Baby-sitter per (un) caso

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il detective bugiardo ***
Capitolo 3: *** Una famiglia di filibustieri ***
Capitolo 4: *** Vecchia vita o nuova vita? ***
Capitolo 5: *** Serial killer ***
Capitolo 6: *** Due facce della stessa medaglia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento e spero che non ne ricordi altre, in tal caso non sarebbe voluto, ma fatemelo sapere!

Ciao a tutti!
Questa storia nasce dal meraviglioso prompt di Koa_ su twitter e spero di aver reso giustizia all’idea: John è un ricco vedovo e un giorno la tata di sua figlia sparisce nel nulla. Dopo più di un mese di ricerche e denunce si arrende e mette un annuncio per cercare una nuova tata. Al colloquio si presenta Sherlock, che sta indagando sulla scomparsa della tata e si infiltra nella famiglia e nelle amicizie di Watson per capire cosa può esserle accaduto. Ovviamente comicità e Johnlock a pacchi!


***** * ****

Prologo


Sherlock Holmes era disteso sul divano del suo appartamento di Baker Street, annoiato, indeciso se alzarsi e andare a supplicare Scotland Yard per un caso o mantenere un briciolo di amor proprio e resistere dall’impulso di pregare per qualcosa che lo distraesse dalla solita routine.

Attorno a lui si sentivano soltanto i rumori di una città che si preparava a svegliarsi. Era l’alba e nonostante l’assenza di casi, Sherlock era sveglio come un grillo, in fermento, forse un sentore di quello che sarebbe successo di lì a breve.

Il suono del campanello, deciso, sicuro, come lo squillo di una tromba prima della carica lo fece scattare in piedi e correre alla porta con una nuova prospettiva: c’era un cliente.

Le sue aspettative furono presto rimodulate perché si trattava di una cliente femmine: alta, castana, dallo sguardo vivace.

La donna, che appena aprì bocca tradì un evidente accento americano, fu invitata ad entrare nel salotto di Baker Street e prese presto posto sulla sedia, senza timore ma anzi con un piglio che stupì non poco Sherlock, facendogli subito supporre che si trattasse di qualcosa di urgente e che la donna non si sarebbe rassegnata  finché non avesse ricevuto risposta.

« Mi racconti il suo problema »

« Signor Holmes, mi chiamo Denise O’Connel e sono venuta da lei perché nessuno mi crede, nemmeno Scotland Yard, ma io sono sicura e so che lei aiuta le persone nei casi impossibili »

« Si spieghi »

« Mia sorella è scomparsa già da un mese ma non vogliono cercarla. Dicono che si è suicidata ma non hanno trovato il corpo e hanno rinunciato a cercarlo! » rispose con fervore, guadagnandosi un’occhiata infastidita di Sherlock Holmes, unico consulente investigativo al mondo, che mal digeriva i racconti confusionari dei clienti.

« Si spieghi meglio e con ordine. Sua sorella è scomparsa un mese fa. Deve essere più precisa, partiamo dal giorno della sparizione »

« Mia sorella svolgeva il lavoro di baby-sitter da quando aveva 18 anni. Gli ultimi due anni ha lavorato per il signor John Watson. Avrà sentito parlare di lui, possiede una casa editrice molto conosciuta »

Sherlock annuì e con un gesto invitò la donna a proseguire.

« Il signor Watson è vedovo e mia sorella Alice si occupava della figlia di sei anni, Rosie. Il signor Watson le offriva vitto, alloggio e una paga ben più che dignitosa ed Alice mi raccontava sempre di quanto Rosie fosse una bambina magnifica e di quanto fosse contenta di lavorare lì.  Qualche mese fa ad una festa ha incontrato un uomo, Robert Simon si è innamorata e hanno deciso di sposarsi. Era tutto prenotato e lei era raggiante. Poi, il giorno prima della cena di prova è sparita, nessuno aveva idea di dove fosse finita, finché non hanno trovato nella sua camera un biglietto di addio. Nei giorni seguenti è stato rinvenuto il suo scialle vicino al Tamigi e la polizia ha deciso che si trattava sicuramente di un suicidio »

« Lei non lo ritiene possibile  »

« No, era felice, non lo avrebbe fatto, non aveva senso »

« Cosa diceva il biglietto? » chiese pacatamente.

 « Grazie di tutto, addio »

« Non mi sembra necessariamente un addio definitivo, ma immagino che Scotland Yard possa essere stata tratta in inganno » commentò sarcasticamente Sherlock, immaginando le peggiori menti al lavoro sul caso.

« Deve esserle successo qualcosa, ne sono sicura. Lei deve aiutarmi » fece la donna, ora con tono più supplichevole e meno deciso.

Sherlock si alzò in piedi e iniziò a passeggiare meditabondo per la stanza. Effettivamente la donna sembrava troppo convinta perché davvero potesse trattarsi di un suicidio e il ritrovamento dello scialle appariva troppo fortuito per non sospettare qualcos’altro.

« Signora O’Connel, lei ha la fortuna che sono disperatamente alla ricerca di un caso, altrimenti non mi sognerei mai di fare quello che sto per fare. Mi dica, il signor Watson ha già trovato un’altra tata? »

« Che io sappia no. Rosie era molto sconvolta ed è rimasto a casa per starle vicino ma credo che presto dovrà cercarla. Perché me lo chiede? »

« Immagino si rivolgerà all’Agenzia più famosa di Londra. Sua sorella l’ha trovata lì? »

« Alla Old London Nannies »

« Ottimo. Avrà presto mie notizie »

Sherlock accompagnò la donna alla porta e subito digitò un messaggio per il fratello, con scarso entusiasmo per dover chiedere un favore, ma era la strada più semplice.

Fratellone, ho bisogno di referenze come baby-sitter. Non ridere è per un caso
S


***** * *****

Era una bella giornata, limpida, di quelle che raramente benediva Londra in Dicembre. John Watson, vedevo di trentasei anni, rimasto provvisoriamente senza tata, era abituato ad occuparsi della figlia in mancanza di qualcuno che lo aiutasse con le incombenze come scuola, compiti e attività sportiva. Lo faceva molto volentieri ma ormai era già da un mese che aveva lasciato la casa editrice in mano alla sua vice e alcuni importanti contratti richiedevano la sua presenza in azienda.

Quel sabato mattina senza scuola, fortunatamente, aveva potuto godere più a lungo del caldo del piumone e attardarsi un po’ prima di scendere in cucina dove la governante, la signora Hudson, stava giocando a fare il tè per i pupazzi della piccola Rosie.

John sorrise alla figlia, la parte più luminosa della sua vita, che allegra ricambiò il sorriso e corse ad abbracciarlo prima di trascinarlo in un improbabile tè con un coniglio e un panda.

Il signor Watson non aveva mai più cercato una storia sentimentale dopo la morte della moglie Mary Morstan avvenuta tre anni prima. Aveva messo davanti a tutto il benessere della figlia e non aveva intenzione di far entrare una nuova persona nelle loro vite per poi perderla nuovamente causando un altro trauma a Rosie.

Purtroppo era appena successo con Alice, la tata che li aveva abbandonati in maniera così brusca e drammatica che John aveva davvero temuto per la salute della figlia, ma la piccola era molto più forte di quello che il padre credeva e apparentemente sembrava aver compreso il fatto, anche grazie alla presenza della signora Hudson, una specie di nonna più che una governante.

John era ancora in pigiama e vestaglia quando suonarono alla porta. Sorpreso si diresse ad aprire, aspettandosi il postino o l’inizio delle collette per Natale, invece si trovò davanti un uomo alto, dai capelli neri ricci e indomabili, gli occhi azzurri penetranti e un aspetto aristocratico. Sembrava un Lord, forse qualche nuovo vicino trasferitosi da poco.

John istintivamente si passò la mano nei capelli in un improbabile tentativo di darsi una sistemata, prima di chiedere con chi avesse il piacere di parlare.

« Buongiorno, sono William Scott » rispose lo sconosciuto, senza aggiungere altre informazioni e lasciando John ancora più perplesso.

« Cercava? »

« Sono stato mandato dall’agenzia, sono il nuovo baby-sitter » rispose semplicemente, mentre l’altro fece un involontario passo indietro, come per osservare meglio la figura che aveva davanti, l’uomo che aveva appena dichiarato di essere una tata.

« Ma lei è un uomo » riuscì soltanto a balbettare.

« Non si può nasconderle niente» rispose sarcasticamente, pentendosene però immediatamente; doveva ricordarsi che doveva fare bella figura e mettere da parte i suoi pessimi modi. Sfoggiando il sorriso più affascinante di cui disponeva, allungò il curriculum e la lettera di presentazione dell’agenzia di baby-sitter che il fratello aveva contribuito a rendere realtà.

«Emh, veramente… » balbettò nuovamente John, ancora stupito nel trovarsi davanti un affascinante uomo e non una rassicurante tata.

Sherlock si avvicinò a John, occhi negli occhi, come a cercare di leggerlo, studiarlo, capire anche se potesse essere coinvolto nella sparizione di Alice, ma quello che ne dedusse fu soltanto che era molto annoiato e che aveva una sorella con cui non andava d’accordo.

« Non è di molte parole, credo andremo d’accordo. Posso entrare? » fece il consulente investigativo, approfittando dello stupore dell’uomo per entrare nella villa senza attendere l’assenso del padrone di casa, ancora appoggiato allo stipite della porta, chiedendosi perplesso cosa fosse appena accaduto.

Sherlock osservava frenetico l’ingresso, certo che avrebbe trovato qualche dettaglio fuori posto che sarebbe stato utile per il suo caso, quando si accorse di essere osservato da due donne, una anziana e una in miniatura.

« Tu chi sei? » chiese Rosie, avvicinandosi cautamente al nuovo arrivato « Sei un collega di papà? »

« No, sono William, il nuovo baby-sitter »

« Wow » esclamò la bambina che per la prima volta incontrava qualcuno con un aspetto molto simile al principe azzurro delle fiabe.

« Oh buon Dio » commentò soltanto la signora Hudson mentre John si schiaffeggiava sonoramente la fronte, ormai la frittata era fatta: non poteva accompagnarlo alla porta ora che la figlia lo aveva incontrato, doveva almeno concedergli il beneficio del dubbio che un uomo potesse essere un buon baby-sitter.

« Sì, se ci scusate dovremmo discutere qualche dettaglio » fece John, prendendo Sherlock sotto al braccio e trascinandolo educatamente nel suo studio.

Il primo pensiero che lasciò stranamente colpito il detective fu la strana scelta di colore per le pareti dello studio di Watson. Erano rosse, un rosso vivo, quello che per qualunque arredatore sarebbe stato “un pugno in un occhio”, eppure lui le trovava stranamente affascinanti.

« Sta guardando le pareti, vero? »

« Insolita scelta di colore, uno studio rosso non capita tutti giorni »

« Mia figlia due anni fa ha avuto un periodo piuttosto vivace e aveva deciso che usare il pennarello rosso sulle pareti dello studio era un buon modo di attirare l’attenzione. Alla fine per non perdere troppo tempo ho fatto ridipingere tutto di rosso »

« E’ un uomo pratico »

John sorrise « Parliamo di lei. Un po’ brusco annunciare a mia figlia che sarà il suo nuovo baby-sitter, non ha ancora il posto »

« Sono sicuro che il mio curriculum la soddisferà e poi la Old London Nannies è un’agenzia degna di fiducia »

John era d’accordo e non poté ribattere sul punto « Qui dice che conosce quattro lingue: francese, tedesco, italiano e russo »

« Confermo »

« Corsi di soccorso pediatrico, ottima conoscenza delle materie scientifiche, filosofia, astronomia… »

Sherlock alzò gli occhi al cielo, pensando che avrebbe dovuto leggere il curriculum e le referenze che il fratello gli aveva preparato prima di presentarle, perché di astronomia era già tanto se sapeva che la Terra ruotava attorno al Sole.

« Suona anche il violino » continuò John ammirato, chiedendosi come un soggetto con un simile curriculum avesse optato per una carriera come baby-sitter « Scusi la franchezza, ma non mi aspettavo un baby-sitter uomo e ora che ho visto tutte le sue conoscenze sono ancora più stupito »

« Ritengo che educare le giovani menti sia un lavoro di grande responsabilità che permetta di ricevere anche grandi soddisfazioni personali » rispose Sherlock, recitando la frase che aveva impegnato a memoria « E credo di andare molto bene per lei » aggiunse.

« Cosa la fa essere così sicuro? » chiese John, con voce un po’ malferma ora che si trovava a fissare quell’uomo, così enigmatico e misterioso che aveva appena dichiarato di andare molto bene per lui.

«Lei ha bisogno di uscire, vuole bene a sua figlia ma comincia a sentirsi prigioniero di queste quattro pareti. Non è fatto per la vita domestica, altrimenti non avrebbe così tante foto di viaggi per il mondo appesi alle pareti. Ne approfitta ogni volta che può, non è vero? Zoppica leggermente, credo sia psicosomatico perché non è continuo, è come un fastidio e credo che anche questo dipenda dal sentirsi un leone in gabbia. Ha una sorella, l’ho letto in internet e il fatto che non le abbia chiesto alcun aiuto con sua figlia significa che non andate d’accordo, quindi le rimango solo io come possibilità di uscire di casa »

John lo fissò a bocca aperta, sembrava che quell’uomo non avesse ma preso fiato mentre aveva analizzato così spudoratamente la sua vita e decretato che era “un leone in gabbia”, metafora che si sentiva cucita addosso.

Sherlock per un attimo temette di aver rovinato tutto, i “normali” di solito gli avrebbero urlato di andare via, invece John, dopo lo stupore, non batté ciglio ma continuò a guardare il curriculum perplesso. Erano indicate importanti famiglie con entusiaste referenze e davanti aveva un uomo dai modi spicci che tutto sembrava fuorché qualcuno che si occupasse di bambini per lavoro, ma la settimana seguente avrebbe avuto davvero bisogno che qualcuno si occupasse della figlia e non poteva continuare a lasciare l’incombente alla signora Hudson.

« Facciamo così, due settimane di prova, cosa ne dice? Poi sarà comunque Natale e non voglio tenerla in ostaggio, avrà una famiglia, una fidanzata… » commentò, cercando di scoprire qualcosa di  più.

« Due settimane basteranno » rispose, pensando alla risoluzione del caso e ignorando il commento sul Natale in famiglia  « per farmi apprezzare e assumere » aggiunse, certo che gli sarebbe bastato anche meno tempo.

« D’accordo » rispose John, ancora stranito, alzandosi dalla scrivania.

Come Sherlock ebbe subito modo di osservare, lo studio era piuttosto scarno, fatto che evidenziò ancora una volta la natura pratica dell’uomo che aveva davanti. La libreria attirò particolarmente la sua attenzione. C’erano diversi libri, alcuni antichi e probabilmente prime edizioni, altri più moderni ovviamente della Casa Editrice Watson di cui era proprietario l’uomo, ma una collana lo indusse ad avvicinarsi, ignorando completamente le chiacchiere di John, che aveva iniziato a spiegare gli orari di Rosie.

« Problemi? » chiese John, osservando l’elegante figura del nuovo baby-sitter, perso nella lettura dei titoli del libri riposti nella libreria.

« Ha diversi libri, ma solo di questo autore possiede tutta la collezione. Solo di questo Arthur Conan Hamish. Scrive libri su un medico detective, giusto? »

« Sì » rispose, tossendo in leggero, curioso, imbarazzo.

« Le piacciono le storie di detective, quindi! » commentò pavoneggiandosi leggermente, sfoggiando un sorriso compiaciuto come se avesse appena ricevuto un complimento.

« Sì, in effetti » rispose, guardandosi le scarpe dei piedi « Stavo per presentarle per bene mia figlia e farle conoscere la governante » riprese, evitando l’argomento.

Sherlock annuì, segnandosi a mente di indagare meglio su quello scrittore. Era curioso, tutto in quel John così ordinario destava curiosità. Bella casa, graziosa figlia, un lavoro ereditato dalla famiglia, eppure nascondeva qualcosa in quegli occhi, come di qualcuno che vedeva interi mondi dove chiunque altro riusciva a vedere soltanto banalità. Sherlock si basava sempre su dati di fatto, sulle prove, mai su sensazioni, ma John aveva qualcosa, ma non sapeva nemmeno lui dire esattamente cosa.

« Resta…anzi resti a pranzo con noi? Possiamo iniziare con un pranzo per conoscerci meglio » chiese John, facendosi meno formale.

« Mi sembra una buona idea »

« Bene, mia figlia avrà sicuramente origliato tutto da fuori la porta, è piuttosto curiosa. Rosie entra pure » concluse,  alzando
appena il tono della voce  perché la figlia, effettivamente nascosta dietro la porta, potesse sentirlo.

La bambina spinse piano la porta ed entrò nello studio del padre, un po’ in colpa per essersi fatta beccare così facilmente un po' in imbarazzo per la presenza dello sconosciuto. Lo squillo del cellulare riportò John nel suo caotico mondo dell’editoria e con un « Fate conoscenza, torno subito » lasciò l’improbabile bambinaio e la curiosa Rosie ad osservarsi in quello studio in rosso.

Per la prima volta da quando aveva avuto la brillante idea di fingersi un baby-sitter, Sherlock aveva l’impressione di essersi cacciato in qualcosa di cui non aveva alcuna, nemmeno remota, esperienza. Aveva davanti un essere umano di sei anni: capelli biondi e ricci, occhi blu come il padre e un’espressione vivace, di quelle bambine che probabilmente non si accontentavano di guardare la tv tutto il pomeriggio. Forse la sua copertura non avrebbe retto abbastanza come credeva.

« Così ti chiami Rosie » esordì, impacciato, dondolando leggermente sul posto. Sherlock Holmes non era mai palesemente in imbarazzo ma questa versione William Scott si stava facendo “spaventare” da una bambina di sei anni.

« Assomigli all’eroe di un mio fumetto »

« Chi? »

« Doctor Strange »

« Non sei piccola per quel genere di fumetti? »

« Io non sono piccola e so una cosa che tu non sai »

Uno sguardo di stupore si dipinse sulla faccia del detective, forse Rosie sapeva qualcosa della sua baby-sitter. Doveva saperlo per forza, era sempre con lei e se era davvero sveglia come sembrava magari gli avrebbe rivelato qualcosa.

« Dimmi »

« E’ un segreto, papà non vuole che ne parli »

« Giuro che non dirò niente »

« So chi è Arthur Conan Hamish » rispose e lo stupore prima dipinto sul volto del detective si trasformò in delusione « Dovresti leggerlo » continuò la bambina strizzando l’occhio e non aggiungendo alcun dettaglio, anche se ormai Sherlock credette di aver aggiunto un altro tassello riguardo la personalità dell’editore.

Fortunatamente per Sherlock il pranzo fu presto pronto e non dovette intrattenersi troppo tempo da solo con la bambina. Non parlò tantissimo, Rosie era una gran chiacchierona e questo diede modo al detective di limitarsi a ridere ai racconti della bambina o a chiedere qualcosa sul lavoro di John. Era troppo presto per porre ulteriori domande su Alice, avrebbe attirato l’attenzione e non sarebbe riuscito a raggiungere l’obbiettivo: carpire la fiducia di John e di chiunque gli stesse attorno, per risolvere il mistero.

Si congedò dopo il dolce, con l’intesa che lunedì mattina si sarebbe presentato puntuale a casa Watson per accompagnare Rosie a scuola.

« Strano tipo quel William, vero? » fece la signora Hudson, rimettendo a posto i piatti, aiutata come sempre da John che si sentiva quasi in colpa a trattarla da governante dopo tanti anni insieme.

« Dice che dovrei preoccuparmi? »

« Oh, no mi sembra a posto. E poi Rosie ha già una cotta, non ha fatto che parlare di lui quando lo hai accompagnato al taxi. E’ molto affascinante » rispose ridendo.

« Già, affascinante e particolare direi » commentò John tra sé, mente la signora Hudson intercettava uno strano sorriso, che non vedeva da tempo, almeno da quando c’era ancora la moglie o forse addirittura prima, perché John non lo avrebbe mai ammesso ma l’amore per Mary era andato scemando negli ultimi mesi prima della morte, fatto di cui sembrava non essersi mai perdonato.

La signora Hudson pensò che forse, quel Willim Scott, poteva essere la ventata di novità che avrebbe dato la giusta sveglia a John.

***** * ****
Angolo autrice
Intanto grazie a chiunque sia arrivato fino a qui e welcome alla mia nuova, tradizionale, storia leggera estiva (ok, non so in effetti se le altre commedie le ho scritte durante l'estate ma mi piace l'idea della rilassatezza di una storia con il minor angst possibile).
Per chi fosse un esperto del canone di A.C.Doyle, la parte gialla potrebbe ricordargli prepotentemente un racconto della raccolta, ma non dirò quale per non fare spoiler a chi non lo ha letto/non ne ha memoria. Alla fine lo metterò in nota ovviamente.
Grazie a Koa_ per questo prompt per cui ho urlato I'm a Volunteer su twitter.
Sperando di avervi incuriositi, grazie ancora e alla prossima.



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Capitolo 2
*** Il detective bugiardo ***




Il detective bugiardo

Braccia incrociate e uno sguardo che tradiva un’evidente noia, Sherlock Holmes attendeva l’uscita da scuola della piccola Rosie. Il lungo cappotto e la sciarpa non bastavano per scaldarlo da quello che si stava rivelando essere il più freddo inverno degli ultimi anni e il cielo bianco sopra le loro teste lasciava presagire soltanto l’arrivo di una bella nevicata.

La perplessità nel ritrovarsi lì si fece sempre più prepotente in lui. La situazione era strana, molto strana, era già stato sotto copertura ma non gli era mai successo di dover fingere qualcosa di così lontano da sé stesso.

Trovarsi fuori da una scuola gli fece inevitabilmente ripensare agli anni delle elementari con non poca amarezza: ricordò tutte le volte che avrebbe voluto socializzare con i compagni di classe e quanto l’impresa si fosse rivelata impossibile. Al primo accenno da parte di un orgoglioso piccolo Sherlock, allo studio sul ciclo vitale dei bruchi che stava conducendo, i bambini scuotevano il capo e tornavano a parlare di calcio e action men. Peccato che i suoi compagni di classe non avessero potuto apprezzare la meraviglia di vedere il bruco che Sherlock "aveva adottatto” e filmato quotidianamente, trasformarsi in farfalla, ma avessero passato il tempo a deriderlo, chiamandolo stramboide.

Alcune madri dei compagni di classe di Rosie, intato, avevano più volte buttato l’occhio verso quell’individuo alto e misterioso; alcune confidavano si trattasse di un padre single di qualche nuovo bambino. Sherlock aveva notato che stava velocemente diventando oggetto di curiosità e attirare l’attenzione non era di certo tra i suoi progetti di consulente investigativo impegnato in un caso.

Una delle donne, la più coraggiosa o la più sfacciata, si staccò dal gruppetto diretta a passo spedito verso il detective. « Chiedo scusa, non credo ci abbiano presentati. Mi chiamo Janine, lei è ? »

« William Scott, sono il baby-sitter di Rosie Watson » rispose senza degnarla di uno sguardo.

« Oh, certo » commentò perplessa « Avevo dimenticato la scomparsa di Alice »

« La conosceva bene? » Chiese il detective, ora più interessato, sperando almeno  di rimediare qualche informazione.

« Scambiavamo qualche parola. Sembrava simpatica »

« Chissà come l’ha presa il povero marito » commentò Sherlock, con voce fintamente contrita.

« Secondo me non era poi così innamorata del futuro marito. E lei invece?  La sua fidanzata le lascia fare il baby-sitter? » chiese Janine, facendosi più vicino con l’evidente intento di flirtare.

« Fidanzata? Decisamente non è la mia area e poi, dovrei chiederle il permesso? E’ così che si comportano le fidanzate? » fece perplesso.

« Non la sua area, bene è stato un piacere » Rispose la donna delusa, prima di  congedarsi e correre dalla altre mamme comunicando, con tono di voce non propriamente vellutato, che dopotutto John Watson era gay come avevano sempre sospettato.

La chiassosa uscita da scuola degli studenti pose apparentemente fine ai commenti sul nuovo arrivato e Sherlock, con un sospiro di sollievo, si preparò a prendere il pesante zaino di Rosie per accompagnarla a casa.

« Ciao Rosie, andata  bene la giornata a scuola? » chiese in maniera piuttosto formale, come qualcuno che aveva letto un manuale di psicologia infantile, cosa che aveva effettivamente fatto per imparare velocemente a rapportarsi con una bambina di sei anni.

« Abbastanza, abbiamo fatto le prove per la recita di Natale »

«Interessante » rispose, cercando di esternare appunto un interesse per le attività della bambina, così come suggerito nel manuale.

« Il canto di Natale di Dickens. Noi delle classi prime facciamo solo ruoli di contorno, io faccio parte di un coro di orfani » fece Rosie, un po’ dispiaciuta per la piccola parte.

« E non è offensivo nei tuoi confronti? » sbottò il detective, dimenticando per un attimo che avrebbe dovuto usare “tatto” nel rapportarsi con una bambina orfana di madre.

« Perché? »

« Beh, perché tu… » “hai perso la madre” « ...mi sembri… più… brava » formulò a stento.

« Sei un tipo buffo, sai? » Rosie rise e seguì il baby-sitter nell’auto.

Il viaggio proseguì senza altri intoppi, Sherlock era riuscito a calarsi a modo suo nella parte di baby-sitter, intervallando inopportuni commenti sullo stato dell’educazione nelle scuole britanniche a disquisizioni su cartoni animati che aveva guardato nel week end per prepararsi all’incontro con Rosie. La bambina lo ascoltava, non riuscendo sempre a stare dietro alla raffica di parole che quel nuovo baby-sitter riusciva a pronunciare ma trovandolo un tipo talmente fuori dal comune e da tutti gli adulti che aveva incontrato da starle già più che simpatico.

A casa Watson li attendeva il pranzo già pronto e John, che aveva fatto pausa dal lavoro appositamente per pranzare con la figlia e controllare come se la stesse cavando il nuovo baby-sitter.  Quando entrarono in sala da pranzo, tuttavia, John sembrava più interessato al quotidiano che stava leggendo che al ritorno da scuola della figlia.

« Ciao papà » fece Rosie con voce offesa, saltando al collo del padre, fintamente infastidita dalla mancanza di attenzione. Era davvero un’ottima attrice, Sherlock ci aveva visto giusto sul fatto che era più brava di un’orfana di contorno nella recita scolastica.

« Scusate, ero distratto da questo articolo. Di nuovo quel Sherlock Holmes sul giornale » commentò, ripiegando con cura il quotidiano. Se avesse alzato lo sguardo avrebbe notato la colorazione improvvisamente più bianca del suo baby-sitter, che sentitosi nominare nella sua vera identità si era irrigidito, prima di rilassarsi ricordando che non aveva motivo di pensare che John lo avesse scoperto, non sembrava così acuto.

« Chiedo scusa? » commentò Sherlock, prendendo posto a tavola.

« Papà ha una cotta per un detective » rispose Rosie, ridendo mentre addentava un pezzo di pane.

« Io non ho una cotta » sottolineò John, arrossendo leggermente « Seguo la cronaca e questo Sherlock Holmes è spesso citato. Nessuna foto però » commentò, leggermene deluso.

« Aiuta la polizia, è un investigatore privato » aggiunse Rosie, credendo che Sherlock avesse bisogno di una spiegazione, ma l’unica costa che stava pensando era di correggere detective con “Consulente investigativo”.

« Se è un investigatore è il motivo per cui non ci sono foto, necessita l’anonimato » rispose Sherlock guadagnandosi un  « Lo credo anch’io » di John, piuttosto meditabondo, come se stesse meditando di setacciare internet alla ricerca di una foto.

« Sherlock Holmes ha un sito, papà una volta gli ha scritto » intervenne nuovamente Rosie e John cominciò a chiedersi perché fosse diventata così chiacchierona tutto d’un tratto o perché lui si sentisse così giudicato da William, che conosceva da nemmeno un giorno.

« Solo per chiedergli cosa ne pensasse di quello strano annuncio su una lega dei capelli rossi(1) » bofonchiò John, tuffandosi immediatamente nel suo piatto di pasta per evitare altre domande sul punto.

Oh, eri tu” riuscì soltanto a pensare Sherlock, non nascondendo un sorrisetto compiaciuto, quel caso era stato davvero bizzarro e aveva anche ringraziato il misterioso utente “the man” che lo aveva stuzzicato al punto da indagare.

Rosie emise uno strano verso prima di buttare giù il boccone che aveva in bocca e esporre la sua idea « Potresti andare da lui e inventarti un caso, così lo conosceresti »

« Non credo abbia tempo per cose del genere »

« Potresti raccontargli di Alice » aggiunse Rosie.

In quello strano ping - pong tra padre e figlia, Sherlock aveva completamente dimenticato perché si trovasse a quella tavola con loro. Non era stato invitato, si era infiltrato per un caso e finalmente ne stavano parlando.

« Che tipo era Alice? » chiese il detective, cercando di farla sembrare una domanda normale ed innocente.

« Secondo me non si è suicidata » rispose Rosie che ogni minuto che passava dimostrava una maturità che Sherlock non credeva di riscontrare in una bambina di sei anni.

« Come fai a dirlo? » le parole uscirono dalla bocca del detective senza pensare fosse una domanda inopportuna.

«Era felice, le persone felici non hanno motivo di uccidersi » rispose la bambina con aria saggia, come se avesse meditato molto sul punto e fosse giunta a quella conclusione. John ne fu costernato, non aveva capito che la figlia aveva preferito una versione alternativa della realtà ma la cosa non avrebbe dovuto sorprenderlo, aveva molta fantasia.  La signora Hudson lo aveva rimproverato per aver raccontato a Rosie la verità nuda e cruda ma John già si sentiva  in colpa per non averle detto esattamente come era morta la madre, non volve aggiungere altre bugie.

John prese un respiro e cercò nuovamente di spiegare la vicenda a Rosie  « A volte la felicità è solo esteriore, tesoro. Sembrava felice e nessuno poteva immaginare quanto soffrisse »

« Come te? » chiese Rosie preoccupata, spiazzando entrambi i presenti.

« Io… io sono felice » fece il padre e fortunatamente la signora Hudson entrò nella sala da pranzo proprio in quel momento mettendo fine al discorso  « Smettetela con questi argomenti così macabri. Alice era una ragazza meravigliosa ».


**** * ****

Nel pomeriggio Sherlock scoprì quanto potesse essere complicato far fare i compiti a una bambina che avrebbe preferito mille volte disegnare o giocare con i Lego piuttosto che stare seduta a risolvere operazioni di matematica, fatto che il detective non poteva che condividere, non era facile nemmeno per lui stare fermo sulla sedia.

Dopo trenta minuti Sherlock si alzò e iniziò a passeggiare per il soggiorno, prima che gli venisse l’insana voglia di telefonare a qualcuno perché gli portasse una sigaretta « Alice stava seduta mentre tu facevi i compiti? »

« Beh, sì » fece la bambina, osservandolo « Hai un disturbo da deficit dell’attenzione o iperattività? »

« Scusa? » chiese spiazzato dal linguaggio così tecnico di quella bambina.

« Un mio compagno di classe ha entrambi, la maestra lo ha legato alla sedia una volta. Poi è venuto fuori che aveva questa sindrome» rispose facendo spallucce.

« Ha tutta la mia comprensione » commentò Sherlock, prima di guardare Rosie che lo fissava cercando di trattenere una risata e scoppiarono entrambi a ridere.

Si sentì strano, molto strano. Gli sembrò come se quei muscoli facciali non fossero stati usati da tanto tempo. Di solito sorrideva per la felicità di un nuovo caso, per qualche interessante distrazione, mentre non era sicuro di quando fosse stata l’ultima volta che aveva riso davvero con qualcuno.

Finiti i compiti finalmente Rosie poté dedicarsi al disegno, attività che Sherlock scoprì essere tra le preferite della bambina e aveva di positivo che poteva sbizzarrirsi nella sua camera mentre il detective si prendeva una pausa dall’attività di baby-sitter, che gli stava impegnando parecchie, inutilizzate, funzioni cerebrali: ricordarsi di usare il tatto, ricordarsi di sorridere, ricordarsi che aveva sei anni e non poteva parlarle come ad un adulto… Sherlock di solito era abituato a esprimersi a monosillabi o iniziare lunghe spiegazioni che soltanto l’ispettore Lestrade aveva la pazienza di ascoltare, non si impegnava mai a modulare a lungo le sue esternazioni.

Scese in cucina dove la signora Hudson stava già preparando la cena. Fece qualche passo per la stanza, prendendo in mano oggetti a caso in attesa di poter chiedere alla governante finalmente qualcosa su Alice. La donna era un po’ stranita dal nuovo arrivato, sentiva che c’era qualcosa di particolare in lui ma non riusciva a comprendere cosa. Forse già il fatto che un impettito ma stravagante uomo avesse deciso di fare il baby-sitter era  una cosa piuttosto strana per lei.

Sherlock posò il timer a forma di mela che aveva trovato sul tavolo e si preparò ad un approccio con la governante che intento continuava imperterrita a controllare la cottura del pollo.

« Lavora qui da tanto tempo? » iniziò morbido.

« Sì, prima lavoravo per i genitori di John. »

Sherlock strinse le labbra, annuendo all’informazione inutile.

« Giovanotto, vuoi chiedermi qualcosa? » lo spiazzò lei, con un tono molto simile a una madre più che a una governante.

« Stavo pensando a quel discorso di pranzo. Alice, lei la conosceva bene? »

« Abbastanza, era una ragazza molto impetuosa, come ero io da giovane » fece strizzando l’occhio « Molto diversa dalla sorella, una ragazza fin troppo posata per essere americana. Alice era uno spirito libero »

« Da come la descrive non sembra una ragazza che tenterebbe il suicidio » constatò lui, ritenendo sempre meno probabile l’ipotesi formulata dalla polizia.

 La donna lo guardò perplesso « Beh non lo so, mi sento quasi in colpa a non aver dato peso a quello che era successo la mattina del giorno in cui è sparita. Eravamo andate in Chiesa per verificare gli ultimi dettagli sugli addobbi. Quando siamo uscite ho notato una strana espressione in Alice, come se avesse visto qualcosa che l’aveva spaventata, non saprei direi »

« Ne avete parlato? » fece lui, trattenendo una sorriso nell’ottenere finalmente qualcosa di utile per il caso.

« No, poi siamo state distratte da altro »

« E il futuro marito che tipo era? » incalzò Sherlock, senza rendersi conto che si era avvicinato e stava tenendo un ritmo nelle domande più da interrogatorio che da amichevole conversazione.

« Perché tutte queste domande? » chiese la governante, congelando l’espressione interessata di Sherlock.

« Niente, ero solo curioso » rispose, sparendo quasi subito dalla cucina sbuffando, perché era chiaro che l’unico modo che aveva per scoprire qualcosa sul marito era andare a parlare col gruppetto delle mamme pettegole il giorno dopo.

La cena fu più silenziosa del pranzo o almeno a Sherlock parve silenziosa, in realtà Rosie chiacchierò a lungo dell’imminente recita scolastica e solo quando si sentì chiamato in causa si rese conto che aveva ignorato completamente ogni singola parola che John e Rosie avevano pronunciato.

« William, mi hai sentito? » fece la bambina scuotendo il capo e sussurrando al padre « deficit dell’attenzione » guadagnandosi un’occhiataccia di John che non sapeva più come contenere la sfacciataggine della figlia.

« Scusate mi ero distratto »

« Rosie voleva sapere se ci sarai alla sua recita di sabato » fece John, sorridendo.

« Oh, il coro degli orfani »

« Il canto di Natale » lo corresse la bambina.

Sherlock non sapeva davvero cosa rispondere, per sabato avrebbe sicuramente risolto il caso, sei giorni erano anche troppi per scoprire se la ragazza si era davvero suicidata, era stata uccisa o era scomparsa per altri motivi, fatto su cui puntava. Abbozzò un sì, sentendosi stranamente in colpa.

***** *****

Dopo aver messo a dormire la figlia, John raggiunse Sherlock che seduto davanti al caminetto stava leggendo uno dei libri del misterioso scrittore Arthur Conan Hamish. Dalla lettura delle prime pagine fu certo che il libro che aveva in mano era stato scritto dal suo provvisorio datore di lavoro. Il protagonista era un medico che nel tempo libero aiutava un amico poliziotto a risolvere strani casi in cui rimaneva coinvolto perché riguardavano i suoi pazienti o i colleghi. C’era la voglia di avventura e c’era quella sorta di lealtà e romanticismo che circondava John Watson.

Sherlock chiuse il libro all’arrivo dell’autore in persona, non smettendo di chiedersi quanti altri misteri nascondesse l’apparente ordinario John Watson.

« Sempre interessato a quei libri? »

« Rosie mi ha fatto capire che l’autore sarebbe stato felice se li avessi letti » commentò con un sorrisetto che suscitò in John una risata sconsolata  « Rosie, Rosie. Quando diventerà adolescente sarà ingestibile »

« E’ molto intelligente » commentò soltanto Sherlock.

« Già, ha preso molto dalla madre »

Sherlock si sporse leggermente, per vedere meglio John in quella penombra, con soltanto le fiamme del camino e un abatjour ad illuminarli.

« Non ti manca, vero? »

« Come dici? »

« In casa ci sono delle foto di Mary assieme alla figlia, nessuna da sola o con te. Se ti mancasse ci sarebbero delle foto di voi due, o almeno qualche bel primo piano, oppure non ci sarebbero foto per non doverti ricordare costantemente di lei. Invece solo foto con Rosie, non ti manca ma temi possa mancare a Rosie o vuoi comunque che lei si ricordi della madre »

John aprì la bocca per ribattere, qualcun altro lo avrebbe insultato o licenziato, ma non lui « Sai, sei stupefacente ma al contempo rischi che qualcuno ti prenda a pugni »

« E’ già successo. Più di una volta » rispose e John per la prima volta vide una leggera crepa nella personalità così imperscrutabile del nuovo ospite. Se fin dal primo incontro gli era sembrato poco socievole, ora aveva la certezza che era un solitario ma non del tutto per sua scelta.

John si abbandonò sullo schienale, come a cercare di visualizzare quella che era stata la sua vita un secolo prima « L’amore era scemato, avevo scoperto che mi aveva mentito su molte cose e non ero riuscito a superarlo. Le hanno sparato qui, in casa nostra. I giornali hanno parlato di furto ma la vicenda era un po’ più complessa »

« Non l’hai perdonata? Doveva essere una bugia molto grave » chiese Sherlock, sentendosi quasi in colpa, dopotutto anche lui stava mentendo.

« Lo era, immagina che una persona menta su tutto il suo passato, su quello che è… »

Per la prima volta da quando si era buttato in quella avventura, Sherlock aveva cominciato a pensare alle conseguenze delle sue azioni. Cosa avrebbero detto John e Rosie quando avrebbe rivelato che non era un baby-sitter? Cercò di visualizzare la scena e concluse che si sarebbero fatti una risata, in fin dei conti era già stupito che lo volessero come tata e oltretutto erano fan del vero Sherlock Holmes. Non lo avrebbero odiato, si ripeté più volte mentalmente.

« Magari questa persona ha una buona ragione per mentire  » buttò lì Sherlock, pensando più a se stesso che a una persona immaginaria.

« Mi sono ritrovato sposato con una persona che non conoscevo, tu come la prenderesti? » rispose John, ma senza rancore, più con l’atteggiamento di qualcuno che ormai aveva accettato il fatto ma non intendeva ripetere l’esperienza.

« Non lo so, io non sono sposato » "se non con il mio lavoro".

« Già, beh è una sensazione molto spiacevole quando vieni tradito così. Mi sta capitando anche alla casa editrice »

« Oh, hai una fidanzata sul lavoro? » fece Sherlock, stupito di non averlo dedotto.

«No, ho un dipendente che sta passando informazioni alla concorrenza, ma non riesco a capire chi sia » rispose stiracchiandosi sulla poltrona.

La rivelazione di un possibile caso portò nuovo entusiasmo nel detective che smise di pensare a tutte le bugie che stava raccontando  « Se ti va, potrei aiutarti. Sono molto deduttivo, potrei accompagnarti al lavoro dopo aver lasciato Rosie a scuola e fare qualche domanda »

John sorrise, aveva pensato di approfittare del problema per chiedere aiuto al famoso Sherlock Holmes tramite il sito ma William era lì, era reale, non una figura leggendaria di cui non conosceva nemmeno il volto e si era limitato ad un “grazie” quando gli aveva scritto della lega dei capelli rossi.

« Ve bene William dalle mille risorse, domani verrai al lavoro con me »

**** * *****

(1) Sono in vena di citazioni canoniche in questa storia, così dopo “uno studio in rosso” vi buttò lì anche “La lega dei capelli rossi”. Alice viene da un altro racconto ma come direbbe River Song “SPOILER”.

Angolo autrice:
Ciao a tutti e grazie di aver letto/recensito/inserito in qualche categoria. Spero vi piacciano gli sviluppi, un abbraccio!!!

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Capitolo 3
*** Una famiglia di filibustieri ***



Una famiglia di filibustieri


Quando Sherlock Holmes, nei panni di William, scese in cucina per fare colazione trovò una tazza di tè fumante e un disegno di Rosie ad attenderlo. Non sapeva se si fosse svegliata prima apposta per dar sfogo alla sua vena artistica o se la sera prima avesse fatto finta di addormentarsi per poi sgattaiolare fuori dalle coperte, ma in ogni caso aveva davanti un foglio con tre personaggi vestiti da pirata. Era evidente che uno era proprio lui, dai capelli ricci che spuntavano da fuori il cappello, mentre l’altro più basso e con una bandana a righe bianche e nere era  John e per ultima una biondina con la benda sull’occhio.

« Bella famiglia di filibustieri, non credi? » Commentò John che già aveva avuto modo di ammirare e ridere dell’ultimo capolavoro della figlia « Leggerle “L’isola del tesoro” deve averla ispirata, come mai questa scelta? »

« Ho sempre amato le storie di pirati » rispose William un po’ perplesso da quel semplice foglio che stringeva tra le mani. Gli aveva fatto un disegno, per lui, assieme a lei e suo padre, come se fosse parte della famiglia “di filibustieri”.

Non sapeva esattamente cosa farne. Rosie si aspettava che lo appendesse da qualche parte in particolare? E se sì, dove? Cercò con lo sguardo la signora Hudson, confidando che la governante fosse più ferrata di lui ma poi si ricordò che stava impersonando un baby-sitter e come tale avrebbe dovuto essere a conoscenza delle preferenze delle bambine di sei anni.

« Ti piace? » mormorò una vocina meno spigliata di quanto si fosse dimostrata nelle 24 ore precedenti. Una Rosie più timida e impacciata del solito pendeva dalle labbra del baby-sitter.

« Molto » rispose Sherlock « E ottimo uso dei colori » aggiunse, sembrando più un tentativo di imitazione di un critico d’arte che un esperto di bambini. « Lo… appenderò… nella mia camera » concluso, lentamente, cercando di  capire dall’espressione di Rosie se stesse facendo la cosa giusta.

« Sei davvero buffo » fece soltanto lei, prima di correre in soggiorno per agguantare lo zaino.

Il viaggio in macchina fu costellato da mille domande di Rosie sull’indagine che suo padre e il suo baby-sitter stavano per compiere. La bambina era curiosissima, avrebbe voluto saltare le lezioni per unirsi a loro, perché a suo dire sarebbe stata molto utile, invece sconsolata fu accompagnata a scuola con la promessa che se ci fosse stata un'altra indagine avrebbe partecipato anche lei.

La casa editrice Watson non era esattamente come Sherlock l’aveva immaginata. Credeva si trattasse di un edificio ereditato dalla famiglia, magari un palazzo antico, molto simile al club dalle usanze vetuste dove il fratello Mycroft oziava la maggior parte del tempo; invece, era situata in un edificio moderno nella zona delle banche, vicino al Tower Bridge. John doveva aver venduto le precedenti proprietà di famiglia per scegliere qualcosa di più moderno e anche più minimal.

Percorsero l’atrio attirando gli sguardi curiosi dei dipendenti della Casa Editrice; non capitava spesso che l’amministratore delegato entrasse nel palazzo accompagnato da un individuo mai visto e di cui nessuno sapeva nulla. John Watson era un capo disponibile e molto apprezzato dai dipendenti, ma altrettanto schivo per quanto riguardava la sua vita privata.

Una vibrazione nella tasca della giacca segnalò l’arrivo di un sms. Sherlock controllò perplesso, pensando che, in effetti, Lestrade era in silenzio da fin troppo tempo, ma rimase stupito nello scoprire che l’sms arrivava invece dalla sua cliente.

Sig. Holmes, ho capito di aver sbagliato. La prego di non continuare le indagini.
Denise

Se c’era una cosa che Denise non sapeva era che a Sherlock non importava niente dei soldi e della ricompensa. Gli interessava soltanto del rompicapo e quell’sms aveva innescato in lui ancora più voglia di risolvere il mistero.

Perché aveva cambiato idea? In cosa aveva sbagliato?

« Ti presenterò come un vecchio amico di scuola, William. Così faranno meno domande sul perché sei qui »  John interruppe il flusso dei pensieri di Sherlock, il quale aveva dimenticato per un attimo che avrebbe dovuto mantenere un basso profilo, dopotutto era William il baby - sitter non il consulente investigativo.

« Bravo John, vedo che sei entrato nella modalità detective »

« Sherlock Holmes farebbe così » rispose fiero.

« Sherlock Holmes non è qui » “più o meno” si ritrovò a rispondere, quasi infastidito dal continuo venir fuori di questa idealizzazione che John aveva fatto proprio di lui, una figura quasi eroica che sentiva molto lontano da se stesso. Il fatto era quasi comico, era geloso di Sherlock Holmes.

Superarono il luminoso ingresso per puntare dritti agli ascensori, attorno a loro c’era un brulicare di vita e di persone che correvano da una parte all’altra. Sherlock non era mai stato in una casa editrice così importante ma scoprì presto essere più frenetica di quanto potesse immaginare.

« Spiegami esattamente in che modo starebbe passando informazioni »

« Alcuni autori sono passati alla concorrenza, all’inizio pensavo solo a un caso ma poi ho capito che qualcuno avvertiva le altre case editrici che i contratti erano in scadenza. Altri autori giovani ci sono stati portati via poco prima di firmare i contratti ma il peggio è successo con un mensile femminile. Pubblichiamo anche qualche rivista ed è successo che la concorrenza pubblicasse esattamente i nostri stessi servizi ma sempre con quel qualcosa in più che attirasse l’attenzione più delle nostre »

« Non pubblicavate sempre riviste vero? » chiese Sherlock curioso.

« No, le ho rilevate dopo la morte di Charles Augustus  Magnussen, volevo trasformarle in qualcosa di meno scandalistico e più concreto. Una rivista l’ho trasformata da gossip ad approfondimento scientifico »

Sherlock sorrise, non aveva mai gradito le orribili riviste del magante dell'editoria ed era ancora infastidito di non essere riuscito ad aiutare Lestrade nel risolvere l'omicidio. Se solo avesse trovato la misteriosa donna che portava il profumo "claire de la lune" probabilmente avrebbe risolto il caso, ma ormai era passato troppo tempo.

« Deve essere qualcuno vicino a te o comunque qualcuno che possa monitorare un po’ tutto il lavoro » fece Sherlock, meditando sulla situazione.

John annuì, anche se pensare che qualcuno vicino a lui potesse tradirlo era una sensazione che lo faceva stare male. Era sempre stato corretto con i suoi dipendenti, nessuno aveva motivo di fare il doppio gioco se non per puro arrivismo.

Una donna dai fluenti capelli lunghi e i tacchi rumorosi si avvicinò ad entrambi, osservando curiosa il bel moro vicino al suo capo.

« William ti presento Sarah, la mia vice presidente. Non so cosa farei senza di lei » fece John allegro, strizzandole l’occhio e aspettando che i due si stringessero la mano. Sarah sembrava genuinamente interessata al nuovo, misterioso, arrivato ma fu ricambiata da un’occhiata “radar” che Sherlock le riservò mentre si avvicinava per studiarla meglio.

« Vorrebbe avere una relazione con John ma lui non è interessato o troppo preoccupato per Rosie. Come la fa sentire questa cosa? Voglia di rivalsa? »

« Come dice? » fece lei, sgranando gli occhi e ritirando immediatamente la mano che stava per stringere quella di Sherlock. Anche John aveva la faccia di uno che era stato improvvisamente schiaffeggiato senza motivo, per cui non ci pensò due volte prima di prendere il baby-sitter per un braccio e trascinarlo lontano dalla sua vice presidente.

« William, ti posso parlare? Sarah non c’entra, te lo assicuro e non puoi andare a dire in faccia alle persone tutto quello che ti passa per la testa »

« Perché no? Ti assicuro che il tuo Sherlock Holmes farebbe proprio così » rispose, liberandosi dalla presa di John che senza accorgersene aveva continuano a tenere saldamente la mano sul braccio del baby-sitter.

« Come lo sai? » fece John, senza guardarlo in faccia, un po’ imbarazzato per quell’inaspettato contatto fisico « Come sai che Sherlock Holmes si comporterebbe in maniera così sfacciata e maleducata? »

« E’ evidente da come risponde nel suo sito. Non è l’eroe che tu credi » aggiunse, quasi a voler segnare un punto contro se stesso.

« Comunque non è Sarah, siamo usciti qualche volta prima che io incontrassi Mary ma non funzionava » fece serio e Sherlock notò che non c’era traccia di bugia, almeno da parte di John era una vicenda chiusa « Vieni ti presento il resto dei miei collaboratori stretti e ti pregherei di non dirgli tutto quello che pensi ma che te lo tenessi per te » commentò, non trattenendo comunque un sorrisetto.

Sherlock seguì John, curiosando in giro con interesse;  strinse decine di mani, alzando gli occhi al cielo ad ogni inutile discorso che doveva ascoltare in educato silenzio. Le chiacchiere sociali non erano decisamente il suo forte ma a dir la verità notò che anche John non amava troppo quelle situazioni; lo vedeva fremere dietro la posizione militare che manteneva in giro per l'ufficio, molto più formale di quella rilassata che esibiva dentro casa.

« Sono tutti in fibrillazione, abbiamo una scadenza importante, sperando che la solita talpa non avvisi la concorrenza »  fece John, commentando l’entusiasmo degli ultimi collaboratori che avevano appena salutato.

« Oh, Robert Simons, il quasi marito di Alice » aggiunse, indicando un uomo alto, dai capelli scuri e l’espressione stanca.

« Lavora qui? » chiese Sherlock sorpreso.

« Sì, lui e Alice si sono conosciuti durante una festa della Casa Editrice. Gli avevo detto di stare a casa quanto tempo voleva ma è tornato quasi subito al lavoro. E’ il nostro responsabile marketing, senza di lui molte cose non andrebbero avanti. Pensa che era al lavoro anche il giorno prima del matrimonio »

Sherlock fece un sorriso trionfale, mise le mani in tasca mentre uno scintillio negli occhi evidenziava che il caso era chiuso. Se gli avessero dato questa informazione subito avrebbe potuto unire tutti i puntini, ora non gli restava che una mossa.

Sorrise ancora finché pian piano la bocca si curvò fino a diventare una linea orizzontale, quasi imbronciata, mentre osservava John chiacchierare con gli altri impiegati. Era quasi finita, il caso era risolto, restava il dettaglio di provarlo e rivelare il destino di Alice ma si trattava di qualche ora, al massimo qualche giorno. Era già finita l’incursione nella famiglia Watson.

John notò il cipiglio triste di William e per un attimo fu come pervaso dalla stessa tristezza. Era sfuggente William, strano e interessante ma John aveva sempre l’impressione di essere molti passi indietro rispetto a lui. Ora era pensieroso, un po’ triste, malinconico e non aveva idea del perché.

« Tutto bene? » chiese dopo aver abbandonato il gruppetto di impiegati a cui stava dando gli ultimi dettagli per la festa aziendale di Natale.

«Sì, credo sia meglio che io vada un po’ in giro da solo, ok? »

« Certo » rispose John dubbioso, mentre il baby-sitter si allontanava verso le scale.

Sei Sherlock Holmes, non sei William il baby - sitter, torna in te!”  Ripeté tra sé, specchiandosi in una delle tante finestre dell’edificio, così trasparenti da credere che ci fosse qualcuno addetto a pulirle ad ogni minimo alone. Mycroft gli aveva detto, prima di cacciarsi in questo caso, che era un irresponsabile, che era una cosa stupida andare a vivere con dei perfetti estranei per risolvere un apparente suicidio, che alla fine lo avrebbero giudicato come un orribile sociopatico, bugiardo e manipolatore. In risposta aveva semplicemente sollevato le spalle e lasciato il fratello a scuotere la testa dietro la sua scrivania, abbastanza stupito che proprio colui che gli aveva sempre detto che i sentimenti non erano importanti gli stesse dicendo che rischiava di ferire qualcuno. Non era però del tutto sicuro di chi ne sarebbe uscito ferito.

Ricacciò tutti quei “sentimenti”, parola che gli provocò una smorfia che rovinò per un attimo il riflesso della sua immagine nel vetro della finestra, dentro di sé e si preparò a quella che sarebbe stata il resto della giornata, forse l’ultima in casa Watson.

« Robert Simons, è lui la talpa » affermò coinciso mentre la limousine li riportava verso la scuola di Rosie, era già ora di pranzo.

« Come fai a dirlo? »

« Invitalo sta sera a cena e te proverò » fece Sherlock, convinto che chiudere tutto in quella giornata fosse la cosa migliore per lasciarsi velocemente alle spalle la vicenda.

« Preferirei saperne di più prima di invitarlo »

« E’ come hai detto tu, poteva restare a casa dopo il presunto suicidio della fidanzata, invece è tornato subito al lavoro perché avete una scadenza importante, una scadenza che potrebbe essere rovinata da un’azienda concorrente. E’ il responsabile marketing per cui è informato su tutto, deve essere per forza lui » rispose senza prendere fiato e a John, per un attimo, sembrò di essere all’interno di uno dei suoi romanzi: il suo protagonista era molto simile a William, brillante ma con scarse doti relazionali, proprio come immaginava fosse Sherlock Holmes.

« Messa così sembra fin troppo ovvio » mormorò John, sentendosi un po’ stupido e sperando che in realtà William si stesse sbagliando. Robert era venuto tante volte a casa Watson, era quasi di famiglia da quando si era fidanzato con Alice e ritenerlo responsabile era davvero un duro colpo.

« Lo è, un caso da cinque direi »

« Come dici? »

« Niente, niente. Siamo quasi alla scuola » commentò, agitando una mano in aria, come scacciando da sé l’immagine di Sherlock Holmes e la vita incentrata attorno ai casi.

Dopo un ottimo pranzo preparato dalla signora Hudson che continuava curiosamente ad osservarli, come un antropologo osserverebbe le dinamiche di una tribù, Rosie, John e Sherlock decisero di uscire all’aria aperta approfittando di un pallido sole invernale e passarono tutto il pomeriggio in giardino ad inventare storie di pirati e tesori nascosti.

Era tutto stranamente divertente, Sherlock non ricordava di aver corso e riso così da quando era bambino, né di aver avuto voglia di fare qualcosa che non impegnasse la sua preziosa mente. Quando attorno alle cinque del pomeriggio la terribile corsara Hudson uscì in giardino per ricordare a tutti i “bambini”- così li chiamò lei - che era dicembre e si sarebbero presi una broncopolmonite, decisero di rientrare, progettando di nascondere il tè che la “severa” governante conservava in cucina.

Erano già le cinque e Sherlock non aveva ancora avuto il coraggio di mandare l’SMS alla sua cliente, quello che avrebbe dovuto mandare da ore, subito dopo che Robert aveva accettato di venire a cena da John.

Rivolse un ultimo sguardo alla famiglia Watson prima di mordersi le labbra e iniziare a digitare il messaggio.

Cala il sipario, Denise. Venite sta sera a cena dai Watson e chiuderemo il caso.
Racconterò comunque tutto, ha diritto di sapere
SH

Era fatta, un ultimo sospiro e raggiunse John in salotto, pronto a confessare tutto. L’effetto sorpresa sarebbe stato mille volte più teatrale: smascherare Robert, l’arrivo di Denise, eppure non era sicuro fosse così divertente come idea.

John era seduto nella sua poltrona, intento a leggere uno dei suoi romanzi come se lo stesse scoprendo per la prima volta. Sherlock rimase un po’ ad osservarlo, studiandolo, cercando di capire perché quell’uomo con dei ridicoli maglioni e una passione nascosta per i gialli fosse così interessante ai suoi occhi. Cosa aveva John Watson che lo stava confondendo in quel modo?

L’uomo si accorse della muta presenza del baby-sitter e appoggiò il libro sul tavolino prima di rivolgergli un sorriso felice « Sai, sono contento che tu sia qui. Sono sempre stato circondato da donne »

Sherlock indugiò un po’, prima di sedersi sull’altra poltrona libera « Avevi una famiglia un po’ bigotta, vero? »

« Come fai a … perché? » chiese, tra l’esasperato e il sorpreso. Sherlock fece una smorfia, era abbastanza certo di aver inquadrato bene John Watson sotto molti punti di vista, tranne forse sul perché fosse così magnetico.

« Tradizionalisti, meglio? Ma appena hai potuto hai rimodernato tutto, solo che non è facile superare tuti i rigidi moralismi che ti sono stati imposti » rispose, guadagnandosi una risata che lo sorprese: di solito le persone non avevano le reazioni di John alle scomode verità e ne fu sollevato.

« E i tuoi comportamenti imposti? » chiese John, sistemandosi meglio sulla poltrona.

« Non ho rigidi moralismi »

« No, solo un muro tra te e gli altri » continuò, restituendo a Sherlock lo sguardo di uno che aveva capito più di quanto dava a vedere.

Rimasero a fissarsi a lungo, l’aria era particolarmente elettrica quel pomeriggio e Sherlock poté constatare che era anche particolarmente secca perché gli sembrava di non avere più saliva né la capacità di deglutire.

Fu solo un attimo, Sherlock era certo di aver visto una mossa di John, un inizio di qualcosa, come se stesse per alzarsi ma furono interrotti dall’arrivo di una bionda testolina riccioluta che corse fino a buttarsi addosso al padre e Sherlock poté ricominciare a respirare nuovamente.

« Tutto bene? Vi vedo strani » chiese la bambina guardando prima John e poi William.

« Sì, tutto bene » rispose il padre, alzandosi e trascinandola scherzosamente con sé, buttata su una spalla come un sacco.

Sherlock, invece, non era così allegro. Sprofondò nella poltrona, incapace di formulare un pensiero che non prevedesse John che si alzava dalla posizione dove si trovava e si avvicina per baciarlo, perché era certo fosse quella l’intenzione. Non era esperto di relazioni ma lo era nel leggere la gente: i gesti, le pupille dilatate e quello sguardo strano che si scambiavano di solito le persone prima di mettere da parte i preliminari.

Era tentato di prendere il cellulare e richiamare Denise, dirle di non avvicinarsi nemmeno per sbaglio alla casa di John Watson ma il suono del campanello gli ricordò che il primo ospite ad essere atteso era il futuro marito di Alice. Con poca voglia lasciò la comoda poltrona che lo aveva visto protagonista di uno strano flirt e si preparò a chiudere il caso.

Sentì John fare gli onori di casa e invitare l’ospite ad accomodarsi in salotto, proprio dove si trovava lui. Prese un respiro e ripeté nuovamente tra sé che era Sherlock Holmes, il consulente investigativo e stava per fare quello che di solito gli riusciva meglio: risolvere un caso.

« Signor Watson mi ha preso un po’ alla sprovvista questo invito » fece Robert, esitante e in imbarazzo.

« Accomodati. Ecco, ti ho invitato qui perché… » fece John, mordendosi un labbro perché si era completamente dimenticato di dover inventare una scusa valida. Non poteva di certo dirgli che lo aveva invitato per farlo confessare, anche se probabilmente era proprio quello che avrebbe voluto dire William.

Il campanello suonò nuovamente e colse alla sprovvista il padrone di casa.

« Ecco, le ospiti che stavamo aspettando » fece Sherlock dirigendosi ad aprire senza guardare negli occhi John, che era passato dallo stupito all’estremamente curioso. Più che un giallo gli sembrava di essere all’interno di una commedia teatrale dove ogni personaggio veniva introdotto a sorpresa.

« Le ospiti? » chiese Robert prima di sbiancare vedendo apparire sulla soglia la cognata e la fidanzata, viva e vegeta e con un aspetto che non dava decisamente a pensare che fosse resuscitata dalla tomba.

« Alice? » fece l’uomo sconvolto e non era il solo in quello stato: John non poteva credere che la ragazza fosse viva e si maledisse per non aver creduto alla sua intuitiva figlia.

« Banale » commentò soltanto Sherlock.

« Cosa è banale? » chiese John, non capendo come si fossero evoluti gli eventi al punto da assistere ad una scena alla Agatha Christie.

« Alice non si è suicidata, era evidente. Niente lo lasciava presuppore.  Probabilmente aveva dei sospetti su Robert da tempo, dico bene?  Sapeva che lui era la talpa della Casa Editrice » chiese alla ragazza ma non le diede il tempo di rispondere « Ha avuto la conferma dei suoi sospetti la mattina del giorno in cui è scomparsa. Probabilmente ha visto il futuro sposo parlare con qualcuno, forse della concorrenza e ha capito » fece un’altra pausa, prima di rivolgersi nuovamente ad Alice «  John si fidava di lei e le aveva parlato della talpa. Lei è intelligente e ha collegato tutto, così ha pensato che la cosa migliore fosse sparire. Amava Robert e non voleva tradirlo raccontando tutto a John ma al contempo si sentiva in colpa. Mi avevano detto che era impulsiva e infatti è scappata; il fatto che il suo scialle fosse stato ritrovato vicino al fiume è solo una banale coincidenza, nessun suicidio. Sua sorella era molto preoccupata ma poi ha smesso di esserlo tutto ad un tratto e lì ho capito, lei doveva essere tornata. Una volta visto Robert, un uomo che può vantare un buon stipendio ma non così buono da andare in giro con un rolex, probabile regalo di qualche altro editore, è stato tutto banale » concluse lasciando tutti a bocca aperta.

« Straordinario ma, non ho capito come hai conosciuto Denise » chiese John.

« Ho ingaggiato io il signor Holmes »

« William Sherlock Scott Holmes, sarei io »  rispose lui, facendo uno scherzoso cenno di saluto con la mano.



Angolo autrice:

Sono ancora viva, scusate la lunga pausa e grazie come sempre :)

Un abbraccio e alla prossima!


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Capitolo 4
*** Vecchia vita o nuova vita? ***


Vecchia vita o nuova vita?


Il tempo sembrò congelarsi in quel momento, un istante cristallizzato nella storia di John Watson, subito dopo che Sherlock aveva rivelato la sua vera identità.

John sbatté più volte le palpebre, nella speranza forse che qualcuno gridasse “sei su candid camera” o qualcosa di simile. Non poteva essere accaduto davvero, non poteva aver convissuto con il più famoso detective di Londra senza accorgersene.

Nonostante le speranze di John, William Sherlock Scott Holmes era ancora lì, affascinante nel suo completo scuro e decisamente non una tata mandata dall’agenzia.  John si sentì un idiota totale, avrebbe dovuto capire subito che quell’uomo era troppo fuori luogo come baby-sitter mentre l’idea che fosse un detective si adattava molto di più alla persona che aveva dedotto ogni peculiarità delle persone che aveva incontrato, solo guardandole.

Oltretutto non  era un detective qualunque ma Sherlock Holmes, l’uomo che aveva ammirato sulle pagine dei giornali, che aveva cercato timidamente di contattare tramite il suo sito, che credeva troppo fuori dalla portata di una persona ordinaria come lui; invece era lì e si era rivelato pure un manipolatore bugiardo. Fu un shock per John, non come quando aveva scoperto la vera identità della moglie, una donna che aveva finto di essere una dolce infermiera mentre nascondeva l’identità di una sicaria su commissione, ma fu comunque sconcertante.

« Sherlock Holmes? » chiese, con tono duro e il mento pronunciato in avanti, segno che era più incavolato che mai.

«E’ quello che ho detto » rispose il detective, un po’ dubbioso rendendosi conto che John non sarebbe scoppiato a ridere come aveva pensato qualche giorno prima, quando tutto era iniziato, anzi sembrava sul punto di assestargli un pugno in faccia e malgrado tutto lo avrebbe accettato.

« Tutti fuori » fece John ai tre ospiti, senza togliere gli occhi dall’ormai ex baby-sitter « Robert mi sembra evidente che debba cominciare a cercarti un nuovo lavoro e ringrazia che non ti faccio causa » aggiunse, sempre mantenendo la sguardo duro di rimprovero nei confronti di Sherlock.

Robert, Alice e Denise non dissero nulla, si guardarono perplessi, un po’ incerti su quello che era accaduto ma anche sollevati di non dover dare grosse spiegazioni. Abbandonarono la casa senza che Alice avesse il tempo di dire una parola, nonostante avesse notato qualcosa di importante e lasciarono i due, soli a confrontarsi in salotto.

Quando la porta di casa si richiuse, John con due passi coprì la distanza che lo separava da Sherlock, sentendo di nuovo quella sensazione terribile di essere stato tradito e di essere stato così ingenuo da fidarsi, ciecamente, ancora una volta.

« Perché questa pagliacciata? » chiese, sempre duramente.

« Dovevo indagare sull’omicidio di Alice e…» abbozzò Sherlock, occhi negli occhi con John, sperando che tutto quello che c’era stato e non stato tra loro, riemergesse per ottenere un perdono in cui aveva sempre confidato.

« Quando hai capito che noi non c’entravamo con la sparizione di Alice, perché non dirlo? Perché non rivelare che eri Sherlock Holmes? » continuò John, ora più sconsolato che furioso.

« Beh, non lo so, non mi sembrava mai il momento »

Non era esattamente quello che Sherlock avrebbe voluto dire, ma nemmeno lui sapeva definire quella cosa che si agitava nel petto, quella sensazione di dover guardare un po’ più a lungo dentro di sé e capire i propri sentimenti.

John scosse il capo, allontanandosi da Sherlock perché si sentiva sempre più idiota ogni secondo che passava e anche esposto a qualcosa che non riusciva ancora ad accettare.

«Sai, idealizzavo Sherlock il detective e beh, mi piaceva William il baby-sitter ma ora sento di odiare entrambi » buttò fuori, una sintesi di molte cose che avrebbe voluto dire ma che a quel punto gli sembravano irrilevanti.

« John, io… » provò Sherlock ma fu subito interrotto.

« Sai, potrei anche fregarmene che mi hai mentito nonostante ti avessi raccontato di mia moglie e di quanto avessi sofferto per tutte le bugie che mi aveva detto, ma non posso passare sopra al fatto che nemmeno per un minuto ti sia preoccupato di mia figlia. Rosie ha perso la madre, poi Alice e tu non si sei fatto nemmeno uno scrupolo ad apparire, farti amare, già sapendo che non saresti rimasto »

« Non era questo il mio scopo, all’inizio ho pensato solo al modo migliore per risolvere il caso e… » “e non credevo possibile farmi amare

« E poi? » chiese John, un’ultima possibilità di appello per capire Sherlock, per sperare ci fosse qualcosa oltre al manipolatore bugiardo, per capire se fosse soltanto un grande attore o se ci fosse stato qualcosa di vero in William il baby-sitter.

Quello che seguì fu soltanto un assordante silenzio scandito dal ticchettio della pendola del soggiorno.

« Vattene » fece John, prima di voltargli le spalle e dirigersi verso la camera di Rosie per iniziare l’ennesimo discorso sulla perdita delle persone importanti nella propria vita.

Sherlock rimase qualche secondo immobile all’ingresso, incerto se provare ancora a spiegarsi o semplicemente andarsene e riprendere la vita nel punto esatto dove l’aveva lasciata. La seconda decisione, quella che riteneva fosse la più razionale, prevalse sulla prima per cui prese il cappotto, lanciò un’ultima occhiata a quella casa che trasmetteva molto più calore delle tristi pareti di Baker Street e lasciò la famiglia Watson.

La solitudine proteggeva Sherlock Holmes, questa falsa verità lo aveva accompagnato da quando era piccolo e aveva avuto solo la sua mente a tenergli compagnia. Rientrò in Baker Street a tarda notte, nulla era cambiato, c’era sempre la stessa polvere che non aveva mai voglia di pulire, depositata sui mobili. Il problema era che lui era cambiato.

L’appartamento era lo stesso, il teschio sulla mensola era sempre lì per ascoltarlo ma sembrava tutto diverso. Non c’era allegria, risate, ammirazione, qualcuno con cui commentare il giornale, il tè delle cinque. Non c’era niente, soltanto i casi, come sempre.

Spostò i libri dal divano e si distese, sperando che il giorno dopo si sarebbe svegliato e avrebbe trovato qualche sms di Lestrade per distrarlo dagli ultimi avvenimenti.


***** * ****


Una settimana dopo John era ancora molto inquieto, non solo perché Rosie insisteva incessantemente per andare a trovare Sherlock e sgridarlo per come si era comportato, ma anche perché non era ancora riuscito a capire lui come stesse dopo quello che era successo. Possibile che a trentasei anni ammettesse finalmente che la sua famiglia era stata talmente bigotta, come l’aveva delicatamente definita Sherlock, da imporgli tanti rigidi moralismi? Poteva finalmente ammettere che non era attratto soltanto dalle donne e che aveva preso una cotta quasi adolescenziale per un detective conosciuto solo virtualmente che poi si era presentato a casa sua?

Poi c’era l’altra faccia del detective: William, sempre eccentrico ma più accessibile. Qual era il vero Sherlock Holmes? Quello che aveva imparato a conoscere o l’uomo distante che considerava tutti degli idioti, insultandoli spesso sul suo sito? Non ne aveva idea e sapeva che per darsi una risposta doveva necessariamente rivederlo, cosa che per il momento non voleva proprio fare.

Raggiunse la signora Hudson in cucina apprendendo con stupore che era in compagna di Alice, la donna che aveva dato origine al caos.
Alice sorrise all’arrivo dell’ex datore di lavoro e prima che lui potesse dire qualunque cosa si alzò e con l’impeto che la contraddistingueva, iniziò la conversazione che avrebbe voluto fare la sera che era riapparsa viva e vegeta ma che era stata costretta a lasciare in sospeso.

« John, mi spiace di tutto quello che è successo, però una cosa sento il dovere di dirtela »

« Capisco che sei stata messa in mezzo, non preoccuparti » rispose lui, un po’ stancamente; era abbastanza sicuro che alla fine le avrebbe chiesto di ritornare ad occupare la mansione di baby-sitter per Rosie, non aveva proprio la forza di ricominciare la ricerca e sparizione a parte era sempre stata meravigliosa con Rosie.

« Eri più felice » fece lei, stupendo John che cercò di capire di cosa stessero esattamente parlando.

« Scusa? »

« Quando ti ho visto, l’ho capito subito. Eri più felice quella sera che sono tornata che nei tre anni che sono stata qui. Se questo è l’effetto che ti ha fatto quello strano soggetto, non credo dovresti lasciartelo scappare »

John restò per un attimo imbambolato, indeciso se urlare o chiedere da cosa lo avesse dedotto. Prevalse una ragionevole via di mezzo.

« Alice il fatto che non sia arrabbiato con te non significa che tu possa permetterti di dirmi … »

« Allora lo farò io, John Watson » Intervenne la governante, che era stata fin troppo zitta tutta la settimana nella speranza che John facesse la cosa giusta, invece era ancora intento a ciondolare per casa « Eri più felice  quando William era qui e smettila di usare Rosie come scudo per non doverti mettere in gioco ».

La signora Hudson aveva un tono perentorio che non ammetteva repliche, il tono di chi conosceva bene John, più di quanto lui avrebbe voluto ammettere. Aveva fatto da governante, confidente, vice madre, vice nonna, aveva avuto tanti ruoli e ora non poteva più stare zitta mentre John continuava a nascondersi dal mondo a causa di quanto era rimasto scottato dalla storia con Mary.

Non ne parlarono più dopo la sfuriata della governante, che ben sapeva che John aveva ancora bisogno di elaborare la cose ed infatti continuò a tormentarsi da solo, nel silenzio della sua fin troppo grande casa. Non aveva voglia di scrivere un nuovo romanzo, perché l’eroe delle sue storie gli ricordava Sherlock, non leggeva la cronaca perché temeva vi avrebbe trovato qualche nuovo caso risolto dal detective e avrebbe continuato a pensarci, si sentiva perso in una inutile apatia.

« Papà,  mi manca William » esordì Rosie sedendosi sul divano accanto al padre. La bambina era passata da un’assoluta determinazione a volerlo vedere per rimproverarlo a esternare che le mancava. John non poteva saperlo, né riusciva ad intuirlo ma Rosie era più dispiaciuta per il padre che per se stessa, di nuovo infelice e un po’ malinconico.

« Piccola, mi spiace tanto di questa situazione ma non so se è il caso di andare a trovarlo. Dopotutto, non si è più fatto sentire » “non credo gli importi davvero di noi”.

« Dopo la recita possiamo passare in Baker Street domani? E’ di strada! »

« Vediamo domani, ok? »

Rispose John e la figlia gli lanciò uno sguardo di rimprovero che lui non vedeva da quando Mary era in vita.  Le accarezzo i capelli cercando di rabbonirla « Scusami Rosie, vorrei fare di più, è solo che… »

« Baker Street, se ci risponde male non lo vedremo mai più. Per favore, papà? »

« Va bene »

***** * *****

Sherlock passeggiava nervosamente per Baker Street; i fascicoli che Lestrade gli aveva lasciato erano sparsi sul pavimento mentre nella sua mente fluttuavano immagini del caso. Era piuttosto certo di aver trovato un collegamento tra i vari omicidi e di essere sul punto di individuare il colpevole ma la sua mente continuava a vagare lontano, distraendolo così spesso che si ritrovò a ripensare che fosse ora di riprendere le vecchie orribili abitudini per concentrarsi, l’uso di sostanze che Mycroft avrebbe disapprovato.

E’ solo che tra poco è Natale” fece una voce dentro di sé “E avevi quasi pensato di passarlo con John e Rosie”.

« Non è vero! » sbottò a voce alta, nell’assurda situazione di litigare con se stesso. Si sedette sconsolato sul divano, con la mezza intenzione di farsi coraggio e prendere in mano il cellulare per scrivere qualcosa a John, giusto per sapere se stavano bene.

Certo che stanno bene, ti avranno già dimenticato, non sei così indispensabile”.

Era stranamente malinconico, come non gli era mai capitato di essere da tanto tempo per cui decise di controllare il sito nella speranza che gli fosse arrivato qualche messaggio interessante, dato che con il caso di Lestrade non andava né avanti né indietro.

C’era qualche messaggio inutile, casi banali e nient’altro, aveva sperato che John usasse almeno quel canale per comunicare, invece niente.

Domani c’è la recita di Natale, le avevi promesso di andare

Poi lo sguardo gli cadde di nuovo sui fascicoli di Lestrade ed ebbe l’impressione di aver capito il collegamento tra i vari omicidi. Dopotutto sarebbe andato proprio alla recita della scuola di Rosie il giorno dopo.


***** * *****
Angolo autrice
Grazie come sempre, scusate la svolta angst ma per questo capitolo era inevitabile.
Scusate se non ho ancora risposto alle recensioni, rimedio il prima possibile
Grazie ancora :)

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Capitolo 5
*** Serial killer ***


Serial killer


Dopo andremo a Baker Stret, vero? Me lo hai promesso!”


John Watson, miliardario, editore, scrittore per passione e uomo assolutamente imbarazzato davanti la propria immagine riflessa nello specchio, si sentì un idiota per l’ennesima volta da quando aveva incontrato William. Avrebbero trovato Sherlock Holmes nel suo appartamento? Sarebbe stato felice di vederli? Con una leggera preoccupazione su quello che sarebbe stato il resto della serata non appena sarebbe finita la recita scolastica, continuò nella sua opera di rendersi più presentabile, iniziando dal radere il principio di barba incolta che aveva lasciato crescere negli ultimi giorni.

Ad ogni passaggio del rasoio si chiedeva esattamente cosa stesse facendo. Si rasava per Sherlock Holmes? Uomo di cui, a questo punto, doveva ammettere di non sapere niente o che comunque quello che sapeva era soltanto una piccolissima parte dell’uomo che era piombato in casa sua, sconvolgendogli la vita.

Finì di prepararsi indossando un abito fin troppo formale per una recita scolastica e prese per mano la figlia che scalpitava in attesa di rivedere William. Sarebbe stata una strana serata.

Sherlock Holmes, ignaro del subbuglio che aveva provocato nel cuore di John Watson, dall’altra parte della città riceveva l’inaspettata visita del fratello maggiore. Aveva calcolato che aveva poco tempo per prepararsi ad uscire e recarsi alla recita di Rosie e la distrazione dovuta dall’ingombrante presenza di Mycroft non era contemplata nel suo programma.

« Allora fratellino, com’è stata l’esperienza da baby - sitter? La pargola è ancora viva? » chiese il fratello, facendosi spazio tra le carte che ricoprivano l’intero pavimento del salotto « Sai, dovresti trovare una governante per mettere a posto » aggiunse, leggermente schifato dallo stato dell’appartamento e appuntandosi mentalmente di avvisare la sua segretaria di fare una raid di pulizie  non appena il fratello fosse uscito per un caso.

« Tutto bene, Mycroft. Ora se non ti dispiace, avrei da fare »

« Cos’era quell’espressione? » chiese il fratello, rivolgendo a Sherlock uno sguardo quasi di compatimento.

« Quale? »

« Quel leggero dispiacere che ha attraversato la tua faccia »

Sherlock accusò il colpo, odiando il fatto di avere un fratello così intuitivo  « Niente »

« M stai dicendo, fratellino, che l’esperienza in casa Watson ha avuto qualche strascico? »

Un leggero fastidio nell’essere scoperto da suo fratello, dall’ essere così esposto, percorse Sherlock. Si affrettò a raccogliere le carte sparse per terra, evitando l’espressione di biasimo di Mycroft, dell’uomo che gli aveva sempre detto che i sentimenti non erano importanti. Eppure, quello che sentiva per John e per Rosie era estremamente importante.

« Il serial killer sta per andare alla recita scolastica dove si trovano anche i Watson. Non era dispiacere, era preoccupazione » rispose Sherlock, cercando di spostare l’attenzione del fratello verso il caso, inutilmente.

« Quindi adesso ti preoccupi per qualcuno. Interessante » constatò, rilevando lui stesso una leggera preoccupazione per i ritrovati sentimenti del fratello « Credevo avessi sempre detto che preoccuparti per delle potenziali vittime non  arrecava alcun vantaggio. Con chi sto parlando? Con il consulente investigativo Sherlock o con il baby - sitter William? »

“Con nessuno dei due, a questo punto” pensò Sherlock, prima di congedare il fratello con poca grazia, sbattendolo fuori dalla porta.

**** * ****

La scuola era stata decorata come ci si aspetterebbe da ogni scuola privata per giovani rampolli della Londra bene: elegante e curata, quasi da esposizione su un giornale più che l’ambiente accogliente per famiglie, o almeno questo era il giudizio di Sherlock, dopo aver avuto modo di entrare nella scuola per controllare il posto. Non era stato difficile, dopotutto lo conoscevano come baby - sitter di una degli studenti e, infatti, era anche stato invitato.

Il salone centrale della scuola era stato convertito in teatro, con tanto di palco, dietro le quinte con costumi di scena e infine una serie di poltrone messe per il pubblico.

Non ricordava con grande affetto le recite scolastiche di quando era bambino, spesso si era trovato relegato in ruoli minori solo perché le maestre ritenevano che parlasse poco e fosse un azzardo affidargli una parte da protagonista.

Fece un breve giro di ricognizione per la sala per poi sparire dietro le quinte, in attesa dell’arrivo dei genitori. Aveva scelto un ottimo angolo di osservazione e man mano che le persone entravano dall’ingresso principale, poteva distintamente cogliere ogni dettaglio, ogni sfumatura dei partecipanti alla recita. Stava cercando un padre separato, probabilmente non vedeva mai i figli se non nelle occasioni importanti come queste. Lo avrebbe riconosciuto subito perché sarebbe stato come un pesce fuor d’acqua nel contesto della scuola privata; non doveva essere ricco, probabilmente lo era la ex moglie o il nuovo compagno della moglie. Non si sarebbero seduti vicino, per cui doveva cercare tra chi non era in coppia.

« Will… Sherlock? »

Una voce conosciuta, che stava attendendo e contemporaneamente evitando, richiamò la sua attenzione: dovevano essere passati dall’entrata sul reto. Si voltò ben consapevole che avrebbe trovato gli occhi blu di John a fissarlo, quello che non aveva previsto furono le piccole braccia di Rosie attorno alla sua vita. Sherlock la fissò stranito, non abituato a ricevere abbracci, soprattutto a “tradimento” e biascicò un poco convinto “ciao”, non sapendo esattamente cosa dire.

« Sei venuto alla mia recita, lo sapevo che saresti venuto » gridò la bambina.

John si avvicinò, perché sentiva che il detective non era lì soltanto per loro, aveva un atteggiamento strano che aveva già notato nella loro indagine alla Casa Editrice, quello di un segugio a caccia.

« Rosie, vai a prepararti, devi entrare in scena tra i primi »

La bambina sorrise a entrambi e poi sparì tra i costumi appesi, con i codini biondi che oscillavano ai suoi saltelli.

« Sai, non ha esattamente l’aspetto di un’orfana di Dickens » commentò Sherlock, cercando di alleggerire la tensione con una pessima battuta.

« Cosa ci fai qui? Non dirmi per la recita, si vede che non è per quello »

« Anche, è uno di quei momenti in cui prendi due piccioni con una fava, John »

Watson strinse le braccia al petto con l’espressione di qualcuno che stava trattenendo la rabbia, ma al contempo un barlume di curiosità si stava impossessando di lui, travolgendolo come ogni cosa che riguardava Sherlock Holmes.

« Spiegati »

« C’è un serial killer tra i genitori e posso trovarlo soltanto qui, sta sera »

« Aspetta, cosa? »

« Tranquillo, non c’è pericolo. Non è qui per compiere un omicidio ma come spettatore, oltretutto usa un metodo particolare, hai letto dei presunti suicidi sul giornale? Stiamo per arrestare il colpevole »

John lo sguardò esterrefatto, prima di affacciarsi verso la platea dove ignari genitori stavano prendendo posto accanto a un serial killer.

« Ma la polizia? » chiese John.

« Ho detto agli agenti di arrivare alla fine della recita, sono talmente imbranati che il killer li noterebbe subito e se ne andrebbe, non possiamo perdere questa occasione ed è decisamente più rischioso l’incursione di Scotland Yard a pistole spianate, non so quale potrebbe essere la reazione dell’uomo. Ho intenzione di seguirlo all’uscita e consegnarlo agli agenti »

John stava lottando tra la voglia di prenderlo a pugni per il rischio a cui stava sottoponendo la figlia e i bambini e l’istinto di telefonare alla signora Hudson affinché prendesse la vecchia pistola di famiglia dalla cassaforte e corresse a portargliela.

« Eccolo » mormorò soltanto il detective, fissando un anonimo signore che aveva preso posto verso le ultime file «Sai chi sia? »

« A dir la verità, no. Ma conosco pochi genitori »

Sherlock non si mosse, puntando lo sguardo dritto verso l’uomo « Non osservarlo »

« Tu lo stai facendo »

« Non possiamo fissarlo in due »

« Quindi lo terremo d’occhio da qui? » chiese John tossicchiando in leggero imbarazzo, l’angolo che avevano scelto per osservarlo da dietro il palco era piuttosto stretto ed intimo.

« No, tu resta qui, io mi sposto verso il fondo » rispose Sherlock, approfittando dell’abbassarsi delle luci. John rimase nella sua postazione, respirando in maniera un po’ più rumorosa del normale.
La recita iniziò e John sperò che fosse più breve delle due ore previste, non poteva pensare di stare tutto quel tempo in attesa di catturare un serial killer. Osservò Sherlock dirigersi verso il fondo della sala e appoggiarsi al muro e per un attimo i loro occhi si incontrarono, in un muto assenso su quanto stava accadendo.

Le prime note di una musica tipicamente natalizia annunciarono l’ingresso del coro e quindi l’entrata in scena di Rosie. John automaticamente sorrise, anche se in maniera leggermente preoccupata, voltandosi verso il palco per vedere la sua piccola vestita alla Oliver Twist. Aveva ragione Sherlock, non sembrava esattamente una povera orfana. Si voltò nuovamente verso di lui, con l’intenzione di sorridergli in maniera complice ma Sherlock non era più in fondo alla sala. Lo cercò dappertutto lungo le pareti e poi tra i posti a sedere ma non riusciva a vederlo e poi notò il posto vuoto: il serial killer era sparito.

Con il cuore in gola abbandonò la sua posizione e in maniera meno silenziosa di Sherlock raggiunse il fondo della sala. Si avvicinò al posto vuoto e iniziò a chiedere agli altri genitori dove fosse finito l’uomo che occupava quel sedile. L’unica risposta che ricevette era che era stato visto uscire dall’ingresso principale.

John si fiondò fuori dalla sala allestita a teatro e l’unica cosa che vide in quella serata semi deserta fu  la sciarpa del detective a terra e un taxi che sfrecciava per la via principale. Non sapeva chi fosse né dove sarebbe andato, non aveva indizi ed era certo che Sherlock fosse uscito per seguirlo e avesse avuto la peggio.

Telefonò subito alla polizia riuscendo a farsi passare l’ispettore Lestrade che a quanto gli era stato detto da una sergente piuttosto antipatica, era l’unico che ascoltava Sherlock nei suoi deliri.

L’ispettore gli comunicò che avrebbe subito mandato gli agenti a cercarlo, ma di non preoccuparsi perché Sherlock sapeva sempre cavarsela. In quella situazione John non ne era così sicuro.

Provò più volte a telefonargli ma il cellulare squillava a vuoto, finché non fece un ultimo tentativo disperato: provò ad usare l’applicazione “trova il mio iphone” per vedere se fosse possibile rintraccialo così.

« Quale password avrai usato? » fece John sbuffando « 221B? »

Password errata - due tentativi rimasti

« Il tuo anno di nascita? »

Password errata - un tentativo rimasto

« Potrebbe essere qualunque numero!  » gridò, spaventando un passante che aveva avuto l’ardire di camminare sul marciapiede vicino  a lui.

« 5466 » digitò quasi a caso la sua vecchia password, quella che usava prima che nascesse Rosie e che sulla tastiera alfanumerica corrispondeva semplicemente a John; sorprendentemente si aprì la piantina di Londra. Un punto lampeggiava  sulla piantina segnalando la presenza del proprietario del cellulare in Baker Street, erano andati nel suo appartamento.

Fermò il primo taxi e pagò un extra perché infrangesse ogni limite di velocità consentito per raggiungere Baker Street.

Quando arrivò sotto l’appartamento notò subito la luce accesa al primo piano e la porta d’ingresso lasciata aperta. Entrò, ricordando che aveva a che fare con un serial killer, per cui agguantò un bastone che trovò nel portaombrelli all’ingresso e cercò di salire le scale di legno evitando di farle scricchiolare, impresa che si rivelò impossibile.

Si fermò silenziosamente a metà rampa, sperando che il killer avrebbe scambiato lo scricchiolio per normali rumori presenti nelle vecchie case. Rimase immobile per pochi secondi ma gli sembrarono un’eternità, non avendo idea di cosa stesse succedendo al piano di sopra. Riprese a salire i scalini a due a due finché non si trovò nel pianerottolo appena fuori dall’appartamento dove la luce filtrava da sotto la porta. Decise per un’entrata ad effetto che non desse tempo all’uomo di reagire, per cui aprì la porta con un calcio tenendo saldo il bastone con due mani. Trovò davanti a sé Sherlock semi incosciente a terra e l’uomo con in mano due boccette. Non perse tempo a fare domande per cui calò il bastone sulla testa in modo da tramortirlo e corse a soccorrere il detective.

« John? » biascicò il detective.

« Cosa diamine è successo? » fece, aiutandolo ad alzarsi, preoccupato dello stato in cui era il consulente investigativo.

« Mi ha notato, è uscito, l’ho seguito,  mi ha drogato con una siringa e mi ha trascinato qui » rispose semplicemente mettendosi a sedere, mentre in lontananza risuonavano le sirene della polizia, avvertita da John appena rintracciato il cellulare.

« Meno male che non era venuto per commettere un omicidio » commentò sarcastico John, fissando il corpo svenuto del serial killer, così apparentemente innocuo.

« Evidentemente porta con sé sempre tutto l’occorrente, oppure si sarebbe dato al suo hobby dopo la recita » rispose il detective, sentendosi un po’ un idiota per essersi fatto spiazzare così.

« Anche Sherlock Holmes sbaglia, allora? » rispose John beffardo, stranamente a suo agio in una situazione che era tutta fuorché da padre di famiglia.

Sherlock rise, mentre la mano di John gli massaggiava la schiena, come per aiutarlo a riprendersi o forse per tranquillizzare se stesso. Una serata nella vita di Sherlock Holmes e John si sentiva più vivo che mai: non credeva sarebbe mai stato in grado di far parte di un’avventura, invece eccolo lì sulla scena di un crimine.

Lestrade entrò perplesso nell’appartamento, guardando prima l’uomo a terra e poi il detective e l’altro uomo, che immaginò fosse il John che lo aveva contattato.

Dopo una velocissima deposizione, Sherlock e John promisero a Lestrade che il giorno dopo sarebbero venuti alla centrale per completare la loro dichiarazione e corsero nuovamente a scuola sperando di riuscire almeno a vedere il finale della recita di Rosie.

Arrivarono al momento degli applausi e John fu ben felice di correre ad abbracciare sua figlia quando scese dal palco assieme agli altri compagni di scuola.

Sherlock osservò la scena da distante, mentre gruppi di genitori si spostavano verso i loro pargoli. Guardando quelle scene di vita familiare, quel modo di vivere così diverso dal suo, fu certo che non avrebbe mai fatto parte della loro vita, non ne era in grado. Rivolse un ultimo sguardo e uscì nuovamente nella notte londinese.

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Capitolo 6
*** Due facce della stessa medaglia ***


Due facce della stessa medaglia


Baker Street, di nuovo silenzioso rifugio di una mente troppo laboriosa, accolse il suo inquilino con la consueta freddezza: il camino era spento, la polvere ancora sui mobili e un vecchio teschio lo fissava da una mensola, in attesa di conoscere il resoconto della giornata; quel teschio era l’unico che Sherlock usava definire “amico” e l’unico a cui aveva rivolto i suoi pensieri prima di John.

Sherlock si tolse stancamente il cappotto e presto si ritrovò seduto in poltrona a scorrere le e-mail dei clienti nella speranza che qualcosa di interessante lo portasse lontano con i pensieri, ma qualunque cosa leggesse gli tornava alla mente John che era corso da lui per salvarlo, John che lo aveva seguito nella folle avventura, semplicemente John, che non era lì con lui.

Dopo tanti anni da solo, non credeva che pochi giorni a casa di qualcuno potessero cambiarlo al punto da desiderare una vita diversa. O forse, in fondo, aveva sempre negato di volere qualcuno nella sua vita perché sapeva che non poteva esistere qualcuno che davvero volesse stare con lui, che sopportasse il suo modo di vivere, le sue eccentriche abitudini, la necessità di tenere impegnato il cervello con qualcosa. John, invece, lo ammirava attraverso le pagine del suo sito e dei giornali di cronaca, apprezzava William, la persona che aveva incontrato, al punto che una sera si erano quasi baciati.

 Forse andarsene non era stata la sua scelta migliore.

« Adesso, cosa faccio? » chiese, rivolto al teschio ma consapevole che nessuno poteva dargli quella risposta che cercava.

Tamburellò nervoso le dita sul bracciolo della poltrona, prima di sentire il rumore del portone d’ingresso sbattere con furia e rapidi passi sopraggiungere dalle scale.  Sherlock fece giusto in tempo ad alzarsi che John Watson spalancò la porta dell’appartamento per poi sbatterla come aveva fatto con il portone principale.

« John… cosa? » esclamò Sherlock, stupito dell’inaspettata visita.

L’uomo emise un lungo, paziente sospiro per ricomporsi e continuare la conversazione « Sorprendere Sherlock Holmes, deve essere la prima volta che succede, vero? »

Il detective, stranamente impacciato, rimase attonito davanti all’improvviso scambio di ruoli. Sconfinare nell’ambito delle emozioni e dei sentimenti aveva fatto diventare John Watson sicuro e quasi strafottente e Sherlock imbranato e incapace di articolare una risposta adeguata.

John esibì un mezzo sorriso, non più ironico ma addolcito dal pensiero di quanto Sherlock fosse carino così spiazzato davanti a lui, che altri non era che il proprietario del nome che il detective usava come password del cellulare. « Ho un caso da proporti. E’ così che lavora la tua mente, no? »

« Un caso? » fece perplesso, seguendo con lo sguardo il percorso di John che dopo aver pronunciato la parola “caso” si era accomodato sulla poltrona rossa, quella dei clienti, sollevando una nuvola di polvere che ancora non accennava a posarsi.

« Sì un caso, quello della mia vita »

Sherlock ancora titubante si accomodò a sua volta sulle propria poltrona nera di pelle, cercando un qualche conforto in quello che era il punto di meditazione privilegiato.

« Vedi, io vivevo una tranquilla esistenza, che occupavo crescendo mia figlia e scrivendo libri su avventure che credevo non avrei mai vissuto »

« Tranquilla o noiosa? » le parole uscirono dalla bocca di Sherlock senza che potesse bloccarle.

A John scappò un sorriso « Credevo che dopo Mary avessi l’obbligo di tutelare mia figlia e tenerla lontana dai pericoli, a costo di vivere una vita che non era esattamente quella che avrei voluto »

Sherlock, più interessato si spostò più in cima al sedile della poltrona, proteso verso le parole di John « Com’è morta esattamente? Avevi parlato di vicenda più complessa » chiese, prima di guadagnarsi un’occhiataccia che lo fece immediatamente rimettere seduto contro lo schienale « Forse non è una domanda da fare »

« Mia moglie, prima di cambiare identità e sposarmi, era stata una mercenaria al soldo di diversi governi, una sicaria. Come ti dicevo le hanno sparato in casa nostra; alla polizia ho detto che si trattava di una rapina finita male e come diresti tu “siccome sono degli idioti” ci hanno creduto » Sherlock rise, incoraggiando John a continuare il racconto « Un uomo del suo passato la stava cercando, ha fatto irruzione in casa nostra e hanno finito per uccidersi a vicenda. Sai, è buffo: quando Mary mi ha raccontato del suo passato, le ho gridato che era stata una bugiarda e che di certo non cercavo una sicaria come moglie. Lei mi ha guardato seria e mi ha detto che avevo sempre capito chi era ma non avevo mai voluto ammetterlo. E questo mi riporta al caso che volevo sottoporti »

« Giusto, il caso » commentò scettico, infastidito da non riuscire a capire dove sarebbe andato a parare John.

« Come stavo dicendo, la mia vita scorreva tranquilla finché un giorno uno strano soggetto ha suonato alla mia porta. E’ brillante, troppo, forse capisco subito che la sua attività lavorativa non può essere accudire i bambini, ma non lo vedo finché non mi viene sbattuto in faccia. Si presenta come un uomo di cultura, un po’ snob ma appena ha tolto la corazza ho scoperto una persona molto sola, non abituata ai sentimenti al punto da dubitare che qualcuno possa volergli bene, non è vero? »

« E’ questa la domanda? » chiese, spostando lo sguardo ovunque tranne che verso John.

« No, non è questa. La verità imbarazzante è che mi sono preso una cotta per Sherlock Holmes “il detective” e William “il baby-sitter” e alla fine scopro che sono due facce della stessa medaglia. Non dico che ti sia già fatto perdonare le bugie dette ma sono sicuro che prima o dopo troverai il modo » fece, spiazzando leggermente Sherlock che ora pendeva dalle labbra di John « La questione è la seguente: cosa dovrei fare con l’uomo che si dimostra così interessante e interessato al punto da usare il mio nome come password, ma così insicuro da affrontare la notte londinese da solo piuttosto che scendere a patti con quello che prova? Forse dovrei invitarlo a cena… »

« Cosa? » chiese il detective, quando finalmente comprese dove voleva andare a parare il discorso di John.

Rimasero a fissarsi e Sherlock sentì di nuovo quella strana elettricità che si era creata nel salotto di casa Watson.

« Oppure… »  aggiunse John, ammiccando leggermente prima di alzarsi e completare quello che non era potuto succedere proprio sul divano di casa Watson, quando Rosie li aveva interrotti. Esattamente come aveva previsto Sherlock quella sera in cui credeva che l’intervento di Rosie fosse stato il peggior caso di tempismo della storia, John lo stava baciando, solo che il detective non aveva idea che gli sarebbe piaciuto così tanto da ripetere l’esperienza almeno tre o quattro volte prima di essere  trascinato in camera da letto.


***** * *****

Tre mesi dopo

Un urlo terrorizzato si propagò dalla cucina fino alla camera da letto del piano di sopra, svegliando John di soprassalto « Cosa diamine è stato? Sherlock? »

Il detective fece un buffo verso prima di girarsi sull’altro fianco, bofonchiando che probabilmente la signora Hudson doveva aver trovato il sacchetto con i pollici che aveva lasciato nel frigorifero.

John non disse niente ma prese il cellulare e scrisse alla sua segretaria che aveva necessità di avere un nuovo frigorifero da sistemare in casa per gli esperimenti del suo eccentrico ragazzo.

« Sai, alla signora Hudson stai simpatico ma non abusare del fatto che è contenta di vedermi con qualcuno » commentò, recuperando le ciabatte e preparandosi a porgere le sue scuse alla governante. Diede una pacca dolce sulla schiena del detective e si allontanò di malavoglia dal letto che sperava sarebbe stato teatro di qualche coccola mattutina. Appena John aprì la porta si trovò davanti Rosie che evidentemente era stata svegliata dalla voce soave della signora Hudson ed ora se ne stava ferma in corridoio con il suo pupazzo preferito tra le braccia.

Padre e figlia si guardarono e scoppiarono a ridere, prima di correre giù per scale e affrontare le recriminazioni della governante che già si era lamentata della presenza di un teschio umano nel loro soggiorno.

« Non sono pagata per questo, sono troppo vecchia » ripeté più volte la donna, non trovando però un sostegno in Rosie che trovava interessante qualunque cosa Sherlock facesse e non faceva che ringraziare il padre per averlo convinto a trasferirsi a casa loro, né in John che continuava a scusarsi con poca convinzione.

L’autore della crisi di quel sabato mattina era ancora profondamente addormentato dopo aver risolto un caso estremamente complesso che presto sarebbe diventato il soggetto del nuovo ciclo di romanzi di John, quando il suono di un sms in entrata lo costrinse ad abbandonare definitivamente le braccia di Morfeo.

Sherlock ho bisogno di te, un omicidio e una stanza chiusa dall’interno
Ti aspetto a Nevern Square 29
Lestrade

Sherlock sentì la frenesia di un nuovo caso travolgerlo, un nuovo rompicapo si presentava all’orizzonte, ma poi pensò che aveva risolto un caso meno di otto ore prima, pensò  a John e Rosie che avevano in progetto un pic-nic per festeggiare l’arrivo della primavera e la scelta, per questo nuovo Sherlock, fu inevitabile.

Ci vediamo lunedì a Scotland Yard, il cadavere non scappa e potrà aspettare.
Sono sicuro che anche John lo troverà interessante.
Puoi comunque iniziare a mandare qualche foto.
SH

Rispose, prima di chiudere l’audio e scendere in cucina per la colazione.

THE END

Angolo autrice
Anche questa avventura è finita :((  
Ringrazio tutti quelli che sono arrivati fino a qui per l'entusiasmo dimostrato. Ringrazio in particolare: Blablia87, CreepyDoll, calock_morgenloki, Darlene_, Emerenziano, franci_stellina, Koa_, marea_lunare, SusyCherry, 1234ok per aver trovato il tempo di lasciare le recensioni, sempre molto apprezzate.

Ci sono momenti in cui mi dico "adesso pausa lunga" ed altri in cui non vorrei smettere mai di scrivere, per cui forse ci si rivede a brevissimo, forse più avanti.

Un abbraccio grande e buon ferie/vacanze/rientro/insomma, qualunque cosa stiate facendo :-D

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