Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt,
Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno
scopo di lucro per il mio puro divertimento e spero che non ne ricordi
altre, in tal caso non sarebbe voluto, ma fatemelo sapere!
Ciao
a tutti!
Questa storia nasce dal
meraviglioso prompt di Koa_ su twitter e spero di aver reso giustizia
all’idea: John è un ricco vedovo e un giorno la
tata di sua figlia sparisce nel nulla. Dopo più di un mese
di ricerche e denunce si arrende e mette un annuncio per cercare una
nuova tata. Al colloquio si presenta Sherlock, che sta indagando sulla
scomparsa della tata e si infiltra nella famiglia e nelle amicizie di
Watson per capire cosa può esserle accaduto. Ovviamente
comicità e Johnlock a pacchi!
*****
* ****
Prologo
Sherlock Holmes era disteso sul divano del suo appartamento di Baker
Street, annoiato, indeciso se alzarsi e andare a supplicare Scotland
Yard per un caso o mantenere un briciolo di amor proprio e resistere
dall’impulso di pregare per qualcosa che lo distraesse dalla
solita routine.
Attorno a lui si sentivano soltanto i rumori di una città
che si preparava a svegliarsi. Era l’alba e nonostante
l’assenza di casi, Sherlock era sveglio come un grillo, in
fermento, forse un sentore di quello che sarebbe successo di
lì a breve.
Il suono del campanello, deciso, sicuro, come lo squillo di una tromba
prima della carica lo fece scattare in piedi e correre alla porta con
una nuova prospettiva: c’era un cliente.
Le sue aspettative furono presto rimodulate perché si
trattava di una cliente femmine: alta, castana, dallo sguardo vivace.
La donna, che appena aprì bocca tradì un evidente
accento americano, fu invitata ad entrare nel salotto di Baker Street e
prese presto posto sulla sedia, senza timore ma anzi con un piglio che
stupì non poco Sherlock, facendogli subito supporre che si
trattasse di qualcosa di urgente e che la donna non si sarebbe
rassegnata finché non avesse ricevuto risposta.
« Mi racconti il suo problema »
« Signor Holmes, mi chiamo Denise O’Connel e sono
venuta da lei perché nessuno mi crede, nemmeno Scotland
Yard, ma io sono sicura e so che lei aiuta le persone nei casi
impossibili »
« Si spieghi »
« Mia sorella è scomparsa già da un
mese ma non vogliono cercarla. Dicono che si è suicidata ma
non hanno trovato il corpo e hanno rinunciato a cercarlo! »
rispose con fervore, guadagnandosi un’occhiata infastidita di
Sherlock Holmes, unico consulente investigativo al mondo, che mal
digeriva i racconti confusionari dei clienti.
« Si spieghi meglio e con ordine. Sua sorella è
scomparsa un mese fa. Deve essere più precisa, partiamo dal
giorno della sparizione »
« Mia sorella svolgeva il lavoro di baby-sitter da quando
aveva 18 anni. Gli ultimi due anni ha lavorato per il signor John
Watson. Avrà sentito parlare di lui, possiede una casa
editrice molto conosciuta »
Sherlock annuì e con un gesto invitò la donna a
proseguire.
« Il signor Watson è vedovo e mia sorella Alice si
occupava della figlia di sei anni, Rosie. Il signor Watson le offriva
vitto, alloggio e una paga ben più che dignitosa ed Alice mi
raccontava sempre di quanto Rosie fosse una bambina magnifica e di
quanto fosse contenta di lavorare lì. Qualche mese
fa ad una festa ha incontrato un uomo, Robert Simon si è
innamorata e hanno deciso di sposarsi. Era tutto prenotato e lei era
raggiante. Poi, il giorno prima della cena di prova è
sparita, nessuno aveva idea di dove fosse finita, finché non
hanno trovato nella sua camera un biglietto di addio. Nei giorni
seguenti è stato rinvenuto il suo scialle vicino al Tamigi e
la polizia ha deciso che si trattava sicuramente di un suicidio
»
« Lei non lo ritiene possibile »
« No, era felice, non lo avrebbe fatto, non aveva senso
»
« Cosa diceva il biglietto? » chiese pacatamente.
« Grazie di tutto, addio »
« Non mi sembra necessariamente un addio definitivo, ma
immagino che Scotland Yard possa essere stata tratta in inganno
» commentò sarcasticamente Sherlock, immaginando
le peggiori menti al lavoro sul caso.
« Deve esserle successo qualcosa, ne sono sicura. Lei deve
aiutarmi » fece la donna, ora con tono più
supplichevole e meno deciso.
Sherlock si alzò in piedi e iniziò a passeggiare
meditabondo per la stanza. Effettivamente la donna sembrava troppo
convinta perché davvero potesse trattarsi di un suicidio e
il ritrovamento dello scialle appariva troppo fortuito per non
sospettare qualcos’altro.
« Signora O’Connel, lei ha la fortuna che sono
disperatamente alla ricerca di un caso, altrimenti non mi sognerei mai
di fare quello che sto per fare. Mi dica, il signor Watson ha
già trovato un’altra tata? »
« Che io sappia no. Rosie era molto sconvolta ed è
rimasto a casa per starle vicino ma credo che presto dovrà
cercarla. Perché me lo chiede? »
« Immagino si rivolgerà all’Agenzia
più famosa di Londra. Sua sorella l’ha trovata
lì? »
« Alla Old London Nannies »
« Ottimo. Avrà presto mie notizie »
Sherlock accompagnò la donna alla porta e subito
digitò un messaggio per il fratello, con scarso entusiasmo
per dover chiedere un favore, ma era la strada più semplice.
Fratellone, ho bisogno di
referenze come baby-sitter. Non ridere è per un caso
S
***** * *****
Era una bella giornata, limpida, di quelle che
raramente benediva Londra in Dicembre. John Watson, vedevo di trentasei
anni, rimasto provvisoriamente senza tata, era abituato ad occuparsi
della figlia in mancanza di qualcuno che lo aiutasse con le incombenze
come scuola, compiti e attività sportiva. Lo faceva molto
volentieri ma ormai era già da un mese che aveva lasciato la
casa editrice in mano alla sua vice e alcuni importanti contratti
richiedevano la sua presenza in azienda.
Quel sabato mattina senza scuola, fortunatamente, aveva potuto godere
più a lungo del caldo del piumone e attardarsi un
po’ prima di scendere in cucina dove la governante, la
signora Hudson, stava giocando a fare il tè per i pupazzi
della piccola Rosie.
John sorrise alla figlia, la parte più luminosa della sua
vita, che allegra ricambiò il sorriso e corse ad
abbracciarlo prima di trascinarlo in un improbabile tè con
un coniglio e un panda.
Il signor Watson non aveva mai più cercato una storia
sentimentale dopo la morte della moglie Mary Morstan avvenuta tre anni
prima. Aveva messo davanti a tutto il benessere della figlia e non
aveva intenzione di far entrare una nuova persona nelle loro vite per
poi perderla nuovamente causando un altro trauma a Rosie.
Purtroppo era appena successo con Alice, la tata che li aveva
abbandonati in maniera così brusca e drammatica che John
aveva davvero temuto per la salute della figlia, ma la piccola era
molto più forte di quello che il padre credeva e
apparentemente sembrava aver compreso il fatto, anche grazie alla
presenza della signora Hudson, una specie di nonna più che
una governante.
John era ancora in pigiama e vestaglia quando suonarono alla porta.
Sorpreso si diresse ad aprire, aspettandosi il postino o
l’inizio delle collette per Natale, invece si
trovò davanti un uomo alto, dai capelli neri ricci e
indomabili, gli occhi azzurri penetranti e un aspetto aristocratico.
Sembrava un Lord, forse qualche nuovo vicino trasferitosi da poco.
John istintivamente si passò la mano nei capelli in un
improbabile tentativo di darsi una sistemata, prima di chiedere con chi
avesse il piacere di parlare.
« Buongiorno, sono William Scott » rispose lo
sconosciuto, senza aggiungere altre informazioni e lasciando John
ancora più perplesso.
« Cercava? »
« Sono stato mandato dall’agenzia, sono il nuovo
baby-sitter » rispose semplicemente, mentre l’altro
fece un involontario passo indietro, come per osservare meglio la
figura che aveva davanti, l’uomo che aveva appena dichiarato
di essere una tata.
« Ma lei è un uomo » riuscì
soltanto a balbettare.
« Non si può nasconderle niente» rispose
sarcasticamente, pentendosene però immediatamente; doveva
ricordarsi che doveva fare bella figura e mettere da parte i suoi
pessimi modi. Sfoggiando il sorriso più affascinante di cui
disponeva, allungò il curriculum e la lettera di
presentazione dell’agenzia di baby-sitter che il fratello
aveva contribuito a rendere realtà.
«Emh, veramente… » balbettò
nuovamente John, ancora stupito nel trovarsi davanti un affascinante
uomo e non una rassicurante tata.
Sherlock si avvicinò a John, occhi negli occhi, come a
cercare di leggerlo, studiarlo, capire anche se potesse essere
coinvolto nella sparizione di Alice, ma quello che ne dedusse fu
soltanto che era molto annoiato e che aveva una sorella con cui non
andava d’accordo.
« Non è di molte parole, credo andremo
d’accordo. Posso entrare? » fece il consulente
investigativo, approfittando dello stupore dell’uomo per
entrare nella villa senza attendere l’assenso del padrone di
casa, ancora appoggiato allo stipite della porta, chiedendosi perplesso
cosa fosse appena accaduto.
Sherlock osservava frenetico l’ingresso, certo che avrebbe
trovato qualche dettaglio fuori posto che sarebbe stato utile per il
suo caso, quando si accorse di essere osservato da due donne, una
anziana e una in miniatura.
« Tu chi sei? » chiese Rosie, avvicinandosi
cautamente al nuovo arrivato « Sei un collega di
papà? »
« No, sono William, il nuovo baby-sitter »
« Wow » esclamò la bambina che per la
prima volta incontrava qualcuno con un aspetto molto simile al principe
azzurro delle fiabe.
« Oh buon Dio » commentò soltanto la
signora Hudson mentre John si schiaffeggiava sonoramente la fronte,
ormai la frittata era fatta: non poteva accompagnarlo alla porta ora
che la figlia lo aveva incontrato, doveva almeno concedergli il
beneficio del dubbio che un uomo potesse essere un buon baby-sitter.
« Sì, se ci scusate dovremmo discutere qualche
dettaglio » fece John, prendendo Sherlock sotto al braccio e
trascinandolo educatamente nel suo studio.
Il primo pensiero che lasciò stranamente colpito il
detective fu la strana scelta di colore per le pareti dello studio di
Watson. Erano rosse, un rosso vivo, quello che per qualunque arredatore
sarebbe stato “un pugno in un occhio”, eppure lui
le trovava stranamente affascinanti.
« Sta guardando le pareti, vero? »
« Insolita scelta di colore, uno studio rosso non capita
tutti giorni »
« Mia figlia due anni fa ha avuto un periodo piuttosto vivace
e aveva deciso che usare il pennarello rosso sulle pareti dello studio
era un buon modo di attirare l’attenzione. Alla fine per non
perdere troppo tempo ho fatto ridipingere tutto di rosso »
« E’ un uomo pratico »
John sorrise « Parliamo di lei. Un po’ brusco
annunciare a mia figlia che sarà il suo nuovo baby-sitter,
non ha ancora il posto »
« Sono sicuro che il mio curriculum la soddisferà
e poi la Old London Nannies è un’agenzia degna di
fiducia »
John era d’accordo e non poté ribattere sul punto
« Qui dice che conosce quattro lingue: francese, tedesco,
italiano e russo »
« Confermo »
« Corsi di soccorso pediatrico, ottima conoscenza delle
materie scientifiche, filosofia, astronomia… »
Sherlock alzò gli occhi al cielo, pensando che avrebbe
dovuto leggere il curriculum e le referenze che il fratello gli aveva
preparato prima di presentarle, perché di astronomia era
già tanto se sapeva che la Terra ruotava attorno al Sole.
« Suona anche il violino » continuò John
ammirato, chiedendosi come un soggetto con un simile curriculum avesse
optato per una carriera come baby-sitter « Scusi la
franchezza, ma non mi aspettavo un baby-sitter uomo e ora che ho visto
tutte le sue conoscenze sono ancora più stupito »
« Ritengo che educare le giovani menti sia un lavoro di
grande responsabilità che permetta di ricevere anche grandi
soddisfazioni personali » rispose Sherlock, recitando la
frase che aveva impegnato a memoria « E credo di andare molto
bene per lei » aggiunse.
« Cosa la fa essere così sicuro? »
chiese John, con voce un po’ malferma ora che si trovava a
fissare quell’uomo, così enigmatico e misterioso
che aveva appena dichiarato di andare molto bene per lui.
«Lei ha bisogno di uscire, vuole bene a sua figlia ma
comincia a sentirsi prigioniero di queste quattro pareti. Non
è fatto per la vita domestica, altrimenti non avrebbe
così tante foto di viaggi per il mondo appesi alle pareti.
Ne approfitta ogni volta che può, non è vero?
Zoppica leggermente, credo sia psicosomatico perché non
è continuo, è come un fastidio e credo che anche
questo dipenda dal sentirsi un leone in gabbia. Ha una sorella,
l’ho letto in internet e il fatto che non le abbia chiesto
alcun aiuto con sua figlia significa che non andate
d’accordo, quindi le rimango solo io come
possibilità di uscire di casa »
John lo fissò a bocca aperta, sembrava che
quell’uomo non avesse ma preso fiato mentre aveva analizzato
così spudoratamente la sua vita e decretato che era
“un leone in gabbia”, metafora che si sentiva
cucita addosso.
Sherlock per un attimo temette di aver rovinato tutto, i
“normali” di solito gli avrebbero urlato di andare
via, invece John, dopo lo stupore, non batté ciglio ma
continuò a guardare il curriculum perplesso. Erano indicate
importanti famiglie con entusiaste referenze e davanti aveva un uomo
dai modi spicci che tutto sembrava fuorché qualcuno che si
occupasse di bambini per lavoro, ma la settimana seguente avrebbe avuto
davvero bisogno che qualcuno si occupasse della figlia e non poteva
continuare a lasciare l’incombente alla signora Hudson.
« Facciamo così, due settimane di prova, cosa ne
dice? Poi sarà comunque Natale e non voglio tenerla in
ostaggio, avrà una famiglia, una fidanzata…
» commentò, cercando di scoprire qualcosa
di più.
« Due settimane basteranno » rispose, pensando alla
risoluzione del caso e ignorando il commento sul Natale in
famiglia « per farmi apprezzare e assumere
» aggiunse, certo che gli sarebbe bastato anche meno tempo.
« D’accordo » rispose John, ancora
stranito, alzandosi dalla scrivania.
Come Sherlock ebbe subito modo di osservare, lo studio era piuttosto
scarno, fatto che evidenziò ancora una volta la natura
pratica dell’uomo che aveva davanti. La libreria
attirò particolarmente la sua attenzione. C’erano
diversi libri, alcuni antichi e probabilmente prime edizioni, altri
più moderni ovviamente della Casa Editrice Watson di cui era
proprietario l’uomo, ma una collana lo indusse ad
avvicinarsi, ignorando completamente le chiacchiere di John, che aveva
iniziato a spiegare gli orari di Rosie.
« Problemi? » chiese John, osservando
l’elegante figura del nuovo baby-sitter, perso nella lettura
dei titoli del libri riposti nella libreria.
« Ha diversi libri, ma solo di questo autore possiede tutta
la collezione. Solo di questo Arthur Conan Hamish. Scrive libri su un
medico detective, giusto? »
« Sì » rispose, tossendo in leggero,
curioso, imbarazzo.
« Le piacciono le storie di detective, quindi! »
commentò pavoneggiandosi leggermente, sfoggiando un sorriso
compiaciuto come se avesse appena ricevuto un complimento.
« Sì, in effetti » rispose, guardandosi
le scarpe dei piedi « Stavo per presentarle per bene mia
figlia e farle conoscere la governante » riprese, evitando
l’argomento.
Sherlock annuì, segnandosi a mente di indagare meglio su
quello scrittore. Era curioso, tutto in quel John così
ordinario destava curiosità. Bella casa, graziosa figlia, un
lavoro ereditato dalla famiglia, eppure nascondeva qualcosa in quegli
occhi, come di qualcuno che vedeva interi mondi dove chiunque altro
riusciva a vedere soltanto banalità. Sherlock si basava
sempre su dati di fatto, sulle prove, mai su sensazioni, ma John aveva
qualcosa, ma non sapeva nemmeno lui dire esattamente cosa.
« Resta…anzi resti a pranzo con noi? Possiamo
iniziare con un pranzo per conoscerci meglio » chiese John,
facendosi meno formale.
« Mi sembra una buona idea »
« Bene, mia figlia avrà sicuramente origliato
tutto da fuori la porta, è piuttosto curiosa. Rosie entra
pure » concluse, alzando appena
il tono della voce perché la figlia,
effettivamente nascosta dietro la porta, potesse sentirlo.
La bambina spinse piano la porta ed entrò nello studio del
padre, un po’ in colpa per essersi fatta beccare
così facilmente un po' in imbarazzo per la presenza dello
sconosciuto. Lo squillo del cellulare riportò John nel suo
caotico mondo dell’editoria e con un « Fate
conoscenza, torno subito » lasciò
l’improbabile bambinaio e la curiosa Rosie ad osservarsi in
quello studio in rosso.
Per la prima volta da quando aveva avuto la brillante idea di fingersi
un baby-sitter, Sherlock aveva l’impressione di essersi
cacciato in qualcosa di cui non aveva alcuna, nemmeno remota,
esperienza. Aveva davanti un essere umano di sei anni: capelli biondi e
ricci, occhi blu come il padre e un’espressione vivace, di
quelle bambine che probabilmente non si accontentavano di guardare la
tv tutto il pomeriggio. Forse la sua copertura non avrebbe retto
abbastanza come credeva.
« Così ti chiami Rosie »
esordì, impacciato, dondolando leggermente sul posto.
Sherlock Holmes non era mai palesemente in imbarazzo ma questa versione
William Scott si stava facendo “spaventare” da una
bambina di sei anni.
« Assomigli all’eroe di un mio fumetto »
« Chi? »
« Doctor Strange »
« Non sei piccola per quel genere di fumetti? »
« Io non sono piccola e so una cosa che tu non sai »
Uno sguardo di stupore si dipinse sulla faccia del detective, forse
Rosie sapeva qualcosa della sua baby-sitter. Doveva saperlo per forza,
era sempre con lei e se era davvero sveglia come sembrava magari gli
avrebbe rivelato qualcosa.
« Dimmi »
« E’ un segreto, papà non vuole che ne
parli »
« Giuro che non dirò niente »
« So chi è Arthur Conan Hamish » rispose
e lo stupore prima dipinto sul volto del detective si
trasformò in delusione « Dovresti leggerlo
» continuò la bambina strizzando
l’occhio e non aggiungendo alcun dettaglio, anche se ormai
Sherlock credette di aver aggiunto un altro tassello riguardo la
personalità dell’editore.
Fortunatamente per Sherlock il pranzo fu presto pronto e non dovette
intrattenersi troppo tempo da solo con la bambina. Non parlò
tantissimo, Rosie era una gran chiacchierona e questo diede modo al
detective di limitarsi a ridere ai racconti della bambina o a chiedere
qualcosa sul lavoro di John. Era troppo presto per porre ulteriori
domande su Alice, avrebbe attirato l’attenzione e non sarebbe
riuscito a raggiungere l’obbiettivo: carpire la fiducia di
John e di chiunque gli stesse attorno, per risolvere il mistero.
Si congedò dopo il dolce, con l’intesa che
lunedì mattina si sarebbe presentato puntuale a casa Watson
per accompagnare Rosie a scuola.
« Strano tipo quel William, vero? » fece la signora
Hudson, rimettendo a posto i piatti, aiutata come sempre da John che si
sentiva quasi in colpa a trattarla da governante dopo tanti anni
insieme.
« Dice che dovrei preoccuparmi? »
« Oh, no mi sembra a posto. E poi Rosie ha già una
cotta, non ha fatto che parlare di lui quando lo hai accompagnato al
taxi. E’ molto affascinante » rispose ridendo.
« Già, affascinante e particolare direi
» commentò John tra sé, mente la
signora Hudson intercettava uno strano sorriso, che non vedeva da
tempo, almeno da quando c’era ancora la moglie o forse
addirittura prima, perché John non lo avrebbe mai ammesso ma
l’amore per Mary era andato scemando negli ultimi mesi prima
della morte, fatto di cui sembrava non essersi mai perdonato.
La signora Hudson pensò che forse, quel Willim Scott, poteva
essere la ventata di novità che avrebbe dato la giusta
sveglia a John.
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Angolo autrice
Intanto grazie a chiunque sia arrivato fino a qui e welcome alla mia
nuova, tradizionale, storia leggera estiva (ok, non so in effetti se le
altre commedie le ho scritte durante l'estate ma mi piace l'idea della
rilassatezza di una storia con il minor angst possibile).
Per chi fosse un esperto del canone di A.C.Doyle, la parte gialla
potrebbe ricordargli prepotentemente un racconto della raccolta, ma non
dirò quale per non fare spoiler a chi non lo ha letto/non ne
ha memoria. Alla fine lo metterò in nota ovviamente.
Grazie a Koa_ per questo prompt per cui ho urlato I'm a Volunteer su
twitter.
Sperando di avervi incuriositi, grazie ancora e alla prossima.
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