I CANCELLI DELL'EST

di Piccole Pietre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** MISTERI DA RISOLVERE ***
Capitolo 3: *** UN BRUSCO RISVEGLIO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO

 
In un tempo passato, la Terra era un luogo sereno, in cui convivevano pacificamente insieme agli uomini, in un rapporto di armonia ed equilibrio, spiriti superiori chiamati Reggenti. Da essi gli uomini appresero nozioni di medicina, ingegneria e tecniche dei metalli; viceversa invece, i Reggenti ebbero modo di apprendere dagli umani sentimenti profondi: amore, carità, speranza e misericordia. Molti dei Reggenti cedettero al fascino misterioso degli umani, unendosi con alcuni di loro e dando origine a nuove entità: gli eterni, che, pur preservando sembianze umane, nascondevano straordinari poteri. Erano gli ibridi senza storia, che presto divennero vittime della gelosia umana. Da lì, insorsero le prime persecuzioni e i primi omicidi senza senso di causa. Non essendo ancora in grado di padroneggiare al meglio i loro poteri, i neonati eterni non riuscirono a difendersi, finendo con il lasciarsi uccidere senza reagire. Non sopportando oltre questo massacro ingiustificato, i Reggenti decisero di creare un mondo alternativo, Eternity, segregando gli eterni per garantire loro la sopravvivenza, rimuovendo ogni memoria del loro passaggio sulla Terra dai ricordi degli uomini. Ma presto, l'animo più corrotto degli umani si manifestò anche negli eterni e la sete di vendetta li portò ad alcuni tentativi di invasione e distruzione sulla Terra. I Reggenti provarono ad intervenire, ma la loro inferiorità numerica rispetto agli eterni, li condusse a una inevitabile ritirata; su cento, solo tre di essi riuscirono a rimanere illesi, continuando a proteggere, con la loro energia rimanente, i tre portali rimasti ancora aperti sulla Terra.
I portali rappresentavano l'unico punto di collegamento tra il mondo degli eterni e quello dei terrestri.  In origine ve ne erano molti sparsi su tutta la Terra, ma le innumerevoli battaglie spinsero i Reggenti a chiuderne la maggior parte di essi sacrificando anche le loro energie. Infatti erano costretti a unire i loro poteri per riuscirci, poiché chiudere un portale, richiedeva un dispendio di energia maggiore alle possibilità di un singolo Reggente. Proprio per questo motivo, molti di loro si indebolirono divenendo facili bersagli per gli eterni, che, approfittando della situazione, li stanarono sfruttando nuove e potenti armi. Gli ultimi tre Reggenti rimasti a custodire i tre portali ancora aperti, non ebbero modo di chiuderli, perché privi di un'energia abbastanza forte, perciò si limitarono a proteggerli al meglio delle loro possibilità, in attesa che la profezia potesse compiersi e che la pace venisse ristabilita, come in origine, da un potere superiore a qualsiasi altro. 

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Capitolo 2
*** MISTERI DA RISOLVERE ***




Salve a tutti, ci presentiamo, siamo Monica e Giulia. È nostra premura precisare che non ci reputiamo delle scrittrici perciò non siate troppo dure nel giudicarci. Questo racconto è nato più che altro come una chiacchierata in spiaggia tra amiche e con lo stesso non intendiamo offendere la sensibilità di nessuno, inoltre fatti e avvenimenti ttrattati sono totalmente frutto della nostra immaginazione. Speriamo che questo nostro primo racconto possa essere di vostro gradimento. Con questo vi auguriamo una buona lettura.

CAPITOLO 1
MISTERI DA RISOLVERE
 

Hong Kong
Era una serata uggiosa, la pioggia scendeva radente come coriandoli dal cielo, leggera e fragile tra le strette vie di Hong Kong. Per la strada, le lunghe e irregolari zone buie dei palazzi e le sporadiche lanterne rosse ancora accese a tarda notte, erano le uniche tracce di una ancora persistente esistenza umana.  Le sagome nere alle finestre rammentarono per un attimo ad Alice le note scene del teatro cinese delle ombre. C'era qualcosa di magico e oscuro in quel momento. Ad aggirarsi irrequieto a quell’ora tarda vi era solo un gatto randagio in cerca di cibo sotto una bancarella del pesce. Fra questo e Alice si instaurò uno scambio di sguardi lungo pochi secondi, prima che la figura felina si ritirasse spaventata all'ombra di un vicolo cieco. Alice riprese ad osservare tra le mani fradice una bussola dall'aspetto insolito, piccolo cimelio di famiglia lasciatole in eredità dai suoi genitori prima della loro dipartita. Alice non aveva mai dimenticato la missione, poi divenuta ragione di vita dei suoi genitori, così, dopo anni di duro addestramento e sacrifici portati avanti con grandi difficoltà, era giunto anche per lei il giorno del tanto atteso riconoscimento. A soli ventidue anni era stata nominata Coordinatore maggiore delle truppe veggenti. Così Alice poté perseguire la stessa missione che dieci anni prima era stata dei suoi genitori, forse con l'intento inconscio di non rendere vano il loro sacrificio e mantenere viva la loro memoria. Catturando i Reggenti sperava di rendere loro onore.
Una tenue luce azzurrina si sprigionò da quello strumento prezioso, utile a indicare la presenza delle anime superiori. Il puntatore della bussola le indicò prontamente il nord e bastò quello a suggerire ad Alice verso quale direzione muoversi per trovare il secondo dei Reggenti.
Scoperto il primo portale a Boston e catturato il primo Reggente, gli eterni avevano ottenuto le coordinate degli altri due portali. Era stato il primo Reggente sotto tortura a confessare la loro posizione. Ecco perché i due membri delle truppe veggenti si trovavano lì in quel momento.
«Non dirmi che ci siamo persi ancora una volta!» le chiese esasperato Jasper, suo fratello adottivo.  Alice stava per rispondergli quando fu colta da una visone improvvisa. Con lo sguardo perso nel vuoto, gli fece segno di non distrarla e con un gesto della mano lo zittì.
 
Come un segugio che insegue una traccia invisibile nell'aria, perlustrò l'ambiente circostante, poi sgranò gli occhi e prendendo per un polso Jasper lo costrinse a seguirla all'interno di un vicolo buio.
«Questa volta lo abbiamo in pugno! Non possiamo farcelo scappare. Dev'essere da questa parte!» All'improvviso, un'abbagliante luce bianca si proiettò dinanzi ai loro occhi, accecandoli.
Una voce profonda si levò da questa, facendo tremare il suolo sotto i loro piedi. Una figura maestosa dai tratti severi, troneggiò su di loro con la sua imponenza, con una barba lunga e un incarnato di un pallore etereo e occhi chiari e limpidi come l'acqua cristallina, si impose su di loro.  Alice lo riconobbe subito: quello era uno dei tre Reggenti, il loro capo. Questa volta la loro ricerca aveva avuto fortuna.      
Era la prima volta che si trovava faccia a faccia con uno di loro. Lo stupore per quella manifestazione inattesa la paralizzò all'istante. Il suo corpo era fermo, marmorizzato, come una statua classica. Era raro che gli spiriti superiori si manifestassero nella loro forma originale. Alice pensò che ci fosse qualcosa di molto sospetto. Come se quell'essere millenario avesse voluto farsi trovare da loro.
«Voi non sapete cosa state facendo. Il mondo che conosciamo collasserà e tutto per la vanità di voi Eterni. La pace era un obbiettivo prioritario, ma voi avete rovinato tutto. Presto la vostra ingordigia divorerà ciò che avete creato. Preparatevi, perché una discendente verrà presto a fare giustizia».
Prontamente Jasper estrasse il suo arco, pronto a scoccare il dardo dorato. L'oro era l'unico metallo capace di infliggere ferite sui loro corpi inconsistenti. Un metallo vile simbolo di vanità e idolatria, divenuto l'unica arma a loro disposizione contro i Reggenti.
Il braccio teso e contratto puntava senza cedimento il petto del capo dei Reggenti. Alice però trattenne Jasper poggiando sulla sua spalla una mano per placarlo. Non dovevano ucciderlo ma solo catturarlo. Questi erano gli ordini.
Eppure qualcosa non convinceva completamente Alice, quella strana figura barbuta non gliela raccontava giusta. Sembrava preparata fin troppo al loro arrivo.
«Cosa intendi con un discendente? Voi tre siete gli ultimi Reggenti rimasti sulla Terra, abbiamo catturato uno di voi e ci ha raccontato tutto. Adesso conosciamo la posizione dei portali e presto rivendicheremo ciò che è nostro di diritto!»
La voce del Reggente tuonò, sovrastando quella di Alice.
«Poveri ingenui! Non si può andare contro un disegno superiore. Tutto quello che vi hanno insegnato è imperniato di vanità e corruzione e la verità che tanto difendete è solo mera falsità creata da menti avide di potere! A voi la scelta, catturarmi ora e adesso e alimentare questo ingiustificato fiume di sangue o combattere con noi per ristabilire la verità. I vostri genitori, tanti anni fa, fecero la scelta giusta, ma la pagarono a caro prezzo. Siete davvero pronti a lottare dalla stessa parte dei loro assassini?»
Alice, non riusciva a credere a quello che il Reggente gli stava dicendo. Cosa centravano i loro genitori adesso? E a chi si riferiva dicendo “i loro assassini”? All'Accademia di addestramento gli avevano insegnato che i Reggenti erano esseri mostruosi, senza pietà, ma negli occhi di quello spirito lei lesse solo sincera amarezza. Entrambi i ragazzi rimasero immobili, disorientati da quelle parole che rischiavano di mettere in discussione troppe cose.
Quando lo spirito si dileguò, disperdendosi nell’aria, era già troppo tardi. Lo avevano lasciato andar via senza rispettare gli ordini ricevuti. Nella loro mente iniziarono a farsi largo a macchia d'inchiostro molti dubbi sul loro passato e sul vero scopo di quella missione.
«Maledizione Alice, lo abbiamo lasciato andare! Perché mi hai fermato? Lo avevamo in pugno! E adesso? Se Aro ci leggerà nella mente sarà la fine…»
Alice bloccò suo fratello per le spalle con le sue mani fissandolo preoccupata negli occhi.
«Jasper, non dobbiamo riferire nulla di quello che abbiamo sentito e visto al quartiere generale! Mi hai capito?» Gli impose Alice.
Il ragazzo biondo acconsentì senza sollevare obiezioni. Dopotutto si era sempre fidato del giudizio di sua sorella e questa volta non sarebbe stato diverso.
«Chissà se Edward avrà già trovato l'altro portale?» Proseguì Jasper mentre si scrollava di dosso le mani di sua sorella.
«Chissà…» sospirò lei, riposizionandosi sconfitta il cappuccio nero sulla testa.
Dietro le loro felpe scure i due si dileguarono da quel vicolo buio.
 
 
 
 
 
 
 
Londra
La fitta nebbia londinese impediva una limpida visione per le strade. Bella che aveva sempre desiderato fare un viaggio in quei luoghi, non si trovava lì per svago, ma per risolvere il mistero dietro la scomparsa improvvisa di suo padre. Carline era stato per molti anni un rispettato professore di Storia Antica all'Università di Montepulciano. Ma negli ultimi anni aveva iniziato a condurre ricerche solitarie in giro per il mondo. Per questo Bella si era abituata a vivere da sola e a badare a se stessa più di quanto qualsiasi adolescente della sua età fosse costretto a fare.
Suo padre era rientrato da poco più di una settimana, quando Bella entrando nel suo studio all'Università non lo trovò dietro la sua solita scrivania in noce, ma al suo posto si imbattette in una stanza in completo disordine, tante carte sparse per la stanza, come se qualcuno vi avesse fatto irruzione rovistando ovunque in gran foga. I cassetti erano stati rimossi dalla scrivania e il loro contenuto era stato riversato su tutto il pavimento. La cartina alle spalle della poltrona era stata lacerata in più punti e la lampada verde, di solito sulla scrivania, giaceva ormai distrutta sul pavimento e i suoi cocci brillavano illuminati dalla pallida luce della finestra spalancata. In quel momento un pensiero le passò per la mente; quella poteva essere solo opera di un ladro o di un intruso entrato in cerca di qualcosa. Istintivamente recuperò il telefono dalla tasca dei suoi jeans attillati e provò a contattare suo padre. Ma di Carline nessuna traccia. Suo padre era scomparso nel nulla senza lasciarle alcun indizio. Fu guardando verso il pavimento che notò una piccola agenda rossa, con all'interno degli appunti trascritti in una lingua a lei sconosciuta e tra essi una piccola cartina geografica in cui erano stati cerchiati tre punti precisi; vicino ad ogni punto era segnata una data. Le località erano Boston, Londra e Hong Kong. Ad un mese di distanza l'una dall'altra erano segnate delle date sempre nel primo di ogni mese. Per una strana coincidenza, sulla località di Boston era stata segnata proprio la data di quel giorno ovvero: 01 ottobre 2017, sulla località di Londra quella del 01 novembre 2017 e su quella di Hong Kong quella del 01 dicembre 2017.  Bella aveva capito subito che quella non poteva essere solo una coincidenza e se voleva scoprire cosa fosse successo a suo padre, si sarebbe dovuta recare a Londra, la prossima meta per ordine di data. Così Bella a un mese esatto dalla scomparsa di suo padre, nel giorno primo del mese di novembre, si era recata a Londra con la speranza di risolvere il mistero della sua scomparsa. Tante le domande che aveva lasciato la sua assenza, tante le perplessità che giorno dopo giorno si erano affollate nella sua testa, ma solo un indizio per svelarle: una carta geografica nascosta dentro una piccola agenda rossa.
Londra era particolarmente gelida in quel periodo dell'anno. Bella infreddolita si stringeva nel suo cappotto giallo e con la mano sinistra manteneva una calda sciarpa di lana attorno al collo, un vecchio regalo di Natale di suo padre. Una piccola valigia, con poche cose essenziali, rallentava il suo cammino verso quella che sarebbe stata la sua temporanea abitazione. Erano circa le nove di sera quando arrivò a destinazione. Il piccolo ostello si trovava in un quartiere periferico, tra stradine strette e vicoli ciechi senza uscita. I palazzi fatti di sole finestre, contavano dai sei ai sette piani e portavano i segni degli anni passati.
Bella, ferma al numero civico 109, guardò lo squallido ostello d'avanti a sé. Purtroppo, con i pochi risparmi accumulati in anni di par-time, quello era il massimo che poteva permettersi. Senza perdere altro tempo, la ragazza si avvicinò all'edificio e dopo aver appoggiato la valigia a ridosso del muro, suonò il campanello. La piccola porta in legno verniciato venne aperta dopo alcuni istanti da una donna anziana dall'aspetto stregonesco. Naso adunco, occhi spenti e vitrei, denti gialli e capelli colore della cenere, crespi e arruffati come un nido di paglia. La donna notando la valigia non le fece domande, ma con un cenno della mano la invitò ad entrare. Zoppicando e tenendosi in equilibrio con l'aiuto di un bastone, recuperò una chiave da un mobiletto e con aria stizzita invitò la malcapitata ragazza a seguirla imboccando subito dopo le scale a destra dell'ingresso. Bella preferì mantenersi a debita distanza da quella donna dall'alito pestilenziale. La vecchietta rachitica con la schiena incurvata dal peso degli anni, condusse Bella fino al penultimo piano. Entrambe svoltarono a sinistra ritrovandosi su un lungo corridoio malmesso. In questo la carta da parati consunta era staccata in più punti, la moquette sotto i loro piedi era macchiata e rattoppata malamente e l'intonaco crepato cadeva a pezzi dal soffitto, tanto che in più di un’occasione Bella era stata costretta a scansarlo spostandosi di lato.
"Ma in quale razza di catapecchia sono finita? Maledizione e poi dicono che i soldi non fanno la felicità. Di sicuro ti garantiscono un tetto sulla testa migliore di questo. Cavolo che sfiga. Poi questa tizia mi sembra uscita da uno di quei film di Halloween che trasmettono per i bambini in televisione. Ma tutte a me devono capitare?"
Con gli occhi rivolti alla signora Clotilde, questo il suo nome, esaminava quel corridoio squallido che avrebbe potuto fare da fondale al peggiore dei film horror.
"Ma quanto è tirchia questa donna? almeno una pulita in giro poteva darla!"
Non avendo più alcun dubbio sul totale disinteresse della donna per la manutenzione della sua attività, Bella girò sulla sinistra seguendola come un cane fedele. Fermandosi infine d'avanti all'ultima porta, Bella volse lo sguardo al lungo corridoio dietro di sé.
Per la ragazza risultava difficile pensare che un posto così squallido potesse avere tutte quelle camere occupate e che casualmente l'unica disponibile fosse proprio al penultimo piano alla fine di quell'interminabile corridoio. Quando la donna le aprì la camera, Bella si ritrovò d'avanti una piccola stanza dalle pareti ingiallite e spoglie, sulla destra un armadietto in legno scuro con accanto una sedia in paglia e sulla sinistra un letto da una piazza e mezza con un piccolo comodino vicino.
Bella depositò i bagagli all'ingresso e si guardò intorno. La vecchietta con una voce stridula, richiamò la sua attenzione.
«Signorina si ricordi che il bagno in comune è al primo piano vicino le scale e che la colazione viene servita alle ore 7:00. Non un minuto più tardi». Non aggiungendo altro la donna chiuse violentemente la porta, senza lasciare a Bella la possibilità di rispondere.
"Ma in quale inferno sono capitata? Occorreva mettermi al penultimo piano se il bagno è al primo? Sono sicura che nessuna delle stanze al primo piano sia occupata. Quella vecchia strega mi odia, ne sono sicura!"
E con quella consapevolezza, Bella disfò la valigia e sistemò le sue cose all'interno dell'armadio, lasciando solo i vestiti che avrebbe indossato dopo la doccia.
Erano le 22:15 e l’ora di cena era passata da un po’. Bella decise di uscire da quelle quattro mura e di cenare fuori e unire l’utile al dilettevole. Il tempo era prezioso, doveva sfruttare al massimo ogni secondo. Non sapeva quanto tempo sarebbe rimasta in quella città e ne quanto gliene sarebbe servito per risolvere il mistero della scomparsa di suo padre.
Così senza perdere altro tempo, indossò il suo cappotto, uscì dalla stanza e prima che la vecchietta potesse fermarla, raggiunse l’uscita di quella topaia.
Bella dopo trenta minuti di cammino raggiunse Camden Town, un quartiere affollato, ricco di pub e negozietti che davano vita a quelle vie di Londra. Alti palazzi bianchi con portoni maestosi costeggiavano gli ampi marciapiedi illuminati. Bella percorreva quelle vie piene di vita, con lo sguardo estasiato. Per un attimo dimenticò il suo stomaco che brontolava e la tristezza che provava.
Dopo un po’ di tempo entrò in piccolo pub e ordinò la sua cena. Il suo tavolo, posizionato ad un angolo, le permetteva un ampia visuale della saletta. Nell'attesa della sua ordinazione, Bella tirò fuori dalla borsa l'agenda di suo padre. In verità non sapeva esattamente cosa cercare in quelle pagine, ma sopratutto non aveva alcuna certezza della loro utilità. Su quelle pagine vi erano diversi dati, che per Bella non avevano senso. Ad attirare la sua attenzione fu un indirizzo scritto a fine pagina, Donegal St.
«Mi scusi le dispiacerebbe spostare?» disse una cameriera dai capelli rossi, con il vassoio dell’ordinazione.
Bella fece segno di no con la testa, raccolse le sue cose e le ripose nella borsa. La ragazza poggiò sul tavolo una lattina di coca cola e il piatto con l’hamburger. Bella ringraziò, ma prima che la cameriera si allontanasse aggiunse: «mi scusi, saprebbe indicarmi dove si trova Donegal St?»
«Credo si trovi nel quartiere di Pentonville, un pò distante da qui. Mi dispiace ma devo andare ho un'altro tavolo da servire. Spero che la cena sia di suo gradimento», le augurò frettolosamente la ragazza tornando al suo lavoro.
Non sapeva esattamente quanto tempo si sarebbe fermata in quella città, ma se il suo soggiorno si fosse prolungato più del dovuto anche lei avrebbe dovuto trovare un lavoretto, perché presto o tardi i soldi sarebbero terminati. Adesso poteva contare solo su se stessa, nessuno più l'avrebbe aiutata, guidata e confortata. Questa consapevolezza la fece rattristire e senza rendersene conto passò i successivi minuti a guardare le persone intorno a lei. Il locale era affollato. Tanti i ragazzi seduti al bancone del bar che ridevano e scherzavano, tanti quelli seduti ai tavoli che cenavano e chiacchieravano. Il suo sguardo si spostò nuovamente e i suoi occhi si fermarono su un ragazzo solitario appoggiato ad un vecchio Jouboxe.
Il ragazzo dall’altro lato della stanza, se ne stava in disparte con il suo cellulare e di tanto in tanto sorseggiava il suo drink. Aveva un’aria misteriosa e si guardava in torno come se stesse cercando tra tutte quelle persone qualcuno in particolare.
Improvvisamente la visuale di Bella venne coperta dall’arrivo della cameriera.
«Le ho portato il conto!» La informò la ragazza mentre ritirava i piatti sporchi dal tavolo. Poi con molta discrezione aggiunse: «prenda da Camden Town la metropolitana Northern, direzione Morden e scenda alla fermata Angel. Arrivata li non le sarà difficile avere informazioni». E detto questo, andò via senza indugiare oltre.
Bella segnò tutto sul telefonino e pochi istanti dopo, quando rivolse lo sguardo verso il Jouboxe, si accorse che quel ragazzo dall’aria misteriosa non c’era più. Stranamente Bella iniziò a sentirsi poco bene. Provava una sensazione di nausea e il caldo che c’era all’interno del locale non l’aiutava molto. Bella raccolse in fretta le sue cose, lasciò £ 15,00 sterline sul tavolo e si diresse verso l’uscita secondaria perché più vicina. Aveva bisogno di aria fresca subito. Quando uscì all’esterno, la temperatura gelida di Novembre la invase, ma non fu abbastanza. La ragazza ormai pallida, con le mani appoggiate al muro, si chinò e rigettò tutta la cena.
Pochi minuti dopo si sentì meglio e con un fazzoletto si ripulì il viso. Ma prima che potesse rialzarsi accadde qualcosa. Dal nulla apparve una figura maestosa di un pallore inumano, seguita all’istante da un ragazzo. I due iniziarono a fronteggiarsi furiosamente, senza lasciare all’altro la possibilità di avere la meglio. Bella, non capendo cosa stesse succedendo, emise un urlo di terrore e con gli occhi sbarrati continuò a guardare stupefatta quella scena da film di fantascienza. Fu in quel momento che il ragazzo si accorse di lei.
Approfittando di quel momento di distrazione, la figura possente sferrò un attacco al ragazzo che fu scaraventato malamente, poi dileguandosi nel nulla senza lasciare traccia.

Il silenzio che seguì non era rassicurante. Bella, rannicchiata al suolo, aveva il respiro accelerato e il corpo che le tremava per la paura appena provata. Immobile fissava il punto in cui si era appena volatilizzata quella sagoma mostruosa, che l'aveva colta alla sprovvista. Un gemito di dolore catturò la sua attenzione. Un lamento maschile provenì dalla parte più buia di quella stradina. La ragazza, ancora per terra, concentrò il suo sguardo in quella direzione, sporgendosi con il busto per poter vedere meglio chi si stesse lamentando. A causa del buio pesto, non riuscì a distinguere un granché. Così, preso un lungo respiro, gattonò verso quella sagoma distesa al suolo.

«Stai bene?» chiese al ragazzo con quel poco di voce che le rimaneva.

Bella che domanda stupida. Questo poverino ha appena fatto un volo di chissà quanti metri.

Il ragazzo si lamentò ancora mantenendosi con una mano la spalla ferita. Quando poi girò il capo Bella lo riconobbe. Era il ragazzo solitario del pub. Pochi secondi dopo quest’ultimo parlò.

«Merda!» Sbraitò il ragazzo.

«Come, scusa?» Bella non fece in tempo a chiedere altro che il tizio aggiunse.

«Si può sapere chi diavolo sei? Hai rovinato tutto».

«Ma di che diavolo stai parlando? Qui chi ha il diritto di fare delle domande sono io. Cos’era quella cosa? Sono quasi morta dallo spavento». Il ragazzo senza nemmeno guardarla, raccolse da terra la batteria e il cellulare, che nel volo si era aperto e aggrappandosi ad un cassonetto della spazzatura, si rialzò.

Quando inserì la batteria nel cellulare e provò a riaccenderlo, questo non diede segno di vita.

«Maledizione!» Imprecò il ragazzo camminando avanti e indietro nervosamente. «È andato tutto a farsi fottere». disse con rabbia. Poi si massaggio la spalla che gli faceva male e delle espressioni di dolore si formavano sul suo volto.

Bella ancora spaventata, lo seguiva con gli occhi senza sapere cosa fare. Poi prese coraggio si alzò da terra e lo raggiunse alle spalle.

«Stai bene?» disse la ragazza. Ma il ragazzo non la degnò di uno sguardo. Così lei gli si avvicinò più vicino e spazientita alzò il tono della voce.

«Se non l’avevi capito, sto parlando con te! Mi stai ascol…» Bella non terminò la frase, perché presa alla sprovvista, venne strattonata malamente. Il ragazzo dall’aspetto misterioso la teneva ferma da un polso e fissandola negli occhi minaccioso le disse:

«Non so chi tu sia e nemmeno il motivo perché tu abbia visto, ma di una cosa sono certo. Se tu non fossi stata li, le cose sarebbero andate diversamente».

«Io sono quasi morta dallo spavento e tu sai solo accusarmi. Sai cosa c’è di bello? Me ne frego di come stai e della tua spalla. Me ne vado. Idiota!». Disse la ragazza alzando il tono di voce e riuscendo a svincolarsi dalla stretta del ragazzo, ma lui repentinamente l’afferrò nuovamente e avvicinando il suo viso a quello di Bella le disse:

«Dove credi di andare? Pensi realmente che ti faccia andare via così? No, signorina. È colpa tua se mi è scappato ed è colpa tua se mi sono fatto male. Quindi inutile dire che le cose andranno diversamente. Adesso devi aiutarmi!»

«Ma tu sei fuori di testa! Non ho nessuna intenzione di aiutarti». Concluse cercando di mantenere un atteggiamento sicuro, ma tutta la sua sicurezza venne meno quando il ragazzo, nel muovere il braccio, emise un gemito di dolore.

«D’accordo ti aiuterò!».

 

 

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Capitolo 3
*** UN BRUSCO RISVEGLIO ***


CAPITOLO 2
UN BRUSCO RISVEGLIO


Il silenzio che seguì non era rassicurante. Bella, rannicchiata al suolo, aveva il respiro accelerato e il corpo che le tremava per la paura appena provata. Immobile fissava il punto in cui si era appena volatilizzata quella sagoma mostruosa, che l'aveva colta alla sprovvista. Un gemito di dolore catturò la sua attenzione. Un lamento maschile provenì dalla parte più buia di quella stradina. La ragazza, ancora per terra, concentrò il suo sguardo in quella direzione, sporgendosi con il busto per poter vedere meglio chi si stesse lamentando. A causa del buio pesto, non riuscì a distinguere un granché. Così, preso un lungo respiro, gattonò verso quella sagoma distesa al suolo.

«Stai bene?» chiese al ragazzo con quel poco di voce che le rimaneva.

Bella che domanda stupida. Questo poverino ha appena fatto un volo di chissà quanti metri.

Il ragazzo si lamentò ancora mantenendosi con una mano la spalla ferita. Quando poi girò il capo Bella lo riconobbe. Era il ragazzo solitario del pub. Pochi secondi dopo quest’ultimo parlò.

«Merda!» Sbraitò il ragazzo.

«Come, scusa?» Bella non fece in tempo a chiedere altro che il tizio aggiunse.

«Si può sapere chi diavolo sei? Hai rovinato tutto».

«Ma di che diavolo stai parlando? Qui chi ha il diritto di fare delle domande sono io. Cos’era quella cosa? Sono quasi morta dallo spavento». Il ragazzo senza nemmeno guardarla, raccolse da terra la batteria e il cellulare, che nel volo si era aperto e aggrappandosi ad un cassonetto della spazzatura, si rialzò.

Quando inserì la batteria nel cellulare e provò a riaccenderlo, questo non diede segno di vita.

«Maledizione!» Imprecò il ragazzo camminando avanti e indietro nervosamente. «È andato tutto a farsi fottere». disse con rabbia. Poi si massaggio la spalla che gli faceva male e delle espressioni di dolore si formavano sul suo volto.

Bella ancora spaventata, lo seguiva con gli occhi senza sapere cosa fare. Poi prese coraggio si alzò da terra e lo raggiunse alle spalle.

«Stai bene?» disse la ragazza. Ma il ragazzo non la degnò di uno sguardo. Così lei gli si avvicinò più vicino e spazientita alzò il tono della voce.

«Se non l’avevi capito, sto parlando con te! Mi stai ascol…» Bella non terminò la frase, perché presa alla sprovvista, venne strattonata malamente. Il ragazzo dall’aspetto misterioso la teneva ferma da un polso e fissandola negli occhi minaccioso le disse:

«Non so chi tu sia e nemmeno il motivo perché tu abbia visto, ma di una cosa sono certo. Se tu non fossi stata li, le cose sarebbero andate diversamente».

«Io sono quasi morta dallo spavento e tu sai solo accusarmi. Sai cosa c’è di bello? Me ne frego di come stai e della tua spalla. Me ne vado. Idiota!». Disse la ragazza alzando il tono di voce e riuscendo a svincolarsi dalla stretta del ragazzo, ma lui repentinamente l’afferrò nuovamente e avvicinando il suo viso a quello di Bella le disse:

«Dove credi di andare? Pensi realmente che ti faccia andare via così? No, signorina. È colpa tua se mi è scappato ed è colpa tua se mi sono fatto male. Quindi inutile dire che le cose andranno diversamente. Adesso devi aiutarmi!»

«Ma tu sei fuori di testa! Non ho nessuna intenzione di aiutarti». Concluse cercando di mantenere un atteggiamento sicuro, ma tutta la sua sicurezza venne meno quando il ragazzo, nel muovere il braccio, emise un gemito di dolore.

«D’accordo ti aiuterò!».

 

La luce di un nuovo giorno illuminava e riscaldava la piccola stanza. Bella dormiva profondamente quando un rumore improvviso la disturbò svegliandola, si mosse nel letto e si mise distesa di schiena. Con ancora gli occhi chiusi, rivisse nella sua testa gli avvenimenti della sera prima e tirò un sospiro di sollievo, perché convinta fosse solo un brutto sogno.

Tranquilla Bella era solo un brutto sogno, non è successo realmente e quell’idiota non l’hai mai incontrato”.

Dopo qualche minuto, pronta ad affrontare la giornata, aprì gli occhi e l’incubo divenne realtà. Il ragazzo della sera prima era d’avanti a lei, seduto comodamente sulla sedia di fianco alla finestra, con le gambe accavallate e tra le mani un cellulare.

Bella spaventata scattò indietro, lanciando un urlo e sbatté la schiena contro il muro. La coperta stretta a se, il battito del cuore accelerato e il respiro irregolare.

«Non puoi essere realmente tu». Disse Bella, portandosi una mano sulla fronte e scuotendo la testa.

«Bella, calmati stai ancora dormendo, lui non è realmente qui» Pensò la ragazza ad alta voce.

«Per me puoi credere quello che vuoi, non cambia la mia presenza qui da te». Disse il ragazzo senza alzare lo sguardo e continuando ad utilizzare il cellulare. «Permettimi di dirti, che questo Taylor è un idiota!»

La ragazza ancora sotto shock non capì subito le sue parole.

«Cosa scusami?» Tutto fu chiaro quando lui sollevo l’oggetto stretto nella sua mano.

Bella portò gli occhi su di esso e pochi istanti dopo riconobbe che quello era il suo cellulare. Con un balzo scese dal letto e sfilò l’apparecchio elettronico dalle mani di quello sconosciuto. «Ma come ti sei permesso? Questa è violazione della privacy, lo sai che potrei sporgere denuncia?»

«Ma fammi il favore, la tua vita è piatta, stavo solo cercando di passare il tempo nell’attesa che ti svegliassi. E poi ricordi?». Disse indicando la parte della spalla che gli faceva male.

In questo modo sperava di manipolarla, per farla sentire in colpa.

«Non puoi restare qui. Io…» Bella non terminò la frase, perché qualcuno iniziò a bussare alla sua porta.

Perché proprio ora?” Pensò preoccupata Bella.

«Muoviti devi nasconderti». Disse Bella spingendo il ragazzo dietro l’armadio.

«TU, non azzardarti ad uscire da qui, non fiatare e se puoi non respirare!» disse puntando il dito verso di lui.

Poi si diresse ad aprire la porta.

«Arrivo!» Gridò Bella avvicinandosi verso di essa, ma prima di aprirla, si girò indietro per intimare nuovamente al ragazzo di non fiatare. Prese un lungo respiro e decise di aprire.

Sulla soglia della porta, come poteva immaginare, c’era l’anziana signora Clotilde con in viso un espressione di rimprovero. Bella si sporse con metà busto fuori dalla porta mantenendo quest’ultima il più possibile socchiusa per impedire alla donna di sbirciare all’interno della sua stanza.

«Signorina, le avevo detto che la colazione è servita alle 7:00 in punto. Sa che ore sono?» Disse la donna spazientita.

«In verità..» provò a dire Bella.

«Glielo dico io, se non lo sa. Sono precisamente le 9:00 e nonostante lei non abbia usufruito della colazione, non pagherà un solo centesimo in meno». Mise in chiaro la vecchietta, che nel frattempo iniziò a dondolarsi sulle punte reggendosi al bastone, per curiosare all’interno della stanza.

«Non si preoccupi, non avevo intenzione di chiedere sconti». Disse la ragazza frettolosamente e cercando di celare il più possibile la visione alla donna. La signora Clotilde guardò Bella ancora per qualche istante prima di girarsi per andar via. Sfortunatamente però il rumore improvviso, all’interno dell’abitazione non passò inosservato alle orecchie dell’anziana signora tanto che, con un’arcata, spinse malamente Bella aprendosi un varco tra il muro e la ragazza.

Adesso sono fritta” pensò Bella consapevole del fatto, che la stanza fosse troppo piccola per non far scoprire Edward dietro l’armadio. “Cretino!” pensò.

Passarono pochi secondi, che per lei furono lunghissimi. Stranamente la vecchietta non aveva ancora aperto bocca, così convinta di essere scampata ad un guaio, si voltò verso l’interno della stanza.

Quello che gli si parò d’avanti era anche peggio di quello che aveva immaginato. Sul letto, il ragazzo se ne stava comodamente sdraiato, con le gambe accavallate. Tutto era chiaro, il rumore sentito era quello del materasso che sbatteva contro la rete del letto. Quel cretino aveva volontariamente fatto rumore, per provocarla e farla innervosire.

«Signorina, potrebbe spiegarmi cosa ci fa questo giovanotto in camera sua? La mia è una pensione di persone perbene, non un postribolo». Disse la signora indignata e scandalizzata, mentre volgeva lo sguardo dal ragazzo ad una Bella ammutolita.

«Signora Clotilde, non è come pensa. Posso spiegarle» disse Bella balbettando imbarazzata. Non si era mai trovata in una situazione così fino a quel giorno.

A quel punto il ragazzo si alzò e si avvicinò alla vecchietta. «Signora mi presento, il mio nome è Edward Cullen e sono il suo ragazzo». Disse il giovane porgendo una mano verso l’anziana donna, ma quest’ultima impugnando il bastone gliela rifiutò malamente.

«Siete due imbroglioni. Così volevate alloggiare in due pagando una sola tariffa?» Disse la donna infuriata iniziando a battere ritmicamente il suo bastone sul pavimento.

«No, non è come pensa». Cercò di discolparsi Bella, ma Edward intervenne ancora una volta.

«Signora Clotilde, in verità sono arrivato ieri sera tardi. Alla reception non c’era nessuno. Le posso assicurare, che era nostra intenzione avvisarla questa mattina non appena fossimo scesi. Non si preoccupi, pagheremo il costo di due pensioni».

A quelle parole la donna si rilassò, si calmò e smise di battere il bastone sul pavimento.

«Mi sta bene. Ma vi avviso, non ho altre stanze disponibili. Vi aspetto di sotto per registrare i suoi dati sig. Cullen». E detto ciò la donna si congedò dai due ragazzi.

Altro che indignazione, la signora era solo arrabbiata perché voleva essere pagata le due pensioni”, pensò Bella.

Poi si ridestò dai suoi pensieri e come una furia si avventò sul ragazzo.

«Idiota! Sbaglio o ti avevo chiesto di rimanere nascosto e in silenzio? Mi hai messo nei guai adesso». Disse Bella ringhiandogli in faccia.

«E no ragazzina, al contrario ti ho risolto un problema». Disse Edward con un espressione di ovvietà.

«Mi hai risolto un problema? Me l’hai creato il problema, anzi mi correggo, il mio problema sei tu!» disse la ragazza iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza.

«Si, ti ho risolto il problema. Pensaci, se non fosse stato per me, adesso e per tutto il resto del mese, avresti vissuto con l’ansia che mi scoprissero, invece così tolto il dente tolto il dolore. Se vuoi adesso puoi anche ringraziarmi». Terminò Edward incrociando le braccia al petto.

«Chi ti ha detto che puoi stare qui un mese? Che io ricordi, non ho mai detto una cosa simile».

«Se non fosse per te, sarei già lontano da qui. Per di più ho una spalla lussata». Disse Edward cercando di far sentire Bella colpevole.

«Ma se stai benissimo?» disse Bella.

A quell’affermazione Edward si rigettò sul letto iniziando ad assumere espressioni di dolore sul volto. «Non vorrai negare il tuo aiuto ad un povero ragazzo ferito?»

«Non stai male veramente, sò che stai mentendo» disse Bella sicura di sé.

«Ho capito, sarò costretto a richiamare la signora Clotilde e dirle che in realtà mi hai rimorchiato ieri sera in un locale e che non avevamo nessuna intenzione di pagarle il mio pernottamento» la minacciò Edward alzandosi dal letto e avvicinandosi alla porta di quella minuscola stanza.

La ricattò e Bella fu ancora una volta costretta ad assecondare i suoi capricci.

«Ok. Puoi restare» sospirò Bella rassegnata. In fretta e in silenzio, recuperò gli indumenti dall’armadio e il suo beautycase, uscì dalla stanza lasciando all’interno un Edward vittorioso.

Quando ritornò di Edward non vi trovò nemmeno l’ombra. Approfittando dell’assenza del suo nuovo compagno di stanza, decise di dedicare qualche minuto al vero motivo del suo trasferimento. Aprì il cassetto del suo comodino e recuperò l’agenda di suo padre.

Sfogliò quelle pagine lentamente per non farsi sfuggire neanche il minimo particolare. Con sguardo indagatore si fermò sulla pagina nella quale era stato appuntato l’indirizzo di Londra: “25 Islington High St”. Senza nemmeno accorgersene passò le dita su quell’inchiostro nero.

Era strano sfogliare quell'agenda all'interno della quale erano stati segnati appuntamenti di lavoro, nomi e tanto altro, senza una vera e propria coerenza. Si sa, i padri al mattino si svegliano presto, baciano i loro figli prima di andare a lavoro e la sera ritornano stanchi raccontando poco o niente della loro giornata lavorativa. Adesso sfogliando quell’agenda poteva provare ad immaginare quello che faceva suo padre nelle ore in cui era lontano da lei. Bella, troppo presa dai suoi pensieri, non si accorse della presenza di Edward alle sue spalle, fin quando quest’ultimo non le parlò.

«Ho sistemato la questione dei documenti con la proprietaria. Che tenera, scrivi ancora il diario?» disse Edward prendendola in giro.

«Non sono affari tuoi quello che faccio». Lo rimbeccò la ragazza indispettita chiudendo l’agenda e mettendola nella borsa.

Dalla risposta della ragazza, Edward capì che se continuavano così, la convivenza sarebbe diventata per entrambi insostenibile e sicuramente non sarebbero mancati giorni carichi di tensione.

Così non và. Devo cambiare atteggiamento se voglio scoprire come sia riuscita questa semplice umana, ad assistere all’apparizione di un Reggente”. Pensando questo, Edward le si avvicinò.

«Ok, l’ammetto, forse abbiamo iniziato col piede sbagliato. Ricominciamo tutto daccapo. Ciao, il mio nome è Edward Cullen» disse porgendo una mano verso Bella.

«Ok, avevo il sospetto che fossi matto, ma se fai così non farai che avvallare le mie supposizioni. Lo sai che sei completamente fuori di testa?». Disse la ragazza appoggiando una mano sul fianco e passando l’altra tra i lunghi capelli.

«Solitamente quando ci si presenta, ci si aspetta che anche l’altro faccia la stessa cosa». Disse Edward continuando a porgerle la mano.

Bella guardò scettica, ancora una volta, la mano tesa del ragazzo. Lui, a differenza di lei, stava provando ad andarle incontro con quel gesto.

«Assurdo!» disse Bella, posando per la prima volta il suo sguardo incerto e titubante nei fieri occhi verdi del ragazzo. Prima di quel momento, non aveva mai notato quanto bello fosse il suo viso.

Poi Edward con uno sguardo supplicante aggiunse «Ti prego».

Bella orgogliosa com’era, non voleva cedere e dargliela vinta, ma nello stesso tempo doveva riconoscere una cosa, quel ragazzo che in meno di ventiquattro ore le aveva complicato la vita, stava facendo un passo verso di lei.

Bella guardò ancora una volta il ragazzo, che le sorrise sinceramente.

«Isabella Swan, ma solo Bella può bastare». Disse la ragazza stringendogli la mano.

 

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