4:06

di Giulss_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I miss you ***
Capitolo 2: *** We need to talk ***
Capitolo 3: *** Put my name at the top of your list ***



Capitolo 1
*** I miss you ***


Ehilà,
rieccomi con un'altra storia su Camilla e Gaetano. Niente di impegnativo, lo dico già. Anzi, si tratta di una mini-storia di tre capitoli molto brevi, che forse non vi soddisferà nemmeno più di tanto, ma in realtà la voglia di continuare a scrivere c'è, quindi chissà... per il momento, però, vi dovete tenere questa qui ;) 
Vabbè, non ho molto altro da dire, solo che se avete voglia di spendere più tempo del dovuto per me, io le recensioni le apprezzo sempre, che siano positive o negative, quindi fatevi avanti senza problemi -- e se avete voglia di commentare gli spoileroni usciti sulla settima stagione, sono pronta ad intavolare una discussione via messaggio. Niente, insomma, scrivetemi pure ahaha; altrimenti, ci sentiamo nel fine settimana per il nuovo capitolo.
Buona lettura!

 
4:06
I cannot sleep, I cannot dream tonight
I need somebody.

 
 
Nel silenzio della notte, la suoneria del suo cellulare annunciò il chiarore che ne seguì. Un messaggio lampeggiava sullo schermo.

“Cosa cavolo…?” pensò guardando la sveglia, che segnava le 4:06 – non il momento più comune per ricevere un messaggio, anche perché in genere, a quell’ora, la gente dorme.

Non lui, però. Infatti, anche quella notte, Gaetano non era riuscito a prendere sonno. Ogni tanto gli capitava, altre volte aveva il sonno talmente leggero che si svegliava per il minimo rumore. Così, da più di un mese dormiva solo quando le ore di sonno mancato si facevano sentire particolarmente.

“Da più di un mese” disse tra sé e sé, guardando un punto non definito in mezzo al buio.

Prima di poter pensare a quanto successo un mese prima, però, si decise ad allungare il braccio e prendere il cellulare. Con gli occhi socchiusi, infastidito dalla luminosità dello schermo, aprì il messaggio.

Lesse il testo senza capirlo, poi guardò il mittente. Lesse di nuovo il testo.

Il fatto che di notte, per qualche strano motivo, le emozioni ed i sentimenti vengono amplificati – o almeno a lui così sembrava e così avevano sempre detto – non aiutava per niente. Il cuore accelerò i battiti, per quanto si sforzasse di controllarlo, per quanto si dicesse di reagire in modo razionale.

Trasse un respiro profondo e posò il telefono accanto a sé, sul letto. Poi si tirò su a sedere, poggiando la schiena sul fondo del letto, e si passò una mano sul viso, sperando di calmarsi.

Di dormire, quella notte, non ce ne sarebbe più stato verso.

Incredibile come uno stupidissimo messaggio di due parole lo avesse scombussolato tanto. Ma non si trattava del messaggio. Si trattava del mittente.

Non si parlavano più e, comunque, era ancora in grado di cambiare il suo umore, il ritmo dei battiti del suo cuore, era ancora in grado di sconvolgerlo a quel modo. E ci sarebbe riuscita sempre, come c’era riuscita in tutti quegli anni, nonostante tutto.

Ma un messaggio spedito prima dell’alba non cambiava quanto successo il mese prima né quanto si erano detti. Non sarebbe stato un messaggio delle quattro del mattino a cambiare le cose.

Per questo, riprese in mano il telefono e, letto di nuovo il messaggio, decise di non rispondere.
 

Aveva trascorso un’altra serata in compagnia di sua figlia, del genero e la nipotina, l’ex marito, la sua attuale compagna ed il loro figlioletto. In fin dei conti, erano una famiglia allargata e andavano pure d’accordo, quindi quelle cene, nella calda estate torinese, erano diventate un’abitudine. Un’altra delle abitudini che aveva acquisito nell’ultimo mese, da quando era diventata una nonna single.

E, come ogni altra serata in famiglia, era stata molto piacevole, fino a che non era terminata. Restare sola in casa la notte si faceva ogni giorno più difficile. Di giorno era facile non pensarci, in qualche modo riusciva a tenersi impegnata; la sera, però, quando si ritrovava con la sola compagnia del suo fedele amico a quattro zampe, Potty, crollava ogni barriera, ogni tentativo di tenere in piedi un’apparente felicità.

Non che non fosse felice, sarebbe stato impossibile oltre che stupido non esserlo, ma sentiva una mancanza che era difficile colmare ed era difficile controllare quella fitta che le prendeva ogni volta che lo cercava per trovare un consenso, un gesto di conforto, un’occhiata di sfida, ogni volta che le sembrava di sentirne la voce o la risata, ogni volta che un oggetto, una situazione le ricordava di lui.

La scelta era stata sua e in parte ancora ne era convinta ma non aveva preso in considerazione l’idea che il suo voler stare da sola lo portasse ad allontanarsi così tanto da lei. Il suo intento non era quello di chiudere completamente il loro rapporto anche se, evidentemente, lui l’aveva visto così. Tutto quello che chiedeva era un altro po’ di tempo per accettare i cambiamenti che la vita le aveva sbattuto in faccia di punto in bianco.

Di colpo si era ritrovata cinquantenne, quasi divorziata, nonna, mentre il suo (non ancora) ex marito stava per diventare anche padre. Aveva dovuto mettere in discussione vent’anni della sua vita e rivalutare, in particolare, gli ultimi dieci. Si era buttata in una relazione che, per quanto le costasse ammetterlo, aveva sognato dal primo istante ma che non aveva mai razionalizzato del tutto, ripetendosi in cuor suo che forse sarebbe potuto anche esserci qualcosa tra lei e Gaetano ma in un’altra vita. Poi, dal nulla, quell’altra vita era arrivata, le aveva bussato alla porta e lei non aveva potuto fare altro che accoglierla. Era quello che voleva ed era la cosa giusta da fare ma stava andando tutto troppo veloce e aveva bisogno che il mondo si fermasse, che la sua testa tornasse a pensare ad un ritmo regolare, aveva bisogno di fare di tutti quei cambiamenti la normalità. E non poteva riuscirci se da un lato aveva un compagno che pretendeva da lei più di quanto lei potesse dargli in quel momento e, dall’altro, un (non ancora) ex marito che esigeva più di quanto avrebbe dovuto, facendo leva su un affetto che non poteva cancellare in qualche giorno. Il ciò condito dalla comparsa del primo amore che le aveva ricordato la giovinezza, i bei tempi andati, la spensieratezza che sentiva quando ancora non c’erano tutti i problemi che invece ora aveva, quando la sua vita era semplice, tutto sommato.

Così, era fuggita. A gambe levate, senza preoccuparsi degli altri né delle reazioni che questi avrebbero potuto avere.

Senza preoccuparsi del fatto che Gaetano si sarebbe potuto allontanare del tutto, senza nemmeno tenere in considerazione un’idea del genere, dopo quello che c’era stato tra di loro in quei dieci anni.

Ma evidentemente aveva fatto male a non pensarci perché era successo e lei era sveglia alle quattro del mattino, senza nemmeno poter dire che era una cosa insolita, a pensare alla persona che stava dall’altro lato del pianerottolo, a pensare di non averlo mai sentito così distante – e loro distanti c’erano stati parecchio.

“Al diavolo” si disse, osservando Potty che dormiva sul lettone, accanto a lei.

Sapeva che se ne sarebbe pentita di lì a qualche ora, che non era ancora pronta ad abbattere del tutto quel muro di testardaggine ed orgoglio che aveva rialzato attorno a lei, ma il sole doveva ancora sorgere e tutto era possibile.

Prese in mano il telefono e compose il numero di Gaetano. Scrisse due parole, meno di dieci lettere, ma non avrebbe potuto essere più sincera.


Camilla Baudino:
Mi manchi.
04:06, 15.07.2017

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Capitolo 2
*** We need to talk ***


WE NEED TO TALK
We need to talk, she said.
For a second I lost my breath
 


Quella mattina decise di portare Potty a spasso un po’ prima del solito, tanto restare in casa non aveva senso. Quindi, mise il collare al cane e vi agganciò il guinzaglio, per poi scendere nel cortile del palazzo.

Aveva bisogno di una boccata d’aria fresca, per rimettere in ordine i pensieri.

Si sentiva un’adolescente, il che rendeva la sua situazione molto critica. Era un’insegnante, di cinquant’anni suonati, che, incapace di affrontare i suoi sentimenti, si riduceva ad inviare un messaggio in
piena notte al suo vicino di casa che conosceva da più di dieci anni.

Se qualcuno le avesse raccontato una storia simile, non ci avrebbe creduto. O avrebbe riso della protagonista.

Come ad averle letto nel pensiero, Potty abbaiò.

“Eh lo so, Potty, dovrei parlargli, ma cosa gli dico? Che non avevo pensato che le mie azioni potessero avere effetto anche sugli altri? Dai, sembro una svampita insensibile!”

Di nuovo, il cane abbaiò.

“Vabbè, forse lo sono anche stata, ok, ma dimmi allora tu cosa avresti fatto?” chiese, porgendo una domanda destinata a restare senza risposta, anche perché il destinatario era più impegnato a soddisfare certi suoi bisogni.

Sospirò, aspettando che avesse finito; dopodiché si diresse verso casa.
 

Rilesse il messaggio ancora una volta, prima di uscire di casa.

Era ridicolo. Avrebbe potuto bussargli alla porta, dirgli “Dobbiamo parlare” e invece no, aveva deciso che un messaggio notturno era abbastanza per dimostrargli che, effettivamente, sentiva la sua mancanza. Si sarebbe potuta presentare a casa sua a qualsiasi ora, del giorno e della notte, ché non le avrebbe mai chiuso la porta in faccia; poteva anche presentarsi in ufficio da lui, non l’avrebbe di certo spedita a casa; avrebbe potuto fermarlo ovunque e, se gli avesse detto di voler parlare, lui l’avrebbe ascoltata. Forse non sarebbe stato l’allegria fatta persona, forse non l’avrebbe accolta nel migliore dei modi, ma c’era da aspettarselo e, comunque, non era una cosa che potesse fermare Camilla Baudino. Era testarda, orgogliosa, insistente e ficcanaso, e trovava sempre un modo per farsi ascoltare, quando lo voleva.

Gli era costata una fatica non risponderle “Anche tu”, perché anche lei gli mancava. Gli mancava da far male e, per quanto dicesse di stare meglio, era palese il contrario. Ne sentiva la mancanza ogni giorno di più, pur avendola letteralmente a qualche passo di distanza.

“Come ci siamo arrivati a questo punto?” si chiese, riponendo il telefono nella tasca dei pantaloni.

Uscì di casa e fece per chiamare l’ascensore. Vide che stava già salendo, così attese.

Quando si aprì, i suoi occhi azzurri si scontrarono con quel castano scuro che tanto gli mancava. Era bellissima. Aveva i ricci in disordine, era struccata, indossava una tuta e teneva in braccio Potty e,
comunque, era bellissima.
 

Sapeva che, uscendo prima, avrebbero potuto incontrarsi e, probabilmente, era per quello che l’aveva fatto.

Non aveva risposto al messaggio e, se di notte era probabile che stesse dormendo, perlomeno una volta sveglio avrebbe dovuto leggerlo ed era sicura che lo avesse fatto. Non poteva fargliene una colpa, assolutamente no, ma aveva bisogno di sapere se anche per lui era lo stesso. Se non fosse stato così, si sarebbe messa l’animo in pace: si rendeva conto di aver tirato un po’ troppo la corda in quegli anni, come si rendeva conto che lui aveva preso le sue parole più seriamente di quanto non avesse fatto lei e questo, era chiaro, l’aveva ferito, forse più di tutte le volte in cui lei lo aveva respinto in passato.

Perché quella volta era diversa, quella volta stavano costruendo qualcosa, un loro qualcosa, e lei aveva distrutto ogni speranza e ogni tentativo di Gaetano di far funzionare la loro relazione.

Però gli occhi non potevano mentire e, nonostante l’espressione quasi impassibile del volto, i suoi occhi lo tradivano e lei sapeva che aveva letto il messaggio e che per lui valeva lo stesso.

Potty abbaiò appena vide il vicequestore.
 

“Gaetano” disse Camilla, a mo’ di saluto.

“Ciao” ricambiò e si scostò per farla passare, ma lei non si mosse di un passo. Rimase a fissarlo qualche altro istante.

Gaetano non aveva intenzione di cedere: non sarebbe stato lui ad avviare una conversazione tra i due. Spettava a lei il primo passo, per una volta.

Ad ogni modo, Camilla uscì dall’ascensore e lui entrò.

Vedendola dirigersi verso la porta del suo appartamento, premette il tasto 0 dell’ascensore.

Le porte si stavano chiudendo e lui distolse lo sguardo dalla donna. Quando erano quasi chiuse, però, si bloccarono, intralciate da qualcosa.

Guardò verso il basso: era il piede di Camilla.

Infatti, le porte si riaprirono e se la trovò difronte.

“Dobbiamo parlare” gli disse.

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Capitolo 3
*** Put my name at the top of your list ***


PUT MY NAME AT THE TOP OF YOUR LIST
 
This is the last time I'm asking you this,
put my name at the top of your list.

 

Non c’è migliore chiacchierata di quella fatta davanti ad un bicchiere pieno, tanto più se ci si deve chiarire su qualcosa. E Camilla e Gaetano, di chiacchierate davanti ad un bicchiere, erano esperti. Infatti, ancora una volta, si ritrovarono seduti in un bar, sorseggiando vermouth.

Deliziosamente demodé, aveva detto qualcuno.

Per qualche minuto, dopo che il cameriere li aveva serviti, erano rimasti in silenzio a riscoprire quei gesti così familiari che l’altro compiva. Paradossalmente, i loro incontri al bar sembravano più distanti in quel momento che quando si erano trovati a Torino per la prima volta dopo due anni.

“Mi spiace per il messaggio” esordì, d’un tratto, Camilla.

“Ti dispiace?” chiese Gaetano, posando il bicchiere sul tavolo.

Camilla annuì. “È stato un gesto infantile, potevo agire diversamente.”

“Non alle quattro della mattina.”

“Anche alle quattro della mattina” rispose lei, a tono, marcando quell’”anche” che lasciava intendere molte cose.

Gaetano scosse il capo, quasi divertito, ma non aggiunse altro.

“Però mi manchi davvero” rilanciò lei, senza distogliere i suoi occhi da quelli di lui.

“Anche tu” rispose, senza esitazione. Era vero, dopo tutto. E non era lì per mentire o nasconderle qualcosa, ma per mettere, finalmente, tutte le carte in tavola.

“Allora perché ci stiamo evitando da un mese?”

“Io sto rispettando una tua decisione.”

“Non l’ho deciso io di non parlarci più!”

“L’hai deciso tu nel momento in cui hai detto di voler essere una nonna libera e indipendente, Camilla” disse, senza riuscire a trattenere quella tristezza e quel sarcasmo che diedero uno strato tono alla
frase.

“Ho detto di voler essere una nonna libera e indipendente, non ho detto di non volerti più nella mia vita.”

“Ma che ruolo avrei potuto ricoprire, che ruolo potrei ricoprire nella tua vita, in questo modo? Perché io non ci sto più a fare l’ultima ruota del carro.”

Non voleva scaldarsi ma arrabbiarsi fu l’unica reazione spontanea possibile, pensando a quel suo ridicolo, triste e pure fuori luogo “amico adottato”.

“Ma non sei mai stato l’ultima ruota del carro, Gaetano! Come puoi anche solo pensarlo?” chiese Camilla, incredula.

“Dimmi una sola volta in cui hai messo al primo posto me, allora” rispose, misurando il tono di voce e tornando calmo. “Perché è sempre stato tutto un ‘Renzo e Livietta di qua’, ‘Renzo su’, ‘Livietta giù’…”

“Ma ti senti?” sbottò, interrompendolo in quel discorso che trovava assurdo, ingiusto e ridicolo. “Ho una figlia e delle responsabilità nei suoi confronti, che devo e soprattutto voglio rispettare! Ed ero sposata,
avevo un marito, il padre di mia figlia, e avevo delle responsabilità anche nei suoi confronti. Erano… sono la mia famiglia!”

“E non ti sto criticando. Amavi tuo marito e tua figlia, com’era giusto che fosse, mentre io e te eravamo solo… amici.”

Se già un tempo non riusciva a definire Camilla sua amica, figurarsi dopo gli ultimi mesi, dopo quanto successo tra loro.

“Livietta era pure una bambina – continuò. – Non avrei mai potuto pretendere né pensare che tu ti comportassi diversamente, anche se avrei voluto il contrario. Ma le cose ora sono cambiate, Camilla:
Livietta è abbastanza grande da mettere su famiglia e tu e Renzo avete divorziato. Allora mi spieghi perché a me tocca restare comunque in disparte? E non ti chiedo” aggiunse, volendo specificare un’ultima cosa prima che lei potesse controbattere, “di mettere me prima di loro, ti chiedo solo di dare una certa importanza al nostro rapporto, perché sembra che per te non ne abbia affatto.”

“È qui che ti sbagli. Prima hai detto di dirti una sola volta in cui ho messo prima te della mia famiglia, ebbene vuoi che te lo dica? Pensa alle ore che trascorrevamo assieme, già a Roma, ai nostri incontri e alle volte in cui partecipavo nelle indagini. Spesso uscivo da scuola nelle ore in cui non avevo lezione, mi facevo addirittura sostituire quando sarei dovuta essere in classe, per poterti aiutare nelle indagini.
Mi piaceva indagare, certo, ma erano momenti che trascorrevo con te, Gaetano, con te. Erano momenti che decidevo di trascorrere con te anziché con la mia famiglia o al lavoro. Pensa solo a quando tornavamo a casa tardi la sera, a quando pranzavamo fuori, pensa a Renzo che mi chiamava rinfacciandomi di non essere ancora tornata. E, quando poi rientravo, dovevo anche sorbirmi le prediche perché mi divertivo a giocare a far il poliziotto, lasciando da soli lui e mia figlia. E lo facevo perché mi piaceva, sì, indagare, soddisfare la mia curiosità e aiutare le persone a me care, ma lo facevo perché mi piaceva stare con te, perché a te ci tenevo. Perché ad un certo punto non si è più trattato di indagini, tra noi due.”

“Forse un tempo” rispose, ricordando con tanta malinconia i loro primi casi insieme, i primi anni a Roma, e pensando a quanto erano cambiate anche le dinamiche tra di loro. “Ma da quando abbiamo iniziato a… da quando abbiamo iniziato questa pseudo-relazione, non hai fatto altro che allontanarmi e allontanarti. Tornavi da Renzo appena potevi e la scusa di Livietta, tra matrimonio e non averle ancora parlato di noi, era sempre lì pronta, e poi Michele Carpi. C’era sempre qualcuno da mettere prima di me, per un motivo o per l’altro. E quello che avevamo contava così poco, per te, da sentirti in diritto di lasciarmi davanti a tuo marito, nemmeno ex, perché ancora non avevi trovato il tempo di divorziare.”

“Sei proprio stronzo, lo sai?” Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Non riusciva a credere che Gaetano potesse trattarla così. “Quello che dici può anche essere vero ma ti sei mai chiesto perché mi sono comportata così? O hai semplicemente deciso che dare la colpa a me era più facile?”

“Me lo sono chiesto tante, troppe volte, ogni giorno e ogni notte, ogni volta che non riuscivo a mangiare perché lo stomaco mi si chiudeva, ogni volta che la fitta al cuore era troppo forte e dovevo solo aspettare che il dolore sparisse, anche se poi tornava sempre. Me lo sono chiesto, e so di averne colpa anche io, so di averti fatto pressione, di non averti lasciato il tuo spazio ed il tuo tempo, lo so, ma so anche perché l’ho fatto. In un rapporto si è in due, si sbaglia e ci si corregge in due, si impara in due, si migliora in due, si dà e si riceve in due, si ama in due ma io ero l’unico, ero da solo.”

“Non eri da solo.”

La tristezza nella voce di Gaetano aveva cancellato la rabbia di qualche secondo prima. Sapeva benissimo cosa volesse dire essere l’unica a combattere per un rapporto e non aveva mai pensato che Gaetano potesse sentirsi a quel modo. Avevano sbagliato entrambi. Non si erano nemmeno sforzati di capirsi l’un l’altro e avevano reagito nel peggiore dei modi, una scappando e l’altro gettando la spugna.

Ma non è così che si affronta una relazione e Camilla lo sapeva fin troppo bene.

Non si scappa, non ci si nasconde; si dovrebbe parlare, rispettarsi, prendersi per mano e affrontare tutto insieme.

“Io non ero pronta, ho avuto paura e sono scappata e ho sbagliato, lo so, ma non eri da solo” disse. “Ho sbagliato anche io e vorrei avere la possibilità di correggermi con te, ho imparato dai miei errori e spero di poter migliorare; non ti ho dato abbastanza ma vorrei potertelo dare ora che sono pronta, perché da te ho ricevuto più di quanto potessi meritare o anche solo sperare.”

“Non ti chiederei mai più di quanto mi hai dato in questi anni, ti chiedo solo di rivalutare la nostra relazione e di capire se è quello che vuoi davvero. Perché adesso ti manco ma vorrei che tu fossi certa che non ti manchi il Gaetano amico ma che ti manchi il tuo compagno, l’uomo con cui vorresti trascorrere il resto della tua vita e che ti è amico, sì, ma non solo. Non posso rischiare di essere di nuovo l’unico ad amare tra di noi.”

L’avrebbe baciata sul momento e non farlo gli costò parecchia forza di volontà ma uno dei due doveva tirarsi indietro e, paradossalmente, quella volta sentiva che lei non l’avrebbe fatto e che, quindi,
toccava a lui. Lo faceva quasi ridere pensare a tutti i baci cui Camilla si era sottratta, baci che lui non aveva resistito a darle, ed ora pensare di dover avere la forza di non baciarla perché, dall’altro lato, non ci sarebbe stata Camilla a tirarsi indietro.

“Non lo sei.”

“No, non lo sai, non puoi dirlo ora. Abbiamo entrambi bisogno di tempo per pensarci.”

“Non sei più sicuro di…” il verbo le morì sulle labbra ma non ebbe bisogno di riprendere la frase, ché Gaetano stava già rispondendo.

“Io ti amo, Camilla, non è di questo che parlavo, ma, per fortuna, non sono più l’uomo di un tempo e non voglio avere una relazione tanto per averla, quindi voglio prendermi del tempo per riflettere su me stesso e sui miei sbagli e voglio farlo ora che abbiamo chiarito come stanno le cose.”

Camilla annuì.

“E voglio che anche tu ti prenda il tempo che ti serve, questa volta. Tanto aspettare è il mio forte” aggiunse, facendole l’occhiolino.

La Baudino scoppiò a ridere e la sua risata riempì l’aria. Era da un bel po’ di tempo che non si sentiva così leggera.

“Questo giro te la sei cercata tu, però.”

“E non ne sono mai stato così felice.”

“Mmh, vedremo” rispose lei, lanciandogli un’occhiata di sfida inequivocabile.

“Professoressa, stia attenta che so giocare sporco anche io, molto meglio di lei, quindi non le conviene giocare col fuoco.”

“Ah lo so benissimo quanto sporco puoi giocare, devo ricordarti i tuoi dieci anni di avances e stuzzicamenti ben poco velati?”

“Ma guarda un po’, il bue che dice cornuto all’asino!”

“Cosa vorresti insinuare, scusa?”

“Lo sai benissimo cosa voglio insinuare, non fare la finta tonta che nemmeno tu sei mai stata uno stinco di santo, eh.”

“No, non so assolutamente di cosa stai parlando” rispose, trattenendo a stento un’altra risata.

“Attenta” l’avvertì Gaetano, fulminandola con lo sguardo.

Camilla non reagì, perdendosi in quell’oceano che la disarmava ogni volta e capì che non aveva più intenzione di difendersi da quella sensazione di essere nuda e indifesa davanti a lui. Gli occhi di Gaetano la facevano sentire come un libro aperto ed era finalmente pronta a farsi leggere interamente.




Eccomi qui,
ok allora, questo è l'ultimo capitoletto di questa short.
Non so esattamente cosa sia venuto fuori e come, non sono più nemmeno sicura che sia quello che avrei voluto che fosse, ma sono abbastanza soddisfatta. Potevo pubblicarla in un capitolo solo ma non mi sembrava il caso, anche perchè sono tre episodi che mi sono venuti in mente in tre momenti differenti, e mi sembrava giusto dare ad ognuno la giusta importanza. 
Detto questo, fatemi sapere cosa ne pensate,
Alla prossima (spero),
Giulia.
 

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