Prayer of mending di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Se c'è qualcuno che Tetsu scuderà, quello sono io! ***
Capitolo 2: *** Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun. ***
Capitolo 3: *** Arriverà il momento in cui dovrai capire cos'è che vuoi veramente ***
Capitolo 4: *** Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli. ***
Capitolo 5: *** Più io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace. ***
Capitolo 6: *** Tieni. Ho più pazienza di te, posso aspettare. ***
Capitolo 7: *** Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre. ***
Capitolo 1 *** Se c'è qualcuno che Tetsu scuderà, quello sono io! ***
Piccola
premessina: tra le altre cose che faranno i Ragazzi della Generazione
dei Miracoli, ci sarà il gioco online - come da titolo della
fanfiction. Il gioco è World of Warcraft - nel testo citato
solo una volta con l'acronimo di Wow. In Giappone ci sono tonnellate di
MMO ma ho scelto Wow perché mi sembrava il più
internazionale, dato anche il carattere avanti coi tempi di Akashi. La
Blizzard non mi ha pagato per parlare di Wow e delle sue classi (anzi,
sono io che devolvo mensilmente un canone, maledetta Blizzy).
A seguito un breve compendio per cercare di capire che ghezz dicono i
nostri eroi (e, credetemi, potevo fare molto peggio e scadere in
tecnicismi da nerdona asociale da scrivania XD):
Dps: quello che fa danni (ma si intende anche il danno:
Damage Per Second); dps counter: contatore della quantità di
danno fatta da
ciascun giocatore in uno scontro, ci sono delle mod apposite per
vederlo (mod: modifiche fatte da altri giocatori).
Healer: quello che cura
Tank: quello che raduna i mostri (mob ) e acchiappa mazzate
Dot: attacco/cura nel tempo (tipo Regen, per chi ha mai giocato a Final
Fantasy o Bio/Poison)
Dungeon: stanza/posto d’attacco (qui ci sarebbero da spendere
un bel po' di parole ma... risparmio i dettaglio XD)
Rotation: sequenza di attacchi
Pvp: player vs player, scontro tra giocatori
Rogue: classe di gioco. Tipo assassino.
Server: bacino che racchiude un numero elevato di giocatori
(di solito si differenziano in base alla zona geografica EU, USA etc.)
Raid: simile
al dungeon ma con molti più giocatori, anziché 5
anche 20 etc...
Ogni
party/squadra in un dungeon è composta da: 1 tank, 1 healer
e 3 dps. Infine: non si può fare pvp nel dungeon ma....
puppa. Mi piaceva così. Inoltre i dungeon di solito sono
belli lunghi, fingiamo che i nostri giocatori abbiano un dps da paura!
Se c'è qualcuno che
Tetsu curerà, quello sono io!
Kyaaaah
<3 sei così
fortunata a stare con Aomine-kun, non sai quanto ti invidio!
>///<
Sai, pensavo di
invitarti ad uscire assieme uno di questi giorni, poi ho visto che stai
con
Aomine: scusa ma non voglio che mi spacchi la faccia ^^’
Momoi
fece
scorrere i vari messaggi sul cellulare, poi sospirò e lo
mise via; siccome sin
dall’infanzia aveva scelto di prendersi cura di quello scemo
di Dai-chan, alla
fin fine doveva aspettarsi un simile risultato. Tutti finivano
inevitabilmente
per crederli una coppia, vedendoli assieme, peccato che in quegli anni
non si
fossero scambiati nemmeno un abbraccio, figurarsi un bacio.
Ogni tanto
le era capitato di pensare a come sarebbe stato avere Dai-chan come
ragazzo, ma
la questione si interrompeva ancora prima di formulare concretamente
un’idea:
Aomine Daiki era rozzo, diretto in una maniera spaventosa, pigro quando
si
trattava di una cosa che non gli interessava, disordinato
all’ennesima potenza
e totalmente disabituato a ogni forma di gentilezza o dimostrazione
d’affetto.
Perlomeno, a volte lo faceva ma non in maniera convenzionale.
Con i nomi,
per esempio. C’erano solo due persone che chiamava per nome,
con quell’aperta
confidenza che lasciava sempre un po’ stranito chi non lo
conosceva: una era
lei, l’altro era...
“Tetsu!
Curami e lascia perdere quell’idiota!”
Scrutando
la
finestra aperta della camera di Daiki, dalla quale provenivano le sue
urla, Momoi
sorrise. Scosse la testa e aprì la porta
d’ingresso girando semplicemente la
maniglia, dato che il proprietario di casa non si era nemmeno scomodato
a
chiuderla a chiave, pur essendo da solo.
Si
avventurò
lungo il corridoio centrale: ormai conosceva a memoria ogni angolo di
quella
villetta a schiera, una come tante nel tranquillo quartiere
residenziale dove
Daiki e la sua famiglia abitavano. Passò oltre le poche foto
di famiglia
appese, solo una delle quali ritraeva Aomine con la divisa da basket, e
salì le
scale, notando immediatamente il mucchietto di vestiti appallottolati
vicini al
bagno che, li riconobbe, appartenevano sicuramente al ragazzo.
Roteò gli occhi,
li raccolse e li mise nel cesto della roba da lavare: era sempre
così, Aomine
non vedeva quasi mai i suoi genitori, quindi finiva per lasciare ogni
volta le
cose un po’ dove capitavano. Anche per questo Momoi aveva
deciso di stargli accanto,
per farlo sentire meno solo, per aiutarlo, per essergli vicino
perché
altrimenti nessuno avrebbe pensato a guidarlo in tutti quegli anni. E
Aomine,
lei lo sapeva persin troppo bene, era un tipo che sbandava facilmente.
Entrò
nella
sua camera ma non passò subito la soglia.
Appoggiò
una
spalla allo stipite e osservò un istante la scena davanti
agli occhi. La camera
di Aomine era infatti qualcosa di vicino a un’esplosione
nucleare: letto
disfatto nel quale si era creata una palla gigantesca di lenzuola,
vestiti e
forse... asciugamani; fumetti, riviste di idol, videogiochi sparsi a
terra e
appoggiati distrattamente su qualche mensola, mentre i libri intonsi
giacevano
dimenticati in un angolo della libreria; due palloni da basket, qualche
paio di
scarpe nere che costavano tutto quello che Aomine poteva permettersi e
la
divisa della Too appesa, l’unico oggetto trattato davvero con
cura. Sulla sedia
di fronte alla scrivania, con un piede nudo sopra e l’altro a
terra, stava
seduto Daiki: aveva una canotta nera slargata addosso, vecchi
pantaloncini da
basket e delle cuffie da gaming attorno al collo, con il microfono
sollevato,
mentre la faccia era un mix tra concentrazione e rabbia.
Sbatté
un
pugno sul tavolo, inveendo contro uno schermo dove si muovevano altri
personaggi di un videogioco che lanciavano magie o sparavano, in un
tripudio di
luci e suoni.
Momoi
accennò ad un sorriso nel vedere Daiki così
impegnato in un qualcosa che non
fosse il basket: anche quella volta Akashi ci aveva visto giusto.
“Tetsu,
giuro che se curi un’altra volta Bakagami al posto mio
divento healer per
curarmi da solo.”
“L’unico
che può curare me sono io,
gnegnegne.” Qualcuno replicò attraverso le casse
accese, imitando la voce di
Aomine; Momoi riconobbe il timbro di Kagami.
Aomine
cliccò con più foga su mouse e tastiera:
“Sta’ zitto Bakagami, il tuo dps fa
così schifo che faresti meglio a chiudere
l’account.”
“Ahomine ti sfido qui ed
ora ad un pvp,
ho una nuova rotation che ti farà talmente male da chiedermi
come ho fatto a
ucciderti.”
Ma prima
che
Aomine potesse replicare, Momoi sentì in cassa la voce
tranquilla di Kuroko che
intervenne:
“A
dire il
vero, Aomine-kun, tu avevi già un dot di cura addosso ed eri
scudato, quindi
non saresti comunque morto. Kagami-kun invece stava per morire
malamente e,
anche se tu sei di poco superiore a lui in dps, un uomo in meno in
campo poteva
fare la differenza.”
Awww, come
sembra saggio ed esperto
Testu-kun rispetto agli altri. Momoi
arrossì, pensandolo: aveva sempre
ritenuto Kuroko un ragazzo ammirevole, così a modo,
così composto e cool.
“Kuroko,
maledetto, tu dovresti supportarmi, non motivare l’ego
smisurato di uno come
Aomine che, lo sai, dipendesse da lui andrebbe dritto fino in fondo al
dungeon
lasciando morire gli healer come te!”
Aomine
grugnì qualcosa, cambiando posizione sulla sedia:
“Siete lenti, non è ver...”
“Vero,
è
stato orribile – proruppe Kise – ho visto
Kurokocchi schiattare circondato da
tre mostri. Nemmeno le mie abilità da rogue sono servite a
qualcosa.”
“Grazie,
Kise-kun.”
Momoi non
lo
vide, avvicinandosi alle spalle, ma era convinta che a quel punto
Aomine avesse
roteato gli occhi. Si stava grattando un’orecchia per poi
replicare piccato:
“Lì
è colpa
del tank che non sa tenersi i mostri a bada.”
Ci fu il
silenzio. Aomine dette ancora qualche colpo con il suo personaggio
capace di
trasformarsi in una velocissima tigre, mentre il warrior impersonato da
Kagami
stava issando già la bandiera per avviare uno scontro tra
giocatori.
“Murasakibaracchi?”
domandò Kise, mettendo a danzare la sua bellissima Elfa del
Sangue sul corpo di
uno dei mostri appena uccisi.
Altro
silenzio. Aomine, come più o meno tutti gli altri,
ruotò la telecamera e vide
il personaggio di Murasakibara ancora all’inizio del dungeon,
giusto a qualche
centinaio di metri in pixel del corridoio, immobile.
Fu Akashi a
parlare, che era fuori dal dungeon ma stava controllando chi in giro
per il
server potesse partecipare al raid previsto a breve:
“Data
l’assenza di risposta, suppongo che sia andato a prendere da
mangiare.”
“Aka-chin?
–
finalmente risuonò la voce un po’ strascicata di
Murasakibara, seguita da uno
scrocchiare di patatine – A che punto siete, avete
finito?”
Spazientito
Aomine si puntò il microfono più vicino e
replicò: “Che accidenti vuol dire
avete finito? Capite poi perché Testu muore?”
“Veramente
sono vivo, Aomine-kun.”
Uno sbuffo
in cassa: “Mi annoiano i dungeon, sono troppo facili, ho
voglia di distruggervi
tutti per divertirmi.”
Altro
rumore
di patatine che risuonarono nella cassa di Aomine come se stessero per
esplodere. Ma nonostante tutto il personaggio di Murasakibara, un non
morto
altissimo e con le spalle leggermente incurvate in avanti, si mosse
trotterellando con calma.
“Beh,
chissene importa. Ahomine noi due abbiamo un conto in sospeso, ho
intenzione di
farti implodere, dannato!”
“Posso
dire
lo stesso Bakagami, tieni d’occhio il dps counter e vedi i
numeri che faccio!”
Rise ma,
prima che potessero cominciare, risuonò la voce di Akashi
nuovamente
in cassa; persino Murasakibara smise di mangiare:
“Forse
non è questo il momento di scontrarvi tra di voi. Salutami
Momoi-san, Aomine.”
“Satsuki?
Ma che dici Akashi, se Satsuki fosse qui me ne sarei
accorto!”
Scosse la
testa, girandosi come per dimostrare al loro capogilda che
non c’era nessuno nella sua stanza, invece
sussultò sulla sedia quando si
accorse che in piedi, sorridente e con una pila di fascicoli in mano,
c’era
proprio Momoi.
“Satsuki!
– esclamò – Che stavi facendo? Potevi
dirmelo che c’eri!”
“Momocchi!”
la voce entusiasta di Kise.
“Solo
uno stupido come Aomine potrebbe non rendersi conto di avere una
donna in camera.” Lo prese in giro Kagami, ignorando il fatto
che per mesi la
sua coach gli era rimasta piantonata in casa e per poco non gli faceva
prendere
un infarto quando se l’era ritrovata nel letto.
“Vero!”
aggiunse Kuroko, altro grande esperto.
Momoi rise
e appoggiò i fascicoli sui pochi centimetri di scrivania
liberi, commentando:
“Ciao
a tutti ragazzi, come mi ha chiesto Akashi ho portato un
resoconto delle gilde più forti che ho supervisionato in
questi giorni, così
possiamo studiare i punti su cui lavorare.”
“Ottimo
lavoro come sempre, Momoi-san, grazie. Il nostro obiettivo di
diventare la gilda più forte è ormai
prossimo.” Assicurò Akashi.
Aomine fece
una smorfia, guardando quella tonnellata di fogli da
leggere. Akashi e le sue idee, come accidenti era riuscito a convincere
tutti
ad iscriversi a Wow, praticamente organizzando il tempo di ognuno tra
gli
allenamenti con le rispettive squadre, lo studio e il resto?
Dopo la
pausa estiva, che sarebbe iniziata tra una settimana, ci
sarebbero stati gli ultimi mesi di scuola e poi...
l’università. Aomine
occhieggiò i vari volantini e cataloghi delle
università che erano passate in visita
di recente, apparentemente dimenticati sulla scrivania assieme a tutto
il
resto.
E tu... che
università farai,
Tetsu?
Momoi
puntellò i pugni sui fianchi e lo rimproverò:
“Dai-chan
non hai ancora nemmeno guardato i depliant delle università
–
dannazione, perché Satsuki sapeva sempre leggerlo nel
pensiero? Era inquietante
– e io ti ho già tolto quelle che non hanno il
club di basket. Poi un sacco di
allenatori hanno chiesto di te, hai almeno dato un’occhiata
alla mia
valutazione su quelle con le squadre più
interessanti?”
“Aominecchi
non fare arrabbiare Momocchi!” gli consigliò Kise,
mentre
cominciava già ad attaccare qualche altro mostro avanzando
nel dungeon. Pure
Murasakibara si mosse, stando fermo finiva per annoiarsi: “Ti
schiaccio la
testa.” Aggiunse.
Aomine, il
cui personaggio era fermo davanti a Kagami, sospirò facendo
una leggera smorfia:
“No,
sei noiosa Satsuki – tacque un istante, poi aggiunse
– va bene,
stasera li guardo.”
“Promesso?”
insistette lei, costringendolo a fissarla.
Lui non
deviò lo sguardo: “Promesso.”
Dannazione
a lei e alla sua ostinazione.
“E
metti a posto la tua camera, ti do una mano io quando finisci.
Lasciatelo dire, fa davvero un po’ schifo.”
“Che
palle – sbottò – va bene, va bene, metto
a posto ma poi tu mi
compri da mangiare perché non ho certo voglia di
prep...”
Non
finì di parlare perché Kagami lo
attaccò, esclamando: “Muoviti!
Pensavo saresti stato più veloce!”
“Kagami!
Bastardo!”
“Momoi-san
– la voce di Akashi si sentì chiaramente,
nonostante le
parolacce e il frenetico battere sulla tastiera di Aomine –
temo dovrai
aspettare che finiscano. Tanto adesso dovrebbe essere rientrato a casa
Midorima
che può prendere il posto di Aomine.”
Momoi
sorrise: “Vi guardo volentieri, è bello vedervi
così entusiasti.”
Osservò
i personaggi di Aomine e Kagami scattare sullo schermo,
finché
quest’ultimo esclamò:
“Kuroko,
ora è tempo che mi lanci quello scudo e facciamo vedere a
quest’egocentrico cos’è il gioco di
squadra! Assieme porteremo a casa la
vittoria!”
Aomine
schioccò la lingua, per poi fare un sorriso esaltato:
“Se c’è
qualcuno che Tetsu scuderà, quello sono io!”
Kuroko...
Testu...
...
ora!
Esclamarono
entrambi, in contemporanea. Ciascuno, convinto di ricevere
lo scudo da Kuroko, aveva lanciato il proprio personaggio in fin di
vita contro
l’avversario, spinti entrambi dall’impellenza di
trionfare sull’altro, senza
dunque prendersi una pozione di cura o giocare con più
prudenza.
Ma...
finirono per morire tutti e due, sempre in contemporanea: nessuno
dei contendenti, infatti, aveva ricevuto alcuna forma di scudo.
“Kuroko
ma che fai?” sentì esclamare Kagami, che sembrava
quasi
ringhiare.“Testu
per... – Aomine mosse la telecamera attorno al suo
personaggio
riverso per terra – oi, ma dov’è
andato?”
Guardò
più avanti e vide Tetsuya curare Murasakibara mentre
affrontava
alcuni mostri.
“Veramente
Kurokocchi è con me e Murasakibaracchi.”
Constatò Kise che
faceva volteggiare la sua rogue per aria.
“Aomine-kun,
Kagami-kun conviene che resuscitiate e ci raggiungiate:
stiamo per arrivare al boss finale, così Momoi-san non
attende troppo.”
Momoi
arrossì. Aomine suo malgrado sorrise: anche in un
videogioco,
anche a distanza di anni, Kuroko riusciva comunque a sorprenderlo e a
far si
che, in un modo o nell’altro, lo seguisse.
Sproloqui di una zucca
Ebbene sì,
colpisco anche su questo fandom. Dopo mesi e mesi di fangirlaggio
selvatico su Kuroko's basket, finalmente pubblico qualcosa riguardo un
manga e anime che personalmente adoro. Tutti i personaggi mi hanno
lasciato qualcosa ma in particolar modo mi hanno colpito profondamente
il
legame, la storia e le vicende di Aomine e Kuroko. Il che per me
è strano: di solito propendo per far legale due personaggi
stronzi, violenti e psicopatici, ma come in ogni cosa ci sono sempre
delle eccezioni. Kuroko e Aomine sono, appunto, una di queste.
Perché Kuroko non è dolce, né
puccioso, è un personaggio positivo, certo, con le sue umane
debolezze e la consapevolezza dei propri limiti ma, proprio per questo,
da il meglio di sé e non si arrende; soprattutto
è un catalizzatore, paradossale per uno che passa sempre
inosservato, e finisce per essere il legante della squadra. Aomine, per
contro, pur essendo all'apparenza forte, stronzificato nel tempo,
burbero e quasi deluso dal resto del mondo, è a suo modo
fragile, incapace di affrontare il suo cambiamento e capire cosa
potesse provare chi lo circondava.
Amo la loro amicizia profonda, il distacco terribile che si viene a
creare, il conflitto di entrambi e la maniera quasi spontanea con cui
si riavvicinano, nonostante la fatica fatta da Aomine.
Questa fiction sarà una long non troppo long, nella quale
immagino come potrebbe dipanarsi nel tempo il rapporto tra Kuroko e
Aomine, in una maniera realistica, per quanto possibile, anche se con
note fluff che andranno a scandire momenti più nostalgici e,
in un certo senso, riflessivi.
Parlerò anche di Momoi, del suo rapporto con Aomine, ma
anche degli altri ragazzi della Generazione di Miracoli, con i dovuti
spazi.
Grazie per aver cominciato con me questa storia!
Ps: prayer of mending, il cui nome letteralmente significa Preghiera di
Riparazione, è un incantesimo che lancia la classe Priest
(che non a caso usa Akashi) e l'ho trovata appropriata. Mend vuol dire
proprio riparare qualcosa di rotto o danneggiato. Credo che a modo loro
tutti i ragazzi della generazione dei miracoli stiano cercando di
ricucire un rapporto, tra di loro, che credevano aver perduto per
sempre.
Il titolo di ciascun capitolo è una frase che uno dei
personaggi pronuncia, omaggio al manga.
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Capitolo 2 *** Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun. ***
Penso che
saremo ottimi druidi, Aomine-kun.
Qualche mese prima
Akashi era
seduto al tavolo con davanti otto cartelline distinte, ordinatamente
affiancate l’una all’altra, un bicchiere
d’acqua poco distante dalle sue mani intrecciate e lo sguardo
attento con cui osservava Kagami, intento a cucinare qualcosa in vista
dell’invasione prossima dei futuri ospiti in casa sua.
L’Imperatore
si era preso una settimana di tempo per elaborare in ogni minimo
dettaglio il suo piano, anche se era da diversi mesi che ci pensava.
Pensava al fatto che ormai sin dal primo anno del liceo lui e i suoi
vecchi compagni delle medie, la famosa Generazione dei Miracoli, si
erano in qualche modo ritrovati: non solo sul campo, da avversari, ma
in seguito anche come amici. Avevano festeggiato i rispettivi
compleanni, le festività, ogni tanto uscivano o si facevano
una partita assieme, in base a cosa dettava l’ispirazione del
momento.
Poi con
l’ultimo anno aveva cominciato a farsi più
pressante la questione dell’università: tutti
quanti erano giocatori conosciuti, quindi facilmente sarebbero stati
cercati da università con club all’altezza delle
loro aspettative, ma spesso la sola abilità di gioco non era
sufficiente. Una media accettabile agli esami d’ammissione
era comunque la prassi, se non altro per università
prestigiose e quindi con attrezzature sportive adeguate.
Ogni tanto
Akashi si soffermava a domandarsi come sarebbe stato avere nuovamente
la Generazione dei Miracoli riunita sotto lo stesso vessillo e, allo
stesso tempo, quanti altri membri delle loro rispettive squadre del
liceo li avrebbero seguiti. Forse per allora sarebbero stati tutti
sufficientemente maturi da accettare i rispettivi tratti di forza e non
farne un terreno d’attrito. Magari, a quel punto, avrebbero
intrapreso le nazionali e poi ancora le olimpiadi... sorrise,
stupendosi di quanto la sua mente sapesse guardare avanti.
Ma erano
ancora al liceo e, sebbene all’ultimo anno, potevano cambiare
tante cose. Occorreva seminare il terreno, poi col tempo si sarebbero
visti i frutti: a prescindere dall’università,
tutti quanti potevano imparare a rapportarsi meglio tra di loro, in fin
dei conti.
Con ancora
il grembiule addosso e un mestolo in mano, Kagami puntò una
mano sul fianco, mettendosi lo strofinaccio in spalla:
“Non
so esattamente cosa tu stia architettando, né
perché debba ritrovarmi una mandria di persone in casa ma...
facciamo che mi fido e ti lascio fare – guardò
l’orologio appeso alla parete – a breve
dovrebb...”
In quel
preciso istante suonò il campanello.
“Tutti
conoscono il tuo appartamento, mi sembrava il luogo più
comodo e tranquillo nel quale trovarci. Grazie per la
fiducia.” Aggiunse Akashi con il suo fare tranquillo che,
tendenzialmente, rendeva le persone disposte a seguirlo fino alla
morte. Un potere da nulla, insomma.
Kagami si
limitò ad annuire, un po’ stranito come sempre
quando aveva a che fare con uno come Akashi, e andò ad
aprire: davanti si trovò Aomine, con l’aria
apparentemente seccata, poi intravide Momoi che entusiasta si
strapazzava qualcosa.
“Aomine,
come mai tutta questa puntualità?”
scherzò, appoggiandosi allo stipite.
Aomine, con
le mani nella tasca della felpa, scrollò le spalle poi diede
un’occhiata dietro di sé:
“Satsuki
è passata a prendermi dicendo che dovevamo sbrigarci. Poi
abbiamo incrociato Tetsu.”
“Kuroko?”
domandò Kagami, non realizzando che ci fosse anche lui.
Aomine si
scostò, giusto per lasciare intravedere Kuroko stritolato
dagli abbracci di Momoi. Il ragazzo sollevò una mano per
salutare, con gli occhi azzurri che non battevano ciglio e il sorriso
fantasma, esattamente come lui:
“Ciao,
Kagami-kun.”
Quest’ultimo
emanò un breve sospiro, poi si spostò:
“Entrate.”
Aomine non
metteva piede nell’appartamento di Kagami da diverso tempo ma
riuscì comunque a stupirsi di come una persona del genere
sapesse essere così straordinariamente ordinata. Le prime
volte aveva addirittura pensato che quel posto non fosse nemmeno suo.
Akashi si
alzò in piedi e li salutò, mentre Momoi gli
consegnò una cartellina nella quale aveva preso degli
appunti, poi nel vedere la faccia perplessa di Aomine si
limitò a dire:
“A
breve ti sarà tutto più chiaro.”
Suonò
la notifica di un messaggio sul cellulare e, siccome era stato creato
appositamente un gruppo su Whatsapp per l’evento, tutti
quanti sapevano che doveva trattarsi di uno di loro. Kuroko
tirò fuori il cellulare e, senza dire una parola, fece play
sul messaggio vocale che apparteneva a Kise:
“Kurokocchi!
Aominecchi! Kagamicchi! – Kagami e Aomine si guardarono,
spazientiti dall’evidente ed inutile lunghezza del messaggio
– Murasakibacchi! Akamicchi! Midorimacchi! Momocchi! Mi hanno
trattenuto allo shooting fotografico, sto arrivando!”
Prima che
Akashi o Kuroko potessero digitare qualcosa, Aomine tolse di mano il
cellulare a quest’ultimo e registrò un suo
messaggio vocale:
“Qui
c’è gente che ha da fare, arrangiati, noi
cominciamo.”
T_T
sei sempre così cattivo, Aominecchi.
L’emoticon
di Kise fece sorridere Momoi. Aomine borbottò qualcosa, poi
si sedette di peso sulla sedia, imitato dagli altri che si disposero
nei posti liberi. Nel frattempo un altro degli invitati attesi
suonò alla porta e Kuroko si offrì di andare ad
aprire. Ancor prima di vedere chi fosse, Kagami sentì
qualcuno con il fiatone che annaspava come se avesse corso una maratona
di lunghezza epica.
Appoggiò
gli onigiri che aveva preparato prima e salutò i nuovi
arrivati: Midorima, con in mano un salvadanaio a forma di porcellino,
Murasakibara che fece penzolare tra le lunghe dita un sacchetto della
spesa e…
“Takao?”
domandò Kagami, avvicinandosi alla porta. Perfetto, qualcun
altro che doveva aggiungersi alla già chilometrica lista
degli invitati? No, perché più che una riunione
sembrava una convention di spostati.
L’interpellato
si mise una mano al petto, per cercare di regolarizzare la
respirazione, pausa fatale che diede modo a Midorima di intervenire
aggiustandosi gli occhiali:
“Se
ne può anche andare, mi ha solo accompagnato fino a
qui.”
Senza
chiedere il permesso oltrepassò la soglia, stringendo tra le
dita fasciate il porcellino.
Takao
sbraitò: “Ehi, mica c’eri solo tu! Si
è aggiunto pure questo… - guardò
Murasakibara, in cerca di una parola adatta per definirlo –
questo gigante! Già tu non è che sei proprio
leggero.”
Midorima lo
fulminò con lo sguardo ma Murasakibara appoggiò
una mano sulla testa di Takao, che ammutolito lo lasciò
fare: fu impressionante vedere che il ragazzo altissimo riusciva a
coprire quasi del tutto l’ampiezza del cranio di Takao con il
solo palmo.
“Ero
stanco, fare tutto quel pezzo a piedi sarebbe stato
difficile.”
Oltrepassò
anche lui la soglia e appoggiò il sacchetto sul tavolo, dal
quale caddero delle merendine talmente chimiche che probabilmente non
avevano data di scadenza.
Akashi si
alzò in piedi: “Può anche restare, non
è una riunione segreta. Ma non è previsto
comunque che Takao partecipi attivamente in seguito, per ciò
che ho in mente potrebbe però supportare ugualmente
Midorima.”
Quest’ultimo
inarcò un sopracciglio ma si limitò a domandare:
“Akashi?”
Il tiratore
da tre punti si era sempre fidato dell’ex-compagno di
squadra, a un livello tale che purtroppo anni fa non era stato in grado
di fermare il deragliare della sua mente; certo, da allora era passato
tanto tempo, ed effettivamente le cose erano molto cambiate. Akashi
stesso, come tutti loro, era cambiato.
L’Imperatore
si limitò ad accennare un sorriso per poi dire semplicemente:
“Sedetevi
pure, Kagami ha preparato qualcosa da mangiare per tutti. Kise
è un po’ in ritardo ma ci
raggiungerà.”
“E
dov’è Kuro-chin?” domandò
Murasakibara, scrutando perplesso gli onigiri anche troppo salutari.
Kagami
chiuse la porta e sussultò quando realizzò che
c’era Kuroko dietro, il quale evidentemente si era spostato
per far spazio agli ingombranti nuovi arrivi.
“Ciao!”
li salutò semplicemente per poi sedersi accanto ad Aomine
che scosse la testa, domandandosi cosa sarebbe accaduto una volta che
Kuroko fosse entrato nella Zona: forse sarebbe sparito davvero, a quel
punto.
Senza fare
troppi complimenti, Daiki prese un onigiri e se lo mise in bocca,
riempendosi le guance. Suo malgrado doveva ammettere che Kagami ci
sapeva fare con la cucina, meglio certamente di Satsuki che gli
propinava delle robe a volte davvero immangiabili.
Deglutì,
quindi intervenne:
“Ok,
di che ci dovevi parlare?”
Akashi lo
guardò un istante, poi deviò il suo sguardo su
Momoi: “Hai fatto quelle ricerche?”
La ragazza
annuì: “Sembra che l’ultima espansione
sia molto interessante. E’ previsto un boost per il livello
dei personaggi: tempo una settimana e si può raggiungere il
cap.”
Kagami fece
una smorfia ma si sedette, optando per divorare un onigiri, mentre
Aomine si portò le mani dietro la testa e allungando di
più le gambe domandò con il suo solito fare
garbato:
“Boost?
Cap? Oi, Satsuki, da quando per parlare con te ho bisogno di un
interprete?”
“Dai-chan,
questi sono i termini del gioco, imparerai ad usarli anche
tu.” replicò lei con un sorriso, ormai abituata al
caratteraccio dell’amico d’infanzia.
“Gioco?”
questa volta fu Kagami ad intervenire, con una certa
perplessità mista a preoccupazione.
Akashi
sospirò, mentre Midorima incrociava le braccia e
Murasakibara aveva cominciato a mangiare una merendina con lentezza,
come per cadenzare la masticazione con le parole di Akashi.
“E’
tempo che vi spieghi nel dettaglio. Ciascuno di voi ha un fascicolo
personalizzato – in piedi, l’ex-capitano
li distribuì a tutti, girati, lasciando quello di Kise di
fronte all’unico posto vuoto – ho intenzione di
proporvi di sottoscrivere un abbonamento a un gioco online.”
Aomine
spalancò gli occhi, sorpreso esattamente tanto
quanto gli altri, ma Kagami fu l’unico a scoppiare a ridere;
pochi ridevano in presenza di Akashi, a conti fatti. Ma lui aveva
vissuto in America, era evidente che non sapeva gestire certe
situazioni.
“Giocare
online. Questa è bella!”
“In
questi fascicoli c’è il nostro
personaggio?” domandò Kuroko, attento.
Con evidente
compiacimento, Akashi annuì: “Ottima intuizione,
Tetsuya. Ora – lanciò un’occhiata a
Kagami, mentre Aomine d’istinto si mise più
composto – concludo la mia spiegazione così
potrete trarre le vostre conclusioni. Pensavo che in questi ultimi anni
ci siamo riavvicinati parecchio, pur essendo in squadre diverse; anzi,
forse è proprio per questo. Abbiamo trovato ottimi compagni
e valorizzato i nostri punti forti, imparando anche a gestire meglio la
squadra piuttosto che agire da soli. Non posso prevedere del tutto il
futuro ma… il periodo della scelta
dell’università si avvicina. Per allora vorrei che
fossimo preparati non solo scolasticamente, anche a livello sociale.
Potrebbe
capitare, ad esempio, che qualcuno di noi finisca nella stessa
università, magari anche più di due del nostro
gruppo. Voglio evitare che si ripeta ciò che è
accaduto in passato e che all’epoca solo Tetsuya aveva
cercato di fermare.”
Guardò
intensamente Kuroko che lo fissò a sua volta; poi il ragazzo
dagli occhi azzurri posò lo sguardo istintivamente su Aomine
che, in realtà, lo stava osservando già da un
pezzo. Per l’asso della Generazione dei Miracoli fu
difficile, allora, reggere ancora l’intensità di
quelle iridi tanto chiare, capaci di spiazzarlo per
l’onestà diretta con la quale lo fissavano. Aomine
roteò gli occhi verso il soffitto e fece una smorfia,
consapevole, lo sentiva, che pure Satsuki lo scrutava.
Anni fa
aveva detto delle cose orribili a Kuroko, proprio perché
intendeva farlo. Perché sapeva che Tetsu era un essere umano
migliore di lui, lui che sapeva solo giocare a basket al punto da
dimenticare tutto il resto. E gli dava fastidio non poter essere al suo
livello, capendo che in quel modo si sarebbero allontanati per sempre;
cosa che, a conti fatti, era successa comunque.
“Quindi
dobbiamo giocare online per stare più assieme?”
domandò con un certo spirito critico, come per allontanarsi
da quei pensieri e dai ricordi. Girò il fascicolo,
così che l’immagine di una creatura azzurrognola
dall’aspetto repellente troneggiò in copertina; il
ragazzo la fissò un istante per poi domandare irritato:
“E che è sta roba?”
“Un
troll, la tua razza, Dai-Chan – spiegò allegra
Momoi – è per fare il druido feral, che si
trasforma in una tigre. Perfetto per te.” annuì,
convinta.
Aomine
sollevò un labbro, in una smorfia mista tra
l’incredulo e il disgustato.
Kuroko
osservò la sua immagine poi commentò, guardando
Aomine con imperturbabile serenità:
“Anch’io
sono un troll, Aomine-kun.”
“E
questo dovrebbe farmi sentire meglio, Tetsu?”
domandò allargando le braccia.
Murasakibara
accartocciò la confezione della merendina e
commentò, dopo aver lanciato un’occhiata alla
scheda personaggio di un Kagami in procinto di esplodere:
“Poteva
andarti peggio: potevi essere una mucca – girò la
sua scheda – oh, sono uno scheletro non morto.”
Aomine si
sporse di più per vedere il personaggio di Kagami, che stava
già stropicciando l’angolo della scheda prima di
scoppiare, e dopo aver tentato neanche troppo di trattenersi... rise
apertamente, portandosi una mano sulla pancia: “Una mucca! Ti
sta a pennello, Bakagami!”
Kagami gli
ringhiò contro: “Taci, Ahomine, solo un idiota
come te poteva trovarsi un troll come personaggio.”
“Kagami-kun,
anch’io sono un troll.” fece presente Kuroko.
“Beh,
si vede che eravate amici – sbottò senza pensarci
– Akashi, che storia è questa, perché
sono una dannata mucca?”
Akashi aveva
osservato in parte divertito, in parte incuriosito, le reazioni di
tutti i ragazzi e, vedendo gli scambi di parere, nonché le
lamentele come le risate, fu certo ancora una volta di aver fatto
centro nelle sue scelte. Per questo non lasciò che qualche
piccolo incidente estetico di percorso turbasse l’atmosfera;
insomma, se persino un egocentrico come Aomine aveva accettato di avere
un troll, forse consapevole di condividere lo stesso destino con
Kuroko, ci sarebbe riuscito anche un entusiasta casinista come Kagami.
“Perché
sei un warrior, come classe, e per il tuo stile d’attacco
farai più danni: reputo che ti darà molta
soddisfazione – attese un istante, per poi aggiungere quasi
per sfida – Ma nel caso in cui avessi ugualmente problemi,
puoi sempre pagare per cambiare razza.”
Kagami stava
per ribattere qualcosa ma alla parola danni e all’idea di non
riuscire a fare qualcosa... si interruppe, lasciando finire Akashi per
poi domandare: “Danni, eh? Tanti?”
Akashi
annuì: “Tanti.”
Kagami
incrociò le braccia: “Bah, allora suppongo che
pure una mucca mi vada bene. L’importante è
arrivare al risultato e divertirmi facendolo.”
Kuroko si
mostrò d’accordo, mentre Aomine già
istintivamente dichiarava la sua aperta superiorità rispetto
a Kagami, il quale non stette certo zitto.
“Comunque
è un Tauren, non una mucca, giusto per la
cronaca.” precisò Momoi, consapevole che tanto
nessuno dei due la stava comunque ascoltando, preso com’era a
imporre la propria bravura sull’altro.
“Sai
un sacco di cose, Momoi-san.” constatò Kuroko,
ignorando di essere nel mezzo della discussione tra il futuro tauren e
il troll, sinceramente colpito dalla capacità di ricerca e
di memorizzazione della ragazza, la quale arrossì.
Tetsu-kun
mi ha fatto un complimento, come sono felice!
“E
tu che personaggio hai avuto Mido-chin?” domandò
Murasakibara, aprendo un’altra merendina, giudicando
evidentemente troppo sani gli onigiri fatti in casa.
Tutti,
inevitabilmente, si voltarono verso Midorima che teneva accanto a
sé il salvadanaio a porcellino, oggetto fortunato del
giorno, infine dopo qualche secondo di silenzio il ragazzo disse con
finto distacco, mentre Takao cercava di sbirciare:
“Sono
un cacciatore. Un elfo del sangue, apparentemente.”
Appoggiò
con calma quasi regale la sua scheda, infine incrociò le
dita sul tavolo.
“Precisamente
– convenne Akashi – un hunter che fa delle
capacità di tiro il suo punto forte. Non essendo
l’hunter con al seguito gli animali non ho reputato opportuno
fare del tuo hunter un orco; sono Elfo del Sangue
anch’io.”
Girò
la sua scheda e aggiunse: “Sono un priest: posso attaccare ma
anche cambiare stile e curare, esattamente come Kuroko. Io e lui saremo
i supporter, gli healer della squadra.”
Aomine
fissò un istante prima Akashi, poi Kuroko che
incredibilmente stava sorridendo, evidentemente interessato
dall’idea. Scoprì di star sorridendo a sua volta,
perché effettivamente ogni ruolo, personaggio e classe
sembrava calzare perfettamente su di loro. Come faceva ogni dannata
volta Akashi a studiarsi così bene un progetto che in altre
mani sarebbe risultato semplicemente folle?
Kuroko, un
supporter. E lui in attacco. Faceva quasi ridere
l’assurdità perfetta della cosa.
Si
passò una mano sul volto, per poi fare presente:
“Ok,
capisco il riunire la Generazione dei Miracoli e capisco volerlo fare
con qualcosa di alternativo ma – puntò il pollice
verso Kagami – lui che c’entra,
esattamente?”
Sì,
rispettava Kagami come giocatore e ne riconosceva il valore, anche se
faceva fatica ad ammetterlo, ma loro sei, non lui, erano parte della
Generazione dei Miracoli e si conoscevano dalle medie. Non era per loro che Akashi stava
muovendo tutta quella macchina contorta che era la sua testa?
Non bastava
che Kagami gli avesse portato via la sua
ombra?
“Ma
che caz...” sbottò Kagami ma Akashi intervenne,
bloccando sul nascere un’eventuale discussione.
Più di tutti conosceva e capiva il legame che tempo fa
Kuroko e Aomine avevano stretto, nonché il modo brusco,
quasi disperato, con il quale quest’ultimo l’aveva
reciso. Se solo Aomine e in seguito tutti loro avessero saputo gestire
meglio la situazione magari le cose non sarebbero sfuggite di mano e
Kuroko, alla fine, sarebbe rimasto. Con la solita aria di superiore
tranquillità fece presente, fissando impietosamente negli
occhi Aomine:
“Aomine,
sii ragionevole, o almeno provaci: hai rinunciato a essere la luce di
Kuroko tanti anni fa, è giusto che Kagami faccia quindi
parte di questo gruppo proprio in sostituzione di ciò che tu
non sei più.”
Cadde il
silenzio. Murasakibara cessò di mangiare, Midorima si mise
in grembo il porcellino e dilatò di più le
narici, come per respirare; persino Kagami, di solito così
vitale, si sentì quasi in difetto, come se fosse entrato
senza volerlo in qualcosa di oscuro.
Momoi
avvertì gli occhi farsi lucidi, improvvisamente: non tanto
per le parole di Akashi, dure, persino spietate, bensì
perché vide l’espressione di Aomine. E fu come se
lui non fosse mai stato veramente di luce, ma avesse conosciuto tanta
oscurità.
Aomine non
disse nulla. Semplicemente perché, in fondo, Akashi aveva
ragione, ragione su ogni maledettissima parola.E lo detestò
per questo, odiandosi a sua volta.
Poi, con la
coda dell’occhio, vide Kuroko muovere un braccio verso di
lui. Aomine ruotò la testa e fissò prima gli
occhi di Kuroko, immobili su di lui, poi... il pugno che gli tendeva.
Stai
scherzando, Tetsu?
Ma Kuroko
appariva serissimo. Il primo anno delle superiori, quando Aomine aveva
scoperto cosa significasse perdere, Tetsuya gli aveva chiesto di
battere il pugno come facevano un tempo; Daiki aveva accettato, alla
fine, giurando anche a se stesso che sarebbe stata l’ultima.
Che non sarebbe ricascato in un vecchio gesto nostalgico di quando
erano entrambi ragazzini, ancora convinti di poter arrivare ovunque
assieme, invece...
In quel
momento, in quella stanza, non stava accadendo nulla di speciale: non
c’erano partite, né erano tornati quelli di un
tempo. Allora perché ogni singolo secondo sembrava
così dannatamente importante?
Aomine
finì istintivamente per battere il suo pugno contro quello
di Kuroko, nocca su nocca, pelle su pelle. Sentì di star
sorridendo, anche se non era certo di averlo fatto per davvero.
Rimasero
entrambi così, fermi, mentre nel frattempo Kise era
arrivato: aveva trovato la porta aperta ed era entrato, salutando tutti
con il suo solito entusiasmo coinvolgente. Ma per
quell’attimo, di ricordi, di vicinanza, Aomine e Kuroko si
estraniarono: tutto sembrò poter tornare veramente come
allora.
“Kurokocchi,
Aominecchi!” li salutò Kise abbracciandoli, per
poi andarsi a sedere, appoggiando il borsone.
Aomine quasi
sussultò e borbottò qualcosa per poi allontanare
il braccio di scatto e infilarsi le mani in tasca, come se dovesse
nascondere delle prove compromettenti.
Ci fu
qualche breve scambio di battute, poi tornò ad esserci un
rilassato silenzio.
“Che
mi sono perso?” domandò il modello, girando il
proprio fascicolo con entusiasta curiosità.
Spazientito,
bisognoso di arrivare in fretta al dunque per schiarirsi le idee e
disintossicarsi dalla presenza di Kuroko, Aomine fece il riassunto
migliore della sua vita, senza far caso ai fogli di Kise:
“Giochiamo
online e tutti, tranne Akashi e Midorima, abbiamo personaggi cessi che
– solo a quel punto lo sguardo di Aomine cadde
sull’avatar in pixel molto ben dettagliati, che avrebbe
rappresentato Kise nel mondo virtuale, e sentì una forma di
profonda ingiustizia colpirlo – una donna? Akashi! Io volevo avere una
donna con quelle tette!”
Kuroko, come
gli altri del resto – anche se con una forma di rassegnazione
maggiore, non aveva mai capito il perché di tutta questa
esagerata passione di Aomine per le Idol e, congiuntamente, il seno
prosperoso che per lui era fonte di grande apprezzamento. Ma realizzava
che, come tutte le passioni del mondo, non doveva esserci
necessariamente un perché dietro.
Lì
si fermava Kuroko; gli altri, decisamente più sensibili alla
sfera delle relazioni sessuali, invece continuavano a chiedersi come
fosse possibile che dopo tutti quegli anni Aomine non avesse mai
avanzato alcuna proposta a Momoi, donna che più di tutte
incarnava i suoi già alti ideali. Specie per il seno, se si
voleva comunque obiettare che la bellezza fosse relativa.
Ma, anche in
quel frangente, nel tempo ciascuno aveva pensato a farsi gli affari
propri, lasciando Aomine alle sue riviste sulle idol che lo facevano
sembrare più maniaco di quanto in realtà non
fosse: pigro e scortese com’era, tendenzialmente erano
più le donne ad essere maniache e stalker nei suoi confronti
che viceversa.
Kise
abbassò lo sguardo sulla tanto decantata donna e
realizzò che era affascinante, con i suoi capelli fluenti,
le orecchie a punta e lo sguardo temibile: “Oh! Wow! Beh,
bella quasi quanto me.”
Ridacchiò.
Scettico sulle lamentele di Aomine, incontentabile esagerato per
eccellenza, Kise lanciò un’occhiata ai personaggi
di Daiki e Kagami. Ecco, sì, effettivamente quando li vide
scoppiò a ridere:
“Kagamicchi!
Aominecchi! Siete proprio brutti – ma si sentì
dispiaciuto quando vide che anche a Kuroko era capitato un destino
simile – Kurokocchi, pure tu!”
“La
mia mucca è fighissima!” esclamò Kagami
che già, ottimista e determinato com’era,
prospettava di fare grandi cose con il suo personaggio. Burbero ma
affettuoso, Taiga non trovava poi così terribile il suo
muccone peloso, gigante, con tanto di zoccoli e anellone sul naso.
Aveva qualcosa di guerriero.
Aomine, che
nel suo troll dal naso arcigno, i denti gialli e la cresta tutta sta
gran bellezza proprio non riusciva a vederla, si limitò a
sbottare seccato per l’evidente presa in giro del
fotomodello:
“Potevi
restare dov’eri, Kise, assieme alle tue inutili osservazioni
– si alzò in piedi, decretando per lui la
definitiva cesura con quel pomeriggio surreale – ho capito
abbastanza, ditemi quando cominciamo e vedrò di esserci, forse. Satsuki,
andiamo.”
Ormai, dopo
tutti quegli anni, era quasi di riflesso che Aomine chiamava Momoi
anche se non ce n’era bisogno, perché sin da
quando erano bambini lei lo avrebbe seguito comunque. Quindi allo
stesso tempo Aomine non aveva mai nemmeno accarezzato l’idea
che Satsuki, un giorno, lo costringesse a rimanere; ecco, nel momento
in cui Daiki si voltò e vide Momoi ancora seduta,
realizzò che era arrivato anche quel giorno.
Perfetto,
non poteva scegliere momento migliore per cambiare le carte in tavola.
Ma Aomine
fece finta di nulla e insistette:
“Oi,
Satsuki, mi hai sentito?”
Lei gli
sorrise, spiegando tranquilla: “Dai-chan, manca ancora la mia
cartellina.”
Aomine
sbuffò, roteando gli occhi. Poi guardò il
fascicolo effettivamente ancora girato e, preso da un vago senso di
colpa, tornò a sedersi di peso sulla sedia, sempre senza
levare le mani dalle tasche.
Satsuki,
questa me la paghi.
Akashi in
persona gliela girò, facendo vedere a tutti che Satsuki
aveva ben due personaggi, carini e semplici: un’umana e
un’elfa del sangue.
“Momocchi,
sei bella anche nel gioco.” commentò Kise e Momoi
si portò una mano sulle labbra, piacevolmente imbarazzata da
quel complimento. Forse anche un po’ a disagio per aver
costretto Aomine a restare e lei, più di tutti, sapeva
quanto il ragazzo desiderasse invece andarsene.
“Ma
perché Momo-chin è doppia?”
domandò Murasakibara, con le spalle incurvate in avanti.
Midorima
tornò a posare il portafortuna del giorno sul tavolo, si
aggiustò gli occhiali e osservò:
“Suppongo che, come in ogni gioco online del genere, ci siano
delle fazioni ben distinte. Mi viene istintivo pensare che Momoi abbia
un personaggio in entrambe per tenere d’occhio la
situazione.”
“Esattamente.”
confermò Akashi.
Momoi
annuì, entusiasta: “Mi muoverò in
entrambe le direzioni e vi aggiornerò settimanalmente
allora. Non vedo l’ora!”
Akashi
tirò fuori il cellulare, digitò qualcosa, infine
annunciò:
“Ho
cambiato il nome del gruppo di Whatsapp con quello della nostra gilda
che creeremo nel server su cui sono i personaggi: La Gilda Dei
Miracoli. Ho steso un calendario delle serate possibili da dedicare al
gioco, compatibilmente coi nostri rispettivi impegni come studiati con
Momoi, in modo che la nostra attività non provochi cali di
rendimento sportivo e scolastico non necessario –
guardò prima Kagami, poi Aomine – specialmente per
quanto riguarda voi due, che non avete una media esattamente
ottimale.”
Aomine e
Kagami si lanciarono un’occhiata reciproca, poi
borbottarono qualcosa di neanche troppo convincente, perché
alla fin fine sapevano entrambi di non essere esattamente delle cime a
scuola.
“Hai
pensato a tutto.” convenne Midorima, dopo qualche istante.
Gli sembrava
di essere tornato alle medie, davanti ala scacchiera di Shogi, intento
a disputare una partita con Akashi mentre parlavano dei progetti per la
squadra, di come stavano tutti crescendo, dei problemi da affrontare.
Ma più Shintaro credeva di avvicinarsi alla disposizione dei
pezzi prevista da Akashi, più realizzava di essere ben
distante dalla strada corretta: no, non era mai riuscito a comprendere
del tutto la portata delle mosse compiute da Akashi. Ma si era sempre
fidato, consapevole che il compagno di allora poteva davvero vedere
lontano, più di tutti loro.
“Mi
auguro che questa possa essere per ognuno noi una bella esperienza
– concluse Akashi – Stasera non dovreste avere
impegni, quindi ci troviamo loggati alle nove, puntuali. A mezzanotte
stacchiamo, per garantire il riposo necessario. Portatevi a casa le
vostre schede personaggio: ci sono tutte le istruzioni per
l’installazione del gioco, il codice e il tempo di gioco da
attivare. Se avete qualche dubbio scrivete in chat, chiedendo pure a me
o a Momoi.”
Aomine a
quel punto non si alzò, fu come se alla fin fine non fosse
poi così importante andarsene, perché tanto ogni
cosa era stata in qualche modo sistemata e lui… lui era
curioso, curioso di dare una possibilità a tutta
quell’apparentemente assurda situazione. Fissò il
troll blu, poi gli altri, infine Kuroko che alzò lo sguardo
incrociando il proprio:
“Penso
che saremo ottimi druidi, Aomine-kun.”
“Druidi?”
domandò Aomine, senza riflettere, mentre Momoi si era alzata
e stava aiutando Kagami a sparecchiare la tavola.
Kuroko
annuì: “Sì, siamo tutti e due druidi.
Possiamo diventare quello che vogliamo: attaccare, curare, persino
difendere. Se tu attacchi, io ti curo. E’ così che
funziona.”
Aomine si
morse un labbro, poi appoggiò la schiena alla sedia e
guardò un istante il soffitto, prima di aggiungere:
“Luce e ombra.”
Che fatica
parlare. Perché il peso di ciò che avrebbero
potuto essere, se solo le cose fossero andate diversamente, era
lì a fare da zavorra nel petto.
“Luce
e ombra.” convenne Kuroko.
Poi il
fantasma della Generazione dei Miracoli lanciò una rapida
occhiata a Kagami, che si stava studiando attentamente il suo
personaggio, e ritornò a posare il suo sguardo su Aomine. Lo
capiva, capiva che Aomine si sentiva… fuoriluogo. Straniante
per uno abituato a volare sopra gli altri, a prevalere, a vincere
perché la natura aveva voluto che fosse un genio assoluto
del basket; curioso che fra tutti fosse proprio il suo perfetto opposto
a capirlo: Kuroko, la persona anonima ed evanescente per eccellenza.
“Più
c’è luce, più l’ombra diventa
grande.” gli disse all’improvviso Tetsuya.
Il
passato c’è, esiste, ma non è ora, non
è il presente. Il presente possiamo ancora cambiarlo.
“Ora
siamo una squadra – aggiunse ancora, per poi specificare
– una gilda, la migliore.”
Quando
Aomine sentì quelle parole, proprio non riuscì a
smettere di guardare il soffitto: sentiva gli occhi umidi, forse una
stupida ciglia si era infilata in mezzo. Fastidiosa, com’era
fastidiosa la capacità di Kuroko di guardargli dentro e
farlo sentire così… esposto. Con Satskui non
succedeva, Sastuki lo conosceva e basta. Ma Tetsuya… Tetsuya
lo leggeva, come un libro.
“Gilda
dei Miracoli – rise, per poi sospirare e finalmente tornare a
incrociare i suoi occhi con quelli di Kuroko –
sarà un miracolo se riuscirete a starmi dietro. Ho
intenzione di conquistare il server, sappilo.”
Nel vedere
quello sguardo di Aomine, trionfante, vitale, pronto realmente a
spaccare il mondo solo perché sapeva di esserne capace e
perché si stimava in misura epica, Kuroko si
sentì felice.
Annuì,
con quel sorriso evanescente e gli occhi profondi, come se non
appartenessero realmente a un ragazzo della sua età.
Guardò
gli altri: Kagami che già discuteva con Akashi su come
sfruttare al meglio i suoi attacchi, Murasakibara che trovava
divertente l’idea di radunare attorno a sé i
nemici per impedire loro di andare oltre, Midorima che finiva per far
notare a Takao la perfezione dell’arco e di statistiche come
l’accuracy per dare maggiore efficacia al colpo.
Sì,
Akashi aveva davvero fatto il Miracolo.
Chissà
se altrettanto miracolosamente, un giorno, tutti loro avrebbero giocato
di nuovo nella stessa squadra, all’Università, e
poi… nella vita. A basket. Kuroko sorrise… per
quello c’era tempo; sì, si erano ritrovati, e ora
avevano tutto il tempo del mondo per non perdersi più.
Sproloqui
di una zucca
Benvenuti a questo
nuovo capitolo, ambientato qualche mese prima della nostra storia. Dal
prossimo si riprenderà la linea temporale classica. Se
volete qualche info grafica, ecco le principali razze di cui si parla:
Troll
Tauren (il muccone, tanto per
intenderci XD)
Elfa
del sangue
Per le classi di
gioco, basta che leggiate un qualsiasi riepilogo anche solo sul sito
della Blizzard, alla fine sono abbastanza classiche. Sicuramente chi ha
già giocato di ruolo (tipo d&d per intenderci)
avrà già qualche familiarità con
arcieri, assassini , guerrieri e via dicendo.
Ho voluto fare questo
capitolo per vedere un po' cosa ha smosso i ragazzi ad accettare l'idea
di giocare online, ma anche per vederli assieme, farli interagire, e
cercare di relazionarmi con le scelte di ognuno. Dal prossimo capitolo,
per quanto l'idea del gioco online sarà comunque presente, i nostri eroi
(?) staranno più assieme dal punto di vista reale che
virtuale. E si andrà a scandagliare maggiormente il
rapporto tra Aomine e Kuroko.
Vorrei davvero veder
giocare, assieme, la gilda dei Miracoli, con tutti che si divertono a lanciare
incantesimi, ad attaccare mostri e boss in gruppo, ad insultarsi per il
dps da schifo o la mancanza di cure. Mi sembrano ancora più
squisitamente umani e quotidiani <3
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Capitolo 3 *** Arriverà il momento in cui dovrai capire cos'è che vuoi veramente ***
Arriverà il momento in
cui dovrai capire cos’è che vuoi veramente.
Aomine stava
sdraiato supino sul letto, con i piedi che toccavano abbondantemente
terra e le ginocchia piegate, invece le braccia erano incrociate dietro
la testa, pratico cuscino per guardare meglio un banalissimo soffitto.
Per questo, in effetti, Daiki aveva smesso di fissarlo, chiudendo gli
occhi mentre Momoi si ostinava a sfogliare quei dannatissimi fogli
dell’università; risultato: lui si era annoiato
ancor prima di cominciare.
Non che
mancasse di entusiasmo all’idea di continuare a giocare a
basket in una squadra prestigiosa, ma il pensiero di iscriversi
– se mai la media scolastica tremenda non avesse inciso sulla
selezione, a beneficio esclusivo del club di basket – lo
portava inevitabilmente a confrontarsi con la possibilità
che magari anche Kuroko ambisse a una strada simile. Il fatto era
che… non voleva illudersi, lui che era sempre stato tanto
meravigliosamente cinico in tutto. Solo perché i rapporti
sembravano essersi stretti di più negli ultimi anni
– complice anche quell’assurda storia del
gioco online, questo doveva riconoscerlo ad Akashi – non
significava che all’improvviso sarebbero diventati…
Cosa?
“Dai-chan
mi stai ascoltando?” domandò Momoi, intenta a
fissarlo in piedi davanti a lui.
Aomine non
aprì gli occhi, limitandosi a sollevare un piede che
appoggiò sul materasso:
“Che
c’è Satsuki?”
Quest’ultima
sospirò. No,
non mi stava ascoltando.
“Lascia
perdere, i miei resoconti te li farò un’altra sera
– lanciò uno sguardo alla camera finalmente
riportata ad uno stato vivibile, poi commentò –
abbiamo fatto un bel lavoro di pulizia. Vuoi tornare a giocare con gli
altri? Dovrebbero essere online.”
“Nah.
Andrò a fare qualche tiro.” Replicò.
Sentiva il bisogno di uscire dalla stanza e di non pensare affatto,
concentrandosi su quella che era la sua vita reale.
Momoi lo
osservò qualche istante, poi gli si sedette accanto, sul
bordo del letto. Fuori il cielo iniziava a scurirsi, facendola
riflettere su quanto il tempo fosse passato in fretta: non solo avevano
riordinato la stanza, ma con il pretesto di ordinare dozzinale cibo
d’asporto lei ne aveva approfittato per insistere con la
questione delle università, sorda alle lamentele
dell’amico.
Sì,
ho proprio torturato Dai-chan oggi.
Ma se non
faceva così rischiava che Aomine pensasse solo al basket,
ignorando forse di proposito tutto il contorno del suo futuro. Credeva
però di intuire almeno parte delle ragioni per cui Daiki
continuasse ostinatamente a procrastinare il momento della scelta
universitaria.
“Perché
non chiedi a Tetsu-kun che università ha intenzione di
frequentare?”
Aomine
saltò su a sedere, come se fosse stato folgorato da un
teaser sparato in pieno petto:
“Satsuki!
Che ti passa per il cervello? Chiedere a Tetsu? E perché
dovrei?”
Sollevò
un labbro in una smorfia poi, approfittando di essere già in
piedi, si risolse a raccattare le scarpe nere da basket – il
modello che continuava a comprare anno dopo anno, suola consumata dopo
suola consumata. Si sedette sulla sedia della scrivania e le
indossò, ignorando il fatto che Momoi lo fissava.
Quest’ultima
scrollò le spalle: “Io vorrei andare
all’università con lui.”
In quei casi
sapeva che era meglio decentrare la questione su di sé, per
far sentire Aomine meno esposto. Era uno schiacciassassi, Aomine, ma
quando si trattava di sentimenti che lo riguardavano da vicino
rischiava di essere più fragile di tante persone
apparentemente sensibili.
Come
prevedibile Daiki replicò, alzandosi in piedi e afferrando
un pallone:
“Vacci.
Mica devi sempre starmi appresso, Satsuki – alzò
gli occhi verso il soffitto, rendendosi conto di essere stato un
po’ troppo brusco – Ti piace Tetsu, no? Forse
è ora che tu ti faccia una tua vita sentimentale.”
Wow, di bene
in meglio. Aomine si rese conto di aver se possibile detto cose ancora
peggiori di prima. Si mise la palla da basket sotto braccio e tacque,
perché davvero non sapeva che altro aggiungere.
Ma Momoi non
era una ragazza come tutte le altre o non sarebbe arrivata a quel punto
con Aomine, anche se certe volte era difficile non sentirsi urtata dai
suoi modi, o per tutte le occasioni in cui lui la scaricava per il
basket e per… Kuroko. Sì, la questione girava
sempre attorno a entrambe le cose.
Un tempo
credeva che Kuroko fosse un sottogruppo all’interno del
grande insieme dominante del basket; ora non ne era più
tanto sicura.
“Pensavo
che anche a te piacesse Tetsu-kun.”
Ribatté
con apparente noncuranza, alzandosi a sua volta in piedi quasi senza
pensarci.
Ad Aomine
cascò la palla da sotto il braccio, che compì due
rimbalzi sordi prima di rotolare poco distante.
“Che
accidenti stai dicendo, Satsuki? Sono due cose diverse! Che
c’era nel cibo, allucinogeni? Ora ti riaccompagno a casa,
prima che tu mi tiri fuori altre cose fuori di testa.”
Sbottò,
aprendo la porta della stanza. Si sentiva confuso, irritato,
infastidito da quelle poche, semplici, parole. Perché
prendersela tanto, in fondo?
Perché…
Momoi gli
porse il pallone, sorridendo:
“Già,
hai ragione. Dai, andiamo – gli fece una linguaccia
– tanto so già che rimarrai fuori fino a tardi a
giocare. Quando si tratta di basket perdi proprio la concezione del
tempo. E prendi il cellulare, non si sa mai.”
Aomine
roteò gli occhi, passandosi una mano dietro il collo, ma
alla fin fine le dette ascolto e si mise in tasca il cellulare, oltre
alle chiavi di casa.
Quando
furono in strada lo tirò fuori e si rese conto dei messaggi
sul gruppo, una buona parte dei quali appartenevano tendenzialmente a
Kise, che spammava stupidaggini come se davvero non avesse nulla di
meglio da fare nella vita, mentre gli altri commenti erano relativi
alla serata online che Aomine aveva saltato.
Sembrava che
il raid fosse andato bene e Kuroko, con la sua solita fortuna
sfacciata, aveva addirittura droppato un pezzo di set leggendario.
Momoi commentò, aggiornata sulla chat in maniera sicuramente
più esaustiva di Aomine, che l’oggetto in
questione aveva anche una bella estetica.
Bravo
Kurokocchi, sono fiero di te:3
Ora
voglio vederti curare come se non ci fosse un domani. Ma se scudi
ancora Aomine ti tolgo il saluto.
Aomine
storse la bocca: ma perché Kagami non sapeva mai farsi gli
affari suoi?
Grazie.
Stasera non c’era Aomine-kun, per questa volta niente scudi
:-)
Chissà
perché quello smile piazzato da Kuroko così, a
fondo frase, aveva qualcosa di inquietante.
Ahahah…
-_- grandi risate, proprio. Ma… Ahomine – Bakagami, muori male
–
si è dato alla macchia?
Era
con Momochin
Aaaaaaaah,
serata focosa, insomma ;-)
Aomine
fissò lo schermo. Chi era quel minorato mentale che era
riuscito da avere il controllo sui pollici opponibili abbastanza a
lungo da scrivere stronzate simili?
Sentì
Momoi scoppiare a ridere, probabilmente perché aveva visto
la sua faccia.
Takao?
Che ci fai in chat? Sparisci! E già che ci sei ricordati
domani mattina di venirmi a prendere puntuale.
Boh,
mi sono trovato aggiunto.
Aggiunto
io mesi fa, supponevo che Midorima non avesse whatsapp.
E
perché mai non dovrei avere whatsapp, Akashi?
Perché
sei vecchio dentro, Midorimacchi X°D
“In
realtà lo ha installato appositamente per parlare con voi
– ammise Momoi sorridendo, continuando a camminare mentre
sbirciava ogni tanto lo scorrere dei messaggi di Aomine – mi
ha chiesto di fargli vedere dove trovare la app.”
Il ragazzo
mosse il pollice sul touchscreen per vedersi etichettato un paio di
volte come persona insensibile davanti alle donzelle da Kise, con il
manforte di Kagami che interveniva giusto per punzecchiarlo, dato che
nemmeno lui possedeva chissà quale gran tatto umano; nel
mezzo c’erano le scuse a profusione di Takao che non si era
reso conto della presenza di Momoi in chat.
“Idioti.”
Borbottò Aomine ma, prima di mettere via il telefono,
comparve nuovamente un messaggio di Kuroko.
Stacco
prima, vado a portare il cane.
Non
perderti Kurokocchi, mi raccomando, stasera mi sei sembrato un
po’ distratto °-° Akashicchi devi per forza
curarci tu?
Sì,
qualche problema?
Credo
che Kise obietti la tua tendenza a fare dps anche quando sei healer,
tralasciando le cure. Ma poi… perché stiamo
scrivendo qui se siamo in chat vocale?
Midochin
ha ragione. Mi state annoiando a parlare in contemporanea.
Vabbé,
vuoi che ti accompagni, Kuroko?
“E
che cosa sei, la sua balia?” sbottò Aomine.
No,
grazie, Kagami-kun. A domani.
Aomine mise
via il telefono, infilandosi una mano nel pantaloncini mentre
l’altra penzolava con il braccio stretto attorno al pallone
da basket.
“Ci
scambiano sempre per una coppia.” Commentò Momoi,
ridacchiando.
“Non
c’è niente da ridere, Satsuki.”
Ribatté Aomine. Ancora qualche centinaio di metri e
sarebbero arrivati davanti a casa dell’amica.
Quest’ultima
lo fissò un istante, per poi tornare a guardare davanti a
sé:
“Lo
so che non c’è da ridere. A scuola i ragazzi non
si avvicinano perché pensano che io stia con te e che tu
possa picchiarli, Dai-chan!”
Ecco, il
nomignolo che si portavano appresso sin dall’infanzia le era
venuto fuori spontaneo, anche se non erano propriamente in pubblico. A
scuola infatti evitava di chiamarlo così, altrimenti le voci
di corridoio che li davano già per fidanzati storici
sarebbero esponenzialmente aumentate.
Daiki
sgranò gli occhi. Non avevano mai parlato tanto apertamente
della loro strana relazione e di quello che implicava con gli altri;
semplicemente andavano avanti dando per scontato che non ci sarebbero
mai stati problemi di sorta a causa delle idee che il loro rapporto
generava nelle teste altrui. Ora, invece, appariva chiaro che i
problemi ci fossero eccome e anche belli grossi.
“Da
quanto va avanti questa storia, Satsuki?” domandò,
rendendosi conto che lui sapeva benissimo cosa credevano gli altri.
Solo che non gliene era mai fregato nulla. Ed era stato egoista nei
confronti di Satsuki, perché anche se lui non aveva grande
interesse per le relazioni umane di qualche tipo, specialmente amorose,
non necessariamente lo stesso poteva magari dirsi di Momoi.
“Lascia
perdere Dai-chan, siamo arrivati. E comunque non è questo il
punto: arriverà il momento in cui dovrai capire
cos’è che vuoi veramente.”
Aprì
la porta di casa ma prima di entrare gli disse ancora, dato che lui
taceva: “E cerca di non fare tardi stasera. Domani ti voglio
carico per studiare in vista dell’esame di storia,
l’ultimo prima delle vacanze estive, ok?”
Aomine
roteò gli occhi ma non ribatté seccato come
faceva altre volte:
“Va
bene, va bene. ‘Notte Satsuki.”
“Buonanotte,
Dai-chan.”
Richiuse la
porta e Aomine proseguì verso il campo da basket, con la
mente decisamente in conflitto. Forse avrebbe semplicemente dovuto
chiedere a Momoi di ufficializzare la cosa, mettersi assieme e tanti
saluti. In fondo lei non era poi così male, aveva delle
belle tette e lo conosceva talmente bene da non rischiare che potesse
rompergli le scatole quando doveva giocare o allenarsi.
Però… perché non funzionava?
Perché l’idea di stare con Satsuki gli era
semplicemente assurda?
Era la sua
migliore amica, sua sorella, la madre che in fondo non aveva, la sua
coscienza e una persona per cui avrebbe dato la vita; sì,
per cui avrebbe anche picchiato se le si fosse torto un capello.
Ma… non la amava.
Giunse a
quella conclusione quando fu davanti al campo da basket, protetto da
una recinzione metallica e illuminato dai lampioni che davano quasi
un’aria surreale al perimetro, mentre la strada poco
frequentata era silenziosa.
Voleva, doveva, svuotarsi la mente.
Cominciò
a tirare, correndo per il campo come se ci fossero migliaia di ostacoli
invisibili, mentre la palla quasi scivolava tra le sue dita simile a un
nastro di seta. Non sapeva perché ma ormai dopo tutti quegli
anni il suo corpo si muoveva da solo, ogni movimento era
così naturale da sembrargli strano doverci pensare. Lanciava
la palla, ovunque egli fosse, e questa inevitabilmente finiva a
canestro, calamitata dal cerchio metallico.
Kagami era
stato l’unico ad averlo materialmente sconfitto e la
sensazione di perdere, quella volta, era stata una merda.
Perché era una consapevolezza amara che gli era rimasta in
bocca per molte notti successive alla partita.
Però… paradossalmente era stata anche
un’esperienza utile per capire che se fosse rimasto lo stesso
cestista imbattibile sin dai tempi della Teiko, Daiki non sarebbe mai
migliorato davvero, come giocatore e come persona.
Per questo
aveva cominciato a smettere di comportarsi da egoista, o di ritenere
che gli altri non meritassero di esistere nella sua esigente sfera
personale. Se già allora avesse ascoltato di più
Kuroko, quello che lui provava, la sua vita forse sarebbe andata
diversamente e Aomine non si sarebbe ritrovato, tra le altre cose, a
dover recuperare il terreno perso con gli altri, a causa degli infiniti
allenamenti saltati.
Da quel
primo anno la situazione era dunque cambiata, anche se con lentezza;
era difficile scrollarsi di dosso tutto con un colpo solo. Infatti,
come dimostravano le parole di Satsuki, Daiki aveva compreso che
avrebbe dovuto lavorare ancora molto con se stesso prima di giungere a
un punto d’arrivo veramente soddisfacente.
Si
arrestò, asciugandosi il sudore dalla fronte.
La palla era
rotolata ai suoi piedi.
Sospirò
e fece per raccoglierla, quando sentì il cellulare
appoggiato sulla panchina suonare, affiancato dalle chiavi che stavano
per cadere.
“Satsuki?”
pensò, considerandola l’unica che potesse
chiamarlo a quell’ora. Magari voleva assicurarsi che stesse
tornando a casa.
Roteò
gli occhi, ma suo malgrado fece una corsa. Quando afferrò il
telefono però si accorse che si trattava di… Kuroko. Kuroko lo stava
chiamando.
Aomine
rimase immobile. Per un istante gli venne il dubbio che fosse uno
scherzo di quell’idiota di Kagami: Tetsuya lo chiamava con la
rarità con cui pioveva nel deserto, quindi praticamente mai
– e viceversa. E quando lo faceva era nei momenti
più disparati che, spesso, portavano Aomine a mollare tutto
quello che stava facendo per raggiungerlo.
Si decise a
rispondere.
“Tetsu?”
“Ciao
Aomine-kun – la sua voce… sempre così
leggera, impossibile da leggere, com’era impossibile leggere
il suo volto – ti disturbo?”
Aomine
guardò un istante la palla: “No. Che
succede?” domandò, d’istinto.
“Ero
in giro con Tetsuya 2. Vuoi fare due passi?”
“Eh?
Ma che ti salta in mente a quest’ora, Tetsu? –
sospirò, infilandosi però le chiavi in tasca,
pronto a incamminarsi – Dove sei?”
“Qui.”
Ad Aomine
sembrò di sentire un vago eco, come
un’interferenza nella voce.
“Qui
dove?” sbottò.
“Dietro
di te.”
Aomine si
girò quasi distrattamente, aspettandosi che quello fosse un
modo generico per dire a
due passi dal campo, ma Kuroko sapeva
essere molto letterale in quello che diceva.
Infatti
sobbalzò quando si vide il ragazzo davanti, a neanche un
metro da lui, con in mano la sua palla da basket e nell’altra
il guinzaglio con cui teneva Tetsuya 2.
“Accidenti,
Tetsu! Prima o poi qualcuno che ti vede comparire così muore
d’infarto.”Borbottò.
“Stavi
giocando, Aomine-kun?” domandò il ragazzo, capace
come sempre di tralasciare le sue abilità di svanimento e
comparsa improvvisi, oltre al fatto che in realtà non aveva
davvero bisogno di telefonare al suo amico, visto che lo aveva
già raggiunto. Questo perché era difficile
spiegargli che, in fin dei conti, Kuroko voleva comunque sentire
Aomine, parlargli, prima ancora di vederlo.
Era da una
vita che non lo chiamava.
Daiki
scrollò le spalle e riprese in mano la palla che gli tendeva
Kuroko:
“No,
avevo finito.”
Si
abbassò e grattò le orecchie a Tetsuya 2, il
quale scodinzolò allegro per poi mettersi a pancia in su e
farsi vezzeggiare ancora da Aomine che, come sempre, lo riempiva di
coccole.
Poi Daiki
alzò gli occhi, incrociando quelli grandi e imperscrutabili
di Tetsuya: “Vuoi fare due tiri? Chiudiamo il cancelletto e
Tetsu 2 gioca con noi.”
Il ragazzo
ci pensò un istante, infine annuì:
“Solo se giochi sempre al massimo, Aomine-kun.
Quest’anno ho seguito anche l’allenamento con
quelli del secondo anno per migliorare il mio tiro, anche se sono un
senpai.”
Ammise,
consapevole delle sue carenze procrastinate nel lanciare a canestro.
Aomine si era chiesto perché, durante il primo anno delle
superiori, Tetsu avesse chiesto proprio a lui di insegnargli a tirare.
Non lo aveva
turbato eccessivamente il fatto che gli avesse esposto quella strana
richiesta proprio dopo averlo sconfitto, bensì la
consapevolezza che si fosse rivolto a lui anziché a tiratori
impeccabili come Midorima.
La
verità era che Kuroko aveva istintivamente preso il telefono
e chiamato Aomine; lui e nessun altro. Non Kagami, non Midorima,
nessuno. Esattamente come quella sera.
Aomine
chiuse il cancello, così che Kuroko lasciò libero
il cane, il quale prese a scorazzare per il campo puntando subito la
palla.
“Con
te do sempre il massimo, Tetsu.”
Aomine lo
rassicurò, d’istinto. Infine gli lanciò
la palla e Kuroko la afferrò, così da tirare dopo
essersi preso un istante per concentrarsi.
Entrambi con
il fiato sospeso osservarono la traiettoria del pallone, consapevoli
che in quel lancio c’era la passione e la devozione di tutti
gli allenamenti fatti in quegli anni, le partite, le delusioni
così come le vittorie. Finché la
palla… rimbalzò contro l’asse
in legno della struttura e non centrò manco alla lontana il
canestro.
Kuroko
guardò il pallone rimbalzare tristemente a terra ma non
disse nulla. Tetsuya 2 mugolò, grattandosi un orecchio.
“Testu
– constatò Aomine – che era quella
roba?”
“Un
mezzo schifo?” propose Kuroko, andando a prendere
l’oggetto incriminato.
Si
chinò e rimase giù, fissandolo. I capelli gli
andarono davanti agli occhi. Aomine, in piedi, lo osservò in
silenziosa attesa, visto che il compagno di partita stava immobile.
Tetsuya 2 si mise seduto e guaì, guardando il proprio
padrone.
“Tetsu?”
domandò infine Aomine, avvicinandosi. Forse era stato troppo
brusco? Non seppe che dire o fare, Kuroko era l’unico ad
avere quello straordinario potere di sconvolgerlo.
Sentì
Kuroko prendere un respiro, per poi alzare lo sguardo verso Daiki,
nonostante fosse ancora accovacciato e con il pallone tra le mani.
Aveva gli
occhi lucidi.
Merda!
Perché Tetsu sta piangendo? Mi sono espresso di merda come
al solito?
“Ehi,
lascia perdere la faccenda del tiro, facciamo dei
passaggi…” fece per proporre, ma Kuroko scosse la
testa e si alzò in piedi, affrettandosi a dire:
“No,
scusami Aomine-kun. Oggi è stata una giornata un
po’ particolare ma in realtà mi hanno reso felice
le tue parole. Il fatto che tu voglia dare il massimo, con
me.”
Fece per
ritentare il tiro ma Aomine gli tolse la palla dalle mani e
sbottò:
“Che
stai dicendo? Non giochiamo finché non mi dici che accidenti
che sta succedendo, Tetsu!”
Kuroko lo
fissò. Beh, se l’era voluta. Avrebbe dovuto
pensarci non due ma tre volte prima di sollevare impulsivamente il
telefono e chiamare Aomine. Non poteva semplicemente accontentarsi di
giocare con lui e dimenticarsi del resto, non dopo che lo aveva visto
con gli occhi lucidi.
“Oggi
sono stato dal veterinario.”
Aomine
sollevò entrambe le sopracciglia, poi fissò
Tetsuya 2 che si grattava la schiena, rotolandosi.
Kuroko
guardò a sua volta il cane e proseguì:
“Tetsuya 2 doveva fare il vaccino, ma quando il veterinario
gli ha toccato il fianco lui si è messo a guaire. Dopo aver
fatto una lastra si è visto un ingrossamento vicino al
fegato – sospirò, mordendosi un secondo il labbro
– potrebbe essere qualsiasi cosa, un’infiammazione,
come una formazione tumorale.”
Tornò
a guardare Aomine; chissà perché mentre parlava
era riuscito a risultare pacato come al solito, mentre dentro di
sé sentiva il petto contorcersi in un maremoto di sensazioni.
Aomine
scosse la testa, come per ritrovare la lucidità e cercare
delle parole da dire a Kuroko, parole che non fossero banali,
perché… con lui avrebbe voluto essere tutto meno
che banale:
“Oi,
Tetsu, non vuol dire nulla. Ti hanno dato qualcosa?”
“Cortisone.
Pastiglie.” Rispose semplicemente, misurato come al solito
con le parole nella sua ponderata bilancia della vita.
“Ok,
allora vediamo di fargliele mangiare. Magari assieme a del riso.
Possiamo fare delle polpette.” Propose, meditabondo:
istintivamente voleva far concentrare Kuroko sulla soluzione,
anziché sul problema. Si era pure incluso in tutta la
faccenda.
Improvvisamente
Kuroko sorrise, stringendo i pugni:
“Grazie,
Aomine-kun. Per tutto – un accenno di sospiro –
Ora… va meglio. E’ sempre così, in un
modo o nell’altro.”
Aomine
Daiki, asso del basket insensibile, egocentrico, permaloso e un tempo
menefreghista, arrossì. Arrossì dalla fronte alla
punta delle orecchie, sentendosi le guance andare a fuoco.
Per quelle
parole tirate fuori così, in quel campo, da un Kuroko che
aveva paura di perdere il suo amato cane e che aveva infine espresso
tanto profondamente se stesso. Nonostante i suoi occhi fossero grandi,
chiari, non erano mai veramente capaci di trasmettere dolcezza, o
sentimenti: erano così fissi e imperscrutabili da risultare
anzi piuttosto freddi, persino distanti. Era infatti attraverso le
parole che Kuroko mostrava qualcosa di sé: perché
erano sempre sincere, in un modo o nell’altro, talmente tanto
da lasciare spesso l’interlocutore impreparato ad accogliere
tutte le emozioni che esse incanalavano.
Capitava
anche ad Aomine che, nonostante tutto, lo conosceva da una vita.
“Ma
che mi ringrazi a fare, Testu? – borbottò burbero,
per schermarsi – Dai, vedi di farmi un tiro decente o me ne
torno a casa con Tetsuya 2.”
Il cane lo
guardò, con la lingua di fuori.
Kuroko
annuì: “Ok! – afferrò la
palla – pronto?”
“Vai.”
Confermò Daiki.
Kuroko
tirò. E fece centro. Un tiro perfetto, senza una sbavatura.
Aomine lo vide sorridere, quel sorriso accennato ma disteso, come se il
suo corpo intero avesse smesso di essere in tensione.
Istintivamente,
allora, Daiki gli passò un braccio attorno al collo per poi
scombinargli i capelli. Lo toccò, così vicino,
con quella spontaneità splendida che aveva quando erano alle
medie e lui era la sua ombra.
“Bravo,
Tetsu!”
Kuroko rise,
lasciandosi spettinare la chioma già di per sé
ribelle, e dentro si sentì il petto esplodere.
Perché se quel pomeriggio, dal veterinario, aveva creduto di
morire e veder sparire Tetsuya 2 davanti agli occhi, adesso che era
lì, sul campo, tutto sembrava diverso: aveva tirato e
Aomine-kun era nuovamente tanto vicino da sentire i suoi muscoli del
corpo asciutto contro il proprio, con la sua certezza che Numero 2
sarebbe stato bene, avrebbe continuato a vivere. Sì, adesso
Kuroko si sentiva vivo.
Dopotutto,
forse, Aomine era un healer migliore di lui.
Sproloqui di una zucca
Eccoci qui al terzo
capitolo. In questo caso prende più spazio il rapporto tra
Momoi e Aomine, i pensieri di entrambi e come appaiono di fronte agli
altri che non li conoscono. Infine Aomine e Kuroko, loro due, nessun
altro. Povero Tetsu 2 T_T Mi sono sentita molto vicina a Kuroko
perché so cosa vuol dire vedere i propri animali star male.
Sì,
c'è Aomine a gogo in questa storia, sarà che lo
trovo ispirosissimo *___*
Spero che possiate
trovare i personaggi IC e, allo stesso modo, vi possano piacere i
dialoghi o i frammenti di vita raccontati di questo ipotetico futuro
nel quale si muovono ragazzi ormai prossimi a diventare uomini.
Grazie a coloro che
leggono, a chi ha inserito questa storia tra i preferiti/seguiti etc!
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Capitolo 4 *** Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli. ***
Aominecchi
potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta
arrivato in albergo, e avere solo quelli.
Akashi
era in piedi e, senza battere ciglio, guardava suo padre leggere il
depliant dell’università presso cui il Capitano
del Rakuzan sperava di riuscire a iscriversi. I suoi dubbi e le sue
speranze sorgevano non tanto a causa delle proprie in realtà
innate capacità di studio, che gli avrebbero infatti
garantito l’accesso a qualunque sistema universitario
giapponese, quanto per la volontà paterna: il genitore
voleva solo il massimo, vista la prospettiva di far salire il figlio ai
vertici dell’azienda, e se avesse reputato la presenza di un
club di basket un elemento di scarso valore in un pacchetto altrimenti
perfetto, avrebbe cestinato la proposta di Akashi come inadeguata.
Proprio in vista di quel confronto, da mesi l’Imperatore
studiava la composizione di ogni singola università, i corsi
trattati, il corpo docenti e i club sportivi, nonché la
reputazione presso le compagnie aziendali e i ricercatori. Altro
fattore importante da considerare, per lui, era la questione della
retta: non che la sua famiglia avesse problemi di soldi, al
contrario, ma aveva cercato di trovare un giusto equilibrio
tra dispendio economico e qualità, nel caso in cui qualcuno
dei suoi compagni avesse voluto optare per la stessa scelta.
Sì, aveva svolto una ricerca totalmente non-egoista,
valutando con razionalità la possibilità che per
una volta potesse non trovarsi del tutto da solo a intraprendere
qualcosa. Ma non voleva illudersi: magari sarebbe stato comunque
l’unico a iscriversi a quell’università,
oppure semplicemente il padre gli avrebbe bocciato la proposta e tanti
saluti.
L’uomo appoggiò il volantino sul tavolo e
guardò il figlio, domandandogli:
“Quindi vorresti continuare a giocare a basket anche
all’università?”
Akashi annuì, senza esitare: “Come ho fatto sino
ad oggi. Oltre a suonare violino e al pianoforte.”
Fece presente, per ricordargli la sua estrema versatilità e
capacità di gestire il tempo in maniera proficua.
Il genitore incrociò le dita e appoggiò le mani
sul tavolo. Tacque un istante, consapevole del talento del figlio, ma
anche della sua passione mai davvero troppo celata per il basket.
Entrambi comunque sapevano che l’unico momento realmente
determinante dell’università era il test
d’ammissione, anche se per giocatori di talento come poteva
essere Akashi non serviva una media elevata come nel caso di altri
studenti. Però l’uomo non si sarebbe mai
accontentato di una votazione scarsa per il futuro dirigente della sua
azienda. Non era un rischio che gli avrebbe concesso di correre.
La Joochi era un’università che includeva
eccellenti facoltà di economia, giurisprudenza e lettere,
inoltre era nota per i suoi scambi con l’estero. Lesse anche
il paragrafo relativo al basket, con la precisazione che molti
giocatori parte del club universitario erano arrivati fino
all’NBA.
Sospirò, poi guardò la moglie che, silenziosa,
aveva osservato lo scambio tra i due. Al primo anno delle superiori
Akashi aveva manifestato un problema evidente che, con ogni
probabilità, si era trascinato dietro fin dagli ultimi mesi
delle medie, anche se ignorato forse volutamente dalla sua famiglia. E
si erano resi conto, entrambi i genitori, che in fin dei conti Akashi
non aveva mai chiesto realmente nulla ma, quando era stato privato
totalmente di qualcosa a cui teneva, si era trasformato per smettere di
soffrire.
“Joochi. Alcuni dei miei manager e dei miei mediatori
migliori sono stati alla Joochi.” Commentò,
massaggiandosi il mento con fare pensoso.
Oh, lo so. Li ho letti
tutti i curriculum della gente di cui ti fidi, padre.
“Va bene, Seijuro – aggiunse infine –
Vorrò un colloquio con il preside, comunque.”
Akashi non batté ciglio ma... sentì il cuore
perdere un colpo.
Fece per riprendere il depliant, così da segnarsi i contatti
per organizzare tramite la scuola un incontro conoscitivo, ma il padre
trattenne il foglio e ribadì:
“Un’ultima cosa: da dopo quest’estate
rallenta con il basket – sua moglie gli lanciò
un’occhiata quasi preoccupata – non dico di
fermarti del tutto, ma voglio che ti concentri sullo studio. Devi
passare con il massimo. Noi diamo sempre il massimo.”
Akashi si sentì morire, solo un istante, com’era
stato un istante la durata del volo verso l’infinito.
Compromessi e sacrifici. Quella era la vita, no?
Se solo Akashi fosse stato meno razionale, capace di abbandonarsi a
slanci emotivi e richieste, avrebbe mandato un messaggio vocale in chat
– lui che scriveva e non parlava – supplicando i
suoi amici di
seguirlo, di non buttare al vento mesi di ricerca
dell’università adatta per tutti, o di mesi in
cui, alla fin fine, non avrebbe giocato tanto come voleva a basket,
né forse con loro.
Invece si limitò ad annuire davanti a suo padre, riprendere
il volantino e andarsene. Nel grande corridoio al piano terra, lontano
dallo sguardo dei genitori, prese il cellulare e scrisse semplicemente
sul gruppo:
Ho una proposta per
l’estate.
Inviò e rimise il cellulare in tasca. Non era un illuso,
appunto: illudersi significava potersi permettere di sognare, quindi
tanto valeva cercare direttamente qualcosa di concreto e ricordarsi di
quanto il tempo fosse prezioso.
***
“Aominecchi ma dove sei? Dobbiamo entrare in raid!”
esclamò Kise, mentre lasciava danzare la sua elfa del sangue
davanti al portale che li avrebbe trasportati nel raid.
“Manca anche Kagami.” Fece presente Midorima che
aveva appena craftato flask per aumentare
l’agilità e dimostrare a quei rozzi esempi di dps,
che rispondevano al nome di Kagami e Aomine, come con i giusti
equipaggiamenti si potevano fare numeri ben più importanti.
Aomine, un piede come sempre sulla sedia e l’altro incastrato
tra le gambe fino a terra, sbottò:
“Oi qua si sta facendo sul serio. E’ il decimo ally
di seguito che uccido, tu a quanto sei, Bakagami?”
Chissà perché ma la sua domanda aveva tutta
l’aria di essere un’aperta provocazione. Si
sentì uno schioccare di lingua netto:
“Nove. Ma solo perché tu sei partito prima e hai
sta maledetta tigre che si spara in avanti. Ehi, guarda là,
altri due ally!”
Kise guardò l’ora, a breve avrebbe dovuto loggare
anche Akashi. Se quest’ultimo avesse visto che i due
giocatori non erano ancora entrati in raid, probabilmente avrebbe
espulso sia Aominecchi che Kagamicchi dalla gilda.
“Aka-chin vi schiaccia. Kise-chin passami la leader, io
entro, non ho più voglia di stare qui ad
aspettare.”
E se pure Murasakibaracchi stava diventando impaziente, allora la
situazione era davvero critica.
Aomine replicò, accompagnato dal suo solito battere sulla
tastiera:
“Arrivo, arrivo, non abbiamo mica una campanella come a
scuola.”
Con uno sbuffo si trasformò in tigre per correre
più veloce, ma appena lo fece Kagami esclamò
così forte da far quasi cadere le cuffie agli altri, che
istintivamente avevano cercato di tapparsi le orecchie:
“No! Bastardi! Sono arrivati i rinforzi degli ally!
Aomine… se te ne vai, giuro su tutte le mucche di questo
mondo che il mio fantasma ti perseguiterà a vita.”
Daiki si grattò l’orecchio, notando che
effettivamente c’erano circa sei ally e già
stavano attaccando entrambi: “Bah, ormai è troppo
tardi, mi hanno comunque aggrato. Colpa tua che sei lento, oltre che
stupido.”
“Kuroko – soffiò il tauren, ignorando il
solito fare gentile di Aomine, impegnato com’era a
sopravvivere – una mano ci sarebbe gradita, se vogliamo
uscirne più o meno vivi.”
Midorima guardò il porta scotch, l’oggetto
portafortuna del giorno, e scosse la testa: decisamente la situazione
non prometteva bene. Ma Kise intervenne:
“Kurokocchi, non lo fare! Prendono di mira gli
healer!”
Si sentì giusto un sospiro in cassa, poi la voce pacata e
quasi monocorde di Kuroko che replicò:
“Vedo di aiutarli, posso sempre cercare di svanire.”
Tanto, ormai, peggio di
così.
“Grazie, Testsu. Se ci fosse anche il tank ad acchiappare
botte non sarebbe male.” Fece presente Aomine, di fretta, per
poi tornare a concentrarsi sulle giuste skill da usare e resistere fino
all’arrivo di Kuroko. Ma per tutta risposta si
sentì solo l’aprirsi di un pacchetto di patatine e
conseguente masticazione.
“Hai detto qualcosa, Mine-chin?”
La domanda fu posta con il tono di chi in realtà
già pensava che, comunque, non fosse stato detto
assolutamente nulla di importante.
“Ho detto qualcosa sì!”
esclamò Aomine che non era tipo da essere ignorato.
“Lascia perdere e usati quell’unica cura che hai in
barra, prima che schiodi e mi lasci nella cacca!” intervenne
Kagami.
“L’ho già usata, che ti
credi?” sbottò il druido feral.
Aomine occhieggiò la sua barra vitale, vicina a una soglia
rasente allo zero, e lo schermo si fece di un rosso allarmante, segno
che ormai la fine era prossima. Ma, proprio quando credeva di essere
sul punto di trovarsi riverso in terra e vedere il proprio fantasma al
cimitero, Daiki ricevette una cura improvvisa, seguita da uno scudo che
avrebbe incrementato la difesa, in modo da dare il tempo al dot
rigenerante di riportare la sua vita a un livello accettabile.
Lo stesso accadde a Kagami che corse verso l’ulteriore
cerchio di cura piazzato da Kuroko sul terreno, lo stesso Kuroko che
non si vedeva da nessuna parte: sembrava essere diventato un
tutt’uno con l’ambiente. Soddisfatto, Aomine lesse
vari insulti in chat, ai quali aggiunse il suo personale fuck you and suck my dick,
che venne prontamente censurato dal sistema con tanto di chiocciole e
asterischi.
Ma si accorse che stavano facendo fatica perché un sei
contro tre era comunque un bello svantaggio, inoltre se Kuroko avesse
lanciato un’ulteriore cura si sarebbe nuovamente reso
visibile e a quel punto lo avrebbero come minimo fatto implodere.
Midorima, nella tranquillità della sua stanza,
immersa nella penombra
eccetto per la luce della lampada da lettura proprio di fianco,
sospirò e si tirò su gli occhiali. Se non fosse
intervenuto quegli idioti sarebbero probabilmente morti tutti e tre
assieme, inoltre c’era da considerare la questione del
ritardo cosmico con il quale avrebbero fatto le cose scadenziate invece
con precisione.
Tirando fuori la sua mount, l’elfo del sangue corse fino a
raggiungere gli altri presso la pietra dell’evocazione,
situata poco distante dal portale del raid, ed elaborò la
strategia più saggia: attirare l’aggro su uno dei
tre e far scappare almeno gli altri due superstiti. Optò per
quello più resistente, magari avrebbe avuto qualche
possibilità di sopravvivere:
“Kagami sto tirando l’aggro su di te.”
Annunciò con voce lapidaria Midorima.
“Cos’è che stai facendo?”
proruppe Taiga.
Nel preciso istante in cui l’arciere fece per cliccare sul
tauren, in modo da lanciargli il razzo che cambiava la direzione
dell’aggro, gli comparve davanti Kuroko che aveva esaurito il
tempo d’invisibilità.
“Kuroko!” esclamò Midorima e…
per sbaglio cliccò su di lui.
Non appena Aomine realizzò di essersi finalmente tolto
l’aggro di dosso, fece scattare in avanti la sua tigre ed
esclamò:
“Andiamo, Tetsu!”
Voltò rapidamente la telecamera ma con una certa delusione
si accorse che accanto a sé c’era Taiga:
“Che ci fai qui? Dov’è Tetsu?”
“Lo stesso potrei chiederti io!” esclamò
alterato il tauren.
“Kagami-kun, Aomine-kun, sono morto.”
Annunciò apparentemente tranquillo Kuroko che
cominciò a muovere il suo spiritello dal cimitero.
“Ma come sei morto? Midorimacchi non stavi usando la tua
mossa tattica per concentrare tutte le botte su una sola
persona?” domandò Kise che, nel frattempo, aveva
raggiunto Murasakibara, l’unico modo che aveva per passargli
la leadership.
Midorima si schiarì la gola e spiegò come se
nulla fosse successo: “Sì, era mia intenzione
direzionare il tiro su Kagami – quest’ultimo
iniziò a sparare parolacce a raffica nei suoi confronti
– ma Kuroko mi è comparso davanti
all’improvviso e ho targettato lui. Non dovevate mettervi a
fare pvp.”
Aggiunse, sprezzante, poi si tirò su gli occhiali e
aggiustò le cuffie.
In quel preciso istante si aggiunse alla chiamata Akashi, loggato con
il suo holy priest.
“Oh-oh.” Commentò Murasakibara, con il
suo solito tono piatto ma che quella volta aveva una sfumatura
divertita.
“Perché non siete ancora entrati tutti nel raid? E
come mai Tetsuya è morto?”
Le sue domande, asciutte e terribilmente calme, risuonarono anche
troppo nettamente in cassa.
Prima che qualcuno potesse parlare, Akashi già si rispose:
“Aomine e Kagami stavate di nuovo facendo pvp? E immagino che
Tetsuya sia intervenuto ad aiutarvi.”
Entrambi i ragazzi borbottarono qualcosa, ricordando dei bambini
ripresi dal genitore, ma ebbero il buon senso di non commentare.
Nemmeno Midorima si espresse, consapevole di aver scatenato le ire
della fazione dell’Alleanza su Kuroko.
Quest’ultimo intervenne, ormai prossimo a raggiungere il suo
triste cadavere e resuscitare, sempre che qualche nemico non decidesse
di vendicarsi:
“Voi cominciate Akashi-kun, vi raggiungo.”
Akashi stava per parlare e anche Aomine, ma Kagami intervenne, dopo
aver bevuto una litrata d’acqua dalla sua scrivania. Faceva
caldo e cercare di sopravvivere in un mondo popolato di nemici che lo
volevano morto non era propriamente un’impresa facile.
“Rimango indietro io a guardarti le spalle, Kuroko.”
Aomine saltò sulla sedia: “Non dirlo neanche per
scherzo, Bakagami, sei lento e saresti solo d’intralcio. Ci
penso io.”
A quel punto fu il turno di Akashi a parlare e gli altri tacquero:
“Non importa chi o come, basta che vi muoviate. Siamo in
ritardo. La prossima volta che loggo e vi trovo ancora così
non solo vi caccio dalla gilda ma vi deleto
l’account.”
Aomine roteò gli occhi, com’era sua abitudine
fare, ma non disse nulla, limitandosi ad assicurarsi che Kuroko
riuscisse a fuggire, mentre Kagami borbottò qualcosa
d’indefinito.
Finalmente riuscirono ad entrare tutti nel raid, in compagnia di altri
giocatori cercati sul server, ma prima di cominciare Kise
domandò:
“Akashicchi, qual’era la tua proposta per
l’estate?”
Akashi occhieggiò il volantino accanto alla scrivania ma
disse semplicemente:
“Ve lo spiego quando finiamo. Ora concentriamoci. Non
vogliamo perdere contro Gul’dan, vero?”
No, decisamente nessuno di loro voleva venire sconfitto.
Murasakibara venne protetto dai suoi due healer, radunò
attorno a sé i mostri, e gli altri attaccarono, assieme. Ora
era davvero tutto perfetto: in fondo… avevano già
vinto.
***
Seduto al tavolo con davanti un milkshake ghiacciato, Kise
aprì la busta contenente il recente acquisto fatto e
contemplò soddisfatto l’oggetto al suo interno: un
costume da bagno super colorato, con tante palme e onde. Adatto alla
splendida proposta di Akashi per festeggiare in grande stile
l’ultima estate del liceo: andare tutti assieme tre giorni
al mare, gli ultimi di agosto per la precisione.
Il che coincideva anche con il compleanno di Aomine ma questi aveva
già ribadito che se qualcuno avesse osato festeggiarlo se ne
sarebbe andato anche a nuoto, piuttosto.
Kise sospirò, riponendo i suoi boxer; trovava estremamente
appagante l’idea di averli comprati seguendo
nient’altro che la sua libera scelta, nonostante in
realtà avesse a sua disposizione i numerosi costumi regalati
durante i vari set fotografici svolti per l’estate.
Soprattutto perché tendenzialmente si trattava di roba
attillata in una maniera quasi imbarazzante, motivazione che
l’aveva dunque spinto ad archiviarli tutti, così
magari da regalarli un giorno per scherzo a Kagami o Aomine. Rise fra
sé e sé, bevve un sorso della sua bevanda poi
sollevò la testa quando sentì un eco farsi
più vicino:
“Scusami, scusami, scusami Aomine. La prossima volta mi porto
dietro più soldi così prendi il milkshake
grande.”
“Finiscila Ryo, mica devi pagarmela tu la roba.”
“Scusami!”
Kise annuì, era sicuro che nel mezzo ci fosse la voce di
Aomine, inframmezzata da una sorta di sospiro misto a un ringhio.
Infatti quando entrò in contatto visivo con Daiki e il suo
compagno di classe, nonché di squadra, Ryota fece un cenno
con la mano per farli avvicinare.
Ryo Sakurai. Uno tra i pochi che Aominecchi chiamasse per nome, oltre a
Kurokocchi e Momocchi.
Li vide raggiungerlo con le loro bibite in mano; quando Aomine
arrivò al tavolo poggiò di malagrazia la cartella
e si sedette di fronte a Kise, mentre Sakurai si era inchinato
profondamente davanti al modello, per poi in seguito affiancarsi al
compagno.
“Aominecchi, che bello vederti! Com’è
andata la verifica?” domandò allegro.
“Kise, non avevi proprio altro da chiedermi? –
scrollò le spalle, poi si prese un sorso della sua bevanda e
rimase sul vago – mah, forse bene. Che hai
lì?”
Domandò, per cambiare tatticamente argomento.
Ryota tirò fuori i suoi boxer multicolor: “Costume
da bagno per quando andremo tutti assieme al mare!”
Aomine si portò le mani davanti, profondamente disgustato:
“Ma che è sta roba? Mettili via, fai soffrire la
gente di crisi epilettiche con quegli affari.”
“Non parlarmi tu di gusti, visto che ti prendi robe
tipo… mah, il milkshake alla banana.”
Replicò con un sorrisetto, per poi appoggiare un gomito
sullo schienale del divanetto.
“E allora? Mica lo devi bere tu, mi sembra.”
Ribatté Aomine, dando una lunga sorsata come per certificare
che apprezzava tantissimo la sua personale scelta.
“Per fortuna!”
Il modello si adagiò meglio sulla sedia, poi
commentò, visto che Aomine per contro continuava a bere
fissandolo con una sorta di divertita provocazione:
“Quindi… pronto anche per le
ripetizioni?”
Daiki fece una smorfia. Non solo Akashi aveva avuto la brillante idea
di festeggiare le ultime vacanze da liceali assieme ma, evidentemente
incontentabile nelle sue assurde pretese, aveva anche insistito
affinché lui e Kagami facessero ripetizioni per scongiurare
il pericolo di non passare gli esami d’ammissione
all’università – ma poi, sta
dannatissima università, chi aveva esattamente deciso che si
dovesse per forza fare?
Come per smentire quell’interrogativo rabbioso, il giocatore
della Too sentì in tasca il volantino stropicciato
dell’università che gli aveva proposto Akashi,
volantino ripescato dalla pila dei suoi abbandonati sulla scrivania,
dicendogli che con ogni probabilità sarebbe stata la
più adatta per lui. Non aveva minimamente accennato di
averne parlato con gli altri, anzi, da come si comportava Seijuro
sembrava non averli informati affatto.
Aomine aveva una mezza intenzione di discuterne con Kise ma, giunto a
quel punto, non ne era più tanto sicuro che importasse
qualcosa.
“Chissà poi perché Kagamicchi fa
ripetizioni con me e non con Kurokocchi. Akashicchi è
davvero strano per queste cose. Ma… mi fido di
lui.” Commentò Kise, all’improvviso
serio.
Daiki lo guardò a metà tra lo scettico e il
perplesso, eppure l’unica cosa che domandò fu:
“Trovi tanto strano che Tetsu dia ripetizioni a me
anziché a Kagami?”
Sembrava quasi una domanda fatta con un tono offeso, ma in
realtà Aomine voleva davvero capire se era proprio
improbabile che lui e Kuroko potessero essere visti dagli altri come
qualcosa di diverso dall’etichetta di ex-luce ed ex-ombra. Kise ci
pensò un istante, scrutando il volto sinceramente
interessato di Aomine, meravigliandosi intimamente di come negli ultimi
anni avesse visto un Daiki sempre più sereno, quasi questi
stesse scendendo man mano a patti con i suoi fantasmi. Anche se
forse… non ancora tutti.
“Solo perché sono nella stessa scuola e Kurokocchi
conosce meglio il programma che seguono. Magari semplicemente
Kurokocchi è più paziente di me quando si tratta
di avere a che fare con un caso umano come il tuo.”
Dichiarò con il preciso intento di prendere in giro Aomine.
Almeno sullo studio poteva apertamente imporre la sua ironia, visto che
con il basket non solo Daiki era intrattabile nella sfera degli scherzi
ma… si giocava su un terreno completamente differente. Al
liceo soltanto poche volte Kise era riuscito a battere Aomine e ogni
volta entrambi avevano davvero dato tutto di loro stessi.
Infatti da quando Daiki aveva ripreso ad allenarsi con costanza
sembrava… non su un altro livello, ma direttamente su un
altro pianeta: i suoi movimenti, i tiri apparentemente senza una
tecnica, la velocità elevata; tutto di lui portava a pensare
che avesse ideato e concepito assieme al proprio corpo quel modo unico,
superiore, di giocare a basket. E, forse, era davvero così.
Ryota si ricordava di quando, alle medie, litigavano e finivano per
azzuffarsi, anche se sempre piuttosto bonariamente seppur rimediando
ogni tanto qualche livido, perché Kise proprio non voleva
saperne di non riuscire a star dietro ad Aomine. Quindi non si
rassegnava e lo provocava, per attirare la sua attenzione, per dirgli: ci sono anch’io, e un
giorno sarai tu a guardare me, non viceversa.
Sì, un giorno, magari all’università,
Kise che imparava con rapidità e naturalezza sarebbe stato
più avanti di Daiki. Era anche per quello che il ragazzo
dava il massimo giocando a basket.
Senza pensarci, Aomine prese ciò che Sakurai non aveva
ancora finito di bere del suo milkshake e diede una bella sorsata, per
poi commentare:
“O forse Akashi ti ha affidato Kagami perché siete
entrambi due stupidi.”
“Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati
in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli. Quindi
– continuò con un sorriso pericolosamente affilato
– stai molto attento.”
Daiki borbottò qualcosa con apparente noncuranza,
perché sapeva quanto Kise potesse essere determinato e
disposto a tutto pur di arrivare dove voleva. E poi davano dello
stronzo ad Aomine solo perché rispondeva male;
ah… le ingiustizie della vita.
Sproloqui
di una zucca
Finalmente ho avuto
tempo e modo di riuscire a correggere il capitolo e postarlo, anche se
stamattina, tanto per gradire, è pure saltata la corrente -
una roba di pochi secondi, ma mi ha perso delle correzioni non salvate
=_=' Insomma, un gomblotto!!1!
Oltre a ciò
si tratta di un bel capitoletto, relativamente lungo (so far mooooolto
peggio ohohoh), che va ad analizzare personaggi come Akashi e Kise.
Ebbene sì, per l'estate sono programmate
ripetizioni e annuncio che il prossimo giro di boa sarà
dedicato ad Aomine e Testu; in questo frangente ho preferito spostare
lo sguardo su chi li circonda principalmente, ragione per cui non ho
accennato alla problematica di Testsu 2 (è ancora vivo, no
worries <3).
Anyway, voglio il
costume sparaflashante di Kise e vedere Aomine con il costumino
attillato lol
Piccole
precisazioni su che accidenti fanno i nostri beniamini su wow, roba che
potete anche saltare e puppaaaa:
Craftare flask - Creare
pozioni (aò, in game si parla sempre con
termini inglesi riadattati in italiano, che ci posso fare); servono
certe abilità specifiche che nulla hanno a che fare con il
combattimento vero e proprio, dunque figurarsi se tipacci come Aomine o
Kagami si mettevano lì ad allenarsi con il crafting, anche
se in realtà ripaga bene, anzi, c'è gente che fa
una fraccata di soldi virtuali creando roba. Midorima per esempio crea
delle pozioni per aumentare la statistica principale del suo
personaggio e quindi fare più danno o, se fosse stato
healer, più cure. Tendenzialmente nei raid importanti
è fondamentale che tutti siano flaskati (quindi che si
trangugino la loro bella pozioncina pagata fior fior di gold - valuta
su wow) altrimenti possono anche puppare e andarsene prima di
cominciare.
Tirare l'aggro
- sempre il nostro geniale Midorima. C'è
un'abilità dell'hunter, la sua classe, che consente nello
sparare una sorta di razzo per far si che l'aggro (in parole povere la
rabbia e l'interesse del mostro di turno nei confronti dei giocatori)
venga rivolto verso un player specifico. Questo perché di
base l'hunter tende a tirare tanto aggro (quindi ad acchiappare un
sacco di mazzate, cosa che non dovrebbe ricevere per evitare di
schiodare), quindi direziona tutto nei confronti del tank se la
situazione diventa ingestibile. Ma questa può essere anche
una tattica per levare dai guai dei compagni e ripristinare tutto
l'aggro sul tank (quello che di professione prende botte). Povero
Kurokocchi. Di base nel pvp sta cosa non funziona ma chiudiamo un
occhio.
Ally/Alleanza:
Su wow ci sono due fazioni opposte. Orda (Horde) e Alleanza (Alliance).
La Gilda della Leggenda è Orda; se gente dell'Orda trova
giocatori Ally (anche in italiano li chiamiamo sempre così)
si può fare pvp (combattere tra giocatori) e viceversa
ovviamente. Aomine e Kagami sono delle merdacce che si divertono a
picchiare gli Ally, sostanzialmente (io un tempo ero Ally, poi ho
trasferito il pg sul lato Orda perché mi ero rotta le palle
di venire pestata ogni santa volta - sì, sono healer come
Kuroko e gli healer vengono tendenzialmente usati come sacchi da boxe
se non supportati, anche se il priest disci... vabbé,
lasciamo stare XD)
Grazie a quanti di voi
leggono questa storia! In un eventuale futuro racconto di Kuroko
& Co. che giocano di ruolo, così analizziamo il mio
evidente disagio sociale XD
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Capitolo 5 *** Più io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace. ***
Più
io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace.
Erano
passate due settimane da quando erano state decise e pianificate le
lezioni di recupero per l’asso della Too. Di conseguenza
Aomine aveva preso a frequentare regolarmente la casa di Kuroko per
farsi dare ripetizioni nelle materie in cui era più carente;
dunque praticamente tutte, vista la scarsa attitudine allo studio.
Era dalle
medie che Daiki non entrava nella stanza di Kuroko e, dopo tutti quegli
anni di distanza, si era reso conto che non sapeva esattamente cosa vi
avrebbe trovato. Da ragazzino non aveva fatto assolutamente caso alle
cose presenti all’interno, né tantomeno si era
fermato a riflettere su quali oggetti rispecchiassero il proprietario e
il suo carattere; all’epoca erano, appunto, solo ragazzini e
tutti i loro pensieri erano interamente rivolti al basket, che amavano
entrambi così tanto da portare il resto in secondo piano.
Ma quel
giorno d’estate di tanti anni dopo, appena messo piede
all’interno della camera per la prima volta Aomine si era
guardato attorno per leggere Kuroko, tra quelle mura. Non sapeva
esattamente perché, eppure credeva di trovare mobili vuoti,
pareti spoglie e arredamento essenziale, forse visto che Tetsuya
appariva esattamente così: mostrava solo
l’indispensabile, a volte nemmeno quello.
Ma quando
Aomine attraversò la soglia, dovette ricredersi: vide
numerosi poster di basket appesi alle pareti e un calendario con
segnato il programma degli allenamenti, delle ripetizioni con lui,
delle partite importanti. Erano annotate anche le vacanze assieme.
Inoltre ogni
scaffale o ripiano disponibile era stato coperto di libri, piazzati in
qualunque posizione possibile per recuperare spazio – libri
che andavano dalla letteratura classica al fantasy, passando per
qualche testo sui trucchi di magia o album dedicati alla storia del
basket. Quante volte, a ben pensarci, a Daiki era capitato di
incontrare Tetsu con un libro in mano, nelle rare occasioni in cui era
Aomine a scorgere l’amico e non viceversa.
Sul letto
fatto ma con qualche leggera piega, come se ci si fosse sdraiati da
poco, c’era un libro lasciato aperto per tenere il segno e
una pila di vestiti evidentemente stirati ma non ancora messi a posto.
La scrivania era praticamente vuota, eccetto per un computer portatile
in stand by e una lampada alla quale era appeso il polsino che Kuroko
aveva sempre usato come portafortuna in tutti gli incontri di basket.
Era una camera vissuta, piena di cose, non caotica come quella di
Aomine ma nemmeno asettica. Era... Kuroko. Negli oggetti che gli
piacevano, nei libri, nell’amore per la lettura e per il
basket, nel pallone messo in un angolo per non ingombrare ma
decisamente a portata di mano.
Gli sembrava
di riuscire a vederlo, sdraiato sul letto con una gamba sul ginocchio,
il libro in mano e la musica che andava sul computer portatile.
Vide il
tavolino basso al centro, con disposto qualche libro, dei fogli da
scrivere e delle penne: tutto era pronto per lui, in fondo. Come se
Aomine fosse già entrato nella quotidianità di
Kuroko, tra i suoi libri e i suoi vestiti.
Quel giorno
erano seduti l’uno di fronte all’altro, con il
tavolino basso in mezzo a loro. Il ventilatore si muoveva pigramente
smuovendo l’aria calda, mentre i bicchieri pieni di the
freddo gocciolavano piano sul mobile, lasciando cerchi di acqua dove
venivano dimenticati durante lo studio.
Con una
matita appoggiata sopra le labbra e la testa sorretta dalla mano,
Aomine ascoltava Kuroko, intento a spiegargli un’espressione
di trigonometria che soltanto fino a pochi giorni fa a Daiki sarebbe
sembrata scritta indicativamente in cirillico. Sorrise,
perché quel giorno Tetsuya aveva i capelli scombinati che
andavano da tutte le parti. Avrebbe voluto... toccarglieli. Da
ragazzino lo faceva sempre. Strano come, crescendo, adesso gli sembrava
un gesto tanto più profondo di allora, forse anche per via
di tutto quello che avevano passato.
“Quindi?”
domandò all’improvviso Kuroko, guardandolo in
attesa di risposta.
Aomine fece
cadere la matita che gli rotolò davanti, realizzando di
essersi perso nei suoi pensieri e non aver logicamente ascoltato il
resto della spiegazione.
“Pausa,
Tetsu?” domandò di rimando. E, istintivamente, gli
sorrise.
Kuroko
continuò a fissarlo, riflessivo, perché
magicamente gli era sembrato di avere davanti l’Aomine
scherzoso di un tempo, che combinava disastri in classe e rideva con
tutti in mensa.
Prima che
Tetsuya potesse dire qualcosa, però, bussarono alla porta
della stanza. Dopo un istante entrò sua nonna che li
salutò e annunciò di aver portato loro due
ghiaccioli per combattere il caldo, per poi aggiungere:
“Mi
ricordo quando da ragazzini li mangiavate sempre sul portico di casa.
C’eravate poco, in realtà, sempre a scuola o a
giocare a basket. Ma – sorrise, con le sue rughe sulla bocca
sottile e gli occhi chiari come quelli del nipote – Tetsuya
era sempre felice quando vi vedevate. Ti sei fatto un bel ragazzo
Daiki, anche se sei diventato più serio.”
Il nipote
guardò la nonna anche se, con un leggero imbarazzo, aveva
lanciato un’occhiata ad Aomine, il quale aveva sgranato gli
occhi nel sentirla parlare di lui e Kuroko; la nonna di Tetsuya era una
persona che, in fondo, non li aveva praticamente mai visti giocare a
basket ma solo... vivere, ogni giorno, assieme. E che si ricordava di
quando lui sorrideva, rideva, talmente tanto da avere male alla
mandibola e le lacrime agli occhi.
“Grazie,
signora.” Disse semplicemente Aomine e si alzò,
anticipando il compagno di studi nel prendere i ghiaccioli. Vide le sue
mani con le leggere macchie dell’anzianità e si
stupì che, della propria infanzia, ricordasse più
quella signora sempre gentile rispetto ai suoi genitori, raramente a
casa.
La nonna
accarezzò i capelli già scompigliati di Kuroko,
sorrise a entrambi e uscì dalla stanza, aggiungendo che
aveva il bucato da stendere prima che i genitori del nipotino
rientrassero a casa.
Quest’ultimo
era rimasto seduto, con il busto rivolto verso la porta. Aomine si
sedette vicino, sul pavimento, e porse il ghiacciolo
all’amico dopo aver appoggiato il proprio sul tavolino
accanto.
Ma, prima
che il ragazzo potesse prenderlo, Daiki ci ripensò:
all’improvviso gli tirò con un dito il collo della
maglietta e gli infilò il ghiacciolo dentro. Kuroko
sobbalzò per il freddo, facendo scoppiare a ridere
l’asso della Generazione dei Miracoli:
“Ti
devo ancora un gelato dietro la schiena, Testu.”
Annunciò, per poi sorridere nuovamente nel vedere la smorfia
del compagno di un tempo che si affrettò a recuperare il
ghiacciolo, sollevando appena la maglia.
“Sei
scorretto, Aomine-kun, hai approfittato della mia
distrazione.” Gli fece presente, tornando a guardarlo. Poi
iniziò ad aprire l’incarto e Daiki
sollevò le spalle, appoggiando le mani sul pavimento mentre
teneva un piede vicino alla coscia e l’altra gamba stesa,
così vicina a Kuroko da potergli sfiorare il fianco.
“E’
l’unico modo che ho per sorprenderti.” Si
giustificò, in un soffio.
Assottigliò
le labbra.
Tetsuya lo
fissò, con il ghiacciolo tra le mani. Una goccia gli cadde
sul pavimento ma a nessuno dei due importò.
“Sei
sempre capace di sorprendermi, Aomine-kun – restarono in
silenzio, poi il ragazzo lanciò un’occhiata
all’altro ghiacciolo dimenticato sul tavolino –
mangialo, prima che si squagli. Rischiamo che inondi le
equazioni.”
Lo
fissò con quell’aria che non faceva mai capire se
il giocatore della Seirin stesse scherzando o se davvero temesse che un
ghiacciolo potesse in qualche forma macchiare il libro.
Aomine prese
il suo concentrato di ghiaccio chimico e sorrise, vedendo che era
proprio identico a quelli che, anni fa, prendevano sempre assieme lui e
Tetsuya. Se lo mise un istante in bocca, assaporò il gusto
di anice come stava facendo l’amico, poi dopo un attimo di
pensiero gli domandò, cedendo all’orgoglio di
ammettere che durante le ripetizioni non stava seguendo esattamente tutto di Kuroko,
impegnato com’era a guardarlo – no, quello non
gliel’avrebbe mai detto:
“Cos’è
che mi stavi chiedendo prima, Testu?”
“Prima
quando?” domandò Tetsuya, continuando a leccare il
proprio gelato, mentre faceva finta di nulla.
Aomine
roteò gli occhi, poi gli dette una leggera spinta con il
piede: “Avanti, mi stavi parlando di matematica. E prima
ancora di un sacco di altre robe. Non sono abituato a sentirti
parlare.”
Mi
piace, sentirti parlare.
Kuroko
annuì. Sembrava meditabondo. Poi scosse appena la testa,
commentando con quella serietà pacata ma accademica che lo
faceva sembrare un insegnante perfetto:
“Se
non mi ascolti, Aomine-kun, comincerò a pensare che
Kagami-kun faccia bene a chiamarti Ahomine.”
Si
lasciò un istante il ghiacciolo in bocca, fissando senza
battere ciglio Daiki che per contro sbottò:
“Oi,
Tetsu, ti stavo ascoltando! E ti guardo anche, senza che
quell’idiota di Bakagami...”
Si
interruppe. Perché, all’improvviso, vide il suo
imprevisto insegnante estivo sorridere.
Sollevò
appena le sopracciglia; in quel modo, con quell’espressione,
a Kuroko sembrò di tornare a vedere un ragazzino, splendido
come allora.
“Nulla.”
Rispose infine, altrettanto all’improvviso.
Solo a quel
punto Aomine inarcò in maniera decisamente più
marcata un sopracciglio, leggermente perplesso e, allo stesso tempo,
splendidamente confuso da quel sorriso: “Nulla che?”
Kuroko
appoggiò il bastoncino sul tavolo e si alzò in
piedi, sistemandosi i pantaloncini:
“Non
ti stavo chiedendo nulla, prima. Volevo prenderti in giro vedendo se
eri attento. E non lo eri, Aomine-kun.”
Gli disse,
guardandolo dall’alto, mentre il giocatore della Too teneva
la testa appena sollevata. Quando quest’ultimo
realizzò di essere stato preso in giro, tirò
addosso al suo compagno di studi il proprio bastoncino:
“Testu,
maledetto, questa me la paghi!”
Ma prima che
potesse aggiungere altro Tetsuya 2 entrò in camera,
scodinzolando e lanciandoglisi addosso, con entusiasmo. Ormai avevano
quasi completato il ciclo di cortisone e, dopo settimane di
trattamento, l’ingrossamento del tutto sparito; in quei
giorni il cane sembrava rinato, aveva smesso di mugolare e ripreso a
mangiare con appetito. Anche Kuroko, di riflesso, appariva decisamente
più sereno.
Aomine
coccolò il cane con affetto.
Testuya
annunciò semplicemente, con la sua solita leggera
serietà: “Bravo Numero 2, misdirection
efficace.”
Daiki, suo
malgrado, sorrise. Poi sollevò lo sguardo verso
l’amico e gli propose:
“Andiamo
a giocare? Assieme?”
Kuroko
fissò un istante il libro, poi contrattò:
“Stasera in dungeon ti curo solo se rispondi correttamente
alle domande che ti faccio man mano, quindi dopo studi.”
Ma, nel
dirlo, aveva già la palla da basket in mano.
Aomine
scattò in piedi: “Prima dovrai riconquistarti la
palla.”
Fece per
andargliela a prendere e, allora, toccò le sue mani. Ma non
le lasciò: i due ragazzi rimasero dunque così, in
piedi, le mani di Kuroko sul pallone e quelle di Aomine sopra le sue.
“Abbiamo
la palla entrambi.” Notò semplicemente Kuroko. E
fissò le dita di Aomine, quelle dita sottili nonostante i
calli per il gioco: avrebbe potuto suonare il piano, talmente erano
belle e agili, eppure forti, così tanto da sembrare che
potessero far esplodere quella stessa palla e contemporaneamente
accarezzarla.
“Già.
Sembra meno pesante.”
Aomine non
guardava le sue dita, né quelle che stava toccando. Fissava
direttamente Kuroko, fino a che lui incrociò a sua volta gli
occhi con i suoi.
La domanda,
a quel punto, gli salì spontanea ma rimase incastrata tra la
lingua e i denti.
“Dimmi che università
farai, Tetsu. Andiamoci assieme. Solo questo. Farò tutte le
ripetizioni del mondo.”
Ma,
all’improvviso, Tetsuya gli lasciò con leggerezza
la palla, cedendo la presa:
“Prima
di andare mi aiuti a far mangiare a Tetsuya 2 le polpette di riso.
Sembra si sia abituato a ricevere affetto da te.”
Dopo aver
detto quelle parole, arrossì e abbassò lo
sguardo, fingendo di sistemare un tavolino che non aveva bisogno di
essere messo a posto, mentre Numero 2 scodinzolava.
Aomine
sorrise.
Non
ti ricordi, Tetsu? Più io ti guardo, meno la tua
misdirection è efficace. E io... non ho mai smesso davvero
di vederti.
Sproloqui
di una zucca
Chiedo umilmente
perdono per il ritardo nel postare ma sono statue due settimane di
fuego tra matrimoni, imprevisti lavorativi e casini vari. Eppure...
sono sopravvissuta e, purtroppo per voi, eccomi qui a tormentarvi con
le mie storie muahahahah! Annuncio che questo sarà il
terz'ultimo capitolo. Ancora più due e giungeremo alla
conclusione di questo gigantesco what if/missing moment;
chissà che poi in futuro non decida di proseguire oltre,
portando più avanti con l'età i nostri amati
ragazzi in una nuova storia (vai di ospizio, yeah XD).
Per quanto riguarda il
capitolo è un po' più corto rispetto ai miei
standard ma volevo creare un momento che fosse solo di Kuroko e Aomine,
senza gioco o altre persone. Loro due, assieme.
Aomine, tesoro mio,
quando ti deciderai a saltar addosso a Tetsu? O lasciamo che ci pensi
Kuroko? Basta che vi decidiate, và.
Avessi messo un
bollino rosso alla storia avrei fatto che farli denudare seduta stante,
in barba alla credibilità psicologica ed emotiva dei
personaggi, olé!
Come sempre grazie per
seguire e leggere questa storia!
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Capitolo 6 *** Tieni. Ho più pazienza di te, posso aspettare. ***
Tieni. Ho più
pazienza di te, posso aspettare.
La signora Wakabayashi da anni era ormai solita ospitare presso il suo
ryokan vicino alla spiaggia una clientela abituale che aveva,
tendenzialmente, un’età media compresa tra i
settanta e gli ottant’anni; insomma, una tranquilla schiera
di vecchietti più o meno suoi coetanei che durante il
periodo estivo soggiornavano nella tranquilla pensione, alla ricerca di
un clima famigliare dalla tradizione giapponese e comodità
semplici, adeguate al loro stile di vita.
Però
a inizio agosto aveva ricevuto una telefonata – aveva da poco
cominciato a usare la mail ma non capiva granché di tutta
quella tecnologia, e i suoi ospiti tendenzialmente confermavano di anno
in anno – da un signore mai sentito prima che aveva prenotato
per ben nove persone, in vista degli ultimi tre giorni dello stesso
mese. Ora, dalla voce sembrava anche piuttosto giovane, anche se tra
sé e sé la proprietaria del ryokan si era sentita
un po’ sciocca a pensarlo, visto che tendenzialmente i
ragazzi preferivano andare negli hotel o nei b&b in stile
occidentale, magari con il wi-fi e tutte quelle aggiunte tecnologiche
che sembravano tanto irrinunciabili.
Quindi si
era segnata il cognome, prenotato le tre stanze con la richiesta di
poter avere una singola e dotata se possibile di una cuccia per cane
– animale che la Signora Wakabayashi adorava, e aveva
lasciato perdere l’intera faccenda, trovando comunque
piacevole vedere qualche volto nuovo anche se per poco; magari i
novelli ospiti avrebbero partecipato volentieri alle chiacchiere vicino
al male dei suoi adorati clienti.
Poi, giunse
il fatidico giorno.
Keiko
Wakabayashi aveva dovuto trattenersi dal sussultare piena di sorpresa
quando si era vista davanti non il reparto geriatrico come nelle sue
aspettative, bensì un allegro, vitale, colorato gruppo
di… ragazzi.
Sì,
erano proprio ragazzi. Giovani, ancora non pienamente uomini, amici
evidentemente da diverso tempo e assolutamente non stagionati.
Rimase muta
dietro il piccolo bancone in legno dove alloggiavano le sue ricevute di
carta, l’elenco telefonico, le mappe vetuste della
città e dei luoghi da visitare, nonché un gatto
portafortuna che poteva ormai annoverarsi decisamente tra i cimeli
storici.
“Buongiorno.”
La salutò con impostazione educata un giovanotto dai capelli
rossicci e lo sguardo… sì, sembrava un gatto.
“Buon…
buongiorno.” Rispose la donna, aggiustandosi gli occhiali che
le erano caduti leggermente sul naso. Mosse appena la testa per
scorgere un tizio talmente alto che per passare dalla porta aveva
dovuto piegare la schiena. Gli altri erano in attesa, con le loro
valigie alla mano.
“Abbiamo
prenotato tre camere sotto Akashi.” Spiegò il
ragazzo con quello sguardo vagamente felino.
La signora
annuì, pensosa, e scartabellò il suo gigantesco
blocco a quadretti con appuntato esattamente quello stesso cognome.
Dall’altra
parte Aomine, con il suo borsone nero a tracolla, roteò gli
occhi e borbottò guardando Momoi:
“Ma
perché accidenti Akashi ha prenotato qui?”
Non che
l’atmosfera famigliare gli dispiacesse, anzi,
c’erano tendenzialmente meno rompiscatole in giro,
però la signora sembrava decisamente fuori dal mondo. Momoi
lo rimproverò facendogli segno di fare silenzio,
accompagnata da un abbaio convinto di Numero 2, ma non poteva
minimamente immaginare che a conti fatti l’anziana
albergatrice condividesse le stesse perplessità di Aomine.
In ogni caso
la donna tirò un bel sospiro, mostrò un sorriso e
si disse massì,
un po’ di freschezza giovanile non potrà che dare
nuova vita al ryokan.
“Sì,
ecco la prenotazione – confermò, facendo poi un
inchino – benvenuti. Vi faccio vedere le stanze, ho preparato
anche la cuccia per il cagnolino.”
Fu un giro
abbastanza breve, perché le camere con i futon non erano
grandissime, anche se dotate di yukata, asciugamani e quello che poteva
servire per il soggiorno, inoltre erano pulite e gli ambienti tenuti
con grande cura. Non a caso Akashi aveva fatto una rigorosa indagine
prima di prenotare, ma quello lo tenne per sé, vista la sua
natura scrupolosa e organizzatrice.
Non appena
la signora concluse e dette le chiavi, assistette suo malgrado al
sacrosanto rituale dello stabilire chi stesse in camera con chi. Si
sedette dietro il bancone, tranquilla, con in mano la sua rivista
settimanale di enigmistica, anche se in realtà fu
incuriosita dall’interagire allegro e a tratti irruento dei
giovanotti. La ragazza, unica presente, sembrava quasi fare da
cuscinetto, probabilmente per il carattere accomodante ma deciso quando
serviva.
“Basta
che io non stia in camera con Kagami.” Specificò
immediatamente Aomine, gettando il borsone ai suoi piedi.
Kagami gli
puntò il dito contro: “Ma sentiti! Sei proprio un
bastardo! Chi ci vuole stare con te?”
Con fare
tranquillo Akashi intervenne: “Forse questi tre giorni
potrebbero essere l’occasione adatta per appianare un
po’ i vostri conflitti. Quando giocate assieme sembrate
abbastanza affiatati, forse potreste replicare anche nella vita
sociale… se
ne siete in grado.”
Punti sul
vivo, sfidati nell’orgoglio, i due ragazzi si guardarono.
Aomine incrociò le braccia:
“Se
Bakagami è riuscito a combinare qualcosa sul campo magari
può tentare anche qui.”
“Ti
ricordo che ti ho anche sconfitto, sul campo, quindi forse sei tu a
dover valutare cosa riesci a fare nella vita vera!”
rimbeccò l’altro, senza mezzi termini.
Borbottarono
ancora l’uno contro l’altro, quando Akashi si
rivolse a Midorima e Murasakibara:
“Potete
tenerli d’occhio voi?”
Murasakibara
scrollò le spalle, convinto che tanto avrebbe comunque
potuto continuare a mangiare anche frantumando le teste di Kagami e
Aomine, ma non disse nulla, mentre Midorima, sistemando accanto alla
sua borsa la racchetta da tennis – oggetto fortunato del
giorno, osservò inquisitivo:
“Pensavo
avresti chiesto a Kuroko.”
Akashi si
limitò ad accennare un sorriso: “Lo fa
già il resto dell’anno. Direi che si merita anche
lui una pausa.”
Gli
lanciò un’occhiata, vedendo che era intento
assieme a Momoi, arrossita per l’occasione, ad accarezzare
Tetsuya 2.
Poi, in
contemporanea con Midorima, scrutò Takao che si guardava
attorno allegro ed evidentemente impaziente di tuffarsi in acqua,
confidando a Kise la genialata di essersi già messo il
costume addosso per evitare di perdere tempo.
Shintaro
assottigliò le narici e domandò sprezzante:
“Com’è
che alla fin fine c’è anche lui?”
“Non
eri stato tu a dirmi che proprio in quel periodo aveva le ferie anche
dal lavoro part-time? – Midorima, quasi colpevole, fece una
leggera smorfia – poi non l’ho ancora rimosso dalla
chat.”
Come per
dire: poteva non
esserci anche lui, visto che andavamo via tutti assieme?
“Sì,
suppongo che meriti persino lui di andare da qualche parte.”
Borbottò Midorima, deviando lo sguardo.
“Come
tutti noi.” Concordò Akashi, mentre spostava lo
sguardo su Kise che già si mostrava entusiasta oltre ogni
misura di condividere la stanza con Kurokocchi e progettava grandi
giochi in spiaggia, nuotate, giri per il paese, senza contare
l’acquisto di palloni, angurie, lettini e tutti gli accessori
assortiti per garantire una fantastica permanenza estiva.
La signora
Wakabayashi in quel quarto d’ora si ritrovò a
sorridere, di cuore. Perché era stata travolta dai ricordi
della sua giovinezza, del mare, delle nuotate con gli amici e dei
falò in spiaggia, la sera, sotto la seria supervisione degli
adulti. Provò un senso di nostalgia, non amareggiato dal
peso triste e sconfortante della vecchiaia, bensì vagamente
dolceamaro di una donna che riveda negli occhi altrui quei momenti e
vorrebbe poter far presente a chi li sta vivendo di tenerli cari,
perché unici e irripetibili.
***
La giornata
seguente in spiaggia si era svolta nel migliore dei modi: gare di nuoto
estreme fino a vedere solo più dei puntini rispetto alla
riva, palleggi vicino alla risacca con tanto di schiacciate e schizzi
d’acqua che portarono Aomine e Kagami a rimbrottarsi a
vicenda – “L’hai fatto apposta,
ammettilo”, “Certo, come no, eri tu che ti sei
schiaffato in direzione della palla, demente!” – il
tentativo maldestro di Kise di spaccare un’anguria, fino
all’arrivo di Murasakibara che era riuscito a sfondarla con
un pugno, dato senza nemmeno troppa convinzione, con il risultato
però di spappolarla tutta.
Sulle prime
gli anziani sistemati sulla spiaggia di fronte al ryokan, abituati alla
calma piatta della loro personale estate fatta di silenzio e
tranquillità, cullata dal rumore delle onde, avevano storto
un po’ il naso per quell’improvvisa botta di
chiasso, colori, gente in costumi dai disegni improbabili, palloni che
volavano e urla di guerra. Poi alcuni di loro avevano optato per farsi
una partita a shogi, sistemando la scacchiera su un tavolino basso di
plastica, capace di resistere alla sabbia e a eventuali colpi
accidentali, dato che le ginocchia non erano più quelle di
una volta: visto che non era proprio possibile farsi la pennichella
pomeridiana, per colpa del chiasso prodotto da quei giovanotti
impertinenti, si potevano ugualmente sfruttare quelle ore insonni
facendo qualcosa di produttivo. A un certo punto si avvicinarono Akashi
e, quasi di riflesso nonostante un viso abbastanza reticente, anche
Midorima.
Il primo si
permise di suggerire una mossa che avrebbe salvato l’anziano
giocatore da una sicura capitolazione, mentre Midorima osservava con le
mani dietro la schiena, aggiustandosi ogni tanto gli occhiali e
lanciando qualche commento asciutto se vedeva una scelta potenzialmente
sbagliata da parte dell’altro contendente. Finirono per
sedersi accanto a loro, iniziare a scambiare qualche chiacchiera,
mentre ogni tanto Kise si avvicinava e portava anguria spappolata per
tutti.
Questo fino
a che l’aitante modello venne richiamato da Kagami, che
voleva ancora provare a giocare a volano: in realtà, proprio
non sopportava l’idea che il vento influisse in maniera
così incontrollata su una dannatissima pallina che se ne
andava da tutte le parti, quindi stava diventando una questione di
principio, questione che invece Aomine aveva già
abbandonato, infastidito dal dover correre avanti e indietro per tutta
la spiaggia senza uno scopo.
Quest’ultimo
infatti si sedette sul telo con le gambe incrociate e prese a guardare
Momoi e Kuroko, intenti a costruire castelli di sabbia sempre
più complessi, con tanto di mura artigianali, un ponte, un
fossato pieno d’acqua che puntualmente veniva prosciugata
dalla sabbia avida e stecche di gelato per fare le bandiere.
Con un
gomito appoggiato sul ginocchio e la testa sulla mano, pigramente
tranquillo li osservava.
“Vuoi
fare un torrione anche tu, Aomine-kun?”
Gli
domandò Kuroko all’improvviso, sollevando lo
sguardo. Senza attendere risposta gli aveva già sporto un
secchiello, con tanto di immagini tratte da qualche cartone animato tra
le migliaia e migliaia che popolavano il Giappone.
Daiki
scrollò le spalle, mentre Murasakibara si allontanava con un
suo personale secchiello per fare scorta di gelati che, tanto, con la
sua voracità non avrebbero mai fatto in tempo a sciogliersi.
“Wow,
che gran divertimento…” borbottò, ma
prese l’oggetto in plastica e si alzò in piedi.
“Dai-chan
dove vai?” gli domandò Satsuki.
Il ragazzo
si portò un pugno al fianco, piegando il gomito, e
anziché risponderle esortò l’amico:
“Dai
Tetsu, prendi l’altro secchiello. Che castelli volete fare?
La sabbia si sta asciugando e il fossato fa schifo.”
Kuroko lo
guardò un istante, con gli occhi grandi che non battevano
ciglio, poi annuì e afferrò a sua volta il
contenitore accanto, anch’esso autografato da immagini di
altri anime non meglio specificati. Momoi, sorridendo, li vide correre
verso la spiaggia, chinarsi per raccogliere l’acqua e
litigare allegramente con la risacca del mare che si ritraeva troppo
presto, mentre poco distanti Kise e Kagami per poco non rischiavano di
investirli, con l’irruente bisogno di afferrare a tutti i
costi quella benedetta pallina che se ne andava sempre per i fatti suoi.
Tornarono,
versarono l’acqua e girarono la sabbia finalmente compatta,
bagnandosi ancora i piedi, per poi appoggiarsi col costume fradicio
sulla spiaggia umida. Con grande professionalità, ma senza
mancare della frettolosa curiosità che Aomine metteva in
tutte le cose reputate interessanti, Daiki riempì il
secchiello e in un unico movimento rovesciò il contenuto
accanto a un altro bastione eretto da Kuroko. Lo sollevò
dando un colpo forse un po’ troppo secco e dopo qualche
secondo si aprì una crepa precisamente a metà,
facendo crollare parte dell’altrimenti splendida struttura di
sabbia.
“Lasciatelo
dire, coi castelli di sabbia fai un po’ schifo,
Aomine-kun.”
Questi fece
una smorfia:
“Sempre
diretto, eh, Testu?”
“Come
te.” Commentò Momoi, per poi sorridere, mentre
aspergeva sabbia asciutta sulle strutture bagnate così da
simulare una sorta di intonaco.
Aomine
borbottò qualcosa, anche se sorprese Kuroko intento a
sorridere per l’affermazione di Satsuki; nel frattempo giunse
Murasakibara che si lanciò di peso sulla sdraio, come se
all’improvviso il suo corpo non fosse più in grado
di sorreggerlo, per poi iniziare senza indugi a scartare i gelati
ammucchiati nel secchiello.
Tutti e tre
gli astanti si distrassero a guardare la presenza imponente del ragazzo
che, per l’occasione marittima, si era legato indietro i
capelli, evento più unico che raro, come se davvero volesse
sfidare i gelati a non sciogliersi prima di averli divorati tutti.
In
quell’istante si sentì un urlo di Kise, seguito da
un ringhio di Kagami che si lanciò con un balzo atletico per
intercettare la pallina e spedirla, puntualmente, nel mare, dove venne
ribaltata come in una lavatrice.
Kise si
bloccò, quando realizzò dove esattamente il suo
compagno di volano aveva brutalmente appoggiato il suo piedino non
certo da fata.
“Kagami-kun
– la voce di Kuroko, impersonale –
perché?”
Taiga
abbassò lo sguardo e realizzò di aver centrato in
pieno la roccaforte di sabbia eretta con così tanta pazienza
da Tetsuya e Momoi, con il contributo assolutamente inutile di Aomine.
“Oh,
merda.” Fu tutto quello che Kagami riuscì a dire,
spostando indietro il piede, come se così facendo
magicamente la sabbia e i bastoncini potessero tornare al loro posto.
Momoi si era
portata una mano alla bocca e aveva spalancato gli occhi per poi
guardare Kuroko, forse più preoccupata che lui ci rimanesse
male, piuttosto che per dispiacere nel vedere distrutta la loro opera
d’arte.
Aomine
ovviamente non perse l’occasione per insultare Kagami ma,
prima che potesse farlo, Tetsuya si alzò in piedi, si
scrollò la sabbia dai boxer con una compostezza mirabile,
prese il secchiello e fissò Kagami con gli occhi immobili su
di lui. Dopo un istante gli disse con voce altrettanto composta:
“Kagami-kun
sei un uomo morto.”
Poi gli tese
il secchiello.
“Ora
Kurochin ti schiaccia.” Aggiunse Murasakibara, dopo aver
inghiottito in un unico boccone metà gelato.
“Ahiahiahi.”
Commentò Kise, avvicinandosi.
Kagami gli
puntò un dito contro, afferrando di riflesso
l’oggetto in plastica senza capire bene che accidenti dovesse
farci: “Tu taci! Sto odiando quella dannatissima
pallina!”
“Ehi,
mi ritengo personalmente offeso.” Replicò Ryouta,
scuotendo la testa.
Persino
Aomine rise ma si bloccò immediatamente appena vide lo
sguardo serio di Kuroko che annunciò, con il suo solito tono
di voce apparentemente pacato:
“Ora,
Kagami-kun, ci aiuterai a mettere la sabbia nel secchiello e a
trasportare l’acqua quando serve, per rifare il castello. Non
tanto per me, quanto per Momoi-san che si è impegnata tanto
– fece una pausa riflessiva – e per Aomine-kun,
anche se il suo contributo è stato inutile.”
“Grazie
tante eh, Testu.” Borbottò l’asso della
Too, mentre Satsuki arrossì vistosamente, aggiustandosi
l’ampio cappello di paglia senza che ce ne fosse bisogno.
Kagami si
limitò a prendere un bel sospiro, annuire e armarsi di forza
di volontà, come sempre impressionato dalla determinazione
altruistica di Kuroko. Akashi e Midorima, seppur impegnati con gli
shogi, avevano assistito alla scena e il primo dei due si
lasciò sfuggire:
“E’
quello che avrei fatto io.”
Midorima
fece la sua mossa: “Non avevo alcun dubbio, Akashi.”
Quando
finalmente la roccaforte venne eretta, più bella e maestosa
di prima, con nuovi bastoncini e decorazioni in legno gentilmente
offerti da Murasakibara, anche Akashi e Midorima espressero il loro
apprezzamento, sebbene quest’ultimo avesse adottato il solito
modo scarno e un po’ secco di parlare, mentre Seijuro aveva
apprezzato che il fossato fosse direttamente collegato al mare tramite
un canale. Insomma, un lavoro di alta ingegneria, anche se nel mezzo
era difficile capire chi avesse avuto un’idea per cosa, dato
che persino Aomine e Kise avevano dato il loro contributo, non solo di
bassa manovalanza.
Quando nel
tardo pomeriggio i ragazzi iniziarono a scrollare i teli e prepararsi
per rientrare, Akashi propose, dopo aver lanciato un’occhiata
ai pochi vecchietti recidivi che, complice la partita entusiasmante a
scacchi, erano rimasti:
“Per
stasera organizziamo un falò sulla spiaggia.”
Midorima non
mancò di notare che come sempre Akashi non usava mai il
condizionale nelle sue proposte, dando per scontato che sarebbero state
seguite a prescindere. Kise fu il primo a mostrarsi entusiasta
all’idea, com’era tipico del suo carattere
esuberante e determinato, capace di mettere una carica energica in
tutto ciò che faceva; anche gli altri trovarono la
prospettiva ottima e abbastanza facile da realizzare, dato che bastava
recuperare un po’ di legna secca e qualche pietra da vicino
gli scogli per contenere il fuoco. Poi durante la sera il mare aveva
sempre un suo fascino speciale, così come erano speciali i
racconti e le chiacchiere attorno alle fiamme scoppiettanti, cullate
dalla risacca e dalle stelle.
Il gruppetto
di amici finì per invitare anche gli anziani ospiti del
ryokan che accettarono di buon grado, trovando accattivante la
possibilità di fare una serata alternativa che non
includesse guardare il solito show televisivo davanti a una tazza di
the caldo, nonostante fosse estate e di caldo ne avessero preso
già abbastanza.
Quel tardo
pomeriggio la padrona dell’albergo contemplò il
rientro di quella squadra di giovani allegri che si contendevano la
doccia, mentre la ragazza raccomandava loro di lavare i costumi dalla
salsedine e teneva al guinzaglio il cagnolino che pareva essersi
divertito un mondo, esattamente come loro. Alcuni clienti erano entrati
prima di loro, commentando di aver visto la partita di scacchi
più entusiasmante di sempre e poi avevano parlato della
possibilità di fare un modesto falò, come avevano
scorto in altre spiagge le estati scorse. La signora Wakabayashi
sorrise, respirando l’odore di salsedine e di anguria dei
ragazzi, i quali avevano portato nella sua vita una ventata di
giovinezza che negli anni aveva amato così tanto.
***
Le fiamme si
sprigionavano nell’aria della sera, emanando un piacevole
senso di calore e luce avvolgente che sembrava mangiare le ombre
notturne. Il crepitio della legna secca ricordava lo scricchiolio di un
vecchio mobile che debba assestarsi, accompagnato dal suono pacato
della risacca del mare calmo, come se, senza sole, anch’esso
desiderasse andare a dormire dopo una giornata di tempestosa
attività.
I ragazzi
sorridevano, chiacchieravano e Kagami aveva recuperato assieme a Kise
dei chimicissimi marshmallow bianchi, spumosi, grossi il giusto per
essere infilzati nei legnetti e fatti dorare al fuoco. Ogni tanto non
calibravano le giuste tempistiche, per ritrovarsi dunque una massa di
colla zuccherata e bruciacchiata.
Qualche
nonnetto li aveva raggiunti, sedendosi sulle loro sedie di tela per poi
chiacchierare con i presenti, condividendo qualche dolce o
semplicemente il calore del fuoco, piacevole nella sera più
fresca e mitigata dalla brezza marina.
Aomine,
seduto sopra un telo appoggiato sulla sabbia, le gambe incrociate e una
mano con cui tenersi il capo, aveva la sua bacchetta tesa per far
rosolare il marshmallow, anche se la sua testa era altrove.
Perché era rilassato, come forse non lo era mai stato in
quegli anni, nonostante le dormite sul tetto, le lezioni saltate e, in
passato, gli allenamenti evitati. Forse per redimersi della sua
negligenza nel basket – dovuta alla disperata consapevolezza
di essere imbattibile, almeno prima di venire finalmente sconfitto
– in quegli ultimi anni aveva lavorato il triplo degli altri,
frequentando la palestra quasi ogni sera, un appuntamento fisso al
quale non mancava più. Quell’estate poi aveva
cominciato anche a studiare come si doveva, minacciato velatamente ma
non troppo da Akashi e seguito da Kuroko che, per quanto sembrasse
paziente, era letale se Aomine sbagliava qualcosa, si distraeva o non
aveva studiato. Considerando poi che a volte accadevano tutte e tre le
cose assieme, spesso Daiki si trovava a dover ripetere da capo interi
concetti, spremendo al massimo la sua altrimenti volubile
capacità di concentrazione.
Però,
alla fin fine, era soddisfatto del risultato e c’era la
possibilità concreta di non chiudere l’anno in una
totale schifezza.
“Hai
fatto squagliare il marshmallow, Aomine-kun.”
Quest’ultimo
sussultò e si girò, vedendo Kuroko seduto
accanto, con il suo dolce zuccheroso che veniva fatto rosolare sul
fuoco. Poi Daiki spostò gli occhi sul suo, di marshmallow,
ed effettivamente si rese conto che era diventato una massa informe
annerita, arrivata a un livello di fusione tale da cominciare a colare.
Grugnì con disappunto.
Poi Kuroko
gli porse il rametto con il suo dolce:
“Tieni.
Ho più pazienza di te, posso aspettare di cuocerne un
altro.”
Gli fece un
mezzo sorriso, coi capelli che sembravano chiarissimi quando
accarezzati dalle fiamme ma scuri se dimenticati dalla luce.
“Dai,
mica muoio di fame.” Si schermì.
“Nemmeno
io.” Replicò Kuroko, mettendogli più
davanti il bastoncino.
Aomine
roteò gli occhi, quindi afferrò il tutto e
replicò: “Va bene, va bene. Contento
ora?”
Kuroko
incrociò i piedi, sollevando le ginocchia, e strinse le
braccia attorno alle gambe, rimanendo a guardare il fuoco:
“Sì, ora sì.”
Suo malgrado
Daiki sorrise. Si mangiò il dolce, lasciò che la
consistenza troppo zuccherosa, il retrogusto caramellato e la
densità spugnosa si mischiassero assieme in bocca, ma tenne
metà da parte. La restituì a Kuroko, afferrandola
per le dita:
“Toh,
aspettiamo di cuocerne un altro.”
Kuroko
fissò il marshmallow mezzo mangiato, non esattamente un
trionfo di regalo, poi disse molto candidamente:
“C’è anche un po’ della tua
bava – Aomine fece una smorfia, inarcando un sopracciglio
– ma va bene lo stesso. Grazie, Aomine-kun.”
Tetsuya lo
prese tra le dita, sentendo la sostanza un po’ appiccicosa, e
mangiò la fantomatica metà. Tetsu 2 ricevette a
sua volta dei biscotti dati da Momoi che osservò allegra:
“E’
come se vi foste dati un bacio.”
Ridacchiò.
Aomine
sgranò gli occhi e gesticolò, in evidente
imbarazzo e senso di profondo disagio: “Oi, Satsuki, ma che
dannatissimi collegamenti ti vengono in mente?”
Sbottò
altro e lei sorrise, trovando sempre adorabilmente buffa
l’esagerazione del suo amico d’infanzia. Kuroko lo
guardò e commentò con il suo solito fare diretto,
asciutto e pacato:
“Non
ha tutti i torti. Non sei comunque molto romantico, Aomine-kun.
E’ normale che tu non sia fidanzato.”
Kise, che
aveva sentito tutto, scoppiò a ridere:
“Se
vuoi posso aiutarti a fare conquiste con quei costumi attillati che ti
avevo promesso, Aominecchi!”
Aomine
esplose: “Oi ma che è, una congiura contro di me?
Ficcateli in testa i costumi attillati, tanto è
evidentemente piccola, visto il cervello che contiene
all’interno.”
Ryota fece
una smorfia: “Buh, sei sempre cattivo Aominecchi.”
Risero un
po’ tutti, persino Aomine, mentre Akashi a tratti li
guardava, a tratti interagiva con i signori. Midorima era troppo
occupato a spiegare a Murasakibara che se avesse impilato,
schiacciandoli, venti marshmallow tutti insieme per fisica era
impossibile che si caramellassero come avrebbe desiderato. Ostinati,
nessuno dei due indietreggiò rispetto alla propria posizione.
Poi
chiacchierarono di cosa fare l’indomani, ciascuno fingendo di
non ricordare che l’ultimo giorno di vacanza sarebbe stato
anche il compleanno di Aomine e quest’ultimo, ovviamente, non
lo fece presente.
Il fuoco
cominciò a estinguersi, per poi venire ravvivato da Kagami
che era appena tornato con Takao dopo aver raccolto altra legna secca,
proveniente dagli arbusti vicino alla spiaggia, e le chiacchiere
spensierate proseguirono per un altro po’.
Aomine
scrutò un istante Kuroko, ancora seduto di fianco a lui,
nonostante quell’imbarazzante scena del marshmallow. Suppose
che forse, forse,
quella avrebbe potuto essere una buona occasione per chiedergli cosa
desiderasse fare per il futuro. In quell’atmosfera, al mare e
vicino alle onde, quella domanda appariva meno importante e
più dettata da semplice curiosità.
Era strano
esitare, visto che di solito Aomine andava avanti a testa bassa, spesso
sbagliando, magari ferendo qualcuno oltre a se stesso, ma quella sera,
quell’interrogativo, tutto… era diverso. Da come
avrebbe risposto Kuroko, se ne rese conto, molte cose sarebbero
cambiate, perché giocare di nuovo nella stessa
squadra… beh, Aomine non credeva nemmeno che avrebbe saputo
esattamente cosa fare, a quel punto, con Tetsu in campo. In caso
contrario forse allora tutto sarebbe rimasto identico,
finché i contatti si sarebbero diradati, complici gli studi
totalmente diversi, la lontananza, gli impegni e poi il lavoro.
La vita era
così, dava e poi toglieva, avvicinava e separava. Come la
corrente, come il mare.
Si
girò verso di lui. Kuroko, intuitivo, si voltò a
sua volta. Gli occhi apparivano quasi malinconici, alla luce del fuoco.
“Tetsu,
voglio chiederti una cosa.”
“Dimmi,
Aomine-kun.”
Kagami
buttò altra legna, una vampa più grande
illuminò entrambi.
“Finita
la scuola, che…”
Ma Aomine
non finì mai la frase.
Kagami aveva
esagerato con la legna e il fuoco era arrivato a toccare degli
asciugamani, causando un piccolo incendio che, però, ebbe
l’effetto di far saltare su Kise e Momoi prima di venire
colpiti dagli zampilli.
“Un
secchiello, l’acqua!” esclamò Ryota, che
si trovò ad afferrare uno dei contenitori in plastica
lanciato da Kagami, per sollecitarlo ad aiutarlo.
Ma Akashi
sospirò, si alzò in piedi con calma nonostante
uno degli asciugamani stesse andando a fuoco, e tolse il secchiello
dalle mani evidentemente inesperte di Kagami.
“Shintaro,
dammi una mano con l’altro.”
Kagami e
Kise si sentirono un po’ scemi quando videro gettare sopra il
fuoco della sabbia, scoprendo che in un istante tutto quel clamore si
era spento di colpo, soffocato da granelli forse più
efficaci dell’acqua stessa.
“Okay,
non male.” Commentò Kagami, sinceramente colpito.
Aomine lo
afferrò per la canotta, dopo essere saltato su prima di
ricordare a sua volta un marshmallow squagliato: “Non male?
Ma che ti dice il cervello, Bakagami? E’ un dannato
falò sulla spiaggia, non una fucina!”
Si misero a
litigare, mentre i vecchietti risero, ringraziando la tempra
d’acciaio che aveva permesso loro di non farsi prendere dal
panico ed essere vittime di un triplice infarto.
Kuroko
sospirò, guardando Aomine perdersi nell’insultare
Kagami e controbattere a sua volta, per poi osservare Numero 2 che,
passato l’allarme, era tornato ad acciambellarsi su un
asciugamano appallottolato.
“Sapremo
mai che mi stava per chiedere?”
Tetsuya 2
sollevò un orecchio, poi fece un leggero abbaio e
cambiò posizione. Kuroko scrollò le spalle; forse
domani, sempre se il piano di Akashi per il compleanno di Aomine avesse
lasciato spazio, avrebbe chiesto a Daiki che cosa stesse per dirgli.
Anche lui, in fondo, aveva una questione importante da porgli.
Si morse un
labbro, dandosi dello stupido: perché doveva ridursi sempre
all’ultimo?
Sproloqui
di una zucca
Ed eccoci giunti al
penultimo capitolo! E' un capitolo di quotidianità, di cose
semplici, dalle atmosfere tradizionali, del mare e del Giappone. E
pensare che il mare non l'ho ancora visto, né il Giappone
T_T Altroché Salgari con l'India XD
Spero che le
atmosfere, i dialoghi e le situazioni tra i personaggi possano esservi
piaciuti, strappandovi magari un leggero sorriso. Vorrebbe essere anche
una riflessione sui ricordi, sulle occasioni mancate e... carpe diem.
Cogli l'attimo. Ci credo fermamente, anche se spesso non sono capace di
afferrarlo, quell'attimo e me lo lascio sfuggire. Insomma, riesco a
essere nostalgica e malinconica anche nel descrivere una giornata al
mare lol
Voglio tanto bene a
tutti i ragazzi della Generazione dei Miracoli, ma anche coloro che
sono entrati nelle loro vite con gli anni.
Alla prossima!
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Capitolo 7 *** Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre. ***
Se
non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre.
L’alba
dell’ultimo giorno di vacanza era infine giunta: il trentun
agosto, compleanno di Aomine. Tutti, con telefoni sotto il cuscino e
vibrazione inserita, avevano messo la sveglia alle sei in punto del
mattino, consapevoli che tanto l’asso della Too difficilmente
avrebbe sentito qualcosa dei loro spostamenti o rischiato di perdere
ore di sonno prezioso per alzarsi, disturbato da rumori inconsueti.
Con
splendida destrezza e ancora più talentuoso silenzio, anche
per uno tendenzialmente ingombrante come Murasakibara, i ragazzi si
erano ritrovati presso uno dei tavolini dove si faceva colazione,
illuminati dalle prime luci del giorno che filtravano attraverso le
finestre con le tende leggere.
Akashi aveva
personalmente coordinato ed elaborato il piano per la giornata, fino a
esporre l’unica problematica presente:
“Aomine.”
“Dobbiamo
levarcelo dalle scatole.” Concordò immediatamente
Kagami, con lo sguardo meditabondo e le braccia incrociate.
“Kagamicchi,
detta così sembra che lo devi uccidere e sbarazzarti del
cadavere.” Fece presente Kise.
“Se
solo non ti servissimo tutti potremmo fare una partita a basket. Aomine
tende a perdere la concezione del tempo, un po’ come quando
fa dps assieme a Kagami uccidendo gli ally online.”
Osservò
Midorima, lanciando un’occhiata altera all’altro
preso in causa, il quale borbottò qualcosa sul fatto che se
c’era pvp nel gioco non vedeva perché non
approfittarne.
Ci fu
qualche ulteriore scambio di pareri, infine Akashi, con a fianco Momoi
che prendeva appunti e disponeva ordinatamente le idee,
guardò Kuroko che era rimasto in silenzio e gli disse:
“Portalo
da qualche parte, Tetsuya.”
Numero 2
scodinzolò, allegro, mentre Kuroko senza battere ciglio
fissò il capitano della Rakuzen, anche se in
realtà era parecchio confuso:
“E
dove dovremmo andare?”
“Ma
perché proprio Kuroko? – domandò Kagami
– se quello stupido di Aomine decide di andarsene, Tetsuya
come lo trattiene? A questo punto manda Murasakibara.”
“Lo
schiaccio – convenne – basta che non andiamo
lontano e si mangi.” Poi inghiottì un biscotto,
guardando Akashi con la certezza che tanto in realtà il
ragazzo avesse già fatto la sua scelta.
“Non
se ne andrà. Kuroko lo porterà in giro nel
pomeriggio, qualche ora è sufficiente. Stamattina presto
sbrigheremo commissioni impellenti, poi spiaggia. Daiki non deve
insospettirsi.”
“Per
la serie: è stupido ma non così tanto.”
Fece presente Kagami, Kise ridacchiò con espressione furba.
Stesero il
loro piano, coordinati da Akashi, il generale che pianificava la
battaglia del secolo. Quando ogni cosa fu chiara e organizzata i
ragazzi si alzarono, chi pronto per fare la spesa e ordinare la torta,
chi per andare a chiedere in prestito a qualche nonnetto le
decorazioni, altri ancora pensarono a come sistemare il tutto per la
sera. Il regalo, invece, era già pronto.
Quando
Aomine si svegliò, stropicciando gli occhi, vide la stanza
vuota e stranamente silenziosa. Si sollevò a sedere di
scatto, convinto di aver dormito magari fino all’ora di
pranzo, mentre quegli altri sicuramente erano andati in spiaggia a
divertirsi. Scrollò le spalle; d’altronde era una
vacanza, normalmente non si faceva tutti quei problemi a stare a letto
più del dovuto, perché la cosa rappresentava uno
spreco proprio quel giorno?
Si
alzò, grattandosi un braccio, con i capelli corti che
avevano dei ciuffi sparati a caso e le labbra asciutte.
Guardò il telefono; i suoi, da qualche parte in giro per
lavoro, gli avevano mandato una foto e scritto un messaggio di auguri.
Roteò gli occhi, evidentemente telefonare costava troppo.
Meglio così, non è che fosse mai stato tanto
bendisposto nei confronti del suo compleanno, semplicemente
perché era un giorno come tanti, per quanto altra gente si
ostinasse a volerlo per forza rendere speciale, come se in
quell’occasione i festeggiati contassero qualcosa di
più per il mondo.
Si
lavò la faccia per poi guardarsi allo specchio e
sussultò quando vide riflesso alle sue spalle Kuroko, con in
braccio Numero 2.
“Tetsu,
non sei capace di entrare come tutte le persone normali?”
fece presente, asciugandosi.
Kuroko si
voltò un istante per controllare la stanza, infine
replicò:
“Io
sono entrato come tutte le persone normali, Aomine-kun. Dalla porta.
Tanti auguri.”
Gli sorrise,
all’improvviso. Numero 2 scodinzolò e, lasciato
libero, fece le feste ad Aomine che, imbarazzato, si passò
una mano dietro la testa.
“Eh…
grazie, Tetsu. Quando mi sono svegliato pensavo fosse più
tardi.”
Gli
rivelò, senza sapere bene nemmeno perché. Voleva
forse fargli intendere che credeva di aver perso del tempo importante,
quel giorno, quando guardando il cellulare si era invece reso conto che
erano appena le nove.
“Beh,
mi sembra già abbastanza tardi, comunque –
notò Kuroko diretto come al solito, per poi aggiungere
– oggi pomeriggio andiamo da qualche parte?”
Domandò,
senza troppi giri di parole. Sperò che Aomine non si
insospettisse ma, sinceramente, non sapeva di preciso cosa proporre
senza rischiare di sembrare forzato, per quanto in realtà
gli piacesse l’idea di far qualcosa assieme a Daiki.
Quest’ultimo,
comunque, forse perché insofferente al compleanno, forse
perché di per sé Kuroko aveva sempre delle uscite
strane, si limitò a riflettere qualche istante, infine
annuì:
“Perché
no? Passeggiando ho visto una scogliera con una rientranza. Possiamo
esplorarla. Che ne dici?”
Kuroko
annuì, con un leggero sorriso: “Ci sto.”
“Hai
un costume con le tasche?” domandò Aomine, subito
dopo.
Tetsuya
annuì: “Sì,
perché?”
“Per
raccogliere le conchiglie, ovvio. Che razza di esplorazione sarebbe,
altrimenti, Testu?”
Passarono un
bel resto di mattinata, nuotando, ridendo come sempre oppure litigando,
nel caso di Kagami e Aomine, il primo dei quali gli aveva fatto gli
auguri sostenendo che era un anno di più che rompeva le
scatole su questo mondo. Avevano finito per fare a gara a chi arrivava
primo alla boa più lontana, con il risultato che ciascuno
riteneva di aver anticipato l’altro.
Mangiarono
in spiaggia, con la signora Wakabayana che aveva portato loro qualche
onigiri, finendo per essersi affezionata a quei ragazzi allegri che
avevano portato una ventata d’allegria e vitalità
al suo ryokan. Poi, Kuroko guardò Aomine e gli disse:
“Vado
a prendere una cosa e andiamo.”
Daiki
annuì, per aggiungere: “Anch’io. Devo
cambiarmi.”
Gli disse,
senza che ci fosse una reale logica. Gli altri non commentarono,
scambiandosi qualche rapida occhiata tra di loro. Se Aomine fosse stato
meno distratto a pensare alle sue personali cose da dire, avrebbe
sicuramente notato quegli scambi sospetti. Anche se Akashi li
monitorava, dando un colpo di tosse secco.
Quando alla
fine nel giro di breve entrambi gli avventurieri furono pronti, Kise li
salutò allegro:
“Divertitevi
nel vostro giro! Non fate tardi!”
Fece
l’occhiolino a Kuroko, che sospirò, mentre Kagami
gli portò un braccio sopra la spalla:
“Sempre
così premurosi questi amici, eh? – ridacchiarono
– a dopo.”
Aomine
assottigliò gli occhi: “Kagami? Stai bene? Sei
posseduto?”
“Che
intendi dire?”
“Cos’è
che mi stai nascondendo?” replicò, fissando quel
volto troppo amichevole.
“Io?
– domandò Taiga offeso – tra tutti vieni
a rompere le scatole…”
Stava per
dire altro, Akashi era sul punto di intervenire con una qualche forma
d’ipotesi, quando Kuroko replicò:
“Smettila
di essere invadente, Aomine-kun. Andiamo o no?”
“Invadente?
Questo…”
Ma non gli
dette modo di parlare, sospingendolo per farlo muovere. Gli altri li
salutarono con un gesto della mano, mentre Kagami si beccò
gli insulti di Kise che alla fine tacque, rendendosi conto di essere
stato a sua volta poco accorto.
“Andrà
tutto bene.” Constatò Momoi in un sospiro,
sorridendo quando vide i due allontanarsi, Aomine con quel suo passo
scattante, Kuroko tanto più fluido. Ogni tanto si voltavano
l’uno verso l’altro, quasi per assicurarsi che
fossero ancora lì.
***
La scogliera
emergeva dal mare cristallino, come un gigante che metta a mollo
l’enorme piede in un’altrettanto immensa bacinella
d’acqua. Le rocce erano a tratti scivolose, a tratti scolpite
dal mare che finiva per dormire placido nelle pozze create
dall’usura del tempo.
Aomine e
Kuroko avevano finito per andare proprio su quelle rocce, con in mano
un secchiello pieno d’acqua nel quale erano stati messi dei
granchietti catturati da Daiki, che si era vantato neanche troppo
modestamente di essere un mito in faccende come quelle.
Le onde ogni
tanto bagnavano i piedi, mentre il sole splendeva sui riflessi spumosi
per coronare quell’ultima giornata della loro estate.
Quando
furono soddisfatti dell’esplorazione degli scogli, i due
scesero e andarono a sedersi nell’insenatura naturale, dove
grazie alla conformazione rocciosa si era venuta a creare
un’ombra piacevole, che rendeva fresca persino la sabbia. Per
qualche istante i ragazzi osservarono i tre granchi camminare sulla
superficie in plastica del secchiello, poi li videro rimanere immobili
e infine ripartire alla carica.
“Sono
incredibili, questi granchi. Lottano così tanto per qualcosa
di irraggiungibile che, anche quando sembrano essersi arresi, alla fin
fine tornano a combattere.”
Osservò
all’improvviso Aomine. Aveva le gambe incrociate e un gomito
sulla coscia atletica, mentre la testa come sempre era pigramente
appoggiata alla mano.
Kuroko,
stretto nelle spalle e con le ginocchia portate al petto, lo
guardò ma non disse nulla. Non constatò nemmeno
che anche loro alla fine erano così; perché, ne
era convinto, Aomine pensava di non essere del tutto riuscito a
ripartire.
Poi,
all’improvviso, l’asso della Too sbottò,
disilluso:
“Bah,
in fondo sono stupidi. Continuano a girare attorno agli stessi problemi
e non si rendono conto di essere chiusi in un secchiello di plastica
dal quale non usciranno mai.”
Riprese a
guardare gli scogli e, oltre, il mare.
Senza dire
una parola, Kuroko si alzò in piedi e afferrò il
secchiello.
Sotto lo
sguardo stupito di Aomine, il ragazzo fece pochi passi più
avanti, fino a raggiungere la superficie rocciosa lambita dalle onde;
lì, con la solita calma che lo contraddistingueva,
inclinò il contenitore di plastica, dal quale cominciarono
ad uscire i granchi che, liberi, si lasciarono trasportare dalle onde,
per poi sparire tra le insenature, la schiuma e la loro sabbia.
Kuroko si
voltò verso Daiki, i suoi capelli umidi di salsedine erano
rilucenti al sole:
“Non
possiamo fare tutto da soli, Aomine-kun. A volte
c’è bisogno di qualcuno che rovesci il secchiello
per noi, se le cose sono troppo grandi e ci sopraffanno.”
“Testu…”
Si morse un
labbro.
Kuroko gli
fu davanti e si piegò sulle ginocchia, per poi guardarlo
negli occhi.
“Devo
dirti una cosa, Aomine-kun.”
Gli disse,
con quella sua tipica serietà nonostante il volto dallo
sguardo morbido.
Ora
o mai più.
“Aspetta
– lo bloccò l’altro, portandogli una
mano sul petto, mano che entrambi guardarono, per pochi assurdi istanti
– anch’io una cosa da dirti. Se non lo faccio ora,
me ne pentirò per sempre.”
Kuroko gli
aveva rovesciato il secchiello in cui anni fa era caduto. Ora toccava a
lui, finalmente, nuotare fuori e guadagnarsi la sua libertà.
Si mise una
mano in tasca e, prima che Testsuya potesse dire altro, gli
schiaffò sul petto, esattamente dove prima c’erano
le sue dita, il volantino dell’università. La
stessa che gli aveva suggerito Akashi, a lui, forse soltanto a lui, ma
non gli interessava. Voleva che ci fosse Kuroko, nel suo futuro, e quel
futuro non era certo scritto su un foglio di carta.
Spiegazzato,
chiazzato dall’umidità, così malconcio,
ma quello era il volantino dell’università che
forse avrebbe fatto Daiki Aomine. Kuroko guardò dunque quel
foglio, lo guardò bene, e lesse il nome del luogo che in
futuro avrebbe avuto l’onore di accogliere un genio del
basket.
“Mi
iscriverò qui. Solo se ti iscriverai anche tu.”
Dichiarò
Aomine. Poco lontano, la risacca del mare copriva la sabbia ma non la
sua voce.
Kuroko
sentì un labbro tremargli. Accidenti, era sempre stato
così controllato, pacato, incapace di arrabbiarsi come
faceva Kagami, di scherzare come Kise, di essere carismatico come
Akashi o attaccabrighe come Aomine, persino Murasakibara sapeva essere
più distruttivo di lui nel parlare e nel mostrare i
sentimenti.
Con un nodo
alla gola, tenendo gli occhi abbassati su quel pezzo di carta
apparentemente insignificante, Kuroko affondò a sua volta la
mano in tasca e voltando il palmo verso l’altro, stretto nel
pugno mostrò… un volantino altrettanto
spiegazzato.
Aomine
spalancò gli occhi, fissandolo, mentre Tetsuya aveva i
capelli davanti agli occhi.
“A
quanto pare mi stavi copiando, Aomine-kun.”
Usando anche
l’altra mano, Kuroko distese meglio la carta e gli
mostrò il pieghevole di un’università.
Non una qualsiasi: la Joochi.
Daiki, con
la bocca appena aperta e gli occhi che proprio non volevano saperne di
chiudersi, lesse più volte quel nome, poi spostò
lo sguardo incredulo sul proprio volantino, sullo stesso su cui si era
arrovellato quel mese, con addosso la voglia di chiedere a Kuroko dove
avrebbe studiato in futuro e, sì, cosa sarebbe stato di
loro, se potevano avere un’altra possibilità.
“E’…
le la mia stessa università, Tetsu.”
Lo
constatò. E non credette alle sue stesse parole.
Scoppiò
a ridere e, inaspettatamente, Kuroko dopo qualche istante lo
imitò. Risero talmente tanto che si ritrovarono a piangere,
seduti uno di fronte all’altro, con dei volantini
stropicciati in mano e gli occhi coperti di lacrime, in un
contradditorio insieme di sentimenti.
“Stai
piangendo.” Gli disse all’improvviso Aomine, pur
sentendo le proprie guance bagnate, ma guardando Kuroko non
riuscì a tacere.
“Anche
tu, Aomine-kun.”
Questi si
portò una mano sul volto. La lasciò un istante
lì, sulla pelle umida, poi abbassò appena il
capo, portandosi le dita sugli occhi chiusi.
“E’
che sono felice – gli rivelò – mi tenevo
questa cosa dentro e…”
“L’abbiamo
gettata fuori, come i granchi sulla scogliera.”
Si
guardarono, ripensando ad Akashi, a come li aveva spinti a credere che
prima di tutto meritassero di andare in quella scuola per loro stessi e
solo successivamente per i legami. Perché i legami erano
un’arma a doppio taglio e potevano fortificare come far
perdere. Tutti loro della Generazione dei Miracoli li avevano
fortificati, quei legami, non solo tramite il basket, anche se in
squadre diverse, ma grazie alla quotidianità della vita
parte di ognuno: lo studio, il gioco online, le uscite e gli incontri.
“Direi
proprio che andremo all’università assieme,
Aomine-kun.”
Constatò
Kuroko, sorridendo, come aveva sorriso alle medie, quando erano
assieme, o quando aveva visto Aomine tornare ad amare il bakset e aver
voglia di lottare, nel loro primo incontro delle superiori.
Si
asciugò il volto con il dorso della mano.
E fu allora,
quando la mano gli cadde a terra, che Daiki lo toccò con le
dita, passandole sul collo, fino a lasciarle lì, per portare
Kuroko più vicino, così vicino da baciarlo.
Entrambi con le guance ancora umide, i capelli odorosi di mare, le
labbra asciutte leggermente salate, forse proprio per quel mare, forse
per le lacrime.
Voleva
baciarlo, perché altrimenti non avrebbe saputo trovare le
parole per dirgli tutto quello che sentiva, ciò che provava,
l’euforia per sperimentare cosa volesse dire ripartire,
ripartire davvero, e non fermarsi più a girare attorno alle
pareti bianche di un secchiello. Per continuare a lottare in mare
aperto, tra la sabbia e gli scogli, senza più barriere di
plastica ma con un oceano intero di possibilità.
***
La sala di
solito pensata per ospitare le cene semplici del ryokan –
creata più per dar modo agli anziani avventori di non
doversi spostare troppo e mangiare salutari cibi tradizionali
– era buia, con qualche leggero spiraglio di luce proveniente
dalle imposte non del tutto chiuse, ma non esattamente silenziosa.
“Stanno
per arrivare? Mi fanno male le gambe a stare piegato
così.”
“Dai
Kagamicchi, sempre a lamentarti, io sono esaltatissimo!”
“Io
ho fame.”
“Non
avevamo dubbi, Murasakibara. Takao, sei ingombrante, spostati
più in là.”
“Ma
Midorima! Sono già all’angolo, dove vuoi che mi
sposti?”
“Non
lo so, questo è un problema tuo.”
Con uno
schiocco di dita Akashi chiamò il silenzio, che fu immediato.
“Basta
con le chiacchiere. State respirando anche in maniera rumorosa.
Calcolando l’orario dovrebbero essere sul punto di
arrivare.”
“Respiriamo
in maniera rumorosa? Mica possiamo stare in apn…”
Ma Kagami
tacque, perché Murasakibara gli mise una mano sulla testa,
stringendo convenientemente di più la presa dei
polpastrelli. Sbuffò, un solo istante, poi smise
definitivamente di essere rumoroso.
A pochi
metri dall’ingresso, infatti, oltre la porta chiusa
c’era Aomine, confuso e chiaramente imbarazzato, anche se
aveva le sopracciglia leggermente corrugate che lasciavano trasparire
più che altro un sentimento di disagio. Prima di entrare,
Kuroko lo guardò, sospirò e gli tese il pugno in
avanti:
“Mi
sono divertito oggi, Aomine-kun. E non cambierei proprio
nulla.”
“Sì,
beh…” roteò gli occhi, più
per cercare le parole che per un fastidio che non avvertiva, infine
annuì, sempre mantenendo un’espressione
splendidamente corrugata:
“Nemmeno
io.” Aggiunse, battendo il pugno.
Insomma,
aveva baciato Kuroko. Così, all’improvviso. Niente
di quelle robe più complicate con la lingua e tutto il resto
– si sentiva morire e stupido al solo pensarci –
però le sue labbra si erano proprio posate su quelle di
Kuroko, con decisione, non certo tanto per fare. Ma che gli era preso?
Era su di giri, felice, persino esaltato e aveva fatto la prima cosa
che gli era venuta in mente, quasi fosse un fatto naturale, e
nell’istante immediatamente dopo si era sentito
così bene, così libero, da pensare di poterlo
fare ancora.
Poi, quando
si erano guardati negli occhi, entrambi erano arrossiti, deviando gli
sguardi e interessandosi a fare cose inutili tipo scrollare la sabbia
dal costume o controllare l’integrità del
secchiello. Si erano incamminati lungo la spiaggia per tornare
indietro, silenziosi ma intimamente felici, nonostante
l’imbarazzo e il timore di aver offeso l’altra
persona.
Per questo
Aomine si sentì sollevato, nel sentire Kuroko parlare in
quel modo. Non
avrebbe cambiato nulla, nemmeno il bacio. E per lui sarebbe
stata la stessa identica cosa.
Dopo quei
minuti di riflessione si guardò un istante attorno e
domandò, appoggiando una mano sul fianco mentre si grattava
un orecchio, con la finezza che lo caratterizzava:
“Cos’è
tutto questo silenzio? Dove sono tutti?”
Kuroko
scrollò le spalle: “Non lo so, Aomine-kun. Magari
sono ancora in spiaggia.”
“Non
mi è sembrato di averli visti.” Fece presente
Daiki, in procinto di sbirciare oltre l’imposta della
finestra. Kuroko assottigliò impercettibilmente gli occhi.
Per
tutto ciò che non riguarda il basket ha l’intuito
di una pietra, proprio stasera doveva riscoprirsi tanto osservatore?
“Andiamo
a chiedere alla signora Wakabayashi.” Suggerì
all’ultimo, battendogli una breve ma decisa pacca sulla
spalla per costringerlo a bloccare ogni curiosità
inopportuna.
“Va
bene, va bene Tetsu.” Borbottò Aomine per poi
mettere la mano sulla porta ed entrare, anche se dopo aver lanciato una
breve occhiata a Kuroko.
Poi mise
piede nell’oscurità e borbottò qualcosa
sulla luce che faceva schifo, visto che si decideva a saltare proprio
quando lui aveva più bisogno di vedere. Accennando a un
sorriso per i suoi modi un po’ burberi e per il fatto che non
si fosse nemmeno avvicinato all’interruttore, Kuroko gli
suggerì:
“Magari
puoi provare ad accenderla, la luce.”
Prima che
Daiki potesse replicare, Tetsuya premette l’interruttore e i
due ragazzi vennero illuminati dalle lampade della sala del ryokan ma
non solo… c’erano appese per le travi in legno
anche tante luci colorate, dal blu all’arancione, che fecero
sembrare il luogo un ambiente in festa.
E
poi… Kagami, Kise e Momoi che saltarono su da dietro dei
tavolini, con le braccia spalancate e il sorriso allegro:
“Buon
compleanno, Aomine!”
Lo dissero
anche Midorima, che si era compostamente messo in piedi, imitato da un
più entusiasta Takao, Murasakibara, che pure era salito a
rallentatore, per finire anche Akashi, il quale non aveva urlato come
gli altri ma sorrideva appena, con le braccia incrociate e lo sguardo
fiero del capitano.
Fecero il
loro ingresso dal retro la signora Wakabayashi, seguita da alcuni degli
anziani avventori del ryokan, che nei giorni passati si erano tanto
divertiti con quei giovani allegri e pieni di vita.
Applaudirono
tutti e qualcuno fece volare delle stelle filanti.
Aomine era
rimasto immobile per tutto quel tempo, con gli occhi incapaci di
chiudersi, la salivazione ridotta a zero e lo sguardo che si spostava
sui ragazzi che anni fa erano stati i suoi migliori amici, la sua
squadra, poi i rivali e l’ispirazione per rimettersi in gioco
e cambiare. Guardò Momoi, che l’aveva sempre
supportato e sopportato, poi lentamente si voltò verso
Kuroko.
“Tetsu.”
Gli disse.
Ma richiuse la bocca.
“Auguri,
Aomine-kun.”
Gli rispose
applaudendo a sua volta, con quel sorriso accennato ma così
vero e diretto da spiazzare. E Daiki, ragazzo egocentrico, introverso
– nonostante in passato fosse stato tanto aperto e sorridente
da non sembrare più lo stesso, capace in seguito di
allontanare e disprezzare la gente – si ritrovò
per la prima volta da quando tutto era cambiato davvero completo e
felice. Così tanto da non desiderare di essere altrove o con
altre persone.
“Grazie.”
Disse
semplicemente. Si inchinò.
Gli astanti
lo guardarono, qualcuno perplesso per quel gesto di profonda
umiltà e sincero ringraziamento, proveniente proprio da uno
che si era sempre creduto troppo superiore per quelle cose. Infine
sorrisero e si avvicinarono, esultanti, Kagami battendo qualche sonora
pacca sulla spalla, Kise andandolo ad abbracciare senza smetterla di
inneggiare alla festa che avevano organizzato.
Si presero
in giro, scherzarono, poi si sedettero tutti presso i tavolini bassi,
uniti per l’occasione. C’era odore di cibo, di
festa e di salsedine, portata da Aomine e Kuroko che non si erano
cambiati, ma anche dal mare che risuonava oltre le mura e sulla
spiaggia, con la grancassa della risacca.
Ci fu poi la
torta e, siccome Aomine si rifiutava all’inizio di soffiare
le candeline, Kagami e Kise si avvicinarono con l’intento di
farlo al posto suo, convinti che l’inaffondabile
competitività di Daiki si sarebbe rivelata in tutta la sua
potenza. Infatti così fu e il ragazzo li
spintonò, per anticiparli e non permettere loro che lo
battessero sul tempo nel fare un gesto tanto semplice.
Ci furono
ancora cori di auguri, poi Akashi domandò, guardando Kagami:
“Taiga,
ci pensi tu?”
Questi
annuì. Qualcuno sorrise, altri ridacchiarono compiaciuti.
“Anche
se non mi piace ammetterlo – Momoi gli lanciò
un’occhiataccia, Akashi fu semplicemente glaciale nel
guardarlo, dunque il giocatore della Seirin dovette correggere il tiro,
dando un colpo di tosse – dicevo… dopo tutti
questi anni che ci conosciamo, di vittorie e di sconfitte, nonostante i
nostri caratteri non propriamente pacati, ho da riconoscerti un grande
merito.”
Aomine
sollevò un sopracciglio, perplesso di fronte a
quell’ammissione, ma non replicò.
Così
Kagami proseguì, guardandolo negli occhi: “Oltre a
essere un giocatore che, francamente, ancora non riesco a prevedere e,
dannato, prima o poi riuscirò a capire e ostacolare i tuoi
movimenti, specie da quando ti sei finalmente allenato come si
deve…”
“Kagami-kun,
stai divagando.” Intervenne Kuroko.
“Ok,
vero, comunque un tuo merito è stato cominciare a credere
negli altri. Hai creduto in me, quando mi hai dato le tue scarpe prima
della partita, ma anche in Kuroko e in tutti noi. E’ per
quello che sei migliorato tanto, che hai ripreso a giocare con
entusiasmo e amare veramente il basket. Perché hai creduto
che noi tutti potessimo essere degni avversari ma, soprattutto, amici.
Non
è forse molto ma ci tenevamo a darti questo, da parte di
tutti noi.”
Gli porse un
pacchetto regalo rettangolare.
Con
l’espressione a metà tra lo stupito e
l’emozionato, Aomine aprì l’incarto e
scoprì che conteneva una scatola con dentro…
delle scarpe da basket.
Nere, come
piacevano a lui, e di un modello così simile a quello che
anni fa aveva dato a Kagami e che con il tempo si era consumato.
Per
giocare ancora. Assieme.
***
Akashi era
seduto sul porticato, fuori dal ryokan. Avevano tutti finito di
risistemare la sala e ormai la luna era alta nel cielo, con le sue
stelle, capaci di rendere il mare una calma superficie oscura, lucente
come se fosse stata uno specchio.
Kuroko si
sedette al suo fianco e per qualche minuto rimasero entrambi,
silenziosi, a guardare il cielo e il mare di fronte a loro.
“Grazie,
Akashi-kun.”
Disse
all’improvviso il ragazzo.
Akashi
voltò lo sguardo verso di lui, per poi tornare a guardare le
stelle con un accenno di sorriso:
“Non
ho fatto niente.”
“Hai
sempre cercato di tenere uniti tutti noi.”
Il Capitano
della Rakuzan non replicò, rimanendo silenzioso. Sapeva che
dopo l’estate le cose sarebbero state più
difficili, con gli esami, il suo obbligo a dedicare meno tempo al
basket e la prospettiva in testa degli studi futuri, scelti per poter
continuare a giocare. Quante situazioni sarebbero cambiate nel
frattempo, quanti rapporti persi e amicizie dimenticate.
Man mano li
raggiunsero gli altri. Qualcuno si sedette di fianco a lui e Kuroko,
come Aomine e Momoi, altri sulla sabbia o sulle scale.
Ci fu
qualche ulteriore chiacchiera e risata. Infine Akashi disse, alzandosi
in piedi:
“Devo
farvi un annuncio. Da dopo l’estate dovrò ridurre
il mio impegno con la squadra di basket. E’ probabile che
partecipi ancora a qualche partita ma cederò il mio ruolo di
capitano. I ragazzi del secondo anno dovranno cominciare a sostituirsi
a noi del terzo, com’è giusto che sia. Di
conseguenza… potrò giocare poco o niente anche
con voi. Scusatemi sin da ora.”
Tutti lo
guardarono, esterrefatti. Ma intimamente era ragionevole che uno come
Akashi dovesse fare delle scelte importanti a beneficio dello studio,
visto le mire ambiziose che la sua famiglia aveva sempre coltivato per
lui.
Dopo un
istante, Aomine si alzò a sua volta:
“Beh,
dobbiamo guardare al futuro, allora. Tetsu e io abbiamo scelto
l’università.”
Akashi lo
fissò, senza però far trapelare nulla, eccetto un
lieve stupore.
“Oh,
finalmente, ti sei deciso Ahomine! Comunque sappi che ti
batterò anche se saremo nella stessa squadra.
L’asso sarò io.”
Disse
Kagami, puntandosi il pollice contro il petto.
“Scordatelo,
Bakagami – poi si voltò verso Kuroko –
lui lo sapeva?”
“Aomine-kun,
ti ricordo che siamo in squadra assieme, nella stessa scuola. Ovvio che
ci siamo confrontati.”
Ma
con te, Aomine-kun, è stato decisamente più
difficile. Perché credevo che saresti andato altrove e non
ti sarebbe più importato di nient’altro.
“Ehi,
ho scelto anch’io l’università.
Sarà la stessa?” investigò Kise.
“Spero
di no.” Sbottò Midorima.
Takao gli
dette una manata sulla spalla: “Ma dai, che ti sei fatto
subito convincere da Akashi. E so che ti sei informato da Momoi per
sapere che avessero deciso gli altri.”
“Sta’
zitto.” Gli ordinò il tiratore da tre punti,
lapidario e imbarazzato.
Murasakibara
guardò Akashi, infine dopo un attimo di silenzio gli disse:
“Joochi.
L’hai suggerita a tutti noi, no?”
Gli altri
guardarono Murasakibara, che però fissava Akashi. Fu allora
che si voltarono verso quest’ultimo e lo videro per quello
che egli era: non solo una divinità, un genio assoluto in
qualunque cosa facesse, un capitano venerato e amato dai propri
compagni che esigeva sempre il massimo, soprattutto da se stesso. Ma
anche un ragazzo, legato come tutti loro dagli obblighi della vita e
dai sacrifici, che aveva infine disteso il volto in un sorriso,
nonostante lo sguardo stupito, di chi non era abituato a essere confuso
e capito, fino in fondo.
Aveva
parlato a ciascuno di loro dell’università,
proprio perché voleva che in futuro non ci fossero
rimpianti, che ognuno costruisse la sua scelta poiché
credeva davvero che quel luogo fosse adatto per vederli crescere, nel
basket, nello studio, in qualsiasi cosa avrebbero voluto intraprendere
nella vita.
Si aspettava
riflessioni in merito da parte degli altri ma…
“Mi
state dicendo che tutti avete scelto la Joochi?”
Domandò,
guardandoli uno ad uno. E ognuno annuì.
Seijuro si
sedette.
Kuroko lo
guardò: “E’ tempo che anche noi, in
fondo, contribuiamo a tenerci uniti, Akashi-kun.”
L’imperatore
sorrise. Pensò che quell’estate era stata la
più splendida e perfetta della sua vita.
***
“Sai
cosa mi fa venire in mente l’estate, Tetsu?”
“Cosa,
Aomine-kun?”
“Le
cicale. Un tempo pensavo fosse il mare. Ma… il mare non
è ovunque. Invece d’estate, in qualsiasi luogo tu
sia, la sera affacciandoti alla finestra sentirai sempre le cicale
frinire.”
Si
guardarono, prima di andare a dormire e l’indomani ripartire.
Ovunque io
sarò, con gli anni a venire, mi ricorderò per
sempre di questi giorni. Come
se quel frinire, la risacca e il mare sugli scogli, li avessi dentro di
me, assieme a tutto ciò che ho provato.
Sproloqui
di una zucca
Ebbene sì,
eccoci all'ultimo capitolo. Quanto mi mancheranno questi ragazzi,
davvero. Dopo aver concluso in una lettura pazza e disperatissima il
manga e l'anime avevo un vuoto dentro, misto ad esaltazione (dopo un
breve assaggio di fangirlismo con lo speciale Extra Game del quale
attendo a settembre il film subbato), perché avevo bisogno
di capire che accidenti accadesse a questi ragazzi in futuro. Hanno
tutto il liceo davanti e poi la vita... sta situazione s'ha da
proseguire. Quindi meno male che ci sono le fanfiction e la scrittura,
per colmare tali necessità.
Questo è il
risultato del mio desiderio di immaginare la generazione dei miracoli
et aggregati assieme, ancora, nella loro quotidianità.
Tirando le somme è una storia semplice, proprio
perché è pensata in quest'ottica di
normalità e affetto - posso arrivare a standard molto crudi
e brutali, segno che ho un bel bipolarismo da curare XD
E' irreale che
davvero, alla fine, tutti i ragazzi decidano di andare alla stessa
università, per quanto in Giappone il sistema universitario
sia molto diverso dal nostro ed, effettivamente, una struttura
complessa possa racchiudere numerose facoltà ed esistano
club importanti per gli sbocchi nel mondo sportivo/agonistico.
Maaaaa.... tant'è, avevo voglia di sognare e di immaginare
ancora i nostri ragazzi assieme, in una vera squadra.
Kagami, Kise e Aomine
faranno a botte per il titolo di asso, Akashi calcioroterà
il capitano prendendo automaticamente il suo posto, Midorima e
Murasakibara saranno titolari appena messo piede in palestra e
Kuroko... verrà scartato XD Per poi venire riammesso dopo le
minacce/preghiere degli altri. Oh, ovviamente Tetsu e Deiki staranno
assieme <3 In un modo o nell'altro XD
Wow, c'è
materiale per una nuova storia! Olé!
Scherzi a parte,
grazie davvero ha quanti hanno letto. Se voleste esprimere la vostra
opinione generale in merito, risponderò con giuoia.
Nuovamente grazie e
alla prossima storia!
Più Aomine
e Kuroko per tutti :3
Se Aomine li avesse
scoperti organizzare il suo compleanno sarebbe morto XD
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