Un'estate da ricordare

di HadleyTheImpossibleGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Arrivano! ***
Capitolo 3: *** Di cene e disturbatori della quiete ***
Capitolo 4: *** Uscite e incontri ***
Capitolo 5: *** Un giorno di pioggia ***
Capitolo 6: *** Discorsi sull'amore ***
Capitolo 7: *** Rabbia e attesa ***
Capitolo 8: *** Giro di boa ***
Capitolo 9: *** Festa del raccolto ***
Capitolo 10: *** Tempesta in arrivo ***
Capitolo 11: *** Cadute provvidenziali ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Il suono familiare delle dita di un elfo domestico che bussavano alla sua porta per svegliarla fecero aprire gli occhi azzurri della giovane Cassandra Floral. La ragazza ci mise qualche secondo a materializzare che giorno era, ma quando la sua mente realizzò che era il primo Luglio, le sue labbra si distesero in un sorriso furbetto.

Eccitata come una bambina la mattina di Natale scalciò le coperte ai piedi del letto, guadagnandosi un’occhiataccia dal suo Kneazle che, fino a quel momento, dormiva beatamente.

Si alzò allegramente e spalancò la porta della sua camera. Ancora con indosso solo la camicia da notte di lino bianco fece per correre ma si bloccò alla vista di Pebbles, il Crup che un tempo era appartenuto a suo fratello e che stazionava quasi sempre davanti a quella che era stata la camera da letto di Vincent Floral ma che era chiusa a chiave dal giorno in cui lui era scappato per sposarsi con una Nata Babbana e la sua famiglia aveva deciso di dimenticarlo, di fare come se non fosse mai esistito. Eccetto per Pebbles, lui era rimasto. Paradossale come due persone potessero amare un animale più del loro stesso figlio.

“Vieni Pebbles, andiamo a svegliare Agatha!” lo incitò la giovane e fece qualche passo o meglio qualche saltello allegro verso la camera della primogenita di casa.

L’animale le trotterellò dietro e la seguì fino a dentro la camera della sorella, dove Cassandra entrò senza nemmeno bussare.

La grande stanza era immersa nell’oscurità a causa delle tende tirate. La bionda dormiva ancora profondamente, non sentì neanche quando la sorellina si arrampicò sul suo letto.

Cassandra fece dondolare i lunghi capelli biondo chiaro fino a sfiorare il viso di Agatha, che si svegliò e si tirò su a sedere di scatto.

“Cassie! Vuoi farmi morire per caso?”

“Sia mai sorellina mia!” ridacchiò Cassie sobbalzando sul letto “Ti rendi conto? Oggi arrivano gli ospiti!”

“Gli ospiti arrivano nel pomeriggio, Cassie” le rammentò Agatha buttandosi di nuovo lunga sul letto. Cassie seguì l’esempio e si stese accanto alla sorella.

Cassandra rivolse gli occhi verso l’altra. “Non sei felice che arrivi altra gente? Abbiamo passato le ultime estati sempre da sole!”

Agatha sospirò, girandosi su un fianco per poter guardare in faccia la sorellina. “Sai perché papà ha invitato i suoi amici…” non sapeva se terminare la frase e spiegare a Cassandra che il loro caro paparino non vedeva l’ora che una delle figlie si sposasse o lasciare la sorellina all’oscuro, nella beata innocenza dei suoi diciotto anni.

 

 

 

Salve gente, per chi non mi conosce mi chiamo Hadley e sono una drogata di interattive (e ora tutti in coro: Ciao Hadley).

Questa è ormai la mia quarta interattiva, e potete stare certi che farò il possibile per portarla avanti. Ora ne ho 3 in corso, di cui una arrivata quasi alla fine, e non potevo restare certo buona e tranquilla, no?

Tralasciando la mia follia…

Siamo in piena Inghilterra (più precisamente Scozia) vittoriana. La storia tratterà di una riunione di famiglie purosangue della media/alta borghesia e dei loro figli. Ci saranno amicizie, storie d’amore e tutto ciò che ci può stare.

Per ora conosciamo solo le due ragazza Floral…Agatha è stata creata da un’amica che ringrazio profondamente.

Ho solo alcune semplici regole.

  • I vostri OC devono avere un’età compresa tra 18 e 30 anni. Potete creare massimo 2 OC di sesso e famiglia diversa, non possono essere né fidanzati né parenti (tanto i purosangue sono tutti parenti tra loro anche se alla larga) né amici. I giochi li faccio io (disse con un sorrisetto sadico).
  • Le iscrizioni sono aperte fino al 30/9. Le schede devono essere inviate entro il 30/9 ore 18 complete in TUTTE le parti (solo quelle con l’asterisco sono facoltative) e devono seguire lo schema sotto.
  • Potrei eventualmente accettare un Lupo Mannaro.
  • Le famiglie disponibili sono: Holmes, Dashwood, Storm e Turner

 

 

Nome completo:
Età e data di nascita:
*Ex-scuola (se non è Hogwarts):
Ex-casa:
Descrizione fisica:
Prestavolto (no link):
Descrizione caratteriale:
Storia del personaggio:
Cosa ama:
Cosa odia:
Punti di forza/abilità particolari:
Punti di debolezza/paure:
Amicizie (il tipo di persone):
Inimicizie (il tipo di persone):
Relazione (tipo di persona e tipo di relazione):
*Bacchetta:
*Amortentia:

 Vi presento:
Agatha Floral (25 anni)

Cassandra Floral (18 anni)

Se mi viene in mente altro lo aggiungerò
A presto
H.

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Capitolo 2
*** Arrivano! ***


Lo sferragliare di un paio di carrozze condotte apparentemente dal nulla attirò l’attenzione delle giovani Floral, che si precipitarono alla finestra.
Gli occhi grigi di Agatha si spalancarono nel riconoscere una delle carrozze.
“Sono i Dashwood!” esclamò lei tutta contenta.
Le due ragazze si recarono quasi correndo verso la porta ma vennero subito frenate da un’occhiataccia della madre.
Lady Kathrine Floral era una donna abbastanza dolce ma se c’era una cosa che non ammetteva era la confusione in casa sua, infatti cercava in tutti i modi di controllare le proprie figlie.
La donna si recò dritta verso lo studio per chiamare suo marito e avvisarlo che i primi ospiti stavano arrivando.
L’intera famiglia Floral attese l’arrivo delle carrozze ai piedi della grande scalinata di pietra che conduceva all’interno della loro villa.
Dalla prima carrozza scese un uomo abbastanza alto, sul cui viso spiccavano due grandi occhi verdi. Lord Albert Dashwood aiutò poi sua moglie a scendere.
Dalla carrozza dietro scese prima un ragazzo alto, dalla pelle lattea che contrastava con i capelli e occhi scuri. Aveva l’aria annoiata, quasi infastidita.
Alexander Dashwood sorrise solo mentre porgeva la mano a sua sorella maggiore, aiutandola a scendere lo scalino.
La ragazza ebbe a malapena il tempo di togliere la mano da quella del fratello e di sollevare gli occhi identici a quelli del padre che venne travolta dall’abbraccio della sua migliore amica, che le corse incontro fregandosene del galateo.
“MARY! BEN ARRIVATA!” gridò Agatha mentre le due si stritolavano in un abbraccio. Le due erano amiche da una vita, erano praticamente cresciute insieme diventando anche compagne di stanza a Hogwarts. Negli anni della scuola erano state praticamente come sorelle.
“Amico mio, benvenuto!” salutò cordialmente Lord Fitzwilliam Floral andando a stringere la mano all’altro uomo.
“Accomodatevi, fate come se foste a casa vostra. I nostri elfi sono a vostra completa disposizione. Cara, conducili alle loro stanze.”
L’uomo si rivolse alla moglie, mentre il suo sguardo saettava su un altro paio di carrozze che si avvicinavano e che lui riconobbe come quelle dei Turner.
James Turner era stato il suo migliore amico ai tempi della scuola quindi non esitò un attimo ad andare a salutare calorosamente lui e sua moglie Victoria.
I loro figli nel frattempo si guardavano intorno. Christopher si presentò in modo tranquillo ed educato mentre Evelyn diede l’impressione di essere una persona più fredda.
Le due famiglie vennero accolte nel salottino color pesca, venne offerto loro il tè e gli adulti scambiarono quattro chiacchiere. Mary e Agatha si erano isolate per scambiarsi confidenze come facevano di solito mentre Alexander Dashwood e Christopher Turner si erano uniti agli uomini nelle loro chiacchiere. La giovane Turner invece aveva preferito ritirarsi nelle sue stanze.
Cassandra se ne stava seduta sul divanetto, lisciandosi le pieghe del vestito azzurro sentendosi un po’ a disagio. Non conosceva nessuno dei loro ospiti, conosceva solo di vista la più piccola della famiglia Storm.
Gioì in effetti quando un’ora più tardi arrivò un’altra carrozza. Sapeva che la famiglia Storm era piuttosto numerosa ma solo tre dei loro figli sarebbero stati presenti.
Il primo a scendere fu un ragazzo piuttosto muscoloso, con un gran sorriso stampato sulle labbra. Agatha lo riconobbe come Jamie Storm, divenuto abbastanza popolare a scuola per un corteggiamento con la famosa Emily Ollivander, corteggiamento che però era finito in malo modo.
Dopo di lui scese un ragazzo con gli occhi chiusi. Agatha aveva sentito anche la storia di Markus, l’erede di casa Storm, si diceva che la sua cecità fosse dovuta a un incidente con magia oscura e che non fosse una semplice condizione fisica.
Il sorriso sulle labbra di Cassie si ampliò quando vide scendere l’unica faccia familiare. Sebbene lei e Alice avessero la stessa età, le due si conoscevano a malapena. Avevano frequentato scuole diverse e si erano conosciute solo quando avevano fatto insieme il debutto in società.
Gli ultimi ospiti ad arrivare, poco prima del tramonto furono gli Holmes. I primi a scendere furono Lord Charles e Lady Elizabeth Holmes mentre dalla seconda carrozza discese Carlton Holmes. Il ragazzo era la fotocopia di suo padre, con quei capelli del colore del grano e gli occhi azzurri. Fu subito seguito da quello che Cassie immaginò essere una specie di valletto, dato che era vestito in modo decisamente più spartano.
Erano finalmente arrivati tutti. Al momento erano tutti separati, sparsi per la grande tenuta della famiglia Floral ma a cena si sarebbero trovati tutti insieme. Si sarebbero prospettati due mesi decisamente interessanti…

Buonasera a tutti!

Devo dire che riuscire a scegliere poche schede tra la trentina che ho letto è stato davvero davvero difficile. Per dare maggiore possibilità di partecipazione ho cercato di non scegliere più di un OC per autore ma ne erano comunque tanti quelli che mi piacevano. Ho scelto quindi di tenermi una rosa di 3 OC "di riserva" che potrei inserire più avanti nella storia, anche in caso che qualche personaggio dovesse sparire a seguito della sparizione del suo autore.

Ora vi lascio l'elenco degli OC scelti:

Marianne "Mary" Dashwood

Alexander Dashwood

Christopher Turner

Evelyn Turner

Markus Storm

Jamison "Jamie" Storm

Alice Storm

Carlton Holmes

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Capitolo 3
*** Di cene e disturbatori della quiete ***


Carlton Holmes era seduto sulla poltroncina davanti alla finestra, fumando un sigaro e godendosi il silenzio e la calma della sua camera. Non aveva minimamente voglia di scendere a cena, non perché aveva fame, anzi aveva parecchia fame ma il pensiero di stare tra tutta quella gente, tutti quei sconosciuti, gli metteva incredibilmente ansia.
Non poteva però sottrarsi a quell’impegno, come non si era potuto sottrarre a quella rimpatriata. Era l’erede della famiglia Holmes e come tale suo padre gli aveva imposto di partecipare.
Anche sua madre Elizabeth aveva insistito ma adducendo al fatto che così avrebbe potuto fare amicizia e magari trovare l’amore. Quella donna dolcissima continuava a ignorare il fatto che lui amava trascorrere il suo tempo da solo e non credeva minimamente in quella cosa chiamata amore.
Sapeva che prima o poi si sarebbe dovuto sposare e già compativa quella poveretta che sarebbe stata spinta a convolare a nozze con lui.
Fortunatamente aveva ancora un po’ di tempo per rilassarsi e scendere a patti con la questione. Sarebbe stato costretto a scendere a patti con la sua agorafobia e a presenziare almeno ai pasti e gli altri eventi “ufficiali”.

 

In una delle ampie camere da letto al primo piano dove, oltre la famiglia Floral alloggiavano le ragazze, ce n’erano tre che si stavano preparando per la cena.
Agatha era già pronta, fasciata nel suo abito verde e si era ritrovata con sua sorella e la sua migliore amica in camera.
Era una tradizione per lei e Cassandra prepararsi insieme quando c’era un evento a casa loro. Lei non amava particolarmente il caos che accompagnava le feste, anche se quelle in campagna erano completamente diverse. Si prospettavano due mesi piuttosto intensi sotto quel punto di vista, tra compleanni, ricevimenti e la famosa festa d’Estate e quella cena era solo l’inizio.
Mentre un’elfa domestica acconciava i capelli di Cassandra seduta alla toeletta, Agatha tirava le stringhe del corsetto di un’insofferente Marianne.
“Mary, se stai ferma riesco a tirarlo ancora un po’” disse la bionda all’amica che non sembrava voler stare ferma.
Marianne guardò Agatha attraverso lo specchio. “Posso ricordarti che vorrei anche respirare?”
L’altra le riservò lo sguardo più serio che riuscì a fare. “Non lo sa, signorina Dashwood, che respirare è considerata un’attività superflua per noi donne?”

 

Jamie si sistemò la giacca. Ci aveva messo poco tempo a prepararsi ma era comunque soddisfatto del risultato. Non si considerava un ragazzo particolarmente bello, che faceva colpo sulle giovani donzelle che frequentavano gli ambienti che la sua famiglia gli aveva imposto di frequentare. Dopo la brutta esperienza che aveva avuto con l’unica ragazza che aveva fatto breccia nel suo cuore sperava che quei mesi lì, con tutte quelle giovani donne, avrebbe potuto rappresentare un nuovo inizio.
Uscì dalla sua stanza per bussare a quella accanto dove anche suo fratello era ormai pronto per scendere a cena. Markus era cieco ma lo era ormai da diversi anni e col tempo il suo orgoglio lo aveva spinto a diventare praticamente autonomo. Ciò che traspariva all’esterno era che Markus era una persona quasi normale, solo lui e sua sorella sapevano quanto in realtà quella menomazione fisica gli pesasse.
“Va tutto bene?” chiese al ragazzo seduto sul letto, il quale annuì in modo tranquillo.
“Vogliamo andare?”
Markus si voltò, come sempre ad occhi chiusi, verso la fonte della voce.
“Sai se Alice è pronta?”
“Mmmm” iniziò a fare Jamie facendo finta di pensare. I due fratelli esclamarono allo stesso momento “Assolutamente no!” prima di scoppiare a ridere.
Jamie si avviò al piano di sotto, domandandosi in quale stanza si trovasse Alice. Quando sentì la familiare voce di sua madre non ebbe dubbi su dove trovare la sorellina. Bussò alla porta.
“Chi è?” domandò un’irritata voce femminile proveniente dall’interno.
“Jamie” rispose lui, cercando di trattenere una risatina. Immaginava quasi la scena che si stava verificando dietro quella pesante porta di legno.
“Entra pure” la stessa voce si era fatta improvvisamente più calma.
Aprì appena la porta e già dal primo spiraglio riusciva a scorgere sua madre che cercava di acconciare i capelli a quella che era praticamente la sua versione più giovane.
Le due avevano in comune i capelli biondi e i vispi occhi azzurri. Non poteva giurarlo ma aveva il sentore che anche sua madre da giovane fosse stata pestifera come Alice.
“Tesoro, sei splendido”
“Grazie mamma” rispose lui prima di spostare l’attenzione sulla sorellina. “Sei splendida…vuoi farti fare la corte da tutti gli uomini presenti in sala?”
Alice lo fulminò con lo sguardo. “Io non voglio nessun uomo!” esclamò ribadendo un concetto che ripeteva da anni: la ferma intenzione di non sposarsi.
“Morditi la lingua, signorina” la ammonì la madre “Un giorno ti sposerai come…”
“…come tutte le tue sorelle” completò la cantilena Alice, che non aveva intenzione di essere come le sue due sorelle maggiori, una caduta ai piedi di un bellimbusto arrogante e pieno di sé e l’altra che per tutta la vita non aveva fatto altro che desiderare il matrimonio ed aveva accettato la corte del primo giovane di buona famiglia che aveva posato gli occhi su di lei.
No, lei voleva essere diversa. Non voleva fare la moglie di…

 

Più o meno era della stessa opinione anche la ragazza appoggiata all’angolo del camino mentre tutti nel salottino aspettavano di accomodarsi a cena.
Evelyn Turner osservava tutte quelle persone all’interno della sala, la maggior parte delle facce erano familiari. Anche se non c’era nessun suo coetaneo ma si ricordava di alcuni grazie alle feste che aveva frequentato.
Erano cinque ragazze in tutto e sembravano già essersi formate due coppie: la prima formata da Agatha Floral e Mary Dashwood, che sapeva essere migliori amiche da praticamente tutta la vita mentre le due piccole del gruppo si stavano dirigendo verso la sala da pranzo ridacchiando tra loro.
Non era mai stata una persona socievole lei, faceva fatica a buttarsi nella mischia. Mai come in quel momento le mancavano le sue migliori amiche!
Da quello che vide una volta accomodatasi a cena, non era l’unica a rifuggire dalla socializzazione, anzi, un paio di ragazzi sembravano tutt’altro che felici di essere lì.
Non conosceva personalmente quello che sembrava più in crisi di tutti, ma sapeva essere l’unico figlio degli Holmes.
Per fortuna suo fratello intervallava la sua conversazione con il primogenito degli Storm per chiacchierare con lei. Come al solito si preoccupava troppo.
Dopo la cena tornarono tutti nel salone dove, accompagnati da una lenta e dolce musica, i suoi genitori avevano iniziato a ballare così come Lord e Lady Storm, che tutti guardavano con occhi quasi trasognanti. Si vedeva lontano un miglio che quella fosse la coppia meglio assortita e più innamorata tra quelle presenti.
Nel frattempo vide Christopher avvicinarsi alla maggiore delle ragazze Floral e invitarla a ballare.
Il ragazzo si avvicinò in tutta la sua altezza ad Agatha e la ragazza accettò con un sorriso gentile ma di circostanza.
Non si trattava di un lento ma di una musica allegra e movimentata che rese quel ballo davvero divertente. Il sorriso sul viso di entrambi lo testimoniava.
“Siete una bravissima ballerina, miss Agatha” si complimentò Christopher.
“Vi ringrazio” sorrise lei facendo un piccolo inchino.
Lui la guardò mentre si allontanava, graziosa e sicura di sé. Muovendo appena la testa, si distolse dai suoi pensieri e andò verso la sorellina.
“Prima a cena ho sentito che hanno dei cavalli splendidi…ti va di andare a fare un giro domani?”
“E me lo chiedi?” sorrise Evelyn contenta di avere qualcosa da fare per il giorno dopo.

La mattina dopo fu la pioggia che batteva sui vetri a svegliare gli ospiti di Villa Floral, pioggia che rendeva impossibile uscire. Alexander guardò le gocce oltre il vetro. Quello era proprio il tempo adatto a starsene a leggere qualcosa, magari il romanzo babbano che si era portato dietro, o per mettersi a suonare un po’ il pianoforte.
La sera, alla cena, aveva fatto la conoscenza di tutti. Aveva visto gli sguardi delle ragazze, sembravano tutte ammaliate dalla sua naturale eleganza. Era sempre stato così, erano tutte affascinate da lui o dai suoi soldi.
Non aveva socializzato con qualcuno in particolare ma si era manifestato cortese ed educato, suscitando una generale ammirazione.
“Signore, la colazione è quasi terminata” gli ricordò un piccolo elfo domestico che nel frattempo stava rassettando la stanza.
“Decido io quando fare colazione” rispose lui in modo piuttosto burbero.
Alexander uscì dalla sua stanza poco più tardi per esplorare quell’enorme villa. Aveva sempre provato una certa attrazione per il lusso e quei corridoi con la moquette rossa e le pareti di un delicato color crema su cui spiccavano delle luci che illuminavano tutto l’ambiente. Emanavano più luce delle semplici candele e non poteva fare a meno di chiedersi di cosa si trattasse.
Si ritrovò in poco tempo all’interno di un’enorme biblioteca suddivisa in tante piccole salette, in ognuna c’erano un paio di poltroncine verde smeraldo ed un tavolino di ebano. Sorpassò il salottino occupato da uno degli altri ospiti e si sistemò in quello dalla cui finestra si poteva scorgere il bosco che si estendeva dietro la villa.
Era immerso nella lettura quando la sua quiete venne disturbata da un paio di voci, tra cui quella familiare di sua sorella. Non passò più di qualche secondo prima che vide spuntare Marianne e Agatha provenienti dall’altro capo della biblioteca.
Stavano chiacchierando come se non si trovassero in un luogo che presupponeva un certo silenzio, evidentemente Agatha Floral era abituata a fare quello che voleva in casa sua.
Mary si bloccò non appena lo vide. “Alex!” lo chiamò.
Il ragazzo alzò sulle due i suoi occhi scuri e si alzò immediatamente porgendo i suoi rispetti.
“Mary…miss Agatha” salutò.
“Cosa stai leggendo?” chiese la bruna avvicinandosi al fratello minore per sottrargli il libro dalle mani. La ragazza diede un’occhiata al tomo, sfogliando alcune pagine e riconoscendo il nome di un certo Charles Dickens, poi lanciò uno sguardo di intesa ad Alex.
Nel frattempo la bionda si era congedata dicendo che nel frattempo sarebbe andata a cercare il libro di cui aveva parlato alla sua migliore amica.
Mary si rivolse al fratello. “Me lo presti quando hai finito?” gli chiese.
I due si scambiavano libri babbani da anni ormai, avevano iniziato ai tempi della scuola. Avevano questa passione che li accomunava e ne era nata una sorta di complicità dato che a Lady Fay Dashwood sarebbe venuta una sincope se avesse saputo che i suoi preziosi figli purosangue leggevano libri che con il mondo magico non avevano nulla a che fare.

 

Agatha stava percorrendo la biblioteca in tutta la sua lunghezza. Non ci passava molto tempo lì dentro, per quanto amasse leggere preferiva, quando il tempo era clemente, prendere un libro e portarselo all’esterno. Aveva l’opinione che, nonostante le finestre aperte ogni mattina dagli elfi domestici, quei locali avessero un aspetto troppo cupo e che l’aria al loro interno fosse sempre piuttosto viziata.
Quando entrò nella saletta che le interessava, il ragazzo presente all’interno si alzò immediatamente rivolgendole un piccolo inchino.
“Buongiorno miss Agatha”
“Buongiorno” rispose lei messa leggermente a disagio da quegli occhi azzurri che la guardavano poi iniziò a setacciare gli scaffali con un preciso obiettivo in mente. Scorse il dorso dei libri con il dito ma non riusciva proprio a trovare quello che stava cercando.
“Dove può essere finito?” domandò a se stessa. Era sicura di aver visto quel volume pochi giorni prima!
Solitamente Carlton non si sarebbe mai mischiato in affari che non gli riguardavano ma per un attimo gli era balenato il pensiero che quella ragazza avesse qualche problema, dato che la sua domanda non era evidentemente rivolta a lui.
“Cercate qualcosa in particolare?” le chiese.
Agatha spostò l’attenzione sul ragazzo. Un attimo dopo rispose “Sì, quello!” indicando il libro che Carlton Holmes teneva in mano.
Sua madre l’avrebbe cruciata se l’avesse sentita rivolgersi con quel tono irriverente a un ospite ma le era scappato senza volerlo. Non era abituata ad avere così tanti estranei in giro per casa e aveva dovuto tenere un comportamento impeccabile, durante la ricerca del libro si era però dimenticata di quella presenza silenziosa.
“E credete sia buona educazione voler sottrarre a un ospite il suo diletto?” chiese lui con una punta di arroganza.
“E volerlo negare ad una donna?” fece lei alzando le sopracciglia in modo eloquente.
“Non credete che in quanto padrona di casa io abbia più diritto di voi a prendere ciò che è mio?” fece di nuovo Agatha.
“Non siete voi la padrona di casa” puntualizzò Carlton che nel frattempo non aveva staccato gli occhi dalle pagine, come se ciò che gli accadesse intorno non fosse di suo interesse.
“Prego?”
“Vostro padre e vostra madre sono i padroni di casa e se voi o vostra sorella non avrete un erede prima della scomparsa di vostro padre, le sue proprietà passeranno a vostro cugino, o sbaglio?”
Agatha lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure e le labbra piegate in una smorfia di pura offesa. Fece un piccolo verso di sdegno e si recò verso l’uscita a passo di marcia.

 

Markus era andato a dormire con un forte mal di testa la sera prima. Quella festa a cui si era sentito obbligato a partecipare in quanto erede di casa Storm aveva mandato in tilt il suo cervello e gli incantesimi che usava solitamente per spostarsi. La confusione gli faceva sempre quell’effetto. Gli ci era voluta tutta la mattina per riprendersi.
Si sentiva molto meglio quel pomeriggio mentre camminava nel corridoio semi deserto, facendo scorrere il suo bastone appena oltre il bordo del tappeto.
Una leggera musica suonata al pianoforte gli arrivò alle orecchie, era calma e avvolgente come una specie di poesia. Più camminava lungo il corridoio più sentiva la musica in modo nitido fino a quando arrivò davanti alla stanza da cui proveniva quel dolce suono.
Si lasciò cullare e distrattamente si appoggiò alla porta, si riscosse quando la musica si interruppe bruscamente.
“Scusate” disse. Era evidente che chi suonava si era accorto della sua presenza e non gli era andata giù più di tanto.
“Non fa niente…” balbettò una voce femminile che non riuscì ad identificare propriamente.
“Entrate pure” lo invitò lei mentre ricominciava a suonare.
Furono proprio quei suoni a guidare Markus fino a che non si fermò accanto al pianoforte.
“Siete davvero molto brava, miss…” e si interruppe realizzando che non aveva idea di quale delle giovani presenti avesse davanti.
“Cassandra è più che sufficiente” ridacchiò cristallina lei.
Non disse una parola per tutta la durata del brano per poi chiedere al suo osservatore. “Suonate, signor Storm?”
“Chiamatemi Markus per favore” disse lui nel cercare di contraccambiare il tentativo di lei di metterlo a suo agio. Finora era stata una delle poche persone a metterlo a suo agio. Sapeva quello che dicevano le malelingue su di lui e sul suo incidente. Anche se tutto era stato messo a tacere e lui non prestava attenzione alle chiacchiere che ancora circolavano, la gente lo evitava, considerandolo piuttosto strano.
“Dunque…suonate, Markus?” domandò di nuovo la giovane mettendo particolare enfasi sul suo nome.
“Non bene quanto voi” rispose lui che in effetti suonava discretamente ma non benissimo. Suonare il pianoforte era stata per lui un’attività fondamentale quando aveva perso la vista, lo aveva aiutato a prendere coscienza di misure e spazi, poi aveva continuato a suonare ma solo quei pochi brani che conosceva a memoria.
“Accomodatevi” propose Cassie. Markus sentì il frusciare del vestito della ragazza che si spostava leggermente, così si sedette accanto a lei sullo sgabello del pianoforte.
“Conoscete qualcosa da suonare a quattro mani, Schubert magari?”
“Sì qualcosa sì” mormorò lui. Adesso iniziava a sentirsi un po’ in imbarazzo, non aveva molti contatti con persone dell’altro sesso. Nessuna era particolarmente attratta da un ragazzo cieco e se si avvicinava a lui era solo per i soldi.
“Ecco, credo sia meglio cominciate da qui” fece Cassandra prendendo una di quelle mani grandi con le sue e posandola sui tasti bianchi.
Il tocco di quelle dita sottili e affusolate fece sorridere spontaneamente Markus prima di iniziare lentamente a suonare insieme a quella ragazza che, mai come in quel momento, si rammaricava di non poter vedere.

 

Il sole che era tornato a splendere prepotentemente quel lunedì aveva asciugato il terreno, spingendo quasi tutti ad uscire. Lionel aveva visto come quella gente si muoveva, nella sua piccola bolla di perfezione, aveva visto gli uomini adulti partire per andare a caccia e le donne seguirli per il semplice piacere di restare ad ammirare i loro mariti che ammazzavano creature innocenti.
Vide anche i loro figli seduti a fare la colazione in veranda. Vide da lontano quei ragazzi e quelle ragazza nei loro abiti eleganti che ridevano e parlavano tra loro, probabilmente organizzavano la loro giornata, giornata di svago perché loro potevano permetterselo.
Lionel era lì, accanto alle scuderie, ad osservare quel mondo da fuori, come aveva sempre fatto. Fin da piccolo avrebbe voluto essere come loro, in tutto e per tutto.
Erano così simili…lui era un Holmes, ma il fatto che fosse il figlio bastardo che Charles Holmes aveva avuto con una ballerina metteva un oceano tra lui e quel gruppo di ragazzi che stava osservando con gli occhi chiari pieni di invidia.

 

 

 

 

 

 

Salve gente!

Scusate se vi ho fatto attendere più del previsto ma per me è difficile iniziare a lavorare con un gruppo di OC totalmente nuovi e quindi ci metto un po’ anche perché ho sempre le schede aperte!
Il capitolo non è molto lungo, ma mi è servito più che altro per introdurre i personaggi ed iniziare a farli interagire tra loro.
Ad ogni modo, in questo capitolo viene introdotto Lionel, il bastardo degli Holmes, nonché loro scudiero (sarebbe il ragazzo che era uscito dalla carrozza insieme a Carlton)

 

Mi scuso per non aver risposto ai vostri commenti sullo scorso capitolo ma è stata una settimana piuttosto difficile tra tesi, computer che fa le bizze e giorni e giorni di pioggia incessante che mi fanno venire solo voglia di dormire.
Spero di riuscire ad aggiornare presto, anche se aggiornerò prima l’altra storia.
Baci
H.

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Capitolo 4
*** Uscite e incontri ***


Quel giorno il tempo sembrava essere migliorato. Il sole era tornato a splendere e, dopo l’alba, la bruma si era sollevata e la temperatura era tornata ad essere piacevole.
Era ancora presto e Villa Floral sembrava immersa nella calma mentre i suoi abitanti si svegliavano. Carlton si era alzato da poco. Era in piedi davanti alla finestra che dava sul retro della casa. Con quel bel tempo avrebbero optato tutti per passare la giornata all’esterno. Per fortuna, almeno avrebbe avuto un po’ di calma e quiete in biblioteca o in una delle stanze.
Vide Lionel uscire dagli alloggi al piano terra, quelli che erano riservati alla servitù, tranquillo e libero nei suoi pantaloni beige un po’ scoloriti e nella sua camicia bianca.
Mentre camminava lungo il prato, il ragazzo sembrò sentirsi osservato e alzò lo sguardo verso quella finestra.
Carlton ricambiò, sollevando appena la mano, il saluto del fratello. In fondo l’aveva sempre considerato suo fratello. Si toglievano solo due anni ed erano cresciuti praticamente insieme, per quanto sua madre avesse tentato di allontanare quel bambino nato da suo padre e una strega dai facili costumi e l’identità ignota.
Pochi istanti dopo vide un animale, un Crup, uscire dalla casa e una ragazza dai capelli castano dorati corrergli dietro.

 

Come al solito Cassie era piombata in camera sua per svegliarla anche quella mattina, giusto il tempo di romperle un po’ le scatole poi se ne era andata. Alla fine Agatha si era alzata sbuffando e si era seduta davanti alla toeletta nel tentativo di sistemarsi i capelli poi si era tolta la veste da notte in favore di un semplice quanto comodo abito verde oliva con dei fori sul retro attraverso cui dovevano passare dei nastri che andavano a chiudere il vestito. Mandò a chiamare la sua elfa domestica, ma di quella piccola creatura non ce n’era neanche l’ombra. Evidentemente stava aiutando sua madre o sua sorella così, spazientita, provò a fare da sola. Ci mise un bel po’ a sistemare il primo nastro, le iniziarono a fare anche male le braccia, ma con quelli dopo fu più facile. Era arrivata al terzo quando Pebbles saltò sullo sgabello e prese il nastro col muso, per poi saltare giù.
“Pebbles! Pebbles, dammi quel nastro” ordinò all’animale che sembrava non ascoltarla minimamente. Era inutile, aveva obbedito sempre e solo a Vincent.
La bestiola scappò via dalla stanza attraverso lo spiraglio della porta. Senza pensarci lei prese a corrergli dietro, come avrebbe fatto normalmente.
Si accorse del madornale errore fatto solo quando, giunta all’esterno della casa, sentì l’erba sotto i piedi scalzi e, alzando gli occhi, vide un altro paio di occhi chiari che la guardavano perplessi.
“Credo che questo sia vostro” fece Lionel raccogliendo da terra il nastro che era caduto dal muso del Crup.
La ragazza sorrise leggermente imbarazzata nel pensare a come era conciata. Doveva avere un aspetto buffo o quantomeno strano.
“Grazie” si limitò a dire, prendendo in mano quello che lui le porgeva.
Appena Agatha si girò per tornare indietro lui, notando il suo vestito allacciato solo a metà chiese “Vi serve per caso una mano col vestito?”
Lei assottigliò lo sguardo nel rivolgersi a lui. “Voi siete lo scudiero degli Holmes, vero?” chiese tagliente.
Lionel si limitò ad annuire.
“Bene. Credo allora che il vostro compito sia quello di preparare i cavalli. Io e le mie amiche vorremmo cavalcare.”
Il tono di voce che Agatha aveva usato era un supponente. Il suo scopo era rimettere al suo posto quell’adone dal fisico scolpito e i penetranti occhi azzurri. Quel ragazzo era decisamente troppo insolente, come il suo fratellastro.

 

Markus era seduto su una delle panchine di pietra che cingevano il perimetro di Villa Floral. Jamie aveva insistito per passare la mattinata all’aria aperta, a fare quello che lui sapeva fare meglio, cioè scrivere poesie. Jamie si divertiva a scrivere poesie e poi costringeva il fratello a stare ad ascoltare per aiutarlo a scegliere le parole giuste.  Jamie faceva finta di supplicarlo e Markus faceva finta di cedere ma in realtà il maggiore aveva sempre avuto la sensazione che Jamie facesse quello che faceva perché il fratello gli faceva pena e per coinvolgerlo in una qualche attività che potesse fare anche senza la vista.
Il ragazzo sentì dei passi frettolosi avvicinarsi. Riusciva a distinguere chiaramente due paia di passi diversi ma entrambi piuttosto leggeri e quindi femminili.
“Buongiorno ragazzi” salutò allegra Alice.
“Buongiorno signorine” salutò Jamie, sollevando gli occhi dai suoi fogli “Volete sedervi qui con noi?”
Cassandra sorrise timidamente, non le sembrava poi un’idea così malvagia ma Alice si sbrigò a rispondere: “A sentire te che declami poesie che non dedicherai mai a nessuna? No, grazie. Noi andiamo nel bosco”
“A fare cosa?” chiese di nuovo Jamie.
“Andiamo solo a raccogliere delle more selvatiche” rispose Cassie. In quel momento, ora che aveva finalmente parlato, Markus identificò Cassandra come il secondo paio di passi che aveva sentito poco prima.
“Non lo dite alla mamma, per favore” li pregò la giovane Storm.
I due fratelli capirono subito che Alice non sarebbe andata a fare una semplice passeggiata nel bosco, anzi era molto probabile che avrebbe fatto qualcosa che la signora Storm non avrebbe approvato.
“Devo andare ad avvertire anche Agatha…” fece Cassandra.
“Andiamo”
Mentre le due ragazze si allontanarono Markus ebbe il coraggio di chiedere a suo fratello di fargli una descrizione della giovane Floral.
Alle parole di Jamie cercò di immaginarsela: minuta, con lunghi capelli biondi e occhi del colore del cielo. Non sapeva neanche lui perché ma si immaginava una specie di fatina.
“Perché ti interessa?” chiese Jamie allusivo.

 

Christopher ed Evelyn avevano fatto colazione insieme per poi andare a cavallo, come avevano concordato la sera prima. Chris sapeva che presto o tardi le loro strade si sarebbero divise e quindi approfittava di ogni momento che poteva passare con sua sorella.
Stavano percorrendo a braccetto il prato fino alle scuderie quando videro uscire da lì un ragazzo che sapevano essere il bastardo dei Holmes, seguito da Agatha Floral e Marianne Dashwood.
Le due ragazze trascinavano, tenuti per le briglie, un paio di cavalli dal mantello baio. Mary sorrise istintivamente nel vedere i due che si avvicinavano.
“Venite anche voi a cavallo?” chiese allegramente.
Christopher stava per annuire quando venne bloccato dalla voce un po’ scocciata di Lionel “Temo che ci sia solo un altro cavallo sellato”
“Sì, c’è solo Missy pronta: doveva prenderla mia sorella ma ha cambiato programmi” disse Agatha.
Dalle labbra rosee di Evelyn sfuggì un “Oh” che celava un minimo di delusione. Christopher non ebbe dubbi su cosa fare.
“Perché non vai tu?” sussurrò Chris alla sorella avvicinandosi al suo orecchio.
Mary doveva aver intuito qualcosa perché fu lei a proporre con un sorriso “Evelyn, perché non venite con noi? Sempre che vostro fratello non si offenda…”
“Ok, grazie” si limitò a rispondere l’altra. Solitamente Evelyn rimaneva piuttosto fredda e rispondeva a monosillabi alle persona che conosceva poco.
“Non preoccupatevi, signorine. Ne approfitterò per fare una passeggiate e esplorare i dintorni.”
Mentre Christopher si allontanava, Evelyn montò a cavallo e partì insieme alle altre due ragazze per una passeggiata verso la scogliera.
Ci mise un po’ ad ambientarsi ma alla fine dovette ammettere che quelle ragazze la facevano sentire abbastanza a suo agio.
Cavalcarono per circa una mezz’ora fino ad arrivare proprio sopra alla scogliera, dove il vento sembrava particolarmente forte, ma qualche previdente elfo domestico aveva ancorato al terreno una specie di gazebo. Sotto a quel gazebo in legno di bianco c’era una specie di banchetto ad attendere le tre giovani, con tè che rimaneva magicamente caldo e stuzzichini di ogni genere.
Mangiucchiarono qualcosa mentre chiacchieravano allegramente senza rendersi neanche conto di come erano arrivate all’argomento primo bacio.
Agatha raccontò di quando al sesto anno, mentre festeggiavano la vittoria della Coppa di Quidditch da parte dei Corvonero, le labbra di Albert McMillian si erano incollate alle sue. Pensandoci col senno di poi era stato un momento assurdo e incredibilmente divertente perché quel ragazzo non era assolutamente interessato a lei, anzi era piuttosto alticcio.
Mary ancora rideva di quell’episodio. “E tu?” chiese ad Evelyn.
L’interessata arrossì appena mentre abbassava gli occhi fissando il contenuto della sua tazza. Non era una cosa su cui si apriva.
“Ecco…io veramente non ho mai…” balbettò in imbarazzo “cioè mia madre mi ha presentato tanti ragazzi, talmente tanti che mi è venuta la nausea!”
“E tu?” Agatha lanciò uno sguardo eloquente alla sua migliore amica “Questa storia manca alla pila di cose che so di Marianne Dashwood.”
Mary fece un sorriso furbetto e addentando una fragola disse. “Vincent”
La bocca di Agatha si aprì in una O di stupore.  “Cosa? Quando? E soprattutto perché io non ne sapevo niente?”
“Beh…è una cosa che non è mai venuta fuori…non vado fiera del fatto di aver avuto una cotta per un ragazzo più piccolo di me e soprattutto che è il fratello della mia migliore amica”
“Non sapevo che avessi un fratello” buttò lì Evelyn anche se ricordava vagamente un altro Floral, ma non lo aveva minimamente collegato a quel ramo della famiglia.
“Non ho un fratello. Avevo un fratello” dichiarò Agatha nella speranza di chiudere il discorso.

 

Christopher aveva fatto una passeggiata intorno alla villa poi aveva deciso di recarsi in quel bosco che c’era sul retro e che sembrava estendersi per chilometri e andare ad infittirsi sempre di più. Evidentemente nessuno si addentrava nelle sue profondità.
Anni di viaggi lo avevano fatto diventare un tipo piuttosto curioso, sempre pronto a scoprire cose nuove quindi l’idea di esplorare quel posto non gli dispiacque affatto.
Cominciò a camminare sul sentiero, con le mani infilate nelle tasche ma due concitate voci femminili lo attirarono da un’altra parte.
Non dovette percorrere più di una ventina di metri prima di intravedere una scenetta alquanto divertente. Ai piedi di un albero vi era la minore delle sorelle Floral che stava cercando di motivare Alice Storm a scendere dal ramo su cui si trovava.
La giovane Storm era in piedi su un ramo, stringendosi al tronco stesso dell’albero e sembrava non avere la minima intenzione di scendere.
Lui non riuscì a trattenere un sorriso. Il ramo non era particolarmente alto o almeno non lo era per il suo metro di giudizio, ma lui era una specie di gigante rispetto alle due signorine quindi il suo metro di giudizio era completamente sbilanciato.
“Signorine, posso esservi d’aiuto?” chiese annunciando il suo arrivo.
Entrambe rivolsero a lui i loro occhi azzurri accompagnati da un sorriso sollevato.
“Alice non riesce a scendere…” cercò di spiegare Cassandra.
“Adesso ricordo perfettamente perché odio volare…”
“Posso ricordarti che l’idea di arrampicarsi su quella pianta è stata tua?” fece di nuovo Cassie rivolgendo all’amica uno sguardo stizzito. Quando Alice aveva proposto una delle sue tante follie lei aveva accettato volentieri di partecipare, ma non ne sapeva niente del fastidio dell’amica per le altezze!
Christopher fece per avvicinarsi ma Alice mise una mano avanti.
“Non vi avvicinate! Indosso una gonna!”
L’uomo scoppiò a ridere fragorosamente. “Questa mi mancava! Non riuscite a scendere eppure rifiutate un aiuto perché siete terrorizzata dall’idea che io possa vedere cosa celate sotto la vostra sottana?”
Christopher ignorò la smorfia della ragazza e si avvicinò di più. “Coraggio, datemi la mano.”
Alice si piegò in avanti per prendere la mano che lui le porgeva, ma nel farlo si sbilanciò. Un attimo dopo, quando riaprì gli occhi si ritrovò per terra con il giovane Christopher Turner sotto di lei e la risatina di Cassie nelle orecchie.
“Beh, almeno sei scesa!” disse all’amica mentre lei si rialzava.
“State bene?” chiese Christopher osservando il vestito di lei sporco di terra e con uno strappo sul gomito.
“Sì, sì grazie”
Lui si scrollò via la terra e le foglie dei pantaloni prima di proporre “Posso avere l’onore di accompagnarvi a casa?”

 

Quando il terzetto arrivò nei pressi della villa, Jamie non poté fare a meno di ridacchiare.
“Cosa ti è successo sorellina?”
Alice lo fulminò con lo sguardo.
“Dai, ti faccio da palo mentre te la fili a cambiarti, prima che ti veda la mamma!” e le fece l’occhiolino. I due si allontanarono e anche Christopher se ne andò con il pretesto di andare a cambiarsi.
Cassie si avvicinò e si sedette accanto a Markus, sul posto lasciato libero da Jamison.
“Vi piacciono le more, Markus?”
“Sì, certo” rispose lui.
La ragazza allora gli appoggiò il piccolo cestino sulle gambe prima di prenderne una e portarsela alla bocca. “Le abbiamo raccolte io e Alice” spiegò la bionda.
Notando che l’uomo tentennava aggiunse “Coraggio, mangiatene qualcuna insieme a me”
“Oh no, Alice non me lo perdonerebbe mai.” Markus sorrise pensando a come ci sarebbe rimasta male la sua pestifera sorellina se qualcuno le avesse mangiato tutte le more.
“Ma ne mangeremo solo qualcuna…e Alice non lo saprà.”
Se Markus avesse avuto ancora la vista avrebbe potuto vedere il sorriso malandrino dipinto sul volto di Cassandra Floral.

 

Avevano da poco finito di cenare e Alexander aveva deciso di rintanarsi in uno dei salottini. Si era seduto su una delle poltroncine vicino alla finestra da cui filtrava la luce della luna che splendeva nel cielo stellato e aveva aperto il suo libro babbano. Quel libro lo aveva proprio catturato e in più Mary gli stava mettendo pressione perché anche lei lo voleva leggere.
La candela al suo fianco si era consumata quasi del tutto quando un timoroso elfo domestico comparì nella stanza.
“Vostro padre desidera vedervi nello studio di Lord Floral, mio signore.”
Alexander si infilò velocemente il piccolo volume nella tasca interna della giacca e senza dire una parola seguì la piccola creatura lungo i corridoi che lo condussero verso lo studio di Lord Floral.
Il ragazzo bussò e appena ebbe il permesso entrò in quella lussuosa stanza finemente decorata. Lo sorprese il fatto di trovare suo padre seduto dietro la scrivania in mogano, come avrebbe fatto normalmente il padrone di caso.
L’uomo non l’aveva minimamente guardato, teneva i gomiti appoggiati sulla superficie del mobile e la testa appoggiata sulle mani. Solo quando sentì suo figlio accomodarsi sulla poltroncina davanti a lui alzò lo sguardo ma Alexander notò subito che c’era qualcosa di cupo nei suoi occhi.
“Alex, devo parlarti”

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Capitolo 5
*** Un giorno di pioggia ***


Fu una notte piuttosto tormentata a Villa Floral. Alexander non fu l’unico a non chiudere occhio, Agatha venne svegliata a notte fonda da un’elfa domestica.
La ragazza scattò in piedi come una molla, gettando le coperte da una parte. Indossò una vestaglia di pesante cotone color porpora e si precipitò verso le stalle.
Quando entrò l’ambiente era fievolmente illuminato. Non c’era nessuno eccetto Lionel Holmes chinato davanti a l’unico box aperto.
“Come sta?” chiese Agatha mentre si avvicinava con passo svelto e la vestaglia frusciava sul pavimento coperto di fieno e sporco. La giovane rivolse uno sguardo a Dawn, la puledra che era stata di Vincent e di cui lei si era occupava di qualche anno, ormai la considerava sua.
“Benino…il parto dovrebbe andare bene” rispose Lionel mentre si allungava per accarezzare leggermente la cavalla.
“Non dovreste essere qui” aggiunse poi senza nemmeno guardarla.
“Ho chiesto io di mandarmi a chiamare quando sarebbe arrivato il momento” affermò convinta lei mentre si chinava al suo fianco. L’idea di vedere una cavalla partorire un po’ la schifava ma la volontà di assicurarsi che Dawn stesse bene aveva avuto il sopravvento. Dopotutto quella puledra e Pebbles erano tutto ciò che restava in quella casa del passaggio di Vincent, il segno che era stato reale, che i suoi erano ricordi veri e non sogni.
Non seppe dire quanto tempo era passato, sicuramente qualche ora, e nel frattempo aveva visto come il giovane irriverente del giorno prima aveva lasciato il posto a un uomo maturo che con mani esperte aveva aiutato la nascita di un minuscolo puledro completamente nero.
Quando fu pulito dovette ammettere che era davvero carino e le venne da sorridere a pensare a quanto sarebbe piaciuto a Vincent.
Come se le avesse letto nel pensiero, un Lionel sfinito e appoggiato con la schiena alla porticina di un altro box disse “Conoscevo vostro fratello”.
“Io non ho un fratello” rispose Agatha automaticamente. Negli ultimi anni aveva imparato a ripetere quella frase, all’inizio era doloroso poi la sua voce era diventata sempre più atona fin quando quelle parole sembravano aver perso ogni significato. Si trattava solo di una frase ripetuta a mo’ di pappagallo.
“Io e Vincent frequentavamo la stessa casa. Era un bravissimo ragazzo…non capisco come abbiate potuto…”
“Come i miei genitori abbiano potuto…” lo corresse con una stilla di risentimento. Lei non avrebbe mai eliminato completamente suo fratello dalla sua vita solo perché aveva voluto sposare una nata-babbana.
“Non credi sia ingiusto che ora lui non faccia parte della famiglia, non ha fatto nulla di male”
“No…ma è così che funziona”
Agatha non ebbe il coraggio di guarda Lionel mentre diceva quelle parole. Sapeva che non era colpa sua se era il figlio bastardo degli Holmes e che la sua posizione non doveva essere facile ma dal tono che aveva usato sembrava che lui volesse essere trattato come Carlton quando non ne aveva nessun diritto, anzi doveva ritenersi fortunato per la vita che conduceva.
“Non per forza” rispose lui.
Una forza, come una specie di calamita, attrasse la giovane Floral che si sedette accanto a quel ragazzo dall’aspetto così duro ma i cui occhi azzurri tradivano una certa sofferenza.
“Non avete idea di come ci senta, a osservarvi sempre da fuori, come se ci fosse un muro invisibile a separarvi dalla gente come me, dalla gente normale.”
“La nostra vita non è così perfetta come sembra. È una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. Voi siete più libero, non avete qualcuno che programma la vostra vita in ogni dettaglio, potete fare ciò che volete”
Lionel sembrò pensarci un po’, mentre i suoi occhi rimanevano a fissare quella madre che leccava e si prendeva cura del suo piccolo…una cosa che a lui era sempre mancata.
“Credete davvero che io possa fare ciò che voglio?” chiese voltandosi verso Agatha ma la ragazza si era appisolata con il capo poggiato ad un cumulo di fieno.
Senza quella smorfia di disapprovazione che sembrava perennemente dipinta sul suo viso, doveva ammettere che Agatha Floral era davvero bella, con i boccoli color oro che ricadevano in modo disordinato sulla pelle rosea.
Oh ma cosa diavolo andava a pensare? Non poteva minimamente avvicinarsi a lei…era come se lei fosse di un altro pianeta!
Avrebbe dovuto svegliarla, dirle di tornare a dormire in casa ma chissà perché aveva l’impressione che sotto quella faccia d’angelo si nascondesse una bestia che l’avrebbe divorato se avesse osato svegliarla!
Decise quindi di non fare nulla, nulla eccetto restare lì a guardarla. Non chiuse gli occhi nemmeno per un minuto, era come ipnotizzato dal petto della ragazza che si sollevava ritmicamente ad ogni suo respiro, era così perfetta, molto più semplice di tante altre ragazze che aveva visto….gli suscitava certe sensazioni…era meglio cercare di non pensarci!
Quando fuori ormai iniziava ad albeggiare si alzò per iniziare a prendersi cura dei cavalli, come faceva ogni mattina da quando era un ragazzino. La vide poco più tardi stiracchiarsi e aprire gli occhi, stupefatta.
Si alzò di scatto e Lionel la vide dirigersi verso di lui come una tempesta. “Perché non mi avete svegliata?” domandò, irata. Fortunatamente era ancora presto, quindi non c’era pericolo che Cassie fosse già andata in camera sua per svegliarla.
“Non sono la vostra balia” replicò lui, mentre si puliva le mani in un catino di acqua fresca.
Gli occhi di Agatha si assottigliarono in un moto di stizza e Lionel si ritrovò a pensare che sembrava quasi una bambina con quel cipiglio arrabbiato.
“Voi dovevate svegliarmi! Avete idea di quanto sia disdicevole dormire per terra come un animale? E cosa direbbe la mia famiglia se scoprisse che ho passato la notte fuori casa? Chissà cosa penseranno di…” la frase, detta da Agatha a velocità impressionante venne bloccata da un paio di labbra ruvide che si posarono sulle sue.
All’inizio spalancò gli occhi ma ben presto lo stupore lasciò spazio ad una sensazione decisamente più piacevole. Un senso di calore che si irradiava dalla bocca, dal cuore e dal basso ventre la travolse e Agatha si abbandonò a quelle braccia tornite che la avvolgevano.
Riaprì di nuovo gli occhi quando Lionel si scostò all’improvviso. “Scusate” disse serio e all’improvviso la bionda si sentì avvampare. Uno stalliere l’aveva appena baciata e lei aveva ricambiato e se lui non si fosse tirato indietro merlino sa dove sarebbero andati a finire, che vergogna!
“Devo tornare a casa” fece lei rivolgendosi più a sé stessa che al ragazzo che aveva davanti. Lo disse ma non fece un singolo movimento per farlo.
“Dovete tornare a casa” concordò Lionel “ma mi piacerebbe rivedervi” aggiunse prendendole una mano. Quel tocco così diverso, così nuovo… le risultò quasi familiare, sicuro.
Un rumore infranse quell’istante, spaventando Agatha e Lionel. Il ragazzo le lasciò velocemente la mano e lei si voltò per andarsene, non senza aver detto “Domani pomeriggio…qui…saranno tutti fuori per la caccia.”
Mentre si dirigeva verso la villa Agatha stessa non poteva credere a quello che aveva appena fatto. Rientrò in casa di trafugo, cercando di sfuggire a occhi indiscreti.
Si infilò sotto le coperte, nel suo letto. Fissava il soffitto cercando di togliersi dalla faccia quel sorriso ebete, altrimenti chiunque avrebbe scoperto che c’era qualcosa che non andava guardandola!
Quando sentì il rumore della porta che si apriva fece finta di dormire, per fortuna era una brava attrice. Sua sorella le fece qualche domanda sul fatto che aveva le guance arrossate, le sentì addirittura la fronte per verificare se per caso avesse la febbre ma per fortuna Cassie non sospettò nulla.

 

Un bussare alla porta distrasse Mary mentre si pettinava i capelli. Doveva ancora finire di prepararsi per scendere a colazione, chi diamine poteva essere?
“Avanti” disse e, attraverso lo specchio, vide suo fratello Alexander entrare nella stanza con una faccia da funerale.
“Alex”. Mary era a dir poco sorpresa di vederlo. Difficilmente suo fratello entrava in camera sua, da piccoli stavano spesso insieme ma da quando erano cresciuti la loro madre gli aveva imposto di non passare così tanto tempo l’uno in camera dell’altro, lo trovava piuttosto sconveniente.
Il ragazzo entrò e si lasciò quasi cadere seduto sul letto.
“Spara” disse Mary. Lei lo conosceva meglio di chiunque altro quindi aveva intuito subito che c’era qualcosa che non andava.
Alex cercò di usare il tono più acido che gli uscì. “Il nostro caro paparino mi ha incastrato in un matrimonio combinato.”
La ragazza si voltò di scatto per fissare il fratello.
“Cosa?” chiese con un tono di voce leggermente più alto del normale.
Sapeva che una delle cose che Alexander Dashwood odiava di più al mondo erano i matrimoni truccati. Non era minimamente interessato alle ragazze, non dopo quello che aveva passato.
Aveva sofferto così tanto che non mostrava più il suo carattere dolce a nessuno eccetto lei. Non era pronto per una relazione d’amore, figurarsi per una combinata.
“Tu odi i matrimoni combinati!” gli ricordò. Perché diavolo si era fatto incastrare?
Suo fratello sospirò. “Il mio matrimonio è una questione di affari” sputò fuori con acidità. Gli veniva quasi la nausea a dire quelle parole.
“Sei tu quello che erediterà tutto…”
A lui sfuggì una risatina sarcastica. “Non erediterò un bel niente, non se ne non farò questo matrimonio. La nostra famiglia è in crisi, Mary. Il mio matrimonio serve per ripagare i debiti di papà o saremo presto rovinati. Non avrei accettato per nessun altro motivo.”
Mentre parlava era diventato serio ma poi, tornando sarcastico come prima aggiunse “Valgo ben quattromila galeoni.”
“Così tanto?” chiese lei “Con chi può avere un debito così elevato papà?”

 

Jamie guardava con una smorfia il cielo plumbeo, sicuramente tra poco sarebbe cominciato a piovere. Lui odiava la pioggia in genere ma quel giorno la amava: se avesse continuato a piovere la battuta di caccia sarebbe sicuramente stata rinviata.
Dopo colazione si avviò con suo fratello Markus in biblioteca. Lui si accomodò su una delle poltroncine davanti al fuoco acceso in occasione del peggioramento meteorologico, nel frattempo Jamie scorse velocemente i libri sugli scaffali ma non trovò niente in braille per il fratello, non se ne stupì molto visto che era un nuovo linguaggio. Fece una cosa che aveva fatto già molte volte, nei primi tempi in cui Markus aveva perso la vista e prima dell’invenzione del braille, cioè prendere un libro e leggere per Markus.
“Ciao, posso unirmi a voi?” chiese Cassie sedendosi su una delle poltroncine. La giovane Floral non si era portata da leggere ma solo qualcosa per cucire. Non alzò gli occhi da ago e filo mentre Jamie leggeva, la beccò solo un paio di volte a guardare in direzione di Markus. Jamie sorrise nascondendo il volto dietro il libro.
Un paio d’ore più tardi, visto che il tempo sembrava reggere, un elfo domestico venne a chiamarlo per unirsi alla caccia. A malincuore gli toccò ubbidire, così poggiò il tomo su un tavolino lì accanto e si rivolse a Markus.
“Mi dispiace fratello ma dovremo continuare un’altra volta”
“Se volete posso continuare io” si propose Cassie, mettendo da parte il cucito e prendendo il libro “Non andrebbe mai lasciato un capitolo a metà…è un tale peccato…a meno che anche voi siate interessato alla storia, Jamie”
Il ragazzo lanciò un’occhiata a entrambi e sorrise, anche i suoi occhi scuri luccicavano di divertimento.
“No no, andate avanti pure senza di me…non è il mio genere di letture”
Jamie si congedò lasciando i due da soli, mentre usciva dalla biblioteca non riusciva a togliersi dalla faccia il sorriso furbetto mentre pensava a quanto suo fratello e la minore delle sorelle Floral sembrassero interessati l’uno all’altra. Non poteva che essere felice per il suo fratellone, il quale era convinto che, nonostante fosse un buon partito, nessuna ragazza si sarebbe mai interessata ad un uomo che non poteva nemmeno vederla.

 

Quando Cassie finì di leggere il capitolo alzò istintivamente lo sguardo verso l’uomo di fronte a lei.
“Grazie Cassandra, siete stata davvero gentile.”
“Non dovete ringraziarmi, lo faccio volentieri. Mi sta piacendo questo libro…vi va se continuo?” chiese innocentemente e Markus si ritrovò a rispondere “Certo. Avete una voce molto delicata.”
Se avesse potuto vedere avrebbe visto le guance della giovane di fronte a lui diventare rubizze dall’imbarazzo.
“Mi fa piacere passare del tempo con voi” ammise lei.
“Anche a me…” disse Markus. Rimase qualche istante in silenzio prima di lasciarsi sfuggire “Se solo potessi vedere quanto siete bella…”
Cassie diventò ancora più rossa. “Posso chiedervi…come fate a riconoscere qualcuno?”
Il silenzio del primogenito degli Storm la fece pentire subito di aver fatto quella domanda.
“Scusate Markus…a volte dovrei imparare a tenere chiusa la mia boccaccia” si scusò piena di imbarazzo.
“No, non preoccupatevi” disse lui “Comunque dal viso. Chi non vede impara a riconoscere il viso di una persona col tatto, e poi c’è il rumore dei passi, il suo odore…”
La loro chiacchierata venne interrotta dall’arrivo di Alice.
“Oh, sei qui! Ti ho cercata ovunque, Cassie” sbuffò la biondina, poi si avvicinò all’altra poltrona “Ciao fratellone” fece posando un leggero bacio sulla guancia di Markus.
“Sta cominciando a piovere” annunciò Alice “Ti va di venire a ballare sotto la pioggia?” domandò all’amica.
Markus ridacchiò della proposta della sorellina “Tu sei pazza…se la mamma ti scopre sei davvero nei guai”
“Sai cos’è la mamma?”
“Mh?”
“Non qui” rispose prontamente lei, in riferimento al fatto che tutte le signore avevano seguito mariti e figli maschi a caccia.
“Allora vieni?” chiese a Cassie.
“No, grazie, se prendo un raffreddore sarò io quella ad essere nei guai.”
“Come vuoi…” fece lei prima di andarsene.
Di nuovo soli Cassie tornò a rivolgersi a Markus “Ma voi non avete toccato il volto di nessuno degli ospiti…”
“Non è una cosa che solitamente si fa con gli estranei” ridacchiò Markus.
“Fatelo con me” disse lei, determinata.
Preso un attimo in contropiede Markus pensò di aver capito male. “Cosa?”
Cassandra si alzò e si avvicinò al ragazzo, sedendosi sul bracciolo della poltrona e gli prese una mano “Toccate il mio viso” lo invitò.
Markus deglutì e appoggiò una mano sul viso della ragazza. Era impacciato mentre con le mani percorreva il volto di Cassandra Floral, aveva ancora il viso da bambina ma era davvero bella.

 

Il tempo andava rapidamente peggiorando quel pomeriggio. Evelyn rabbrividì quando il cielo venne illuminato da un lampo e l’ennesimo tuono riecheggiò in tutta la valle. Non odiava i temporali, le facevano semplicemente paura da quando aveva 9 anni, dal giorno in cui un temporale l’aveva colta alla sprovvista e aveva spaventato il suo cavallo talmente tanto da non fargli ritrovare neanche la strada di casa.
Non riusciva a stare ferma e non voleva stare da sola. Si avvicinò al fratello, in piedi davanti a una finestra del salottino dove stavano. Lui era riuscito a non partecipare alla caccia, odiava troppo quel genere di torture per gli animali.
“Cosa guardi?” gli domandò.
“Nulla” rispose lui spicciolo anche se in realtà stava osservando una testolina bionda che danzava sotto la pioggia battente.
“Io vado a fare una passeggiata, alla ricerca degli scacchi magici…perché intanto non vai nel salottino al primo piano? So che Marianne Dashwood cercava qualcuno per giocare a carte” la incoraggiò il fratello.
Evelyn era sempre stata una ragazza piuttosto solitaria ma doveva ammettere che le sue compagne di avventura erano davvero simpatiche, molto meno snob di tante ragazze che aveva conosciuto.
Si diresse verso il salottino, dove Mary stava facendo pigramente un solitario a carte.
Un po’ in imbarazzo Evelyn bussò sullo stipite della porta “Posso?”
Mary Dashwood la accolse con un sorriso e la invitò ad accomodarsi, proponendo una partita a Sparaschiocco.
“Mi fa piacere avere un’amica con cui giocare” sorrise Mary e Evelyn si sentì quasi a casa.

 

Christopher uscì in giardino ed individuò subito Alice Storm. Proprio come il suo cognome quella ragazza doveva essere un’amante delle tempeste visto come sembrava divertirsi.
Non l’aveva minimamente notato ma quel sorriso libero fece sorridere anche voi.
“Non avete paura di ammalarvi?” domandò ma il rumore di un tuono coprì la voce del giovane Turner.
La ragazza si voltò verso di lui e quasi urlò “Cosa?”
“Non avete paura di ammalarvi?” ripetè lui a voce più alta.
Alice ridacchiò. “Secondo voi se avessi paura di ammalarmi sarei qui, ora?”
Osservando con cipiglio scettico quel gigante avvolto in un incantesimo impermeabile, Alice parlò di nuovo “E voi invece? Cos’è, vi fanno paura due gocce di pioggia?” lo sfidò.
Christopher sorrise. Lui non era certo uno che rinunciava ad una sfida. Si tolse l’incantesimo Impermeabile di dosso e si avvicinò alla bionda.
Alice vide il ragazzo inchinarsi appena davanti a lei.
“Posso avere l’onore di questo ballo?” le chiese porgendole la mano.
La ragazza ridacchiò, fece un piccolo inchino e rispose “Con molto piacere”
Fu così che entrambi si ritrovarono a ridere e ballare sotto la pioggia, completamente fradici ma felici e liberi come erano stati poche volte nelle loro vite.

 

Carlton era stato costretto da suo padre a partecipare alla battuta di caccia e ringraziava il cielo che essa fosse finita abbastanza presto, dato il brutto tempo. Lui, che odiava stare all’aria aperta, era stato costretto a passare ore all’aperto, con la pioggia e il fango.
Tirò un sospiro di sollievo rientrando in camera e si fece preparare subito un bagno caldo. Fatto il bagno decise di fumarsi il suo sigaro ma, dopo averlo cercato per dieci minuti, materializzò di averlo dimenticato nella tasca della borsa che era stata legata al suo cavallo. Di malavoglia si mise di nuovo i vestiti pesanti e gli stivali e si diresse verso le stalle, da Lionel.
Era arrivato ad una delle entrate delle stalle e quello che vide lo lasciò senza parole: Lionel non era solo, era con Agatha Floral e i due si stavano baciando con trasporto, come se ne andasse la loro vita.
Si nascose dietro una delle colonne e aspettò che la ragazza se ne andasse, poi si palesò.
“Carlton” fece Lionel spalancando gli occhi.
Lionel rimase piuttosto spiazzato quando il fratello maggiore, o meglio il fratellastro, lo prese per il bavero della giacca, non avrebbe mai pensato che Carlton fosse tipo da una reazione del genere.
“Hai rischiato di rovinare la vita della nostra famiglia già una volta, non ti permetterò di farlo ancora!” urlò Carlton.
Neanche lui si capacitava di uno scatto del genere. Voleva bene a Lionel, in fondo erano cresciuti insieme anche se la loro famiglia non li aveva mai trattati allo stesso modo.
Probabilmente la sua rabbia era dovuta al ricordo di come la scomoda presenza di un figlio illegittimo avesse intaccato la serenità di coppia di Mr e Mrs Holmes. Suo padre e sua madre erano praticamente estranei, lei gli rivolgeva a stento la parola, non gli aveva mai perdonato quell’avventura e anche se ci aveva provato, il vedere Lionel continuava a riportare alla memoria di Elizabeth Holmes il giorno in cui suo marito era tornato a casa col figlio avuto da una ballerina.
In che scandalo sarebbe stata coinvolta la famiglia Holmes se si fosse venuto a sapere che il loro stalliere aveva sedotto una ragazza di buona famiglia?

 

Il vento sferzava le Isole Shetland quella sera, e per una questione di sicurezza tutti gli ospiti si erano riuniti in un salotto.
Alexander stava appoggiato con la schiena al muro vicino al pianoforte, mentre seduta sullo sgabello, che ogni tanto lo guardava sorridendo, c’era sua madre.
Gli occhi scuri di Alexander si soffermarono sul gruppo delle ragazze, tutte e cinque si erano sedute in una specie di cerchio su un grande tappeto davanti al camino di marmo e sembravano in vena di confidenze.
La sua promessa sposa sorrideva come se nulla fosse, l’aveva a malapena guardato quella sera e non aveva fatto una piega, segno che nessuno le aveva ancora detto il destino che la attendeva.
Beata innocenza.

 

 

 

 

Buonasera!
Per prima cosa chiedo scusa per ritardo, ma ho avuto problemi a causa del terremoto. Il mio paese ha solo un paio di edifici inagibili (compresa la torre simbolo della città) e qualcuno lesionato quindi mi ritengo molto fortunata ma sono stati comunque dieci giorni orribili, carichi di ansia, in cui la voglia di scrivere mi era andata a finire sotto i piedi ma oggi è tornata e così ho buttato giù questo capitolo.
Ora…apriamo le scommesse: chi sarà la promessa sposa di Alex?
Buona serata e buona settimana
H.

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Capitolo 6
*** Discorsi sull'amore ***


Vorrei aprire questo capitolo con delle scuse. Vi devo delle scuse perchè non ho pubblicato niente per molto tempo e ammetto la mia debolezza: ho avuto un blocco. Aprivo word e non veniva fuori niente tranne i sensi di colpa per il fatto di non riuscire a scrivere neanche la tesi. E la tesi, al momento, ha la precedenza su tutto. L'unica cosa che mi sento di dirvi è scusate per la lentezza e grazie per la pazienza. Spero di riuscire a pubblicare un nuovo capitolo in tempi decenti, ma non vi garantisco nulla. Devo stringere i denti fino a metà febbraio, dopo di che avrò più tempo per pensare e quindi scrivere.
Vorrei dedicare questo capitolo o meglio questa storia a tutti voi che state leggendo ma soprattutto alla mia big sister che ogni giorno mi supporta e mi sopporta ;)
Buona serata 
H.

Agatha camminava in punta di piedi lungo il corridoio che conduceva alla sua camera. Per fortuna la moquette attutiva il rumore dei passi, nessuno doveva beccarla a rientrare di nascosto a tarda notte.
Un piccolo fruscio probabilmente prodotto da qualche elfo domestico la spinse a nascondersi dietro un’armatura. Inavvertitamente lanciò uno sguardo fuori dalla finestra e i suoi occhi vennero subito attirati dalla luce che spiccava nel buio della notte. Lionel era ancora sveglio. Era assurdo, erano stati insieme fino ad una manciata di minuti prima e già le mancava, le mancavano quelle mani grandi e piene di calli dovuti al lavoro, quelle braccia possenti, quelle labbra ruvide e quegli occhi chiari. Ma cosa Merlino andava a pensare? Lei doveva tornare in camera, e doveva anche sbrigarsi! Se qualcuno l’avesse beccata allora sì che sarebbe stata nei guai!
Arrivata in camera sua aprì lentamente la porta, entrò nella stanza e altrettanto piano si chiuse la porta alle spalle.
“Bentornata”. La voce la scosse e la ragazza si sforzò di cercarne la provenienza.
In un angolo della stanza, sullo sgabello davanti alla toeletta, Cassie stava seduta a braccia conserte.

Maledizione! imprecò Agatha. Sua sorella e il suo tempismo!
La maggiore si sentì come una bambina beccata durante una marachella. “Da quanto sei qui?” chiese in tono un po’ incerto. Cassie sapeva che la sorella vedeva qualcuno ma non sapeva chi e al momento neanche le interessava, aveva ben altro per la testa!
“Non importa. Ti devo parlare” rispose spiccia la minore.
“Ok…” fece titubante Agatha mentre si dirigeva ad accendere uno dei lumi a gas che il signor Floral aveva fatto installare.
Appena la stanza fu avvolta da un leggero chiarore Agatha notò che in sua sorella c’era qualcosa di diverso. Il suo sguardo era carico di rabbia e tristezza.
Cassie non aspettò che l’altra chiedesse cosa era successo. Aveva bisogno di liberarsi di quel peso così disse subito, tutto d’un fiato “Mi sono fidanzata”.
La mente della ragazza corse subito a Markus Storm, aveva notato un certo avvicinamento tra lui e la sua sorellina ma le sembrava un po' prematuro un fidanzamento così presto, in fondo i loro ospiti erano lì da solo una settimana ma poi l’atteggiamento della minore le fece razionalizzare il tutto, non poteva certo trattarsi di lui altrimenti Cassie non sarebbe stata così sconvolta!
Anticipando di nuovo la domanda di sua sorella, Cassie disse “Alexander Dashwood”
“Oh”
Sedute una accanto all’altra la minore spiegò “Sai che i nostri padri collaborano...il signor Dashwood ha avuto un affare andato male in America qualche mese fa, nostro padre gli aveva fatto un prestito e lui non è in grado di restituirlo, quindi si sono accordati perché io e Alexander ci sposassimo.”
Agatha rimase un attimo sovrappensiero. Ecco come andava quasi sempre, le povere figlie femmine venivano vendute come animali da macello o come cavalli purosangue, anche se stavolta sembrava più che fosse stato il giovane Dashwood ad essere venduto da suo padre…
“Vuoi fermarti qui a dormire?” chiese alla sorellina. Da piccole lo facevano spesso, se c’era qualcosa che non andava, e di solito Vincent si univa a loro. Dormivano tutti e tre su un solo letto facendo quello che si divertivano a chiamare panino.
L’altra prese un respiro e si alzò. “No grazie, non ti farei dormire” rispose camminando verso la porta, con la vestaglia bianca che sfiorava il pavimento.
“Sicura?” domandò Agatha.
Cassie le rivolse un sorriso mesto. “Sì…” cercava di sembrare convinta ma sapeva di non essere riuscita a imbrogliare sua sorella tuttavia non le diede modo di replicare perché dopo aver aperto la porta la guardò da sopra la spalla, esaminandola dalla testa ai piedi.
“Stai attenta” le disse semplicemente.
Tipico di Cassie, sembrava non prestarti attenzione e invece immagazzinava e reagiva più tardi, quando le faceva comodo o semplicemente quando voleva.

 

Alexander scese a passi veloci le scale. Era sveglio ormai da qualche ora, non riusciva a dormire bene. Forse era colpa del pensiero di doversi sposare con una ragazza che non voleva?
Non poteva negare che la giovane Cassandra Floral fosse piuttosto graziosa, come tutte le presenti in fondo, ma lui non era minimamente intenzionato a sposarsi.
“Buongiorno Alexander” lo salutò l’oggetto dei suoi pensieri.
“Buongiorno Cassandra” rispose lui con un mezzo sorriso. Entrarono insieme nel salone allestito per la colazione, guadagnandosi le occhiatine delle rispettive madri che però ci rimasero male quando i due si separarono. Alexander si accomodò accanto a sua sorella mentre la ragazza si sedette tra Markus e Alice Storm.
Si servì delle uova strapazzate e un bicchiere di succo di zucca. Passò la colazione a parlare amabilmente con sua sorella e con Christopher ma ogni tanto l’occhio gli cadeva inevitabilmente sulla sua futura sposa che invece chiacchierava con il primogenito degli Storm. Dio, quanto lo irritava! Il loro fidanzamento sarebbe stato reso noto nel giro di un paio di settimane, alla Festa del Raccolto e lui non voleva assolutamente passare come il poveraccio che si faceva mettere le corna dalla propria moglie. Non voleva fare la figura dell’idiota, non di nuovo!
La risata di Cassandra lo fece scattare e involontariamente la forchetta gli sfuggì dalle mani, tintinnando sul piatto. Molti si girarono verso di lui compresa la causa del suo nervosismo ma Alexander cercò di fare finta di nulla. Continuò a mangiare ma si sentiva gli occhi di Mary puntati addosso. La sua adorabile sorellina aveva capito che c’era qualcosa che non andava e infatti un attimo dopo, quando il resto della tavolata era tornata alla sua consueta attività gli bisbigliò all’orecchio “Non sarai mica geloso?!?”.
Mary gli rivolse un sorrisetto. Naturalmente lei scherzava, sapeva che suo fratello e la sorellina della sua migliore amica avevano firmato un contratto e comunque non c’era partita! Non che avesse qualcosa contro Markus Storm, sembrava un bravo ragazzo nonostante le voci che circolavano riguardo il suo passato e il suo “incidente” ma suo fratello era un ragazzo d’oro, anche se il suo giudizio era di parte!

 

“Cassandra, posso parlarvi un momento?” si sentì domandare la ragazza mentre girava intorno al lungo tavolo imperiale per uscire dalla stanza.
“Certamente” si accorse da sola del tono freddo e distaccato che aveva utilizzato ma al tono pretenzioso di Alexander Dashwood non era riuscita a reagire in modo diverso. Certo, lui era sempre composto ed educato ma aveva quel modo di comportarsi, come se tutto gli fosse dovuto, che le dava così sui nervi!
Lo seguì ugualmente nel salottino dove spesso suo padre e i suoi amici bevevano Odgen Stravecchio e fumavano sigari. Guardò il ragazzo in piedi di fronte a lei, in attesa di sapere cosa voleva.
Alex guardò l’impaziente bionda di fronte e gli venne quasi da ridere al pensiero che ci mancava solo che Cassandra si mettese a braccia conserte e iniziasse a tamburellare con il piede!
Si ricompose e tornò serio. “Cassandra…presto saremo marito e moglie ed, ecco, io credo che siamo partiti con il piede sbagliato…”
“Gentile da parte vostra preoccuparvene” rispose lei sorridendo, leggermente rincuorata dalle premure del giovane ma quello che stava per sentire l’avrebbe spiazzata.
“Dovete prendere le distanze da Markus. Non è bene che, una volta che si sappia in giro del nostro matrimonio voi siate vista così vicina a lui.”
Cassie gli rivolse uno sguardo accigliato.
“Vi proibisco di vederlo” ordinò Alex e le labbra di lei si schiusero appena a causa dello stupore e dello sdegno.
“Voi non potete darmi ordini” affermò convinta la bionda, con gli occhi azzurri assottigliati e lo sguardo di sfida “Non siete ancora mio marito, non siete un mio parente né tantomeno un mio amico, non vi permetto di parlarmi con quel tono!”
A quel punto Alex sbottò, con un tono di voce più alto di quello che avrebbe voluto utilizzare “Dovete portarmi rispetto!”
“Il mio rispetto dovete guadagnarvelo!” ribatté Cassandra prima di lasciare la stanza a passo svelto.

 

Era una giornata terribilmente calda e molti avevano scelto di rimanere in casa per restare al riparo dal sole cocente. Anche Markus aveva scelto di restare in casa, anche se c’era più confusione di quella che avrebbe normalmente sopportato, il suo umore venne migliorato dall’arrivo di Cassie.
“So che è un peccato restare al chiuso viso che il tempo è così bello ma c’è fin troppo sole” si scusò lui mentre Cassie si sedeva su una poltroncina davanti a lui, con solo il tavolino da gioco che li separava.
Ci aveva riflettuto per qualche ora, sulle parole di Alexander e per quanto odiasse ammetterlo, il ragazzo aveva ragione. Una volta che la voce del loro fidanzamento si fosse diffusa nell’alta borghesia magica inglese la sua vicinanza a Markus Storm sarebbe sembrata alquanto sospetta e la cosa avrebbe danneggiato sia lei che Alexander; lei sarebbe apparsa come una fedifraga e lui come un cornuto. L’unica soluzione era la distanza; mettere un po’ di distanza tra lei e Markus sarebbe stato un po’ doloroso, poiché si era affezionata a quel ragazzo gentile e credeva che il suo affetto fosse ricambiato, ma non aveva altra scelta.
“Markus…devo dirvi una cosa”
La voce di Cassandra gli arrivò più cupa e greve di quello che immaginava. “Ditemi pure” la invitò.
“Io…” la ragazza stentò a dire quello che voleva. In fondo prima di due settimane il loro fidanzamento ufficiale non sarebbe stato annunciato…aveva ancora tempo…ma il passare del tempo avrebbe solo reso tutto più difficile.
“Io…sto per sposarmi. Mi sono fidanzata, Markus”
E in un momento Markus sentì come un crepaccio aprirsi sotto di lui e si sentì sprofondare. Come era possibile? Con chi?
Era stato uno stolto ad aspettare a farsi avanti. Cassandra Floral era una bella ragazza e doveva aver destato lo sguardo di qualche altro gentiluomo. Non aveva avvertito l’interesse di qualcuno degli altri ragazzi verso la bionda davanti a lui ma evidentemente si era sbagliato.
Con suo sommo stupore si ritrovò una mano della giovane ad accarezzargli il viso.
“Mi dispiace tanto” disse Cassandra con voce rotta “Mio padre e il signor Dashwood hanno stipulato un accordo”
Markus sollevò una mano e la appoggiò su quella di lei. “Cassandra…”
La giovane fece un mezzo sorriso e dopo aver raggiunto l’uomo gli posò leggermente le labbra sulla fronte. “Non ho scelta”
“Sì che ce l’avete, sposate me” propose lui afferrandole entrambe le mani tra le sue.
“Markus…non sapete quanto io sia onorata della vostra proposta ma sono costretta a declinarla. Io e Alexander abbiamo firmato un contratto, suo padre ha insistito molto”
“Capisco” disse lui un po’ abbattuto. In realtà sentiva una brutta sensazione, come se il suo cuore fosse puntellato con uno spillo. E quel dolore faceva nascere in lui qualcosa di oscuro e sordido, una rabbia cieca.

 

Quel pomeriggio discusse della cosa con Jamie e Alice. Aveva bisogno di parlare con qualcuno o sarebbe esploso. Jamie interrompeva il fratello con parecchie domande su quanto lui fosse innamorato di lei e su come fosse possibile il signor Floral e il signor Dashwood obbligassero quei due a sposarsi quando si erano a stento parlati per tutta la durata della vacanza. Anche se…pensandoci bene…quella mattina li aveva visti entrare insieme nella sala della colazione e poi lasciare la sala sempre insieme…che ci fosse qualcosa di tenero tra loro?
Gli occhi di Jamie si posarono sulla bocca del fratello, piegata in un’espressione di amarezza. Vedeva che soffriva e gli dispiaceva molto. Era raro vedere qualcuna che si interessava a suo fratello e gli dispiaceva che gli fosse stata portata via così.
Non sapeva cosa consigliare a Markus, lui stesso non era un esperto di ragazze o di relazioni. Nessuna era mai sembrata particolarmente interessata a lui.
Stranamente Alice non aveva detto una parola, per una volta aveva tenuto la lingua a freno. Che si fosse resa conto che parlando avrebbe potuto dire qualcosa di sconveniente?
In realtà Alice stava ribollendo dentro. L’idea di un matrimonio combinato la disgustava e poi come aveva potuto una delle sue più care amiche fidanzarsi e non dirle niente? E come aveva potuto rifiutare la proposta di suo fratello e prendere le distanze da lui?
Pff, l’amore faceva solo danni! Uscì dalla stanza come una specie di piccolo tornado, aveva bisogno di sbollire, di sfogarsi. Aveva bisogno di aria aperta.

 

Nel frattempo Evelyn e suo fratello si erano piazzati in un angolo del giardino, sotto la penombra che i faggi proiettavano aveva creato una specie di pista di terra sabbiosa al fondo del quale c’era un bersaglio. Non poté fare a meno di sorridere al pensare a quanto sua madre si sarebbe arrabbiata se l’avesse scoperti, quasi come quella volta in cui l’aveva beccata a prendere lezioni di scherma. Victoria Turner avrebbe davvero voluto che sua figlia si dedicasse ad attività più consone ad una persona del suo rango, quali il cucito e il pianoforte ma in questo frangente i due fratelli Turner si assomigliavano molto. Seppur apparentemente più calma e dolce di suo fratello, in realtà anche Evelyn era uno spirito libero. La ragazza chiuse un occhio e increspò leggermente le labbra, prendendo la mira.
“Solleva leggermente di più il braccio” le suggerì Chris.
Lei obbedì appena prima di scoccare la freccia che andò a conficcarsi ad una discreta distanza dal centro del bersaglio. Chris non riuscì a trattenersi dal ridere sotto i baffi guardando il broncio della sua sorellina.
“Fammi provare ancora” richiese lei mentre lui toglieva la freccia dal bersaglio e si avvicinava per restituirgliela quando i suoi occhi vennero catturati da una figura che faceva avanti e indietro lungo lo stesso pezzo di prato, quasi volesse scavarvi una fossa con i piedi.
Evelyn Turner gettò un’occhiata alle sue spalle, non ci mise più di qualche istante a identificare Alice Storm. Si era accorta subito di come suo fratello guardava quella ragazza. In effetti quella poteva essere la perfetta metà di Christopher Turner, era praticamente la sua versione femminile di qualche anno prima.
Christopher era molto tentato di andare a parlare con Alice e fu più che grato a sua sorella quando disse di avere sete e si avviò verso l’interno della villa.

 

“Se cominciate a girare intorno alla casa presto i Floral potrebbero avere un fossato e riempirlo d’acqua” disse Chris sorridendo, dopo essersi avvicinato alla ragazza.
Per tutta risposta Alice lo fulminò con i grandi occhi azzurri, zittendolo all’istante.
La ragazza si fece prendere da un momento di nervosismo, tirò fuori la bacchetta e distrusse una fontanella ad un paio di metri di distanza.
“Io odio i matrimoni combinati!” sbottò gesticolando con le mani.
Ci fu un momento in cui gli occhi di Christopher si spalancarono e il suo cuore si fermò per la sorpresa. “V-voi state per sposarvi?”
La reazione di Alice fu di puro sdegno. “NO! Come vi viene in mente?”
Il ragazzo tirò subito un sospiro di sollievo mentre si passava la mano nei capelli ma niente lo aveva preparato a quello che sentì dopo. “IO NON MI SPOSER
Ò MAI!” affermò Alice quasi ringhiando.
No, lei non si sarebbe mai sposata. Odiava i matrimoni e soprattutto odiava i ragazzi. Erano tutti così tremendamente uguali, così egocentrici e stupidi! Lei non voleva diventare una di quelle donne tappezzeria, che esistono solo per ricevere ospiti, sfornare bambini e soddisfare il marito!
“Odiate il genere maschile così tanto?”
“Voi ragazzi siete tutti uguali!” lo accusò avvicinandosi e puntandogli il dito contro.
Facendo la miglior faccia da innocente possibile, Christopher spostò delicatamente la mano della giovane.
“Mi duole contraddirvi ma ci tengo a precisare che ormai alla mia età vengo considerato un uomo, e non un ragazzino e poi…quanti ragazzi avete avuto l’ardire di frequentare per esprimere un giudizio così aspro?”
La ragazza rimase per un momento spiazzata. In realtà i suoi contatti con il genere maschile non erano mai andati oltre la semplice e disinteressata amicizia.
“Questo non importa!” sbottò di nuovo. Non voleva certo farsi prendere in castagna anche se in realtà Christopher aveva capito benissimo di averla messa in difficoltà.
Sorrise pensando a quello che era il suo prossimo obiettivo: farle capire che la compagnia maschile poteva essere molto piacevole.
Appoggiata allo stipite della porta, Evelyn lanciò un’occhiata a suo fratello e un sorrisetto le increspò le labbra. Il suo sarebbe stato un bicchiere d’acqua mooolto lungo.

 

Dopo il pranzo Mary si fece sellare il cavallo e andò insieme a suo fratello a fare una passeggiata nel bosco. Sotto l’ombra delle piante il terreno era ancora bagnato a causa del temporale del giorno prima e gli zoccoli dei cavalli affondavano leggermente nel fango.
Avevano percorso il sentiero fino alla raduna sopra la scogliera, scesero da cavallo e si avvicinarono al bordo quel tanto che bastava per guardare le onde sotto di loro.
Il mare era ancora mosso, segno che il tempo non era ancora cambiato del tutto e che da un momento all’altro sarebbe potuto arrivare un nuovo temporale.
Restarono lì per un po’ a chiacchierare di tutto e di niente, del fidanzamento di Alexander e dei loro libri babbani, dei cavalli e di come sarebbe cambiata la loro vita.
Arrivarono di nuovo alla villa quando il sole stava ormai tramontando. Mary scese da cavallo e salutò suo fratello che si era gentilmente offerto di riportare i cavalli nella scuderia mentre lei rientrava in casa.
Girò per un paio di corridoi alla ricerca di suo padre, per dirgli che era rientrata, come lui la costringeva a fare ogni volta che usciva a cavallo, ma le stanze erano quasi tutte vuote. Sentiva il vociare proveniente dall’esterno, segno che in molti erano ancora fuori mentre altri, soprattutto le ragazze, erano probabilmente a cambiarsi.
Vide la luce provenire da una delle stanze e pensò che probabilmente poteva trattarsi di suo padre. Albert Dashwood si nascondeva spesso da sua moglie per fumare la pipa in santa pace.
Entrò senza prestare molta attenzione ma la persona che occupava la poltrona davanti ad una scacchiera non era suo padre ma Carlton Holmes.
“Buonsera” la salutò lui quasi senza degnarla di uno sguardo.
“Salve” disse lei guardando con sospetto quello che il ragazzo stava facendo. Le venne spontaneo chiedere, con un sorrisetto sfrontato “Vi credete così brillante da giocare da solo?”
Carlton fece spallucce. “Lo faccio sempre” replicò lui come se la cosa fosse piuttosto ovvia.
La ragazza si avvicinò e, mentre spostava una pedina, disse “E che ne dite di questa mossa?”
Lui sorrise, punto sul vivo. “Dico che così posso fare scacco matto al vostro re” e dichiarò così conclusa la partita.
Sfoggiando un’espressione sfacciata Carlton notò gli abiti leggermente sporchi di fango della ragazza, soprattutto le sue scarpe. In effetti, fino a quel momento non ci aveva fatto caso, Marianne Dashwood indossava abiti da amazzone. Non potè fare a meno di notare, a quel punto, la terra sotto le unghie di lei. Provò subito un certo senso di disagio. Non aveva mai sopportato lo sporco, di nessun tipo, per questo restava quasi sempre in casa.
Mary notò subito che Carlton era a disagio. “Avete qualcosa contro la terra?” domandò.
“Non proprio” specificò lui.
“Sì certo ed io sono la maga Circe” fece lei sarcastica “Mi guardate come se fossi una specie di insetto…cosa c’è che non va? Avete paura di un po’ di fango?” domandò passandosi una mano sulla manica e poi avvicinandola a lui.
“Cosa mai potrà farvi un po’ di fango? Non morde, non graffia…è alquanto innocuo per quello che so io” scherzò.
“Ne riparleremo quando vi verrà qualche malattia” borbottò lui bloccandole il polso.
Mary si liberò dalla presa del giovane con un piccolo strattone a cui Carlton non oppose nessuna resistenza. “Oh, che bambino che siete!”

 

Quando erano andati tutti a letto Agatha era sgattaiolata fuori. Con indosso solo una vestaglia sopra la camicia da notte si era diretta da Lionel. Ormai aveva imparato ad uscire così, almeno se incontrava qualcuno poteva dire che non riusciva a prendere sonno ed era andata a fare una passeggiata.
Il ragazzo la accolse mettendole una coperta sulle spalle e donandole un leggero bacio sulle labbra. Sarebbe bastato anche solo quello a scaldarla nelle fresche notti scozzesi.
Gli aveva raccontato tutto quello che era successo per poi aggiungere “Odio questa storia dei matrimoni combinati. Dover sposare qualcuno che non si ama, che a stento si conosce è orribile.”
Lionel fece un sorrisetto ironico. “Non siete obbligata a farlo” commentò.
Agatha abbassò lo sguardo verso i suoi piedi. “Non è così semplice?”
“No? Cosa non è semplice? Nessuno vi può obbligare a sposare qualcuno. Fondamentalmente potete scegliere se sposarvi o meno e con chi.”
“Ma se io scegliessi qualcuno che la mia famiglia non approva…beh, non avrei più una famiglia.”
Il pensiero di Agatha corse a Vincent. Si sforzava di non considerarlo più suo fratello ma a volte non poteva fare a meno di sentirne la mancanza. Tutto quello che le restava di lui erano solo ricordi e faceva di tutto per mantenerli vivi, anche se non doveva.
“Ci sono volte in cui può valerne la pena”
“Vorrebbe dire fuggire”
“Fatelo. Fuggite. Con me.”
Ad Agatha venne spontaneo ridere.
“Su, non scherzate” disse, ma non aveva idea di quanto lui fosse serio in realtà.
Quando rientrò in casa, un paio di ore più tardi notò subito che c’era un gran fermento. Elfi domestici correvano avanti e indietro lungo i corridoi. Al primo piano individuò, appoggiata ad un muro sua sorella che parlava con Alice Storm. Appena Cassie la individuò le andò incontro e la prese per un braccio.
“Si può sapere dove eri finita?”
Agatha si lasciò trascinare lungo il corridoio sbuffando e chiedendo “Che è successo?”
“Il signor Dashwood è stato trovato morto in un corridoio della biblioteca” disse prima di spingere sua sorella all’interno della camera e chiudere la porta.

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Capitolo 7
*** Rabbia e attesa ***


Suo padre era morto. Non le sembrava vero. Mary non era ancora riuscita a versare neanche una lacrima.
Il cervello le riportò davanti agli occhi i ricordi della sua infanzia. Quando sua padre la portava a cavalcare, erano ore che si ritagliavano solo per loro. Lui, a differenza di sua madre, non l’aveva mai trattata come una bambola di porcellana. Quando il primo Settembre di ogni anno la accompagnava alla stazione di King’s Cross e le dava di trafugo una scatola dei suoi dolcetti preferiti o quando per i suoi 18 anni le aveva permesso di andare in vacanza insieme ad Agatha a Brighton.
Sospirò, le sarebbe mancato terribilmente. In più le si apriva davanti un nuovo scenario: suo fratello aveva ufficialmente ereditato Dashwood Mansion. Se avesse voluto avrebbe potuto cacciare lei e sua madre. Una parte di lei era sicura che Alex non le avrebbe mai fatto una cosa del genere ma allo stesso le si insinuava un dubbio nel cervello: si sarebbe sposato presto, magari voleva una casa tutta per lui e la sua futura famiglia.
Si lasciò andare appoggiando la schiena sul letto, certa che quella notte non avrebbe chiuso occhio.

 

Dopo aver brevemente parlato della morte del signor Dashwood, Agatha si era offerta di andare dalla sua migliore amica per consolarla o comunque per starle vicino ma Cassie le disse che Mary aveva chiesto di non vedere nessuno.
Era omicidio? Suicidio? Morte naturale? Nessuno sapeva niente. Il signor Floral aveva mandato a chiamare un Guaritore e allontanato tutti gli altri.
Rimasero un attimo in silenzio, Agatha lanciò una rapida occhiata fuori dalla finestra, verso il giardino. Cassandra non si lasciò sfuggire l’occasione per prenderla in contropiede.
“Con chi eri?” le chiese a bruciapelo.
Agatha sgranò gli occhi sorpresa, fece per pensare a cosa dire, a quale scusa inventare ma la sua adorabile sorellina la interruppe “Non mi mentire” la sfidò.
L’altra si bloccò. Doveva dirle la verità o Cassie gliel’avrebbe tirata fuori con le pinze.
“Mi vedo con Lionel”
La mascella di Cassandra sfiorò quasi il pavimento. “Cosa? Quando? Perché?” domandò a raffica.
“Frena, frena…” indecisa su cosa dire e cosa no Agatha si limitò ad aggiungere “È successo e basta…”
“Lo ami?””
Ecco. Era arrivata la domanda pesante come un mattone. Agatha abbassò lo sguardo, improvvisamente in difficoltà come poche volte era stata in vita sua. Amava Lionel? Sicuramente non le era indifferente. Ogni volta che lo vedeva sentiva il battito del suo cuore accelerare e ogni volta che le loro labbra si toccavano sembrava come se il mondo intorno a loro sparisse, non importa se si trovavano in una sporca scuderia, tra il fieno e con il pungente odore di letame che aleggiava nell’aria.
Il poco tempo che passava insieme a lui era poco, eppure così prezioso. Durante quelle poche ore si sentiva libera, senza i pensieri della purezza del sangue e degli obblighi che il suo sesso e il suo rango le imponevano.
Cassie piegò leggermente la testa verso sinistra e le labbra in un mezzo sorriso. Aspettava ancora la risposta della sorella quando sentirono bussare alla porta che si aprì subito dopo.
La signorina Floral entrò e sorrise verso le figlie. “Ah siete qui, lo sospettavo” poi spostò la sua attenzione sulla minore. “Cassandra, indossa un vestito nero”
Lei guardò la madre confusa. “Perché?” chiese muovendosi comunque verso l’armadio e tirandone fuori un lungo abito di cotone nero che aveva indossato solo una volta, quando era morto il loro nonno materno.
“Alexander è il nuovo signor Floral e tu sarai sua moglie entro la fine dell’estate. In un momento del genere è tuo compito stargli accanto, è pur sempre tuo marito”
“Non è ancora suo marito” puntualizzò Agatha in difesa della sorellina. Si guadagnò un’occhiata di sbieco da parte della madre.
“Mamma…io e Alexander non siamo…” e cercò la parola giusta “Compatibili” concluse mentre la donna le allacciava i bottoni dell’abito nero che aveva indossato in fretta al posto della sua camicia da notte.
“Non dire sciocchezze. Siete una bellissima coppia” fece la signora Floral con aria trasognante.
Agatha si intromise di nuovo “Ma se neanche si conoscono!”
Kathrine non si scompose nel ribattere alla figlia maggiore pur continuando a guardare la minore attraverso lo specchio “C’è molto tempo per quello dopo le nozze.”
“Mamma, io…” provò ad intervenire Cassandra ma la donna la interruppe “Su, ora basta proteste e vai da lui.”

 

“Cassandra” salutò la ragazza che era appena entrata, seguita dalla madre. Non era minimamente dell’umore ma dovette ammettere a se stesso che il lungo vestito nero faceva un bel contrasto con la pelle chiara e i capelli biondi della sua fidanza.
“Alexander” salutò lei educatamente. Le altre due donne li guardavano come se si aspettassero chissà che cosa visto che i due erano, almeno formalmente, una coppia.
La bionda si avvicinò e gli posò una mano sul braccio. “Mi dispiace per vostro padre. È stata una notizia devastante” mentre pronunciava quelle parole Cassie si sentiva una sporca bugiarda. Non che la morte del signor Dashwood fosse stato un evento piacevole ma quell’uomo aveva offerto a suo padre il figlio per ripagare un debito. Era una cosa aberrante…certo che, suo padre aveva sacrificato lei quindi il signor Floral non era stato questo sant’uomo…
“Grazie. Siete molto gentile.”
Le due donne li salutarono con un “Vi lasciamo soli”. Come se loro, da soli, avessero fatto chissà cosa….
Infatti tra i due calò un velo di silenzio che dopo qualche minuto Cassandra interruppe chiedendo “Avete saputo cosa è successo di preciso a vostro padre?”
Alex si accomodò su una poltroncina, appoggiò i gomiti alle gambe poi buttò fuori un sospiro. “Non ancora. Il Guaritore non se ne è ancora andato.”
“Capisco” rispose lei.
La situazione era decisamente di disagio. Alexander non sapeva bene come rivolgersi alla sua futura moglie, in modo educato ma comunque freddo e distaccato come faceva con qualsiasi ragazza non fosse sua sorella. Non era interessato a nessuna ragazza, non dopo quello che era successo eppure adesso si ritrovava a essere il capofamiglia, con una madre che insisteva per farlo avvicinare il più possibile alla ragazza che avrebbe dovuto sposare in un matrimonio organizzato proprio da suo padre.

 

“Oh andiamo, non puoi esserne sicuro” sbottò Alice verso il futuro.
“Alice ha ragione” concordò Jamie che se ne stava seduto su una poltroncina davanti al letto di suo fratello. Markus non proferì parola. In effetti non poteva esserne sicuro ma il pensiero che c’era anche solo una possibilità che potesse essere stato lui ad ammazzare il signor Dashwood lo torturava.
Non ricordava quello che aveva fatto quella sera, aveva affogato i pensieri e la rabbia nell’alcol. E ne era tanta la rabbia.
“Io…non me lo ricordo” sussurrò passandosi una mano nei capelli.
Aveva sentito quel lato oscuro rifarsi largo in lui dopo la notizia che Cassandra avrebbe sposato Alexander, che il padre di lui aveva proposto quest’unione…ricordava che le mani gli prudevano e ricordava un dolore sordo all’altezza del cuore.
In qualche modo si sentiva sporco perché aveva pensato che se non fosse stato per quell’uomo Cassandra e Alexander non avrebbero stipulato un contratto matrimoniale. E se avesse pensato e avesse agito per eliminarlo?

 

Il sole era sorto non molto tempo prima, illuminando una nuova giornata. Villa Floral era stata in movimento per tutta la notte ma Lionel non aveva osato avvicinarsi.
Aveva sentito gli elfi domestici e le cameriere di casa mormorare riguardo la morte del signor Dashwood, lui aveva preferito non immischiarsi. Essere praticamente invisibile, questo era il suo vantaggio.
Stava strigliando un cavallo quando sentì dei passi alle sue spalle e una voce familiare chiamarlo.
“Lio”
“Cal…che ci fai qui?” domandò al fratellastro girando appena lo sguardo per vederlo entrare. Carlton Holmes odiava uscire e aveva una vera e propria fobia per lo sporco, era raro vederlo nelle scuderie. Doveva esserci per forza un motivo.
Carlton preferì essere diretto. “Dov’eri ieri sera?”
“Qui! Dove sarei dovuto essere?” domandò l’altro leggermente scocciato. Cosa stava insinuando, che aveva ucciso lui Mr Dashwood?
“Non eri solo vero?” lo attaccò di nuovo l’altro. Lionel pensò per un attimo di mentire, visto quanto si era arrabbiato Carlton quando aveva scoperto di lui e Agatha Floral ma da come lo scrutavano gli occhi azzurri del fratello, identici ai suoi, capì che lui sapeva già la verità.
“Era l’unica che mancava quando è stato trovato il signor Dashwood”
Un piccolo sorriso si dipinse sulle labbra del minore al ricordo della splendida serata che aveva passato con la bionda.
“Sì, era qui con me e, scusa se te lo dico, non sono cose che ti riguardano” disse, spiccio.
Carlton sbottò “Nostro padre e il signor Floral sono amici, hai idea di cosa succederebbe se la cosa si venisse a sapere?”
“Francamente non sono affari nemmeno loro”
Lionel si voltò, aveva le fiamme negli occhi. Carlton Holmes sembrava un tipo calmo ma era uno che rispondeva al fuoco col fuoco.
“Non pensi minimamente a quanto potresti mettere nei guai la nostra famiglia? Pensa a quanto potresti mettere nei guai lei! Se il padre lo scoprisse ti ucciderebbe!”
La risatina di Lionel venne soffocata in una specie di sbuffo. Il signor Floral che lo uccideva? Doveva solo provarci!
Carlton girò intorno al cavallo e si piazzò esattamente davanti al suo fratellastro, squadrandolo con fare sospetto.
“Ti sei innamorato di lei, seriamente?” chiese con un’alzata di sopracciglio.
Lionel smise di strigliare il manto dell’animale e abbassò lo sguardo sospirando. Carlton vedeva tutti i giorni il risultato di un matrimonio tra due persone che non si amavano. Suo padre non avrebbe mai amato sua moglie e aveva intrecciato, con una ballerina, la relazione da cui era nato quel figlio bastardo. Chissà se suo padre aveva amato la madre di Lionel? Forse se loro due fossero potuti stare insieme, liberamente, nonostante la loro differenza di rango…forse sarebbero potuti essere tutti più felici.
Sapeva già la risposta di Lionel. Suo fratello poteva essere una persona impetuosa e a volte impulsivo ma non era certo uno stolto. Non si sarebbe certo arrischiato in una questione del genere se non fosse stata importante.
“Va bene” proclamò Carlton “Ti coprirò, vi coprirò quando ce ne sarà bisogno”

 

Si spiaccicò praticamente contro un muro per fare in modo che l’elfo domestico non la notasse. Voleva arrivare vicino alla biblioteca, doveva scoprire qualcosa sulla morte del signor Dashwood, lo doveva fare per suo fratello. Non si era capito ancora se si trattava di omicidio o meno ma Markus già si era fatto tutte le sue teorie mentali. Giurava che se lo avesse sentito di nuovo dire qualcosa sulla sua rabbia e fantomatici sensi di colpa lo avrebbe ucciso lei con le sue stesse mani.
Il corridoio della biblioteca era stranamente deserto ma sentiva le voci provenire dall’interno, anche se non riusciva a capire chiaramente cosa dicessero. Si avvicinò di soppiatto, doveva trovare un angolino nascosto, altrimenti, se qualcuno fosse uscito e l’avesse vista sarebbe stata decisamente nei guai.
Si appostò seduta a terra, nascosta da un divanetto.
“È dovuto a…” riuscì a sentire solo quella parte di frase. Ma perché quella gente parlava a voce così bassa? Che stessero nascondendo chissà quale segreto?
Si sporse leggermente con la testa per cercare di carpire qualche altra parola. A quanto pareva qualcuno non si capacitava di come potesse essere successo. E quel qualcuno era suo padre, di questo era certa.
Si era inconsapevolmente messa a gattoni nell’avvicinarsi il più possibile alla porta. Era completamente concentrata ad ascoltare che si sobbalzò dalla paura quando una voce dietro di lei disse: “Tanto vale che entriate lì”
Si voltò e si ritrovò davanti un Christopher Turner che quasi rideva.
“Mi avete spaventata a morte” fece Alice fulminandolo con lo sguardo.
“Scusate ma quando vi ho vista fare la piccola investigatrice non ho resistito alla tentazione di seguirvi”
Lei mise su una specie di piccolo broncio che lo fece sorridere ancora di più e pensare a quanto fosse carina.
“State cercando di scoprire qualcosa in più sulla morte di Mr Dashwood?”
“Scusate ma non credo che siano affari vostri”
Christopher sfoggiò un serafico sorriso prima di aggiungere “Peccato, altrimenti vi avrei detto che il signor Floral ha portato dei documenti nel suo studio un’ora fa, e sembravano importanti”
La bocca di lei si schiuse leggermente dalla sorpresa cosa che fece allargare ancora di più il sorriso del giovane.
“Venite con me” le propose allungando una mano che lei afferrò per tirarsi su.
I due si incamminarono lungo il corridoio, mentre lei si guardava intorno con aria circospetta lui camminava con non-chalance, tranquillo.
“Se volete passare inosservata dovete camminare come fate sempre, come se niente fosse, e gli elfi non vi degneranno di uno sguardo” le spiegò mentre giravano a destra. Arrivati davanti ad una grande porta di mogano scuro lui mise una mano avanti, con il palmo verso l’alto, come per invitarla ad entrare.
“Prego” fece lui dopo aver gettato un’occhiata fugace al corridoio.
“E voi?” chiese Alice mentre abbassava la maniglia.
“Io vi faccio da palo”
Alice entrò nel grande studio che odorava di tabacco e di chiuso. I suoi occhi puntarono direttamente verso la grande scrivania, di mogano come la porta e ingombra di fogli sistemati in pile perfettamente ordinate. In cima ad una di queste le saltò subito agli occhi un foglio Autopsia di Mr. Albert Dashwood.

 

Voleva solo la verità. Voleva solo sapere cosa era successo a suo padre. Perché nessuno gli diceva niente? Insomma era lui il signor Dashwood adesso! Doveva pur contare qualcosa!
E invece nessuno gli diceva niente, lo trattavano come un ragazzino!
Anche se era solo primo pomeriggio aveva bisogno di un goccio di brandy, anche più di un goccio, così si recò verso uno dei salottini al piano inferiore alla ricerca di un po’ di pace e solitudine.
E invece il salottino lo trovò occupato. C’era Markus Storm seduto su una delle poltroncine davanti al camino spento, intento a bere qualcosa.
“Buongiorno Markus” salutò burbero entrando nella stanza.
“Alexander” salutò l’altro. Al giovane Storm vennero subito un po’ di nervi nel sentire la voce dell’altro con quell’aria di sufficienza. Cosa voleva? Tuttavia si sforzò di essere educato ed aggiunse “Mi dispiace per vostro padre. Condoglianze.”
L’altro sbuffò avvicinandosi verso la finestra. Quel tipo non gli piaceva. Sapeva bene che il suo passato nascondeva una buona dose di oscurità, legata anche all’incidente che gli aveva tolto la vista.
“Voi dovreste essere un esperto di questo genere di cose”
“Quali cose?” domandò Markus sforzandosi di rimanere calmo ma già sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.
“Arti oscure” replicò Alexander tagliente “Sperate che ora che mio padre non c’è il contratto che ha firmato con Floral non sia più valido? Beh mi dispiace per voi ma quel contratto lo abbiamo firmato io e la signorina Floral quindi è ancora valido!” esclamò con un tono di voce più elevato.
La voce del ragazzo attirò la giovane che stava passando lungo il corridoio che avvicinandosi sentì Dashwood che accusava non troppo velatamente Storm di aver ucciso l’uomo.
Cassie entrò nella stanza a passo svelto.
“Ma come vi permettete?” tuonò lei entrando nella stanza “Venite in casa mia e fate accuse del genere!”
“Lui potrebbe aver ucciso mio padre!” urlò Alexander rabbioso.
“Non dite un’altra parola”
“Oh vi ergete in difesa del vostro amore” disse di nuovo lui acido “Prego allora vi lascio soli”
Alexander si voltò e uscì dal salottino seguito dalla giovane Floral che continuò a rimproverarlo seguendolo lungo il corridoio. “Non osate mai più parlarmi con quel tono!”
“E voi, con questo tono da ragazzina prepotente?!? Sarò vostro marito, dovete portarmi rispetto!” fece lui dopo essersi bloccato e voltato di scatto.
“Il mio rispetto ve lo dovete guadagnare! Potrete essere mio marito ma non sarete mai mio amico!” e decretò chiusa la conversazione superandolo.

 

Alzò gli occhi al cielo quando l’ennesimo gufo si avvicinò alla finestra con un'altra lettera di condoglianze nel becco. La notizia della morte di sua padre si era diffusa in fretta. Impressionante come viaggiavano le notizie.
Aprì al volatile, gli diede una leggera carezza e prese la busta nera. La ammucchiò con le altre, non le interessava aprirla, sapeva che c’erano scritte le solite sterili parole. Solo una delle lettere l’aveva colpita, era di una delle sue più care amiche.
Anche dopo averla letta, anche dopo aver sentito l’affetto di Delia Halmiton anche attraverso le parole vergate con inchiostro nero non riuscì ad addormentarsi quella sera, e dire che si era ritirata presto, mentre gli altri erano ancora tutti in piedi.
Mary sentì la pendola segnare la mezzanotte e decise di alzarsi. Iniziò a camminare per la casa come una specie di fantasma. La luce tremula che filtrava da sotto una porta la attirò, magari avrebbe trovato qualcuno con cui parlare, non voleva stare sola.
Bussò e aprì piano.
“Marianne” fece Carlton sorpreso appoggiandosi sulle gambe il libro che stava leggendo. Visto che la biblioteca era stata chiusa aveva ripiegato su una stanza.
Sentì un attimo il cuore stringersi di preoccupazione vedendo quanto la ragazza era pallida e stanca.
“St-” iniziò a dire ma Mary lo interruppe subito.
“Vi prego, non chiedetemi come sto. Non ne posso più di rispondere alla stessa domanda. Non sto bene. Non sto bene, ok? Come potrei stare bene?” chiese accorata.
Le labbra di Carlton si piegarono leggermente e le fece cenno di accomodarsi davanti a lui. Il ragazzo fece per riprendere a leggere quando Mary, che aveva freddo fin dentro le ossa chiese “Vi dispiace se accendo il camino?”
“No, affatto” rispose educatamente. Alzò di nuovo gli occhi dalle pagine di carta per vedere che la giovane stava armeggiando con della legna.
“Non era meglio con un incantesimo”
Lei fece finta di essere risentita mentre replicava “Lo so accendere un fuoco!”
Notando lo sguardo perplesso di lui le venne da sorridere come non faceva da un po’
“Non vi preoccupate non farò troppa polvere” lo punzecchiò.
Carlton alzò gli occhi al cielo prima di spostarli di nuovo sulla sua lettura e accorgersi che era circa la sesta volta che rileggeva lo stesso paragrafo. Doveva concentrarsi, non guardare la ragazza che si era acciambellata sulla poltrona!
La porta si aprì nuovamente, attirando il suo sguardo ed entrò Alexander Dashwood.
“Mary…finalmente ti ho trovata…”
Lei lo guardò interrogativa così come Carlton.
“Si tratta di papà” aggiunse Alex “si è trattato di morte naturale”

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Capitolo 8
*** Giro di boa ***


Si sistemò il nastro nero tra i capelli guardandosi al grande specchio da terra. Inspirò profondamente nel tentativo di farsi coraggio. Era arrivato il momento di tornare a casa per seppellire suo padre. Un leggero bussare alla porta la spinse a voltarsi.
“Avanti” disse tornando a guardare lo specchio. Vide la porta aprirsi lentamente e il viso di Agatha spuntare.
“Hey” la salutò dolcemente. Agatha entrò e si chiuse la porta alle spalle per poi sedersi appena sul letto dell’amica che finiva di prepararsi. Non riusciva neanche a immaginare quanto fosse dura per lei visto quanto fosse stata legata a suo padre.
“Mi dispiace di non poter venire”
Mary si voltò, rivolse un mezzo sorriso all’amica e si alzò per raggiungerla sedendosi sul copriletto color crema. Prese le mani di Agatha tra le proprie per tranquillizzarla.
“Tranquilla, amica mia. Sono certa che starò bene e tra un paio di giorni sarò di nuovo qui”
La ragazza si sforzò di sorridere. Sarebbero stati giorni davvero pesanti e sicuramente la vicinanza della sua migliore amica l’avrebbe aiutata ma capiva perfettamente che con tutti gli adulti che partivano per il Dorset e Cassandra che andava con loro, lei sarebbe dovuta restare a fare da padrona di casa per il resto degli ospiti.
Agatha si allungò per stringere l’amica tra le sue braccia, cercando comunque di dimostrarle la sua vicinanza.
“Ti lascio a finire di prepararti ma passa pure a salutarmi prima di andare” le disse la bionda prima di congedarsi.

 

A qualche stanza di distanza anche Cassandra si stava cambiando. Era quasi pronta per partire, non che ne avesse molta voglia. Il pensiero di passare tutte quelle ore in carrozza, da sola con Alexander non la entusiasmava affatto. Le dava così sui nervi…anche la sera prima le aveva praticamente dato degli ordini! Non lo sopportava!
E non sopportava sua madre che la teneva ferma acconciandola come una bambola di porcellana.
Al suo ennesimo sbuffo la signorina Floral si spazientì.
“Si può sapere cosa c’è che non va?” domandò alla figlia minore.
“C’è che io odio Alexander!” sbottò lei incrociando le braccia come una bambina.
La donna la fulminò con uno sguardo carico di rabbia. “Non dire così, non lo conosci” la rimproverò.
“No, è proprio perché un po’ l’ho conosciuto che lo trovo irritante! Che razza di famiglia o di matrimonio può esserci tra due persone che non si amano?” disse in un misto di rabbia e disperazione.
“L’amore arriva solo dopo il matrimonio, mia cara. Ci sarà tanto tempo dopo… anche io e tuo padre non eravamo innamorati prima del matrimonio, eppure è diventato il compagno della mia vita e mi ha dato due splendide figlie” fece la donna dopo aver appoggiato entrambe le mani sulle spalle esili della figlia.
Lo sguardo di Cassie si indurì e la sua voce si fece più fredda quando pronunciò “Tre figli”.
Non le era mai andato giù come i loro genitori avevano cacciato Vincent di casa e avevano preteso che le figlie facessero come se lui non fosse mai esistito. Lo avevano mandato via quando lei era a scuola e non aveva avuto nemmeno la possibilità di salutarlo.
“In ogni caso, se sei fortunata, dovrai giacere con lui una sola volta. Quando avrà un erede sarà tutto molto più tranquillo.”
A quel pensiero per un attimo Cassie si bloccò. Non aveva minimamente pensato a quella parte del matrimonio e un brivido le percorse tutta la schiena mentre sua madre faceva levitare una collana di perle dal portagioie al suo collo.

 

Finita la colazione Carlton ripiegò su se stesso il giornale e lo appoggiò sulla tovaglia di lino bianco prima di alzarsi e dirigersi verso la porta. Giusto nell’ingresso i suoi occhi catturarono una delicata figura femminile, in piedi accanto al portone e vestita di nero.
Come se avesse avvertito la sua presenza la ragazza si voltò.
“Carlton” lo salutò piegando leggermente la testa con un cenno di rispetto.
“Marianne…buongiorno”
“Buongiorno” rispose lei sforzandosi di abbozzare un sorriso “Queste carrozze… non arrivano mai quando dovrebbero” cercò di ironizzare mentre batteva un piede sulla moquette in un gesto di impazienza.
“Siete in partenza dunque…” buttò lì senza sapere cosa dire precisamente. Lui non era certo la persona più empatica dell’universo e si sentiva sempre un po’ fuori posto in quel genere di situazioni. Quelle frasi consolatorie gli sembravano tutte così sterili e scontate.
“Già ma preferirei non esserlo”
Ovvio. Ora si sentiva un completo idiota. Per fortuna l’espressione di Mary gli suggerì che non era risentita per quella domanda inopportuna ma la ragazza non fece in tempo ad aggiungere altro poiché il suo sguardo venne catturato da una coppia a braccetto che scendeva le scale fino ad arrivare all’entrata.
“Siamo pronti ad andare” dichiarò Alexander lasciando il braccio di Cassandra.
“Arrivederci Carlton” salutò Marianne seguendo suo fratello fuori dall’edificio.
“Signor Holmes” salutò Cassie superando il ragazzo.

 

Dopo parecchio tempo Alice riuscì finalmente a trovare suo fratello. Markus era in piedi davanti a una delle finestre che davano sul davanti della villa, con le orecchie tese per un udire lo scricchiolio delle ruote delle carrozze sul selciato.
“Ah eccoti” sorrise entrando nella stanza.
“Ciao Alice” la salutò lui con tono cupo senza muoversi minimamente. Notata la passività del fratello Alice non poté fare a meno di rimbeccarlo “Ti fa male stare lì a rimuginare, a pensare che lei sta partendo con lui”
Vedendo che Markus non reagiva alla fine confessò. “Cassie mi ha raccontato dello scontro con Dashwood”
All’udire quelle parole una parte di lui si sentì in qualche modo rincuorata dalle attenzioni che la giovane Floral continuava a riservargli ma un’altra, la parte che premeva per prevaricare, era furiosa. L’aveva rifiutato, come se non valesse nulla e adesso, si preoccupava per lui? Non poteva semplicemente lasciarlo in pace?
Alice reagì al silenzio del fratello avvicinandosi e incitandolo. “Non è colpa tua, hanno detto che si tratta di morte naturale” nel parlargli lei fece per sfiorargli il braccio ma indietreggiò quando Markus si voltò arrabbiato.
“Mi ero innamorato di lei! E Dashwood me l’ha portata via! Pensavo che mi avrebbe salvato da me stesso e invece mi ha spezzato il cuore!” urlò.
Sembrava quasi un animale ferito, cosa che fece stringere il cuore ad Alice. Lo abbracciò di slancio nonostante la differenza di altezza e lo strinse più forte che poté.
“Non ne hai bisogno, vai benissimo così. Non sei solo. Non lasciare che la rabbia offuschi chi sei diventato”
Già, era diventato una persona diversa, dopo l’incidente. Tutte quelle conoscenze riguardo le Arti Oscure che aveva accumulato ai tempi di Durmstrang le stava usando proprio per contrastare le Arti Oscure. Non poteva tornare indietro. Quella non doveva essere una strada a doppio senso.

 

 

Il viaggio verso il sud dell’Inghilterra era lungo e, in quella carrozza, particolarmente silenzioso. Mentre la signora Dashwood era salita in carrozza con i signori Floral, e tutti gli altri adulti avevano occupato le rispettive carrozze di famiglia la carrozza dei Dashwood era stata ceduta ad Alexander, sua sorella Mary e Cassie.
Per sua fortuna Cassie si assopì a circa metà del viaggio e Alex ricominciò a parlare in modo del tutto naturale e tranquillo, come era abituato a fare.
“Non mi dimostra minimamente il suo rispetto” sbuffò lui accavallando le gambe.
Mary abbozzò un sorriso guardando la sorella della sua migliora amica che dormiva placidamente con la testa appoggiata al finestrino accanto a suo fratello.
“Forse…se tu fossi un peletto più gentile” disse lei mimando un piccolo spazio racchiuso tra il pollice e l’indice della mano destra.
Alexander incrociò le braccia e guardò fuori e sua sorella si ritrovò a pensare che sembrava proprio come un bambino capriccioso. Sapeva benissimo che lei aveva ragione ma non lo avrebbe ammesso mai e poi mai.
“Non succederà di nuovo” affermò la ragazza e lui si voltò leggermente perplesso.
“Cosa?” domandò Alex alzando un sopracciglio prima di sentire una mano che si appoggiava leggermente sul suo ginocchio.
Mary si sporse in avanti e guardò suo fratello intensamente “Non succederà di nuovo” ripeté convinta “Non tutte le ragazze sono come Sophie Hamilton”
I cervelli di entrambi corsero subito alla rossa che era stata il grande amore di Alex e che l’aveva ferito come mai nessun altro. Eppure quando andava tutto bene chiunque avrebbe giurata che si amavano, che erano destinati a stare insieme e invece…l’unica cosa a cui voleva essere destinata lei era il patrimonio dei Dashwood. E intanto amava trascorrere il suo tempo con altri giovani. Mary ricordava bene come ci era rimasto male suo fratello e quanto avesse perso fiducia nell’intero genere femminile.

 

Lionel gli aveva lanciato un sassolino contro la finestra per attirare la sua attenzione. Gli sembrò un gesto alquanto bizzarro e mosso soprattutto dalla curiosità Carlton decise di infilarsi gli stivali e raggiungere il fratello nelle scuderie.
Appena sentì il rumore dei passi sul terriccio Lionel si voltò, distogliendo lo sguardo dal cavallo che stava sellando.
“Buongiorno fratellino” lo salutò sorridendo.
Carlton ricambiò poco convinto. “Che vuoi?”
“Sempre dritto al punto vedo” fece Lionel con un sorrisetto. Prima di replicare tornò a guardare serio quegli occhi uguali ai suoi, in cui sapeva leggere ogni minima emozione, da quando erano bambini.
“Ho bisogno di un favore, un favore piuttosto grosso” specificò.
Carlton incrociò le braccia al petto e tirò fuori un leggero sbuffo “Di che si tratta?” domandò anche se aveva il sentore di sapere già la risposta. Tutti i genitori se ne erano andati e ad Agatha Floral era stato lasciato il compiti di avere cura degli ospiti rimasti. Che avesse voluto aver cura di qualcuno in particolare?
“Sai che se ne sono andati quasi tutti” iniziò a dire il minore ma l’altro gli fece un rapido cenno con la mano, una specie di rotazione, come ad invitarlo ad andare avanti e non dire cose che lui non avesse già saputo.
“Ho bisogno che tu copra me e Agatha oggi. Voglio portarla fuori.”
A quelle parole gli occhi di Carlton si illuminarono con una scintilla di puro interesse. Lionel poteva quasi vederlo strofinarsi le mani compiaciuto.
“Fuori dove?” domandò.
“A cavallo, a fare un picnic nella radura dopo il laghetto”
Naturalmente Carlton non capì dove si trovava quel luogo visto che non aveva mai avuto il minimo interesse ad addentrarsi nel bosco ma si soffermò sulla frase nella sua interezza.
“Oh la la, da quando sei diventato un romanticone fratellino?”
Lionel era abituato a quelle frecciatine quindi non si scompose minimamente e contrattaccò “Dovresti provarci anche tu sai? Un giorno il maniero degli Holmes avrà bisogno della sua signora”
Carlton incassò il colpo con un mezzo sorriso. “E sia. Dimmi cosa vuoi che faccia.”

 

Agatha seguiva piuttosto perplessa Carlton Holmes lungo i corridoi. L’aveva avvicinata poco dopo colazione e l’aveva pregata di seguirlo senza tante spiegazioni e, anche se poco convinta, lo aveva fatto e ora si ritrovava a piano terra, quasi nelle cucine. Ma dove diavolo la stava portando?
Solo quando arrivò all’esterno della villa materializzò dove erano diretti. Le scuderie.

Oh mio dio si ritrovò a pensare che Carlton sappia?
Era già pronta al peggio. Se Carlton sapeva allora sì che erano tutti nei guai!
Venne smentita dal caldo sorriso di Lionel che la accolse appena entrò nel grande edificio.
“Buongiorno Agatha” la salutò avvicinandosi con grandi falcate. Lei contraccambiò il sorriso un po’ timidamente. Si ritrovò con gli occhi sbarrati quando le labbra di Lionel si poggiarono sulle sue. Ed ecco, capitava ogni volta. Ogni volta che lui la baciava sembrava come se tutto intorno a loro sparisse. Come se fossero loro due in una piccola bolla di felicità.
Si staccarono solo quando la voce di Carlton li interruppe “A questo punto io me ne andrei”
Rimasti soli Agatha rivolse al giovane di fronte a lei uno sguardo interrogativo e allo stesso tempo divertito.
“Cos’è questa novità?”
Lionel ridacchiò, intrecciando le dita con le sue e glissando sulla cosa. “Visto che non c’è quasi nessuno avrei pensato di andare a fare una passeggiata”
La ragazza sembrò piuttosto sorpresa ma in modo piacevole. I cavalli erano sellati, pronti. In breve tempo erano già a cavalcare nel bel mezzo del bosco, immersi nella più totale tranquillità, con il cinguettare degli uccellini intorno e, per la prima volta, senza la paura di essere scoperti.
Si sentiva libera, davvero, e si sentì ancora più libera quando, usciti dal bosco iniziarono a galoppare lungo il profilo della scogliera.
Scesero e legarono i cavalli a due alberi nelle vicinanze poi si avvicinarono al bordo della scogliera per guardare il mare e respirare a fondo quel pungente odore di salsedine. Lionel si voltò a guardarla e pensò che con quei capelli mossi dal vento e con quel sorriso puro e semplice era bellissima. Non era mai stata così bella.
La prese per mano e la condusse verso la radura dove aveva steso una grande coperta con un cesto di vimini con qualche panino, una bottiglia di vino rosso e per concludere quello che sapeva essere il dolce preferito di Agatha: biscotti al limone e miele. Semplici e dolci ma con quel retrogusto aspro che ci stava alla perfezione.
Fu tutto perfetto. Aveva già frequentato qualche ragazzo, solitamente imposto dai suoi genitori ma erano sempre tutti così impostati, così noiosi. E invece quella volta era tutto così splendido, per quanto semplice e fin troppo romantico per i suoi gusti.

Forse è davvero così l’amore.
Lionel la guardò sorridendo e avvicinandosi a quella bocca che l’aveva stregato. “Ancora uno” la pregò.
Agatha ridacchiò “Sì sì, dici sempre così” ma non oppose alcuna resistenza quando lui la baciò mentre piccolissime gocce di pioggia iniziavano a bagnare la loro pelle.

 

Era primo pomeriggio e la leggera pioggerellina che vedeva infrangersi contro i vetri smerigliati aveva spinto gli ospiti rimanenti a non passare il pomeriggio fuori. Christopher decise di fare un breve giro in biblioteca, un paio di giorni aveva notato un libro sulle piante tropicali.
Appoggiò quel librone sul tavolo e iniziò a sfogliare le pesanti pagine, riconoscendo in quelle illustrazioni alcune delle piante e dei fiori che aveva ammirato una decina di anni prima nel suo viaggio in Asia.
In un gesto del tutto automatico e involontario alzò la testa quando Alice Storm gli passò davanti, non ci diede troppo peso finché lei non la vide passargli alle spalle e poi di nuovo davanti, tanto che arrivò a chiudere il libro e chiedere “Posso esservi d’aiuto Alice?”
Lei gli rivolse uno sguardo accigliato “Mi sto annoiando”
Un sorrisetto furbo si dipinse sulle labbra del giovane “Bene bene bene” poi si alzò e aggiunse “Seguitemi”
Non aveva dubbi su dove portarla. La condusse in giardino e poi verso la grande struttura di vetro che ospitava la serra. Quando varcò la soglia Alice rimase interdetta dalla meravigliosa gamma di colori che era sprigionata dai fiori davanti e intorno a lei.
Si soffermò davanti a un vaso che conteneva un fiore particolare, che non aveva mai visto ma che le trasmetteva un senso di eleganza.
“Questa è un’orchidea proveniente dalla Thailandia, cresce lungo le sponde di un fiume…” le spiegò Christopher una volta che si fu affiancato, poi facendo un cenno con la mano gliene mostrò un’altra, di una delicata sfumatura di rosa.
“Questa invece si trova solo in Cina” spiegò di nuovo. La guardò muoversi incantata tra quei fiori e la trovò bellissima con gli occhi illuminati dalla curiosità. Le si piazzò davanti con un gran sorriso ebete mentre accarezzava le foglie di una delicata pianta da tè proveniente dalle Indie e poi di nuovo tornò al suo fianco mentre lo invitava ad odorare un particolare fiore di ibisco. Christopher si chinò e quando si tirò su trovò il viso della giovane straordinariamente vicino, troppo vicino, tanto che non si spiegò minimante il gesto che fece: la baciò.
Alice spalancò gli occhi e dopo aver materializzato cosa stava succedendo arretrò di un passo, si voltò e corse via. Christopher rimase lì, come un baccalà…ma cosa diamine aveva combinato?

 

La carrozza rallentò per passare attraverso un alto cancello in ferro battuto e imboccare il vialetto che conduceva verso l’ingresso del maniero dei Dashwood. Alexander fu il primo a scendere dall’abitacolo e poi porse la mano alla futura moglie e alla sorella per aiutarle a scendere. Avanzò davanti a tutti, dato che formalmente era il capo famiglia. Straordinario come in un attimo era diventato superiore a sua madre e agli amici dei loro genitori.
Mary seguiva il fratello con accanto Cassie, appena varcarono la soglia dell’ingresso vide gli occhi chiari della ragazzina essere catturati dalla magnificenza dell’ambiente, scuro a causa del marmo nero del pavimento e del granito delle colonne. Capitava così a tutti gli ospiti.
“Benvenuta a casa” le disse in tono incoraggiante Mary.
L’altra, che era distratta nel guardarsi intorno la guardò confusa. “Cosa?”
“Questa sarà presto casa vostra” le fece notare.
“Già” replicò Cassie ancora distretta. Le ragazze camminavano lungo le scale dove, in cima, le aspettava Alex quando la bionda notò quasi involontariamente “Sembra piuttosto cupo e triste questo ambiente”
“Cosa?” domandò Alex che era a portata d’orecchio. Aveva sentito benissimo cosa lei aveva detto, infatti quella domanda voleva risultare più una sfida a ripetere.
“Niente” replicò secca lei fulminandolo con lo sguardo.

 

Aveva passato due interminabili ore quella sera ad ascoltare i discorsi dei suoi zii su come si sarebbe dovuto comportare, su come avrebbe dovuto amministrare le proprietà di famiglia o come avrebbe dovuto affidare alcuni compiti da donna a sua madre e poi a sua moglie quando si fosse sposato. La maggior parte della loro parole erano parole vane, tutte cose che sapeva già o che avrebbe potuto intuire facilmente. Oh andiamo, come poteva non sapere che cose come il personale e le provviste dovevano essere compito delle donne? Ma per chi lo prendevano?
Lo trattavano come un ragazzino, non come un loro pari! Avrebbero dovuto portargli rispetto! Avrebbe dovuto dirgli qualcosa, cacciarli se necessario!
Nella foga batté il bicchiere di liquore contro la superficie della scrivania facendo muovere il liquido ambrato, di cui alcune gocce gli bagnarono il polso scoperto dalla camicia bianca che aveva dovuto arrotolare fino al gomito visto quanto gli elfi domestici erano stati zelanti nel riscaldare l’ambiente.
Si passò una mano tra i capelli mentre continuava a guardare i documenti sull’impresa di famiglia. Quelli sì che erano difficili e su quelli nessuno gli aveva dato alcun suggerimento! L’unica cosa che era riuscito a capire è che avevano diversi debiti. Almeno con il contratto stipulato con i Floral ne aveva ripagato uno, probabilmente non sarebbe andato a finire tutto a catafascio nel giro di qualche giorno.
Non riusciva a dormire Cassie, in quel letto che non era il suo, in quella stanza degli ospiti così grande. Aveva calciato via le coperte perché era caldo eppure quella stanza non trasmetteva minimante un senso di calore.
Si rigirò nel letto per un tempo interminabile finché non decise di alzarsi. Andare in esplorazione sarebbe stato senz’altro più interessante che stare lì ad annoiarsi.
Più camminava più realizzava quanto fosse grande quella casa. Sembrava almeno il doppio di Villa Floral anche se, da quello che aveva visto, non aveva la stessa quantità di terreno intorno. Per fortuna era vicino al mare, non avrebbe sopportato di vivere in città dopo un’infanzia trascorsa nella campagna scozzese.
Camminava tranquillamente al secondo piano quando un frusciare di carte attirò la sua attenzione. Proveniva da una stanza illuminata e con la porta aperta. Si affacciò e vide quello che in futuro sarebbe dovuto essere suo marito che appallottolava un foglio e lo lanciava senza guardare minimamente dove infatti Cassie lo evitò per un soffio.
“Alexander” lo chiamò.
Alex sollevò la testa per guardare la giovane in vestaglia con un piccolo candelabro in mano, poi tornò su quei dannati numeri. Non riusciva neanche più a distinguerli!
Cassie si avvicinò di qualche passo e lo vide sbuffare di nuovo. Non sembrava minimamente il ragazzo composto e tutto d’un pezzo che aveva visto fino a poco prima.
“Alexander…va tutto bene?” chiese un po’ intimorita.
“Mi chiedete se va tutto bene? Certo che va bene! Va sempre bene!” dichiarò quasi ridendo, con quel tono che Cassandra riconobbe come alticcio, come quando suo padre tornava tardi dopo che era stato a scommettere sui cavalli. Gli occhi lucidi e leggermente arrossati e la pelle sudaticcia di Alexander non fecero altro che confermare le sue teorie.
“Siete ubriaco?” domandò in mondo retorico accostandosi alla scrivania.
Lui scoppiò a ridere, le afferrò il polso e la attirò a sé.
“Voi che dite?” domandò.

 

Quando aprì gli occhi, quella mattina, Alex non riuscì subito a mettere a fuoco ciò che lo circondava. Sapeva solo che la luce che gli arrivava gli dava terribilmente fastidio. Si schermò gli occhi con la mano cercando di guardarsi intorno. Non ci mise molto a capire che non si trovava assolutamente in camera sua. Era in una delle camere per gli ospiti. Di questo era certo.
Solo una decina di minuti più tardi riuscì ad alzarsi, leggermente più cosciente di quello che era prima e capì subito di chi era quella camera. Riconobbe uno dei vestiti appesi all’anta dell’armadio. Era di Cassandra. Della giovane non vi era traccia.
Si alzò, si rimise gli stivali, la cintura e si precipitò in camera sua. Non poteva certo scendere senza cambiarsi visto che quel giorno avrebbero seppellito suo padre!
Quando entrò nella sala della colazione e i suoi occhi scuri incrociarono un paio molto più chiari e limpidi vide per la prima volta Cassandra Floral sorridergli.

 

 

 

 

Bonsoir miei cari!
Chi non muore si rivede! Avrei voluto pubblicare prima ma non ce l’ho fatta proprio, chiedo umilmente scusa. Mi dispiace anche di non aver risposto alle ultime recensioni ma mi è completamente passato di mente.
Dunque…spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci siano troppi errori (non sono proprio in condizioni di rileggerlo ora).
Prossimamente ci sarà la festa del raccolto, se avete in mente un vestito per i vostri OC mandatemi pure qualche info
Buonanotte
H.

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Capitolo 9
*** Festa del raccolto ***


Avevano seppellito il signor Dashwood solo il giorno prima e già Mary si trovava a dover preparare di nuovo i suoi bagagli. Quel sabato ci sarebbe stata la famosa festa del raccolto a casa Floral e in quell’occasione sarebbe stato ufficialmente annunciato il matrimonio tra suo fratello e Cassandra, tutta la buona società magica era stata invitata quindi era vietato mancare, anche se non aveva la minima voglia di partecipare a un ballo.
Chiuse il baule e scese per la colazione. Si sentì quasi sollevata nel vedere la sala semivuota, la sera prima il parentado aveva finalmente levate le tende e ora la casa era più tranquilla. Si accomodò accanto al fratello, lo aveva visto piuttosto strano in quei giorni ma d’altra parte era normale. Si era ritrovato di punto in bianco a doversi accollare un peso non indifferente. Si servì un croissant che iniziò a sbocconcellare con le mani.
“Mary” la chiamò e lei si voltò con un boccone di brioche ancora in bocca che si sbrigò a mandar giù.
Con un impercettibile movimento delle sopracciglia lo invitò a continuare.
“Ti dispiacerebbe fare il viaggio di ritorno in carrozza con nostra madre? Vorrei restare da solo con Cassandra se non ti spiace”
“Che cosa vuoi fare?”

“Nulla” disse Alex facendo l’espressione più angelica che gli riuscì ma sapeva di non essere riuscito a convincerla visto che lei alzò un sopracciglio con aria scettica.
“E va bene” acconsentì Mary, non senza qualche sospetto.
Dopo la colazione tutti si prepararono per ripartire alla volta delle isole Shetland, le carrozze vennero fatte preparare nel grande piazzale davanti al maniero dei Dashwood in modo che gli elfi domestici potessero caricare tutti i bagagli. Cassie fu la prima a salire in carrozza mentre Mary ammiccò al fratello prima di fare altrettanto.
“Vostra sorella non si unisce a noi?” domandò Cassie quando Alexander chiuse la porta della carrozza.
Mentre si sedette lui rispose “No, ha preferito viaggiare con nostra madre, per non farla sentire troppo sola”
“Comprendo…” sorrise Cassie.
La carrozza iniziò a muoversi e a percorrere la breve strada sterrata che conduceva al cancello e quindi al limitare della proprietà. Cassie si sporse verso il finestrino alla vista del cane che inseguiva la vettura.
“Sono i cani da caccia di mio padre, o meglio lo erano”
Avrebbe voluto essere più seria e sfoggiare un’espressione compassionevole ma quando uno dei cani fece un salto tale da arrivare all’altezza del finestrino, Cassie non riuscì a non farsi scappare una risata.
Quella risatina, quel suono cristallino risvegliò un ricordo nella mente di Alexander, un ricordo legato alla sera precedente.

“E così mi ha detto che non ero all’altezza” aveva raccontato mentre Cassie lo faceva mettere seduto sul letto e si chinava per togliergli gli stivali.
“Deve essere una donna di una statura considerevole” affermò lei con la massima serietà. Alzando lo sguardo sul ragazzo vide che lui era rimasto come bloccato. E guardandosi a vicenda scoppiarono a ridere nello stesso identico momento.

Non poteva crederci di averle raccontato del suo passato, in preda ai fumi dell’alcol. E lei si era limitata a scherzarci, a ridere sopra, lasciando volare via la cosa con la leggerezza che la contraddistingueva.
Il viaggio proseguì in modo piuttosto tranquillo. Non parlarono molto ma il clima sembrava più disteso rispetto a quello del viaggio di andata. Alex non l’aveva nemmeno rimproverata per quel modo scomposto di sedersi, visto che non li vedeva nessuno.
Si fermarono dopo il primo giorno di viaggio per riposare e a quel punto non riuscì a non fulminarla con lo sguardo quando convinse anche Mary a togliersi le scarpe e a bagnarsi i piedi nell’acqua fredda del fiume che scorreva nel paese dove avevano deciso di sostare per la notte.
Era seduto su un tronco spezzato poco distante dalle due giovani perciò udì, anche se solo flebilmente, Cassandra dire “Vostro fratello ci sta guardando come se stessimo facendo di inappropriato” e in effetti era vero ma gli scappò subito un sorriso.
“In effetti per i canoni della nostra famiglia noi stiamo facendo qualcosa di decisamente inappropriato” ridacchiò lei sottolineando le ultime due parole. Forse una ventata di novità avrebbe fatto bene al suo fratellino.

 

A Villa Floral fervevano i preparativi per la Festa del Raccolto, la serata che attirava decine e decine di ospiti illustri, ancora di più quest’anno che si sarebbe festeggiata l’unione di due famiglie.
Dirigere la casa e gli elfi domestici, scegliere tovagliati e centrotavola fu una sottospecie di tortura per Agatha tanto che si domandò come faceva sua madre a farlo tutti i giorni.
Anche se il più era stato fatto tirò un sospiro di sollievo quando, quel sabato mattina, un piccolo gruppo di carrozze riattraversò i cancelli di Villa Floral e sua madre poté riprendere le redini della casa. Non aveva la minima voglia di accogliere gli ospiti che sarebbero arrivati lo stesso pomeriggio, e in più doveva ancora decidere come vestirsi!
Un piano più su Alice osservava il vestito color avorio appoggiato sul letto. Sua madre l’aveva pregata di mettere un costoso e opulento abito verde smeraldo ma lei aveva deciso di indossare invece il suo preferito, più semplice e comodo.
Si vestì, si truccò e si acconciò i capelli per poi guardarsi allo specchio e, soddisfatta del suo lavoro, scendere al piano terra.
Era in cima alle scale quando vide di sotto Christopher che attraversava l’atrio, allora si nascose dietro l’angolo. Lo evitava da qualche giorno, da quando lui l’aveva baciata. Certo era stato piacevole, le aveva trasmesso una strana sensazione di formicolio, come una piccola scossa elettrica che le attraversava tutto il corpo. Ma cosa andava pensando? Lei non era minimamente interessata ai ragazzi! Anche se doveva ammettere che Christopher era più un uomo che un ragazzo…no, non aveva bisogno di nessun uomo!
Entrata nel salone i suoi occhi corsero subito alla poltroncina dove c’era suo fratello, seduto che fumava un sigaro. Sapeva che non sarebbe stata una serata facile per Markus perché le feste lo disturbavano, quella in particolare.
“Va tutto bene?” gli domandò accomodandosi sul divanetto lì accanto.
Markus non si voltò minimamente verso la fonte della voce e si limitò ad annuire. Avrebbe voluto dirgli qualcosa ma vennero interrotti dal chiassoso arrivo delle altre due sorelle Storm.

Il salone da ballo si riempì ben presto di ospiti. Evelyn se ne stava appoggiata ad un colonna, non era particolarmente entusiasta all’idea di ballare con qualcuno, infatti declinò l’invito di un paio di giovani a danzare. Riuscì anche a sfuggire ad un ragazzo che sua madre voleva presentarle ma ormai annoiata si avvicinò ad un cameriere che serviva da bere. Prese un bicchiere e fece un giro per la sala, zigzagando tra qualche conoscente salutato rapidamente e altri membri di aristocratiche famiglie purosangue riuscì a raggiungere la saletta accanto, dove il chiacchiericcio non era così forte, anzi era la musica ad avere la prevalenza. Fu lì che individuò la sua migliore amica Victoria Foster, che danzava con un quello che sapeva essere il primogenito dei McMillan, uno dei migliori partiti presenti sul “mercato”. Vicky la individuò durante un giro di valzer e la raggiunse appena la musica cessò.
“Vedo che hai messo gli occhi sul premio più ambito della sala” la prese in giro.
Victoria ridacchiò poi si voltò di nuovo verso l’uomo che si era allontanato “Con quel fisico è un tale peccato che sia così stupido”
“Non essere sciocca, è semplicemente un uomo” sibilò Evelyn.
“Il giorno in cui ti innamorerai non parlerai più con toni così aspri” commentò l’altra prima che il giovane McMillan si avvicinasse di nuovo per invitarla a danzare.
Attraversò la sala gettando una rapida occhiata a Mary che danzava con un uomo visibilmente più grande di lei e che non sembrava gioire minimamente di quell’accoppiata.
“Signorina Turner”
La ragazza si scosse e spalancò gli occhi quando un ragazzo le si affiancò. Un sorriso leggermente irritato si dipinse sulle sue labbra nel riconoscerlo ma le buone maniere le imposero di fare un piccolo inchino e salutarlo con rispetto
“Signor Murray”
Lui si schiarì brevemente la voce. “Posso dire che siete incantevole questa sera? L’aria di campagna vi dona”
“Si tratta senz’altro di aria più pulita rispetto a quella che si respira in città” commentò alludendo alla loro comune provenienza.
“Ma di certo la compagnia non è così interessante visto che siete fuori dal mondo” aggiunse lui mentre la seguiva verso un corridoio esterno alla sala.
Evelyn sperava di liberarsi di lui in fretta vista come era finita l’ultima volta che si erano visti. Aveva rifiutato il suo corteggiamento già varie volte, ritenendolo di base un uomo grottesco che credeva di poter comprare tutto in forza della rendita che possedeva.
Come aveva fatto anni prima lui si avvicinò fin troppo alla giovane e, esattamente come qualche anno prima, Evelyn perse il controllo e quando lui afferrò un lembo della sua sottana tra due dita le venne spontaneo lanciargli addosso il contenuto del suo bicchiere. Ancora scossa lo vide andar via.
“Sprecare questo delizioso vino elfico in un tal modo è un vero peccato” commentò qualcuno alle sue spalle.
Evelyn si voltò e incrociò gli occhi divertiti di un ragazzo che non le era poi così familiare ma che sapeva appartenere alla famiglia Black. Non riuscì a fare a meno di sorridergli divertita ma con una punta di orgoglio.
Il giovane si avvicinò e accostò il suo bicchiere a quello di lei. Il gesto che fece la lasciò incapace di proferir parola; lui inclinò il suo bicchiere versando un po’ del liquido rosso scuro in quello di lei.
“Ecco, ora potete tornare a godervi la serata” le suggerì prima di allontanarsi mentre Evelyn lo guardava rapita.

 

Carlton si sentiva un pesce fuor d’acqua a quelle feste. Non amava tutta quella confusione e la profusione di giovani donne che starnazzavano come oche anche se visto come si comportavano sembravano più pavoni imbellettati e ingioiellati.
Molte di loro se ne stavano sedute sulle sedie addossate alla parete guardando i giovani scapoli come se questi ultimi fossero succulente bistecche.
Lui non si sentiva particolarmente osservato, forse il suo carattere schivo gli aveva procurato una pessima fama tra le ragazze ed era piuttosto soddisfatto della cosa.
Aveva passato la maggior parte della serata confondendosi nella mischia ma i canapè che erano stati serviti si erano rivelati più sapidi del previsto e ad un certo punto si trovò costretto ad avventurarsi alla ricerca di un po’ d’acqua.
Mentre attraversava il salone principale una strana sensazione si irradiò in lui, sentì come una specie di prurito dietro al collo, come se si sentisse osservato. Si girò alla ricerca della fonte di quella sensazione e non ci mise molto a individuare Marianne Dashwood che, accortasi che finalmente il suo sguardo era ricambiato e alle spalle del suo cavaliere, gli mimò senza voce “Aiutatemi, vi prego”
Carlton si guardò intorno per accertarsi che Mary stesse parlando proprio con lui ma visto che non c’era nessuno di sua conoscenza nei paraggi si arrese all’evidenza. In effetti la giovane sembrava piuttosto in difficoltà e per sottrarla al suo cavaliere c’era un unico modo. Non appena la musica si interruppe, Carlton prese un bel respiro e si avvicinò. Si schiarì appena la voce ed il cavaliere di Mary si voltò curioso verso di lui ma Cal lo ignorò e rivolse la sua attenzione direttamente su di lei.
“Signorina Dashwood, mi chiedevo se foste disposta a concedermi il prossimo ballo…”
Prima che Carlton o l’altro uomo potessero aggiungere altro Mary si affrettò a rispondere che accettava con piacere.
“I miei piedi ringraziano sentitamente” sospirò Mary mentre Carlton posava in modo molto leggero la mano dietro la schiena di lei.
“Non sono molto bravo a ballare. Non considero la danza un diletto adatto a me” si giustificò Carlton, per una volta imbarazzato.
Dopo i primi movimenti impacciati Carlton si accorse che aveva iniziato a muoversi con maggiore sicurezza e aveva rafforzato la presa sul corpo di Mary, lasciandosi avvolgere dalla musica e dal dolce profumo di lei. E doveva ammettere che lei, avvolta in quell’abito di quel colore che non sapeva se definire bordeaux o marrone era davvero meravigliosa. Improvvisamente ballare era diventato piacevole.

 

Alex si allacciò gli ultimi bottoni della camicia e si preparò ad uscire dalla camera. Sapeva che la festa era in pieno svolgimento ed era quindi il momento di scendere ad annunciare il fidanzamento e prendere parte ai festeggiamenti.
Uscì nel corridoio e in cima alle scale attese l’arrivo della sua futura sposa. La vide uscire poco dopo. Qualche uccellino doveva aver rivelato a Cassandra che il verde smeraldo era il suo colore preferito, dato che indossava un abito proprio di quel colore. La gonna ampia la faceva sembrare ancora più piccola di quello che era in realtà ma doveva ammettere che, con i capelli raccolti e le labbra dipinte di rosso aveva un che di magnetico.
Cassie si avvicinò e sorrise mentre Alex prendeva e baciava la mano che lei gli aveva porto.
La esaminò velocemente con lo sguardo e le ordinò “Troppi gioielli, toglili”
Quella frase ferì appena Cassie, non per il contenuto, anche lei aveva giudicato quei gioielli come troppi e troppo appariscenti ma sua aveva insistito. A ferire Cassie fu il tono usato dal fidanzato, un tono che la faceva sentire piccola e insignificante.
Nonostante ciò prese tornò in camera, si tolse tutti quei ninnoli e indossò un semplice paio di orecchini e tornò fuori, stampandosi addosso un sorriso.
“Siete pronta?” le domandò Alex.
Cassie annuì e i due scesero a braccetto le scale per poi venire annunciati ed entrare nel salone dove tutti gli si attorniarono per congratularsi, primi fra tutti Agatha, i signori Floral e la signora Dashwood.
Dopo un breve ballo il lungo cerimoniale di saluti continuò senza sosta, un continuo susseguirsi di saluti e congratulazioni che durò ore.
Non conoscevano la maggior parte di loro ma tutti conoscevano loro o meglio i loro genitori. Ad un certo punto si separarono per continuare a parlare con i singoli ospiti
.

 

Agatha scivolò dietro una delle tende e, attraverso una porta finestra laterale, uscì sul grande terrazzo che si affacciava sul giardino. Non ne poteva più di ballare con perfetti sconosciuti che si adoperavano in salamelecchi vari. Almeno era riuscita a togliersi di dosso Frederick Shafiq nascondendosi lì. In un gesto del tutto naturale i suoi occhi puntarono verso le scuderie ma notò con rammarico che tutte le luci erano spente, probabilmente, vista l’ora, anche Lionel era andato a letto. Sospirò delusa, appoggiandosi alla balaustra di marmo chiaro. Poi la vide. Una figura in piedi, nascosta dietro la fontana nel bel mezzo del giardino che sembrava guardare in direzione dei grandi finestroni della sala da ballo. Era sicura che fosse lui. Lo avrebbe riconosciuto anche a occhi chiusi.
Scese le scale piano. Lionel era ancora intento a guardare verso il finestrone principale come in trepidante attesa di vederla dietro una di quei vetri. Non si aspettava la sua voce che lo chiamava dal suo stesso livello, lontano dal lusso e dalla festa.
“Lionel…”
Il ragazzo si voltò e i suoi occhi si illuminare nel vedere quanto era bella Agatha con quel lungo abito color panna, tagliato appena sotto il seno e con il corpetto tempestato di pietre che luccicavano sotto la luce della luna.
“Siete bellissima”
“Grazie” rispose lei imbarazzata. Non era abituata a ricevere complimenti soprattutto non da qualcuno che sembrava volerla mangiare con il solo sguardo.
“E’ bella la festa?” le domandò con le mani in tasca.
“Noiosa, a dire il vero” sorrise lei, sorniona. Lionel ricambiò il sorriso, stando al gioco.
“Vi va di fare una passeggiata?”
“Ma certo”
In un attimo sparirono nelle ombre della notte, nella zona del parco di Villa Floral che le lanterne non arrivavano ad illuminare e, finalmente lontano da occhi e orecchi indiscreti, poterono tornare ad essere loro stessi.
“Allora, dove mi stai portando?” domandò Agatha mentre camminavano mano nella mano.
Lionel le rispose con voce suadente “Ovunque e da nessuna parte”
Quelle parole non fecero altro che suscitare maggiore interesse nella giovane che arricciò leggermente le labbra, curiosa di scoprire cosa avesse in mente.

 

Dopo aver chiesto anche a sua sorella se aveva visto Alice Storm in giro l’aveva trovata nella sala più piccola mentre ballava insieme alle sorelle sulle note di una musica piuttosto allegra e movimentata, scelta ormai per chi aveva resistito fino a quell’ora della notte. Da una parte gli dispiaceva interromperle ma era l’unico modo per far sì che lei non gli sfuggisse dopo che lo aveva evitato tutta la sera, come anche i giorni precedenti.
Alice se lo ritrovò venirle incontro ma non poté spostarsi insieme ad Alexandra e Violet ma non avrebbe mai immaginato che Christopher avrebbe avuto l’ardire di interromperle mentre danzavano.
“Alice, posso parlarvi?”
Le due sorelle più grandi ammiccarono verso di lei e in tutta risposta Alice cercò di fulminarle con lo sguardo.
“In privato” specificò Christopher.
La ragazza balbettò una risposta affermativa prima che lui le prendesse la mano e la condusse in un salottino privato lì accanto.
“Perché mi ignorate?” domandò appena Alice si fu chiusa la porta alle spalle.
Dato che lei non rispose incalzò “Mi evitate da quel giorno nella serra, perché? È stato tanto brutto?”
Ascoltando quelle parole Alice non riuscì a frenare la propria lingua e le venne naturale rispondere di no. In effetti in quei giorni aveva avuto modo di ripensare a quel bacio e ancora ricordava la sensazione delle labbra di Christopher sulle sue. Era stata la cosa più magica che avesse mai provato.
“E allora?”
“Ve l’ho detto. Non sono interessata a un fidanzato o all’accenno di qualsiasi cosa che potrebbe portare ad un matrimonio. Io sono Alice Storm, non voglio essere la signora prego-inserire-il-nuovo-cognome! Non voglio vivere nell’ombra di un uomo! Ho visto i matrimoni dei nostri genitori. Mia madre non ha fatto altro che sfornare figli e meno esprime la sua opinione meglio è! Non voglio una vita così”
“E non sarà così” cercò di dire lui.
“Promesse, solo promesse” disse con amarezza prima di uscire dalla stanza lasciandolo solo e incredulo.

 

Con tutta quella confusione gli era scoppiato un fortissimo mal di testa. Era sempre così, ad ogni festa a cui si sentiva costretto a partecipare.
Markus si alzò dalla sedia dove era seduto e usò il bastone per guidarsi fino alla grande terrazza che dava sul giardino. Magari l’aria fresca lo avrebbe aiutato, come faceva di solito. Per una volta era contento di non poter vedere, poteva solo immaginare quanto sarebbe stato difficile guardare Cassandra e Alexander che facevano la coppietta felice.
Si appoggiò alla balaustra di marmo respirando a fondo l’odore dell’erba e del rampicante che avvolgeva i corrimano delle scale per il giardino.
Udì un paio di passi alle sue spalle ma dato che non gli suonarono familiari decise di ignorarli, finché una voce alle sue spalle gli domandò.
“Odgen Stravecchio, signore?”
Declinò l’offerta ma almeno l’interruzione da parte del cameriere gli servì per dare una collocazione temporale; erano arrivati al cioccolato, ai sigari e all’Odgen, non mancava poi molto alla fine della festa.
Era talmente sovrappensiero con badò molto agli altri passi e si limitò a dire “Ho detto che non lo voglio”.
“Volere cosa?” chiese la familiare voce di Cassie.
Markus si voltò verso di lei e balbettò “Mi dispiace…era solo per un cameriere”
La ragazza ridacchiò e andò ad appoggiarsi anche lei alla balaustra.
“Non riuscivo a resistere lì dentro, l’aria era diventata irrespirabile a causa del fumo dei sigari”
“Capisco” commentò passivamente Markus
Dopo qualche attimo di silenzio fu Cassandra a parlare. “Voi come state?” chiese sinceramente interessata. Aveva dovuto ammettere che un pochino le era mancato in quei giorni ma sapeva che era necessario mettere della distanza tra loro.
“Sto bene” mormorò.
“State cercando di convincere me o voi?” e in un gesto involontario appoggiò la mano su quella di lui che sentì subito la sensazione di qualcosa di metallico sulla mano. Un anello di fidanzamento.
Con un tempismo a dir poco perfetto Alex uscì sulla terrazza e assistette alla scena e richiamò subito la sua fidanzata.
“Cassandra!”
Lei si voltò impaurita. “Alexander, non stavamo facendo niente di male”
“Ne parliamo dentro” rispose lui burbero. Cassandra si scusò velocemente con Markus e seguì Alexander fino allo studio di suo padre.
Era furioso.
“Ti ho detto di stare lontana da lui! Mancano solo quattro settimane al matrimonio! Se fosse uscito qualcun altro cosa avrebbe visto? Una donna quasi sposata molto molto vicina ad un altro uomo”
“Io…non ci ho pensato” ammise Cassie abbassando lo sguardo.
“Esatto! Non avete pensato!”
Cassie cercò di avvicinarsi e appoggiare una mano sul suo braccio “Alexander…mi dispiace” ma lui la scansò malamente.
“Smettetela di scusarvi e iniziate a comportarvi come una donna, non come una bambina!” le urlò contro. Gli occhi azzurri di Cassandra si riempirono di lacrime. Aveva toccato un tasto dolente. Essendo lei la più piccola in famiglia era stata trattata sempre come una bambina, come se non fosse in grado di prendere decisioni importanti da sola, come se fosse stata una specie di bambolina nelle mani altrui e quella storia del matrimonio combinato ne era la conferma.
Non pianse, non di fronte ad Alex. Non voleva dargli la soddisfazione di vederla colpita perciò si allontanò dove nessuno poteva vederla prima di crollare.

All’interno della villa la festa era proseguita per tutta la notte mentre Lionel e Agatha avevano passato quelle ore a camminare mano nella mano e a parlare. Avevano parlato di tutto, delle loro famiglie, delle loro passioni e dei loro sogni. Avevano parlato liberamente, senza freni e preconcetti. Era diverso che parlare con tutti gli altri bellimbusti con cui aveva sempre avuto a che fare.
Se ne stavano seduti su una coperta sul prato, nella radura dove avevano fatto il pic-nic solo qualche giorno prima quando le prime luci dell’alba schiarirono il cielo, rivelando la bellezza del paesaggio intorno a loro anche se la mente di Lionel non poteva non correre alla bellezza della ragazza al suo fianco.
“Agatha” la chiamò dopo qualche attimo di silenzio. Lei si voltò e lo guardò perplessa.
Lionel sorrise e le prese le mani tra le sue parlando letteralmente con il cuore in mano. “Agatha…tu sei speciale, diversa da tutte le altre ragazze del tuo rango. So di non meritarti, di non esserne all’altezza ma vorresti passare il resto della tua vita con me? Vorresti diventare mia moglie?”
Agatha sbatté un attimo le lunghe ciglia. Ci mise qualche secondo a comprendere cosa lui le stesse veramente chiedendo ma prima ancora che il suo cervello elaborasse il tutto, si ritrovò ad abbracciarlo di slancio, annuendo con la testa. Non era la proposta che ogni donna avrebbe sempre sognato, con fiori, candele e cioccolatini ma a lei bastava. Era tutto splenido così com'era.
Poi si baciarono e come sempre il mondo intorno a loro sparì.
Quando le labbra di Lionel si spostarono sul suo collo, percorrendone tutta la lunghezza, un brivido di piacere scosse tutto il corpo di Agatha che in un attimo si ritrovò con Lionel sdraiato sopra di lei. Le mani di Lionel che percorrevano le sue gambe nude sotto la gonna le provocavano una sensazione così nuova eppure così bella.
Spogliati dei loro vestiti e delle loro differenze di rango e finalmente insieme erano perfetti.
Ci fu un attimo, un attimo solo in cui Agatha si chiese come qualcosa di così bello potesse essere così sbagliato ma poi i corpi dei due amanti si fusero insieme e tutto il resto non aveva più importanza. C’erano solo loro in quel momento magico.

 

Dopo quello che era successo Agatha non poteva certo rientrare in casa come se niente fosse, ancora con il vestito della festa addosso e con quel sorriso da orecchio a orecchio su cui tutti si sarebbero interrogati. Si smaterializzò in camera sua e gli occhi vennero catturati subito dal letto sfatto. Capì subito che sua sorella era alle sue spalle ancora prima che Cassandra esordisse con un “Dov’eri?” ma come faceva sempre quando era arrabbiata Cassie non le diede il tempo di replicare che continuò “Eri con lui vero?”
Agatha si sentì come una bambina colta con le mani nella marmellata e si limitò ad annuire non riuscendo a togliersi quel sorrisetto dalle labbra, sorriso che sparì immediatamente appena la sorellina alzò gli occhi su di lei. Aveva un’espressione delusa…ma cosa era successo mentre lei era via?
“Ti ho cercata…avevo bisogno di te ma tu non c’eri”
“Cassie mi dispiace, non potevo saperlo”
Scuotendo leggermente la testa Cassie disse “Non importa”
Agatha cercò di avvicinarsi a lei “Ma certo che importa…” provò a dire ma la sorellina la scansò allontanandosi.
“Lascia stare” disse cupa dirigendosi verso la porta. Era visibilmente arrabbiata.
Aggiunse solo “Papà ti cercava. Gli ho detto che non ti sentivi bene ed eri andata a riposare” poi aprì la porta e se ne andò sbattendola.
Agatha si lasciò cadere sul letto passandosi una mano sugli occhi e poi tra i capelli. Non sapeva se definirla una litigata quello che era appena successo tra lei e Cassandra. Certo non era la prima volta che battibeccavano e sapeva come andava a finire, non riuscivano a restare arrabbiate e a tenersi il broncio per più di dieci minuti. Era andata sempre così, finora.

 

Buongiorno,
avrei voluto pubblicare ieri sera ma il sonno ha avuto la meglio su di me.
Non voglio anticipare nulla per evitare spoiler ma vi dico che il prossimo capitolo si intitolerà “Tempesta in arrivo” (e intanto rido stile grinch)
Buona giornata
H.

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Tempesta in arrivo ***


Carlton se ne stava seduto sul letto, si era a malapena tolto gli stivali e teneva lo sguardo fisso nel vuoto. Era la prima volta che passava praticamente tutta la notte ad una festa e ballando per giunta! Se ripensava a quello che era appena successo gli sembrava tutto troppo assurdo per essere reale.
Non era il tipo da godersi le feste ma dopo il primo ballo con Mary, complice anche la presenza insistente del tipo da cui l’aveva “salvata” ne erano seguiti uno e poi un altro e un altro ancora.
Non poteva negare che era stato piacevole e al passare delle ore la cosa gli era sembrata sempre più naturale e giusta. Solo alla fine della festa si era accorto che aveva avuto per tutto il tempo uno stupido sorriso ebete. Doveva aver fatto la figura dell’idiota.
Però…anche Mary sorrideva…ed è sempre così bella quando sorride…
Con un leggero sbuffo Carlton si buttò all’indietro, quasi rimbalzando con la schiena contro quel materasso troppo morbido per i suoi gusti, diede un colpo di bacchetta verso la tenda che si aprì quel tanto che bastava a far filtrare un po’ di luce.
Era passato da fissare il muro a fissare il baldacchino che sovrastava il letto, di quel verde così intenso che gli ricordava terribilmente gli i grandi e dolci occhi di Lady Marianne Dashwood. Ma cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva a smettere di pensare alla ragazza? Che poi non era una ragazza ma una bellissima giovane donna.
La sua mente gli palesò davanti gli occhi l’immagine di Mary e il battito del suo cuore accelerò all’improvviso. Cercò di scacciare quel pensiero. Marianne era bellissima, socievole ed estroversa, il suo esatto opposto, avrebbe potuto avere il mondo ai suoi piedi…perché doveva anche solo guardare uno come lui?
Era anche vero che aveva chiesto aiuto a lui e non a qualcuno dei numerosi imbellettati presenti la sera precedente.
Doveva parlarne con qualcuno. E gli veniva in mente una sola persona. Scese dal letto e si recò verso la scuderia nella speranza di trovare Lionel al lavoro.
Entrò chiamandolo ma senza ottenere risposta, guardando in giro lo vide che sonnecchiava seduto su una balla di fieno all’interno di uno dei box dove tenevano l’attrezzatura.
Tutto quel fieno a terra e quello sporco gli creavano non pochi problemi, non riusciva a impedire alle sue labbra di piegarsi in una smorfia di leggero schifo.
“Lio” lo chiamò scuotendolo piano.
Lo dovette chiamare una seconda volta prima che lui aprisse gli occhi di botto e si scuotesse domanda “Che c’è?”
“Devo parlarti” disse Carlton sedendosi suo malgrado su un altro cumulo di fieno.
Lionel si mise seduto meglio, cercando di leggere nello sguardo del fratello cosa voleva dirgli e la prima cosa che gli venne in mente fu il ballo della sera prima.
“Come è andata la festa?”
“Bene” si limitò a rispondere Carlton cercando di apparire il più naturale possibile ma Lionel lo conosceva meglio di chiunque altro quindi ricambiò con “Bene o bene?” fece passando da un tono piatto a uno di un’ottava superiore.
“Bene” rispose di nuovo lui con lo stesso identico tono di prima.
“Ha a che fare con una donna?”
Carlton impallidì, spalancando gli occhi e Lionel seppe di aver fatto centro.
“Allora…quale delle gentili donzelle ospiti in casa Floral ha attirato l’attenzione di Carlton-tutto d’un pezzo- Holmes?”
Il maggiore abbassò lo sguardo per non far vedere quanto era in imbarazzo mentre invece Lionel incrociò le braccia incitandolo “Forza…sto invecchiando qui”
“Mary” disse alla fine Cal.
“Bene bene bene” fece l’altro con un sorrisetto, cosa che gli fece guadagnare uno sguardo di rimprovero. Lionel capì che suo fratello non aveva affatto voglia di scherzare.
“Beh prova a invitarla fuori a fare una passeggiata o qualcosa del genere…va spesso a cavallo, sai?”
“Lo sai che non amo i cavalli…”
“Non ami i cavalli, non ami lo sporco, non ami l’aria aperta…ma credo che se fossi con lei li ameresti almeno un po’”
Carlton annuì mentre nella sua mente si faceva strada l’idea che dovesse per forza cambiare per tentare di piacerle.

 

Nonostante avesse passato la notte completamente sveglia, Agatha non era riuscita a chiudere occhio quella mattina ma non si era comunque mossa dalla sua camera, un po’ anche per confermare la storia del suo lieve malessere della sera prima.
Si rigirò coprendosi il capo con la trapunta color salmone che sua madre aveva voluto far mettere per forza perché particolarmente adatta ad una ragazza.
Aveva ancora addosso le sensazioni di quella splendida notte o meglio di quella splendida alba ma adesso il suo cervello si stava lentamente riattivando e le sembrava veramente incredibile quello che era successo, aveva davvero accettato la proposta di matrimonio di Lionel. Se avesse visto la situazione dall’esterno l’avrebbe giudicata una vera e propria follia ma adesso che ci stava dentro vedeva tutto in modo molto meno lucido. Sposare un uomo che fondamentalmente non aveva nulla da offrirle era una vera e propria follia, sarebbe stato sicuramente più giusto sposare il solito damerino ma nessuno dei ragazzi che l’avevano corteggiata le avevano mai fatto provare qualcosa di così…intenso. Con Lionel poteva essere se stessa, senza badare a come camminava, come parlava o come era vestita. Forse era così che Vincent si era sentito a suo tempo, evidentemente con quella donna che aveva sposato e di cui lei non conosceva neanche il nome, si era sentito libero e vivo più che mai.
Un leggero bussare alla porta attirò la sua attenzione e appena dopo che rispose “Avanti” spuntò la figura di Mary Dashwood.
“Ciao” la salutò con un caldo sorriso che Agatha ricambiò subito, Mary continuò chiedendole come stava visto che aveva sentito dire che la sua amica non stava molto bene.
“Sto meglio” affermò la biondo da dentro al letto ma seppe di essere stata poco convincente quando l’amica alzò un sopracciglio con fare scettico.
Mary si avvicinò al letto guardando di sottecchi Agatha “Vorresti farmi credere che la tua sparizione di ieri sera non ha niente a che fare con un bel giovane?”
Prima che l’altra potesse rispondere Mary aggiunse spalancando gli occhi “Oddio, non dirmi che si tratta di Mr. Dalton… le voci non fanno altro che dire che è molto innamorato di te!” trillò ammiccando.
Agatha rimase leggermente spiazzata, senza sapere cosa rispondere. Insomma, non poteva certo dirle che era totalmente fuori strada e che aveva trascorso la serata con il suo futuro marito, un semplice stalliere, un figlio illegittimo e non l’erede di una grande casata.
Si era creato un attimo di silenzio tra le due che Mary interpretò, con gran sollievo della sua migliore amica, come la volontà di tenere tutto per sé.
“Oh andiamo, vuoi davvero tenerti tutte le cose interessanti per te?”
Agatha gongolò nel tentativo di assecondare la cosa, in realtà avrebbe voluto parlarle di Lionel ma, per il momento, meno persone sapevano meglio era.
Alla fine Agatha decise di alzarsi e di vestirsi per unirsi a Mary e a chi aveva deciso di passare la giornata in casa visto che il meteo sembrava intenzionato a peggiorare.
Scesero nella grande biblioteca e si accomodarono su un paio di poltroncine di broccato blu per leggere qualcosa, visto che c’erano tutti gli ospiti in giro Mary non si era portata uno dei suoi libri babbani e quindi dopo un po’ si avventurò alla ricerca di qualcosa di interessante da leggere.
Agatha ne approfittò per mettersi in pari con un romanzo che aveva cominciato a inizio estate e che aveva messo da parte a causa di alcuni “ospiti”. Era immersa nella lettura ma la voce di sua sorella le arrivò ancora prima che la figura di Cassie entrasse nel suo campo visivo.
“Un gufo è appena arrivato dal Ministero. C’è una tempesta in arrivo e raccomandano che tutte le persone restino dentro casa” affermò avvicinandosi alla finestra. La minore si guardò intorno ma stando attenta a non incrociare gli occhi della sorella, sicura di non essere udita Cassie suggerì ad Agatha “Fai rientrare Lionel, c’è posto per dormire negli alloggi vicino le cucine”
Non l’aveva guardata ma Agatha intuì che quel passo, quella cosa detta da quella piccola orgogliosa di sua sorella era il segno che Cassie voleva fare pace, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Era sempre stato così, fin da quando erano più piccole. Bisticciavano e si mettevano il broncio ma non stavano mai più di un giorno senza parlarsi, erano troppo orgogliose per chiedersi scusa direttamente quindi magari una andava dall’altra con un biscotto al cioccolato o uno zuccotto di zucca da dividere.

 

Nel frattempo Mary si muoveva tra gli scaffali, passando da una stanza a un’altra i suoi occhi si posarono su Carlton Holmes completamente catturato dalla lettura. Non si accorse minimamente quando lei gli passò accanto e poi si piazzò dietro di lui. Mary sbirciò oltre le spalle del ragazzo, tutte quelle scritte strane, sembrava quasi un trattato scientifico, scritto in una lingua tutt’altro che comprensibile.
“È interessante?” chiese la ragazza candidamente.
Carlton si voltò di scatto, leggermente spaventato e non riuscì a trattenersi dal balbettare mentre rispondeva “Sì, piuttosto interessante”
La ragazza piegò la testa curiosa mentre si appoggiava con le braccia allo schienale della poltrona. “Strano perché sembra scritto in una lingua che non è la nostra”
Carlton le riservò un sorrisetto che aveva un che di beffardo che mandò un attimo in confusione Mary.
“Certo voi preferite letture di altro genere…oserei dire di altre…origini?”
La giovane sgranò gli occhi domandandosi cosa sapesse lui. Il suo cervello si oscurò per un attimo, era mere parole buttate lì o Carlton Holmes sapeva che lei e suo fratello leggevano libri babbani? E se lui lo sapeva allora potevano saperlo anche tutti gli altri.
Prima che potesse parlare Carlton, come se le avesse letto nel pensiero, dissipò i suoi dubbi “Vi ho vista leggere libri babbani” poi aggiunse “Non credete che sia una cosa…strana?” Il fatto che per la seconda volta nel giro di pochi minuti lui avesse ponderato attentamente le parole da usare la fece sorridere.
“Non avete mai letto un libro babbano vero?”
Carlton tentennò prima di ammettere che no, non aveva mai letto un libro babbano, non ci aveva neanche mai pensato, non aveva mai provato curiosità verso ciò che accadeva al di fuori del suo mondo, sapeva solo che la regina era una babbana di nome Victoria e che la Ministra della Magia Orpington incontrava spesso il primo ministro britannico, un certo Russell ma no, non si era mai interrogato sulla letteratura non magica.
“Aspettatemi qui” disse improvvisamente Mary per poi sparire con un pop. Solitamente nessuno si smaterializzava all’interno della casa di altri perché era considerato molto sconveniente comparire all’improvviso senza essere annunciati.
Marianne Dashwood ricomparve qualche istante più tardi con un libro tra le mani, allungò un braccio porgendolo a Carlton, che appoggiò il suo libro sul tavolino di cedro lì accanto e diede un’occhiata scettica al volume babbano.

The Lancashire Witches
Lei lo guardò analizzare la copertina del libro, aprirlo e poi guardarla interrogativo. Carlton voleva sapere perché lei avesse scelto proprio quella lettura.
Mary fece spallucce, non voleva dare troppe spiegazioni ma disse semplicemente “Leggere come i babbani ci vedono, o meglio ci vedevano, è incredibilmente affascinante”
Carlton sembrò rifletterci su mentre sfogliava qualche pagina del libro.
“Non avete mai pensato che anche i non magici sanno realizzare qualcosa di grandioso, vero? Non credete che sia un po’ presuntuoso pensare che noi siamo gli unici intelligenti?” lo provocò con un sorriso ma Carlton reagì in modo lievemente permaloso “Semplicemente non mi è mai venuta la curiosità” si giustificò. Quando vide il sorriso sulle labbra di Mary allargarsi Carlton si sentì confuso.
“Tenetelo. Leggetelo e fatemi sapere cosa ne pensate”
Gli occhi del giovane Holmes si spostarono ritmicamente dal libro al viso della ragazza.
“Tranquillo. Io l’ho già letto. Scommetto che vi piacerà…sono pronta a scommetterci qualsiasi cifra…che ne dite di 10 falci?”
A Carlton scappò quasi il soffio di una risata “Va bene” sentenziò porgendole la mano per poter sancire quel patto.

 

Cassie camminava lungo il corridoio come se stesse andando verso il patibolo. Quando suo padre la convocava nel suo studio non era mai una cosa positiva, il suo unico pensiero era che non sarebbe potuta andare peggio dell’ultima volta visto che ci aveva rimediato un contratto matrimoniale.
Allungò una mano per bussare ma non fece in tempo poiché la porta si aprì magicamente e le giunse alle orecchie la voce del signor Floral.
“Cassandra entra”
La ragazza entrò e si chiuse la porta alle spalle mentre l’uomo insonorizzava la stanza con un veloce Muffliato. Era una sua abitudine, lo faceva sempre per evitare che qualcuno si immischiasse in affari che non gli riguardavano.
Cassie si accomodò sulla poltrona di fronte a lui che la guardava con cipiglio severo.
Come al solito l’uomo non girò intorno alla questione e andò dritto al punto. “Ho sentito che hai litigato con Alexander dopo il ballo…” lasciò la frase in sospeso come se si aspettasse una giustificazione.
“Padre…lui non ha il minimo rispetto per me!” si lamentò la bionda ma tutto quello che ricevette in cambio fu un’alzata di sopracciglio.
“Da quello che ho sentito mi sembra esattamente il contrario. Quell’uomo sarà presto tuo marito, è tuo dovere amarlo, servirlo, onorarlo e obbedirgli” disse lui citando alcune delle promesse contenute nei voti nuziali.
“Ma non posso amare una persona del genere!” protestò di nuovo la ragazza.
Il signor Floral si alzò, girò intorno alla scrivania in mogano e si avvicinò alla figlia minore posandole un dito sotto al mento per farle alzare il viso fino a guardarlo.
“Tu puoi perché devi” le suggerì in tono dolce ma Cassie si tirò indietro. La sua espressione tradiva il suo essere ferita e offesa.
“Su, dovresti sentirti fortunata. Alexander è un bel ragazzo e l’erede di una grande famiglia”
Gli occhi azzurri della giovane si sollevarono verso il soffitto prima di tornare sul padre con lo sguardo infuocato.
“Perché io? Ah, dimenticavo, Agatha è la tua preferita” lo accusò malignamente. Era sempre stato evidente per lei che la figlia maggiore fosse la preferita del padre ma non glielo aveva mai rinfacciato in quel modo.
Lo sguardo di Fitzwilliam Floral la congelò sul posto, era la prima volta che gli rispondeva a tono ed era la prima volta che lui la guardava così duramente.
“Tu sei più vicina ad Alexander per età, avrai una casa e protezione e ciò è tutto quello che voglio per le mie figlie. Con un fratello fuggito è molto difficile trovarvi un onorevole posto nella società e non vi può essere occasione migliore di questa per te, per garantirti un futuro dignitoso. Anche tua sorella troverà la sua strada…l’altro giorno l’ho vista in compagnia di Carlton Holmes mentre camminavano in giardino, potrebbero formare una bella coppia”
Cassie si trattenne dallo scoppiare a ridere. Sua sorella con Carlton… non ce li vedeva proprio insieme, soprattutto considerato con chi Agatha avesse a che fare in realtà.
Fu la voce di suo padre a riportarla all’attenzione, abbassò automaticamente lo sguardo quando lui la pregò di portare avanti un matrimonio di successo e di impegnarsi per andare incontro al carattere del suo futuro marito. Doveva assolutamente parlare con Alexander e mettere in chiaro alcune cose.

 

Alice si sedette al tavolino dove l’attendevano una tazza di earl grey e suo fratello. Sorrise a Markus e sollevò la tazza di candida porcellana per portarsela alle labbra.
“Allora” fece dopo aver bevuto un sorso “Di cosa volevi parlarmi?” gli chiese guardandolo di sottecchi. Quando Markus le chiedeva di parlare si trattava quasi sempre di qualcosa di importante, cosa che la spingeva a mettere da parte il suo animo da ragazzina ribelle e a comportarsi davvero da sorella.
“Sto pensando di tornare a casa” le annunciò tamburellando appena con le dita sulla superfice liscia del tavolo.
Alice avrebbe voluto sembrare stupita ma la realtà era che si aspettava una reazione del genere da Markus, conoscendolo sapeva quanto lui soffrisse nell’assistere ai preparativi per il matrimonio tra Cassandra Floral e Alex Dashwood. Al contempo, essendo lui l’erede della famiglia Storm aveva il dovere morale di restare, di essere presente in eventi mondani come quello che era in programma.
“Non ho ancora deciso ma…ci sto pensando” affermò Markus che aveva percepito la titubanza della minore tra le sue sorelline. Non voleva lasciare Alice, anche se c’erano i suoi genitori e allo stesso tempo la voglia di scappare di lì era immensa.
Cercò comunque di tranquillizzare sua sorella promettendole che ci avrebbe pensato bene per qualche giorno poi, deciso a cambiare argomento tirò fuori la questione scottante “Allora, come è andata con Christopher Turner?”
“Gli ho detto semplicemente che non mi interessa” rispose Alice facendo finta di niente.
“Ancora non capisco perché…sembra una brava persona e da quello che parli sembra molto affezionato a voi, carpe diem no?” osò dire.
“E parlate proprio voi di cogliere l’attimo? Forse se vi foste mosso prima nei confronti di Cassandra…”
“Appunto, non fate gli stessi errori fatti dal sottoscritto”
Come se evocato dal discorso Christopher fece il suo ingresso nel salottino e salutò i due allegramente.
Appena sentita la voce del ragazzo Markus ne approfittò per alzarsi in piedi e annunciare che doveva andare a parlare con suo padre.
“Tenete voi compagnia a mia sorella, Christopher?” domandò rivolgendosi al punto da dove aveva sentito provenire la voce dell’altro.
Chris rimase leggermente spiazzato dalla domanda, non che gli dispiacesse ma la situazione era un po’ strana a causa di quello che era successo alla festa. Era stato palesemente rifiutato ma lui non era tipo da arrendersi, mai.
Markus lasciò la stanza sotto lo sguardo inceneritore della sua sorellina che nel frattempo lo malediceva mentalmente per averla lasciata in quella situazione.
Si sedette al posto lasciato libero da Markus e rivolse uno sguardo serio alla giovane di fronte a lui.
“Alice, io ho pensato alle parole che mi avete rivolto…”
“Christopher…” intervenne lei, non voleva affrontare quel discorso.
“Non interrompetemi, vi prego”
A quelle parole Alice richiuse la bocca muta come un pesce rosso, non riuscì comunque a mettersi comoda, anzi rimase piuttosto tesa, con la schiena dritta e le mani avvolte nervosamente intorno alla tazza da tè.
“Come dicevo” continuò lui “Ho pensato a quello che mi avete detto e capisco cosa intendete, siete giovane e così…libera, capisco la vostra volontà di non essere chiusa in gabbia ma…” ci pensò un attimo prima di continuare “una relazione affettuosa non vuole dire necessariamente questo, non vuole essere una prigione ma più un rifugio…due braccia amorevoli in cui rifugiarvi nei giorni bui, qualcuno con cui condividere le piccole e le grandi cose”
Effettivamente quello era un modo di vedere le cose su cui Alice non aveva mai riflettuto abbastanza. Tutti gli amori che erano passati sotto i suoi occhi erano stati forzati, tutte le spose erano state in qual modo piegate alle volontà dei mariti, non aveva ancora avuto modo di appurare che amore poteva anche essere puro, leggero, divertente e naturale.
“Vi prego, datemi l’occasione per mostrarvi che potreste essere felice…solo un’occasione” la pregò prendendo una delle sue mani, che Alice aveva inavvertitamente abbandonato sul tavolino.
La ragazza lo guardò, aveva occhi sinceri e colmi di speranza e lei non poté trattenere un piccolo sorriso nel vedere quella sua espressione.
Nemmeno si rese conto di pronunciare quelle parole “E sia…dimostratemi che ho torto”

 

Le nuvole si stavano addensando sempre più rendendo il cielo scuro. Sembrava quasi essere scesa la sera sulle isole Shetland mentre invece era ancora pieno giorno. Tutti gli ospiti di Villa Floral erano rimasti in casa, dato il vento impetuoso e la minaccia della tempesta in arrivo. Sembravano essersi sparsi tutti tra i salotti, le sale musica e la biblioteca. Un’idea che stuzzicava la mente di Evelyn, sapeva che nessuno l’avrebbe vista e quindi avrebbe potuto fare un salto nel passato e tornare a divertirsi come faceva quando, di nascosto, Christopher cercava di insegnarle a tirare di scherma, prima che la loro mamma li scoprisse.
Scese le scale che conducevano al piano seminterrato, dove c’era la sala in cui praticare scherma. Trasfigurò il proprio vestito in un completo da amazzone, sicuramente più pratico per fare attività fisica. Già nell’anticamera si accorse, grazie alle grandi porte a vetri, che c’era qualcuno all’interno. Sbirciò all’interno e vide una figura maschile che si esercitava. I suoi occhi rimasero fissati su quel petto nudo, su quel fisico asciutto e imperlato di sudore. Ci mise qualche momento a riconoscere nel bel cavaliere, l’uomo che aveva visto alla festa che sapeva solo essere un Black.
Era terribilmente affascinante, si muoveva in modo fluido quasi come stesse danzando.
In un mezzo giro, si ritrovò gli occhi di lui addosso. Evelyn avrebbe voluto sotterrarsi o scappare ma sapeva che ciò avrebbe solo peggiorato la sua situazione, già di per sé imbarazzante.
Di solito non si lasciava abbindolare dagli uomini ma il sorriso che lui le rivolse la stese.
“È la prima volta in vita mia che vedo una signorina venire ad allenarsi” commentò con tono quasi divertito.
Evelyn cercò di nascondere il proprio imbarazzo, soppiantato dalla preoccupazione “Non ne fate parola con nessuno, ve ne prego”
“E perché dovrei? Ognuno ha i propri segreti” disse semplicemente lui “Coraggio, entrate”
Lui aprì la porta e lasciò passare la giovane. “Potete allenarvi con me, prometto che ci andrò leggero, per quanto possibile”
“Non voglio un trattamento di favore solo perché non sono un uomo” affermò Evelyn convinta e pronta a sfidarlo.
Con un sorriso il giovane Black le lanciò un fioretto che lei afferrò al volo. Iniziarono a duellare ma ogni tanto Evelyn si ritrovò distratta, troppo distratta, al punto che si ritrovò a terra ma con il sorriso di lui davanti agli occhi.
“Vi siete battuta degnamente” si congratulò aiutandola a tirarsi su
“Ma mi sono divertita” affermò lei
“Almeno non siamo stati fermi ad aspettare l’arrivo della tempesta, come stanno facendo gli altri”
“Già” sorrise di rimando Evelyn. Avrebbe dovuto assolutamente chiedere a suo fratello se conosceva quel ragazzo.

 

Sottili gocce di pioggia iniziarono a bagnare la campagna inglese nel primo pomeriggio, se non fosse stato per il vento che sferzava gli alberi nessuno avrebbe supposto che stava arrivando una tempesta. Mano a mano che i minuti passavano la pioggia iniziava a intensificarsi. Agatha gettò un’occhiata fuori dalla finestra mentre camminava lungo il corridoio del secondo piano. I suoi occhi si posarono in un gesto automatico sullo spiraglio di scuderia appena visibile. La porta era ancora aperta, segno che quel testone del suo fidanzato non era ancora entrato all’interno dell’abitazione.
Sbuffò e iniziò a discendere le scale piuttosto in fretta. Uscì dal portone principale della villa, non poteva assolutamente permettersi di passare attraverso la cucina e che il personale e gli elfi domestici la vedessero andare nelle scuderie e tornare con un ragazzo.
Alzò appena la gonna blu di broccato mentre incespicava nel terreno umido. Arrivò all’interno della scuderia e scorse subito Lionel che se ne stava tutto tranquillo a fare il suo lavoro, come se intorno a lui non stesse accadendo nulla.
“Tu!” lo additò andandogli incontro “Per la barba di Merlino, non hai visto che tempo c’è fuori? Se il vento peggiora potrebbe anche spazzare via la scuderia!”
“Non ho intenzione di abbandonare i miei cavalli” replicò lui tranquillo.
Agatha alzò gli occhi al cielo, sforzandosi di non affatturarlo. “Oh ma certo, restiamo qui a morire per fare compagnia ai cavalli! Come avevo fatto a non pensarci?” fece sarcastica.
Lionel la guardò prima di replicare ma le parole gli si bloccarono in gola quando vide i boccoli biondi di Agatha ricaderle scomposti sul viso corrucciato e il vestito sporco di fango. Era quasi comica ma bellissima.
Con un paio di falcate arrivò a pochi centimetri da lei. “Che c’è?” fece per chiedere Agatha appena prima che le sue labbra venissero catturate da quelle di Lionel.
“Sei bellissima”
“Ruffiano” commentò arricciando le labbra appena si furono staccati.
Agatha intrecciò le mani con quelle di Lionel. “Vieni dentro, per favore”
“Finisco di sistemare una cosa e poi mi unirò all’allegro gruppo di elfi domestici”
“Promesso?” chiese con gli occhi da cucciolo.
“Promesso” concordò Lionel avvicinandosi per baciarla.
Stavano ancora vicini, le labbra che si fioravano appena quando l’idillio venne rotto da una voce maschile.
“Penso che sia abbastanza, Agatha”
La ragazza si girò per trovare suo padre all’entrata dell’edificio.
“Papà”
Il signor Floral guardò prima la figlia e poi Lionel. “Holmes, vada nelle cucine” ordinò “Agatha” richiamò la giovane e le fece cenno di seguirlo.
Mentre lo seguiva certa che sarebbero andati nel suo studio cercò di chiamarlo ma il signor Floral non diede il minimo segno di averla sentita.
“Papà vi prego… posso spiegare”
L’uomo aprì la porta di pesante mogano e lasciò entrare la figlia. Se la chiuse alle spalle sigillandola con un Muffliato che fece quasi accapponare la pelle ad Agatha.
Vede suo padre sedersi alla scrivania e lei si accomodò lì davanti, iniziò a tamburellare involontariamente con il piede.
“Pretendo delle spiegazioni” disse lui incrociando le mani sotto al suo mento.
Agatha iniziò a parlare ininterrottamente spiegando come si erano incontrati ma visto che stava parlando senza scandire le parole e data la perplessità del padre, arrivò dritta al punto “Noi siamo innamorati”
L’uomo prese un bel respiro. Ma cosa avevano le sue figlie che non andava? Perché dovevano dargli sempre dei grattacapi? E lui che avrebbe voluto solo fumarsi un sigaro in santa pace!
“Questa storia deve finire”
“Ma papà…” protestò Agatha rivolgendo uno sguardo implorante al genitore che mise una mano avanti per bloccarla.
“Ricordi quando avevi sette anni e tuo zio Clayton sposò la giovane Diane Longbottom? Mi chiesi di farti scegliere l’uomo che avresti dovuto sposare e io te lo promisi. Ho tenuto fede alla mia promessa finora e ho intenzione di farlo ancora ma ti avviso che nella rosa di possibili candidati il giovane Lionel Holmes non è compreso”
Senza nemmeno pensarci Agatha domandò “Perché?”
“Lui non è all’altezza!” esclamò Fitzwilliam Floral iniziando ad adirarsi “Porta il cognome degli Holmes ma non vanta alcun diritto sul loro patrimonio, non è nient’altro che un bastardo! Solo un decreto regio potrebbe cambiare le cose ed Elizabeth Holmes non permetterà mai a suo marito di richiederlo”
“Non mi interessa. Io lo amo e voglio diventare sua moglie” affermò convinta. Non aveva riflettuto sulle parole appena dette ma era vero, amava profondamente Lionel e dalla fierezza con cui lo difendeva, il signor Floral capì che la figlia maggiore non mentiva.
“Agatha…capire l’amore di un genitore per un figlio è impossibile finché non si diventa genitori a propria volta…volere il meglio per una persona…Lionel Holmes non è il meglio. Non posso permettere che tu faccia lo stesso errore di Vincent. Te lo ripeto, questa storia deve finire o perderai tutto: abiti, soldi, famiglia… il gioco vale la candela?”

 

Alexander alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta quel pomeriggio, sua madre e la signora Floral avevano coinvolto lui e Cassandra nella scelta del menù per i festeggiamenti del loro matrimonio. Solitamente si sarebbe dovuto trattare di un’attività relativamente piacevole ma tutto quel ciarlare da donne lo stava annoiando terribilmente. Incredibilmente neanche la sua futura moglie non sembrava particolarmente interessata a quello che era il nuovo oggetto di conversazione: i tovagliati.
Ringraziò mentalmente Salazar e tutti i fondatori quando le due donne si alzarono per spostarsi nella stanza da cucito. Decise di approfittare della situazione per defilarsi anche lui e stava per congedare Cassandra quando lei si alzò, in contemporanea, per fermarlo.
“Alexander…questa situazione non può rimanere tale. Per la disgrazia di entrambi quel contratto è stato firmato ed entrambe le nostre famiglie ne trarranno vantaggio. So che un matrimonio senza amore può esistere ugualmente e infatti non pretendo amore… Dovremo passare molto tempo insieme Alexander e quel tempo potrebbe essere anche solo minimamente più piacevole se ci fosse un rapporto di amicizia a fare da fondamenta”
Alex sembrò pensarci su un attimo. Era la prima volta che la ragazza gli si rivolgeva con tanta sicurezza ma dovette ammettere che quell’atteggiamento, quello di una che sa cosa vuole, le faceva guadagnare punti. Non sembrava più solo una bambina.
Gli costava molto ammetterlo ma forse la giovane Floral aveva ragione.
“Suppongo che si potrebbe fare. Forse potremo essere amici”

 

 

 

 

Buonasera!
Per prima cosa ci tengo a scusarmi per il ritardo (circa un mese) con cui pubblico questo capitolo ma si tratta di un ritardo giustificato, ampiamente giustificato, da un motivo che comporta una pergamena e una corona di alloro.
Come mi è stato detto stamattina: oggi è un gran giorno e accadono cose bellissime (infatti non credevo che sarei riuscita a pubblicare oggi, anche se ormai questo giorno è quasi finito)
Detto questo dedico questo capitolo, anche se non propriamente felice, ad una persona meravigliosa che oggi compie gli anni, la sorella del mio cuore. Ti voglio bene sorellona
H.

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Capitolo 11
*** Cadute provvidenziali ***


Non sono morta.

So che molti lo avranno pensato data la mia assenza e capisco benissimo chi nel frattempo abbia deciso di non seguire più la storia.

Vi devo delle scuse, tante, tantissime scuse... il lavoro mi ha portato via tempo ed energie e mi sono ritrovata a scrivere e cancellare pezzi in continuazione perchè mi facevano schifo.

Ci ho messo mesi a superare questo blocco e adesso che sono in ferie ho provato a rimettere insieme qualche parola.

Per chi ancora c'è...buona lettura

H.

Dopo che suo padre era uscito dallo studio, Agatha era rimasta lì con lo sguardo rivolto fuori, alla pioggia che scorreva lungo il vetro. Le parole che l’uomo aveva pronunciato l’avevano colpita nel profondo… l’aveva minacciata che se non avesse rinunciato a Lionel le avrebbe tolto tutto. Più ci pensava e più le sembrava una cosa davvero cattiva. Come poteva chiederle di rinunciare al suo grande amore? Sapeva che Lionel non era certo l’uomo che Mr Floral avrebbe scelto per lei ma…era sua figlia, questo doveva pur valere qualcosa! In quanto suo padre lui avrebbe dovuto volerle bene e volerla vedere felice e invece il suo primo pensiero era al buon nome della famiglia, di nuovo.
Prese un bel respiro. Qualunque scelta avesse fatto si sarebbe ripercossa su di lei e sulla sua intera famiglia. Aveva bisogno di ponderare bene sulla questione o almeno credeva di averne bisogno anche se in realtà il suo cuore la spingeva prepotentemente verso le braccia di Lionel.
Lo amava, era inutile rinnegarlo.  E allora cosa aspettava? Lo avrebbe sposato, non importava cosa avrebbe detto la sua famiglia.
Ora doveva solo dire la verità a sua sorella e alla sua migliore amica. Decise di partire da Cassandra, le avrebbe parlato quella sera stessa, lunghe nel suo letto come quando erano solo delle bambine.

***

Finalmente la pioggia era cessata e il sole era tornato a illuminare, anche da dietro una leggera coltre di nubi, le isole Shetland.
Le tempeste estive erano piuttosto frequenti in quella parte della Scozia e Marianne Dashwood lo sapeva bene dato che anche ai tempi della scuola passava parte delle vacanze estive dalla sua migliore amica.
Sua madre si era opposta fermamente alla sua volontà di andare a cavalcare nonostante il tempo era migliorato, ma a Mary non importava più di tanto; aveva lasciato lei e suo fratello ai preparativi per il matrimonio e si era diretta verso le scuderie. Era certa della notevole presenza di fango a terra ma voleva provare di nuovo il piacere di avere la pelle scaldata dai timidi raggi del sole.
Entrò nell’edificio in legno e il suo cuore sussultò leggermente alla vista di entrambi i fratelli Holmes. Si fermò un attimo di troppo a guardarli ma loro sembravano non averla sentita, infatti erano ancora di spalle tanto che la ragazza dovette schiarirsi la voce per attirare la loro attenzione.
Carlton impallidì leggermente alla vista di miss Dashwood ma ci pensò il suo caro fratellino a sbloccare la situazione.
“Vuole andare a cavallo?” domandò con un sorriso furbo Lionel alla giovane.
Mary rimase quasi turbata da quell’espressione che non sembrava preannunciare niente di buono ma convita di farsi forse troppe pare mentali sorrise a sua volta rispondendo “Esattamente”
Le labbra di Lionel si piegarono ancora di più all’insù e per un attimo Carlton potè quasi giurare di aver visto un paio di corna da diavolo spuntare sopra la testa del fratellastro; ne ebbe la conferma appena Lionel parlò di nuovo.
“Da sola?” chiese con un briciolo di veemenza.
In un gesto quasi automatico Mary scrollò appena le spalle come a voler chiedere se vedeva qualcun altro oltre lei.
“Beh non posso permettere che una signorina come voi vada da sola…” iniziò a dire lui poi si voltò verso il  maggiore “Perché non l’accompagni tu fratellino?”
Carlton, preso in contropiede, si ritrovò un attimo in crisi ma non potendosi tirare indietro, dato che sarebbe parso oltremodo scortese si ritrovò a biascicare un “Sì, certo” di cui si pentì subito dopo averlo pronunciato. Non che odiasse i cavalli ma erano terribilmente sporchi, come tutti gli animali del resto e in più avrebbero dovuto calcare sulla terra bagnata, tra pozzanghere e quant’altro.
“Bene, potete attendere fuori mentre sello i vostri cavalli”
Carlton fece il gesto a Mary di precederlo nell’uscire dalle scuderie e la seguì solo dopo aver lanciato uno sguardo inceneritore all’adorato quanto malefico fratellino.
Non che fosse totalmente incapace di andare a cavallo, aveva dovuto impararlo da piccolo e nonostante una ritrosia iniziale aveva imparato ad apprezzarli finché crescendo aveva cominciato a notare quanto l’equitazione fosse un’attività non proprio pulita specialmente dopo che, come in quell’occasione, aveva piovuto ed allora la sua opinione era gradualmente cambiata, non è che li odiasse ma ne stava cordialmente distante. E invece, grazie al suo fratellino si ritrovava a dover salire su uno di loro e andare a fare una passeggiata con la ragazza che gli faceva palpitare il cuore, perché ormai era inutile negarlo a se stesso: si era preso una cotta per Marianne Dashwood.
Una cotta, niente di più, pensò tra sé e sé.
Guardò Mary che montava a cavallo con una facilità quasi disarmante, i suoi movimenti erano talmente leggeri e fluidi che sembrava non avesse fatto altro per tutta la vita.
Le rivolse un sorriso prima di imitarla anche se in modo leggermente più goffo.
Partirono lungo il sentiero che si irradiava verso il bosco, quasi in silenzio. Carlton era colmo di imbarazzo, voleva dire qualcosa ma qualsiasi cosa gli sembra stupida e insensata.
Prese un respiro drizzando bene alla schiena e cercando di assomigliare il più possibile al ragazzo che una come Marianne Dashwood avrebbe meritato.
Per un po’ Mary osservò Carlton con la coda dell’occhio. Era impossibile non notare il suo atteggiamento impettito e se da una parte la cosa la faceva ridacchiare, dall’altra le saltavano i nervi. Possibile che tutti pensavano di dover fare per forza i pavoni per conquistare il cuore di una donna?
Nel tentativo di fare conversazione, mentre i due bai sotto di loro procedevano lentamente lungo quella strada che sembravano conoscere da sempre, Carlton le chiese:
“Allora, avete sempre cavalcato?”
Mary sorrise di vero cuore. “Da che io ricordi…mi regalarono il primo cavallo che avevo tre o quattro anni. Allora mi sembrava enorme e un po’ spaventoso ma mi incuriosivano parecchio. Adoro i cavalli, mi infondono un gran senso di libertà…e voi? Avete un cavallo?”
“Mio padre mi regalò un purosangue quando avevo sei anni, era quello che aveva gareggiato per lui nelle corse e che non poteva più farlo. Lo cavalcai fino a che non fece un piccolo incidente. Si ruppe una zampa così decisero di abbatterlo e ci fecero uno stufato” raccontò con un po’ di imbarazzo.
“È raccapricciante” disse quasi ridendo e con quel suono cristallino anche Cal si ritrovò a sorridere.
“Si lo è davvero” ammise con le labbra ancora piegate all’insù.
Mary fece per imboccare il sentiero alla sua destra, quello che procedeva fuori dal bosco e verso la scogliera, dove era stata qualche tempo prima con le altre ragazze. Nel mentre si voltò per accertarsi che Carlton fosse ancora alle sue spalle. Ed era lì, composto come si conveniva ad un giovane uomo dell’epoca ma allo stesso tempo leggermente fuori posto.
Stavano ancora passeggiando tra gli alberi creati con la magia generazioni prima della loro quando un bagliore azzurrino, segno di un incantesimo fece spaventare il cavallo di Marianne. L’animale si alzò sulle zampe posteriori facendo cadere a terra la ragazza.
Istintivamente Cal tirò verso di sé le redini e il cavallo frenò all’istante. Lui scese rischiando quasi di inciampare e cadere a sua volta talmente era la premura di verificare se Marianne si fosse fatta male.
“Marianne…Marianne, come state?” chiese avvicinandosi alla ragazza seduta sul terreno, con l’abito strappato e l’espressione dolorante.
“Sono stata meglio” ammise. Abbassò lo sguardo e prese la mano che lui aveva teso. Sentiva le guance leggermente imporporate ma non fece in tempo a pensarci perché una fitta la colpì come una lama conficcata nella caviglia e le gambe le cedettero.
Carlton la sorresse “Riuscite a camminare?”. Mary annuì brevemente, non voleva assolutamente ammettere che faceva una fatica immensa già solo ad appoggiare il piede.
Senza bisogno di parola alcuna lui l’aiutò a muovere qualche breve passo. Il cavallo di lei era scappato quindi Cal aiutò la ragazza a salire sul cavallo che lui aveva cavalcato e montò a sua volta.
Mary era tremendamente imbarazzata mentre cavalcavano insieme. Aveva avuto qualche breve infatuazione ma non aveva mai cavalcato con un ragazzo, sullo stesso cavallo!
Al contempo Carlton si ritrovò a pensare che per quanto incresciosa, quella situazione, stava avendo dei risvolti niente male!


Evelyn aveva appena terminato di fare colazione ed era andata ad affacciarsi dalla grande terrazza che dava sul giardino. Voleva vedere il cielo, in parte anche per assicurarsi che non sarebbe ricominciato a piovere da un momento all’altro ma il suo sguardo venne calamitato verso il basso, nell’udire la risata di almeno un paio di ragazzi. Aguzzò la vista e riconobbe immediatamente il giovane Black che chiacchierava con un altro paio di persone che sembravano completamente catturate dal suo discorso. Tutta l’attenzione era su di lui, come se fosse un magnete intorno a cui gravitava tutto il resto.
Non riconosceva gli altri che erano con lui, probabilmente si trattava di nuovi ospiti giunti lì per il matrimonio anche se mancavano ancora tre settimane.
Rimase lì ad osservarli, come faceva sempre di solito con le persone che non conosceva. Avevano il tipico comportamento da maschi, si sfidavano a coppie su chi andasse più veloce con la scopa mentre gli altri scommettevano sul probabile vincitore.
Quando Aldebaran si alzò in volo non potè che stupirsi di nuovo del suo fascino e della sua eleganza, tanto che gli altri sembravano scomparire al suo cospetto. Ma cosa andava pensando?
Come se il suo flusso di pensieri avesse intercettato quello del ragazzo lui si voltò e le rivolse un cenno di saluto quasi impercettibile.
Restò ad osservare quel piccolo gruppo fino a quando venne raggiunto da un altro capannello formato da tutte ragazze che cinguettavano e ridacchiavano come oche giulive. A quel punto Evelyn rientrò e partì alla ricerca del fratello; su per giù lui e il signor Black dovevano avere la stessa età quindi magari sapeva qualcosa in più su di lui ma non voleva dimostrare troppo interesse.
Chiese ad un elfo domestico se aveva visto suo fratello ma tutto quello che lui seppe dirgli era che non sapeva dove fosse Christopher. Conoscendo suo fratello probabilmente stava ancora dormendo.


Cassandra guardò fuori da una delle grandi finestre che illuminavano il corridoio delle camere da letto e si stupì nel vedere una carrozza ferma nel vialetto d’ingresso della villa. Non ebbe troppa difficoltà a realizzare che si trattava di quella della famiglia Storm.
Visto che a famiglia al completo era rimasta lì dopo la festa del raccolto a causa della tempesta, non si poteva trattare certo di un nuovo arrivo ma della partenza di qualcuno, di cui lei non sapeva niente!
Il suo cuore ebbe un piccolo sussulto quando pensò che tra i membri della famiglia in partenza c’era, con tutta probabilità anche Markus! Se Markus se ne stava andando, non poteva certo biasimarlo poiché lei non era stata in grado di scegliere: il cuore l’avrebbe spinta volentieri tra le braccia del giovane Storm mentre per la testa doveva rispettare il volere della sua famiglia e celebrare quel matrimonio di convenienza.
Scese le scale velocemente, rischiando quasi di inciampare ma non c’era nessuno giù nell’atrio. Trovò Markus, Alice, Christopher e qualche altro ospite nella sala delle colazioni. Si sedette cercando di apparire il più tranquilla possibile mentre sbocconcellava una fetta di pane tostato.
Non sapeva se tirare in ballo il discorso ma si disse che non era il caso lì, di fronte a tutti. Aspettò quindi che se ne andassero gli altri ospiti e fece per seguire il giovane Storm ma venne intercettata da Winky, uno degli elfi domestici di famiglia.
“Signorina, questo è per lei” disse con l’aria mite che caratterizzava quei piccoli servitori. Cassie prese in mano la busta che la creatura gli porgeva e la ringraziò tacitamente con un sorriso. Winky sparì subito dopo averle rivolto un breve ma sentito inchino.
Cassandra si rigirò la busta tra le mani, non riconosceva la grafia che aveva tracciato il suo nome. La aprì e lesse il biglietto che conteneva.

Gentile Cassandra,
mi fareste l’onore di essere di mia compagnia per una breve passeggiata nel bosco questa mattina?
Vostro
Alexander

Quelle uscite facevano parte del tradizionale periodo di fidanzamento che precedeva il matrimonio. D’altronde quale sposa non avrebbe voluto passare più tempo possibile con il suo futuro marito?  
 Alexander trovò Cassie seduta su una panchina all’aperto. Aveva un libro in mano ma non sembrava intenta a leggere anzi la sua mente sembrava essere da tutt’altra parte.
“Cassandra” la chiamò e lei sembrò come ridestarsi dai suoi pensieri, gli rivolse un mezzo sorriso e lo salutò con un mesto “Buongiorno”
Istintivamente lui si accomodò lì accanto, le rivolse un breve sguardo di cui lei non si accorse. Cassandra Floral sembrava quasi triste e con quello che aveva visto non ci mise molto a dedurne il motivo… di nuovo quel Markus.
Loro non erano la classica coppia di futuri sposi ma comunque non aveva piacere a vederla giù di morale e soprattutto a pochi giorni dal matrimonio non poteva sopportare di vedere la sua fidanzata in pena per un altro uomo! Che poi, cosa ci trovasse in lui, ancora non riusciva a capirlo.
Le aveva inviato quel bigliettino la mattina e ora l’occasione era propizia al suo voler distrarla dal pensiero di Markus Storm.
“Che ne dite di andare?” le propose alzandosi in piedi e Cassandra si alzò a sua volta affiancandolo mentre si avviavano verso il bosco.
“Ho sentito che ci sono degli ottimi funghi nel bosco, con la tempesta che c’è stata se ne troveranno in abbondanza”
“Suppongo di sì” la buttò lì Cassie mentre camminavano fianco al fianco e lei sfiorava distrattamente le foglie degli alberi.
Alex si voltò a guardarla, sembrava totalmente in un altro mondo… doveva ammettere che quell’aspetto trasognato non le stava affatto male.
“A Huffington Park non ci sono questi alberi…è pieno di platani”
Per la prima volta quel giorno Cassandra sembrava veramente interessata a quello che lui aveva da dire.
“Cos’è Huffington Park?” domandò con il viso acceso di curiosità.
Alex sorrise “Si tratta della nostra residenza in campagna, si trova nel Surrey, vicino a Windsor” disse facendo riferimento al piccolo villaggio babbano che ospitava una delle residenze reali “Potremo andarci la prossima estate”
Cassandra si fermò a pensare a quel plurale che lui aveva usato con tanta tranquillità, come se fossero già sposati, come se quel fidanzamento fosse una strada senza uscita e per un attimo si sentì soffocare. Sapeva che il suo destino, come quello di quasi ogni donna dell’epoca, era quello di diventare una buona moglie e una buona madre; sua madre l’aveva cresciuta con la consapevolezza che per un buon matrimonio lei avrebbe dovuto mettere da parte le sue idee e le sue convinzioni.
Se da una parte trovava assurdo anche solo pensare di annullarsi completamente per far piacere al futuro marito dall’altra doveva riconoscere che non poteva neanche pretendere il contrario, Alex aveva un carattere forte con cui sarebbe stato fin troppo facile scontrarsi a meno che non avesse imparato a scendere a compromessi e a guadagnarsi il suo rispetto.
Alex si voltò ad osservare la ragazza che se ne stava lì silenziosa, poteva quasi vedere girare le rotelline in quella testolina bionda. In qualche modo lei lo aveva confortato con la sua presenza appena dopo la morte del padre e ora si sentiva in debito.
Le fece un tenero sorriso di incoraggiamento. “So che potrebbe essere un po’ traumatizzante il trasferimento in città…predisporrò Huffington Park per il vostro libero uso”
Le labbra di Cassandra si piegarono in un sorriso vero, carico di riconoscenza “Onestamente, grazie”
Continuando a camminare si erano avvicinati senza rendersene conto, non c’era più molta distanza tra di loro e le poche battute scambiate prima erano diventate un fiume di parole. Lui le raccontava delle piantagioni di mandragole e lei gli diceva quanto le sarebbe piaciuto avere delle piante di pesche, visto quanto adorava la crostata di pesche!
“Anche lì c’è uno stagno, molto più grande di quello in realtà” disse Alex indicando quella che era una pozza d’acqua che persisteva nel sottobosco e veniva alimentata dalle piogge “D’ inverno la superficie è gelata e vi si può pattinare, io adoro pattinare”
“Non ho mai provato” ammise Cassie avvicinandosi allo stagno.
Alex le sorrise e con un gesto veloce tirò fuori la bacchetta e lanciò un incantesimo sulla superficie dell’acqua che mille scintille azzurrine tramutarono in una lastra di ghiaccio.
“Coraggio allora” la invitò guadagnandosi un’occhiata che era a metà tra lo sdegno e il divertimento.
“Siete serio?” domandò la giovane la cui voce tradiva una punta di preoccupazione.
“Mai stato così serio” confermò Alexander prima di trasfigurare i suoi stivali in pattini e di fare altrettanto con quelli della fidanzata.
Il giovane le prese le mani per aiutarla a muovere i primi passi verso il ghiaccio. “Ho paura di apparire ridicola” confessò Cassandra.
“Dovete solo usare il vostro senso dell’equilibrio. Dovrebbe esserne dotata qualsiasi persona che non soffra di labirintite” Il suo tono sembrava una innocente presa in giro.
“Non vi facevo così simpatico, Alexander, sembrate sempre così serio” fece lei stando al gioco.
“E voi sempre così poco seria”
Cassandra si finse offesa e fece per lasciare le mani di Alex ma perse l’equilibrio e si ritrovò a terra insieme al fidanzato dato che anch’egli aveva perso l’equilibrio nel tentativo di recuperarla.
Dopo aver di nuovo trasformato in calzature i loro pattini Alex aiutò la giovane Floral ad alzarsi in piedi. Aveva l’acconciatura leggermente sfasciata e una ciocca di capelli che le penzolava davanti gli occhi, ciocca che venne spontaneo ad Alex sistemarle dietro l’orecchio. Erano così vicini che i loro nasi si sfioravano appena, sarebbe bastato un nulla per colmare quella distanza ma nell’avvicinarsi Alex vide Cassie spalancare i grandi occhi azzurri e ritrarsi appena. Non si fidava ancora di lui.
“Forse è meglio se rientriamo…non vorrei che si preoccupassero per noi” disse Cassandra leggermente in imbarazzo.

 

Intanto Alice era appena uscita dalla stanza degli ospiti dove avevano soggiornato le altre sorelle. Le sarebbero mancate incredibilmente nonostante lei, anche per il carattere meno femminile, fosse più legata ai fratelli. Aveva salutato Jamie poco prima e ora doveva andare da Markus. Le se stringeva il cuore al pensiero di quello che lui stava passando quindi capiva benissimo la sua voglia di andarsene ma egoisticamente sperava che qualche altro membro della sua famiglia sarebbe rimasto a Villa Floral.
Le carrozze erano quasi pronte, i bagagli erano stati caricati dagli elfi, mancavano solo i viaggiatori.
Alice bussò alla camera del fratello più grande e aspettò di essere invitata a entrare. Spinse appena la pesante porta in quercia e intravide Markus che, insieme ad un elfo domestico, faceva un controllo della lista delle cose da prendere.
“Può lasciarci da soli?” domandò la giovane all’elfo che annuì e sparì con un piccolo inchino.
Alice si avvicinò al fratello e si posizionò esattamente davanti a lui. “Dunque è arrivato il momento dei saluti” disse.
“È troppo doloroso…Cassandra che sposa Alexander Dashwood…” la sua voce era quasi spezzata, era la prima volta che Alice lo sentiva così.
La giovane si avvicinò e prese le grandi mani del fratello tra le sue. “Posso solo immaginarlo ma…ho visto che Cassie prova dei sentimenti per te, lo vedono tutti, persino quell’antipatico di Dashwood... Non sono ancora sposati, un fidanzamento si può anche rompere” sapeva che quella che stava dicendo era una brutta cosa ma se serviva per ridare animo al fratello…
“Non dire sciocchezze, Alice. Non ho speranze. Cosa ho io da offrire ad una giovane donna? Chi potrebbe mai amare uno come me?”
“Caro fratello, devi essere tu il primo ad amare te stesso. Se non lo fai tu per primo nessuno potrà farlo al posto tuo”
Colpito da tanta saggezza Markus si sentì un pochino più sollevato e si ritrovò immerso in una chiacchierata cuore a cuore con la minore delle sorelline. Arrivò alla conclusione che, certo, fisicamente non era l’uomo che le ragazze avrebbero sognato di avere al loro fianco ma in fondo era un animo nobile e gentile.
“Secondo te ho una qualche possibilità ancora?”
Alice scelse con cura le parole da utilizzare per non ferire troppo il fratello o alimentare troppo le sue speranze.
“Fin tanto che non si saranno sposati puoi sempre provare”
Ed allora, con un sorriso, Markus affermò che sarebbe rimasto, almeno un altro po’.

 

Christopher aveva trascorso tutta la mattina nella sua camera, intento a pensare a come far cambiare idea alla giovane Alice Storm. Doveva pianificare l’appuntamento perfetto, qualcosa che avrebbe fatto cadere ai suoi piedi qualsiasi ragazza sulla faccia del pianeta, ma cosa?
Aveva buttato giù qualche foglio di appunti ma erano finiti tutti appallottolati e sparsi per il pavimento della stanza. I neuroni nel suo cervello sembravano scontrarsi producendo solo un gran guazzabuglio di pensieri che gli aveva fatto venire il mal di testa. Si era fatto addirittura portare il pranzo in camera, anche se forse uscire e cambiare aria sarebbe stato meglio che restare lì a crucciarsi.
Un lieve bussare alla porta gli fece alzare lo sguardo per vedere sua sorella entrare.
“Ah, sei qui allora. Stavo iniziando a preoccuparmi” sorrise Evelyn sedendo sul letto e tenendo le gambe penzoloni.
“Scusa, avevo mal di testa e ho preferito non uscire”
“È da ieri che sei strano. Sei per caso diventato meteoropatico, fratellino?” scherzò lei.
Chris si girò verso di lei con un gran sorriso stampato in volto. “Dimmi una cosa, sorellina” e calcò quel diminutivo per ribadire che lui era il maggiore “Sei venuta qui solo per insultarmi o vuoi qualcosa?”
La conosceva fin troppo bene. Evelyn si decise a chiedere quello che voleva anche se decise di girare intorno alla questione.
“Sai, quando c’è stato il ballo un gentiluomo mi ha aiutata a liberarmi da un altro che mi stava importunando e non ho ancora avuto modo di ringraziarlo propriamente…”
“A chi ti riferisci? E soprattutto perché non mi hai detto niente del ballo? Perché non mi hai chiamato se avevi bisogno di aiuto?” scattò subito Chris con fare protettivo.
Evelyn sorrise. Non sarebbe mai cambiato.
La ragazza si alzò in piedi. “Vedi? Sono qui, tutta intera, sto bene” affermò mentre con un gesto delle mani si mostrava da capo a piedi. “Ad ogni modo” continuò “mi riferivo al signor Black. Tu lo conosci? Sai cosa potrei fare per ringraziarlo?”
Il fratello si prese qualche secondo per pensarci. “Non conosco bene Aldebaran Black. Eravamo dello stesso anno ma in case diverse. Suppongo sia qui perché parente dei Floral o dei Dashwood o di entrambi, sai, tra purosangue...” non aveva bisogno di terminare la frase in fondo anche Evelyn sapeva bene della tradizione di sposarsi tra parenti per conservare la purezza del sangue, soprattutto ora che le famiglie purosangue stavano iniziando a ridursi di numero.
“Comunque non siamo mai stati molto amici e poi quando sono partito ho perso i contatti un po’ con tutti… A dire il vero non ho neanche avuto modo di salutarlo ancora”
A quel punto la ragazza gli rivolse uno sguardo che aveva un che di malandrino “E non potresti andare a farci una chiacchierata?” domandò con lo sguardo da povero cucciolo.
“Mi hai preso per una vecchia comare?” poi, non resistendo agli occhioni dolci di Evelyn le promise che se avesse scoperto di più glielo avrebbe fatto sapere.

 

 

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