All'altezza del padre

di alessiawriter
(/viewuser.php?uid=500469)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


 
All'altezza del padre.
 
 
 
 
Rin era contrariata, mentre osservava fuori dalla finestra i suoi figli rincorrersi e giocare con le spade di legno costruite dalle loro stesse mani creative. Stretta nel suo michiyuki rosso, la giovane consorte del Gran Generale dell'Ovest non riusciva a smettere di pensare con preoccupazione al futuro dei suoi figli.
 
Mikomi, che aveva appena compiuto otto anni, eppure era come se ne dimostrasse tre in più sia a livello fisico che mentale, in quel momento era salita sull'albero più imponente del giardino, reggendosi a testa in giù con la coda al ramo e facendo le boccacce al fratello maggiore. Aveva i lunghi capelli argentei stretti in una coda che si muoveva a ritmo del vento e delle sue agili mosse, e Rin non poté che notare la palese somiglianza con il padre Sesshomaru; dai suoi tratti non aveva preso nulla, se non le morbide labbra. 
 
Koan, che aveva quattordici anni e che era il piccolo guerriero di casa che ogni giorno cercava di essere all'altezza delle aspettative onerose del padre, osservava con divertimento la sorella minore, mentre con un balzo felino la raggiungeva. Nonostante la sua giovane età, Koan aveva già superato in altezza e robustezza la povera Rin, che ormai guardava gli uomini di casa dal basso verso l'alto.
 
Rin sospirò con mestizia; Koan sarebbe presto partito con il padre per allenarsi e crescere come guerriero, ma una madre non è mai pronta a lasciare andare il proprio figlio; sapeva di averlo riposto in buone mani, non avrebbe mai affidato le sorti del fanciullo a nessun altro, eppure non poteva ancora arrendersi all'idea di non averlo più costantemente in mezzo ai piedi.
 
Presa com'era dalle sue elucubrazioni, non si accorse della presenza di Sesshomaru, per cui quando i suoi artigli affilati incontrarono i suoi fianchi asciutti, fu presa alla sprovvista e si lasciò scappare un gridolino. «Mi hai fatto prendere un colpo!», si sentì in dovere di giustificare la sua reazione, rivolgendogli uno sguardo costernato.
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio, in una smorfia provocatoria. «Ti facevo più coraggiosa, Rin», la stuzzicò, chinandosi per sfregare il naso sulla sua pelle fresca del collo dal profumo inebriante; era l'unico gesto d'affetto che si concedeva in pubblico, ma a Rin andava bene così perché ogni momento passato con il demone era di per sé unico.
 
Rin chiuse gli occhi, abbandonando la testa contro il petto marmoreo di Sesshomaru come se, per il peso dei suoi pensieri, fosse diventata troppo gravosa da reggere. «Forse mi hai sempre sopravvalutato troppo», mormorò lei, scherzando fino a metà.
 
Sesshomaru catturò nelle sue parole l'aspra nota e capì subito che doveva esserci qualcosa a tormentare l'animo della sua consorte. La afferrò quindi per le spalle facendola girare e le alzò il mento con due dita affusolate, immergendosi nei suoi occhi bruni. «Che ti prende?», chiese con il suo tono incolore, ostentando disinteresse, ma con lo sguardo che tradiva una certa preoccupazione.
 
Rin si costrinse a sorridere nel modo più naturale possibile e si alzò sulle punte dei piedi, lasciando che le loro labbra si incontrassero in un bacio fugace. «Mi sei mancato», ammise, e se da una parte tentava di cambiare il discorso, dall'altra gli stava confidando una verità ineccepibile.
 
Dal suo canto, Sesshomaru era rimasto insoddisfatto dal loro breve contatto, così la afferrò gentilmente per retro del capo e avvicinò ulteriormente i loro visi. Il bacio divenne presto famelico e insaziabile, tanto che il demone, sollevandola per le natiche, le fece allacciare le gambe dietro la sua schiena. Quando i loro inguini si scontrarono, Rin aprì gli occhi di scatto e sapeva che se non lo avesse fatto in quel momento, niente li avrebbe fermati dal finire sul loro letto a fare l'amore per ore e per ore; ma semplicemente, per quanto ne avesse bisogno e lo desiderasse, non poteva abbandonarsi così alla passione.
 
Interruppe il bacio e pressò lievemente sul petto di Sesshomaru, riuscendo ad allontanarlo solo perché il demone aveva deciso di accettare la sua richiesta. Lo guardò con tristezza negli occhi e portò una mano alla base del suo collo regale. «Tra poco i bambini saliranno a cercarmi per la merenda», disse solamente, sperando che il consorte capisse.
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio con aria accigliata e sbuffò con frustrazione, ma non aggiunse nulla; la lasciò andare e subito Rin fu assalita dai sensi di colpa. Dopotutto, non si vedevano da un mese intero e non appena tornava lei gli rifilava una scusa, come se lo stesse evitando. E forse stava accadendo proprio questo. Aveva paura che lui potesse leggerle negli occhi tutto quello che le passava per la mente e ancora non si sentiva pronta per l'inevitabile discussione che ne sarebbe conseguita.
 
Il demone le diede le spalle e si ritirò silenziosamente nel suo studio, piantandola lì in mezzo al corridoio dell'ormai triste castello, mentre una sensazione di vuoto le attanagliava il cuore. Solo quando sentì i passi e le voci dei suoi bambini, decise di darsi un riscossone; non poteva farsi vedere così abbattuta dai suoi figli, anche se con molta probabilità loro l'avrebbero sentito. 
 
Koan fu il primo ad arrivare, correndo a perdifiato, ma senza mai avere il respiro affannato, seguito da Mikomi, rossa per la rabbia per essere arrivata ancora una volta seconda.
 
«Non vale!», gli urlava con indignazione la bambina, gonfiando d'aria le guance, in un gesto puramente puerile. «Sei partito in anticipo!», lo accusò, mentre le prime lacrime le salivano agli occhi. 
 
Koan si mise a ridere, tirandole poi le orecchie appuntite per il gusto di farle un dispetto. «Sei tu troppo lenta, Miko», la rimbeccò con aria fastidiosamente saccente; poi, come se si fosse appena accorto della presenza della madre, che li guardava con un misto di rassegnazione e divertimento, assunse un'espressione angelica. 
 
Rin scosse la testa, asciugando le lacrime della piccola mezzosangue con il dorso della mano, e indirizzò al figlio maggiore un'occhiata di rimprovero. «Quante volte devo dirti di non litigare con tua sorella?», esclamò retoricamente, per poi portarsi le mani sui fianchi.
 
Koan abbassò la testa, nascondendo gli occhi dietro la frangia dei capelli di un bianco lucente, e sembrò sinceramente pentito; tuttavia, Rin non era ingenua e soprattutto era una scena che si era già ripetuta innumerevoli volte prima di allora, perciò fece solo finta di credergli. Gli sorrise. 
 
Quando però vide Mikomi e Koan annusare l'aria contemporaneamente, Rin non poté evitare di corrugare le sopracciglia rivolgendo uno sguardo interrogativo al figlio maggiore. «È tornato nostro padre», commentò piattamente Koan, mentre già la piccola mezzodemone era partita spedita verso il genitore paterno. Era questa la differenza sostanziale tra i due figli: mentre Mikomi ammirava e stravedeva per suo padre, al contrario Koan lo temeva e ne era intimorito. D'altronde, Mikomi non aveva le stesse pressioni a cui era sottoposto il fratello maggiore; non ancora, perlomeno. 
 
Rin poggiò una mano sulla spalla del figlio, stringendola amorevolmente. «Va tutto bene, Koan?», si appurò di sapere, anche se poteva intuire chiaramente la risposta del figlio. Non aveva bisogno lei dell'olfatto per capire se ci fosse qualcosa a tormentare i suoi figli. 
 
Koan si sforzò di mostrarsi sereno e annuì velocemente, circondando le spalle della madre con un braccio come se fosse una sua vecchia amica. «Certamente! Allora, che cosa c'è per merenda?»
 
.:••:.
 
Mikomi arrivò nello studio di suo padre, attratta dal suo odore che aveva da subito appestato le mura del castello. Le era mancato molto, nell'ultimo mese in cui era partito per chissà quale spedizione, e ogni volta rimaneva sempre fin troppo poco tempo; eppure, riusciva sempre a guadagnarsi la sua buona razione di attenzioni, quasi con prepotenza. 
 
Arrivata davanti alla porta alta di legno, il suo primo istinto fu quello di abbassare la maniglia e fare violentemente irruzione; poi però, ricordandosi di quello che sua madre le diceva sempre a proposito delle buone maniere, con le piccole nocche bussò con forza.
 
Era strepitante, non riusciva a stare ferma sul posto un secondo di più, tanto che appena suo padre le diede il permesso di entrare con la sua voce autoritaria smorzata dalla porta, si catapultò nella stanza come un diavolo della Tasmania. Se Sesshomaru era felice di rivederla, non lo fece capire, tuttavia sembrava che la contentezza della bambina bastasse per entrambi.
 
Si avvicinò alle sue gambe, guardandolo con gli occhi ambrati carichi di aspettativa, maledettamente simili solo nel colore a quelli del padre. «Ben tornato, padre», lo salutò con la sua vocina sottile e infantile, le braccia nascoste dietro la schiena mentre si dondolava sui talloni. 
 
Il Gran Generale dell'Ovest non rispose, eppure con lo sguardo le diede il muto assenso di poter salire sulle sue ginocchia, cosa che la bambina non si fece ripetere due volte; anche perché era sicura che non lo avrebbe rifatto. Con un balzo, gli fu subito allo stesso livello del viso e regalò al demone un sorriso sdentato che coinvolgeva anche lo sguardo. 
 
Sesshomaru strabuzzò leggermente gli occhi alla vista di quel viso, con meno denti di quanto ricordasse, la cui espressione gli ricordava tanto quella di Rin da bambina, nel giorno del loro primo incontro; ne rimase quasi turbato, ma insabbiò tutto in una maschera di indifferenza.
 
La piccola Mikomi afferrò una ciocca del capelli del padre, che ricadevano maestosamente attorno alla sua figura, e se la rigirò tra le mani, osservandola con aria pensosa. «Ripartirete presto?», sussurrò con un fil di voce che Sesshomaru non faticò a sentire.
 
Solo perché quella giornata si sentiva particolarmente loquace, si decise a dare una risposta alla bambina. «Sì», esclamò secco, nel suo modo diretto e tagliente che non risparmiava neanche la piccola mezzodemone.
 
Mikomi incassò il colpo, pronta probabilmente a quella eventualità, e gli rivolse uno sguardo intelligente, troppo per la sua tenera età. «E verrà questa volta anche Koan con voi?», domandò, con il suo modo schietto che senza dubbio aveva ereditato dal genitore.
 
Sesshomaru la fissò apertamente, chiedendosi come il suo aspetto infantile potesse camuffare la sua mente sottile; se fosse stato qualcun altro, facilmente si sarebbe sentito turbato da quella constatazione. Ma appunto, lui non era qualcun altro. «Suppongo di sì», si limitò a rispondere, senza sbilanciarsi troppo.
 
Mikomi riprese a torturare i capelli del padre, rimuginando sulle sue parole. Quando poi tornò a fissarlo, una piccola scintilla di speranza le illuminava gli occhi. «E io? Potrei venire con voi?», domandò di slancio, pentendosi subitamente di essere stata così sfacciata quando il padre alzò un sopracciglio; non era mai un buon segno. 
 
«Lasceresti anche tua madre, pur di venire con noi?», le domandò franco, sviando la domanda per il gusto di vedere dove quella conversazione sarebbe andata a finire.
 
Mikomi assunse un'espressione sorpresa e raddrizzò le spalle, come se stesse fronteggiando il genitore. «Lei verrebbe anche con noi, non può restare da sola in questo castello. È sempre triste quando voi non ci siete, senza di me e Koan lo sarebbe ancora di più», commentò genuinamente, senza rendersi conto dell'effetto che quelle parole avrebbero avuto sul padre.
 
Sesshomaru alzò un dito e lo picchiettò sulla fronte della bambina, dove in mezzo ai capelli argentei si stagliava una mezzaluna, segno della sua discendenza demoniaca; era il primo vero contatto con la figlia da quando era arrivato e Mikomi non osò nemmeno fiatare, per paura di interrompere quell'incantesimo. Un attimo che durò pochi secondi, ovviamente, ma che ricompensò il travaglio patito durante la sua assenza.
 
Quando Sesshomaru allontanò la mano, la piccola mezzodemone la agguantò e osservò i suoi artigli, aguzzi a dovere. Alzò la sua di mano e la sovrappose a quella del genitore, che quel giorno sembrava parecchio permissivo e la lasciava fare in silenzio. «Un giorno anche i miei artigli saranno come i vostri?», la buttò lì, con tutta la naturalezza del mondo.
 
Non riuscì a trattenersi. Il demone si concesse una risata, smorzata in un ringhio, e indirizzò uno sguardo di sufficienza alla bambina. «Gli artigli dei mezzodemoni non saranno mai lontanamente come quelli di un demone completo», rispose brutale, non meravigliandosi quando Mikomi assunse un'espressione ferita.
 
Mikomi avrebbe voluto piangere, ma il suo orgoglio glielo impediva; non si sarebbe umiliata tanto davanti al padre, per nulla al mondo. I suoi occhi d'ambrosia si incatenarono a quelli piatti e dalla forma allungata verso l'alto di Sesshomaru e non un singolo istante accennò ad abbassarli.
 
Sesshomaru si sentì sfidato apertamente e un ringhio gli partì dal fondo della gola, con il potere di riportare sulle righe la piccola mezzodemone che si decise finalmente a spostare lo sguardo; non era ancora pronta a spiazzare il padre, nessuno ci sarebbe mai riuscito, ma non si sarebbe arresa.
 
.:••:.
 
Koan fissava con aria assente la tazza di cioccolata che la madre gli aveva premurosamente preparato - l'unica pietanza che le riuscisse bene, oltre al tè. 
 
Così immerso da perdere il contatto con la realtà, non si accorse neanche che Rin aveva preso posto accanto a lui e lo stava fissando con apprensione; a occhio e croce, poteva immaginare cosa angosciasse il figlio. 
 
Sapevano entrambi cosa volesse dire il ritorno di Sesshomaru al castello e non erano così sicuri di aver digerito - figuriamoci accettato! - l'idea. E poi l'inverno era alle porte, non poteva rischiare che suo figlio si ammalasse; avrebbe potuto intraprendere il suo percorso di formazione di guerriero anche in primavera, giusto?
 
Era sicuramente un punto -per quanto debole potesse essere- a favore della sua tesi, che avrebbe sicuramente esposto al Gran Generale dell'Ovest al più presto. Ma Koan che ne pensava?
 
Accarezzò le sue guance, dove i segni color magenta segnavano la sua pelle di porcellana, e lo vide sbattere le palpebre due volte, tornando immediatamente nella dimensione terrena. Il mezzosangue si abbandonò con dolcezza alle carezze della madre e sorrise lievemente. 
 
Rin gli passò una mano sulla fronte, alzando i capelli che gli coprivano quasi gli occhi, e lo guardò affettuosamente. «Me lo dici cosa ti impensierisce o devo leggere le foglie di tè?»
 
Koan si lasciò sfuggire un risolino, ruotando leggermente gli occhi. «Come se già non lo sapessi», replicò e il tono incolore la sorprese. 
 
Rin corrugò la fronte e si sbatté un dito sul mento, guardando il soffitto, come se vi stesse veramente riflettendo. «Qualcosa mi suggerisce che c'entra tuo padre», ipotizzò, rivolgendogli uno sguardo eloquente. 
 
Koan sospirò, scuotendo la testa. «È che...», si prese qualche secondo, riordinando le idee. «Non sono così sicuro di voler prendere parte a questo viaggio. Non voglio dover lasciare voi, te e Mikomi; vedo, sento, come stai male quando papà non c'è e non vorrei alimentare la tua sofferenza andandomene», confessò tutto d'un fiato alla fine, gli occhi che in nessun istante lasciarono quelli della madre, leggermente arrossati per la commozione. 
 
Rin si morse l'interno della guancia e piegò la testa leggermente di lato. «Quella che tuo padre ti sta offrendo è una opportunità che non puoi prendere sotto gamba. Sarei più infelice se restassi perché il tuo senso della giustizia te lo impone, invece che vederti andare via», mormorò lei, sorridendo mestamente. 
 
Koan abbracciò la madre, circondandola interamente con le braccia, meravigliandosi come sempre quando si rendeva conto di quanto fossero fragili gli esseri umani ma allo stesso tempo forti d'animo come neanche un esercito di mille demoni superiori. 
 
.:••:.
 
Rin si appoggiò alla porta, la testa inclinata contro il legno, e chiuse gli occhi, respirando pesantemente; un'altra giornata era passata, finalmente. 
 
Sentì un fiato caldo sul collo e quando riaprì gli occhi, la sua visuale fu sommersa dai capelli argentei del compagno. Questa volta, nonostante la perpetua sorpresa, riuscì a controllare il suo impulso di urlare; seriamente, dov'era finito il suo coraggio? «Mi prendi sempre alla sprovvista», disse con fiato ansante, stringendogli le vesti con i pugni stretti. 
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio, mordendole con i canini il suo punto debole: il punto in cui la mascella incontrava il collo. «Una delle mie tante doti», rimarcò, con fare arrogante. 
 
Rin percorse il suo petto tonico con le dita, afferrandogli con forza il viso. «Una delle più irritanti», replicò sorridendo divertita, mentre gli poggiava un bacio casto sulle labbra. 
 
Sesshomaru la afferrò per le cosce e la issò, facendo inevitabilmente scontrare i loro bacini. «Allora te ne mostro un'altra che sono sicuro ti soddisferà».
 
Prima che Rin potesse replicare, o anche solo pensare di farlo, si ritrovò distesa sul futon, le braccia alzate sopra la sua testa e bloccate nella fervida presa del demone; quando incontrò i suoi occhi color miele, una scarica le rianimò le viscere. Istintivamente, alzò il bacino e sentì chiaramente che il bisogno era ricambiato; c'erano troppi vestiti a dividerli. 
 
Dovette pensarlo anche Sesshomaru, dal momento che prese a slacciarle il kimono, con una lentezza che se da una parte aumentava il desiderio dall'altra esasperava la povera Rin. Il Gran Generale dell'Ovest alzò un angolo della bocca, sentendola irrequieta. «Qualcuno è impaziente», la stuzzicò, picchiettandole un dito sulla fronte. 
 
Rin arrossì - sì, ancora dopo tanto tempo il demone aveva ancora questo effetto su di lei - e volse il viso, scappando dai suoi occhi. «Stai zitto» e, sporgendosi in avanti, gli rubò un bacio con passione. 
 
Sesshomaru, senza mollare la presa sulle sue braccia, fece scorrere con una lentezza frustrante le dita sul ventre piatto della compagnia, disegnando con gli artigli linee immagini. Vederla imponente sotto di lui, così inerme al suo tocco e saperla impaziente, era motivo di soddisfazione personale per il demone. 
 
Rimuovendo la biancheria superflua, accarezzò i radi peli del pube di Rin, ghignando quando la sentì trattenere il respiro; l'aveva in pugno. Si abbassò, lasciando un bacio nell'incavo dei suoi seni, poi sopra l'ombelico e infine lì, sul monte Venere. Quando alzò lo sguardo, la vide con il viso rivolto verso l'alto e gli occhi chiusi, in attesa. «Rin, guardami», le ordinò. 
 
Nel momento in cui si assicurò di avere il suo sguardo nocciola addosso, leccò il suo punto più caldo, godendo della sua espressione estasiata e assaporandola con dolcezza; forse non riusciva a comunicarlo con le parole, ma nei gesti si sentiva quanto avesse sentito la sua mancanza. 
 
Come il generale spietato qual era, non le diede un attimo di tregua mentre cominciava la sua amorevole tortura. Rin non poteva fare altro che inarcarsi contro le sue labbra, chiedendo di più, implorando, imprecando, urlando; stava raggiungendo il suo limite. 
 
Sesshomaru inserì senza preavviso un dito, guadagnandosi un gemito sorpreso, e, quando fu sicuro di potersi spingere oltre senza farle male, ne aggiunse un altro. Con ritmo veloce, cominciò a muovere le dita dentro e fuori, allargandola e preparandola per il seguito. Rin aveva il respiro affannato e assecondava i suoi movimenti con delle flessioni del bacino. 
 
E proprio quando stava per raggiungere l'apice, Sesshomaru si fermò; Rin emise un gemito frustrato e se avesse avuto una mano libera avrebbe certamente finito da sé il lavoro, ma purtroppo era immobilizzata. «Sesshomaru, ti prego».
 
Il demone inclinò la testa di lato, ghignando mentre, dopo essersi spogliato della sua armatura e dei suoi abiti, si posizionava sopra di lei. Le rivolse uno sguardo interrogativo, invitandola a continuare; voleva che lo dicesse esplicitamente. 
 
Rin si morse il labbro e mentre incatenava i loro sguardi ebbe la forza di annuire. «Voglio essere tua. Ora e per sempre».
 
.:••:.
 
«L'hai rotta, l'hai rotta!».
 
«Non è proprio rotta, le manca solo la testa di cui puoi farne benissimo a meno!».
 
«Lo dico alla mamma».
 
«Accomodati pure».
 
Sesshomaru non si perse una sola parola di quello scambio di battute tra i suoi figli, pur trovandosi al piano inferiore rispetto alle loro camere il suo incredibile udito era riuscito senza fatica ad essere raggiunto. Il giorno era appena sorto da un paio di ore, quando Gran Generale dell'Ovest e la sua consorte stavano consumando la colazione - o per meglio dire, Rin stava facendo rifornimento mentre Sesshomaru non ne sentiva il bisogno. 
 
Ovviamente, Rin era all'oscuro di tutta quella faccenda, tuttavia non lo rimase per molto dal momento che Mikomi fece irruzione dentro la sala da pranzo con tutta la sua ira seguita da un annoiato Koan. Stavano ancora dibattendo animatamente, eppure appena entrambi posarono lo sguardo sul demone cane raggelarono sul posto; sembravano delle statue di sale.
 
Sapevano quanto il padre odiasse sentirli discutere e litigare, specialmente poi la mattina, così, accantonarono momentaneamente l'ascia di guerra e presero posto in silenzio ai fianchi della grande tavola rettangolare, l'uno di fronte all'altra, continuando a guardarsi in cagnesco. Letteralmente. 
 
Rin era abituata a tutto quel trambusto, quindi spostò lo sguardo da Mikomi a Koan e viceversa, prima di sospirare e rivolgersi direttamente al figlio maggiore. «Che hai combinato questa volta?», domandò con tono esasperato, poggiando il mento sulle mani intrecciate. 
 
Koan ruotò gli occhi, mentre cominciava a pizzicare il suo piatto con disinteresse. «Perché sei certa che sia colpa mia?», si lamentò, assumendo un'espressione candidamente innocente. In tutta risposta, gli arrivò un calcio allo stinco da sotto la tavola che lo fece gemere dal dolore e di conseguenza il mittente assunse un'aria diabolicamente soddisfatta.
 
A interrompere la scena fu il ringhio sordo che prepotentemente uscì dalla gola di Sesshomaru; ne aveva abbastanza di tutta quella faccenda, quindi si alzò dalla tavola e intimò a Koan con un breve cenno del capo di seguirlo. Le orecchie appuntite del ragazzo improvvisamente si afflosciarono e, dopo aver ricevuto un sorriso incoraggiante dalla madre, gli corse dietro perché non voleva accrescere maggiormente i suoi guai.
 
Una volta in corridoio, lo vide aprire una finestra e volare fuori, dirigendosi così in giardino; Koan non perse tempo e, poiché essendo un mezzodemone non era capace di volare, spiccò un salto atterrando goffamente sui piedi scalzi.
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio e mostrò i canini aguzzi, mentre osservava con un cipiglio severo suo figlio. «Adesso sei un adulto e come tale dovresti prendertela con quelli della tua stazza, non con tua sorella minore. Vediamo che sai fare, mezzodemone» e sferrò il primo attacco.
 
 
 
 
~ Fine Prima Parte 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Come i due uomini della famiglia furono fuori dalla sala pranzo, Mikomi scattò subito in piedi, quasi mossa da una molla, e avrebbe di certo mandato all'aria la sedia se sua madre non avesse avuto i riflessi svelti, afferrandola prontamente. La giovane mezzodemone rivolse un veloce sguardo di scuse alla donna prima di saettare via, cercando di raggiungere il più in fretta possibile i due. Si sentiva così in colpa per come si era evoluta la situazione e ora Koan le avrebbe sicuramente prese. Doveva sbrigarsi. 
 
Anche Rin non perse tempo e si precipitò dietro la figlia, ovviamente senza riuscire a tenere lo stesso ritmo; l'età e la sua condizione umana non glielo avrebbero mai permesso. Era agitata, mentre scendeva le scale facendo i gradini a due a due. Sesshomaru era stato sempre troppo duro e severo sia nei confronti dei loro figli ma pure nella sua stessa vita in generale, questi tratti erano parte integrante della sua indole, eppure non aveva mai raggiunto soluzioni così drastiche. Si fidava del Gran Generale dell'Ovest in tutto e per tutto, tranne quando si trattava dei modi con cui impartire una lezione ai suoi figli, in questo caso Rin diventava iper apprensiva. Aumentò il passo. 
 
Quando Mikomi si ritrovò nell'esteso giardino, li cercò con lo sguardo sebbene non fosse poi così difficile indibiduarli: erano sospesi a mezz'aria, il viso di Koan rosso dalla fatica e dalla rabbia; quello del padre contratto nella solita maschera di fredda indifferenza. Trattenne il fiato e si sentì leggermente più sollevata, come si accorse che Sesshomaru non stava ricambiando i colpi inferti ma si limitava a schivarli e a respingerli con una facilità sconcertante. Questo finché non alzò la mano stretta in un pugno e la scagliò contro il viso di Koan, il quale si sfracellò al suolo lasciandosi dietro una scia di polvere e terra.
 
«Koan!», Mikomi urlò e si precipitò ad aiutare il fratello, ma quando lo raggiunse vide che questi si stava rimettendo in piedi, malgrado fosse malfermo sulle gambe, alzando poi una mano per fermarla.
 
«Stanne fuori, Mikomi, è una questione tra adulti» e dopo aver massaggiato la mascella dolorante, sollevò il viso fissando gli occhi ambrati e ardenti in quelli glaciali del demone cane. «Tutto qui quello che sapete fare, padre?», lo sfidò con una sfrontatezza che neanche lui sapeva da dove l'avesse pescata. 
 
Se Mikomi gli rivolse un'espressione intrisa di stupore, l'unica risposta del padre fu un ringhio feroce e un moto di orgoglio che silenziosamente germogliava in lui. Quel mezzodemone o era molto coraggioso o solo stupido e presto lo avrebbe appurato. Aspettò che lo raggiungesse prima di investirlo con un'altra serie di colpi, sempre contenendo la sua vera potenza. E, diamine, non se la stava cavando poi così male.
 
Rin raggiunse finalmente Mikomi e le posò una mano sulla spalla, stringendola con affetto. «Sta tranquilla, tuo padre ha tutto sotto controllo», la rassicurò, credendo fermamente nelle sue parole dopo aver visto la scena ma soprattutto il ghigno di Sesshomaru. Conosceva bene quell'espressione. 
 
Mikomi circondò con le braccia il busto di sua madre, strusciando il viso sulle sue vesti leggere per cercare conforto. «Come fai ad esserne così certa?», le domandò con tono incerto. Quando si trattava di suo padre, le sembrava sempre di barcollare nel buio. 
 
Rin le accarezzò i capelli lisci e argentati, osservando la figura di suo figlio rispondere a fatica ai colpi del padre. «Checché se ne dica, non ci farebbe mai del male» e forse per via delle intense emozioni provate da quando il demone era ritornato, forse per via del caldissimo clima, fatto sta che si sentì svenire.
 
Se non fosse stato per Mikomi che era là a reggerla, sarebbe sicuramente collassata a terra. La bambina, presa dal panico, inizialmente rimase senza parole; poi però riuscì finalmente a riscuotersi. «Padre!», gridava con urgenza e come chiuse la bocca, vide il grande demone cane paralizzarsi e rivolgerle un'occhiata confusa, almeno fin quando non si accorse del corpo inerme sorretto dalla mezzodemone. 
 
Mikomi non ebbe il tempo neanche di batter le palpebre, che suo padre era sparito e con lui anche Rin, lasciando i due bambini a guardarsi sconcertati.
 
.:••:.
 
Mikomi e Koan non avevano permesso di entrare nella camere dei loro genitori, solitamente, eppure in quell'occasione Sesshomaru si rivelò estremamente indulgente, concedendo loro qualche minuto da spendere con la loro madre. Per la prima volta in assoluto, la famiglia si era ritrovata riunita sopra il grande letto matrimoniale e tutto per merito di Rin, nel bene o nel male. 
 
Dopo averla prelevata dalle braccia della figlia, Sesshomaru aveva immediatamente recuperato e trascinato il medico che alloggiava ormai abitualmente nel suo castello per prestare cure tempestive alla sua Rin. Per un attimo, un microsecondo, sul suo sguardo era calato un velo di preoccupazione che aveva scacciato con la stessa velocità con cui era venuto. Non c'era tempo per i sentimentalismi, doveva scoprire cosa avesse quella sciocca della sua consorte. 
 
Rin era stata visita con la massima attenzione, ma il medico - un antico demone ragno - non aveva trovato nulla di strano; i valori erano nella norma e la donna godeva di ottima salute. Consigliò quindi massimo riposo e di tenere sotto controllo ogni significativo cambiamento nelle condizioni fisiche. Sesshomaru lo liquidò con un gesto veloce dell mano artigliata, mentre studiava dall'alto il volto assonnato di Rin.
 
Doveva sempre fallo preoccupare, quella zuccona, nonostante non fosse più la bambina di otto anni che aveva salvato da una fine immeritata. Erano passati due decenni, ma ancora Rin trovava ostinatamente nuovi metodi per fargli abbandonare il suo amato controllo. Quel volto fresco e limpido non sapeva quanto frustrante fosse per lui quella situazione e in aggiunta c'erano anche i suoi figli che lo tempestavano di domande, come se lui fosse una stupida miko! 
 
Mikomi alzò lo sguardo e lo puntò sul viso cereo della madre. «Padre, la mamma è tuttora molto giovane?», chiese di punto in bianco, non riuscendo a incrociare lo sguardo di Sesshomaru mentre pronunciava quelle parole.
 
Il Grande Generale dell'Ovest si ritrovò spiazzato e anche Koan drizzò le orecchie, rivolgendo alla sorella minore un'occhiata attenta. «Abbastanza», mormorò e la sua voce non tradì la sfumatura di insicurezza che si era insidiata in lui.
 
«E rimarrà con noi ancora per molto, vero?», sussurrò a testa bassa, nascondendo il volto dietro la frangetta dai lunghi capelli argentei. 
 
Sesshomaru non riuscì a rispondere e fu costretto a spostare lo sguardo verso l'unica via di fuga, la finestra aperta; improvvisamente quelle quattro mura erano diventate troppo soffocanti e anguste e sentiva l'impulso di doversi allontanare da quella stanza, dalla presenza di Rin e dei due bambini. Aveva bisogno di restare da solo, così in un battito di ciglia volò via, lasciandosi alle spalle le domande a cui non avrebbe saputo rispondere. 
 
Come Sesshomaru fu lontano dalla loro vista e dal loro udito, Koan sospirò pesantemente e scese dal letto. «È tutta colpa mia se la mamma è in queste condizioni», si rimproverò, stringendo i pugni. 
 
Mikomi scosse con fermezza la testa. «No, Koan, la colpa è di entrambi. Litighiamo troppo e spesso, forse la mamma è solamente stanca» asserì, concedendogli un piccolo sorriso.
 
Koan si morse il labbro inferiore. «Può darsi che tu abbia ragione, Mimi».
 
Gli occhi della bambina si accesero nel sentirsi chiamare con quel nomignolo che usava da piccolo e che da molto aveva accantonato. «Allora, tregua?», allungò la mano verso il fratello maggiore.
 
Koan guardò prima la mano e poi la faccia così seria per una bambina di otto anni da risultare buffa, quindi l'abbracciò sogghignando. «Tregua», confermò e cominciò a tempestare le sue guance con piccoli baci appiccicosi. Mikomi cercò di divincolarsi scalciando, urlando e ridendo e proprio in quel momento un sospiro particolarmente inquieto colpì le loro orecchie sensibili.
 
I due si voltarono di scatto verso la figura della madre, che con un sorriso sornione stampato sulle labbra stanche li osservava. «I miei bambini», commentò con le lacrime agli occhi e si ritrovò completamente riempita dall'effetto dei mezzodemoni. 
 
.:••:.
 
Koan correva nel bosco, così veloce che sembrava quasi non toccare nemmeno il terreno. Il vento gli scompigliava i capelli bianchi e gli accarezzava le orecchie a punta, mentre il sole alto nel cielo si abbatteva sulla sua figura. Si stava dirigendo al villaggio, dove sperava di poter stare un po' con i suoi cugini e soprattutto di parlare con la zia Kagome. 
 
Si fermò sul ramo di un albero, annusando l'aria con maggiore attenzione quando percepì un odore familiare; era quasi arrivato. Quando suo padre rincasava dai suoi lunghi quanto misteriosi viaggi, Koan preferiva non scendere al villaggio perché sapeva bene quanto potesse dare fastidio al Grande Demone Cane l'idea che il suo primogenito avesse a che fare con il fratellastro Inuyasha e tutta la sua combriccola. Eppure, per quella volta, il mezzodemone fece un'eccezione. 
 
All'improvviso però qualcosa vibrò dietro le sue orecchie ed ebbe fortunatamente la prontezza di scansarsi con un balzo, mentre una freccia si conficcava nel legno dove prima vi era la sua testa. Confuso, atterrò al suolo ed alzò il viso, incontrando subito due occhi verdi che lo fissavano senza una particolare espressione dalla chioma di un albero.
 
Koan ringhiò, sentendosi chiaramente minacciato. «Che cosa vuoi?», domandò bruscamente, con le labbra imbronciate. Quella situazione era un'inutile seccatura, avrebbe perso tantissimo tempo prezioso e non ci voleva proprio, suo padre avrebbe potuto notare la sua assenza in qualsiasi momento e allora sì che sarebbe stata la fine. 
 
La ragazza si esibì in un salto aggraziato, piantandosi a pochi metri di distanza dal mezzodemone. «Somigli molto a tutti loro», esclamò, osservando attentamente i lineamenti del ragazzo. 
 
Koan piegò la testa di lato, ricambiando il suo sguardo indagatore. «Tu assomigli a un gatto pulcioso, invece», replicò allora sfacciatamente, indicando con il mento le pelose orecchiette nere e bianche che si stagliavano tra i capelli color ebano. 
 
Non lo avesse mai detto! La ragazza sfoderò prontamente gli artigli e il suo sguardo felino si assottigliò. «Attento a quello che dici, cagnetto», lo minacciò con ferocia.
 
Koan rise, dandole le spalle mentre prendeva a camminare verso la direzione del villaggio con le mani incrociate dietro la testa. «Ci vediamo, micia, ho da fare. La prossima volta giocherò con te, promesso».
 
Mentre si allontanava, la voce acuta della ragazza raggiunse il suo udito fine. «Non chiamarmi così, non sono un gatto!», ma ormai Koan era troppo lontano per risponderle, quindi affrettò il passo giunto quasi alle porte del villaggio.
 
Arrivato davanti l'abitazione della sua famiglia, era con il pugno alzato pronto a bussare quando saltarono fuori le sue cuginette, Aki e Yuka, che lo accolsero con felicità. Koan si ritrovò sopraffatto da due palle di pelo che metaforicamente scondinsolavano dalla contentezza e si lasciò andare in una risata, mentre prendeva entrambe tra le sue braccia. Per un attimo si sentì un po' in colpa per non aver portato con sé la sua sorellina, dal momento che era molto legata alle cugine, eppure non poteva coinvolgere anche lei in quella spedizione. 
 
Varcò l'ingresso e fu avvolto da un familiare odore di ciliegio, tipico della zia. Appunto, la testa di Kagome, fasciata da un foulard a fantasia, spuntò da dietro una porta non appena sentì tutto quel chiasso. «Bambine, già vi siete stancate di aiutare la mamma?», domandò mesta, prima di accorgersi della presenza di suo nipote. «Koan, che bello vederti», affermò, correndo ad abbracciarlo in modo materno.
 
Koan arrossì imbarazzato e abbozzò un sorriso mentre ricambiava l'affetto, e sempre impacciato quando si trattava di situazioni del genere. «Lo zio?», volle sapere, lasciando scendere le due bambine dalle sue braccia che corsero immediatamente via per scappare dalla madre.
 
Kagome sospirò, grattandosi un guancia con l'indice della mano. «Penso che stia allenando Hideo, però dovrebbero essere qui a momenti», lo informò, per poi riprendere con le faccende domestiche. «Ma raccontami, piuttosto, come sta tua madre? È da un po' che non la vedo», disse tristemente. 
 
Koan spostò lo sguardo, osservando il ritratto di famiglia immortalato quando lui aveva appena dieci anni posto sopra il comodino. «È proprio di questo che vorrei parlarti», le confidò infine, mordendosi il labbro in un gesto nervoso.
 
Kagome mise di lato i vestiti che stava ripiegando e gli rivolse uno sguardo preoccupato. «È successo qualcosa?», mormorò. 
 
«Sono preoccupato per lei, ma anche per mio padre», ammise in un sussurro. «I suoi viaggi sono sempre più lunghi e la mamma è continuamente in apprensione, ma non è questo il punto. Come saprai bene, i demoni vivono per così tanti secoli da sembrare immortali mentre voi umani, beh, no» concluse, sperando di non sembrare offensivo. 
 
Kagome lo guardò con comprensione, raggiungendolo. «Koan, tua mamma è molto giovane. Non ci crederai, ma lo è anche più di me», disse, scherzando cercando di tirargli su il morale senza successo.
 
Koan annuì più volte. «Lo so, lo so, ma il tempo è comunque nostro nemico», mormorò. «Io penso che mio padre se ne sia reso conto ancora prima di me e che i suoi viaggi servano proprio a questo».
 
Kagome fece un piccolo sorriso. «Sesshomaru è sempre un passo avanti a tutti noi», affermò con ammirazione. 
 
Koan scacciò con un gesto scocciato della mano le parole della miko. «Per una volta vorrei non dovermi trovare a inseguirlo, mi piacerebbe camminare accanto a lui e, perché no?, magari superarlo anche».
 
Kagome gli diede delle pacche di incoraggiamento, sorridendo malinconica. «Anche Inuyasha mi ripeteva queste parole», commentò con nostalgia pensando alla gioventù. 
 
Koan gonfiò il petto e sul suo viso si delineò una smorfia arrogante. «Ma io sono più forte e decisamente più bello dello zio», dichiarò, facendo ridacchiare la miko. «Zia, tu non sai come potrei fare ad allungare il tempo della mamma?», eccolo lì, il nocciolo della questione. 
 
Kagome scosse la testa. «Io no, ma più tardi dopo pranzo possiamo dare un'occhiata ai libri di Kaede e vedere se c'è qualcosa», suggerì. Koan sorrise felice e la ringraziò di cuore, forse c'era una piccola speranza di poter migliorare le cose. «Mangi qua, giusto?»
 
Koan era tentato di rifiutare perché sapeva che la zia non era poi così brava a cucinare, ma non poteva tornare a casa dal momento che non era sicuro che avrebbe trovato un modo di sgattaiolare di nuovo via. E se si fossero accorti della sua assenza, pazienza, ormai era andato troppo oltre per farsi indietro. Le disse che sarebbe andato a cercare Inuyasha e Hideo, così magari si sarebbe allenato un po' con loro.
 
Così attraversò il villaggio con questa intenzione, ma quando si ritrovò ai piedi di una pianura tappezzata da così tanti fiori da sembrare un unico telo infinito. Si sentiva quasi in colpa, ma non poteva non distendersi e riposare per cinque minuti. Chiuse gli occhi, il viso rilassato mentre godeva dei raggi caldi del sole di mezzogiorno. 
 
O almeno ci provava, visto e considerato che qualche istante dopo un'ombra era calata sopra di lui e si sentiva stranamente osservato. Aprì un occhio e si ritrovò lo stesso sguardo felino di qualche ora prima a pochi centimetri dal volto. Si sentì inspiegabilmente in soggezione e lo sguardo gli cadde sulle labbra rosee e piene della ragazza.
 
Si riscosse quando sul volto di quella invadente si allargò un sorriso beffardo. «Di nuovo tu, micia?», chiese quindi scocciato, poggiando le mani sulle sue spalle per allontanarla mentre si metteva a sedere.
 
L'altra si guardò le unghie affilate. «Sbaglio o ti ho già detto di non chiamarmi così?», fece fintamente annoiata.
 
Koan alzò le spalle. «Non so il tuo nome, in che altro modo dovrei chiamarti?», esclamò esasperato e sbirciò con la coda dell'occhio la sua reazione. 
 
«Io sono Mizuki», spiegò allora lei velocemente. «Sei imparentato con Inuyasha, vero?», chiese con fin troppo interesse. 
 
Koan sollevò un sopracciglio e si fece guardingo. «E a te che importa?», cominciava a perdere la pazienza, quella ragazza era una sconosciuta, non poteva rivelarle così a cuor leggero la sua identità. 
 
Mizuki mise le mani davanti, come a difendersi. «A cuccia, cagnetto. Era solo una domanda».
 
Koan si mise in piedi. «Senti, non ti conosco nemmeno, perché dovrei risponderti?», incrociò le braccia al petto. 
 
La ragazza ruotò gli occhi e lo imitò nella postura. «Perché io conosco te», affermò semplicemente. 
 
La mascella del mezzodemone per poco non cadde a terra; si mise in posizione di attacco, quella situazione cominciava a non piacergli. «Chi sei tu in realtà? E guarda che voglio la verità» la avvisò puntandole un dito contro, quasi ringhiando. 
 
Mizuki avvolse con la mano il dito di Koan e fece un passo avanti. «Io sono Mizuki e vengo da terre molto lontane, così tanto che non sapresti nemmeno il loro nome se te lo dicessi. Sono un mezzodemone giaguaro», disse solennemente, sfidandolo con gli occhi.
 
Koan si lasciò andare in un sorriso sgembo, pur non perdendo la prudenza. «Allora avevo ragione, sei un gatto pulcioso», la punzecchiò, non riuscendo a trattenersi.
 
Mizuki perse la calma e gli saltò addosso, facendogli perdere l'equilibrio; si ritrovarono a rotolare lungo la pianura, schiacciando con il loro peso i fiori, finché Koan non fece forza e piantò le spalle della ragazza contro il terreno. Si fissarono per interminabili secondi, oro contro smeraldo, quando il ragazzo si chinò all'altezza del suo orecchio e le ringhiò contro. «Mi piace giocare con te, micia».
 
La mezzodemone, infastidita oltre ogni limite, stava per rispondergli piuttosto malamente, tuttavia una terza voce si mise in mezzo, richiamando il ragazzo che la guardava con occhi ridenti di vittoria.
 
«Koan! Che ci fai qui?»
 
Il mezzodemone finalmente si alzò, dandole modo di riprendere a respirare, e lo vide salutare due figure dai suoi stessi tratti genetici: Inuyasha e Hideo. Quando si mise in piedi e quei due si accorsero di lei, la sorpresa fu immediata. 
 
«Mizuki, hai già conosciuto Koan vedo», esclamò Inuyasha con uno sguardo di chi la sapeva lunga.
 
Dal suo canto, la ragazza era riuscita a dare un nome al volto del mezzodemone che aveva appena incontrato e fu subito sicura che non lo avrebbe dimenticato mai.
 
«Avanti, torniamo a casa. Kagome avrà preparato i suoi deliziosi manicaretti», suggerì contento Inuyasha, mentre sui volti dei tre ragazzi si delineavano espressioni sconcertante. 
 
Koan si girò verso la ragazza con un sopracciglio inarcato come vide che anche lei si stava incamminando con loro. «Tu vieni pure con noi?», domandò stranito. 
 
Hideo, sentendo quelle parole, avvolse un braccio attorno alle spalle della mezzodemone sorridendo. «Mizuki fa parte della famiglia ormai».
 
Koan era sempre più confuso, per cui intervenne in suo aiuto Mizuki che si limitò a dire: «È una lunga storia».
 
 
 
~ Fine Seconda Parte
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte Terza ***


Hideo e Koan erano da sempre stati ottimi amici e compagni di squadra all'occasione. I due avevano in comune solo l'età e le radici familiari, per il resto erano come il giorno e la notte, complementari e opposti.
 
Hideo aveva ereditato i tratti più esuberanti dal padre: con la sua solita arroganza, riusciva come una calamita ad attirare su di sé guai di ogni genere per via del suo temperamento focoso e litigioso. E quello che ci andava sempre di mezzo era proprio Koan, che ogni volta come una manna dalla cielo interveniva per tirarlo fuori dai pasticci e coprirlo eventualmente con i suoi genitori. 
 
Se Koan prima di agire era capace di riflettere per ore, pure per giorni interi, Hideo sarebbe stato già immerso nel caso prima che il compagno avesse trovato il giusto modo di procedere. Inoltre, il figlio di Inuyasha aveva una protensione naturale per il combattimento fisico, ricercadolo anche quando non necessario, mentre il figlio di Sesshomaru preferiva non separarsi mai dal suo shinken, sia per motivi affettivi che legati alle sue capacità. 
 
Così, quando a fine pranzo Koan comunicò le sue apprensioni e idee al resto della combriccola, Hideo si propose per accompagnarlo al tempio della vecchia Kaede e se Kagome non lo avesse fermato, avrebbe sicuramente trascinato il cugino seduta stante.
 
«Hideo, lo sai che Kaede ce l'ha ancora con te dopo l'ultima delle tue trovate!», lo rimproverò la madre con la rabbia che cominciava a riaffiorare al ricordo di ciò che aveva combinato il piccolo -beh, non poi cosi tanto- mezzodemone. 
 
Le orecchie di Hideo si afflosciarono immediatamente, mentre guardava la madre con occhi imploranti. «Quella vecchia strega ha minacciato di incollarmi addosso il rosario della soggiogazione», mormorò contrariato.
 
Fino a quel momento Inuyasha era stato in silenzio rimuginando sulle parole del nipote, ma quando captò indistintamente il soggetto del discorso trasalì e guardò spaventato prima suo figlio poi Kagome. «Il rosario? Ho ancora gli incubi di quello stupido collare!» esclamò adirato, guardando di traverso la moglie.
 
Kagome si espresse in una risata nervosa, il viso che si colorava di un leggero rosa. «Avanti, caro, non mi guardare con quella faccia. Kaede aveva avuto i suoi buoni motivi per fare una cosa del genere» affermò diplomatica.
 
Tuttavia Inuyasha non demorse e incrociò le braccia al petto con fare offeso. «Tzè, buoni motivi un corno. Quella dannata non mi sopportava, te lo dico io».
 
«Sei davvero impossibile, a volte vorrei che lo avessi ancora al collo!».
 
«Ah, così stanno le cose?».
 
«Signori,» Hideo interruppe la discussione dei suoi genitori, che in piedi l'uno di fronte all'altro emanano scintille di rabbia. «Cerchiamo di mantenere la calma», provò appianare i loro animi agitati, e invece ottenne l'effetto contrario.
 
Inuyasha infatti non perse tempo e prontamente fulminò il figlio maggiore. «Con te faccio i conti dopo, Hideo», lo minacciò, puntandogli contro un artiglio.
 
Prima che la situazione potesse degenerare, a mettere una fine fu proprio Mizuki, che fino a quel momento aveva fatto solo da osservatore. «Posso accompagnarlo io da Kaede, se per Koan non è un problema», aggiunse guardando apertamente il diretto interessato che si ritrovò spiazzato a balbettare una risposta affermativa. 
 
Inuyasha si sbatté il pugno contro la mano aperta. «Allora è deciso, andrete voi due a controllare al tempio», concluse allora il discorso il mezzodemone con ritrovato entusiasmo. 
 
Hideo sospirò, mentre guardava sconsolato i due varcare la soglia e lasciare l'abitazione. «Mi sento tagliato fuori», ammise con mestizia. 
 
Inuyasha gli poggiò una mano sulla spalla e gli regalò un sorriso insolente. «Così la prossima volta che ne combinerai un'altra delle tue, imparerai a non farti beccare».
 
«Inuyasha!».
 
«Ehm, quello che volevo dire...».
 
.:••:.
 
Camminavano in silenzio, l'uno al fianco dell'altra, mentre si dirigevano al tempio. Koan aveva come al solito le braccia incrociate dietro la testa e fischiettava un motivetto che alle orecchie di Mizuki risultava davvero fastidioso -ma del resto, cosa di quel ragazzo non trovava irritante? Eppure non aveva ragione di lamentarsi, si era praticamente di propria sponte offerta di accompagnarlo.
 
Era diverso da Hideo e dalla sua famiglia, era come se appartenesse ad un'altra realtà con la sua compostezza e calma; anche mentre parlava del suo problema, aveva mantenuto un certo distacco che le fece quasi credere che non fosse poi così emotivamente tanto coinvolto, come se intendesse l'intera faccenda come una scocciatura da sistemare.
 
Lo osservò incuriosita. I lunghi capelli bianchi ricadevano intrecciati contro la sua schiena, quasi gli sfioravano il fondoschiena e avrebbe davvero voluto indagare oltre, ma si costrinse a risalire arrivando al suo profilo perfetto, il naso leggermente a punta, le labbra sottili piegate in un sogghigno e gli occhi dorati allungati che la fissavano. Beccata.
 
Stranamente il ragazzo non aggiunse nulla, cosa che la lasciò alquanto interdetta. «Il gatto ti ha mangiato la lingua, Koan?», lo stuzzicò allora, guadagnando un'occhiata di scherno. 
 
«Ci vuoi provare?», replicò con un pizzico di malizia e sporgendosi con il muso verso di lei, ma non le lasciò il tempo di rispondere. «Siamo arrivati».
 
Così sollevò la testa e si ritrovò davanti la soglia del tempio, che solenne e imponente si ergeva da tanto tempo. Vide Koan forzare la serratura, per poi spalancare le porte con una leggera pressione del braccio e guardarla trionfante. Mizuki però rimase scettica. «Non dovremmo avvisare la vecchia Kaede?».
 
Koan alzò gli occhi al cielo e afferrò la ragazza per il polso, trascinandola dentro quasi prepotentemente. «Non ho abbastanza tempo», si limitò a spiegare.
 
Le porte dietro di loro permettevano l'entrata solo di alcuni fasci di luce che però non riuscivano ad illuminare tutta la grande stanza, completamente priva di finestre, così il mezzodemone cane si avvicinò al muro e recuperò due fiaccole. Dopo aver provveduto ad accenderle, ne porse una a Mizuki. «Da questo momento ci dividiamo, io mi occupo dell'ala est e tu dell'ala ovest. Ci sono obiezioni, micia?»
 
Mizuki scosse la testa e afferrò una fiaccola. «Solo una, grande capo, smettila di chiamarmi micia», precisò seccata mentre lo guardava intensamente con occhi felini. 
 
Koan sollevò le spalle, imperturbabile come sempre. «Come vuoi. Se succede qualcosa, grida. Se trovi qualcosa di interessante, grida. Se ti manco, grida e verrò subito da te».
 
Mizuki gli diede le spalle, ruotando annoiata gli occhi. «Contaci», rispose ironicamente, mettendosi poi subito a lavoro. 
 
Cominciarono a perlustrare da cima a fondo quegli scaffali infiniti, tra i documenti e i libri, tra le pergamene antiche e ingiallite dal fluire del tempo, tra i ragnetti e le loro labirintiche ragnatele. Mizuki non era un tipo che facilmente si dava per vinto, però con il progredire dei minuti sentiva la sua motivazione andare scemando e cominciò a insediarsi in lei l'idea che forse non avrebbero trovato nulla di concreto lì. A peggiorre il suo umore, sul suo capo si era depositato un velo di polvere che le solleticava le orecchie e il naso, tanto che starnutiva a intervalli di cinque secondi. 
 
Chiuse il libro che aveva tra le braccia, sollevando altra polvere che le andò a infastidire il suo olfatto raffinato, e lo riposiziò nella sua originale collocazione, preparandosi a prendere il successivo. Questo però possedeva uno strano bagliore fosforescente, nel senso che sembrava proprio emanare luce propria, e al suo toccò cominciò a vibrare, come se non stesse nella pelle -o per meglio dire, nella copertina- di essere letto. Cosa andava a pensare! Con moto di stizza aprì il volume, senza neanche far caso al titolo, e si ritrovò a leggere una lingua sconosciuta che sapeva di arcaico ma anche di ultraterreno.
 
«Che cos'è?».
 
Sobbalzò al suono della voce di Koan, lasciando cadere il libro a terra per lo spavento. Alzò la fiaccola e illuminò il viso del giovane che la guardava con un'espressione angelica, come se non avesse provato gusto nel prenderla di sorpresa. «Nessuno ti ha mai detto che sei peggio di una spina nel fianco?», lo rimproverò debolmente, raccogliendo poi il libro.
 
Koan rise, trovando divertente il modo in cui lo aveva definito. «No, questa mi è nuova», ammise, mentre lanciava un'occhiata al testo. «Ma questa è una lingua demoniaca antica», commentò sorpreso. 
 
Mizuki avvicinò la sua testa a quella del ragazzo, sbirciando anche lei tra le pagine. «Capisci qualcosa di quello che c'è scritto?».
 
Koan alzò un sopracciglio e la guardò con sfrontatezza. «Naturalmente, hai la vaga idea di chi hai davanti?», domandò retorico. 
 
Mizuki lo colpì alle costole con una gomitata. «Un cagnetto arrogante?», ribatté lei ostinatamente. 
 
Koan gonfiò il petto e socchiuse gli occhi, atteggiandosi. «Si dia il caso che il cagnetto arrogante conosca il contenuto di questo testo e tu invece no», replicò, chiudendo successivamente il volume. 
 
Mizuki si accese improvvisamente di gioia e lo guardò in attesa, strepitante. «Allora, è il nostro libro?».
 
Koan cercò di rimanere impassibile davanti all'aggettivo "nostro" e soffiò sulla sua fiaccola, spegnendo così la fiamma. «È il nostro libro».
 
.:••:.
 
Koan salì le scale, il libro ben nascosto tra il tessuto della giacca, con il fiato alla gola. Si sentiva già graziato per non essere stato sorpreso all'ingresso della sua abitazione, sperava che la fortuna lo avrebbe accompagnato fino alla sua stanza almeno. 
 
Dopo aver trovato il libro, non era tornato neanche dai suoi zii a salutare; non ne era rimasto il tempo per un'altra incursione nella loro casa. E dall'altra parte era quasi sicuro che Hideo avrebbe insistito per accompagnarlo a casa, cosa da evitare assolutamente. Aveva addirittura dimenticato a ringraziare Mizuki per il suo aiuto, ma del resto sapeva che in qualche modo avrebbe avuto occasione per sdebitarsi.
 
Quella Mizuki incuriosiva veramente tanto Koan, sia perché non sapeva nulla del suo passato sia perché il presente lo affascinava ancora di più. A parte sua madre e sua sorella, non aveva molti termini di paragoni, richiuso com'era nel suo castello alienato dal villaggio, però quella gattaccia aveva un qualcosa che lo attraeva come nient'altro prima d'ora.
 
Era quasi dentro la sua stanza, doveva solo abbassare la maniglia e sarebbe stato finalmente al sicuro, avrebbe potuto dichiarare la sua missione ufficialmente conclusa. Però... però a volte il destino è un gran bastardo, o nel suo caso un purosangue millenario.
 
«Come stanno i tuoi parenti?», frecciò prontamente, la voce che non tradiva alcuna emozione mentre lentamente scandiva le parole. «Hai ancora il loro tanfo addosso e stai impregnando tutto il mio castello», fece qualche passo in avanti, trovandosi in un punto in cui sul suo viso si proiettavano delle ombre.
 
Koan deglutì, sentendosi chiaramente un ospite quando suo padre rivendicò la proprietà del castello. «Sì, beh, stavo giusto andando a cambiarmi», mentì, portando dietro la testa il braccio con il quale non reggeva il libro.
 
Sesshomaru lo fissò per qualche secondo di troppo e Koan sentì senza dubbio che la sua fine era giunta, che era stato scoperto. «Brucia quei vestiti e poi raggiungimi nel mio studio», allora comandò e quando fu di spalle e lontano, aggiunse: «E non dimenticare il libro».
 
Scoraggiato e deluso, si affrettò ad entrare nella sua stanza. C'era quasi riuscito, avrebbe voluto veramente portare a termine quella sua iniziativa senza che suo padre si intromettesse, avrebbe voluto dimostrargli il suo valore e, perché no?, sentirsi per una volta accettato dal Gran Generale dell'Ovest. 
 
Si tolse gli indumenti e si mise davanti allo specchio, rimirandosi in modo pignolo. Non aveva una grande opinione di se stesso e in quel corpo riusciva a notare solo tutti i suoi limiti e le sue debolezze. Non era né debole come un umano, né forte come un demone completo. Non era niente. 
 
Fissò gli occhi del suo alter ego, poggiando la punta delle dita lunghe sulla superficie ghiacciata. «Almeno sei simpatico», si consolò ironicamente. 
 
Sospirando mestamente, si decise a rivestirsi con abiti puliti e a raggiungere suo padre nel suo studio con il libro, prima di alimentare il suo astio, che di per sé ne aveva già abbastanza. Non vedeva l'ora di sbrigarsi a risolvere quella faccenda, così avrebbe avuto modo di stare finalmente con la sua sorellina che quel giorno non aveva visto neanche di sfuggita. Quel pensiero gli donò la prodezza necessaria per farsi avanti. Bussò. 
 
Dall'altra parte, però, arrivò in risposta solo il silenzio. Stranito, aprì uno spiraglio e vi infilò la testa. «Padre?», lo richiamò. Sicuramente era stato in quella stanza, il suo odore era ancora molto forte, ma non lo vedeva né udiva.
 
Preso dall'entusiasmo, si avventurò nello studio, per la prima volta libero di ficcanasare ovunque volesse. Il suo sguardo vagò dai dipinti inquietanti di antenati alla imponente scrivania di legno nero. Tra i ritratti c'era anche quello di sua nonna, che non vedeva della nascita di Mikomi. Si chiese perché suo padre non si fosse disfatto di quei ritratti, non mostrava di certo grande affetto per quella donna.
 
Osservò rapito le mappe di guerra stirate sul lungo tavolo al centro della stanza. Da piccolo alcune le aveva studiate insieme a suo padre, quindi riusciva con modesta facilità a leggerle, eppure quelle avevano qualcosa di diverso. Deciso a scoprirne di più, avvicinò incautamente il viso a quelle carte, annusandole. Tuttavia all'improvviso fu incantato da quelle incisioni; cadde in uno stato di incoscienza e un forte vortice cominciò a risucchiarlo dentro. Non avrebbe avuto modo di salvarsi, se si fosse trovato da solo in quella situazione, stordito com'era.
 
Per fortuna non era così. Sesshomaru, come materiallizzandosi, lo afferrò per la collottola e lo tirò via. «Che stai combinando, Koan?».
 
Il ragazzo, ancora con gli occhi vitrei appannati, non riuscì a rispondere. Si sedette a terra e si afferrò con le mani la testa, che martellava incessantemente. Si sentiva come se fosse stato appena calpestato dagli zoccoli di una mandria di vacche. Sesshomaru lo guardò incuriosito, ma non aggiunse nulla, anzi afferrò il libro che era finito per terra e si andò a sedere dietro la sua scrivania, prendendo in esame quei testi.  
 
«Dove lo hai trovato?».
 
Koan scosse la testa e con un balzo si rimise in piedi, segno che aveva già recuperato le facoltà mentali. «Volete veramente saperlo?», chiese, dimentico per un attimo del contesto in cui si trovava e di chi aveva davanti; difatti Sesshomaru si espresse in un ringhio di avvertimento. «Sono andato al villaggio e ho perlustrato il tempio della vecchia Kaede» ammise quindi tutto d'un fiato. 
 
Sesshomaru non batté ciglio. «A che ti serve un libro che parla di come acquisire l'immortalità?».
 
Koan abbassò subito lo sguardo, torturandosi il labbro inferiore. Come poteva sganciare in quel momento quella bomba? Era praticamente un suicidio in piena regola! «È per la mamma», riuscì a dire dopo un lungo attimo di esitazione. 
 
Sesshomaru rimase impassibile, gli occhi incollati sul viso del figlio, senza replicare alcunché. «Pensavo che magari potremmo trovare insieme una soluzione», confessò il mezzodemone con crescente euforia. 
 
Il Gran Generale dell'Ovest si alzò in piedi, sovrastandolo con tutta la sua magnificenza. «No».
 
Il viso di Koan si contrasse in una smorfia confusa. «Cosa? Perché no? Sono forte abbastanza, non vi sarò di intralcio».
 
«Non è quello che tua madre desidera per se stessa».
 
Koan attutì il colpo. Non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere e avvertì che quello era sicuramente un discorso che più volte i suoi genitori avevano affrontato. Eppure, di fronte alla sfumatura arresa che catturò in quelle parole, non poté che sentirsi schiacciato dalla sensazione di inutilità. 
Lasciò la stanza senza neanche aspettare che suo padre gli desse il permesso per farlo. 
 
.:••:.
 
«Tuo figlio sta diventando una seccatura».
 
Rin alzò gli occhi dal romanzo che stava leggendo e guardò il suo compagno distendersi al suo fianco e poggiare la testa sul suo stomaco. Prese ad accarezzargli dietro le orecchie. «Koan? È un bambino molto curioso», ammise lasciandosi andare in una lieve risata.
 
Il viso del demone cane si incupì immediatamente. «Anche troppo», mormorò. «Smettila di considerarlo un bambino, ormai è un uomo», dichiarò risoluto. 
 
Rin alzò gli occhi al cielo e ritornò a leggere indisturbata. Sapeva che un gesto del genere avrebbe irritato il Gran Generale dell'Ovest, ma era proprio quello il suo obiettivo. Cercava sempre, instancabilmente, di superare il muro che il demone aveva costruito tra lui e tutto il mondo. Sarebbe passata attraverso la più piccola crepa, avrebbe smantellato mattone per mattone ma alla fine sarebbe riuscita ad abbatterlo. 
 
Sesshomaru fece volare dall'altra parte della stanza il libro, raccogliendo un piccolo gemito di protesta, e si issò sul corpo della compagna. La fissò con un sopracciglio alzato, finché Rin non si ritrovò ad arrossire e a spostare lo sguardo. «Lo sai che mi dà fastidio se mi guardi in quel modo», ammise leggermente arrabbiata.
 
Sesshomaru fece finta di non averla sentita e ostinato continuò. «Hai un odore diverso», commentò piattamente infine. 
 
Rin corrugò le sopracciglia e lo guardò interdetta. «In che senso?», osò chiedere. 
 
Il Gran Generale dell'Ovest inclinò la test da un lato. «È forte, riesco quasi a percepire i tuoi ormoni impazziti e questo succede solo quando sei incinta», si mise a sedere. 
 
Rin spalancò gli occhi. «Non può essere. Sei qui solo da un paio di giorni!», replicò incredula. 
 
Sesshomaru rimase voltato di spalle. «Non devo ricordatelo io quanto crescano in fretta in mezzodemoni durante la gravidanza», rispose con voce meccanica. 
 
Rin aveva percepito che qualcosa non andava nel giovane demone cane, per cui gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro, poggiando il viso contro la sua schiena fredda. «Che succede?», domandò affettuosa. 
 
Sesshomaru continuava a non guardarla. «Succede che un terzo figlio non era previsto. Dannazione, Rin, non puoi sfornare mezzodemoni come se niente fosse», brontolò con brutalità. 
 
Rin si ritrasse immediatamente, come scottata. «Mi sembra di non aver fatto tutto da sola», precisò offesa.
 
Sesshomaru si grattò il retro del collo nervosamente nel tentativo di calmarsi, ma un ringhio gli scappò comunque. «Ci pensi mai a cosa succederà quando sarai morta? Quante persone ancora vuoi lasciare a piangerti?», chiese retoricamente con voce bassa, guardandola per la prima volta da quando era iniziata quella discussione. 
 
Rin si sentì piccola piccola sotto quello sguardo pesante, quindi si portò le ginocchia al petto. «Così è questo il problema», sussurrò ad occhi chiusi.
 
Sesshomaru non riuscì a reggere la vista della sua donna così affranta, dunque si mise a fissare il cielo scuro. Quella sera anche le stelle si erano nascoste, scappavano al suo sguardo. «Oggi Koan è sceso al villaggio. Ha cercato un libro che lo aiutasse a donarti l'immortalità», ruppe il silenzio, riacquistando il suo tono pragmatico di sempre.
 
Rin pensò di non aver sentito bene. «Che cosa ha fatto?».
 
Ma Sesshomaru non aveva intenzione di ripetersi. Si alzò e avanzò verso la porta, fermandosi con la mano sulla maniglia. «Hai tutta la notte per prendere una decisione» e uscì definitivamente dalla stanza, facendo sprofondare Rin in un turbine di pensieri e lacrime.
 
~ Fine Terza Parte
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3696279