What do you want Heather?

di Elsa Maria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Angolo dell'autrice:

Non pubblicavo su questo fandom da 5 anni, circa?
Non c'è traccia su EFP di quelle che erano le mie prime fan fiction (e meno male), per cui ho voluto fare questo improvviso rush test. Senza indicazioni o annotazioni vi invito ad avventurarmi e, se vi va di dirmi come è andata! Lasciate una recensione, piccola, grande, mi farebbe davvero piacere! VIVA LE RECENSIONI WUH!

Grazie a chi leggerà tutto, chi recensirà e al fandom di Total Drama che non smette mai di riportarmi indietro ai bei vecchi tempi (mi sento quasi Chris a scrivere certe cose-)

Buona lettura!






Capitolo 1




“Certo che è proprio carino qui.” Notò la donna, spostando sulla spalla la tracolla della borsa, non mollando la presa che teneva saldo al petto il figlio. Il piccolo sonnecchiava, confortato dal cullare leggero della madre.
Forse rimase qualche secondo di troppo ad osservare come le piccole mani del bambino stringevano il cotone elastico della canotta della madre, perché questa la richiamò dai suoi pensieri.
“Vuoi tenerlo in braccio?” Trasalì a quella domanda, una reazione così evidente che fece ridere la novella madre.
“È un tuo problema quello, lo lascio a te.”
“Ma zia Heather io ti voglio tanto bene.” Fece la vocina muovendo un braccetto del piccolo.
“Io no, mamma Sierra.” Rifece la vocina Heather, accompagnando con un sorriso; Sierra era la solita eccentrica, ma questo la rendeva lei ed era lieta che non fosse cambiata.
“Comunque, accomodati pure...” esitò per un momento. “Ti porto qualcosa?” Sembrava la giusta frase da dire a qualcuno in piedi nel soggiorno; non riceveva spesso ospiti, mai in realtà. Non era una sua mancanza o colpa, semplicemente non c'era nessuno da ospitare -non che le piacesse avere gente per casa.
“Non preoccupartene, pensavo di intrattenermi poco, ti avevo promesso che sarei passata.” Accettò solo il suo invito a sedersi. Abbandonò la borsa ai piedi del divano per offrire più comodità al piccolo, ancora assonnato.
“Ammetto che non mi aspettavo saresti venuta in questa casa con un bambino.”
“I tempi del reality sono finiti e comincio a credere che sia più lui a far paura a te.” E Heather questo non poteva proprio nasconderlo, soffriva di ripellenza agli idioti e ai bambini; mentre quel ragazzino non smetteva di lanciarle delle occhiatine.
“Se devo essere sincera, non ho creduto alla gravidanza fino a che non ho visto le foto sui tuoi profili.” E c'erano tutte le foto che ripercorrevano il percorso di Sierra, si ricordava indistintamente le reazioni di schifo di Courtney che minacciò di bloccarla pur di fermare quello scempio umano.
“Neanch'io a dire il vero, è la cosa migliore che mi sia capitata dopo Cody.”
“Sono davvero felice per te, Sierra.” Mentiva.
“Oh, la calcolatrice è felice per qualcuno, si salvi chi può.” Scherzò. “Se i tuoi fans ti vedessero adesso credo rimarrebbero delusi nello scoprirti umana.”
“Non credo, saprebbero bene che si tratterebbe di una strategia per vincere la tua fiducia.” Sfoderò il suo ghigno più lucente, di quelli che ormai raramente le riuscivano così bene.
“Touché.” Concordò, perdendosi un secondo nel giocare con le mani del piccolo che sorrise alla madre con solo due dentini in vista. “Come vanno le cose qui a Toronto?”
Heather alzò lo sguardo al soffitto, dovendo fare una veloce lista mentale degli eventi positivi e negativi che avevano caratterizzato quell'ultimo anno e mezzo.
“Bene.” Credo- non avrebbe mai potuto dirlo con certezza. “Ho finalmente trovato una strada, e sai come sono: non mi resta che percorrerla e raggiungere la mia meta.” Accavallò le gambe assumendo la classica posa da Heather vittoriosa, un brio che, Sierra avrebbe potuto affermare, era scomparso.
“Tu, con Cody e Zack?” Rigirò la domanda.
“Bene, davvero bene.” Heather avvertì una dolcezza in quelle parole come poche volte l'aveva sentita.
“Alla fine hai tenuto i capelli corti.” Affermò la padrona di casa, facendo caso al gesto vizioso che aveva fatto nello spostarsi dietro l'orecchio una ciocca.
“A Cody piacciono molto, per cui mi sono detta: perché no?”
“Ti donano.”
“Come a te i capelli lunghi.” Lo erano ancora di più da quando entrambe erano nel reality. “In confronto al taglio corto, questi sembrano più tuoi.” E lo sapeva, glielo avevano detto anche in passato.
“Dimmi un po'...” Riprese Sierra con un pizzico in più di vivacità nel tono. “Situazione sentimentale?”
Heather rispose tossendo forte, quasi strozzandosi con la sua stessa saliva. Da posizione fiera a presa alla sprovvista in un attimo.
“Ti sembro una persona che ha di questi problemi?” Aveva sbuffato, sintomo di una risposta ad una domanda dolente. “Stare da sola è ben più soddisfacente, non ho abbastanza energie per un'altra cosa da far funzionare.”
“Oh, capisco.” Si morse il labbro: un pessimo segno. Quando Sierra si mordeva il labbro con quel fare insistente, Heather sapeva bene che voleva dire qualcosa, qualcosa che era meglio non dire; ma non la istigò, attese che risolvesse i suoi dilemmi interiori da sé.
“Ecco, diciamo che questa mattina sono venuta a sapere di una cosa -d'altronde ho ancora sotto controllo il forum del reality, quindi non posso perdermi le novità.” Solo una non era stata raccontata di storia, ed Heather le era ancora grata per quel favore. Esitò di nuovo, stringendo Zack a sé per tenergli la piccola testa contro il petto, sapendo quale sarebbe stata la reazione di Heather alle parole che da lì ad un attimo avrebbe pronunciato.
“Oh, dannazione Sierra, parla!”
“Alejandro è a Toronto.”
Sbiancò. Cosa?- la sua mente si svuotò d'un tratto.
5 anni, 5 anni passati a non pensare più a quel nome, a sfuggire da quel nome ed ora sbucava proprio quando non sentiva più quella pesante ombra perseguitarla. Grazie destino-
“È arrivato oggi per una missione diplomatica ed ho trovato particolare la situazione, per questo non ho potuto non dirtelo.” 5 anni non erano uno scherzo, era passato troppo tempo da quando quel nome aveva avuto un significato, troppo tempo che in un'istante era tornato indietro.
“Capisco... Beh, grazie dell'informazione, sarà un piacere evitarlo, io e quell'asino morto non abbiamo più molto da spartire.” Sorrise sicura, nascondendo un evidente nervosismo, che la portò ad alzarsi per prendere aria. Sentiva la stanza farsi improvvisamente più piccola, l'ossigeno mancare e il suo corpo appesantito, incatenato alla sedia. “Spero eviti le strade trafficate, sia mai che capiti io al volante e lui sia il pedone.” Una genuina cattiveria che Heather riservava a quelli che le avevano fatto un torto... peccato che effettivamente lui non gliene avesse fatto alcuno.
Sierra sospirò, alzandosi con lei.
Dovresti parlarci.”
“Non penso sia il caso, non ho bisogno di un uomo nella mia vita, tanto meno qualcuno come Alejandro.

“Sei sicura come sempre.” Ma nel modo in cui l'aveva mormorato lesse un tono di delusione. “Tanto trovi tutto sul suo instagram, per gli spostamenti.” Eppure quella donna ne sapeva una più del diavolo, e riusciva sempre a stuzzicare lei, che era il diavolo.
“Come se io lo seguissi.” Sbuffò, accarezzando la tasca degli jeans dove aveva messo il cellulare.
“Infatti è il mio dovere da fan numero uno dei concorrenti di A tutto reality.” Riprese la borsa, sistemandosela come aveva fatto entrata in casa. “Cody mi aspetta in città, quindi mi conviene raggiungerlo se lo faccio aspettare poi si agita.”
“Conosco il tipo.” Sorrise, non volendola salutare con il broncio.
“È stato bello rivederti, temevo che...” ma non concluse la frase, scosse il capo, sorridendole a sua volta. “Sono felice che stai finalmente bene.”
“Anch'io Sierra, per questo non posso permettermi passi falsi.” E la porta si chiuse. Per un istante aveva spento il cervello, non aveva fatto caso all'amica che lasciava la casa, per quanto avesse risposto al saluto e ora abbassava la mano. Nella sua mente, come una pellicola dei vecchi film bianco e nero, si ripropose la storia della sua vita da 8 anni a quella parte, dalla fine dell'All stars fino a quel momento. I frame erano rovinati e l'audio ovattato, ma distingueva indistintamente eventi e figure... brutti ricordi che aveva bruciato parte per parte. Nessuno sapeva cosa fosse accaduto alla coppia più gettonata: Aleather. Accade dall'oggi al domani: tutte le foto insieme scomparse, e della coppia se ne erano perse le tracce.
Ovviamente lei era fin troppo a conoscenza degli eventi, ne era l'inizio, la causa e la fine. La fine era quella casa in cui si trovava, la pace che aveva conquistato e mantenuto per un anno e mezzo e che ora stava vacillando... solo per averlo sentito nominare. Le mancava un po' la Heather orgogliosa, menefreghista, calcolatrice che era, adesso era cresciuta e si era ritrovata sommersa dal retaggio del suo comportamento.
“Ridicola.” Mormorò a se stessa mentre sul cellulare aveva aperto l'applicazione di Instagram.
Nell'istante in cui stava per aprire la ricerca, il telefono vibrò facendola sussultare. Dannazione, mi spia?-
“Pronto?” Non voleva rispondere, ma quello era un numero a cui non si poteva dire no.
“Heather, dove sei? Gwen mi ha detto che non sei ancora arrivata a lavoro.” E in effetti l'aveva dimenticato.
“Le ho detto che avrei tardato, Sierra è venuta a trovarmi e, sì Courtney, ha davvero un figlio.”
“Non ci credo...” mormorò, e poteva vederla scuotere la testa. “Beh, appena hai fatto avvisala, non riesce a gestire tutto da sola.”
Courtney aveva investito su Heather, su un lavoro tranquillo che l'avrebbe aiutata ad integrarsi bene, quindi si era scelto un bar in centro, lasciando a lei il controllo del locale e, per aiutarla, aveva assunto Gwen, che aveva da poco perso il lavoro in un pub.
Lei e Gwen, quindi, gestivano insieme un locale e, per quanto fosse assurdo da credere, funzionava, ed anche bene!
“In realtà Sierra mi ha avvisato di una cosa e...” Sospirò, non volendo troppo girare intorno alla questione. “Alejandro è in città.”
“Alejandro è in città?!” Le fece eco, urlando, così forte che diede un colpo di tosse e abbassò la voce, tornando composta. "Ovviamente tu non penserai di incontrarlo... dopo tutto quello che ti ha fatto.”
“Ovvio che no.” Ribadì con tanto di sbuffo, che avrebbe dovuto rafforzare la sua risposta e non farla sembrare una bugia.
“Allora perché hai messo un mi piace sul profilo di Alejandro?”
“Cosa?!” La reazione arrivò prima del pensiero, dato che neanche era riuscita a cercarlo e tanto meno l'aveva fatto su Facebook.
“Heather la tua si chiama ostinazione.”
“Come la tua con Duncan?”
“Non è questo il punto.” Sapeva come rispondere a Courtney, ormai poteva affermare di conoscerla bene. “Il punto è che dopo 5 anni non mi sembra il caso di ritornare indietro, d'altronde è lui che ti ha lasciato sola.” Heather si morse un labbro, perché lei sapeva. Sapeva verità scomode che aveva fatto bene a tenere omesse, non avrebbero influenzato nient'altro che le ragioni del colpevole della storia.
“In verità Courtney... c'è una cosa che non ti ho mai raccontato.” Forse era arrivato il momento di raccontarlo, un po' per un consiglio, un po' per buttar fuori quella vicenda che l'aveva sempre torturata inconsciamente. Non aveva mai avuto occasione prima, d'altronde la ragazza non gliela aveva mai chiesto. Il rapporto tra Heather e Courtney era iniziato con un patto di riservatezza: “Io faccio quello che voglio, tu fai quel che vuoi, nel rispetto degli spazi personali di una e dell'altra.” un accordo chiaro e semplice, ma Heather aveva ignorato l'ultima parte, facendo ben presto perdere la pazienza a Courtney che si era proposta, per aiutare se stessa, di aiutare lei; per cui molte cose, le più importanti, le aveva sorvolate. Ed ora i nodi dovevano venire al pettine
“Il vero motivo per cui Alejandro mi ha lasciato 5 anni fa.” Ma per poterlo raccontare Heather aveva bisogno di una sedia, tanta pazienza e che Courtney tacesse, cosa che non credeva avrebbe fatto, eppure non ci fu un fiato dopo le sue parole.
Bisognava risalire non tanto a 5 anni prima, bensì a 8 anni prima, con la fine di All Stars e l'inizio effettivo della loro relazione.


“Ti fidi di me?” Glielo chiedeva ogni sera, mentre le accarezzava la schiena nuda. I polpastrelli solcavano la pelle, tratteggiando la colonna vertebrale, vertebra per vertebra, cercando un contatto ancora più profondo, più profondo di quello che da poco avevano avuto.
“Certo che mi fido.” A quella solita risposta, lui divideva le dita da lei e si girava sul fianco opposto, così che le loro schiene si sfiorassero. Tutto taceva.
Da un po' di giorni a quella parte avevano preso quella abitudine e finiva sempre allo stesso modo, sapeva che non andava bene. C'era qualcosa che la tormentava, che le stringeva il cuore la notte... la paura che il letto dall'altra parte rimanesse vuoto. Tre anni, tre anni di relazione che ora vacillavano per quel contratto che non era stato spostato dal tavolo in soggiorno. Ora sedeva di fronte questo e continuava a leggerlo interrottamente. Aveva comprato per loro una casa, una casa che sarebbe stato il loro nido d'amore, o quelle cose schifosamente sdolcinate che erano più da Sierra che da lei. Non sapeva se le avesse fatto piacere o meno, perché da quel giorno viveva con una profonda ansia di fondo, un'ansia che con il tempo aveva solo imparato a coltivare: “Non sarà un modo per raggiungere un suo scopo?”, “Mi vuole incastrare?”, “Mi tradisce?”.
Tutti pensieri leciti dati i soggetti che erano, ma lui non aveva mai mostrato comportamenti sospetti, quindi... perché? Non aveva senso quella proposta e c'era qualcosa che non le tornava, senza contare quella sua domanda continua.
Doveva indagare in prima persona, e non affidarsi dei messaggi letti sul suo cellulare o delle chiamate che gli faceva di tanto in tanto. Heather Wilson non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa, tanto meno da un burromuerto qualsiasi.
Quindi assopendo nuove domande come: “Vuole tenermi legata ad una casa?” o “Spera che con un contratto di mezzo mi faccia sentire in debito con lui?” indossò il suo Dior nero, un tubino con la gonna svasata, il dietro che le toccava le caviglie e il davanti che invece lasciava intravedere le decolté lucide. Ciò che preferiva di quell'abito era la schiena scoperta e il modo in cui il tessuto scuro incorniciava la sua pelle perlata. Essere una modella aveva di quei vantaggi, vestiti ed accessori regalati e un portamento tale da far cadere facilmente uomini e donne ai suoi piedi. Secondo quanto letto nell'agenda dell'altro, quella sera sarebbe stata in un hotel di lusso e, mentre lui era in "riunione" (o così le aveva detto), lei l'avrebbe atteso al bar, per fargli una sorpresa ovviamente. Nel caso in cui fosse uscito solo, composto e magari con qualche politico rozzo al seguito, gli avrebbe creduto... altrimenti.
Le labbra si toccarono l'un l'altra testando la tenuta del rossetto, incorniciando poi un ghigno soddisfatto. L'eyeliner fece un lavoro pari se non migliore al rossetto sulle labbra, i suoi occhi ghiaccio erano più penetranti del solito: tutto perfetto. Uscì dalla toilette del bar dell'albergo, portando una ciocca di capelli corvini allo chignon che li teneva compatti. Ordinò un margarita, giusto per intrattenersi quel poco che le serviva con qualcosa fra le mani, addebitandolo ad una camera di cui aveva notato esserci la chiave. Accavallò le gambe, il tessuto le accarezzò le caviglie in uno sfiorare seducente che fece allungare qualche sguardo. Semplice, ma appariscente: era il suo stile. La bocca sfiorò il vetro fresco e ricoperto di sale del bicchiere, assaporando il gusto fresco e acidulo del cocktail, mentre la gola le bruciava appena per l'alcool.
“Ma guarda chi si rivede.” Una voce graffiante e calda la colse di sorpresa, un fulmine a ciel sereno.
“Josè?” Sorpresa e spaventata, avere in mezzo quella persona significava guai.
“In persona. Come mai da queste parti?”
“Coincidenza.” La chiamò lei, sapendo bene dove Josè volesse andare a parare con quella domanda, ma lei non doveva sapere che il fratello si trovava lì, per cui. “Tu?”
“Chiamiamola coincidenza, sono qui per affari noiosi che neanche mi riguardano e... guarda quale diamante grezzo trovo sola a bere.” Era un complimento? Una frecciatina? Bravo chi l'avesse capito.
“Da non attraente a diamante grezzo, certo che le persone cambiano con il tempo.” Rimise subito in ordine le loro posizioni: lui, un povero uomo, che ci provava con lei, l'ape regina.
“Non posso che essere più d'accordo con te, a vederti ora non sembreresti il tipo di persona che ha partecipato ad un reality così squallido.”
“E tu non sembri qualcuno che si lascia mettere KO dal fratello sfigato in diretta TV.” Osso duro, non poteva che ammetterlo, ma sapeva come tenerlo a bada, passare tanto tempo con uno dei fratelli Burromuerto aveva i suoi vantaggi. “Comunque scusami, ma stavo tranquillamente sorseggiando il mio cocktail, quindi.” Socchiuse gli occhi e prese un sorso più profondo del precedente, stirando le labbra per sopportare quel sapore forte.
Davanti a Josè comparve un whisky e sul suo viso un sorriso; non avrebbe mollato facilmente. Il problema era che non solo lui era una persona ostinata.
“Non posso vederti sola, il mio fratellino non mi perdonerebbe mai se lasciassi la sua fidanzata al primo sciacallo.”
“Qui lo sciacallo è uno e uno soltanto.”
“Ah, sì? Chi sarebbe?”
Heather si sporse verso di lui per rispondere acida e secca, ma la precedette e le ordinò un cosmopolitan prima che potesse rifiutare. “Sono un uomo galante, prima di scacciarmi fatti offrire un giro o due.” Le propose, una voce allettante che non poteva ricevere rifiuto, e quel cosmopolitan appena servito le fece accettare l'accordo. In men che non si dica avevano iniziato a parlare vivacemente e il cocktail, come il bicchiere di cherry che ne seguì, erano stati finiti. Faceva più caldo nel vestito nero, la voce era più alta e aveva iniziato a gesticolare vivacemente, segno di quanto fosse alticcia.
“Basta bicchieri non ne posso più.” Biascicò, respirando profondamente prendendosi qualche minuto per ragionare su cosa dire. “Non capisco come mai questo slancio di gentilezza nei miei confronti, litigi fra fratelli?”
“Classica rivalità.”
“Sarei il bottino?”
“Oh no, anche se per Al lo sei a tutti gli effetti.” Un bottino da vincere? Stupendo, quindi era una bella medaglia sul petto.
“Che palle.” Bofonchiò, giocherellando con il bicchiere ormai vuoto.
“Come mai?”
“Non sono un oggetto, non sono un premio, né tanto meno il gatto domestico a cui serve una casa.”
“Sei una donna libera.”
Heather gli rivolse completamente la sua attenzione, trovando quelle parole più interessanti del bicchiere.
“Una donna forte, che merita il meglio.” Rincalzò la dose, non lasciandosi sfuggire quella breccia che aveva trovato nel muro di Heather.
“E quale sarebbe questo meglio?” Non si era accorta quanto Josè fosse pericolosamente vicino.
“Qualcuno in grado di apprezzarti per come sei e non che ti tratti come soprammobile.”
“E cosa ti fa pensare che io mi faccia trattare in questo modo?”
“Sei qui a bere con me, mentre aspetti di scoprire se Al ti tradisca o meno.”
“Io sono qui perché lo voglio, piuttosto io non ho ancora capito perché tu sia qui.”
José le posò il dito sotto il mento, sollevandolo.
“Perché lo voglio, e non potevo lasciarmi sfuggire qualcosa che inseguivo da tempo.” Le sussurrò sulla bocca, non distogliendo lo sguardo dal suo. Heather non riusciva a contrastarlo, le sue parole la stavano incatenando ai suoi occhi “Hai scelto il fratello Burromuerto sbagliato.” Non perse tempo. Mentre la sua mano saliva sulla sua coscia morbida, le labbra l'avevano catturata in un bacio caldo e passionale che sapeva di alcool e saliva. Piegò lateralmente la testa, concedendosi a quel piacere, un piacere amaro figlio del tradimento. Ma era giusto così, era il prezzo da pagare se si sfidava Heather Wilson.

“Non so dirti cosa è venuto prima, se la coscienza del fatto che avevo baciato il fratello odiato del mio fidanzato oppure lo sguardo di Alejandro che aveva assistito alla scena e mi bruciava la pelle.” Sospirò piano, coprendosi il viso con una mano. Courtney non fece un fiato e ci volle qualche secondo prima che sentisse il suo respiro dall'altra parte della cornetta. “Non posso dire di non aver risposto, che non fosse stato un vero bacio, posso dire che non ero in me, che pensavo mi tradisse e che... non ero pronta a quel passo a cui mi aveva forzato.” Non le nascose la rabbia nel suo tono, l'irritazione che aveva provato per se stessa in quel momento e poi nei confronti di lui. Perché lui non aveva fatto nulla, era solo ed esclusivamente colpa sua. “Tornata a casa non c'era più, ero sola. Alejandro mi aveva lasciata.” Lei e il contratto sul tavolo del soggiorno. “Diamine, Courtney, dì qualcosa!”
“Hai fatto un gran bel casino, non c'è che dire.”
“Grazie tante, davvero.”
“Ma non sono stupita più del dovuto, non siete cambiati affatto, pensavo che il reality vi avesse insegnato qualcosa e invece... ma meglio così.” Concluse i pensieri che si era fatta della situazione. “Forse non dovete stare insieme, più vi inseguite e trovate più tutto torna in un punto vuoto in cui vi dovete lasciare.”
Il suo ragionamento non faceva una piega, eppure l'aveva messa in viva voce e il dito aveva concluso la ricerca che aveva iniziato.
“Già, meglio così.” Concordò, affatto convinta.
“Lo stai cercando vero?”
“Devo pur sapere come evitarlo, no?!” Evitarlo, ovviamente, non aveva bisogno di rivederlo, di provare a se stessa che, sì, alla fine il suo errore aveva giovato ad entrambi e trasformato la colpa in fortuna.
“Heather non devo ricordarti com'è stato il periodo seguente, vero?” Si morse il labbro, nuovamente. Dopo che Alejandro aveva abbandonato la casa, lasciandola totalmente a lei, si era ritrovata sola ad Ottawa, una città che conosceva da appena 3 anni, a cui non apparteneva, una realtà che si era legata a lei nel momento in cui aveva iniziato il lavoro da modella. Seguire quel mestiere aveva mostrato in fretta il lato della lama, tutti i party a cui doveva prendere parte, pieni di alcool e persone fortemente frustrate in cerca di altre persone sole, come lo era lei. Courtney era intervenuta a metà di quell'anno di alcool e festini. Lei aveva una casa grande, Courtney aveva bisogno di un alloggio per poter studiare legge nella grande capitale; una combinazione eccezionale che l'aveva tirata fuori dal baratro. Il fondo era stato toccato in una festa in cui alcool e conforto fra persone sole non bastavano più e qualche pillola avrebbe aiutato a movimentare il tutto. Courtney lo fece più per esasperazione che per gentilezza: doveva studiare e non perdere tempo a distrarsi da quello che succedeva troppo spesso nella camera di Heather. Poteva dire che senza l'amica, questo era diventato, per lei non sarebbe finita molto bene, forse a quell'ora sarebbe abbandonata in chissà quale villa o, peggio, vicolo. Il conto dell'aiuto dato le era stato presentato presto, quando all'altra servì un aiuto per conquistare una vecchia fiamma ritrovata; per quanto a Duncan Heather non gli era mai andata a genio. Stranamente, però, funzionò, tant'è che riuscì non solo a far amicizia con il ragazzo, ma a riavvicinare Courtney a lui e riattivate la vecchia meccanica odio amore fra loro. Quel che non aveva funzionato per lei ingranò bene per l'amica e la fine del racconto della sua vita andava a sbattere in quell'istante.
“Dimenticare quel periodo direi che è difficile.” La incalzò, sbuffando irritata. “Ma in questo momento è totalmente un'altra storia.”
“Come ti pare, tanto sappiamo entrambe chi avrà ragione alla fine.” Precisò con il suo solito tono presuntuoso. Penso che compilerò una lista con i motivi per cui non bisogna mai darmi torto.” E già poteva vederla prendere carta e penna, appuntando sulla prima riga un numero uno. C'era stato un periodo in cui la casa era piena delle sue liste.
“Come vuoi, ti dimostrerò del contrario.”
“Sfida accettata, il secondo punto sarà: mai sfidarsi su ciò che non si è certi di vincere.” Tanto le diede fastidio il nevrotico scrivere di Courtney che le attaccò in faccia, esasperata.
Ora aveva bisogno di concentrarsi, doveva elaborare una strategia ed evitare di pensare troppo a cose superflue, come la consapevolezza di quanto quel che stava per fare fosse sciocco. Per prima cosa analizzò gli ultimi aggiornamenti del profilo di Alejandro, fra baci e abbracci di politici (e politiche), qualche festa sulla spiaggia, il caldo infernale argentino, la villa della sua famiglia, poco c'era su Toronto, nessun accenno che fosse arrivato se non per il paesaggio che si intravedeva appena alle sue spalle in una delle storie caricate. Che volesse non essere trovato? Per lei o per il lavoro? Perché come lei sapeva di lui, ci avrebbe scommesso, lui sapeva di lei, ed era quasi certa che a fare la spia fosse stato Duncan. Poteva allungare il suo solito giro per arrivare di fronte il palazzo della foto e poi andare al bar ad aiutare Gwen, di cui, di fatto, si era dimenticata -ma non sarebbe stata odiata, l'altra non poteva odiarla più di quanto già non avesse fatto.
Procedette con ordine, seguendo il suo solito agire metodico: controllo del territorio d'azione, puntare l'obiettivo, colpire e affondare; non era mai stata delusa da questa sequenza, decisa e precisa avrebbe conquistato la vittoria!... se non fosse stato tutto un buco nell'acqua. Non solo aveva finito con l'arrovellare il cervello su dubbi e domande, che aveva zittito ringhiando a se stessa e stringendo il volante, il controllo del territorio si era rivelato un posto vuoto con qualche anima e barbone, strade che con piacere avrebbe evitato. Per cui non perse tempo nemmeno a fermarsi, riprese la sua strada, perché Alejandro non era lì. Fortunatamente non era lì.-
Si fermò ad un semaforo e sospirò, lasciandosi andare contro il sedile.
“Quanto sei cretina.” Disse a se stessa battendo la testa contro il volante. Arrenditi, è una sfida che non puoi vincere.- riecheggiava nella sua mente. Per una volta può anche vincere lui.- Ed era a questa convinzione che stringeva ancora i denti e continuava imperterrita la sua ricerca, finendo per girare tutta Toronto per trovare il nulla. Alla fine si arrese all'evidenza che era perfettamente riuscita nel suo intento, che Alejandro avrebbe avuto salva la vita e che lei non si sarebbe messa l'anima in pace, dovendo persino dare un punto a favore a Courtney. Se la sua vita fosse stato A tutto reality, arrivata a quel punto patteggerebbe per la sua auto eliminazione. Chiuse la portiera irritata, si fidò del clack della serratura senza controllare che fosse bloccata, avviandosi verso il bar con la testa bassa, mugugnando tanto forte da far girare i passanti.
Ma cosa volevano loro? Non avevano di certo dei problemi di ex da risolvere.
Soffiò, coprendosi la bocca con la sciarpa, rallentando il passo. Le era tornato in mente un evento, un singolo istante che aveva dimenticato perché al tempo si era convinta fosse un errore. Da poco si era trasferita nella nuova casa e, non avendo un piano, aveva accettato un lavoro a tempo indeterminato in un call center. Niente di impegnativo, ma che l'avrebbe intrattenuta durante la giornata -senza contare la necessità di uno stipendio. Aveva una lista infinta di numeri da chiamare, una lista di nomi a cui appartenevano i numeri e offerte da proporre: facile, anche troppo. Si ricordava che aveva sistemato le cuffie mentre attendeva che il numero, uno dei pochi senza nome di riferimento, rispondesse e fu esattamente nel momento in cui posò la lima di ferro all'unghia che una voce calda, fin troppo familiare, rispose, facendola trasalire. Un nitido pronto che ricevette risposta allo scoccare dei 00:06 secondi sullo schermo. “Salve, vorrei proporle un'offerta...” “Ehm, no scusi non sono interessato.” Non sapeva se l'avesse riconosciuta, in quel momento era lei quella confusa, poteva mettersi a pensare a qualcos'altro che non fosse il suo cervello incasinato? E quel sipario si chiuse così: con lei senza parole e la linea caduta. Forse non era neanche la sua voce, era certa che esistessero altri ispanici oltre Alejandro con un numero canadese, per cui quello che era successo nacque e finì lì... ma ora sembrava tutto più vero. Strinse maggiormente la sciarpa di cotone quasi a volersi strozzare, alzando gli occhi verso la porta del locale, una porta in legno che aveva una piccola finestrella che affacciava verso l'interno. Insieme a Courtney aveva scelto come allestire il locale, compresi gli infissi, ed era stata proprio lei ad insistere su quella porta, perché trovava carina quella finestrella, che lei invece aveva trovato insulsa; mai avrebbe immaginato quanto quella scelta l'avrebbe salvata.
Si chinò in fretta sulla scarpa, dando le spalle all'entrata di cui tintinnò la campanella. Non era un'allucinazione: la pelle bronzea, il corpo cesellato ad arte e i lineamenti del viso sottolineati dal pizzetto curato.
Di tanti locali.- strinse gli occhi, imprecando, lanciandosi poi nel locale. Occhiata felina all'esterno e poté girarsi verso una Gwen che, con un sorriso sornione, l'aspettava profondamente divertita sia dalla situazione che dalla sua espressione corrucciata.
“Parli del diavolo... e appari tu.”
“Hai di nuovo organizzato un rito satanico dietro il bancone?”
“Quante volte devo dirti che era un ordine di candele profumate in sconto ed il fatto che fossero nere e rosse era solo perché mi piace l'aroma?” Sbuffò, per poi poggiarsi con i gomiti sul bancone non distogliendo lo sguardo da lei. “Comunque, sai bene cosa volevo dire.”
“E cosa vorresti dire, scusa?” Finse indifferenza, ma le sopracciglia le avevano corrugato tanto la fronte che ne erano rimasti i segni.
“Suvvia, hai visto chi è appena uscito dal locale.”
“Oh, davvero, chi?” Non ostentò ironia, anzi la marcò, sforzando anche un sorriso, nel tentativo di non irritarsi.
“Allora, vuoi sapere di cosa abbiamo parlato?”
“Non mi interessa se ti ha chiesto di me.”
“Veramente mi ha chiesto se sentivo ancora voi del reality.” Si strinse fra le spalle, passando uno straccio sul bancone. Heather le lanciò un'occhiataccia mentre appendeva il giacchetto di pelle e la sciarpa nella stanza riservata allo staff, indossando il grembiule corto, che le copriva i pantaloni.
“E tu gli hai risposto?”
“Che ero in particolare contatto con te e che lavoriamo insieme qui.”
“Ma sei scema?!”
Scoppiò a ridere. “Scusa, ma è troppo divertente.” Sghignazzò per qualche altro minuto, prima di ritrovare un po' di compostezza. “Gli ho raccontato di Courtney, Duncan, io e Trent, delle partite di D&D che organizza di tanto in tanto Cameron, Sierra e Cody, lui sapeva davvero poco, dopo che ha lasciato Ottawa per tornare in Argentina.” E non si trattenne dal giudicarla con lo sguardo: indovina di chi è la colpa. “Ha perso i contatti e si è concentrato sulla sua nuova carriera.”
“Diplomatico, eh?”
“Così pare.”
“Beh, sono contenta per lui.” Non seppe cosa dire oltre quella scontatezza, mettendosi a pulire qualche tavolo che era stato usato per la colazione.
“Perché non gli parli?”
“Come?”
“Seguilo, parlargli, non lo so, non puoi tenere il broncio per tutto il tempo.”
“Certo e poi dovremmo contornare il tutto con una bella bevuta, un ritorno ai vecchi tempi... che ne dici di un ritorno alla realtà? Ehilà, cervello e ragnatele, non serve ti spieghi la situazione vero?”
“Fa come ti pare, come sempre, liberissima di affogare nella tua convinzione.” Gwen diede il buongiorno ad una coppia di clienti appena entrata, mentre lei continuò a borbottare lustrando il vetro di uno dei tavolini. La visione di Gwen era davvero ideale: parlare, risolvere, baci e sorrisi e poi cosa? Esattamente, non vedeva il poi, ed era proprio quello ad inquietarla tanto. Aveva davvero bisogno di Alejandro?, di avere un impegno a lungo termine con lui o, in generale, di avere un impegno con qualcuno? Stava bene da sola e perché non continuare ad esserlo. Strinse lo straccio, perdendosi nel suo riflesso. Da tempo quel suo sguardo non si era posato che su se stessa, l'unica persona di cui davvero le importava, capace di infonderle sicurezza soltanto guardandosi: sei una donna forte, sei dove sei solo ed unicamente grazie a te. Eppure se chiudeva gli occhi e distoglieva l'attenzione da se stessa non sentiva più nulla, solo il battito di quel cuore ricoperto di pece che Courtney e Gwen avevano tanto decantato. Heather Wilson non era persona da sentirsi vuota per colpa di un uomo, la colpa in questo caso era di Alejandro che aveva aperto una breccia nel suo animo, l'aveva coltivata e poi abbandonata a marcire, non si era preso cura di qualcosa che lui aveva causato, anzi aveva fatto, come suo solito, il bambino viziato lasciando da parte il giocattolo che gli aveva fatto male, lasciando lei intrappolata sotto un macigno. Era a causa di questa breccia se lei stava davvero bene con Alejandro, più di quanto avrebbe mai ammesso in vita sua. Quando c'era lui chiudendo gli occhi sentiva la sua voce, sentiva il suo calore, una compagnia che non le dispiaceva. I battibecco con lui davano un ritmo alla giornata, le frecciatine e quelle battute a cui lui riusciva a trovare un doppio senso, lasciandola appesa senza possibilità di ribattere, tutto sommato le mancavano.
Lasciò l'ordinazione ad un tavolo, sorridendo alla ragazza seduta a questo, riportando indietro con sé il vassoio.
Ma allo stesso modo, se si fermava a pensare oltre a questo, ad un futuro che teoricamente una coppia dovrebbe avere... beh, quel solo battito del cuore non le dispiaceva così tanto. Tutto si riduceva quindi ad una singola domanda: “Cosa vuoi Heather Wilson?” e non appena avrebbe trovato risposta, forse avrebbe anche potuto seguire il consiglio di Gwen.

“Direi che per oggi possiamo chiudere.” Affermò con fare orgoglioso Gwen, sollevando il sacco della spazzatura appena chiuso.
“Ci penso io, tu porta via la spazzatura.”
“D'accordo.”
“Non dimentichi qualcosa?” La ragazza la guardò mentre si metteva la giacca, interrogativa. “Capo, devi chiamarmi capo.”
“Ah, ah, certo Heather.” Prese la busta. “Non l'ho mai fatto non capisco perché dovrei iniziare.”
“Perché sono il tuo capo.”
“A domani, Heather.” La lasciò sola con lo scopettone in mano, che iniziò a passare. Alla fine la giornata era andata stranamente meglio, tutto era proceduto con tranquillità e la noiosa routine quotidiana le aveva fatto bene. Ora si sentiva più leggera, soprattutto con meno pensieri che si arrovellavano nella sua mente. Vero, la minaccia Latina era ancora a piede libero, ma non l'allarmava. Avrebbe dovuto lasciarsi andare al tempo, come quel pomeriggio le aveva insegnato, d'altronde non era più nel reality, tanta agitazione avrebbe soltanto nuociuto alla sua pace, non poteva farsi venire le rughe tanto presto -la pelata precoce le era bastata.
Riordinò quindi le sedie ed i tavoli, spense la luce del locale, mise l'antifurto ed uscì fuori, stringendosi nel giacchetto all'avvertire una folata di vento fredda. Girò due volte la serratura e mise il lucchetto in basso, tutto era fatto come ogni martedì quando chiudeva il locale. Routine, cara vecchia routine. Dalla tasca, tra scontrini e un pacchetto di mentine, tirò fuori le chiavi della macchina pronta a godersi una serata all'insegna di film trash e popcorn; il film che aveva in mente doveva essere tanto trash da superare persino A tutto reality. Avrebbe dovuto avere il peggio del peggio, qualcosa come Sharknado, tornado e squali, sangue e assurdità, le serviva questo, non ... Alejandro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2




Non scherziamo.- digrignò i denti tanto forte che sentì quello finto vacillare. Alejandro era dall'altra parte del marciapiede, la guardava con il suo solito sorrisetto beffardo, in una posizione da campione, sembrava prenderla in giro: “Alla fine ti ho incontrato e non potrai investirmi.”
Lo odiava.
Dopo tutto quello che era successo la aspettava con quell'espressione in volto? E, che non lo nascondesse, lui la stava aspettando, non poteva essere lì per caso, solo uno sciocco ci avrebbe creduto.
Esitò più del dovuto, non battendo ciglio, non muovendo nessun muscolo, fatta eccezione per il cervello che stava producendo così tanta energia negativa che era in grado di trasmettergliela, a discapito della distanza. Non vide neanche lui muoversi, si osservavano, attendendo che fosse l'altro ad aprire le danze; ma a scuoterli fu un'inaspettata voce fuori campo.
“Ma dai, non ci credo.” Una voce sgraziata e fastidiosa con cui non voleva avere a che fare in quel momento. “Vi prego, ditemi che vi siete beccati per caso.”
“Sta zitto, Duncan!”
“Uh, che tensione, ricominciamo con i coretti?” Ridacchiò, raggiungendo la parte di Heather.
“Questa è opera tua.” Gli ringhiò contro additandolo contro il petto.
“Non fraintendiamo, ho di meglio da fare.”
“E cosa? Rubare?” Delle parole che le furono prese di bocca da una voce dall'accento latino che si era fatta più vicina. “Non ci si vedeva da tempo.” Aggiunse dando la mano all'amico.
“Ma sappiamo che tornano sempre.” Così aveva commentato Duncan, dandosi uno spalla contro spalla con l'altro.
“Cosa mi sarei persa?” Una nuova presenza si aggiunse al trio, un elemento essenziale per completare il quartetto.
Donna, guarda chi ho incontrato per caso?” Ma lo distaccò, guardandolo in cagnesco.
“Duncan, quante volte ti ho detto di non chiamarmi così.” Sospirò, le liste non erano mai abbastanza. “Comunque mi sono persa qualcosa?” E questa volta l'occhiata la condivisero Heather e Alejandro, uno concentrato su di lei, l'altra, imbronciata, con lo sguardo rivolto da altre parti.
“Un'amichevole rimpatriata, che ne dite di una bella uscita a quattro, eh?” No, non era una proposta stile Duncan, ma farsi sfuggire un quadretto come quello? Un'uscita a quattro era d'obbligo.
“Io avrei un impegno.” Affermò Heather, volendo riprendere il pieno controllo della situazione.
“Vederti Sharknado?” Duncan la prese nuovamente in contropiede, facendola rabbuiare come un cane a cui era stata levata la crocchetta, anche se per Heather si trattava di un'ancora di salvezza. Courtney persino voleva aiutarla, dato che voleva evitare qualunque tipo di contatto fra i due, ma fu Alejandro ad anticiparla, lasciandola stupita dall'affermazione che stava per fare.
“Non è una pessima idea, conoscete un buon ristorante?” Ormai era ora di cena, andare a chiudersi in un ristorante era l'opzione migliore, anche per poter fuggire dalla finestra del bagno se la situazione fosse stata insopportabile. Trovarono posto ad un locale stile America anni 50, Courtney fece riferimento a un qualche musical, Grease forse, ma non l'aveva ascoltata, aveva staccato la spina, non sapeva dove guardare, Alejandro prendeva davvero troppo campo visivo, colpa di quelle spalle ampie e... basta.
Cervello smettila ora.-
“Heather?” Courtney la richiamò alla realtà invitandola accanto a lei con Duncan e Alejandro che sedevano di fronte. A prendere il menù per primo fu quest'ultimo, lesse attentamente frase per frase, quasi a dover analizzare il senso delle parole e non scegliere da mangiare. Heather fece lo stesso, capendo perché quelle parole fossero degli interessanti soggetti di studio: l'atmosfera stava peggiorando di secondo in secondo.
“Io ho scelto.” Annunciò Courtney dopo 5 minuti di totale gelo
“Anche io.” La seguì Duncan. Lei alzò la mano per chiamare una cameriera dato che gli altri due avevano annuito, concordi.
Tutti ripeterono le loro ordinazioni, l'avvocatessa andò sul leggero con un solo hamburger, Heather la seguì, aggiungendo però un frappé alla sua ordinazione, l'elemento di disturbo (alias il punk) esagerò come suo solito, neanche dovesse battere Owen ad una sfida mangereccia, mentre Alejandro, sfoderando tutta la sua galanteria e il sorriso ammaliatore, ordinò un insalata cesar, leggera, perché, come ricordava diceva sempre: “il suo corpo era il suo tempio e tale doveva rimanere: puro ed intatto”.
La cameriera finì di segnare tutto sul palmare, arrossendo quando il bel latino le passò i menù.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.- si disse fra sé e sé vedendo come Alejandro osservava soddisfatto lo sgambettare della ragazza, rivolgendo immediatamente dopo lo sguardo a lei: “non ho perso il mio tocco. questo forse intendeva la sua occhiata, ma aveva voltato troppo in fretta la testa per poterlo dire con certezza.
“Allora, cosa ci racconti?” Fu Courtney ad aprire le danze, sia perché non riusciva a sopportare quel silenzio sia per evitare che Duncan dicesse qualcosa di cretino.
“Nulla di particolare.” Intrecciò le dita, facendole aderire bene sui dorsi delle mani. “Ammetto che, seppur sono passati tanti anni, è stato tutto alquanto monotono, soprattutto se penso un po' alla mia famiglia. L'unica cosa che è veramente cambiata è la carriera, ma non sono l'unico a cui ha portato molto.” Uno sguardo eloquente rivolto alla ragazza vestita di tutto punto con tanto di ventiquattr'ore.
“Sono riuscita nel mio intento, mi sono laureata e ora ho un mio studio.” Disse fiera, alzando di qualche spanna il viso, accentuando il suo naso già all'insù. “Tu invece?”
“Diplomatico, come mio padre. È stato più duro studiare che entrare nell'ambiente lavorativo, devo ammettere.”
C'era una cosa che la stava particolarmente innervosendo: la tranquillità nel tono di Alejandro. Non era sotto pressione quanto lo era lei, non era infastidito, irritato, arrabbiato, non era nulla e questo la stava facendo impazzire. Significava forse che non avesse più presa su di lui? Che avesse perso il suo interesse? Non esisteva al mondo che qualcuno perdesse interesse per lei -anche dopo quel che era accaduto fra loro, lei rimaneva pur sempre lei.
“Mentre te, Heather?” Le provocò una scossa profonda sentirlo pronunciare il suo nome, non pensava l'avrebbe fatto, l'aveva colta alla sprovvista e non doveva mostrarsi impreparata.
“Io lavoro al bar con Gwen, quello dove mi stavi aspettando.” Precisò, volendo metterlo a disagio.
“Un posto davvero grazioso, fate degli ottimi cappuccini.” Ma non colse la provocazione, la evitò con eleganza, lasciandola senza poter ribattere.
“Sono la specialità di Gwen, io sono più portata per il caffè amaro.” Puntualizzò, tamburellando una volta le dita, rilanciando con uno sguardo di sfida. Non gli avrebbe dato tregua e gli avrebbe fatto nuovamente capire chi comandava. Un piano geniale.
“E a me nessuno chiede cosa faccio?” Si intromise Duncan, spezzando un silenzio di cui non si era accorta, e ora Alejandro sorrideva, nuovamente, come se in realtà quella sfida l'avesse vinta lui. Sbuffò, preferendo dar corda a Duncan che all'altro essere.
“È già tanto se sei fuori di galera.”
“Heather da parte tua ricevo sempre una parola dolce.”
“Dovere.”
In risposta a quel breve battibecco toccò a Courtney sbuffare, già stanca della situazione.
“Ma come mai stavi aspettando Courtney sotto il suo ufficio?”
“Ero passato a prenderla.” Un gesto quasi romantico, dato il soggetto che era, per nulla a misura del Duncan del reality -infatti lasciò tutti sbalorditi, la stessa diretta interessata.
“E perché diamine mi- l'hai portata qui?” E con qui non intendeva il posto, ma la situazione particolarmente spinosa.
“Non mi aspettavo che Alejandro arrivasse questa sera, non potevo farmi scappare l'opportunità di rivedere un vecchio amico e poi, ehi, più si è più ci si diverte.” Si era persa dove Duncan avesse imparato ad essere così falsamente accomodante a parole, aveva affinato le sue abilità di truffatore, non poteva che riconoscerglielo.
“Toglimi una curiosità.” La parola la riprese Alejandro, che ora si accarezzava il pizzetto con fare distratto. “Ma come siete tornati insieme?”
Courtney e Duncan si scambiarono un'occhiata e lui rise, lei invece abbassò lo sguardo, imbarazzata da ciò che avrebbe dovuto raccontare.
“In maniera molto veloce ci siamo rivisti durante il mio periodo di tirocinio.”
“Incontro casuale?” Alejandro lanciò un'occhiata eloquente ad Heather, portandola a fare una smorfia e ad intervenire.
“Era il suo primo cliente.”
“Ehi, non sono un tipo che sorprende.”
“Era difficile da difendere. Le prove erano un video e un testimone oculare... diciamo pure che era impossibile, soprattutto come primo caso di una tirocinante. Però, essendo io la migliore del mio corso, sono riuscita a dimostrare che il video non era chiaro, scoprendo anche che durante l'ora del furto della macchina il testimone era ubriaco, quindi non in grado di distinguere indistintamente il volto del ladro; per cui posso affermare di averlo salvato da un periodo un po' lungo di galera.” Concluse la sua arringa con volto fiero, facendo accigliare il criminale.
“Pft, non esageriamo ora.”
“E dopo?”
“E dopo, ognuno per la sua strada.” Disse Courtney, provocando un'espressione di stupore al latino. “Il vero poi è stata Heather in un certo senso... in effetti ancora stento a crederci che mi sia stata tanto utile.”
“Grazie tante.”
“Di certo io lo sono stata più a te.”
“Non ci provare, abbiamo saldato il debito, non riportare in mezzo quella storia.” Sbuffò, stringendo al petto le braccia.
“In pratica.” Riprese la narrazione Duncan. ”ero con la band ad esibirmi la sera in un locale, a questo punto è stato un caso, perché le due qui presenti sono arrivate per una serata fra amiche, con evidenti intenzioni poco caste, te lo assicuro.”
“Ora indossare dei vestiti eleganti sarebbe poco casto?”
“Se lo vuoi proprio definire elegante, Heather.” Lanciò ad Alejandro un'occhiata d'intesa: “chi vuole intendere intenda” e la fece innervosire -molto più di quanto già non lo fosse. “Fatto sta che io e il mio gruppo suoniamo, ovviamente questa meraviglia.” Indicò se stesso. “non può essere ignorata, quindi dopo non molto mi ritrovo il soggetto di fronte a te.” Indicò Heather. “che: senti, Duncan, invece di fare il coglione come tuo solito perché non offri da bere o che ne so... insomma Courtney è sola, per una volta metti in moto il cervello.”
“Non ho detto proprio questo!” Lo riprese Heather in contropiede, non volendo passare per un'analfabeta disfunzionale, bastava Lindsay per quel titolo.
“Il coglione l'hai detto.”
“È la tua faccia ad ispirarlo, non posso farci nulla.”
“Alla fine, dopo litigate e varie, che c'erano state anche durante il processo, ci siamo ritrovati di nuovo ed eccoci qui. Ora stiamo tentando qualcosa di simile al convivere, ma Duncan fa più il mantenuto che altro.” Courtney aveva concluso in breve il discorso per evitare degenerasse, non lasciandosi sfuggire però l'occasione di lanciare una frecciatina.
“Che posso dirti, mi piace vivere comodo, senza pressioni.” Si mise le mani intrecciate dietro la nuca in una posizione di completo relax. Ora poteva riconoscere il vecchio Duncan.
“Allora mi spieghi perché vivi con Courtney?” Heather si azzardò a fare una battuta che Alejandro si era tenuto per sé, in nome della pace e della calma di Courtney.
“Come prego?”
Ma a salvarla fu l'arrivo tempestivo della cameriera che lasciò sul tavolo le ordinazioni. Se ne andò guardando in modo eloquente, avrebbe addirittura osato dire lascivo, Alejandro. Lui non si trattenne dal ricambiare lo sguardo, facendo scivolare sotto il tavolo un bigliettino ripiegato che gli era stato passato con il piatto. Duncan sbirciò e tirò fuori un fischio dando un colpetto con il gomito al braccio dell'amico che, con sorriso compiaciuto, mise il biglietto nella tasca dei jeans.
“E il latino conquista ancora.” Annunciò, prendendo il suo panino e addentandolo. “A tal proposito, nessun qualcuna nella tua nuova vita?” Ammiccò, sperando in commenti piccanti.
Heather abbassò gli occhi sul suo piatto, il frappé le sarebbe finito di traverso, si accontentò di sgranocchiare nervosamente qualche patatina. Non voleva sentire certe storie.
“Oppure qualcuno?” O forse voleva.
Si voltarono tutti verso Courtney che aveva ben marcato l'accento sul genere del pronome. Il seducente diplomatico si passò platealmente una mano nei capelli, lasciandosi andare contro il divanetto.
“Non ci credo che gliel'hai raccontato.” Duncan rideva e quando rideva così a crepapelle Heather tentava sempre di essere ben lontana.
“Ho dovuto, sai quanto può essere pressante quando vuole sapere qualcosa.”
“Sapere cosa?” Avrebbe ignorato quel detto sulla curiosità che uccise il gatto: doveva sapere.
“Ormai, quanti? Cinque o quattro anni fa ho ospitato da me Alejandro, per un motivo o per un altro il nostro amico qui era un bel po' sconvolto e siamo finiti a bere entrambi... solo che uno dei due c'era andato giù pesante e quella volta non sono stato io.”
“Taglia corto.” Finalmente Alejandro si mostrò infastidito da qualcosa. “Gli ho chiesto se voleva...” non riusciva a dirlo.
“Se voleva fare sesso con lui.” Courtney invece fu persino troppo esplicita, un buon avvocato deve usare delle parole chiare e concise in ogni situazione. Duncan ormai non respirava più dal ridere.
“Nessuna ragazza avrebbe rifiutato, insomma Heather, lo sai bene, no? E chi ero io per rifiutare?”
“Fatto sta che alla fine mi sono addormentato prima ancora di ascoltare la sua risposta.”
“Si era avvicinato tutto felino e poi... boom, addormentato! Ci sono rimasto davvero male, sai?”
“Davvero contento che tu ci sia rimasto male.” Sorrise, felice che quella serata si era conclusa nei modi meno tragici.
Ad Heather non bastò sbattere più volte le palpebre per metabolizzare quella rivelazione; ma c'era un dettaglio che aveva veramente catturato la sua attenzione.
“E come mai eri tanto triste da finire persino per accontentarti di lui?”
“Una situazione di particolare sconforto e sconvolgimento.” E con quelle parole voleva dire molto più di quanto si potesse pensare. “Niente di particolare.”
“Dovresti capirlo.” Intervenne il punk, passando alle difese di Alejandro. “Non ti è andata meglio.” Si sentì un tonfo da sotto il tavolo e Duncan guaire ferito. “Ma che diamine ti prende.”
“Che ne dici di star zitto.” Courtney invece si era schierata dalla parte di Heather, che era rimasta per un momento scossa.
“Dubito possa essere peggio dopo quello che abbiamo raccontato.” Alejandro non avrebbe dovuto forzare, non poteva più permetterselo.
“Passo, grazie.”
“Allora parliamo di questo.” Duncan li indicò entrambi, spostando lo sguardo insieme all'indice. “Come vi siete lasciati?” Un altro calcio raggiunse lo stinco del ragazzo. “E che cavolo.” Biascicò, guardando la fidanzata in cagnesco.
“Ormai sono passati tanti anni, non è un problema raccontarlo.” Aveva osato, aveva fatto quel passo falso, contro regolamento, che lei aspettava da tutta la sera: cartellino rosso, signor Burromuerto.
“Non è un problema?” Lui aspettava una sua reazione oltre quell'eco, una sua risposta, lo vedeva da come i suoi occhi la volessero risucchiare. Ora era uno scontro a viso aperto, al tavolo, come in tutto il locale, c'erano solo Heather e Alejandro.
Primo tempo.
Vinceva chi resisteva di più. “È come hai detto tu, è passato molto tempo.” Heather sfoderò una ripresa dell'affermazione dell'avversario: un punto bonus. “Da cosa vogliamo cominciare?” Il braccio da sotto il tavolo passò sulla superficie levigata, la sorvolò per posarne solo il gomito, il mento sul dorso della mano di cui le dita tese. Protesa in avanti, verso la controparte, attendeva la sua difesa.
Colto di sorpresa. “Cosa?” Ridacchiò. “Da cosa vorresti cominciare tu?” Era ovvio, c'era solo una cosa da cui tutto aveva avuto inizio e fine; ma non era solo quello, non per lei. “Il contratto della casa? O ancora prima quando hai smesso di voler uscire con me? O vogliamo parlare di quando evitavi le mie telefonate?”
Ti prego, eravamo entrambi impegnati con il lavoro.”
“Per questo hai voluto costringermi a convivere?”

“L'ho fatto per te!”
“Intendi me o te stesso per caso?”
“Non fare l'arrogante come tuo solito, sei tu che volevi certezze.”
“Eri tu quello che non si fidava!”
“E infatti sei stata così brava a darmi torto.”
“Time out!” Chiamò Duncan notando la poca distanza fra le loro fronti. Courtney si era limitata a scuotere la testa, sapendo bene che sarebbe finita in quella maniera.
“Non c'è che dire, non siete cambiati affatto.”
“Duncan sta zitto.” Ringhiò Heather. “Questa situazione è assurda, sarei dovuta tornare a casa mia.”
“E fuggire come sempre?”
“Quello che se ne è andato senza neanche salutare non sono di certo io, caro Alejandro.”
“Sei sempre stata così velenosa?”
“Con te? Sempre.” Sibilò, simile ad un serpente. Voleva andarsene da lì, ma scappare sarebbe valsa come una sconfitta, e fino a quel momento stava vincendo lei i round... no?
“Comunque non hai risposto alla domanda dei nostri amici.”
“Veramente ti sei proposto tu di rispondere, puoi anche dirlo, per me non c'è alcun problema... se il tuo labile orgoglio non ne risentirà.”
Si guardarono in cagnesco per qualche secondo, lasciando alla risata di Duncan di spezzare il momento.
“Ho capito, io e Courtney ce ne andiamo, così vi lasciamo alla vostra privacy, e tu che avevi scommesso non sarebbero tornati assieme.”
“Non stiamo tornando insieme.”
“Avete scommesso?” Una ferma, ma incerta, affermazione era stata sovrapposta da una domanda sconcertata.
“Lui ha scommesso, io invece non volevo si creassero queste situazioni, il tutto per evitare che tu ritornassi al tuo periodo di depressione votato alla perdizione personale. Ma sai cosa? Duncan ha ragione. Siete fatti l'uno per l'altra non esiste al mondo una persona che vi sopporti se non voi stessi.” Sentenziò Courtney, arrivata ormai al suo limite di sopportazione -aveva dato ragione a Duncan, se non era arrivare al limite quello.
Dallo sbiancare di Heather, però, si accorse di ciò che aveva detto e che era stato promesso non sarebbe stato rivelato.
“Io me ne vado.” Fu un attimo: prese il giacchetto, la sciarpa e pochi secondi dopo la sua ombra era fuori dal locale. Alejandro rimase per dei secondi interminabili ad osservare la porta, mentre Duncan aveva ripreso in mano il suo panino, sospirando annoiato.
“Stai aspettando un invito scritto?” Non servì essere più espliciti che anche Alejandro era andato, lasciando dietro di sé silenzio. Duncan rubò un morso al panino osservando Courtney che sembrava stesse attendendo qualcosa. Poi realizzò.
“Paghi tu.” E lui non poté che star zitto, ben conscio del fatto che fosse tutta colpa sua.
D'altronde Heather aveva ben altri problemi per la mente, come il bel latino che la stava seguendo.
“Potresti gentilmente evitare di inseguirmi.” Sbottò alzando la zip del giacchetto fin l'ultimo dente.
“Tu potresti smettere di correre?” Si stava trattenendo, lo sapeva, l'avrebbe superata da un pezzo altrimenti.
Non seguirmi, smettila, basta- la sua mente era un susseguirsi di questi singoli pensieri, uno sull'altro, sull'altro e sull'altro ancora. Quello che stava provando era una sensazione di angoscia non dissimile a quando Chef le aveva avvicinato il rasoio elettrico per renderla calva, una sensazione di cui avrebbe fatt a meno.
“Neanche se mi fermi.” Prese le chiavi della macchina nella tasca, iniziando a guardarsi intorno nella speranza di rivederla, ed eccola lì.
“È così assurdo che io ti voglia parlare?”
“Dopo 5 anni? Uhm, fammi pensare... sì!” Aprì la portiera lanciandosi dentro, ma nel chiudere lo sportello incontrò le mani di Alejandro. Come volevasi dimostrare: era più veloce.
“Neanche tu hai nulla da dirmi?” Lo guardò dallo specchietto e solo per parlargli gli rivolse il suo sguardo.
“Solo una cosa: lasciami in pace!” E tirò la portiera schiacciandogli le mani. Quel gesto violento li riportò per un istante sul vulcano alle Hawaii, tant'è che Heather sogghignò, mentre lui si accigliò, ringhiando. Il momento dopo, però, era sfrecciata via con un'unica, sicura destinazione in mente, lasciandosi, di nuovo, quel peso alle spalle.
Fu a casa che finalmente si sentì calma.
Non si era mai accorta quanto il suo divano potesse essere confortevole e di quanto un edificio potesse essere una salvezza. Finalmente aveva un posto che poteva chiamare casa e non sarebbe stato Alejandro a portarglielo via.
Un cuscino si fiondò contro il muro.
“Parlare?! Voleva parlare?!” Urlò digrignando i denti per scaricare la rabbia. Ora? Aveva aspettato 5 anni e ora si stava chiedendo: chissà come l'ha passata Heather e chissà come mai ha finito per baciare Josè; no. A lui era bastato non avere la sua fiducia, beccarla in fallo per sfuggire dalle sue responsabilità: vigliacco, viscido, pagliaccio. Non solo lei non aveva pensato al poi, ma neanche lui. Forse aveva sperato che tutto venisse da sé, che chissà per quale motivo lei lo seguisse. Se solo l'avesse conosciuta bene avrebbe saputo che la risposta sarebbe stata: no. E cosa voleva risolvere parlando? L'avrebbe ascoltata? Che gli facesse il piacere di farsi una vita; alla fine quella separazione aveva fatto più bene a lei -quel particolare anno a parte.
Cosa vuoi Heather Wilson? Non vederlo per altri 5 anni, non incontrarlo, andare avanti, trovare qualcuno di meglio di lui, qualcuno con il quale non dovesse combattere ogni istante per poter affermare la sua supremazia. Non stava sperando che qualcuno suonasse alla porta e si fosse rivelato essere lui, perché, tutto sommato, avrebbe potuto rivalutarlo se le fosse venuto dietro fino a quel punto. Ma forse. Quindi non era contraddittoria, solo ogni tanto le succedeva di sperare nelle persone.
“Per cui, cervello, smettila per un momento di pensare.” E lanciò l'ennesimo cuscino prima di potersi abbandonare alla morbidezza del divano.
Chiuse gli occhi per poco, o almeno le sembrarono pochi minuti, prima di scattare in piedi al trillo del campanello. Un moto di eccitazione venne bloccato dalla sua stessa essenza che non la fece lanciare contro il citofono. Era inutile sperarci, eppure a quell'ora chi poteva essere?
“Buonasera anche a te, Sierra.” E non poteva che essere Sierra, ovviamente, che, con Zack in braccio, era tornata per riprendere un non sapeva cosa che aveva dimenticato, senza il quale il piccolo pargolo non riusciva a dormire, o almeno questo aveva compreso tra le varie frasi accavallate fra di loro.
“Un giochino di Zack, credo mi sia caduto dalla borsa quando... oh! Eccolo qui.” Si chinò sotto il divano, recuperando l'oggetto. Poi si accorse dei cuscini e di una Heather più suscettibile del solito, oltre che spettinata. “Oddio l'hai incontrato.” In risposta ricevette un'alzata di occhi al cielo.
“Non avrei voluto, davvero.”
“Come è andata?”
Indicò i cuscini. “Secondo te?”
“Oh, bene direi. Vi siete parlati?”
“No, ma cosa ti interessa? È evidente che non possiamo stare insieme, non so come ho fatto a sopportarlo prima, adesso basta, non voglio più vederlo.” Disse così convinta che non era Sierra la persona da convincere.
“Heather, per quanto tu possa essere stata male con lui, sei stata peggio quando ti ha lasciata, lo so, quella volta quando eri ubriaca c'ero io dall'altra parte della cornetta.” Le poggiò una mano sulla spalla. “Nell'assurdo voi due vi completate, perché siete uno l'antistress dell'altro e concentrandovi a distruggere l'uno l'altro, non potete pensare a come far del male a voi stessi.” Da come gli spiegò la situazione sembrava tutta così semplice ed evidente, ma, davvero, per lei non lo era.
Stava per ribattere ancora una volta, acida, ma la fece tacere il campanello della porta.
“Potrebbe essere Cody.” Ipotizzò Sierra non potendo proprio immaginare chi altro potesse essere, mentre la coscienza di Heather si ritrovò nuovamente divisa a metà, e la metà non razionale, a cui non doveva dar retta, sperava fosse Alejandro.
L'unico modo per scoprirlo e mettere a tacere i dubbi era andare alla porta e scoprirlo. La mano si posò sulla maniglia, lentamente, scandendo il movimento di ogni singolo dito che abbracciò il metallo freddo, prima di fare pressione e tirare. Cody non era alto, non aveva dei fluenti capelli castani, tanto meno aveva dei muscoli ben definiti e posava con eleganza anche quando non era visto, soprattutto poi per la camicia portata ordinata... non era proprio Cody.
“Heat-”
“No.” E richiuse la porta rimanendo ferma davanti questa per un po'. Nel momento in cui si girò fu schiacciata dalla presenza giudiziosa di Sierra.
“Sei proprio incorreggibile.” Sbuffò aprendo al suo posto la porta. “Alejandro, ma che piacere!”
“Sierra? Come mai qui?”
“Non è una domanda che dovresti porre tu.” Frecciatina acida alla Heather.
“Suvvia Heather; sono venuta a trovarla questa mattina e ho dimenticato un giochino di Zack.” Mosse il piccolo peluche di fronte il viso del bimbo che lo strinse possessivo.
“Pensavo quasi viveste insieme... è una casa grande per una persona sola.”
“Chi te lo dice che sono sola?” Lo fronteggiò apertamente avanzando un passo verso di lui.
“Oh, pft, è solissima!” Sierra doveva immediatamente uscire da quella casa.
La sorprese che Alejandro non inveì, ma anzi cambiò discorso puntando tutta la sua attenzione sul bambino. Si chinò e accarezzò la guancia con l'indice, facendolo ridere.
“Il figlio tuo e di Cody, eh?”
“Non è evidente? Ha gli stessi lineamenti delicati di Cody, i capelli morbidi e fini, le orecchie molto stondate, le guanciotte piene!” Disse euforica. “Oppure non credi che il padre sia Cody?” Sierra lo squadrò male, pronto ad attaccarla -le ricordò mamma Condor.
“No, no, mi fido sulla tua nobile parola.”
“Più che altro ci stupisce che Cody ne abbia uno con te.” Specificò Heather, notando poi quanto il suo posto confortevole era riuscito a diventare una prigione.
Ora basta-
“Comunque è tardi, avete salutato, avete fatto le vostre cose, adesso fuori da qui!”
“Io veramente non ho fatto assolutamente nulla.” Il tono serio di Alejandro la prese in contropiede, lasciandogli lo spazio necessario per continuare a parlare. “Perché tu non mi hai da modo per dirti nulla, quindi ora mi ascolti.”
“Ascoltarti?” Rise con il fuoco negli occhi. “Dovrei ascoltarti dopo che per 3 anni mi hai ignorata, facendo solo ed esclusivamente quello che volevi tu?”
“Ignorata? Mentre tu invece sei stata così dolce e premurosa. Mi hai allontanato per mesi solo perché avevo deciso di farmi crescere la barba e a te dava fastidio.”
“Hai idea di quanto dà fastidio su una pelle delicata come la mia?!”
“E tu hai idea di quanto dia fastidio... questo.” La indicò tutta. “A persone con una pazienza come la mia?”
“Non ti davo così fastidio quando non volevi altro che-” un pianto interrotto bloccò qualunque oscenità stesse per dire. Entrambi si voltarono verso Zack che si agitava fra le braccia della madre. Una madre molto arrabbiata.
“Ricordami una cosa.” Intervenne Alejandro, fissando la porta che gli era stata sbattuta davanti. “Non è casa tua?”
“Dovrebbe.” Sbuffò Heather, messa in castigo sul pianerottolo da Sierra.
“Adesso fatemi il favore di parlare come persone adulte.” Urlò da oltre la porta, facendo sbuffare nuovamente Heather. Alejandro incrociò le braccia al petto, pronto a parlare -le ricordò Courtney prima di una delle sue filippiche.
“Allora...”
“Senti non ne posso più di litigare, quindi che ne dici se io, te ognuno per la sua strada?”
“Parlare ti fa così schifo.”
Quasi più del cibo cinese che ci fece mangiare Chris.” Gli fece scappò una risata, ma scaricò la tensione con un sospiro.
“Seriamente.”

“Seriamente cosa? Di cosa vuoi parlare? Tanto lo sai no? Con tutto il tempo che è passato direi che ci hai pensato, o almeno spero tu l'abbia fatto.” Gli rispose. “Non voglio parlare perché non ne posso più. Questa giornata è stata tremenda per colpa tua.” Lo additò, puntandogli l'indice contro il petto e spingendo, con tutta l'intenzione di trapassarlo da parte a parte. “Hai rovinato il mio incontro con Sierra, hai rovinato la mia giornata di lavoro, hai rovinato la mia serata ed ora mi trovo fuori da casa mia a condividere il pianerottolo con un essere viscido come te.” Scandì le ultime parole battendo il tempo contro di lui, arrabbiata come poche volte lo era stata. “Se non ti odiavo prima, ti odio ora. Non è da me, tutto questo non è da me, anche perderci tempo ora anziché battere contro quella dannata porta per rientrare.”
“Fallo, nessuno ti trattiene.”
“E perché?!” Alzò le braccia al cielo. “Dovrei farmi odiare da tutto il palazzo? Io qui ci vivo, sei tu l'elemento in più, il topo che nessuno vorrebbe ritrovarsi in appartamento.”
“Hai finito?”
“No! Volevi parlare? Ti sto parlando! È colpa tua. Tutta colpa tua. Se non ti avessi mai incontrato avrei vissuto meglio, sicuramente! Adesso non starei qui a perdere tempo a litigare con te, a spiegarti le tue evidenti colpe. Perché oggi poteva essere una giornata meravigliosa, c'era il sole, i saldi al mio negozio preferito e Gwen è stata addirittura sopportabile, ma no dovevi intervenire tu. Tu. Tu. Io non ne posso più del tuo tu!” Iniziò a gesticolare furiosa, probabilmente sull'orlo di una crisi di nervi, ma cosa poteva farci? D'altronde era tutta colpa sua.
Alejandro le afferrò le mani e la spinse verso di sé con delicatezza. Il viso di Heather sbatté quasi sul suo collo, mentre il seno aderì perfettamente al suo petto.
“Hai finito o vuoi continuare a darmi importanza?”
“Importanza?! Ma sei fuori? Vedi che non ascolti, poi ti chiedi perché non parlo, finisce sempre con queste assurdità!” Si liberò da lui dandogli dello svitato a gesti. “E poi staccati.” Si spinse via, nascondendo il suo imbarazzo dietro una ciocca che aveva preso a sistemarsi frenetica. Non poteva fargli sempre quell'effetto, era finita, basta.
“Io ti ascolto, sei tu che non ascolti né quello che ti si dice né quello che dici, la tua ostinazione finisce sempre per mettere a nudo quello che disperatamente nascondi, tu non vuoi allontanarmi, è sempre la solita storia e tu sei sempre la vecchia Heather.”
“Io sono cambiata al contrario di te, che ancora cerchi spiegazioni.”
“Cambiata tu? Ti emozioni e scappi appena mi avvicino.” Si chinò verso di lei, sornione. “Non sei cambiata affatto.”
“Si può sapere cosa vuoi da me?”
“Voglio semplicemente un po' di onestà, una volta ogni tanto. Non ti macchierai di ridicolo, lo prometto.”
“Detto da te.” Avrebbe potuto iniziare ad elencare vari momenti in cui si era dimostrato ridicolo, ad iniziare dal loro primo bacio.
“Dannazione Heather, riesci a vivere per un secondo senza punzecchiarmi?”
“E tu riesci ad essere coerente e chiaro? Insomma prima mi ignori per tutta la sera, poi mi segui ed ora vorresti parlare, ma non mi stai chiedendo nulla!

“Perché non mi stai permettendo di farlo, continui a lamentarti! Non va bene se te lo chiedo, ma devo chiedertelo, si può sapere cosa vuoi che faccia? Perché, a differenza tua, io almeno ho avuto la faccia di chiedertelo!” Alzò la voce. Heather era riuscita a portarlo al limite della pazienza, lo vedeva da come teneva tutti i muscoli tesi per non perdere quell'aria di compostezza che lo caratterizzava.
“Voglio che me lo chiedi!”
“Perché?!” Scattò in risposta al suo nervosismo, calmandosi immediatamente dopo. Alla fine glielo aveva chiesto. “Perché hai baciato mio fratello?” Heather rimase a bocca aperta. Ammetteva che doveva aspettarselo, ma l'essere tanto diretto? L'aveva sorpresa. Alejandro non sentendo risposta dalle sue labbra schiuse si sedette sconfitto. “Lascia perdere.”
Heather si accarezzò le labbra con la lingua, mordendole poi. Non sapeva cosa raccontargli, quale storia Alejandro volesse sentire, in che modo questa dovesse essere raccontata e lui non la stava aiutando, perché neanche la guardava negli occhi. Nel sedersi gli accarezzò la gamba con la sua, sospirando piano.
“Non c'è un perché, io non volevo baciare Josè, quindi la vera domanda è perché l'ho fatto.” Voleva parlarne? No, altrimenti avrebbe dato ad Alejandro tanto di quel materiale per ricattarla a vita... “Ero sconfortata, okay? Infastidita dal fatto che il mio fidanzato volesse legarmi ad una casa per assicurarsi di ritrovarmici dentro, senza contare che ero certa mi tradissi. Josè mi ha trovata sola e alticcia... diciamo che era una buona spalla su cui consolarsi.”
“Era ovvio che non ti tradissi, Heather.”
“Ovvio? Tutte quelle cene e quei pranzi, i messaggi mandati durante i nostri momenti insieme?”
“Forse non così ovvio, ma non avevo nessun motivo per tradirti.”
“Oh, davvero? Non ti infastidiva tutto questo?” si indicò. “Inoltre non mi andava giù il fatto che avessi fatto tutto da te: comprare una casa per noi, senza che avessimo mai definito un noi, mi ha messa nel panico, non capivo cosa volessi dirmi.”
“Chiederlo?”
“Come tu mi hai chiesto della casa? L'unica cosa che mi chiedevi era se mi fidavo... volevi testare la mia fedeltà o quanto io credessi nella tua?”
“Temevo potesse accadere quello che poi è accaduto, per questo te lo chiedevo.” Ci fu un minuto di silenzio fra di loro; la quiete prima dell'ennesima tempesta?
“Quindi avevi paura per questo?” Toccò prima la sua spalla poi il proprio petto.
“In pratica.”
“Capito... e ora cosa vorresti fare?” Heather lo guardò, incrociando immediatamente il suo sguardo.
“Non lo so, forse è andata meglio così, ognuno per la sua strada.” Non poteva dire se era rimasta più delusa o sollevata, la morsa allo stomaco era stata seguita da un: è andata meglio così, convinto nella sua testa; per cui era più confusa che altro.
“Sì, hai ragione, alla fine è andata meglio così.” Un altro silenzio e nessuno dei due che si mosse di un millimetro.
“Però.” Fu Heather a riprendere parola, prima che potesse essere Alejandro. “A parte quegli eventi poco gradevoli, dei quali è totalmente colpa tua, non era poi così male.”
“Di certo non ci annoiavamo.”
“Noia è l'ultima parola che userei.” Concordò, nascondendo un sorriso nato ripensando ad alcuni dei loro ricordi. Per questi momenti di debolezza odiava più se stessa che lui.
Al cigolare della porta entrambi alzarono la testa, rimettendosi in piedi di scatto, come se beccati in flagrante a fare chissà cosa.
“Zack si è finalmente addormentato e io mi sono intrattenuta troppo, anche se ne è valsa la pena.” Le fece un occhiolino che non capì e non volle capire. “Vedete di non lasciare cose a metà, chiaro?” Li sorpassò, facendo tutta la rampa di scale prima di voltarsi a guardarli. “Ah, Alejandro, Heather lo sa, ma se vi servisse un consulente di coppia sono sempre disponibile.” E zampettò via tutta allegra, volendo sbrigarsi a tornare dal suo Cody.
“Sì, è una consulente di coppia.” Confermò Heather prima che l'altro chiedesse. “Mi ha mandato la foto della targhetta del suo ufficio, la trovi anche su internet, quindi non se lo dovrebbe essere inventato.” Entrò poi nel suo appartamento ignorando la reazione sorpresa di Alejandro alla sua affermazione, che anzi la seguì dentro senza che lei partisse in escandescenza per evitarlo.
Era affacciata alla finestra, stava vedendo Sierra che abbracciava e baciava Cody e lui, succube, ricambiare tutta quella energia.
“Quindi è vera anche la storia di Cody, non ha rapito nessun bambino.” La voce di Alejandro la spaventò, avendolo dimenticato per un momento.
“Si può sapere chi ti ha invitato ad entrare?”
“Sai che volendo potremmo essere noi.” Ma il latino sapeva bene quale sarebbe stata la reazione dell'altra, una reazione a tal punto schifata degna di un ritratto.
“Ma anche no.” Rispose, rimandando indietro una sensazione di schifosa sdolcinatezza. Dal nulla a Cody e Sierra? C'era un oceano di mezzo, probabilmente un'infinità di oceani. “Che ne dici di iniziare da... non lo so... un noi?”
“Quindi vuoi affrontare quel poi?” Rimase felicemente sorpreso dalla sua proposta.
“Sappi che ti dovrai sforzare, soprattutto per il lavoro che hai. Io non posso mollare Gwen, Courtney non me lo permetterebbe, e non voglio che mi dichiari causa.”
“Sono pronto ad affrontare anche la sua ira, se necessario.” Solo se necessario.
“E la mia?”
“Vivrei solo di quella.

“Certo che sei proprio incoerente.”
“Ma da che pulpito.”
Heather sbuffò incrociando al petto le braccia, sapendo bene di non poter ribattere ad una cosa tanto vera.
“Comunque abbiamo tempo, possiamo ricominciare da zero, non dobbiamo sposarci domani.” Chiarì Alejandro, non volendo che si creassero nuovi malintesi.
“E meno male direi.” Lanciò un'ultima occhiata alla scena, ma non era rimasta traccia né di loro né dell'auto. “Quindi vorresti ricominciare, eh? Quale vorrebbe essere il tuo approccio per riconquistarmi?”
Alejandro non era mai stata una persona che rigirava intorno le questioni, solo se gli era utile, ma quando serviva arrivare al punto riusciva perfettamente a colpirlo e a totalizzare 100 punti. Non si ricordava quanto fossero calde le sue labbra o salda la presa sul suo corpo, dell'adrenalina che le trasmetteva quelle volte che prendeva posizione.
“Pensavo ad una soluzione più diretta.” Sussurrò al suo orecchio, mordendolo delicatamente.
“Allora mi dica, signor Burromuerto, quanto vuole essere diretto il suo approccio?” Mormorò, mentre la mano risaliva lungo la nuca, intrecciandosi ai suoi capelli.
“Abbastanza per soddisfare tutti e due.”
Da lì a poco fu un escalation di baci e carezze che Heather, non delicata quanto Alejandro, trasformò in morsi e graffi che si riversarono sulla pelle bronzea dell'altro. Segni su segni, l'espressione del bisogno di Heather di marcare il territorio, il suo territorio. L'aveva sollevata da terra e lei si aggrappò alla sua vita, intrecciando le gambe, per poi spingersi in avanti con il bacino, sorprendendolo.
Non perdere il ritmo.” Gli sussurrò, indicandogli poi la camera da letto, in fondo al corridoio.
Alejandro non era mai eccessivamente passionale, sapeva che a Heather non piaceva se aggiungeva quel pizzico di violenza in più, cosa che invece lei metteva sempre, garbando ad entrambi. Una cosa era anche vera, Alejandro avrebbe confermato: l'ardita passione della ragazza bastava per tutti e due.
La fece scivolare lentamente sul letto, lei, però, non si sganciò, lo accompagnò con lei. Lui non si buttò a peso morto, creò una distanza fra i loro petti che Heather annullò per raggiungere il suo fondoschiena. Alejandro già si aspettava qualcosa di particolarmente intenso, invece la mano affondò nella tasca dei pantaloni, mostrandosi a lui con un bigliettino fra le dita.
“Di questo non avrai più bisogno.”
“Oh, allora è una cosa seria.”
“Non farti fantasie particolari, Burromuerto.” Gli strinse il colletto della camicia, tirandolo. “Una volta assaggiato il nettare dell'ape regina, niente ti soddisferà abbastanza.” E lo vedeva da come la trattava: le era mancata. Come in un tango, dopo la tentazione, si passava al ballo fuocoso, a quel legame indissolubile fra le due parti, in cui i corpi andavano a congiungersi in un unica fiamma. I vestiti erano stati abbandonati e solo Heather si era tenuta la licenza di tenersi addosso il reggiseno in pizzo nero e il tanga più trasparente che di sostanza. Sembrava quasi che si aspettasse un fine serata del genere.
“Devo farti una confessione.” Esordì lei, calandosi sul suo petto.
“Sei in vena questa sera.” Le accarezzò i fianchi, delineandone con i polpastrelli le curve vertiginose del suo corpo, dai seni, alla vita stretta, fino a quel sedere tondo e sodo che gli faceva perdere qualunque concezione.
Gli lasciò un succhiotto sulla clavicola. “Nel mio periodo di depressione votato alla perdizione personale...” o come diamine l'aveva chiamato Courtney. “...ho avuto innumerevoli relazioni, penso che non bastino le liste che Courtney fa su Duncan per elencarle tutte.”
Alejandro si morse il labbro in risposta del segno sul suo corpo. “Non è il tipo di confessione che volevo sentire in questo momento.”
“Invece credo che potrebbe interessarti, dato che da allora non ho più avuto alcun tipo di rappor-” Non servì una conclusione a quella frase per far scattare Alejandro che la bloccò sotto di sé.
“A questo punto posso farti una confessione io.” La guardò negli occhi mentre con le dita aveva percorso nuovamente il suo corpo, non avendone mai abbastanza. “Non ha perso il suo tocco, signorina Wilson.” Sogghignò, tirando con il mignolo il lembo dello slip.
Non aveva mai creduto in quelle sciocchezze romantiche di cui spesso Sierra le raccontava, come l'importanza del primo bacio, della cotta, del conoscere bene il proprio partner prima di intraprendere qualunque atto sessuale o, la più divertente, di non praticare troppo sesso per non perderne il significato profondo del momento. Cose belle da dire, ma irreali da provare. Il primo bacio, in media, faceva schifo, tanto quanto la prima volta, il sesso non era che sesso alla fine e conoscere la persona era addirittura limitante, spesso molte cose era meglio non saperle; ma, perché c'era sempre un ma, quella notte aveva vissuto e sentito il significato della notte indimenticabile, quel non sminuire il sesso come atto e di viverlo nella sua completezza. Non l'avrebbe mai ammesso a voce, ma credeva nell'essere intuitivo di Alejandro e che leggesse nell'intera notte passata a rotolarsi nelle coperte quanto le fosse piaciuto, d'altronde arrivata l'alba non avevano ancora concluso. Si tirò su con la schiena, poggiandola contro la testiera del letto. Ancora le dava le spalle quando dormiva, non aveva perso quel vizio, ma forse era un modo per mostrarle fiducia, lei era famosa per le pugnalate alla schiena. Sorrise ripensando proprio alla sua schiena, non l'aveva pugnalata, ma martoriata per bene. Quanto sarebbero durati quei segni? Una settimana buona sicura, ma, ehi, lei era l'unica ad averne pieno diritto, e guai a privarglielo.
Pensando a qualcosa di più presente, forse quel giorno non sarebbe andata a lavoro, anzi era certa sarebbe accaduto, perché le sue gambe avevano idee ben diverse dalle sue, troppo indolenzite per sopportare il suo peso tutto il giorno; però chi avrebbe sopportato Gwen? Poteva già sentire le prese in giro della darkettona sul perché non si era presentata, supposizioni che lei avrebbe negato fino alla morte, poco ma sicuro, ma che sarebbero parse evidentemente false. Courtney l'avrebbe chiamata solo la sera, l'aver perso una scommessa con Duncan sicuramente non l'aveva messa di buon umore, tanto meno il fatto che lei non le avesse dato retta. Sierra, tempo qualche giorno e tutti i suoi blog sarebbero tornati a parlare della Aleather. Alla fine era tutto così normale che non la stupiva più di troppo, tanto meglio, avrebbe più facilmente gestito le situazioni circostanti, dato che si era affibbiata un bel grattacapo da risolvere. Le sarebbe servito davvero tanto tempo per riabituarsi a lui, alle loro giornaliere litigate e... aveva diversi ritmi da dover riprendere, sicuramente.
Gli accarezzò un orecchio, volendo sussurrargli che si fidava di lui, e mai come in quel momento ne era convinta. Ma non l'avrebbe fatto, non era da lei, glielo avrebbe detto durante una delle prossime sfuriate. Avevano almeno tre anni di prova per arrivare a non fidarsi più, tanto valeva tenersi quella carta finché era buona.
Alejandro mugugnò girandosi verso di lei, con un sorriso beato sulle labbra. Aprì lentamente i suoi occhi verdi per guardarla. Un risveglio che finalmente gradiva.

“Buongiorno.”

“Buongiorno.”

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