Sorrisi

di ornylumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorrisi ***
Capitolo 2: *** Tasselli ***



Capitolo 1
*** Sorrisi ***


Sorrisi

 
(missing moment 3x12)

Procedevano in quel modo da alcune ore. Su una strada dritta e sempre uguale, tanto lunga da sembrare infinita, stipati in quella strana carrozza gialla che, un anno prima, aveva condotto Emma e Henry fuori dal confine della città, lontani dalla famiglia e dai loro veri ricordi. Adesso, in circostanze opposte, li stava riportando a casa: la differenza era in un ospite in più su uno dei sedili, e nel fatto che non tutti i presenti avessero piena coscienza di cosa stava succedendo. Qualcuno, anzi, era stato strappato dalle sue abitudini in maniera tanto repentina quanto sospetta, e non aveva mancato di esternare i propri dubbi fin dall’inizio di quel viaggio.

In altre parole, il ragazzino l’aveva riempito di domande. Voleva sapere chi era, da dove veniva, cosa faceva nella vita e di quale caso dovessero occuparsi. Non era stato semplice tenergli testa, bisognava ammetterlo: nei momenti in cui l’aveva messo in seria difficoltà con i termini tipici del suo mondo, era stata Emma a intervenire, inventando scaltramente bugie che erano anche delle mezze verità. Mentire a suo figlio le pesava, era evidente dal tono di voce e dallo sguardo spento, ma sapeva di star facendo la cosa giusta nonché l’unica possibile. Era lo sceriffo a parlare, la donna tenace che aveva imparato a farsi scudo da sola mettendo da parte le proprie fragilità, affinché Henry non dovesse mai bastare a se stesso com’era stata costretta a fare lei. Killian aveva imparato a conoscere questo lato di Emma dal giorno in cui l’aveva incontrata, quando aveva riconosciuto nei suoi occhi ciò che tutti i bimbi sperduti condividono: l’amarezza di essere cresciuti da soli. Ciò che non le aveva detto, allora, era che quella consapevolezza non gli veniva solo dall’aver incontrato decine di orfani sull’Isola Che Non C’è; lui stesso era stato un bambino abbandonato e, come tale, aveva avvertito un’immediata connessione con lei. Era lo stesso motivo per cui, quando intravedeva il dolore e la solitudine dietro la maschera della leader, avrebbe voluto essere per lei ciò che quella bambina non aveva mai avuto: qualcuno a cui appoggiarsi, la possibilità di mostrarsi deboli e lasciare che un’altra persona, per una volta, si prendesse carico dei suoi fardelli. Avrebbe voluto stringerla tra le braccia e lasciarla sfogare, ma sapeva che lei non l’avrebbe permesso; non Emma Swan, non in quel momento. O forse, come pensava negli attimi di maggiore pessimismo, non l’avrebbe mai concesso a lui.

In qualche modo, erano poi usciti da quell’imbarazzante situazione. Dopo aver appurato che Killian era un marinaio quasi perennemente in viaggio e che i dettagli di quella faccenda erano troppo complessi perché Henry se ne dovesse preoccupare, il ragazzino aveva smesso di fare domande. Si era messo a giocare con quel suo arnese dal nome impronunciabile e poco più tardi avevano sentito il suo respiro farsi pesante, segno che si era addormentato. Emma gli aveva lanciato uno sguardo carico d’amore attraverso lo specchietto e finalmente aveva iniziato a rilassarsi, pur se non aveva più parlato. Fissava la strada davanti a sé come se fosse l’unica cosa che contasse, arrivare a quella maledetta destinazione che per dovere, più che per volontà, si stava impegnando a raggiungere.

Se c’era una cosa Killian che aveva imparato, dopo i momenti vissuti a contatto di quella bellissima quanto ostinata donna, era che ad aspettare una sua mossa si rischiava di diventare vecchi. Bisognava darle una spinta, un’apertura verso ciò che entrambi volevano prima ancora che comprendesse di volerlo; per questo, anche quella volta, fu lui il primo a parlare.

“Tuo figlio non è cambiato di una virgola. Curioso e testardo come lo ricordavo! Mi chiedo da chi abbia preso…”

Emma gli lanciò solo un’occhiata veloce, prima di rispondere evitando completamente la sua allusione: “Gli ho detto senza tante spiegazioni che partivamo e che avrebbe saltato la scuola, è normale che sia confuso. E io non voglio sconvolgergli la vita più del necessario.”

“Lo so, ma se può consolarti, a me sembra sereno. Qualunque ragazzino è entusiasta di fare un viaggio, non importa da quale mondo provenga. Se non altro, sorride molto più di sua madre.”

Altra occhiata, più fugace e spazientita della precedente. Questa volta aveva colpito nel segno. “Uncino, se vuoi dirmi qualcosa, fallo e basta.”

“Dico solo che da quando siamo entrati in questa…” oh, accidenti, “macchina non hai sorriso nemmeno una volta. È così terribile per te tornare a Storybrooke?”

“Be’, scusa se non faccio i salti di gioia all’idea di tornarci in queste condizioni. Non so se troverò i miei genitori, come li troverò o se ricorderanno chi sono. Fino a ieri ero una madre con una vita normale, adesso dovrò affrontare un nuovo sortilegio scagliato da chissà quale cattivo delle fiabe. Ci farò l’abitudine, ma mi serve tempo.”

Ogni sua parola era intrisa di amarezza, e fece male. Ma tirare fuori le sue emozioni era già un primo passo. “Guarda il lato positivo… quella che ti aspetta non sarà la vita ideale, ma almeno è vera. Niente più ricordi costruiti da Regina.”

Emma aprì la bocca per ribattere e la richiuse immediatamente, come se ci avesse ripensato. Poi tagliò corto: “Ne abbiamo già parlato.” Quando esordiva così, l'argomento per lei era chiuso. Killian non insisté.

“E tu, invece? Hai quel sorriso stampato in faccia da stamattina, cosa ti rende così contento?”

Cosa? Accidenti, tutto si era aspettato meno che lei gli rigirasse la domanda. E nell’esatto istante in cui l'ascoltò, capì che aveva ragione: non si sentiva così felice da molto, molto tempo.

Che motivo avrebbe avuto per esserlo? L’ultimo anno era stato poco più che una lotta per sopravvivere, un disperato tentativo di tornare alla vecchia vita da pirata che chiaramente non gli bastava più. Si era illuso, dopo aver ritrovato la Jolly Roger, che le cose sarebbero pian piano tornate al loro posto, il tempo e l’abitudine avrebbero vinto sui suoi dolorosi pensieri e gli avrebbero fatto a guardare a quel passato come una semplice parentesi della sua lunghissima vita. Ma non era successo, mai; l’aver intravisto, anche solo per un attimo, la possibilità di dare un senso alla sua esistenza che non includesse vendetta e battaglie gli aveva reso miserabile la sua condizione attuale. L’opportunità di amare di nuovo, di tornare a essere una persona di cui suo fratello Liam sarebbe stato fiero aveva un volto e un nome, capelli dorati come la luce ed era inesorabilmente, insopportabilmente lontana da lui. Per sempre.

Aveva promesso che l’avrebbe pensata ogni giorno, sul maledetto confine di quella città. L’aveva fatto davvero. Ogni volta che il sole sorgeva o calava all’orizzonte, si era impegnato a rievocare un ricordo di lei. Non perché non lo facesse comunque, anche più di una volta al giorno e contro la sua volontà, ma per evitare che la sua mente impazzisse rivivendo sempre la stessa scena: una frase provocatoria, prontamente seguita da una risposta; le mani di Emma sul bavero della sua giacca, il suo viso di colpo così vicino; le labbra che si incontravano, dopo settimane di sguardi intensi e malcelate allusioni, iniziando una vera e propria lotta per il possesso, senza cautela o tentennamenti ma solo una straripante passione; e infine, prima ancora che lui avesse il tempo di pensare sì, è accaduto davvero, Emma era già distante, respirava a pochi centimetri dalla sua bocca come se cercasse di riprendere il controllo, prima di allontanarsi del tutto e precisare che non sarebbe più accaduto. Quel momento era stato la sua rovina, l’assaggio di qualcosa che, fino ad allora, non si era accorto di desiderare a tal punto. Credeva di volerla come aveva voluto altre donne, perché era bella, tenace e in grado di tenergli testa; pensava che un momento con lei non gli sarebbe dispiaciuto affatto, ma nel caso non fosse successo, si sarebbe semplicemente rassegnato. Quel bacio aveva rivelato quanto si sbagliasse, portando alla luce una spaventosa consapevolezza: si stava innamorando di lei. Dopo duecento anni, il suo cuore arido e annerito stava riprendendo a funzionare, e un nuovo tormento era appena iniziato.

Quel ricordo, per quanto bello, era diventato ancor più doloroso dopo che la possibilità di conquistarla era svanita con lei, insieme a ogni memoria dalla mente di Emma. Anche gli altri momenti che avevano condiviso meritavano di restare vivi, almeno dentro di lui, così non li aveva lasciati andare: la loro prima avventura sulla pianta di fagioli, quando l’aveva definita un libro aperto e le aveva fasciato una mano; lo scontro con le spade, la tentazione irresistibile di flirtare con lei e l’ammirazione provata quando Emma l’aveva sconfitto; quel giorno in ospedale, il suo tono autoritario e attraente mentre gli chiedeva di Cora; il momento in cui era tornato da lei, con quel fagiolo magico, per essere “parte di qualcosa”; quando le aveva dato la spada di Baelfire per infonderle coraggio; quando le aveva passato una noce di cocco e lei aveva sorriso; quando le aveva detto che avrebbe vinto il suo cuore, lo sguardo stupito ed emozionato che era riuscito a strapparle; e quelle lacrime sul suo viso, l’ultimo giorno a Storybrooke, che parlavano di qualcosa che poteva essere e non sarebbe mai stato, per un motivo che andava oltre la loro volontà. Quando poi i ricordi si erano esauriti, le fantasie avevano preso il loro posto, stuzzicandogli la mente con mille possibili scenari che la realtà non gli aveva ancora presentato. A volte, pensava alle piccole cose: come sarebbe stato rimanere con lei nel suo mondo, uscire una sera a cena, raccontarle della propria vita e conoscere qualcosa in più della sua; immaginava di farla ridere, cancellare i dolori del loro passato con qualche sorso di rum e una battuta allusiva che lei avrebbe finto di non apprezzare. Altre volte, si spingeva oltre e sognava una possibile evoluzione del loro rapporto: gli approcci del suo ex che si risolvevano in un nulla di fatto, perché lui le aveva fatto troppo male ed Emma non poteva dimenticarlo, né fingere di essere la stessa ragazzina ingenua che l’aveva amato anni prima. Così, una notte, i suoi passi la portavano sulla Jolly Roger e nella cabina del capitano, lasciando che i sentimenti a lungo sopiti vedessero finalmente la luce. Conoscendola, non gli avrebbe neppure parlato: si sarebbe limitata a baciarlo, un bacio lento e sensuale da togliere il fiato, diverso dal fuoco dirompente dell’Isola Che Non C’è e in qualche modo migliore, un bacio pieno di promesse. Forse, si sarebbe lasciata andare; gli avrebbe concesso di scoprire quella sua pelle perfetta e adorarne ogni centimetro, avrebbe gridato il suo nome, il suo vero nome sotto le carezze della sua mano esperta. Lui l'avrebbe trattata come la principessa che era, spingendo nell'oblio ogni giorno in cui si era sentita sola e smarrita. Ma quello, di solito, era il punto in cui era costretto a frenarsi: il sangue ribolliva di passione e tormento, il desiderio diventava rabbia e colpiva ogni cosa attorno a sé, un cassetto, un cero, un doblone delle sue razzie. Si sforzava di tornare alla realtà e convincersi che nulla di tutto ciò sarebbe successo, che lei era lontana, legata a una nuova vita e magari a un nuovo amore. Fino a quando, dopo aver bevuto al punto da sentire la testa girare, si stendeva sul letto e la vedeva lì, di nuovo, seduta in un angolo della cabina; il suo sorriso dolce e beffardo, quello scuotere il capo con aria scettica come a volergli dire: “credevi davvero che bastasse così poco a dimenticarmi?” Allora si rassegnava, voltandosi verso la parete e abbracciando il suo corpo invisibile, pronto a calarsi nei sogni che avevano ancora come protagonista lei.

Quello era stato l'anno del prode Capitan Uncino nella Foresta Incantata, un uomo che aveva sperimentato sulla propria pelle cosa voleva dire essere stato un eroe e tornare un cattivo, un guscio vuoto senza più l’anima. Solo quando quell’uccello si era avvicinato alla sua nave, portando con sé un messaggio e una pozione, la realtà era tornata ad avere un senso: finalmente aveva di nuovo un obiettivo, uno di cui gli importasse davvero. Se c’era anche solo una speranza di riunire il suo destino a quello di Emma, allora l’avrebbe inseguita ad ogni costo, non importava quanto alto. E l’aveva fatto: ciò che di più caro possedeva era stato sacrificato in suo nome, ma rivederla sull’uscio di quella porta era bastato a ripagarlo di tutto. Certo che era felice, dunque, di trovarsi lì con lei, poterla di nuovo guardare e toccare e imprimersi nei suoi ricordi. Davvero non lo capiva? Forse sì, ma ammetterlo avrebbe causato una voragine a quei muri dietro i quali si proteggeva. Non stava a lui sgretolarli, non in una maniera così netta che avrebbe potuto destabilizzarla.

“Be’, non è ovvio? Sono un pirata, tesoro. Vivo di avventure, e cosa c’è di meglio di una visita a una città incantata senza avere la minima idea di cosa ci aspetta? In più, sono con la salvatrice: ho praticamente la vittoria in tasca.”

Emma si voltò di nuovo, questa volta distogliendosi dalla strada più a lungo per scrutare le sue espressioni. Se capì che stava mentendo, non lo diede a vedere.

“Vorrei avere il tuo stesso ottimismo” disse soltanto. Nessuno stimolo o alzata di sopracciglio sembrava avere effetto sul suo umore.

“Ce la farai, Swan, come sempre. Ti avevo detto che avresti salvato Henry da Pan e così è stato. Devi solo avere fiducia.”

Emma strinse le labbra, in un gesto che non era propriamente un sorriso ma assomigliava a un tentativo di farsi forza. Dopo qualche istante di silenzio, aggiunse: “A proposito… credo di non averti ancora chiesto scusa. Per averti fatto arrestare e… per il calcio.”

Per un momento, Killian fu così sorpreso che non seppe come risponderle. Non ci pensava neanche più a quelle reazioni, anzi, le aveva considerate normali data la situazione in cui erano. Doveva essere serio o stuzzicarla? Gli stava servendo la battuta su un piatto d’argento… e un gentiluomo non poteva rifiutare una così gentile offerta.

“Oh, questo è interessante. Quindi, la prossima volta che ti bacerò non dovrò aspettarmi nessun contraccolpo violento?”

Lo shock di Emma sembrò riversarsi anche sul veicolo, che sobbalzò durante la corsa. “Non ci sarà una prossima volta! Ho recuperato i miei ricordi e tu non hai più scuse.”

“Ma io non ho bisogno di scuse per baciarti, Swan…”

“Ah, no? Eppure ricordo una certa richiesta di ringraziamenti dopo aver salvato mio padre. Una richiesta specifica.”

“Felice di notare che la tua memoria è tornata perfettamente. Ma quella scusa non serviva a me… serviva a te.”

Lo scrutò ancora sotto le sue lunghe ciglia, incredula davanti a ciò che aveva appena ascoltato. Forse era un pazzo o un masochista, ma adorava sorprenderla e farla anche un po’ arrabbiare. “Cosa vuoi dire?”

“È semplice, tesoro. Per quanto ti ostini a negarlo, sappiamo entrambi che non sei mai stata indifferente al fascino del qui presente pirata… non lo eri sull’Isola Che Non C’è e tantomeno prima. Ma naturalmente, sarebbe stato poco appropriato saltarmi addosso mentre eravamo impegnati a cercare tuo figlio. Quello che ti serviva era un pretesto, ed io te l’ho fornito.”

“Ah, questa è bella!” gli sembrò di avvertire una nota divertita nel suo tono, più che indignata. “Quindi, secondo la tua brillante teoria dovrei anche ringraziarti?”

“Non serve, Swan. È stato un vero piacere.” Calcò volutamente sull’ultima parola, ammiccando. Poi si sporse leggermente verso di lei e aggiunse in un sussurro: “Sempre che tu non abbia in mente un ringraziamento specifico.”

Quella volta non poté sbagliarsi: le labbra di Emma si inarcarono in maniera più che evidente e la sentì persino ridacchiare, per qualche miracoloso secondo. Era una prima quanto importante conquista.

“E siamo a uno” commentò, senza nascondere un certo autocompiacimento.

“Uno cosa?”

“Sorriso, naturalmente.”

“Aspetta, hai intenzione di contare tutti i miei sorrisi?”

“Sperando che una mano non mi basti, sì. E magari che i prossimi durino più a lungo.”

Emma scosse la testa, ma non era realmente esasperata. Doveva essersi accorta che, in effetti, quello stupido battibecco l'aveva distratta da tutte le sue preoccupazioni. Era stato quello l’unico scopo di Killian, fin dall’inizio.

“Emma… ” le disse poi, dopo che entrambi erano rimasti in silenzio, “sono sicuro che alla fine di questa storia avrai mille motivi per sorridere. Sorridere davvero.”

Lei annuì, ma non sembrava meno spezzata di un attimo prima. Killian provò il forte impulso di prendere la sua mano e stringerla nella propria, per scaldarla e posarle un lieve bacio sulle nocche, ma sapeva che non era il momento giusto – e non solo perché lei era impegnata a guidare. Fortunatamente era un uomo paziente; un giorno sarebbe stato lui la causa di quei sorrisi e, per riceverli, non sarebbe dovuto ricorrere a qualche gioco di parole. Avrebbe potuto essere sincero fino in fondo, nella speranza che il sorriso più bello arrivasse in un momento speciale: quando le avrebbe detto che l’amava. Ma adesso era troppo presto, Emma doveva riabituarsi alla sua vecchia vita, accettare la propria famiglia e la realtà da cui proveniva come ancora non era riuscita a fare e solo allora – forse – avrebbe potuto aprirgli il suo cuore.

“Grazie, Killian.” La sua voce flebile lo colse alla sprovvista, giacché si era ritirato nei propri pensieri. “Dico davvero.”

Non trovando parole adatte, si limitò a sorriderle con tutta l’emozione che quella semplice frase gli provocava. E, nel mentre, neppure fece caso al dettaglio più importante: per la prima volta in assenza di Henry, Emma l’aveva chiamato con il suo vero nome.


Note:

Ciao a tutti! Dopo un'assenza dal sito di più di sei mesi, almeno come scrittrice, torno finalmente a pubblicare qualcosa, perché si sa che troppo tempo senza scrivere non ci so stare. Nuovo fandom, un missing moment e per protagonista la coppia che mi ha rubato il cuore, l'OTP delle OTP, la ship suprema e ineguagliabile e... Insomma, avete capito. E' una piccola storia senza molte pretese che va a riempire uno spazio lasciato alla nostra immaginazione, quel viaggio da New York a Storybrooke in cui un po' tutti - credo - ci siamo chiesti cosa mai possono essersi detti i nostri beniamini. Questa è la mia versione, partita dall'idea che Emma avrebbe potuto chiedere scusa a Killian per il calcio e arricchita poi da tutti gli altri dettagli, compresi i ricordi di lui dell'anno precedente. Dato che è la prima volta che scrivo di loro e li amo immensamente, vi pregherei, se vi va di lasciare un commento, di dirmi se vi risultano IC o meno. Nel caso lo fossero e se l'ispirazione mi aiuterà, potrei trasformare questa shot in una raccolta e aggiungere almeno un altro paio di missing moments che ho in mente.
Giusto due piccole note prima di lasciarvi: la questione dei sorrisi e lui che li conta si rifà un po' al finale della 3x20, quando Emma finalmente sorride e Killian è felice di notarlo. Mentre il sorriso più grande che in questa storia lui spera di ottenere ***SPOILER 5a stagione*** sappiamo bene che l'ha ottenuto, e proprio in QUEL particolare momento.
Che dire di più? Sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di allegro e che rimandasse ai vecchi tempi dopo tutto il dolore che abbiamo subito - e che stiamo ancora subendo, sigh. Spero che questa piccola storia sia servita allo scopo! Grazie di aver letto.

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Capitolo 2
*** Tasselli ***


Tasselli

(missing moment 3x21)

Da quando avevano lasciato la Jolly Roger per dirigersi al castello di Re Mida, nessuno dei due aveva più proferito parola. Killian, in un certo senso, lo preferiva: se avesse parlato con lei in quel momento, avrebbe rischiato di dirle cose di cui si sarebbe poi certamente pentito. Diverse emozioni lo avevano scombussolato in quelle ultime ore: frustrazione, ansia, timore che tutto andasse a rotoli e che quell’assurda situazione si rivelasse al di sopra delle loro capacità. Ma ora che il peggio era passato, che si erano allontanati dalla nave senza lasciare tracce indelebili del loro passaggio, si sentiva soltanto arrabbiato. Sì, quello era il termine giusto: per quanto cercasse di essere paziente con lei e ci fosse riuscito per gran parte del tempo da quando si erano ritrovati, quella volta davvero non poteva contenere la rabbia. Non era un compito difficile il suo, in fondo! Tutto ciò che doveva fare era raggiungere la… vecchia versione di lui a quel maledetto tavolo, trattenerlo come poteva con le chiacchiere e il rum ed evitare che tornasse alla nave. Invece, aveva fatto molto più di questo: si era lasciata baciare, toccare Dio solo sapeva dove e soprattutto condurre nell’unico luogo in cui non sarebbero dovuti essere, rischiando di mandare a monte l’intero piano. Non poteva credere che fosse stata così ingenua, così imprudente; cosa diavolo le passava per la testa? E soprattutto, che cosa sarebbe successo se lui non avesse agito come aveva agito, beccandosi anche un rimprovero totalmente fuori luogo? No, non voleva pensarci. Non poteva pensarci, altrimenti le parole non sarebbero state l’unica cosa di cui si sarebbe pentito. Il peggio, poi, era che Emma si prendeva gioco di lui, etichettando tutto questo come “gelosia”… come se avesse senso essere gelosi di se stessi! Come se non stessero letteralmente rischiando la pelle mentre lei si divertiva a sedurre un pirata. Killian l’amava come un disperato, sapeva che l’avrebbe seguita altre mille volte in quel portale senza nessuna certezza di uscirne, eppure… in certi momenti, era davvero una bambina.

Emma non sapeva che cosa gli stesse passando per la testa da quando avevano lasciato la nave, ma, qualsiasi cosa fosse, non era positiva. Non era da lui restare in silenzio così a lungo e, soprattutto, il suo serrare la mascella tanto spesso era un segnale inequivocabile di pessimo umore. Del resto, lei non era da meno: si sentiva così arrabbiata per ciò che lui aveva fatto, e che aveva rischiato di mandare a monte l’intero piano! D’accordo, poteva capire la gelosia e sulle prime ne era stata anche divertita, ma… arrivare a dare un pugno a se stesso? Sul serio? Ci sarebbero stati altri mille modi per districarsi da quella situazione, lui aveva scelto il più assurdo e rischioso. E tutto perché non tollerava di vederla baciare per qualche secondo in più… se stesso. Era paradossale, da ogni punto di vista. Lei non era certo lì per divertirsi, stava facendo ciò che poteva per riunire i suoi genitori e tornare nel futuro; e come la ripagava, lui? Comportandosi come un bambino, quando in gioco c’era molto di più di qualunque cosa ci fosse – o meglio, non ci fosse – tra loro. Avrebbe potuto persino compiacersi di ciò che era successo, pensando che almeno una versione di sé era riuscita a rubarle un altro bacio; avrebbero potuto scherzarci su, riderne insieme… e invece no. Doveva prendere sempre tutto sul serio e rendere le cose maledettamente difficili. Gli era grata per il suo aiuto, per non averla lasciata sola in quel viaggio disperato, ma a volte i suoi comportamenti le davano davvero sui nervi. Tuttavia, il modo in cui Emma reagiva alla rabbia era diverso da quello di Uncino; tenersi tutto dentro rischiava di farla esplodere nel peggiore dei modi, preferiva buttare fuori subito le emozioni negative piuttosto che trascinare incomprensioni senza fine con le persone. Per di più, quell’ostinato silenzio da parte sua le suonava come una punizione, qualcosa che non credeva affatto di meritare. Così, decise che toccava a lei provocarlo: pazienza se avessero litigato, qualsiasi cosa sarebbe stata meglio dall’attuale tensione.

“Sei sicuro di conoscere la strada?” gli chiese, di nuovo, non trovando altro argomento per stimolare la conversazione.

“Sì, Swan, mi sembra di avertelo già detto. Ancora un po’ di pazienza e arriveremo in tempo per il ballo.”

Si era mostrato serio nel risponderle, ma non piccato come lei avrebbe creduto. Aveva senz’altro intenzione di renderle le cose più difficili, evitando di palesare l’ira nei suoi confronti. Dannato pirata.

“Sempre che nel frattempo il tuo alter ego non si svegli e ricordi qualche particolare di troppo. Sai, ho ancora qualche dubbio sugli effetti miracolosi dell’alcol” aggiunse, con una smorfia a metà tra il divertito e il canzonatorio.

Fu allora che, senza preavviso, Killian si fermò. Emma, che camminava pochi metri dietro di lui, rischiò quasi di finirgli addosso a causa di quella frenata improvvisa. Si ricompose in tempo per vederlo ruotare sul posto e sospirare, in maniera volutamente esagerata. Erano soli, nel bel mezzo di una natura selvaggia a lei sconosciuta.

“Ancora con questa storia? Emma, nessuno conosce quell’uomo meglio di me! Ti ho detto che darà la colpa al rum e sarà così. Mi dici cosa diavolo ti prende?”

“Mi prende? A me?” Se la sua intenzione era di farlo sbottare, quel secondo tentativo era stato sufficiente. “È tutto il giorno che insisti su quanto sia importante non lasciare tracce e poi vieni meno ai tuoi stessi principi in maniera tanto sconsiderata? E, come se non bastasse, ti comporti come se la colpa fosse mia!”

“Beh, non avrei dovuto fare quello che ho fatto se tu non l’avessi portato sulla mia nave! Quindi, sì, tecnicamente è colpa tua.”

L’aveva ammesso, finalmente. Emma si sentì ribollire il sangue, dimenticando per un attimo l’avventura e i pericoli che li attendevano. “E che cos’altro avrei dovuto fare? L’ho trattenuto finché potevo, poi mi ha dato un ultimatum: o andavo via con lui, o se ne andava da solo. Anzi, con qualcun’altra.”

“Oh, ecco il vero motivo, allora.” Accompagnò quella frase con un gesto teatrale della mano. “Non potevi sopportare di essere rimpiazzata dopo aver flirtato con lui per un’ora. In altre circostanze, ne sarei onorato.”

“Uncino, per favore.” Adesso, dal viso di lei era sparita ogni traccia di divertimento. “Se l’avessi lasciato andare non avrei potuto intrattenerlo lungo la strada, sarebbe stato ancora più rischioso. Lo sai benissimo.”

A quello, lui non riuscì a replicare. Abbassò lo sguardo e strinse la mascella ancora una volta, mentre Emma assaporava suo malgrado quella piccola vittoria.

“E in ogni caso,” continuò, forte del suo successo, “sarei riuscita a cavarmela anche se tu non l’avessi messo k.o.”

“Non esserne tanto sicura.” Quella volta replicò senza esitazione. “Credi di conoscerlo, ma non è così. Quell’uomo è molto diverso da me.”

“Quando ti ho conosciuto non eravate poi così diversi, e ho sempre saputo tenerti a bada.”

“Sì, d’accordo, ma l’avresti fatto?”

Emma si accigliò, sentendosi per la prima volta confusa. “Cosa intendi?” gli chiese, senza malizia.

“Intendo che lui non sembrava il solo a spassarsela nella mia cabina. E continuare ad assecondarlo sarebbe stata la meno rischiosa tra le alternative, sbaglio?”

Emma boccheggiò un paio di volte, prima di comprendere a cosa stesse davvero alludendo. Credeva seriamente che sarebbe andata oltre, proprio in quelle circostanze, con un lui che non era lui? Non seppe dire se era il caso di ridere o di offendersi. Scosse la testa e disse soltanto: “Tu sei pazzo.”

“Ah, sì? Allora guardami negli occhi e dimmi che non ti è piaciuto neanche un po’.”

Quella reazione la colse di sorpresa, non era da Killian comportarsi così. Di solito, non la spingeva a dire o fare qualcosa che non volesse lei per prima, rispettava i suoi tempi e lei gliene era sempre stata silenziosamente grata. Ma ultimamente la sua pazienza era stata messa a dura prova, Emma doveva ammetterlo; da quando erano tornati a Storybrooke aveva respinto tutti i suoi approcci, anche in maniera piuttosto brusca, l’aveva colpevolizzato oltremisura per la storia di Zelena e non aveva mancato di ripetergli quanto volesse tornare a New York, pur sapendo che quell’idea lo feriva. Lui le aveva dato sostegno e attenzioni ricevendo in cambio parole di scherno, e non se n’era mai lamentato; ma adesso, per la prima volta, le chiedeva qualcosa. Voleva la verità.

Guardami negli occhi. Era già di per sé una richiesta difficile. Il suo sguardo azzurro e magnetico l’aveva attratta fin dal loro primo incontro, per quanto lei fosse ben decisa a non lasciarsi incantare, e poi, a poco a poco che imparava a conoscerlo e fidarsi di lui, aveva permesso a se stessa di mantenere quello sguardo sempre un po’ più a lungo, finché ciò che vi leggeva non diventasse troppo intenso per il suo animo frammentato. Ma ora sentiva di dovergli di più di una risposta sarcastica e una voltata di spalle; così, decise di interrogarsi e di essere onesta, anche se avesse significato rendersi appena più vulnerabile. Sarebbe stata una cosa di una volta.

“D’accordo,” ammise, senza perdersi in preamboli. “Mi è piaciuto, l’ho trovato divertente, per un po’ ho potuto dimenticare l’ennesimo disastro che ci è capitato e calarmi nella parte di una ragazza qualsiasi di questo mondo. E con ciò? Mi conosci, sai che non perdo mai di vista l’obiettivo. Ho evitato di bere, mi sono mantenuta lucida proprio per tenere la situazione sotto controllo. Non mi sarei mai… concessa a lui, andiamo!”

La sola idea era ridicola, e mai Emma avrebbe creduto di doverla smentire in modo così diretto. Tuttavia, mentre era costretta a ripercorrere con la mente quegli ultimi istanti nella cabina, sentì il proprio viso arrossarsi; ricordò di come lui l’aveva presa in braccio, la sua presa salda nonostante la dose di rum che aveva in corpo, il calore emanato dalla sua pelle sotto il panciotto; ricordò come aveva flirtato con lei, l’impazienza evidente di restare soli mentre si liberava dell’inopportuna presenza di Spugna; in ultimo, ricordò di quando era tornato – troppo presto – per finire quel discorso lasciato a metà, di quando lei l’aveva attirato per il bavero della giacca perché non si accorgesse dell’altro Killian, delle sue labbra avide che sapevano di mare e di rum e dell’impeto con cui si erano appropriate di quelle di lei. Non aveva motivo di non ammettere quanto le fosse effettivamente piaciuto, almeno a se stessa. Del resto, se non avesse provato attrazione per lui non l’avrebbe neppure baciato sull’Isola Che Non C’è… ma forse, questo era meglio non ricordarglielo. E se andava ancora un po’ oltre, se si liberava per un attimo della sua patina di buonsenso per dare voce ai desideri più oscuri, allora poteva anche ammettere che in un altro universo, dove non esistevano regole e genitori da riunire e conseguenze fatali, le sarebbe piaciuto andare fino in fondo. Ma questo era sicuramente meglio non dirglielo; anzi, per maggiore sicurezza, era meglio relegarlo a un angolo della propria mente e non pensarci più.

Nonostante i suoi sforzi per tenerli segreti, Killian sembrò intuire qualcosa dei suoi pensieri, perché non sembrò affatto rassicurato dalla sua risposta; diventava, anzi, sempre più contrariato e nervoso a mano a mano che la osservava, come se potesse leggerla davvero come un libro aperto. Dove aveva sbagliato? Forse si era lasciata sfuggire un sorriso di troppo su quell’ultimo pensiero, il più proibito, quello che si era ripromessa di nascondere e sul quale invece stava già tornando? Ma non era giusto sentirsi in colpa per questo, come una bambina scoperta a rubare le caramelle! Era una donna adulta e indipendente, aveva tutto il diritto di tenere per sé certe fantasie senza dover subire i suoi rimproveri. Sostenne il suo sguardo senza cedimenti, sfidandolo ad accusarla ancora.

“Certo, non l’avresti mai fatto” disse Killian, dopo un silenzio che sembrò infinito. “Ma solo perché il tuo senso del dovere viene prima di tutto. Del resto, sei la salvatrice…”

“Non mi piace il tuo tono” ribatté subito lei. “Vogliamo smetterla con questa discussione assurda? Cielo, Killian, basta con la gelosia! Noi non stiamo insieme e quella non è un’altra persona, sei tu! Capisci quanto è ridicolo?”

“Quella è una persona da cui mi sono volutamente allontanato, Emma, e con fatica! Sai quanto sarebbe stato più facile restare com’ero, un pirata a cui importava solo di se stesso e che mai si sarebbe imbarcato in un’avventura da cui non aveva niente da guadagnare? Ma sono cambiato, e l’ho fatto per te! Mi sono unito agli eroi, mi sono sforzato ogni giorno di esserne degno solo per poi scoprire che preferisci lui!” Indicò un punto alle loro spalle, come se la sua versione del passato fosse lì a fissarli, e solo allora Emma si accorse di quanto stava davvero perdendo il controllo. Le sembrava quasi di avere davanti il pirata di un tempo, lo stesso con cui aveva flirtato nella locanda ma decisamente più in collera. “Potevo risparmiarmi la fatica, se avessi saputo che bastava farti bere e portarti sulla Jolly Roger per…” S’interruppe a metà della frase, accorgendosi di essere andato troppo oltre. Sfortunatamente per lui, era già tardi per rimediare.

“Per?” lo apostrofò lei, a braccia incrociate, improvvisamente delusa e ferita. “Per portarmi a letto? Avanti, dillo. È solo questo che t’interessa?”

“No.” Il suo tono era cambiato di colpo, diventando cupo e desolato. “Ovviamente no, Emma… scusami. Non era quello che intendevo.”

La sua mano le circondò il polso e lei, suo malgrado, non si ritrasse. Sentì il suo pollice accarezzarla con leggerezza, come per lenire il dolore che quelle parole avevano provocato. Sapeva fin troppo bene che non era vero, che era stata la rabbia a fargli dire cose che non pensava; se non fosse stata la magia delle Caverne dell’Eco a rivelare quanto reali e profondi fossero i suoi sentimenti – e a spaventarla tremendamente per questo – sarebbe stata la verità che gli leggeva negli occhi, il suo superpotere che mai aveva fallito, a confermarle che c’era molto più in lui di un desiderio carnale. Faceva comunque male sentirsi trattata in quel modo, solo perché per una volta e con le migliori intenzioni si era concessa di divertirsi un po’. Ma non aveva voglia di tornare ancora sull’argomento, non più; lasciò che fosse lui a continuare.

“La verità è che mi ha fatto male, vederti così presa da lui. So che l’hai fatto per un motivo, che slacciarti il corsetto e avvicinarti a quel tavolo avevano uno scopo preciso e che sono stati anche efficaci, ma c’è una parte di me ancora egoista a cui tutto questo non interessa, e che non lo sopporta. Non è vero che sono cambiato solo per te, anche se mi hai dato la spinta decisiva; cerco di fare la cosa giusta perché voglio essere un uomo migliore, uno di cui non solo tu o la tua famiglia possiate essere fieri, ma anche il ragazzo che ero un tempo e che ho seppellito in anni di oscurità e vendetta. Ho intenzione di continuare su questa strada e lo farò, è solo che non è facile… Soprattutto quando ricordo ciò che mi sono lasciato alle spalle, quella vita comoda quanto sbagliata che prendeva tutto senza comprenderne il vero valore. La verità è che io quell’uomo lo odio, Emma, e lo vorrei il più lontano possibile da te. Vorrei che non ti piacesse neanche un po’, neanche per scherzo, perché solo io so cosa nascondono le sue moine.”

“Killian…”

“No, Swan, non serve che tu dica qualcosa. Abbiamo problemi ben più seri al momento, e non dovevo scaricarti addosso anche i miei. Mi dispiace.”

“Killian!” Lo afferrò per un braccio prima che potesse voltarsi, usando la stessa mano che lui aveva lasciato e che, da allora, era diventata curiosamente fredda. “Hai detto quello che pensi, ora lascia parlare me. Non è vero che preferisco lui, non vorrei che tornassi a essere quello che eri e ti apprezzo per ciò che fai per me, per la mia famiglia. Se mi hai vista a mio agio, se mi sono lasciata un po’ andare è solo perché…” Esitò, consapevole di star esponendo un nuovo tassello di se stessa. “Perché sapevo che non avrebbe avuto conseguenze. Come quando…”

“Mi hai baciato.” Killian terminò la frase per lei, come se le avesse letto nella mente. Non le dispiacque; non c’era niente, ora, che volesse o valesse la pena nascondergli.

“Sì. Forse è vero quello che mi hai detto quel giorno in macchina, quando siamo tornati da New York. Forse ho bisogno di scuse, per concedermi le cose che desidero senza sentirmi in colpa. Sono cresciuta da sola, abituata all’idea che tutto nella vita ha un prezzo e che se prendi qualcosa, dovrai dare in cambio qualcos’altro. Non è facile per me accettare che possa essere diverso.”

“Beh, forse dovresti iniziare a farlo.” La guardava con dolcezza, ora, e la sua voce era tornata quella calda di sempre. “Hai molte persone che ti amano senza aspettarsi nulla.”

“Sì, è vero.” Sorrise spontaneamente al ricordo di Henry, fuggito per cercare la madre che l’aveva abbandonato senza mai giudicarla per questo, e dei suoi genitori, di cui iniziava a sentire la mancanza come mai prima.

“Ho sentito bene? Mi hai appena dato ragione per la seconda volta?” Killian alzò il sopracciglio con fare irrisorio, e lì Emma ebbe la conferma che era ritornato quello di sempre.

“A quanto pare. Ma non abituartici troppo.”

“Non oserei mai, milady.”

Gli sorrise ancora, si sorrisero entrambi. In un attimo era come se la discussione appena avuta non ci fosse mai stata, ed era bastato parlarsi sinceramente mettendo da parte l’amarezza. L’unico problema, per così dire, era che Killian non sembrava ancora intenzionato a riprendere il cammino, perché stava lì a guardarla in quel modo che avrebbe messo a dura prova anche la donna più temeraria. Per non fissarlo troppo negli occhi, Emma si ritrovò ad abbassare i propri e concentrarsi sulle labbra – le stesse che aveva appena baciato – o scendere ancora più in basso ad ammirare il suo petto, sempre così dannatamente esposto. Non sapeva se fosse quel goccio di rum che era stata costretta a bere per davvero, l’esaltazione della recita di poco prima o l’insieme delle due cose, ma tenere lui così a poca distanza stava minacciando pericolosamente il suo autocontrollo. Sembrava felice come una Pasqua per ciò che lei gli aveva appena confessato, e non poteva dargli torto; del resto, era come dire apertamente di aver desiderato quel loro unico momento intimo sull’isola, e che forse lo desiderava ancora.

“Sai, non credo che dovresti odiare quello che eri.” Non sapeva perché stesse continuando, se voleva fargli piacere o esprimere una semplice opinione o magari dimostrargli che anche lei, se voleva, era in grado di aprirsi; parlò e basta, senza mettere un vero e proprio filtro tra il cervello e la bocca. “Non sarà stato il migliore degli uomini, ma era una parte di te… ed è anche uno dei motivi per cui oggi sei cambiato. Se è stato così facile fidarmi di lui non è perché siete diversi, ma per le cose che avete in comune.”

“Mi stai facendo un complimento, Swan? Accidenti, se queste sono le conseguenze dovrei prendermi a pugni più spesso!”

Emma rise, e scosse la testa nonostante lui avesse ragione. “È solo strano non sentirti pavoneggiare. Non ci sono abituata.”

“Ho detto che non ero una brava persona, non che non fossi dannatamente attraente anche allora.”

“Ecco, appunto. Grazie per questo ritorno alla normalità.”

Fece per spostarsi e riprendere lei per prima il cammino, ma si accorse di essere stranamente in trappola. Un albero le bloccava la schiena (da dove era comparso? Era piuttosto sicura che non ci fosse, prima) e Uncino, di fronte, ancora non accennava a muoversi. C’era ancora qualcosa dietro le sue labbra che lottava per venire fuori, come se la sua parte razionale cercasse di frenarla senza però riuscire a cancellarla del tutto.

“Che cosa c’è?” gli chiese, nel tono più gentile che riuscì a trovare.

Lui alzò lo sguardo, poi lo abbassò di nuovo, sorrise nervosamente grattandosi dietro l’orecchio. “Niente, è solo che… quello che hai detto, riguardo l’Isola Che Non C’è e i tuoi desideri, non mi lascia indifferente. Credo che dovremmo approfondire questo punto.”

Ecco, doveva immaginare che non si sarebbe accontentato. Lei aveva aperto il vaso di Pandora e doveva ora affrettarsi a richiuderlo, prima che ne venisse fuori troppo. Killian, di certo, non la stava aiutando, ora che aveva ritrovato la sicurezza di sé e aveva ripreso a guardarla in quel modo.

“Non è il momento. Confermo ogni cosa che ho detto ma per favore, non spingermi oltre… non adesso.”

“Non l’ho mai fatto.”

“Lo so.”

Smise di parlare, ma non di posare gli occhi su di lei come una lieve carezza. Erano così vicini che poteva percepire il suo respiro, come molte altre volte in cui Killian aveva cercato un contatto; possibile che quest’uomo non sapesse cos’era lo spazio personale? O forse, lo sapeva e se ne infischiava, almeno quando si trattava di lei. Lo vide allungare la mano da qualche parte dietro la sua testa, accostare il viso al proprio e in un attimo fu sicura che l’avrebbe baciata. Invece, le sollevò semplicemente il cappuccio, aiutandosi con l’uncino per il lato opposto, come aveva fatto la prima volta in cui lei aveva indossato quel mantello.

“Andiamo, tesoro. C’è ancora un amore da far sbocciare.”

Si allontanò infine da lei, lasciandole tutto lo spazio di cui aveva bisogno. Emma si accorse di avere le gambe vacillanti e il cuore in tumulto, ma preferì dare la colpa alla discussione senza interrogarsi oltre. Erano quei momenti, il cui il pirata pieno di sé si trasformava in un compagno dolce, protettivo e rispettoso di lei fino in fondo, che la lasciavano disorientata e le toglievano il respiro; era quell’inebriante paradosso tra il capitano eccitante e talvolta scandaloso e la persona mite, quasi insicura che mostrava di adorarla con ogni fibra del suo essere; erano due parti tanto diverse, eppure perfettamente fuse nello stesso essere umano, che sempre più spesso la conducevano ad un unico pensiero: per un uomo così, io potrei anche perdere la testa.


Note:

Ebbene sì, meglio tardi che mai: sono tornata con un nuovo missing moment, e non è un caso che l'abbia fatto in un periodo in cui dobbiamo dire addio ai nostri beniamini. Mi mancano già tremendamente, scrivere e leggere di loro è l'unica cosa che riesce a rincuorarmi, per cui mi sono decisa a proseguire questa raccolta con un capitolo che era nella mia mente già da tempo.
L'idea della storia parte da qui: per tutta la terza stagione (che resta tutt'oggi la mia preferita) abbiamo visto un Killian innamorato, tremendamente paziente con Emma, che accettava da lei qualsiasi rispostaccia senza mai lamentarsi; tutte lo amiamo per questo, ma è anche vero che la perfezione non esiste, per cui mi sono chiesta: e se in un dato momento, invece, avesse sbottato? Non c'era occasione migliore di questa, quando la gelosia verso se stesso - e la possibilità che Emma si concedesse proprio all'altro lui - rischiava di farlo impazzire. Questo è ciò che ne è venuto fuori, una breve discussione che però termina - direi - nel miglior modo possibile che non sfori il rating e il canon :)
Ammetto che trovo più difficile scrivere dal punto di vista di Emma, ma in questo caso mi sembrava più opportuno, dato che i suoi sentimenti stanno salendo sempre più verso la superficie. Spero che il modo in cui si è esposta non sembri "troppo", ma... considerando che qualche ora dopo lo bacerà nel modo epico che ben conosciamo, l'ho ritenuto abbastanza plausibile. Spero vi sia piaciuta, alla prossima!

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