai 2.
“Gwen…io…” Ripeté Trent, schiarendosi la voce.
“Io sono innamorato di te e ti chiedo d’uscire con me.” Alzò la voce Scott, frapponendosi tra loro e dichiarando alla dark i suoi falsi sentimenti.
Quei pochi che erano rimasti nascosti, si sorpresero per un azzardo simile e la stessa Gwen era scioccata da quelle parole.
Durò pochi attimi e poi fissò il rosso con sguardo amorevole, quasi sapesse che quella mossa disperata era utile solo per liberarla dai guai.
Magari un giorno, in disparte, avrebbe pure ringraziato quel compagno che ora gli stava dando un’insperata scappatoia.
“Niente di personale, Scott, ma direi la stessa cosa a chiunque. Per il momento non voglio frequentare nessuno, scusami tanto.”
Con questo aveva perso effettivamente la faccia.
Si era sacrificato per uno sconosciuto, ma l’aveva fatto a fin di bene.
Almeno credeva.
“Se è tutto, vi saluto.” Borbottò la dark, andandosene e lasciandoli con un palmo di naso.
“Questo è quanto.” Sbuffò Scott, girandosi verso il chitarrista.
“Scott, così non si fa. È un bene che l’abbia saputo prima di beccarmi un rifiuto, ma questo non si fa.”
“Suvvia Trent, forse non è ancora pronta.” Intervenne il sopraggiungente Mike.
“Sì però…”
“Gwen forse un giorno ti darà una possibilità, ma ora è meglio rimanere amici.” Propose il moro, facendo annuire il compagno.
“Per ora non è interessata, ma un giorno cambierà idea. Preparati Scott, non ti farò vincere questa volta.” Riprese Trent, mentre Mike e gli altri, facendogli coraggio, lo invitavano ad andare a divertirsi per dimenticare quella delusione.
Scott sapeva bene che ora aveva un’altra grana da risolvere.
E questa non sarebbe stata facile come la fuga di quella combriccola o come i ringraziamenti imprevisti e silenziosi di Mike.
Sarebbe stato un qualcosa di difficile da ottenere e per questo doveva ringraziare gli idioti che aveva stupidamente aiutato.
 
Ripercorse, quindi, la minuscola distanza che lo separava da Dawn, ben sapendo cosa avrebbe dovuto passare.
Già la vedeva: inferocita e desiderosa di sapere il perché conoscesse solo quel modo orribile di risolvere le cose.
Quella modalità assurda di sacrificare sé stesso per altre persone che non avrebbe mai portato alla sua crescita personale e che lei conosceva bene.
“Non sopporto i tuoi metodi.” Ringhiò subito la giovane, ritrovandoselo a pochi passi di distanza.
“Dawn…”
“Li detesto sempre di più.”
“Io…”
“Non riesco più a stare con uno come te.” Riprese al colmo della rabbia, incenerendolo con lo sguardo.
“Non ho trovato modo migliore.”
“Perché non consideri mai i sentimenti delle persone?” Chiese lei, versando qualche lacrima e facendolo sussultare.
“Credevo…”
“Io non ti capisco, Scott.”
“L’importante è che tutto sia tornato come al solito.”
“Come al solito? Quindi per te è normale comportarsi così?” Domandò Dawn, facendolo negare appena.
“Non lo so.”
“Mi stai dicendo che non cambierai mai?” Borbottò, colpendolo con un debole schiaffo.
“Dawn…”
“Possibile che tu non capisca quanto mi fa male essere trattata così?”
“Per me sei molto importante, ma non volevo ferirti.”
“Ferirmi?”
“So quanto tu sia legata a Zoey e non volevo che sapessi quanto fossero falsi in quel gruppo. Non volevo sconvolgere le tue sicurezze.”
“Come?”
“Tutti hanno partecipato a questa cosa.”
“Stai mentendo.” Riprese, allontanandosi di qualche passo.
“Secondo te perché Zoey non ti ha parlato e non è intervenuta nel sapere che Mike stava facendo questa cavolata?”
“Stai zitto.”
“Aveva paura di perdere la tua amicizia.”
“Perché?” Mormorò con timore.
“Tiene talmente tanto a te che vuole evitarti brutte sorprese. In minima parte posso capirla dato che anch’io mi comporto così.”
“Come?”
“Non prendere per buone tutte le mie parole, ma perché dovrei mentirti su Zoey? Una bugia potrebbe sciogliere tutto questo, ma io non ne sono in grado.”
“Tu hai sempre mentito con noi.”
“Se vuoi andartene solo perché non mi sono espresso sinceramente con te o perché credi che io non sia così buono, non posso fartene una colpa.”
“Io…”
“Se tu volessi rimanere, però, mi renderesti felice.”
“Scott…”
“Sono stato malissimo quando sono scappato e non voglio più essere così.” Affermò, torturandosi le mani.
“Non capisco.”
“Ogni giorno credevo di morire, ma non mi sono mai arreso.”
“Perché mi parli di questo proprio ora?” Domandò lei, studiandone lo sguardo.
“I cambiamenti non sono radicali e spesso ci vuole molto tempo per notare qualcosa di diverso in una persona.”
“Diverso?”
“Anche tu sei cambiata in questi mesi.”
“Come?”
“Sei più matura e attenta rispetto al passato.” Borbottò, cercando d’avvicinarsi, mentre lei retrocedendo, manteneva le distanze invariate.
“Io…”
“So che non sarò mai alla vostra altezza, ma mi sto impegnando.”
“Tu dicevi che i cambiamenti sono inutili.” Tentò, fermandosi e permettendogli, quindi, di averlo vicino.
“A volte è così.”
“Posso fidarmi di te?” Gli chiese la giovane, studiando il velo di malinconia che avvolgeva il suo sguardo.
“Non sta a me decidere.”
“Con quello che hai fatto, sai che potrei andarmene e non volerne più sapere nulla di te ?” Domandò triste e delusa, facendolo sussultare.
Scott non voleva pensarci.
Non voleva chiudersi nella sua stanza per sentirsi dire dalla sua coscienza che aveva sbagliato fin dal principio. Lasciarla andare senza azzardare una scusa l’avrebbe solo convinta che non era pronto a crescere e a cambiare vita. Sentiva a pelle che doveva fare qualcosa e, anche l’azione più semplice e improvvisa, poteva calmare il suo animo.
Prima di rovinare ulteriormente le cose e prima di riflettere su quella scelta disperata, azzerò la distanza che li separava e la strinse a sé.
“Ti prego, Dawn. Non mi abbandonare, non di nuovo.”
“Tu…”
“Io sto provando a cambiare, ma se te ne vai, poi mi ritroverei a pensare che ho sempre sbagliato e tornerei indietro.”
“Scott…”
“Ti chiedo scusa e spero tu possa perdonarmi.” Sospirò, tenendola vicina e facendola annuire appena.
“Sai che non lo meriteresti?”
“Se non fossi importante, non ti chiederei una possibilità.” Bisbigliò, facendola arrossire e sbriciolando la sua rabbia.
“Solo per questa volta.” Si sciolse, dando il suo perdono al ragazzo e avviandosi con lui verso uno dei tanti bar del centro.
Anche quel caso, estremamente spinoso, era giunto al termine ed entrambi speravano che non capitasse più nessuno con qualche problema simile.
 




Angolo autore:

Ryuk: Capitolo molto più lungo del solito.

Problemi.
Problemi ovunque.

Ryuk: La parte del mini litigio è merito del solito cinico e infelice rocchi.

Già.
Ma ehi!

Ryuk: E in un solo colpo Gwen e Trent si uniscono alla lista di persone che sono entrate nella nostra storia.

Quando dicevo che avrei fatto partecipare quasi tutti i personaggi intendevo dire che avrei trovato per ognuno la giusta locazione.
Per carità ne mancano ancora un sacco, ma questo credo sia il massimo delle mie capacità.
E considerate che avevo preso in considerazione solo le prime 5 stagioni.
Ci sono state e ci saranno delle eccezioni che svelerò più avanti.

Ryuk: Per il momento solo Don, Carrie, Devin e Scarlett.

E non ricordo se ho scritto di Max.
Chiedo venia, ma qualcuno si ricorda se l'ex supercattivo è stato almeno menzionato?
Perchè ho un dubbio amletico e non ho molto tempo per spulciare i vari capitoli.

Ryuk: Sperando di ricevere una risposta e ringraziandovi per il sostegno, v'informiamo che il prossimo aggiornamento uscirà venerdì.

Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Cap 24 ***


Erano trascorsi almeno 3 giorni di quiete dalla faccenda di Gwen e del gruppo di Mike.
Scott ne aveva approfittato per continuare a studiare e per tentare di ottenere un perdono che ancora non sentiva sbocciato.
Quella ferita che le aveva provocato, bruciava ancora e non l’avrebbe dimenticata per molto tempo.
Per quanto si sforzasse di farsi perdonare e per quanto cercasse di studiarne lo sguardo, il rosso aveva capito che quella cazzata non doveva più essere fatta.
“Hai intenzione di tenermi il muso per molto?” Esordì quel pomeriggio.
“Dipende.”
“Mi sembra di averti chiesto scusa diverse volte.”
“Ancora non hai capito cosa mi hai fatto?”
“Sarebbe più semplice se me lo dicessi.”
“No.”
“Non me lo vuoi dire solo perché sei arrabbiata?”
“Io non sono arrabbiata.” Borbottò, richiudendo il libro che stava consultando.
“Per un momento credevo lo fossi.”
“Sono solo delusa.” Ammise, sforzandosi di rimanere impassibile.
“Dawn…per me sei molto importante e non sono tranquillo se tu stai male.”
“Dovevi pensarci prima.”
“Era l’unica possibilità per salvare Trent da una figuraccia.”
“E alla tua felicità non pensi mai?” Chiese con amarezza, facendolo sussultare.
“Se gli altri stanno bene, io cerco di accontentarmi.”
“La cosa non ti farà mai crescere.”
“Io non voglio che gli altri soffrano, Dawn. So quanto fa male e voglio evitare a quelli che conosco di sentirsi uno schifo.”
“Questo tuo comportamento mi ferisce.” Sbuffò infastidita, piantandogli addosso uno sguardo glaciale.
“Lo immaginavo.”
“Hai così tanta paura di far soffrire gli altri: ma dimmi, chi si preoccupa di non ferire te?”
“Io…”
“Nessuno si preoccupa di una persona che preferisce parare i colpi altrui prima dei propri.”
“Ma…” Tentò di obiettare, venendo nuovamente interrotto.
“È insolito vedere i tuoi sforzi, quando mesi fa volevi tenere tutti lontani. Tutto ciò non ti confonde un po’ troppo?”
“In effetti.”
“E comunque devi impegnarti ancora di più per essere promesso.” Affermò con risolutezza, cambiando discorso.
“Mi perdoni?” Borbottò intimorito dalla possibilità che lei stesse solo scherzando e che ritornasse, quindi, a tenergli il muso.
“Sarei una stupida a lasciarti solo.”
“Perché Dawn?”
“Per quanto io possa disprezzare questo tuo modo di fare, posso dire che m’incuriosisce e che mi spinge a starti vicino.”
“Non capisco.”
“L’anno scorso stavi in questo club solo perché non ti fidavi della mia ingenuità e temevi che qualcuno potesse abusare della mia bontà. Per qualche giorno ho creduto che non ce ne fosse bisogno, ma sono sempre stata troppo cieca per ammettere di sbagliarmi.” Soffiò, richiudendo il libro che stava consultando distrattamente.
“Hai un’ottima memoria.” Si congratulò, seguendo l’esempio dell’amica e gettando i suoi quaderni dentro lo zaino.
“Questa volta sono io a non fidarmi della tua generosità.”
“Interessante.”
“Non è un difetto, anche se nei tuoi tentativi può sembrare il contrario.” Mormorò la giovane, venendo zittita da un colpo alla porta.
In quei secondi che intercorsero di silenzio, i 2 si fissarono per un breve momento.
Gli occhi chiari e rilassati di Dawn si scontrarono con quelli malinconici e grigi di Scott che sembravano aver recuperato colore.
Era la prima volta dal suo ritorno che c’era una luce particolare nelle sue sfere e questo lasciava presagire a un seguito incoraggiante.
Quegli attimi si frantumarono contro il bussare incessante e disperato.
I vari tocchi erano alternati con tale velocità che pareva che qualcuno fosse braccato e che cercasse una disperata via di fuga.
A colpo sicuro non era il supervisore: Chris sarebbe entrato direttamente e non avrebbe perso tempo con il bussare o con i classici convenevoli.
Doveva, per forza di cose, essere qualcun altro.
 “Avanti!” Ordinò il rosso, poco prima che i cardini iniziassero a cigolare.
 
A entrare fu un ragazzo come tanti.
Poteva sembrare abbastanza anonimo nell’aspetto, ma c’era una cosa che era saltata subito agli occhi dei giovani membri del club: la sua orribile tuta rossa.
Solo il suo abbigliamento e quegli strani capelli castani impomatati di gel avevano fatto scattare dalla sedia Scott.
“Tyler Robinson?”
“Sono passati molti anni Scott e a quanto vedo non sei cambiato di una virgola.”
“Che ci fai qui?” Domandò infuriato, cercando di riconquistare subito la lucidità che non meritava di perdersi per un individuo simile.
“Sono passato a chiederti un favore.”
“Sai bene che se riguarda la tua squadra di calcio la mia risposta è un secco no.”
“Tu sei ancora in debito con me.“ Ribatté l’atleta che sotto la tuta sfoggiava la maglietta da titolare con tanto di fascia da capitano al braccio.
“Semmai è il contrario.”
“Hm?”
“Tu vieni qui solo perché durante la finale del primo anno ho rovinato il teatrino che avevate tirato su.”
“Ancora con questa storia?”
“Ringrazia che avevo pietà per la nostra scuola, altrimenti questa notizia avrebbe fatto il giro in nemmeno un giorno.” Ringhiò il rosso, buttandosi a peso morto sulla sedia, mentre Dawn ascoltava quel fitto scambio di osservazioni.
“Vorremmo concederti una possibilità.”
“No.”
“Abbiamo bisogno di un regista.” Continuò Tyler, sperando di catturare l’attenzione di Scott che, invece, restava disinteressato a quella richiesta.
“Chiedilo al tuo titolare.” Replicò seccatamente, pregando che quella seccatura si levasse dai piedi e gli permettesse di tornare a rasserenare l’animo della compagna.
“Se non fosse diffidato,  non avessimo le riserve contate e per il nostro gioco non ci servisse un regista, tu saresti l’ultima persona a cui chiederei aiuto.”
“Ora vuoi il mio aiuto? Dopo quello che mi hai fatto passare?” Sbraitò, voltandosi a fissare la compagna che gli stava chiedendo di stare tranquillo.
“Che cosa è successo?” Chiese Dawn, risultando innocente alle orecchie di Scott.
“Nulla d’importante.” Nicchiò Tyler, scrollando le spalle.
“Lui dice che non è nulla d’importante, ma io sono di tutt’altro avviso.”
“Questo non è il club di Volontariato?” Domandò il capitano, osservando la ragazza presente e innervosendo il rosso.
Quei suoi occhietti bastardi non dovevano posarsi su di lei.
Quegli occhi non potevano e non dovevano distorcere l’immagine perfetta che lui aveva sempre sotto il suo naso.
“E se anche fosse?” Sbuffò Scott.
“Sei tenuto a darmi una mano.”
“Che cosa cambierebbe da quel giorno?”
“Il fatto che ci giochiamo la finale scudetto contro i rivali del primo anno e che è l’ultima partita della stagione ti dice nulla?”
“La cosa non mi riguarda. Come ben sai non sono mai stato interessato a innalzare la bandiera della nostra scuola e a dimostrarne la superiorità sugli altri.” Ghignò Scott, considerando quella discussione e quella richiesta come un caso ormai archiviato.
“Purtroppo, Scott, temo che ti riguardi.” Obiettò Dawn, abbassando il capo.
“Come?”
“Hai già dimenticato la regola base del nostro club? Quando qualcuno ce lo chiede, noi dobbiamo intervenire e porre rimedio ai loro problemi.”
“I loro problemi? Questi idioti hanno un solo problema: il loro ritardo mentale.” Sbottò il rosso, digrignando i denti.
“Ehi! Calma con le parole.” Replicò Tyler, zittendosi nel ricevere un’occhiata assassina da parte di Scott.
“Oltre al fatto che avete combinato un macello e che non ho più il fuoco di quando ho cominciato, il mio fisico non regge più certe attività e nelle mie attuali condizioni sarei solo un peso più che un valore aggiuntivo.”
“Sei sicuro di quel che dici Scott?” Domandò l’amica, fissandolo preoccupata.
“E se anche riuscissi a recuperare lo smalto dei bei tempi, chi vi dice che abbia ancora intenzione di giocare a calcio?”
“Io credo tu abbia paura.” Mormorò Tyler.
“Paura? E di cosa?” S’incuriosì Dawn, mentre il rosso abbassava la testa in segno di sconfitta.
“Era il nostro giocatore migliore e veniva sempre riempito di falli. Una volta credo abbia saltato almeno 10 partite per un infortunio muscolare.” Ammise il capitano, mentre nella testa di Scott riemergeva un ricordo doloroso.
Almeno 5-6 interventi duri sulle sue caviglie a partita. Qualche pestone o entrata dura all’altezza del ginocchio.
Tante fasciature e cerotti a riempirgli i piedi martoriati.
L’elenco di quanto aveva patito in quell’unico anno di calcio alle superiori avrebbe potuto allungarsi ancora se non avesse saltato quasi mezza stagione per un infortunio fastidioso e per i suoi postumi.
“Il mister diceva che dovevate proteggermi dagli attacchi degli avversari, ma tutte le volte tornavo a casa gonfio.” Soffiò con calma glaciale.
“Quest’anno è diverso.”
“Lo dicevate tutte le volte.” Lo denigrò, cercando lo sguardo di Dawn che, invece, era impegnata a fissare il loro ospite.
“Ascolta Scott: abbiamo una difesa impenetrabile, un attacco devastante, un portiere che nemmeno te lo sogni e un’incontrista che tutti ci invidiano.”
“E io che centro?”
“Il nostro regista non ha mai patito un infortunio e questo ti dimostra che siamo cresciuti molto dalla nostra disfatta.”
“Avevo promesso che non avrei più giocato.” Replicò Scott.
“Tu eri o no la Luce della squadra?” Chiese il giovane capitano, spiazzando l’ex compagno con una domanda trabocchetto.
“Non so…”
“Chi è che ha preso anni fa una squadretta da niente e l’ha portata a giocarsi il campionato fino all’ultima giornata?”
“Non ho più il piede di quel periodo.” Si rassegnò, sbuffando infastidito.
“Chi aveva il tocco magico non lo perde mai.” Lo rassicurò Tyler, scontrandosi tuttavia con lo sguardo dubbioso del rosso.
“Non capisco comunque perché la finale si debba giocare in marzo.”
“Siamo tutti incasinati con gli esami.”
“Solo perché sono costretto dalla regola del club e solo per questa partita.” Promise Scott, piuttosto riluttante all’idea e stringendo la mano del capitano.
“Ti aspettiamo domani al campo d’allenamento.”
“Vedrò d’esserci.”
“Bene.”
“Vi avviso, però, che non resterò per gli straordinari.” Borbottò, ricevendo un cenno d’assenso.
“Capito.” Affermò Tyler, salutando Dawn e avviandosi verso la porta.
Fatta filtrare un po’ di luce e riempita l’aula con il cigolio sinistro di qualche minuto prima, si voltò verso i 2, ricordandosi di un’ultima notizia da riferire al nuovo regista della sua squadra.
“Ho sentito un amico che viene dall’altra scuola e t’informo che Redox è ancora arrabbiato per via di quell’infortunio.”
“Starò attento.” Lo rassicurò, invitandolo con lo sguardo a defilarsi, prima di riportare altre notizie ininfluenti.
 
Scott non poteva incolpare Redox.
Lui stesso si sarebbe incazzato come una iena se qualcuno gli avesse spaccato tibia e perone e se fosse stato costretto a stare un anno intero ai box.
Tra le operazioni per ricostruire i legamenti, l’assoluto riposo richiesto dall’ortopedico e la lenta riabilitazione, quel gigante che componeva la difesa doveva essersela legata al dito.
Qualora si fossero scontrati, probabilmente, sarebbe ritornato a casa con la caviglia malconcia e con altre parti spappolate.
Dopotutto quel pomeriggio aveva giocato un po’ troppo con la carriera di Redox e solo per farsi sbattere fuori dalla partita.
C’era del marcio in quella gara e lui non voleva farsi contaminare dallo schifo che gli altri volevano ingoiare volentieri.
“Chi è questo Redox?” Tentò Dawn, vedendo l’amico assorto nei suoi pensieri.
“Nessuno che valga il mio tempo.”
“Se Tyler ti ha messo in guardia, significa che è pericoloso.”
“È pericoloso solo perché è giusto che lo sia.” Borbottò enigmatico.
“Come?”
“Durante il primo anno è stato il giocatore cui ho spaccato tibia e perone durante la finale.”
“Quello che ti è costato l’espulsione?”
“Lo sapevi?”
“Ho guardato la partita dalla tribuna e vedere quel gigante uscire in barella non è stato un bello spettacolo.”
“Mi spiace.”
“Ti ho odiato per quell’azione sconsiderata.”
“Ai tuoi occhi apparirò come un bastardo, ma purtroppo quel fallo è stato intenzionale.”
“Come?”
“Ero così arrabbiato per quello che venni a sapere da un mio compagno di classe che mi sono sfogato sul primo che mi è capitato davanti.”
“Cosa ti hanno detto?”
“Tyler e gli altri si erano venduti la partita e per non rientrare in quello squallore mi sono fatto sbattere fuori.” Ringhiò, torturandosi le mani.
“Non c’è un regolamento su questa cosa?”
“Sarebbe stato molto meglio farsi espellere per proteste, piuttosto che attentare a quel tipo.”
“E tu vorresti giocare nonostante tutto?” Domandò intimorita dalla possibilità di vederlo uscire in barella e di accompagnarlo all’ospedale.
“Ryan Redox sarà anche incazzato, ma non credo che farà il killer: ha troppo da perdere.”
“Come?”
“Farebbe perdere la squadra e si sentirebbe uno schifo.” Ammise il rosso, stiracchiandosi appena.
“E tu?”
“Da quel pomeriggio ho raccolto le mie cose e mi sono ritirato dal calcio.”
“Ma…”
“Non volevo più giocare con dei ragazzini così volubili e capricciosi. Come potevo avere fiducia in una squadra che scaricava il proprio capitano e il proprio mister solo per qualche dollaro in tasca? Ero talmente disgustato che spaccai l’armadietto, abbandonai lo spogliatoio prima del termine della gara e non mi scusai con nessuno.”
“Proprio con nessuno?”
“Solo al mister ho raccontato la cosa: tanto non sarebbe rimasto a lungo in panca.” Rispose, ricordando quel vecchietto smilzo con i baffi, l’immancabile sigaretta e il cappello di paglia che sbraitava a ogni allenamento.
Lo chiamavano il Sergente di Ferro quando andava bene, per passare al soprannome di Tiranno del Diavolo quando la squadra mollava l’osso.
“E come l’ha presa?”
“Male, ma se n’è fatto una ragione.”
“Ti ha perdonato?”
“Tanto avremmo perso la finale anche se fossi rimasto in campo per tutti e 90 i minuti.” Gracchiò il rosso, incrociando le braccia.
“Forse.”
“Tu che avresti fatto Dawn? Saresti rimasta fedele a un gruppo che voleva annegare e che voleva trascinarti nel fango o avresti abbandonato una barca che non si sarebbe salvata nemmeno per miracolo?”
“Non potevi dirlo all’arbitro?”
“Sarei passato come un codardo che sotto di 3 gol cerca una scusa valida per non affrontare la realtà.”
“Ma…”
“Alla fine quegli 8 gol sono serviti per fargli capire che il calcio è una cosa seria e che non ci si può sputtanare così.”
“E dirlo al Preside?” Tentò Dawn, facendolo negare.
“Il vecchio avrebbe anche potuto fare qualcosa, ma non credo che il Preside avversario avesse intenzione di accettare una rivincita.”
“Però…”
“E poi i nostri avversari non sapevano nulla di questa porcata.”
“Non è partita da loro?”
“Loro non ci hanno corrotto in nessun modo.”
“E chi è stato allora?”
“Pensaci bene e forse potresti arrivarci.”
“Gli organizzatori del torneo?” Propose con scarsa convinzione.
“I giornali li avrebbero sbranati.”
“Una squadra estranea?”
“Sei lontana dalla verità.” Ammise, posando i suoi occhi su Dawn che arrossì appena.
“Allora non saprei.”
“Quelli di prima e seconda hanno sempre avuto scarso potere decisionale, mentre quelli di quarta e quinta avevano tutto da guadagnare con delle scommesse clandestine.”
“Cosa?”
“Quelli che dibattevano sull’onestà e su condizioni migliori erano quelli che ci avevano venduti agli avversari e che avevano promesso ai miei compagni una piccola percentuale.”
“Che infami!” Sbottò Dawn, cercando di non imprecare.
“Io e il mister eravamo i pezzi grossi del team e hanno lavorato sotto traccia, temendo che noi volessimo una bella fetta della torta.”
“Era così?”
“Volevo solo che la partita si giocasse in un clima di sportività.”
“Vi hanno escluso dalla lista solo perché sapevano di non potervi corrompere.” Terminò Dawn, facendo annuire il compagno.
“Un certo Junior della nostra squadra si è ritrovato azzoppato perché aveva rifiutato la loro proposta.”
“Qualcuno ti era rimasto fedele.”
“Credo che qualche crumiro della mia ex squadra sia intervenuto duro solo per fargli tenere la bocca chiusa e per evitargli di giocare.”
“Tyler non si meriterebbe il tuo aiuto.”
“A essere sinceri sono ancora parecchio restio a partecipare, ma la regola base del club m’inchioda.” Sbuffò il rosso.
“Intendi sabotarli?”
“Io sono migliore di loro e non ho intenzione di vendermi per così poco.”
“Se ti rifiutassi, non avrei nulla da ridire.” Ammise la giovane, facendolo sorridere mestamente.
“Che cosa vorresti che facessi Dawn?”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché non voglio ferirti un’altra volta.” Sussurrò, facendola annuire.
“Devi evitare quella partita.” Replicò nervosa.
“Non posso.”
“Perché prima mi chiedi consiglio e poi fai di testa tua?”
“Sarebbe orribile passare per bugiardi e ignorare la regola del club.”
“Tu avevi detto che potevamo rifiutare ogni tanto.”
“Se ti rifiuti una volta, poi ti chiedi perché non puoi farlo sempre.” Spiegò Scott con tutta calma, alzandosi lentamente e stiracchiandosi gli arti indolenziti.
Terminata quella ginnastica rilassante, posò il suo sguardo su Dawn. Lei era tornata a leggere, ignorando i suoi movimenti e avvilita per una sconfitta che non credeva di patire.
Sperava che lui accettasse il consiglio, che la ringraziasse per quell’opinione imparziale e che tornassero a studiare.
Invece era fermo come una statua a farsi magnificare dai suoi occhi.
Normalmente Scott l’avrebbe fatta cuocere nel suo brodo. L’avrebbe lasciata lì tranquilla, sperando che lei gli rivolgesse la parola e che ricominciassero a discutere e a punzecchiarsi come se nulla fosse successo.
Sarebbe stato tipico della loro routine.
Quel pomeriggio, però, si discostava molto dalla classica monotonia.
Dawn non aveva ancora digerito la faccenda di Trent, era ancora arrabbiata su quel punto e l’arrivo di Tyler con la sua proposta di far scontrare l’amico con Ryan Redox aveva alimentato la sua furia.
Il rosso, chiedendosi come fare nel salvare quella situazione che stava diventando sempre più disperata, afferrò la sedia e la pose vicino a quella dell’amica.
Non voleva che lei s’uscisse con qualche sparata assurda. Non voleva che lei dicesse che la loro collaborazione nel club poteva considerarsi conclusa.
Scott voleva soltanto che lei capisse quanto fosse sbagliato ed egoista quel pensiero.
Infatti si pose dietro di lei per abbracciarla e per chiederle perdono. Fu nel sentirla singhiozzare che intuì d’aver esagerato una volta in più.
“Scott…”
“Non finirò mai di chiederti scusa.”
“Io…”
“Purtroppo ogni giorno farò una qualche cazzata che ti ferirà e poi cercherò di farti stare meglio.”
“Non è giusto.”
“Hai ragione, ma loro hanno bisogno di me e tu lo sai.”
“Io…”
“Accetteresti mai la mia amicizia se abbandonassi qualcuno a se stesso?” Chiese, allentando la presa e vedendola negare con decisione.
“Forse.”
“Voglio farti una promessa Dawn.”
“Una promessa?”
“Anche se potrebbe sembrarti più una scommessa.” Ribatté, aggirandola, mettendosi alla sua altezza e fissandola negli occhi.
“Ti ascolto.”
“Se noi perdiamo, sarà la mia ultima partita.”
“No…anche se vincerai, sarà la tua ultima partita.” Affermò la ragazza, facendolo ghignare.
“Se dovessimo perdere, avresti ragione tu: ho sprecato solo il mio tempo e non ho ottenuto la benché minima crescita personale.”
“Io…”
“Se dovessi vincere, però, saprei d’aver ottenuto il massimo possibile.”
“Che cosa vorresti infine?” Domandò serafica, notando una nota di furbizia nella malinconia che avvolgeva il suo sguardo.
“Con una sconfitta ti comprerò qualcosa per dimostrarti che sono solo un’idiota.”
“Non devi.”
“Con una vittoria, però, voglio qualcosa da te.” Ammise, facendola arrossire.
“Con la squadra che Tyler ti ha messo a disposizione, la vittoria sarebbe scontata.”
“Se dovessi vincere e fare un gol, accetteresti di uscire con me?” Chiese, facendola sussultare.
“Forse.”
“Ho bisogno di saperlo.”
“Uscirei con te solo se la smettessi di farmi arrabbiare.” Ricominciò, facendolo ghignare.
“Allora lo ammetti di esserti arrabbiata.”
“Anche troppo con uno zuccone come te.” Soffiò, riprendendo la borsa in mano e facendogli intendere che avevano tempo per studiare ancora un po’.
 
Ricominciare con la loro classica routine poteva essere una sicurezza in più per Scott, anche se riaprire i libri non era il primo dei suoi desideri.
Infatti, prima di ricominciare, si chiese cosa potesse fare.
Aveva ottenuto una risposta che non credeva di ricevere e questo grazie solo a Tyler e alla sua squadra di calcio.
Se Dawn non fosse mai stata interessata a lui, probabilmente quella scommessa non sarebbe stata nemmeno presa in considerazione o così pensava.
C’era comunque un qualcosa che lo urtava: le sue lacrime.
L’aveva fatta piangere di nuovo.
Un altro po’ e sarebbe stato costretto a scrivere su un diario tutte le volte che l’aveva fatta soffrire, giusto come monito.
In quel caso, però, lei non se ne era nemmeno accorta.
Forse stava ancora riflettendo o non si ricordava di cosa avessero provocato le sue lacrime.
Per lei era un qualcosa d’invisibile che dinanzi agli occhi del rosso assumeva un altro significato.
Prima che qualcuno potesse entrare e disturbarli, cercò nella tasca dello zaino un fazzoletto di carta e dopo averlo imbevuto con l’ultimo goccio d’acqua, lo posò sul viso della giovane.
Dawn nell’avvertire quel contatto sussultò appena, per poi afferrare il pensiero del compagno, carezzandogli le mani.
“Non voglio far pensare agli altri che ti tratto male.”
“Scott…”
“E poi, secondo me, non hai bisogno di truccarti.”
“Perché?”
“Io ti conosco bene e non ti serve una maschera per parlare con gli altri.” Borbottò risoluto, continuando a levare il trucco che le aveva rigato il volto.
“Le ragazze con il trucco non ti piacciono?”
“Alterando il tuo aspetto, credi di avere la mia approvazione, anche se non sai che mi basta qualcuno con cui ridere e parlare.”
“Non lo sapevo.”
“Perché non parlo mai di questo genere di cose.” Ghignò divertito, continuando con quel delicato massaggio, mentre Dawn si lasciava carezzare, chiudendo sempre più gli occhi.
Nel sfiorarla e nell’osservare che lei gradiva quel suo tocco, Scott si rese conto che qualcosa si stava finalmente muovendo: entrambi avevano abbandonato la paura e si erano lasciati attrarre dalla possibilità di uscire insieme.



Angolo autore:

Ryuk: Che stanchezza.

Dovrei essere io a lamentarmi.
Non ho avuto modo di controllare la storia, nè di sistemare il carattere di Tyler che si dimostra un po' più sveglio dei suoi soliti standard.

Ryuk: Vi piace questa sua strana intelligenza o abbiamo preteso un po' troppo?

Inizialmente Tyler era uno di quei personaggi che non doveva rientrare nei miei progetti, ma a mio avviso ha un potenziale inespresso incredibile.
Mi sono detto che era il caso d'introdurlo e l'unico modo sensato, sapendo che è fissato con gli sport, era quello di sfruttare il calcio.
Pensavo al basket, ma non mi convinceva troppo.

Ryuk: Anche perchè c'è già Devin a fare il capitano.

Rischiavo di fare casini e poi non conosco molto i ruoli del basket.
Per quanto riguarda il motivo della rabbia di Scott lo scoprirete con il prossimo aggiornamento.

Ryuk: L'infortunio, purtroppo, viene dalla sventura personale di rocchi.

Frattura al polso durante una partita e ginocchio malandato qualche anno più tardi.
Esperienza personale.
Cose non troppo piacevoli.

Ryuk: Ovviamente dei problemi di rocchi non ce ne frega nulla e, quindi, passiamo già ai saluti e ai ringraziamenti per consigli, complimenti e altro.

Alla prossima!

 

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Capitolo 25
*** Cap 25 ***


Scott aveva aspettato a lungo quella finale.
7 giorni.
Non credeva di contare perfino le ore per vincere quella benedetta partita.
Se glielo avessero chiesto qualche anno prima, lui avrebbe imprecato che con il calcio aveva ormai chiuso e che non voleva più toccare nemmeno un pallone.
In quella settimana aveva cambiato idea solo per un motivo: mai avrebbe rinunciato a uscire con Dawn, neanche se questo significava farsi sbranare da un certo Ryan Redox.
Poteva non essere motivato dalla vendetta, ma poteva anche lasciarsi andare e distruggergli la caviglia con un colpo secco.
Tanto era all’ultimo anno e non avrebbe più avuto modo di ripagarlo con stampelle e riabilitazioni lunghe ed estenuanti.
Anche quella sera, prima di scendere in campo, aveva incrociato Dawn vicino alla recinzione.
Non capiva come fosse riuscita a ottenere il permesso per un coprifuoco più esteso, se perfino lui aveva dovuto pregare sua madre in ginocchio.
Solo l’intervento di Alberta era riuscito a riportare sulla decenza quel confronto che, durante il pomeriggio della sua richiesta, era stato udito a molte miglia di distanza.
Anche durante gli allenamenti ogni volta che usciva dallo spogliatoio e calpestava l’erba del campo, si voltava e si avvicinava a lei.
“Stai attento.” Lo pregò quella sera con uno sguardo supplichevole, mentre lo fissava sistemarsi la maglia numero 7 che gli avevano dato.
“Riusciremo a vincere, te lo prometto.”
“Io…”
“Purtroppo non sono ancora riuscito a incontrare Ryan.”
“Ti prego…non farti male.”
“Sei spaventata dall’idea di uscire con uno storpio?” Domandò provocatorio, facendola annuire.
“Un po’.”
“Vedrò di non deluderti.”
“Finito qui, andiamo a bere qualcosa?” Tentò lei, incrociando il suo sguardo.
“Volentieri.” Soffiò, staccandosi dalla rete e raggiungendo i suoi compagni di squadra e il mister.
 
Dispostisi a cerchio, stavano ripassando la tecnica di base che avevano preparato durante la settimana, oltre che attendere l’ingresso in campo degli avversari.
Il loro allenatore, nonostante fosse ancora molto inesperto, aveva suggerito una strategia elementare dove l’attacco sarebbe sempre rientrato a sostenere centrocampo e difesa, dove il pressing sarebbe stato molto alto e asfissiante e dove il reparto difensivo sarebbe rimasto saldo sulle sue posizioni anche in caso di calcio d’angolo e di punizione.
Non voleva cadere nel tranello del contropiede, anche se la qualità dei suoi uomini era di molto superiore rispetto a quella dei rivali.
Aveva appena finito di ascoltare le parole dell’allenatore e gli incitamenti del suo capitano che la squadra avversaria aveva fatto l’ingresso in campo.
Su tutti giganteggiava Redox.
Era un ragazzone di colore quello che Scott aveva abbattuto con un’entrata omicida.
Ricordava ancora i tacchetti che gli penetravano nella carne, che sbriciolavano il legamento compromettendone la stabilità aerobica, che lasciavano evidenti tracce di sangue a colare verso il piede e le sue urla disperate che anticiparono di pochi secondi la brusca interruzione del gioco decretata dall’arbitro.
Cartellino rosso, doccia anticipata e proteste piuttosto veementi per saldare lo sporco teatrino che Tyler aveva predisposto.
Durante la sua uscita dal campo ricordava un allenatore, quello avversario, inferocito e un drappello di riserve a scortarlo fuori dal perimetro di gioco.
Non aveva più alzato lo sguardo.
I fischi dei tifosi, le minacce degli ultras, il cazzotto che il suo vecchio mister aveva sganciato contro la panchina a sbriciolare un vetro: tutto questo gli era scivolato addosso.
In quello stretto corridoio che percorse con la sua borsa, incrociò la barella con Redox sopra.
Il suo sguardo era quello del Demonio.
Mai lo avrebbe perdonato per un affronto simile e Scott, durante i mesi seguenti, aveva temuto che uno dei suoi compagni si presentasse per fargliela pagare.
Da quel giorno, però, erano passati ben 4 anni e lui non aveva più pensato a Redox.
Fino all’istante in cui la sua malinconia incrociò l’ardore celato nei suoi occhi neri.
Quando, poi, venne richiamato per la foto di rito e per la canonica stretta di mano con gli avversari, giunto al suo turno, Scott si sentì come una formica.
Se durante il primo anno Ryan era l’armadio del campo di calcio, quel periodo lo aveva fatto crescere ancora di più.
Quel tizio doveva essere cresciuto di almeno 15 cm e Scott, a fissarlo dal basso, si sentiva chiaramente spacciato.
La sua mano finì stritolata da quella dell’avversario e la sua voce, piena di una scusa vana, si scansò dinanzi a quella più profonda e minacciosa di Redox.
“Preparati che ti spacco in due.”
Scott deglutì e continuò a stringere mani, anche se il suo sguardo era rimasto incollato a Ryan Redox.
Se Scott avesse immaginato di perire per colpa di un energumeno dai capelli neri, dalle spalle possenti e dai bicipiti grossi quanto tronchi d’albero, non avrebbe mai attentato alla sua carriera.
Avrebbe potuto protestare, scalciare il portiere o infrangersi contro un difensore più minuto piuttosto di sacrificarsi per quel palazzo.
Perso nei suoi pensieri, non si accorse nemmeno che Tyler gli si era avvicinato.
“Tutto bene, Scott?”
“Redox vuole uccidermi.”
“Non lo farà.”
“Come puoi esserne così sicuro?”
“Se fosse un’amichevole, saresti spacciato, ma nessuno si rovina la finale.”
“Avrei da ridire.” Borbottò, mentre gli arbitri di gara controllavano le condizioni del campo, la rete e altre cavolate superflue.
“Alla fine questa partita può servirti molto.”
“Di che parli Tyler?”
“Se ti comporti bene qualche tifosa potrebbe notarti e avresti un buon motivo per uscire con la medaglia in tasca.” Ridacchiò il capitano.
“Non mi dirai che in questi anni hai trovato qualcuno che abbia accettato la tua sporca scommessa.”
“La mia Lindsay non guarda queste cose.” Sorrise Tyler, girandosi verso un punto della recinzione e salutando la sua fidanzata.
“Sono felice per lei.”
“E tu Scott?”
“Io non ho bisogno che i tifosi urlino il mio nome: sto bene anche così.” Ribatté freddo, studiando i due attaccanti che stavano palleggiando tra loro.
“E la ragazza che era nel club? Non mi dirai che è solo un dettaglio di poco conto.”
“La cosa non ti riguarda.”
“Sai che c’è una cosa divertente in questa storia?”
“Quale?”
“Immagino che Dawn non ti abbia detto che siamo stati insieme in passato.” Sbuffò Tyler, ricevendo un’occhiata omicida come risposta.
“Non m’interessa.”
“Sono stati tre mesi molto bizzarri: lei non faceva altro che parlare di un suo compagno che non la degnava di uno sguardo.”
“Geloso?” Soffiò il rosso.
“Ognuno di noi è inferiore a qualcuno…almeno agli occhi delle persone.”
“Già.”
“Lindsay ti considera inferiore a me e per Dawn ero inferiore al suo compagno di classe.” Concluse con un risolino fastidioso.
“Parlare di questo prima del fischio arbitrale non è una scelta molto saggia.” Commentò il rosso, facendo annuire il compagno di squadra.
“Non credo che Dawn fosse interessata a te, Scott.”
“Forse hai ragione.”
“Come poteva piacerle un ragazzo come te?”
“Un ragazzo come me?” Chiese infastidito.
“Non sei alla sua altezza.”
“Tu non sai a cosa pensa.”
“Se siamo stati insieme significa che cercava qualcuno che fosse come me.” Obiettò il capitano, facendolo ringhiare.
“Probabilmente hai ragione e forse è vero che non la merito, ma sarei felice di avere una possibilità e di poter stare ancora un po’ in sua compagnia.”
“Non la renderai mai felice.”
“Se non fosse felice, non avrebbe mai accettato di venire a vedere la partita.”
“Forse è qui per un altro giocatore.” Gracchiò, dando un’indicazione a un suo compagno che si era avvicinato per un consiglio.
“Se è tua intenzione farmi giocare male, ci stai riuscendo.”
“Siete troppo diversi per stare insieme e finiresti con il farla soffrire.” Replicò, rigirando il coltello nella piaga.
“Anche se dovesse accadere, so come farle tornare il sorriso.” Mormorò, girandosi nella direzione dove aveva lasciato Dawn.
“Come se fosse sufficiente.”
“Non sarà mai sufficiente per essere sicuro di non perderla, ma almeno sono in una condizione migliore della tua.”
“Che cosa vorresti insinuare?” Domandò Tyler, stringendosi ancora di più la fascia di capitano intorno al braccio.
“Odio fartelo notare, ma non credo che la tua Lindsay abbia tanto le rotelle apposto…sai per stare con uno sfigato come te.” Tuonò il rosso, ribattendo colpo su colpo.
“Non ti permettere.”
“Heather Wilson ha dato il suo benestare solo se sarà la sua amichetta a portare i pantaloni durante la vostra relazione?”
“Di che parli?”
“Di Heather Wilson: la sanguisuga che tiene a bacchetta la tua ragazza.”
“Lei…”
“Dovresti aiutare Lindsay a ribellarsi da quella iena.” Sbuffò il rosso.
“Hm?”
“Heather finirà con il corromperla e giocherà con la sua mente, fino a quando non sarà alle strette e sarà costretta a scaricarla.”
“Io…”
“E durante questo periodo la tua ragazza potrebbe essere usata come merce di scambio e tu la perderesti per sempre.”
“Cosa dovrei fare allora?” Domandò, mentre gli arbitri avevano quasi terminato il giro di campo regolamentare.
“Finita la partita, manda al diavolo Heather Wilson.”
“Lei è…”
“Sarà anche la Presidentessa, avrà anche l’ultima parola durante le assemblee di classe e di Istituto, ma non può costringere un professore a cacciare qualcuno o incasinare tutto come al suo solito.”
“Però…”
“Potrei testimoniare a vostro favore, qualora volesse vendicarsi.” Mormorò il rosso che avrebbe fatto di tutto per mettere i bastoni tra le ruote a Heather.
“Che cosa vorresti in cambio?”
“Devo parlare con Redox durante l’intervallo.”
“Ma…”
“Per i primi 45 minuti starà tranquillo, giusto per vedere come vanno le cose.”
“Lo credo anch’io.” Soffiò Tyler.
“Durante la ripresa, però, potrebbe vendicarsi, specie se la sua squadra stesse perdendo.”
“Possibile.”
“Se riesci a ritagliarmi 5 minuti con lui, potrei anche pensare di essermi sbagliato sulla finale del primo anno.”
“Ci metteresti una pietra sopra?” Domandò il capitano, allontanandosi di qualche passo.
“Solo se ti metti in posizione e se riesco a parlare con Ryan Redox.” Ribatté Scott, rivolgendogli uno dei suoi soliti ghigni poco rassicuranti.
 
Il fischio arbitrale pose fine a quella strana discussione.
Per oltre 45 minuti aveva rincorso la palla, aveva dato disposizione di gioco, aveva cercato di eseguire passaggi illuminanti per le punte e si era conquistato almeno 3 punizioni, di cui una sanzionata pure con un cartellino giallo.
Quando aveva avvertito quella spinta alle spalle, aveva temuto che fosse Redox e che quello fosse solo l’inizio dei suoi problemi.
Invece era un centrocampista che con un intervento goffo aveva cercato l’anticipo ed era stato ammonito per quell’ingenuità.
Anche gli avversari, però, avevano tentato alcune sortite offensive, tutte anticipate e fermate dalla solida difesa che Tyler guidava alla perfezione.
Almeno su questo quell’idiota non aveva mentito: la loro squadra era una delle migliori dell’intera città.
Nonostante fosse una delle più organizzate e delle più solide solo un’azione confusa aveva portato al loro vantaggio.
Uno dei compagni di reparto di Ryan per tentare l’anticipo aveva atterrato uno degli attaccanti e l’arbitro aveva subito indicato il dischetto.
Scott avrebbe tanto voluto segnare, giusto per vincere la scommessa fatta con Dawn, anche se poi preferì lasciare l’incarico a uno dei veterani.
Non gli sembrava corretto che l’ultimo arrivato mettesse i piedi in testa agli altri e si prendesse i meriti per un’azione in cui aveva partecipato solo con un semplice passaggio sulla fascia.
Così facendo aveva lasciato palla al compagno che dopo aver parlato con Tyler, si apprestò a battere il rigore.
La rincorsa fu piuttosto breve e la botta che sparò alle spalle del portiere non gli lasciò scampo.
Era il 40° ed erano in vantaggio.
Altri 5 minuti e avrebbe potuto parlare con Ryan.
Prima, però, doveva sabotare il proprio lavoro.
Aveva sentito durante la settimana d’allenamento che i rivali, subito un gol, tendevano a sgonfiarsi, rischiando una débâcle anche di 5-6 reti.
E se fossero andati al riposo con 2-3 gol di vantaggio, Ryan non sarebbe stato più propenso ad ascoltarlo.
Finire il 1° tempo con tante reti di scarto poteva essere un bel rischio: Ryan non avrebbe più avuto nulla da perdere e poteva azzardarsi a giocare con la sua caviglia.
Ne ebbe la riprova durante il minuto di recupero, laddove dopo aver sbagliato l’ennesimo passaggio, Redox era intervenuto con un pestone.
Era in incolpevole ritardo, anche se Scott sentiva che era stato fatto di proposito.
L’arbitro, un ometto minuto sui 50 e vestito di giallo, si era avvicinato e lo aveva redarguito solo verbalmente, facendogli cenno che quegli interventi non sarebbero più stati tollerati.
Mentre Ryan lo aiutava a rimettersi in piedi, il gioco era già lontano e sentì una frase sibillina che lo fece tremare.
“Questo è solo l’inizio Scott.”
“Aha.”
“Il tuo capitano mi ha detto che vuoi parlare con me.” Ringhiò, mentre il rosso si voltava e annuiva, aspettando solo il fischio dell’arbitro.
Mentre lo fissava nei suoi occhi neri e minacciosi, si era messo a contare il tempo che passava.
Gli pareva fossero trascorsi 5 minuti da quando si erano scambiati quelle poche parole affannate, ma in realtà la lancetta dei secondi aveva girato solo ¼ dell’intero quadrante.
Quel fischio che seguì il deglutire nervoso del regista fu una liberazione.
Tempo di uscire dal campo e di aspettare che tutti fossero lontani e una mano forte e possente si posò sulla sua spalla.
“Ryan Redox…” Cominciò nervoso il regista.
“Scott Black…”
“So che delle scuse accorate non sono sufficienti per quell’orribile infortunio, anche se vorrei chiederti scusa.”
“Per 16 mesi ho guardato gli altri giocare al mio posto.”
“Ascoltami Ryan, io…”
“Ascoltami tu: io non ti avevo fatto nulla di male e tu, come un vile codardo, mi hai spaccato il legamento.”
“Lo so.” Mormorò, abbassando il capo.
“Se i tuoi compagni non segnano altri gol, forse non uscirai in stampelle.”
“Io non volevo infortunarti.”
“Però l’hai fatto.”
“Ero così arrabbiato con la mia squadra, sai non capita tutti i giorni che i tuoi compagni si facciano corrompere per perdere la partita.”
“Cosa?!” Sbraitò, suscitando l’attenzione di un gruppo di tifosi che, vicini alla recinzione, si stavano scattando alcuni selfie.
“Quelli di quarta e quinta avevano bisogno di denaro e ci hanno venduti per ottenere un guadagno facile.”
“Non lo sapevo.”
“Immagina che qualcuno venga a dirti che gli amici di cui ti fidi hanno intenzione di venderti al nemico: tu come la prenderesti?”
“Non è un buon motivo per spaccare gambe agli avversari.” Ribatté con rabbia.
“Ti giuro che se potessi tornare indietro, non ti farei mai del male.”
“Tu…”
“Sono stato uno stupido a comportarmi così e forse era più saggio farsi sbattere fuori per proteste.”
“Già.”
“Ho abbandonato il calcio perché mi sentivo tradito e anche perché non volevo far del male ai miei avversari.”
“E allora perché sei tornato in campo?”
“Perché ero in debito nei tuoi confronti.”
“Di che debito parli?”
“Se tu dovessi spaccarmi la caviglia, ti capirei. Avresti un milione di ragioni per farlo e per questo meriti che io mi faccia male.” Ammise, sistemandosi la maglietta.
“Sei un tipo strano, Scott Black.”
“Ero in debito anche nei miei confronti: mi ero ripromesso di vincere qualcosa alle superiori e non ho intenzione di sommare anche questo fallimento alla mia vita.”
“Io, comunque, non ti odio.” Gracchiò il gigante.
“Perché no?”
“Perché grazie a te ho conosciuto una persona speciale.”
“Di chi parli?” Chiese il rosso.
“Ero in una struttura privata a fare riabilitazione, quando conobbi un’ex ballerina che si era fratturata una gamba sul palco.”
“Una coincidenza insolita.”
“Le ho raccontato la mia storia e Stephanie mi ha consigliato di lasciar perdere.”
“Strano.” Mormorò Scott sorpreso per quella notizia insolita.
“Volevo farti credere d’essere arrabbiato con te, giusto per tenerti sulla corda e per farti giocare male, ma non è così.”
“Io…”
“Ti sembrerà strano, ma ti ringrazio d’avermi fatto conoscere Stephanie. Senza di te non sarei mai stato veramente felice.”
“E ora che si fa?” Chiese il regista, stringendo la mano che il gigante gli porgeva.
“Vincerà il migliore, Scott.”
“Non riuscirai a fermarmi, Ryan.”
“Questo lo vedremo.” Promise il gigante, tornando nel suo spogliatoio, mentre Scott rientrava in campo per parlottare con il suo capitano.
 
I 15 minuti di pausa erano scivolati rapidamente.
Il gioco era ripreso e, com’era lecito aspettarsi, la squadra in vantaggio si era fiondata in attacco alla ricerca del gol del pareggio.
Per quanti tiri tentassero il portiere riusciva a bloccarli senza difficoltà.
Allo stesso modo il contropiede era vano davanti alla muraglia di Ryan Redox e fino all’80° la partita aveva visto solo un gol.
Tutti i cambi di gioco, le sostituzioni, i moduli erano stati inutili: il risultato non si era ancora schiodato.
Sembrava che la partita fosse destinata a trascinarsi con quell’unica rete, nonostante il pressing alto della squadra in svantaggio.
Proprio questa pressione elevata ed estenuante aveva permesso loro di guadagnare un calcio d’angolo prezioso.
Non erano ancora agli ultimi secondi e pertanto il portiere era rimasto nella sua area, nonostante la difesa fosse salita in massa.
E in quell’area si era presentato anche Ryan Redox che sul cross seguente aveva schiacciato con forza in rete, siglando il gol del momentaneo pareggio e gelando l’intero pubblico accorso allo spettacolo.
Mancavano solo 5 minuti al termine più recupero e data la stanchezza era lecito aspettarsi il protrarsi fino ai supplementari e poi ai rigori.
Scott nel raccogliere la palla dal fondo della rete si girò verso la zona dove aveva lasciato Dawn.
Lei era ancora lì.
Sarebbe rimasta lì tutta la notte se necessario, fino a quando la partita non si fosse conclusa.
Poco le importava che fossero le 22 o mezzanotte, lei non avrebbe perso d’occhio il compagno di club.
Scott, però, sentiva chiaramente di dover far qualcosa.
Non poteva avvicinarsi a lei e chiederle di andarsene con la scusa d’infrangere il suo coprifuoco.
L’avrebbe solo ferita e fatta allontanare senza motivo.
Gli restavano ancora pochi giri di quadrante, anche se per un gol erano un’eternità.
Disposta la palla a centrocampo e ribattuto il calcio d’inizio, Scott riprese a macinare il classico gioco della sua squadra.
Per quello che aveva da fare gli sembrava perfino troppo lento e prevedibile, ma se gli altri non acceleravano, lui non poteva fare tutto da solo.
Poteva scartarne anche 3 insieme, ma dinanzi a Ryan Redox non aveva speranze: lui gli avrebbe soffiato palla e l’avrebbe servita ai suoi attaccanti che sarebbero stati disinnescati a dovere e che avrebbero riservito la palla al rosso.
Quei pochi minuti erano una partita tra loro: gli altri 20 tizi con cui dividevano il campo erano spariti dai loro radar.
E per quanto si sforzasse a risultare creativo e a mettere in difficoltà la difesa, nel giro di 3 minuti aveva ricevuto solo recuperi palla, interventi puliti e una punizione troppo lontana dalla realtà.
Era scoccato anche il 90°.
L’assistente arbitrale aveva estratto la lavagnetta luminosa: mancavano 180 secondi al termine e poi si sarebbe andati ai supplementari.
Scott aveva provato a convincere Tyler ad avanzare per aiutare l’attacco, ma questi non si era schiodato per evitare di lasciare il reparto in inferiorità e per evitare d’inseguire.
Non sapeva bene come, ma doveva risolversela da sola quella partita.
Il suo vecchio mister, quando lo vedeva pressato, gli ripeteva una frase che in tante partite era diventato il suo mantra.
“I vincenti vogliono sempre la palla.”
Lui sentiva di non essere mai stato un vero vincente.
Aveva abbandonato il suo amato calcio.
Aveva dimenticato ogni insegnamento e se quelle ballerine non si smarcavano, lo costringevano a inventarsi qualcosa.
Una rapida occhiata in giro e smistò il pallone sulla fascia con la speranza che l’ala facesse un cross decente e che non la tirasse sulla capoccia di Ryan.
Il suo passaggio filtrante a smarcarlo era una delizia, ma il successivo tentativo si scontrò con la torre Ryan che allontanò nuovamente la palla verso il centro, spedendola dove Scott se l’aspettava.
Era la 4° volta che la allontanava in quella zona.
Quella sua abitudine era stata più che evidente negli ultimi 15 minuti e Scott preso coraggio, tentò il gran tiro al volo dalla distanza.
Se fosse finita bene avrebbe impensierito il portiere, altrimenti avrebbe accoppato qualcuno oltre la recinzione, ottenendo una vagonata di fischi.
La palla scoccata da fuori area era destinata all’angolino alto a sinistra.
Il tentativo era lodevole, la potenza adeguata, la mira precisa e la fortuna sembrava girare per il verso giusto.
Era un mix letale che divenne irraggiungibile per il portiere.
La botta lo lasciò di sasso e restituì il vantaggio alla squadra di Scott che a 60 secondi dal termine non ebbe difficoltà a tenere il vantaggio e a vincere la coppa.
 
Fu nel stringere la medaglia e nel salutare Ryan Redox  e il suo mister che il rosso uscì dal campo di gioco.
Il suo scopo non era festeggiare, né tantomeno ricevere gli abbracci dei tifosi che lo ringraziavano per quel gol illuminante, ma solo raggiungere Dawn che allo stesso modo cercava di avvicinarsi ad ampie falcate.
Seppur faticasse a crederci, aveva completato tutti i compiti che si era prefissato.
E ora che aveva vinto anche quella famosa scommessa, si era messo davanti alla compagna con sguardo eloquente e con sorriso da furbastro.
“Sei stato bravo, Scott.”
“Te l’avevo detto che quando mi metto in testa qualcosa non c’è verso di farmi cambiare idea.”
“Io…”
“Mi spiace solo d’averti fatto fare tardi.”
“Non importa.”
“Prima che tuo padre venga a cercarci per il coprifuoco, forse è meglio tornare indietro.” Ammise, afferrando la sua mano.
“Non dovevamo uscire insieme?”
“Se non ti riporto a casa, non usciremo mai più insieme.”
“Me l’avevi promesso.” S’imbronciò, facendolo sorridere.
“Credevo che questa roba finisse un po’ prima, ma è andata per le lunghe.” Si scusò, sperando di non ferirla.
“Io…”
“Avrò modo di sdebitarmi con la mia tifosa preferita, ma non questa sera.” Borbottò, facendola arrossire.
“E va bene.”
“Grazie per aver creduto in me.”
“Ricorda che ti sei ritirato.” Mormorò, mentre lui si voltava di scatto e la fissava intensamente.
“Lo so.”
“Non ti dispiace?”
“È stato solo un caso che abbia accettato di partecipare a questa partita.” Ammise, prendendo dalla tasca la sua medaglia e porgendola all’amica.
“Molto carina.” Commentò, osservando la decorazione in argento raffigurante una divinità greca e l’incisione che riportava la data della partita.
“Se vuoi, te la regalo.”
“Non è giusto: te la sei guadagnata.” Protestò, rigirandosela tra le mani, mentre Scott alzava gli occhi al cielo.
Nel vederlo, di nuovo, in quella posizione, Dawn sussultò.
Era la stessa posa in cui si era messo l’ultimo giorno di scuola, in quello che credeva essere il suo ultimo ricordo. Non era passato poi molto dal suo inaspettato ritorno e nel vederlo così tranquillo e assorto, temeva che stesse meditando una nuova fuga.
Lei, prima di rimpiangere quella scelta, gli si gettò addosso, rischiando di farlo cadere di schiena e di attirare l’attenzione dei vari tifosi su di sé.
“Non guardare più il cielo in quel modo.” Lo esortò con voce ridotta a un sussurro quasi impercettibile.
“Cosa c’è Dawn?”
“Vuoi scappare di nuovo, vero?” Chiese mestamente, restando ancorata al suo corpo ancora un po’ sudaticcio e versando alcune lacrime.
“Cosa te lo fa credere?”
“Quando sei fuggito avevi lo stesso sguardo e io non voglio pensare di non vederti più.”
“Io…”
“Devi restare qui con me, te ne prego.”
“Non sapevo che fosse un brutto ricordo per te.”
“Tutte le sere piangevo, ripensando a te.” Soffiò tutto d’un fiato, mentre lui serrava il contatto.
“Ti chiedo scusa, non accadrà mai più.”
“Quando guardi il cielo ho paura che qualcosa ti possa allontanare.”
“Vorrà dire che guarderò solo te e che ignorerò tutto il resto.” Mormorò, staccandosi da lei e incontrando la sua mano che stringeva ancora il suo premio.
“Davvero me la regali?” Domandò lei, riferendosi alla medaglia e sviando da una situazione che stava diventando imbarazzante.
“Era mia intenzione vincere e farmi perdonare in un colpo solo.”
“Sei uno stupido Scott.”
“Se non lo fossi, non sarei mai entrato nel tuo club.” Ghignò, facendola annuire.
“E comunque non posso accettare.”
“Devi accettare: è una mia decisione e non vorrai farmi arrabbiare.”
“E cosa faresti se mi rifiutassi?”
“Potrei anche sculacciarti.” Ironizzò, contagiando la compagna che si lasciò andare a una risata soave che Scott non udiva da diverso tempo.
“Sei divertente.”
“L’anno scorso volevi un ricordo della nostra classe e la medaglia che stai stringendo è la foto che ho deciso di scattare dopo diverso tempo in tua compagnia.”
“Anche tu, però, meriti qualcosa.”
“Se mi prometti di mostrarmi ancora il tuo sorriso e di farmi sentire la tua risata, allora possiamo dire di essere alla pari.” Replicò, arrossendo appena.
“Il mio sorriso per la tua medaglia? Non so se è uno scambio equo.” Commentò, mettendo la medaglia nella sua borsetta.
“Per me lo è.” Sussurrò, afferrando delicatamente la sua mano e invitandola a seguirla fino a casa.
“Non hai nulla di cui pentirti?” Domandò lei, notando la sua scrollata di spalle.
“Preferisco uscire con te, piuttosto che continuare a giocare.” Ammise, incamminandosi con lei verso la sua abitazione, laddove un padre incavolato li stava aspettando per un rimprovero in piena regola.
Ma qualsiasi cosa dicesse, era tardi: entrambi l’avrebbero ignorato  e si sarebbero tenuti per mano, continuando a discutere e a crescere insieme.





Angolo autore:

Buonasera cari lettori.

Ryuk: Abbiamo risolto anche quella grana di Tyler.

Piaciuto il capitolo?
Inizio a farli troppo lunghi.

Ryuk: La telecronaca è un po' approssimativa, ma ci serviva spazio per i dialoghi.

In particolare per quello di Tyler e di Dawn.

Ryuk: Piaciuta la nostra idea di far stare insieme Tyler e Dawn per 3 mesi?

Chissà chi voleva risvegliare la piccola Dawn con il suo intento?
Ma che dico?
È evidente.

Ryuk: Nel prossimo...non mi ricordo cosa accadrà.

Memoria di un pesce rosso.

Ryuk: Ora ricordo...ci sarà qualcuno preso in prestito da Missione Cosmoridicola.

Stai buono e non fare spoiler.

Ryuk: Ovviamente vi ringraziamo per il supporto e per le recensioni.

Alla prossima!

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Capitolo 26
*** Cap 26 ***


Scott aveva sempre sperato, anche a distanza di 3 settimane, che nessuno venisse a sapere del suo tentativo patetico d’approcciarsi a Gwen.
Non perché odiasse il fallimento, ma solo per evitare di sentirsi dire determinate cose.
Era superfluo che qualcuno gli ripetesse che per molto tempo era stato un fallimento e che spettegolare sul suo conto era qualcosa di alquanto spassoso.
Se aveva rovinato la sua immagine, così come dibattevano in giro, di certo non l’aveva fatto con l’unico tentativo sulla dark, né con gli altri casi in generale.
L’immagine che tutti descrivevano e cui molti ambivano, aveva iniziato a sgretolarsi nell’esatto istante in cui Chris aveva aperto la porta del club e nel momento in cui aveva alzato lo sguardo per studiare Dawn.
Oltre ai pettegolezzi e alle occhiate di scherno, mai avrebbe accettato di sentire la storia dell’inflessibile Gwen che non cede alle sue avances.
Anche per quella settimana sarebbe stato al centro dell’attenzione e non avrebbe saputo quale potesse essere la reazione di Dawn.
Non voleva continuare a ferirla o farla ingelosire, anche se quest’ultimo sentimento l’avrebbe reso felice.
Perso in questi pensieri, sperò di riconquistare la sicurezza smarrita, non aspettandosi che quel mercoledì qualcuno entrasse nel club.
Si era guardato intorno in quel periodo, sperando che nessuno tentasse di fare breccia nel suo cuore.
Dopotutto c’era già qualcuno ad occupare tale posizione e Scott non aveva la minima intenzione di allontanarla.
Sentir cigolare la porta in quella piovosa giornata era, di per sé, una grossa novità.
Anche se, osservando con attenzione i loro ospiti, era ovvio che quei 2 non fossero poi molto normali.
Quelli che erano entrati avvolti dalla loro aura mefitica comandavano il gruppo noto come i gotici della scuola.
Loro guidavano un piccolo movimento dark di appena 20 membri e avevano come mascotte un tenero coniglietto.
E anche in quella circostanza l’animaletto faceva loro compagnia.
Tempo di mettersi seduti ed Ennui cominciò subito a fissare il rosso.
“Che risate ci siamo fatti nel sapere che hai fallito con Gwen.” Cominciò il leader dei gotici senza trasmettere sentimento in quelle poche parole.
“Gwen…” Borbottò Dawn con un ringhio sommesso.
“Io non sono mai stato interessato a Gwen.” Si difese Scott, cercando di discutere pacificamente con Ennui.
“È questa la cosa divertente.”
“Scusa, ma non capisco di che parli.” Ammise sinceramente il rosso.
“Tu non sei all’altezza di noi gotici.” S’inserì Crimson.
“Chi ha mai detto che voglio essere alla vostra altezza?”
“Ti sei avvicinato a Gwen, ma con scarsi risultati.” Borbottò nuovamente Ennui.
“Se siete venuti solo per rinfacciarmi questo fallimento, state sprecando il vostro tempo.” Ringhiò Scott, voltandosi verso Dawn che sembrava distratta da tutt’altro.
“La tua negatività ci farebbe molto comodo.”
“Se è una cosa genetica, potreste torturare mia sorella.” Li esortò Scott.
“Non è divertente.”
“Ennui capisco che per voi gotici un funerale sia il massimo delle risate, ma non vedo nulla d’interessante per voi in questo club.”
“Tu sei interessante.” Sospirò il gotico.
“Il vostro interessante mi preoccupa.” Ribatté il rosso.
“È da un po’ che ti teniamo d’occhio.”
“La cosa è inquietante.”
“Gwen faceva parte del nostro gruppo prima che trovasse dei nuovi amici.” Borbottò Ennui, facendo annuire il rosso.
“Noi non possiamo costringere una persona a ripensarci.”
“L’odio che abbiamo provato è stato sufficiente per farci star bene.”
“Dimenticavo che la questione, per voi, non è così semplice da risolvere.” Sbuffò Scott, cercando di capire i loro pensieri.
“Il Preside spesso ci ostacola.”
“Io non ho intenzione di fargli nulla di male.”
“Lo sappiamo.”
“Sono in debito con lui.” Continuò il rosso, pregando che i gotici ci ripensassero e non lo costringessero a compiere una scelta.
“Vorremmo solo un posto in cui stare.” Borbottò Ennui.
“Un posto?”
“Ci sono così tante aule vuote e tetre in questa scuola che una a scelta non sarebbe male.”
“Non ti garantisco nulla.” Sbuffò Scott, facendo annuire  il suo interlocutore che uscì accompagnato da Crimson.
 
Rimasto solo con Dawn, il giovane si voltò verso l’amica, la quale era ancora persa nei suoi pensieri.
Né lei, né la gotica avevano partecipato poi molto alla discussione, lasciandogli la sfortuna di comunicare con l’enigmatico Ennui.
Se Duncan era considerato da molti come complicato, il gotico era fuori classifica.
Ogni cosa che faceva o diceva non era normale.
Oltre a venerare qualche strana entità malefica e adorare ogni forma di tortura, l’unica cosa che lo rendeva umano era la sua mascotte.
Quel coniglietto che Crimson aveva stretto tra le braccia e che, curato in ogni modo, era stato colorato con toni tetri e raccapriccianti.
“Che rottura.” Sospirò Scott, crollando sulla sedia.
“Cos’hai?”
“Sono svuotato.”
“Hmm?”
“Tutti quelli che parlano con Ennui si riducono uno straccio.”
“Non l’ho nemmeno ascoltato.”
“Io credo di sapere il perché.” Ridacchiò il rosso.
“Come?”
“Sei gelosa per caso?” Domandò, facendola arrossire violentemente.
“Non credo proprio.”
“Non sei molto brava a mentire.”
“Io…”
“Capisco che tu sia ancora arrabbiata per la faccenda di Gwen, ma lascia perdere.” Sospirò Scott, cambiando argomento e girandosi verso Dawn.
“Lei non ti ha nemmeno ringraziato.”
“Forse sono stato l’unico ad accorgersi che l’ha fatto.”
“Perché la difendi?” Chiese la giovane, facendo sorridere il compagno.
“Una sera, prima dell’invito al parchetto, è venuta a trovarmi e mi ha pregato di fare in modo che Trent rimanesse nel gruppo.”
“Lei lo ama?”
“Non credo, anche se non ha mai voluto che lui uscisse dal gruppo solo per il suo rifiuto.” Borbottò il rosso.
“Capisco.”
“E comunque credo che lei fosse d’accordo con Mike.”
“Intendi dire che solo Trent era all’oscuro della faccenda?” Domandò Dawn, facendo sorridere amaramente l’amico.
“Temo di sì.”
“Per fortuna ora si è risolto tutto.”
“Non proprio.” Sospirò Scott, ricordandosi della visita di Ennui e Crimson.
“Mike e gli altri non credo verranno a darci fastidio.”
“I gotici vogliono qualcosa per l’uscita di Gwen dal loro gruppo.”
“E noi che centriamo?”
“Ennui ci ha chiesto un favore.”
“Davvero?”
“Il prof McLean non ha mai ascoltato molto volentieri questi ragazzi e loro sperano che io riesca ad ottenere qualcosa.”
“Di che tipo?” Chiese Dawn, mentre il compagno si metteva ad osservare l’orologio che portava al polso.
“È un po’ tardi per muoversi.”
“Per andare dove?”
“Ti dirò tutto a tempo debito, Dawn, ma ora…”
“Ora?” Domandò, incalzando l’amico che si era come paralizzato.
Il suo sguardo si era perso altrove e non riusciva a reggere il confronto con i suoi occhi chiari.
Anche la sua voce si era abbassata e tendeva a bisbigli sommessi e quasi inudibili.
Nell’avvertire la mano dell’amica sulla sua fronte e poi sul viso, arrossì leggermente e si scostò intimorito.
“Vorrei tanto uscire con te, Dawn.”
“Io...”
“Me l’avevi promesso.”
“Credevo che avessi dimenticato la partita con Tyler.” Borbottò la ragazza.
“Sarebbe una specie di appuntamento.” Continuò Scott, abbassando la testa e sorridendo.
“Appuntamento?” Domandò lei, arrossendo vistosamente.
“Se non vuoi, non importa.”
“Lo fai solo perché hai qualcosa di cui farti perdonare?”
“La verità, Dawn, è che non mi dispiaci.” Sussurrò, prendendola di sorpresa.
“Nemmeno tu sei così male.”
“Questa sera? Se ti va.” Propose, facendola riflettere per un breve istante.
“E la tua famiglia?”
“Nuova cena a casa dei futuri suoceri di Alberta.” Sbuffò il rosso.
“Li hai snobbati di nuovo?”
“Quelle cene sono così noiose.”
“Non ti arrenderesti comunque, vero Scott?” Gli chiese, facendolo sorridere.
“Mi conosci fin troppo bene.”
“A che ora passi a prendermi?”
 
Quella domanda, Scott, se la sarebbe ricordata per un pezzo.
Per la prima volta sarebbe uscito con Dawn senza la minima preoccupazione e sperava che quella serata fosse indimenticabile.
Dopo tanto tempo avrebbero potuto parlare in santa pace, senza le tipiche ansie di quegli ultimi mesi.
Niente verifiche, ripassi o club.
Solo loro 2.
Il loro passato, i loro sogni e le loro speranze per il futuro.
E ovviamente i tentativi di flirt che Scott aveva escogitato per scioglierla.
Il rosso sapeva che gli restavano poche carte da giocare.
Quella della gelosia gli era andata bene.
Quella dell’interesse anche meglio.
Ora doveva solo impegnarsi e studiarla a viso aperto.
Punzecchiandola, stuzzicandola e osservando le sue reazioni, sperava di capire se era in qualche modo corrisposto.
Anche perché con Dawn nulla gli sembrava facile.
Spesso era passato da situazioni semplici a complicate nell’arco di pochi secondi e sperava che quella cena non sfociasse nell’impossibile.
“Stai benissimo.” L’accolse subito, quando la vide uscire dal suo appartamento.
“Anche tu, Scott.”
“Sei una bugiarda…qui c’è solo un angelo e di certo non sono io.”
“Io…”
“A che ora devi rientrare?” Mormorò, evitando d’impantanarsi in un discorso che poteva creare un clima insolito.
“Posso stare fuori fino a mezzanotte.”
“Vedrò di riportarti un po’ prima.” Promise, ricordandosi delle minacce di suo padre, mentre Dawn si attaccava al braccio.
Il resto della serata svanì in un attimo.
Avevano parlato di ogni cosa.
Dal periodo delle medie, ai loro obiettivi futuri e infine si erano lanciati in una serie di discorsi, alcuni deliranti, del passato.
Solo quando si erano ritrovati a ripercorrere il cammino a ritroso e senza più alcun argomento da usare, la giovane si ricordò di quel pomeriggio.
Immediatamente si riattaccò al braccio dell’amico e diede voce ai suoi pensieri, seppur con un pizzico di timore.
“Mi sono divertita molto questa sera.”
“Ne sono felice.”
“Scott prometti di non arrabbiarti?”
“Come posso arrabbiarmi con te in una serata così bella?” Chiese, alzando gli occhi verso il cielo carico di stelle.
“Vorrei sapere dei gotici.”
“I gotici…che ragazzi particolari.”
“Perché Ennui è venuto da noi?” Riprovò la giovane.
“Io credo voglia un club da usare con i suoi amici.”
“Un club?”
“Tipo il nostro, ma molto più grande.”
“Dovrebbero chiedere il permesso al nostro coordinatore.” Gli fece presente la ragazza.
“McLean non ha un ottimo rapporto con i gotici.”
“Perché?”
“Quando ero in terza, per due giorni, sono rimasto nell’aula delle punizioni.”
“E questo cosa centra?”
“Ricordi che avevo sbadigliato durante la lezione del prof Hatchet?”
“Ricordo solo che era diventato viola di rabbia.” Ridacchiò Dawn, facendolo annuire.
“Come punizione sono finito in una stanza d’isolamento.”
“Ora ricordo.”
“Tu non sai, però, che quel giorno erano presenti anche Crimson ed Ennui.”
“Come?” Chiese la giovane.
“Erano dentro perché avevano organizzato una specie di funerale con una rana vivisezionata del laboratorio di biologia.”
“Che schifo.”
“E il prof McLean li ha beccati in flagrante.”
“Ma…”
“So che stai per dirmi che è esagerato, ma Chris non fa mai nulla per caso.” Sospirò il rosso, ricordandosi tutte le punizioni che aveva ricevuto.
“Io…”
“In quel periodo c’era un vandalo che tendeva a rovinare le auto dei professori e il nostro prof si era messo in testa che fosse qualcuno del gruppo di Ennui.”
“Ecco perché non vuole nessun club gotico.”
“Teme che la scuola piombi nel caos.” Tentò Scott, esagerando nella sua constatazione.
“E noi che centriamo?”
“Una buona parola e loro hanno il club.”
“Non sembra difficile.”
“Sottovaluti l’osso più duro.” Ridacchiò il giovane.
“Quale?”
“Ti vorrei ricordare che Chris ci ha rimesso la carrozzeria per ben tre volte.”
“Però non ha prove.” Gli fece notare Dawn.
“Non ho garantito un risultato all’altezza, ma posso provare.” Sospirò Scott, suonando al campanello dell’appartamento dell’amica.
Nel sentir aprire la porta, Scott le sorrise.
L’aveva riportata in orario e non aveva fatto nulla di sbagliato.
Aveva rispettato il galateo, aveva pagato anche la sua parte e aveva sempre cercato di ascoltarla con la massima attenzione.
Sapeva che per fare colpo doveva fare un ottima impressione anche alla sua famiglia.
Dopotutto era così che Lucas aveva fatto breccia nel cuore di Alberta e che aveva ottenuto la fiducia di Scott e di sua madre.
Mezzo passo falso o troppo azzardato e si sarebbe ritrovato in un mare di guai.
“Grazie ancora Scott.”
“Quando non hai impegni, posso chiederti un nuovo appuntamento?” Mormorò, facendola arrossire.
“Certo.”
“A domani, Dawn.”
“Mandami un messaggio quando arrivi a casa.” Borbottò la giovane, facendo sorridere il compagno di club.
“Senza dubbio.”
 
Giunto a casa il rosso si mise a pensare a come risolvere la faccenda di Ennui.
L’unica cosa era prendersi parte della responsabilità qualora fosse accaduto qualcosa d’orribile, anche se sperava che affrontando il gotico, lui comprendesse i suoi sforzi.
Di certo non si aspettava che l’indomani quest’ultimo, con la sua solita aura maligna, varcasse la porta del club.
“Risolto qualcosa, Scott?” Gli chiese, risvegliandolo dai ripassi di storia.
“Chris vi ha concesso l’aula 17 del quarto piano.”
“Quella più lontana.”
“Prima però vuole che tu rispetti le sue direttive.”
“Quali?” Chiese il gotico, spostando lo sguardo verso Dawn.
“Non dovete distruggere nulla.” Cominciò la giovane.
“Solo?”
“E sarà vostra la responsabilità di qualsiasi cosa accada su quel piano.” Continuò Scott, ricordandosi della mezzora spesa per convincere il professore.
“Non mi sembra difficile.”
“Dovrai comunque parlarne personalmente con il coordinatore.” Borbottò il rosso, rimettendosi in piedi.
“Prima di andare, posso chiederti una cosa?” Domandò Ennui.
“Quale?”
“Non credi di essere sprecato per un club così piccolo?”
“Per te sarà anche piccolo, ma per me è molto più grande di quanto non sembri.”
“Ti volevo chiedere se sei interessato ad entrare nel nostro gruppo.” Tentò il gotico, mentre Dawn rabbrividiva al pensiero che lui accettasse quella proposta.
“Non ho nulla da spartire con voi.”
“Tu sei malvagio quasi quanto noi.” Ghignò Ennui, facendo rabbrividire la ragazza.
“Ti sbagli.” Sbottò Dawn, desiderando che il suo club rimanesse così com’era.
“Non credo.”
“Tu non sai com’è Scott.” Si frappose, cercando di mantenersi sicura.
“Io voglio solo sapere se è interessato al nostro gruppo.” Riprese Ennui, ignorandola e girandosi verso la persona di suo interesse.
“La tua proposta è allettante, ma non mi va.”
“Perché?” Chiese risentito, mentre Scott scrollava le spalle con nonchalance.
“C’è una persona che ha bisogno di me.”
“Ti muovi solo per il bene di qualcun altro?” Chiese nuovamente Ennui, sfoggiando un sorriso di scherno fastidioso.
“Le cose come vanno ora non mi dispiacciono.”
“Sei più noioso di quanto pensassi.”
“Dispiaciuto di non rispettare le tue attese.” Lo derise Scott, simulando una specie d’inchino molto goffo.
“Se mai cambiassi idea e volessi maggior movimento, sai dove trovarmi.” Ribatté il gotico, uscendo dalla stanza e lasciando una sollevata Dawn a fissare l’amico.
Chiusa la porta con un fastidioso cigolio, il rosso crollò, svuotato di ogni energia come il giorno precedente, sulla sedia.
Perfino parlare gli era faticoso e si sentiva come un qualche atleta che si era allenato ininterrottamente per diverse ore.
“Non credevo si arrendesse così presto.”
“Io non credevo, invece, che qualcuno fosse così interessato a te.” Scherzò la giovane, facendolo sorridere.
“Il suo interesse non era il mio.”
“Sapevo che avresti rifiutato.”
“A me sembrava il contrario.” La punzecchiò, ridacchiando.
“Non ti avrei mai lasciato andare con lui.”
“Perché Dawn?”
“Perché non hai ancora recuperato dalle tue insufficienze e prima voglio essere sicura di farti promuovere.” Rispose prontamente, nascondendo le sue vere intenzioni e donando all’amico un sorriso spensierato e soddisfatto.




Angolo autore:

Ryuk: I cari gotici.

Non dovevano nemmeno apparire nei miei appunti, ma una loro comparsata era necessaria.

Ryuk: Necessaria per quelli che entreranno nel club con il prossimo capitolo.

So che siamo un po' in ritardo, ma ho dovuto correggere l'aggiornamento.
C'è qualcuno qui che ha da eccepire sulla mia mania di perfezione, ma se voglio far bella figura tutto deve brillare.

Ryuk: Esagerato.

Era un po' pieno di capitoli e non ho avuto modo di pubblicare subito.
Tra una cosa e un'altra mi ritrovo alle 10 di sera.

Ryuk: Non sarà sempre così.

Lo spero, anche perchè sono un po' stanco.
Intanto vi ringrazio per le recensioni, per i consigli, i complimenti e per l'interesse che avete dimostrato per questa serie.
Non è ancora tempo per i saluti, ma meglio muoversi un po' in anticipo.
Vi auguro di passare un buon week-end.

Ryuk: A noi tocca un pranzo con i parenti.

Vi lascio immaginare la mia gioia...preferirei darmi malato, ma pazienza.
Alla prossima!

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Capitolo 27
*** Cap 27 ***


La notizia della nascita del club dei gotici si sparse ben presto per tutta la scuola e tutti rimarcarono il fatto che fosse merito solo di Scott.
Quest’ultimo, circondato da tutte queste chiacchiere, spesso non vedeva l’ora di rinchiudersi nell’aula di Volontariato, sperando che Dawn non ritornasse su quella faccenda.
Anche perché in diversi si erano fatti avanti per quella situazione.
Tutti quelli che volevano un club e che venivano snobbati, avevano bussato almeno una volta alla loro porta.
Quelli, poi, dinanzi allo sguardo rabbioso del rosso, se la svignavano senza aver ottenuto nulla di particolare.
Tali rifiuti però non scoraggiarono l’ultimo gruppo di quel venerdì.
“Sono stanco.”
“Con il gruppo di scacchi siamo a 6 seccature odierne.” Borbottò Dawn, mentre Scott si afflosciava sulla sedia, rischiando di tirare una testata al banco.
“Nessuno che legga mai il fottuto regolamento.” Brontolò il rosso.
“O che chieda a Chris le regole.”
“So che è faticoso, ma non si può essere così ottusi.”
“Infatti.”
“Anch’io domani mi sveglio e fondo un club per i fatti miei.” Ridacchiò amaro il giovane, facendo annuire la compagna.
“E poi tutti ci fanno notare che il nostro gruppo è formato da 2 sole persone.”
“Se sapessero che è il club più antico della scuola forse eviterebbero di romperci le scatole.”
“Oltre che antico, direi anche utile.” Aggiunse Dawn.
“Noi aiutiamo le persone senza ricercare nulla in cambio e questa è una gratificazione che nessuno comprende.”
“O solo in pochi.”
“Cosa può servire un club di scacchi se mezza scuola preferisce usare l’app sul cellulare?” Chiese il rosso, sbadigliando rumorosamente.
“Speriamo solo che nell’ultima mezzora nessuno venga a disturbarci.” Commentò Dawn, non aspettandosi di creare qualche lungo secondo di silenzio.
Prima di piombare nel sonno, Scott ripescò dalla sua mente una domanda che, per un motivo o per un altro, non le aveva mai posto.
Non era un qualcosa per cui rimanere insonni, ma avrebbe fatto di tutto pur di farle compagnia ancora per qualche minuto.
Anche a costo di sbattere la testa contro il banco, ma si sarebbe sforzato di mantenere gli occhi spalancati e di seguire i suoi discorsi.
“Posso chiederti una cosa Dawn?” Esordì, prendendola in controtempo e facendole accantonare i suoi dubbi sui prossimi esami.
“Certo.”
“Era mia intenzione farlo mesi fa, ma temevo di non ricevere risposta.” Ammise, stiracchiandosi gli arti indolenziti.
“Se non è una cosa troppo intima posso risponderti senza problemi.”
“Sicura?”
“Al massimo potrei chiedere ad Alberta di tirarti un ceffone.” Sorrise, facendo annuire l’amico.
“Volevo sapere come hai passato le vacanze estive.”
“Un po’ in ritardo.” Commentò Dawn, conteggiando quasi 7 mesi da quella richiesta assai insolita e inaspettata.
“Se non te la senti di rispondere, non importa.”
“Vuoi forse sapere se mi ero trovato un ragazzo?” Chiese, gelando la sua scarsa sicurezza.
“Niente di tutto questo.” Nicchiò, cercando di celare il suo imbarazzo e di non farle capire che aveva fatto centro.
“I tuoi occhi dicono il contrario e mi garantiscono che stai morendo dalla curiosità.”
“Io…”
“Sei geloso per caso?”
“Voglio solo aiutarti, Dawn.”
“Se vuoi sapere della mia estate, te la racconterò.” Soffiò, evitando di rigirare il coltello nella piaga e di sentir dire a Scott che per lui tutte le donne erano solo delle seccature.
“Ti ascolto.” Borbottò il rosso, aspettando pazientemente il riassunto dell’amica.
“Era metà agosto quando mi sono messa con un certo Beverly della sezione C. All’inizio credevo fosse una storia destinata a durare a lungo, ma appena rientrati a scuola, lui non voleva che riprendessi il mio impegno nel club.”
“Poi?”
“Te la farò breve: abbiamo litigato e ho preferito troncare il nostro rapporto.” Soffiò come se fosse la cosa più giusta da fare.
“Perché hai sacrificato una storia d’amore con un club che, all’apparenza, non aveva futuro?”
“Zoey mi ha detto la stessa cosa.”
“Zoey vuole il tuo bene e in questo caso, anche se detesto ammetterlo, non ha sbagliato.”
“È complicato da spiegare, ma sappi che non sono pentita della mia scelta.” Ammise, rivolgendo al compagno un sorriso.
“Potevi dimenticare tutto e farti una nuova vita.”
“Io…”
“Quando ero in viaggio, pensavo spesso di non tornare e in questo caso tu saresti rimasta sola per sempre.” Soffiò il rosso, dando voce a quella triste verità.
“Qualcosa, però, ti ha fatto cambiare idea.” Replicò lei, facendolo annuire.
“Non qualcosa, ma qualcuno.”
“Davvero?”
“Purtroppo non mi sento ancora sufficientemente pronto per raccontarti tutta la faccenda: dovrai pazientare ancora un po’.”
“Nessun problema.”
“E comunque non mi hai detto il vero motivo per cui sei rimasta fedele al nostro club.” Ritentò, sperando fosse la volta buona.
“Avevo la sensazione che saresti tornato e che avresti avuto bisogno di me.”
“Ma…”
“Inoltre quello che mi legava a Beverly non era il vero amore che vediamo spesso in giro, ma solo un’amicizia un po’ particolare. ”
“Solo per questo?”
“Temevo che ritornassi il ragazzo di un tempo…quello che detesta tutti e che cerca di rimanere in disparte.”
“Io…”
“Di Beverly mi piacevano soltanto le idee, anche se non le ho mai capite del tutto.” Sbuffò, coprendosi la bocca per celare uno sbadiglio fastidioso.
“Non mi hai detto tutto.” La rimproverò il rosso con un tono che non ammetteva repliche.
“Io amo tutto di questo club, Scott.”
“Ne sei sicura?” Domandò, fissandola intensamente.
“Mi fa sentire in qualche modo completa e importante.”
“Ora sono sicuro che tu sia la ragazza più incredibile che abbia mai conosciuto, Dawn.” Si complimentò, facendola arrossire.
“Come?”
“Sei riuscita a cambiarmi, a farmi crescere e di questo ti ringrazio. Non fai mai nulla per il tuo tornaconto e cerchi sempre di aiutare gli altri, anche se questo spesso ti fa soffrire e potrebbe causarti dei problemi. Non sei mai arrivata ai miei livelli di sacrificio e sei sempre riuscita a fermarti prima che fosse tardi. Ci metterò anni prima d’essere sicuro che i miei ringraziamenti siano sufficienti per renderti felice.”
“A essere sinceri era il minimo che potessi fare per l’eroe che ha rischiato la sua vita durante la gita in montagna.” Sorrise, appoggiando una mano sulla sua spalla destra.
“Un tempo ti avrei detto che da soli è impossibile migliorare il mondo, ma ora non ne sono poi così sicuro.”
“E dimmi Scott, quale sarebbe la cosa che desideri di più?” Domandò la giovane, facendolo sussultare.
“Parli di questo momento o in generale?”
“Entrambi.”
“In generale mi piacerebbe uscire ancora con te, ma in questo preciso istante preferirei dormire senza farti arrabbiare.”
“In effetti sembra che tu non dorma da diversi giorni.” Gli fece presente l’amica, mentre lui cercava di non sbadigliare.
“Da quando siamo usciti insieme, Dawn.” Ammise il rosso.
“Sei il solito esagerato.” Sorrise la giovane.
“Ogni volta che mi addormento ho lo stesso incubo.” Affermò con disinvoltura, cercando di allontanarlo dai meandri della sua mente.
“Quale?”
“Tu che corri lontano da me.”
“Tempo fa avresti detto che era il sogno più bello della tua vita.” Tentò la ragazza, facendolo sorridere.
“Preferisco non ribattere.”
“Non ammetti che è la verità?” Lo punzecchiò Dawn.
“Non lo nego, ma ho cambiato idea sul tuo conto da molto tempo.”
“Ne sono felice.”
“Ora, però, con il tuo permesso, vorrei riposare un po’.” Borbottò, prima di piegarsi a dormire sopra il banco.
Nel vederlo chiudere gli occhi, la ragazza sospirò appena.
Era da qualche ora che non erano tranquilli e finalmente Dawn poteva fissarlo.
Non avrebbe mai creduto che il ragazzo sarebbe diventato parte così integrante della sua vita, specie dopo il suo improvviso ritorno.
Perfino il suo incubo, l’aveva lasciata sgomenta.
Lei, nemmeno per sbaglio, si sarebbe immaginata lontana da lui.
Nemmeno se fosse stata costretta, sarebbe scappata dal suo sorriso.
Un sorriso che lui manifestò anche in quegli istanti di riposo che si conclusero solo con l’incessante bussare.
 
La porta si aprì in un cigolio sinistro e i responsabili entrarono subito.
Si trattava di 2 ragazzi che dall’aria sembravano alquanto sicuri e spavaldi.
Loro, richiudendo la porta alle spalle e avvicinandosi, non poterono che notare il sorriso magnetico della Presidentessa del club di Volontariato e una figura abbandonata e addormentata di cui si riconosceva solo la zazzera rossastra.
“Che ha?” Chiese subito la ragazza che era appena entrata, additando Scott e i suoi tentativi di dormire.
“È solo un po’ stanco.”
“Questa è maleducazione verso noi campioni regionali di pattinaggio su ghiaccio.” Brontolò nuovamente la giovane.
“Ho sentito parlare di voi. Jacques e Josee, vero?” Chiese Dawn.
“Siamo famosi dopotutto.” Rispose la ragazza.
“La vostra fama vi precede.” Continuò la Presidentessa con un debole e stanco sorriso.
“Dopotutto siamo atleti pluridecorati.” Si vantò Josee, sistemandosi la maglietta e fissando disgustata la figura che dormiva dinanzi a tanta classe.
“Avete vinto sempre l’oro, tranne nell’ultima gara.”
“È da quel giorno che odio l’argento.” Sospirò Jacques.
“Non vorrei essere scortese, ma posso chiedervi come mai siete qui?”
“Avanti Josee…spiegale il perché.”
“Abbiamo sentito cosa avete fatto per i gotici.”
“Era una richiesta che non potevamo rifiutare.”
“Non credo.” Brontolò Josee.
“È stato Ennui a chiedercelo.” Borbottò Dawn.
“Questo lo sappiamo.”  Ribatté la pattinatrice.
“E cosa vorreste?”
“È inconcepibile che una scuola come questa non permetta a 2 grandi atleti di esibirsi e di allenare il loro immenso talento.” Rispose Jacques.
“Per ogni questione di club dovete parlare con il prof McLean.”
“L’abbiamo fatto diverse volte, ma ci ripete in continuazione che siamo in pochi per fondare un gruppo.” Sbuffò Josee.
“Vi ha detto la verità.”
“Anche voi siete in pochi.”
“Questa è una questione leggermente diversa, Jacques.”
“Noi vorremmo un club in cui stare.” Sospirò il pattinatore.
“Mi dispiace, ma non posso fare nulla per aiutarvi.”
“Voi…”
“Se McLean ha detto no, allora non posso riparare la situazione.” Continuò Dawn, interrompendo sul nascere Josee.
“Ma i gotici…”
“I gotici sono almeno una ventina e non hanno ancora fatto nulla di male.”
“Se il Preside volesse…” Tentò la pattinatrice, arrestandosi dinanzi al sorriso ironico della Presidentessa.
“Il Preside non è interessato ai club, se non quando accade qualcosa di grosso.”
“Il club dei pattinatori sarebbe un grosso affare per questa scuola.” Riprese Jacques che non si era ancora del tutto arreso.
“Alla nostra scuola non interessa nulla dei vostri affari. Ai professori interessa solamente il bene della comunità e il vostro gruppo servirebbe soltanto ai suoi membri…cioè voi 2.”
“Quindi ti rifiuti?” Chiese Josee.
“Se foste nello stesso numero dei gotici, vi appoggerei senza la minima esitazione, ma purtroppo non è così.”
“Le regole devono cambiare.” Riprese risoluto Jacques, alzando la voce, mentre Dawn li pregava d’abbassare i toni.
“In molti sono venuti e si sono arresi.”
“Tu devi aiutarci.”
“Non ho nessuno obbligo verso di voi, Josee.”
“Ah no?”
“Come direbbe il mio vice, siamo liberi di rifiutare le vostre richieste quando le troviamo esagerate e irrisolvibili.” Sorrise Dawn, fissando il compagno ancora addormentato e risultando ancora più felice per quella vicinanza.
“Non hai diritto di rifiutare la nostra proposta.”
“Ve lo ripeto, Josee. Se ci fossero una ventina di ragazzi a volere il club di pattinaggio su ghiaccio, sarei la prima a darti un aiuto, ma così non è.”
“Tu…”
“Mi dispiace ragazzi, ma è ora che andiate.” Borbottò la Presidentessa, indicando la porta e invitandoli ad andarsene.
“Io non me ne vado.” Ribatté la pattinatrice, mentre il fidanzato cercava di portarla a più miti consigli.
“La scuola non è interessata al vostro club e, quindi, nemmeno io posso intervenire.” Soffiò Dawn, cercando di mantenere la calma.
Calma.
Una cosa che Josee non avrebbe mai avuto in vita sua.
Perché oltre a detestare le sconfitte, lei non avrebbe mai accettato che qualcuno rifiutasse una sua richiesta.
Anche se quell’ordine era stato, comunque, rispedito al mittente.
“Non m’interessano le tue parole, stupida ragazzina.”
“Anche offendendomi le cose non cambiano.” Ribatté Dawn, restando pacifica, mentre nell’animo di Josee era in atto una tempesta.
Nel solo vedere i suoi occhi e il suo atteggiamento, Jacques si era come rimpicciolito e non osava spiccicare parola.
Era già tanto se respirava dinanzi allo sguardo furente della sua fidanzata.
Ricordava perfettamente di cosa era capace dinanzi a un rifiuto.
E sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro se si fosse messo ad appoggiare qualcun altro.
Per non correre pericoli e per non ricorrere alle medicazioni dell’infermeria scolastica, preferiva starsene zitto, con la speranza che la tempesta che imperversava nell’anima di Josee si placasse senza fare vittime.
“Tu devi fare come ti dico, altrimenti ti rovino.”
Di certo quella minaccia sarebbe stata destinata ad infrangersi con il silenzio.
Josee, anche alzando le mani, non avrebbe ottenuto nulla e anzi sarebbe finita con il rovinare la sua immagine.
Lei avrebbe fatto sprofondare con sé anche Jacques, nonostante quest’ultimo non volesse alzare nemmeno un dito, passando dalla parte del torto e rischiando d’inimicarsi una buona fetta della scuola.
Nessuno dei presenti si aspettava un’evoluzione da quel punto di vista.
Tutto sarebbe rimasto fermo fino a quando una tra Dawn o Josee non si fosse piegata all’evidenza.
Né gli ospiti, né Dawn si aspettavano che Scott terminasse il suo pisolino ristoratore, alzasse la testa e prendesse, con voce metallica, a parlare.
“Fatele qualcosa e vi prendo a calci nel sedere.” Ringhiò il rosso.
“Io…”
“Sfioratela e vi uccido.” Riprese, poggiando i suoi occhi minacciosi sui 2 pattinatori.
“Cosa pensi di…”
“Non avete sentito? Oltre che brutti e fastidiosi siete anche sordi come campane?”
“Tu non puoi…”
“Noi possiamo fare quello che vogliamo e se alzate un dito sulla mia Presidentessa, giuro che vi disintegro.” Sbraitò, piegandoli al suo sguardo demoniaco e obbligandoli a sgattaiolare fuori dalla stanza.
Ristabilita la pace, Scott fissò l’orologio che portava al polso e poi si rimise a dormire, lasciando Dawn intenta a riflettere sulla sua intromissione.
E solo una parte riuscì a scaldarle il cuore.
Scott l’aveva, dopo tanto tempo, definita la sua Presidentessa.
Felice di ciò e sollevata nel sapere che lui l’avrebbe sempre protetta, si avvicinò e l’abbracciò da dietro, allentando la sua tensione.
Avvertendo quel calore insolito, Scott aprì leggermente gli occhi e sorrise nell’apprendere che Dawn non era arrabbiata per via del suo provvidenziale intervento.




Angolo autore:

Ryuk: Buonasera lettori.

Sorpresi dalla comparsa dei nostri odiati pattinatori?
Ho sfruttato la presenza dei gotici nello scorso aggiornamento solo per far comparire anche Jacques e Josee.
Sapendo che tra i due gruppi non scorre buon sangue, ho pensato di allungare leggermente il brodo con questo capitolo.
Tutto prima del prossimo e ultimo arco finale.

Ryuk: Abbiamo detto arco nel senso che durerà qualcosina in più rispetto agli altri casi.

Di solito caso e risoluzione sono presenti nello stesso capitolo, ma in questo arco avremo qualcosa di più dilazionato.
Nulla d'incredibile, ma mi sembrava la scelta più saggia per concludere il tutto.
E questo arco riguarderà un personaggio che in tanti, credo e spero, hanno apprezzato nei capitoli precedenti.

Ryuk: Non possiamo aggiungere altro, anche perchè siamo a serio rischio spoiler.

Vi ringraziamo per le vostre recensioni, per i vostri consigli sempre puntuali e per i vostri complimenti che sono sempre serviti a spronarci per migliorare.
Mancano ancora alcuni capitoli alla conclusione e nel frattempo vedrò di pensare a nuovi progetti.
Ce ne sarebbero diversi, ma sono ancora incompleti e la mia fissa è quella di non pubblicare nulla fino a quando in fondo al tutto non c'è un soddisfacente THE END.

Ryuk: È ora di andare rocchi...il taxi ci aspetta.

Ho provato a vedere che non vi fossero errori, ma non vi garantisco nulla.

Ryuk: Vi auguriamo una buona settimana.

Alla prossima!

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Capitolo 28
*** Cap 28 ***


 
Il prossimo a varcare la porta del club, così come aveva fantasticato Scott, non era altri che lo sfortunato Harold.
Era tornato alla carica con una delle sue solite storie senza capo né coda.
Il suo unico merito era quello di concedergli dei momenti di pausa dallo studio disperato che svolgevano durante le sessioni pomeridiane.
Con tutte le ore spese, le lacune iniziavano a colmarsi, ma qualche attimo di stacco era sempre ben accetto, anche se le storie di Harold erano spazzatura che il peggior critico avrebbe sempre cestinato senza colpo ferire.
I suoi miglioramenti, se così potevano essere definiti, erano più che lampanti, anche se lontani dalla purezza e dalla semplicità comunicativa dei vari best-seller.
I titoli altisonanti lasciavano un segno, ma per Harold sarebbe stato sufficiente che qualcuno ricordasse almeno una parte dei suoi discorsi.
Profondi o meno che fossero, il suo impegno non sarebbe mai scemato.
Almeno aveva imparato a dare una struttura più flessibile alle sue opere e di certo non spaziava più su molti campi.
Cercava di scrivere qualcosa che conosceva bene, anche se non era molto facile.
Fu una sorpresa per Scott e Dawn, quando in uno dei primi giorni tiepidi di aprile, lei comparve davanti ai loro occhi.
Si aspettavano qualche ragazzo della loro età.
Anche Chris poteva essere uno dei tanti che bussava alla loro porta, dati i dubbi sulla sua tormentata storia con Blaineley.
Perfino Harold poteva disturbare il loro studio, anche se quella settimana era impegnato ad aiutare i nonni fuori città.
Di certo non credevano che qualcuno estraneo alla scuola s’interessasse a loro, anche se quello era un interesse mirato all’ottenere qualcosa di sostanzioso.
 
Erano passati alcuni mesi da quando Scott e Dawn avevano aiutato il professore con la sua questione sentimentale.
Entrambi sentivano che c’era qualcosa di strano in quei pomeriggi di ripasso, anche se non osavano chiedersi cosa.
Nonostante il rosso si fosse ripromesso di non perdere tempo, alla fine aveva fatto scendere molti mesi tra loro.
Voleva solamente essere certo che tutto andasse bene.
Era troppo preso dalle attività del club e dalla ragazza che amava per accorgersi che qualcuno era cambiato.
“Avanti.” Borbottò Scott, dopo aver sentito bussare, mentre Dawn raccoglieva quaderni e libri e li sistemava nella borsa.
La figura, senza aspettare oltre, aprì la porta e fece scendere il silenzio nell’aula.
“Tu…”
“Ciao fratellino.” Soffiò Alberta, avvicinandosi con incertezza e sedendosi vicino all’altra ragazza presente.
“Sei venuta per vedere come procede lo studio?” Chiese Dawn.
“Mi fido di Scott e so che si sta impegnando molto.”
“Allora perché sei qui?” Domandò il rosso.
“Quando studiavo qui, ero a capo del vostro club e spesso ho aiutato persone che mai avevo visto in vita mia.”
“Credi che sia cambiato qualcosa?” Tentò Dawn.
“Affatto.”
“A quest’ora dovresti essere a casa.” Sospirò Scott, incrociando le braccia e fissandola con sguardo severo.
“Anche per te vale la regola del coprifuoco.”
“La mamma mi ha dato il permesso, se poi riaccompagno a casa Dawn.”
“Capisco.” Sbuffò la giovane, posando i suoi occhi stanchi sulla ragazza che il fratello cercava di proteggere.
“Ti vedo strana, Alberta.” S’intromise Dawn, mentre Scott cercava di capire cosa ci fosse di tanto anomalo nella sorella.
Era sempre uguale.
Chiacchierona, rompiscatole e con una voce stridula in grado di crepare i muri e di graffiare le finestre.
Anche il suo aspetto era sempre lo stesso.
Certo il viso era leggermente più scavato rispetto al solito e anche il sorriso abituale spesso svaniva senza motivo.
Eccettuato ciò, Alberta era sempre la stessa.
“Prima di cominciare perché sei qui?” Riprovò Scott, rialzandosi in piedi, mentre lei abbassava lo sguardo.
“Io…”
“Prometto di non giudicarti.”
“Non so se ci riesco.” Ammise, mentre Dawn fissava la scena con attenzione.
Quella, almeno per lei, era la prima volta che vedeva Alberta giù di morale.
In quelle poche volte che si erano incrociate, la ricordava più allegra e vivace, rispetto all’aria abbattuta che aveva assunto.
“Tempo fa mi hai detto che tu e la mamma sareste sempre state dalla mia parte. Ora sono io a pregarti di non restare in silenzio.”
“Scott…”
“Cos’è che ti tormenta?” Chiese il rosso.
“Ho paura.” Rispose sinceramente, stringendosi nelle spalle.
“Di cosa?”
“Io sono qui per chiedervi aiuto.” Sussurrò, toccandosi gli occhi carichi di lacrime.
“C’è qualche problema tra te e Lucas?” S’intromise Dawn, facendo spostare lo sguardo dei due verso di sé.
“Sì…cioè no…non lo so.”
“Alberta sai che se Lucas ti tratta male sono sempre pronto a dargli una ripassata.” Sbottò Scott, facendo annuire la sorella.
“Non ce la faccio.”
“Ti conviene dircelo subito, se non vuoi che vada da Lucas e che lo picchi a sangue.” La minacciò il rosso, facendola sussultare.
“Non toccare il mio ragazzo.” Scattò la giovane, facendo sorridere il fratello.
“Ora sappiamo che non riguarda lui.” Ribatté Scott.
“Maledetto.”
“Alberta…noi siamo fratello e sorella e ci vogliamo bene. Qualsiasi cosa ti preoccupi, io starò sempre dalla tua parte.”
“Sempre?”
“Basta che tu non abbia ucciso qualcuno.” Rispose il rosso, facendola sorridere appena.
“Io vorrei uccidere qualcuno.”
“Spero di non essere in cima alla tua lista.” Sospirò Scott, mentre Dawn seguiva quel dialogo con attenzione.
Nel suo silenzio e nella sua tranquillità, Dawn sperava di trovare qualche dettaglio che Scott avrebbe potuto ignorare o che gli potesse sfuggire e, pertanto,  sperava di tornare utile alla risoluzione del problema.
“Ti ricordi di George?” Chiese Alberta, mentre il rosso faceva mente locale e collegava quel nome a una brutta faccia di cui aveva memoria.
“Non era il tuo ex?”
“Hai detto bene.”
“Se non sbaglio ti ha mollato al terzo anno delle superiori per quella ballerina bionda con poco cervello.”
“L’ho descritta così?” Domandò l’ospite, facendo ridacchiare Dawn.
“La tua visita riguarda loro?” Chiese Scott, andando dritto al sodo.
“Riguarda George.”
“Spero che tu sia qui solo per informarmi che è morto.” Riprese il giovane.
“Purtroppo è tornato.”
“Non gli è bastato rovinarti quei mesi estivi? Cosa vuole ancora?”
“Mi prometti di non arrabbiarti, fratellino?” Tentò Alberta.
“Cercherò di trattenermi.”
“È da qualche settimana che penso d’essere seguita.”
“Seguita? E da chi?” Domandò Dawn, anticipando di qualche istante l’amico che stava schiumando di rabbia.
Chiunque volesse rovinare la felicità di Alberta doveva sapere che si sarebbe fatto un nemico per tutta la vita.
Perché Scott avrebbe serbato rancore e avrebbe distrutto chiunque osasse intaccare la gioia della sua famiglia.
“Credo sia lo stesso che continua a tartassarmi di messaggi.”
“Perché non me l’hai detto subito?” Chiese Scott, fissando con rabbia la sorella.
“Temevo la tua reazione.”
“Fammi indovinare: George sta ostacolando la tua vita privata perché vuole una seconda possibilità.”
“La ballerina deve averlo piantato e chissà cosa si è messo in testa quell’idiota.” Sbottò Alberta, facendo annuire il fratello.
“Io gli farei ingoiare ben volentieri qualche dente.” Alzò la voce, scontrandosi tuttavia con l’opposizione di Dawn che si era messa proprio davanti a lui.
Nel vedere quegli occhi chiari intenti a leggergli fin nelle viscere, si calmò poco alla volta, anche se manteneva sempre un pizzico di furia verso quel disgraziato.
Perché per lui George era un bastardo.
Un lurido maiale che aveva distrutto la sua famiglia per alcune settimane, prima che la stessa Alberta tornasse a vivere.
Prima che uscisse con il compagno di banco, nonché miglior amico e prima che lui diventasse ufficialmente il suo ragazzo.
Poi il resto era storia, in quanto quello stesso ragazzo sarebbe diventato, a distanza di pochi mesi, suo marito.
“Ora che sapete la storia, vi ho messo in una brutta situazione.” Borbottò dispiaciuta Alberta, facendo riflettere i ragazzi.
“Che cosa ti aspetti da noi?” Domandò serafico il fratello.
“Io sono passata solo per confidarvi il mio segreto.”
“Hai intenzione d’ignorarlo o vuoi che io e Dawn proviamo a porvi rimedio?” Chiese Scott.
“Cosa mi consigliate?”
“Io lo affronterei.” Rispose la Presidentessa, trovando il consenso anche del vice.
“Ma lui…”
“Dovrai invitarlo qui per domani e io risolverò la faccenda.”
“Sei sicuro, fratellino, di ciò che fai?”
“Sono l’uomo di casa ed è mio dovere proteggerti in ogni caso.”
“Non era questa la mia domanda.” Continuò, scontrandosi con lo sguardo fisso e indemoniato del minore.
“Non sono mai stato più sicuro in vita mia.” Sbuffò il rosso.
“Per oggi, però, credo sia più saggio tornare a casa.” S’inserì Dawn.
“Io…”
“Lo sappiamo Alberta e per questo usciremo tutti insieme.”
“Non vuoi lasciarmi sola?” Chiese la sorella.
“Non mi fido di quello stalker e poi il mondo è pieno di malintenzionati che possono rovinarti la vita senza motivo.”
“Voi mi state aiutando più di quanto m’aspettassi e, se posso, vorrei darvi un consiglio.”
“Ti ascoltiamo.” Avanzò Dawn, mentre Alberta si rimetteva in piedi.
“Se amate qualcuno, evitate alle altre persone di frapporsi tra voi, anche se ciò significa renderle infelici.”
“Come sempre parli per esperienza personale.” La punzecchiò Scott.
 
Giusto il tempo di raccogliere le borse e di sistemare un po’ l’aula e i 3 ragazzi erano per strada e stavano tornando a casa.
Dopo aver accompagnato Dawn al suo appartamento e averla salutata con la promessa di farle sapere le novità del caso, Alberta e Scott si avviarono verso la baracca.
Fu quando giunsero all’altezza dell’unico semaforo che avrebbe incrociato la loro strada che Alberta volse al rosso uno sguardo insolito.
“Non gliel’hai ancora detto.”
“Cosa?”
“In certe cose, Scott, sei un vero idiota.” Sbottò Alberta.
“Prima cerchi il mio aiuto e poi mi offendi?”
“Quel consiglio era riferito a te.”
“Me ne ero accorto.” Si lamentò il giovane, fissando la sfera in alto ancora fissa sul rosso.
“Se non ti giochi le tue possibilità ora che puoi farlo, non lamentarti quando qualcuno ti porterà via la tua bella.”
“Non so come fare.”
“Sei sempre stato pieno d’inventiva e ora ti smarrisci con così poco?” Chiese lei, deridendolo e mettendo a nudo tutte le sue debolezze.
“Più mi sforzo e meno sembra il momento opportuno.”
“Non esiste un momento più o meno opportuno: sei solo tu a decidere quale sarà il giorno adatto per confidarglielo.”
“Non parliamo di questo…non ora almeno.” Borbottò imbarazzato, mentre il semaforo era ormai scattato sul verde.
“E di cosa dovremo parlare?”
“Hai scritto a George?” Chiese il rosso.
“Ha accettato il mio appuntamento per domani alle 17, se è questo quello che vuoi sapere.” Rispose subito la ragazza.
“Ottimo.” Ghignò, scrivendo un messaggio a Dawn e informandola della novità.
“E ora cosa devo fare?”
“Credo sia giusto parlarti del mio piano.”
“Avanti allora.” Lo esortò la sorella.
“Domani tu e Dawn andrete in un’altra aula e mi lascerete solo con George.”
“Perché?”
“È una questione delicata e non voglio correre rischi.”
“Dawn non ne sarà felice.” Gli fece notare Alberta, senza riuscire a scalfire la presa di posizione più che ferrea del fratello.
“Con Dawn me la vedo io.”
“Ti chiedo soltanto di non fare pazzie.” L’esortò, facendolo sorridere.
“Ho troppo da perdere per picchiare un idiota del genere.”
Sollevata nell’apprendere che suo fratello non voleva mettersi eccessivamente nei guai, lei non fece più parola di quel discorso.
Passarono gli ultimi minuti a raccontarsi le rispettive giornate con Alberta che si era fissata nel descrivere il vestito rosa confetto di una sua compagna d’Università.
Un qualcosa di assolutamente indescrivibile che fece alzare un sopracciglio a Scott.
Se c’era una cosa che lui aveva imparato in fatto di moda è che le ragazze erano alquanto bizzarre.
Mentre la maggior parte del genere maschile s’accontentava di jeans e maglietta, quelle non avevano mai qualcosa di decente da mettersi.
E tutti quei dettagli verso il colore del vestito avevano fatto venire un piccolo dubbio al rosso.
O il vestito era veramente ridicolo oppure tutta quella sfilza di parole messe in fila da Alberta avevano un altro significato.
Un qualcosa che suonava come una sorta di campanello d’allarme per le povere e tristi finanze di Lucas.
Perché di una cosa Scott si sentiva abbastanza sicuro: non ci sarebbe stato nulla di cui sorprendersi se, l’indomani, lei avesse deciso di cambiare colore all’abito da sposa per renderlo un tutt’uno con i confetti delle bomboniere.
 
Il tanto atteso pomeriggio era finalmente giunto, anche se con parecchie noie che Scott avrebbe preferito evitare.
Fortunatamente il disgusto per il vestito rosa confetto era reale e sua sorella non aveva avuto l’insana idea di cambiare piani a pochi mesi dalle nozze.
Inoltre una seconda noia aggiuntiva era sbocciata con un nuovo colloquio nell’ufficio di Chris.
Un colloquio utile per conoscere le ambizioni lavorative del giovane che, convinto dalla famiglia, aveva deciso di gettarsi nell’Università.
La stessa dove avrebbero studiato buona parte dei suoi compagni, compresa Dawn che quel pomeriggio rappresentava fedelmente la terza e ultima noia della sua giornata.
“Io non me ne vado!” Replicò, puntando i piedi.
“Dovrai farlo.” Ribatté freddo.
“Non ti lascio solo con quello.”
“Hai paura che mi possa far male?” Chiese, facendola arrossire.
“Alberta ha parlato ad entrambi ed io sono la Presidentessa del club.”
“Questo non riguarda il club.”
“Se è venuta qui vuol dire che spera anche nel mio aiuto ed io non voglio stare in disparte, mentre tu fai tutto il lavoro.” Continuò, fronteggiando il suo sguardo.
“Lei è venuta qui perché sono raramente a casa e poi non voleva dare un dispiacere a mia madre che è impegnata con il lavoro.”
“Fa lo stesso.”
“Lei è mia sorella.” Ribadì il concetto, sforzandosi di trovare le parole più adatte per non offenderla.
“E questo che significa?”
“Lei fa parte della mia famiglia.”
“Continuo a dirti che è naturale per me aiutarla.” Ripeté la giovane.
“La smetti d’essere così cocciuta?” Domandò, alzandosi in piedi, mentre lei lo imitava anche in quella mossa.
Dawn era convinta che se l’avesse voluta mettere sul piano fisico non ci sarebbero state storie, ma ciò non le vietava di tenere salde le sue posizioni.
Non si sarebbe piegata.
Non questa volta.
Perché Alberta era una sua cara amica e si sentiva in dovere di tenere d’occhio quella testa calda con cui condivideva il club.
“Io non me ne vado.”
“Devi andartene!” Ordinò imperioso, indicandole la porta.
“Perché non mi vuoi qui?”
“Questa è una questione che riguarda la mia vita.”
“E allora?” Domandò, scontrandosi di nuovo con il suo sguardo impassibile.
“Tu non ne fai parte.” Si lasciò sfuggire, maledicendosi subito dopo per quelle parole così ciniche e orribili.
Nel vederla spegnersi sotto i suoi occhi, come una candela ormai consumata dal fuoco, si diede del coglione.
Non voleva farla piangere o rattristarla in quel modo.
Non pensava veramente quella cattiveria che si era fatto scappare, ma era stata frutto solo della rabbia improvvisa.
Lei, sconfitta e umiliata da quell’ultimo confronto, si risedette al suo posto come se il mondo le fosse appena crollato addosso.
Fu nel sentirla singhiozzare che Scott capì quale grande cavolata aveva fatto.
“Dawn…”
Lei non rispose al suo richiamo.
Nel notarla così triste, lui sentì qualcosa in fondo al petto spezzarsi.
Aveva fatto piangere una ragazza, l’unica che non meritava di versare lacrime tanto amare per colpa sua.
Per i primi secondi aveva pensato che quella situazione potesse tornare a suo vantaggio.
Lei poteva andare via, lasciandogli tutto il lavoro.
Scott era convinto, però, che se lei avesse varcato quella porta, allora non avrebbe più avuto modo di scusarsi.
Lei si sarebbe sempre sottratta e questo non gli andava bene.
Nonostante fosse contro il suo piano e mosso a profondo dispiacere nei suoi confronti, avvicinò la sedia a quella della giovane, notando come piangesse disperatamente sopra il banco.
“Ti chiedo scusa, Dawn.” Borbottò, accarezzandole la schiena.
“Io non volevo ferirti, ma prova a metterti nei miei panni. Alberta è mia sorella e sono arrabbiato nel sapere che la sua vita va a rotoli solo per colpa di uno scemo.”
“Tu…” Si lasciò sfuggire lei in un bisbiglio sommesso.
“Anch’io sono uno scemo perché ti faccio soffrire e non lo meriti.”
“Io…”
“Ti do il permesso di restare, ma non metterti nei guai.” Soffiò il giovane, alzandole il viso dal banco e notando i suoi occhi arrossati.
Erano delle perle cariche di lacrime che lui si affrettò d’asciugare con le sue dita.
Poco dopo si ritrovò a concedere qualche carezza sulle candide guance che lei apprezzò volentieri e che fu costretto ad interrompere a causa dell’incessante bussare.
Staccarsi da quel contatto per Scott fu peggio di una pugnalata, anche se ringraziava il destino che tutto non fosse andato in malora.






Angolo autore:
Ryuk: Tutto è cominciato con Alberta e tutto deve finire con Alberta.
Abbiamo chiuso il cerchio.
Ryuk: Avremmo potuto scrivere ancora qualcosa su Zoey o Mike, ma pensiamo d'aver esaurito tutte le possibilità della lista.
Ringraziamo quelli che stanno continuando a seguire la storia e speriamo che l'arco finale sia di vostro gradimento.
Alla prossima!
 

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Capitolo 29
*** Cap 29 ***


Osservando l’orario, ancora lontano dalle 17, doveva esserci una sola persona che poteva rovinare quel momento.
Un momento intimo che né Scott, né Dawn avevano mai provato in vita loro.
Probabilmente se Alberta avesse saputo la verità, lei stessa si sarebbe scusata con il fratello e  sarebbe rimasta fuori dalla porta, magari sbirciando dalla serratura.
Invece con il suo frenetico bussare li aveva riportati alla realtà.
Anche questa volta il rosso si era convinto che non fosse destino.
Quando accadeva di ritrovarsi in una situazione ideale ecco che qualcosa tendeva ad insinuarsi tra loro.
Era successo durante la gita in montagna quando non aveva osato calcare la mano per evitare di passare come un’opportunista.
Poi si era verificato anche al suo ritorno in novembre e infine con l’aiuto dato al professore con la questione Blaineley.
Ogni volta c’era un motivo, poteva essere anche il più demenziale possibile, che lo costringeva a rinviare il tutto.
Anche se questa volta la questione non era un qualcosa d’affrontare a cuor leggero.
Non si trattava di qualche biscotto al cioccolato o di un qualche libro senza futuro.
Nemmeno di uno stupido festival o del passato di un parente di qualche ragazza.
Si trattava del futuro.
Di riporre la propria vita nelle mani di un’altra persona e di renderla felice allo stesso modo.
Era un qualcosa che sarebbe dovuto durare per sempre.
Il legame che invece lo legava a Dawn non era necessariamente destinato a durare per l’eternità.
Poteva infrangersi anche a distanza di pochi minuti, ma un matrimonio era qualcosa che non si sarebbe mai scalfito.
Era una promessa e, Scott, conoscendo bene sia sua sorella che Lucas era propenso a credere che non avrebbero mai mollato.
“Cosa c’è Alberta?” Chiese il rosso, mentre Alberta si sedeva al suo posto.
“Volevo ringraziarvi.”
“Non serve.” Borbottò il fratello.
“Io vorrei fare qualcosa per sdebitarmi.”
“Tuo fratello ha ragione.” S’inserì Dawn.
“Siete davvero sicuri che non possa fare nulla per voi?”
“Una cosa c’è.” Sbuffò Scott, catturando l’attenzione delle 2.
Nel sentire quelle parole, Alberta sgranò gli occhi e fissò il fratello.
Era curiosa di sapere di cosa avesse bisogno e pur d’essere felice con Lucas era pronto ad accontentarlo in tutto.
Mentre lei pensava a ciò, Dawn aveva mostrato uno sguardo severo verso l’amico poiché non credeva fosse così subdolo dal volere qualcosa in quella situazione.
“Quale?”
“Devi smetterla di preoccuparti.” Ripeté il giovane.
“E tu dovresti smetterla di ripetermelo.”
“È questo che fa un bravo fratello.”
“Un bravo fratello?” Chiese Alberta, girandosi a fissare Dawn che aveva ancora gli occhi lucidi per la litigata di qualche minuto prima.
“Secondo te sono stato un pessimo fratello?”
“In alcuni momenti l’ho creduto, ma ora sento che non è così.”
“Questo era ciò che volevo sapere.” Ridacchiò il giovane.
“Far piangere una persona, però, non ti rende  buono.” Riprese seria, rialzandosi e avviandosi verso l’ufficio dei professori.
 
Quelle poche parole erano riuscite a far sussultare i 2.
Entrambi avevano cercato di nascondere la situazione che si era creata qualche minuto prima, ma con scarsi risultati.
Scott aveva preferito la linea del silenzio per evitare che la sorella cominciasse con un discorso troppo offensivo.
Dawn, invece, lo aveva fatto per proteggere Scott.
Non voleva che lui s’infuriasse per così poco, anche se sapere di non far parte della sua famiglia era stato un colpo davvero duro.
Sapeva d’essere entrata nella vita del ragazzo solo grazie a qualche aiuto esterno e ciò non le andava bene.
Lei aveva sempre sperato che lui s’avvicinasse per qualche altro motivo e, invece, senza l’obbligo di Chris, non avrebbe mai incrociato il suo sguardo.
“Dawn…io…”
“So cosa volevi dire.”
“Non prendertela a male.”
“Non sono arrabbiata.” Ribadì lei, alzando lo sguardo e notando nei suoi occhi una nota di pentimento.
“Io sì.”
“Sei arrabbiato con me?” Chiese timidamente, mentre lui negava con decisione.
“Sono arrabbiato con me stesso.”
“Perché?”
“Non è vero che tu non fai parte della mia vita.” Rispose serio, avvicinandosi a lei.
“Io però…”
“Per farsi capire bisogna parlarsi apertamente ed io ho sempre cercato d’essere sincero nei tuoi confronti.”
“Io…”
“Fammi finire Dawn, te ne prego.” Borbottò risoluto il giovane.
“Sì.”
“Una volta non riuscivo a prendere per buono tutto ciò che mi veniva detto e finivo sempre con il leggere tra le righe.
Quando mi fissavate, credevo lo faceste solo per rimarcare la vostra superiorità nei miei confronti e per farmi capire che non ero accettato nel vostro gruppo.
Quelle poche volte che parlavate con me, credevo vi fosse un doppio fine e non sapevo spiegarmi il motivo.
Credevo fosse per pietà o per qualche assurda scommessa persa, ma ad oggi ho capito che non è così.
Non siete stati voi ad avermi tenuto lontano, sono stato io a ostacolarmi e ad evitare che qualcuno entrasse nella mia vita.”
“Ma noi…” Tentò la giovane, scontrandosi con i suoi occhi carichi di lacrime.
“Voi non potevate far nulla: vi siete scontrati diverse volte con il muro che avevo costruito e avete fatto in modo che esso diventasse reale.
Schiantarsi più volte contro qualcuno che è assente, non lo rende più interessante e anzi lo allontana dalla realtà.”
“Noi…”
“Avete provato ad insistere diverse volte, ma non è servito poi molto.” Rise amaro, sedendosi vicino alla ragazza.
“Perché mi stai dicendo questo?” Domandò confusa.
“Tu sei stata l’unica ad avere pazienza e a riprovarci, ben sapendo che avresti avuto poche possibilità.”
“Non è vero.”
“Sei riuscita a diventare importante per me e di questo ne sono spaventato.”
“Perché?”
“È la prima volta che una persona è veramente importante e non voglio ferirla. Temo di sbagliare e di perdere anche quel poco che ho ricostruito.”
“Non accadrà.” Ripeté diverse volte Dawn con sicurezza sempre maggiore, senza tuttavia coinvolgere l’amico.
“Ammiro il tuo ottimismo.”
“Ma...”
“Avrò sempre il terrore che possa capitare.”
“Perché me ne parli ora?” Domandò la ragazza, mentre Scott scostava lo sguardo per evitare imbarazzo.
“Non voglio farmi odiare da te.”
“Mi sono sempre chiesta cosa volessi in questi anni.”
“Io ho sempre cercato qualcos’altro oltre alle parole, ma non sono riuscito a farmi capire dai miei amici.”
“Davvero?” Chiese la giovane.
“Forse tu sei l’unica che l’ha sempre saputo.” Sbuffò il giovane per poi baciare sulla guancia la ragazza.
Fu un istante, dato che lui si era subito allontanato imbarazzato, temendo una sua qualche reazione esagerata.
Magari un urlo, un ceffone o un qualcosa di più simile ad un richiamo.
Invece lei era rimasta ferma.
Imbambolata a sfiorarsi la guancia e rossa come un peperone.
Non aveva ben capito se l’aveva fatto per guadagnarci qualcosa, per semplice affetto oppure per via dei sensi di colpa.
Quel contatto, brevissimo, era stato così delicato che sembrava insolito comparato al ben più noto carattere di Scott.
Da lui si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più deciso e irruento, ma non fu così.
Sembrava una carezza destinata a spezzare le sue insicurezze.
 
I minuti che seguirono furono dettati dal silenzio più assoluto.
Nessuno sapeva che dire per rompere quella fase e fu solo il ticchettio delle 17 a riportarli, apparentemente alla realtà.
Giusto il tempo di darsi un contegno che la porta venne sbattuta con enfasi e un ragazzo mingherlino, alto quasi quanto Scott, aveva fatto il suo ingresso.
Dawn era pronta a scommettere che si trattava del famoso George.
Certo il fisico non era da rubacuori come aveva sentito dire da Alberta, ma forse era in grado di compensare a quella mancanza con qualcosa di unico.
All’apparenza quel castano con occhi verdi chiari e con appena un filo di barba sembrava piuttosto anonimo.
Non aveva qualcosa di speciale che saltava subito all’occhio.
Anche i suoi abiti erano piuttosto semplici con una camicia, i jeans scuri, un paio di mocassini e una giacca aperta.
“Dove sei Alberta?” Esordì, spostando lo sguardo dalla stanza ai ragazzi, per poi tornare a studiare l’ambiente.
“Chiudi la porta, George.”
“Ci conosciamo?”
“È comprensibile che non ti ricordi di me.” Sbuffò Scott, osservando l’essere che aveva davanti e notando come la natura non fosse stata troppo clemente nei suoi confronti.
Quegli anni non erano stati in grado di sanare le lacune che quell’aborto aveva e anzi sembrava averle marcate ancora di più.
Di una cosa il rosso era perplesso: come aveva fatto Alberta ad innamorarsi di uno privo di spina dorsale?
“Non ho tempo da perdere con gli enigmi, io sto cercando…”
“Mia sorella.” S’intromise il rosso, mettendosi in piedi.
“Tua sorella?”
“Alberta è mia sorella maggiore e si dà il caso che lei abbia chiesto aiuto a me.”
“Ah…ora ricordo. Il piccolo Scott, vero?” Chiese l’altro con un sorriso falso e disgustoso.
“Prima di ieri credevo fossi morto, ma a quanto pare la vita è stata sconsiderata e ti ha tenuto a galla.”
“Io sono qui solo per Alberta.” Ribadì il castano, scontrandosi con il ghigno di superiorità di Scott.
In tutto questo Dawn era rimasta in disparte.
Lontana dalla situazione, dagli sguardi infuocati e dalle parole velenose che i 2 si scambiavano.
“Ed io sono qui solo per darti un avvertimento.”
“Di cosa?”
“Mia sorella mi ha raccontato che da qualche settimana tendi a seguirla e lei è stanca di questa situazione.”
“Io la amo ancora.” Alzò la voce George.
“E lei no.” Ribatté Scott.
“Lei non sa quel che dice.”
“Vuoi che facciamo un salto a un paio di anni fa?” Chiese sarcastico il rosso.
“Cosa vuoi dire?”
“Tu sei stato il suo secondo ragazzo, se ho ben memoria e la vostra storia è durata anche troppo per i miei gusti.”
“Infatti.” Annuì il castano, sorridendo divertito.
“Un periodo nel quale le hai fatto spesso le corna.”
“Stai mentendo.” S’incupì George.
“La prima volta l’hai tradita con la sua migliore amica, Vanessa…credo.”
“Non è vero.”
“Ho le prove.” Ribatté il rosso, mostrando una foto che si era portato da casa e scattata dalla stessa Alberta.
Un’immagine che li ritraeva appartati in un aula deserta e in piena intimità tra loro.
“È un falso.”
“Questa è un falso, un po’ come te del resto. La seconda vittima è stata la compagna di banco di mia sorella.” Sbuffò Scott.
“Ti sbagli.”
“Poi ci sono state nell’ordine: le compagne di pallavolo, le ragazze della scherma e pure mia cugina.” Elencò il rosso, mentre Dawn, sentendo tutta quella lista, si ritrovò a fissare il castano con disgusto.
Più parlavano e più le sembrava un viscido verme che, con la scusa di essere appena carino, riusciva a portarsi a letto chiunque.
“Taci!” Gli ordinò, senza spaventarlo.
“Ora dimmi un po’…la storia con la ballerina è finita e tu credi di avere ancora delle possibilità con mia sorella? Beh…rassegnati.”
“Mai.”
“Alberta ti ha dimenticato e non sente la tua mancanza.”
“Se non la sentisse, non sarei qui oggi.” Ribatté George, scontrandosi con la risata divertita di Scott.
“Tu sei qui, solo perché l’ho deciso io.”
“Come?”
“Se volessi, ti avrei già ucciso.”
“Non pensare di spaventarmi!” Tuonò, pensando di risultare minaccioso, ma apparendo come un pulcino spelacchiato.
“Dimmi, George, sei felice della tua vita?” Chiese Scott, tornando serio.
“A te che importa?”
“Perché la ballerina ti ha lasciato?” Continuò, riaprendo una ferita che nel castano non si era ancora del tutto rimarginata.
“Lei mi ha mandato via.”
“Non hai risposto alla mia domanda. Cosa le hai fatto?”
“Nulla.”
“E ti ha lasciato per questo?” Domandò il rosso, ghignando divertito per quella sconfitta che aveva intaccato il morale dell’ex di sua sorella..
“Mi ha lasciato solo perché è venuta a sapere delle mie vecchie storie.”
“E ora vuoi rovinare la vita di mia sorella?” Chiese Scott.
“Io…”
“Sai almeno che Alberta si sta per sposare? Credi sia saggio rovinare la sua vita, la mia vita, quella della mia famiglia, quella dei futuri suoceri e di riflesso la tua?”
“La mia?” Domandò George, calmandosi un po’.
“Se tu hai tradito mia sorella, vuol dire che non l’ami. Può capitare una volta nella vita di sbagliare, ma così tanti errori non possono essere slegati tra loro.”
“Come?”
“Conosco un amico che ha tradito la sua fidanzata, che ha ammesso il suo sbaglio e che le ha chiesto  perdono. Difficilmente ci cascherà di nuovo e spero che alla prossima festa non si dia all’alcool.” Rispose con tono pacato.
“Io…”
“Se l’avessi amata davvero, ora saresti tu il fortunato, ma non è così. Tu hai sprecato la tua occasione che qualcuno ha raccolto e ha sfruttato meglio.”
“Però…”
“Lei ha sofferto molto con i tuoi tradimenti, ma ha sempre chiuso un occhio perché era davvero innamorata di te. Poi l’hai lasciata sola, lei è rimasta spaesata per molte settimane, odiando la sua stessa vita. So solo che non è merito tuo se è tornata a sorridere come un tempo e oggi, per fortuna, è felice e non vuole rinunciare al suo matrimonio per uno che la potrebbe ferire di nuovo senza motivo.”
“Io non sapevo questa cosa.” Borbottò George, facendosi sempre più piccolo.
“Puoi diventare un suo amico, ma la cosa non può sfociare in altro.”
“Capisco.”
“George perché non provi tu a chiedere scusa per una volta?” Chiese Scott.
“A chi?”
“Ad Alberta ci penserò io, ma con una delle tue ex puoi avere un’altra possibilità e ripartire da zero.”
“E se non funzionasse?”
“Ci sono migliaia di ragazze là fuori e una ti sta aspettando.” Sorrise il rosso, avvicinandosi al ragazzo e dandogli una pacca sulle spalle.
“Giusto.”
“Ricorda, però, che quando troverai qualcuno con cui vuoi stare, dovrai fermarti per conoscerla meglio.” Spiegò, tornando al suo posto, mentre George annuiva con convinzione.
“E lei, signorina?” Domandò subito il castano, volgendo l’attenzione verso Dawn che era sempre rimasta in silenzio.
“Io?” Chiese imbarazzata.
“Non è che lei vorrebbe venire…”
“Non ci provare George.” S’inserì Scott con uno sguardo demoniaco che non ammetteva certe intemperanze.
“La volevo invitare a bere qualcosa.” Tentò il castano come se il rosso non conoscesse quel vecchio trucco.
Ne aveva sentite a decine di tizi che sfruttavano quella mossa.
La tipica bontà maschile che portava le ragazze a cascarci.
Con lui che portava la fortunata al bar, che la faceva ubriacare e con cui se la spassava tutta la notte.
Purtroppo per lui, Dawn non sarebbe caduta nella sua ragnatela.
“Non disturbare la mia ragazza!” Tuonò Scott, facendolo nervosamente.
George, sconfitto anche su quel campo, uscì dal club nel più rigoroso silenzio.
Dal suo sguardo prima di scappare, Scott aveva capito diverse cose.
Primo punto: lui non si sarebbe più fatto vivo per seccarlo.
Secondo punto: Alberta era finalmente al sicuro.
Terzo punto: Dawn non avrebbe corso pericoli perché, finché era presente, quello non si sarebbe più avvicinato in alcun modo.





Angolo autore:

Ryuk: Ci scusiamo per il ritardo, ma non riuscivamo a trovare il mio Death Note.

Più che altro abbiamo perso il bus.
Da quel che ho visto dovrebbero mancare 3 aggiornamenti.
Spero non vi siano errori, anche perchè non ho avuto il tempo materiale per dargli una risistemata.

Ryuk: Ringraziamo i nostri cari recensori e vi auguriamo una buona settimana.

Alla prossima!

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Capitolo 30
*** Cap 30 ***


Rimasti soli, Scott si voltò a fissare la compagna.
Era ancora rossa per quello che aveva detto e sembrava, in qualche modo, felice.
Tuttavia Scott si sentiva terribilmente in colpa: come poteva spiegarle che quella era stata solo una mossa disperata per proteggerla da George?
Non negava d’amarla, ma non si sentiva sufficientemente pronto per ammetterlo o per gridarlo ai 4 venti.
“Scott…” Mormorò lei imbarazzata.
“Lo so, Dawn. Mi dispiace d’averti messo in imbarazzo.”
“Mi hai protetto.” Gli fece notare la ragazza.
“Credo sia naturale.”
“Perché?” Lo interrogò incuriosita.
“Conosco bene George e so che una volta sfruttata una ragazza, poi la getta via come se nulla fosse successo.” Sbuffò il giovane, prendendo il cellulare dalla tasca destra dei jeans e mandando un messaggio alla sorella.
“Io…”
“È per questo che volevo evitare che tu fossi presente.”
“L’avevi previsto?” Soffiò sorpresa.
“Temevo che cercasse di metterti in mezzo e che si approfittasse della situazione e come vedi, avevo ragione.”
“Non sembrava così viscido.” Gli fece notare Dawn.
“L’aspetto spesso inganna le persone.”
“Lo so.”
“Prendi me ad esempio. Io sembro un teppista e invece sono solo un liceale dal carattere impossibile.” Sbuffò annoiato.
“Ed io cosa sembro?” Domandò attirata dalla possibilità di conoscere i reali pensieri che l’amico aveva sulla sua presenza, sul suo aspetto o carattere.
“Ciò che gli altri vedono alla prima occhiata non cambia mai.”
“Davvero?” Chiese la giovane.
“La prima volta credevo fossi una seccatura.”
“Ehi!” Lo rimproverò, girandosi infuriata e dandogli le spalle.
“Stavo solo scherzando e poi non è questa la vera opinione che ho su di te.”
“Davvero?” Mormorò, rigirandosi di scatto e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi. Fu nel sistemarsi un ciuffo ribelle che gli aveva coperto l’occhio sinistro che tornò a prestargli la sua completa attenzione
“Ora so per certo che sei una seccatura.” Ridacchiò, facendola sorridere.
“Ti diverti tanto?”
“Comunque ad essere sinceri, ho sempre pensato che tu fossi troppo buona con le persone e che questa bontà potevi pagarla cara.” Ammise senza troppi giri di parole.
“Invece è andato tutto bene.” Lo rassicurò.
“Anche se oggi abbiamo rischiato parecchio.”
“Potevi inventarti qualcosa di diverso.” Gli fece notare con una smorfia di finto fastidio e ottenendo una scrollata di spalle in risposta.
“Non sarebbe bastato.”
“E se non fosse stato sufficiente?” Chiese Dawn, facendolo sorridere lievemente.
“A quanto pare non ci siamo dovuti inventare nulla di troppo imbarazzante.” Ridacchiò, spegnendo il suo entusiasmo dinanzi allo sguardo serio della Presidentessa del club.
“Poteva pretendere qualcosa.”
“Credi volesse assistere ad un bacio?”
“Esatto.” Rispose, arrossendo nuovamente.
“Mi sarei sentito un infame a lasciarti andare via con quello, ben sapendo cosa sarebbe successo e cosa avresti passato.”
“Avrei negato comunque.” Borbottò la giovane, vedendolo sussultare.
“Perché mai? Ti saresti scrollata di dosso la vita da single che tutti i liceali odiano.” Osservò Scott, cercando di decifrare qualcosa dallo sguardo dell’amico.
“Non è il ragazzo che amo.” Confessò tranquilla, raccogliendo la sua borsetta.
“C’è qualcuno che ti piace?” Riprovò con tono fintamente allegro.
“Forse.”
“L’amore è una cosa molto stimolante.”
“E tu?” Domandò Dawn.
“Lo capirai quando sarai più grande.” Borbottò, facendola imbronciare.
“Sei insopportabile, lo sai?”
“Tu, invece, non lo sei neanche un po’.” Sussurrò il giovane.
“Perché non mi dici la verità?”
“Sei troppo curiosa.” La rimproverò, avvicinandosi e accarezzandole la testa come se fosse una bambina.
“La smetti di trattarmi così?” Tuonò, scostando la sua mano.
“Stai calma.”
“Non parlarmi così.”
“Non serve che ti arrabbi tanto, anche se vederti infuriata mi fa guadagnare qualcosa.” Ammise, allargando il suo sorriso.
“Del tipo?”
“Significa che tieni molto a me e poi diventi più interessante.” Borbottò con un ghigno compiaciuto.
“Interessante?”
“Le emozioni sono delle vere incognite.”
“Come?” Chiese la giovane, mentre Scott raccoglieva le loro borse dal suolo e apriva la porta del club.
“Probabilmente sono così insicuro perché sarebbe solo la seconda volta che conosco l’amore.”
“Lei conta molto per te?” Domandò Dawn, seguendolo nel corridoio.
“Immensamente.”
“E perché non ci provi?”
“Già una volta sono rimasto scottato e il fuoco non è un elemento con cui puoi giocare a cuor leggero.” Rispose, scendendo i primi gradini che li avrebbero condotti nell’ufficio di Chris.
Se conosceva bene sua sorella, Scott era pronto a scommettere che l’aveva fatto ammattire. Era quasi certo che lei avesse posto al prof domande molto intime riguardo il suo essere ancora scapolo.
E altre domande imbarazzanti a cui Chris non poteva rispondere con qualche minaccia di espulsione.
Alberta, in conclusione, doveva essersi divertita un mondo.
“Ricordi cosa mi hai detto tempo fa?” Bisbigliò, affiancandosi all’amico e sfiorandogli appena la mano sinistra.
“Non proprio.” Si rammaricò, rallentando leggermente l’andatura.
“Mi hai fatto notare che se non affrontavo le mie paure, poi sarebbero diventate più grandi di me e mi avrebbero schiacciato.”
“Una paura e un sentimento non sono la stessa cosa.”
“Lo sono invece.”
“E in che modo?”
“Se un amore non è corrisposto poi si tende a soffrire e ci si rifugia nella paura. È solo la paura stessa ad impedirti di cercare d’ essere felice, nonostante se ne abbia un gran bisogno.”
“Sei diventata molto matura in questi mesi.”
“Hai intenzione di dirmi chi è la fortunata?” Chiese con una nota di fastidio che Scott non riuscì a percepire.
“Un giorno forse.” Borbottò il giovane.
“E comunque non è solo questo ciò che devi dirmi.” Provò Dawn, sperando che lui intuisse di cosa stava parlando.
“Parli di quel segreto?”
“Più è importante, meno si ha voglia di parlarne.” Rispose la ragazza, superandolo e aprendo la porta dell’ufficio di Chris.
Così come immaginava Scott aveva trovato la sorella intenta a far ammattire il professore.
Lui aveva gli occhi al soffitto solo per cercare qualche motivo per non strozzarla, anche se il rosso ne aveva pronti diversi per sostenerla.
Il primo è che Alberta faceva parte della sua famiglia.
La seconda è che Lucas non ne sarebbe stato felice.
Il terzo è che anche lui si divertiva a vedere Chris in difficoltà.
E in ultima lo faceva perché sua sorella era una calamita di novità e spesso l’aveva aiutato a trovare risposte in un mare di domande.
Per Chris, liberarsi di quell’adorabile canaglia, fu un sollievo.
Appena usciti i 3, lui era sprofondato nella sedia e si era fumato mezzo pacchetto da quanto era nervoso.
Quella iena era riuscita a svuotarsi la coscienza.
L’aveva reso partecipe di tutto lo strapazzo dei preparativi del matrimonio e di altre storie molto noiose.
Inoltre aveva rigirato più volte il coltello nella piaga affermando che dell’intero corpo di professori lui era l’unico scapolo.
Anche se ad essere sinceri il termine che aveva usato era zitellone.
Perfino Chef Hatchet, noto per il suo caratteraccio, era sposato e lui era l’ultimo in graduatoria.
Inoltre rimarcava il concetto affermando che metà delle sue vecchie compagne di liceo erano già impegnate e sposate con tanto di figli piccoli al seguito.
Quella mezzora scarsa lo aveva annientato fisicamente, moralmente e psicologicamente.
Almeno non l’avrebbe più rivista e sperava vivamente che il suo futuro marito la trascinasse a milioni di miglia di distanza.
E in tutto ciò chi poteva rimetterci erano solo gli studenti.
Fumata qualche cicca, il prof era tornato a correggere delle verifiche con lo stesso occhio critico di un qualche letterato da premio Nobel.
Per quell’unica volta non sarebbe stato clemente.
 
A poca distanza, lungo il tragitto che li avrebbe ricondotti a casa, i tre ragazzi si ritrovarono a discutere di quanto era successo quel pomeriggio.
“Povero Chris.” Borbottò Scott, negando con il capo quasi capisse quale enorme seccatura fosse piovuta nel suo ufficio.
L’unica cosa che invidiava al professore è che lui c’aveva parlato solo mezzora, mentre lui doveva averci a che fare una vita intera.
“Non parliamo di questo. Com’è andata con George?”
“Bene.” Tagliò corto il rosso, scambiando un’occhiata d’intesa con la compagna di club.
“Scusa Scott, ma volevo sentire anche l’opinione di Dawn.” Ribatté Alberta, intuendo le intenzioni del fratello.
“Non è successo niente d’importante.” S’inserì la giovane che per buona parte del viaggio, ripensava a ciò che era successo quel pomeriggio.
Superato il litigio e la riappacificazione, era rimasta concentrata sui suoi tentativi di proteggerla e su alcune ammissioni che non aveva compreso appieno.
“Noto che tra voi qualcosa è cambiato.”
“Qualcosa?” Chiese Scott.
“Non so cosa sia, ma è lampante.”
“Credi che George ti possa disturbare ancora?” Sviò Dawn, sperando di portare Alberta su altri discorsi.
“Si è scusato e per me è sufficiente.”
“Per me non lo è.” Borbottò il rosso.
“Perché?” Lo interrogò la sorella, snobbando la suoneria demenziale del suo cellulare che l’avvertiva di una richiesta d’aiuto da parte di una sua compagna.
“Non è un ragazzo degno della mia fiducia.”
“Solo per questo?”
“Non posso accettare che qualcuno di simile si approfitti di qualche ragazza ingenua.” Sbuffò Scott, fissando il Sole che stava per tramontare.
“Ti preoccupi per gli altri?” Chiese con un ghigno Alberta.
“Mi preoccupo per le persone che conosco.”
“Ancora con questa storia?” Domandò Dawn.
“Lo sai Dawn che non potevo lasciarlo fare.”
“Cosa è successo?” S’informò Alberta, intuendo che il segreto tenuto dai due ragazzi si fosse sciolto come neve al sole.
“George ci ha provato con me, ma tuo fratello si è messo in mezzo.” Spiegò Dawn cercando di ridurre il numero di particolari.
“Ha fatto bene.” Commentò Alberta, tirando una pacca sulla spalla del fratello.
“È stato costretto a dire che sono la sua ragazza.”
“È stata la prima cosa che mi è venuta in mente.”
“Davvero originale.” Ridacchiò Alberta.
Solo la vicinanza alla porta di Dawn aveva sottratto Scott da una situazione potenzialmente imbarazzante.
Già s’immaginava la sorella che usciva con qualcosa che poteva alimentare i dubbi della compagna di club e questa era una delle cose che preferiva evitare.
La salutò con un semplice cenno del capo e uscì in strada, seguito a ruota dalla sorella.
Alberta nel vederlo tranquillo, perso nei suoi pensieri, decise di smuoverlo un po’.
“Continui su questa via.” Constatò Alberta.
“È l’unica che conosco.”
“O è l’unica che vuoi conoscere?”
“Non mi risulta mai troppo facile cambiare strada.”
“Ed io che credevo che questi mesi ti avessero fatto crescere.” Sbuffò la sorella, affiancandosi al fratello.
“Non è questione di crescere.”
“Allora cos’è?” Domandò la ragazza.
“Il terrore di perderla.”
“E restando sulle tue non credi di ferirla? Scott dovresti essere meno idiota e provare prima di cedere.”
“Tu non hai mai avuto dubbi in vita tua?” Sbuffò il rosso.
“Io sono sempre piena di dubbi.”
“Del tipo?”
“Non sapevo se saresti tornato a casa, non sapevo se fossi in grado di tornare come prima e non sapevo nemmeno se George avesse intenzione di rinunciare.”
“Questi sono dubbi legati ad altre persone.” Tentò Scott, facendola annuire.
“I nostri dubbi sono sempre fatti così.”
“E se ti dicessi che dubito d’essere promosso?” Chiese il rosso.
“È semplicemente un dubbio dettato dalla tua scarsa partecipazione.”
“Ho sempre paura quando non so cosa c’è dopo.”
“E sapere di restare così non è peggio? La stai illudendo di proposito o ci tieni a lei?” Domandò la ragazza, afferrando il cellulare e rispondendo al messaggio disperato della stessa ragazza che le aveva telefonato in precedenza.
“Spero di trovare il coraggio.”
“Sei sempre stato così spontaneo da distruggere le debolezze altrui con una semplice occhiata e ora questa tua insicurezza mi suona strana.” Riprese Alberta, digitando con foga nella chat e senza preoccuparsi troppo di ciò che aveva davanti a sé.
“In passato non avevo nulla da perdere.”
“Io posso solo ringraziarti per oggi…il resto è affar tuo.”
“Credevo di meritarmi un premio per ciò che ho passato.” Tentò il giovane, facendo sorridere la maggiore.
“Ieri non ne eri interessato.”
“Non volevo deludere Dawn.” Si spiegò, grattandosi la testa e fissando con scarso interesse le vetrine.
“Hai qualche desiderio?”
“I desideri, quelli veri, non sono reali e un giorno finiscono con lo svanire.”
“Quanto pessimismo da parte tua.” Sbuffò la ragazza.
“Ho odiato raramente me stesso, ma da quando sono tornato mi capita fin troppo spesso.”
“Perché?” Domandò lei.
“Non odiavo quasi nulla di me, ma da un po’ ci sto ripensando. Dawn è sempre stata al mio fianco e su di lei ho sempre riposto le mie aspettative. Credevo che un giorno fosse pronta a farcela da sola, ma non riesco ad abbandonarla.”
“Siamo quasi in maggio, fratellino, e nulla è perduto.”
“Abbiamo gli esami.” Borbottò nervoso.
“Aspetta che finiscano e poi prova a buttarti.” Riprese, spronando Scott a tentare prima che fosse tardi.
Sperava che non avesse visto male e che non fosse frutto di un’altra illusione.
 
Giunto a casa, andò nella sua stanza e si distese a letto.
Aveva sempre sbagliato.
Mai una volta che con Dawn facesse la cosa giusta.
Nel pensarlo, si perdeva a contare quanti giorni di scuola erano rimasti.
Quanto mancasse prima di perdere di vista i suoi compagni liceali, per poi rivederli all’Università.
Come se quello scherzo del destino fosse già prestabilito.
Di certo non credeva che anche lei scegliesse il suo stesso ramo. Un po’ ci aveva sempre sperato e quel desiderio si era realizzato.
Non avrebbe mai sopportato l’idea che qualcuno gliela portasse via.
Dawn era solo sua. Nessuno poteva sfiorarla o provarci con lei, se lui si fosse sempre messo in mezzo.
Tuttavia c’era una carta che odiava e che poteva spingerla altrove: non avevano ufficializzato le cose e in questo modo sarebbe stato fin troppo semplice che qualcuno la corteggiasse e la facesse cadere ai suoi piedi, rendendo le loro belle parole, i loro lunghi discorsi e i loro magnifici sogni destinati ad essere persi nel vento.
E questo non gli andava bene.
Non aveva mai creduto in Dio o in qualcosa di simile, ma pregava che il tempo fosse clemente. Aveva abusato della pazienza della sua famiglia, dei suoi compagni e dei suoi semplici conoscenti, ma aveva bisogno di ancora qualche giorno.
Forse pretendeva troppo, anche alla luce del loro rapporto speciale, ma intanto sperava che quel regalo rimanesse incartato fino alla fine della maturità.
Che nessuno si avvicinasse a lei, che tutto andasse bene, che lei, stanca e delusa dei suoi tentativi (e ne avrebbe avuto il sacrosanto diritto) non decidesse di stringere la sua vita e la sua felicità a quella di un altro.
Se quel Dio che tutti pregavano e veneravano, aveva a cuore la sua gioia e non voleva vederlo tornare lo stesso marcio individuo che allontanava tutti, allora lui per primo doveva dargli la possibilità di pazientare fino a quel giorno.
Se nemmeno quel giorno fosse stato capace di aprirsi definitivamente e non avesse ammesso ciò che era lampante come il sorgere del Sole, allora avrebbe fatto un passo indietro, accettando anche la cattiva sorte.
Ancora poco e poi avrebbe saputo se quello era destino o se era un illusione o se era un qualcosa a metà per cui aveva pazientato per quasi due anni.
Con tutto quello che aveva passato negli ultimi mesi e con l’orrore della sua infanzia, sarebbe stato uno scherzo.









Angolo autore:
Vi avviso in anticipo che il prossimo capitolo sarà il più corto dell'intera serie.

Ryuk: Forse è il capitolo più corto di tutta la nostra vita.

Di solito scrivo e pubblico sulle 2500-3000 parole a capitolo, ma la prossima volta sarà un dato leggermente più basso.

Ryuk: Ci rifaremo con il capitolo conclusivo.

Oa posso anche dirlo chiaramente: la serie si concluderà con il 32° capitolo.

Ryuk: Capitolo nel quale sapremo che fine faranno i nostri eroi.

Se tutto va bene per venerdì prossimo, riuscirò a mettere la parola THE END a questa storia e, salvo ripensamenti, non ci sarà nessun sequel.

Ryuk: Parole sante.

Al contrario pensavamo di continuare con Moments...anche perchè gli altri progetti sono indietro e per scrivere dei "momenti" non impiego troppo tempo.

Ryuk: Gli altri purtroppo sono più lunghi e più bisognosi di attenzioni e studi particolari.

Non prometto nulla.
Forse sarà Moments, ma forse potrei anche cambiare idea.
Tutto dipende da come mi gira.

Ryuk: Già.

A volte scrivo come un forsennato e finisco in pochi giorni, altre volte sono più pigro di un bradipo.
Tutto dipende da come sarà la prossima settimana.

Ryuk: Nel frattempo vi ringraziamo per l'appoggio, per le recensioni e per i consigli.

Vi auguro un buon week-end e spero che l'aggiornamento vi possa soddisfare.
Alla prossima!
 

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Capitolo 31
*** Cap 31 ***


Quelle poche settimane che li separavano dagli ultimi impegni scolastici erano passati in fretta e anche l’esame si era svolto meravigliosamente.
Aveva passato le superiori indenne e con un bel 70 che fino all’anno prima poteva a mala pena sognare di tutto.
Mancavano appena due mesi al matrimonio di Alberta e, per gli ultimi preparativi, spesso Scott veniva lasciato da solo durante il week-end.
Lui comunque aveva già deciso cosa fare durante la prima domenica di vacanza e, considerando la tranquillità del periodo, poteva riposarsi quanto voleva.
Convinto di ciò e al limite della pazienza aveva preso la decisione che tanto aspettava.
Forse era inaspettata, ma era la più giusta da fare.
“Ti ringrazio d’essere passata.” Sussurrò Scott quella mattina, quasi temesse di rompere il silenzio che albergava nella baracca.
Sua madre e Alberta erano già lontane e lui aveva campo libero.
Scott voleva approfittare di quel momento per liberarsi di un segreto che iniziava a diventare insostenibile.
Lui senza pensarci la invitò ad entrare e subito salirono le scale che li avrebbero condotti nella sua stanza.
Dawn in quei pochi minuti non aveva osato aprir bocca.
Si era ritrovata la sera con un messaggio sul cellulare e lei, non avendo impegni e libera dalla scuola, aveva subito accettato l’invito.
Entrambi si erano seduti sul letto del ragazzo, così come facevano di solito per studiare e per risolvere i problemi del club, e si fissavano negli occhi.
“Cosa c’è, Scott?”
“Desideravo parlarti.”
“E non potevi farlo durante le ore del club?”
“Volevo che fossimo soli e senza intromissioni.”
“Capisco.” Sussurrò la giovane, sostenendo lo strano sguardo dell’amico.
C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi e Dawn non riusciva davvero a comprenderlo.
Ma non si era accorta di quel cambiamento solo quel pomeriggio: in generale aveva notato un’evoluzione dall’ultimo caso che avevano risolto.
“Sono pronto.”
“Per cosa?” Chiese con innocenza, facendolo sorridere.
“Quando sono tornato, volevi sapere la verità. Io, però, non ero pronto a riaffrontarla di nuovo e ho preferito chiuderla in un angolo.”
“Non devi parlarmene per forza.” Tentò Dawn, accennando ad un nuovo sorriso che lo convinse ancora di più a dirle la verità.
“Me ne sono andato perché dovevo affrontare il problema che tu avevi intuito mesi fa.”
“Davvero?”
“Io ti ho sempre invidiato. Tu avevi ciò che non avrei mai potuto avere.”
“Potresti essere più chiaro?”
“Se devo dirti la verità, tanto vale che essa sia la più semplice possibile. Io non ho mai conosciuto mio padre.”
Quelle parole fecero scendere il gelo nella stanza.
Dawn non aveva mai immaginato che Scott potesse patire un simile peso.
Aveva sempre creduto che il genitore dell’amico fosse impegnato con un qualche lavoro o progetto all’estero, ma era lontanissima dalla realtà.
Lui non c’era mai stato.
Comprendeva la sua tristezza, il suo lato chiuso e lo sguardo carico d’odio e di disprezzo rivolto a quelli che potevano correre e parlare con il rispettivo padre.
“Tu…”
“Me ne sono andato perché volevo affrontare il mio passato. Conoscevo a grandi linee la zona dove viveva, ma non sapevo l’indirizzo preciso.”
“Tu volevi…” Tentò la giovane, interrompendosi quasi subito.
“Volevo conoscerlo e volevo sapere il perché se ne era andato. Tempo fa ti dissi che bisogna affrontare i propri timori…sapessi quanto mi ha fatto male non saper applicare una lezione di cui io stesso andavo fiero.”
“Posso immaginarlo.”
“Però non sempre c’è un lieto fine. Per mesi l’ho cercato e finalmente l’ho trovato in un bar dove stava bevendo una birra. Aveva una fede al dito, si era risposato e aveva una nuova famiglia. Lui ha dimenticato mia madre e mia sorella.”
“Che razza di uomo.” Si lasciò scappare, facendo annuire l’amico.
“Mi sono presentato e mi ha riso in faccia. Io non ero nemmeno nato, quando lui se ne è andato da questa casa.”
“Siete rimasti soli.”
“Una donna sola a far crescere 2 bambini piccoli: era questo che volevo spiattellargli in faccia. Nessuno sa quanti e quali sacrifici ha dovuto affrontare e ogni volta che le chiedevamo di nostro padre, lei doveva essere forte.
Quanto ho invidiato le vostre certezze…qualcosa che non ho mai potuto avere.”
“Tu…”
“Mi sono sentito male. Lui se ne è andato perché sono stato solo un errore. Quando ha saputo che mia madre era incinta, è scappato via. Lui non mi ha mai voluto e lo ha ammesso anche a mia madre che, però, si è rifiutata di abortire. Quello ha raccolto le sue poche cose e se l’è svignata come un codardo.”
“Mi dispiace.” Borbottò la giovane che faticava a trattenere le lacrime.
Prima di sentire quella storia si era ripromessa di non piangere e di consolare Scott, ma lui nonostante tutto aveva affrontato bene quella verità.
Tuttavia il rosso si ritrovò in un abbraccio nel quale si sentiva al sicuro.
Una volta non si sarebbe nemmeno sognato di rispondere a quella manifestazione d’affetto, ma ora era cambiato.
Non voleva più essere l’arido ragazzo che aveva rovinato la sua vita per troppo tempo.
Se l’idiota, cui doveva la vita, era stato così stupido da andarsene senza nemmeno conoscerlo, lui non aveva motivo di farsi odiare.
Lui non era colpevole di quella situazione.
“Per un po’ ho creduto che fosse colpa mia.”
“Tu non sei stato un errore per la tua famiglia.”
“Credevo che Alberta mi odiasse per quello che nostro padre ha fatto.” Sussurrò il giovane, respirando il profumo che lei emanava.
Stretto così a lei e con quell’aroma che gli solleticava il naso, lui si sentiva al sicuro.
Era sempre stato convinto che le donne fossero solo un intralcio per la felicità degli uomini, ma passando il suo tempo al club, osservando il mondo dal lato migliore possibile e meravigliandosi di quanto alcuni fossero speciali si era ricreduto.
Se una persona era il male, ciò non significava che tutti fossero uguali.
Ognuno aveva i suoi pregi e i suoi difetti e anche Dawn rientrava in questa categoria.
Qualcosa stonava in lei, ma la sua determinazione, a volte eccessiva l’aveva convinto che solo con lei poteva condividere lo stesso malessere.
E chissà…magari in un giorno lontano ci avrebbe convissuto senza nemmeno battere ciglio e ci avrebbe riso su
“Non è così.”
“Mi sono sempre comportato male per niente. Volevo farmi odiare perché temevo di deludere le persone che potevano essermi amiche. Non volevo far soffrire nessuno, ma così facendo sono sempre rimasto solo e ho provato sempre più odio. Era più forte di me. Volevo qualcuno al mio fianco, ma temevo di farlo piangere. Un po’ infantile da parte mia, non credi?” Domandò il rosso, sentendola negare con molta, troppa fatica.
Avere Scott che la stringeva con forza, quasi avesse timore nella sua fuga, le impediva qualsiasi movimento.
“Neanche un po’.”
“Davvero?”
“Non è infantile quello che hai detto. Questo è indice di una grande maturità e di un grande cuore che mostrerai solo a certe persone.”
“Tu pur di farmi star bene, diresti qualsiasi cosa.” Sussurrò Scott, facendola arrossire appena.
“Avevi paura di soffrire e di far soffrire.”
“Anche troppo.” Riprese il ragazzo.
“Probabilmente mi sarei comportata come te.”
“Ti ringrazio per avermi ascoltato.”
“Devi dirmi ancora qualcosa?” Chiese Dawn, staccandosi dall’abbraccio prolungato in cui Scott l’aveva chiusa e fissandolo negli occhi.
“Non posso proprio nasconderti nulla.”
“Dopo molti anni credo sia normale.” Sorrise lei con sguardo eloquente.
Scott si apprestava a dire un qualcosa che aveva dimenticato per troppo tempo, che aveva ricordato con fatica e che si era trascinato dietro.
“Anch’io sono stato stupido: ti ho abbandonato quando credevo fosse più opportuno e di questo ne sono pentito.”
“Hai fatto ciò che consideravi più giusto e non è una colpa.”
“Non posso dare del disgraziato a quello, se io mi son comportato anche peggio.”
“Non importa. Io ti ho già perdonato.” Sussurrò la giovane.
“A dirla tutta sono stato lontano anche per un altro motivo.”
“Quale?” Chiese lei.
“Volevo vedere se ero in grado di cavarmela da solo.”
“Ci sei riuscito?”
“A metà.” Ammise il giovane.
“Solo?”
“Quando me ne sono andato, mi son portato dietro un pensiero a cui non avevo mai dato risposta.”
“Un pensiero?” Chiese Dawn sorpresa da quelle parole.
Nel porre quella semplice domanda notò come lo sguardo di Scott si fosse addolcito e di come lui con la testa abbassata si stesse avvicinando.
“Dovresti conoscerlo.”
“Ne dubito.”
“Il mio pensiero fisso eri tu.” Bisbigliò, baciandola sulle labbra e allontanandosi quasi subito.
Aveva accarezzato per un attimo la felicità, ma non era sicuro che anche lei apprezzasse i suoi sentimenti.
Prima di ritrovarsi uno schiaffo sulla guancia a pulsare, era scappato e si era messo a fissarla negli occhi.
“Io…”
“Io ti amo Dawn.” Sussurrò il giovane.
“Ma…”
“Immagino d’averti confusa e di averti fatto sprecare il tuo primo bacio.” Borbottò, abbassando la testa.
Vedendolo così intimorito e abbattuto, la ragazza si sorprese, ma comunque lo invitò a rialzarsi per guardarlo meglio negli occhi.
“Come sempre ti sbagli.” Soffiò, baciandolo con passione.
Nell’avvertire quel contatto, Scott si sentì come se qualcosa nel suo cuore si fosse ricomposto e non appena si ritrovarono a fissarsi negli occhi, lui la strinse a sé.
“Scott…”
“Dawn, ho provato a starti lontano e a farmi odiare perché pensavo meritassi qualcuno di meglio, ma non ci riesco.”
“Lo so.”
“Grazie di tutto.” Sussurrò, mentre lei mostrava il sorriso di cui lui era tanto innamorato.
 
L’amore che provava per Dawn gl’impediva di lasciarla andare così presto.
Per troppo tempo aveva rinviato o aspettato di poterla stringere e di poterla vedere come la sua ragazza.
Nonostante fossero solo all’inizio, lui aveva il terrore di perderla e non voleva aggiungerla alla sua lunga lista di rimpianti.
“Scott…”
“Resta qui: saremo soli e potremo stare in pace.”
“E la tua famiglia?”
“Dovrebbero organizzare gli ultimissimi preparativi.”
“Ma…”
“Mia madre dormirà nella stanza degli ospiti e Alberta sarà felice di rimanere abbracciata al suo Lucas.”
“Hai pensato a tutto.” Soffiò divertita.
“Quando una cosa mi sta a cuore, non la lascio andare fino a quando non sono soddisfatto.”
“La cosa non mi dispiace.” Affermò tranquilla, strusciandosi come un gatto in cerca di coccole e carezze.
“Pensavo potessi essere nei guai.”
“Devo ancora decidere cosa raccontare alla mia famiglia.” Ammise, fissandolo negli occhi e avvertendo le sue mani che le solleticavano la schiena.
“Puoi inventarti qualsiasi cosa, ma sappi che non accetterò un rifiuto perché io voglio dormire con la ragazza che ho sempre amato.”
“Se me l’avessi detto un po’ prima, mi sarei organizzata e non avrei cercato la mia felicità altrove.”
“Non potevo costringerti a seguirmi ovunque: dovevi pur fare le tue esperienze e se tu avessi trovato qualcun altro io l’avrei accettato comunque.”
“Dovresti essere un po’ più egoista.” Borbottò, facendolo sospirare.
“Se tu sei felice, tutto il resto passa in secondo piano.”
“E se George mi avesse portato via?” Lo interrogò, incrociando i suoi occhi chiari in quelli grigi e rassicuranti dell’amico.
“Lo avrei picchiato a morte.”
“Anche se…”
“Tu non avresti mai potuto amare uno così.”
“Perché no?” S’informò, cercando di percepire dal rossore di Scott la risposta che avrebbe tenuto nascosta.
“Perché avresti sofferto come tutte le sue ex e la cosa peggiore che qualcuno può farti è quella di gettarti via.”
“La storia di Gwen e Trent è molto simile.”
“Tu mi amavi quel giorno?” Chiese con una strana luce nello sguardo.
“Io…”
“L’ultima verità, se così posso definirla, che ti ho tenuto nascosta è che io non ti amo da quest’anno o da quello passato. È da quando siamo entrati alle superiori che sento qualcosa di strano nel mio cuore e se anche tu mi amassi da poco, lo accetterei comunque.”
“Dalla storia di mio padre.” Confermò lei con semplicità.
“Hmm?”
“È da quando mi hai consigliato di parlare con mio padre che ho cambiato opinione su di te, ma ho dovuto aspettare il festival e poi il viaggio in montagna per essere sicura dei miei sentimenti nei tuoi confronti.”
“Anche quella volta abbiamo passato la notte insieme.” Ridacchiò Scott, facendola arrossire.
“Se ti fossi approfittato della situazione, non avrei mai accettato i tuoi sentimenti.”
“Ho fatto la scelta più giusta.”
“Rispettando i miei tempi e mantenendo la calma sei riuscito a entrare nel mio cuore.” Soffiò, posandosi una mano sul petto.
“Dawn…”
“Seppur fossi stanca e arrabbiata, tu mi hai salvato e mi hai fatto provare una gioia immensa.”
“Solo nello stringerti?” Domandò sorpreso.
“In sé un abbraccio non sarebbe una gran cosa, ma tra le tue braccia mi sentivo al sicuro e non avrei mai voluto svegliarmi.”
“Vorrà dire che ripeteremo l’esperienza.”
“La ripeteremo quando uno di noi si sentirà solo e in particolare questa notte.”
“Ma io mi sento sempre solo quando non ci sei.” Protestò, attaccandosi alle labbra di Dawn e donandole un nuovo bacio.
“Se fai il bravo non sarà l’ultima notte che passeremo insieme.” Affermò dopo essersi staccata dal ragazzo, afferrando il telefono e parlando con la madre che non fece troppe storie per quella serata che avrebbe passato con Zoey.
Quella era solo un innocente bugia atta a premiare un ragazzo che mai si era arreso pur di renderla felice.
Per una volta gli avrebbe dato ciò di cui aveva disperatamente bisogno.
Era quasi mezzanotte quando si ritrovarono nel loro letto formato da 2 singoli e iniziarono a solleticarsi e a punzecchiarsi per poi crollare nel mondo dei sogni.
L’indomani Scott la ritrovò distesa a riposare sul suo petto e quella visione lo portò a stringerla ancora di più a sé.







Angolo autore:

Ryuk: Rocchi dovresti chiedere perdono per questo ritardo.

10 giorni.
Sono stato lontano così tanto tempo.
E non vi garantisco, almeno in tempi brevi, di poter essere puntuale.

Ryuk: Perchè?

Te lo dico con una parola: TRASLOCO.

Ryuk: E dove andiamo di bello?

Non noi.
Sto aiutando un mio cugino che va a convivere con la sua ragazza a traslocare e sono impegnato nell'impacchettare gli scatoloni, nel portarli nella nuova casa e così via.
Tra qualche giorno dovrò pure uscire con loro per installare l'impianto stereo.

Ryuk: Come ti sei fatto fregare?

Premio finale: 50 euro e una bella cena.

Ryuk: Non sei poi così tonto.

Venerdì credo di finire la storia: loro dovrebbero andare a vedere un ultimo mobile e mi hanno concesso il pomeriggio libero.
Leggo il capitolo, lo corrego e lo metto giù.

Ryuk: Potresti almeno scusarti.

Chiedo scusa per questa situazione.
Non sapevo di doverli aiutare fino a quando mia zia non mi ha chiesto il favore ed è stata una sorpresa anche per me.
Spero vivamente che la storia continui a interessarvi e che questa prima pseudo conclusione possa avervi reso felice.
Alla prossima!

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Capitolo 32
*** Cap 32 ***


15 anni dopo
 
Quella sera Dawn era rientrata  a casa dal suo solito giro con incolpevole ritardo.
Suo padre, ancora avvocato in carriera, l’aveva informata che si sarebbe concesso con la moglie un bel viaggio in crociera, affermando che sarebbe stato come il secondo viaggio di nozze che, per un motivo o per un altro, non erano mai riusciti a sfruttare.
Negli anniversari che avevano festeggiato, mai si erano lanciati all’avventura e si erano sempre concessi una cenetta romantica, un bel brindisi e una lunga serata d’amore.
Per una volta, però, era riuscito a liberarsi dagli impegni opprimenti del suo ufficio e aveva prenotato un 3 settimane tra le spiagge migliori dell’intero Stato.
La consorte era stata dapprima dubbiosa per quell’iniziativa insolita e poi si era fatta contagiare, preparando in tempo zero bagagli e quant’altro.
Essendo uscita con quasi 20 minuti di ritardo dalla sua vecchia abitazione, aveva tardato anche al supermercato dove era rimasta in fila a causa dei tanti operai che avevano appena finito il loro turno in fabbrica e che passavano per acquistare la cena.
Il casino delle corsie unito al traffico intenso delle strade centrali l’avevano portata a rientrare appena 10 minuti prima del suo uomo.
Aveva appena fatto in tempo a sistemare le buste con le spesa e a salire in camera che i suoi occhi scivolarono su alcune foto che aveva appoggiato sul comò.
Erano tre ricordi che raffiguravano i momenti più intensi della sua vita e a cui ben presto avrebbe aggiunto qualcosa in più.
La prima, a partire da sinistra, rappresentava la foto del quarto anno delle superiori.
Era stato un anno difficile, Dawn lo ricordava bene.
C’era stato il problema di Carrie che non riusciva ad ammettere il suo amore per Devin e che era entrata nel club di Volontariato per chiedere consiglio.
Un club che, a sentire Bridgette e Geoff, era ancora in piedi e che contava al suo interno almeno 5 affiliati. Dawn era rimasta meravigliata di sapere quanto fosse cresciuto quel piccolo club, anche se il merito era da ricercare proprio in Bridgette che, in qualità d’insegnante d’educazione fisica, aveva raccolto fondi per promuoverne l’attività.
Se ben ricordava anche il caro Geoff aveva partecipato allungando un bel centone e presenziando, quando il lavoro glielo concedeva, alle feste della sua vecchia scuola.
Era solo merito loro se in tanti potevano trovare conforto e potevano risolvere i piccoli problemi che parevano insormontabili. Alcune ragazze avevano gli stessi dubbi di Carrie e Dawn sapeva che la Presidentessa del club avrebbe fatto di tutto per portare avanti il loro credo.
Carrie quel pomeriggio aveva osato, aveva cucinato, aveva pure accettato il suo enorme difetto ed era riuscita a fare breccia nel cuore del suo bel capitano.
L’ultima volta si erano incrociate mesi prima e Carrie le aveva confidato che, senza l’aiuto del verme, lei non sarebbe mai stata felice.
Nel dirlo stringeva la manina di una bambina che fissava il mondo con gli stessi occhi del padre e che si divertiva con la medesima allegria. 
Dimenticatasi di Carrie, aveva ricordato Harold.
Lui, al contrario, non era stato molto fortunato.
Per un assurdo motivo era diventato uno scrittore dalle discrete potenzialità, ma la sfortuna aveva bussato con veemenza sul vetro della sua macchina.
Una sera, di ritorno da una conferenza, per evitare un ciclista, si era schiantato contro un albero ed era spirato, lasciando sul lato passeggero un ultimo manoscritto che, pubblicato postumo, ebbe un successo tale da mettere d’accordo ogni critica: il suo canto del cigno non poteva mancare dalle migliori librerie cittadine.
Avevano pianto a lungo nell’apprendere quella notizia, anche se Harold non avrebbe mai voluto essere ricordato con singhiozzi e lacrime.
Quell’anno e la visione di quella foto, si era conclusa con il festival e con una Heather che era rimasta la solita orribile manipolatrice.
Almeno l’Università aveva limato parte del suo carattere e l’aveva spinta tra le braccia di un bel tenebroso che sembrava proprio la sua metà.
Alejandro, questo il suo nome, era riuscito a far dimenticare alla sua regina il suo odio per Beth e Lindsay e l’aveva convinta ad andare a convivere. O almeno era questo che Dawn aveva sentito dire dalla ragazza di Tyler, prima che quest’ultimo appendesse gli scarpini al chiodo al seguito di un brutto provino.
Non aveva colpito gli organizzatori e si era fatto fregare da Ryan che con la sua abilità aveva strappato un contratto assai vantaggioso.
 
Dawn spostò, quindi, lo sguardo, verso la foto più a destra di tutte.
Era il ricordo del diploma e legata alla cornice vi era una medaglia a cui, di tanto in tanto, dava una leggera spolverata.
Questa volta le fu più semplice ricordare altre figure di riferimento del club.
Ai suoi occhi cadde subito la figura del corpo professori. In alto, proprio in cima alla scalinata, vi era il Preside che, con il suo sguardo severo, osservava i ragazzi che si apprestavano a diventare gli uomini e le donne del domani.
Dawn era pronta a scommettere di averlo visto, durante la cerimonia di consegna dei diplomi, sofferente e con gli occhi lucidi.
Il vecchio Trevor, seppur sommerso dalle scartoffie del suo ufficio, era riuscito a destreggiarsi ed era felice di consegnare alla comunità dei ragazzi che, pur essendo vivaci e immaturi, potevano migliorare la vita di tutti.
Vicino a lui, intenti a confabulare tra loro, vi erano Chris McLean, Blaineley Andrews O'Halloran e Chef Hatchet.
I primi due, durante un’assemblea svoltasi nell’auditorium e con la presenza di tutti gli studenti, avevano confermato le ultime voci sul loro conto, esternando i propri sentimenti e dichiarandosi amore eterno.
A molti ragazzini era sembrata assurda e troppo smielata quella mossa, ma gli anni passati insieme li avevano spronati a fare il grande passo, zittendo tutte le chiacchiere che riempivano i corridoi. Con il matrimonio verso fine settembre, cui Dawn era stata invitata più che volentieri, avevano coronato il loro sogno.
Come testimoni Chris aveva scelto il Preside stesso, in una mossa da puro lecchino, e Chef che, per una volta, aveva abbandonato il suo arcinoto caratteraccio e aveva presentato al mondo intero la signora Hatchet. Non essendosi mai impegnato con nessuno e data la sua vicinanza a Chris, per molti, era valida la credenza che i due fossero legati dal classico filo rosso del destino. Spento l’ardore di alcuni irriducibili che li vedevano come una coppia a tutti gli effetti, il vecchio Hatchet, dopo aver testimoniato per l’amico, aveva ripreso in braccio il piccolo DJ.
Solo con il passare degli anni, Dawn era venuta a conoscenza di altre evoluzioni nella sfera privata dei suoi ex professori.
Chris era stato promosso di grado, diventando Preside e la prima cosa che aveva deciso, fu quella di confermare la consorte come insegnante dell’Istituto.
La nascita della piccola Serena e quel nuovo impiego di responsabilità, lo portò ad essere ancora più attento ai bisogni dei suoi studenti, facendosi affiancare dalla figura dell’amico nelle decisioni più importanti.
Amava affermare che quella scuola sarebbe potuta essere quella di sua figlia un giorno e non voleva abbandonare la struttura al degrado cittadino.
Chi non era stato troppo fortunato, però, era una delle sue migliori amiche.
Zoey non aveva vissuto un bel periodo e, suo malgrado, il tutto si fermava a qualche anno prima.
Se Dawn avesse saputo che quel dannato 2016 era un anno malato, allora avrebbe pregato di saltarlo senza ripensamenti.
Anche lei se ne era andata.
Mike era scappato in Canada dalla sua Anne Marie, facendo naufragare Zoey che si era spostata come un’ape da una relazione all’altra senza mai conquistare la felicità.
Aveva iniziato con qualche semplice birra, per poi darsi ai super alcolici e continuare ad ammazzare il dolore nell’alcool.
Una volta era andata pure in coma e da lì era stato tutto un viaggio verso il baratro.
Tentativi di riabilitazione nei ritrovi degli alcolisti anonimi, il primo uso di droghe e un arresto per possesso di eroina.
Tutto prima dell’epilogo che macchiò il ponte cittadino.
Harold in marzo e Zoey in pieno ottobre.
Dawn ricordava vagamente quel giorno e le stupide illazioni di alcuni giornalisti che affermavano si trattasse di una drogata. Se mai avessero passato ciò che lei aveva vissuto negli ultimi due anni, forse non si sarebbero mai lanciati in un’arringa tanto menzognera quanto letale.
Solo del quotidiano locale, il Gauge, aveva custodito il ritaglio di giornale che riportava la notizia con un minimo di delicatezza.
Per giorni aveva pregato che un miracolo la potesse restituire al calore dei suoi genitori e dei suoi pochi conoscenti, ma poi avevano rinvenuto il cadavere dell’amica, spappolatosi contro il fondale e trascinato via dalla corrente.
Al sentire l’opinione di Chris, presente ad entrambi i funerali, i suoi studenti erano dei bravi ragazzi che avrebbero meritato la stessa felicità di tutti i suoi ex allievi. Quella felicità che avevano colto con spensieratezza e che avrebbero passato alle future generazioni nel classico ciclo della vita.
Per alcuni, però, quella rosa rossa piena di spine sarebbe rimasta al suo posto e sarebbe finita con il seccarsi.
 
Dawn spostò ancora lo sguardo e si concentrò su altre figure presenti nella foto.
Quel giorno anche Don era stato invitato a partecipare alla grande cerimonia di consegna dei diplomi e con lui, sotto pressante richiesta di Chris, vi era anche la piccola Scarlett che fu felicissima di scattare una foto in compagnia dei suoi amici liceali e che poi la convinse ad ammettere una piccola e tenera verità: lei era la nipotina di Don.
Il vederla lontana e senza amiche aveva spinto lo zio, durante il campeggio, a chiedere aiuto all’amico Chris e i suoi sforzi, le sue capacità e alcune ottime raccomandazioni gli avevano consegnato, qualche anno più tardi, una bella promozione.
Era passato ad insegnare a quelli delle medie e, per uno strano scherzo del destino, la sua adorata nipote era passata tra le grinfie di Blaineley che coltiva la sua intelligenza come un fiore.
In quell’immagine c’era tutto.
Amore, felicità, gioia, ma anche qualche lato negativo, enfatizzato dalla presenza di alcuni loschi figuri che erano stati intrappolati in quel ricordo controvoglia.
Crimson, Ennui e Loki erano stati beccati proprio all’ombra di una grande colonna e si ritrovarono nella mente di Dawn che cercò di ripescare il loro ricordo.
Se ben ricordava i tre avevano viaggiato a lungo per poi accasarsi in un maniero abbandonato nella vecchia Europa, dove secondo la leggenda vi erano fantasmi, lupi mannari e vampiri a quantità industriale.
E comunque non erano stati gli unici ad innamorarsi dell’Europa.
Anche Duncan e Courtney si erano trasferiti lì con il chiaro intento di sfondare in campo musicale.
A fatica uscì il loro primo album, presto seguito da altri dischi che scalarono le posizioni delle classifiche, donandogli una vita piena di speranze.
Avevano fantasticato a lungo sulla possibilità di sposarsi e di avere un bambino insieme, ma avevano sempre rinviato per i vari tour che chiedevano la loro presenza.
Viaggi ed esibizioni che i pattinatori compivano senza sforzi e che li portavano a fare incetta di medaglie, prima che lei non si ritrovasse infortunata e non dovesse rinunciare alla partecipazione alle Olimpiadi.
Un infortunio alla caviglia aveva troncato parte del loro sogno e la carriera singola per Jacques sarebbe stata ricordata solo per un bronzo in una competizione regionale.
Con l’impossibilità di tornare a esibirsi in coppia, appesero ben presto gli scarpini al chiodo, anche se il loro ritiro era dettato dai postumi della frattura e nella difficoltà di seguire un allenamento all’altezza dei loro standard.
Oltre a volti noti, vi erano anche compagni che Dawn non ricordava più.
Alcuni erano proprio spariti dai loro radar, quasi fossero stati risucchiati da una qualche voragine apertasi sul loro cammino.
In mezzo a tutta quella confusione vi erano 2 volti che non si vedevano da un po’ in giro.
Gwen si era laureata e, stando ai pettegolezzi di Lindsay, aveva dato una possibilità a Trent, affermando che era solo colpa di Mike se non si era mai arrischiata in quel modo.
Si erano sposati, anche se una volta erano stati vicino al divorzio, salvo poi chiedere aiuto a un’agenzia per recuperare il loro matrimonio.
Con fatica e con qualche centinaio di dollari se l’erano cavata ed erano usciti indenni, facendo sospirare Gwen che continuava a incolpare quell’idiota di Mike.
Un’ultima occhiata all’amica scomparsa e al bastardo cui si era avvinghiata, convinta poveretta di poterlo amare per tutta la vita senza timore, e Dawn spostò il suo sguardo triste e deluso verso la foto centrale.
 
Dawn non riusciva ancora a credere che quella foto fosse reale.
Si sfiorò le dita e poi cercò di ricordare, incurante del cigolio che aveva riempito la stanza, come si fosse fortificato quell’amore, nato in una semplice aula di club.
In quell’immagine era vestita di bianco.
Una dea: così era stata descritta, quando le sue labbra tremuli l’accolsero quel giorno.
Aveva sognato a lungo quella foto.
Una foto da scattare insieme e con la gioia di un’intera famiglia che non vedeva l’ora di sorridere dopo tutte le lacrime versate.
Anche lui stava finalmente bene.
I fantasmi del passato erano un lontano ricordo e il suo sorriso era risorto, cancellando tutta la tristezza che l’aveva sempre accompagnato
Vestito con uno dei più costosi smoking in commercio, pettinato e profumato come poche volte in vita sua e con uno sguardo tenero che sfoggiava solo in certi momenti.
Ricordava quando sua madre le aveva sistemato l’abito, sfiorandole il velo, quando suo padre l’aveva fatta salire a bordo della limousine che aveva noleggiato e quando il suo vecchio, tenendola a braccetto, l’aveva accompagna all’altare.
Nel superare la navata aveva sentito alcune ospiti affermare che il ritardo di mezzora, almeno per la sposa, era abbastanza normale.
Ma tutte quelle chiacchiere e quei commenti erano svaniti non appena aveva alzato lo sguardo e aveva visto la figura scalpitante del suo futuro marito.
Il padre l’aveva sostenuta per tutto il tragitto, le aveva dato un semplice bacio sulla fronte, ultima coccola per la sua bambina, e aveva rivolto un pensiero al suo futuro genero.
Un qualcosa simile a “Lei è la mia bambina, abbine cura.”.
Fu quando la cerimonia ebbe inizio e quando si ritrovarono vicini, che cominciarono a guardarsi di sottecchi, bisbigliando, durante i canti, che presto sarebbero stati una cosa sola.
Dawn, nemmeno con la cresima o con la comunione, aveva mai aspettato una cerimonia con tanta impazienza come quella volta.
A fatica aveva ascoltato le ultime parole del prete e lui le aveva abbassato il velo, mostrando al mondo la bellezza che stava sposando.
Non ascoltò nemmeno il classico “Vi dichiaro marito e moglie, ora può baciare la sposa” che Dawn si fiondò sulle labbra dell’uomo che aveva scelto.
Ricordava i volti sbigottiti dei presenti.
Il sorriso soddisfatto della suocera che annuiva divertita e che teneva in braccio un’adorabile creatura.
Ricordava lo sguardo della sorella, le pacche che donava a Scott e le congratulazioni di Lucas che stringeva la mano del primogenito che era venuto al mondo con tanta rassegnazione, dato che Alberta aveva avuto 2 aborti spontanei.
Scott, in tutto questo, si era distratto per pochissimi secondi.
Subita l’onda della passione di Dawn, aveva tirato a sé la sua sposa e l’aveva baciata di nuovo, facendo scattare un applauso.
“Sei mia finalmente.” Soffiò dopo essersi staccato.
“Sono sempre stata tua, Scott.”
“Grazie per avermi cambiato.”
“Scott…”
“Ne riparleremo quando saremo soli.” Borbottò prima di ritrovarsi sommerso di riso e prima di scappare nella limousine.
Avevano scelto qualcosa d’intimo e il ristorante rispecchiò i loro gusti.
Prima, però, di iniziare con un pranzo sontuoso, si ritrovarono nella casa di lui dove si cambiarono d’abito.
Rimasti soli, si guardarono negli occhi e si sorrisero così come avevano imparato a fare dopo tanti anni.
“Mi piaci tanto, Dawn.”
“Io…”
“Vorrei solo essere metà dell’uomo che sognavi da bambina.”
“Hai ancora paura?”
“Non scapperò mai da te, ma l’abbandono mi terrorizza.”
“Sei come un cucciolo.” Mormorò, facendolo arrossire.
“E tu?”
“Io mi fido di te.” Affermò, avvicinandosi e stringendolo da dietro.
“Si direbbe che tu voglia passare al sodo.”
“Voglio solo averti per me.”
“Questa sera vedrò di accontentarti.” Soffiò, girandosi nella sua direzione, baciandola di nuovo e lasciandole il desiderio che fosse già il momento di consumare la loro prima notte di nozze.
 
Dawn socchiuse gli occhi e sospirò profondamente.
Si chiese se era questo quello che aveva sempre sognato e annuì senza ripensamenti.
Allungò le dita e sfiorò la figura che sorrideva radiosa e che 8 anni prima le aveva chiesto di diventare sua moglie.
L’aveva visto inginocchiarsi, credendo avesse bisogno di allacciarsi le scarpe, ma fu quando comparve la scatolina e l’anello luccicante che si sciolse come neve al sole.
Senza nemmeno aspettare di sentire la fatidica domanda, si era abbassata al suo livello e l’aveva baciato appassionatamente.
Per un istante era stata rimproverata per quella tradizione che non aveva rispettato, ma poi Scott aveva iniziato a solleticarla e a farla ridere.
“Guardi ancora la nostra foto?” Chiese una voce, facendola sobbalzare.
“Mi hai fatto prendere un colpo.”
“Credo di essere arrivato un po’ in anticipo.” Ammise, avvicinandosi lentamente.
“In anticipo?”
“Speravo di vederti nuda.”
“Sei un maniaco.”
“Ti sbagli…sono solo tuo marito.” Borbottò il rosso, baciandola dietro al collo.
“Tutto bene al lavoro, caro?”
“Le solite cose.” Nicchiò, cercando di lasciare il suo lavoro, le sue ansie e le sue preoccupazioni fuori casa.
“Credevo mi parlassi della tua bella segretaria.”
“L’unica bella di cui parlerò, sarai sempre tu.” Sbuffò, staccandosi controvoglia dalla moglie e togliendosi la giacca.
“Ne sei sicuro?”
“Ho smesso di mentirti dalle superiori.”
“Davvero?” Domandò con curiosità, mentre Scott si sedeva sul letto per riprendere fiato dopo una lunga ed estenuante giornata e per rilassarsi qualche minuto.
“Mi stai provocando.”
“Le bambine cattive devono essere punite.” Ridacchiò divertita.
“Potrei anche sculacciarti.” Borbottò lui, mimando il gesto.
“Non ci riusciresti.”
“Perché no?”
“Perché mi ami troppo per farmi del male.” Replicò, sorridendo furbescamente.
“Come sempre hai ragione.”
“Anche se sto aspettando di sapere se hai avuto quel permesso di cui parlavamo ieri.” Protestò lei, facendolo riflettere per un breve istante.
“Il vecchio non era felice della mia richiesta, ma ha deciso di accontentarmi e di mettermi in ferie per qualche giorno.” L’informò, vedendola rallegrarsi.
“Era anche ora, dopo due anni ininterrotti di lavoro.”
“Ora, però, vorrei sapere come posso migliorare la tua giornata, Dawn.” Mormorò, vedendola sorpresa per quella richiesta insolita.
“Sapere di poter stare con te mi è sufficiente.”
“Ma spesso brontoli per il mio disordine e per le pulizie.” Le fece notare, facendola sospirare rassegnata.
“Vorrà dire che mi aiuterai e poi ci concederemo qualche attimo di svago.”
“Da quando sei così intraprendente?” Domandò, abbozzando un sorriso e scrutando la consorte che stava indossando uno dei vestiti lunghi con spacco che tanto adorava.
“Da quando stiamo insieme, carino.” Ammise, facendo scendere il silenzio.
Dawn non si aspettava che lui rimanesse in quel modo.
Credeva di sentirlo ribattere o di avvertire i suoi passi felpati per un abbraccio.
Invece lo sentì solo togliere la camicia per indossare qualcosa di pulito e molto più confortevole per quella serata.
Fu solo quando la lancetta dei minuti percorse 5 volte lo stesso giro che Scott ritrovò il coraggio per riprendere a parlare.
“Dawn…”
“Sì?”
“Guardavi ancora la nostra foto?” Ripeté a distanza di qualche minuto, diventando serio all’improvviso.
“Mi piace troppo.”
“Vorrei chiederti una cosa.” Mormorò Scott, cercando di calmare l’amarezza che lo stava attanagliando.
“Cosa c’è? Mi stai facendo preoccupare.”
“Io ti amo tanto.” Ammise, sciogliendosi del tutto e iniziando a singhiozzare.
“Perché stai piangendo?”
“Ogni tanto credo di non meritarmi tutto questo.”
“Non è vero.”
“Ho sposato una donna che credevo di non meritarmi, che mi ha dato la gioia immensa di avere una famiglia e che mi ha fatto diventare un uomo migliore.”
“Scott…”
“Non credevo fosse possibile, non dopo quello che ero diventato a causa di mio padre.”
“Ma perché…”
“Io ti sarò sempre fedele e non mi comporterò mai come mio padre.” Singhiozzò, abbassando la testa.
“Non piangere.”
“Una volta volevo conoscerlo e ricostruire la mia famiglia…come hai fatto tu, ma ho sbagliato nel crederlo possibile.”
“Ti prego…” Mormorò Dawn, sedendosi al suo fianco e sperando che lui la smettesse di farsi del male.
“Io amo tutto della famiglia che stiamo costruendo.”
“Allora perché dici queste cose?” Replicò, mentre anche i suoi occhi si riempivano di lacrime.
“È più forte di me.” Affermò, guardandola di sottecchi e notando quanto fosse nervosa.
“A volte sei così ingiusto.” Sbuffò, asciugandosi il viso.
“Io amo la nostra felicità.”
“Anch’io.”
“Ricordo la mia proposta di matrimonio alla cena del tuo compleanno e di come ti sia buttata tra le mie braccia.”
“Dovresti smetterla di…farmi piangere.” Lo rimproverò, afferrando un fazzoletto, asciugando il suo viso dalle lacrime e facendolo sobbalzare.
“La smetto solo per non farti soffrire.”
“Lo dici tutte le volte.”
“Questa volta proverò a impegnarmi.” Promise, concentrandosi sugli occhi della moglie.
“Sai che abbiamo bisogno di te.”
“Non farò mai nulla per ferire te e i nostri cuccioli.”
“Eh?”
“Come posso lasciarti da sola con quelle canaglie?” Domandò Scott, restituendole un sorriso spensierato.
“Non puoi infatti.” Rispose Dawn, accarezzandosi il ventre.
“Voglio tutta la felicità che ho sempre sprecato.”
“Resteremo sempre insieme.” Promise la donna, sfiorandogli la mano.
“È una promessa.”
“Anche se non mi hai ancora detto dove sono i bambini.” Protestò Dawn, mettendosi in piedi e porgendo un aiuto al marito che l’accolse volentieri.
“Ho portato Lucy e Flash da mia madre.”
“Poveretta.” Commentò lei, facendolo sorridere.
“Avresti preferito che zia Alberta ammattisse con 5 bambini per casa?”
“Sono 4.” Lo corresse con un pizzico di fastidio.
“Con Lucas fanno 5.”
“Hai ragione.”
“E poi ci meritavamo una cena in santa pace.” Commentò l’uomo, facendola annuire.
“E tua madre?”
“È molto brava con i bambini e poi le ho promesso di passarli a prendere domani pomeriggio, sempre che non ci serva qualche giorno in più per aumentare il numero dei nostri giochi.”
“Mi hai fatto diventare una madre degenere.”
“Madre degenere o meno ti consiglio di prepararti.” Soffiò Scott.
“Per cosa?”
“Questa cena sarà particolare.”
“Non mi dirai che sarà solo un antipasto.” Tentò Dawn, incontrando un suo sorriso.
“Il meglio verrà poi.” Ridacchiò, facendola annuire.
“L’avevo intuito.”
“Io so sempre come sorprenderti.”
“Ma davvero?” Domandò lei con una nota di sarcasmo.
“E poi non c’è mai nulla che mi sfugga.”
“Allora non ti sarà sfuggito il fatto che sono ancora incinta.” Borbottò Dawn, facendo restare di stucco il marito, il quale, ripresosi da quel momento di sconcerto, la sollevò, come una piuma, e l’adagiò sul letto per riempirla di baci.
Questa era l’ennesima sorpresa che Scott non si sarebbe mai aspettato.
Perché in quei lunghi anni aveva imparato una cosa: la vita era una sorpresa costante, condita da delusioni e da momenti imperfetti, ma sempre destinata a regalarti la meritata felicità.
E quella felicità, per lui, era Dawn.




Angolo autore:

Ryuk: È finita.

La storia più lunga che abbiamo mai prodotto nella nostra esistenza.

Ryuk: Io sono eterno e ne ho viste di storie.

Adesso mi dirai che hai conosciuto qualcuno alla pari di Dante.

Ryuk: Precisamente.

Siamo soddisfatti di come è andata questa serie.

Ryuk: Quasi 110 recensioni non è un risultato così malvagio.

Ringraziamo vivamente tutti coloro che hanno seguito, recensito e aggiunto la storia tra i preferiti o altro ancora. Mi sono divertito molto ad aggiungere alcuni capitoli che non dovevano entrarci.

Ryuk: Facciamo fatica a incastrare troppi eventi insieme.

Immagino che in molti avrebbero voluto più personaggi o che qualcuno comparisse più volte.
Alla fine gli unici fortunati ad avere più gettoni di presenza sono stati Mike e Zoey (futuro pessimo a parte), Bridgette e Geoff.

Ryuk: Ci spiace per Harold e Zoey, ma siamo andati a estrazione.

Sembra crudele, ma escludendo i protagonisti, ho messo i nomi maschili in un vasetto e ho estratto un nome per la sfortuna più nera.
Stessa cosa si può dire per le ragazze.

Ryuk: Ultimo appuntino.

Immagino che vogliate sapere chi sono i personaggi che sono stati aggiunti solo poche ore prima dei rispettivi capitoli e ciò è presto detto.

Ryuk: Ryan, Tyler, i pattinatori, i gotici e George (lo stalker di Alberta) sono comparsi per puro caso.

Ryuk ha dato voce al suo ultimo appunto. Il mio ultimo appunto è ben diverso. È una parte più contorta della trama.
Immagino voi ricordiate la gita in montagna e il casino che era venuto fuori. La mia idea era molto più elaborata, ma anche più difficile.
Sono stato veramente in difficoltà per cancellare quella parte che alla lunga rischiava di diventare troppo fastidiosa.

Ryuk: Stiamo parlando di amnesia.

Secondo il mio piano (poi naufragato per la difficoltà, anche se non è detto che in futuro non mi decida a usare tale possibilità in una nuova serie che per il momento non coincide con questa idea), Scott doveva farsi aiutare da Duncan a salvare Dawn, ma, nel farlo, il rosso sarebbe scivolato, avrebbe sbattuto la testa contro un masso (fantasia a go-gò) e avrebbe perso la memoria.
Da qui un percorso lungo ed eterno per fargli tornare la memoria e un qualcosa che non sapevo come sviluppare nelle parti finali.

Ryuk: Prima di salutarvi e di accogliervi in una prossima seria (rocchi vedi di scrivere Moment che altrimenti ci uccidono), vi lasciamo con una piccola domanda.

Letto il finale attuale e quello ipotetico quale vi sarebbe piaciuto di più?
Quali personaggi avreste voluto vedere (tipo Owen, Leshawna...)? Quali avete amato di più? O anche odiato?
Quali avrebbero dovuto morire al posto di Harold e Zoey? Ho fatto bene a considerare solo un uomo e una donna per questo finale?
Dovevo aggiungere qualche sfortunato in più?

Ryuk: Speriamo di ricevere tante belle risposte.

Credo che questo sia l'angolo autore più lungo di sempre.
Lo è solo perchè è stata la mia storia preferita.
Ci ho lavorato tanto (almeno 6 mesi) e sono sempre stato attento (o almeno ci provavo) a correggerla e a migliorarla.

Ryuk: La fatica è stata ripagata.

Ci scusiamo per qualche ritardo imprevisto (la serie sarebbe dovuta finire, secondo i miei calcoli, per i primi di novembre, ma tra un problema e un altro l'ho tirata per le lunghe)
Ora vi salutiamo.
Vi auguriamo un buon week-end e non prendete impegni per il prossimo martedì perchè...

Ryuk: Another Moments sarà un qualcosa di breve e intenso.

Per chi conosce la vecchia serie di Moments si trattava di episodi (momenti appunto) abbastanza slegati, ma che in questo seguito mostreranno sempre dei momenti particolari, ma saranno molto più legati tra loro
Detto questo e ringraziandovi per consigli, commenti e recensioni vi saluto.
Un ringraziamento speciale va a Anown, Charly28, Face of fear, Dawn_Scott402 e Tirene39 che sono sempre stati molti attivi.
Alla prossima!


 

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