Prayer of mending

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Se c'è qualcuno che Tetsu scuderà, quello sono io! ***
Capitolo 2: *** Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun. ***
Capitolo 3: *** Arriverà il momento in cui dovrai capire cos'è che vuoi veramente ***
Capitolo 4: *** Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli. ***
Capitolo 5: *** Più io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace. ***
Capitolo 6: *** Tieni. Ho più pazienza di te, posso aspettare. ***
Capitolo 7: *** Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre. ***



Capitolo 1
*** Se c'è qualcuno che Tetsu scuderà, quello sono io! ***


Piccola premessina: tra le altre cose che faranno i Ragazzi della Generazione dei Miracoli, ci sarà il gioco online - come da titolo della fanfiction. Il gioco è World of Warcraft - nel testo citato solo una volta con l'acronimo di Wow. In Giappone ci sono tonnellate di MMO ma ho scelto Wow perché mi sembrava il più internazionale, dato anche il carattere avanti coi tempi di Akashi. La Blizzard non mi ha pagato per parlare di Wow e delle sue classi (anzi, sono io che devolvo mensilmente un canone, maledetta Blizzy).
A seguito un breve compendio per cercare di capire che ghezz dicono i nostri eroi (e, credetemi, potevo fare molto peggio e scadere in tecnicismi da nerdona asociale da scrivania XD):
Dps: quello che fa danni (ma si intende anche il danno: Damage Per Second); dps counter: contatore della quantità di danno fatta da ciascun giocatore in uno scontro, ci sono delle mod apposite per vederlo (mod: modifiche fatte da altri giocatori).
Healer: quello che cura
Tank: quello che raduna i mostri (mob ) e acchiappa mazzate
Dot: attacco/cura nel tempo (tipo Regen, per chi ha mai giocato a Final Fantasy o Bio/Poison)
Dungeon: stanza/posto d’attacco (qui ci sarebbero da spendere un bel po' di parole ma... risparmio i dettaglio XD)
Rotation: sequenza di attacchi
Pvp: player vs player, scontro tra giocatori
Rogue: classe di gioco. Tipo assassino.
Server: bacino che racchiude un numero elevato di giocatori (di solito si differenziano in base alla zona geografica EU, USA etc.)
Raid: simile al dungeon ma con molti più giocatori, anziché 5 anche 20 etc...

Ogni party/squadra in un dungeon è composta da: 1 tank, 1 healer e 3 dps. Infine: non si può fare pvp nel dungeon ma.... puppa. Mi piaceva così. Inoltre i dungeon di solito sono belli lunghi, fingiamo che i nostri giocatori abbiano un dps da paura!


Se c'è qualcuno che Tetsu curerà, quello sono io!


Kyaaaah <3 sei così fortunata a stare con Aomine-kun, non sai quanto ti invidio! >///<

Sai, pensavo di invitarti ad uscire assieme uno di questi giorni, poi ho visto che stai con Aomine: scusa ma non voglio che mi spacchi la faccia ^^’

Momoi fece scorrere i vari messaggi sul cellulare, poi sospirò e lo mise via; siccome sin dall’infanzia aveva scelto di prendersi cura di quello scemo di Dai-chan, alla fin fine doveva aspettarsi un simile risultato. Tutti finivano inevitabilmente per crederli una coppia, vedendoli assieme, peccato che in quegli anni non si fossero scambiati nemmeno un abbraccio, figurarsi un bacio.
Ogni tanto le era capitato di pensare a come sarebbe stato avere Dai-chan come ragazzo, ma la questione si interrompeva ancora prima di formulare concretamente un’idea: Aomine Daiki era rozzo, diretto in una maniera spaventosa, pigro quando si trattava di una cosa che non gli interessava, disordinato all’ennesima potenza e totalmente disabituato a ogni forma di gentilezza o dimostrazione d’affetto. Perlomeno, a volte lo faceva ma non in maniera convenzionale.
Con i nomi, per esempio. C’erano solo due persone che chiamava per nome, con quell’aperta confidenza che lasciava sempre un po’ stranito chi non lo conosceva: una era lei, l’altro era...
“Tetsu! Curami e lascia perdere quell’idiota!”
Scrutando la finestra aperta della camera di Daiki, dalla quale provenivano le sue urla, Momoi sorrise. Scosse la testa e aprì la porta d’ingresso girando semplicemente la maniglia, dato che il proprietario di casa non si era nemmeno scomodato a chiuderla a chiave, pur essendo da solo.
Si avventurò lungo il corridoio centrale: ormai conosceva a memoria ogni angolo di quella villetta a schiera, una come tante nel tranquillo quartiere residenziale dove Daiki e la sua famiglia abitavano. Passò oltre le poche foto di famiglia appese, solo una delle quali ritraeva Aomine con la divisa da basket, e salì le scale, notando immediatamente il mucchietto di vestiti appallottolati vicini al bagno che, li riconobbe, appartenevano sicuramente al ragazzo. Roteò gli occhi, li raccolse e li mise nel cesto della roba da lavare: era sempre così, Aomine non vedeva quasi mai i suoi genitori, quindi finiva per lasciare ogni volta le cose un po’ dove capitavano. Anche per questo Momoi aveva deciso di stargli accanto, per farlo sentire meno solo, per aiutarlo, per essergli vicino perché altrimenti nessuno avrebbe pensato a guidarlo in tutti quegli anni. E Aomine, lei lo sapeva persin troppo bene, era un tipo che sbandava facilmente.
Entrò nella sua camera ma non passò subito la soglia.
Appoggiò una spalla allo stipite e osservò un istante la scena davanti agli occhi. La camera di Aomine era infatti qualcosa di vicino a un’esplosione nucleare: letto disfatto nel quale si era creata una palla gigantesca di lenzuola, vestiti e forse... asciugamani; fumetti, riviste di idol, videogiochi sparsi a terra e appoggiati distrattamente su qualche mensola, mentre i libri intonsi giacevano dimenticati in un angolo della libreria; due palloni da basket, qualche paio di scarpe nere che costavano tutto quello che Aomine poteva permettersi e la divisa della Too appesa, l’unico oggetto trattato davvero con cura. Sulla sedia di fronte alla scrivania, con un piede nudo sopra e l’altro a terra, stava seduto Daiki: aveva una canotta nera slargata addosso, vecchi pantaloncini da basket e delle cuffie da gaming attorno al collo, con il microfono sollevato, mentre la faccia era un mix tra concentrazione e rabbia.
Sbatté un pugno sul tavolo, inveendo contro uno schermo dove si muovevano altri personaggi di un videogioco che lanciavano magie o sparavano, in un tripudio di luci e suoni.
Momoi accennò ad un sorriso nel vedere Daiki così impegnato in un qualcosa che non fosse il basket: anche quella volta Akashi ci aveva visto giusto.
“Tetsu, giuro che se curi un’altra volta Bakagami al posto mio divento healer per curarmi da solo.”
L’unico che può curare me sono io, gnegnegne.” Qualcuno replicò attraverso le casse accese, imitando la voce di Aomine; Momoi riconobbe il timbro di Kagami.
Aomine cliccò con più foga su mouse e tastiera: “Sta’ zitto Bakagami, il tuo dps fa così schifo che faresti meglio a chiudere l’account.”
Ahomine ti sfido qui ed ora ad un pvp, ho una nuova rotation che ti farà talmente male da chiedermi come ho fatto a ucciderti.”
Ma prima che Aomine potesse replicare, Momoi sentì in cassa la voce tranquilla di Kuroko che intervenne:
“A dire il vero, Aomine-kun, tu avevi già un dot di cura addosso ed eri scudato, quindi non saresti comunque morto. Kagami-kun invece stava per morire malamente e, anche se tu sei di poco superiore a lui in dps, un uomo in meno in campo poteva fare la differenza.”
Awww, come sembra saggio ed esperto Testu-kun rispetto agli altri. Momoi arrossì, pensandolo: aveva sempre ritenuto Kuroko un ragazzo ammirevole, così a modo, così composto e cool.
“Kuroko, maledetto, tu dovresti supportarmi, non motivare l’ego smisurato di uno come Aomine che, lo sai, dipendesse da lui andrebbe dritto fino in fondo al dungeon lasciando morire gli healer come te!”
Aomine grugnì qualcosa, cambiando posizione sulla sedia: “Siete lenti, non è ver...”
“Vero, è stato orribile – proruppe Kise – ho visto Kurokocchi schiattare circondato da tre mostri. Nemmeno le mie abilità da rogue sono servite a qualcosa.”
“Grazie, Kise-kun.”
Momoi non lo vide, avvicinandosi alle spalle, ma era convinta che a quel punto Aomine avesse roteato gli occhi. Si stava grattando un’orecchia per poi replicare piccato:
“Lì è colpa del tank che non sa tenersi i mostri a bada.”
Ci fu il silenzio. Aomine dette ancora qualche colpo con il suo personaggio capace di trasformarsi in una velocissima tigre, mentre il warrior impersonato da Kagami stava issando già la bandiera per avviare uno scontro tra giocatori.
“Murasakibaracchi?” domandò Kise, mettendo a danzare la sua bellissima Elfa del Sangue sul corpo di uno dei mostri appena uccisi.
Altro silenzio. Aomine, come più o meno tutti gli altri, ruotò la telecamera e vide il personaggio di Murasakibara ancora all’inizio del dungeon, giusto a qualche centinaio di metri in pixel del corridoio, immobile.
Fu Akashi a parlare, che era fuori dal dungeon ma stava controllando chi in giro per il server potesse partecipare al raid previsto a breve:
“Data l’assenza di risposta, suppongo che sia andato a prendere da mangiare.”
“Aka-chin? – finalmente risuonò la voce un po’ strascicata di Murasakibara, seguita da uno scrocchiare di patatine – A che punto siete, avete finito?”
Spazientito Aomine si puntò il microfono più vicino e replicò: “Che accidenti vuol dire avete finito? Capite poi perché Testu muore?”
“Veramente sono vivo, Aomine-kun.”
Uno sbuffo in cassa: “Mi annoiano i dungeon, sono troppo facili, ho voglia di distruggervi tutti per divertirmi.”
Altro rumore di patatine che risuonarono nella cassa di Aomine come se stessero per esplodere. Ma nonostante tutto il personaggio di Murasakibara, un non morto altissimo e con le spalle leggermente incurvate in avanti, si mosse trotterellando con calma.
“Beh, chissene importa. Ahomine noi due abbiamo un conto in sospeso, ho intenzione di farti implodere, dannato!”
“Posso dire lo stesso Bakagami, tieni d’occhio il dps counter e vedi i numeri che faccio!”
Rise ma, prima che potessero cominciare, risuonò la voce di Akashi nuovamente in cassa; persino Murasakibara smise di mangiare:
“Forse non è questo il momento di scontrarvi tra di voi. Salutami Momoi-san, Aomine.”
“Satsuki? Ma che dici Akashi, se Satsuki fosse qui me ne sarei accorto!”
Scosse la testa, girandosi come per dimostrare al loro capogilda che non c’era nessuno nella sua stanza, invece sussultò sulla sedia quando si accorse che in piedi, sorridente e con una pila di fascicoli in mano, c’era proprio Momoi.
“Satsuki! – esclamò – Che stavi facendo? Potevi dirmelo che c’eri!”
“Momocchi!” la voce entusiasta di Kise.
“Solo uno stupido come Aomine potrebbe non rendersi conto di avere una donna in camera.” Lo prese in giro Kagami, ignorando il fatto che per mesi la sua coach gli era rimasta piantonata in casa e per poco non gli faceva prendere un infarto quando se l’era ritrovata nel letto.
“Vero!” aggiunse Kuroko, altro grande esperto.
Momoi rise e appoggiò i fascicoli sui pochi centimetri di scrivania liberi, commentando:
“Ciao a tutti ragazzi, come mi ha chiesto Akashi ho portato un resoconto delle gilde più forti che ho supervisionato in questi giorni, così possiamo studiare i punti su cui lavorare.”
“Ottimo lavoro come sempre, Momoi-san, grazie. Il nostro obiettivo di diventare la gilda più forte è ormai prossimo.” Assicurò Akashi.
Aomine fece una smorfia, guardando quella tonnellata di fogli da leggere. Akashi e le sue idee, come accidenti era riuscito a convincere tutti ad iscriversi a Wow, praticamente organizzando il tempo di ognuno tra gli allenamenti con le rispettive squadre, lo studio e il resto?
Dopo la pausa estiva, che sarebbe iniziata tra una settimana, ci sarebbero stati gli ultimi mesi di scuola e poi... l’università. Aomine occhieggiò i vari volantini e cataloghi delle università che erano passate in visita di recente, apparentemente dimenticati sulla scrivania assieme a tutto il resto.
E tu... che università farai, Tetsu?
Momoi puntellò i pugni sui fianchi e lo rimproverò:
“Dai-chan non hai ancora nemmeno guardato i depliant delle università – dannazione, perché Satsuki sapeva sempre leggerlo nel pensiero? Era inquietante – e io ti ho già tolto quelle che non hanno il club di basket. Poi un sacco di allenatori hanno chiesto di te, hai almeno dato un’occhiata alla mia valutazione su quelle con le squadre più interessanti?”
“Aominecchi non fare arrabbiare Momocchi!” gli consigliò Kise, mentre cominciava già ad attaccare qualche altro mostro avanzando nel dungeon. Pure Murasakibara si mosse, stando fermo finiva per annoiarsi: “Ti schiaccio la testa.” Aggiunse.
Aomine, il cui personaggio era fermo davanti a Kagami, sospirò facendo una leggera smorfia:
“No, sei noiosa Satsuki – tacque un istante, poi aggiunse – va bene, stasera li guardo.”
“Promesso?” insistette lei, costringendolo a fissarla.
Lui non deviò lo sguardo: “Promesso.”
Dannazione a lei e alla sua ostinazione.
“E metti a posto la tua camera, ti do una mano io quando finisci. Lasciatelo dire, fa davvero un po’ schifo.”
“Che palle – sbottò – va bene, va bene, metto a posto ma poi tu mi compri da mangiare perché non ho certo voglia di prep...”
Non finì di parlare perché Kagami lo attaccò, esclamando: “Muoviti! Pensavo saresti stato più veloce!”
“Kagami! Bastardo!”
“Momoi-san – la voce di Akashi si sentì chiaramente, nonostante le parolacce e il frenetico battere sulla tastiera di Aomine – temo dovrai aspettare che finiscano. Tanto adesso dovrebbe essere rientrato a casa Midorima che può prendere il posto di Aomine.”
Momoi sorrise: “Vi guardo volentieri, è bello vedervi così entusiasti.”
Osservò i personaggi di Aomine e Kagami scattare sullo schermo, finché quest’ultimo esclamò:
“Kuroko, ora è tempo che mi lanci quello scudo e facciamo vedere a quest’egocentrico cos’è il gioco di squadra! Assieme porteremo a casa la vittoria!”
Aomine schioccò la lingua, per poi fare un sorriso esaltato: “Se c’è qualcuno che Tetsu scuderà, quello sono io!”
Kuroko...
Testu...

... ora!
Esclamarono entrambi, in contemporanea. Ciascuno, convinto di ricevere lo scudo da Kuroko, aveva lanciato il proprio personaggio in fin di vita contro l’avversario, spinti entrambi dall’impellenza di trionfare sull’altro, senza dunque prendersi una pozione di cura o giocare con più prudenza.
Ma... finirono per morire tutti e due, sempre in contemporanea: nessuno dei contendenti, infatti, aveva ricevuto alcuna forma di scudo.
“Kuroko ma che fai?” sentì esclamare Kagami, che sembrava quasi ringhiare.“Testu per... – Aomine mosse la telecamera attorno al suo personaggio riverso per terra – oi, ma dov’è andato?”
Guardò più avanti e vide Tetsuya curare Murasakibara mentre affrontava alcuni mostri.
“Veramente Kurokocchi è con me e Murasakibaracchi.” Constatò Kise che faceva volteggiare la sua rogue per aria.
“Aomine-kun, Kagami-kun conviene che resuscitiate e ci raggiungiate: stiamo per arrivare al boss finale, così Momoi-san non attende troppo.”
Momoi arrossì. Aomine suo malgrado sorrise: anche in un videogioco, anche a distanza di anni, Kuroko riusciva comunque a sorprenderlo e a far si che, in un modo o nell’altro, lo seguisse.

Sproloqui di una zucca

Ebbene sì, colpisco anche su questo fandom. Dopo mesi e mesi di fangirlaggio selvatico su Kuroko's basket, finalmente pubblico qualcosa riguardo un manga e anime che personalmente adoro. Tutti i personaggi mi hanno lasciato qualcosa ma in particolar modo mi hanno colpito profondamente il legame, la storia e le vicende di Aomine e Kuroko. Il che per me è strano: di solito propendo per far legale due personaggi stronzi, violenti e psicopatici, ma come in ogni cosa ci sono sempre delle eccezioni. Kuroko e Aomine sono, appunto, una di queste.
Perché Kuroko non è dolce, né puccioso, è un personaggio positivo, certo, con le sue umane debolezze e la consapevolezza dei propri limiti ma, proprio per questo, da il meglio di sé e non si arrende; soprattutto è un catalizzatore, paradossale per uno che passa sempre inosservato, e finisce per essere il legante della squadra. Aomine, per contro, pur essendo all'apparenza forte, stronzificato nel tempo, burbero e quasi deluso dal resto del mondo, è a suo modo fragile, incapace di affrontare il suo cambiamento e capire cosa potesse provare chi lo circondava.
Amo la loro amicizia profonda, il distacco terribile che si viene a creare, il conflitto di entrambi e la maniera quasi spontanea con cui si riavvicinano, nonostante la fatica fatta da Aomine.
Questa fiction sarà una long non troppo long, nella quale immagino come potrebbe dipanarsi nel tempo il rapporto tra Kuroko e Aomine, in una maniera realistica, per quanto possibile, anche se con note fluff che andranno a scandire momenti più nostalgici e, in un certo senso, riflessivi.
Parlerò anche di Momoi, del suo rapporto con Aomine, ma anche degli altri ragazzi della Generazione di Miracoli, con i dovuti spazi.
Grazie per aver cominciato con me questa storia!

Ps: prayer of mending, il cui nome letteralmente significa Preghiera di Riparazione, è un incantesimo che lancia la classe Priest (che non a caso usa Akashi) e l'ho trovata appropriata. Mend vuol dire proprio riparare qualcosa di rotto o danneggiato. Credo che a modo loro tutti i ragazzi della generazione dei miracoli stiano cercando di ricucire un rapporto, tra di loro, che credevano aver perduto per sempre.
Il titolo di ciascun capitolo è una frase che uno dei personaggi pronuncia, omaggio al manga.






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Capitolo 2
*** Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun. ***






Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun.



Qualche mese prima


Akashi era seduto al tavolo con davanti otto cartelline distinte, ordinatamente affiancate l’una all’altra, un bicchiere d’acqua poco distante dalle sue mani intrecciate e lo sguardo attento con cui osservava Kagami, intento a cucinare qualcosa in vista dell’invasione prossima dei futuri ospiti in casa sua.
L’Imperatore si era preso una settimana di tempo per elaborare in ogni minimo dettaglio il suo piano, anche se era da diversi mesi che ci pensava. Pensava al fatto che ormai sin dal primo anno del liceo lui e i suoi vecchi compagni delle medie, la famosa Generazione dei Miracoli, si erano in qualche modo ritrovati: non solo sul campo, da avversari, ma in seguito anche come amici. Avevano festeggiato i rispettivi compleanni, le festività, ogni tanto uscivano o si facevano una partita assieme, in base a cosa dettava l’ispirazione del momento.
Poi con l’ultimo anno aveva cominciato a farsi più pressante la questione dell’università: tutti quanti erano giocatori conosciuti, quindi facilmente sarebbero stati cercati da università con club all’altezza delle loro aspettative, ma spesso la sola abilità di gioco non era sufficiente. Una media accettabile agli esami d’ammissione era comunque la prassi, se non altro per università prestigiose e quindi con attrezzature sportive adeguate.
Ogni tanto Akashi si soffermava a domandarsi come sarebbe stato avere nuovamente la Generazione dei Miracoli riunita sotto lo stesso vessillo e, allo stesso tempo, quanti altri membri delle loro rispettive squadre del liceo li avrebbero seguiti. Forse per allora sarebbero stati tutti sufficientemente maturi da accettare i rispettivi tratti di forza e non farne un terreno d’attrito. Magari, a quel punto, avrebbero intrapreso le nazionali e poi ancora le olimpiadi... sorrise, stupendosi di quanto la sua mente sapesse guardare avanti.
Ma erano ancora al liceo e, sebbene all’ultimo anno, potevano cambiare tante cose. Occorreva seminare il terreno, poi col tempo si sarebbero visti i frutti: a prescindere dall’università, tutti quanti potevano imparare a rapportarsi meglio tra di loro, in fin dei conti.
Con ancora il grembiule addosso e un mestolo in mano, Kagami puntò una mano sul fianco, mettendosi lo strofinaccio in spalla:
“Non so esattamente cosa tu stia architettando, né perché debba ritrovarmi una mandria di persone in casa ma... facciamo che mi fido e ti lascio fare – guardò l’orologio appeso alla parete – a breve dovrebb...”
In quel preciso istante suonò il campanello.
“Tutti conoscono il tuo appartamento, mi sembrava il luogo più comodo e tranquillo nel quale trovarci. Grazie per la fiducia.” Aggiunse Akashi con il suo fare tranquillo che, tendenzialmente, rendeva le persone disposte a seguirlo fino alla morte. Un potere da nulla, insomma.
Kagami si limitò ad annuire, un po’ stranito come sempre quando aveva a che fare con uno come Akashi, e andò ad aprire: davanti si trovò Aomine, con l’aria apparentemente seccata, poi intravide Momoi che entusiasta si strapazzava qualcosa.
“Aomine, come mai tutta questa puntualità?” scherzò, appoggiandosi allo stipite.
Aomine, con le mani nella tasca della felpa, scrollò le spalle poi diede un’occhiata dietro di sé:
“Satsuki è passata a prendermi dicendo che dovevamo sbrigarci. Poi abbiamo incrociato Tetsu.”
“Kuroko?” domandò Kagami, non realizzando che ci fosse anche lui.
Aomine si scostò, giusto per lasciare intravedere Kuroko stritolato dagli abbracci di Momoi. Il ragazzo sollevò una mano per salutare, con gli occhi azzurri che non battevano ciglio e il sorriso fantasma, esattamente come lui:
“Ciao, Kagami-kun.”
Quest’ultimo emanò un breve sospiro, poi si spostò:
“Entrate.”
Aomine non metteva piede nell’appartamento di Kagami da diverso tempo ma riuscì comunque a stupirsi di come una persona del genere sapesse essere così straordinariamente ordinata. Le prime volte aveva addirittura pensato che quel posto non fosse nemmeno suo.
Akashi si alzò in piedi e li salutò, mentre Momoi gli consegnò una cartellina nella quale aveva preso degli appunti, poi nel vedere la faccia perplessa di Aomine si limitò a dire:
“A breve ti sarà tutto più chiaro.”
Suonò la notifica di un messaggio sul cellulare e, siccome era stato creato appositamente un gruppo su Whatsapp per l’evento, tutti quanti sapevano che doveva trattarsi di uno di loro. Kuroko tirò fuori il cellulare e, senza dire una parola, fece play sul messaggio vocale che apparteneva a Kise:
“Kurokocchi! Aominecchi! Kagamicchi! – Kagami e Aomine si guardarono, spazientiti dall’evidente ed inutile lunghezza del messaggio – Murasakibacchi! Akamicchi! Midorimacchi! Momocchi! Mi hanno trattenuto allo shooting fotografico, sto arrivando!”
Prima che Akashi o Kuroko potessero digitare qualcosa, Aomine tolse di mano il cellulare a quest’ultimo e registrò un suo messaggio vocale:
“Qui c’è gente che ha da fare, arrangiati, noi cominciamo.”
T_T sei sempre così cattivo, Aominecchi.
L’emoticon di Kise fece sorridere Momoi. Aomine borbottò qualcosa, poi si sedette di peso sulla sedia, imitato dagli altri che si disposero nei posti liberi. Nel frattempo un altro degli invitati attesi suonò alla porta e Kuroko si offrì di andare ad aprire. Ancor prima di vedere chi fosse, Kagami sentì qualcuno con il fiatone che annaspava come se avesse corso una maratona di lunghezza epica.
Appoggiò  gli onigiri che aveva preparato prima e salutò i nuovi arrivati: Midorima, con in mano un salvadanaio a forma di porcellino, Murasakibara che fece penzolare tra le lunghe dita un sacchetto della spesa e…
“Takao?” domandò Kagami, avvicinandosi alla porta. Perfetto, qualcun altro che doveva aggiungersi alla già chilometrica lista degli invitati? No, perché più che una riunione sembrava una convention di spostati.
L’interpellato si mise una mano al petto, per cercare di regolarizzare la respirazione, pausa fatale che diede modo a Midorima di intervenire aggiustandosi gli occhiali:
“Se ne può anche andare, mi ha solo accompagnato fino a qui.”
Senza chiedere il permesso oltrepassò la soglia, stringendo tra le dita fasciate il porcellino.
Takao sbraitò: “Ehi, mica c’eri solo tu! Si è aggiunto pure questo… - guardò Murasakibara, in cerca di una parola adatta per definirlo – questo gigante! Già tu non è che sei proprio leggero.”
Midorima lo fulminò con lo sguardo ma Murasakibara appoggiò una mano sulla testa di Takao, che ammutolito lo lasciò fare: fu impressionante vedere che il ragazzo altissimo riusciva a coprire quasi del tutto l’ampiezza del cranio di Takao con il solo palmo.
“Ero stanco, fare tutto quel pezzo a piedi sarebbe stato difficile.”
Oltrepassò anche lui la soglia e appoggiò il sacchetto sul tavolo, dal quale caddero delle merendine talmente chimiche che probabilmente non avevano data di scadenza.
Akashi si alzò in piedi: “Può anche restare, non è una riunione segreta. Ma non è previsto comunque che Takao partecipi attivamente in seguito, per ciò che ho in mente potrebbe però supportare ugualmente Midorima.”
Quest’ultimo inarcò un sopracciglio ma si limitò a domandare: “Akashi?”
Il tiratore da tre punti si era sempre fidato dell’ex-compagno di squadra, a un livello tale che purtroppo anni fa non era stato in grado di fermare il deragliare della sua mente; certo, da allora era passato tanto tempo, ed effettivamente le cose erano molto cambiate. Akashi stesso, come tutti loro, era cambiato.
L’Imperatore si limitò ad accennare un sorriso per poi dire semplicemente:
“Sedetevi pure, Kagami ha preparato qualcosa da mangiare per tutti. Kise è un po’ in ritardo ma ci raggiungerà.”
“E dov’è Kuro-chin?” domandò Murasakibara, scrutando perplesso gli onigiri anche troppo salutari.
Kagami chiuse la porta e sussultò quando realizzò che c’era Kuroko dietro, il quale evidentemente si era spostato per far spazio agli ingombranti nuovi arrivi.
“Ciao!” li salutò semplicemente per poi sedersi accanto ad Aomine che scosse la testa, domandandosi cosa sarebbe accaduto una volta che Kuroko fosse entrato nella Zona: forse sarebbe sparito davvero, a quel punto.
Senza fare troppi complimenti, Daiki prese un onigiri e se lo mise in bocca, riempendosi le guance. Suo malgrado doveva ammettere che Kagami ci sapeva fare con la cucina, meglio certamente di Satsuki che gli propinava delle robe a volte davvero immangiabili.
Deglutì, quindi intervenne:
“Ok, di che ci dovevi parlare?”
Akashi lo guardò un istante, poi deviò il suo sguardo su Momoi: “Hai fatto quelle ricerche?”
La ragazza annuì: “Sembra che l’ultima espansione sia molto interessante. E’ previsto un boost per il livello dei personaggi: tempo una settimana e si può raggiungere il cap.”
Kagami fece una smorfia ma si sedette, optando per divorare un onigiri, mentre Aomine si portò le mani dietro la testa e allungando di più le gambe domandò con il suo solito fare garbato:
“Boost? Cap? Oi, Satsuki, da quando per parlare con te ho bisogno di un interprete?”
“Dai-chan, questi sono i termini del gioco, imparerai ad usarli anche tu.” replicò lei con un sorriso, ormai abituata al caratteraccio dell’amico d’infanzia.
“Gioco?” questa volta fu Kagami ad intervenire, con una certa perplessità mista a preoccupazione.
Akashi sospirò, mentre Midorima incrociava le braccia e Murasakibara aveva cominciato a mangiare una merendina con lentezza, come per cadenzare la masticazione con le parole di Akashi.
“E’ tempo che vi spieghi nel dettaglio. Ciascuno di voi ha un fascicolo personalizzato – in piedi,  l’ex-capitano li distribuì a tutti, girati, lasciando quello di Kise di fronte all’unico posto vuoto – ho intenzione di proporvi di sottoscrivere un abbonamento a un gioco online.”
Aomine spalancò gli occhi,  sorpreso esattamente tanto quanto gli altri, ma Kagami fu l’unico a scoppiare a ridere; pochi ridevano in presenza di Akashi, a conti fatti. Ma lui aveva vissuto in America, era evidente che non sapeva gestire certe situazioni.
“Giocare online. Questa è bella!”
“In questi fascicoli c’è il nostro personaggio?” domandò Kuroko, attento.
Con evidente compiacimento, Akashi annuì: “Ottima intuizione, Tetsuya. Ora – lanciò un’occhiata a Kagami, mentre Aomine d’istinto si mise più composto – concludo la mia spiegazione così potrete trarre le vostre conclusioni. Pensavo che in questi ultimi anni ci siamo riavvicinati parecchio, pur essendo in squadre diverse; anzi, forse è proprio per questo. Abbiamo trovato ottimi compagni e valorizzato i nostri punti forti, imparando anche a gestire meglio la squadra piuttosto che agire da soli. Non posso prevedere del tutto il futuro ma… il periodo della scelta dell’università si avvicina. Per allora vorrei che fossimo preparati non solo scolasticamente, anche a livello sociale.
Potrebbe capitare, ad esempio, che qualcuno di noi finisca nella stessa università, magari anche più di due del nostro gruppo. Voglio evitare che si ripeta ciò che è accaduto in passato e che all’epoca solo Tetsuya aveva cercato di fermare.”
Guardò intensamente Kuroko che lo fissò a sua volta; poi il ragazzo dagli occhi azzurri posò lo sguardo istintivamente su Aomine che, in realtà, lo stava osservando già da un pezzo. Per l’asso della Generazione dei Miracoli fu difficile, allora, reggere ancora l’intensità di quelle iridi tanto chiare, capaci di spiazzarlo per l’onestà diretta con la quale lo fissavano. Aomine roteò gli occhi verso il soffitto e fece una smorfia, consapevole, lo sentiva,  che pure Satsuki lo scrutava.
Anni fa aveva detto delle cose orribili a Kuroko, proprio perché intendeva farlo. Perché sapeva che Tetsu era un essere umano migliore di lui, lui che sapeva solo giocare a basket al punto da dimenticare tutto il resto. E gli dava fastidio non poter essere al suo livello, capendo che in quel modo si sarebbero allontanati per sempre; cosa che, a conti fatti, era successa comunque.
“Quindi dobbiamo giocare online per stare più assieme?” domandò con un certo spirito critico, come per allontanarsi da quei pensieri e dai ricordi. Girò il fascicolo, così che l’immagine di una creatura azzurrognola dall’aspetto repellente troneggiò in copertina; il ragazzo la fissò un istante per poi domandare irritato: “E che è sta roba?”
“Un troll, la tua razza, Dai-Chan – spiegò allegra Momoi – è per fare il druido feral, che si trasforma in una tigre. Perfetto per te.” annuì, convinta.
Aomine sollevò un labbro, in una smorfia mista tra l’incredulo e il disgustato.
Kuroko osservò la sua immagine poi commentò, guardando Aomine con imperturbabile serenità:
“Anch’io sono un troll, Aomine-kun.”
“E questo dovrebbe farmi sentire meglio, Tetsu?” domandò allargando le braccia.
Murasakibara accartocciò la confezione della merendina e commentò, dopo aver lanciato un’occhiata alla scheda personaggio di un Kagami in procinto di esplodere:
“Poteva andarti peggio: potevi essere una mucca – girò la sua scheda – oh, sono uno scheletro non morto.”
Aomine si sporse di più per vedere il personaggio di Kagami, che stava già stropicciando l’angolo della scheda prima di scoppiare, e dopo aver tentato neanche troppo di trattenersi... rise apertamente, portandosi una mano sulla pancia: “Una mucca! Ti sta a pennello, Bakagami!”
Kagami gli ringhiò contro: “Taci, Ahomine, solo un idiota come te poteva trovarsi un troll come personaggio.”
“Kagami-kun, anch’io sono un troll.” fece presente Kuroko.
“Beh, si vede che eravate amici – sbottò senza pensarci – Akashi, che storia è questa, perché sono una dannata mucca?”
Akashi aveva osservato in parte divertito, in parte incuriosito, le reazioni di tutti i ragazzi e, vedendo gli scambi di parere, nonché le lamentele come le risate, fu certo ancora una volta di aver fatto centro nelle sue scelte. Per questo non lasciò che qualche piccolo incidente estetico di percorso turbasse l’atmosfera; insomma, se persino un egocentrico come Aomine aveva accettato di avere un troll, forse consapevole di condividere lo stesso destino con Kuroko, ci sarebbe riuscito anche un entusiasta casinista come Kagami.
“Perché sei un warrior, come classe, e per il tuo stile d’attacco farai più danni: reputo che ti darà molta soddisfazione – attese un istante, per poi aggiungere quasi per sfida – Ma nel caso in cui avessi ugualmente problemi, puoi sempre pagare per cambiare razza.”
Kagami stava per ribattere qualcosa ma alla parola danni e all’idea di non riuscire a fare qualcosa... si interruppe, lasciando finire Akashi per poi domandare: “Danni, eh? Tanti?”
Akashi annuì: “Tanti.”
Kagami incrociò le braccia: “Bah, allora suppongo che pure una mucca mi vada bene. L’importante è arrivare al risultato e divertirmi facendolo.”
Kuroko si mostrò d’accordo, mentre Aomine già istintivamente dichiarava la sua aperta superiorità rispetto a Kagami, il quale non stette certo zitto.
“Comunque è un Tauren, non una mucca, giusto per la cronaca.” precisò Momoi, consapevole che tanto nessuno dei due la stava comunque ascoltando, preso com’era a imporre la propria bravura sull’altro.
“Sai un sacco di cose, Momoi-san.” constatò Kuroko, ignorando di essere nel mezzo della discussione tra il futuro tauren e il troll, sinceramente colpito dalla capacità di ricerca e di memorizzazione della ragazza, la quale arrossì.
Tetsu-kun mi ha fatto un complimento, come sono felice!
“E tu che personaggio hai avuto Mido-chin?” domandò Murasakibara, aprendo un’altra merendina, giudicando evidentemente troppo sani gli onigiri fatti in casa.
Tutti, inevitabilmente, si voltarono verso Midorima che teneva accanto a sé il salvadanaio a porcellino, oggetto fortunato del giorno, infine dopo qualche secondo di silenzio il ragazzo disse con finto distacco, mentre Takao cercava di sbirciare:
“Sono un cacciatore. Un elfo del sangue, apparentemente.”
Appoggiò con calma quasi regale la sua scheda, infine incrociò le dita sul tavolo.
“Precisamente – convenne Akashi – un hunter che fa delle capacità di tiro il suo punto forte. Non essendo l’hunter con al seguito gli animali non ho reputato opportuno fare del tuo hunter un orco; sono Elfo del Sangue anch’io.”
Girò la sua scheda e aggiunse: “Sono un priest: posso attaccare ma anche cambiare stile e curare, esattamente come Kuroko. Io e lui saremo i supporter, gli healer della squadra.”
Aomine fissò un istante prima Akashi, poi Kuroko che incredibilmente stava sorridendo, evidentemente interessato dall’idea. Scoprì di star sorridendo a sua volta, perché effettivamente ogni ruolo, personaggio e classe sembrava calzare perfettamente su di loro. Come faceva ogni dannata volta Akashi a studiarsi così bene un progetto che in altre mani sarebbe risultato semplicemente folle?
Kuroko, un supporter. E lui in attacco. Faceva quasi ridere l’assurdità perfetta della cosa.
Si passò una mano sul volto, per poi fare presente:
“Ok, capisco il riunire la Generazione dei Miracoli e capisco volerlo fare con qualcosa di alternativo ma – puntò il pollice verso Kagami – lui che c’entra, esattamente?”
Sì, rispettava Kagami come giocatore e ne riconosceva il valore, anche se faceva fatica ad ammetterlo, ma loro sei, non lui, erano parte della Generazione dei Miracoli e si conoscevano dalle medie. Non era per loro che Akashi stava muovendo tutta quella macchina contorta che era la sua testa?
Non bastava che Kagami gli avesse portato via la sua ombra?
“Ma che caz...” sbottò Kagami ma Akashi intervenne, bloccando sul nascere un’eventuale discussione. Più di tutti conosceva e capiva il legame che tempo fa Kuroko e Aomine avevano stretto, nonché il modo brusco, quasi disperato, con il quale quest’ultimo l’aveva reciso. Se solo Aomine e in seguito tutti loro avessero saputo gestire meglio la situazione magari le cose non sarebbero sfuggite di mano e Kuroko, alla fine, sarebbe rimasto. Con la solita aria di superiore tranquillità fece presente, fissando impietosamente negli occhi Aomine:
“Aomine, sii ragionevole, o almeno provaci: hai rinunciato a essere la luce di Kuroko tanti anni fa, è giusto che Kagami faccia quindi parte di questo gruppo proprio in sostituzione di ciò che tu non sei più.”
Cadde il silenzio. Murasakibara cessò di mangiare, Midorima si mise in grembo il porcellino e dilatò di più le narici, come per respirare; persino Kagami, di solito così vitale, si sentì quasi in difetto, come se fosse entrato senza volerlo in qualcosa di oscuro.
Momoi avvertì gli occhi farsi lucidi, improvvisamente: non tanto per le parole di Akashi, dure, persino spietate, bensì perché vide l’espressione di Aomine. E fu come se lui non fosse mai stato veramente di luce, ma avesse conosciuto tanta oscurità.
Aomine non disse nulla. Semplicemente perché, in fondo, Akashi aveva ragione, ragione su ogni maledettissima parola.E lo detestò per questo, odiandosi a sua volta.
Poi, con la coda dell’occhio, vide Kuroko muovere un braccio verso di lui. Aomine ruotò la testa e fissò prima gli occhi di Kuroko, immobili su di lui, poi... il pugno che gli tendeva.
Stai scherzando, Tetsu?
Ma Kuroko appariva serissimo. Il primo anno delle superiori, quando Aomine aveva scoperto cosa significasse perdere, Tetsuya gli aveva chiesto di battere il pugno come facevano un tempo; Daiki aveva accettato, alla fine, giurando anche a se stesso che sarebbe stata l’ultima. Che non sarebbe ricascato in un vecchio gesto nostalgico di quando erano entrambi ragazzini, ancora convinti di poter arrivare ovunque assieme, invece...
In quel momento, in quella stanza, non stava accadendo nulla di speciale: non c’erano partite, né erano tornati quelli di un tempo. Allora perché ogni singolo secondo sembrava così dannatamente importante?
Aomine finì istintivamente per battere il suo pugno contro quello di Kuroko, nocca su nocca, pelle su pelle. Sentì di star sorridendo, anche se non era certo di averlo fatto per davvero.
Rimasero entrambi così, fermi, mentre nel frattempo Kise era arrivato: aveva trovato la porta aperta ed era entrato, salutando tutti con il suo solito entusiasmo coinvolgente. Ma per quell’attimo, di ricordi, di vicinanza, Aomine e Kuroko si estraniarono: tutto sembrò poter tornare veramente come allora.
“Kurokocchi, Aominecchi!” li salutò Kise abbracciandoli, per poi andarsi a sedere, appoggiando il borsone.
Aomine quasi sussultò e borbottò qualcosa per poi allontanare il braccio di scatto e infilarsi le mani in tasca, come se dovesse nascondere delle prove compromettenti.
Ci fu qualche breve scambio di battute, poi tornò ad esserci un rilassato silenzio.
“Che mi sono perso?” domandò il modello, girando il proprio fascicolo con entusiasta curiosità.
Spazientito, bisognoso di arrivare in fretta al dunque per schiarirsi le idee e disintossicarsi dalla presenza di Kuroko, Aomine fece il riassunto migliore della sua vita, senza far caso ai fogli di Kise:
“Giochiamo online e tutti, tranne Akashi e Midorima, abbiamo personaggi cessi che – solo a quel punto lo sguardo di Aomine cadde sull’avatar in pixel molto ben dettagliati, che avrebbe rappresentato Kise nel mondo virtuale, e sentì una forma di profonda ingiustizia colpirlo – una donna? Akashi! Io volevo avere una donna con quelle tette!”
Kuroko, come gli altri del resto – anche se con una forma di rassegnazione maggiore, non aveva mai capito il perché di tutta questa esagerata passione di Aomine per le Idol e, congiuntamente, il seno prosperoso che per lui era fonte di grande apprezzamento. Ma realizzava che, come tutte le passioni del mondo, non doveva esserci necessariamente un perché dietro.
Lì si fermava Kuroko; gli altri, decisamente più sensibili alla sfera delle relazioni sessuali, invece continuavano a chiedersi come fosse possibile che dopo tutti quegli anni Aomine non avesse mai avanzato alcuna proposta a Momoi, donna che più di tutte incarnava i suoi già alti ideali. Specie per il seno, se si voleva comunque obiettare che la bellezza fosse relativa.
Ma, anche in quel frangente, nel tempo ciascuno aveva pensato a farsi gli affari propri, lasciando Aomine alle sue riviste sulle idol che lo facevano sembrare più maniaco di quanto in realtà non fosse: pigro e scortese com’era, tendenzialmente erano più le donne ad essere maniache e stalker nei suoi confronti che viceversa.
Kise abbassò lo sguardo sulla tanto decantata donna e realizzò che era affascinante, con i suoi capelli fluenti, le orecchie a punta e lo sguardo temibile: “Oh! Wow! Beh, bella quasi quanto me.”
Ridacchiò. Scettico sulle lamentele di Aomine, incontentabile esagerato per eccellenza, Kise lanciò un’occhiata ai personaggi di Daiki e Kagami. Ecco, sì, effettivamente quando li vide scoppiò a ridere:
“Kagamicchi! Aominecchi! Siete proprio brutti – ma si sentì dispiaciuto quando vide che anche a Kuroko era capitato un destino simile – Kurokocchi, pure tu!”
“La mia mucca è fighissima!” esclamò Kagami che già, ottimista e determinato com’era, prospettava di fare grandi cose con il suo personaggio. Burbero ma affettuoso, Taiga non trovava poi così terribile il suo muccone peloso, gigante, con tanto di zoccoli e anellone sul naso. Aveva qualcosa di guerriero.
Aomine, che nel suo troll dal naso arcigno, i denti gialli e la cresta tutta sta gran bellezza proprio non riusciva a vederla, si limitò a sbottare seccato per l’evidente presa in giro del fotomodello:
“Potevi restare dov’eri, Kise, assieme alle tue inutili osservazioni – si alzò in piedi, decretando per lui la definitiva cesura con quel pomeriggio surreale – ho capito abbastanza, ditemi quando cominciamo e vedrò di esserci, forse. Satsuki, andiamo.”
Ormai, dopo tutti quegli anni, era quasi di riflesso che Aomine chiamava Momoi anche se non ce n’era bisogno, perché sin da quando erano bambini lei lo avrebbe seguito comunque. Quindi allo stesso tempo Aomine non aveva mai nemmeno accarezzato l’idea che Satsuki, un giorno, lo costringesse a rimanere; ecco, nel momento in cui Daiki si voltò e vide Momoi ancora seduta, realizzò che era arrivato anche quel giorno.
Perfetto, non poteva scegliere momento migliore per cambiare le carte in tavola.
Ma Aomine fece finta di nulla e insistette:
“Oi, Satsuki, mi hai sentito?”
Lei gli sorrise, spiegando tranquilla: “Dai-chan, manca ancora la mia cartellina.”
Aomine sbuffò, roteando gli occhi. Poi guardò il fascicolo effettivamente ancora girato e, preso da un vago senso di colpa, tornò a sedersi di peso sulla sedia, sempre senza levare le mani dalle tasche.
Satsuki, questa me la paghi.
Akashi in persona gliela girò, facendo vedere a tutti che Satsuki aveva ben due personaggi, carini e semplici: un’umana e un’elfa del sangue.
“Momocchi, sei bella anche nel gioco.” commentò Kise e Momoi si portò una mano sulle labbra, piacevolmente imbarazzata da quel complimento. Forse anche un po’ a disagio per aver costretto Aomine a restare e lei, più di tutti, sapeva quanto il ragazzo desiderasse invece andarsene.
“Ma perché Momo-chin è doppia?” domandò Murasakibara, con le spalle incurvate in avanti.
Midorima tornò a posare il portafortuna del giorno sul tavolo, si aggiustò gli occhiali e osservò: “Suppongo che, come in ogni gioco online del genere, ci siano delle fazioni ben distinte. Mi viene istintivo pensare che Momoi abbia un personaggio in entrambe per tenere d’occhio la situazione.”
“Esattamente.” confermò Akashi.
Momoi annuì, entusiasta: “Mi muoverò in entrambe le direzioni e vi aggiornerò settimanalmente allora. Non vedo l’ora!”
Akashi tirò fuori il cellulare, digitò qualcosa, infine annunciò:
“Ho cambiato il nome del gruppo di Whatsapp con quello della nostra gilda che creeremo nel server su cui sono i personaggi: La Gilda Dei Miracoli. Ho steso un calendario delle serate possibili da dedicare al gioco, compatibilmente coi nostri rispettivi impegni come studiati con Momoi, in modo che la nostra attività non provochi cali di rendimento sportivo e scolastico non necessario – guardò prima Kagami, poi Aomine – specialmente per quanto riguarda voi due, che non avete una media esattamente ottimale.”
Aomine e Kagami si lanciarono  un’occhiata reciproca, poi borbottarono qualcosa di neanche troppo convincente, perché alla fin fine sapevano entrambi di non essere esattamente delle cime a scuola.
“Hai pensato a tutto.” convenne Midorima, dopo qualche istante.
Gli sembrava di essere tornato alle medie, davanti ala scacchiera di Shogi, intento a disputare una partita con Akashi mentre parlavano dei progetti per la squadra, di come stavano tutti crescendo, dei problemi da affrontare. Ma più Shintaro credeva di avvicinarsi alla disposizione dei pezzi prevista da Akashi, più realizzava di essere ben distante dalla strada corretta: no, non era mai riuscito a comprendere del tutto la portata delle mosse compiute da Akashi. Ma si era sempre fidato, consapevole che il compagno di allora poteva davvero vedere lontano, più di tutti loro.
“Mi auguro che questa possa essere per ognuno noi una bella esperienza – concluse Akashi – Stasera non dovreste avere impegni, quindi ci troviamo loggati alle nove, puntuali. A mezzanotte stacchiamo, per garantire il riposo necessario. Portatevi a casa le vostre schede personaggio: ci sono tutte le istruzioni per l’installazione del gioco, il codice e il tempo di gioco da attivare. Se avete qualche dubbio scrivete in chat, chiedendo pure a me o a Momoi.”
Aomine a quel punto non si alzò, fu come se alla fin fine non fosse poi così importante andarsene, perché tanto ogni cosa era stata in qualche modo sistemata e lui… lui era curioso, curioso di dare una possibilità a tutta quell’apparentemente assurda situazione. Fissò il troll blu, poi gli altri, infine Kuroko che alzò lo sguardo incrociando il proprio:
“Penso che saremo ottimi druidi, Aomine-kun.”
“Druidi?” domandò Aomine, senza riflettere, mentre Momoi si era alzata e stava aiutando Kagami a sparecchiare la tavola.
Kuroko annuì: “Sì, siamo tutti e due druidi. Possiamo diventare quello che vogliamo: attaccare, curare, persino difendere. Se tu attacchi, io ti curo. E’ così che funziona.”
Aomine si morse un labbro, poi appoggiò la schiena alla sedia e guardò un istante il soffitto, prima di aggiungere: “Luce e ombra.”
Che fatica parlare. Perché il peso di ciò che avrebbero potuto essere, se solo le cose fossero andate diversamente, era lì a fare da zavorra nel petto.
“Luce e ombra.” convenne Kuroko.
Poi il fantasma della Generazione dei Miracoli lanciò una rapida occhiata a Kagami, che si stava studiando attentamente il suo personaggio, e ritornò a posare il suo sguardo su Aomine. Lo capiva, capiva che Aomine si sentiva… fuoriluogo. Straniante per uno abituato a volare sopra gli altri, a prevalere, a vincere perché la natura aveva voluto che fosse un genio assoluto del basket; curioso che fra tutti fosse proprio il suo perfetto opposto a capirlo: Kuroko, la persona anonima ed evanescente per eccellenza.
“Più c’è luce, più l’ombra diventa grande.” gli disse all’improvviso Tetsuya.
Il passato c’è, esiste, ma non è ora, non è il presente. Il presente possiamo ancora cambiarlo.
“Ora siamo una squadra – aggiunse ancora, per poi specificare – una gilda, la migliore.”
Quando Aomine sentì quelle parole, proprio non riuscì a smettere di guardare il soffitto: sentiva gli occhi umidi, forse una stupida ciglia si era infilata in mezzo. Fastidiosa, com’era fastidiosa la capacità di Kuroko di guardargli dentro e farlo sentire così… esposto. Con Satskui non succedeva, Sastuki lo conosceva e basta. Ma Tetsuya… Tetsuya lo leggeva, come un libro.
“Gilda dei Miracoli – rise, per poi sospirare e finalmente tornare a incrociare i suoi occhi con quelli di Kuroko – sarà un miracolo se riuscirete a starmi dietro. Ho intenzione di conquistare il server, sappilo.”
Nel vedere quello sguardo di Aomine, trionfante, vitale, pronto realmente a spaccare il mondo solo perché sapeva di esserne capace e perché si stimava in misura epica, Kuroko si sentì felice.
Annuì, con quel sorriso evanescente e gli occhi profondi, come se non appartenessero realmente a un ragazzo della sua età.
Guardò gli altri: Kagami che già discuteva con Akashi su come sfruttare al meglio i suoi attacchi, Murasakibara che trovava divertente l’idea di radunare attorno a sé i nemici per impedire loro di andare oltre, Midorima che finiva per far notare a Takao la perfezione dell’arco e di statistiche come l’accuracy per dare maggiore efficacia al colpo.
Sì, Akashi aveva davvero fatto il Miracolo.
Chissà se altrettanto miracolosamente, un giorno, tutti loro avrebbero giocato di nuovo nella stessa squadra, all’Università, e poi… nella vita. A basket. Kuroko sorrise… per quello c’era tempo; sì, si erano ritrovati, e ora avevano tutto il tempo del mondo per non perdersi più.




Sproloqui di una zucca

Benvenuti a questo nuovo capitolo, ambientato qualche mese prima della nostra storia. Dal prossimo si riprenderà la linea temporale classica. Se volete qualche info grafica, ecco le principali razze di cui si parla:
Troll
Tauren (il muccone, tanto per intenderci XD)
Elfa del sangue
Per le classi di gioco, basta che leggiate un qualsiasi riepilogo anche solo sul sito della Blizzard, alla fine sono abbastanza classiche. Sicuramente chi ha già giocato di ruolo (tipo d&d per intenderci) avrà già qualche familiarità con arcieri, assassini , guerrieri e via dicendo.
Ho voluto fare questo capitolo per vedere un po' cosa ha smosso i ragazzi ad accettare l'idea di giocare online, ma anche per vederli assieme, farli interagire, e cercare di relazionarmi con le scelte di ognuno. Dal prossimo capitolo, per quanto l'idea del gioco online sarà comunque presente, i nostri eroi (?) staranno più assieme dal punto di vista reale che virtuale. E si andrà a scandagliare maggiormente il rapporto tra Aomine e Kuroko.
Vorrei davvero veder giocare, assieme, la gilda dei Miracoli, con tutti che si divertono a lanciare incantesimi, ad attaccare mostri e boss in gruppo, ad insultarsi per il dps da schifo o la mancanza di cure. Mi sembrano ancora più squisitamente umani e quotidiani <3


 

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Capitolo 3
*** Arriverà il momento in cui dovrai capire cos'è che vuoi veramente ***



Arriverà il momento in cui dovrai capire cos’è che vuoi veramente.




Aomine stava sdraiato supino sul letto, con i piedi che toccavano abbondantemente terra e le ginocchia piegate, invece le braccia erano incrociate dietro la testa, pratico cuscino per guardare meglio un banalissimo soffitto. Per questo, in effetti, Daiki aveva smesso di fissarlo, chiudendo gli occhi mentre Momoi si ostinava a sfogliare quei dannatissimi fogli dell’università; risultato: lui si era annoiato ancor prima di cominciare.
Non che mancasse di entusiasmo all’idea di continuare a giocare a basket in una squadra prestigiosa, ma il pensiero di iscriversi – se mai la media scolastica tremenda non avesse inciso sulla selezione, a beneficio esclusivo del club di basket – lo portava inevitabilmente a confrontarsi con la possibilità che magari anche Kuroko ambisse a una strada simile. Il fatto era che… non voleva illudersi, lui che era sempre stato tanto meravigliosamente cinico in tutto. Solo perché i rapporti sembravano essersi stretti di più negli ultimi anni –  complice anche quell’assurda storia del gioco online, questo doveva riconoscerlo ad Akashi – non significava che all’improvviso sarebbero diventati…
Cosa?
“Dai-chan mi stai ascoltando?” domandò Momoi, intenta a fissarlo in piedi davanti a lui.
Aomine non aprì gli occhi, limitandosi a sollevare un piede che appoggiò sul materasso:
“Che c’è Satsuki?”
Quest’ultima sospirò. No, non mi stava ascoltando.
“Lascia perdere, i miei resoconti te li farò un’altra sera – lanciò uno sguardo alla camera finalmente riportata ad uno stato vivibile, poi commentò – abbiamo fatto un bel lavoro di pulizia. Vuoi tornare a giocare con gli altri? Dovrebbero essere online.”
“Nah. Andrò a fare qualche tiro.” Replicò. Sentiva il bisogno di uscire dalla stanza e di non pensare affatto, concentrandosi su quella che era la sua vita reale.
Momoi lo osservò qualche istante, poi gli si sedette accanto, sul bordo del letto. Fuori il cielo iniziava a scurirsi, facendola riflettere su quanto il tempo fosse passato in fretta: non solo avevano riordinato la stanza, ma con il pretesto di ordinare dozzinale cibo d’asporto lei ne aveva approfittato per insistere con la questione delle università, sorda alle lamentele dell’amico.
Sì, ho proprio torturato Dai-chan oggi.
Ma se non faceva così rischiava che Aomine pensasse solo al basket, ignorando forse di proposito tutto il contorno del suo futuro. Credeva però di intuire almeno parte delle ragioni per cui Daiki continuasse ostinatamente a procrastinare il momento della scelta universitaria.
“Perché non chiedi a Tetsu-kun che università ha intenzione di frequentare?”
Aomine saltò su a sedere, come se fosse stato folgorato da un teaser sparato in pieno petto:
“Satsuki! Che ti passa per il cervello? Chiedere a Tetsu? E perché dovrei?”
Sollevò un labbro in una smorfia poi, approfittando di essere già in piedi, si risolse a raccattare le scarpe nere da basket – il modello che continuava a comprare anno dopo anno, suola consumata dopo suola consumata. Si sedette sulla sedia della scrivania e le indossò, ignorando il fatto che Momoi lo fissava.
Quest’ultima scrollò le spalle: “Io vorrei andare all’università con lui.”
In quei casi sapeva che era meglio decentrare la questione su di sé, per far sentire Aomine meno esposto. Era uno schiacciassassi, Aomine, ma quando si trattava di sentimenti che lo riguardavano da vicino rischiava di essere più fragile di tante persone apparentemente sensibili.
Come prevedibile Daiki replicò, alzandosi in piedi e afferrando un pallone:
“Vacci. Mica devi sempre starmi appresso, Satsuki – alzò gli occhi verso il soffitto, rendendosi conto di essere stato un po’ troppo brusco – Ti piace Tetsu, no? Forse è ora che tu ti faccia una tua vita sentimentale.”
Wow, di bene in meglio. Aomine si rese conto di aver se possibile detto cose ancora peggiori di prima. Si mise la palla da basket sotto braccio e tacque, perché davvero non sapeva che altro aggiungere.
Ma Momoi non era una ragazza come tutte le altre o non sarebbe arrivata a quel punto con Aomine, anche se certe volte era difficile non sentirsi urtata dai suoi modi, o per tutte le occasioni in cui lui la scaricava per il basket e per… Kuroko. Sì, la questione girava sempre attorno a entrambe le cose.
Un tempo credeva che Kuroko fosse un sottogruppo all’interno del grande insieme dominante del basket; ora non ne era più tanto sicura.
“Pensavo che anche a te piacesse Tetsu-kun.”
Ribatté con apparente noncuranza, alzandosi a sua volta in piedi quasi senza pensarci.
Ad Aomine cascò la palla da sotto il braccio, che compì due rimbalzi sordi prima di rotolare poco distante.
“Che accidenti stai dicendo, Satsuki? Sono due cose diverse! Che c’era nel cibo, allucinogeni? Ora ti riaccompagno a casa, prima che tu mi tiri fuori altre cose fuori di testa.”
Sbottò, aprendo la porta della stanza. Si sentiva confuso, irritato, infastidito da quelle poche, semplici, parole. Perché prendersela tanto, in fondo?
Perché…
Momoi gli porse il pallone, sorridendo:
“Già, hai ragione. Dai, andiamo – gli fece una linguaccia – tanto so già che rimarrai fuori fino a tardi a giocare. Quando si tratta di basket perdi proprio la concezione del tempo. E prendi il cellulare, non si sa mai.”
Aomine roteò gli occhi, passandosi una mano dietro il collo, ma alla fin fine le dette ascolto e si mise in tasca il cellulare, oltre alle chiavi di casa.
Quando furono in strada lo tirò fuori e si rese conto dei messaggi sul gruppo, una buona parte dei quali appartenevano tendenzialmente a Kise, che spammava stupidaggini come se davvero non avesse nulla di meglio da fare nella vita, mentre gli altri commenti erano relativi alla serata online che Aomine aveva saltato.
Sembrava che il raid fosse andato bene e Kuroko, con la sua solita fortuna sfacciata, aveva addirittura droppato un pezzo di set leggendario. Momoi commentò, aggiornata sulla chat in maniera sicuramente più esaustiva di Aomine, che l’oggetto in questione aveva anche una bella estetica.

Bravo Kurokocchi, sono fiero di te:3

Ora voglio vederti curare come se non ci fosse un domani. Ma se scudi ancora Aomine ti tolgo il saluto.

Aomine storse la bocca: ma perché Kagami non sapeva mai farsi gli affari suoi?

Grazie. Stasera non c’era Aomine-kun, per questa volta niente scudi :-)

Chissà perché quello smile piazzato da Kuroko così, a fondo frase, aveva qualcosa di inquietante.

Ahahah… -_- grandi risate, proprio. Ma… Ahomine – Bakagami, muori male –  si è dato alla macchia?

Era con Momochin

Aaaaaaaah, serata focosa, insomma ;-)

Aomine fissò lo schermo. Chi era quel minorato mentale che era riuscito da avere il controllo sui pollici opponibili abbastanza a lungo da scrivere stronzate simili?
Sentì Momoi scoppiare a ridere, probabilmente perché aveva visto la sua faccia.

Takao? Che ci fai in chat? Sparisci! E già che ci sei ricordati domani mattina di venirmi a prendere puntuale.

Boh, mi sono trovato aggiunto.

Aggiunto io mesi fa, supponevo che Midorima non avesse whatsapp.

E perché mai non dovrei avere whatsapp, Akashi?

Perché sei vecchio dentro, Midorimacchi X°D

“In realtà lo ha installato appositamente per parlare con voi – ammise Momoi sorridendo, continuando a camminare mentre sbirciava ogni tanto lo scorrere dei messaggi di Aomine – mi ha chiesto di fargli vedere dove trovare la app.”
Il ragazzo mosse il pollice sul touchscreen per vedersi etichettato un paio di volte come persona insensibile davanti alle donzelle da Kise, con il manforte di Kagami che interveniva giusto per punzecchiarlo, dato che nemmeno lui possedeva chissà quale gran tatto umano; nel mezzo c’erano le scuse a profusione di Takao che non si era reso conto della presenza di Momoi in chat.
“Idioti.” Borbottò Aomine ma, prima di mettere via il telefono, comparve nuovamente un messaggio di Kuroko.

Stacco prima, vado a portare il cane.

Non perderti Kurokocchi, mi raccomando, stasera mi sei sembrato un po’ distratto °-° Akashicchi devi per forza curarci tu?

Sì, qualche problema?

Credo che Kise obietti la tua tendenza a fare dps anche quando sei healer, tralasciando le cure. Ma poi… perché stiamo scrivendo qui se siamo in chat vocale?

Midochin ha ragione. Mi state annoiando a parlare in contemporanea.

Vabbé, vuoi che ti accompagni, Kuroko?

“E che cosa sei, la sua balia?” sbottò Aomine.

No, grazie, Kagami-kun. A domani.

Aomine mise via il telefono, infilandosi una mano nel pantaloncini mentre l’altra penzolava con il braccio stretto attorno al pallone da basket.
“Ci scambiano sempre per una coppia.” Commentò Momoi, ridacchiando.
“Non c’è niente da ridere, Satsuki.” Ribatté Aomine. Ancora qualche centinaio di metri e sarebbero arrivati davanti a casa dell’amica.
Quest’ultima lo fissò un istante, per poi tornare a guardare davanti a sé:
“Lo so che non c’è da ridere. A scuola i ragazzi non si avvicinano perché pensano che io stia con te e che tu possa picchiarli, Dai-chan!”
Ecco, il nomignolo che si portavano appresso sin dall’infanzia le era venuto fuori spontaneo, anche se non erano propriamente in pubblico. A scuola infatti evitava di chiamarlo così, altrimenti le voci di corridoio che li davano già per fidanzati storici sarebbero esponenzialmente aumentate.
Daiki sgranò gli occhi. Non avevano mai parlato tanto apertamente della loro strana relazione e di quello che implicava con gli altri; semplicemente andavano avanti dando per scontato che non ci sarebbero mai stati problemi di sorta a causa delle idee che il loro rapporto generava nelle teste altrui. Ora, invece, appariva chiaro che i problemi ci fossero eccome e anche belli grossi.
“Da quanto va avanti questa storia, Satsuki?” domandò, rendendosi conto che lui sapeva benissimo cosa credevano gli altri. Solo che non gliene era mai fregato nulla. Ed era stato egoista nei confronti di Satsuki, perché anche se lui non aveva grande interesse per le relazioni umane di qualche tipo, specialmente amorose, non necessariamente lo stesso poteva magari dirsi di Momoi.
“Lascia perdere Dai-chan, siamo arrivati. E comunque non è questo il punto: arriverà il momento in cui dovrai capire cos’è che vuoi veramente.”
Aprì la porta di casa ma prima di entrare gli disse ancora, dato che lui taceva: “E cerca di non fare tardi stasera. Domani ti voglio carico per studiare in vista dell’esame di storia, l’ultimo prima delle vacanze estive, ok?”
Aomine roteò gli occhi ma non ribatté seccato come faceva altre volte:
“Va bene, va bene. ‘Notte Satsuki.”
“Buonanotte, Dai-chan.”
Richiuse la porta e Aomine proseguì verso il campo da basket, con la mente decisamente in conflitto. Forse avrebbe semplicemente dovuto chiedere a Momoi di ufficializzare la cosa, mettersi assieme e tanti saluti. In fondo lei non era poi così male, aveva delle belle tette e lo conosceva talmente bene da non rischiare che potesse rompergli le scatole quando doveva giocare o allenarsi. Però… perché non funzionava? Perché l’idea di stare con Satsuki gli era semplicemente assurda?
Era la sua migliore amica, sua sorella, la madre che in fondo non aveva, la sua coscienza e una persona per cui avrebbe dato la vita; sì, per cui avrebbe anche picchiato se le si fosse torto un capello. Ma… non la amava.
Giunse a quella conclusione quando fu davanti al campo da basket, protetto da una recinzione metallica e illuminato dai lampioni che davano quasi un’aria surreale al perimetro, mentre la strada poco frequentata era silenziosa.
Voleva, doveva, svuotarsi la mente.
Cominciò a tirare, correndo per il campo come se ci fossero migliaia di ostacoli invisibili, mentre la palla quasi scivolava tra le sue dita simile a un nastro di seta. Non sapeva perché ma ormai dopo tutti quegli anni il suo corpo si muoveva da solo, ogni movimento era così naturale da sembrargli strano doverci pensare. Lanciava la palla, ovunque egli fosse, e questa inevitabilmente finiva a canestro, calamitata dal cerchio metallico.
Kagami era stato l’unico ad averlo materialmente sconfitto e la sensazione di perdere, quella volta, era stata una merda. Perché era una consapevolezza amara che gli era rimasta in bocca per molte notti successive alla partita. Però… paradossalmente era stata anche un’esperienza utile per capire che se fosse rimasto lo stesso cestista imbattibile sin dai tempi della Teiko, Daiki non sarebbe mai migliorato davvero, come giocatore e come persona.
Per questo aveva cominciato a smettere di comportarsi da egoista, o di ritenere che gli altri non meritassero di esistere nella sua esigente sfera personale. Se già allora avesse ascoltato di più Kuroko, quello che lui provava, la sua vita forse sarebbe andata diversamente e Aomine non si sarebbe ritrovato, tra le altre cose, a dover recuperare il terreno perso con gli altri, a causa degli infiniti allenamenti saltati.
Da quel primo anno la situazione era dunque cambiata, anche se con lentezza; era difficile scrollarsi di dosso tutto con un colpo solo. Infatti, come dimostravano le parole di Satsuki, Daiki aveva compreso che avrebbe dovuto lavorare ancora molto con se stesso prima di giungere a un punto d’arrivo veramente soddisfacente.
Si arrestò, asciugandosi il sudore dalla fronte.
La palla era rotolata ai suoi piedi.
Sospirò e fece per raccoglierla, quando sentì il cellulare appoggiato sulla panchina suonare, affiancato dalle chiavi che stavano per cadere.
“Satsuki?” pensò, considerandola l’unica che potesse chiamarlo a quell’ora. Magari voleva assicurarsi che stesse tornando a casa.
Roteò gli occhi, ma suo malgrado fece una corsa. Quando afferrò il telefono però si accorse che si trattava di… Kuroko. Kuroko lo stava chiamando.
Aomine rimase immobile. Per un istante gli venne il dubbio che fosse uno scherzo di quell’idiota di Kagami: Tetsuya lo chiamava con la rarità con cui pioveva nel deserto, quindi praticamente mai – e viceversa. E quando lo faceva era nei momenti più disparati che, spesso, portavano Aomine a mollare tutto quello che stava facendo per raggiungerlo.
Si decise a rispondere.
“Tetsu?”
“Ciao Aomine-kun – la sua voce… sempre così leggera, impossibile da leggere, com’era impossibile leggere il suo volto – ti disturbo?”
Aomine guardò un istante la palla: “No. Che succede?” domandò, d’istinto.
“Ero in giro con Tetsuya 2. Vuoi fare due passi?”
“Eh? Ma che ti salta in mente a quest’ora, Tetsu? – sospirò, infilandosi però le chiavi in tasca, pronto a incamminarsi – Dove sei?”
“Qui.”
Ad Aomine sembrò di sentire un vago eco, come un’interferenza nella voce.
“Qui dove?” sbottò.
“Dietro di te.”
Aomine si girò quasi distrattamente, aspettandosi che quello fosse un modo generico per dire a due passi dal campo, ma Kuroko sapeva essere molto letterale in quello che diceva.
Infatti sobbalzò quando si vide il ragazzo davanti, a neanche un metro da lui, con in mano la sua palla da basket e nell’altra il guinzaglio con cui teneva Tetsuya 2.
“Accidenti, Tetsu! Prima o poi qualcuno che ti vede comparire così muore d’infarto.”Borbottò.
“Stavi giocando, Aomine-kun?” domandò il ragazzo, capace come sempre di tralasciare le sue abilità di svanimento e comparsa improvvisi, oltre al fatto che in realtà non aveva davvero bisogno di telefonare al suo amico, visto che lo aveva già raggiunto. Questo perché era difficile spiegargli che, in fin dei conti, Kuroko voleva comunque sentire Aomine, parlargli, prima ancora di vederlo.
Era da una vita che non lo chiamava.
Daiki scrollò le spalle e riprese in mano la palla che gli tendeva Kuroko:
“No, avevo finito.”
Si abbassò e grattò le orecchie a Tetsuya 2, il quale scodinzolò allegro per poi mettersi a pancia in su e farsi vezzeggiare ancora da Aomine che, come sempre, lo riempiva di coccole.
Poi Daiki alzò gli occhi, incrociando quelli grandi e imperscrutabili di Tetsuya: “Vuoi fare due tiri? Chiudiamo il cancelletto e Tetsu  2 gioca con noi.”
Il ragazzo ci pensò un istante, infine annuì: “Solo se giochi sempre al massimo, Aomine-kun. Quest’anno ho seguito anche l’allenamento con quelli del secondo anno per migliorare il mio tiro, anche se sono un senpai.”
Ammise, consapevole delle sue carenze procrastinate nel lanciare a canestro. Aomine si era chiesto perché, durante il primo anno delle superiori, Tetsu avesse chiesto proprio a lui di insegnargli a tirare.
Non lo aveva turbato eccessivamente il fatto che gli avesse esposto quella strana richiesta proprio dopo averlo sconfitto, bensì la consapevolezza che si fosse rivolto a lui anziché a tiratori impeccabili come Midorima.
La verità era che Kuroko aveva istintivamente preso il telefono e chiamato Aomine; lui e nessun altro. Non Kagami, non Midorima, nessuno. Esattamente come quella sera.
Aomine chiuse il cancello, così che Kuroko lasciò libero il cane, il quale prese a scorazzare per il campo puntando subito la palla.
“Con te do sempre il massimo, Tetsu.”
Aomine lo rassicurò, d’istinto. Infine gli lanciò la palla e Kuroko la afferrò, così da tirare dopo essersi preso un istante per concentrarsi.
Entrambi con il fiato sospeso osservarono la traiettoria del pallone, consapevoli che in quel lancio c’era la passione e la devozione di tutti gli allenamenti fatti in quegli anni, le partite, le delusioni così come le vittorie. Finché la palla…  rimbalzò contro l’asse in legno della struttura e non centrò manco alla lontana il canestro.
Kuroko guardò il pallone rimbalzare tristemente a terra ma non disse nulla. Tetsuya 2 mugolò, grattandosi un orecchio.
“Testu – constatò Aomine – che era quella roba?”
“Un mezzo schifo?” propose Kuroko, andando a prendere l’oggetto incriminato.
Si chinò e rimase giù, fissandolo. I capelli gli andarono davanti agli occhi. Aomine, in piedi, lo osservò in silenziosa attesa, visto che il compagno di partita stava immobile. Tetsuya 2 si mise seduto e guaì, guardando il proprio padrone.
“Tetsu?” domandò infine Aomine, avvicinandosi. Forse era stato troppo brusco? Non seppe che dire o fare, Kuroko era l’unico ad avere quello straordinario potere di sconvolgerlo.
Sentì Kuroko prendere un respiro, per poi alzare lo sguardo verso Daiki, nonostante fosse ancora accovacciato e con il pallone tra le mani.
Aveva gli occhi lucidi.
Merda! Perché Tetsu sta piangendo? Mi sono espresso di merda come al solito?
“Ehi, lascia perdere la faccenda del tiro, facciamo dei passaggi…” fece per proporre, ma Kuroko scosse la testa e si alzò in piedi, affrettandosi a dire:
“No, scusami Aomine-kun. Oggi è stata una giornata un po’ particolare ma in realtà mi hanno reso felice le tue parole. Il fatto che tu voglia dare il massimo, con me.”
Fece per ritentare il tiro ma Aomine gli tolse la palla dalle mani e sbottò:
“Che stai dicendo? Non giochiamo finché non mi dici che accidenti che sta succedendo, Tetsu!”
Kuroko lo fissò. Beh, se l’era voluta. Avrebbe dovuto pensarci non due ma tre volte prima di sollevare impulsivamente il telefono e chiamare Aomine. Non poteva semplicemente accontentarsi di giocare con lui e dimenticarsi del resto, non dopo che lo aveva visto con gli occhi lucidi.
“Oggi sono stato dal veterinario.”
Aomine sollevò entrambe le sopracciglia, poi fissò Tetsuya 2 che si grattava la schiena, rotolandosi.
Kuroko guardò a sua volta il cane e proseguì: “Tetsuya 2 doveva fare il vaccino, ma quando il veterinario gli ha toccato il fianco lui si è messo a guaire. Dopo aver fatto una lastra si è visto un ingrossamento vicino al fegato – sospirò, mordendosi un secondo il labbro – potrebbe essere qualsiasi cosa, un’infiammazione, come una formazione tumorale.”
Tornò a guardare Aomine; chissà perché mentre parlava era riuscito a risultare pacato come al solito, mentre dentro di sé sentiva il petto contorcersi in un maremoto di sensazioni.
Aomine scosse la testa, come per ritrovare la lucidità e cercare delle parole da dire a Kuroko, parole che non fossero banali, perché… con lui avrebbe voluto essere tutto meno che banale:
“Oi, Tetsu, non vuol dire nulla. Ti hanno dato qualcosa?”
“Cortisone. Pastiglie.” Rispose semplicemente, misurato come al solito con le parole nella sua ponderata bilancia della vita.
“Ok, allora vediamo di fargliele mangiare. Magari assieme a del riso. Possiamo fare delle polpette.” Propose, meditabondo: istintivamente voleva far concentrare Kuroko sulla soluzione, anziché sul problema. Si era pure incluso in tutta la faccenda.
Improvvisamente Kuroko sorrise, stringendo i pugni:
“Grazie, Aomine-kun. Per tutto – un accenno di sospiro – Ora… va meglio. E’ sempre così, in un modo o nell’altro.”
Aomine Daiki, asso del basket insensibile, egocentrico, permaloso e un tempo menefreghista, arrossì. Arrossì dalla fronte alla punta delle orecchie, sentendosi le guance andare a fuoco.
Per quelle parole tirate fuori così, in quel campo, da un Kuroko che aveva paura di perdere il suo amato cane e che aveva infine espresso tanto profondamente se stesso. Nonostante i suoi occhi fossero grandi, chiari, non erano mai veramente capaci di trasmettere dolcezza, o sentimenti: erano così fissi e imperscrutabili da risultare anzi piuttosto freddi, persino distanti. Era infatti attraverso le parole che Kuroko mostrava qualcosa di sé: perché erano sempre sincere, in un modo o nell’altro, talmente tanto da lasciare spesso l’interlocutore impreparato ad accogliere tutte le emozioni che esse incanalavano.
Capitava anche ad Aomine che, nonostante tutto, lo conosceva da una vita.
“Ma che mi ringrazi a fare, Testu? – borbottò burbero, per schermarsi – Dai, vedi di farmi un tiro decente o me ne torno a casa con Tetsuya 2.”
Il cane lo guardò, con la lingua di fuori.
Kuroko annuì: “Ok! – afferrò la palla – pronto?”
“Vai.” Confermò Daiki.
Kuroko tirò. E fece centro. Un tiro perfetto, senza una sbavatura. Aomine lo vide sorridere, quel sorriso accennato ma disteso, come se il suo corpo intero avesse smesso di essere in tensione.
Istintivamente, allora, Daiki gli passò un braccio attorno al collo per poi scombinargli i capelli. Lo toccò, così vicino, con quella spontaneità splendida che aveva quando erano alle medie e lui era la sua ombra.
“Bravo, Tetsu!”
Kuroko rise, lasciandosi spettinare la chioma già di per sé ribelle, e dentro si sentì il petto esplodere. Perché se quel pomeriggio, dal veterinario, aveva creduto di morire e veder sparire Tetsuya 2 davanti agli occhi, adesso che era lì, sul campo, tutto sembrava diverso: aveva tirato e Aomine-kun era nuovamente tanto vicino da sentire i suoi muscoli del corpo asciutto contro il proprio, con la sua certezza che Numero 2 sarebbe stato bene, avrebbe continuato a vivere. Sì, adesso Kuroko si sentiva vivo.
Dopotutto, forse, Aomine era un healer migliore di lui.




Sproloqui di una zucca

Eccoci qui al terzo capitolo. In questo caso prende più spazio il rapporto tra Momoi e Aomine, i pensieri di entrambi e come appaiono di fronte agli altri che non li conoscono. Infine Aomine e Kuroko, loro due, nessun altro. Povero Tetsu 2 T_T Mi sono sentita molto vicina a Kuroko perché so cosa vuol dire vedere i propri animali star male.
Sì, c'è Aomine a gogo in questa storia, sarà che lo trovo ispirosissimo *___*
Spero che possiate trovare i personaggi IC e, allo stesso modo, vi possano piacere i dialoghi o i frammenti di vita raccontati di questo ipotetico futuro nel quale si muovono ragazzi ormai prossimi a diventare uomini.

Grazie a coloro che leggono, a chi ha inserito questa storia tra i preferiti/seguiti etc!



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Capitolo 4
*** Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli. ***



Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli.





Akashi era in piedi e, senza battere ciglio, guardava suo padre leggere il depliant dell’università presso cui il Capitano del Rakuzan sperava di riuscire a iscriversi. I suoi dubbi e le sue speranze sorgevano non tanto a causa delle proprie in realtà innate capacità di studio, che gli avrebbero infatti garantito l’accesso a qualunque sistema universitario giapponese, quanto per la volontà paterna: il genitore voleva solo il massimo, vista la prospettiva di far salire il figlio ai vertici dell’azienda, e se avesse reputato la presenza di un club di basket un elemento di scarso valore in un pacchetto altrimenti perfetto, avrebbe cestinato la proposta di Akashi come inadeguata.
Proprio in vista di quel confronto, da mesi l’Imperatore studiava la composizione di ogni singola università, i corsi trattati, il corpo docenti e i club sportivi, nonché la reputazione presso le compagnie aziendali e i ricercatori. Altro fattore importante da considerare, per lui, era la questione della retta: non che la sua famiglia avesse problemi di soldi, al contrario,  ma aveva cercato di trovare un giusto equilibrio tra dispendio economico e qualità, nel caso in cui qualcuno dei suoi compagni avesse voluto optare per la stessa scelta.
Sì, aveva svolto una ricerca totalmente non-egoista, valutando con razionalità la possibilità che per una volta potesse non trovarsi del tutto da solo a intraprendere qualcosa. Ma non voleva illudersi: magari sarebbe stato comunque l’unico a iscriversi a quell’università, oppure semplicemente il padre gli avrebbe bocciato la proposta e tanti saluti.
L’uomo appoggiò il volantino sul tavolo e guardò il figlio, domandandogli:
“Quindi vorresti continuare a giocare a basket anche all’università?”
Akashi annuì, senza esitare: “Come ho fatto sino ad oggi. Oltre a suonare violino e al pianoforte.”
Fece presente, per ricordargli la sua estrema versatilità e capacità di gestire il tempo in maniera proficua.
Il genitore incrociò le dita e appoggiò le mani sul tavolo. Tacque un istante, consapevole del talento del figlio, ma anche della sua passione mai davvero troppo celata per il basket. Entrambi comunque sapevano che l’unico momento realmente determinante dell’università era il test d’ammissione, anche se per giocatori di talento come poteva essere Akashi non serviva una media elevata come nel caso di altri studenti. Però l’uomo non si sarebbe mai accontentato di una votazione scarsa per il futuro dirigente della sua azienda. Non era un rischio che gli avrebbe concesso di correre.
La Joochi era un’università che includeva eccellenti facoltà di economia, giurisprudenza e lettere, inoltre era nota per i suoi scambi con l’estero. Lesse anche il paragrafo relativo al basket, con la precisazione che molti giocatori parte del club universitario erano arrivati fino all’NBA.
Sospirò, poi guardò la moglie che, silenziosa, aveva osservato lo scambio tra i due. Al primo anno delle superiori Akashi aveva manifestato un problema evidente che, con ogni probabilità, si era trascinato dietro fin dagli ultimi mesi delle medie, anche se ignorato forse volutamente dalla sua famiglia. E si erano resi conto, entrambi i genitori, che in fin dei conti Akashi non aveva mai chiesto realmente nulla ma, quando era stato privato totalmente di qualcosa a cui teneva, si era trasformato per smettere di soffrire.
“Joochi. Alcuni dei miei manager e dei miei mediatori migliori sono stati alla Joochi.” Commentò, massaggiandosi il mento con fare pensoso.
Oh, lo so. Li ho letti tutti i curriculum della gente di cui ti fidi, padre.
“Va bene, Seijuro – aggiunse infine – Vorrò un colloquio con il preside, comunque.”
Akashi non batté ciglio ma... sentì il cuore perdere un colpo.
Fece per riprendere il depliant, così da segnarsi i contatti per organizzare tramite la scuola un incontro conoscitivo, ma il padre trattenne il foglio e ribadì:
“Un’ultima cosa: da dopo quest’estate rallenta con il basket – sua moglie gli lanciò un’occhiata quasi preoccupata – non dico di fermarti del tutto, ma voglio che ti concentri sullo studio. Devi passare con il massimo. Noi diamo sempre il massimo.”
Akashi si sentì morire, solo un istante, com’era stato un istante la durata del volo verso l’infinito. Compromessi e sacrifici. Quella era la vita, no?
Se solo Akashi fosse stato meno razionale, capace di abbandonarsi a slanci emotivi e richieste, avrebbe mandato un messaggio vocale in chat – lui che scriveva e non parlava – supplicando i suoi amici di seguirlo, di non buttare al vento mesi di ricerca dell’università adatta per tutti, o di mesi in cui, alla fin fine, non avrebbe giocato tanto come voleva a basket, né forse con loro.
Invece si limitò ad annuire davanti a suo padre, riprendere il volantino e andarsene. Nel grande corridoio al piano terra, lontano dallo sguardo dei genitori, prese il cellulare e scrisse semplicemente sul gruppo:
Ho una proposta per l’estate.
Inviò e rimise il cellulare in tasca. Non era un illuso, appunto: illudersi significava potersi permettere di sognare, quindi tanto valeva cercare direttamente qualcosa di concreto e ricordarsi di quanto il tempo fosse prezioso.

***

“Aominecchi ma dove sei? Dobbiamo entrare in raid!” esclamò Kise, mentre lasciava danzare la sua elfa del sangue davanti al portale che li avrebbe trasportati nel raid.
“Manca anche Kagami.” Fece presente Midorima che aveva appena craftato flask per aumentare l’agilità e dimostrare a quei rozzi esempi di dps, che rispondevano al nome di Kagami e Aomine, come con i giusti equipaggiamenti si potevano fare numeri ben più importanti.
Aomine, un piede come sempre sulla sedia e l’altro incastrato tra le gambe fino a terra, sbottò:
“Oi qua si sta facendo sul serio. E’ il decimo ally di seguito che uccido, tu a quanto sei, Bakagami?”
Chissà perché ma la sua domanda aveva tutta l’aria di essere un’aperta provocazione. Si sentì uno schioccare di lingua netto:
“Nove. Ma solo perché tu sei partito prima e hai sta maledetta tigre che si spara in avanti. Ehi, guarda là, altri due ally!”
Kise guardò l’ora, a breve avrebbe dovuto loggare anche Akashi. Se quest’ultimo avesse visto che i due giocatori non erano ancora entrati in raid, probabilmente avrebbe espulso sia Aominecchi che Kagamicchi dalla gilda.
“Aka-chin vi schiaccia. Kise-chin passami la leader, io entro, non ho più voglia di stare qui ad aspettare.”
E se pure Murasakibaracchi stava diventando impaziente, allora la situazione era davvero critica.
Aomine replicò, accompagnato dal suo solito battere sulla tastiera:
“Arrivo, arrivo, non abbiamo mica una campanella come a scuola.”
Con uno sbuffo si trasformò in tigre per correre più veloce, ma appena lo fece Kagami esclamò così forte da far quasi cadere le cuffie agli altri, che istintivamente avevano cercato di tapparsi le orecchie:
“No! Bastardi! Sono arrivati i rinforzi degli ally! Aomine… se te ne vai, giuro su tutte le mucche di questo mondo che il mio fantasma ti perseguiterà a vita.”
Daiki si grattò l’orecchio, notando che effettivamente c’erano circa sei ally e già stavano attaccando entrambi: “Bah, ormai è troppo tardi, mi hanno comunque aggrato. Colpa tua che sei lento, oltre che stupido.”
“Kuroko – soffiò il tauren, ignorando il solito fare gentile di Aomine, impegnato com’era a sopravvivere – una mano ci sarebbe gradita, se vogliamo uscirne più o meno vivi.”
Midorima guardò il porta scotch, l’oggetto portafortuna del giorno, e scosse la testa: decisamente la situazione non prometteva bene. Ma Kise intervenne:
“Kurokocchi, non lo fare! Prendono di mira gli healer!”
Si sentì giusto un sospiro in cassa, poi la voce pacata e quasi monocorde di Kuroko che replicò:
“Vedo di aiutarli, posso sempre cercare di svanire.”
Tanto, ormai, peggio di così.
“Grazie, Testsu. Se ci fosse anche il tank ad acchiappare botte non sarebbe male.” Fece presente Aomine, di fretta, per poi tornare a concentrarsi sulle giuste skill da usare e resistere fino all’arrivo di Kuroko. Ma per tutta risposta si sentì solo l’aprirsi di un pacchetto di patatine e conseguente masticazione.
“Hai detto qualcosa, Mine-chin?”
La domanda fu posta con il tono di chi in realtà già pensava che, comunque, non fosse stato detto assolutamente nulla di importante.
“Ho detto qualcosa sì!” esclamò Aomine che non era tipo da essere ignorato.
“Lascia perdere e usati quell’unica cura che hai in barra, prima che schiodi e mi lasci nella cacca!” intervenne Kagami.
“L’ho già usata, che ti credi?” sbottò il druido feral.
Aomine occhieggiò la sua barra vitale, vicina a una soglia rasente allo zero, e lo schermo si fece di un rosso allarmante, segno che ormai la fine era prossima. Ma, proprio quando credeva di essere sul punto di trovarsi riverso in terra e vedere il proprio fantasma al cimitero, Daiki ricevette una cura improvvisa, seguita da uno scudo che avrebbe incrementato la difesa, in modo da dare il tempo al dot rigenerante di riportare la sua vita a un livello accettabile.
Lo stesso accadde a Kagami che corse verso l’ulteriore cerchio di cura piazzato da Kuroko sul terreno, lo stesso Kuroko che non si vedeva da nessuna parte: sembrava essere diventato un tutt’uno con l’ambiente. Soddisfatto, Aomine lesse vari insulti in chat, ai quali aggiunse il suo personale fuck you and suck my dick, che venne prontamente censurato dal sistema con tanto di chiocciole e asterischi.
Ma si accorse che stavano facendo fatica perché un sei contro tre era comunque un bello svantaggio, inoltre se Kuroko avesse lanciato un’ulteriore cura si sarebbe nuovamente reso visibile e a quel punto lo avrebbero come minimo fatto implodere.
Midorima, nella tranquillità della sua stanza, immersa 
nella penombra eccetto per la luce della lampada da lettura proprio di fianco, sospirò e si tirò su gli occhiali. Se non fosse intervenuto quegli idioti sarebbero probabilmente morti tutti e tre assieme, inoltre c’era da considerare la questione del ritardo cosmico con il quale avrebbero fatto le cose scadenziate invece con precisione.
Tirando fuori la sua mount, l’elfo del sangue corse fino a raggiungere gli altri presso la pietra dell’evocazione, situata poco distante dal portale del raid, ed elaborò la strategia più saggia: attirare l’aggro su uno dei tre e far scappare almeno gli altri due superstiti. Optò per quello più resistente, magari avrebbe avuto qualche possibilità di sopravvivere:
“Kagami sto tirando l’aggro su di te.” Annunciò con voce lapidaria Midorima.
“Cos’è che stai facendo?” proruppe Taiga.
Nel preciso istante in cui l’arciere fece per cliccare sul tauren, in modo da lanciargli il razzo che cambiava la direzione dell’aggro, gli comparve davanti Kuroko che aveva esaurito il tempo d’invisibilità.
“Kuroko!” esclamò Midorima e… per sbaglio cliccò su di lui.
Non appena Aomine realizzò di essersi finalmente tolto l’aggro di dosso, fece scattare in avanti la sua tigre ed esclamò:
“Andiamo, Tetsu!”
Voltò rapidamente la telecamera ma con una certa delusione si accorse che accanto a sé c’era Taiga:
“Che ci fai qui? Dov’è Tetsu?”
“Lo stesso potrei chiederti io!” esclamò alterato il tauren.
“Kagami-kun, Aomine-kun, sono morto.” Annunciò apparentemente tranquillo Kuroko che cominciò a muovere il suo spiritello dal cimitero.
“Ma come sei morto? Midorimacchi non stavi usando la tua mossa tattica per concentrare tutte le botte su una sola persona?” domandò Kise che, nel frattempo, aveva raggiunto Murasakibara, l’unico modo che aveva per passargli la leadership.
Midorima si schiarì la gola e spiegò come se nulla fosse successo: “Sì, era mia intenzione direzionare il tiro su Kagami – quest’ultimo iniziò a sparare parolacce a raffica nei suoi confronti – ma Kuroko mi è comparso davanti all’improvviso e ho targettato lui. Non dovevate mettervi a fare pvp.”
Aggiunse, sprezzante, poi si tirò su gli occhiali e aggiustò le cuffie.
In quel preciso istante si aggiunse alla chiamata Akashi, loggato con il suo holy priest.
“Oh-oh.” Commentò Murasakibara, con il suo solito tono piatto ma che quella volta aveva una sfumatura divertita.
“Perché non siete ancora entrati tutti nel raid? E come mai Tetsuya è morto?”
Le sue domande, asciutte e terribilmente calme, risuonarono anche troppo nettamente in cassa.
Prima che qualcuno potesse parlare, Akashi già si rispose: “Aomine e Kagami stavate di nuovo facendo pvp? E immagino che Tetsuya sia intervenuto ad aiutarvi.”
Entrambi i ragazzi borbottarono qualcosa, ricordando dei bambini ripresi dal genitore, ma ebbero il buon senso di non commentare. Nemmeno Midorima si espresse, consapevole di aver scatenato le ire della fazione dell’Alleanza su Kuroko.
Quest’ultimo intervenne, ormai prossimo a raggiungere il suo triste cadavere e resuscitare, sempre che qualche nemico non decidesse di vendicarsi:
“Voi cominciate Akashi-kun, vi raggiungo.”
Akashi stava per parlare e anche Aomine, ma Kagami intervenne, dopo aver bevuto una litrata d’acqua dalla sua scrivania. Faceva caldo e cercare di sopravvivere in un mondo popolato di nemici che lo volevano morto non era propriamente un’impresa facile.
“Rimango indietro io a guardarti le spalle, Kuroko.”
Aomine saltò sulla sedia: “Non dirlo neanche per scherzo, Bakagami, sei lento e saresti solo d’intralcio. Ci penso io.”
A quel punto fu il turno di Akashi a parlare e gli altri tacquero: “Non importa chi o come, basta che vi muoviate. Siamo in ritardo. La prossima volta che loggo e vi trovo ancora così non solo vi caccio dalla gilda ma vi deleto l’account.”
Aomine roteò gli occhi, com’era sua abitudine fare, ma non disse nulla, limitandosi ad assicurarsi che Kuroko riuscisse a fuggire, mentre Kagami borbottò qualcosa d’indefinito.
Finalmente riuscirono ad entrare tutti nel raid, in compagnia di altri giocatori cercati sul server, ma prima di cominciare Kise domandò:
“Akashicchi, qual’era la tua proposta per l’estate?”
Akashi occhieggiò il volantino accanto alla scrivania ma disse semplicemente:
“Ve lo spiego quando finiamo. Ora concentriamoci. Non vogliamo perdere contro Gul’dan, vero?”
No, decisamente nessuno di loro voleva venire sconfitto.
Murasakibara venne protetto dai suoi due healer, radunò attorno a sé i mostri, e gli altri attaccarono, assieme. Ora era davvero tutto perfetto: in fondo… avevano già vinto.


***

Seduto al tavolo con davanti un milkshake ghiacciato, Kise aprì la busta contenente il recente acquisto fatto e contemplò soddisfatto l’oggetto al suo interno: un costume da bagno super colorato, con tante palme e onde. Adatto alla splendida proposta di Akashi per festeggiare in grande stile l’ultima estate del liceo: andare tutti assieme tre giorni al mare, gli ultimi di agosto per la precisione.
Il che coincideva anche con il compleanno di Aomine ma questi aveva già ribadito che se qualcuno avesse osato festeggiarlo se ne sarebbe andato anche a nuoto, piuttosto.
Kise sospirò, riponendo i suoi boxer; trovava estremamente appagante l’idea di averli comprati seguendo nient’altro che la sua libera scelta, nonostante in realtà avesse a sua disposizione i numerosi costumi regalati durante i vari set fotografici svolti per l’estate. Soprattutto perché tendenzialmente si trattava di roba attillata in una maniera quasi imbarazzante, motivazione che l’aveva dunque spinto ad archiviarli tutti, così magari da regalarli un giorno per scherzo a Kagami o Aomine. Rise fra sé e sé, bevve un sorso della sua bevanda poi sollevò la testa quando sentì un eco farsi più vicino:
“Scusami, scusami, scusami Aomine. La prossima volta mi porto dietro più soldi così prendi il milkshake grande.”
“Finiscila Ryo, mica devi pagarmela tu la roba.”
“Scusami!”
Kise annuì, era sicuro che nel mezzo ci fosse la voce di Aomine, inframmezzata da una sorta di sospiro misto a un ringhio. Infatti quando entrò in contatto visivo con Daiki e il suo compagno di classe, nonché di squadra, Ryota fece un cenno con la mano per farli avvicinare.
Ryo Sakurai. Uno tra i pochi che Aominecchi chiamasse per nome, oltre a Kurokocchi e Momocchi.
Li vide raggiungerlo con le loro bibite in mano; quando Aomine arrivò al tavolo poggiò di malagrazia la cartella e si sedette di fronte a Kise, mentre Sakurai si era inchinato profondamente davanti al modello, per poi in seguito affiancarsi al compagno.
“Aominecchi, che bello vederti! Com’è andata la verifica?” domandò allegro.
“Kise, non avevi proprio altro da chiedermi? – scrollò le spalle, poi si prese un sorso della sua bevanda e rimase sul vago – mah, forse bene. Che hai lì?”
Domandò, per cambiare tatticamente argomento.
Ryota tirò fuori i suoi boxer multicolor: “Costume da bagno per quando andremo tutti assieme al mare!”
Aomine si portò le mani davanti, profondamente disgustato: “Ma che è sta roba? Mettili via, fai soffrire la gente di crisi epilettiche con quegli affari.”
“Non parlarmi tu di gusti, visto che ti prendi robe tipo… mah, il milkshake alla banana.” Replicò con un sorrisetto, per poi appoggiare un gomito sullo schienale del divanetto.
“E allora? Mica lo devi bere tu, mi sembra.” Ribatté Aomine, dando una lunga sorsata come per certificare che apprezzava tantissimo la sua personale scelta.
“Per fortuna!”
Il modello si adagiò meglio sulla sedia, poi commentò, visto che Aomine per contro continuava a bere fissandolo con una sorta di divertita provocazione: “Quindi… pronto anche per le ripetizioni?”
Daiki fece una smorfia. Non solo Akashi aveva avuto la brillante idea di festeggiare le ultime vacanze da liceali assieme ma, evidentemente incontentabile nelle sue assurde pretese, aveva anche insistito affinché lui e Kagami facessero ripetizioni per scongiurare il pericolo di non passare gli esami d’ammissione all’università – ma poi, sta dannatissima università, chi aveva esattamente deciso che si dovesse per forza fare?
Come per smentire quell’interrogativo rabbioso, il giocatore della Too sentì in tasca il volantino stropicciato dell’università che gli aveva proposto Akashi, volantino ripescato dalla pila dei suoi abbandonati sulla scrivania, dicendogli che con ogni probabilità sarebbe stata la più adatta per lui. Non aveva minimamente accennato di averne parlato con gli altri, anzi, da come si comportava Seijuro sembrava non averli informati affatto.
Aomine aveva una mezza intenzione di discuterne con Kise ma, giunto a quel punto, non ne era più tanto sicuro che importasse qualcosa.
“Chissà poi perché Kagamicchi fa ripetizioni con me e non con Kurokocchi. Akashicchi è davvero strano per queste cose. Ma… mi fido di lui.” Commentò Kise, all’improvviso serio.
Daiki lo guardò a metà tra lo scettico e il perplesso, eppure l’unica cosa che domandò fu:
“Trovi tanto strano che Tetsu dia ripetizioni a me anziché a Kagami?”
Sembrava quasi una domanda fatta con un tono offeso, ma in realtà Aomine voleva davvero capire se era proprio improbabile che lui e Kuroko potessero essere visti dagli altri come qualcosa di diverso dall’etichetta di ex-luce ed ex-ombra. Kise ci pensò un istante, scrutando il volto sinceramente interessato di Aomine, meravigliandosi intimamente di come negli ultimi anni avesse visto un Daiki sempre più sereno, quasi questi stesse scendendo man mano a patti con i suoi fantasmi. Anche se forse… non ancora tutti.
“Solo perché sono nella stessa scuola e Kurokocchi conosce meglio il programma che seguono. Magari semplicemente Kurokocchi è più paziente di me quando si tratta di avere a che fare con un caso umano come il tuo.”
Dichiarò con il preciso intento di prendere in giro Aomine.
Almeno sullo studio poteva apertamente imporre la sua ironia, visto che con il basket non solo Daiki era intrattabile nella sfera degli scherzi ma… si giocava su un terreno completamente differente. Al liceo soltanto poche volte Kise era riuscito a battere Aomine e ogni volta entrambi avevano davvero dato tutto di loro stessi.
Infatti da quando Daiki aveva ripreso ad allenarsi con costanza sembrava… non su un altro livello, ma direttamente su un altro pianeta: i suoi movimenti, i tiri apparentemente senza una tecnica, la velocità elevata; tutto di lui portava a pensare che avesse ideato e concepito assieme al proprio corpo quel modo unico, superiore, di giocare a basket. E, forse, era davvero così.
Ryota si ricordava di quando, alle medie, litigavano e finivano per azzuffarsi, anche se sempre piuttosto bonariamente seppur rimediando ogni tanto qualche livido, perché Kise proprio non voleva saperne di non riuscire a star dietro ad Aomine. Quindi non si rassegnava e lo provocava, per attirare la sua attenzione, per dirgli: ci sono anch’io, e un giorno sarai tu a guardare me, non viceversa.
Sì, un giorno, magari all’università, Kise che imparava con rapidità e naturalezza sarebbe stato più avanti di Daiki. Era anche per quello che il ragazzo dava il massimo giocando a basket.
Senza pensarci, Aomine prese ciò che Sakurai non aveva ancora finito di bere del suo milkshake e diede una bella sorsata, per poi commentare:
“O forse Akashi ti ha affidato Kagami perché siete entrambi due stupidi.”
“Aominecchi potresti trovarti dei costumi da uomo attillati in valigia, una volta arrivato in albergo, e avere solo quelli. Quindi – continuò con un sorriso pericolosamente affilato – stai molto attento.”
Daiki borbottò qualcosa con apparente noncuranza, perché sapeva quanto Kise potesse essere determinato e disposto a tutto pur di arrivare dove voleva. E poi davano dello stronzo ad Aomine solo perché rispondeva male; ah… le ingiustizie della vita.





Sproloqui di una zucca

Finalmente ho avuto tempo e modo di riuscire a correggere il capitolo e postarlo, anche se stamattina, tanto per gradire, è pure saltata la corrente - una roba di pochi secondi, ma mi ha perso delle correzioni non salvate =_=' Insomma, un gomblotto!!1!
Oltre a ciò si tratta di un bel capitoletto, relativamente lungo (so far mooooolto peggio ohohoh), che va ad analizzare personaggi come Akashi e Kise.  Ebbene sì, per l'estate sono programmate ripetizioni e annuncio che il prossimo giro di boa sarà dedicato ad Aomine e Testu; in questo frangente ho preferito spostare lo sguardo su chi li circonda principalmente, ragione per cui non ho accennato alla problematica di Testsu 2 (è ancora vivo, no worries <3).
Anyway, voglio il costume sparaflashante di Kise e vedere Aomine con il costumino attillato lol

Piccole precisazioni su che accidenti fanno i nostri beniamini su wow, roba che potete anche saltare e puppaaaa:

Craftare flask - Creare pozioni (aò, in game si parla sempre con termini inglesi riadattati in italiano, che ci posso fare); servono certe abilità specifiche che nulla hanno a che fare con il combattimento vero e proprio, dunque figurarsi se tipacci come Aomine o Kagami si mettevano lì ad allenarsi con il crafting, anche se in realtà ripaga bene, anzi, c'è gente che fa una fraccata di soldi virtuali creando roba. Midorima per esempio crea delle pozioni per aumentare la statistica principale del suo personaggio e quindi fare più danno o, se fosse stato healer, più cure. Tendenzialmente nei raid importanti è fondamentale che tutti siano flaskati (quindi che si trangugino la loro bella pozioncina pagata fior fior di gold - valuta su wow) altrimenti possono anche puppare e andarsene prima di cominciare.

Tirare l'aggro - sempre il nostro geniale Midorima. C'è un'abilità dell'hunter, la sua classe, che consente nello sparare una sorta di razzo per far si che l'aggro (in parole povere la rabbia e l'interesse del mostro di turno nei confronti dei giocatori) venga rivolto verso un player specifico. Questo perché di base l'hunter tende a tirare tanto aggro (quindi ad acchiappare un sacco di mazzate, cosa che non dovrebbe ricevere per evitare di schiodare), quindi direziona tutto nei confronti del tank se la situazione diventa ingestibile. Ma questa può essere anche una tattica per levare dai guai dei compagni e ripristinare tutto l'aggro sul tank (quello che di professione prende botte). Povero Kurokocchi. Di base nel pvp sta cosa non funziona ma chiudiamo un occhio.

Ally/Alleanza: Su wow ci sono due fazioni opposte. Orda (Horde) e Alleanza (Alliance). La Gilda della Leggenda è Orda; se gente dell'Orda trova giocatori Ally (anche in italiano li chiamiamo sempre così) si può fare pvp (combattere tra giocatori) e viceversa ovviamente. Aomine e Kagami sono delle merdacce che si divertono a picchiare gli Ally, sostanzialmente (io un tempo ero Ally, poi ho trasferito il pg sul lato Orda perché mi ero rotta le palle di venire pestata ogni santa volta - sì, sono healer come Kuroko e gli healer vengono tendenzialmente usati come sacchi da boxe se non supportati, anche se il priest disci... vabbé, lasciamo stare XD)

Grazie a quanti di voi leggono questa storia! In un eventuale futuro racconto di Kuroko & Co. che giocano di ruolo, così analizziamo il mio evidente disagio sociale XD


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Capitolo 5
*** Più io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace. ***



Più io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace.




Erano passate due settimane da quando erano state decise e pianificate le lezioni di recupero per l’asso della Too. Di conseguenza Aomine aveva preso a frequentare regolarmente la casa di Kuroko per farsi dare ripetizioni nelle materie in cui era più carente; dunque praticamente tutte, vista la scarsa attitudine allo studio.
Era dalle medie che Daiki non entrava nella stanza di Kuroko e, dopo tutti quegli anni di distanza, si era reso conto che non sapeva esattamente cosa vi avrebbe trovato. Da ragazzino non aveva fatto assolutamente caso alle cose presenti all’interno, né tantomeno si era fermato a riflettere su quali oggetti rispecchiassero il proprietario e il suo carattere; all’epoca erano, appunto, solo ragazzini e tutti i loro pensieri erano interamente rivolti al basket, che amavano entrambi così tanto da portare il resto in secondo piano.
Ma quel giorno d’estate di tanti anni dopo, appena messo piede all’interno della camera per la prima volta Aomine si era guardato attorno per leggere Kuroko, tra quelle mura. Non sapeva esattamente perché, eppure credeva di trovare mobili vuoti, pareti spoglie e arredamento essenziale, forse visto che Tetsuya appariva esattamente così: mostrava solo l’indispensabile, a volte nemmeno quello.
Ma quando Aomine attraversò la soglia, dovette ricredersi: vide numerosi poster di basket appesi alle pareti e un calendario con segnato il programma degli allenamenti, delle ripetizioni con lui, delle partite importanti. Erano annotate anche le vacanze assieme.
Inoltre ogni scaffale o ripiano disponibile era stato coperto di libri, piazzati in qualunque posizione possibile per recuperare spazio – libri che andavano dalla letteratura classica al fantasy, passando per qualche testo sui trucchi di magia o album dedicati alla storia del basket. Quante volte, a ben pensarci, a Daiki era capitato di incontrare Tetsu con un libro in mano, nelle rare occasioni in cui era Aomine a scorgere l’amico e non viceversa.
Sul letto fatto ma con qualche leggera piega, come se ci si fosse sdraiati da poco, c’era un libro lasciato aperto per tenere il segno e una pila di vestiti evidentemente stirati ma non ancora messi a posto. La scrivania era praticamente vuota, eccetto per un computer portatile in stand by e una lampada alla quale era appeso il polsino che Kuroko aveva sempre usato come portafortuna in tutti gli incontri di basket. Era una camera vissuta, piena di cose, non caotica come quella di Aomine ma nemmeno asettica. Era... Kuroko. Negli oggetti che gli piacevano, nei libri, nell’amore per la lettura e per il basket, nel pallone messo in un angolo per non ingombrare ma decisamente a portata di mano.
Gli sembrava di riuscire a vederlo, sdraiato sul letto con una gamba sul ginocchio, il libro in mano e la musica che andava sul computer portatile.
Vide il tavolino basso al centro, con disposto qualche libro, dei fogli da scrivere e delle penne: tutto era pronto per lui, in fondo. Come se Aomine fosse già entrato nella quotidianità di Kuroko, tra i suoi libri e i suoi vestiti.
Quel giorno erano seduti l’uno di fronte all’altro, con il tavolino basso in mezzo a loro. Il ventilatore si muoveva pigramente smuovendo l’aria calda, mentre i bicchieri pieni di the freddo gocciolavano piano sul mobile, lasciando cerchi di acqua dove venivano dimenticati durante lo studio.
Con una matita appoggiata sopra le labbra e la testa sorretta dalla mano, Aomine ascoltava Kuroko, intento a spiegargli un’espressione di trigonometria che soltanto fino a pochi giorni fa a Daiki sarebbe sembrata scritta indicativamente in cirillico. Sorrise, perché quel giorno Tetsuya aveva i capelli scombinati che andavano da tutte le parti. Avrebbe voluto... toccarglieli. Da ragazzino lo faceva sempre. Strano come, crescendo, adesso gli sembrava un gesto tanto più profondo di allora, forse anche per via di tutto quello che avevano passato.
“Quindi?” domandò all’improvviso Kuroko, guardandolo in attesa di risposta.
Aomine fece cadere la matita che gli rotolò davanti, realizzando di essersi perso nei suoi pensieri e non aver logicamente ascoltato il resto della spiegazione.
“Pausa, Tetsu?” domandò di rimando. E, istintivamente, gli sorrise.
Kuroko continuò a fissarlo, riflessivo, perché magicamente gli era sembrato di avere davanti l’Aomine scherzoso di un tempo, che combinava disastri in classe e rideva con tutti in mensa.
Prima che Tetsuya potesse dire qualcosa, però, bussarono alla porta della stanza. Dopo un istante entrò sua nonna che li salutò e annunciò di aver portato loro due ghiaccioli per combattere il caldo, per poi aggiungere:
“Mi ricordo quando da ragazzini li mangiavate sempre sul portico di casa. C’eravate poco, in realtà, sempre a scuola o a giocare a basket. Ma – sorrise, con le sue rughe sulla bocca sottile e gli occhi chiari come quelli del nipote – Tetsuya era sempre felice quando vi vedevate. Ti sei fatto un bel ragazzo Daiki, anche se sei diventato più serio.”
Il nipote guardò la nonna anche se, con un leggero imbarazzo, aveva lanciato un’occhiata ad Aomine, il quale aveva sgranato gli occhi nel sentirla parlare di lui e Kuroko; la nonna di Tetsuya era una persona che, in fondo, non li aveva praticamente mai visti giocare a basket ma solo... vivere, ogni giorno, assieme. E che si ricordava di quando lui sorrideva, rideva, talmente tanto da avere male alla mandibola e le lacrime agli occhi.
“Grazie, signora.” Disse semplicemente Aomine e si alzò, anticipando il compagno di studi nel prendere i ghiaccioli. Vide le sue mani con le leggere macchie dell’anzianità e si stupì che, della propria infanzia, ricordasse più quella signora sempre gentile rispetto ai suoi genitori, raramente a casa.
La nonna accarezzò i capelli già scompigliati di Kuroko, sorrise a entrambi e uscì dalla stanza, aggiungendo che aveva il bucato da stendere prima che i genitori del nipotino rientrassero a casa.
Quest’ultimo era rimasto seduto, con il busto rivolto verso la porta. Aomine si sedette vicino, sul pavimento, e porse il ghiacciolo all’amico dopo aver appoggiato il proprio sul tavolino accanto.
Ma, prima che il ragazzo potesse prenderlo, Daiki ci ripensò: all’improvviso gli tirò con un dito il collo della maglietta e gli infilò il ghiacciolo dentro. Kuroko sobbalzò per il freddo, facendo scoppiare a ridere l’asso della Generazione dei Miracoli:
“Ti devo ancora un gelato dietro la schiena, Testu.” Annunciò, per poi sorridere nuovamente nel vedere la smorfia del compagno di un tempo che si affrettò a recuperare il ghiacciolo, sollevando appena la maglia.
“Sei scorretto, Aomine-kun, hai approfittato della mia distrazione.” Gli fece presente, tornando a guardarlo. Poi iniziò ad aprire l’incarto e Daiki sollevò le spalle, appoggiando le mani sul pavimento mentre teneva un piede vicino alla coscia e l’altra gamba stesa, così vicina a Kuroko da potergli sfiorare il fianco.
“E’ l’unico modo che ho per sorprenderti.” Si giustificò, in un soffio.
Assottigliò le labbra.
Tetsuya lo fissò, con il ghiacciolo tra le mani. Una goccia gli cadde sul pavimento ma a nessuno dei due importò.
“Sei sempre capace di sorprendermi, Aomine-kun – restarono in silenzio, poi il ragazzo lanciò un’occhiata all’altro ghiacciolo dimenticato sul tavolino – mangialo, prima che si squagli. Rischiamo che inondi le equazioni.”
Lo fissò con quell’aria che non faceva mai capire se il giocatore della Seirin stesse scherzando o se davvero temesse che un ghiacciolo potesse in qualche forma macchiare il libro.
Aomine prese il suo concentrato di ghiaccio chimico e sorrise, vedendo che era proprio identico a quelli che, anni fa, prendevano sempre assieme lui e Tetsuya. Se lo mise un istante in bocca, assaporò il gusto di anice come stava facendo l’amico, poi dopo un attimo di pensiero gli domandò, cedendo all’orgoglio di ammettere che durante le ripetizioni non stava seguendo esattamente tutto di Kuroko, impegnato com’era a guardarlo – no, quello non gliel’avrebbe mai detto:
“Cos’è che mi stavi chiedendo prima, Testu?”
“Prima quando?” domandò Tetsuya, continuando a leccare il proprio gelato, mentre faceva finta di nulla.
Aomine roteò gli occhi, poi gli dette una leggera spinta con il piede: “Avanti, mi stavi parlando di matematica. E prima ancora di un sacco di altre robe. Non sono abituato a sentirti parlare.”
Mi piace, sentirti parlare.
Kuroko annuì. Sembrava meditabondo. Poi scosse appena la testa, commentando con quella serietà pacata ma accademica che lo faceva sembrare un insegnante perfetto:
“Se non mi ascolti, Aomine-kun, comincerò a pensare che Kagami-kun faccia bene a chiamarti Ahomine.”
Si lasciò un istante il ghiacciolo in bocca, fissando senza battere ciglio Daiki che per contro sbottò:
“Oi, Tetsu, ti stavo ascoltando! E ti guardo anche, senza che quell’idiota di Bakagami...”
Si interruppe. Perché, all’improvviso, vide il suo imprevisto insegnante estivo sorridere.
Sollevò appena le sopracciglia; in quel modo, con quell’espressione, a Kuroko sembrò di tornare a vedere un ragazzino, splendido come allora.
“Nulla.” Rispose infine, altrettanto all’improvviso.
Solo a quel punto Aomine inarcò in maniera decisamente più marcata un sopracciglio, leggermente perplesso e, allo stesso tempo, splendidamente confuso da quel sorriso: “Nulla che?”
Kuroko appoggiò il bastoncino sul tavolo e si alzò in piedi, sistemandosi i pantaloncini:
“Non ti stavo chiedendo nulla, prima. Volevo prenderti in giro vedendo se eri attento. E non lo eri, Aomine-kun.”
Gli disse, guardandolo dall’alto, mentre il giocatore della Too teneva la testa appena sollevata. Quando quest’ultimo realizzò di essere stato preso in giro, tirò addosso al suo compagno di studi il proprio bastoncino:
“Testu, maledetto, questa me la paghi!”
Ma prima che potesse aggiungere altro Tetsuya 2 entrò in camera, scodinzolando e lanciandoglisi addosso, con entusiasmo. Ormai avevano quasi completato il ciclo di cortisone e, dopo settimane di trattamento, l’ingrossamento del tutto sparito; in quei giorni il cane sembrava rinato, aveva smesso di mugolare e ripreso a mangiare con appetito. Anche Kuroko, di riflesso, appariva decisamente più sereno.
Aomine coccolò il cane con affetto.
Testuya annunciò semplicemente, con la sua solita leggera serietà: “Bravo Numero 2, misdirection efficace.”
Daiki, suo malgrado, sorrise. Poi sollevò lo sguardo verso l’amico e gli propose:
“Andiamo a giocare? Assieme?”
Kuroko fissò un istante il libro, poi contrattò: “Stasera in dungeon ti curo solo se rispondi correttamente alle domande che ti faccio man mano, quindi dopo studi.”
Ma, nel dirlo, aveva già la palla da basket in mano.
Aomine scattò in piedi: “Prima dovrai riconquistarti la palla.”
Fece per andargliela a prendere e, allora, toccò le sue mani. Ma non le lasciò: i due ragazzi rimasero dunque così, in piedi, le mani di Kuroko sul pallone e quelle di Aomine sopra le sue.
“Abbiamo la palla entrambi.” Notò semplicemente Kuroko. E fissò le dita di Aomine, quelle dita sottili nonostante i calli per il gioco: avrebbe potuto suonare il piano, talmente erano belle e agili, eppure forti, così tanto da sembrare che potessero far esplodere quella stessa palla e contemporaneamente accarezzarla.
“Già. Sembra meno pesante.”
Aomine non guardava le sue dita, né quelle che stava toccando. Fissava direttamente Kuroko, fino a che lui incrociò a sua volta gli occhi con i suoi.
La domanda, a quel punto, gli salì spontanea ma rimase incastrata tra la lingua e i denti.
Dimmi che università farai, Tetsu. Andiamoci assieme. Solo questo. Farò tutte le ripetizioni del mondo.”
Ma, all’improvviso, Tetsuya gli lasciò con leggerezza la palla, cedendo la presa:
“Prima di andare mi aiuti a far mangiare a Tetsuya 2 le polpette di riso. Sembra si sia abituato a ricevere affetto da te.”
Dopo aver detto quelle parole, arrossì e abbassò lo sguardo, fingendo di sistemare un tavolino che non aveva bisogno di essere messo a posto, mentre Numero 2 scodinzolava.
Aomine sorrise.
Non ti ricordi, Tetsu? Più io ti guardo, meno la tua misdirection è efficace. E io... non ho mai smesso davvero di vederti.




Sproloqui di una zucca

Chiedo umilmente perdono per il ritardo nel postare ma sono statue due settimane di fuego tra matrimoni, imprevisti lavorativi e casini vari. Eppure... sono sopravvissuta e, purtroppo per voi, eccomi qui a tormentarvi con le mie storie muahahahah! Annuncio che questo sarà il terz'ultimo capitolo. Ancora più due e giungeremo alla conclusione di questo gigantesco what if/missing moment; chissà che poi in futuro non decida di proseguire oltre, portando più avanti con l'età i nostri amati ragazzi in una nuova storia (vai di ospizio, yeah XD).
Per quanto riguarda il capitolo è un po' più corto rispetto ai miei standard ma volevo creare un momento che fosse solo di Kuroko e Aomine, senza gioco o altre persone. Loro due, assieme.
Aomine, tesoro mio, quando ti deciderai a saltar addosso a Tetsu? O lasciamo che ci pensi Kuroko? Basta che vi decidiate, và.
Avessi messo un bollino rosso alla storia avrei fatto che farli denudare seduta stante, in barba alla credibilità psicologica ed emotiva dei personaggi, olé!
Come sempre grazie per seguire e leggere questa storia!

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Capitolo 6
*** Tieni. Ho più pazienza di te, posso aspettare. ***




Tieni. Ho più pazienza di te, posso aspettare.





La signora Wakabayashi da anni era ormai solita ospitare presso il suo ryokan vicino alla spiaggia una clientela abituale che aveva, tendenzialmente, un’età media compresa tra i settanta e gli ottant’anni; insomma, una tranquilla schiera di vecchietti più o meno suoi coetanei che durante il periodo estivo soggiornavano nella tranquilla pensione, alla ricerca di un clima famigliare dalla tradizione giapponese e comodità semplici, adeguate al loro stile di vita.

Però a inizio agosto aveva ricevuto una telefonata – aveva da poco cominciato a usare la mail ma non capiva granché di tutta quella tecnologia, e i suoi ospiti tendenzialmente confermavano di anno in anno – da un signore mai sentito prima che aveva prenotato per ben nove persone, in vista degli ultimi tre giorni dello stesso mese. Ora, dalla voce sembrava anche piuttosto giovane, anche se tra sé e sé la proprietaria del ryokan si era sentita un po’ sciocca a pensarlo, visto che tendenzialmente i ragazzi preferivano andare negli hotel o nei b&b in stile occidentale, magari con il wi-fi e tutte quelle aggiunte tecnologiche che sembravano tanto irrinunciabili.
Quindi si era segnata il cognome, prenotato le tre stanze con la richiesta di poter avere una singola e dotata se possibile di una cuccia per cane – animale che la Signora Wakabayashi adorava, e aveva lasciato perdere l’intera faccenda, trovando comunque piacevole vedere qualche volto nuovo anche se per poco; magari i novelli ospiti avrebbero partecipato volentieri alle chiacchiere vicino al male dei suoi adorati clienti.
Poi, giunse il fatidico giorno.
Keiko Wakabayashi aveva dovuto trattenersi dal sussultare piena di sorpresa quando si era vista davanti non il reparto geriatrico come nelle sue aspettative, bensì un allegro, vitale, colorato gruppo di… ragazzi.
Sì, erano proprio ragazzi. Giovani, ancora non pienamente uomini, amici evidentemente da diverso tempo e assolutamente non stagionati.
Rimase muta dietro il piccolo bancone in legno dove alloggiavano le sue ricevute di carta, l’elenco telefonico, le mappe vetuste della città e dei luoghi da visitare, nonché un gatto portafortuna che poteva ormai annoverarsi decisamente tra i cimeli storici.
“Buongiorno.” La salutò con impostazione educata un giovanotto dai capelli rossicci e lo sguardo… sì, sembrava un gatto.
“Buon… buongiorno.” Rispose la donna, aggiustandosi gli occhiali che le erano caduti leggermente sul naso. Mosse appena la testa per scorgere un tizio talmente alto che per passare dalla porta aveva dovuto piegare la schiena. Gli altri erano in attesa, con le loro valigie alla mano.
“Abbiamo prenotato tre camere sotto Akashi.” Spiegò il ragazzo con quello sguardo vagamente felino.
La signora annuì, pensosa, e scartabellò il suo gigantesco blocco a quadretti con appuntato esattamente quello stesso cognome.
Dall’altra parte Aomine, con il suo borsone nero a tracolla, roteò gli occhi e borbottò guardando Momoi:
“Ma perché accidenti Akashi ha prenotato qui?”
Non che l’atmosfera famigliare gli dispiacesse, anzi, c’erano tendenzialmente meno rompiscatole in giro, però la signora sembrava decisamente fuori dal mondo. Momoi lo rimproverò facendogli segno di fare silenzio, accompagnata da un abbaio convinto di Numero 2, ma non poteva minimamente immaginare che a conti fatti l’anziana albergatrice condividesse le stesse perplessità di Aomine.
In ogni caso la donna tirò un bel sospiro, mostrò un sorriso e si disse massì, un po’ di freschezza giovanile non potrà che dare nuova vita al ryokan.
“Sì, ecco la prenotazione – confermò, facendo poi un inchino – benvenuti. Vi faccio vedere le stanze, ho preparato anche la cuccia per il cagnolino.”
Fu un giro abbastanza breve, perché le camere con i futon non erano grandissime, anche se dotate di yukata, asciugamani e quello che poteva servire per il soggiorno, inoltre erano pulite e gli ambienti tenuti con grande cura. Non a caso Akashi aveva fatto una rigorosa indagine prima di prenotare, ma quello lo tenne per sé, vista la sua natura scrupolosa e organizzatrice.
Non appena la signora concluse e dette le chiavi, assistette suo malgrado al sacrosanto rituale dello stabilire chi stesse in camera con chi. Si sedette dietro il bancone, tranquilla, con in mano la sua rivista settimanale di enigmistica, anche se in realtà fu incuriosita dall’interagire allegro e a tratti irruento dei giovanotti. La ragazza, unica presente, sembrava quasi fare da cuscinetto, probabilmente per il carattere accomodante ma deciso quando serviva.
“Basta che io non stia in camera con Kagami.” Specificò immediatamente Aomine, gettando il borsone ai suoi piedi.
Kagami gli puntò il dito contro: “Ma sentiti! Sei proprio un bastardo! Chi ci vuole stare con te?”
Con fare tranquillo Akashi intervenne: “Forse questi tre giorni potrebbero essere l’occasione adatta per appianare un po’ i vostri conflitti. Quando giocate assieme sembrate abbastanza affiatati, forse potreste replicare anche nella vita sociale… se ne siete in grado.”
Punti sul vivo, sfidati nell’orgoglio, i due ragazzi si guardarono. Aomine incrociò le braccia:
“Se Bakagami è riuscito a combinare qualcosa sul campo magari può tentare anche qui.”
“Ti ricordo che ti ho anche sconfitto, sul campo, quindi forse sei tu a dover valutare cosa riesci a fare nella vita vera!” rimbeccò l’altro, senza mezzi termini.
Borbottarono ancora l’uno contro l’altro, quando Akashi si rivolse a Midorima e Murasakibara:
“Potete tenerli d’occhio voi?”
Murasakibara scrollò le spalle, convinto che tanto avrebbe comunque potuto continuare a mangiare anche frantumando le teste di Kagami e Aomine, ma non disse nulla, mentre Midorima, sistemando accanto alla sua borsa la racchetta da tennis – oggetto fortunato del giorno, osservò inquisitivo:
“Pensavo avresti chiesto a Kuroko.”
Akashi si limitò ad accennare un sorriso: “Lo fa già il resto dell’anno. Direi che si merita anche lui una pausa.”
Gli lanciò un’occhiata, vedendo che era intento assieme a Momoi, arrossita per l’occasione, ad accarezzare Tetsuya 2.
Poi, in contemporanea con Midorima, scrutò Takao che si guardava attorno allegro ed evidentemente impaziente di tuffarsi in acqua, confidando a Kise la genialata di essersi già messo il costume addosso per evitare di perdere tempo.
Shintaro assottigliò le narici e domandò sprezzante:
“Com’è che alla fin fine c’è anche lui?”
“Non eri stato tu a dirmi che proprio in quel periodo aveva le ferie anche dal lavoro part-time? – Midorima, quasi colpevole, fece una leggera smorfia – poi non l’ho ancora rimosso dalla chat.”
Come per dire: poteva non esserci anche lui, visto che andavamo via tutti assieme?
“Sì, suppongo che meriti persino lui di andare da qualche parte.” Borbottò Midorima, deviando lo sguardo.
“Come tutti noi.” Concordò Akashi, mentre spostava lo sguardo su Kise che già si mostrava entusiasta oltre ogni misura di condividere la stanza con Kurokocchi e progettava grandi giochi in spiaggia, nuotate, giri per il paese, senza contare l’acquisto di palloni, angurie, lettini e tutti gli accessori assortiti per garantire una fantastica permanenza estiva.
La signora Wakabayashi in quel quarto d’ora si ritrovò a sorridere, di cuore. Perché era stata travolta dai ricordi della sua giovinezza, del mare, delle nuotate con gli amici e dei falò in spiaggia, la sera, sotto la seria supervisione degli adulti. Provò un senso di nostalgia, non amareggiato dal peso triste e sconfortante della vecchiaia, bensì vagamente dolceamaro di una donna che riveda negli occhi altrui quei momenti e vorrebbe poter far presente a chi li sta vivendo di tenerli cari, perché unici e irripetibili.

***

La giornata seguente in spiaggia si era svolta nel migliore dei modi: gare di nuoto estreme fino a vedere solo più dei puntini rispetto alla riva, palleggi vicino alla risacca con tanto di schiacciate e schizzi d’acqua che portarono Aomine e Kagami a rimbrottarsi a vicenda – “L’hai fatto apposta, ammettilo”, “Certo, come no, eri tu che ti sei schiaffato in direzione della palla, demente!” – il tentativo maldestro di Kise di spaccare un’anguria, fino all’arrivo di Murasakibara che era riuscito a sfondarla con un pugno, dato senza nemmeno troppa convinzione, con il risultato però di spappolarla tutta.
Sulle prime gli anziani sistemati sulla spiaggia di fronte al ryokan, abituati alla calma piatta della loro personale estate fatta di silenzio e tranquillità, cullata dal rumore delle onde, avevano storto un po’ il naso per quell’improvvisa botta di chiasso, colori, gente in costumi dai disegni improbabili, palloni che volavano e urla di guerra. Poi alcuni di loro avevano optato per farsi una partita a shogi, sistemando la scacchiera su un tavolino basso di plastica, capace di resistere alla sabbia e a eventuali colpi accidentali, dato che le ginocchia non erano più quelle di una volta: visto che non era proprio possibile farsi la pennichella pomeridiana, per colpa del chiasso prodotto da quei giovanotti impertinenti, si potevano ugualmente sfruttare quelle ore insonni facendo qualcosa di produttivo. A un certo punto si avvicinarono Akashi e, quasi di riflesso nonostante un viso abbastanza reticente, anche Midorima.
Il primo si permise di suggerire una mossa che avrebbe salvato l’anziano giocatore da una sicura capitolazione, mentre Midorima osservava con le mani dietro la schiena, aggiustandosi ogni tanto gli occhiali e lanciando qualche commento asciutto se vedeva una scelta potenzialmente sbagliata da parte dell’altro contendente. Finirono per sedersi accanto a loro, iniziare a scambiare qualche chiacchiera, mentre ogni tanto Kise si avvicinava e portava anguria spappolata per tutti.
Questo fino a che l’aitante modello venne richiamato da Kagami, che voleva ancora provare a giocare a volano: in realtà, proprio non sopportava l’idea che il vento influisse in maniera così incontrollata su una dannatissima pallina che se ne andava da tutte le parti, quindi stava diventando una questione di principio, questione che invece Aomine aveva già abbandonato, infastidito dal dover correre avanti e indietro per tutta la spiaggia senza uno scopo.
Quest’ultimo infatti si sedette sul telo con le gambe incrociate e prese a guardare Momoi e Kuroko, intenti a costruire castelli di sabbia sempre più complessi, con tanto di mura artigianali, un ponte, un fossato pieno d’acqua che puntualmente veniva prosciugata dalla sabbia avida e stecche di gelato per fare le bandiere.
Con un gomito appoggiato sul ginocchio e la testa sulla mano, pigramente tranquillo li osservava.
“Vuoi fare un torrione anche tu, Aomine-kun?”
Gli domandò Kuroko all’improvviso, sollevando lo sguardo. Senza attendere risposta gli aveva già sporto un secchiello, con tanto di immagini tratte da qualche cartone animato tra le migliaia e migliaia che popolavano il Giappone.
Daiki scrollò le spalle, mentre Murasakibara si allontanava con un suo personale secchiello per fare scorta di gelati che, tanto, con la sua voracità non avrebbero mai fatto in tempo a sciogliersi.
“Wow, che gran divertimento…” borbottò, ma prese l’oggetto in plastica e si alzò in piedi.
“Dai-chan dove vai?” gli domandò Satsuki.
Il ragazzo si portò un pugno al fianco, piegando il gomito, e anziché risponderle esortò l’amico:
“Dai Tetsu, prendi l’altro secchiello. Che castelli volete fare? La sabbia si sta asciugando e il fossato fa schifo.”
Kuroko lo guardò un istante, con gli occhi grandi che non battevano ciglio, poi annuì e afferrò a sua volta il contenitore accanto, anch’esso autografato da immagini di altri anime non meglio specificati. Momoi, sorridendo, li vide correre verso la spiaggia, chinarsi per raccogliere l’acqua e litigare allegramente con la risacca del mare che si ritraeva troppo presto, mentre poco distanti Kise e Kagami per poco non rischiavano di investirli, con l’irruente bisogno di afferrare a tutti i costi quella benedetta pallina che se ne andava sempre per i fatti suoi.
Tornarono, versarono l’acqua e girarono la sabbia finalmente compatta, bagnandosi ancora i piedi, per poi appoggiarsi col costume fradicio sulla spiaggia umida. Con grande professionalità, ma senza mancare della frettolosa curiosità che Aomine metteva in tutte le cose reputate interessanti, Daiki riempì il secchiello e in un unico movimento rovesciò il contenuto accanto a un altro bastione eretto da Kuroko. Lo sollevò dando un colpo forse un po’ troppo secco e dopo qualche secondo si aprì una crepa precisamente a metà, facendo crollare parte dell’altrimenti splendida struttura di sabbia.
“Lasciatelo dire, coi castelli di sabbia fai un po’ schifo, Aomine-kun.”
Questi fece una smorfia:
“Sempre diretto, eh, Testu?”
“Come te.” Commentò Momoi, per poi sorridere, mentre aspergeva sabbia asciutta sulle strutture bagnate così da simulare una sorta di intonaco.
Aomine borbottò qualcosa, anche se sorprese Kuroko intento a sorridere per l’affermazione di Satsuki; nel frattempo giunse Murasakibara che si lanciò di peso sulla sdraio, come se all’improvviso il suo corpo non fosse più in grado di sorreggerlo, per poi iniziare senza indugi a scartare i gelati ammucchiati nel secchiello.
Tutti e tre gli astanti si distrassero a guardare la presenza imponente del ragazzo che, per l’occasione marittima, si era legato indietro i capelli, evento più unico che raro, come se davvero volesse sfidare i gelati a non sciogliersi prima di averli divorati tutti.
In quell’istante si sentì un urlo di Kise, seguito da un ringhio di Kagami che si lanciò con un balzo atletico per intercettare la pallina e spedirla, puntualmente, nel mare, dove venne ribaltata come in una lavatrice.
Kise si bloccò, quando realizzò dove esattamente il suo compagno di volano aveva brutalmente appoggiato il suo piedino non certo da fata.
“Kagami-kun – la voce di Kuroko, impersonale – perché?”
Taiga abbassò lo sguardo e realizzò di aver centrato in pieno la roccaforte di sabbia eretta con così tanta pazienza da Tetsuya e Momoi, con il contributo assolutamente inutile di Aomine.
“Oh, merda.” Fu tutto quello che Kagami riuscì a dire, spostando indietro il piede, come se così facendo magicamente la sabbia e i bastoncini potessero tornare al loro posto.
Momoi si era portata una mano alla bocca e aveva spalancato gli occhi per poi guardare Kuroko, forse più preoccupata che lui ci rimanesse male, piuttosto che per dispiacere nel vedere distrutta la loro opera d’arte.
Aomine ovviamente non perse l’occasione per insultare Kagami ma, prima che potesse farlo, Tetsuya si alzò in piedi, si scrollò la sabbia dai boxer con una compostezza mirabile, prese il secchiello e fissò Kagami con gli occhi immobili su di lui. Dopo un istante gli disse con voce altrettanto composta:
“Kagami-kun sei un uomo morto.”
Poi gli tese il secchiello.
“Ora Kurochin ti schiaccia.” Aggiunse Murasakibara, dopo aver inghiottito in un unico boccone metà gelato.
“Ahiahiahi.” Commentò Kise, avvicinandosi.
Kagami gli puntò un dito contro, afferrando di riflesso l’oggetto in plastica senza capire bene che accidenti dovesse farci: “Tu taci! Sto odiando quella dannatissima pallina!”
“Ehi, mi ritengo personalmente offeso.” Replicò Ryouta, scuotendo la testa.
Persino Aomine rise ma si bloccò immediatamente appena vide lo sguardo serio di Kuroko che annunciò, con il suo solito tono di voce apparentemente pacato:
“Ora, Kagami-kun, ci aiuterai a mettere la sabbia nel secchiello e a trasportare l’acqua quando serve, per rifare il castello. Non tanto per me, quanto per Momoi-san che si è impegnata tanto – fece una pausa riflessiva – e per Aomine-kun, anche se il suo contributo è stato inutile.”
“Grazie tante eh, Testu.” Borbottò l’asso della Too, mentre Satsuki arrossì vistosamente, aggiustandosi l’ampio cappello di paglia senza che ce ne fosse bisogno.
Kagami si limitò a prendere un bel sospiro, annuire e armarsi di forza di volontà, come sempre impressionato dalla determinazione altruistica di Kuroko. Akashi e Midorima, seppur impegnati con gli shogi, avevano assistito alla scena e il primo dei due si lasciò sfuggire:
“E’ quello che avrei fatto io.”
Midorima fece la sua mossa: “Non avevo alcun dubbio, Akashi.”
Quando finalmente la roccaforte venne eretta, più bella e maestosa di prima, con nuovi bastoncini e decorazioni in legno gentilmente offerti da Murasakibara, anche Akashi e Midorima espressero il loro apprezzamento, sebbene quest’ultimo avesse adottato il solito modo scarno e un po’ secco di parlare, mentre Seijuro aveva apprezzato che il fossato fosse direttamente collegato al mare tramite un canale. Insomma, un lavoro di alta ingegneria, anche se nel mezzo era difficile capire chi avesse avuto un’idea per cosa, dato che persino Aomine e Kise avevano dato il loro contributo, non solo di bassa manovalanza.
Quando nel tardo pomeriggio i ragazzi iniziarono a scrollare i teli e prepararsi per rientrare, Akashi propose, dopo aver lanciato un’occhiata ai pochi vecchietti recidivi che, complice la partita entusiasmante a scacchi, erano rimasti:
“Per stasera organizziamo un falò sulla spiaggia.”
Midorima non mancò di notare che come sempre Akashi non usava mai il condizionale nelle sue proposte, dando per scontato che sarebbero state seguite a prescindere. Kise fu il primo a mostrarsi entusiasta all’idea, com’era tipico del suo carattere esuberante e determinato, capace di mettere una carica energica in tutto ciò che faceva; anche gli altri trovarono la prospettiva ottima e abbastanza facile da realizzare, dato che bastava recuperare un po’ di legna secca e qualche pietra da vicino gli scogli per contenere il fuoco. Poi durante la sera il mare aveva sempre un suo fascino speciale, così come erano speciali i racconti e le chiacchiere attorno alle fiamme scoppiettanti, cullate dalla risacca e dalle stelle.
Il gruppetto di amici finì per invitare anche gli anziani ospiti del ryokan che accettarono di buon grado, trovando accattivante la possibilità di fare una serata alternativa che non includesse guardare il solito show televisivo davanti a una tazza di the caldo, nonostante fosse estate e di caldo ne avessero preso già abbastanza.
Quel tardo pomeriggio la padrona dell’albergo contemplò il rientro di quella squadra di giovani allegri che si contendevano la doccia, mentre la ragazza raccomandava loro di lavare i costumi dalla salsedine e teneva al guinzaglio il cagnolino che pareva essersi divertito un mondo, esattamente come loro. Alcuni clienti erano entrati prima di loro, commentando di aver visto la partita di scacchi più entusiasmante di sempre e poi avevano parlato della possibilità di fare un modesto falò, come avevano scorto in altre spiagge le estati scorse. La signora Wakabayashi sorrise, respirando l’odore di salsedine e di anguria dei ragazzi, i quali avevano portato nella sua vita una ventata di giovinezza che negli anni aveva amato così tanto.

***

Le fiamme si sprigionavano nell’aria della sera, emanando un piacevole senso di calore e luce avvolgente che sembrava mangiare le ombre notturne. Il crepitio della legna secca ricordava lo scricchiolio di un vecchio mobile che debba assestarsi, accompagnato dal suono pacato della risacca del mare calmo, come se, senza sole, anch’esso desiderasse andare a dormire dopo una giornata di tempestosa attività.
I ragazzi sorridevano, chiacchieravano e Kagami aveva recuperato assieme a Kise dei chimicissimi marshmallow bianchi, spumosi, grossi il giusto per essere infilzati nei legnetti e fatti dorare al fuoco. Ogni tanto non calibravano le giuste tempistiche, per ritrovarsi dunque una massa di colla zuccherata e bruciacchiata.
Qualche nonnetto li aveva raggiunti, sedendosi sulle loro sedie di tela per poi chiacchierare con i presenti, condividendo qualche dolce o semplicemente il calore del fuoco, piacevole nella sera più fresca e mitigata dalla brezza marina.
Aomine, seduto sopra un telo appoggiato sulla sabbia, le gambe incrociate e una mano con cui tenersi il capo, aveva la sua bacchetta tesa per far rosolare il marshmallow, anche se la sua testa era altrove. Perché era rilassato, come forse non lo era mai stato in quegli anni, nonostante le dormite sul tetto, le lezioni saltate e, in passato, gli allenamenti evitati. Forse per redimersi della sua negligenza nel basket – dovuta alla disperata consapevolezza di essere imbattibile, almeno prima di venire finalmente sconfitto – in quegli ultimi anni aveva lavorato il triplo degli altri, frequentando la palestra quasi ogni sera, un appuntamento fisso al quale non mancava più. Quell’estate poi aveva cominciato anche a studiare come si doveva, minacciato velatamente ma non troppo da Akashi e seguito da Kuroko che, per quanto sembrasse paziente, era letale se Aomine sbagliava qualcosa, si distraeva o non aveva studiato. Considerando poi che a volte accadevano tutte e tre le cose assieme, spesso Daiki si trovava a dover ripetere da capo interi concetti, spremendo al massimo la sua altrimenti volubile capacità di concentrazione.
Però, alla fin fine, era soddisfatto del risultato e c’era la possibilità concreta di non chiudere l’anno in una totale schifezza.
“Hai fatto squagliare il marshmallow, Aomine-kun.”
Quest’ultimo sussultò e si girò, vedendo Kuroko seduto accanto, con il suo dolce zuccheroso che veniva fatto rosolare sul fuoco. Poi Daiki spostò gli occhi sul suo, di marshmallow, ed effettivamente si rese conto che era diventato una massa informe annerita, arrivata a un livello di fusione tale da cominciare a colare. Grugnì con disappunto.
Poi Kuroko gli porse il rametto con il suo dolce:
“Tieni. Ho più pazienza di te, posso aspettare di cuocerne un altro.”
Gli fece un mezzo sorriso, coi capelli che sembravano chiarissimi quando accarezzati dalle fiamme ma scuri se dimenticati dalla luce.
“Dai, mica muoio di fame.” Si schermì.
“Nemmeno io.” Replicò Kuroko, mettendogli più davanti il bastoncino.
Aomine roteò gli occhi, quindi afferrò il tutto e replicò: “Va bene, va bene. Contento ora?”
Kuroko incrociò i piedi, sollevando le ginocchia, e strinse le braccia attorno alle gambe, rimanendo a guardare il fuoco: “Sì, ora sì.”
Suo malgrado Daiki sorrise. Si mangiò il dolce, lasciò che la consistenza troppo zuccherosa, il retrogusto caramellato e la densità spugnosa si mischiassero assieme in bocca, ma tenne metà da parte. La restituì a Kuroko, afferrandola per le dita:
“Toh, aspettiamo di cuocerne un altro.”
Kuroko fissò il marshmallow mezzo mangiato, non esattamente un trionfo di regalo, poi disse molto candidamente: “C’è anche un po’ della tua bava – Aomine fece una smorfia, inarcando un sopracciglio – ma va bene lo stesso. Grazie, Aomine-kun.”
Tetsuya lo prese tra le dita, sentendo la sostanza un po’ appiccicosa, e mangiò la fantomatica metà. Tetsu 2 ricevette a sua volta dei biscotti dati da Momoi che osservò allegra:
“E’ come se vi foste dati un bacio.”
Ridacchiò.
Aomine sgranò gli occhi e gesticolò, in evidente imbarazzo e senso di profondo disagio: “Oi, Satsuki, ma che dannatissimi collegamenti ti vengono in mente?”
Sbottò altro e lei sorrise, trovando sempre adorabilmente buffa l’esagerazione del suo amico d’infanzia. Kuroko lo guardò e commentò con il suo solito fare diretto, asciutto e pacato:
“Non ha tutti i torti. Non sei comunque molto romantico, Aomine-kun. E’ normale che tu non sia fidanzato.”
Kise, che aveva sentito tutto, scoppiò a ridere:
“Se vuoi posso aiutarti a fare conquiste con quei costumi attillati che ti avevo promesso, Aominecchi!”
Aomine esplose: “Oi ma che è, una congiura contro di me? Ficcateli in testa i costumi attillati, tanto è evidentemente piccola, visto il cervello che contiene all’interno.”
Ryota fece una smorfia: “Buh, sei sempre cattivo Aominecchi.”
Risero un po’ tutti, persino Aomine, mentre Akashi a tratti li guardava, a tratti interagiva con i signori. Midorima era troppo occupato a spiegare a Murasakibara che se avesse impilato, schiacciandoli, venti marshmallow tutti insieme per fisica era impossibile che si caramellassero come avrebbe desiderato. Ostinati, nessuno dei due indietreggiò rispetto alla propria posizione.
Poi chiacchierarono di cosa fare l’indomani, ciascuno fingendo di non ricordare che l’ultimo giorno di vacanza sarebbe stato anche il compleanno di Aomine e quest’ultimo, ovviamente, non lo fece presente.
Il fuoco cominciò a estinguersi, per poi venire ravvivato da Kagami che era appena tornato con Takao dopo aver raccolto altra legna secca, proveniente dagli arbusti vicino alla spiaggia, e le chiacchiere spensierate proseguirono per un altro po’.
Aomine scrutò un istante Kuroko, ancora seduto di fianco a lui, nonostante quell’imbarazzante scena del marshmallow. Suppose che forse, forse, quella avrebbe potuto essere una buona occasione per chiedergli cosa desiderasse fare per il futuro. In quell’atmosfera, al mare e vicino alle onde, quella domanda appariva meno importante e più dettata da semplice curiosità.
Era strano esitare, visto che di solito Aomine andava avanti a testa bassa, spesso sbagliando, magari ferendo qualcuno oltre a se stesso, ma quella sera, quell’interrogativo, tutto… era diverso. Da come avrebbe risposto Kuroko, se ne rese conto, molte cose sarebbero cambiate, perché giocare di nuovo nella stessa squadra… beh, Aomine non credeva nemmeno che avrebbe saputo esattamente cosa fare, a quel punto, con Tetsu in campo. In caso contrario forse allora tutto sarebbe rimasto identico, finché i contatti si sarebbero diradati, complici gli studi totalmente diversi, la lontananza, gli impegni e poi il lavoro.
La vita era così, dava e poi toglieva, avvicinava e separava. Come la corrente, come il mare.
Si girò verso di lui. Kuroko, intuitivo, si voltò a sua volta. Gli occhi apparivano quasi malinconici, alla luce del fuoco.
“Tetsu, voglio chiederti una cosa.”
“Dimmi, Aomine-kun.”
Kagami buttò altra legna, una vampa più grande illuminò entrambi.
“Finita la scuola, che…”
Ma Aomine non finì mai la frase.
Kagami aveva esagerato con la legna e il fuoco era arrivato a toccare degli asciugamani, causando un piccolo incendio che, però, ebbe l’effetto di far saltare su Kise e Momoi prima di venire colpiti dagli zampilli.
“Un secchiello, l’acqua!” esclamò Ryota, che si trovò ad afferrare uno dei contenitori in plastica lanciato da Kagami, per sollecitarlo ad aiutarlo.
Ma Akashi sospirò, si alzò in piedi con calma nonostante uno degli asciugamani stesse andando a fuoco, e tolse il secchiello dalle mani evidentemente inesperte di Kagami.
“Shintaro, dammi una mano con l’altro.”
Kagami e Kise si sentirono un po’ scemi quando videro gettare sopra il fuoco della sabbia, scoprendo che in un istante tutto quel clamore si era spento di colpo, soffocato da granelli forse più efficaci dell’acqua stessa.
“Okay, non male.” Commentò Kagami, sinceramente colpito.
Aomine lo afferrò per la canotta, dopo essere saltato su prima di ricordare a sua volta un marshmallow squagliato: “Non male? Ma che ti dice il cervello, Bakagami? E’ un dannato falò sulla spiaggia, non una fucina!”
Si misero a litigare, mentre i vecchietti risero, ringraziando la tempra d’acciaio che aveva permesso loro di non farsi prendere dal panico ed essere vittime di un triplice infarto.
Kuroko sospirò, guardando Aomine perdersi nell’insultare Kagami e controbattere a sua volta, per poi osservare Numero 2 che, passato l’allarme, era tornato ad acciambellarsi su un asciugamano appallottolato.
“Sapremo mai che mi stava per chiedere?”
Tetsuya 2 sollevò un orecchio, poi fece un leggero abbaio e cambiò posizione. Kuroko scrollò le spalle; forse domani, sempre se il piano di Akashi per il compleanno di Aomine avesse lasciato spazio, avrebbe chiesto a Daiki che cosa stesse per dirgli. Anche lui, in fondo, aveva una questione importante da porgli.
Si morse un labbro, dandosi dello stupido: perché doveva ridursi sempre all’ultimo?




Sproloqui di una zucca

Ed eccoci giunti al penultimo capitolo! E' un capitolo di quotidianità, di cose semplici, dalle atmosfere tradizionali, del mare e del Giappone. E pensare che il mare non l'ho ancora visto, né il Giappone T_T Altroché Salgari con l'India XD
Spero che le atmosfere, i dialoghi e le situazioni tra i personaggi possano esservi piaciuti, strappandovi magari un leggero sorriso. Vorrebbe essere anche una riflessione sui ricordi, sulle occasioni mancate e... carpe diem. Cogli l'attimo. Ci credo fermamente, anche se spesso non sono capace di afferrarlo, quell'attimo e me lo lascio sfuggire. Insomma, riesco a essere nostalgica e malinconica anche nel descrivere una giornata al mare lol
Voglio tanto bene a tutti i ragazzi della Generazione dei Miracoli, ma anche coloro che sono entrati nelle loro vite con gli anni.
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre. ***



Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre.



L’alba dell’ultimo giorno di vacanza era infine giunta: il trentun agosto, compleanno di Aomine. Tutti, con telefoni sotto il cuscino e vibrazione inserita, avevano messo la sveglia alle sei in punto del mattino, consapevoli che tanto l’asso della Too difficilmente avrebbe sentito qualcosa dei loro spostamenti o rischiato di perdere ore di sonno prezioso per alzarsi, disturbato da rumori inconsueti.
Con splendida destrezza e ancora più talentuoso silenzio, anche per uno tendenzialmente ingombrante come Murasakibara, i ragazzi si erano ritrovati presso uno dei tavolini dove si faceva colazione, illuminati dalle prime luci del giorno che filtravano attraverso le finestre con le tende leggere.
Akashi aveva personalmente coordinato ed elaborato il piano per la giornata, fino a esporre l’unica problematica presente:
“Aomine.”
“Dobbiamo levarcelo dalle scatole.” Concordò immediatamente Kagami, con lo sguardo meditabondo e le braccia incrociate.
“Kagamicchi, detta così sembra che lo devi uccidere e sbarazzarti del cadavere.” Fece presente Kise.
“Se solo non ti servissimo tutti potremmo fare una partita a basket. Aomine tende a perdere la concezione del tempo, un po’ come quando fa dps assieme a Kagami uccidendo gli ally online.”
Osservò Midorima, lanciando un’occhiata altera all’altro preso in causa, il quale borbottò qualcosa sul fatto che se c’era pvp nel gioco non vedeva perché non approfittarne.
Ci fu qualche ulteriore scambio di pareri, infine Akashi, con a fianco Momoi che prendeva appunti e disponeva ordinatamente le idee, guardò Kuroko che era rimasto in silenzio e gli disse:
“Portalo da qualche parte, Tetsuya.”
Numero 2 scodinzolò, allegro, mentre Kuroko senza battere ciglio fissò il capitano della Rakuzen, anche se in realtà era parecchio confuso:
“E dove dovremmo andare?”
“Ma perché proprio Kuroko? – domandò Kagami – se quello stupido di Aomine decide di andarsene, Tetsuya come lo trattiene? A questo punto manda Murasakibara.”
“Lo schiaccio – convenne – basta che non andiamo lontano e si mangi.” Poi inghiottì un biscotto, guardando Akashi con la certezza che tanto in realtà il ragazzo avesse già fatto la sua scelta.
“Non se ne andrà. Kuroko lo porterà in giro nel pomeriggio, qualche ora è sufficiente. Stamattina presto sbrigheremo commissioni impellenti, poi spiaggia. Daiki non deve insospettirsi.”
“Per la serie: è stupido ma non così tanto.” Fece presente Kagami, Kise ridacchiò con espressione furba.
Stesero il loro piano, coordinati da Akashi, il generale che pianificava la battaglia del secolo. Quando ogni cosa fu chiara e organizzata i ragazzi si alzarono, chi pronto per fare la spesa e ordinare la torta, chi per andare a chiedere in prestito a qualche nonnetto le decorazioni, altri ancora pensarono a come sistemare il tutto per la sera. Il regalo, invece, era già pronto.
Quando Aomine si svegliò, stropicciando gli occhi, vide la stanza vuota e stranamente silenziosa. Si sollevò a sedere di scatto, convinto di aver dormito magari fino all’ora di pranzo, mentre quegli altri sicuramente erano andati in spiaggia a divertirsi. Scrollò le spalle; d’altronde era una vacanza, normalmente non si faceva tutti quei problemi a stare a letto più del dovuto, perché la cosa rappresentava uno spreco proprio quel giorno?
Si alzò, grattandosi un braccio, con i capelli corti che avevano dei ciuffi sparati a caso e le labbra asciutte. Guardò il telefono; i suoi, da qualche parte in giro per lavoro, gli avevano mandato una foto e scritto un messaggio di auguri. Roteò gli occhi, evidentemente telefonare costava troppo. Meglio così, non è che fosse mai stato tanto bendisposto nei confronti del suo compleanno, semplicemente perché era un giorno come tanti, per quanto altra gente si ostinasse a volerlo per forza rendere speciale, come se in quell’occasione i festeggiati contassero qualcosa di più per il mondo.
Si lavò la faccia per poi guardarsi allo specchio e sussultò quando vide riflesso alle sue spalle Kuroko, con in braccio Numero 2.
“Tetsu, non sei capace di entrare come tutte le persone normali?” fece presente, asciugandosi.
Kuroko si voltò un istante per controllare la stanza, infine replicò:
“Io sono entrato come tutte le persone normali, Aomine-kun. Dalla porta. Tanti auguri.”
Gli sorrise, all’improvviso. Numero 2 scodinzolò e, lasciato libero, fece le feste ad Aomine che, imbarazzato, si passò una mano dietro la testa.
“Eh… grazie, Tetsu. Quando mi sono svegliato pensavo fosse più tardi.”
Gli rivelò, senza sapere bene nemmeno perché. Voleva forse fargli intendere che credeva di aver perso del tempo importante, quel giorno, quando guardando il cellulare si era invece reso conto che erano appena le nove.
“Beh, mi sembra già abbastanza tardi, comunque – notò Kuroko diretto come al solito, per poi aggiungere – oggi pomeriggio andiamo da qualche parte?”
Domandò, senza troppi giri di parole. Sperò che Aomine non si insospettisse ma, sinceramente, non sapeva di preciso cosa proporre senza rischiare di sembrare forzato, per quanto in realtà gli piacesse l’idea di far qualcosa assieme a Daiki.
Quest’ultimo, comunque, forse perché insofferente al compleanno, forse perché di per sé Kuroko aveva sempre delle uscite strane, si limitò a riflettere qualche istante, infine annuì:
“Perché no? Passeggiando ho visto una scogliera con una rientranza. Possiamo esplorarla. Che ne dici?”
Kuroko annuì, con un leggero sorriso: “Ci sto.”
“Hai un costume con le tasche?” domandò Aomine, subito dopo.
Tetsuya annuì: “Sì, perché?”
“Per raccogliere le conchiglie, ovvio. Che razza di esplorazione sarebbe, altrimenti, Testu?”
Passarono un bel resto di mattinata, nuotando, ridendo come sempre oppure litigando, nel caso di Kagami e Aomine, il primo dei quali gli aveva fatto gli auguri sostenendo che era un anno di più che rompeva le scatole su questo mondo. Avevano finito per fare a gara a chi arrivava primo alla boa più lontana, con il risultato che ciascuno riteneva di aver anticipato l’altro.
Mangiarono in spiaggia, con la signora Wakabayana che aveva portato loro qualche onigiri, finendo per essersi affezionata a quei ragazzi allegri che avevano portato una ventata d’allegria e vitalità al suo ryokan. Poi, Kuroko guardò Aomine e gli disse:
“Vado a prendere una cosa e andiamo.”
Daiki annuì, per aggiungere: “Anch’io. Devo cambiarmi.”
Gli disse, senza che ci fosse una reale logica. Gli altri non commentarono, scambiandosi qualche rapida occhiata tra di loro. Se Aomine fosse stato meno distratto a pensare alle sue personali cose da dire, avrebbe sicuramente notato quegli scambi sospetti. Anche se Akashi li monitorava, dando un colpo di tosse secco.
Quando alla fine nel giro di breve entrambi gli avventurieri furono pronti, Kise li salutò allegro:
“Divertitevi nel vostro giro! Non fate tardi!”
Fece l’occhiolino a Kuroko, che sospirò, mentre Kagami gli portò un braccio sopra la spalla:
“Sempre così premurosi questi amici, eh? – ridacchiarono – a dopo.”
Aomine assottigliò gli occhi: “Kagami? Stai bene? Sei posseduto?”
“Che intendi dire?”
“Cos’è che mi stai nascondendo?” replicò, fissando quel volto troppo amichevole.
“Io? – domandò Taiga offeso – tra tutti vieni a rompere le scatole…”
Stava per dire altro, Akashi era sul punto di intervenire con una qualche forma d’ipotesi, quando Kuroko replicò:
“Smettila di essere invadente, Aomine-kun. Andiamo o no?”
“Invadente? Questo…”
Ma non gli dette modo di parlare, sospingendolo per farlo muovere. Gli altri li salutarono con un gesto della mano, mentre Kagami si beccò gli insulti di Kise che alla fine tacque, rendendosi conto di essere stato a sua volta poco accorto.
“Andrà tutto bene.” Constatò Momoi in un sospiro, sorridendo quando vide i due allontanarsi, Aomine con quel suo passo scattante, Kuroko tanto più fluido. Ogni tanto si voltavano l’uno verso l’altro, quasi per assicurarsi che fossero ancora lì.

***

La scogliera emergeva dal mare cristallino, come un gigante che metta a mollo l’enorme piede in un’altrettanto immensa bacinella d’acqua. Le rocce erano a tratti scivolose, a tratti scolpite dal mare che finiva per dormire placido nelle pozze create dall’usura del tempo.
Aomine e Kuroko avevano finito per andare proprio su quelle rocce, con in mano un secchiello pieno d’acqua nel quale erano stati messi dei granchietti catturati da Daiki, che si era vantato neanche troppo modestamente di essere un mito in faccende come quelle.
Le onde ogni tanto bagnavano i piedi, mentre il sole splendeva sui riflessi spumosi per coronare quell’ultima giornata della loro estate.
Quando furono soddisfatti dell’esplorazione degli scogli, i due scesero e andarono a sedersi nell’insenatura naturale, dove grazie alla conformazione rocciosa si era venuta a creare un’ombra piacevole, che rendeva fresca persino la sabbia. Per qualche istante i ragazzi osservarono i tre granchi camminare sulla superficie in plastica del secchiello, poi li videro rimanere immobili e infine ripartire alla carica.
“Sono incredibili, questi granchi. Lottano così tanto per qualcosa di irraggiungibile che, anche quando sembrano essersi arresi, alla fin fine tornano a combattere.”
Osservò all’improvviso Aomine. Aveva le gambe incrociate e un gomito sulla coscia atletica, mentre la testa come sempre era pigramente appoggiata alla mano.
Kuroko, stretto nelle spalle e con le ginocchia portate al petto, lo guardò ma non disse nulla. Non constatò nemmeno che anche loro alla fine erano così; perché, ne era convinto, Aomine pensava di non essere del tutto riuscito a ripartire.
Poi, all’improvviso, l’asso della Too sbottò, disilluso:
“Bah, in fondo sono stupidi. Continuano a girare attorno agli stessi problemi e non si rendono conto di essere chiusi in un secchiello di plastica dal quale non usciranno mai.”
Riprese a guardare gli scogli e, oltre, il mare.
Senza dire una parola, Kuroko si alzò in piedi e afferrò il secchiello.
Sotto lo sguardo stupito di Aomine, il ragazzo fece pochi passi più avanti, fino a raggiungere la superficie rocciosa lambita dalle onde; lì, con la solita calma che lo contraddistingueva, inclinò il contenitore di plastica, dal quale cominciarono ad uscire i granchi che, liberi, si lasciarono trasportare dalle onde, per poi sparire tra le insenature, la schiuma e la loro sabbia.
Kuroko si voltò verso Daiki, i suoi capelli umidi di salsedine erano rilucenti al sole:
“Non possiamo fare tutto da soli, Aomine-kun. A volte c’è bisogno di qualcuno che rovesci il secchiello per noi, se le cose sono troppo grandi e ci sopraffanno.”
“Testu…”
Si morse un labbro.
Kuroko gli fu davanti e si piegò sulle ginocchia, per poi guardarlo negli occhi.
“Devo dirti una cosa, Aomine-kun.”
Gli disse, con quella sua tipica serietà nonostante il volto dallo sguardo morbido.
Ora o mai più.
“Aspetta – lo bloccò l’altro, portandogli una mano sul petto, mano che entrambi guardarono, per pochi assurdi istanti – anch’io una cosa da dirti. Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre.”
Kuroko gli aveva rovesciato il secchiello in cui anni fa era caduto. Ora toccava a lui, finalmente, nuotare fuori e guadagnarsi la sua libertà.
Si mise una mano in tasca e, prima che Testsuya potesse dire altro, gli schiaffò sul petto, esattamente dove prima c’erano le sue dita, il volantino dell’università. La stessa che gli aveva suggerito Akashi, a lui, forse soltanto a lui, ma non gli interessava. Voleva che ci fosse Kuroko, nel suo futuro, e quel futuro non era certo scritto su un foglio di carta.
Spiegazzato, chiazzato dall’umidità, così malconcio, ma quello era il volantino dell’università che forse avrebbe fatto Daiki Aomine. Kuroko guardò dunque quel foglio, lo guardò bene, e lesse il nome del luogo che in futuro avrebbe avuto l’onore di accogliere un genio del basket.
“Mi iscriverò qui. Solo se ti iscriverai anche tu.”
Dichiarò Aomine. Poco lontano, la risacca del mare copriva la sabbia ma non la sua voce.
Kuroko sentì un labbro tremargli. Accidenti, era sempre stato così controllato, pacato, incapace di arrabbiarsi come faceva Kagami, di scherzare come Kise, di essere carismatico come Akashi o attaccabrighe come Aomine, persino Murasakibara sapeva essere più distruttivo di lui nel parlare e nel mostrare i sentimenti.
Con un nodo alla gola, tenendo gli occhi abbassati su quel pezzo di carta apparentemente insignificante, Kuroko affondò a sua volta la mano in tasca e voltando il palmo verso l’altro, stretto nel pugno mostrò… un volantino altrettanto spiegazzato.
Aomine spalancò gli occhi, fissandolo, mentre Tetsuya aveva i capelli davanti agli occhi.
“A quanto pare mi stavi copiando, Aomine-kun.”
Usando anche l’altra mano, Kuroko distese meglio la carta e gli mostrò il pieghevole di un’università. Non una qualsiasi: la Joochi.
Daiki, con la bocca appena aperta e gli occhi che proprio non volevano saperne di chiudersi, lesse più volte quel nome, poi spostò lo sguardo incredulo sul proprio volantino, sullo stesso su cui si era arrovellato quel mese, con addosso la voglia di chiedere a Kuroko dove avrebbe studiato in futuro e, sì, cosa sarebbe stato di loro, se potevano avere un’altra possibilità.
“E’… le la mia stessa università, Tetsu.”
Lo constatò. E non credette alle sue stesse parole.
Scoppiò a ridere e, inaspettatamente, Kuroko dopo qualche istante lo imitò. Risero talmente tanto che si ritrovarono a piangere, seduti uno di fronte all’altro, con dei volantini stropicciati in mano e gli occhi coperti di lacrime, in un contradditorio insieme di sentimenti.
“Stai piangendo.” Gli disse all’improvviso Aomine, pur sentendo le proprie guance bagnate, ma guardando Kuroko non riuscì a tacere.
“Anche tu, Aomine-kun.”
Questi si portò una mano sul volto. La lasciò un istante lì, sulla pelle umida, poi abbassò appena il capo, portandosi le dita sugli occhi chiusi.
“E’ che sono felice – gli rivelò – mi tenevo questa cosa dentro e…”
“L’abbiamo gettata fuori, come i granchi sulla scogliera.”
Si guardarono, ripensando ad Akashi, a come li aveva spinti a credere che prima di tutto meritassero di andare in quella scuola per loro stessi e solo successivamente per i legami. Perché i legami erano un’arma a doppio taglio e potevano fortificare come far perdere. Tutti loro della Generazione dei Miracoli li avevano fortificati, quei legami, non solo tramite il basket, anche se in squadre diverse, ma grazie alla quotidianità della vita parte di ognuno: lo studio, il gioco online, le uscite e gli incontri.
“Direi proprio che andremo all’università assieme, Aomine-kun.”
Constatò Kuroko, sorridendo, come aveva sorriso alle medie, quando erano assieme, o quando aveva visto Aomine tornare ad amare il bakset e aver voglia di lottare, nel loro primo incontro delle superiori.
Si asciugò il volto con il dorso della mano.
E fu allora, quando la mano gli cadde a terra, che Daiki lo toccò con le dita, passandole sul collo, fino a lasciarle lì, per portare Kuroko più vicino, così vicino da baciarlo. Entrambi con le guance ancora umide, i capelli odorosi di mare, le labbra asciutte leggermente salate, forse proprio per quel mare, forse per le lacrime.
Voleva baciarlo, perché altrimenti non avrebbe saputo trovare le parole per dirgli tutto quello che sentiva, ciò che provava, l’euforia per sperimentare cosa volesse dire ripartire, ripartire davvero, e non fermarsi più a girare attorno alle pareti bianche di un secchiello. Per continuare a lottare in mare aperto, tra la sabbia e gli scogli, senza più barriere di plastica ma con un oceano intero di possibilità.

***

La sala di solito pensata per ospitare le cene semplici del ryokan – creata più per dar modo agli anziani avventori di non doversi spostare troppo e mangiare salutari cibi tradizionali – era buia, con qualche leggero spiraglio di luce proveniente dalle imposte non del tutto chiuse, ma non esattamente silenziosa.
“Stanno per arrivare? Mi fanno male le gambe a stare piegato così.”
“Dai Kagamicchi, sempre a lamentarti, io sono esaltatissimo!”
“Io ho fame.”
“Non avevamo dubbi, Murasakibara. Takao, sei ingombrante, spostati più in là.”
“Ma Midorima! Sono già all’angolo, dove vuoi che mi sposti?”
“Non lo so, questo è un problema tuo.”
Con uno schiocco di dita Akashi chiamò il silenzio, che fu immediato.
“Basta con le chiacchiere. State respirando anche in maniera rumorosa. Calcolando l’orario dovrebbero essere sul punto di arrivare.”
“Respiriamo in maniera rumorosa? Mica possiamo stare in apn…”
Ma Kagami tacque, perché Murasakibara gli mise una mano sulla testa, stringendo convenientemente di più la presa dei polpastrelli. Sbuffò, un solo istante, poi smise definitivamente di essere rumoroso.
A pochi metri dall’ingresso, infatti, oltre la porta chiusa c’era Aomine, confuso e chiaramente imbarazzato, anche se aveva le sopracciglia leggermente corrugate che lasciavano trasparire più che altro un sentimento di disagio. Prima di entrare, Kuroko lo guardò, sospirò e gli tese il pugno in avanti:
“Mi sono divertito oggi, Aomine-kun. E non cambierei proprio nulla.”
“Sì, beh…” roteò gli occhi, più per cercare le parole che per un fastidio che non avvertiva, infine annuì, sempre mantenendo un’espressione splendidamente corrugata:
“Nemmeno io.” Aggiunse, battendo il pugno.
Insomma, aveva baciato Kuroko. Così, all’improvviso. Niente di quelle robe più complicate con la lingua e tutto il resto – si sentiva morire e stupido al solo pensarci – però le sue labbra si erano proprio posate su quelle di Kuroko, con decisione, non certo tanto per fare. Ma che gli era preso? Era su di giri, felice, persino esaltato e aveva fatto la prima cosa che gli era venuta in mente, quasi fosse un fatto naturale, e nell’istante immediatamente dopo si era sentito così bene, così libero, da pensare di poterlo fare ancora.
Poi, quando si erano guardati negli occhi, entrambi erano arrossiti, deviando gli sguardi e interessandosi a fare cose inutili tipo scrollare la sabbia dal costume o controllare l’integrità del secchiello. Si erano incamminati lungo la spiaggia per tornare indietro, silenziosi ma intimamente felici, nonostante l’imbarazzo e il timore di aver offeso l’altra persona.
Per questo Aomine si sentì sollevato, nel sentire Kuroko parlare in quel modo. Non avrebbe cambiato nulla, nemmeno il bacio. E per lui sarebbe stata la stessa identica cosa.
Dopo quei minuti di riflessione si guardò un istante attorno e domandò, appoggiando una mano sul fianco mentre si grattava un orecchio, con la finezza che lo caratterizzava:
“Cos’è tutto questo silenzio? Dove sono tutti?”
Kuroko scrollò le spalle: “Non lo so, Aomine-kun. Magari sono ancora in spiaggia.”
“Non mi è sembrato di averli visti.” Fece presente Daiki, in procinto di sbirciare oltre l’imposta della finestra. Kuroko assottigliò impercettibilmente gli occhi.
Per tutto ciò che non riguarda il basket ha l’intuito di una pietra, proprio stasera doveva riscoprirsi tanto osservatore?
“Andiamo a chiedere alla signora Wakabayashi.” Suggerì all’ultimo, battendogli una breve ma decisa pacca sulla spalla per costringerlo a bloccare ogni curiosità inopportuna.
“Va bene, va bene Tetsu.” Borbottò Aomine per poi mettere la mano sulla porta ed entrare, anche se dopo aver lanciato una breve occhiata a Kuroko.
Poi mise piede nell’oscurità e borbottò qualcosa sulla luce che faceva schifo, visto che si decideva a saltare proprio quando lui aveva più bisogno di vedere. Accennando a un sorriso per i suoi modi un po’ burberi e per il fatto che non si fosse nemmeno avvicinato all’interruttore, Kuroko gli suggerì:
“Magari puoi provare ad accenderla, la luce.”
Prima che Daiki potesse replicare, Tetsuya premette l’interruttore e i due ragazzi vennero illuminati dalle lampade della sala del ryokan ma non solo… c’erano appese per le travi in legno anche tante luci colorate, dal blu all’arancione, che fecero sembrare il luogo un ambiente in festa.
E poi… Kagami, Kise e Momoi che saltarono su da dietro dei tavolini, con le braccia spalancate e il sorriso allegro:
“Buon compleanno, Aomine!”
Lo dissero anche Midorima, che si era compostamente messo in piedi, imitato da un più entusiasta Takao, Murasakibara, che pure era salito a rallentatore, per finire anche Akashi, il quale non aveva urlato come gli altri ma sorrideva appena, con le braccia incrociate e lo sguardo fiero del capitano.
Fecero il loro ingresso dal retro la signora Wakabayashi, seguita da alcuni degli anziani avventori del ryokan, che nei giorni passati si erano tanto divertiti con quei giovani allegri e pieni di vita.
Applaudirono tutti e qualcuno fece volare delle stelle filanti.
Aomine era rimasto immobile per tutto quel tempo, con gli occhi incapaci di chiudersi, la salivazione ridotta a zero e lo sguardo che si spostava sui ragazzi che anni fa erano stati i suoi migliori amici, la sua squadra, poi i rivali e l’ispirazione per rimettersi in gioco e cambiare. Guardò Momoi, che l’aveva sempre supportato e sopportato, poi lentamente si voltò verso Kuroko.
“Tetsu.”
Gli disse. Ma richiuse la bocca.
“Auguri, Aomine-kun.”
Gli rispose applaudendo a sua volta, con quel sorriso accennato ma così vero e diretto da spiazzare. E Daiki, ragazzo egocentrico, introverso – nonostante in passato fosse stato tanto aperto e sorridente da non sembrare più lo stesso, capace in seguito di allontanare e disprezzare la gente – si ritrovò per la prima volta da quando tutto era cambiato davvero completo e felice. Così tanto da non desiderare di essere altrove o con altre persone.
“Grazie.”
Disse semplicemente. Si inchinò.
Gli astanti lo guardarono, qualcuno perplesso per quel gesto di profonda umiltà e sincero ringraziamento, proveniente proprio da uno che si era sempre creduto troppo superiore per quelle cose. Infine sorrisero e si avvicinarono, esultanti, Kagami battendo qualche sonora pacca sulla spalla, Kise andandolo ad abbracciare senza smetterla di inneggiare alla festa che avevano organizzato.
Si presero in giro, scherzarono, poi si sedettero tutti presso i tavolini bassi, uniti per l’occasione. C’era odore di cibo, di festa e di salsedine, portata da Aomine e Kuroko che non si erano cambiati, ma anche dal mare che risuonava oltre le mura e sulla spiaggia, con la grancassa della risacca.
Ci fu poi la torta e, siccome Aomine si rifiutava all’inizio di soffiare le candeline, Kagami e Kise si avvicinarono con l’intento di farlo al posto suo, convinti che l’inaffondabile competitività di Daiki si sarebbe rivelata in tutta la sua potenza. Infatti così fu e il ragazzo li spintonò, per anticiparli e non permettere loro che lo battessero sul tempo nel fare un gesto tanto semplice.
Ci furono ancora cori di auguri, poi Akashi domandò, guardando Kagami:
“Taiga, ci pensi tu?”
Questi annuì. Qualcuno sorrise, altri ridacchiarono compiaciuti.
“Anche se non mi piace ammetterlo – Momoi gli lanciò un’occhiataccia, Akashi fu semplicemente glaciale nel guardarlo, dunque il giocatore della Seirin dovette correggere il tiro, dando un colpo di tosse – dicevo… dopo tutti questi anni che ci conosciamo, di vittorie e di sconfitte, nonostante i nostri caratteri non propriamente pacati, ho da riconoscerti un grande merito.”
Aomine sollevò un sopracciglio, perplesso di fronte a quell’ammissione, ma non replicò.
Così Kagami proseguì, guardandolo negli occhi: “Oltre a essere un giocatore che, francamente, ancora non riesco a prevedere e, dannato, prima o poi riuscirò a capire e ostacolare i tuoi movimenti, specie da quando ti sei finalmente allenato come si deve…”
“Kagami-kun, stai divagando.” Intervenne Kuroko.
“Ok, vero, comunque un tuo merito è stato cominciare a credere negli altri. Hai creduto in me, quando mi hai dato le tue scarpe prima della partita, ma anche in Kuroko e in tutti noi. E’ per quello che sei migliorato tanto, che hai ripreso a giocare con entusiasmo e amare veramente il basket. Perché hai creduto che noi tutti potessimo essere degni avversari ma, soprattutto, amici.
Non è forse molto ma ci tenevamo a darti questo, da parte di tutti noi.”
Gli porse un pacchetto regalo rettangolare.
Con l’espressione a metà tra lo stupito e l’emozionato, Aomine aprì l’incarto e scoprì che conteneva una scatola con dentro… delle scarpe da basket.
Nere, come piacevano a lui, e di un modello così simile a quello che anni fa aveva dato a Kagami e che con il tempo si era consumato.
Per giocare ancora. Assieme.

***

Akashi era seduto sul porticato, fuori dal ryokan. Avevano tutti finito di risistemare la sala e ormai la luna era alta nel cielo, con le sue stelle, capaci di rendere il mare una calma superficie oscura, lucente come se fosse stata uno specchio.
Kuroko si sedette al suo fianco e per qualche minuto rimasero entrambi, silenziosi, a guardare il cielo e il mare di fronte a loro.
“Grazie, Akashi-kun.”
Disse all’improvviso il ragazzo.
Akashi voltò lo sguardo verso di lui, per poi tornare a guardare le stelle con un accenno di sorriso:
“Non ho fatto niente.”
“Hai sempre cercato di tenere uniti tutti noi.”
Il Capitano della Rakuzan non replicò, rimanendo silenzioso. Sapeva che dopo l’estate le cose sarebbero state più difficili, con gli esami, il suo obbligo a dedicare meno tempo al basket e la prospettiva in testa degli studi futuri, scelti per poter continuare a giocare. Quante situazioni sarebbero cambiate nel frattempo, quanti rapporti persi e amicizie dimenticate.
Man mano li raggiunsero gli altri. Qualcuno si sedette di fianco a lui e Kuroko, come Aomine e Momoi, altri sulla sabbia o sulle scale.
Ci fu qualche ulteriore chiacchiera e risata. Infine Akashi disse, alzandosi in piedi:
“Devo farvi un annuncio. Da dopo l’estate dovrò ridurre il mio impegno con la squadra di basket. E’ probabile che partecipi ancora a qualche partita ma cederò il mio ruolo di capitano. I ragazzi del secondo anno dovranno cominciare a sostituirsi a noi del terzo, com’è giusto che sia. Di conseguenza… potrò giocare poco o niente anche con voi. Scusatemi sin da ora.”
Tutti lo guardarono, esterrefatti. Ma intimamente era ragionevole che uno come Akashi dovesse fare delle scelte importanti a beneficio dello studio, visto le mire ambiziose che la sua famiglia aveva sempre coltivato per lui.
Dopo un istante, Aomine si alzò a sua volta:
“Beh, dobbiamo guardare al futuro, allora. Tetsu e io abbiamo scelto l’università.”
Akashi lo fissò, senza però far trapelare nulla, eccetto un lieve stupore.
“Oh, finalmente, ti sei deciso Ahomine! Comunque sappi che ti batterò anche se saremo nella stessa squadra. L’asso sarò io.”
Disse Kagami, puntandosi il pollice contro il petto.
“Scordatelo, Bakagami – poi si voltò verso Kuroko – lui lo sapeva?”
“Aomine-kun, ti ricordo che siamo in squadra assieme, nella stessa scuola. Ovvio che ci siamo confrontati.”
Ma con te, Aomine-kun, è stato decisamente più difficile. Perché credevo che saresti andato altrove e non ti sarebbe più importato di nient’altro.
“Ehi, ho scelto anch’io l’università. Sarà la stessa?” investigò Kise.
“Spero di no.” Sbottò Midorima.
Takao gli dette una manata sulla spalla: “Ma dai, che ti sei fatto subito convincere da Akashi. E so che ti sei informato da Momoi per sapere che avessero deciso gli altri.”
“Sta’ zitto.” Gli ordinò il tiratore da tre punti, lapidario e imbarazzato.
Murasakibara guardò Akashi, infine dopo un attimo di silenzio gli disse:
“Joochi. L’hai suggerita a tutti noi, no?”
Gli altri guardarono Murasakibara, che però fissava Akashi. Fu allora che si voltarono verso quest’ultimo e lo videro per quello che egli era: non solo una divinità, un genio assoluto in qualunque cosa facesse, un capitano venerato e amato dai propri compagni che esigeva sempre il massimo, soprattutto da se stesso. Ma anche un ragazzo, legato come tutti loro dagli obblighi della vita e dai sacrifici, che aveva infine disteso il volto in un sorriso, nonostante lo sguardo stupito, di chi non era abituato a essere confuso e capito, fino in fondo.
Aveva parlato a ciascuno di loro dell’università, proprio perché voleva che in futuro non ci fossero rimpianti, che ognuno costruisse la sua scelta poiché credeva davvero che quel luogo fosse adatto per vederli crescere, nel basket, nello studio, in qualsiasi cosa avrebbero voluto intraprendere nella vita.
Si aspettava riflessioni in merito da parte degli altri ma…
“Mi state dicendo che tutti avete scelto la Joochi?”
Domandò, guardandoli uno ad uno. E ognuno annuì.
Seijuro si sedette.
Kuroko lo guardò: “E’ tempo che anche noi, in fondo, contribuiamo a tenerci uniti, Akashi-kun.”
L’imperatore sorrise. Pensò che quell’estate era stata la più splendida e perfetta della sua vita.

***

“Sai cosa mi fa venire in mente l’estate, Tetsu?”
“Cosa, Aomine-kun?”
“Le cicale. Un tempo pensavo fosse il mare. Ma… il mare non è ovunque. Invece d’estate, in qualsiasi luogo tu sia, la sera affacciandoti alla finestra sentirai sempre le cicale frinire.”
Si guardarono, prima di andare a dormire e l’indomani ripartire.
Ovunque io sarò, con gli anni a venire, mi ricorderò per sempre di questi giorni. Come se quel frinire, la risacca e il mare sugli scogli, li avessi dentro di me, assieme a tutto ciò che ho provato.






Sproloqui di una zucca

Ebbene sì, eccoci all'ultimo capitolo. Quanto mi mancheranno questi ragazzi, davvero. Dopo aver concluso in una lettura pazza e disperatissima il manga e l'anime avevo un vuoto dentro, misto ad esaltazione (dopo un breve assaggio di fangirlismo con lo speciale Extra Game del quale attendo a settembre il film subbato), perché avevo bisogno di capire che accidenti accadesse a questi ragazzi in futuro. Hanno tutto il liceo davanti e poi la vita... sta situazione s'ha da proseguire. Quindi meno male che ci sono le fanfiction e la scrittura, per colmare tali necessità.
Questo è il risultato del mio desiderio di immaginare la generazione dei miracoli et aggregati assieme, ancora, nella loro quotidianità. Tirando le somme è una storia semplice, proprio perché è pensata in quest'ottica di normalità e affetto - posso arrivare a standard molto crudi e brutali, segno che ho un bel bipolarismo da curare XD
E' irreale che davvero, alla fine, tutti i ragazzi decidano di andare alla stessa università, per quanto in Giappone il sistema universitario sia molto diverso dal nostro ed, effettivamente, una struttura complessa possa racchiudere numerose facoltà ed esistano club importanti per gli sbocchi nel mondo sportivo/agonistico. Maaaaa.... tant'è, avevo voglia di sognare e di immaginare ancora i nostri ragazzi assieme, in una vera squadra.
Kagami, Kise e Aomine faranno a botte per il titolo di asso, Akashi calcioroterà il capitano prendendo automaticamente il suo posto, Midorima e Murasakibara saranno titolari appena messo piede in palestra e Kuroko... verrà scartato XD Per poi venire riammesso dopo le minacce/preghiere degli altri. Oh, ovviamente Tetsu e Deiki staranno assieme <3 In un modo o nell'altro XD
Wow, c'è materiale per una nuova storia! Olé!
Scherzi a parte, grazie davvero ha quanti hanno letto. Se voleste esprimere la vostra opinione generale in merito, risponderò con giuoia.
Nuovamente grazie e alla prossima storia!
Più Aomine e Kuroko per tutti :3





Se Aomine li avesse scoperti organizzare il suo compleanno sarebbe morto XD

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