Because

di Mary_Julia_Solo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Save me cause I'm falling pt.1 ***
Capitolo 2: *** Save me cause I'm falling pt.2 ***
Capitolo 3: *** Save me cause I'm falling pt.3 ***
Capitolo 4: *** Save me cause I'm falling pt.4 ***
Capitolo 5: *** Save me cause I'm falling pt.5 ***
Capitolo 6: *** Save me cause I'm falling pt.6 ***
Capitolo 7: *** Save me cause I'm falling pt.7 ***
Capitolo 8: *** Buried in a sadness pt.1 ***
Capitolo 9: *** Buried in a sadness pt.2 ***
Capitolo 10: *** Buried in a sadness pt.3 ***
Capitolo 11: *** Buried in a sadness pt.4 ***
Capitolo 12: *** Buried in a sadness pt.5 ***
Capitolo 13: *** Memento mori pt.1 ***
Capitolo 14: *** Memento mori pt.2 ***
Capitolo 15: *** Memento mori pt.3 ***



Capitolo 1
*** Save me cause I'm falling pt.1 ***


<< Nobody said it was easy
no one ever said it would be this hard >>
 
Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.1)
Era strano. Come la vita poteva andare in modo completamente normale un attimo, e quello dopo veniva sconvolta, senza possibilità di tornare come prima. Poi, quando credevi che le cose non potessero peggiorare, facevi un passo di troppo indietro, e precipitavi nell’abisso dei tuoi errori, verso la più profonda oscurità. Simon era sicuro di essere nel punto più basso della sua vita. Credeva che non ci potesse fare nulla, le cose non sarebbero mai cambiate. Be’, si sbagliava. Ma di certo non sarebbero cambiate in meglio, a dispetto delle apparenze. Se ne sarebbe reso conto troppo tardi. Era ancora sconvolto. Nel giro di una settimana aveva scoperto che la sua apparentemente normale migliore amica era in realtà una Nephilim, che aveva sangue di angelo nelle vene e che, per di più, suo padre era un pazzo assassino e che aveva rapito sua madre. Cosa piuttosto sconvolgente, dato che lui aveva sempre pensato che Clary fosse piuttosto nella media. Cioè, certo, per lui era una ragazza fantastica, bella, dolce, gentile, brava disegnatrice, non certo comune, ma… Certo non si sarebbe aspettato quello. E, sempre in quella settimana, lui si era ritrovato a passare da Mondano a amico che sapeva le cose ma stupido. Era stato rapito due volte, prima dai vampiri poi dai lupi, aveva scoperto che Luke, proprio Luke Garroway, che conosceva praticamente da tutta la sua vita, era un lupo mannaro. Aveva visto Clary fare di continuo gli occhi dolci al biondo ossigenato, sapendo che stava lentamente perdendo le speranze, con lei. Non che ne avesse mai avute, effettivamente. Lui era incredibilmente imbranato, impacciato… Avrebbe potuto fare una lista di tutte le cose che era. E anche di quelle che non era. Non era Jace. Non era un Cacciatore di demoni biondo con gli occhi bicolore. Era solo… Simon. Certo, adesso era anche un vampiro, ma era piuttosto irrilevante come cosa. Jace Wayland era sempre Jace Wayland. E lui era sempre Simon Lewis. Poteva correre più in fretta, era più agile, aveva recuperato tutta la sua vista. Però, non poteva più mettere piede all’aperto quando c’era il sole. Quella era di certo la cosa che odiava di più. A parte forse il dover bere sangue. E l’essere morto. Essere un vampiro faceva davvero schifo. Poteva aiutare di più Clary di quanto non facesse prima, lei gli aveva detto che non avrebbe saputo vivere senza di lui, ma… La ragazza continuava a vederlo solo come un amico. E questo continuava a fargli male. Non l‘avrebbe mai detto a Clary. Dopotutto era abituato al suo non vedere. Al suo non vedere quanto fosse innamorato di lei, da anni. Non che potesse farci qualcosa. Solo aiutarla il più possibile sperando che lo notasse. La cosa peggiore successa durante quella settimana era stato morire. Credeva che sarebbe stato unirsi al Clan del DuMort, ma aveva scoperto che i vampiri non erano così male. Facevano tutti di tutto per farlo sentire a casa, per farlo sentire uno di loro. Simon ne era ben felice, ma avrebbe di certo preferito poter tornare a casa sua da sua madre e sua sorella. Da Clary. Gli veniva automatico pensare sempre a lei. Era il suo pensiero fisso, l’unica cosa in grado di tenerlo legato alla realtà. Una realtà molto surreale. Sbuffò. Continuava a dimenticarsi di non aver bisogno di respirare. Non sarebbe certo cambiato. Gli sembrava impossibile perdere le sue abitudini da Mondano. Era davvero un pessimo vampiro. Lanciò uno sguardo allo schermo del suo computer, per poi lasciar cadere la testa sul materasso. Erano le otto di mattina, il sole era già di certo alto nel cielo, essendo estate. Essere vampiri, e per di più in estate, faceva davvero schifo. Almeno non abitava in Norvegia, o Finlandia, dove era notte per qualcosa come quattro ore al giorno, durante i mesi caldi. In compenso tutto il resto dell’anno era perennemente notte. Sbuffò di nuovo. Che cose stupide da pensare. Ma, visto che era almeno un quarto d’ora che stava aspettando che il film si caricasse, non poteva farci nulla. Non si sarebbe mai messo a fare filosofia, altrimenti. A un certo momento si era anche chiesto se Dracula esistesse davvero. Si erano informato guardando tutti i film sui vampiri, e leggendo qualunque cosa trovasse. Ma sembrava che non fossero molte le cose basate sulla realtà. Gli sarebbe venuta una crisi isterica. Era confuso da tutto, non sarebbe mai riuscito a capire tutto quello che c’era da capire. Mioddio. Poco tempo prima era soltanto un ragazzo con una cotta tremenda per la sua migliore amica, che suonava in una band. I Rock Solid Panda. Nome fantastico, c’era da dirlo. Ma non aveva potuto pensare a niente di meglio. Si domandò cosa stesse facendo Maureen. L’ultima volta che l’aveva vista non era davvero stato piacevole. Perché nel suo cervello stava sempre Clary. Che idiota. Sbuffò per la terza volta di fila. Avrebbe dato di tutto pur di tornare indietro, alla vita di prima. Quando lui era solo uno studente di economia e Clary era appena stata accettata nell’Accademia delle Arti. Non era nemmeno tanto tempo prima, pensandoci. La vita aveva questa fantastica mania di rivoltarsi come un calzino, a volte. Avrebbe preferito non fosse successo alla sua, ma che poteva farci? Poteva solo tirare avanti, poteva solo accettare. Non poteva rimettere a posto le cose, tornare indietro. Era bloccato lì. Avrebbe avuto diciannove anni per sempre, mentre tutte le persone che amava sarebbero morte. E lui non avrebbe più potuto rivederle. Clary era l’unica che sarebbe rimasta fino alla sua morte. Non poteva certo spiegare a sua madre perché non invecchiava, avrebbe dovuto lasciare lei e sua sorella per sempre. Non credeva di essere pronto. Non sarebbe mai stato pronto a fare qualcosa del genere. Era troppo. Che vita di merda. Sul serio. Non si era mai lamentato per quello che aveva, ma adesso era davvero troppo. Non credeva di poter cadere più in basso. Chi può essere più in basso di un vampiro? L’ultimo girone dell’Inferno e grazie tante, a mai più rivederci. Cadere più in basso voleva solo dire cadere nel vuoto, nel nulla. Significava che precipitando ancora di più, tutto avrebbe smesso di avere un senso. Clary. Sua madre. Rebecca. Lui? Anche se c’era poco di sensato. Forse avrebbe perso tutto quello che aveva da umano. Mondano. Forse aveva già perso tutto. Ma nel vuoto magari avrebbe perso anche i suoi ricordi, avrebbe perso anche le sue emozioni, avrebbe smesso di distinguere quello che era giusto da quello che era sbagliato. Avrebbe smesso di capire il senso delle cose. Sarebbe morto senza essere morto, ancora più di quanto non fosse in quel momento. In quel momento i suoi pensieri erano più intricati di un episodio di Doctor Who. E questo significava davvero molto aggrovigliati. Se doveva riassumere tutto in una parola, avrebbe detto paura. Paura. Aveva paura di perdere le persone che amava, aveva paura di cadere ancora di più nell’oscurità. Aveva paura che presto quello che rimaneva di Simon Lewis sarebbe andato perso per sempre. E voleva impedirlo. Ma non sapeva come fare. Quando credeva che sarebbe scoppiato a piangere, in quella stanza che sembrava una prigione, con le finestre coperte da pesanti tendaggi e le luci spente, una voce lo fece sussultare. Si mise a sedere sul letto, con tanta velocità che temeva che avrebbe scaraventato il computer dall’altra parte della stanza. Se fosse stato umano, era certo che il suo cuore sarebbe esploso dal battere tanto in fretta. Si sentiva stupido, perché non era la prima volta che un certo vampiro riusciva a spaventarlo, e poi tra tutti non voleva che fosse lui a trovarlo mentre piangeva come un idiota per la sua vita persa. Di sicuro l’altro non aveva avuto tutti questi problemi quando era stato trasformato. Sembrava sempre così freddo e privo di emozioni. O forse le aveva solo perse con il tempo. Non aveva idea di quanti anni avesse. Forse centinaia. Forse quello che Raphael Santiago era, era andato perso negli anni, niente di più. Ma Simon non voleva che fosse così per lui. Lui voleva rimanere sé stesso. Per quanto stupido, imbarazzante e imbarazzato, voleva rimanere quella persona. Nerd, cantate, musicista. Voleva restare così, non voleva morire davvero. Non voleva perdere le sue emozioni, non voleva diventare un vampiro al cento per cento.
-Che stai facendo, pájarito? –Simon, dopo qualche secondo per calmarsi, dato che si era spaventato sul serio, si voltò verso la porta. Raphael era riuscito a coglierlo di sorpresa solo perché filosofeggiava sulla vita. Lui… Lui non si spaventava così facilmente! Non era la verità. Il vampiro più vecchio stava appoggiato allo stipite della porta, le sopracciglia aggrottate ma un leggero sorriso sulle labbra. Era strano vederlo sorridere. Non sapeva mai quando lo faceva davvero. Non sapeva mai riconoscere un sorriso vero da uno sarcastico. Anche questo gli faceva paura. Però era sicuro di non averlo sorridere davvero. Cioè. Raphael detestava tutti. Lui più degli altri. Ma Simon non sapeva di sbagliarsi. Il vampiro più vecchio voleva bene al suo Clan più che a chiunque altro. Dopo sua sorella, ma nessuno sapeva della sua esistenza. E poi, Simon era solo leggermente imbranato e parlava troppo. Ma a volte era quasi sopportabile. Quasi. Raphael non sapeva perché fosse andato dal novellino. Forse aveva bisogno di farsi annoiare da qualcuno. O di spaventare qualcuno; e sembrava che ci fosse riuscito perfettamente. Oppure voleva soltanto vedere se stava bene. Sapeva che non era facile, dopo la trasformazione in vampiro. Perché ci rendeva conto di essere una creatura delle tenebre, un mostro. Per quel motivo non potevano vedere il sole, per quel motivo erano chiamati figli della notte. Niente più sole. Niente più cibo. Una vita nascosta, una vita inesistente. Una vita morta. Una morta vita. E la loro famiglia persa per sempre. Perché erano bloccati nel tempo, le loro lancette si fermavano, anche se loro continuavano a camminare. Riuscivano a scappare dal tempo. Lui andava avanti e loro rimanevano indietro. Non era certo una cosa positiva. Quella non era vita. Non lo sarebbe mai stata. Ma erano costretti a vivere con loro stessi per l’eternità, vedendo tutti morire, senza possibilità di fare nulla. Simon avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe fatto meglio a rinunciare alla Fairchild prima che la sua morte gli spezzasse il cuore. Perché sarebbe successo. Anche gli Shadowhunters morivano. E lei non sarebbe stata un’eccezione. E quello stupido ne sarebbe rimasto ucciso. Perché era ovvio che l’amava, bastava guardarlo, glielo si poteva leggere in faccia. L’unica a non capirlo sembrava la figlia di Valentine. Quella rossa era più stupida di Simon. E non era facile. Perciò, per quanto non volesse ammetterlo del tutto, era andato da Simon per vedere se stava bene. Da come l’aveva trovato, non sembrava. Non aveva voluto chiedergli direttamente come stesse, perciò quando aveva notato il suo computer, aveva trovato un modo per cominciare il discorso. Forse non gli avrebbe domandato nulla di così importante, forse lo avrebbe solo aiutato senza che lui se ne accorgesse. Simon sbuffò di nuovo, lasciandosi cadere sul letto. Sperava davvero che Raphael lo avrebbe lasciato in pace, per una buona volta. Si stava male perché era diventato un dannato succhia-sangue, ma non voleva farci un dramma. Voleva solo guardare un film! Raphael fece un passo nella stanza. Simon affondò la faccia nel cuscino, dicendo poi qualcosa che suonava molto “non puoi entrare, non ti ho invitato”. Il vampiro più vecchio rise. Quel novellino non avrebbe mai imparato. Avrebbe potuto significare “vattene”, ma lui era ancora convinto che i vampiri potessero entrare in una casa, o stanza, in quel caso, solo se invitati. Leggenda. Molte cose sui vampiri erano solo leggende. Era ovvio che Simon ci credesse, perché non avrebbe dovuto? Raphael si stupì di sé stesso. Era da davvero tanto tempo che non rideva più davvero. Non sapeva perché l’altro gli facesse quell’effetto. Forse perché era talmente patetico che… Non lo sapeva, non poteva cercare di trovare una spiegazione. Anche se, in fondo, sapeva quale fosse il motivo. Ma di certo non l’avrebbe mai ammesso. Non poteva, non ne aveva il diritto, dopo tutto quello che aveva fatto. A lui, a quel mondo. Avrebbe dovuto smettere di camminare su quella terra. La rendeva solo impura. Non aveva mai voluto morire, prima… Ma che senso aveva essere vivi a metà? Nessuno. Ecco. Eppure, era ancora lì, e non se ne sarebbe andato tanto facilmente. Non ora che qualcuno aveva bisogno di lui. Era responsabile del neo-vampiro, lo sapeva. Non era stata del tutto colpa sua, ma aveva comunque fatto la sua parte. Non poteva tirarsi indietro, non adesso. Fece un altro passo nella stanza, ignorando il commento precedente dell’altro, che di certo non lo voleva nella sua stanza, guardandosi intorno. Simon non aveva preso molte cose da casa sua. Solo vestiti di ricambio -che invece di essere dove avrebbero dovuto, in un armadio, erano accatastati accanto al letto -, il suo computer e la sua chitarra. Anche quella era abbandonata a fianco del letto. Raphael fu tentato di dire al novellino che anche lui la sapeva suonare, ma fu solo questione di un attimo. Avrebbe fatto la figura dello stupido. Soprattutto perché a Simon non sarebbe importato assolutamente niente. Lui voleva soltanto rivedere la sua famiglia, rivedere la Fairchild. Lo capiva. Ma avrebbe voluto trovare un modo per aiutarlo. Sapeva che la notte dopo sarebbe scomparso, alla ricerca delle cose che lo facevano sentire ancora umano. Avrebbe dovuto cercare di trattenerlo. Non sapeva se ci sarebbe riuscito. Ma doveva almeno provarci. Doveva vivere una vita eterna. Non poteva continuare a voler essere umano in quel modo sconsiderato.
Simon avrebbe voluto che Raphael se ne andasse, ma dubitava che l’avrebbe fatto. Sembrava uno dei suoi passatempi preferiti continuare a tormentarlo. Sapeva che stava solo cercando di aiutarlo ad integrarsi, ma non gli piaceva che gli facesse tutta quella pressione. Lanciò uno sguardo allo schermo del computer, e vide che il film si era finalmente caricato. Cercò di mettersi a sedere piano, ma per sua sfortuna era ancora incapace di controllare la sua velocità. Rischiò di tirare un calcio al computer, ma per fortuna evitò disastri.
-È giorno ormai. Dovresti provare a dormire. –continuò Raphael, dopo parecchi minuti di silenzio. Il neo-vampiro stava per dirgli che era ancora troppo strano per lui dormire quando fuori c’era il sole. Se fosse stato anche solo due settimane prima, sarebbe stato da qualche parte con Clary, in quel momento. Be’, considerando che erano le otto di mattina, forse sarebbe stato ancora a letto. Forse dormendo, forse pensando alla sua migliore amica. Come faceva sempre. Sembrava la solita stupida storia d’amore. La ragazza si innamorava del ragazzo. Quello bello, con gli occhi azzurri, quello misterioso. E il migliore amico, ovviamente innamorato di lei da secoli, veniva “friendzonato”. E doveva capitare proprio a lui? Perché non poteva essere lui quello bello con gli occhi azzurri? Lui era solo un ragazzo ebreo in una band con un nome ridicolo. E aveva gli occhi marroni. Wow, il colore migliore di tutti. Le gioie della vita. Sospirò, voltandosi a guardare Raphael, che lo stava osservando in modo strano. Probabilmente pensava che fosse patetico. Il vampiro più vecchio di certo avevano notato che lui era completamente fuori di testa per Clary. Avrebbe dato di tutto per non esserlo, perché faceva solo soffrire, lo ammetteva. Oppure per fare in modo che lei lo notasse. Diventare un vampiro certo non avrebbe aiutato. Raphael invece stava pensando che avrebbe voluto trovare un modo per togliere la Fairchild dalla testa del novellino. Prenderla e portarlo lontano. Prendergli ogni ricordo di lei e distruggerlo, così non avrebbe più sofferto. Ma l’amore era così, faceva soffrire, nessuno poteva farci nulla. Tanto meno lui. Simon, ricordandosi che il film si era appena caricato, ebbe una folle idea. Era da tanto tempo che non vedeva più quella pellicola, che gli ricordava i bei tempi di quando era ancora umano. “L’Impero colpisce ancora”. Un classico. Be’, era Star Wars, era il classico per eccellenza. Dei film di fantascienza, si intende. Sapeva che era una cosa terribilmente folle, che non avrebbe mai dovuto farlo. Cominciò a sentirsi talmente stupido che la tristezza per Clary sembrò solo un lontano e brutto ricordo, anche se ci stava pensando nemmeno un minuto prima. Era strano. Ma forse essere un vampiro era così. Non avrebbe più potuto controllare i suoi pensieri. Forse le sue emozioni sarebbero sempre state sballate. Cominciava a capirci davvero poco. Se mai ci aveva capito qualcosa. La risposta era probabilmente no. Si sentiva davvero un idiota. Probabilmente perché lo era.
Era folle, ma le parole sfuggirono dalle sue labbra prima che potesse impedirlo.
-C’è il coprifuoco? –domandò, con finta espressione stupita e indignata. Per ora niente di così terribile o fuori di testa. Raphael rise di nuovo. Quelle battute erano davvero stupide, eppure Simon era in grado di farlo ridere. Non aveva alcun senso. Il neo-vampiro si stupì accorgendosi di aver fatto ridere l’altro. Ma non era sicuro che fosse una risata sincera. Forse stava ridendo di lui. Perché era un nerd novello vampiro che non sapeva nulla di quello che era diventato.
-Comunque, stavo solo cercando di guardare un film. –indicò lo schermo del computer, dicendo, con stupore –non finto questa volta, era rimasto davvero stupito scoprendolo:
-Avete il Wi-Fi! –il capo Clan fece altri passi avanti, pur cercando di impedirselo. Non avrebbe dovuto invadere così lo spazio dell’altro, ma non poteva farci nulla. Era più forte di lui. Rispose che erano vampiri, non vivevano nel Medioevo solo perché erano morti. Fino a lì non c’era assolutamente niente di strano. Solo cose incredibilmente da Simon. Anche la frase successiva lo sarebbe stata, ma… Ma quella sarebbe stata da vero Simon. Un perfetto idiota. Avrebbe fatto meglio a stare in silenzio. –Ora si è caricato. –esitò, sapendo di non avere alcun senso. –Visto che sei qui, potresti guardarlo con me. –aspetta, che? Seriamente l’aveva detto? Oddio. Era certo che Raphael avrebbe riso di lui, facendo qualche commento su come i vampiri non potessero permettersi di perdere tempo guardando dei ridicoli film. Che certo, lui era solo uno stupido novellino, poteva continuare con le sue abitudini da umano, ma tutti gli altri no. Il capo Clan rimase solo fermo ad osservarlo per qualche secondo, le sopracciglia aggrottate. Non poteva credere che Simon l’avesse detto sul serio. Credeva che lo odiasse e che non volesse avere niente a che fare con lui. Ma, di certo, chiedergli di vedere un film con lui non rientrava nella lista delle cose da fare se odiavi qualcuno. Raphael avrebbe voluto trovare il coraggio di dirgli di sì, che avrebbe fatto di tutto pur di passare più tempo con lui. Ma. Di certo non poteva dirglielo. Lui era il capo del Clan dei vampiri di New York ormai, non poteva certo perdere tempo in certe cose. Però avrebbe voluto, questo era certo. Decise allora di non rispondere niente, aspettò che l’altro dicesse qualcosa. Simon era sicuro che se avesse potuto sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie. Che cavolo gli passava per la testa ogni tanto? Raphael non stava rispondendo, e doveva ammettere che questo lo faceva sentire stupido e triste allo stesso tempo. Per quanto folle, avrebbe davvero voluto che il vampiro più vecchio restasse lì. Si sentiva troppo imbarazzato per dire qualcosa, quindi si spostò un po’ verso il lato del letto, facendo spazio anche all’altro. Il silenzio non aveva intenzione di andarsene Simon guardò il capo Clan, sorridendo nel suo solito modo idiota. L’altro alzò gli occhi al cielo, sentendosi stupido per aver ceduto a un sorriso, ma andò comunque a sedersi accanto al neo-vampiro, senza dire nulla. Era un vampiro di quasi un secolo, non poteva permettersi certe cose. Ma quel sorriso… Dios, ne sarebbe rimasto ucciso, lo sapeva. Ora non poteva più tornare indietro. Forse era stato sconfitto già quando era entrato nella stanza. Come faceva a continuare ad essere così? Perché non riusciva a liberarsi di ogni emozione? Perché doveva continuare ad essere così umano, a volte? Era tutta colpa di Simon. Aveva contagiato praticamente tutti con quei suoi modi ancora Mondani, ancora umani, lui più di tutti. Per rompere quell’imbarazzante vuoto, domandò di che film si trattasse. Il vampiro più giovane sorrise come un bambino a Natale, dicendo che era Star Wars. Raphael non sapeva cosa si fosse aspettato. Come avrebbe potuto essere qualcos’altro. Simon era un vero nerd. Ma vederlo felice rischiava di fargli ricominciare a battere il cuore. E, no, non era una cosa positiva. Avrebbe fatto meglio a cercare di concentrarsi sull’adorato film di fantascienza del novellino, piuttosto che concentrarsi su di lui. Ma non poteva farci nulla.
Dopo qualche tempo, un’ora, forse un’ora e mezza, passata la fatidica scena con Luke Skywalker e Darth Vader, Simon si accorse che Raphael si era addormentato sulla sua spalla. Era così preso dal film che non se ne era nemmeno accorto. Avrebbe potuto essere arrabbiato con lui per essersi perso un classico simile, ma non sapeva esattamente quando l’altro avesse smesso di seguirlo. Ma, anche solo addormentarsi non era esattamente una cosa che si poteva considerare buona. Eppure non gli importò. Sorrise, osservando il capo Clan. Ricordava come fosse in grado di spaventarlo, di essere minaccioso. Forse era per il tono di voce che usava. O meglio, che non usava. O forse era solo la sua espressione. Fatto stava che in quel momento non sembrava il vampiro che l’aveva rapito. Sembrava quasi umano. I suoi capelli sempre in ordine erano spettinati, il suo viso era stranamente rilassato. Sembrava vulnerabile. Simon si ritrovò a pensare che fosse adorabile, ma scacciò subito quel pensiero. Era Raphael Santiago, non era un innocuo Mondano. Era un vampiro. Era incapace di provare emozioni. Anche le belve più pericolose potevano sembrare dolci. Potevano ingannare lo sguardo, ma non potevano nascondere la loro vera natura per sempre. Raphael non era da meno. I vampiri erano pericolosi. Erano solo dei mostri. Il neo-vampiro doveva ammettere che si sentiva in colpa a pensare quelle cose, avendo visto tutto quello che il Clan stava facendo per lui, come cercassero di farlo sentire bene. Ma era certo che tutti loro avessero dimenticato come fosse essere trasformati, chissà quanto tempo prima era successo loro. Sicuramente avevano dimenticato la loro famiglia, tutti quelli che amavano. Si sentiva in colpa, ma era la cruda realtà. Erano tutti dei mostri. Anche lui era un mostro, non poteva negarlo. Non importava che nemmeno una settimana prima fosse ancora un Mondano. Era un mostro, il suo cuore non batteva più. Ma sapeva che un cuore fermo non significava niente. Quelle dannate emozioni le sentiva lo stesso, a differenza di tutti gli altri. Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto piangere per quello che aveva fatto. Era stata solo colpa sua se adesso era un vampiro, lo sapeva. Raphael lo aveva avvertito, ma lui era tornato lo stesso al DuMort. Se non fosse stato così stupido, se l’avesse ascoltato… Avrebbe potuto avere una vita normale, come prima non sapeva di aver sempre voluto. Certo, sapeva che era tornato per il sangue di Camille, ma avrebbe dovuto riuscire a controllarsi. Eppure, gli aveva detto che era stata colpa sua, l’aveva accusato di essere un mostro. Quando sapeva essere stupido, quando voleva? Non aveva voluto davvero dire quelle cose, era solo sconvolto in quel momento. Ma voleva comunque piangere. Vedere Raphael così, addormentato sulla sua spalla, con quel viso così innocente, gli aveva ricordato che anche lui una volta era umano. Che non era solo lui ad avere il diritto di piangere la sua vita perduta da Mondano. Che tutti in quell’hotel erano stati umani, e per qualche sfortunata circostanza, erano morti. Per lui era stato stupido. Era stato tutto per Clary. Se lui non l’avesse praticamente costretta a portarselo dietro, non sarebbe mai stato rapito, e avrebbe continuato a vivere nel suo bel mondo luminoso. E invece. Che stupido. Stupido, stupido, stupido Simon. Ormai stava completamente ignorando il film. Non credeva che il capo del suo Clan addormentato bastasse a sconvolgerlo così tanto. Ma era bastato. Quel sorriso idiota che aveva prima sul viso, si era spento da qualche tempo. Aveva ricominciato a pensare a quanto facesse schifo la sua vita, a quanto fosse stupido a pensare a volte che facesse schifo già prima, perché non c’era paragone a quell’Inferno. L’Inferno dei dannati. Perché era quello che era. Solo un dannato mostro. Raphael era stato l’unica cosa in grado di distrarlo. Come aveva parlato, come era entrato nella stanza, aveva saputo fargli dimenticare ogni sua pena. Era strano. Nessuno lo aveva mai fatto sentire così libero. Non si rendeva ancora conto che era in catene nella speranza di avere l’amore di Clary. Quella ragazza gli aveva distrutto la vita, e lui non se ne accorgeva nemmeno. Sarebbe stata lei a farlo cadere nel vuoto, a spingerlo nel vuoto. Quando avrebbe pensato prima a sé stessa che a chiunque altro. Una lacrima scarlatta gli scivolò sul viso. Se l’asciugò in fretta con la manica della felpa. Si mosse troppo bruscamente, evidentemente, visto che rivolgendo uno sguardo a Raphael lo vide sveglio che lo guardava. Si sentì un idiota. Si sentiva troppo spesso un idiota. Doveva esserlo davvero. Il vampiro più vecchio si staccò da lui, e a Simon mancò quel contatto, per qualche motivo. Quasi come gli mancava l’aria che non doveva più respirare. Il capo Clan si sentiva piuttosto imbarazzato per essersi addormentato praticamente sdraiato sul novellino. Ma, non ci fece più molto caso, vedendo che gli occhi dei Simon erano colmi di lacrime. Un’altra lacrima gli sfuggi dalle palpebre, e il neo-vampiro si asciugò anche quella. Non voleva guardare Raphael, non voleva che l’altro lo vedesse piangere. Non voleva piangere davanti a lui come uno stupido bambino. Doveva essere forte se doveva vivere una vita eterna. Il vampiro più vecchio avrebbe voluto allungare la mano per sfiorare la guancia del più piccolo. Voleva essere lui ad asciugare quella lacrime.
-Perché piangi, niño? –disse, con un tono così dolce che stupì sé stesso. Aveva promesso che sarebbe sempre stato freddo con tutti, che non avrebbe più provato nulla. Perché per Simon doveva essere diverso? Perché sapeva che sarebbe morto del tutto per vedere il suo sorriso di nuovo? Tutto quello che voleva era vederlo felice. Era un pensiero stupido. Era solo uno stupido Mondano… Ma non lo era. Non lo era più. Adesso erano uguali, erano entrambi mostri. Ma Simon sarebbe sempre stato diverso. Forse. O forse sarebbe diventato come tutti gli altri, con una maschera di ferro in viso. Incapace di essere spezzato. Incapace di mostrare tutto il dolore che aveva dentro. Perché tutti loro soffrivano, avevano solo imparato a non mostrarlo.
-Non sto piangendo. –che razza di bugiardo. Si vedeva benissimo che stava piangendo. Ma voleva essere lasciato in pace, voleva soffrire senza che nessuno lo sapesse. Nessuno soffriva lì, tra i vampiri, lo sapeva. Loro non erano capaci di soffrire. Era semplicemente impossibile per loro. Avevano perso tutta l’umanità che avevano dentro. E poi, cosa sarebbe dovuto importare a Raphael, se lui stava piangendo? Niente, ecco la risposta. Eppure glielo stava chiedendo. Eppure sembrava che volesse aiutarlo.
-Non sono estúpido. Cosa succede? –il capo Clan sapeva che il novellino stava mentendo. Non che ci volesse molto, non era molto bravo a nasconderlo. E non gli importava che mentisse, non gli importava che non volesse essere aiutato. Anche lui non voleva essere aiutato quando era stato trasformato, e in quel momento non sarebbe stato lì se un certo stregone non l’avesse costretto a farsi aiutare. Quindi no, non avrebbe certo ceduto. Doveva aiutare Simon, così come Magnus aveva aiutato lui. Sapeva perfettamente come ci si sentisse a diventare dei mostri, a perdere la propria anima. Simon non voleva piangere. Non voleva. Si era già reso ridicolo abbastanza nello stesso giorno. Poteva risparmiarsi di essere compatito. Eppure, sapeva che sarebbe presto crollato, anche se avrebbe fatto di tutto per impedirlo.
-Niente. –teneva lo sguardo basso, sullo schermo del computer, dove il film aveva già raggiunto la sua fine. Non riusciva a guardare Raphael, si sentiva troppo stupido. Chissà da quanto tempo l’altro non piangeva. Probabilmente secoli. Probabilmente aveva dimenticato cosa significasse essere umani. Ma non sapeva di sbagliarsi, di sbagliarsi in modo clamoroso. I vampiri tentavano soltanto di essere freddi, come la notte nella quale vivevano. Non sempre ci riuscivano. Raphael era certo che avrebbe ceduto. Aveva bisogno che Simon lo guardasse, doveva vedere i suoi occhi, altrimenti sarebbe anche morto. Detestava vederlo così. Sapeva quello che probabilmente gli stava succedendo. Stava pensando ai tempi in cui era ancora un Mondano, i tempi in cui era ancora vivo. Non era passato molto. Nei primi anni era davvero difficile dimenticare. Voleva aiutarlo, ma non poteva, se l’altro continuava a mentire. Lo guardò, anche se non riusciva a vederlo bene in viso. Simon si stava torturando il labbro inferiore, sentendo lo sguardo del vampiro più vecchio addosso, aveva paura che potesse leggergli l’anima, con quegli occhi scuri. Se ancora aveva un’anima. Se sì, avrebbe fatto di tutto per tenersela stretta, per impedire che lo lasciasse. Non voleva essere come gli altri, non voleva essere dannato. Non voleva essere del tutto un mostro. Voleva ancora essere in grado di amare. Per quel momento sarebbe bastato che Raphael se ne andasse, ma non sembrava intenzionato a farlo. Continuava ad osservarlo, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. Aveva bisogno di aiutarlo. Doveva. Non riusciva a vederlo così. Faceva male dentro. Faceva male al suo cuore fermo. Non sapeva nemmeno perché.
-So che non è vero, Simon… -la sua voce era un misto di preoccupazione e tristezza, il suo tono era dolce. A quel punto, il neo-vampiro non poté più farci nulla. Voleva piangere, voleva solo piangere. La vita gli aveva scaricato troppe cose addosso nella stessa settimana, come avrebbe potuto impedirlo? Era solo umano, era solo umano. Anche così, con il cuore fermo, senza poter vedere la luce del sole. Non si sentiva un mostro. Si sentiva solo umano. Riusciva a sentire il peso di tutte le cose, riusciva a sentire il peso delle emozioni che gli gravava sul cuore. Essere mostri non avrebbe dovuto essere così. Tutte le loro emozioni avrebbero dovuto essere cancellate. Ma erano ancora lì, non volevano andarsene. Prima di potersi accorgere di quello che stava facendo, si gettò tra le braccia di Raphael, lasciandolo spiazzato, singhiozzando. Non gli importava di quello che l’altro avrebbe pensato, non gli importava. Voleva solo piangere, non gli importava se il capo Clan non poteva più provare emozioni, se l’avrebbe preso per stupido. Era stupido, non c’era dubbio, allora poteva continuare a comportarsi come tale. Voleva soltanto che non se ne andasse. Poteva sopportare tutto, ma non riusciva a soffrire da solo. Forse a Raphael non importava davvero di lui, forse era andato da lui solo per… Oh, non lo sapeva per cosa. Ma non poteva lasciarlo andare. Non poteva. Ne andava della sua vita, lo sentiva. Non gli avrebbe permesso di uscire da quella stanza, non gli avrebbe permesso di abbandonarlo, dopo aver finto che gli importasse. Ma al vampiro più vecchio importava. Importava più di quanto volesse ammettere. Il gesto di Simon lo stupì molto. Credeva che lo odiasse per quello che gli aveva fatto, pur non avendogli fatto nulla. Non aveva esitato un secondo, non aveva avuto paura. Era strano. Credeva che tutti avrebbero sempre avuto paura di lui, forse perché era il capo Clan. Primo tra tutti Simon. Non poteva certo biasimarlo, dato che l’aveva rapito… Ma non era spaventato, non ci aveva pensato. L’aveva fatto e basta, senza pensare alle conseguenze. Forse perché per il neo-vampiro non c’erano conseguenze. Perché per lui non c’erano conseguenze. Perché avrebbero dovuto? Ma per Raphael c’erano delle conseguenze. Si sentì male, come se il cuore avesse ricominciato a battere. Sentiva come un dolore sotto le costole. Era il cuore a fargli male? Era fermo. Non aveva senso. Tutto quello che stava capitando nella sua testa non aveva senso. Forse lui cominciava a non avere più senso. Tutto per colpa di quel nerd. Ma, come se non riuscisse più a controllare quello che faceva, strinse le braccia attorno alla figura tremante del vampiro più giovane. Simon non riusciva a smettere di singhiozzare. Sapeva che avrebbe finito per rovinare un’altra giacca di Raphael, con tutto quel sangue, continuando a piangere sulla sua spalla. Ma non poteva smettere. Non gli importava. Non gli importava.
Rimasero così per chissà quanto tempo, fino a quando Simon non ebbe più la forza di piangere. Raphael era rimasto in silenzio tutto il tempo, mentre la sua mente continuava a pensare. Cosa stava facendo? Non poteva certo… Ma no, che pensiero stupido. Non era da lui. Non più ormai. Aveva promesso che non si sarebbe più… Fatto ingannare. E allora perché stava fallendo in quel modo clamoroso. Avrebbe dovuto lasciare che Simon morisse, avrebbe dovuto ucciderlo. Non avrebbe mai dovuto salvarlo. Non per arrivare a quello. Si sentiva un idiota. Avrebbe dovuto riuscire a controllarsi di più, ma sapeva che stava cadendo. Cadendo sempre più in basso, verso il vuoto che credeva di aver già raggiunto. Si accorse che il neo-vampiro aveva smesso di piangere. Fu solo questione di pochi attimi, poi Simon si allontanò bruscamente, come accorgendosi di quello che era successo. Di quello che aveva fatto. Si era reso ridicolo, come aveva cercato di impedire. Eppure non aveva potuto farci nulla. Nessuno dei due avrebbe ammesso che sentivano la mancanza di quella vicinanza, di quel contatto. Erano solo umani. Lo erano stati. E anche cercando di non esserlo sarebbero rimasti così sempre. O almeno, era quello che Simon sperava. Raphael era certo di voler morire di nuovo. Aveva promesso… Ma non poteva decidere quello che provava. Anche se avrebbe voluto. Disse al novellino che avrebbe dovuto provare a dormire, e prima che l’altro potesse accorgersi di qualcosa, uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé. Vi si appoggiò, sospirando. Che cose stupida. Era colpa di Simon. Era sempre colpa di Simon. Quanto era stupido? Come aveva potuto? Ma forse non… Non poteva continuare a mentire a sé stesso. Lo sapeva, ma avrebbe voluto poter cambiare le cose. Quell’amore lo avrebbe distrutto.
Simon era rimasto immobile nella sua stanza, il viso coperto dalle sue lacrime insanguinate. Che cosa diavolo era successo? Che cosa aveva fatto? Sentiva un enorme bisogno di rivedere Clary. E anche di dormire. Poteva solo dormire. Avrebbe aspettato per rivedere Clary. Però doveva rivederla. Aveva bisogno della certezza che lei gli dava. Perché non si era mai sentito tanto confuso in vita sua. Mai, davvero. Avrebbe voluto darsi fuoco da solo. O sbattere la testa sulla parete fino a quando non l’avrebbe rotta. Che stupido, stupido, stupido. Adesso Raphael non gli avrebbe mai più rivolto la parola. Avrebbe dovuto evitare di essere così impulsivo. I vampiri non provavano emozioni, non si poteva investirli con un’onda tanto forte di sentimenti. L’aveva di certo spaventato, ecco perché se n’era andato. Ma era stato lui a costringerlo. Gli aveva chiesto cosa c’era che non andasse, e lui non aveva saputo rispondere in altro modo. Si buttò indietro, sul letto, senza curarsi del computer, che sperava che non lo avrebbe rotto nel sonno, e chiuse gli occhi, cercando di scacciare l’immagine del suo capo Clan che dormiva sulla sua spalla.
Raphael era ancora appoggiato alla porta. Non riusciva ad andarsene. Avrebbe voluto tornare dentro e… E non sapeva cosa. Soltanto poter guardare di nuovo Simon. Avrebbe davvero voluto morire. Aveva promesso che non sarebbe più successo. E c’era anche un motivo, lo sapeva perfettamente. Dopo quello che era successo con Dahlia, aveva imparato che l’amore era un Diavolo. Che era capace di illuminarti la vita, anche se vivevi nell’oscurità. Ma, attimi dopo -magari anni per i Mondani, ma meri battiti di ciglia per i vampiri -, soffocava quella luce e ti lasciava in un’oscurità ancora peggiore. Non poteva ammettere la verità, doveva continuare a negarlo. Perché quell’amore gli avrebbe spezzato il cuore già fermo. Doveva continuare a fingere che quel sentimento non fosse lì, perché non avrebbe dovuto esserci. E poi, Simon non avrebbe mai potuto amarlo. Nessuno avrebbe potuto. Dahlia lo amava, certo. Ma prima di scoprire chi lui fosse davvero. Prima che vedesse che era un mostro. Era quella la maledizione dei vampiri. Nessuno poteva amarli. Nessuno. Nemmeno la loro famiglia. Perché era solo mostri, erano solo bestie assetate di sangue. E chi avrebbe mai potuto amare una bestia?  

Angolo autrice:
Ma ciao! :) Spero che qualcuno abbia deciso di continuare a leggere questa storia, con scleri inclusi e depremenze annesse! Che bei tempi quando Simon non aveva ancora tradito il Clan :0 Come noterete dai miei illuminanti ragionamente, è sempre colpa di Clary! Non che sia una gran novità... Un povero Simon appena diventato vampiro, aww! Però, potrebbe anche evitare di pensare che i vampiri non abbiano sentimenti, dopo ci si offende :( 
Non potevo non metterci Star Wars, naturalmente ;) Sooo, la prossima parte la pubblicherò solo mercoledì, quindi ancora dovrete aspettare per scoprire che cosa è successo a Raph :0 Comunque, dicendo che non si è mai sentito tanto confuso in tutta la sua vita, Simon non sa che è così PER ADESSO. Eeeh, ho intenzione di farlo confondere ancora di più... Oggi c'è il nuovo episodio! Vanno a Idris, waaaa. E devo ammettere che sono un po' spaventata. Ma tanto per noi è domani... :( Volevo anche dirvi due cose: se per caso avete instagram e volete continui spoiler (circa, sono più foto) vi consiglio di seguire (non solo la pagina ufficiale della serie @shadowhunterstv) @shadowhunters_inblood (se faccio "propaganda" nessuno mi uccide, vero?). Nella storia di solito mette anche i commenti sull'episodio. E poi shippa la Saphael ;) anche se ultimamente va più sulla Jimon perchè ha perso le speranza :( E se volete avere delle belle fanart Malec/Saphael cercate quelle di Su-pectrum, è brava (se le cercate su internet non garantisco riuscite, se proprio volete andate su tumblr, ma poi è piuttosto difficile vagare nei post fino a trovarle). Ok, non credo che leggerete tutta questa cosa, la smetto. Ci si rivedere mercoledì :) 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)
P.P.S: Per scrivere questo pezzo mi sono in parte ispirata a una fanart che ho trovato su internet, ma non so di chi sia. O perchè lo stia dicendo. 

 

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Capitolo 2
*** Save me cause I'm falling pt.2 ***


Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.2)
“Stupido. Stupido. Stupido, stupido, stupido Simon. Come ho potuto lasciare che accadesse? Avrei dovuto stare più attento. Per cominciare avrei dovuto evitare di andare al DuMort! Ma… Ma era per Becky e la mamma. Credevo davvero che ce le avessero loro. Avrebbe avuto un senso? Certo, certo che ce l’avrebbe avuto. Loro mi odiano, dopo quello che ho fatto. E hanno ragione, oddio se hanno ragione. Avrei dovuto usare il mio cervello. Non avrei dovuto aiutare Clary. Non sarei in questa situazione se non fosse per lei… Forse dovrei decidermi a lasciarla. Ma la amo! Credo. Non sono più sicuro di nulla. Una volta dico, solo una volta, potrei essere sicuro di qualcosa? Certo che no. Sono Simon Lewis. Non posso essere sicuro. Sono un vampiro da due mesi. È come se fossi nato ieri. Che stupido che sono. So che avrei potuto impedirlo. E invece no! Sono rimasto a guardare. Che vampiro inutile. Che persona inutile! Non so fare nulla. Sono rimasto congelato alla vista di un demone. Ormai questo è anche il mio mondo, devo adattarmi. Finirò per farmi ammazzare. Finirò per far ammazzare tutti quelli intorno a me! Quando vorrei essere ancora Mondano! La mia unica preoccupazione sarebbe studiare! Ma invece no, sono qui, e non posso tornare indietro. Se non avessi insistito per andare con Clary questo non sarebbe successo. Probabilmente lei sarebbe scomparsa e basta, insieme a sua madre. E io avrei continuato a vivere la mia vita, dopo averlo accettato. Non sono fatto per questo mondo. Troppe cose pericolose. E io sono troppo stupido. Davvero, un idiota. Ho tradito la mia famiglia per una ragazza che nemmeno mi ama! Lo so, ma perché sto ancora con lei? Vorrei tanto sbattere la testa sul tavolo, ma dubito che Luke sarebbe contento se glielo spaccassi. Isabelle dovrebbe arrivare presto. Spero. Be’, lei e Raphael stanno insieme, non vedo perché non dovrebbe… Oddio. Raphael. Non posso credergli di avergli detto quelle cose! La mia stupidità non ha confini. Potrebbe essere morto, cazzo. E l’ultima cosa che gli ho detto è che sua sorella lo odierebbe se sapesse chi è. Cosa mi ha mai fatto lui? Sì, va bene, ha cercato di uccidermi. Ma me lo meritavo. Certo che me lo meritavo. Per altro mi ha solo aiutato. E come l’ho ricambiato! Sono un cretino! Un fottuto cretino. E la mamma e Becky? Chissà dove sono. Chissà se sono vive. Come faccio ad andare avanti se non le ritrovo? Sono tutto quello che ho. Dovrò abbandonarle, prima o poi, sono un vampiro, ma questo non vuol dire… Spero che siano vive. Devono essere vive. Non ci può essere un’altra possibilità. Ma chi avrebbe avuto interesse a rapirle? Sono solo due Mondane! Se è successo loro qualcosa è solo colpa mia. Ma chi mi odia tanto da colpire la mia famiglia? Qualcuno mi odia? Perché qualcuno dovrebbe odiarmi? Perché sono un Diurno? Va bene, ma questa non mi sembra il motivo. Qualcuno deve avercela con me per qualcosa che ho fatto. Oddio. Oddio! Magari Raphael non è morto. Magari hanno rapito anche lui! Sì, ma che collegamento c’è tra lui e la mia famiglia. Io? Ma Raphael mi odia. Perché rapirlo per colpire me? Mah, è il capo del Clan più potente di New York. Con lui qualcuno ce la deve avere. Va bene, non è stato il capo per tanto tempo. Da quando io sono un vampiro. Comunque ce lo avrà dovuto avere il tempo di fare qualche torto a qualcuno. Camille? Ma Camille è da qualche parte nella Città di Ossa, credo, rinchiusa. Non ha senso, non può essere stata lei. Anche se è l’unica che potrebbe essere arrabbiata con me. Cioè, l’ho liberata e poi ho aiutato a catturarla di nuovo. Ma non può certo aver ideato il piano mandando qualcun altro a completare l’opera. Dubito che la lascino parlare con chiunque. Non ha senso. Ma allora chi è stato?! Credo che impazzirò andando avanti così. Deve pur esserci un senso! Eppure niente sembra avere un senso. Questo mondo non ha senso! Io non ho senso. Sono uno stupido. Sono un dannato stupido. Cretino. Idiota. Imbecille.”
I pensieri di Simon vennero interrotti dalla porta d’entrata del Jade Wolf che si spalancava. Per prima entrò Isabelle, che indossava la sua tenuta Shadowhunter. Era seguita da Lydia. Appena la giovane Lightwood lo vide corse verso di lui e lo abbracciò. Al che, il vampiro si stupì non poco, dato che loro due si erano a malapena parlati da quando si erano incontrati. Ma, considerando che Raphael poteva essere morto, riusciva a capirla. Sapeva di averglielo detto troppo bruscamente, quando era riuscito a smettere di balbettare e tremare come uno stupido. Sapeva che non avrebbe dovuto dirlo così, ma non aveva potuto farci nulla. Aveva voluto che qualcuno sentisse tutto il panico che aveva sentito lui. Gli dispiaceva che quel qualcuno avesse dovuto essere Isabelle, dato che sapeva quanto la mora tenesse al vampiro più vecchio. Certo, lo amava. Era ancora una cosa troppo strana da accettare. Ma, nel giro di due giorni, le cose da accettare erano diventate fin troppe. E non riusciva ad accettarne nessuna. Come aveva potuto credere che quando Clary diceva che si era sentita morire quando lui era morto intendesse che non poteva vivere senza di lui? Che intendesse che non poteva vivere senza di lui perché lo amava? Che idiota. Era colpa sua, era lui che aveva frainteso. Se tutto quello non fosse successo, probabilmente lui sarebbe andato all’Istituto a chiedere l’aiuto della giovane Fairchild, quando aveva scoperto che sua madre e sua sorella erano scomparse, non al DuMort. Era solo colpa sua se a Raphael era successa qualunque cose gli fosse successa. E non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero dell’ultima cosa che gli aveva detto. Certo, si era scusato, ma la cazzata l’aveva fatta lo stesso. E adesso non sapeva cosa fare.
Isabelle non sembrava aver intenzione di lasciarlo andare. Lo stava abbracciando come se ne andasse della sua vita. Forse era così. Non poteva accettare di aver perso Raphael. Non l’avrebbe davvero perso fino a quando non si sarebbe arresa, quando si sarebbe detta che non c’era più niente da fare. Raphael non era morto. Lo sapeva. Non poteva essere morto. Di nuovo, definitivamente. L’ultima cosa che gli aveva detto era che non potevano più vedersi, e non poteva accettare di lasciarlo così. Doveva trovare una soluzione. Dopo la telefonata di Simon, ci aveva messo almeno un quarto d’ora a riprendersi del tutto. Non si era davvero ripresa del tutto. Probabilmente non si sarebbe mai ripresa del tutto. Fece un respiro profondo e si staccò da Simon, sedendosi a uno dei tavoli. Era pronta ad ascoltare la storia in ogni suo dettaglio. Domandò al vampiro di non tralasciare nemmeno un particolare. Lydia stava in piedi accanto a lei, le braccia incrociate, lo sguardo concentrato. Izzy non avrebbe mai potuto ringraziarla abbastanza per averla accompagnata, per essere stata pronta a sostenerla, anche se non sapeva praticamente nulla di quella storia. La giovane Lightwood pensava che forse prima o poi avrebbe dovuto dirle la verità. Che lei e Raphael non si amavano davvero in quel senso, e che era stata tutta una messinscena per “conquistare” Clary. Sapeva che lei non avrebbe riso, forse avrebbe capito, l’avrebbe aiutata. O almeno ci sperava. Ma sapeva che non avrebbe trovato presto il tempo di dirglielo, con quello che stava succedendo. Isabelle lanciò uno sguardo preoccupato a Lydia, ma la bionda non sembrò vederlo. Stava osservando Simon, che stava iniziando a raccontare tutto il casino che era successo. Il giovane vampiro cercava in tutti i modi di tenere una voce tranquilla, dato che non era per nulla tranquillo, ma sapeva che altrimenti avrebbe cominciato a divagare e non era il suo obiettivo. Spiegò tutto nel modo più accurato possibile, come aveva fatto con Luke, mentre aspettavano le due Shadowhunters. Era stato il suo unico modo di calmarsi. Aveva ringraziato il lupo mannaro per aver ascoltato ogni cosa, senza giudicarlo. Sapeva che lui lo avrebbe aiutato a ritrovare la sua famiglia, era un poliziotto, dopotutto. Raccontò quello che aveva trovato quando era andato a casa di sua madre, spiegò perché gli fosse venuto in mente di andare al DuMort –disse che non ci aveva pensato, che aveva agito impulsivamente. Non lasciò via nulla, nemmeno il momento in cui Lily lo aveva minacciato. Isabelle strinse i pugni sotto il tavolo. La vampira aveva avuto ragione, ma Simon era stato ovviamente troppo stupido per ascoltarla. A quanto pareva gli piaceva davvero veder soffrire gli altri. Soprattutto se gli altri erano Raphael. Avrebbe tanto voluto tirargli un pugno in faccia, pur sapendo quanto l’altro fosse disperato. Ma non poteva accettare che qualcuno facesse del male all’unica persona che l’amava davvero. Lydia, notando quando il suo sguardo si fosse indurito in quel momento, le mise una mano sulla spalla, per tranquillizzarla. Se non fosse stato per lei avrebbe davvero spaccato il naso di Simon. Ma lasciò che il vampiro continuasse il suo racconto. Terminò parlando del demone e descrivendolo. Lui non era molto esperto di demoni, ma non gli era sembrato molto amichevole. Infatti non lo era stato. Prima che potesse accorgersi di quello che stava succedendo, il demone era tornato dall’acqua sporca da cui era venuto, trascinando Raphael con sé. Il vampiro più giovane aveva gridato, e si era lanciato sul bordo del canale, ma non c’era già più traccia di loro. Niente bolle, niente di niente. Solo acqua scura. Isabelle balzò in piedi, domandandogli perché non avesse cercato di aiutare Raphael, anche se nel canale non vedeva più nulla. Lydia e Luke, che nel frattempo era tornato, dopo aver discusso alcune cose con i lupi del Clan –a nessuno di loro piaceva l’idea che Simon girasse troppo lì attorno; avrebbero preferito che restasse nella sua rimessa -, si lanciarono un’occhiata preoccupata, sperando che la giovane Lightwood non avrebbe davvero attaccato il vampiro, come sembrava intenzionata a fare. Simon le rivolse uno sguardo non meno preoccupato. Si sentiva terribilmente in colpa. Era un dannato disastro. Era stato un disastro da Mondano, e ora era un disastro da vampiro. Sarebbe sempre stato un disastro, probabilmente. Fece per rispondere a Isabelle, ma la porta d’entrata di spalancò di nuovo. La preoccupazione del Diurno non diminuì di certo, piuttosto aumentò. Erano Lily e Sergey. La vampira si lanciò subito su di lui, sollevandolo per la giacca. All’apparenza sembrava una ragazza debole e fragile, a volte ci si riusciva a dimenticare che in realtà era posseduta da un’infezione demoniaca e che era più forte di quanto si riuscisse a immaginare. Lei era la persona che più lo odiava tra tutti, lo sapeva.
-Dov’è Raphael, sporco traditore? Dov’è il nostro leader?! –sibilò, il viso così vicino a quello di Simon che se fosse stata umana avrebbe sentito il suo respiro. Luke fece un paio di passi avanti e li separò con decisione. Lily indietreggiò, lanciano un’occhiata malevola al lupo mannaro, per poi tornare a guardare in modo acido il vampiro più giovane. Isabelle sapeva che così non avrebbero probabilmente sistemato nulla. Si piazzò tra i due vampiri, rivolgendosi a Lily.
-È proprio questo il punto. Non lo sappiamo. –la vampira non addolcì certo lo sguardo e la voce, a quel punto. Che cose diavolo voleva dire che non lo sapevano? Doveva essere tutta colpa del Diurno. Era sempre colpa sua, quando succedeva qualcosa a Raphael. Se solo a Camille non fossero venute certe idee… Erano andati al Jade Wolf capendo che c’era qualcosa che non andava. Se l’erano sentito dentro. Non avrebbero dovuto lasciare che il loro leader andasse da solo con Simon. Era diventato troppo pericoloso ormai.
-Come sarebbe a dire? –domandò, alzando un sopracciglio, senza smettere di guardare il vampiro più giovane. Non si poteva fidare di lui, era stata una stupida fin da principio. Simon si ritrovò ad essere incapace di parlare, di nuovo, come se qualcuno gli avesse fatto un nodo alla lingua. Abbassò lo sguardo sul pavimento, domandandosi come avesse potuto essere così stupido. Doveva metterci una pietra sopra: era troppo stupido per sperare di poter cambiare, un giorno. Avrebbe voluto darsi un ceffone da solo. Isabelle rispose al posto suo, dopo aver deglutito. Anche a lei le parole venivano difficili da pronunciare.
-Vuol dire che… Potrebbe essere morto. –a quel punto, prima che la Shadowhunters potesse vedere la reazione di Lily, Sergey, che era stato in silenzio fino a quel momento, si espresse. Aveva avuto un poco di timore a parlare, considerando che Lily sembrava davvero arrabbiata, ma a quel punto aveva saputo che la Shadowhunter e il Diurno dovevano sapere.
-Non è morto. –disse solo, aspettando che qualcuno gli domandasse come faceva a saperlo. Simon fece un passo avanti, come uno scatto, affiancandosi a Isabelle, ricevendo un’occhiata di fuoco da Lily, chiedendo cosa intendesse, praticamente in contemporanea con la Nephilim. I due si guardarono, aspettando che il vampiro rispondesse. Sergey rivolse lo sguardo a Lily, che annuì solamente, quasi dovessero rivelare i segreti più oscuri del Clan di vampiri di New York. –È stato lui a trasformarmi. Se fosse morto, morto davvero, lo saprei. –Isabelle sentì un improvviso bisogno di abbracciare il vampiro. Raphael non era morto! Non era morto! Avrebbe potuto rivederlo, avrebbe potuto scusarsi con lui, avrebbe… La voce di Luke la distolse dai suoi pensieri, ricordandole il fatto più strano in tutta quella storia.
-Mi state dicendo che un demone l’ha rapito? –era strano da pensare. I demoni non erano qualcosa di controllabile. Forse, se li evocavi, ma… Era comunque qualcosa di strano. Che avrebbe avuto interesse a rapire Raphael? Certo, era il leader del Clan più potente di New York, ma… Perché? Doveva esserci un movente. Forse voleva mettere il mondo dei Nascosti all’erta. Forse voleva lanciare un messaggio… Ma poi, era stata la stessa persona a rapire o uccidere la famiglia di Simon? Chi avrebbe potuto essere? Impossibile da sapere, avrebbero dovuto indagare. Anche se sarebbe potuto essere difficile. Simon sosteneva che il colpevole doveva essere di certo un vampiro, lo aveva capito da quello che aveva visto a casa sua, però… I vampiri erano molti. E non si potevano basare solo sulle apparenze. Chiunque avrebbe potuto far credere che fosse colpa di un vampiro, mentre invece era tutt’altro essere. Isabelle sapeva che avrebbe dovuto chiedere aiuto all’Istituto. Magari tutto aveva a che fare con le misteriose scomparse di Mondani degli ultimi due mesi, che continuavano ad aumentare… La scomparsa della sorella e della madre di Simon potevano essere un caso, collegate a quel caso. Potevano essere state scelte casualmente. Ma Raphael? Troppo strano. Sentì Simon trasalire accanto a lei. Guardandolo, notò che aveva lo sguardo fisso su un punto nel vuoto, più o meno sopra la testa di Lily. A dire la verità, tutti stavano guardando lì, ora anche la vampira, che si era spostata di scatto. Seguendo lo sguardo di tutti i presenti capì perché. L’aria aveva preso fuoco, e brillava di colori arancioni, gialli e rossi. Un messaggio di fuoco. L’ambiente sembrò quasi scaldarsi. Nessuno osò muoversi, mentre il fuoco diventava carta e precipitava verso il pavimento del Jade Wolf. Prima che la sua corsa si fermasse, Lydia lo prese, leggendolo senza esitazioni. La sua espressione passò da confusa a preoccupata. Quando ebbe finito, la Shadowhunter passò il messaggio a Isabelle. Tutti gli altri si misero accanto e dietro di lei, cercando di leggere. Non avevano saputo cosa aspettarsi. Quello tra tutto non era così fuori di testa. Quasi. Tutti e cinque si sentirono gelare le ossa. Era scritto in un modo che metteva i brividi, non sapevano nemmeno perché. E lasciò tutti loro molto confusi. Molto, molto, confusi.
 
Se state leggendo questo messaggio vuol dire che siete riusciti a capire che il vostro amato vampiro non è morto. Per ora. Non voglio fargli del male, poverino, mi fa pena. Ma, cambio idea molto in fretta. Lo so, lo so, non avete idea di chi io sia. Che tragedia. Mi divertirò molto a vedervi affannare per cercarmi… Poveri piccoli. Dimentico qualcosa? Ah, certo. Le due Mondane sembrano molto a loro agio tra noi. Solo un po’ silenziose, niente di preoccupante. Respirano ancora. Credo. È così respirare? Non mi ricordo…
Su, su, cercate, cercate! Voglio giocare con voi!
Acqua.
Acqua.
Acqua.
Siete ben lontani dalla verità, non ci vuole molto a capirlo. Il tempo scorre…
Attenti a non scottarvi con il fuoco…
 
Angolo autrice:
Oook, il finale è un po' inquietante... Salve di nuovo! :D Comunque, ho deciso che, visto che la seconda parte non ho ancora finito di scriverla, pubblicherò le parti ogni due giorni e i capitoli nuovi dopo tre. Eheheh, così dovrete aspettare di più. Oooh, nel caso non l'abbiate notato Simon sa di essere un cretino! Allora va tutto alla perfezione...
Ho visto il nuovo episodio e sono triste perchè non c'era Raphael (e da quanto ho sentito non ci sarà più neanche nei prossimi quattro episodi, quindi i nostri cuori shipper possono riposare in pace :/). Ma Simon era carino :D E non era con Clary. Quella era decisamente la parte migliore. E LA CLACE! LA CLACE! Stavo svenendo in quella scena *-* E Sebastian oddio? E Clary che realizza che lui è ancora vivo?:0 Volevo anche dire che certe cose sui Nascosti e vari le ho prese dal libro e non dalla serie (ho riletto il Codice e mi sono sconvolta a vita perchè dice che i vampiri non possono vedere il loro riflesso ma nella serie sì; e non so se rende le cose migliori o peggiori) ma l'ultima volta che ho davvero letto qualcosa dei libri è stato due anni fa, quindi ho molte lacune. E, anche se non c'entra niente, sono triste perchè mi ricordo solo che nel quinto Clary viene circa rapita ma non mi ricordo assolutamente niente. E poi mi sono accorta che la Sizzy (nei libri la shippavo tantissimo) è una cosa orribile, perchè non c'è verso che una relazione tra un vampiro e un essere vivente sia sana (*quel momento imbarazzante in cui non riesci a trovare un aggettivo in italiano e traduci praticamente letteralmente dall'inglese ma è orribile*). Ok, don't hate me, pleaz. E nella serie non li shippo non perchè shippo la Saphael ma perchè si sono parlati si e no due volte da quando si conoscono.
Soooo, next time: finalmente scopriremo dov'è finito Raph :0
A dopodomani! :D 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)
 

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Capitolo 3
*** Save me cause I'm falling pt.3 ***


 
Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.3)
Acqua. Acqua che scorre. Pioggia? Decisamente pioggia. Stava piovendo. Era l’unica cosa che sapeva. L’unica cosa che riusciva a capire. Aveva la vista appannata, anche se non sapeva come fosse possibile. Era confuso. Come si poteva confondere un vampiro? Non lo sapeva nemmeno lui, ed era strano da pensare. Era spaventato. Non era mai spaventato. Eppure, l’aria attorno a lui aveva un odore strano, lo metteva in agitazione. Sangue. C’era un vago sentore di sangue. Abbastanza per fargli sentire la fame. Cosa diavolo era successo? Dove diavolo era? L’ultima cosa che ricordava era il viso sconvolto di Simon, mentre la cosa lo trascinava con sé nel canale. Non aveva idea di cosa fosse successo. Qualcuno lo aveva rapito? Perché qualcuno avrebbe voluto rapirlo? Non aveva senso. Per un attimo, mentre cadeva verso l’acqua scura, aveva creduto che sarebbe morto. Per sempre, questa volta. E invece no. Era lì. Ancora non-morto. E non capiva, non riusciva a capire. Non riusciva a muoversi. Le sue mani erano tenute insieme da una corda legata intorno ai suoi polsi. Bruciava. Bruciava come il fuoco d’Inferno ogni volta che tentava di liberarsi. Acqua santa. Credeva di essersi abituato ormai. A quanto pare, non fino a quel punto. Quella corda ne sembrava fatta, da tanto doveva esserne fradicia. Strinse gli occhi, cercando di dare un senso alla massa confusa di ombra e luce davanti a lui, ma il mondo non sembrava voler tornare focato. Sentì il rumore di passi sul pavimento. Qualcuno si stava avvicinando. Una donna, pareva. I suoi tacchi ticchettavano sul terreno, rimbombando nelle sue orecchie come un fastidioso tuono. Una risata si aggiunse ai passi. Raphael strizzò gli occhi, alzando lo sguardo sulla persona che sapeva essere davanti a lui, per quanto non riuscisse a distinguerla. La vide avvicinarsi e sentì una mano sulla sua guancia.
-Con calma. –quella voce… Era strana. Era alta e melodiosa, ma stonava incredibilmente. Stonava con tutto quel posto. E poi, il tono era dolce. Quasi come se lo stesse prendendo in giro.
-Non devi agitarti. Potresti farti male. –il vampiro fece per ribattere, ma si ritrovò incapace di parlare. Non capiva cosa gli stesse succedendo. Non riusciva a vedere, non riusciva a parlare, riusciva a malapena a sentire. E quella donna chi era? Cosa voleva da lui? Perché lo aveva portato lì? Doveva avere uno sguardo interrogativo, quel poco che riusciva a tenere gli occhi aperti, perché la donna rise di nuovo. Sentì la sua mano scivolare via dal suo viso, mentre una delle sue unghie gli percorreva la guancia, graffiandolo. –Tranquillo, presto capirai tutto. E starai bene. Per ora deve essere così. –Raphael si dimenò di nuovo. Non voleva restare lì. Quella donna doveva essere terribilmente fuori di testa. Non riusciva a capire cosa fosse. Nephilim? Seelie? Mannara? Strega? Vampira? Ricordò quello che Simon gli aveva detto riguardo la sua famiglia. Se aveva avuto ragione, e se quella era una vampira, la stessa vampira, forse Elaine e Rebecca erano lì da qualche parte, con lui. Ma perché? Che collegamento avevano il leader del Clan del DuMort con due semplici Mondane? Una cosa in comune l’avevano, realizzò. Simon. Ma a Simon non importava nulla di lui, non lo stava certo cercando. Aveva di certo continuato la sua strada verso il Jade Wolf, aveva raccontato tutto quello che era successo al suo amico lupo, parlandogli della sua famiglia. Ma lui? Perché avrebbe dovuto parlare di lui? Non poteva essere Simon, la cosa che li collegava. E poi, non sapeva nemmeno quello che stava dicendo. Magari il suo rapimento e la sparizione delle due donne non erano avvenimenti collegati. Ma, per qualche motivo, sapeva che lo erano. Non certo a causa di Simon. Chi poteva odiare sia lui che Simon? Gli venne in mente solo una persona, ma non poteva essere lei. Non aveva senso. Lei era da qualche parte alla Città di Ossa, dove non avrebbe più potuto fare del male a nessuno. Avrebbe voluto domandare alla donna, alla vampira, perché lo stesse tenendo prigioniero, ma non poteva parlare. E, probabilmente, lei non gli avrebbe risposto lo stesso. Aveva detto che presto avrebbe capito tutto, quindi non subito. Sarebbe stato uno spreco di fiato che non aveva. La vampira rise un’ennesima volta. Raphael avrebbe voluto essere libero. Le si sarebbe lanciato addosso e l’avrebbe obbligata a rispondergli. Perché sapeva che così sarebbe impazzito. Incapace di fare qualsiasi cosa, senza capire. Quella pazza avrebbe potuto fare di tutto con lui. Avrebbe potuto usarlo per ferire innocenti Mondani, usando la sua fame. Avrebbe fatto di tutto per impedirlo. Non avrebbe ucciso nessuno. Né per sé stesso, né per nessun’altro. Nessuno che non lo meritasse, almeno. –Oh, no, non cercare di liberarti, non servirà. –i passi stavano iniziando ad allontanarsi. Ma non poteva permettere che lo lasciasse lì così, confuso come mai prima d’ora. Doveva capire. Doveva. Sapeva di non poterla seguire. I passi si fermarono all’improvviso, per poi ricominciare, tornando nella sua direzione. La mano tornò sulla sua guancia. Pur non sentendo il freddo, Raphael era certo che quel palmo fosse più gelato del ghiaccio. –Lo so, lo so. Non capisci. –il vampiro non poté fare nulla se non scuotere la testa più che poteva. La donna rise ancora, e la risata suonò ancora più terrificante di prima. –Non buttarti giù, -in un attimo, la vampira si fu di nuovo alzata, guardandolo dall’alto. La faceva davvero ridere vederlo così spaventato. L’aveva detto che ci sarebbe stato da ridere, e aveva avuto ragione. Non vedeva l’ora di incasinare ancora di più la mente del leader –odiava dover dire quella parola, soprattutto se riguardava lui –del Clan più potente di New York, anche se non certo grazie a lui. Avrebbe voluto che la ragazzina e Ishmae potessero essere lì con lei, a godersi il divertimento, ma sapeva che loro avevano altri compiti da svolgere. Grazie a loro le cose sarebbero state ancora più divertenti, lo sapeva perfettamente. Nessuno avrebbe potuto capire nulla. E lei avrebbe avuto la sua vendetta. “Sua”. Non che fosse davvero sua. Ma in qualche modo lo era, avrebbe comunque tratto soddisfazione da quella vendetta. La vendetta era migliore servita fredda? Servita fredda da mani fredde e cuore freddo era ancora meglio. Decise di cominciare in quel momento. A confondere. Aveva già inviato un messaggio al Diurno e compagnia bella, ed era sicura che avessero accettato di giocare al suo giochino. Anche se erano ancora in alto mare. Dubitava che avrebbero scoperto molto in fretta. Aveva preso tutte le precauzioni possibili per non farsi scoprire tanto facilmente. E poi gli Shadowhunters erano stupidi. Davvero stupidi. A loro non importava nulla dei Nascosti, questo era chiaro. E allora perché a loro sarebbe dovuto importare dei Nephilim? Oh, al diavolo gli Accordi. Chi ci credeva davvero? Nessuno. Loro non potevano permettersi di comandarli. Non ci sarebbero riusciti, non sempre. –non avere paura, mia piccola caramella… - e così, senza un suono, scomparve. Raphael si sentì preoccupato, ma soprattutto spaventato. Camille? Non poteva essere lei. Eppure era così che la vampira chiamava Simon. Mia caramella. Non poteva che essere lei. Anche la voce gli era sembrata familiare, seppur distorta. Era la voce di Camille. Non c’era dubbio. No, no, no. Qualcuno stava solo cercando di confonderlo. E ci stava riuscendo piuttosto bene, doveva ammetterlo. Ma non poteva essere Camille. Era semplicemente impossibile, non doveva pensarci. Non era Camille. Non era lei. Era escluso. Eppure… Aveva comunque dei dubbi. Come poteva essere sicuro che non fosse lei? Come poteva? Non poteva. Avrebbe sempre avuto dei dubbi, questo era certo. Avrebbe voluto chiederglielo, ma di certo quella pazza non avrebbe risposto. Prima che Raphael ricrollasse nel buio, senza poter vedere, sentire o parlare, sentì quella voce dire un’ultima cosa. Si sentiva spaventato, e non era normale per lui. Ma non si era mai trovato in una situazione simile prima. Per un attimo si chiese se qualcuno lo stesse cercando. Forse lo avrebbero lasciato lì al suo destino. Forse Lily aveva deciso di prendere comando del Clan e non si sarebbe preoccupata di lui. E Simon di certo non era preoccupato. Perché avrebbe dovuto? Lui non contava nulla per quello stupido Diurno. A lui importava solo della Fairchild e della sua famiglia. Anche dopo tutto quello che aveva fatto per lui. Ma il neo-vampiro non ci pensava a quelle cose, a lui non importava. Non ci aveva pensato neanche un attimo prima di tradirlo. E Isabelle? No, nemmeno a lei importava più, ormai. Non le era mai importato, forse. Aveva detto che aveva creduto nella sua bontà, quindi credeva davvero che fosse cattivo. Raphael cercava sempre di aiutare le persone, e loro come lo ricambiavano? Dahlia gli aveva gridato che era un mostro, prima di morire, la Fairchild l’aveva accusato di aver ucciso Simon, dopo che lui l’aveva portato da lei, Simon l’aveva tradito e se n’era certo pentito, credeva di avere ragione, l’aveva capito da cosa gli aveva detto prima che quello accadesse, e Isabelle gli diceva che lui era pericoloso e che loro erano qualcosa di malsano quando la sera prima l’aveva guardato come dicendogli che non l’avrebbe mai lasciato. Nessuno teneva davvero a lui, nessuno lo avrebbe cercato. Nessuno. Ripiombò nell’oscurità più totale, e nel freddo, seguito dalla sua paura e da un’unica parola della vampira che non poteva essere Camille.
-Acqua. -

Angolo autrice:
Ci sono, ci sono, ci sono! Scusate, mi sono confusa, credevo di aver pubblicato la parte ieri:0 Ops, cercerò di evitare ancore questi inconvenienti! Comunque... DOPODOMANI! Finalmente la Climon se ne andrà! E non credo che mancherà a qualcuno. Mah, è andata fuori dai piedi prima nella serie che qui :/ Lo so che dico sempre che Simon è/era pazzamente innamorato di Clary, ma... Non ci posso fare nulla, è così. ADESSO finalmente ha capito che forse non può sprecare la sua vita con lei.
Non c'entra nulla, ma ho visto il trailer dei prossimi episodi e sono in crisi: sono tutti "GUERRA!" e io "già... E, visto che a quanto pare non ci sarà più Raphael, mentre Val e Sebby si divertono, i vampiri sono alle Maldive?" 
Altra cosa, teoricamente i passi dei vampiri non si dovrebbero sentire (non fanno rumore?), ma era più scena a effetto, DAN DAN ;)
Ok, scusate, non ripeterò più cose del genere, ci si rivede tra due giorni (sperando che abbiate perdonato la stupidità di Simon :()
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

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Capitolo 4
*** Save me cause I'm falling pt.4 ***


Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.4)
Simon stava seduto sulle scale fuori dall’Istituto. Aveva fin troppi pensieri per la testa, che non lo lasciavano nemmeno dormire la notte. Da due settimane. Si sarebbe potuto dire che era un cadavere vivente, se già non fosse stato un vampiro. Fissava davanti a sé con sguardo perso. Ogni volta che provava a chiudere gli occhi vedeva sua madre e sua sorella, al buio, al freddo, spaventate, che gridavano perché lui le salvasse. Ma lui non poteva salvarle. Ormai passava tutte le notti a piangere. Sentendosi un debole e uno stupido. Stava perdendo le speranze. Mancavano da due settimane e non avevano ancora scoperto niente. Sì, stranamente gli Shadowhunters avevano accettato di aiutarli. Forse perché Clary aveva fatto una mezza crisi isterica, sentendo il racconto del migliore amico. O forse perché Isabelle aveva urlato contro Alec per mezz’ora, dicendo che quel messaggio di fuoco che avevano ricevuto era da pazzi e che non potevano lasciare due Mondane innocenti che probabilmente non avevano idea di cosa il Mondo delle Ombre fosse e il capo del più potente Clan di New York nelle mani di una psicopatica, e non importava cosa il Clave dicesse, non importava che ci fosse Valentine, tanto non avrebbe detto dove si trovava la Spada dell’Anima. E così, le ricerche procedevano da quasi quattordici giorni. Avevano provato a rintracciarle, ma senza risultato. Magnus aveva detto che probabilmente la forse vampira aveva uno stregone dalla sua parte, che impediva alla sua magia di raggiungere il luogo in cui erano. Non avevano più ricevuto messaggi di fuoco. E questo non preannunciava buone cose. Il motivo probabilmente era che non avevano capito assolutamente nulla. Come potevano indagare se non sapevano nulla di nulla? Sapevano solo che probabilmente quella psicopatica era una vampira, da quello che aveva scritto nel massaggio. E che non lavorava da sola. Aveva scritto “noi”. Quindi doveva avere dei complici. Certo, lo stregone. Altra informazione molto utile. Magnus aveva detto che avrebbe chiesto a suoi amici stregoni se sapessero qualcosa. Simon non vedeva come avrebbero potuto, ma confidava nel Sommo Stregone di Brooklyn, e sperava che sarebbe riuscito a scoprire qualcosa. Sentiva di star impazzendo. Aveva così tante cose che gli gravavano sul cuore… Avrebbe tanto voluto gridare, ma l’avrebbero sentito tutti e non voleva. Non poteva permetterlo. Si sentiva già abbastanza debole, non voleva che tutti vedessero che lo era davvero. Era un vampiro, maledizione! Non poteva permettersi di lasciarsi distruggere da una cosa del genere. “La tua famiglia sarà l’unica cosa che ti distruggerà il cuore già fermo, niño. Non lasciarti distruggere la vita. Dovrai andare avanti. Dovrai vivere per sempre.” Si passò una mano tra i capelli castani, sospirando. Si sentiva terribilmente in colpa anche per quanto era successo a Raphael, ma lui non… Non aveva potuto fare nulla. Se avesse potuto, avrebbe provato ad aiutarlo. Non sapeva cosa fare, stava precipitando nella disperazione. La sua famiglia era lì fuori, da qualche parte. Gridando perché lui le aiutasse, ma non poteva, non poteva… E Raphael lo avrebbe odiato, lo sapeva. Era colpa sua se era finito in quella situazione, dopotutto. E poi, quello che gli aveva detto… Che idiota. Non avrebbe mai smesso di sentirsi così stupido. Sentendo la porta dell’Istituto aprirsi e i passi di qualcuno dirigersi verso di lui, Simon si voltò. Era Clary. Da quando il disastro era successo, i due si erano a malapena parlati. A dire la verità, il neo-vampiro aveva parlato raramente con chiunque. Ogni volta che apriva bocca diceva un’assurdità. Aveva deciso di stare in silenzio e ascoltare. Lui non sapeva nulla di quel mondo. Avrebbe voluto, ma non sapeva nulla. Non davvero. L’unica persona che aveva voluto parlargli era stata Isabelle. Sembrava che anche lei faticasse a dormire. Si erano trovati molto spesso sul tetto dell’Istituto, in piena notte, a parlare. L’unica cosa che riusciva a calmare entrambi, probabilmente. Per quanto Aldertree si fosse lamentato, Alec era riuscito a fare in modo che Simon potesse stare all’Istituto costantemente. E gli aveva dato una delle stanze vuote che avevano. Clary non aveva insistito per stare con lui, e lui non aveva insistito per stare con lei. Quando Simon la guardava, continuava a rivedere la vecchia Clary, quella della quale si era innamorato, però sapeva che non era lei. Stesso viso, stessi occhi, stessi capelli. Ma non era più lei. Era Clarissa Fairchild. Aveva scoperto di essere figlia di Valentine Morgenstern, sorella di Jace. E sua madre era morta. Quelle cose l’avevano cambiata irrimediabilmente. Clary si sedette accanto a lui, sugli scalini, e lo abbracciò stretto. Separandosi da lui, gli chiese come stesse. Simon guardò in basso, scuotendo la testa.
-Non sono riuscito a dormire questa notte. Sono due settimane che va avanti così. –la rossa gli accarezzò i capelli, come per tranquillizzarlo. Gli disse che non avrebbero mai smesso di cercare. Che non doveva perdere le speranze. Anche se erano passati così tanti giorni. Disse anche che la vampira non avrebbe mai ucciso Elaine e Rebecca, ne era certa. Aveva detto che voleva giocare con loro, e per quanto suonasse inquietante, significava che forse quella psicopatica voleva effettivamente farsi scoprire. Simon doveva ammettere che quello che la sua migliore amica stava dicendo aveva un senso. “Acqua” aveva detto, e cosa veniva dopo l’acqua? Fuocherello. Fuoco. Non sapevano che cosa passasse per la sua testa, ma quella vampira voleva che la trovassero. Non riuscivano a capire quale fosse il suo secondo fine. Forse non ne aveva. Forse era solo uscita di testa. Simon guardò il cielo, color azzurro scuro, rosso, arancione e giallo. Gli piaceva quell’ora del giorno. Ricordava quando credeva che non l’avrebbe mai più potuta vedere. Quando credeva che non avrebbe più potuto vedere il sole. Era stato fortunato, doveva ammetterlo. Due settimane, forse di più, come vampiro normale e poi Valentine aveva cercato di ucciderlo e così era diventato un Diurno. La storia più tragica che avesse mai sentito. C’erano probabilmente vampiri che non vedevano la luce del sole da centinaia d’anni. Si sentiva egoista, ma non l’aveva certo deciso lui. Si alzò in piedi. Decise all’improvviso che, se non poteva salvare la sua famiglia e Raphael, almeno una cosa doveva metterla a posto. Altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato.
-Ti va se facciamo un giro, Clary? –le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. La giovane Fairchild si stupì piuttosto di quello scatto improvviso. Era molto preoccupata per Simon. Sapeva come ci si sentisse a non sapere dove fosse la propria famiglia. Quando sua madre era sparita, avrebbe dato persino la vita per ritrovarla. Non che fosse servito a molto. Ma la vita andava così. Molto spesso più male che bene. Però, doveva ammettere che non riusciva più a stare chiusa dentro l’Istituto a fare ricerche inutili. Era sicura che durante quelle due settimane, Alec e Magnus si fossero visti solo per cercare di capirci qualcosa. Erano davvero dolci a voler aiutare in quel modo, ma forse avrebbero dovuto prendersi un po’ di tempo per loro. Isabelle sembrava non dormisse da così tanto tempo da fare paura. Era probabile che le occhiaie sotto gli occhi di lei si notassero di più di quelle di Simon perché lui era un vampiro. Non sapeva cosa sarebbe dovuto cambiare, ma forse… Lydia e persino la sua sorellina, Margot, si erano subito offerte di aiutare. Jace, incredibilmente, anche. Ma continuava a non rivolgere la parola a Clary, e questo la spezzava dentro. Prese la mano di Simon, sorridendogli debolmente, grata che finalmente qualcuno la portasse via da lì.
-Certo, non ce la faccio più a restare qui. –i due si incamminarono tra le stradine del parco. Riuscirono a parlare piuttosto facilmente. Parlarono di qualunque cosa, meno di quello che stava accadendo. Riuscirono a parlare facilmente come facevano quando ancora erano solo amici. Simon avrebbe potuto dirle quello che pensava, quello che aveva deciso di dirle. Ma prima voleva essere sicuro. Voleva davvero essere sicuro che quella fosse la verità. Riuscirono anche a ridere, anche se era incredibile a dirsi. Ripensarono a tutte le cose imbarazzanti che erano successe loro nel corso degli anni, ripensarono a tutto il tempo in cui erano stati migliori amici, tutto il tempo trascorso insieme. Ne avevano passate tante insieme, anche se le loro avventure più pericolose quando erano piccoli erano state cose come nascondersi sotto il letto di Clary e mangiare un pacco gigantesco di biscotti, ritrovandosi con il mal di pancia per tutto il giorno successivo. Oppure quando a scuola un bulletto aveva preso in giro Simon perché era ebreo, e allora Clary gli aveva fatto dei disegni orribili con il pennarello indelebile sullo zaino. Riguardo le cose imbarazzanti, Simon ricordava quando si stavano tirando spallate a vicenda, non sapeva nemmeno più quanti anni prima, e Clary l’aveva colpito così forte che era volato nel fiume, e Luke era dovuto andare a salvarlo, prima che affogasse dal panico. Oppure quando lui era inciampato nei suoi piedi e aveva rovesciato il suo intero caffè su una ragazza che camminava davanti a lui. Quando lei si era voltata, lui aveva sorriso innocentemente e la ragazza aveva alzato gli occhi al cielo. Era sempre stato un disastro. Clary stava ridendo quasi soffocandosi mentre gli ricordava la storia del caffè. Lei infatti era stata dietro di lui a guardare tutta la scena, cercando di non scoppiare a ridere. Era bella quando rideva. Forse era così che si era innamorato di lei. Lei aveva riso, e lui era caduto. Forse letteralmente, non se lo ricordava tanto bene. Eppure ricordava quando aveva cominciato a capire che non la vedeva più solo come un’amica. Dovevano aver avuto quattordici anni lui e tredici lei. Stavano seduti al Java Jones, Luke e Jocelyn erano seduti lì vicino, sorridendo. Clary era intenta a disegnarli, a loro insaputa. Aveva un’espressione concentrata e adorabile. Quando disegnava, la ragazza sembrava liberare la sua anima. E in quel momento, Simon l’aveva guardata e aveva sentito uno strano calore nel centro del cuore, diverso da tutte le altre volte. Era sicuro di essere arrossito come un cretino. Clary aveva riso, chiedendogli cosa ci fosse che non andava, e lui si era sentito il battito accelerare. Da quel momento in avanti, nulla era stato più come prima. Simon aveva cominciato ad avere paura, standole vicino, aveva cominciato a temere che avrebbe combinato un disastro. Dopotutto era Disastro-Simon, come lo chiamavano alle medie. Così aveva aspettato che lei se ne accorgesse, che lo vedesse, ma non era mai successo. E poi, lei aveva scoperto di star vivendo una bugia, che il mondo in cui viveva era pieno di creature che avrebbero dovuto esistere solo nei libri fantasy. Peggio, aveva scoperto di essere una di quelle creature. Una Nephilim. Che aveva sangue angelico. E poi, aveva incontrato Jace. In quel momento, Simon si era accorto di aver aspettato troppo. Che ormai lei non si sarebbe mai accorto di lui. Perché lui era Disastro-Simon, mentre Jace era bello, biondo, con gli occhi azzurri e muscoloso. Tutto il contrario di lui, in pratica. E lo Shadowhunter era coraggioso, lui invece era stupido e incapace. Nel giro di una notte e un giorno si era fatto rapire due volte. E si era dovuto far salvare, per ben due volte. Clary era stata incredibilmente preoccupata quando era stato rapito dai vampiri, ma solo perché credeva che lui non sarebbe sopravvissuto, perché era troppo stupido per vivere in quel mondo. Effettivamente, pochi giorni dopo era morto. Diventando un vampiro aveva creduto di avere qualche possibilità con lei, soprattutto quando aveva scoperto che lei e Jace erano sorella e fratello. Ma lei aveva accettato il suo amore solo perché non poteva fare altrimenti, solo perché lui era il suo migliore amico. Ma non era mai stato vero. Se n’era reso conto troppo tardi. Meglio tardi che mai, in fondo. Ripensare a tutto quello che aveva avuto con Clary gli fece male, risentire quanto bella fosse la sua risata gli fece male, ma non importava. Perché vedendola così, capì che era tutto finito. Niente più calore nel cuore, niente più infarti al contrario. Tutto tornò indietro a quel giorno al Java Jones. L’aria primaverile, i sorrisi di Luke e Jocelyn, l’espressione concentrata di Clary, la sua matita che scorreva sul foglio. Ripensò a quel momento e se ne riempì la mente. Strinse gli occhi, non potendo chiuderli. Erano tornati davanti all’Istituto, il cielo era ormai blu scuro come gli occhi di Alec quando c’era poca luce. Ripensò a quel momento perché quello era il momento in cui tutto era cominciato. E quello, alla luce dei lampioni, davanti a una chiesa che a tutti sembrava abbandonata, era il momento in cui tutto finiva. Non poteva credere di starlo facendo davvero. Ma doveva sistemare almeno quella cosa, per togliersi un peso dal cuore. Non la amava. Non la amava più.
Clary non avrebbe mai pensato che Simon le avesse chiesto di fare un giro perché voleva effettivamente parlarle di qualcosa in particolare, quindi rimase molto stupita quando fece per salire le ultime scale che la separavano dalla porta principale dell’Istituto e il vampiro la fermò, dicendole che doveva dirle una cosa. Aveva pensato che quella commedia sarebbe andata avanti per sempre. Eppure si sbagliava. Simon sospirò, cercando di trovare le parole giuste. Era sempre stato fin troppo difficile parlare, per lui. Non era mai stato bravo.
-È da un po’ che ci penso. Ho un peso sul cuore, Clary. –la rossa scese i pochi scalini che aveva percorso e tornò da lui, prendendogli le mani fredde. La sua voce l’aveva fatta preoccupare. Fece per domandargli cosa stesse succedendo, ma lui non la lasciò parlare. –No, ascolta, ti prego. –sul viso di Clary comparve un’espressione stupita. Che cosa poteva volerle dire di tanto importante? Tanto importante che non voleva lasciarla parlare? –È da davvero tanto che ci penso, se devo essere sincero. Non… -esitò, non era sicuro che quelle fossero le parole giuste. –Non funziona più tra di noi, Clary. –la ragazza gli lasciò andare le mani. La… La stava lasciando? Perché sembrava proprio che lo stesse facendo. Si sentì incredibilmente sollevata, all’improvviso. Forse avrebbe sempre voluto farlo lei, ma aveva paura che gli avrebbe spezzato il cuore. Ma forse era colpa sua, forse era per quello che era successo con Jace, forse Simon l’amava ancora, ma… Il suo migliore amico continuò, stupendola ogni parola di più. Il neo-vampiro stupì anche sé stesso, a dire la verità. –Non è colpa tua. Ma ho capito… -esitò di nuovo. Non era sicuro che… Ah, non importava. Doveva farlo, con le parole giuste o sbagliate. Doveva farlo. –Eri solo una cotta adolescenziale. Sei sempre stata la mia migliore amica, sei sempre stata l’unica che vedevo. Ma ora ho capito. Con tutto quello che è successo. Ti ho detto che volevo passare tutta la vita con te. –cosa senza senso, visto che lui era immortale. –Ma non riesco a vederci. Insieme per sempre? No, Clary. Non così. Voglio che resti per sempre con me come amica. Ti voglio sostenere ogni momento della tua vita, ma… Eri solo una stupida cotta adolescenziale. Con tutto quello che è successo, sono maturato e… -fece un respiro profondo, sapendo di dover riuscire a dirlo. Stava facendo un po’ di casini, ma il concetto era di certo chiaro. –Ho capito che non ti amo più. –quando ebbe pronunciato quelle sette parole, si sentì incredibilmente più leggero. Non sapeva cosa aspettarsi come risposta e Clary non sapeva come ribattere. Ma era felice. Simon non l’amava più. Non gli avrebbe spezzato il cuore. Non avrebbe dovuto continuare a recitare quella commedia. Poteva smettere di fingere. Avrebbe potuto… Sì, era da pazzi, ma l’avrebbe fatto. Abbracciò il suo migliore amico –ora non avrebbe mai più sbagliato, erano tornati come prima, prima che tutto succedesse –di slancio. Sospirò.
-Sono contenta, Simon. Davvero. Sapevo che c’era qualcosa che non andava, ma… -si separò da lui, e vide che il vampiro stava sorridendo. Stava sorridendo davvero. Era felice! Era davvero felice di averla lasciata. Nessuno dei due poteva crederci. Entrambi si erano liberati di un peso. Non si erano mai viste due persone più felici di aver messo la parola fine al loro amore. Ma dopotutto non erano mai stati persone normali. Non dissero più nulla, si sorrisero come dei cretini per qualche altro interminabile secondo. Dopo tutto quello che avevano passato, avrebbero dovuto essere disperati, avrebbero dovuto ripensarci. Ma non c‘era niente da ripensare. Erano liberi. Si erano liberati da una relazione che faceva troppo male a entrambi. Non si erano nemmeno accorti di essere in catene. Ma ora avrebbero potuto volare liberi, nel vento, fin dove avessero voluto. Liberarsi era stato come respirare di nuovo dopo essere quasi stati affogati. Rivedere la luce dopo una galleria scura e infinita. Eppure, Simon era caduto troppo in basso per potersi rialzare. Era ancora nel vuoto. Annaspava nel vuoto. Nel vuoto in cui Clary l’aveva spinto. E anche senza che lei gli impedisse di risalire, non riusciva a tornare in superficie. Troppo vuoto. Comunque le cose non cambiavano. Sua madre e sua sorella erano ancora chissà dove e spaventate, insieme a Raphael. Per questo, pur vedendola, la luce sembrava ancora impossibile da raggiugere. Clary e Simon entrarono nell’Istituto. Il vampiro decise di andare a vedere se nel frattempo qualcuno era riuscito a scoprire qualcosa, anche se ne dubitava. La ragazza aspettò di essere sicura che il suo migliore amico non potesse più vederla e poi cominciò a camminare in fretta, sempre più in fretta, fino a correre, nella direzione delle stanze. Doveva parlare con Jace. Non le importava che fossero fratelli, doveva dirgli che lo amava. Anche se era una cosa sporca. Anche se era una cosa inaccettabile. Sapeva che lui l’avrebbe guardata con orrore, ma non le importava. Anche lei aveva un peso sul cuore e doveva liberarsene. Non pensò nemmeno un secondo a cosa gli avrebbe detto, avrebbe improvvisato. Era libera. Era libera e si sentiva euforica. Correndo le sembrava di volare alto nel cielo, come un angelo, senza che nessuno la giudicasse, senza che nessuno si aspettasse qualcosa da lei. Era libera! 

Angolo autrice:
Non sono mai stata così contenta di mettere fine a una coppia! Finalmente la Climon se n'è andata fuori dai piedi e, credo proprio, anche in un modo migliore rispetto alla serie :D Scusate per la Clace incestuosa alla fine, ma tanto è solo quello che pensa Clary (piuttosto antipatica a correre subito da Jace, però. Ma daai, anche lui si merita un po' di felicità. Cosa? E Raphael? Ah, già, forse anche lui, eh? :/) Comunque, lasciamo la nostra rossa a correre in corridoio. Tra due giorni, un fantastico discorso tra Mag e Simon (no, niente Clace, sorry :)) Riguardo la Spada dell'Anima, io ero convintissima che lo sapessero tutti che non ce l'aveva il Clave, ma l'ultimo episodio ha detto il contrario :(
A dopodomani (spero non mi abbandonerete proprio adesso :D)
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

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Capitolo 5
*** Save me cause I'm falling pt.5 ***


Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.5)
-Simon. Ti devo parlare. –lo aveva chiamato con il suo nome, non qualche strano soprannome inventato, quindi doveva essere importante. Si voltò per vedere Magnus andare da lui con passo deciso. Era uscito un attimo sulla terrazza dello stregone, considerando che per un attimo aveva creduto che sarebbe soffocato anche senza aver bisogno di respirare. All’Istituto, Magnus aveva detto di dover prendere delle cose da casa sua -chissà cosa, Simon non l’aveva ancora capito –e allora avevano spostato le ricerche nel suo loft. Almeno non ricevevano occhiatacce da nessuno Shadowhunter che non fosse interessato ai suoi drammi. Ad esempio Aldertree. Il vampiro era davvero preoccupato. Se Magnus lo chiamava per nome e non Sean, Seamus o Salmon, la situazione doveva essere davvero grave. In effetti, voltandosi verso di lui, notò che i suoi occhi, momentaneamente gialli e con le pupille oblique, come quelli di un gatto, era colmi di preoccupazione. Credeva di non averlo mai visto così preoccupato. Che lo fosse per sua madre e Rebecca? Così su due piedi non avrebbe saputo dirlo, ma, mentre aspettava che lo raggiungesse, si convinse che non poteva essere per quello. L’aveva già visto così preoccupato. Quando Alec stava male. Era stato orribile, gli aveva quasi fatto paura. E aveva la stessa espressione. Ma lui non… Non aveva fatto nulla ad Alec. Pensandoci meglio ricordò il momento in cui era andato da Magnus e lo aveva trovato a curare le ferite di Raphael, che naturalmente gli aveva causato lui. Perché era un cretino, e pur credendo di non fare nulla di male aveva parlato del Clan ad Aldertree. Stupido! Lo stregone lo avrebbe di certo ucciso, adesso che per colpa sua Raphael era stato rapito da una vampira pazza ed era chissà dove. Sapeva che Magnus poteva essere molto pericoloso, volendo. Si sentì improvvisamente spaventato.
-Cosa che? –domandò, deglutendo a vuoto. Magnus non dava la colpa a lui per quanto era successo a Raphael, ma gli metteva tristezza vedere che il capo Clan non aveva seguito il suo consiglio. Lui gli aveva detto di non dare più corda a Simon, perché gli faceva solo male. Ma pareva che il vampiro non lo avesse ascoltato. Aveva ancora cercato di aiutare il più giovane, ritrovandosi ad essere insultato e accusato. Aveva detto che avrebbe parlato con Sherlock, quindi avrebbe parlato con Sheldon, anche se Raphael gli aveva esplicitamente proibito di farlo. Adesso Raphael non era lì, quindi non gli sarebbe importato. Doveva dire al migliore amico di Clary quello che pensava. Perché gli aveva fatto male vedere Raphael così. Così incapace di controllarsi, incapace di smettere di piangere. Il vampiro gli aveva raccontato tra i singhiozzi quello che era successo, gli aveva raccontato quanto fosse stato stupido. Gli aveva detto la verità. Gli aveva detto che lui e Isabelle non si amavano davvero in quel senso, il senso che tutti avevano dovuto credere. Che era stato così stupido da innamorarsi di uno stupido ingrato. E che quello lo stava uccidendo dentro, sebbene fosse già morto. Non poteva lasciare che Simon continuasse ad essere felice così com’era. Perché non era giusto. Doveva sapere, doveva sapere che cosa aveva fatto alla persona che aveva sempre cercato di aiutarlo, anche quando lui era stato un perfetto idiota. E mentre continuava a essere un perfetto idiota. Non c’erano molti altri modi per descrivere il Diurno. Forse non era stupido, era solo accecato da Clary. Povera ragazza, Magnus le voleva un mondo di bene, per carità, ma Simon era forse un po’ troppo ossessionato da lei. Eccessivamente. Per una volta, lo stregone si ritrovò senza parole. Non aveva idea di cosa dire. Strano da parte sua. Tentò comunque di improvvisare qualcosa di decente.
-Raphael stava bene l’ultima volta che l’hai visto? –domandò, con voce tra il preoccupato e l’arrabbiato. Simon deglutì di nuovo a vuoto. No, un demone l’ha trascinato sott’acqua. Probabilmente non era quella la risposta che Magnus voleva sentire, quindi pensò a qualcosa di migliore da dire. Gli era sembrato di sì, ma non era mai riuscito a capire il comportamento del vampiro più vecchio. Un attimo lo odiava, quello dopo lo aiutava. E sembrava sempre costantemente arrabbiato. Sul serio, quante volte l’aveva visto sorridere? Supponeva che stesse bene, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza. Non era mia riuscito a capirlo, forse non ci sarebbe mai riuscito. Era difficile, nascondeva tutto quello che pensava e provava dietro quegli occhi scuri, ed era impossibile leggervi dentro, così com’era quasi impossibile vedere di notte senza luci. Si rischiava di perdersi. Balbettò una risposta.
-C-credo di sì. –guardò lo stregone come domandando perché glielo chiedesse. Magnus ancora non aveva idea di cosa avrebbe detto. Forse la verità. Non tutta tutta la verità, altrimenti quando avessero ritrovato Raphael, il vampiro lo avrebbe ucciso per aver rivelato cose che lui non voleva nemmeno ammettere a sé stesso. Ma per una volta doveva essere sincero. Per una volta doveva mettere da parte tutta la sua gentilezza e arrabbiarsi con qualcuno, altrimenti le cose non sarebbero mai cambiate. Quella persona doveva essere Simon, non poteva essere nessuno altro. Nessun’altro meritava di più la sua rabbia in quel momento. Certo, il Diurno aveva appena perso la sua famiglia, ma questo non cambiava le cose. Raphael aveva sofferto già abbastanza senza che Simon aumentasse il suo dolore. Il neo-vampiro doveva sentire almeno un po’ del dolore che Magnus aveva sentito dentro guardando il capo Clan piangere sangue sul suo divano. Sentirlo ammettere la verità. Ma forse con la rabbia non avrebbe risolto niente. Parlò di slancio, cosa che non faceva molto spesso.
-Spero di sì. Vederlo piangere mi ha fatto davvero male. –Simon avrebbe voluto lanciarsi oltre il bordo del balcone e cadere di sotto. Magari si sarebbe fatto male anche se era un vampiro. Il solo pensiero di Raphael in lacrime gli faceva venire voglio di piantarsi un paletto nel cuore. Non era nemmeno tanto sicuro del perché. Avrebbe voluto domandare a Magnus per quale motivo il capo Clan avesse pianto. Aveva l’impressione che non fosse successo tanto tempo prima, da come lo stregone ne parlava. Era colpa sua? No, non aveva senso. Non poteva certo essere colpa sua. Figuriamoci. Lui era solo Disastro-Simon. Ma… Piangere non per lui, ma per colpa sua. Che cosa diavolo aveva pensato? Che stupido. Simon deglutì per l’ennesima volta.
-Q-quando? –chiese, a bassa voce, tenendo lo sguardo fisso sul viso dello stregone, per capire quello che stava pensando, ma Magnus stava guardando davanti a sé, le luci della città, gli occhi persi. Lo stregone sapeva di essere troppo duro con il neo-vampiro, torturandolo in quel modo, ma doveva farlo. Era quasi un suo dovere. Simon doveva sapere. Altrimenti avrebbe continuato a essere stupido e a non vedere. A essere egoista e manipolabile.
-Due notti fa, forse? –ma allora… Allora era successo dopo che lui e Clary erano andati a salvare Isabelle. Da quello che aveva sentito dal discorso tra la ragazza e suo fratello, lui l’aveva costretta a lasciare Raphael, le aveva proibito di vederlo ancora. Quindi doveva essere successo a causa di Isabelle. Eppure Magnus era andato a parlare con lui. Non riusciva a capire. Ma si sentiva comunque infinitamente responsabile. Succedeva sempre tutto per colpa sua, ormai lo aveva capito. Non era un pensiero megalomane, non credeva che il mondo girasse intorno a lui, non era Clary. Era sempre colpa sua, era un semplice dato di fatto. Quello che stava succedendo era solo colpa sua. Sua madre e sua sorella erano state rapite per colpa sua, e lui non sapeva nemmeno perché. Non erano state scelte a caso, lo sapeva. Quel rapimento aveva a che fare con lui. E sapeva che quel demone aveva preso Raphael per colpa sua. Avrebbe dovuto aiutarlo, ma non aveva potuto. E adesso, venendo a sapere che il vampiro più vecchio aveva pianto, non riusciva a non sentirsi in colpa. Forse era stato a causa di Isabelle, ma per qualche motivo non riusciva a crederci fino in fondo. Perché anche lui aveva pianto, due notti prima. Aveva pianto per essere stato così cretino e per aver detto cose che non avrebbe voluto dire. Sapeva di aver ferito Raphael con quelle parole, guardando Magnus osservare i palazzi illuminati davanti a lui. Non sapeva cosa dire. Non voleva parlare. Si sentiva un nodo in gola. Avrebbe solo voluto essere inghiottito dal terreno. Probabilmente così sarebbe finito al piano di sotto, ma… Magnus stava ancora pensando a cosa dire, ma sentiva lo sguardo di Simon addosso, e sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa. Non poteva continuare a stare in silenzio, il Diurno avrebbe anche potuto andarsene. Cosa che Simon non aveva alcuna intenzione di fare, ma lo stregone non poteva saperlo. Si voltò verso di lui e fissò i suoi occhi giallo-verdi in quelli color caffè del vampiro. Simon si sentì sotto esame, ma rimase fermo, come ipnotizzato da quegli occhi da gatto. 
-Simon, è una cosa seria. –non che il Diurno avesse mai detto che non lo era, ma non importava. Doveva avere chiaro il concetto in mente. Il vampiro sussultò sentendo dire il suo nome. Non era ancora abituato ad essere chiamato normalmente dallo stregone. Quindi, già solo da quello capiva che era una cosa seria. Davvero, davvero, seria. –Non l’ho mai visto così… Così fuori controllo. –Abbi pietà di me. Sei un cretino, Simon, sei un dannato cretino. Non riesci mai a tenere la bocca chiusa, non riesci mai a dire quello che vorresti dire, ed ecco con cosa ti ritrovi. È ora di svegliarsi. Non puoi ferire le persone e cavartela così. Il Diurno sbuffò. La sua mente non voleva dargli pace. Eppure, aveva ragione. Era un cretino. –Ho avuto paura per lui… Cerca sempre di mostrarsi indistruttibile, cerca sempre di sembrare fatto di titanio, di pietra, ma… Ha sofferto fin troppo. -continuò Magnus. A quel punto la voce di Alec dall’interno dell’appartamento lo chiamò, e lo stregone, recuperato il suo sorriso, tornò da lui con un “Arrivo, Alexander”, lasciando il vampiro a fissare il vuoto davanti a sé. Raphael incapace di controllarsi? Non riusciva a immaginarselo. Lo aveva sempre visto come qualcuno di freddo, controllato, senza sentimenti. Ed era bastato lui per fargli perdere il controllo. Be’, no, era stata anche colpa di Isabelle, non c’era dubbio, ma… Che cretino che era. Non avrebbe dovuto dirgli quelle cose. Avrebbe voluto morire. Non voleva più il perdono del capo Clan, non se lo meritava. Non se lo sarebbe mai meritato. Lui aveva sempre cercato di aiutarlo, mentre Simon continuava ad usarlo. Che fottuto bastardo che era! Fece qualche passo avanti, fino alla balaustra della terrazza. Guardò in basso, le auto che passavano, ignare di tutto quello che stava accadendo. Il suo cervello era sul punto di esplodere. Adesso non si trattava solo di salvare la sua famiglia, adesso avrebbe dovuto salvare anche Raphael. Altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato. Il vampiro più vecchio lo aveva riportato all’Istituto quando Camille gli aveva prosciugato il sangue. Adesso lui lo avrebbe salvato. Doveva. Voleva. Lo voleva più di ogni altra cosa. La vita del capo Clan non doveva essere stata facile. Lily aveva detto che sua madre era morta e che sua sorella credeva che fosse morto. Non aveva nessuno. Era un figlio della notte da troppo tempo su quella Terra. Ed essere un vampiro voleva dire perdere tutto quello che amavi. E lui aveva insultato, tradito e ferito Raphael. Doveva ripagare il suo debito, doveva salvarlo. Doveva riparare a tutti gli errori che aveva commesso. Non si accorse subito di tenere il bordo della balaustra tanto forte che avrebbe potuto romperla. Avrebbe voluto piangere. Piangere perché solo in quel momento si rendeva conto di quanto stronzo e stupido fosse stato. Aveva fatto tutto per Clary, e adesso cosa importava? Aveva scoperto che lei non aveva mai dimenticato Jace, che avrebbe continuato ad amarlo anche se erano fratello e sorella. Com’era stato cieco. Ma doveva essere forte. Non poteva piangere, non adesso. Adesso doveva aiutare gli Shadowhunters a capire qualcosa di quella storia. Doveva salvare la sua famiglia e Raphael. Loro contavano di più della sua vita morta. 

Angolo autrice: 
Ok, se devo essere sincera questa parte non mi piace per niente, avrei voluto scrivere un discorso molto più lungo. Il nuovo episodio è stato una noia mortale, non vorrei dire. Non so perchè. Mi piaceva solo Clary che parlava di Jonathan come qualcuno di salvabile e sono andata in panico per Max alla fine, ma per altro... Anche perchè sto riguardando la prima serie e quella era incredibilmente più bella (vogliamo mettere? La Saphael era ancora viva T_T) Dopodomani, CLACE! 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

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Capitolo 6
*** Save me cause I'm falling pt.6 ***


Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.6)
Spalancò così in fretta la porta della stanza di Jace che rischiò di inciampare nei suoi stessi piedi e di cadere di faccia sul pavimento. Tirò un sospiro di sollievo vedendo che il ragazzo era lì, dopo essersi tolta i capelli dal viso. Temeva che entrando avrebbe trovato una stanza vuota, e avrebbe dovuto aspettare che il giovane Wayland tornasse, rischiando, nell’attesa, di perdere tutto il coraggio che aveva trovato sulle scale dell’Istituto. Jace stava camminando avanti e indietro per la sua camera, mentre Alec ascoltava i suoi discorsi a senso unico, seduto sul suo letto. Era da almeno mezz’ora che il biondo stava parlando di Clary e di quanto era successo in quelle due settimane. Non molto a dire il vero, anche se lui aveva continuato ad evitare la rossa come fosse la peste, soprattutto vedendo come lei stesse sempre con Simon, più per confortarlo che per altro. Quando la porta si spalancò, Jace smise di camminare, ed entrambi si voltarono per vedere chi fosse entrato con tanto impeto. Clary si sentì il sangue affluire alle guance. Non poteva credere di essere davvero stata così maldestra. Lo sguardo bicolore del fratello la metteva sempre in agitazione. Non la rassicurava molto pensare che il ragazzo al quale stava per confessare il suo amore fosse suo fratello. Sapeva che lui sarebbe stato schifato da lei. Era sua sorella. Era sua sorella e lo amava. Si faceva schifo da sola, si faceva schifo da sola per tanti motivi. Per essere la figlia di Valentine, per aver lasciato che sua madre morisse, per essere innamorata di suo fratello, per essere corsa lì non appena Simon non aveva più potuto vederla. Ma non era riuscita a trattenersi. Aveva di nuovo le sue ali, era tornata ad essere libera. Ed essere libera voleva dire stare con Jace. Doveva liberarsi dal peso dei suoi sentimenti, altrimenti ne sarebbe rimasta schiacciata. Alec guardò prima il suo parabatai poi la ragazza, che non riuscivano a togliersi gli occhi di dosso. Sapeva di essere di troppo. Si schiarì la voce e, dopo aver dato una pacca sulla spalla di Jace, senza nemmeno sapere perché, forse per incoraggiarlo, uscì, richiudendo la porta dietro di sé. Fece un respiro profondo. Sperava che finalmente il suo parabatai avrebbe detto la verità a Clary, perché non ce la faceva più a vederlo così. Jace nascondeva sempre le sue emozioni, ma lui sapeva che stava soffrendo. Sapeva che soffriva guardando la giovane Fairchild con Simon. Doveva dirle la verità. Sperava che nessuno dei due combinasse casini, vedere come la rossa era entrata nella stanza lo aveva preoccupato, se doveva essere sincero. Sospirò, dirigendosi verso il centro operativo dell’Istituto, sperando che ci fosse qualcuno. Sperava che quel qualcuno fosse Magnus, ma era tutto il giorno che non vedeva lo stregone, quindi ne dubitava.
Clary rimase ferma qualche secondo ferma ad osservare il legno della porta, che si era richiusa dietro ad Alec. Perse improvvisamente tutto il coraggio che aveva guadagnato, ma adesso non poteva più tirarsi indietro. Adesso non c’era via d’uscita. Lanciò di sfuggita uno sguardo a Jace e si andò a sedere sul suo letto. Il biondo la osservò, confuso. Non aveva idea di cosa la ragazza ci facesse lì e non era tanto sicuro di volerlo scoprire. Stare troppo vicino a lei lo faceva andare fuori di testa. Avrebbe soltanto voluto baciare le sue labbra e sentire il profumo dei suoi capelli. Ma lei era convinta che fossero fratello e sorella, e certo lui non le avrebbe detto la verità. Lei meritava di essere felice, non poteva rovinare tutto quello che lei aveva con Simon. Non perché era troppo stupido per controllare i suoi sentimenti. Troppo impulsivo. Perciò doveva stare il più lontano possibile da lei. Perché lei si meritava di essere felice. Si meritava di meglio di lui. Lui era la persona più disastrata che conoscesse. Per quanto cercasse sempre di essere sicuro di sé stesso e forte, non era affatto così. Era molto più insicuro di quanto volesse ammettere. Anche lui provava qualcosa, pur volendo sembrare di pietra. Non aveva idea di quello che Clary gli volesse dire, ma si stupì parecchio per come la ragazza cominciò il discorso. Con tanta tranquillità che faceva quasi paura.
-Simon mi ha lasciata. –Jace alzò le sopracciglia, confuso come non mai. Buon per lei. Almeno, era quello che una parte di lui pensava. Quella fatta di pietra. Ma quella che stava soffrendo da più di due mesi, stava urlando. Non sono tuo fratello. Non sono tuo fratello. Non sono tuo fratello! NON SONO TUO FRATELLO! Avrebbe voluto davvero dirglielo, adesso che sapeva di poterlo fare, adesso che lei non stava più con il suo migliore amico… No, certo che non poteva. Lei doveva essere distrutta, doveva essere andata da lui perché lui era suo fratello. Era andata da lui per farsi confortare, di sicuro. Doveva essere sconvolta. Jace avrebbe preferito che fosse andata da Isabelle, visto che le due erano amiche. Avrebbe potuto lasciarlo in pace.
-Oh. –disse soltanto. Clary fu tentata di guardarlo, fu tentata di alzare lo sguardo sul suo viso. Ma sapeva che avrebbe visto solo indifferenza. Se invece l’avesse fatto, avrebbe potuto vedere il lampo di gioia che era passato per i suoi occhi bicolore, prima di trasformarsi in un’ombra scura. Tenne lo sguardo fisso sulle sue mani, l’unica cosa che non le ricordasse Jace da star male. Tutto in quella stanza le ricordava Jace. Tutta quella stanza sapeva di Jace, aveva il suo odore. Credeva che sarebbe impazzita. Avrebbe solo voluto baciarlo. E niente di più. Voleva che lui la guardasse come la guardava prima che scoprissero di essere fratelli. Ora non c’era altro che indifferenza, per lei, nei suoi occhi. –Mi dispiace. –continuò il ragazzo. Avrebbe tanto voluto che la ragazza se ne andasse e lo lasciasse in pace. Non poteva sopportare il suo dolore. L’amava troppo per poterlo sopportare. Ma lei non doveva sapere, non poteva sapere. Per un attimo nella sua mente passò il pensiero che Alec avesse ragione, che avrebbe dovuto dirle la verità. Scosse leggermente la testa. Che pensieri assurdi. Lei si meritava di meglio di lui. Clary non riusciva a sopportare tutto quel distacco. Avrebbe soltanto voluto potergli stare più vicino, avrebbe voluto poter riposare con la testa appoggiata al suo petto, sentendo il suo battito del cuore. Le mancava sentire il battito di un cuore che non fosse il suo. Non che fosse colpa di Simon, certo, non era lui ad aver voluto diventare un vampiro. Era stata lei a decidere che non avrebbe potuto vivere senza di lui. Si alzò in piedi, quasi senza pensarci. Jace era in piedi davanti alla finestra e osservava il parco fuori, illuminato dai lampioni, che davano alla stradina un’aria spettrale, dandole le spalle. Non sopportava tutta quell’indifferenza. Aveva bisogno di guardarlo negli occhi, aveva bisogno di vedere quegli occhi bicolore, uno azzurro come i cieli estivi e uno del color del cioccolato, brillare solo per lei. Anche se ormai le cose erano cambiate, e non sarebbero mai potute tornare indietro. Ormai erano fratello e sorella. Ma per un attimo Clary se ne dimenticò, per un attimo tornarono a quando lei era appena stata catapultata il quel mondo e lui era solo un bel ragazzo che l’aveva salvata. A quando ancora si stavano innamorando. A quando ancora avevano un futuro davanti a loro. Non ci pensò nemmeno un attimo prima di andare da lui e prendere le mani del Nephilim tra le sue, più piccole. Quel contatto mandò scintille lungo tutte le sue braccia, fino a dentro il cuore. Si sentiva sul punto di esplodere. Anche Jace era stato scosso dal quel contatto, ma non lo diede a vedere. Non voleva fare un disastro. Doveva stare lontano da lei, per quanto stare lontano da lei lo facesse impazzire più che starle vicino. Clary parlò senza pensare. Non le importava.
-A me no. –il ragazzo impiegò qualche secondo a capire che cosa la rossa intendeva. A lei non dispiaceva. Non era triste. Non le era importato. Ma allora perché era lì? Avrebbe potuto smetterla di torturarlo. Se non le dispiaceva, avrebbe potuto continuare a vivere la sua vita. Almeno che… No, fuori discussione. Per lei, lui era ancora suo fratello. Clary era certa di aver visto una nota di confusione negli occhi del giovane Wayland. Sapeva che lui non poteva capire. Sapeva che lui l’avrebbe scacciata, l’avrebbe ripudiata per quei suoi sentimenti senza senso. Ma non poteva più scappare. Ora era chiaro. Aveva cercato di scappare tutto quel tempo. Aveva accettato l’amore di Simon perché non poteva avere quello di Jace, anche senza rendersene conto. Se n’era resa conto troppo tardi, quando non c’era più via d’uscita. Aveva usato il suo migliore amico per più di due mesi, per chiudere tutte le ferite che amare Jace le aveva procurato. Si sentiva una persona orribile. Per questo ora doveva smettere di scappare. Doveva dire la verità, per quanto le avrebbe fatto male. –So che… -deglutì, cercando di trovare il coraggio di dire quello che voleva dire. Jace ti odierà, non vorrà più vederti, ti starà il più lontano possibile, perché i tuoi sentimenti sono sbagliati, ma devi farlo. Devi farlo o continuerai a ferire le persone che ti amano e che tu non potrai mai amare perché amerai sempre Jace, nulla cambierà le cose. Lo disse tutto d’un fiato, con la paura che non avrebbe potuto continuare se si fosse fermata anche solo per respirare. –So che sei mio fratello ma non mi importa perché io ti amo. –lasciò andare le mani di Jace, con il cuore che le batteva all’impazzata. L’aveva davvero detto. Credeva che quando avrebbe confessato il suo amore per qualcuno sarebbe stato un po’ più romantico, come quando Simon si era dichiarato a lei, ma a quanto pareva non era brava in queste cose. Ed era troppo spaventata. Non aveva idea di quello che Jace stesse pensando, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, come se stesse studiando i capelli color carota di Clary. Il ragazzo non era ancora riuscito a capire il significato delle parole della rossa. Gli sembrava troppo incredibile. Lei gli aveva appena detto che lo amava e che non importava che fossero fratello e sorella? No, doveva averlo sognato. Quello doveva essere un sogno. Clary non era là davanti a lui, era da qualche parte ad essere felice con Simon. Stava di certo dormendo. La ragazza sentì un improvviso bisogno di piangere. Che stupida. Non avrebbe mai dovuto dirglielo. Chissà che cosa stava pensando di lei. Doveva essere terrorizzato, schifato, da lei. Scosse la testa, mentre sentiva il panico salirle dentro, con il cuore che sembrava volerle volare fuori dalla sua prigione di ossa. Fece per correre fuori, ma Jace doveva essersi ripreso quando lei aveva scosso la testa. La fermò prendendola per un braccio. Clary lo guardò, senza capire. E, per la prima volta da quando era entrata, guardò il biondo negli occhi. Brillavano. Brillavano della luce di mille stelle, della luce di un angelo. Non c’era più indifferenza. Quegli occhi erano pieni di lei. Credeva che non li avrebbe mai più rivisti, che non ci sarebbe stato niente se non desolazione, per lei. Ma non era un sogno. Jace era davvero lì davanti a lei, lei era davvero lì davanti a lui. Era davvero entrata nella sua stanza, gli aveva davvero detto di amarlo, e lui non la odiava. Anzi, provava le stesse cose che provava lei, per quanto fossero pazze. Ma erano due pazzi. Si sarebbero sempre completati a vicenda. La mano di lui era sul suo polso. La sentiva viva. Il suo cuore batteva. Non era solo un’illusione. Era vera. Era davvero lì. E lo amava. Anche se era suo fratello. Non le importava. Lo amava lo stesso. Avrebbe voluto gridare, perché sentiva che sarebbe impazzito. Avrebbe potuto dirle la verità e le cose sarebbero andate ancora meglio. Forse potevano essere felici. Forse anche loro si meritavano un po’ di felicità, in quel mondo oscuro. Jace lasciò andare il polso della ragazza e fece in modo che la sua mano scivolasse sul suo polso, per sentire che anche il suo battito era accelerato, che non era l’unica a provare quel sentimento. Anche se ora l’unica differenza era che lui sapeva che il loro amore non era sbagliato, che potevano amarsi e nessuno avrebbe più potuto separarli, se non la morte. Clary si sentì saltare il cuore in gola, sentendo che anche il cuore di Jace batteva all’impazzata. Era solo una conferma a quello che pensava già. Avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto ridere. Sorrise, e quel sorriso fece perdere del tutto il controllo allo Shadowhunter. Quel sorriso lo aveva torturato per due mesi. Vederla felice gli aveva fatto male. Perché avrebbe voluto essere lui a renderla felice. Lo spinse contro il muro e la baciò con tanto trasporto che Clary fu colta alla sprovvista. Ma ricambiò il bacio con tutto il desiderio che si sentiva dentro. Avrebbero potuto fare scintille. Si separarono solo per mancanza di fiato. Jace appoggiò la fronte su quella di lei, sorridendo, sentendo che avrebbe potuto esplodere.
-Non mi importa se sei mio fratello… -mormorò Clary, le parole pronunciate con il poco respiro che aveva recuperato. Il ragazzo le mise una ciocca di capelli color carota dietro l’orecchio, le mani che tremavano. Non sapeva perché gli tremassero le mani, non sapeva perché stesse tremando. Era Clary e solo Clary a fargli quell’effetto. Aveva avuto talmente tante relazioni che aveva smesso di contarle, ma solo quella dolce ragazza che poco tempo prima viveva in un mondo perfettamente normale lo aveva fatto innamorare. Solo lei era stata in grado di entrargli nel cuore e incapace di uscirne. Lo faceva impazzire. Lo avrebbe sempre fatto impazzire. La amava così tanto che dirlo sarebbe solo stato uno spreco di fiato. Ma quello era il momento della verità. Le sussurrò, quelle parole, le labbra vicine al suo orecchio.
-Oh, Clary… Io non sono tuo fratello… -la ragazza non fu subito certa di aver capito bene. Ma aveva capito bene. Jace non era suo fratello. Non era suo fratello. Gli avrebbe chiesto come lo sapeva, quando lo aveva scoperto. Gli avrebbe anche chiesto perché non glielo avesse detto prima. Ma non in quel momento. In quel momento aveva solo bisogno di stare il più vicino possibile a lui, di sentire il battito accelerato del suo cuore, di sentire il suo odore, di poter guardare quegli occhi bicolore, di poter passare le mani tra quei capelli biondi e di poter baciare quelle labbra. Fino a quando non avrebbero sanguinato. Perché le mancavano i baci di Jace. Sorrise e lui riprese a baciarla, spingendola di più contro il muro…
 
Angolo autrice: 
CLAAACE! Lo so, Clary non è il massimo della simpatia a correre da lui tipo due secondo dopo che Simon l'ha lasciata, ma non possiamo farci nulla. Scusate per il circa incesto XD Alla buon ora Jace le ha detto la verità, cribbio :/ Mah, Jace è un angelo e si merita tutta la felicità che può avere. Anche nella serie ci stiamo avvicinando sempre di più alla Clace, finally :D Dopodomani, Lizzy (lo so, tutte le coppie si stanno formando tranne la Saphael, ma non ci posso fare nulla :/) 
Non c'entra niente, ma ieri ho riguardato la 1x09 e stavo sclerando malissimo :D Era così bella la prima serie :')
Cieu :) 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)

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Capitolo 7
*** Save me cause I'm falling pt.7 ***


Capitolo 6. – Save me cause I’m falling (pt.7)
Non sapeva cosa fare. Non sapeva cosa fare. Si sentiva malissimo, quasi non riusciva a respirare. Si sentiva dentro una disperazione tale che credeva che sarebbe impazzita. Due settimane. Erano passate due settimane. E non era riuscita a dormire una sola notte più di tre ore. Era come quando non riusciva a smettere di pensare a Clary, ma mille volte peggio. Si sentiva un buco nello stomaco, non riusciva a mangiare. Sapeva che tutti erano preoccupati per lei; ad essere sinceri, anche lei era preoccupata per sé stessa. E anche per Simon. Per quattordici notti si erano incontrati sul tetto dell’Istituto e avevano parlato, senza interruzioni. Di tutto e di più, condividendo il proprio dolore. Isabelle credeva che in un’altra vita, un altro universo, avrebbe potuto imparare ad amarlo. Era un ragazzo dolce e simpatico, al quale stavano accadendo troppe cose brutte contemporaneamente. Sapeva di non essere l’unica ad essere così in pena per Raphael, per quanto Simon fosse più preoccupato per la sua famiglia che per il capo Clan. Quella notte di due settimane prima, dopo essere state al Jade Wolf, lei e Lydia avevano portato Simon all’Istituto, ignorando i commenti razzisti di Aldertree. Lì, il vampiro aveva raccontato tutto quello che era successo a Clary, che l’aveva abbracciato e gli aveva chiesto perché non avesse chiamato lei, con espressione sconvolta.
Alec aveva stranamente accettato di aiutare a capirci qualcosa di più di quella faccenda. Da allora continuavano a spostarsi dall’Istituto a casa di Magnus, dal Jade Wolf –Luke aveva deciso di aiutare, visto che si trattava della famiglia di Simon, e aveva coinvolto anche il branco, che aveva approvato, seppur riluttante –all’hotel DuMort –Lily voleva partecipare perché non si fidava abbastanza di nessuno, tantomeno di Simon e Alec. L’unica cosa che avevano capito in quelle lunghe settimane era che di certo erano coinvolti una vampira e uno stregone, di cui non conoscevano assolutamente nulla, nemmeno il nome. Ogni tentativo di rintracciare Elaine e Rebecca attraverso oggetti non aveva avuto nessuno risultato. Isabelle credeva che sarebbe morta. Non si era mai sentita così inutile in tutta la sua vita. Non riusciva a fare nulla. Ma sapeva che Raphael era ancora vivo –nel senso di vita per un vampiro. Quindi probabilmente lo era anche la famiglia di Simon. Però non sapeva in che stato si trovassero, non conoscendo le intenzioni della vampira. Era pazza, completamente fuori di testa, questo era certo. E questo le metteva paura. Ma sapere che erano ancora vivi le dava la forza di continuare a combattere. Altrimenti sarebbe crollata. Era già debole. Quando credeva di essere nel punto più basso della sua vita, mentre si stava riprendendo dalla dipendenza di Yin Fen e si era pazzamente innamorata di una sua amica, forse l’unica vera amica che avesse mai avuto, credeva ce tutto quello che più desiderava fosse Clary. Ora che nel punto più basso della sua vita ci era davvero, nel vuoto, capiva che tutto quello che voleva era Raphael. Lo voleva rivedere, gli voleva dire che non poteva vivere senza di lui, che non avrebbe mia più rinunciato a lui, nemmeno costretta. Che avrebbe sempre combattuto contro tutto e tutti per lui. Che era stata stupida e se ne era resa conto troppo tardi. Era seduta nella sua stanza, sul letto, e teneva un cuscino tra le braccia, stringendolo come un malato di peste poteva stringere gli occhi cercando di scacciare il pensiero della morte, probabilmente imminente. L’unico appiglio alla vita. Le lacrime le colavano sul viso, ma le sue labbra non lasciavano sfuggire nemmeno un singhiozzo. Nemmeno quel giorno era stato molto produttivo. Almeno credeva, dato che non era uscita dalla sua stanza –quando ci aveva provato, aprendo la porta aveva visto Clary passare lì davanti correndo, un sorriso sulle labbra, gli occhi felici, i capelli che le svolazzavano intorno alle spalle, e aveva deciso che non era stata una buona idea –ma sapeva che se ci fossero stati sviluppi l’avrebbero di certo informata. Non ne era del tutto sicura, però. Alec continuava a volerla proteggere, per quanto Isabelle avesse smesso di capire da che cosa. Non c’era più niente che potesse ferirla, ormai. Ormai non sentiva più niente se non quel vuoto, quel dolore vuoto, e quella sensazione di inutilità. Raphael le aveva salvato la vita, e lei non poteva non fare nulla per salvare la sua. In quelle due settimane, almeno, se si poteva considerare una cosa positiva, era riuscita a dimenticarsi di Clary, a smettere di pensare solo a lei. Aveva smesso di vederla in quel senso, non era sicura se del tutto, aveva smesso di voler infilare le dita tra i suoi capelli rossi e di voler baciare le sue labbra. Ed era abbastanza sicura che l’avesse fatto anche Simon. Infatti, la notte prima, lui le aveva confidato di avere intenzione di lasciarla, non riuscendo a sopportare quella situazione un attimo di più. Aveva detto di aver capito già da tempo che lei non lo amava, ma di non aver mai avuto il coraggio di lasciarla (perdere) e vivere la sua non-vita senza essere segregato dietro sbarre d’oro. Aveva anche detto che non valeva la pena soffrire per lei. Forse per qualcun altro sì, ma non per lui. E Isabelle aveva capito che per lei era lo stesso, che non amava più Clary, non a quel modo, come la giovane Fairchild non amava lei e mai lo avrebbe fatto. Non era lei a dover soffrire. Forse quel qualcuno era Jace, considerando che lei credeva che la rossa si stesse dirigendo verso la stanza, quando l’aveva vista, ore prima. Forse Simon era davvero riuscito a lasciarla. Era felice per lui. Aveva già abbastanza problemi senza doversi preoccupare di Clary. Ora era libero da almeno quel fardello. Lei non sarebbe mai stata libera. E la sua prigione non era nemmeno d’oro, era di ferro vecchio e rugginoso. La sua famiglia. Alec non era perfetto, quindi doveva esserlo lei. Ma non poteva. Era solo umana, dopotutto. Prima o poi sarebbe crollata del tutto. Avrebbe rinunciato e sarebbe scappata via da tutto, per vivere una vita normale, lontano da regole e onore. Avrebbe dimenticato quella vita da creatura angelica… Oh, ma chi voleva prendere in giro. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. La vita da Nephilim era l’unica vita che poteva vivere. Era sempre stato così, e le cose non sarebbero certo cambiate. Non poteva cambiare la sua vita del tutto, ma poteva renderla migliore. Avrebbe trovato e salvato Raphael e avrebbe combattuto fino alla fine contro Alec e sua madre, per non lasciarlo mai più. Perché non poteva. Era lui la sua dipendenza, ora, non il suo veleno. Doveva salvarlo, altrimenti sarebbe morta, di certo.
“Sono stato uno stronzo, ho fatto un sacco di cazzate, e ora devo riparare. Perché non riuscirò ad andare avanti, se non lo faccio. “; erano state queste le parole di Simon, la notte prima, sul tetto. Lei aveva creduto che il Diurno fosse interessato solo alla famiglia. E invece si era sbagliata. Lui voleva salvare Raphael forse quanto lo voleva lei. Non sapeva che cosa gli avesse aperto gli occhi, che cosa gli avesse fatto capire di aver sbagliato, di essersi comportato da idiota, ma era pronta a benedire qualunque cosa l’avesse fatto. Sapeva quanto Raphael aveva sofferto per il tradimento del neo-vampiro. Gli aveva aperto il suo cuore e lui gliel’aveva strappato. Poteva sembrare strano, detto così, poteva suonare falso, ma era la verità. Il capo Clan aveva fatto di tutto per l’altro, l’aveva salvato, si era preso cura di lui, aveva cercato di proteggere la sua famiglia anche dopo il tradimento, aveva cercato di insegnarli il più possibile, gli aveva pure lasciato libero accesso al suo guardaroba pur vedendo che non sapeva tenere una giacca intera per più di dieci minuti. Non era forse amore, quello? Raphael gli aveva dato il suo cuore, poteva benissimo vivere senza, e Simon, non sapendo cosa farci, l’aveva buttato a terra e l’aveva calpestato. Isabelle lo odiava, a volte, per quello che aveva fatto al capo Clan, il suo migliore amico, l’unico amico che avesse mai avuto, se doveva essere sincera. Ma, sapeva che Simon era stato troppo accecato dal suo amore per Clary per accorgersi di essere stato cretino. Cretino fino a quel punto. Lui si sentiva in colpa per le sue parole e per aver liberato Camille, non sapeva quello che davvero aveva fatto. E forse non lo avrebbe mai saputo. Perché Raphael non gliel’avrebbe certo detto. Forse sarebbe morto, per sempre e davvero, prima. Quel che contava era che Simon lo avrebbe aiutata a trovarlo e salvarlo. Poi, avrebbe risolto tutto il resto. Ma ormai aveva quasi perso le speranze. Non l’avrebbero mai salvato. Non sapevano dove fosse. Non sapevano perché fosse lì. Non sapevano cosa volesse la vampira pazza da lui. E nemmeno che collegamento avessero lui e la famiglia di Simon. A parte Simon. Ma perché avrebbe dovuto essere lui il motivo? Non aveva senso logico. Forse mai l’avrebbe avuto. Era talmente assorta nei suoi pensieri, nella sua disperazione, che non si accorse del leggero battere alla sua porta. Quando una voce gentile dall’esterno la chiamò, sussultò, lasciando andare il cuscino e cercando di mettere a fuoco la stanza. Il letto, l’armadio, la finestra. Era difficile vederli chiaramente attraverso il muro di lacrime che le velava gli occhi. Scese con un balzo dal letto e cercò di sistemarsi i capelli allo specchio, pur sapendo che sarebbe stato inutile, tanto tutti sapevano in che stato si trovava. Indossava ancora il vestito del giorno prima, non sera data la pena di toglierlo la sera, crollando sul letto e rimanendo sdraiata a fissare il soffitto in atteso di poter salire sul tetto per parlare con Simon. Per autocommiserarsi. Isabelle sbuffò, capendo ce non sarebbe riuscita a mettersi in ordine, e che tanto non le importava nulla. Era così tanto tempo che non dormiva bene, o che non dormiva solamente, che sarebbe stato impossibile sembrare riposata, anche con tutti il trucco possibile. Un mese. Era un dannato mese che non dormiva. Per colpa di Clary le due settimane e adesso per Raphael. Ogni volta ce chiudeva gli occhi riusciva quasi a vederlo, nascosto nell’ombra, spaventato come mai l’aveva visto, lo sguardo più perso che mai. Ugh. Quella vampira non si sarebbe mai fatta trovare. Voleva solo far soffrire tutti loro, senza neanche dare un motivo. Acqua. Va bene, ma quando sarebbero arrivati al fuoco? Il fuoco con cui avrebbero potuto bruciarla. Sospirò dirigendosi verso la porta e aprendola. Davanti a lei c’era Lydia, che però non la stava guardando bensì stava parlando con qualcuno appoggiato alla parete accanto alla porta. La giovane Branwell ebbe un sussulto quando registrò che Isabel era davanti a lei, e l’ampio sorriso che aveva sul viso si spense. La mora sentì l’immediata mancanza, senza un motivo preciso. La persona appoggiata al muro fece un passo avanti, piazzandosi dietro Lydia. Era Alec. Izzi alzò gli occhi al cielo. Il ragazzo poteva anche essersi offerto di aiutarla, ma lei continuava a vederlo come la persona che aveva separato lei e Raphael. E che avrebbe continuato a provarci. Ma non ci sarebbe mai riuscito. Non poteva permetterlo.
-Ci sono novità? -domandò, non riuscendo a spiegare altrimenti la sua presenza lì. Suo fratello scosse la testa, e la ragazza gli rivolse un’occhiataccia. Alec era preoccupato per lei. non sapeva più cosa fare. Aveva voluto proteggerla, si era solamente guadagnato il suo odio. Ora la voleva aiutare. Ma non sapeva come fare. Isabel non sembrava volesse essere aiutata. Sembrava che le piacesse soffrire in quel modo. Avrebbe potuto evitare tutta quella situazione, ma si era messa a giocare a Romeo e Giulietta con un vampiro… Si diede dello stupido. Avrebbe dovuto volerle chiedere come stesse , anche se sarebbe suonato ipocrita. Forse avrebbe fatto meglio a dirle che era preoccupato per lei, l’unica verità che non facesse male. Ma lei avrebbe continuato ad odiarlo. almeno doveva provarci. fece per parlare ma la sorella glielo impedì con un gesto della mano. -Allora che ci fai qui? -quelle parole, pronunciate con quel tono, gli fecero male, ma si morse l’interno della guancia, guardandola dritta negli occhi , con le lacrime che premevano per uscire. Si chiese se avrebbe mai avuto indietro la sorella che amava, la sua sorellina, quella con cui si era allenato fin da piccolo, quella a ci raccontava tutto. L’arrivo di Clary aveva sconvolto tutti. Credeva che le cose sarebbero cambiate solo per Jace, che la guardava come fosse la più bella spada angelica che avesse mai visto. E invece si era sbagliato. Per tutti c’erano state conseguenze.
A causa sua, a causa degli avvenimenti che aveva provocato. Tutto il mondo che conosceva era stato distrutto, irrimediabilmente, senza possibilità di ritorno. Si fece comparire sul viso uno stupido sorriso e disse che stava solo accompagnando Lydia, scomparendo poi più in fretta possibile nel corridoio, insieme a quel sorriso...Era vero che aveva accompagnato la ragazza ma aveva comunque intenzione di parlare con Isabelle. A quanto pareva non ne avrebbe avuto la possibilità. Decise di tornare al centro di comando, cercando di impegnarsi nelle ricerche. Di certo Jace non l’avrebbe aiutato . Probabilmente era piuttosto occupato, in quel momento. Da quello che aveva capito vedendo il viso di Clary, la loro imbarazzante situazione fratello-sorella, sarebbe potuta finire. Finalmente. Due mesi Da due mesi andava avanti. Si passò una mano sul viso. Izzy non era l’unica a non dormire. Avrebbe tanto voluto che Magnus fosse lì.
Lydia fece un passo nella stanza di Isabelle, che la lasciò entrare. Era rimasta sconvolta da come la mora aveva trattato suo fratello. Alec voleva soltanto aiutarla, non c’era motivo di essere tanto scontrosa. izzy sbuffò e chiuse la porta con forza, superando Lydia e buttandosi indietro sul letto. La bionda la osservò per qualche secondo, indecisa sul da farsi. Sapeva che l’altra Nephilim stava male, ma quello non era un motivo valido per trattare Alec in quel modo. Lei si era affezionata al ragazzo, da quando le aveva chiesto di sposarlo ormai lo considerava come un fratello. Di certo più della giovane Lightwood, in quel momento. Cercò di trattenersi , ma vedere la mora sdraiata sul letto in quel modo scialbo le fece venir voglia di tirarle uno schiaffo. Avrebbe dovuto svegliarsi, invece di piangere tutto il tempo. L’aveva imparato. Le lacrime non riportavano indietro le persone, non facevano tornare le cose come prima.
-Perché?- sbottò irritata come non mai. Isabelle aprì gli occhi e la guardò, mettendosi una mano sul viso, come per schermare la luce del sole, anche se era già calata la notte da parecchio. La sua espressione indicava una domanda. Eppure avrebbe dovuto sapere che cosa Lydia intendeva. Forse lo sapeva. Ma non le importava. Non le importava, e questo faceva paura. Che cosa poteva esserci più importante della sua famiglia. Si rispose subito da sola. L’amore. Per amore poteva innalzare muri tanto alti e resistenti per impedire a chi voleva distruggerla di riuscire nel proprio intento. Poteva essere pericoloso, molto pericoloso. Isabelle si alzò a sedere. Lydia non sapeva nulla. Non poteva permettersi di dire qualcosa. Aveva tutto il diritto di detestare Alec. A volte si domandava dove diavolo fosse finito suo fratello. Si comportava come se fosse sua madre, e lei non ne aveva bisogno. Non aveva bisogno di essere protetta! Era una Shadowhunter, per l’Angelo! Poteva perfettamente cavarsela da sola. Non dovevano tutti correre a salvarla come se fosse una damigella in pericolo. Era una guerriera.
Fece per ribattere, ma la giovane Branwell non le lasciò il diritto, proprio come Isabelle aveva impedito ad Alec di farlo, poco prima. La mora saltò in piedi pronta a discutere, litigare, se fosse stato necessario. Ma Lydia le fece un’altra domanda, che la lasciò spiazzata.
-Dimmi, se dovessi scegliere tra Raphael e la tua famiglia, chi sceglieresti? -
La sua stessa risposta la stupì più di tutto. Aveva pensato per così tanto tempo cosa davvero contava per lei che ora la risposta le veniva naturale. Si sentì scossa da brividi, non appena pronunciò quelle parole.
-Sceglierei lui! Sceglierei sempre lui. Perché non potrei accettare una vita senza. Lui è come lo Yin Fen. Forse peggio. Il suo cuore fermo è l’unica cosa in grado di far battere il mio. -
Lydia dovette sbattere le palpebre un paio di volte, causa la velocità con cui Isabelle aveva risposto. Quelle parole l’avevano colpita quasi più di quel demone che voleva strapparle il cuore. Non credeva che i suoi sentimenti per quel vampiro fossero tanto forti da farle mettere la sua famiglia in secondo piano. Improvvisamente non si sentì più arrabbiata con lei. Anche lei aveva deciso di scegliere John, lo amava troppo. Come avrebbe potuto prendersela con Isabelle? La mora era scossa da brividi incredibili, si sentiva mancare il respiro. Sempre lui. Nessun altro mai. Lo rivoleva indietro. Voleva che la stringesse tra le braccia, che le asciugasse le lacrime, che le mormorasse parole dolci. Che la salvasse, che la salvasse di nuovo come aveva fatto tutte quelle volte. Le lacrime tornarono a scivolarle sul viso prima che potesse accorgersene. Si sentiva stupida, per essere crollata davanti a Lydia, ma aveva bisogno di piangere. Raphael. Raphael. Forse non avrebbe più potuto vederlo. Non avrebbe più potuto dirgli quanto teneva a lui. Non avrebbe più sentito la sua voce. Voleva morire.Voleva uccidere quella vampira che lo aveva preso.Si sentiva incredibilmente debole e determinata allo stesso tempo.Lydia, non sapendo davvero cosa fare, si avvicinò a lei e la circondò con le braccia, cercando di rassicurarla con leggere pacche sulla schiena. Tutta la sua rabbia era scemata. Ora riusciva solo a sentire la disperazione di Isabelle, quasi come fosse una stufa che rilasciava calore. Voleva aiutarla, forse più di quanto volesse farlo Alec. Lei sapeva benissimo come ci si sentisse a perdere la persona che più amava al mondo. L’amore della propria vita. Il solo pensiero che Raphael fosse l’anima gemella della giovane Lightwood la faceva sentire come se le avessero infilato degli spilli direttamente nel cuore, ma non poteva farci nulla. Non si poteva decidere chi amare. Succedeva e basta. Non importava quanti cuori si spezzassero per quell’amore. A volte pure il tuo poteva venire mandato a sbattere contro un muro, spezzandolo in così tanti pezzi che era impossibile raccoglierli. Non poteva farci nulla, poteva solo aiutare Isabelle, cercando di farla uscire dalla sua sofferenza, senza altri fini. In verità avrebbe voluto scuoterla, dirle che non poteva continuare a compiangersi. Che se Raphael era davvero tanto importante per lei, avrebbe dovuto dare tutta sé stessa per ritrovarlo. Ma decise che sarebbe stato meglio non farlo. Isabelle si sentiva uno straccio, mentre il peso di tutte quelle notti che non aveva dormito le piombava addosso. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa di utile, ma non ci riusciva. Non poteva restare in quella stanza per sempre, come una principessa imprigionata. Avrebbe dovuto correre nella notte e cacciarla come il dannato cacciatore che era quella vampira. Avrebbe voluto vendicarsi per quello che le aveva fatto. Rimase qualche tempo tra le braccia di Lydia, sentendosi quasi in pace per la prima volta i due settimane. Libera dai suoi problemi. Ma poi, si rese conto che era solo un’illusione, non poteva scappare dalla verità. La verità, la dura verità, avrebbe sempre trovato chiunque, anche chi cercava con tutta la forza che possedeva di sfuggirle. Mentire era più facile. Scoprire la verità poteva uccidere. Scoprire che la verità ti era stata nascosta, poteva fare anche peggio. Più di un anno dopo, quando avrebbe dovuto mentire, per il bene di tutti, anche se tutti affermavano che la verità non avrebbe nuociuto, si sarebbe sentita tanto male da voler morire. Ma a cosa serviva sapere la verità se non potevi ricordare? In quel momento non aveva idea di quello che sarebbe seguito. Non sapeva se un futuro ci sarebbe davvero stato. Non vedeva nessun futuro per sé stessa. Quella pace improvvisa era solo stata un’illusione, lo sapeva bene. Allontanò bruscamente Lydia, voltandosi e facendo diversi passi, voltandosi e facendo diversi passi lontano da lei, verso la parete. Avrebbe voluto attraversarla e correre lontano, non sentirsi stringere i quattro muri della sua stanza addosso. La giovane Branwell la osservava, non sapendo che cosa fare. Isabelle si era fermata, con la testa che girava. Le lacrime non volevano smettere di scendere, come pioggia durante una tempesta. Si prese il viso tra le mani, e quei piccoli diamanti continuarono a scivolarle tra le dita. Iniziò a singhiozzare incontrollabilmente. Se quella era la vita voleva solo morire. Se quello era il destino voleva solo impazzire. Non poteva andare avanti così. Ma non c’era nulla che potesse fare. Per fermare quelle lacrime, per salvare Raphael. Era impotente. Avrebbe voluto spaccarsi una mano menando un pugno al muro. Che situazione insopportabile. -Lo amo troppo. -singhiozzò. -Non posso perderlo. -non sapeva perché lo stesse dicendo a Lydia, ma aveva bisogno di confidarsi con qualcuno. Qualcuno di cui si potesse fidare. Non riusciva più a vedere Alec come un fratello, non riusciva più nemmeno a guardare Clary in faccia e Jace era troppo chiuso in sé stesso, ultimamente. Lydia fece qualche passo avanti, facendo per mettere una mano sulla spalla della ragazza, pur sentendo il suo cuore stretto in una morsa quasi mortale, ma Izzy si voltò verso di lei, guardandola attraverso occhi pieni di lacrime, che sembravano quasi dorate, alla luce delle lampade. E disse una cosa che liberò la bionda da quella stretta, la fece sentire come se il cuore avesse smesso di battere. In modo positivo, se ce n’era uno. -È il mio migliore amico. -solo dopo la mora si rese conto di quello che aveva detto. Aveva lasciato cadere la sua copertura, aveva detto a Lydia la verità, senza nemmeno volerlo. Non sapeva perché lo avesse detto, le parole erano uscite dalle sue labbra prima che potesse fermarle. Adesso qualcuno sapeva la verità. Credeva che avrebbe continuato a mentire per sempre, come faceva Clary restando con Simon. A quanto pareva, quel giorno aveva messo fino a entrambe le commedie. Certo, Lydia non sarebbe andata a informare tutti della cosa, ma ormai il danno era fatto. La bionda fu costretta a battere le palpebre un paio di volte. Probabilmente in realtà stava nel suo letto e stava sognando tutto. Perchü le cose cominciavano a non avere senso. Isabelle non aveva detto di amare Raphael? E allora perché poi diceva… Oh. Lo amava, ma erano solo amici. Non lo amava in quel senso. Lo amava come due parabatai potevano amarsi. Tanto da impazzire, ma come fratelli e sorelle. Non riusciva a crederci. Non poteva essere vero. Perché allora era andata alla festa di compleanno di Max con lui, annunciando a tutti che stavano insieme, baciandolo davanti a tutti e acclamando il suo amore per lui? Scosse leggermente, come per riprendersi , parlando con occhi quasi assonnati.
-Cosa? -esalò, cercando di non mostrare il tremore nella sua voce. Fortunatamente, dicendo solo quella parola, il suo tono risultò piuttosto normale. Comunque non riusciva a scacciare il suo nervosismo. Isabelle pensò di correggersi e di continuare a mentire, ma poi sospirò e decise di dire la verità, per quanto fosse imbarazzante. Si era spaventata tanto con le sue stesse parole che le lacrime avevano smesso di scorrere sulle sue guance come fiumi, quasi fossero state un semplice singhiozzo. Ancora non poteva davvero credere a quello che aveva detto, ma ora doveva sistemare la situazione, anche rendendosi ridicola.
-Io… -per un’ultima volta il pensiero di mentire ancora le passò per la mente, veloce e accecante come un fulmine, ma… No, non poteva farlo. La verità aveva preso anche lei, non poteva più scappare. -Ti prego, fai tutto quello che vuoi, ma non ridere. -Lydia avrebbe voluto chiederle per quale motivo avrebbe dovuto ridere -sarebbe stato ridere della sua disperazione -, ma decise di stare zitta e lasciarla parlare. -Siamo solo amici, davvero. Qualche tempo fa lui credeva di provare qualcosa di più per me e io di provare qualcosa di più per lui, ma non è mai stato vero. Eravamo solo… Oh, lascia perdere. -la bionda non disse nulla, sembrava stesse solo aspettando quella spiegazione che Isabelle le doveva. La mora sospirò di nuovo. Sapeva che era ora di arrivare al punto. Guardò Lydia dritto negli occhi, e entrambe si sentirono incredibilmente a disagio. Izzy cercò di ignorare quella sensazione, ricominciando a parlare. -Ti prego, non ridere. È che… Ecco, io… Quasi un mese fa, ho capito di essermi innamorata di una persona… -scosse la testa, come per dire che non avrebbe detto di chi si trattava. -Che, sfortunatamente per la mia povera anima, era già occupata. E sembrava molto convinta. Non lo era davvero, ma… -quella situazione si stava facendo davvero imbarazzante. Lydia stava ragionando su chi quella persona potesse essere… Magari Bane, per quello che era tanto arrabbiata con Alec… Oh, per carità, no. No, non era lui, decisamente. Quel vampiro amico di Clary? Nemmeno lui. Clary? Non ebbe il tempo di ragionarci sopra, visto che Isabelle continuò a spiegare. -Ho chiesto a Raphael di aiutarmi a farla ingelosire, per questo abbiamo finto. -la giovane Lightwood guardò la bionda, che aveva lo sguardo perso, cercando di non arrossire troppo per l’imbarazzo. Solo in quel momento si rese conto dell’assurdità che aveva fatto. Doveva sembrare proprio disperata. Lydia non aveva alcuna intenzione di ridere. Non faceva ridere, la faceva stare male. La faceva stare male sapere che Isabelle era stata male tutto quel tempo, fingendo di stare perfettamente bene, anzi, di essere felice. Al solo pensiero le veniva da vomitare, la morsa intorno al suo cuore sembrava tornare. Si sentiva agitata e non riusciva a calmarsi. Le sue mani stavano sudando e il suo cuore batteva all’impazzata, come un uccellino in gabbia che voleva essere libero. Avrebbe dovuto trattenersi, ma non poteva più scappare. il momento della verità era arrivato anche per lei. Proprio quando Isabelle si stava cominciando a preoccupare, vedendo come l’altra apriva e chiudeva gli occhi, come per cercare di scacciare un pensiero, Lydia si lanciò in avanti, prendendole il viso tra le mani e baciandola sulle labbra. La giovane Lightwood sentì il suo cuore cominciare a battere tanto velocemente -quasi come correvano i pensieri -che credeva sarebbe svenuta. Non riusciva a capire. Lydia provava qualcosa per lei? Per quello si preoccupava tanto? Per questo era sembrata tanto sconvolta quando lei le aveva accidentalmente rivelato la verità? Un’altra preoccupazione che si aggiungeva alla sua mente già tormentata. La giovane Branwell si staccò da lei, lasciando le sue mani ai lati del suo viso, tremando all’impazzata. Una parte di Isabelle avrebbe voluto ricambiare il bacio, l’altra scappare il più lontano possibile. Come poteva essere così confusa? Come poteva avere desideri tanto discordanti? Non sapendo cosa fare, si limitò ad osservare l’altra, gli occhi spalancati e sconvolti come se avesse appena visto il suo peggiore incubo avverarsi. Fece per parlare, ma Lydia glielo impedì.
-No, non dire niente. Ti prego. -fece un passo indietro, lasciando scivolare via le mani dal viso di Izzy. La ragazza sentì la mancanza di quel contatto, tanto che le sembrò di cadere. Non poteva rimanere in silenzio, doveva dire qualcosa. Non poteva permettersi di lasciare Lydia senza una risposta. Sempre che ne volesse una.
-Lydia… -fu l’unica cosa che riuscì a dire, poi sentì una lancinante fitta al petto, come se le fosse stato strappato il cuore. Aveva difficoltà a respirare. Si piegò in due, cercando di non mettersi a urlare dal dolore. L’ultima cosa che vide fu il volto preoccupato di Lydia, che allungava le braccia per prenderla e impedirle di cadere a terra. Poi, fu solo buio e dolore.
 
Angolo autrice:
Scusatemi tantissimo, lo so che avrei dovuto pubblicare ieri ma non ce l'ho proprio fatta :/ Poi, questo capitolo è lunghissimo, perdono. Ok, questa volta non ho molto da dire, a parte che le cose cominceranno ad avere davvero poco senso (cose poco possibili in Shadowhunters, ma prima di Simon era anche impossibile che un vampiro potesse camminare al sole, perciò XD). Pubblicherò il prossimo capitolo lo stesso martedì, visto che sono in ritardo con questa parte. 
Next time: un salto nella vita passata di Raphael (quando era ancora umano :'(), Raph ancora sperduto chissà dove, cosa impossibile #1, grandi scoperte, Raphi in crisi (povero piccolo) 
A dopodomani :D
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)
 

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Capitolo 8
*** Buried in a sadness pt.1 ***


<< Don’t cling to me, I swear I can’t fix you
 Still in the dark, can you fix me? >>
 
Capitolo 7. – Buried in a sadness (pt.1)
Non aveva mai dormito sonni tranquilli. La sua vita era sempre stata un’agitazione tale che quasi non riusciva a chiudere occhio. Be’, dopotutto aveva cinque fratelli più piccoli. Era quasi impossibile che potesse dormire in pace, essendo il maggiore. Sua madre non poteva fare tutto da sola, anche lui aveva delle responsabilità. Non aveva nemmeno diciott’anni, ma le cose non erano state molto diverse nemmeno cinque anni prima. O dieci. Aveva sempre dovuto essere d’esempio. Non aveva mai dormito sonni tranquilli, erano quasi tutti interrotti dagli incubi dei suoi fratellini che lo svegliavano nel cuore della notte, per farsi aiutare ad addormentarsi di nuovo. E quando non veniva svegliato, a tormentato erano i suoi, di incubi. Il peggiore di tutti rispecchiava la sua paura più grande: perdere la sua famiglia. Non c’era nessuno che contasse di più, nella sua vita. Non riusciva a sostenere anche il solo pensiero di perderli. Era troppo nauseante. Quella notte, invece, i suoi sogni era dorati e parlavano di gloria. La gloria ricevuta per aver ucciso un vampiro. Non sapeva quanti ci avrebbero creduto, forse avrebbero tutti pensato che fosse solo stata una ragazzata. Ma loro avrebbero saputo e sarebbero stati fieri di loro stessi. Sua madre sarebbe stata fiera di lui. E nulla contava di più. Non aveva detto nulla ai suoi fratelli, sapeva che si sarebbero solo spaventati. Lo faceva anche per loro. Perché continuavano a sparire bambini e ragazzi, e quell’essere senza Dio era responsabile. Sarebbero stati al sicuro. Non che si ritenesse particolarmente coraggioso a lanciarsi in quell’impresa. Stava solo facendo quello che andava fatto, com’era suo dovere. Quella mattina sua madre gli aveva dato una catenina con una croce d’oro, dicendo che sarebbe servito a proteggerlo. Poteva avere ragione. Quei demoni posseduto dal Diavolo e assetati di sangue disprezzavano il Creatore di ogni cosa e ogni simbolo legato a Lui. Forse sarebbe servito. Era successo la mattina molto presto, quando entrambi sapevano che nessuno dei bambini sarebbe stato sveglio, anche se Raphael sarebbe partito solo la sera successiva. Non sapeva come fosse riuscito ad addormentarsi, anche se stranamente non si sentiva tanto agitato come avrebbe dovuto essere. Sua madre continuava ad essere molto preoccupata. Gli aveva ricordato di pregare affinché il Signore restasse con lui tutto il tempo, aiutandolo in quell’impresa. Era una caccia alla belva, ma loro si sentivano molto sicuri. Tutti gli altri erano più grandi di Raphael, ma non importava molto, ascoltavano sempre quello che aveva da dire. Non erano degli stupidi, non erano degli incapaci. Potevano farcela. Dovevano farcela. Era per un bene superiore. Liberare quella Terra da un essere dannato e senz’anima come un vampiro. Venne svegliato dallo scricchiolio delle assi del pavimento. Aveva il sonno molto leggero, ormai era abituato alle incursioni notturne dei suoi fratelli nella sua stanza. Si mise seduto proprio mentre la persona entrata nella stanza si arrampicava sul letto. Sentì il materasso abbassarsi sotto quel peso ulteriore. Aspettò di sentire qual era il problema, sapendo che sarebbe bastata la voce per capire di chi si trattava. Le parole che tagliavano l’oscurità lo sconvolsero tanto che sentì il suo cuore fare un balzo tanto forte che avrebbe potuto volargli fuori dal petto e schiantarsi contro la parete.
-Non puoi andare. È troppo pericoloso. –era Rosa, la maggiore in età dopo di lui. Non aveva idea di come facesse a sapere quello che lui aveva intenzione di tentare, ma questo lo fece preoccupare. Probabilmente aveva sentito quello che lui e la madre avevano detto, quella mattina. Doveva essersi svegliata presto e doveva aver origliato. O forse si era svegliata presto
per origliare. Anche se il discorso era partito da una normalissima routine mattiniera. Cercò di negare l’evidenza.
-Non so di che cosa stai parlando, Rosa. –disse, con calma e dolcemente, come parlando a un bambino piccolo, anche se ormai lei non lo era più da tempo. Sapeva che Rosa lo stava guardando, con disappunto, probabilmente, anche se era difficile che riuscisse a vederlo, in quel buio scuro come pece. Non sapeva perché fosse così buio. Sperava che la luna sarebbe comparsa in cielo la notte dopo, per aiutarli nell’impresa. Era solo una cosa simbolica. La luce non poteva entrare nella stanza solo perché le persiane erano abbassate –anche se di solito, in qualche modo, la luce riusciva a passare lo stesso. La luna poteva simboleggiare i lupi mannari, ma avrebbe potuto aiutare loro, dei semplici giovani umani. Dopotutto era risaputo che tra mannari e vampiri c’era un odio primordiale. Si riprese dai suoi pensieri soltanto perché sua sorella lo riportò indietro dal suo viaggio avanti nel tempo ribattendo in modo quasi tranquillo, il che era strano. Raphael credeva che fosse in una via di mezzo tra l’arrabbiato e il preoccupato. Ma di certo non calma.
-Non sono stupida. –il ragazzo sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri e disordinati. Certo, certo che non era stupida. Non sarebbe riuscito a convincerla. Doveva solo dire la verità. Dopotutto mentire era peccato, anche se fatto a fin di bene. E poi sapeva che Rosa era solo spaventata. Perché lui stava andando incontro a un pericolo troppo grande e oscuro. A volte però le cose andavano fatte, se non c’era nessuno abbastanza coraggioso. A volte bisognava essere coraggiosi, pur essendo spaventati a morte. E ora toccava a lui essere coraggioso.
-So che è pericoloso. –cominciò, a voce bassa. –Ma devo andare. È per il bene di tutti. –si fermò un secondo, prima di continuare. Sapeva che forse allora sua sorella avrebbe capito. Perché non era stupida. –Per il tuo bene. –sentì Rosa sbuffare forte, come se cercasse di espellere tutti i pensieri negativi dalla sua mente. Poi, la ragazzina sgusciò accanto a lui, tirandolo sul materasso per un abbraccio, in modo quasi aggressivo. Non voleva che Raphael facesse una cosa tanto difficile, stupida, forse, ma era lui il più grande, lei non poteva fare altro che ascoltare. E, in fondo, sapeva che aveva ragione. Quell’essere maledetto di cui aveva sentito parlare non poteva continuare ad aggirarsi per il quartiere uccidendo giovani innocenti con ancora tutta la vita davanti, senza che nessuno facesse nulla. L’unica cosa che poteva fare era stringere il fratello in una morsa d’acciaio, cercando di dargli anche il suo coraggio. Ce ne voleva, di coraggio, per fare una cosa simile. Raphael non le avrebbe mai detto che in realtà lui, di coraggio, ne aveva ben poco. Ma anche se il coraggio mancava, sarebbe bastato l’amore intenso e indistruttibile che sentiva per la sua famiglia.
-Promettimi che tornerai. –borbottò Rosa, schiacciata contro la sua spalla. Lui doveva prometterglielo. Perché doveva tornare. Doveva tornare da loro. Era troppo giovane per morire, come tutti gli altri. Quelli che erano già morti e quelli che forse, grazie a lui, non sarebbero morti mai. Si separò da lui, temendo che l’avrebbe soffocato prima che potesse provarci il Diavolo sanguisuga. Osservò il punto buio dove avrebbe dovuto trovarsi il viso del fratello, aspettando che rispondesse. Raphael sapeva di non poterglielo promettere. Forse il Signore lo avrebbe protetto, ma forse nemmeno lui poteva niente contro la notte buia e oscura, priva di speranza. Avrebbe dovuto usare anche la sua astuzia, ma non sapeva se sarebbe servito. C’erano tanti perché, in quella vita. Non sapeva trovare risposta a nessuno. Ma doveva andare avanti. Doveva fare quello che poteva. Qualunque cosa, per proteggere le persone che amava. Non era per quello che si viveva? Combattere per l’unica cosa che contava davvero. Accarezzò i capelli lunghi e mori di Rosa, prima di rispondere.
-Il Creatore di ogni cosa mi proteggerà. –disse, prendendo tra due dita la croce d’oro, che non aveva avuto la forza di togliersi nemmeno per dormire. Non riusciva a vederla nemmeno lui, figuriamoci sua sorella. Ma, all’improvviso, sembrò esserci un lampo dorato nella stanza, che illuminò tutto, compresi i loro visi. Poi, ripiombò l’oscurità, pesante come se avesse forma. Rosa sapeva che le croci potevano essere letali per i vampiri che in vita erano stati cattolici o protestanti. Non sapeva come facesse a saperlo, forse lo aveva sentito, forse lo sapeva e basta. Avrebbe voluto rispondere che quella non era una promessa, che lei voleva avere la certezza di rivederlo, ma non lo fece. Decise di farsi calmare da lui, come quando si svegliava dopo un incubo, quando erano più piccoli. Forse sperando che quello fosse effettivamente un incubo. Pur sapendo perfettamente che non lo era.
-Canta. Canta per me. –gli disse. Le piaceva la voce di suo fratello, soprattutto quando cantava. Sapeva essere incredibilmente dolce. Non le importò di non essere più una bambina, di avere ormai quattordici anni. Voleva sentire la sua voce cantare per lei, perché avrebbe potuto essere l’ultima volta. Raphael sospirò, sentendo all’improvviso un immenso panico salirgli dentro. Forse davvero non sarebbe tornato. Ma, se fosse comunque riuscito nel suo intento, proteggere la sua famiglia, sarebbe morto in pace. Iniziò a cantare, a bassa voce, ripetendo sempre le stesse parole.
<< Arrorró mi niña
Arrorró mi sol
Arrorró pedazo de mi corazón >> 
 
La sera dopo uscì dalla porta di casa sua, con un nodo che gli attanagliava la gola. Sentiva difficoltà a respirare. Guardò la strada: gli altri era all’incrocio che li avrebbe portati al covo della belva, appoggiati alle pareti esterne dei palazzi, discutendo su cosa avrebbero fatto, probabilmente. La luce del sole che tramontava illuminava i loro visi. Si voltò, cercando di farsi comparire un sorriso alle labbra, seppur falso. Rosa e sua madre stavano sulla porta, guardandolo in modo apprensivo. Sapeva che non sarebbe riuscito a ingannarle. Ma, forse, sorrideva per sé stesso. Per mostrare che era sicuro che ce l’avrebbe fatta e calmo Forse, sarebbe riuscito a ingannare almeno sé stesso. I suoi altri fratelli erano chiusi dentro; non aveva idea di come sua madre li avesse distratti. Era contento che non lo vedessero partire. Se fosse tornato, l’avrebbero visto come un eroe. In caso contrario, avrebbero saputo che era morto provando a diventarlo, solo per proteggerli. Percorse gli ultimi scalini che lo separavano dal cemento della strada, facendo dei respiri profondi. Non doveva lasciarsi prendere dal panico. Sarebbe andato tutto bene. Fece qualche passo sul terreno illuminato dal sole, spostando una cartaccia con la scarpa. Si rigirò tra le mani un paio di volte un bastone appuntito. Sarebbe servito, secondo quel poco che sapeva sui vampiri. Non sarebbe stato troppo difficile, sarebbe bastato infilarglielo nel cuore e sarebbero potuti tornare a casa con la gloria nell’anima. Non era difficile. Potevano farcela. Ma aveva le mani sudate, e il bastone rischiò di scivolargli dalle dita. Si voltò ancora una volta verso la soglia di casa sua. Sua madre e sua sorella erano ancora lì. Questa volta gli sorse un sorriso spontaneo. Se fosse tornato, loro sarebbero state lì ad aspettarlo. Forse nello stesso punto esatto, senza essersi mosse nemmeno di un centimetro, guardando l’angolo della strada, aspettando di vederlo arrivare. Avrebbe sorriso e loro sarebbero corse da lui, abbracciandolo e dicendogli che erano fiere di lui. Ma aveva fatto un balzo troppo lungo avanti con la mente. Doveva prima uccidere la bestia, poi sarebbe tornato. Rivolse un’occhiata agli altri, che lo stavano aspettando, e distogliendo lo sguardo dalla sicurezza di casa sua, fece un passo avanti. Poi, un altro. Prima che potesse continuare, le voci di Rosa e di sua madre lo chiamarono praticamente all’unisono. Quasi non fece in tempo a girarsi, che le due lo investirono, in un abbraccio da togliere il respiro, tanto era stretto. Dissero così tante cose insieme che Raphael faticò a capirne la metà. Poi, Rosa fece qualche passo indietro, per lasciare che la madre parlasse con lui. Guadalupe guardò suo figlio negli occhi, iridi scure che si fondevano in iridi scure. Aveva paura di perderlo. Non avrebbe potuto accettare una vita senza il più grande dei suoi figli, e sapeva che per i suoi fratelli sarebbe stato lo stesso. Lui era così dolce… E troppo giovane per morire. No, non doveva pensare in modo così negativo. Raphael non era stupido. Se la sarebbe cavata. Doveva cavarsela. E il Signore lo avrebbe protetto. Lui non aveva mai fatto nulla di sbagliato. Non aveva mai peccato, non meritava di morire. Non lui. Fra tutti gli esseri umani, e non, che pensavano solo a loro stessi ed erano più crudeli del Diavolo stesso, non poteva morire lui. No. Non sarebbe morto. L’avrebbe resa fiera. Lo sapeva. Gli posò una mano sulla guancia e lui sorrise debolmente. La sua pelle era fresca e morbida. Era ancora un ragazzo, per quanto tendesse a non comportarsi come tale. I suoi capelli erano ricci e scuri, tanto che si sarebbero potuti confondere con il buio della notte. I suoi occhi erano pozzi scuri, ma lei sarebbe sempre stata in grado di leggerci dentro. Sapeva che era spaventato, senza che lui glielo dicesse. Ma sapeva che sarebbe stato abbastanza coraggioso da non mostrarlo. Cercò di memorizzare ogni suo dettaglio, anche se ormai avrebbe potuto descriverlo perfettamente, in ogni minimo particolare, senza bisogno di vederlo. Con la mano libera sfiorò la croce d’oro che riposava sul suo collo, risplendendo.
-Non toglierla. Promettilo. –Raphael scosse la testa, non riusciva a trovare la forza di parlare. Ma no, non l’avrebbe fatto. L’avrebbe sempre tenuta, così non solo il Creatore sarebbe stato con lui, ma anche sua madre. La sua famiglia. Guadalupe lo strinse ancora a sé, mormorandogli all’orecchio:
-Il mio bambino… Sono così fiera di te. –quando si separarono, sua madre tornò in fretta su per le scale, sparendo in casa. Il ragazzo era riuscito comunque a vedere le lacrime nei suoi occhi. Rimase solo con Rosa. Il sole calava ogni momento di più. Avrebbe fatto meglio ad andare, ma sapeva di dover salutare la sorella. Rosa scosse la testa, come cercando di scacciare un pensiero, si lanciò in avanti e lo abbracciò stretto.
-Devi tornare. –mormorò, cercando di non scoppiare in lacrime. Non sapeva che cosa avrebbe fatto se non fosse tornato. Non fu più in grado di dire nulla. Lo osservò un’altra volta, squadrandolo dall’alto in basso. Poi, corse dietro alla madre, chiudendo la porta dietro di sé con tanta forza che avrebbe potuto romperla. Raphael rimase fermo al centro della strada. Si era alzato uno strano vento, che faceva volare cartacce e pagine di giornale per tutta la via. Si voltò verso gli altri, che ancora lo stavano aspettando e sembravano star perdendo la pazienza. Rivolse un ultimo sguardo alla porta chiusa di casa sua –gli sembrò di vedere il viso di Rosa affacciato alla finestra, ma fu solo questione di un attimo. “Tornerò”, si disse, dirigendosi correndo all’angolo della strada. Mentre camminavano, osservò il sole sparire oltre le cime dei palazzi.
Quella fu l’ultima volta che vide il tramonto.
Quella fu l’ultima volta che vide il sole.
 
No.
No.
No, no, no, no.
Non poteva finire così.
Non doveva finire così.
Corri, corri o morirai anche tu; gli stava urlando una voce nella sua testa. Lo sapeva, lo sapeva bene. Il paletto che aveva portato con sé, era rotolato da qualche parte, in mezzo al sangue dei suoi compagni. Era stato inutile. Tutto sarebbe stato inutile. Non tutti gli altri erano morti, alcuni agonizzavano a terra, affogando nel loro stesso sangue; altri avevano arti spezzati e non potevano muoversi. Lui era l’unico ancora illeso. Non sapeva nemmeno dove si trovasse, aveva perso il senso dell’orientamento. Eppure non era da molto che stava correndo, scivolando nel sangue. Forse il Diavolo non avrebbe avuto il tempo di notarlo, e sarebbe sopravvissuto. Si stava comportando da codardo, lo sapeva bene. Avrebbe dovuto essere coraggioso, avrebbe dovuto combattere con le unghie e con i denti e mettere fine alla vita dannata di quell’essere senza Dio. Il problema era che il vampiro aveva unghie e denti più appuntiti dei suoi. Il cuore gli batteva all’impazzata, il sangue pompava tanto velocemente che poteva sentirlo nelle sue orecchie, come il ruggito di un leone. Il vampiro probabilmente riusciva a sentirlo. Non aveva scampo. Non c’era speranza nemmeno per lui. Ma doveva andare avanti. Non poteva morire, aveva fatto una promessa. Doveva tornare a casa, non poteva abbandonare la sua famiglia. Loro erano tutto quello che contava, per lui. Gli sembrava di star correndo da un’eternità, invece non aveva raggiunto nemmeno la fine del vicolo. Prima che potesse farlo, allontanandosi il più possibile da quell’hotel di dannati, due mani artigliate lo presero e lo sbatterono malamente contro il muro, con violenza, facendogli sbattere la testa tanto forte che gli sembrò di riuscire a vedere le stelle, nello spazio tra i tetti dei due palazzi che formavano la stradina laterale, quel vicolo cieco di morte. Gli mancò il fiato, per qualche interminabile secondo. Nella fretta della fuga doveva essersi graffiato con qualcosa, sentiva un taglio bruciargli, bruciargli in un modo incredibile, quasi più del fuoco, sotto l’occhi sinistro. Sentiva la risata del vampiro, mentre il mondo spariva e appariva ad una velocità preoccupante. Non sapeva per quanto sarebbe riuscito a restare sveglio. Ma non poteva permettersi di perdere i sensi. Non poteva, sarebbe morto. Doveva cercare di difendersi, per quanto suonasse patetico, a quel punto.
-Ti prego… -cominciò, con voce strozzata, trovando difficile parlare. Il mondo era fermo, riusciva quasi a vedere il viso del vampiro, la sua bocca i suoi canini e insanguinati, ma era un’immagine sfocata. Ci mise qualche tempo a capire che era perché aveva gli occhi pieni di lacrime. –N-non u-uccidermi… -la belva rise. Si stava divertendo. A lui piaceva tutta quella sofferenza. Era un mostro. Li aveva uccisi tutti, avrebbe ucciso anche lui, e stava ridendo. Non c’era speranza di sopravvivenza. Non sapeva cosa avesse pensato quando si era lanciato in quell’impresa. Aveva pensato che uccidere un vampiro fosse facile, aveva pensato che visto che erano morti non avessero forza. E ora sarebbe morto. Non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia. Quel pensiero lo investì tanto forte che gli fece mancare l’aria. Il vampiro non smise di ridere. Anzi, allungò una mano e gli strappò la croce d’oro. Non gli fece quasi nulla. Fece solo una smorfia, mentre la sua mano produceva un suono simile a quando si faceva cuocere qualcosa in padella, e se la infilò in tasca. Ora non c’era più niente che potesse salvarlo. Nulla che potesse fare. Ormai era la fine. Chiuse gli occhi, chiedendosi come fosse morire, e aspettò. Ma non successe nulla. Spalancò gli occhi, osservando il vampiro, che si stava passando la lingua su uno dei canini, ancora sorridendo come un pazzo.
-Ho altre idee per te… -disse la belva, con aria famelica. Lo colpì malamente in testa, trascinandolo a sé, coprendogli la bocca con una mano, come per impedire che urlasse, anche se ormai Raphael stava precipitando nell’oblio. Prima che tutto scomparisse -le luci della città, il vicolo, l’odore insistente del sangue e le mani de vampiro su di lui –una lacrima solitaria gli solcò il viso.
L’ultima lacrima umana e salata.
L’ultima lacrima da vivo.
 
Fame.
Sentiva un’intensa fame. Come non l’aveva mai sentita. Non riusciva nemmeno a capire cosa stesse succedendo. Si accorse di essere all’interno, adesso. Non ricordava nulla di quello che era successo da quando era svenuto. Non aveva idea di quello che poteva essere successo. Si guardò intorno, più per cercare qualcosa, o qualcuno, per placare la sua fame bestiale, che per capire dove si trovasse.
Le pareti erano sporche di una sostanza scura…
Sangue.
Le pareti erano imbrattate di sangue.
Erano percorse da graffi, come se qualcuno avesse cercato di scappare arrampicandosi sui muri, aggrappandosi a tutto quello che riusciva a trovare… E i cadaveri. Il pavimento della stanza era sotterrato da una massa impressionante di corpi, quasi tutti di giovani he potevano avere la sua età, forse meno. Era la scena più macabra che si fosse mai trovato davanti. La luce era poca, ma quella che riusciva a entrare, passava da un buco rozzamente fatto nel soffitto alto –sembrava che fosse stato sfondato. I suoi bordi erano coperti di sangue, come tutto il resto di quella stanza. Il cerchiò di luce solare illuminava il pavimento, dove era posata leggera quella che sembrava essere polvere. Per qualche motivo sentiva che non lo era, però. Non sapeva cosa fosse successo… Un’immagine gli passò nella mente. Un ricordo. Lui, con forza inumana, stava spingendo il vampiro nel cono di luce, mandandolo in cenere quasi all’istante. Teneva in mano la sua croce dorata, che si doveva essere ripreso, lo sguardo perso davanti a sé, nella luce. Si guardò intorno, cercando la sua croce, senza trovare la forza di alzarsi. Non la trovò, ma, osservando le sue mani, vide una bruciatura, sul palmo.
Una bruciatura che aveva la sagoma esatta di una croce.
No.
No.
Non era vero.
No.
Sotto le sue unghie era incastrata della terra, nei suoi capelli c’era della terra, confusa nei ricci.
No.
No.
Solo allora si accorse di avere una sostanza viscosa che gli macchiava le labbra e il mento di scarlatto. Sapeva di ferro... No.
Sangue.
No.
No.
Non poteva essere.
No.
Sarebbe impazzito.
No.
No!
Non era vero, non poteva essere successo davvero.
Non a lui.
Si portò due dita tremanti al polso.
Niente.
Aspettò quasi un minuto, desiderando di essersi sbagliato.
Niente.
Il suo cuore non batteva.
Non batteva.
Era morto.
Era…

Era un vampiro.
 
Pianse.
Pianse delle dannate lacrime di sangue.
Pianse così tanto che la sua fame non fece altro che aumentare.
Non riusciva più a ragionare. Era morto. Non sarebbe mai più potuto tornare a casa. Perché era peggio che morto e sotterrato. Era dannato. Era un mostro. Non aveva più una casa. Non aveva più una famiglia. Tutti quelli che amava l’avrebbero sempre guardato come un essere immondo. Non avrebbe sopportato di vedere il disgusto e il disprezzo negli occhi di sua madre, o di sua sorella. Non sapeva quanto tempo pianse. Avrebbe potuto essere un giorno. Forse solo ore. Forse solo minuti. Non importava. Non gli importava più nulla di nulla. Aveva perso tutto. La sua famiglia, la sua vita, la sua anima. Pianse così tanto da non riuscire più a capire nulla. Sentiva solo quella fame, dentro di lui. Quando si accorse che uno dei giovani in quella stanza era ancora vivo, gli si avventò addosso come una bestia affamata. Perché era una bestia affamata. Passò qualche tempo. Si faceva orrore da solo, mentre il sangue gli scorreva nella gola, caldo e inebriante, e gli colava agli angoli della bocca. Ma non poteva controllare un istinto animale. Ormai era quello che era, non poteva tornare indietro. Avrebbe voluto, ma non c’era più niente che potesse farlo vivere di nuovo. Non poteva avere di nuovo l’amore di sua madre, di sua sorella, dei suoi fratelli. Doveva dimenticarli. Forse avrebbe dovuto mettere fine a quella vita morta e senza senso. Non era meno morto di tutti gli altri. Anzi, probabilmente lo era di più. Non si accorse che qualcuno era entrato, perso nell’ebbrezza del sangue sulle sue labbra, come un alcolizzato che poteva ricominciare a bere litri di tutto quello che lo faceva crollare e restare in piedi allo stesso tempo, dopo essere stato costretto a smettere per un lungo periodo. Quel qualcuno lo strappò via dalla sua preda, mandandolo a schiantarsi contro la parete opposta della stanza. L’aveva staccato con qualche forma di stregoneria, dato che non si era avvicinato troppo a lui. Raccogliendo le gambe a sé, sentendosi tremare, Raphael mise a fuoco la scena davanti a lui. Vide un uomo vestito con abiti stravaganti, non avrebbe saputo attribuirgli un’età. L’uomo aveva il volto preoccupato, chino sul giovane morente tra le sue braccia. Quando quello perse i sensi, si voltò con rabbia verso di lui. Il ragazzo –vampiro –vide che aveva gli occhi come quelli di un gatto, giallo verdi e con le iridi oblique. Era uno stregone.
Fantastico. Avrebbe fatto meglio a lasciarlo in pace. A lasciarlo soffrire in pace. Stava già male abbastanza senza bisogno che lui arrivasse. Chissà cosa voleva da lui. Quando l’uomo gli fece quella domanda, ridicola, non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
-Sai il suo nome? Era Raphael? –la sua risata era sarcastica e piena di rammarico, e rimbalzò sulle pareti insanguinate tra le quali era imprigionato. Lo stregone sembrò solo arrabbiarsi di più. Riusciva a sentire un furore cieco irradiare da lui. Non che fosse spaventato. Nulla poteva spaventarlo, ormai. Non c’era più nulla che contasse. Nulla per cui valesse la pena di vivere quella vita dannata, quella vita senza speranza. L’unica cosa che poteva spaventarlo era sé stesso. Era cambiato. Sapeva che non c’era più nulla di quello che Raphael Santiago era stato. Dire di essere lui sarebbe stato un insulto. Quel ragazzo era morto come tutti gli altri. Lui era solo un mostro. Niente di più. E di certo lo sapeva anche lo stregone. Era tanto arrabbiato con lui perché pensava che fosse stato lui a uccidere tutti, in quella stanza –non che potesse dire di non essere colpevole; riusciva a ricordarsi ben poco dopo il vicolo -, e che ora stesse ridendo. Proprio come stava ridendo lui, Louis Karnstein, così si chiamava il suo
Creatore. Disprezzava quella parola più di quanto disprezzava sé stesso. Ed era davvero tanto, tanto dire. Dopotutto era stata colpa sua, di Karnstein, se era diventato così. Era lui che aveva deciso di non ucciderlo, di non ucciderlo del tutto. Improvvisamente ricordò perché lo aveva fatto: voleva che lui l’aiutasse. Ricordando, la sua risata aumentò, tanto che ormai aveva i denti scoperti. Pensava che l’avrebbe aiutato e invece lui l’aveva ucciso. Pur essendo troppo sconvolto per capirlo davvero, aveva comunque salvato la sua famiglia, liberando il quartiere da quell’assassino con troppo interesse per i ragazzini. Ma a che prezzo. A che prezzo. Non poteva credere che lo stregone fosse andato lì a cercare proprio lui. E non aveva idea di starlo guardando negli occhi. Credeva che lui fosse Karnstein, probabilmente. Prima di cedere a quella risata folle, aveva domandato allo stregone se fosse venuto lì in cerca di Raphael. Era inquietante come si sentisse estraneo a sé stesso. Sapeva che non era andato a cercare lui. Era andato lì a cercare quello che era stato tempo prima. Giorni, probabilmente. Al che, l’uomo gli aveva chiesto cosa ci fosse di tanto divertente e lì aveva potuto vedere la rabbia salirgli dentro. Non che lui gliene facesse una colpa. Anche lui era arrabbiato. Con la bestia che lo aveva reso come lui. Con sé stesso per aver creduto che sarebbe sopravvissuto. Con il signore che lo aveva abbandonato.
-Raphael Santiago sono io. –a quel punto, lo stregone dovette fermarsi per qualche secondo. La sua espressione passò da irata a profondamente orripilata. Spaventata. E dispiaciuta. Guardando i suoi occhi, Raphael riuscì a capire quello che stava pensando. Non che fosse difficile. Lo sapeva bene anche lui. Non c’era speranza. Raphael Santiago era morto. Lui non lo era più. Non lo sarebbe mai più stato. Non c’era più niente da salvare di lui. Non si ricordava molto di quello che era successo dopo. Forse aveva cercato di dimenticare, in quegli anni che erano passati. Perché ricordava ogni cosa perfettamente, ma aveva sepolto tutto nel fondo della sua mente. L’uomo gli disse a voce bassa di essere stato inviato da sua madre e Raphael sentì il proprio cuore fermo spaccarsi in pezzi, che gli si conficcarono nella carne. Non poteva vivere così. Guardandosi allo specchio e vedendo un mostro, sempre e costantemente coperto di sangue, in cerca di sangue. Come un animale. Una bestia.
E chi avrebbe mai potuto amare una bestia? Quella non era vita. Non avrebbe mai più rivedere il sole, non avrebbe più potuto mangiare quello che sua madre cucinava sempre, non avrebbe più potuto tornare a casa. Era peggio che essere morti. Lo stregone, Magnus Bane, si fece raccontare cos’era successo. Il giovane vampiro rispose che aveva ucciso Karnstein. E che erano tutti morti. E che lo era anche lui. Non ci pensò molto, ma non c’era nulla da pensare. Non credeva di poter tirare avanti così, di poter resistere. Così tento di lanciarsi nel cono di luce. Quando lo stregone glielo impedì gridò, come un animale in gabbia. Doveva lasciarlo morire. Perché non voleva lasciarlo morire? Era già morto, non avrebbe fatto differenza. Ma poi si rese conto che non poteva farla finita, non poteva scappare da quello che era diventato. Doveva affrontarlo. Doveva affrontare quella vita morta. Non poteva scappare. Magnus si assicurò che non tentasse più un gesto estremo, anche se ormai lui non aveva più intenzione di farlo. Se era diventato un vampiro forse un motivo c’era. Doveva soffrire, forse. Non sapeva perché, ma era così… Lo stregone si allontanò da lui, facendo qualche passo nel sangue che inondava il pavimento, rovinando le sue scarpe, che apparivano nuove, e raccolse qualcosa da una delle pozze che stagnavano a terra. Era la croce d’oro di Raphael. Doveva averla scagliata lontano quando l’aveva ferito. La ripulì dal sangue usando la manica della sua giacca verde sgargiante, poi, tornò da lui e gliela porse, tenendola tra due dita. Il ragazzo lo guardò come se fosse impazzito. Non gli aveva appena detto che non c’era nulla da salvare, in lui? Ma Magnus si abbassò alla sua altezza –si era di nuovo seduto contro la parete –e lo guardò dritto negli occhi. Non lo avrebbe lasciato lì. Non aveva mai visto degli occhi tanto determinati come quegli occhi felini.
-Ho fatto una promessa, e intendo mantenerla. –aveva promesso a Guadalupe che l’avrebbe riportato a casa e così avrebbe fatto. Non avrebbe sofferto se Raphael fosse riuscito a tornare a casa, senza mostrare di essere diventato un vampiro. Se invece fosse andato da lei e le avesse detto che suo figlio era morto, non sapeva come la donna avrebbe reagito. Non si poteva certo reagire bene a una notizia del genere. Raphael sapeva che sarebbe stato difficile. Era un mostro, adesso, non poteva cambiare le cose. Anche piangendo. Ma forse avrebbe potuto vedere la sua famiglia un’ultima volta. Doveva combattere? Avrebbe combattuto. Anche lui aveva fatto una promessa. E anche lui voleva mantenerla. Doveva soffrire? Avrebbe sofferto. Non c’era nulla che contasse più della sua famiglia, ora. Forse non c’era mai stato. Nemmeno lui stesso. Strinse gli occhi e si morse l’interno della guancia, prendendo la croce in mano, cercando di non urlare per il dolore.
 
Rivide la sua famiglia una sola volta. Indossava la catenina con la croce. Ormai non gli faceva più male. Era solo fastidiosa. Poteva sopportarla. Ce ne aveva messo, di tempo, ma non aveva mai smesso di tentare, di combattere. Aveva imparato a dire di nuovo il nome del Signore, senza sentire il dolore spandersi per tutta la sua gola e la sua lingua. Aveva sofferto per settimane, solo per rivedere le persone che più contavano nella sua vita. Anche quello aveva fatto male, ma vedere la luce negli occhi di sua madre quando lo aveva visto, o le lacrime negli occhi di Rosa, avevano cancellato tutti gli altri dolori. Solo lasciarli andare poteva ucciderlo. E lo avrebbe fatto, ma sarebbe andato avanti. Magnus si era inventato di averlo reso uno stregone immortale come lui o qualcosa del genere, per scusare la sua assenza prolungata. Ma doveva comunque andarsene. Non c’erano scuse al suo non poter uscire durante il giorno. Al suo non poter mangiare quello che tutti mangiavano. Alla sua sete. E sapeva che non sarebbe tornato. Sarebbe semplicemente scomparso e anche loro si sarebbero convinti che era morto. In verità lo era davvero. Ma almeno non avrebbero saputo in che modo. Quando si lasciò casa alle spalle, rimanendo ad osservarla nel buio della notte, tutte le luci spente, sentì il suo cuore andare di nuovo in pezzi. Solo il pensiero di poter tornare lì un’ultima volta era stato in grado di rimetterlo insieme. Ora, anche quello scompariva. E niente poteva tenere insieme il suo cuore morto. Stava lasciando tutto quello che amava. E non poteva voltarsi indietro. Probabilmente sarebbe andato a quell’hotel dei vampiri, quello dov’era morto. Non aveva altro posto dove andare. E così, in quella calda notte estiva, con il vento che gli scompigliava i capelli scuri, Raphael Santiago disse per sempre addio alla sua vita da vivo.


Angolo autrice: 
Giuro, questa depressata ha un senso, dovrete solo aspettare la prossima parte. Ho scritto questa cosa (?) basandomi su "Alla ricerca di Raphael Santiago", maa non è esattamente tutto uguale (anche perchè la storia nel libro è narrata dal punto di vista di Mag, quindi...), e, sì, lo so sono una persona orribile. 
1) Non sono nemmeno tanto sicura che stessero cercando di ucciderlo, Karnstein, ma facciamo finta di sì
2) Nella serie tv nominano solo Rosa, non so cosa sia successo agli altri fratelli (probabilmente non esistono, ma vabbè)
3) La canzone l'ho presa da "Lord of Shadows" (e la stava cantando Cristina), quindi dovrebbe essere attendibile
4) Per chi non avesse letto il libro (e non sapesse tutto, maa magari vi siete informati): Magnus si è messa in testa di fare il detective (nel 1953) e la madre di Raph (Guadalupe) è andata da lui chiedendogli di salvare il nostro Raphi che era scomparso. Lui lo va a cercare, scopre che è un vampiro, Raphi cerca di suicidarsi, Mag lo aiuta e quando Raph torna a casa Magnus si inventa che è uno stregone come lui così la sua famiglia lo accetterà. Eee non mi sono davvero affezionata a Raphi fino a quando non ho letto questa storia :'((risparmiate la me quindicenne) 
5) Lo so, Raphael dovrebbe avere quasi sedici anni, ma, come ho già detto, in questa storia tutti hanno due anni in più per colpa di Clary che ha diciotto anni invece di sedici
6) Ok, la smetto di rompere le scatole :^)
Il nuovo episodio è stato sconvolgente :0 (eee ancora niente Raph :( mi manca) ma meglio dell'ultimo almeno. La Malec farà meglio a tornare, comunque (spero che agli scrittori non vengano strane idee >:(), perchè altrimenti non so perchè guarderò ancora questa serie :(
A dopodomani :D

 

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Capitolo 9
*** Buried in a sadness pt.2 ***


AVVISO: Prima di tutto, mi scuso per il ritardo, ho avuto qualche problema, prometto che non capiterà più (fino a nuovo avviso). Altra cosa, ero terribilmente in ansia perchè questa parte (lo sono ancora, ad essere sincera), perchè c'è una scena che è piuttosto cruda e orribile (e mi sono terrorizzata da sola), e quindi non credo che susciterà buone impressione. Tenete presente comunque che non è una cosa che succede davvero ma è nella mente di Raphael, che viene torturato psicologicamente dalla vampira pazza per motivi conosciuti (per ora) solo a lei. Mi sento una persona orribile per aver torturato Raph. Scusate. 

Capitolo 7. – Buried in a sadness (pt.2)
Stava correndo.
Non sapeva nemmeno dove.
Non riusciva a vedere nulla.
Solo buio.
Il che era strano. Era come se non ci fosse nulla. Era come se fosse caduto dentro un buco nero, il vuoto più vuoto che possa esistere. Era come se il mondo fosse crollato e le stelle fossero scomparse. Non c’era nulla. Se non lui e il battito accelerato del suo cuore. Ma…
Il battito del suo cuore?
Il suo cuore aveva smesso di battere molto tempo prima. Un momento che era stato costretto a rivivere. Tutti i suoi ricordi era comparsi, schiacciandolo, vividi come se li stesse vivendo in quel momento preciso. Era stato come ripetere tutto una seconda volta. Era stato orribile. Gli mancava il respiro.
Ma lui non aveva bisogno di respirare!
Che cosa stava succedendo? Oh, ma certo. Era la vampira. Sembrava proprio che avesse intenzione di farlo impazzire, facendogli vedere cose che avrebbe voluto dimenticare. Chissà come ci riusciva, poi. Eppure, sembrava tutto vero. Non aveva ancora capito cosa volesse da lui. Sapeva che non poteva essere Camille. Ma l’aveva vista, ed erano identiche. Anche lei era alta, attraente, aveva la pelle candida, occhi capaci di leggerti dentro, di scorticarti, labbra rosse come rose, belle labbra, delle labbra che avresti voluto baciare, ma la persona che le indossava era disgustosa, capelli d’ebano. Era la sua fotocopia. Non poteva essere lei. Doveva essere la sua sosia, la sua gemella segreta, o qualcosa del genere. Non c’era altra spiegazione. Lei non aveva mia detto di essere Camille, ma non aveva nemmeno detto di non esserlo. In tutto quell’interminabile tempo –quanto era passato? –non gli aveva reso la vita facile. Non gli lasciava pace, continuava a tormentarlo. Effettivamente, c’era qualcosa che la differenziava da Camille. Gli occhi. Non tanto il colore; erano occhi trasognati, da pazza. Era pazza, lo si capiva soltanto guardandola. Erano stati giorni terribili, non sempre era stato cosciente. Nemmeno lui, che era un vampiro da così tanto tempo, credeva che fosse possibile essere messi fuorigioco senza essere uccisi davvero o di nuovo fittiziamente. Forse era così. Lei lo aveva ucciso altre interminabili volte, e tutto quel tempo in cui era svenuto, era il tempo che ci metteva a riprendersi. Strano, comunque. Quella vampira sembrava un’esperta in materia. Aveva dovuto rivivere momenti della sua vita e non-vita che avrebbe voluto dimenticare. Ma non poteva fare nulla. I ricordi erano l’unica cosa a restare per sempre. Vivevano per sempre, soffrivano per sempre. Con i ricordi che continuavano ad aggiungersi. Ci sarebbe sempre stato da ricordare. Anche volendo dimenticare. I ricordi era l’unica cosa in grado di farli sentire vivi. Credeva che non ci potesse essere niente di peggio di rivivere i momenti peggiori della propria esistenza. Ma si sbagliava. Qualcosa di peggio c’era. Vedere cose che non erano mai successe, ma che avrebbero potuto. Nel passato, nel futuro. Vedere le persone che amava vederlo per com’era davvero, e odiarlo. Essere vampiri significava odio e paura. C’era solo disprezzo e terrore per loro. Qualunque cosa avessero fatto, avrebbero sempre ricevuto indietro calci e sputi. Anche quando davano speranza e amore. Molto poco spesso, ma quando lo facevano, ci mettevano tutti loro stessi. Nessuno poteva capire quel dolore. Nessuno. Stava correndo, eppure non aveva una meta, eppure non vedeva. Stava correndo da così tanto tempo che credeva che sarebbe impazzito. Poi, in lontananza vide la luce. Si trovava in un corridoio, almeno sembrava. La luce non riusciva a raggiungere il punto in cui si trovava lui, stranamente. Si fermò, e come si fermò lui anche il suo cuore smise di battere e tornò a non aver bisogno di respirare. Era indeciso. Non sapeva se continuare, o tornare indietro. Poteva sembrare un pensiero stupido, ma quel corridoio immerso nell’ombra gli metteva paura. Lo sentiva freddo, pur non riuscendo a sentire niente. Quando fece un passo indietro, intenzionato a tornare nel vuoto, trovò solo un muro di solida roccia, dietro di lui. Non ebbe il tempo di pensare da dove fosse comparso, dato che sentì qualcuno piangere…
No.
Una luce attaccata al muro poco lontano da lui si accese, illuminando una ragazza accovacciata contro di esso. Raphael la raggiunse, senza pensare, quasi correndo, circondandola con le braccia.
Era Dahlia.
La sua Dahlia.
Ed era viva.
Sapeva che era solo un’illusione, ma… Non poteva farci nulla. Sembrava così reale. Aveva anche gli stessi capelli, chiari come spighe di grano e lo stesso vestito… Lo stesso vestito di quando era morta. Quando se ne accorse, era ormai troppo tardi. Lei lo spinse via con violenza, mandandolo a sbattere contro la parete opposta del corridoio. Il suo viso era coperto di sangue –le sue lacrime –e i suoi canini spuntavano dal labbro superiore. Prima che lui potesse parlare, dire qualunque cosa, la ragazza gli ringhiò contro le uniche parole che sperava che non avrebbe mai più dovuto sentire, perché lo ferivano ogni volta che anche solo ci pensava:
-Sei un mostro! Sei un mostro e mi hai reso come te! –disse solo quello, poi si dissolse, confondendosi con la polvere nell’aria e sul pavimento. La luce che si era accesa sopra di lei si spense d’improvviso. Raphael scosse la testa. Non doveva abbattersi, era quello che voleva Non-Camille. Era solo stata un’illusione… Ma allora perché aveva le lacrime agli occhi? Allora perché faceva così male? Fu costretto a riprendersi quasi subito, dato che un’altra luce, più avanti, si accese. Anche quella volta gli bastarono pochi secondi per capire di chi si trattava. Si alzò piano, andò da lui con indifferenza, aspettando le stesse parole di Dahlia. O meglio, quelle di quando era lui ad essere diventato un vampiro. Simon lo guardò, ma non sembrava perso, com’era stato in realtà. Per altro, era uguale. Ricordava quel momento come se fosse stato il giorno prima. Aveva il viso contratto da una smorfia d’ira. I suoi capelli erano pieni di terra, e aveva sangue che gli colava sul collo e sulla maglietta. Le parole non lo colpirono più della prima volta.
-Sei un mostro! –
O, almeno, avrebbe voluto che fosse così. Ma fece immensamente più male. Aspettò che anche lui scomparisse, ma non successe, la luce si spense solo. Se ne accese subito un’altra. Questa volta non era affatto preparato. Era Rosa, ancora ragazzina. La sua sorellina… Lo guardava spaventata e orripilata, come non potendo credere a quello che vedeva. Quella era la sua paura più grande. Avere l’odio della sua famiglia. Essere visto per com’era in realtà. Fece male, anche se disse solo le tre parole pronunciate da Simon. Sapeva che avevano tutti ragione. Era un mostro! Non si meritava amore, non si meritava di essere felice. Forse se era diventato un vampiro c’era un motivo, forse era il suo destino soffrire per sempre. Non sapeva cosa avesse fatto di sbagliato… Poi, fu il turno di sua madre. Sei un mostro! Poi, di Isabelle. Sei un mostro! Poi, di Magnus. Sei un mostro! Si accesero altre interminabili luci, tutte insieme. C’erano persone che nemmeno conosceva; o che forse aveva dimenticato. Le loro parole, pronunciate all’unisono, erano più forti di un uragano. Lo stavano assordando. Lo stava investendo. Lo stava uccidendo… Cominciò a correre in fretta, sempre più in fretta, ma a una velocità da Mondano. Tutti lo stavano indicando, urlando la stessa cosa.
Sei un mostro.
Sei un mostro.
Sei un mostro.
Correva verso la salvezza, l’uscita dal tunnel. Riusciva a vedere il corridoio che si apriva in una stanza. Doveva solo raggiungerla, doveva solo… Tutte quelle voci lo stavano assordando, avvelenandogli la mente e il cuore. Nella fretta no si accorse di nulla, ma stava piangendo. Perché era così che lo vedevano tutti, che lo avrebbero visto sempre. E non poteva fare nulla per impedirlo. Stava per raggiungere la luce, sarebbe stato salvo. Forse Non-Camille ne avrebbe avuto abbastanza, avrebbe lasciato perdere, vedendo quanto era determinato a raggiungere la fine del corridoio, ignorando la cruda realtà che gli veniva gridata contro. Quando ormai credeva di essere al sicuro, cadde in avanti, incapace di continuare a muoversi. Sentì distintamente una risata, vicino a lui. Il suo viso era a contatto con il freddo pavimento del corridoio. Da lì non sarebbe mai riuscito a vedere chi stesse ridendo. Ma poi, vide davanti a lui un paio di scarpe. Un paio di All-Stars. Conosceva solo una persona che le indossava. Si issò sulle ginocchia facendo leva con le braccia, anche se trovava difficile muoversi. Non sapeva cosa stesse succedendo. Alzò a fatica gli occhi sul viso di Simon. Credeva che almeno lui avrebbe smesso di tormentarlo. Ma a quanto pareva si sbagliava. Guardando il volto del neo-vampiro, si sentì gelare il sangue nelle vene. Il suo sguardo era più pazzo di quello della vampira. Aveva un sorriso diabolico stampato sulle labbra. Era l’immagine peggiore che avesse mai visto negli ultimi vent’anni. Non sembrava possibile.
Simon era solo uno stupido nerd spaventato e ignaro di tutto… Era dolce… Certo, quello non era davvero lui, ma fece lo stesso male. Raphael mormorò il suo nome, con una dolcezza che lo stupì. Che cosa gli avrebbe detto? Aveva paura, si sentiva davvero spaventato, come forse non si era mai sentito da non-morto.
Rivoleva il suo sorridente Diurno.
Rivoleva lo stupido che amava e odiava.
Credeva che niente sarebbe riuscito a distruggerlo, era già troppo distrutto per esserlo di più, ma lui lo fece. Come sempre, dopotutto. Lui era l’unico che riusciva a farlo sentire confuso. A farlo crollare.
-Sei uno stupido, Raphael. –questa volta si sentì male sentendo la sua voce. Forse perché quelle erano parole che Simon non aveva mai detto. Sapeva si essersi solo lasciato suggestionare da quello che il neo-vampiro aveva detto poco prima che lui venisse rapito, ma questo non cambiava le cose. –Credevi davvero che qualcuno potesse amarti? –usò un tono tale che il significato della frase fu anche: “patetico”. Quelle parole riuscirono a colpire Raphael come fuoco. Scosse la testa, piano, e il sorriso di Simon aumentò considerevolmente, mentre continuava. –Nessuno ti amerà mai. –sapeva quali parole sarebbero seguite. Doveva essere forte. Poteva farcela. Ma, in quel momento, notò qualcosa che rese la scena ancora più macabra. Il Diurno teneva tra le mani, insanguinate e sporche di terra, un cuore; era fermo. Il sangue scivolava sul terreno, passando negli spazi tra le sue dita. Sentì un urlo terribile, nella sua testa. Un urlo di dolore puro e infinito.
E allora, per qualche motivo, capì che quel cuore era il suo.
Abbassando lo sguardo sul suo petto, notò che sangue scuro stava sporcando il pavimento, sotto di lui. La sua camicia era strappata. Con il respiro affannato, si portò una mano nel punto sotto il quale avrebbe dovuto trovarsi il cuore, e, con immenso orrore, ci trovò una voragine. Le sue costole erano state separate e il cuore gli era stato letteralmente strappato dal petto. Simon gli aveva strappato il cuore.
E questa volta letteralmente.
Il neo-vampiro sembrava felice che lui l’avesse notato. Finì lentamente la frase, sottolineando ogni parola. –Perché sei solo un mostro. –stava guardando il cuore con preoccupante interesse, rigirandoselo in mano.
Raphael non sentiva niente.
Si sentiva vuoto dentro.
Si sentiva vuoto dentro, come se con il cuore gli fossero state strappate anche le emozioni. 
Era vero.
Era solo un mostro, non sarebbe mai stato niente di più.
No!
Non doveva lasciarsi abbattere. Non stava succedendo davvero.
Il Diurno non poteva odiarlo fino a quel punto.
L’immagine di un Simon ancora Mondano, con quegli occhiali sul naso, un graffio sulla fronte, che sorrideva come un cretino facendo domande sui vampiri, prima di lanciargli un pugnale addosso e cominciare la saga delle giacche rovinate, gli passò per la mente. Ma non fu difficile perderla. Scivolò via, scomparendo, lasciandolo con quel niente.
Eppure…
Sembrava tutto così reale.
Quando credeva che non ci potesse essere nulla di peggio, il neo-vampiro si portò il cuore alle labbra e ci affondò dentro i denti, mentre il sangue gli colava sul mento e sul collo. Il capo Clan si sentì svenire, sentendo l’impulso di vomitare. Era una cosa orribile, persino per lui, che di cose orribili ne aveva viste parecchie. Quello era un incubo tremendo. Voleva svegliarsi, non riusciva a sopportare il dolore. Doveva svegliarsi. Doveva riprendersi. Quello non era Simon! Il suo Simon non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lo sapeva, ma… Era comunque difficile da vedere.
Quante volte aveva detto che l’amore poteva strapparti il cuore e mangiarlo di fronte a te?
E ora…
Stava succedendo davvero.
Voleva morire.
Più di quanto l’avesse mai voluto.
Simon non sarebbe mai andato a cercarlo. Isabelle non sarebbe mai andata a cercarlo. Nessuno lo avrebbe mai cercato.
Nessuno lo amava… Nessuno.
Era un mostro, era solo un mostro.
Voleva morire. Quando credeva che sarebbe impazzito, sentì una voce. Era una voce che aveva imparato a conoscere molto bene in quelle settimane.
La vampira stava ridendo.
Era finita.
Non-Camille aveva ottenuto quello che voleva.
Era riuscita a distruggerlo, spezzarlo in ancora più pezzi di prima. 

Angolo autrice: 
Ok, quanti di voi mi odiano? Lo so, sto esagerando, era tanto per sapere. MI sento una persona orribile. Ma comunque non è successo davvero. Non smetterò ancora di torturare il povero Raphael per un po' di parti, scusate, per certi avvenimenti futuri della storia servirà. Nella prossima parte succederà qualcosa di insensato e impossibile, già vi avverto così non mi ucciderete. È ho delle notizie riguardanti la serie! Una buona, una cattiva e una cattiva supposizione.
Quella buona: RAPHI tornerà nel prossimo episodio :D 
Quella cattiva: con lui tornerà anche la Rizzy (la Saphael no, eh?)
La teoria che gira su tumblr, instagram e vari: Raphael potrebbe morire. Gli scrittori della serie hanno detto che nel prossimo episodio morirà qualcuno, e anche se sono abbastanza sicura di sapere chi morirà, se è tutto uguale al libro, sono comunque in ansia riguardo Raph. Perchè se muore butterò il computer fuori dalla mia finestra. Su tumblr certi dicono che, visto che è impossibile che torni davvero la Rizzy (visto che Isabelle dovrebbe uscire con Simon, visto che siamo arrivati al quarto libro, anche se effettivamente qui lei sa che lui esce con Maia, quindi non ha senso), Raphael potrebbe morire, così siamo a posto. Eh, a posto. Mica tanto. Se settimana prossima vi dirò che sono chiusa in camera a mangiare gelato, saprete perchè. A dopodomani (croce sul cuore)! :D 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi)
 

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Capitolo 10
*** Buried in a sadness pt.3 ***


Capitolo 7. – Buried in a sadness (pt.3)
Quando riprese i sensi, la testa le pulsava in modo fastidioso. Non sapeva cosa fosse successo. Ricordava solo quell’immenso dolore, che la feriva dentro più di mille spade. Era caduta a terra, nel suo oblio. Ora era stesa tra morbide coperte. Qualcuno doveva averla trasportata fin sul letto. Non riusciva nemmeno a immaginare che cosa le avesse causato tutto quel dolore. Era come se fosse stata ferita, ma non era così. Era solo svenuta, senza una spiegazione. Sapeva che Lydia aveva tentato di fermare la sua caduta, e la ringraziava per questo, anche se sapeva di aver colpito il pavimento. Spalancò gli occhi, ricordando. Lydia. Lydia l’aveva baciata. E non sapeva nemmeno perché. Non era riuscita a farsi spiegare. Non si era mai sentita tanto confusa come quando le labbra dell’altra ragazza si erano posate sulle sue. Eppure, nemmeno due settimane prima, non riusciva a smettere di pensare a Clary. Ma adesso, la rossa sembrava non esistere più per nessuno. Era passata in secondo piano, pur essendo sempre stata la maggior preoccupazione di tutti, prima. C’erano cose, persone, molto più importanti di cui preoccuparsi. Fu costretta a richiudere gli occhi, venendo investita dall’accecante luce del sole. Sentì delle voci confuse intorno a lei. Qualcuno stava correndo. Qualcosa che cadeva a terra, qualcuno che sbuffava. Qualcuno che urlava, qualcuno che ancora correva. Non riusciva a capire le parole pronunciate, le arrivavano al cervello taglienti come piccole lame, provocandole un dolore intenso. Aprì lentamente un occhio, cercando di evitare lo shock. Poi, aprì anche l’altro. Si mise a fatica a sedere, mentre la testa sembrava in procinto di esploderle. Fece per guardarsi intorno, ma, prima che potesse farlo, qualcuno l’abbracciò. Si stupì molto sentendo che la voce che le parlò successivamente era quella di sua madre.
-Sono felice di vedere che stai bene. –sentendo il suo tono di voce, Isabelle capì che era vero. Non importava cosa stesse succedendo o come lei si comportasse, Maryse l’avrebbe sempre amata. Sorrise debolmente. Non poteva credere di aver dubitato di lei. Certo, era un po’ invadente e la giudicava troppo, ma lo faceva perché le voleva bene. Anche se lei non aveva più bisogno di protezione, ormai, non era più una bambina. Quando le due si separarono, la ragazza fece per chiederle cosa fosse successo, accorgendosi di essere nella sua stanza e non in Infermeria come si sarebbe aspettata. A quanto pareva tutti avevano intenzione di non farle capire niente, perché la porta si spalancò ed entrarono Alec, Jace e Clary, seguiti da Simon. Sentì il suo cuore perdere un battito, vedendo che Lydia non era con loro. Aveva paura che adesso l’avrebbe sempre evitata, come Jace faceva con Clary. Ma aveva bisogno, un bisogno quasi fisico, di parlare con lei. C’erano troppe cose che non capiva. Suo fratello, il giovane Wayland e la giovane Fairchild si precipitarono su di lei per un abbraccio collettivo, quasi strozzandola. Simon rimase fermo vicino alla porta, ma un sorriso gli comparve sul viso. Dopo quel momento di gioia per il risveglio di Izzy, nella stanza calò un silenzio improvviso. La ragazza guardò i visi di tutti, e vide che c’era preoccupazione negli occhi di tutti. Non sapeva cosa ci fosse di tanto grave. Era solo svenuta, dopotutto. Sapeva che c’era un’unica persona della quale potesse fidarsi davvero, in quella stanza, che la capiva. Cercò di cogliere il suo sguardo, ma Simon stava guardando a terra, come se fosse imbarazzato. Era strano. Avrebbe davvero avuto bisogno del suo sostegno, in quel momento, dato che la stanza era affollata di tutte le persone con cui aveva cercato di non parlare per due mesi e mezzo. Spostò gli occhi su Alec, che la stava osservando con uno strano cipiglio, seduto sul bordo del letto. Sembrava incredibilmente preoccupato, ma allo stesso tempo sembrava immerso nei suoi pensieri, come se cercasse di capire qualcosa solo guardandola. Jace e Clary erano seduti incredibilmente vicini, e per quanto i loro visi fossero seri e preoccupati, i loro occhi tradivano una gioia immensa. Forse, finalmente, erano riusciti a parlarsi e chiarirsi. Ma sembravano essere più felici di quando ci si riprendeva dopo una litigata tra fratelli… Maryse aveva la stessa espressione di Alec. Isabelle aggrottò le sopracciglia, domandando:
-Cos’è successo? –tutti gli altri si guardarono, come decidendo chi dovesse parlare. Sembrava davvero che nessuno volesse darle una spiegazione. Non poteva essere successo nulla di grave, ma stava impazzendo. Non riusciva a capire. Tutto quel dolore… Da cosa era stato causato? Aveva bisogno di saperlo. Quell’attacco che aveva avuto aveva rovinato il momento che stava avendo con Lydia, e adesso la bionda non era nemmeno lì. Quindi, si poteva dire che si stesse piuttosto arrabbiando. Voleva solo sapere cosa le era successo, niente di così tremendo. Doveva avere una terribile espressione sul viso, tutti sembrarono preoccuparsi solo di più. Alla fine, Clary decise di parlare. Isabelle si sentì felice rendendosi conto che sentire la sua voce non le faceva più nessun effetto. Poco tempo prima sarebbe stata capace di mandarla fuori di testa, di non farle capire più nulla. E ora, invece… Era più felice così. Forse anche lei avrebbe trovato la vera felicità, ora che aveva smesso di tormentarsi con lei. La rossa si schiarì la voce, sentendosi messa in soggezione sotto lo sguardo quasi aggressivo della sua amica. Quando era svenuta, aveva interrotto lei e Jace. Non aveva ancora potuto chiedergli come sapesse che non erano fratelli. O se fosse la verità. Ma, dubitava che lui le avrebbe mentito su una cosa tanto importante. Forse, solo per non far sembrare quello che avevano qualcosa di sbagliato. No. Non erano fratelli. Non potevano esserlo. Non con quello che sentiva. E quello che sentiva anche lui. Perché lo aveva guardato negli occhi e aveva visto tutto l’amore che aveva sempre voluto vedere in quegli occhi bicolore. Non si era mai sentita tanto felice come quando il biondo l’aveva baciata. Era come se esplodessero fuochi d’artificio da quanto era bello. Doveva ammettere di sentirsi un po’ in colpa per essere corsa da Jace non appena Simon l’aveva lasciata, ma sapeva che ne era valsa la pena. E sapeva anche che al suo migliore amico non sarebbe importato. L’aveva guardata dritta negli occhi e le aveva detto che la amava, e allora lei aveva capito che era vero. Perché, poco tempo prima, cogliendo il suo sguardo riusciva a vedere solo dolore. Anche lui era più felice ora, lo sapeva. Lo sentiva. Fatto stava che Isabelle l’aveva spaventata a morte. Lei e Jace erano stati chiamati da un Alec piuttosto imbarazzato –era entrato nella stanza quando si stavano baciando come se non ci fosse domani ed erano sul punto di fare ben altro –e l’avevano subito seguito. Avevano prima dovuto mettersi i vestiti e i capelli a posto… Quando erano arrivati davanti alla porta della stanza di Isabelle, avevano subito notato che c’era qualcosa di sbagliato. Lydia stava vicinissima alla porta, con la fronte appoggiata sul legno. Clary era stata abbastanza sicura che stesse piangendo. Simon faceva avanti e indietro per il corridoio, con lo sguardo basso. Quando aveva alzato la testa per guardarla, gli aveva visto la morte negli occhi. Il suo cuore aveva mancato parecchi battiti. Era subito andata da lui e gli aveva chiesto cosa ci fosse che non andava. Lui aveva semplicemente scosso la testa. Allora, Jace si era accorto che Alec gli aveva imposto di non dire nulla, con un cenno. Capirono solo dopo cosa c’era che non andava. Isabelle stava urlando. Era stata una cosa terribile da sentire. Sembrava che soffrisse. Le sue erano urla tanto strazianti che alla giovane Fairchild venne voglia di piangere. Non credeva di aver mai sentito nulla di così tremendo. Le aveva sentite solo perché aveva ignorato gli avvertimenti di Alec ed era entrata nella stanza, spostando Lydia quasi a forza. Non aveva potuto farci nemmeno un passo dentro. Quel luogo sembrava emanare disperazione allo stato puro. Aveva richiuso la porta di scatto. Le urla non potevano raggiungere il corridoio, una runa del silenzio era stata disegnata sul legno della porta. Aveva subito chiesto al giovane Lightwood perché la lasciasse soffrire così. Avrebbero dovuto chiamare Magnus e trovare una soluzione. Alec aveva risposto, in modo titubante, che non sembrava esserci soluzione. Che quel dolore non sembrava nemmeno… Suo. Isabelle stava davvero soffrendo, solo che sembrava che la causa non fosse lì. Quindi, avevano aspettato, anche se Clary aveva cercato di ribellarsi e di aiutare la sua amica. Ma, alla fine aveva ceduto, lasciandosi abbracciare da Jace, mentre tremava. Non era più riuscita a togliersi dalla testa le urla della mora. Sembravano in grado di spezzare dei cuori, da tanto erano forti e disperate. Dopo quasi l’intera notte –nessuno di loro si era mosso da lì –le grida si erano interrotte. Avevano provato cautamente ad entrare nella stanza e avevano trovato Isabelle che dormiva pacificamente, come se nulla fosse successo. Ma loro si sentivano ancora il gelo nelle vene.
-Non… Non lo sappiamo, Izzy. –cominciò, piano. Non voleva spaventarla. Non poteva raccontarle tutto quello che era successo. Doveva limitarsi alle cose più importanti. Come quella. Non lo sapevano, ed era un dato di fatto. Isabelle sentì il sangue ribollirle nelle vene. Non lo sapevano. Come facevano a non saperlo? Non lo sapevano, oppure non volevano dirglielo? Cosa poteva essere di tanto tremendo, andiamo. Aveva sopportato di tutto. Soprattutto in quegli ultimi due mesi. Era stata dipendente dallo Yin Fen e si era innamorata della sua migliore amica. Non ci poteva essere niente di peggio, non per lei! Clary sapeva che alla giovane Lightwood quella risposta non sarebbe piaciuta, ma non poteva farci nulla. Tentò di continuare, ma la voce di Simon coprì la sua. Si voltò verso il vampiro, che fece un passo avanti, guardandosi intorno con imbarazzo. I Nephilim non erano esattamente le persone più tranquillizzanti del mondo. Certo, più dei vampiri, ma… Sapeva che sia Alec che Jace l’avrebbero ucciso, perché sapeva che loro non volevano dire nulla ad Isabelle di quanto fosse successo, ma sapeva che la Shadowhunter si fidava di lui e non poteva tradire la sua fiducia. Molto ironico, detto da lui… Si morse piano il labbro inferiore. Sin dal momento in cui aveva lasciato Clary, non era più riuscito a smettere di pensare a Raphael. Si era accorto di essere stato un vero bastardo nei suoi confronti, per davvero questa volta. Non c’erano mezzi termini. Non c’erano scuse. Non importava per chi l’avesse fatto, se Clary o sua madre, l’aveva comunque fatto e aveva sbagliato. Era abbastanza certo di non aver mai fatto errore più grande nella sua vita. Ripensando a quel momento, riuscì perfettamente a rivedere l’espressione dura di Raphael mentre lo guardava. Era stato un cretino. Aveva rivisto Clary, e non aveva più pensato a quello che era successo la notte prima di quel fatidico giorno. Se l’avesse fatto, forse le cose sarebbero andate diversamente.
-Stavi urlando. –disse soltanto, guadagnandosi un’occhiataccia da tutti i presenti. Isabelle non ricordava. E poi, stava urlando da svenuta. Non aveva senso. Non aveva assolutamente nessun senso. Doveva capire, ma non sembrava che fosse possibile. Simon decise di continuare, pur sapendo che nessuno avrebbe approvato. Magari la giovane Lightwood l’avrebbe ringraziato per essere stato sincero. Odiava le bugie. –Ma sembrava che quel dolore non… -prima che potesse finire quella frase, Clary lo afferrò per un braccio e lo trascinò fuori, lasciando Isabelle sulle spine e senza una risposta. La rossa chiuse con forza la porta dietro di sé, squadrandolo dall’alto in basso, con aria torva. Non sapeva perché il suo migliore amico si fosse permesso di dire cose che avevano stabilito che non avrebbe detto. Ok, sia lui che Izzy si trovavano in una brutta situazione, o qualcosa del genere, e probabilmente la mora si fidava di lui, ma questo non voleva dire che le potesse dire proprio tutto. Non era prudente. Dovevano almeno aspettare che arrivasse Magnus e la controllasse, altrimenti le cose avrebbero potuto degenerare. In modo molto negativo. Isabelle tendeva ad essere molto emotiva, a volte, soprattutto in quegli ultimi tempi.
-Si può sapere cosa credi di star facendo? –domandò, con rabbia. Simon fece una smorfia. Stava solo essendo sincero, non che potesse fare qualcos’altro. Non poteva mentire a Isabelle. Si era mentito da solo per molto tempo, e sapeva quanto schifo facesse. Si faceva schifo da solo. E non voleva continuare così, voleva migliorare, ma sembrava che nessuno approvasse. Sembrava che tutti volessero continuare a vivere nel loro mondo di bugie. Clary sembrava indignata e si permetteva di essere arrabbiata, e questo non gli fece certo piacere. Era stata tutta colpa sua. Si chiese se effettivamente non fosse sempre stata colpa della rossa. Poi, si rese conto che era così. Aveva fatto tutto quello che aveva fatto solo per lei e lei… Quando lui l’aveva lasciata, lei non aveva certo esitato ad andare da Jace, come aveva intuito guardandoli insieme. Oh, certo doveva essere stata contenta di essersi liberata del suo migliore amico che le stava attaccato alle gambe come un cane adorante. Certo, quello era sempre stato. Un cane! Non era mai stato niente di più. Si era fatto schiavizzare da Clary. Non sapeva nemmeno come avesse fatto ad amarla tutto quel tempo. Era proprio vero che l’amore era cieco. Che stupido. Lei non aveva fatto altro che ignorarlo, perché lei era la figlia di Valentine, sai che grande cosa, poteva permettersi di fare tutto quello che voleva, poteva ignorare il suo povero, sperduto e penoso migliore amico nerd. Era stato facile dire poi che si era sentita malissimo quando lui era morto. Ma sapeva bene che le azioni contano di più delle parole. E lei era stata troppo occupata a pensare agli affari suoi per preoccuparsi di lui. Lui era solo uno stupido Mondano, no? E anche quando era diventato un vampiro, cosa sarebbe dovuto cambiare? Quella singola domanda che Clary gli aveva fatto lo fece arrabbiare. Cosa credeva di star facendo? Quello che era giusto. Non sembrava che la Nephilim sapesse cosa significasse.
-Cosa credo io di star facendo, Clary? –ribatté, con un accenno di sarcasmo nella voce. La rossa rimase piuttosto stupita da quella risposta. Credeva che Simon si sarebbe scusato, come al solito. Lui non l’aveva mai contraddetta… Esatto. Ma il vampiro si era stancato di star a sentire, di farsi trattare come un cane. Lui contava molto di più. Lui aveva il diritto di dire quello che voleva. Lui aveva il diritto di dire la verità. Aveva il diritto di prendere delle decisioni. –Stavo solo dicendo la verità. Isabelle ha il diritto di sapere. –incrociò le braccia al petto, con calma, mentre la sua migliore amica lo guardava esterrefatta. Ma… Non poteva fare così. Era per il bene della giovane Lightwood che le stavano mentendo. O meglio, che non le stavano dicendo tutta la verità. Avrebbero fatto meglio a fingere che fosse solo svenuta, piuttosto che farla preoccupare in quel modo. Fece per parlare, l’espressione arrabbiata, ma Simon non la lasciò parlare. –Sai, Clary, ne ho davvero abbastanza di starti a sentire. –la ragazza continuò a guardarlo con espressione sconvolta, cosa che lo fece solo arrabbiare di più. Lei non poteva permettersi di avere tutti i diritti e non poteva permettersi di parlare al posto suo, toglierli le parole di bocca. Lui sapeva parlare, non aveva bisogno di lei. Non era così incapace come tutti lo credevano. Forse era imbranato e spesso imbarazzato, ma valeva di più di come Clary lo trattava. Non era stupido. Non aveva bisogno che lei lo proteggesse e cose simili. –Mi sono stancato di doverti correre dietro quando piangi perché le cose non vanno come previsto. Non puoi considerarmi solo quando nessun altro ti degna di uno sguardo. –la rossa avrebbe voluto rispondere che non era così, che lui si stava inventando tutto. Ma quando mai? Lei gli voleva davvero bene, era il suo migliore amico! Si era sentita malissimo quando era morto, quasi come se non potesse respirare. Non poteva vivere una vita senza di lui, Simon non aveva il diritto di accusarla in quel modo. Lei non aveva fatto altro che essere lì per lui quando aveva bisogno… -Non ci sei mai stata quando aveva davvero bisogno di te. E io ti ho amata lo stesso, per tutto questo tempo. Ho perso tempo per te, Clary. -a quel punto la rossa non riuscì più a trattenersi. Non poteva dirle quelle cose. Non era vero. Perché all’improvviso era così cattivo con lei? Credeva che le volesse bene. Ma forse si sbagliava. Forse, alla fine, essere un vampiro l’aveva reso crudele, gli aveva tolto tutti i sentimenti. O forse era stato perdere la sua famiglia. Quello non era il Simon che conosceva da quando era piccola. Era cambiato. Lui non le avrebbe mai detto cose simili.
-Io credevo che mi amassi! –esclamò. Quella frase suonava stupida. Certo, lui l’aveva amata, ma questo non voleva dire che lei poteva trattarlo come il suo schiavo personale. Clarissa Morgenstern era fatta così, nessuno poteva cambiarla. Non voleva dire che poteva comandarlo, non voleva dire che poteva giocare con la sua vita, non voleva dire che poteva permettersi tutto. Non poteva usarlo per i suoi scopi. Non poteva chiedergli quello che voleva. Forse, avrebbe dovuto rendersene conto prima, ma era stata troppo stupido, e adesso non poteva tornare indietro.
-Ti amavo, ma questo non significa che puoi giocare con il mio cuore in questo modo… -a quel punto, Clary crollò del tutto e gli diede un sonoro schiaffo. Come poteva dire quelle cose? Lei non aveva giocato con il suo cuore! Lui lo amava, anche se non nel senso che lui avrebbe voluto. Perché doveva essere così? Sembrava così contento, la sera prima, quando l’aveva lasciata. Non poteva cambiare improvvisamente. Lo sguardo che il vampiro le rivolse dopo che la sua mano si fu abbattuta sulla sua guancia, non le piacque per niente. Anzi, la terrorizzò. Simon non sapeva perché si sentisse così arrabbiato, ma non riusciva più accettare tutto e tacere. Non poteva accettare che Clary gli facesse di tutto senza darle nulla in cambio. Le afferrò il polso con forza, e la ragazza non seppe più cosa fare. Ora aveva davvero paura. Gli occhi di Simon facevano quasi scintille. Sapeva che avrebbe potuto ucciderla, se avesse voluto.
-Si… -mormorò, ma lui non la ascoltò nemmeno, strinse più forte la presa intorno al suo polso. Quando Clary cominciava davvero a credere che sarebbe morta, morta per mano del suo migliore amico, una voce riportò entrambi alla situazione del momento.
-Cattivo momento, uh? –Simon lasciò andare subito Clary, che fece un paio di passi lontano da lui, sfiorandosi il polso. Li si stava formando un cerchio rosso. Scosse la testa, incredula, poi, corse nella stanza di Isabelle, con le lacrime agli occhi. Che cos’era successo al suo migliore amico? Era cambiato. Tutta quella situazione l’aveva cambiato e lei non voleva perderlo. Non poteva perderlo. Non così. Sapeva che lui era solo spaventato, in fondo. Ma in quel momento era molto più spaventata lei. Da lui.
Simon sospirò, dandosi mentalmente dello stupido. Avrebbe dovuto controllarsi. Sapeva di essere stato a un passo dal ferire Clary. Da ucciderla. Voleva davvero vedere il suo sangue scorrere. La voleva morta… Oddio, ma cosa stava pensando. Era la sua migliore amica, mio Dio. Stava impazzendo. Stava davvero impazzendo. Si voltò verso Magnus, che l’aveva interrotto, per fortuna. Non sapeva cosa davvero avrebbe potuto fare se lui non fosse arrivato. Lo stregone aveva delle stravaganti ciocche di capelli verdi che gli spiccavano tra le altre. Le unghie erano intonate. Ugh, tutto quel verde l’avrebbe fatto vomitare. Si sentiva terribilmente male. Non voleva cambiare. Doveva restare sempre lui. Doveva restare sempre Simon, altrimenti non ci sarebbe più stato nessuno motivo per vivere.
Isabelle si era piuttosto preoccupata quando Clary era entrata piangendo, rifugiandosi tra le braccia di Jace. Il biondo le aveva parlato a bassa voce, per calmarla. Guardandoli così, fece strano. Non sembrava che si stessero comportando come un fratello e una sorella. Era solo una sensazione. In ogni caso, non era meno preoccupata per le parole interrotte di Simon. Che cosa aveva voluto dire? Sembrava che quel dolore non fosse? Non riusciva a trovare un senso a quella frase, non riusciva a trovare un senso a quello che stava succedendo. Prima che potesse davvero arrabbiarsi con i presenti, la porta fu varcata da Magnus, che si guardò intorno e sorrise quando vide Alec, seguito da Simon e da… Lydia! Quando la vide, la mora non poté fare altro che altro che balzare in piedi e correre da lei, lanciandosi tra le sue braccia, stringendola in un abbraccio tanto stretto che avrebbe potuto soffocarla. Sapeva che tutti la stavano guardando, ma la giovane Branwell le era mancata immensamente. Dopo quello che era successo tra di loro la sera prima, non poteva fare altro che sentire un’immensa gioia ogni volta che la vedeva. Era come ricominciare a respirare dopo una lunga apnea. Lydia sorrise dolcemente, ricambiando l’abbraccio. Credeva che l’altra l’avrebbe odiata dopo quello che aveva fatto, ma a quanto pareva si sbagliava. E ne era incredibilmente felice. Sentendo che qualcuno si stava schiarendo la voce, le due ragazze si separarono, improvvisamente imbarazzate. Guardando Alec, Isabelle si accorse che aveva un leggero sorriso stampato sul viso. Si sentì arrossire violentemente. Magnus le disse che era andato lì per cercare di capire cosa fosse successo, quando la ragazza gli prestò la sua attenzione. Qualcosa che aveva un senso finalmente. Con la sua magia, magari sarebbero arrivati a scoprire cosa davvero fosse successo. Izzy sentiva di non riuscire davvero più a sopportare quella situazione. Per la seconda volta da quando si era ripresa, si prese il tempo di osservare i visi di tutti. Da quando era arrivato Magnus, Alec sembrava molto più tranquillo e rilassato. Sapeva che lui avrebbe scoperto qual era il problema. Jace stava accarezzando i capelli di Clary, con dolcezza, e un’espressione terribile. Sembrava che le ferite che ormai si erano rimarginate avessero ricominciato a fargli male, da quanto mostrava disperazione. La giovane Fairchild sembrava incredibilmente spaventata, anche se ora aveva smesso di piangere, almeno. Maryse stava sorridendo vagamente nella sua direzione, da quando aveva abbracciato Lydia. Sembrava quasi che capisse tutto più di lei. Simon teneva ancora gli occhi bassi, ma Isabelle era certa di vedere un’ombra di desolazione e paura sul suo viso. Lydia stava sorridendo, lo sguardo perso nel vuoto. Izzy si chiese a cosa stesse pensando. Forse anche lei stava ancora ripensando a quell’abbraccio. Oh, avrebbe fatto meglio a non pensarci. Era troppo imbarazzante. Tutti le avevano viste. Magnus stava lanciando un’occhiata dolce ad Alec, ma quando vide che lei sembrava essersi tornata a concentrare su di lui, le disse di doverla esaminare. La ragazza fece un respiro profondo. Si sentiva incredibilmente male, per qualche motivo. Come se non riuscisse a respirare. Sentì una stretta al cuore, improvvisa. Si sentì le ginocchia deboli, e, per non mostrarlo agli altri, si sedette in fretta sul bordo del letto. Non capiva cosa le stesse succedendo. Era strano. Era come se il dolore fosse dentro di lei, ma, incredibilmente, allo stesso tempo fuori. Era come se non le appartenesse. Era come se non… Fosse suo. Ecco che cosa voleva dire Simon, prima che la sua frase venisse interrotta. Ma sembrava che quel dolore non fosse tuo. Ma non aveva senso! Non aveva alcun senso. Nessunissimo senso. Credeva che sarebbe impazzita. Fece un respiro profondo, mentre Magnus si avvicinava a lei muovendo le mani in modo plateale, come sempre. La sua magia era blu chiaro, aveva un effetto calmante. Isabelle sospirò e chiuse gli occhi, lasciando che le spire le scorressero sopra.
Magnus era confuso. Non poteva certo essere vero! Era impossibile! Magia nera? Certo, ma anche qualcos’altro, qualcosa che non riusciva ad identificare. Forse ancora più oscuro di quella magia. Ogni fibra del corpo della Nephilim sembrava urlare, in totale disperazione. Eppure lei non stava soffrendo. Quel dolore era dentro di lei, ma non era suo… Alec gli aveva detto qualcosa del genere al telefono, ma non era riuscito a crederci fino a quel momento, dove vedeva che aveva effettivamente ragione. Sentiva lo sguardo di tutti i presenti addosso. Stavano aspettando delle risposte. Non era molto sicuro di averne. Tutto ciò era davvero strano. Non aveva mai visto una cosa del genere. Stava quasi per rinunciare, quando notò che c’era un punto in cui la magia nera era più concentrata. Sulla schiena della ragazza, dietro la spalla destra. Era come se si stesse concentrando in quel momento, effettivamente. Era come se le stesse lasciando un segno. Un marchio. Una runa. Gli occhi dello stregone si chiusero quasi automaticamente, e lo stregone non riuscì più ad aprirli. Stava vedendo qualcosa. Non aveva alcun senso. C’era tanto buio… Aggrottò le sopracciglia, confuso. Era sicuro di star vedendo un luogo preciso, ma… Era troppo buio per poterlo dire. C’era qualcosa di strano. Sentiva una voce, che si insinuava prepotente nella sua testa. Vi prego, salvatemi. Salvatemi. Salvatemi, mi sento morire. Vi prego! SALVATEMI! Lacrime. Qualcuno stava piangendo. Come riusciva a vedere tutto questo attraverso Isabelle? Non aveva senso. Era strano… Quella voce non aveva tono, forma o colore. Era vuota, vuota come la disperazione che sentiva dentro. Sentiva la sofferenza, anche se quel dolore non era suo. Che cosa… Sussultò e aprì gli occhi quando qualcuno lo scosse per una spalla. Voltandosi di poco, si accorse che Alec era vicino a lui, con un’espressione terribilmente spaventata stampata sul viso. Eppure, non stava guardando lui, stava guardando verso Isabelle. Lo stregone si accorse improvvisamente che la sua magia era diventata nera come pece e svolazzava intorno alla ragazza come un avvoltoio può volare sopra la sua preda. Cercando di non mostrare il terrore che si sentiva dentro, la spense con un gesto della mano, mormorando, con voce quasi tremante:
-Necromanzia. –Alec annuì piano, ma lo stregone riuscì a capire che non stava per niente bene. Era spaventato per sua sorella, naturalmente. Il viso di Isabelle non era più tranquillo. Guardandola, Magnus si ricordò del marchio che aveva sentito crearsi sulla sua schiena. Si allontanò dal letto, seguito dal giovane Lightwood, che sembrava essere in panico totale, ormai. Almeno per lui. Era certo che per tutti gli altri lui fosse sempre il solito Alec. Ma lui riusciva a capirlo, capire quello che provava, solo con un’occhiata. Si schiarì la voce e si rivolse a Isabelle, che lo stava osservando in attesa di altro. Necromanzia? Come poteva accettare quello come risposta? Non era una risposta! La stava mandando solo di più in panico. Una voce stava urlando nella sua testa. Salvatemi. Salvatemi, vi prego. Per favore… Si accorse che era sempre stato così, solo che prima aveva sentito le parole solo come un fastidioso, pulsante e incessante mal di testa. Ma erano sempre state parole. Perché qualcuno stava urlando nella sua testa? Era confusa. Voleva capire. Stava andando in completo panico. Si sarebbe mai ripresa? Forse no, forse sì. Magnus la guardò dall’alto in basso, prima di chiedere, con calma impressionante:
-Scusa, Isabelle, ma… Potresti toglierti la maglia? Devo controllare una cosa. –la ragazza gli rivolse un’occhiata stranita, prima di voltare lo sguardo verso Lydia, cercando di non essere troppo ovvia. L’avrebbe anche fatto, ma con lei lì era imbarazzante. Molto imbarazzante. Terribilmente imbarazzante. Aprì la bocca per ribattere, ma Alec la precedette prima che potesse farlo, aggrottando le sopracciglia, dicendole che era per il suo bene e che non era più una bambina. Isabelle sbuffò e balzò in piedi, cercando di non guardare nemmeno con la coda dell’occhio la giovane Branwell. Fece qualche passo lontano dal letto –e anche lontano da Lydia, che era in piedi vicino a sua madre. Si tolse la maglia in fretta, chiedendo a cosa servisse. Credeva che fosse una cosa inutile. Che non sarebbe servito a nulla. Credeva. Che cosa poteva esserci di tanto strano su di lei? Capì che c’era qualcosa di strano quando sentì Clary sussultare. La rossa era dietro di lei, così la ragazza cercò di voltarsi a guardarla e di chiederle che cosa ci fosse di tanto strano o preoccupante da vedere. Non poté farlo perché tutti si spostarono accanto alla giovane Fairchild, anche Magnus, il quale impedì alla mora di muoversi. Per quello che riusciva a vederlo, Isabelle vide che aveva un’espressione terribilmente confusa. Sentiva gli sguardi di tutti sulla schiena. Faceva uno strano effetto.
-Cosa c’è? Cosa c’è che non va? –domandò, sentendosi improvvisamente davvero preoccupata. Perché tutti la stavano fissando in quel modo sbalordito? Doveva, doveva, sapere quale fosse il problema. Dopo qualche minuto di silenzio, che la fecero andare in bestia, Clary si azzardò a parlare, come era successo prima. Non capiva perché tutti avessero sempre quella paura di parlarle e la rossa fosse l’unica a degnarsi di darle una risposta. Non poteva vivere la sua vita all’oscuro. Non era una cosa accettabile. Per niente.
-Tu… -cominciò, sentendosi la gola secca. Quello sì che era strano. –Hai una runa… -prima che potesse continuare, Isabelle si lasciò sfuggire un commento sarcastico, pur cercando di impedirlo. Clary era davvero molto d’aiuto. E anche davvero intelligente, dai.
-Oh, che strano… -prima che qualcuno si potesse arrabbiare per quello che aveva appena detto, la voce di Lydia, calma e sbalordita insieme, in qualche modo, continuò la frase della rossa, lasciandola senza parole. Non aveva senso. Non aveva alcun senso! Come diavolo era possibile? Non lo era, semplicemente. Le cose si stavano facendo sempre più strane.
-No, Isabelle, non capisci. –la giovane Branwell esitò, confusa. Quella situazione stava smettendo di avere senso. Forse non aveva mai avuto un senso. –È una runa parabatai. –la voce della mora suonò incredibilmente strozzata e aspirante quando ribatté.
-C-cosa? -

Angolo autrice:
Ooook, da qui in avanti le cose avranno sempre meno senso, scusate XD Lo so che una runa non si può creare così a caso e con la magia, ma se una strega può avere figli (Tessa, sto guardando te), allora può succedere anche questo (anche se foorse dovrei avere una spiegazione logica per questo; fate finta che sia a causa della Coppa Mortale o della Spada dell'Anima (in effetti era questa l'idea, ma non so comunque se ha senso). Scusate per il Simon assatanato (*come al solito esagera*), stavo scrivendo e a un certo punto è comparso. Clary non dovrebbe essere tanto sconvolta :/ C'è Maryse! Non chiedetemi dove sia Max, non ne ho idea (oops). E questa cosa era terrificante, ops :)
A dopodomani (eee le cose si incasineranno ancora di più) :D
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi; anche perchè non ho ricontrollato il testo :/)
 

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Capitolo 11
*** Buried in a sadness pt.4 ***


Capitolo 7. – Buried in a sadness (pt.4)
Alec non era riuscito a trattenersi. Aveva dovuto uscire da quella stanza il più in fretta possibile. Che cosa diavolo stava succedendo? Nulla di tutto questo aveva senso. Perché Isabelle aveva una runa parabatai? Lei non aveva mai voluto nessuno come parabatai. Lei non aveva mai avuto nessuno come parabatai! Ma quella runa era lì, quello era un dato di fatto. E non era falsa. Era davvero una runa, incisa nella sua pelle. Avrebbe tanto voluto capirci qualcosa di più, ma non ci riusciva. Era uscito dalla stanza della sorella il più in fretta possibile, sentendosi mancare l’aria. L’espressione confusa di Isabelle l’aveva terrorizzato. Necromanzia, aveva detto Magnus. Era per quello che aveva quella runa? Era molto probabile, però… Non era possibile creare una runa con la magia. Gli stregoni non potevano creare rune. E, comunque, non si potevano disegnare rune senza uno stilo. E le rune non comparivano da un giorno all’altro! Credeva che sarebbe impazzito. Tutto questo non aveva senso. Camminò più in fretta che poteva fino fuori dall’Istituto. Aveva davvero bisogno di respirare aria. Non credeva che sarebbe riuscito ad andare avanti altrimenti. Sospirò, passandosi una mano sul viso. Era stanco. Era lui ad avere il controllo dell’Istituto, ma stava perdendo il controllo su tutto il resto. Ormai stavano succedendo troppe cose insieme. Valentine era ancora imprigionato lì, e non riusciva a fargli dire niente. Lui ci aveva praticamente rinunciato. Non avrebbero mai saputo dove si trovava la Coppa Mortale o la Spada dell’Anima; non ci sarebbe stato verso di farlo parlare. Era una causa persa, anche se loro non avrebbero dovuto abbattersi. Sentendo che una voce lo stava chiamando, si voltò, vedendo Magnus andare in fretta verso di lui. Sospirò. Magari lo stregone sarebbe riuscito a portare un po’ di calma nella sua mente incasinata. Probabilmente solo se aveva delle risposte. Risposte che Magnus non aveva, ma non poteva lasciare che Alec se ne andasse così. Lo stava facendo preoccupare. Lo raggiunse in pochi passi, saltando gli scalini due a due. Gli chiese come stessi, sorridendo dolcemente. Lo Shadowhunter rispose che di certo sarebbe stato meglio se tutto quello che stava succedendo avesse assunto un senso. Lo stregone sapeva perfettamente che quello che era appena successo non aveva alcun senso. Nemmeno per lui. Una voce che parlava nella testa di Isabelle, il dolore che non era suo ma dentro di lei, la sua magia che diventava nera come pece, una runa che si creava con la magia oscura. Nulla aveva un senso. Forse nulla doveva averlo. Quello era il Mondo delle Ombre, e, anche se ormai credevano di sapere tutto, non avrebbero mai saputo tutto, era un dato di fatto e non poteva cambiare. Improvvisamente, come uno stupido, Alec si rese conto che ci doveva essere qualcun altro. Che qualcuno era il parabatai di Isabelle. Per quanto tutta quella situazione non avesse senso, quello almeno era certo. Ma non aveva idea di chi potesse essere… Sbuffò di nuovo, e il suo respiro creò delle spirali di fumo nell’aria. Stava cominciando ad essere freddo. Ormai era quasi dicembre. Magnus gli prese la mano, stringendola, come per dirgli che, di qualunque cosa avesse bisogno, lui era lì. Alec sorrise debolmente. Non importava cosa sarebbe accaduto, sapeva che lo stregone lo amava e sarebbe sempre stato lì, sia nei momenti migliori che nei momenti peggiori. Doveva solo calmarsi e cercare di trovarle le risposte, non c’era motivo di andare in panico. Sarebbe andato tutto bene, come al solito. Avrebbe tanto voluto baciarlo, ma la porta dell’Istituto si aprì di nuovo e tutti gli altri scesero le scale, in fretta, con il panico negli occhi, persino Isabelle. Questo non lo aiutò molto. Si liberò bruscamente dalla stretta di Magnus, anche se non avrebbe voluto. Lo fece e basta. Non sapeva perché. Sapeva che quella scena doveva essere piuttosto strana per i Mondani. Un gruppetto di persone che discutevano fuori da una chiesa abbandonata. Era abbastanza certo che nessuno di loro avesse un glamour, in quel momento. Osservò tutti. Clary e Jace stavano molto vicini; e la cosa non era molto strana, pensandoci, però il biondo stava davanti alla ragazza, come se cercasse di proteggerla. Simon stava il più lontano possibile da loro, fissando un punto imprecisato davanti a sé, i denti stretti. Lydia era in piedi vicino a Isabelle, che aveva un’espressione arrabbiata mista a sconvolta. Nessuno di loro capiva, questa era l’unica certezza che aveva. Che non capisse nemmeno sua sorella, lo terrorizzava un po’. Comunque, guardando lei e la giovane Branwell, si chiese cosa fosse successo. Era strano come Izzy l’aveva abbracciata, poco prima. Forse soltanto perché era stata lei a avvertire tutti di quello che era successo alla mora, la sera prima. Rimasero tutti fermi a fissarsi per qualche interminabile secondo, con i pensieri che correvano nella loro mente.
Una voce sta urlando nella mia testa. Mi sta uccidendo.
Non ci posso credere. Ho quasi ucciso Clary!
Già Simon mi preoccupa, e ora Isabelle ha inspiegabilmente una runa parabatai. Cosa sta succedendo?
So che è stata colpa di Lewis se Clary stava piangendo. Se le ha fatto del male lo ucciderò con le mie mani.
Una runa parabatai? Una runa parabatai. Non ha senso. A meno che…
Voglio dare un senso a tutto questo. Vorrei solo che Magnus potesse…
Tutta questa situazione ha meno senso logico della fidanzata del Presidente Miao.
Poi, Alec si azzardò a fare una domanda.
-Isabelle, che cosa sta… -la ragazza avrebbe voluto urlare. Che cosa poteva saperne lei di quello che stava succedendo? Qualcuno stava urlando nella sua testa, sentiva dolore che non era suo, e adesso aveva anche una runa parabatai! Avrebbe davvero voluto urlare. Ma non poteva, lo sapeva bene. Non sapeva cosa stava succedendo, ma sapeva che c’era un’unica persona che poteva essere il suo parabatai. Non aveva senso. E, poi, chiunque avesse creato quella runa con la magia oscura, aveva addirittura scelto giustamente chi poteva essere la persona con la quale sarebbe stata legata per tutta la vita, fino alla sua morte? Forse per farla soffrire, perché quelle urla nella sua testa la stavano lentamente uccidendo. Tutta quella disperazione le metteva i brividi. E poi, non era solo quello. Era… impossibile. Semplicemente impossibile, lo sapeva. Be’, fino a due mesi prima, anche un vampiro che poteva camminare sotto il sole sembrava essere impossibile, e invece ora Simon stava in piedi proprio accanto a lei. Ma quello era diverso. Era impossibile. Su i Nascosti le rune non funzionavano. Tantomeno un legame parabatai. Eppure, sembrava che lui fosse l’unica possibilità. E quella voce, quella disperazione. Quella voce era piatta e vuota, ma era la sua. Lo sapeva. E faceva ancora più male sentirla. Rispose ancora prima che suo fratello finisse di farle la domanda.
-Raphael. –disse, a voce bassa, tanto che temette che nessuno l’avesse sentita. Ma l’avevano comunque sentita tutti. E tutti avevano capito cosa intendeva. Si voltarono verso di lei, le espressioni confuse. Magnus e Lydia un po’ meno degli altri. Ma era comunque una risposta senza senso. Raphael era un vampiro, non poteva essere collegato a lei. A Clary sembrò piuttosto strano che la mora dicesse una cosa del genere. L’aveva vista alla festa con il capo Clan, e le era sembrato che… Non fossero solo amici, decisamente. Jace, che si era perso praticamente tutti gli avvenimenti di due settimane prima, non sapeva bene cosa pensare. Simon aveva smesso di fissare nel vuoto, e ora stava guardando lei. Lo capiva, probabilmente credeva che a lui avesse detto tutto, ma quel dettaglio non poteva. Dettaglio. Non che fosse così poco, lei e Raphael erano riusciti a ingannare tutti perfettamente, a quanto pareva. Alec era il più sconcertato di tutti. Aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse, aggrottando le sopracciglia. Quello si che era strano. Loro… Non potevano essere parabatai. Eros. Non che fosse stata una loro decisione, questo era certo, però… Non avrebbe avuto lo stesso senso, in qualche modo. Lanciò un’occhiata a Magnus, e si stupì di vedere che non era sbalordito quanto lo era lui. Eppure… Dopo qualche secondo di sconcerto, osservando sua sorella sbattendo un paio di volte le palpebre, come per essere sicuro che lei fosse effettivamente lì, decise di esprimere i suoi pensieri. Fece un passo avanti.
-Prima di tutto, è impossibile. Lui è un Nascosto. Sai bene che su di loro le rune non funzionano. E secondo, voi vi amate. –a Isabelle venne quasi voglia di ridere. Ah, allora quando gli faceva comodo, quello che c’era tra lei e Raphael era vero, quando prima le aveva detto che un amore del genere non aveva senso e non poteva esistere. Che era pericoloso. Ogni tanto avrebbe anche voluto perdonarlo, ma quando diceva quelle cose la faceva davvero arrabbiare. Avrebbe voluto urlargli in risposta tutta la verità, anche se Clary era lì. Anche se l’avrebbe per sempre guardata in modo diverso. Non che importasse più, ormai. Non c’era più nulla che importasse, per lei. Salvo riuscire a trovare Raphael. Il suo amore per la giovane Fairchild non era mai stato nulla. Non davvero, lei era solo stata una stupida cotta. Non valeva la pena di piangere per lei. Per Jace forse sì. Ma soltanto per lui. Per tutti gli altri era solo una perdita di tempo. Sia lei che Simon avevano perso tempo per lei. Ed era stanca. Non voleva perderne ancora. Stava sul serio per dire la verità al fratello, ma, prima che potesse farlo, Lydia e Magnus parlarono praticamente all’unisono. Dicendo solo una parola. No. No. Izzy si stupì scoprendo che anche lo stregone sapeva la verità. Probabilmente gliel’aveva detto Raphael. Alec si voltò verso di lui, l’espressione tradita, mormorando il suo nome. Magnus lanciò un’occhiata a Lydia, come se stessero decidendo chi dovesse parlare. La bionda si schiarì la voce. La giovane Lightwood avrebbe voluto impedire che parlasse, ma qualcosa glielo impedì. Sapeva che i due non avrebbero detto tutto, che avrebbero spiegato solo in parte come stavano le cose. E li ringrazio, perché sapeva che se fosse toccato a lei, far sentire la sua voce, avrebbe urlato talmente tanto, dalla rabbia, dalla vergogna, che sarebbero stati arrestati per disturbo alla quiete pubblica. Cosa piuttosto imbarazzante per degli Shadowhunters.
-No, non è così. –Alec ormai non sapeva più che cosa pensare. Nessuno sapeva più che cosa pensare. Erano troppo sconvolti.
Oh, fantastico. Spero solo che adesso Alec non si arrabbi con me.
Loro… Lui… Io?
Ma… Quando ho parlato con Raphael sembrava sincero… Che cosa?
Ok, credo di essermi perso molte cose.
Bene, grazie Magnus Bane. E adesso cosa dico?
C’è qualcosa che ha senso?! Può esserci, per una buona volta?!
No… Se lo dico, Raphael mi ucciderà, quando lo ritroveremo. Ma… Forse devo.
-Non nel senso che pensate, almeno. –Alec stava aspettando che le spiegazioni cominciassero, perché, per ora, non aveva sentito altro che la stessa cosa. Credeva di star impazzendo. E Magnus gli aveva tenuto nascoste delle cose? Non poteva crederci, doveva sbagliarsi. Doveva. Isabelle era sua sorella e lui… E lui cercava troppo spesso di proteggerla, pur sapendo che non ne aveva bisogno. Lydia si sentiva a disagio, sotto il suo sguardo. Lanciò un’occhiata alla giovane Lightwood, che annuì soltanto, per darle la conferma che poteva continuare. Alla fine, il momento della verità arrivava per tutti. –Credevano di provare qualcosa l’uno per l’altra e viceversa, ma… Be’, a quanto pare si sbagliavano. –tutti gli altri continuavano a osservarsi a vicenda, come parlandosi con gli occhi, per capire cosa stava davvero succedendo. Non sembrava avere un senso. Se Raphael e Izzy non si amavano, voleva dire che due settimane prima avevano creduto di provare qualcosa o che… Avevano finto? Che avevano finto perché avevano capito molto prima che tra loro non c’era quel tipo di amore? Ma non avrebbe certo avuto senso. Ci doveva essere un’altra spiegazione? Di sicuro. Aspettarono che Lydia continuasse, ma la giovane si ritrovò incredibilmente a corto di parole. Non sapeva cosa poteva dire. Non certo quello che Isabelle aveva detto a lei la sera prima, forse la persona in questione avrebbe capito che si stava parlando di lei e allora la mora l’avrebbe odiata per il resto della sua vita, e non voleva certo che fosse così. Vedendo che la giovane Branwell era in difficoltà, Magnus decise di continuare per lei. La bionda gli lanciò un’occhiata carica di gratitudine. La situazione stava cominciando ad essere imbarazzante. Prima ancora che lo stregone potesse parlare, Alec fece un passo lontano da lui, come scottato, guardandolo come un cane che è appena stato bastonato.
-Tu lo sapevi? –era incredulo. Lui lo sapeva e non gliel’aveva detto. Non che sembrasse così grave, ma gli aveva comunque mentito, e non poteva esserne felice. Quello non avrebbe cambiato le sue decisioni, anche se lui ne fosse stato al corrente, avrebbe comunque allontano il vampiro dalla sorella, ma quello che gli faceva male era che Isabelle lo aveva guardato dritto negli occhi e gli aveva detto che amava Raphael. Perché mentire? Qual era il motivo. Magnus annuì soltanto, ma il suo sguardo diceva “perdonami, Alexander; non potevo fare altrimenti”. Cosa anche vera. Altra cosa vera, era che adesso non poteva tornare indietro, e che doveva parlare.
-Quello che dice Lydia è vero. –per qualche motivo, Isabelle si sentì incredibilmente male. Avrebbe voluto poter dire tutta la verità, voltarsi verso Clary e dirle che aveva perso tempo per lei. Ma sapeva anche che non l’avrebbe fatto. –Sono solo amici. Vi hanno ingannato tutti. Lo so per certo perché… -Magnus fece scorrere lo sguardo su tutti, come per far sentire quella fastidiosa suspense che avrebbe anche potuto evitare. I suoi occhi si posarono qualche secondo in più su Simon, ma il vampiro non sembrò notarlo. Sembrava perso nei suoi pensieri.
-Raphael è innamorato di qualcun altro. –prima che potesse rendersi conto di quello che stava facendo, Isabelle fece un passo avanti, vicino a Lydia, e le prese la mano. Forse non avrebbe voluto davvero dirlo, ma era stanca di dover mentire.
-E lo sono anch’io. –il silenzio regnò tra di loro per qualche attimo. Nessuno aveva il coraggio di dire nulla. Tutti continuavano a non capire. Se non si amavano, e avevano solo finto, perché? Perché fingere? A che scopo? Per fare Romeo e Giulietta versione vampiro-Nephilim? Perché ingannare tutti loro? Nessuno riusciva a vederci un senso. Restava comunque il fatto che ora probabilmente erano parabatai. Ed era una cosa impossibile. Non aveva alcun senso. Non c’era mai nulla che avesse senso. Era da pazzi.
Almeno Alec non si è arrabbiato. Per ora.
Sono confuso. Che novità.
Isabelle è innamorata di… Lydia? Quando credevo che le cose non potessero avere meno senso!
Va bene. Ma continuo a non capire.
Questo significa che… Lei… Oh, no. No di certo.
Non posso crederci. Magnus lo sapeva!
Spero che Alexander mi perdoni… Anche se gli ho mentito.
Mentre erano tutti concentrati a capirci qualcosa, Lydia rivolse uno sguardo a Isabelle, che sorrise. Non sapeva nemmeno perché le avesse preso la mano. Lo aveva fatto e basta, come se ne avesse bisogno. Il suo cervello era un casino totale, non credeva di poter capire qualcosa. Avrebbe tanto voluto dirle qualcosa, ma le urla nella sua mente non fecero che aumentare di volume, minacciando di farla svenire. No. No! Tutto ma non questo. Ti prego! Salvatemi. Salvatemi! NO! SALVATEMI! PER FAVORE! Questa volta però, non ci furono solo grida. Questa volta vide la sua vista offuscarsi, un lampo rosso passarle davanti agli occhi. Dolore. Ogni volta che era con Lydia doveva succedere?! Fu l’ultima cosa che riuscì a pensare, prima che il dolore prendesse completamente controllo della sua mente. Quel dolore poteva non essere il suo, ma continuava a fare male. Faceva incredibilmente male, come se fosse stata lei ad essere ferita. Prima che potesse impedirlo, la sua mano scivolò via da quella di Lydia, e lei cadde sul pavimento duro e freddo. Si morse le labbra fortissimo, per non urlare. Sapeva che avrebbe attirato l’attenzione dei Mondani. Mentre sempre più flash rossi le passavano davanti, sentì un altro grido. Ci mise qualche secondo di troppo a rendersi conto che non era stata lei o la voce nella sua testa a urlare. Era stata Clary. E, mentre il mondo vorticava sempre più in fretta, riuscì anche a capire perché. Sentiva dolore ovunque, ma in un particolare punto sembrava concentrato. La sua mano sinistra. Cosa stava succedendo? …Stava bruciando. La sua mano stava bruciando! Letteralmente bruciando, riusciva a sentire l’odore della carne bruciata. Non andò mai in totale blackout, ma piuttosto in una sorta di trance. Voleva trovare un modo di liberarsi di quel dolore. Ma come? Perché la sua mano stava bruciando? Sapeva di star piangendo. Non sapeva nemmeno cosa stesse succedendo, ma dalle sue labbra uscì spontaneo un urlo, un nome. Nessun altro la sentì gridare, era come se l’avesse fatto nella sua mente. Forse era così. Ma non fu diverso da tutti gli altri. Disperato e in grado di spezzare cuori.
-Raphael! -

Angolo autrice:
Ok, questa parte ha anche meno senso di tutto il resto. Sì, lo so, i Nephilim e i Nascosti non possono essere parabatai, i Nascosti non posso creare o avere rune. Niente di tutto questo ha senso. Scusate. Spero che qualcuno mi legga ancora anche se la Saphael manca da parecchio (sta per tornare, sul serio)
A dopodomani (spero) 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi; anche perchè non ho ricontrollato il testo :/)
 

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Capitolo 12
*** Buried in a sadness pt.5 ***


Capitolo 7. – Buried in a sadness (pt.5)
Sangue. Sangue umano. L’odore gli arrivò al naso improvvisamente, tanto che gli fece venire le vertigini. C’era qualcosa di vivo con lui, nella stessa stanza. Non molto vicino probabilmente, ma riusciva a sentire un cuore battere. O forse due. Quel suono lo stava assordando. Qualcosa di vivo. Sangue che ancora scorre. Pulsazioni regolari, seppur veloci. Fame. Aveva fame. Quanto tempo era che non si nutriva? Non sapeva nemmeno da quanto tempo era lì. Ma probabilmente era così tanto tempo che era incredibile che fosse ancora lucido. Tra tutte le torture che aveva subito, aveva messo da parte quel famelico istinto animale. Perché era stato circondato solo da cose morte. Solo da Non-Camille. Adesso era diverso. Qualcuno lì era vivo. Non sapeva ancora per molto. Si morse il labbro inferiore più forte che poteva. Doveva riuscire a tenere a bada i canini. Anche se c’era se lì c’era una fonte di cibo, sapeva di non… Non poteva prendere il suo sangue. Non sarebbe stato in grado di fermarsi, avrebbe ucciso. Non voleva uccidere. Non poteva… Era sdraiato sul freddo e umido pavimento, fissava davanti a sé con sguardo perso. Poteva sembrare che avesse accettato quel destino, ma dentro di sé stava urlando. Stava piangendo. Non poteva andare avanti così. Vi prego, salvatemi. Salvatemi. Salvatemi, mi sento morire. Vi prego! SALVATEMI! Non aveva mai avuto bisogno di essere salvato come in quel momento. Cercava sempre di andare avanti senza dire niente, senza lamentarsi. Cercava sempre di andare avanti. Ma adesso non poteva. Non era nemmeno più tanto sicuro di poter continuare a vivere, quella morte che chiamavano vita. Ancora non sapeva perché fosse lì, se non per essere ucciso un'altra infinità di volte. Sei un mostro. No. Basta. NO! Ma… Era la verità. Non era altro che un mostro. Sapeva che avrebbe potuto urlare finché voleva, nessuno l’avrebbe sentito. E se anche fosse stato, a nessuno sarebbe importato. Nessuno lo amava, nessuno lo aveva mai amato. Non così. Non da creatura senza Dio. Non da morto. Simon aveva avuto ragione. Se Rosa avesse saputo quello che era davvero, lo avrebbe odiato. Perché avrebbe visto che lui non era più suo fratello. Certo, certo che lo era ancora, ma aveva perso l’anima. Era dannato. Non erano nemmeno più legati dal sangue. E, tra tutti gli altri, quelli che aveva creduto che tenessero a lui almeno un po’, nessuno sarebbe andato a cercarlo. Nessuno. Lo sapeva bene. Perché era solo un mostro, niente di più. E la fame cieca che sentiva in quel momento lo confermava. Non che fosse colpa sua, lo sapeva, non poteva farci nulla. Era così e basta, non poteva cambiare le cose. Sapeva che c’era qualcosa di vivo. Qualcosa che aveva ancora il sangue che scorreva nelle vene. Avrebbe solo voluto trovarlo e avventarcisi sopra e prosciugarlo… No! Graffiò il pavimento, come per trattenersi dallo scattare in piedi. Si mise seduto piano, appoggiandosi al muro. Solo in quel momento si accorse che la corda non gli teneva più uniti i polsi. Non che importasse, era stato svenuto quasi tutto il tempo, vedendo cose che non voleva rivedere e cose che non voleva succedessero. E che sperava che non sarebbero successe mai. Che NON sarebbero successe mai, punto. Nessuno gli avrebbe detto esplicitamente che era un mostro. Forse. Ma lo pensavano lo stesso. E Simon… Oh, Simon. Lui lo aveva già fatto. Gli aveva strappato il cuore. Gli aveva strappato il cuore mostrandosi così vulnerabile, mostrandosi ferito. Gli aveva strappato il cuore con i suoi modi imbarazzanti e tremendamente adorabili. Gli aveva strappato il cuore con quei rari sorrisi che gli facevano dimenticare la mancanza del sole. L’aveva fatto innamorare. Gli aveva strappato il cuore comportandosi come un cretino. Gli aveva strappato il cuore ricordandogli che lui non era altro che una bestia. Una parte di lui avrebbe voluto piangere. Ma un’altra sentiva solo quella fame. Il battito dei cuori sembrava essersi fatto più forte. Riusciva a sentire i loro respiri, rotti dalla paura. Già. Non era solo qualcosa. Era qualcuno. Due persone. L’odore del sangue sembrava accecarlo, ma riusciva ancora a ragionare. Poco. Erano due persone, ne era certo. Non pensò subito a quel fatto, ma forse avrebbe dovuto. Il suo tentativo di trattenere i suoi canini era fallito, gli avevano praticamente trapassato il labbro. Doveva continuare a pensare, doveva restare lucido, non poteva perdersi. Non voleva uccidere nessuno. Non avrebbe ucciso nessuno. Non lo avrebbe permesso. Rimase immobile seduto contro la parete fredda, aspettando che succedesse qualcosa. Sperando di riuscire a calmarsi, sperando di riuscire a non muoversi. Non era un animale! Era solo dannato, non poteva… Doveva riuscire a controllarsi, non poteva cedere. Poi, sentì qualcuno parlare. Il significato di quelle parole non gli arrivò subito al cervello, dovette chiudere gli occhi e riaprirli un paio di volte, gli sembrava che la stanza fosse stata sommersa da un accecante luce bianca. Lo confondeva, come poteva confondere un animale da circo. Solo che lui non era un animale da circo. Non era una tigre da tenere a bada, era solo… No, basta, non poteva più dirlo. Non era vero. Non era umano. Non più, ormai. E non c’era niente che potesse farci, doveva solo accettarsi per quello che era. Dopo più di sessant’anni, non ci era ancora riuscito davvero. Restava sempre difficile guardarsi allo specchio e vedere una persona apparentemente normale. Ma morta, con il Diavolo dentro. Quella non era vita, ma continuavano ad andare avanti. Quella voce… Quella voce sembrava familiare… Era strano, perché avrebbe dovuto. Se ci avesse pensato qualche attimo di più, avrebbe capito, probabilmente. La voce stava dicendo un nome. Solo. E quel nome era… Salvatemi. Salvatemi, vi prego. Per favore… Rebecca. No. Doveva essere soltanto un altro sogno. Non stava succedendo davvero. Non potevano essere loro, no… Ma adesso capiva perché quella voce gli sembrava familiare. Era la voce di Elaine. La madre di Simon. Sua madre e sua sorella erano lì, e lui aveva una fame incontrollabile. Avrebbe voluto che fosse un’illusione anche quella, ma in fondo sapeva perfettamente che non lo era. Era solo la dura realtà. Doveva trovare una soluzione. Si sarebbe sentito meno in colpa se con lui ci fosse stato un Mondano casuale. Forse no, nulla sarebbe cambiato. Però, quella era la famiglia di Simon, il suo Simon, lo stupido Diurno che lo odiava. Se le avesse uccise senza poter controllare il suo istinto da bestia famelica, lui lo avrebbe dolo odiato di più, se mai l’avesse trovato. Si sarebbe odiato. Non sarebbe più riuscito a vivere. Già era difficile normalmente. Si sarebbe ucciso. Loro erano tutto quello che restava a Simon. E lui poteva ucciderle… No. NO! Non l’avrebbe fatto. Avrebbe combattuto, ma non poteva fare qualcosa del genere. Aveva promesso di proteggerle. Si sarebbe fatto del male da solo piuttosto che farlo a loro. Rimase in silenzio, ascoltando.
-Rebecca! –la voce proveniva da un punto imprecisato tra le casse di quel magazzino abbandonato, mezzo nel terreno. Sembrava incredibilmente preoccupata e sollevata allo stesso tempo. Non osava pensare quello che fosse successo loro in quelle settimane. Lui alla fina aveva ceduto. Aveva lasciato che la vampira pazza vedesse che in realtà era debole. Non avrebbe mai dovuto farlo, forse non sarebbero mai arrivati a quel punto, altrimenti… Chissà cosa aveva escogitato lei per Elaine e Rebecca. Non osava immaginarlo. Forse niente. Sperava fosse così, perché, se anche solo le aveva toccate, le avrebbe staccato la testa con le sue mani, una volta libero. Anche se forse non sarebbe mai stato liberato. E perché forse sarebbe stato lui a fare loro del male, prima che potesse davvero pensarci Non-Camille. –Stai bene! –continuò la voce di Elaine, mentre la donna si muoveva verso la figlia, probabilmente. –Ero così preoccupata… -Raphael sentì una specie di singhiozzo. Dovevano essere terrorizzate. Rapite dalla loro casa da un essere che avrebbe dovuto esistere solo nelle storie horror, o perlomeno, di fantasia. Portate in un luogo indefinito e tenute prigioniere per così tanto tempo, senza probabilmente saperne il motivo. Nemmeno lui lo aveva capito. Forse per vendetta. Forse solo per divertimento. Magari erano anche state torturate. Sperava di no.
-Ho paura, mamma… -Rebecca suonava vulnerabile. Era terribile. Da quello che gli raccontava Simon, quando ancora stava al DuMort, lei era una ragazza molto sicura di sé, che non si lasciava abbattere da niente. Ma era ovvio che avesse paura. Come avrebbe potuto essere differente? Erano in un seminterrato buio e umido, buttate lì senza apparente motivo. Ma sapeva perfettamente che il motivo era lui. Non voleva. Non poteva! Non poteva uccidere qualcuno. Soprattutto non loro. Non se lo sarebbe mai perdonato. Doveva resistere. Chiuse gli occhi. Mentre ce la metteva tutta per non cedere, sentì qualcuno che se avvicinava a lui. Non aveva nemmeno bisogno di vedere chi fosse. Lo sapeva già. Era Non-Camille. Non voleva aprire gli occhi, non voleva vederla. Non voleva vederla prendersi gioco di lui. La sentì ridere, vicino a lui. Lei si stava divertendo. Le cose si sarebbero fatte davvero interessanti… Voleva proprio vedere che cosa avrebbe fatto adesso. Voleva davvero vederlo soffrire. Sperava che avrebbe cercato di impedire di essere il vampiro affamato che era, facendosi del male da solo. Sarebbe stato così divertente. Magari sarebbe impazzito, chissà. Ci sperava. Dopo quello che aveva fatto… Oh, no, non lo avrebbe mai perdonato per quello che aveva fatto. Le aveva tolto tutto quello che aveva. Le aveva tolto la sicurezza. Le aveva tolto la sua famiglia… E avrebbe pagato. Perché così doveva essere. Lui non poteva permettersi di fare tutto quello che voleva senza pagare le conseguenze. No. Ascoltò quei topi spaventati parlare in fretta, lì, in quella stanza poco illuminata. I Mondani erano davvero patetici. Non quanto gli Shadowhunters, però… Quelle due razze avrebbero dovuto essere eliminate. Non avrebbero dovuto esistere. Sapeva perfettamente che non era quello il piano di lui, ma poteva sempre sognare. Lui avrebbe solo reso grandi i Nephilim. E eliminato tutti i Nascosti. Loro non avevano fatto altro che ignorarla, se lo meritavano. Nessuno meritava davvero di sopravvivere. Solo i nuovi cavalieri angelici dei quali S.M. aveva parlato sembravano degni. Era un piano diabolico, quello di quel ragazzo, ma a lei certo non importava. Ora voleva solo la sua vendetta; era probabile che sarebbe morta prima che la Spada dell’Anima tornasse a compiere il suo compito. Non le importava. Rise piano, avvicinandosi a Raphael e sussurrandogli delle parole all’orecchio, sempre con un ghigno sulle labbra. Sapeva che lui poteva tentare di controllarsi fino a quando voleva, ma restava comunque un vampiro. Restava comunque una bestia. Era stata un’idea geniale, prendere quelle due Mondane. Proprio la famiglia del Diurno. Aveva trovato un modo facile di far soffrire entrambi in modo piuttosto semplice. Oh, no, certo. Le torture psicologiche subite dal “capo” Clan non erano che l’inizio. Era principalmente colpa sua, lui si meritava di peggio. I due topi si stavano parlando, piano, come per paura di essere sentite. Le facevano quasi pena. Quasi. Una volta anche lei aveva una famiglia. Bah, così tanto tempo fa che nemmeno se li ricordava. Qualcuno se lo ricordava benissimo. Non era stato il massimo della felicità stare con lei. Ci si adattava. E ora, la stava vendicando. Non le importava che lei l’avesse sempre tenuta nascosta, che non avesse mai parlato di lei, che la usasse per i suoi scopi, per i lavori sporchi. Non le importava che non l’avesse mai davvero amata. Aveva passato centinaia d’anni all’oscuro. Dicevano che era pazza, dicevano che era instabile. L’avevano sempre detto. Fin da quando era nata. Era sempre stata strana. Un’anomalia. Un aborto. Ora era anche un mostro, tanto meglio, pace all’anima sua. Tutti l’avevano sempre guardata come strana, solo perché era diversa. Lei, l’aveva sempre protetta. Sua sorella. L’aveva sempre amata anche se tutti gli altri la odiavano. L’aveva trasformata per il suo bene. Perché quando era diventata un vampiro aveva capito che non avrebbe più potuto proteggerla. Dagli sguardi degli altri. Da loro padre, che la picchiava perché non era normale. Lo avevano ucciso. Se lo ricordava ancora. Il sangue che colava sul pavimento di legno. La madre le aveva viste, era uscita di corsa e si era inginocchiata appena fuori la porta di casa, pregando, spaventata da quello che le sue figlie, le sue figlie dilette, erano diventate. Aveva ucciso anche lei. Era stato divertente. La moglie di loro fratello maggiore era scappata nel giardino, pur non potendo andare lontano, urlando, anche se nessuno poteva sentirla, tenendo il più piccolo dei suoi figli in braccio e il maggiore per mano. Non era andata lontano. Era caduta nella sua tomba, che sua sorella aveva scavato sotto un albero. L’avevano svuotata per metterci dentro i cadaveri. L’avevano trovata subito, con il collo spezzato, mentre ancora teneva per mano il maggiore, che non era sopravvissuto alla caduta. Il più piccolo ancora piangeva. Eliminando dalla mente tutti i loro piani, lo aveva sepolto vivo. Era ancora sotto la terra della Francia del Nord, morto da secoli. Loro fratello non aveva subito una morte meno tragica. Lo avevano prosciugato e poi buttato nel lago. Nessuno era sopravvissuto. Sua sorella le aveva detto che doveva anche essere una vendetta personale per chi le aveva sempre considerate poche. Camille la teneva al sicuro. E, adesso, per colpa di quel insulso vampiro che stava lì accanto a lei, di quello stregone che non aveva fatto altro che dimenticare sua sorella, e quello stupido Diurno, era imprigionata nella Città di Ossa. Per colpa di Raphael aveva perso il controllo del Clan. Camille non le aveva mai chiesto di vendicarla, ma lei voleva farlo lo stesso. Anche se aveva vissuto tutta la sua non vita in una bara, dimenticata, praticamente alle fondamenta dell’hotel DuMort. Perché era l’unico modo di proteggerla. Vivere nella sua ombra era sempre stato l’unico. Camille non le aveva mai chiesto di vendicarla, ma lei l’avrebbe fatto. Era suo dovere. Dopo tutto quello che avevano passato insieme. Adesso non avrebbero mai potuto rivedersi. Raphael avrebbe potuto cercare di controllarsi fino a quando voleva, ma non ci sarebbe riuscito. Erano bestie, tutti loro, tutti i vampiri. Arrivava il momento in cui non riuscivano più a pensare. Quando il pensiero della fame copriva ogni altro, lo annientava. Era la loro natura, non potevano sfuggirci.
-Sembrano così spaventate, no? Questo non sembra fare altro che aumentare l’odore del sangue… -Raphael non voleva aprire gli occhi. Non voleva vedere lei. Non voleva vedere niente. Voleva solo poter morire. Ma non poteva essere così facile. Non poteva sfuggire dai suoi problemi morendo per sempre. Doveva tirare avanti, come faceva sempre. Non era così che doveva fare. Tutti lo odiavano, tutti credevano che lui fosse un mostro, tutti sapevano che lui era un mostro, ma non poteva cedere. Era quello che la pazza voleva. Era quello che volevano tutti. E allora non avrebbe ceduto. Sarebbe andato avanti. Perché era così che doveva andare. Ma, in quel momento, la fame… La fame stava prendendo il sopravvento su di lui. Sulla sua mente. Poteva tentare di combatterla, ma era difficile. Quasi impossibile. Non-Camille sembrò avvicinarsi ancora di più, una delle sue mani era sulla sua guancia. –Forse dovresti lenire il loro dolore… -no. Perché la stava ascoltando? Non sapeva perché, ma le sue parole lo stavano facendo andare fuori controllo. Aveva bisogno di quel sangue. Proprio per quello avrebbe dovuto riuscire a controllarsi. Erano Elaine e Rebecca. Non poteva rischiare di ucciderle, non poteva. Ma per una volta anche lui cedette. Prima che potesse accorgersene, si era già alzato in piedi, era già scattato verso dove sapeva che c’erano le due donne, seguito dalla risata della vampira, guidato dall’odore del sangue. NO! Non poteva aver ceduto così facilmente, solo con delle parole. Non poteva. No. No! Tutto ma non questo. Ti prego! Salvatemi. Salvatemi! NO! SALVATEMI! PER FAVORE! Non si era nemmeno accorto di aver aperto gli occhi. Be’, dopotutto non si era nemmeno accorto di essersi alzato, praticamente. La risata di Non-Camille si era dissolta. Ora restavano solo lui e il rumore pulsante della sua fame. Le vide subito. Erano schiacciate l’una contro l’altra, vicino alla parete, come temendo attacchi alle spalle. Quello che lui avrebbe fatto loro, senza poter controllarsi, sarebbe stato terribile. Non poteva. Non poteva farlo. Doveva riuscire a controllarsi. Ma forse era troppo tardi. Riusciva a sentire ogni ferita che avevano addosso. Sapeva perfettamente dove erano, anche quando se le erano fatte. Sangue. Sangue. Riusciva a pensare solo a quello. Era l’unica cosa che sentiva, che vedeva, che voleva. Riusciva ancora a capire quello che gli stava attorno. Tutte le finestre erano oscurate, tranne una. Si trovava alla sua sinistra, i raggi del sole vi entravano e creavano un rettangolo di luce sul pavimento. Per qualche motivo, Elaine e Rebecca erano lontano da lì, erano alla sua destra, rifugiate tra il muro e le casse. Forse perché la luce era troppo lontana dalla sicurezza, era troppo lontana dalle pareti. Sembravano davvero sconvolte. E lui… NO! Non poteva, doveva ribellarsi. Era un vampiro, era un mostro, magari era sul serio una bestia. Ma doveva ribellarsi. Non poteva cedere al suo istinto. Gli animali non potevano ragionare. Lui poteva, lui doveva. Anche se l’odore del sangue lo stava offuscando. Non riuscì a ragionare, fino a quando Elaine non alzò lo sguardo su di lui, stringendo gli occhi, nella penombra. Rebecca stava tremando tra le sue braccia. Quando lo riconobbe –almeno, credeva che l’avesse riconosciuto, doveva essere in uno stato pietoso, praticamente una persona diversa; praticamente il mostro che era davvero -, sgranò gli occhi, incredula. Raphael aveva smesso di correre, stava camminando lentamente, aprendo e chiudendo le mani, cercando di impedirsi di cedere a quel mostruoso istinto. Elaine mormorò il suo nome, con voce debole. E, a quel punto, il capo Clan non vide più la famiglia di Simon. Vide la sua. Non aveva più davanti Elaine e Rebecca. Ma sua madre e Rosa. Sua madre scuoteva la testa. Tu non sei mio figlio. Mio figlio non è un mostro. Successe tutto incredibilmente in fretta, poi. Quasi senza che lui potesse rendersi conto delle sue azioni. Fece uno scatto in avanti, ma, invece di lanciarsi verso le due donne, riuscì a controllarsi e scivolò fino al rettangolo di luce. Non poteva uccidersi, non davanti a loro. Forse, con un po’ di fortuna, sarebbe successo e basta, sarebbe morto. Forse, i raggi del sole non si sarebbero limitati a colpire la sua mano, ma avrebbero bruciato tutto quello che c’era da bruciare, riducendolo in un mucchio di cenere. Ironico. Davvero ironico. Non stava urlando, lo sapeva. Forse solo nella sua testa. Non stava nemmeno soffrendo. Non riusciva a sentire niente. Era come se gli fosse stato strappato tutto il dolore. Come pensiero non aveva alcun senso, doveva ammetterlo. Ma non riusciva a pensare. Aveva smesso di riuscire a pensare da fin troppo tempo. Stava impazzendo. Stava davvero impazzendo. Era quello che voleva la pazza. Non poteva farci nulla. Anche per lui c’era un limite. Anche lui non poteva sopportare tutto. Era molto più fragile di quanto volesse ammettere. Non era fatto d’acciaio. Non era indistruttibile. Non lo era mai stato, voleva solo sembrarlo. Non riusciva più a pensare a niente, ormai. Non soffriva, eppure era disorientato. C’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato. Qualcuno stava urlando nella sua testa. E per una volta non era lui. Raphael! Solo il suo nome. Ma era un urlo tanto disperato che avrebbe potuto spezzargli il cuore. Sapeva che quella voce era familiare, ma… Isabelle. Era la voce di Isabelle. Perché Isabelle stava gridando nella sua testa? Cosa stava succedendo? Perché riusciva a vederla? Stava male. Stava malissimo. Era a Terra, immobile, con gli occhi spalancati davanti a sé. La sua mano… La sua mano stava bruciando. Davvero. Stava letteralmente bruciando, riusciva quasi a sentire l’odore della carne bruciata. Era colpa sua! Era lui a farla soffrire. Stava soffrendo per colpa sua! La mano di lei stava bruciando perché la sua stava bruciando, nel sole infido. Erano collegati. Non sapeva come, ma erano collegati. Si allontanò dalla luce con uno scatto, recuperando la sua vista. Forse avrebbe dovuto essere morto. Forse Isabelle l’aveva tenuto insieme. Erano collegati. Se lui si faceva male, lei si faceva male. Se lui moriva, lei moriva… Non poteva più farsi del male. Neanche per controllarsi. E allora come avrebbe fatto a controllarsi? Rimase immobile a terra, rifiutando di alzarsi. Adesso sarebbe davvero impazzito. Poteva ferire Isabelle, oppure rischiare di uccidere la famiglia di Simon. E non poteva fare nessuna delle due cose. No. Come poteva esserci qualcosa di peggio? Non c’era nulla. Il sole, il sangue, la risata di Non-Camille. La sua fame. Il suo dolore. No. Non poteva. No. Doveva essere solo un incubo. Non poteva essere vero. Qualunque cose avesse fatto, qualcuno avrebbe potuto morire. Che cosa poteva fare? Che cosa doveva fare?
 
Angolo autrice:
Alors, è molto probabile che un vampiro finisca in crispis facendo così, ma lasciamo perdere. Il mio povero Raphi è ancora in crisi tanto per cambiare. E sono in crisi anch'io. Ho il blocco dello scrittore :0 help. Ho solo ancora tre parti da pubblicare del prossimo capitolo ma poi sono in crisi. E tra tre settimane ricomcia la scuola e poi non riuscirò più a scrivere aaah. Ok, cerco di calmarmi. 
Spero di non spoilerare niente a nessuno, ma: se qualcuno dei miei lettori ha letto il libro di Shadowhunters, mi aiutate a capire il senso? Perchè Sebastian è morto? Che senso hanno gli altri tre libri se lui è morto? È perchè Jace è vivo?! Be', almeno la Rizzy non è davvero tornata come credevo, per fortuna. Ma dallo spoiler sembrava. Però è  tornata la Clace *-* E COSA HA DETTO VALENTINE ALLA REGINA? E PERCHÈ HANNO RAPITO MAIA? È PERCHÈ LA REGINA FLIRTA CON SIMON?!?!
Prossimo capitolo: SAPHAEL! (non ci speravate più, vero?), tutti vanno a salvare Raph eeed è tutto quello che ho scritto. 
Ci si risente tra tre giorni!
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi; anche perchè non ho ricontrollato il testo :/)
 

 

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Capitolo 13
*** Memento mori pt.1 ***


<< The fire in my heart
will burn me to the ground >>

 
Capitolo 8. – Memento mori (pt.1)
“So come trovare Raphael.”
-Dov’è Raphae… Oh. –la domanda gli morì in gola. All’hotel non c’era nessuno. Certo, che stupido, avrebbe dovuto aspettarselo. Era piena notte, dopotutto. Di sicuro erano tutti fuori a divertirsi. Fece qualche passo nella hall, lasciandosi cadere malamente sul divano d’oro. Poi, si ricordò di star ancora indossando il completo di Raphael, e si raddrizzò subito, mettendosi seduto, sperando di non averlo rovinato, altrimenti, era probabile che il vampiro più vecchio l’avrebbe ucciso. Era appena tornato dal non-matrimonio di Alec e Lydia, e non vedeva l’ora di raccontare l’accaduto a qualcuno. Come lo Shadowhunter era sceso dall’altare per andare da Magnus, era stato semplicemente… Wow. Il wow più grande di tutti. Non riusciva ancora a togliere quell’immagine dalla sua testa. Aveva fatto andare in estasi il suo fanboy interiore, insomma. Era stato come in quella scena de “Il Laureato”, ma dal vivo e… Wow. Ok, forse avrebbe dovuto calmarsi. Ma quando le persone vanno a un matrimonio, non si aspettano certe cose. E come i genitori di Alec avevano reagito, anche quello era stato fantastico. E a lui non sembrava importare molto. Sembrava troppo occupato con le labbra di Magnus… Scosse la testa, sorridendo come un idiota. Si guardò intorno. Quel quadro non gli piaceva, lo terrorizzava. E quelle statue? Non era troppo a rischio caduta? Per uno come lui sarebbe stato facile urtarne una per sbaglio, e allora chi lo sentiva più Raphael? Sbuffò, mentre il sorriso spariva lentamente dal suo viso. Cosa aveva intenzione di fare? Aspettare che il capo Clan entrasse nella hall per caso, per potergli finalmente parlare? Sarebbe potuto non succedere mai, e allora lui sarebbe rimasto seduto lì da solo come un cretino per tutta la notte. Forse avrebbe fatto meglio ad andare a cercarlo. Se era nell’hotel, e non fuori come tutti gli altri. Sapeva che quello che doveva chiedergli era completamente da pazzi, e che lui non avrebbe mai accettato. Camille doveva restare dove si trovava, e non poteva essere liberata per nessun motivo. Ma, si trattava della madre di Clary… Be’, questo non avrebbe mai convinto Raphael a lasciarlo parlare con lei. Però, non dovevano proprio liberarla, dovevano solo farle una domanda, nulla di così tragico. Era poco probabile che lei avrebbe detto loro dove si trovava il Libro Bianco senza voler niente in cambio, ma c’era sempre una vaga speranza. Ok, magari no. Si stava tormentando le mani, quasi involontariamente. Quanto tempo era passato da quando era arrivato? Due, tre ore? Prese il telefono e controllò l’ora. Era passati… due minuti. Simon sbuffò platealmente. Aveva bisogno di parlare con Camille, era per Clary. Sembrava che le sue possibilità si fossero risollevate, da quando la ragazza aveva scoperto di essere la sorella di Jace. Forse, finalmente, avrebbe considerato anche lui. Forse l’avrebbe visto. Forse non sarebbe più stato invisibile. Gli era sembrata piuttosto ammirata, vedendolo così ben vestito. Tutto merito di Raphael. Non sapeva come il vampiro più vecchio si fosse fidato, prestandogli un completo, vedendo come gli aveva rovinato tutte quelle giacche, ma era contento che l’avesse fatto. Quindi, se gliel’avesse rovinato, sarebbe stata la sua fine. Aveva bisogno di sapere dove si trovava il Libro Bianco, avrebbe dimostrato a Clary che poteva fare di tutto per lei e… Venne distratto da una serie di colpi provenienti dai piani superiori. Aspettò di sentire altro, ma tutto rimase silenzioso per parecchi minuti. Alzò le spalle, ricominciando a tormentarsi le mani. Che cosa doveva fare? Aveva davvero bisogno di vedere Raphael, non solo per parlargli del matrimonio o di Camille. Aveva quasi un bisogno fisico di vedere il suo viso. Non sapeva nemmeno perché. Quel pensiero lo fece sentire stupido, e anche molto imbarazzato. Non sapeva nemmeno che cosa volesse dire quello che aveva pensato. Pensava spesso a cose senza senso. Forse anche troppo. Era fatto così, cosa poteva farci. Sospirò un’altra volta, per impedirsi di fare cose stupide. Basta. Dai, dopotutto non era certo giorno, Raphael non avrebbe potuto lamentarsi se fosse andato a disturbarlo, non lo avrebbe svegliato. Fece la strada a corsa, tanto che si stupì di quanto in fretta si ritrovò davanti alla porta della suite di Raphael. Assunse un’espressione stranita quando sentì una risata quasi isterica provenire da dietro di essa. Questo era decisamente strano. Decise di entrare, pur sapendo che sarebbe stato meglio non farlo. Probabilmente Raphael si sarebbe arrabbiato. Quando mai non si arrabbiava con lui? Sembrava sempre che lo odiasse. Però, era stato lui a costringerlo ad entrare nel Clan. Non che gli dispiacesse, per la prima volta nella sua vita si sentiva davvero parte di qualcosa, non solo di una band con un nome ridicolo. Quella risata, che non accennava a smettere, lo stava davvero preoccupando. Gli faceva gelare il sangue nelle vene -non che normalmente scorresse, ma era lo stesso. Gli metteva paura. Aprì la porta con forza, facendo un paio di passi cauti all’interno della suite. Avrebbe voluto chiamare Raphael, ma dubitava che fosse una buona idea. Decise piuttosto di cercarlo, seguendo la risata. Lo stato in cui lo trovò gli fece dimenticare del matrimonio e del Libro Bianco. Persino di Clary. Il capo Clan era seduto a terra, appoggiato contro la parete, poco oltre il suo divano, e accanto a lui c’erano due bicchieri vuoti e uno mezzo pieno, che ancora teneva in mano. Stava ridendo senza motivo, i canini spuntavano dal suo labbro superiore e sembravano risplendere alla luce delle lampade. A Simon fece paura. Non l’aveva mai visto così, era strano. Gli andò vicino, e solo a quel punto l’altro sembrò accorgersi di lui. Smise di ridere tanto di colpo che al ragazzo fecero quasi male le orecchie, per quel silenzio improvviso. Solo in quel momento si accorse che, poco sopra la testa di Raphael, c’era un buco nella parete, e che le sue mani erano coperte di ferite che si stavano lentamente rimarginando. Almeno adesso sapeva cosa aveva provocato quei colpi, poco prima. Questo comunque non spiegava lo stato pietoso del vampiro più vecchio. Doveva aver bevuto il sangue tanto in fretta che gli era colato agli angoli della bocca, fin sul collo. Aveva un bel collo… Strizzò gli occhi. Non aveva senso, doveva restare lucido. Perché, non lo era? Avvicinandosi ancora di più, notò che sul pavimento c’erano dei cocci di vetro. Un bicchiere rotto. Quello che era certo era che il capo Clan gli doveva delle spiegazioni. No, non davvero, avrebbe benissimo potuto ignorare ogni domanda che gli avrebbe fatto. Simon non contava nulla, per lui. Non doveva dirgli proprio nulla. Allora lo avrebbe costretto a parlare. Il neo-vampiro si fece comparire un sorriso leggero sul viso, mentre gli domandava:
-Hai dato dei pugni al muro? –Raphael non gli rispose. Rimase incantato a fissarlo, piuttosto, con gli occhi scuri sgranati. Era strano. Sembrava quasi un bambino, incantato davanti a qualunque cosa. E perché avrebbe dovuto essere incantato da lui? Non doveva farci caso. Era chiaro che l’altro non stava per niente bene, non aveva idea di quello che fosse successo. Lo sguardo gli cadde sui bicchieri. Non c’era certo altra spiegazione logica. –Cos’hai bevuto? –il più vecchio ancora non gli rispose, così Simon cercò di prendergli il bicchiere che aveva in mano, ma lui lo strinse più forte, avvicinandolo a sé, soffiando. Non sentirlo parlare faceva paura. Gli sembrava di star discutendo con il gatto randagio che lui e Clary avevano trovato una volta, quando erano piccoli. Quel gatto spelacchiato aveva subito adorato la ragazza (non che Raphael adorasse Clary, ovviamente), ma odiato lui con tutte le sue nove vite. Non aveva fatto altro che graffiarlo e soffiargli contro. Anche quando cercava di essere gentile con lui, di parlargli. Almeno lui non era in grado di fare altro che miagolare, Raphael era perfettamente in grado di usare la sua lingua. Uh. Quella frase suonava piuttosto male. Be’, avrebbe potuto rispondergli. Ignorando le proteste del capo Clan, Simon gli strappò di mano il bicchiere, annusandone il contenuto. Il suo odore era talmente forte e pungente che gli fece lacrimare gli occhi. –Od… -come se non bastasse, gli venne spontanea quell’esclamazione, che gli causò bruciore in tutta la gola e gli scottò la lingua. Posò con calma il bicchiere a terra, anche se avrebbe voluto poterlo rompere.  –Che cos’è? –notò che ora Raphael lo stava guardando, con un leggero sorriso sulle labbra. Il neo-vampiro si sentì a disagio sotto il suo sguardo. Era abbastanza sicuro che non lo avesse mai guardato così. Lo stava guardando con tanta intensità da fare male. E adorante, come se avesse appena visto la cosa più bella del mondo. Simon avrebbe voluto voltarsi e controllare che non ci fosse nessuno dietro di lui, che il vampiro più vecchio stesse davvero guardando lui, ma non lo fece. Che pensiero stupido. Stava guardando lui, era ovvio. Ma gli sembrava strano. Si sentì terribilmente in imbarazzo. –S-sei ubriaco? –perché era ubriaco, vero? I vampiri si potevano ubriacare? A quanto pareva sì. Non c’era altra spiegazione logica a come l’altro si stava comportando. Lo odiava, non avrebbe avuto motivo di guardarlo così. Doveva odiarlo. Era certo che fosse così. Non sapeva quanto si sbagliasse. Era solo colpa sua se Raphael si trovava in quella situazione. Da quando se n’era andato per il matrimonio, il capo Clan non aveva fatto altro che stare sdraiato sul suo divano, a pensare a quanto Simon fosse bello con il suo completo. Aveva pensato di aver bisogno di vederlo ogni secondo. Aveva pensato di vederlo ogni secondo. Mentre sorrideva, felice, con la sua roja. Per toglierselo dalla testa, aveva deciso di bere quanto di più forte aveva, ma continuava a non riuscire a toglierselo dalla testa. Così aveva continuato. E non era stato più in grado di smettere. Era patetico, si faceva pena da solo. Non avrebbe dovuto comportarsi così, cedere al suo cuore, ma cosa poteva farci? Anche lui era umano, in fondo. Non riusciva più a ragionare, ormai. Era abbastanza sicuro che non si sarebbe ricordato nulla di quello che era successo, la mattina, la sera dopo o a qualunque ora si fosse svegliato. Non considerò che Simon si sarebbe ricordato tutto. Ma non riusciva a ragionare. Gli sembrava che il mondo vorticasse. Simon non aveva idea di cosa fare. Raphael non sembrava intenzionato a parlare, a collaborare con lui, ma non poteva certo andarsene e lasciarlo lì in quello stato. Si passò una mano tra i capelli, guardandosi intorno, come sperando di trovare un aiuto. Ma non c’era nessuno. Sospirò. Che disastro che era. Non poteva nemmeno aiutare i suoi… amici, quando ne avevano bisogno. Con tutte le volte, in situazioni anche peggiori, che il vampiro aveva aiutato lui… Avrebbe potuto, dovuto, farlo alzare e mettersi sul divano, o forse a letto. Di certo non poteva lasciarlo lì per terra, ubriaco com’era. Perché si trovava in quella situazione? Avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi e una bella dormita, invece di andare a cercarlo. Però, adesso, non poteva tirarsi indietro. Non era tanto difficile, doveva solo aiutarlo ad alzarsi… Ma, se gliel’avesse impedito, cosa avrebbe fatto? L’avrebbe sollevato a forza? No. Decisamente no. Come gli venissero certe idee, proprio non lo sapeva. Sarebbe stato terribilmente imbarazzante. Non poteva nemmeno lasciare che si comportasse come un gatto altezzoso. Doveva pur aiutarlo, in qualche modo! Va bene, ma non sapeva come fare. Si sentiva incredibilmente stupido. Come riusciva a essere così incasinato? Non riusciva a fare altro che disastri, non riusciva mai a fare nulla di giusto, e… Tutti i suoi pensieri smisero di correre, come poteva interrompersi improvvisamente una voce, quando Raphael gli posò una mano insanguinata sul viso. Batté le palpebre un paio di volte, perché non c’era verso che stesse succedendo davvero. Non aveva senso. Ma nulla con quel vampiro aveva mai senso, per lui. Lo confondeva come nessuno aveva mai fatto prima. Era l’unica persona in grado di fargli mettere in discussione i suoi sentimenti per Clary… No. Non aveva assolutamente senso quello che aveva appena pensato. Doveva dimenticare quello che aveva appena pensato. Era Raphael quello ubriaco, o lui? Nessuno avrebbe mai potuto mettere in discussione i suoi sentimenti per Clary. Non c’era nessuno che potesse fare qualcosa del genere. Lei era l’unica persona ad avere spazio nel suo cuore, glielo riempiva completamente… Ma, in quel momento, quel pensiero sembrava incredibilmente falso. Era innamorato della ragazza da così tanto tempo che credeva che nessuno avrebbe mai potuto sostituirla. Qualcuno avrebbe pur dovuto farlo, prima o poi. Probabilmente, in quel momento, era molto più poi che prima.
Per il capo Clan, il mondo smise di vorticare. Riuscì a mettere a fuoco solo il viso di Simon, se doveva essere sincero, tutto il resto era ancora una massa confusa di colori in movimento. Vide che le sue sopracciglia erano aggrottate, la sua espressione confusa. Lui non avrebbe mai capito, non doveva capire. Aveva paura che facendo così, non controllando le sue emozioni, avrebbe potuto fare un disastro. Quell’amore gli avrebbe spezzato il cuore. Lo sapeva, lo sapeva bene. Ma in quel momento non gli importò, riusciva solo a vedere il viso di Simon. Aveva cercato di scacciare i suoi sentimenti ogni momento, ma quella notte, aveva fallito miseramente. E ora non poteva tirarsi indietro. Tengas piedad de mí. Simon sapeva che se ancora fosse stato umano, in quel momento sarebbe stato tanto rosso da fare invidia a un peperone. Non si era mai sentito tanto imbarazzato in tutta la sua esistenza. Be’, sì, forse. Per cose anche più imbarazzanti, effettivamente, ma… Non sapeva quanto tempo fosse davvero passato. Gli sembrava di essere lì immobile da un’infinità di tempo. Smise di pensare, riusciva solo a sentire la mano di Raphael sul suo viso. Era una sensazione bellissima, per qualche motivo. Si sentiva al sicuro. Pur essendo imbarazzante come mai prima. Prima che potesse trovare la forza di fare o dire qualunque cosa, il capo Clan parlò, a voce bassa, con tono dolce, in spagnolo. Simon ne sapeva davvero poco
-decisamente niente-, quindi non capì.
-Sei così diverso da lei, da Dahlia. Lei aveva capelli chiari come il grano e occhi chiari come il cielo primaverile, mentre tu hai capelli scuri come terra di tomba e occhi color caffè… Oh, non suona molto romantico, eh? Ci sono anche altri ben evidenti motivi che ti differenziano da lei, ma è ovvio… -si lasciò sfuggire una risata amara. Che cosa stupida da dire. Ma non aveva potuto farci nulla. Era completamente incapace di controllare le sue parole, in quel momento. Non che potesse importargli di meno. In più, dubitava che il neo-vampiro capisse quello che gli stava dicendo, quindi non sarebbe stato un problema. Effettivamente, Simon non aveva capito nemmeno una parola di quello che aveva detto, ma, aveva capito quel nome. Dahlia. Si morse leggermente il labbro, sentendo un’improvvisa stretta al cuore. Forse, davvero Raphael non vedeva lui, ma qualcun altro. O forse avrebbe voluto vedere qualcun altro. Perché avrebbe dovuto essere contento di vedere lui? Oh, che cosa stupida. Che cosa avrebbe dovuto importargli se amava quella ragazza –se non era qualche sua parente o qualcosa del genere, ma a giudicare dal tono della sua voce, ne dubitava –e… Niente. Il suo leader era libero di amare chiunque volesse. Non doveva importare. Non importava, infatti! Cominciava a credere che, qualunque cosa fosse stata mescolata al sangue in quei bicchieri, avesse fatto effetto anche su di lui. Non avrebbe certo pensato certe cose, altrimenti. Lui amava Clary, maledizione! Aveva bisogno di rivederla. Ne aveva bisogno quanto aveva bisogno di respirare… Ma certo, lui non aveva bisogno di respirare! Bravo, Simon, hai trovato le parole giuste, proprio bravo. Che situazione… Voleva dormire. Decise di ignorare qualunque cosa Raphael avesse detto, e la morsa intorno al suo cuore, continuando ad attuare il suo piano iniziale. Mise la sua mano su quella del vampiro più vecchio, ancora sulla sua guancia, e gliela prese, staccandola dal suo viso. Quel contatto gli mancò come gli mancava il sole che tramontava, i colori gialli, rossi, azzurri e arancioni del cielo. Però, sentiva qualcosa che sembravano scosse elettriche attraversargli tutto il braccio per l’unione delle loro mani. Lo lasciò andare piano, pur non volendo separarsi da lui. Avrebbe voluto alzarsi e cercare un modo per portare Raphael sin sul divano, ma il capo Clan glielo impedì, afferrandolo per la giacca. Che era sua, tra parentesi. Se si fosse rovinata, non avrebbe dovuto prendersela con lui, la notte dopo. Non che ci fossero molte speranze di sopravvivenza per lei, da come il vampiro più vecchio stava affondando le unghie nella stoffa.
-No… -disse solo Raphael, con voce strozzata, come se facesse fatica a parlare. Simon sentì il suo cuore ricominciare a battere, il respiro irregolare. Non significava assolutamente niente, sapeva che l’altro era ubriaco, incapace di controllare sé stesso, ma il modo in cui lo aveva fermato, gli aveva ricordato come Alec aveva afferrato Magnus prima di baciarlo… Oddio. Sapeva che non significava nulla, che non sarebbe successo nulla, ma… Forse lo voleva? No. Assolutamente no. Basta, Simon. Non pensare a queste cose. Tu sei perfettamente eterosessuale. E anche se non lo fossi saresti sempre innamorato di Clary. Sei innamorato di Clary! Certo, certo che era innamorato della sua migliore amica. CERTO CHE LO ERA. L’unica, sempre l’unica. Ragazza. Ma… NO, l’unica persona della sua vita. Nel suo cuore c’era spazio solo per lei. Solo e soltanto per lei, sempre. Deglutì a vuoto, mormorando il nome del vampiro più vecchio. Avrebbe davvero potuto baciarlo da quanto erano vicini. Avrebbe solo dovuto chiudere gli occhi… Ma che cosa stava pensando? Raphael era completamente incapace di comprendere le sue azioni, sarebbe stato un disastro. Anche se, lui di certo non l’avrebbe ricordato… Simon sì, però. Appunto. Avrebbe fatto meglio ad aiutare il suo leader e non tornare più lì. Gli avrebbe chiesto la notte dopo se poteva parlare con Camille. Era andato da lui per quello, sul serio? Ormai credeva di essere andato lì per farsi confondere. Voleva davvero dormire. Forse stava già dormendo, e quello era tutto un sogno. Un incubo, piuttosto. Raphael sorrise. Simon deglutì a vuoto. Gli piaceva averlo così vicino, era quasi più inebriante della sensazione del sangue sulle labbra. No. NO. Era ora di smetterla. Il capo Clan continuò a parlare, senza essere più in grado di fermarsi, come prima non era stato in grado di smettere di bere.
-Dios, mi fai impazzire. Te l’ho mai detto che sei tanto bello che bruci più del sole? Probabilmente no. E probabilmente non hai capito anche ora che te l’ho detto… -Simon in effetti di nuovo non capì. In quel momento, avrebbe tanto voluto sapere lo spagnolo. Comunque, probabilmente il capo Clan stava delirando e dicendo cose senza senso, quindi non sarebbe cambiato molto. Ma gli sarebbe davvero piaciuto poter capire che le parole che pronunciava così in fretta e con quel tono… Gli faceva davvero sentire il battito del suo cuore nelle orecchie. Gli faceva venire voglia di scappare il più lontano possibile. Che cosa stava pensando? Perché lo stava pensando? Avrebbe dato di tutto per essere ancora quell’innocente Mondano che era poche settimane prima. Era stupido, non sapeva nulla di quel mondo. Non si sarebbe mai aspettato di entrare a farne parte. E non si sarebbe mai aspettato che avrebbe significato così tanto. O che avrebbe trovato il suo leader completamente ubriaco. O che avrebbe voluto baciarlo. No. No, non era vero. L’ultima cosa non era assolutamente vera. Non voleva baciarlo. Cioè, aveva delle belle labbra, ma… Agh. No. Eppure, perché continuava a negare? Perché la sua mente continuava a negare se il suo cuore gli urlava tutt’altra cosa? Ma che cuore e cervello. Clary. Lui. Era. Innamorato. Di. Clary. E lo sapevano bene sia il suo cervello che il suo cuore. Doveva rivederla, doveva riavere la certezza che lei gli dava. Scosse leggermente la testa, cercando di convincersi di avere ragione. Ma, se era vero senza possibilità di errore, perché continuava a doverselo ripetere? Sbuffò piano. A volte la vita era fin troppo complicata per lui.
-Sai, vero, che non capisco una parola di quello che stai dicendo? –domandò a Raphael, facendosi comparire un piccolo sorriso sul viso. Forse era meglio così. Decisamente era meglio così. Scosse di nuovo la testa. Non sapeva cosa fare. Non sembrava che il vampiro più vecchio fosse molto disposto a lasciarlo andare. Decise di provare a convincerlo. –Non ti posso aiutare se non mi lasci andare… -il capo Clan non smise di guardarlo e non gli rispose. Simon si chiese se l’avesse sentito.
Sapeva che era difficile parlare con qualcuno ubriaco, per esperienza… Ricordava quando sua madre soffriva di alcolismo, era stato orribile. Sì, ma Raphael stava esagerando. Oh, be’, a mali estremi, estremi rimedi. Mise le mani sulle braccia del più vecchio e lo separò a forza dalla sua giacca. Cavolo. Era abbastanza sicuro di aver sentito uno strappo. No, doveva essere solo suggestione. O forse davvero Raphael si stava aggrappando a lui come se fosse la sua unica salvezza. Ok, non sembrava così facile come suonava. Ma era davvero sicuro di riuscire… Era un vampiro, certo che poteva. Va bene, devo solo… Stava andando in crisi. Il suo leader lo stava guardando sogghignando, mentre lui si continuava a passare le mani tra i capelli, cercando di capire come fare. Il neo-vampiro gli lanciò un’occhiataccia. –Hey, non prendermi in giro! –non era decisamente andato lì per farsi ridere dietro. A dire la verità non era andato lì nemmeno per dover trattare con un vampiro ubriaco, ma non che adesso potesse tirarsi indietro. Riprenditi Simon, datti una svegliata e fallo e basta. Tanto, se lo fai cadere, è probabile che non se lo ricorderà più domani. Già, ma sarebbe stato comunque terribilmente imbarazzante. In un modo o nell’altro, riuscì a sollevare Raphael da terra, tenendo un braccio attorno alla sua schiena e l’altro sotto le ginocchia. Si lasciò sfuggire un commento. –Wow, credevo che pesassi di più. –il vampiro più vecchio rise piano, in modo quasi sarcastico, e solo allora Simon si accorse che aveva le braccia che gli circondavano il collo, le mani unite, la testa appoggiata alla sua spalla. Era probabile che, se fosse stato umano, avrebbe sentito il suo respiro sulla pelle… Uh, che cosa imbarazzante. Sembrava che quando era con lui, tutto fosse terribilmente imbarazzante.
-Non so se essere offeso o meno… -sorridi e annuisci, Simon. Sorridi e annuisci. Di nuovo non aveva capito quello che aveva detto, naturalmente. Raphael continuò, quasi ricominciando a ridere in modo isterico. –Lo so che non hai capito nulla. –passarono pochi secondi che il neo-vampiro glielo fece notare. –È quello che ho detto. –Simon decise di non dire più niente, era molto meglio stare zitto. Ogni volta che parlava diceva qualcosa senza senso, quindi era meglio tacere. E poi, avere il suo leader così vicino, lo inebriava. Avrebbe voluto che non fosse così, ma non poteva mentirsi per sempre. Portò il capo Clan fin al suo letto. Com’era possibile che le cose si facessero sempre più imbarazzanti? Ugh. Che situazione. Avrebbe tanto voluto dormire davvero. Il suo cervello continuava a produrre pensieri che doveva scacciare di continuo. Non era possibile essere così confusi. Lui era innamorato di Clary. Gli stava venendo mal di testa. Che situazione insopportabile. Avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi, così, in quel momento, non sarebbe stato lì. Si sentì subito in colpa, dopo aver formulato quei pensieri. Se lui non fosse stato lì, nessuno avrebbe aiutato Raphael, e il vampiro più vecchio sarebbe rimasto a terra, ubriaco, a dare pugni al muro e ridere come un isterico. Era meglio così, in fondo. Anche se il suo cervello era pieno di pensieri maligni che gli facevano dubitare del suo amore per Clary. Basta, doveva ammetterlo, non poteva fingere di non provare niente. Per quanto cercasse di negarlo, il suo cuore fermo gli diceva il contrario. Riusciva quasi a sentirlo battere, tanto era agitato. Avrebbe fatto una crisi isterica, andando avanti così. Non doveva pensare a Clary… Non avrebbe dovuto, ma non poteva farci nulla. Avrebbe voluto uccidersi per essere così stupido. E così inutile. Sbuffando di nuovo, lasciò scivolare il suo leader sul letto. Peccato che si fosse dimenticato che aveva ancora le mani unite dietro il suo collo, quindi si ritrovò quasi a cadere sopra di lui. Raphael aveva ancora quello sguardo trasognato. Ora, però, non stava guardando lui, stava osservando il vuoto. Parlò di nuovo, e ancora Simon non lo capì. Avrebbe voluto urlargli di parlare in inglese, ma sapeva di non poterlo fare. Doveva solo accettare di non capire nemmeno una parola. –Molto eroico portarmi fin qui. Mi ricordo quando sono stato io a sollevarti così… Tu probabilmente no, eri un po’ a corto di vita… -rise di nuovo, e, questa volta, la sua risata suonò terribilmente inquietante, per qualche motivo. La mente di Simon correva incredibilmente veloce. Non sapeva esattamente verso dove. Ma i suoi pensieri erano confusi, quasi più di lui. Avrebbe tanto voluto capire quello che sentiva dentro, piuttosto che le parole di Raphael. Prima che potesse impedirlo –questa volta non era tanto sicuro di volerlo fare –lasciò scorrere lo sguardo sul viso del suo leader. Come aveva fatto a non notare mai quanto fosse bello? Si sentì arrossire terribilmente, ma, dato che era un vampiro, probabilmente il rossore era ben poco. Fatto stava che aveva pensato quello che aveva pensato e non poteva negarlo. Non questa volta. Le mani di Raphael si spostarono da dietro il suo collo fin sul davanti della giacca, di nuovo. Se poi davvero l’avesse rovinata, non avrebbe potuto lamentarsi con lui, però. Sarebbe stato ingiusto. Le sue mani si spostarono quasi contemporaneamente agli occhi di Simon, che si posarono sulle sue labbra. Aveva davvero delle belle labbra, non che potesse negarlo. Forse avrebbe dovuto. Avrebbe voluto baciarlo. In quel momento ne sentiva bisogno più di quanto sentisse il bisogno del sangue… No. Basta. BASTA! Non sapeva che cosa ci fosse dentro quel bicchiere, ma doveva, DOVEVA, aver fatto effetto anche su di lui. Non c’era altra spiegazione. Non avrebbe mai pensato cose del genere, altrimenti. Doveva andarsene, doveva andarsene da lì in fretta, e non voltarsi indietro. Adesso aveva aiutato Raphael, non c’era più bisogno di lui, lì. Avrebbe telefonato a Clary e le avrebbe detto che non era ancora riuscito a parlare con il capo Clan. Forse solo perché doveva sentire la voce della rossa, riavere la certezza che lei gli dava. Togliere quella confusione dalla sua testa. Spinse via il vampiro più vecchio, con più forza di quanta avrebbe voluto metterci, e si voltò per andarsene. Forse avrebbe dovuto correre. Non sapeva perché non l’avesse fatto. Ora, era troppo tardi per rimediare. Non riuscì a fare che pochi passi, poi sentì il capo Clan chiamarlo, con voce rotta, in un singhiozzo. Tornò tanto in fretta indietro che rischio di sbattere contro la parete dietro il letto di Raphael. Quest’ultimo, nel frattempo, si era alzato in piedi, barcollando. Guardandolo, Simon vide che lacrime scarlatte gli colavano sul viso. L’aveva fatto piangere. Era stata colpa sua. No. Non era stata colpa sua. Il suo leader era ubriaco, era ovvio che fosse instabile, che non riuscisse a controllarsi. Non sapeva cosa fare. Rimase fermo a guardarlo, senza sapere di aver provocato quelle lacrime. Forse avrebbe dovuto chiedergli cosa fosse successo, ma forse non era successo niente. Forse l’alcol l’aveva reso più emotivo, o qualcosa del genere. Non che potesse esserci altra spiegazione. Fece un passo avanti, verso di lui, e anche Raphael si avvicinò, tanto in fretta che si scontrarono a metà strada. In pochi secondi, si ritrovarono abbracciati, tenendosi tanto stretto che avrebbero potuto soffocare, se fossero stati umani. Il vampiro più vecchio stava piangendo sulla spalla del più giovane, singhiozzando. Simon non sapeva davvero che cosa fare. Teneva le mani sulla schiena dell’altro. Avrebbe voluto confortarlo, ma non sapeva come fare. Non sapeva nemmeno quale fosse il problema. Ma, come aveva detto, era probabile che non ci fosse nessuno problema. Era ubriaco, non ci si poteva aspettare né di più, né di meno. Vederlo piangere lo feriva dentro, lo colpiva come un paletto dritto nel cuore. Raphael sapeva di essere patetico, ma non gli importava. Probabilmente non si sarebbe ricordato niente. Per una volta voleva smettere di fingere di non sapere, di non vedere. Poi, avrebbe ricominciato a fingere che quel sentimento non fosse lì. Aveva finto fino a quel momento, poteva di certo continuare. Non sarebbe stato così difficile. Sapeva che Simon avrebbe ricordato, ma non sarebbe importato. Anche Simon si sarebbe detto che lui era ubriaco e non capiva quello che stava facendo. Capiva perfettamente, aveva solo perso un po’ il controllo. Forse un po’ troppo. Sapeva quali pensieri poteva farsi il neo-vampiro… No, tutto questo di certo non significava nulla per lui. Così come le sue parole.
-Sto cadendo così in fretta… So che arrivare a terra sarà terribile. –mormorò nella spalla di Simon, che, questa volta, invece di solo non capirlo non riuscì nemmeno a sentirlo. Non che Raphael pensasse che quello fosse un problema. Ma una parte di lui avrebbe voluto dire la verità
–dire la verità in una lingua comprensibile anche all’altro -, perché così faceva troppo male. Dire la verità, forse, avrebbe fatto anche più male. Ammettere quello che sentiva avrebbe fatto più male… Quello che sentiva faceva male. Non avrebbe mai dovuto bere così tanto. Sapeva perfettamente che Simon non vedeva altro che la Fairchild. Era sempre lei, nessun altro. Quanto la odiava. Avrebbe voluto ucciderla. Come faceva a non accorgersi di quello che il suo migliore amico provava per lei? Era forse cieca? Avrebbe dovuto essere felice di avere l’amore di Simon. Era tutto quello che avrebbe voluto lui. E che non avrebbe avuto mai. Sapeva perfettamente che il vampiro più piccolo si meritava molto di meglio di lui. Lui era dannato e solo un mostro. Non sapeva davvero per cosa stesso piangendo, ma non aveva potuto controllarsi. Aveva ceduto quando Simon era stato sul punto di lasciarlo lì da solo, e lui non voleva restare da solo. Aveva paura. Non sapeva nemmeno di cosa. Sentiva un immenso freddo dentro di sé, aveva paura che gli avrebbe ghiacciato il cuore e che non sarebbe mai più stato in grado di provare niente… Non era quello che aveva sempre voluto, dopotutto? Sì, ma in quel momento poteva volere tutto meno quello. Non quello. No. Faceva male, avrebbe fatto male, ma non per questo era una cosa brutta. Era… Più inebriante del sangue. Rise piano, in modo sarcastico, mentre le lacrime non smettevano di colargli dagli occhi. –Siamo entrambi follemente innamorati. Io di te, e tu di lei. –Simon si accorse che le cose si erano fatte progressivamente più imbarazzanti da quando era entrato in quella suite. Non l’avesse mai fatto. Ma, se non l’avesse fatto, non avrebbe potuto vedere quella versione di Raphael. Un po’ meno controllata, un po’ meno fredda. Che parlava in modo incomprensibile e piangeva. Sulla sua spalla. All’improvviso si ricordò di indossare ancora il suo completo, che probabilmente si stava macchiando di sangue. Molto, molto, sangue. Avrebbe fatto meglio a lavarla prima di dargliela indietro. Altrimenti, era probabile che sarebbe stato ucciso. E non sarebbe nemmeno stata colpa sua. Forse avrebbe fatto meglio a farglielo notare… No. Il capo Clan sembrava così vulnerabile, tremante tra le sue braccia. Voleva solo… Titubante, mosse piano il braccio e sollevò una mano, passandola tra i capelli del più vecchio. Lui non si spostò, anzi, si strinse di più a Simon. Sentirlo piangere stava diventando davvero insopportabile. Il neo-vampiro fece quel commento che aveva voluto fare poco prima, sperando che in quel modo avrebbe tirato su il morale del suo leader. Non che sembrasse una cosa facile, conoscendolo. Ma almeno doveva provarci. Cominciava ad odiare quella situazione.
-Se la tua giacca non sopravvivrà, non prendertela con me, però. –Raphael non voleva sentire la voce di Simon. No, gli faceva male sentire la sua voce, per qualche motivo. Gli metteva agitazione. Aveva paura che potesse parlare in inglese e fare un disastro, anche se dubitava che sarebbe successo. Però, forse, avrebbe potuto voler dire quello che avrebbe voluto dire così tanto che non avrebbe potuto controllarsi.
-Zitto. –disse solo, e, prima che Simon potesse accorgersi di quello che stava succedendo, si ritrovò sdraiato sul letto, con Raphael sopra di lui, che non sembrava intenzionato a lasciarlo andare. Ok, le cose stavano degenerando. O forse, erano solo i pensieri che correvano nella sua testa a farle degenerare. Nulla avrebbe potuto essere più imbarazzante di quel momento. Ad essere sinceri, sì. Oh, non importava. Era abbastanza sicuro di essere davvero rosso come un pomodoro in quel momento, il suo vampirismo non cambiava le cose. Il suo leader lo guardò, sorridendo ancora in quel modo adorante. Forse non era nemmeno ubriaco, voleva solo metterlo in imbarazzo. Va bene, non sembrava una cosa molto fattibile, ma Simon aveva smesso di riuscire a ragionare. Voleva dormire. Voleva dormire, svegliarsi e scoprire che era stato tutto un sogno troppo bello per essere vero… INCUBO. Un incubo. Un terribile incubo. Uno dei peggiori. Oh, ma chi vuoi prendere in giro, Simon. Smettila di comportarti come un cretino. Ma lui era un cretino? Solo perché si comportava come tale; avrebbe potuto evitare di essere così. Tentò di dire qualcosa, tanto per sciogliere la tensione. L’imbarazzo. Quello che era poi.
-Uuuh, non vuoi proprio lasciarmi andare? –Raphael scosse la testa, continuando a sorridere come un bambino a Natale. Che similitudine inquietante. Non riusciva a immaginarsi un Raphael bambino estasiato dal Natale. Che pensieri stupidi. Ok, ok, cosa poteva fare? Nulla. Decisamente nulla. Non era nemmeno tanto sicuro di voler fare qualcosa. Il capo Clan gli appoggiò la testa sul petto e di nuovo Simon riuscì a sentire il suo cuore battere. Oddio, come non aveva mai visto il suo leader così adorabile? No, non era adorabile. Sì. No. Sì. No! SÌ! Noo… Sì. Il suo cervello doveva darsi una calmata. Adesso. Subito. E il suo cuore poteva smettere di avere balzi improvvisi. Gli sarebbe venuto un ictus celebrale. Calmati, Simon. SUBITO! Almeno era felice che Raphael sorridesse di nuovo, dopo che l’aveva visto –sentito –piangere sulla sua spalla. Era una cosa che non voleva ripetere mai. Probabilmente non sarebbe mai successo. –Ehm, abbiamo ancora le scarpe. –il vampiro più vecchio non rispose niente, rimase fermo immobile com’era. Voleva fare anche le fusa, adesso? Simon avrebbe voluto dirgli che era un po’ troppo cresciuto per fare il gatto. Non che avrebbe ottenuto molto con questo. Sembrava che l’altro avesse ormai smesso di ascoltarlo. –Va bene. Se non ho altre possibilità resterò qui. –no, decisamente non sembrava averne. Cercando di ignorare l’imbarazzo, chiuse gli occhi. Non credeva che si sarebbe addormentato così facilmente, soprattutto considerato che era ancora vestito –nemmeno con vestiti suoi. Ma, la sola presenza di Raphael era in grado di metterlo terribilmente a disagio e di calmarlo incredibilmente. Una cosa un po’ contraddittoria, ma faceva lo stesso.
Qualcuno stava parlando. Mh, ancora cinque minuti. No, sentiva ancora la voce. Ora qualcuno lo stava anche scuotendo per la spalla, poco dolcemente. Una voce lo chiamava. Non aprì nemmeno gli occhi, borbottò qualcosa che suonava come “no, mamma, oggi non posso andarci a scuola, sono malato”. Quando una voce gli rispose malamente che non doveva preoccuparsi, era già morto, aprì cautamente un occhio. Ah, già, era un vampiro. La vita faceva decisamente schifo. Life DEATH-finitely sucked. Quando mise a fuoco il viso della persona che incombeva su di lui, aprì anche l’altro occhio, di scatto. Cosa, dove, quando, perché, chi… Quella non sembrava la sua stanza. Perché quella non era la sua stanza! Oh. Cavolo. Cercò di capire cosa stava succedendo, perché, come sempre, quando si era appena svegliato, era un po’ confuso. Era sdraiato su un fianco.  Abbassando gli occhi, vide solo una massa disordinata di capelli neri. Oddio. Raphael. Aveva dormito insieme a Raphael. Il suo leader. La persona che più gli metteva confusione in quella vita morta. L’unica persona che lo odiava più di quanto odiasse sé stesso… Da quello che era successo la notte prima, non era sembrato affatto, ma era piuttosto sicuro che fosse così. Oh. Era probabile che il vampiro più vecchio non fosse più ubriaco, adesso. Certo, magari doveva riprendersi dalla sbornia, ma… Sbuffò piano. Doveva ammettere che non voleva separarsi da lui. Lo stava stringendo tra le braccia, sentiva di volerlo quasi proteggere. Per qualche motivo, gli ricordava come stringeva quel pupazzo di Darth Vader che aveva da piccolo, prima che Clary gli facesse fare una brutta fine. Ma il capo Clan non era un pupazzo di Darth Vader! Che cosa imbarazzante. Ah, già. Era stato tutto piuttosto imbarazzante, la notte prima. Forse era lui a rendere le cose imbarazzanti, non lo sapeva. La testa di Raphael era premuta contro il suo petto. Le loro gambe si erano intrecciate, durante la notte. Simon si stava perdendo nei suoi pensieri, poi si ricordò di Lily, che era in piedi al bordo del letto. Alzò lo sguardo su di lei, sorridendo in modo stupido. Quella ragazza lo spaventava a morte, a volte. Non che non fosse simpatica, per carità. Era solo un po’ inquietante, forse. In quel momento, la vampira lo fissava, un sopracciglio leggermente alzato, le braccia incrociate. Voleva proprio sentire la storia dietro quello che stava vedendo. Il neo-vampiro pensò a cosa dire, stringendo di più Raphael a sé, involontariamente. Non voleva fargli fare la stessa fine del pupazzo di Darth Vader. Era andato a fuoco. Ironico. “Ciao, Lily. Uh, niente di che, quando sono tornato dal matrimonio di Alec e Lydia, che non è avvenuto perché lui è praticamente fuggito con Magnus, ehm, sono venuto qui per chiedere a Raphael se potevo parlare con Camille, e l’ho trovato ubriaco. Ho, uh, deciso di aiutarlo e non mi ha lasciato più andare. Ah, ho già accennato al fatto che ho avuto voglia di baciarlo almeno una ventina di volte? No. Ops.” No. Decisamente non poteva dirle qualcosa del genere. Be’, magari poteva eliminare qualche pezzo del discorso e dire il resto. Fece per parlare, quando Lily gli mostrò il bicchiere mezzo vuoto che lui aveva appoggiato sul pavimento.
-Roba bella forte, questa. –il neo-vampiro fu tentato di chiederle che cosa fosse, ma decise di non farlo. Però, hey, lei non poteva certo prendersela con lui se il loro leader si era ubriacato. Fece ancora per dire qualcosa, ma suonò di nuovo terribilmente stupido, nella sua testa. La vampira scosse la testa, fermandolo prima che potesse dire qualunque cosa. –Ok, ok, non voglio nemmeno sapere che cosa è successo. –la verità era che, quando aveva trovato i due che dormivano pacificamente in quella posizione, aveva sentito un’ondata di gelosia salirle dentro. Aveva subito dovuto separarli, in qualche modo. Svegliare Simon le sembrava la soluzione migliore. Considerando che aveva capito che Raphael doveva essersi ubriacato, avrebbe fatto meglio a non svegliare lui. E poi, sapeva che da ubriachi si potevano fare cose che non si voleva. Dubitava che questo fosse il caso, ma… Oh. Basta. Doveva smetterla. Notando lo stato del neo-vampiro, disse:
-Hai un po’ di sangue… -si indicò la spalla, per fargli capire cosa intendeva. Già, un po’ di sangue sulla spalla. Un po’. Doveva mettere a posto anche quello. Si separò cautamente da Raphael, per paura di svegliarlo, e si alzò, a malincuore. Doveva andare a mettersi qualcosa di più presentabile, qualcosa di più “Simon”, possibilmente, e poi chiedere al suo leader la cosa di Camille. Uscì dalla stanza correndo, ignorando Lily, che lo seguì con lo sguardo. Quando se ne fu andato, sospirò, lasciando che nei suoi occhi si insinuasse la tristezza. Si sedette piano sul letto. Non sembrava che Raphael si fosse svegliato, e in più le dava le spalle, così non doveva vederlo in viso. Sarebbe stato imbarazzante, in quel momento. Allungò una mano e gli sfiorò i capelli, dolcemente, con un sorriso amaro. Sperava che non si fosse lasciato sfuggire troppo con Simon, altrimenti sapeva che lui non se lo sarebbe mai perdonato. E nemmeno lei, se doveva essere sincera. Quella situazione la faceva impazzire. Ma, se il capo Clan era felice così, sarebbe stata felice anche lei. Prima che potesse controllarsi, delle parole sfuggirono dalle sue labbra.
-In che casino ti sei cacciato, amore mio… -mormorò, correndo via subito dopo, mentre una lacrima, silenziosa e rossa come la rabbia cieca nel suo cuore morto, le scivolava sul viso.
Raphael si svegliò poco dopo, a causa della testa che pulsava. Appena aprì gli occhi, passo tutto, ma non era davvero sicuro di sentirsi bene. Si sentiva come se gli mancasse qualcosa. Non ricordava assolutamente nulla di quello che era successo la notte prima, da quando aveva cominciato a bere… Si accorse subito che sulle sue coperte c’era un odore diverso dal solito… Era un buon bagnoschiuma, ma non sembrava il suo. Dove l’aveva già sentito… Simon. Era quello che usava Simon. Era stato lì. Nel suo letto? Sperava di non aver fatto nulla che avesse montato la testa al neo-vampiro. Anche se ne dubitava, ma sapeva quello che… Si passò una mano sul viso. Sperava di non avergli detto cosa che non voleva dirgli. Era anche probabile che quando era ubriaco parlasse spagnolo, ma come faceva ad esserne certo? E come faceva ad essere certo che l’altro non capisse lo spagnolo? No, credeva di no. Ma comunque il dubbio c’era. Voleva ricominciare a dormire… No, avrebbe fatto meglio ad alzarsi. Avrebbe fatto meglio a recuperare il lavoro che aveva di certo perso ubriacandosi la notte prima. Poi, avrebbe parlato con Simon. Doveva chiedergli esattamente cosa fosse successo. Era piuttosto preoccupato. Poteva avergli detto quello che cercava di negare persino a sé stesso? No, non doveva pensarci. Voleva farsi una doccia. Doveva togliersi quell’odore di dosso. Avrebbe parlato con Simon. Non in quel momento, ma sì. Simon stava pensando la stessa cosa. Non poteva tacere su quello che era successo la notte prima, non poteva tacere su quello che aveva sentito… Ah, come no. Su quello avrebbe dovuto tacere. Non aveva sentito assolutamente nulla, doveva essere stato inebriato da qualunque cosa ci fosse nel bicchiere. Doveva comunque chiedere spiegazioni. Entrambi si ritrovarono a chiedersi poi cosa sarebbe potuto succedere se davvero fossero riusciti a parlarsi e chiarirsi. Forse niente. Forse tutto. Ma non lo scoprirono mai. Non ne parlarono mai. Tutto quello che avevano avuto e che avrebbero potuto avere venne spaccato da così tante crepe che sarebbe potuto crollare. Non crollò. Forse, con molto collante, avrebbero potuto rimetterlo insieme, ma ci sarebbe voluto del tempo. Solo perché Simon era stato stupido. Aveva rivisto Clary e con lei era tornata la sicurezza che lei gli dava. E non aveva potuto fare niente se non aiutarla, ricominciare a starle dietro come un cagnolino. Era un vampiro, maledizione, non un lupo mannaro! Clary lo teneva in prigione, dietro sbarre d’oro, e lui lo avrebbe capito solo più di due mesi dopo.
“Mi hai molto deluso.”
“So come trovare Raphael.”

Angolo autrice: 
Sooo, questa lunghissima e affascinante parte è una Saphael! Yay! *beve un sorso di Bloody Mary, sputacchiando i glitter che ci sono finiti misteriosamente dentro* Ma, l'avrete notato :) Da uno a dieci, quanto pensate che Simon sia stupido? No, perchè, lui è innamorato di Clary, sempre e comunque. Giiià, come Romeo era innamorato di Rosalina ma si è dimenticato di lei appena ha visto Giuglietta (sì, con la gl u-u)... *si dà fuoco per il riferimento senza senso a Romeo e Giulietta*. Comunque, all'inizio volevo che Simon fosse ultra convinto su Clary, ma poi ho pensato che magari sapeva vagamente di provare vagamente più che amicizia per Raphi, però, poi ha tradito il Clan quindi niente... Sono una persona orribile. Riguardo ai vampiri ubriachi, ho notato nell'episodio 2x15 che non si ritrovano con chissà che tremenda sbornia, dato che Simon si è ripreso quasi subito quando si è svegliato (anche se non si ricordava un cribbio, ma vabbè). In realtà non so, ma fate finta di niente. Alors, ci rivediamo dopodomani: i nostri Shadowhunters +vampiro +stregone andranno a salvare Raphi, finalmente. 
Cieu :D *fa ciao con la mano mentre Magnus fa cadere dei glitter davanti a lei*
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi; anche perchè non ho ricontrollato il testo :/)
 

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Capitolo 14
*** Memento mori pt.2 ***


Capitolo 8. – Memento mori (pt.2)
“So come trovare Raphael”. Quelle erano state le prime parole di Isabelle, quando aveva ripreso conoscenza. Dopo averla vista precipitare verso terra davanti ai loro occhi, Alec l’aveva sollevata e l’aveva portata nella sua stanza, mettendola preoccupato sul letto. Non erano nemmeno tanto sicuri di quello che era successo. Era semplicemente caduta indietro. Era rimasta lì per qualche secondo, sul pavimento fuori dall’Istituto, con gli occhi spalancati. Poi. Poi la sua mano aveva cominciato a bruciare. Letteralmente. Avevano potuto sentire l’odore della carne bruciata. Era stato terribile. Clary non aveva saputo trattenersi e aveva urlato, sconvolta. Isabelle non aveva chiuso gli occhi nemmeno in quel momento. Le erano improvvisamente diventati velati, quasi del tutto bianchi. Tutti si erano precipitati su di lei quasi all’unisono, anche sapendo che avrebbe attirato l’attenzione dei Mondani. La sua mano stava bruciando. E non era certo una cosa normale. Era successa una cosa del genere a Clary, due mesi prima, ma almeno lì c’era stata una spiegazione logica. Qui non c’era, ed era stato incredibilmente più terribile. Avevano aspettato per quasi due ore, prima che Izzy si alzasse in piedi. Non era sembrata nemmeno in quel momento stare bene. I suoi occhi erano ancora opachi. Eppure sembrava vedere. “So come trovare Raphael”, aveva detto, e nessuno riusciva ancora a capire come. Eppure le credevano, sapevano che era la verità, per quanto fosse strano. Anche se adesso a quanto pareva erano parabatai, nemmeno in quel modo avrebbero dovuto potersi trovare così facilmente. Non c’era stato modo di convincerla del contrario. Lei sapeva dov’era Raphael, e allora sarebbero andati lì. Nessuno le aveva domandato come facesse a sapere il luogo esatto, avevano soltanto preso delle armi e l’avevano seguita, mentre camminava sicura per le strade di New York. Era stato incredibilmente strano. Era strano vederla con quegli occhi. Facevano paura. Era come se fosse cieca. Nemmeno Isabelle sapeva bene cosa stesse accadendo. Ma, per quanto i suoi occhi fossero offuscati, aveva saputo con certezza dove andare. Sapeva perfettamente dov’era il suo parabatai. Sì, era incredibile, ma sapeva di poterlo chiamare così. Non era mai stata più felice di qualcosa nella sua vita, anche se faceva male. Faceva male, aveva una mano praticamente arrostita, ma ne valeva la pena. Lo sapeva. Avrebbe potuto soffrire tutte le pene dell’Inferno per lui. E forse per nessun altro. Era sicura di andare nella direzione giusta. Non si erano nemmeno cambiata i vestiti, aveva ancora quelli della sera prima, di quando aveva sentito quel dolore. E quelle urla non sue. Seppur non le avesse sentite, adesso sapeva che erano state lì anche in quel momento. Qualcuno stava urlando nella sua testa. Raphael stava urlando nella sua testa. La stava pregando di salvarlo. E lei lo avrebbe fatto, non c’era dubbio. Anche se avesse per caso dovuto soffrire. Non importava. Nulla contava più di lui. Non si era nemmeno cambiata i vestiti. Erano tutti stropicciati, e, sì, forse anche fin troppo usati. Ma non importava. Non riusciva a vedere, eppure riusciva a vedere benissimo. Era contenta che tutti fossero andati con lei, era contenta che per una buona volta avessero deciso di aiutarla. Stava camminando davanti a tutti, con il leggero vento freddo del pomeriggio che le scompigliava i capelli. Dietro di lei camminavano Alec e Lydia, che le lanciavano occhiate preoccupate. Il giovane Lightwood stava diventando ogni secondo più preoccupato per la sorella. Tutto quello che stava accadendo non era affatto
normale. Prima c’era il dolore che non era suo, poi quella runa che non avrebbe dovuto essere lì, creata con la necromanzia, poi la sua mano bruciava, e adesso aveva gli occhi offuscati e acclamava di sapere dove fosse Raphael. Tutte quelle cose non avrebbero dovuto essere possibili. Eppure erano successe, e forse doveva farsene una ragione. Magnus camminava appena dietro di lui. Alec gli lanciò un’occhiata, e lo stregone sorrise debolmente.
Sperava davvero che lui non fosse arrabbiato perché gli aveva tenuta nascosta la verità. Era stato meglio così, era stato meglio continuare a mentire, lo sapeva bene. Tanto, ora che tutti erano al corrente dei fatti, non sembrava cambiato molto. Non sapeva se essere felice o meno che Simon non avesse colto il suo riferimento a lui. Va bene, l’aveva soltanto guardato due secondi di più, ma credeva che, con quello che gli aveva detto settimane prima… Be’, credeva che avrebbe fatto un collegamento. Ma, a quanto pareva, il vampiro sapeva essere stupido a livelli incredibili. Forse era meglio così. Altrimenti Raphael lo avrebbe ucciso. Se fossero davvero riusciti a ritrovarlo. Confidava in Isabelle, e sapeva che quello che era successo non sarebbe dovuto essere possibile, quindi, forse anche questo era possibile. La ragazza sapeva davvero dove si trovava il suo parabatai. Questo era decisamente strano da dire, ma non potevano farci nulla. Lydia stava camminando accanto ad Alec, tenendo gli occhi sulla figura di Isabelle, che avanzava decisa. Era confusa da quello che era successo. Ogni volta che succedeva qualcosa tra lei e la giovane Lightwood, venivano bruscamente interrotte da qualcosa. Era confusa. Che cosa aveva voluto dire la mora dicendo quella frase e prendendola per mano. Era davvero possibile che? No. No, non era possibile. Non poteva sperare una cosa del genere. Isabelle era… Oh, Isabelle era tutto quello che voleva. Ma era troppo per lei. Erano diverse. Izzy era una combattente, non si sarebbe lasciata abbattere da niente, non era ingenua come lei. Lei era stupida. E non poteva essere felice. Era qualcosa che aveva imparato andando avanti nella vita. Lei non poteva essere felice, ma la mora si meritava tutta la gioia possibile. Si meritava qualcuno migliore di lei. Non sapeva nemmeno che cosa aveva pensato quando l’aveva baciata. Niente. Ecco che cosa aveva pensato. Niente. L’aveva fatto e basta, senza pensare alle conseguenze. E adesso… Non riusciva nemmeno ad essere sicura che le conseguenze fossero possibili. Era impossibile che Isabelle si fosse innamorata di una come lei. Era semplicemente impossibile. Dietro Magnus camminavano Jace e Clary, che si tenevano incredibilmente vicini. Il giovane Wayland avrebbe fatto di tutto per proteggerla. E sapeva che in quel momento doveva proteggerla dal suo migliore amico. Lo sapeva, poteva sembrare strano, ma era così. Simon stava diventando pericoloso, con tutto quello che stava succedendo. Non avrebbe lasciato che facesse del male a Clary, alla sua Clary. E poi, non stava capendo nulla di quella situazione. Certo, si era perso qualche avvenimento, due settimane prima, essendo stato attaccato da quei demoni, ma… Non capiva perché nessuno gli avesse spiegato niente. Adesso, improvvisamente, Isabelle era la parabatai di un vampiro. Era davvero confuso. Gli altri non lo erano meno di lui, di certo. Tutto questo era… Impossibile. Semplicemente impossibile. Non c’era una spiegazione logica. Non c’era e basta. Così, doveva limitarsi a fare quello che poteva fare. E proteggere Clary era l’unica cosa che poteva davvero fare. La giovane Fairchild era ancora scossa da tutto quello che era successo. Con Simon. Con Isabelle. Prima il suo migliore amico tentava di ucciderla, poi la mano di Izzy bruciava letteralmente. E delle rune non potevano comparire casualmente! Perché non c’era qualcosa che potesse avere senso? Sembrava che, da quando era arrivata lei, nel Mondo delle Ombre, tutto avesse smesso di avere un senso. Era davvero colpa sua? Non credeva che tutto girasse intorno a lei, ma le cose avevano cominciato ad essere incredibilmente strane per tutti da quando aveva scoperto di essere la figlia di Valentine. Era una cosa tremendamente insopportabile. Jace le stava incredibilmente vicino, come per proteggerla. Per quanto sapesse difendersi da sola, lo ringraziava per questo. Poteva difendersi da sola, ma non contro Simon. Non avrebbe mai potuto fargli del male, anche se lui avesse ferito lei. Era una cosa che non sarebbe riuscita a fare. Lanciò un’occhiata dietro di sé. Simon camminava con le mani in tasca, guardando in basso. Si sentiva un cretino. Aveva quasi ucciso Clary. Aveva davvero voluto ucciderla. Che stupido! Avrebbe voluto piantarsi un paletto nel cuore. Ed era anche tremendamente confuso. Isabelle e Raphael non si amavano. Avevano… Finto? Ma perché? Non riusciva a vedere un motivo. Non aveva semplicemente nessun senso. Li aveva visti. Li aveva visti insieme. Li aveva visti guardarsi. Li aveva visti baciarsi. E non ci aveva visto nulla di falso. Assolutamente nulla di falso. E, se doveva essere sincero, adesso che poteva dirlo, aveva fatto anche male. Ed era stata tutta una finta. Non poteva ancora crederci. Alzando lo sguardo incontrò gli occhi verdi di Clary che lo scrutavano. La rossa si voltò immediatamente. Bene, era ancora arrabbiata. Be’, se fosse stato in lei probabilmente non si sarebbe mai più rivolto la parola. Aveva senso. Isabelle camminava davanti a tutti, senza vedere, pur vedendo perfettamente. Camminarono per un tempo interminabile. La giovane Lightwood riusciva a contare ogni battito del suo cuore. Era incredibilmente spaventata. Credeva di avere ragione, ma… Se si fosse sbagliata? Se non avessero trovato Raphael? Che cosa avrebbe fatto allora? No, non doveva pensare così. Doveva solo concentrarsi sul momento presente. Era sicura di dirigersi nel luogo giusto. Lo sentiva. Sapeva perfettamente in che direzione andare. Doveva crederci davvero. Erano due settimane che stava male, e adesso aveva la possibilità di ritrovarlo. E lo avrebbe fatto. Non sapeva da quanto tempo stessero camminando. Erano ormai arrivati in una zona lontana dal centro di New York, una zona dove c’erano molte fabbriche, e molte di loro non più attive e abbandonate al loro destino. Isabelle stava camminando decisa verso una di quelle. Sembrava cadere a pezzi ed essere abbandonata da parecchio tempo. Le piante si arrampicavano sui muri, e i vetri erano quasi tutti rotti. La giovane Lightwood si fermò davanti a quella che sembrava la porta principale. Si appoggiò al muro, aspettando che gli altri, che erano rimasti indietro, la raggiungessero. Chiuse gli occhi, cercando di pensare. Non aveva fatto tutta quella strada per niente. Raphael era lì, lo sentiva. Non poteva credere che l’avrebbe rivisto. L’avrebbe davvero rivisto! Avrebbe potuto scusarsi per quello che aveva fatto, avrebbe potuto scusarsi per essere stata così egoista e per averlo usato. E, finalmente, avrebbero potuto smettere di fingere. E nessuno avrebbe potuto separarli. Perché adesso erano parabatai. E anche se il loro legame era stato creato con la magia nera o qualcosa del genere, valeva lo stesso. Come quello di tutti gli altri. Anzi, era più forte. Se lui veniva ferito, lei veniva ferita. Se lui moriva, anche lei moriva. E viceversa. Aprì gli occhi. Gli altri l’avevano raggiunta, e furono molto sollevati vedendo che i suoi occhi erano tornati normali, senza traccia di velature. Izzy scosse la testa, venendo improvvisamente investita dalla luce del sole, che attraversava le nuvole, che non aveva potuto vedere fino a quel momento. Alec le si avvicinò, lo sguardo preoccupato, mettendole una mano sul braccio. La ragazza lo scostò, annuendo, come per dire che andava tutto bene. Il fratello le chiese se era sicura che Raphael fosse lì, e lei annuì soltanto. Non era mai stata più sicura di qualcosa in tutta la sua vita. Prima ancora che avesse risposto, Jace aveva già aperto la porta con un calcio -tanto per essere sicuro che si aprisse, visto che avrebbe potuto essere protetta con la magia e non aveva voglia di perdere tempo tentando con una runa-, facendo cenno verso l’interno con la testa, tenendo la spada angelica sollevata davanti a sé. Izzy si staccò subito dal muro e superò la soglia insieme al biondo, tenendo pronta la sua frusta. Non sapevano che cosa avrebbero trovato, dopotutto. Seguirono Alec e Clary, poi Lydia e Simon. Magnus era in coda, pronto a proteggerli da eventuali attacchi alle spalle. Quella aveva tutte le caratteristiche per essere una trappola. Sperava davvero di sbagliarsi. Ma, un luogo praticamente fuori dal mondo, abbandonato, fin troppo facile da trovare… Dopo aver fatto qualche passo all’interno della fabbrica, Isabelle e Jace si lanciarono un’occhiata. Lì non c’era assolutamente nulla. Era tutta una stanza unica, con qualche materiale per fabbricare chissà cosa malamente addossato alle pareti; dei grandi finestroni, i cui vetri giacevano tra la polvere, le piante, l’acqua piovana e l’intonaco staccato dalle pareti. Il giovane Wayland abbassò lentamente la spada, confuso. Non c’era assolutamente niente lì. Eppure, secondo Izzy avrebbe dovuto esserci. La ragazza non era meno confusa di lui. Non riusciva a capire. Eppure era sicura che… Magnus stava ispezionando l’ambiente circostante con la magia. Sembrava non esserci nulla, eppure… Sembrava non esserci proprio nulla. Neanche l’intera struttura. Nemmeno quella spaventosamente alta pianta che aveva fatto irruzione dalla finestra, non la sentiva viva. Be’, qualcosa c’era. Il vago rimasuglio della magia di uno stregone. Forse proprio lo stregone che aveva deciso di aiutare la vampira pazza. Quindi, forse, erano sulla pista giusta. Informò gli altri, che si stavano guardando intorno con circospezione. La voce di Simon richiamò la loro attenzione verso il lato opposto della sala. Diceva di aver trovato una porta. Tutti si precipitarono da lui, rischiando di inciampare su detriti e su materiali abbandonati. Effettivamente una porta c’era.  Jace stava già per usare il solito metodo, spostando malamente il vampiro con un braccio, senza mancare di lanciargli uno sguardo assassino, ma Magnus lo precedette spaccando la serratura con la magia. Peccato che il giovane Wayland si fosse già lanciato in avanti. Non riuscì a mantenere l’equilibrio e cadde in avanti, volando giù per le scale che stavano dopo la porta. Tutti sperarono che non cadesse su un’orda di demoni inferocita, dato che la spada angelica gli era sfuggita di mano. Non riuscivano a vedere la fine della rampa di scale, era troppo buio. Si prepararono tutti al peggio, stringendo i denti. Fortunatamente, sentirono soltanto un tonfo e uno sbuffo, poi, una stregaluce si accese nel piano sottostante. Tutti riuscirono a farsi anche una risata, prima che il clima serio tornasse. Simon tentò di fare una battuta, osservando il buio dietro a Jace. “Classico luogo da film horror. Classica scena da film horror.”, ma nessuno la trovò divertente. Clary si lanciò in avanti, accendendo la sua luce portatile, portando con sé anche la spada del biondo. Poco a poco, scesero tutti, ritrovandosi tutti nel seminterrato.
-Sembra che questo posto si estenda molto oltre la fabbrica. –disse Jace, indicando i corridoi che si diramavano davanti e accanto a loro. Dopodiché, aggiunse che forse avrebbero fatto meglio a dividersi. Il ragazzo afferrò la mano di Clary, come per mettere in chiaro che non si sarebbe separato da lei. La rossa sorrise tanto che era sicura che il suo sorriso si sarebbe potuto vedere anche al buio, anche se la situazione non era delle migliori. Strinse la mano del giovane Wayland. Lui non le aveva ancora detto quando e come avesse scoperto che loro non erano fratello e sorella. E non avevano ancora parlato, dopo quello che era successo la sera prima. Non che ci fosse molto da spiegare, ma… Avrebbe voluto potersi davvero chiarire. Alec lanciò un’occhiata prima a Magnus, poi a Isabelle. Non si fidava abbastanza a lasciare sua sorella da sola. Lo stregone se la sarebbe cavata da solo. Aveva più di quattrocento anni, dopotutto. Aveva di sicuro imparato qualcosa, in tutti quegli anni. Isabelle, che fino a quel momento aveva solo e soltanto voluto salvare Raphael, adesso sentiva un incredibile desiderio di vendetta verso chi aveva osato fargli del male, verso quella vampira pazza. In un certo senso, sentiva che la direzione che doveva seguire era il corridoio davanti a lei, pur non riuscendo a vederlo con certezza.
-Io vado di qui –disse, indicando davanti a sé con certezza. Lydia le si mise subito accanto, offrendosi di andare con lei. Alec non fu da meno, e, per una volta, alla mora non diede fastidio. In fondo, sapeva che il fratello stava solo cercando di proteggerla e di aiutarla. E per una volta, ne era felice. –Ho come la sensazione che quella bastarda sia in quella direzione. –Simon si guardò intorno. In qualche modo sentiva che… Oh, be’, forse era un pensiero stupido, non sapeva come avrebbe potuto saperlo. Eppure. Eppure sentiva che era così. La sua famiglia non era lì. Non sapeva come facesse a saperlo, lo sapeva e basta. Si voltò lentamente verso il corridoio alla sua destra. Si sentiva come attirato in quella direzione. Era strano. Molto strano. Come facevano a sapere tutti in che direzione andare? Come facevano a sapere tutti dov’era quello che stavano cercando? Eppure…
-Io vado a cercare Raphael. –disse soltanto, prima di iniziare a correre con la sua velocità da vampiro verso destra, seguendo il corridoio immerso nell’oscurità. Clary tentò di fermarlo, considerando che non sembrava una buona idea lasciarlo andare da solo in un luogo che non conoscono e dove non sapevano cosa ci fosse. Avrebbe anche voluto chiedergli come potesse essere tanto sicuro di trovare il capo Clan da quella parte, ma ormai era già scomparso. Sospirò. Disse poi che lei sarebbe andata con Jace, seguendo il corridoio di sinistra. Magnus decise di andare dietro a Simon, per non lasciarlo da solo in balia di qualunque cose ci fosse là sotto. Quella sembrava ogni momento che passava sempre di più una trappola. Alec annuì piano, e lo stregone gli accarezzò un braccio, come per rassicurarlo. Il ragazzo lo guardò mentre si allontanava nel corridoio facendosi luce con la sua magia, poi si affrettò dietro a Lydia e Isabelle, che avevano già cominciato a camminare.
Quando vedrò quella vampira, non ci sarà più scampo per lei…
Oddio, non so nemmeno dove sto andando. Avrei dovuto aspettare.
Finalmente posso di nuovo stare sola con Jace.
Finalmente posso di nuovo stare solo con Clary.
Spero solo che riusciremo a trovare quello che stiamo cercando.
Spero davvero che questa non sia una trappola.
Raphael, ragazzo mio, dove sei finito?
 
Il corridoio che stavano seguendo sembrava infinito. Non lo stavano percorrendo da molto, ma sembrava davvero infinito. Non ne vedevano una fine, davanti a loro. Forse era solo troppo lontana. Forse era troppo buio, e nemmeno le stregaluce potevano tagliare quell’oscurità. Erano stati preoccupati per Izzy, ma erano contenti di poter passare un po’ di tempo da soli, finalmente. Stava succedendo un casino pazzesco, e loro non erano ancora riusciti a parlarsi. Perché avevano davvero parlato ben poco. Jace osservò Clary nel bagliore diffuso dalla sua luce portatile. Era così bella… I capelli rossi le ricadevano con fierezza sulle spalle, i suoi occhi verdi scrutavano l’oscurità davanti a lei, lanciandogli rapide occhiate a tratti. Il ragazzo sorrise, non potendo credere che lei avesse continuato ad amarlo pur credendo che fossero fratello e sorella. Lui pensava che lei fosse felice con Simon, e storia finita. Li aveva visti, dopo la battaglia contro Valentine. Erano lì, gioiosi e che si baciavano, sotto il sole. Aveva fatto male capire che il vampiro poteva stare lì senza bruciare per colpa sua. Cos’altro se non il suo sangue poteva aver fatto una cosa simile? Non che ci trovasse un senso, però. Li aveva visti e non aveva potuto dire la verità alla rossa. Era stato più forte di lui. Lei meritava di essere felice. Meritava qualcuno di meglio di lui. Lui che nemmeno sapeva cosa fosse l’amore, prima che arrivasse lei. Ma sapeva com’era, quell’insidioso sentimento. Faceva soffrire. Ne aveva soltanto avuto la conferma. Adesso le cose erano cambiate, adesso Clary gli aveva detto la verità, che ancora lo amava. Anzi, che lo amava e basta. Non gliel’aveva mai detto prima. Strinse un po’ di più la sua mano, che non aveva ancora lasciato da quando si era separati dagli altri. Rimasero un poco in silenzio, concentrati su quello che dovevano fare. Camminarono per un tempo interminabile, fino a quando non si trovarono davanti a una solida parete di roccia. Cercarono anche delle porte nascoste, delle aperture, ma niente. Clary si appoggiò al muro, sospirando. Sperava che gli altri avessero avuto più successo. Probabilmente se lì da qualche parte c’era davvero Raphael, allora c’era anche la famiglia di Simon. Sperava davvero che fosse così. Era da settimane che il suo migliore amico –faceva ancora strano poter davvero ricominciare a chiamarlo così –non dormiva. Ormai non riusciva più a controllare le sue emozioni e le sue reazioni. Quella mattina l’aveva quasi uccisa. L’aveva davvero quasi uccisa. Era ancora scossa. Non poteva ancora crederci. Doveva pensare che fosse solo stato uno scatto d’ira, e non che davvero volesse farlo. Chiuse gli occhi, cercando di chiudere fuori ogni pensiero negativo. Jace, con un sorriso, ne approfittò per rubarle un bacio, di slancio. Quando si separò da lei, la rossa aprì gli occhi e gli sorrise. Il giovane Wayland era bello, Clary credeva di non aver mai visto nessuno di così bello. Con quei capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi dopo ogni combattimento, quegli occhi bicolore in cui lei amava perdersi. Erano come il mare e la terra. Quasi distruttivi.
-Da quando lo sai? –domandò e il ragazzo impiegò qualche secondo a capire di cosa stava parlando, troppo occupato a guardarla. Quando capì e si rese conto che avrebbe sul serio dovuto dirglielo, e che lei probabilmente si sarebbe arrabbiata, le rispose piano, appoggiandosi a sua volta alla parete. Si sentiva quasi spaventato.
-Da quando abbiamo sconfitto Valentine. –sospirò, tanto a bassa voce che quasi Clary non lo sentì. Quasi. Non poteva crederci. Da… Da due mesi?! E non le aveva detto nulla? Aveva continuato a fare finta di niente per tutto quel tempo? Non pretendeva che gliel’avesse detto perché sperava che succedesse qualcosa tra loro, ma almeno avrebbe potuto informarla, solo perché aveva il diritto di sapere. Aveva continuato a fingere per due mesi interi. Aveva continuato a fingere di amare Simon più di un amico, facendogli del male, facendosi del male, solo perché Jace le aveva nascosto la verità. Si staccò in fretta dal muro, facendo per andarsene, avanzando a grandi passi. Il biondo la raggiunse subito, prendendola per un braccio. Sapeva che si sarebbe arrabbiata, era piuttosto ovvio. Ma doveva capire che l’aveva fatto per lei, perché credeva che fosse meglio così. Perché aveva creduto che lei fosse felice con Simon e non aveva voluto rischiare di toglierle la felicità. Clary si voltò bruscamente verso di lui, colpendolo in faccia con i capelli, lo sguardo arrabbiato.
-Come? –chiese, anche se era una domanda stupida. Ma era troppo arrabbiata per ragionare. Perché lui le aveva mentito? Perché? Non riusciva a capire. Davvero, davvero, non riusciva a capire. Cosa credeva che sarebbe successo se le avesse detto la verità? Nulla sarebbe successo. Nulla… Oh. Oh. Lui aveva creduto che lei fosse felice con Simon. Credeva che avrebbe rovinato tutto, se le avesse detto quello che aveva scoperto. Non poteva crederci. E lei si era arrabbiata. Jace l’aveva fatto solo per lei. Perché la amava e credeva che fosse meglio così. Che fosse meglio che lei non sapesse la verità. Ma lei sarebbe stata più felice senza bugie. Già, forse avrebbe mentito lo stesso. Forse avrebbe continuato a recitare quella commedia con
Simon. Forse era stato meglio così. Era andata da Jace come una persona libera, amandolo anche credendo che lui fosse suo fratello. Forse per lei era stato meglio così. Ma per lui? Come aveva potuto essere meglio? Aveva sofferto tutto quel tempo, tra le bugie. Jace si meritava molto meglio di lei. Quel ragazzo si meritava davvero di meglio di lei. Lei era stata… Manipolatrice e una stronza immensa. Aveva ferito tutti quelli che aveva trovato sulla sua strada. La sua espressione passò da adirata a scoraggiata e triste, mentre il giovane Wayland trovava una risposta a quella stupida domanda.
-Valentine. Me l’ha detto lui. –non le spiegò perché non fosse andato subito da lei a rivelarglielo, perché avevano vissuto una bugia fin troppo a lungo. Ma poi, vedendo che Clary non parlava, e aveva uno sguardo incredibilmente perso, come non riuscendo a trovare una risposta ai troppi perché nella sua testa. Allora decise di dirle anche perché le aveva mentito, anche se lei non gliel’aveva chiesto esplicitamente. Le lasciò andare il braccio, abbassando lo sguardo sul pavimento sporco. –Credevo… -cominciò, piano, con la voce che gli tremava.
-Credevo che tu fossi felice con Simon. –Clary non riuscì a interromperlo, anche se avrebbe voluto dirgli come davvero stavano le cose. Che lei non era mai davvero stata felice con Simon. Che era felice perché lui era felice, dopo tutto quello che gli era successo. Ma che non l’amava, che non l’aveva mai amato. –Vi ho visti insieme e… -sospirò, cercando di togliersi quel tremore dalla voce, senza successo. –Non ho avuto il coraggio di… -sospirò di nuovo e questa volta sembrò un singhiozzo. –Clary, tu ti meriti molto di meglio di me… -mormorò, alzando lo sguardo su di lei, spaventato. Aveva le lacrime agli occhi. E non era da lui. Non era da lui essere spaventato, non era da lui piangere, ma… Era la rossa a fargli quell’effetto. Essere innamorati faceva davvero schifo. La ragazza lo guardò dolcemente, spostandogli la frangia, che gli era finita sugli occhi. Sorrise debolmente.
-Oh, Jace. Non dire così. Non è vero. –sussurrò, guardandolo con tutto l’amore che sentiva nel cuore. Era così tanto che credeva che sarebbe esploso dal troppo battere. –Tu sei un angelo… -continuò, non riuscendo a dire più nulla. Nulla che valesse la pena essere detto. Si avvicinò al ragazzo e lo baciò lentamente, come per fargli capire che si sbagliava. Quando si separarono, Jace mise le sue mani sui lati del viso di lei, sorridendo a sua volta. Sembrava che stesse per rivelarle uno dei suoi più oscuri segreti, osservando i suoi occhi, preoccupati e pieni di dolcezza allo stesso tempo. Le disse quelle due parole, quelle parole che credeva che non avrebbe mai detto a nessuno. E poi aveva incontrato lei. Con lei era sempre stato diverso, come lei era diversa. Non c’era nessun altro a cui le avrebbe mai dette.
-Clary, io… -esitò un secondo, prima di continuare. –Ti amo… -mormorò, la voce insicura. La ragazza riuscì a sentire il suo cuore esplodere davvero. Credeva che non avrebbe mai sentito quelle parole da qualcuno che non fosse Simon. Credeva che non avrebbe mai sentito quelle parole da qualcuno che contasse così tanto. Ma Jace gliel’aveva detto. Lui, che non si era mai innamorato. Lei, era riuscita a farlo innamorare. Ne era felice. Perché anche lei lo amava. In una maniera pazza e sconsiderata. Sarebbe morta per lui.
-Ti amo anch’io. –disse, con più decisione nella voce di quanta ne avesse lui. Jace le sorrise, prima di baciarla di nuovo, dolcemente. Non poteva crederci. Ancora non riusciva a crederci. Lei lo amava davvero. Esattamente come lui amava lei.
Amare significa distruggere e essere amati significa essere distrutti. 

Angolo autrice: 
Ok, questa cosa non ha senso. Scusate, questa storia comincia ad avere sempre meno senso man mano andiamo avanti. 
Due parole sull'episodio: Credevo che non avrei pianto, poi sono partiti i flashback con Alec e Jace e a quel punto sono morta. Niente di che. Simon ha venduto la sua anima alla Regina (bravo, bravo *applaude molto lentamente*). Raphael non si è visto (anche se c'era scritto il nome dell'attore all'inizio!?), ma va bene. L'ultima scena era inquietante, molto, molto inquietante. LA MALEC. PERCHÈ LORO POSSONO. 
Sono triste perchè tra meno di due settimane tornerò a scuola e non VA AFFATTO BENE (sparatemi)
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi; anche perchè non ho ricontrollato il testo :/)
 

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Capitolo 15
*** Memento mori pt.3 ***


Capitolo 8. – Memento mori (pt.3)
Non stava correndo da molto tempo, quando si ritrovò davanti a un muro. Sembrava che non si potesse proseguire. Che stupido. Forse avrebbe dovuto aspettare. Era corso in quella direzione, senza nemmeno ragionare. Ma aveva sentito di dover andare da quella parte, come se qualcuno lo stesse chiamando. Tutti probabilmente si stavano domandando perché avesse detto che sarebbe andato a cercare Raphael, mentre la sua famiglia avrebbe dovuto essere più importante. La sua famiglia non era lì. Lo sapeva. Non sapeva nemmeno come. Lo sapeva e basta. Sembrava che quel luogo parlasse a tutti loro. Sembrava che li guidasse nella direzione che dovevano prendere. La direzione che dovevano prendere per trovare quello che stava cercando. Chi stavano cercando. Eppure, era un vicolo cieco. C’era solo un muro. No, doveva esserci un trucco. Si guardò intorno. Una pianta rampicante si arrampicava sulla parete accanto a lui. Le pareti erano grigie, coperte di muffa e umide. La parete davanti a lui era coperta di muschio, invece. Muschio verde. Quasi accecante. Si avvicinò di un passo e diede un pugno al muro. Non si fece male come credeva. Il muro sembrava vuoto. Letteralmente. Sperava solo di non sbagliarsi. Altrimenti era probabile che si sarebbe ritrovato qualche arto rotto. O magari immerso nella terra ad almeno tre metri sotto il suolo. Fece un paio di passi indietro, sbuffando. Ok, sperava non sarebbe finita male. Si lanciò in avanti, e, per fortuna, non andò a sbattere contro duro cemento, come aveva creduto per qualche secondo. La parete si spaccò non appena il suo corpo entrò in violenta collisione con essa. Si lasciò sfuggire un’esclamazione mentre cadeva sul pavimento dall’altra parte del muro ormai crollato, che non gli impediva più il passaggio. Si alzò, ripulendosi i vestiti dalla polvere. Si chiese perché diavolo ci fosse una finta parete in mezzo al corridoio. Be’, certo, per nascondere il resto del corridoio. Ma sembrava che fosse lì da molto tempo. Supponeva che qualcuno aveva dovuto passarci. Almeno, se c’era qualcosa nelle altre direzioni. Isabelle li aveva guidati lì, quindi tutti avevano qualcosa da trovare. Credeva. Oh, il suo cervello era in confusione totale. O forse era solo stupido. Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Si accorse che quella parte del corridoio era illuminata da alcune lampade che pendevano pericolosamente dal soffitto. Riusciva a vedere la fine. C’era una porta, una di quelle anti-incendio. Percorse l’ultimo tratto di strada, improvvisamente preoccupato. Aveva paura che non avrebbe trovato Raphael, anche se era stato certo di trovarlo in quella direzione. Magari lì non c’era nulla. Peggio, magari c’era la vampira pazza, e lui non avrebbe saputo cosa fare contro di lei. In fondo, era solo un vampiro novellino. Ormai era morto –non-morto –da due mesi, ma era comunque come se fosse nato ieri, rispetto a tutti gli altri, ultracentenari. Sperava di non sbagliarsi. Doveva ritrovare Raphael, altrimenti sarebbe impazzito. Già la sua famiglia non era lì, se non avesse potuto salvare nemmeno lui… Percorse gli ultimi metri che lo separavano dalla porta, lentamente, e poi l’aprì, tirandola verso di sé, tirando un sospiro di sollievo vedendo che non era effettivamente chiusa a chiave come aveva pensato. Fece un passo nella stanza che trovò oltre la soglia, guardandosi intorno con circospezione. Quello sembrava il magazzino di un’altra fabbrica. Ingegnoso collegarle con dei con dei tunnel sotterranei. Almeno, così pensava. Non che fosse molto esperto di quelle cose. Non che ci vedesse davvero uno scopo. Sembrava che non ci fosse anima viva… La vampira non era viva, quindi questo non cambiava le cose. Ma, sembrava che non ci fosse proprio nessuno. Avanzò di qualche passo, sussultando quando la porta si richiuse alle sue spalle. La sala era divisa in due da una parete, che ne attraversava solo metà. Neanche quello sembrava avere un senso, mettere un muro così casualmente occupava solo spazio. C’erano molti materiali e strumentazioni, ai quali non avrebbe saputo dare un nome o un utilizzo, e anche parecchie casse, contenenti chissà cosa. C’era un vago odore di sangue. Quel luogo gli metteva paura, per qualche motivo. Sembrava quasi che nessuno ci mettesse piede da molto tempo. Forse davvero Raphael non era lì… No, non doveva pensare così, doveva guardarsi intorno e cercare di capire. C’erano un paio di porte lungo le pareti, che probabilmente portavano in stanza adiacenti e al piano di sopra, se non in altri corridoi. Rimase fermo dov’era, pensando. Forse avrebbe dovuto provare ad entrare in una di quelle stanze. Provò ad aprire la porta più vicina a lui, ma era chiusa. Sospirò, praticamente sostenendosi alla maniglia. Si sentiva improvvisamente male. Senza nemmeno un motivo. Aveva bisogno di rivedere Raphael. Solo in quel momento si rese conto di quanto il vampiro più vecchio gli fosse mancato. Eppure, non l’aveva visto per due mesi. E poi, lui era arrivato con Isabelle alla festa di Magnus. Era stato in quel momento che tutto il mondo aveva cominciato a sgretolarsi. Che le cose avevano cominciato ad essere strane. Da quel momento aveva perso Clary. Gli aveva fatto male, fino a quando, sulla strada per il Jade Wolf, quel demone non aveva preso il capo Clan. E all’improvviso non gli era importato della sua migliore amica. All’improvviso si era reso conto che aveva sprecato tutto il tempo che aveva per lei. Che aveva tradito la sua famiglia per niente. Per una ragazza egoista che lo manipolava solo. Che anche lui era stato egoista, aveva pensato, non a Clary, ma al suo amore per lei. Solo a quello. Che era un cretino. Un vero, vero cretino. E, all’improvviso, mentre si stava perdendo nei suoi pensieri, si rese conto di qualcosa. Stupido, stupido Simon. Quello forse era il posto giusto, forse Raphael era davvero lì. Quella stanza non era un deposito sotterraneo. Era un seminterrato. Sulla parete sopra di lui e sulla parete opposta c’erano delle finestrelle. Quelle sopra la sua testa lasciavano entrare la luce. Dall’altra parte, erano tutte oscurate, tranne una. E da quella passavano i raggi del sole, non solo la luce. Ricordò quello che era successo a Isabelle. La sua mano era bruciata. C’era una sola spiegazione. Corse più in fretta che poteva dall’altra parte della stanza, saltando con noncuranza sopra i materiali e le casse piene di ragnatele. Ugh, non gli erano mai piaciuti i ragni. Gli facevano paura, se doveva essere sincero. Sapeva che non era una cosa molto da vampiro, ma non poteva farci nulla. Tanto, a quanto pareva, Jace aveva paura delle anatre, quindi lui poteva benissimo avere paura dei ragni. A proposito di Jace, il biondo non aveva fatto altro che lanciargli occhiatacce per tutto il tragitto dall’Istituto a lì. Probabilmente Clary gli aveva detto quello che era successo, e allora lui voleva proteggerla. Per una volta, era d’accordo con lui. L’aveva quasi uccisa, doveva starle lontano. Eppure, aveva tutto il diritto di arrabbiarsi, perché, anche se ormai non provava più quel tipo di amore per la migliore amica, lei aveva giocato con il suo cuore, come se fosse un suo diritto. Lo aveva ferito, lo aveva fatto volontariamente, anche se forse non se n’era accorta. Lei, al contrario di Jace, non l’aveva guardato arrabbiata, l’aveva solo osservato con preoccupazione e tristezza, come se pensasse che dovesse essere aiutato. Forse era effettivamente così. Erano settimane che non dormiva, troppo preoccupato per la sua famiglia e Raphael. Forse aveva perso la capacità di controllare le sue emozioni. Forse… Saltò oltre l’ultimo blocco di casse e atterrò nel rettangolo di sole che era ritagliato sul terreno, tra la polvere e l’oscurità. L’odore del sangue era leggermente più forte. All’inizio non vide nulla, non vide nessuno. E sentì il suo cuore già morto perdere un battito. No. No… Raphael doveva essere lì, altrimenti sarebbe impazzito… Poi, lo vide. Cercava talmente tanto di nascondersi nell’oscurità, che non lo aveva notato. Stava rannicchiato tra il muro e delle casse, come per cercare protezione. Simon fece un passo avanti, indeciso sul da farsi. Non era sicuro che il vampiro più vecchio lo avesse visto, non voleva spaventarlo. O essere ucciso da lui. Perché il capo Clan aveva tutti i diritti di odiarlo, per quello che gli era successo. Perché era tutta colpa sua, e lo sapeva perfettamente. Deglutì a vuoto, rimanendo immobile.
No. Stai lontano. Stai lontano! Mi hai già mangiato il cuore, che cosa vuoi farmi di più? Non puoi farmi nulla di peggio di quello che mi hai già fatto. Di quello che mi hai fatto in realtà. Di quello che mi ha fatto Simon. Quello non è Simon, no. Simon non verrebbe mai a cercarmi… È solo un altro incubo. È ancora lei. Non-Camille. Vuole farmi impazzire. Vuole uccidermi… E ci sta riuscendo benissimo. NESSUNO VERRÀ A SALVARMI! Nessuno vuole salvarmi. Nessuno mi ama. Perché sono solo un mostro. Quello non era lui, ma… So che lo pensa. LO SO! E MI STA UCCIDENDO! Perché io lo amo, e…
Sembrava che Raphael stesse mormorando delle parole, osservando il soffitto sopra di lui, ma non sentiva nulla. Forse, stava solo muovendo le labbra insieme ai pensieri nella sua testa. Simon si sentiva improvvisamente debole. Avrebbe voluto cadere sulle ginocchia e piangere. Piangere perché sapeva che il suo leader –avrebbe voluto poterlo chiamare così di nuovo –non stava affatto bene. Non sapeva che cosa quella vampira pazza gli avesse fatto, ma era sconvolgente vederlo così. Stava fissando davanti a sé, gli occhi scuri vuoti, persi. Aveva delle occhiaie tremende, sembrava che non dormisse da un’eternità. La preziosa giacca che indossava quando era stato rapito era strappata in più punti e sporca. Le sue labbra, il suo viso e le sue mani erano sporchi di sangue. Faceva paura vederlo così. Faceva davvero paura. Sembrava debole, sembrava fragile. Sembrava che, se fosse andato da lui, avrebbe potuto spezzarlo soltanto sfiorandolo. Lo aveva già ferito abbastanza. Non voleva farlo ancora. Voleva riparare ai suoi errori. E questa volta non avrebbe lasciato che Clary glielo impedisse. Non voleva muoversi. Non osava muoversi. Aveva davvero paura di poterlo rompere, quasi come se fosse un oggetto antico. Tanto fragile che sarebbe bastato uno sguardo a ferirlo. Ma non poteva più sopportare quella situazione. Erano due settimane che non lo vedeva. Per due settimane aveva saputo che là fuori, da qualche parte, per colpa sua. Perché non aveva saputo aiutarlo. Perché non aveva potuto salvarlo. Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva per quello che gli aveva detto, per essere stato un cretino una volta di più. Che gli dispiaceva per tutto quello che aveva fatto. Tutto. Che voleva solo il suo perdono, che voleva tornare dalla sua famiglia. Che voleva tornare a casa. Ma non sarebbe mai stato a casa senza di lui. Voleva cancellare tutto quello che aveva fatto. Voleva… Quando sentì una lacrima solitaria scendergli lungo il viso, decise che non poteva più restare fermo. Non sopportava più di stare lontano da lui. Aveva paura che l’avrebbe rotto, ma doveva sentire che era vivo, doveva sentire che era effettivamente lì, che non era solo un’illusione. Si lanciò in avanti, sentendo un improvviso bisogno di averlo vicino. Di stringerlo a sé. Di proteggerlo. Nessuno gli avrebbe più fatto del male. A cominciare da lui. Simon sapeva di essere stato un idiota. Raphael l’aveva sempre aiutato, l’aveva sempre protetto. Ora era tempo di ricambiare il favore. Era tempo di smettere di essere colui da cui aveva bisogno di protezione. Lo raggiunse in un attimo, inginocchiandosi accanto a lui, prendendolo tra le braccia, sperando di non fargli del male, cercando di non piangere. Non poteva piangere davanti a lui. Doveva essere forte, doveva smettere di comportarsi come lo stupido che era. Non poteva permettersi di piangere davanti a lui. Non ne aveva il diritto. Mormorò il suo nome, ancora e ancora, stringendo la stoffa ancora intatta della sua giacca. Raphael lo stava guardando con espressione dolce e spezzata, mentre i suoi occhi chiedevano perdono. Simon non sapeva per cosa e non voleva saperlo. Era lui a doversi far perdonare, non il capo Clan.
Non ci posso credere. Sei tu. Sei davvero tu. Credevo che nessuno sarebbe venuto. Credevo che mi aveste abbandonato. Credevo che nessuno tenesse a me tanto da trovarmi... Ma sei qui. Non sei un’illusione. Sei vero. Sei tu. Sei venuto a salvarmi.
-S-simon… -mormorò il vampiro più vecchio, sollevando debolmente una mano per sfiorargli una guancia con la punta delle dita. Il Diurno gli prese la mano e gliela strinse, sorridendo dolcemente. Oddio. Non lo odiava. Raphael non lo odiava. Sentiva le lacrime premere per uscire, ma non avrebbe pianto. Le lacrime erano ancora lì, minacciose, ma non voleva piangere. Non si era mai sentito tanto felice come in quel momento. Si sentiva il cuore esplodere. Non lo odiava. Sembrava felice di vederlo. Era felice di vederlo. Non c’era nulla che potesse desiderare di più, in quel momento. Sentire la sua voce, debole e distrutta, sussurrare il suo nome, come fosse la parola più bella esistente.
-Sono qui… -disse, portandosi la mano del capo Clan alle labbra e baciandogli le nocche, piano.
Questa volta non se ne sarebbe andato. Questa volta non si sarebbe comportato da idiota. Raphael aveva bisogno di lui, non gli avrebbe voltato le spalle. Nonn questa volta. Il vampiro più vecchio lo aveva sempre aiutato. Sempre, anche quando non se lo sarebbe meritato. Perché non sapeva nulla, perché era in quel mondo da troppo poco. L’aveva aiutato sempre e comunque, e lui lo aveva ripagato continuando a comportarsi come uno stupido, senza mai degnarsi di dirgli “grazie”. –Sono qui. –Raphael lo guardò negli occhi per qualche secondo –ora i suoi non sembravano più vuoti o in cerca di perdono, solo tranquilli -, prima di abbassare le palpebre. Non si sentiva più in pericolo. Ora nulla avrebbe più potuto fargli del male. Simon era davvero lì. Era davvero andato a salvarlo. Non era il solito incubo, non vedeva tutto a causa della vampira pazza. Il Diurno non lo odiava. Era andato a salvarlo.
Simon era tanto concentrato ad osservare il viso del capo Clan che non si accorse nemmeno cha Magnus era entrato nella stanza e lo aveva raggiunto. Sussultò quando lo stregone parlò.
-Lasciatemi solo trovare chi lo ha ridotto così… -ringhiò a nessuno in particolare, abbassandosi accanto al vampiro più giovane. Quest’ultimo gli lanciò un’occhiata preoccupata, ritornando ad osservare il viso di Raphael, poi di nuovo a guardare lui. Improvvisamente si sentiva preoccupato. Come facevano a sapere se? Come faceva ad essere sicuro che il suo leader sarebbe tornato a stare bene? Come faceva a sapere che non era irrecuperabile? No, non doveva pensarci. Si accorse di star ancora stringendo la mano del vampiro più vecchio nella sua, e la lasciò andare, non senza un po’ di imbarazzo. Domandò a Magnus come facessero ad essere certi che fosse vivo –o non-morto. Lo stregone, che sembrava concentrato con un incantesimo, si voltò verso di lui, le sopracciglia sollevate, gli occhi da gatto.
-Sai, i vampiri, quando muoiono, hanno una vaga tendenza a ridursi in cenere. –disse soltanto. Simon si diede mentalmente dello stupido. Certo, era ovvio. Non era così facile ucciderli, avrebbe dovuto arrivarci. Eppure, vedere Raphael il quello stato lo aveva fatto preoccupare in una maniera quasi spropositata. –Sembra essere in una specie di trance… -aggiunse lo stregone, confuso. Non che fossero molte le cose che avevano senso, in quel momento. Si alzò in piedi, ripulendosi i vestiti dalla polvere, guardandosi intorno, come alla ricerca di qualcosa. Qualunque cose stesse cercando, sembrò non trovarla, dato che, dopo qualche minuto di silenzio, suggerì di andare a cercare gli altri. Fece per chiedere a Simon se fosse in grado di sollevare Raphael, ma, voltandosi verso di lui, vide che lo aveva già fatto, quindi sollevò le spalle e iniziò a camminare verso la porta, seguito dal vampiro. Simon sperava davvero che Isabelle fosse davvero riuscita a trovare la pazza. Meritava di pagare per quello che aveva fatto. Strinse Raphael a sé. Voleva proteggerlo. E lo avrebbe fatto. Non sapeva nemmeno da cosa. Ma era suo dovere. Doveva farlo. E doveva trovare una soluzione a tutto quello che stava succedendo. Altrimenti sarebbe davvero impazzito.

-Questo corridoio sembra infinito. –commentò Lydia, tenendo in una mano la sua stregaluce e nell’altra la spada angelica. Isabelle le lanciò un’occhiata. Sapeva che l’altra ragazza aveva ragione, ma non potevano certo abbattersi in quel momento, dopo tutta la strada che avevano percorso. Erano diversi minuti che non vedevano altro che muri incrostati di muffa e piante rampicanti inspiegabilmente cresciute anche senza luce. Sembrava che quel corridoio non avesse una fine. Eppure doveva avercela. Izzy si sentiva più debole ogni passo che faceva, come se stesse consumando tutta l’energia che le era rimasta. Come se arrivare lì le avesse preso la maggior parte dell’energia che aveva. Avrebbe avuto un senso, dopotutto. Quello che stava succedendo non era normale, e lei lo sapeva perfettamente. Non era normale che una runa comparisse grazie alla magia nera. Nulla se non gli stili usati da Shadowhunters potevano creare rune. E Nephilim e Nascosti non potevano essere parabatai. Non che fosse triste, ma era comunque qualcosa di strano. Alec stava camminando qualche passo avanti a loro, scrutando l’oscurità davanti a loro. Isabelle decise di non rispondere al commento di Lydia, continuò a camminare, ignorandola. Anche quello che stava succedendo tra loro sembrava da pazzi. Ricordava quando aveva incontrato la giovane Branwell la prima volta, tempo prima. Non le era piaciuta per niente. Ma le cose erano decisamente cambiate. Era anche Lydia ad essere cambiata, se ci pensava bene. Era passata da rispettare troppo le regole del Clave a… Quello. Non era nemmeno tanto sicura di cosa quello fosse, ma di certo non rispettare quello che diceva il Clave. A loro di sicuro non sarebbe importato nulla di quella situazione. Aldertree ne era la prova, in fondo. Non faceva altro che giudicare e lanciare loro occhiatacce piene di disappunto. C’erano cose più importanti. Ad esempio scoprire dove fossero la Spada dell’Anima e la Coppa Mortale, trovare un modo per far parlare Valentine. Ma quelle erano cose a cui non c’era una soluzione. Forse non avrebbero mai scoperto niente. Non così, almeno. Forse non era il momento giusto. Forse il momento giusto sarebbe arrivato più tardi. Ma adesso non c’erano cose più importanti. Almeno per lei. In ogni caso, non potevano lasciare che quella vampira continuasse a fare quello che le pareva, continuasse a girare libera, senza freni. Lydia era cambiata, questo era certo. Magari, aveva solo finto di essere la bastarda che era quando l’aveva incontrata. Aveva dovuto essere così, dopo quello che le era successo. Le sembrava di aver sentito qualcosa del genere, le sembrava di aver sentito Alec parlare di una tragedia che le era successo o qualcosa del genere. Forse aveva solo cercato di chiudere fuori i suoi sentimenti, sapendo che faceva solo male provarne. Che faceva solo male seguire il cuore. Era confusa. Non sapeva quello che stava succedendo tra di loro, non sapeva quello che passava per la sua testa. Poco tempo prima era stata certa di essere innamorata di Clary, ma poi Raphael era stato rapito, e tutto era cambiato. Aveva smesso di pensare alla rossa, aveva smesso di pensare a qualsiasi cosa. E poi Lydia l’aveva baciata, e non aveva saputo cosa pensare. Era confusa. E sapeva che non si sarebbero potuto chiarire molto presto. Non era nemmeno tanto sicura che lei e la bionda fossero amiche, non avrebbe saputo dire se potessero essere qualcosa di più. Doveva chiarirsi, ma con tutto quello che stava succedendo non sapeva quando avrebbero potuto trovare il tempo di parlare. La voce di Alec che la chiamava la riscosse dai suoi pensieri. Fece uno scatto in avanti, seguita da Lydia, raggiungendolo in un attimo. Il ragazzo si trovava davanti a una porta. All’inizio le due non ci trovarono niente di strano, ma poi notarono i graffi insanguinati che attraversavano il bianco ingiallito della porta. Sotto di essa passava una poco rassicurante scia di sangue. I tre Shadowhunters si scambiarono occhiate, poi Alec annuì, come se stesse guidando la missione. Isabelle fece un passo avanti e aprì la porta, con cautela. Vennero investiti da un odore intenso di sangue e putrefazione. La mora storse il naso, facendo un passo avanti, nel magazzino che si trovava oltre la soglia, subito seguita dagli altri. L’unica luce proveniva da una lampada appesa miracolosamente al soffitto. La luce che emanava era fredda e opaca, quasi sporca. L’aria era afosa, come se si trovassero in una fornace. Isabelle fece cautamente un passo avanti, osservando l’ambiente circostante. La scia di sangue continuava fino a uno degli angoli più vicini a loro, in una massa indistinta di… Corpi. Corpi accatastati gli uni sopra gli altri, con il sangue che macchiava le pareti e il pavimento. Le mosche volavano attorno al cumolo, dal quale si alzava un tremendo odore di morte. Alec si incamminò con circospezione in quella direzione, seguendo la scia di sangue. Quando fu abbastanza vicino, improvvisamente fu chiaro dov’erano finiti tutti quei Mondani scomparsi negli ultimi tempi. Erano stati vittima della fame della vampira. Sperava davvero che non ci fosse la famiglia di Simon insieme a loro. Fece un altro passo avanti, ritrovandosi costretto a coprirsi il naso e la bocca, investito come da un’onda dal fetore. Mentre ispezionava i cadaveri, non si accorse che Lydia e Isabelle stava avanzando nella stanza. Alla giovane Lightwood era sembrato di cogliere un movimento, nella penombra, più avanti. Si era voltata verso Lydia e la bionda aveva annuito, come per dirle che lo aveva notato anche lei. Allora non aveva più avuto dubbi. Alec se la sarebbe cavata da solo, lo sapeva bene. Se la pazza era lì, allora dovevano fermarla. Avanzò con calma, guardandosi attorno con attenzione, non volendo essere colta alla sprovvista. L’odore di morte che c’era in quel posto le stava facendo venire mal di testa. Era insopportabile. Quella vampira avrebbe fatto meglio a non aver toccato nemmeno con un dito Raphael e la famiglia di Simon, altrimenti lei gliel’avrebbe fatta pagare. Meritava di pagare lo stesso. Ma sarebbe stato diverso. Niente le avrebbe impedito di ucciderla se avesse ferito il suo parabatai. Forse avrebbe dovuto sentirlo, ma la runa si era creata solo quella mattina, perciò… Era strano, continuava a non avere senso. Continuava a sentirsi sempre più debole ogni passo che faceva. All’improvviso, sentì una risata, una risata da pazza, mentre si inoltrava sempre di più nell’oscurità. Qualcosa –o qualcuno –passò davanti a lei, con una velocità che poteva essere solo da vampiro. Izzy chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi su quello che le stava attorno. Quel tremendamente forte odore le impediva di ragionare bene. Le sembrava salire fino al cervello. Faceva male. Fece una smorfia, cercando di pensare. La vampira poteva anche essere più veloce di lei, ma lei poteva cercare di prevedere le sue mosse. La risata le stava girando attorno, mischiandosi con l’odore, irritandola. Stava correndo in circolo attorno a loro. Era solo troppo veloce per essere vista. Il tempo sembrò improvvisamente rallentare, insieme al suono di quella risata. Inspirò. Espirò. Inspirò. Espirò. Aprì gli occhi, si voltò in una mossa fulminea, lasciando volare la sua frusta nell’aria. Lydia la osservò sconvolta. Non sapeva se Isabelle se n’era resa conto, ma si era mossa ad una velocità davvero incredibile. La giovane Lightwood sorrise, sentendo che la sua frusta si era avvolta attorno a qualcosa. Usando tutta la forza di cui era capace, trascinò la vampira, che stava graffiando il terreno per cercare di fuggire, fino alla luce della lampada. Alec arrivò da loro correndo, scambiando un’occhiata con Lydia, visto che Isabelle sembrava piuttosto occupata, e scuotendo la testa. Non aveva trovato la famiglia di Simon tra i morti. Certo, erano scomparse da due settimane, poteva essere successo di tutto, ma… Non erano lì, lo sapeva. Quella vampira non avrebbe reso loro facile il lavoro. Sperava che Magnus e Jace avessero trovato qualcosa. Osservò sua sorella, che aveva staccato la frusta da intorno alla caviglia della vampira, e le aveva puntato addosso la sua staffa, con fare minaccioso. Non riusciva a vedere il viso di quella pazza, una cortina di capelli neri glielo copriva. Una risata agghiacciante ruppe il silenzio. La vampira si tirò indietro i capelli con una mano, rivelando un viso aggraziato.
-Camille? –domandò Isabelle, stringendo gli occhi, senza allentare la presa sulla sua staffa. La risata della vampira –che assomigliava per certo alla ex-leader del Clan di vampiri del DuMort, pur non potendo essere lei, dato che Camille si trovava nella Città di Ossa, l’ultima volta che aveva sentito parlare di lei –non fece che aumentare. Lydia fece un passo avanti, cominciando ad arrabbiarsi. Non poteva permettersi di ridere, dopo tutto quello che aveva fatto. Aveva ucciso dei Mondani innocenti, aveva rapito il capo del Clan di New York, aveva rapito due Mondane -torturandole o chissà cosa, dato che non sembrava averle uccise -, aveva ferito una Shadowhunter. Non poteva permettersi di ridere. Stava quasi per gridarle contro, ignorando Alec che l’aveva afferrata per un braccio, quando quella decise finalmente di parlare.
-Io non sono Camille. Mi chiamo Diane. –si fermò un secondo, osservando Izzy con i suoi occhi scuri. Occhi da pazza. –Diane Belcourt. –ancora si bloccò, lasciando che i tre realizzassero che cosa aveva appena detto. -Sono la gemella di Camille. –continuò poi, un ghigno sul viso. Isabelle doveva dire che adesso tutto aveva un senso, almeno. Diane aveva fatto tutto quello che aveva fatto per vendicare sua sorella. Era ovvio che avesse rapito Raphael, era stata colpa sua se Camille aveva perso il suo ruolo da leader. In realtà era stata solo colpa di Camille, che aveva rotto gli Accordi, ma certe cose erano difficili da vedere. E Simon. Simon l’aveva liberata per poi aiutare a ricatturarla, in un certo senso era ovvio che avesse colpito anche lui. Ora tutto aveva un senso. Era solo la vendetta che voleva. In quel momento non ci pensò, ma c’era qualcosa di strano. Non era arrivato loro nessun messaggio. Dopo, tutto avrebbe avuto un senso. Dopo, tutti avrebbero capito. Ma, in quel momento, nessuno ci pensò. In quel momento tutto aveva già abbastanza senso. A parte come mai Camille avesse una gemella. Nessuno aveva mai sentito parlare di lei. Nemmeno Magnus, avrebbero scoperto. Una gemella vampira, per di più. Probabilmente Camille l’aveva trasformata perché erano molto legate. Isabelle stava per farle delle domande, quando, all’improvviso, si sentì completamente svuotata da tutte le energie. Non si era nemmeno accorta di averle perse per catturare Diane. Fece un passo indietro, barcollando, mentre la vampira ricominciava a ridere. Sembrava che trovasse tutta la situazione molto divertente. La giovane Lightwood si sentiva malissimo. Le girava la testa, non riusciva più a vedere bene, quell’odore nauseabondo la stava soffocando. Non riusciva più a capire nulla, si sentiva debole. Alec si lanciò in avanti e la prese tra le braccia, prima che cadesse a terra. La testa le pulsava, le faceva male tutto. E si sentiva stanca, incredibilmente stanca.
Non ci posso credere. Sei tu. Sei davvero tu. Credevo che nessuno sarebbe venuto. Credevo che mi aveste abbandonato. Credevo che nessuno tenesse a me tanto da trovarmi... Ma sei qui. Non sei un’illusione. Sei vero. Sei tu. Sei venuto a salvarmi.
Simon. Simon aveva trovato Raphael. Raphael aveva smesso di urlare. E adesso, lei non aveva più energie. Si sentiva incredibilmente stanca. Voleva dormire. Voleva solo dormire. I suoi occhi si chiusero lentamente, mentre Diane ancora rideva e la sua staffa cadeva a terra, con un rumore metallico. Era tanto… Tanto stanca… Stanca…
-Raphael… -
 
Angolo autrice:
Lo so, lo so, avrei dovuto aggiornare giorni fa ma, dato che questo è l'ultima parte che ho scritto, volevo aspettare un po'. A parte il fatto che tutto questo non ha senso, ma ha smesso di avere senso mooolto tempo fa... Che bello, tra una settimana ricomincia la sQuola (che giooooia, siamo tutti felici)! :/ Cioè, non so se comincia anche in Italia lo stesso giorno (sono ignorante u-u), ma vabbè. Non avrò molto tempo di scrivere e il blocco dello scrittore non ha intenzione di andarsene. Perciò, la storia è momentaneamente sospesa, ma mi impegnerò a continuarla e finirla quando posso, quindi c'è la possibilità che durante le vacanza di Natale io ricompaia a tormentarvi con tutte le gioie di questa storia!
Ci si risente presto (spero)! :D

 

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