Mattheus Hansele lo stregone

di lady lina 77
(/viewuser.php?uid=18117)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ci sono, da secoli e secoli, delle meravigliose ed imponenti montagne che dominano l'orizzonte per moltissima strada. Sono alte, maestose e talmente belle da lasciare senza fiato chiunque si fermi ad osservarle. Gli inverni, sopra queste montagne, sono cruenti e feroci ed esse sono ricoperte per lunghi mesi da una spessa coltre di neve, mentre in estate la natura esplode in tutto il suo splendore. Boschi di conifere svettano per chilometri e chilometri, fiumi zampillanti bagnano la terra e la rendono rigogliosa, e sterminati campi di fiori dai più variegati colori tingono i prati. E le vette, con le loro rocce nude e i loro ghiacciai perenni, dominano e osservano dall'alto tutto quel che succede, senza che nulla sfugga al loro occhio vigile.

Gli abitanti di queste montagne, così belle e così selvagge, vivono da sempre in piccoli villaggi di baite di legno e stalle, in completa armonia con la natura rigogliosa che li circonda.

Dolomiti, questo il nome con cui sono conosciute, le cui vette e valli sono diventati, nei secoli, luoghi mitici e magici.

Dolomiti... Sinonimo di pura bellezza... Non esistono al mondo montagne altrettanto belle, maestose e che lasciano senza fiato chi le osserva.

Il loro nome è intriso di magia, leggende, personaggi unici e esseri fatati, come raccontano le mille storie che si narrano su di esse.

E sulle Dolomiti, un essere magico, ci ha vissuto davvero. E da quattrocento anni ci guarda mentre percorriamo i sentieri fra i prati, mentre scaliamo le vette delle montagne, mentre gustiamo un delizioso strudel di mele a una fiera di paese. Lui è lì, da sempre. E col suo sguardo furbo e da malandrino, ci segue, a volte ride di noi, a volte ci tira degli scherzi e a volte ci aiuta a non perdere la strada di casa.

Il suo vero nome, Mattheus Hansele, lo conoscevano in pochi, perché per tutti lui era solo e soltanto Pfeifer Huisele, lo stregone, e gli piaceva essere chiamato così, tanto che a volte persino lui finiva per dimenticare il suo vero nome; era vanitoso, dal pessimo carattere e temuto da tutti. Di lui dicevano che conoscesse pratiche magiche proibite e che avesse per amici il diavolo ed i demoni, spettri e fantasmi, elfi e fate del bosco, e che i suoi aiutanti fossero troll, folletti e gnomi; Si narra anche che fosse in grado di capire il linguaggio degli animali, con cui riusciva a chiacchierare come se fossero persone.

Era nato a Ratschings, nella Val Ridanna, ma era a Pennes, piccolo villaggio a nord di Bozen, nella Val Sarentino, che si era trasferito raggiunta la maggiore età. Nessuno sapeva nulla del suo passato né dove avesse appreso le arti magiche e nessuno osava avvicinarsi troppo a lui, se non per estrema necessità.

Era sempre solo e spesso spariva per giorni, se non per settimane, fra le montagne. Dove andasse, cosa facesse, con chi si accompagnasse era un mistero, tutti sapevano solo che al ritorno portava con se delle ceste piene di una miracolosa e magica acqua che gli serviva, si raccontava, per compiere i suoi incantesimi. E che vendeva, su richiesta, a caro prezzo agli abitanti di Pennes che ne necessitavano per curarsi dai piccoli malanni che li affliggevano. L'acqua di Mattheus infatti curava influenze, raffreddori, mal di gola, dolori reumatici e persino la gotta.

Nessuno amava parlare con Mattheus ma tutti erano ben disposti a dargli qualche moneta in cambio di un'ampollina contenente la famosa e magica acqua che vendeva. Era davvero una medicina infallibile quell'acqua, e tutti tornavano a stare meglio dopo averla bevuta.

Non sapevano da dove provenisse, da dove la prendesse e nessuno si era mai azzardato a seguire di nascosto Mattheus per scoprirlo, nel timore della sua ira nel caso li avesse scoperti. Lo stregone era temuto e tutti si tenevano distanti da lui quando non avevano bisogno del suo aiuto.

A causa del suo pessimo carattere e delle dicerie che giravano sul suo conto era malsopportato a Pennes, ma la sua presenza era tollerata perché indispensabile al benessere del piccolo paese. Tutti prendevano qualcosa da Mattheus e lui, dietro pagamento, dava loro quel che chiedevano. Moneta dopo moneta, in tutta la valle si raccontava che fosse diventato molto molto ricco...

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Capitolo uno




Lago di Valdurna, prima metà del XXVII secolo


Mattheus immerse i secchi nel lago riempiendoli fino all'orlo, poi, a fatica, li prese fra le mani e li sollevò, pronto per il tragitto di ritorno.

Non sarebbe stata una strada breve e non sarebbe stato nemmeno un viaggio piacevole: già sapeva che lo attendevano ore ed ore di cammino nei boschi con quei pesanti secchi da trasportare e probabilmente avrebbe passato la notte a lamentarsi per il mal di schiena e di braccia.

Era abituato, faceva quel lungo tragitto due, tre volte al mese, ma nonostante fosse allenato, arrivava a casa stanco morto lo stesso.

Era giovane Mattheus, non aveva ancora trent'anni, era snello, con dei capelli ricci dal color biondo rame che gli arrivavano fino alle spalle, il naso aquilino, barbetta sul mento, occhi blu come il cielo, gambe lunghe e carattere orribile come non se n'era mai visto in giro; vestiva sempre più o meno allo stesso modo, con abiti caratteristici della regione;camicia bianca con bottoni in ottone, Lederhosen, ossia i famosi pantaloni in pelle lunghi fino al ginocchio con bretelle, e in testa un cappello dello stesso colore dei pantaloni ornato da una grossa piuma bianca. Non aveva amici, non ne aveva mai voluti e nemmeno li aveva mai cercati, era uno stregone e a lui bastava che la gente lo sapesse e lo temesse, ed ovviamente comprasse la sua magica acqua. Era proprio con l'acqua del lago di Valdurna che lui compiva le sue magie e i suoi prodigi. L'acqua e il lago lo conoscevano, rispettavano la sua potenza e facevano sempre quel che lui chiedeva loro. Con quell'acqua che vendeva a caro prezzo curava i malanni delle persone, creava pozioni, faceva tutto quel che voleva: gli bastava desiderarlo e l'acqua, al suono della sua voce, rispendeva affermativamente. Il tutto a caro prezzo perché Mattheus non regalava a nessuno il frutto della sua magia, ma chiedeva soldi a chi si rivolgeva a lui. Eppure i suoi clienti, benché lo temessero e fossero poveri, non mancavano mai, tutti avevano sempre bisogno di lui e per questo era costretto a recarsi al lago di Valdurna spesso per fare rifornimento d'acqua.

Con la mano si asciugò il sudore dalla fronte osservando il panorama che lo circondava. Erano poche le cose che Mattheus amava, ma le montagne in cui viveva erano per lui l'espressione massima della bellezza e dell'incantato e ne rimaneva affascinato ogni volta che si fermava ad osservarle. Le Dolomiti... Grandi, maestose, crudeli e allo stesso tempo generose con chi viveva su di esse. Si rispecchiava in quelle montagne, nel loro carattere duro, austero e con tante regole non scritte ma ben conosciute da chi viveva in quei luoghi. Amava quelle montagne, Mattheus e le conosceva e rispettava come nessun altro, probabilmente. Guardò il lago dall'acqua azzurra e trasparente, le valli che lo circondavano coi loro prati che parevano di velluto e i boschi di abeti che svettavano maestosi verso il cielo azzurro e limpido. Quella visione lo metteva di buon umore ogni volta..

Una lucina minuscola, piccola come una farfalla, gli svolazzò davanti al viso, proprio nell'attimo in cui raccoglieva i secchi d'acqua. "Mattheus, ora inizia il bello! La discesa verso Pennes! Spero non ti lamenterai per tutto il tragitto come l'altra volta. Eri davvero insopportabile!".

Mattheus la guardò in cagnesco. La lucina era in realtà una fatina alta come un pollice, dalla voce infantile e dai capelli biondissimi racchiusi in due codini, viso tondo e abiti tradizionali tirolesi che ondeggiavano nel vento al movimento delle sue piccole ali luminose. Ah, era così facile tenere lontani gli esseri umani... Perché con le creature magiche della montagna non era altrettanto semplice? Fatine, elfi, gnomi... C'era sempre qualcuno che gli ronzava attorno e Jutta, la fatina, era la più insistente! Eppure erano creature tanto schive con tutti, che non si facevano mai vedere dagli esseri umani... Eccetto che con lui, pensò con rammarico. Erano un vero e proprio tormento per un solitario come Mattheus. "Jutta... Perché mi segui sempre?" - borbottò, seccato.

"Perché hai bisogno di compagnia!" - rispose lei, volandogli sul naso. "Non si dovrebbe viaggiare da soli per tratti tanto lunghi. Può essere pericoloso".

"Non è pericoloso. In giro non c'è nessuno, come vedi".

Jutta alzò il dito indice, picchiettandolo sulla punta del naso del mago. "Appunto! E se cadi o stai male, chi ti aiuta a rialzarti?".

"Non certo tu che pesi sì e no tre grammi!".

Jutta incrociò le braccia al petto, gli volò attorno alla testa e infine si sedette sulla sua spalla. "Sembra che ti dia fastidio!".

Mattheus si scrollò, costringendola a riprendere a volare. "Assolutamente ! E non usarmi come mezzo di trasporto, ho già i secchi da trasportare".

"Ma l'hai detto tu, peso sì e no tre grammi, nulla praticamente! Ti lamenti sempre Mattheus!".

"Non chiamarmi Mattheus".

"E' il tuo nome!".

"Pfeifer Huisele, è questo il mio nome!".

"Pfeifer Huisele è il tuo soprannome!".

"Jutta!!!". Spazientito, Mattheus alzò i due secchi d'acqua, incamminandosi verso il sentiero che portava nei boschi e da lì alla valle dove c'era il suo villaggio, Pennes. Non voleva proprio più sentirla parlare, quella dannata fatina.

"Mattheus?".

"Che vuoi???". Ora si stava arrabbiando sul serio, Jutta non aveva proprio niente di meglio da fare quel giorno?

"Ti avverto! Se non la finisci di darmi il tormento, ti strappo quelle dannate ali luminose che mi stanno accecando. E con l'acqua del lago, ti trasformo in uno scarafaggio".

Jutta gli fece la linguaccia. "Cattivo! Volevo solo darti un consiglio".

Mattheus scosse la testa, rassegnato. "Va bene! Dammelo e poi sparisci. Ti avverto, se non te ne vai andrò in giro a dire a tutti della vostra esistenza. Tutti gli abitanti della valle sapranno che esistono le fate e vi daranno la caccia".

"Fammi parlare in fretta allora, senza interrompermi".

Mattheus sorrise, sarcastico. "Prego, parla pure".

Jutta gli volò attorno, osservandolo con sguardo critico. Poi... "Stai invecchiando, hai quasi trent'anni ormai! Dovresti trovarti un carro e degli animali da tiro per trasportare l'acqua. Sarà sia più comodo, sia più vantaggioso perché potresti trasportarne molta di più. E non avrai a vita il mal di schiena".

"Non sono vecchio e non ho bisogno né di animali da tiro né di carri. Costa molto comprarli, ti faccio notare".

Jutta scosse la testa. "Certo che sei proprio tirchio, mio caro".

"E tu sei insopportabile, mia cara!".

Jutta fece la faccia imbronciata. "Non è vero, dicono tutti che sono carina e simpatica. Tu invece... Oh Mattheus, non avrai mai né un amico né una moglie, se andrai avanti a questo modo".

"Fantastico! Pensa un pò, io una moglie non la voglio. E nemmeno degli amici!".

"Oh beh, sta tranquillo, non corri certo il rischio di trovare una che ti sposi, col carattere che ti ritrovi!".

Lo stregone scosse la testa, camminando a passo spedito con i secchi d'acqua fra le mani. Il lago era sempre più lontano ed ormai avevano raggiunto il bosco. Era meraviglioso, con i suoi abeti svettanti verso il cielo e i suoni gentili degli animali che vi vivevano. Tutto idilliaco, se non fosse stato per quel tormento di Jutta. "Non avevi mica detto che avresti fatto silenzio?".

"Non mi trasformerai in uno scarafaggio, tanto lo so! Sono sicura che mi vuoi almeno un pochino di bene".

Mattheus alzò gli occhi al cielo, accelerando ulteriormente il passo. "Basta, per oggi ho sentito fin troppe sciocchezze".

"Mattheus!". Volando, Jutta tornò a sedersi sulla testa dello stregone.

"Ancora mi dai dai il tormento?".

"Ma non ti ho mica detto tutto quel che dovevo!".

"Oh santo cielo...". Mattheus sbuffò, sempre più esasperato e sempre più di pessimo umore.

Incurante delle occhiatacce dell'uomo, Jutta assunse un'espressione pensierosa, mentre con la mano destra si arricciava uno dei suoi codini. "Non dovresti far pagare l'acqua magica agli abitanti di Pennes. Insomma, loro vengono da te per estrema necessità e non è giusto che tu guadagni sulle disgrazie degli altri. Dovresti essere più caritatevole".

"Ah, non ci penso proprio. Gli abitanti di Pennes mi odiano e mi usano solo quando hanno bisogno. Per il resto mi ignorano e se parlano di me, ne parlano male. Sono chiusi, ottusi e stolti. E se non fosse per la mia acqua, mi avrebbero già cacciato dal villaggio, stanne certa".

Jutta gli prese una ciocca di capelli, tirandola.

"Mi stai facendo male".

La fatina tirò ancora di più. "Lo so e lo faccio apposta perché hai la testa più dura dei sassi! Certo che la gente di Pennes ti odia! Hai un carattere orribile e ti diverti a spaventare la gente con minacce e maledizioni. Ti vanti di essere uno stregone e di poter parlare con i demoni e i troll, che pretendi? Hanno terrore di te. Certo, se tu fossi più gentile e gli facessi vedere che non sei così pericoloso come fingi di essere, loro ti sarebbero più amici. E non parlerebbero male di te".

Mattheus scosse la testa. "La gente ha paura a prescindere di chi pratica la stregoneria. Che io faccia bene, che io faccia male, sarò sempre visto come una persona cattiva. E questo mi fa anche comodo, mi tiene lontani i seccatori. Lavoro senza interruzioni, non ho questioni con nessuno, mi faccio gli affari miei. Ed è vero, faccio pagare l'acqua, ma solo una moneta di rame ad ampolla. Sono anche economico, a voler ben vedere".

"Beh sì, le monete di rame valgono poco, hai ragione. Ma proprio per questo potresti benissimo farne a meno, ogni tanto".

"Ah Jutta, tu non ti intendi per niente di affari. Una moneta di rame vale poco, ma tante monete di rame diventano un tesoro. Come un granello di sabbia che, insieme a tanti altri, forma una spiaggia. O un filo d'erba che, insieme a molti fili d'erba come lui, forma un prato. Io, con fatica, vengo a prendere l'acqua. E solo io so come usarla per aiutare chi si rivolge a me. Il lago di Valdurna ha una sola guida e solo a me ubbidisce. Per tutti gli altri che verranno qui, l'acqua di questo lago è solo acqua. Per nessun altro si trasforma in medicina, pozioni magiche o altro. E merito di essere ricompensato".

"Quindi, continuerai a farti pagare?" - chiese Jutta, in tono sconfitto.

"Ovviamente. E magari, visto che mi hai fatto notare che una moneta di rame è una miseria, raddoppierò il prezzo".

Jutta scosse la testa, esasperata. E senza aggiungere altro, in silenzio, si addentrò con lui nel bosco. Era meglio starsene zitta o rischiava che Mattheus arrivasse a triplicarlo, il prezzo della sua acqua.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Capitolo due


Pennes, il piccolo borgo dove viveva Mattheus, non era che un minuscolo agglomerato di baite in legno e di stalle sperso nella Val Sarentino e circondato da magnifiche montagne, boschi e prati.

Gli abitanti erano poche centinaia, le strade sterrate e la vita era semplice ed interamente scandita dal trascorrere dei mesi e delle stagioni: il suono della campana che invitava ad andare alla Messa la domenica o al lavoro nei campi, il lento via vai dei pastori e delle loro greggi ai pascoli, la neve che copriva tutto in inverno e il sole che rendeva verdi e rigogliosi i prati in estate. Pennes e la Val Sarentino erano tutto questo: niente di più, niente di meno.

Non succedeva mai nulla di veramente eccezionale e quel poco degno di nota era discusso per giorni nelle piccole piazzette davanti alle due Chiese di paese, ma non era mai nulla di davvero interessante, i discorsi vertevano sempre sulle medesime, semplici questioni, nulla cambiava mai.: la nascita di un nuovo vitellino, l'imminenza dell'inverno, l'andamento dei campi... E spesso, molto spesso, le malefatte e il caratteraccio dello stregone Pfeifer Huisele.

La vita, a Pennes, era sonnacchiosa e tranquilla e quindi...

"Ah, maledetti loro! Che cos'hanno da starnazzare tanto, stamattina?" - borbottò Mattheus affacciandosi alla finestra della sua casa, svegliato dal via vai e dal chiacchiericcio concitato dei suoi concittadini.

Di umore pessimo, peggiore del solito, aprì le imposte, facendole sbattere rumorosamente contro il muro esterno.

Una donna di passaggio sobbalzò, presa alla sprovvista da quel rumore improvviso.

Mattheus sbuffò, era la panettiera, una delle donne più paurose di Pennes, che cambiava strada ogni volta che lo incontrava.

"Signora Heynkel, mi spiega cosa sta succedendo?".

La donna arretrò di alcuni passi, intimorita dal fatto che lo stregone le stesse rivolgendo la parola. "Ecco... ecco...".

"Ecco cosa?". Mattheus era davvero spazientito. Erano tutti conigli paurosi a Pennes, intimoriti dal semplice fatto che lui a volte parlasse con loro e la panettiera era la più fifona di tutti. "E allora? Devo lanciarti una qualche maledizione, per avere una risposta?" - minacciò, scoccandogli un'occhiataccia.

La donna deglutì, impallidendo. "E' arrivato il circo. E' nella piazzetta maggiore" – mormorò veloce prima di sparire di corsa, alla velocità della luce.

Mattheus scosse la testa, sospirando. Il circo... E c'era bisogno di fare tutto quel baccano per tre stupidotti vestiti da pagliacci, che amavano farsi ridere dietro? Ah, accidenti a loro, più passava il tempo e meno li sopportava e capiva, gli abitanti di Pennes. "Ed è pure il mio giorno sfortunato, devo passare per forza dalla piazza per raggiungere il bosco, maledizione!".

Borbottando contro il circo e i suoi compaesani Mattheus si alzò dal letto, si lavò la faccia, si vestì e si preparò per uscire. Doveva recarsi nel bosco per raccogliere erbe aromatiche per produrre infusi contro il raffreddore da vendere e non poteva perdere altro tempo a poltrire. L'autunno era vicino, la gente avrebbe avuto molto presto l'influenza e con quegli infusi avrebbe fatto soldi a palate.

Pregustava già il dolce sapore del guadagno, quando il pensiero del circo tornò a tormentarlo.

Ci pensò su e in fondo un lato positivo nella faccenda c'era: tutti avrebbero pensato al circo e per una volta nessuno avrebbe fatto caso a lui. Bene, quei tre pagliacci in fondo in fondo potevano fare al caso suo!

E con quel pensiero uscì di casa, con la sua sacca in spalla.

Camminò tranquillo, senza incrociare nessuno. Erano tutti nella piazza del paese, quegli stolti che si agitavano per niente. Appena vi mise piede fu investito da una valanga di applausi, fischi e chiacchiere. Decise di tirare dritto, di non fermarsi nemmeno a dare un'occhiata, vedere qualche pagliaccio che si rendeva ridicolo davanti alla gente di Pennes non era esattamente il suo modello di giorno perfetto, ma non fece che alcuni passi che due nani del circo vestiti da... bah, da stupidi elfi delle montagne forse, gli si pararono davanti esibendosi in mille giravolte e capriole, inseguiti da un cane che cercava di imitarli.

La gente smise di fare rumore, incredula dal trovarsi davanti lo stregone e intimorita dalla sua reazione per essere stato fermato nel suo cammino dai due buffoni del circo.

Mattheus guardò i due di sbieco; erano nani gemelli alti forse un metro, dai capelli neri come la cenere, il corpo tozzo e gli occhi scuri come quelli dei cerbiatti. Erano pressoché identici, a parte per l'acconciatura dei capelli: uno li aveva dritti in testa, quasi come se sul cranio gli fossero cresciuti mille e più spuntoni di roccia nera, l'altro era riccio e coi capelli che gli arrivavano alle spalle. Indossavano stupidissimi costumi di scena verdi che richiamavano il colore delle foglie sugli alberi in estate.

Uno dei due nani tirò fuori dalla tasca un sacchetto di carta, ci mise dentro una mano e poi lanciò verso Mattheus una manciata di coriandoli. "Sorridi amico, quel muso lungo non ti porterà da nessuna parte!".

Oh bene, la giornata era iniziata male e sarebbe proseguita anche peggio! Il mago lo fissò in silenzio, sempre più minaccioso e sempre più arrabbiato. Lo avrebbe volentieri incenerito all'istante, quel dannato nano!

Il vecchio signor Huber, l'anziano ciabattino di Pennes, corse vicino al nano, lo prese per la camicia e lo tirò indietro, a distanza di sicurezza da Mattheus. "Fermo! Non sai cosa rischi, a parlare con lui!".

"Perché, lui chi è?" - chiesero entrambi i nani, all'unisono.

"E' Pfeifer Huisele, lo stregone! Può tramutarvi in serpi solo con lo sguardo, se lo fate irritare".

Gli occhi color cerbiatto dei due nani si posarono su di lui, mentre attorno a loro i suoni del circo si spegnevano in un silenzio teso.

Mattheus fissò i due nani, la gente di Pennes e gli altri pagliacci del circo dietro di loro. Una massa di idioti, ecco cos'erano! Sbuffò, si mise in spalla la sua sacca e li superò a passo spedito, deciso a non perdere altro tempo, era talmente seccato che non aveva nemmeno voglia di spendere fiato prezioso per lanciare contro il villaggio e i componenti del circo una maledizione.

Di umore nero come la pece, raggiunse finalmente il bosco. Solo la natura rigogliosa delle Dolomiti riusciva a risollevargli il morale e spesso, nonostante fosse uno stregone, si fermava a pensare e a sorprendersi di quanto magiche fossero quelle montagne. Non si trattava di una magia come le sue, era qualcosa di diverso: la potevi vedere, toccare in ogni singolo fiore, in ogni albero, in ogni prato, in ogni baita in legno incastonata fra le valli; la vedevi negli animali al pascolo, resi felici e floridi dalla vita su quelle montagne, nelle aquile che volavano in cielo, nelle nubi che portavano temporali improvvisi seguiti da splendidi arcobaleni, nelle neve che imbiancava ogni cosa in inverno. Ogni angolo, ogni stagione era magica e meravigliosa, fra quelle montagne.

"Mattheus!".

Il mago alzò gli occhi al cielo, impallidendo, mentre l'incanto di poco prima svaniva per lasciare spazio a una terribile consapevolezza... Era perseguitato! "Jutta...".

La fatina gli volò davanti al viso, allegra. "Che fai?".

"Cerco un modo per rimanere solo. Ma non mi riesce".

"Sì che ti riesce! Tu sei sempre solo".

Con un gesto veloce, Mattheus alzò la mano per afferrarla e strozzarla. "Magari lo fossi! Invece tu mi dai il tormento, vivo in un villaggio di idioti e questa mattina sono pure arrivati quelli del circo a tediarmi la vita. Se fossi solo, sarei l'uomo più felice del mondo".

Jutta volò in alto, sfuggendo alla presa dello stregone e posandosi sul ramo di un castagno. Ridacchiò, per nulla scossa dal malumore di Mattheus. "Davvero c'è il circo?".

"Certo! Perché non vai a vederlo? Anzi, chiedi un ingaggio, come fatina saresti la star della carovana. Verrebbero da ogni valle per vederti".

Jutta fece per rispondere ma improvvisamente si bloccò, impallidendo ed indicando col dito un punto imprecisato alle spalle di Mattheus. "Ohoh, ti hanno seguito".

"Chi?". Mattheus si voltò ed indietreggiò. I due nani del circo di poco prima erano davanti a lui e a Jutta, con gli occhi spalancati dall'emozione di trovarsi davanti una vera fata.

Jutta impallidì. Non poteva, non POTEVA succedere assolutamente. I comuni esseri umani non dovevano vedere le creature magiche della montagna! E ora che quei due sapevano dell'esistenza delle fate, né lei né il suo popolo avrebbero più avuto tranquillità, tutti avrebbero dato loro la caccia. Guardò Mattheus, in cerca di aiuto.

Lo stregone fissò i due nani, teso e nervoso quanto la sua amica fata. "Che ci fate quì?" - chiese, gelido.

Uno dei due nani prese coraggio, avvicinandosi a lui di qualche passo. "Tu... dicono che sei uno stregone, giù al villaggio. Pfeifer Huisele, giusto? Raccontano che sei misterioso, potente e molto pericoloso. E che compi prodigi con la tua acqua magica. Pensavamo che potresti aiutarci. Da quel che vediamo, sei magico davvero" – disse, indicando Jutta.

Mattheus li squadrò, pensieroso e serio in volto, quei due seccatori non ci volevano proprio, gli stavano dando il tormento dal primo mattino e avevano anche scoperto uno dei suoi segreti, la sua conoscenza con le creature magiche delle Dolomiti. Era talmente di cattivo umore, poco prima, che non si era accorto di essere seguito! Era irritato, con se stesso e con quei due omini da circo. "Prima di tutto lei, la fata, deve rimanere un segreto o vi cercherò e vi farò pentire di avere la lingua tanto lunga. Secondo... volete un qualche aiuto da me? Io non aiuto nessuno, se non a pagamento e solo quando ne ho voglia ed oggi non ho voglia di dare una mano a nessuno! Tornatevene nella piazza di Pennes e continuate a fare i pagliacci con gli altri del circo e con quel vostro cane addestrato".

I due nani si guardarono in viso, poi a sorpresa si inginocchiarono a terra, prostrandosi a lui. "Per pietà, maestro Pfeifer Huisele. Noi siamo fenomeni da baraccone per tutti e non possiamo fare altro che i pagliacci del circo. Ma non amiamo questa vita, siamo stanchi di farci ridere dietro da tutti. Ma d'altronde, senza il circo a darci lavoro, cibo e protezione, saremmo perduti. Non sapremmo cosa fare, ci scaccerebbero tutti a causa del nostro aspetto. Alla gente i nani piacciono solo al circo! Tienici al tuo servizio, uno stregone potente come te sicuramente saprà come impiegarci in maniera intelligente. Siamo forti, nonostante la nostra stazza, siamo infaticabili e non abbiamo paura di lavorare. Potremmo esserti utili. Non ti chiediamo soldi, ma solo un tetto sulla testa e un lavoro onesto con cui ricambiare la tua ospitalità. Tu puoi aiutarci davvero a cambiare vita".

"Perché dovrei aiutarvi? Io non ho bisogno di aiutanti e non ho proprio intenzione di mettermi qualcuno in casa" - rispose Mattheus, a tono.

"Ti preghiamo, maestro Pfeifer Huisele!".

"No! Anche perché non mi tengo in casa due persone che nemmeno so' come si chiamano!".

Il nano coi capelli dritti in testa annuì. "Certo, hai perfettamente ragione. Io sono Drago e questo quì è mio fratello Falko".

Mattheus, all'udire quei nomi assurdi, scoppiò a ridere. "Certo che i vostri genitori vi volevano proprio male! Non solo vi hanno fatti nani, ma vi hanno addirittura dato nomi orribili!".

Falko si grattò la testa. "In effetti... Però, ora che sai come ci chiamiamo, ci tieni con te, Pfeifer Huisele?".

Jutta volò davanti ai due nani, studiandoli attentamente. “Non sembravano cattive persone e mi sembrano sinceri nelle loro intenzioni” - sussurrò all'orecchio dello stregone. Poi si voltò di nuovo verso i due nani, continuando a fissarli con insistenza. "Lui si chiama Mattheus Hansele, in verità, Pfeifer Huisele è solo il suo soprannome! E ha un caratteraccio, vi avverto" – disse, spargendo sui due la polverina colorata che scaturiva dalle sue piccole ali.

"Jutta, fatti gli affari tuoi!" - tuonò Mattheus, inferocito.

La fatina gli volò davanti al viso, gli prese una ciocca di capelli e gliela tirò, com'era solita fare quando lui la faceva arrabbiare. "Educazione! E gentilezza! E' questo che ti manca, Mattheus. Loro due sono la tua occasione d'oro per il tuo problema di trasporto dell'acqua. Ti trovi un vecchio carretto, li trasformi in animali giusto il tempo del trasporto dal lago fino a Pennes e sei a posto, sistemato! Possibile che non capisci?".

Mattheus la guardò storto. "Tu sei completamente svitata, Jutta!".

A quel punto, i due nani si avvicinarono a lui, prendendolo per i pantaloni e inginocchiandosi nuovamente a terra. "Oh, per favore! Faremo quel che vuoi, saremo i tuoi animali da traino se è questo che ti serve! Ma tienici con te!".

"No".

"Mattheus, pensaci!" - gli sussurrò Jutta all'orecchio – "Non mangiano di certo molto, sicuramente meno dei cavalli da tiro, lavorano gratis e ti costerebbero poco, solo qualche moneta per i pasti. Ma in cambio... potrai trasportare più acqua se ti trovi un carretto su cui caricartela. Li trasformi in qualche forte animale da tiro, giusto quel poco di tempo che basta per il tragitto d'andata e ritorno dal lago, e arriverai a casa senza fare fatica. E guadagnerai molto di più, perché potrai portare molta più acqua di adesso, più in fretta e senza difficoltà. E' un affare. E loro hanno bisogno di te".

"Ti prego!" - insistettero i due, rinfrancati dalle parole di Jutta.

"Mhhh". Mattheus fissò i due fratelli, mentre le parole di Jutta gli ronzavano nella mente. Erano nani, tozzi di corporatura e con una faccia da imbranati cronici. "Ho bisogno di animali da tiro, non di due mezze tacche come voi".

Drago si inginocchiò. "Oh maestro Mattheus, ti prego. Sei un mago, trasformaci in animali all'occorrenza, e noi traineremo per te ogni cosa che vorrai. Come ha detto lei. E quando non ti serviremo, saremo due bravi e silenziosi nani che ti aiuteranno a tenere pulita la casa. Così potrai dedicarti alle tue magie senza problemi, quando vorrai".

Mattheus spalancò gli occhi, poi scoppiò a ridere. "Divertente! Divertente davvero. Jutta è matta da legare. E voi più di lei".

"Non ne sei capace? Non sai trasformarci in animali?" - domandò Falko, sibillino.

A quella provocazione però, Mattheus smise di ridere. Odiava essere provocato e quel nano lo stava facendo. "Oh, sì che ne sarei capace. Ma vedi, uomo grosso, uguale animale grosso. Che dovrei farmene di voi? Siete nani, se non ve ne foste accorti! Viste le vostre dimensioni, al massimo potrei trasformarvi in gatti, con un pò di impegno. Anche un grande mago deve saper arrendersi all'evidenza, qualche volta".

Drago si illuminò in viso. "Perfetto, saremo gatti da traino favolosi! Piccoli ma incredibilmente forti. Te ne possiamo dare una dimostrazione anche subito".

"Sì, siamo fortissimi, guarda!" - esclamò pure Falko, mostrando i muscoli del braccio.

Mattheus sospirò. Erano davvero ostinati quei due, non se li sarebbe mai tolti di torno, ma dopo tutto, di animali da traino ne aveva davvero bisogno, era un po’ che ci pensava. Certo, due gatti sarebbero stati bizzarri ma in fondo lui era già il fenomeno da baraccone del villaggio, non sarebbe cambiato niente. "E sia, sarete i miei gatti da traino. Ma se fallirete, se non ce la farete, dovrete tornare da dove siete venuti. Non regalo da mangiare gratis a nessuno, io. E ricordate, ogni cosa che mi vedrete fare, ogni creatura magica con cui mi vedrete parlare... Beh, avete capito, non dovrete mai dire nulla a nessuno! Tutto quel che faccio è un segreto". E detto questo, estrasse dalla tasca una delle sue ampolle con l'acqua del lago di Valdurna, ne rovesciò qualche goccia sulle teste dei nani ed aspettò.

Una grossa nube di vapore avvolse Falko e Drago e quando si diradò, i due nani non c'erano più. E al loro posto, come per magia... due gatti neri, nerissimi come la pece.

"Evviva!" - urlò Jutta, felice. Poi, con un sorriso birichino, si avvicinò a Mattheus. "Sono contenta! Anche se... gatti neri? Un altro colore no?".

Mattheus ridacchiò, divertito. "Gatti neri! Colore perfetto per loro".

La fatina sbuffò. "Sei tremendo, lo sai?".

Mattheus non rispose. Guardò i due gatti davanti a lui, mentre la prospettiva del guadagno che gli avrebbero procurato lo rendeva finalmente di buon'umore.











Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre


Le giornate si facevano via via più corte, le foglie sui rami iniziavano ad ingiallire e qualche animale appariva assonnato. L'estate stava finendo, le sere erano ormai fresche e i temporali annunciavano inesorabilmente la fine della bella stagione e la fine dell'estate e per Pennes questo significava una cosa sola: festa del raccolto.

Era l'unico momento di allegria che il piccolo borgo si concedeva prima dei rigori invernali, del gelo e della neve; dal venerdì alla domenica dell'ultima settimana di agosto, Pennes diventava improvvisamente allegra e goliardica: si raccoglievano i frutti dalle piante, le massaie cucinavano leccornie che poi finivano sulla grande tavolata organizzata davanti alla Chiesa principale per essere offerte a tutti in una grande cena corale, gli uomini radunavano nella piazza i loro animali migliori per esporli ad amici e parenti e ogni anno, la domenica pomeriggio, a chiusura, si svolgeva una gara di tiro con l'arco.

Gli abitanti di Pennes, e in generale tutti gli abitanti delle valli, erano ottimi arcieri e cacciatori. Era un modo come un altro per sopravvivere in quell'ambiente tanto bello quanto ostile, a quell'epoca. E alla festa del raccolto, in ogni borgo, ogni uomo o giovane ragazzo voleva primeggiare in quella competizione dove non si vinceva nulla, se non l'onore e la soddisfazione di essersi dimostrato il migliore.

Mattheus era un grande stregone, ma a differenza degli altri uomini del villaggio non era minimamente interessato ad arco e frecce. In generale, odiava tutto quello che comportava fare fatica, ma non mancava mai alla gara fra gli arcieri, era sempre in prima fila, sopportando anche chiacchiere e occhiatacce dei suoi mal sopportati concittadini pur di esserci.

Per Drago e Falko, era tutto nuovo,erano inebriati dall'atmosfera festaiola di Pennes, anche se tutti li scansavano a causa del loro aspetto, ed erano stupiti dal fatto che un solitario brontolone come Mattheus partecipasse. Lo conoscevano ancora poco ma avevano capito un po’ di cose su di lui: odiava la confusione, si alterava facilmente, era un solitario e gli abitanti di Pennes erano terrorizzati da lui e dal suo essere uno stregone.

Falko, mentre erano appoggiati alla staccionata di legno che dava sullo spiazzo dove era stato posto il bersaglio per la gara di tiro con l'arco, decise di porre la domanda che frullava nella testa sua e del fratello da due giorni. "Mattheus?".

"In pubblico chiamami Pfeifer Huisele, per favore! E comunque, cosa c'è?".

"Beh, ecco... Mi chiedevo... Ci chiedevamo... Perché ci tenevi tanto a venire a questa competizione? Tu odi questo genere di cose".

Mattheus sorrise, a quella domanda. Un sorriso furbo, di chi sa esattamente quel che vuole e quel che fa. Dalla tasca tirò fuori un paio di ampolle con l'acqua del lago di Valdurna, mostrandole ai due nani. "Guadagno, ovviamente! Non ho altro motivo per venire in questa bolgia".

Drago lo fissò in viso, confuso. "Ma in che senso? Gli abitanti di Pennes oggi sono completamente presi dalla festa e dubito che pensino alla tua acqua. Guarda come si divertono!" - concluse, indicando le persone che si ammassavano vicino allo spiazzo dove si sarebbe tenuta la competizione; notando come fossero tutti in fremente attesa tenendosi a debita distanza da loro e da Mattheus. Nemmeno durante la festa dimenticavano il terrore che incuteva in loro il mago.

Mattheus sospirò, tornando ad appoggiarsi alla staccionata. "Arco, frecce, roba che punge, insomma. Qualcuno si farà un pochino male, no? Un graffietto, una piccola ferita... Oppure un bambino che corre, cade e si sbuccia un ginocchio... Succede sempre qualcosa, a una festa di paese! E ovviamente, quando succede, da chi arrivano a chiedere aiuto, questi stolti?".

Drago ridacchiò. "Dallo stregone del villaggio, ovviamente".

"Che gli chiederà fino all'ultimo centesimo che hanno in tasca, per la sua preziosa acqua" – concluse Falko. Finalmente aveva capito il motivo per cui si trovavano lì, Mattheus non si smentiva proprio mai. Guadagnava molto con la sua acqua, lo stregone. Una volta a settimana trasformava in gatti neri lui e suo fratello e con un malmesso carrettino andavano a fare scorta al lago di Valdurna. Ogni occasione era buona per Mattheus, per guadagnare qualcosa.

Mattheus sorrise. "Bene, sono contento che abbiate capito. E ora, silenzio, voglio vedere chi vincerà. Sono ormai cinque anni che il vincitore è sempre lo stesso e sono proprio curioso di vedere se sarà campione per il sesto anno consecutivo".

Falko e Drago non dissero nulla, sapevano a chi si stava riferendo Mattheus dato che in paese non si parlava d'altro. Si voltarono, osservando Hans Schultz, il più bravo arciere di Pennes. Era altissimo, imponente di corporatura, con capelli rossi e barba lunga. Le sue braccia erano muscolose grazie al suo lavoro di spaccapietre in montagna, e con arco e frecce non aveva rivali: mira perfetta, braccio fermo, occhio di falco. Hans Schultz probabilmente avrebbe vinto anche quell'anno.

La gara iniziò fra grida di incitamento e silenzi tesi. Come aveva pronosticato Mattheus, Hans Schultz eliminò uno a uno tutti i concorrenti, non sbagliando un colpo: faceva centro, sempre, e nel giro di un paio d'ore aveva sbaragliato tutti gli altri contendenti al titolo.

"Questa gara sta diventando noiosa" – sbuffò Mattheus, quando ormai i concorrenti rimasti erano solo due. Hans Schultz contro Peter Braunn, il pastore.

Falko e Drago guardarono Peter, era magro, basso e coi capelli ormai completamente grigi. In passato, da giovane, era stato un bravissimo arciere e si raccontava in giro che spesso tanti anni prima fosse stato proclamato campione alla festa del raccolto,, ma il tempo era passato inesorabile e nonostante Peter avesse dalla sua l'esperienza, era abbastanza improbabile che la spuntasse con la forza bruta di Hans.

Infatti, nonostante una battaglia onorevole, colpo su colpo e freccia su freccia, Hans Schulz ebbe la meglio.

Il capo villaggio, gongolante, si avvicinò allo spaccapietre per la proclamazione del vincitore, quando una freccia scoccata da chissà dove lo fermò, saettandogli davanti al naso e finendo a terra a pochi passi da Hans.

Tutti, compresi Mattheus e i nani, si voltarono stupiti verso la direzione dalla quale era provenuta. Qualcuno di estraneo al villaggio, dal bosco, l'aveva scoccata contro di loro.

Hans raccolse la freccia, mugugnando inferocito. "Chi ha osato attaccarmi?".

"Sono stata io e non ti ho affatto attaccato! Voglio solo sfidarti, campione" - sussurrò una voce femminile.

Una ragazza comparve come per magia dagli arbusti e dagli abeti del bosco, avanzando lentamente verso di loro.

La gente arretrò davanti a quella sconosciuta fanciulla che aveva osato attaccare il loro arciere campione.

Mattheus la guardò, accigliato. Poi sorrise... "Ora le cose si fanno interessanti".

"Davvero!" - rispose Falko, divertito. "Guarda gli abitanti di Pennes, sono spaventati dalla freccia scoccata da una ragazza. Stanno arretrando tutti come un branco di conigli".

"Non hanno paura solo di quella freccia". Mattheus puntò gli occhi su quella strana ragazza; indossava un semplice e logoro vestito verde che le arrivava alle ginocchia, , stivali di pelle ed arco e frecce sulla spalla destra. Ma non erano gli abiti tanto trasandati a renderla così particolare. I suoi capelli... Bianchi, bianchissimi come la neve, anche se quella fanciulla non poteva avere più di vent'anni. Capelli curati più dell'abbigliamento di certo, perfettamente pettinati e racchiusi in una treccia legata all'estremità da un fiocco rosso ornato di perline. Era snella, con due occhi blu da fare invidia al cielo estivo, la carnagione chiarissima e un viso dai lineamenti perfetti che la rendeva piuttosto carina. Mattheus però sapeva che avrebbe potuto essere la più affascinante donna delle Dolomiti ma tutti ne avrebbero avuto paura sempre e ovunque. "E' una ragazza albina. Non ne avevo mai viste in giro" – mormorò sovrappensiero.

Falko e Drago si accigliarono. "Cosa?".

Mattheus li guardò di sfuggita, più interessato alle prossime mosse della ragazza che ai due nani. "Gli albini sono persone i cui capelli non hanno pigmentazione. Nascono coi capelli bianchi e la carnagione molto chiara e rimangono così tutta la vita. Tutti ne hanno paura perché gli albini sono ritenuti figli del demonio, per questo gli abitanti di Pennes sono terrorizzati da lei. E ora voglio proprio vedere come andrà a finire. Ragazza albina contro un branco di conigli. Scommetto che vincerà lei! E che per questo riderò fino a Natale".

Drago impallidì. "Figli del demonio? Ma è una cosa vera?".

Mattheus alzò le spalle. "Probabilmente no, è solo una diceria, superstizione. Ma tutti ci credono e gli albini non conducono mai vite felici. Tutti li scansano, tutti li odiano, tutti pensano che siano creature maledette".

Falko e Drago si guardarono negli occhi. Capivano appieno il significato delle parole di Mattheus perché se era davvero così che stavano le cose la vita delle persone albine in fondo non era così diversa da quella dei nani. "Quella ragazza allora è come noi..." - mormorarono sconsolati. Improvvisamente quella fanciulla stava simpatica ad entrambi.

Incurante dei pensieri dei nani, Hans, rosso di rabbia in viso, guardò la ragazza con odio. "Sfidarmi? Figlia del demonio, tornatene all'inferno!".

La fanciulla sostenne lo sguardo feroce di Hans, non aveva paura di lui, era evidente. Si guardò attorno, guardinga, studiando uno a uno i volti impauriti degli abitanti di Pennes. Infine, di colpo il suo sguardo si fermò, puntandosi insistentemente sul viso di Mattheus.

Il mago si accigliò, infastidito, lo stava evidentemente fissando, che voleva da lui? Lo scambio di sguardi durò una manciata di secondi in cui lo stregone ebbe la netta, sgradevole impressione che la ragazza lo studiasse. E non era piacevole per niente.

"Mattheus, hai visto come ti fissava?" - chiese Drago, quando la ragazza era tornata a guardare il suo avversario. Nemmeno a lui era sfuggito quello sguardo indagatore sullo stregone. "La conosci?".

Mattheus alzò le spalle in segno di noncuranza. "Assolutamente no, mai vista".

Improvvisamente, provocando un moto di terrore fra la gente, la ragazza prese una freccia dalla sua faretra ed incoccò l'arco, pronta a colpire. "E allora campione, vuoi o no batterti con me?".

Hans digrignò i denti, furioso. Indicò col dito l'ultima freccia che aveva scoccato e che aveva sconfitto il vecchio Peter, conficcata esattamente al centro del bersaglio. "Sono io il campione e non puoi fare meglio di me. La gara è finita, è evidente! Brucia all'inferno, figlia del demonio".

Fu come se non avesse neanche parlato. Con tutta la tranquillità del mondo, la ragazza tese l'arco, prese la mira e scoccò la freccia. Che colpì in pieno quella scagliata poco prima da Hans. La freccia del campione si ruppe a metà, cadde, e quella scagliata dalla ragazza si infilzò esattamente al centro del bersaglio, prendendo il posto di quella dello spaccapietre.

La gente di Pennes spalancò gli occhi, mentre Hans diventava sempre più rosso dalla rabbia. "Sono io il campione, capito? Tu non vivi nemmeno qui, tu sei maledetta! Usi arco e frecce usando i poteri del demonio, tuo padre" – urlò, quasi in lacrime come un bambino.

Mattheus ridacchiò. "Spettacolo finito, torniamo a casa!". Vedere Hans Schultz bruciare di rabbia perché battuto da una ragazza albina forestiera lo metteva decisamente di buon umore.

Falko si affiancò allo stregone, correndo sulle sue piccole gambette per stargli al passo. "Non rimaniamo a vedere come va a finire?".

"La cosa non mi riguarda". Mattheus accelerò il passo. Non c'era più niente da vedere ormai. Si voltò di sfuggita, giusto per vedere Hans in preda a una crisi di nervi e la ragazza albina svanire nel nulla, nel bosco dal quale era arrivata.







Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro


Figlia del diavolo...

Glielo avevano ripetuto sempre, come un'accusa, fin dal giorno in cui era venuta al mondo. Glielo dicevano suo padre, sua madre, le sue sorelle, i suoi parenti e gli abitanti di Tires, il piccolo borgo a sud di Bozen dov'era nata vent'anni prima.

Per tutta la sua infanzia, passata all'ombra delle grandi montagne dai verdi prati e dalle cime di pura roccia e ghiaccio, era stata scacciata, derisa e insultata a causa del colore bianco dei suoi capelli e della sua pelle.

I suoi genitori non l'avevano mai accettata ed amavano solo le sue due sorelle minori, bionde e coi boccoli. Loro avevano un posto a tavola, un pasto caldo, carezze e sorrisi. Lei no, era stata costretta a dormire nella stalla in inverno e nei boschi che circondavano Tires d'estate, dove si nutriva di frutta, beveva acqua dai ruscelli e giocava con gli animali della foresta, gli unici amici che avesse.

Suo padre non la voleva in casa, diceva che era maledetta, che in lei scorgeva la mano del diavolo e che per questo doveva stare lontana perché altrimenti avrebbe portato sventura nella loro famiglia. Sua madre, forse a malincuore o forse no, aveva accettato la decisione di suo marito.

Era cresciuta sola e tutto quello che aveva appreso dalla vita lo doveva unicamente alla sua tenacia ed alla sua intelligenza. Sapeva distinguere le bacche commestibili da quelle velenose, prevedere il variare del tempo dal colore del cielo e dalla direzione del vento, riconoscere le erbe curative, ottenere fiducia e amicizia dagli animali, resistere al freddo, al vento e alla neve quando era necessario. Conosceva come le sue tasche i boschi e le montagne che circondavano Tires e anche dove nascondersi, nel caso di tormente improvvise.

Fin da piccolissima aveva dovuto contare unicamente su se stessa. Si svegliava presto, sgattaiolava nel bosco, saliva su nelle alte valli e ci restava fino a sera, quando faceva ritorno al villaggio, stando attenta a non farsi vedere da nessuno.

In montagna, da sola, tutto era pace e tranquillità e nessuno la giudicava o insultava. Stava ore ed ore stesa nell'erba, ad osservare il cielo azzurro e la forma delle nuvole, giocava coi caprioli, raccoglieva more e mirtilli, faceva ghirlande coi fiori. Non c'era quasi mai nessuno lassù, con lei.

Solo alcune volte scendeva un pò più a valle, nascondendosi fra gli arbusti, per osservare i cacciatori alla ricerca di selvaggina, incantata dalla loro bravura a maneggiare arco e frecce. Da bambina ne era affascinata. Il modo in cui quelle persone prendevano la mira, l'eleganza con cui tendevano l'arco...

E così a dieci anni, da sola, si era costruita il suo primo arco e le sue prime frecce, usando gli arbusti e il materiale che le regalavano i boschi e la montagna. Da allora, giorno dopo giorno, si era esercitata usando come bersaglio i tronchi degli alberi morti. Era diventava brava ed infallibile proprio come quei cacciatori che aveva osservato affascinata, da bambina. Non amava cacciare gli animali, non lo aveva mai fatto, li considerava amici, ma l'arco non lo abbandonava mai. A nessuno importava della sua vita e sapeva benissimo che, in caso di pericolo, avrebbe dovuto difendersi da sola per cui diventare un bravo arciere era di fondamentale importanza per lei e per la sua stessa vita.

Certe volte era triste, certe altre si sentiva sola e quando succedeva, piangeva. Era tutta colpa dei suoi capelli, dei suoi lunghissimi capelli bianchi, lo sapeva che erano loro la causa di tutte le sue sventure. A lei piacevano, li teneva pettinati e curati, sempre agghindati in eleganti trecce, code di cavallo oppure sciolti, sempre ornati da fiori, piccole pietre colorate o nastri che trovava fra gli scarti della stoffa con cui sua madre cuciva gli abiti dei suoi famigliari.

Già, lei amava i suoi capelli...

Ma tutte le altre persone no, vedevano in essi la mano del diavolo, la malvagità, il pericolo. Non capiva il perché, non ci era mai riuscita. Lei il diavolo non lo aveva mai visto, non lo aveva mai avvertito accanto a se. Era certa di essere una persona come tutte le altre, capelli a parte. Non era certo la figlia del demonio, sapeva benissimo chi erano i suoi genitori: Rolf il pastore di capre e Britta, la sarta. Ma Rolf e Britta, come tutti gli altri, non la ritenevano una figlia.

Anno dopo anno era cresciuta senza uno scopo preciso, senza una guida, circondata per la maggior parte del tempo dalla natura e dalla fauna delle meravigliose montagne in cui era nata. L'estate era la sua stagione preferita, era il periodo dell'anno in cui poteva passare più tempo nel bosco e in vetta. L'inverno invece, per lei era un tormento. Troppo freddo, troppa neve, ghiaccio ovunque. Gli animali erano per la maggior parte in letargo e le era impossibile allontanarsi da Tires troppo a lungo. Passava le giornate nella stalla di famiglia e solo raramente riusciva a sgattaiolare in casa a scaldarsi davanti al camino. Succedeva solo saltuariamente, quelle rare volte che suo padre usciva con le sue sorelle per qualche commissione e sua madre rimaneva sola in casa, a cucire e a cucinare. La chiamava di soppiatto, le apriva la porta e le permetteva di stare qualche minuto davanti al fuoco. Sua madre era l'unica a chiamarla per nome, ogni tanto... Per il resto però, non le diceva nulla, nemmeno una parola durante quei brevi istanti in cui stavano insieme in casa. Le girava la schiena, continuava col suo lavoro e andava avanti finché non decideva che era tempo di rimandarla nella stalla. Suo padre invece non la sopportava proprio, così come le sue sorelle che non facevano altro che tormentarla con mille scherzi crudeli. In giro per il paese era anche peggio: insulti, grida, palle di neve che le venivano lanciate addosso senza un motivo. Odiava quella vita e non riusciva a scorgere un appiglio, una scappatoia per sottrarsi a quella sorte avversa.

In un giorno di neve, mentre cercava di ripararsi dal freddo nella stalla, udì due uomini del paese che parlavano, mentre passavano davanti a casa sua; il loro passo era svelto ma attutito dalla neve, come tutto del resto. A parte loro, il paese era deserto e silenzioso per cui le fu facile udire il loro chiacchiericcio: parlavano di uno stregone di Pennes dal pessimo carattere, pericoloso e irascibile, ma dai poteri magici illimitati e leggendari, che usava un'acqua fatata e misteriosa per compiere i suoi incantesimi. Pfeifer Huisele, era così che quelle due persone lo chiamavano, in un misto di ammirazione e paura.

Il suo cuore prese a battere forte dall'emozione, proprio come le succedeva da bambina quando ammirava le gesta degli arcieri. Uno stregone era qualcosa di unico, potente, magico. Non ne aveva mai visti, non ne aveva mai sentito parlare se non nelle fiabe che sua madre raccontava alle sue sorelle quando erano piccole e scoprire che esistevano davvero era una cosa meravigliosa per lei! E se gli stregoni erano persone tanto potenti come raccontavano le leggende, allora questo Pfeifer Huisele poteva fare qualcosa per lei: poteva aiutarla a diventare più forte, forse poteva anche insegnarle l'uso della magia, per difendersi meglio. Sapeva usare arco e frecce, era vero. Ma era una ragazza albina e sapeva che essere una brava arciera non sarebbe comunque bastato a proteggerla da tutti quelli che le volevano del male.

Forse quello stregone di Pennes sarebbe stato la sua salvezza, il suo scopo nella vita, forse l'avrebbe presa come aiutante, se glielo avesse chiesto...

E così passò ogni giorno di quel lungo inverno a sognare la primavera. Decise che sarebbe partita, che se ne sarebbe andata da Tires per raggiungere Pennes e lì avrebbe incontrato Pfeifer Huisele!

Quando la bella stagione era infine giunta, una mattina era sgattaiolata fuori dalla stalla prima dell'alba, arco e frecce in spalla e si era avventurata fra le montagne. Si era voltata solo una volta, ad osservare Tires da lontano. Nessuno laggiù l'avrebbe cercata e rimpianta, lo sapeva bene. Suo padre probabilmente, benché povero, non vedendola tornare avrebbe speso tutto il suo denaro per una bottiglia di buon vino rosso per festeggiare. Scosse la testa a quel pensiero, mentre una lacrima le rigava il viso. In fondo lei non aveva mai chiesto nulla, non aveva mai desiderato nulla se non un po’ di affetto ed era triste pensare di non essere mai riuscita a farsi amare da nessuno.

Camminò a lungo, per settimane, mesi. Lontana dai sentieri principali, i più battuti da commercianti e viandanti, aveva scelto la via delle montagne e delle valli interne. Era più faticoso, la strada sarebbe stata infinitamente più lunga e difficile, ma non avrebbe corso il rischio di incontrare gente malintenzionata sul suo cammino. Aveva imparato molto presto, nel corso della sua vita, che per lei era meglio la solitudine.

E finalmente, sul finire del mese di agosto, arrivò a Pennes. Proprio in tempo per la festa del raccolto e per la gara di tiro con l'arco...

Era stato divertente confrontarsi e battere il campione del villaggio, non si era mai confrontata con nessuno prima d'allora. E questo le era servito per osservare e cercare fra gli abitanti di Pennes, tutti radunati per la festa e per la gara, Pfeifer Huisele.

Non seppe perché, ma quando vide quel giovane uomo vestito con abiti tradizionali tirolesi, che osservava la gara in disparte, staccato da tutti gli altri, con quello strano ghigno strafottente e divertito sulla faccia, capì subito che la persona che cercava doveva essere lui: pessimo carattere, solitario ed irascibile, non poteva che essere lo stregone Pfeifer Huisele, proprio lui!

Quando il trambusto dovuto al suo arrivo si fu diradato e tutti erano tornati alle loro abitazioni per la cena, si era messa a cercare la casa dello stregone fra i viottoli di Pennes. Le baite non erano molte, il villaggio era piccolo quanto quello da cui proveniva lei, però ritrovarlo fu comunque complicato e alla fine, di malavoglia, fu costretta a chiedere informazioni a un bambinetto che stava tornando a casa per mangiare. Il piccolo la fissò prima stupito, poi guardingo. E infine, col ditino grassoccio, le indicò la strada da seguire, prima di sparire fra i vicoli sterrati.

La fanciulla sorrise, emozionata. Col cuore che le balzava in gola, bussò alla porta del famoso stregone.

Fu lui in persona ad aprirle. Indossava ancora il suo abito tradizionale, anche se aveva tolto il cappello, e i ricci rossicci gli cadevano morbidamente sulle spalle. Se fu stupito di trovarsela davanti, non glielo diede a vedere.

"Hai bisogno di qualcosa?" - gli chiese lo stregone, senza la minima traccia di curiosità nel tono di voce.

La ragazza deglutì, improvvisamente meno sicura di se stessa. Nella sua vita raramente aveva dovuto raffrontarsi con altre persone e da quel che dicevano in giro, lo stregone di Pennes era un osso davvero duro. "Sei tu il famoso Pfeifer Huisele?" - chiese infine, mentre i due nani che aveva visto al suo fianco alla gara di tiro con l'arco, facevano capolino dalla porta, incuriositi.

Lo stregone si accigliò, quasi studiandola e soppesando le parole. "Può darsi" – rispose infine, vago, mentre la osservava attentamente.

"Può darsi di sì o può darsi di no?".

"Può darsi e basta".

La ragazza inspirò profondamente, per prendere coraggio. Quella che aveva davanti non era per niente una persona facile. "Se sei tu quello stregone, io ho bisogno di te".

L'uomo si appoggiò all'uscio, incrociando le braccia. "Mettiamo che sia io e che tu abbia davvero bisogno di qualcosa da me. Hai soldi per pagarmi? Gli stregoni costano cari".

"Non ho mai avuto soldi".

"Bene, allora non abbiamo niente da dirci!".

L'uomo fece cenno ai due nani di rientrare ma lei lo fermò, prendendolo per la camicia e tirandolo verso di se. "Ho bisogno di un posto dove stare, di una casa. Posso essere la tua assistente, fare tutto quello di cui hai bisogno, che mi chiederai. Non voglio soldi, solo... imparare qualcosa da te. Sei tu la persona che cerco?" - chiese ancora, insistentemente.

Uno dei nani le venne vicino, strizzandole l'occhio. "E' lui, è lui! Il suo vero nome è Mattheus ma...".

Lo stregone prese il nano per il bavero, spingendolo con forza dentro casa. "E fatti gli affari tuoi, Drago. Falko, in casa pure tu!" - ordinò all'altro nano che sparì di corsa dietro l'uscio, davanti alla sua espressione furiosa. Poi si girò verso di lei, serio. "Non ho bisogno di assistenti, sono uno stregone cattivo, dal carattere pessimo e mi mangio le ragazze come te. Le figlie del diavolo sono le mie preferite, le più appetitose. Su dai, scappa lontano e sparisci! Ti lascio cinque minuti di vantaggio".

Per nulla intimorita, la ragazza rimase dov'era. "Non ho paura di te e non sono la figlia del diavolo!".

"E chi me lo garantisce?".

"Io! Credevo che un grande stregone come te non credesse a questo genere di storie".

L'uomo si accigliò. Sembrava divertito più che seccato da quel loro strano battibecco e non era affatto da escludere che si stesse prendendo gioco di lei. "Vedremo, vedremo... Vuoi farmi da assistente, giusto? Che sai fare?".

La ragazza ci pensò su. "Tante cose".

"Sai usare la magia?".

"No".

"Conosci quanto meno qualche formula?".

"No".

"Sai cucinare?".

"No".

"Sai tenere pulita una casa?".

"No".

"Sai rifare i letti?".

"No".

Lo stregone alzò gli occhi al cielo. "E allora che me ne dovrei fare di te? Non sai fare niente, come potresti diventare la mia assistente?".

"Sono bravissima con arco e frecce. Un'ottima arciera! Lo hai visto prima, no?".

"Non mi serve un'arciera. E non mi servi tu".

La ragazza si incupì. Odiava implorare ma non aveva altra scelta e nemmeno un altro luogo dove andare. "Sei l'ultima mia speranza, Mattheus... cioè... Pfeifer Huisele... o qualunque sia il tuo nome. Non ho nessun posto dove andare e nessuno a cui chiedere aiuto. Insegnami quello che sai e io sarò un'ottima allieva. Ti prego, tienimi con te. Vengo da lontano, ti ho cercato a lungo perché tutti dicono di te che sei uno stregone leggendario. E solo da una leggenda potrei imparare a sopravvivere in un posto come questo".

"No. E ora, sparisci, non ho altro tempo da perdere con te".

Rimase ferma, in strada, anche dopo che lui le ebbe sbattuto la porta di casa in faccia. E ora che avrebbe fatto? Aveva compiuto quel lungo viaggio, sicura che lo stregone l'avrebbe presa con se. E invece adesso era nei guai. Non poteva tornare a casa e non aveva persone amiche a cui chiedere aiuto. Sospirando, alla fine si decise ad incamminarsi verso il sentiero che portava fuori dal paese, verso i boschi di abeti e i pascoli d'alta montagna. Ma non fece che pochi passi che fu costretta a fermarsi di nuovo. Dalla direzione opposta alla sua, con facce che promettevano guai, vide giungere nella sua direzione l'uomo che aveva battuto alla gara di tiro con l'arco, in compagnia di altri cinque uomini grandi e grossi.

Il suo avversario le si parò davanti, con la faccia ancora rossa dall'ira. "Figlia del demonio, vieni quì che ti brucio sul rogo. Le streghe come te vanno bruciate!".

Anche le voci degli altri uomini si unirono alla sua, in insulti che lei conosceva molto bene e a cui era abituata.

"Sei maledetta".

"Strega".

"Demonio".

"Figlia del diavolo"...

Non aveva voglia di stare ad ascoltarli, di ribattere, voleva solo rifugiarsi fra i boschi il prima possibile. Solo le montagne e gli abeti gli erano sempre stati amici. Prese arco e frecce dalla spalla, tese la corda, prese la mira. Non voleva colpire quegli uomini, ma di certo voleva che si spaventassero e se ne andassero per la loro strada, lasciandola in pace.

La prima freccia partì, sfiorando appena la guancia del suo avversario, graffiandola lievemente. Non gli diede nemmeno il tempo di reagire, che già aveva fra le mani la seconda freccia. Ma proprio quando stava per scoccarla, una mano afferrò gentilmente la sua, bloccandola...

Si voltò sorpresa. E si trovò davanti il viso serio di Pfeifer Huisele. "Cosa...?".

Lo stregone la guardò di sfuggita, poi si rivolse agli uomini che l'avevano attaccata. "Complimenti... Sei uomini grandi e grossi contro una ragazza sola. Definirvi codardi è farvi un complimento. Definirvi idioti pure, visto che da sola stava mettendovi al tappeto, di nuovo".

Uno dei sei sbiancò. "Pfeifer... Ecc... Ecco noi volevamo solo fargliela pagare... Ha osato interrompere la gara e... si è presa gioco di Hans e...".

Sul viso dello stregone comparve un ghigno da presa in giro. "Ecco bravi, ottima idea, ragionate su questo nel vostro lettino, quando andrete a nanna questa sera: come abbiamo potuto noi, uomini grandi e grossi, finire battuti in un niente da una ragazzina mingherlina? Se fossi in voi non mi farei vedere troppo in giro, vista la figuraccia di oggi".

"Ma è la figlia del demonio!" - urlò un altro degli uomini, quasi ad avvertirlo di un pericolo.

Lo stregone sbuffò annoiato. "Sì sì, ho visto i suoi capelli, non sono cieco. Ci penso io a lei, lasciatela in pace e sparite, se non volete che vi lanci addosso una maledizione".

I sei uomini non se lo fecero ripetere. Girarono sui tacchi e sparirono di corsa, quasi non avessero aspettato altro che darsi alla fuga.

La ragazza, rimasta sola con lo stregone, lo guardò in silenzio, non sapendo bene cosa dire.

Pfeifer Huisele invece lo sapeva benissimo quello che doveva dirle. "Allora, figlia del diavolo, che vuoi fare? Uccidere tutti gli abitanti del mio villaggio?".

"No, volevo solo spaventarli un pò. Non mi lasciavano passare. E comunque, se posso permettermi, non mi sembra che tu stia loro molto simpatico. Non dovresti aiutare chi ha paura e fugge da te".

Lo stregone sorrise, freddamente. "Non li ho aiutati, se è questo che credi! A me di quei sei idioti e di tutti quelli che vivono quì, non importa proprio nulla. Ma sono miei clienti e mi danno soldi in cambio dei miei servizi e tu non farai del male alla mia fonte di guadagno. Ti è chiara la cosa?".

La ragazza fu costretta ad alzare gli occhi al cielo. Tipo davvero tosto, quello stregone. Carattere da orso, strafottente e amante del denaro. Un po’ adesso capiva perché in giro si parlava tanto male di lui, come di un essere impossibile da sopportare. In fondo avevano ragione!

Fece per ribattere, quando fu interrotta dall'arrivo di una donna. Vestiva abiti logori, ancora più malconci dei suoi, era pallida e spettinata e i suoi occhi erano arrossati, come se avesse appena smesso di piangere. "Stregone Pfeifer Huisele!" - lo chiamò, correndo trafelata verso di lui.

L'uomo si voltò verso la nuova arrivata, sbuffando. "Signora Knopp, se trova il coraggio di rivolgermi la parola, siamo proprio arrivati alla fine del mondo" – commentò, in modo ironico.

La donna si inginocchiò, scoppiando a piangere convulsamente. "Il mio bambino... Maestro, il mio piccolo si contorce dal mal di pancia, non c'è nulla che gli dia sollievo da giorni. Temiamo un'appendicite e potrebbe morire. Se poteste darmi un pò della vostra acqua...".

Pfeifer Huisele alzò le spalle. "Due monete di rame. I prezzi li conoscete, giusto?".

La donna pianse più forte. "Non abbiamo soldi, lo sapete. Il raccolto è andato male e non abbiamo più nulla se non la verdura che produce il nostro piccolo orto. Il mio piccolo Karl... Vi prego, aiutateci, siate caritatevole".

La ragazza con l'arco guardò la donna, quasi immedesimandosi nel suo dolore. Poi guardò lo stregone, temendo già quale sarebbe stata la sua risposta. Sospirando, mise una mano nella tasca del suo vestito, tirandone fuori una piccola sacca di stoffa. La porse alla donna, inginocchiandosi davanti a lei. "Sono semi d'anice, signora. Aiutano a far passare il mal di pancia, se ne fa degli infusi. Li dia al suo bambino e starà meglio".

La donna la guardò, in un misto fra paura e disperazione. Poi, con un gesto veloce, quasi avesse paura a toccarla, prese la sacca. "Grazie" – balbettò.

Pfeifer Huisele guardò entrambe, accigliato. Poi, con un gesto che sorprese la ragazza albina, tirò fuori da una delle sue tasche una piccola ampolla contenente dell'acqua. La depose a terra, davanti alla signora Knopp. "Prenda questa ampolla, sparisca subito dalla mia vista prima che cambi idea e una volta a casa, faccia bere l'acqua al suo bambino. Starà meglio. E poi sì, usi i semi d'anice. Sono un ottimo rimedio naturale contro il mal di pancia, quello che le ha detto questa ragazza corrisponde al vero".

La donna non se lo fece ripetere. Si alzò, ringraziò frettolosamente e poi corse via, con ampolla e semi d'anice stretti fra le mani.

La ragazza albina sorrise. In fondo non era poi così cattivo come sembrava, quello stregone. Certo, il carattere da orso rimaneva, ma...

Pfeifer Huisele si voltò verso di lei. Era serio, la sua espressione accigliata e pensierosa. "E così conosci l'uso delle piante curative, eh?".

"Sì, non ho che quelle per curarmi, quando non sto bene".

"Interessante...". L'uomo la fissò, pensieroso. "E fammi indovinare perché sei venuta qui... Il tuo problema sono i tuoi capelli, giusto?".

La ragazza sussultò. "Beh, in effetti mi hanno creato molti grattacapi, però...".

"Perfetto...". L'uomo allungò una mano, sfiorando una ciocca candida. "Facciamo un patto! Io posso cambiare il colore dei tuoi capelli con la magia. Tu dimmi come li vuoi e io risolverò il tuo problema. Rossi, neri, castani, biondi... Dimmi tu, per me è indifferente! Ma in cambio di questo... poi dovrai sparire da quì senza fare storie, andartene e non tornare. Ci stai?".

"No". La ragazza indietreggiò. "A nessuna persona piacciono i miei capelli, è vero. Ma a me sì. Fanno parte di me fin da quando sono nata e non cambierò il loro colore per far piacere agli altri. Me ne andrò comunque però, sparirò da qui, non preoccuparti".

"E invece resterai. E sarai la mia assistente".

"Cosa?". La ragazza spalancò gli occhi sorpresa, non capiva. L'espressione dello stregone era seria e il modo in cui la guardava negli occhi la metteva in soggezione. Era come se in quel momento la studiasse e cercasse di scandagliare la sua anima. Si sentiva a disagio... "Ma prima avevi detto che...".

"Prima ho detto una cosa e ora ne dico un'altra. E' un delitto cambiare idea?".

"No ma... perché? Cioè, uno non cambia idea così, senza un motivo".

Pfeifer Huisele sorrise di nuovo. "Io non ho certo detto che non c'è un motivo. Forse un giorno te lo dirò, questo motivo, se ne avrò voglia. Che fai figlia del diavolo, resti?".

"Non sono la figlia del diavolo".

"Non ha importanza! Rispondi alla mia domanda".

La ragazza sorrise. La chiamava 'Figlia del diavolo', era vero. Ma il modo in cui lo diceva era diverso da tutti gli altri. Era forse l'unico, il primo che avesse incontrato, che non credeva davvero a quell'etichetta che le avevano cucito addosso dalla nascita. "Sì, resto". Decise, d'impulso. Perché non sapeva dove andare, certo. Ma anche perché si sentiva che, per la prima volta nella sua vita, aveva davanti qualcuno che poteva davvero insegnarle qualcosa e aiutarla. Non sarebbe stato facile, lo sapeva. Ma sarebbe rimasta. Quell'uomo aveva un carattere orribile, avere a che fare con lui sarebbe stato un inferno ma... Pfeifer Huisele... Più lo guardava e più sentiva che era diverso da tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento. Aveva uno sguardo intelligente, sornione, a volte anche da presa in giro. Ma il modo in cui guardava le persone era attento, come se sapesse leggere cosa avessero dentro, come se sapesse scavare oltre la superficie e carpirne ogni segreto e i pensieri più intimi.

"Bene. Dormirai in casa mia, in soffitta, sulla paglia. Non ho stanze libere, l'unica che avevo se la sono presa i miei due gatti da traino... ehm... i due nani. Ti sta bene?".

"Benissimo. Ma come devo chiamarti? Mattheus, come ha detto prima il nano? O Pfeifer Huisele?".

"Sei la mia assistente e in casa, fra di noi, potrai chiamarmi Mattheus. E io, figlia del diavolo, come devo chiamarti? Ce l'hai un nome?".

La ragazza sorrise. Era la prima volta che qualcuno le porgeva quella domanda. "Si, certo. Mi chiamo Elke".









Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque


Elke aveva gambe snelle, lunghe e ben allenate e per lei non era mai stato un problema camminare sui tortuosi sentieri di montagna. A lasciarla perplessa erano Falko e Drago, i due nani che vivevano con Mattheus.

Non aveva ancora capito bene come funzionassero le cose nella casa dello stregone, ma qualcosa era chiaro: Mattheus era un uomo dal carattere impossibile e si serviva dei due nani per trasportare la sua famosa acqua dal lago di Valdurna a Pennes. Ciò che l'aveva lasciata senza fiato era stato vedere Mattheus usare qualche goccia della sua famosa acqua magica per trasformare Falko e Drago in gatti neri che poi avrebbe usato come animali da traino per trasportare il carretto dove avrebbero caricato l'acqua. erano bastati un paio di secondi per compiere quell'incantesimo e Falko e Drago erano diventati gatti. Mattheus era uno stregone potente per davvero...

Le dispiaceva per i due nani però, erano così piccoli, gentili e simpatici con lei... L'avevano accolta subito con affetto e sincera amicizia, dimostrandosi disponibili ed educati Mattheus invece sembrava non accorgersi di quanto fossero buoni e non risparmiava loro l'immane fatica di trasportare un carro tanto pesante. Anzi, il mago non sembrava affatto curarsi della loro fatica e stanchezza.

Eppure, benché con le sembianze di piccoli gatti neri, Falko e Drago sembravano incredibilmente forti, tanto da superare nella camminata, di tanto in tanto, lei e Mattheus. "Certo, ora il carro è vuoto, non fanno tanta fatica. Ma quando torneremo...".

Mattheus, davanti a lei di qualche passo, sbuffò. "Non preoccuparti per loro ma concentrati su di me e su quello che ti sto dicendo! E ripeti...".

Anche Elke sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Era esasperata! "Sì sì, lo so, me lo hai detto mille volte da stamattina! Non devo dire a nessuno del lago, non devo dire a nessuno di come vivi, di come pratichi la magia e di quello che fai. Non devo toccare le tue cose, la tua acqua, non devo farti domande inopportune e non devo prendere iniziative al tuo posto senza averti prima interpellato" – rispose, a cantilena.

"Non voglio che tu lo ripeta come se fossi un pappagallo! Voglio che tu te lo metta proprio bene in testa, per sempre!".

Elke lo guardò storto. Si era sempre creduta una persona paziente, ma Mattheus stava mettendo a dura prova i suoi nervi. Era la prima volta che andava con lui e coi nani al lago di Valdurna e non avrebbe mai creduto che quell'esperienza si sarebbe rivelata tanto esasperante. Conosceva Mattheus da dieci giorni e lo trovava via via sempre più insopportabile. "Con chi credi che possa parlare di te? A Pennes mi odiano e mi evitano tutti, non credo che qualcuno oserebbe chiedermi qualcosa".

"Non si sa mai. E ora avanti, ripetilo ancora. Cosa devi e cosa non devi fare mai?".

Elke si morse il labbro, sospirò e scosse la testa sconsolata. "Sei un orso! Con tutto il rispetto per gli orsi, ovviamente...".

Mattheus si voltò verso di lei con un sorriso irriverente sul viso. "Ti ho sentita! Sappi che ho un ottimo udito, figlia del diavolo!".

Elke strinse i pugni, sfidandolo con lo sguardo. "Orso!".

Mattheus sorrise ancora di più. "Figlia del diavolo!".

"Orso!".

"Figlia del diavolo".

Falko e Drago, sotto forma di gatti neri, sospirarono. Quei due avrebbero continuato ad insultarsi fino al lago di Valdurna, avrebbero sfondato i loro timpani e prosciugato la loro pazienza.

Quando finalmente giunsero al lago, il sole era alto nel cielo e un piacevole tepore si espandeva nella valle. L'autunno stava per arrivare, ma il caldo estivo sembrava non voler cedere lo scettro alla stagione fresca.

Elke si guardò attorno, estasiata dal paesaggio. Il lago sorgeva fra due monti coperti di abeti e da ogni parte si guardasse, era circondato da maestose montagne dalle vette rocciose. Non era grande come si era immaginata e sembrava non viverci nessuno. Tutto era silenzio e pace laggiù.

Si sedette nell'erba mentre i due gatti le camminavano vicino, stiracchiandosi e sbadigliando. Elke sorrise, li accarezzò sulla testa e poi sfiorò il prato verde ancora coperto dai fiori, nonostante la stagione calda fosse agli sgoccioli.

Mattheus sistemò il carretto sotto le piante, tirò giù i secchi di legno e si avvicinò. "Smettila di giocare coi gatti e tirati su. Abbiamo da lavorare".

Elke fece per rispondere, ma fu interrotta da Falko e Drago. I due gatti iniziarono a miagolare rumorosamente, agitandosi ed alzandosi su due zampe. Parevano indicare qualcosa...

Mattheus si accigliò, si voltò verso il bosco da cui erano provenuti e si trovò davanti al viso una lucina fastidiosa che gli volava davanti agli occhi. "Eccola, mi sembrava che mancasse qualcosa...".

"Mattheus, ciao!" - esclamò Jutta, allegra. La fatina volò vicino ai due gatti neri dando loro un bacino sul naso, poi tornò dallo stregone, appoggiandosi alla sua spalla. "Che mi racconti? E' da un pò che non ti fai vedere da queste parti!".

Mattheus sbuffò, scrollandosi la fatina dalla spalla. "Che ti devo raccontare? Potrei dirti che stavo benissimo, in questo silenzio, fino a cinque secondi fa, ad esempio".

Jutta gli fece la linguaccia.

Elke spalancò gli occhi sorpresa. Una fata! Una vera, autentica fata! E Mattheus la stava trattando male! Doveva essere completamente pazzo quell'uomo. "Ma... ma lei è...".

"Una fata, sì! Una fata rompiscatole e petulante, se proprio dobbiamo dirla tutta!" - ribatté lo stregone.

Jutta incrociò le braccia, arrabbiata. Poi gli volò sulla testa, gli prese un ciuffetto di capelli fra le mani e, come di consuetudine, tirò fino a che non ebbe i capelli fra le mani. "Maleducato e cattivo!".

"Mi hai fatto male! Devi togliertelo questo vizio di strapparmi i capelli, capito?".

Jutta gli voltò le spalle, aprì la sua piccola mano e fece cadere a terra, con noncuranza, il ciuffetto biondo ramato di Mattheus. Poi si avvicinò ad Elke, osservandola in un misto fra curiosità e paura. "E tu chi sei?".

La ragazza albina, mani tremanti, arretrò leggermente. Una fata vera! Che parlava con lei! O era pazza, o era finita in un mondo magico di cui ignorava l'esistenza fino all'incontro con Mattheus. Qualunque cosa fosse, era felice, incredula e senza parole. Una fata! Piccola, dalla voce simpatica e carinissima. "Mi chiamo Elke".

"Oooh, Elke!". Jutta le volò vicino, sulla testa, fra i capelli, davanti agli occhi. "Mi piaci, Elke! Non sapevo se farmi vedere, ma poi ho pensato che se eri con Mattheus e i nani, dovevi essere una brava persona e che potevo fidarmi di te". Poi si voltò verso lo stregone che si stava ancora massaggiando la testa nel punto dove lei gli aveva strappato il ciuffo di capelli. "Non riesco a credere che ti sei trovato una fidanzata. E' incredibile pensare che al mondo esista qualcuno in grado di sopportarti".

Mattheus parve irrigidirsi, a quelle parole. "Non è la mia fidanzata. In teoria dovrebbe essere la mia assistente, ma non sa fare proprio niente".

Jutta guardò lui, poi guardò Elke, pensierosa. "Oh ecco, mi sembrava strano che tu avessi una fidanzata".

Mattheus si imbronciò, Elke rise.

Jutta volò vicino alla ragazza, sedendosi sul palmo della sua mano. "Sei proprio carina Elke. Hai un visino bello e dolce e sembri buona e gentile. Mi piaci proprio. Lui invece...". Si voltò verso Mattheus, indicandolo col dito e scoccandogli un'occhiataccia. "Lui è un rompiscatole di prima categoria. È insopportabile! Se ti tratta male, vieni pure da me! Ci penso io a punirlo, questo somaro!".

"Hei!" - protestò Mattheus.

Jutta gli volò davanti al viso e poi sulla testa, prendendo fra le mani un altro ciuffo dei suoi capelli. "Farò così, sì! Ogni volta che sarai cattivo con Elke, io ti strapperò un pò di capelli. E conoscendoti, mi sa che per Natale sarai calvo, Mattheus".

Lo stregone mosse velocemente la mano, afferrò la fatina e se la portò davanti al viso. "Jutta, vuoi finire nella mia padella e diventare il piatto principale della mia cena?".

"Dai Mattheus, lasciala stare! E' un amore".

Jutta sorrise, alla voce della ragazza. "Sei un amore anche tu! Sei proprio bella Elke".

La ragazza sorrise. Era la prima volta che qualcuno le diceva che era bella... "Davvero lo pensi? Anche con questi capelli?".

Jutta annuì. "Certo! Che hanno che non va?".

"Beh, il loro colore...".

La fatina sorrise, le volò vicino e le accarezzò una treccia. "A me sembrano bellissimi. Tu sei bella e sono belli anche Falko e Drago, sì!".

"Sono nani!" - ribatté Mattheus.

Jutta lo fulminò con lo sguardo. "E allora? Che male c'è ad essere piccoli? Anche io sono piccola, ma sono comunque bellissima! Vero?" - chiese ad Elke, sorridendo.

La ragazza rispose al sorriso e capì: le fate erano creature pure e senza pregiudizi o convenzioni sociali. Erano buone e basta se tu eri buono con loro. "Ne esistono tante di fate come te?".

"Oh sì, certo! Io sono una fatina di luce. Poi ci sono le fate della neve, del vento, dell'acqua, della foresta. Siamo tantissime, ma io sono l'unica a sopportare Mattheus".

Elke guardò lo stregone di sfuggita. Aveva una faccia terribilmente imbronciata in quel momento e questo, stranamente, la divertiva. "E' bello pensare che esistano creature come voi qui, fra queste montagne. Fino ad oggi ho sempre pensato si trattasse di favole per bambini".

"Non sono tutte buone, le creature del bosco".

Elke si voltò verso Mattheus. Era stato lui a parlare, non Jutta. "Cosa?".

La fatina annuì. "Ha ragione lui! Esistono anche esseri cattivi, spiritelli malvagi, troll, demoni. Il diavolo...".

Elke deglutì, leggermente spiazzata da quelle parole. "E come faccio a riconoscerli, se li incontro?".

Jutta sorrise. "E' facile. Porta sempre con te un piccolo specchietto. Se incontri un essere fatato buono, la sua immagine si rifletterà in esso. Se incontri uno spirito cattivo o demoniaco, non vedrai nessuna immagine di lui nello specchio. E allora dovrai iniziare a correre veloce veloce".

"Dovrei scappare?".

Mattheus si avvicinò ad Elke, mettendogli un secchio fra le mani. "Esatto. E ora basta chiacchiere! Anche tu Jutta, ora fa silenzio! Queste cose, ad Elke e ai nani, le vorrei spiegare io quando lo riterrò opportuno. Stai dando troppe informazioni a questi tre".

Jutta fece per replicare ma il viso serio di Mattheus suggeriva che era meglio che stesse zitta. "Va bene" – rispose, chinando per una volta il capo.

"Ottimo". Mattheus si voltò verso Elke. "E ora su, seguimi. Non ti ho portata fin qui per una scampagnata, ma per lavorare. Aiutami a riempire questi secchi e a portarli sul carro".

Jutta si imbronciò davanti a quel modo di fare spiccio e secco di Mattheus. Ma Elke la bloccò prima che potesse dire qualsiasi cosa. "Ha ragione lui, sono venuta quì per lavorare. Gioca con Falko e Drago un po’, mentre noi carichiamo l'acqua" – le sussurrò, strizzandole l'occhio.

Jutta non se lo fece ripetere ed Elke, in silenzio, si incamminò con Mattheus verso la parte del lago più agevole da raggiungere.

Si allontanarono dallo spiazzo dove avevano lasciato carro, gatti e fata e si incamminarono nel bosco a ridosso del lago.

"Dove andiamo?" - chiese Elke, vedendo Mattheus andare a passo spedito.

Lo stregone le indicò col dito un punto imprecisato più avanti. "Laggiù è più agevole raggiungere l'acqua. C'è una spiaggia e l'accesso al lago è molto più semplice che da quì. Bisogna solo camminare un po’ di più, ma quanto meno non si rischia di finire in acqua, scivolando su qualche spuntone di roccia" – rispose, staccando un rametto da una pianta che sporgeva sul sentiero e giocandoci distrattamente con le mani.

Elke alzò le spalle, camminare non le aveva mai fatto paura. Si guardò attorno, ammirando i meravigliosi abeti che sfilavano al suo passaggio. Un paesaggio nuovo per lei, ma allo stesso tempo simile a quello a cui era abituata da bambina. Fissò Mattheus, il cui comportamento le era pressoché impossibile da capire. Era un uomo strano, scontroso, cinico e se non era impegnato a borbottare per qualcosa, era perché stava facendo qualcos'altro che lei non capiva e che di certo lui non le avrebbe spiegato. Però... "Senti, posso farti una domanda?" - chiese, mentre gli stava dietro di alcuni passi.

"Puoi farmi tutte le domande che vuoi, Elke. Poi ovviamente starà a me decidere se risponderti o no".

Elke sbuffò, ormai abituata alle sue rispostacce. "Stamattina, quando siamo partiti, ho visto che... Beh ecco, perché hai rovesciato qualche goccia della tua famosa acqua nei campi che circondano Pennes? Dici sempre che non la si deve sprecare".

Continuando a fendere l'aria col bastone che aveva in mano, Mattheus ridacchiò. "Oh, ma non l'ho sprecata. Come ti ho detto, l'acqua mi ubbidisce, in un certo senso. E le ho comandato di concimare e rendere floridi il terreno e le coltivazioni degli abitanti di Pennes. E' tempo di vendemmia quasi, i campi devono essere rigogliosi al massimo perché si possa fare del buon vino".

Elke sorrise, piacevolmente sorpresa da quella spiegazione. In fondo Mattheus sapeva essere anche una brava persona dopo tutto. Il fatto che facesse del bene agli altri in silenzio e senza vantarsene era una cosa davvero bella e rara da trovare, in un uomo. "Oh, davvero? Ma allora, qualcosa di altruista sei capace di farlo anche tu!".

"No, sei fuori strada. E' tutto per un mio tornaconto se ci pensi bene: gli abitanti di Pennes si spaccano la schiena su quei terreni e ne riceveranno i frutti coi quali guadagneranno dei soldi. E quando avranno bisogno di me, a chi andranno quei soldi? Come vedi è tutto interesse mio che le cose vadano come devono, in campagna".

"Ah, ecco...". Elke scosse la testa, sconsolata. Doveva immaginarselo! Però in effetti, il ragionamento dello stregone non faceva una grinza. Mattheus era un uomo intelligente, calcolatore, sfrontato e sfacciato, ma conosceva bene tutto quello che lo circondava, era sapiente, furbo. "Tu sai sempre come uscirne vincitore, eh?".

"Beh sì! Io so tutto, ricordalo sempre".

"Tutto tutto? davvero?".

Mattheus si fermò, si voltò verso di lei e sorrise. "Tutto quel che è importante sapere".

"E allora, posso farti un'altra domanda?". C'era una cosa che voleva sapere, che la tormentava fin da quando era bambina. E lui, ne era certa, conosceva la risposta che cercava.

"Dimmi".

Il viso di Elke si oscurò e la sua espressione si fece seria, triste. "Quando ero piccola... e anche adesso, prima che partissi per venire da te... Tutti, mio padre, le mie sorelle, la gente del mio villaggio mi insultavano, mi dicevano cose davvero brutte, senza che io facessi nulla di male. Non era bello, ma ci ero abituata ormai. Però c'è una cosa che mi dicevano, una cosa che mi faceva paura più delle altre e me ne fa ancora adesso, quando ci penso. E non ho ancora capito se me lo dicevano per spaventarmi o se raccontavano il vero".

Mattheus si accigliò, si fermò e si appoggiò al tronco di un albero, guardandola in viso. "Quale cosa?".

Elke si prese distrattamente una treccia fra le mani. "Dicevano che io ero un essere maledetto, stregato e che prima o poi mi avrebbero bruciata viva su un rogo per questo. E' la verità Mattheus? Quelle come me fanno questa fine?".

Lo stregone non rispose subito. La studiò in viso per lunghi istanti, pensieroso, in silenzio. "Non pensarci" – disse infine, con un sospiro.

Elke gli si avvicinò. "Dimmelo! Tu lo sai!".

La mano di Mattheus raggiunse la sua spalla, dandole una leggera spinta. "Cammina, dobbiamo lavorare".

"Ti prego" – chiese la ragazza, quasi in una supplica.

Lo stregone le si affiancò, sospirando. "Se vuoi la verità, io te la dirò! E' vero, a volte succede che brucino delle persone sul rogo. Gente accusata di stregoneria, di avere rapporti col potere occulto e demoniaco, di saper lanciare maledizioni. Capita, sì. E sul rogo spesso finiscono persone buone ed innocenti, se proprio vuoi saperla tutta. Ma non mi preoccuperei, se fossi in te".

"Perché?".

Mattheus, che fino a quel momento era stato serio, ridacchiò. "Oh piccola figlia del diavolo, tu non corri alcun rischio! Per essere accusati di qualcosa, bisogna saper fare qualcosa! E tu non sai fare niente di niente, solo un pazzo penserebbe che tu sia in grado di lanciare delle maledizioni o cose simili".

Elke a quelle parole lo avrebbe volentieri preso a calci nel sedere. Quello stupido! Non capiva mai quando era serio e quando invece si prendeva gioco di lei! Ci cascava sempre! "Io ero seria! E comunque, ora che sono la tua assistente, corro dei rischi. Sei uno stregone e quindi...".

"E quindi questo non fa di te una strega o una maga. Non sai nemmeno mettere un uovo a bollire, credi che sia tanto stupido da insegnarti subito i segreti della magia? Dovrai farne di strada, Elke, passeranno secoli prima che io ti ritenga minimamente adatta ad usare la magia. Per un bel po’, quindi, puoi dormire fra due guanciali dei meravigliosi sogni d'oro".

"Sei davvero un orso odioso!" - ripeté nuovamente Elke. Voleva spingerlo e farlo impiastrare col muso contro una pianta, quel cretino!

Mattheus sorrise di nuovo, di quel suo sorriso da presa in giro. "E tu la figlia del diavolo. Ora però, basta chiacchiere! Siamo arrivati alla spiaggia di cui ti parlavo prima".

"Davvero?". Elke si guardò attorno, dimentica del discorso di poco prima, presa dalla curiosità di saperne di più di quel lago magico. Superate le ultime piante davanti a loro due si apriva un piccolo lembo di sabbia bianca che diradava dolcemente fino all'acqua cristallina del lago. La ragazza si accigliò e rimase per un attimo in silenzio, concentrata su quelle acque tanto azzurre quanto misteriose. Il potere di Mattheus nasceva da esse ma a prima vista quel lago non aveva nulla di diverso da tutti gli altri in cui si era imbattuta fino a quel momento. Non capiva...

Si avvicinò alla riva, si tolse gli stivali ed entrò nell'acqua di qualche passo, finché non gli arrivò quasi alle ginocchia. Era fredda, gelida come l'acqua di tutti i laghi di montagna, però camminare in essa era terribilmente piacevole... Si chinò a riempire il secchio che teneva fra le mani e poi immerse la mano libera nel lago, cercando in esso la risposta a tutte le domande che le frullavano in testa. Cercava qualcosa, un appiglio, una sensazione, un perché alla magia insita in quell'acqua.

"Elke, che fai?".

Mattheus le si parò davanti all'improvviso, facendola sussultare ed arretrare di alcuni passi. Era talmente assorta nei suoi pensieri che non l'aveva sentito arrivare. "Beh ecco io... cercavo di capire...".

"Capire cosa?".

Elke guardò il lago, sentendosi al contempo stupida e in imbarazzo. "Cercavo di capire come usare la magia che nasce da qui. Di capire come fai a farti ubbidire dall'acqua".

Mattheus scosse la testa. Sul momento non disse nulla, riempì i suoi due secchi d'acqua e li portò a riva. Poi, dopo averli posati, si sedette sulla sabbia, tornando a giocare col suo bastone di legno. "Non è l'acqua che mi ubbidisce, ma quel che c'è dentro".

"Cosa?".

Mattheus le fece cenno con la mano di avvicinarsi e quando la ebbe davanti, alzò su di lei i suoi occhi blu. La sua espressione era tornata seria e in essa Elke scorse anche una piccola venatura di tristezza. "E' una storia lunga e complicata, che tu al momento non capiresti. Posso dirti questo, per ora. Il lago di Valdurna, di per se, è un lago come tutti gli altri. Ma fra queste acque c'è qualcosa... qualcuno... che mi è amico. E un amico, per un altro amico, farebbe qualsiasi cosa di cui c'è bisogno, giusto? Funziona così, capito?".

Elke scosse la testa, in segno di diniego. "No, non ho capito".

Lo stregone fissò il lago, pensieroso. "Tu non avvertirai nessuna magia in questo lago. Nessuno può farlo, solo io. Solo io posso chiedere e solo io verrò esaudito nei miei desideri. E' una promessa di tanto tempo fa, fra me e...".

"E?".

L'espressione seria abbandonò il viso di Mattheus a quella domanda, quasi si fosse svegliato di colpo da uno stato di torpore. Alzò il bastone che teneva fra le mani, picchiandolo lievemente, in modo scherzoso, sulla testa di Elke. "E niente, per oggi ti ho detto anche troppo! Non vorrei che la tua testolina di figlia del diavolo andasse in ebollizione, se assorbisse troppe nozioni tutte insieme".

La ragazza scosse la testa, ma questa volta non era arrabbiata per il repentino cambio di rotta dei discorsi dello stregone. C'erano momenti in cui lui la prendeva in giro e faceva lo stupido... E momenti dove Mattheus sembrava racchiudere in se verità antiche, profonde e anche dolorose. Però, accidenti a lui, una cosa che la mandava in bestia, c'era. "Non sono la figlia del diavolo!".

Mattheus ridacchiò, picchiandole ancora in testa il bastone. "Oh sì che lo sei! A giudicare da quel che mi hai raccontato della tua famiglia, direi che lo sei eccome!".

Elke si oscurò, a quelle parole. "I miei genitori sono brave persone. Vanno sempre in Chiesa la domenica e anche se sono poveri fanno anche della carità ai più poveri di loro".

Mattheus alzò le spalle con noncuranza. "E quando tornavano da Messa insultavano e chiudevano la loro figlioletta nella stalla, semplicemente perché non gli piaceva il colore dei suoi capelli e si vergognavano di lei. Bravissime persone davvero! Genitori modello, i tuoi" – commentò, con una vena d'ironia nella voce.

"Con le mie sorelle erano ottimi genitori. E in fondo, anche con me... non mi hanno mai cacciata di casa, dopo tutto sono stata io ad andarmene! E comunque, restano la mia famiglia".

"Già, la tua famiglia...".

Mattheus tracciò nella sabbia qualche linea senza senso, col bastone. Poi si alzò in piedi, allungò la mano e la attirò davanti a se. Era di nuovo serio, ora... Di una serietà che la metteva in soggezione. "Ti ritengo piuttosto intelligente Elke, e proprio per questo un insegnamento te lo voglio dare. Bada bene di ascoltarmi perché ora non sto scherzando. Famiglia e casa a volte non coincidono e non sono legate alle persone con cui abbiamo legami di sangue. Spesso capita, certo, ma non sempre! Non nel tuo caso almeno. Casa e famiglia, sono i luoghi e le persone che ti fanno sentire la benvenuta quando arrivi, che ti vogliono bene e a cui vuoi bene. Casa è dove ti senti protetta, al sicuro, serena e felice. Famiglia è chi condivide con te la sua vita, nel bene e nel male. E ti sostiene sempre. Ora hai due strade, Elke. Puoi cullarti nella beata illusione che mammina, papino e sorelline stiano piangendo per la tua partenza misteriosa, ma sai che non è così e mi deluderesti se ci credessi davvero anche se nessuno ti vieta di farlo se questo ti fa stare meglio. Oppure... guardi in faccia la realtà e inizi tutto da capo, con le tue forze. Ti lasci alle spalle il passato, il dolore, la solitudine e le paure che ti hanno inculcato da piccola e guardi avanti. E se lo farai, allora un giorno avrai davvero una casa e una famiglia dove ti sentirai sicura e felice. Ognuno di noi ha un suo posto nel mondo da cercare e di certo il tuo non era nel tuo villaggio natale. Lo sai tu, lo so io. Esatto?".

Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente,. ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura,doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti. Si sentì stupida, una bimbetta senza esperienza alcuna, al suo confronto. Sospirò. "Lo sai bene che per quelli come me è impossibile trovare una casa e un posto nel mondo".

Mattheus le sorrise di nuovo, dolcemente questa volta. Prima di alzare ancora il suo bastone per colpirla nuovamente, scherzosamente, sul capo. "Nulla è impossibile, testona. Fino a dieci giorni fa non credevi nell'esistenza delle fate e ora ne hai conosciuta una. Fino a dieci giorni fa non credevi che esistesse un lago magico e ora lo hai davanti. Fino a dieci giorni fa non credevi possibile che si potessero trasformare in gatti due nani e ora conosci Drago e Falko".

Elke rispose al sorriso. Non disse nulla, in fondo aveva poche argomentazioni con cui ribattere alla logica irreprensibile delle parole di Mattheus,. ma capì che il bosco era magico e pieno di esseri fatati come Jutta, esseri sfuggenti, misteriosi, sospettosi di natura, che non si facevano vedere da nessuno, eccetto da chi consideravano meritevole della loro amicizia, ma i meritevoli erano pochi e rari. Per quanto Mattheus fosse un orso, una persona che sapeva farsi voler bene dalle fate doveva essere per forza una brava persona. Elke decise che da quel momento in poi nessuno sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea.





Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sei ***



Capitolo sei



"Che fai?".

Seduto sulla sua poltrona, con un grosso tomo fra le mani, Mattheus alzò lo sguardo sui due nani che gli giravano attorno incuriositi ormai da diversi minuti. "Leggo, non lo vedete?".

"Davvero sai leggere?".

"Ovvio che sì" – commentò Mattheus con voce annoiata, continuando a sfogliare il libro che teneva sulle gambe. "Voi non sapete farlo?".

Drago e Falko ridacchiarono a quella domanda. "Oh Mattheus, nessuno si prende la briga di insegnare a leggere a due nani".

Mattheus sfogliò un'altra pagina. "Dovreste imparare, anche se siete nani".

"Insegnacelo!" - propose Elke, a pochi passi da loro, intenta a lucidare il suo lungo arco.

Mattheus alzò lo sguardo su di lei. "Non sai leggere nemmeno tu?".

La ragazza scosse la testa. "Nessuno insegna a leggere ai nani, e nemmeno alle ragazze albine" – concluse, con un'alzata di spalle.

"In effetti...". Lo stregone abbassò lo sguardo, tornando alla sua lettura, irritato dalla vicinanza dei due nani alla sua poltrona. "Smettetela di girarmi attorno e di fissarmi, tutti e tre! Sto cercando di leggere e di concentrarmi".

Drago si sedette per terra, senza smettere di guardarlo, nonostante gli fosse stato intimato due secondi prima di non farlo. "Non sappiamo cosa fare, ci stiamo annoiando".

"Annoiatevi da un'altra parte, per favore" – rispose Mattheus, sospirando.

"Dai, insegnaci a leggere!" - propose Elke, di nuovo.

Mattheus alzò lo sguardo prima su di lei, poi sui due nani; ci pensò su un attimo, pensando alle eventuali implicazioni che avrebbe comportato il diventare insegnante di quei tre impiastri: l'avrebbero fatto andare fuori di testa, l'avrebbero tirato matto, ma, come si sarebbe divertito a fare l'insegnante sadico, severo e irreprensibile... Di certo loro lo avrebbero fatto diventare matto, ma lui avrebbe fatto impazzire loro... "Perché no" – disse vago, con un sorrisetto maligno sul viso.

Elke lo fissò, con aria preoccupata e accigliata; quella ragazza sapeva prevedere le sue mosse e capire le sue intenzioni fin troppo bene per i suoi gusti. "Che c'è, figlia del diavolo?".

"Mh, credo che ci penserò su. Non so se voglio imparare a leggere".

"Noi sì!" - dissero in coro Falko e Drago.

"Ottimo..." - ribatté Mattheus, sempre più maligno.

Elke scosse la testa. "Quei due sono completamente folli. Non hanno la minima idea di quello a cui vanno incontro" – mormorò sotto voce.

Falko si avvicinò a allo stregone, sbirciando il libro che teneva fra le mani. "Chi ti ha insegnato a leggere, Mattheus?".

"Uno che sapeva leggere".

Lo stregone vide Elke alzare gli occhi al cielo. La ragazza sospirò, appoggiò il suo arco contro il muro e si alzò dallo sgabello su cui era seduta. "E' inutile che glielo chiediate, tanto non ve lo dirà mai. Come non ci dirà i segreti del lago di Valdurna e tutto quel che riguarda la sua vita passata. Giusto?".

Mattheus sorrise. "Brava, sei una donna perspicace".

Elke scosse la testa e non rispose. Prese il suo arco e lo mise nell'armadio, poi fece per salire le scale che portavano alla soffitta.

"Dove vai?" - chiese Mattheus.

"Voglio riposarmi un pò. Stamattina ci hai fatti sgobbare come asini, ci hai fatto pulire questa casa da cima a fondo mentre tu te ne stavi seduto su quella poltrona e ora sono stanca".

Mattheus sospirò, chiuse il libro e si alzò in piedi, Decise che per quel giorno aveva letto abbastanza informazioni ed era ora di smettere di poltrire. "Non è ora di dormire. Dobbiamo uscire".

"Per andare dove?" - chiesero i nani.

Mattheus indicò il libro che stava leggendo. "Stavo cercando indicazioni su un particolare tipo di argilla adatto a curare le ferite, se opportunamente trattato con la magia. Dobbiamo andare in alta montagna, conosco le persone che possono fornirmela all'istante".

Elke si lasciò cadere sulle scale, sconsolata. "Si deve camminare molto?".

"Abbastanza! E ora su, sbrigati. Hai vent'anni, non sei una vecchia decrepita e non hai certo bisogno del sonnellino pomeridiano". Era seriamente divertito, avere in casa quei tre impiastri in fondo aveva i suoi vantaggi: tre piccoli schiavetti che gli rassettavano casa avendo in cambio solo i pasti. Da quando Elke ed i nani erano entrati nella sua vita, arrivare fresco e riposato al pomeriggio era diventato un gioco da ragazzi.. "Elke, piccola figlia del diavolo, mi hai capito? Tirati su da quel gradino, dai...".

Elke sbuffò. Il suo sguardo prometteva guerra e Mattheus avrebbe potuto scommettere che lo avrebbe volentieri preso a calci, se solo avesse potuto. "Hai qualcosa da dirmi, bellezza?".

Elke si alzò dal gradino, lanciandogli uno sguardo gelido e lo sorpassò, uscendo dalla porta di casa borbottando.

"Poverina, è tanto stanca. Forse dovremmo davvero lasciarla a casa per oggi" – commentò Drago.

"Sopravvivrà. E ora dai, in marcia". Mattheus spinse i nani fuori casa; In fondo era certo che nessuno dei tre si sarebbe annoiato quel pomeriggio. Elke e i nani non avevano la minima idea del posto e delle persone che avrebbero incontrato e lui non aveva alcuna intenzione di anticipare nulla. Quel pomeriggio avrebbero imparato qualche altro segreto del bosco e della montagna e soprattutto avrebbero trasportato fino a casa l'argilla al suo posto.

Dopo aver superato la manciata di baite che costituiva il paese di Pennes si inerpicarono per un ripido sentiero che portava ai pascoli di alta montagna; la strada era sconnessa, la pendenza impegnativa e il terreno reso scivoloso dalla pioggia del mattino.

Mattheus sapeva che non si trattava di una camminata facile, ma lui aveva percorso quel tragitto centinaia di volte e conosceva a memoria ogni masso, ogni piccola variazione di pendenza della salita, ogni albero, ogni filo d'erba, tutti gli animali che vivevano su quel crinale. "Sbrigatevi voi tre!". Era seccato, quel giorno Elke e i nani erano meno reattivi del solito.

La ragazza albina, indietro di alcuni passi, alzò lo sguardo su di lui. "La fai facile! Stamattina ci hai fatto pulire tutti i vetri di casa, il camino, i pavimenti, ci hai fatto sistemare la stalla, ci hai fatto fare il bucato e ci hai costretti a cambiare le lenzuola a tutti i letti di casa mentre tu te ne stavi seduto in poltrona a dare ordini. La tua baita ora, probabilmente sarà la più splendente di tutta la Val Sarentino! E siamo stanchi".

"Fa tutto parte del vostro allenamento per diventare miei assistenti. Dovresti ringraziarmi Elke, invece che lamentarti come una vecchia suocera".

"Sì certo l'allenamento, come no...". La ragazza inspirò profondamente, prendendo fiato. "Sai, mi viene in mente mia madre. A me non insegnava nulla su come si teneva una casa, ma le mie sorelle... Oh Mattheus, ricordo quanto le stressava con la storia delle pulizie. Diceva che se non fossero diventate brave donne di casa non avrebbero mai trovato marito. C'erano giornate dove non facevano altro che pulire tutto da mattina a sera. Io me ne stavo fuori a guardarle sgobbare e senza fare niente e non sapevo, non capivo quanto fossi fortunata ad essere esentata da quella tortura. Dovevo incontrare te per capirlo".

Mattheus ridacchiò. Si voltò verso di lei prendendola per mano ed attirandola vicino a se. "Vedi che essere la figlia del diavolo ha i suoi vantaggi? E ora dai, sbrigati. Ho capito che se non ti trascino, non arriveremo mai alla nostra meta".

"Potresti aiutare anche noi però" – borbottarono Falko e Drago, indietro di diversi metri. Avevano il fiatone, la lingua che toccava terra e il viso madido di sudore.

"Muovetevi e state zitti! Se non sprecherete fiato per parlare salirete più velocemente".

"Ma dove stiamo andando?".

Mattheus sorrise. "Da mastro Ludwig".

Elke sollevò il viso, guardando verso la cima della montagna. "Ma Mattheus, non ci vive nessuno lassù. Ci sono solo boschi e pascoli".

Lo stregone scosse la testa. "Non arriveremo ai pascoli, ci fermeremo prima. E ora basta chiacchiere, camminate e basta!".

Quelle parole dovettero rincuorare i suoi tre assistenti perché accelerarono il passo e metro dopo metro salirono su per la montagna. Mattheus sorrise: bastava poco per farli lavorare!

Camminarono nella vegetazione sempre più fitta, col sentiero che si diradava e lasciava spazio al bosco, al muschio e alle foglie gialle che scricchiolavano al loro passaggio.

"Non è che ci perderemo?" - chiese infine Drago, preoccupato. Non c'erano che alberi attorno a loro, e nessun punto di riferimento. stava diventando buio.

Per risposta Mattheus si fermò. "No, non ci perderemo. So esattamente dove siamo e quì è perfetto per chiamare mastro Ludwig. Mi sentirà". Si mise una mano in tasca, tirando fuori un piccolo fischietto in legno. Ci soffiò dentro, ma non uscì alcun suono. Eppure il suo sguardo era soddisfatto.

"Credo che sia rotto" – borbottò Elke, stanca e con l'espressione di chi non sta capendo nulla di quel che succede. "Mattheus, sei sicuro di sentirti bene?".

"Sto benissimo, questo fischietto funziona così, solo alcuni possono sentirlo. E voi siete una grandissima lagna, oggi. Abbiate fede ed aspettate, invece di parlare a vanvera".

Elke guardò i nani e tutti e tre scossero la testa. Stava per per dire qualcosa quando un fruscio di foglie la fece voltare.

Mattheus la vide portare la mano all'arco che teneva sulla spalla e le fermò il braccio prima che potesse fare qualsiasi cosa. "Calma, figlia del diavolo. Non siamo assolutamente in pericolo in questo momento". Lo stregone si voltò quindi verso il punto da cui era giunto il fruscìo e sorrise. Mastro Ludwig era davanti a lui e come sempre aveva risposto al suo richiamo.

Elke e i nani spalancarono gli occhi: dopo le fate avevano scoperto anche l'esistenza degli gnomi. "Mattheus... ma è... è".

Lo stregone si inginocchiò di fianco al suo piccolo amico. "Finitela di fissarlo come degli ebeti, è uno gnomo, non un mostro della palude ed è uno dei miei migliori aiutanti. Vi presento mastro Ludwig, capo villaggio degli gnomi della Val Sarentino, abile boscaiolo e gran conoscitore della montagna. Mastro Ludwig, ti presento questi tre idioti che ti guardano come se provenissi dalla luna. I due nani sono gemelli e si chiamano Drago e Falko. Non dire niente, han nomi idioti, lo so. Giuro che mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con i loro genitori, un giorno o l'altro. La ragazza invece si chiama Elke. Sono i miei... aiutanti".

"Vorrai dire... i tuoi sguatteri" – lo corresse Elke. Si inginocchiò, imitata dai gemelli, ad osservare meglio il nuovo arrivato. Era cicciottello, alto forse quindici centimetri, con la lunga barba bianca, abiti rossi e stivaletti di cuoio. Somigliava molto alla descrizione che si faceva degli gnomi nei libri per bambini. "Mattheus, ma allora non sono solo fiabe!".

Lo stregone sorrise. "Le fiabe hanno sempre un fondo di verità, ricordatelo. Esistono tanti esseri magici fra questi boschi e fra queste montagne che tu non hai ancora visto".

Elke sollevò il viso su di lui. "E tu li conosci tutti?".

"Più o meno".

Mastro Ludwig si avvicinò ai tre nuovi venuti, titubante. Li studiò, osservandoli attentamente, indeciso se fidarsi di loro oppure no. "Mattheus, sei sicuro che siano persone fidate?".

"Certo. Non li avrei portati con me se non ne fossi assolutamente certo. Non parleranno di voi in giro, sta tranquillo".

Lo gnomo sospirò. "Spero sia davvero così. Ma dimmi, cosa ti porta quì?".

"Mi serve dell'argilla verde. Ho trovato un buon modo di utilizzarla per produrre impacchi contro le ferite e a quanto pare funziona anche su quelle degli animali. Puoi procurarmene un po’?".

Mastro Ludwig annuì. "Quanta ne vuoi. Su, venite! Vi porto al nostro villaggio".

Mattheus sorrise. "Grazie!". Poi si voltò verso Elke e i nani che stavano ancora lì dove li aveva lasciati, fermi ed impalati come stoccafissi, ancora increduli dal trovarsi davanti a uno gnomo. Allungò la mano, prese Elke per il polso e la attirò a se. "Sveglia! Ma che vi prende oggi a tutti e tre?".

"Uno gnomo... Mattheus, uno gnomo! E c'è pure il suo villaggio...".

Lo stregone sbuffò. Elke e i nani l'avrebbero fatto diventare pazzo, lo sapeva. "Sbrigati, dai! E anche voi due, muovete quelle dannate chiappe" – urlò ai gemelli.

Camminarono nel fitto del bosco, sempre più lontano dal villaggio e dal sentiero. Mattheus aveva rallentato l'andatura per fare in modo che Ludwig non facesse fatica a stare al passo mentre Elke e i nani erano silenziosi come non mai. Si chiese se quello stato catatonico in cui erano piombati sarebbe mai finito o se sarebbero rimasti scemi a vita.

Dopo una manciata di minuti giunsero davanti a dei grossi alberi secolari in una radura dove la luce filtrava a fatica. Mastro Ludwig portò le dita alle labbra, fischiò e dal tronco, dalle frasche e dall'erba sbucarono uno ad uno un'infinità di gnomi. Donne, uomini, anziani e bambini andarono incontro a Ludwig e a Mattheus. In un attimo si trovarono circondati da tanti piccoli gnomi festosi ed incuriositi.

"Vivono qui, nascosti fra l'erba, il muschio, nei tronchi dei vecchi alberi" – spiegò Mattheus, notando la sorpresa dipinta sul viso di Elke e dei nani.

Falko e Drago corsero fra gli gnomi, come impazziti. E si avvicinarono a due giovani ragazze che li osservavano incuriosite, ammiccando e sbattendo le lunghe sopracciglia.

Elke sorrise. "Guarda, hanno già trovato compagnia! Oh Mattheus, non è bellissimo? Un amore che nasce fra esseri così diversi... Sarebbe terribilmente romantico, se succedesse davvero..." - mormorò, colpita da quell'aria festosa, quell'armonia, quell'allegria che sembrava serpeggiare in quella piccola comunità di gnomi.

Lo stregone guardò i due nani che, come ebeti, giravano attorno alle due giovani gnome. "Dove li vedi tanto diversi? Sono alti più o meno uguali".

"MATTHEUS".

L'uomo scoppiò a ridere. "Ah Elke, in questo momento mi ricordi terribilmente Jutta".

"Non è mica un insulto sai? Jutta è un amore".

"Quando sta zitta..." - mormorò sotto voce lo stregone, in tono vago. Alzò gli occhi al cielo, la sua attenzione catturata da tre piccole lucine blu che svolazzavano sulle loro teste. Se erano lì, significava che la stagione fredda era vicina. "Guarda Elke, quelle sono le fate della neve" – disse, indicandole. Elke guardò le tre lucine blu: piccole e delicate fatine grandi come Jutta, volavano sulle loro teste piano, quasi timorose; avevano capelli candidi, occhi azzurri e carnagione pallida. "Mi somigliano" – mormorò la ragazza, avvicinandosi.

"Attenta Elke" – la richiamò Mattheus – "Fa piano se vuoi avvicinarti a loro. Sono timide, non sono come Jutta. Se sarai troppo irruenta le farai scappare".

La ragazza annuì e si allontanò da lui, camminando lentamente.

Rimasto momentaneamente solo Mattheus si appoggiò al tronco di un abete, osservando il via vai incessante degli gnomi che guardavano accigliati i nani ed Elke mentre proseguivano nelle loro incessanti attività. Erano un popolo laborioso, conoscevano tutti i segreti del bosco, delle piante e degli alberi ed erano quanto di più longevo esistesse sulle montagne. La vita di uno gnomo poteva durare secoli e le loro conoscenze erano vastissime. Mastro Ludwig gli si avvicinò di soppiatto, affiancandosi a lui: "Ho dato ordine di farti preparare un grosso sacco di argilla verde. Sarà pesante da trasportare fino a Pennes, ma so che ne farai buon uso Mattheus".

"Ti ringrazio". Lo stregone si lasciò scivolare a terra per mettersi allo stesso livello dello gnomo. "Trasportarlo non sarà un problema comunque, la mia assistente lo farà senza battere ciglio" – concluse con un sorrisetto irriverente sulle labbra, osservando Elke che, appoggiata a un ramo, era intenta a fare conoscenza con le fate della neve.

Ludwig si accigliò. "Mattheus, sei proprio sicuro di poterti fidare di quei tre? Finora non hai mai portato nessuno con te qui da noi, sei sempre stato molto prudente e mi fido di te, ma capisci le mie preoccupazioni, vero? Se si sapesse in giro della nostra esistenza per noi sarebbe un grosso problema, non avremmo più pace".

"Non parleranno, stai tranquillo. I nani hanno una mente semplice e buona, non farebbero male ad una mosca, li uso come animali da traino trasformandoli in gatti con l'acqua del lago, sono incredibilmente forti e leali, non devi preoccuparti".

Mastro Ludwig guardò Elke. "E la ragazza? E' albina e fra la vostra gente, questo è sinonimo di vicinanza al demonio".

Mattheus scosse la testa. "Sono solo storie, leggende. E' piuttosto intelligente, conosce bene le montagne e le loro leggi, le sa rispettare ed è riuscita a sopravvivere da sola in questo ambiente fin da piccolissima. Aveva due strade: morire o farsi furba, essere forte e crescere. Ho molte aspettative su di lei. Certo, ha un caratterino piuttosto forte, ma fra i due non sarò io a piegarmi. Vuole essere la mia assistente e tale sarà, credo che possa averne le capacità, anche se dubito che abbia ancora capito fino in fondo a cosa sta andando incontro".

Ludwig sospirò. "Non avrà vita facile al tuo fianco, immagino... Mi fido di te, come ti ho appena detto. Se pensi che siano persone fidate allora lo saranno anche per noi".

Mattheus sorrise. "A Jutta piacciono, adora tutti e tre e mi fido dell'istinto di quella fata più di qualsiasi altra cosa al mondo".

Ludwig annuì. "Jutta... Hai un legame molto forte con lei, vero?".

"La minaccio di morte ogni volta che la incontro e non sta zitta nemmeno ad ammazzarla a dire il vero, ma Jutta è la migliore amica che abbia mai avuto ed è probabilmente quella che mi conosce meglio".

Lo gnomo alzò il viso su di lui. "Jutta conosce il tuo segreto, è l'unica. Solo tu e lei sapete cosa nasconde il lago di Valdurna, giusto?".

Il viso di Mattheus, a quelle parole, si fece serio. "Già, allo stato attuale, solo io e Jutta...".

Mastro Ludwig abbassò lo sguardo. Poi, sospirando, tornò ad osservare Elke. "La ragazza albina vuole essere la tua assistente, eh? La ritieni davvero idonea?".

"Sì".

"Posso chiederti il perché?".

Mattheus non rispose subito. Piegò le ginocchia, appoggiandosi poi col mento. "E' diversa dalle altre persone, ha un animo puro, intelligenza, coraggio e una gran testa dura. E' vissuta lontano dagli uomini, è cresciuta circondata dalle montagne e dagli animali che le popolano e da loro ha saputo apprendere il meglio. Se resiste al mio caratteraccio può farcela".

"E' una ragazza albina e lo sai anche tu Mattheus, le persone albine di solito non hanno vite né troppo lunghe né troppo felici. Non vorrei che tu sprecassi il tuo tempo con lei; gli albini sono odiati e scacciati da qualsiasi posto, non sopravvivono con facilità al mondo che li circonda e davanti a un destino avverso non puoi fare niente nemmeno tu".

"Lei ce la farà! E comunque sia, finché resta a Pennes con me, difficilmente correrebbe pericoli. La gente del paese ha il terrore di avvicinarsi troppo a me ed alla mia casa e viene solo per estrema necessità. Non avrebbero il fegato di attaccare qualcuno che ritengono sotto la mia protezione. Non la amano, questo è certo. Ma non le faranno mai del male".

"Non la potrai proteggere per sempre".

"Lo so". Mattheus scosse la testa. Non aveva ancora capito né cosa fosse stato, né il perché. Ma le parole di Mastro Ludwig lo avevano messo di cattivo umore. "Ma posso insegnarle come stare al mondo in modo che un giorno possa cavarsela da sola".

In quel momento i due gnomi corsero davanti a loro. "L'argilla per Mattheus è pronta" – esclamarono, mentre altri gnomi trascinavano a fatica un grosso sacco.

Mattheus annuì. "Perfetto! E' ora di tornare a casa allora". Si alzò, richiamò i nani accanto a se e poi si avvicinò ad Elke che ancora non si era staccata dalle tre fate. "Lascia stare le fatine della neve e sbrigati. C'è molta strada da fare e tu...".

Elke si voltò verso di lui, poi adocchiò il grosso sacco che riposava a terra. "Lo devo trasportare io?" chiese, deglutendo.

Mattheus annuì, con un ghigno malefico sulle labbra. "Ovviamente".

"E' pesante per lei" – intervenne Falko, correndo verso di loro.

Anche Drago sembrava preoccupato per la ragazza. "Mattheus, sarebbe meglio dividerci il carico, Elke non può...".

"Elke porterà quel sacco da sola. Fine del discorso!". Lo stregone si voltò verso la ragazza,il suo viso era serio e la sua era un'espressione di sfida. Il malumore dovuto a qualcosa che Ludwig aveva detto su Elke non se n'era andato e il suo istinto gli stava gridando che in quel momento doveva essere duro con lei. Non era come le altre volte, non era per scherzo, si rese conto che insegnarle a vivere come lui era l'unico modo che aveva per proteggerla. "Qualcosa da dire in contrario, figlia del diavolo?" - chiese, in tono volutamente duro.

Anche il viso di Elke si indurì. "No, nulla da dire" – mormorò, fredda e allo stesso tempo impaurita da quello strano modo di fare dello stregone, mettendosi il sacco sulla spalla.

Mattheus si avvicinò a lei a passo svelto, nervoso. "Non guardarmi a quel modo, Elke. Non sfidarmi, non ti conviene. A meno che tu non voglia uscirne con le ossa rotte, fai quel che ti dico senza battere ciglio. D'accordo?".

L'atmosfera si fece pesante. Gli gnomi arretrarono, salutarono frettolosamente Mattheus e sparirono fra la fitta vegetazione. Quando lo stregone diventava rabbioso e serio, sapevano che era meglio stargli ben lontani.

Mastro Ludwig fu l'ultimo ad andarsene. Salutò Mattheus e poi i nani. Infine, con un cenno del capo, Elke."Fa quello che ti dice lui, sempre". E scomparve anch'esso fra i tronchi degli abeti.

"Non ho altra scelta" – mormorò Elke, sorpassando lo stregone senza degnarlo di uno sguardo.

Mattheus si accodò a lei senza perderla di vista, era stanca e il sacco da trasportare era indubbiamente molto pesante per lei. Un pò gli dispiaceva, ma non si sarebbe offerto di aiutarla. Per quanto la vedesse faticare, non avrebbe mosso un dito.

"Mattheus...".

Le voci di Drago e Falko, accanto a lui, lo fecero sussultare. Abbassò lo sguardo e li guardò in viso con aria truce. "Smettetela. Il sacco lo porta lei, punto!".

"Ma...".

A quel punto, fu Elke a intervenire. "Lasciate stare, siete gentili, ma lo porto io fino a casa. Fosse l'ultima cosa che faccio..." - disse. Parlava con i nani, ma il suo sguardo era fisso su Mattheus. Uno sguardo rabbioso, di sfida e allo stesso tempo confuso.

"Brava. E allora non perdere tempo a parlare e cammina". Anche lo sguardo di Mattheus era fermo, irremovibile.

Camminarono, in silenzio, per tutto il tragitto. Si era fatto buio, l'aria era pungente e quando arrivarono, Pennes era immersa ormai in una muta oscurità.

Giunti davanti a casa Elke fece cadere a terra il sacco. Aveva le guance rosse, il fiato corto e una ciocca di capelli ribelli le era sfuggita dalla treccia che si era fatta quella mattina dondolando fra la sua guancia e la sua fronte. "Eccotela, la tua dannata argilla!" - sbottò.

Mattheus si chinò a prendere il sacco. "Non parlarmi con quel tono".

Drago tossicchiò. "Ehm... Su dai, siamo tutti stanchi. Andiamo a dormire e non pensiamoci più".

Mattheus annuì. "Sì Drago, tu e Falko potete andare a dormire. Elke no, lei resta quì" – disse, aprendo la porta e spingendo la ragazza in casa.

I nani fecero per replicare, ma lo sguardo di Mattheus non ammetteva repliche. Diedero un'ultima occhiata alla ragazza e poi corsero su per le scale, diretti nella loro stanza.

Mattheus sistemò il sacco in un angolo del salone, poi si sedette ad una delle sedie del tavolo in legno che troneggiava al centro della stanza. "Accendi il fuoco nel camino, fa freddo" – ordinò a Elke, rimasta in silenzio vicino alla porta.

"No".

"Cosa significa 'no', figlia del diavolo?".

"Che se hai freddo, il fuoco te lo accendi da solo".

"Davvero?". Con aria di sfida, Mattheus si tolse le scarpe, prese una seconda sedia e ci appoggiò sopra i piedi, accavallando le gambe. "Io non credo proprio... Ti avverto Elke, o accendi quel dannato camino o io ti terrò qui tutta la notte. Non sono per niente stanco, non andare a dormire non sarà un problema per me".

Elke si morse il labbro. Poi, con un sospiro, si avvicinò al camino, si inginocchiò e cominciò a buttarci dentro piccoli arbusti secchi, prendendoli dal cesto della legna. Poi, da un cassetto, prese un acciarino e la pietra focaia, li sfregò fra loro e in un attimo apparvero le prime scintille. I rametti secchi presero fuoco e il camino fu acceso nel giro di brevi istanti.

"Bene, non ci voleva poi molto, no?" - commentò Mattheus, freddo. Si aspettava un'altra rispostaccia, un altro sguardo duro da parte della ragazza, ma questa volta non successe nulla. Osservò Elke che, anche se il fuoco ormai era acceso, non si era mossa di un centimetro dalla sua posizione e se ne stava seduta davanti al camino con lo sguardo basso. "Elke?".

La ragazza non rispose, di nuovo. Alzò la mano e se la portò al viso, asciugandosi le lacrime che cadevano copiose sulle sue guance.

Mattheus spalancò gli occhi, sorpreso. Non si era accorto che stesse piangendo. "Che cosa fai? Elke?". Per un breve istante entrò in panico, non era avvezzo ad avere a che fare con le altre persone e men che meno con una ragazza che piangeva. Per la prima volta in vita sua si trovò in impaccio e senza sapere cosa fare, ma una cosa era certa, non avrebbe ceduto; anche se vedere Elke piangere lo metteva in grandissima difficoltà non avrebbe abbassato la testa. Per un breve istante si chiese se non avesse esagerato e se non fosse stato troppo duro con lei, ma le parole di mastro Ludwig continuavano a ronzargli in testa come api fastidiose

"E' una ragazza albina e lo sai anche tu Mattheus, le persone albine non hanno vite né troppo lunghe, né troppo felici, di solito".


Lo aveva messo di cattivo umore e capì che non poteva permettere che succedesse. Non poteva combattere il destino delle persone, ma poteva fare in modo che Elke imparasse a cavarsela sempre. "Elke, se ti aspetti che ora venga lì ad asciugarti le lacrime, ti sbagli di grosso. Quindi, per favore, smettila di piangere e vieni qui. Tu ed io dobbiamo parlare".

"No...".

Mattheus sospirò. "Elke, ti ho detto...".

La ragazza singhiozzò, di nuovo. "Non voglio... Tu... Tu ti prendi gioco di me e ti diverti a trattarmi male. Credevo fossi diverso ma invece... sei proprio come tutti gli altri".

Mattheus scosse la testa. "Elke, ti ho detto di venire qui. Per favore, non farmelo ripetere".

La ragazza, in tutta risposta, si accasciò contro la fredda pietra del bordo del camino. "Non voglio e non mi importa se ti disubbidisco e se per questo vorrai cacciarmi via. Tanto a questo punto tornare dai miei genitori, al mio villaggio, non sarà tanto peggio che stare qui".

Mattheus si morse il labbro, Elke aveva una dannata testa dura e non si sarebbe mossa da quel camino. Stavolta fu costretto ad ammettere che doveva essere lui a cedere. Pensieroso si alzò dalla sedia, salì le scale e raggiunse la sua camera. Poi, sempre silenziosamente, ritornò nel salone, portando fra le mani una pigna di libri, delle pergamene e una boccettina d'inchiostro. Li appoggiò al tavolo e si avvicinò alla ragazza. "Elke, alzati e vieni a sederti quì" – disse, indicandole una sedia.

Lei scosse la testa. "No".

Con un lungo sospiro, Mattheus si inginocchiò per essere alla stessa altezza di Elke e riuscire a guardarla in viso. Era seriamente in difficoltà in quel momento. Per tutta la sua vita aveva avuto a che fare con gente che lo temeva, che faceva quel che lui diceva senza obbiettare e che non avrebbe mai osato dirgli un no. Così era comodo, non c'era confronto, solo muta ubbidienza. Elke era diversa, non era avvezza al contatto con le altre persone, non seguiva il modo di fare di tutti gli altri e con lei doveva usare metodi diversi per farsi ascoltare. "Elke, per favore... alzati da quì e vieni a sederti a quel dannato tavolo".

La ragazza alzò il viso su di lui, lievemente. Piangeva ancora, silenziosamente. A stento si sentiva il suo respiro... Indietreggiò, quasi spaventata dall'averlo tanto vicino. "Se non lo faccio, mi vorrai picchiare?".

Mattheus spalancò gli occhi. Quel timore che le leggeva in viso e quella domanda, stranamente lo ferirono. "No! No di certo. Ho un gran brutto carattere ma posso giurarti che non ti sfiorerei nemmeno con un dito. Te lo giuro...". Si alzò in piedi, arretrando di alcuni passi per darle il tempo di calmarsi. Era turbato e non si era mai sentito così, si era sempre creduto infallibile, ma in quel momento, per la prima volta in vita sua si sentiva smarrito. "Elke, ascoltami... Tu sei venuta da me, mi hai chiesto di essere la mia assistente e di insegnarti quello che so'. Ritieniti fortunata ad essere qui, perché di norma io dico sempre di no davanti a questo genere di richieste. Vuoi essere come me, imparare quel che so io, giusto? Beh, sto cercando di insegnartelo. Il lavoro che oggi hai svolto insieme a Falko e Drago, dividendovelo fra voi, è quello che io ho fatto da solo per anni; prima che arrivaste voi io mi occupavo della casa, mi recavo da solo al lago di Valdurna e, sempre da solo e a piedi, riportavo indietro i secchi pieni d'acqua, andavo sulla montagna a cercare quello di cui avevo bisogno e certe volte non riuscivo nemmeno a dormire perché le cose da fare erano troppe per potermelo permettere".

A quelle parole, Elke smise di piangere e Mattheus capì di avere la sua attenzione. "Lo vedi anche tu: la mia magia, la maggior parte delle cose che utilizzo per le mie pozioni e i miei incantesimi, sono cose naturali che mi regalano la montagna e le foreste. E' un lavoro continuo, non si finisce mai di avere bisogno di qualcosa e bisogna faticare, camminare, scarpinare sotto il sole e la neve per ottenere quel che si desidera. Tu vuoi essere come me e questa è la mia vita ed è fondamentale che tu lo capisca, se vuoi davvero raggiungere il tuo scopo. Cosa credevi? Che essere uno stregone consistesse nell'indossare un cappello a punta, usare una bacchetta magica e che tutto arrivasse così, per magia, senza fare fatica? Non è così Elke, purtroppo...".

La ragazza piegò le ginocchia e vi affondò il viso. "Non ci avevo pensato".

"Non importa. Capisco come ti senti adesso ed è normale, non ci sei abituata e sei stanca". Mattheus allungò una mano verso di lei. "Su dai, alzati adesso. E per favore, vieni a sederti a questo dannato tavolo".

Elke allungò una mano e Mattheus la strinse nella sua. La aiutò a rialzarsi e gentilmente le fece strada fino alla sedia. "Su, siediti ora. E prendi in mano quella penna" – le intimò gentilmente, indicandole quanto aveva riposto sul tavolo.

Elke si strofinò gli occhi arrossati. "Non so' scrivere, te l'ho detto".

"Ma puoi sempre imparare".

La ragazza scosse la testa. "Non voglio. Sei già insopportabile nelle normali faccende quotidiane, non credo che riuscirei a sopportarti anche come maestro".

Mattheus ridacchiò. Dopo tutto, era dotata di un interessante e divertente sarcasmo. "Hai ragione, sarei un insegnante molto severo. Ma se mi ascolti, se saprai farti guidare da me, ti giuro che cercherò di essere quanto meno sopportabile. E’ importante che tu impari a leggere e a scrivere". Si avvicinò ai libri che aveva appoggiato sul tavolo, sfiorandoli con la mano. "Tu sai molte cose Elke, conosci le erbe curative, sai ad esempio che l'anice cura il mal di pancia e che i fiori di camomilla aiutano a prendere sonno. Ma dimmi, sai perché queste piante e tutte le altre che conosci, hanno questi effetti?".

"No".

"I libri possono insegnartelo. Ti possono insegnare questo e un sacco di altre cose: la storia, la geografia, la morfologia delle montagne, il perché di tutto quel che ti circonda. Se vuoi essere come me dovrai sapere tutto quello che dicono questi libri. E mille altri ancora. Non si impara mai abbastanza, inoltre, leggere è davvero bello, sviluppa la fantasia e fa sognare. Vuoi imparare a leggere e a scrivere? Vuoi almeno provarci?".

Elke scosse la testa. "Mio padre diceva che era inutile che le donne sapessero leggere. Che abbiamo il cervello troppo piccolo per imparare e che l'unica cosa che dobbiamo saper fare è badare alla casa".

Mattheus sbuffò. "Ogni volta che mi parli di tuo padre, la mia stima verso di lui precipita sempre più". Le andò vicino, prendendole la mano destra fra la sua mano. "Ti dimostro che puoi farlo, che puoi scrivere" – mormorò, mettendole fra le dita la penna.

"Non so nemmeno da che parte iniziare. Non mi va...".

Mattheus sorrise. Non si sarebbe fatto scoraggiare, non avrebbe ceduto. Era importante per Elke. Sapeva che era stanca, provata dalla dura giornata e dal pianto che aveva appena fatto, ma sarebbe arrivato fino in fondo. Prese una pergamena, la mise davanti alla ragazza e poi guidò la sua mano destra fino alla boccettina d'inchiostro, costringendola ad immergervi la penna. La sua mano strinse quella di Elke, le loro dita si intrecciarono e piano, segno dopo segno, lettera dopo lettera, la guidò a scrivere una parola.

"Cos'è?" - gli chiese la ragazza quando ebbero finito, fissando quei segni senza alcun significato ai suoi occhi, che avevano appena tracciato sul foglio.

"E' il tuo nome, si scrive così. Sei anche fortunata, è corto".

Elke spalancò gli occhi. "Cosa?". Guardò il foglio, sorpresa, quasi senza fiato. Quei segni, quelle linee... Le sue dita, esili e lunghe, sfiorarono il foglio. "Questa sono io?" - chiese, incredula.

Mattheus sorrise. "No, questo è solo il modo in cui si scrive il tuo nome. Tu sei molto altro, molto più di questo".

Elke tornò a fissare il foglio, a bocca aperta. "Ho scritto il mio nome" – esclamò eccitata, ormai dimentica delle lacrime e della tristezza di poco prima.

Mattheus scosse la testa. "No, non l'hai scritto, sono io che ho guidato la tua mano. Ma se vorrai imparare, io ti insegnerò il significato di ogni singolo segno, di ogni lettera che abbiamo tracciato e presto potrai farlo davvero da sola. Senza il mio aiuto! E leggere ti verrà naturale, sarà un gioco da ragazzi! Ti fidi di me?".

"Sì".

"Vuoi imparare?".

"Sì".

Mattheus lasciò la sua mano. "Bene, allora te lo insegnerò, da domani. Ora vai a letto, è tardi e sei stanca, giusto?".

Elke sorrise. "Si, un pò". Si alzò dalla sedia e a piccoli passi si avvicinò a lui, abbracciandolo ed affondando il viso nel suo collo. "Grazie Mattheus".

Lo stregone, per la seconda volta nella giornata, si trovò in difficoltà. Così come non era capace di rapportarsi con una ragazza che piangeva, non era nemmeno avvezzo a gestire atti di affetto rivolti alla sua persona. Era sempre stato cinico e distaccato da tutto e tutti. Con Elke era tutto diverso: lei era pura, sincera, spontanea in ogni cosa che faceva. Quando incoccava l'arco aveva in se la natura selvaggia delle montagne, dei boschi, dei freddi inverni e delle tormente di neve, ma i suoi occhi erano puri e trasparenti come i ruscelli d'alta montagna ed ingenui e dolci come quelli di un cerbiatto appena nato. Gli esseri umani con le loro stupide leggi non l'avevano scalfita, contaminata, rovinata, ed era riuscita a crescere libera dai condizionamenti sociali e dalle cattiverie della gente che la circondava. Elke era quanto di più bello avessero creato quelle montagne in cui vivevano e racchiudeva in se tutto quello che lui amava delle Dolomiti. Aveva il calore del sole che splende sulle cime, capelli che gli ricordavano il candore della neve, sulla pelle il profumo degli abeti e dei fiori che ricoprivano interamente quelle montagne. Quasi d'istinto rispose al suo abbraccio, stringendola a se, giurando a se stesso che non avrebbe mai permesso che le succedesse niente di male. "Vai a dormire, è tardi" – mormorò, fra suoi capelli, rendendosi conto che abbracciare qualcuno era infinitamente piacevole.

"Va bene".

"E..." Mattheus ridacchiò. "Non ti illudere che sarò un maestro tenero. Sarò severo ma non pretenderò mai da te nulla che tu non sia in grado di fare. In ogni cosa Elke, lo giuro! Non ti chiederò mai niente che non sia nelle tue possibilità. E ora, detto questo, ti devo chiedere un favore".

"Quale?".

Mattheus sospirò. "In futuro evita di piangere se non è strettamente necessario. Mi metti... ehm... in difficoltà. Non farlo più, per favore".

Elke sorrise, di nuovo. "Va bene. Non piangerò mai più Mattheus".

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


Capitolo sette


"Drago, quando ti ho chiesto di lavare i pavimenti delle camere, non intendevo che dovevi allagarli, le scale si sono trasformate in un fiume in piena, nel caso non te ne fossi accorto. Falko, quando ti ho chiesto di accendere il fuoco nel camino, intendevo che il fuoco doveva rimanere DENTRO al camino, invece hai rischiato di incendiare tutta la mia baita e ci hai intossicati tutti col fumo. Elke, quando ti ho chiesto di prendere un po' di basilico dai vasi, intendevo due o tre foglioline, non volevo che tu sradicassi tutta la pianta, radici comprese". Mattheus si portò la mano destra alle tempie, prendendo a massaggiarle. "Grazie a voi, ho un mal di testa atroce e il pesante sospetto che prima o poi mi raderete al suolo la casa. Mi farete impazzire, me lo sento".

"Ci spiace, Mattheus" – risposero in coro i tre accusati, a sguardo basso.

"Si si certo, immagino...". Lo stregone scosse la testa e prese il suo cappello, avviandosi verso la porta. "Io esco, oggi starò via tutto il giorno. Grazie al cielo, per molte ore, non vi avrò attorno. Mi raccomando, non fate NIENTE in mia assenza. State fermi, non toccate, non prendete iniziative e non disintegratemi la casa. Mettetevi a letto, riposatevi, dormite e soprattutto, state fermi!".

"Ma dove vai?" - chiese Elke, incuriosita. La ragazza osservò fuori dalla finestra. Il cielo era grigio, l'aria si era fatta fredda e le cime delle montagne erano imbiancate dalla prima neve di stagione. E se tanto le dava tanto, il vento le indicava che presto anche Pennes sarebbe stata imbiancata. "C'è un tempo pessimo, ti converrebbe non uscire oggi".

"Ho da fare, ve l'ho già detto che oggi non posso stare a casa".

Elke e i nani si guardarono in viso, accigliati. Era dalla sera prima che era strano, diceva mezze frasi e rimaneva vago su quel che avrebbe fatto durante la giornata successiva. Di solito li coinvolgeva in tutto quel che faceva, usandoli per svolgere i lavori al suo posto, ma stavolta no, stavolta aveva detto chiaro e tondo che sarebbe uscito da solo.

"Portaci con te, possiamo darti una mano e farai prima!" - propose Elke. In realtà era incuriosita da quel modo di fare misterioso che teneva Mattheus, più che vogliosa di lavorare.

Lo stregone sbuffò, mettendosi in testa il suo cappello e sulle spalle il pesante mantello di lana che indossava ormai da alcuni giorni quando usciva. "Per carità! Un giorno lontano da voi tre, un giorno di pace senza che voi mi diate il tormento, un giorno da solo! E' tanto che aspetto questo momento e no, non verrete con me. A patto che non rompiate niente in mia assenza, oggi potrete fare quel che vorrete. Sarà la vostra giornata di riposo, ecco. E anche la mia...". E detto questo, aprì l'uscio e uscì, lasciando soli i suoi tre ospiti.

"Comportamento strano, molto sospetto. Secondo me ci nasconde qualcosa" – borbottò Falko.

Elke si appoggiò al muro, incrociando le braccia pensierosa. "Si, molto sospetto. E' strano che non voglia farci lavorare al suo posto".

Drago improvvisamente spalancò gli occhi, come se fosse stato colto da un'improvvisa folgorazione. "Ho capito! Ha un appuntamento romantico con una donna! Per questo non ci vuole fra i piedi!".

Elke e Falko lo guardarono per un secondo a bocca aperta. E poi gli scoppiarono a ridere in faccia. "Mattheus innamorato? Ahahah, Drago, tu devi essere impazzito. E' assurdo, ridicolo".

Drago in un primo momento si imbronciò davanti a quella reazione, poi però scoppiò a ridere come il fratello e la ragazza albina. "Si, forse avete ragione. Figuriamoci se quello può innamorarsi. E soprattutto... è matematicamente impossibile che una donna si possa innamorare di lui. Le spaventa tutte e le fa scappare, anche quelle belle e giovani".

"Già". Elke ci pensò su un po'. Era curiosa, dannatamente curiosa di vedere quel che doveva fare Mattheus. "Sentite, ho un'idea! Seguiamolo di nascosto, senza farci vedere. Tanto non abbiamo niente da fare oggi".

Drago impallidì. "Sei matta? Se ci scopre, ci torturerà a vita".

Elke sorrise. "Non ci scoprirà. E poi ci ha detto di non toccare nulla in casa e di uscire, se ne abbiamo voglia, non mi sembra di ricordare che ci abbia vietato di fare la sua stessa strada... Non preoccupatevi, se dovesse scoprirci e arrabbiarsi, mi prenderò io la colpa".

I due nani sembravano ancora scettici, ma Elke non diede loro modo di obiettare ulteriormente: li spinse fuori casa e chiuse la porta dietro di se, con fare deciso. "Niente ma, in fondo siete curiosi anche voi, giusto?".

"Beh si, però...".

"Niente tentennamenti, dai! Sarà divertente". Elke sorrise, accarezzando loro la testa e facendo cenno di incamminarsi.

I nani sbuffarono e, non potendo fare altrimenti, la seguirono.

Percorsero il villaggio frettolosamente, mentre i pochi abitanti di Pennes che sostavano nelle strade li guardavano con sospetto. Elke non ci fece caso, ci era abituata, ma i nani sembravano a disagio ad aggirarsi per il paese senza Mattheus.

La ragazza se ne accorse, accelerò il passo e in breve, senza che nessuno rivolgesse loro parola, superarono la piazza del paese e dopo aver sorpassato le ultime baite si diressero verso il sentiero che dal villaggio si inerpicava per il bosco e poi più su, verso le cime dei monti. Mattheus non poteva che aver percorso quella strada, l'unica che portasse dal paese all'alta val Sarentino.

A un certo punto, Elke dovette rallentare il passo. I nani ce la mettevano tutta ma le loro gambette corte gli impedivano di essere veloci come lei. Osservò le cime dei monti innevate e il vento freddo che, dalla vetta, scendeva giù a valle, sferzandole il viso. Rabbrividì. Faceva freddo e si accorse che non era più abituata come una volta al gelo degli inverni di montagna. Vivere in una vera casa, con un camino sempre acceso, le aveva fatto scordare in fretta com'era vivere fra i boschi e i monti in condizioni avverse. Sorrise. In fondo quella scampagnata le avrebbe fatto bene; le mancavano le camminate solitarie, il profumo dell'erba e del muschio, il meraviglioso cielo stellato che si poteva ammirare dai pascoli d'alta montagna, il contatto con la natura e gli animali.

"Che strada facciamo? Sei proprio sicura che Mattheus sia andato da questa parte?" - chiese Falko, guardandosi attorno guardingo.

"Non proprio sicura, ma questa è la strada che facciamo sempre con lui, quando ci porta da qualche parte. Dai, tentiamo. Al massimo, se fra un po’ non lo troviamo, torniamo indietro, anche perché temo che nevicherà prima di sera".

"E se ci attaccassero i lupi? Ti ricordo che senza Mattheus, siamo disarmati. Lui, con quella sua dannata acqua, può fare qualunque cosa" – insistette Falko.

Elke sospirò. "Ho con me il mio arco, nel caso ce ne fosse bisogno vi difenderò io. E comunque, i lupi non attaccano se li si rispetta e li si lascia stare. Vanno per la loro strada. Ne ho visti un sacco nel corso della mia vita, anche da bambina, e non mi hanno mai fatto del male".

Drago e Falko si guardarono in viso, scettici. "Sarà...". In silenzio si incamminarono alle spalle di Elke, salendo la montagna.

Il bosco era fitto, gli aghi di pino sembravano spilli congelati e il terreno era duro e scricchiolava al loro passaggio.

Elke si guardò attorno, gettando di tanto in tanto uno sguardo davanti a se nel tentativo di scorgere Mattheus, ma non lo vide, non riuscì né a sentire i suoi passi né a scorgere la sua ombra. Tutto era muto e silenzioso nel bosco, ogni animale dormiva e le uniche presenze sembravano essere lei e i due nani. Quando cominciò a dubitare di quella scelta, a credere di essersi sbagliata e di aver commesso un errore a portare i nani in montagna con quel tempo avverso, intravide una lucina conosciuta davanti a se. "Jutta..." - sussurrò, rinfrancata dal vedere la fatina volare nella loro direzione.

"Ciao Elke, ciao ragazzi!" - esclamò la fata, sorpresa di vederli da quelle parti. "Che ci fate quì, con questo tempo, voi tre?".

La ragazza albina arrossì, Era imbarazzante dare l'impressione di essere un'impicciona. "Beh, seguiamo Mattheus,o almeno, ci stiamo provando. Stamattina faceva tutto il misterioso ed è uscito di casa senza dirci dove andava e dicendo che non ci voleva attorno".

"Mh...". Jutta volò sulla testa di Elke, per poi posarsi sulla sua spalla. "Capisco. Se sa che lo state seguendo di nascosto, si arrabbierà. Lo sai, vero?".

"E' quello che penso anch'io" – borbottò Drago – "Ma Elke non ha voluto darci retta".

Jutta si fece pensierosa. Poi, dopo qualche istante di meditazione, sorrise. "Ora capisco perché giravate per i boschi da soli senza di lui. Era un pò che vi tenevo d'occhio".

Elke spalancò gli occhi. "Davvero? Non ce ne siamo accorti".

La fatina ridacchiò. "Noi fate siamo brave a nasconderci, ma osserviamo sempre tutto e tutti. Ci facciamo vedere solo quando e da chi vogliamo. Chissà quante volte sei stata vicina a una fata senza saperlo, ".

"Può darsi". Elke sbuffò, osservando il fitto bosco che li circondava. "Quindi, se sei con noi, suppongo che nemmeno tu sappia dov'è andato Mattheus".

Jutta sbatté le ali, volando sulle teste di Elke e dei nani. Poi si posò sul ramo di un abete. "Beh sì, credo di saperlo, ma non lo troverete mai seguendo il sentiero principale".

Elke fece un sorriso birichino. "Puoi metterci sulle sue tracce allora?".

Jutta annuì. "Sì. In fondo credo sia un bene che vediate quel che deve fare oggi, vi servirà per conoscerlo un po’ meglio".

I due nani si guardarono in viso, non molto entusiasti dell'aiuto di Jutta. Sembravano terrorizzati da quel che avrebbe potuto far loro Mattheus, qualora li avesse scoperti. "Conoscerlo meglio? Ah guarda, noi due abbiamo già un quadro preciso del suo caratteraccio".

Jutta scosse la testa. "Sbagliato! Voi Mattheus non lo conoscete per niente. Anche se sì, devo ammettere che ha un carattere davvero difficile. Ora basta parlare, seguitemi" – ordinò, volando lontano dal sentiero principale per addentrarsi nell'intrico di piante e muschio del bosco.

Elke la seguì tranquillamente, a differenza di Falko e Drago. Era incuriosita non solo da quello che aveva da fare quel giorno Mattheus, ma anche di saperne di più su quello strano stregone che aveva aperto loro le porte di casa sua. "Jutta, tu Mattheus lo conosci da tanto, vero?".

La fatina annuì. "Oh, sì da tanto. La prima volta che l'ho visto era un ragazzino, aveva forse quattordici, quindici anni al massimo. Aveva i capelli più lunghi di adesso, gli arrivavano alle scapole e li teneva legati in una coda di cavallo. E aveva la lingua lunga e la risposta sempre pronta, credeva già di sapere tutto dalla vita".

"Beh, non è mica cambiato troppo da allora" – borbottò Drago.

Jutta sorrise.

"All'apparenza no. Mattheus è cinico, brontolone, sarcastico e con un carattere da vero orso. A volte andrebbe preso a testate per quel suo modo di fare da somaro! La verità però è che lui molto di rado permette alle persone di conoscerlo davvero. Sotto quella scorza esteriore da lupo ringhioso, c'è una persona ben diversa da come la conoscete voi, è un lato di se che mostra solo alle persone di cui si fida e che ama davvero. Mattheus è intelligente ed anche sensibile, anche se è difficile da credere, e voi dovete ritenervi fortunati ad averlo incontrato. Sappiate che difficilmente permette a qualcuno di avvicinarsi a lui, alla sua casa e alla sua vita e che per voi è un onore vivergli accanto ed averlo come maestro di vita. Ascoltatelo e lui farà di voi tre, persone migliori".

"Si ma... allora perché fa così? Perché fa scappare tutti? Potrebbe essere la persona più amata e venerata di tutta la valle, con quel che sa fare". Se quello che Jutta diceva corrispondeva al vero, il comportamento di Mattheus risultava ancora più incomprensibile per Elke.

Jutta si fece pensierosa. "Lui non vuole legami. Avere amici o provare amore per qualcuno lo renderebbe vulnerabile e attaccabile. Affetto e amore possono rendere felici, ma possono anche far soffrire molto. Stando solo, evita tutto questo. E mantiene la sua forza".

"Io credo che sia sbagliato fare così" – mormorò Elke.

Jutta le volò sulla testa, sedendosi sui suoi capelli. "Lo penso anch'io ed è per questo che spesso lo maltratto e gli tiro i capelli. Quando imparerà ad essere più bravo, smetterò".

"Beh, forse fa così perché ha avuto una vita difficile in passato" – azzardò Falko, mettendosi le mani in tasca per ripararsi dal freddo. Man mano che avanzavano nel bosco, il gelo aumentava.

"Mattheus non parla mai del suo passato, in effetti. Sicuramente sarà stato doloroso come dice Falko" – azzardò Elke.

Jutta scosse la testa. "No, vi sbagliate. Mattheus non ha avuto una brutta vita. La vostra, di voi tre, è stata sofferta nei primi anni, ma non la sua! Mattheus ha avuto accanto una famiglia che lo adorava e che per lui faceva di tutto. Non erano ricchi ma nemmeno poveri e a casa sua non sono mai mancati né cibo né bei vestiti caldi. Mattheus è figlio unico ed è nato dopo molti anni di matrimonio, quando i suoi genitori erano avanti con gli anni ed erano ormai convinti di non potere avere figli. Lo hanno atteso, desiderato ed amato dal primo istante in cui lui è entrato nelle loro vite".

"Allora, è proprio un comportamento incomprensibile il suo" – concluse Elke. Però c'era una cosa che non le tornava... "Scusa Jutta, ma se a casa sua stava tanto bene, perché è venuto quì a Pennes? Lui non è nativo della Val Sarentino, da quel che si dice in giro".

"No infatti! Mattheus è nato a Ratschings, in Val Ridanna".

"E perché si è stabilito quì? Che ne è stato della sua famiglia?".

L'espressione di Jutta si incupì, a quelle domande. "Elke, credo che queste, se mai lui lo vorrà, siano cose che tu devi chiedere a Mattheus. Non è giusto che te le dica io, sono faccende private per lui, di cui non parla volentieri".

Elke non rispose, restando a fissare in silenzio la fatina. Jutta conosceva bene Mattheus, in ogni suo piccolo o grande segreto, sapeva cosa dire e cosa tener celato di lui, come solo una buona amica sa fare. La rispettava per questo e non le avrebbe fatto altre domande. "D'accordo, non ti chiederemo più niente. In fondo si può capire anche dai silenzi qualcosa delle persone".

"Hai detto una grande verità, Elke. Cos'hai capito che io non ti ho detto?".

Elke prese la fatina fra le mani, stringendola delicatamente. "Che non è proprio tutto così lineare, giusto? Che non c'è solo la sua infanzia serena ma c'è dell'altro. Non so cosa e non te lo chiederò,ma sono abbastanza certa che Mattheus sia venuto a vivere qui a causa del lago di Valdurna e che, legato a quel lago, c'è qualcosa di meno felice della sua infanzia".

Jutta la guardò negli occhi. "Sei intelligente Elke, molto deduttiva e molto sensibile. Credo di capire perché Mattheus ti ha tenuta con se. Ascoltalo sempre, non farti scoraggiare dal suo carattere, tieni duro. Sarai ricompensata... Lui è molto migliore di quel che vuol sembrare, posso giurartelo. Se ti fiderai di lui, se saprai anche volergli bene, lui forse ne vorrà a te e un giorno ti racconterà quel pezzo della sua storia che ti manca".

Elke sbuffò. "Suppongo di dover ampliare di molto la mia dose di pazienza, giusto?".

Jutta scoppiò a ridere. "Oh si, stanne certa".

Camminarono ancora a lungo, sul terreno sconnesso e ghiacciato. La montagna in inverno poteva essere tanto incantevole quanto ingannevole e impietosa: bastava un passo falso e rischiavi di scivolare giù senza che nessuno potesse far nulla per aiutarti.

Nell'aria, come per incanto, comparvero piccoli fiocchi di neve. I nani cominciarono a borbottare, ma per Elke non era una sensazione spiacevole, quella. La prima neve della stagione, sul viso, la faceva sentire viva e felice, e le dava la sensazione di vivere in un posto incantato che emanava magia anche in inverno, col freddo. "Mi piace..." - sussurrò al vento.

Jutta sorrise, sedendosi sulla sua spalla ed accarezzandogli una guancia. "Sei proprio una creatura delle Dolomiti, tu. Come Mattheus".

Elke guardò il bosco, il muschio, gli abeti su cui la neve stava formando piccoli coriandoli gelati. "Grazie. Lo sai, io credo di essere nata nel più bel posto che esista al mondo".

"Hai ragione" – mormorò Jutta, dandole un piccolo bacio sulla guancia. "Ma ora basta parlare. Dobbiamo fare silenzio o Mattheus ci scoprirà. Siamo arrivati". Con la piccola manina indicò l'imbocco di una grotta nascosta fra le rocce e la vegetazione, a cui si arrivava solo dopo aver oltrepassato un intrico di sterpaglie, foglie e rami spezzati.

Elke e i nani si guardarono in viso, accigliati. Se Jutta non li avesse condotti fin lì, difficilmente avrebbero notato e trovato un luogo tanto angusto e tanto lontano dal sentiero principale.

"Ma che ci fa Mattheus, in un posto simile?" - chiese sotto voce Drago, stringendosi le braccia al corpo per ripararsi dal freddo pungente.

Jutta sorrise dolcemente. "Ora lo vedrete. Ma mi raccomando...".

"Shhh, silenzio" – concluse per lei Elke, ridacchiando.

I tre seguirono la fatina raggiungendo l'imbocco della grotta. Era scuro la dentro, silenzioso e tenebroso, tanto che Elke e i nani rabbrividirono, mentre Jutta, assolutamente tranquilla, volava davanti a loro per fare strada. Camminarono per diversi minuti nei sotterranei della grotta: un dedalo di cunicoli insidiosi e scivolosi, stretti, guidati solo dalla luce delle ali della piccola fata, finché, in fondo all'ennesimo cunicolo, scorsero un bagliore lontano, flebile, quasi impercettibile.

"Siamo arrivati, quella luce dev'essere la lanterna di Mattheus" – sussurrò piano Jutta. "Seguitemi e nascondiamoci dietro quei massi che vedete la in fondo. Da lì vedrete ".

Zitti e quatti, i quattro scivolarono fra le rocce senza fare il minimo rumore; e poi si nascosero dietro ai massi indicati dalla fata. Elke e i nani sbirciarono verso la luce, Si trovavano all'imbocco di un piccolo antro sotterraneo dalla forma cilindrica, largo circa tre metri dove in un angolo, inginocchiato a terra ed illuminato dalla sua lanterna, c'era Mattheus.

"Ma che fa?" - sussurrò Falko, cercando di vedere cosa c'era a fianco dello stregone.

Jutta sorrise. "Guardate attentamente...". La fatina, con l'indice, indicò un grosso animale che, nella penombra, era steso accanto a Mattheus.

Era enorme, dal corpo snello e dal manto candido, ma nonostante la sua stazza, se Jutta non gliel'avesse mostrato, in quell'oscurità non lo avrebbero mai notato. "E' un puledro?" - chiese Elke, notando la folta criniera, il collo, le zampe lunghe ed affusolate e la coda, sinuosa e leggera come poteva essere solo quella di un cavallo.

"No, è un unicorno. Anzi, una femmina di unicorno. E sta per avere un piccolo. Guardate, sulla testa c'è il suo corno d'oro" – spiegò Jutta.

Elke e i nani spalancarono gli occhi, dopo fate e gnomi avevano scoperto che erano realtà anche gli unicorni e Mattheus conosceva pure loro! Ed erano quanto di più maestoso avessero mai visto.

La ragazza albina osservò meglio l'animale, per quanto glielo permettesse la visuale ridotta. Era meraviglioso, sinuoso, elegante e di una bellezza assoluta. Anche solo 'osservarlo nella penombra toglieva il fiato. "Ma Jutta, Mattheus... cosa fa?".

"L'aiuta a far nascere il piccolo. Oggi era il giorno previsto per il parto e Mattheus sapeva di dover venire qui ad aiutarla".

Drago sbuffò. "E chiederà due monete di rame anche a mamma-unicorno, per il suo lavoro?".

A quella domanda, Jutta quasi scoppiò a ridere. "No, stupidotto! Mattheus ha sempre aiutato tutte le creature della foresta e della montagna gratis, a noi non chiede nulla in cambio. Per tutti noi, Mattheus è un amico sincero e per questo ci fidiamo di lui e non abbiamo timore a farci vedere. Ve l'ho detto, il modo in cui si pone con la gente e il modo in cui lui è davvero, sono cose diverse. Dovete conoscerlo, prima di giudicarlo".

Elke si appoggiò alla roccia, senza riuscire a smettere di fissare lo stregone: era talmente assorto da non essersi accorto di loro e delle loro chiacchiere e stava semplicemente lì, seduto, ad accarezzare quello splendido animale che stava per dare alla luce una nuova vita. Il suo tocco sul pelo dell'unicorno le pareva leggero e gentile e non se ne stupiva: in varie occasioni Mattheus le aveva dimostrato quanto fossero delicate e calde le sue mani e ricordava quanto le era parso strano all'inizio se raffrontato al suo modo di fare tanto arrogante e saccente. Ora non se ne stupiva più, ora capiva cosa intendesse Jutta quando diceva che Mattheus era una persona ancora tutta da scoprire per loro. Capiva anche il motivo per cui quella mattina lo stregone non li avesse voluti fra i piedi: per la tranquillità di mamma unicorno, e soprattutto perché non voleva nessuno accanto a lui in quel frangente: non voleva che nessuno potesse vedere chi lui era veramente. Voleva che la gente pensasse male di lui e che lo allontanasse a causa del suo caratteraccio e per questo se ne stava in disparte quando non gli era possibile fare lo scorbutico, come accadeva la maggior parte del tempo.

Improvvisamente mamma unicorno nitrì di dolore; Mattheus le accarezzò il collo ed il muso tentando di tranquillizzarla, sussurrandole all'orecchio parole che loro non potevano sentire.

"Sta nascendo, sta nascendo, evviva!" - bisbigliò Jutta.

Elke si avvicinò ai nani, cingendoli con le braccia e stringendoli a se. Il miracolo della vita... da bambina le era capitato spesso di vedere lupe o altri animali partorire ed ogni volta era rimasta incantata, il cuore le batteva a mille quando vedeva lo spettacolo di una vita che nasce, di un cucciolo che emette il primo vagito e di una madre che lo stringe a se per proteggerlo e rassicurarlo. "Coraggio piccola..." - sussurrò, abbracciando Falko e Drago. Le tornò in mente Maike, la sua piccola amica lupa, l'unico affetto sincero che avesse mai avuto a Tires. L'aveva vista la prima volta da bambina, quando aveva circa cinque anni e vagava nel bosco da sola alla ricerca di qualche cosa di interessante da fare. Ricordava l'aria calda di quella giornata estiva, il cinguettare degli uccelli fra gli alberi, i rami carichi di frutta e gli occhi color ghiaccio di quella lupa comparsa dal folto della foresta quasi per magia, intralciandole la strada. Se fosse stata più grande e consapevole forse ne avrebbe avuto paura, ma era ancora piccola ed ogni animale che incontrava risvegliava in lei semplicemente curiosità e fascino. Erano rimaste a guardarsi negli occhi per lunghi minuti, studiandosi, senza che nessuna delle due facesse un passo in direzione dell'altro. Ricordava quanto fosse rimasta colpita dalla sua eleganza, dal suo sguardo serio ed indagatore, dai suoi movimenti lentissimi ed aggraziati, dal suo pelo lungo, grigio e bianco e ricordava di essere rimasta immobile, di aver capito che doveva lasciar fare alla lupa rispettando i suoi tempi Il bosco, la montagna e persino quel sentiero, appartenevo a quell'animale più che a lei. La lupa non aveva ringhiato allora, né mai lo fece in futuro. Semplicemente, a un certo punto decise che lei non era un pericolo e si avvicinò, strofinandole il muso fra le mani per un attimo prima di sparire di nuovo nel folto della foresta. Da quel giorno ogni tanto le compariva all'improvviso alle spalle, la annusava, a volte si fermava a giocare con lei rotolandosi nei prati, in altre le stava seduta vicina per un po’, per farle compagnia. Quando infine decideva che era ora di andarsene si alzava, le dava una leccatina sulla guancia e spariva nel bosco. Il loro era sempre stato un rapporto rispettoso, Elke non si era mai imposta a lei e aveva sempre lasciato che fosse la lupa a cercarla quando ne aveva voglia. Le aveva dato il nome Maike e così l'aveva sempre chiamata. Con Maike era cresciuta, imparando a capirla, a conoscerla, e quando la lupa aveva avuto le sue cucciolate, le aveva permesso di avvicinarsi tanto da poter accarezzare i suoi piccoli. Li ricordava perfettamente quei minuscoli batuffoli di pelo bianco e grigio, uno ad uno, ricordava lo sguardo di Maike quando li allattava e li stringeva a se e la sua fermezza e dolcezza mentre li preparava ad affrontare la vita.

Era stato un onore conoscerla Maike ed esserne diventata amica ed era sicura che tanto di quella lupa fosse rimasto in lei, crescendo. Si erano donate a vicenda, avevano saputo insegnarsi l'una con l'altra.

Erano stati anni belli quelli, fatti di silenzi, di sguardi e di piccoli e delicati gesti fra loro, di corse prima e di lente camminate dopo, quando la lupa era diventata anziana. Non l'aveva morsa, graffiata e mai si era dimostrata aggressiva nei suoi confronti. E fu così sempre, per tutta la vita di Maike, fino al giorno in cui le disse addio, morendo.

"E' nato!".

La voce di Drago la riportò alla realtà, allontanandola da Maike e da tutti i ricordi a lei legati. Elke si sporse e lo vide...

Il piccolo, dolce unicorno era accoccolato vicino alla madre che lo leccava lentamente e delicatamente. Era nato così, in un soffio, silenzioso e discreto come tutti gli esseri magici viventi sulle Dolomiti. Era piccolo, indifeso e forse spaventato da quel mondo nuovo in cui era capitato. Ma era bellissimo, come tutti i cuccioli.

Mattheus gli sfiorò per qualche istante la testolina su cui spuntava un piccolo abbozzo di quello che sarebbe stato il suo corno d'oro, poi si allontanò per permettere alla madre di conoscerlo e di stare da sola per un attimo con suo figlio.

"Mi son quasi commosso" – singhiozzò Falko.

Jutta, con le lacrime agli occhi, annuì. "Pure io. Ci casco sempre, accidenti!".

"Se vuoi, un buon motivo per frignare te lo posso dare io e subito. Jutta!".

La voce di Mattheus li raggiunse come una folata di vento gelido. I capelli di Falko e Drago si rizzarono, Elke deglutì e Jutta volò indietro di qualche metro. "Oh oh, ci ha scoperti".

"E ora ci ammazza" – concluse Drago.

Lo stregone si avvicinò ai quattro. "Scoperti? Ah, me ne sono accorto subito del vostro arrivo, senza far fatica visto che non state zitti nemmeno ad ammazzarvi. Se volete fare le cose di nascosto in futuro ricordatevi di farle in silenzio".

"Da quanto sai che siamo quì?" - chiese Elke, titubante.

"Da subito,. Ho fatto finta di non sentirvi perché ero occupato in qualcosa di più importante, ma ora...".

Jutta volò davanti al viso dello stregone, scoccandogli un bacino sulla guancia. "E dai, non fare l'orso! Non abbiamo mica fatto niente di male".

Mattheus la fulminò con lo sguardo, mentre con il braccio si strofinava la guancia dove la fatina l'aveva baciato. "Non farlo mai più!".

Jutta alzò le spalle. "Quante storie per un bacetto".

"Questa me la paghi" – borbottò Mattheus, gelido.

Con un sospiro, Elke decise di intervenire per riportare la pace fra i due. "Dai Mattheus, non prendertela con Jutta. Sono stata io ad insistere per seguirti, anche con Falko e Drago. Loro non volevano venire".

"Si certo, nobile tentativo il tuo". Mattheus camminò avanti e indietro, fulminando i suoi tre aiutanti con lo sguardo. "Precisamente, cosa non vi è chiaro quando vi dico di non seguirmi?".

Elke guardò prima Drago e poi Falko, facendo loro l'occhiolino in una tacita richiesta di fare silenzio. Ci avrebbe pensato lei a risolvere la situazione. Si alzò in piedi, uscendo dal nascondiglio dietro le rocce, e si avvicinò a lui a piccoli passi. "Facevi tutto il misterioso e ci hai incuriosito. Dovresti saperlo, se dici a qualcuno di non fare qualcosa, è matematico che quel qualcuno la farà, spinto dalla curiosità".

"Elke, finiscila! Quando dico a qualcuno di non seguirmi, significa che voglio stare solo. E' un concetto facile da capire in fondo!".

Elke scosse la testa, fissando prima Mattheus e poi mamma e cucciolo di unicorno. "Io lo so perché non volevi che venissimo,non vuoi che si sappia che tu sei buono e che aiuti gratis gli esseri magici della foresta".

"Elke, se non stai zitta, ti trasformo in un ratto!".

La ragazza ridacchiò, per niente intimorita. Si sentiva di buonumore in quel momento e abbastanza coraggiosa da prendere un po’ in giro Mattheus. "Oh, non lo farai! Sei buono, terribilmente buono. Ma vuoi che la gente pensi che sei crudele! Così se ne staranno alla larga, giusto? Hai il carattere di un orso, te l'ho detto".

La vena sulla tempia di Mattheus prese a pulsare, convulsamente. "Tre secondi, a tutti e quattro! Se non sparirete vi trasformerò in gatti, per sempre! O in topi! O scarafaggi...".

Elke sorrise, era sicura che non lo avrebbe mai fatto Ed ignorando le minacce di Mattheus cercò con lo sguardo il piccolo unicorno; lo vide tentare di alzarsi sulle sue tremanti zampette per avvicinarsi alla madre che, con sguardo gentile, sembrava aspettarlo. Era dolce quel cucciolo, così piccolo e impacciato. "E' un maschio o una femmina?".

Mattheus sbuffò. "Un maschio".

"Dobbiamo trovargli un nome, ancora non ce l'ha".

Mattheus spalancò gli occhi, sorpreso. "A chi? All'unicorno? Loro non hanno bisogno di nomi, si riconoscono dall'odore della pelle".

Elke scosse la testa. "Tutti abbiamo bisogno di un nome, anche gli unicorni. Persino i miei genitori me ne hanno dato uno, figurati!".

"Elke ha ragione" commentò Jutta, volando a distanza di sicurezza da Mattheus.

"Anche secondo noi..." - sussurrarono da dietro le rocce Falko e Drago.

"Visto?". Elke osservò la mamma unicorno che leccava il musetto di suo figlio che finalmente era riuscito, con passi malfermi ed incerti, a raggiungerla. Il cucciolo aveva un pelo più scuro rispetto alla madre, con tonalità azzurre. "Lui si chiamerà Blue" – disse, sorridendo. Sì, Blue era il nome perfetto per quel piccolo unicorno. "E siccome nemmeno la madre ha un nome, ne daremo uno anche a lei, oggi. E' stupenda, di una bellezza unica e per questo si chiamerà... Belle".

Il visino di Jutta si illuminò. "Belle e Blue... mi piacciono. Che te ne pare, Mattheus?".

Lo stregone crollò a terra con un sospiro, incrociando le gambe ed appoggiando i gomiti alle ginocchia. Sembrava stremato... "Fate quel che volete, io ci rinuncio... Mi farete impazzire. O mi farete venire un esaurimento nervoso, questo è certo. Un nome agli unicorni? Bah, mai sentita una stupidaggine simile".

Elke sorrise. Mise una mano nella tasca del suo vestito, togliendone dei piccoli nastri colorati che usava per farsi trecce o code di cavallo ai capelli. Fra tutte ne scelse due, azzurre. Si avvicinò a Mattheus e prima che potesse protestare gli prese la mano, legandogli il nastro al polso. "Uno a te, che hai aiutato questo piccolo a venire al mondo".

"Toglimi questo coso di dosso!" - sbraitò Mattheus.

Facendo finta di non sentirlo, a piccoli passi, Elke si avvicinò al piccolo Blue. Si inginocchiò davanti a lui e rimase ferma ad aspettare che la madre facesse cenno di avvicinarsi di più. Belle la osservò per alcuni istanti, con lo stesso sguardo indagatore che la ragazza aveva visto tanti anni prima negli occhi di Maike. Poi si avvicinò, annusandola ed appoggiando il muso sulla sua spalla. Elke la accarezzò piano e si avvicinò lentamente al piccolo che la guardava incuriosito, con quei suoi occhietti neri ed intelligenti. Prese l'altro nastro azzurro che teneva fra le mani, legandolo piano al collo del cucciolo. "E questo è per te, piccolo Blue..." - sussurrò, accarezzandogli il musetto.

Jutta sorrise. "E da oggi, il Tirolo ha una vita in più. Benvenuto piccolo Blue..." - sussurrò commossa, mentre in sottofondo i borbottii di Mattheus sembravano non cessare mai...

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Capitolo otto


Un padre tornava dai pascoli d'alta montagna, portando sulle spalle il figlio di otto anni. Era uno degli ultimi giorni utili per portare le mandrie all'aperto: l'autunno e il freddo incombevano e presto tutto sarebbe stato coperto da un candido manto di neve. "E allora piccolo, è ormai tempo, quale nuova statuina vuoi nel presepe a Natale?". Era una promessa fatta a suo figlio alcuni anni prima quando, piccolissimo, aveva espresso il desiderio di avere il presepe più grande del villaggio. Lui gli aveva promesso che ogni anno, in autunno, gli avrebbe chiesto quale nuovo personaggio da mettere nel presepe desiderasse e gliel'avrebbe intagliata nel legno, facendogliela trovare pronta la notte di Natale.

Il figlio, dai riccioli dorati, ci pensò su. "Ho deciso! Voglio un orso, papà".

L'uomo scoppiò a ridere. "Ma è assurdo! Mai visti orsi in un presepe. Non preferiresti un pastore, una massaia o qualche nuova pecorella invece?".

"No, voglio un orso".

Il padre sbuffò. "Ma ragiona, non c'erano orsi ad accogliere la nascita di Gesù Bambino, a Betlemme".

Il bambino ci pensò su un pò. "E tu come fai a saperlo? Mica c'eri quando Gesù Bambino è nato".

L'uomo scoppiò a ridere. "Accidenti Mattheus, hai solo otto anni e la lingua lunga e la saggezza di un uomo adulto. Controbattere alla tua logica è proprio difficile. Va bene, se quest'anno vuoi un orso, avrai un orso".


Per Mattheus il Natale era da tanti anni, sinonimo di tranquillità, riposo, meditazione e raccoglimento. Era una festività che aveva amato fin da bambino e che lo metteva in un certo senso di buon umore, anche se di fatto era molto che non lo festeggiava nel vero senso del termine. Da quando viveva a Pennes, mai un Natale si era recato alla Santa Messa e di certo non aveva desiderato unirsi a qualcuno per il pranzo natalizio ed i festeggiamenti. Però quel clima di attesa, quella sensazione di bontà che permeava l'aria, gli piacevano. Persino gli abitanti di Pennes in quei giorni gli sembravano meno insopportabili Quando, qualche mese prima aveva deciso di tenere i nani ed Elke con lui, si era aspettato uno stravolgimento totale della calma e solitaria monotonia con cui lui soleva passare il giorno di Natale. I nani avevano modi di fare ingenui, Elke era in fondo una sognatrice, non c'era certo da stare allegro con quei tre. Si era aspettato, con terrore, di vedersi la casa invasa da nastrini rossi, abeti addobbati e canzoncine natalizie cantate da mattina a sera. Invece non era successo nulla e quel pomeriggio della Vigilia di Natale si stava rivelando più silenzioso e immobile degli altri giorni. Il cielo fuori era grigio ma stranamente non nevicava da giorni e la neve a terra si stava sciogliendo inesorabilmente, dando un aspetto tetro e umido a Pennes; i nani stavano seduti silenziosamente da ore sul divano, sbuffando, ed Elke era seduta al tavolo a lucidare il suo arco. "Che vi prende a voi tre? Avete una faccia da funerale che fa quasi paura! Niente spirito natalizio, niente canzoncine allegre, niente Zelten sul tavolo?".

"Lo Zelten? Ti ricordo che io non so' cucinare..." - mormorò Elke in tono piatto, senza alzare lo sguardo.

Mattheus annuì. "Questo è vero. E ti assicuro, che ti siamo tutti grati del fatto che tu ti tenga lontana dalla cucina".

Drago si alzò dal divano, stiracchiandosi. "Se ci tieni tanto al clima natalizio, esci fuori di casa e unisciti agli abitanti di Pennes. Qui fuori è un tripudio di massaie intente a trovare gli ingredienti per la cena di questa sera e di bambini col naso all'insù, ad aspettare chissà quale magia dal cielo. Potrai sentire l'eco dell'organo che il signor Prevosto suona da stamattina e ammirare il grosso abete addobbato in piazza. Basta uscire di casa per essere investito in pieno, ad ogni angolo di Pennes, dalla magia del Natale".

"Ah, figurati! A me non va certo di uscir fuori ad augurare buon Natale a chiunque o ad unirmi a cori e canti festosi. Mai fatto! Ma credevo che queste fossero cose che avrebbero fatto impazzire voi tre".

Drago risprofondò sul divano, accanto al fratello. "No, non ci fanno impazzire di certo".

Falko sospirò. "Già... Comunque siamo in buona compagnia, nemmeno tu mi sembri molto festaiolo, Mattheus".

"No no, vi sbagliate!". Lo stregone scosse la testa con vigore. "Vedete, per me Natale è sinonimo di silenzio, di meditazione e contemplazione. Avere in casa tre persone taciturne e col muso lungo il giorno della Vigilia invece è sinonimo di depressione". Si voltò verso Elke, rimasta muta e in disparte. "Figlia del diavolo, che mi dici? Niente spirito natalizio nemmeno tu?".

A quella domanda, l'espressione di Elke si oscurò. Con un gesto secco appoggiò l'arco al tavolo, alzandosi poi dalla sedia su cui era seduta. "La figlia del diavolo non festeggia il Natale. Anzi, ad essere onesta, questo è il giorno dell'anno che odio di più e spero che passi in fretta".

Mattheus si accigliò. Raramente aveva visto Elke nervosa o aggressiva come in quel momento. "Che ti prende?".

Falko sorrise amaramente. "Potremmo spiegartelo, ma tanto uno come te non capirebbe comunque".

"Spiegarmi cosa? E cosa vuol dire che uno come ME non capirebbe?" - chiese Mattheus, a quel punto seriamente in difficoltà. Odiava fare la parte di quello che non capiva cosa stesse succedendo, accidenti a loro!

Elke puntò lo sguardo su di lui, uno sguardo freddo che mai aveva visto sul suo viso. "Vuol dire che non puoi capire e basta... Tu non sei come noi".

"Ehm... voi tre mi farete impazzire! Ma che diavolo dite? Cosa vi prende?".

Elke scosse la testa. Poi, senza rispondere, salì le scale, diretta alla soffitta che era diventata la sua stanza.

Mattheus la fissò in silenzio, senza capire. Poi si voltò verso i nani, con espressione ancora più confusa. "Mi volete spiegare cosa succede, di grazia?".

Drago abbassò lo sguardo. "Io e mio fratello piacevamo come fenomeni da baraccone, ma di certo nessuno ha mai avuto piacere di festeggiare il Natale con noi. Elke... beh, lei è la figlia del diavolo. Quelle come lei son sempre scacciate da tutti, soprattutto a Natale. Mentre tutti festeggiano, quelli come noi rimangono ancora più soli di quanto non lo siano durante tutto l'anno. Tu non puoi capire, tu sei... normale... Passi il Natale da solo per tua scelta, ti fai odiare dalle persone sempre per tua scelta, ma se ti dimostrassi più amichevole con gli abitanti di Pennes, con tutto quello che fai per loro, saresti il più amato del villaggio e farebbero a gara per festeggiare il Natale con te. Per noi tre è diverso, qualsiasi cosa facciamo, qualsiasi cosa diciamo, saremo sempre allontanati da tutti. Nessuno vuole stare con gente come noi, soprattutto oggi. Per questo non festeggiamo il Natale e per questo non vediamo l'ora che passi in fretta. Ora hai capito?".

Era raro che succedesse, ma per la prima volta da quando conosceva quei tre, non aveva la risposta pronta. Le parole di Drago gli avevano mostrato una realtà che mai lui aveva voluto vedere. Si sentì stupido... I due gemelli erano i 'nani', Elke la chiamava spesso 'figlia del diavolo', ma con loro scherzava, non aveva mai provato la sensazione che fossero diversi da lui, perché di fatto non lo erano, questo lo sapeva! Ma per la prima volta in vita sua si accorse di quello che quei tre pensavano di loro stessi: si credevano diversi, da lui e da chiunque altro e si nascondevano, si celavano al mondo quando tutti invece non sembravano desiderare altro che stare insieme. E per persone come Elke, Falko e Drago, nulla era peggio del Natale, la festa della condivisione, della famiglia, dello stare insieme. In un certo senso era vero, non erano come lui, non avevano avuto una famiglia che li amasse e non erano stati bambini viziati e sempre felici, non avevano mai avuto la certezza di niente. Non erano mai stati nulla per il mondo Per cui non rispose, dato che non sapeva cosa dire. Con un sospiro raggiunse la sua stanza e si chiuse dentro, meditando sul da farsi.

Si stese sul letto, osservando il soffitto di legno in silenzio. Passare la vigilia di Natale da solo era sempre stata una scelta per lui, ormai da anni. Gli piaceva così, da quando viveva a Pennes. Drago aveva ragione, lui non festeggiava il Natale perché non voleva farlo, ma non aveva reali impedimenti a cercare la compagnia di qualcuno, anche se non lo aveva mai fatto. Da quando non viveva più a Ratschings, il Natale aveva perso molta della sua poesia per lui ed anche se lo avesse festeggiato come tutti, nulla sarebbe stato uguale a quando viveva in Val Ridanna. Era una festa che continuava ad amare e in cui riusciva ancora a cogliere un po’ della magia di quando era piccolo, anche stando semplicemente seduto davanti alla finestra ad osservare il mondo che si preparava alla Notte Santa. Però lo sguardo triste di Elke e dei nani lo avevano colpito abbastanza da renderlo di cattivo umore. "Accidenti a loro" – sbottò, alzandosi di scatto dal letto per avvicinarsi al grosso armadio che troneggiava nella sua stanza. Lo aprì e si inginocchiò, rovistando sul fondo fra le tante scatole ammassate in esso, di legno o cartone, finché non trovò quel che stava cercando. Estrasse uno scatolone ricoperto da carta colorata, togliendo con la mano la polvere che vi si era accumulata di esso. "Ma tu guarda cosa mi tocca fare!" - borbottò prendendolo fra le mani, prima di uscire nuovamente dalla stanza. "Drago, Falko, tirate su il sedere dal mio divano e mettetevi il mantello, usciamo".

"E dove andiamo?".

Mattheus si incamminò velocemente sulla scala, per raggiungere la camera di Elke. "In montagna. Sbrigatevi" – ordinò, in tono perentorio.

Salì le scale ed arrivò in soffitta. Elke se ne stava stesa su un cumulo di fieno, con addosso una pesante coperta di lana. Sembrava dormisse, ma era abbastanza sicuro che invece fosse ancora sveglia. "Alzati, dobbiamo uscire" – le intimò in tono brusco.

Elke aprì gli occhi, lo fissò brevemente e poi si voltò dall'altra parte. "Per andare dove? Fra poco sarà buio, fa freddo e io non mi sento per niente bene".

Mattheus sbuffò, scuotendo la testa. "Si certo, non ti senti bene... Ma ti assicuro che sopravvivrai anche se non te ne starai a letto a poltrire. Coraggio, alzati su e mettiti il mantello. Usciamo".

"Uscire adesso? Fa freddo e non mi va di andare da nessuna parte".

Lo stregone parve spazientirsi davanti a quel rifiuto. "Elke, tu sei la mia assistente e lavori per me. Quindi, se io ti dico di fare qualcosa tu la fai, abbiamo già affrontato questo argomento. Vedi di muoverti. Ah, ecco, prendi quel sacchetto dove tieni le tue cianfrusaglie con cui ti orni i capelli, mi servono".

Elke, sbuffando, si tirò su, mettendosi a sedere sul fieno. "Non sono cianfrusaglie ma nastri e perline".

"Si beh, è lo stesso. Prendile e sbrigati".

La ragazza sospirò, tirandosi su dal letto. "Ma che vuoi fare?" - chiese, prendendo una piccola sacca in pelle che riposava accanto al suo giaciglio.

"Lo vedrai".

Uscirono che il cielo stava già imbrunendo e l'aria si era fatta fredda e carica d'umidità. I piedi di Mattheus affondavano nella fanghiglia, mandando al suo corpo brividi gelati. Non aveva mai sopportato il freddo e mai gli era capitato di uscire di casa la sera, in inverno. Un caldo camino e un morbido letto pieno di coperte erano il meglio per lui, durante la stagione fredda, per quante cose avesse da fare la sera faceva in modo di essere a casa sua, ma quella era una serata diversa e rimanere in casa coi tre novelli 'maestri di depressione', sarebbe stato infinitamente peggio che congelare in montagna. Si guardò attorno mentre si incamminavano verso il delimitare del villaggio. Pennes ormai era quasi deserta, tutti erano tornati a casa a finire gli ultimi addobbi e a prepararsi per la cena e la Messa di mezzanotte. Dalle finestre di tutte le baite poteva intravedere il bagliore delle corone dell'Avvento le cui fiamme proiettavano sui vetri riflessi rossi e dorati, dalle porte fuoriusciva il profumo di canederli e carne di cervo, uniti all'aroma dello strudel e dello zelten, cucinati per il grande cenone della sera. Sospirò. Quei profumi, quelle fragranze, avevano il sapore di cose antiche, anche casa sua, da piccolo, ne era immersa. Ed era una cosa che gli piaceva. Guardò i nani ed Elke. Camminavano frettolosamente e silenziosamente, all'apparenza molto meno attenti e partecipi al clima di festa che si respirava nell'aria o semplicemente guardando le case. Scosse la testa... E decise quale sarebbe stato il suo obiettivo della serata...

Raggiunsero il bosco che ormai era quasi del tutto buio. Mattheus accese la lanterna che aveva portato con se, incamminandosi per il sentiero che portava verso la vetta.

"Dovremo camminare molto?" - chiese Drago, ormai a corto di fiato.

Mattheus accelerò il passo. "Non molto, se sarete veloci". Allungò il passo e, anche se sapeva che per i nani era difficile stargli dietro, non rallentò mai.

Salirono per il sentiero fangoso per una buona mezz'ora e si fermarono solo quando giunsero in un piccolo spiazzo fra gli abeti. L'aria di alta montagna era pungente, l'umidità penetrava nelle ossa in modo fastidioso, il bosco era avvolto dal silenzio dell'inverno e della sera, il cielo era ormai scuro.

Mattheus prese la sacca che Elke portava fra le mani, quella contenente i suoi nastri per i capelli. La aprì, consegnandola poi nelle mani di Falko e Drago. "Trovo scandaloso che tre persone che appartengono al Tirolo non abbiano in sé lo spirito del Natale che è insito in queste montagne e in chi le abita, nessuno lo ama come lo amano i tirolesi. Nel Natale c'è magia, c'è attesa per la ricorrenza della nascita di un Bambino Benedetto, c'è calore e amore. Ogni angolo di queste montagne, nella sua immensa bellezza, è quì a ricordarcelo, persino gli abitanti di Pennes sono meno diffidenti e più aperti in questi giorni, anche nei miei confronti. Stamattina in piazza, miracolo dei miracoli, ho incontrato la famiglia Steiner che mi ha salutato e augurato buone feste. Voi tre... voi tre invece siete disastri assoluti, non avete mai festeggiato il Natale e ora lo farete. Avete molto da recuperare ed imparare su questo giorno". Indicò con la mano un piccolo abete alto poco più di un metro, che cresceva fra due abeti più grandi. "Coi nastri dei capelli di Elke lo addobberete, tutti e tre. Non avete mai fatto un albero di Natale, è ora che impariate a farlo".

Falko e Drago si guardarono negli occhi, accigliati, poi con rinnovata curiosità guardarono nella sacca. "Beh, si potrebbe anche tentare" – sussurrarono, evidentemente tentati dalla proposta dello stregone.

Mattheus si voltò verso Elke, rimasta in disparte. Non aveva aperto bocca durante il tragitto e anche il quel momento proseguiva col suo ostinato mutismo. "Lo devi fare anche tu" – disse Mattheus. Era un ordine il suo, non una richiesta gentile.

"No, non mi va".

"Elke...". Mattheus le si avvicinò, fece per prenderla per il braccio, ma la ragazza si ritrasse, liberandosi dalla sua presa con uno strattone.

"Ti ho detto di no. Vuoi festeggiare il Natale? Fallo Mattheus, ma lascia in pace me".

Mattheus sussultò a quelle parole. Mai si era dimostrata rabbiosa e brusca con lui, dandogli un no tanto secco. La ragazza lo fissò alcuni istanti, si morse il labbro e strinse la stoffa del suo mantello fra le mani. Infine gli voltò le spalle, svanendo fra gli abeti e l'oscurità del bosco a passo spedito.

Drago sospirò. "Mattheus, lasciala stare".

Lo stregone scosse la testa, stringendo a se lo scatolone che aveva preso dal suo armadio poco prima. "No, non la lascio stare finché non mi dice cosa le passa per la testa. Voi rimanete qui a decorare quell'abete, vado a recuperare quella piccola testarda prima che si cacci nei guai a girare nel buio del bosco. Aspettatemi, torno subito".

Si incamminò, seguendo la stessa direzione presa da Elke. Il bosco, di notte, era buio e minaccioso, si rischiava di inciampare al minimo passo falso in una radice o in qualche buca, solo la lanterna rischiarava fiocamente il sentiero. Trovò Elke quasi subito, seduta su una roccia, a ridosso di un piccolo ruscello che scorreva fra gli abeti. Per fortuna non si era allontanata di molto. "Non farlo mai più! Sparire nel bosco, d'inverno, la sera, senza una lanterna, è decisamente idiota".

Elke scosse la testa. "Conosco la montagna molto meglio di te".

Si avvicinò a lei piano e quando la vide più calma rispetto a poco prima, si sedette accanto a lei sulla roccia. "Elke, che ti prende? Si può sapere che cos'hai oggi?".

"Niente, non ho assolutamente niente. Voglio solo che mi lasci in pace".

"Oh, sì che hai qualcosa invece. Per quel che ti conosco, tu non sei una persona da musi lunghi e nemmeno rabbiosa e aggressiva. Ma il Natale... tira fuori il peggio di te. E vorrei sapere perché". In realtà, la spiegazione datagli poco prima da Falko e Drago l'aveva capita, ma Elke sembrava avere un approccio diverso da loro a quella nuova situazione in cui si erano trovati.

La ragazza sospirò. "Tu non ti arrendi proprio mai, è?".

"No, mai. Cioè, vorrei cercare sempre di capire le cose che non comprendo. E una ragazza giovane, sognatrice, dallo spirito romantico come il tuo di solito ama il Natale e lo aspetta tutto l'anno. Perché tu no?".

Elke abbassò lo sguardo. "Non è stato sempre così, io da piccola adoravo il Natale. Non lo festeggiavo, la mia famiglia mi teneva sempre alla larga, soprattutto in quel giorno di festa. Ma mi piaceva l'atmosfera che c'era, vedere le persone disposte a sorridere e a salutarsi un pò di più rispetto agli altri giorni, mi piaceva il suono delle campane. Anche se ero sola, la magia del Natale riusciva a rendermi felice semplicemente... respirandola".

Mattheus annuì, capiva a cosa Elke alludesse. Lui amava il Natale per gli stessi motivi. "E poi cos'è successo? Cosa ti ha fatto cambiare idea?".

Elke scosse la testa, sospirando. "Non è una storia poi così interessante da sentire, la mia. E nemmeno tanto allegra! Lascia perdere e goditi il tuo Natale".

"Dimmi cosa è successo dopo!" - ribatté Mattheus secco, come se non avesse nemmeno sentito le sue parole.

Elke rabbrividì. Il suo sguardo parve perdersi nel vuoto, smarrirsi sotto il peso di ricordi dolorosi... "Avevo otto anni, credo. Era la Vigilia e nevicava molto. Ricordo che me ne stavo nella stalla e che c'era fermento in casa mia, sentivo il profumo della cena che mia madre stava cucinando e il vociare di Annelies e Inge, le mie sorelline, che quel giorno sembravano incapaci di stare zitte. Corsero fuori per giocare con la neve. Erano molto piccole allora, ma già mio padre aveva insegnato loro che ero maledetta e che dovevano odiarmi e starmi lontano. Quel giorno invece vennero da me... Si avvicinarono alla stalla, iniziarono a prendermi in giro e poi mi dissero che era arrivato un benefattore al villaggio e che aveva portato con se delle caramelle di zucchero che sarebbero state distribuite quella notte, dopo la Santa Messa, ai bambini che avessero assistito buoni e zitti alla funzione. Erano eccitate, nessuna di noi aveva mai mangiato una caramella di zucchero, non vedevano l'ora che fosse mezzanotte. E ovviamente mi ricordarono che io non avrei avuto nulla, visto che mio padre mi aveva vietato di andare a Messa con loro. Ma io... io desideravo avere una caramella, anche se sapevo che rischiavo di finire nei guai. Così, per la prima volta in vita mia, quella notte decisi di disobbedire a mio padre. Credevo che non se ne sarebbe accorto... Volevo solo andare a Messa come tutti gli altri, starmene nel fondo della Chiesa, in un angolo, ascoltare quel che il prete aveva da dire, ascoltare la storia della nascita di Gesù Bambino... E avere quella caramella di zucchero... Ci andai, ma la Chiesa era così piccola... Ricordo ancora lo sguardo di mio padre, quando mi vide. Aveva gli occhi sgranati dalla rabbia e il suo viso era rosso come il fuoco. Non disse nulla ma il suo modo di guardarmi mi mise i brividi. Lui non parlava mai molto, ma il suo sguardo era capace di terrorizzarmi sempre, quando per qualche motivo incrociava il mio. Si alzò, lasciò le mie sorelle e mia madre in Chiesa e si avvicinò a me. Corsi via, corsi con tutte le mie forze. Lui no, non correva ma mi raggiunse lo stesso, in un attimo". Elke deglutì, prendendosi una treccia fra le mani. "Mi prese per i capelli, tirò talmente forte da farmi piangere ma non mi lasciò. Più forte piangevo, più forte lui tirava. Mi trascinò fino a casa senza dire una parola, raggiungemmo la stalle e mi buttò a peso morto sul fieno. E lì mi parlò, forse per la prima volta in vita sua... Mi urlò che ero una strega, che avevo disonorato la famiglia, che avevo oltraggiato la Chiesa e la Messa e gettato fango su di lui, la mamma e le mie sorelle. Mi diede uno schiaffo talmente forte da stordirmi ma non finì lì. Si tolse la cinghia dei pantaloni e iniziò a colpirmi sulla schiena, forte, senza smettere. Piangevo, urlavo e lui non smetteva di colpirmi. Non so quanto durò, quanti colpi ricevetti. Credo di essere svenuta a un certo punto, non avevo più fiato in gola per piangere e il dolore era diventato insopportabile. Mi risvegliai molte ore dopo, che era quasi l'alba ormai. Mi trascinai a fatica nell'angolo più buio della stalla, scivolai sotto il fieno finché non mi ricoprì interamente. Volevo nascondermi al mondo, volevo che nessuno mi vedesse, volevo diventare invisibile. Piansi, piansi tanto. La schiena mi faceva talmente male da togliermi il respiro, per giorni ho dormito a pancia in giù perché non riuscivo ad appoggiarla da nessuna parte. Rimasi nascosta e nessuno si preoccupò mai di venire a vedere come stavo. A volte la schiena mi bruciava molto e allora aspettavo la notte, quando tutti dormivano. Uscivo dalla stalla e mi stendevo nella neve. Era fredda, mi dava sollievo... Era l'unica cosa che riuscisse a farlo. Da quel giorno decisi che non avrei più voluto festeggiare in nessun modo il Natale, che non era una cosa a cui avevo diritto. Qualsiasi cosa fosse successa, mi sarei voltata dall'altra parte. Nessuna caramella, dolce o festa mi avrebbe mai più attirato. Decisi che mi sarei nascosta ad ogni Natale, che sarei rimasta nella stalla sotto il fieno, fino alla fine delle feste. Nessuno mi avrebbe visto, nessuno si sarebbe accorto della mia esistenza. E lo feci, anno dopo anno... E questo riusciva a darmi pace. Quindi Mattheus Hansele, non chiedermi di festeggiare il Natale perché io in questi giorni vorrei solo diventare invisibile, addormentarmi e risvegliarmi a gennaio".

Per lunghi istanti Mattheus non rispose. Con gli occhi bassi fissava il terreno sotto le sue scarpe, indeciso se fosse più arrabbiato o più scosso da quanto aveva appena sentito. Non aveva mai amato la violenza, non l'aveva mai ritenuta una valida alleata per risolvere i problemi, ma in quel momento, se lo avesse avuto davanti, avrebbe preso a pugni il padre di Elke. Lo avrebbe fatto fino a farlo stramazzare a terra esanime. Lo avrebbe fatto perché aveva osato terrorizzare, picchiare e far piangere una bambina indifesa che non aveva fatto nulla di male, una bambina che invece avrebbe dovuto proteggere e amare, una bambina che, ormai adulta, era entrata nella sua di vita... E non sopportava l'idea che qualcuno a cui lui aveva aperto le porte della sua casa fosse stato vittima di una violenza del genere. Non si era mai soffermato molto ad osservare il modo di vivere degli altri. Quella ragazzina albina gli stava insegnando che c'erano altri mondi oltre il suo, altre verità, altre esperienze di vita... Pochi mesi prima, Elke e i nani erano entrati nella sua vita chiedendogli di insegnar loro tutto quel che lui sapeva. E alla fine, erano loro ad aver insegnato a lui qualcosa. Deglutì. "Tu... non vuoi essere compatita per questo, vero?".

Elke si accigliò. "Certo che no. Mi hai fatto una domanda e io ti ho semplicemente risposto. Non c'è molto altro da dire".

"Già". Mattheus la fissò brevemente, prima di alzarsi dalla roccia su cui erano seduti. Si avvicinò ad un grosso albero dal tronco ormai secco e privo di vita, staccò un grosso ramo spoglio che pendeva da esso e lo porse ad Elke, invitandola ad alzarsi. "Quello che ti ha fatto tuo padre è terribile, disumano. Chi picchia una donna è un codardo, chi picchia una bambina indifesa non merita nemmeno di essere chiamato uomo. Sei arrabbiata con lui? O ti terrorizza ancora il solo pensarlo?".

Elke si accigliò, fissando il bastone che gli aveva dato fra le mani. "Non lo so. Sono passati tanti anni...".

Mattheus sorrise, freddamente. "Sei arrabbiata, sei furiosa quando ci ripensi. Potrei scommetterci tutti i miei soldi". La prese per mano, conducendola davanti al tronco da cui aveva staccato il ramo. "Fingi che quest'albero sia tuo padre. E con quel bastone colpiscilo forte, finché ne avrai forza, finché non ti sentirai soddisfatta. Ti assicuro che dopo starai molto meglio".

Elke spalancò gli occhi, sorpresa. "Cosa? Dovrei colpire quell'albero fingendo che sia mio padre? Ma Mattheus, è sbagliato!".

"Perché? Lui ha colpito te quando non eri che una bambina indifesa, dopo tutto. Fingi che sia qui e restituiscigli tutto il male che ti ha fatto".

Elke osservò il bastone e poi, senza troppa convinzione, fece come lui gli aveva detto. Colpì il tronco dell'albero una prima volta, piano.

Mattheus scosse la testa. Elke era pronta ad esplodere ma aveva solo bisogno di una piccola spinta che la aiutasse ad oltrepassare i suoi freni inibitori e morali. "Tutto quì quello che sai fare? Lui ti ha massacrata di botte, avrebbe potuto ucciderti. E ti ha fatto talmente male che ancora oggi riesci a sentire il bruciore delle sue percosse sulla tua pelle. Liberatene Elke, liberati del dolore e dei brutti ricordi. Tira fuori la rabbia, la paura e la sofferenza che ti ha inflitto e vedrai che dopo ti sentirai meglio".

Elke si morse il labbro. Poi, dopo aver stretto con ancora più forza il bastone, colpì di nuovo il tronco. Una, due, tre, infinite volte. E ad ogni colpo, la sua rabbia e la sua forza aumentavano finché non si ritrovò a colpire quell'albero selvaggiamente, facendo schizzare schegge di legno ovunque.

"Se ci fosse stato tuo padre in carne e ossa, sarebbe stato più interessante...". Lo pensò, ma Mattheus non lo disse a voce alta. Rimase a guardarla in silenzio, inizialmente sollevato dal fatto che lei avesse capito, ma poi colpito dalla furia, dalla violenza e dalla forza che parevano essersi impossessati della mente e del corpo di Elke. Un groppo gli strinse la gola. Tutta quella violenza nasceva da altra violenza. Più forza Elke metteva in quei colpi, più forte era stata colpita da bambina. Ed era terrificante pensare a cosa fosse stata costretta a subire.

A un certo punto la ragazza smise, accasciandosi a terra in ginocchio, col fiato corto e le braccia che le tremavano. Mattheus le si avvicinò, togliendole di mano, con gentilezza, il bastone di legno ormai scheggiato. "Direi che per oggi può bastare. O rischi seriamente di lussarti una spalla".

"Mi fanno male le braccia..." - sussurrò Elke di rimando, massaggiandosi i polsi.

Mattheus le si inginocchiò davanti. "Va meglio ora?".

"Non lo so. Sono solo stanca...".

Lo stregone fissò il tronco martoriato dai colpi di Elke. "Ci credo. Sei forte quanto un taglialegna". La sua mano raggiunse il mento della ragazza, sollevandolo. "Ora ascoltami. Nessuno potrà mai cancellare dalla tua mente ciò che tuo padre ti ha fatto, ma ora sei grande, probabilmente non lo rivedrai mai più e sei adulta abbastanza da decidere da sola il tuo destino. Non permettere mai più a nessuno di dirti quello che sei o quel che devi e non devi fare. Da oggi, sarai solo ciò che TU vorrai essere, non quello che dicono gli altri. Farai quel che desidererai fare, andrai dove vorrai andare e nessuno dovrà mai osare contraddirti, ma solo consigliarti, se questo ti farà piacere. Se vorrai festeggiare il Natale, dovrai farlo. Ricorda Elke, il Natale appartiene a tutti e allo stesso tempo non è di proprietà di nessuno".

"Ma io... non lo voglio festeggiare...".

"Perché?".

Elke abbassò lo sguardo, tremando lievemente. "Perché ho paura. Quel che pensa mio padre lo pensa la maggior parte delle persone. Agli occhi del mondo io sono maledetta. Durante tutto l'anno non mi pesa, ma a Natale tutto cambia". Le sue mani strinsero la stoffa del mantello di Mattheus e la ragazza si abbandonò contro di lui, appoggiando il viso contro il suo petto. "Io... che cos'ho di tanto sbagliato?".

"Niente". Mattheus fece scorrere le braccia attorno alla sua vita, stringendola in un caldo abbraccio. "Niente davvero. Tu non sei la figlia del diavolo, te lo posso assicurare. Sei la figlia di un emerito idiota, questo sì, ma per fortuna non hai preso da lui. Il diavolo non fa figli ed se anche li facesse, non sarebbe tanto stupido da renderli riconoscibili dal colore dei capelli. Il diavolo è in chi lo vuole accogliere, in chi si lascia sedurre dalle sue tentazioni. Elke, il demonio è quanto di più lontano esista da te. Vuoi sapere uno dei motivi che mi hanno spinto a tenerti con me?".

Elke alzò il viso. "Si".

"Sei perennemente di buonumore e sorridi sempre, nonostante tutto quel che ti è successo. Io non ne sono capace. Tu riesci a rendere migliore e più positivo persino uno come me, tu sorridi anche per me. Tu riesci ad essere felice con niente, basta così poco per metterti di buon umore". Si staccò leggermente da lei, ponendole gentilmente le mani sulle spalle e strizzandole l'occhio. "Capito? Uno dei tuoi compiti di assistente è essere contenta, quindi togliti quel muso lungo di dosso e goditi il Natale. Qui sei libera di fare quel che vuoi e nessuno oserà farti del male. E visto che lo spirito del Natale rende tutti più buoni, stasera puoi chiedermi quel che vuoi e io ti prometto che te lo darò".

Elke sorrise, finalmente. Un sorriso stentato, dolce, il primo della giornata. "Grazie".

Mattheus ridacchiò. "Non perdere tempo a ringraziarmi. Non resterò buono per sempre, ti conviene dirmi quel che vuoi finché sei in tempo".

"Posso chiederti davvero tutto?".

"Tutto".

Lo sguardo di Elke si fece furbo. "Posso chiederti anche di rivelarmi il segreto del lago di Valdurna?".

Mattheus, a quella domanda, le diede un piccolo pizzicotto sulla guancia e poi strinse con la mano una delle sue trecce, tirandola scherzosamente. "Eheh, sei furba ragazzina, lo sai vero? E anche molto curiosa".

"E' sbagliato essere curiosa?".

Lo stregone ci pensò su. "No, nelle giuste dosi, la curiosità è indice di intelligenza".

Elke sorrise. "Scherzavo, comunque! Se vorrai, un giorno sarai tu a dirmi il segreto di quel lago".

Mattheus le si riavvicinò, sfiorandole un fianco con la mano ed attirandola a se. "Io però ero serio. Dimmi qualcosa che vuoi e io te la darò".

"Io non voglio niente Mattheus, dico davvero".

Lo stregone annuì, tornando serio. "C'è una cosa che apprezzo, di te e dei nani. Voi non mi avete mai chiesto nulla, non avete mai cercato di approfittare del fatto che vivete con me. Sapete quanti soldi ho e dove li tengo, conto tranquillamente davanti a voi i miei guadagni e siete perfettamente consapevoli che io potrei comprarvi qualsiasi cosa. Ma non mi avete mai chiesto nulla. Né abiti nuovi, né nessun tipo di regalo".

Elke alzò le spalle. "Tu non hai obblighi verso di noi, perché dovresti comprarci dei vestiti nuovi o altre cose? Ci dai una casa, ci offri il tuo cibo, fai per noi molto più di quello che le nostre famiglie hanno fatto da quando siamo nati. Io non voglio niente, dico sul serio". Lo sguardo le cadde sulla scatola che Mattheus aveva portato con se e che aveva riposto a lato della roccia su cui si erano seduti poco prima. "Cosa c'è li dentro? Sei uscito di casa con quella".

"Oh, vero, me ne ero dimenticato". Mattheus si allontanò da lei, prendendo la scatola. Si sedette sulla roccia, facendo segno alla ragazza di raggiungerlo. E quando Elke fu accanto a lui, gliela diede fra le mani. "A Natale si addobbano gli abeti. E si fa il presepe. Sono anni che non faccio più né l'uno né l'altro e credo che sia ora di riprendere quest'abitudine. Su aprila" – le intimò, gentilmente.

Elke aprì la scatola, osservando poi incantata il suo contenuto. "Sono statuine in legno del presepe" – sussurrò, prendendone in mano una.

Mattheus deglutì. Erano anni che non apriva quella scatola e ora che vedeva quelle statuine era come se fosse investito da una marea di ricordi. Ad ogni statua corrispondeva un Natale, il ricordo dolce di una promessa, il calore di una famiglia che non possedeva più. Ricordava le mani forti, gentili ed abili nell'intagliare il legno di suo padre, la voce di sua madre, le montagne di Ratschings, la sua infanzia in quel piccolo villaggio della Val Ridanna. "Vuoi provare a fare il tuo primo presepe? Basta trovarti un angolo che ti piace e usare la fantasia. E' divertente sai?".

La ragazza osservò una ad una le statuine, quasi incantata dal poterle maneggiare. "Sono tue? Sono così belle Mattheus".

"Sì, me le ha fatte mio padre quando ero bambino. Ogni anno, in autunno, sceglievo il personaggio che desideravo aggiungere al presepe e lui me lo faceva trovare pronto la mattina di Natale".

Elke sorrise. "E' una cosa davvero bella. Com'era il Natale a casa tua?".

"Beh, come in tante case, credo. Ricordo che addobbavo l'abete con mio padre e che mia madre, insieme a mia nonna che viveva con noi, cominciava la mattina del 24 dicembre, di buon'ora, a preparare i piatti per la cena. Ricordo che faceva sempre freddo, la Val Ridanna è glaciale in inverno. Ricordo la gente del mio villaggio, una per una. Ratschings è piccolissima, solo un pugno di baite, ci conoscevamo tutti ed era come essere un'unica grande famiglia. Dopo la messa, a turno, una famiglia ospitava tutti nella sua casa e si festeggiava insieme, la notte di Natale. Nessuno restava solo. Ognuno portava i piatti che aveva cucinato durante la giornata, ci si scambiavano gli auguri e davano a noi bambini dei cestini di frutta, come dono di Gesù Bambino. Era una cosa semplice, un mondo semplice. Mi piaceva...".

Elke abbassò lo sguardo. "Doveva essere bello, da come lo racconti... Com'è la Val Ridanna?".

Mattheus sorrise. "Oh, lì ci sono le montagne più belle che tu potrai mai vedere".

"Del Tirolo?".

Mattheus scosse la testa. "No, del mondo Elke. Nessuna montagna è bella come quelle della Val Ridanna".

"E perché ora vivi a Pennes e non ci torni mai, a Ratschings?".

L'uomo sospirò. "Beh, non ho più la mia famiglia che mi aspetta, lassù. Ho degli amici certo, tutti mi conoscono a Ratschings, ma i miei parenti sono morti tutti da anni ormai ed io ero figlio unico, non ho fratelli e sorelle da andare a trovare. Inoltre, la mia principale fonte di guadagno è il lago di Valdurna, che dista troppo da Ratschings perché io possa fare avanti e indietro. Pennes è perfetta per me, per il mio lavoro".

"Quindi non ci torni mai?".

"Ogni tanto. Sono ormai un paio d'anni che non ci metto piede, ora che ci penso". La guardò, pensieroso. E improvvisamente gli venne un'idea. "Visto che non sai cosa vuoi per Natale e la Val Ridanna sembra interessarti tanto... ti andrebbe di visitarla un giorno?".

Elke spalancò gli occhi, sorpresa. "Oh sì! Mi ci porteresti?".

Mattheus sorrise. Vederla finalmente serena, faceva sentir meglio anche lui. Non sapeva cosa fosse, se lo spirito del Natale che rendeva tutti più buoni o il fatto che il racconto fatto dalla ragazza su suo padre l'avesse turbato, ma in quel momento si sentiva che avrebbe potuto far di tutto per renderla felice. "Sì. Questa estate ti ci porto! E ti faccio anche altre due promesse".

"Quali?".

"Ti prometto che un giorno ti racconterò i segreti del lago e che l'anno prossimo, a Natale, se lo vorrai fare, ci organizzeremo per festeggiarlo come si deve. Sì insomma, con l'abete addobbato in casa, il presepe, la cena e la Messa. E ti assicuro che nessuno potrà osare dirti nulla e che andrà tutto bene".

Elke abbassò lo sguardo sulle statuine che riposavano nella scatola che teneva sulle gambe. Sorrise... "Sono tante promesse queste, Mattheus... Sei sicuro di riuscire a mantenerle tutte?".

Mattheus scoppiò a ridere. "Oh Elke, sei tanto giovane tu! Ne abbiamo di tempo, per fare tutto. E ora su, lo vuoi fare o no questo presepe?".

Elke si guardò attorno, pensierosa. "Sì, forse mi va. Ma qui... è tutto così umido, queste statuine si rovinerebbero se le mettessimo in terra". Rovistò nello scatolone, osservandole una ad una, finché ne tirò fuori una particolare. "Un orso? A quanto pare erano già nel tuo destino è?".

Lo stregone scoppiò a ridere. "Ero un bambino con molta fantasia! Che vuoi farci? Pure mio padre era abbastanza perplesso quando gliela chiesi". A quel pensiero però, il suo buonumore si smorzò. Quando suo padre gli aveva fatto quella statuina, lui aveva otto anni, la stessa età che aveva Elke quando era stata massacrata di botte dall'uomo che invece avrebbe dovuto proteggerla. Ricordò quanto gli piaceva stare sulle spalle di suo padre da piccolo, quanto si sentiva felice e al sicuro con lui, le loro chiacchiere, le cose che gli aveva insegnato. Come doveva essersi sentita Elke, senza quelle certezze e quell'amore che lui da piccolo dava per scontato? Quanta paura e sofferenza aveva avvertito da sola, davanti a quell'uomo tanto crudele e spietato?

La voce di Elke lo riportò alla realtà.

"Tuo padre aveva ragione, Mattheus! Che ci fa un orso in un presepe?".

"Beh, piccola saputella, come fai a essere sicura che non ci fosse?".

Elke rise. "Non me la darai mai vinta su nulla, vero?".

"Vero". Guardò la statuina nelle mani di Elke, quella a forma di orso. "Ti piacciono?".

"Si, molto".

La mano di Mattheus si posò sul suo capo, accarezzandole piano i capelli. "E allora, ti faccio una quarta promessa. Farò per te quello che faceva mio padre per me. Dimmi quale personaggio ti piacerebbe mettere nel presepe l'anno prossimo e io te la farò. Non sono bravo ad intagliare il legno come mio padre, non aspettarti molto, ma posso provarci. Tu pensaci su, d'accordo?".

Elke non rispose subito. Si sporse in avanti e lo abbracciò, affondando il viso contro la sua spalla. "Grazie Mattheus...".

"Non ho fatto nulla, non ringraziarmi. Semplicemente, credo che ci si debba impegnare tutti, per fare in modo che il Natale sia un giorno felice per ognuno di noi".

"Manca solo la neve" – mormorò Elke, contro il suo petto.

Mattheus sorrise. "Oh, questo non è un problema. Chiudi gli occhi".

Elke ubbidì, un pò titubante. Mattheus la strinse a se e con la mano libera tirò fuori dalla tasca una delle ampolle contenente l'acqua del lago di Valdurna. La aprì e poi ne lanciò il contenuto in alto, nel cielo. 'Trasformati in tanti fiocchi di neve e ricopri tutto il Tirolo' – ordinò silenziosamente. Poi accarezzò i capelli di Elke. "Ora puoi aprire gli occhi, nevica".

La ragazza alzò lo sguardo al cielo. Tanti, milioni di piccoli fiocchi di neve venivano giù, fitti e silenziosi, imbiancando ogni cosa su cui si posavano. "Come hai fatto?".

Mattheus eruppe in una sonora risata. "Ah, chissà... Un giorno ti dirò anche questo".

Elke sorrise, appoggiando la testa sulla sua spalla. "E' raro vederti ridere Mattheus. Così com'è raro vederti tanto gentile, anche se io l'ho sempre saputo che sei buono, anche quando fai l'orso... Mi piace stare qui a Pennes con te e con Falko e Drago. Vorrei non dovermene mai andare".

Mattheus la strinse a se. "Nessuno ha mai detto che te ne devi andare. E ora su, torniamo a recuperare Falko e Drago. A quest'ora avranno finito di addobbare l'abete e possiamo tornare a casa, al caldo, a fare il presepe. La neve è bella, ma è talmente ghiacciata...".

"Non ricominciare a fare l'orso e a lamentarti, Mattheus".

Lo stregone le prese dalle mani la statuina a forma d'orso, la rimise al suo posto e prese sotto braccio la scatola. "Gli orsi, come hai detto tu, sono nel mio destino da sempre. E' quasi passata la mezzanotte, quindi a breve potrò smettere di fare la persona sensibile e buona e tornare alle vecchie abitudini. Ma prima di allora...".

"Cosa?".

Mattheus appoggiò la mano sulla sua spalla, attirandola a se e facendole appoggiare il viso contro il suo collo. "Prima di allora devo dirti ancora una cosa... Sei una bellissima persona Elke, non ascoltare mai chi insinua il contrario. E sei anche una bella donna. Talmente bella che se un giorno io picchiassi la testa, impazzissi e decidessi di sposarmi... probabilmente desidererei una come te in moglie".

Elke ridacchiò. "Prima eri buono, gentile e serio. Ora invece mi stai prendendo in giro...".

"In effetti...". Anche Mattheus rise, ma non la lasciò andare. La strinse a se e la abbracciò, accarezzandole piano quei capelli che tanti problemi le avevano dato fin dalla nascita ma che lui invece trovava semplicemente splendidi... Abbracciò la donna che era diventata e la bimba sola e disperata che era stata, sperando di donare pure a lei un pò di calore e sollievo. "Buon Natale Elke".

"Buon Natale Mattheus".

Raggiunsero i nani che ormai avevano completato il loro lavoro. L'abete era addobbato di mille colori, grazie ai nastri di Elke. Era bello e allegro a vedersi.

Mattheus annuì. "Ottimo lavoro! L'anno prossimo farete di meglio, ne sono sicuro. E per quanto riguarda te..." - disse ad Elke – "ti comprerò dei nastri nuovi. Temo tu ne sia rimasta sprovvista".

"Un'altra promessa? Mattheus, tu ti stai complicando la vita".

Lo stregone sorrise. Si avviarono verso Pennes e giunsero a casa che ormai la mezzanotte era passata e le strade erano deserte. La neve continuava a cadere incessantemente, imbiancando ogni cosa. Il fango e le pozzanghere erano sparite e il manto bianco appariva candido ed immacolato.

"Hei, quello cos'è?" - disse Drago, indicando un piccolo pacco che qualcuno aveva messo davanti alla porta della loro baita.

Mattheus, accigliato, si avvicinò. Quando erano usciti poche ore prima non c'era, ne era sicuro. Osservò il piccolo pacchetto bianco, lo prese fra le mani e lo studiò. Poi lo aprì, rimanendo a bocca aperta. "Lo zelten? Chi diavolo...". Si voltò verso la strada deserta, sorpreso. Chi poteva aver messo davanti alla sua porta quel dolce di Natale? Prima di mangiarlo avrebbe controllato che non fosse avvelenato, anche se il suo istinto gli diceva di stare tranquillo, che quello che teneva fra le mani non era che un semplice regalo di Natale fatto da qualcuno che desiderava rimanere nascosto. Guardò Elke, Falko e Drago. "Qualcuno fra voi ha uno spasimante? O per caso, a mia insaputa uno di voi ha fatto qualche favore a qualcuno?".

Scossero la testa, tutti e tre.

Mattheus alzò le spalle. "Beh, che importanza ha, in fondo? Faremo il presepe mangiando lo zelten. Ci è andata bene! Festeggeremo il Natale senza aver fatto minimamente fatica a cucinare". Lasciò entrare in casa Elke ed i nani, dando un'ultima occhiata alla strada deserta, pensieroso. "Chiunque tu sia, grazie..." - mormorò prima di chiudere l'uscio.







Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove


"Eeetciùùù".

Sentendolo starnutire per l'ennesima volta, Elke si voltò verso lo stregone che da ore non si decideva a spostarsi dal camino. "Mattheus, ti sei preso il raffreddore?".

Drago annuì. "Raffreddore? Sono ore che starnutisce, domani avrà un febbrone da cavallo, potrei scommetterci".

"Temo di sì. Dovremo chiamare il dottore" – aggiunse Falko.

Mattheus si soffiò il naso per l'ennesima volta. "Intanto, per prima cosa, smettetela di gettarmi addosso la vostra jella, non sono malato! E non lo sarò nemmeno domani, statene certi. Nel caso le cose si mettessero male, ho l'acqua del lago con me, mi basterà berla e dormirò felice e beato come un poppante. E domattina sarò come nuovo".

Elke sembrava scettica. "Sì, però stai starnutendo un sacco. Sicuro che basti l'acqua del lago a guarirti?".

"NON-SONO-MALATO! E' solo colpa di questo dannato gelo e di tutta la neve che sta venendo giù da giorni. Fa un freddo cane fuori" – disse, indicando la finestra oltre la quale si poteva vedere la fitta nevicata in corso. Era sera ormai, il buio aveva avvolto tutta Pennes e in strada non c'era altro che il sibilo gelido del vento che accompagnava la tormenta.

Elke e i nani si guardarono in faccia, scoppiando a ridere.

Mattheus sbuffò, guardandoli storto. "Che diavolo vi prende, ora?".

Elke gli fece la linguaccia. "Ci hai detto che non siamo veri tirolesi a Natale, quando non volevamo festeggiare. Però Mattheus... tu sei peggio. I veri tirolesi sono gente di montagna, resistenti al freddo e alla neve. Niente li può fermare, nemmeno la più violenta fra le bufere. Guarda me e i gemelli, usciamo senza fare storie, con un mantello logoro sulle spalle, facciamo la spesa e non battiamo ciglio. Tu sono giorni che non fai che lamentarti che fa troppo freddo, che nevica tanto, che non puoi commerciare i tuoi prodotti, che non puoi andare al lago di Valdurna e stai finendo le tue scorte d'acqua... Un vero tirolese, al lago di Valdurna, ci andrebbe tranquillamente anche con la neve alta due metri".

Drago rincarò la dose. "Esattamente".

Mattheus voltò loro le spalle, sedendosi a gambe incrociate davanti al camino e continuando a borbottare. "Ah, andate al diavolo!".

Elke ridacchiò. "Te la sei presa? Dai Mattheus, in fondo non è mica un male non amare il freddo".

Mattheus si voltò verso di lei, fissandola gelidamente. La ragazza era seduta al tavolo da ore, intenta a lucidare le piccole ampolle di vetro dove poi lui avrebbe messo l'acqua del lago da vendere. "Ormai sono più lucide del cristallo. Ti ho detto già da un pò di metterle via e di prenderti in mano un libro per esercitarti nella lettura. O sbaglio?".

Elke abbassò lo sguardo, improvvisamente in difficoltà. "Ah Mattheus, non mi va! Ci metto ore a leggere una riga, è un tormento. Tu in un attimo ti leggi pagine su pagine, la fai facile con me...".

"Ci metterai sempre delle ore, se non ti eserciti! Metti giù quelle ampolle e prenditi il dannato libro che ti ho messo sul tavolo dopo cena". Mattheus starnutì di nuovo, per poi spostare la sua attenzione sui nani. "E voi... vi ho mandato fuori stamattina per comprare un pò di pane per il pranzo. Una cosina semplice semplice... Com'è che ci avete messo DUE ore per tornare? Pensavo vi avessero rapito! Cos'è, invece che lavorare, state in giro a bighellonare?".

Elke e i nani deglutirono. Ora Mattheus avrebbe fatto pagare a tutti e tre la loro avventatezza e i loro scherzi.

Drago si grattò il mento, pensieroso. "Ecco... no, non bighellonare! Ma vedi, dal panettiere si sentono un sacco di cose importanti. Sai, ci siamo messi ad ascoltare le chiacchiere delle donne del paese e abbiamo scoperto un sacco di cose interessantissime. Così, di nascosto eh, non temere. E sai una cosa? La signora Mair ha detto alla signora Koffer che la signora Kroess non è affatto vedova. Il marito ha conosciuto a Brixen, durante un viaggio per vendere la lana al mercato, un'altra donna. Ed è fuggito con lei non si sa dove. La povera signora Kroess ha dovuto inventare la storia della morte improvvisa del marito durante il viaggio, per non morire dalla vergogna".

Mattheus picchiettò nervosamente l'indice sulla pietra che rivestiva i bordi del camino. "Avete finito di dire stupidaggini e di farvi i fatti degli altri? Il pane, vi avevo chiesto di prendere SOLO un pò di pane! Non di andare ad indagare sulle scappatelle del marito della signora Kroess. Etciùùù".

Elke sospirò, davanti all'ennesimo starnuto. "Ragazzi, lasciate perdere. Mattheus è entrato in modalità-orso, ha pure il raffreddore e se andate avanti vi farà lucidare tutta la baita da cima a fondo, per dispetto. Lo sapete com'è fatto".

"Elke, il libro!" - ringhiò Mattheus.

La ragazza fece per replicare, ma un improvviso e forte bussare alla porta, fece sussultare tutti e quattro. Mattheus si accigliò. Chi diavolo poteva essere a quell'ora tarda, con quella tormenta? "Mhhh, non ho voglia di vedere nessuno. Non andate ad aprire e facciamo finta di essere già a letto".

Elke scosse la testa. "Ma Mattheus, sarà qualcuno che ha davvero bisogno di te. Con questa neve e questo freddo, a quest'ora, dev'essere una cosa grave".

"Sono malato...".

I nani scossero la testa. "Non avevi mica detto, poco fa, che...".

Mattheus incrociò le braccia. "Poco fa era poco fa. Ora sono malato".

Elke fece finta di non sentirlo. Bussarono di nuovo, con forza. E lei aprì, trovandosi davanti un uomo alto, imponente e spallato. Indossava un mantello nero ormai fradicio, degli stivali da viaggio e il suo viso era parzialmente celato dal cappuccio. I suoi abiti erano eleganti, raffinati, non certo tipici degli abitanti di Pennes.

Lo sconosciuto la squadrò per un attimo, accigliato. "E tu chi saresti? Questa non è più la casa di Mattheus Hansele?" - chiese, con una punta di astio nel tono della voce.

Nel sentirlo parlare, Mattheus si avvicinò alla porta, avrebbe potuto riconoscere quel particolare timbro di voce, alto e squillante, ovunque. "Werner?". Era stupefatto, non poteva essere lui...

Il nuovo arrivato, appena lo vide, sorpassò Elke ed entrò in casa, abbassando il cappuccio. I suoi lunghi capelli biondi gli scivolarono sulle spalle e i suoi occhi azzurri si illuminarono nel vedere lo stregone. "Mattheus, amico mio! Quanti anni saranno ormai, che non ci vediamo?".

"Cinque anni forse. O anche di più". Mattheus si avvicinò e i due uomini si strinsero la mano, dandosi poi una pacca amichevole sulla spalla. "Ma che diavolo ci fai quì a Pennes? Non mi dire che sei venuto da Bozen con questo tempaccio?".

Il nuovo arrivato, Werner, si guardò attorno accigliato, fissando intensamente Elke e i due nani. Mattheus se ne accorse, il suo amico sembrava seccato dalla loro presenza. Conosceva Werner da sempre, erano coetanei ed entrambi nativi di Ratschings, erano cresciuti insieme come fratelli e le loro strade si erano divise solo da adulti, quando se n'erano andati dalla Val Ridanna. Poteva percepire i pensieri di Werner da un semplice sguardo e intuiva chiaramente quanto fosse contrariato dal fatto di non essere soli. "La ragazza è la mia assistente e i nani... li uso per portare l'acqua del lago fin quì".

Werner scosse impercettibilmente la testa, mordendosi il labbro con nervosismo. Si avvicinò a Mattheus, tirando fuori dalla tasca del mantello una piccola sacca in pelle. "Ho bisogno della tua acqua, Mattheus. Un disperato bisogno... E' per Sabine".

Lo stregone si incupì. Era tipico di Werner non stare a girare troppo attorno alle questioni e il suo tono nervoso e preoccupato lo impensieriva. Che diavolo era successo al suo amico? "Quanta acqua?".

Werner gli fece scivolare la sacca fra le mani. "Quanta più riesci a darmene".

Mattheus sospirò. La sua espressione era seria ora. E preoccupata. Giocherellò col sacchetto datogli dall'amico, facendolo rimbalzare lievemente sul palmo della mano. Era pieno di monete, poteva sentire distintamente il loro tintinnare ad ogni suo piccolo movimento. "Aspettami quì". Senza dire nulla Mattheus entrò nella sua stanza da letto, uscendone pochi minuti dopo con tre bottiglie di vetro piene d'acqua. Le mise in un borsone di stoffa e le diede all'amico. "Di più non posso dartene, con questo tempaccio da lupi non riesco ad andare spesso a farne scorta. E ora usciamo e andiamo alla locanda a bere una birra. Mi racconterai tutto...".

Elke, rimasta in silenzio e in disparte coi nani, lo fissò sorpresa. Mattheus che usciva di sera, durante una nevicata? Era quasi assurdo il solo pensarlo... "Ma il tuo raffreddore?".

Lo stregone le diede una rapida occhiata, mettendosi addosso il suo pesante mantello. Era curioso di sapere cosa avesse spinto il suo amico fino a Pennes, tanto lontano da casa sua, in pieno inverno. E conosceva abbastanza bene Werner da sapere che non gli avrebbe detto nulla di nulla con Elke e i nani nei paraggi. Il suo amico era un tipo estremamente cordiale e ciarliero con gli amici, ma estremamente diffidente davanti a chi non conosceva. "Non ho nessun raffreddore. E leggi quel benedetto libro" ribadì, questa volta in tono secco.

Werner sorrise freddamente. "Per un attimo ho pensato che comandasse lei".

Mattheus scosse la testa. "Non dire sciocchezze e seguimi". Aprì la porta e senza un cenno di saluto uscì con l'amico in strada. Era preoccupato ed incuriosito, tanto da non avvertire quasi il vento gelido sulla faccia e i fiocchi di neve che gli bagnavano le spalle. Allo stesso tempo era seccato dal comportamento che Werner, ricomparso dal nulla dopo anni, aveva tenuto in casa sua davanti ad Elke e ai nani.

A passo spedito, sfidando la tormenta di neve, si incamminarono nei vicoli di Pennes, diretti all'unica locanda del villaggio. Non era che una grossa baita da cui i proprietari avevano ricavato un salone che fungeva da osteria e un paio di camere al piano superiore per i viandanti di passaggio.

Vedendoli entrare a quell'ora, nel mezzo di una tormenta di neve e riconoscendo Pfeifer Huisele, il locandiere spalancò gli occhi. "Ma... Ma... Noi siamo chiusi... cioè no, siamo aperti... ma...".

Mattheus sbuffò, guardandosi in giro. La locanda era vuota e del resto non aveva avuto alcun dubbio che non fosse così. Di giorno ci venivano gli abitanti di Pennes, uomini anziani soprattutto, per bere una birra o del vino in compagnia. Ma la sera tardi, soprattutto in inverno, nessuno si aggirava per le strade del villaggio per andare a bere. Per il locandiere doveva essere un evento eccezionale, soprattutto perché uno dei due avventori era lui. "Due birre, grazie!" - disse secco, senza giri di parole, incurante del panico che il suo arrivo aveva generato nell'uomo.

"Boccali belli grandi, grazie!" - aggiunse Werner, sedendosi a uno dei tavoli.

Mattheus si accomodò davanti a lui. Non era per niente tranquillo e il suo umore era pessimo. Era felice di rivedere un vecchio amico ma immaginava che le circostanze che lo avevano condotto fin lì non fossero felici. Era anche uscito di casa controvoglia, non perfettamente in forma ed ora era percorso da brividi di freddo. Un letto caldo, un buon libro da leggere, il camino acceso e zampillante mentre fuori nevicava... Ecco, quella sarebbe stata una serata perfetta! "E allora Werner, che diavolo è successo a Sabine?" - domandò senza giri di parole, sorseggiando la birra che l'oste gli aveva appena appoggiato sul tavolo. Conosceva quella donna, l'avevano incontrata per caso anni prima a Bozen, quando lui e Werner erano ancora uniti e inseparabili come fratelli. Era il loro primo viaggio lontano da Ratschings e il padre di Werner li aveva spediti a Bozen in sua vece per vendere della lana al grande mercato della città. Sabine a lui era sembrata una banale ragazza tirolese, né più né meno bella di molte altre, piuttosto insignificante ai suoi occhi. La ricordava bene. Aiutava i suoi genitori al mercato, aveva lunghe trecce bionde, occhi verdi, colorito pallido e una magrezza forse eccessiva, tanto che le si potevano contare le ossa, se lo si fosse voluto. Werner ne era rimasto affascinato e se n'era innamorato. I due erano diventati subito inseparabili. Ricordava quanto lui gli avesse ripetuto che poteva trovarsi di meglio, che Bozen era lontana e che doveva dimenticarsela, ma il suo amico era stato irremovibile. Al loro ritorno a Ratschings aveva comunicato alla sua famiglia l'intenzione di trasferirsi a Bozen e di sposare Sabine e così aveva fatto. L'anno successivo si erano sposati, ed avevano aperto una piccola attività di vendita di lana. Da allora lui e Werner si erano rivisti solo sporadiche volte, nelle rare occasioni in cui Mattheus, dopo essersi trasferito a Pennes, si era recato a Bozen per vendere la sua acqua o i suoi prodotti curativi. Un tempo erano stati amici inseparabili, ma gli anni di lontananza e le vite diverse che ormai conducevano avevano finito per allontanarli. Mattheus lo guardava e più stava con lui più aveva la sgradevole sensazione di trovarsi davanti ad un estraneo. In quell'uomo non c'era più nulla del ragazzino che era stato suo amico: i suoi abiti eleganti, il suo tono sbrigativo e vagamente altezzoso... era diventato un uomo di città e ben poco era rimasto del pastorello che era stato a Ratschings.

Werner sorseggiò la birra, piano. "Il mese scorso è nato il nostro terzo figlio. Un maschio finalmente, dopo due bambine. L'ho chiamato Fritz, come mio padre. Però... Sabine è stata molto male, ha rischiato di morire durante il parto e non si è mai ripresa del tutto. Complicazioni impreviste, dicono i dottori che l'hanno visitata. E il piccolo... beh, è molto piccolo. Troppo. E' debole e il medico dispera che possa vivere a lungo. Ho aspettato alcuni giorni che la situazione rientrasse e quando Sabine è migliorata, seppur impercettibilmente, sono venuto da te".

Mattheus spalancò gli occhi. Si, ok, la situazione era tragica ma... "TRE FIGLI? Ma sei impazzito? Ero rimasto ad una, Grethel".

Werner sospirò, scuotendo la testa. "Tu non cambierai mai, Si, tre figli! Grethel, Hilde e Fritz".

"Grethel, Hilde e Fritz..." - ripeté Mattheus. Prese un'altra sorsata di birra, sperando che riuscisse a calmargli il mal di gola che lo stava divorando. "Quindi, sei venuto fin qui perché speri che la mia acqua possa fare qualcosa, giusto?".

Werner annuì. "Può aiutare mia moglie e il mio bambino?".

Lo stregone accavallò le gambe, pensieroso. "Può farlo, sì. Ma Sabine è sempre stata cagionevole di salute, la mortalità infantile è molto elevata da queste parti e i bambini spesso non arrivano a compiere un anno. L'acqua può aiutare, ma non può salvare dalla morte qualcuno che vi è destinato. E tutti dobbiamo morire, prima o poi". Prese dalla tasca la sacca di monete che Werner gli aveva dato, lasciandola cadere sul tavolo. "Tieniti i tuoi soldi, non li voglio. Prendi la tua acqua, chiedi una camera da letto per la notte qui alla locanda e domani mattina riparti subito per tornare dalla tua famiglia. Più di questo non posso dirti".

Werner si accigliò. "Come sei sbrigativo Mattheus. Lo sei sempre stato, ma non è da te questa freddezza nei miei confronti. E non è da te rifiutare del denaro. Speravo in una conversazione un po’ più lunga ed amichevole con te, visto che sono anni che non ci vediamo".

"Mi hai chiesto l'acqua e te l'ho data. Di più non posso fare. Per quanto riguarda il resto, non ho niente da dirti. Non ti vedo e sento da una vita e mi sembri cambiato. Non ti riconosco più, Werner".

"Sono ancora tuo amico, Mattheus, nonostante la lontananza".

Lo stregone annuì, serio. "Oh, sì, un amico che si è ricordato di me solo nel momento del bisogno. Se Sabine e tuo figlio stessero bene, non ti saresti certo degnato di venire da me. Lo hai fatto per bisogno, come tanti altri. E io ti tratto come tratto gli altri. Oh, già, ora che me lo ricordo... Quando vieni in casa mia la prossima volta comportati educatamente. Non ho affatto gradito né il modo in cui hai guardato i miei tre assistenti né il tono che hai usato nei loro confronti".

A quelle parole, Werner scoppiò a ridere. "Ma di chi parli? Dei nani e della piccola strega albina? Avanti Mattheus, dimmi che stai scherzando...".

Il tono di Mattheus rimase serio, oscurandosi ancora di più. "Si chiamano Falko, Drago ed Elke. E ti assicuro che al momento preferisco la loro compagnia alla tua".

Anche Werner si fece serio. "E' per loro che non mi ospiti da te per la notte?".

Mattheus alzò le spalle. "Ho la casa piena e tutte le stanze occupate. A meno che tu non voglia dormire nella stalla, credo che dovrai trovare ospitalità qui alla locanda".

"Mattheus!". Werner gli afferrò il polso, stringendolo. "Va bene, i nani ti servono per lavorare. E come fenomeni da baraccone possono anche essere divertenti. Ma non essere idiota, la ragazza albina toglitela dai piedi. E' una strega, chi ha quei capelli è maledetto. Ti procurerà molti più guai di quanti tu ne abbia già".

"Elke, lei si chiama Elke. E non è una strega. L'aria di città vedo che non ha giovato al tuo cervello e a tutte le tue stupide credenze ".

Werner si morse il labbro. "Lo dico per te, sei mio amico! Che te ne fai di una così in casa?".

"Vuole imparare da me e io la reputo adatta".

Werner scosse la testa. "Molti vorrebbero imparare da te, posso presentartene una lunga fila".

"Era sola, senza nessuno".

"E in molti sono soli e senza nessuno che badi a loro".

"Lei è diversa".

A quelle parole, Werner scoppiò nuovamente a ridere. "Oh sì, diversa. Lo dicevo pure io di Sabine. E l'ho sposata! Ma Sabine non è albina Mattheus, dannazione! Se vuoi una donna vieni a Bozen. Te ne presenterò di bellissime. Ma togliti quella strega di casa!".

Mattheus strinse i pugni dalla rabbia. Non tanto per quello che Werner aveva detto, Elke era lontana e non poteva sentire, ma perché si era reso conto che loro due non avevano più nulla in comune. Del bambino della Val Ridanna che si arrampicava sulle piante e correva coi cani da pastore, che sognava di essere uno spadaccino e di vivere mille avventure per il mondo, non era rimasto che un signorotto di città baldanzoso e altezzoso, pronto a giudicare chiunque non gli fosse andato a genio. Si alzò dalla sedia di scatto, facendola cadere a terra. "Hai la tua acqua e per me la cosa finisce quì. Buona fortuna con la tua famiglia".

Werner spalancò gli occhi. "Dove diavolo vai?".

"A casa mia. Sto molto meglio lì che con te". Era vero, se ne accorse in quell'istante. Casa sua, da quando Elke e i nani erano entrati nella sua vita, gli sembrava più calda, più accogliente, più bella... E per quanto avesse amato la solitudine, gli piaceva avere intorno i suoi tre assistenti, prenderli in giro e a volte anche stare ad osservare i disastri che combinavano. Quei due gemelli nani e quella una ragazza albina, che da lui non avevano mai preteso nulla, erano diventati una specie di famiglia per lui. Una famiglia che lo accettava e lo sopportava nonostante il suo carattere pessimo e i suoi modi di fare a volte sgarbati.

"E dai, non fare l'idiota! Resta ancora un po’".

Mattheus scosse la testa. "Buona fortuna" – sussurrò di nuovo, senza aggiungere altro. Andò al bancone dal locandiere, depose una manciata di monete e senza dire altro uscì, negando a Werner la possibilità di fermarlo.

La strada di ritorno fu più difficile, la tormenta si era fatta ancora più forte e il raffreddore gli era aumentato esponenzialmente. E in più aveva un forte mal di gola e di testa.

Quando giunse davanti casa, si accorse che il salottino era ancora illuminato. Entrò, notando che Elke e i nani erano seduti ancora a tavola. Le ampolle erano state sistemate e i tre stavano sfogliando il libro che Mattheus aveva dato alla ragazza da leggere.

"Sei già tornato? E il tuo amico?" - chiese Elke, sorpresa.

"Dormirà alla locanda" – rispose semplicemente, avvicinandosi a loro. "Avete in mano il mio libro! Sono indeciso se esserne sorpreso o sinceramente commosso".

La ragazza gli fece la linguaccia e Drago ridacchiò. "Elke ci voleva insegnare a scrivere i nostri nomi".

"Lei?". Mattheus scoppiò a ridere. Appoggiò una mano sulla testa della sua assistente, scompigliandole i capelli. "Elke sa a malapena come si scrive il suo, di nome".

"Ahah, spiritoso!" - borbottò lei. Fece per dire altro ma si fermò, studiandolo accigliata. Gli appoggiò la mano sulla fronte, piano. "Mattheus, stai bene?".

Lo stregone chiuse per un attimo gli occhi. Il tocco di Elke sulla sua fronte gli piaceva, decise. Lo faceva sentire bene... "Forse non molto".

La ragazza sospirò. "Lo dicevo che avevi il raffreddore! E ora temo che tu abbia anche la febbre, scotti".

"Credo di sì".

Elke si alzò dalla sedia, prendendogli una mano fra le sue. "Mettiti a letto e bevi la tua acqua. Nel frattempo ti preparo una tisana di salice bianco, cannella e sambuco. Ti aiuterà a far scendere la febbre. Non saresti dovuto uscire col raffreddore e la neve, Mattheus".

"Lo so". Già, lo sapeva bene. Si rese conto che per tutto il tempo in cui era stato con Werner, non aveva desiderato altro che tornare a casa. Ripensando al suo amico e al modo in cui aveva parlato di Elke e i nani, fu percorso da un fremito di rabbia. Quelle tre persone si preoccupavano genuinamente di lui e si preoccupavano che stesse bene. Ed era un qualcosa che mancava da tanto nella sua vita.

Si mise a letto, coprendosi fin sopra la testa. Stava congelando! Prese una ampolla con l'acqua del lago e la bevve, a fatica. Ci sarebbe voluta tutta la notte perché facesse effetto, lo sapeva. E il giorno dopo sarebbe comunque stato uno straccio.

"Mattheus, vuoi qualcosa? Ghiaccio, un panno bagnato sulla fronte?" - chiesero Falko e Drago, facendo capolino nella stanza.

L'uomo scosse la testa. "No, grazie. Di ghiaccio e acqua ne ho piene le scatole. Andate pure a dormire, domani starò meglio".

I nani annuirono e dopo averlo salutato, sparirono nella loro stanza.

Pochi minuti dopo, con una tazza fumante in mano, Elke si sedette accanto a lui. "Coraggio, bevi".

Mattheus inspirò il profumo forte che emanava la tisana. "Sembra buona. Ma non so se ce la faccio a berla tutta, mi sento male come non mi è mai capitato nella vita".

Elke sospirò, accarezzandogli i riccioli sulla fronte. "Non sei moribondo, hai solo l'influenza".

"Se la bevo, resti qui un pò?" - mugugnò.

La ragazza sorrise, paziente. "Va bene. E ora tirati su e bevi tutta la tisana".

Mattheus annuì e per una volta fu docile e fece come gli veniva richiesto, senza fare storie. "Mi è spiaciuto uscire così, stasera. Sì insomma, ero un pò scorbutico, no?".

Elke rise. "Non più del solito".

"Sto bene con voi. Meglio che con quell'idiota di Werner di sicuro. Accidenti a lui e a tutti i suoi consigli".

"E' un tuo amico e si preoccupa per te Mattheus, suppongo".

Lo stregone scosse la testa. "Si preoccupa delle cose sbagliate". Bevve la tisana e poi crollò di nuovo sul cuscino, stringendo la mano di Elke nella sua. "Cosa hai letto?" - le chiese, ricordandosi del libro.

Le dita della ragazza si intrecciarono alle sue. "Poche righe. Però quel libro è bello, parla di leggende del Tirolo, giusto?".

"Giusto. Te l'ho dato apposta perché sapevo che ti sarebbe piaciuto e ti sarebbe venuto voglia di leggerlo. E' un libro di fiabe che parla di principi e principesse del Tirolo. Si insomma, quelle storie d'amore che piacciono tanto a voi ragazze".

"Davvero? In quale punto del libro?".

Mattheus ridacchiò. "Te lo dovrai leggere tutto, se vorrai saperlo. Io non ti dirò niente".

Elke strinse più forte la sua mano. "Lo immaginavo...".

Mattheus si trovò a pensare nuovamente a quanto gli piacesse averla vicino. E il calore delle loro dita, intrecciate, fu l'ultima cosa che avvertì prima di addormentarsi.









Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo dieci ***


Capitolo dieci


Era una giornata di sole limpido, uno di quei giorni d'inverno che fa risplendere la neve e il ghiaccio di mille tonalità e colori. Il vento era gelido ma dopo giorni di fitte nevicate le strade di Pennes si erano riempite di gente desiderosa di stare un po’ all'aria aperta.

C'era uno strano via vai quella mattina, unito a una concitazione che di certo non apparteneva agli abitanti di quel paese, di solito silenziosi e riservati.

Mattheus alzò le spalle con noncuranza, passeggiando per i viottoli del villaggio, attento a non inzaccherarsi i piedi con fango e neve. Si chiedeva cosa avessero tutti quanti. Sicuramente il sole metteva di buon'umore, ma tutta quell'agitazione era decisamente troppa per un tipo poco tollerante al baccano come lui. "Starnazzano tutti come galline..." - borbottò, scalciando un sassolino sul selciato. Al momento però, la sua preoccupazione maggiore non era data dall'eccitazione dei suoi beneamati concittadini ma da altro. "Dove diavolo è finita Elke? Com'è che tutti i miei assistenti, quando li mando a prendere il pane, poi spariscono per ore?". Davvero, non capiva! Falko e Drago, quella mattina a casa a riassettare, dal panettiere si perdevano dietro le mille chiacchiere delle pettegole di paese ed Elke probabilmente non era molto diversa da loro visto che era da più di un'ora che la aspettava davanti alla stalla del signor Stulz, camminando avanti e indietro per la via.

"Corri, corri Joseph! Vedrai che forte, il signore che c'è in piazza!" - urlò un monello di circa cinque anni al compagno di giochi, passandogli davanti.

Mattheus si accigliò. Chi diavolo era arrivato a Pennes di nuovo? "Hei voi due, fermatevi!" - ordinò ai bambini.

I due amichetti si bloccarono di colpo, rischiando di cadere a terra. Lo osservarono per alcuni istanti incuriositi, poi sorrisero. "Oh, Pfeifer Huisele! Fantastico, tu sei lo stregone di Pennes! Sai che mia mamma ha tantissima paura di te?" - disse quello che doveva chiamarsi Joseph.

Mattheus alzò gli occhi al cielo. "Grandioso, mi fa piacere... Ma, con tutto il rispetto per la tua mammina di cui non mi interessa nulla, mi dite che sta succedendo in piazza? Chi è arrivato?".

I due bimbi si guardarono negli occhi. Poi fu di nuovo Joseph a rispondere. "Oh, un signore generosissimo e molto, molto ricco. Dicono si chiami Lucius. Sta regalando monete d'oro, amuleti magici e tisane curative a tutti quelli del villaggio. Un benefattore. A mamma ha dato cinque monete d'oro, figurati che poi piangeva dalla felicità! Mi sa che è un tuo collega, Pfeifer Huisele! Dicono sia un mago e che gli oggetti che regala siano fabbricati con la magia. Ma mamma dice che, a differenza di te, è simpatico e gentile".

Mattheus picchiettò il piede sulla strada, incrociando le braccia. "Ooooh, ma chi diavolo è tua madre?".

"Thea Wasser. Le hai venduto la tua acqua il mese scorso! Era per papà che aveva il mal di schiena. Mamma dice che l'hai spennata fino all'ultima moneta di rame".

"Thea Wasser, la moglie del pastore di capre...". Mattheus sospirò. Donna dal poco coraggio e dall'innegabile lingua lunga. "Grazie delle informazioni, bambini. Andate pure in piazza. E salutami la tua cara mammina quando la vedi, Joseph. Dille che Pfeifer Huisele la pensa e la porta sempre nel cuore..." – concluse, col più falso sorriso che esistesse al mondo sulle labbra.

Il bimbo lo guardò stranito per un attimo. "Oh, va bene" – rispose, con un'alzata di spalle.

Mattheus li osservò correre via. Nonostante tutto, aveva decisamente poca voglia di scherzare... Questa storia del benefattore-mago non lo convinceva per niente, non tanto perché poteva influire negativamente sui suoi guadagni quanto perché c'era qualcosa che non gli tornava. Non esistevano persone del genere sulle Dolomiti e di certo nessuno regalava niente in cambio di niente a perfetti sconosciuti, a meno di non volerseli in un certo senso comprare... E se tanto gli dava tanto, solo una persona poteva fare quel genere di cose. E se era chi pensava, quelli non erano regali e prima o poi il misterioso benefattore avrebbe preteso di essere contraccambiato. Si guardò attorno e visto che di Elke non c'era traccia, si diresse a grandi falcate verso la piazza. In fondo Pennes era piccola e la sua assistente l'avrebbe comunque ritrovato. O alla peggio, sarebbe andata a casa da sola.

Giunse in piazza e si appoggiò al muro della Chiesa, incrociando le braccia pensieroso. La gente di Pennes se ne stava ammassata vicino a un carro di legno sul quale erano ammassati una gran quantità di oggetti e sopra tutti, una voce urlava, raggiungendo le sue orecchie in maniera fastidiosa. Non poteva vederlo in viso, troppa gente si frapponeva fra lui e il nuovo arrivato,ma non aveva bisogno di guardarlo in faccia, aveva già capito. Quell'accento, quel tono di voce fintamente piacione e gioviale, quella falsa allegria, quella ostentata e siffatta simpatia... LUI era tornato. E qualsiasi cosa fosse venuto a fare, ne sarebbero scaturiti solo guai.

Mattheus guardò gli abitanti di Pennes: non era arrabbiato con loro perché non sapevano chi avevano davanti ed il nuovo arrivato aveva modi di fare suadenti ed ammalianti. Chiunque ci sarebbe cascato, se non avesse saputo...

Lo stregone rimase fermo, immobile ed in disparte per una buona ora, appoggiato al muro. Osservò la gente chiedere soldi, amuleti e pozioni magiche e li vide andare via contenti. Fu solo quando scoccò il mezzogiorno che la folla si allontanò per il pranzo e Mattheus poté vederlo in faccia. Era curioso di sapere quali sembianze avesse assunto questa volta...

I loro occhi si incrociarono, quando furono rimasti solo loro in piazza. Da un lato lo stregone, dall'altro il demonio... L'ultima volta che l'aveva incontrato aveva l'aspetto di un giovane aitante guerriero dai lunghi capelli rossi. Ora invece era un uomo sulla cinquantina, dall'aspetto bonario dato dai molti chili di troppo e dai capelli e occhi neri come il carbone.

"Vuoi qualcosa anche tu?" - chiese il nuovo arrivato, con un ghigno sul viso.

Mattheus si incupì. Lasciò la sua postazione a ridosso della Chiesa e si avvicinò a lui a piccoli passi. "No, non ho bisogno di nulla e tu lo sai. Pochi giri di parole e niente giochetti, demonio! Io so chi sei e tu sai chi sono io. Che cosa ci fai quì?".

Il diavolo sorrise. "Mattheus Hansele, sono venuto a trovare un amico... Non sei felice di vedermi, di tanto in tanto?".

"No, vattene!".

L'uomo si guardò attorno, pensieroso. "Perché? Sono il nuovo idolo di Pennes, la gente mi adora. Sono stato soprannominato 'Lucius il cuore d'oro', non lo trovi divertente?".

Mattheus scosse la testa, non staccandogli gli occhi di dosso. "Per niente. Vattene e lasciaci in pace Lucius... O Satan... O Seraphin! Qualsiasi nome tu abbia scelto stavolta, sparisci!".

"Non faccio niente di male".

Mattheus sorrise freddamente. "Tu fai sempre qualcosa di male. Prima o poi colpisci, ferisci e uccidi. Lo hai fatto una, mille volte. E continuerai a farlo sicuramente. Ma non ora e non qui!".

Lucius ridacchiò. "Mattheus Hansele, tu non comandi né su di me né su Pennes. La gente mi ama, vuole avermi vicino e io gli do tutto quello che desiderano".

"Tu non regali, tu baratti. Oggi dai loro una moneta, domani gli chiederai l'anima e la totale obbedienza. Questo, a quella gente, lo hai specificato?".

Lucius scoppiò a ridere. Una grassa, scomposta risata. "Hai poco senso dell'umorismo e scarsa educazione, mio caro amico. Non si tratta così un ospite".

Lo stregone si morse il labbro e con un gesto veloce prese il polso del suo interlocutore, stringendolo con forza. "Io non sono tuo amico".

"Nemmeno io Mattheus Hansele. Ma possiamo fare finta...".

"Scordatelo!".

Lucius rise, di nuovo. "Ahah, sai una cosa? Jakob era più gentile e divertente di te".

A quelle parole, Mattheus strinse ancora di più il suo polso. Gliel'avrebbe volentieri torto, spezzato... L'avrebbe ucciso anche, se ne avesse avuto l'occasione e la possibilità. "Non nominare mai più quel nome" – sussurrò rabbioso. Era una rabbia fredda la sua, la più pericolosa. Non doveva parlare di Jakob, non doveva permettersi...

"E invece lo farò tutte le volte che mi pare" – ribatté Lucius, per nulla intimorito, quasi leggendogli nel pensiero. "Come sta Jutta?".

Mattheus strinse ancora più forte il suo polso. "Ti ho detto di tacere!".

"Non sarai certo tu a dirmi cosa devo e non devo fare".

Mattheus si morse il labbro, lasciando la presa su di lui. "Un duello... Se vinco, te ne vai. Funziona così, no?".

Lucius scosse la testa. "Ora non mi va. Si sta tanto bene qui a Pennes, Mattheus. Ma magari più avanti si potrebbe fare... Sarebbe bello, una specie di commemorazione dei bei tempi passati".

"Mattheus, eccoti!".

La voce di Elke lo fece sussultare. Se c'era un momento sbagliato in cui incontrarsi, era decisamente quello. "Che ci fai ancora in giro? Vai a casa e aspettami lì" – disse alla ragazza, in tono nervoso.

"Ti stavo cercando. La panettiera ha finito il pane e...".

Mattheus si morse il labbro, notando il modo in cui Lucius guardava la ragazza. Non andava bene, per niente! "Non importa! Vai a casa, dannazione!".

"Che modi sgarbati che hai, stregone!" - commentò Lucius avvicinandosi ad Elke – "Non si deve parlare così a una donna. Con una fanciulla tanto bella e delicata ci vogliono solo dolcezza e gentilezza". Si avvicinò ad Elke e con un gesto veloce le prese una mano, portandosela alle labbra per baciarla.

Quello era troppo. Mattheus sentì il sangue ribollirgli in testa, la rabbia che cresceva a dismisura e una furia cieca che sembrava prendere possesso di ogni fibra del suo corpo. Non doveva osare... Ed Elke doveva fare quel che lui diceva. Con un gesto secco prese il braccio della ragazza, allontanandolo dalle labbra di Lucius. "Non toccarla".

Elke deglutì. "Mattheus?".

Lucius scoppiò nuovamente a ridere. "Ah, quest'uomo non cambierà mai, sarà sgarbato e maleducato fino alla morte, probabilmente. Lo conosco da anni, dolce fanciulla e ti giuro che peggiora, invece che migliorare. Come ti chiami?".

"Elke".

Mattheus strinse i pugni. "Vattene a casa".

Come se non lo sentisse, Lucius si avvicinò nuovamente alla ragazza. "Siamo colleghi io e Mattheus. Sono uno stregone e sono anche un benefattore".

Elke si guardò attorno. "Oh, allora sei tu quello di cui tutti parlano! L'uomo che distribuisce doni e monete d'oro, il mago?".

Lucius annuì. "Proprio io. E tu, dolce Elke, cosa vuoi che ti regali?".

"Non vuole niente!" - si intromise nuovamente Mattheus.

Elke annuì. "Sì, davvero. Non ho bisogno di nulla e forse dovrei andare a casa per davvero".

Lucius sorrise. "Solo un attimo, dolce Elke". Si mise una mano in tasca da cui, come per magia, estrasse una lunga e sgargiante rosa rossa. "Scommetto che lui non te ne ha mai regalata una. Prendila Elke, è per te" – mormorò, mettendole il fiore fra le mani.

Elke arrossì. "Grazie...".

Lucius le fece un profondo inchino. "Ora mi congedo, vado a pranzare. E' stato un piacere, piccola Elke. Mattheus... a presto, amico".

Quando si fu allontanato, la ragazza si voltò verso lo stregone, che intanto si era allontanato, stringendo fra le mani la rosa. "Che ti prende?".

Mattheus rallentò il suo passo e quando vide la sua assistente avvicinarsi, si fermò. Il suo sguardo era furibondo. "Mi prende che quando ti dico di fare qualcosa, tu la fai!". Non aveva voglia di parlare con Elke, non aveva voglia di parlare con nessuno. Doveva riordinare le idee, in fretta, e decidere il da farsi per rispedire il demonio all'inferno. Sempre più furioso, riprese la sua marcia verso casa, seguito a ruota da Elke.

"Perché sei stato così scortese con quell'uomo? Mi piace Lucius, piace a tutti a quanto pare, a parte te. E' così gentile e disponibile con la gente del villaggio" – sussurrò Elke, odorando la rosa rossa che il nuovo arrivato le aveva regalato.

Mattheus, furibondo, la fissò torvo. "Dici così solo per due o tre moine che ti ha fatto, Elke. Ti ha regalato una rosa e ti sei fatta comprare da lui. Se vuoi un consiglio, stagli lontana. E' pericoloso!".

"Mi ha regalato una rosa perché è gentile e se vuoi saperlo, mi ha fatto piacere riceverla. Nessuno mi aveva mai regalato un fiore".

Mattheus sospirò, scuotendo la testa. Elke non gli avrebbe mai dato retta, nessuna spiegazione che poteva darle le avrebbe fatto cambiare idea. E in generale, in quel momento non aveva voglia di dare spiegazioni a nessuno. Aveva ottimi motivi per odiare Lucius ed Elke doveva credergli sulla parola, senza fare obiezioni o domande. "Se vuoi dei fiori, puoi raccoglierteli da sola. Queste montagne sono piene di prati che a loro volta sono pieni di fiori. Ti basta andarci e prenderne quanti ne vuoi. Fra poco sarà primavera, non avrai che l'imbarazzo della scelta".

"Non è questo, è il gesto che conta. E Lucius è stato gentile".

Mattheus, sempre più di cattivo umore, scalciò un sasso. Odiava Lucius, odiava la gente del villaggio che gli dava retta come un branco di caproni e in quel momento non aveva troppo in simpatia nemmeno Elke. Era arrabbiato, con Lucius, con tutta Pennes e con la sua piccola assistente albina. Con lei più di tutti, anche se non ne capiva il motivo. Nella sua mente era ancora viva l'immagine di Lucius che prendeva la mano di lei per baciarla e questo lo mandava fuori dai gangheri. "Sai perché te li ha regalati?" - chiese alla sua assistente, fermandosi di colpo. "Perché lui è il diavolo e tu sei sua figlia. Volevi sapere la verità, giusto? Lui è il demonio, viene dall'inferno e tu lo hai accolto a braccia aperte. Fra parenti vi riconoscete, evidentemente...". Sì, aveva colpito basso, lo sapeva. Ma Elke se l'era cercata.

La ragazza si bloccò, osservandolo in un misto fra stupore e dolore. "Perché sei così cattivo con me? Non ho fatto niente di male! E non sono la figlia del diavolo, lo sai".

"Hai i capelli albini e chi li ha, è figlio del diavolo. Lo dicono tutti, di te, Elke. Perché io dovrei affermare il contrario?".

L'espressione di Elke si rabbuiò. "Smettila..." - sussurrò, con voce tremante.

Mattheus sorrise, freddamente. "No, non la smetto, figlia del diavolo. Anzi, lo ripeterò mille volte, se mi andrà di farlo. Figlia del diavolo, figlia del diavolo, figlia del diavolo... Contenta di rivedere il tuo paparino, strega?".

"Mattheus...". Elke deglutì e per un attimo impallidì. Lasciò cadere la rosa che aveva fra le mani e corse via, prendendo il primo vicolo che si trovava davanti.

Mattheus le andò dietro, a passi spediti e rabbiosi. "Brava, bravissima! Scappi davanti alla verità? Finiscila con queste scene da donnicciola Elke, e fermati!".

Ma la ragazza non si fermò. A passo veloce, correndo, raggiunse il delimitare di Pennes, arrivando al bosco di abeti. La neve era ancora alta lì e fu costretta a rallentare il passo per non cadere.

Mattheus ne approfittò e con un gesto veloce la bloccò, prendendola per il braccio. "Ti ho detto di fermarti! E non te lo ripeto!" - urlò, spingendola contro il tronco di un albero e parandosi davanti a lei, bloccandole ogni via di fuga.

La ragazza cercò di divincolarsi, ma la presa sul suo braccio era ferrea. "Lasciami! Ti ho detto di lasciarmi Mattheus".

"No".

Elke tentò di spingerlo indietro, senza successo. La stretta dello stregone le faceva male... "Lasciami Mattheus! Lasciami o urlerò! Urlerò talmente forte che accorrerà tutta Pennes. Ti giuro che lo faccio".

Mattheus non si fece spaventare. La sua rabbia e la sua furia erano cieche in quel momento. La faccia di Lucius, le sue parole, i suoi gesti di quel giorno si mischiavano al passato e a ricordi dolorosi. "Lasciarti? Io ti ho ordinato di andare a casa e tu ora mi stai disubbidendo. Quindi non ti lascio finché non farai quel che io ti dirò. Hai capito, figlia del diavolo?".

"Io non sono una tua proprietà! E tu non puoi obbligarmi a fare niente".

Mattheus scosse la testa. "Sei la mia assistente e farai quel che io ti dico. Sempre!".

Elke sorrise. Un sorriso triste, distante... I suoi occhi si inumidirono e sembrò fare violenza a se stessa per non piangere. "Non lo sono più... Io sono maledetta, la figlia del demonio, una strega, giusto? Lo hai detto tu poco fa, lo hanno detto sempre tutti, fin dal giorno della mia nascita. Con lo stesso tono che hai usato tu, la stessa cattiveria negli occhi. Ma oggi... oggi mi ha fatto male più di tutte le altre persone. Mi fidavo di te, Mattheus. Credevo che tu... che tu mi vedessi come una persona normale. Mi sbagliavo...".

Mattheus scosse la testa. Per quanto odiasse vederla piangere, in quel momento la rabbia era ancora troppo forte per riuscire a calmarsi. "Hai parlato col demonio, hai accettato un suo dono, lo hai fatto avvicinare a te e gli hai permesso di baciarti la mano. Lo capisci perché sono così arrabbiato? Tu non hai nemmeno idea di chi lui sia, di quello che può fare, di quello che ha già fatto!".

Elke si abbandonò contro il tronco dell'albero. "Non mi importa chi lui sia. Io non lo sapevo e non ho certo desiderato che si avvicinasse a me. Era gentile e mi ha fatto un dono, tutto quì".

"Se fossi tornata a casa come ti avevo detto, non sarebbe successo. Ed è quello che ora farai".

"No".

Mattheus si morse il labbro talmente forte da sentire il sapore del proprio sangue in bocca. "Elke, mi sto arrabbiando seriamente".

La ragazza scosse la testa. Portò lentamente la mano al laccio che teneva legato il suo mantello e lo sciolse. Poi piegò l'indumento, mettendolo fra le mani di Mattheus. "Questo è tuo, te lo restituisco. Non ho mai avuto bisogno di mantelli e posso farne volentieri a meno. Ci rinuncio, da questo momento non sono più la tua assistente. E non tornerò a casa".

Lo stregone spalancò gli occhi, mentre sentiva qualcosa dentro lui che lentamente andava a sgretolarsi. Non sapeva cosa fosse, ma era come se gli facesse male il cuore...

Per un attimo rimase in silenzio, ammutolito. Non poteva crederci che lo stesse lasciando così... "Rinunci così, solo per una litigata? Non hai fegato, ragazzina. Sei infantile e viziata" – sussurrò, con voce tremante.

Elke gli sfiorò il petto, spingendolo indietro. "No, non sono viziata ma si sarebbe piaciuto esserlo, forse. E non è nemmeno questione di avere fegato, Mattheus. Io non posso vivere qui con te e con questa gente. E' sempre così in fondo, ci sono abituata. Le streghe non vivono fra le persone e al mondo non c'è nessuno che creda il contrario. Non c'è posto per me qui e da nessuna altra parte. E poi... dopo quello che mi hai detto, non posso rimanere. Ti credevo diverso e invece sei come tutti gli altri. Salutami Falko e Drago quando torni a casa, per favore. Io me ne vado".

Mattheus si avventò su di lei, prendendola per il polso in una morsa che aveva un sapore vagamente violento, come se volesse tenerla legata a se ad ogni costo, anche con la forza se necessario. "Te ne vai? E dove? Senza mantello, senza soldi, in pieno inverno! Finiscila di fare la stupida e torna a casa".

Elke scosse la testa. "E' casa tua, non mia. E non ho bisogno di soldi, posso vivere benissimo da sola in montagna, lontana da tutto e tutti, come ho sempre fatto. Le Dolomiti, i boschi e gli animali mi sono sempre stati amici. Più degli uomini. Troverò un posto dove stare, un posto che mi piace. E starò benissimo". Con uno strattone si liberò dalla stretta di Mattheus, incamminandosi per il sentiero che portava alla vetta.

Lo stregone gettò il mantello di Elke a terra, con un gesto rabbioso. "Ascoltami bene, figlia del diavolo! Se te ne vai e poi cambi idea, non perdere tempo a tornare. Hai capito? Non ti aprirò nemmeno la porta, ricordatelo".

Elke si voltò un'ultima volta verso di lui. Le lacrime ora le rigavano le guance e il suo sguardo era spento e lontano. "Non tornerò, sta tranquillo". E poi sparì fra gli abeti innevati.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo undici ***


Capitolo undici


Il tempo in primavera, soprattutto in montagna, sa essere imprevedibile, subdolo ed ingannevole. Giornate di sole possono virare in un niente in tormente di neve o al contrario, violenti acquazzoni possono tramutarsi in un tiepido sole.

Mattheus lo sapeva, non doveva illudersi. Quel clima mite e quel cielo terso non sarebbero durati molto. Era meglio non uscire e, di fatto, non aveva nemmeno buone motivazioni per farlo. Da due mesi, da quando Lucius era entrato di nuovo nella sua vita stabilendosi a Pennes, i suoi affari andavano a rotoli perché tutta la gente del villaggio preferiva rivolgersi a quel dannato imbroglione per farsi aiutare, piuttosto che a lui. La cosa però lo toccava relativamente e di fatto gli bastava andare al lago a prendere l'acqua e venderla negli altri villaggi del Tirolo. Inoltre aveva soldi a sufficienza per vivere agiatamente per anni e rimanere in panciolle in fondo non era per niente male.

Si stiracchiò sulla sedia, appoggiando i piedi sul tavolo. La casa era avvolta in un pesante silenzio e in un certo senso questo gli pesava e non capiva il perché. Ci doveva essere abituato, aveva vissuto felicemente da solo per dieci anni, eppure... Stava per sospirare dalla noia quando un rumore secco ed improvviso di vetri che si rompono, proveniente dalla stanza dei nani, per poco non lo fece cadere dalla sedia. Alzò gli occhi al cielo. "Cos'hanno rotto di nuovo?".

Falko, con espressione mortificata, fece capolino davanti a lui. "Ehm, Mattheus?".

Lo stregone sbuffò. "Dimmi...".

"Sai quelle provette dell'acqua... quelle che ci hai detto di lucidare e riporre nell'armadio...?".

"Si?".

Falko deglutì. "Ecco vedi, è stato un incidente...".

Mattheus gli diede una veloce occhiata, senza battere ciglio. Sì, avrebbe dovuto sbraitare, urlare e arrabbiarsi con quei due impiastri ma... non ne aveva voglia. In fondo, cosa sarebbe cambiato? "Non importa. Prendete una scopa e tirate su i cocci da terra" – disse, in tono piatto.

Falko spalancò gli occhi dalla sorpresa, mentre suo fratello gli si affiancava. "Scusaci Mattheus! Non è colpa nostra, abbiamo delle mani piccole e le ampolle ci scivolano. Elke era più brava, lei aveva delle manine così delicate e delle dita tanto lunghe..." - tentò di giustificarsi Drago.

Mattheus strinse i pugni con forza. "Vi ho detto che non importa. Ripulite e basta, senza star qui a parlare per niente". Che diavolo di motivo c'era di parlare di Elke? Se n'era andata da due mesi, di sua spontanea volontà, ed era ora che i nani se ne facessero una ragione ed imparassero a lavorare come si deve. Sapeva che a quei due la ragazza mancava e che erano preoccupati per lei ma non poteva farci nulla. Aveva messo ben in chiaro con loro, due mesi prima, che Elke se n'era andata di sua spontanea volontà e che di certo non era stato lui a cacciarla. In fondo era quella la verità, no? Perché stare a preoccuparsi, quindi? Non amava sentir parlare di lei, anche se supponeva che Falko e Drago, per i fatti loro, ne discutessero ancora. Beh, non era un problema, l'importante era che non lo facessero davanti a lui.

Falko e Drago si guardarono negli occhi. "Mattheus, non sei preoccupato per lei? Manca da tanto e l'inverno è stato così freddo. In questi mesi ha nevicato molto e ci chiedevamo se abbia trovato riparo, se stia al caldo, se abbia cibo, se sia tornata a casa sua magari...".

"Perché state a farvi tutti questi problemi?". La voce di Mattheus era fredda, forzatamente distaccata. "Elke non è vostra sorella, figlia, moglie o altro. E' adulta e sa cavarsela benissimo anche da sola. Ha voluto andarsene e quindi quel che fa e come se la cava non sono affari nostri".

Drago abbassò lo sguardo. "Si ma...".

"Ma cosa?". Ora il tono di voce di Mattheus era seccato.

Il nano fissò il fratello con espressione preoccupata. "Non è nemmeno tornata a prendere le sue cose, magari le è successo qualcosa di brutto, magari ha bisogno di aiuto".

Mattheus si accigliò. "Quali cose? Da che ricordi, Elke non possiede nulla".

Falko alzò lo sguardo, fissando la scala che portava alla soffitta che era stata la stanza di Elke. "Beh, quando siamo saliti a sistemare il fieno, qualche settimana fa, abbiamo trovato il suo arco e la sacca coi nastrini colorati e le perline che metteva fra i capelli. Lei non possedeva nulla e quelli erano gli unici tesori che aveva".

Mattheus spalancò gli occhi, mentre una strana fitta dolorosa gli attanagliava lo stomaco. I nastri per i capelli, il suo arco... Elke se n'era andata via all'improvviso e non aveva nemmeno fatto in tempo a prendere le uniche cose che erano di sua proprietà. Ricordava la prima volta che l'aveva incontrata, mentre batteva al torneo l'arciere campione del villaggio e ricordava anche quanto amasse ornare i suoi capelli con quei nastri e quelle perline colorate. Quelli trovati dai nani glieli aveva comprati lui dopo Natale, visto che i suoi li avevano usati per addobbare l'abete. Non era tornata a riprenderli... Elke non sarebbe tornata mai più... Era facile fingere indifferenza coi nani, meno semplice fingere con se stesso che non gli importasse di lei. Non voleva nemmeno pensare che fosse tornata a casa sua a Tires, da quelle bestie dei suoi genitori. Non poteva averlo fatto, non poteva essersi arresa a quel modo. Lei sapeva che non poteva fare ritorno dalla sua famiglia, era consapevole che suo padre l'avrebbe massacrata di botte se lo avesse fatto. No, lei era in gamba, intelligente e coraggiosa e ovunque fosse, era certo che stava bene. Alzò lo sguardo, a fissare le pareti, la stanza, la sua casa. Gli sembrava così vuota ora, anche se non era solo, anche se c'erano Falko e Drago, era come se quella baita, da due mesi a quella parte, fosse diventata silenziosa, grigia e triste. "Beh... Se vorrà tornare a riprendersi le sue cose, ovviamente potrà farlo. Non state a preoccuparvi per queste sciocchezze".

Falko abbassò lo sguardo. "Come fai a non essere preoccupato per lei? Era così innocente e buona e il mondo, la fuori, è freddo e crudele. Era la principessina di questa casa, la piccola Elke...".

Improvvisamente, a quelle parole dei nani, la stanza gli sembrò soffocante, calda e piccola. Aveva bisogno di uscire, camminare, fare qualsiasi cosa che non fosse rimanere seduto a quel tavolo. "Io esco" – disse quasi con foga, alzandosi dalla sedia.

"Ma è quasi ora di pranzo" – commentò Drago.

Mattheus fece per rispondergli mentre si apprestava a mettersi il mantello, quando un bussare possente alla porta fece sussultare tutti e tre.

Lo stregone si accigliò. Chi diavolo poteva essere? E soprattutto, perché non lo lasciavano in pace? "Vado io" – borbottò in tono piatto, con scarso entusiasmo, aprendo la porta. Sicuramente era uno degli abitanti di Pennes che non aveva trovato Lucius a casa e che veniva a scocciare lui come ultima risorsa. Beh, la sua acqua per quel giorno e per quelli a venire era finita. Per tutti!

Ma quando aprì, non si trovò davanti un suo concittadino. Mattheus si oscurò. Vestiti pacchiani di pessimo gusto, capelli laccati. Non poteva che essere... "Lucius... Che diavolo ci fai qui a casa mia?".

Il demonio sorrise, sornione. "Non ti vedo in giro da tanto e mi chiedevo come te la passassi. E' così noioso essere qui e non averti fra i piedi. Sembra quasi che tu voglia evitarmi".

Mattheus sorrise, freddamente. "Ma infatti è così! E' davvero piacevole starmene qui in casa mia, senza essere costretto a vederti in ogni angolo, in ogni strada che percorro". Lo spinse fuori, nel vicolo, chiudendo la porta dietro di se. Non voleva che Falko e Drago assistessero a quella conversazione. L'aveva già pagata cara con Elke, non poteva permettere che succedesse di nuovo. "Che vuoi?" - chiese secco, quando furono soli nel vicolo.

Lucius scosse la testa. "Perché pensi che voglia qualcosa? Sono solo venuto a trovare un amico che non vedo da un po’. Credevo che noi due potessimo avere più momenti di confronto e devo ammettere che invece mi sto annoiando e tu mi stai deludendo. Da quando ti nascondi in casa tua quando sono nei paraggi?".

Mattheus si avventò su di lui, prendendolo per il bavero della camicia. "Ti ho già detto che non sono tuo amico. E per il resto io sto benissimo in casa mia, lontano da te. Se sei venuto qui per provocarmi sappi che le tue intenzioni andranno a vuoto. Fai quel che vuoi, frega questa gente come ti pare, non mi importa! Ma lascia in pace me".

Lucius sorrise, fissandolo dritto negli occhi. "Sono stufo della gente di Pennes. Anche l'adulazione, dopo un po’, diventa noiosa e fastidiosa. Quando sono arrivato qui, mi hai chiesto un duello, giusto? E' molto che non combattiamo noi due e sarebbe il caso di riprendere le vecchie care abitudini".

"Se vinco, te ne vai?".

Lucius annuì. "Se vinci me ne vado, sì. Se perdi, muori. Le regole del gioco te le ricordi, vero?".

"Perfettamente. Dimmi dove e quando e facciamola finita".

Lucius scoppiò a ridere. "Ah, io come ben sai sono tradizionalista. Domattina Mattheus, al lago di Valdurna. Ti aspetto lì a mezzogiorno".

Mattheus annuì. Il suo sguardo era freddo come il ghiaccio e tagliente come una lama. Un duello col demonio al lago di Valdurna... La storia si ripeteva, ancora. Ma non avrebbe permesso a quell'essere di vincere. "Non mancherò" – sussurrò minaccioso.

"Nemmeno io" – rispose Lucius, stavolta in tono serio. Poi, senza aggiungere altro, girò sui tacchi e sparì nella via.

Mattheus lo guardò allontanarsi e poi rientrò in casa. "Domani starò via tutto il giorno, voi rimarrete qui e seguirete la casa" – disse semplicemente ai nani, in tono freddo, senza aggiungere altre spiegazioni. Ignorò gli sguardi curiosi di Falko e Drago a seguito di quelle parole e andò dritto nella sua stanza. Chiuse la porta dietro di se e si diresse al grosso baule posizionato sotto la finestra. Lo aprì e vi tolse una lunga spada. La liberò dal fodero, fendendo l'aria con la lama. Era lunga, pesante e terribilmente affilata, eppure a lui sembrava tanto maneggevole e leggera fra le mani. Era una sensazione strana impugnarla, dopo tanto tempo. Una sensazione piacevole perché risvegliava in lui ricordi lontani e felici e al contempo una sensazione dolorosa perché ricordava quella stessa lama riversa nel prato, dieci anni prima, intrisa del sangue di una persona cara. "Jakob... Se lo sa Jutta, questa volta mi ammazza per davvero". Già, la fatina si sarebbe terribilmente arrabbiata se fosse venuta a conoscenza del duello, ma lui non si sarebbe tirato indietro. Per se stesso, per Jakob ed anche per quella piccola fata dalla lingua lunga. Com'era venuto, all'inferno ce lo avrebbe rimandato il demonio.

Si stese sul letto, gettando la spada al suo fianco. Affondò il viso fra i cuscini, in cerca della concentrazione necessaria per affrontare un duello. Era fuori esercizio con la spada, lo sapeva. Ma era talmente furioso e fuori di se che la sua rabbia avrebbe sopperito alla mancanza di allenamento. Non avrebbe perso, ne era certo. E avrebbe usato ogni mezzo, lecito o meno, per liberarsi di Lucius e del male che si portava appresso. Lucius era il demonio in persona e lui era uno stregone, se lo aveva sfidato era perché lo riteneva un avversario interessante e lui aveva il preciso dovere di combattere e vincere. Non c'erano altre strade percorribili per liberare dalla sua presenza la Val Sarentino, lo sapeva. E doveva metterselo in testa anche Jutta.


...


L'aria, attorno al lago di Valdurna, era fredda e pungente. La primavera che sembrava arrivata a Pennes, da quelle parti pareva ancora lontana. Chiazze di neve ricoprivano i prati a macchia di leopardo, le piante erano ancora spoglie e la superficie del lago che si trovava nella zona d'ombra era ricoperta da una leggera patina di ghiaccio.

Non c'era nessun rumore o anima viva. Mattheus si sedette su un masso sotto un abete, pensieroso. Era partito prima dell'alba da Pennes, in silenzio, senza nemmeno svegliare Falko e Drago. Avrebbero pensato loro alla casa fino al suo ritorno, lo sapeva. E nel caso non fosse tornato... beh, avrebbero avuto per sempre un tetto sulla testa. Non aveva dato loro spiegazioni e i due nani si erano ben guardati dal chiedergliele, visto che li aveva avvertiti due mesi prima di non chiedere nulla di Lucius e di stargli lontano.

Quel giorno non aveva indossato, come suo solito, i tradizionali abiti tirolesi. Sarebbero stati scomodi per combattere, gli avrebbero impacciato i movimenti. Aveva indossato dei semplici pantaloni di pelle, stivali, una cintura per portare dietro la sua spada, una pesante camicia bianca e un mantello. Non aveva bisogno d'altro. Era giunto lì molto prima dell'appuntamento ed erano ore che stava in contemplazione, ad osservare le placide acque del lago. Sperava vivamente che Jutta non notasse la sua presenza e che se ne stesse ben lontana, non era il caso che assistesse a quel duello.

Stanco di aspettare, si alzò dal masso, avvicinandosi al lago. Ci entrò, bagnando gli stivali fino alle caviglie. Non importava in quel momento, non riusciva nemmeno a percepire quanto fosse fredda l'acqua, da quanto era teso e concentrato. Estrasse la spada dal fodero e la impugnò, osservandola attentamente.


"Mattheus, ricorda una cosa. Quando combatti, la tua mente dev'essere libera, deve esistere solo il tuo avversario. Qualunque problema tu abbia, relegalo in un angolo remoto della tua mente. Niente è importante come il preservare la propria vita. Se muori in un duello, ogni problema o angoscia che ti affligge, perderebbe di significato. Se vinci e sopravvivi, avrai tutto il tempo per risolvere le cose successivamente. Combatti col cervello e usa anche un pò di sana rabbia e furia. E battiti sempre per le cause giuste".


"Io non ho nessun problema ad affliggermi" – sussurrò a se stesso, brandendo l'arma e librandola nell'aria.

"Ne sei sicuro?".

"Sì".

"Meglio così, Mattheus".

Lo stregone scosse la testa. Non voleva sentire quella voce, non in quel momento. No, no e ancora no! Si doveva concentrare, e quella voce gli diceva cose che non voleva sentirsi dire, cose che rifiutava persino di pensare, cose tanto vicine a una verità che rifiutava persino di prendere in considerazione. Liberare la mente? Bene... "Fai silenzio, Jakob". Fendette l'aria, preso da una strana rabbia e da una furia cieca che non gli erano mai appartenute. "Sbrigati Lucius! Sbrigati e facciamola finita!".

"Quanta fretta di morire, Mattheus Hansele".

Lo stregone si fermò di colpo. La voce di Lucius era giunta alle sue spalle, improvvisa e gelida come una folata di vento in inverno. Era arrivato in silenzio, col passo felpato di un gatto, come quel giorno di dieci anni prima. Per un istante, un solo istante, rabbrividì. E si sentì stupido per questo. Di cosa doveva aver paura se non aspettava altro che quel momento? Era l'ora della verità e promise a se stesso che il passato non si sarebbe ripetuto. "Sei quasi in ritardo..." - mormorò con voce fredda, voltandosi lentamente – "Cominciavo a temere che te la fossi data a gambe".

Lucius alzò le spalle. "E' mezzogiorno in punto proprio adesso. Sarei stato in ritardo fra un minuto, ma come ben sai, io sono un tipo preciso".

Mattheus non distolse lo sguardo da lui. Era lì, a pochi passi e non aveva mai provato un tale desiderio di uccidere come in quel momento. Uscì dall'acqua, sfoderando la spada. "Beh, non ha importanza, ora sei quì! Basta parlare, facciamola finita subito".

"Come vuoi". Anche Lucius sfoderò la sua spada, sollevandola verso il cielo. La sua lama era nera e l'elsa aveva strane striature rosso fuoco che la percorrevano da una parte all'altra. "Prima Jakob e ora tu. Vediamo cosa ti ha insegnato il tuo maestro".

A quella frase, con un balzo veloce, Mattheus gli fu addosso, sferrando il primo attacco. "Ti ho già detto di non pronunciare quel nome!".

Lucius sorrise, schivando la spada. "Oh, perché non dovrei ricordarmi di lui? E' stato per anni un valido avversario e dubito fortemente che tu sia alla sua altezza. Poi... perché non nominarlo? Lui, è ancora qui, è sempre stato qui! Giusto? Senti la sua voce, vero? E' la fonte di gran parte del tuo potere e dei tuoi guadagni. Anche ora, lui è più in gamba di te".

"BASTA!". Mattheus sferrò colpi veloci e le lame dei due duellanti si incrociarono più e più volte, tintinnando nell'aria. Attaccava, senza una tecnica precisa, spinto solo dalla rabbia cieca che si era impossessato di lui. Sapeva di combattere nel modo sbagliato ma doveva farlo tacere, farlo smettere di parlare di Jakob e di quanto accaduto sulle rive di quel lago dieci anni prima.

Lucius parava i colpi e contrattaccava senza sosta. Non pareva stancarsi o affaticarsi davanti a quei ritmi tanto serrati di combattimento. Nonostante la sua mole, nonostante l'età che dimostrava, era agile come un ventenne.

Mattheus lo sapeva, non poteva farsi condizionare dal suo aspetto. Aveva davanti il demonio, Satana in persona e poteva assumere anche le sembianze di un vecchio centenario, ma rimaneva ugualmente letale.

Lucius parò un nuovo colpo, arretrando verso il bosco di abeti. "Sei veloce, Mattheus! Ma ti lasci guidare dall'istinto e non sei lucido. Rabbia... Io la percepisco, mi inebria vederla nei tuoi occhi. Un vero guerriero sa isolarsi da tutto, mentre combatte. E tu non lo sei! Jakob non ti ha insegnato che devi svuotare la mente, quando combatti?".

"Ti ho detto di non nominare quel nome, sta zitto!" - urlò lo stregone, con ferocia.

Lucius sorrise freddamente, non smettendo di maneggiare la sua spada con eleganza. "Va bene... Parliamo d'altro. Dov'è finita quella dolce fanciulla che ho conosciuto quando sono arrivato a Pennes?".

Al sentirlo parlare di Elke, Mattheus affondò un attacco diretto e la sua lama si diresse verso il cuore di Lucius che parò l'affondo. "Dov'é? E chi lo sa! E' colpa tua se non vive più a Pennes".

"Davvero? E che avrei fatto io?" - rispose a tono Lucius, quasi divertito dalle sue parole – "Non so di cosa parli. Hai un carattere orribile e se è andata via è solo a causa tua . Incolpami pure di tutto, ma non di questo, io non c'entro".

Quelle parole lo colpirono e per un attimo Mattheus allentò la presa. Dovette ammettere a se stesso che Lucius aveva ragione. Elke se n'era andata perché lui l'aveva ferita, di proposito, accecato dalla rabbia e... Abbassò la guardia, non poté farne a meno. Quella fitta al petto che aveva avvertito il giorno in cui lei se n'era andata, tornò a tormentarlo. Faceva male...

Quell'attimo gli fu fatale.

Lucius si avventò su di lui, pronto a trafiggerlo. Mattheus riuscì a scansarsi dalla traiettoria all'ultimo, ma la spada lo colpì lo stesso, anche se non al cuore, dov'era diretta. Sentì una fitta dolorosissima alla spalla sinistra, la carne che si strappava e lacerava e il sangue caldo che gli colava giù per il braccio. Cadde a terra, mentre la neve sotto di lui si colorava di rosso. Con la mano destra fece per impugnare di nuovo la spada ma il dolore all'altro braccio era talmente forte da lasciarlo stordito. E Lucius era sopra di lui, in posizione dominante, troppo vicino perché potesse difendersi in maniera efficace, troppo vicino per sfuggirgli...

Il demonio lo fissò, dall'alto verso il basso. Aveva perso il suo ghigno beffardo e ora la sua espressione era compiaciuta e crudele. Era un mostro, pronto a colpire la sua preda senza pietà. Come dieci anni prima... Tentò un ultimo tentativo, sollevando la sua spada, ma Lucius gliela fece volare via, con un colpo della sua lama.

"Mi dispiace Jakob...". Non lo avrebbe vendicato, non si sarebbe preso la rivincita. Avrebbe perso e così facendo avrebbe deluso colui che era stato la sua guida, colui che aveva dato la sua vita per salvarlo.


"Non arrenderti. Prova, rischia il tutto per tutto. Puoi vincere, ma devi usare di più il cervello e di meno il cuore. Mattheus, rialzati!".


"Non ce la faccio...". Mattheus, al sentire quella voce, strinse un ciuffo d'erba nel pugno della mano sinistra. Il sangue colava copiosamente dalla spalla, spossandolo sempre più. Non si era mai sentito tanto debole e inerme in vita sua. Sentiva spesso dire in giro che negli ultimi istanti di vita di un uomo, scorrono davanti ai suoi occhi fatti e persone importanti della sua esistenza. E scoprì che era vero. Il pensiero corse veloce, immagine per immagine, ai suoi genitori, a Jakob, agli abitanti della Val Ridanna dov'era nato e a quelli di Pennes, alla sua casa, a Jutta e a tutte le creature magiche che aveva conosciuto nella sua vita, a Falko e Drago e alla piccola Elke. Si chiese se anche per Jakob era stato così, prima di venire colpito. A chi aveva pensato, chi aveva rimpianto?

Lucius sorrise, sollevando la spada su di lui. Mattheus lo guardò in viso. No, non sarebbe morto con gli occhi chiusi, lo avrebbe guardato in faccia fino alla fine. Che si dicesse che aveva un carattere orribile e che era morto da stupido in un duello. Ma non che era un codardo.

Il demonio abbassò la spada, con un gesto tanto veloce da non riuscire quasi a percepire il movimento della lama. Ma prima che colpisse, una lucina accecante si parò fra loro, volando attorno agli occhi di Lucius che arretrò, momentaneamente colto di sorpresa, tenendosi gli occhi fra le mani. "Dannazione".

Mattheus spalancò gli occhi. "Jutta!".

La fata, giunta senza che nessuno dei due se ne accorgesse, si voltò verso di lui. La sua espressione era furibonda. "Brutto somaro! Sei un cretino Mattheus! Non dovevi combattere, non con lui! Se non fossi arrivata io, tu a quest'ora saresti morto. E' questo che vuoi? Morire qui come Jakob?".

Mattheus deglutì. Spesso aveva battibeccato con Jutta, spesso si erano amichevolmente insultati a vicenda e sempre lei lo aveva rimproverato per qualcosa. Ma in quel momento la fatina aveva decisamente poca voglia di scherzare e ne capiva appieno il motivo. Per lei non era facile vederlo combattere in quel luogo, con quell'essere. Era arrabbiata sul serio e lui sapeva che stavolta aveva ragione lei, ma era troppo tardi per tirarsi indietro. "Vattene!".

Jutta si avventò su di lui, tirandogli una ciocca di capelli. "Che diavolo stai facendo quì per terra? Tirati su, subito! O lui ti sarà di nuovo addosso".

Mattheus annuì. La luce delle ali di Jutta aveva momentaneamente accecato Lucius, dandogli una manciata di secondi per rimettersi in piedi e tentare di recuperare la spada.

"Jutta...". La voce del demonio arrivò alle loro orecchie. Era furibondo anche lui, adesso. Si rialzò, strofinandosi gli occhi arrossati. "Piccola, dannata fata! Eri una guastafeste allora, e lo sei ancora adesso. Ma ti assicuro che non ci metto nulla a cancellarti dalla faccia della terra, se non sparisci subito. Sarebbe divertente vero, raggiungere Jakob in fondo al lago? Potrai riabbracciarlo...".

"Jutta, ha ragione lui, vattene!" - urlò Mattheus, lanciandosi nella neve, nel tentativo di recuperare la sua spada.

Ma Lucius intuì i suoi propositi. In posizione avvantaggiata rispetto a Mattheus, raggiunse la spada dello stregone, lanciandola lontana con un calcio.

Jutta sussultò. "Mattheus...".

Lo stregone si morse il labbro. "Sei sleale Lucius. Non mi permetti nemmeno di recuperare la mia arma per continuare a combatterti".

Lucius ridacchiò. "Oh, sleale dici? E invece il tentativo di accecarmi della tua amica Jutta, suppongo di doverlo considerare un atto nobile e secondo le regole di cavalleria, giusto?".


"Non farti provocare, non farti distrarre, non arrenderti e usa il cervello ora".


La voce di Jakob, ancora accanto a lui... Annuì davanti a quei consigli sussurrati nel vento, saggi come sempre. Era senza armi, era vero, ma aveva dalla sua un'intelligenza superiore alla norma. Usare il cervello, usare la logica, tentare di vincere senza la propria spada in mano... Ma come? Non aveva che una manciata di secondi per scoprirlo. Guardò Lucius e poi Jutta, fra loro. Lei lo aveva accecato momentaneamente usando la luce delle sue ali. Accecarlo... Lucius era una creatura infernale, fatta di fuoco... E contro il fuoco... Sorrise. Forse un modo per non morire c'era.

Lucius lo squadrò per un attimo, accigliato. "A che pensi?".

Mattheus sorrise freddamente. "Agli elementi che compongono la terra".

"Pensiero stupido questo, per uno che sta per morire" – ribatté il demonio.

"Forse no" – rispose Mattheus, vago.

A quelle parole, Lucius gli fu di nuovo addosso. Gli corse incontro brandendo la spada e Mattheus arretrò. Finse di inciampare e rotolò fino ai grossi abeti che delimitavano il bosco. Ombra, neve... La sua mano ci affondò, prendendone una grossa manciata. E quando Lucius fu nuovamente dietro di lui, a pochi passi, si voltò, tirandogliela negli occhi.

"Maledetto!". Lucius urlò, barcollando sulle gambe, mentre tentava di ripulirsi il viso dalla neve e dalla fanghiglia che lo stregone gli aveva lanciato. "Un uomo che durante un duello perde la sua spada, è un uomo morto! A cosa pensi ti serviranno questi giochetti?".

Mattheus sorrise, mentre si rialzava in piedi. "A guadagnare tempo". Con le mani prese una nuova manciata di neve, stringendola fra le dita. La neve, al contatto con la sua pelle, parve diventare incandescente, illuminandosi di una luce accecante.

Anche Jutta spalancò gli occhi, sorpresa. "Mattheus, che fai?".

Lo stregone non rispose. Fra le sue mani la neve cambiò forma, allungandosi ed assumendo le sembianze di una spada. Una spada di ghiaccio lunga, affilata, trasparente. "Letale".

Lucius, appena fu padrone di nuovo della vista, spalancò gli occhi. "Cosa?".

Mattheus osservò la sua nuova arma, con un'espressione soddisfatta sul viso. "Hai commesso un errore, nel valutarmi. Credevi che i miei poteri attingessero magia unicamente dal lago e dalla presenza di Jakob, ma non è così. Conosco la magia e la so usare anche senza l'utilizzo dell'acqua del lago di Valdurna se mi occorre. Gli elementi che compongono il mondo, ricordi, ne parlavo prima? Basta saperci dialogare. Acqua, fuoco, terra, vento, neve e ghiaccio. Se li sai ascoltare, se sai farteli amici, loro accorreranno in tuo aiuto. Tu sei fuoco e il fuoco si può spegnere solo in un modo. Con l'acqua. E col ghiaccio che da essa nasce". Alzò lo sguardo su di lui. Non gli diede il tempo di alzare nuovamente la sua spada. Nonostante il dolore alla spalla ferita, si avventò sul suo avversario con un balzo velocissimo. Alzò di lato la spada e prima che Lucius potesse parare il colpo, lo trafisse da fianco a fianco, tagliando in due il suo corpo come se fosse stato burro.

Jutta gli volò accanto. Era incredula. "Ci sei...".


"Mossa scorretta, che non avrei utilizzato perché Lucius ha ragione, un uomo che perde la spada in duello è un uomo morto... Ma tu sei sempre stato diverso da me, Mattheus. E questo ti ha salvato".


"Jakob...". Mattheus, col fiato corto, guardò il corpo martoriato di Lucius. Le due parti in cui era stato diviso presero a fluttuare e a svanire nell'aria fina, quasi che non fosse mai esistito. Si alzò un forte vento, che fece piegare gli abeti. "Ricordati i patti, demonio" – sussurrò. Aveva vinto una battaglia ma di certo non la guerra. Il demonio non si poteva uccidere, ma solo tenere a bada.

La risata di Lucius risuonò nella valle, quando il suo corpo era ormai sparito alla vista. "Mattheus Hansele, bravo davvero! Hai vinto barando e questo mi piace! Jakob era un guerriero puro e senza macchia, pieno d'onore e sentimenti cavallereschi che han finito per portarlo nella tomba, tu invece non ti fai remore a giocare sporco. Interessante, mi hai stupito e mi mancherai... Ma sono un uomo di parola e per un po’ me ne andrò a tormentare qualcun altro, visto che ho perso. Ma ritengo probabile che ci rivedremo, prima o poi. Giocare con te è divertente, sei un essere interessante".

Mattheus alzò gli occhi al cielo. "Vattene".

Lucius rise di nuovo. "Me ne vado, tranquillo. A presto, amico".

Il vento smise di soffiare e Mattheus si accasciò al suolo. La spada di ghiaccio svanì, tornando neve, e la spalla riprese a fargli male. Si rese conto che durante le fasi finali del duello, non aveva quasi avvertito la ferita e il dolore. Adrenalina, supponeva... Ma ora che... "Ho vinto". Aveva vinto dove aveva fallito Jakob. Aveva quasi paura ad ammetterlo a se stesso ma ce l'aveva fatta. Era sopravvissuto e aveva vendicato una morte ingiusta, avvenuta in quello stesso posto dieci anni prima. Gioco sporco, vero. E anche fortuna e aiuto da parte di Jutta. Guardò la fatina, appoggiandosi con la schiena contro il tronco di un abete, crollando a terra definitivamente. "Non ho la forza per le paternali, quindi risparmiamele finché sono in questo stato". La conosceva troppo bene per non prevedere la sua sfuriata. Meglio mettere in chiaro le cose, subito!

Jutta scosse la testa. Guardò la spalla ferita, da cui sgorgava ancora copioso il sangue, con espressione preoccupata. Poi chiuse gli occhi lentamente. Il suo minuscolo corpo, per magia, divenne luminoso e cambiò d'aspetto e dimensione. La sua figura si allungò e modellò, divenendo quella di una donna.

Mattheus spalancò gli occhi. Sapeva che le fate potevano assumere fattezze umane in particolari occasioni e ricordava di aver visto già una volta Jutta in versione donna, anche erano passati più di dieci anni da quel giorno... La guardò. Era alta quanto Elke forse, aveva capelli biondi, lunghi e pieni di boccoli, occhi verdi smeraldo, un fisico minuto e assolutamente perfetto e di una bellezza che di umano aveva poco o nulla. Addosso non aveva più i graziosi abitini tirolesi che indossava quando era una fata ma un abito azzurro che le aderiva morbidamente sul corpo, stretto in vita da un nastro blu. Per un attimo rimase incantato a fissarla. Non la ricordava così splendida ed ora poteva capire perché Jakob ne fosse stato innamorato, tanti anni prima. Per un attimo si chiese come avrebbe fatto a trattarla come sempre, a litigarci come sempre. Era troppo bella persino per un orso come lui, in quel momento.

Incurante dei suoi pensieri, Jutta si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui. "Tu e io dobbiamo parlare" – disse risoluta.



Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo dodici ***


Capitolo dodici


"Era una vita che non ti vedevo alta quanto me. Beh, questo è un bene, ricordo che eri molto più dolce in versione umana".

Jutta scosse la testa. "Non cantare vittoria, sono arrabbiata con te e tu lo sai bene".

Mattheus si massaggiò il braccio ferito, faceva un male cane... "Quindi sei diventata più... ehm... grande... per potermi picchiare meglio?".

Jutta sospirò, scuotendo la testa. "Sì, l'idea era quella. Ma prima fammi vedere la tua spalla". Si inginocchiò accanto a lui, sfiorandogli con la mano il braccio ferito, la camicia era strappata e il taglio ben visibile. "Dobbiamo medicare la ferita e immagino che l'acqua del lago non servirà a nulla in questo caso, giusto?".

"Giusto". Mattheus si appoggiò al tronco dell'abete, sfinito. Già, lo sapeva, stavolta per curarsi la magia non sarebbe servita: l'acqua del lago di Valdurna traeva il suo potere da Jakob e Jakob il suo duello col demonio l’aveva perso ragion per cui la sua acqua non poteva curare ferite inferte da chi aveva vinto il medesimo scontro dieci anni prima. Avrebbe dovuto fare come tutti gli altri esseri umani: medicare, fasciare e armarsi di pazienza in attesa della guarigione, anche se la pazienza non era il suo forte.

Osservò Jutta: la sua figura, snella ed elegante, era ipnotica: senza ali e senza quei codini infantili che si faceva quando era una fata era di una bellezza incantevole, una di quelle donne che, se la incontri per caso, non puoi non voltarti a guardare. La ragazza si strappò un pezzo di stoffa dall'orlo della gonna, immergendolo nell'acqua e tornò da lui, lavandogli la ferita in silenzio; Avrebbe voluto protestare e borbottare che bruciava terribilmente, ma decise che era meglio non sfidare oltre la sorte, il fatto che Jutta fosse apparentemente silenziosa e calma quando in realtà era arrabbiata con lui come non mai lo metteva sul chi va là, sapeva che prima o poi gliel'avrebbe fatta pagare.

Dopo avergli pulito la ferita, con la medesima stoffa, Jutta gli fasciò la spalla. "Non ho altro per ora, fatti bastare questa benda fino a casa. Il sangue pare essersi fermato e non mi sembra nulla di particolarmente grave, medicati la ferita e tienila fasciata e pulita per le prossime settimane e il tuo braccio dovrebbe guarire senza problemi".

"Beh grazie, sei gentile".

Jutta lo fulminò con lo sguardo. "Gentile? Mattheus, io ti prenderei a calci nel sedere in questo momento!".

"Ritratto quanto detto allora, non sei gentile e a volte sei pure manesca".

"Mattheus, non accetto critiche sul mio carattere da TE!".

Lo stregone sospirò. In effetti aveva ragione lei. "Dai, non litighiamo. So che sei arrabbiata e alla fine penso anche che tu abbia ragione. Ma cosa dovevo fare?".

Jutta si inginocchiò davanti a lui, guardandolo in viso. "Ad esempio, potevi non accettare la sfida".

"Non sono un codardo".

Le mani della fata si strinsero alla stoffa della sua camicia. "Codardo? Accidenti a voi uomini, ne fate una questione di onore su ogni cosa! Mattheus, lui era il demonio! Ora si fa chiamare Lucius mentre dieci anni fa Seraphin. ma è sempre lui! E ti ricordi cos'è successo qui? Jakob era un guerriero più forte e valoroso di te ed è morto combattendo con lui. E saresti morto anche tu se non fossi intervenuta".

Mattheus scosse la testa, Non voleva ricordare quanto successo, ma era inevitabile farlo. Dieci anni prima, proprio sulle rive di quel lago al suo posto c’era Jakob, il suo mentore, il suo maestro, il suo secondo padre, colui che gli aveva insegnato a combattere, a leggere e scrivere, l'uso della magia.. Contro di lui c’era il demonio, comparso all'improvviso alle loro spalle, senza preavviso. Sembravano conoscersi, sembravano essersi sfidati già tante volte e avevano combattuto per l'ennesima volta all'ultimo sangue. Jakob era ormai anziano, incerto sulle gambe e curvo nella schiena, ma le sue mani imbracciavano ancora la spada con la stessa forza e determinazione di un ragazzo giovane. Era stato un grande guerriero, uno di quei cavalieri su cui poi si scrivono ballate e canzoni che ne celebrano le imprese e la temerarietà. Quel giorno però non aveva avuto scampo: c'erano lui e Jutta e il pensiero per la loro sorte non lo aveva fatto combattere con la mente lucida e Seraphin lo trafisse da parte a parte squarciandogli il cuore. Ricordò l'urlo della fata e il sangue rosso e a fiotti E la risata del demonio che svaniva davanti a loro, sazio del carico di morte e dolore che aveva provocato. Quel giorno fu come perdere la sua famiglia per la seconda volta: Jakob, l'uomo dal carattere duro ma dall'animo nobile e sincero, senza macchia, che si era preso cura di lui quando i suoi genitori erano venuti a mancare, che lo aveva portato con se nei suoi viaggi facendogli scoprire cosa ci fosse fuori dalla Val Ridanna.

Con un sospiro, Mattheus guardò l'acqua placida del lago. Lì c'era Jakob e da quel lago continuava a vegliare su di lui e a parlargli.


"Yakob, dicci come curarti. Ti prego, ti prego!".

Anche Jutta lo implorò, con le lacrime agli occhi.

Ma Jakob scosse la testa, mentre le sue mani nodose e avvizzite si stringevano in un pugno. "Sono vecchio ormai e la mia ora non sarebbe comunque stata lontana. Ho vissuto intensamente la mia vita, giorno dopo giorno, guerra dopo guerra. Ho visto paesi distrutti che poi sono rinati e bimbi nascere e diventare uomini. Ho sguainato la mia spada e studiato magia, conosciuto elfi, gnomi, troll e folletti. E ho amato una fata. Nessuno ha vissuto quanto me, Mattheus".

"Ma non mi importa! Tu devi guarire, io come faccio senza di te?".

Jutta abbassò lo sguardo, silenziosa. Lei aveva già capito, era arrivato il momento del commiato.

Jakob prese un profondo respiro. "Mattheus, tu sei un uomo e ti ho insegnato tutto quello che sapevo. Un giorno anche tu combatterai le mie battaglie e sicuramente sarai in grado anche di vincerle,ma non preoccuparti, non ti lascio solo. Essere uno stregone ha i suoi vantaggi ed al mondo non esiste uno stregone più potente di me. Ascoltami, ascoltami bene...".

"Va bene".

"Quando sarò morto, brucia il mio corpo e poi butta la cenere in questo lago. Sarà la mia casa e da qui ti guiderò Finché rimarrò in questo lago non morirò mai per davvero, resterò fino a quando tu avrai bisogno di me. Sei stato come un vero figlio e continuerò ad essere per te come un padre. Verrai qui ogni volta che ne avrai bisogno, prenderai quest'acqua e le chiederai quel che vorrai, quello di cui avrai bisogno. Ogni goccia dell'acqua di questo lago sarò io, per te, ed esaudirò ogni tuo desiderio, se sarà in mio potere. Tu puoi usare la magia anche senza il mio aiuto, è vero, ma io... io potrò continuare a starti vicino comunque e a parlarti attraverso questo lago e questa acqua. Proprio come se fossi con te. Hai capito?".

"Sì, credo di sì".

Jakob annuì, chiudendo gli occhi. "Bene. Continua a studiare, continua ad imparare. Sii amico di Jutta, lei ti aiuterà. E tu Jutta, prenditi cura di lui, guidalo, sgridalo anche, se necessario. Mattheus ha un caratteraccio. So che puoi farlo, fallo per me piccola Jutta".


Mattheus sospirò, piegando le ginocchia ed appoggiandoci il mento. "Mi spiace, so che ti sei preoccupata e che vedermi combattere con Lucius ha risvegliato brutti ricordi in te. Ma io... io dovevo liberarmene".

Jutta abbassò lo sguardo. "Hai vinto la battaglia, ma non la guerra. Lui tornerà, torna sempre dove ha terreno fertile per insinuarsi. Avresti potuto morire oggi".

"Ma non sono morto, quindi non c'è proprio nulla di cui parlare, no?".

"Tornerà!" - ripeté Jutta.

"Lo so. Ma magari non qui, non da noi, non ora. Per un po’ ci lascerà in pace".

"Hai combattuto da schifo, lo sai Mattheus?".

Lo stregone annuì. "Lo so".

"E hai vinto unicamente perché hai barato".

"Vero. Non ne vado fiero, ma è così. In fondo che importa? Ho vinto, no? Era questo l'importante".

Jutta scosse la testa. "Jakob non avrebbe mai combattuto in questo modo. Per lui l'onore e la correttezza erano al primo posto, anche a costo della vita".

Mattheus alzò lo sguardo su di lei. Jutta aveva conosciuto uno Jakob che a lui era estraneo; le fate avevano vite lunghissime e la sua amica aveva diversi secoli più di lui. Era all'apparenza giovanissima, , e lo sarebbe stata ancora per centinaia di anni: bella, giovane, con quei lunghi boccoli biondi che gli ricadevano sulle spalle... aveva visto per la prima volta Jakob quando lui era ancora un giovane cavaliere, eccellente in battaglia e buono d'animo. Non sapeva bene come si fossero incontrati, non glielo aveva mai chiesto, ma sapeva che nessuno conosceva Jakob quanto lei. Nemmeno lui, nato tanti anni dopo il loro amore e cresciuto all'ombra di quell'ormai anziano cavaliere che per lui era stato come un padre. "Lo so, lui non avrebbe combattuto così. Ma lui non era me. Siamo diversi e comunque, anche se ho barato, l'ho fatto con una persona che fa delle menzogne il suo cavallo di battaglia".

"Sì, lo so. Ma non è una giustificazione Mattheus!".

"Jutta, ora basta! Ho vinto! O avresti preferito che mi uccidesse?".

La fatina sospirò. "No, certo che no. Però...".

"Però cosa?".

Jutta alzò lo sguardo, guardandolo negli occhi. "Non ti ho mai visto così deconcentrato come durante questo duello. Tu di solito sei lucido, preciso e attento in ogni cosa che fai. Che ti è preso oggi? Stavi combattendo contro il demonio e avevi la testa da tutt'altra parte!".

Mattheus si portò la mano alla spalla ferita, stringendola. Faceva malissimo e lui non era mai stato bravo a sopportare il dolore. "Ti prego Jutta, smettila! Non ho la forza di sentirti sbraitare".

La fatina sospirò. Allungò la mano, fino a sfiorare la ferita dell'amico. Era preoccupata. "Ce la fai a tornare a casa?".

"Credo di sì".

Jutta scosse la testa. Si avvicinò a lui, sedendosi fra le sue gambe, appoggiando la testa contro il suo petto. "Sono preoccupata per te".

Mattheus le cinse la vita, sprofondando il viso sulla sua spalla. Voleva bene a Jutta, era la migliore amica che avesse mai avuto ed era colei che lo conosceva meglio e sapeva tutto di lui. La sua preoccupazione era sincera e genuina ed averla vicina, in quel momento, lo rinfrancava. "E' una ferita da niente, brucia un po’, tutto qui".

"Non è per la ferita, sei cambiato, negli ultimi tempi hai uno sguardo talmente cupo che faresti scappare anche un branco di lupi".

Mattheus sorrise. "Che cosa c'è di diverso dal solito, quindi?".

"Non fare lo stupido, sai perfettamente di cosa parlo. Cos'è che ti passa per la testa e ti riesce a distrarre anche durante un duello all'ultimo sangue? E' per Elke che ti tormenti? E' da quando se n'è andata che...".

"No".

Il tono di voce secco usato dallo stregone la fece sussultare. Si voltò verso di lui, studiandolo in viso. "Sicuro?".

"Sicuro! Perché dovrebbe importarmi di lei? In fondo la conoscevo solo da pochi mesi ed era stata Elke a cercarmi e a chiedermi di tenerla al mio servizio, io ne avrei fatto volentieri a meno, non ne avevo bisogno. Ora se n'è andata di sua spontanea volontà e non avevo alcun valido motivo per impedirle di farlo".

Gli occhi di Jutta si assottigliarono. "Bene. Allora forse è solo una mia impressione sbagliata. E per quanto riguarda Elke, fra pochi mesi non ti ricorderai nemmeno che faccia avesse".

Mattheus spalancò gli occhi a quelle parole. Il tono di voce di Jutta era stranamente freddo, distaccato e impersonale e quel modo di parlare di Elke non le apparteneva: lei si era affezionata alla ragazza albina fin da subito. "Cosa dici? Perché dovrei dimenticarmi di lei? Ho un'ottima memoria, io".

"Si certo, ma vedi, non possiamo tenere a mente tutte le persone che incontriamo nella nostra vita. Ricordiamo solo le più importanti e da quel che mi dici Elke non lo era , nessun problema".

"Jutta?". Mattheus era confuso. Quando Elke se n'era andata pensava che la fatina avrebbe urlato contro di lui, invece era stata in silenzio e si era limitata ad annuire, senza dire una parola né di rimprovero né di disapprovazione.

Jutta prese una ciocca di capelli biondi fra le dita, giocandoci. "Inoltre, il fatto che se ne sia andata depone a tuo favore. Una ragazza albina ti avrebbe procurato solo guai. Perderla è stata una gran botta di fortuna Mattheus. Hai già un carattere odioso di tuo, che ti rende antipatico a tutti, ti ci mancava solo una presunta strega in casa per complicarti ulteriormente la vita".

"Hei, smettila Jutta! Che ti prende? Credevo che Elke ti piacesse".

Jutta alzò le spalle con noncuranza. "Oh, a me piaceva molto! Ma non è mica detto che dovesse piacere anche a te. Comunque, come hai detto prima, tu non hai mai avuto bisogno di avere assistenti quindi è anche inutile stare qui a parlarne. Il fatto che se ne sia andata ti ha solo facilitato la vita".

Una strana rabbia ed irritazione presero possesso di lui senza che ne capisse il motivo. Nessuno doveva permettersi di parlare in quel modo di Elke, nemmeno Jutta. Le prese il polso, stringendo forte e costringendola a voltarsi. "Finiscila! Elke non era un peso per me e non mi ha mai creato nessun problema averla a casa mia. E' la più bella persona che io abbia mai conosciuto, mi manca e...". Si bloccò, mentre la sua mente finalmente, davanti al sorrisino ironico di Jutta, aveva capito il giochetto della sua amica fata. "E tu sei una maledetta doppiogiochista, lo sai?".

Jutta scoppiò a ridere. "Ah Mattheus, tirarti fuori le cose di bocca è un'impresa, ogni tanto bisogna anche giocare sporco per riuscirci. Ricorda, io ho qualche secolo di vita più di te e molta più esperienza. E ti conosco anche piuttosto bene".

"Sei sleale!".

"Senti chi parla! Tu hai appena battuto il demonio barando, nel caso non lo ricordassi".

"Non è la stessa cosa!".

La fatina gli fece la linguaccia. "Sì che lo è!".

Mattheus si arrese. Con un sospiro, si appoggiò nuovamente al tronco della pianta, mentre il suo sguardo si perdeva nel cielo azzurro e nelle nuvolette bianche che lo solcavano. "Questa cosa me la rinfaccerai a vita. Sei proprio come lui e non fatico a credere che foste anime gemelle".

A quell'affermazione, il sorriso scomparve dal volto di Jutta. "Jakob... Lui ti ha parlato? Oggi, intendo, durante il duello?".

"Sì. Più o meno ha rimarcato il fatto che ho giocato sporco, proprio come stai facendo tu. Anche se di fatto sapeva che non avevo altra scelta".

Jutta strinse la stoffa della sua camicia. "Tu senti ancora la sua voce, vero?".

"Già. Perché me lo chiedi? Sai che è così".

"Ti parla sempre?".

Mattheus scosse la testa. "No, non sempre. Solo quando lui ritiene che ce ne sia necessità. Quando uso l'acqua del lago, ad esempio, mi basta formulare un desiderio, perché lei diventi quel che io voglio: medicina, unguento o qualsiasi altra cosa... Lui non mi risponde, ma mi da quel che voglio. A volte invece mi da dei consigli o mi rimprovera per qualcosa. Ci sono periodi in cui lo sento spesso e periodi in cui non mi parla per mesi. Di solito comunque, è quando sono qui al lago che sento la sua voce".

"Ti parla di me, qualche volta?".

Mattheus scosse la testa. "No, non lo fa mai". Era la verità, non vedeva il motivo di mentirle. Ma conosceva piuttosto bene Jakob e ora che era adulto aveva capito perfettamente il perché di quel il suo silenzio. "Jakob era una persona che non amava parlare dei suoi sentimenti con altri, men che meno con me che ai tempi in cui vivevo con lui ero un ragazzino. Sa che stai bene, la sua anima vive qui, proprio come te. Non ha bisogno di condividere ciò che prova, ciò che siete stati e i sentimenti che prova verso di te, se li tiene per se stesso perché sono qualcosa di prezioso per lui. Il giorno in cui dovesse parlarmi di te sarà il giorno in cui avrà smesso di amarti. E non succederà mai".

Jutta appoggiò la testa contro il suo petto, facendosi abbracciare. "Voglio sentire la sua voce. Ti prego Mattheus, fammi parlare con lui. Solo un attimo, un secondo...".

Lo stregone la strinse a se, baciandole i lunghi capelli biondi. Sapeva quanto lo desiderasse, quanto ancora pensasse a lui però non poteva aiutarla. "Non posso, lo sai. Non sono capace di farlo ed è già qualcosa di sorprendente che io riesca a comunicare con lui. Vorrei aiutarti, vorrei cedere a te questo privilegio, te lo giuro. Ma non sono io a poter scegliere".

Calò un silenzio pesante. Rimasero una fra le braccia dell'altro per parecchi minuti, senza dirsi una parola. Mattheus aveva sempre apprezzato la vicinanza di Jutta, anche se spesso si era rivelata la più fastidiosa e petulante delle fate, però lui conosceva anche l'animo sensibile e delicato e la grande saggezza che le avevano donato i tanti secoli di vita vissuta. "Resta mia amica per sempre, Jutta".

La fata annuì. "Certo che lo farò, d'altronde devo tenerti sulla retta via! Sono la vocina buona della tua coscienza, ricordatelo, senza di me saresti un disastro".

"Non darti troppe arie adesso".

Jutta ridacchiò. "Ah Mattheus, se tu fossi cavaliere anche solo la metà di quanto lo era Jakob, saresti una persona eccellente".

Mattheus annuì, concordando silenziosamente con lei. "Posso chiederti una cosa, Jutta?".

"Certo".

"Come vi siete conosciuti tu e Jakob?". Era una cosa che lo incuriosiva da sempre anche se non aveva mai osato domandare. Nei suoi ricordi Jakob era sempre stato anziano; ricordava quando, da bambino, lo guardava inerpicarsi nei boschi, col suo bastone e i suoi capelli bianchi, alla ricerca di bacche o di un ruscello dove pescare. Quando lui era nato Jakob era già molto avanti con gli anni e il suo amore con Jutta risaliva a molto prima della sua infanzia. "Sì beh, insomma... se non sono indelicato...".

"Ma no, non lo sei". Jutta sospirò, abbandonandosi definitivamente contro il suo petto. "Lo trovai qui, svenuto e ferito, quando aveva poco più di vent'anni. Tornava da qualche epica guerra di cui non ricordo il nome, d'altronde voi esseri umani amate tanto farne e siete sempre in ballo a combattervi. Era alto, dal fisico asciutto e forte, aveva un viso bellissimo e dei lunghi capelli scuri che gli arrivavano fino a metà schiena. Perdeva molto sangue dal petto e dal collo, sarebbe morto se non lo avessi aiutato. Ma come fata potevo fare ben poco per cui mi trasformai, come ho fatto adesso per medicare te, e mi presi cura di lui mentre era privo di coscienza. Lo vidi aprire gli occhi solo un attimo, prima di svenire di nuovo, ed ero convinta che non fosse nemmeno riuscito a mettermi a fuoco. Quando finii di curare le sue ferite, tornai alle mie dimensioni abituali e volai via. Credevo che se ne sarebbe andato, quando si fosse svegliato, e che non l'avrei rivisto mai più, ma mi sbagliavo, lui tornò il giorno dopo e quello dopo ancora. Mi aveva visto, mi cercava e io non potevo farmi vedere da lui: non lo conoscevo e non potevo fidarmi, mostrandomi per quella che ero davvero. Alla fine però cedetti, irrazionalmente. Mi resi conto che mi piaceva sapere che era lì a cercare me, che avevo paura di perderlo e che forse, se non mi fossi fatta vedere, si sarebbe stancato e che se ne sarebbe andato per sempre. Era quello che avrei dovuto sperare, che se ne andasse, ma mente e cuore non ragionavano allo stesso modo per cui mi mostrai. Rischiavo, lo sapevo, ma per una volta non me ne importava niente. Non gli ho mai nascosto nulla di me, ha saputo della mia vera natura da subito. E gli andava bene così, era affascinato di amare una fata. Il resto puoi immaginarlo da solo. Ci conoscemmo, mi raccontò di essere un guerriero e un apprendista mago e grazie a me scoprì mondi che gli erano sconosciuti: elfi, fate, folletti e gnomi. Divenne loro amico e imparò a rispettarli, come loro rispettavano lui e a conoscerne usi e tradizioni. Di questo, ancora oggi, ne godi anche tu. Sei stato suo allievo e per questo tutte le creature magiche delle montagne ti amano e ti accolgono fra loro come si fa con un amico. Jakob non raccontò mai di noi a nessuno, non tradì mai il mio segreto e mi rimase fedele, sempre. Era nativo di Rachstings proprio come te, e lì tornò a vivere. Appena poteva però, tornava al lago e alla Val Sarentino e stavamo insieme per giorni, settimane anche. Non ho mai tenuto per tanto tempo le mie sembianze umane come in quel periodo, ora che ci penso! Ma gli anni passavano e lui invecchiava, mentre io, ai suoi occhi, rimanevo la giovane fanciulla del nostro primo incontro. E quando si sentii troppo vecchio per me, disse basta. Mi opposi, ma lui fu irremovibile. Però l'amore non finì, semplicemente si trasformò in qualcosa di diverso, platonico ma sempre sincero, come quando era giovane. Sapevo che mi amava, che mi avrebbe amato sempre come quando era un ragazzo, ma capivo le sue motivazioni. Ai suoi occhi ero una ragazzina, poco più di una bambina e per lui doveva essere complicatissimo gestire una cosa del genere. Passarono altri anni, invecchiò sempre più, finché un giorno mi comparve davanti con un ragazzino odioso, saccente e saputello".

A quelle parole, Mattheus scoppiò a ridere. "Io, giusto?". Lo ricordava bene:aveva quindici anni o forse meno e Jakob lo aveva iniziato all'uso delle arti magiche parlandogli dell'esistenza di elfi, fate, troll e gnomi e lui l'aveva preso per pazzo. Jakob non aveva detto nulla, ma l'aveva portato con se al lago di Valdurna. Lì aveva chiamato a se Jutta e quando lui se l'era trovata davanti era rimasto catatonico, a bocca aperta, per una buona mezz'ora.


"E allora, ragazzino saputello, che hai da dire adesso?".


"Eri proprio odioso Mattheus. Ma lui ti voleva bene come a un figlio".

Mattheus sorrise. "Lo so".

Jutta sospirò, chiudendo gli occhi. "Sai, come ti dicevo prima, nella vita non possiamo ricordarci tutti quelli che incontriamo, ma solo chi è stato importante. Io, sulle rive di questo lago, ho visto passare tanta gente di cui non ricordo nemmeno il volto. Ma...".

"Ma ricorderai sempre Jakob. E visto il mio caratteraccio, probabilmente anche me".

A quelle parole, Jutta rise. "Oh, stanne certo! Gente come te non si dimentica facilmente".

"Qualcuno di interessante oltre a noi, che è passato di quì, te lo ricordi?".

Jutta annuì. "Sì certo. Due secoli fa... Forse anche più, a ben pensarci. Veniva spesso qui una giovane donna dai lunghi capelli rossi e dallo sguardo dolce e gentile. Me la ricordo come fosse ieri, mi sembra di rivederla sulle rive del lago, ora che mi ci fai pensare. Era nobile, elegante e molto bella. Veniva con la sua bambina, dai capelli rossi come lei, che era piccolissima e a malapena camminava. Le toglieva le scarpette e i vestitini e le lasciava addosso solo una leggera sottana per lasciarla libera di muoversi. La faceva giocare nell'acqua, gattonare fra i sassi e insieme si rotolavano nel prato. Quando doveva farla addormentare, si stendeva sotto un abete con la figlia sul petto e le raccontava storie fantastiche, frutto di una fantasia davvero immensa. Le fiabe che inventava erano tanto belle che io spesso mi mettevo su un ramo ad ascoltarle, catturata dalla dolcezza della sua voce e dalla trama di quelle storie. E' passato tanto tempo da allora e lo scorrere degli anni ha cancellato i loro nomi e le loro vite, ma io la ricordo ancora. Quando ho conosciuto Elke mi è sembrato di rivedere quella donna, aveva il suo stesso sguardo dolce e pulito ed è per questo che mi è piaciuta da subito".

Mattheus sospirò. "Già...".

Jutta sospirò. "Spero tanto che stia bene, ovunque lei sia. Certo che se sei riuscito a far scappare anche una donna dolce e paziente come lei, sei proprio senza speranze mio caro".

"Jutta, io ho bisogno di sapere che sta bene! Puoi aiutarmi?".

La fatina, per qualche attimo, ci pensò su. Poi scosse la testa, in segno di diniego. "No, mi spiace. Se rivuoi Elke, dovrai lottare da solo per riportarla da te. Questa è una cosa solo tua e solo tu puoi metterti in gioco. Non so dove lei sia, né se potrebbe desiderare di tornare a Pennes, tantomeno so se riuscirai a incontrarla di nuovo, se devo essere proprio sincera. Ma comunque stiano le cose, ora dipende da te. In queste cose ci si deve giocare il tutto per tutto, abbassare la testa, imparare ad essere umili e sinceri con se stessi e coi propri sentimenti, proprio come abbiamo fatto io e Jakob tanti anni fa".

Mattheus sospirò. In fondo si aspettava le parole di Jutta e le condivideva. Si massaggiò la spalla che non smetteva di tormentarlo. "Sai, dopo Natale ho avuto l'influenza e lei è rimasta vicino a me tutta la notte, quando avevo la febbre. E' stata seduta lì, sul letto, appoggiata alla spalliera. Doveva essere davvero una posizione scomoda, ma non si è mai mossa da lì e al mattino non si è lamentata del mal di schiena che sicuramente aveva. Non l'ho nemmeno ringraziata quella volta e ora sono sicuro che se fosse quì, anche adesso si prenderebbe cura di me, medicandomi il braccio. E forse mi sgriderebbe, come hai fatto tu".

"Sì, probabilmente lo farebbe. Elke era una ragazza davvero assennata, Mattheus". Jutta gli diede una veloce occhiata e poi si alzò in piedi, aiutandolo a fare altrettanto. "Ora basta parlarne! Sei pallido e credo che tu debba davvero andare a casa a medicarti quella ferita. Ce la fai a camminare fino a Pennes?".

"Credo di sì. In fondo è il braccio ad essere ferito, non le gambe".

Jutta lo guardò storto. "Se hai la forza di fare dell'ironia, allora non devi essere così sofferente".

"Che dovrei fare, scusa? Vuoi che mi metta a piangere?".

"No, per carità... La giornata è stata fin troppo pesante così, senza che tu ti metta a frignare. Visto che mi sono trasformata, ne approfitto per accompagnarti fino al villaggio. Vorrei evitare di trovarti svenuto nel bosco domattina, completamente congelato".

Mattheus spalancò gli occhi. Cosa? Accompagnarlo fino a casa? "Jutta, ma sei impazzita? Non puoi accompagnarmi a Pennes! Cosa direbbero gli abitanti del villaggio, se ti vedessero?".

"Che ti importa? Sono nella mia forma umana, nessuno noterà qualcosa di strano".

Lo stregone alzò gli occhi al cielo, esasperato. Come faceva a non capire? "Jutta, tu non hai una bellezza comune! Sei... sei...".

"Cosa?".

"Ma dai, sei un altro pianeta rispetto alle altre donne. Hai la bellezza e la grazia di una fata, sei diversa. La gente penserà che sei una qualche principessa che ho rapito!".

"Mattheus...". Jutta scosse la testa, esasperata. Sopportare quell'uomo, certe volte diventava un'impresa ai limiti della capacità umana. "Va beh, ti accompagno fino al delimitare del bosco e poi proseguirai da solo. Contento?".

"Insomma, mica tanto".

Jutta non rispose e fece finta di non sentirlo. Si allontanò brevemente da lui e andò a raccogliere la spada di Jakob che era ancora abbandonata nell'erba. Poi gliela riconsegnò e infine lo prese sottobraccio. "L'ora dei reclami e dei capricci è finita. A casa, Mattheus! Anche se una cosa te la devo proprio dire...".

"Cosa?" - chiese lui, appena si furono avviati.

Jutta ridacchiò. "Il trucco della spada di ghiaccio è stato il massimo. In un duello all'ultimo sangue non si dovrebbe sostituire una spada persa, ma anche sei hai barato, lo hai fatto in maniera spettacolare".

Anche Mattheus rise, nonostante il dolore alla spalla. "Concordo". La abbracciò, quasi d'istinto. Jutta era quanto di più prezioso avesse mai avuto, un'amica leale, sincera, dal pessimo carattere ma dall'immensa saggezza. Sapeva lodarlo quando se lo meritava e sapeva sgridarlo quando sbagliava, con la foga e la passione usati solo da chi tiene veramente a te. "Jutta, grazie".

La fata non rispose. Lo abbracciò forte e Mattheus lo sapeva, in quel momento non poteva che ricordare le parole con cui Jakob l'aveva affidato a lei dieci anni prima, proprio sulle rive di quel lago.

Giunsero al delimitare del bosco che imbruniva. Pennes si stagliava davanti a loro, apparentemente placida e sonnacchiosa. La neve cadeva incessantemente, attutendo il rumore dei loro passi.

"Ce la fai a proseguire da solo fino a casa?" - chiese Jutta, accigliata e con un tono stranamente nervoso.

"Che cos'hai?" - chiese Mattheus. La conosceva abbastanza bene da percepire che qualcosa non stava andando nel verso giusto, nonostante la calma apparente e la camminata tutto sommato tranquilla che li aveva condotti fin lì.

La fata si guardò attorno, guardinga. "Non lo so Mattheus, c'è qualcosa di strano nell'aria. Il mio sesto senso di fata di solito non si sbaglia, c'è qualcosa di... maligno... qui attorno".

In quel momento furono investiti da un vento gelido, tagliente, talmente freddo da mozzare il fiato. La risata malvagia di Lucius rimbombò nel bosco, sul villaggio e in tutta la valle. "Mattheus Hansele, sei stato lento a tornare, era ora! Ma io ho pazienza, so aspettare tranquillamente per ore, anche per giorni se necessario... E non ti aspetto solo io, siamo tutti in attesa del tuo ritorno. Vieni, i tuoi concittadini non vedono l'ora di... stringerti in un caloroso abbraccio... Credevi fossi sparito, credevi fossi tanto codardo da scappare con la coda fra le gambe dopo il tuo stupido giochetto con quella spada di ghiaccio? Io torno sempre Mattheus, dove ho terreno fertile per mettere radici. E Pennes, questa gente... sono perfetti per me".

"Mattheus!". Jutta gli strinse la mano, strattonandolo indietro. "Lo sapevo, non se n'è andato, lui non se ne va mai! Non scendere al villaggio, è una trappola!".

Lo stregone si portò la mano alla spalla ferita, stringendo i denti dal dolore. Poi scosse la testa. "Io non scappo Jutta! Lucius mi ha portato via Jakob, mi ha rovinato la vita! Lo ricordi, vero? Ricordi cosa ha fatto a tutti e due? Io non me ne vado, io lo affronto, di nuovo! L'ho battuto una volta, lo farò una seconda e anche una terza, se necessario!".

"Sei ferito, razza di stupido!" - urlò Jutta, con tono disperato. "E poi non hai sentito? Ti aspetta, con gli abitanti di Pennes. Non so cos'abbia fatto a quelle persone ma è in grado di manipolare la mente degli uomini a suo piacimento e senza fatica. Mattheus, non andare!".

Lo stregone scosse la testa. Alzò la mano, ad accarezzarle i lunghi capelli biondi, poi la strinse a se in un veloce abbraccio. "Non posso, mi spiace Jutta. Tu va via da qui, per favore mettiti in salvo. Sono certo che ci rivedremo presto" – concluse, dandogli un leggero bacio sulla fronte.

Poi si voltò e senza aggiungere altro si diresse verso Pennes.


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo tredici ***


Capitolo tredici


Aveva sempre odiato la voce di Lucius, quasi da procurargli una fastidiosa gastrite al solo pensarla. Lo odiava da dieci anni, voleva vederlo morto dal giorno in cui aveva ucciso Jakob davanti ai suoi occhi. Lo odiava perché gli aveva portato via senza un perché l'unico padre che gli era rimasto, perché quel giorno aveva fatto piangere Jutta e perché la sua ombra era rimasta sempre su di lui, in ogni suo pensiero, in ogni sua azione.

L'unica cosa che non aveva mai provato verso di lui era stata la paura, la rabbia era sempre stata più forte di qualsiasi timore potesse provare.

Ora però era diverso, era spaventato. Non per se stesso ma perché non sapeva cosa lo aspettava a Pennes. Cosa c'entravano gli abitanti del suo villaggio, cosa aveva fatto loro, Lucius?

Si era sempre beffato di loro, si era anche divertito in passato a spaventarli e a vedere le loro espressioni di terrore davanti alle sue finte minacce. Però era pian piano erano diventati la sua gente, coi loro pregi e difetti. Persone semplici, un po’ ignoranti e superstiziose, chiusi come sanno essere le popolazioni di montagna, analfabeti, ma in fondo brava gente, dedita al lavoro e alla famiglia, uomini che si spaccavano la schiena rompendo legna o portando gli animali ai pascoli di alta montagna, donne che con poco davano da mangiare ai numerosi figli e mandavano avanti la casa dignitosamente e bambini cenciosi che scorrazzavano nel paese da mattina a sera, dando una nota di allegria al villaggio. Pian piano, senza che nemmeno rendersene conto, erano entrati a far parte di lui, aveva imparato a conoscerli, a ridere delle loro debolezze e a farsi carico delle loro fragilità. Non avrebbe permesso a Lucius di far del male a quelle persone. Il demonio si era già portato via Jakob e Elke, anche se in questo caso, Jutta aveva ragione, era stata colpa sua, e non avrebbe permesso che mietesse altre vittime.

La spalla gli doleva in maniera incredibile ma non gli importava. Impugnò con forza la spada che gli aveva lasciato Jakob, pronto ad usarla di nuovo. E a grandi falcate corse giù per il sentiero che portava a Pennes.

Quando arrivò in paese trovò i viottoli esterni stranamente deserti: era strano, quella era l'ora in cui si tornava dai pascoli e si portavano le bestie nelle stalle, della Messa preserale e solitamente era tutto un via vai di bimbi che giocavano fra le baite prima di cena. Non c'era nessuno e Pennes era avvolta da un silenzio tombale.

Un brivido freddo gli percorse la schiena e quasi per istinto iniziò a correre verso casa sua. Man mano che si avvicinava, in lontananza avvertiva un sommesso vocio indistinto provenire dalla piazza, insieme ad uno strano odore di legna bruciata. Se tanto gli dava tanto, tutti gli abitanti di Pennes si trovavano lì con Lucius a fare chissà cosa. E aspettavano lui!

Il pensiero corse a Falko e Drago e a cosa gli fosse successo durante la sua assenza. Lucius sapeva essere letale e far male e i due nani erano completamente indifesi contro di lui. Con quel pensiero corse ancora più forte verso casa sua, bloccandosi solo quando fu a pochi passi dalla porta d'ingresso.

I suoi occhi si spalancarono dal terrore: la porta di legno era divelta e rotta in più punti, i vetri delle finestre in parte distrutti da probabili sassate, tutto era sottosopra, il tavolo ribaltato, così come le sedie e il piccolo sofà. Piatti rotti e cocci ovunque, abiti gettati a terra e un disordine incredibile ovunque, come se nella sua casa fosse passato un uragano.

"Mattheus...".

Dalla porta della sua stanza, divelta anch'essa, comparve Falko. Aveva un grosso livido sull'occhio destro, i suoi abiti erano strappati in più punti e il mento sanguinava. Mattheus gli corse vicino, inginocchiandosi davanti a lui. "Cosa è successo qui?" - chiese, sfiorandogli l'occhio pesto.

"Gli abitanti di Pennes sembrano impazziti" – mormorò la voce di Drago, giunto zoppicante dietro il fratello. Aveva anche lui il viso livido e la voce tremante ed erano entrambi spaventati a morte.

"Cosa?".

Drago prese fiato, tossendo rumorosamente. "Lucius deve aver fatto loro qualcosa. Gli ha ordinato di distruggere la tua casa, gli ha fatto credere che tu sia una creatura demoniaca da uccidere e che lui è il salvatore venuto ad aiutarli nella lotta contro di te. E' stato terribile, si sono avventati su questa casa con pietre, calci, hanno distrutto tutto quello che han trovato sotto mano. Anche la tua acqua Mattheus... Lucius gli ha ordinato di distruggere le provette e loro l'hanno fatto. Non è rimasto più niente del lago di Valdurna! Mattheus, sono le stesse persone che ci vendono il pane, la carne, che incrociamo ogni giorno nel villaggio. E' la stessa gente che ti chiede aiuto comprando la tua acqua, ma allo stesso tempo non sembrano più loro. Abbiamo cercato di fermarli, di farli ragionare ma...".

Mattheus gli accarezzò i capelli, cercando di calmarlo. "Stai tranquillo Drago, va tutto bene. Avreste dovuto scappare e non affrontarli, da come siete ridotti posso immaginare che le avete prese di santa ragione". Era preoccupato per loro ma soprattutto per la gente di Pennes. Conosceva Lucius e grazie alle parole dei nani ora aveva un quadro più chiaro della situazione. Nessuno sapeva incantare ed ammaliare le persone come il demonio, rendendole inermi e in suo potere. Bastava poco, molto poco per comprare la fedeltà di gente semplice e povera come gli abitanti di Pennes e renderli mansueti come agnelli. Questo Lucius lo sapeva bene: bastava un regalo, anche una piccola moneta d'oro, e sarebbero stati suoi. "Dove sono tutti?".

Drago spalancò gli occhi a quella domanda, spaventato. "Mattheus no, non andare, scappa! Ti cercano, ti aspettano e sei in pericolo" – urlò, aggrappandosi alla manica della sua camicia.

"Dove sono?" - ripeté lo stregone, scandendo le parole.

Falko abbassò lo sguardo, arrendendosi davanti alla sua determinazione. "In piazza. E non hanno belle intenzioni".

"Lo vedremo!". Mattheus si rialzò in piedi, stringendo l'elsa della spada. "Chiudetevi dentro e mettetevi al riparo. Ci vediamo dopo" – gli intimò. Non attese una loro risposta, uscì dalla porta e corse verso la piazza. Dopotutto se Lucius voleva essere sconfitto di nuovo, per la seconda volta e nella stessa giornata, chi era lui per negarglielo?

"Mattheus...".

La voce di Jakob giunse alla sue orecchie ma lo stregone scosse la testa, fingendo di non sentirlo. Sapeva che voleva fermarlo come avevano fatto Jutta e i nani poco prima, ma lui non lo avrebbe fatto. Era cresciuto ed era ora che Jakob si fidasse di lui, lasciandogli prendere le decisioni che riteneva giuste, senza più interferire. Lo amava come un padre ma in quel momento Jakob non c'entrava. Il demonio lo aveva sfidato ed era ora di chiudere la partita con lui, in un modo o nell'altro. In qualche modo avrebbe messo in salvo gli abitanti di Pennes e poi avrebbe rimesso mano alla spada, rispedendolo all'inferno. Corse e rallentò solo quando giunse all'imbocco della piccola piazza di paese. Al centro era stato acceso un grosso falò e l'odore di legna bruciata saturava l'aria. Lucius era accanto alle fiamme e sembrava non aspettare altri che lui. Lucius e il fuoco, binomio indissolubile, pensò con sarcasmo. Lui era il diavolo e le fiamme il suo elemento naturale. Non lo sconvolgeva quella visione, non ne era stupito, sapeva che sarebbe tornato presto e che non aveva digerito a cuor leggero il suo trucchetto con la spada di ghiaccio. Eccolo lì davanti a lui, integro, dopo che solo poche ore prima l'aveva tagliato in due.

Lucius non lo spaventava, era il resto a preoccuparlo. Davanti al demonio, a semicerchio attorno al fuoco, c'erano tutti gli abitanti di Pennes i cui sguardi correvano ininterrottamente da lui a Lucius. Li conosceva uno ad uno, tutti loro avevano chiesto il suo aiuto in passato ed ora erano lì, con lo sguardo perso e spento a pendere dalle labbra del demonio a cui si erano affidati con l'ingenuità di un bambino.

"Benvenuto Mattheus" – esclamò Lucius, non togliendogli gli occhi di dosso.

Mattheus si avvicinò a passi felpati, con sguardo attento ad ogni sua mossa. Non sapeva cosa aspettarsi e soprattutto non poteva prevedere le mosse degli abitanti di Pennes. Non poteva attaccarli, erano vittime di quell'essere quanto lo era stato Jakob. Doveva salvarli, ma in quel momento non riusciva a capire quali minacce gravassero su di lui. "Hai una bella faccia tosta a presentarti qui dopo che ti ho sconfitto" – disse, in tono minaccioso.

Lucius emise un ghigno maligno e si voltò verso la gente di Pennes, alzando le braccia in tono solenne. "Eccolo qui, l'essere demoniaco, finalmente si è mostrato! Ecco colui che vi ha vessato, derubato, terrorizzato per anni. Lui che si è arricchito sulle vostre disgrazie, lui che ha riso del vostro dolore. Lui vi gettava addosso il malocchio e si faceva pagare per togliervelo. Brucerà in questo rogo acceso apposta per lui e lo manderemo a quell'inferno da cui è venuto e che ora lo riaccoglierà" – disse, indicando il falò accanto a lui.

"Il demonio..." - sussurrò la voce di una donna.

Un contadino si chinò a terra, raccogliendo una pietra. "Il diavolo è stato fra noi e ora Lucius è venuto a salvarci!" - disse, scagliandola contro Mattheus.

La pietra lo colpì con violenza sulla fronte e lo stregone avvertì un rivolo di sangue colargli sulla guancia mentre sentiva un dolore lancinante generato dal colpo.

"Il demonio, il demonio!" - urlarono altre voci.

Altre pietre, sassi, imprecazioni si abbatterono su di lui, ferendolo e facendogli perdere lucidità. Cercò di deviare alcuni colpi con la spada ma erano troppi e gli abitanti di Pennes parevano avere una mira perfetta. "Smettetela!" - urlò. "Non lo capite? Vi sta usando, vi sta facendo combattere per lui, state attaccandomi in nome del demonio".

"Tu sei il demonio!" - gridò la signora Kofter, la perpetua del prete di paese. "Tu ci hai derubato per anni, vendendoci la tua acqua! Avevamo bisogno di aiuto e tu ci chiedevi soldi. Sei arrogante e crudele, un essere oscuro".

Un'altra pietra lo colpì sulla spalla già ferita e Mattheus crollò a terra, esausto e sanguinante. "Siete tutti degli idioti! Tutti noi lavoriamo e tutti noi chiediamo soldi in cambio dei nostri servigi. Lo faccio io e lo fate anche voi quando vendete il vostro latte, la carne delle vostre bestie, il formaggio che producete nelle malghe. Io vi ho aiutato e curato, chiedendovi in cambio solo qualche piccola moneta di rame. A volte nemmeno quella, quando avevo la certezza che non poteste pagare. Non vi ho mai derubato! Davvero vi fidate di uno che vi regala soldi? Davvero pensate che esista qualcuno che lo faccia disinteressatamente?". Il suo sguardo si posò verso una donna in particolare, una donna che poteva confermare la sua buona fede. "Signora Knopp, coraggio, ditelo, ammettetelo! Quel giorno, quello del torneo con l'arco, il vostro bambino stava male, vero? Ricordate?".

La donna sbiancò.

"Era il giorno in cui Elke, la mia assistente, giunse qui. Vi diedi l'acqua e non ve la feci pagare perché sapevo quanto foste disperata in quel momento".

Lucius scoppiò a ridere, avvicinandosi a lui. "Sta bluffando gente, il demonio è tentatore e sa confondere e ingannare. Vero signora Knopp?".

La donna, sempre più pallida, assunse un'espressione sconfitta e addolorata e rivolse a Mattheus uno sguardo pieno di sensi di colpa.

Quanto meno aveva la sensazione lei avesse capito come stavano le cose. Mattheus tentò di rialzarsi, ma Lucius lo atterrò di nuovo, infliggendogli un violento calcio nello stomaco. "Brucerai, si... Sarà più divertente di dieci anni fa" – gli sussurrò il demonio, all'orecchio.

Mattheus strinse i denti. Avrebbe potuto dire o fare mille cose per difendersi, ma sarebbe stato pericoloso per gli abitanti di Pennes. Erano troppo vicini, troppo assoggettati da Lucius per non correre in suo aiuto, rischiando di finire uccisi o di farsi del male nel combattimento. Avrebbe potuto chiamare a se i poteri degli elementi di terra, acqua, vento, ghiaccio, calore o gelo per sconfiggerlo ma non poteva se la gente di Pennes non si allontanava. Cosa doveva fare, come poteva combattere senza rischiare di coinvolgerli? O era arrivato il momento di abbassare il capo e soccombere? Per un attimo il pensiero tornò ad Elke e fu contento di saperla lontana, al sicuro. Se si fosse trovata in casa con i nani le avrebbero fatto sicuramente del male e lui non sarebbe stato lì a proteggerla. Sospirò. "Se mi uccidi poi ti annoieresti, no?" - provò a rispondere, sprezzante.

"Oh, non credo...". Lucius lo prese per la camicia, sollevandolo di peso e calciando la sua spada lontano da lui.

Le voci degli abitanti di Pennes si unirono in un solo, unico coro.

"Fuoco, fuoco, fuoco...".

"FERMATEVI TUTTI".

Mattheus sussultò davanti a quella voce. "Jutta...". Non poteva essere, non poteva! Quella stupida cosa ci faceva lì?

Anche Lucius parve stupito. Si voltò nella direzione da cui proveniva la voce della fata, trovandosela davanti, lontana appena pochi metri.

Nessuno di loro si era accorto del suo arrivo.

Mattheus scosse la testa. Era lei, nelle sue sembianze umane, bellissima ed eterea, così diversa da ogni altra donna di quel villaggio.

Jutta squadrò lui e Lucius con espressione seria e furente. Non l'aveva mai vista così. Si voltò verso gli abitanti di Pennes, avvicinandosi a loro. I suoi lunghi capelli biondi parvero brillare al riflesso del fuoco acceso nella piazza. "Mattheus mi ha sempre detto che siete ottusi e, porca miseria, aveva ragione! Come fate ad essere così idioti? A credere a Lucius? Cosa vi ha regalato, una moneta d'oro a testa?Gioielli?".

La gente indietreggiò, spaesata e a disagio. A Mattheus venne quasi da ridere, nonostante tutto. Dalle loro espressioni colpevoli poteva dedurre che Jutta aveva colto nel segno.

Lucius scoppiò a ridere. "Signori, questa donna all'apparenza tanto bella, in realtà è come Mattheus, una creatura degli inferi. Ed infatti sono amici. Brucerà, con lui, per sempre!".

Jutta sbuffò. "Ah, sta zitto!". Poi si voltò verso gli abitanti di Pennes, rivolgendo loro di nuovo le sue attenzioni. "Mi brucereste, razza di caproni? Brucereste una dolce e bella creatura come me? E farete lo stesso con Mattheus? E poi, quando avrete bisogno di qualcosa? Credete davvero che Lucius vi aiuterà? Oh, forse lo farà sì, a un prezzo alto però, vi chiederà la vostra anima. Ha già iniziato ad impossessarsene e voi non ve ne siete nemmeno resi conto. Parlate di Mattheus come se fosse il peggiore degli uomini. Io lo so, ha un carattere pessimo e sarebbe da prendere a scarpate per la maggior parte del giorno, ma è migliore di quello che dà a vedere e gli affiderei la mia vita ad occhi chiusi, come del resto avete fatto voi per anni. Lo credete il diavolo ma voi, avendo attinto ai suoi poteri, sareste diventati suoi complici, giusto? E quindi, a rigore di logica, dovreste bruciare assieme a lui".

La gente di Pennes a quelle parole spalancò gli occhi. Sembrava spaventata, quasi che Jutta avesse trovato le giuste corde da suonare per riportarli alla ragione.

Gli occhi di Lucius si assottigliarono. "Che vuoi fare Jutta, cosa vuoi dimostrare? Hai fallito dieci anni fa e fallirai ancora. Puoi dire quello che vuoi ma loro ascolteranno me".

La fata sostenne il suo sguardo. “Voglio solo dimostrare a questa gente chi sei davvero. Lasciami tentare, che ti costa? O hai paura di me?”.

Lucius scoppiò a ridere. “Paura di te?Nessuno dei tuoi stupidi trucchi di fata funzionerà. Ogni confronto fra noi è destinato a finire con la tua sconfitta. Questa gente la sto salvando da quel demonio che li deruba e sfrutta da anni” – disse, indicando Mattheus. “Come li convincerai del contrario, vista la differenza di modi in cui io e lui ci raffrontiamo a queste persone?”.

Mattheus fece per intervenire ma si morse la lingua, costringendosi a stare zitto. Quello era il loro momento, erano dieci anni che Jutta aspettava di confrontarsi con lui e non avrebbe aperto bocca, nonostante tutte le provocazioni Se ne fosse uscito vivo avrebbe fatto a Jutta una lavata di capo memorabile ma ora, qualunque cosa avesse in mente, doveva solo fidarsi di lei.

Jutta sorrise freddamente. “Io non perderò perché con te non userò la forza come hanno fatto, fallendo, Mattheus e Jakob. Sarebbe stupido, perderei in partenza. Le guerre si vincono con l'intelligenza e l'astuzia e le risposte che queste persone cercano sono già davanti a loro, basta mostrargliele”. Si voltò verso gli abitanti di Pennes che, in silenzio, osservavano con sguardo perso il loro scambio di battute. “Guardatemi bene, osservate quel che faccio. E vi farò vedere chi è il vero demonio fra noi!”.

Mattheus trattenne il fiato, cercando con la mano l'elsa della sua spada che Lucius aveva calciato lontano da lui. Non aveva idea di cosa lei avesse in mente ma era meglio rimanere pronti ad ogni eventualità.

Con un ghigno ed incrociando le braccia al petto, Lucius si appoggiò contro la parete di una baita. "Coraggio, sarà interessante vedere come ti rendi ridicola davanti a tutti".

Jutta non lo sentì. O lo ignorò volutamente. Rovistò con la mano in una delle tasche del suo lungo abito azzurro, come cercando qualcosa e sorrise estraendone un oggetto che Mattheus, sulle prime, fece fatica a identificare.

"Guardate!" - disse la fata, rivolta agli abitanti di Pennes. Sollevò il braccio al cielo, indicando loro un piccolo specchio che evidentemente teneva nella tasca, come ogni donna vanitosa che si rispetti.

Lucius sbiancò mentre Mattheus sorrise. Ora aveva capito dove voleva arrivare e se non fosse stato tanto accecato dalla sua sete di vendetta e dalla voglia di combatterlo con la spada di Jakob ci sarebbe arrivato da solo. "Brava Jutta...".

La fata si avvicinò agli abitanti, invitandoli a guardare nel piccolo specchio che teneva fra le mani. "Lo vedete. Io, voi, tutti ci riflettiamo in questo specchio. Guardate le nostre figure, come son chiare e limpide. Solo le creature umane, coi loro pregi e difetti hanno un'immagine riflessa in uno specchio. Le creature demoniache invece no. Sono fatte di tenebre e le tenebre sono a loro volta fatte di malvagità. E la malvagità non può rispecchiarsi in nulla". Si avvicinò a Mattheus, non togliendo però gli occhi di dosso da Lucius. "Ecco, vedete!" - urlò, facendo in modo che lo specchio catturasse l'immagine dello stregone. "Lui è come noi! La sua immagine è qui nello specchio, coi suoi pregi e... i suoi mille difetti. E' umano, come noi. Mattheus non è il diavolo!".

"Sta zitta!" - sibilò Lucius, avvicinandosi a lei.

Jutta sorrise, freddamente. "Non ti stai divertendo a vedere come mi rendo... ridicola?".

Il demonio si morse il labbro, nervoso. "Gente!" - urlò agli abitanti di Pennes – "Questa strega vi sta confondendo, imbrogliando! Non datele retta, non ascoltatela! Io vi ho aiutati, non lei!".

Jutta fu veloce, più di lui e delle sue parole. Indirizzò lo specchietto verso Lucius, attenta a catturarne la sua figura. "Guardate! Cosa vedete ora? Lo vedete il suo riflesso nello specchio?".

La gente indietreggiò, quasi spaventata dall'eventualità di scoprire la verità. Fu solo Willehlm, il piccolo figlio del mugnaio, spinto dalla curiosità dei suoi cinque anni ad avvicinarsi a lei. Il bimbo guardò nello specchio e poi spalancò i suoi grandi occhi azzurri. "E' invisibile! Non si vede, non si vede proprio nello specchio". Si voltò verso Lucius, indicandolo con la sua manina grassottella. "Sei cattivo tu! Proprio cattivo".

La gente iniziò a urlare spaventata e Lucius ad urlare più forte di loro, nel tentativo di recuperare a suo vantaggio la situazione. "Calma, posso spiegarvi, è un trucco, lei è una strega".

Jutta sorrise, riponendo nella tasca il suo specchio. Si avvicinò a Mattheus, inginocchiandosi accanto a lui per soccorrerlo. "Guarda come sei ridotto!" - sussurrò, accarezzandogli una guancia.

Mattheus scosse la testa. "Non saresti dovuta venire!".

"Già, e a quest'ora tu saresti ridotto a carne da barbecue".

Lo stregone sorrise. "Beh... Sei stata brava, comunque".

L'espressione di Jutta divenne amara, a quelle parole. "Certo. Perché ho usato la testa al posto della rabbia, ho preferito usare la ragione invece della violenza. Voi uomini pensate che basti una spada, un duello o una guerra per risolvere le cose, invece finite per farvi ancora più male e per fare il gioco del diavolo. Voi esseri umani sembrate così attratti dalla violenza, sembra che non riusciate mai a farne a meno. Anche Jakob era così, da giovane. Si sentiva forte con una spada in mano, a cavallo, lanciato come una furia verso una battaglia. Ma con me è cambiato, con me ha saputo vedere le cose dalla mia prospettiva. Noi esseri magici odiamo la guerra, noi sappiamo vivere bene solo in pace. Non avrei permesso che tu ti facessi uccidere come Jakob, sono sicura che anche lui abbia cercato di fermarti perché aveva capito che la guerra va sempre evitata e che stavi commettendo un errore, accecato da rabbia e sete di vendetta. Il giorno in cui Jakob morì, impugnò la spada per difendere te perché non aveva altra scelta, ma era tanto che non combatteva davvero, che NON VOLEVA COMBATTERE. Era anziano e fuori esercizio e per questo è morto. Ma quel giorno gli ho promesso che mi sarei presa cura di te e così ho fatto".

"Già, lo hai fatto". Mattheus sorrise, accarezzandole i lunghi capelli biondi. Tutto attorno a loro erano urla e grida di paura, ma per un attimo gli parvero lontani. "Beh, bello il trucco dello specchio comunque".

Jutta gli strizzò l'occhio. "Ah quanto sei stupido, era una cosa che sapevi benissimo anche tu! Ricordo che quando lo avevo insegnato ad Elke ti eri arrabbiato perché dicevi che non dovevo dirle i nostri segreti, che la conoscevamo ancora troppo poco per fidarci del tutto. Lo hai dimenticato?".

"Lo ricordo". Con fatica si alzò in piedi, reggendosi a Jutta. Beh, era ora di riprendere in mano la situazione e di mettere tutti a tacere in quella dannata piazza. Odiava tutto quel baccano! "Ora basta urlare!" - disse, in tono secco. La gente sembrava impazzita dalla paura e pure Lucius pareva aver perso il senno. Correva da una parte all'altra della piazza, cercando di riportare la gente dalla sua parte. Ma era inutile. Gli abitanti di Pennes erano terrorizzati da lui e sarebbe stato impossibile per Lucius riportarli alla ragione.

"Pfeifer Huisele... Mattheus Hansele..." - lo chiamò l'anziana sarta di paese – "Aiutaci ti prego! Come possiamo liberarci dal demonio, dalla creatura senza riflesso?".

Mattheus la guardò storto per un lungo istante. Quella donna che gli chiedeva aiuto, insieme a tutti gli altri, fino a pochi minuti prima voleva che lui bruciasse sul rogo. E per quanto capisse il potere di soggiogare di Lucius per una frazione di secondo fu tentato dall'idea di lasciarli al loro destino. Avevano distrutto la sua casa, desiderato la sua morte, lo avevano disprezzato per anni e...

Il tocco di Jutta sul suo braccio lo riportò alla realtà. La fata gli sorrise, annuendo. "Dai Mattheus, ora è il tuo momento. Dimostra a questa gente chi sei davvero. E' molto meglio di una vendetta, te lo assicuro".

Lo stregone sospirò. Non poteva dirle di no visto che gli aveva salvato la vita e che molto probabilmente glielo avrebbe rinfacciato per sempre.

"Gente, ascoltatemi! Volete liberarvi del diavolo? E allora usate questo fuoco per bruciare ogni suo regalo! Soldi, gioielli, qualsiasi cosa vi abbia dato. Gli direte no, gli chiuderete le porte del vostro cuore. E lui sparirà. Il diavolo rimane solo dove ha terreno fertile, non ama le lotte faticose ed impossibili. Bruciate tutto quello che vi ha donato con l'inganno e lui se ne andrà per sempre!". Già, era l'unico modo. Bruciare avidità, avarizia, lussuria e lasciare vincere l'umiltà e l'onestà del guadagno costruito sul proprio lavoro e i propri sforzi.

Fu la signora Knopp a farlo per prima, colei che aveva aiutato quel giorno di fine estate in cui arrivò Elke, dandole gratuitamente la sua acqua. La donna si avvicinò al fuoco, gettandoci dentro un sacchetto pieno di monete d'oro.

A quel gesto Lucius cominciò a urlare di dolore, mentre dal suo corpo cominciò ad uscire fumo, come se anch'esso bruciasse insieme alle sue monete. A quella vista, tutti presero coraggio. Si avventarono sul falò, gettandoci dentro altro denaro, gioielli, monili e persino i giochi in legno che Lucius aveva donato ai bambini.

Il demonio prese fuoco, urlando di dolore in piazza, dimenandosi inutilmente per cercare di sfuggire alla sconfitta. E infine sparì, in un mucchio di cenere nera portata via dal vento.

Sulla piazza calò il silenzio, mentre il fuoco ardeva alto nel cielo, portandosi via ogni tentazione del diavolo.

Mattheus crollò a terra nuovamente, ferito ed esausto. Ce l'aveva fatta, lo aveva sconfitto. Per sempre! Il diavolo non tornava mai dove sapeva di non avere terreno facile e sapeva che la gente di Pennes aveva imparato la lezione. Per una volta avevano ascoltato lui, si erano fidati di lui! E questa era una bella sensazione.

Il male sarebbe sempre aleggiato sul mondo e Lucius sarebbe sempre stato pronto a tornare al primo cenno di debolezza degli esseri umani, ma non lì, non più a Pennes! E anche se non aveva usato la spada, sapeva che Jakob era stato vendicato dalla donna che amava e nel modo più giusto, nel modo che lui avrebbe desiderato.

Una sensazione di pace lo invase, mentre appoggiava il viso sulla spalla di Jutta. "Ce l'hai fatta" – le sussurrò.

La fata chiuse gli occhi, mentre una lacrima le solcava il viso. "Già" – disse solamente, stringendolo a se.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo quattordici ***


Capitolo quattordici


Mattheus sospirò, rientrando in casa aiutato da Jutta. La ferita al braccio e le varie contusioni dovute ai colpi ricevuti e alle sassate che gli avevano lanciato addosso i suoi compaesani cominciavano a fare male e lui si sentiva sempre più debole e desideroso di un letto.

Lui e la fata erano andati via di soppiatto dalla piazza, lasciando alla chetichella gli abitanti di Pennes, ancora nervosi ed agitati da quel che era successo quel giorno e attenti soprattutto più al fuoco che bruciava i doni del demonio che a loro due.

La casa era un disastro, completamente a soqquadro. "Dannazione!" - borbottò Mattheus, immaginando già la mole di lavoro che lo aspettava per rimettere tutto a posto.

I nani gli corsero incontro appena rientrato, bisognosi di rassicurazioni e spiegazioni. Rimasero come ebeti davanti alle sue condizioni e soprattutto davanti alla visione di Jutta in versione umana. Era incredibile per loro pensare che quella bellissima donna bionda, alta il doppio di loro, non era altro che la loro amica fata che tante volte aveva giocato con loro sulle rive del lago di Valdurna quando erano trasformati in gatti. E rimasero ancora più a bocca aperta quando Mattheus, frettolosamente e sommariamente, gli raccontò quanto successo in piazza e di come Jutta e gli abitanti di Pennes si fossero liberati del demonio. Ogni pericolo era passato anche per loro.

Drago deglutì, non togliendo gli occhi di dosso a Jutta. "Caspita, sei stata... bravissima! E come sei bella!" - esclamò.

"Grazie!". Jutta sorrise. "Sono stata bravissima, vero! Più di lui sicuramente!"" - commentò, spingendo Mattheus verso la sua stanza. "Coraggio ragazzo, mettiti a letto, devo medicarti. E darò una sistemata anche a voi due, siete davvero malconci" – commentò, osservando le condizioni e le ferite dei nani.

Mattheus provò a protestare fiaccamente. "Ci sono un sacco di cose da fare, da sistemare...".

"Lo farò io quando vi avrò medicato e dormirete! Sono una fata e so usare la magia, rimettere in sesto casa tua sarà un gioco da ragazzi! Quindi coraggio, Mattheus, a nanna!".

Jutta lo spinse in camera, sul letto, incurante delle coperte gettate in giro alla rinfusa, dell'armadio aperto, dei vestiti buttati a terra e dei cocci di vetro delle provette che contenevano l'acqua del lago, distrutte e ridotte in frantumi. Lo aiutò a togliersi la camicia, sfiorandogli poi la spalla sanguinante. "Falko, Drago, andate a prendere dell'acqua fresca al pozzo e delle bende, devo disinfettarvi le ferite. A proposito, se ci riuscite vedete di trovare in giro per casa anche delle foglie di Achillea. Non abbiamo l'acqua del lago con noi e dobbiamo arrangiarci usando i metodi tradizionali. Credi di averne in giro, Mattheus?".

"Sì, nella stalla sul retro, sui ripiani di legno dovrebbe essercene un pò".

I nani scomparvero di corsa, pronti ad eseguire gli ordini di Jutta.

La fata si sedette sul letto accanto a lui, osservandolo con sguardo clinico. “Sei pieno di lividi e in più hai la ferita alla spalla da disinfettare. Mi aspetta un bel lavoro” – disse, sospirando. “Ti lascerai curare senza fare storie, Mattheus?”.

Va bene”.

Dico sul serio! Niente lamentele e niente storie, anche se ti farà un po’ male”.

Mattheus strinse i denti, stremato. Si sporse in avanti, affondando il viso sul suo collo. “Ti ho detto che va bene”.

Oh…”. Jutta parve sorpresa da quella sua reazione così arrendevole e così poco da lui. “Se non protesti e nemmeno tenti di farlo, devi stare proprio male! Dai, stenditi e mettiti composto, prima ti medico e prima finiremo”.

Mattheus annuì, lasciandosi cadere sul materasso, esausto. Stava talmente male da non avere quasi la capacità di ragionare, pensare. La testa gli scoppiava, mille aghi incandescenti sembravano trapassargli le tempie. In quel momento rientrarono i nani, portando quanto la fata aveva chiesto, ma quasi non ne avvertì i movimenti, troppo stremato per accorgersi di quel che lo circondava. Li udì solo uscire di nuovo dalla stanza, forse per prendere qualcos'altro. “Jutta resta qui, non tornare nel bosco. Ormai gli abitanti di Pennes ti conoscono, che problema ci sarebbe?” - disse, quasi di getto, senza rendersi bene conto del significato delle sue parole, con la mente persa chissà dove.

Jutta gli appoggiò una pezza bagnata sulla fronte, osservandolo attentamente in viso. “Tu stai straparlando, devi avere la febbre molto alta e devi aver preso più botte in testa di quello che pensavo. Domani starai meglio e spero ti sia ritornato il senno”.

Parlo sul serio, resta!” – sussurrò Mattheus, con un gemito. Per quanto la sua mente fosse annebbiata in quel momento, sapeva di avere bisogno di lei. Non voleva stare solo, gli avvenimenti di quella giornata lo avevano sconvolto e reso in un certo modo fragile, come quel giorno di dieci anni prima. E Jutta era l'unica che potesse capirlo davvero. Lei c'era quando Jakob...

La fata scosse la testa. “No. Sopportarti tutto il giorno, ventiquattro ore su ventiquattro a farti da serva? Prospettiva terrificante, onestamente… Grazie dell'offerta ma preferisco la mia vita da fata, libera sulle montagne. Però ora hai bisogno che rimanga e lo farò, stanotte e domani almeno”.

Mattheus non rispose. Forse Jutta aveva ragione, stava straparlando. Si sarebbero uccisi dopo nemmeno una settimana, loro due.

Mattheus, forse lei tornerà” – gli sussurrò la fata medicandogli la ferita che aveva sulla guancia, leggendogli nella mente pensieri che nemmeno lui voleva far venire alla luce.

Di che cosa stai parlando?”.

Lo sai”.

Non ne voglio parlare”.

Jutta scosse la testa. “Io si perché tu hai bisogno di lei e ora che non c'è ti aggrappi a me. Non so cosa succederà, so solo che un giorno Elke crescerà, capirà o vorrà farlo e forse tornerà da te”.

No, non lo farà. Ed è giusto così! Elke si scorderà di questo posto molto in fretta, vorrà farlo e…”.

Ma non potrà. Fine del discorso!”.

Mattheus sospirò, osservando il soffitto. Quando la fata assumeva quel tono risoluto c'erano ben pochi modi per contrastarla. Strinse le coperte fra le mani, pensando a lei, a Jakob e a quello che doveva aver provato dieci anni prima, vedendolo colpito a morte davanti ai suoi occhi. Anche Jutta aveva sofferto per la mancanza di una persona a lei cara, una mancanza che non avrebbe mai potuto colmare in nessun modo. Eppure ce l'aveva fatta, a differenza sua che non aveva mai imparato ad accettare gli addii di nessuno. Non ci era riuscito coi suoi genitori, con Jakob, ora faticava a farlo con Elke. Per questo, per tanti anni, non aveva voluto accanto nessuno. Affezionarsi a qualcuno significava poi soffrire, quando quella persona se ne sarebbe andata. "Come hai fatto Jutta? Come hai fatto a dimenticare Jakob, ad andare avanti e a smettere di soffrire per lui?”.

Chi ti dice che abbia smesso di soffrire? Il fatto che non ne parli non significa che abbia smesso di piangere e di pensarlo. Ma come hai detto tu, sono andata avanti. D’altronde avevo molto da fare”.

Cioè?”.

Jutta alzò le spalle. “Cioè impedire che tu ti facessi odiare dal mondo intero”.

"E ci sei riuscita?".

"Sono riuscita ad arginare i danni. Forse...". Con gesti delicati gli medicò e fasciò la spalla, per poi tamponare le contusioni e i graffi che gli tormentavano il viso.

"Ahiaaaa!" - si lamentò Mattheus, scostandosi di colpo quando lei gli sfiorò l'occhio pesto.

La fata lo guardò storto. "Avevi detto che non avresti fatto storie!".

"Si certo, prima di accorgermi che hai la grazia di un elefante azzoppato".

"Mattheus, sta fermo o ti lego!".

"Sarebbe sleale! Un atto di forza contro un uomo debilitato e ferito sarebbe solo prepotenza e prevaricazione".

"Oh, da che pulpito viene la predica!". Facendo finta di non sentirlo ed, incurante delle sue imprecazioni, Jutta gli medicò il viso. Fu veloce, a dire il vero, però questo non gli impedì di sentire un bruciore atroce.

La fata sbuffò, appena ebbe finito. "Oh, lo sai che un poppante avrebbe fatto meno storie di te?".

"Sta zitta!".

Jutta lo studiò in viso, rimboccandogli le coperte. "Se vai avanti così, starò zitta di sicuro! Non ti rivolgerò la parola per tanto, tantissimo tempo!".

"Evviva, sono anni che aspetto di sentirti dire queste parole. Credo di essere quasi commosso ".

Jutta scosse la testa, esasperata. "Non ti sopporto più! Sarà meglio che vada dai nani a controllare come stanno e a medicare anche loro. Li ho spediti a letto a riposare e mi aspettano di là. Sono certa che faranno meno storie di te".

La sentì alzarsi dal letto e allontanarsi da lui ed in quell'istante sentì freddo, un gelo che pareva corrodergli le ossa. Forse perché Jutta era rimasta seduta, mentre lo medicava, nell'esatto punto in cui mesi prima usava sedere Elke quando, per un motivo e per l'altro, si soffermava in camera sua. Ed Elke sapeva donargli calore e serenità quando l'aveva avuta vicina. "Lei... lei ha lasciato qui il suo arco e i suoi nastri" – sussurrò quasi assorto, parlando più a se stesso che alla fata, sopraffatto per un momento dai ricordi.

Jutta si bloccò sulla porta, voltandosi di nuovo verso di lui. "Li custodirai?".

"Credo di sì". La mano di Mattheus strinse la coperta. Il dolore al viso e alla spalla sembrava perdere d'intensità davanti ai ricordi che, improvvisamente e per qualche motivo a lui sconosciuto, si affollavano nella sua mente. "Sai, lei odiava il Natale e io ho fatto di tutto per farle cambiare idea. Abbiamo addobbato un abete su, in alta montagna, usando i suoi nastri colorati. Era la prima volta che festeggiava il Natale, non le era permesso a casa sua. Avrebbe potuto essere una serata spiacevole da com'era partita, ma ero riuscito a farla sentire serena e a farle avvertire lo spirito natalizio di cui tutti godiamo nella notte del 24 dicembre. Le avevo promesso tante cose, le avevo promesso che da quel momento avremmo sempre festeggiato degnamente il Natale, che sarebbe stata una festa anche per lei. Quando siam tornati, qualcuno aveva lasciato fuori dalla porta di casa un dolce per noi. Non ho mai saputo chi fosse, suppongo qualcuno di Pennes, per qualche motivo che io ignoro. Lo abbiamo mangiato e poi siamo venuti in questa stanza, io, lei e i nani. Falko e Drago mi hanno sfidato a una partita a scacchi e abbiamo passato la serata a giocare, loro due in coppia e io con Elke. Lei non sapeva giocare e le avevo detto che le avrei insegnato. Peccato che Falko e Drago, ai tempi in cui lavoravano al circo, passassero le serate a giocare a scacchi coi loro compagni e avessero acquisito una notevole bravura. Si sono dimostrati giocatori più abili e furbi di me. Mi hanno stracciato ed ho fatto una figuraccia. Ma è stata una bella serata di Natale e lei alla fine rideva, lo ricordo... E io le ho sussurrato nell'orecchio che le avrei insegnato, oltre che a giocare, a barare, in modo da vincere sempre. L'onesta in fondo non paga nel gioco!".

Jutta sbuffò. "Mattheus!!!".

Lo stregone sorrise, sprofondando fra i cuscini. "Per farla breve, facemmo molto tardi, a un certo punto i nani si addormentarono sul mio letto e io mi trovai mezzo storto, con loro ai miei piedi e Elke a fianco, assonnata pure lei. Potevo definirmi... scomodo... ma in realtà stavo bene. Lei sbadigliò, appoggiando il viso alla mia spalla. Aveva i capelli raccolti, pieni di nastri e perline, non riuscivo proprio a capire come potesse dormire con tutta quella roba in testa".


"Elke, se vuoi dormire sciogliti la treccia o ti darà fastidio".

"No, non voglio".

"Vuoi dire che dormi SEMPRE così?".

"No, dormo coi capelli sciolti. Ma ora ci siete voi e non mi va".

"Perché?".

"Perché non amo troppo mostrare i miei capelli al naturale".

"Ma è notte, che ti importa? Ci sono io e ci sono Falko e Drago, che ti potrebbe succedere?".

"Niente, ma non voglio lo stesso. Non mi sento a mio agio, ecco, tutto quì".

"Un giorno credi che ti sentirai a tuo agio per farlo?".

"Perché lo vuoi sapere?".

"Così, son curioso. Non ti ho mai vista coi capelli completamente sciolti e credo che ti troverei... bella".

Elke sorrise. "Ma figurati!".

"Guarda che io ho sempre pensato che tu sia bella. Giuro!".

"Vuoi davvero vederli, i miei capelli sciolti?".

"Sì".

Lo abbracciò, appoggiando la testa contro il suo petto. "Ora non me la sento ma...".

"Ma un giorno potresti sentirtela?".

"Sì, con te potrei farlo. Lo farò, te lo prometto. Un giorno, quando sarò pronta...".


"Lei si fidava di me Jutta! E io...".

La fata sospirò. "Conserva il suo arco e i suoi nastri Mattheus. E ora dormi e non pensare a niente, ne hai bisogno" – concluse, non aggiungendo altro alla conversazione e sparendo oltre la porta.

Lo stregone annuì, ormai senza forze. Si abbandonò sul cuscino e in pochi istanti scivolò in un sonno pesante e senza sogni.


...


La mattina successiva si svegliò disturbato da un raggio di sole che penetrava fastidiosamente dalla sua finestra.

Mezzo inebetito si mise a sedere sul materasso, guardandosi attorno e cercando di mettere a fuoco quanto successo il giorno prima. Il combattimento con Lucius al lago di Valdurna e poi nella piazza del villaggio, gli abitanti di Pennes che spezzavano le catene del demonio che li tenevano legati a lui, l'intervento di Jutta, tutto vorticava nella sua mente a ritmo frenetico ed incontrollato.

Si massaggiò la spalla ferita, che doleva terribilmente. Ci sarebbe voluto molto tempo per rimetterla in sesto. Aveva bisogno di pace, di stare solo e di pensare agli ultimi avvenimenti della sua vita che lo avevano ferito più di quanto lui avesse voluto. Il ritorno di Lucius aveva riaperto vecchie ferite e risvegliato antichi dolori mai superati del tutto sconvolgendo ogni sua certezza. Aveva bisogno di ritrovare se stesso e aveva soprattutto bisogno di pace, di rimettersi in sesto e tornare il vecchio Mattheus, quello sprezzante, malandrino e furbo, che si faceva beffe di tutti. C'era solo un posto che poteva aiutarlo a ritrovarsi e a rimettersi in piedi. "E' tanto che non torno a casa mia. La gente di Ratschings si sarà dimenticata di me e io ho voglia di rivedere la Val Ridanna". Già, la valle dov'era nato, dove c'erano le montagne che riteneva essere le più belle del mondo. Il pensiero di Elke lo colpì ma lo scacciò lontano. Le aveva promesso di portarcela ma se n'era andata e a conti fatti non poteva farci nulla.

Si rialzò e a fatica si lavò e rivestì. Casa sua era un disastro e molto lavoro lo attendeva. D'improvviso si rese conto, guardandosi attorno, che la sua camera era più in ordine di come la ricordava. Perplesso, grattandosi la guancia, andò verso il salotto dove poteva udire un via vai incessante. Jutta, Falko e Drago dovevano essere svegli già da un pò.

Appena aprì la porta fu investito da un forte odore di fiori. Fissò il tavolo, le sedie, le credenze, il camino, le finestre di nuovo integre. Tutto pulito, tutto in ordine e tutto lindo, come se il giorno prima non fosse successo niente. E soprattutto... vasi di fiori, di ogni genere e colore, dappertutto. "CHE COS'E' QUESTA ROBA?" - urlò, cercando con lo sguardo la fata e i nani.

Jutta, seduta davanti al camino con Falko e Drago accanto a lei, intenta a togliere gli ultimi residui di cenere, si alzò in piedi, sorridendogli amabilmente. "Oh, finalmente sei sveglio! Hai visto che brava che sono stata? E' bastata un po’ di polvere di fata e ho sistemato tutto! Casa tua non è mai stata tanto in ordine e pulita come stamattina!".

Drago annuì. "Già, non potevo credere ai miei occhi quando mi sono svegliato ed ho visto tutto a posto!".

Mattheus incrociò le braccia al petto, battendo nervosamente il piede. "Cosa sono tutti questi fiori?".

"Oh, i fiori!". La fata sorrise, orgogliosa del suo operato. "Era una casa così grigia, ci volevano e stanno bene, non trovi? Le case del Tirolo devono essere adornate di fiori, fanno parte della nostra cultura!".

"Ma mettiteli a casa tua!Toglimi tutta questa roba! Che penserà la gente? Qui ci abitano tre uomini, TRE! E gli uomini non adornano la loro casa con i fiori".

Anche Jutta incrociò le braccia al petto. "No! Se vuoi toglierli, fallo da solo. Secondo me stanno benissimo".

Sempre più esasperato, Mattheus faticò non poco per non esplodere. Gli aveva dato una mano e si era presa cura di lui ma Jutta non doveva esagerare. "Senti, se ti piacciono tanto, prenditeli e portateli via. A proposito, non hai nulla da fare a casa tua?".

Jutta sbuffò vistosamente. "Devi essere guarito, hai ricominciato ad essere insopportabile. E pensare che poche ore fa volevi che rimanessi quì".

"Straparlavo per la febbre".

"Sì, certo. Ma i fiori non li tolgo lo stesso, questa casa ha bisogno di un po’ di colore. Elke non li raccoglieva?".

Accidenti a lei! Ma perché le donne erano tanto fissate coi fiori? "No, non lo faceva. E se lo faceva, probabilmente era abbastanza intelligente da metterli in posti della casa... discreti. Dove io non li notavo troppo".

Jutta fece per replicare ma fu interrotta da un energico bussare alla porta.

Accigliato, Mattheus si affacciò alla finestra. Si rabbuiò. Un nutrito gruppo di abitanti di Pennes sostava fuori dalla porta di casa sua e in quel momento non aveva voglia di vederli. Il ricordo di quanto successo il giorno prima, le loro grida, imprecazioni e violenze contro di lui lo avevano scosso più di quanto potesse immaginare. E anche se si era da sempre beffato delle loro debolezze e paure, in quel momento aveva poca voglia di scherzare.

"Ehm, Mattheus?" - chiese Falko, in attesa di un suo cenno.

Anche Jutta lo guardava, incerta. "Io aprirei...".

In fondo avevano ragione, via il dente e via il dolore, non aveva mai avuto paura di loro. Aprì la porta con un gesto secco, rimanendo in silenzio davanti a quel gruppetto di una decina di persone che sostavano davanti casa sua. C'erano alcuni degli anziani del villaggio, il Sacerdote di Pennes e alcuni fra coloro che avevano le baite e i terreni più ampi. E la signora Knopp, che teneva fra le mani una piccola pentola in rame avvolta in uno straccio.

La donna gli si avvicinò, quasi timorosa. "Ecco, ho pensato di portarvi della zuppa. Con la casa ridotta in quello stato e le vostre ferite...".

Mattheus la bloccò, prima che potesse continuare. Era infastidito da quell'improvvisata e quell'intrusione. "La casa è sistemata e le ferite vanno meglio. Non ho bisogno di niente, quindi siete pregati di tornarvene da dove siete venuti" – rispose, seccamente.

Il vecchio Stephan, il sacerdote di Pennes, si fece coraggio e si fece avanti. "Volevamo scusarci con voi, a nome di tutto il paese. Il nostro comportamento è stato imperdonabile e speriamo nel vostro perdono. Pennes ha bisogno di voi, signor Hansele e speriamo vivamente che non vogliate andarvene da qui, dopo quanto successo ieri".

Mattheus sussultò. Era la prima volta che un abitante di Pennes si rivolgeva a lui col suo vero cognome, per tutti era sempre stato Pfeifer Huisele. Le sue parole lo avevano colpito. Non aveva mai pensato di andarsene da Pennes, quel posto lo legava al lago di Sarentino e a Jakob e non avrebbe avuto altri luoghi dove andare, se non quello. "Beh, mi passerà, state sereni" – disse, freddamente. "I miei affari sono qui e non ho motivo per andarmene. Al vostro comportamento sgarbato sono abituato e d'altronde voi siete a vostra volta abituati al mio".

"Diventate il nostro capo villaggio!".

La richiesta dell'anziano Karl, l'uomo più vecchio di Pennes, lo sorprese. Spalancò gli occhi, incredulo da quel che aveva appena sentito. "Cosa?".

Il vecchio annuì. "Sì, siete la persona giusta. Il più colto, il più saggio e il più potente del villaggio. Abbiamo bisogno della vostra guida, per non perderci ancora. Vi prego, non rifiutate! Ieri sera ne abbiamo parlato, tutti noi. E pensiamo che questo incarico vi spetti di diritto".

"Capo villaggio?". Un sorrisetto maligno gli comparve in viso. Già, una proposta inaspettata che poteva trasformarsi in qualcosa di divertente... Quale miglior passatempo poteva esserci? Tormentare gli abitanti di Pennes, dall'alto dell'incarico che essi stessi gli avevano conferito. Poteva anche accettare! Avevano anche ragione, chi meglio di lui poteva amministrare quel borgo e le sue terre? Chi c'era di più intelligente di lui? Da qualche parte avvertì nella sua mente la vocina di Jakob che tentava di riportarlo sulla retta via, come faceva quando era piccolo, ma la ignorò. Aveva pur diritto alla sua piccola vendetta per quanto patito il giorno prima. "Va bene, accetto. Se davvero ne sentite la necessità, chi sono io per rifiutarmi? Ma dovrete aspettare un po’ per i miei servigi... Torno al mio paese natale per riprendermi. Fra massimo un mese mi riavrete qui e sarò... il vostro capo villaggio".

"Certo, certo! Tutto il tempo che volete" – risposero, in coro.

Si allontanarono contenti, tutti eccetto la signora Knopp. "Ehm, la zuppa? La volete?".

"Si certo!". Con un gesto veloce Mattheus gliela tolse di mano, annusando il delizioso profumo che emanava dalla pentola. "Grazie".

"Signore io...".

"Cosa?".

"Volevo ancora ringraziarla per quello che avete fatto per il mio bambino. Voi e quella ragazza... Era gentile, a me piaceva. Mi spiace che non abiti più qui e mi chiedo se sia andata via per colpa nostra. La guardavamo tutti con sospetto e non lo meritava".

Improvvisamente a Mattheus passò la voglia di scherzare. "Non è andata via per colpa vostra. Ma su una cosa avete ragione, era gentile, una bella persona. Avremmo dovuto trattarla meglio tutti quanti, me compreso. Lo avete visto il demonio ieri, vero? Ecco, aveva i capelli neri come la cenere, il carbone, la notte. Non bianchi. Gli albini non c'entrano nulla col diavolo, ricordatevelo sempre. Non sono i capelli che fanno di una persona un essere malvagio ma l'animo e i sentimenti negativi che albergano nella nostra mente".

La donna annuì. "Ce lo ricorderemo, se tornerà".

Mattheus la fissò per un breve istante, accigliato, volgendo lo sguardo a lei e alla zuppa che teneva fra le mani. "La notte di Natale, qualcuno ha lasciato davanti alla mia porta dello Zelten. Siete stata voi?".

A quella domanda, la donna arrossì. "Sì, ecco... Volevo ringraziarvi per quanto avevate fatto, per l'acqua che mi avevate regalato. E volevo farvi un regalo. So che era poca cosa ma spero lo abbiate gradito. A casa dicono che sono brava a fare lo Zelten".

"Già, lo siete". Mattheus non aggiunse altro, la salutò con un cenno del capo e rientrò in casa. Una volta dentro, si ritrovò davanti Jutta, Falko e Drago che lo fissavano ad occhi sgranati. "Che vi prende?".

Jutta puntò l'indice contro di lui. "TU CAPO VILLAGGIO?".

"Già, fantastico vero?".

La fata scosse la testa. "Avevi ragione, gli abitanti di Pennes sono completamente scemi! Come si fa a proporre a TE un compito simile? Tanto valeva si tenessero Lucius! Sarai un tiranno, già me lo immagino... Anzi no, peggio di un tiranno. I tiranni quanto meno qualche amico e qualche appoggio se lo cercano, a differenza di te che sei più selvatico di un vecchio orso".

Mattheus avrebbe voluto ribattere a tono ma trovava più divertente non farlo per non darle quella soddisfazione. "Hai ragione! Ma loro mi vogliono, quindi..." - concluse, con un'alzata di spalle.

Drago e Falko gli si avvicinarono. "Ma Mattheus, hai intenzione di tornare al tuo villaggio natale per davvero, prima di iniziare col tuo nuovo incarico? Parlavi sul serio?".

Jutta sbuffò. "Speriamo davvero che parlasse sul serio, almeno darà a questa gente qualche settimana di libertà".

Ancora una volta, lo stregone ignorò le frecciate della fata. "Sì, starò assente per qualche settimana. Ne ho bisogno" – disse, appoggiando la pentola con la zuppa sul tavolo e massaggiandosi la spalla ferita.

Jutta gli si avvicinò, sedendosi sul tavolo. "Ti farà bene. A te e agli abitanti di Pennes".

Lo stregone annuì, sospirando. Già, era vero. Aveva bisogno di ricaricarsi, di ritrovarsi e fare pace col suo passato e poi di ricominciare, dando una svolta alla sua vita e iniziando a percorrere nuove strade.

Sarebbe stato bello, nonostante tutto, ritornare a Ratschings.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo quindici ***


Capitolo quindici


Dopo la proposta degli abitanti di Pennes, era partito quasi subito, affidando a Falko e a Drago la gestione dei suoi affari, lasciandogli l'incombenza di vendere le sue creme e le sue tisane curative durante la sua assenza; si fidava ciecamente di loro due, sapeva che non l'avrebbero mai né derubato né imbrogliato. A ben pensarci, era qualcosa di strano per lui, fidarsi di qualcuno, ma con i nani prima e poi anche con Elke, gli era venuto talmente naturale da stupirsene egli stesso. Era stato fortunato ad incontrare quei tre, erano brave persone, il suo istinto lo aveva capito da subito. Era partito alla chetichella, di mattino presto, per non vedere nessuno. Si sentiva strano: aveva sempre amato la sua baita, ci si era sempre sentito protetto e a suo agio, ma sentiva il bisogno di allontanarsi un po’ da Pennes e da quella vita per ritrovare le sue origini. Non ne capiva il motivo, ma da quando aveva combattuto con Lucius non aveva fatto altro che pensare a Ratschings, alla Val Ridanna ed alla sua casa natale. Forse era normale sentirne il richiamo di tanto in tanto e ancora più normale era che succedesse dopo una battaglia come quella che aveva combattuto, che aveva risvegliato in lui antichi ricordi e riaperto vecchie ferite. Lucius era stato il grande nemico del suo maestro e ogni cosa successa fra loro in passato aveva rivissuto attraverso il loro duello. Jakob era stato la sua infanzia, il suo passato, la fonte della sua conoscenza ed anche della sua magia; era il profumo di casa, dei prati verdi della Val Ridanna, della torre di Sterzing, dei pascoli di capre e dei sentieri di montagna che si inerpicavano fino alle vette di quei monti che tanto bene aveva imparato a conoscere da bambino, della neve e del gelo che imperavano per lunghi mesi, del camino acceso e dei pomeriggi passati ad imparare da lui.

A Ratschings aveva amici e conoscenze, nessuno si era dimenticato di lui ed ogni volta che era tornato era stato accolto con calore, per questo pensava che tornare per qualche settimana gli avrebbe fatto bene. Lasciata la sua casa di Pennes, aveva pagato una carrozza per portarlo fino alla Val Ridanna; ci era sempre andato a piedi ma non era abbastanza in forze per poterlo fare e non aveva alcuna voglia di faticare, tanto che per la prima volta in vita sua aveva pagato il cocchiere senza battere ciglio. Era ricco, e per una volta poteva viaggiare comodamente.

Gli spiaceva non portare con se i nani, gli avrebbe fatto piacere mostrar loro il luogo da cui proveniva e che considerava il più bello al mondo, ma gli affari venivano prima di tutto: se volevano continuare a mantenere il tenore di vita comodo che conducevano, qualcuno doveva mandare avanti l'attività di vendita dell'acqua magica del lago e loro erano gli unici a poterlo fare.

Mentre la carrozza proseguiva placidamente il suo viaggio, fra monti innevati e prati su cui spuntavano i primi timidi fiori primaverili, il pensiero corse ad Elke. La notte di Natale le aveva promesso che l'avrebbe portata nella Val Ridanna, e compiere quel viaggio da solo gli lasciava in bocca un sapore amaro che non gli permetteva di gustare appieno il suo ritorno a casa.

Scosse la testa cercando di pensare ad altro, soprattutto agli aspetti pratici del suo ritorno a Ratschings: doveva dare una sistemata a casa sua, erano anni che nessuno vi rimetteva piede e anche alla casa di Jakob, che era abbandonata da molto tempo. Non sarebbe stata una vacanza riposante, avrebbe dovuto sgobbare più che a Pennes.

Il pensiero delle case sue e di Jakob lo fece sorridere, ricordava la prima volta che era entrato nella baita del suo maestro, il loro primo colloquio, i suoi capricci insistenti finché lui non lo aveva zittito. Era un giorno piovoso d'autunno di tanti anni prima, lui aveva sei anni e si stava annoiando terribilmente, quando quell'uomo incrociò il suo cammino, cambiandogli la vita. Un vecchio del suo villaggio che aveva sempre visto in giro per la loro minuscola comunità, ma a cui non aveva mai rivolto la parola perché schivo e solitario, benché sempre mite e gentile con chi si rivolgeva a lui.


"Mamma, mi sto annoiando! Nonna, gioca con me!".

Sua nonna scosse la testa, interrompendo il suo lavoro di uncinetto. "Mattheus, fai il bravo, su. Sto lavorando, non vedi?".

"Se non giochi con me, io non ti vorrò più bene" – aveva detto, mettendo le mani sui fianchi.

Sua madre gli si era avvicinata, dandogli una leggera pacca sulla testa. "Non essere maleducato! Fra poco non ti annoierai più, te lo garantisco. Guarda alla finestra, sta arrivando il papà. Con una sorpresa per te".

"Un regalo?".

Sua madre scosse la testa. "Non proprio. Meglio, molto meglio di un regalo".

"Un pony?".

In quel momento la porta si aprì e suo padre entrò in casa, bagnato fino al midollo, in compagnia del loro anziano vicino di casa. Jakob... Il suo amico Werner, ogni volta che lo incrociava, gli faceva le boccacce, ora che gli veniva in mente.

"Mattheus, vieni quì" – lo chiamò suo padre.

Lui ubbidì e si avvicinò, studiando il vecchio che era entrato in casa sua. "Sarebbe lui il mio regalo?".

Suo padre si inginocchiò davanti a lui. "Jakob sarà il tuo maestro. Sa leggere e scrivere e gli ho chiesto di insegnarlo anche a te. Ti servirà, piccolo".

"Io non voglio leggere e scrivere".

Sua madre sospirò. "E invece dovrai farlo. Ti servirà per saperne sempre un pò più degli altri e non essere sottomesso o preso in giro da nessuno".

"Non ci sono persone quì che sanno leggere e scrivere! Perché io dovrei farlo, scusa?" - aveva protestato, inutilmente.

Jakob gli si avvicinò, prendendolo in braccio. E in quel momento si accorse che era terribilmente forte, pur essendo così vecchio. "Tuo padre ha detto che devi fare questa cosa, mi ha chiesto il favore di essere il tuo insegnante e io ho accettato. Quindi tu, da bravo bambino, farai quel che ti è stato detto".

Per tutta risposta, lui lo aveva guardato storto e poi si era messo a scalciare per cercare di liberarsi dalla sua presa. Ma Jakob non lo aveva lasciato, la sua stretta pareva essere d'acciaio."Lasciami, lasciami! Papà, ti prego, farò il bravo ma per favore, la scuola noooo".

Jakob aveva guardato i suoi genitori, incurante delle sue urla. "Ma fa sempre così, vostro figlio?".

Suo padre annuì, alzando gli occhi al cielo. "Vi avevo avvertito, signore, è un bambino difficile".

Jakob non si fece scoraggiare. Lo bloccò nei movimenti, alzandogli il mento con la mano per costringerlo a guardarlo negli occhi. "Ascolta bene, Mattheus. Io sopporto poco i bravi bambini e ancor meno quelli che strillano. Se te lo ricorderai, forse potremo andare d'accordo nelle ore che passerai da me per imparare. Sono stato chiaro?".

No, non era stato chiaro per niente. E urlò di nuovo. Ma Jakob, dopo un cenno ai suoi genitori, gli aveva messo la mano sulla bocca per impedirgli di strillare ancora e lo aveva portato fuori, sotto la pioggia, diretto a casa sua per la prima lezione.


"Signore, siamo arrivati".

Si svegliò di soprassalto al suono di quella voce. Il cocchiere gli aprì la porta della carrozza, invitandolo a scendere. "Siamo nella piazza della torre, come da voi richiesto". Mattheus si stiracchiò, Era arrivato a Sterzing dopo un viaggio lungo tre giorni, , e da lì si potevano raggiungere la Val Ridanna e Ratschings. Lui amava quel posto in cui spesso era stato da bambino assieme con suo padre e sua madre quando scendevano al paese per commerciare i loro formaggi. Conosceva ogni pietra del selciato, ogni bottega, ogni sapore di quel posto, di quel piccolo paese dalle case tutte colorate in tinte pastello incastonato nella sua valle natia. Per un attimo gli sembrò di tornare bambino, tanto che non si sarebbe stupito di veder arrivare suo padre con un panino imbottito di speck, preso per farlo pranzare mentre lui lavorava. Sapeva che non era possibile, ma per un attimo, trovandosi in quella piazza, fu come se passato e presente si fondessero in unico istante: rivide il piccolo carro dove i suoi genitori appoggiavano i prodotti da vendere, sua madre col foulard in testa e suo padre col cappello e il bastone. Rivide anche Fia, una cucciola di cane dal lungo pelo bianco che aveva trovato sola nel bosco, smarrita e senza mamma, e che avevano tenuto con loro per tanti anni. Fia stava sempre con lui e lo seguiva ovunque, attenta e premurosa come una madre col suo cucciolo. Crescendo era diventata imponente e massiccia, come ogni cane di montagna che si rispetti.


"Mattheus, sta attento a Fia. Spaventa le persone e ci fa scappare i clienti. Legala da qualche parte".

"Ma mamma, non fa niente a nessuno. E' buona, lo sai".

Sua madre scosse la testa. "Certo che lo so, ma la gente di Sterzing non la conosce. E' un cane grande e tutti ne hanno paura. Se proprio non vuoi legarla, portala da qualche parte a fare un giro. I prati fuori Sterzing sono perfetti per voi due, giocherete e non disturberete nessuno".

Annuì. "Sì, va bene". Accarezzò la testa bianca di Fia, che di tutta risposta gli leccò la guancia. "Dai, seguimi! Andiamo a giocare".

"Mattheus, mi raccomando!" - lo richiamò sua madre – "Se incontri qualche altro bambino, non fare come al solito e non minacciarlo di farlo mordere dal cane se non ti cedono i loro giochi o il loro cibo!".

"Ma mamma...".

"Niente ma! Fia è buona ma tu non lo sei per niente, certe volte!".


Decise di salire per la montagna lasciandosi alle spalle la strada centrale di Sterzing, costellata di baite e case variopinte, ed i ricordi ad essa legati. Nel passeggiare per il paesino si era sentito un estraneo: nessuna delle persone che aveva incrociato gli aveva risvegliato dei ricordi nonostante da bambino, in quel paesino fosse stato di casa; ricordava la fornaia, la lattaia, i pastori che transitavano con le loro greggi di pecore dalla piazza diretti ai pascoli, l'anziana che gli dava di nascosto i biscotti al burro che cucinava per i bimbi del paese. Di quelle persone non c'era più nessuno e, se qualcuno era rimasto, probabilmente era anziano e chiuso in casa e difficilmente si sarebbe ricordato di lui.

Comunque ora aveva fretta di raggiungere Rachstings, avrebbe avuto tempo per tornare con più calma; il freddo era pungente e c'era aria di neve, se non si fosse sbrigato sarebbe stato sorpreso, strada facendo, da una tormenta: la Val Ridanna era una valle chiusa e fra quei monti il freddo sapeva essere crudele e infido per molti mesi anche in primavera.

Camminò a passo spedito fra i boschi di abete, conosceva uno a uno quegli alberi, impressi indelebilmente nella sua memoria. In quelle montagne era cresciuto correndo fra le baite e le piante ed in estate aveva sguazzato nel corso d'acqua che attraversava tutta la valle; Case, alberi e persone di quei luoghi erano da lui conosciuti oggi come allora e questo gli procurava una sensazione strana, piacevole e malinconica allo stesso tempo. Aveva amato tante persone, ed altrettante gli erano state vicine, ma ormai queste persone non c'erano più; di fatto la sua vita ora era Pennes, coi suoi abitanti a volte chiusi e ottusi, ma che nel corso degli anni aveva imparato a conoscere, riuscendo anche a ridere delle loro debolezze e dei loro caratteri. Ora invece, in quei posti che lo avevano visto nascere, si era sentito un estraneo. Sperava che questa sensazione di disagio sarebbe passata una volta giunto a Ratschings ,ma sapeva che ad ogni suo ritorno, col passare degli anni, le cose sarebbero andate sempre peggio. Lo scorrere del tempo sa essere inesorabile, nella piccola vita degli esseri umani. Le montagne erano meravigliose ed erano sempre le stesse, ma le persone che gli avevano insegnato a conoscerle e ad amarle, pian piano sarebbero sparite inesorabilmente, una dopo l'altra: nascite, matrimoni, eventi piccoli e grandi a cui non aveva potuto partecipare a causa della lontananza, lo avevano reso un estraneo nella sua terra natia, ma nonostante questo avrebbe sempre amato quel posto più di qualsiasi altro al mondo; negli anni aveva visitato città e regioni straniere vendendo la sua acqua, ma nessun luogo gli era parso bello come la Val Ridanna. "Dovrei tornare qui più spesso, credo" – pensò distrattamente, mentre osservava grosse nubi che coprivano il cielo.

Accelerò ulteriormente il passo mentre la spalla ricominciava a dolergli. Neve, neve e ancora neve. Una cosa non si era dimenticato l'odore acre e pungente dell'aria quando stava per arrivare una bufera.

Costeggiando il torrente Ferner percorse i chilometri che lo separavano da casa. Sullo sterrato, di tanto in tanto, veniva sorpassato da carri di minatori che facevano ritorno alle loro abitazioni dopo la giornata di lavoro nelle miniere, stanchi e sporchi fino alla punta dei capelli di polvere e terra.


"Io da grande non voglio fare il minatore, Jakob. Ci si sporca troppo, non voglio diventare come quei signori. Mamma dice che ho il carattere di un principe e i principi non vanno sotto terra a lavorare. I principi non si sporcano mai".

Jakob scosse la testa, prendendolo per mano. "Ah Mattheus, sì, sei un principe! Viziato e capriccioso come solo un nobile sa essere. Ma ti dico una cosa, sai come devi fare per non diventare un minatore?".

"No".

Jakob sorrise, scompigliandogli i ricci rossicci con la mano. "Stare attento alle mie lezioni e studiare".

Sbuffò. "Lo sapevo che lo dicevi. Ma... se studio che cosa potrò fare?".

"Tutto quello che vorrai, Mattheus".


A quei ricordi sorrise. In effetti grazie agli insegnamenti di Jakob non era diventato un minatore,. Era stato un bambino viziato, capriccioso ed ingestibile fino al loro incontro e se il suo maestro non l'avesse preso sotto la sua ala, nella vita avrebbe combinato ben poco. A quell'uomo doveva tutto ciò che era e ciò che aveva. Era riuscito prima zittirlo ed ammonirlo coi suoi modi bruschi per poi condurlo verso la conoscenza e la maturità, insegnandogli molto di più di quello che aveva chiesto suo padre: lo aveva reso una persona migliore e aveva saputo sviluppare le sue attitudini e le sue capacità, facendolo diventare una persona forte, colta ed a suo modo potente, nonostante quel loro burrascoso primo incontro, quando Jakob lo aveva preso di forza in braccio e portato via dai suoi genitori per diventare il suo maestro. Ricordava quelle poche ore come se fossero appena successe:


Udì la porta di casa sbattere dietro di loro, mentre il vecchio lo portava ancora di peso fra le braccia, impedendogli di scappare. Con modi di fare tutt'altro che gentili Jakob lo lasciò cadere su una delle due sedie che possedeva in casa sua e lo spinse fino al tavolo, precludendogli ogni via di fuga. Era una baita minuscola, con le pareti di pietra e il tetto in legno e con una sola stanza che fungeva da cucina e da camera da letto "Ti ho detto di non strillare! Mi stai distruggendo i timpani".

"Io voglio andare a casa mia, non ci voglio stare qui! Lasciami, lasciami, lasciamiiii!!!".

Per nulla intimorito dai suoi pianti e dalle sue urla Jakob si era avvicinato al camino, prendendo un bastone di legno fra le mani. "Lo vedi questo, Mattheus?".

"Sì, e allora?".

Jakob prese il bastone, appoggiandolo sul tavolo. "I maestri usano spesso bastoni come questo con gli allievi che non collaborano. Ti assicuro che mi basterebbe picchiartelo sulle mani una volta per avere la tua ubbidienza".

"Cosa?".

"Oh, tranquillo, non lo farò". Jakob riprese in mano il bastone e con un gesto secco lo ruppe in due, buttandone i resti nel camino. "Preferisco essere più incisivo, io". Si avvicinò all'armadio, lo aprì e ne estrasse una lunga spada affilata.

A quella visione, lui rise. "Ah, non lo farai mai! Non mi colpirai di sicuro con quella, lo so che stai barando solo per spaventarmi. Nessun vecchio farebbe mai male a un bambino con la spada".

"Dici sul serio?". A passo spedito si avvicinò e con un gesto veloce e inaspettato conficcò la spada nel legno del tavolo a pochi millimetri dalle sue mani, sfiorando le sue piccole dita da bambino. "E allora Mattheus Hansele? Cosa dicevi, a proposito?".

Deglutì, spalancando gli occhi. E per la prima volta in vita sua si piegò a qualcuno, smettendo immediatamente di piangere. No, quell'uomo non scherzava, era evidente. Non seppe cosa fu, se paura o rispetto verso Jakob e i suoi modi di fare così poco ortodossi e così diversi da quelli dei suoi genitori e di sua nonna, a cui era abituato. Seppe solo che da quel giorno smise di strillare e strepitare e fece sempre quel che lui gli chiedeva.


Superò il nucleo principale di Ratschings, dirigendosi verso Flading, la piccola frazione dov'era nato. Questa era casa sua: un piccolo agglomerato di baite in legno collegate fra loro da una sola via sterrata ed abitate da pastori e spaccalegna, siutato in fondo alla valle, con una minuscola chiesetta, il cui tetto aguzzo che scorgeva da lontano gli aveva fatto martellare il cuore nel petto, che poteva contenere una ventina di persone al massimo. Era, un luogo semplice, chiuso e dalla vita dura, sferzato dalla neve e dal gelo in inverno e coperto da fiori e da vellutata erba in estate ma dove tutti si conoscevano ed erano .. come un'unica grande famiglia.

Si guardò intorno, mentre ogni piccolo angolo di quel pezzo di mondo gli ricordava qualcosa: i prati intervallati da splendidi abeti che svettavano fino al cielo e che sembravano quasi volerlo toccare gli ricordavano i giochi infantili e le corse con gli altri bimbi del villaggio all'inseguimento delle greggi che i loro padri conducevano al pascolo; il ruscello che bagnava il villaggio, regalando acqua pulita agli abitanti e pesce con cui rimediare pranzi e cene, suo principale compagno di giochi nelle calde giornate estive quando si tuffava dentro quell'acqua zampillante e fredda.

Dal piccolo gruppo di baite il fumo fuoriusciva dai camini; ormai imbruniva e non c'era più nessuno in giro. Il freddo era pungente e i primi fiocchi di neve avevano cominciato a cadere. "Sono arrivato appena in tempo". Si massaggiò la spalla, faceva un male cane, tanto che non gli sarebbe dispiaciuto rotolarsi nella neve per trovare sollievo nel torpore indotto dal ghiaccio, ma l'unica cosa che fece fu trascinarsi fino al delimitare di Flading, dove due piccole baite, buie e senza camini accesi, sembravano aspettarlo; casa sua e casa di Jakob, vuote ormai da anni e bisognose del suo ritorno per aprire porte e finestre e fare entrare un po’ di aria e di luce.

Si avvicinò dapprima alla casa del suo maestro, ma nonostante avesse le chiavi per aprirla non lo fece; si sedette sul gradino di pietra davanti all'ingresso, rapito dal paesaggio maestoso che lo circondava. Era felice di essere tornato, ma si sentiva infinitamente solo; forse avrebbe dovuto portare con se Falko e Drago, fregandosene dei guadagni, a loro sarebbe piaciuto visitare la Val Ridanna. Forse avrebbe potuto chiedere addirittura a Jutta, se fosse rimasta in forma umana avrebbe potuto essere fattibile tanto più che lei probabilmente era stata già a Flading quando Jakob era giovane e loro due erano innamorati ed inseparabili. Avrebbe potuto essere felice di farci ritorno.

Prese un legnetto fra le mani, smuovendo distrattamente terra e neve, incerto su cosa fare. La logica avrebbe suggerito di entrare in casa sua, accendere il camino, scaldarsi e medicarsi la spalla, ma uno strano torpore gli impediva di farlo. "Era con Elke che sarei dovuto tornare... Glielo avevo promesso, dannazione".

Alzò gli occhi al cielo guardando i piccoli fiocchi di neve che venivano giù con dolcezza ed eleganza. Capiva bene cosa fosse a renderlo così di malumore: ora che era giunto alla sua meta gli era tutto terribilmente chiaro. A Flading le persone a cui aveva voluto bene in passato non c'erano più ad aspettarlo, e la persona che era stata il suo presente fino a pochi mesi prima se n'era andata e non desiderava altro che rivederla. Il motivo del suo viaggio era stato il bisogno di tornare a casa sua, come aveva fatto altre volte in passato e la solitudine non gli era mai pesata, né a Flading né a Pennes, perché stare solo era la normalità allora. Questa volta era diverso: non era partito per una rimpatriata coi suoi vecchi compaesani e questo gli faceva capire che quello che stava cercando ora non era il passato che aveva vissuto in quella valle da bambino perché ora casa sua era a Pennes: quello che lui cercava era la sensazione di benessere e calore che aveva perso nel preciso istante in cui aveva lasciato andare via Elke e di certo non l'avrebbe potuta ritrovare a Flading come in nessun altro posto.

"Cosa devo fare, Jakob?".

Ogni volta che si recava al lago di Valdurna aveva chiesto consigli al suo maestro su questo fatto, ma la risposta ai suoi dubbi non era mai arrivata: come gli aveva già detto Jutta, Elke era un aspetto della sua vita che doveva risolvere da solo ed il silenzio di Jakob era anch'esso da intendersi come una lezione di vita.

"Mattheus Hansele, sei proprio tu? Che mi prenda un colpo, sono anni che non ti fai vedere quì".

Preso alla sprovvista da quella voce giunta all'improvviso alle sue spalle Mattheus balzò in piedi. Credeva di essere solo, ormai era buio e nevicava e in giro non c'era anima viva. Si voltò, trovandosi davanti la prima faccia conosciuta della giornata: un uomo anziano dai capelli completamente bianchi e dalla lunga barba, vestito con abiti da contadino logori. "Andreas?". Non poteva essere che lui, il capo villaggio di Flading, colui che da decenni amministrava il territorio, sedava le liti e organizzava la vita comunitaria del borgo. Un uomo saggio e mite, ma che sapeva essere inflessibile ed irremovibile nelle decisioni quando era necessario esserlo. Suo padre e Jakob, ricordava, ne avevano una grande considerazione e rispetto. "Che ci fate in giro a quest'ora, con questo tempo?".

Il vecchio rise. "Dovrei chiederlo io a te! Cosa ci fai qui? Ero nella stalla a dare un po’ di fieno alle bestie quando ti ho intravisto. Non riuscivo proprio a credere che fossi tu! Cosa ti porta qui dopo tanto tempo?".

"Beh, niente di che. Sono solo venuto a fare una visita e a controllare la mia baita. Ci saranno lavori da fare, suppongo, sono anni che non ci metto piede e non vorrei crollasse a causa dell'incuria".

Il vecchio annuì, sedendosi accanto a lui. "Capisco. Ma perché te ne stai da solo, seduto fuori al gelo? Vieni a casa mia, ti faccio preparare qualcosa da mangiare da mia moglie. Ad Amelie farà sicuramente piacere".

Mattheus scosse la testa: nonostante l’invito e l’interesse di Andreas fossero genuini e non si stupiva della sua gentilezza, dato che in quel posto tutti si erano sempre adoperati per gli altri considerando ogni membro della comunità come parte della famiglia, non aveva molta voglia di fare conversazione:, inoltre si sentiva frastornato e spaesato senza contare che la spalla gli faceva talmente male da levargli il fiato... "Ti ringrazio davvero, ma come ben sai non sono un tipo da compagnia. A dire il vero vorrei solo andare a letto a dormire, sono distrutto dal viaggio".

Andreas annuì. "Vedo che non sei cambiato e che sei rimasto il lupo solitario di sempre".

"Così pare".

"Però Mattheus, ti trovo strano, cambiato. Va tutto bene?".

Lo stregone si massaggiò la spalla. Non aveva voglia di parlare con lui di quello lo tormentava, del duello con Lucius e di tutti i pensieri che gli giravano per la testa, ma allo stesso tempo non voleva allontanarlo bruscamente. "Ah, nulla di che. Ho una ferita alla spalla che mi dà il tormento e non sono molto in forma. Tutto qui".

Il vecchio sospirò. "Mi spiace. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi, vero? Per stasera ti lascio in pace, ma domani a pranzo ti voglio da me! Anzi, magari organizziamo un grande pranzo con tutti quanti. Il tuo ritorno da noi è sempre una gran festa".

A quella proposta, Mattheus sorrise, pensando a quanto fossero diverse le cose lì, rispetto a Pennes. A Ratschings era considerato da tutti una celebrità e per la gente della valle era un onore sapere di aver dato i natali a uno stregone potente come lui. A Pennes invece lo avevano evitato tutti come la peste per anni e lo avevano temuto come se fosse stato la peggiore delle calamità, anche se ovviamente lui ci aveva messo del suo divertendosi a spaventare e a tormentare gli abitanti della Val Sarentino per anni. Però trovava comunque piuttosto divertente questa disparità di trattamento che gli era riservata. "Ti prego, la festa comunitaria no! Sai che odio queste cose".

Andreas rise. "Oh, certo che lo so! Sei così differente dai tuoi genitori, tu! E credo fosse uno dei motivi che ti hanno fatto trovare a tuo agio con Jakob. Lui era chiuso e solitario come te. Invece tuo padre era una persona mite, aperta e gentile, così come tua madre. La loro perdita è stata una grave tragedia per la comunità, erano davvero brave persone".

"Anche Jakob era una brava persona". Lo disse di getto, quasi infastidito dalle considerazioni di Andreas sulla sua famiglia e sul suo maestro. Da bambino aveva amato più di tutti i suoi genitori, benché diversissimi da lui. In seguito Jakob era diventato un secondo padre e si era preso cura di lui quando era rimasto orfano, per cui non gli andava che Andreas li paragonasse perché tutti loro, in modo diverso, avevano contribuito a renderlo la persona che era adesso. I suoi genitori erano morti all'improvviso, quando lui aveva dodici anni, durante un viaggio a Innsbruck per vendere la loro merce. Lo avevano affidato a Jakob e sarebbero dovuti rimanere via per alcune settimane. Non avevano mai fatto ritorno e solo alcuni mesi dopo era venuto a conoscenza che erano morti, vittime di una epidemia di febbre che aveva decimato la popolazione della città.

Nel giro di una notte da bambino viziato e vezzeggiato si era ritrovato solo: sua nonna era morta di vecchiaia alcuni anni prima e se non fosse stato per Jakob, non avrebbe più avuto nessuno. Era stato proprio con la morte dei suoi genitori che la sua vita era cambiata e che aveva conosciuto il suo maestro per quel che era davvero.


"Mattheus, da oggi vivrai con me. Sei ancora troppo giovane per stare da solo a casa".

"Come vuoi" – aveva risposto freddamente, sopraffatto dal grande dolore che si portava dentro.

Jakob si sedette accanto a lui sull'erba. "Mattheus, sei anni fa tuo padre mi ha chiesto di essere il tuo maestro e di insegnarti a leggere e a scrivere. L'ho fatto, ti ho insegnato queste cose e altre ancora. La storia, la geografia, le scienze, la matematica e molto altro. Sei stato un buon allievo e ti sei dimostrato un bambino intelligente, anche se molto testardo. Ma ora che siamo rimasti soli, tu ed io, che ne diresti se ti insegnassi quel che so davvero? Non ho molto tempo a disposizione per farlo, ma se vorrai, ti donerò tutti i miei segreti e le mie vere conoscenze. Sarai l'erede di quel che sono stato io".

"Di cosa stai parlando? Che dovresti insegnarmi ancora?". Era stanco e non aveva voglia né di essere educato né di stare a sentire Jakob che straparlava. Voleva solo che per magia i suoi genitori tornassero da lui.

Il suo maestro non si fece intimorire dai suoi modi bruschi. "Ti ricordi la mia spada, quella che ho conficcato nel tavolo il primo giorno che sei venuto da me e strillavi come un'aquila?".

"Sì, e allora?".

"Era la mia spada. Ero un guerriero molto forte da giovane, ho girato il mondo combattendo ogni genere di guerra e ogni genere di nemico. Ho visto bimbi nascere e morire nel corso dello stesso giorno, se si trovavano nel mezzo di una battaglia, villaggi distrutti e dati alle fiamme e gente che moriva senza sapere spesso il perché. Ho appreso arte e culture straniere e ho imparato oltre il lecito tutto quello che c'era da sapere. C'è un mondo fuori dalla Val Ridanna che aspetta di essere scoperto. Un mondo che aspetta te, un mondo che puoi vedere a occhio nudo, con gli occhi semplici della gente comune. E un mondo nascosto, magico, che possono vedere solo persone speciali come me. E te, se lo vorrai. So che ne saresti capace".

"Che vuoi dire?".

Jakob lo guardò negli occhi con una serietà che non gli aveva mai visto. "Magia Mattheus. Uso la magia, la so veicolare e utilizzare a mio piacimento. So entrare in contatto con le forze della natura e farle confluire a me, le so comandare e da esse traggo il potere per ogni genere di incantesimo io desideri".

Spalancò gli occhi, per un attimo seriamente sorpreso. Ma poi scosse la testa, sicuro che Jakob fosse ammattito di colpo. "Mi stai prendendo in giro".

"Ti ho fatto una domanda ben precisa Mattheus! Vuoi imparare a usare la spada? Vuoi imparare a usare la magia?".

Sbuffò. Se cera qualcuno che aveva il diritto di essere fuori di testa era lui e non certo Jakob. Però... se non scherzava? In fondo Jakob non l'aveva mai preso in giro. "Se davvero ci tieni, proviamoci. Tanto non ho niente di meglio da fare".

"Inizieremo con la spada".

"E come farai? Cammini col bastone e sei vecchio, come pensi di insegnarmi ad usarla?".

Gli occhi di Jakob divennero improvvisamente vivi e penetranti, a quelle parole. "Conosco gnomi, troll, il demonio. Ho amato una fata e combattuto ogni genere di guerra. Di certo non sarà un dodicenne sospettoso a mettermi al tappeto. Stanne certo Mattheus, ti farò mangiare la polvere".

"Hai amato una fata? Jakob, sei sicuro di stare bene?". Stava cominciando a preoccuparsi seriamente per la salute mentale del suo maestro. Ma non ce n'era ragione. E lo avrebbe scoperto giorno dopo giorno, anno dopo anno, quanto il suo maestro fosse una persona fuori dal comune.


"Jakob ha cambiato la mia vita, in meglio. Se sono quel che sono, Andreas, lo devo a lui e a mio padre, che ha avuto l'accortezza di sceglierlo come mio maestro". Si sfilò lo zaino dalle spalle, porgendolo al capo villaggio. "Ci sono ampolle con la mia acqua, qua dentro. Le ho portate per voi. Distribuiscile a tutti, secondo necessità. Io credo che andrò a dormire e da domani sarò impegnato a sistemare le baite dei miei genitori e di Jakob".

Andreas prese lo zaino, annuendo. "E la tua spalla?".

"Guarirà! E' solo una ferita". Si alzò dal gradino, stiracchiandosi. "Ah, ovviamente domani, con tutta calma e senza troppa gente in giro, credo che potrei venire a pranzare da te e tua moglie. Ricordo che fa uno strudel di mele buonissimo".

Andreas sorrise. "Ti aspetto allora. Ma preparati, ti vorranno tutti, a turno, a pranzo da loro".

Sbuffò. "Lo immagino". Guardò Andreas allontanarsi e poi, prima di avviarsi verso casa sua, diede un'ultima occhiata alle montagne che lo circondavano. Maestose, selvagge, imponenti e coperte di neve. Le aveva scalate tante volte e aveva perso il conto delle camminate fatte con Jakob in quei boschi, quando era bambino. Lui, il suo maestro e Fia. Solo loro, la natura e la voce pacata di Jakob che gli spiegava il mondo che li circondava.


"Dimmi Mattheus, a cosa è utile il frutto del mirtillo?".

"Migliora la vista, giusto?".

"Bravo. Dovremmo mangiarne un po’, guarda quanti ce ne sono nel bosco. Che ne dici?".

Si grattò la guancia, ciondolando la testa. Erano ore che camminavano e le gambe gli facevano male, ma non osava lamentarsi perché sapeva quanto Jakob non sopportasse i bambini capricciosi. "Mh, non ho fame, grazie. E poi io ci vedo bene" – mormorò, appoggiandosi al tronco di un abete.

Il suo maestro gli diede una rapida occhiata. "Sei stanco Mattheus? Vuoi andare a casa?".

Arrossì. "Sì".

Jakob lo stupì. Si inginocchiò davanti a lui, prendendolo in braccio. Era la prima volta che lo faceva. "Beh, hai ragione, sono ore che camminiamo e tu hai solo sette anni. Tranquillo bambino, ti porto dai tuoi genitori adesso. I mirtilli li mangeremo la prossima volta".

"In braccio? Davvero mi porti in braccio?".

Jakob gli strizzò l'occhio. "Non farci l'abitudine, mi raccomando".

Sorrise e lo abbracciò. "Ti voglio bene Jakob".

Le braccia del suo maestro contraccambiarono l'abbraccio. "Beh, anche io! Capricci a parte – e vedo che li fai, quando sei coi tuoi genitori – sei davvero un bambino interessante. E essere il tuo maestro è la miglior avventura che mi sia capitata da anni. Ne faremo di strada io e te, piccolo Mattheus".


Di strada loro due ne avevano fatta molta da allora. E grazie al lago di Valdurna, quella strada continuavano a percorrerla ancora insieme.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo sedici ***


Capitolo sedici


Erano passati quasi tre anni dalla lotta contro Lucius e la vita a Pennes era andata avanti sonnacchiosa e tranquilla, senza problemi o scossoni.

Quel che Mattheus aveva preso per un gioco, quando gli era stato proposto di diventare capo-villaggio, si era trasformato pian piano in qualcosa di più serio e impegnativo: era rimasto la solita canaglia che adorava incutere timore nella gente, però aveva anche lavorato seriamente affinché le cose a Pennes andassero bene e funzionassero in modo da rendere tutti sereni, scoprendo per di più che progettare, decidere e lavorare al servizio degli altri gli piaceva.

La gente continuava a sentirsi intimorita da lui, dalla sua magia e dai suoi modi di fare ma il terrore puro e semplice di una volta si era trasformato in timore reverenziale, avevano imparato a rispettarlo e non solo temerlo e, seppur timidamente, a tentare di avvicinarsi un po’ di più a lui, coinvolgendolo, per quanto possibile, nella loro vita.

Era ormai autunno inoltrato, gelido ma ancora privo di neve, l'erba dei crinali aveva mutato il suo colore, diventando una distesa giallo-verdognola che si perdeva a vista d'occhio.

Stiracchiandosi, lo stregone si accinse ad intraprendere il suo ennesimo viaggio verso il lago di Valdurna, il Natale si stava avvicinando inesorabilmente e quel periodo, se ben gestito, poteva essere fonte di ottimi guadagni.

"Coraggio ragazzi" – disse, rivolgendosi a Falko e Drago – "E' ora di diventare gatti e di lavorare".

Falko e Drago sospirarono, non troppo entusiasti. "Secondo noi, se prendi dei cavalli, fai prima".

"Voi vi state lamentando troppo" – borbottò lo stregone, sistemando il carretto. "Bugiardi e scansafatiche... Siete davvero pessime persone" – commentò in tono paternalistico.

"Oh dai, ancora con questa storia?!" - lo interruppe Drago – "E' passato più di un anno e sei stato nostro testimone di nozze".

Mattheus ridacchiò, divertito dal nervosismo dei due; in tre anni non era cambiato niente, o meglio QUASI niente.

"Mi avete fatto fesso per un sacco di tempo. In effetti mi chiedevo come mai passaste tanto tempo dal fornaio e poi ho capito...".

Per un bel po’ aveva creduto che Falko e Drago ritardassero tanto, quando li mandava a prendere il pane, perché interessati alle chiacchiere delle comari di paese che usavano ritrovarsi dal panettiere per spettegolare di tutto e tutti finché in un bel giorno erano tornati dalla spesa con il loro sacchetto pieno di pagnotte e felici come una Pasqua, annunciandogli che si sarebbero sposati con le due figlie gemelle del panettiere con le quali si intrattenevano da mesi.

Era cascato dalle nuvole, doveva ammetterlo, ed anche se non glielo avrebbe mai dato ad intendere era stato davvero felice per loro.

Il matrimonio era avvenuto pochi mesi dopo e lui aveva fatto da testimone di nozze ad entrambi. I nani si erano trasferiti nella casa delle mogli, proprio sopra l'attività di famiglia, ma a parte questo continuavano a lavorare per lui, per amicizia e per una sorta di debito morale che sentivano nei suoi confronti. Ma questo non gli impediva di punzecchiarli e prenderli in giro, di tanto in tanto.

Prese dalla tasca una delle ampolle dell'acqua del lago, rovesciandogliela in testa e trasformandoli in gatti neri.

"Basta parlare di stupidaggini, c'è da lavorare! E anche molto".

Per le festività natalizie aveva piani ben precisi: Pennes e la val Sarentino offrivano discreti guadagni, ma per Natale, se voleva aumentare i suoi introiti, doveva andare in una grande città; il clima era gelido per cui influenze ed epidemie abbondavano e la gente di Bozen aveva sicuramente bisogno di lui e della sua acqua. Inoltre la gente di città, notoriamente più ricca, era disposta a sborsare molto denaro quando si trattava di salute. E chi era lui per privare gli abitanti della più grande città del Tirolo della sua presenza?

Pennes era tranquilla ed avrebbe potuto fare a meno di lui per qualche settimana.

Si incamminarono pochi passi fuori Pennes. quando vennero fermati da due dei suoi concittadini. Mattheus alzò gli occhi al cielo: quei due, il signor Gruber e il signor Riegler, erano due anziani contadini in lotta fra loro da... bah, chi poteva dirlo? Da che ricordava, non li aveva mai visti andare d'accordo. Litigavano su chi avesse i prodotti agricoli migliori, su chi fra loro producesse il formaggio più saporito, si accapigliavano quando giocavano a carte nella piazza del paese in estate e su qualsiasi altra cosa di cui si trovassero a parlare, per cui, se lo fermavano, avevano di sicuro bisogno che facesse loro da giudice per l'ennesima volta. Da quando era diventato capo villaggio, tre anni prima, capitava in media ogni settimana. "Signori, mi tratterrei con voi volentieri ma..." - indicò i gatti e il carretto – "devo lavorare".

Il signor Riegler, come se non l'avesse nemmeno ascoltato, iniziò ad inveire contro il signor Gruber.

"Il mio campo! Avete presente signor Hansele? Quello che si trova al limitare del bosco, quello dove ho costruito con le MIE mani il porticciolo per prendere agevolmente l'acqua del ruscello che scorre nella mia proprietà. Lui, LUI... LUI usa la mia acqua! Lo fa ogni volta che torna dalla montagna, il maledetto! E non lo fa nella parte del ruscello che scorre fuori dal mio campo no! NO! Lui usa il mio porticciolo e quindi entra nella mia proprietà! Vuole la vita comoda, il signorino!".

"Non è vero!" - inveì Gruber. “Il TUO terreno, razza di taccagno, te lo devi recintare se vuoi che nessuno ci entri! Altrimenti io, quando torno dal bosco, ci passo senza pormi problemi. Non vedo perché dovrei fare il giro largo per un qualcosa che non è delimitato da nulla. Chi mi dice che è tua proprietà?".

Mattheus sospirò. Quei due avevano i capelli bianchi da un bel po’ e teoricamente avrebbero dovuto essere considerati i saggi e la memoria storica del villaggio, invece litigavano come lattanti isterici. Li guardò, picchiettando nervosamente il piede, deciso a porre fine a quella stupida disputa immediatamente. Lo stavano irritando.

"Signor Riegler" sussurrò, ponendo gentilmente una mano sulla sua spalla "Io capisco il vostro disappunto per la continua invasione della vostra proprietà privata. Davvero, parlo seriamente! La proprietà privata è sacra e va rispettata e...".

"Ma..." - lo interruppe Gruber.

Mattheus lo fulminò con lo sguardo.

MA... vedete, in quanto proprietà privata, devo farvi notare che il vostro terreno si trova comunque nella giurisprudenza di Pennes che, come sapete, è amministrata dal sottoscritto. E visto che la vostra proprietà sorge in una terra comunale, voi dovreste pagarci delle tasse in relazione ai guadagni che il vostro campo vi frutta".

Riegler sbiancò. "Ma...".

Mattheus sorrise. Il vecchio era brontolone, ma non era certo stupido e aveva capito benissimo dove lui stava andando a parare.

"Ma ecco, io non sono così crudele da chiedere tasse per il vostro campo, su cui vi spaccate la schiena da mattina a sera a lavorare. Però ecco, potrei cambiare anche idea forse, se le circostanze lo richiedessero... Facciamo così! Voi fate usare il porticciolo a coloro che tornano assetati dalla montagna, che tanto l'acqua nel ruscello ci sarà sempre, non è di vostra proprietà e quindi nessuno vi ruba nulla e io, visto il favore che fate alla comunità, eviterò di chiedervi tasse sulla proprietà".

Gruber sorrise, soddisfatto. Riegler annuì non troppo felice, senza tuttavia trovare fiato per controbattere.

Mattheus picchiò le mani sulle loro spalle, amichevolmente. "Bene, visto che è tutto a posto e ci siamo messi d'accordo come grandi amici quali siamo, io torno alle mie faccende. Buona giornata signori".

"Buona giornata" – risposero all'unisono i due, guardandolo allontanarsi.

Mattheus si stiracchiò, rimettendosi in marcia. Negli anni aveva imparato a trattare con la gente di Pennes e a sedare sul nascere ogni discussione inutile. Lo divertiva ancora prendersi gioco di loro e delle loro paure, ma aveva imparato l'arte della mediazione e della conciliazione. Si sentiva un bravo capo villaggio, furbo ma allo stesso tempo giusto.

Il resto della camminata proseguì tranquillo, senza altri intoppi; la giornata era fredda ma serena e forse non avrebbe avuto altre occasioni per fare scorta d'acqua al lago prima dell'inizio delle prime nevicate, per cui era necessario fare scorta per il suo viaggio in quel momento, o non lo avrebbe più potuto fare.

Arrivarono al lago che era ormai mezzogiorno passato. Tutto era tranquillo e silenzioso come sempre, solo il vento, gelido e incontrollato, soffiava fra gli abeti. Le rive del lago erano ricoperte da un leggero strato di ghiaccio e l'idea di immergere la mano che reggeva il secchio da riempire in quell'acqua gelida gli faceva correre brividi lungo la schiena. Sospirò. Prima iniziava, prima finiva e tornava a casa, davanti al suo bel camino acceso.

"Ciao ragazzi".

La voce di Jutta lo raggiunse alle spalle. Si voltò. La fatina volava sulle teste dei due gatti, allegra e all'apparenza incurante del gran gelo che li avvolgeva.

"Certo che io non ti capisco! Potresti startene al calduccio nella tua casetta di fata e invece te ne svolazzi in giro col tuo vestitino a mezze maniche, come se fossimo in piena estate".

Jutta rise, volando sulla sua testa e sedendovisi sopra. "Oh, io non lo soffro per niente il freddo. Solo un po’ quando nevica, la sera. Ma ancora non è sceso neanche un fiocco, quest'anno".

Mattheus sospirò, esasperato da quel suo dannato vizio di sedersi sulla sua testa. Si chinò sforzandosi di far finta di nulla e riempiendo il primo secchio d'acqua.

"Beh, per fortuna! Se nevicasse, io non riuscirei a venire qui ed ho grandi progetti per questo Natale, l'acqua del lago mi serve".

"Fai qualche offerta natalizia per gli abitanti di Pennes?" - chiese la fata.

"Ma quale offerta!? Scherzi, questo è il momento di gonfiare i prezzi e di incrementare i guadagni! Partirò e andrò a Bozen, nelle settimane di Natale. Farò affari d'oro con la mia acqua, in quella città".

La fatina spalancò gli occhi. "Vuoi andare a Bozen? Ma perché? E' Natale!".

"E allora? Il Natale è foriero di buoni affari, se lo sai sfruttare".

"Ah, Mattheus...". Jutta scosse la testa, sconsolata. "Soldi, soldi e ancora soldi! Che ne è del tuo spirito natalizio? Il Natale lo si festeggia a casa propria, al calduccio ed insieme alla propria famiglia o alla propria gente. Che ti salta in mente di andartene a Bozen proprio ora?".

Mattheus sbuffò. Non aveva voglia di affrontare con lei quell'argomento e di sentire le sue paternali. Voleva solo andare a Bozen e cambiare aria e Natale sarebbe stato perfetto per farlo.

Non preoccuparti del mio spirito natalizio, lo sfodererò a Bozen. Ti ricordo che è una grande città, che nella piazza organizzano un meraviglioso mercatino di Gesù Bambino e che c'è una grande Chiesa dove andrò pure a Messa la notte di Natale, se mi andrà di farlo. Come vedi, il mio spirito natalizio è salvo".

In tutta risposta, Jutta gli tirò una ciocca di capelli.

"Ah, zitto somaro! Tu devi restare qui, con la tua famiglia".

"Non ho una famiglia!".

Jutta indicò i due gatti che sonnecchiavano sul carretto. "E loro? Falko e Drago sarebbero contenti di averti con loro e la loro famiglia, la notte di Natale".

"Hai detto bene, la LORO famiglia. Non la mia!" - obiettò Mattheus.

Jutta scosse la testa.

"Tu per loro sei una famiglia. Ti vogliono bene e ti saranno grati a vita per ciò che hai fatto per loro".

"Ma io voglio lo stesso andare a Bozen".

"Mattheus...". Con un sospiro, la fata volò su un masso, sedendosi sopra incurante del freddo. "Cosa c'è? Sei un'anima in pena... Cosa cerchi, cosa vuoi?".

Sbuffando, Mattheus caricò un altro secchio d'acqua sul carro. "Fare dei buoni guadagni, ecco cosa voglio! C'è qualcosa di male in questo?".

"No, ma...". Jutta si bloccò e poi il suo viso si illuminò in un sorriso. "Guarda, ci sono Belle e Blue!" - esclamò, volando verso i due unicorni che, silenziosi, erano spuntati come dal nulla sulle rive del lago.

Mattheus sorrise, piacevolmente sorpreso, avvicinandosi anch'esso ai due splendidi animali. Belle era bellissima e radiosa ed il piccolo Blue era cresciuto, tanto da essere ormai alto quasi come la madre. Erano gli esseri magici più belli che avesse mai visto, ogni volta che li incontrava ne restava affascinato. Era raro vederli a passeggio, lontani dal loro ambiente e se si erano spinti fino al lago significava che non c'era in giro anima viva oltre a loro, il che non stupiva Mattheus visto il gelo di quei giorni. Li accarezzò sul muso, delicatamente.

"E' molto che non ci vediamo, eh?".

In tutta risposta, il piccolo Blue nitrì contento. Era vivace come tutti i cuccioli e spesso, quando si era recato da loro in quei tre anni, l'aveva inseguito nelle sue corse sfrenate.

Mattheus gli sfiorò il collo dove ancora c'era il nastrino azzurro che Elke gli aveva annodato tre anni prima, il giorno in cui era nato. Quel nastrino era ancora come nuovo, lindo e pulito: la magia degli unicorni lo aveva preservato dallo sporco e dal logorio del tempo rendendolo quasi un tutt'uno col piccolo Blue, come se fosse cresciuto assieme a lui. Con l'indice della mano accarezzò il nastrino, deglutendo, lasciando la presa solo quando si accorse dello sguardo insistente di Jutta.

"Cos'hai da guardare?" - sbottò, seccato.

Jutta alzò le spalle, non smettendo di guardarlo in viso.

"Niente, proprio niente".

Distolse lo sguardo da lei, quasi imbarazzato. Odiava quando Jutta faceva così, quando se ne stava zitta ma in realtà gli stava leggendo nella mente. "Bene". Accarezzò ancora brevemente i due animali e poi li lasciò proseguire nella loro passeggiata, restando ad osservarli mentre si allontanavano in silenzio. Finì di riempire i secchi d'acqua, riempiendo il suo carretto senza aprire bocca, considerando in quel momento il silenzio come il suo migliore amico. Alla fine di tutto quel lavoro era sudato e non sentiva più il freddo. Legò Falko e Drago al carro e fece loro cenno di incamminarsi.

"Jutta, buon Natale! Ci rivediamo qui fra... un po’" – disse, sbrigativo.

"Buon Natale e buon viaggio. Spero troverai quel che cerchi, a Bozen" – rispose la fata, sospirando.

"Oh, lo troverò di sicuro. Denaro e guadagni a volontà, non riesco ad immaginare un Natale più dolce di questo".


...


Tornarono a Pennes che era ormai buio. Ritrasformò Falko e Drago e dopo averli salutati e mandati a casa loro si chiuse dentro casa sua. Accese il camino nella sua stanza e si gettò sul letto, pensieroso; aveva molto da fare, in vista del viaggio: la cantina era piena d'acqua che il giorno dopo avrebbe travasato nelle provette da portare a Bozen per poi partire. Non vedeva l'ora.

Si rannicchiò fra le coperte, mentre il silenzio lo avvolgeva. Era stanco e di cattivo umore. Non sapeva se era per le parole di Jutta o per quel nastro azzurro al collo di Blue, dato che ogni volta che lo vedeva il suo stomaco si contraeva dolorosamente. Anche lui aveva un nastro identico nel cassetto del suo comodino e ricordava quanto aveva urlato dietro a Elke, quando glielo aveva legato al polso. Eppure lo aveva tenuto e, anche se rifiutava di ammetterlo persino a se stesso, teneva a quell'oggetto più di qualsiasi altra cosa, tanto che lo aveva eletto a suo porta fortuna nei suoi viaggi di lavoro. Aprì il cassetto del comodino, prendendolo fra le mani. Era un nastro liscio, lucido, adatto ai capelli di una ragazza. Sarebbe stato bene ad Elke e di certo ne avrebbe fatto miglior uso rispetto a lui. Aveva ancora con se, nel suo armadio, gli altri nastri appartenuti alla ragazza e il suo arco. Li aveva conservati, forse illudendosi stupidamente che sarebbe tornata indietro a riprenderseli. O forse perché non aveva avuto il coraggio di buttarli via...

Fece scorrere il nastrino fra le dita. Erano passati tre anni da quando Elke se n'era andata e ancora si stupiva di quanto il ricordo di una semplice ragazzina che era entrata nella sua vita per pochi mesi riuscisse a farlo soffrire. Gli era mancata e gli mancava ancora. Pensava a lei ogni tanto, in silenzio; a ciò che erano stati ed alla persona che lei poteva essere diventata. Era in gamba, forte ed intelligente, gentile e ironica, sempre col sorriso sulle labbra e con una grande pazienza davanti ai suoi modi da orso, come li chiamava lei. La verità era che gli sarebbe piaciuto rivederla e riabbracciarla, scherzare con lei ed averla ancora per casa. Era una verità dolorosa che faticava ad accettare, un desiderio che riusciva a stordirlo e a confonderlo e allo stesso tempo talmente forte da toglierli il sonno. La desiderava, in mille modi, e questo gli faceva paura perché non aveva mai provato nulla del genere per nessuno e perché era consapevole che lei non sarebbe mai tornata. Dopo tre anni sarebbe stato stupido anche il solo sperarlo. Ora sapeva che erano stati, l'uno per l'altra, solo una breve parentesi nell'arco delle loro vite,.

"Saresti diventata una bravissima assistente, se fossi rimasta ora sapresti tante cose quante ne so io. Sei stata il mio più grande errore Elke... E non mi perdonerò mai per averlo commesso".


...


All’alba di due giorni dopo la carrozza ed il cocchiere che aveva ingaggiato per andare a Bozen erano davanti a casa sua. Si strinse nel mantello, caricando le sacche contenenti le ampolle dell'acqua sulla carrozza e al contempo maledicendo quel freddo pungente.

Falko e Drago erano venuti a salutarlo, nemmeno loro troppo entusiasti della sua partenza.

"Dai, cambia idea! Sarà bello festeggiare tutti insieme il Natale".

"Finitela, ho deciso! Starò via solo poche settimane, non è mica la fine del mondo".

Drago scosse la testa. "Sì ma... è Natale! Non dovresti passarlo da solo".

Mattheus sospirò, salendo sulla carrozza. "Passo il Natale da solo da molti anni e l'ho sempre trovato piacevole e rilassante. Non preoccupatevi per me".

Chiuse la porta della carrozza, pensando a quanto aveva appena detto: era stato così per tanti anni, per tanto aveva pensato al Natale come a un periodo di silenzio, contemplazione e meditazione. Ma adesso che cosa provava? Scosse la testa, stupito dal fatto che stesse perdendo tempo a pensare a una cosa tanto stupida.

"Buone feste ragazzi" - disse frettolosamente, picchiando sul soffitto della carrozza, per far segno al cocchiere di partire. Si rannicchiò nel suo mantello di lana, cercando di scaldarsi, guardando fuori dal finestrino le vette delle Dolomiti che lo avrebbero accompagnato in quel viaggio.

Durò quasi una settimana. Bozen non era così lontana da Pennes ma il tragitto fu funestato da violente piogge, tempeste di vento e dalle prime tormente di neve. Quando la città apparve all'orizzonte gli sembrò quasi un sogno. C'erano stati momenti, durante il tragitto, in cui aveva creduto che non sarebbe mai arrivato.

Bozen era grande, piena di gente dalle mille personalità e dalle mille ambizioni; era diversa dalla piccola, sonnacchiosa Pennes, più stimolante ma anche piena di tentazioni pericolose. Mattheus la ricordava bene, ci era stato parecchie volte da ragazzino insieme a Jakob ed al suo amico Werner, che ora ci viveva laggiù. Non lo vedeva da quando si era presentato a casa sua tre anni prima chiedendogli la sua acqua e ficcando il naso nella sua vita. Non l'aveva più né visto né sentito e del resto si sarebbe stupito del contrario. Comunque non era arrivato fin lì per rivederlo e non aveva la minima intenzione di cercarlo per una visita di cortesia. Era lì unicamente per lavorare.

La carrozza si fermò nella piazza principale, piena di bancarelle di legno che vendevano leccornie, decorazioni natalizie e piccoli giochi per bambini. Nevicava debolmente e tutto sembrava magico, ma bastava uno sguardo più attento per capire che non era tutto così perfetto e luminoso: alle case eleganti e raffinate si alternavano case fatiscenti, le strade e la piazza erano sterrate e piene di fango e attorno a lui, oltre le piccole bancarelle e il grosso abete addobbato con nastri e candele, poteva scorgere tanta povertà e miseria, tipica delle cittadine più grandi. Persone senza casa se ne stavano rannicchiate sotto i portici della piazza, cercando calore in piccoli fuochi di fortuna accesi con legnetti trovati qua e là, bimbi scalzi e sporchi correvano fra la gente, senza un adulto che li guardasse e guidasse nella crescita. Bozen era anche questo, non solo grandi e maestose Chiese del centro e i pochi signorotti di paese, in numero così inferiore rispetto a chi moriva di fame. Nelle grandi città ci si conosceva solo in modo superficiale e nessuno si prodigava preoccupandosi per te in caso di bisogno, mentre nei piccoli borghi come Pennes tutti si conoscevano e, nonostante la mentalità chiusa e a volte bigotta, ognuno era pronto ad allungare una mano per aiutare il proprio vicino in difficoltà. Sospirò, pensando che era inutile preoccuparsi e che lui non poteva farci niente. Prese le sue sacche sulle spalle, pagò il cocchiere e mentre calava il buio della sera, si avviò a piedi verso la locanda più confortevole di Bozen, che per quell’anno sarebbe stata la sua casa per Natale.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


Capitolo diciassette


"Cinquanta monete di rame e due d'argento in una sola mattinata. Non male davvero!".

Entusiasta, mentre camminava nei viottoli fangosi di Bozen, Mattheus faceva saltellare da una mano all'altra il sacchetto contenente il suo guadagno di inizio giornata. Era incredibile quanto fosse tutto amplificato a Bozen: più confusione, più gente, più viandanti, più possibilità di commercio e guadagni facili ed immediati, per cui poteva soprassedere al vento gelido che fendeva l'aria e lo faceva rabbrividire ogni volta che metteva il naso fuori dalla sua locanda. Bozen era una città strana, situata geograficamente in un posizione tale da renderla torrida in estate ed estremamente fredda ed umida in inverno, ma in fondo gli importava poco. Sarebbe rimasto lì solo una settimana, al massimo due, e sarebbe tornato a Pennes decisamente più ricco di quando era partito. E quindi al diavolo il freddo e anche la neve che di tanto in tanto cadeva sulla città sotto forma di tormenta, soprattutto durante il pomeriggio e la sera.

Si strinse nel mantello, rabbrividendo e guardandosi attorno. Bozen era piena di vicoli fangosi, lastricati solo in prossimità della grossa piazza del centro. Le case erano più piccole e fatiscenti rispetto alle baite ordinate di Pennes e nei viottoli si sentivano odore di sporco e di umidità, tipici della città. Nella piazza era stato addobbato un grosso abete decorato con nastri e candele che venivano accese ogni sera e le piccole bancarelle di legno che vendevano dolciumi od oggetti natalizi rendevano calda e magica l'atmosfera, ma solo in apparenza: attorno a quel micro cosmo fatto di luci e festa si viveva di stenti e povertà.

In un luogo dove non conoscevi il tuo vicino di casa e nessuno, nel bene e nel male, ti avrebbe dato retta, lui non si sarebbe mai abituato a vivere, era il luogo ideale per fare affari ma non ci avrebbe vissuto per tutto l'oro del mondo.

Perso in quei pensieri svoltò l'angolo del vicolo che stava percorrendo, un dedalo di case di fango e legno che si susseguivano senza sosta, l'una addosso all'altra. Era vicino al centro, pochi passi lo speravano dalla piazza dopo di che solo una manciata di vie lo avrebbero separato dalla sua locanda, una decina di minuti e avrebbe potuto riscaldarsi davanti a un camino acceso, cosa che desiderava da quella mattina.

Il destino però giocava strani scherzi e lui sapeva ormai da anni che nulla va mai come preventivato; una voce giunse da una delle vie circostanti, un suono che lo fece irrigidire e bloccare, costringendolo ad appoggiarsi al muro di una casa.


"Non ce la faccio da sola, Helena può venire con me?".


Deglutì, mentre un miscuglio di emozioni forti e contrastanti si attorcigliavano nel suo stomaco davanti a quell'evento del tutto inaspettato e a cui non era preparato: era la voce di una donna, una voce che spesso aveva riso, battibeccato e chiacchierato con lui, una voce che aveva amato più di quanto avesse mai osato ammettere a se stesso e che gli mancava come l'aria che respirava.

"Elke..."

Era contro ogni logica che lei si trovasse a Bozen, a pochi metri da lui. Era un parto malato della sua mente, un tiro mancino della sua coscienza. Eppure non si sbagliava, non poteva, non su quello. Era lei, per qualche assurdo motivo era la sua voce che aveva sentito. A piccoli passi, con le gambe che gli tremavano, non sapendo nemmeno lui cosa desiderasse, si avvicinò allo svincolo del vicolo da cui era provenuta quella voce. Si rannicchiò dietro all'angolo della casa, tirandosi su il cappuccio del mantello e spiando di soppiatto.

La via che si dipanava davanti a lui era percorsa da palazzi più alti, maestosi e imponenti di quelli delle vie circostanti ed era dominata da un enorme convento dal muro di pietra con decine di finestre, grate ed un’ampia scalinata che portava all'ingresso e ad un probabile chiostro interno.

Una suora, di mezza età, viso tondo e molto in sovrappeso, guardava con aria severa due ragazze che, davanti a lei, sembravano in attesa di qualcosa.

"Elke...".

Deglutì. Lei era lì, a pochi metri da lui, non poteva sbagliarsi: l'avrebbe riconosciuta fra mille, ma, nonostante tutto, non riusciva a credere ai suoi occhi. La guardò quasi rapito, era cambiata: il suo fisico era minuto come lo ricordava, ma gli sembrava un po’ più alta con lineamenti da donna e non più da ragazzina; indossava un logoro abito grigio e teneva i suoi capelli raccolti in una coda di cavallo bassa, poco curata, cosa inusuale per lei: nei suoi ricordi era perennemente impegnata a farsi trecce e treccine con nastri e perline colorate e non aveva mai un capello fuori posto.

Pensò che, però, era sempre bellissima.

Anche l'altra ragazza vestiva allo stesso modo di Elke: avevano apparentemente la stessa età, aveva lunghi capelli biondi e ricci, viso lentigginoso e un petto decisamente più prominente di quello della ragazza albina.

Osservò il loro abbigliamento identico e capì la situazione: nei conventi, spesso, le suore tenevano a servizio ragazze disagiate o da rimettere sulla buona strada, come pecorelle disperse. Elke era albina e quindi, poteva scommetterci, ai loro occhi peccatrice da redimere senza appello; l'altra ragazza aveva sicuramente qualche peccato sulla coscienza, anche se lui aveva non poche perplessità sul grado di giudizio delle suore verso ragazze che a volte peccavano solo a causa di fame e disperazione.

Scosse la testa mentre sentiva lo stomaco contorcersi; sapeva quanto fosse difficile e dura la vita per le ragazze come loro e come le suore, che a parole si prendevano cura di loro e delle loro anime, fossero in realtà severe, manesche e a volte persino crudeli: in cambio di un tetto sulla testa e un piatto di minestra costringevano le ragazze che accoglievano nel loro convento a lavori durissimi, usuranti, al limite della schiavitù. Mordendosi il labbro, dilaniato da mille sensi di colpa, pensò che, data la situazione di Elke, sicuramente non aveva trovato di meglio dove andare. Il motivo per cui Elke fosse a Bozen non lo conosceva, del resto non sapeva nulla della sua vita negli ultimi tre anni, ma sapeva che avrebbe potuto essere infinitamente migliore se lui non si fosse dimostrato tanto stupido, orgoglioso e... geloso? Avrebbe voluto uscire allo scoperto per portarla via con sé lontano da quella suora che la guardava severamente, ma le sue gambe sembravano diventate di pietra, mentre lui si sentiva un enorme codardo.

La suora scese alcuni scalini, avvicinandosi verso le due ragazze.

"Elke, che vuol dire che non ce la fai da sola?".

La ragazza alzò le spalle.

"Beh, io venti chili di patate non riesco a portarli, dalla bottega a qui. Sono pesanti. Vi prego, permettete ad Helena di venire con me e di darmi una mano! Faremo prima e quando saremo indietro, potremo lavare il refettorio. Sarà tutto pulito per l'ora di cena, giuro".

La suora scosse la testa. "Il lavoro nobilita corpo e anima e solo Dio sa quanto tu ne abbia bisogno. Purtroppo però sei una buona a nulla che non sa fare da sola le faccende che le vengono assegnate, finendo per rallentare la quotidianità del convento". Si voltò verso l'altra ragazza che, silenziosa, attendeva di sapere il suo destino.

"Helena, vai con lei. Ma vi avverto, se scopro che perdete tempo a bighellonare in giro, poi ve la vedrete con me e la mia verga. E visto che siete in due, vi farete dare trenta chili di patate dal fruttivendolo in modo da averne di scorta nel caso in cui il tempo dovesse peggiorare e non si riuscisse ad andare a fare la spesa nei prossimi giorni. Sì, trenta chili... O anche di più, tanto siete in due" concluse, lanciando alle ragazze un'occhiataccia molto eloquente. Estrasse dalla tasca una piccola sacca contenente delle monete, lanciandola a Elke che la prese al volo.

"Vi voglio indietro entro un'ora o saranno guai".

E così dicendo scomparve dietro la pesante porta in ebano del convento.

Appena le due ragazze furono sole, sul viso di Elke comparve un enorme sorriso. Non sembrava per nulla turbata dalle parole della suora. "Helena, ce l'abbiamo fatta, abbiamo un'ora libera, lontana da questo posto e da Suor Faustine".

L'altra ragazza, per nulla entusiasta, scosse la testa, sbuffando. "Ora libera? Bell'amica che sei, Elke! Potevi essere la sola a spaccarti la schiena oggi e invece...".

"E dai, non lamentarti! In fondo lo dici sempre che odi aver sempre attorno suor Faustine".

"Si ma... Trenta chili di patate, santo cielo! Al solo pensiero mi viene mal di schiena". Borbottando, la ragazza prese Elke per mano. "Avanti, andiamo! Un'ora passa in fretta e in fondo hai ragione, un attimo di respiro lontana da suor Faustine è un dono dal cielo. Che ne dici se ci facciamo una corsa veloce in piazza a vedere l'abete addobbato, prima di andare a fare la spesa?".

Elke però non parve troppo entusiasta dalla proposta. "A quest'ora le candele che addobbano l'albero sono ancora spente. Non mi va! E poi lo sai che odio il Natale".

Helena le prese il polso, costringendola a seguirla. "Tu devi essere malata! Solo i malati odiano il Natale!".

"Non è vero!".

"E allora andiamo in piazza! La vista di un abete addobbato non ti ucciderà ma, come dice suor Faustine, nobiliterà il tuo animo" – concluse, ridendo di gusto ed imitando la voce della suora.

Mascherando un sorriso Elke la seguì e Mattheus la osservò sparire fra i vicoli assieme all’amica mentre le gambe gli cedevano. Si lasciò cadere a terra, vinto da un'onda di ricordi che facevano male; pensò alla notte di Natale di tre anni prima, quando Elke gli aveva confessato di odiare quella festività, raccontandogli la terribile esperienza della sua infanzia e di quanto le aveva fatto il padre. Lei aveva pianto e lui poteva ancora sentire le sue lacrime ed il caldo abbraccio che si erano dati nel silenzio del bosco. Ricordava la sua rabbia quando si era scagliata contro al tronco immaginando che fosse suo padre, ma anche il suo sorriso davanti alla neve, alle statuine del presepe ed allo zelten che avevano trovato sulla porta di casa. Da un disastro si era trasformato in un Natale felice per entrambi: era la prima volta che lei godeva appieno di quella festa e quel sorriso era anche merito suo. Le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto perché i suoi Natali, da lì in avanti, fossero felici, una delle mille promesse che non aveva mantenuto.

Ora, probabilmente anche a causa sua, lo spirito di Elke era tornato solitario e triste come quella notte di Natale di tanti anni prima quando suo padre l'aveva frustata a sangue. L'aveva delusa anche lui, ferendola come avevano fatto tutti quelli che lei aveva incontrato nel corso della sua vita. Elke gli aveva insegnato che, a differenza di quello che lui pensava, non era diverso o migliore degli altri: non era infallibile e, come tutti, sbagliava e ne pagava le conseguenze.

Si ritrovò ad interrogarsi su cosa fosse successo tre anni prima davanti a Lucius, cosa lo avesse spinto a reagire a quel modo. Poteva anche prendersi in giro raccontandosi che era a causa del suo passato e di Jakob, ma sapeva benissimo che quella era solo una piccola parte della verità: lui era stato geloso, aveva perso la testa nel vederla così vicina a qualcun altro e accettare un fiore che avrebbe dovuto regalargli lui, non per ruffianeria ma per dirle grazie per le mille attenzioni e premure che Elke aveva sempre avuto nei suoi confronti. O anche solo, semplicemente, per farle piacere. Abbassò lo sguardo, vinto dai sensi di colpa, pensando a quando, quella notte, le aveva fatto l’ennesima promessa non mantenuta di intagliarle una statuetta all'anno da mettere nel presepe, come regalo.

'Avremmo dato vita a un bellissimo presepe insieme, noi due...'.

Si alzò in piedi, di scatto. In quell'istante tutta la sua razionalità svanì come se non fosse mai esistita, come se il suo cervello avesse perso il controllo delle sue azioni.

A passi spediti si avviò fra i vicoli del centro storico, alla ricerca di qualcosa che non riusciva nemmeno lui a comprendere. Continuava a camminare, spinto da una forza invisibile che lo guidava senza che lui potesse opporvi resistenza. Probabilmente sembrava un pazzo, ma non gli importava.

Si fermò solo davanti alla bottega di un falegname e davanti alla sua insegna capì cosa stesse cercando.

Era la cosa più folle e stupida che avesse mai fatto, ma dopo aver infranto mille promesse quella continuava a tormentare la sua anima, accrescendo i suoi sensi di colpa.

Entrò e, pagando sull’unghia senza perdere tempo contrattando sul prezzo, comprò un piccolo pezzo di legno ed un taglierino, per poi correre alla locanda chiudendosi dentro la sua stanza senza nemmeno cenare.

Si gettò sul letto, osservando il pezzo di legno fra le sue mani, un piccolo ramo di abete lungo una ventina di centimetri. Sospirò. Suo padre era un maestro dell'intaglio e durante la sua infanzia, per lui, aveva dato vita a statuette del presepe magnifiche che rimanevi a guardare incantato per ore.

Lui invece era un grande stregone, ma in quanto ad abilità manuale non era per niente al suo livello

Però ci doveva, VOLEVA tentare!

Pensò a cosa potesse fare, che forma dare al legno. Cosa poteva piacere a Elke, quale statuina avrebbe amato mettere nel presepe? Scosse la testa, rendendosi conto che probabilmente Elke non desiderava nulla visto che odiava il Natale. E lui stava facendo la cosa più stupida che avesse mai fatto da quando era nato. Per una volta però voleva essere irrazionale e seguire il suo istinto.


"Sai Mattheus, non è vero che non ho mai avuto amici, da piccola avevo Maike".

"Maike?".

"Si, una lupa. Era mia amica, mi seguiva sempre, certe volte da lontano, certe volte camminando al mio fianco".


Sorrise. Forse una statuetta raffigurante una lupa sarebbe sembrata un po’ fuori luogo in un presepe, ma in fondo anche lui da bambino ne aveva voluta una a forma di orso. Decise che una lupa che potesse ricordarle Maike forse era l'unica statua che Elke avrebbe apprezzato.

Lavorò tutta la notte senza sosta; non era un bravo intagliatore e all'alba aveva graffi e tagli su tutte e dieci le dita de mani. Quando finì il cielo era tinto di rosa, la mattinata era fredda e ventosa e metteva i brividi solo guardando i candelotti di ghiaccio che scendevano.

Era stanco come se avesse vangato un intero campo, i suoi capelli erano spettinati e ribelli, coi riccioli che ricadevano senza un ordine preciso su spalle e fronte. Il letto era pieno di trucioli e osservando la statuetta che aveva intagliato poteva notare mille errori ed imperfezioni. Non era un gran che, soprattutto se paragonata alle splendide statuine in legno esposte sulle bancarelle natalizie della piazza. Ad essere onesti, anche se si era impegnato al massimo, il risultato era davvero scarso: il muso del lupo era imperfetto, così come le zampe troppo grandi rispetto al resto del corpo.

Si gettò sul cuscino, esausto, senza riuscire a spiegarsi il motivo di questa nottata passata in bianco a massacrarsi le dita. Era come trovarsi davanti alle azioni di un Mattheus sconosciuto.

Sospirando, si tirò su, si diede una sistemata ad abiti e capelli, prese le ampolle dell'acqua da vendere e, dopo aver messo la statuina appena intagliata in una tasca interna del mantello, uscì per concludere gli affari della giornata. Il Mattheus razionale gli aveva ricordato che si trovava lì per vendere la sua acqua e non per intagliare statuette di legno.

Quella mattina lavorò come sempre, maledicendo il freddo, ma guadagnando ancora di più che nei giorni precedenti. Qualcosa però era cambiato in lui: era distratto, poco interessato a quello che stava facendo, con la mente lontana. La statuetta nel suo mantello sembrava pesare tantissimo anche se era piccola ed insignificante. Eppure sembrava avere vita propria, pulsando per ricordargli che era lì, che lui gli aveva dato vita e che ormai esisteva.

Tentò inutilmente di scacciare quel pensiero e, vendute tutte le ampolle, i suoi passi, invece che portarlo verso la locanda, lo guidarono verso il convento dove il giorno precedente aveva visto Elke.

La sua parte irrazionale aveva di nuovo preso il sopravvento, esattamente come il giorno e la notte appena trascorsi. Si rannicchiò nello stesso vicolo, nascosto sotto il suo mantello e aspettò, chiedendosi cosa avrebbe fatto se l'avesse rivista.

Passò lì tutto il pomeriggio, stupendosi della sua resistenza al freddo che si infilava fra i vicoli e che lo investiva senza pietà. Era una giornata serena ma gelida, come aveva potuto notare all'alba. Scorgeva suore che entravano ed uscivano dal convento ed ogni tanto qualche ragazza compariva con un sacchetto fra le mani pieno di sale da spargere per sciogliere il ghiaccio sulla strada, ma nessuna di loro era Elke.

Quando iniziò ad imbrunire decise che aveva perso fin troppo tempo e preso troppo freddo. Si alzò, pronto a tornare alla locanda, maledicendo sé stesso ed il suo comportamento idiota; aveva perso ore di sonno per intagliare una statua orrenda che non avrebbe mai dato a nessuno e preso tanto di quel freddo da rischiare una polmonite. Sarebbe tornato alla locanda, avrebbe cenato con del brodo caldo e poi si sarebbe messo a letto, davanti a un camino scoppiettante. Quella era una serata intelligente, quello era un modo di vivere di una persona dotata di cervello.

Stava per andarsene quando il portone del convento si aprì e udì una voce conosciuta borbottare. Sussultò, mentre i suoi buoni propositi di andarsene svanivano nel nulla. Tornò indietro e riconobbe la ragazza che il giorno prima era insieme ad Elke. Gli sembrava di ricordare che chiamasse Helena.

La ragazza, stringendosi nelle spalle per il freddo, gettò sugli scalini altre manciate di sale.

"Accidenti a queste dannate suore! Se non vogliono cadere quando vanno alla Novena, potrebbero uscire loro a gettarlo, questo maledettissimo sale!".

Mattheus sorrise. Sembrava avere un carattere forte e battagliero e una notevole lingua lunga. Non sapeva perché si trovasse in quel convento, quali peccati dovesse espiare, ma a pelle gli sembrava una persona piacevole. D'istinto le si avvicinò, estraendo dalla tasca la statuetta.

"Mi scusi, posso disturbarla?" disse, guardandosi attorno guardingo quando le fu davanti.

"No! A meno che non voglia darmi una mano!".

"Veramente...".

Mattheus si grattò il mento, in difficoltà. A Pennes le donne a cui si rivolgeva balbettavano qualcosa, rispondevano di sì a qualunque sua richiesta e poi, dopo un inchino, si dileguavano velocemente. Questa Helena invece sembrava tutto fuorché intimorita dalla sua presenza.

"Ho solo bisogno di un attimo, signorina".

"Che volete?" - sbottò lei, contrariata, lanciandogli un'occhiataccia.

"Ecco, dovrei darvi questa" – disse, lasciando scivolare la statua del lupo nella mano di lei. Si calò ancora più giù il cappuccio del mantello, perché la ragazza non potesse vederlo troppo in viso mentre le parlava.

"Ecco, potreste darla a qualcuno da parte mia, per favore?".

Helena osservò la statuetta, improvvisamente incuriosita.

"E a chi dovrei darla?".

Mattheus sorrise, mentre il suo viso si addolciva, sotto al cappuccio.

"E' per una ragazza bella, intelligente e in gamba. Una di quelle ragazze che non si incontrano spesso nella vita e che te la sanno cambiare in meglio".

Helena si accigliò mentre un sorriso malizioso le compariva in viso. "Capisco... Un innamorato, è?".

Lo stregone sospirò. In realtà avrebbe voluto negare, ma non ne aveva voglia. Voleva solo andarsene, sparire, rinchiudersi nella sua locanda al caldo e cercare di capire il perché del suo comportamento. Era innamorato? O era solo felice di averla rivista in salute e perfettamente in grado di cavarsela? Oppure, semplicemente per una questione di onore, aveva voluto tenere fede a una vecchia promessa che forse Elke nemmeno ricordava? Non sapeva darsi una risposta, o forse aveva solo paura di farlo. "Non ha importanza, dagliela e basta".

Si voltò, deciso ad andarsene, ma la voce di Helena lo fermò nuovamente. "Signore?".

"Che c'è ancora?".

"Non mi avete detto il nome della ragazza a cui dovrei consegnare questa statuetta! E nemmeno il vostro. Questa lei vorrà sapere chi glie la manda".

Mattheus sospirò ma non si voltò, incamminandosi verso la locanda. "Elke, lei si chiama Elke" – disse, non aggiungendo altro.

In fondo non aveva importanza che lei sapesse che lui era a Bozen, l'unica cosa che voleva davvero per Elke, come tre anni prima, era che trovasse un motivo per sorridere e amare la magia del Natale.

E con quel desiderio in testa, sparì fra i vicoli di Bozen.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


Capitolo diciotto


Passò nuovamente il panno umido sulla lunga tavolata in legno dove le suore si erano riunite per cenare, poi ne sfiorò la superficie con l'indice, verificando che non ci fossero più briciole di pane o unto.

Era stanca ed infreddolita e non vedeva l'ora di finire il suo lavoro per andare a dormire, quindi non voleva rischiare di attardarsi a causa dell'ennesimo rimprovero per non aver svolto a dovere quanto gli era stato ordinato di fare.

"Il tavolo è pulito, smettila di perdere tempo! Hai ancora il pavimento del refettorio da pulire e se non ti sbrighi arriverà l'ora della colazione!".

Elke sospirò davanti al tono duro della suora annuendo e mordendosi la lingua per non risponderle: controbattere a una suora non era bene e non si era mai tradotto in nulla di positivo per lei quando ci aveva provato. Suor Ghertrude non era come suor Faustine, borbottava, ma a parte quello non aveva mai alzato le mani su di lei, nonostante il suo tono di voce sempre tanto duro, per cui non era il caso di contrariarla e inimicarsela.

"Si signora".

Corse verso il secchio d'acqua all'angolo del salone, strizzò il panno in esso contenuto e, in ginocchio, mattonella dopo mattonella, pulì il pavimento. Rimasta sola, fu veloce, più del suo solito, e alla fine poteva anche ritenersi soddisfatta. Stavolta la terribile suor Faustine non avrebbe avuto nulla da ridire sul suo operato.

Spense le candele che illuminavano la sala e percorse i corridoi ormai deserti. Era buio e la serata era gelida persino per lei che aveva una grandissima resistenza al freddo, tanto che tremava senza riuscire a smettere. Il convento era enorme e per arrivare alla minuscola stanza che divideva con un'altra ragazza doveva oltrepassare il chiostro e gli orti interni, le celle delle suore, l'orfanotrofio che queste ultime gestivano e infine salire in una specie di torre con delle ripidissime scale a chiocciola. Lì in piccolissime e anguste stanze davano rifugio, in cambio di lavoro e promessa di redenzione dagli errori passati, a una decina di ragazze disperate come lei, che spesso non avevano altro luogo dove andare se non quello. A Bozen ci era capitata per caso e per curiosità, una volta lasciata Pennes. Non aveva posti dove stare e una grande città poteva offrirle sicuramente qualche opportunità in più dei piccoli villaggi di montagna. Inoltre, in quanto albina e quindi peccatrice, era stata subito accolta a lavorare nel convento per essere ricondotta sulla retta via, come dicevano le religiose.

Nonostante la severità delle suore, le botte, il dover confessare peccati che a ben pensarci peccati non erano, era sempre meglio quello rispetto al nulla che la vita poteva offrirle: aveva pasti caldi, un tetto sulla testa e una vita regolare, benché vincolata a regole severissime.

Nel convento vivevano un centinaio di suore, tutte impettite, severe e dedite a recuperare anime che ritenevano perse, come la sua. Alcune a volte si dimostravano più morbide, avevano una parola buona, altre non smettevano mai di guardarla come se fosse stata la peggiore minaccia vivente di Bozen. Soprattutto suor Faustine, la più severa, quella che amministrava il convento, non le toglieva gli occhi di dosso e aspettava come un falco una sua mossa sbagliata, un suo errore, per colpirla con schiaffi e pugni e lasciarla senza cibo o all'addiaccio, di notte.

A tutte queste cose era ormai abituata, per cui cercava semplicemente di scansare i guai come meglio poteva, anche se certe volte era difficile, quasi impossibile stare zitta e non rispondere, soprattutto da quando qualcuno le aveva insegnato che tenere la bocca chiusa era da codardi e da stupidi, rendendole difficile tacere.

Stanca, raggiunse la porta malmessa della sua stanza, la aprì e si stupì di trovarla ancora illuminata dalla luce di una candela.

"Helena ma che fai, sei ancora sveglia? Stasera che non era il tuo turno di pulizie credevo saresti andata a dormire prestissimo" mormorò, entrando nella minuscola celletta che non aveva altro che due assi di legno ricoperti di paglia come letto, un malmesso comodino e una minuscola finestrella che dava sul cortile interno del convento.

Ma non ebbe bisogno di chiedere altro, perché le bastò entrare nella stanza per capire il motivo per cui la sua amica, che adorava dormire, fosse ancora sveglia.

"Ciao Anna!" esclamò, rivolgendosi a una bimbetta di circa due anni, dai boccoli biondissimi che giocava sul letto con Helena. "Che ci fa lei quì?" - chiese, sedendosi sul letto accanto all'amica e alla bambina.

Helena alzò le spalle. "Ha un po’ di febbre e suor Celeste mi ha detto di tenerla qui per non infettare gli altri bambini. E' incredibile, devo sperare che si ammali, per tenerla un po’ con me".

Elke abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. La vita di Helena non era stata per niente facile: rimasta orfana a quattordici anni si era arrangiata come meglio poteva per sopravvivere, facendo ogni tipo di lavoro. A vent'anni, si era innamorata di un uomo che a parole diceva di amarla a sua volta, ma che di fatto non l'aveva mai sposata, facendo di lei quello che gli faceva comodo e sparendo quando Helena si era accorta di aspettare un bambino. E così, sola, senza nessuno a cui chiedere aiuto, incinta, era arrivata in quel convento dove era stata additata come una donna di strada e, in ogni istante, le veniva ricordato che essere madre senza essere sposata era un grave peccato. Per garantire alla bimba un tetto sulla testa aveva dovuto accettare di vederla di rado e di lasciarla accudire dalle suore che gestivano l'orfanotrofio e che si ritenevano infinitamente migliori della madre, nel crescere un bambino. Elke sapeva quanto Helena amasse sua figlia, l'unica famiglia che le fosse rimasta, quanto soffrisse nel saperla sempre lontana da lei e quando desiderasse regalarle una vita migliore, ma purtroppo in quel momento nessun posto sarebbe stato migliore di quel convento e delle sue regole, per loro. Avrebbe potuto maledire l'uomo che l'aveva abbandonata con un figlio in arrivo, lasciare la sua bimba alla ruota, di notte, e sparire per ricominciare una nuova vita senza che nessuno l'accusasse di nulla, ma non l'aveva mai fatto. Era una persona pratica che non recriminava niente del suo passato e sapeva cogliere il bello in ciò che le offriva il presente: Anna. Pur di starle accanto o anche solo vederla da lontano accettava tutto: lavoro duro, accuse ingiuste e mancanza di libertà. La ammirava e la considerava una vera amica, l'unica che avesse mai avuto in vita sua, l'unica talvolta capace di evitarle dei guai facendole capire quando stare zitta.

Helena aveva un carattere forte, nonostante le sberle rispondeva a tono alle suore e aveva sempre la risposta pronta su tutto; era un vulcano, sempre in movimento e sempre pronta a borbottare per qualsiasi cosa. Non la vedeva mai triste o intenta a compiangersi, ma al contrario era sempre pronta a far valere le sue ragioni lottando perché le venisse riconosciuto il suo ruolo di madre, pur senza un marito accanto.

Per caso o per fortuna, erano finite a condividere la stessa stanza e da subito erano diventate amiche. Si trovava bene in sua compagnia, trovava piacevole il loro condividere quella vita difficile, e amava alla follia la piccola Anna, sempre vivace e sorridente.

La prese in braccio, sollevandola in aria e facendola ridere. "Ah, secondo me non sta poi così male" - esclamò.

Helena sospirò. "Come no! Guarda che guance rosse che ha! Stanotte non mi farà chiudere occhio".

"Ammettilo, sei contenta che sia qui!" - ridacchiò Elke.

"Vai al diavolo".

Elke le fece la linguaccia. "Bugiarda!".

Helena scoppiò a ridere, gettandosi sul pagliericcio. "Sai Elke, credo che ti nominerò zia onoraria di Anna e che te la lascerò tutta notte".

"Scordatelo. E' dall'alba che sgobbo in convento, ho spazzato il pavimento della Sacrestia, della Canonica, del refettorio e dei corridoi che portano alle cellette delle suore. Voglio dormire!".

Helena la guardò storto.

"Sei una lagna! In inverno è meglio lavorare dentro, al caldo, adoro farlo quando è il mio turno! Pensa a me che oggi, con questo gelo, son stata fuori tutto il giorno a spalare neve e ghiaccio!".

Elke sorrise, accarezzando i boccoli biondi di Anna.

"Beh, domani dovrò farlo io e tu starai al caldo. Forse è ora di dormire, indipendentemente da dove saremo, domani sarà un'altra giornata dura".

"No, aspetta, dimenticavo, non è ancora ora di dormire, devo dirti una cosa!".

Helena si alzò dal letto di scatto, avvicinandosi a lei.

"Hai un ammiratore segreto, mia cara!". Il suo sguardo si fece malizioso e divertito. "C'è qualcosa che non mi hai detto?".

Elke la guardò storto. "Sei matta? Di che diavolo stai parlando?".

Helena frugò nella tasca del suo vestito, mostrandole poi la statuetta di legno che teneva nascosta. "Oggi è passato un tizio e mi ha detto di darla a te! Un regalo da un uomo, Elke, vuol dire solo una cosa, AMORE".

Elke si accigliò, prendendo fra le mani la statuetta. La guardò stranita, rigirandosela fra le mani: raffigurava un lupo, anche se la fattura non era perfetta, e non aveva la più pallida idea del perché qualcuno gliel'avesse fatta recapitare.

"Sei sicura che è per me?".

"Si, ha detto il tuo nome e un sacco di cose carine e romantiche su di te! Da come parlava, sembrava qualcuno che ti conosce bene. E allora, mia cara, racconta un po’ senza fare la finta tonta. Alle amiche si devono svelare i segreti di cuore".

Elke scosse la testa. "Ma quale finta tonta, quali segreti di cuore? Io non ho la più pallida idea di chi potrebbe farmi un regalo! A parte le persone del convento e i senzatetto che bivaccano in piazza non parlo praticamente con nessuno. Hai visto se era qualcuno di Bozen?".

"Macché, aveva un mantello e un cappuccio ben calato in testa, non l'ho praticamente visto in viso. E' stato tutto veloce, mi ha dato la statuetta, mi ha detto di dartela ed è sparito".

"Non ti ha detto il suo nome?".

"No".

Elke prese nuovamente a rigirare la statuetta fra le mani, pensierosa. Sorrise, debolmente. "Sai, da piccola avevo per amica una lupa. Le somiglia". Guardò Helena, sinceramente incuriosita. "Davvero quella persona non ti ha detto nient'altro?".

"Te l'ho detto, no. Ma da come parlava, secondo me era un innamorato".

A quell'affermazione, Elke scoppiò a ridere. "Sì certo, come no? Ah, finiscila, per stasera hai detto fin troppe cavolate! Forse è meglio che ti ridia Anna, così almeno pensi a lei e la smetti con questa storia!".

Helena prese la figlia in braccio, stringendola a se. La bimba cercò di divincolarsi per tornare a giocare, per nulla intenzionata a dormire. "Io ad Anna ci penso! E pure a te. Forza, si vede che sei curiosa".

"Beh, un pò". Sollevò la mano che reggeva la statuetta, rigirandola in su e in giù, osservandone attentamente i dettagli.

"Che fai?" - chiese Helena.

"Guardo se per caso, da qualche parte, c'è qualche iscrizione che possa indicare la sua provenienza".

Helena scoppiò a ridere. "E anche se ci fosse? Come faresti a...". Smise di ridere, diventando di colpo seria. "Elke ma... tu sai leggere?" - chiese, sospettosa e allo stesso tempo stupita.

A quella domanda inaspettata, Elke si morse il labbro. Accidenti, era una stupida, una dannatissima idiota! Si fidava ciecamente di Helena, ma a Bozen non aveva mai detto a nessuno di saper leggere e scrivere perché erano capacità malviste in una donna, soprattutto albina. Aveva già fin troppi guai con le suore, non doveva permettere che ne venissero a conoscenza o la sua vita, in quel convento, sarebbe diventata estremamente difficile.

"Ma no, figurati, è che...".

Helena le si parò davanti, viso a viso. "Elke?".

E Elke sospirò. "Non dirlo a nessuno, ti prego".

"E no che non lo dico a nessuno, ma PORCA MISERIA, tu SAI leggere! Caspita, sei la prima donna che conosco che sa farlo!".

"Shhh, non urlare!".

"D'accordo, scusa!". Helena incrociò le gambe, non muovendosi dal suo letto. "Col cavolo che ora dormiamo, adesso tu mi racconti di come hai imparato a farlo".

"Non mi va di parlarne".

"Ma lo farai lo stesso".

Elke sbuffò. Helena aveva la testa dura e non avrebbe ceduto, a costo di non dormire tutta notte, finché non gli avesse raccontato ogni cosa.

"Non è niente di che, davvero. Ti annoieresti, se te lo raccontassi".

"Lascialo decidere a me, mia cara!".

Sospirando, Elke si appoggiò con la schiena al muro. Non le andava di parlarne, non avrebbe nemmeno voluto tradirsi davanti a Helena, non avrebbe voluto ricordare. Ma ormai il danno era fatto. "Quando me ne sono andata dal mio villaggio, Tires, non sono venuta subito in questa città, ma per alcuni mesi ho lavorato presso un uomo a Pennes, in val Sarentino, che sapeva leggere e scrivere. Gli ho chiesto di insegnarmelo e lui l'ha fatto, tutto qui".

Era una mezza verità, le dispiaceva mentire a Helena ma faceva male ricordare quanto invece fosse stato Mattheus a insistere affinché lei imparasse a leggere e scrivere e ancor più doloroso era ricordare il calore della sua mano sulla sua, quando per la prima volta l'aveva guidata a scrivere il suo nome.

Per niente soddisfatta dalle sue parole, Helena la squadrò attentamente in viso. "Tutto qui?".

"Tutto qui, ti avevo detto che non era interessante".

"Non ti credo, Elke! Non sono molte le persone che sanno leggere e scrivere, tanto meno in alta montagna. E sono ancora meno quelli che si prendono la briga di insegnare a qualcuno che lavora per loro a farlo. Parlami di quest'uomo... Se ti ha insegnato a leggere e scrivere doveva essere qualcosa di molto di più di un datore di lavoro. Perché non sei rimasta con lui?".

Elke finse di non notare le occhiate maliziose della sua amica, volse lo sguardo verso la finestra e sperò con tutta se stessa che quella conversazione finisse il prima possibile. "Lui... non era quello che sembrava".

"Sei troppo misteriosa! Dici che non è una storia interessante, ma credo invece che lo sia e che quell'uomo non sia un tipo così comune come vuoi dipingermelo".

A quell'affermazione Elke sorrise, nonostante tutto non riuscì a farne a meno. "Puoi giurarci! In giro non esistono persone come lui, questo è sicuro. E' una persona che sa cambiarti la vita, che riesce a farti vedere tutto sotto una luce nuova e che riesce a sbalordirti in ogni cosa che fa".

Non disse altro, nonostante Helena le fosse amica non le avrebbe mai raccontato di Jutta, delle fate del ghiaccio, degli gnomi e degli unicorni. Aveva promesso di mantenere quel segreto e se lo sarebbe portato nella tomba; adorava le creature delle montagne e mai le avrebbe messe in pericolo rivelando al mondo la loro esistenza. Nonostante quanto successo fra loro, Mattheus l'aveva resa partecipe di quel segreto e non lo avrebbe mai tradito.

"Perché te ne sei andata, allora, se era tanto speciale?".

Strinse la statuetta nelle mani, convulsamente.

"Pensava fossi la figlia del diavolo, come tutti gli altri. E proprio a causa di questo si è preso gioco di me, sempre".

"Beh, non sempre! Leggere te lo ha insegnato per davvero".

A quelle semplici parole Elke sussultò, come se si fosse resa conto solo in quel momento di quella realtà. Non aveva mai pensato a quell’aspetto.

"E comunque, andartene per il fatto che ti ritenesse la figlia del diavolo!?". Helena scoppiò a ridere, facendo sussultare la piccola Anna che, fra le sue braccia, tentava di addormentarsi. "Ma Elke, tutti qui lo pensano! A parte me, ti sfido a trovare una persona che non ne sia convinta. Eppure non te ne vai".

Elke abbassò il viso, triste o forse rabbiosa. O entrambe le cose. Ricordava gli ultimi istanti con Mattheus, la sua durezza, la sua rabbia e le sue parole, e quel ricordo ancora sapeva farle male e farla soffrire come allora. "Non mi importa di quello che pensa la gente di qui, ma mi importava di quello che pensava LUI. E ora basta parlarne, voglio dormire" –concluse, in tono secco. Si sentiva infinitamente stanca, come se parlare di Mattheus avesse prosciugato ogni sua energia.

Davanti al suo tono di voce, Helena tornò improvvisamente seria. La studiò in viso alcuni istanti, poi, stupendola, annuì senza protestare e con la figlia in braccio tornò al suo letto. "Come vuoi. Forse è davvero meglio dormire, è tardi. E Anna ha bisogno di riposo".

"Già".

"Elke?" - chiese Helena, stringendo a se la bimba – "Credi che domani Anna starà bene?".

A dispetto di tutto, Elke sorrise. In quel momento avrebbe desiderato come non mai avere fra le mani una delle ampolline con l'acqua del lago di Valdurna che sapeva guarire le persone. "Certo, è solo un pò di febbre e ai bambini capita spesso. Domani sarà come nuova".

"Speriamo! Se starà bene farò in fretta le mie commissioni e poi nel pomeriggio me la porterò in piazza, a vedere l'albero e lo spettacolo dei giocolieri".

"Sei matta? Non ti permetteranno mai di portarla via!".

Helena scosse la testa, risoluta. "Al diavolo, è mia figlia! E voglio proprio vedere come faranno a impedirmi di fare una passeggiata con lei! Quando Anna, da grande, penserà al Natale, voglio che si ricordi di ME e non di suor Faustine o di suor Marie o di chiunque altra che non sia io".

Elke sospirò. "Ti caccerai nei guai!".

"Non importa".

Nessuna delle due parlò più, spensero la candela e sulla camera cadde un silenzio pesante. Elke si rannicchiò sotto le coperte, rigirando ancora fra le mani la statuetta. Era stata una serata pesante, soprattutto a causa della conversazione avuta con Helena; parlare di Pennes, di Mattheus e di quella che era stata la sua vita quando viveva in Val Sarentino faceva ancora molto male e per questo, negli ultimi tre anni, aveva cercato con tutte le forze di dimenticare. Ma c'erano momenti in cui non ci riusciva e provava nostalgia del periodo vissuto a Pennes, dei volti di Falko e Drago e si, anche di Mattheus, del suo modo di scherzare o di parlarle. O di quando l'abbracciava. In quei tre anni aveva maturato la certezza che si fosse preso gioco di lei fin da subito e che non avesse fatto altro che ridere di lei e della fiducia che gli aveva accordato. Eppure, nonostante tutto, in alcuni istanti sentiva la sua mancanza...

'Fingevi, ma sapevi farlo molto bene...'.

Le risultava ancora molto difficile capire che persona fosse Mattheus perché lo stregone, nascondendosi dietro la sua facciata sfrontata e sfuggente, difficilmente permetteva alle persone di conoscerlo davvero. In realtà con lei era sempre stato, a modo suo, gentile e le aveva insegnato a vivere in maniera diversa, ad amarsi e a combattere il male che le veniva fatto senza giustificarlo. Era stato un buon maestro, un buon amico anche, eccetto quel giorno quando di colpo tutto era cambiato e lui le aveva mostrato un lato di se che lei non riusciva a comprendere e che, peggio ancora, non voleva conoscere. Il suo sguardo era diventato serio, rabbioso, le aveva fatto del male senza che lei avesse fatto nulla per meritarselo e l'aveva ferita, sapendo bene come e dove colpirla. Dopo aver visto questo suo lato era scappata, non avrebbe mai potuto restare: Mattheus era stata l'unica certezza che la vita le aveva dato e in un attimo tutto era crollato, si era sentita di nuovo sola e indifesa come quando era bambina e andarsene era stata l'unica strada percorribile, nulla sarebbe più stato come prima se fosse rimasta.

Eppure, nonostante cercasse di mettersi in testa che non importava, che lui era uguale a tutti gli altri, certe volte si trovava a chiedersi quale fosse il vero Mattheus: quello che l'aveva abbracciata e sorretta la notte di Natale, quello che con pazienza le aveva insegnato come tenere in mano una penna e a leggere e scrivere o quello di quegli ultimi istanti, che le stringeva i polsi fino a farle male e la guardava con odio, dicendole che era una strega? Non lo avrebbe mai saputo, di certo non avrebbe più rimesso piede a Pennes e difficilmente lo avrebbe rincontrato per cui era inutile tormentarsi continuando a chiedersi tutte queste cose, soprattutto perché sicuramente lui non lo stava facendo e si era dimenticato persino della sua esistenza.

Si rigirò nel letto, rifugiandosi con la testa sotto la coperta e cercando di dormire, ben sapendo che non ci sarebbe riuscita, come era capitato ogni volta che per qualche motivo si era trovata a pensare a lui e al periodo in cui aveva vissuto a Pennes. Era impossibile non chiedersi come stessero Jutta, Falko e Drago, quanto fosse cresciuto il piccolo Blue, cosa facessero gli gnomi della foresta, quanta neve ci fosse e mille altre cose. Le mancavano quei posti e le mancavano le montagne e la sensazione di libertà che sapevano regalare a chi viveva fra esse.

E poi c'erano i ricordi. Avrebbe desiderato prendersi qualche malattia che cancella la memoria, pur di non ricordare: ricordi di giorni felici o di giorni passati a faticare su e giù per le montagne, ricordi di serate passate davanti al camino mentre fuori nevicava, a chiacchierare con Falko e Drago o ad imparare a leggere e a scrivere. Era stato tanto paziente con lei ed era così difficile convincersi che fingesse. Anche se era scaltro, anche se prendersi gioco della gente era il suo mestiere, difficilmente gli era mai venuto il sospetto che con lei non fosse sincero.

E poi c'era un altro ricordo, quello che la tormentava più di tutti. Una tormenta di neve, di quelle che in montagna ti colgono di sorpresa, che li aveva investiti di ritorno da un villaggio vicino a Pennes dove si erano recati per vendere alcune ampolle d'acqua, circa dieci giorni prima che lei se ne andasse. Fu proprio in quell'occasione che per la prima volta Mattheus le mostrò un lato di lui più gentile e sensibile, togliendosi la sua solita maschera di scherno e sfrontatezza che di solito indossava con tutti. Un momento in cui, forse, le aveva aperto uno spiraglio per farsi conoscere davvero.

Avevano trovato rifugio per la notte in una piccola baita abbandonata, c'erano troppa neve e vento ed era troppo difficoltoso tentare di raggiungere Pennes per cui, anche se Falko e Drago, rimasti a casa, si sarebbero preoccupati non vedendoli tornare, non avevano potuto fare altro che arrendersi all'evidenza di quella sosta forzata.


"Ecco fatto, quanto meno son riuscito ad accendere il camino! Non moriremo di freddo, qui".

Lei si era seduta, sospirando. "Falko e Drago saranno preoccupatissimi, non vendendoci tornare".

"Ah, figurati! Staranno già dormendo come ghiri quei due, al caldo. Neanche se ne accorgeranno! E del resto, io non ho proprio voglia di morire congelato per loro".

Sospirò. "Beh, nemmeno io. Però...".

Mattheus le si avvicinò, pizzicandole scherzosamente una guancia. "Non stare a perderci il sonno e smettila di preoccuparti per loro. Ti ricordo che in mezzo alla tormenta ci siamo NOI! Mettiti a dormire e riposa, domani la strada di ritorno, con tutta questa neve, sarà massacrante".

Si guardò intorno, pensierosa, rendendosi conto che per la prima volta da quando lo conosceva, si trovava a dividere una stanza per dormire da sola con Mattheus. Beh, era successo pure a Natale, quando si era addormentata sul suo letto dopo la partita a scacchi coi nani, ma quella volta, appunto, c'erano Falko e Drago con loro. "Mattheus, ma non credi che sia sbagliato dormire qui, insieme? Insomma, non dovremmo farlo, non siamo sposati".

Lui l'aveva guardata storto, pensieroso per un attimo. Poi era scoppiato a ridere. "Cosa c'è di male? Mica bisogna essere sposati per dormire con qualcuno. E comunque, ragazzina, ti spiego una cosa". Si era chinato davanti a lei, mettendole una mano sulla spalla. "Ti assicuro che nei luoghi solitari come questo ci vengono molte coppie non sposate. E succedono cose assolutamente interessanti" – concluse, dandole un leggero pizzicotto sulla guancia. Poi si alzò, stiracchiandosi. "Ma sta tranquilla, non mi passa neanche per la mente di fare alcunché, ragazzina".

"Non sono una ragazzina".

"Oh si che lo sei! Se non lo fossi, questa conversazione non avrebbe luogo. E ora basta dire stupidaggini, è ora di dormire".

Rimase per un attimo attonita, in silenzio, a guardarlo preparare un giaciglio improvvisato per la notte. Poi, d'istinto, decise che non voleva chiudere la discussione. "Perché non ti sei mai sposato? E' perché i tuoi genitori non ti hanno scelto una moglie?".

Lo vide spalancare gli occhi, sorpreso. "Che c'entrano i miei genitori?".

"Beh, i miei genitori ci pensavano, per le mie sorelle. Cercavano per loro un buon partito per stare tutti meglio. Funziona così, no?".

Mattheus scosse la testa, accigliato. "Sei proprio una ragazzina, per davvero!".

"Che ho detto di male?".

"Ti fidi ciecamente, ancora, delle decisioni dei tuoi genitori e non ti viene in mente che possano anche aver commesso molti errori. Sì, a volte succede così, a volte i matrimoni sono combinati. E se vuoi saperlo, credo sia la cosa più idiota del mondo. La gente dovrebbe decidere di dividere la sua vita con qualcuno che ama, con cui sta bene e con cui si senta completo e che la condizione economica non vada assolutamente considerata nel matrimonio. E' difficile vivere giornalmente con qualcuno che si ama e lo è ancora di più farlo con una persona a cui non tieni. No, non ho una moglie perché i miei genitori non ne hanno scelta una per me, ma perché io non ne ho mai avvertito il bisogno e non lo avvertirò nemmeno in futuro. Sto bene così. E comunque, per finire il discorso, non c'è bisogno di un anello al dito per amare, ricordatelo".

"Dici così perché nessuno vorrà mai sposarmi?".

Mattheus alzò le spalle. "Vuoi farlo?".

"No, non ci ho mai pensato. E poi nessuno vuole sposare una ragazza albina".

Lo stregone scosse la testa. "Il freddo deve averti paralizzato il cervello, stai dicendo un sacco di stupidaggini stasera. Non puoi sapere cosa succederà in futuro, piccola saputella!".

"Allora non puoi saperlo nemmeno tu che non vorrai mai una moglie".

A quelle parole credeva che lui avrebbe controbattuto senza problemi, invece per un attimo rimase zitto, quasi fosse rimasto colpito da quella sua semplice battuta. E infine, inaspettatamente scoppiò a ridere. "Ok, FORSE hai un po’ ragione, uno a zero per te. Ma dubito succederà. E ora, mettiti a dormire".

Per farlo contento, sbuffando, si gettò sul pagliericcio della baita, accanto al fuoco. "Mattheus?".

"Elke ti prego, basta, abbi pietà e lasciami dormire!".

"Devo solo chiederti una cosa ancora". Si voltò verso di lui, appoggiando il mento a una mano. "Quelle persone che non sono sposate e vengono in posti isolati come questo...".

"Sì?".

Arrossì, senza capirne il motivo. "Sei qui, solo con me. Non ti viene proprio mai in mente che io...".

Qualunque cosa lei volesse dire, lui la bloccò, subito. Anche se stavolta il suo tono di voce era meno sicuro e ironico di quanto lo era stato poco prima. Sembrava in difficoltà. "No, fossi matto! Te l'ho detto, sei solo una ragazzina, una ragazzina che ora starà zitta e si metterà a dormire senza farmi altre domande".

"Non me l'hai nemmeno fatta finire, la domanda".

Lui si voltò dalla parte opposta , evitando di guardarla in viso. "Non ce n'è bisogno".

"Perché non vuoi rispondermi e non vuoi farmi parlare?".

"Perché questa è la conversazione più stupida che abbia mai sostenuto in vita mia".

"Io non ho sonno" – borbottò lei.

Mattheus, rannicchiato sotto il suo mantello, alzò le spalle. "Io sì. Buona notte".

Con un sospiro, si arrese all'idea che lui non le avrebbe detto altro. Si rimise a sedere sulla paglia, prendendo dalla sacca di viaggio di Mattheus delle erbe aromatiche da battere fino a renderne poltiglia, da mischiare con dell'acqua per farne uno sciroppo. In fondo, se non riusciva a dormire, tanto valeva lavorare.

"Elke, che stai facendo? Devi dormire, accidenti!".

"Te l'ho detto, non ho sonno! Mi porto avanti col lavoro, così quando arriveremo a casa non avremo più niente da fare e potrai già vendere lo sciroppo".

Mattheus sospirò. "Fa come ti pare, mi arrendo".

Non aggiunse altro e in breve si addormentò. Lei si mise silenziosamente al lavoro, battendo delicatamente le foglioline con una piccola pietra, fino a renderle un composto denso e verdastro. Poi, attenta a non fare rumore, uscì a prendere della neve con un vecchio secchio e infine la fece sciogliere accanto al fuoco del camino, mettendosi a lucidare delle piccole ampolle di vetro vuote che Mattheus aveva portato con se. Una volta pulite, poteva riempirle con lo sciroppo. Rovesciò le erbe tritate nel secchio d'acqua e mescolò con un bastoncino di legno, fino ad amalgamare ogni componente, e poi, aspettando che il tutto si condensasse alla perfezione, le venne un'idea per rendere ancora più potente il medicinale. Dalla sacca di Mattheus tirò fuori delle piccole foglie secche di rosmarino che sbriciolò fra le mani, per poi farne cadere la polvere nel secchio. E rimescolò il tutto, silenziosamente.

Nella baita c'erano un silenzio e un calore piacevoli e solo lo scoppiettio del fuoco nel camino regalava dei piccoli rumori, ogni tanto. Fuori continuava a nevicare intensamente ma lì dentro la bufera appariva lontana, ovattata e per niente minacciosa. Nonostante non riuscisse a dormire e la mezzanotte doveva essere passata da un bel pezzo, si sentiva bene. Era talmente assorta e rilassata nel suo lavoro che quasi sussultò quando sentì la mano di Mattheus che, gentilmente, si posava sulla sua spalla. Si era svegliato ed era giunto alle sue spalle col tatto silenzioso di un gatto. "Ma sei ancora sveglio?" - chiese, voltandosi verso di lui.

Mattheus, a pochi centimetri da lei, le si sedette accanto. "Ho dormito poco e male. Non mi va di stare a poltrire mentre una ragazza sgobba per me".

A quelle parole, non riuscì a non sorridere. "Ma se è quello che io e i nani facciamo sempre, tu comandi e noi lavoriamo" – rispose, quasi divertita.

Anche lui sorrise. "Beh, ma io so anche essere un gentiluomo, di tanto in tanto, sai?".

"Oh, sono sicura che ne sei capace. Il problema è che non lo sei quasi mai. Comunque non è un problema, non ho sonno e trovo questo lavoro piacevole e rilassante".

Mattheus osservò il secchio con lo sciroppo, pensieroso. "Cos'hai fatto?".

"Quello che avresti fatto tu, uno sciroppo per la tosse. Ho pestato le erbe, scaldato l'acqua e ho mescolato il tutto. Alla fine ci ho aggiunto anche un po’ di rosmarino secco però, è un buon sedativo per la tosse e potenzierà l'effetto delle altre erbe. Potrai venderla bene e sarà un ottimo rimedio per chi lo comprerà".

Credeva che avrebbe borbottato per il fatto che avesse cambiato ingredienti alla sua ricetta originale, ma Mattheus non lo fece. E in quel momento fu come se qualcosa fra loro cambiasse. Lo stregone la guardò, quasi rapito, in un modo così diverso dal solito. Le sorrise, dolcemente, e poi con la mano raggiunse la sua nuca, attirandola a se e posandole un delicato bacio sulla fronte. "Sai Elke" – sussurrò fra i suoi capelli, mentre la stringeva in un abbraccio – "Sei davvero una brava assistente".

Per un attimo non seppe cosa dire, cosa fare. Nessuno l'aveva mai abbracciata a quel modo né tanto meno le aveva dimostrato affetto con un bacio e di certo non si aspettava che lo facesse un tipo che fuggiva ai legami e ai sentimenti come Mattheus. Si sentiva goffa, impacciata, stupida. Nessuno le aveva mai insegnato come reagire all'affetto di qualcuno e si sentì davvero una ragazzina, come l'aveva definita lui poche ore prima. Era un qualcosa di inaspettato, di nuovo per lei e per loro, unito alla consapevolezza che lui non stesse scherzando e che le stesse mostrando un lato di se stesso che teneva ben celato al mondo. Non sapeva perché proprio in quel momento o cosa avesse fatto di tanto speciale rispetto al solito per meritarsi quell'abbraccio, ma qualcosa in quella baita era cambiato in loro, fra loro. La voce di Mattheus non le era mai sembrata tanto calda e gentile e le sue labbra, sulla sua fronte, avevano lasciato come una scia di fuoco. E per un istante pregò che quel momento non finisse mai e che la tenesse con lui per sempre, vicina come in quel momento.

"Elke?".

"Dimmi".

La abbracciò ancora più forte, tanto che fu costretta a far cadere il bastoncino con cui aveva girato lo sciroppo poco prima. "Sai, la domanda di prima, quella a cui non ho voluto rispondere?".

"Non era nemmeno una domanda, non mi hai lasciato il tempo di finirla e non sai cosa volevo chiederti".

"Beh, non importa Elke. Qualunque cosa tu volessi dire, mi fai un favore?".

"Certo".

Le sorrise, scompigliandole delicatamente la frangetta sulla fronte. "Beh, cerca di crescere in fretta".


Le pareti grigie della sua stanza nel convento sembravano soffocarla e come quella notte di tre anni prima, non riusciva a dormire. Si diede nuovamente della stupida, imponendosi di smetterla di rigirarsi nel letto perché avrebbe finito con lo svegliare Anna ed Helena.

Sfiorò la statuetta in legno che un qualche strano sconosciuto aveva lasciato per lei e si chiese chi fosse e il motivo di quel regalo. Non trovò risposta e decise che era il momento di smetterla di pensarci, sia a quel regalo, sia al suo passato. Era solo una perdita di tempo e lei aveva bisogno di dormire, o il giorno dopo non avrebbe combinato niente e sarebbero stati guai.

Chiuse gli occhi e per un attimo le parve di sentire ancora sulla fronte il calore delle labbra di Mattheus. Non seppe perché, ma quella strana sensazione finì col calmarla. E lentamente scivolò nel mondo dei sogni.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo venti ***


Capitolo diciannove



Non avrebbe voluto ripercorrere quella via, né tanto meno entrare in quella casa del centro davanti al convento dove viveva Elke, ma l'insistenza della signora Ziegler, moglie di uno dei conti più influenti e potenti della città, che l'aveva pregato di portare a casa loro trenta ampolle della sua acqua per curare la gotta del marito, l'avevano costretto a farlo: non solo perché un conte poteva pagare cifre interessanti per ottenere quel che voleva, ma anche perché avrebbe anche potuto essere un buon trampolino di lancio verso altri nobili di Bozen con cui concludere affari in futuro.

Era stato un buon pomeriggio quello, gli aveva regalato un guadagno interessante e cospicuo. Se uno ha tanti soldi da spendere per un capriccio, dopo tutto, perché non approfittarne gonfiando un po’ i prezzi?

Dopo aver ridisceso le scale del palazzo degli Ziegler, uscì con circospezione sulla strada, osservando chi stazionava davanti al convento. Quando era arrivato, poche ore prima, non c'era nessuno e, con un po’ di fortuna, non avrebbe trovato nessuno neppure adesso. Si sentiva stupido e si stava nascondendo come un ratto senza motivo, ma non se la sentiva di rischiare di ritrovarsi davanti Elke. Si rese conto che non avrebbe saputo cosa fare in quell'eventualità e se ne stupiva: lui aveva sempre avuto la risposta pronta e la lingua più lunga di tutti, il tutto accompagnato da una sicurezza incrollabile davanti alle altre persone. Elke invece sapeva mettere a nudo ogni sua debolezza e non voleva gestire dei sentimenti tanto contrastanti e forti da spaventarlo. Voleva abbracciarla, voleva sentire la sua voce, voleva sentirla ridere e scherzare con lui come una volta e allo stesso tempo ne aveva paura, perché queste non sarebbero state di certo le sue reazioni, se l'avesse avuto davanti. Non sapeva cosa Elke provasse per lui, quali ricordi conservasse del periodo vissuto insieme a Pennes e nemmeno se l'aveva perdonato per il modo in cui si era comportato con lei. Non sapeva nemmeno se desiderasse vederlo e preferiva nascondersi, piuttosto che scoprirlo.

Sbirciò in strada e maledisse il destino e la sua enorme sfortuna perché Elke era lì intenta a spalare la strada e le scale del convento da neve e ghiaccio, esattamente come due giorni prima. Probabilmente era un lavoro che le ragazze del convento facevano a turno e lui era capitato, per la seconda volta, proprio quando c'era lei. Non era sola, con lei c'era un'altra ragazza che però non era la stessa a cui aveva consegnato la statuetta il giorno prima. Era più giovane e minuta, con lunghi capelli rossi e una marea di lentiggini in viso. Poteva avere forse quindici, sedici anni al massimo ed era talmente magra che Mattheus si chiese come potesse fare un lavoro tanto pesante, per di più al freddo.

Guardò Elke mentre con la pala, cercava di rompere lo strato di ghiaccio che si era formato sulle scale e che, dalla faccia stravolta della ragazza, doveva essere duro come la roccia d'alta montagna.

"Dannazione, non si scioglie nemmeno col sale, questo ghiaccio sembra indistruttibile!". Elke sbottò, picchiando il bastone della pala su uno degli scalini.

La ragazzina dai capelli rossi sospirò, affranta, sfregandosi le mani per scaldarsi dal freddo pungente. "Come facciamo? Dobbiamo pulire la strada e poi il refettorio e non finiremo mai di questo passo".

"No, infatti!". Elke sorrise, un sorriso impercettibile che sfuggì alla ragazzina, ma non a Mattheus.

"Senti Olga, ho un'idea! Entra e inizia tu le faccende in refettorio e io proseguirò da sola qui. Spargerò altro sale e prima o poi il ghiaccio si scioglierà. Così tu potrai stare al caldo e ti porterai avanti col lavoro e io, quando avrò finito, verrò dentro a darti una mano. In due, qua fuori, siamo perfettamente inutili come vedi".

"Davvero posso andare a lavorare dentro?".

Elke annuì. "Certo, non c'è problema".

Mattheus alzò gli occhi al cielo. "Dannazione Elke, tu dalla vita non hai imparato proprio niente!".

Era talmente frustrato che sarebbe uscito allo scoperto solo per urlarle in faccia che decidere di lavorare al freddo, quando invece avrebbe potuto evitarlo ed entrare lei stessa nel convento, era la cosa più idiota che avesse mai fatto. "Non imparerai mai, ragazzina...".

La piccola Olga annuì, correndo verso l’interno. Mattheus era convinto che Elke si sarebbe rimessa subito a lavorare, ma con suo stupore non lo fece. La ragazza si guardò attorno con aria guardinga, come per controllare che non ci fosse nessuno, e poi fischiò.

Mattheus si accigliò. Era un richiamo per qualcuno, quello? Era come se Elke avesse deciso deliberatamente di rimanere da sola in strada, ora che ci pensava. Forse non era così altruista e follemente ingenua come aveva pensato pochi istanti prima: era cambiata e si rese conto che forse doveva cominciare a guardarla con occhi diversi. Questo in un certo senso lo riempiva d'orgoglio ma anche di tristezza perché forse quella ragazzina dolce e ingenua di tre anni prima non esisteva più. Sospirando si rannicchiò dietro al muro che lo nascondeva alla visuale ed attese, curioso di sapere cosa sarebbe successo.

In due minuti, da una porticina laterale, comparve Helena, l'amica di Elke a cui aveva dato la statuetta il giorno prima. Imbacuccata in un vecchio e logoro mantello e con in braccio una bimbetta di pochi anni, la ragazza sgattaiolò vicino ad Elke. "Sicura che non ci sia nessuno e che Olga si sia tolta dai piedi?".

Elke annuì, prendendole dalle braccia la bambina. "Certo! E ora sbrigati a sparire che se qualcuno si accorge che hai preso Anna dall'orfanotrofio saranno guai per te e anche per me che ti sto coprendo le spalle. Cerca di tornare presto".

Con un gesto veloce, Helena si calò il cappuccio del mantello sulla testa. "Ma certo, non voglio mica rapirla! Voglio solo fare una passeggiata in piazza con lei per farle vedere l'albero addobbato. Sarò di ritorno prima che qualcuno si accorga della sua assenza”.

Elke sospirò, ridandole in braccio la bambina. "Sparisci" – le intimò, nervosa.

Mattheus scosse la testa, preoccupato. Ora cominciava, a sprazzi, a capire la situazione. E non gli piaceva affatto. Helena stava portando via dal convento, senza permesso, una bambina che probabilmente era sua figlia o comunque qualcuno a cui era legata e Elke le stava dando una mano, coprendola. Se qualcuno si fosse accorto dell'assenza della bambina entrambe avrebbero passato guai non indifferenti. Non che non approvasse quel che stavano facendo, ma stavano sfidando la sorte senza avere i mezzi per fronteggiare eventuali conseguenze. Però... Sorrise. Elke era rimasta la persona coraggiosa di una volta, irresponsabile, ma con più fegato di mille uomini messi insieme. Era stata una buona amica per lui e non aveva alcun dubbio che fosse una buona amica anche per quella Helena e che per lei fosse disposta anche a correre dei rischi, se necessario. Questa era Elke, una persona dall'animo buono e gentile. Non era cambiata poi così tanto da quando viveva con lui, dopotutto.

Improvvisamente la porta del convento si spalancò, sbattendo con violenza contro il muro e facendo sobbalzare sia lui che le due ragazze.

Mattheus deglutì, mentre una strana ansia prendeva possesso di lui.

La suora di due giorni prima, quella che aveva obbligato Elke ed Helena a portare una quantità enorme di patate, era di nuovo davanti a loro e aveva una faccia talmente minacciosa e rossa d'ira da far tremare persino lui che non c'entrava nulla. Si accucciò dietro il muro, pronto ad intervenire se fosse stato necessario.

La suora scese le scale, lentamente, a dispetto della furia che si leggeva sulla sua espressione, quasi amasse il vedere il terrore dipinto sullo sguardo delle ragazze al suo cospetto.

Quando fu davanti a loro sulle prime non disse nulla, mentre un silenzio pensante cadeva fra di loro. D'improvviso la suora si avventò contro Helena, con violenza, dapprima strappandole dalle braccia la bambina che di tutta risposta scoppiò a piangere terrorizzata, per poi farla stramazzare a terra con un forte pugno nello stomaco.

Helena tossì e lacrime involontarie le solcarono il viso, mentre Elke la osservava con terrore.

La suora piantò gli occhi su di loro, facendo vagare lo sguardo dall'una all'altra, senza sosta, mentre i pianti della piccola spezzavano il silenzio del pomeriggio.

"Non avete pudore, razza di svergognate! Venite qui a mangiare e dormire gratis usufruendo della mia carità, infrangete le mie regole e pensate di fregarmi. Solo due creature del demonio come voi potrebbero farlo, maledette! Rapire una piccola innocente, strapparla dal nido sicuro del convento per portarla chissà dove, a fare chissà cosa. Non riesco nemmeno ad immaginare cosa avreste potuto fare a questa bambina che fino a ieri aveva pure la febbre. Siete due maledette irresponsabili!".

"E' mia figlia!" urlò Helena, rialzandosi a fatica da terra, con la mano poggiata sullo stomaco ancora dolorante. "Non la sto rapendo, Anna è mia!".

"Tu...". La suora si avvicinò a lei, minacciosa, stringendo convulsamente a se la piccola. "Anna la hai affidata a noi ed è l'unica cosa buona che hai fatto per lei, razza di svergognata. E' una creatura pura e innocente che rischia di contaminarsi a contatto con un'anima corrotta come la tua, Helena. Per Anna sarebbe stato meglio che tu fossi morta il giorno in cui l'hai partorita".

"Come osate?".

Helena fece per affrontarla, corpo a corpo, rossa d'ira come e più della suora. Mattheus poteva comprenderne sia lo stato d'animo che la rabbia dell'essere privata della sua bambina e la frustrazione di non poter sfuggire a quella situazione di miseria che la costringeva a vivere in quel posto. Era in un vicolo cieco. Osservò Elke, rimasta per un attimo in disparte, sperando invano stesse zitta e non si intromettesse peggiorando la sua già precaria situazione.

Quasi leggendogli nel pensiero, e facendo ovviamente il contrario di quello che sperava, Elke si avvicinò alla suora di alcuni passi. "Non voleva rapirla ma solo fare una passeggiata con la sua bambina".

"Già, due passi, mezz'ora con lei, solo io e Anna per una volta" - concluse Helena, rabbiosa e allo stesso tempo ferita.

In risposta la suora la colpì in pieno viso con un violento schiaffo, facendola ricadere a terra. La bimba scoppiò a piangere più forte di prima, spaventata, e Mattheus poteva avvertire in quelle urla il terrore e il senso di smarrimento che percuotevano quel piccolo essere vivente.

Delle donne adulte stavano litigando su chi avesse diritto a cosa perdendo di vista la questione più importante, la serenità della bambina che avevano accanto a loro.

Elke fece per avvicinarsi ad Helena, probabilmente per aiutarla a rialzarsi, ma la suora le si parò davanti.

"Avvicinati a lei, prova anche solo a pensare di aiutarla e io ti giuro che lo rimpiangerai. Lo immaginavo che c'eri tu dietro a tutto questo, l'ho sospettato fin dal primo momento in cui ho visto Olga rientrare da sola. Cercare di fregarmi è stata una pessima mossa, Elke, cerca di non peggiorare la tua situazione".

Elke la fissò per un attimo, in silenzio. Poi il suo sguardo si incupì e a dispetto di tutto quello che le era appena stato detto, si inginocchiò accanto ad Helena, cingendole la vita con le braccia per aiutarla a rialzarsi.

"Elke, non ti muovere e non osare mai più disobbedirmi!".

L'urlo feroce e rabbioso della suora fu sovrastato solo dal pianto della bambina. Ma nonostante questo, Elke non si fermò.

"Lasciatele il permesso di uscire con Anna e punitemi pure, se vi farà piacere. Ma Helena è la sua mamma e Anna è la sua bambina, ha bisogno di lei. Io avrei pregato tutti i Santi del paradiso, da piccola, perché mia madre mi portasse con lei a fare una passeggiata, non negate ad Anna questa possibilità. Vi prego".

"Lascia stare". Helena scosse la testa, osservando sconfitta sua figlia che piangeva disperata nella stretta convulsa della suora.

"Ma Helena!".

La donna scosse la testa. "Elke, fa niente, guarda come piange e com'è spaventata, portarla fuori ora non servirebbe a calmarla e a rasserenarla e nessuna delle due godrebbe della passeggiata. Vi prego suor Faustine, portatela dentro al caldo e in un posto tranquillo e punitemi come volete. Ma non davanti a lei".

Mattheus, dal suo nascondiglio, abbassò lo sguardo. Avevano vinto prevaricazione e violenza e una madre, per il bene della figlia, aveva dovuto abbassare il capo e sottostare a un'imposizione ingiusta e illogica. Il mondo era davvero crudele, soprattutto con le persone che avevano meno mezzi per affrontarlo, pensò. Rimpianse per un attimo Pennes, la sua vita semplice e la sua gente che si conosceva e, nonostante diffidenza e paure, era pronta a porgere una mano in caso di necessità. A Pennes non c'erano bimbi o anziani soli, ognuno era il figlio o il nonno di tutti e nelle difficoltà ce ne si prendeva cura. Nelle piccole comunità era così ma non nelle grandi città come Bozen.

La suora annuì, porgendole la bambina. "Cominci a ragionare, Helena. Porta Anna dentro, all'orfanotrofio, e poi vieni nel mio studio. Ti insegnerò come ci si comporta e qual è il tuo posto, una volta per tutte".

Helena si morse il labbro e non rispose. Strinse a se la piccola e poi, a testa bassa, rientrò nel convento. "Mi dispiace, Elke" - sussurrò, prima di sparire dietro la pesante porta del convento.

Suor Faustine si avvicinò ad Elke con sguardo severo. "Quanto a te, piccola dannata...".

Elke sospirò. "Suppongo di dover entrare per attendervi a mia volta nel vostro studio, giusto?".

Mattheus trattenne il respiro. Elke non stava usando un tono conciliante e sottomesso e ogni sua parola tradiva una rabbia che pareva controllare a stento. Anche lui avrebbe reagito allo stesso modo, ma lui aveva anche i mezzi per contrastare chiunque mentre lei... "Non fare la stupida". Inspirò profondamente, pronto ad intervenire se le cose si fossero messe al peggio.

La suora scosse la testa, trattenendo anch'essa, a stento, la rabbia. "Non usare quel tono con me, abbassa la testa e inginocchiati a chiedere scusa per i tuoi peccati".

"No".

"Fallo, fallo piccola strega o ti farò pentire di essere venuta al mondo. E nemmeno il demonio, tuo padre, potrà salvarti dalla mia punizione. Inginocchiati!".

"Ho detto di no! Voi siete una donna orrenda e crudele e io non mi inginocchierò MAI davanti a voi".

Rossa d'ira, la suora esplose, avventandosi su di lei e prendendola per il colletto del vestito. "Strega, tu sei maledetta, tu e tutta la tua stirpe! Sei una creatura degli inferi che non sa riconoscere il bene quando lo ha accanto e che si ribella ad esso con tenacia demoniaca. Ma io ti piegherò, ragazzina, fosse l’ultima cosa che faccio estirperò il maligno da te".

Mattheus sussultò e i suoi pugni si strinsero in modo doloroso. Le parole di quella suora erano quelle che Elke si era sentita ripetere fin dalla sua nascita, come spesso lei gli aveva raccontato. Ma era la prima volta che le sentiva lui stesso perché a Pennes, benché sapesse cosa la gente pensasse di lei, nessuno aveva mai osato offendere Elke in sua presenza. La gente lo temeva e si guardava bene dall'esprimersi in maniera inopportuna davanti a lui perché sapeva che sarebbero stati puniti per questo. Ora la situazione era diversa: quella suora non lo conosceva e nessuno sapeva della sua presenza a Bozen. Avrebbe voluto aiutarla, lo avrebbe fatto se quella suora avesse proseguito con insulti e imprecazioni senza senso, però in quel momento c'era qualcosa che lo frenava e che lo riempiva di sensi di colpa. Ora capiva perché Elke se n'era andata tre anni prima e quanto le sue parole, dettate da un momento di rabbia, l'avessero ferita. Quello che suor Faustine stava urlando a Elke in quel momento erano le stesse identiche cose che lui le aveva gridato in faccia durante i loro ultimi istanti insieme. "Perdonami...".

La voce di suor Faustine lo riportò alla realtà. "Elke, in ginocchio!" - le ripeté, nuovamente.

La ragazza rispose piantandole addosso uno sguardo freddo e carico di rabbia, e per la suora fu troppo. La sua mano si alzò, colpendola poi con uno schiaffo in pieno viso talmente violento da farla cadere a terra stordita.

"Elke!". Mattheus scattò in piedi. L'avrebbe uccisa quella dannata suora, sull'istante. Non doveva, non avrebbe dovuto osare toccarla. Ma l'espressione di Elke lo fece bloccare, di nuovo.

La ragazza non abbassò lo sguardo, ma lo tenne fisso sulla suora. La guancia era diventata viola e un rivolo di sangue le colava dal labbro ma questo pareva non averla scalfita minimamente. E Mattheus si accasciò contro il muro. Non poteva, non doveva salvarla perché Elke era capacissima di farlo da sola. Non aveva bisogno di lui, non poteva interpretare la parte, anche solo per una volta, del principe che salva la principessa bisognosa, perché lui non aveva l'animo nobile dei principi delle fiabe ed Elke non era una povera sprovveduta che aveva bisogno di un uomo che la tirasse fuori dai guai. E poi, soprattutto, perché quella non era una sua battaglia e doveva starne fuori, per rispetto di Elke. C'era fierezza nello sguardo della sua piccola assistente e una nobiltà d'animo talmente evidente che persino quella violenta ed ottusa suora percepiva e non aveva altro mezzo che la forza e la repressione per fronteggiarla.

Elke si sollevò, a fatica. "Picchiatemi ancora, se vi farà piacere. Ma non vi chiederò scusa".

A quel punto fu la suora ad indietreggiare, quasi intimorita davanti alla testardaggine della ragazza. "Non lo farò, sarebbe solo fatica sprecata con te. Ci sono tanti modi per inculcarti la disciplina, sai? Sei una creatura degli inferi, il calore è il tuo elemento naturale e io te ne priverò. Questa notte dormirai di nuovo all'addiaccio, fuori dal convento. Non mi importa né dove né come te la caverai, un po’ di gelo e neve ti faranno bene e ti renderanno più mansueta domattina. Ti voglio qui all'alba e pretendo tu faccia quanto è necessario perché all'ora di colazione ci sia tutto pronto. Poi farai le faccende che non hai sbrigato oggi per aiutare Helena nel suo diabolico piano. E poi, entro sera, sono sicura che ti troverò altre cose da fare. E ora sparisci dalla mia vista, fino a domani non voglio più vederti, strega".

"Come desiderate!". Con un gesto veloce Elke prese fra le mani la pala che aveva usato fino a poco prima per pulire le scale, gettandola rabbiosamente fra la neve.

La suora sorrise con freddezza. "Non so a cosa pensi ti porterà questo atteggiamento, ma sappi che non sarà nulla di buono". Poi si voltò, salendo le scale e sparendo dietro la porta del convento.

Rimasta sola, Elke per un attimo restò immobile, a fissare il grosso portone in legno. Mattheus la guardò, indeciso sul da farsi, e anche se era lontano poté avvertire in lei la rabbia unita a un senso di sconfitta e smarrimento assolutamente comprensibili, viste le circostanze. Non era per niente una bella situazione: Elke era forte e resistente al freddo ma una notte all'addiaccio in inverno, a Bozen, era troppo persino per lei.

In quel momento decise. L'avrebbe seguita e osservata da lontano e se si fosse trovata davvero nei guai avrebbe vinto tutte le sue remore e resistenze e sarebbe uscito allo scoperto. Non poteva fare altro che vegliare da lontano, il solo pensiero di una notte al freddo e al gelo faceva rabbrividire pure lui e non riusciva a sopportare l'idea che lei dovesse subirla.

Elke percorse con passo stanco i vicoli che portavano alla grossa piazza di Bozen, assorta in chissà quali pensieri e preoccupazioni. Mattheus la conosceva bene e poteva scommettere che in quel momento era preoccupata più per Helena che per se stessa, in effetti la sua amica, a tu per tu con quella suora malefica, probabilmente non se la stava passando bene. In quel momento però lui non riusciva a pensare a Helena e a sua figlia, non era come Elke e non possedeva il suo altruismo.

Camminarono fino alla piazza, giungendovi mentre il cielo cominciava ad imbrunire e l'umidità nell'aria rendeva tutto più gelido.

Mattheus si chiese cosa ci facesse Elke in un posto dove tutto richiamava al Natale e per un attimo sperò che lei riuscisse a trovare rifugio in quella calda atmosfera, che avesse imparato ad apprezzarlo nonostante tutto. Le bancarelle erano ancora aperte, mille luci di mille candele scaldavano l'ambiente e il grosso albero addobbato in mezzo alla piazza richiamava a se bambini e adulti con la sua magia. Elke gli passò davanti, ma a differenza degli altri parve non notarlo o, se lo aveva fatto, la cosa non l'aveva colpita per niente.

La vide dirigersi verso il lungo porticato di un palazzo che si affacciava sulla piazza, sotto cui bivaccava un nutrito gruppo di senza tetto seduti per terra a parlare fra loro per far passare il tempo e che si scaldavano con dei boccali di birra in mano, probabilmente acquistati con gli spiccioli che avevano raccattato durante la giornata chiedendo l'elemosina. Erano le persone più malconce e sporche che avesse mai visto, coi capelli crespi e disordinati che andavano in ogni direzione e i vestiti strappati e ricuciti alla meglio. Eppure le loro chiacchiere e le loro risate glieli facevano apparire come le persone più felici di quella piazza. Nessuno fra i cittadini più facoltosi pareva notarli, come se fossero invisibili, nonostante il loro vociare coprisse quello di mercanti e compratori.

Appena videro Elke, uno di loro, di mezza età, dai capelli neri come il carbone e dalla corporatura robusta, si alzò in piedi di scatto, esibendosi in un ampio sorriso. "Ragazza, che ci fai qui a quest'ora?" - esclamò, sorpreso. "Sei di nuovo nei guai?".

Elke sollevò le spalle, sorridendo timidamente. "Sì, come sempre".

"Ah, quella megera ti ha messo alla porta di nuovo? Sarà una notte fredda questa, dicono".

Elke si strinse nelle braccia, rabbrividendo. "Me ne sono accorta. Posso stare con voi?".

"Ma certo" – esclamò un secondo senza tetto, invitando la ragazza ad unirsi a loro. "Sei sempre così gentile con noi quando riesci a portarci del cibo dal convento che non possiamo che tenerti compagnia e proteggerti, quando ce lo chiedi. E' bello essere utili a qualcuno".

Mattheus, nascosto dietro a una bancarella, capì che anche quelle persone, come Helena, erano amiche di Elke e che probabilmente la ragazza, quando ne aveva l'opportunità, li aiutava come poteva, portando loro di nascosto del cibo avanzato. Capì anche che probabilmente quella non era la prima volta che Elke si trovava in una situazione del genere e che sapeva gestirla benissimo. Scosse la testa, sentendosi ridicolo. Poco prima era stato pronto ad uscire allo scoperto per aiutarla ma ora si accorgeva che Elke non ne aveva alcun bisogno. Sapeva come muoversi meglio di lui e aveva trovato amici sinceri in quella città che a lui era sembrata grigia e priva di calore umano fino a pochi istanti prima.

"Vuoi un pò di birra Elke? Questa ti scalda meglio di una coperta di lana!" - urlò il senza tetto che per primo l'aveva invitata ad unirsi alla sua compagnia.

"Sì, perché no? Grazie Rudolph". Elke prese il boccale, bevendone un lungo sorso. E anche questo lo stupì perché non ricordava di averla mai vista bere alcolici a Pennes. Non che facesse qualcosa di male e forse questo sarebbe servito a scaldarla, ma il suo stomaco si contorceva nel guardarla perché della ragazzina di tre anni prima era rimasto ben poco. Era cresciuta ed era coraggiosa e ancora più bella di come la ricordasse, era fiero di come sapesse tenere testa a chi le faceva del male, ma si rese conto che, se l'avesse avuta davanti, non avrebbe più potuto chiamarla ragazzina, prenderla in giro e farle da maestro come una volta. Gli sarebbe mancata per sempre quella Elke, quella che viveva con lui nella sua baita e che amava acconciarsi i capelli con mille nastri colorati e mille perline, che gli sorrideva, che si prendeva cura di lui senza chiedere mai nulla in cambio e che si affidava con cieca fiducia a ogni sua decisione.

Con un sospiro girò sui tacchi, allontanandosi in silenzio dalla piazza. C'erano un sacco di commissioni che doveva ancora sbrigare per quel giorno e non poteva perdere ancora tempo. Elke sarebbe stata bene anche senza di lui, come aveva fatto in quegli ultimi tre anni dopo tutto.

Le aveva insegnato a combattere il male che le veniva fatto, a non accettarlo e a non subirlo passivamente, a non giustificarlo e non c'erano dubbi, aveva imparato bene la lezione. Non sarebbe più stata la sua Elke, mai più. Si chiese, allontanandosi, se ogni tanto pensasse a lui, se sentisse la sua mancanza come lui sentiva la sua, ma la verità era che probabilmente non era così. Era diventata forte e sicuramente una persona migliore di lui e dei ricordi insieme non sapeva più che farsene. Forse in cuor suo lo odiava e non poteva darle torto.

Strinse i pugni, maledicendosi per la sua codardia e per il suo comportamento vigliacco. Era vero, lei sapeva cavarsela ed era terribilmente in gamba, ma lui avrebbe potuto comunque aiutarla con quella suora, avrebbe potuto impedire che venisse picchiata e umiliata. Elke era nei guai, senza un tetto sulla testa per la notte e probabilmente ci era anche abituata, ma non era questo il punto. Il punto era che lui non aveva mosso un dito. Era un codardo, non sarebbe mai diventato l'uomo che era stato Jakob, preferiva nascondersi e scegliere la strada più facile invece che affrontare i suoi errori e le sue paure. Far finta di nulla e cullarsi nell'illusione che Elke non fosse affar suo era più facile, tanto lei nemmeno sapeva della sua presenza lì. Sospirò, allontanandosi dalla piazza e da lei. Era in gamba e si sarebbe arrangiata più che bene da sola, anche se faceva freddo e non aveva nulla con cui ripararsi. Lo aveva sempre fatto, fin da bambina, di certo non sarebbe stata un problema quella notte, per lei.

Sbrigò, con pensieri cupi, le faccende della giornata rimaste irrisolte, vendendo l'acqua ai nobili della città che gliene avevano fatto richiesta e con cui aveva preso appuntamento nei giorni precedenti. Guadagnò, senza provarne piacere alcuno, ingenti quantità di denaro che avrebbero potuto permettergli di vivere serenamente per almeno un anno a Pennes senza muovere un dito.

Eppure non trovava conforto in questo, il suo pensiero era altrove...

Smise di lavorare che era ormai passata la mezzanotte. Bozen era deserta e le torce che illuminavano le vie erano spente. La città dormiva circondata da un buio oscuro e gelido, sferzata dal vento del nord che faceva battere le imposte delle case.

Mattheus si strinse nel mantello, maledicendosi per aver fatto così tardi. Ambiva solo ad un camino acceso, un bagno caldo, una tazza di brodo e coperte morbide.

Giunse nella piazza, avvolta da un silenzio ancora più spettrale. Le candele del gigantesco abete erano ormai spente e venditori e giocolieri si erano rintanati nelle loro case o locande e non c'era più nulla dell'allegria e del clima di festa del pomeriggio.

Avrebbe dovuto tirare dritto, lo sapeva, però... Però lei era lì, da qualche parte, e non poteva accettarlo. Si rese conto di quanto lo rasserenasse, tre anni prima, la consapevolezza che ogni sera, quando arrivava l'ora di dormire, Elke, Falko e Drago fossero al caldo e al sicuro nelle loro stanze, senza pericoli che potessero minacciarli. Era qualcosa che allora dava stupidamente per scontato e che era diventata importante solo ora che si era ritrovato nuovamente solo. Erano stati la sua famiglia per ogni singolo giorno che avevano passato con lui nella sua casa. Si accorse solo in quel momento di quanto gli mancassero i suoi tre assistenti, i guai che gli avevano combinato, il lavoro svolto insieme, i risvegli mattutini e le serate passate insieme a fare qualunque cosa fosse necessaria all'andamento della casa e della sua attività.

Camminò sotto i portici, stringendosi nel suo mantello. I senza tetto che aveva visto poche ore prima dormivano, chi sul selciato, chi appoggiato alle mura del palazzo, ubriachi o semplicemente esausti dalla giornata e dalla fame.

Scosse la testa, quello non era il posto di Elke, non c'entrava nulla con quelle persone. La cercò, scrutando fra le figure di quei disperati senza nulla, in preda ad una strana ansia.

E finalmente la vide.

Elke dormiva, appoggiata ad una delle colonne del porticato della piazza, rannicchiata su se stessa alla ricerca di calore. Era una sera gelida ma questo sembrava non scalfirla, dormiva e basta, come se non potesse fare che questo. Mattheus sentì il cuore stringersi a quella vista. Le si avvicinò, piano, erano tre anni che non le era così vicino da sentirne il respiro. La guancia dove era stata colpita era ancora arrossata ma questo sembrava non disturbarla più. Abitudine, pensò, con un crampo allo stomaco. Non avrebbe dovuto passare da quella piazza, eppure i suoi piedi l'avevano guidato fin lì contro la sua volontà: anche se si era ripetuto fino allo sfinimento che non erano affari suoi non aveva potuto fare altro che cercarla. La guardò, ricordandosi i loro ultimi momenti insieme, quando lei se n'era andata da Pennes lasciandogli il suo mantello. Deglutì, pensando a quanto freddo aveva patito allora e a quanto ne stava patendo anche in quel momento. Il suo sguardo si addolcì e si portò le mani ai lacci che tenevano legato il caldo mantello che aveva sulle spalle, sciogliendoli. Lo tolse, si inginocchiò davanti a lei e glielo posò delicatamente addosso, attento a non svegliarla. L'idea di percorrere il tragitto fino alla sua locanda al freddo non lo allettava per niente ma Elke, benché più resistente di lui al gelo, ne aveva più bisogno. Non poteva fare altro che quello per lei. La coprì e prima di alzarsi le accarezzò piano i capelli, dandole un leggero bacio sulla fronte. Non riuscì a farne a meno, il suo cuore e la sua mente erano in subbuglio. Sarebbe rimasto lì al gelo pur di starle accanto e vederla dormire. Pensò che stava diventando uno stupido sentimentale, uno di quei tipi romantici di cui si era preso gioco per tutta la vita, ma stare con lei , addormentarsi e svegliarsi insieme erano l’unica la verità che voleva conoscere. La consapevolezza che quello non fosse il suo posto e che si stava prendendo delle libertà di cui non aveva diritto lo colpì come una frustata per cui facendosi violenza, si alzò. Con un ultimo gesto gentile le sfiorò la frangia dei capelli e la fronte in una carezza e decise che era ora di tornare e riprendere il suo cammino. Fece quanto più piano possibile quando fu costretto a fermarsi. I due occhioni blu di Elke erano spalancati e lo stavano fissando, sorpresi.

"Elke".

La ragazza, confusa dal brusco risveglio e dal fatto di trovarselo contro ogni logica lì davanti, si guardò attorno smarrita, cercando di mettere a fuoco la situazione. Si accorse solo in un secondo momento del mantello che la copriva e il suo sguardo tornò a posarsi su di lui.

Avrebbe potuto sopportare e reggere ogni sua reazione, che fosse di rabbia o di gioia, se si fossero rincontrati, ma sul viso di Elke poteva leggere unicamente ansia e paura. E che lei lo temesse lo feriva e non poteva accettarlo.

Elke indietreggiò, strisciando sul selciato. "Mattheus Hansele... Non può essere. Cosa diavolo..." – mormorò, attonita.

Non sentì l'ultima parte della frase. Un pugno violento giunto alle sue spalle lo colpì in piena nuca, facendolo cadere a terra tramortito. Nel giro di un attimo ebbe addosso, con intenzioni tutt'altro che buone, uno dei senza tetto amici di Elke che probabilmente si era svegliato, aveva frainteso la situazione ed era pronto a prenderlo a pugni per chissà quale motivo.

Non ebbe il tempo di reagire e in un attimo si trovò fra polvere e fango, in un parapiglia di spinte e pugni.

"Che le hai fatto?" - urlò il nuovo arrivato, rabbioso, riferendosi con tutta probabilità ad Elke.

Rispose, con un pugno ben assestato sulla guancia del suo avversario. "Fatti miei, gira al largo".

"Adesso basta!". Di forza Elke si mise fra loro, mettendo fine alla lotta.

Col fiato corto Mattheus la osservò e poi studiò il suo avversario, un tipo magro come un chiodo, di forse vent'anni, dai capelli color miele e coi vestiti strappati in più punti. "Ha cominciato lui" – si giustificò, sentendosi vagamente infantile.

"Ti ha fatto del male Elke?" - insistette il tizio, allarmato.

Elke gli lanciò una veloce occhiata indagatrice. Era evidente che non ci stesse capendo un accidenti e che fosse confusa dalla sua presenza, ma sembrava comunque piuttosto decisa a porre fine alla rissa a cui aveva appena assistito.

"No, sto bene Klaus. E' un mio vecchio... conoscente, non credo voglia farmi del male. Sta tranquillo e rimettiti a dormire, non è successo niente e non voglio che tutto questo parapiglia svegli anche gli altri".

Mattheus sbuffò. Gli altri probabilmente si erano anche svegliati ma molto saggiamente si facevano i fatti loro, fingendo di dormire. Che voleva dire Elke quando diceva che probabilmente lui non voleva farle del male? Come poteva non essere certa di una cosa simile, anche solo pensare che avesse cattive intenzioni verso di lei? Questa cosa lo feriva, nello spirito e nell’orgoglio. Poteva sopportare il fatto che l'avesse visto fare a pugni come un ragazzino e che le avesse anche prese, per giunta, ma non quello. Elke non aveva mai avuto paura di lui, si era sempre fidata ciecamente di ogni cosa lo riguardasse, ma ora non era più così e questo gli faceva male, gli lacerava l'anima, ma non avrebbe permesso che lei se ne accorgesse facendosi trovare vulnerabile e indifeso al suo cospetto. Il suo sguardo si indurì mentre dentro di lui si malediceva per essersi preoccupato per lei e per essere passato da quella piazza. Non avrebbe dovuto fermarsi, coprirla col suo mantello, provare quei sentimenti tanto dolci da riuscire a scaldargli il cuore in una notte gelida d'inverno.

Si rialzò in piedi, ripulendosi i pantaloni dalla polvere. "No, non le volevo far niente anzi, a dire il vero ho solo fretta di raggiungere la mia locanda. Stavo passando, l'ho vista e ho pensato che avesse freddo, tutto qua. La prossima volta mi farò gli affari miei e proseguirò dritto".

"Meglio così" – borbottò Klaus, sputando a terra.

"Già". Senza dire una parola, scuro in volto, Mattheus le voltò le spalle, pronto ad andarsene. O a fuggire, come gli urlava la voce della sua coscienza che non voleva più ascoltare.

"Mattheus, aspetta".

Elke gli corse dietro e lo raggiunse che ormai aveva svoltato l'angolo della piazza, immettendosi nel vicolo che portava alla locanda.

"Cosa vuoi?".

"Cosa voglio? Cosa diavolo ci fai qui?".

A quella domanda si voltò verso di lei. Era bella, tanto da far male, lo straziava l’averla così vicina ed essere costretto ad allontanarla.

"Sto lavorando. Tornatene in piazza adesso, non vorrei trovarmi addosso tutti i tuoi amichetti in preda all'ansia per la tua sorte in mia compagnia".

"Klaus era solo preoccupato per me. Dannazione, mi hai spaventata!".

"Ho notato".

"Scusa, come avrei dovuto reagire? Cosa avresti fatto tu se, svegliandoti, ti fossi trovato davanti una persona che non vedi da anni e che teoricamente dovrebbe vivere a molte miglia di distanza?".

Mattheus scosse la testa. "Non lo so cosa avrei fatto e sinceramente non ho voglia di scoprirlo. Ho fretta di tornare a casa e non ho motivo alcuno di starmene qui a parlare con te".

Elke rimase in silenzio per alcuni istanti, come ponderando la sua risposta. Poi abbassò il capo, rendendogli impossibile capire cosa le passasse per la testa. "No infatti, non ne hai motivo ormai".

"Bene, siamo d'accordo su qualcosa".

Si voltò, fece per andarsene, ma Elke lo richiamò, costringendolo a fermarsi di nuovo.

"Mattheus, ti stai dimenticando il mantello". Si avvicinò a lui, posandoglielo sulle braccia.

Lo stregone rabbrividì a quel gesto, tanto uguale a quello di tre anni prima, quando si erano separati. "Congelerai" – disse, freddamente.

"Non credo, ci sono abituata. Quello che ha sempre freddo sei tu, giusto?".

Sorrise amaramente a quelle parole: Elke lo conosceva bene nonostante gli anni di lontananza. "Sì, giusto".

Si rimise il mantello sulle spalle, si voltò dall'altra parte e se ne andò, imponendosi di non girarsi verso di lei nemmeno una volta. Non aveva voluto rincontrarla, non in quel modo almeno, non era pronto ad affrontarla e a chiedere scusa per i suoi errori. Infatti i risultati erano stati pessimi e lui si stava comportando da idiota: avrebbe preferito non vederla e ricordarla com'era prima, quando ancora provava affetto per lui ed in quel momento si sentì solo come quando erano morti i suoi genitori e Jakob. Si sorprese nel chiedersi come sarebbero andate le cose se lui le avesse parlato in modo più gentile e se anche lei, come lui, avesse sentito la necessità di indurirsi per difendersi e se sarebbe mai riuscito a mettere da parte l'orgoglio per chiederle scusa per tante, tantissime cose. Non si vedevano da tre anni e non l'aveva nemmeno salutata, non si era soffermato neanche un attimo a chiederle come stava, come se la cavasse, cosa facesse. C'erano mille modi per rendere quella conversazione più piacevole e lui non era stato capace di afferrarne nemmeno uno. Elke ci aveva provato, seguendolo nel vicolo, mentre lui aveva preferito scappare.

"Non mi importa, non deve interessarmi".

Giunse alla locanda e si chiuse subito nella sua camera. Dalla finestra intravide piccole fiaccole di neve scendere dal cielo e decise che non voleva più pensarci. Non la voleva più rivedere, non voleva più sentirsi perso e fragile come si era sentito poco prima, voleva tornare ad essere lo stregone sprezzante e impermeabile a ogni sentimento com'era stato prima di conoscere Elke.

Quella ragazza e i nani lo avevano indebolito, reso permeabile ai sentimenti e lui sapeva quanto questo potesse essere pericoloso per uno come lui: Amore, affetto e sentimenti dolci avrebbero potuto diventare il suo punto debole e non poteva permetterselo, lui era uno stregone potente e rispettato e voleva continuare ad esserlo.

Cercò di convincersene ma non ci riuscì del tutto. Gli tornò in mente il viso di Elke, la sua espressione tranquilla mentre dormiva e le parole che si erano detti. Non sarebbe mai riuscito a tornare quello di una volta, nemmeno con tutta la sua buona volontà. Avrebbe potuto cercare di tenere Elke lontana dalla sua vita, ma sapeva benissimo che il suo ricordo l'avrebbe tormentato per sempre.



Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***


Le notti insonni, dicono, passano lentamente e sembra che il mattino non debba arrivare mai. In realtà ad Elke questa sembrava una di quelle dicerie senza senso perché la notte per lei era volata via in un attimo da quando aveva riaperto gli occhi e si era ritrovata davanti Mattheus Hansele, ricomparso come per magia dal suo passato e dai suoi ricordi in modo talmente imprevedibile ed inspiegabile che ancora faticava a credere fosse stato reale.

Era stato qualcosa di talmente inaspettato che si era sentita scossa ed inerme davanti a lui, sicuro e schietto come lo ricordava, per nulla turbato dal fatto di ritrovarsi faccia a faccia dopo tre anni, tanto lontani da Pennes. Del resto non capiva come mai fosse tanto stupida: Mattheus era sempre stato così, sfuggente e solitario, uno che non si scomponeva davanti a niente, imperturbabile davanti a ogni sorpresa che la vita gli riservava. Per lei invece non era stato così, tanto che per un attimo, appena riaperti gli occhi, era stato come se il tempo e il luogo in cui si trovava perdessero consistenza e si confondessero col suo passato, tanto da non farle comprendere più nulla. Era stata felice di vederlo? Turbata? O spaventata, come aveva sostenuto lui? Forse era stata un concentrato di tutte queste sensazioni messe insieme perché in fondo al suo cuore aveva sempre desiderato rivederlo, ma Mattheus era tante cose, tanti ricordi, alcuni dei quali per nulla piacevoli. Aveva desiderato un suo abbraccio, silenziosamente, ogni singolo giorno di quegli ultimi tre anni, ma allo stesso tempo aveva voluto con tutta se stessa non rivederlo mai più: il ricordo dei loro ultimi istanti insieme bruciava ancora e le faceva male accettare che affezionarsi a lui era stato probabilmente un grosso errore.

Con un sospiro spinse la porta del convento, entrando con passo felpato mentre fuori albeggiava. Dormivano ancora tutti e nei corridoi regnava il silenzio. Aveva molte cose da fare, doveva sbrigarsi, ma prima di tutto voleva andare nella sua stanza per pulirsi dalla sporcizia della notte passata in piazza e soprattutto accertarsi che Helena stesse bene dopo il confronto con suor Faustine.

Raggiunse la stanza ed entrò piano, per non svegliare l’amica e con sua sorpresa scoprì che Helena non era sola: si accigliò, strano che dopo quanto accaduto il giorno prima suor Faustine avesse permesso alla ragazza di tenere con se la piccola Anna. La bimba dormiva nel letto, rannicchiata contro il petto della madre. Il suo respiro era affannoso e le sue guance color porpora.

Helena”. Si inginocchiò accanto al letto dell’amica, scuotendola lievemente per le spalle.

Helena aprì gli occhi. Erano stanchi, solcati da lunghe e scure occhiaie, pieni di preoccupazione. “Elke, sei tornata per fortuna”.

Come mai Anna è quì?”.

Helena si voltò verso la figlia, accarezzandole i boccoli biondi. “Non è stato un regalo di suor Faustine, figurati! Ieri pomeriggio mi ha dato talmente tanti schiaffi che avrò male alle guance fino all’estate. Sai com’è fatta…”.

Elke alzò gli occhi al cielo. Sì, sapeva com’era fatta quella donna, più che bene! “E allora perché?”.

Helena scosse la testa. “Ha la febbre altissima da ieri sera, di nuovo. Me l’hanno portata perché non infettasse gli altri bambini. Le ho tenuto la pezza bagnata sulla fronte per ore ma è ancora bollente e fatica a respirare. Ho paura Elke, non l’ho mai vista stare così male”.

Elke posò la mano sulla fronte della bambina e la sua espressione si incupì. La piccola stava andando letteralmente a fuoco. “Avete chiamato un dottore?”.

Suor Faustine dice che ci penseranno le preghiere e la fede a guarirla”.

Elke sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Si certo, la fede… Ma magari potremmo fare anche qualcosa di più terreno per aiutare il Signore e la fede a guarirla, come ad esempio cercare delle medicine”.

Helena scosse la testa. “E’ la figlia di una poco di buono, pensi che spenderebbero soldi per chiamare un dottore? Anna è solo... Anna. Non è una principessa o la figlia di un nobile”. Si buttò sul letto senza forze, abbracciando la figlia, rassegnata. “Cambiando discorso, a te com’è andata? Mi spiace così tanto, è solo colpa mia quello che è successo”.

Elke sorrise. “Tranquilla, non è male passare la notte in piazza coi senza tetto, ormai siamo amici. E’ andata abbastanza bene”.

Si gelava stanotte!” – obiettò Helena.

Ci sono abituata”. Non aveva voglia di raccontarle quanto successo quella notte, di Mattheus, della sua storia assieme a lui, di cosa aveva significato rincontralo. Helena non lo conosceva e aveva ben altre preoccupazioni per la testa in quel momento, per pensare a lei. Però, ora che ci pensava, lo stregone aveva detto che era a Bozen per lavorare e lei sapeva bene quale fosse la sua fonte di guadagno principale. “L’acqua…”. Guardò Helena, sorpresa di se stessa per non averci pensato prima. “L’acqua del lago!” – ripeté.

Elke, stai bene?”.

La ragazza sorrise. “Sì! E so come curare Anna. Sta con lei ed aspettami, cercherò di tornare il prima possibile”.

Helena impallidì. “Elke, non è una buona idea, hai del lavoro da svolgere, dove vuoi andare, cosa vuoi fare? Non tirare troppo la corda con suor Faustine o…”.

Al diavolo suor Faustine, Anna è più importante! Se sarò fortunata comunque, sarò di ritorno prima che si accorga della mia assenza. Aspettami qui e sta vicino alla tua bambina, ha bisogno di cure”. Non le diede tempo di rispondere, presa da un’improvvisa forza che sembrava darle energia per ribaltare il mondo. Avrebbe cercato Mattheus e con la sua acqua avrebbe potuto curare Anna. Non le importava di come avrebbe reagito, di cosa le avrebbe detto o altro, le importava solo dell'acqua.

Corse per i corridoi, verso l'uscita, incurante del fatto che qualcuno potesse svegliarsi; stava rischiando molto disubbidendo e le conseguenze potevano essere molto gravi, ma in gioco c'era la vita di Anna e questo era più importante di tutto.

Appena giunta nella strada ancora deserta si strinse nelle braccia per ripararsi dal freddo, pensando a cosa fare: Mattheus aveva detto che era in città per lavoro, ma come trovarlo? Bozen era grande e loro si erano rincontrati per puro caso, difficilmente sarebbe stata così fortunata una seconda volta. Per trovarlo doveva usare il cervello: la via dove Mattheus aveva svoltato quella notte dopo aver lasciato la piazza era elegante, piena di locande di prima scelta dove di solito soggiornavano ricchi viandanti e nobili. Il resto di Bozen non era così, era formato solo da ammassi di baracche e case diroccate che ospitavano taverne di pessima qualità, non erano posti che Mattheus avrebbe potuto frequentare. Lui aveva sempre un'ampia disponibilità di denaro, odiava chiasso e schiamazzi e amava la comodità, soprattutto la sua. Aveva scelto di certo la locanda più accogliente e calda della città e poteva trovarla solo nella strada dove l'aveva visto l'ultima volta. Pregò di non sbagliarsi, che non avesse cambiato le sue abitudini in quegli ultimi tre anni o avrebbe perso tempo prezioso inutilmente.

A passo spedito, mentre si avviava verso la piazza, un pensiero le trafisse la mente: il suo incontro con Mattheus non era stato né amichevole né piacevole e non era così convinta che lui sarebbe stato felice di aiutarla. Non doveva, non poteva presentarsi a lui come Elke, la sua vecchia assistente, doveva diventare un suo cliente se voleva ottenere qualcosa, giocare con lui e contrattare come facevano tutti gli altri, Mattheus amava il denaro e avrebbe messo da parte tutto il resto per il guadagno. Il problema però era che per comprare l'acqua come chiunque altro Mattheus chiedeva dei soldi che lei non aveva. Sospirò. Era così maledettamente seccante essere povera! Ma forse, con un po’ di fortuna, altri poveri come lei, se si mettevano tutti insieme, potevano aiutarla. Corse verso la piazza, decisa a chiedere aiuto ai suoi amici senza tetto che grazie alla carità dei passanti avevano sempre qualche spicciolo in tasca. Mattheus non sarebbe stato felice di rivederla ma di certo non si sarebbe irritato per la mancanza di soldi per un servizio che gli richiedeva.

Quando giunse in piazza i primi commercianti delle bancarelle dei mercatini di Natale stavano iniziando ad esporre e sistemare la loro merce e pian piano il centro tornava alla vita. "Rudolph". Chiamò il suo amico che, sonnacchioso, si stava stiracchiando sotto i portici.

"Elke, che ci fai ancora quì? La vecchia strega ne avrà a male".

Elke sorrise. "Sì, probabilmente si infurierà, ma non importa. Rudolph, ho bisogno del vostro aiuto. E' per la piccola Anna".

"Oh, la bimba di Helena?".

Elke annuì. "E' malata, ha una febbre altissima che non scende. Ho bisogno di portarle delle cure e so da chi potrei trovarle ma mi servono soldi che non ho. Tu e i tuoi amici riuscireste a racimolare tre monete di rame? So di chiedervi molto, non avete da mangiare, ma...".

Rudolph la bloccò, passandole l'indice sulla labbra. "Shhh, non dire altro. Aspettami qui! Io e quei poco di buono dei miei scalcinati amici possiamo fare a meno della birra per oggi, se è per il bene di Anna. Ti servono solo tre monete di rame?".

"Sì, solo tre monete". Era quello il prezzo che Mattheus chiedeva per un'ampolla dell'acqua del lago, lo ricordava bene. Fra se e se sperò che nei tre anni di lontananza non avesse alzato i prezzi... Da lui poteva aspettarsi di tutto.

Aspettò poco, giusto una manciata di minuti. Rudolph, accompagnato da un bambinetto di strada sporco e spettinato, le ricomparve davanti con un piccolo sacchetto di pelle sgualcito. "Tieni Elke, sono tutti gli spiccioli che sono riuscito a racimolare. Credo che, sommati, siano più o meno la somma di cui hai bisogno" – disse, tirando su col naso.

Elke prese la sacca fra le mani mentre le monetine al suo interno tintinnavano cozzando fra loro. "Grazie, vi sarò per sempre debitrice".

"Su, non perdere tempo e vai a prendere questa medicina".

"Certo". Con un cenno veloce di saluto corse via dalla piazza, immettendosi nella via dove aveva visto Mattheus per l'ultima volta. Fece mente locale sulle sue abitudini, sfilando davanti alle eleganti locande che sorpassava, attenta a ogni movimento dei loro clienti. La strada era ancora deserta, era mattina presto, la luce del giorno era fioca e la maggior parte delle persone probabilmente stava ancora poltrendo sotto le coperte. Mattheus invece no, lo ricordava molto mattiniero, si alzava prestissimo per lavorare e spesso, quando lei e i nani si svegliavano, lui era attivo già da ore. A quei pensieri, quei ricordi, una fitta le trafisse lo stomaco, tanto che fu costretta ad appoggiarsi al muro. Le mancavano quei momenti, quell'intimità famigliare che si era creata in quella casa di Pennes con Falko, Drago e Mattheus, il loro modo di stare insieme, il sentirsi per la prima volta in vita sua a casa. Ricordava quanto Mattheus la prendesse in giro ogni mattina perché non sapeva cucinare e di come le avesse vietato di avvicinarsi alla cucina per paura che incendiasse la casa nel tentativo di cuocere qualcosa, il modo sbarazzino ma allo stesso tempo dolce che usava quando scherzava con lei e anche le serate tranquille in cui, soli loro due, le insegnava a leggere e scrivere.

Ricacciò indietro una lacrima. Quella era stata la sua casa, Mattheus e i gemelli la sua famiglia e, anche se per poco tempo, si era sentita amata e al sicuro.

Improvvisamente la porta della locanda della signora Hermann, la più lussuosa della città, si aprì e frettolosamente un uomo scese gli scalini di pietra stretto nel suo mantello. Elke trattenne il fiato, ringraziando tutti gli angeli del paradiso. Era stata fortunata, era lui! Quelli come Mattheus non cambiano le proprie abitudini, mai.

Deglutì, in un misto fra tensione e imbarazzo, avvicinandosi a lui. Mattheus, a passo svelto, si stava avviando verso i palazzi della piazza e le fu difficile accodarsi a lui, da quanto camminava veloce. "Mattheus Hansele, aspetta!" - urlò, appena fu a pochi metri di distanza.

L'uomo si fermò di colpo, voltandosi lentamente verso di lei. La squadrò per un lungo istante, l'espressione immobile e accigliata. "Cosa ci fai quì?" - chiese infine, con freddezza.

"Avevo bisogno di parlare con te!".

Mattheus si avvicinò di alcuni passi non togliendole gli occhi di dosso. "E come hai fatto a trovarmi? Mi stai per caso pedinando?".

Elke sostenne il suo sguardo, decisa a non farsi intimidire da lui. Era un orso, lo era da sempre, ma dopo tutto non aveva torto a chiedere come lo avesse trovato. "Non è necessario pedinarti, conosco benissimo le tue abitudini. Mattiniero e amante dei posti comodi e lussuosi, non bisogna certo essere dei geni per trovarti".

Di tutta risposta, con aria sospettosa, Mattheus incrociò le braccia al petto. "Cosa vuoi? Non mi pare di averti dato da intendere in nessun modo che ho piacere di parlare con te".

"Non voglio parlare, sono qui per concludere un affare".

Non seppe se la cosa lo interessasse, ma di certo la sua espressione fu di stupore e curiosità. "Concludere un affare? Noi due?".

Elke annuì, togliendo dalla tasca tutte le monete di rame che era riuscita a raccogliere. "Ho bisogno della tua acqua".

"Dove hai trovato quei soldi?".

Elke alzò le spalle. "I miei amici della piazza, i senza tetto. Sai, è incredibile l'altruismo delle persone che non hanno nulla, soprattutto se paragonato all'egoismo di chi ha tutto".

Mattheus finse di non sentirla, osservò di sfuggita la sacca di monete e poi lei. "La mia acqua è molto cara e tu non puoi permettertela".

"Tre monete di rame ad ampolla, giusto? Questo era il suo prezzo, se non ricordo male".

Mattheus chiuse per un attimo gli occhi, come indeciso sul da farsi. E questo le parve talmente strano che stentava quasi a riconoscerlo. "Soldi Mattheus, sono sicura che sai cosa sono, vero? Difficilmente rinunceresti ad un guadagno quindi fa finta che non ci sia io qui davanti a te e fingi che ci sia un acquirente qualsiasi. Tu mi dai l'ampolla e io i soldi e finisce tutto qui".

"Una moneta d'oro Elke! E' questo il prezzo dell'acqua per te. Se ce l'hai bene, affare fatto! Se non ce l'hai...".

Per un attimo rimase attonita, ammutolita. Il tono di voce di Mattheus era freddo, provocatorio, quasi strafottente. La stava provocando e non ne capiva il motivo. "La tua acqua non costa così tanto".

"Il prezzo lo decido io in base al mio umore, al tempo e a chi ho davanti. Vuoi un'ampolla d'acqua e io te la darò ma SOLAMENTE se mi pagherai il giusto prezzo".

Scosse la testa, incredula, indietreggiando di alcuni passi. "Non ho una cifra del genere e tu lo sai".

"Non è un problema mio. Chiedi di nuovo ai tuoi amichetti della piazza, sembrano tanto bendisposti verso di te. Magari se coinvolgerai tutti i senzatetto di Bozen riuscirai a racimolare abbastanza soldi per l'acqua. Di disperati ne è piena questa città, dopo tutto. E visto che mi dici che son tanto altruisti, magari potresti farcela a trovare il denaro che ti serve".

Fu troppo, per sopportare ancora. Non capiva, non riusciva a comprendere il gioco che stava facendo Mattheus e nemmeno chi avesse davanti. Non lo riconosceva più! Chi era Mattheus Hansele? Quello che l'aveva abbracciata e sorretta la notte di Natale di tre anni prima o la persona fredda e sprezzante che aveva davanti? Decise che non le importava, non più almeno. "Non parlare a questo modo di quelle persone, sono infinitamente migliori di...".

"Di chi?".

Sorrise, freddamente. Se Mattheus aveva desiderato ferirla, ci era riuscito. E ora avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. "Di te".

Lo guardò negli occhi e lui sostenne il suo sguardo. C'era furore in lui, un qualcosa che sembrava rabbia a prima vista, ma c'era anche altro, qualcosa che ancora le sfuggiva... I suoi occhi le sembravano così cupi, vuoti e spersi, nonostante i modi di fare così decisi che stava adottando con lei. "Bene, vattene allora! Niente soldi, niente acqua. La faccenda finisce qui per me".

"Anche per me". Gli voltò le spalle, fece per andarsene ma poi si fermò. Se quello era un addio, avrebbe fatto in modo che fosse definitivo. "Sai Mattheus, io sono una dannata stupida perché ti ho creduto, per tanto tempo. E ho avuto fiducia in te, talmente tanto che ti avrei affidato la mia vita ad occhi chiusi. Ti ho anche voluto bene, per me eri una famiglia, eri qualcuno che, da solo, sapeva farmi sentire a casa e al sicuro. In fondo non ho smesso di credere in te nemmeno quando me ne sono andata da Pennes, anche se ci ho provato ad odiarti, te lo giuro, non ci sono mai riuscita. Non è stato facile cercarti, oggi. E non è facile nemmeno essere qui a parlare con te, preferirei la compagnia di mio padre alla tua, in questo momento! Ti ho cercato perché l'acqua mi serve per una bambina che sta molto male e tu eri l'unica opportunità che avevo per salvarla. Non la volevo per me, non era un capriccio".

"Lo sai bene come funziona l'acqua del lago, lo sai che non può evitare la morte alle persone che vi sono destinate. Credevo che questo lo avessi imparato, nei mesi in cui hai vissuto con me".

"Lei non morirà e ora lascia perdere tutti questi discorsi, non voglio più stare a sentirti e mi stai solo facendo perdere tempo. Sono solo curiosa di sapere perché mi odi così tanto, ma credo che potrò continuare a vivere tranquillamente anche senza saperlo".

"Elke!".

Gli voltò le spalle, decisa ad andarsene. "Non ho più niente da dirti".

"Fermati un attimo!".

"No!". Corse, convinta di averlo lasciato indietro. Non sapeva cosa provasse davvero, se rabbia o delusione. O entrambe. In realtà il sentimento che più avvertiva in se e che soffocava tutti gli altri era il dolore, tanto forte e lacerante che le faceva mancare il fiato. Erano sempre state bugie, ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sorriso e ogni suo abbraccio. Tutto finto, quel Mattheus non esisteva e ora che ci aveva sbattuto il muso per la seconda volta lo aveva finalmente capito. Voleva piangere ma decise che non lo avrebbe fatto, non avrebbe sprecato altre lacrime per lui. No, c'era un altro modo per buttare fuori tutta la rabbia e la disperazione che avvertiva dentro di se ed era stato lo stesso Mattheus ad insegnarglielo. Rallentò, per poi fermarsi in un piccolo vicolo deserto. E poi, con tutta la forza che aveva, sferrò un pugno contro il muro, seguito subito da un altro ancora più violento.

E a quel punto una mano sconosciuta le afferrò il braccio, bloccandola. Irritata si voltò, trovandosi davanti ancora Mattheus che evidentemente l'aveva seguita senza che se ne accorgesse. "Lasciami" – intimò, rabbiosa.

Lo stregone scosse la testa, stringendole il braccio ancora più forte. "Ti lascerò quando lo deciderò io! E la nostra conversazione finirà allo stesso modo, quando lo deciderò io. Tu mi hai cercato e ora ascolterai quello che ho da dire, che ti piaccia o no".

Elke cercò di strattonarlo e di liberarsi dalla sua presa ma Mattheus non si mosse di un centimetro. Era tutto uguale, in modo inquietante, a quanto successo tre anni prima. "Cosa vuoi da me? Dannazione, lasciami".

"No". Con la mano libera, dalla tasca, Mattheus tolse un'ampolla contenente l'acqua del lago e la sollevò, fino a portarla davanti al suo volto. "La vedi, Elke? E' questo che volevi, giusto?".

"Sì. Ma tanto non me la darai e quindi è perfettamente inutile stare a parlarne".

"E' vero, non te la darò. Perché sai, anche se tu riuscissi per miracolo a trovare i soldi che ti ho chiesto, io raddoppierei poi il prezzo".

Elke sorrise, freddamente. "Lo immaginavo".

"E sai perché lo farei?".

Elke alzò le spalle, sfinita ma nonostante tutto decisa a tenergli testa. "Non lo so e non mi importa".

"Sì che ti importa, invece". Mattheus le lasciò il polso e poi con un gesto veloce le prese dalla tasca la sacca di monete che gli aveva offerto poco prima. "Prima hai detto che non sai perché ti odio così tanto ma la verità è che non è così, non ti odio. Se tu fossi venuta da me e mi avessi semplicemente chiesto aiuto io ti avrei dato tutta l'acqua che volevi, senza chiederti un centesimo. Lo avrei fatto senza chiedertene il motivo perché ti conosco e so che ne avresti fatto un buon uso. Ti sarebbe bastato poco, semplicemente meno arroganza e più gentilezza. Come facevi una volta, ricordi?".

Elke spalancò gli occhi, sorpresa, mentre uno strano senso di vergogna e colpa prendeva possesso di lei. "Cosa?".

Mattheus per un attimo abbassò lo sguardo, allontanandosi lievemente da lei. Ora non sembrava rabbioso ma al contrario... ferito?

"E' questo che sono per te? Un approfittatore delle disgrazie altrui, uno interessato solo al denaro, che ti dà retta unicamente se può trarne profitto? Credevo che avessi imparato a conoscermi, che...". Strinse la sacca di monete fra le mani e poi la gettò a terra con violenza. "Non ha importanza in fondo stare a parlarne, hai ragione! Non voglio i tuoi soldi e non voglio niente da te".

In quel momento, forse per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Mattheus gli parve vulnerabile. Si sentì in colpa, mentre la rabbia di poco prima scemava dal suo corpo, evaporando nell'aria fredda. Capiva, meglio di quanto lui credesse. Offrendogli quel denaro aveva rinnegato tutto quello che loro due erano stati. "Io...".

"Fine del discorso, ti ho detto tutto quello che dovevo". Lentamente lasciò la presa sull'ampolla d'acqua, facendola cadere a terra. Il vetro si ruppe in mille frammenti, disperdendosi fra la neve e il fango della via mentre l'acqua che conteneva scivolava in ogni direzione possibile. "Ora si che te ne puoi andare, ragazzina! Non voglio vederti mai più".

"Mattheus, aspetta!".

Ma lui non aspettò e d'altronde non si aspettava che lo facesse. Aveva sempre fatto di testa sua, Mattheus, e di certo non l'avrebbe assecondata in quel momento. La guardò, per un lungo istante, in silenzio. Poi tirò su il cappuccio del mantello, gli voltò le spalle e sparì a sua volta fra i dedali di vie del centro.

Per un breve istante rimase incerta sul da farsi e se seguirlo o meno. Lo aveva ferito, anche se non di proposito, ma non aveva tempo di seguirlo, chiarirsi e cercare di sistemare le cose. Mattheus aveva detto no alla sua richiesta di dargli l'acqua del lago di Valdurna e lei aveva il disperato bisogno di trovare una cura per la piccola Anna e se non poteva usare l'acqua magica dello stregone c'era solo un'altra strada da percorrere. Sapeva usare le erbe, ne conosceva le proprietà curative e molte cose era stato lo stesso Mattheus ad insegnargliele. Sospirò, persuasa dal fatto che non avrebbe fatto ritorno al convento troppo presto e avrebbe passato dei guai per questo, ma non c'era altro da fare.

Corse come una forsennata verso la periferia sorpassando la piazza, le vie del centro e via via i vicoli fangosi della zona esterna che portavano alla campagna e ai monti che dominavano la città. Si fermò quando non aveva più fiato, lontana dalle mura di Bozen, in un prato ricoperto di brina e nevischio da cui si dominava il paese.

Si avvicinò a una piccola scarpata, scivolando al suo interno. "Artemisia, devo trovare l'artemisia!". Di quella pianta ce n'era molta da quelle parti e sapeva che, pestata, resa poltiglia e poi cotta in infuso, era un ottimo rimedio per la febbre e le infezioni della gola.

Trovò i ciuffetti della pianta che crescevano qua e là nella scarpata e li raccolse in fretta, fino ad ottenerne un grosso mazzo. Poi con un sasso li batté e sbriciolò, riducendoli in poltiglia. Fece in fretta, più che poteva, ma nonostante questo, quando udì in lontananza le campane di Bozen che rintoccavano il mezzogiorno, non era che a metà del lavoro. Aveva bisogno di tempo e di calma per fare le cose al meglio, ma non ne aveva: Anna aveva bisogno urgentemente di una medicina e lei era sufficientemente in ritardo per cacciarsi nei guai. Suor Faustine si era di certo accorta della sua assenza e la sua reazione sarebbe stata sicuramente poco amichevole. Per un attimo si fermò guardandosi attorno, perdendosi nel silenzio dei boschi e della campagna; Quello era stato il suo mondo fino a tre anni prima e spesso aveva desiderato tornarvi, anche in quel momento non sognava che quello. Ma non poteva e il pensiero di Helena e Anna la riportò alla realtà. Doveva fare in fretta, tornare e smettere di sognare qualcosa che non avrebbe mai più avuto.

Finì che ormai era pomeriggio e poi tornò verso Bozen a passo veloce. Era stanca, stravolta, non mangiava dal giorno prima, non aveva riposato e mille sentimenti contrastanti si agitavano dentro di lei. Preoccupazione per Anna, paura della punizione che l'attendeva una volta rientrata in convento e rabbia e senso di colpa verso Mattheus. Forse sarebbe davvero stato meglio rimanere in montagna, lontana da tutto, come faceva da bambina quando correva fra gli abeti con Maike, ma ora non era più una bambina, la sua lupa era morta e la sua vita era a Bozen, non c'era altro per lei la fuori.

Giunse al convento che ormai imbruniva. Entrò di soppiatto, approfittando del fatto che a quell'ora le suore cenavano e quindi i corridoi erano per lo più deserti. Attenta a non farsi scoprire corse fino alla sua camera, sgattaiolandoci dentro come una ladra.

"Elke!".

"Helena!". Sospirò, rinfrancata dal vedere l'amica in stanza, accanto alla figlia che dormiva nel suo letto. "Come va?".

Di tutta risposta Helena si alzò dal letto, scagliandosi contro di lei. "Dove diavolo sei stata tutto oggi? Santo cielo, mi hai fatta preoccupare! Suor Amelia ti ha cercata tutto il giorno, avevi un sacco di lavoro da svolgere e nessuno sapeva dov'eri! Ha informato suor Faustine della tua assenza e mi hanno fatto mille domande su di te. Suor Faustine è furiosa, non l'ho mai vista così. Elke, dove diavolo eri finita? Mi avevi detto che saresti tornata subito".

Di tutta risposta Elke prese dalla tasca del vestito il fazzoletto dove aveva riposto le erbe schiacciate, lasciandolo scivolare nelle sue mani. "Helena, sono erbe che servono a far calare la febbre. Trova dell'acqua calda, fanne un infuso e fallo bere ad Anna. Starà meglio".

Helena osservò il piccolo fagotto che gli aveva messo fra le mani e poi lei. "Oh Elke... Ti sei cacciata di nuovo nei guai a causa mia".

"Non pensarci". Si avvicinò alla porta, tirando giù la maniglia per aprirla. "Occupati di Anna invece".

"E tu dove vai di nuovo?".

Elke sospirò. "Da suor Faustine a ricevere il mio castigo. Tanto vale farlo subito e togliersi il pensiero, giusto?".

"Ti massacrerà".

Elke le strizzò l'occhio. Era terrorizzata ma non era il caso di far preoccupare ulteriormente Helena. "Ci sono abituata, ho le spalle larghe ormai".

"Scappa".

"Non saprei dove andare. In fondo non sarà così terribile, sarà questione di pochi minuti come al solito".

Helena sospirò, poco convinta. "Buona fortuna".

"Anche a voi" – rispose, lanciando ad Anna un'ultima occhiata. Poi chiuse la porta e si avviò verso il refettorio. Conosceva suor Faustine, i suoi modi duri, il suo rancore verso di lei, il suo essere convinta di avere a che fare con un essere demoniaco da addomesticare, conosceva il bruciore dei suoi schiaffi e la furia delle sue parole. Sapeva cosa l'aspettava e nonostante poco prima si fosse dimostrata tranquilla con Helena, in realtà aveva paura.

Passò davanti alla porta del refettorio e vedendo le suore ancora intente a cenare, si trascinò stancamente fino al corridoio dove si trovava la porta della stanza e dello studio di suor Faustine. Si sedette a terra, appoggiando le ginocchia al mento ed aspettando.

C'era silenzio attorno a lei, ovattato e quasi rilassante, tanto che per un istante la stanchezza ebbe la meglio facendola addormentare. Ma appunto, fu solo un attimo.

Aprì gli occhi di scatto, mentre un'ombra troneggiava su di lei. "Suor Faustine..." - mormorò deglutendo, trovandosela davanti. Era una donna appesantita dagli anni e dalla corporatura robusta, ma sapeva camminare con la leggerezza di una piuma.

La suora la squadrò accigliata per alcuni istanti, la sua espressione neutra e incolore. "Ebbene, eccoti qui. Ti credevo in fuga, lontana, devo ammettere che riesci sempre a stupirmi".

"Helena mi ha detto che mi cercavate oggi e che siete adirata con me".

Con un cenno della mano la suora le fece segno di alzarsi, poi aprì la porta del suo studio e la spinse all'interno, chiudendo l'uscio dietro di loro. "Adirata? Ne avrei motivo, giusto Elke?".

La ragazza si guardò attorno, osservando quell'ambiente spoglio e semplice composto da un letto, una scrivania e un grosso crocifisso che dominava tutto e tutti dall'alto della parete. "Suppongo di sì, vi ho disubbidito e ora merito di essere punita. Sono qui, facciamo in fretta e togliamoci il pensiero".

"Non così in fretta, Elke. Siediti" – le ordinò la suora, indicandole la sedia davanti alla sua scrivania.

Elke si sedette, stringendo fra le mani la stoffa del suo abito. Si sentiva terribilmente a disagio e suor Faustine si stava comportando il maniera anomala e diversa dal solito. E questo non era un bene, le suggeriva il suo istinto.

"E allora ragazza, dove sei stata tutto oggi? Cos'avevi di tanto importante da fare che ti ha sottratto ai tuoi doveri?".

Elke si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Se avesse raccontato a suor Faustine la verità, cioè che era stata a cercare delle erbe per curare Anna, le avrebbe offerto su un piatto d'argento la possibilità di incriminarla per stregoneria. Viveva a Bozen da abbastanza tempo e aveva imparato che le donne che usavano erbe per curare le malattie venivano poi perseguitate dall'Inquisizione e a volte finivano sul rogo. Suor Faustine glielo aveva insegnato, suo malgrado, due anni prima quando l'aveva costretta ad assistere al rogo di una strega in piazza. Sentiva ancora dentro di se le urla e lo strazio di quella donna consumata dalle fiamme e il terrore di essere lì davanti a lei, inerme e impossibilitata ad aiutarla.

"Questo è quello che succede alle streghe come te, se non abbracciano Dio".

Questo le aveva detto suor Faustine quella volta e lei lo aveva tenuto ben a mente. Sospirò, optando quindi per una bugia a cui la suora avrebbe creduto senza problemi. "Stanotte ho dormito poco e male in piazza e oggi non avevo voglia di lavorare. Mi sono rintanata in un vicolo e ho dormito tutto il giorno".

La suora le passo davanti più volte, passeggiando per la stanza. "Ti devo riconoscere un certo fegato ad ammettere le tue mancanze senza accampare scuse e d'altronde sappiamo tutti quanto tu sia maldestra e poco portata per il lavoro fisico. Però, nonostante apprezzi la tua sincerità, questo non ti aiuterà di certo perché mi hai comunque disubbidito e hai mancato ai tuoi doveri, rischiando di compromettere la pacifica vita e l'organizzazione del convento". Si fermò d'improvviso, guardandola negli occhi con una strana espressione furiosa. "Cosa dovrei fare ora con te, Elke? Come posso punirti in modo che tu possa capire i tuoi errori ed evitare che ti venga la tentazione, in futuro, di perseverare nel peccato?".

Elke trattenne il fiato. Quella suora le stava chiedendo come voleva essere punita, picchiata e umiliata? "Non lo so, signora".

"Ho provato con gli schiaffi, a privarti del cibo, di un tetto sulla testa e a caricarti di lavoro pesante. Ma non è servito! Passiamo alle maniere forti, ragazza, non mi lasci scelta, ma d'altronde lo sapevo che con te sarebbe stata una lotta dura". La suora si avvicino al piccolo armadio dietro la scrivania, tirandone fuori una cinta di cuoio. "Alzati in piedi e appoggia le mani sul tavolo".

"No...". Indietreggiò, terrorizzata, capendo le intenzioni di suor Faustine fin troppo bene. No, non poteva succederle di nuovo, non poteva essere! Era un incubo, non c'erano altre spiegazioni. Aveva già provato da bambina il sapore delle frustate sulla pelle, il senso di sopraffazione, il dolore atroce della carne che si lacera e quella sensazione terribile di soffocare per il male. "No, vi prego".

Suor Faustine finse di non sentirla. "Appoggia le mani al tavolo" – ripeté, stranamente calma.

"No. Tutto ma non questo, per favore".

Suor Faustine si avventò su di lei, prendendola per i capelli e spingendola contro la scrivania. "Appoggia quelle mani sul tavolo o ti costringerò a farlo con la forza e soffrirai doppiamente".

"No" – singhiozzò, fra le lacrime. Tentò di divincolarsi, di cercare una via di fuga ma d'improvviso l'aria attorno a lei vibrò e poi, con violenza, una frustata la colpì da dietro, sulla schiena. E poi un'altra e un'altra ancora, sempre più forti. Suor Faustine e il suo braccio sembravano posseduti da una forza sovrumana che si abbatteva su di lei senza pietà. Sentì gli abiti lacerarsi e poi la sua pelle nuda martellata da decine di colpi incessanti.

"Le mani, appoggia quelle mani sul tavolo o non la smetterò" – urlò la suora, nel suo orecchio.

Strinse i denti per non gridare, per non svenire, per cercare di resistere quanto più possibile. Il male era atroce, sentiva il sangue colarle giù per la schiena e non riusciva più a muoversi. Cercò di rifugiarsi in un pensiero felice che isolasse la sua mente da quell'inferno e tutto quello che le venne in mente fu la sua lupa, Maike, le loro corse, i giochi da bambina che aveva fatto in sua compagnia e a come l'avrebbe protetta se in quel momento fosse stata al suo fianco. Per un attimo, persa in quel pensiero fugace, si ricordò della statuetta in legno che qualcuno le aveva regalato pochi giorni prima e che tanto le ricordava Maike. Non aveva mai scoperto chi gliel'avesse donata ma le venne in mente che solo a Mattheus aveva parlato di quella lupa. Che fosse stato lui? Percorsa dalle frustate scosse la testa, mentre le lacrime le rigavano il viso. No, non poteva essere stato lui, Mattheus non era un tipo da regali e di certo non ne avrebbe fatti a lei.

Una frustata più forte la fece stramazzare a terra. Le mancava il fiato, le forze la stavano abbandonando, il dolore alla schiena era diventato talmente intenso da stordirla e si stava avvicinando al punto di diventare insopportabile.

"Appoggia le mani sul tavolo" – le intimò, col fiato corto, di nuovo, suor Faustine.

"Perché?".

La suora la prese per il colletto del vestito, tirandola su con uno strattone. "Perché da domani tu avrai talmente tanto lavoro da non poter respirare e voglio che qualsiasi cosa tu faccia, ogni volta che muovi le dita e le mani, senta talmente tanto dolore da impedirti di dimenticare quello che sta succedendo qui. Appoggia le mani su quel tavolo Elke o io continuerò a frustarti finché non avrai più carne sulla schiena. E poi passerò alle gambe".

Ricacciò indietro le lacrime, in un ultimo vano tentativo di essere forte. Una volta Mattheus le aveva detto di non accettare il male che le veniva fatto, di combatterlo, di resistere. E probabilmente, vedendola cedere, sarebbe rimasto deluso da lei. Ma non ce la faceva più a sopportare, non era così forte e in fondo a Mattheus non interessava nulla di lei per cui non aveva niente da dimostrargli.

Chinò il capo, sottomettendosi alla volontà della suora. Tremante appoggiò le mani al tavolo, chiudendo gli occhi e preparandosi a venire nuovamente frustata.

La suora iniziò a colpirla di nuovo sulle dita, sui polsi, sulle mani, con una forza ancora maggiore. Urlava parole crudeli al suo indirizzo ma la sua voce le appariva ovattata e confusa, tanto che per un attimo le sembrò di avere accanto suo padre, col suo disprezzo e la sua violenza esplosa a suon di frustate una sera di Natale di tanti anni prima.

"Figlia del diavolo...".

Fu un pensiero fugace, che le attraversò la mente con la stessa velocità delle frustate che le venivano inferte e che mai avrebbe pensato di poter formulare. In fondo non sarebbe stato così brutto essere davvero la figlia del demonio, avrebbe potuto difendersi, combattere, restituire la violenza che subiva e suo padre, il diavolo, l'avrebbe aiutata in questo. Se tutti la credevano la figlia del diavolo, tanto valeva diventarlo davvero, pensò prima che un'ultima frustata, più forte delle altre, le lacerasse la mani e la facesse cadere a terra priva di sensi.

Il mondo divenne un posto buio, quel buio in cui avrebbe voluto perdersi e nascondersi per sempre.





Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ***


La Vigilia di Natale aveva sempre avuto, ai suoi occhi, qualcosa di magico insito in se. Attesa, magia, contemplazione e uno strano senso di benessere che contagiava tutto e tutti. Nevicava dolcemente su Bozen da quella mattina. Grossi e morbidi fiocchi ricoprivano strade e tetti, attutendo il rumore e il vocio delle persone indaffarate a comprare leccornie per la cena e qualche pensiero per le persone amate.

Stiracchiandosi, Mattheus si sedette sul parapetto della finestra della sua lussuosa stanza, osservando il mondo al di fuori. Ormai il suo lavoro in quella città si poteva dire concluso, a parte una decina di ampolle tenute come al solito per le emergenze, non aveva altro da vendere e poteva anche tornare a casa. Lo avrebbe fatto volentieri se solo avesse trovato una carrozza che lo portasse fino alla Val Sarentino, ma in quei giorni di festa non c’era un solo cocchiere disponibile a portarlo tanto lontano.

Sospirò, incrociando le braccia al petto, indeciso se essere più annoiato o più scocciato per quella forzata permanenza a Bozen. Aveva guadagnato molto, era per quello che era venuto in città, però non era stato un viaggio piacevole e spesso si era trovato a pensare che forse avrebbe dovuto dare retta a Jutta e ai gemelli e rimanere a Pennes. Lì era fra amici, conosceva ogni singola persona del villaggio e non si sarebbe sentito solo come in quel momento. Si stupì di se stesso per questi sentimenti perché lui era stato solo per gran parte della sua vita negli ultimi anni e mai gli era capitato di avvertire il peso della solitudine come a Bozen. Eppure era così, soprattutto da tre giorni a quella parte, dopo il confronto avuto con Elke che gli aveva lasciato uno strano amaro in bocca.

Non l’aveva più vista da allora, nonostante fosse passato spesso per lavoro davanti al convento, non l’aveva più incrociata. Né lì né in piazza. Non avrebbe dovuto importagli ma in realtà non riusciva a non pensare a lei e al modo in cui si erano rapportati dopo tre anni di lontananza. La verità era che si sentiva un perfetto idiota per come si era comportato con lei e da tre giorni a quella parte, ogni volta che teneva fra le mani un'ampolla d'acqua, provava il forte desiderio di andare in quel convento a portargliela. Si era comportato come uno stupido, aveva lasciato che arroganza e orgoglio avessero la meglio sulla ragione e su quello che provava per lei. Era rimasto ferito, durante il loro incontro, dal fatto che Elke avesse timore di lui e solo a mente fredda aveva capito che quella era stata una normale reazione di una ragazza sola, costretta a dormire al gelo di una piazza, senza alcuna protezione. Era la cosa più scontata del mondo che si fosse spaventata a trovarselo davanti, non si vedevano da tre anni e si erano lasciati in malo modo, cosa poteva pretendere da lei? Il loro secondo incontro era andato anche peggio, un po’ per colpa di Elke, un po’ per colpa sua che non aveva saputo reagire con lucidità. Sarebbe bastato così poco per chiarire, per calmare gli animi, forse. Con una fitta allo stomaco pensò a quanto fosse tutto più semplice e sereno fra loro fino a tre anni prima, al modo in cui Elke si era fidata di lui e gli era stata accanto in ogni cosa che facesse, ovunque lui la trascinasse. Ora era diverso, Elke non aveva più fiducia in lui, il legame che li aveva uniti si era spezzato e sicuramente, al momento, era arrabbiata. E non poteva darle torto, pensò sospirando.

Di malavoglia si mise in piedi, fuori ormai stava imbrunendo e presto per i suoi gusti sarebbe stato troppo freddo per uscire. C’era però una cosa che doveva fare, che faceva ogni anno il pomeriggio della Vigilia di Natale.

Si mise il mantello e dopo aver dato le chiavi della stanza al locandiere si avviò verso la grande Chiesa in piazza. Era sempre stato un orso, come diceva una volta Elke, e odiava trovarsi in posti con troppa gente e chiasso e per questo da molto non andava alla Messa di mezzanotte di Natale, ma ogni anno nel pomeriggio, quando la Chiesa era ancora quasi deserta, ci si recava ad accendere tre candele. Una per suo padre, una per sua madre e una per Jakob. Era un momento intimo, di preghiera e ricordo, in cui si isolava da tutti e pensava solo a loro e a quello che rappresentavano per lui. Lo faceva ogni anno a Pennes e non c'era motivo alcuno per non farlo a Bozen.

Camminò fra la neve che gli arrivava alle caviglie, provando piacere nel sentire il rumore degli stivali che affondavano in essa. Attorno c'era un piacevole via vai di gente infagottata in mantelli e cappucci e le torce accese ai lati delle strade infondevano una strana atmosfera di calore e pace. Quella era la magia del Natale che amava più di tutto, quel senso di benessere e attesa che pervadeva l'aria e gli animi delle persone, rendendole più bendisposte verso gli altri.

Quando arrivò in Chiesa si accorse che, rispetto a Pennes, c'erano più persone che andavano e venivano per portare offerte o pregare in raccoglimento, lontani dalla folla della notte. In fondo era normale, Bozen non era Pennes, era una città e ci vivevano molte più persone. Osservò quelle donne intente a portare fiori o qualche spicciolo, i bambini che sbirciavano dalla porta il grande Presepe all'interno della Chiesa e udì l'organo che suonava accompagnato dalle voci infantili del coro che stavano probabilmente preparando i canti per la Messa di mezzanotte.

Alzò le spalle, rassegnato al fatto che non sarebbe stato solo. Entrò, ammirando i dipinti alle pareti e la maestosità dell'altare, talmente grande che avrebbe potuto ospitare, da solo, tutta la Chiesetta di Pennes. Era bello nell'insieme, ma gli parve così lontano dalla semplicità e dai veri valori del Natale, che per un attimo si sentì un po’ perso così lontano dalle sue abitudini.

Nella Chiesa c'erano una ventina di persone che andavano e venivano e c'era abbastanza penombra per rimanere in raccoglimento senza che nessuno venisse a disturbare, soprattutto nelle ultime panche. Davanti all'altare scorse un gruppo di suore che seguivano le prove del coro e che muovevano la testa a tempo con l'organo suonato da un musicista talmente improvvisato da sbagliare una nota ogni cinque. La cosa lo divertì, tanto che per un attimo si sedette a una panca, pronto a mettersi a contare il numero di errori che lo sventurato avrebbe collezionato durante una singola esecuzione. Poi l'occhio gli scivolò al lato opposto della Chiesa dove un gruppo di ragazze tutte vestite di grigio parlottava fra loro, un po’ attente ai canti e un po’ perse nel loro mondo. Gli ci volle qualche istante per realizzare che indossavano la stessa divisa di Elke, lo stesso sgualcito vestito usato dalle ragazze sotto la protezione del convento. Il cuore gli accelerò. Se loro erano lì, c'era di sicuro anche Elke, che le piacesse o no dubitava avesse voce in capitolo sui luoghi da frequentare la Vigilia di Natale. Guardò le ragazze, una ad una, riconoscendo la piccoletta che aveva visto lavorare con Elke quattro giorni prima e l'altra ragazza, quella con la figlia piccola a cui aveva dato la statuetta.

"Dove sei?".

Osservò più attentamente e infine la vide. Se ne stava in disparte, in un angolo scuro in fondo alla Chiesa, appoggiata alla parete. Non sembrava desiderosa di chiacchierare con le altre e il suo sguardo pareva perso o forse semplicemente annoiato. Non si era accorta della sua presenza e difficilmente, in quella penombra, avrebbe potuto essere diversamente. Ma per fortuna lui sì, l'aveva vista e in cuor suo sapeva di esserne contento. Chiuse gli occhi, ringraziando la buona sorte che gliel'aveva fatta rincontrare, giurando a se stesso che avrebbe cercato di rimediare ai suoi errori. A tutti quanti.

Si alzò dalla panca, ormai dimentico della musica, avvicinandosi all'altare per accendere le sue tre candele. Rimase per alcuni istanti fermo, in meditazione, pensando al sorriso di sua madre, alla pacatezza di suo padre e agli anni trascorsi insieme a Jakob. Loro non c'erano più ma in quella Chiesa c'era qualcuno che, piano piano, era stato capace con dolcezza e pazienza di guadagnarsi un posto nel suo cuore e di diventare la sua famiglia.

Guardò le tre candele accese, salutando silenziosamente le tre persone per cui ardevano. Poi fece per andarsene, quando una voce lo bloccò. "Signore, siete forestiero, vero?".

Mattheus si voltò, trovandosi davanti il Parroco di Bozen, un uomo molto anziano dai capelli radi e bianchi come la neve, magro come un chiodo e ingobbito. "Scusi?".

"Non vi ho mai visto da queste parti" – rispose l'anziano prete.

Mattheus sbuffò. Non aveva tempo da perdere accidenti! "No, vengo dalla Val Sarentino e sono quì per lavoro. So' che non è la mia Chiesa ma ecco...".

"La Chiesa è di tutti, ognuno è il benvenuto qui. Rimanete pure quanto volete signore, è un piacere avervi fra noi. Ero solo rimasto incuriosito dalla vostra espressione. Sembravate un po’ perso".

Nonostante tutto, Mattheus annuì. "Forse un po’ lo sono per davvero" – sussurrò, stupendosi di quell'ammissione.

"Siete come alla ricerca di qualcosa, vero? Questo luogo è adatto a gente come voi".

Mattheus scosse la testa. "Non sono alla ricerca di qualcosa, io so cosa voglio. E forse è tempo che vada a prenderlo".

L'anziano prete scosse la testa. "Sembrate combattuto, c'è in atto una guerra in voi". Dalla tasca della sua veste tirò fuori una piccola ampolla contenente dell'acqua che gli porse. "E' acqua sacra signore, tenetela. A volte averla può essere d'aiuto".

Mattheus sorrise, osservando la piccola ampolla. "Ah, lasciate perdere caro padre. Vi assicuro che, in fatto di acque miracolose, nessuno ne sa più di me". Si alzò dalla panca, stringendosi nel mantello. "Vi ringrazio comunque, ma quell'acqua datela a chi è più bisognoso di me, per favore. Insieme a questi". Dalla tasca dei suoi pantaloni tirò fuori un sacchettino di pelle pieno di monete che lanciò al prete. "Buona fortuna padre".

Accigliato, l'uomo annuì, osservando il sacchetto fra le sue mani. "Buona fortuna a voi, signore. E grazie per la vostra generosità".

Mattheus fece per andarsene ma il suono dell'organo lo costrinse a fermarsi. "Caro padre, se volete un consiglio, cambiate l'organista! E' uno strazio sentirlo".

Il prete sospirò. "In effetti...".

Mascherando un sorriso, Mattheus ripercorse a ritroso la navata della Chiesa. Doveva trovare Elke e parlare con lei, quella poteva essere l'ultima occasione che il fato gli offriva.

Con sgomento, si accorse che la ragazza non era più nel punto dove l'aveva vista poco prima e si maledì per il tempo perso a parlare col parroco. Si guardò attorno, cercandola fra le altre ragazze che continuavano a chiacchierare e a far finta di sentire l'organista, ma non la vide. Eppure non poteva essersene andata, dubitava gli fosse permesso sottrarsi a quel luogo che, poteva scommetterci, le suore giudicavano tanto salutare per anime perdute come quelle ragazze.

A passo svelto uscì dalla Chiesa, sperando di trovarla fuori da qualche parte a prendere magari una boccata d'aria. Ormai era buio e il piazzale della Chiesa era quasi deserto, in attesa di ripopolarsi per la Messa di mezzanotte.

Si strinse nel mantello per ripararsi dal freddo pungente mentre morbidi fiocchi di neve gli solleticavano il viso. Si guardò intorno e infine la vide. Se ne stava seduta sull'ultimo gradino della scalinata, sola, intenta a fare una specie di pupazzo di neve . Pareva assorta in chissà quali pensieri e completamente catturata da quello che le sue mani facevano, affondate in quel gelido strato bianco. I suoi capelli erano chiusi in una coda bassa, poco curata e non indossava che l'abito logoro usato dalle altre ragazze nella sua stessa condizione. Si chiese se avesse freddo e perché rimanesse lì fuori da sola quando poteva stare dentro con le sue amiche, al caldo. A piccoli passi, con la neve che attutiva il rumore, scese uno ad uno gli scalini, arrivando alle sue spalle. Così vicino a lei, per un attimo gli parve tanto fragile e indifesa da rischiare di spezzarsi da un momento all'altro. "Ti ammalerai, se rimani quì fuori al freddo" – sussurrò infine.

Nonostante l'avesse presa di sorpresa, la ragazza non ebbe reazioni particolari. Si voltò verso di lui, accigliata, poi dopo un attimo si rivoltò e riprese a giocare con la neve.

Decise di non farsi intimidire da quella reazione tanto fredda. Elke probabilmente ce l'aveva a morte con lui e ne aveva mille buone ragioni. E per una volta, la prima in vita sua, doveva essere lui a chinare il capo e a fare il primo passo, senza che orgoglio e rabbia avessero la meglio. "Posso stare qui un attimo con te?".

"Con tutti i posti che ci sono..." - rispose, vaga.

Nonostante tutto, gli venne da sorridere a quelle parole. Si affiancò a lei, sedendosi accanto sul gradino. Elke si voltò, tirandogli un'occhiataccia seccata. Ma non si fece intimorire nemmeno in quel caso. "Che vuoi farci, sono un tipo dispettoso".

"Fa come ti pare".

"Che ci fai qui fuori? Non passerai dei guai se ti allontani?".

Sul viso di Elke comparve un sorriso freddo e distante. "Può darsi, ma mi stava venendo la nausea a star lì dentro ad ascoltare tutte quelle dannatissime canzoni che parlano d'amore e di pace e ho deciso che avevo bisogno di aria per non vomitare".

"Elke?". Mattheus si accigliò. Era strana, stranissima quella sera... Non era da lei parlare a quel modo e non gli appartenevano nemmeno quella freddezza e quel tono così distaccato. Stentava a riconoscerla. "In fondo non sono canzoni stupide se le si sa ascoltare, capire e se si riesce a trarne insegnamento. Alcuni ci riescono".

Elke sorrise di nuovo, mentre il suo sguardo si perdeva nella piazza. "Davvero? Strano sai, di solito la gente entra in Chiesa, sta ad ascoltare canzoni e parole sull'amore e sulla fratellanza, finge di crederci e poi una volta usciti, una volta varcata la porta, comincia a far male a chiunque gli capiti a tiro, a chiunque non giudicano degno di loro. Ma se tu credi a tutte le stupidaggini che dicono là dentro Mattheus, entra e restaci in Chiesa. E lascia in pace me!".

Mattheus sussultò. Elke aveva variato il tono di voce che si era fatto più alto ed acuto. Se qualcuno l'avesse sentita dire cose del genere, avrebbe passato dei grossi guai. Ricordava bene lo schiaffo che la suora le aveva dato pochi giorni prima davanti al convento, quando aveva coperto la fuga della sua amica con la figlia. E se quella suora si fosse trovata nei paraggi e l'avesse sentita pronunciare quelle parole, l'avrebbe riempita nuovamente di sberle senza pensarci su due volte. "Smettila, non dovresti dire cose del genere, cose a cui nemmeno credi".

"Dovresti rientrarci davvero in Chiesa, Mattheus" – proseguì lei, in tono monocorde, senza scomporsi.

"E invece resterò qua a capire cosa ti passa per la testa".

"Come vuoi" – rispose Elke, liquidandolo con un'alzata di spalle. "A tuo rischio e pericolo...".

"Che rischi starei correndo, scusa?".

A quella domanda, finalmente, Elke si voltò verso di lui. E solo in quell'istante si accorse di quanto il suo viso apparisse pallido e sofferente. "Stai qui, seduto accanto alla figlia del diavolo, in una città con mille occhi. Se la gente ti vede, penserà che sei amico del maligno e nessuno vorrà più concludere affari con te. E non credo che rischieresti i tuoi guadagni solo per fare dispetto a me".

"Elke, che cosa stai dicendo? Sei impazzita?".

La ragazza affondò ancora di più le mani nella neve, stringendola fra e dita. "Io sono la figlia del diavolo e ora chiamerò mio padre per bruciare tutto e tutti. E la gente ti vedrà qui con me e penserà che sei mio amico".

Mattheus spalancò gli occhi davanti a quelle parole senza senso. C'era qualcosa di oscuro che le annebbiava il cuore e l'anima e non era solo rabbia nei suoi confronti, Elke straparlava, non pienamente cosciente delle sue parole e delle sue azioni. La osservò meglio: i suoi occhi erano opachi, spenti e persi e sembravano non percepire appieno la realtà che la circondava, le sue parole erano deliranti e prive di logica ed era talmente pallida da sembrare un fantasma. Guardò le sue mani, ancora affondate nel gelo della neve, a modellare chissà cosa. Con un gesto veloce e deciso le afferrò il polso per costringerla a smettere. "Ora basta, ti congelerai!".

A quel gesto, finalmente Elke ebbe una reazione. Con uno strattone allontanò la sua mano e poi gli piantò addosso due occhi talmente pieni di rabbia che per un attimo ne fu intimorito. "Non mettermi le mani addosso".

"Elke!".

"Non mi devi toccare. Nessuno mi deve toccare".

Al diavolo, non lo avrebbe fatto, non l'avrebbe ascoltata per tutto l'oro del mondo. Era terribilmente preoccupato per lei, quella che aveva davanti non era la sua Elke e si rifiutava di credere che fosse tanto cambiata nel giro di pochi giorni. Cosa le prendeva, cosa le passava per la testa? "Ho detto di finirla!". Allungò il braccio, prendendole nuovamente la mano e costringendola ad allontanarsi dalla neve.

Elke strinse i denti, impallidendo. "Lasciami, mi stai facendo male".

"Cosa?". Fu allora che se ne accorse. La sua mano, che ricordava dalla pelle liscia e candida, era violacea e percorsa da un fitto reticolato di abrasioni ed escoriazioni, non c'era un solo lembo di pelle che non fosse martoriato. "Che diavolo...?". Si alzò in piedi, costringendola a fare altrettanto. "Cosa ti sei fatta?". Come un fulmine capì. Non era rabbia quella che l'aveva cambiata così tanto ma dolore fisico, che leggeva in ogni sua parola ed espressione. "Elke?". Fece per bloccarla sfiorandole la schiena e la ragazza chiuse gli occhi per una fitta di dolore. Il fiato gli si fermò in gola davanti a quella reazione.

Il suo sguardo si incupì e, dopo averle lasciato la mano si spostò di lato, osservandole la schiena. Non poteva vedere molto, solo la scollatura del colletto gli permetteva di vedere un lembo di pelle del collo, ridotto come le mani, pieno di tagli e lacerazioni infette. Era qualcosa di talmente terribile che gli si contorse lo stomaco. Qualcuno, per qualche assurdo motivo, l'aveva torturata e frustata forte, molto forte. Come da bambina, quando suo padre l'aveva massacrata a suon di cinghiate in una notte di Natale. Quell'esperienza Elke non l'aveva mai davvero superata e ora che l'aveva rivissuta non aveva idea di quali cicatrici avesse lasciato nel suo animo. "Chi ti ha fatto una cosa del genere?" - sussurrò, sfiorandole la nuca e stringendola a se. Le accarezzò i capelli e stranamente Elke non fece obiezioni, abbandonandosi contro di lui a peso morto, sfinita. Le diede un bacio sulla fronte e si accorse che era bollente. Le ferite dovevano essersi infettate ed Elke aveva la febbre altissima, sembrava andare a fuoco. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuta ebbe paura per lei, per la sua salute, paura di perderla davvero e per sempre. "Elke, sta tranquilla, ora risolveremo tutto. Starai bene". L'avrebbe curata. E poi avrebbe ucciso chi le aveva fatto tanto male.

Col viso chino, tanto che era impossibile capire se stesse piangendo, Elke gli strinse la stoffa del mantello. "Mattheus, tu sei ancora uno stregone, vero? E sai fare tutto?".

Non capiva il perché di quella domanda ma decise di assecondarla. Aveva la febbre alta, straparlava per il dolore e difficilmente avrebbe potuto sostenere con lei un dialogo sensato. L'unica cosa che poteva fare in quel momento per lei era cercare di assecondarla e tranquillizzarla. "Più o meno".

"E allora fammi sparire. Non voglio più esistere".

A Mattheus si strinse il cuore, dolorosamente, a quelle parole. Le sfiorò i capelli, accarezzandoli piano, con una dolcezza di cui non si sarebbe mai creduto capace. Gli atteggiamenti disfattisti di chi si piange addosso lo irritavano da sempre ma non in quel caso. Elke era la persona più solare, dolce e pulita che avesse mai incontrato e per arrivare a quelle parole doveva esserle stato fatto molto male. L'avevano spezzata, distrutta e quei segni sul suo corpo erano lì a testimoniarlo inequivocabilmente. Non si stava auto commiserando, desiderava davvero sparire. Forse lui, nei suoi panni e con le medesime esperienze, lo avrebbe desiderato prima, non avrebbe retto così a lungo. Ma nonostante questo non glielo avrebbe permesso. "Se sparisci, io cosa faccio poi? Dove la trovo un'altra assistente brava come te?" - le sussurrò all'orecchio.

"Ti prego".

"No, mi dispiace".

Elke alzò lo sguardo. I suoi occhi erano opachi e persi e la sua fronte era madida di sudore, a dispetto della neve e del freddo che li avvolgevano. "Sei un bugiardo. Mi avevi detto che mi avresti protetta sempre".

Mattheus chinò lo sguardo, vinto dai sensi di colpa. Era vero, le aveva fatto mille promesse e non ne aveva mantenuta una, aveva lasciato che il suo passato e i suoi rancori avessero la meglio, allontanandola da lui. E poi aveva permesso all'orgoglio di impedirgli di cercarla, di chiederle scusa e di riportarla a casa, al sicuro. "Mi dispiace" – sussurrò.

"Elke! Dannata strega, cosa stai facendo con quell'uomo?".

Una voce sgradevole, irosa e piena di risentimento li raggiunse, facendo sussultare entrambi. Mattheus avvertì il corpo di Elke tremare e si voltò, trovandosi davanti la suora che pochi giorni prima aveva visto prendere a schiaffi Elke. Li guardava dall'alto della scalinata, appena fuori il portone della Chiesa. La sua faccia era rossa d'ira e sembrava sul punto di scoppiare. Strinse Elke a se per impedirle di scostarsi da lui, deciso a proteggerla. Sul serio questa volta.

La suora scese uno scalino, poi un altro ancora, lentamente, stringendo convulsamente le mani. "Signore, mi dispiace, quella è una creatura del demonio. Sta tentando di sedurvi col suo fascino oscuro, scostatevi da lei e mettetevi in salvo. Le ho tentate tutte con lei per riportarla sulla retta via, ma resiste". Guardò Elke, piena di risentimento e rabbia. "Nemmeno le frustate dell'altro giorno sono servite, vero Elke? Nonostante questo ci ritenti, fuggi da una Chiesa e seduci un uomo davanti all'entrata della casa di Dio. Che tu sia maledetta".

A quelle parole Mattheus si scostò di colpo da Elke. Non aveva mai provato tanta rabbia e odio verso una persona come li stava provando in quel momento. Alzò il mento della ragazza, delicatamente, costringendola a guardarlo in viso. "E' stata lei a frustarti? Elke, rispondimi!".

Gli occhi di Elke si inumidirono ed annuì con un impercettibile cenno del capo.

"Io la uccido!".

"Mattheus, no...".

Non ci vide più dalla rabbia ed Elke non avrebbe potuto fermarlo in nessun modo. Quella dannata donna aveva osato torturare, ferire ed umiliare la persona più dolce e gentile che quelle montagne avessero mai visto nascere sulle loro vallate e lui gliel'avrebbe fatta pagare. A grandi falcate salì le scale della Chiesa, avventandosi contro l'anziana suora che, presa alla sprovvista, non riuscì ad indietreggiare. La prese per il bavero, attirandola a se, viso a viso. "Elke non è né una creatura del demonio né una strega, ve l'assicuro. Ma io invece sono uno stregone, conosco la magia e so usarla a mio piacimento. Ne volete una dimostrazione? E dopo che ve l'avrò data, frusterete anche me? Avrete lo stesso coraggio davanti ad una persona che ha i mezzi per difendersi?". Senza aspettare una risposta alzò la mano puntandola verso il soffitto del colonnato e richiamò a se l'energia del vento, del gelo, del ghiaccio e della neve. Sentiva scorrere nelle sue vene una furia che non aveva provato nemmeno davanti al corpo inerte di Jakob, dopo che era stato colpito a morte dal demonio. Nubi di fumo gelido scaturirono dalle sue dita e grosse stalattiti di ghiaccio si formarono sul soffitto del colonnato, sulle loro teste, crescendo e puntando dritte con le punte verso il volto della suora.

"Mattheus, ti prego!".

La voce di Elke, alle sue spalle, gli apparì terrorizzata e suo malgrado dovette fermarsi, per lei. Si arrese, abbandonando i suoi propositi. Voleva davvero uccidere quella suora, ma ora Elke era la sua priorità, doveva fare in modo che stesse bene ed eventualmente rimandare la vendetta a un secondo momento, se era quello che lei voleva. Strinse i pugni e poi rilasciò le dita lentamente, bloccando le stallatiti di ghiaccio pochi istanti prima che bucassero il collo della donna. La prese per il colletto, di nuovo, avvicinando ancora di più il viso al suo. "Solo un gesto, una parola fuori posto contro Elke o qualsiasi altra ragazza che alloggia da voi e sarete morta. Ricordatevelo bene la prossima volta che deciderete di metterle le mani addosso, ci metto un attimo, uno schiocco di dita a tagliarvi il collo. Qualsiasi cosa farete, io la saprò. Ci siamo capiti?".

Pallida come un cencio, la donna annuì senza trovare fiato per parlare. Indietreggiò, incespicò sui suoi passi e cadde col sedere a terra. "S... Si signore".

"Bene. E ora da brava, tornate in Chiesa ad ascoltare le vostre canzoni e lasciate in pace Elke" – disse, in tono gelido, non togliendole gli occhi di dosso.

La suora annuì goffamente, si rialzò e poi corse dentro la Chiesa come gli era stato ordinato. E nel piazzale tornò il silenzio.

Mattheus corse da Elke che, esausta, si era appoggiata ad una delle colonne della Chiesa. "Tutto bene?".

La ragazza alzò lo sguardo su di lui, poi con sua grande sorpresa scoppiò a ridere. "Mi ucciderà per questo! Ma averla vista tanto spaventata ne varrà la pena".

Avrebbe dovuto sentirsi sollevato dal vederla ridere ma non lo era. Non era una risata felice, allegra, quella di Elke, quanto una reazione spropositata dettata da uno stato psicologico gravemente alterato. Non era in se in quel momento e sentì che doveva portarla via da lì il prima possibile. "Cerca di stare tranquilla, per favore. Dobbiamo andarcene da quì" – le sussurrò, accarezzandole una guancia.

Elke smise immediatamente di ridere. "Andare dove?".

"Alla mia locanda, così potrò curarti. Credi di farcela a camminare un pochino? Ti porterei in braccio ma ho paura di farti male alla schiena".

"Perché vuoi curarmi?".

Mattheus scosse la testa. Non si fidava di lui, non completamente almeno. "Come puoi chiedermelo? Non esistono perché, ti curerò perché è quello che desidero fare. Fidati di me, ti prego. Anche solo per una volta". Gli porse la mano, lei non sembrava troppo convinta ma cedette. Le loro dita si intrecciarono, come non succedeva da tanto tempo e strinse la presa, lentamente. "Andiamo?".

Elke si voltò verso l'ingresso della Chiesa dove si era rifugiata la suora che l'aveva frustata, quasi ponderasse il pericolo che correva ad allontanarsi. Ma poi annuì. "Andiamo" – sussurrò, in modo stentato.

"Vieni". Le strinse delicatamente la mano, piano per non farle male, poi fecero alcuni passi ma Elke si fermò quasi subito. Si voltò verso di lei e vide che piangeva. "Cosa c'è?" - chiese, preoccupato.

"Io... Io non posso venire e ora ti arrabbierai".

Mattheus sospirò, alzando una mano ad accarezzargli una guancia. Stava male, era poco lucida e molto vulnerabile, questo era evidente. L'unica cosa che poteva fare, al momento, era cercare di tranquillizzarla di nuovo. "Non mi arrabbierò, perché dovrei farlo? Su, sta tranquilla".

Elke scosse la testa, continuando a piangere silenziosamente. "Ma io sono stanca, non riesco a camminare. E tu ti arrabbiavi quando te lo dicevo, a Pennes. Però mi fa male dappertutto e...".

Si sentì un idiota, era talmente evidente che non poteva farcela, era a pezzi e ogni passo doveva costarle sofferenze atroci. Annuì e senza dire nulla le cinse la vita, la attirò a se e la prese in braccio. Solo in quel momento si accorse di quanto era magra e leggera. Lo era sempre stata ma non così, non da sentire le ossa sotto le sue mani. Tentò di essere il più delicato possibile per non tormentare ulteriormente la sua schiena ma non c'erano alternative. Elke non ce la faceva, non poteva farcela! "Io borbottavo con te quando ti lamentavi per niente perché sapevo che non eri poi così stanca come affermavi. Ma non è questo il caso, giusto?" - disse, strizzandole un occhio. "In fondo non è male portarti in braccio, mi fa sentire quasi un principe azzurro nobile e fiero che porta in salvo la principessa. Che ne dici, mi trovi credibile in questo ruolo?".

A dispetto di tutto, ancora incredula e con le guance segnate dalle lacrime, Elke scosse la testa e lo guardò storto. "Per niente" – borbottò.

Mattheus sorrise. Sembrava divertita e questo era un bene. "Fingerò di non aver sentito. Ma tu fammi un piacere ora, cerca di non dormire. Arrivati alla locanda devo medicarti e ho bisogno della tua collaborazione per farlo".

Elke annuì, affondando il viso nel suo petto. Mattheus sospirò, poco convinto del fatto che sarebbe riuscita a star sveglia, ma lui sapeva che se si fosse addormentata, poi non avrebbe avuto il coraggio di svegliarla. "Vuoi che ti racconti qualche barzelletta per aiutarti a stare sveglia? Sono bravissimo a raccontarle".

"No, ti prego".

"Ti ricordavo più simpatica e ironica".

Elke alzò gli occhi su di lui, lanciandogli un'occhiataccia. "Io ti ricordavo con un pessimo carattere. E mi sembri anche peggiorato".

Mattheus sostenne il suo sguardo. "Attenta, potresti cominciare ad assomigliarmi, ci sei molto vicina". In realtà, nonostante fosse una conversazione assurda e illogica, fatta unicamente per tentare di tenerla reattiva, si stava divertendo a stuzzicarla come una volta. E si sentiva sollevato dal fatto che comunque Elke non fosse totalmente inerme, ma anzi, avesse mantenuto il suo carattere combattivo. Forse non tutto era perduto

Calò il silenzio. Camminò svelto fra i vicoli, superando la piazza, diretto alla sua locanda. Spesso aveva dovuto soccorrere gente malata o ferita in passato ma mai gli era capitato di portare in braccio una ragazza bisognosa di cure. Nonostante questo non gli pesava, però. Elke era leggerissima, tanto che la sua mente non riusciva a smettere di interrogarsi incessantemente su quanto fosse denutrita. L'avrebbe curata e poi l'avrebbe costretta a mangiare, questo era certo! "Oggi hai pranzato?".

Da Elke non venne nessuna risposta.

Mattheus abbassò lo sguardo, accorgendosi che dormiva. O aveva perso i sensi, era difficile stabilirlo. Con un sospiro si arrese all'idea di dover fare tutto da solo, senza la sua collaborazione. Ma forse era meglio così, per lei, avrebbe sofferto meno. Abbassò il mento per sfiorarle la fronte ed era ancora più calda di prima. La strinse a se e Elke, nell'incoscienza, prese fra le mani la stoffa del suo mantello. Il suo respiro era affannato e il suo corpo era percorso da brividi di freddo dovuti alla febbre. Mattheus accelerò il suo passo, superando a grandi falcate la piazza e immettendosi nella via dove alloggiava.

Giunse alla locanda mentre il campanile rintoccava le sette di sera. Bozen era avvolta dal buio e la neve che cadeva sempre più insistente attutiva ogni rumore.

Appena entrato andò dal locandiere per prendere la chiave della sua stanza.

L'uomo lo osservò accigliato, poi spalancò gli occhi per la sorpresa, appena ebbe visto Elke. "Signore, quella ragazza..." - biascicò, indicandola – "E' albina".

"Lo so, non sono cieco" – rispose, seccato. Se quella sera qualcuno avesse osato dire qualcosa di offensivo su Elke, l'avrebbe ucciso in qualche modo molto doloroso. "Oltre al colore dei suoi capelli, vi siete accorto anche che è ferita ed è bisognosa di cure?".

"Signore, non potete tenere quella ragazza qui, è il male".

Mattheus piantò gli occhi su di lui, uno sguardo talmente gelido e tagliente che il locandiere, un omino basso mezza tacca e dalla corporatura tozza, fu costretto ad indietreggiare. "L'unico male che aleggia qui è quello che vi faranno i miei pugni se non la smetterete di dire sciocchezze. Questa ragazza è mia ospite, pagherò di persona le spese per la sua permanenza e PRETENDO venga trattata con ogni cortesia e rispetto. Chiaro?".

Il locandiere deglutì. "Certo signore".

"Bene". Mattheus prese la chiave della sua camera e poi vi si precipitò, con Elke fra le braccia. Chiusa la porta, la adagiò sul letto delicatamente, a pancia all'ingiù, senza che la ragazza desse alcun segno di volersi svegliare.

Accese il camino per scaldare l'ambiente, prese le ampolle dell'acqua del lago che aveva tenuto di scorta e le appoggiò sul comodino accanto al letto. Per prima cosa doveva curarle le ferite e poi cercare di farle bere dell'acqua magica per farle scendere la febbre. Deglutì, sentendosi stupidamente in imbarazzo. Aveva curato spesso persone gravemente ferite, togliendo loro gli abiti anche in situazioni difficili e ben più disagevoli di quella che stava vivendo in quel momento, eppure ora era diverso, era Elke che doveva curare, era Elke a cui doveva togliere i vestiti e Elke era la persona che desiderava più al mondo. Contro ogni logica, contro ogni suo volere, irrazionalmente era lei che desiderava avere a fianco ed era lei l'unica casa e l'unica famiglia che volesse davvero. Prese fra le mani un'ampolla, rigirandosela sul palmo della mano. Non avrebbe mai voluto usarla per Elke, odiava il fatto che fosse ferita e bisognosa di cure e avrebbe preferito essere al suo posto piuttosto che vederla in quello stato. Scosse la testa, deciso a mettere fine ai suoi pensieri. Se voleva davvero aiutarla, doveva darsi da fare

Annullò ogni pensiero nella sua mente, ogni turbamento, convincendosi a fatica che stava curando una delle tante persone qualunque con cui si imbatteva da anni. Sbottonò delicatamente i bottoni sulla schiena del vestito di Elke e poi glielo sfilò, attento a non svegliarla. E poi fece lo stesso con la sgualcita sottoveste, macchiata di sangue incrostato. "Avrei desiderato farlo in ben altre occasioni, Elke" – le sussurrò piano, stupendosi di quella frase che forse non aveva mai avuto il coraggio di formulare nemmeno a se stesso. La desiderava, non solo per farle compagnia a Pennes e per averla accanto come assistente ed apprendista, la desiderava come un uomo desidera una donna, avrebbe voluto che stesse bene, che fosse sveglia e che il tempo in quella stanza l'avessero impegnato ad amarsi su quel letto e non a curarla e a tentare di salvarla.

Ma quei pensieri dolci ed improvvisi finirono anche troppo in fretta, appena la vide davanti a se, senza abiti addosso. Gli si mozzò il fiato quando vide lo stato della sua schiena, ferita ancor peggio di quanto avesse immaginato. Profondi tagli la solcavano dall'incurvatura delle spalle e dal collo fino alla vita, un intreccio di lacerazioni e ferite che si incrociavano fra loro come una fitta ragnatela. La pelle era viola, piena di sangue rappreso e di pus e stentava a vedere delle parti sane. Si chiese come avesse fatto a sopportare la camminata con le altre ragazze e le suore fino alla Chiesa e come fosse riuscita a non urlare dal dolore. "Oh Elke...".

Aveva sempre identificato il male con la figura di Lucius, coi suoi trucchetti, con i suoi omicidi, con le sue macchinazioni, ma ora si rendeva conto che il vero male era altro, era qualcosa di informe, viscido, che corrodeva come la peste l'animo delle persone e le rendeva capaci di compiere atti atroci come quello di ferire gravemente una persona inerme e incapace di difendersi. Il vero male erano quelle ferite sul corpo di una ragazza che fin dal suo primo vagito aveva sopportato ogni sopruso e violenza senza che avesse fatto nulla per meritarselo, inferte da chi pensava di essere migliore di lei e che aveva la presunzione di ergersi a giudice. Il vero male non era Lucius, ma il modo in cui le persone permettevano al demonio di entrare in loro, di corrompere i loro animi per far del male al prossimo traendone godimento.

Guardò Elke, esanime su quel letto. Da quando l'aveva conosciuta non l'aveva mai vista piangere o piangersi addosso per la sua vita, non aveva mai mostrato le sofferenze e le cicatrici che si portava dentro ma al contrario, era sempre stata dolce e gentile, sorridente e solare. Eccetto la notte di Natale di tre anni prima, mai gli aveva mostrato il suo dolore, gli strascichi del suo passato e cosa provasse realmente. E lui, stupidamente, non se l'era nemmeno mai chiesto, troppo convinto di sapere tutto dalla vita e che bastassero un paio di battute e la sua conoscenza a risolvere tutto. Si rese conto che non aveva capito niente. Anche lui era stato presuntuoso e superficiale, arrogante e convinto di saperne più di lei. Doveva essere il suo maestro ma era stata Elke ad insegnargli tanto della vita, forse ancor più di Jakob.

Aprì un'ampolla e poi fece scivolare delicatamente sulla schiena di Elke l'acqua, tamponando con un panno pulito ogni ferita, ogni lacerazione e tutti i lividi che le coprivano la pelle. "Ti prego Jakob, fa in fretta, guariscila! Non sopporto di vederla così".


"Credi davvero che basterà la mia acqua a guarirla?".


Mattheus sussultò. Era la prima volta che sentiva così vividamente la voce di Jakob in faccende che non lo riguardavano in prima persona. Mai il suo maestro era intervenuto per parlargli di Elke e per consigliarlo sul da farsi, aveva sempre taciuto e negato consigli sul suo rapporto con la ragazza albina. Così come sul legame avuto con Jutta. "Jakob... Cosa devo fare?".


"Le sue ferite peggiori non sono quelle che vedi sul suo corpo e che stai curando con l'acqua, lo sai anche tu. Mattheus, questa ragazza è pericolosamente vicina a un punto di rottura con quello che è stata e quello che potrà essere. L'hanno spezzata, ferita talmente nel profondo che non potrà mai essere quella di prima e non basterà un po d'acqua per sistemare le cose, stavolta".


"Ti sbagli, tu non la conosci, non sai quanto sia forte".


"Quando a qualcuno si continua a ripetere che è cattivo, finirà col diventarlo per difendersi. Per quelli come lei in fondo, che differenza c'è fra essere brave persone o pessimi individui? Non cambia nulla negli occhi di chi li guarda".


"Elke è una brava persona e non cambierà, non ne sarebbe capace! Tu non la conosci ma lei è... è...".


"La ami?".


Mattheus strinse i pugni, messo di fronte a quella domanda così diretta. Guardò Elke dormire, così inconsapevole di quello che la circondava in quel momento. E nonostante fosse ferita, pallida, smunta e spettinata, gli sembrò la donna più bella che avesse mai visto e l'unica che desiderasse avere vicino. "Credo di si".


"Credi o ne sei sicuro? Perché non è un gioco, Mattheus".


"Ne sono sicuro". Lo era, davvero! E in fondo ammetterlo era più facile di quanto avesse mai pensato.


"E allora basta giocare, ragazzo! Sei un uomo, dimostralo e fai quello che devi, con lei. Forse è troppo tardi per questa ragazza, ma non avrai rimpianti, quanto meno".


Mattheus annuì. Già, era ora di smetterla di giocare e di riaprire il suo cuore e la sua vita a qualcuno, dopo che per tanti anni non aveva desiderato altro che la solitudine. Dopo la morte dei suoi genitori e di Jakob aveva deciso che non era fatto per soffrire la perdita di qualcuno e che l'unico modo per evitare che accadesse di nuovo era rimanere solo, senza legami. Suo malgrado, Elke aveva rivoluzionato tutto il suo mondo e ora non aveva altre strade da percorrere se non quelle che portavano a lei. Era stato qualcosa di irrazionale affezionarsi a lei, volerle bene, qualcosa di talmente naturale che la sua mente, le sue decisioni passate e la sua logica di pensiero erano state zittite senza rimedio. Irrazionale... In fondo non c'era definizione migliore dell'amore, pensò. Certo, rimaneva il fatto che Elke aveva mille ottime ragioni per odiarlo e probabilmente l'avrebbe rifiutato, ma doveva davvero tentare, non se lo sarebbe mai perdonato in caso contrario. "Jakob, lei ti piace?".


"Stai cercando la mia approvazione? Non deve piacere a me...".


"Rispondi!".


"No, non ti rispondo perché se la ami davvero, del mio parere non te ne faresti niente".


A quella risposta tanto tipica del suo maestro, sorrise. La voce di Jakob nella sua mente pian piano scemò, lasciandolo di nuovo da solo con Elke. Finì di medicarle la schiena, attento a non svegliarla e poi le prese le mani fra le sue, bagnandole a loro volta con l'acqua del lago. Vide le ferite richiudersi e la pelle da viola tornare gradatamente rosa e candida. Ogni segno sulla sua pelle sparì, come se non fosse mai esistito. Infine prese una calda e morbida coperta di colore rosso acceso dall'armadio, coprendola per difenderla dal freddo. Si chinò su di lei, le sollevò leggermente il viso e fece scivolare da una delle ampolle rimaste, fra le sue labbra, alcune gocce di acqua del lago.

E alla fine di tutto, esausto, si stese accanto a lei, accarezzandole i capelli piano. "Sai Elke, io mi sono sempre fidato di Jakob e delle sue parole. Ma ora no, ora voglio fidarmi di te. Non darla vinta a quelli che ti hanno fatto del male, so che puoi farlo, che sei abbastanza forte per superare tutto senza perdere te stessa. Non darla vinta a nessuno, non darla vinta a gente come me...".








Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo ventitre ***


Si risvegliò di colpo quando le campane suonarono le dieci. Non si era accorto di essere tanto stanco e nemmeno di essersi addormentato accanto ad Elke dopo averla curata.

Ancora mezzo stordito si stiracchiò, guardandosi attorno con aria confusa. Fuori dalla finestra poteva vedere la neve che scendeva incessantemente imbiancando la città, dandole luce e vita in quella notte di Natale.

Mancavano solo due ore alla mezzanotte e dalla strada cominciavano ad arrivare voci e schiamazzi di chi, incurante del gelo e della forte nevicata, si cominciava ad avviare verso la Chiesa per prendere parte alla Messa.

Sospirando e ricordando quanto successo poche ore prima proprio in Chiesa, abbassò lo sguardo su Elke che ancora giaceva priva di sensi sul letto, avvolta nella coperta rossa che le aveva messo addosso dopo averla curata con l'acqua del lago. Non si era mossa per niente e la sua espressione era stanca ma sembrava anche distesa, nonostante tutto. Sapeva che stava meglio, le ferite sul suo corpo erano scomparse e la sua fronte non scottava più, ma era cosciente di quanto la sua mente fosse scossa e di quanto fosse stata fuori di sé fino a poco prima. Certo, poteva essere stato a causa della febbre e del dolore, ma era anche consapevole del fatto che Jakob aveva ragione, le ferite interne, quelle della sua anima, sarebbero state più difficili da curare.

Si sedette, piegando le ginocchia sotto al mento. Con la mano, distrattamente, le sfiorò i capelli ancora richiusi in quella coda di cavallo malfatta, finché non la sentì gemere e lamentarsi. "Elke?".

La ragazza mugugnò qualcosa, poi aprì gli occhi con aria spaesata. Il suo sguardo era vago e confuso, come se faticasse a capire dove si trovasse in quel momento.

"Come ti senti?".

Elke lo fissò per alcuni istanti, poi si guardò, accorgendosi di essere senza vestiti e avvolta in una coperta. La sua espressione si fece sospettosa ed allarmata. "Che cosa...?".

Assolutamente tranquillo, Mattheus alzò le spalle. "Dovevo medicarti la schiena, con gli abiti addosso mi sarebbe stato impossibile".

Gli occhi di Elke si assottigliarono. "Non avresti dovuto farlo! Che ore sono, da quanto sono qui?".

Il tono di voce di Elke era ancora freddo ed impersonale. Deglutì. "Mancano meno di due ore alla mezzanotte".

La ragazza spalancò gli occhi, come colta da un attacco di panico. "Dannazione, dannazione! Come hai potuto tenermi qui fino a quest'ora? Devo tornare in Chiesa o...".

Fece per alzarsi, ma con una presa ferma sul suo polso la bloccò, costringendola a sedersi di nuovo. "Tu non vai da nessuna parte. Eri piuttosto malconcia fino a poco fa, avevi la febbre alta e le ferite sulla schiena si erano infettate. Ti ho curata ma ora resterai qui finché non ti sarai ripresa del tutto".

Lo sguardo di Elke si piantò su di lui con una ferocia che in qualche modo lo spaventò. Non la conosceva, non sotto quell'aspetto.

"Quello che faccio non è affar tuo, Mattheus! Per colpa tua sono nei guai, di nuovo!".

"Che cosa avrei dovuto fare, lasciarti ferita e febbricitante davanti a quella Chiesa?".

"Sì, esattamente! E' quello che io del resto avrei fatto con te se le parti fossero state invertite. Non hai nessun dovere verso di me e io voglio che tu mi lasci in pace".

Lo disse con una freddezza e una noncuranza che lo ferì. "Non ti credo" – rispose, con una nota di incertezza nel tono di voce.

"Non mi interessa! E ora dammi i miei vestiti".

"No".

Davanti alla sua fermezza, Elke si strinse nella coperta, sospirando. "Vedo che la testa dura non l'hai persa".

Mattheus annuì. "E non ho intenzione di perderla nemmeno in futuro. Per favore, resta qui al caldo e al sicuro, hai bisogno di riposo e se esci ora ti ritornerà la febbre. Eri ridotta davvero male Elke, se non ti avessi curata avresti potuto rimetterci le penne".

La ragazza si guardò le mani, quasi incredula di rivederle di nuovo sane, stringendo poi i pugni con forza. "Non ci avrei rimesso le penne, non sono così fortunata. Sarebbe stato ironico se fossi morta, sarebbe stato il primo favore di suor Faustine. E lei non mi farebbe nessun favore, te lo assicuro!".

Mattheus si oscurò a quelle parole. "Non dire mai più una cosa del genere!" - disse in tono secco ed irritato. Non le avrebbe MAI permesso di pensare e sperare in una cosa del genere!

Anche lo sguardo di Elke si fece duro. "Come puoi dirmi cosa sperare e cosa volere per me stessa? Cosa ne sai di quello che si prova ad essere me? Cosa ne sai del dolore che si sente quando con una cinghia ti lacerano la carne e colpiscono, colpiscono senza pietà anche se urli, piangi e implori di smettere? Cosa ne sai di come si sta al mondo quando tutti ti guardano come se fossi la peggior creatura degli inferi? Cosa ne sai di come vive una persona che non avrebbe dovuto nemmeno nascere e che non è mai stata accettata nemmeno dai suoi genitori? Cosa ne sai di cosa si prova quando sai che al mondo non c'è nessuno che combatterebbe per te, che tiene a te e che correrebbe in tuo aiuto quando ne hai bisogno? Quando saprai rispondere a tutte queste domande, Mattheus Hansele, allora forse ascolterò una tua paternale".

Si morse il labbro. Perché non aveva idea di cosa dire, Elke aveva ragione, lui non sapeva nulla. "E' vero, non so niente di queste cose e da stupido non ho mai cercato di capirle quando ne avevo l'occasione. Dimmelo per favore, spiegami cosa si prova ad essere te!".

"Che ti importa?".

"Mi importi tu!". Perché negarlo ancora a se stesso e soprattutto a lei? La stava perdendo per sempre e doveva lottare per riaverla, mettendosi a nudo come non era mai stato capace di fare.

Elke però non parve molto colpita da quelle parole. Scosse la testa, stringendosi nella coperta. "Mi hai sempre mentito e lo stai facendo anche adesso. Avete sempre mentito tutti! A nessuno importa di me e sicuramente tu non sei un'eccezione".

"Elke ti prego!". Alzò la mano ad accarezzarle la guancia, in un gesto istintivo. Sapeva che non si fidava di lui ed era consapevole che ne aveva mille buoni motivi, ma non poteva accettarlo. "Io non ti ho mai mentito e tu lo sai. Io, Falko, Drago e Jutta ti abbiamo sempre voluto bene. Non puoi pensare sul serio che non ci sia mai importato di te".

Al sentire quei nomi, Elke impallidì. "Ti prego Mattheus, non farmi questo, smettila di dire cose in cui nemmeno credi perché la tentazione di illudermi che siano vere è troppo forte per combatterla. Non hai mai creduto in me, lo hai detto pure tu quel giorno che non avevi alcun motivo per pensare che non fossi la figlia del diavolo, visto che tutti affermavano il contrario".

Mattheus si morse il labbro. Ricordava bene quelle parole e la sua rabbia nel pronunciarle. Era fuori di se quel giorno, aveva bisogno di sfogarsi e lo aveva fatto con la persona che meno se lo meritava, ferendola di proposito. "Elke, scusami".

La ragazza scosse la testa. "Non è necessario scusarsi, non ha importanza. E' passato tanto tempo e ormai ci sono talmente abituata che non mi importa più. E' sempre così, sarà sempre così per me e tu sei solo uno dei tanti, Mattheus. Prima volevi sapere cosa si prova ad essere me, giusto? E allora te lo dirò, visto che sembri tenerci tanto". Alzò gli occhi al soffitto, osservandolo distrattamente. "E' come vivere perennemente in una bolla di sapone, Mattheus. Il mondo sta di fuori, quelli normali e sempre nel giusto son tutti lì, vicini a me ma allo stesso tempo lontani ed irraggiungibili. Io non posso uscire da quella bolla perché non potrò mai essere come gli altri ma voi invece certe volte riuscite a raggiungermi ed arrivate a me per ferirmi, umiliarmi e poi vi voltate e riprendete a condurre le vostre vite perfette. La bolla di sapone mi isola ma non riesce a proteggermi, mai. Ecco come mi sento Mattheus, sei soddisfatto ora?".

"No". Non lo era, si sentiva uno schifo ora che aveva udito quelle parole. Era stata sincera Elke, lo sapeva, lo aveva percepito nella nota di dolore di ogni singola sua frase. Tre anni prima non aveva compreso appieno quanto l'avesse ferita, aveva preferito pensare che quella di Elke fosse stata una reazione infantile ed esagerata ad un semplice litigio, ma non era così, ora ne aveva la piena consapevolezza, ora sapeva cosa voleva dire essere una persona albina. Essere Elke significava vivere avendo come uniche compagne paura e solitudine, significava venire picchiati e frustati senza motivo e senza che nessuno muovesse un dito per aiutarti, significava desiderare di morire perché a un certo punto, superato un certo limite, tutto diventa insopportabile. "Ti sentivi così anche a Pennes, quando vivevi con me e i gemelli?".

"No, forse con voi non era così. Sai, io...". Le tremò la voce, quasi facesse violenza a se stessa per non piangere. "Io volevo solo avere una mamma che mi stesse vicino e mi insegnasse tutto quello che sapeva fare lei, volevo un papà forte che ogni tanto mi prendesse fra le braccia per proteggermi, volevo giocare con le mie sorelle, volevo crescere e magari innamorarmi di qualcuno. Avrei voluto, come tutte le donne, desiderare un figlio un giorno e non sentirmi così, con la consapevolezza che non posso permettermi di averne perché l'unico modo in cui un uomo si avvicinerebbe a me è con la violenza e perché il mio bambino potrebbe nascere albino. Non sarò e non saprò mai fare la madre, visto che nessuno mi ha mai insegnato come si fa".

Mattheus spalancò gli occhi. Era così diversa dalla ragazzina dei suoi ricordi, un po’ dolce e un po’ ingenua. Era cresciuta, era una donna che ne sapeva della vita molto più di lui. Era disincantata, aveva perso l'innocenza e l'ingenuità di una volta, aveva smesso di sognare e non aveva alcuna aspettativa per sé, era ben cosciente di cosa la circondasse e di come le cose sarebbero sempre state difficili per lei. "Vorrei poterti dire che ti sbagli, che un giorno le cose si sistemeranno, ma la verità è che sarebbe una bugia, giusto?". Le accarezzò il mento, costringendola ad alzare il viso per guardarlo in faccia. "Però posso anche dirti che non hai ragione su tutto perché non è vero che nessun uomo si avvicinerebbe a te se non con la violenza e non è nemmeno vero che sei sempre stata sola, avevi noi. Sai, dopo che te ne sei andata, una sera Falko e Drago, parlando di te, hanno detto che eri la principessina della nostra casa ed era vero. Dopo che te ne sei andata, quella casa è diventata improvvisamente vuota e priva di calore e ci sei mancata. A ME sei mancata!".

A quell'ammissione, gli occhi di Elke divennero lucidi e alla fine quelle lacrime che aveva cercato di trattenere con tutta se stessa presero a rigarle il viso. "Ma mi avete mandata via, non vi è importato nulla di me. Eravate la mia famiglia e mi avete lasciata sola anche voi" – sussurrò, con rabbia.

"Falko e Drago non c'entrano, è stata solo colpa mia". La abbracciò ed Elke non oppose resistenza. Sentiva i suoi singhiozzi, il calore delle sue lacrime sul collo e si sentì sollevato perché tutto quello di cui aveva bisogno era sfogarsi. "Vuoi sapere la verità su quel giorno e su tutto quel che mi riguarda? Tu prima, quando ti ho chiesto cosa provassi, sei stata sincera. Credi di potermi permettere di fare altrettanto?".

Elke alzò lo sguardo su di lui. "Raccontarmi la verità... su cosa?".

"Su tutto. Una volta eri così incuriosita da cosa nascondesse il lago di Valdurna e dall'origine dei miei poteri, ricordi?".

Elke annuì, asciugandosi la guancia col palmo della mano. "Non sei obbligato a raccontarmi niente".

"Ma voglio farlo. Non è una giustificazione al modo in cui mi sono comportato con te, ma quanto meno, forse, potrai capire il perché quel giorno sono ammattito all'improvviso. Non chiedo il tuo perdono perché forse nemmeno me lo merito ma io..." - strinse il lenzuolo fra le mani, nervosamente – "Io te lo avevo promesso esattamente tre anni fa. Ti avevo promesso che te l'avrei detto prima o poi e credo non ci sia momento più adatto di questo".

Elke si scostò da lui, mettendosi a sedere, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto e stretta nella coperta. "Non hai obblighi verso di me ma... va bene, se è quello che vuoi davvero".

"E' una storia lunga" – la avvertì.

Elke non rispose e con sguardo basso annuì col capo, come ad incoraggiarlo ad iniziare. Era strano fare quel discorso, ricordare ad alta voce la sua storia, raccontarla a qualcuno e mettersi a nudo. Raccontare significava rivivere gioie e dolori che aveva tenuto celati nella sua mente per fin troppo tempo. Non aveva idea di quello che lei avrebbe pensato, di cosa avrebbe detto alla fine del racconto, di come si sarebbero messe le cose fra di loro. Ma non avrebbe omesso niente!

Prese un profondo respiro e parlò a lungo mentre le parole venivano fuori con una facilità estrema, come un fiume in piena che non aspettava altro che straripare. Gli raccontò della sua infanzia in Val Ridanna, dei suoi genitori, della volontà di suo padre di affidare la sua educazione a Jakob, di come fosse cresciuto con quell'anziano maestro diventato di fatto una figura di riferimento talmente forte da far impallidire le altre presenti nella sua vita, di come si fosse improvvisamente ritrovato orfano e di come la sua vita, da quel momento, avesse preso strade inaspettate. Gli raccontò ogni cosa di Jakob, della sua gioventù, del forte guerriero che era stato, di come, durante i suoi viaggi, avesse appreso dagli stregoni del nord del continente ogni segreto della magia bianca e della magia nera, di cosa lo avesse legato a Jutta e di come, una volta fattosi anziano e suo maestro, lo avesse introdotto alla conoscenza delle fate, degli elfi, degli gnomi e di tutte le altre creature che poi aveva fatto conoscere anche a lei. Infine le parlò di quel giorno quando Lucius, il demonio, lo aveva sfidato e Jakob, ormai anziano, per difendere lui e Jutta si era battuto fino all'ultimo sangue, morendo sconfitto. Gli raccontò delle sue ultime volontà, di venire cremato e di spargere le sue ceneri nel lago e di come, da quelle acque, continuasse a stargli vicino e ad aiutarlo. E infine quanto successo a Pennes dopo che se n'era andata, della sua battaglia con Lucius e di quello che aveva fatto Jutta per salvare lui e tutto il villaggio.

Elke non lo interruppe mai, lo ascoltò a testa bassa senza espressioni sul viso, senza apparenti emozioni, in assoluto silenzio. Solo alla fine di tutto, quando il silenzio ripiombò fra loro come un macigno, si decise a sollevare lo sguardo e a guardarlo negli occhi. "Quindi è per questo che mi avevi detto che l'acqua del lago ascolta solo te! Non è l'acqua in sé ma Jakob che, attraverso di essa, continua a starti vicino e ad aiutarti. Non è una tua magia...".

Mattheus annuì, imbarazzato di fronte a quelle parole. Se Elke l'aveva creduto infallibile ed irraggiungibile in passato, probabilmente si era ricreduta di molto circa le sue reali capacità. "Si, per questo tu o chiunque altro non potete usare quell'acqua come faccio io. Jakob è lì solo per me. Non so perché sia rimasto, perché non abbia abbracciato quella pace eterna a cui tutti ambiamo dopo la morte, non lo so davvero. Ma lui c'è ed è come se continuasse a vivere".

Elke scosse la testa. "Non glielo hai mai chiesto? Tu in fondo non hai bisogno di lui, tu sai usare la magia indipendentemente dall'acqua. Come hai fatto prima, quando hai attaccato suor Faustine. Non hai usato l'acqua del lago, ma hai creato comunque qualcosa di... potente".

"Sì, io posso essere autonomo come stregone, indipendentemente da Jakob. Mi aveva insegnato tutto quello che sapeva e studiando, negli anni, ho appreso ancora più cose. Ma il lago e quell'acqua sono l'unico legame che mi unisce ancora a lui e a quella che era la mia famiglia e non me ne riesco a staccare".

"E allora Mattheus, forse è per questo che rimane e continua ad aiutarti, perché non sei pronto a lasciarlo andare".

Mattheus sorrise amaramente. Elke aveva ragione e sicuramente aveva centrato il punto della situazione meglio di quanto avesse mai fatto lui. "Una volta ti avevo detto di crescere in fretta ma temo di essere io quello ancora immaturo. Riesci a capirmi meglio di chiunque altro al mondo".

Elke scosse la testa. "No, non è vero, io non posso capirti, non in questo. Non posso capire come ti senti perché io non ho mai avuto nessuno accanto e quindi non so cosa si provi di fronte alla perdita di una persona cara". La sua espressione si addolcì e con sua somma sorpresa alzò la mano ad accarezzargli la guancia. "Però mi dispiace per te, quello che hai vissuto è stato qualcosa di terribile, soprattutto perché eri un ragazzino".

Per un momento rimase spiazzato e non seppe cosa dire. Non si aspettava un gesto gentile da parte di Elke, ma in fondo, pensandoci bene, era così tipico della persona che lei era. Non era cambiata poi così tanto, dopo tutto. "Sai, per un attimo oggi, davanti a quella Chiesa, ho creduto di averti persa per sempre, che avessi abbracciato il male, che lo desiderassi. Ma per fortuna non è così, sei ancora capace di essere dolce e gentile".

Elke sospirò. "A dire la verità Mattheus, sono fortemente tentata dalla voglia di picchiarti".

"Puoi farlo se pensi che ti farà star bene, in fondo me lo merito".

"Non mi tentare".

Le prese la mano fra le sue, portandosela alle labbra e baciandola. "Tu non potrai mai essere diversa da quello che sei sempre stata. Puoi provarci, certo, ma sarai sempre destinata a fallire. Se c'è al mondo una persona che non è in grado di essere cattiva, quella sei tu".

La ragazza scosto lo sguardo da lui. "Lo vorrei tanto sai? Essere come la gente crede che io sia. Sarebbe tutto più semplice ma io non ne sono capace, avevi ragione tu, non so fare niente, non so nemmeno essere la figlia del diavolo".

Mattheus scosse la testa. Non era vero che non sapeva fare niente e non voleva che lo pensasse. Con la mano le sfiorò la nuca, attirandola a se e costringendola a poggiare la fronte contro la sua. "Tu sei la miglior persona che mi sia mai capitato di incontrare e ti prego, credimi, non ho mai pensato che potessi avere attinenza con demonio. Il diavolo non fa figli e se anche li facesse, non sarebbe tanto idiota da renderli riconoscibili dal colore dei loro capelli. E' subdolo, ma non stupido, ricordatelo! E dopo quello che mi è successo, ti assicuro che se avessi avuto anche il minimo sospetto di un tuo collegamento con Lucius, non ti avrei permesso nemmeno di rivolgermi la parola. No Elke, tu sei altro... Tu sei semplicemente una ragazza coi capelli chiarissimi, tutto qua, hai i pregi e difetti di ogni persona vivente e le debolezze e la forza che ognuno di noi possiede. Tu sei una persona buona e gentile, sei simpatica, ironica, intelligente e curiosa, ami e conosci la montagna e le sue leggi meglio di chiunque altro e sai rispettarla e rispettare gli esseri che vi vivono come ben pochi sanno fare. Sei quella che da bambina aveva una lupa per amica e quella che mi ha sopportato per mesi, nonostante il mio pessimo carattere. E sei stata la migliore compagna ed assistente che avrei mai potuto desiderare, una persona di cui mi sono sempre fidato ciecamente, tanto da permetterti di ficcanasare nella mia sacca da viaggio mentre dormivo. Ricordi quella sera, quando siamo rimasti bloccati in quella baita a causa della tormenta di neve, solo io e te?".

Elke sussultò, arrossendo. "Si... Me lo ricordo".

Per un attimo chiuse gli occhi, riassaporando il calore e l'intimità respirata in quella baita dispersa in mezzo alla tormenta. "Mi ero addormentato e quando mi ero risvegliato, tu eri lì a pochi passi da me a lavorare. E per la prima volta mi sono reso conto che potevo lasciarti rovistare fra le mie cose senza problemi, che non mi importava che frugassi nel mio zaino e che era bello non esserne preoccupato perché mi fidavo ciecamente di te. Sapevo che avrei potuto riaddormentarmi senza problemi e tu avresti fatto un ottimo lavoro comunque, per me. Non è vero che non sai fare nulla Elke, sei dannatamente in gamba e sei sopravvissuta all'inferno fin da quando sei venuta al mondo, cosa che io probabilmente non sarei riuscito a fare. E poi... sei stata anche il mio porta fortuna, sai?" - le disse, strizzandole l'occhio.

"Cosa?".

Alzò la mano destra, tirandosi su la manica. Sul polso aveva legato un nastrino blu che portava sempre con se da tre anni a quella parte. "Lo ricordi?".

Elke lo guardò storto. "Quello è mio!".

Mattheus scosse la testa. "Sbagliato, è mio! Me lo hai regalato".

Sul viso di Elke comparve l'ombra di uno stentato sorriso. "Già, il giorno che era nato Blue. Ed avevi borbottato per ore, se non ricordo male".

"Sì, è vero, ma come vedi l'ho tenuto!".

La ragazza allungò la mano a sfiorare il nastrino. "Davvero ti ha portato fortuna?".

"Certo!".

Elke sorrise, questa volta in modo più disteso. "Suppongo quindi che i tuoi affari a Bozen siano andati a gonfie vele!".

Quando Elke sorrideva in quel modo dolce, si sentiva attratto da lei come una calamita. La riattirò a se, abbracciandola. "La fortuna è stata rincontrare te" – le sussurrò all'orecchio. "Mi spiace di essermi comportato come un idiota l'altra notte in piazza, quando mi hai visto la prima volta. E ancor di più per come mi sono comportato tre giorni fa, quando mi hai chiesto l'acqua per curare una bambina. Sono orgoglioso e testardo lo sai, ma mi sono sinceramente odiato dopo quello che è successo. Io sapevo che eri a Bozen ben prima di quella notte in cui ci siamo rincontrati in piazza, ti avevo già vista per caso davanti al convento alcuni giorni prima. E avevo già visto anche quella suora di poco fa e una tua amica che suppongo sia la madre della bambina malata".

Elke, benché stupita da quelle parole e forse desiderosa di fare altre domande, si limitò ad appoggiare il viso contro il suo petto. "E a me dispiace di averti fatto arrabbiare. Sono stata davvero stupida ad offrirti quei soldi ma tu mi sembravi tanto intrattabile e non sapevo come...".

"Tu non hai colpe, avrei dovuto darti l'acqua e basta!" - concluse lui, mentre senso di colpa e pentimento gli strisciavano in corpo come serpenti. "Come sta quella bambina per cui ne avevi bisogno?".

Elke sorrise. "Meglio! I bambini sono molto resistenti, sai? Le ho preparato una cura a base di erbe ed ha funzionato".

Mattheus si accigliò. Tre giorni prima, quando Elke gli aveva chiesto l'acqua, stava bene. Quindi le frustate erano state successive al loro incontro e se tanto gli dava tanto, aveva passato dei guai proprio a causa di quelle erbe. "Perché ti hanno frustata?".

Elke si oscurò mentre la mano con cui gli stringeva la camicia prese a tremare. "Non voglio parlarne".

"E' a causa di quelle erbe?" - insistette lui.

La ragazza sospirò, arrendendosi. "Sei così dannatamente testardo! Dovevo trovare una cura per la piccola Anna e non avendo l'acqua ho dovuto procurarmi quelle erbe e così sono stata via tutto il giorno e non ho potuto svolgere i lavori che mi avevano assegnato al convento. Suor Faustine è sempre molto severa con me ma ultimamente ho tirato molto la corda e disubbidito un po’ troppo spesso per i suoi gusti. Tutto qui".

"Tutto qui?". Mattheus la strinse a se. "E' colpa mia... Se non avessi fatto l'idiota e ti avessi dato quella dannata acqua, avresti potuto tornare subito al convento e non sarebbe successo nulla. In fondo credo che tu debba darmelo davvero quel pugno".

Elke scosse la testa. "Non sei stato tu a frustarmi e quindi non è colpa tua. D'altronde non potevi saperlo".

Le sfiorò i capelli, baciandole la nuca. Nonostante le parole di lei, si sentiva uno schifo. "Potrai mai perdonarmi per tutto quello che ti ho fatto?".

Elke alzò lo sguardo. "La verità Mattheus, è che tu hai fatto molto per me, questo l'ho sempre saputo. Ogni volta che mi sono soffermata a leggere un libro o un'iscrizione per la strada, non potevo fare a meno di pensare che potevo farlo solo grazie a te e al tempo che hai perso per insegnarmi a farlo. E poi mi hai dato una casa, un lavoro, cibo e calore, sei stato la famiglia che non ho mai avuto. Certo, mi hai ferita tre anni fa e ho tentato in tutti i modi di odiarti ma non ci sono mai riuscita, non potevo! Ora so la verità e capisco perché fossi diventato tanto aggressivo quel giorno. Avere Lucius davanti agli occhi ti ha fatto rivivere il tuo passato e alla fine te la sei presa con chi avevi più vicino. Uno sfogo, che forse potevamo risolvere in tempi brevi se io non fossi scappata e ti avessi dato il tempo di calmarti".

Analisi perfetta quella di Elke, ma le cose non stavano proprio così. Mattheus sorrise, appoggiando nuovamente la fronte contro la sua. Se c'era un momento giusto per essere sinceri con se stessi e con lei, era indubbiamente quello. "Non ero solo turbato dalla presenza di Lucius. Io ero arrabbiato perché aveva osato toccarti, prenderti la mano e fare il cascamorto con te. Ero semplicemente geloso, non volevo ti si avvicinasse, io non volevo... non voglio... dividerti con nessuno. Non volevo che un essere del genere sfiorasse la persona che più avevo a cuore, non...".

"Mattheus...?".

Le accarezzò la guancia, attirandola ancora più vicino. "Io voglio che tu sia solo mia. Per tre lunghi anni non ho desiderato altro che riaverti accanto, sentire la tua voce, abbracciarti e tenerti vicina a me. Capisci cosa intendo?".

Elke sorrise amaramente. "Capisco... che questa è la cosa più stupida che potresti mai desiderare. Potresti avere di meglio Mattheus, lo sai anche tu".

"Sono grande abbastanza per capirlo da solo cos'è meglio per me".

A quelle parole Elke parve arrendersi e si avvicinò a lui tanto che le punte dei loro nasi si sfiorarono. "Chi sei davvero tu? Mi hai mostrato mille facce, ma non ho ancora deciso quale sia quella più vera".

"Uno che ha bisogno di te" – ammise – "perché sei l'unica che riesce a rendermi davvero felice e perché mi migliori. Solo tu riesci a farlo e non ho la minima idea di come ci sia riuscita a farmi sentire così. Hai scombinato tutti i miei piani, la mia vita, il mio modo di essere e di pensare. Volevo stare solo e invece ora non chiedo altro che di riaverti perché per me nulla avrebbe senso se non ti avessi al mio fianco. Io sono una persona che ha sempre pensato che ad amare si rischiasse di soffrire e ora sono disposto a correrlo quel rischio per te, se lo vorrai".

Elke annuì, non allontanandosi da lui. "Ad amare si rischia di soffrire, hai ragione... Ma si rischia anche di essere felici".

Lo disse a lui, ma era anche piuttosto convinto che lo dicesse anche a se stessa. Mattheus sorrise, accarezzandole la guancia. "Sei diventata incredibilmente saggia, lo sai?".

"Ho avuto un buon maestro".

Non seppe resisterle. Quegli occhi blu, lo sguardo complice che si erano appena scambiati dopo tanto tempo, dopo la lontananza e dopo che per poco non si erano davvero persi per sempre, furono come una calamita. Lasciò scivolare la mano dietro la sua nuca attirandola a se e poi, senza darle tempo di reagire o scappare, posò le labbra sulle sue in un lungo bacio. Non era nemmeno così sicuro di esserne capace ma gli venne talmente naturale che la sua mente, prima di zittirsi, se ne stupì. La sentì tremare per un attimo e poi rilassarsi fra le sue braccia. Aveva labbra sottili e morbide e un modo di rispondere al suo bacio un po’ stentato ma gentile.

Quando si separarono, per alcuni istanti rimasero in silenzio a guardarsi negli occhi. Le accarezzò la guancia e poi, senza incontrare reazioni, la strinse a se accarezzandole i capelli. "Sei autorizzata a prendermi a pugni anche per questo, ma credo che comunque non me ne pentirò mai" – le sussurrò all'orecchio. Affondò il viso nel suo collo e Elke prese ad accarezzargli i capelli, piano, sfiorando uno ad uno i suoi ricci.

"Non avresti dovuto andartene tre anni fa, mi sei mancata così tanto. Mi dispiace per tutto il male che ti ho fatto".

Elke annuì. "E' passato tanto tempo". Fece scorrere le braccia attorno alla sua vita, abbracciandolo, tornando poi ad accarezzargli i capelli. "Sono più lunghi di come li ricordavo".

"Anche i tuoi capelli sono diversi, non usi più nastrini colorati e perline!".

La presa di Elke si fece più forte. "Sono troppo grande per usarli ancora".

Non era molto d'accordo su questa cosa e non era certo che quella fosse la verità perché Elke adorava curare i suoi capelli, ma non era quello il momento per discuterne. C'erano ben altri pensieri che gli frullavano per la testa e il suo corpo pareva andare a fuoco dal desiderio. "Posso baciarti ancora?".

"Mattheus, da quando mi chiedi il permesso per fare qualcosa?".

A dispetto di tutto quello che si agitava in lui, gli sorrise. "Hai ragione, devo essere completamente impazzito". Le sfiorò le labbra con le dita della mano e Elke lo lasciò fare. Poco prima il loro bacio era stato istinto, passione. Ora era diverso, ora era qualcosa di più dolce, tenero. Avvicinò le labbra alle sue, tentennò finché lei non gli sfiorò la guancia con una carezza, per incoraggiarlo. E alla fine chiuse gli occhi e cedette a un lungo bacio, più profondo, meno incerto e pieno di desiderio.

Aveva chiesto ad Elke di fidarsi di lui e lei, nonostante tutto, l'aveva fatto, aveva scelto coraggiosamente di non chiudere il mondo fuori da quella bolla di sapone che la imprigionava da quando era nata e gli aveva aperto uno spiraglio.

Scivolarono sul letto, senza riuscire più ad allontanare le loro labbra. L'aveva desiderata con tutto se stesso per tre anni e forse anche per lei era stato lo stesso. Nessuno di loro fece più resistenza, era finito il tempo in cui lui era il suo maestro e lei la sua assistente, erano cresciuti ed erano stati temprati entrambi da tre anni di nostalgia e solitudine e ora lo sapeva, Elke era l'unica donna che desiderasse avere vicino. Le sue labbra, il suo corpo sotto di lui lo inebriavano e non credeva sarebbe mai stato possibile con nessuna donna. Per un attimo si chiese se fosse giusto correre così, forzare i tempi, se Elke fosse davvero pronta e soprattutto se fosse pronto lui. Era davvero arrivato il momento di spingersi così in là, di dare una svolta così repentina alla sua vita, di amare senza riserve? Elke sembrava tranquilla, Elke era SEMPRE tranquilla quando erano insieme, ma lui... Si odiò perché anche in quel momento razionalità e ragione rischiavano di rovinare quel momento che non aveva fatto altro che desiderare per tre anni. Perché non era capace di lasciarsi andare in maniera spontanea come lei?

Di colpo mille dubbi lo assalirono e si bloccò, allontanando le labbra da quelle della ragazza. "Per favore, se non mi fermi adesso, dopo non sarò più in grado di farlo" – sussurrò, col fiato corto. "Forse non dovremmo...".

Elke parve spaesata davanti a quelle parole ed allungò una mano ad accarezzargli la guancia, tentando di rassicurarlo. "Va tutto bene, sta tranquillo".

Di tutta risposta, Mattheus si mise a sedere. Scosse la testa. "Elke io... io non so garantirti di esserne capace, di essere un compagno perfetto e un amante degno di te. Io sono una persona egoista, egocentrica e senza alcuna esperienza significativa con una donna. Non è giusto che ti spinga a...".

"Non mi stai spingendo a fare niente, l'ho scelto io di farti avvicinare. E non è stato facile, te lo assicuro. Mi hai chiesto fiducia, io te l'ho data di nuovo ma ora devi essere tu a fidarti di te stesso. Cosa c'è che non va?".

Sospirò, guardandola negli occhi. "Non hai paura?".

Elke sorrise in un modo dolce, avvicinandosi a lui e poggiando la testa contro la sua spalla. "Avevo paura di mio padre da bambina e ho paura di suor Faustine qui. Ma non di te e non di questo".

"E' che..." - arrossì davanti a quell'ammissione così intima – "E' che mi è difficile esprimere davvero cosa provo, i miei sentimenti, mettermi a nudo e mostrare lati del mio carattere che di solito tengo ben nascosti. Tutti conoscono Pfeifer Huisele lo stregone ma nessuno, a parte te e Jutta, conosce davvero Mattheus Hansele. E io non conosco me stesso nel ruolo di innamorato e amante di una donna, non so se ne sono capace e non posso garantirti che non ti deluderei". Parlò come un fiume in piena, stupendosi di quanto gli risultasse semplice, nonostante tutto, fare quelle ammissioni a lei.

Elke per un attimo rimase in silenzio davanti a quelle parole ed ebbe paura di averla delusa e che pensasse che fosse un codardo. Cosa che in realtà era, probabilmente! Poi, con un gesto lento si portò la mano ai capelli, sciogliendo la coda di cavallo che li teneva legati. Quei capelli, candidi e morbidi, una volta liberi presero come vita, formando morbidi boccoli che le ricaddero sulle spalle e sulla schiena.

Spalancò gli occhi, sorpreso da quel gesto. Sapeva quanto le costasse farlo, cosa rappresentassero per lei quei capelli e quanti guai aveva passato a causa loro. E ricordava la sua ritrosia a tenerli slegati e senza nastri e perline che ne celassero un pò il colore. Non l'aveva mai vista coi capelli sciolti. "Cosa fai?".

Elke sorrise, vagamente intimorita dal suo stesso gesto. "Così siamo pari!Se io riesco a fare questo, puoi riuscirci anche tu".

Le accarezzò i capelli che ora, sciolti, sembravano ancora più morbidi e lucidi. Scivolavano fra le sue dita come fossero seta e si trovò a pensare di nuovo a quanto la desiderasse. "Sei davvero bella". Già, e lui la adorava! Il suo coraggio, la sua dolcezza e l'intesa che sembravano trovare ogni volta che si trovavano insieme avevano vinto tre anni di lontananza, silenzi e dolore. Non aveva motivo di avere paura del loro rapporto, non era più tempo di scappare e Elke aveva ragione, se riusciva ad essere coraggiosa e positiva lei, di certo poteva sforzarsi di esserlo altrettanto. Non avrebbe potuto resistergli ulteriormente, non dopo quel gesto. Sapeva che l'aveva fatto per lui e che solo a lui avrebbe dato l'onore di vederla così. "Vieni quì" – le sussurrò, attirandola a se. Coprì le mani con cui si teneva addosso la coperta con le sue, forzandole a lasciare la presa. "Sei sicura che non te ne pentirai?".

"No, se non te ne pentirai tu".

"Dubito che succederà" – disse, prima di baciarla ancora.

Elke allentò la presa sulla coperta, lasciò che cadesse alle sue spalle e lo avvolse a sua volta in un abbraccio. Crollarono sul materasso, su quella coperta rosso fuoco, gustandosi quei primi momenti tanto intimi insieme.

Mattheus le sfiorò i fianchi e poi, con un pizzico di timore, i seni, non particolarmente grossi ma assolutamente perfetti per lui. Era snella, aveva la pelle liscia e il corpo minuto, lo inebriava.

La baciò a lungo sulle labbra e poi sul collo, sul petto, guidato da un istinto che non sapeva di avere. I pensieri, i timori avuti fino a poco prima parvero scomparire come per magia e sapeva che era solo grazie a lei che si sentiva così. Era felice, incredibilmente felice. Stava bene e anche Elke era tranquilla, poteva percepirne lo stato d'animo da come rispondeva alle sue carezze e ai suoi baci, in modo naturale e senza timori, quasi fossero una cosa sola, quasi che non avessero mai fatto altro che quello, nella loro vita.

Il suono delle campane che annunciavano la mezzanotte li fece momentaneamente fermare. Si guardarono negli occhi ed Elke lo baciò sulle labbra, sorridendogli. "Sai Mattheus, tu riesci sempre a rendere belli i miei Natali".

"Anche tu".

"Buon Natale, stregone".

"Buon Natale, ragazzina".

Mattheus le prese le mani, guidandole fino al primo bottone della sua camicia. Non aveva mai odiato avere addosso degli abiti come in quel momento. Elke posò brevemente lo sguardo sul suo viso, deglutì e sapeva che era indecisa sul da farsi, che si sentiva imbarazzata e impacciata. Guidò le sue dita fino al primo bottone e poi le lasciò la mano, aspettando che facesse da sola.

La ragazza giocò un po' con la stoffa, poi la sua espressione si fece più decisa. Sbottonò il primo bottone, poi il secondo e il terzo. E infine gli tirò su la camicia, sfilandogliela dalla testa. Lo guardò per un lungo istante, in silenzio. Lo baciò sulle labbra, facendo scorrere le mani sul suo petto nudo e poi più su, fino alle scapole e alle spalle. Lo avvolse in un caldo abbraccio e poi crollarono di nuovo insieme sul materasso. “Mattheus...” - sussurrò, sfiorandogli il collo e la base della nuca, mentre sentivano entrambi il contatto fra la pelle nuda dei loro corpi quasi fusi.

Calò il silenzio, le loro carezze divennero più audaci e profonde, gli ultimi abiti addosso allo stregone scivolarono sotto al letto e fecero l'amore mentre il mondo, fuori dalla stanza, si apprestava a festeggiare la nascita di Gesù Bambino in una città avvolta dalla neve. Lo chiusero fuori quel mondo, forse magico ma che per una notte era di troppo per loro.

Non esistevano né la magia, né le montagne, né tutte le persone e i fatti che li avevano allontanati. Per quella notte, in quella stanza, non esisteva nulla tranne loro.













Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ***


La tenue luce del mattino che entrava dalla finestra pareva volerle ferire gli occhi. Elke lottò contro di essa: non voleva svegliarsi, non voleva si facesse giorno, desiderava soltanto che quella notte di Natale durasse per sempre e lei potesse stare lì, sotto quelle morbide e calde coperte, fra le braccia di Mattheus, ma ormai però era troppo tardi, era decisamente sveglia.

Aprì gli occhi, senza muoversi di una virgola, attenta a non svegliarlo. Lui dormiva ancora e il suo sonno e il suo respiro sembravano tranquilli come quelli di un bambino. Anche lei era tranquilla, le sembrava quasi impossibile, la vita di un'altra persona quella che aveva vissuto fino a poche ore prima, quando pensava di non aver nulla davanti a sé se non l'oblio e la disperazione; eppure Mattheus ci era riuscito anche questa volta: le aveva afferrato la mano e l'aveva stretta a sé, impedendole di perdere la strada. Non era stato facile avvicinarsi a lui, parlare con lui, ma Mattheus aveva saputo farsi ascoltare, capire, starle vicino e scegliere le parole giuste da dire come solo lui sapeva fare, da sempre, le rare volte in cui riusciva a mettere da parte il suo caratteraccio. Aveva tentato di resistergli ma non c'era stato nulla da fare, aveva vinto lui, come sempre del resto. Chiuse per un attimo gli occhi, quasi sentendo su di sé, ancora, il calore dei suoi baci e delle sue carezze. Le aveva insegnato l'amore in una sola notte, o forse lo avevano imparato insieme, ma dopotutto non aveva importanza. Era stato facile, naturale, il completamento di qualcosa iniziato forse a loro insaputa fin dal loro primo incontro e che pensavano di aver perso per sempre. Mattheus era un orso, se voleva sapeva essere arrogante e sfuggente, la peggior canaglia in circolazione, ma era soprattutto un uomo intelligente, gentile, dolce e infinitamente delicato verso le persone che amava. Questi aspetti del suo carattere li aveva colti da subito, benché lui sapesse tenerli nascosti così bene, anche se per tanto tempo li aveva ritenuti un suo errore di valutazione. In cuor suo però, nel suo intimo, sapeva la verità, sapeva com'era davvero quello stregone. Mattheus sapeva essere insopportabile, ma era anche una persona estremamente sensibile che si era costruito attorno un mondo di solitudine per evitare di soffrire la perdita di altre persone amate. Una cosa l'aveva colpita, della notte appena passata. Aveva detto che la gente conosceva solo Pfeifer Huisele lo stregone e non Mattheus Hansele, ed era vero, lui aveva ragione e difficilmente, a parte lei, avrebbe permesso ad altri di avvicinarsi così tanto a lui. Non avrebbe smesso di essere un orso e una persona sfuggente dall'oggi al domani, questo era certo, e lei non lo avrebbe mai preteso. Quel lato del suo carattere faceva parte di lui e in fondo ci era affezionata. Non sentirlo più borbottare o lamentarsi per qualcosa le sarebbe parso tanto strano, così come il vederlo diventare improvvisamente ciarliero e chiacchierone con gli altri.

Lo sentì sbadigliare nel dormiveglia e percepì la stretta su di lei farsi più salda. Si rannicchiò contro di lui, non desiderava altro in quel momento. "Ti ha svegliato la luce del sole?" - gli chiese da sotto le coperte, senza stare ad accertarsi se fosse effettivamente giorno.

Mattheus si strofinò gli occhi e poi le accarezzò i capelli. "Sole? Con un pò di fantasia, forse...". La costrinse ad alzare il viso e a voltarsi verso la finestra, affondando poi il viso contro il suo collo. "Guarda come sta nevicando! Non ha mai smesso da ieri mattina".

Elke si rannicchiò nel suo abbraccio, inspirando il profumo della sua pelle. Solo in quel momento si accorse del calore nella stanza e del camino acceso. "La legna nel camino l'hai messa tu? E quando...?".

"Quando ti sei addormentata mi sono alzato e ho acceso il fuoco, facendo in modo di mettere tanta legna da arrivare al mattino".

Elke sorrise perché in fondo quelle piccole accortezze erano tipiche di lui: anche a Pennes Mattheus si era sempre preoccupato che in casa ci fossero cibo e un camino acceso quando lei si svegliava, ma solo in quel momento si accorse della dolcezza e della premura di quei gesti. "Lo hai fatto per me?".

"Anche per me, lo sai che odio il freddo". La baciò sulla nuca, stringendola ancora più a se. "Ma soprattutto per te perché anche se fingi che la cosa non ti importi, avevi la febbre davvero alta fino a poche ore fa e non voglio che ti ritorni".

A quelle parole, finalmente si voltò verso di lui. Le loro fronti si toccarono. "Mi dispiace di averti fatto preoccupare".

"Mi importa solo che tu ora stia bene". La baciò sulla fronte e poi sulla punta del naso, stringendola a se.

"Credevo che ti fossi addormentato prima di me" – sussurrò Elke, sfiorandogli il petto.

Lui scosse la testa. "A dire la verità, credo di essermi addormentato solo un'ora fa. Quella che ha dormito sei tu e dopo tutto ne avevi bisogno. Non sono ancora così sicuro che tu stia bene".

La guardò in viso, studiandola attentamente e per un attimo Elke si chiese quale fosse la fonte della sua preoccupazione, se le frustate o quanto successo quella notte fra loro. In entrambi i casi comunque, si sentiva di rassicurarlo. "Sto bene, non preoccuparti".

"Non sto parlando della tua schiena e delle tue mani, non solo. Sto parlando di...".

"Sto bene" – ripeté lei, di nuovo. Sorrise. "E credo che il merito sia tuo. Sei stato bravo, sai?".

Mattheus rispose al sorriso. "Io sono sempre bravo. Ma questa volta credo che i meriti siano tuoi, senza di te non sarei andato da nessuna parte e non avrei avuto nemmeno il coraggio di iniziare".

Scherzosamente, Elke gli pizzicò la guancia. "Quindi, se le cose stanno così, dovrei essere io a chiedere a te se stai bene, giusto?".

"Non pensarci nemmeno! Sono io l'uomo e sono io che devo preoccuparmi per te. Per voi donne è una faccenda più" – si grattò il mento, indeciso – "complicata".

"Non così complicata come pensate voi uomini. Io l'ho trovato naturale e bello, semplice".

Appoggiò la fronte contro quella di Mattheus, chiudendo gli occhi. "Credo di averlo desiderato da sempre... che fossi tu, che fosse con te, anche se avevo quasi paura a sperarci... Questa notte, per la prima volta in vita mia, non mi sono sentita sola, era come se ogni mio respiro fosse il nostro respiro e ogni mio movimento fosse non solo mio ma nostro. Era come essere una cosa sola".

Lo stregone annuì, prima di baciarla sulle labbra. "Non avrei potuto descriverlo meglio, Elke".

Inspirò, profondamente, accarezzandogli i riccioli rossi che gli cadevano sulle spalle. "Quella bolla di sapone... credo che tu sia riuscito a romperla almeno un po', sai?".

Mattheus la abbracciò, accarezzandole e baciandole i lunghi capelli che le ricadevano disordinati sulla schiena. "Sai, stanotte mentre non dormivo, pensavo a quanto fosse stato bello e a quanto io sia stato fortunato a ritrovarti. A conoscerti! In un mondo così grande, quante probabilità avevamo? Tutti odiano i tuoi capelli ma io li amo perché è grazie a loro che sei venuta da me, se fossi stata mora, bionda, rossa o altro, non ci saremmo mai incontrati. E non so' se ne sia valsa la pena per te, ma io a questi tuoi capelli devo tutto".

Rimase colpita dalla profonda dolcezza e dalla verità racchiusa in quelle parole, non ci aveva mai pensato. Arrossì e si rifugiò nel suo abbraccio, affondando il viso contro il suo petto.

"Mattheus...".

Lo stregone ridacchiò, abbassandosi a parlarle all'orecchio.

"Se ora arrossisci e ti imbarazzi perché ti dico che ti adoro e che questa è stata la notte più bella della mia vita, credo che dovrò ricominciare a chiamarti ragazzina".

"Spiritoso!". Alzò gli occhi su di lui, con aria di sfida. "Hai pensato a un sacco di cose mentre non dormivi, è?".

"Puoi giurarci! Ho pensato anche a Lucius, sai?".

Elke lo guardò storto. "Lucius? Dopo aver fatto l'amore con me hai pensato a LUCIUS?".

Mattheus annuì con aria di chi la sa lunga. "Esattamente! E alla rosa rossa che ti ha regalato".

"E' stato tre anni fa, Mattheus! Non dirmi che sei ancora geloso!".

"No, affatto". Le sfiorò la punta del naso con l'indice, chinandosi poi a baciarla. "Ho solo realizzato che di donne e fiori lui non se ne intende proprio. Ogni donna può essere paragonata a un fiore, sai? E tu e le rose non avete proprio nulla in comune, non è un fiore adatto a te. La rosa, soprattutto quella rossa, ha un colore sfacciato e ha le spine, non ti rappresenta".

"E quale sarebbe il fiore adatto a me?".

Il viso di Mattheus si addolcì infinitamente a quella domanda. La baciò piano, sulle labbra, poi strinse il pugno della mano destra e lampi di luce dorata scaturirono dalle sue dita. Quando riaprì la mano, sul palmo stava appoggiato, comparso per magia, un piccolo fiore bianco. "Questo è il fiore adatto a te, una stella alpina".

"L'Edelweiss?".

"Esatto Elke". Fece scivolare il fiore nella sua mano e poi intrecciò le dita alle sue. "Tu appartieni a queste montagne, come questo fiore. Hai i suoi colori e la sua forza perché come lui sei nata in queste vallate e sai resistere al vento, alla neve, al gelo e al sole cocente come solo le creature delle Dolomiti sanno fare. E' il tuo fiore, adatto a te. Se mai dovessi regalartene uno di nuovo sarà come questo. Una stella alpina. Tu, come questo fiore, hai in te tutto il bello di queste montagne, non dimenticarlo mai Elke".

Elke deglutì. Mattheus Hansele era anche questo, un uomo sfuggente e poco propenso ai gesti gentili eclatanti ma che sapeva scaldarti il cuore con piccole cose che sapevano valere più di qualsiasi dono. "Non lo dimenticherò. Grazie". Osservò il fiore, un meraviglioso esemplare di Edelweiss. "Hai usato la magia per farlo apparire?".

"Più o meno. Se vuoi ti insegno come si fa".

Elke fece un sorriso furbo.

"No, non voglio che me lo insegni".

"Perché?".

"Perché se sapessi farlo, ti darei la scusante per non regalarmi più fiori".

A quella risposta, Mattheus scoppiò a ridere. Poi la attirò a se, baciandola avidamente sulla labbra. "Ora si che riconosco la mia Elke!".

Lasciò che la baciasse a lungo, mentre brividi caldi le correvano lungo la schiena. Mattheus sapeva farla cedere, farle perdere razionalità, farla sentire bene nonostante l'inferno vissuto negli ultimi giorni. Aveva bisogno di lui eppure sapeva che c'era tanto di cui parlare, discutere, cose che andavano affrontate prima di voltare pagina assieme a lui. Ma in quel momento non riusciva a fare altro che abbandonarsi ai suoi baci. Strinse la stella alpina nella sua mano, ricordandosi improvvisamente della statuetta di legno che qualcuno le aveva regalato alcuni giorni prima e che stava nella sua camera del convento. "Mattheus, posso chiederti una cosa?" - sussurrò contro le sue labbra, col fiato corto.

"Tutto quello che vuoi".

"Alcuni giorni fa, qualcuno mi ha fatto recapitare al convento una statuetta di legno raffigurante un lupo. Sei stato tu?".

Lo stregone si allontanò lievemente da lei, quasi fosse in imbarazzo, abbassando lo sguardo. "Si. Ti avevo vista davanti al convento e mi è venuto in mente che tre anni fa ti avevo promesso una statuetta in legno ad ogni Natale. Non ho mai potuto tener fede a quella promessa e ora ne avevo l'occasione quindi... anche se è stata la cosa più irrazionale che ho fatto in vita mia, ne ho intagliata una per te e te l'ho fatta recapitare".

"Perché non hai detto ad Helena che era da parte tua? Sarebbe stato tutto più facile fra noi".

"Mi vergognavo e ritenevo improbabile che ci incontrassimo o che tu volessi vedermi, dopo tutto quello che era successo a Pennes".

Quella ammissione la intenerì perché Mattheus era da sempre piuttosto restio ad esprimere i suoi sentimenti, soprattutto quelli che lo rendevano vulnerabile agli occhi degli altri. "Non c'era nulla di cui vergognarsi, è stato il pensiero più dolce e gentile che qualcuno abbia avuto per me. Mi ha fatto piacere riceverla".

"E' orrenda, imperfetta. Te ne farò altre più belle, a Pennes".

Elke scosse la testa. "Io la adoro, mi ricorda Maike, la mia lupa. Per quante statuette tu possa farmi, questa resterà sempre la mia preferita".

"Elke, no...".

La ragazza si morse il labbro. Ora arrivava la parte difficile, ora dovevano parlare seriamente, anche se sospettava che Mattheus avesse già capito le sue intenzioni. "Ascolta, ti prego".

"Non voglio ascoltarti! Lascia in convento quella dannata statuetta e torna a Pennes con me, ti scongiuro Elke".

Trattenne il fiato, cercando le parole giuste per tranquillizzarlo e per trovare in sé il coraggio per affrontare quanto andava affrontato. Non sarebbe stato facile, lo sapeva. Ma doveva farlo. "Mattheus, tornerò a Pennes da te, lo giuro. Ma non ora, non posso".

"Sì che puoi! E nessuno te ne farebbe una colpa".

Elke annuì. "Lo so, ma sarei io a non perdonarmelo. Se fuggissi, se me ne andassi con te sarebbe facile, sarei felice probabilmente, ma non avrei affrontato le mie paure e tutto ciò che mi tormenta. Avrei sempre paura e tu rappresenteresti solo un rifugio. Lo faccio anche per te, per noi".

Il viso di Mattheus si oscurò, le sue mani presero a tremare. "Elke, non voglio che tu torni in quel dannato convento, sei quasi morta, dannazione! Non devi dimostrare nulla nemmeno a te stessa".

Elke ispirò. Sapeva che lui aveva capito, che conosceva le sue motivazioni per restare ed era consapevole del fatto che non fosse d'accordo, ma non poteva fare altrimenti. "Suor Faustine mi ha frustata e io non ho fatto nulla per impedirlo. Come credi che si senta il mio orgoglio? Non voglio scappare, non voglio essere una codarda salvata dal principe azzurro, io voglio capire se sono capace di affrontare quella suora e tutte le paure che risveglia in me. Non posso fuggire per sempre, voglio tornare ad avere rispetto verso me stessa perché ti assicuro che dopo quello che è successo l'ho perso. Quando sono arrivata da te, quasi quattro anni fa, ti ho chiesto di prendermi come tua allieva, di insegnarmi quello che sai. E' ora che dimostri a me stessa e agli altri quello che ho imparato. E poi non posso sparire così, in quel convento c'è l'unica amica che abbia mai avuto e non voglio andarmene senza essere certa che lei e sua figlia abbiano trovato il modo per andarsene da quel posto. Posso aiutarle, ora so come fare, ma ho bisogno di tempo".

"Quanto tempo?".

La voce di Mattheus le apparve fredda e glaciale come nei suoi peggiori ricordi di loro due insieme. Si chiese se fosse deluso o arrabbiato e per un attimo tentennò davanti a lui e ai ricordi della dolcissima notte trascorsa insieme. "Se tutto va per il verso giusto, forse pochi mesi".

Lo stregone allentò la presa su di lei, sprofondando fra i cuscini. Si passò la mano sul viso, scostandosi i riccioli rossicci che gli erano caduti sulla fronte.

"Sai una cosa Elke? E' tremendamente complicato tutto questo, per me! Fare l'amore con qualcuno in fondo è semplice e piacevole, si azzittiscono pensieri e problemi ed è l'istinto a guidare ogni azione. L'amore è istinto... Un istinto bello, che ti porta a desiderare il bene e la felicità della persona che hai scelto di avere a fianco come compagna di vita, concordandogli assoluta fiducia. Ed è questo il punto. Io ti adoro e se voglio dimostrartelo davvero non posso limitarmi ad una camera da letto, ma devo farlo ogni attimo, ogni giorno, sostenendoti nelle tue scelte. Non ti chiederò cosa vuoi fare, come vuoi risolvere le cose e nemmeno il perché. Mi fido di te e se è rimanere qui ciò di cui hai bisogno, me lo farò andar bene".

Elke rilasciò di colpo il fiato che aveva trattenuto durante tutto il discorso di Mattheus. Lo conosceva, sapeva quanto gli costassero quelle parole ed era consapevole che stesse facendo violenza a se stesso nel pronunciarle. "Credevo sarebbe stato più difficile fartelo accettare e sentirti dire che sei d'accordo" – sussurrò, prendendogli la mano sinistra fra le sue.

Gli occhi di Mattheus si piantarono su di lei come due lame. "Non sono d'accordo e non l'ho accettato, mettiamolo in chiaro. Ma suppongo di dovermi fare andare bene la cosa e di non avere scelta anche se la ritengo una decisione idiota, giusto?".

"Giusto". Non c'era molto altro da dire.

Lo stregone si rimise a sedere sul letto. Le sfiorò la guancia e la attirò a se in un abbraccio. "Non sono arrabbiato con te, lo giuro. E in un certo senso forse riesco anche a capirti però Elke... la vendetta non serve a nulla e non ti renderà né migliore né diversa da quella che sei adesso".

Elke si abbandonò al suo abbraccio, chiudendo gli occhi. "Non voglio vendetta ma capire se sono capace di combattere il male che mi viene fatto. Me lo hai insegnato tu, ricordi? E ora, grazie a te, credo di sapere come sistemare le cose".

Mattheus annuì. "Va bene, come ti ho detto, non mi devi spiegazioni. Ma questo ha un prezzo, sai? Sei in debito con me, mia cara! Partirò e ti aspetterò a Pennes senza dire nulla, senza chiedere nulla ma tu in cambio devi promettermi due cose!".

Elke sorrise. "Va bene, dimmi pure".

Le mani di Mattheus le sfiorarono le guance e la attirò a se fino a che le loro fronti si toccarono. "Prima cosa, non metterti nei guai, non permettere a nessuno di sfiorarti! Non voglio vedere nemmeno un graffio sulla tua pelle quando tornerai da me. Se la situazione diventa pericolosa, vattene, fregatene di quello che vuoi fare in quel dannato convento, fregatene di tutto e di tutti e torna da me. Ti ho curata questa notte e non voglio doverlo fare mai più in futuro, intesi?".

"Te lo prometto".

Lo vide annuire. "Seconda cosa...".

"Seconda cosa?".

Lo sguardo di Mattheus si fece furbo, come tante volte lo aveva visto in passato quando cercava di fregare qualcuno. "Dimmi che mi dirai di sì anche senza sentire cosa voglio".

Questo la fece ridere. "Scordatelo! Dirti di sì a scatola chiusa è pericoloso, soprattutto quando hai quell'espressione in viso".

"E allora ti tramortirò con qualche incantesimo che ti farà dormire per settimane e ti porterò a Pennes subito, contro la tua volontà".

Elke alzò gli occhi al cielo. Se non gliela dava vinta era abbastanza certa che avrebbe messo in atto quella minaccia. Con un sospiro annuì.

"Va bene, sì. La mia risposta a qualsiasi cosa tu voglia chiedermi è sì".

Mattheus sorrise, un sorriso da perfetta canaglia. Con la mano le pizzicò la punta del naso, prima di baciarla di sorpresa sulle labbra. "Sappi, mia cara, che hai appena acconsentito a sposarmi".

Elke spalancò gli occhi, mentre il fiato le si congelava nella gola. "Cosa?" - chiese, a bocca aperta. Per un attimo lo guardò e basta, senza sapere cosa fare o dire, con un'espressione da ebete dipinta sul viso.

"Hai detto sì!" - puntualizzò lui, con aria divertita.

"Ho detto sì..." - ripeté lei, lentamente. Deglutì, incerta sul da farsi. In fondo, nonostante fosse sorpresa di una cosa simile, assolutamente nel panico e con le guance che le andavano in fiamme, poteva dirsi divertita da quella strana situazione. "Certo che è proprio da te una proposta di matrimonio così stramba!" - borbottò.

"Non pretenderai che mi metta in ginocchio e ti reciti una poesia d'amore, giusto?".

Elke sospirò. "No, certo che no, figurati... Ma Mattheus, il matrimonio è...".

"Hai detto sì" – ripeté lui, stavolta con espressione più seria.

Elke lo guardò negli occhi, cercando di leggervi quanto gli passasse nella mente. "Me lo stai chiedendo perché ti senti in obbligo per quanto successo fra noi questa notte?".

A quella domanda, la mano calda di Mattheus si posò sulla sua guancia sinistra, accarezzandola piano. Le sue dita si mossero sulla sua pelle, tratteggiando un percorso circolare, lento, che le dava brividi lungo tutto il corpo.

"Nessun obbligo, non ti ho costretta a nulla e hai scelto di tua volontà. Sai, di tutte le cose che ci siamo sussurrati stanotte mentre facevamo l'amore, ce n'è una che ci siamo detti in contemporanea, prima che perdessimo tutta la razionalità e la capacità di parlare. Lo ricordi?".

A quella domanda, Elke arrossì. Si erano sussurrati tante cose mentre i loro corpi imparavano a conoscersi, carezza dopo carezza, bacio dopo bacio. Ma aveva presente, fra tutte le cose dette, a cosa si stesse riferendo. "Ti ho detto che ti amo".

"E io ho detto che amo te. E lo penso davvero, è quello che provo e non c'è miglior motivazione di questa, per me, per chiederti in moglie".

"Non sono capace di cucinare e sono una pessima donna di casa" tentò di argomentare lei. Era completamente nel panico e probabilmente non sarebbe riuscita a pronunciare frasi di senso compiuto, accidenti a lui!

A quelle parole, Mattheus scoppiò a ridere. La sua mano si poggiò sui suoi capelli, scompigliandoglieli. "Ah, tesoro mio, lo so! Ricordo bene tutti i disastri che mi hai combinato in casa! Ma non ti ho chiesto di sposarmi per farmi da cameriera, se volessi una moglie che sa cucinare, tu saresti l'ultima persona che chiederei in moglie".

Elke gli lanciò un'occhiataccia. "Spiritoso". In realtà era bello, qualcosa dal gradevole gusto antico, quel loro scherzare insieme, pur affrontando un tema tanto importante e per loro così nuovo. Era vero, Mattheus la conosceva bene, in ogni suo pregio ed ogni suo difetto, non aveva molto da spiegargli che lui non sapesse già. Si erano sempre compensati a vicenda, quando avevano diviso la casa di Pennes, ognuno coi propri punti di forza e debolezza, arrivando dove l'altro tendeva a faticare. Sapeva che si sarebbero trovati bene insieme, che avrebbe funzionato e che sarebbero stati anche felici ma... Mattheus era dolce e sicuramente sincero nell'esprimere i suoi sentimenti, sapeva che l'amava davvero ed era certa di amarlo anche lei, più di quanto amasse la sua stessa vita. Però... La sua espressione si fece seria, c'erano cose a cui Mattheus non aveva pensato e che lei aveva il dovere morale di dirgli. "Sono albina, hai idea di che inferno sarebbe la tua vita con una moglie come me? Hai presente come ti guarderebbe la gente?".

Mattheus sospirò, le loro mani si intrecciarono. "Direi che forse il resto del mondo potremmo lasciarlo fuori dal nostro matrimonio. Sei d'accordo?".

Elke annuì mentre la presa sulle mani di lui aumentò. "So che non te ne cureresti, che potresti farlo senza problemi ma io ti complicherei comunque le cose".

"Tu mi rendi felice, non complichi nulla".

Inspirò profondamente, doveva arrivare al nocciolo della questione. "Mattheus, quando ieri sera ti ho detto che non voglio figli, parlavo sul serio. Non ne voglio, né ora né probabilmente in futuro. Non cambierò idea e questo, se mi sposassi, ti priverebbe di qualcosa che magari tu potresti desiderare un giorno".

Calò per un attimo il silenzio fra di loro. Mattheus la guardò in viso assorto per lunghi istanti, l'espressione persa in chissà quali pensieri. Infine sospirò, scuotendo la testa. La attirò a se, baciandola sulle labbra e stringendola in un abbraccio. "Ascolta" – disse, col viso affondato fra i suoi capelli – "Io amo te, voglio sposarti per stare con te e non mi importa niente di qualcuno che ancora non esiste e che nemmeno conosco. Fino a poco tempo fa non volevo nemmeno sposarmi, figurati se mi è mai passata per la mente l'idea di essere padre. Non mi sono mai posto la questione, non ci ho mai pensato e non ne sento la necessità. Esistono delle erbe per impedire la gravidanza, basta che tu le prenda sotto forma di tisana, una volta al giorno. Non ci daranno la certezza matematica che non succederà nulla ma potremo stare sufficientemente tranquilli, facendoci attenzione. Come ti ho detto, non avere figli per me non è un problema".

"Non è un problema ora, ma un giorno potresti cambiare idea".

"O potresti cambiarla tu". La costrinse ad alzare il viso, con aria seria la scrutò in volto e infine le sorrise. "Sono egoista, egocentrico, amo avere l'attenzione puntata esclusivamente su di me e va bene così, son contento che tu sia mia, che sia l'unico di cui ti preoccuperai, che ti avrò tutta per me. Non voglio dividerti con nessuno, tanto meno con dei figli urlanti da accudire e che magari non mi risulterebbero nemmeno simpatici. Siamo felici insieme, sappiamo esserlo rimanendo solo noi due, non abbiamo bisogno d'altro. E se un giorno uno di noi cambiasse idea in merito a questa cosa se ne parlerà e la risolveremo. E' così che funziona, in una famiglia. Inoltre..." - la sua espressione si fece più distesa – "Ho sopportato per due anni Falko e Drago in casa mia e credo di non voler attorno nessun altro alto meno di un metro".

Elke scoppiò a ridere. Lo abbracciò, affondò il viso contro il suo petto e poi lo baciò sulle labbra. "Sicuro?".

"Sicuro! E tu hai detto sì".

La ragazza sorrise dolcemente, accarezzandogli la guancia. "Ho detto sì. Quando tornerò a Pennes ci sposeremo. Ti prometto che, entro il solstizio d'estate, sarò tua moglie".

"Sicura?".

Elke annuì. "Sicura, anche se ho l'impressione di essere completamente folle ad acconsentire così, senza pensarci troppo, soprattutto in virtù del fatto che fino a poche ore fa cercavo di odiarti con tutta me stessa".

Mattheus alzò le spalle. "Ma tanto non ci sei riuscita, quindi che senso ha rivangare il passato?".

"Nessuno, in effetti". Elke sorrise, sprofondando fra i cuscini e godendo per un attimo di quel pensiero dolce. Sarebbe stata una sposa, la moglie di un uomo straordinario che le aveva insegnato tante di quelle cose da riempire libri su libri e che si era innamorato di lei. Era così meravigliosamente assurdo! Non avrebbe mai creduto di sposarsi, non di certo con un uomo solitario e sfuggente come Mattheus, eppure... Sarebbe stato bello tornare a Pennes, diventare sua moglie, dividere di nuovo la vita con lui, essere sua compagna e complice in tutto quello che faceva, sentire il calore di quella baita che era diventata in poco tempo anche casa sua. Allungò la mano, raggiungendo quella dello stregone. "Anche se sono in debito con te, posso chiederti anche io una cosa?".

Mattheus annuì, incuriosito. "Provaci".

"Rivoglio il mio posto da assistente".

Mascherando un sorriso, lo stregone scosse la testa. "Certa gente non impara proprio mai a tenersi lontana dai guai. Puoi essere la moglie dell'uomo più potente di Pennes e comandare tutto e tutti e vuoi tornare a lavorare per un datore di lavoro severo come me?".

"Sì".

Il viso di Mattheus si addolcì e si chinò su di lei, baciandola sulla fronte. "Puoi essere tutto quello che vuoi Elke. Lavorare con te a fianco è sempre stato piacevole per me e sono fortunato a riaverti con me".

"Anche a me piaceva, sai Mattheus? Quando di notte Falko e Drago dormivano e noi restavamo soli a lavorare, preparando tisane o pozioni, io me ne stavo lì e ti guardavo affascinata. Sai fare tutto, conosci tutto e io me ne stavo lì ferma, incantata da ogni tuo gesto o parola".

"Beh, grazie". Mattheus arrossì, per una volta a corto di parole.

Elke sorrise. "Che vuol dire che posso comandare tutto e tutti?". Non aveva ben capito quella parte del discorso, ora che ci pensava.

Lo stregone ridacchiò. "Oh, vero, io ti ho raccontato tutto fino alla sconfitta di Lucius, ma non sai quello che è successo dopo. Sono il capo-villaggio di Pennes da quasi tre anni e questo farà di te la donna più potente del paese".

"Cosa?". Ok, Mattheus aveva definitivamente smesso di fare il serio e aveva ricominciato a prenderla in giro. "Capo-villaggio, TU?". Scoppiò a ridere, di gusto. "Ma Mattheus, la gente di Pennes ti teme come la peste".

"Ahah, spiritosa! La gente mi teme ancora, ma al loro sacro terrore nei miei confronti si è pure aggiunta una sorta di ammirazione. Sono stati loro a chiedermi di essere il loro capo-villaggio dopo la faccenda di Lucius e io ho accettato. E sono anche bravo".

Da un lato era sorpresa, ma dall’altro era consapevole che nessuno sarebbe stato più adatto di lui per un incarico del genere: Mattheus era cinico e dispettoso, ma soprattutto saggio, intelligente ed oculato, quando serviva.

"Lo immagino" – mormorò guardandolo negli occhi, con un lieve sorriso sul viso. "E ora che non ci sei, chi si occupa di Pennes? Hai lasciato Falko e Drago ad amministrarla in tua assenza?".

"Falko e Drago? I due piccoli bugiardi seduttori-mezze-tacche della Val Sarentino? Certo che no!".

"Che ti hanno fatto Falko e Drago?".

Era seriamente incuriosita, oltre che divertita, dalla piega presa dalla loro conversazione.

Mattheus incrociò le braccia, tutto impettito. "Ci hanno raccontato un sacco di frottole, sai? Ora ti racconto il vero motivo che li spingeva a stare tante ore dal panettiere, quando ce li mandavo a fare la spesa... Altro che curiosità per le chiacchiere di paese!".

Elke sorrise. Si voltò di lato, poggiando la guancia sulla mano per guardarlo in viso. "Avevano una cotta per le figlie del panettiere, giusto?".

Mattheus spalancò gli occhi. "E tu come fai a saperlo?".

"Era così ovvio. Non te ne sei mai accorto?".

"No!" - rispose lo stregone, imbronciato.

Per nulla intimorita da quella reazione tanto tipica di lui, Elke rise. Si sedette cingendogli la vita con le braccia e lo baciò sulla guancia. "Oh, eccolo il mio orso. Stavo pensando che ti stessi addolcendo troppo, sai?".

"Figurati! Avrai modo di saggiare appieno il mio carattere da orso, quando tornerai a Pennes!" - borbottò, con aria di sfida.

Elke rise. "Oh, lo so'! E quindi, Falko e Drago?".

"Si sono sposati con le figlie del panettiere un anno fa".

"Davvero...?". Sorrise, sinceramente felice per loro. Falko e Drago erano persone buone, gentili, premurose e dal modo di fare semplice e senza secondi fini. Per lei erano stati una sorta di fratelli maggiori, sempre attenti a trattarla con affetto e a proteggerla dal caratteraccio di Mattheus e spesso aveva pensato a loro con nostalgia, negli ultimi tre anni. "Quindi, ora sei di nuovo tornato unico padrone di casa tua, giusto? Sarai stato felice, dopo che te l'abbiamo invasa".

Il viso dello stregone si distese e tornò a guardarla con sguardo gentile e innamorato. Le sfiorò i capelli, perdendosi nella loro morbidezza. "Non lo avete fatto, sono io che vi ho permesso di venire a stare da me. E devo ammettere che adesso la casa così silenziosa e vuota è piuttosto deprimente".

Le loro mani si intrecciarono. "Pochi mesi Mattheus, poi sarò da te".

Annuì. "Ricordati quello che mi hai promesso, Elke. Niente di pericoloso, nessun graffio. Promettimi che starai bene".

"Prometto". Strinse le mani dello stregone fra le sue e poi, sospirando, si mise a sedere sul letto. "Devo tornare al convento, ora. Mi accompagni?".

"E' ancora così presto".

"Appunto. Se rientro adesso che tutti dormono, posso far finta di aver passato la notte lì".

"Che farai con suor Faustine?".

Elke annuì, guardandolo negli occhi. "Fidati di me. Starò bene e non le darò la soddisfazione di pensare che sono scappata per paura di lei. E grazie a te, so cosa fare. Devo chiudere tutte le faccende in sospeso in quel convento e... altrove. Poi potrò davvero essere tua e cercare di essere una brava moglie. In fondo ho detto sì e devo impegnarmi, giusto?".

Mattheus scosse la testa. La abbracciò, stringendola convulsamente fra le braccia, baciandole i capelli, il viso e le labbra con avidità. "Dimmi come faccio a lasciarti lì e ad andarmene? Come posso riuscirci?".

"Ci riuscirai perché me lo hai promesso e tu sei uno che mantiene la parola data. Ci riuscirai perché, per quanto ti possa pesare, sai che è la cosa giusta per me e tu desideri il mio meglio, non è così? Ci riuscirai perché sei forte e sai che ne vale la pena. Ci riuscirai perché mi hai detto che mi ami e io so che è vero".

Lo stregone scosse la testa. "Sai qual'è la fregatura dell'amore?".

"No".

"Che si perde il proprio raziocinio e si finisce per darle tutte vinte alla propria compagna".

Elke scoppiò a ridere. "Ah, non credo che sarà così! Probabilmente, in futuro, quella che dovrà abbassare il capo sarò io. Non abbatterti!". Gli diede una pacca amichevole sul braccio, sorridendogli.

Si baciarono ancora, a lungo. E poi, contro voglia, si tirarono su dal letto e si vestirono. Elke scoprì, con sua somma sorpresa, che mentre lei dormiva Mattheus aveva lasciato la stanza per ordinare al locandiere abiti puliti e caldi per lei e una lauta colazione per entrambi. L'oste gli aveva fatto trovare tutto davanti alla porta della loro stanza e poi, silenziosamente, era tornato al suo posto di lavoro senza disturbarli.

La ragazza si vestì, gli abiti che avevano portato erano di una lana pregiata dal colore blu, morbidi e talmente caldi e raffinati che, probabilmente, non aveva mai indossato nulla di simile. Mattheus le legò in spalla un pesante mantello, calandole scherzosamente il cappuccio sulla fronte.

"Questo, per favore, tienilo! Non voglio mai più vederti senza, in inverno".

"D'accordo". In effetti era ora che smettesse di restituirgli mantelli.

Mangiarono una lauta colazione composta da pane, frittata e uova e ad Elke sembrò di rinascere: era tanto che non mangiava così bene. Anzi, era tanto che non faceva un pasto completo, ora che ci pensava!

Dopo, silenziosamente, scivolarono fuori dalla locanda. La città ancora dormiva, le strade erano deserte e il candore della neve pareva illuminare ogni angolo ancora avvolto dal buio della notte. Tutti dormivano, tutti gustavano quel sonno sereno che di solito accompagna i fedeli nella notte di Natale, chi sognando la pace famigliare e chi, come i bambini, i balocchi di Sankt Nicholaus.

Per la prima volta in vita sua, come forse non le era successo nemmeno a Pennes, Elke trovò bella l'atmosfera natalizia ed assaporò quella sensazione di magia e buon'umore di cui tutti parlavano e che mai aveva provato. Non esistevano più, o erano molto lontani, né suo padre con le sue frustate, né la violenza di suor Faustine, la fame, il dolore, le ferite che l'avevano tormentata nel corpo e nell'animo in quegli ultimi giorni.

Mattheus le cinse le spalle, attirandola a se. "E' quasi bella così, questa città, non trovi?".

"Sì. E in questo momento è tutta nostra".

Camminarono in silenzio, godendo di quegli attimi di pace apparente. A dispetto di tutto, Elke si sentiva il cuore in tumulto, ma non voleva che lui lo percepisse perché altrimenti avrebbe insistito per farla partire con lui e lei avrebbe finito col cedere. Aveva paura della nostalgia e del dolore che avrebbe provato ad allontanarsi ancora da Mattheus, timore del senso di solitudine che avrebbe provato a non averlo al suo fianco, paura di tornare al convento, di suor Faustine e di quanto potesse pensare di lei dopo quanto successo poche ore prima, delle sue reazioni, di non riuscire a sfuggirle e di mille altre cose... Erano tante paure, lo sapeva. E sapeva anche che andavano affrontate se davvero voleva voltare pagina ed essere serena e a posto con se stessa quando fosse tornata da Mattheus.

Giunsero alla grande piazza del mercato dove si erano rincontrati la prima volta alcune notti prima. Era deserta ora e anche i senza tetto sembravano aver trovato un posto dove stare al caldo in quella notte di Natale. Elke alzò gli occhi su Mattheus, pensando a quanto fossero cambiate le cose fra loro nel giro di pochi giorni: il loro primo incontro in quella piazza si era dimostrato duro e pieno di rancore mentre ora erano lì insieme, abbracciati e pronti a sostenersi e ad amarsi per la vita. Alzò gli occhi sull'enorme abete addobbato, forse notando per la prima volta quanto fosse bello e magico alla vista. "E' meraviglioso, non trovi? Peccato che le candele che lo addobbano siano spente".

Mattheus aumentò la presa su di lei. Le sorrise. "Vuoi che le accenda?".

"Come potresti fare? Nevica, si spegnerebbero comunque subito".

Con un movimento leggero, Mattheus allungò la mano fino a toccare una delle piccole candele rosse posta nei rami più bassi. La strinse fra le dita, chiudendo gli occhi come in cerca di concentrazione. E dalla sua mano scaturì una scintilla infuocata che, come per magia percorse ogni ramo dell'abete, accendendo tutte le candele che lo addobbavano.

Elke spalancò gli occhi sorpresa; nevicava forte, non aveva usato che le mani eppure aveva compiuto di nuovo, sorprendendola, uno dei suoi incantesimi. Guardò l'abete, estasiata. Il verde dei rami si confondeva col candore della neve e il rosso del fuoco, creando una varietà di sfumature talmente bello da lasciare senza fiato. "Come hai fatto?".

Mattheus ridacchiò. "Donna di poca fede! Hai dimenticato il mio mestiere?".

"No... Ma...".

"Aria, fuoco, acqua, terra, piante, fiori e animali. Tutto si muove, tutto è vivo, tutto trasuda energia, anche le cose che ci appaiono immobili".

Elke spalancò gli occhi, osservandolo come si osserva un pazzo, non capendo il senso di quel discorso improvviso. "Mattheus, sei sicuro di sentirti bene?".

Lo stregone ghignò, divertito. "Ti ricordi la prima volta che ti ho portata al lago di Valdurna e avevo in mano quel bastone che usavo picchiarti in testa?".

"Si".

"Vorrei averlo qui adesso, quel bastone!".

Elke si bloccò, osservandolo pensierosa. Poi la sua espressione si illuminò all'improvviso. "Una lezione! Mi stai facendo una lezione, vero?" - chiese, eccitata.

Mattheus annuì, incrociando le braccia al petto. "Lo vedi che sei poco attenta?! Vuoi essere la mia assistente ma poi non ascolti quel che dico. Mi servirebbe davvero quel bastone" – concluse, facendole la linguaccia.

Elke sostenne le sue occhiatacce senza muoversi nemmeno di un centimetro. "E come la mettiamo con tutte le belle cose che mi hai detto ieri sera e questa mattina?".

A quella domanda, Mattheus fece un sorriso furbo. "E come la mettiamo, invece, col fatto che poco fa mi hai chiesto di essere ancora la mia assistente? Come puoi esserlo se non impari tutto quel che so? Non vorrai dirmi che vuoi un trattamento di favore, vero? Un conto sono i sentimenti, un conto è la nostra principale fonte di guadagno e questo vuol dire che quando si tratterà di lavorare insieme, sarò inflessibile e severo. Non ti basterà farmi gli occhi dolci e sbattere le tue lunghe ciglia, per ammorbidirmi".

"Lo immaginavo..." - rispose lei sospirando e mascherando un sorriso. "E allora, che mi stavi dicendo poco fa? Si insomma, quel discorso sull'energia che mi stavi facendo...". Era eccitata, era la prima volta che Mattheus le parlava della vera origine dei suoi poteri e lì, davanti a quell'abete illuminato che donava loro luce e calore, era come se le stesse facendo un meraviglioso regalo di Natale.

A quella domanda, Mattheus le baciò la fronte. "Che differenza c'è fra un lupo, un filo d'erba, un albero e il vento? Attenta a quel che risponderai, pensaci bene. O dovrò davvero cercarmelo, un bastone".

Elke ci pensò su, un pò perplessa da quella domanda. "Beh..." - cominciò, incerta – "Il lupo è un animale, vive".

"Anche un albero e un filo d'erba vivono! - obiettò lui.

"Sì certo, ma il lupo si muove, nasce, cresce, invecchia. E' evidente a occhio nudo che i lupi sono vivi".

Mattheus sospirò. "Anche se spesso succede più lentamente e meno visibilmente a occhio nudo, anche un albero o un filo d'erba nascono, crescono, invecchiano e muoiono. Così come i fiori che ti piacciono tanto" – disse con un sorriso, indicando la piccola stella alpina che le aveva regalato poco prima e che si era messa fra i capelli. "Pensaci Elke, una splendida rosa di maggio non è altro che il risultato di un piccolo bocciolo. Tutto ciò che ci circonda è vivo, anche se spesso non ce ne accorgiamo. E cosa c'è alla base di tutto? L'energia Elke. E' quella che mette in moto tutto, l'energia che ci fa nascere, muovere, crescere, respirare e vivere. Io, semplicemente, so comunicare con tutto ciò che è vivo, so' chiedere aiuto, so' farmi ascoltare e so' comunicare con qualsiasi cosa che mi circonda. Le piante, i fiori, il fuoco, gli esseri viventi mi danno l'energia che li rappresenta, quando sanno che ne ho bisogno. Mi considerano un amico e io li rispetto, considerandoli a mia volta degli amici".

"E la ritieni una cosa semplice? Come si fa a comunicare con un filo d'erba, Mattheus?".

"Devi imparare ad ascoltare per davvero la voce di tutto quel che ti circonda. Non dico che sarà semplice e tanto meno che sarà una cosa che apprenderai in fretta, questo no. Io ci ho messo anni ad imparare, sai? Saper ascoltare è la parte più difficile, il resto verrà da se e ti sembrerà una passeggiata, puoi starne certa. Io lo so che puoi riuscirci, sta tranquilla".

"Se lo dici tu...". Elke sbuffò, non così convinta. "Che mi dici del vento, invece? Mi hai chiesto la differenza fra un albero, un filo d'erba, un lupo e il vento, prima. Il vento non è vivo!" - dichiarò lei, quasi con aria di sfida.

"Sì che lo è. Il vento è uno degli elementi più potenti della natura, un qualcosa che non vedi ma che senti, un qualcosa di talmente forte che può piegare le piante più alte e robuste con un semplice soffio oppure può alimentare un fuoco. Saper comunicare col vento significa acquisire poteri senza pari. Pensa all'energia, alla forza che c'è in una giornata ventosa, pensa alla maestosità di qualcosa che non vedi ma che può piegare ogni essere al suo volere e alla sua potenza. Nessuno può nulla, contro il vento".

"Già, non ci avevo pensato". Elke guardò l'abete, così magicamente illuminato e resistente al freddo e alla neve che cercavano di ricoprirlo e spegnerne il calore, così maestoso e così... vivo... "Non mi avevi mai spiegato nulla del genere, sai?".

"E' giunto il momento che tu impari! Ti ho accettata come allieva anni fa, dopo tutto! E non l'avrei mai fatto se avessi pensato che saresti stata una perdita di tempo".

"Già". C'era ancora qualcosa che voleva sapere da lui, qualcosa che non le aveva ancora spiegato e che la incuriosiva più di tutte fin dal loro primo incontro. "Mattheus, perché quel giorno scegliesti di prendermi con te?".

"Il giorno che ci siamo incontrati la prima volta? Quello del torneo con l'arco?".

"Sì. Avevi detto che un giorno me l'avresti detto".

Mattheus ridacchiò, alzando la mano a scompigliarle i capelli. "Bugiarda! Io non ho detto esattamente così! Avevo detto che te lo avrei spiegato se ne avessi avuto voglia, se ben ricordo".

Elke sbuffò, alzando gli occhi al cielo. "E credi di averne voglia, adesso?".

Mattheus sorrise, voltandosi verso di lei. Le sfiorò la guancia con una carezza, finendo poi per baciarla sulle labbra. "Ti ho messa alla prova, quel giorno. Anche se non te ne sei accorta".

"Cosa?".

"Esattamente! Mi affascinavano il tuo modo di fare così fuori dagli schemi, la tua abilità con l'arco e la tua conoscenza delle erbe. Eri diversa da tutti quelli che avevo incontrato fino a quel momento e mi incuriosivi. Quando ti ho seguita e tu stavi litigando con quei ragazzi, ricordi cosa ti ho proposto?".

"Sì, di cambiare il colore dei miei capelli".

Lo stregone sorrise dolcemente. "Esatto. E tu hai risposto di no, dimostrandomi che te ne fregavi del parere degli altri, che non ti facevi condizionare, che non eri una che sceglieva la strada più facile e che possedevi una testolina niente male. Ho deciso in quel momento di tenerti con me".

Elke spalancò gli occhi dalla sorpresa. Di tutte le motivazioni che si era immaginata, quella era l'unica a cui forse non aveva pensato. Ma d'altronde, ora che lo conosceva, sapeva che quella piccola trappola era tanto tipica di lui che sapeva giocare con le persone e con le parole, spingendo i propri interlocutori a mostrarsi per quelli che erano senza che questi se ne accorgessero.

"Se ti avessi risposto di sì... avresti cambiato il colore dei miei capelli?" - chiese, più per curiosità che per altro.

"Assolutamente no! Ti avrei rispedita sulla montagna a calci". Alzò lo sguardo, a fissarla negli occhi. "Ma c'è anche un altro motivo, sai?".

"Quale?".

Mattheus abbassò lo sguardo, quasi fosse in difficoltà ad ammettere quello che stava per dire. "Da ragazzino pensavo che fosse una gran cosa essere uno stregone e incutere terrore nella gente. Pensavo mi avrebbe dato potere, ma in realtà ho scoperto con gli anni che la paura serve solo ad isolarti. In tanti si sono rivolti a me per chiedere aiuto in passato, tutti uguali, tutti con occhi spaventati e gambe tremanti per il fatto di conferire con me. Ma tu... e anche Falko e Drago... Voi non mi temevate, voi non volevate qualcosa da me per poi fuggire una volta ottenutolo, no, voi mi guardavate negli occhi, alla pari, senza paura, tranquilli. Voi volevate imparare da me, condividere qualcosa con me. Eravate senza pregiudizi ed era la prima volta che mi capitava di incontrare persone come voi".

Elke sorrise, prendendogli la mano fra le sue e stringendogli delicatamente il polso. "Quando ho sentito parlare di te per la prima volta, dicevano che eri un uomo impossibile ed in effetti, a prima vista, mi sei sembrato così. Rude e sfuggente, poco incline al rapporto con le persone e con un pessimo carattere. Ma poi hai stretto la mia mano, mi ha preso il polso per impedirmi di scoccare la seconda freccia contro quei ragazzi del villaggio e la tua presa su di me non era forte, prepotente o violenta. Era gentile, delicata... Le tue mani raccontano di te molto più di quello che riesci a fare a parole". Alzò lo sguardo sull'abete illuminato, pensierosa. "E sai, dentro di me in questi tre anni l'ho sempre saputo di non essermi sbagliata, allora. Anche se ci ho provato con tutte le mie forze, non sono mai riuscita a cambiare idea su di te".

Tornò a guardarlo in viso e si accorse che Mattheus ora aveva un'espressione seria e talmente concentrata su di lei che per un attimo ne ebbe soggezione. Lo stregone fece scivolare le mani sui suoi fianchi, attirandola a se, e poi si chinò sul suo viso. "Ti amo, Elke" – sussurrò, prima di darle un lungo ed appassionato bacio sulle labbra. Sentì le sue mani risalirle sulla schiena e poi sprofondare fra i suoi capelli, accarezzandoli piano. Si erano baciati molte volte durante quella notte, ma quel bacio aveva un sapore diverso, più intimo, profondo, talmente intenso da riuscire a toccarle cuore e anima. Voleva dire tante cose quel bacio, la fine di quello che erano stati fino a quel momento e l'inizio di quello che sarebbero diventati insieme in futuro, pur rimanendo fedeli a se stessi, aveva il sapore di una promessa di famiglia che ad entrambi era mancata troppo presto e la certezza che sarebbe stato amore vero il loro, che per sempre si sarebbero sostenuti a vicenda, nel bene e nel male, che non sarebbero mai riusciti a perdersi di vista e che se stavano insieme avrebbero potuto affrontare tutto. E la sua mente si zittì, gustando la dolcezza di quei momenti, di loro due da soli in una piazza coperta dalla neve, davanti ad un abete illuminato per magia dall'uomo straordinario che aveva davanti.

Rimasero abbracciati a lungo, in silenzio. La neve attutiva ogni cosa e tutto era talmente perfetto che, per un attimo, Elke pensò si trattasse solo di un bel sogno e che al suo risveglio si sarebbe ritrovata sola, ferita e senza alcun appiglio. "Ti stai addolcendo troppo, la gente comincerà a pensare che sei buono" – sussurrò, contro il suo petto.

"Oh, non corro questo genere di pericoli, tranquilla".

Quella risposta la fece sorridere e cercò di imprimere in se il calore e la leggerezza di quel momento. Ne avrebbe avuto bisogno nei mesi successivi e Mattheus sarebbe stato la sua ragione di lotta. "Devo tornare al convento ora".

Mattheus deglutì. Annuì, cingendole le spalle, e silenziosamente, dopo aver lanciato un ultimo sguardo all'abete illuminato, lasciarono la piazza.

Non si dissero nulla durante il tragitto, ma quando l'ingresso del convento comparve davanti a loro, imponente ed austero, Mattheus aumentò la presa su di lei. Era preoccupato, poteva avvertirlo distintamente dalla tensione della sua mano poggiata sulla spalla. Quella sarebbe stata la parte più difficile, lo sapeva. Salì il primo scalino dell'ingresso, poi si voltò verso di lui per salutarlo. Era inutile tergiversare, doveva sbrigarsi e non prolungare oltre quell'agonia. "Entro il solstizio d'estate, Mattheus" – mormorò, mentre la voce le tremava. Abbassò lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Non era facile lasciarlo, avrebbe sofferto ogni giorno per la nostalgia di saperlo lontano ed aveva paura. Un sordo, dannatissimo terrore di quello che l'avrebbe aspettata lì dentro.

La mano di Mattheus le sfiorò il mento, costringendola a sollevare nuovamente il viso. "Sei una donna coraggiosa, non dimenticarlo mai. A testa alta, Elke, ricordatelo! Mio padre, quando ero piccolo, mi diceva che gli Hansele non abbassano mai il capo davanti a niente e che non temono nulla e nessuno".

"Io non appartengo alla famiglia Hansele, però".

Mattheus sorrise. "Molto presto sarai la signora Hansele però! Adeguati!" - concluse, strizzandole l'occhio. "Sai, io vorrei rapirti e portarti via ma capisco che per ora è quì che devi restare e che hai tante cose da risolvere. L'idea non mi fa impazzire di gioia ma io, al tuo posto, avrei fatto lo stesso e quindi entra qua dentro, dimostra quello che vali, fai tutto quello che devi fare e poi torna da me".

"Sì". Sorrise davanti al modo in cui sapeva leggerle dentro ansie e paure e a come sapeva rassicurarla, perdendosi negli occhi blu dello stregone. Era così dannatamente affascinante, accidenti a lui! I riccioli rossi sfuggivano al cappuccio del mantello, disordinati sulla sua fronte, il suo sguardo era limpido e sincero e la sua postura dritta e sicura. "A presto Mattheus".

"Aspetta, tieni queste!". Dalla tasca del mantello, lo stregone tirò fuori cinque ampolle della sua acqua. "Usale in caso di estrema necessità, per te o per le persone a cui tieni. Ma ricordati quello che mi hai giurato, niente ferite, non ti farai male".

Spalancò gli occhi, sorpresa. "Cosa? Ma io non so comandare l'acqua del lago come fai tu".

"Ti ubbidirà, sta tranquilla. Ho fatto in modo che sia così".

Sorpresa, si sporse verso di lui e lo abbracciò, lottando con se stessa per non scoppiare a piangere. "Grazie".

"Grazie a te, Elke" – rispose lui, rispondendo all'abbraccio e facendo scivolare le ampolle nella tasca del suo mantello.

"Grazie per cosa?".

"Per aver scelto me, per essere venuta da me quando te ne sei andata via dalla casa dei tuoi genitori. Hai cambiato la mia vita".

Elke sorrise, senza dire nulla. Lo baciò di nuovo sulle labbra, lentamente, stupendosi essa stessa di come quel gesto, imparato solo poche ore prima, le risultasse tanto semplice e famigliare. "A presto, Mattheus".

"A presto, Elke! E ricordati la tua promessa".

Aprì lentamente il portone, voltandosi ancora una volta verso di lui. "E chi se lo scorda che diventerò tua moglie" – esclamò ironicamente. "Entro il solstizio d'estate sarai mio marito, passa i prossimi mesi ad abituarti all'idea, Mattheus".

"Pure tu".

Annuì, poi prese coraggio, oltrepassò l'uscio ed entrò nel convento.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ***


Scivolò silenziosamente fra i corridoi, come una ladra. Nelle ultime ore aveva infranto talmente tante regole di quel convento che probabilmente non aveva più diritto di stare fra quelle mura e sicuramente le suore potevano trovare senza sforzo mille buoni motivi per riempirle il viso di schiaffi, lo sapeva bene. Non aveva svolto molti dei lavori assegnati, aveva lasciato la Chiesa evitando di festeggiare il Natale in modo cristiano, aveva passato la notte con un uomo pur non essendone la moglie. No, decisamente i metodi rieducativi di suor Faustine nei suoi confronti non avevano funzionato, pensò ironicamente. Doveva giocarsi bene le sue carte se voleva raggiungere i suoi obiettivi, riordinare le idee e poi agire senza avere paura.

Lasciare Mattheus era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto e una volta chiusa la porta alle sue spalle aveva provato subito il desiderio, la necessità di riaprirla e scappare con lui. Solo la consapevolezza che non poteva farlo, che non avrebbe trovato la serenità che cercava se fosse scappata, l'aveva fatta desistere. Avrebbe riabbracciato Mattheus, si sarebbero amati senza più nulla a dividerli e avrebbero passato il resto delle loro vite insieme, ma quello non era ancora il momento.

Arrivò alla sua stanza senza problemi e senza incontrare nessuno per i corridoi ed entrò di soppiatto. Helena dormiva nel suo letto ed Anna era accanto a lei. La bimba non era ancora guarita del tutto e finché la febbre non le fosse passata, sarebbe rimasta con la madre.

Sospirando, Elke si sedette sul letto dell'amica, scuotendola lievemente per svegliarla. "Helena".

La ragazza mugugnò nel sonno e poi, dopo averla osservata di sottecchi con un occhio aperto, con un balzo si sedette sul letto, con la faccia di una che sembrava avesse appena visto un fantasma. "Elke! Dannazione, sei quì! Ti prenderei a schiaffi per la paura che mi hai fatto prendere. Dove sei finita? Pensavo fossi morta, che ti fossi uccisa, che ti avessero rapita".

"Santo cielo, come sei tragica!".

Helena la prese per il bavero, attirandola a se con fare minaccioso. "Tragica? Suor Faustine ti ha massacrata e sono giorni che sei completamente fuori di testa, che dici cose senza senso e che ti trascini per il convento come una mummia. Sei ferita, avevi la febbre e di colpo sei sparita senza dire nulla, cosa avrei dovuto pensare?".

Elke abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa. "Scusa. Non volevo sparire e farti preoccupare, è successo tutto molto in fretta e io... non ho potuto farci nulla".

Helena sospirò, appoggiando la schiena contro la spalliera del letto. Anna si svegliò a causa del trambusto, strofinandosi gli occhi e rifugiandosi fra le braccia della madre. "Ekke" – disse, allungando le braccia verso la ragazza albina.

Elke le sorrise, prendendola fra le braccia. Anna l'aveva vista nascere, ricordava nitidamente quel giorno di due anni prima quando, in quella stessa stanza, era venuta al mondo strillando ancora più forte di quanto avesse fatto la madre durante il travaglio. Era come una specie di sorellina o nipotina per lei e sapeva che le sarebbe mancata quando fosse tornata da Mattheus. "Non sono più ferita" – disse infine, mostrando le mani ad Helena.

La ragazza la guardò accigliata e poi spalancò gli occhi, sorpresa e forse terrorizzata. "Che razza di magia diabolica è questa? Come hai fatto? Avevi la schiena e le mani distrutte dalle frustate e ora non hai nemmeno un graffio. Elke, questa è stregoneria!".

Elke scosse la testa. Capiva la paura di Helena, lei come tutti non sapeva nulla di Mattheus, della sua magia, di come sapesse ottenere quello che voleva dall'acqua del lago di Valdurna. "Non è stregoneria te lo assicuro. Al contrario... è amore".

Helena parve scettica. "Tu... non sei la figlia del diavolo per davvero, giusto?".

A quella domanda, Elke sorrise. "No, stupida! Se mi dai un attimo, ti racconto".

"Ti do anche tutta la mattinata, ma mi devi dire tutto. E cerca di essere convincente perché crederti non sarà facile".

Elke prese un profondo respiro. "Ti ricordi quando ti ho detto che ho lavorato per un uomo della Val Sarentino, prima di venire a Bozen?".

"Sì".

"L'ho rincontrato quì per caso. E' lui che ti ha dato la statuetta della lupa ed è lui che mi ha curata. E' uno stregone e...".

A quelle parole, Helena spalancò gli occhi, come se avesse capito ogni cosa. "Accidenti, ora ci sono! Hai detto che vivevi a Pennes e in quel posto vive Pfeifer Huisele, il famoso stregone, ora che ci penso! Ho sentito spesso parlare di lui come di una specie di leggenda, è conosciuto in tutto il Tirolo. E' per lui che hai lavorato? E' lui che ti ha insegnato a leggere?". Helena era a bocca aperta, incredula. "Cara mia, o tu sei davvero la figlia del diavolo oppure sei dannatamente fortunata ad averlo conosciuto". Osservò le sue mani, accarezzandole. "Beh, qualunque cosa sia, l'importante è che ti abbia curata e guarita. Ero così in ansia per te".

"Ero strana negli ultimi giorni".

"Eri pazza!" - sbottò Helena. "Da legare! Credevo avessi perso per sempre il senno. Solo una leggenda come lui poteva aiutarti".

A quelle parole, ad Elke venne da ridere. Era così strano sentire parlare di Mattheus in quei termini, come di una celebrità, un personaggio pubblico famoso, soprattutto considerando quanto in realtà lui fosse solitario, brontolone, poco amante del chiasso e della confusione attorno a se.

Però su una cosa Helena aveva ragione, solo lui avrebbe potuto salvarla dall'inferno in cui era precipitata. Si morse il labbro, ricordando quanto difficili fossero stati gli ultimi giorni per lei. Era caduta in un'apatia e in una sorta di torpore da cui nemmeno Helena e la piccola Anna riuscivano a svegliarla. Tutto era diventato ovattato e lontano, soffocato dal dolore fisico che le lacerava ogni fibra del suo corpo. Non parlava più con nessuno, non ascoltava nessuno e lavorava e basta, come un'automa, spinta da una strana forza che non credeva di avere. O dalla paura di essere frustata ancora... "Ora sto bene". Osservò l'amica, Helena era l'unica che la ascoltasse e l'unica con cui si confidasse. Le mancava terribilmente Mattheus e non avrebbe potuto parlare di lui con nessun'altra. "Helena".

"Cosa?".

Strinse a se Anna che, tranquilla, era intenta a giocare con la stoffa del suo mantello. "Ho passato la notte con lui".

Helena alzò le spalle con noncuranza. "Me ne sono accorta, sei tornata solo ora e...". Improvvisamente si bloccò, spalancando occhi e bocca incredula. "No, aspetta Elke! Quando tu dici che hai passato la notte con lui intendi che... hai passato la notte CON lui... in quel senso?".

"Sì".

Sul viso di Helena comparve un sorrisetto malizioso. "Oh... Porca miseria, era ora che ti decidessi! Credevo non l'avresti mai fatto! Racconta!".

Elke arrossì. "No! Non ti racconto nulla, sono fatti miei e c'è quì pure Anna, non mi sembra il caso".

Helena le tolse dalle braccia la figlia, mettendola a sedere sul letto. "Oh, Anna è mia figlia, mica si scandalizza! Lei è come me, aperta a tutto".

"Helena!".

L'amica scosse la mano con noncuranza. "Avanti, piantala! Ha due anni, cosa vuoi che capisca! Fra cinque minuti si sarà dimenticata di questa conversazione".

"Sì, ma non mi va di raccontartelo lo stesso".

"Se me lo racconti, in cambio ti racconto della notte in cui ho concepito Anna".

Elke la guardò storto, indecisa se picchiarla o scoppiare a ridere. Alla fine prese il cuscino e glielo gettò in faccia. "No grazie, credo che ne farò volentieri a meno".

"E dai, dimmi se ti è piaciuto almeno".

Elke sorrise a quella domanda, ricordando per un attimo quegli attimi così intensi vissuti con Mattheus poche ore prima. Era stato tutto così perfetto, pulito, dolce, delicato e senza fretta... "Sì, molto" – ammise.

Credeva che Helena avrebbe insistito con le domande ma la sua amica la stupì, facendole scorrere le braccia attorno al collo e limitandosi ad abbracciarla. "Sono contenta per te, davvero".

"Lo so". Se c'era qualcuno che le volesse bene e sinceramente in quel posto, quella era Helena. Si preoccupava per lei da sempre e sapeva che per lei voleva il meglio.

"Accidenti... la tua prima volta con lo stregone di Pennes" – commentò ironicamente. "Elke ma... mi spieghi allora cosa ci fai quì? Insomma, perché sei tornata in questo posto infernale invece che startene con lui? Ti ha cacciata dopo averlo fatto? Ti ha trattata male e sei scappata?".

"No, niente di tutto questo". Elke sospirò, era ora di cominciare ad agire e doveva partire proprio da Helena. "Io resterò quì ancora un pò e non me ne andrò finché non avrò trovato il modo di far andare via anche te ed Anna. Lui avrebbe voluto che partissi subito con lui ma ha capito le mie necessità e, nonostante non ne fosse felice, non ha fatto storie a lasciarmi quì. Ma gli ho promesso che entro l'estate lo raggiungerò a Pennes e io...".

Helena si rabbuiò, ogni traccia di divertimento e curiosità scomparve dal suo viso. "Sei tornata per me ed Anna? Elke, è la cosa più idiota che tu abbia mai fatto e voglio che tu riprenda quella porta e te ne vada da quì. Vai da lui e fuggi da questo posto, hai vissuto l'inferno quì e io non permetterò che ti risucceda qualcosa di male a causa mia".

"Helena, sei mia amica, voglio aiutarti, so come fare!".

L'amica si morse il labbro, arrabbiata. "No! Se non te ne vai, io non ti parlerò mai più. E vieterò anche ad Anna di farlo! Appena saprà parlare, ovvio...".

Elke sospirò, prendendole la mano fra le sue. "Helena, non sono tornata solo per te, ci sono tanti buoni motivi che mi tengono lontana da Pennes per ora. Io non voglio scappare senza affrontare suor Faustine e tutte le mie paure, non voglio affidarmi solo all'amore di un uomo per essere felice. Ho bisogno di star bene con me stessa per stare bene davvero con la persona che amo e ora non è così, non sto bene. Non riesco nemmeno a guardarmi in uno specchio senza vergognarmi di me stessa dopo quello che è successo e non voglio vivere pensando che suor Faustine creda che sia fuggita".

"Suor Faustine è la tua peggiore nemica quì e non la spunterai con lei" – obiettò Helena, guardandola di sbieco.

Elke annuì. Lo sapeva benissimo, non c'era bisogno che Helena glielo ricordasse. "Ma potrebbe diventare la mia più preziosa alleata, se tutto va nel verso giusto. Fidati di me, ti prego!".

Helena sospirò, stringendo a se la figlia. "Cosa vuoi fare?".

"Fare in modo che tu possa trovare un buon lavoro che ti permetta di andartene e mantenerti. Indipendenza da questo posto, per te ed Anna. Devi imparare anche tu a leggere e scrivere e ho bisogno di tempo per insegnartelo, di inchiostro, carta e libri. Ho promesso a Mattheus... a Pfeifer Huisele come lo chiami tu, che entro il solstizio d'estate sarei tornata da lui e quindi mi servi attenta e collaborativa".

Helena spalancò gli occhi, guardandola come si guarda un pazzo. "Tu sei completamente folle, la notte d'amore con quell'uomo ti ha spappolato il cervello! Elke, io non sono come te, io sono una somara nata da due persone più somare di me che non avevano neanche il pane da mettere in tavola e non sapevano contare nemmeno le dita che avevano nelle loro mani. Io non sono una da libri".

Elke sbuffò. "E io sono figlia di due bigotti che preferivano credere alle superstizioni piuttosto che prendersi cura di me, eppure ho imparato. L'ho fatto io e puoi farlo anche tu, per te e soprattutto per garantire un futuro ad Anna".

"Tu hai imparato con LUI. Pfeifer Huisele ti ha scelta perché in te ha visto intelligenza e capacità. Uno così non si innamora facilmente e di certo non amerebbe una sciocca, non si accontenterebbe di una qualunque! Tu sei diversa da me e da tutte le altre ragazze ospitate quì, hai modi di fare delicati, puliti, si direbbe quasi che tu sia nobile sia di animo che di nascita. Io non sono come te, nemmeno lontanamente. E poi dove vorresti trovare carta, inchiostro e penna? E i libri? E il tempo per insegnarmi?".

"Troverò tutto da Suor Faustine!" - rispose Elke con sicurezza. "Che ne dici?".

"Dico che a breve parteciperò al tuo funerale".

Elke rise, nonostante tutto. Affrontare quella suora non sarebbe stato facile, avrebbe dovuto usare cervello e diplomazia ma sapeva che poteva spuntarla, se sapeva sfruttare a suo vantaggio quanto successo la notte prima con Mattheus. Si stese sul letto, accanto all'amica e alla figlia, decisa a riordinare le idee e a riposarsi. "Lascerai che ti insegni quello che so?".

Helena alzò gli occhi al cielo, esasperata. "Se sopravviverai a suor Faustine... Ma non aspettarti troppo da una somara come me!". Con poca grazia le gettò le coperte addosso, stendendosi accanto a lei. "Ora dormi un po', suppongo tu sia stanca, è!" - concluse, con fare malizioso.

Elke sorrise, facendo finta di non notare le sue occhiatacce. Frugò nella sua tasca, tirando fuori le ampolle dell'acqua del lago che le aveva dato Mattheus. "Sono per Anna, me le ha date lui. Fagliela bere e guarirà del tutto".

Helena spalancò gli occhi e per un attimo trattenne il fiato. Sfiorò, quasi timorosa, le piccole ampolle nella sua mano. "La sua acqua? L'acqua magica... Per Anna?".

"Esatto!". Elke rimise la mano in tasca, cercando ancora. C'era dentro qualcos'altro oltre all'acqua, una specie di piccola sacca di pelle che aveva sentito al tatto poco prima, e non aveva la minima idea di cosa fosse. La trovò e la tirò fuori, osservandola incuriosita. Non ricordava di aver preso nulla dalla stanza di Mattheus quando se ne erano andati...

"Cos'è?" - chiese Helena, mentre anche la piccola Anna guardava incuriosita.

Elke alzò le spalle, aprì il sacchetto e ne rovesciò il contenuto sulla mano. E quando vide di cosa si trattava, sorrise. "Cioccolata..." - sussurrò, osservando i piccoli pezzi di dolce fra le sue mani.


Il suo respiro non era ancora tornato regolare e i loro corpi erano ancora talmente vicini da sembrare fusi. "L'avresti mai detto che sarebbe finita così fra noi?".

Mattheus le aveva accarezzato i capelli, piano, anche lui col fiato ancora corto ed affannato. "Forse sì".

"Davvero? Non mi guardavi mai come un uomo guarda una ragazza, quando vivevo con te a Pennes. Non ti accorgevi quasi di me".

Lui aveva sorriso, baciandola sulle labbra. "Non è proprio così. Ti consideravo ancora... piccola... non eri pronta per questo genere di cose ma ti assicuro che certe volte, quando te ne giravi in casa con la camicia da notte o la sottoveste, tranquilla e senza la minima malizia, ecco... io un pò malizioso invece lo ero. E facevo molta fatica a far finta di nulla. Ripetermi e ripeterti che eri una ragazzina era il modo migliore per cercare di convincermi a fare il bravo, certe volte!".

Rise, a quell'ammissione. "Una volta mi avevi sgridata, dicevi che dovevo coprirmi di più e che se ci fossero stati i miei genitori, mi avrebbero presa a schiaffi per il modo in cui giravo per casa davanti a un uomo. E che tu gli avresti dato ragione! Allora non avevo capito perché ti fossi arrabbiato tanto e fossi così imbarazzato, sai? Credevo volessi solo borbottare senza un perché, avevo un'idea molto romantica e molto poco pratica di cosa fosse l'amore fra un uomo e una donna".

"Beh, ora lo sai, mi pare".

"Sì decisamente! Anche se per un secondo, anche se facevo la coraggiosa, ho avuto un pò paura".

Il viso dello stregone si era addolcito a quella ammissione. "Me ne sono accorto, per un attimo ti ho sentita tremare".

Lo sapeva che se n'era accorto. Aveva rallentato, le sue carezze e i suoi baci si erano fatti più delicati e lenti e l'aveva accarezzata a lungo, guardandola in viso e aspettando di capire quando fosse stata pronta per proseguire. Avevano fatto l'amore insieme e per tutto il tempo Mattheus aveva prestato più attenzione a lei che a se stesso, ad ogni suo respiro o movimento. Aveva avuto una pazienza e una dolcezza infinita con lei e sapeva di essere stata fortunata, che non a tutte le ragazze era concesso un trattamento simile. "Hai saputo aspettare, tranquillizzarmi, attendere il momento giusto. Lo hai sempre fatto, da quando mi sgridavi perché giravo in camicia da notte per casa".

Si erano baciati ancora e poi Mattheus aveva allungato il braccio fino al suo comodino, prendendo una piccola sacca di pelle che vi era appoggiata. L'aveva aperta e sulla sua mano erano comparsi piccoli pezzi di un prodotto che le era sconosciuto, dal colore del tronco degli alberi. "Cos'è?".

"Cioccolata. L'ho presa pochi giorni fa in piazza al mercatino di Gesù Bambino. A Pennes non si trova ma quando per qualche motivo vengo quì, la compro sempre. Assaggiala!".

Poco convinta, aveva lasciato che le sue dita le sfiorassero le labbra, facendo scivolare nella sua bocca un pezzo di quella... cioccolata. Un sapore dolce e intenso le invase in palato e trovò che era delizioso, non aveva mai provato nulla di simile.

"Ti piace? Sai, ti farà bene, questa ti darà un sacco di energia e solo Dio sa quanto ne hai bisogno".

"Sì, la adoro".

"Mangiane quanta ne vuoi, devi recuperare le forze e ho il sospetto che in quel convento non ti diano abbastanza cibo, da quanto sei magra".


Sorrise, stringendo a se il sacchetto. Non si era accorta che Mattheus lo avesse messo di nascosto nel suo mantello e anche questo era tipico di lui. I suoi gesti, specie quelli più gentili, non erano mai plateali ma li faceva di soppiatto, quasi di nascosto, come se se ne vergognasse. "E' cioccolata, Helena. Provala, questa a te ed Anna fa bene di sicuro".

"Ne sei certa? Ha un colore strano...". Un pò titubante, l'amica la assaggiò, facendola provare anche alla sua bambina. E anche lei e la figlia ne risultarono entusiaste, tanto che Anna tentò di prenderne altra, allungando le mani verso di lei e il sacchetto.

"Se quell'uomo ti ha regalato una cosa del genere, deve amarti davvero tanto. Questa cosa che abbiamo mangiato, io l'ho vista in piazza, al mercatino, e costa un sacco di soldi".

Elke sorrise. "Mattheus non ha problemi di denaro e gli piace spenderlo per viziarsi".

Helena le prese una ciocca di capelli fra le mani, giocandoci. "Diventerai come una principessa, con lui".

"Ci sposeremo questa estate".

"Sono contenta per te". Lo sguardo di Helena si fece serio, mentre stringeva a se Anna. "Sei fortunata, l'amore è una cosa rara e il più delle volte è dettato solo da interesse o egoismo. Sarai felice e lui... lui pure! E' un uomo intelligente come dicono, visto che ha scelto te".

"O molto folle!" - ribatté Elke, ripensando a tutti i pro e ai molteplici contro alla loro unione.

"Andrà bene. E ora dormi un pò, almeno sfuggirai per qualche ora ancora alla vista di suor Faustine".

Elke le annuì, era stanca davvero, e insieme ad Helena e ad Anna si addormentò nello stesso letto, dormendo finché la luce del giorno invase la loro stanza.

Fu una giornata strana, quella.

Elke si alzò, si vestì come di consuetudine con gli abiti del convento e si accodò alle altre ragazze. Era il giorno di Natale, un giorno di festa anche per loro e non era previsto che lavorassero. Aveva pranzato con le altre nel reflettorio, un pasto modesto ma decisamente migliore di quello a cui erano abituate, aveva partecipato alla Messa e aveva incrociato anche suor Faustine nel corridoio, nel primo pomeriggio.

La suora aveva spalancato gli occhi sorpresa, si era morsa il labbro e lei si era aspettata che esplodesse dalla rabbia alla sua vista. Non era tanto sciocca da non pensare a quanto ce l'avesse con lei, dopo le minacce e la paura che le aveva fatto prendere Mattheus solo poche ore prima e poteva scommetterci, ardeva dalla voglia di rimettere mano alla frusta e farle pagare tutta la sua sfrontatezza.

Ma suor Faustine tacque. La guardò per un lungo istante, si torse le mani l'una nell'altra e poi proseguì per il corridoio senza dire una parola.

Elke si era accasciata contro la parete, le gambe che le tremavano. Suor Faustine era colei che deteneva più potere nel convento, a lei spettavano le decisioni su come spendere il denaro e organizzare la vita comunitaria e se voleva raggiungere i suoi obiettivi, era con lei che doveva scendere a patti.

Nessuno l'aveva disturbata durante la giornata e Elke avrebbe anche potuto festeggiare il Natale serenamente, se non fosse stato per il fatto che la sua mente era in tumulto. Era cambiato tutto così repentinamente nelle ultime ventiquattro ore e ancora non aveva riordinato le idee. Aveva ritrovato l'uomo che amava, si era concessa a lui e poi era stata costretta a lasciarlo e per molto non si sarebbero rivisti. E doveva conferire con una donna che, con tutta probabilità, la voleva morta. C'era decisamente da stare poco allegri.

Quando l'oscurità della sera invase ogni androne del convento, Elke si decise. Ormai tutti si erano ritirati nelle loro stanze e i corridoi erano deserti. Non c'era momento migliore...

Avanzò fino alla porta della stanza di suor Faustine, in preda all'ansia e alla paura che però non voleva fare assolutamente trasparire. Se quella suora avesse notato in lei segni di timore o cedimento, sarebbero stati guai. Inspirò profondamente e poi bussò. Non le aveva rivolto parola tutto il giorno e si era ritirata in camera senza l'accenno di volerla punire per quanto successo la sera prima, non sapeva cosa aspettarsi da lei.

Suor Faustine aprì l'uscio, spalancando impercettibilmente gli occhi dalla sorpresa. C'erano furia e paura nel suo sguardo, in un mix che poteva diventare pericoloso se non l'avesse gestito al meglio. "Elke... O sei molto stupida o ti piace giocare col fuoco! Cosa ci fai quì?".

Non sapeva cosa intendesse, se si chiedesse cosa ci faceva davanti alla porta della sua stanza o cosa ci facesse in convento, ma non era più tempo di convenevoli. Diede una veloce occhiata alla stanza, quella stessa stanza dove era stata frustata a sangue solo poche sere prima e un brivido di paura le percorse la schiena. Lo ricacciò giù, decisa a non farsi sopraffare. "Devo parlare con voi".

"Chi ti dice che io voglia stare a sentirti? Vattene da questo posto Elke, tu... tu devi sparire dalla mia vista. Sei una creatura demoniaca, l'amante di uno stregone, una donna che fino a poche ore fa aveva ferite in tutto il corpo ed ora, dove c'erano tagli e contusioni, c'è una pelle rosea e candida come quella di una bambina. Non so chi tu sia ma voglio che tu te ne vada".

Elke alzò lo sguardo su di lei. Era terrorizzata, per la prima volta da quando conosceva suor Faustine, l'aveva in pugno. Pensò a Mattheus, alla sua bravura a bluffare, alle sue mezze frasi e alle minacce vaghe che sapevano intimorire le persone più che la violenza fine a se stessa. Bastavano poche parole, quelle giuste, per ottenere dalla gente quel che si voleva. Se desiderava ottenere qualcosa da suor Faustine, doveva agire come faceva solitamente Mattheus, con scaltrezza e furbizia. "Andrò via, prima di quanto crediate, se mi darete una mano. Ho ancora alcune cose da fare quì e ho bisogno di voi. Il mio... amante... era contrariato dal fatto che tornassi quì ma gradirebbe enormemente un vostro aiuto che mi permetterebbe di tornare da lui quanto prima".

Suor Faustine rimase in silenzio per lunghi istanti, come ponderando le sue sue parole. Poi annuì, facendole cenno di entrare nella sua stanza. "Ti do cinque minuti, poi voglio che tu sparisca da questa camera, Elke".

"Cinque minuti basteranno".

"E allora avanti, ragazza, parla".

Elke osservò di sfuggita la porta della stanza chiusa alle sue spalle, cercando di scacciare il ricordo delle frustate. Si avvicinò alla sedia davanti alla scrivania, si sedette e poi attese che suor Faustine facesse altrettanto.

"E allora?" - la rimbeccò la suora, appena furono faccia a faccia.

Elke inspirò profondamente, prendendo coraggio. "Sarei volentieri andata via questa notte e vi giuro che sono stata tentata di farlo ma quì ci sono cose che devo portare a termine e poi... non volevo che voi pensaste che fossi scappata. Ho bisogno di rimanere quì ancora per alcuni mesi che mi serviranno per aiutare Helena ad andarsene e a costruirsi una vita fuori da questo convento, con Anna".

"Helena non è in grado di curare sua figlia e di questo ne abbiamo già ampiamente discusso" – obiettò suor Faustine, secca.

Gli occhi di Elke si assottigliarono. "Sì che può farlo, Helena ama la sua bambina e per quanti errori possa aver commesso in passato, mette Anna al primo posto. Aiutatemi ad aiutarla e io me ne andrò quanto prima".

Suor Faustine la squadrò per alcuni istanti, picchiettando l'indice sulla scrivania. "E sia, ascolterò quello che vuoi propormi, coraggio!".

Elke rispose al suo sguardo senza abbassare gli occhi. Suor Faustine era indubbiamente rabbiosa, desiderosa di prenderla a schiaffi per il modo impudente in cui si stava rivolgendo a lei ma era anche spaventata dal ricordo di Mattheus ed era abbastanza certa che non le avrebbe torto un capello. "Resterò quì in convento e lavorerò sodo, senza sottrarmi più ai miei doveri. Sarete autorizzata a rimproverarmi se non dovessi svolgere le mie mansioni al meglio ma NON dovrete più alzare le mani su di me. Ne su nessun'altra! Le cose si possono risolvere anche col dialogo, giusto...?".

Suor Faustine deglutì, davanti alla sua occhiataccia. "Giusto" – rispose, a fatica.

Elke proseguì. "Darete ad Helena i miei stessi turni, lavoreremo insieme ed insieme avremo i nostri orari di riposo. Anna dovrà stabilmente vivere con sua madre quando non lavorerà e da oggi non verrà più allontanata da lei per la notte. Helena deve imparare a leggere e scrivere per trovare un buon lavoro fuori di quì, un lavoro che le permetterebbe una vita dignitosa e la possibilità di mantenere sua figlia e quindi ho bisogno di carta, penna, inchiostro e qualche libro semplice per introdurla alla lettura".

Suor Faustine spalancò gli occhi inorridita. "Leggere e scrivere? E' peccato!".

"Anche voi sapete leggere e scrivere".

"Io leggo le Sacre Scritture!" - urlò suor Faustine, rossa in viso. "Tu... sei albina, l'amante di un uomo che usa la magia e a quanto pare sai pure leggere e scrivere. Sei legata al male, indissolubilmente!".

Elke scosse la testa, decisa a non soccombere. Suor Faustine era vicina ad esplodere e se non stava attenta, se dava segni di cedimento, rischiava di farsi schiacciare da lei. "Io sono solo una donna nata coi capelli così, senza un motivo particolare. E amo un uomo che è vero, sa usare la magia, ma non la usa per far del male ma per aiutare le persone. La magia non è malvagia e voi non dovreste temerla ma solo conoscerla. Una volta, tre anni fa, quell'uomo che tanto vi terrorizza mi ha detto che la gente non teme il male ma tutto quello che non capisce e ora che vi ho davanti e vedo la vostra reazione, mi accorgo che aveva ragione. Non esiste al mondo nessuno che si sia prodigato per gli altri come quell'uomo. E io sono orgogliosa e fiera di amarlo e voi non mi convincerete del contrario".

Suor Faustine deglutì, come colpita da quelle parole. "Lui... ha detto che può sapere tutto di me... Che vede ogni cosa che faccio... E' vero?".

Elke sostenne il suo sguardo con fermezza. "Certo" – disse in tono tanto sicuro da crederci quasi essa stessa a quella bugia. Era quello in cui sperava, che ci avesse creduto davvero a quelle minacce che Mattheus le aveva rivolto in un momento di autentica rabbia. A quanto sembrava, lo sregone era stato sufficentemente convincente.

"Se... se io ti aiuto, lui lo saprà, vero? E ne sarà felice, giusto?".

"Giusto. Mi preoccuperò io stessa di dire quanto siete stata caritatevole, nel caso gli sfuggisse qualcosa".

Suor Faustine si lasciò cadere sulla sedia, vinta. "E sia, se me lo garantisci, avrai quello che chiedi per Helena. Quindi, sai leggere e scrivere?".

Elke annuì. "Sì, e anche fare di conto. Spesso, quando pulivo la vostra biblioteca, mi sono soffermata a leggere alcuni libri, se devo essere sincera. E in genere ho cercato di farlo ogni volta che ne ho avuto l'occasione".

Suor Faustine annuì, guardandola incuriosita. Non sembrava più rabbiosa ma solo molto stupita da quella loro conversazione. Mai, in tre anni, avevano davvero parlato loro due ed era come se la vedesse per la prima volta. "Hai altre richieste?".

"Sì. Quando Helena sarà pronta, vorrei che le trovaste un posto dove stare e lavorare fuori di quì, in modo da poter iniziare una vita autonoma con Anna. Sono sicura che, con le vostre conoscenze, non sarà un problema".

"Suppongo di no".

Elke sorrise, finalmente più serena. "Ho solo un'ultima richiesta da farvi ed è per me. Entro la fine della primavera partirò per raggiungere il mio uomo e per viaggiare più velocemente, avrei bisogno di un cavallo. Potreste procurarmene uno per quando partirò? Va bene anche un cavallo anziano, lento, non chiedo nulla di troppo costoso, solo un qualcosa che mi aiuti ad andarmene prima. Dopo tutto, credo che questo sia un desiderio anche vostro. Sparirò velocemente dalla vostra vita, per sempre". Viaggiare a cavallo le avrebbe fatto guadagnare tempo e soprattutto, se ne avesse avuto uno, Mattheus avrebbe smesso di tormentare Falko e Drago per trasportare l'acqua dal lago a Pennes. Avrebbe fatto volentieri la strada a piedi, come sempre, ma aveva fatto una promessa e aveva poco tempo per mantenerla ed inoltre, un cavallo a loro due sarebbe servito.

"E sia, avrai il tuo cavallo".

Non si dissero altro, la conversazione fra loro morì così. Elke sapeva che non le avrebbe più torto un solo capello ed era consapevole che avrebbe potuto vivere una vita relativamente tranquilla nei mesi che si sarebbe trattenuta a Bozen. Si ripromise però di mantenere la parola data, di ubbidire, di lavorare come le veniva richiesto senza cercare di scappare, in fondo era giusto che anche lei, come suor Faustine, tenesse fede alle promesse fatte quella sera.

Stancamente, attraverso i corridoi e le scalinate del convento ormai deserti, si trascinò fino alla soffitta, sedendosi sul davanzale a guardare la città dall'alto. Aveva bisogno di stare sola e in silenzio per qualche minuto e quello era il posto ideale per farlo. Si strinse nello scialle nero che teneva sulle spalle, faceva dannatamente freddo e la città sotto di lei era avvolta da una coltre di gelo e neve. Si sentiva orgogliosa di se stessa, come se per la prima volta avesse raggiunto qualcosa da sola, contando unicamente sulle sue forze e sulla sua intelligenza. Avrebbe potuto farsi aiutare da Mattheus, avrebbe avuto meno paura ad averlo a fianco, ma era felice che non ci fosse stato. Era la sua battaglia quella e doveva vincerla da sola. Mattheus l'aveva capito e per questo non aveva insistito e l'aveva lasciata andare senza fare troppe storie e di questo gli sarebbe stata grata in eterno. Aveva mantenuto fermezza e coraggio e si era rapportata con suor Faustine a sguardo alto, come gli aveva intimato di fare lui.

Il pensiero dello stregone, ormai sulla via di ritorno verso Pennes, le fece venire un crampo allo stomaco ma fece di tutto per ignorarlo. Gli mancava da morire, gli mancava il suono della sua voce, il modo in cui la guardava, il calore delle sue labbra e la dolcezza delle carezze sul suo corpo. Nessuno l'aveva mai toccata, accarezzata come aveva fatto lui... Avevano fatto l'amore e ora che sapeva cosa si provava, le sembrava di impazzire all'idea che per lunghi mesi non si sarebbero rivisti. Sorrise, pensando al modo bizzarro in cui le aveva chiesto di sposarlo e a quel ricordo tutte le sue paure sul loro matrimonio svanirono. Si erano conosciuti, persi e ritrovati in un mondo vasto ed immenso, erano come calamite e niente avrebbe potuto dividerli. La primavera sarebbe arrivata presto e lo avrebbe riabbracciato per non lasciarlo mai più, doveva solo essere paziente.

Cullata da questo pensiero, si riavviò verso la sua camera. Era ormai tardi e il giorno dopo avrebbe dovuto lavorare, era ora di dormire.

Quando rientrò, si stupì di vedere Helena ancora sveglia, a gambe incrociate, seduta sul letto. Davanti a se aveva una pila di carta e sul comodino una boccetta d'inchiostro, una penna e dei vecchi libri. Appena la vide, la fulminò con lo sguardo. "Elke, ti odio!".

La ragazza rise, a quanto sembrava suor Faustine era stata solerte a soddisfare le sue richieste. "Oh, lo so! Ma tanto studieremo insieme lo stesso".

Helena scosse la testa mentre la piccola Anna, al suo fianco, toccava con le mani i fogli. "Come hai fatto? Voglio dire, come puoi esserne uscita viva con suor Faustine, ottenendo quel che volevi?".

"Ho solo chiesto con gentilezza" – rispose, strizzandole un occhio. Si sedette sul letto accanto all'amica e prese fra le mani un libro, sfogliandolo distrattamente. "Dai Helena, impegnati, io ho poco tempo. Lo fai per te stessa e per Anna, ricordatelo. Da oggi lei sarà sempre con te, non te la porteranno più via, ma tu devi mettercela tutta se vuoi essere una brava madre e garantirle un futuro. Suor Faustine ha molti dubbi a riguardo, su di te, dimostrale che si sbaglia".

Helena sbuffò, punta sul vivo. "Te lo ripeto, ti odio! Sarà una tortura, già lo immagino. A quest'ora potresti essere col tuo uomo, a divertirti e a fare cose... piacevoli... e invece hai scelto di star quì a tormentare me!".

Elke rise. "Basta borbottare e ringrazia il cielo di avere me come maestra. Mattheus, come insegnante, è stato molto più severo ed intransigente di quanto lo potrò essere io".

Helena la guardò e poi posò gli occhi sulla figlia. Le accarezzò i riccioli biondi, stringendola a se. "Se una disgraziata come me potrà fare qualcosa di buono nella vita e fare in modo che sua figlia sia orgogliosa di lei, lo dovrò solo a te, suppongo. Coraggio, proviamoci allora! Magari un giorno sarò abbastanza brava da poter insegnare qualcosa io stessa ad Anna".

Elke annuì. "Certo, puoi giurarci". I prossimi mesi sarebbero stati intensi ed interessanti per entrambe ma sapeva che avevano imboccato entrambe la strada giusta.


...


Prima di tornare a Pennes aveva deciso di fare una sosta al lago di Valdurna: non aveva più alcuna scorta d'acqua e le ultime ampolle in suo possesso le aveva date ad Elke prima di partire e quindi, in caso di necessità, non aveva nulla da vendere.

La neve era alta, fresca, gli arrivava alle ginocchia, tanto che quando scese dalla carrozza, per un attimo ebbe l'istinto di risalire e di farsi portare comodamente fino a Pennes, fregandosene del lago. Ma alla fine la ragione l'ebbe vinta sulla pigrizia e stancamente, contro voglia, aveva pagato il cocchiere e si era diretto a piedi al lago, portando sulle spalle la sua sacca da viaggio con le ampolle vuote da riempire.

Si sentiva strano, sospeso, come se quello che stava vivendo fosse un periodo interlocutorio fra quello che era stato il suo passato e quello che sarebbe stato il suo futuro. Elke gli mancava terribilmente e non smetteva di interrogarsi su come avrebbe fatto a resistere per tutti quei mesi senza di lei, su come impiegare quel tempo che lo separava dalla donna che amava. Ne era innamorato da tanto ma fino alla notte di Natale non se ne era mai reso conto pienamente. Ora era diverso, ora lei era la sua realtà e non poterla avere vicina lo faceva impazzire. Sapeva di aver scelto per il giusto permettendole di rimanere a Bozen, si fidava di lei ed era sicuro che se la sarebbe cavata egregiamente e che avrebbe trovato da sola la serenità che cercava, però si sentiva lo stesso solo, come non gli era mai capitato in vita sua.

Doveva trovare un modo per impiegare il tempo e ricominciare a svolgere la sua attività era un buon mezzo per farlo.

Si chinò davanti allo specchio d'acqua, tirando fuori dalla sacca le ampolle di vetro vuote. La riva era completamente gelata e per rompere il ghiaccio prese una pietra, cominciando a picchiare energicamente sulla lastra bianca. Per quanto stesse congelando, trovava quell'attività e quel silenzio piacevoli, rilassanti. Fino a che...

"Ciao Mattheus, sei tornato!".

Alzò gli occhi al cielo, la pace era finita. "Jutta...". La fatina gli volò attorno al viso, ferendogli gli occhi con la luce delle sue ali.

"Come va?" - chiese lei, allegra ed incurante delle sue occhiataccie.

"Bene".

"Il viaggio, tutto a posto?".

"Si".

"Com'era Bozen?".

"Bella".

"E i tuoi affari?".

"Benissimo".

"Faceva freddo?".

"Sì".

Jutta si imbronciò, incrociando le braccia al petto. "Mattheus, pensi di riuscire a formulare una frase composta da più parole o hai intenzione di continuare ad esprimerti a monosillabi?".

Lo stregone sospirò, immergendo un'ampolla nell'acqua. "Ho risposto alle tue domande gentilmente, mi pare". In realtà non era seccato e da sempre trovava divertente prenderla in giro e farla arrabbiare.

"Uffa, te ne sei stato tutto solo per settimane a Bozen, a Natale, e non hai niente da dire?".

Riempiendo l'ennesima boccetta d'acqua, Mattheus finalmente si voltò verso di lei. "Il viaggio è andato benissimo, che altro dovrei raccontarti?".

Jutta alzò le spalle. "Non so', ero così preoccupata. Tutto solo, a Bozen, a Natale. Non eri depresso?".

"Affatto".

La fatina sospirò sconsolata. "No, affatto... Certo, avrai passato la notte di Natale tutto solo, a contare la montagna di monete che hai guadagnato, scommetto. E ne sarai anche stato compiaciuto... E a me tutto questo sembra triste".

Mattheus sorrise. "Sbagliato, non ho passato affatto la notte di Natale così, come dici tu".

"E che avresti fatto?".

Lo stregone abbassò lo sguardo fissando l'acqua, cullato dai dolci ricordi con Elke ma comunque deciso a tormentare un po' Jutta. "Ho passato la notte di Natale con una donna fantastica. Ho trovato l'amore della mia vita, a Bozen".

Jutta lo guardò storto, sbuffando. "Sì certo... Smettila di prendermi in giro e...". Si bloccò quasi subito, osservandolo meglio e spalancando gli occhi. "Un momento, ma tu non stai scherzando, stai... stai parlando sul serio". Era esterefatta.

"Mai stato tanto serio come in questo momento".

Jutta gli volò davanti al viso, guardandolo negli occhi. "Non hai pagato una donna per stare con te, vero?" - chiese, deglutendo.

Mattheus scoppiò a ridere. "Ma ti pare? Che ti viene in mente?".

"Tu... e una donna di Bozen? Una donna di città?".

"Non proprio di città...".

Jutta parve delusa. "Sei sicuro? ".

"Sicuro! Che è quella faccia abbacchiata, Jutta? Non eri tu che spingevi perché mi trovassi una fidanzata? Dovresti essere contenta che alla fine ho ceduto all'amore".

La fatina abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. "Si ma... Una donna di città cos'avrebbe in comune con te? Mattheus, pensaci bene".

"Ci ho pensato più che bene".

"E lei dove sarebbe ora?" - chiese la fata, scettica.

"A Bozen, aveva delle faccende da sbrigare e mi raggiungerà entro l'estate. E ci sposeremo prima del solstizio".

Jutta scosse la testa. "Mattheus, ma sei matto? Una donna che nemmeno conosci, praticamente...Una notte di passione non ti rende intimo di una donna, siete due sconosciuti e...".

"Non lo siamo e sono convinto della mia scelta".

Jutta gli si avvicinò, tirandogli su la manica della camicia, scoprendo il polso dove teneva legato il nastro blu di Elke. "E questo? E lei? Te la sei dimenticata? Perché lo indossi ancora?".

"Perché dovrei toglierlo? E' il mio portafortuna".

"Perché è il regalo di una persona a cui tenevi tanto e di cui ti sei dimenticato. Hai perso le speranze che torni? E' per questo che ti sei avvicinato a un'altra donna?".

Mattheus accarezzò il nastro legato al suo polso, delicatamente. E decise che non aveva più voglia di tormentare Jutta perché in fondo aveva bisogno di parlarne e lei era l'unica a poterlo capire davvero. "Non l'ho dimenticata e non ho perso nemmeno la speranza che torni. Infatti Elke me la sposo".

"Cosa?". Jutta spalancò gli occhi talmente tanto che per un attimo parvero uscire dalle loro orbite. Rimase in silenzio per lunghi istanti, cosa inusuale per lei, a bocca aperta e immobile come un sasso. Poi, a sorpresa, il suo corpo brillò, crebbe ed assunse le sue sembianze umane.

"Jutta?".

"Elke... Hai incontrato Elke? Eri con lei a Bozen?" - sussurrò, quasi a corto di fiato.

"Sì... Già... Ma perché sei diventata umana?". Era sconcertato, non lo faceva quasi mai.

"SIIII". Con un balzo, entusiasta, Jutta gli saltò al collo, abbracciandolo e facendolo cadere a terra. "Elke! Tu ed Elke!".

"Ma finiscila!" - si lamentò lui, cercando di districarsi da quell'abbraccio. "Jutta, sei diventata pazza?".

Incurante, la fata gli diede un bacio sulla guancia. "Non sono pazza, sono felice! Racconta, dai".

"Non c'è niente da raccontare" – borbottò, asciugandosi la guancia. "Ero a Bozen e l'ho incontrata per caso".

Jutta sorrise. "E' incredibile, quasi da non crederci. Una fortuna sfacciata, la tua! Lei come sta, com'è diventata?".

Lo stregone si mise a sedere a terra, allontanando la fata da lui, imbarazzato. Preferiva gestire una Jutta arrabbiata e in vena di paternali, piuttosto che una situazione del genere. Era imbarazzato. "Sta bene ed è diventata una donna molto bella, intelligente, testarda e in gamba. Ti assicuro che rivederla non è stato facile all'inizio, ma poi...". Strinse i pugni, pensando a quanto era stata male la notte di Natale e a come fossero stati vicini dal perdersi per sempre. "Diciamo che, come hai detto tu, siamo stati fortunati".

Jutta si sedette accanto a lui, prendendogli una mano fra le sue. "Ora avrei voglia di farti mille domande ma ti conosco e so che sei riservato e non mi risponderai. Però una cosa posso finalmente chiedertela senza che ti arrabbi?".

"Anche se ti dicessi di no me la chiederesti lo stesso, quindi...".

Jutta ridacchiò. "Possiamo dirlo forte che sei innamorato, Mattheus?".

Lo stregone la guardò di sottecchi, sorridendo. "Possiamo dirlo" – ammise.

Si abbracciarono, stavolta con meno imbarazzo. Jutta gli poggiò la testa sulla spalla, lasciandolo libero di accarezzarle i lunghi capelli biondi. "Sarei così curiosa di sapere come vi siete visti, cosa avete fatto, come avete ceduto l'un l'altra ma non importa, sono cose vostre. Sono solo contenta che sia lei perché sai, al mondo non c'è nessuna donna che sarebbe capace di starti accanto come Elke. Vi completavate e i tuoi occhi brillavano quando la guardavi, quando le parlavi. L'ho notato da subito e non ti era mai successo con nessuno. Lei è quella giusta perché ama i tuoi tanti difetti ancor più dei tuoi pregi. Sono contenta per voi, sarete felici. E sono contenta anche per me, ora che ci penso!".

"E tu che c'entri, scusa?".

Jutta sospirò. "Sarò ben felice di lasciarle il compito di farti da guardiana. Ambisco alla pensione mio caro, sono anni che ti sopporto".

"Spiritosa".

"Tornerà questa estate per davvero? E vi sposerete?".

"Sì". La guardò, per un attimo con serietà, c'erano cose che doveva sapere. "Jutta, io le ho raccontato tutto di me, di te, di Jakob e del lago. Ti spiace che l'abbia fatto?".

"No, hai fatto bene, ora lei è una di noi per davvero".

Mattheus abbassò lo sguardo, pensando a tutta la strada che avevano percorso lui ed Elke e a quanto Jutta avesse ragione, da subito le aveva voluto bene, talmente tanto da prenderla a cuore e da incupirsi al pensiero che le capitasse qualcosa di male. "Sai, la notte di Natale la guardavo dormire e l'unica cosa che riuscivo a pensare era che non avevo mai avuto nulla di tanto prezioso come lei. Che avrei dato via volentieri tutto quello che possedevo per un suo sorriso, per vederla stare bene".

Jutta gli accarezzò i capelli. "Starà bene a prescindere. E tu fa il bravo con lei, mi raccomando!".

Mattheus sbuffò, iniziava il momento della paternale e non aveva voglia di sentirne. "Sono stanco e ho voglia di tornare a casa in fretta. Se mi aiuti a riempire le ampolle, potrò essere a Pennes prima del tramonto" – esclamò, cambiando discorso.

Jutta lo guardò storto, sbuffando vistosamente. "Schiavista!". Ma nonostante tutto lo aiutò.

Arrivò a Pennes che iniziava a nevicare di nuovo e il giorno era in procinto di lasciare la scena alla notte. Si chiese ancora cosa avrebbe fatto in quei mesi senza Elke, come avrebbe riempito il tempo, cosa che una volta avrebbe creduto impossibile pensare perché lui aveva sempre avuto qualcosa da fare! Ma quei pensieri durarono un attimo.

"Mattheus, sei tornato!".

Come due furie, dal fondo della via principale ormai deserta, Falko e Drago gli corsero incontro, rischiando ogni due passi di inciampare nella neve.

"Ragazzi...".

"Sei arrivato giusto a fagiolo!" - esclamò Falko, prendendolo per un braccio.

"Ma che vi prende?".

Senza dargli spiegazioni, i due nani lo trascinarono fino al mulino dove macinavano il grano, accanto alla loro casa. Mattheus diede una rapida occhiata, notando che il tetto era completamente crollato a causa della neve che non era stata rimossa. "Che disastro".

"Aiutaci! Come faremo col grano, col forno, col pane? Le nostre mogli e nostro suocero sono in ansia".

Mattheus sbuffò. "Ragazzi ma... è nevicato molto, possibile che a nessuno sia venuto in mente di alleggerire il tetto e ripulirlo dalla neve?".

"Il tetto è alto, come facciamo?" - sbottò Drago.

Lo stregone lo guardò storto. "Nemmeno io arrivo al tetto, razza di idioti". Si inchinò, prendendo uno sotto braccio da una parte e uno sotto braccio dall'altra. "Ragazzi, vi do una grande notizia, hanno inventato una cosa... si chiama scala..." . Alzò il dito indice ad indicare l'ammasso di macerie crollate. "Serve per salire in alto a lavorare sui tetti ad esempio, ed evitare questa cosa che vi è successa".

"Ahah, spiritoso!". Drago incrociò le dita al petto, sfidandolo con delle occhiatacce. "Devi aiutarci".

"Perché? Non sono mica un muratore, io".

Falko scosse la testa. "Sei il capo villaggio, però! Ed è tuo dovere premurarti che la popolazione di Pennes abbia il pane, giusto? Senza mulino, che si fa?".

"Vi odio". Arrendendosi all'ineluttabilità della cosa, sbuffando, Mattheus si avvicinò ai ruderi, arrampicandocisi sopra ed osservando il danno per vedere quanto ci fosse effettivamente da fare. "Stanotte farò venire gli gnomi, sono valenti ed esperti costruttori, entro domattina sarà come nuovo. Andrò a chiamarli ma voi mi raccomando, acqua in bocca! Non dovrà saperlo nessuno, intesi? Nessuno dovrà vederli, per gli abitanti di Pennes non esistono".

Il viso dei nani si illuminò con un sorriso. "Intesi".

Mattheus li fissò in cagnesco. L'avrebbero fatto impazzire, quei due! E in quel momento si rese conto che il suo timore di non sapere come riempire le giornate era effimero. Oh, non si sarebbe annoiato per niente, accidenti a loro!



Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ***


Era un cavallo magnifico, dalla criniera e dal manto nero e lucido, giovane e con zampe possenti e muscolose. I suoi occhi, neri come tutto il resto, trasmettevano intelligenza e dolcezza a dispetto del suo aspetto che pareva, a prima vista, furioso.

Elke gli accarezzò il muso, lentamente, affinché l'animale prendesse confidenza con lei, pensando a quanto sarebbe stato magnifico cavalcarlo nel viaggio che si apprestava a compiere. Aveva imparato a cavalcare da bambina, in montagna, montando sui cavalli selvatici che popolavano le vette e la passione per il galoppo non si era mai sopita in lei, con lo scorrere degli anni.

Più guardava quel cavallo e più era stupita, non avrebbe mai creduto che suor Faustine le avrebbe donato un animale del genere.

Il sole caldo della primavera le baciava la pelle e le infondeva un senso di benessere profondo; il cielo era azzurro, terso, un leggero vento le scuoteva i capelli e il sole dava una luce vitale a Bozen. Osservò le case, i vicoli, le botteghe che per più di tre anni erano state il suo mondo e provò uno strano senso di malinconia: nonostante tutto quel posto le sarebbe mancato, così come tante persone lì conosciute nel corso degli anni come i senza tetto della piazza, Helena ed Anna e le altre ragazze che avevano condiviso con lei l'esperienza di lavorare al convento.

Helena in quei mesi aveva imparato a leggere e scrivere e nonostante la sua iniziale reticenza era riuscita ad imparare in fretta, dimostrandosi una mente aperta e curiosa; Suor Faustine le aveva trovato lavoro come sarta in una bottega poco lontana dal convento ed Helena, con la figlia, si era trasferita in un piccolo appartamento di proprietà dei suoi datori di lavoro. Era stata dura salutarla la sera prima, dire addio a lei e alla piccola Anna, rendendosi conto che da quel momento le loro vite, con tutta probabilità, non si sarebbero più incrociate, solo una certezza la rasserenava: entrambe se la sarebbero cavata egregiamente. Si guardò l'abito che le aveva cucito Helena: uno splendido vestito della tradizione tirolese composto da una camicia con maniche a sbuffo e uno smanicato blu legato in vita da un nastrino rosso come quello che aveva fra i capelli, che legava la piccola treccia che si era fatta di lato.


"Devi essere carina per il tuo futuro marito, non puoi presentarti a lui dopo cinque mesi vestita di stracci. Gli uomini si innamorano e si disinnamorano in fretta, se noi donne non sappiamo tenerci come si deve".


Montò sul cavallo, decisa a mettersi in viaggio, mancavano solo due settimane al solstizio d'estate e se non faceva in fretta sarebbe arrivata tardi da Mattheus e non avrebbe potuto mantenere la sua promessa. C'era molta strada da percorrere per arrivare a Pennes e aveva ancora una tappa da fare prima di tornare dal suo futuro marito. Accarezzò la criniera del cavallo, stringendo le redini. "Dovrò trovarti un nome" – commentò divertita, immaginando quanto avrebbe borbottato Mattheus per questa cosa.

"Parti ora?".

Presa alla sprovvista, si voltò verso la fonte della voce alla sue spalle. "Suor Faustine...". Strinse ancora di più le redini, mentre lo stomaco le si contorceva. In quegli ultimi mesi il suo rapporto con la suora era stato strano e inspiegabilmente stretto, non le aveva più torto un capello e se questo, all'inizio, era dovuto al fatto che suor Faustine temeva Mattheus, poi le cose erano cambiate. Aveva iniziato a guardarla più attentamente, con la curiosità con cui a volte si osserva qualche creatura strana e sconosciuta da studiare, sospettosa e al contempo incuriosita. Per i primi mesi aveva permesso a lei e ad Helena, come promesso, di lavorare e passare tutto il tempo libero insieme ma poi, con sua somma sorpresa, un giorno l'aveva chiamata nel suo studio, mostrandole i libri contabili del convento.


"Sai leggere, scrivere e fare di conto, giusto? Se non erano bugie, suppongo che una mente giovane come la tua potrebbe aiutarmi a gestire spese e contabilità del convento, fintanto che rimarrai qui. Credi di poterlo fare? Io ormai non sono più molto giovane, i miei occhi cominciano a darmi problemi e mi è spesso difficile scrivere al lume di candela".


A quella proposta per un attimo aveva tremato, poi, spinta dalla curiosità di tentare ed imparare qualcosa di nuovo, aveva accettato di provare a fare quanto le veniva richiesto. Da allora, per molte ore al giorno, era stata insieme a suor Faustine ad annotare spese ed entrate, a tentare di ottimizzare costi e benefici e a sistemare archivi e scartoffie. Questo le aveva permesso di leggere i tomi antichi che la suora teneva nella sua stanza, libri sulla Chiesa, sulla storia di quel territorio, sulla geografia, di diritto e qualsiasi altra cosa le capitasse per mano. Suor Faustine, in silenzio, l'aveva lasciata fare, guardandola di sottecchi con interesse. Le aveva chiesto di provare a trovare, fra le varie spese ed entrate, un modo per poter pagare un maestro che potesse aprire una scuola nel convento per i bambini che ospitavano e anche per le ragazze come lei ed Helena che desideravano imparare. Questo l'aveva sorpresa, vista la reticenza con cui inizialmente aveva scoperto che lei sapeva già fare tutte queste cose, ma l'aveva accontentata con piacere giudicandola un'ottima idea ed era riuscita, fra cifre e conti, a trovare il modo di aprire una piccola aula all'interno del convento ed i fondi con cui pagare un insegnate e quanto poteva servire per gli allievi.

Suor Faustine nei mesi aveva mantenuto con lei un tono distaccato, distante, mai nelle loro conversazioni aveva avuto l'impressione che l'apprezzasse, eccetto per il fatto che le chiedeva spesso consiglio sul da farsi, quasi che avesse imparato a fidarsi di lei.

Lei annuì. "Sì, oggi è una buona giornata per partire, il cielo è limpido e la temperatura fantastica. Sarà un piacere viaggiare con questo meraviglioso cavallo. A proposito, grazie! Non ambivo certo a un animale tanto maestoso".

La suora scosse la testa. "Sei sprecata per passare la tua vita a servire un uomo, saresti molto più utile qui. Pensaci bene, Elke".

Spalancò gli occhi, sorpresa. "Volete che resti?".

"Le donne banali si sposano e tu non lo sei. Smetterai di studiare se vai a Pennes e ti ritroverai, come tutte, a badare a una casa e a una miriade di figli" – ammise.

A quella frase, Elke rise. "Dubito che smetterò di studiare, il mio futuro marito non me lo permetterebbe. E per quanto riguarda badare alla casa, lui è molto più bravo di me a farlo, state tranquilla. Non mi sposo con un uomo banale e con lui non potrò far altro che crescere e migliorarmi sempre di più. Mattheus non è mai stato un mio limite, ma al contrario, la mia più grande ricchezza. Lo amo e mi manca, non ho aspettato per mesi che questo giorno".

La suora sospirò. "Se ne sei sicura...".

"Lo sono" – rispose, con tono fermo. Era stranita dalle parole di suor Faustine, non si aspettava quella conversazione ed era sempre stata sicura che non vedesse l'ora che lei partisse. Ma... "Per tanto avete creduto che fossi la figlia del diavolo... Avete cambiato idea a riguardo?".

Suor Faustine scosse la testa. "Non posso affermare che tu non lo sia. Ma di certo posso dire che sei molto intelligente e che impari in fretta. E che con le tue capacità, qui ci saresti stata utile".

Quelle parole le fecero piacere. "Questo non è il mio posto, io appartengo alle montagne".

"Le montagne sanno essere crudeli ed implacabili, feroci. Come puoi appartenervi, Elke?".

La ragazza sospirò, accarezzando il manto liscio del cavallo. "Sapete suor Faustine, io non ho mai avuto dei genitori che si siano occupati di me. La mia mamma e il mio papà sono stati le montagne. Loro mi hanno protetta, sostenuta, mi hanno fatto da guida e da maestro e io sono quel che sono oggi anche grazie a loro. So che Bozen offre tante possibilità ma ogni posto ne può dare, se lo si sa conoscere e capire bene. I monti sono posti magici, non potete nemmeno immaginare quanto". Le venne da ridere ma si trattenne. Se suor Faustine avesse saputo di elfi, fate e gnomi, probabilmente sarebbe svenuta all'istante.

Accarezzò la criniera del cavallo, stringendo poi le redini fra le mani. "Devo andare ora, buona fortuna suor Faustine".

La donna la fissò in viso, intensamente. Poi annuì, allontanandosi da lei. "Se hai deciso, non mi resta che salutarti e farti gli auguri per il tuo imminente matrimonio".

"Grazie". La guardò per un'ultima volta, assieme al convento e alle strade lastricate del centro che erano state il suo mondo. Poi diede un colpetto leggero al cavallo e partì, senza voltarsi più indietro.

Al passo, percorse le vie del centro e poi via via quelle di periferia, fino a trovarsi su una strada sterrata che portava alle valli circostanti. E a quel punto, senza più nessuno in giro, spronò il cavallo a partire al galoppo. Sentì il vento sui capelli, sul viso, una sensazione di libertà che non provava da tanto. Era così diversa dalla ragazza che era stata al suo arrivo in quella città, era come se si fosse evoluta mille e più volte, giorno dopo giorno, scoprendo lati di se stessa che mai avrebbe pensato di possedere. Era cambiata tanto da allora e si sentiva cambiata anche rispetto alla notte di Natale in cui era stata con Mattheus, come se in quei mesi fosse cresciuta talmente tanto da sentirsi finalmente e completamente adulta e padrona di se stessa. Conosceva ogni lato di se, sia nei pregi che nei difetti, conosceva il suo valore e sapeva cosa volere dalla vita e non avrebbe più permesso a nessuno di giudicarla senza conoscerla.

Aveva una voglia pazza di abbracciare Mattheus, ma sapeva anche che c'era ancora un posto dove aveva tanti conti in sospeso: Tires. Era scappata da lì una notte d'estate di quattro anni prima, senza nulla con sé se non un arco di legno e dei nastri colorati per i capelli, senza conoscere il mondo, senza la minima istruzione e con la convinzione di essere sbagliata e non degna delle altre persone. Ora sarebbe tornata laggiù, non per vendetta, ma per dimostrare a coloro che avrebbero dovuto amarla e proteggerla che ce l'aveva fatta a sopravvivere e a crescere senza di loro, o meglio, nonostante loro.

Man mano che si avvicinava al suo paese natale riconobbe i boschi, i prati, le baite che aveva visto da bambina. Tutto sembrava così incredibilmente uguale, immutato, come se quegli anni di lontananza non fossero mai esistiti.

Si sentiva strana, una spiacevole ansia le attanagliava lo stomaco man mano che andava avanti e per un attimo si sentì schiacciata dalla stessa paura sorda che la sorprendeva da bambina quando qualcuno le si avvicinava. Per un attimo fu tentata di cedere alla voglia di andare dritto, di non fermarsi, di convincersi che non era importante e che in fondo non aveva nulla da dimostrare a nessuno, ma alla fine non fermò la corsa del cavallo finché non si trovò davanti ai campi che circondavano Tires. Erano le prime ore del pomeriggio, tutta la campagna era deserta e probabilmente non avrebbe incrociato quasi nessuno fino alla casa dei suoi genitori, era ora di pranzo e di riposo.

Fece per imboccare il sentiero che portava al villaggio quando la sua attenzione fu catturata dalla figura di una giovane ragazza che, semi nascosta dalla vegetazione dei campi, era intenta a legare delle fascine di fieno. Sembrava poco avvezza a quel lavoro e nello svolgerlo, probabilmente per la fretta di finire, si stava incaponendo senza successo a racchiudere tutto il fieno in fascine enormi che non riusciva a legare invece che dividerlo in parti più piccole e maneggevoli.

C'era qualcosa di familiare in quella ragazzina, tanto che, vinta la sua ritrosia, scese da cavallo e le si avvicinò. E quando fu a pochi passi da lei, capì perché avesse catturato la sua attenzione.

"Inge".

Rimase a bocca aperta, che ci faceva sua sorella lì? Il lavoro nei campi era sempre stato uno dei compiti di suo padre e mai aveva permesso a sua madre e alle sue sorelle di aiutarlo. Inge era la più piccola della famiglia, aveva quattordici anni quando lei se n'era andata e ora doveva averne circa diciotto. Aveva sempre avuto guance rosse e piene, era la meno esile della famiglia, aveva un viso che ispirava simpatia, puntellato da qualche lentiggine sul naso e i capelli biondissimi e ondulati, che teneva sempre raccolti in due lunghe trecce. Di carattere era docile e poco combattiva e spesso finiva per accodarsi alle decisioni dell'altra loro sorella, Annelies, di tre anni più grande, e di indole molto più dominante.

Inge, vedendola arrivare, spalancò gli occhi, smettendo di lavorare.

"Ma... ma tu sei... Sei tornata?" - balbettò, a bocca aperta, lasciando cadere a terra il fieno che teneva fra le mani.

Elke sospirò, ma del resto non poteva aspettarsi che le gettasse le braccia al collo... "No, non sono tornata, sono solo di passaggio, sta tranquilla".

Osservò il montone di fieno accanto alla sorella, ammucchiato al bordo del campo. Si avvicinò e ne prese un po’ fra le braccia, legandolo coi fili di fieno più lunghi.

"Se ti incaponisci e prenderne troppo per finire prima, otterrai il risultato contrario: ti spaccherai le braccia e non otterrai nulla. Prendine meno, fai delle fascine più piccole, sarà meno faticoso e più veloce". Finì di legare la fascina fra le sue mani, agilmente, poi la gettò a terra, accanto alla sorella.

"Visto?".

"Visto". Inge deglutì, imbarazzata. "Perché sei quì? Credevo fossi morta".

"Ti sarebbe piaciuto?".

Si stupì di essere tanto diretta nei confronti della sorella, soprattutto ricordando quanto, un tempo, temesse qualsiasi confronto coi membri della sua famiglia.

Inge alzò le spalle. "No... Non lo so, non ci ho mai pensato troppo. In fondo non ci parlavamo mai, non è che mi sei mancata...".

"Immagino...". Elke si guardò attorno, accigliata. "Sei qui sola? Dov'è nostro padre?".

L'espressione di Inge si incupì.

"Sono qui sola, sono abbastanza grande per lavorare ormai. Mamma e Annelies invece sono a casa, in questo momento. Se vuoi vederle, le trovi lì".

Elke si accigliò. Inge non aveva risposto alla sua domanda, non del tutto almeno. Si chiese dove fosse suo padre, ma supponeva che lo avrebbe scoperto una volta arrivata a casa.

"Credo che le raggiungerò. Buon lavoro, Inge".

La ragazzina guardò, sconsolata, l'enorme montone di fieno ancora da legare.

"Già... Buon lavoro a me". Poi la fissò per un attimo, pensierosa. "Elke?".

Sussultò, stupita. Inge non l'aveva mai chiamata per nome.

"Dimmi".

"Sei sicura che non resti?".

"Vorresti che lo facessi?". Era strano ma da sempre aveva avuto la sensazione che, se le circostanze fossero state diverse, sarebbe andata d'accordo con Inge.

La ragazzina alzò le spalle. "A volte Annelies è così intrattabile. Tu mi sei sempre sembrata più gentile, anche se papà diceva che eri pericolosa e quindi avevo paura di te. Ma magari come sorella non saresti male, mi hai anche insegnato come si lega il fieno. Annelies non lo sa proprio fare!".

A dispetto di tutto, Elke le sorrise. "Non resterò, ma mi fa piacere esserti stata utile in qualcosa. Buona fortuna Inge".

Era tardi per diventare sorelle pensò, salendo sul cavallo, ma era stato comunque piacevole quello scambio di battute fra di loro.

Si allontanò al galoppo, percorrendo il sentiero principale. Il sole era molto caldo e non incrociò più nessuno finché non giunse al villaggio.

Tires era piccola, ancora più di Pennes, composta da un gruppo di povere baite che, disordinatamente, si adagiavano sul versante della montagna. La casa dei suoi genitori era in periferia, vicinissima a quel bosco dove si rifugiava da bambina per nascondersi al mondo e raggiungere le vette.

La ricordava come una baita molto modesta, povera, costruita in legno e pietre incastrati fra loro alla meglio, circondata da sterpaglie e con piccolo pozzo sul retro, unica comodità della sua famiglia.

Guardandola, a distanza di quattro anni, la baita le sembrò ancora più malmessa: le imposte di legno erano cadenti e scrostate, l’erba che la circondava incolta e piena di sterpaglie e in generale la casa pareva in uno stato di completo abbandono. Questo la incuriosì perché, per quanto suo padre fosse stato un pessimo genitore per lei, era una persona che si era sempre premurata di far vivere dignitosamente sua madre e le sue sorelle.

Sospirando scese da cavallo avvicinandosi alla staccionata. Si guardò attorno, lanciando una veloce occhiata alla piccola stalla a lato della casa, il suo unico rifugio dal freddo quando era bambina. Le sembravano passati secoli da allora e si trovò a chiedersi come avesse potuto permettere a suo padre di trattarla a quel modo: come sarebbero state diverse le cose se allora avesse posseduto la consapevolezza di sé stessa che aveva conquistato negli ultimi anni…

Improvvisamente però quei pensieri furono interrotti da una figura che, svelta, uscì dall’uscio di casa con una montagna di lenzuola da stendere fra le mani.

La riconobbe subito, com’era successo poco prima con Inge.

Annelies”.

Eccola, sua sorella, la secondogenita, più piccola di lei di tre anni; la figlia più bella, dai capelli biondi e lisci come seta, dagli occhi color del ghiaccio, dotata di un portamento nobile ed elegante. La cocca del loro padre, il suo orgoglio. In quegli anni, notò, sembrava essersi fatta ancora più bella e probabilmente erano molti i pretendenti alla sua mano, a Tires.

Appena la vide, Annelies si bloccò, stringendo a se il bucato bagnato che teneva fra le mani.

La strega…” – mormorò, non staccandole gli occhi di dosso.

Elke le sorrise freddamente. Sarebbe stato divertente fingere di lanciarle una maledizione, giusto per vederla ancora più terrorizzata, come di solito amava fare Mattheus con chi riteneva molesto. Sarebbe stato un esperimento interessante, soprattutto in relazione del fatto che, in passato, Annelies si era dimostrata crudele con lei quanto suo padre. Decise tuttavia di tacere e di non abbassarsi al suo livello, ormai erano entrambe adulte e il tempo dello scherno e degli scherzi era finito.

Ho bisogno di parlare coi nostri genitori” – disse, senza un saluto, in tono fermo, senza stare a girarci troppo intorno.

Annelies si voltò verso la porta di casa.

Mamma, corri! La strega, c’è la strega! E’ tornata!”.

Poi si abbassò, raccogliendo da terra un sasso.

Elke si incupì: sapeva cosa voleva fare, la conosceva fin troppo bene dato che quando erano piccole aveva subito di tutto da lei senza trovare il coraggio di ribellarsi. Ora però le cose erano ben diverse.

Provaci anche solo col pensiero, a tirarmelo, e io farò altrettanto! E ti assicuro che ho un’ottima mira, sorellina!”.

Mammaaaa”.

Stavolta Annelies urlò e sua madre, affannosamente, comparve sull’uscio di casa.

Ad Elke sembrò che le stomaco le si contorcesse quando la vide. In un certo senso era stato facile affrontare Inge ed Annelies ma sua madre era colei che, complice con suo padre, l’aveva costretta a vivere un’infanzia ai margini, senza amore e sicurezze, completamente sola e indifesa davanti alle difficoltà della vita.

Ricordò quanto, da bambina e anche subito dopo aver conosciuto Mattheus, l’avesse giustificata e difesa dalle sue colpe e si trovò irritata verso sé stessa a quel pensiero. Non c’erano giustificazioni, non c’era alcun perdono da dare, se era sopravvissuta ed era diventata adulta lo doveva solo a se stessa, alla sua tenacia e alle poche persone che aveva incontrato e le avevano voluto bene. E sua madre non faceva parte di questo gruppo di persone!

La guardò in silenzio, le sembrava invecchiata di colpo: i suoi capelli erano grigi e spettinati, gli abiti che indossava erano logori e le sembrava piccola e fragile, come sul punto di spezzarsi. In quel momento si accorse di qualcosa che era irrimediabilmente cambiato in sé stessa rispetto al passato: una volta, guardando i suoi genitori e le sue sorelle, tutti loro le apparivano come giganti mentre lei si sentiva minuscola e irrilevante al loro confronto. Ora invece era il contrario, lei si sentiva grande, cresciuta e loro invece gli apparivano piccoli come formiche.

Sua madre, impallidendo, le si avvicinò. “Elke… Non è possibile, non dopo tutto questo tempo…”.

Cacciala via!” – urlò Annelies, con gli occhi fuori dalle orbite.

Sua madre si voltò verso di lei, lanciandole uno sguardo carico di rimprovero. “In casa Annelies, subito!”.

Ma...”.

Ti ho detto di andare in casa”.

Annelies stavolta ubbidì ed Elke dovette faticare per non ridere. Per la prima volta da quando era nata, era stato dato un ordine perentorio a sua sorella invece che a lei. Non che la cosa ormai la riguardasse, ma di certo la divertiva.

Quando Annelies scomparve dietro l’uscio, sua madre le si avvicinò. “Sei proprio tu…” – mormorò, stupita.

Credevi che fossi morta?”.

No”. La donna scosse la testa, non smettendo di osservarla. “Sei diventata grande, stento a riconoscerti”.

Stenti a riconoscermi perché non mi conosci affatto, non credi?”.

Sua madre spalancò gli occhi davanti a quella risposta tanto secca che doveva apparirgli estremamente inusuale da parte sua.

Dov’è mio padre?”.

Sua madre sospirò. “Manchi da così tanto tempo, Elke, sono successe tante cose”.

Dov’è mio padre?” – chiese, di nuovo. Non aveva voglia di perdersi in inutili conversazioni con lei.

E’ morto alcuni mesi dopo che te ne sei andata”.

Cosa?”. Un brivido le percorse le braccia e la schiena. Suo padre… morto? Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito, anche se lo stato di abbandono della casa e sua sorella costretta a lavorare nei campi avrebbero dovuto suggerirglielo! Suo padre, dalle braccia forti, instancabile, che comandava tutto e tutti con arroganza… era morto? Non sapeva cosa provava, non in quei primi istanti. Dolore? No, in un certo senso. Frustrazione forse e poi rabbia. Sì, era arrabbiata, con sua madre e con suo padre perché era morto senza lasciarle la possibilità di un confronto fra loro. Poteva essere una reazione sbagliata, cattiva, insensibile ed egoista, ma era quello che provava in quel momento.

Indietreggiò, raggiungendo il suo cavallo e senza dire nulla montò in sella. Partì al galoppo, incurante della voce di sua madre che chiamava il suo nome. Suo padre era morto, non contava altro ora! Non poteva parlargli, ma di certo c’era un posto dove essere, in un certo senso, faccia a faccia con lui.

Raggiunse il piccolo cimitero di Tires, legò il cavallo ad una staccionata e, fuori di se, raccolse una manciata di fiori dal prato. Non voleva essere un gesto gentile verso il padre, il suo, quella visita non aveva nulla di amorevole e nemmeno quei fiori raccolti alla buona erano un regalo per lui.

Entrò nel cimitero e, tomba dopo tomba, lesse i nomi sulle croci di legno finché non incontrò quella di suo padre.

Per un attimo rimase ferma, zitta, senza provare nulla...

Rolf Windegger

Rilesse quel nome più volte, quasi a convincersi che fosse vero. Windegger... In teoria era anche il suo cognome, ma non lo aveva mai usato, non l’aveva mai rivelato nemmeno a Mattheus; non lo sentiva suo, come non sentiva sua la famiglia che l'aveva messa al mondo. Era sempre stata solo Elke, senza nessun riferimento al cognome paterno perché, da bambina, sapeva che suo padre si sarebbe infuriato se avesse saputo che si presentava anche col suo cognome. E, una volta cresciuta, una volta divenuta adulta, perché non le importava più.

Si inginocchiò, stringendo a se il mazzo di fiori che aveva raccolto poco prima. Poi li gettò lontano dalla tomba, in un gesto stizzito.

"Sai papà" – disse, parlando al vento – "li avevo raccolti per te, per farti dispetto. Perché so che ti infurieresti e mi puniresti, se ne avessi ancora l'opportunità, per il fatto di essere qui davanti alla tua tomba con dei fiori per te, in mano. Ma alla fine, a cosa servirebbe farti un dispetto, adesso? Non mi hai mai voluta, non mi hai mai amata e suppongo di dovermene fare una ragione. Mi sarebbe solo piaciuto, per una volta, parlarti, anche semplicemente per sentirti urlare e per litigare perché avrebbe significato, per me, essere visibile ai tuoi occhi. E invece sei morto e io non provo niente... E so che, se anche fossi vivo, non proverei niente comunque. Avevo solo bisogno di vedere la tua tomba per capirlo, non sei mai stato niente e non sarai mai niente per me. Non volevi che usassi il tuo cognome, ti vergognavi di me, ma sai, io il tuo cognome non lo voglio, ora sono io che mi vergogno di te, per il piccolo uomo insignificante che sei stato. E' finito il tempo in cui mi sentivo in colpa per il fatto di esistere e di non essere come tu volevi che fossi e spero che, ovunque tu sia, ora sia arrivato il tuo turno e che tu abbia l'eternità per capire i tuoi mille errori".

Un'ombra, improvvisamente comparve dietro di lei. Elke si voltò di scatto, spaventata, trovandosi dietro sua madre che, evidentemente, l'aveva seguita.

"Sapevo di trovarti qui Elke. Come hai fatto a trovare la sua tomba?".

Alzò le spalle, con noncuranza, vagamente irritata dalla sua presenza. "Semplice, ho letto i nomi incisi sulle croci".

Sua madre spalancò gli occhi, sicuramente stupita per quanto aveva appena udito. Non aveva più davanti una bambina selvatica ed ignorante, cresciuta da sola nei boschi di montagna, ma una donna indipendente che sapeva leggere. Nonostante fosse sorpresa, la donna non commentò, limitandosi a lanciare un'occhiata alla tomba del marito. "Perché sei voluta venire qui?".

Elke scosse la testa.

"Non lo so, forse avevo bisogno di vederlo coi miei occhi. Mio padre mi ha sempre voltato le spalle e per molto tempo ho pregato, sperato che un giorno mi volesse bene. Ho smesso di desiderarlo da tanto, non credo più alle favole in cui i cattivi si redimono ma... volevo almeno un confronto con lui, che vedesse che esistevo e che ero una persona degna di rispetto come le altre sue figlie. Mi ha fregata di nuovo e ha chiuso a suo modo la partita fra di noi, togliendomi ogni speranza che un giorno cambiasse idea, anche solo un poco, nei miei confronti".

La donna sospirò. "Lo sai bene che non l'avrebbe mai fatto".

Elke annuì, tirandosi su. "Sì, sicuramente è così, ma ora non ha più importanza e non ho motivo di fermarmi oltre".

"Te ne vai? E dove? Sei appena tornata dopo quattro anni di assenza".

La ragazza sorrise. "Torno a casa, la mia vera casa".

"Non è questa la tua casa?".

Elke la guardò storto. Stava per caso scherzando? O si stava prendendo gioco di lei? "Questa non è mai stata la mia casa, avete fatto in modo che non lo fosse mai. E questa è la conversazione più lunga che io e te abbiamo mai avuto dalla mia nascita, se non te ne fossi accorta. Come potrebbe essere casa mia, questa? Come puoi pretendere che resti, dopo che per tutta la vita non hai desiderato altro che me ne andassi? Come puoi essere tanto ipocrita da parlarmi come se nulla fosse? Siamo onesti, se ci fosse qui mio padre, tu tremeresti come una foglia e da brava mogliettina obbediente quale sei sempre stata, seguiresti il suo volere e non mi rivolgeresti la parola".

Sua madre strinse fra le mani il grembiule che aveva legato in vita. "Elke, non avevo scelta, come potevo fare, come potevo oppormi al volere di tuo padre? Devi cercare di capire che...".

"C'è sempre un'altra scelta, mamma. E mi dispiace, ma per una volta vorrei che fossi tu a capire me!".

Sospirando si appoggiò al tronco di una pianta, osservandola. Quella era sua madre, la donna che l'aveva messa al mondo. E le era totalmente estranea... "Ti è sempre andata bene così, che me ne stessi lontana. Non ti è mai importato di me, non mi hai mai difesa, non ti sei mai preoccupata. Sono sicura che eri felice quando me ne sono andata, quasi quattro anni fa".

La donna abbassò lo sguardo. Sembrava trattenere le lacrime a fatica. "Ero preoccupata, terrorizzata dall'idea che ti fosse successo qualcosa. Ma poi ho capito... Tu pensi che non ti abbia mai guardata, che non ti abbia mai osservata. Ma sei mia figlia Elke e ti conosco meglio di chiunque altro. Ho sempre saputo quanto sei in gamba, forte ed intelligente. Fra le mie figlie, sei sempre stata la più sveglia, te la sei sempre cavata in tutto, da sola. Sei migliore di me, di tuo padre e delle tue sorelle. Sapevo che stavi bene, sapevo che te n'eri andata perché avevi scelto la tua strada. Che non so dove ti porterà ma so che, ovunque sia, sarà stata la scelta giusta".

Elke sorrise. Una volta avrebbe fatto salti di gioia nel sentire quelle parole, ma ora era diverso: Tires, la sua famiglia, il suo passato e i tristi ricordi che si portava dietro le apparivano ormai lontani, quasi appartenessero a un'altra persona. Eppure si sentiva in dovere di dirle qualcosa che acquietasse l'anima di entrambe e le permettesse di fare un po’ pace col suo passato, chiudendo i conti che aveva lasciato in sospeso.

"In questi anni ho viaggiato, conosciuto posti e persone che mai avrei potuto incontrare rimanendo qui, sono cresciuta e ho imparato un sacco di cose nuove. Sto andando in Val Sarentino ora, sto tornando dall'uomo che amo. Una persona assolutamente fuori dagli schemi, strana, scostante a volte e con un carattere particolarmente difficile da gestire, per chi non lo conosce. Ma lui... è l'unico che sappia farmi sentire a casa, amata, semplicemente abbracciandomi. Conosce ogni cosa di me, della mia anima e del mio corpo. A lui non è mai importato nulla dei miei capelli, mi ha semplicemente dato una possibilità, mi ha ascoltata, capita, conosciuta ed è diventato l'unica famiglia che abbia mai avuto. Sai, non è vero che non avete mai fatto nulla per me, ora che ci penso... Mi avete ignorata, esclusa e questo mi ha permesso di andarmene e di conoscerlo. Di questo, suppongo, devo esservi grata".

Lo sguardo di sua madre parve ferito a quelle parole, ma incassò il colpo con dignità. "Spero sia davvero una brava persona come dici tu, Elke".

"Lo è. E fra pochi giorni lo sposerò".

La vide spalancare gli occhi dalla sorpresa, come se si rendesse conto solo in quel momento di quanto fosse cresciuta, di quanto fosse lontana dalla bambina solitaria ed indifesa che era stata e che lei ricordava. La donna fece per avvicinarsi, forse per abbracciarla, ma lei si ritrasse. "No...".

"Ti prego" – la implorò la donna.

Elke scosse la testa. "Mi dispiace, ma adesso no, è troppo tardi. Erano altri i momenti in cui avevo bisogno di un tuo abbraccio, mi spiace mamma. Non me la sento".

Sua madre la guardò, sembrava ferita. Ma con dignità annuì, capendo forse i suoi sentimenti. "Hai ragione, scusa".

Elke strinse i pugni delle mani, indecisa. In un certo senso le spiaceva ferirla, ma non poteva fare altrimenti. "Guarda il lato positivo della cosa, se ci riesci... Stiamo parlando da cinque minuti, per la prima volta da quando sono nata. E' già un successo, no?".

La donna sorrise, amaramente. "Una conversazione fra madre e figlia?".

"No, una conversazione fra due donne che a malapena si conoscono. Ma pur sempre una conversazione...". Elke abbassò lo sguardo, non sapendo che altro dire. Si avvicinò al suo cavallo, montando in sella. "Devo andare ora. Credo che sia l'ultima volta che ci vediamo, noi due. Ti auguro di star bene. Come vedi, io so cavarmela benissimo da sola, non pensare più a me e concentrati unicamente sulle mie sorelle. Buona fortuna".

Con un colpetto di redini fece muovere il cavallo, ma la voce di sua madre, alle sue spalle, la frenò per alcuni istanti.

"Buona fortuna Elke. Sono sicura che saprai essere una donna e una madre migliore di me. Ti auguro di essere felice".

La ragazza si morse il labbro, facendo violenza su se stessa per non voltarsi verso di lei e non scoppiare a piangere. In fondo, nonostante tutto, era difficile. Annuì, poi diede di redini e partì al galoppo.

Cavalcò senza mai fermarsi, finché il cavallo non fu esausto. La parte più difficile se l'era lasciata alle spalle: Suor Faustine, la sua famiglia, Tires, aveva chiuso ogni conto in sospeso col passato e le sue paure.

Nei giorni seguenti viaggiò attraverso valichi e passi di montagna, lasciando il sentiero principale. Aveva voglia di tornare a respirare la sensazione di libertà che solo le vette di alta montagna sapevano regalare, godere del silenzio assoluto delle vallate baciate dal sole estivo, riappropriarsi di quei luoghi che erano suoi e che le erano mancati quanto Mattheus negli anni di permanenza a Bozen.

La notte dormiva in giacigli di fortuna, come faceva da bambina, di giorno cavalcava senza sosta per raggiungere Pennes, fermandosi solamente per mangiare e far prendere fiato al cavallo.

Aveva solo un'altra tappa da fare, prima di tornare da Mattheus.

Quando raggiunse il lago di Valdurna, per un attimo le mancò il fiato. Era stata tante volte in quel posto ma ora le appariva diverso, ne capiva appieno la storia e quanto valore avesse per Mattheus. Quel posto e i suoi misteri avevano fatto di lui l'uomo che era ora, l'uomo di cui era innamorata e che stava per prendere come marito. Sulla riva di quel lago si era consumato un amore, si erano combattute battaglie, si era vissuto e qualcuno si era accomiatato dal mondo in modo eroico, difendendo un ragazzino e un amore. Quell'acqua era la testimonianza di una promessa, di affetto, di un rapporto che nemmeno la morte era riuscita a spezzare.

Si chiese cosa provasse Mattheus ogni volta che rimetteva piede in quel posto e come avesse fatto per tutto quel tempo, davanti a lei e ai gemelli, a fingere indifferenza e tranquillità per custodire il suo segreto.

Fece bere il cavallo, ormai esausto, accarezzandone la criniera, e la bestia reagì strofinando il muso contro il suo petto. Ormai avevano stabilito un rapporto di fiducia e amicizia loro due, lei conosceva lui e lui si era adattato perfettamente a lei.

"Che bel cavallo, come si chiama?".

Elke sussultò a quella domanda che, d'improvviso, ruppe il silenzio che la avvolgeva.

Si voltò, trovandosi davanti una ragazza dai lunghi capelli biondi, di una bellezza talmente unica da non sembrare umana. Per un attimo rimase in silenzio, attonita, poi il suo istinto le suggerì che la conosceva: quegli occhi azzurri vivaci e intelligenti le erano familiari, così come il modo elegante di muoversi. L'aveva vista in altre vesti, in altre forme, ma ricordava quanto Mattheus le aveva raccontato a Bozen la notte di Natale, di lei. "Non ha ancora un nome, Jutta".

Era la prima volta che la vedeva in versione umana, ma era assolutamente sicura che fosse lei.

"Mi hai riconosciuta, ne sono contenta".

Elke sorrise, timidamente. "Sì, Mattheus mi ha raccontato molte cose di te".

"Lo so".

Jutta le si avvicinò e poi, a sorpresa, la abbracciò talmente forte che le mancò il fiato. "Elke... bentornata! Sono così contenta che tu sia quì".

"Oh Jutta, anche io sono contenta di essere tornata". In quel momento si rese conto che, per la prima volta da quando era partita, ritrovando Jutta si era sentita a casa per davvero.

Si guardarono negli occhi e poi, come due amiche qualsiasi che non si vedevano da molto tempo, si sedettero una accanto all'altra sulla riva del lago.

Elke la guardò attentamente: era una fata graziosa, ma in versione umana aveva una bellezza talmente rara, perfetta, che nessun uomo avrebbe potuto non notare. Anche se non lo conosceva, capiva il perché Jakob si fosse innamorato di lei e si stupiva che lo stesso non fosse avvenuto per Mattheus.

"Cosa ci fai quì? Mattheus mi aveva detto che saresti tornata, ma credevo ti saresti diretta a Pennes".

"Dovevo far riposare un po’ il cavallo e poi... volevo stare un po' da sola qui. Non ho mai saputo nulla di questo posto, della sua storia, di quanto tu e Mattheus siate legati a questo lago e...".

"Volevi scoprirne qualcosa di più?".

"No, volevo solo guardare, pensare... Per poter, forse, capire meglio Mattheus".

Jutta sorrise. "Lui aveva ragione, sei davvero cresciuta. Ho fatto fatica a riconoscerti prima, sai? Sei così bella, elegante... Una vera signora. Se non sapessi chi sei, ti scambierei per un'elegante donna di città".

Elke, a quelle parole, scoppiò a ridere. "Non lo sarò mai. Sono posti come questo, la mia casa".

"Già. Sono così contenta che tu sia tornata e per te e Mattheus, so che vi sposerete a breve".

"Sì".

"Sei nervosa?".

Elke scosse la testa. In realtà no, non lo era. Perché era convinta della sua scelta, certo, e perché di fatto lei e Mattheus avevano già passato una notte insieme, come due persone sposate. "No, non credo. Forse, sono solo un po' emozionata".

Jutta sorrise. "E pensare che, quando voleva partire per Bozen a Natale, non ero d'accordo. Era una fuga la sua, dalle sue scelte e dalla solitudine. Non volevo passasse le feste da solo ma... evidentemente era quello che lui sentiva di dover fare. Era alla ricerca di qualcosa che, alla fine, ha trovato".

"Non credo sia venuto a Bozen per cercare me. E' stato un caso essersi incontrati".

Jutta le prese la mano destra, stringendola fra le sue. "Non è così, sai? C'è una forza, una specie di magia che spinge le anime gemelle a rincontrarsi, nonostante la distanza e i problemi".

"Dici davvero?".

"Mi piace credere che sia così. Che foste destinati a ritrovarvi, qualunque cosa fosse successa. E se è successo a voi, forse varrà anche per me, un giorno".

"Te lo auguro". Elke sorrise. Decise che quanto le aveva detto Jutta le piaceva e che fosse una cosa bella in cui credere. In fondo, Mattheus le aveva insegnato che esistevano fate, unicorni e folletti, perché quindi non credere anche a quanto le aveva detto Jutta?

"Anime gemelle, eh? Speriamo che tu abbia ragione".

"Sarete felici!" - rispose Jutta, alzandosi in piedi. "Ti devo solo augurare buona fortuna, avere Mattheus per marito potrebbe rivelarsi esasperante, in alcuni momenti. Ma tu saprai rimetterlo in riga, a te dà ascolto!".

Imitandola, anche Elke si alzò in piedi, avvicinandosi al cavallo. "Già, ma direi di non sfidare ulteriormente la sorte. Anzi, forse è meglio che non indugi ulteriormente oppure dovrò sentirmi i suoi rimproveri per essere arrivata in ritardo".

Jutta scoppiò a ridere. “Direi che lo conosci bene… Su, va da lui, sei mancata per troppo tempo".

Elke annuì e montò a cavallo, salutandola con un cenno del capo. "Ci vediamo presto, Jutta".

La fata rispose con un sorriso. "Suppongo che, la prossima volta che ci vedremo, tu sarai una donna sposata".

Elke prese un profondo respiro per metabolizzare quanto le aveva appena detto la fata. In effetti, a breve la sua vita sarebbe cambiata per sempre. L'aveva aspettato a lungo quel momento e finalmente era lì, a portata di mano. Accarezzò il cavallo, salutò Jutta e poi ripartì velocemente al galoppo verso Pennes.





Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo ventisette ***


Non era cambiato niente a Pennes, ogni baita, ogni staccionata, ogni cosa era rimasta al suo posto, come la ricordava.

Per un attimo, abituata agli ampi spazi di Bozen, la trovò un po' soffocante. Ma fu solo un attimo perché quel posto sapeva di casa, di famiglia e aveva insito in se lo spirito delle sue origini. Per la prima volta da tanto tempo, non si sentiva fuori posto.

Percorse i vicoli di Pennes mentre la gente la guardava. Non avevano sguardi ostili ma semplicemente curiosi. L'avevano riconosciuta, sapevano chi era e forse il fatto che Mattheus ora fosse il loro capo villaggio, la metteva ai loro occhi in una luce migliore rispetto al passato.

Raggiunse la baita dello stregone in un misto di impazienza ed emozione. Non lo vedeva da Natale e aveva una voglia terribile di riabbracciarlo, gli era mancato da morire, così come quel villaggio e quelle montagne da cui era stata lontana per troppo tempo.

Bussò, ma nessuno rispose. Non se ne stupì troppo, era mattina e spesso Mattheus, a quell'ora, era in giro per lavorare o in montagna, a cercare quanto gli serviva per le sue pozioni.

Stava ancora decidendo il da farsi, se aspettarlo davanti casa o cercarlo, quando due figure conosciute le si avvicinarono a passi felpati.

"Sei davvero tu?!".

Elke li guardò e poi sorrise, emozionata. Si inginocchiò per essere alla loro altezza e li abbracciò. "Falko, Drago..." - sussurrò, accarezzandogli i capelli. Erano stati come fratelli, zii per lei, le avevano voluto bene come nessun aveva mai fatto prima di loro.

Drago, con gli occhi spalancati, indietreggiò di alcuni passi. "Mia moglie ci ha detto che ti ha vista in paese e non potevamo che correre qui. Sei tornata davvero, non posso crederci! Sei tu in carne e ossa, dopo tutto questo tempo".

"Già, è sorprendente, non credevamo di rivederti" – aggiunse, Falko.

Elke si stupì un po' di quelle parole. A quanto sembrava, Mattheus non aveva rivelato loro che sarebbe tornata. Si chiese il perché ma poi capì. Era pur sempre di Mattheus Hansele che stavano parlando, un tipo piuttosto dispettoso, che si legava gli affronti al dito e non li dimenticava, aspettando il momento giusto per vendicarsi. Loro non gli avevano detto, fino all'ultimo, del matrimonio con le figlie del fornaio e lui aveva fatto altrettanto, omettendo quanto successo a Bozen. "A volte si torna sui propri passi, per tanti motivi" – ammise, vaga.

Drago annuì. "Oh, stentavamo a riconoscerti! Sei così bella, hai abiti così graziosi oggi. A Mattheus verrà un colpo, quando ti vedrà".

"No, non gli verrà!" - rispose lei, tranquilla. "Sapeva che sarei tornata".

"Lo sapeva?". Falko e Drago si guardarono negli occhi, senza capire.

Elke annuì. "Sì, da Natale. Ci siamo rivisti a Bozen e gli ho promesso che sarei tornata per l'estate. Mi ha raccontato un sacco di cose, del vostro matrimonio soprattutto".

I gemelli si guardarono ancora negli occhi, sorpresi. E poi Drago scosse la testa. "Che canaglia! Non ci ha detto niente".

Elke sorrise, alzandosi in piedi. "Tipico di lui, lo conoscete, no?".

"Sì, lo conosciamo" – borbottò Falko.

La ragazza si guardò attorno, pensierosa. "Sapete dov'è adesso?".

"Sì, doveva andare a raccoglire delle erbe su, ai prati degli stambecchi. Ti ricordi dove sono, vero?".

Elke annuì, sorrise e diede loro in mano le redini del suo cavallo. "Lo ricordo! Mi tenete il cavallo finché non torno? Lo raggiungo lì".

Falko prese le redini, osservando estasiato l'animale. "E' splendido! Ma è tuo?".

"Sì, è mio. Credo che d'ora in poi potrete stare tranquilli, Mattheus non vi trasformerà più in gatti. Ora avrà lui".

I gemelli ridacchiarono soddisfatti ed Elke, dopo aver dato loro una carezza sulla testa, li salutò e si avviò verso la montagna.

Corse per i sentieri sconnessi di montagna con agilità, come se in quegli ultimi tre anni non avesse fatto altro. Era il suo mondo quello, la faceva sentire viva e ora lo sapeva, non avrebbe mai dovuto lasciarlo. Era di nuovo a casa ora, era tornata e tutto ciò che desiderava era rimanere per sempre fra quelle montagne, accanto all'uomo che amava.

Raggiunse il prato degli stambecchi col fiato corto e le guance in fiamme. Il sole era caldo e piacevole sulla pelle, il cielo limpido e i prati di un verde uniforme e scintillante. Si guardò attorno, cercando Mattheus. All'apparenza in quel posto non c'era nessuno eppure sentiva che era lì e non si era spostato.

Con passo felpato uscì dal bosco, guardandosi in giro. E finalmente sentì in lontananza la sua voce che borbottava per qualcosa. Le venne da ridere, non sarebbe mai cambiato, sarebbe rimasto sempre brontolone...

Si avvicinò e finalmente lo vide. Indossava dei pantaloni scuri e una camicia bianca che, disordinata, gli cadeva sui fianchi. Le maniche erano rivoltate fino ai gomiti e i ricci rossi gli ricadevano sulla schiena, muovendosi alla brezza del vento. Stava in ginocchio accanto al ruscello che scorreva nel prato, intento a riempire delle boccette con l'acqua che vi scorreva. Questa cosa la incuriosì, solitamente l'unica acqua che Mattheus usava era quella del lago di Valdurna. Ma in effetti, forse poteva pensare all'acqua in un altro momento, aveva solo voglia di riabbracciarlo, ci sarebbe stato tempo per tutto il resto... "Se vuoi, ti do una mano! In due faremmo prima!" - esclamò, alle sue spalle.

Al suono della sua voce Mattheus sussultò, facendo cadere l'ampolla fra le sue mani. Si voltò verso di lei e rimase per lunghi istanti zitto e fermo, decisamente colto di sorpresa. Alla fine sorrise, col suo fare da canaglia. "Sei quasi in ritardo".

Elke rispose al sorriso, avvicinandosi a lui a piccoli passi. "Quasi... Ho fatto la strada più lunga per tornare, ci ho messo un po'. Ma avevo alcune cose da fare, prima di arrivare quì".

Mattheus annuì, studiandola attentamente. Poi si alzò, le andò incontro e semplicemente, senza dire nulla, la abbracciò. Affondò il viso nei suoi capelli, accarezzandoli piano, la baciò sulla tempia e per un lungo istante rimasero in silenzio, l'uno fra le braccia dell'altra. "Stai bene, vero?".

Elke si staccò leggermente da lui. "Certo, come puoi vedere ho mantenuto la mia promessa! Niente graffi, niente lividi e in tempo per il solstizio d'estate".

"Lo vedo". Le sfiorò con la mano la piccola treccia che si era fatta a lato del capo, accarezzandone il nastrino colorato che la teneva legata. "E questo?" - chiese, con fare scherzoso. "Non mi avevi detto che eri troppo grande per i nastri?".

Elke fece un sorrisetto furbo. "Ho cambiato idea!". Portò la mano alla sua guancia, la accarezzò e poi si fece seria. Era il suo uomo, le era mancato come l'aria e ogni cosa che aveva fatto in quei lunghi mesi era atta solo a riportarla da lui. "Finalmente mi sento a casa".

Mattheus le sfiorò i fianchi, attirandola a se. "Finalmente SEI a casa" – le sussurrò, prima di baciarla sulle labbra.

"A casa..." - sussurrò Elke, baciandolo sulla mascella.

Rimasero abbracciati per lunghi istanti, mentre la brezza estiva faceva ondulare i loro capelli. Fu Mattheus a rompere quel silenzio intimo e tranquillo. "Sembri cresciuta, cambiata. Eppure non ci vediamo da soli sei mesi".

"Cambiata in maniera negativa?".

"No, non negativa. Solo... diversa".

Elke sorrise. "Si, forse un po' diversa lo sono. Ho imparato tante cose in questi mesi ed è come se mi sentissi più forte, come se non avessi più paura di farmi vedere al mondo, come se...". Alzò lo sguardo su di lui, seria, rendendosi conto che finalmente aveva imparato la lezione più importante che Mattheus, dall'inizio, aveva tentato di impartirgli. "Per tutta la vita mi sono sentita sbagliata e in dovere di nascondermi dal mondo. E ora sai, non mi sento più così, non mi importa nulla di cosa gli altri pensino di me, io so cosa valgo e so che loro si sbagliano sul mio conto. Non mi voglio più nascondere e non voglio più giustificare il male che la gente vuole infliggermi".

Mattheus annuì, assorto. "Credi che riuscirai a raccontarmi, un giorno, cosa ti è successo di così fenomenale in questo periodo, da farti capire questa cosa che io, senza successo, ho tentato a lungo di inculcarti?".

Elke rise, alzando le spalle. "Ho tutta la vita per farlo, giusto?". Gli prese la mano, la strinse nella sua e le loro dita si intrecciarono. "Cosa hai fatto in questi mesi?".

"Il solito! Ho terrorizzato la gente di Pennes, ho amministrato il villaggio e ho litigato con Jutta. E tu, che hai fatto?".

Era complicato per lei rispondergli, aveva fatto tante cose in quei mesi e la sua vita a Bozen era cambiata molto da quando si erano visti per l'ultima volta. "Sono riuscita a convivere piuttosto pacificamente con suor Faustine e a dire il vero ho lavorato molto con lei, fianco a fianco. Il fatto che sapessi leggere, benché la irritasse, alla fine le è tornato utile. Ho tenuto la contabilità del convento e portato a termine alcuni progetti, non è stato male. Non sarà mai una persona a cui potrei affezionarmi ma credo che lei, a modo suo, abbia imparato ad apprezzarmi e a rispettarmi. Tanto che, quando son partita, mi ha chiesto di restare".

Mattheus spalancò gli occhi. "Suor Faustine?".

"Sì, suor Faustine! Anzi, devo dirti una cosa" – esclamò Elke, mascherando un sorriso.

"Cosa?".

"Abbiamo un cavallo! Un animale splendido, un purosangue. Me lo ha regalato lei".

"Suor Faustine?" - chiese di nuovo Mattheus, sempre più perplesso e shoccato. "Come diavolo hai fatto?".

"Semplice! Ricordi quando, la notte di Natale, le hai detto che doveva comportarsi bene con me? Beh, le ho fatto intendere che tu, coi tuoi poteri, avresti potuto sapere e vedere ogni cosa di lei e questo l'ha terrorizzata. Sei stato convincente, sai? Non ho dovuto insistere troppo perché ci credesse".

Mattheus si accigliò, arretrò di alcuni passi e la guardò con rinnovato interesse, sogghignando. "Sarò pure stato convincente, ma tu sai che questa cosa non è vera e che l'ho detta in un momento di rabbia...".

"Sì, lo so! E lo sai anche tu. Ma lei no".

Mattheus sorrise, compiaciuto e soddisfatto, con l'aria del maestro che ha davanti ai suoi occhi un'allieva che finalmente ha imparato la lezione. Le puntò l'indice contro, divertito. "Tu, grazie ai miei insegnamenti, diventerai una pessima persona, lo sai?".

"Ed è un male?".

Lo stregone scosse la testa. "No, assolutamente! E' un bene, un enorme bene. Non pretenderai lezioni di morale da me, spero".

"Certo che no!".

Mattheus le si avvicinò, le sfiorò la vita e la attirò a se, baciandola avidamente sulle labbra, come se quella loro conversazione avesse acceso in lui un'attrazione ancora più forte nei suoi confronti. Lo lasciò fare, non desiderava altro, non aveva sognato che quello per tutti quei mesi. Era strano, ancora non riusciva a pensare a lei e a Mattheus come amanti e come promessi sposi, nonostante la loro notte d'amore a Bozen, ed aveva la sensazione che quell'emozione, quella magia che lui sapeva trasmetterle ogni volta che gli si avvicinava, non si sarebbe mai spenta. "Mattheus" – disse, contro le sue labbra – "Ti devo dire ancora una cosa".

"Cosa?".

Elke sospirò, allontanandolo lievemente da lei. "Prima di tornare a Pennes, sono passata da Tires".

A quella rivelazione, Mattheus parve sorpreso. Ogni traccia di passione scomparve dal suo viso per lasciar spazio alla costernazione. "Tires? A casa della tua famiglia? Perché?".

Elke deglutì. "Perché sentivo che era quello che dovevo fare, dovevo chiudere quel capitolo della mia vita per sempre e dimostrar loro che ce l'avevo fatta anche da sola, senza il loro aiuto".

Mattheus scosse la testa, sbuffando, evidentemente non troppo d'accordo con quella sua scelta. "Tu non devi dimostrare niente a nessuno, tanto meno a quelle persone. Ma se sentivi che era quello che dovevi fare, hai fatto bene" – concluse, non troppo convinto.

"Era quello che dovevo fare" – ribatté lei. "E...".

"E?".

Elke alzò le spalle, fingendo noncuranza. "E forse hai ragione tu, non mi servirà a nulla essere passata da Tires ma... ho visto mia madre, ho pure parlato con lei e credo sia stata la prima volta nella mia vita, ho visto le mie sorelle e ho scoperto che la più piccola forse non è nemmeno così malvagia come la ricordavo... E... ho scoperto che mio padre è morto".

Mattheus, serio in viso, l'aveva ascoltata in silenzio senza ribattere. Abbassò lo sguardo a quella rivelazione, guardando distrattamente l'erba. "Mi dispiace" – disse, semplicemente.

"A me no, non importa".

Lo stregone scosse la testa, le si avvicinò e la prese fra le braccia, stringendola a se. Le accarezzò piano la schiena e la baciò sulla tempia. "Non è vero che non ti importa".

Lei non rispose. Affondò il viso contro la sua spalla e si lasciò cullare dalle sue braccia. Forse lui aveva ragione, non era così indifferente alla morte di suo padre come voleva far credere, ma di certo sapeva che quella di Tires non era casa sua, che quella non era la sua famiglia e che il suo posto nel mondo era a Pennes, accanto a Mattheus Hansele. "Non ti ho mai detto il mio cognome".

"E' vero" – asserì lui.

"Perché sai, non avevo il coraggio di usarlo, una volta. E ora perché non mi importa più, l'unico cognome che voglio portare è il tuo".

Mattheus sorrise, baciandola sulla fronte. "E il mio cognome avrai! Ma devo darti una cattiva notizia, mia cara".

"Quale?".

Lo stregone ridacchiò con aria impertinente. "Al nostro matrimonio, il prete lo vorrà sapere il tuo cognome di Battesimo. Temo proprio che non potrai fare a meno di dirglielo...".

Elke sbuffò. Non ci aveva pensato! "E' necessario?".

"Certo che lo è!" - rispose lui, divertito. Si allontanò da lei, le prese la mano e la incitò a seguirlo. "Ma non pensarci troppo, sarà una cosa veloce! Entro stasera sarai mia moglie e non dovrai usare quel cognome mai più, dopo oggi".

A quelle parole Elke si immobilizzò, piantò i piedi a terra e lo guardò come se fosse stato completamente pazzo. "Sposarci entro stasera?".

"Certo! Hai altri programmi?".

"No... Ma...". Gli andò a fianco, squadrandolo in viso. "Mattheus, ci vogliono due settimane per le pubblicazioni di matrimonio! Non ci si sposa così, non abbiamo nemmeno le fedi! E i testimoni?".

Mattheus scosse la testa, come sorpreso che lei non capisse che quei piccoli intoppi potevano essere superati con un niente da lui. "Il parroco di Pennes ha una paura enorme a contrariarmi, basta minacciarlo e ci sposa pure senza pubblicazioni. Per quanto riguarda le fedi, basta usare un tono perentorio con l'orafo del villaggio e ti assicuro che ce le farebbe in un baleno... Per i testimoni, basta rapire per strada i primi due che ci capitano sotto tiro. Ah, dimenticavo... Vorrai un abito bianco, vero?".

Elke lottò contro se stessa per non scoppiare a ridere. Non era cambiato per niente... Sapeva essere un uomo tenero e romantico ma sarebbe rimasto sempre la canaglia che aveva conosciuto anni prima a una gara di tiro con l'arco. "Non mi dire, minaccerai anche la sarta?". Lo guardò storto, pizzicandogli la guancia. "Non voglio un abito bianco, il bianco mi ha sempre portato sfortuna. Non mi interessa il vestito da sposa".

Mattheus sorrise, in maniera più dolce stavolta. "Beh, per quanto possa intendermi di queste cose, stai benissimo così come sei adesso".

Elke si guardò l'abito tirolese che aveva addosso e che le aveva cucito Helena prima che lei partisse da Bozen. "Grazie! Questo lo ha fatto Helena per me. Diceva che una futura sposa doveva essere graziosa e desiderabile per il suo futuro marito e ha insistito per cucirmi dei vestiti nuovi, anche se le ho detto che a te queste cose non sarebbero interessate".

Mattheus si accigliò. "Chi ti dice che non mi interessino? Avere una moglie carina ed elegante, che gli altri mi invidieranno, è un'attrattiva allettante".

Quelle parole la colpirono in un certo senso, perché erano la dimostrazione dolce, ma che faceva anche un po' paura, di quanto il loro rapporto fosse cambiato irrimediabilmente da quando erano lei la sua allieva e lui il suo maestro. Sospirò. "D'accordo, se dici che è possibile farlo, ci sposeremo oggi. Ma... Niente minacce! Se si chiede con tono gentile si ottiene ugualmente, sai? E per i testimoni, chiederemo a Falko e Drago, non voglio nessun altro".

Mattheus si accigliò, non troppo felice circa l'ultimo punto del suo discorso. "Falko e Drago?".

"Sì, Falko e Drago".

La baciò sulle labbra, un bacio lungo e profondo che le fece mancare il fiato. "Sai, io ti amo molto mia cara e ti desidero con uguale intensità. Ed è per questo, SOLO per questo, che ti concedo di prendere quei due piccoli doppiogiochisti come nostri testimoni".

"Bene Mattheus! Se siamo d'accordo, che si fa ora?".

Lo stregone la prese per mano, attirandola a se. "Si va al villaggio, no? Abbiamo un po' di cose da fare".

Elke guardò il prato dove Mattheus, fino a poco prima, era stato impegnato a lavorare. "Anche tu avevi da fare, qui".

"Visto che a Bozen insistevi per essere ancora la mia assistente anche da dopo sposati, credo che aspetterò di avere il tuo aiuto per finire quello che avevo iniziato oggi in questo posto". La attirò a se, baciandola sulla labbra. "E ora su, andiamo".

Elke tremò leggermente a quelle parole, deglutendo. "Andiamo..." - rispose, con una strana paura unita e una infinita emozione per quello che stavano per fare.


...


Mattheus l'aveva trascinata fino al negozio del fornaio e Falko e Drago, saputa la notizia, erano rimasti come due ebeti a fissarli per una buona manciata di minuti. Erano increduli ed Elke non poteva dar loro torto, il matrimonio suo e di Mattheus era quanto di meno probabile potesse esistere al mondo. Uno come lui che si sposava? Così, su due piedi? Certo, loro non sapevano dei trascorsi a Bozen, di quanto avessero lottato e sofferto per ritrovarsi e di quanto si fossero amati la notte di Natale, non sapevano nulla e probabilmente il matrimonio dello stregone più scostante e solitario della Val Sarentino doveva apparirgli come un'enorme follia. Ai loro occhi non era da Mattheus fare una cosa simile e in fondo non poteva dargli torto perché a parte lei, a nessuno lui aveva permesso di farsi conoscere davvero. Era come se, col mondo, recitasse sempre una parte che ormai gli si era cucita addosso, modificando un po' il suo carattere già di per se chiuso e capriccioso. Eppure, nonostante fosse una grandissima canaglia, era anche l'uomo più dolce e sensibile che avesse mai conosciuto e anche a lei faceva senso paragonare ciò che era nella loro intimità con l'immagine di sé che lui dava a tutti gli altri.

Aveva dovuto tranquillizzare Falko e Drago dopo l'annuncio, e spiegar loro che andava tutto bene, che Mattheus non l'aveva costretta con la forza, che era una cosa che desideravano entrambi e che era stata una scelta comune. Solo allora avevano accettato di far da testimoni, seppur con riluttanza, bisbigliandole nell'orecchio se fosse sicura di volersi legare per sempre a un uomo così impossibile. Aveva ridacchiato a quell'avvertimento che sapeva di vecchi tempi dove lei e i nani non erano altro che i tre assistenti di Mattheus Hansele e dovevano difendersi, facendo squadra comune, dai suoi scherzi e dalle sue angherie.

Mattheus, forse per amor suo o forse perché aveva fretta di concludere la cosa, finse di non vedere e non sentire ciò che i due nani le bisbigliavano e lei ne fu contenta.

Con l'orafo filò tutto liscio, senza problemi. L'uomo, seppur stupito, non fece domande, tirò fuori tutti gli anelli d'oro del suo campionario e Mattheus ed Elke ne scelsero due dalla finitura semplice, liscia, senza grossi fronzoli. Le dimensioni non erano propriamente perfette, soprattutto per Elke che aveva dita molto lunghe e sottili, ma Mattheus con la sua magia adattò l'anello affinché fosse perfetto per la sua futura moglie.

Col Sacerdote ci fu più da contrattare. Il vecchio parroco di Pennes era un uomo dalla mentalità chiusa, poco incline ad infrangere le regole e assolutamente in contrapposizione con la figura di Mattheus e su quello che rappresentava. Non capiva la magia, non la comprendeva neppure se usata a fin di bene e da sempre aveva guardato lo stregone in cagnesco, rifiutandosi di avere a che fare con lui per capirlo meglio. Di contro, Mattheus non si era mai sforzato troppo di farsi conoscere e apprezzare e di fatto, per anni, i due avevano vissuto in quel piccolo villaggio ignorandosi.

Per il vecchio parroco, il matrimonio di Mattheus con la giovane Elke fu un fulmine a ciel sereno. Ne rimase profondamente stupito ma subito si ricompose, pronunciando un secco 'no'. "Mi spiace, ci vogliono due settimane per le pubblicazioni. Il matrimonio è un vincolo sacro e ci si deve preparare a dovere, senza tralasciare nulla".

"Avanti!" - sbottò Mattheus – "Mi conoscete da una vita, sapete che non sono già sposato! E nemmeno Elke, ve lo posso garantire. A che vi servono le pubblicazioni? Ad accertare un qualcosa che conoscete già?".

"E' la prassi!" - tuonò il parroco.

"E io me ne frego delle prassi, dovreste saperlo".

Elke sospirò. Quei due avrebbero potuto andare avanti per ore a litigare, senza cavare un ragno dal buco. Si avvicinò loro, separandoli e cercando di riportare la calma nella piccola Chiesa, mentre Falko e Drago, dietro di loro, osservavano interessati la scena, seduti sulle panche. "Don Bertrand, so che la prassi prevede due settimane per le pubblicazioni e so anche che ci tenete al fatto che tutto si svolga secondo le regole. Ma né io né Mattheus abbiamo mai seguito troppo la prassi, sapete bene che la gente ci vede in modo diverso e che abbiamo sempre agito di testa nostra, prendendoci le nostre responsabilità nel nostro essere differenti dagli altri. E lo faremo anche ora, se dovessero esserci problemi ci prenderemo le nostre responsabilità senza addossarvi nessuna colpa". Guardò Mattheus, accanto a lei, che la guardava con curiosità, colpito dal tono pacato della sua voce. "Io non sono sposata, sapete bene che per una persona albina è piuttosto difficile trovare marito. E conoscete bene anche Mattheus, nemmeno lui ha mai avuto una moglie e sapete che è testardo e vendicativo se non ottiene ciò che vuole. Chiudete un occhio, sposateci e permetteteci di iniziare a vivere la nostra vita come una vera famiglia già da oggi. Aspettare due settimane non vi cambierebbe nulla ma per me e Mattheus farebbe un'enorme differenza. Inoltre, se non ci sposate, credo che il mio futuro marito potrebbe trasferirsi qui da voi per darvi il tormento finché non cederete. Sapete che sarebbe capacissimo di farlo e sapete anche quanto potrebbe risultarvi insopportabile la cosa..." - concluse, in tono sibillino.

Mattheus incrociò le braccia al petto, annuendo, con un'espressione resa fiera dalle velate minacce della sua futura moglie. "Esattamente. Come vostro capo villaggio, posso fare tutto quello che voglio nel territorio di mia competenza".

Il vecchio prete si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto, emettendo un lungo sospiro. "E così voi, VOI volete sposarvi, signor Hansele?" - chiese, scandendo bene parola per parola.

"Esattamente!".

"Siete sicuro?"

"Certo".

Don Bertrand osservò prima i due aspiranti sposi e poi i nani, annuendo. "Ebbene, così sia, se mi garantirete che poi ve ne andrete da qui. Ma..." - puntò il dito contro di loro – "Questa cosa resterà fra noi e noi soltanto. Non uscirà da questa Chiesa, intesi? E una volta che vi avrò sposati, non voglio vedervi bighellonare attorno a questo posto, eccetto che per le sacre funzioni domenicali a cui, mi auspico, parteciperete sempre con gioia. Vi sposerò e andrete a casa vostra a fare... beh, suppongo che lo sappiate bene senza che ve lo spieghi" – concluse, scrutandoli coi suoi piccoli occhi grigi e indagatori.

Elke arrossì a quella frase, intuendo che il vecchio parroco avesse qualche sospetto circa il loro aspettare il matrimonio per iniziare ad avere rapporti. Distolse lo sguardo da lui, osservando Mattheus. Il suo futuro marito annuì, si voltò verso di lei e le sorrise.

"Non ci sono problemi allora, Elke! Sicura di non volerci ripensare?" - le chiese.

Rispose al sorriso, prendendogli la mano ed accorgendosi che tremava lievemente. Se ne stupì un po' perché fino a quel momento si era comportato come al solito, da sbruffone e da canaglia. Ma aveva paura, era emozionato e pieno di paure, proprio come lei... Non la stava prendendo alla leggera e proprio questo le dava la sicurezza che sarebbe andato tutto bene. "Nessun ripensamento, sposiamoci".

E alzando gli occhi al cielo, il vecchio e riluttante Don Bertrand iniziò la cerimonia, un matrimonio veloce e senza troppi fronzoli, dichiarandoli marito e moglie pochi minuti dopo.


...


Il cielo era tinto di rosa quando giunsero davanti alla porta della loro baita. Dopo la cerimonia non si erano parlati molto, avevano salutato Don Bertrand, Falko e Drago e si erano diretti a casa, mano nella mano, assaporando quel tranquillo silenzio che sembrava cullarli dolcemente, acquitando tutte le loro ansie e paure. La gente del villaggio li aveva guardati con curiosità, ma nessuno aveva fatto commenti e domande e li avevano lasciati in pace.

Elke pensò che in fondo sposarsi, dire quel fatidico sì, era una cosa facile. Ma sapeva anche che non lo sarebbe stato altrettanto impegnarsi, giorno dopo giorno, per il resto delle loro vite, a tenere fede alle promesse matrimoniali che si erano scambiati. Amarsi, onorarsi, rispettarsi e prendersi cura l'uno dell'altra per sempre... Non era una cosa da poco e si chiese, fugacemente, se anche sua madre avesse avuto paura il giorno che aveva sposato suo padre. Guardò Mattheus, suo marito... Era strano pensarlo in quella veste, pensare che ora erano una famiglia e lei era la moglie dello stregone più egocentrico e potente che quelle montagne avessero mai visto. Lui dopo il matrimonio aveva perso la sua aria scherzosa e la sua balzanda del pomeriggio e aveva assunto un'espressione più seria e matura, che tanto gli ricordava il Mattheus di Bozen, della notte di Natale. "Va tutto bene?" - riuscì a chiedergli, infine.

Lui annuì, sorridendole e accarezzandole una guancia. "Tutto bene".

"A cosa stai pensando?".

Mattheus alzò le spalle con noncuranza. "A niente. O a tutto...".

"Hai paura?".

"No, non ho paura, sposarti è stata la decisione migliore della mia vita Elke. Ma ora che sei mia moglie mi rendo conto che dovrò impegnarmi davvero tanto per non essere troppo odioso con la donna che ho scelto di avere accanto e... e per uno come me che non ha più una famiglia da tanto, sarà un po' complicato all'inizio. Temo che commetterò un po' di errori prima di imparare, abbi pazienza".

Elke sorrise a quelle parole e a quelle paure tanto simili alle sue. Gli si si parò davanti, appoggiandosi alla porta della baita. "Credi che io sia così esperta? Sono una moglie esattamente da quando tu sei un marito, abbiamo entrambi molto da imparare". Alzò lo sguardo, ricordando quando era arrivata in quella casa per la prima volta, selvaggia, con un arco e delle frecce sulle spalle e senza conoscere nulla del mondo. Sembravano passati secoli da allora e tante cose erano successe nella sua vita... "E' così emozionante pensare che tornerò a vivere qui. Mi è mancato questo posto".

Mattheus le si avvicinò, sfiorandole la vita e dandole un lungo bacio sulle labbra. "E tu sei mancata a me". La prese per mano, gliela strinse forte nella sua e poi aprì l'uscio. "Su, entra".

Elke ubbidì, accodandosi a lui, emozionata come lo era stata la prima volta. Era rimasto tutto uguale, il tavolo, il camino, i mobili, gli oggetti di uso quotidiano e la scala che portava alla soffitta che era stata la sua stanza. Sciolse la stretta della mano su Mattheus, correndo al piano di sopra, desiderosa di vedere quel piccolo fienile che era stata la prima vera camera da letto che avesse avuto nella sua vita. Appena vi giunse, si lasciò cadere fra paglia e fieno, odorandone il profumo intenso che sapeva di casa, di vita e di montagne. Vi affondò il viso, pensando a quanto le fosse mancato tutto questo mentre era a Bozen.

"Che fai?" - chiese Mattheus, giunto alle sue spalle.

"Mi è mancata questa stanza!" - rispose lei, con sincerità. "Era la mia preferita".

Mattheus le si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lei. "Ma questa non sarà più la tua stanza".

Elke si tirò su, mettendosi a sedere sulla paglia. "Lo so, ma mi andava di venire per qualche minuto. Ti ricordi quando facevi irruzione per costringermi a lavorare e per coinvolgermi in qualche stramba avventura in montagna?".

Mattheus si sedette accanto a lei, prendendo a giocare con la paglia. "Non erano avventure strambe, per me era lavoro. E tu eri la mia assistente".

"Già! E voglio esserlo ancora".

"Lo so. Ma ora sei pure mia moglie, far combaciare le cose sarà complicato".

Elke sorrise, prendendogli la mano. "No, non credo. Ti aiuterò, come una volta. Funzionavamo bene insieme, quando lavoravamo fianco a fianco".

Mattheus si buttò sulla paglia, mettendosi le mani dietro la nuca. "Certo, ma c'è un piccolo problema".

"Quale?".

Lo stregone alzò le spalle. "Una volta non avevo costantemente voglia, quando ti avevo vicino, di spogliarti e di portarti a letto... Come la mettiamo?".

A quelle parole, in parte scherzose ma sicuramente sincere, Elke scoppiò a ridere. Gli sfiorò i riccioli rossi, delicatamente, prima di alzarsi in piedi e togliersi la paglia di dosso. "Mettiamola così... Questa è la nostra notte di nozze e siamo rimasti in questa soffitta fin troppo" – disse, decisa ma con una punta di nervosismo nel tono di voce. Lo desiderava intensamente dalla notte di Natale di rivivere quei momenti con lui ancora con più intensità e desiderio e anche meno timidezza rispetto alla loro prima volta.

Mattheus, a quella proposta, scattò in piedi. Le si avvicinò, la prese per la vita e la attirò a se, baciandola a lungo. "Non vedevo l'ora che lo dicessi" – sussurrò, contro le sue labbra. Le accarezzò i capelli, togliendole il nastrino che teneva legata la piccola treccia a lato del capo, poi tornò a baciarla con passione. "E' diverso sai... Da Bozen intendo...".

"Forse perché siamo sposati, ora...".

Mattheus sorrise. "No, forse semplicemente perché siamo tornati a casa. A proposito, bentornata Elke".

"Grazie". Lo abbracciò e poi si lasciò prendere fra le braccia e portare in camera da letto. Era stupita che facesse una cosa del genere, Mattheus era un uomo dolce a suo modo ma di certo non amava le romanticherie. "Non credevo l'avresti fatto" – disse, mascherando una risata.

Lui scosse la testa, stupito forse esso stesso. "E' la tradizione e lo sai bene, io sono un tipo tradizionalista". Aprì la porta della stanza e la strinse lievemente a se, prima di adagiarla sul letto.

Si guardarono per lunghi istanti negli occhi, desiderosi di stare insieme e allo stesso tempo un po' spaventati da quella nuova vita che si apprestavano a vivere insieme.

Elke lo osservò. Era affascinante, alto, dal fisico tonico derivato dal suo duro lavoro, quasi selvaggio con quei riccioli rossi che gli ricadevano sul viso e sulle spalle. Ed era il suo uomo, un uomo che desiderava come nient'altro nella vita... Pregò in silenzio di non deluderlo mai, di essere sempre capace ad essere una buona moglie e di saperlo rendere felice come lui aveva reso felice lei. Allungò la mano ad accarezzargli il mento, lo attirò a se e si fece baciare, prima di scivolare sulle lenzuola. "Mi sei mancato... QUESTO mi è mancato...".

Le mani di Mattheus le sfiorarono i fianchi, risalendo fino al seno e poi alle spalle e al viso. "Anche a me questo è mancato! E credo che non ti permetterò di alzarti da questo letto per un bel po'... Sarà una luna di miele lunga, uscirai da questa stanza solo quando avrai deciso dove vorrai andare per il viaggio di nozze".

Elke rise mentre lui, dopo averle rivolto quelle parole, la baciava sul collo. "Ma io so dove voglio andare e c'è una promessa che tu devi ancora mantenere! Portami nel tuo villaggio natale, in Val Ridanna".

Mattheus alzò gli occhi su di lei. "Ti accontenteresti della Val Ridanna per il tuo viaggio di nozze?". Era stupito.

Lei sorrise, dolcemente. "Una volta mi hai detto che in Val Ridanna ci sono le montagne più belle del mondo e io amo le montagne! Voglio vedere dove sei nato e cresciuto. Me lo avevi promesso".

Mattheus annuì, baciandola dolcemente sulle labbra. "D'accordo, ti ci porterò, abbiamo tutta l'estate davanti e uno splendido cavallo che ci permetterà di viaggiare velocemente. Ma prima...".

"Prima?".

Mattheus si stese su di lei, accarezzandole le labbra con l'indice della mano. "Prima ci sono un po' di cose che vorrei fare qui, se sei d'accordo".

"Certo che sono d'accordo" – sussurrò lei, prima di catturare nuovamente le labbra del marito.

Non dissero più nulla per quella notte... Non c'era bisogno di parole e lasciarono che fossero i loro corpi a ritrovarsi, unirsi e fondersi, dando inizio alla loro nuova vita.










Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo ventotto ***


Questo è l'ultimo capitolo del mio romanzo. Ne ho in mente un secondo volume, ambientato un anno dopo il matrimonio fra Mattheus ed Elke, dalla trama più adulta e a tratti più cupa. Devo ancora riordinare le idee e spero che l'estate mi aiuti. Per il momento ringrazio chi mi ha seguito in questa prima avventura di Mattheus, sperando che anche il capitolo finale vi piaccia e che ci ritroveremo per la nuova storia quanto prima.

Grazie di cuore e buona lettura! :D


Era sposato da due settimane e il matrimonio, istituzione che fino a un anno prima gli era apparsa come la più terribile delle prigioni, si era rivelata la più dolce e appassionata avventura della sua vita.

Stava albeggiando e Pennes era avvolta dalla penombra e da un silenzio tranquillo, interrotto solo dal cinguettare degli uccelli.

Mattheus si stiracchiò, incrociando le braccia dietro la nuca, pensieroso. Da quattordici giorni, dal giorno della cerimonia, lui ed Elke erano rintanati nella loro casa, lontani da tutto e tutti, a scoprirsi e a scoprire le gioie del matrimonio. Liberi di amarsi, di girare per casa svestiti e in preda alla più assoluta libertà di fare e dire qualsiasi cosa passasse loro per la mente, vivevano quei primi giorni di matrimonio in maniera allegra, leggera, appassionata e tenera. Abbassò lo sguardo su sua moglie che, completamente nuda, dormiva rannicchiata sul suo petto, baciandole lievemente la fronte. Era bellissima con quei lunghi capelli color della neve sparsi sul cuscino, col suo viso pulito e dai lineamenti ancora un po' fanciulleschi e con quell'espressione serena e felice di chi è in pace col mondo.

Elke era una giovane donna intelligente, forte, caparbia e dotata di un grandissimo senso pratico, sempre col sorriso sulle labbra nonostante la vita, tante volte, avesse tentato di cancellarglielo. Ne era uscita indenne, divenendo forte, coraggiosa e altruista. Era la compagna ideale per lui, abbastanza di carattere da saperlo fronteggiare, dolce quel tanto che bastava a farlo sciogliere e un'amante tenera ma allo stesso tempo appassionata. Sapeva tenergli testa, dentro e fuori dalla camera da letto. E trovava la cosa divertente e meravigliosa! Ne era innamorato e l'amore era una cosa che, prima di lei, non aveva mai contemplato come possibile nella sua vita. Silenziosamente, pregò di essere sempre un marito degno di questo nome, di saperla rendere felice e di essere capace di prendersi cura di lei... Era il suo terrore deluderla, una delle sue paure più grandi...

"Mattheus".

A quel richiamo spalancò gli occhi di colpo, guardandosi in giro. Era la voce di Jakob... Che voleva a quell'ora del mattino, mentre si stava godendo la sua nuova condizione di marito? Non era da Jakob disturbarlo o essere inopportuno... "Sei qui... Cosa c'è?".

"Vieni al lago di Valdurna, devo parlarti".

Mattheus sorrise nella semi-oscurità. Come al solito, Jakob non chiedeva. Jakob comandava! "Adesso?".

"Pensi di riuscire a lasciare la tua giovane ed affascinante moglie per un paio d'ore? Ti sei divertito abbastanza nelle ultime settimane, ma ora devo parlarti di una cosa importante. Alzati e sbrigati".

Mattheus sospirò. Era sempre stato molto intuitivo e quell'invito, quell'ordine di andare al lago senza un apparente motivo... "E se io non volessi sentirla, questa cosa importante?".

"Verrai lo stesso".

Lo stregone alzò gli occhi al cielo. "E... e lei?" - chiese stupidamente, guardando Elke che, incurante di tutto, continuava a dormire placidamente.

"Verrai da solo".

"Dammi cinque minuti per vestirmi, prendo il cavallo e farò in fretta" – borbottò, arrendendosi all'idea che non avrebbe potuto dirgli di no.

"Ti aspetto la".

La voce di Jakob svanì nella sua testa, lasciandolo nuovamente solo coi suoi pensieri. Non aveva voglia di andare al lago e di lasciare Elke, ma immaginava che prima o poi sia lui che sua moglie avrebbero dovuto lasciare quel letto. La scosse leggermente sulle spalle, baciandole la fronte. "Elke".

La ragazza aprì gli occhi, assonnata. "Mattheus... cosa c'è?" - chiese, strofinandosi gli occhi.

Lo stregone appoggiò la fronte sulla sua. Non aveva voglia di uscire, tutto quello che voleva era stare in quel letto a far l'amore con lei. Invece doveva andare da Jakob a sentire un qualcosa che, il suo istinto gli gridava, non gli sarebbe piaciuto per niente. La baciò sulle labbra e la strinse a se, sospirando. "Devo andare al lago di Valdurna, Jakob mi deve parlare".

Elke si tirò leggermente su, appoggiando la guancia contro la mano. "Al lago di Valdurna a quest'ora? Perché?".

"Non ne ho idea, ma suppongo che lo scoprirò presto. E che non mi piacerà" – rispose Mattheus, borbottando ed alzandosi.

Elke lo fissò sospettosa. "Credi che ci siano guai in vista?".

"No, non guai. Ma... Ma non lo so, forse sono solo sospettoso senza fondamento".

Elke fece per ribattere ma alla fine si morse il labbro, optando per il silenzio. E Mattheus si rese conto in quel momento di quanto ormai lei lo conoscesse bene, tanto da sapere come prenderlo, quando parlare e quando stare zitta.

In realtà non era arrabbiato, non con lei di certo. Ma era scocciato dall'arrivo di Jakob in quel momento della sua vita così sereno, e avrebbe voluto prolungare ancora un po' la sua luna di miele con Elke. E se tanto gli dava tanto, conoscendo Jakob, non sarebbe venuto a disturbarlo per delle facezie di poco conto.

Osservò Elke che si era accasciata sul cuscino e gli venne un'idea grandiosa. L'estate era appena iniziata ed era nel pieno del suo vigore e poteva essere una buona idea cogliere l'occasione per tener fede a una antica promessa che le aveva fatto. Questo avrebbe reso felice Elke ed avrebbe rasserenato lui dopo l'incontro con Jakob. "Senti, quando ti va, alzati da letto e vestiti. Al mio ritorno partiremo".

"Partiremo?".

Mattheus le sorrise, si sedette sul letto e le diede un bacio sulle labbra. "Viaggio di nozze, luna di miele... Volevi andare in Val Ridanna, giusto? E ci andremo, fatti trovare pronta al mio arrivo, non ci metterò molto a tornare, col cavallo".

A quella proposta, Elke spalancò gli occhi incredula, poi sorrise e infine lo travolse con un abbraccio. "Val Ridanna? Il tuo paese natale, Flading? Davvero mi ci porti?".

Lo stregone annuì, divertito dal suo entusiasmo. "Certo, te l'avevo promesso e questo è il miglior momento per partire, le giornate sono calde e lunghe e per almeno due mesi potremo stare lassù a goderci la nostra luna di miele. Prepara l'occorrente mentre sono via".

Elke annuì, ma poi lo fissò con una nota di preoccupazione nel viso. "Occorrente?".

"Beh sì, una sacca da viaggio con le cose che potrebbero tornarci utili. Un bagaglio".

"Mattheus?".

"Sì".

Elke sbuffò. "Non ho mai preparato un bagaglio per viaggiare, non ho mai avuto niente, io! Che ci metto dentro?".

Mattheus sospirò, alzando gli occhi al soffitto. Santo cielo, a volte dimenticava quanto fossero differenti lui e lei, per certi aspetti della vita... "Tesoro, tutto quello che pensi che ci possa servire e che di solito usi a casa. Non so, pensa a cosa hai usato nelle ultime settimane e pensa a come sarebbe se non lo avessi con te. Cibo per il viaggio? Vestiti?".

Elke lo guardò storto. "Vestiti? Mattheus, se dovessi basarmi sugli ultimi quindici giorni, ti faccio notare che non ne abbiamo praticamente avuti mai addosso".

"Oh". Lo stregone si grattò il mento, quella conversazione stava diventando surrueale. In effetti, Elke non aveva torto e di fatto lui sperava che a Flading si ripetesse la stessa cosa successa a Pennes in quelle ultime settimane. "Hai ragione, probabilmente ci serviranno poco anche in Val Ridanna. Prendi solo qualcosa per il viaggio e qualche abito di cambio. Poca roba insomma. E del cibo".

"E l'acqua del lago?" - chiese Elke. "Qualche tuo compaesano magari potrebbe averne bisogno".

Mattheus sospirò. "D'accordo, prendi qualche ampolla".

Elke sorrise. "Non sembra difficile".

Le strizzò l'occhio. "No, non lo è, ce la farai! Ci vediamo dopo" – rispose lui, mascherando un sorriso. Parlare con Elke aveva migliorato il suo umore.

Le diede un altro bacio, finì di vestirsi e uscì a prendere il cavallo, partendo al galoppo verso il lago di Valdurna.

Galoppò come un forsennato, circondato dal maestoso paesaggio alpino che si risvegliava con le prime luci dell'alba.

Quando arrivò, trovò il lago immerso nella quiete del mattino, le sue acque baciate dal sole e um silenzio che sapeva trasmettere pace. Si stiracchiò, ammirando le meraviglie che madre natura aveva creato, ringraziando di essere nato in un posto tanto bello. Poi si guardò in giro, in attesa... "Sono quì e mi hai buttato giù dal letto. Che c'è?".

"Siediti!" - disse la voce, col tono di un ordine.

Sospirando, Mattheus ubbidì. Lasciò il cavallo libero di passeggiare e si tolse gli stivali, mettendo a mollo i piedi nell'acqua del lago, poi si gettò nell'erba che profumava di fiori e d'estate. "Io non sono sicuro di volerti stare ad ascoltare oggi, sai?".

"Perché mi conosci e sai cosa devo dirti, Mattheus?".

Lo stregone sospirò. "Forse...".

Si alzò un leggero venticello, quando Jakob parlò di nuovo. "Non credi che sia giunto il momento di salutarci?".

Mattheus guardò il cielo, avvertendo un senso di mancanza. Era da tanto che temeva quel momento che, sapeva, sarebbe arrivato prima o poi. Se lo aspettava... Ed era doloroso ma era consapevole che fosse giusto così. Jakob era rimasto con lui oltre il lecito consentito, guidandolo come un padre e prendendosi cura di lui attraverso il suo spirito nascosto nelle acque del lago. Ma come tutti ambiva alla pace e se aveva deciso che era il momento di andarsene e lasciarlo, significava che finalmente lo considerava un vero uomo. "Credo sia un tuo diritto".

"E' il momento giusto, non hai più bisogno di me e puoi condurre da solo la tua vita, ormai. Sei potente e non hai bisogno di questa acqua per i tuoi incantesimi, sei un uomo sposato a una donna che ti ama e che tu ami e sei il capo villaggio di Pennes, lavoro che svolgi egregiamente. Hai un caratteraccio ma per quello c'è poco da fare, però hai una moglie che sa tenerlo a bada meglio di me. Sono orgoglioso dell'uomo che sei diventato e sono felice che un po' del merito sia anche mio. Sei il figlio che non ho mai avuto e sarai tale per sempre. Ma ora è giusto che i vecchi lascino il posto ai giovani e che sia tu ora, a guidare qualcun altro".

Mattheus sentì un nodo stringergli la gola ma decise che non era da uomini commuoversi. Era un momento importante per entrambi ed ognuno doveva seguire la sua strada a testa alta e senza rimpianti. "Sei e sarai sempre il mio secondo padre ed è giusto così, che tu vada. Scusa se non so fare grandi discorsi d'addio, lo sai bene che non sono mai stato bravo in queste cose e quindi mi limiterò... Dirò soltanto... Grazie di tutto, non sarei quì, ora, se non fosse per te".

"Mattheus, posso chiederti un favore?".

"Certo" – rispose, rendendosi conto che anche la voce di Jakob sembrava rotta.

"Il giorno in cui sono morto, ho chiesto a Jutta di occuparsi di te. Ora potresti fare altrettanto per lei?".

Lo stregone sorrise, un sorriso malinconico ma anche irriverente. "Jutta, la fatina rompiscatole? Vedrò di sopportarla e sappi che mi stai chiedendo un grosso favore!".

Gli parve di sentire Jakob ridere, fra il frusciare del vento. "E' una promessa, ricordalo".

"Lo ricorderò".

E Jakob si accomiatò da lui e dal mondo. Si alzò un vento forte che scosse le fronde e increspò l'acqua, mentre stormi di rondini volavano in cielo e poi, di colpo, tutto si calmò.

"Buona fortuna Mattheus Hansele, sii un uomo onesto e giusto. E cerca anche di essere felice...".

Poi fu solo silenzio. Rimase steso nell'erba a lungo, con la mente annullata da ogni pensiero, avvertendo in lui un briciolo di malinconia unito a un senso di profonda pace. Pace per lui, forse, che ora davvero si trovava in un posto dove i mali del mondo non potevano più preoccuparlo o turbarlo...

Jakob se n'era andato ed era arrivato il momento di camminare da solo, di sbagliare e poi rialzarsi capendo i propri limiti, di migliorarsi e poi di risbagliare.

Si alzò dopo infiniti minuti in cui forse non aveva pensato a nulla, accettando che Jakob finalmente se ne andasse in pace, prese il cavallo e decise che era ora di tornare a casa. Voleva allontanarsi da lì perché ora la vista del lago di Valdurna aveva un sapore diverso che ancora gli risultava amaro, nonostante tutto.

Poi si riavviò verso il bosco.

E lei era lì, appoggiata a un albero, nella sua versione umana, bellissima e coi lunghi capelli biondi mossi dal vento. Non se ne stupì, lei sapeva che sarebbe successo prima di lui... Certi legami non avevano bisogno di parole... "Jutta".

La fata non disse nulla, si avvicinò mentre il suo lungo abito azzurro frusciava nel vento, e lo abbracciò.

Rimasero in silenzio, l'uno nelle braccia dell'altro, a lungo. Mattheus affondò il viso nel suo collo e gli accarezzò i capelli, comprendendo che il suo dolore era poca cosa paragonato a quello della fata. Jutta non sentiva Jakob dal giorno della sua morte, ma sapere che lui c'era era per lei una consolazione. E ora quella consolazione era svanita. "Sai una cosa?" - le sussurrò.

"Cosa?".

Mattheus sorrise, suo malgrado. "Lui ti amava... e quello che dovrà sopportarti sarò io. Il mondo è un posto davvero ingiusto".

Jutta rispose al sorriso, pizzicandogli la guancia. "Già, assolutamente ingiusto. A proposito, non hai una moglie da cui tornare?".

Lo stregone annuì, capendo che si stava sforzando di apparire forte ma che voleva rimanere sola. "Già. Ci rivedremo quì a settembre".

"Perché settembre?".

"Vado in Val Ridanna con Elke per l'estate. Verrò quì a prendere l'acqua al mio ritorno".

Jutta guardò il lago accigliata. "Ma la sua magia non c'è più".

"Lo so, userò la mia. Ormai sono affezionato a questo posto e veicolare i miei incantesimi usando acqua da rivendere rimane comunque molto redditizio e comodo, per me".

La fata alzò gli occhi al cielo. "Sei il solito, non cambierai mai!".

"Perché dovrei farlo, scusa?". Le strizzò l'occhio, le diede un bacio sulla fronte e poi la lasciò andare senza che nessuno dei due parlasse di nuovo. E dopo un'ultima occhiata a lei e al lago, salì in sella e si diresse verso Pennes.

Vi arrivò che il sole era già alto e caldo e il villaggio era pervaso dal profumo del pane appena sfornato. Quando entrò in casa, Elke aveva già chiuso le imposte e preparato tutto l'occorrente per partire. Le sorrise. "E' strano vederti vestita".

Elke alzò le spalle. "Sembra strano pure a me. Vuoi controllare cosa ho messo nella sacca da viaggio? Non sono così sicura di averci messo tutto l'occorrente".

Mattheus, mollemente, chiuse la porta e si sedette per terra, con la schiena poggiata alla parete. Osservò quella casa, rendendosi conto che in pochi giorni era cambiato tutto nella sua vita. Lui, che una volta era stato un uomo solitario e sfuggente, ora aveva una moglie... Lui, che aveva cercato nell'oscurità delle acque di un lago di montagna una guida per non perdere la sua anima, ora era l'unico padrone della sua coscienza e della sua vita...

Faceva paura, a pensarci bene! Non ci sarebbero stati più consigli da lì in poi e adesso solo lui poteva essere l'artefice del suo destino. E la donna che aveva davanti, che lo amava per ciò che era e che amava anche i suoi difetti, gli aveva affidato la sua vita con fiducia. E lui la sua a lei...

Adulti, responsabili, liberi e allo stesso tempo legati per sempre... Anche questo faceva paura...

Elke lo fissò preoccupata, poggiando la sacca ed inginocchiandosi davanti a lui. Aveva legato i capelli in una lunga treccia ornata da nastrini colorati, come una volta, indossava abiti tradizionali tirolesi ed era assolutamente adorabile. "Mattheus, stai bene?".

Ciondolò la testa, non sapendo bene come risponderle. "Si. O forse no, non lo so".

"E' successo qualcosa di brutto al lago?".

Le prese la mano, se la portò alle labbra e la baciò. "Se n'è andato, Elke".

La ragazza spalancò gli occhi. "Andato? Chi, Jakob? Vuoi dire che...?". Impallidì, dimostrando di aver capito perfettamente la situazione senza che lui entrasse nei particolari. Gli accarezzò i capelli ramati, dolcemente, senza dire una parola. E poi lo abbracciò, come se volesse proteggerlo dal dolore e condividerlo con lui. "Mi dispiace" – disse solo, col volto affondato nel suo collo. "Ma in fondo immaginavo che sarebbe successo".

Mattheus sorrise nonostante tutto, accarezzandole la schiena. Era incredibile come loro due, pur senza parlare, spesso condividessero gli stessi pensieri. "E' così che succede, giusto? I vecchi lasciano il posto ai giovani... Io sono stato fortunato più di tutti gli altri ad avere ancora Jacob con me per tutto questo tempo, no? Avrei potuto restare completamente solo, e invece lui è rimasto...".

"Avresti avuto Jutta, non saresti mai stato del tutto solo" – obiettò lei.

Mattheus sospirò. "Sì, avrei avuto Jutta. Ma non sarebbe stata la stessa cosa". Avrebbe potuto chiudere la questione con una battuta irriverente sulla fata, ma stranamente non ne aveva voglia. Avere avuto accanto Jutta, lo sapeva, era stata una grande fortuna per lui e lei lo aveva guidato come avrebbe fatto Jakob se fosse rimasto con lui in carne ed ossa.

Elke sospirò. "Sai, io forse non posso capire appieno come ti senti. Ma posso immaginarlo perché pure io, nonostante tutto, quando ho saputo da mia madre della morte di mio padre, in un certo senso ne ho sofferto. Non so, è strano, lui non ha mai fatto nulla per me ma mi sono sentita un pò smarrita lo stesso. Forse è normale, forse succede sempre quando si perde una guida. O qualcuno che avrebbe dovuto esserlo...".

"Credo che sia così, che tu abbia ragione". La baciò sulla fronte, rendendosi conto che in fondo lui non aveva molto di cui lamentarsi. Non con Elke, almeno! Lei era sempre stata sola ed era diventata una persona splendida lo stesso. Si chiese se sarebbe stato capace di fare lo stesso, se sarebbe riuscito a non perdersi e a essere forte quanto lei. "Sai qual'è la mia più grande paura, ora?".

"Quale?".

"Non avere più nessuno che mi consigli per il giusto. E sbagliare. E, sbagliando, ho solo paura di deludere te. Non posso escludere che un giorno tu non possa pentirti di avermi sposato". Ecco, lo aveva detto... In tanti lo ritenevano un pessimo soggetto e forse pure Elke lo aveva creduto a lungo. Ma ora no, ora lo amava e aveva il terrore di distruggere tutto col suo pessimo carattere. Aveva paura di non essere un uomo all'altezza della sua donna. Elke era meno istruita di lui forse, ma aveva un'animo e un cuore enormi, era intelligente e acuta, pungente e sarcastica quando serviva. Anche senza di lui avrebbe potuto andare lontano, se n'era accorta pure quella stolta suora, a Bozen... "Vorrei solo avere la certezza che sarai sempre fiera di me e questa certezza non può darmela nessuno".

Elke sorrise, baciandolo lievemente sulle labbra. "Lo sono e lo sarò, Mattheus. E' una delle poche certezze che ho". Si sedette fra le sue braccia e lui la strinse a se. "Perché se n'è andato? Perché ora?".

Lui sospirò. "Beh, Jakob ha semplicemente deciso che ora posso andare avanti da solo. Ho pensato che, oltre al dolore, dovessi sentirmi fiero di questa sua decisione. Non ho protestato, sai?".

"Davvero?".

"Davvero! E' giusto così, Elke. E' arrivato il momento di non essere più figlio e di diventare uomo".

Elke sorrise, alzando lo sguardo su di lui. "Credo che tu lo sia già da un bel pezzo".

Non era molto d'accordo con lei. "Dici? Eppure mi sembra di avere ancora così tanto da imparare".

Sua moglie annuì, appoggiando la testa contro la sua spalla. "Penso che non si finisca mai di imparare, Mattheus. Me lo hai insegnato tu forse, alcuni anni fa, quando ero la tua assistente".

Lo stregone sorrise, affondando il viso fra i suoi capelli. "Hai una buona memoria e sei saggia. Devo perfezionarmi come marito, ne abbiamo da imparare noi due, su questa cosa chiamata matrimonio".

Elke si tirò su, sedendosi davanti a lui sul pavimento e scrutandolo in viso. "Fin'ora non ce la siamo cavata poi tanto male".

Mattheus ricambiò lo sguardo d'intesa di sua moglie, uno sguardo che si erano scambiati spesso in quelle ultime settimane. C'era complicità fra loro, malizia e una conoscenza ormai molto profonda. "Siamo stati a letto due settimane ed è stato grandioso. Ma il matrimonio non è solo quello, c'è dell'altro e non posso garantirti che sia una cosa semplice".

"Lo so" – rispose lei, sospirando. "Il bello viene ora, giusto".

"Già!". Mattheus si tirò su, prendendole la mano ed obbligandola a fare altrettanto. "Tipo affrontare il nostro viaggio di nozze con la sacca che hai preparato tu".

"Controllala!" - lo implorò lei.

"Neanche morto! Non vorrai negarmi il piacere di borbottare quando ci troveremo senza abiti, cibo o soldi a dormire all'addiaccio in alta montagna perché tu hai lasciato a casa l'indispensabile".

Elke lo guardò storto. "Mattheus!".

Le si avvicinò, prendendola per la vita e baciandola a lungo sulle labbra. "Hai sposato un uomo complicato e difficile, devi abituarti a questa cosa!".

Lei sbuffò. "Sei impossibile! Dai, controlla la sacca".

"Non lo farei nemmeno se tu mi pagassi, pensa un pò!".

"Mattheus!".

Ah, non l'avrebbe ascoltata per nessuna ragione al mondo. Era sinceramente divertito in quel momento, per la prima volta nella giornata. E in fondo parlare con lei lo aveva fatto sentire amato e al sicuro. Elke era la sua famiglia, la sua casa, il suo rifugio... E tutto ciò che condividevano faceva di loro due un nuovo inizio, un inizio adulto dove sarebbero stati i perfetti artefici del loro destino.

Faceva paura, ma era allo stesso tempo emozionante. Le strinse la mano, prese la sacca e aprì la porta. Jakob faceva parte di un passato che avrebbe sempre albergato nel suo cuore ma ora era arrivato il momento di guardare avanti, con la donna che si era scelto come compagna. "Partiamo? La Val Ridanna è lontana".

Elke annuì, sorridendo. "Sì, partiamo Mattheus!".

E partirono, a cavallo... Iniziando una nuova fase della loro vita.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3696297