Mattheus Hansele lo stregone di lady lina 77 (/viewuser.php?uid=18117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Ci
sono, da secoli e secoli, delle meravigliose ed imponenti montagne
che dominano l'orizzonte per moltissima strada. Sono alte, maestose e
talmente belle da lasciare senza fiato chiunque si fermi ad
osservarle. Gli inverni, sopra queste montagne, sono cruenti e feroci
ed esse sono ricoperte per lunghi mesi da una spessa coltre di neve,
mentre in estate la natura esplode in tutto il suo splendore. Boschi
di conifere svettano per chilometri e chilometri, fiumi zampillanti
bagnano la terra e la rendono rigogliosa, e sterminati campi di fiori
dai più variegati colori tingono i prati. E le vette, con le
loro
rocce nude e i loro ghiacciai perenni, dominano e osservano dall'alto
tutto quel che succede, senza che nulla sfugga al loro occhio vigile.
Gli
abitanti di queste montagne, così belle e così
selvagge, vivono da
sempre in piccoli villaggi di baite di legno e stalle, in completa
armonia con la natura rigogliosa che li circonda.
Dolomiti,
questo il nome con cui sono conosciute, le cui vette e valli sono
diventati, nei secoli, luoghi mitici e magici.
Dolomiti...
Sinonimo di pura bellezza... Non esistono al mondo montagne
altrettanto belle, maestose e che lasciano senza fiato chi le
osserva.
Il
loro nome è intriso di magia, leggende, personaggi unici e
esseri
fatati, come raccontano le mille storie che si narrano su di esse.
E
sulle Dolomiti, un essere magico, ci ha vissuto davvero. E da
quattrocento anni ci guarda mentre percorriamo i sentieri fra i
prati, mentre scaliamo le vette delle montagne, mentre gustiamo un
delizioso strudel di mele a una fiera di paese. Lui è
lì, da
sempre. E col suo sguardo furbo e da malandrino, ci segue, a volte
ride di noi, a volte ci tira degli scherzi e a volte ci aiuta a non
perdere la strada di casa.
Il
suo vero nome, Mattheus Hansele, lo conoscevano in pochi,
perché per
tutti lui era solo e soltanto Pfeifer Huisele, lo stregone, e gli
piaceva essere chiamato così, tanto che a volte persino lui
finiva
per dimenticare il suo vero nome; era vanitoso, dal pessimo carattere
e temuto da tutti. Di lui dicevano che conoscesse pratiche magiche
proibite e che avesse per amici il diavolo ed i demoni, spettri e
fantasmi, elfi e fate del bosco, e che i suoi aiutanti fossero troll,
folletti e gnomi; Si narra anche che fosse in grado di capire il
linguaggio degli animali, con cui riusciva a chiacchierare come se
fossero persone.
Era
nato a
Ratschings,
nella
Val Ridanna, ma
era a Pennes, piccolo villaggio
a nord di Bozen,
nella Val Sarentino, che si era trasferito raggiunta la maggiore
età.
Nessuno sapeva nulla
del suo passato né dove
avesse appreso le arti magiche e nessuno osava avvicinarsi troppo a
lui, se non per estrema necessità.
Era
sempre solo e spesso spariva per giorni, se non per settimane, fra le
montagne. Dove
andasse,
cosa facesse, con chi si accompagnasse era
un mistero, tutti
sapevano solo che al ritorno portava con se delle ceste piene di una
miracolosa e magica acqua che gli serviva, si raccontava, per
compiere i
suoi
incantesimi. E che
vendeva, su richiesta, a caro prezzo agli abitanti di Pennes che ne
necessitavano per curarsi dai piccoli malanni che li affliggevano.
L'acqua di Mattheus infatti curava influenze, raffreddori, mal di
gola, dolori reumatici e persino la gotta.
Nessuno
amava parlare con Mattheus ma tutti erano ben disposti a dargli
qualche moneta in cambio di un'ampollina contenente la famosa e
magica acqua che vendeva. Era davvero una medicina infallibile
quell'acqua, e tutti tornavano a stare meglio dopo averla bevuta.
Non
sapevano da dove provenisse, da dove la prendesse e nessuno si era
mai azzardato a seguire di nascosto Mattheus per scoprirlo, nel
timore della sua ira nel caso li avesse scoperti. Lo stregone era
temuto e tutti si tenevano distanti da lui quando non avevano bisogno
del suo aiuto.
A
causa del suo pessimo carattere e delle dicerie che giravano sul suo
conto era malsopportato a Pennes, ma la sua presenza era tollerata
perché indispensabile al benessere del piccolo paese. Tutti
prendevano qualcosa da Mattheus e lui, dietro pagamento, dava loro
quel che chiedevano. Moneta dopo moneta, in tutta la valle si
raccontava che fosse diventato molto molto ricco...
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Capitolo 2 *** Capitolo uno ***
Capitolo
uno
Lago
di Valdurna, prima metà del XXVII secolo
Mattheus
immerse i secchi nel lago riempiendoli fino all'orlo, poi, a fatica,
li prese fra le mani e li sollevò, pronto per il tragitto di
ritorno.
Non
sarebbe stata una strada breve e non sarebbe stato nemmeno un viaggio
piacevole: già sapeva che lo attendevano ore ed ore di
cammino nei
boschi con quei pesanti secchi da trasportare e probabilmente avrebbe
passato la notte a lamentarsi per il mal di schiena e di braccia.
Era
abituato, faceva quel lungo tragitto due, tre volte al mese, ma
nonostante fosse allenato, arrivava a casa stanco morto lo stesso.
Era
giovane Mattheus, non aveva ancora trent'anni, era snello, con dei
capelli ricci dal color biondo rame che gli arrivavano fino alle
spalle, il naso aquilino, barbetta sul mento, occhi blu come il
cielo, gambe lunghe e carattere orribile come non se n'era mai
visto in giro; vestiva sempre più o meno allo stesso modo,
con abiti
caratteristici della regione;camicia bianca con bottoni in ottone,
Lederhosen, ossia i famosi pantaloni in pelle lunghi fino al
ginocchio con bretelle, e in testa un cappello dello stesso colore
dei pantaloni ornato da una grossa piuma bianca. Non aveva amici,
non ne aveva mai voluti e nemmeno li aveva mai cercati, era uno
stregone e a lui bastava che la gente lo sapesse e lo temesse, ed
ovviamente comprasse la sua magica acqua. Era proprio con l'acqua del
lago di Valdurna che lui compiva le sue magie e i suoi prodigi.
L'acqua e il lago lo conoscevano, rispettavano la sua potenza e
facevano sempre quel che lui chiedeva loro. Con quell'acqua che
vendeva a caro prezzo curava i malanni delle persone, creava pozioni,
faceva tutto quel che voleva: gli bastava desiderarlo e l'acqua, al
suono della sua voce, rispendeva affermativamente. Il tutto a caro
prezzo perché Mattheus non regalava a nessuno il frutto
della sua
magia, ma chiedeva soldi a chi si rivolgeva a lui. Eppure i suoi
clienti, benché lo temessero e fossero poveri, non mancavano
mai,
tutti avevano sempre bisogno di lui e per questo era costretto a
recarsi al lago di Valdurna spesso per fare rifornimento d'acqua.
Con
la mano si asciugò il sudore dalla fronte osservando il
panorama che
lo circondava. Erano poche le cose che Mattheus amava, ma le montagne
in cui viveva erano per lui l'espressione massima della bellezza e
dell'incantato e ne rimaneva affascinato ogni volta che si fermava ad
osservarle. Le Dolomiti... Grandi, maestose, crudeli e allo stesso
tempo generose con chi viveva su di esse. Si rispecchiava in quelle
montagne, nel loro carattere duro, austero e con tante regole non
scritte ma ben conosciute da chi viveva in quei luoghi. Amava quelle
montagne, Mattheus e le conosceva e rispettava come nessun altro,
probabilmente. Guardò il lago dall'acqua azzurra e
trasparente, le
valli che lo circondavano coi loro prati che parevano di velluto e i
boschi di abeti che svettavano maestosi verso il cielo azzurro e
limpido. Quella visione lo metteva di buon umore ogni volta..
Una
lucina minuscola, piccola come una farfalla, gli svolazzò
davanti al
viso, proprio nell'attimo in cui raccoglieva i secchi d'acqua.
"Mattheus, ora inizia il bello! La discesa verso Pennes! Spero
non ti lamenterai per tutto il tragitto come l'altra volta. Eri
davvero insopportabile!".
Mattheus
la guardò in cagnesco. La lucina era in realtà
una fatina alta come
un pollice, dalla voce infantile e dai capelli biondissimi racchiusi
in due codini, viso tondo e abiti tradizionali tirolesi che
ondeggiavano nel vento al movimento delle sue piccole ali luminose.
Ah, era così facile tenere lontani gli esseri umani...
Perché con
le creature magiche della montagna non era altrettanto semplice?
Fatine, elfi, gnomi... C'era sempre qualcuno che gli ronzava attorno
e Jutta, la fatina, era la più insistente! Eppure erano
creature
tanto schive con tutti, che non si facevano mai vedere dagli esseri
umani... Eccetto che con lui, pensò con rammarico. Erano un
vero e
proprio tormento per un solitario come Mattheus. "Jutta...
Perché mi segui sempre?" - borbottò, seccato.
"Perché
hai bisogno di compagnia!" - rispose lei, volandogli sul naso.
"Non si dovrebbe viaggiare da soli per tratti tanto lunghi.
Può
essere pericoloso".
"Non
è pericoloso. In giro non c'è nessuno, come vedi".
Jutta
alzò il dito indice, picchiettandolo sulla punta del naso
del mago.
"Appunto! E se cadi o stai male, chi ti aiuta a rialzarti?".
"Non
certo tu che pesi sì e no tre grammi!".
Jutta
incrociò le braccia al petto, gli volò attorno
alla testa e infine
si sedette sulla sua spalla. "Sembra che ti dia fastidio!".
Mattheus
si scrollò, costringendola a riprendere a volare.
"Assolutamente
! E non usarmi come mezzo di trasporto, ho già i secchi da
trasportare".
"Ma
l'hai detto tu, peso sì e no tre grammi, nulla praticamente!
Ti
lamenti sempre Mattheus!".
"Non
chiamarmi Mattheus".
"E'
il tuo nome!".
"Pfeifer
Huisele, è questo il mio nome!".
"Pfeifer
Huisele è il tuo soprannome!".
"Jutta!!!".
Spazientito, Mattheus alzò i due secchi d'acqua,
incamminandosi
verso il sentiero che portava nei boschi e da lì alla valle
dove
c'era il suo villaggio, Pennes. Non voleva proprio più
sentirla
parlare, quella dannata fatina.
"Mattheus?".
"Che
vuoi???". Ora si stava arrabbiando sul serio, Jutta non aveva
proprio niente di meglio da fare quel giorno?
"Ti
avverto! Se non la finisci di darmi il tormento, ti strappo quelle
dannate ali luminose che mi stanno accecando. E con l'acqua del lago,
ti trasformo in uno scarafaggio".
Jutta
gli fece la linguaccia. "Cattivo! Volevo solo darti un
consiglio".
Mattheus
scosse la testa, rassegnato. "Va bene! Dammelo e poi sparisci.
Ti avverto, se non te ne vai andrò in giro a dire a tutti
della
vostra esistenza. Tutti gli abitanti della valle sapranno che
esistono le fate e vi daranno la caccia".
"Fammi
parlare in fretta allora, senza interrompermi".
Mattheus
sorrise, sarcastico. "Prego, parla pure".
Jutta
gli volò attorno, osservandolo con sguardo critico. Poi...
"Stai
invecchiando, hai quasi trent'anni ormai! Dovresti trovarti un carro
e degli animali da tiro per trasportare l'acqua. Sarà sia
più
comodo, sia più vantaggioso perché potresti
trasportarne molta di
più. E non avrai a vita il mal di schiena".
"Non
sono vecchio e non ho bisogno né di animali da tiro
né di carri.
Costa molto comprarli, ti faccio notare".
Jutta
scosse la testa. "Certo che sei proprio tirchio, mio caro".
"E
tu sei insopportabile, mia cara!".
Jutta
fece la faccia imbronciata. "Non è vero, dicono tutti che
sono
carina e simpatica. Tu invece... Oh Mattheus, non avrai mai
né un
amico né una moglie, se andrai avanti a questo modo".
"Fantastico!
Pensa un pò, io una moglie non la voglio. E nemmeno degli
amici!".
"Oh
beh, sta tranquillo, non corri certo il rischio di trovare una che ti
sposi, col carattere che ti ritrovi!".
Lo
stregone scosse la testa, camminando a passo spedito con i secchi
d'acqua fra le mani. Il lago era sempre più lontano ed ormai
avevano
raggiunto il bosco. Era meraviglioso, con i suoi abeti svettanti
verso il cielo e i suoni gentili degli animali che vi vivevano. Tutto
idilliaco, se non fosse stato per quel tormento di Jutta. "Non
avevi mica detto che avresti fatto silenzio?".
"Non
mi trasformerai in uno scarafaggio, tanto lo so! Sono sicura che mi
vuoi almeno un pochino di bene".
Mattheus
alzò gli occhi al cielo, accelerando ulteriormente il passo.
"Basta,
per oggi ho sentito fin troppe sciocchezze".
"Mattheus!".
Volando, Jutta tornò a sedersi sulla testa dello stregone.
"Ancora
mi dai dai il tormento?".
"Ma
non ti ho mica detto tutto quel che dovevo!".
"Oh
santo cielo...". Mattheus sbuffò, sempre più
esasperato e
sempre più di pessimo umore.
Incurante
delle occhiatacce dell'uomo, Jutta assunse un'espressione pensierosa,
mentre con la mano destra si arricciava uno dei suoi codini. "Non
dovresti far pagare l'acqua magica agli abitanti di Pennes. Insomma,
loro vengono da te per estrema necessità e non è
giusto che tu
guadagni sulle disgrazie degli altri. Dovresti essere più
caritatevole".
"Ah,
non ci penso proprio. Gli abitanti di Pennes mi odiano e mi usano
solo quando hanno bisogno. Per il resto mi ignorano e se parlano di
me, ne parlano male. Sono chiusi, ottusi e stolti. E se non fosse per
la mia acqua, mi avrebbero già cacciato dal villaggio,
stanne
certa".
Jutta
gli prese una ciocca di capelli, tirandola.
"Mi
stai facendo male".
La
fatina tirò ancora di più. "Lo so e lo faccio
apposta perché
hai la testa più dura dei sassi! Certo che la gente di
Pennes ti
odia! Hai un carattere orribile e ti diverti a spaventare la gente
con minacce e maledizioni. Ti vanti di essere uno stregone e di poter
parlare con i demoni e i troll, che pretendi? Hanno terrore di te.
Certo, se tu fossi più gentile e gli facessi vedere che non
sei così
pericoloso come fingi di essere, loro ti sarebbero più
amici. E non
parlerebbero male di te".
Mattheus
scosse la testa. "La gente ha paura a prescindere di chi pratica
la stregoneria. Che io faccia bene, che io faccia male, sarò
sempre
visto come una persona cattiva. E questo mi fa anche comodo, mi tiene
lontani i seccatori. Lavoro senza interruzioni, non ho questioni con
nessuno, mi faccio gli affari miei. Ed è vero, faccio pagare
l'acqua, ma solo una moneta di rame ad ampolla. Sono anche economico,
a voler ben vedere".
"Beh
sì, le monete di rame valgono poco, hai ragione. Ma proprio
per
questo potresti benissimo farne a meno, ogni tanto".
"Ah
Jutta, tu non ti intendi per niente di affari. Una moneta di rame
vale poco, ma tante monete di rame diventano un tesoro. Come un
granello di sabbia che, insieme a tanti altri, forma una spiaggia. O
un filo d'erba che, insieme a molti fili d'erba come lui, forma un
prato. Io, con fatica, vengo a prendere l'acqua. E solo io so come
usarla per aiutare chi si rivolge a me. Il lago di Valdurna ha una
sola guida e solo a me ubbidisce. Per tutti gli altri che verranno
qui, l'acqua di questo lago è solo acqua. Per nessun altro
si
trasforma in medicina, pozioni magiche o altro. E merito di essere
ricompensato".
"Quindi,
continuerai a farti pagare?" - chiese Jutta, in tono sconfitto.
"Ovviamente.
E magari, visto che mi hai fatto notare che una moneta di rame
è una
miseria, raddoppierò il prezzo".
Jutta
scosse la testa, esasperata. E senza aggiungere altro, in silenzio,
si addentrò con lui nel bosco. Era meglio starsene zitta o
rischiava
che Mattheus arrivasse a triplicarlo, il prezzo della sua acqua.
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Capitolo 3 *** Capitolo due ***
Capitolo
due
Pennes,
il piccolo borgo dove viveva Mattheus, non era che un minuscolo
agglomerato di baite in legno e di stalle sperso nella Val Sarentino
e circondato da magnifiche montagne, boschi e prati.
Gli
abitanti erano poche centinaia, le strade sterrate e la vita era
semplice ed interamente scandita dal trascorrere dei mesi e delle
stagioni: il suono della campana che invitava ad andare alla Messa la
domenica o al lavoro nei campi, il lento via vai dei pastori e delle
loro greggi ai pascoli, la neve che copriva tutto in inverno e il
sole che rendeva verdi e rigogliosi i prati in estate. Pennes e la
Val Sarentino erano tutto questo: niente di più, niente di
meno.
Non
succedeva mai nulla di veramente eccezionale e quel poco degno di
nota era discusso per giorni nelle piccole piazzette davanti alle due
Chiese di paese, ma non era mai nulla di davvero interessante, i
discorsi vertevano sempre sulle medesime, semplici questioni, nulla
cambiava mai.: la nascita di un nuovo vitellino, l'imminenza
dell'inverno, l'andamento dei campi... E spesso, molto spesso, le
malefatte e il caratteraccio dello stregone Pfeifer Huisele.
La
vita, a Pennes, era sonnacchiosa e tranquilla e quindi...
"Ah,
maledetti loro! Che cos'hanno da starnazzare tanto, stamattina?"
- borbottò Mattheus affacciandosi alla finestra della sua
casa,
svegliato dal via vai e dal chiacchiericcio concitato dei suoi
concittadini.
Di
umore pessimo, peggiore del solito, aprì le imposte,
facendole
sbattere rumorosamente contro il muro esterno.
Una
donna di passaggio sobbalzò, presa alla sprovvista da quel
rumore
improvviso.
Mattheus
sbuffò, era la panettiera, una delle donne più
paurose di Pennes,
che cambiava strada ogni volta che lo incontrava.
"Signora
Heynkel, mi spiega cosa sta succedendo?".
La
donna arretrò di alcuni passi, intimorita dal fatto che lo
stregone
le stesse rivolgendo la parola. "Ecco... ecco...".
"Ecco
cosa?". Mattheus era davvero spazientito. Erano tutti conigli
paurosi a Pennes, intimoriti dal semplice fatto che lui a volte
parlasse con loro e la panettiera era la più fifona di
tutti. "E
allora? Devo lanciarti una qualche maledizione, per avere una
risposta?" - minacciò, scoccandogli un'occhiataccia.
La
donna deglutì, impallidendo. "E' arrivato il circo. E' nella
piazzetta maggiore" – mormorò veloce prima di
sparire di
corsa, alla velocità della luce.
Mattheus
scosse la testa, sospirando. Il circo... E c'era bisogno di fare
tutto quel baccano per tre stupidotti vestiti da pagliacci, che
amavano farsi ridere dietro? Ah, accidenti a loro, più
passava il
tempo e meno li sopportava e capiva, gli abitanti di Pennes. "Ed
è pure il mio giorno sfortunato, devo passare per forza
dalla piazza
per raggiungere il bosco, maledizione!".
Borbottando
contro il circo e i suoi compaesani Mattheus si alzò dal
letto, si
lavò la faccia, si vestì e si preparò
per uscire. Doveva recarsi
nel bosco per raccogliere erbe aromatiche per produrre infusi contro
il raffreddore da vendere e non poteva perdere altro tempo a
poltrire. L'autunno era vicino, la gente avrebbe avuto molto presto
l'influenza e con quegli infusi avrebbe fatto soldi a palate.
Pregustava
già il dolce sapore del guadagno, quando il pensiero del
circo tornò
a tormentarlo.
Ci
pensò su e in fondo un lato positivo nella faccenda c'era:
tutti
avrebbero pensato al circo e per una volta nessuno avrebbe fatto caso
a lui. Bene, quei tre pagliacci in fondo in fondo potevano fare al
caso suo!
E
con quel pensiero uscì di casa, con la sua sacca in spalla.
Camminò
tranquillo, senza incrociare nessuno. Erano
tutti nella
piazza del paese, quegli stolti che si agitavano per niente. Appena
vi mise piede fu investito da una valanga di applausi, fischi e
chiacchiere. Decise di tirare dritto, di non fermarsi nemmeno a dare
un'occhiata, vedere qualche pagliaccio che si rendeva ridicolo
davanti alla gente di Pennes non era esattamente il suo modello di
giorno perfetto, ma non fece che alcuni passi che due nani del circo
vestiti da... bah, da stupidi elfi delle montagne forse, gli si
pararono davanti esibendosi in mille giravolte e capriole, inseguiti
da un cane che cercava di imitarli.
La
gente smise di fare rumore, incredula dal trovarsi davanti lo
stregone e intimorita dalla sua reazione per essere stato fermato nel
suo cammino dai due buffoni del circo.
Mattheus
guardò i due di sbieco; erano nani gemelli alti forse un
metro, dai
capelli neri come la cenere, il corpo tozzo e gli occhi scuri come
quelli dei cerbiatti. Erano pressoché identici, a parte per
l'acconciatura dei capelli: uno li aveva dritti in testa, quasi come
se sul cranio gli fossero cresciuti mille e più spuntoni di
roccia
nera, l'altro era riccio e coi capelli che gli arrivavano alle
spalle. Indossavano stupidissimi costumi di scena verdi che
richiamavano il colore delle foglie sugli alberi in estate.
Uno
dei due nani tirò fuori dalla tasca un sacchetto di carta,
ci mise
dentro una mano e poi lanciò verso Mattheus una manciata di
coriandoli. "Sorridi amico, quel muso lungo non ti porterà
da
nessuna parte!".
Oh
bene, la giornata era iniziata male e sarebbe proseguita anche
peggio! Il mago lo fissò in silenzio, sempre più
minaccioso e
sempre più arrabbiato. Lo avrebbe volentieri incenerito
all'istante,
quel dannato nano!
Il
vecchio signor Huber, l'anziano ciabattino di Pennes, corse vicino al
nano, lo prese per la camicia e lo tirò indietro, a distanza
di
sicurezza da Mattheus. "Fermo! Non sai cosa rischi, a parlare
con lui!".
"Perché,
lui chi è?" - chiesero entrambi i nani, all'unisono.
"E'
Pfeifer Huisele, lo stregone! Può tramutarvi in serpi solo
con lo
sguardo, se lo fate irritare".
Gli
occhi color cerbiatto dei due nani si posarono su di lui, mentre
attorno a loro i suoni del circo si spegnevano in un silenzio teso.
Mattheus
fissò i due nani, la gente di Pennes e gli altri pagliacci
del circo
dietro di loro. Una massa di idioti, ecco cos'erano! Sbuffò,
si mise
in spalla la sua sacca e li superò a passo spedito, deciso a
non
perdere altro tempo, era talmente seccato che non aveva nemmeno
voglia di spendere fiato prezioso per lanciare contro il villaggio e
i componenti del circo una maledizione.
Di
umore nero come la pece, raggiunse finalmente il bosco. Solo
la natura rigogliosa delle Dolomiti riusciva a risollevargli il
morale e spesso, nonostante fosse uno stregone, si fermava a pensare
e a sorprendersi di quanto magiche fossero quelle montagne. Non si
trattava di una magia come le sue, era qualcosa di diverso: la potevi
vedere, toccare in ogni singolo fiore, in ogni albero, in ogni prato,
in ogni baita in legno incastonata fra le valli; la vedevi negli
animali al pascolo, resi
felici e floridi dalla vita su quelle
montagne, nelle aquile che volavano in cielo, nelle nubi che
portavano temporali improvvisi seguiti da splendidi arcobaleni, nelle
neve che imbiancava ogni cosa in inverno. Ogni angolo, ogni stagione
era magica e meravigliosa, fra quelle montagne.
"Mattheus!".
Il
mago alzò gli occhi al cielo, impallidendo, mentre l'incanto
di poco
prima svaniva per lasciare spazio a una terribile consapevolezza...
Era perseguitato! "Jutta...".
La
fatina gli volò davanti al viso, allegra. "Che fai?".
"Cerco
un modo per rimanere solo. Ma non mi riesce".
"Sì
che ti riesce! Tu sei sempre solo".
Con
un gesto veloce, Mattheus alzò la mano per afferrarla e
strozzarla.
"Magari lo fossi! Invece tu mi dai il tormento, vivo in un
villaggio di idioti e questa mattina sono pure arrivati quelli del
circo a tediarmi la vita. Se fossi solo, sarei l'uomo più
felice del
mondo".
Jutta
volò in alto, sfuggendo alla presa dello stregone e
posandosi sul
ramo di un castagno. Ridacchiò, per nulla scossa dal
malumore di
Mattheus. "Davvero c'è il circo?".
"Certo!
Perché non vai a vederlo? Anzi, chiedi un ingaggio, come
fatina
saresti la star della carovana. Verrebbero da ogni valle per
vederti".
Jutta
fece per rispondere ma improvvisamente si bloccò,
impallidendo ed
indicando col dito un punto imprecisato alle spalle di Mattheus.
"Ohoh, ti hanno seguito".
"Chi?".
Mattheus si voltò ed indietreggiò. I due nani del
circo di poco
prima erano davanti a lui e a Jutta, con gli occhi spalancati
dall'emozione di trovarsi davanti una vera fata.
Jutta
impallidì. Non poteva, non POTEVA succedere assolutamente. I
comuni
esseri umani non dovevano vedere le creature magiche della montagna!
E ora che quei due sapevano dell'esistenza delle fate, né
lei né il
suo popolo avrebbero più avuto tranquillità,
tutti avrebbero dato
loro la caccia. Guardò Mattheus, in cerca di aiuto.
Lo
stregone fissò i due nani, teso e nervoso quanto la sua
amica fata.
"Che ci fate quì?" - chiese, gelido.
Uno
dei due nani prese coraggio, avvicinandosi a lui di qualche passo.
"Tu... dicono che sei uno stregone, giù al villaggio.
Pfeifer
Huisele, giusto? Raccontano che sei misterioso, potente e molto
pericoloso. E che compi prodigi con la tua acqua magica. Pensavamo
che potresti aiutarci. Da quel che vediamo, sei magico davvero"
– disse, indicando Jutta.
Mattheus
li squadrò, pensieroso e serio in volto, quei due seccatori
non ci
volevano proprio, gli stavano dando il tormento dal primo mattino e
avevano anche scoperto uno dei suoi segreti, la sua conoscenza con le
creature magiche delle Dolomiti. Era talmente di cattivo umore, poco
prima, che non si era accorto di essere seguito! Era irritato, con se
stesso e con quei due omini da circo. "Prima di tutto lei, la
fata, deve rimanere un segreto o vi cercherò e vi
farò pentire di
avere la lingua tanto lunga. Secondo... volete un qualche aiuto da
me? Io non aiuto nessuno, se non a pagamento e solo quando ne ho
voglia ed oggi non ho voglia di dare una mano a nessuno! Tornatevene
nella piazza di Pennes e continuate a fare i pagliacci con gli altri
del circo e con quel vostro cane addestrato".
I
due nani si guardarono in viso, poi a sorpresa si inginocchiarono a
terra, prostrandosi a lui. "Per pietà, maestro Pfeifer
Huisele.
Noi siamo fenomeni da baraccone per tutti e non possiamo fare altro
che i pagliacci del circo. Ma non amiamo questa vita, siamo stanchi
di farci ridere dietro da tutti. Ma d'altronde, senza il circo a
darci lavoro, cibo e protezione, saremmo perduti. Non sapremmo cosa
fare, ci scaccerebbero tutti a causa del nostro aspetto. Alla gente i
nani piacciono solo al circo! Tienici al tuo servizio, uno stregone
potente come te sicuramente saprà come impiegarci in maniera
intelligente. Siamo forti, nonostante la nostra stazza, siamo
infaticabili e non abbiamo paura di lavorare. Potremmo esserti utili.
Non ti chiediamo soldi, ma solo un tetto sulla testa e un lavoro
onesto con cui ricambiare la tua ospitalità. Tu puoi
aiutarci
davvero a cambiare vita".
"Perché
dovrei aiutarvi? Io non ho bisogno di aiutanti e non ho proprio
intenzione di mettermi qualcuno in casa" - rispose Mattheus, a
tono.
"Ti
preghiamo, maestro Pfeifer Huisele!".
"No!
Anche perché non mi tengo in casa due persone che nemmeno
so' come
si chiamano!".
Il
nano coi capelli dritti in testa annuì. "Certo, hai
perfettamente ragione. Io sono Drago e questo quì
è mio fratello
Falko".
Mattheus,
all'udire quei nomi assurdi, scoppiò a ridere. "Certo che i
vostri genitori vi volevano proprio male! Non solo vi hanno fatti
nani, ma vi hanno addirittura dato nomi orribili!".
Falko
si grattò la testa. "In effetti... Però, ora che
sai come ci
chiamiamo, ci tieni con te, Pfeifer Huisele?".
Jutta
volò davanti ai due nani, studiandoli attentamente.
“Non
sembravano cattive persone e mi sembrano sinceri nelle loro
intenzioni” - sussurrò all'orecchio dello
stregone. Poi si voltò
di nuovo verso i due nani, continuando a fissarli con insistenza.
"Lui si chiama Mattheus Hansele, in verità, Pfeifer Huisele
è
solo il suo soprannome! E ha un caratteraccio, vi avverto" –
disse, spargendo sui due la polverina colorata che scaturiva dalle
sue piccole ali.
"Jutta,
fatti gli affari tuoi!" - tuonò Mattheus, inferocito.
La
fatina gli volò davanti al viso, gli prese una ciocca di
capelli e
gliela tirò, com'era solita fare quando lui la faceva
arrabbiare.
"Educazione! E gentilezza! E' questo che ti manca, Mattheus.
Loro due sono la tua occasione d'oro per il tuo problema di trasporto
dell'acqua. Ti trovi un vecchio carretto, li trasformi in animali
giusto il tempo del trasporto dal lago fino a Pennes e sei a posto,
sistemato! Possibile che non capisci?".
Mattheus
la guardò storto. "Tu sei completamente svitata, Jutta!".
A
quel punto, i due nani si avvicinarono a lui, prendendolo per i
pantaloni e inginocchiandosi nuovamente a terra. "Oh, per
favore! Faremo quel che vuoi, saremo i tuoi animali da traino se
è
questo che ti serve! Ma tienici con te!".
"No".
"Mattheus,
pensaci!" - gli sussurrò Jutta all'orecchio – "Non
mangiano di certo molto, sicuramente meno dei cavalli da tiro,
lavorano gratis e ti costerebbero poco, solo qualche moneta per i
pasti. Ma in cambio... potrai trasportare più acqua se ti
trovi un
carretto su cui caricartela. Li trasformi in qualche forte animale da
tiro, giusto quel poco di tempo che basta per il tragitto d'andata e
ritorno dal lago, e arriverai a casa senza fare fatica. E guadagnerai
molto di più, perché potrai portare molta
più acqua di adesso, più
in fretta e senza difficoltà. E' un affare. E loro hanno
bisogno di
te".
"Ti
prego!" - insistettero i due, rinfrancati dalle parole di Jutta.
"Mhhh".
Mattheus fissò i due fratelli, mentre le parole di Jutta gli
ronzavano nella mente. Erano nani, tozzi di corporatura e con una
faccia da imbranati cronici. "Ho bisogno di animali da tiro, non
di due mezze tacche come voi".
Drago
si inginocchiò. "Oh maestro Mattheus, ti prego. Sei un mago,
trasformaci in animali all'occorrenza, e noi traineremo per te ogni
cosa che vorrai. Come ha detto lei. E quando non ti serviremo, saremo
due bravi e silenziosi nani che ti aiuteranno a tenere pulita la
casa. Così potrai dedicarti alle tue magie senza problemi,
quando
vorrai".
Mattheus
spalancò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
"Divertente!
Divertente davvero. Jutta è matta da legare. E voi
più di lei".
"Non
ne sei capace? Non sai trasformarci in animali?" - domandò
Falko, sibillino.
A
quella provocazione però, Mattheus smise di ridere. Odiava
essere
provocato e quel nano lo stava facendo. "Oh, sì che ne sarei
capace. Ma vedi, uomo grosso, uguale animale grosso. Che dovrei
farmene di voi? Siete nani, se non ve ne foste accorti! Viste le
vostre dimensioni, al massimo potrei trasformarvi in gatti, con un
pò
di impegno. Anche un grande mago deve saper arrendersi all'evidenza,
qualche volta".
Drago
si illuminò in viso. "Perfetto, saremo gatti da traino
favolosi! Piccoli ma incredibilmente forti. Te ne possiamo dare una
dimostrazione anche subito".
"Sì,
siamo fortissimi, guarda!" - esclamò pure Falko, mostrando i
muscoli del braccio.
Mattheus
sospirò. Erano davvero ostinati quei due, non se li sarebbe
mai
tolti di torno, ma dopo tutto, di animali da traino ne aveva davvero
bisogno, era un po’ che ci pensava. Certo, due gatti
sarebbero
stati bizzarri ma in fondo lui era già il fenomeno da
baraccone del
villaggio, non sarebbe cambiato niente. "E sia, sarete i miei
gatti da traino. Ma se fallirete, se non ce la farete, dovrete
tornare da dove siete venuti. Non regalo
da mangiare gratis a nessuno, io. E ricordate, ogni cosa che mi
vedrete fare, ogni creatura magica con cui mi vedrete parlare... Beh,
avete capito, non dovrete mai dire nulla a nessuno! Tutto quel che
faccio è un segreto". E detto questo, estrasse dalla tasca
una
delle sue ampolle con l'acqua del lago di Valdurna, ne
rovesciò
qualche goccia sulle teste dei nani ed aspettò.
Una
grossa nube di vapore avvolse Falko e Drago e quando si
diradò, i
due nani non c'erano più. E al loro posto, come per magia...
due
gatti neri, nerissimi come la pece.
"Evviva!"
- urlò Jutta, felice. Poi, con un sorriso birichino, si
avvicinò a
Mattheus. "Sono contenta! Anche se... gatti neri? Un altro
colore no?".
Mattheus
ridacchiò, divertito. "Gatti neri! Colore perfetto per loro".
La
fatina sbuffò. "Sei tremendo, lo sai?".
Mattheus
non rispose. Guardò i due gatti davanti a lui, mentre la
prospettiva
del guadagno che gli avrebbero procurato lo rendeva finalmente di
buon'umore.
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Capitolo 4 *** Capitolo tre ***
Capitolo
tre
Le
giornate si facevano via via più corte, le foglie sui rami
iniziavano ad ingiallire e qualche animale appariva assonnato.
L'estate stava finendo, le sere erano ormai fresche e i temporali
annunciavano inesorabilmente la fine della bella stagione e la fine
dell'estate e per Pennes questo significava una cosa sola: festa del
raccolto.
Era
l'unico momento di allegria che il piccolo borgo si concedeva prima
dei rigori invernali, del gelo e della neve; dal venerdì
alla
domenica dell'ultima settimana di agosto, Pennes diventava
improvvisamente allegra e goliardica: si raccoglievano i frutti dalle
piante, le massaie cucinavano leccornie che poi finivano sulla grande
tavolata organizzata davanti alla Chiesa principale per essere
offerte a tutti in una grande cena corale, gli uomini radunavano
nella piazza i loro animali migliori per esporli ad amici e parenti e
ogni anno, la domenica pomeriggio, a chiusura, si svolgeva una gara
di tiro con l'arco.
Gli
abitanti di Pennes, e in generale tutti gli abitanti delle valli,
erano ottimi arcieri e cacciatori. Era un modo come un altro per
sopravvivere in quell'ambiente tanto bello quanto ostile, a
quell'epoca. E alla festa del raccolto, in ogni borgo, ogni uomo o
giovane ragazzo voleva primeggiare in quella competizione dove non si
vinceva nulla, se non l'onore e la soddisfazione di essersi
dimostrato il migliore.
Mattheus
era un grande stregone, ma a differenza degli altri uomini del
villaggio non era minimamente interessato ad arco e frecce. In
generale, odiava tutto quello che comportava fare fatica, ma non
mancava mai alla gara fra gli arcieri, era sempre in prima fila,
sopportando anche chiacchiere e occhiatacce dei suoi mal sopportati
concittadini pur di esserci.
Per
Drago e Falko, era tutto nuovo,erano inebriati dall'atmosfera
festaiola di Pennes, anche se tutti li scansavano a causa del loro
aspetto, ed erano stupiti dal fatto che un solitario brontolone come
Mattheus partecipasse. Lo conoscevano ancora poco ma avevano capito
un po’ di cose su di lui: odiava la confusione, si alterava
facilmente, era un solitario e gli abitanti di Pennes erano
terrorizzati da lui e dal suo essere uno stregone.
Falko,
mentre erano appoggiati alla staccionata di legno che dava sullo
spiazzo dove era stato posto il bersaglio per la gara di tiro con
l'arco, decise di porre la domanda che frullava nella testa sua e del
fratello da due giorni. "Mattheus?".
"In
pubblico chiamami Pfeifer Huisele, per favore! E comunque, cosa
c'è?".
"Beh,
ecco... Mi chiedevo... Ci chiedevamo... Perché ci tenevi
tanto a
venire a questa competizione? Tu odi questo genere di cose".
Mattheus
sorrise, a quella domanda. Un sorriso furbo, di chi sa esattamente
quel che vuole e quel che fa. Dalla tasca tirò fuori un paio
di
ampolle con l'acqua del lago di Valdurna, mostrandole ai due nani.
"Guadagno, ovviamente! Non ho altro motivo per venire in questa
bolgia".
Drago
lo fissò in viso, confuso. "Ma in che senso? Gli abitanti di
Pennes oggi sono completamente presi dalla festa e dubito che pensino
alla tua acqua. Guarda come si divertono!" - concluse, indicando
le persone che si ammassavano vicino allo spiazzo dove si sarebbe
tenuta la competizione; notando come fossero tutti in fremente attesa
tenendosi a debita distanza da loro e da Mattheus. Nemmeno durante la
festa dimenticavano il terrore che incuteva in loro il mago.
Mattheus
sospirò, tornando ad appoggiarsi alla staccionata. "Arco,
frecce, roba che punge, insomma. Qualcuno si farà un pochino
male,
no? Un graffietto, una piccola ferita... Oppure un bambino che corre,
cade e si sbuccia un ginocchio... Succede sempre qualcosa, a una
festa di paese! E ovviamente, quando succede, da chi arrivano a
chiedere aiuto, questi stolti?".
Drago
ridacchiò. "Dallo stregone del villaggio, ovviamente".
"Che
gli chiederà fino all'ultimo centesimo che hanno in tasca,
per la
sua preziosa acqua" – concluse Falko. Finalmente aveva capito
il motivo per cui si trovavano lì, Mattheus non si smentiva
proprio
mai. Guadagnava molto con la sua acqua, lo stregone. Una volta a
settimana trasformava in gatti neri lui e suo fratello e con un
malmesso carrettino andavano a fare scorta al lago di Valdurna. Ogni
occasione era buona per Mattheus, per guadagnare qualcosa.
Mattheus
sorrise. "Bene, sono contento che abbiate capito. E ora,
silenzio, voglio vedere chi vincerà. Sono ormai cinque anni
che il
vincitore è sempre lo stesso e sono proprio curioso di
vedere se
sarà campione per il sesto anno consecutivo".
Falko
e Drago non dissero nulla, sapevano a chi si stava riferendo Mattheus
dato che in paese non si parlava d'altro. Si voltarono, osservando
Hans Schultz, il più bravo arciere di Pennes. Era altissimo,
imponente di corporatura, con capelli rossi e barba lunga. Le sue
braccia erano muscolose grazie al suo lavoro di spaccapietre in
montagna, e con arco e frecce non aveva rivali: mira perfetta,
braccio fermo, occhio di falco. Hans Schultz probabilmente avrebbe
vinto anche quell'anno.
La
gara iniziò fra grida di incitamento e silenzi tesi. Come
aveva
pronosticato Mattheus, Hans Schultz eliminò uno a uno tutti
i
concorrenti, non sbagliando un colpo: faceva centro, sempre, e nel
giro di un paio d'ore aveva sbaragliato tutti gli altri contendenti
al titolo.
"Questa
gara sta diventando noiosa" – sbuffò Mattheus,
quando ormai i
concorrenti rimasti erano solo due. Hans Schultz contro Peter Braunn,
il pastore.
Falko
e Drago guardarono Peter, era magro, basso e coi capelli ormai
completamente grigi. In passato, da giovane, era stato un bravissimo
arciere e si raccontava in giro che spesso tanti anni prima fosse
stato proclamato campione alla festa del raccolto,, ma il tempo era
passato inesorabile e nonostante Peter avesse dalla sua l'esperienza,
era abbastanza improbabile che la spuntasse con la forza bruta di
Hans.
Infatti,
nonostante una battaglia onorevole, colpo su colpo e freccia su
freccia, Hans Schulz ebbe la meglio.
Il
capo villaggio, gongolante, si avvicinò allo spaccapietre
per la
proclamazione del vincitore, quando una freccia scoccata da
chissà
dove lo fermò, saettandogli davanti al naso e finendo a
terra a
pochi passi da Hans.
Tutti,
compresi Mattheus e i nani, si voltarono stupiti verso la direzione
dalla quale era provenuta. Qualcuno di estraneo al villaggio, dal
bosco, l'aveva scoccata contro di loro.
Hans
raccolse la freccia, mugugnando inferocito. "Chi ha osato
attaccarmi?".
"Sono
stata io e non ti ho affatto attaccato! Voglio solo sfidarti,
campione" - sussurrò una voce femminile.
Una
ragazza comparve come per magia dagli arbusti e dagli abeti del
bosco, avanzando lentamente verso di loro.
La
gente arretrò davanti a quella sconosciuta fanciulla che
aveva osato
attaccare il loro arciere campione.
Mattheus
la guardò, accigliato. Poi sorrise... "Ora le cose si fanno
interessanti".
"Davvero!"
- rispose Falko, divertito. "Guarda gli abitanti di Pennes, sono
spaventati dalla freccia scoccata da una ragazza. Stanno arretrando
tutti come un branco di conigli".
"Non
hanno paura solo di quella freccia". Mattheus puntò gli
occhi
su quella strana ragazza; indossava un semplice e logoro vestito
verde che le arrivava alle ginocchia, , stivali di pelle ed arco e
frecce sulla spalla destra. Ma non erano gli abiti tanto trasandati a
renderla così particolare. I suoi capelli... Bianchi,
bianchissimi
come la neve, anche se quella fanciulla non poteva avere più
di
vent'anni. Capelli curati più dell'abbigliamento di certo,
perfettamente pettinati e racchiusi in una treccia legata
all'estremità da un fiocco rosso ornato di perline. Era
snella, con
due occhi blu da fare invidia al cielo estivo, la carnagione
chiarissima e un viso dai lineamenti perfetti che la rendeva
piuttosto carina. Mattheus però sapeva che avrebbe potuto
essere la
più affascinante donna delle Dolomiti ma tutti ne avrebbero
avuto
paura sempre e ovunque. "E' una ragazza albina. Non ne avevo mai
viste in giro" – mormorò sovrappensiero.
Falko
e Drago si accigliarono. "Cosa?".
Mattheus
li guardò di sfuggita, più interessato alle
prossime mosse della
ragazza che ai due nani. "Gli albini sono persone i cui capelli
non hanno pigmentazione. Nascono coi capelli bianchi e la carnagione
molto chiara e rimangono così tutta la vita. Tutti ne hanno
paura
perché gli albini sono ritenuti figli del demonio, per
questo gli
abitanti di Pennes sono terrorizzati da lei. E ora voglio proprio
vedere come andrà a finire. Ragazza albina contro un branco
di
conigli. Scommetto che vincerà lei! E che per questo
riderò fino a
Natale".
Drago
impallidì. "Figli del demonio? Ma è una cosa
vera?".
Mattheus
alzò le spalle. "Probabilmente no, è solo una
diceria,
superstizione. Ma tutti ci credono e gli albini non conducono mai
vite felici. Tutti li scansano, tutti li odiano, tutti pensano che
siano creature maledette".
Falko
e Drago si guardarono negli occhi. Capivano appieno il significato
delle parole di Mattheus perché se era davvero
così che stavano le
cose la vita delle persone albine in fondo non era così
diversa da
quella dei nani. "Quella ragazza allora è come noi..." -
mormorarono sconsolati. Improvvisamente quella fanciulla stava
simpatica ad entrambi.
Incurante
dei pensieri dei nani, Hans, rosso di rabbia in viso, guardò
la
ragazza con odio. "Sfidarmi? Figlia del demonio, tornatene
all'inferno!".
La
fanciulla sostenne lo sguardo feroce di Hans, non aveva paura di lui,
era evidente. Si guardò attorno, guardinga, studiando uno a
uno i
volti impauriti degli abitanti di Pennes. Infine, di colpo il suo
sguardo si fermò, puntandosi insistentemente sul viso di
Mattheus.
Il
mago si accigliò, infastidito, lo stava evidentemente
fissando, che
voleva da lui? Lo scambio di sguardi durò una manciata di
secondi in
cui lo stregone ebbe la netta, sgradevole impressione che la ragazza
lo studiasse. E non era piacevole per niente.
"Mattheus,
hai visto come ti fissava?" - chiese Drago, quando la ragazza
era tornata a guardare il suo avversario. Nemmeno a lui era sfuggito
quello sguardo indagatore sullo stregone. "La conosci?".
Mattheus
alzò le spalle in segno di noncuranza. "Assolutamente no,
mai
vista".
Improvvisamente,
provocando un moto di terrore fra la gente, la ragazza prese una
freccia dalla sua faretra ed incoccò l'arco, pronta a
colpire. "E
allora campione, vuoi o no batterti con me?".
Hans
digrignò i denti, furioso. Indicò col dito
l'ultima freccia che
aveva scoccato e che aveva sconfitto il vecchio Peter, conficcata
esattamente al centro del bersaglio. "Sono io il campione e non
puoi fare meglio di me. La gara è finita, è
evidente! Brucia
all'inferno, figlia del demonio".
Fu
come se non avesse neanche parlato. Con tutta la
tranquillità del
mondo, la ragazza tese l'arco, prese la mira e scoccò la
freccia.
Che colpì in pieno quella scagliata poco prima da Hans. La
freccia
del campione si ruppe a metà, cadde, e quella scagliata
dalla
ragazza si infilzò esattamente al centro del bersaglio,
prendendo il
posto di quella dello spaccapietre.
La
gente di Pennes spalancò gli occhi, mentre Hans diventava
sempre più
rosso dalla rabbia. "Sono io il campione, capito? Tu non vivi
nemmeno qui, tu sei maledetta! Usi arco e frecce usando i poteri del
demonio, tuo padre" – urlò, quasi in lacrime come
un bambino.
Mattheus
ridacchiò. "Spettacolo finito, torniamo a casa!". Vedere
Hans Schultz bruciare di rabbia perché battuto da una
ragazza albina
forestiera lo metteva decisamente di buon umore.
Falko
si affiancò allo stregone, correndo sulle sue piccole
gambette per
stargli al passo. "Non rimaniamo a vedere come va a finire?".
"La
cosa non mi riguarda". Mattheus accelerò il passo. Non c'era
più niente da vedere ormai. Si voltò di sfuggita,
giusto per vedere
Hans in preda a una crisi di nervi e la ragazza albina svanire nel
nulla, nel bosco dal quale era arrivata.
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Capitolo 5 *** Capitolo quattro ***
Capitolo
quattro
Figlia
del diavolo...
Glielo
avevano ripetuto sempre, come un'accusa, fin dal giorno in cui era
venuta al mondo. Glielo dicevano suo padre, sua madre, le sue
sorelle, i suoi parenti e gli abitanti di Tires, il piccolo borgo a
sud di Bozen dov'era nata vent'anni prima.
Per
tutta la sua infanzia, passata all'ombra delle grandi montagne dai
verdi prati e dalle cime di pura roccia e ghiaccio, era stata
scacciata, derisa e insultata a causa del colore bianco dei suoi
capelli e della sua pelle.
I
suoi genitori non l'avevano mai accettata ed amavano solo le sue due
sorelle minori, bionde e coi boccoli. Loro avevano un posto a tavola,
un pasto caldo, carezze e sorrisi. Lei no, era stata costretta a
dormire nella stalla in inverno e nei boschi che circondavano Tires
d'estate, dove si nutriva di frutta, beveva acqua dai ruscelli e
giocava con gli animali della foresta, gli unici amici che avesse.
Suo
padre non la voleva in casa, diceva che era maledetta, che in lei
scorgeva la mano del diavolo e che per questo doveva stare lontana
perché altrimenti avrebbe portato sventura nella loro
famiglia. Sua
madre, forse a malincuore o forse no, aveva accettato la decisione di
suo marito.
Era
cresciuta sola e tutto quello che aveva appreso dalla vita lo doveva
unicamente alla sua tenacia ed alla sua intelligenza. Sapeva
distinguere le bacche commestibili da quelle velenose, prevedere il
variare del tempo dal colore del cielo e dalla direzione del vento,
riconoscere le erbe curative, ottenere fiducia e amicizia dagli
animali, resistere al freddo, al vento e alla neve quando era
necessario. Conosceva come le sue tasche i boschi e le montagne che
circondavano Tires e anche dove nascondersi, nel caso di tormente
improvvise.
Fin
da piccolissima aveva dovuto contare unicamente su se stessa. Si
svegliava presto, sgattaiolava nel bosco, saliva su nelle alte valli
e ci restava fino a sera, quando faceva ritorno al villaggio, stando
attenta a non farsi vedere da nessuno.
In
montagna, da sola, tutto era pace e tranquillità e nessuno
la
giudicava o insultava. Stava ore ed ore stesa nell'erba, ad osservare
il cielo azzurro e la forma delle nuvole, giocava coi caprioli,
raccoglieva more e mirtilli, faceva ghirlande coi fiori. Non c'era
quasi mai nessuno lassù, con lei.
Solo
alcune volte scendeva un pò più a valle,
nascondendosi fra gli
arbusti, per osservare i cacciatori alla ricerca di selvaggina,
incantata dalla loro bravura a maneggiare arco e frecce. Da bambina
ne era affascinata. Il modo in cui quelle persone prendevano la
mira, l'eleganza con cui tendevano l'arco...
E
così a dieci anni, da sola, si era costruita il suo primo
arco e le
sue prime frecce, usando gli arbusti e il materiale che le regalavano
i boschi e la montagna. Da
allora, giorno dopo giorno, si era esercitata usando come bersaglio i
tronchi degli alberi morti. Era diventava brava ed infallibile
proprio come quei cacciatori che aveva osservato affascinata, da
bambina. Non amava cacciare gli animali, non lo aveva mai fatto, li
considerava amici, ma l'arco non lo abbandonava mai. A nessuno
importava della sua vita e sapeva benissimo che, in caso di pericolo,
avrebbe dovuto difendersi da sola per cui diventare un bravo arciere
era di fondamentale importanza per lei e per la sua stessa vita.
Certe
volte era triste, certe altre si sentiva sola e quando succedeva,
piangeva. Era tutta colpa dei suoi capelli, dei suoi lunghissimi
capelli bianchi, lo sapeva che erano loro la causa di tutte le sue
sventure. A lei piacevano, li teneva pettinati e curati, sempre
agghindati in eleganti trecce, code di cavallo oppure sciolti, sempre
ornati da fiori, piccole pietre colorate o nastri che trovava fra gli
scarti della stoffa con cui sua madre cuciva gli abiti dei suoi
famigliari.
Già,
lei amava i suoi capelli...
Ma
tutte le altre persone no, vedevano in essi la mano del diavolo, la
malvagità, il pericolo. Non capiva il perché, non
ci era mai
riuscita. Lei il diavolo non lo aveva mai visto, non lo aveva mai
avvertito accanto a se. Era certa di essere una persona come tutte
le altre, capelli a parte. Non era certo la figlia del demonio,
sapeva benissimo chi erano i suoi genitori: Rolf il pastore di capre
e Britta, la sarta. Ma Rolf e Britta, come tutti gli altri, non la
ritenevano una figlia.
Anno
dopo anno era cresciuta senza uno scopo preciso, senza una guida,
circondata per la maggior parte del tempo dalla natura e dalla fauna
delle meravigliose montagne in cui era nata. L'estate era la sua
stagione preferita, era il periodo dell'anno in cui poteva passare
più tempo nel bosco e in vetta. L'inverno invece, per lei
era un
tormento. Troppo freddo, troppa neve, ghiaccio ovunque. Gli animali
erano per la maggior parte in letargo e le era impossibile
allontanarsi da Tires troppo a lungo. Passava le giornate nella
stalla di famiglia e solo raramente riusciva a sgattaiolare in casa a
scaldarsi davanti al camino. Succedeva solo saltuariamente, quelle
rare volte che suo padre usciva con le sue sorelle per qualche
commissione e sua madre rimaneva sola in casa, a cucire e a cucinare.
La chiamava di soppiatto, le apriva la porta e le permetteva di stare
qualche minuto davanti al fuoco. Sua madre era l'unica a chiamarla
per nome, ogni tanto... Per il resto però, non le diceva
nulla,
nemmeno una parola durante quei brevi istanti in cui stavano insieme
in casa. Le girava la schiena, continuava col suo lavoro e andava
avanti finché non decideva che era tempo di rimandarla nella
stalla. Suo padre invece non la sopportava proprio, così
come le sue
sorelle che non facevano altro che tormentarla con mille scherzi
crudeli. In giro per il paese era anche peggio: insulti, grida, palle
di neve che le venivano lanciate addosso senza un motivo. Odiava
quella vita e non riusciva a scorgere un appiglio, una scappatoia per
sottrarsi a quella sorte avversa.
In
un giorno di neve, mentre cercava di ripararsi dal freddo nella
stalla, udì due uomini del paese che parlavano, mentre
passavano
davanti a casa sua; il loro passo era svelto ma attutito dalla neve,
come tutto del resto. A parte loro, il paese era deserto e silenzioso
per cui le fu facile udire il loro chiacchiericcio: parlavano di uno
stregone di Pennes dal pessimo carattere, pericoloso e irascibile, ma
dai poteri magici illimitati e leggendari, che usava un'acqua fatata
e misteriosa per compiere i suoi incantesimi. Pfeifer Huisele, era
così che quelle due persone lo chiamavano, in un misto di
ammirazione e paura.
Il
suo cuore prese a battere forte dall'emozione, proprio come le
succedeva da bambina quando ammirava le gesta degli arcieri. Uno
stregone era qualcosa di unico, potente, magico. Non ne aveva mai
visti, non ne aveva mai sentito parlare se non nelle fiabe che sua
madre raccontava alle sue sorelle quando erano piccole e scoprire che
esistevano davvero era una cosa meravigliosa per lei! E se gli
stregoni erano persone tanto potenti come raccontavano le leggende,
allora questo Pfeifer Huisele poteva fare qualcosa per lei: poteva
aiutarla a diventare più forte, forse poteva anche
insegnarle l'uso
della magia, per difendersi meglio. Sapeva usare arco e frecce, era
vero. Ma era una ragazza albina e sapeva che essere una brava
arciera non sarebbe comunque bastato a proteggerla da tutti quelli
che le volevano del male.
Forse
quello stregone di Pennes sarebbe stato la sua salvezza, il suo scopo
nella vita, forse l'avrebbe presa come aiutante, se glielo avesse
chiesto...
E
così passò ogni giorno di quel lungo inverno a
sognare la
primavera. Decise che sarebbe partita, che se ne sarebbe andata da
Tires per raggiungere Pennes e lì avrebbe incontrato Pfeifer
Huisele!
Quando
la bella stagione era infine giunta, una mattina era sgattaiolata
fuori dalla stalla prima dell'alba, arco e frecce in spalla e si era
avventurata fra le montagne. Si era voltata solo una volta, ad
osservare Tires da lontano. Nessuno laggiù l'avrebbe cercata
e
rimpianta, lo sapeva bene. Suo padre probabilmente, benché
povero,
non vedendola tornare avrebbe speso tutto il suo denaro per una
bottiglia di buon vino rosso per festeggiare. Scosse la testa a quel
pensiero, mentre una lacrima le rigava il viso. In fondo lei non aveva
mai chiesto nulla, non aveva mai desiderato nulla se non un
po’
di affetto ed era triste pensare di non essere mai riuscita a farsi
amare da nessuno.
Camminò
a lungo, per settimane, mesi. Lontana dai sentieri principali, i
più
battuti da commercianti e viandanti, aveva scelto la via delle
montagne e delle valli interne. Era più faticoso, la strada
sarebbe
stata infinitamente più lunga e difficile, ma non avrebbe
corso il
rischio di incontrare gente malintenzionata sul suo cammino. Aveva
imparato molto presto, nel corso della sua vita, che per lei era
meglio la solitudine.
E
finalmente, sul finire del mese di agosto, arrivò a Pennes.
Proprio
in tempo per la festa del raccolto e per la gara di tiro con
l'arco...
Era
stato divertente confrontarsi e battere il campione del villaggio,
non si era mai confrontata con nessuno prima d'allora. E questo le
era servito per osservare e cercare fra gli abitanti di Pennes, tutti
radunati per la festa e per la gara, Pfeifer Huisele.
Non
seppe perché, ma quando vide quel giovane uomo vestito con
abiti
tradizionali tirolesi, che osservava la gara in disparte, staccato da
tutti gli altri, con quello strano ghigno strafottente e divertito
sulla faccia, capì subito che la persona che cercava doveva
essere
lui: pessimo carattere, solitario ed irascibile, non poteva che
essere lo stregone Pfeifer Huisele, proprio lui!
Quando il trambusto dovuto al suo arrivo si fu
diradato e tutti erano
tornati alle loro abitazioni per la cena, si era messa a cercare la
casa dello stregone fra i viottoli di Pennes. Le baite non erano
molte, il villaggio era piccolo quanto quello da cui proveniva lei,
però ritrovarlo fu comunque complicato e alla fine, di
malavoglia,
fu costretta a chiedere informazioni a un bambinetto che stava
tornando a casa per mangiare. Il piccolo la fissò prima
stupito, poi
guardingo. E infine, col ditino grassoccio, le indicò la
strada da
seguire, prima di sparire fra i vicoli sterrati.
La
fanciulla sorrise, emozionata. Col cuore che le balzava in gola,
bussò alla porta del famoso stregone.
Fu
lui in persona ad aprirle. Indossava ancora il suo abito
tradizionale, anche se aveva tolto il cappello, e i ricci rossicci
gli cadevano morbidamente sulle spalle. Se fu stupito di trovarsela
davanti, non glielo diede a vedere.
"Hai
bisogno di qualcosa?" - gli chiese lo stregone, senza la minima
traccia di curiosità nel tono di voce.
La
ragazza deglutì, improvvisamente meno sicura di se stessa.
Nella sua
vita raramente aveva dovuto raffrontarsi con altre persone e da quel
che dicevano in giro, lo stregone di Pennes era un osso davvero duro.
"Sei tu il famoso Pfeifer Huisele?" - chiese infine, mentre
i due nani che aveva visto al suo fianco alla gara di tiro con
l'arco, facevano capolino dalla porta, incuriositi.
Lo
stregone si accigliò, quasi studiandola e soppesando le
parole. "Può
darsi" – rispose infine, vago, mentre la osservava
attentamente.
"Può
darsi di sì o può darsi di no?".
"Può
darsi e basta".
La
ragazza inspirò profondamente, per prendere coraggio. Quella
che
aveva davanti non era per niente una persona facile. "Se sei tu
quello stregone, io ho bisogno di te".
L'uomo
si appoggiò all'uscio, incrociando le braccia. "Mettiamo che
sia io e che tu abbia davvero bisogno di qualcosa da me. Hai soldi
per pagarmi? Gli stregoni costano cari".
"Non
ho mai avuto soldi".
"Bene,
allora non abbiamo niente da dirci!".
L'uomo
fece cenno ai due nani di rientrare ma lei lo fermò,
prendendolo per
la camicia e tirandolo verso di se. "Ho bisogno di un posto dove
stare, di una casa. Posso essere la tua assistente, fare tutto quello
di cui hai bisogno, che mi chiederai. Non voglio soldi, solo...
imparare qualcosa da te. Sei tu la persona che cerco?" - chiese
ancora, insistentemente.
Uno
dei nani le venne vicino, strizzandole l'occhio. "E' lui, è
lui! Il suo vero nome è Mattheus ma...".
Lo
stregone prese il nano per il bavero, spingendolo con forza dentro
casa. "E fatti gli affari tuoi, Drago. Falko, in casa pure tu!"
- ordinò all'altro nano che sparì di corsa dietro
l'uscio, davanti
alla sua espressione furiosa. Poi si girò verso di lei,
serio. "Non
ho bisogno di assistenti, sono uno stregone cattivo, dal carattere
pessimo e mi mangio le ragazze come te. Le figlie del diavolo sono le
mie preferite, le più appetitose. Su dai, scappa lontano e
sparisci!
Ti lascio cinque minuti di vantaggio".
Per
nulla intimorita, la ragazza rimase dov'era. "Non ho paura di te
e non sono la figlia del diavolo!".
"E
chi me lo garantisce?".
"Io!
Credevo che un grande stregone come te non credesse a questo genere
di storie".
L'uomo
si accigliò. Sembrava divertito più che seccato
da quel loro strano
battibecco e non era affatto da escludere che si stesse prendendo
gioco di lei. "Vedremo, vedremo... Vuoi farmi da assistente,
giusto? Che sai fare?".
La
ragazza ci pensò su. "Tante cose".
"Sai
usare la magia?".
"No".
"Conosci
quanto meno qualche formula?".
"No".
"Sai
cucinare?".
"No".
"Sai
tenere pulita una casa?".
"No".
"Sai
rifare i letti?".
"No".
Lo
stregone alzò gli occhi al cielo. "E allora che me ne dovrei
fare di te? Non sai fare niente, come potresti diventare la mia
assistente?".
"Sono
bravissima con arco e frecce. Un'ottima arciera! Lo hai visto prima,
no?".
"Non
mi serve un'arciera. E non mi servi tu".
La
ragazza si incupì. Odiava implorare ma non aveva altra
scelta e
nemmeno un altro luogo dove andare. "Sei l'ultima mia speranza,
Mattheus... cioè... Pfeifer Huisele... o qualunque sia il
tuo nome.
Non ho nessun posto dove andare e nessuno a cui chiedere aiuto.
Insegnami quello che sai e io sarò un'ottima allieva. Ti
prego,
tienimi con te. Vengo da lontano, ti ho cercato a lungo
perché tutti
dicono di te che sei uno stregone leggendario. E solo da una leggenda
potrei imparare a sopravvivere in un posto come questo".
"No.
E ora, sparisci, non ho altro tempo da perdere con te".
Rimase
ferma, in strada, anche dopo che lui le ebbe sbattuto la porta di
casa in faccia. E ora che avrebbe fatto? Aveva compiuto quel lungo
viaggio, sicura che lo stregone l'avrebbe presa con se. E invece
adesso era nei guai. Non poteva tornare a casa e non aveva persone
amiche a cui chiedere aiuto. Sospirando, alla fine si decise ad
incamminarsi verso il sentiero che portava fuori dal paese, verso i
boschi di abeti e i pascoli d'alta montagna. Ma non fece che pochi
passi che fu costretta a fermarsi di nuovo. Dalla direzione opposta
alla sua, con facce che promettevano guai, vide giungere nella sua
direzione l'uomo che aveva battuto alla gara di tiro con l'arco, in
compagnia di altri cinque uomini grandi e grossi.
Il
suo avversario le si parò davanti, con la faccia ancora
rossa
dall'ira. "Figlia del demonio, vieni quì che ti brucio sul
rogo. Le streghe come te vanno bruciate!".
Anche
le voci degli altri uomini si unirono alla sua, in insulti che lei
conosceva molto bene e a cui era abituata.
"Sei
maledetta".
"Strega".
"Demonio".
"Figlia
del diavolo"...
Non
aveva voglia di stare ad ascoltarli, di ribattere, voleva solo
rifugiarsi fra i boschi il prima possibile. Solo le montagne e gli
abeti gli erano sempre stati amici. Prese arco e frecce dalla spalla,
tese la corda, prese la mira. Non voleva colpire quegli uomini, ma di
certo voleva che si spaventassero e se ne andassero per la loro
strada, lasciandola in pace.
La
prima freccia partì, sfiorando appena la guancia del suo
avversario,
graffiandola lievemente. Non gli diede nemmeno il tempo di reagire,
che già aveva fra le mani la seconda freccia. Ma proprio
quando
stava per scoccarla, una mano afferrò gentilmente la sua,
bloccandola...
Si
voltò sorpresa. E si trovò davanti il viso serio
di Pfeifer
Huisele. "Cosa...?".
Lo
stregone la guardò di sfuggita, poi si rivolse agli uomini
che
l'avevano attaccata. "Complimenti... Sei uomini grandi e grossi
contro una ragazza sola. Definirvi codardi è farvi un
complimento.
Definirvi idioti pure, visto che da sola stava mettendovi al tappeto,
di nuovo".
Uno
dei sei sbiancò. "Pfeifer... Ecc... Ecco noi volevamo solo
fargliela pagare... Ha osato interrompere la gara e... si è
presa
gioco di Hans e...".
Sul
viso dello stregone comparve un ghigno da presa in giro. "Ecco
bravi, ottima idea, ragionate su questo nel vostro lettino, quando
andrete a nanna questa sera: come abbiamo potuto noi, uomini grandi e
grossi, finire battuti in un niente da una ragazzina mingherlina? Se
fossi in voi non mi farei vedere troppo in giro, vista la figuraccia
di oggi".
"Ma
è la figlia del demonio!" - urlò un altro degli
uomini, quasi
ad avvertirlo di un pericolo.
Lo
stregone sbuffò annoiato. "Sì sì, ho
visto i suoi capelli,
non sono cieco. Ci penso io a lei, lasciatela in pace e sparite, se
non volete che vi lanci addosso una maledizione".
I
sei uomini non se lo fecero ripetere. Girarono sui tacchi e sparirono
di corsa, quasi non avessero aspettato altro che darsi alla fuga.
La
ragazza, rimasta sola con lo stregone, lo guardò in
silenzio, non
sapendo bene cosa dire.
Pfeifer
Huisele invece lo sapeva benissimo quello che doveva dirle. "Allora,
figlia del diavolo, che vuoi fare? Uccidere tutti gli abitanti del
mio villaggio?".
"No,
volevo solo spaventarli un pò. Non mi lasciavano passare. E
comunque, se posso permettermi, non mi sembra che tu stia loro molto
simpatico. Non dovresti aiutare chi ha paura e fugge da te".
Lo
stregone sorrise, freddamente. "Non li ho aiutati, se è
questo
che credi! A me di quei sei idioti e di tutti quelli che vivono
quì,
non importa proprio nulla. Ma sono miei clienti e mi danno soldi in
cambio dei miei servizi e tu non farai del male alla mia fonte di
guadagno. Ti è chiara la cosa?".
La
ragazza fu costretta ad alzare gli occhi al cielo. Tipo davvero
tosto, quello stregone. Carattere da orso, strafottente e amante del
denaro. Un po’ adesso capiva perché in giro si
parlava tanto male
di lui, come di un essere impossibile da sopportare. In fondo avevano
ragione!
Fece
per ribattere, quando fu interrotta dall'arrivo di una donna. Vestiva
abiti logori, ancora più malconci dei suoi, era pallida e
spettinata
e i suoi occhi erano arrossati, come se avesse appena smesso di
piangere. "Stregone Pfeifer Huisele!" - lo chiamò,
correndo trafelata verso di lui.
L'uomo
si voltò verso la nuova arrivata, sbuffando. "Signora Knopp,
se
trova il coraggio di rivolgermi la parola, siamo proprio arrivati
alla fine del mondo" – commentò, in modo ironico.
La
donna si inginocchiò, scoppiando a piangere convulsamente.
"Il
mio bambino... Maestro, il mio piccolo si contorce dal mal di pancia,
non c'è nulla che gli dia sollievo da giorni. Temiamo
un'appendicite
e potrebbe morire. Se poteste darmi un pò della vostra
acqua...".
Pfeifer
Huisele alzò le spalle. "Due monete di rame. I prezzi li
conoscete, giusto?".
La
donna pianse più forte. "Non abbiamo soldi, lo sapete. Il
raccolto è andato male e non abbiamo più nulla se
non la verdura
che produce il nostro piccolo orto. Il mio piccolo Karl... Vi prego,
aiutateci, siate caritatevole".
La
ragazza con l'arco guardò la donna, quasi immedesimandosi
nel suo
dolore. Poi guardò lo stregone, temendo già quale
sarebbe stata la
sua risposta. Sospirando, mise una mano nella tasca del suo vestito,
tirandone fuori una piccola sacca di stoffa. La porse alla donna,
inginocchiandosi davanti a lei. "Sono semi d'anice, signora.
Aiutano a far passare il mal di pancia, se ne fa degli infusi. Li dia
al suo bambino e starà meglio".
La
donna la guardò, in un misto fra paura e disperazione. Poi,
con un
gesto veloce, quasi avesse paura a toccarla, prese la sacca. "Grazie"
– balbettò.
Pfeifer
Huisele guardò entrambe, accigliato. Poi, con un gesto che
sorprese
la ragazza albina, tirò fuori da una delle sue tasche una
piccola
ampolla contenente dell'acqua. La depose a terra, davanti alla
signora Knopp. "Prenda questa ampolla, sparisca subito dalla mia
vista prima che cambi idea e una volta a casa, faccia bere l'acqua al
suo bambino. Starà meglio. E poi sì, usi i semi
d'anice. Sono un
ottimo rimedio naturale contro il mal di pancia, quello che le ha
detto questa ragazza corrisponde al vero".
La
donna non se lo fece ripetere. Si alzò, ringraziò
frettolosamente e
poi corse via, con ampolla e semi d'anice stretti fra le mani.
La
ragazza albina sorrise. In fondo non era poi così cattivo
come
sembrava, quello stregone. Certo, il carattere da orso rimaneva,
ma...
Pfeifer
Huisele si voltò verso di lei. Era serio, la sua espressione
accigliata e pensierosa. "E così conosci l'uso delle piante
curative, eh?".
"Sì,
non ho che quelle per curarmi, quando non sto bene".
"Interessante...".
L'uomo la fissò, pensieroso. "E fammi indovinare
perché sei
venuta qui... Il tuo problema sono i tuoi capelli, giusto?".
La
ragazza sussultò. "Beh, in effetti mi hanno creato molti
grattacapi, però...".
"Perfetto...".
L'uomo allungò una mano, sfiorando una ciocca candida.
"Facciamo
un patto! Io posso cambiare il colore dei tuoi capelli con la magia.
Tu dimmi come li vuoi e io risolverò il tuo problema. Rossi,
neri,
castani, biondi... Dimmi tu, per me è indifferente! Ma in
cambio di
questo... poi dovrai sparire da quì senza fare storie,
andartene e
non tornare. Ci stai?".
"No".
La ragazza indietreggiò. "A nessuna persona piacciono i miei
capelli, è vero. Ma a me sì. Fanno parte di me
fin da quando sono
nata e non cambierò il loro colore per far piacere agli
altri. Me ne
andrò comunque però, sparirò da qui,
non preoccuparti".
"E
invece resterai. E sarai la mia assistente".
"Cosa?".
La ragazza spalancò gli occhi sorpresa, non capiva.
L'espressione
dello stregone era seria e il modo in cui la guardava negli occhi la
metteva in soggezione. Era come se in quel momento la studiasse e
cercasse di scandagliare la sua anima. Si sentiva a disagio... "Ma
prima avevi detto che...".
"Prima
ho detto una cosa e ora ne dico un'altra. E' un delitto cambiare
idea?".
"No
ma... perché? Cioè, uno non cambia idea
così, senza un motivo".
Pfeifer
Huisele sorrise di nuovo. "Io non ho certo detto che non c'è
un
motivo. Forse un giorno te lo dirò, questo motivo, se ne
avrò
voglia. Che fai figlia del diavolo, resti?".
"Non
sono la figlia del diavolo".
"Non
ha importanza! Rispondi alla mia domanda".
La
ragazza sorrise. La chiamava 'Figlia del diavolo', era vero. Ma il
modo in cui lo diceva era diverso da tutti gli altri. Era forse
l'unico, il primo che avesse incontrato, che non credeva davvero a
quell'etichetta che le avevano cucito addosso dalla nascita.
"Sì,
resto". Decise, d'impulso. Perché non sapeva dove andare,
certo. Ma anche perché si sentiva che, per la prima volta
nella sua
vita, aveva davanti qualcuno che poteva davvero insegnarle qualcosa e
aiutarla. Non sarebbe stato facile, lo sapeva. Ma sarebbe rimasta.
Quell'uomo aveva un carattere orribile, avere a che fare con lui
sarebbe stato un inferno ma... Pfeifer Huisele... Più lo
guardava e
più sentiva che era diverso da tutti quelli che aveva
incontrato
fino a quel momento. Aveva uno sguardo intelligente, sornione, a
volte anche da presa in giro. Ma il modo in cui guardava le persone
era attento, come se sapesse leggere cosa avessero dentro, come se
sapesse scavare oltre la superficie e carpirne ogni segreto e i
pensieri più intimi.
"Bene.
Dormirai in casa mia, in soffitta, sulla paglia. Non ho stanze
libere, l'unica che avevo se la sono presa i miei due gatti da
traino... ehm... i due nani. Ti sta bene?".
"Benissimo.
Ma come devo chiamarti? Mattheus, come ha detto prima il nano? O
Pfeifer Huisele?".
"Sei
la mia assistente e in casa, fra di noi, potrai chiamarmi Mattheus. E
io, figlia del diavolo, come devo chiamarti? Ce l'hai un nome?".
La
ragazza sorrise. Era la prima volta che qualcuno le porgeva quella
domanda. "Si,
certo. Mi chiamo Elke".
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Capitolo 6 *** Capitolo cinque ***
Capitolo
cinque
Elke
aveva gambe snelle, lunghe e ben allenate e per lei non era mai stato
un problema camminare sui tortuosi sentieri di montagna. A lasciarla
perplessa erano Falko e Drago, i due nani che vivevano con Mattheus.
Non
aveva ancora capito bene come funzionassero le cose nella casa dello
stregone, ma qualcosa era chiaro: Mattheus era un uomo dal carattere
impossibile e si serviva dei due nani per trasportare la sua famosa
acqua dal lago di Valdurna a Pennes. Ciò che l'aveva
lasciata senza
fiato era stato vedere Mattheus usare qualche goccia della sua famosa
acqua magica per trasformare Falko e Drago in gatti neri che poi
avrebbe usato come animali da traino per trasportare il carretto dove
avrebbero caricato l'acqua. erano bastati un paio di secondi per
compiere quell'incantesimo e Falko e Drago erano diventati gatti.
Mattheus era uno stregone potente per davvero...
Le
dispiaceva per i due nani però, erano così
piccoli, gentili e
simpatici con lei... L'avevano accolta subito con affetto e sincera
amicizia, dimostrandosi disponibili ed educati Mattheus invece
sembrava non accorgersi di quanto fossero buoni e non risparmiava
loro l'immane fatica di trasportare un carro tanto pesante. Anzi, il
mago non sembrava affatto curarsi della loro fatica e stanchezza.
Eppure,
benché con le sembianze di piccoli gatti neri, Falko e Drago
sembravano incredibilmente forti, tanto da superare nella camminata,
di tanto in tanto, lei e Mattheus. "Certo, ora il carro è
vuoto, non fanno tanta fatica. Ma quando torneremo...".
Mattheus,
davanti a lei di qualche passo, sbuffò. "Non preoccuparti
per
loro ma concentrati su di me e su quello che ti sto dicendo! E
ripeti...".
Anche
Elke sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Era esasperata!
"Sì
sì, lo so, me lo hai detto mille volte da stamattina! Non
devo dire
a nessuno del lago, non devo dire a nessuno di come vivi, di come
pratichi la magia e di quello che fai. Non devo toccare le tue cose,
la tua acqua, non devo farti domande inopportune e non devo prendere
iniziative al tuo posto senza averti prima interpellato" –
rispose, a cantilena.
"Non
voglio che tu lo ripeta come se fossi un pappagallo! Voglio che tu te
lo metta proprio bene in testa, per sempre!".
Elke
lo guardò storto. Si era sempre creduta una persona
paziente, ma
Mattheus stava mettendo a dura prova i suoi nervi. Era la prima volta
che andava con lui e coi nani al lago di Valdurna e non avrebbe mai
creduto che quell'esperienza si sarebbe rivelata tanto esasperante.
Conosceva Mattheus da dieci giorni e lo trovava via via sempre
più
insopportabile. "Con chi credi che possa parlare di te? A Pennes
mi odiano e mi evitano tutti, non credo che qualcuno oserebbe
chiedermi qualcosa".
"Non
si sa mai. E ora avanti, ripetilo ancora. Cosa devi e cosa non devi
fare mai?".
Elke
si morse il labbro, sospirò e scosse la testa sconsolata.
"Sei
un orso! Con tutto il rispetto per gli orsi, ovviamente...".
Mattheus
si voltò verso di lei con un sorriso irriverente sul viso.
"Ti
ho sentita! Sappi che ho un ottimo udito, figlia del diavolo!".
Elke
strinse i pugni, sfidandolo con lo sguardo. "Orso!".
Mattheus
sorrise ancora di più. "Figlia del diavolo!".
"Orso!".
"Figlia
del diavolo".
Falko
e Drago, sotto forma di gatti neri, sospirarono. Quei due avrebbero
continuato ad insultarsi fino al lago di Valdurna, avrebbero sfondato
i loro timpani e prosciugato la loro pazienza.
Quando
finalmente giunsero al lago, il sole era alto nel cielo e un
piacevole tepore si espandeva nella valle. L'autunno stava per
arrivare, ma il caldo estivo sembrava non voler cedere lo scettro
alla stagione fresca.
Elke
si guardò attorno, estasiata dal paesaggio. Il lago sorgeva
fra due
monti coperti di abeti e da ogni parte si guardasse, era circondato
da maestose montagne dalle vette rocciose. Non era grande come si era
immaginata e sembrava non viverci nessuno. Tutto era silenzio e pace
laggiù.
Si
sedette nell'erba mentre i due gatti le camminavano vicino,
stiracchiandosi e sbadigliando. Elke sorrise, li accarezzò
sulla
testa e poi sfiorò il prato verde ancora coperto dai fiori,
nonostante la stagione calda fosse agli sgoccioli.
Mattheus
sistemò il carretto sotto le piante, tirò
giù i secchi di legno e
si avvicinò. "Smettila di giocare coi gatti e tirati su.
Abbiamo da lavorare".
Elke
fece per rispondere, ma fu interrotta da Falko e Drago. I due gatti
iniziarono a miagolare rumorosamente, agitandosi ed alzandosi su due
zampe. Parevano indicare qualcosa...
Mattheus
si accigliò, si voltò verso il bosco da cui erano
provenuti e si
trovò davanti al viso una lucina fastidiosa che gli volava
davanti
agli occhi. "Eccola, mi sembrava che mancasse qualcosa...".
"Mattheus,
ciao!" - esclamò Jutta, allegra. La fatina volò
vicino ai due
gatti neri dando loro un bacino sul naso, poi tornò dallo
stregone,
appoggiandosi alla sua spalla. "Che mi racconti? E' da un pò
che non ti fai vedere da queste parti!".
Mattheus
sbuffò, scrollandosi la fatina dalla spalla. "Che ti devo
raccontare? Potrei dirti che stavo benissimo, in questo silenzio,
fino a cinque secondi fa, ad esempio".
Jutta
gli fece la linguaccia.
Elke
spalancò gli occhi sorpresa. Una fata! Una vera, autentica
fata! E
Mattheus la stava trattando male! Doveva essere completamente pazzo
quell'uomo. "Ma... ma lei è...".
"Una
fata, sì! Una fata rompiscatole e petulante, se proprio
dobbiamo
dirla tutta!" - ribatté lo stregone.
Jutta
incrociò le braccia, arrabbiata. Poi gli volò
sulla testa, gli
prese un ciuffetto di capelli fra le mani e, come di consuetudine,
tirò fino a che non ebbe i capelli fra le mani. "Maleducato
e
cattivo!".
"Mi
hai fatto male! Devi togliertelo questo vizio di strapparmi i
capelli, capito?".
Jutta
gli voltò le spalle, aprì la sua piccola mano e
fece cadere a
terra, con noncuranza, il ciuffetto biondo ramato di Mattheus. Poi si
avvicinò ad Elke, osservandola in un misto fra
curiosità e paura.
"E tu chi sei?".
La
ragazza albina, mani tremanti, arretrò leggermente. Una fata
vera!
Che parlava con lei! O era pazza, o era finita in un mondo magico di
cui ignorava l'esistenza fino all'incontro con Mattheus. Qualunque
cosa fosse, era felice, incredula e senza parole. Una fata! Piccola,
dalla voce simpatica e carinissima. "Mi chiamo Elke".
"Oooh,
Elke!". Jutta le volò vicino, sulla testa, fra i capelli,
davanti agli occhi. "Mi piaci, Elke! Non sapevo se farmi vedere,
ma poi ho pensato che se eri con Mattheus e i nani, dovevi essere una
brava persona e che potevo fidarmi di te". Poi si voltò
verso
lo stregone che si stava ancora massaggiando la testa nel punto dove
lei gli aveva strappato il ciuffo di capelli. "Non riesco a
credere che ti sei trovato una fidanzata. E' incredibile pensare che
al mondo esista qualcuno in grado di sopportarti".
Mattheus
parve irrigidirsi, a quelle parole. "Non è la mia fidanzata.
In
teoria dovrebbe essere la mia assistente, ma non sa fare proprio
niente".
Jutta
guardò lui, poi guardò Elke, pensierosa. "Oh
ecco, mi sembrava
strano che tu avessi una fidanzata".
Mattheus
si imbronciò, Elke rise.
Jutta
volò vicino alla ragazza, sedendosi sul palmo della sua
mano. "Sei
proprio carina Elke. Hai un visino bello e dolce e sembri buona e
gentile. Mi piaci proprio. Lui invece...". Si voltò verso
Mattheus, indicandolo col dito e scoccandogli un'occhiataccia. "Lui
è un rompiscatole di prima categoria. È
insopportabile! Se ti
tratta male, vieni pure da me! Ci penso io a punirlo, questo
somaro!".
"Hei!"
- protestò Mattheus.
Jutta
gli volò davanti al viso e poi sulla testa, prendendo fra le
mani un
altro ciuffo dei suoi capelli. "Farò così,
sì! Ogni volta che
sarai cattivo con Elke, io ti strapperò un pò di
capelli. E
conoscendoti, mi sa che per Natale sarai calvo, Mattheus".
Lo
stregone mosse velocemente la mano, afferrò la fatina e se
la portò
davanti al viso. "Jutta, vuoi finire nella mia padella e
diventare il piatto principale della mia cena?".
"Dai
Mattheus, lasciala stare! E' un amore".
Jutta
sorrise, alla voce della ragazza. "Sei un amore anche tu! Sei
proprio bella Elke".
La
ragazza sorrise. Era la prima volta che qualcuno le diceva che era
bella... "Davvero lo pensi? Anche con questi capelli?".
Jutta
annuì. "Certo! Che hanno che non va?".
"Beh,
il loro colore...".
La
fatina sorrise, le volò vicino e le accarezzò una
treccia. "A
me sembrano bellissimi. Tu sei bella e sono belli anche Falko e
Drago, sì!".
"Sono
nani!" - ribatté Mattheus.
Jutta
lo fulminò con lo sguardo. "E allora? Che male
c'è ad essere
piccoli? Anche io sono piccola, ma sono comunque bellissima! Vero?"
- chiese ad Elke, sorridendo.
La
ragazza rispose al sorriso e capì: le fate erano creature
pure e
senza pregiudizi o convenzioni sociali. Erano buone e basta se tu eri
buono con loro. "Ne esistono tante di fate come te?".
"Oh
sì, certo! Io sono una fatina di luce. Poi ci sono le fate
della
neve, del vento, dell'acqua, della foresta. Siamo tantissime, ma io
sono l'unica a sopportare Mattheus".
Elke
guardò lo stregone di sfuggita. Aveva una faccia
terribilmente
imbronciata in quel momento e questo, stranamente, la divertiva. "E'
bello pensare che esistano creature come voi qui, fra queste
montagne. Fino ad oggi ho sempre pensato si trattasse di favole per
bambini".
"Non
sono tutte buone, le creature del bosco".
Elke
si voltò verso Mattheus. Era stato lui a parlare, non Jutta.
"Cosa?".
La
fatina annuì. "Ha ragione lui! Esistono anche esseri
cattivi,
spiritelli malvagi, troll, demoni. Il diavolo...".
Elke
deglutì, leggermente spiazzata da quelle parole. "E come
faccio
a riconoscerli, se li incontro?".
Jutta
sorrise. "E' facile. Porta sempre con te un piccolo specchietto.
Se incontri un essere fatato buono, la sua immagine si
rifletterà in
esso. Se incontri uno spirito cattivo o demoniaco, non vedrai nessuna
immagine di lui nello specchio. E allora dovrai iniziare a correre
veloce veloce".
"Dovrei
scappare?".
Mattheus
si avvicinò ad Elke, mettendogli un secchio fra le mani.
"Esatto.
E ora basta chiacchiere! Anche tu Jutta, ora fa silenzio! Queste
cose, ad Elke e ai nani, le vorrei spiegare io quando lo
riterrò
opportuno. Stai dando troppe informazioni a questi tre".
Jutta
fece per replicare ma il viso serio di Mattheus suggeriva che era
meglio che stesse zitta. "Va bene" – rispose, chinando
per una volta il capo.
"Ottimo".
Mattheus si voltò verso Elke. "E ora su, seguimi. Non ti ho
portata fin qui per una scampagnata, ma per lavorare. Aiutami a
riempire questi secchi e a portarli sul carro".
Jutta
si imbronciò davanti a quel modo di fare spiccio e secco di
Mattheus. Ma Elke la bloccò prima che potesse dire qualsiasi
cosa.
"Ha ragione lui, sono venuta quì per lavorare. Gioca con
Falko
e Drago un po’, mentre noi carichiamo l'acqua" – le
sussurrò, strizzandole l'occhio.
Jutta
non se lo fece ripetere ed Elke, in silenzio, si incamminò
con
Mattheus verso la parte del lago più agevole da raggiungere.
Si
allontanarono dallo spiazzo dove avevano lasciato carro, gatti e fata
e si incamminarono nel bosco a ridosso del lago.
"Dove
andiamo?" - chiese Elke, vedendo Mattheus andare a passo
spedito.
Lo
stregone le indicò col dito un punto imprecisato
più avanti.
"Laggiù è più agevole raggiungere
l'acqua. C'è una spiaggia
e l'accesso al lago è molto più semplice che da
quì. Bisogna solo
camminare un po’ di più, ma quanto meno non si
rischia di finire
in acqua, scivolando su qualche spuntone di roccia" –
rispose,
staccando un rametto da una pianta che sporgeva sul sentiero e
giocandoci distrattamente con le mani.
Elke
alzò le spalle, camminare non le aveva mai fatto paura. Si
guardò
attorno, ammirando i meravigliosi abeti che sfilavano al suo
passaggio. Un paesaggio nuovo per lei, ma allo stesso tempo simile a
quello a cui era abituata da bambina. Fissò Mattheus, il cui
comportamento le era pressoché impossibile da capire. Era un
uomo
strano, scontroso, cinico e se non era impegnato a borbottare per
qualcosa, era perché stava facendo qualcos'altro che lei non
capiva
e che di certo lui non le avrebbe spiegato. Però... "Senti,
posso farti una domanda?" - chiese, mentre gli stava dietro di
alcuni passi.
"Puoi
farmi tutte le domande che vuoi, Elke. Poi ovviamente starà
a me
decidere se risponderti o no".
Elke
sbuffò, ormai abituata alle sue rispostacce. "Stamattina,
quando siamo partiti, ho visto che... Beh ecco, perché hai
rovesciato qualche goccia della tua famosa acqua nei campi che
circondano Pennes? Dici sempre che non la si deve sprecare".
Continuando
a fendere l'aria col bastone che aveva in mano, Mattheus
ridacchiò.
"Oh, ma non l'ho sprecata. Come ti ho detto, l'acqua mi
ubbidisce, in un certo senso. E le ho comandato di concimare e
rendere floridi il terreno e le coltivazioni degli abitanti di
Pennes. E' tempo di vendemmia quasi, i campi devono essere rigogliosi
al massimo perché si possa fare del buon vino".
Elke
sorrise, piacevolmente sorpresa da quella spiegazione. In fondo
Mattheus sapeva essere anche una brava persona dopo tutto. Il fatto
che facesse del bene agli altri in silenzio e senza vantarsene era
una cosa davvero bella e rara da trovare, in un uomo. "Oh,
davvero? Ma allora, qualcosa di altruista sei capace di farlo anche
tu!".
"No,
sei fuori strada. E' tutto per un mio tornaconto se ci pensi bene:
gli abitanti di Pennes si spaccano la schiena su quei terreni e ne
riceveranno i frutti coi quali guadagneranno dei soldi. E quando
avranno bisogno di me, a chi andranno quei soldi? Come vedi
è tutto
interesse mio che le cose vadano come devono, in campagna".
"Ah,
ecco...". Elke scosse la testa, sconsolata. Doveva
immaginarselo! Però in effetti, il ragionamento dello
stregone non
faceva una grinza. Mattheus era un uomo intelligente, calcolatore,
sfrontato e sfacciato, ma conosceva bene tutto quello che lo
circondava, era sapiente, furbo. "Tu sai sempre come uscirne
vincitore, eh?".
"Beh
sì! Io so tutto, ricordalo sempre".
"Tutto
tutto? davvero?".
Mattheus
si fermò, si voltò verso di lei e sorrise. "Tutto
quel che è
importante sapere".
"E
allora, posso farti un'altra domanda?". C'era una cosa che
voleva sapere, che la tormentava fin da quando era bambina. E lui,
ne era certa, conosceva la risposta che cercava.
"Dimmi".
Il
viso di Elke si oscurò e la sua espressione si fece seria,
triste.
"Quando ero piccola... e anche adesso, prima che partissi per
venire da te... Tutti, mio padre, le mie sorelle, la gente del mio
villaggio mi insultavano, mi dicevano cose davvero brutte, senza che
io facessi nulla di male. Non era bello, ma ci ero abituata ormai.
Però c'è una cosa che mi dicevano, una cosa che
mi faceva paura più
delle altre e me ne fa ancora adesso, quando ci penso. E non ho
ancora capito se me lo dicevano per spaventarmi o se raccontavano il
vero".
Mattheus
si accigliò, si fermò e si appoggiò al
tronco di un albero,
guardandola in viso. "Quale cosa?".
Elke
si prese distrattamente una treccia fra le mani. "Dicevano che
io ero un essere maledetto, stregato e che prima o poi mi avrebbero
bruciata viva su un rogo per questo. E' la verità Mattheus?
Quelle
come me fanno questa fine?".
Lo
stregone non rispose subito. La studiò in viso per lunghi
istanti,
pensieroso, in silenzio. "Non pensarci" – disse infine,
con un sospiro.
Elke
gli si avvicinò. "Dimmelo! Tu lo sai!".
La
mano di Mattheus raggiunse la sua spalla, dandole una leggera spinta.
"Cammina, dobbiamo lavorare".
"Ti
prego" – chiese la ragazza, quasi in una supplica.
Lo
stregone le si affiancò, sospirando. "Se vuoi la
verità, io te
la dirò! E' vero, a volte succede che brucino delle persone
sul
rogo. Gente accusata di stregoneria, di avere rapporti col potere
occulto e demoniaco, di saper lanciare maledizioni. Capita,
sì. E
sul rogo spesso finiscono persone buone ed innocenti, se proprio vuoi
saperla tutta. Ma non mi preoccuperei, se fossi in te".
"Perché?".
Mattheus,
che fino a quel momento era stato serio, ridacchiò. "Oh
piccola
figlia del diavolo, tu non corri alcun rischio! Per essere accusati
di qualcosa, bisogna saper fare qualcosa! E tu non sai fare niente di
niente, solo un pazzo penserebbe che tu sia in grado di lanciare
delle maledizioni o cose simili".
Elke
a quelle parole lo avrebbe volentieri preso a calci nel sedere.
Quello stupido! Non capiva mai quando era serio e quando invece si
prendeva gioco di lei! Ci cascava sempre! "Io ero seria! E
comunque, ora che sono la tua assistente, corro dei rischi. Sei uno
stregone e quindi...".
"E
quindi questo non fa di te una strega o una maga. Non sai nemmeno
mettere un uovo a bollire, credi che sia tanto stupido da insegnarti
subito i segreti della magia? Dovrai farne di strada, Elke,
passeranno secoli prima che io ti ritenga minimamente adatta ad usare
la magia. Per un bel po’, quindi, puoi dormire fra due
guanciali
dei meravigliosi sogni d'oro".
"Sei
davvero un orso odioso!" - ripeté nuovamente Elke. Voleva
spingerlo e farlo impiastrare col muso contro una pianta, quel
cretino!
Mattheus
sorrise di nuovo, di quel suo sorriso da presa in giro. "E tu la
figlia del diavolo. Ora però, basta chiacchiere! Siamo
arrivati alla
spiaggia di cui ti parlavo prima".
"Davvero?".
Elke si guardò attorno, dimentica del discorso di poco
prima, presa
dalla curiosità di saperne di più di quel lago
magico. Superate le
ultime piante davanti a loro due si apriva un piccolo lembo di sabbia
bianca che diradava dolcemente fino all'acqua cristallina del lago.
La ragazza si accigliò e rimase per un attimo in silenzio,
concentrata su quelle acque tanto azzurre quanto misteriose. Il
potere di Mattheus nasceva da esse ma a prima vista quel lago non
aveva nulla di diverso da tutti gli altri in cui si era imbattuta
fino a quel momento. Non capiva...
Si
avvicinò alla riva, si tolse gli stivali ed entrò
nell'acqua di
qualche passo, finché non gli arrivò quasi alle
ginocchia. Era
fredda, gelida come l'acqua di tutti i laghi di montagna,
però
camminare in essa era terribilmente piacevole... Si chinò a
riempire
il secchio che teneva fra le mani e poi immerse la mano libera nel
lago, cercando in esso la risposta a tutte le domande che le
frullavano in testa. Cercava qualcosa, un appiglio, una sensazione,
un perché alla magia insita in quell'acqua.
"Elke,
che fai?".
Mattheus
le si parò davanti all'improvviso, facendola sussultare ed
arretrare
di alcuni passi. Era talmente assorta nei suoi pensieri che non
l'aveva sentito arrivare. "Beh ecco io... cercavo di capire...".
"Capire
cosa?".
Elke
guardò il lago, sentendosi al contempo stupida e in
imbarazzo.
"Cercavo di capire come usare la magia che nasce da qui. Di
capire come fai a farti ubbidire dall'acqua".
Mattheus
scosse la testa. Sul momento non disse nulla, riempì i suoi
due
secchi d'acqua e li portò a riva. Poi, dopo averli posati,
si
sedette sulla sabbia, tornando a giocare col suo bastone di legno.
"Non è l'acqua che mi ubbidisce, ma quel che c'è
dentro".
"Cosa?".
Mattheus
le fece cenno con la mano di avvicinarsi e quando la ebbe davanti,
alzò su di lei i suoi occhi blu. La sua espressione era
tornata
seria e in essa Elke scorse anche una piccola venatura di tristezza.
"E' una storia lunga e complicata, che tu al momento non
capiresti. Posso dirti questo, per ora. Il lago di Valdurna, di per
se, è un lago come tutti gli altri. Ma fra queste acque
c'è
qualcosa... qualcuno...
che mi è amico. E un amico, per un altro amico, farebbe
qualsiasi
cosa di cui c'è bisogno, giusto? Funziona così,
capito?".
Elke
scosse la testa, in segno di diniego. "No, non ho capito".
Lo
stregone fissò il lago, pensieroso. "Tu non avvertirai
nessuna
magia in questo lago. Nessuno può farlo, solo io. Solo io
posso
chiedere e solo io verrò esaudito nei miei desideri. E' una
promessa
di tanto tempo fa, fra me e...".
"E?".
L'espressione
seria abbandonò il viso di Mattheus a quella domanda, quasi
si
fosse svegliato di colpo da uno stato di torpore. Alzò il
bastone
che teneva fra le mani, picchiandolo lievemente, in modo scherzoso,
sulla testa di Elke. "E niente, per oggi ti ho detto anche
troppo! Non vorrei che la tua testolina di figlia del diavolo andasse
in ebollizione, se assorbisse troppe nozioni tutte insieme".
La
ragazza scosse la testa, ma questa volta non era arrabbiata per il
repentino cambio di rotta dei discorsi dello stregone. C'erano
momenti in cui lui la prendeva in giro e faceva lo stupido... E
momenti dove Mattheus sembrava racchiudere in se verità
antiche,
profonde e anche dolorose. Però, accidenti a lui, una cosa
che la
mandava in bestia, c'era. "Non sono la figlia del diavolo!".
Mattheus
ridacchiò, picchiandole ancora in testa il bastone. "Oh
sì che
lo sei! A giudicare da quel che mi hai raccontato della tua famiglia,
direi che lo sei eccome!".
Elke
si oscurò, a quelle parole. "I miei genitori sono brave
persone. Vanno sempre in Chiesa la domenica e anche se sono poveri
fanno anche della carità ai più poveri di loro".
Mattheus
alzò le spalle con noncuranza. "E quando tornavano da Messa
insultavano e chiudevano la loro figlioletta nella stalla,
semplicemente perché non gli piaceva il colore dei suoi
capelli e si
vergognavano di lei. Bravissime persone davvero! Genitori modello, i
tuoi" – commentò, con una vena d'ironia nella voce.
"Con
le mie sorelle erano ottimi genitori. E in fondo, anche con me... non
mi hanno mai cacciata di casa, dopo tutto sono stata io ad andarmene!
E comunque, restano la mia famiglia".
"Già,
la tua famiglia...".
Mattheus
tracciò nella sabbia qualche linea senza senso, col bastone.
Poi si
alzò in piedi, allungò la mano e la
attirò davanti a se. Era di
nuovo serio, ora... Di una serietà che la metteva in
soggezione. "Ti
ritengo piuttosto intelligente Elke, e proprio per questo un
insegnamento te lo voglio dare. Bada bene di ascoltarmi
perché ora non sto scherzando. Famiglia e casa a volte non
coincidono e non
sono legate alle persone con cui abbiamo legami di sangue. Spesso
capita, certo, ma non sempre! Non nel tuo caso almeno. Casa e
famiglia, sono i luoghi e le persone che ti fanno sentire la
benvenuta quando arrivi, che ti vogliono bene e a cui vuoi bene. Casa
è dove ti senti protetta, al sicuro, serena e felice.
Famiglia è
chi condivide con te la sua vita, nel bene e nel male. E ti sostiene
sempre. Ora hai due strade, Elke. Puoi cullarti nella beata illusione
che mammina, papino e sorelline stiano piangendo per la tua partenza
misteriosa, ma
sai che non è così e mi deluderesti se ci
credessi davvero anche se
nessuno ti vieta di farlo se questo ti fa stare meglio. Oppure...
guardi in faccia la realtà e inizi tutto da capo, con le tue
forze.
Ti lasci alle spalle il passato, il dolore, la solitudine e le paure
che ti hanno inculcato da piccola e guardi avanti. E se lo farai,
allora un giorno avrai davvero una casa e una famiglia dove ti
sentirai sicura e felice. Ognuno di noi ha un suo posto nel mondo da
cercare e di certo il tuo non era nel tuo villaggio natale. Lo sai
tu, lo so io. Esatto?".
Elke
abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora
Mattheus
stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il
più
delle volte strafottente,. ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo
istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima,
fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri
del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era
delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o
prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e
cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del
tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio,
Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto
un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi
conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere
per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura,doveva
nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel
che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti,
se
si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che
darle insegnamenti. Si sentì stupida, una bimbetta senza
esperienza
alcuna, al suo confronto. Sospirò. "Lo sai bene che per
quelli
come me è impossibile trovare una casa e un posto nel mondo".
Mattheus
le sorrise di nuovo, dolcemente questa volta. Prima di alzare ancora
il suo bastone per colpirla nuovamente, scherzosamente, sul capo.
"Nulla è impossibile, testona. Fino a dieci giorni fa non
credevi nell'esistenza delle fate e ora ne hai conosciuta una. Fino a
dieci giorni fa non credevi che esistesse un lago magico e ora lo hai
davanti. Fino a dieci giorni fa non credevi possibile che si
potessero trasformare in gatti due nani e ora conosci Drago e Falko".
Elke
rispose al sorriso. Non disse nulla, in fondo aveva poche
argomentazioni con cui ribattere alla logica irreprensibile delle
parole di Mattheus,. ma capì che il bosco era magico e pieno
di
esseri fatati come Jutta, esseri sfuggenti, misteriosi, sospettosi di
natura, che non si facevano vedere da nessuno, eccetto da chi
consideravano meritevole della loro amicizia, ma i meritevoli erano
pochi e rari. Per quanto Mattheus fosse un orso, una persona che
sapeva farsi voler bene dalle fate doveva essere per forza una brava
persona. Elke decise che da quel momento in poi nessuno sarebbe mai
riuscito a farle cambiare idea.
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Capitolo 7 *** Capitolo sei ***
Capitolo
sei
"Che
fai?".
Seduto
sulla sua poltrona, con un grosso tomo fra le mani, Mattheus
alzò lo
sguardo sui due nani che gli giravano attorno incuriositi ormai da
diversi minuti. "Leggo, non lo vedete?".
"Davvero
sai leggere?".
"Ovvio
che sì" – commentò Mattheus con voce
annoiata, continuando a
sfogliare il libro che teneva sulle gambe. "Voi non sapete
farlo?".
Drago
e Falko ridacchiarono a quella domanda. "Oh Mattheus, nessuno si
prende la briga di insegnare a leggere a due nani".
Mattheus
sfogliò un'altra pagina. "Dovreste imparare, anche se siete
nani".
"Insegnacelo!"
- propose Elke, a pochi passi da loro, intenta a lucidare il suo
lungo arco.
Mattheus
alzò lo sguardo su di lei. "Non sai leggere nemmeno tu?".
La
ragazza scosse la testa. "Nessuno insegna a leggere ai nani, e
nemmeno alle ragazze albine" – concluse, con un'alzata di
spalle.
"In
effetti...". Lo stregone abbassò lo sguardo, tornando alla
sua
lettura, irritato dalla vicinanza dei due nani alla sua poltrona.
"Smettetela di girarmi attorno e di fissarmi, tutti e tre! Sto
cercando di leggere e di concentrarmi".
Drago
si sedette per terra, senza smettere di guardarlo, nonostante gli
fosse stato intimato due secondi prima di non farlo. "Non
sappiamo cosa fare, ci stiamo annoiando".
"Annoiatevi
da un'altra parte, per favore" – rispose Mattheus, sospirando.
"Dai,
insegnaci a leggere!" - propose Elke, di nuovo.
Mattheus
alzò lo sguardo prima su di lei, poi sui due nani; ci
pensò su un
attimo, pensando alle eventuali implicazioni che avrebbe comportato
il diventare insegnante di quei tre impiastri: l'avrebbero fatto
andare fuori di testa, l'avrebbero tirato matto, ma, come si sarebbe
divertito a fare l'insegnante sadico, severo e irreprensibile... Di
certo loro lo avrebbero fatto diventare matto, ma lui avrebbe fatto
impazzire loro... "Perché no" – disse vago, con un
sorrisetto maligno sul viso.
Elke
lo fissò, con aria preoccupata e accigliata; quella ragazza
sapeva
prevedere le sue mosse e capire le sue intenzioni fin troppo bene per
i suoi gusti. "Che c'è, figlia del diavolo?".
"Mh,
credo che ci penserò su. Non so se voglio imparare a
leggere".
"Noi
sì!" - dissero in coro Falko e Drago.
"Ottimo..."
- ribatté Mattheus, sempre più maligno.
Elke
scosse la testa. "Quei due sono completamente folli. Non hanno
la minima idea di quello a cui vanno incontro" –
mormorò
sotto voce.
Falko
si avvicinò a allo stregone, sbirciando il libro che teneva
fra le
mani. "Chi ti ha insegnato a leggere, Mattheus?".
"Uno
che sapeva leggere".
Lo
stregone vide Elke alzare gli occhi al cielo. La ragazza
sospirò,
appoggiò il suo arco contro il muro e si alzò
dallo sgabello su cui
era seduta. "E' inutile che glielo chiediate, tanto non ve lo
dirà mai. Come non ci dirà i segreti del lago di
Valdurna e tutto
quel che riguarda la sua vita passata. Giusto?".
Mattheus
sorrise. "Brava, sei una donna perspicace".
Elke
scosse la testa e non rispose. Prese il suo arco e lo mise
nell'armadio, poi fece per salire le scale che portavano alla
soffitta.
"Dove
vai?" - chiese Mattheus.
"Voglio
riposarmi un pò. Stamattina ci hai fatti sgobbare come
asini, ci hai
fatto pulire questa casa da cima a fondo mentre tu te ne stavi seduto
su quella poltrona e ora sono stanca".
Mattheus
sospirò, chiuse il libro e si alzò in piedi,
Decise che per quel
giorno aveva letto abbastanza informazioni ed era ora di smettere di
poltrire. "Non è ora di dormire. Dobbiamo uscire".
"Per
andare dove?" - chiesero i nani.
Mattheus
indicò il libro che stava leggendo. "Stavo cercando
indicazioni
su un particolare tipo di argilla adatto a curare le ferite, se
opportunamente trattato con la magia. Dobbiamo andare in alta
montagna, conosco le persone che possono fornirmela all'istante".
Elke
si lasciò cadere sulle scale, sconsolata. "Si deve camminare
molto?".
"Abbastanza!
E ora su, sbrigati. Hai vent'anni, non sei una vecchia decrepita e
non hai certo bisogno del sonnellino pomeridiano". Era
seriamente divertito, avere in casa quei tre impiastri in fondo aveva
i suoi vantaggi: tre piccoli schiavetti che gli rassettavano casa
avendo in cambio solo i pasti. Da quando Elke ed i nani erano entrati
nella sua vita, arrivare fresco e riposato al pomeriggio era
diventato un gioco da ragazzi.. "Elke, piccola figlia del
diavolo, mi hai capito? Tirati su da quel gradino, dai...".
Elke
sbuffò. Il suo sguardo prometteva guerra e Mattheus avrebbe
potuto
scommettere che lo avrebbe volentieri preso a calci, se solo avesse
potuto. "Hai qualcosa da dirmi, bellezza?".
Elke
si alzò dal gradino, lanciandogli uno sguardo gelido e lo
sorpassò,
uscendo dalla porta di casa borbottando.
"Poverina,
è tanto stanca. Forse dovremmo davvero lasciarla a casa per
oggi"
– commentò Drago.
"Sopravvivrà.
E ora dai, in marcia". Mattheus spinse i nani fuori casa; In
fondo era certo che nessuno dei tre si sarebbe annoiato quel
pomeriggio. Elke e i nani non avevano la minima idea del posto e
delle persone che avrebbero incontrato e lui non aveva alcuna
intenzione di anticipare nulla. Quel pomeriggio avrebbero imparato
qualche altro segreto del bosco e della montagna e soprattutto
avrebbero trasportato fino a casa l'argilla al suo posto.
Dopo
aver superato la manciata di baite che costituiva il paese di Pennes
si inerpicarono per un ripido sentiero che portava ai pascoli di alta
montagna; la strada era sconnessa, la pendenza impegnativa e il
terreno reso scivoloso dalla pioggia del mattino.
Mattheus
sapeva che non si trattava di una camminata facile, ma lui aveva
percorso quel tragitto centinaia di volte e conosceva a memoria ogni
masso, ogni piccola variazione di pendenza della salita, ogni albero,
ogni filo d'erba, tutti gli animali che vivevano su quel crinale.
"Sbrigatevi voi tre!". Era seccato, quel giorno Elke e i
nani erano meno reattivi del solito.
La
ragazza albina, indietro di alcuni passi, alzò lo sguardo su
di lui.
"La fai facile! Stamattina ci hai fatto pulire tutti i vetri di
casa, il camino, i pavimenti, ci hai fatto sistemare la stalla, ci
hai fatto fare il bucato e ci hai costretti a cambiare le lenzuola a
tutti i letti di casa mentre tu te ne stavi seduto in poltrona a dare
ordini. La tua baita ora, probabilmente sarà la
più splendente di
tutta la Val Sarentino! E siamo stanchi".
"Fa
tutto parte del vostro allenamento per diventare miei assistenti.
Dovresti ringraziarmi Elke, invece che lamentarti come una vecchia
suocera".
"Sì
certo l'allenamento, come no...". La ragazza inspirò
profondamente, prendendo fiato. "Sai, mi viene in mente mia
madre. A me non insegnava nulla su come si teneva una casa, ma le mie
sorelle... Oh Mattheus, ricordo quanto le stressava con la storia
delle pulizie. Diceva che se non fossero diventate brave donne di
casa non avrebbero mai trovato marito. C'erano giornate dove non
facevano altro che pulire tutto da mattina a sera. Io me ne stavo
fuori a guardarle sgobbare e senza fare niente e non sapevo, non
capivo quanto fossi fortunata ad essere esentata da quella tortura.
Dovevo incontrare te per capirlo".
Mattheus
ridacchiò. Si voltò verso di lei prendendola per
mano ed
attirandola vicino a se. "Vedi che essere la figlia del diavolo
ha i suoi vantaggi? E ora dai, sbrigati. Ho capito che se non ti
trascino, non arriveremo mai alla nostra meta".
"Potresti
aiutare anche noi però" – borbottarono Falko e
Drago,
indietro di diversi metri. Avevano il fiatone, la lingua che toccava
terra e il viso madido di sudore.
"Muovetevi
e state zitti! Se non sprecherete fiato per parlare salirete
più
velocemente".
"Ma
dove stiamo andando?".
Mattheus
sorrise. "Da mastro Ludwig".
Elke
sollevò il viso, guardando verso la cima della montagna. "Ma
Mattheus, non ci vive nessuno lassù. Ci sono solo boschi e
pascoli".
Lo
stregone scosse la testa. "Non arriveremo ai pascoli, ci
fermeremo prima. E ora basta chiacchiere, camminate e basta!".
Quelle
parole dovettero rincuorare i suoi tre assistenti perché
accelerarono il passo e metro dopo metro salirono su per la montagna.
Mattheus sorrise: bastava poco per farli lavorare!
Camminarono
nella vegetazione sempre più fitta, col sentiero che si
diradava e
lasciava spazio al bosco, al muschio e alle foglie gialle che
scricchiolavano al loro passaggio.
"Non
è che ci perderemo?" - chiese infine Drago, preoccupato. Non
c'erano che alberi attorno a loro, e nessun punto di riferimento.
stava diventando buio.
Per
risposta Mattheus si fermò. "No, non ci perderemo. So
esattamente dove siamo e quì è perfetto per
chiamare mastro Ludwig.
Mi sentirà". Si mise una mano in tasca, tirando fuori un
piccolo fischietto in legno. Ci soffiò dentro, ma non
uscì alcun
suono. Eppure il suo sguardo era soddisfatto.
"Credo
che sia rotto" – borbottò Elke, stanca e con
l'espressione di
chi non sta capendo nulla di quel che succede. "Mattheus, sei
sicuro di sentirti bene?".
"Sto
benissimo, questo fischietto funziona così, solo alcuni
possono
sentirlo. E voi siete una grandissima lagna, oggi. Abbiate fede ed
aspettate, invece di parlare a vanvera".
Elke
guardò i nani e tutti e tre scossero la testa. Stava per per
dire
qualcosa quando un fruscio di foglie la fece voltare.
Mattheus
la vide portare la mano all'arco che teneva sulla spalla e le
fermò
il braccio prima che potesse fare qualsiasi cosa. "Calma, figlia
del diavolo. Non siamo assolutamente in pericolo in questo momento".
Lo stregone si voltò quindi verso il punto da cui era giunto
il
fruscìo e sorrise. Mastro Ludwig era davanti a lui e come
sempre
aveva risposto al suo richiamo.
Elke
e i nani spalancarono gli occhi: dopo le fate avevano scoperto anche
l'esistenza degli gnomi. "Mattheus... ma è... è".
Lo
stregone si inginocchiò di fianco al suo piccolo amico.
"Finitela
di fissarlo come degli ebeti, è uno gnomo, non un mostro
della
palude ed è uno dei miei migliori aiutanti. Vi presento
mastro
Ludwig, capo villaggio degli gnomi della Val Sarentino, abile
boscaiolo e gran conoscitore della montagna. Mastro Ludwig, ti
presento questi tre idioti che ti guardano come se provenissi dalla
luna. I due nani sono gemelli e si chiamano Drago e Falko. Non dire
niente, han nomi idioti, lo so. Giuro che mi piacerebbe scambiare
quattro chiacchiere con i loro genitori, un giorno o l'altro. La
ragazza invece si chiama Elke. Sono i miei... aiutanti".
"Vorrai
dire... i tuoi sguatteri" – lo corresse Elke. Si
inginocchiò,
imitata dai gemelli, ad osservare meglio il nuovo arrivato. Era
cicciottello, alto forse quindici centimetri, con la lunga barba
bianca, abiti rossi e stivaletti di cuoio. Somigliava molto alla
descrizione che si faceva degli gnomi nei libri per bambini.
"Mattheus, ma allora non sono solo fiabe!".
Lo
stregone sorrise. "Le fiabe hanno sempre un fondo di verità,
ricordatelo. Esistono tanti esseri magici fra questi boschi e fra
queste montagne che tu non hai ancora visto".
Elke
sollevò il viso su di lui. "E tu li conosci tutti?".
"Più
o meno".
Mastro
Ludwig si avvicinò ai tre nuovi venuti, titubante. Li
studiò,
osservandoli attentamente, indeciso se fidarsi di loro oppure no.
"Mattheus, sei sicuro che siano persone fidate?".
"Certo.
Non li avrei portati con me se non ne fossi assolutamente certo. Non
parleranno di voi in giro, sta tranquillo".
Lo
gnomo sospirò. "Spero sia davvero così. Ma dimmi,
cosa ti
porta quì?".
"Mi
serve dell'argilla verde. Ho trovato un buon modo di utilizzarla per
produrre impacchi contro le ferite e a quanto pare funziona anche su
quelle degli animali. Puoi procurarmene un po’?".
Mastro
Ludwig annuì. "Quanta ne vuoi. Su, venite! Vi porto al
nostro
villaggio".
Mattheus
sorrise. "Grazie!". Poi si voltò verso Elke e i nani che
stavano ancora lì dove li aveva lasciati, fermi ed impalati
come
stoccafissi, ancora increduli dal trovarsi davanti a uno gnomo.
Allungò la mano, prese Elke per il polso e la
attirò a se.
"Sveglia! Ma che vi prende oggi a tutti e tre?".
"Uno
gnomo... Mattheus, uno gnomo! E c'è pure il suo
villaggio...".
Lo
stregone sbuffò. Elke e i nani l'avrebbero fatto diventare
pazzo, lo
sapeva. "Sbrigati, dai! E anche voi due, muovete quelle dannate
chiappe" – urlò ai gemelli.
Camminarono
nel fitto del bosco, sempre più lontano dal villaggio e dal
sentiero. Mattheus aveva rallentato l'andatura per fare in modo che
Ludwig non facesse fatica a stare al passo mentre Elke e i nani erano
silenziosi come non mai. Si chiese se quello stato catatonico in cui
erano piombati sarebbe mai finito o se sarebbero rimasti scemi a
vita.
Dopo
una manciata di minuti giunsero davanti a dei grossi alberi secolari
in una radura dove la luce filtrava a fatica. Mastro Ludwig
portò le
dita alle labbra, fischiò e dal tronco, dalle frasche e
dall'erba
sbucarono uno ad uno un'infinità di gnomi. Donne, uomini,
anziani e
bambini andarono incontro a Ludwig e a Mattheus. In un attimo si
trovarono circondati da tanti piccoli gnomi festosi ed incuriositi.
"Vivono
qui, nascosti fra l'erba, il muschio, nei tronchi dei vecchi alberi"
– spiegò Mattheus, notando la sorpresa dipinta sul
viso di Elke e
dei nani.
Falko
e Drago corsero fra gli gnomi, come impazziti. E si avvicinarono a
due giovani ragazze che li osservavano incuriosite, ammiccando e
sbattendo le lunghe sopracciglia.
Elke
sorrise. "Guarda, hanno già trovato compagnia! Oh Mattheus,
non
è bellissimo? Un amore che nasce fra esseri così
diversi... Sarebbe
terribilmente romantico, se succedesse davvero..." -
mormorò,
colpita da quell'aria festosa, quell'armonia, quell'allegria che
sembrava serpeggiare in quella piccola comunità di gnomi.
Lo
stregone guardò i due nani che, come ebeti, giravano attorno
alle
due giovani gnome. "Dove li vedi tanto diversi? Sono alti
più o
meno uguali".
"MATTHEUS".
L'uomo
scoppiò a ridere. "Ah Elke, in questo momento mi ricordi
terribilmente Jutta".
"Non
è mica un insulto sai? Jutta è un amore".
"Quando
sta zitta..." - mormorò sotto voce lo stregone, in tono
vago.
Alzò gli occhi al cielo, la sua attenzione catturata da tre
piccole
lucine blu che svolazzavano sulle loro teste. Se erano lì,
significava che la stagione fredda era vicina. "Guarda Elke,
quelle sono le fate della neve" – disse, indicandole. Elke
guardò le tre lucine blu: piccole e delicate fatine grandi
come
Jutta, volavano sulle loro teste piano, quasi timorose; avevano
capelli candidi, occhi azzurri e carnagione pallida. "Mi
somigliano" – mormorò la ragazza, avvicinandosi.
"Attenta
Elke" – la richiamò Mattheus – "Fa piano
se vuoi
avvicinarti a loro. Sono timide, non sono come Jutta. Se sarai troppo
irruenta le farai scappare".
La
ragazza annuì e si allontanò da lui, camminando
lentamente.
Rimasto
momentaneamente solo Mattheus si appoggiò al tronco di un
abete,
osservando il via vai incessante degli gnomi che guardavano
accigliati i nani ed Elke mentre proseguivano nelle loro incessanti
attività. Erano un popolo laborioso, conoscevano tutti i
segreti del
bosco, delle piante e degli alberi ed erano quanto di più
longevo
esistesse sulle montagne. La vita di uno gnomo poteva durare secoli e
le loro conoscenze erano vastissime. Mastro Ludwig gli si
avvicinò
di soppiatto, affiancandosi a lui: "Ho dato ordine di farti
preparare un grosso sacco di argilla verde. Sarà pesante da
trasportare fino a Pennes, ma so che ne farai buon uso Mattheus".
"Ti
ringrazio". Lo stregone si lasciò scivolare a terra per
mettersi allo stesso livello dello gnomo. "Trasportarlo non
sarà
un problema comunque, la mia assistente lo farà senza
battere
ciglio" – concluse con un sorrisetto irriverente sulle
labbra,
osservando Elke che, appoggiata a un ramo, era intenta a fare
conoscenza con le fate della neve.
Ludwig
si accigliò. "Mattheus, sei proprio sicuro di poterti fidare
di
quei tre? Finora non hai mai portato nessuno con te qui da noi, sei
sempre stato molto prudente e mi fido di te, ma capisci le mie
preoccupazioni, vero? Se si sapesse in giro della nostra esistenza
per noi sarebbe un grosso problema, non avremmo più pace".
"Non
parleranno, stai tranquillo. I nani hanno una mente semplice e buona,
non farebbero male ad una mosca, li uso come animali da traino
trasformandoli in gatti con l'acqua del lago, sono incredibilmente
forti e leali, non devi preoccuparti".
Mastro
Ludwig guardò Elke. "E la ragazza? E' albina e fra la vostra
gente, questo è sinonimo di vicinanza al demonio".
Mattheus
scosse la testa. "Sono solo storie, leggende. E' piuttosto
intelligente, conosce bene le montagne e le loro leggi, le sa
rispettare ed è riuscita a sopravvivere da sola in questo
ambiente
fin da piccolissima. Aveva due strade: morire o farsi furba, essere
forte e crescere. Ho molte aspettative su di lei. Certo, ha un
caratterino piuttosto forte, ma fra i due non sarò io a
piegarmi.
Vuole essere la mia assistente e tale sarà, credo che possa
averne
le capacità, anche se dubito che abbia ancora capito fino in
fondo a
cosa sta andando incontro".
Ludwig
sospirò. "Non avrà vita facile al tuo fianco,
immagino... Mi
fido di te, come ti ho appena detto. Se pensi che siano persone
fidate allora lo saranno anche per noi".
Mattheus
sorrise. "A Jutta piacciono, adora tutti e tre e mi fido
dell'istinto di quella fata più di qualsiasi altra cosa al
mondo".
Ludwig
annuì. "Jutta... Hai un legame molto forte con lei, vero?".
"La
minaccio di morte ogni volta che la incontro e non sta zitta nemmeno
ad ammazzarla a dire il vero, ma Jutta è la migliore amica
che abbia
mai avuto ed è probabilmente quella che mi conosce meglio".
Lo
gnomo alzò il viso su di lui. "Jutta conosce il tuo segreto,
è
l'unica. Solo tu e lei sapete cosa nasconde il lago di Valdurna,
giusto?".
Il
viso di Mattheus, a quelle parole, si fece serio. "Già, allo
stato attuale, solo io e Jutta...".
Mastro
Ludwig abbassò lo sguardo. Poi, sospirando, tornò
ad osservare
Elke. "La ragazza albina vuole essere la tua assistente, eh? La
ritieni davvero idonea?".
"Sì".
"Posso
chiederti il perché?".
Mattheus
non rispose subito. Piegò le ginocchia, appoggiandosi poi
col mento.
"E' diversa dalle altre persone, ha un animo puro, intelligenza,
coraggio e una gran testa dura. E' vissuta lontano dagli uomini,
è
cresciuta circondata dalle montagne e dagli animali che le popolano e
da loro ha saputo apprendere il meglio. Se resiste al mio
caratteraccio può farcela".
"E'
una ragazza albina e lo sai anche tu Mattheus, le persone albine di
solito non hanno vite né troppo lunghe né troppo
felici. Non vorrei
che tu sprecassi il tuo tempo con lei; gli albini sono odiati e
scacciati da qualsiasi posto, non sopravvivono con facilità
al mondo
che li circonda e davanti a un destino avverso non puoi fare niente
nemmeno tu".
"Lei
ce la farà! E comunque sia, finché resta a Pennes
con me,
difficilmente correrebbe pericoli. La gente del paese ha il terrore
di avvicinarsi troppo a me ed alla mia casa e viene solo per estrema
necessità. Non avrebbero il fegato di attaccare qualcuno che
ritengono sotto la mia protezione. Non la amano, questo è
certo. Ma
non le faranno mai del male".
"Non
la potrai proteggere per sempre".
"Lo
so". Mattheus scosse la testa. Non aveva ancora capito né
cosa
fosse stato, né il perché. Ma le parole di Mastro
Ludwig lo avevano
messo di cattivo umore. "Ma posso insegnarle come stare al mondo
in modo che un giorno possa cavarsela da sola".
In
quel momento i due gnomi corsero davanti a loro. "L'argilla per
Mattheus è pronta" – esclamarono, mentre altri
gnomi
trascinavano a fatica un grosso sacco.
Mattheus
annuì. "Perfetto! E' ora di tornare a casa allora". Si
alzò, richiamò i nani accanto a se e poi si
avvicinò ad Elke che
ancora non si era staccata dalle tre fate. "Lascia stare le
fatine della neve e sbrigati. C'è molta strada da fare e
tu...".
Elke
si voltò verso di lui, poi adocchiò il grosso
sacco che riposava a
terra. "Lo devo trasportare io?" chiese, deglutendo.
Mattheus
annuì, con un ghigno malefico sulle labbra. "Ovviamente".
"E'
pesante per lei" – intervenne Falko, correndo verso di loro.
Anche
Drago sembrava preoccupato per la ragazza. "Mattheus, sarebbe
meglio dividerci il carico, Elke non può...".
"Elke
porterà quel sacco da sola. Fine del discorso!". Lo stregone
si
voltò verso la ragazza,il suo viso era serio e la sua era
un'espressione di sfida. Il malumore dovuto a qualcosa che Ludwig
aveva detto su Elke non se n'era andato e il suo istinto gli stava
gridando che in quel momento doveva essere duro con lei. Non era come
le altre volte, non era per scherzo, si rese conto che insegnarle a
vivere come lui era l'unico modo che aveva per proteggerla. "Qualcosa
da dire in contrario, figlia del diavolo?" -
chiese, in tono volutamente duro.
Anche
il viso di Elke si indurì. "No, nulla da dire" –
mormorò, fredda e allo stesso tempo impaurita da quello
strano modo
di fare dello stregone, mettendosi il sacco sulla spalla.
Mattheus
si avvicinò a lei a passo svelto, nervoso. "Non guardarmi a
quel modo, Elke. Non sfidarmi, non ti conviene. A meno che tu non
voglia uscirne con le ossa rotte, fai quel che ti dico senza battere
ciglio. D'accordo?".
L'atmosfera
si fece pesante. Gli gnomi arretrarono, salutarono frettolosamente
Mattheus e sparirono fra la fitta vegetazione. Quando lo stregone
diventava rabbioso e serio, sapevano che era meglio stargli ben
lontani.
Mastro
Ludwig fu l'ultimo ad andarsene. Salutò Mattheus e poi i
nani.
Infine, con un cenno del capo, Elke."Fa quello che ti dice lui,
sempre". E scomparve anch'esso fra i tronchi degli abeti.
"Non
ho altra scelta" – mormorò Elke, sorpassando lo
stregone
senza degnarlo di uno sguardo.
Mattheus
si accodò a lei senza perderla di vista, era stanca e il
sacco da
trasportare era indubbiamente molto pesante per lei. Un pò
gli
dispiaceva, ma non si sarebbe offerto di aiutarla. Per quanto la
vedesse faticare, non avrebbe mosso un dito.
"Mattheus...".
Le
voci di Drago e Falko, accanto a lui, lo fecero sussultare.
Abbassò
lo sguardo e li guardò in viso con aria truce. "Smettetela.
Il
sacco lo porta lei, punto!".
"Ma...".
A
quel punto, fu Elke a intervenire. "Lasciate stare, siete
gentili, ma lo porto io fino a casa. Fosse l'ultima cosa che
faccio..." - disse. Parlava con i nani, ma il suo sguardo era
fisso su Mattheus. Uno sguardo rabbioso, di sfida e allo stesso tempo
confuso.
"Brava.
E allora non perdere tempo a parlare e cammina". Anche lo
sguardo di Mattheus era fermo, irremovibile.
Camminarono,
in silenzio, per tutto il tragitto. Si era fatto buio, l'aria era
pungente e quando arrivarono, Pennes era immersa ormai in una muta
oscurità.
Giunti
davanti a casa Elke fece cadere a terra il sacco. Aveva le guance
rosse, il fiato corto e una ciocca di capelli ribelli le era sfuggita
dalla treccia che si era fatta quella mattina dondolando fra la sua
guancia e la sua fronte. "Eccotela, la tua dannata argilla!"
- sbottò.
Mattheus
si chinò a prendere il sacco. "Non parlarmi con quel tono".
Drago
tossicchiò. "Ehm... Su dai, siamo tutti stanchi. Andiamo a
dormire e non pensiamoci più".
Mattheus
annuì. "Sì Drago, tu e Falko potete andare a
dormire. Elke no,
lei resta quì" – disse, aprendo la porta e
spingendo la
ragazza in casa.
I
nani fecero per replicare, ma lo sguardo di Mattheus non ammetteva
repliche. Diedero un'ultima occhiata alla ragazza e poi corsero su
per le scale, diretti nella loro stanza.
Mattheus
sistemò il sacco in un angolo del salone, poi si sedette ad
una
delle sedie del tavolo in legno che troneggiava al centro della
stanza. "Accendi il fuoco nel camino, fa freddo" –
ordinò
a Elke, rimasta in silenzio vicino alla porta.
"No".
"Cosa
significa 'no', figlia del diavolo?".
"Che
se hai freddo, il fuoco te lo accendi da solo".
"Davvero?".
Con aria di sfida, Mattheus si tolse le scarpe, prese una seconda
sedia e ci appoggiò sopra i piedi, accavallando le gambe.
"Io
non credo proprio... Ti avverto Elke, o accendi quel dannato camino o
io ti terrò qui tutta la notte. Non sono per niente stanco,
non
andare a dormire non sarà un problema per me".
Elke
si morse il labbro. Poi, con un sospiro, si avvicinò al
camino, si
inginocchiò e cominciò a buttarci dentro piccoli
arbusti secchi,
prendendoli dal cesto della legna. Poi, da un cassetto, prese un
acciarino e la pietra focaia, li sfregò fra loro e in un
attimo
apparvero le prime scintille. I rametti secchi presero fuoco e il
camino fu acceso nel giro di brevi istanti.
"Bene,
non ci voleva poi molto, no?" - commentò Mattheus, freddo.
Si
aspettava un'altra rispostaccia, un altro sguardo duro da parte della
ragazza, ma questa volta non successe nulla. Osservò Elke
che, anche
se il fuoco ormai era acceso, non si era mossa di un centimetro dalla
sua posizione e se ne stava seduta davanti al camino con lo sguardo
basso. "Elke?".
La
ragazza non rispose, di nuovo. Alzò la mano e se la
portò al viso,
asciugandosi le lacrime che cadevano copiose sulle sue guance.
Mattheus
spalancò gli occhi, sorpreso. Non si era accorto che stesse
piangendo. "Che cosa fai? Elke?". Per un breve istante
entrò in panico, non era avvezzo ad avere a che fare con le
altre
persone e men che meno con una ragazza che piangeva. Per la prima
volta in vita sua si trovò in impaccio e senza sapere cosa
fare, ma
una cosa era certa, non avrebbe ceduto; anche se vedere Elke piangere
lo metteva in grandissima difficoltà non avrebbe abbassato
la testa.
Per un breve istante si chiese se non avesse esagerato e se non fosse
stato troppo duro con lei, ma le parole di mastro Ludwig continuavano
a ronzargli in testa come api fastidiose
"E'
una ragazza albina e lo sai anche tu Mattheus, le persone albine non
hanno vite né troppo lunghe, né troppo felici, di
solito".
Lo
aveva messo di cattivo umore e capì che non poteva
permettere che
succedesse. Non poteva combattere il destino delle persone, ma poteva
fare in modo che Elke imparasse a cavarsela sempre. "Elke, se ti
aspetti che ora venga lì ad asciugarti le lacrime, ti sbagli
di
grosso. Quindi, per favore, smettila di piangere e vieni qui. Tu ed
io dobbiamo parlare".
"No...".
Mattheus
sospirò. "Elke, ti ho detto...".
La
ragazza singhiozzò, di nuovo. "Non voglio... Tu... Tu ti
prendi
gioco di me e ti diverti a trattarmi male. Credevo fossi diverso ma
invece... sei proprio come tutti gli altri".
Mattheus
scosse la testa. "Elke, ti ho detto di venire qui. Per favore,
non farmelo ripetere".
La
ragazza, in tutta risposta, si accasciò contro la fredda
pietra del
bordo del camino. "Non voglio e non mi importa se ti
disubbidisco e se per questo vorrai cacciarmi via. Tanto a questo
punto tornare dai miei genitori, al mio villaggio, non sarà
tanto
peggio che stare qui".
Mattheus
si morse il labbro, Elke aveva una dannata testa dura e non si
sarebbe mossa da quel camino. Stavolta fu costretto ad ammettere che
doveva essere lui a cedere. Pensieroso si alzò dalla sedia,
salì le
scale e raggiunse la sua camera. Poi, sempre silenziosamente,
ritornò
nel salone, portando fra le mani una pigna di libri, delle pergamene
e una boccettina d'inchiostro. Li appoggiò al tavolo e si
avvicinò
alla ragazza. "Elke, alzati e vieni a sederti quì"
–
disse, indicandole una sedia.
Lei
scosse la testa. "No".
Con
un lungo sospiro, Mattheus si inginocchiò per essere alla
stessa
altezza di Elke e riuscire a guardarla in viso. Era seriamente in
difficoltà in quel momento. Per tutta la sua vita aveva
avuto a che
fare con gente che lo temeva, che faceva quel che lui diceva senza
obbiettare e che non avrebbe mai osato dirgli un no. Così
era
comodo, non c'era confronto, solo muta ubbidienza. Elke era diversa,
non era avvezza al contatto con le altre persone, non seguiva il modo
di fare di tutti gli altri e con lei doveva usare metodi diversi per
farsi ascoltare. "Elke, per favore... alzati da quì e vieni
a
sederti a quel dannato tavolo".
La
ragazza alzò il viso su di lui, lievemente. Piangeva ancora,
silenziosamente. A stento si sentiva il suo respiro...
Indietreggiò,
quasi spaventata dall'averlo tanto vicino. "Se non lo faccio, mi
vorrai picchiare?".
Mattheus
spalancò gli occhi. Quel timore che le leggeva in viso e
quella
domanda, stranamente lo ferirono. "No! No di certo. Ho un gran
brutto carattere ma posso giurarti che non ti sfiorerei nemmeno con
un dito. Te lo giuro...". Si alzò in piedi, arretrando di
alcuni passi per darle il tempo di calmarsi. Era turbato e non si era
mai sentito così, si era sempre creduto infallibile, ma in
quel
momento, per la prima volta in vita sua si sentiva smarrito. "Elke,
ascoltami... Tu sei venuta da me, mi hai chiesto di essere la mia
assistente e di insegnarti quello che so'. Ritieniti fortunata ad
essere qui, perché di norma io dico sempre di no davanti a
questo
genere di richieste. Vuoi essere come me, imparare quel che so io,
giusto? Beh, sto cercando di insegnartelo. Il lavoro che oggi hai
svolto insieme a Falko e Drago, dividendovelo fra voi, è
quello che
io ho fatto da solo per anni; prima che arrivaste voi io mi occupavo
della casa, mi recavo da solo al lago di Valdurna e, sempre da solo e
a piedi, riportavo indietro i secchi pieni d'acqua, andavo sulla
montagna a cercare quello di cui avevo bisogno e certe volte non
riuscivo nemmeno a dormire perché le cose da fare erano
troppe per
potermelo permettere".
A
quelle parole, Elke smise di piangere e Mattheus capì di
avere la
sua attenzione. "Lo vedi anche tu: la mia magia, la maggior
parte delle cose che utilizzo per le mie pozioni e i miei
incantesimi, sono cose naturali che mi regalano la montagna e le
foreste. E' un lavoro continuo, non si finisce mai di avere bisogno
di qualcosa e bisogna faticare, camminare, scarpinare sotto il sole e
la neve per ottenere quel che si desidera. Tu vuoi essere come me e
questa è la mia vita ed è fondamentale che tu lo
capisca, se vuoi
davvero raggiungere il tuo scopo. Cosa credevi? Che essere uno
stregone consistesse nell'indossare un cappello a punta, usare una
bacchetta magica e che tutto arrivasse così, per magia,
senza fare
fatica? Non è così Elke, purtroppo...".
La
ragazza piegò le ginocchia e vi affondò il viso.
"Non ci avevo
pensato".
"Non
importa. Capisco come ti senti adesso ed è normale, non ci
sei
abituata e sei stanca". Mattheus allungò una mano verso di
lei.
"Su dai, alzati adesso. E per favore, vieni a sederti a questo
dannato tavolo".
Elke
allungò una mano e Mattheus la strinse nella sua. La
aiutò a
rialzarsi e gentilmente le fece strada fino alla sedia. "Su,
siediti ora. E prendi in mano quella penna" – le
intimò
gentilmente, indicandole quanto aveva riposto sul tavolo.
Elke
si strofinò gli occhi arrossati. "Non so' scrivere, te l'ho
detto".
"Ma
puoi sempre imparare".
La
ragazza scosse la testa. "Non voglio. Sei già insopportabile
nelle normali faccende quotidiane, non credo che riuscirei a
sopportarti anche come maestro".
Mattheus
ridacchiò. Dopo tutto, era dotata di un interessante e
divertente
sarcasmo. "Hai ragione, sarei un insegnante molto severo. Ma se
mi ascolti, se saprai farti guidare da me, ti giuro che
cercherò di
essere quanto meno sopportabile. E’ importante che tu impari
a
leggere e a scrivere". Si avvicinò ai libri che aveva
appoggiato sul tavolo, sfiorandoli con la mano. "Tu sai molte
cose Elke, conosci le erbe curative, sai ad esempio che l'anice cura
il mal di pancia e che i fiori di camomilla aiutano a prendere sonno.
Ma dimmi, sai perché queste piante e tutte le altre che
conosci,
hanno questi effetti?".
"No".
"I
libri possono insegnartelo. Ti possono insegnare questo e un sacco di
altre cose: la storia, la geografia, la morfologia delle montagne,
il perché di tutto quel che ti circonda. Se vuoi essere come
me
dovrai sapere tutto quello che dicono questi libri. E mille altri
ancora. Non si impara mai abbastanza, inoltre, leggere è
davvero
bello, sviluppa la fantasia e fa sognare. Vuoi imparare a leggere e a
scrivere? Vuoi almeno provarci?".
Elke
scosse la testa. "Mio padre diceva che era inutile che le donne
sapessero leggere. Che abbiamo il cervello troppo piccolo per
imparare e che l'unica cosa che dobbiamo saper fare è badare
alla
casa".
Mattheus
sbuffò. "Ogni volta che mi parli di tuo padre, la mia stima
verso di lui precipita sempre più". Le andò
vicino,
prendendole la mano destra fra la sua mano. "Ti dimostro che
puoi farlo, che puoi scrivere" – mormorò,
mettendole fra le
dita la penna.
"Non
so nemmeno da che parte iniziare. Non mi va...".
Mattheus
sorrise. Non si sarebbe fatto scoraggiare, non avrebbe ceduto. Era
importante per Elke. Sapeva che era stanca, provata dalla dura
giornata e dal pianto che aveva appena fatto, ma sarebbe arrivato
fino in fondo. Prese una pergamena, la mise davanti alla ragazza e
poi guidò la sua mano destra fino alla boccettina
d'inchiostro,
costringendola ad immergervi la penna. La sua mano strinse quella di
Elke, le loro dita si intrecciarono e piano, segno dopo segno,
lettera dopo lettera, la guidò a scrivere una parola.
"Cos'è?"
- gli chiese la ragazza quando ebbero finito, fissando quei segni
senza alcun significato ai suoi occhi, che avevano appena tracciato
sul foglio.
"E'
il tuo nome, si scrive così. Sei anche fortunata,
è corto".
Elke
spalancò gli occhi. "Cosa?". Guardò il foglio,
sorpresa,
quasi senza fiato. Quei segni, quelle linee... Le sue dita, esili e
lunghe, sfiorarono il foglio. "Questa sono io?" - chiese,
incredula.
Mattheus
sorrise. "No, questo è solo il modo in cui si scrive il tuo
nome. Tu sei molto altro, molto più di questo".
Elke
tornò a fissare il foglio, a bocca aperta. "Ho scritto il
mio
nome" – esclamò eccitata, ormai dimentica delle
lacrime e
della tristezza di poco prima.
Mattheus
scosse la testa. "No, non l'hai scritto, sono io che ho guidato
la tua mano. Ma se vorrai imparare, io ti insegnerò il
significato
di ogni singolo segno, di ogni lettera che abbiamo tracciato e presto
potrai farlo davvero da sola. Senza il mio aiuto! E leggere ti
verrà
naturale, sarà un gioco da ragazzi! Ti fidi di me?".
"Sì".
"Vuoi
imparare?".
"Sì".
Mattheus
lasciò la sua mano. "Bene, allora te lo
insegnerò, da domani.
Ora vai a letto, è tardi e sei stanca, giusto?".
Elke
sorrise. "Si, un pò". Si alzò dalla sedia e a
piccoli
passi si avvicinò a lui, abbracciandolo ed affondando il
viso nel
suo collo. "Grazie Mattheus".
Lo
stregone, per la seconda volta nella giornata, si trovò in
difficoltà. Così come non era capace di
rapportarsi con una ragazza
che piangeva, non era nemmeno avvezzo a gestire atti di affetto
rivolti alla sua persona. Era sempre stato cinico e distaccato da
tutto e tutti. Con Elke era tutto diverso: lei era pura, sincera,
spontanea in ogni cosa che faceva. Quando incoccava l'arco aveva in
se la natura selvaggia delle montagne, dei boschi, dei freddi inverni
e delle tormente di neve, ma i suoi occhi erano puri e trasparenti
come i ruscelli d'alta montagna ed ingenui e dolci come quelli di un
cerbiatto appena nato. Gli esseri umani con le loro stupide leggi non
l'avevano scalfita, contaminata, rovinata, ed era riuscita a crescere
libera dai condizionamenti sociali e dalle cattiverie della gente che
la circondava. Elke era quanto di più bello avessero creato
quelle
montagne in cui vivevano e racchiudeva in se tutto quello che lui
amava delle Dolomiti. Aveva il calore del sole che splende sulle
cime, capelli che gli ricordavano il candore della neve, sulla pelle
il profumo degli abeti e dei fiori che ricoprivano interamente quelle
montagne. Quasi d'istinto rispose al suo abbraccio, stringendola a
se, giurando a se stesso che non avrebbe mai permesso che le
succedesse niente di male. "Vai a dormire, è tardi"
–
mormorò, fra suoi capelli, rendendosi conto che abbracciare
qualcuno era infinitamente piacevole.
"Va
bene".
"E..."
Mattheus ridacchiò. "Non ti illudere che sarò un
maestro
tenero. Sarò severo ma non pretenderò mai da te
nulla che tu non
sia in grado di fare. In ogni cosa Elke, lo giuro! Non ti
chiederò
mai niente che non sia nelle tue possibilità. E ora, detto
questo,
ti devo chiedere un favore".
"Quale?".
Mattheus
sospirò. "In futuro evita di piangere se non è
strettamente
necessario. Mi metti... ehm... in difficoltà. Non farlo
più, per
favore".
Elke
sorrise, di nuovo. "Va bene. Non piangerò mai più
Mattheus".
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Capitolo 8 *** Capitolo sette ***
Capitolo
sette
"Drago,
quando ti ho
chiesto di lavare i pavimenti delle camere, non intendevo che dovevi
allagarli, le scale si sono trasformate in un fiume in piena, nel
caso non te ne fossi accorto. Falko, quando ti ho chiesto di
accendere il fuoco nel camino, intendevo che il fuoco doveva rimanere
DENTRO al camino, invece hai rischiato di incendiare tutta la mia
baita e ci hai intossicati tutti col fumo. Elke, quando ti ho chiesto
di prendere un po' di basilico dai vasi, intendevo due o tre
foglioline, non volevo che tu sradicassi tutta la pianta, radici
comprese". Mattheus si portò la mano destra alle tempie,
prendendo a massaggiarle. "Grazie a voi, ho un mal di testa
atroce e il pesante sospetto che prima o poi mi raderete al suolo la
casa. Mi farete impazzire, me lo sento".
"Ci spiace,
Mattheus"
– risposero in coro i tre accusati, a sguardo basso.
"Si si
certo,
immagino...". Lo stregone scosse la
testa e
prese il suo cappello, avviandosi verso la porta. "Io
esco, oggi starò via tutto il giorno. Grazie al cielo, per
molte
ore, non vi avrò attorno. Mi raccomando, non fate NIENTE in
mia
assenza. State fermi, non toccate, non prendete iniziative e non
disintegratemi la casa. Mettetevi a letto, riposatevi, dormite e
soprattutto, state fermi!".
"Ma dove
vai?" -
chiese Elke, incuriosita. La ragazza osservò fuori dalla
finestra.
Il cielo era grigio, l'aria si era fatta fredda e le cime delle
montagne erano imbiancate dalla prima neve di stagione. E se tanto le
dava tanto, il vento le indicava che presto anche Pennes sarebbe
stata imbiancata. "C'è un tempo pessimo, ti converrebbe non
uscire oggi".
"Ho da
fare, ve l'ho già
detto che oggi non posso stare a casa".
Elke e i
nani si guardarono in
viso, accigliati. Era dalla sera prima che era strano, diceva mezze
frasi e rimaneva vago su quel che avrebbe fatto durante la giornata
successiva. Di solito li coinvolgeva in tutto quel che faceva,
usandoli per svolgere i lavori al suo posto, ma stavolta no, stavolta
aveva detto chiaro e tondo che sarebbe uscito da solo.
"Portaci
con te, possiamo
darti una mano e farai prima!" - propose Elke. In realtà era
incuriosita da quel modo di fare misterioso che teneva Mattheus,
più
che vogliosa di lavorare.
Lo stregone
sbuffò, mettendosi in testa il suo cappello e sulle spalle
il
pesante mantello di lana che indossava ormai da alcuni giorni quando
usciva. "Per carità! Un giorno lontano da voi
tre, un
giorno di pace senza che voi mi diate il tormento, un giorno da solo!
E' tanto che aspetto questo momento e no, non verrete con me. A patto
che non rompiate niente in mia assenza, oggi potrete fare quel che
vorrete. Sarà la vostra giornata di riposo, ecco. E anche la
mia...". E detto questo, aprì l'uscio e uscì,
lasciando soli i
suoi tre ospiti.
"Comportamento
strano,
molto sospetto. Secondo me ci nasconde qualcosa" –
borbottò
Falko.
Elke si
appoggiò al muro, incrociando le braccia pensierosa.
"Si,
molto sospetto. E' strano che non voglia farci lavorare al suo
posto".
Drago
improvvisamente spalancò gli occhi, come se fosse stato
colto da
un'improvvisa folgorazione. "Ho capito! Ha un appuntamento
romantico con una donna! Per questo non ci vuole fra i piedi!".
Elke
e Falko lo guardarono per un secondo a bocca aperta. E poi gli
scoppiarono a ridere in faccia. "Mattheus innamorato? Ahahah,
Drago, tu devi essere impazzito. E' assurdo, ridicolo".
Drago
in un primo momento si imbronciò davanti a quella reazione,
poi però
scoppiò a ridere come il fratello e la ragazza albina. "Si,
forse avete ragione. Figuriamoci se quello può innamorarsi.
E
soprattutto... è matematicamente impossibile che una donna
si possa
innamorare di lui. Le spaventa tutte e le fa scappare, anche quelle
belle e giovani".
"Già".
Elke ci pensò su un po'.
Era curiosa, dannatamente curiosa di vedere quel che doveva fare
Mattheus. "Sentite, ho un'idea! Seguiamolo di nascosto, senza
farci vedere. Tanto non abbiamo niente da fare oggi".
Drago
impallidì. "Sei matta? Se ci scopre, ci torturerà
a vita".
Elke
sorrise. "Non ci scoprirà. E poi ci ha detto di non toccare
nulla in casa e di uscire, se ne abbiamo voglia, non mi sembra di
ricordare che ci abbia vietato di fare la sua stessa strada... Non
preoccupatevi, se dovesse scoprirci e arrabbiarsi, mi
prenderò io la
colpa".
I
due nani sembravano ancora scettici, ma Elke non diede loro modo di
obiettare ulteriormente: li spinse fuori casa e chiuse la porta
dietro di se, con fare deciso. "Niente ma, in fondo siete
curiosi anche voi, giusto?".
"Beh
si, però...".
"Niente
tentennamenti, dai! Sarà divertente". Elke sorrise,
accarezzando loro la testa e facendo cenno di incamminarsi.
I nani
sbuffarono e, non
potendo fare altrimenti, la seguirono.
Percorsero
il villaggio frettolosamente, mentre i pochi abitanti di Pennes che
sostavano nelle strade li guardavano con sospetto. Elke non ci fece
caso, ci era abituata, ma i nani sembravano a disagio ad aggirarsi
per il paese senza Mattheus.
La
ragazza se ne accorse, accelerò il passo e in breve, senza
che
nessuno rivolgesse loro parola, superarono la piazza del paese e dopo
aver sorpassato le ultime baite si diressero verso il sentiero che
dal villaggio si inerpicava per il bosco e poi più su, verso
le cime
dei monti. Mattheus non poteva che aver percorso quella strada,
l'unica che portasse dal paese all'alta val Sarentino.
A
un certo punto, Elke dovette rallentare il passo. I nani ce la
mettevano tutta ma le loro gambette corte gli impedivano di essere
veloci come lei. Osservò le cime dei monti innevate e il
vento
freddo che, dalla vetta, scendeva giù a valle, sferzandole
il viso.
Rabbrividì. Faceva freddo e si accorse che non era
più abituata
come una volta al gelo degli inverni di montagna. Vivere in una vera
casa, con un camino sempre acceso, le aveva fatto scordare in fretta
com'era vivere fra i boschi e i monti in condizioni avverse. Sorrise.
In fondo quella scampagnata le avrebbe fatto bene; le mancavano le
camminate solitarie, il profumo dell'erba e del muschio, il
meraviglioso cielo stellato che si poteva ammirare dai pascoli d'alta
montagna, il contatto con la natura e gli animali.
"Che
strada facciamo? Sei proprio sicura che Mattheus sia andato da questa
parte?" - chiese Falko, guardandosi attorno guardingo.
"Non
proprio sicura, ma questa è la strada che facciamo sempre
con lui,
quando ci porta da qualche parte. Dai, tentiamo. Al massimo, se fra
un po’ non lo troviamo, torniamo indietro, anche
perché temo che
nevicherà prima di sera".
"E
se ci attaccassero i lupi? Ti ricordo che senza Mattheus, siamo
disarmati. Lui, con quella sua dannata acqua, può fare
qualunque
cosa" – insistette Falko.
Elke
sospirò. "Ho con me il mio arco, nel caso ce ne fosse
bisogno
vi difenderò io. E comunque, i lupi non attaccano se li si
rispetta
e li si lascia stare. Vanno per la loro strada. Ne ho visti un sacco
nel corso della mia vita, anche da bambina, e non mi hanno mai fatto
del male".
Drago
e Falko si guardarono in viso, scettici. "Sarà...". In
silenzio si incamminarono alle spalle di Elke, salendo la montagna.
Il
bosco era fitto, gli aghi di pino sembravano spilli congelati e il
terreno era duro e scricchiolava al loro passaggio.
Elke
si guardò attorno, gettando di tanto in tanto uno sguardo
davanti a
se nel tentativo di scorgere Mattheus, ma non lo vide, non
riuscì né
a sentire i suoi passi né a scorgere la sua ombra. Tutto era
muto e
silenzioso nel bosco, ogni animale dormiva e le uniche presenze
sembravano essere lei e i due nani. Quando cominciò a
dubitare di
quella scelta, a credere di essersi sbagliata e di aver commesso un
errore a portare i nani in montagna con quel tempo avverso, intravide
una lucina conosciuta davanti a se. "Jutta..." - sussurrò,
rinfrancata dal vedere la fatina volare nella loro direzione.
"Ciao
Elke, ciao ragazzi!" - esclamò la
fata,
sorpresa di vederli da quelle parti. "Che ci fate quì, con
questo tempo, voi tre?".
La
ragazza albina arrossì, Era imbarazzante dare l'impressione
di
essere un'impicciona. "Beh, seguiamo Mattheus,o almeno, ci
stiamo provando.
Stamattina faceva tutto il misterioso ed è uscito di casa
senza
dirci dove andava e dicendo che non ci voleva attorno".
"Mh...".
Jutta volò sulla testa di Elke, per poi posarsi sulla sua
spalla.
"Capisco. Se sa che lo state seguendo di nascosto, si
arrabbierà. Lo sai, vero?".
"E'
quello che penso anch'io" – borbottò Drago
– "Ma Elke
non ha voluto darci retta".
Jutta
si fece pensierosa. Poi, dopo qualche istante di meditazione,
sorrise. "Ora capisco perché giravate per i boschi da soli
senza
di
lui. Era un pò che vi tenevo d'occhio".
Elke
spalancò gli occhi. "Davvero? Non ce ne siamo accorti".
La
fatina ridacchiò. "Noi fate siamo brave a nasconderci, ma
osserviamo sempre tutto e tutti. Ci facciamo vedere solo quando e da
chi vogliamo. Chissà quante volte sei stata vicina a una
fata senza
saperlo, ".
"Può
darsi". Elke sbuffò, osservando il fitto bosco che li
circondava. "Quindi, se sei con noi, suppongo che nemmeno tu
sappia dov'è andato Mattheus".
Jutta
sbatté le ali, volando sulle teste di Elke e dei nani. Poi
si posò
sul ramo di un abete. "Beh sì, credo di saperlo, ma non lo
troverete mai seguendo il sentiero principale".
Elke
fece un sorriso birichino. "Puoi metterci sulle sue tracce
allora?".
Jutta
annuì. "Sì. In fondo credo sia un bene che
vediate quel che
deve fare oggi, vi servirà per conoscerlo un po’
meglio".
I
due nani si guardarono in viso, non molto entusiasti dell'aiuto di
Jutta. Sembravano terrorizzati da quel che avrebbe potuto far loro
Mattheus, qualora li avesse scoperti. "Conoscerlo meglio? Ah
guarda, noi due abbiamo già un quadro preciso del suo
caratteraccio".
Jutta
scosse la testa. "Sbagliato! Voi Mattheus non lo conoscete per
niente. Anche se sì, devo ammettere che ha un carattere
davvero
difficile. Ora basta parlare, seguitemi" – ordinò,
volando
lontano dal sentiero principale per addentrarsi nell'intrico di
piante e muschio del bosco.
Elke
la seguì tranquillamente, a differenza di Falko e Drago. Era
incuriosita non solo da quello che aveva da fare quel giorno
Mattheus, ma anche di saperne di più su quello strano
stregone che
aveva aperto loro le porte di casa sua. "Jutta, tu Mattheus lo
conosci da tanto, vero?".
La
fatina annuì. "Oh, sì da tanto. La prima volta
che l'ho visto
era un ragazzino, aveva forse quattordici, quindici anni al massimo.
Aveva i capelli più lunghi di adesso, gli arrivavano alle
scapole e
li teneva legati in una coda di cavallo. E aveva la lingua lunga e la
risposta sempre pronta, credeva già di sapere tutto dalla
vita".
"Beh,
non è mica cambiato troppo da allora" –
borbottò Drago.
Jutta
sorrise.
"All'apparenza
no. Mattheus è cinico, brontolone, sarcastico e con un
carattere da
vero orso. A volte andrebbe preso a testate per quel suo modo di fare
da somaro! La verità però è che lui
molto di rado permette alle
persone di conoscerlo davvero. Sotto quella scorza esteriore da lupo
ringhioso, c'è una persona ben diversa da come la conoscete
voi, è
un lato di se
che
mostra solo alle persone di cui si fida e che ama davvero. Mattheus
è
intelligente ed anche sensibile, anche se è difficile da
credere, e
voi dovete ritenervi fortunati ad averlo incontrato. Sappiate che
difficilmente permette a qualcuno di avvicinarsi a lui, alla sua casa
e alla sua vita e che per voi è un onore vivergli accanto ed
averlo
come maestro di vita. Ascoltatelo e lui farà di voi tre,
persone
migliori".
"Si
ma... allora perché fa così? Perché fa
scappare tutti? Potrebbe
essere la persona più amata e venerata di tutta la valle,
con quel
che sa fare". Se quello che Jutta diceva corrispondeva al vero,
il comportamento di Mattheus risultava ancora più
incomprensibile
per Elke.
Jutta
si fece pensierosa. "Lui non vuole legami. Avere amici o provare
amore per qualcuno lo renderebbe vulnerabile e attaccabile. Affetto e
amore possono rendere felici, ma possono anche far soffrire molto.
Stando solo, evita tutto questo. E mantiene la sua forza".
"Io
credo che sia sbagliato fare così" –
mormorò Elke.
Jutta
le volò sulla testa, sedendosi sui suoi capelli. "Lo penso
anch'io ed è per questo che spesso lo maltratto e gli tiro i
capelli. Quando imparerà ad essere più bravo,
smetterò".
"Beh,
forse fa così perché ha avuto una vita difficile
in passato" –
azzardò Falko, mettendosi le mani in tasca per ripararsi dal
freddo.
Man mano che avanzavano nel bosco, il gelo aumentava.
"Mattheus
non parla mai del suo passato, in effetti. Sicuramente sarà
stato
doloroso come dice Falko" – azzardò Elke.
Jutta
scosse la testa. "No, vi sbagliate. Mattheus non ha avuto una
brutta vita. La vostra, di voi tre, è stata sofferta nei
primi anni,
ma non la sua! Mattheus ha avuto accanto una famiglia che lo adorava
e che per lui faceva di tutto. Non erano ricchi ma nemmeno poveri e a
casa sua non sono mai mancati né cibo né bei
vestiti caldi.
Mattheus è figlio unico ed è nato dopo molti anni
di matrimonio,
quando i suoi genitori erano avanti con gli anni ed erano ormai
convinti di non potere avere figli. Lo hanno atteso, desiderato ed
amato dal primo istante in cui lui è entrato nelle loro
vite".
"Allora,
è proprio un comportamento incomprensibile il suo"
– concluse
Elke. Però c'era una cosa che non le tornava... "Scusa
Jutta,
ma se a casa sua stava tanto bene, perché è
venuto quì a Pennes?
Lui non è nativo della Val Sarentino, da quel che si dice in
giro".
"No
infatti! Mattheus è nato a Ratschings, in Val Ridanna".
"E
perché si è stabilito quì? Che ne
è stato della sua famiglia?".
L'espressione
di Jutta si incupì, a quelle domande. "Elke, credo che
queste,
se mai lui lo vorrà, siano cose che tu devi chiedere a
Mattheus. Non
è giusto che te le dica io, sono faccende private per lui,
di cui
non parla volentieri".
Elke
non rispose, restando a fissare in silenzio la fatina. Jutta
conosceva bene Mattheus, in ogni suo piccolo o grande segreto, sapeva
cosa dire e cosa tener celato di lui, come solo una buona amica sa
fare. La rispettava per questo e non le avrebbe fatto altre domande.
"D'accordo, non ti chiederemo più niente. In fondo si
può
capire anche dai silenzi qualcosa delle persone".
"Hai
detto una grande verità, Elke. Cos'hai capito che io non ti
ho
detto?".
Elke
prese la fatina fra le mani, stringendola delicatamente. "Che
non è proprio tutto così lineare, giusto? Che non
c'è solo la sua
infanzia serena ma c'è dell'altro. Non so cosa e non te lo
chiederò,ma sono abbastanza certa che Mattheus sia venuto a
vivere
qui a causa del lago di Valdurna e che, legato a quel lago,
c'è
qualcosa di meno felice della sua infanzia".
Jutta
la guardò negli occhi. "Sei intelligente Elke, molto
deduttiva
e molto sensibile. Credo di capire perché Mattheus ti ha
tenuta con se. Ascoltalo sempre, non farti scoraggiare dal suo
carattere, tieni duro. Sarai ricompensata... Lui è molto
migliore di
quel che vuol sembrare, posso giurartelo. Se ti fiderai di lui, se
saprai anche volergli bene, lui forse ne vorrà a te e un
giorno ti
racconterà quel pezzo della sua storia che ti manca".
Elke
sbuffò. "Suppongo di dover ampliare di molto la mia dose di
pazienza, giusto?".
Jutta
scoppiò a ridere. "Oh si, stanne certa".
Camminarono
ancora a lungo, sul terreno sconnesso e ghiacciato. La montagna in
inverno poteva essere tanto incantevole quanto ingannevole e
impietosa: bastava un passo falso e rischiavi di scivolare
giù senza
che nessuno potesse far nulla per aiutarti.
Nell'aria,
come per incanto, comparvero piccoli fiocchi di neve. I nani
cominciarono a borbottare, ma per Elke non era una sensazione
spiacevole, quella. La prima neve della stagione, sul viso, la faceva
sentire viva e felice, e le dava la sensazione di vivere in un posto
incantato che emanava magia anche in inverno, col freddo. "Mi
piace..." - sussurrò al vento.
Jutta
sorrise, sedendosi sulla sua spalla ed accarezzandogli una guancia.
"Sei proprio una creatura delle Dolomiti, tu. Come Mattheus".
Elke
guardò il bosco, il muschio, gli abeti su cui la neve stava
formando
piccoli coriandoli gelati. "Grazie. Lo sai, io credo di essere
nata nel più bel posto che esista al mondo".
"Hai
ragione" – mormorò Jutta, dandole un piccolo bacio
sulla
guancia. "Ma ora basta parlare. Dobbiamo fare silenzio o
Mattheus ci scoprirà. Siamo arrivati". Con la piccola manina
indicò l'imbocco di una grotta nascosta fra le rocce e la
vegetazione, a cui si arrivava solo dopo aver oltrepassato un intrico
di sterpaglie, foglie e rami spezzati.
Elke
e i nani si guardarono in viso, accigliati. Se Jutta non li avesse
condotti fin lì, difficilmente avrebbero notato e trovato un
luogo
tanto angusto e tanto lontano dal sentiero principale.
"Ma
che ci fa Mattheus, in un posto simile?" - chiese sotto voce
Drago, stringendosi le braccia al corpo per ripararsi dal freddo
pungente.
Jutta
sorrise dolcemente. "Ora lo vedrete. Ma mi raccomando...".
"Shhh,
silenzio" – concluse per lei Elke, ridacchiando.
I
tre seguirono la fatina raggiungendo l'imbocco della grotta. Era
scuro la dentro, silenzioso e tenebroso, tanto che Elke
e i nani rabbrividirono, mentre Jutta, assolutamente tranquilla,
volava davanti a loro per fare strada. Camminarono per diversi minuti
nei sotterranei della grotta: un dedalo di cunicoli insidiosi e
scivolosi, stretti,
guidati solo dalla luce delle ali della piccola fata,
finché, in
fondo all'ennesimo cunicolo, scorsero un bagliore lontano, flebile,
quasi impercettibile.
"Siamo
arrivati, quella luce dev'essere la lanterna di Mattheus" –
sussurrò piano Jutta. "Seguitemi e nascondiamoci dietro quei
massi che vedete la in fondo. Da lì vedrete ".
Zitti
e quatti, i quattro scivolarono fra le rocce senza fare il minimo
rumore; e poi si nascosero dietro ai massi indicati dalla fata. Elke
e i nani sbirciarono verso la luce, Si trovavano all'imbocco di un
piccolo antro sotterraneo dalla forma cilindrica, largo circa tre
metri dove in un angolo, inginocchiato a terra ed illuminato dalla
sua lanterna, c'era Mattheus.
"Ma
che fa?" - sussurrò Falko, cercando di vedere cosa c'era a
fianco dello stregone.
Jutta
sorrise. "Guardate attentamente...". La fatina, con
l'indice, indicò un grosso animale che, nella penombra, era
steso
accanto a Mattheus.
Era
enorme, dal corpo snello e dal manto candido, ma nonostante la sua
stazza, se Jutta non gliel'avesse mostrato, in
quell'oscurità non lo
avrebbero mai notato. "E' un puledro?" - chiese Elke,
notando la folta criniera, il collo, le zampe lunghe
ed affusolate e la coda, sinuosa e leggera come poteva essere solo
quella di un cavallo.
"No,
è un unicorno. Anzi, una femmina di unicorno. E sta per
avere un
piccolo. Guardate, sulla testa c'è il suo corno d'oro"
–
spiegò Jutta.
Elke
e i nani spalancarono gli occhi, dopo fate e gnomi avevano scoperto
che erano realtà anche gli unicorni e Mattheus conosceva
pure loro!
Ed erano quanto di più maestoso avessero mai visto.
La
ragazza albina osservò meglio l'animale, per quanto glielo
permettesse la visuale ridotta. Era meraviglioso, sinuoso, elegante e
di una bellezza assoluta. Anche solo 'osservarlo nella penombra
toglieva il fiato. "Ma Jutta, Mattheus... cosa fa?".
"L'aiuta
a far nascere il piccolo. Oggi era il giorno previsto per il parto e
Mattheus sapeva di dover venire qui ad aiutarla".
Drago
sbuffò. "E chiederà due monete di rame anche a
mamma-unicorno,
per il suo lavoro?".
A
quella domanda, Jutta quasi scoppiò a ridere. "No,
stupidotto!
Mattheus ha sempre aiutato tutte le creature della foresta e della
montagna gratis, a noi non chiede nulla in cambio. Per tutti noi,
Mattheus è un amico sincero e per questo ci fidiamo di lui e
non
abbiamo timore a farci vedere. Ve l'ho detto, il modo in cui si pone
con la gente e il modo in cui lui è davvero, sono cose
diverse.
Dovete conoscerlo, prima di giudicarlo".
Elke
si appoggiò alla roccia, senza riuscire a smettere di
fissare lo
stregone: era talmente assorto da non essersi accorto di loro e delle
loro chiacchiere e stava semplicemente lì, seduto, ad
accarezzare
quello splendido animale che stava per dare alla luce una nuova vita.
Il suo tocco sul pelo dell'unicorno le pareva leggero e gentile e non
se ne stupiva: in varie occasioni Mattheus le aveva dimostrato quanto
fossero delicate e calde le sue mani e ricordava quanto le era parso
strano all'inizio se raffrontato al suo modo di fare tanto arrogante
e saccente. Ora non se
ne stupiva più, ora capiva cosa intendesse Jutta quando
diceva che
Mattheus era una persona ancora tutta da scoprire per loro. Capiva
anche il motivo per cui quella mattina lo stregone non li avesse
voluti fra i piedi: per la tranquillità di mamma unicorno, e
soprattutto perché non voleva nessuno accanto a lui in quel
frangente: non voleva che nessuno potesse vedere chi lui era
veramente. Voleva che la gente pensasse male di lui e che lo
allontanasse a causa del suo caratteraccio e per questo se ne stava
in disparte quando non gli era possibile fare lo scorbutico, come
accadeva la maggior parte del tempo.
Improvvisamente
mamma unicorno nitrì di dolore; Mattheus le
accarezzò il collo ed
il muso tentando di tranquillizzarla, sussurrandole all'orecchio
parole che loro non potevano sentire.
"Sta
nascendo, sta nascendo, evviva!" - bisbigliò Jutta.
Elke
si avvicinò ai nani, cingendoli con le braccia e
stringendoli a se.
Il miracolo della vita... da bambina le era capitato spesso di vedere
lupe o altri animali partorire ed ogni volta era rimasta incantata,
il cuore le batteva a mille quando vedeva lo spettacolo di una vita
che nasce, di un cucciolo che emette il primo vagito e di una madre
che lo stringe a se per proteggerlo e rassicurarlo. "Coraggio
piccola..." - sussurrò, abbracciando Falko e Drago. Le
tornò
in mente Maike, la sua piccola amica lupa, l'unico affetto sincero
che avesse mai avuto a Tires. L'aveva vista la prima volta da
bambina, quando aveva circa cinque anni e vagava nel bosco da sola
alla ricerca di qualche cosa di interessante da fare. Ricordava
l'aria calda di quella giornata estiva, il cinguettare degli uccelli
fra gli alberi, i rami carichi di frutta e gli occhi color ghiaccio
di quella lupa comparsa dal folto della foresta quasi per magia,
intralciandole la strada. Se fosse stata più grande e
consapevole
forse ne avrebbe avuto paura, ma era ancora piccola ed ogni animale
che incontrava risvegliava in lei semplicemente curiosità e
fascino.
Erano rimaste a guardarsi negli occhi per lunghi minuti, studiandosi,
senza che nessuna delle due facesse un passo in direzione dell'altro.
Ricordava quanto fosse rimasta colpita dalla sua eleganza, dal suo
sguardo serio ed indagatore, dai suoi movimenti lentissimi ed
aggraziati, dal suo pelo lungo, grigio e bianco e ricordava di essere
rimasta immobile, di aver capito che doveva lasciar fare alla lupa
rispettando i suoi tempi Il bosco, la montagna e persino quel
sentiero, appartenevo a quell'animale più che a lei. La lupa
non
aveva ringhiato allora, né mai lo fece in futuro.
Semplicemente, a
un certo punto decise che lei non era un pericolo e si
avvicinò,
strofinandole il muso fra le mani per un attimo prima di sparire di
nuovo nel folto della foresta. Da quel giorno ogni tanto le compariva
all'improvviso alle spalle, la annusava, a volte si fermava a giocare
con lei rotolandosi nei prati, in altre le stava seduta vicina per un
po’, per farle compagnia. Quando infine decideva che era ora
di
andarsene si alzava, le dava una leccatina sulla guancia e spariva
nel bosco. Il loro era sempre stato un rapporto rispettoso, Elke non
si era mai imposta a lei e aveva sempre lasciato che fosse la lupa a
cercarla quando ne aveva voglia. Le aveva dato il nome Maike e
così
l'aveva sempre chiamata. Con Maike era cresciuta, imparando a
capirla, a conoscerla, e quando la lupa aveva avuto le sue
cucciolate, le aveva permesso di avvicinarsi tanto da poter
accarezzare i suoi piccoli. Li ricordava perfettamente quei minuscoli
batuffoli di pelo bianco e grigio, uno ad uno, ricordava lo sguardo
di Maike quando li allattava e li stringeva a se e la sua fermezza e
dolcezza mentre li preparava ad affrontare la vita.
Era
stato un onore conoscerla Maike ed esserne diventata amica ed era
sicura che tanto di quella lupa fosse rimasto in lei, crescendo. Si
erano donate a vicenda, avevano saputo insegnarsi l'una con l'altra.
Erano
stati anni belli quelli, fatti di silenzi, di sguardi e di piccoli e
delicati gesti fra loro, di corse prima e di lente camminate dopo,
quando la lupa era diventata anziana. Non l'aveva morsa, graffiata e
mai si era dimostrata aggressiva nei suoi confronti. E fu
così
sempre, per tutta la vita di Maike, fino al giorno in cui le disse
addio, morendo.
"E'
nato!".
La
voce di Drago la riportò alla realtà,
allontanandola da Maike e da
tutti i ricordi a lei legati. Elke si sporse e lo vide...
Il
piccolo, dolce unicorno era accoccolato vicino alla madre che lo
leccava lentamente e delicatamente. Era nato così, in un
soffio,
silenzioso e discreto come tutti gli esseri magici viventi sulle
Dolomiti. Era piccolo, indifeso e forse spaventato da quel mondo
nuovo in cui era capitato. Ma era bellissimo, come tutti i cuccioli.
Mattheus
gli sfiorò per qualche istante la testolina su cui spuntava
un
piccolo abbozzo di quello che sarebbe stato il suo corno d'oro, poi
si allontanò per permettere alla madre di conoscerlo e di
stare da
sola per un attimo con suo figlio.
"Mi
son quasi commosso" – singhiozzò Falko.
Jutta,
con le lacrime agli occhi, annuì. "Pure io. Ci casco sempre,
accidenti!".
"Se
vuoi, un buon motivo per frignare te lo posso dare io e subito.
Jutta!".
La
voce di Mattheus li raggiunse come una folata di vento gelido. I
capelli di Falko e Drago si rizzarono, Elke deglutì e Jutta
volò
indietro di qualche metro. "Oh oh, ci ha scoperti".
"E
ora ci ammazza" – concluse Drago.
Lo
stregone si avvicinò ai quattro. "Scoperti? Ah, me ne sono
accorto subito del vostro arrivo, senza far fatica visto che non
state zitti nemmeno ad ammazzarvi. Se volete fare le cose di nascosto
in futuro ricordatevi di farle in silenzio".
"Da
quanto sai che siamo quì?" - chiese Elke, titubante.
"Da
subito,. Ho fatto finta di non sentirvi perché ero occupato
in
qualcosa di più importante, ma ora...".
Jutta
volò davanti al viso dello stregone, scoccandogli un bacino
sulla
guancia. "E dai, non fare l'orso! Non abbiamo mica fatto niente
di male".
Mattheus
la fulminò con lo sguardo, mentre con il braccio si
strofinava la
guancia dove la fatina l'aveva baciato. "Non farlo mai più!".
Jutta
alzò le spalle. "Quante storie per un bacetto".
"Questa
me la paghi" – borbottò Mattheus, gelido.
Con
un sospiro, Elke decise di intervenire per riportare la pace fra i
due. "Dai Mattheus, non prendertela con Jutta. Sono stata io ad
insistere per seguirti, anche con Falko e Drago. Loro non volevano
venire".
"Si
certo, nobile tentativo il tuo". Mattheus camminò avanti e
indietro, fulminando i suoi tre aiutanti con lo sguardo.
"Precisamente, cosa non vi è chiaro quando vi dico di non
seguirmi?".
Elke
guardò prima Drago e poi Falko, facendo loro l'occhiolino in
una
tacita richiesta di fare silenzio. Ci avrebbe pensato lei a risolvere
la situazione. Si alzò in piedi, uscendo dal nascondiglio
dietro le
rocce, e si avvicinò a lui a piccoli passi. "Facevi tutto il
misterioso e ci hai incuriosito. Dovresti saperlo, se dici a qualcuno
di non fare qualcosa, è matematico che quel qualcuno la
farà,
spinto dalla curiosità".
"Elke,
finiscila! Quando dico a qualcuno di non seguirmi, significa che
voglio stare solo. E' un concetto facile da capire in
fondo!".
Elke
scosse la testa, fissando prima Mattheus e poi mamma e cucciolo di
unicorno. "Io lo so perché non volevi che venissimo,non vuoi
che si sappia che tu sei buono e che aiuti gratis gli esseri magici
della foresta".
"Elke,
se non stai zitta, ti trasformo in un ratto!".
La
ragazza ridacchiò, per niente intimorita. Si sentiva di
buonumore in
quel momento e abbastanza coraggiosa da prendere un po’ in
giro Mattheus. "Oh, non lo farai! Sei buono, terribilmente buono. Ma
vuoi che la gente pensi che sei crudele! Così se ne staranno
alla
larga, giusto? Hai il carattere di un orso, te l'ho detto".
La
vena sulla tempia di Mattheus
prese a pulsare, convulsamente. "Tre secondi, a tutti e quattro!
Se non sparirete vi trasformerò in gatti, per sempre! O in
topi! O
scarafaggi...".
Elke
sorrise, era sicura che non lo avrebbe mai fatto Ed ignorando le
minacce di Mattheus cercò con lo sguardo il piccolo
unicorno; lo
vide tentare di alzarsi sulle sue tremanti zampette per avvicinarsi
alla madre che, con sguardo gentile, sembrava aspettarlo. Era dolce
quel cucciolo, così piccolo e impacciato. "E' un maschio o
una
femmina?".
Mattheus
sbuffò. "Un maschio".
"Dobbiamo
trovargli un nome, ancora non ce l'ha".
Mattheus
spalancò gli occhi, sorpreso. "A chi? All'unicorno? Loro non
hanno bisogno di nomi, si riconoscono dall'odore della pelle".
Elke
scosse la testa. "Tutti abbiamo bisogno di un nome, anche gli
unicorni. Persino i miei genitori me ne hanno dato uno, figurati!".
"Elke
ha ragione" commentò Jutta, volando a distanza di sicurezza
da
Mattheus.
"Anche
secondo noi..." - sussurrarono da dietro le rocce Falko e Drago.
"Visto?".
Elke osservò la mamma unicorno che leccava il musetto di suo
figlio
che finalmente era riuscito, con passi malfermi ed incerti, a
raggiungerla. Il cucciolo aveva un pelo più scuro rispetto
alla
madre, con tonalità azzurre. "Lui si chiamerà
Blue" –
disse, sorridendo. Sì, Blue era il nome perfetto per quel
piccolo
unicorno. "E siccome nemmeno la madre ha un nome, ne daremo uno
anche a lei, oggi. E' stupenda, di una bellezza unica e per questo si
chiamerà... Belle".
Il
visino di Jutta si illuminò. "Belle e Blue... mi piacciono.
Che
te ne pare, Mattheus?".
Lo
stregone crollò a terra con un sospiro, incrociando le gambe
ed
appoggiando i gomiti alle ginocchia. Sembrava stremato... "Fate
quel che volete, io ci rinuncio... Mi farete impazzire. O mi farete
venire un esaurimento nervoso, questo è certo. Un nome agli
unicorni? Bah, mai sentita una stupidaggine simile".
Elke
sorrise. Mise una mano nella tasca del suo vestito, togliendone dei
piccoli nastri colorati che usava per farsi trecce o code di cavallo
ai capelli. Fra tutte ne scelse due, azzurre. Si avvicinò a
Mattheus
e prima che potesse protestare gli prese la mano, legandogli il
nastro al polso. "Uno a te, che hai aiutato questo piccolo a
venire al mondo".
"Toglimi
questo coso di dosso!" - sbraitò Mattheus.
Facendo
finta di non sentirlo, a piccoli passi, Elke si avvicinò al
piccolo
Blue. Si inginocchiò davanti a lui e rimase ferma ad
aspettare che
la madre facesse cenno di avvicinarsi di più. Belle la
osservò per
alcuni istanti, con lo stesso sguardo indagatore che la ragazza aveva
visto tanti anni prima negli occhi di Maike. Poi si
avvicinò,
annusandola ed appoggiando il muso sulla sua spalla. Elke la
accarezzò piano e si avvicinò lentamente al
piccolo che la
guardava incuriosito, con quei suoi occhietti neri ed intelligenti.
Prese l'altro nastro azzurro che teneva fra le mani, legandolo piano
al collo del cucciolo. "E questo è per te, piccolo Blue..."
- sussurrò, accarezzandogli il musetto.
Jutta
sorrise. "E da oggi, il Tirolo ha una vita in più. Benvenuto
piccolo Blue..." - sussurrò commossa, mentre in sottofondo i
borbottii di Mattheus sembravano non cessare mai...
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Capitolo 9 *** Capitolo otto ***
Capitolo
otto
Un
padre tornava dai pascoli d'alta montagna, portando sulle spalle il
figlio di otto anni. Era uno degli ultimi giorni utili per portare le
mandrie all'aperto: l'autunno e il freddo incombevano e presto tutto
sarebbe stato coperto da un candido manto di neve. "E allora
piccolo, è ormai tempo, quale nuova statuina vuoi nel
presepe a
Natale?". Era una promessa fatta a suo figlio alcuni anni prima
quando, piccolissimo, aveva espresso il desiderio di avere il presepe
più grande del villaggio. Lui gli aveva promesso che ogni
anno, in
autunno, gli avrebbe chiesto quale nuovo personaggio da mettere nel
presepe desiderasse e gliel'avrebbe intagliata nel legno,
facendogliela trovare pronta la notte di Natale.
Il
figlio, dai riccioli dorati, ci pensò su. "Ho deciso! Voglio
un
orso, papà".
L'uomo
scoppiò a ridere. "Ma è assurdo! Mai visti orsi
in un presepe.
Non preferiresti un pastore, una massaia o qualche nuova pecorella
invece?".
"No,
voglio un orso".
Il
padre sbuffò. "Ma ragiona, non c'erano orsi ad accogliere la
nascita di Gesù Bambino, a Betlemme".
Il
bambino ci pensò su un pò. "E tu come fai a
saperlo? Mica
c'eri quando Gesù Bambino è nato".
L'uomo
scoppiò a ridere. "Accidenti Mattheus, hai solo otto anni e
la
lingua lunga e la saggezza di un uomo adulto. Controbattere alla tua
logica è proprio difficile. Va bene, se quest'anno vuoi un
orso,
avrai un orso".
Per
Mattheus il Natale era da tanti anni, sinonimo di
tranquillità,
riposo, meditazione e raccoglimento. Era una festività che
aveva
amato fin da bambino e che lo metteva in un certo senso di buon
umore, anche se di fatto era molto che non lo festeggiava nel vero
senso del termine. Da quando viveva a Pennes, mai un Natale si era
recato alla Santa Messa e di certo non aveva desiderato unirsi a
qualcuno per il pranzo natalizio ed i festeggiamenti. Però
quel
clima di attesa, quella sensazione di bontà che permeava
l'aria, gli
piacevano. Persino gli abitanti di Pennes in quei giorni gli
sembravano meno insopportabili Quando, qualche mese prima aveva
deciso di tenere i nani ed Elke con lui, si era aspettato uno
stravolgimento totale della calma e solitaria monotonia con cui lui
soleva passare il giorno di Natale. I nani avevano modi di fare
ingenui, Elke era in fondo una sognatrice, non c'era certo da stare
allegro con quei tre. Si era aspettato, con terrore, di vedersi la
casa invasa da nastrini rossi, abeti addobbati e canzoncine natalizie
cantate da mattina a sera. Invece non era successo nulla e quel
pomeriggio della Vigilia di Natale si stava rivelando più
silenzioso
e immobile degli altri giorni. Il cielo fuori era grigio ma
stranamente non nevicava da giorni e la neve a terra si stava
sciogliendo inesorabilmente, dando un aspetto tetro e umido a Pennes;
i nani stavano seduti silenziosamente da ore sul divano, sbuffando,
ed Elke era seduta al tavolo a lucidare il suo arco. "Che vi
prende a voi tre? Avete una faccia da funerale che fa quasi paura!
Niente spirito natalizio, niente canzoncine allegre, niente Zelten
sul tavolo?".
"Lo
Zelten? Ti ricordo che io non so' cucinare..." - mormorò
Elke
in tono piatto, senza alzare lo sguardo.
Mattheus
annuì. "Questo è vero. E ti assicuro, che ti
siamo tutti grati
del fatto che tu ti tenga lontana dalla cucina".
Drago
si alzò dal divano, stiracchiandosi. "Se ci tieni tanto al
clima natalizio, esci fuori di casa e unisciti agli abitanti di
Pennes. Qui fuori è un tripudio di massaie intente a trovare
gli
ingredienti per la cena di questa sera e di bambini col naso
all'insù, ad aspettare chissà quale magia dal
cielo. Potrai sentire
l'eco dell'organo che il signor Prevosto suona da stamattina e
ammirare il grosso abete addobbato in piazza. Basta uscire di casa
per essere investito in pieno, ad ogni angolo di Pennes, dalla magia
del Natale".
"Ah,
figurati! A me non va certo di uscir fuori ad augurare buon Natale a
chiunque o ad unirmi a cori e canti festosi. Mai fatto! Ma credevo
che queste fossero cose che avrebbero fatto impazzire voi tre".
Drago
risprofondò sul divano, accanto al fratello. "No, non ci
fanno
impazzire di certo".
Falko
sospirò. "Già... Comunque siamo in buona
compagnia, nemmeno tu
mi sembri molto festaiolo, Mattheus".
"No
no, vi sbagliate!". Lo stregone scosse la testa con vigore.
"Vedete, per me Natale è sinonimo di silenzio, di
meditazione e
contemplazione. Avere in casa tre persone taciturne e col muso lungo
il giorno della Vigilia invece è sinonimo di depressione".
Si
voltò verso Elke, rimasta muta e in disparte. "Figlia del
diavolo, che mi dici? Niente spirito natalizio nemmeno tu?".
A
quella domanda, l'espressione di Elke si oscurò. Con un
gesto secco
appoggiò l'arco al tavolo, alzandosi poi dalla sedia su cui
era
seduta. "La figlia del diavolo non festeggia il Natale. Anzi, ad
essere onesta, questo è il giorno dell'anno che odio di
più e spero
che passi in fretta".
Mattheus
si accigliò. Raramente aveva visto Elke nervosa o aggressiva
come in
quel momento. "Che ti prende?".
Falko
sorrise amaramente. "Potremmo spiegartelo, ma tanto uno come te
non capirebbe comunque".
"Spiegarmi
cosa? E cosa vuol dire che uno come ME non capirebbe?" - chiese
Mattheus, a quel punto seriamente in difficoltà. Odiava fare
la
parte di quello che non capiva cosa stesse succedendo, accidenti a
loro!
Elke
puntò lo sguardo su di lui, uno sguardo freddo che mai aveva
visto
sul suo viso. "Vuol dire che non puoi capire e basta... Tu non
sei come noi".
"Ehm...
voi tre mi farete impazzire! Ma che diavolo dite? Cosa vi prende?".
Elke
scosse la testa. Poi, senza rispondere, salì le scale,
diretta alla
soffitta che era diventata la sua stanza.
Mattheus
la fissò in silenzio, senza capire. Poi si voltò
verso i nani, con
espressione ancora più confusa. "Mi volete spiegare cosa
succede, di grazia?".
Drago
abbassò lo sguardo. "Io e mio fratello piacevamo come
fenomeni
da baraccone, ma di certo nessuno ha mai avuto piacere di festeggiare
il Natale con noi. Elke... beh, lei è la figlia del diavolo.
Quelle
come lei son sempre scacciate da tutti, soprattutto a Natale. Mentre
tutti festeggiano, quelli come noi rimangono ancora più soli
di
quanto non lo siano durante tutto l'anno. Tu non puoi capire, tu
sei... normale...
Passi il Natale da solo per tua scelta, ti fai odiare dalle persone
sempre per tua scelta, ma se ti dimostrassi più amichevole
con gli
abitanti di Pennes, con tutto quello che fai per loro, saresti il
più
amato del villaggio e farebbero a gara per festeggiare il Natale con
te. Per noi tre è
diverso, qualsiasi cosa facciamo, qualsiasi cosa diciamo, saremo
sempre allontanati da tutti. Nessuno vuole stare con gente come noi,
soprattutto oggi. Per questo non festeggiamo il Natale e per questo
non vediamo l'ora che passi in fretta. Ora hai capito?".
Era
raro che succedesse, ma per la prima volta da quando conosceva quei
tre, non aveva la risposta pronta. Le parole di Drago gli avevano
mostrato una realtà che mai lui aveva voluto vedere. Si
sentì
stupido... I due gemelli erano i 'nani', Elke la chiamava spesso
'figlia del diavolo', ma con loro scherzava, non aveva mai provato la
sensazione che fossero diversi da lui, perché di fatto non
lo erano,
questo lo sapeva! Ma per la prima volta in vita sua si accorse di
quello che quei tre pensavano di loro stessi: si credevano diversi,
da lui e da chiunque altro e si nascondevano, si celavano al mondo
quando tutti invece non sembravano desiderare altro che stare
insieme. E per persone come Elke, Falko e Drago, nulla era peggio del
Natale, la festa della condivisione, della famiglia, dello stare
insieme. In un certo senso era vero, non erano come lui, non avevano
avuto una famiglia che li amasse e non erano stati bambini viziati e
sempre felici, non avevano mai avuto la certezza di niente. Non erano
mai stati nulla per il mondo Per cui non rispose, dato che non sapeva
cosa dire. Con un sospiro raggiunse la sua stanza e si chiuse dentro,
meditando sul da farsi.
Si
stese sul letto, osservando il soffitto di legno in silenzio. Passare
la vigilia di Natale da solo era sempre stata una scelta per lui,
ormai da anni. Gli piaceva così, da quando viveva a Pennes.
Drago
aveva ragione, lui non festeggiava il Natale perché non
voleva
farlo, ma non aveva reali impedimenti a cercare la compagnia di
qualcuno, anche se non lo aveva mai fatto. Da quando non viveva
più
a Ratschings, il Natale aveva perso molta della sua poesia per lui ed
anche se lo avesse festeggiato come tutti, nulla sarebbe stato uguale
a quando viveva in Val Ridanna. Era una festa che continuava ad amare
e in cui riusciva ancora a cogliere un po’ della magia di
quando
era piccolo, anche stando semplicemente seduto davanti alla finestra
ad osservare il mondo che si preparava alla Notte Santa.
Però lo
sguardo triste di Elke e dei nani lo avevano colpito abbastanza da
renderlo di cattivo umore. "Accidenti a loro" –
sbottò,
alzandosi di scatto dal letto per avvicinarsi al grosso armadio che
troneggiava nella sua stanza. Lo aprì e si
inginocchiò, rovistando
sul fondo fra le tante scatole ammassate in esso, di legno o cartone,
finché non trovò quel che stava cercando.
Estrasse uno scatolone
ricoperto da carta colorata, togliendo con la mano la polvere che vi
si era accumulata di esso. "Ma tu guarda cosa mi tocca fare!"
- borbottò prendendolo fra le mani, prima di uscire
nuovamente dalla
stanza. "Drago, Falko, tirate su il sedere dal mio divano e
mettetevi il mantello, usciamo".
"E
dove andiamo?".
Mattheus
si incamminò velocemente sulla scala, per raggiungere la
camera di
Elke. "In montagna. Sbrigatevi" – ordinò, in tono
perentorio.
Salì
le scale ed arrivò in soffitta. Elke se ne stava stesa su un
cumulo
di fieno, con addosso una pesante coperta di lana. Sembrava dormisse,
ma era abbastanza sicuro che invece fosse ancora sveglia. "Alzati,
dobbiamo uscire" – le intimò in tono brusco.
Elke
aprì gli occhi, lo fissò brevemente e poi si
voltò dall'altra
parte. "Per andare dove? Fra poco sarà buio, fa freddo e io
non
mi sento per niente bene".
Mattheus
sbuffò, scuotendo la testa. "Si certo, non ti senti bene...
Ma
ti assicuro che sopravvivrai anche se non te ne starai a letto a
poltrire. Coraggio, alzati su e mettiti il mantello. Usciamo".
"Uscire
adesso? Fa freddo e non mi va di andare da nessuna parte".
Lo
stregone parve spazientirsi davanti a quel rifiuto. "Elke, tu
sei la mia assistente e lavori per me. Quindi, se io ti dico di fare
qualcosa tu la fai, abbiamo già affrontato questo argomento.
Vedi di
muoverti. Ah, ecco, prendi quel sacchetto dove tieni le tue
cianfrusaglie con cui ti orni i capelli, mi servono".
Elke,
sbuffando, si tirò su, mettendosi a sedere sul fieno. "Non
sono
cianfrusaglie ma nastri e perline".
"Si
beh, è lo stesso. Prendile e sbrigati".
La
ragazza sospirò, tirandosi su dal letto. "Ma che vuoi fare?"
- chiese, prendendo una piccola sacca in pelle che riposava accanto
al suo giaciglio.
"Lo
vedrai".
Uscirono
che il cielo stava già imbrunendo e l'aria si era fatta
fredda e
carica d'umidità. I piedi di Mattheus affondavano nella
fanghiglia,
mandando al suo corpo brividi gelati. Non aveva mai sopportato il
freddo e mai gli era capitato di uscire di casa la sera, in inverno.
Un caldo camino e un morbido letto pieno di coperte erano il meglio
per lui, durante la stagione fredda, per quante cose avesse da fare
la sera faceva in modo di essere a casa sua, ma quella era una serata
diversa e rimanere in casa coi tre novelli 'maestri di depressione',
sarebbe stato infinitamente peggio che congelare in montagna. Si
guardò attorno mentre si incamminavano verso il delimitare
del
villaggio. Pennes ormai era quasi deserta, tutti erano tornati a casa
a finire gli ultimi addobbi e a prepararsi per la cena e la Messa di
mezzanotte. Dalle finestre di tutte le baite poteva intravedere il
bagliore delle corone dell'Avvento le cui fiamme proiettavano sui
vetri riflessi rossi e dorati, dalle porte fuoriusciva il profumo di
canederli e carne di cervo, uniti all'aroma dello strudel e dello
zelten, cucinati per il grande cenone della sera. Sospirò.
Quei
profumi, quelle fragranze, avevano il sapore di cose antiche, anche
casa sua, da piccolo, ne era immersa. Ed era una cosa che gli
piaceva. Guardò i nani ed Elke. Camminavano frettolosamente
e
silenziosamente, all'apparenza molto meno attenti e partecipi al
clima di festa che si respirava nell'aria o semplicemente guardando
le case. Scosse la testa... E decise quale sarebbe stato il suo
obiettivo della serata...
Raggiunsero
il bosco che ormai era quasi del tutto buio. Mattheus accese la
lanterna che aveva portato con se, incamminandosi per il sentiero che
portava verso la vetta.
"Dovremo
camminare molto?" - chiese Drago, ormai a corto di fiato.
Mattheus
accelerò il passo. "Non molto, se sarete veloci".
Allungò
il passo e, anche se sapeva che per i nani era difficile stargli
dietro, non rallentò mai.
Salirono
per il sentiero fangoso per una buona mezz'ora e si fermarono solo
quando giunsero in un piccolo spiazzo fra gli abeti. L'aria di alta
montagna era pungente, l'umidità penetrava nelle ossa in
modo
fastidioso, il bosco era avvolto dal silenzio dell'inverno e della
sera, il cielo era ormai scuro.
Mattheus
prese la sacca che Elke portava fra le mani, quella contenente i suoi
nastri per i capelli. La aprì, consegnandola poi nelle mani
di Falko
e Drago. "Trovo scandaloso che tre persone che appartengono al
Tirolo non abbiano in sé lo spirito del Natale che
è insito in
queste montagne e in chi le abita, nessuno lo ama come lo amano i
tirolesi. Nel Natale c'è magia, c'è attesa per la
ricorrenza della
nascita di un Bambino Benedetto, c'è calore e amore. Ogni
angolo di
queste montagne, nella sua immensa bellezza, è
quì a ricordarcelo,
persino gli abitanti di Pennes sono meno diffidenti e più
aperti in
questi giorni, anche nei miei confronti. Stamattina in piazza,
miracolo dei miracoli, ho incontrato la famiglia Steiner che mi ha
salutato e augurato buone feste. Voi tre... voi tre invece siete
disastri assoluti, non avete mai festeggiato il Natale e ora lo
farete. Avete molto da recuperare ed imparare su questo giorno".
Indicò con la mano un piccolo abete alto poco più
di un metro, che
cresceva fra due abeti più grandi. "Coi nastri dei capelli
di
Elke lo addobberete, tutti e tre. Non avete mai fatto un albero di
Natale, è ora che impariate a farlo".
Falko
e Drago si guardarono negli occhi, accigliati, poi con rinnovata
curiosità guardarono nella sacca. "Beh, si potrebbe anche
tentare" – sussurrarono, evidentemente tentati dalla proposta
dello stregone.
Mattheus
si voltò verso Elke, rimasta in disparte. Non aveva aperto
bocca
durante il tragitto e anche il quel momento proseguiva col suo
ostinato mutismo. "Lo devi fare anche tu" – disse
Mattheus. Era un ordine il suo, non una richiesta gentile.
"No,
non mi va".
"Elke...".
Mattheus le si avvicinò, fece per prenderla per il braccio,
ma la
ragazza si ritrasse, liberandosi dalla sua presa con uno strattone.
"Ti
ho detto di no. Vuoi festeggiare il Natale? Fallo Mattheus, ma lascia
in pace me".
Mattheus
sussultò a quelle parole. Mai si era dimostrata rabbiosa e
brusca
con lui, dandogli un no tanto secco. La ragazza lo fissò
alcuni
istanti, si morse il labbro e strinse la stoffa del suo mantello fra
le mani. Infine gli voltò le spalle, svanendo fra gli abeti
e
l'oscurità del bosco a passo spedito.
Drago
sospirò. "Mattheus, lasciala stare".
Lo
stregone scosse la testa, stringendo a se lo scatolone che aveva
preso dal suo armadio poco prima. "No, non la lascio stare
finché non mi dice cosa le passa per la testa. Voi rimanete
qui a
decorare quell'abete, vado a recuperare quella piccola testarda prima
che si cacci nei guai a girare nel buio del bosco. Aspettatemi,
torno subito".
Si
incamminò, seguendo la stessa direzione presa da Elke. Il
bosco, di
notte, era buio e minaccioso, si rischiava di inciampare al minimo
passo falso in una radice o in qualche buca, solo la lanterna
rischiarava fiocamente il sentiero. Trovò Elke quasi subito,
seduta
su una roccia, a ridosso di un piccolo ruscello che scorreva fra gli
abeti. Per fortuna non si era allontanata di molto. "Non farlo
mai più! Sparire nel bosco, d'inverno, la sera, senza una
lanterna,
è decisamente idiota".
Elke
scosse la testa. "Conosco la montagna molto meglio di te".
Si
avvicinò a lei piano e quando la vide più calma
rispetto a poco
prima, si sedette accanto a lei sulla roccia. "Elke, che ti
prende? Si può sapere che cos'hai oggi?".
"Niente,
non ho assolutamente niente. Voglio solo che mi lasci in pace".
"Oh,
sì che hai qualcosa invece. Per quel che ti conosco, tu non
sei una
persona da musi lunghi e nemmeno rabbiosa e aggressiva. Ma il
Natale... tira fuori il peggio di te. E vorrei sapere
perché".
In realtà, la spiegazione datagli poco prima da Falko e
Drago
l'aveva capita, ma Elke sembrava avere un approccio diverso da loro a
quella nuova situazione in cui si erano trovati.
La
ragazza sospirò. "Tu non ti arrendi proprio mai,
è?".
"No,
mai. Cioè, vorrei cercare sempre di capire le cose che non
comprendo. E una ragazza giovane, sognatrice, dallo spirito romantico
come il tuo di solito ama il Natale e lo aspetta tutto l'anno.
Perché
tu no?".
Elke
abbassò lo sguardo. "Non è stato sempre
così, io da piccola
adoravo il Natale. Non lo festeggiavo, la mia famiglia mi teneva
sempre alla larga, soprattutto in quel giorno di festa. Ma mi piaceva
l'atmosfera che c'era, vedere le persone disposte a sorridere e a
salutarsi un pò di più rispetto agli altri
giorni, mi piaceva il
suono delle campane. Anche se ero sola, la magia del Natale riusciva
a rendermi felice semplicemente... respirandola".
Mattheus
annuì, capiva a cosa Elke alludesse. Lui amava il Natale per
gli
stessi motivi. "E poi cos'è successo? Cosa ti ha fatto
cambiare
idea?".
Elke
scosse la testa, sospirando. "Non è una storia poi
così
interessante da sentire, la mia. E nemmeno tanto allegra! Lascia
perdere e goditi il tuo Natale".
"Dimmi
cosa è successo dopo!" - ribatté Mattheus secco,
come se non
avesse nemmeno sentito le sue parole.
Elke
rabbrividì. Il suo sguardo parve perdersi nel vuoto,
smarrirsi sotto
il peso di ricordi dolorosi... "Avevo otto anni, credo. Era la
Vigilia e nevicava molto. Ricordo che me ne stavo nella stalla e che
c'era fermento in casa mia, sentivo il profumo della cena che mia
madre stava cucinando e il vociare di Annelies e Inge, le mie
sorelline, che quel giorno sembravano incapaci di stare zitte.
Corsero fuori per giocare con la neve. Erano molto piccole allora, ma
già mio padre aveva insegnato loro che ero maledetta e che
dovevano
odiarmi e starmi lontano. Quel giorno invece vennero da me... Si
avvicinarono alla stalla, iniziarono a prendermi in giro e poi mi
dissero che era arrivato un benefattore al villaggio e che aveva
portato con se delle caramelle di zucchero che sarebbero state
distribuite quella notte, dopo la Santa Messa, ai bambini che
avessero assistito buoni e zitti alla funzione. Erano eccitate,
nessuna di noi aveva mai mangiato una caramella di zucchero, non
vedevano l'ora che fosse mezzanotte. E ovviamente mi ricordarono che
io non avrei avuto nulla, visto che mio padre mi aveva vietato di
andare a Messa con loro. Ma io... io desideravo avere una caramella,
anche se sapevo che rischiavo di finire nei guai. Così, per
la prima
volta in vita mia, quella notte decisi di disobbedire a mio padre.
Credevo che non se ne sarebbe accorto... Volevo solo andare a Messa
come tutti gli altri, starmene nel fondo della Chiesa, in un angolo,
ascoltare quel che il prete aveva da dire, ascoltare la storia della
nascita di Gesù Bambino... E avere quella caramella di
zucchero...
Ci andai, ma la Chiesa era così piccola... Ricordo ancora lo
sguardo
di mio padre, quando mi vide. Aveva gli occhi sgranati dalla rabbia e
il suo viso era rosso come il fuoco. Non disse nulla ma il suo modo
di guardarmi mi mise i brividi. Lui non parlava mai molto, ma il suo
sguardo era capace di terrorizzarmi sempre, quando per qualche motivo
incrociava il mio. Si alzò, lasciò le mie sorelle
e mia madre in
Chiesa e si avvicinò a me. Corsi via, corsi con tutte le mie
forze.
Lui no, non correva ma mi raggiunse lo stesso, in un attimo".
Elke deglutì, prendendosi una treccia fra le mani. "Mi prese
per i capelli, tirò talmente forte da farmi piangere ma non
mi
lasciò. Più forte piangevo, più forte
lui tirava. Mi trascinò
fino a casa senza dire una parola, raggiungemmo la stalle e mi
buttò
a peso morto sul fieno. E lì mi parlò, forse per
la prima volta in
vita sua... Mi urlò che ero una strega, che avevo disonorato
la
famiglia, che avevo oltraggiato la Chiesa e la Messa e gettato fango
su di lui, la mamma e le mie sorelle. Mi diede uno schiaffo talmente
forte da stordirmi ma non finì lì. Si tolse la
cinghia dei
pantaloni e iniziò a colpirmi sulla schiena, forte, senza
smettere.
Piangevo, urlavo e lui non smetteva di colpirmi. Non so quanto
durò,
quanti colpi ricevetti. Credo di essere svenuta a un certo punto, non
avevo più fiato in gola per piangere e il dolore era
diventato
insopportabile. Mi risvegliai molte ore dopo, che era quasi l'alba
ormai. Mi trascinai a fatica nell'angolo più buio della
stalla,
scivolai sotto il fieno finché non mi ricoprì
interamente. Volevo
nascondermi al mondo, volevo che nessuno mi vedesse, volevo diventare
invisibile. Piansi, piansi tanto. La schiena mi faceva talmente male
da togliermi il respiro, per giorni ho dormito a pancia in
giù
perché non riuscivo ad appoggiarla da nessuna parte. Rimasi
nascosta
e nessuno si preoccupò mai di venire a vedere come stavo. A
volte la
schiena mi bruciava molto e allora aspettavo la notte, quando tutti
dormivano. Uscivo dalla stalla e mi stendevo nella neve. Era fredda,
mi dava sollievo... Era l'unica cosa che riuscisse a farlo. Da quel
giorno decisi che non avrei più voluto festeggiare in nessun
modo il
Natale, che non era una cosa a cui avevo diritto. Qualsiasi cosa
fosse successa, mi sarei voltata dall'altra parte. Nessuna caramella,
dolce o festa mi avrebbe mai più attirato. Decisi che mi
sarei
nascosta ad ogni Natale, che sarei rimasta nella stalla sotto il
fieno, fino alla fine delle feste. Nessuno mi avrebbe visto, nessuno
si sarebbe accorto della mia esistenza. E lo feci, anno dopo anno...
E questo riusciva a darmi pace. Quindi Mattheus Hansele, non
chiedermi di festeggiare il Natale perché io in questi
giorni vorrei
solo diventare invisibile, addormentarmi e risvegliarmi a gennaio".
Per
lunghi istanti Mattheus non rispose. Con gli occhi bassi fissava il
terreno sotto le sue scarpe, indeciso se fosse più
arrabbiato o più
scosso da quanto aveva appena sentito. Non aveva mai amato la
violenza, non l'aveva mai ritenuta una valida alleata per risolvere i
problemi, ma in quel momento, se lo avesse avuto davanti, avrebbe
preso a pugni il padre di Elke. Lo avrebbe fatto fino a farlo
stramazzare a terra esanime. Lo avrebbe fatto perché aveva
osato
terrorizzare, picchiare e far piangere una bambina indifesa che non
aveva fatto nulla di male, una bambina che invece avrebbe dovuto
proteggere e amare, una bambina che, ormai adulta, era entrata nella
sua di vita... E non sopportava l'idea che qualcuno a cui lui aveva
aperto le porte della sua casa fosse stato vittima di una violenza
del genere. Non si era mai soffermato molto ad osservare il modo di
vivere degli altri. Quella ragazzina albina gli stava insegnando che
c'erano altri mondi oltre il suo, altre verità, altre
esperienze di
vita... Pochi mesi prima, Elke e i nani erano entrati nella sua vita
chiedendogli di insegnar loro tutto quel che lui sapeva. E alla fine,
erano loro ad aver insegnato a lui qualcosa. Deglutì. "Tu...
non vuoi essere compatita per questo, vero?".
Elke
si accigliò. "Certo che no. Mi hai fatto una domanda e io ti
ho
semplicemente risposto. Non c'è molto altro da dire".
"Già".
Mattheus la fissò brevemente, prima di alzarsi dalla roccia
su cui
erano seduti. Si avvicinò ad un grosso albero dal tronco
ormai secco
e privo di vita, staccò un grosso ramo spoglio che pendeva
da esso e
lo porse ad Elke, invitandola ad alzarsi. "Quello che ti ha
fatto tuo padre è terribile, disumano. Chi picchia una donna
è un
codardo, chi picchia una bambina indifesa non merita nemmeno di
essere chiamato uomo. Sei arrabbiata con lui? O ti terrorizza ancora
il solo pensarlo?".
Elke
si accigliò, fissando il bastone che gli aveva dato fra le
mani.
"Non lo so. Sono passati tanti anni...".
Mattheus
sorrise, freddamente. "Sei arrabbiata, sei furiosa quando ci
ripensi. Potrei scommetterci tutti i miei soldi". La prese per
mano, conducendola davanti al tronco da cui aveva staccato il ramo.
"Fingi che quest'albero sia tuo padre. E con quel bastone
colpiscilo forte, finché ne avrai forza, finché
non ti sentirai
soddisfatta. Ti assicuro che dopo starai molto meglio".
Elke
spalancò gli occhi, sorpresa. "Cosa? Dovrei colpire
quell'albero fingendo che sia mio padre? Ma Mattheus, è
sbagliato!".
"Perché?
Lui ha colpito te quando non eri che una bambina indifesa, dopo
tutto. Fingi che sia qui e restituiscigli tutto il male che ti ha
fatto".
Elke
osservò il bastone e poi, senza troppa convinzione, fece
come lui
gli aveva detto. Colpì il tronco dell'albero una prima
volta, piano.
Mattheus
scosse la testa. Elke era pronta ad esplodere ma aveva solo bisogno
di una piccola spinta che la aiutasse ad oltrepassare i suoi freni
inibitori e morali. "Tutto quì quello che sai fare? Lui ti
ha
massacrata di botte, avrebbe potuto ucciderti. E ti ha fatto talmente
male che ancora oggi riesci a sentire il bruciore delle sue percosse
sulla tua pelle. Liberatene Elke, liberati del dolore e dei brutti
ricordi. Tira fuori la rabbia, la paura e la sofferenza che ti ha
inflitto e vedrai che dopo ti sentirai meglio".
Elke
si morse il labbro. Poi, dopo aver stretto con ancora più
forza il
bastone, colpì di nuovo il tronco. Una, due, tre, infinite
volte. E
ad ogni colpo, la sua rabbia e la sua forza aumentavano
finché non
si ritrovò a colpire quell'albero selvaggiamente, facendo
schizzare
schegge di legno ovunque.
"Se
ci fosse stato tuo padre in carne e ossa, sarebbe stato più
interessante...". Lo pensò, ma Mattheus non lo disse a voce
alta. Rimase a guardarla in silenzio, inizialmente sollevato dal
fatto che lei avesse capito, ma poi colpito dalla furia, dalla
violenza e dalla forza che parevano essersi impossessati della mente
e del corpo di Elke. Un groppo gli strinse la gola. Tutta quella
violenza nasceva da altra violenza. Più forza Elke metteva
in quei
colpi, più forte era stata colpita da bambina. Ed era
terrificante
pensare a cosa fosse stata costretta a subire.
A
un certo punto la ragazza smise, accasciandosi a terra in ginocchio,
col fiato corto e le braccia che le tremavano. Mattheus le si
avvicinò, togliendole di mano, con gentilezza, il bastone di
legno
ormai scheggiato. "Direi che per oggi può bastare. O rischi
seriamente di lussarti una spalla".
"Mi
fanno male le braccia..." - sussurrò Elke di rimando,
massaggiandosi i polsi.
Mattheus
le si inginocchiò davanti. "Va meglio ora?".
"Non
lo so. Sono solo stanca...".
Lo
stregone fissò il tronco martoriato dai colpi di Elke. "Ci
credo. Sei forte quanto un taglialegna". La sua mano raggiunse
il mento della ragazza, sollevandolo. "Ora ascoltami. Nessuno
potrà mai cancellare dalla tua mente ciò che tuo
padre ti ha fatto,
ma ora sei grande, probabilmente non lo rivedrai mai più e
sei
adulta abbastanza da decidere da sola il tuo destino. Non permettere
mai più a nessuno di dirti quello che sei o quel che devi e
non devi
fare. Da oggi, sarai solo ciò che TU vorrai essere, non
quello che
dicono gli altri. Farai quel che desidererai fare, andrai dove vorrai
andare e nessuno dovrà mai osare contraddirti, ma solo
consigliarti,
se questo ti farà piacere. Se vorrai festeggiare il Natale,
dovrai
farlo. Ricorda Elke, il Natale appartiene a tutti e allo stesso tempo
non è di proprietà di nessuno".
"Ma
io... non lo voglio festeggiare...".
"Perché?".
Elke
abbassò lo sguardo, tremando lievemente. "Perché
ho paura.
Quel che pensa mio padre lo pensa la maggior parte delle persone.
Agli occhi del mondo io sono maledetta. Durante tutto l'anno non mi
pesa, ma a Natale tutto cambia". Le sue mani strinsero la stoffa
del mantello di Mattheus e la ragazza si abbandonò contro di
lui,
appoggiando il viso contro il suo petto. "Io... che cos'ho di
tanto sbagliato?".
"Niente".
Mattheus fece scorrere le braccia attorno alla sua vita, stringendola
in un caldo abbraccio. "Niente davvero. Tu non sei la figlia del
diavolo, te lo posso assicurare. Sei la figlia di un emerito idiota,
questo sì, ma per fortuna non hai preso da lui. Il diavolo
non fa
figli ed se anche li facesse, non sarebbe tanto stupido da renderli
riconoscibili dal colore dei capelli. Il diavolo è in chi lo
vuole
accogliere, in chi si lascia sedurre dalle sue tentazioni. Elke, il
demonio è quanto di più lontano esista da te.
Vuoi sapere uno dei
motivi che mi hanno spinto a tenerti con me?".
Elke
alzò il viso. "Si".
"Sei
perennemente di buonumore e sorridi sempre, nonostante tutto quel che
ti è successo. Io non ne sono capace. Tu riesci a rendere
migliore e
più positivo persino uno come me, tu sorridi anche per me.
Tu riesci
ad essere felice con niente, basta così poco per metterti di
buon
umore". Si staccò leggermente da lei, ponendole gentilmente
le
mani sulle spalle e strizzandole l'occhio. "Capito? Uno dei tuoi
compiti di assistente è essere contenta, quindi togliti quel
muso
lungo di dosso e goditi il Natale. Qui sei libera di fare quel che
vuoi e nessuno oserà farti del male. E visto che lo spirito
del
Natale rende tutti più buoni, stasera puoi chiedermi quel
che vuoi e
io ti prometto che te lo darò".
Elke
sorrise, finalmente. Un sorriso stentato, dolce, il primo della
giornata. "Grazie".
Mattheus
ridacchiò. "Non perdere tempo a ringraziarmi. Non
resterò
buono per sempre, ti conviene dirmi quel che vuoi finché sei
in
tempo".
"Posso
chiederti davvero tutto?".
"Tutto".
Lo
sguardo di Elke si fece furbo. "Posso chiederti anche di
rivelarmi il segreto del lago di Valdurna?".
Mattheus,
a quella domanda, le diede un piccolo pizzicotto sulla guancia e poi
strinse con la mano una delle sue trecce, tirandola scherzosamente.
"Eheh, sei furba ragazzina, lo sai vero? E anche molto curiosa".
"E'
sbagliato essere curiosa?".
Lo
stregone ci pensò su. "No, nelle giuste dosi, la
curiosità è
indice di intelligenza".
Elke
sorrise. "Scherzavo, comunque! Se vorrai, un giorno sarai tu a
dirmi il segreto di quel lago".
Mattheus
le si riavvicinò, sfiorandole un fianco con la mano ed
attirandola a
se. "Io però ero serio. Dimmi qualcosa che vuoi e io te la
darò".
"Io
non voglio niente Mattheus, dico davvero".
Lo
stregone annuì, tornando serio. "C'è una cosa che
apprezzo, di
te e dei nani. Voi non mi avete mai chiesto nulla, non avete mai
cercato di approfittare del fatto che vivete con me. Sapete quanti
soldi ho e dove li tengo, conto tranquillamente davanti a voi i miei
guadagni e siete perfettamente consapevoli che io potrei comprarvi
qualsiasi cosa. Ma non mi avete mai chiesto nulla. Né abiti
nuovi,
né nessun tipo di regalo".
Elke
alzò le spalle. "Tu non hai obblighi verso di noi,
perché
dovresti comprarci dei vestiti nuovi o altre cose? Ci dai una casa,
ci offri il tuo cibo, fai per noi molto più di quello che le
nostre
famiglie hanno fatto da quando siamo nati. Io non voglio niente, dico
sul serio". Lo sguardo le cadde sulla scatola che Mattheus aveva
portato con se e che aveva riposto a lato della roccia su cui si
erano seduti poco prima. "Cosa c'è li dentro? Sei uscito di
casa con quella".
"Oh,
vero, me ne ero dimenticato". Mattheus si allontanò da lei,
prendendo la scatola. Si sedette sulla roccia, facendo segno alla
ragazza di raggiungerlo. E quando Elke fu accanto a lui, gliela diede
fra le mani. "A Natale si addobbano gli abeti. E si fa il
presepe. Sono anni che non faccio più né l'uno
né l'altro e credo
che sia ora di riprendere quest'abitudine. Su aprila" – le
intimò, gentilmente.
Elke
aprì la scatola, osservando poi incantata il suo contenuto.
"Sono
statuine in legno del presepe" – sussurrò,
prendendone in
mano una.
Mattheus
deglutì. Erano anni che non apriva quella scatola e ora che
vedeva
quelle statuine era come se fosse investito da una marea di ricordi.
Ad ogni statua corrispondeva un Natale, il ricordo dolce di una
promessa, il calore di una famiglia che non possedeva più.
Ricordava
le mani forti, gentili ed abili nell'intagliare il legno di suo
padre, la voce di sua madre, le montagne di Ratschings, la sua
infanzia in quel piccolo villaggio della Val Ridanna. "Vuoi
provare a fare il tuo primo presepe? Basta trovarti un angolo che ti
piace e usare la fantasia. E' divertente sai?".
La
ragazza osservò una ad una le statuine, quasi incantata dal
poterle
maneggiare. "Sono tue? Sono così belle Mattheus".
"Sì,
me le ha fatte mio padre quando ero bambino. Ogni anno, in autunno,
sceglievo il personaggio che desideravo aggiungere al presepe e lui
me lo faceva trovare pronto la mattina di Natale".
Elke
sorrise. "E' una cosa davvero bella. Com'era il Natale a casa
tua?".
"Beh,
come in tante case, credo. Ricordo che addobbavo l'abete con mio
padre e che mia madre, insieme a mia nonna che viveva con noi,
cominciava la mattina del 24 dicembre, di buon'ora, a preparare i
piatti per la cena. Ricordo che faceva sempre freddo, la Val Ridanna
è glaciale in inverno. Ricordo la gente del mio villaggio,
una per
una. Ratschings è piccolissima, solo un pugno di baite, ci
conoscevamo tutti ed era come essere un'unica grande famiglia. Dopo
la messa, a turno, una famiglia ospitava tutti nella sua casa e si
festeggiava insieme, la notte di Natale. Nessuno restava solo. Ognuno
portava i piatti che aveva cucinato durante la giornata, ci si
scambiavano gli auguri e davano a noi bambini dei cestini di frutta,
come dono di Gesù Bambino. Era una cosa semplice, un mondo
semplice.
Mi piaceva...".
Elke
abbassò lo sguardo. "Doveva essere bello, da come lo
racconti... Com'è la Val Ridanna?".
Mattheus
sorrise. "Oh, lì ci sono le montagne più belle
che tu potrai
mai vedere".
"Del
Tirolo?".
Mattheus
scosse la testa. "No, del mondo Elke. Nessuna montagna è
bella
come quelle della Val Ridanna".
"E
perché ora vivi a Pennes e non ci torni mai, a Ratschings?".
L'uomo
sospirò. "Beh, non ho più la mia famiglia che mi
aspetta,
lassù. Ho degli amici certo, tutti mi conoscono a
Ratschings, ma i
miei parenti sono morti tutti da anni ormai ed io ero figlio unico,
non ho fratelli e sorelle da andare a trovare. Inoltre, la mia
principale fonte di guadagno è il lago di Valdurna, che
dista troppo
da Ratschings perché io possa fare avanti e indietro. Pennes
è
perfetta per me, per il mio lavoro".
"Quindi
non ci torni mai?".
"Ogni
tanto. Sono ormai un paio d'anni che non ci metto piede, ora che ci
penso". La guardò, pensieroso. E improvvisamente gli venne
un'idea. "Visto che non sai cosa vuoi per Natale e la Val
Ridanna sembra interessarti tanto... ti andrebbe di visitarla un
giorno?".
Elke
spalancò gli occhi, sorpresa. "Oh sì! Mi ci
porteresti?".
Mattheus
sorrise. Vederla finalmente serena, faceva sentir meglio anche lui.
Non sapeva cosa fosse, se lo spirito del Natale che rendeva tutti
più
buoni o il fatto che il racconto fatto dalla ragazza su suo padre
l'avesse turbato, ma in quel momento si sentiva che avrebbe potuto
far di tutto per renderla felice. "Sì. Questa estate ti ci
porto! E ti faccio anche altre due promesse".
"Quali?".
"Ti
prometto che un giorno ti racconterò i segreti del lago e
che l'anno
prossimo, a Natale, se lo vorrai fare, ci organizzeremo per
festeggiarlo come si deve. Sì insomma, con l'abete addobbato
in
casa, il presepe, la cena e la Messa. E ti assicuro che nessuno
potrà
osare dirti nulla e che andrà tutto bene".
Elke
abbassò lo sguardo sulle statuine che riposavano nella
scatola che
teneva sulle gambe. Sorrise... "Sono tante promesse queste,
Mattheus... Sei sicuro di riuscire a mantenerle tutte?".
Mattheus
scoppiò a ridere. "Oh Elke, sei tanto giovane tu! Ne abbiamo
di
tempo, per fare tutto. E ora su, lo vuoi fare o no questo presepe?".
Elke
si guardò attorno, pensierosa. "Sì, forse mi va.
Ma qui... è
tutto così umido, queste statuine si rovinerebbero se le
mettessimo
in terra". Rovistò nello scatolone, osservandole una ad una,
finché ne tirò fuori una particolare. "Un orso? A
quanto pare
erano già nel tuo destino è?".
Lo
stregone scoppiò a ridere. "Ero un bambino con molta
fantasia!
Che vuoi farci? Pure mio padre era abbastanza perplesso quando gliela
chiesi". A quel pensiero però, il suo buonumore si
smorzò.
Quando suo padre gli aveva fatto quella statuina, lui aveva otto
anni, la stessa età che aveva Elke quando era stata
massacrata di
botte dall'uomo che invece avrebbe dovuto proteggerla.
Ricordò
quanto gli piaceva stare sulle spalle di suo padre da piccolo, quanto
si sentiva felice e al sicuro con lui, le loro chiacchiere, le cose
che gli aveva insegnato. Come doveva essersi sentita Elke, senza
quelle certezze e quell'amore che lui da piccolo dava per scontato?
Quanta paura e sofferenza aveva avvertito da sola, davanti a
quell'uomo tanto crudele e spietato?
La
voce di Elke lo riportò alla realtà.
"Tuo
padre aveva ragione, Mattheus! Che ci fa un orso in un presepe?".
"Beh,
piccola saputella, come fai a essere sicura che non ci fosse?".
Elke
rise. "Non me la darai mai vinta su nulla, vero?".
"Vero".
Guardò la statuina nelle mani di Elke, quella a forma di
orso. "Ti
piacciono?".
"Si,
molto".
La
mano di Mattheus si posò sul suo capo, accarezzandole piano
i
capelli. "E allora, ti faccio una quarta promessa. Farò per
te
quello che faceva mio padre per me. Dimmi quale personaggio ti
piacerebbe mettere nel presepe l'anno prossimo e io te la
farò. Non
sono bravo ad intagliare il legno come mio padre, non aspettarti
molto, ma posso provarci. Tu pensaci su, d'accordo?".
Elke
non rispose subito. Si sporse in avanti e lo abbracciò,
affondando
il viso contro la sua spalla. "Grazie Mattheus...".
"Non
ho fatto nulla, non ringraziarmi. Semplicemente, credo che ci si
debba impegnare tutti, per fare in modo che il Natale sia un giorno
felice per ognuno di noi".
"Manca
solo la neve" – mormorò Elke, contro il suo petto.
Mattheus
sorrise. "Oh, questo non è un problema. Chiudi gli occhi".
Elke
ubbidì, un pò titubante. Mattheus la strinse a se
e con la mano
libera tirò fuori dalla tasca una delle ampolle contenente
l'acqua
del lago di Valdurna. La aprì e poi ne lanciò il
contenuto in alto,
nel cielo. 'Trasformati in tanti fiocchi di neve e ricopri tutto il
Tirolo' – ordinò silenziosamente. Poi
accarezzò i capelli di
Elke. "Ora puoi aprire gli occhi, nevica".
La
ragazza alzò lo sguardo al cielo. Tanti, milioni di piccoli
fiocchi
di neve venivano giù, fitti e silenziosi, imbiancando ogni
cosa su
cui si posavano. "Come hai fatto?".
Mattheus
eruppe in una sonora risata. "Ah, chissà... Un giorno ti
dirò
anche questo".
Elke
sorrise, appoggiando la testa sulla sua spalla. "E' raro vederti
ridere Mattheus. Così com'è raro vederti tanto
gentile, anche se io
l'ho sempre saputo che sei buono, anche quando fai l'orso... Mi piace
stare qui a Pennes con te e con Falko e Drago. Vorrei non dovermene
mai andare".
Mattheus
la strinse a se. "Nessuno ha mai detto che te ne devi andare. E
ora su, torniamo a recuperare Falko e Drago. A quest'ora avranno
finito di addobbare l'abete e possiamo tornare a casa, al caldo, a
fare il presepe. La neve è bella, ma è talmente
ghiacciata...".
"Non
ricominciare a fare l'orso e a lamentarti, Mattheus".
Lo
stregone le prese dalle mani la statuina a forma d'orso, la rimise al
suo posto e prese sotto braccio la scatola. "Gli orsi, come hai
detto tu, sono nel mio destino da sempre. E' quasi passata la
mezzanotte, quindi a breve potrò smettere di fare la persona
sensibile e buona e tornare alle vecchie abitudini. Ma prima di
allora...".
"Cosa?".
Mattheus
appoggiò la mano sulla sua spalla, attirandola a se e
facendole
appoggiare il viso contro il suo collo. "Prima di allora devo
dirti ancora una cosa... Sei una bellissima persona Elke, non
ascoltare mai chi insinua il contrario. E sei anche una bella donna.
Talmente bella che se un giorno io picchiassi la testa, impazzissi e
decidessi di sposarmi... probabilmente desidererei una come te in
moglie".
Elke
ridacchiò. "Prima eri buono, gentile e serio. Ora invece mi
stai prendendo in giro...".
"In
effetti...". Anche Mattheus rise, ma non la lasciò andare.
La
strinse a se e la abbracciò, accarezzandole piano quei
capelli che
tanti problemi le avevano dato fin dalla nascita ma che lui invece
trovava semplicemente splendidi... Abbracciò la donna che
era
diventata e la bimba sola e disperata che era stata, sperando di
donare pure a lei un pò di calore e sollievo. "Buon Natale
Elke".
"Buon
Natale Mattheus".
Raggiunsero
i nani che ormai avevano completato il loro lavoro. L'abete era
addobbato di mille colori, grazie ai nastri di Elke. Era bello e
allegro a vedersi.
Mattheus
annuì. "Ottimo lavoro! L'anno prossimo farete di meglio, ne
sono sicuro. E per quanto riguarda te..." - disse ad Elke –
"ti comprerò dei nastri nuovi. Temo tu ne sia rimasta
sprovvista".
"Un'altra
promessa? Mattheus, tu ti stai complicando la vita".
Lo
stregone sorrise. Si avviarono verso Pennes e giunsero a casa che
ormai la mezzanotte era passata e le strade erano deserte. La neve
continuava a cadere incessantemente, imbiancando ogni cosa. Il fango
e le pozzanghere erano sparite e il manto bianco appariva candido ed
immacolato.
"Hei,
quello cos'è?" - disse Drago, indicando un piccolo pacco che
qualcuno aveva messo davanti alla porta della loro baita.
Mattheus,
accigliato, si avvicinò. Quando erano usciti poche ore prima
non
c'era, ne era sicuro. Osservò il piccolo pacchetto bianco,
lo prese
fra le mani e lo studiò. Poi lo aprì, rimanendo a
bocca aperta. "Lo
zelten? Chi diavolo...". Si voltò verso la strada deserta,
sorpreso. Chi poteva aver messo davanti alla sua porta quel dolce di
Natale? Prima di mangiarlo avrebbe controllato che non fosse
avvelenato, anche se il suo istinto gli diceva di stare tranquillo,
che quello che teneva fra le mani non era che un semplice regalo di
Natale fatto da qualcuno che desiderava rimanere nascosto.
Guardò
Elke, Falko e Drago. "Qualcuno fra voi ha uno spasimante? O per
caso, a mia insaputa uno di voi ha fatto qualche favore a qualcuno?".
Scossero
la testa, tutti e tre.
Mattheus
alzò le spalle. "Beh, che importanza ha, in fondo? Faremo il
presepe mangiando lo zelten. Ci è andata bene! Festeggeremo
il
Natale senza aver fatto minimamente fatica a cucinare".
Lasciò
entrare in casa Elke ed i nani, dando un'ultima occhiata alla strada
deserta, pensieroso. "Chiunque
tu sia, grazie..." - mormorò prima di chiudere l'uscio.
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Capitolo 10 *** Capitolo nove ***
Capitolo
nove
"Eeetciùùù".
Sentendolo
starnutire per l'ennesima volta, Elke si voltò verso lo
stregone che
da ore non si decideva a spostarsi dal camino. "Mattheus, ti sei
preso il raffreddore?".
Drago
annuì. "Raffreddore? Sono ore che starnutisce, domani
avrà un
febbrone da cavallo, potrei scommetterci".
"Temo
di sì. Dovremo chiamare il dottore" – aggiunse
Falko.
Mattheus
si soffiò il naso per l'ennesima volta. "Intanto, per prima
cosa, smettetela di gettarmi addosso la vostra jella, non sono
malato! E non lo sarò nemmeno domani, statene certi. Nel
caso le
cose si mettessero male, ho l'acqua del lago con me, mi
basterà
berla e dormirò felice e beato come un poppante. E domattina
sarò
come nuovo".
Elke
sembrava scettica. "Sì, però stai starnutendo un
sacco. Sicuro
che basti l'acqua del lago a guarirti?".
"NON-SONO-MALATO!
E' solo colpa di questo dannato gelo e di tutta la neve che sta
venendo giù da giorni. Fa un freddo cane fuori" –
disse,
indicando la finestra oltre la quale si poteva vedere la fitta
nevicata in corso. Era sera ormai, il buio aveva avvolto tutta Pennes
e in strada non c'era altro che il sibilo gelido del vento che
accompagnava la tormenta.
Elke
e i nani si guardarono in faccia, scoppiando a ridere.
Mattheus
sbuffò, guardandoli storto. "Che diavolo vi prende, ora?".
Elke
gli fece la linguaccia. "Ci hai detto che non siamo veri
tirolesi a Natale, quando non volevamo festeggiare. Però
Mattheus...
tu sei peggio. I veri tirolesi sono gente di montagna, resistenti al
freddo e alla neve. Niente li può fermare, nemmeno la
più violenta
fra le bufere. Guarda me e i gemelli, usciamo senza fare storie, con
un mantello logoro sulle spalle, facciamo la spesa e non battiamo
ciglio. Tu sono giorni che non fai che lamentarti che fa troppo
freddo, che nevica tanto, che non puoi commerciare i tuoi prodotti,
che non puoi andare al lago di Valdurna e stai finendo le tue scorte
d'acqua... Un vero tirolese, al lago di Valdurna, ci andrebbe
tranquillamente anche con la neve alta due metri".
Drago
rincarò la dose. "Esattamente".
Mattheus
voltò loro le spalle, sedendosi a gambe incrociate davanti
al camino
e continuando a borbottare. "Ah, andate al diavolo!".
Elke
ridacchiò. "Te la sei presa? Dai Mattheus, in fondo non
è mica
un male non amare il freddo".
Mattheus
si voltò verso di lei, fissandola gelidamente. La ragazza
era seduta
al tavolo da ore, intenta a lucidare le piccole ampolle di vetro dove
poi lui avrebbe messo l'acqua del lago da vendere. "Ormai sono
più lucide del cristallo. Ti ho detto già da un
pò di metterle via
e di prenderti in mano un libro per esercitarti nella lettura. O
sbaglio?".
Elke
abbassò lo sguardo, improvvisamente in
difficoltà. "Ah
Mattheus, non mi va! Ci metto ore a leggere una riga, è un
tormento.
Tu in un attimo ti leggi pagine su pagine, la fai facile con me...".
"Ci
metterai sempre delle ore, se non ti eserciti! Metti giù
quelle
ampolle e prenditi il dannato libro che ti ho messo sul tavolo dopo
cena". Mattheus starnutì di nuovo, per poi spostare la sua
attenzione sui nani. "E voi... vi ho mandato fuori stamattina
per comprare un pò di pane per il pranzo. Una cosina
semplice
semplice... Com'è che ci avete messo DUE ore per tornare?
Pensavo vi
avessero rapito! Cos'è, invece che lavorare, state in giro a
bighellonare?".
Elke
e i nani deglutirono. Ora Mattheus avrebbe fatto pagare a tutti e tre
la loro avventatezza e i loro scherzi.
Drago
si grattò il mento, pensieroso. "Ecco... no, non
bighellonare!
Ma vedi, dal panettiere si sentono un sacco di cose importanti. Sai,
ci siamo messi ad ascoltare le chiacchiere delle donne del paese e
abbiamo scoperto un sacco di cose interessantissime. Così,
di
nascosto eh, non temere. E sai una cosa? La signora Mair ha detto
alla signora Koffer che la signora Kroess non è affatto
vedova. Il
marito ha conosciuto a Brixen, durante un viaggio per vendere la lana
al mercato, un'altra donna. Ed è fuggito con lei non si sa
dove. La
povera signora Kroess ha dovuto inventare la storia della morte
improvvisa del marito durante il viaggio, per non morire dalla
vergogna".
Mattheus
picchiettò nervosamente l'indice sulla pietra che rivestiva
i bordi
del camino. "Avete finito di dire stupidaggini e di farvi i
fatti degli altri? Il pane, vi avevo chiesto di prendere SOLO un
pò
di pane! Non di andare ad indagare sulle scappatelle del marito della
signora Kroess. Etciùùù".
Elke
sospirò, davanti all'ennesimo starnuto. "Ragazzi, lasciate
perdere. Mattheus è entrato in modalità-orso, ha
pure il
raffreddore e se andate avanti vi farà lucidare tutta la
baita da
cima a fondo, per dispetto. Lo sapete com'è fatto".
"Elke,
il libro!" - ringhiò Mattheus.
La
ragazza fece per replicare, ma un improvviso e forte bussare alla
porta, fece sussultare tutti e quattro. Mattheus si
accigliò. Chi
diavolo poteva essere a quell'ora tarda, con quella tormenta? "Mhhh,
non ho voglia di vedere nessuno. Non andate ad aprire e facciamo
finta di essere già a letto".
Elke
scosse la testa. "Ma Mattheus, sarà qualcuno che ha davvero
bisogno di te. Con questa neve e questo freddo, a quest'ora,
dev'essere una cosa grave".
"Sono
malato...".
I
nani scossero la testa. "Non avevi mica detto, poco fa, che...".
Mattheus
incrociò le braccia. "Poco fa era poco fa. Ora sono malato".
Elke
fece finta di non sentirlo. Bussarono di nuovo, con forza. E lei
aprì, trovandosi davanti un uomo alto, imponente e spallato.
Indossava un mantello nero ormai fradicio, degli stivali da viaggio e
il suo viso era parzialmente celato dal cappuccio. I suoi abiti erano
eleganti, raffinati, non certo tipici degli abitanti di Pennes.
Lo
sconosciuto la squadrò per un attimo, accigliato. "E tu chi
saresti? Questa non è più la casa di Mattheus
Hansele?" -
chiese, con una punta di astio nel tono della voce.
Nel
sentirlo parlare, Mattheus si avvicinò alla porta, avrebbe
potuto
riconoscere quel particolare timbro di voce, alto e squillante,
ovunque. "Werner?". Era stupefatto, non poteva essere
lui...
Il
nuovo arrivato, appena lo vide, sorpassò Elke ed
entrò in casa,
abbassando il cappuccio. I suoi lunghi capelli biondi gli scivolarono
sulle spalle e i suoi occhi azzurri si illuminarono nel vedere lo
stregone. "Mattheus, amico mio! Quanti anni saranno ormai, che
non ci vediamo?".
"Cinque
anni forse. O anche di più". Mattheus si avvicinò
e i due
uomini si strinsero la mano, dandosi poi una pacca amichevole sulla
spalla. "Ma che diavolo ci fai quì a Pennes? Non mi dire che
sei venuto da Bozen con questo tempaccio?".
Il
nuovo arrivato, Werner, si guardò attorno accigliato,
fissando
intensamente Elke e i due nani. Mattheus se ne accorse, il suo amico
sembrava seccato dalla loro presenza. Conosceva Werner da sempre,
erano coetanei ed entrambi nativi di Ratschings, erano cresciuti
insieme come fratelli e le loro strade si erano divise solo da
adulti, quando se n'erano andati dalla Val Ridanna. Poteva percepire
i pensieri di Werner da un semplice sguardo e intuiva chiaramente
quanto fosse contrariato dal fatto di non essere soli. "La
ragazza è la mia assistente e i nani... li uso per portare
l'acqua
del lago fin quì".
Werner
scosse impercettibilmente la testa, mordendosi il labbro con
nervosismo. Si avvicinò a Mattheus, tirando fuori dalla
tasca del
mantello una piccola sacca in pelle. "Ho bisogno della tua
acqua, Mattheus. Un disperato bisogno... E' per Sabine".
Lo
stregone si incupì. Era tipico di Werner non stare a girare
troppo
attorno alle questioni e il suo tono nervoso e preoccupato lo
impensieriva. Che diavolo era successo al suo amico? "Quanta
acqua?".
Werner
gli fece scivolare la sacca fra le mani. "Quanta più riesci
a
darmene".
Mattheus
sospirò. La sua espressione era seria ora. E preoccupata.
Giocherellò col sacchetto datogli dall'amico, facendolo
rimbalzare
lievemente sul palmo della mano. Era pieno di monete, poteva sentire
distintamente il loro tintinnare ad ogni suo piccolo movimento.
"Aspettami quì". Senza dire nulla Mattheus entrò
nella
sua stanza da letto, uscendone pochi minuti dopo con tre bottiglie di
vetro piene d'acqua. Le mise in un borsone di stoffa e le diede
all'amico. "Di più non posso dartene, con questo tempaccio
da
lupi non riesco ad andare spesso a farne scorta. E ora usciamo e
andiamo alla locanda a bere una birra. Mi racconterai tutto...".
Elke,
rimasta in silenzio e in disparte coi nani, lo fissò
sorpresa.
Mattheus che usciva di sera, durante una nevicata? Era quasi assurdo
il solo pensarlo... "Ma il tuo raffreddore?".
Lo
stregone le diede una rapida occhiata, mettendosi addosso il suo
pesante mantello. Era curioso di sapere cosa avesse spinto il suo
amico fino a Pennes, tanto lontano da casa sua, in pieno inverno. E
conosceva abbastanza bene Werner da sapere che non gli avrebbe detto
nulla di nulla con Elke e i nani nei paraggi. Il suo amico era un
tipo estremamente cordiale e ciarliero con gli amici, ma estremamente
diffidente davanti a chi non conosceva. "Non ho nessun
raffreddore. E leggi quel benedetto libro" ribadì, questa
volta in tono secco.
Werner
sorrise freddamente. "Per un attimo ho pensato che comandasse
lei".
Mattheus
scosse la testa. "Non dire sciocchezze e seguimi". Aprì la
porta e senza un cenno di saluto uscì con l'amico in strada.
Era
preoccupato ed incuriosito, tanto da non avvertire quasi il vento
gelido sulla faccia e i fiocchi di neve che gli bagnavano le spalle.
Allo stesso tempo era seccato dal comportamento che Werner,
ricomparso dal nulla dopo anni, aveva tenuto in casa sua davanti ad
Elke e ai nani.
A
passo spedito, sfidando la tormenta di neve, si incamminarono nei
vicoli di Pennes, diretti all'unica locanda del villaggio. Non era
che una grossa baita da cui i proprietari avevano ricavato un salone
che fungeva da osteria e un paio di camere al piano superiore per i
viandanti di passaggio.
Vedendoli
entrare a quell'ora, nel mezzo di una tormenta di neve e riconoscendo
Pfeifer Huisele, il locandiere spalancò gli occhi. "Ma...
Ma...
Noi siamo chiusi... cioè no, siamo aperti... ma...".
Mattheus
sbuffò, guardandosi in giro. La locanda era vuota e del
resto non
aveva avuto alcun dubbio che non fosse così. Di giorno ci
venivano
gli abitanti di Pennes, uomini anziani soprattutto, per bere una
birra o del vino in compagnia. Ma la sera tardi, soprattutto in
inverno, nessuno si aggirava per le strade del villaggio per andare a
bere. Per il locandiere doveva essere un evento eccezionale,
soprattutto perché uno dei due avventori era lui. "Due
birre,
grazie!" - disse secco, senza giri di parole, incurante del
panico che il suo arrivo aveva generato nell'uomo.
"Boccali
belli grandi, grazie!" - aggiunse Werner, sedendosi a uno dei
tavoli.
Mattheus
si accomodò davanti a lui. Non era per niente tranquillo e
il suo
umore era pessimo. Era felice di rivedere un vecchio amico ma
immaginava che le circostanze che lo avevano condotto fin lì
non
fossero felici. Era anche uscito di casa controvoglia, non
perfettamente in forma ed ora era percorso da brividi di freddo. Un
letto caldo, un buon libro da leggere, il camino acceso e zampillante
mentre fuori nevicava... Ecco, quella sarebbe stata una serata
perfetta! "E allora Werner, che diavolo è successo a
Sabine?"
- domandò senza giri di parole, sorseggiando la birra che
l'oste gli
aveva appena appoggiato sul tavolo. Conosceva quella donna, l'avevano
incontrata per caso anni prima a Bozen, quando lui e Werner erano
ancora uniti e inseparabili come fratelli. Era il loro primo viaggio
lontano da Ratschings e il padre di Werner li aveva spediti a Bozen
in sua vece per vendere della lana al grande mercato della
città.
Sabine a lui era sembrata una banale ragazza tirolese, né
più né
meno bella di molte altre, piuttosto insignificante ai suoi occhi. La
ricordava bene. Aiutava i suoi genitori al mercato, aveva lunghe
trecce bionde, occhi verdi, colorito pallido e una magrezza forse
eccessiva, tanto che le si potevano contare le ossa, se lo si fosse
voluto. Werner ne era rimasto affascinato e se n'era innamorato. I
due erano diventati subito inseparabili. Ricordava quanto lui gli
avesse ripetuto che poteva trovarsi di meglio, che Bozen era lontana
e che doveva dimenticarsela, ma il suo amico era stato irremovibile.
Al loro ritorno a Ratschings aveva comunicato alla sua famiglia
l'intenzione di trasferirsi a Bozen e di sposare Sabine e
così aveva
fatto. L'anno successivo si erano sposati, ed avevano aperto una
piccola attività di vendita di lana. Da allora lui e Werner
si erano
rivisti solo sporadiche volte, nelle rare occasioni in cui Mattheus,
dopo essersi trasferito a Pennes, si era recato a Bozen per vendere
la sua acqua o i suoi prodotti curativi. Un tempo erano stati amici
inseparabili, ma gli anni di lontananza e le vite diverse che ormai
conducevano avevano finito per allontanarli. Mattheus lo guardava e
più stava con lui più aveva la sgradevole
sensazione di trovarsi
davanti ad un estraneo. In quell'uomo non c'era più nulla
del
ragazzino che era stato suo amico: i suoi abiti eleganti, il suo tono
sbrigativo e vagamente altezzoso... era diventato un uomo di
città e
ben poco era rimasto del pastorello che era stato a Ratschings.
Werner
sorseggiò la birra, piano. "Il mese scorso è nato
il nostro
terzo figlio. Un maschio finalmente, dopo due bambine. L'ho chiamato
Fritz, come mio padre. Però... Sabine è stata
molto male, ha
rischiato di morire durante il parto e non si è mai ripresa
del
tutto. Complicazioni impreviste, dicono i dottori che l'hanno
visitata. E il piccolo... beh, è molto piccolo. Troppo. E'
debole e
il medico dispera che possa vivere a lungo. Ho aspettato alcuni
giorni che la situazione rientrasse e quando Sabine è
migliorata,
seppur impercettibilmente, sono venuto da te".
Mattheus
spalancò gli occhi. Si, ok, la situazione era tragica ma...
"TRE
FIGLI? Ma sei impazzito? Ero rimasto ad una, Grethel".
Werner
sospirò, scuotendo la testa. "Tu non cambierai mai, Si, tre
figli! Grethel, Hilde e Fritz".
"Grethel,
Hilde e Fritz..." - ripeté Mattheus. Prese un'altra sorsata
di
birra, sperando che riuscisse a calmargli il mal di gola che lo stava
divorando. "Quindi, sei venuto fin qui perché speri che la
mia
acqua possa fare qualcosa, giusto?".
Werner
annuì. "Può aiutare mia moglie e il mio bambino?".
Lo
stregone accavallò le gambe, pensieroso. "Può
farlo, sì. Ma
Sabine è sempre stata cagionevole di salute, la
mortalità infantile
è molto elevata da queste parti e i bambini spesso non
arrivano a
compiere un anno. L'acqua può aiutare, ma non può
salvare dalla
morte qualcuno che vi è destinato. E tutti dobbiamo morire,
prima o
poi". Prese dalla tasca la sacca di monete che Werner gli aveva
dato, lasciandola cadere sul tavolo. "Tieniti i tuoi soldi, non
li voglio. Prendi la tua acqua, chiedi una camera da letto per la
notte qui alla locanda e domani mattina riparti subito per tornare
dalla tua famiglia. Più di questo non posso dirti".
Werner
si accigliò. "Come sei sbrigativo Mattheus. Lo sei sempre
stato, ma non è da te questa freddezza nei miei confronti. E
non è
da te rifiutare del denaro. Speravo in una conversazione un
po’ più
lunga ed amichevole con te, visto che sono anni che non ci vediamo".
"Mi
hai chiesto l'acqua e te l'ho data. Di più non posso fare.
Per
quanto riguarda il resto, non ho niente da dirti. Non ti vedo e sento
da una vita e mi sembri cambiato. Non ti riconosco più,
Werner".
"Sono
ancora tuo amico, Mattheus, nonostante la lontananza".
Lo
stregone annuì, serio. "Oh, sì, un amico che si
è ricordato
di me solo nel momento del bisogno. Se Sabine e tuo figlio stessero
bene, non ti saresti certo degnato di venire da me. Lo hai fatto per
bisogno, come tanti altri. E io ti tratto come tratto gli altri. Oh,
già, ora che me lo ricordo... Quando vieni in casa mia la
prossima
volta comportati educatamente. Non ho affatto gradito né il
modo in
cui hai guardato i miei tre assistenti né il tono che hai
usato nei
loro confronti".
A
quelle parole, Werner scoppiò a ridere. "Ma di chi parli?
Dei
nani e della piccola strega albina? Avanti Mattheus, dimmi che stai
scherzando...".
Il
tono di Mattheus rimase serio, oscurandosi ancora di più.
"Si
chiamano Falko, Drago ed Elke. E ti assicuro che al momento
preferisco la loro compagnia alla tua".
Anche
Werner si fece serio. "E' per loro che non mi ospiti da te per
la notte?".
Mattheus
alzò le spalle. "Ho la casa piena e tutte le stanze
occupate. A
meno che tu non voglia dormire nella stalla, credo che dovrai trovare
ospitalità qui alla locanda".
"Mattheus!".
Werner gli afferrò il polso, stringendolo. "Va bene, i nani
ti
servono per lavorare. E come fenomeni da baraccone possono anche
essere divertenti. Ma non essere idiota, la ragazza albina toglitela
dai piedi. E' una strega, chi ha quei capelli è maledetto.
Ti
procurerà molti più guai di quanti tu ne abbia
già".
"Elke,
lei si chiama Elke. E non è una strega. L'aria di
città vedo che
non ha giovato al tuo cervello e a tutte le tue stupide credenze ".
Werner
si morse il labbro. "Lo dico per te, sei mio amico! Che te ne
fai di una così in casa?".
"Vuole
imparare da me e io la reputo adatta".
Werner
scosse la testa. "Molti vorrebbero imparare da te, posso
presentartene una lunga fila".
"Era
sola, senza nessuno".
"E
in molti sono soli e senza nessuno che badi a loro".
"Lei
è diversa".
A
quelle parole, Werner scoppiò nuovamente a ridere. "Oh
sì,
diversa. Lo dicevo pure io di Sabine. E l'ho sposata! Ma Sabine non
è
albina Mattheus, dannazione! Se vuoi una donna vieni a Bozen. Te ne
presenterò di bellissime. Ma togliti quella strega di casa!".
Mattheus
strinse i pugni dalla rabbia. Non tanto per quello che Werner aveva
detto, Elke era lontana e non poteva sentire, ma perché si
era reso
conto che loro due non avevano più nulla in comune.
Del bambino della Val Ridanna che si arrampicava sulle piante e
correva coi cani da pastore, che sognava di essere uno spadaccino e
di vivere mille avventure per il mondo, non era rimasto che un
signorotto di città baldanzoso e altezzoso, pronto a
giudicare
chiunque non gli fosse andato a genio. Si alzò dalla sedia
di
scatto, facendola cadere a terra. "Hai la tua acqua e per me la
cosa finisce quì.
Buona fortuna con la tua famiglia".
Werner
spalancò gli occhi. "Dove diavolo vai?".
"A
casa mia. Sto molto meglio lì che con te". Era vero, se ne
accorse in quell'istante. Casa sua, da quando Elke e i nani erano
entrati nella sua vita, gli sembrava più calda,
più accogliente,
più bella... E per quanto avesse amato la solitudine, gli
piaceva
avere intorno i suoi tre assistenti, prenderli in giro e a volte
anche stare ad osservare i disastri che combinavano. Quei due gemelli
nani e quella una ragazza albina, che da lui non avevano mai preteso
nulla, erano diventati una specie di famiglia per lui. Una famiglia
che lo accettava e lo sopportava nonostante il suo carattere pessimo
e i suoi modi di fare a volte sgarbati.
"E
dai, non fare l'idiota! Resta ancora un po’".
Mattheus
scosse la testa. "Buona fortuna" – sussurrò di
nuovo,
senza aggiungere altro. Andò al bancone dal locandiere,
depose una
manciata di monete e senza dire altro uscì, negando a Werner
la
possibilità di fermarlo.
La
strada di ritorno fu più difficile, la tormenta si era fatta
ancora
più forte e il raffreddore gli era aumentato
esponenzialmente. E in
più aveva un forte mal di gola e di testa.
Quando
giunse davanti casa, si accorse che il salottino era ancora
illuminato. Entrò, notando che Elke e i nani erano seduti
ancora a
tavola. Le ampolle erano state sistemate e i tre stavano sfogliando
il libro che Mattheus aveva dato alla ragazza da leggere.
"Sei
già tornato? E il tuo amico?" - chiese Elke, sorpresa.
"Dormirà
alla locanda" – rispose semplicemente, avvicinandosi a loro.
"Avete in mano il mio libro! Sono indeciso se esserne sorpreso o
sinceramente commosso".
La
ragazza gli fece la linguaccia e Drago ridacchiò. "Elke ci
voleva insegnare a scrivere i nostri nomi".
"Lei?".
Mattheus scoppiò a ridere. Appoggiò una mano
sulla testa della sua
assistente, scompigliandole i capelli. "Elke sa a malapena come
si scrive il suo, di nome".
"Ahah,
spiritoso!" - borbottò lei. Fece per dire altro ma si
fermò,
studiandolo accigliata. Gli appoggiò la mano sulla fronte,
piano.
"Mattheus, stai bene?".
Lo
stregone chiuse per un attimo gli occhi. Il tocco di Elke sulla sua
fronte gli piaceva, decise. Lo faceva sentire bene... "Forse non
molto".
La
ragazza sospirò. "Lo dicevo che avevi il raffreddore! E ora
temo che tu abbia anche la febbre, scotti".
"Credo
di sì".
Elke
si alzò dalla sedia, prendendogli una mano fra le sue.
"Mettiti
a letto e bevi la tua acqua. Nel frattempo ti preparo una tisana di
salice bianco, cannella e sambuco. Ti aiuterà a far scendere
la
febbre. Non saresti dovuto uscire col raffreddore e la neve,
Mattheus".
"Lo
so". Già, lo sapeva bene. Si rese conto che per tutto il
tempo
in cui era stato con Werner, non aveva desiderato altro che tornare a
casa. Ripensando al suo amico e al modo in cui aveva parlato di Elke
e i nani, fu percorso da un fremito di rabbia. Quelle tre persone si
preoccupavano genuinamente di lui e si preoccupavano che stesse bene.
Ed era un qualcosa che mancava da tanto nella sua vita.
Si
mise a letto, coprendosi fin sopra la testa. Stava congelando! Prese
una ampolla con l'acqua del lago e la bevve, a fatica. Ci sarebbe
voluta tutta la notte perché facesse effetto, lo sapeva. E
il giorno
dopo sarebbe comunque stato uno straccio.
"Mattheus,
vuoi qualcosa? Ghiaccio, un panno bagnato sulla fronte?" -
chiesero Falko e Drago, facendo capolino nella stanza.
L'uomo
scosse la testa. "No, grazie. Di ghiaccio e acqua ne ho piene le
scatole. Andate pure a dormire, domani starò meglio".
I
nani annuirono e dopo averlo salutato, sparirono nella loro stanza.
Pochi
minuti dopo, con una tazza fumante in mano, Elke si sedette accanto a
lui. "Coraggio, bevi".
Mattheus
inspirò il profumo forte che emanava la tisana. "Sembra
buona.
Ma non so se ce la faccio a berla tutta, mi sento male come non mi
è
mai capitato nella vita".
Elke
sospirò, accarezzandogli i riccioli sulla fronte. "Non sei
moribondo, hai solo l'influenza".
"Se
la bevo, resti qui un pò?" - mugugnò.
La
ragazza sorrise, paziente. "Va bene. E ora tirati su e bevi
tutta la tisana".
Mattheus
annuì e per una volta fu docile e fece come gli veniva
richiesto,
senza fare storie. "Mi è spiaciuto uscire così,
stasera. Sì
insomma, ero un pò scorbutico, no?".
Elke
rise. "Non più del solito".
"Sto
bene con voi. Meglio che con quell'idiota di Werner di sicuro.
Accidenti a lui e a tutti i suoi consigli".
"E'
un tuo amico e si preoccupa per te Mattheus, suppongo".
Lo
stregone scosse la testa. "Si preoccupa delle cose sbagliate".
Bevve la tisana e poi crollò di nuovo sul cuscino,
stringendo la
mano di Elke nella sua. "Cosa hai letto?" - le chiese,
ricordandosi del libro.
Le
dita della ragazza si intrecciarono alle sue. "Poche righe.
Però
quel libro è bello, parla di leggende del Tirolo, giusto?".
"Giusto.
Te l'ho dato apposta perché sapevo che ti sarebbe piaciuto e
ti
sarebbe venuto voglia di leggerlo. E' un libro di fiabe che parla di
principi e principesse del Tirolo. Si insomma, quelle storie d'amore
che piacciono tanto a voi ragazze".
"Davvero?
In quale punto del libro?".
Mattheus
ridacchiò. "Te lo dovrai leggere tutto, se vorrai saperlo.
Io
non ti dirò niente".
Elke
strinse più forte la sua mano. "Lo immaginavo...".
Mattheus
si trovò a pensare nuovamente a quanto gli piacesse averla
vicino. E
il calore delle loro dita, intrecciate, fu l'ultima cosa che
avvertì
prima di addormentarsi.
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Capitolo 11 *** Capitolo dieci ***
Capitolo
dieci
Era
una giornata di sole limpido, uno di quei giorni d'inverno che fa
risplendere la neve e il ghiaccio di mille tonalità e
colori. Il
vento era gelido ma dopo giorni di fitte nevicate le strade di Pennes
si erano riempite di gente desiderosa di stare un po’
all'aria
aperta.
C'era
uno strano via vai quella mattina, unito a una concitazione che di
certo non apparteneva agli abitanti di quel paese, di solito
silenziosi e riservati.
Mattheus
alzò le spalle con noncuranza, passeggiando per i viottoli
del
villaggio, attento a non inzaccherarsi i piedi con fango e neve. Si
chiedeva cosa avessero tutti quanti. Sicuramente il sole metteva di
buon'umore, ma tutta quell'agitazione era decisamente troppa per un
tipo poco tollerante al baccano come lui. "Starnazzano tutti
come galline..." - borbottò, scalciando un sassolino sul
selciato. Al momento però, la sua preoccupazione maggiore
non era
data dall'eccitazione dei suoi beneamati concittadini ma da altro.
"Dove diavolo è finita Elke? Com'è che tutti i
miei
assistenti, quando li mando a prendere il pane, poi spariscono per
ore?". Davvero, non capiva! Falko e Drago, quella mattina a casa
a riassettare, dal panettiere si perdevano dietro le mille
chiacchiere delle pettegole di paese ed Elke probabilmente non era
molto diversa da loro visto che era da più di un'ora che la
aspettava davanti alla stalla del signor Stulz, camminando avanti e
indietro per la via.
"Corri,
corri Joseph! Vedrai che forte, il signore che c'è in
piazza!"
- urlò un monello di circa cinque anni al compagno di
giochi,
passandogli davanti.
Mattheus
si accigliò. Chi diavolo era arrivato a Pennes di nuovo?
"Hei
voi due, fermatevi!" - ordinò ai bambini.
I
due amichetti si bloccarono di colpo, rischiando di cadere a terra.
Lo osservarono per alcuni istanti incuriositi, poi sorrisero. "Oh,
Pfeifer Huisele! Fantastico, tu sei lo stregone di Pennes! Sai che
mia mamma ha tantissima paura di te?" - disse quello che doveva
chiamarsi Joseph.
Mattheus
alzò gli occhi al cielo. "Grandioso, mi fa piacere... Ma,
con
tutto il rispetto per la tua mammina di cui non mi interessa nulla,
mi dite che sta succedendo in piazza? Chi è arrivato?".
I
due bimbi si guardarono negli occhi. Poi fu di nuovo Joseph a
rispondere. "Oh, un signore generosissimo e molto, molto ricco.
Dicono si chiami Lucius. Sta regalando monete d'oro, amuleti magici e
tisane curative a tutti quelli del villaggio. Un benefattore. A mamma
ha dato cinque monete d'oro, figurati che poi piangeva dalla
felicità! Mi sa che è un tuo collega, Pfeifer
Huisele! Dicono sia
un mago e che gli oggetti che regala siano fabbricati con la magia.
Ma mamma dice che, a differenza di te, è simpatico e
gentile".
Mattheus
picchiettò il piede sulla strada, incrociando le braccia.
"Ooooh,
ma chi diavolo è tua madre?".
"Thea
Wasser. Le hai venduto la tua acqua il mese scorso! Era per
papà che
aveva il mal di schiena. Mamma dice che l'hai spennata fino
all'ultima moneta di rame".
"Thea
Wasser, la moglie del pastore di capre...". Mattheus
sospirò.
Donna dal poco coraggio e dall'innegabile lingua lunga. "Grazie
delle informazioni, bambini. Andate pure in piazza. E salutami la tua
cara mammina quando la vedi, Joseph. Dille che Pfeifer Huisele la
pensa e la porta sempre nel cuore..." – concluse, col
più
falso sorriso che esistesse al mondo sulle labbra.
Il
bimbo lo guardò stranito per un attimo. "Oh, va bene"
–
rispose, con un'alzata di spalle.
Mattheus
li osservò correre via. Nonostante tutto, aveva decisamente
poca
voglia di scherzare... Questa storia del benefattore-mago non lo
convinceva per niente, non tanto perché poteva influire
negativamente sui suoi guadagni quanto perché c'era qualcosa
che non
gli tornava. Non esistevano persone del genere sulle Dolomiti e di
certo nessuno regalava niente in cambio di niente a perfetti
sconosciuti, a meno di non volerseli in un certo senso comprare... E
se tanto gli dava tanto, solo una persona poteva fare quel genere di
cose. E se era chi pensava, quelli non erano regali e prima o poi il
misterioso benefattore avrebbe preteso di essere contraccambiato. Si
guardò attorno e visto che di Elke non c'era traccia, si
diresse a
grandi falcate verso la piazza. In fondo Pennes era piccola e la sua
assistente l'avrebbe comunque ritrovato. O alla peggio, sarebbe
andata a casa da sola.
Giunse
in piazza e si appoggiò al muro della Chiesa, incrociando le
braccia
pensieroso. La gente di Pennes se ne stava ammassata vicino a un
carro di legno sul quale erano ammassati una gran quantità di
oggetti
e sopra tutti, una voce urlava, raggiungendo le sue orecchie in
maniera fastidiosa. Non poteva vederlo in viso, troppa gente si
frapponeva fra lui e il nuovo arrivato,ma non aveva bisogno di
guardarlo in faccia, aveva già capito. Quell'accento, quel
tono di
voce fintamente piacione e gioviale, quella falsa allegria, quella
ostentata e siffatta simpatia... LUI era tornato. E qualsiasi cosa
fosse venuto a fare, ne sarebbero scaturiti solo guai.
Mattheus
guardò gli abitanti di Pennes: non era arrabbiato con loro
perché
non sapevano chi avevano davanti ed il nuovo arrivato aveva modi di
fare suadenti ed ammalianti. Chiunque ci sarebbe cascato, se non
avesse saputo...
Lo
stregone rimase fermo, immobile ed in disparte per una buona ora,
appoggiato al muro. Osservò la gente chiedere soldi, amuleti
e
pozioni magiche e li vide andare via contenti. Fu solo quando
scoccò
il mezzogiorno che la folla si allontanò per il pranzo e
Mattheus
poté vederlo in faccia. Era curioso di sapere quali
sembianze avesse
assunto questa volta...
I
loro occhi si incrociarono, quando furono rimasti solo loro in
piazza. Da un lato lo stregone, dall'altro il demonio... L'ultima
volta che l'aveva incontrato aveva l'aspetto di un giovane aitante
guerriero dai lunghi capelli rossi. Ora invece era un uomo sulla
cinquantina, dall'aspetto bonario dato dai molti chili di troppo e
dai capelli e occhi neri come il carbone.
"Vuoi
qualcosa anche tu?" - chiese il nuovo arrivato, con un ghigno
sul viso.
Mattheus
si incupì. Lasciò la sua postazione a ridosso
della Chiesa e si
avvicinò a lui a piccoli passi. "No, non ho bisogno di nulla
e
tu lo sai. Pochi giri di parole e niente giochetti, demonio! Io so
chi sei e tu sai chi sono io. Che cosa ci fai quì?".
Il
diavolo sorrise. "Mattheus Hansele, sono venuto a trovare un
amico... Non sei felice di vedermi, di tanto in tanto?".
"No,
vattene!".
L'uomo
si guardò attorno, pensieroso. "Perché? Sono il
nuovo idolo di
Pennes, la gente mi adora. Sono stato soprannominato 'Lucius il cuore
d'oro', non lo trovi divertente?".
Mattheus
scosse la testa, non staccandogli gli occhi di dosso. "Per
niente. Vattene e lasciaci in pace Lucius... O Satan... O Seraphin!
Qualsiasi nome tu abbia scelto stavolta, sparisci!".
"Non
faccio niente di male".
Mattheus
sorrise freddamente. "Tu fai sempre qualcosa di male. Prima o
poi colpisci, ferisci e uccidi. Lo hai fatto una, mille volte. E
continuerai a farlo sicuramente. Ma non ora e non qui!".
Lucius
ridacchiò. "Mattheus Hansele, tu non comandi né
su di me né
su Pennes. La gente mi ama, vuole avermi vicino e io gli do tutto
quello che desiderano".
"Tu
non regali, tu baratti. Oggi dai loro una moneta, domani gli
chiederai l'anima e la totale obbedienza. Questo, a quella gente, lo
hai specificato?".
Lucius
scoppiò a ridere. Una grassa, scomposta risata. "Hai poco
senso
dell'umorismo e scarsa educazione, mio caro amico. Non si tratta
così
un ospite".
Lo
stregone si morse il labbro e con un gesto veloce prese il polso del
suo interlocutore, stringendolo con forza. "Io non sono tuo
amico".
"Nemmeno
io Mattheus Hansele. Ma possiamo fare finta...".
"Scordatelo!".
Lucius
rise, di nuovo. "Ahah, sai una cosa? Jakob era più gentile e
divertente di te".
A
quelle parole, Mattheus strinse ancora di più il suo polso.
Gliel'avrebbe volentieri torto, spezzato... L'avrebbe ucciso anche,
se ne avesse avuto l'occasione e la possibilità. "Non
nominare
mai più quel nome" – sussurrò rabbioso.
Era una rabbia
fredda la sua, la più pericolosa. Non doveva parlare di
Jakob, non
doveva permettersi...
"E
invece lo farò tutte le volte che mi pare" –
ribatté Lucius,
per nulla intimorito, quasi leggendogli nel pensiero. "Come sta
Jutta?".
Mattheus
strinse ancora più forte il suo polso. "Ti ho detto di
tacere!".
"Non
sarai certo tu a dirmi cosa devo e non devo fare".
Mattheus
si morse il labbro, lasciando la presa su di lui. "Un duello...
Se vinco, te ne vai. Funziona così, no?".
Lucius
scosse la testa. "Ora non mi va. Si sta tanto bene qui a Pennes,
Mattheus. Ma magari più avanti si potrebbe fare... Sarebbe
bello,
una specie di commemorazione dei bei tempi passati".
"Mattheus,
eccoti!".
La
voce di Elke lo fece sussultare. Se c'era un momento sbagliato in cui
incontrarsi, era decisamente quello. "Che ci fai ancora in giro?
Vai a casa e aspettami lì" – disse alla ragazza,
in tono
nervoso.
"Ti
stavo cercando. La panettiera ha finito il pane e...".
Mattheus
si morse il labbro, notando il modo in cui Lucius guardava la
ragazza. Non andava bene, per niente! "Non importa! Vai a casa,
dannazione!".
"Che
modi sgarbati che hai, stregone!" - commentò Lucius
avvicinandosi ad Elke – "Non si deve parlare così
a una
donna. Con una fanciulla tanto bella e delicata ci vogliono solo
dolcezza e gentilezza". Si avvicinò ad Elke e con un gesto
veloce le prese una mano, portandosela alle labbra per baciarla.
Quello
era troppo. Mattheus sentì il sangue ribollirgli in testa,
la rabbia
che cresceva a dismisura e una furia cieca che sembrava prendere
possesso di ogni fibra del suo corpo. Non doveva osare... Ed Elke
doveva fare quel che lui diceva. Con un gesto secco prese il braccio
della ragazza, allontanandolo dalle labbra di Lucius. "Non
toccarla".
Elke
deglutì. "Mattheus?".
Lucius
scoppiò nuovamente a ridere. "Ah, quest'uomo non
cambierà mai,
sarà sgarbato e maleducato fino alla morte, probabilmente.
Lo
conosco da anni, dolce fanciulla e ti giuro che peggiora, invece che
migliorare. Come ti chiami?".
"Elke".
Mattheus
strinse i pugni. "Vattene a casa".
Come
se non lo sentisse, Lucius si avvicinò nuovamente alla
ragazza.
"Siamo colleghi io e Mattheus. Sono uno stregone e sono anche un
benefattore".
Elke
si guardò attorno. "Oh, allora sei tu quello di cui tutti
parlano! L'uomo che distribuisce doni e monete d'oro, il mago?".
Lucius
annuì. "Proprio io. E tu, dolce Elke, cosa vuoi che ti
regali?".
"Non
vuole niente!" - si intromise nuovamente Mattheus.
Elke
annuì. "Sì, davvero. Non ho bisogno di nulla e
forse dovrei
andare a casa per davvero".
Lucius
sorrise. "Solo un attimo, dolce Elke". Si mise una mano in
tasca da cui, come per magia, estrasse una lunga e sgargiante rosa
rossa. "Scommetto che lui non te ne ha mai regalata una.
Prendila Elke, è per te" – mormorò,
mettendole il fiore fra
le mani.
Elke
arrossì. "Grazie...".
Lucius
le fece un profondo inchino. "Ora mi congedo, vado a pranzare.
E' stato un piacere, piccola Elke. Mattheus... a presto, amico".
Quando
si fu allontanato, la ragazza si voltò verso lo stregone,
che
intanto si era allontanato, stringendo fra le mani la rosa. "Che
ti prende?".
Mattheus
rallentò il suo passo e quando vide la sua assistente
avvicinarsi,
si fermò. Il suo sguardo era furibondo. "Mi prende che
quando
ti dico di fare qualcosa, tu la fai!". Non aveva voglia di
parlare con Elke, non aveva voglia di parlare con nessuno. Doveva
riordinare le idee, in fretta, e decidere il da farsi per rispedire
il demonio all'inferno. Sempre più furioso, riprese la sua
marcia
verso casa, seguito a ruota da Elke.
"Perché
sei stato così scortese con quell'uomo? Mi piace Lucius,
piace a
tutti a quanto pare, a parte te. E' così gentile e
disponibile con
la gente del villaggio" – sussurrò Elke, odorando
la rosa
rossa che il nuovo arrivato le aveva regalato.
Mattheus,
furibondo, la fissò torvo. "Dici così solo per
due o tre moine
che ti ha fatto, Elke. Ti ha regalato una rosa e ti sei fatta
comprare da lui. Se vuoi un consiglio, stagli lontana. E'
pericoloso!".
"Mi
ha regalato una rosa perché è gentile e se vuoi
saperlo, mi ha
fatto piacere riceverla. Nessuno mi aveva mai regalato un fiore".
Mattheus
sospirò, scuotendo la testa. Elke non gli avrebbe mai dato
retta,
nessuna spiegazione che poteva darle le avrebbe fatto cambiare idea.
E in generale, in quel momento non aveva voglia di dare spiegazioni a
nessuno. Aveva ottimi motivi per odiare Lucius ed Elke doveva
credergli sulla parola, senza fare obiezioni o domande. "Se vuoi
dei fiori, puoi raccoglierteli da sola. Queste montagne sono piene di
prati che a loro volta sono pieni di fiori. Ti basta andarci e
prenderne quanti ne vuoi. Fra poco sarà primavera, non avrai
che
l'imbarazzo della scelta".
"Non
è questo, è il gesto che conta. E Lucius
è stato gentile".
Mattheus,
sempre più di cattivo umore, scalciò un sasso.
Odiava Lucius,
odiava la gente del villaggio che gli dava retta come un branco di
caproni e in quel momento non aveva troppo in simpatia nemmeno Elke.
Era arrabbiato, con Lucius, con tutta Pennes e con la sua piccola
assistente albina. Con lei più di tutti, anche se non ne
capiva il
motivo. Nella
sua mente era ancora viva l'immagine di Lucius che prendeva la mano
di lei per baciarla e questo lo mandava fuori dai gangheri. "Sai
perché te li ha regalati?" - chiese alla sua assistente,
fermandosi di colpo. "Perché lui è il diavolo e
tu sei sua
figlia. Volevi sapere la verità, giusto? Lui è il
demonio, viene
dall'inferno e tu lo hai accolto a braccia aperte. Fra parenti vi
riconoscete, evidentemente...". Sì, aveva colpito basso, lo
sapeva. Ma Elke se l'era cercata.
La
ragazza si bloccò, osservandolo in un misto fra stupore e
dolore.
"Perché sei così cattivo con me? Non ho fatto
niente di male!
E non sono la figlia del diavolo, lo sai".
"Hai
i capelli albini e chi li ha, è figlio del diavolo. Lo
dicono tutti,
di te, Elke. Perché io dovrei affermare il contrario?".
L'espressione
di Elke si rabbuiò. "Smettila..." - sussurrò, con
voce
tremante.
Mattheus
sorrise, freddamente. "No, non la smetto, figlia del diavolo.
Anzi, lo ripeterò mille volte, se mi andrà di
farlo. Figlia del
diavolo, figlia del diavolo, figlia del diavolo... Contenta di
rivedere il tuo paparino, strega?".
"Mattheus...".
Elke deglutì e per un attimo impallidì.
Lasciò cadere la rosa che
aveva fra le mani e corse via, prendendo il primo vicolo che si
trovava davanti.
Mattheus
le andò dietro, a passi spediti e rabbiosi. "Brava,
bravissima!
Scappi davanti alla verità? Finiscila con queste scene da
donnicciola Elke, e fermati!".
Ma
la ragazza non si fermò. A passo veloce, correndo, raggiunse
il
delimitare di Pennes, arrivando al bosco di abeti. La neve era ancora
alta lì e fu costretta a rallentare il passo per non cadere.
Mattheus
ne approfittò e con un gesto veloce la bloccò,
prendendola per il
braccio. "Ti ho detto di fermarti! E non te lo ripeto!" -
urlò, spingendola contro il tronco di un albero e parandosi
davanti
a lei, bloccandole ogni via di fuga.
La
ragazza cercò di divincolarsi, ma la presa sul suo braccio
era
ferrea. "Lasciami! Ti ho detto di lasciarmi Mattheus".
"No".
Elke
tentò di spingerlo indietro, senza successo. La stretta
dello
stregone le faceva male... "Lasciami Mattheus! Lasciami o
urlerò! Urlerò talmente forte che
accorrerà tutta Pennes. Ti giuro
che lo faccio".
Mattheus
non si fece spaventare. La sua rabbia e la sua furia erano cieche in
quel momento. La faccia di Lucius, le sue parole, i suoi gesti di
quel giorno si mischiavano al passato e a ricordi dolorosi.
"Lasciarti? Io ti ho ordinato di andare a casa e tu ora mi stai
disubbidendo. Quindi non ti lascio finché non farai quel che
io ti
dirò. Hai capito, figlia del diavolo?".
"Io
non sono una tua proprietà! E tu non puoi obbligarmi a fare
niente".
Mattheus
scosse la testa. "Sei la mia assistente e farai quel che io ti
dico. Sempre!".
Elke
sorrise. Un sorriso triste, distante... I suoi occhi si inumidirono e
sembrò fare violenza a se stessa per non piangere. "Non lo
sono
più... Io sono maledetta, la figlia del demonio, una strega,
giusto?
Lo hai detto tu poco fa, lo hanno detto sempre tutti, fin dal giorno
della mia nascita. Con lo stesso tono che hai usato tu, la stessa
cattiveria negli occhi. Ma oggi... oggi mi ha fatto male più
di
tutte le altre persone. Mi fidavo di te, Mattheus. Credevo che tu...
che tu mi vedessi come una persona normale. Mi sbagliavo...".
Mattheus
scosse la testa. Per quanto odiasse vederla piangere, in quel momento
la rabbia era ancora troppo forte per riuscire a calmarsi. "Hai
parlato col demonio, hai accettato un suo dono, lo hai fatto
avvicinare a te e gli hai permesso di baciarti la mano. Lo capisci
perché sono così arrabbiato? Tu non hai nemmeno
idea di chi lui
sia, di quello che può fare, di quello che ha già
fatto!".
Elke
si abbandonò contro il tronco dell'albero. "Non mi importa
chi
lui sia. Io non lo sapevo e non ho certo desiderato che si
avvicinasse a me. Era gentile e mi ha fatto un dono, tutto
quì".
"Se
fossi tornata a casa come ti avevo detto, non sarebbe successo. Ed
è
quello che ora farai".
"No".
Mattheus
si morse il labbro talmente forte da sentire il sapore del proprio
sangue in bocca. "Elke, mi sto arrabbiando seriamente".
La
ragazza scosse la testa. Portò lentamente la mano al laccio
che
teneva legato il suo mantello e lo sciolse. Poi piegò
l'indumento,
mettendolo fra le mani di Mattheus. "Questo è tuo, te lo
restituisco. Non ho mai avuto bisogno di mantelli e posso farne
volentieri a meno. Ci rinuncio, da questo momento non sono
più la
tua assistente. E non tornerò a casa".
Lo
stregone spalancò gli occhi, mentre sentiva qualcosa dentro
lui che
lentamente andava a sgretolarsi. Non sapeva cosa fosse, ma era come
se gli facesse male il cuore...
Per
un attimo rimase in silenzio, ammutolito. Non poteva crederci che lo
stesse lasciando così... "Rinunci così, solo per
una litigata?
Non hai fegato, ragazzina. Sei
infantile e viziata"
– sussurrò, con voce tremante.
Elke
gli sfiorò il petto, spingendolo indietro. "No, non sono
viziata ma si sarebbe piaciuto esserlo, forse. E non è
nemmeno
questione di avere fegato, Mattheus. Io non posso vivere qui con te e
con questa gente. E' sempre così in fondo, ci sono abituata.
Le
streghe non vivono fra le persone e al mondo non c'è nessuno
che
creda il contrario. Non c'è posto per me qui e da nessuna
altra
parte. E poi... dopo quello che mi hai detto, non posso rimanere. Ti
credevo diverso e invece sei come tutti gli altri. Salutami Falko e
Drago quando torni a casa, per favore. Io me ne vado".
Mattheus
si avventò su di lei, prendendola per il polso in una morsa
che
aveva un sapore vagamente violento, come se volesse tenerla legata a
se ad ogni costo, anche con la forza se necessario. "Te ne vai?
E dove? Senza mantello, senza soldi, in pieno inverno! Finiscila di
fare la stupida e torna a casa".
Elke
scosse la testa. "E' casa tua, non mia. E non ho bisogno di
soldi, posso vivere benissimo da sola in montagna, lontana da tutto e
tutti, come ho sempre fatto. Le Dolomiti, i boschi e gli animali mi
sono sempre stati amici. Più degli uomini.
Troverò un posto dove
stare, un posto che mi piace. E starò benissimo". Con uno
strattone si liberò dalla stretta di Mattheus,
incamminandosi per il
sentiero che portava alla vetta.
Lo
stregone gettò il mantello di Elke a terra, con un gesto
rabbioso.
"Ascoltami bene, figlia del diavolo! Se te ne vai e poi cambi
idea, non perdere tempo a tornare. Hai capito? Non ti aprirò
nemmeno
la porta, ricordatelo".
Elke
si voltò un'ultima volta verso di lui. Le lacrime ora le
rigavano le
guance e il suo sguardo era spento e lontano. "Non tornerò,
sta
tranquillo". E poi sparì fra gli abeti innevati.
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Capitolo 12 *** Capitolo undici ***
Capitolo
undici
Il
tempo in primavera, soprattutto in montagna, sa essere imprevedibile,
subdolo ed ingannevole. Giornate di sole possono virare in un niente
in tormente di neve o al contrario, violenti acquazzoni possono
tramutarsi in un tiepido sole.
Mattheus
lo sapeva, non doveva illudersi. Quel clima mite e quel cielo terso
non sarebbero durati molto. Era meglio non uscire e, di fatto, non
aveva nemmeno buone motivazioni per farlo. Da due mesi, da quando
Lucius era entrato di nuovo nella sua vita stabilendosi a Pennes, i
suoi affari andavano a rotoli perché tutta la gente del
villaggio
preferiva rivolgersi a quel dannato imbroglione per farsi aiutare,
piuttosto che a lui. La cosa però lo toccava relativamente e
di
fatto gli bastava andare al lago a prendere l'acqua e venderla negli
altri villaggi del Tirolo. Inoltre aveva soldi a sufficienza per
vivere agiatamente per anni e rimanere in panciolle in fondo non era
per niente male.
Si
stiracchiò sulla sedia, appoggiando i piedi sul tavolo. La
casa era
avvolta in un pesante silenzio e in un certo senso questo gli pesava
e non capiva il perché. Ci doveva essere abituato, aveva
vissuto
felicemente da solo per dieci anni, eppure... Stava per sospirare
dalla noia quando un rumore secco ed improvviso di vetri che si
rompono, proveniente dalla stanza dei nani, per poco non lo fece
cadere dalla sedia. Alzò gli occhi al cielo. "Cos'hanno
rotto
di nuovo?".
Falko,
con espressione mortificata, fece capolino davanti a lui. "Ehm,
Mattheus?".
Lo
stregone sbuffò. "Dimmi...".
"Sai
quelle provette dell'acqua... quelle che ci hai detto di lucidare e
riporre nell'armadio...?".
"Si?".
Falko
deglutì. "Ecco vedi, è stato un incidente...".
Mattheus
gli diede una veloce occhiata, senza battere ciglio. Sì,
avrebbe
dovuto sbraitare, urlare e arrabbiarsi con quei due impiastri ma...
non ne aveva voglia. In fondo, cosa sarebbe cambiato? "Non
importa. Prendete una scopa e tirate su i cocci da terra" –
disse, in tono piatto.
Falko
spalancò gli occhi dalla sorpresa, mentre suo fratello gli
si
affiancava. "Scusaci Mattheus! Non è colpa nostra, abbiamo
delle mani piccole e le ampolle ci scivolano. Elke era più
brava,
lei aveva delle manine così delicate e delle dita tanto
lunghe..."
- tentò di giustificarsi Drago.
Mattheus
strinse i pugni con forza. "Vi ho detto che non importa.
Ripulite e basta, senza star qui a parlare per niente". Che
diavolo di motivo c'era di parlare di Elke? Se n'era andata da due
mesi, di sua spontanea volontà, ed era ora che i nani se ne
facessero una ragione ed imparassero a lavorare come si deve. Sapeva
che a quei due la ragazza mancava e che erano preoccupati per lei ma
non poteva farci nulla. Aveva messo ben in chiaro con loro, due mesi
prima, che Elke se n'era andata di sua spontanea volontà e
che di
certo non era stato lui a cacciarla. In fondo era quella la
verità,
no? Perché stare a preoccuparsi, quindi? Non amava sentir
parlare di
lei, anche se supponeva che Falko e Drago, per i fatti loro, ne
discutessero ancora. Beh, non era un problema, l'importante era che
non lo facessero davanti a lui.
Falko
e Drago si guardarono negli occhi. "Mattheus, non sei
preoccupato per lei? Manca da tanto e l'inverno è stato
così
freddo. In questi mesi ha nevicato molto e ci chiedevamo se abbia
trovato riparo, se stia al caldo, se abbia cibo, se sia tornata a
casa sua magari...".
"Perché
state a farvi tutti questi problemi?". La voce di Mattheus era
fredda, forzatamente distaccata. "Elke non è vostra sorella,
figlia, moglie o altro. E' adulta e sa cavarsela benissimo anche da
sola. Ha voluto andarsene e quindi quel che fa e come se la cava non
sono affari nostri".
Drago
abbassò lo sguardo. "Si ma...".
"Ma
cosa?". Ora il tono di voce di Mattheus era seccato.
Il
nano fissò il fratello con espressione preoccupata. "Non
è
nemmeno tornata a prendere le sue cose, magari le è successo
qualcosa di brutto, magari ha bisogno di aiuto".
Mattheus
si accigliò. "Quali cose? Da che ricordi, Elke non possiede
nulla".
Falko
alzò lo sguardo, fissando la scala che portava alla soffitta
che era
stata la stanza di Elke. "Beh, quando siamo saliti a sistemare
il fieno, qualche settimana fa, abbiamo trovato il suo arco e la
sacca coi nastrini colorati e le perline che metteva fra i capelli.
Lei non possedeva nulla e quelli erano gli unici tesori che aveva".
Mattheus
spalancò gli occhi, mentre una strana fitta dolorosa gli
attanagliava lo stomaco. I nastri per i capelli, il suo arco... Elke
se n'era andata via all'improvviso e non aveva nemmeno fatto in tempo
a prendere le uniche cose che erano di sua proprietà.
Ricordava la
prima volta che l'aveva incontrata, mentre batteva al torneo
l'arciere campione del villaggio e ricordava anche quanto amasse
ornare i suoi capelli con quei nastri e quelle perline colorate.
Quelli trovati dai nani glieli aveva comprati lui dopo Natale, visto
che i suoi li avevano usati per addobbare l'abete. Non era tornata a
riprenderli... Elke non sarebbe tornata mai più... Era
facile
fingere indifferenza coi nani, meno semplice fingere con se stesso
che non gli importasse di lei. Non voleva nemmeno pensare che fosse
tornata a casa sua a Tires, da quelle bestie dei suoi genitori. Non
poteva averlo fatto, non poteva essersi arresa a quel modo. Lei
sapeva che non poteva fare ritorno dalla sua famiglia, era
consapevole che suo padre l'avrebbe massacrata di botte se lo avesse
fatto. No, lei era in gamba, intelligente e coraggiosa e ovunque
fosse, era certo che stava bene. Alzò lo sguardo, a fissare
le
pareti, la stanza, la sua casa. Gli sembrava così vuota ora,
anche
se non era solo, anche se c'erano Falko e Drago, era come se quella
baita, da due mesi a quella parte, fosse diventata silenziosa, grigia
e triste. "Beh... Se vorrà tornare a riprendersi le sue
cose,
ovviamente potrà farlo. Non state a preoccuparvi per queste
sciocchezze".
Falko
abbassò lo sguardo. "Come fai a non essere preoccupato per
lei?
Era così innocente e buona e il mondo, la fuori,
è freddo e
crudele. Era la principessina di questa casa, la piccola Elke...".
Improvvisamente,
a quelle parole dei nani, la stanza gli sembrò soffocante,
calda e
piccola. Aveva bisogno di uscire, camminare, fare qualsiasi cosa che
non fosse rimanere seduto a quel tavolo. "Io esco" –
disse quasi con foga, alzandosi dalla sedia.
"Ma
è quasi ora di pranzo" – commentò Drago.
Mattheus
fece per rispondergli mentre si apprestava a mettersi il mantello,
quando un bussare possente alla porta fece sussultare tutti e tre.
Lo
stregone si accigliò. Chi diavolo poteva essere? E
soprattutto,
perché non lo lasciavano in pace? "Vado io" –
borbottò
in tono piatto, con scarso entusiasmo, aprendo la porta. Sicuramente
era uno degli abitanti di Pennes che non aveva trovato Lucius a casa
e che veniva a scocciare lui come ultima risorsa. Beh, la sua acqua
per quel giorno e per quelli a venire era finita. Per tutti!
Ma
quando aprì, non si trovò davanti un suo
concittadino. Mattheus si
oscurò. Vestiti pacchiani di pessimo gusto, capelli laccati.
Non
poteva che essere... "Lucius... Che diavolo ci fai qui a casa
mia?".
Il
demonio sorrise, sornione. "Non ti vedo in giro da tanto e mi
chiedevo come te la passassi. E' così noioso essere qui e
non averti
fra i piedi. Sembra quasi che tu voglia evitarmi".
Mattheus
sorrise, freddamente. "Ma infatti è così! E'
davvero piacevole starmene qui in casa mia, senza essere costretto a
vederti in ogni
angolo, in ogni strada che percorro". Lo spinse fuori, nel
vicolo, chiudendo la porta dietro di se. Non voleva che Falko e Drago
assistessero a quella conversazione. L'aveva già pagata cara
con
Elke, non poteva permettere che succedesse di nuovo. "Che vuoi?"
- chiese secco, quando furono soli nel vicolo.
Lucius
scosse la testa. "Perché pensi che voglia qualcosa? Sono
solo
venuto a trovare un amico che non vedo da un po’. Credevo che
noi
due potessimo avere più momenti di confronto e devo
ammettere che
invece mi sto annoiando e tu mi stai deludendo. Da quando ti nascondi
in casa tua quando sono nei paraggi?".
Mattheus
si avventò su di lui, prendendolo per il bavero della
camicia. "Ti
ho già detto che non sono tuo amico. E per il resto io sto
benissimo
in casa mia, lontano da te. Se sei venuto qui per provocarmi sappi
che le tue intenzioni andranno a vuoto. Fai quel che vuoi, frega
questa gente come ti pare, non mi importa! Ma lascia in pace me".
Lucius
sorrise, fissandolo dritto negli occhi. "Sono stufo della gente
di Pennes. Anche l'adulazione, dopo un po’, diventa noiosa e
fastidiosa. Quando sono arrivato qui, mi hai chiesto un duello,
giusto? E' molto che non combattiamo noi due e sarebbe il caso di
riprendere le vecchie care abitudini".
"Se
vinco, te ne vai?".
Lucius
annuì. "Se vinci me ne vado, sì. Se perdi, muori.
Le regole
del gioco te le ricordi, vero?".
"Perfettamente.
Dimmi dove e quando e facciamola finita".
Lucius
scoppiò a ridere. "Ah, io come ben sai sono tradizionalista.
Domattina Mattheus, al lago di Valdurna. Ti aspetto lì a
mezzogiorno".
Mattheus
annuì. Il suo sguardo era freddo come il ghiaccio e
tagliente come
una lama. Un duello col demonio al lago di Valdurna... La storia si
ripeteva, ancora. Ma non avrebbe permesso a quell'essere di vincere.
"Non mancherò" – sussurrò minaccioso.
"Nemmeno
io" – rispose Lucius, stavolta in tono serio. Poi, senza
aggiungere altro, girò sui tacchi e sparì nella
via.
Mattheus
lo guardò allontanarsi e poi rientrò in casa.
"Domani starò
via tutto il giorno, voi rimarrete qui e seguirete la casa" –
disse semplicemente ai nani, in tono freddo, senza aggiungere altre
spiegazioni. Ignorò gli sguardi curiosi di Falko e Drago a
seguito
di quelle parole e andò dritto nella sua stanza. Chiuse la
porta
dietro di se e si diresse al grosso baule posizionato sotto la
finestra. Lo aprì e vi tolse una lunga spada. La
liberò dal fodero,
fendendo l'aria con la lama. Era lunga, pesante e terribilmente
affilata, eppure a lui sembrava tanto maneggevole e leggera fra le
mani. Era una sensazione strana impugnarla, dopo tanto tempo. Una
sensazione piacevole perché risvegliava in lui ricordi
lontani e
felici e al contempo una sensazione dolorosa perché
ricordava quella
stessa lama riversa nel prato, dieci anni prima, intrisa del sangue
di una persona cara. "Jakob... Se lo sa Jutta, questa volta mi
ammazza per davvero". Già, la fatina si sarebbe
terribilmente
arrabbiata se fosse venuta a conoscenza del duello, ma lui non si
sarebbe tirato indietro. Per se stesso, per Jakob ed anche per quella
piccola fata dalla lingua lunga. Com'era venuto, all'inferno ce lo
avrebbe rimandato il demonio.
Si
stese sul letto, gettando la spada al suo fianco. Affondò il
viso
fra i cuscini, in cerca della concentrazione necessaria per
affrontare un duello. Era fuori esercizio con la spada, lo sapeva. Ma
era talmente furioso e fuori di se che la sua rabbia avrebbe
sopperito alla mancanza di allenamento. Non avrebbe perso, ne era
certo. E avrebbe usato ogni mezzo, lecito o meno, per liberarsi di
Lucius e del male che si portava appresso. Lucius era il demonio in
persona e lui era uno stregone, se lo aveva sfidato era
perché lo
riteneva un avversario interessante e lui aveva il preciso dovere di
combattere e vincere. Non c'erano altre strade percorribili per
liberare dalla sua presenza la Val Sarentino, lo sapeva. E doveva
metterselo in testa anche Jutta.
...
L'aria,
attorno al lago di Valdurna, era fredda e pungente. La primavera che
sembrava arrivata a Pennes, da quelle parti pareva ancora lontana.
Chiazze di neve ricoprivano i prati a macchia di leopardo, le piante
erano ancora spoglie e la superficie del lago che si trovava nella
zona d'ombra era ricoperta da una leggera patina di ghiaccio.
Non
c'era nessun rumore o anima viva. Mattheus si sedette su un masso
sotto un abete, pensieroso. Era partito prima dell'alba da Pennes, in
silenzio, senza nemmeno svegliare Falko e Drago. Avrebbero pensato
loro alla casa fino al suo ritorno, lo sapeva. E nel caso non fosse
tornato... beh, avrebbero avuto per sempre un tetto sulla testa. Non
aveva dato loro spiegazioni e i due nani si erano ben guardati dal
chiedergliele, visto che li aveva avvertiti due mesi prima di non
chiedere nulla di Lucius e di stargli lontano.
Quel
giorno non aveva indossato, come suo solito, i tradizionali abiti
tirolesi. Sarebbero stati scomodi per combattere, gli avrebbero
impacciato i movimenti. Aveva indossato dei semplici pantaloni di
pelle, stivali, una cintura per portare dietro la sua spada, una
pesante camicia bianca e un mantello. Non aveva bisogno d'altro. Era
giunto lì molto prima dell'appuntamento ed erano ore che
stava in
contemplazione, ad osservare le placide acque del lago. Sperava
vivamente che Jutta non notasse la sua presenza e che se ne stesse
ben lontana, non era il caso che assistesse a quel duello.
Stanco
di aspettare, si alzò dal masso, avvicinandosi al lago. Ci
entrò,
bagnando gli stivali fino alle caviglie. Non importava in quel
momento, non riusciva nemmeno a percepire quanto fosse fredda
l'acqua, da quanto era teso e concentrato. Estrasse la spada dal
fodero e la impugnò, osservandola attentamente.
"Mattheus,
ricorda una cosa. Quando combatti, la tua mente dev'essere libera,
deve esistere solo il tuo avversario. Qualunque problema tu abbia,
relegalo in un angolo remoto della tua mente. Niente è
importante
come il preservare la propria vita. Se muori in un duello, ogni
problema o angoscia che ti affligge, perderebbe di significato. Se
vinci e sopravvivi, avrai tutto il tempo per risolvere le cose
successivamente. Combatti col cervello e usa anche un pò di
sana
rabbia e furia. E battiti sempre per le cause giuste".
"Io
non ho nessun problema ad affliggermi" – sussurrò
a se
stesso, brandendo l'arma e librandola nell'aria.
"Ne
sei sicuro?".
"Sì".
"Meglio
così, Mattheus".
Lo
stregone scosse la testa. Non voleva sentire quella voce, non in quel
momento. No, no e ancora no! Si doveva concentrare, e quella voce gli
diceva cose che non voleva sentirsi dire, cose che rifiutava persino
di pensare, cose tanto vicine a una verità che rifiutava
persino di
prendere in considerazione. Liberare la mente? Bene... "Fai
silenzio, Jakob". Fendette l'aria, preso da una strana rabbia e
da una furia cieca che non gli erano mai appartenute. "Sbrigati
Lucius! Sbrigati e facciamola finita!".
"Quanta
fretta di morire, Mattheus Hansele".
Lo
stregone si fermò di colpo. La voce di Lucius era giunta
alle sue
spalle, improvvisa e gelida come una folata di vento in inverno. Era
arrivato in silenzio, col passo felpato di un gatto, come quel giorno
di dieci anni prima. Per un istante, un solo istante,
rabbrividì. E
si sentì stupido per questo. Di cosa doveva aver paura se
non
aspettava altro che quel momento? Era l'ora della verità e
promise a
se stesso che il passato non si sarebbe ripetuto. "Sei quasi in
ritardo..." - mormorò con voce fredda, voltandosi lentamente
–
"Cominciavo a temere che te la fossi data a gambe".
Lucius
alzò le spalle. "E' mezzogiorno in punto proprio adesso.
Sarei
stato in ritardo fra un minuto, ma come ben sai, io sono un tipo
preciso".
Mattheus
non distolse lo sguardo da lui. Era lì, a pochi passi e non
aveva
mai provato un tale desiderio di uccidere come in quel momento.
Uscì
dall'acqua, sfoderando la spada. "Beh, non ha importanza, ora
sei quì! Basta parlare, facciamola finita subito".
"Come
vuoi". Anche Lucius sfoderò la sua spada, sollevandola verso
il
cielo. La sua lama era nera e l'elsa aveva strane striature rosso
fuoco che la percorrevano da una parte all'altra. "Prima Jakob e
ora tu. Vediamo cosa ti ha insegnato il tuo maestro".
A
quella frase, con un balzo veloce, Mattheus gli fu addosso, sferrando
il primo attacco. "Ti ho già detto di non pronunciare quel
nome!".
Lucius
sorrise, schivando la spada. "Oh, perché non dovrei
ricordarmi
di lui? E' stato per anni un valido avversario e dubito fortemente
che tu sia alla sua altezza. Poi... perché non nominarlo?
Lui, è
ancora qui, è sempre stato qui! Giusto? Senti la sua voce,
vero? E'
la fonte di gran parte del tuo potere e dei tuoi guadagni. Anche ora,
lui è più in gamba di te".
"BASTA!".
Mattheus sferrò colpi veloci e le lame dei due duellanti si
incrociarono più e più volte, tintinnando
nell'aria. Attaccava,
senza una tecnica precisa, spinto solo dalla rabbia cieca che si era
impossessato di lui. Sapeva di combattere nel modo sbagliato ma
doveva farlo tacere, farlo smettere di parlare di Jakob e di quanto
accaduto sulle rive di quel lago dieci anni prima.
Lucius
parava i colpi e contrattaccava senza sosta. Non pareva stancarsi o
affaticarsi davanti a quei ritmi tanto serrati di combattimento.
Nonostante la sua mole, nonostante l'età che dimostrava, era
agile
come un ventenne.
Mattheus
lo sapeva, non poteva farsi condizionare dal suo aspetto. Aveva
davanti il demonio, Satana in persona e poteva assumere anche le
sembianze di un vecchio centenario, ma rimaneva ugualmente letale.
Lucius
parò un nuovo colpo, arretrando verso il bosco di abeti.
"Sei
veloce, Mattheus! Ma ti lasci guidare dall'istinto e non sei lucido.
Rabbia... Io la percepisco, mi inebria vederla nei tuoi occhi. Un
vero guerriero sa isolarsi da tutto, mentre combatte. E tu non lo
sei! Jakob non ti ha insegnato che devi svuotare la mente, quando
combatti?".
"Ti
ho detto di non nominare quel nome, sta zitto!" - urlò lo
stregone, con ferocia.
Lucius
sorrise freddamente, non smettendo di maneggiare la sua spada con
eleganza. "Va bene... Parliamo d'altro. Dov'è finita quella
dolce fanciulla che ho conosciuto quando sono arrivato a Pennes?".
Al
sentirlo parlare di Elke, Mattheus affondò un attacco
diretto e la
sua lama si diresse verso il cuore di Lucius che parò
l'affondo.
"Dov'é? E chi lo sa! E' colpa tua se non vive più
a Pennes".
"Davvero?
E che avrei fatto io?" - rispose a tono Lucius, quasi divertito
dalle sue parole – "Non so di cosa parli. Hai un carattere
orribile e se è andata via è solo a causa tua .
Incolpami pure di
tutto, ma non di questo, io non c'entro".
Quelle
parole lo colpirono e per un attimo Mattheus allentò la
presa.
Dovette ammettere a se stesso che Lucius aveva ragione. Elke se n'era
andata perché lui l'aveva ferita, di proposito, accecato
dalla
rabbia e... Abbassò la guardia, non poté farne a
meno. Quella fitta
al petto che aveva avvertito il giorno in cui lei se n'era andata,
tornò a tormentarlo. Faceva male...
Quell'attimo
gli fu fatale.
Lucius
si avventò su di lui, pronto a trafiggerlo. Mattheus
riuscì a
scansarsi dalla traiettoria all'ultimo, ma la spada lo colpì
lo
stesso, anche se non al cuore, dov'era diretta. Sentì una
fitta
dolorosissima alla spalla sinistra, la carne che si strappava e
lacerava e il sangue caldo che gli colava giù per il
braccio. Cadde
a terra, mentre la neve sotto di lui si colorava di rosso. Con la
mano destra fece per impugnare di nuovo la spada ma il dolore
all'altro braccio era talmente forte da lasciarlo stordito. E Lucius
era sopra di lui, in posizione dominante, troppo vicino
perché
potesse difendersi in maniera efficace, troppo vicino per
sfuggirgli...
Il
demonio lo fissò, dall'alto verso il basso. Aveva perso il
suo
ghigno beffardo e ora la sua espressione era compiaciuta e crudele.
Era un mostro, pronto a colpire la sua preda senza pietà.
Come dieci
anni prima... Tentò un ultimo tentativo, sollevando la sua
spada, ma
Lucius gliela fece volare via, con un colpo della sua lama.
"Mi
dispiace Jakob...". Non lo avrebbe vendicato, non si sarebbe
preso la rivincita. Avrebbe perso e così facendo avrebbe
deluso
colui che era stato la sua guida, colui che aveva dato la sua vita
per salvarlo.
"Non
arrenderti. Prova, rischia il tutto per tutto. Puoi vincere, ma devi
usare di più il cervello e di meno il cuore. Mattheus,
rialzati!".
"Non
ce la faccio...". Mattheus, al sentire quella voce, strinse un
ciuffo d'erba nel pugno della mano sinistra. Il sangue colava
copiosamente dalla spalla, spossandolo sempre più. Non si
era mai
sentito tanto debole e inerme in vita sua. Sentiva spesso dire in
giro che negli ultimi istanti di vita di un uomo, scorrono davanti ai
suoi occhi fatti e persone importanti della sua esistenza. E
scoprì
che era vero. Il pensiero corse veloce, immagine per immagine, ai
suoi genitori, a Jakob, agli abitanti della Val Ridanna dov'era nato
e a quelli di Pennes, alla sua casa, a Jutta e a tutte le creature
magiche che aveva conosciuto nella sua vita, a Falko e Drago e alla
piccola Elke. Si chiese se anche per Jakob era stato così,
prima di
venire colpito. A chi aveva pensato, chi aveva rimpianto?
Lucius
sorrise, sollevando la spada su di lui. Mattheus lo guardò
in viso.
No, non sarebbe morto con gli occhi chiusi, lo avrebbe guardato in
faccia fino alla fine. Che si dicesse che aveva un carattere
orribile e che era morto da stupido in un duello. Ma non che era un
codardo.
Il
demonio abbassò la spada, con un gesto tanto veloce da non
riuscire
quasi a percepire il movimento della lama. Ma prima che colpisse, una
lucina accecante si parò fra loro, volando attorno agli
occhi di
Lucius che arretrò, momentaneamente colto di sorpresa,
tenendosi gli
occhi fra le mani. "Dannazione".
Mattheus
spalancò gli occhi. "Jutta!".
La
fata, giunta senza che nessuno dei due se ne accorgesse, si
voltò
verso di lui. La sua espressione era furibonda. "Brutto somaro!
Sei un cretino Mattheus! Non dovevi combattere, non con lui! Se non
fossi arrivata io, tu a quest'ora saresti morto. E' questo che vuoi?
Morire qui come Jakob?".
Mattheus
deglutì. Spesso aveva battibeccato con Jutta, spesso si
erano
amichevolmente insultati a vicenda e sempre lei lo aveva rimproverato
per qualcosa. Ma in quel momento la fatina aveva decisamente poca
voglia di scherzare e ne capiva appieno il motivo. Per lei non era
facile vederlo combattere in quel luogo, con quell'essere. Era
arrabbiata sul serio e lui sapeva che stavolta aveva ragione lei, ma
era troppo tardi per tirarsi indietro. "Vattene!".
Jutta
si avventò su di lui, tirandogli una ciocca di capelli. "Che
diavolo stai facendo quì per terra? Tirati su, subito! O lui
ti sarà
di nuovo addosso".
Mattheus
annuì. La luce delle ali di Jutta aveva momentaneamente
accecato
Lucius, dandogli una manciata di secondi per rimettersi in piedi e
tentare di recuperare la spada.
"Jutta...".
La voce del demonio arrivò alle loro orecchie. Era furibondo
anche
lui, adesso. Si rialzò, strofinandosi gli occhi arrossati.
"Piccola,
dannata fata! Eri una guastafeste allora, e lo sei ancora adesso. Ma
ti assicuro che non ci metto nulla a cancellarti dalla faccia della
terra, se non sparisci subito. Sarebbe divertente vero, raggiungere
Jakob in fondo al lago? Potrai riabbracciarlo...".
"Jutta,
ha ragione lui, vattene!" - urlò Mattheus, lanciandosi nella
neve, nel tentativo di recuperare la sua spada.
Ma
Lucius intuì i suoi propositi. In posizione avvantaggiata
rispetto a
Mattheus, raggiunse la spada dello stregone, lanciandola lontana con
un calcio.
Jutta
sussultò. "Mattheus...".
Lo
stregone si morse il labbro. "Sei sleale Lucius. Non mi permetti
nemmeno di recuperare la mia arma per continuare a combatterti".
Lucius
ridacchiò. "Oh, sleale dici? E invece il tentativo di
accecarmi
della tua amica Jutta, suppongo di doverlo considerare un atto nobile
e secondo le regole di cavalleria, giusto?".
"Non
farti provocare, non farti distrarre, non arrenderti e usa il
cervello ora".
La
voce di Jakob, ancora accanto a lui... Annuì davanti a quei
consigli
sussurrati nel vento, saggi come sempre. Era senza armi, era vero, ma
aveva dalla sua un'intelligenza superiore alla norma. Usare il
cervello, usare la logica, tentare di vincere senza la propria spada
in mano... Ma come? Non aveva che una manciata di secondi per
scoprirlo. Guardò Lucius e poi Jutta, fra loro. Lei lo aveva
accecato momentaneamente usando la luce delle sue ali. Accecarlo...
Lucius era una creatura infernale, fatta di fuoco... E contro il
fuoco... Sorrise. Forse un modo per non morire c'era.
Lucius
lo squadrò per un attimo, accigliato. "A che pensi?".
Mattheus
sorrise freddamente. "Agli elementi che compongono la terra".
"Pensiero
stupido questo, per uno che sta per morire" –
ribatté il
demonio.
"Forse
no" – rispose Mattheus, vago.
A
quelle parole, Lucius gli fu di nuovo addosso. Gli corse incontro
brandendo la spada e Mattheus arretrò. Finse di inciampare e
rotolò
fino ai grossi abeti che delimitavano il bosco. Ombra, neve... La sua
mano ci affondò, prendendone una grossa manciata. E quando
Lucius fu
nuovamente dietro di lui, a pochi passi, si voltò,
tirandogliela
negli occhi.
"Maledetto!".
Lucius urlò, barcollando sulle gambe, mentre tentava di
ripulirsi il
viso dalla neve e dalla fanghiglia che lo stregone gli aveva
lanciato. "Un uomo che durante un duello perde la sua spada,
è
un uomo morto! A cosa pensi ti serviranno questi giochetti?".
Mattheus
sorrise, mentre si rialzava in piedi. "A guadagnare tempo".
Con le mani prese una nuova manciata di neve, stringendola fra le
dita. La neve, al contatto con la sua pelle, parve diventare
incandescente, illuminandosi di una luce accecante.
Anche
Jutta spalancò gli occhi, sorpresa. "Mattheus, che fai?".
Lo
stregone non rispose. Fra le sue mani la neve cambiò forma,
allungandosi ed assumendo le sembianze di una spada. Una spada di
ghiaccio lunga, affilata, trasparente. "Letale".
Lucius,
appena fu padrone di nuovo della vista, spalancò gli occhi.
"Cosa?".
Mattheus
osservò la sua nuova arma, con un'espressione soddisfatta
sul viso.
"Hai commesso un errore, nel valutarmi. Credevi che i miei
poteri attingessero magia unicamente dal lago e dalla presenza di
Jakob, ma non è così. Conosco la magia e la so
usare anche senza
l'utilizzo dell'acqua del lago di Valdurna se mi occorre. Gli
elementi che compongono il mondo, ricordi, ne parlavo prima? Basta
saperci dialogare. Acqua, fuoco, terra, vento, neve e ghiaccio. Se li
sai ascoltare, se sai farteli amici, loro accorreranno in tuo aiuto.
Tu sei fuoco e il fuoco si può spegnere solo in un modo. Con
l'acqua. E col ghiaccio che da essa nasce". Alzò lo sguardo
su
di lui. Non gli diede il tempo di alzare nuovamente la sua spada.
Nonostante il dolore alla spalla ferita, si avventò sul suo
avversario con un balzo velocissimo. Alzò di lato la spada e
prima
che Lucius potesse parare il colpo, lo trafisse da fianco a fianco,
tagliando in due il suo corpo come se fosse stato burro.
Jutta
gli volò accanto. Era incredula. "Ci sei...".
"Mossa
scorretta, che non avrei utilizzato perché Lucius ha
ragione, un
uomo che perde la spada in duello è un uomo morto... Ma tu
sei
sempre stato diverso da me, Mattheus. E questo ti ha salvato".
"Jakob...".
Mattheus, col fiato corto, guardò il corpo martoriato di
Lucius. Le
due parti in cui era stato diviso presero a fluttuare e a svanire
nell'aria fina, quasi che non fosse mai esistito. Si alzò un
forte
vento, che fece piegare gli abeti. "Ricordati i patti, demonio"
– sussurrò. Aveva vinto una battaglia ma di certo
non la guerra.
Il demonio non si poteva uccidere, ma solo tenere a bada.
La
risata di Lucius risuonò nella valle, quando il suo corpo
era ormai
sparito alla vista. "Mattheus Hansele, bravo davvero! Hai vinto
barando e questo mi piace! Jakob era un guerriero puro e senza
macchia, pieno d'onore e sentimenti cavallereschi che han finito per
portarlo nella tomba, tu invece non ti fai remore a giocare sporco.
Interessante, mi hai stupito e mi mancherai... Ma sono un uomo di
parola e per un po’ me ne andrò a tormentare
qualcun altro, visto
che ho perso. Ma ritengo probabile che ci rivedremo, prima o poi.
Giocare con te è divertente, sei un essere interessante".
Mattheus
alzò gli occhi al cielo. "Vattene".
Lucius
rise di nuovo. "Me ne vado, tranquillo. A presto, amico".
Il
vento smise di soffiare e Mattheus si accasciò al suolo. La
spada di
ghiaccio svanì, tornando neve, e la spalla riprese a fargli
male. Si
rese conto che durante le fasi finali del duello, non aveva quasi
avvertito la ferita e il dolore. Adrenalina, supponeva... Ma ora
che... "Ho vinto". Aveva vinto dove aveva fallito Jakob.
Aveva quasi paura ad ammetterlo a se stesso ma ce l'aveva fatta. Era
sopravvissuto e aveva vendicato una morte ingiusta, avvenuta in
quello stesso posto dieci anni prima. Gioco sporco, vero. E anche
fortuna e aiuto da parte di Jutta. Guardò la fatina,
appoggiandosi
con la schiena contro il tronco di un abete, crollando a terra
definitivamente. "Non ho la forza per le paternali, quindi
risparmiamele finché sono in questo stato". La conosceva
troppo
bene per non prevedere la sua sfuriata. Meglio mettere in chiaro le
cose, subito!
Jutta
scosse la testa. Guardò la spalla ferita, da cui sgorgava
ancora
copioso il sangue, con espressione preoccupata. Poi chiuse gli occhi
lentamente. Il suo minuscolo corpo, per magia, divenne luminoso e
cambiò d'aspetto e dimensione. La sua figura si
allungò e modellò,
divenendo quella di una donna.
Mattheus
spalancò gli occhi. Sapeva che le fate potevano assumere
fattezze
umane in particolari occasioni e ricordava di aver visto già
una
volta Jutta in versione donna, anche erano passati più di
dieci anni
da quel giorno... La guardò. Era alta quanto Elke forse,
aveva
capelli biondi, lunghi e pieni di boccoli, occhi verdi smeraldo, un
fisico minuto e assolutamente perfetto e di una bellezza che di umano
aveva poco o nulla. Addosso non aveva più i graziosi abitini
tirolesi che indossava quando era una fata ma un abito azzurro che le
aderiva morbidamente sul corpo, stretto in vita da un nastro blu. Per
un attimo rimase incantato a fissarla. Non la ricordava così
splendida ed ora poteva capire perché Jakob ne fosse stato
innamorato, tanti anni prima. Per un attimo si chiese come avrebbe
fatto a trattarla come sempre, a litigarci come sempre. Era troppo
bella persino per un orso come lui, in quel momento.
Incurante
dei suoi pensieri, Jutta si avvicinò, inginocchiandosi
davanti a
lui. "Tu e
io dobbiamo parlare" – disse risoluta.
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Capitolo 13 *** Capitolo dodici ***
Capitolo
dodici
"Era
una vita che non ti vedevo alta quanto me. Beh, questo è un
bene,
ricordo che eri molto più dolce in versione umana".
Jutta
scosse la testa. "Non cantare vittoria, sono arrabbiata con te e
tu lo sai bene".
Mattheus
si massaggiò il braccio ferito, faceva un male cane...
"Quindi
sei diventata più... ehm... grande... per potermi picchiare
meglio?".
Jutta
sospirò, scuotendo la testa. "Sì, l'idea era
quella. Ma prima
fammi vedere la tua spalla". Si inginocchiò accanto a lui,
sfiorandogli con la mano il braccio ferito, la camicia era strappata
e il taglio ben visibile. "Dobbiamo medicare la ferita e
immagino che l'acqua del lago non servirà a nulla in questo
caso,
giusto?".
"Giusto".
Mattheus si appoggiò al tronco dell'abete, sfinito.
Già, lo sapeva,
stavolta per curarsi la magia non sarebbe servita: l'acqua del lago
di Valdurna traeva il suo potere da Jakob e Jakob il suo duello col
demonio l’aveva perso ragion per cui la sua acqua non poteva
curare
ferite inferte da chi aveva vinto il medesimo scontro dieci anni
prima. Avrebbe dovuto fare come tutti gli altri esseri umani:
medicare, fasciare e armarsi di pazienza in attesa della guarigione,
anche se la pazienza non era il suo forte.
Osservò
Jutta: la sua figura, snella ed elegante, era ipnotica: senza ali e
senza quei codini infantili che si faceva quando era una fata era di
una bellezza incantevole, una di quelle donne che, se la incontri per
caso, non puoi non voltarti a guardare. La ragazza si
strappò un
pezzo di stoffa dall'orlo della gonna, immergendolo nell'acqua e
tornò da lui, lavandogli la ferita in silenzio; Avrebbe
voluto
protestare e borbottare che bruciava terribilmente, ma decise che era
meglio non sfidare oltre la sorte, il fatto che Jutta fosse
apparentemente silenziosa e calma quando in realtà era
arrabbiata
con lui come non mai lo metteva sul chi va là, sapeva che
prima o
poi gliel'avrebbe fatta pagare.
Dopo
avergli pulito la ferita, con la medesima stoffa, Jutta gli
fasciò
la spalla. "Non ho altro per ora, fatti bastare questa benda
fino a casa. Il sangue pare essersi fermato e non mi sembra nulla di
particolarmente grave, medicati la ferita e tienila fasciata e pulita
per le prossime settimane e il tuo braccio dovrebbe guarire senza
problemi".
"Beh
grazie, sei gentile".
Jutta
lo fulminò con lo sguardo. "Gentile? Mattheus, io ti
prenderei
a calci nel sedere in questo momento!".
"Ritratto
quanto detto allora, non sei gentile e a volte sei pure manesca".
"Mattheus,
non accetto critiche sul mio carattere da TE!".
Lo
stregone sospirò. In effetti aveva ragione lei. "Dai, non
litighiamo. So che sei arrabbiata e alla fine penso anche che tu
abbia ragione. Ma cosa dovevo fare?".
Jutta
si inginocchiò davanti a lui, guardandolo in viso. "Ad
esempio,
potevi non accettare la sfida".
"Non
sono un codardo".
Le
mani della fata si strinsero alla stoffa della sua camicia. "Codardo?
Accidenti a voi uomini, ne fate una questione di onore su ogni cosa!
Mattheus, lui era il demonio! Ora si fa chiamare Lucius mentre dieci
anni fa Seraphin. ma è sempre lui! E ti ricordi
cos'è successo qui?
Jakob era un guerriero più forte e valoroso di te ed
è morto
combattendo con lui. E saresti morto anche tu se non fossi
intervenuta".
Mattheus
scosse la testa, Non voleva ricordare quanto successo, ma era
inevitabile farlo. Dieci anni prima, proprio sulle rive di quel lago
al suo posto c’era Jakob, il suo mentore, il suo maestro, il
suo
secondo padre, colui che gli aveva insegnato a combattere, a leggere
e scrivere, l'uso della magia.. Contro di lui c’era il
demonio,
comparso all'improvviso alle loro spalle, senza preavviso. Sembravano
conoscersi, sembravano essersi sfidati già tante volte e
avevano
combattuto per l'ennesima volta all'ultimo sangue. Jakob era ormai
anziano, incerto sulle gambe e curvo nella schiena, ma le sue mani
imbracciavano ancora la spada con la stessa forza e determinazione di
un ragazzo giovane. Era stato un grande guerriero, uno di quei
cavalieri su cui poi si scrivono ballate e canzoni che ne celebrano
le imprese e la temerarietà. Quel giorno però non
aveva avuto
scampo: c'erano lui e Jutta e il pensiero per la loro sorte non lo
aveva fatto combattere con la mente lucida e Seraphin lo trafisse da
parte a parte squarciandogli il cuore. Ricordò l'urlo della
fata e
il sangue rosso e a fiotti E la risata del demonio che svaniva
davanti a loro, sazio del carico di morte e dolore che aveva
provocato. Quel giorno fu come perdere la sua famiglia per la seconda
volta: Jakob, l'uomo dal carattere duro ma dall'animo nobile e
sincero, senza macchia, che si era preso cura di lui quando i suoi
genitori erano venuti a mancare, che lo aveva portato con se nei suoi
viaggi facendogli scoprire cosa ci fosse fuori dalla Val Ridanna.
Con
un sospiro, Mattheus guardò l'acqua placida del lago.
Lì c'era
Jakob e da quel lago continuava a vegliare su di lui e a parlargli.
"Yakob,
dicci come curarti. Ti prego, ti prego!".
Anche
Jutta lo implorò, con le lacrime agli occhi.
Ma
Jakob scosse la testa, mentre le sue mani nodose e avvizzite si
stringevano in un pugno. "Sono vecchio ormai e la mia ora non
sarebbe comunque stata lontana. Ho vissuto intensamente la mia vita,
giorno dopo giorno, guerra dopo guerra. Ho visto paesi distrutti che
poi sono rinati e bimbi nascere e diventare uomini. Ho sguainato la
mia spada e studiato magia, conosciuto elfi, gnomi, troll e folletti.
E ho amato una fata. Nessuno ha vissuto quanto me, Mattheus".
"Ma
non mi importa! Tu devi guarire, io come faccio senza di te?".
Jutta
abbassò lo sguardo, silenziosa. Lei aveva già
capito, era arrivato
il momento del commiato.
Jakob
prese un profondo respiro. "Mattheus, tu sei un uomo e ti ho
insegnato tutto quello che sapevo. Un giorno anche tu combatterai le
mie battaglie e sicuramente sarai in grado anche di vincerle,ma non
preoccuparti, non ti lascio solo. Essere uno stregone ha i suoi
vantaggi ed al mondo non esiste uno stregone più potente di
me.
Ascoltami, ascoltami bene...".
"Va
bene".
"Quando
sarò morto, brucia il mio corpo e poi butta la cenere in
questo
lago. Sarà la mia casa e da qui ti guiderò
Finché rimarrò in
questo lago non morirò mai per davvero, resterò
fino a quando tu
avrai bisogno di me. Sei stato come un vero figlio e
continuerò ad
essere per te come un padre. Verrai qui ogni volta che ne avrai
bisogno, prenderai quest'acqua e le chiederai quel che vorrai, quello
di cui avrai bisogno. Ogni goccia dell'acqua di questo lago
sarò io,
per te, ed esaudirò ogni tuo desiderio, se sarà
in mio potere. Tu
puoi usare la magia anche senza il mio aiuto, è vero, ma
io... io
potrò continuare a starti vicino comunque e a parlarti
attraverso
questo lago e questa acqua. Proprio come se fossi con te. Hai
capito?".
"Sì,
credo di sì".
Jakob
annuì, chiudendo gli occhi. "Bene. Continua a studiare,
continua ad imparare. Sii amico di Jutta, lei ti aiuterà. E
tu
Jutta, prenditi cura di lui, guidalo, sgridalo anche, se necessario.
Mattheus ha un caratteraccio. So che puoi farlo, fallo per me piccola
Jutta".
Mattheus
sospirò, piegando le ginocchia ed appoggiandoci il mento.
"Mi
spiace, so che ti sei preoccupata e che vedermi combattere con Lucius
ha risvegliato brutti ricordi in te. Ma io... io dovevo liberarmene".
Jutta
abbassò lo sguardo. "Hai vinto la battaglia, ma non la
guerra.
Lui tornerà, torna sempre dove ha terreno fertile per
insinuarsi.
Avresti potuto morire oggi".
"Ma
non sono morto, quindi non c'è proprio nulla di cui parlare,
no?".
"Tornerà!"
- ripeté Jutta.
"Lo
so. Ma magari non qui, non da noi, non ora. Per un po’ ci
lascerà
in pace".
"Hai
combattuto da schifo, lo sai Mattheus?".
Lo
stregone annuì. "Lo so".
"E
hai vinto unicamente perché hai barato".
"Vero.
Non ne vado fiero, ma è così. In fondo che
importa? Ho vinto, no?
Era questo l'importante".
Jutta
scosse la testa. "Jakob non avrebbe mai combattuto in questo
modo. Per lui l'onore e la correttezza erano al primo posto, anche a
costo della vita".
Mattheus
alzò lo sguardo su di lei. Jutta aveva conosciuto uno Jakob
che a
lui era estraneo; le fate avevano vite lunghissime e la sua amica
aveva diversi secoli più di lui. Era all'apparenza
giovanissima, , e
lo sarebbe stata ancora per centinaia di anni: bella, giovane, con
quei lunghi boccoli biondi che gli ricadevano sulle spalle... aveva
visto per la prima volta Jakob quando lui era ancora un giovane
cavaliere, eccellente in battaglia e buono d'animo. Non sapeva bene
come si fossero incontrati, non glielo aveva mai chiesto, ma sapeva
che nessuno conosceva Jakob quanto lei. Nemmeno lui, nato tanti anni
dopo il loro amore e cresciuto all'ombra di quell'ormai anziano
cavaliere che per lui era stato come un padre. "Lo so, lui non
avrebbe combattuto così. Ma lui non era me. Siamo diversi e
comunque, anche se ho barato, l'ho fatto con una persona che fa delle
menzogne il suo cavallo di battaglia".
"Sì,
lo so. Ma non è una giustificazione Mattheus!".
"Jutta,
ora basta! Ho vinto! O avresti preferito che mi uccidesse?".
La
fatina sospirò. "No, certo che no. Però...".
"Però
cosa?".
Jutta
alzò lo sguardo, guardandolo negli occhi. "Non ti ho mai
visto
così deconcentrato come durante questo duello. Tu di solito
sei
lucido, preciso e attento in ogni cosa che fai. Che ti è
preso oggi?
Stavi combattendo contro il demonio e avevi la testa da tutt'altra
parte!".
Mattheus
si portò la mano alla spalla ferita, stringendola. Faceva
malissimo
e lui non era mai stato bravo a sopportare il dolore. "Ti prego
Jutta, smettila! Non ho la forza di sentirti sbraitare".
La
fatina sospirò. Allungò la mano, fino a sfiorare
la ferita
dell'amico. Era preoccupata. "Ce la fai a tornare a casa?".
"Credo
di sì".
Jutta
scosse la testa. Si avvicinò a lui, sedendosi fra le sue
gambe,
appoggiando la testa contro il suo petto. "Sono preoccupata per
te".
Mattheus
le cinse la vita, sprofondando il viso sulla sua spalla. Voleva bene
a Jutta, era la migliore amica che avesse mai avuto ed era colei che
lo conosceva meglio e sapeva tutto di lui. La sua preoccupazione era
sincera e genuina ed averla vicina, in quel momento, lo rinfrancava.
"E' una ferita da niente, brucia un po’, tutto qui".
"Non
è per la ferita, sei cambiato, negli ultimi tempi hai uno
sguardo
talmente cupo che faresti scappare anche un branco di lupi".
Mattheus
sorrise. "Che cosa c'è di diverso dal solito, quindi?".
"Non
fare lo stupido, sai perfettamente di cosa parlo. Cos'è che
ti passa
per la testa e ti riesce a distrarre anche durante un duello
all'ultimo sangue? E' per Elke che ti tormenti? E' da quando se
n'è
andata che...".
"No".
Il
tono di voce secco usato dallo stregone la fece sussultare. Si
voltò
verso di lui, studiandolo in viso. "Sicuro?".
"Sicuro!
Perché dovrebbe importarmi di lei? In fondo la conoscevo
solo da
pochi mesi ed era stata Elke a cercarmi e a chiedermi di tenerla al
mio servizio, io ne avrei fatto volentieri a meno, non ne avevo
bisogno. Ora se n'è andata di sua spontanea
volontà e non avevo
alcun valido motivo per impedirle di farlo".
Gli
occhi di Jutta si assottigliarono. "Bene. Allora forse è
solo
una mia impressione sbagliata. E per quanto riguarda Elke, fra pochi
mesi non ti ricorderai nemmeno che faccia avesse".
Mattheus
spalancò gli occhi a quelle parole. Il tono di voce di Jutta
era
stranamente freddo, distaccato e impersonale e quel modo di parlare
di Elke non le apparteneva: lei si era affezionata alla ragazza
albina fin da subito. "Cosa dici? Perché dovrei dimenticarmi
di lei? Ho un'ottima memoria, io".
"Si
certo, ma vedi, non possiamo tenere a mente tutte le persone che
incontriamo nella nostra vita. Ricordiamo solo le più
importanti e
da quel che mi dici Elke non lo era , nessun problema".
"Jutta?".
Mattheus era confuso. Quando Elke se n'era andata pensava che la
fatina avrebbe urlato contro di lui, invece era stata in silenzio e
si era limitata ad annuire, senza dire una parola né di
rimprovero
né di disapprovazione.
Jutta
prese una ciocca di capelli biondi fra le dita, giocandoci. "Inoltre,
il fatto che se ne sia andata depone a tuo favore. Una ragazza albina
ti avrebbe procurato solo guai. Perderla è stata una gran
botta di
fortuna Mattheus. Hai già un carattere odioso di tuo, che ti
rende antipatico a tutti, ti ci mancava solo una presunta strega in
casa
per complicarti ulteriormente la vita".
"Hei,
smettila Jutta! Che ti prende? Credevo che Elke ti piacesse".
Jutta
alzò le spalle con noncuranza. "Oh, a me piaceva molto! Ma
non
è mica detto che dovesse piacere anche a te. Comunque, come
hai
detto prima, tu non hai mai avuto bisogno di avere assistenti quindi
è anche inutile stare qui a parlarne. Il fatto che se ne sia
andata
ti ha solo facilitato la vita".
Una
strana rabbia ed irritazione presero possesso di lui senza che ne
capisse il motivo. Nessuno doveva permettersi di parlare in quel modo
di Elke, nemmeno Jutta. Le prese il polso, stringendo forte e
costringendola a voltarsi. "Finiscila! Elke non era un peso per
me e non mi ha mai creato nessun problema averla a casa mia. E' la
più bella persona che io abbia mai conosciuto, mi manca
e...".
Si bloccò, mentre la sua mente finalmente, davanti al
sorrisino
ironico di Jutta, aveva capito il giochetto della sua amica fata. "E
tu sei una maledetta doppiogiochista, lo sai?".
Jutta
scoppiò a ridere. "Ah Mattheus, tirarti fuori le cose di
bocca
è un'impresa, ogni tanto bisogna anche giocare sporco per
riuscirci.
Ricorda, io ho qualche secolo di vita più di te e molta
più
esperienza. E ti conosco anche piuttosto bene".
"Sei
sleale!".
"Senti
chi parla! Tu hai appena battuto il demonio barando, nel caso non lo
ricordassi".
"Non
è la stessa cosa!".
La
fatina gli fece la linguaccia. "Sì che lo è!".
Mattheus
si arrese. Con un sospiro, si appoggiò nuovamente al tronco
della
pianta, mentre il suo sguardo si perdeva nel cielo azzurro e nelle
nuvolette bianche che lo solcavano. "Questa cosa me la
rinfaccerai a vita. Sei proprio come lui e non fatico a credere che
foste anime gemelle".
A
quell'affermazione, il sorriso scomparve dal volto di Jutta.
"Jakob... Lui ti ha parlato? Oggi, intendo, durante il duello?".
"Sì.
Più o meno ha rimarcato il fatto che ho giocato sporco,
proprio come
stai facendo tu. Anche se di fatto sapeva che non avevo altra
scelta".
Jutta
strinse la stoffa della sua camicia. "Tu senti ancora la sua
voce, vero?".
"Già.
Perché me lo chiedi? Sai che è così".
"Ti
parla sempre?".
Mattheus
scosse la testa. "No, non sempre. Solo quando lui ritiene che ce
ne sia necessità. Quando uso l'acqua del lago, ad esempio,
mi basta
formulare un desiderio, perché lei diventi quel che io
voglio:
medicina, unguento o qualsiasi altra cosa... Lui non mi risponde, ma
mi da quel che voglio. A volte invece mi da dei consigli o mi
rimprovera per qualcosa. Ci sono periodi in cui lo sento spesso e
periodi in cui non mi parla per mesi. Di solito comunque, è
quando
sono qui al lago che sento la sua voce".
"Ti
parla di me, qualche volta?".
Mattheus
scosse la testa. "No, non lo fa mai". Era la verità, non
vedeva il motivo di mentirle. Ma conosceva piuttosto bene Jakob e ora
che era adulto aveva capito perfettamente il perché di quel
il suo
silenzio. "Jakob era una persona che non amava parlare dei suoi
sentimenti con altri, men che meno con me che ai tempi in cui vivevo
con lui ero un ragazzino. Sa che stai bene, la sua anima vive qui,
proprio come te. Non ha bisogno di condividere ciò che
prova, ciò
che siete stati e i sentimenti che prova verso di te, se li tiene per
se stesso perché sono qualcosa di prezioso per lui. Il
giorno in cui
dovesse parlarmi di te sarà il giorno in cui avrà
smesso di amarti.
E non succederà mai".
Jutta
appoggiò la testa contro il suo petto, facendosi
abbracciare.
"Voglio sentire la sua voce. Ti prego Mattheus, fammi parlare
con lui. Solo un attimo, un secondo...".
Lo
stregone la strinse a se, baciandole i lunghi capelli biondi. Sapeva
quanto lo desiderasse, quanto ancora pensasse a lui però non
poteva
aiutarla. "Non posso, lo sai. Non sono capace di farlo ed è
già
qualcosa di sorprendente che io riesca a comunicare con lui. Vorrei
aiutarti, vorrei cedere a te questo privilegio, te lo giuro. Ma non
sono io a poter scegliere".
Calò
un silenzio pesante. Rimasero una fra le braccia dell'altro per
parecchi minuti, senza dirsi una parola. Mattheus aveva sempre
apprezzato la vicinanza di Jutta, anche se spesso si era rivelata la
più fastidiosa e petulante delle fate, però lui
conosceva anche
l'animo sensibile e delicato e la grande saggezza che le avevano
donato i tanti secoli di vita vissuta. "Resta mia amica per
sempre, Jutta".
La
fata annuì. "Certo che lo farò, d'altronde devo
tenerti sulla
retta via! Sono la vocina buona della tua coscienza, ricordatelo,
senza di me saresti un disastro".
"Non
darti troppe arie adesso".
Jutta
ridacchiò. "Ah Mattheus, se tu fossi cavaliere anche solo la
metà di quanto lo era Jakob, saresti una persona eccellente".
Mattheus
annuì, concordando silenziosamente con lei. "Posso chiederti
una cosa, Jutta?".
"Certo".
"Come
vi siete conosciuti tu e Jakob?". Era una cosa che lo
incuriosiva da sempre anche se non aveva mai osato domandare. Nei
suoi ricordi Jakob era sempre stato anziano; ricordava quando, da
bambino, lo guardava inerpicarsi nei boschi, col suo bastone e i suoi
capelli bianchi, alla ricerca di bacche o di un ruscello dove
pescare. Quando lui era nato Jakob era già molto avanti con
gli anni
e il suo amore con Jutta risaliva a molto prima della sua infanzia.
"Sì beh, insomma... se non sono indelicato...".
"Ma
no, non lo sei". Jutta sospirò, abbandonandosi
definitivamente
contro il suo petto. "Lo trovai qui, svenuto e ferito, quando
aveva poco più di vent'anni. Tornava da qualche epica guerra
di cui
non ricordo il nome, d'altronde voi esseri umani amate tanto farne e
siete sempre in ballo a combattervi. Era alto, dal fisico asciutto e
forte, aveva un viso bellissimo e dei lunghi capelli scuri che gli
arrivavano fino a metà schiena. Perdeva molto sangue dal
petto e dal
collo, sarebbe morto se non lo avessi aiutato. Ma come fata potevo
fare ben poco per cui mi trasformai, come ho fatto adesso per
medicare te, e mi presi cura di lui mentre era privo di coscienza. Lo
vidi aprire gli occhi solo un attimo, prima di svenire di nuovo, ed
ero convinta che non fosse nemmeno riuscito a mettermi a fuoco.
Quando finii di curare le sue ferite, tornai alle mie dimensioni
abituali e volai via. Credevo che se ne sarebbe andato, quando si
fosse svegliato, e che non l'avrei rivisto mai più, ma mi
sbagliavo,
lui tornò il giorno dopo e quello dopo ancora. Mi aveva
visto, mi
cercava e io non potevo farmi vedere da lui: non lo conoscevo e non
potevo fidarmi, mostrandomi per quella che ero davvero. Alla fine
però cedetti, irrazionalmente. Mi resi conto che mi piaceva
sapere
che era lì a cercare me, che avevo paura di perderlo e che
forse, se
non mi fossi fatta vedere, si sarebbe stancato e che se ne sarebbe
andato per sempre. Era quello che avrei dovuto sperare, che se ne
andasse, ma mente e cuore non ragionavano allo stesso modo per cui mi
mostrai. Rischiavo, lo sapevo, ma per una volta non me ne importava
niente. Non gli ho mai nascosto nulla di me, ha saputo della mia vera
natura da subito. E gli andava bene così, era affascinato di
amare
una fata. Il resto puoi immaginarlo da solo. Ci conoscemmo, mi
raccontò di essere un guerriero e un apprendista mago e
grazie a me
scoprì mondi che gli erano sconosciuti: elfi, fate, folletti
e
gnomi. Divenne loro amico e imparò a rispettarli, come loro
rispettavano lui e a conoscerne usi e tradizioni. Di questo, ancora
oggi, ne godi anche tu. Sei stato suo allievo e per questo tutte le
creature magiche delle montagne ti amano e ti accolgono fra loro come
si fa con un amico. Jakob non raccontò mai di noi a nessuno,
non
tradì mai il mio segreto e mi rimase fedele, sempre. Era
nativo di
Rachstings proprio come te, e lì tornò a vivere.
Appena poteva
però, tornava al lago e alla Val Sarentino e stavamo insieme
per
giorni, settimane anche. Non ho mai tenuto per tanto tempo le mie
sembianze umane come in quel periodo, ora che ci penso! Ma gli anni
passavano e lui invecchiava, mentre io, ai suoi occhi, rimanevo la
giovane fanciulla del nostro primo incontro. E quando si sentii
troppo vecchio per me, disse basta. Mi opposi, ma lui fu
irremovibile. Però l'amore non finì,
semplicemente si trasformò in
qualcosa di diverso, platonico ma sempre sincero, come quando era
giovane. Sapevo che mi amava, che mi avrebbe amato sempre come quando
era un ragazzo, ma capivo le sue motivazioni. Ai suoi occhi ero una
ragazzina, poco più di una bambina e per lui doveva essere
complicatissimo gestire una cosa del genere. Passarono altri anni,
invecchiò sempre più, finché un giorno
mi comparve davanti con un
ragazzino odioso, saccente e saputello".
A
quelle parole, Mattheus scoppiò a ridere. "Io, giusto?".
Lo ricordava bene:aveva quindici anni o forse meno e Jakob lo aveva
iniziato all'uso delle arti magiche parlandogli dell'esistenza di
elfi, fate, troll e gnomi e lui l'aveva preso per pazzo. Jakob non
aveva detto nulla, ma l'aveva portato con se al lago di Valdurna.
Lì
aveva chiamato a se Jutta e quando lui se l'era trovata davanti era
rimasto catatonico, a bocca aperta, per una buona mezz'ora.
"E
allora, ragazzino saputello, che hai da dire adesso?".
"Eri
proprio odioso Mattheus. Ma lui ti voleva bene come a un figlio".
Mattheus
sorrise. "Lo so".
Jutta
sospirò, chiudendo gli occhi. "Sai, come ti dicevo prima,
nella
vita non possiamo ricordarci tutti quelli che incontriamo, ma solo
chi è stato importante. Io, sulle rive di questo lago, ho
visto
passare tanta gente di cui non ricordo nemmeno il volto. Ma...".
"Ma
ricorderai sempre Jakob. E visto il mio caratteraccio, probabilmente
anche me".
A
quelle parole, Jutta rise. "Oh, stanne certo! Gente come te non
si dimentica facilmente".
"Qualcuno
di interessante oltre a noi, che è passato di
quì, te lo ricordi?".
Jutta
annuì. "Sì certo. Due secoli fa... Forse anche
più, a ben
pensarci. Veniva spesso qui una giovane donna dai lunghi capelli
rossi e dallo sguardo dolce e gentile. Me la ricordo come fosse ieri,
mi sembra di rivederla sulle rive del lago, ora che mi ci fai
pensare. Era nobile, elegante e molto bella. Veniva con la sua
bambina, dai capelli rossi come lei, che era piccolissima e a
malapena camminava. Le toglieva le scarpette e i vestitini e le
lasciava addosso solo una leggera sottana per lasciarla libera di
muoversi. La faceva giocare nell'acqua, gattonare fra i sassi e
insieme si rotolavano nel prato. Quando doveva farla addormentare, si
stendeva sotto un abete con la figlia sul petto e le raccontava
storie fantastiche, frutto di una fantasia davvero immensa. Le fiabe
che inventava erano tanto belle che io spesso mi mettevo su un ramo
ad ascoltarle, catturata dalla dolcezza della sua voce e dalla trama
di quelle storie. E' passato tanto tempo da allora e lo scorrere
degli anni ha cancellato i loro nomi e le loro vite, ma io la ricordo
ancora. Quando ho conosciuto Elke mi è sembrato di rivedere
quella
donna, aveva il suo stesso sguardo dolce e pulito ed è per
questo
che mi è piaciuta da subito".
Mattheus
sospirò. "Già...".
Jutta
sospirò. "Spero tanto che stia bene, ovunque lei sia. Certo
che
se sei riuscito a far scappare anche una donna dolce e paziente come
lei, sei proprio senza speranze mio caro".
"Jutta,
io ho bisogno di sapere che sta bene! Puoi aiutarmi?".
La
fatina, per qualche attimo, ci pensò su. Poi scosse la
testa, in
segno di diniego. "No, mi spiace. Se rivuoi Elke, dovrai lottare
da solo per riportarla da te. Questa è una cosa solo tua e
solo tu
puoi metterti in gioco. Non so dove lei sia, né se potrebbe
desiderare di tornare a Pennes, tantomeno so se riuscirai a
incontrarla di nuovo, se devo essere proprio sincera. Ma comunque
stiano le cose, ora dipende da te. In queste cose ci si deve giocare
il tutto per tutto, abbassare la testa, imparare ad essere umili e
sinceri con se stessi e coi propri sentimenti, proprio come abbiamo
fatto io e Jakob tanti anni fa".
Mattheus
sospirò. In fondo si aspettava le parole di Jutta e le
condivideva.
Si massaggiò la spalla che non smetteva di tormentarlo.
"Sai,
dopo Natale ho avuto l'influenza e lei è rimasta vicino a me
tutta
la notte, quando avevo la febbre. E' stata seduta lì, sul
letto,
appoggiata alla spalliera. Doveva essere davvero una posizione
scomoda, ma non si è mai mossa da lì e al mattino
non si è
lamentata del mal di schiena che sicuramente aveva. Non l'ho nemmeno
ringraziata quella volta e ora sono sicuro che se fosse quì,
anche
adesso si prenderebbe cura di me, medicandomi il braccio. E forse mi
sgriderebbe, come hai fatto tu".
"Sì,
probabilmente lo farebbe. Elke era una ragazza davvero assennata,
Mattheus". Jutta gli diede una veloce occhiata e poi si alzò
in
piedi, aiutandolo a fare altrettanto. "Ora basta parlarne! Sei
pallido e credo che tu debba davvero andare a casa a medicarti quella
ferita. Ce la fai a camminare fino a Pennes?".
"Credo
di sì. In fondo è il braccio ad essere ferito,
non le gambe".
Jutta
lo guardò storto. "Se hai la forza di fare dell'ironia,
allora
non devi essere così sofferente".
"Che
dovrei fare, scusa? Vuoi che mi metta a piangere?".
"No,
per carità... La giornata è stata fin troppo
pesante così, senza
che tu ti metta a frignare. Visto che mi sono trasformata, ne
approfitto per accompagnarti fino al villaggio. Vorrei evitare di
trovarti svenuto nel bosco domattina, completamente congelato".
Mattheus
spalancò gli occhi. Cosa? Accompagnarlo fino a casa? "Jutta,
ma
sei impazzita? Non puoi accompagnarmi a Pennes! Cosa direbbero gli
abitanti del villaggio, se ti vedessero?".
"Che
ti importa? Sono nella mia forma umana, nessuno noterà
qualcosa di
strano".
Lo
stregone alzò gli occhi al cielo, esasperato. Come faceva a
non
capire? "Jutta, tu non hai una bellezza comune! Sei... sei...".
"Cosa?".
"Ma
dai, sei un altro pianeta rispetto alle altre donne. Hai la bellezza
e la grazia di una fata, sei diversa. La gente penserà che
sei una
qualche principessa che ho rapito!".
"Mattheus...".
Jutta scosse la testa, esasperata. Sopportare quell'uomo, certe volte
diventava un'impresa ai limiti della capacità umana. "Va
beh,
ti accompagno fino al delimitare del bosco e poi proseguirai da solo.
Contento?".
"Insomma,
mica tanto".
Jutta
non rispose e fece finta di non sentirlo. Si allontanò
brevemente da
lui e andò a raccogliere la spada di Jakob che era ancora
abbandonata nell'erba. Poi gliela riconsegnò e infine lo
prese
sottobraccio. "L'ora dei reclami e dei capricci è finita. A
casa, Mattheus! Anche se una cosa te la devo proprio dire...".
"Cosa?"
- chiese lui, appena si furono avviati.
Jutta
ridacchiò. "Il trucco della spada di ghiaccio è
stato il
massimo. In un duello all'ultimo sangue non si dovrebbe sostituire
una spada persa, ma anche sei hai barato, lo hai fatto in maniera
spettacolare".
Anche
Mattheus rise, nonostante il dolore alla spalla. "Concordo".
La abbracciò, quasi d'istinto. Jutta era quanto di
più prezioso
avesse mai avuto, un'amica leale, sincera, dal pessimo carattere ma
dall'immensa saggezza. Sapeva lodarlo quando se lo meritava e sapeva
sgridarlo quando sbagliava, con la foga e la passione usati solo da
chi tiene veramente a te. "Jutta, grazie".
La
fata non rispose. Lo abbracciò forte e Mattheus lo sapeva,
in quel
momento non poteva che ricordare le parole con cui Jakob l'aveva
affidato a lei dieci anni prima, proprio sulle rive di quel lago.
Giunsero
al delimitare del bosco che imbruniva. Pennes si stagliava davanti a
loro, apparentemente placida e sonnacchiosa. La neve cadeva
incessantemente, attutendo il rumore dei loro passi.
"Ce
la fai a proseguire da solo fino a casa?" - chiese Jutta,
accigliata e con un tono stranamente nervoso.
"Che
cos'hai?" - chiese Mattheus. La conosceva abbastanza bene da
percepire che qualcosa non stava andando nel verso giusto, nonostante
la calma apparente e la camminata tutto sommato tranquilla che li
aveva condotti fin lì.
La
fata si guardò attorno, guardinga. "Non lo so Mattheus,
c'è
qualcosa di strano nell'aria. Il mio sesto senso di fata di solito
non si sbaglia, c'è qualcosa di... maligno...
qui attorno".
In
quel momento furono investiti da un vento gelido, tagliente, talmente
freddo da mozzare il fiato. La risata malvagia di Lucius
rimbombò
nel bosco, sul villaggio e in tutta la valle. "Mattheus Hansele,
sei stato lento a tornare, era ora! Ma io ho pazienza, so aspettare
tranquillamente per ore, anche per giorni se necessario... E non ti
aspetto solo io, siamo tutti in attesa del tuo ritorno. Vieni, i tuoi
concittadini non vedono l'ora di... stringerti
in un caloroso abbraccio...
Credevi fossi sparito, credevi fossi tanto codardo da scappare con la
coda fra le gambe dopo il tuo stupido giochetto con quella spada di
ghiaccio? Io torno sempre Mattheus, dove ho terreno fertile per
mettere radici. E Pennes, questa gente... sono perfetti per me".
"Mattheus!".
Jutta gli strinse la mano, strattonandolo indietro. "Lo sapevo,
non se n'è andato, lui non se ne va mai! Non scendere al
villaggio,
è una trappola!".
Lo
stregone si portò la mano alla spalla ferita, stringendo i
denti dal
dolore. Poi scosse la testa. "Io non scappo Jutta! Lucius mi ha
portato via Jakob, mi ha rovinato la vita! Lo ricordi, vero? Ricordi
cosa ha fatto a tutti e due? Io non me ne vado, io lo affronto, di
nuovo! L'ho battuto una volta, lo farò una seconda e anche
una
terza, se necessario!".
"Sei
ferito, razza di stupido!" - urlò Jutta, con tono disperato.
"E
poi non hai sentito? Ti aspetta, con gli abitanti di Pennes. Non so
cos'abbia fatto a quelle persone ma è in grado di manipolare
la
mente degli uomini a suo piacimento e senza fatica. Mattheus, non
andare!".
Lo
stregone scosse la testa. Alzò la mano, ad accarezzarle i
lunghi
capelli biondi, poi la strinse a se in un veloce abbraccio. "Non
posso, mi spiace Jutta. Tu va via da qui, per favore mettiti in
salvo. Sono certo che ci rivedremo presto" – concluse,
dandogli un leggero bacio sulla fronte.
Poi
si voltò e senza aggiungere altro si diresse verso Pennes.
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Capitolo 14 *** Capitolo tredici ***
Capitolo
tredici
Aveva
sempre odiato la voce di Lucius, quasi da procurargli una fastidiosa
gastrite al solo pensarla. Lo odiava da dieci anni, voleva vederlo
morto dal giorno in cui aveva ucciso Jakob davanti ai suoi occhi. Lo
odiava perché gli aveva portato via senza un
perché l'unico padre
che gli era rimasto, perché quel giorno aveva fatto piangere
Jutta e
perché la sua ombra era rimasta sempre su di lui, in ogni
suo
pensiero, in ogni sua azione.
L'unica
cosa che non aveva mai provato verso di lui era stata la paura, la
rabbia era sempre stata più forte di qualsiasi timore
potesse
provare.
Ora
però era diverso, era spaventato. Non per se stesso ma
perché non
sapeva cosa lo aspettava a Pennes. Cosa c'entravano gli abitanti del
suo villaggio, cosa aveva fatto loro, Lucius?
Si
era sempre beffato di loro, si era anche divertito in passato a
spaventarli e a vedere le loro espressioni di terrore davanti alle
sue finte minacce. Però era pian piano erano diventati la
sua gente,
coi loro pregi e difetti. Persone semplici, un po’ ignoranti
e
superstiziose,
chiusi come sanno essere le popolazioni di montagna, analfabeti, ma
in fondo brava gente, dedita al lavoro e alla famiglia, uomini che si
spaccavano la schiena rompendo legna o portando gli animali ai
pascoli di alta montagna, donne che con poco davano da mangiare ai
numerosi figli e mandavano avanti la casa dignitosamente e bambini
cenciosi che scorrazzavano nel paese da mattina a sera, dando una
nota di allegria al villaggio. Pian piano, senza che nemmeno
rendersene conto, erano entrati a far parte di lui, aveva imparato a
conoscerli, a ridere delle loro debolezze e a farsi carico delle loro
fragilità. Non avrebbe permesso a Lucius di far del male a
quelle
persone. Il demonio si era già portato via Jakob e Elke,
anche se in
questo caso, Jutta aveva ragione, era stata colpa sua, e non avrebbe
permesso che mietesse altre vittime.
La
spalla gli doleva in maniera incredibile ma non gli importava.
Impugnò con forza la spada che gli aveva lasciato Jakob,
pronto ad
usarla di nuovo. E a grandi falcate corse giù per il
sentiero che
portava a Pennes.
Quando
arrivò in paese trovò i viottoli esterni
stranamente deserti: era
strano, quella era l'ora in cui si tornava dai pascoli e si portavano
le bestie nelle stalle, della Messa preserale e solitamente era tutto
un via vai di bimbi che giocavano fra le baite prima di cena. Non
c'era nessuno e Pennes era avvolta da un silenzio tombale.
Un
brivido freddo gli percorse la schiena e quasi per istinto
iniziò a
correre verso casa sua. Man mano che si avvicinava, in lontananza
avvertiva
un sommesso vocio indistinto provenire dalla piazza, insieme ad uno
strano odore di legna bruciata. Se tanto gli dava tanto, tutti gli
abitanti di Pennes si trovavano lì con Lucius a fare
chissà cosa. E
aspettavano lui!
Il
pensiero corse a Falko e Drago e a cosa gli fosse successo durante la
sua assenza. Lucius sapeva essere letale e far male e i due nani
erano completamente indifesi contro di lui. Con quel pensiero corse
ancora più forte verso casa sua, bloccandosi solo quando fu
a pochi
passi dalla porta d'ingresso.
I
suoi occhi si spalancarono dal terrore: la porta di legno era divelta
e rotta in più punti, i vetri delle finestre in parte
distrutti da
probabili sassate, tutto era sottosopra, il tavolo ribaltato,
così
come le sedie e il piccolo sofà. Piatti rotti e cocci
ovunque, abiti
gettati a terra e un disordine incredibile ovunque, come se nella sua
casa fosse passato un uragano.
"Mattheus...".
Dalla
porta della sua stanza, divelta anch'essa, comparve Falko. Aveva un
grosso livido sull'occhio destro, i suoi abiti erano strappati in
più
punti e il mento sanguinava. Mattheus gli corse vicino,
inginocchiandosi davanti a lui. "Cosa è successo qui?" -
chiese, sfiorandogli l'occhio pesto.
"Gli
abitanti di Pennes sembrano impazziti" – mormorò
la voce di
Drago, giunto zoppicante dietro il fratello. Aveva anche lui il viso
livido e la voce tremante ed erano entrambi spaventati a morte.
"Cosa?".
Drago
prese fiato, tossendo rumorosamente. "Lucius deve aver fatto
loro qualcosa. Gli ha ordinato di distruggere la tua casa, gli ha
fatto credere che tu sia una creatura demoniaca da uccidere e che lui
è il salvatore venuto ad aiutarli nella lotta contro di te.
E' stato
terribile, si sono avventati su questa casa con pietre, calci, hanno
distrutto tutto quello che han trovato sotto mano. Anche la tua acqua
Mattheus... Lucius gli ha ordinato di distruggere le provette e loro
l'hanno fatto. Non è rimasto più niente del lago
di Valdurna!
Mattheus, sono le stesse persone che ci vendono il pane, la carne,
che incrociamo ogni giorno nel villaggio. E' la stessa gente che ti
chiede aiuto comprando la tua acqua, ma allo stesso tempo non
sembrano più loro. Abbiamo cercato di fermarli, di farli
ragionare
ma...".
Mattheus
gli accarezzò i capelli, cercando di calmarlo. "Stai
tranquillo
Drago, va tutto bene. Avreste dovuto scappare e non affrontarli, da
come siete ridotti posso immaginare che le avete prese di santa
ragione". Era preoccupato per loro ma soprattutto per la gente
di Pennes. Conosceva Lucius e grazie alle parole dei nani ora aveva
un quadro più chiaro della situazione. Nessuno sapeva
incantare ed
ammaliare le persone come il demonio, rendendole inermi e in suo
potere. Bastava poco, molto poco per comprare la fedeltà di
gente
semplice e povera come gli abitanti di Pennes e renderli mansueti
come agnelli. Questo Lucius lo sapeva bene: bastava un regalo, anche
una piccola moneta d'oro, e sarebbero stati suoi. "Dove sono
tutti?".
Drago
spalancò gli occhi a quella domanda, spaventato. "Mattheus
no,
non andare, scappa! Ti cercano, ti aspettano e sei in pericolo"
– urlò, aggrappandosi alla manica della sua
camicia.
"Dove
sono?" - ripeté lo stregone, scandendo le parole.
Falko
abbassò lo sguardo, arrendendosi davanti alla sua
determinazione.
"In piazza. E non hanno belle intenzioni".
"Lo
vedremo!". Mattheus si rialzò in piedi, stringendo l'elsa
della
spada. "Chiudetevi dentro e mettetevi al riparo. Ci vediamo
dopo" – gli intimò. Non attese una loro risposta,
uscì
dalla porta e corse verso la piazza. Dopotutto se Lucius voleva
essere sconfitto di nuovo, per la seconda volta e nella stessa
giornata, chi era lui per negarglielo?
"Mattheus...".
La
voce di Jakob giunse alla sue orecchie ma lo stregone scosse la
testa, fingendo di non sentirlo. Sapeva che voleva fermarlo come
avevano fatto Jutta e i nani poco prima, ma lui non lo avrebbe fatto.
Era cresciuto ed era ora che Jakob si fidasse di lui, lasciandogli
prendere le decisioni che riteneva giuste, senza più
interferire. Lo
amava come un padre ma in quel momento Jakob non c'entrava. Il
demonio lo aveva sfidato ed era ora di chiudere la partita con lui,
in un modo o nell'altro. In qualche modo avrebbe messo in salvo gli
abitanti di Pennes e poi avrebbe rimesso mano alla spada,
rispedendolo all'inferno. Corse e rallentò solo quando
giunse
all'imbocco della piccola piazza di paese. Al centro era stato acceso
un grosso falò e l'odore di legna bruciata saturava
l'aria. Lucius era accanto alle fiamme e sembrava non aspettare altri
che lui. Lucius e il fuoco, binomio indissolubile, pensò
con sarcasmo.
Lui era il diavolo e le fiamme il suo elemento naturale. Non lo
sconvolgeva quella visione, non ne era stupito, sapeva che sarebbe
tornato presto e che non aveva digerito a cuor leggero il suo
trucchetto con la spada di ghiaccio. Eccolo lì davanti a
lui,
integro, dopo
che
solo poche ore prima l'aveva tagliato in due.
Lucius
non lo spaventava, era il resto a preoccuparlo. Davanti al demonio, a
semicerchio attorno al fuoco, c'erano tutti gli abitanti di Pennes i
cui sguardi correvano ininterrottamente da lui a Lucius. Li conosceva
uno ad uno, tutti loro avevano chiesto il suo aiuto in passato ed ora
erano lì, con lo sguardo perso e spento a pendere dalle
labbra del
demonio a cui si erano affidati con l'ingenuità di un
bambino.
"Benvenuto
Mattheus" – esclamò Lucius, non togliendogli gli
occhi di
dosso.
Mattheus
si avvicinò a passi felpati, con sguardo attento ad ogni sua
mossa.
Non sapeva cosa aspettarsi e soprattutto non poteva prevedere le
mosse degli abitanti di Pennes. Non poteva attaccarli, erano vittime
di quell'essere quanto lo era stato Jakob. Doveva salvarli, ma in
quel momento non riusciva a capire quali minacce gravassero su di
lui. "Hai una bella faccia tosta a presentarti qui dopo che ti
ho sconfitto" – disse, in tono minaccioso.
Lucius
emise un ghigno maligno e si voltò verso la gente di Pennes,
alzando
le braccia in tono solenne. "Eccolo qui, l'essere demoniaco,
finalmente si è mostrato! Ecco colui che vi ha vessato,
derubato,
terrorizzato per anni. Lui che si è arricchito sulle vostre
disgrazie, lui che
ha
riso del vostro dolore. Lui vi gettava addosso il malocchio e si
faceva pagare per togliervelo. Brucerà in questo rogo acceso
apposta
per lui e lo manderemo a quell'inferno da cui è venuto e che
ora lo
riaccoglierà" – disse, indicando il
falò accanto a lui.
"Il
demonio..." - sussurrò la voce di una donna.
Un
contadino si chinò a terra, raccogliendo una pietra. "Il
diavolo è stato fra noi e ora Lucius è venuto a
salvarci!" -
disse, scagliandola contro Mattheus.
La
pietra lo colpì con violenza sulla fronte e lo stregone
avvertì un
rivolo di sangue colargli sulla guancia mentre sentiva un dolore
lancinante generato dal colpo.
"Il
demonio, il demonio!" - urlarono altre voci.
Altre
pietre, sassi, imprecazioni si abbatterono su di lui, ferendolo e
facendogli perdere lucidità. Cercò di deviare
alcuni colpi con la
spada ma erano troppi e gli abitanti di Pennes parevano avere una
mira perfetta. "Smettetela!" - urlò. "Non lo capite?
Vi sta usando, vi sta facendo combattere per lui, state attaccandomi
in nome del demonio".
"Tu
sei il demonio!" - gridò la signora Kofter, la perpetua del
prete di paese. "Tu ci hai derubato per anni, vendendoci la tua
acqua! Avevamo bisogno di aiuto e tu ci chiedevi soldi. Sei arrogante
e crudele, un essere oscuro".
Un'altra
pietra lo colpì sulla spalla già ferita e
Mattheus crollò a terra,
esausto e sanguinante. "Siete tutti degli idioti! Tutti noi
lavoriamo e tutti noi chiediamo soldi in cambio dei nostri servigi.
Lo faccio io e lo fate anche voi quando vendete il vostro latte, la
carne delle vostre bestie, il formaggio che producete nelle malghe.
Io vi ho aiutato e curato, chiedendovi in cambio solo qualche piccola
moneta di rame. A volte nemmeno quella, quando avevo la certezza che
non poteste pagare. Non vi ho mai derubato! Davvero vi fidate di uno
che vi regala soldi? Davvero pensate che esista qualcuno che lo
faccia disinteressatamente?". Il suo sguardo si posò verso
una
donna in particolare, una donna che poteva confermare la sua buona
fede. "Signora Knopp, coraggio, ditelo, ammettetelo! Quel
giorno, quello del torneo con l'arco, il vostro bambino stava male,
vero? Ricordate?".
La
donna sbiancò.
"Era
il giorno in cui Elke, la mia assistente, giunse qui. Vi diedi
l'acqua e non ve la feci pagare perché sapevo quanto foste
disperata
in quel momento".
Lucius
scoppiò a ridere, avvicinandosi a lui. "Sta bluffando
gente, il demonio è tentatore e sa confondere e ingannare.
Vero
signora Knopp?".
La
donna, sempre più pallida, assunse un'espressione sconfitta
e
addolorata e rivolse a Mattheus uno sguardo pieno di sensi di colpa.
Quanto
meno
aveva la sensazione lei avesse capito come stavano le cose. Mattheus
tentò di rialzarsi, ma Lucius lo atterrò di
nuovo, infliggendogli
un violento calcio nello stomaco. "Brucerai, si... Sarà
più
divertente di dieci anni fa" – gli sussurrò il
demonio,
all'orecchio.
Mattheus
strinse i denti. Avrebbe potuto dire o fare mille cose per
difendersi, ma sarebbe stato pericoloso per gli abitanti di Pennes.
Erano troppo vicini, troppo assoggettati da Lucius per non correre in
suo aiuto, rischiando di finire uccisi o di farsi del male nel
combattimento. Avrebbe potuto chiamare a se i poteri degli elementi
di terra, acqua, vento, ghiaccio, calore o gelo per sconfiggerlo ma
non poteva se la gente di Pennes non si allontanava. Cosa doveva
fare, come poteva combattere senza rischiare di coinvolgerli? O era
arrivato il momento di abbassare il capo e soccombere? Per un attimo
il pensiero tornò ad Elke e fu contento di saperla lontana,
al
sicuro. Se si fosse trovata in casa con i nani le avrebbero fatto
sicuramente del male e lui non sarebbe stato lì a
proteggerla.
Sospirò. "Se mi uccidi poi ti annoieresti, no?" -
provò a
rispondere, sprezzante.
"Oh,
non credo...". Lucius lo prese per la camicia, sollevandolo di
peso e calciando la sua spada lontano da lui.
Le
voci degli abitanti di Pennes si unirono in un solo, unico coro.
"Fuoco,
fuoco, fuoco...".
"FERMATEVI
TUTTI".
Mattheus
sussultò davanti a quella voce. "Jutta...". Non poteva
essere, non poteva! Quella stupida cosa ci faceva lì?
Anche
Lucius parve stupito. Si voltò nella direzione da cui
proveniva la
voce della fata, trovandosela davanti, lontana appena pochi metri.
Nessuno
di loro si era accorto del suo arrivo.
Mattheus
scosse la testa. Era lei, nelle sue sembianze umane, bellissima ed
eterea, così diversa da ogni altra donna di quel villaggio.
Jutta
squadrò lui e Lucius con espressione seria e furente. Non
l'aveva
mai vista così. Si voltò verso gli abitanti di
Pennes,
avvicinandosi a loro. I suoi lunghi capelli biondi parvero brillare
al riflesso del fuoco acceso nella piazza. "Mattheus mi ha
sempre detto che siete ottusi e, porca miseria, aveva ragione! Come
fate ad essere così idioti? A credere a Lucius? Cosa vi ha
regalato,
una moneta d'oro a testa?Gioielli?".
La
gente indietreggiò,
spaesata e a disagio. A Mattheus venne quasi da ridere, nonostante
tutto. Dalle loro espressioni colpevoli poteva dedurre che Jutta
aveva colto nel segno.
Lucius
scoppiò
a ridere. "Signori, questa donna all'apparenza tanto bella, in
realtà è come Mattheus, una creatura degli
inferi. Ed infatti sono
amici. Brucerà, con lui, per sempre!".
Jutta
sbuffò. "Ah, sta zitto!". Poi si voltò verso gli
abitanti
di Pennes, rivolgendo loro di nuovo le sue attenzioni. "Mi
brucereste, razza di caproni? Brucereste una dolce e bella creatura
come me? E farete lo stesso con Mattheus? E poi, quando avrete
bisogno di qualcosa? Credete davvero che Lucius vi aiuterà?
Oh,
forse lo farà sì, a un prezzo alto
però, vi chiederà la vostra
anima. Ha già iniziato ad impossessarsene e voi non ve ne
siete
nemmeno resi conto. Parlate di Mattheus come se fosse il peggiore
degli uomini. Io lo so, ha un carattere pessimo e sarebbe da prendere
a scarpate per la maggior parte del giorno, ma è migliore di
quello
che dà a vedere e gli affiderei la mia vita ad occhi chiusi,
come
del resto avete fatto voi per anni. Lo credete il diavolo ma voi,
avendo attinto ai suoi poteri, sareste diventati suoi complici,
giusto? E quindi, a rigore di logica, dovreste bruciare assieme a
lui".
La
gente di Pennes a quelle parole spalancò gli occhi. Sembrava
spaventata, quasi che Jutta avesse trovato le giuste corde da suonare
per riportarli alla ragione.
Gli
occhi di Lucius si assottigliarono. "Che vuoi fare Jutta, cosa
vuoi dimostrare? Hai fallito dieci anni fa e fallirai ancora. Puoi
dire quello che vuoi ma loro ascolteranno me".
La
fata sostenne il suo sguardo. “Voglio solo dimostrare a
questa
gente chi sei davvero. Lasciami tentare, che ti costa? O hai paura di
me?”.
Lucius
scoppiò a ridere. “Paura di te?Nessuno dei tuoi
stupidi trucchi di
fata funzionerà. Ogni confronto fra noi è
destinato a finire con la
tua sconfitta. Questa gente la sto salvando da quel demonio che li
deruba e sfrutta da anni” – disse, indicando
Mattheus. “Come li
convincerai del contrario, vista la differenza di modi in cui io e
lui ci raffrontiamo a queste persone?”.
Mattheus
fece per intervenire ma si morse la lingua, costringendosi a stare
zitto. Quello era il loro momento, erano dieci anni che Jutta
aspettava di confrontarsi con lui e non avrebbe aperto bocca,
nonostante tutte le provocazioni Se ne fosse uscito vivo avrebbe
fatto a Jutta una lavata di capo memorabile ma ora, qualunque cosa
avesse in mente, doveva solo fidarsi di lei.
Jutta
sorrise freddamente. “Io non perderò
perché con te non userò la
forza come hanno fatto, fallendo, Mattheus e Jakob. Sarebbe stupido,
perderei in partenza. Le guerre si vincono con l'intelligenza e
l'astuzia e le risposte che queste persone cercano sono già
davanti
a loro, basta mostrargliele”. Si voltò verso gli
abitanti di
Pennes che, in silenzio, osservavano con sguardo perso il loro
scambio di battute. “Guardatemi bene, osservate quel che
faccio. E
vi farò vedere chi è il vero demonio fra
noi!”.
Mattheus
trattenne il fiato, cercando con la mano l'elsa della sua spada che
Lucius aveva calciato lontano da lui. Non aveva idea di cosa lei
avesse in mente ma era meglio rimanere pronti ad ogni
eventualità.
Con
un ghigno ed incrociando le braccia al petto, Lucius si
appoggiò
contro la parete di una baita. "Coraggio, sarà interessante
vedere come ti rendi ridicola davanti a tutti".
Jutta
non lo sentì. O lo ignorò volutamente.
Rovistò con la mano in una
delle tasche del suo lungo abito azzurro, come cercando qualcosa e
sorrise estraendone un oggetto che Mattheus, sulle prime, fece fatica
a identificare.
"Guardate!"
- disse la fata, rivolta agli abitanti di Pennes. Sollevò il
braccio
al cielo, indicando loro un piccolo specchio che evidentemente teneva
nella tasca, come ogni donna vanitosa che si rispetti.
Lucius
sbiancò mentre Mattheus sorrise. Ora aveva capito dove
voleva
arrivare e se non fosse stato tanto accecato dalla sua sete di
vendetta e dalla voglia di combatterlo con la spada di Jakob ci
sarebbe arrivato da solo. "Brava Jutta...".
La
fata si avvicinò agli abitanti, invitandoli a guardare nel
piccolo
specchio che teneva fra le mani. "Lo vedete. Io, voi, tutti ci
riflettiamo in questo specchio. Guardate le nostre figure, come son
chiare e limpide. Solo le creature umane, coi loro pregi e difetti
hanno un'immagine riflessa in uno specchio. Le creature demoniache
invece no. Sono fatte di tenebre e le tenebre sono a loro volta fatte
di malvagità. E la malvagità non può
rispecchiarsi in nulla".
Si avvicinò a Mattheus, non togliendo però gli
occhi di dosso da
Lucius. "Ecco, vedete!" - urlò, facendo in modo che lo
specchio catturasse l'immagine dello stregone. "Lui è come
noi!
La sua immagine è qui nello specchio, coi suoi pregi e... i
suoi
mille difetti. E' umano, come noi. Mattheus non è il
diavolo!".
"Sta
zitta!" - sibilò Lucius, avvicinandosi a lei.
Jutta
sorrise, freddamente. "Non ti stai divertendo a vedere come mi
rendo... ridicola?".
Il
demonio si morse il labbro, nervoso. "Gente!" - urlò agli
abitanti di Pennes – "Questa strega vi sta confondendo,
imbrogliando! Non datele retta, non ascoltatela! Io vi ho aiutati,
non lei!".
Jutta
fu veloce, più di lui e delle sue parole.
Indirizzò lo specchietto
verso Lucius, attenta a catturarne la sua figura. "Guardate!
Cosa vedete ora? Lo vedete il suo riflesso nello specchio?".
La
gente indietreggiò, quasi spaventata
dall'eventualità di scoprire
la verità. Fu solo Willehlm, il piccolo figlio del mugnaio,
spinto
dalla curiosità dei suoi cinque anni ad avvicinarsi a lei.
Il bimbo
guardò nello specchio e poi spalancò i suoi
grandi occhi azzurri.
"E' invisibile! Non si vede, non si vede proprio nello
specchio". Si voltò verso Lucius, indicandolo con la sua
manina
grassottella. "Sei cattivo tu! Proprio cattivo".
La
gente iniziò a urlare spaventata e Lucius ad urlare
più forte di
loro, nel tentativo di recuperare a suo vantaggio la situazione.
"Calma, posso spiegarvi, è un trucco, lei è una
strega".
Jutta
sorrise, riponendo nella tasca il suo specchio. Si avvicinò
a
Mattheus, inginocchiandosi accanto a lui per soccorrerlo.
"Guarda come sei ridotto!" - sussurrò, accarezzandogli una
guancia.
Mattheus
scosse la testa. "Non saresti dovuta venire!".
"Già,
e a quest'ora tu saresti ridotto a carne da barbecue".
Lo
stregone sorrise. "Beh... Sei stata brava, comunque".
L'espressione
di Jutta divenne amara, a quelle parole. "Certo. Perché ho
usato la testa al posto della rabbia, ho preferito usare la ragione
invece della violenza. Voi uomini pensate che basti una spada, un
duello o una guerra per risolvere le cose, invece finite per farvi
ancora più male e per fare il gioco del diavolo. Voi esseri
umani
sembrate così attratti dalla violenza, sembra che non
riusciate mai
a farne a meno. Anche Jakob era così, da giovane. Si sentiva
forte
con una spada in mano, a cavallo, lanciato come una furia verso una
battaglia. Ma con me è cambiato, con me ha saputo vedere le
cose
dalla mia prospettiva. Noi esseri magici odiamo la guerra, noi
sappiamo vivere bene solo in pace. Non avrei permesso che tu ti
facessi uccidere come Jakob, sono sicura che anche lui abbia cercato
di fermarti perché aveva capito che la guerra va sempre
evitata e
che stavi commettendo un errore, accecato da rabbia e sete di
vendetta. Il giorno in cui Jakob morì, impugnò la
spada per
difendere te perché non aveva altra scelta, ma era tanto che
non
combatteva davvero, che NON VOLEVA COMBATTERE. Era anziano e fuori
esercizio e per questo è morto. Ma quel giorno gli ho
promesso che
mi sarei presa cura di te e così ho fatto".
"Già,
lo hai fatto". Mattheus sorrise, accarezzandole i lunghi capelli
biondi. Tutto attorno a loro erano urla e grida di paura, ma per un
attimo gli parvero lontani. "Beh, bello il trucco dello specchio
comunque".
Jutta
gli strizzò l'occhio. "Ah quanto sei stupido, era una cosa
che
sapevi benissimo anche tu! Ricordo che quando lo avevo insegnato ad
Elke ti eri arrabbiato perché dicevi che non dovevo dirle i
nostri
segreti, che la conoscevamo ancora troppo poco per fidarci del tutto.
Lo hai dimenticato?".
"Lo
ricordo". Con fatica si alzò in piedi, reggendosi a Jutta.
Beh,
era ora di riprendere in mano la situazione e di mettere tutti a
tacere in quella dannata piazza. Odiava tutto quel baccano! "Ora
basta urlare!" - disse, in tono secco. La gente sembrava
impazzita dalla paura e pure Lucius pareva aver perso il senno.
Correva da una parte all'altra della piazza, cercando di riportare la
gente dalla sua parte. Ma era inutile. Gli abitanti di Pennes erano
terrorizzati da lui e sarebbe stato impossibile per Lucius riportarli
alla ragione.
"Pfeifer
Huisele... Mattheus Hansele..." - lo chiamò l'anziana sarta
di
paese – "Aiutaci ti prego! Come possiamo liberarci dal
demonio, dalla creatura senza riflesso?".
Mattheus
la guardò storto per un lungo istante. Quella donna che gli
chiedeva
aiuto, insieme a tutti gli altri, fino a pochi minuti prima voleva
che lui bruciasse sul rogo. E per quanto capisse il potere di
soggiogare di Lucius per una frazione di secondo fu tentato dall'idea
di lasciarli al loro destino. Avevano distrutto la sua casa,
desiderato la sua morte, lo avevano disprezzato per anni e...
Il
tocco di Jutta sul suo braccio lo riportò alla
realtà. La fata gli
sorrise, annuendo. "Dai Mattheus, ora è il tuo momento.
Dimostra a questa gente chi sei davvero. E' molto meglio di una
vendetta, te lo assicuro".
Lo
stregone sospirò. Non poteva dirle di no visto che gli aveva
salvato
la vita e che molto probabilmente glielo avrebbe rinfacciato per
sempre.
"Gente,
ascoltatemi! Volete liberarvi del diavolo? E allora usate questo
fuoco per bruciare ogni suo regalo! Soldi, gioielli, qualsiasi cosa
vi abbia dato. Gli direte no, gli chiuderete le porte del vostro
cuore. E lui sparirà. Il diavolo rimane solo dove ha terreno
fertile, non ama le lotte faticose ed impossibili. Bruciate tutto
quello che vi ha donato con l'inganno e lui se ne andrà per
sempre!". Già, era l'unico modo. Bruciare
avidità, avarizia,
lussuria e lasciare vincere l'umiltà e l'onestà
del guadagno
costruito sul proprio lavoro e i propri sforzi.
Fu
la signora Knopp a farlo per prima, colei che aveva aiutato quel
giorno di fine estate in cui arrivò Elke, dandole
gratuitamente la
sua acqua. La donna si avvicinò al fuoco, gettandoci dentro
un
sacchetto pieno di monete d'oro.
A
quel gesto Lucius cominciò a urlare di dolore, mentre dal
suo corpo cominciò ad uscire fumo, come se anch'esso
bruciasse insieme alle
sue monete. A quella vista, tutti presero coraggio. Si avventarono
sul falò, gettandoci dentro altro denaro, gioielli, monili e
persino
i giochi in legno che Lucius aveva donato ai bambini.
Il
demonio prese fuoco, urlando di dolore in piazza, dimenandosi
inutilmente per cercare di sfuggire alla sconfitta. E infine
sparì,
in un mucchio di cenere nera portata via dal vento.
Sulla
piazza calò il silenzio, mentre il fuoco ardeva alto nel
cielo,
portandosi via ogni tentazione del diavolo.
Mattheus
crollò a terra nuovamente, ferito ed esausto. Ce l'aveva
fatta, lo
aveva sconfitto. Per sempre! Il diavolo non tornava mai dove sapeva
di non avere terreno facile e sapeva che la gente di Pennes aveva
imparato la lezione. Per una volta avevano ascoltato lui, si erano
fidati di lui! E questa era una bella sensazione.
Il male
sarebbe sempre aleggiato sul mondo e Lucius sarebbe sempre stato
pronto a tornare al primo cenno di debolezza degli esseri umani, ma
non lì, non più a Pennes! E anche se non aveva
usato la spada,
sapeva che Jakob era stato vendicato dalla donna che amava e nel modo
più giusto, nel modo che lui avrebbe desiderato.
Una
sensazione di pace lo invase, mentre appoggiava il viso sulla spalla
di Jutta. "Ce l'hai fatta" – le sussurrò.
La
fata chiuse gli occhi, mentre una lacrima le solcava il viso. "Già"
– disse solamente, stringendolo a se.
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Capitolo 15 *** Capitolo quattordici ***
Capitolo
quattordici
Mattheus
sospirò, rientrando in casa aiutato da Jutta. La ferita al
braccio e
le varie contusioni dovute ai colpi ricevuti e alle sassate che gli
avevano lanciato addosso i suoi compaesani cominciavano a fare male e
lui si sentiva sempre più debole e desideroso di un letto.
Lui
e la fata erano andati via di soppiatto dalla piazza, lasciando alla
chetichella gli abitanti di Pennes, ancora nervosi ed agitati da quel
che era successo quel giorno e attenti soprattutto più al
fuoco che
bruciava i doni del demonio che a loro due.
La
casa era un disastro, completamente a soqquadro. "Dannazione!"
- borbottò Mattheus, immaginando già la mole di
lavoro che lo
aspettava per rimettere tutto a posto.
I
nani gli corsero incontro appena rientrato, bisognosi di
rassicurazioni e spiegazioni. Rimasero come ebeti davanti alle sue
condizioni e soprattutto davanti alla visione di Jutta in versione
umana. Era incredibile per loro pensare che quella bellissima donna
bionda, alta il doppio di loro, non era altro che la loro amica fata
che tante volte aveva giocato con loro sulle rive del lago di
Valdurna quando erano trasformati in gatti. E rimasero ancora
più a
bocca aperta quando Mattheus, frettolosamente e sommariamente, gli
raccontò quanto successo in piazza e di come Jutta e gli
abitanti di
Pennes si fossero liberati del demonio. Ogni pericolo era passato
anche per loro.
Drago
deglutì, non togliendo gli occhi di dosso a Jutta. "Caspita,
sei stata... bravissima! E come sei bella!" - esclamò.
"Grazie!".
Jutta sorrise. "Sono stata bravissima, vero! Più di lui
sicuramente!"" - commentò, spingendo Mattheus verso la sua
stanza. "Coraggio ragazzo, mettiti a letto, devo medicarti. E
darò una sistemata anche a voi due, siete davvero malconci"
–
commentò, osservando le condizioni e le ferite dei nani.
Mattheus
provò a protestare fiaccamente. "Ci sono un sacco di cose da
fare, da sistemare...".
"Lo
farò io quando vi avrò medicato e dormirete! Sono
una fata e so
usare la magia, rimettere in sesto casa tua sarà un gioco da
ragazzi! Quindi coraggio, Mattheus, a nanna!".
Jutta
lo spinse in camera, sul letto, incurante delle coperte gettate in
giro alla rinfusa, dell'armadio aperto, dei vestiti buttati a terra e
dei cocci di vetro delle provette che contenevano l'acqua del lago,
distrutte e ridotte in frantumi. Lo aiutò a togliersi la
camicia,
sfiorandogli poi la spalla sanguinante. "Falko, Drago, andate a
prendere dell'acqua fresca al pozzo e delle bende, devo disinfettarvi
le ferite. A proposito, se ci riuscite vedete di trovare in giro per
casa anche delle foglie di Achillea. Non abbiamo l'acqua del lago con
noi e dobbiamo arrangiarci usando i metodi tradizionali. Credi di
averne in giro, Mattheus?".
"Sì,
nella stalla sul retro, sui ripiani di legno dovrebbe essercene un
pò".
I
nani scomparvero di corsa, pronti ad eseguire gli ordini di Jutta.
La
fata si sedette sul letto accanto a lui, osservandolo con sguardo
clinico. “Sei pieno di lividi e in più hai la
ferita alla spalla
da disinfettare. Mi aspetta un bel lavoro” – disse,
sospirando.
“Ti lascerai curare senza fare storie, Mattheus?”.
“Va
bene”.
“Dico
sul serio! Niente lamentele e niente storie, anche se ti
farà un po’
male”.
Mattheus
strinse i denti, stremato. Si sporse in avanti, affondando il viso
sul suo collo. “Ti ho detto che va bene”.
“Oh…”.
Jutta parve sorpresa da quella sua reazione così arrendevole
e così
poco da lui. “Se non protesti e nemmeno tenti di farlo, devi
stare
proprio male! Dai, stenditi e mettiti composto, prima ti medico e
prima finiremo”.
Mattheus
annuì, lasciandosi cadere sul materasso, esausto. Stava
talmente
male da non avere quasi la capacità di ragionare, pensare.
La testa
gli scoppiava, mille aghi incandescenti sembravano trapassargli le
tempie. In quel momento rientrarono i nani, portando quanto la fata
aveva chiesto, ma quasi non ne avvertì i movimenti, troppo
stremato
per accorgersi di quel che lo circondava. Li udì solo uscire
di
nuovo dalla stanza, forse per prendere qualcos'altro. “Jutta
resta
qui, non tornare nel bosco. Ormai gli abitanti di Pennes ti
conoscono, che problema ci sarebbe?” - disse, quasi di getto,
senza
rendersi bene conto del significato delle sue parole, con la mente
persa chissà dove.
Jutta
gli appoggiò una pezza bagnata sulla fronte, osservandolo
attentamente in viso. “Tu stai straparlando, devi avere la
febbre
molto alta e devi aver preso più botte in testa di quello
che
pensavo. Domani starai meglio e spero ti sia ritornato il
senno”.
“Parlo
sul serio, resta!” – sussurrò Mattheus,
con un gemito. Per
quanto la sua mente fosse annebbiata in quel momento, sapeva di avere
bisogno di lei. Non voleva stare solo, gli avvenimenti di quella
giornata lo avevano sconvolto e reso in un certo modo fragile, come
quel giorno di dieci anni prima. E Jutta era l'unica che potesse
capirlo davvero. Lei c'era quando Jakob...
La
fata scosse la testa. “No. Sopportarti tutto il giorno,
ventiquattro ore su ventiquattro a farti da serva? Prospettiva
terrificante, onestamente… Grazie dell'offerta ma preferisco
la mia
vita da fata, libera sulle montagne. Però ora hai bisogno
che
rimanga e lo farò, stanotte e domani almeno”.
Mattheus
non rispose. Forse Jutta aveva ragione, stava straparlando. Si
sarebbero uccisi dopo nemmeno una settimana, loro due.
“Mattheus,
forse lei tornerà” – gli
sussurrò la fata medicandogli la
ferita che aveva sulla guancia, leggendogli nella mente pensieri che
nemmeno lui voleva far venire alla luce.
“Di
che cosa stai parlando?”.
“Lo
sai”.
“Non
ne voglio parlare”.
Jutta
scosse la testa. “Io si perché tu hai bisogno di
lei e ora che non
c'è ti aggrappi a me. Non so cosa succederà, so
solo che un giorno
Elke crescerà, capirà o vorrà farlo e
forse tornerà da te”.
“No,
non lo farà. Ed è giusto così! Elke si
scorderà di questo posto
molto in fretta, vorrà farlo e…”.
“Ma
non potrà. Fine del discorso!”.
Mattheus
sospirò, osservando il soffitto. Quando la fata assumeva
quel tono
risoluto c'erano ben pochi modi per contrastarla. Strinse le coperte
fra le mani, pensando a lei, a Jakob e a quello che doveva aver
provato dieci anni prima, vedendolo colpito a morte davanti ai suoi
occhi. Anche Jutta aveva sofferto per la mancanza di una persona a
lei cara, una mancanza che non avrebbe mai potuto colmare in nessun
modo. Eppure ce l'aveva fatta, a differenza sua che non aveva mai
imparato ad accettare gli addii di nessuno. Non ci era riuscito coi
suoi genitori, con Jakob, ora faticava a farlo con Elke. Per questo,
per tanti anni, non aveva voluto accanto nessuno. Affezionarsi a
qualcuno significava poi soffrire, quando quella persona se ne
sarebbe andata. "Come hai fatto Jutta? Come hai fatto a
dimenticare Jakob, ad andare avanti e a smettere di soffrire per
lui?”.
“Chi
ti dice che abbia smesso di soffrire? Il fatto che non ne parli non
significa che abbia smesso di piangere e di pensarlo. Ma come hai
detto tu, sono andata avanti. D’altronde avevo molto da
fare”.
“Cioè?”.
Jutta
alzò le spalle. “Cioè impedire che tu
ti facessi odiare dal mondo
intero”.
"E
ci sei riuscita?".
"Sono
riuscita ad arginare i danni. Forse...". Con gesti delicati gli
medicò e fasciò la spalla, per poi tamponare le
contusioni e i
graffi che gli tormentavano il viso.
"Ahiaaaa!"
- si lamentò Mattheus, scostandosi di colpo quando lei gli
sfiorò
l'occhio pesto.
La
fata lo guardò storto. "Avevi detto che non avresti fatto
storie!".
"Si
certo, prima di accorgermi che hai la grazia di un elefante
azzoppato".
"Mattheus,
sta fermo o ti lego!".
"Sarebbe
sleale! Un atto di forza contro un uomo debilitato e ferito sarebbe
solo prepotenza e prevaricazione".
"Oh,
da che pulpito viene la predica!". Facendo finta di non sentirlo
ed, incurante delle sue imprecazioni, Jutta gli medicò il
viso. Fu
veloce, a dire il vero, però questo non gli
impedì di sentire un
bruciore atroce.
La
fata sbuffò, appena ebbe finito. "Oh, lo sai che un poppante
avrebbe fatto meno storie di te?".
"Sta
zitta!".
Jutta
lo studiò in viso, rimboccandogli le coperte. "Se vai avanti
così, starò zitta di sicuro! Non ti
rivolgerò la parola per tanto,
tantissimo tempo!".
"Evviva,
sono anni che aspetto di sentirti dire queste parole. Credo di essere
quasi commosso ".
Jutta
scosse la testa, esasperata. "Non ti sopporto più!
Sarà meglio
che vada dai nani a controllare come stanno e a medicare anche loro.
Li ho spediti a letto a riposare e mi aspettano di là. Sono
certa
che faranno meno storie di te".
La
sentì alzarsi dal letto e allontanarsi da lui ed in
quell'istante
sentì freddo, un gelo che pareva corrodergli le ossa. Forse
perché
Jutta era rimasta seduta, mentre lo medicava, nell'esatto punto in
cui mesi prima usava sedere Elke quando, per un motivo e per l'altro,
si soffermava in camera sua. Ed Elke sapeva donargli calore e
serenità quando l'aveva avuta vicina. "Lei... lei ha
lasciato
qui il suo arco e i suoi nastri" – sussurrò quasi
assorto,
parlando più a se stesso che alla fata, sopraffatto per un
momento
dai ricordi.
Jutta
si bloccò sulla porta, voltandosi di nuovo verso di lui. "Li
custodirai?".
"Credo
di sì". La mano di Mattheus strinse la coperta. Il dolore al
viso e alla spalla sembrava perdere d'intensità davanti ai
ricordi
che, improvvisamente e per qualche motivo a lui sconosciuto, si
affollavano nella sua mente. "Sai, lei odiava il Natale e io ho
fatto di tutto per farle cambiare idea. Abbiamo addobbato un abete
su, in alta montagna, usando i suoi nastri colorati. Era la prima
volta che festeggiava il Natale, non le era permesso a casa sua.
Avrebbe potuto essere una serata spiacevole da com'era partita, ma
ero riuscito a farla sentire serena e a farle avvertire lo spirito
natalizio di cui tutti godiamo nella notte del 24 dicembre. Le avevo
promesso tante cose, le avevo promesso che da quel momento avremmo
sempre festeggiato degnamente il Natale, che sarebbe stata una festa
anche per lei. Quando siam tornati, qualcuno aveva lasciato fuori
dalla porta di casa un dolce per noi. Non ho mai saputo chi fosse,
suppongo qualcuno di Pennes, per qualche motivo che io ignoro. Lo
abbiamo mangiato e poi siamo venuti in questa stanza, io, lei e i
nani. Falko e Drago mi hanno sfidato a una partita a scacchi e
abbiamo passato la serata a giocare, loro due in coppia e io con
Elke. Lei non sapeva giocare e le avevo detto che le avrei insegnato.
Peccato che Falko e Drago, ai tempi in cui lavoravano al circo,
passassero le serate a giocare a scacchi coi loro compagni e avessero
acquisito una notevole bravura. Si sono dimostrati giocatori
più
abili e furbi di me. Mi hanno stracciato ed ho fatto una figuraccia.
Ma è stata una bella serata di Natale e lei alla fine
rideva, lo
ricordo... E io le ho sussurrato nell'orecchio che le avrei
insegnato, oltre che a giocare, a barare, in modo da vincere sempre.
L'onesta in fondo non paga nel gioco!".
Jutta
sbuffò. "Mattheus!!!".
Lo
stregone sorrise, sprofondando fra i cuscini. "Per farla breve,
facemmo molto tardi, a un certo punto i nani si addormentarono sul
mio letto e io mi trovai mezzo storto, con loro ai miei piedi e Elke
a fianco, assonnata pure lei. Potevo definirmi... scomodo... ma in
realtà stavo bene. Lei sbadigliò, appoggiando il
viso alla mia
spalla. Aveva i capelli raccolti, pieni di nastri e perline, non
riuscivo proprio a capire come potesse dormire con tutta quella roba
in testa".
"Elke,
se vuoi dormire sciogliti la treccia o ti darà fastidio".
"No,
non voglio".
"Vuoi
dire che dormi SEMPRE così?".
"No,
dormo coi capelli sciolti. Ma ora ci siete voi e non mi va".
"Perché?".
"Perché
non amo troppo mostrare i miei capelli al naturale".
"Ma
è notte, che ti importa? Ci sono io e ci sono Falko e Drago,
che ti
potrebbe succedere?".
"Niente,
ma non voglio lo stesso. Non mi sento a mio agio, ecco, tutto
quì".
"Un
giorno credi che ti sentirai a tuo agio per farlo?".
"Perché
lo vuoi sapere?".
"Così,
son curioso. Non ti ho mai vista coi capelli completamente sciolti e
credo che ti troverei... bella".
Elke
sorrise. "Ma figurati!".
"Guarda
che io ho sempre pensato che tu sia bella. Giuro!".
"Vuoi
davvero vederli, i miei capelli sciolti?".
"Sì".
Lo
abbracciò, appoggiando la testa contro il suo petto. "Ora
non
me la sento ma...".
"Ma
un giorno potresti sentirtela?".
"Sì,
con te potrei farlo. Lo farò, te lo prometto. Un giorno,
quando sarò
pronta...".
"Lei
si fidava di me Jutta! E io...".
La
fata sospirò. "Conserva il suo arco e i suoi nastri
Mattheus. E
ora dormi e non pensare a niente, ne hai bisogno" – concluse,
non aggiungendo altro alla conversazione e sparendo oltre la porta.
Lo
stregone annuì, ormai senza forze. Si abbandonò
sul cuscino e in
pochi istanti scivolò in un sonno pesante e senza sogni.
...
La
mattina successiva si svegliò disturbato da un raggio di
sole che
penetrava fastidiosamente dalla sua finestra.
Mezzo
inebetito si mise a sedere sul materasso, guardandosi attorno e
cercando di mettere a fuoco quanto successo il giorno prima. Il
combattimento con Lucius al lago di Valdurna e poi nella piazza del
villaggio, gli abitanti di Pennes che spezzavano le catene del
demonio che li tenevano legati a lui, l'intervento di Jutta, tutto
vorticava nella sua mente a ritmo frenetico ed incontrollato.
Si
massaggiò la spalla ferita, che doleva terribilmente. Ci
sarebbe
voluto molto tempo per rimetterla in sesto. Aveva bisogno di pace, di
stare solo e di pensare agli ultimi avvenimenti della sua vita che lo
avevano ferito più di quanto lui avesse voluto. Il ritorno
di Lucius
aveva riaperto vecchie ferite e risvegliato antichi dolori mai
superati del tutto sconvolgendo ogni sua certezza. Aveva bisogno di
ritrovare se stesso e aveva soprattutto bisogno di pace, di
rimettersi in sesto e tornare il vecchio Mattheus, quello sprezzante,
malandrino e furbo, che si faceva beffe di tutti. C'era solo un posto
che poteva aiutarlo a ritrovarsi e a rimettersi in piedi. "E'
tanto che non torno a casa mia. La gente di Ratschings si
sarà
dimenticata di me e io ho voglia di rivedere la Val Ridanna".
Già, la valle dov'era nato, dove c'erano le montagne che
riteneva
essere le più belle del mondo. Il pensiero di Elke lo
colpì ma lo
scacciò lontano. Le aveva promesso di portarcela ma se n'era
andata
e a conti fatti non poteva farci nulla.
Si
rialzò e a fatica si lavò e rivestì.
Casa sua era un disastro e
molto lavoro lo attendeva. D'improvviso si rese conto, guardandosi
attorno, che la sua camera era più in ordine di come la
ricordava.
Perplesso, grattandosi la guancia, andò verso il salotto
dove poteva
udire un via vai incessante. Jutta, Falko e Drago dovevano essere
svegli già da un pò.
Appena
aprì la porta fu investito da un forte odore di fiori.
Fissò il
tavolo, le sedie, le credenze, il camino, le finestre di nuovo
integre. Tutto pulito, tutto in ordine e tutto lindo, come se il
giorno prima non fosse successo niente. E soprattutto... vasi di
fiori, di ogni genere e colore, dappertutto. "CHE COS'E' QUESTA
ROBA?" - urlò, cercando con lo sguardo la fata e i nani.
Jutta,
seduta davanti al camino con Falko e Drago accanto a lei, intenta a
togliere gli ultimi residui di cenere, si alzò in piedi,
sorridendogli amabilmente. "Oh, finalmente sei sveglio! Hai
visto che brava che sono stata? E' bastata un po’ di polvere
di
fata e ho sistemato tutto! Casa tua non è mai stata tanto in
ordine
e pulita come stamattina!".
Drago
annuì. "Già, non potevo credere ai miei occhi
quando mi sono
svegliato ed ho visto tutto a posto!".
Mattheus
incrociò le braccia al petto, battendo nervosamente il
piede. "Cosa
sono tutti questi fiori?".
"Oh,
i fiori!". La fata sorrise, orgogliosa del suo operato. "Era
una casa così grigia, ci volevano e stanno bene, non trovi?
Le case
del Tirolo devono essere adornate di fiori, fanno parte della nostra
cultura!".
"Ma
mettiteli a casa tua!Toglimi tutta questa roba! Che penserà
la
gente? Qui ci abitano tre uomini, TRE! E gli uomini non adornano la
loro casa con i fiori".
Anche
Jutta incrociò le braccia al petto. "No! Se vuoi toglierli,
fallo da solo. Secondo me stanno benissimo".
Sempre
più esasperato, Mattheus faticò non poco per non
esplodere. Gli
aveva dato una mano e si era presa cura di lui ma Jutta non doveva
esagerare. "Senti, se ti piacciono tanto, prenditeli e portateli
via. A proposito, non hai nulla da fare a casa tua?".
Jutta
sbuffò vistosamente. "Devi essere guarito, hai ricominciato
ad
essere insopportabile. E pensare che poche ore fa volevi che
rimanessi quì".
"Straparlavo
per la febbre".
"Sì,
certo. Ma i fiori non li tolgo lo stesso, questa casa ha bisogno di
un po’ di colore. Elke non li raccoglieva?".
Accidenti
a lei! Ma perché le donne erano tanto fissate coi fiori?
"No,
non lo faceva. E se lo faceva, probabilmente era abbastanza
intelligente da metterli in posti della casa... discreti. Dove io non
li notavo troppo".
Jutta
fece per replicare ma fu interrotta da un energico bussare alla
porta.
Accigliato,
Mattheus si affacciò alla finestra. Si rabbuiò.
Un nutrito gruppo
di abitanti di Pennes sostava fuori dalla porta di casa sua e in quel
momento non aveva voglia di vederli. Il ricordo di quanto successo il
giorno prima, le loro grida, imprecazioni e violenze contro di lui lo
avevano scosso più di quanto potesse immaginare. E anche se
si era
da sempre beffato delle loro debolezze e paure, in quel momento aveva
poca voglia di scherzare.
"Ehm,
Mattheus?" - chiese Falko, in attesa di un suo cenno.
Anche
Jutta lo guardava, incerta. "Io aprirei...".
In
fondo avevano ragione, via il dente e via il dolore, non aveva mai
avuto paura di loro. Aprì la porta con un gesto secco,
rimanendo in
silenzio davanti a quel gruppetto di una decina di persone che
sostavano davanti casa sua. C'erano alcuni degli anziani del
villaggio, il Sacerdote di Pennes e alcuni fra coloro che avevano le
baite e i terreni più ampi. E la signora Knopp, che teneva
fra le
mani una piccola pentola in rame avvolta in uno straccio.
La
donna gli si avvicinò, quasi timorosa. "Ecco, ho pensato di
portarvi della zuppa. Con la casa ridotta in quello stato e le vostre
ferite...".
Mattheus
la bloccò, prima che potesse continuare. Era infastidito da
quell'improvvisata e quell'intrusione. "La casa è sistemata
e
le ferite vanno meglio. Non ho bisogno di niente, quindi siete
pregati di tornarvene da dove siete venuti" – rispose,
seccamente.
Il
vecchio Stephan, il sacerdote di Pennes, si fece coraggio e si fece
avanti. "Volevamo scusarci con voi, a nome di tutto il paese. Il
nostro comportamento è stato imperdonabile e speriamo nel
vostro
perdono. Pennes ha bisogno di voi, signor Hansele e speriamo
vivamente che non vogliate andarvene da qui, dopo quanto successo
ieri".
Mattheus
sussultò. Era la prima volta che un abitante di Pennes si
rivolgeva
a lui col suo vero cognome, per tutti era sempre stato Pfeifer
Huisele. Le sue parole lo avevano colpito. Non aveva mai pensato di
andarsene da Pennes, quel posto lo legava al lago di Sarentino e a
Jakob e non avrebbe avuto altri luoghi dove andare, se non quello.
"Beh, mi passerà, state sereni" – disse,
freddamente. "I
miei affari sono qui e non ho motivo per andarmene. Al vostro
comportamento sgarbato sono abituato e d'altronde voi siete a vostra
volta abituati al mio".
"Diventate
il nostro capo villaggio!".
La
richiesta dell'anziano Karl, l'uomo più vecchio di Pennes,
lo
sorprese. Spalancò gli occhi, incredulo da quel che aveva
appena
sentito. "Cosa?".
Il
vecchio annuì. "Sì, siete la persona giusta. Il
più colto, il
più saggio e il più potente del villaggio.
Abbiamo bisogno della
vostra guida, per non perderci ancora. Vi prego, non rifiutate! Ieri
sera ne abbiamo parlato, tutti noi. E pensiamo che questo incarico vi
spetti di diritto".
"Capo
villaggio?". Un sorrisetto maligno gli comparve in viso.
Già,
una proposta inaspettata che poteva trasformarsi in qualcosa di
divertente... Quale miglior passatempo poteva esserci? Tormentare
gli abitanti di Pennes, dall'alto dell'incarico che essi stessi gli
avevano conferito. Poteva anche accettare! Avevano anche ragione, chi
meglio di lui poteva amministrare quel borgo e le sue terre? Chi
c'era di più intelligente di lui? Da qualche parte
avvertì nella
sua mente la vocina di Jakob che tentava di riportarlo sulla retta
via, come faceva quando era piccolo, ma la ignorò. Aveva pur
diritto
alla sua piccola vendetta per quanto patito il giorno prima. "Va
bene, accetto. Se davvero ne sentite la necessità, chi sono
io per
rifiutarmi? Ma dovrete aspettare un po’ per i miei servigi...
Torno
al mio paese natale per riprendermi. Fra massimo un mese mi riavrete
qui e sarò... il vostro capo villaggio".
"Certo,
certo! Tutto il tempo che volete" – risposero, in coro.
Si
allontanarono contenti, tutti eccetto la signora Knopp. "Ehm, la
zuppa? La volete?".
"Si
certo!". Con un gesto veloce Mattheus gliela tolse di mano,
annusando il delizioso profumo che emanava dalla pentola. "Grazie".
"Signore
io...".
"Cosa?".
"Volevo
ancora ringraziarla per quello che avete fatto per il mio bambino.
Voi e quella ragazza... Era gentile, a me piaceva. Mi spiace che non
abiti più qui e mi chiedo se sia andata via per colpa
nostra. La
guardavamo tutti con sospetto e non lo meritava".
Improvvisamente
a Mattheus passò la voglia di scherzare. "Non è
andata via per
colpa vostra. Ma su una cosa avete ragione, era gentile, una bella
persona. Avremmo dovuto trattarla meglio tutti quanti, me compreso.
Lo avete visto il demonio ieri, vero? Ecco, aveva i capelli neri come
la cenere, il carbone, la notte. Non bianchi. Gli albini non
c'entrano nulla col diavolo, ricordatevelo sempre. Non sono i capelli
che fanno di una persona un essere malvagio ma l'animo e i sentimenti
negativi che albergano nella nostra mente".
La
donna annuì. "Ce lo ricorderemo, se tornerà".
Mattheus
la fissò per un breve istante, accigliato, volgendo lo
sguardo a lei
e alla zuppa che teneva fra le mani. "La notte di Natale,
qualcuno ha lasciato davanti alla mia porta dello Zelten. Siete stata
voi?".
A
quella domanda, la donna arrossì. "Sì, ecco...
Volevo
ringraziarvi per quanto avevate fatto, per l'acqua che mi avevate
regalato. E volevo farvi un regalo. So che era poca cosa ma spero lo
abbiate gradito. A casa dicono che sono brava a fare lo Zelten".
"Già,
lo siete". Mattheus non aggiunse altro, la salutò con un
cenno
del capo e rientrò in casa. Una volta dentro, si
ritrovò davanti
Jutta, Falko e Drago che lo fissavano ad occhi sgranati. "Che vi
prende?".
Jutta
puntò l'indice contro di lui. "TU CAPO VILLAGGIO?".
"Già,
fantastico vero?".
La fata
scosse la testa. "Avevi ragione, gli abitanti di Pennes sono
completamente scemi! Come si fa a proporre a TE un compito simile?
Tanto valeva si tenessero Lucius! Sarai un tiranno, già me
lo
immagino... Anzi no, peggio di un tiranno. I tiranni quanto meno
qualche amico e qualche appoggio se lo cercano, a differenza di te
che sei più selvatico di un vecchio orso".
Mattheus
avrebbe voluto ribattere a tono ma trovava più divertente
non farlo
per non darle quella soddisfazione. "Hai ragione! Ma loro mi
vogliono, quindi..." - concluse, con un'alzata di spalle.
Drago
e Falko gli si avvicinarono. "Ma Mattheus, hai intenzione di
tornare al tuo villaggio natale per davvero, prima di iniziare col
tuo nuovo incarico? Parlavi sul serio?".
Jutta
sbuffò. "Speriamo davvero che parlasse sul serio, almeno
darà
a questa gente qualche settimana di libertà".
Ancora
una volta, lo stregone ignorò le frecciate della fata.
"Sì,
starò assente per qualche settimana. Ne ho bisogno"
– disse,
appoggiando la pentola con la zuppa sul tavolo e massaggiandosi la
spalla ferita.
Jutta
gli si avvicinò, sedendosi sul tavolo. "Ti farà
bene. A te e
agli abitanti di Pennes".
Lo
stregone annuì, sospirando. Già, era vero. Aveva
bisogno di
ricaricarsi, di ritrovarsi e fare pace col suo passato e poi di
ricominciare, dando una svolta alla sua vita e iniziando a percorrere
nuove strade.
Sarebbe
stato bello, nonostante tutto, ritornare a Ratschings.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo quindici ***
Capitolo
quindici
Dopo
la proposta degli abitanti di Pennes, era partito quasi subito,
affidando a Falko e a Drago la gestione dei suoi affari, lasciandogli
l'incombenza di vendere le sue creme e le sue tisane curative durante
la sua assenza; si fidava ciecamente di loro due, sapeva che non
l'avrebbero mai né derubato né imbrogliato. A ben
pensarci, era
qualcosa di strano per lui, fidarsi di qualcuno, ma con i nani prima
e poi anche con Elke, gli era venuto talmente naturale da stupirsene
egli stesso. Era stato fortunato ad incontrare quei tre, erano brave
persone, il suo istinto lo aveva capito da subito. Era partito alla
chetichella, di mattino presto, per non vedere nessuno. Si sentiva
strano: aveva sempre amato la sua baita, ci si era sempre sentito
protetto e a suo agio, ma sentiva il bisogno di allontanarsi un
po’
da Pennes e da quella vita per ritrovare le sue origini. Non ne
capiva il motivo, ma da quando aveva combattuto con Lucius non aveva
fatto altro che pensare a Ratschings, alla Val Ridanna ed alla sua
casa natale. Forse era normale sentirne il richiamo di tanto in tanto
e ancora più normale era che succedesse dopo una battaglia
come
quella che aveva combattuto, che aveva risvegliato in lui antichi
ricordi e riaperto vecchie ferite. Lucius era stato il grande nemico
del suo maestro e ogni cosa successa fra loro in passato aveva
rivissuto attraverso il loro duello. Jakob era stato la sua infanzia,
il suo passato, la fonte della sua conoscenza ed anche della sua
magia; era il profumo di casa, dei prati verdi della Val Ridanna,
della torre di Sterzing, dei pascoli di capre e dei sentieri di
montagna che si inerpicavano fino alle vette di quei monti che tanto
bene aveva imparato a conoscere da bambino, della neve e del gelo che
imperavano per lunghi mesi, del camino acceso e dei pomeriggi passati
ad imparare da lui.
A
Ratschings aveva amici e conoscenze, nessuno si era dimenticato di
lui ed ogni volta che era tornato era stato accolto con calore, per
questo pensava che tornare per qualche settimana gli avrebbe fatto
bene. Lasciata la sua casa di Pennes, aveva pagato una carrozza per
portarlo fino alla Val Ridanna; ci era sempre andato a piedi ma non
era abbastanza in forze per poterlo fare e non aveva alcuna voglia di
faticare, tanto che per la prima volta in vita sua aveva pagato il
cocchiere senza battere ciglio. Era ricco, e per una volta poteva
viaggiare comodamente.
Gli
spiaceva non portare con se i nani, gli avrebbe fatto piacere mostrar
loro il luogo da cui proveniva e che considerava il più
bello al
mondo, ma gli affari venivano prima di tutto: se volevano continuare
a mantenere il tenore di vita comodo che conducevano, qualcuno doveva
mandare avanti l'attività di vendita dell'acqua magica del
lago e
loro erano gli unici a poterlo fare.
Mentre
la carrozza proseguiva placidamente il suo viaggio, fra monti
innevati e prati su cui spuntavano i primi timidi fiori primaverili,
il pensiero corse ad Elke. La notte di Natale le aveva promesso che
l'avrebbe portata nella Val Ridanna, e compiere quel viaggio da solo
gli lasciava in bocca un sapore amaro che non gli permetteva di
gustare appieno il suo ritorno a casa.
Scosse
la testa cercando di pensare ad altro, soprattutto agli aspetti
pratici del suo ritorno a Ratschings: doveva dare una sistemata a
casa sua, erano anni che nessuno vi rimetteva piede e anche alla casa
di Jakob, che era abbandonata da molto tempo. Non sarebbe stata una
vacanza riposante, avrebbe dovuto sgobbare più che a Pennes.
Il
pensiero delle case sue e di Jakob lo fece sorridere, ricordava la
prima volta che era entrato nella baita del suo maestro, il loro
primo colloquio, i suoi capricci insistenti finché lui non
lo aveva
zittito. Era un giorno piovoso d'autunno di tanti anni prima, lui
aveva sei anni e si stava annoiando terribilmente, quando quell'uomo
incrociò il suo cammino, cambiandogli la vita. Un vecchio
del suo
villaggio che aveva sempre visto in giro per la loro minuscola
comunità, ma a cui non aveva mai rivolto la parola
perché schivo e
solitario, benché sempre mite e gentile con chi si rivolgeva
a lui.
"Mamma,
mi sto annoiando! Nonna, gioca con me!".
Sua
nonna scosse la testa, interrompendo il suo lavoro di uncinetto.
"Mattheus, fai il bravo, su. Sto lavorando, non vedi?".
"Se
non giochi con me, io non ti vorrò più bene"
– aveva detto,
mettendo le mani sui fianchi.
Sua
madre gli si era avvicinata, dandogli una leggera pacca sulla testa.
"Non essere maleducato! Fra poco non ti annoierai più, te lo
garantisco. Guarda alla finestra, sta arrivando il papà. Con
una
sorpresa per te".
"Un
regalo?".
Sua
madre scosse la testa. "Non proprio. Meglio, molto meglio di un
regalo".
"Un
pony?".
In
quel momento la porta si aprì e suo padre entrò
in casa, bagnato
fino al midollo, in compagnia del loro anziano vicino di casa.
Jakob... Il suo amico Werner, ogni volta che lo incrociava, gli
faceva le boccacce, ora che gli veniva in mente.
"Mattheus,
vieni quì" – lo chiamò suo padre.
Lui
ubbidì e si avvicinò, studiando il vecchio che
era entrato in casa
sua. "Sarebbe lui il mio regalo?".
Suo
padre si inginocchiò davanti a lui. "Jakob sarà
il tuo
maestro. Sa leggere e scrivere e gli ho chiesto di insegnarlo anche a
te. Ti servirà, piccolo".
"Io
non voglio leggere e scrivere".
Sua
madre sospirò. "E invece dovrai farlo. Ti servirà
per saperne
sempre un pò più degli altri e non essere
sottomesso o preso in
giro da nessuno".
"Non
ci sono persone quì che sanno leggere e scrivere!
Perché io dovrei
farlo, scusa?" - aveva protestato, inutilmente.
Jakob
gli si avvicinò, prendendolo in braccio. E in quel momento
si
accorse che era terribilmente forte, pur essendo così
vecchio. "Tuo
padre ha detto che devi fare questa cosa, mi ha chiesto il favore di
essere il tuo insegnante e io ho accettato. Quindi tu, da bravo
bambino, farai quel che ti è stato detto".
Per
tutta risposta, lui lo aveva guardato storto e poi si era messo a
scalciare per cercare di liberarsi dalla sua presa. Ma Jakob non lo
aveva lasciato, la sua stretta pareva essere d'acciaio."Lasciami,
lasciami! Papà, ti prego, farò il bravo ma per
favore, la scuola
noooo".
Jakob
aveva guardato i suoi genitori, incurante delle sue urla. "Ma fa
sempre così, vostro figlio?".
Suo
padre annuì, alzando gli occhi al cielo. "Vi avevo
avvertito,
signore, è un bambino difficile".
Jakob
non si fece scoraggiare. Lo bloccò nei movimenti, alzandogli
il
mento con la mano per costringerlo a guardarlo negli occhi. "Ascolta
bene, Mattheus. Io sopporto poco i bravi bambini e ancor meno quelli
che strillano. Se te lo ricorderai, forse potremo andare d'accordo
nelle ore che passerai da me per imparare. Sono stato chiaro?".
No,
non era stato chiaro per niente. E urlò di nuovo. Ma Jakob,
dopo un
cenno ai suoi genitori, gli aveva messo la mano sulla bocca per
impedirgli di strillare ancora e lo aveva portato fuori, sotto la
pioggia, diretto a casa sua per la prima lezione.
"Signore,
siamo arrivati".
Si
svegliò di soprassalto al suono di quella voce. Il cocchiere
gli
aprì la porta della carrozza, invitandolo a scendere. "Siamo
nella piazza della torre, come da voi richiesto". Mattheus si
stiracchiò, Era arrivato a Sterzing dopo un viaggio lungo
tre
giorni, , e da lì si potevano raggiungere la Val Ridanna e
Ratschings. Lui amava quel posto in cui spesso era stato da bambino
assieme con suo padre e sua madre quando scendevano al paese per
commerciare i loro formaggi. Conosceva ogni pietra del selciato, ogni
bottega, ogni sapore di quel posto, di quel piccolo paese dalle case
tutte colorate in tinte pastello incastonato nella sua valle natia.
Per un attimo gli sembrò di tornare bambino, tanto che non
si
sarebbe stupito di veder arrivare suo padre con un panino imbottito
di speck, preso per farlo pranzare mentre lui lavorava. Sapeva che
non era possibile, ma per un attimo, trovandosi in quella piazza, fu
come se passato e presente si fondessero in unico istante: rivide il
piccolo carro dove i suoi genitori appoggiavano i prodotti da
vendere, sua madre col foulard in testa e suo padre col cappello e il
bastone. Rivide anche Fia, una cucciola di cane dal lungo pelo bianco
che aveva trovato sola nel bosco, smarrita e senza mamma, e che
avevano tenuto con loro per tanti anni. Fia stava sempre con lui e lo
seguiva ovunque, attenta e premurosa come una madre col suo cucciolo.
Crescendo era diventata imponente e massiccia, come ogni cane di
montagna che si rispetti.
"Mattheus,
sta attento a Fia. Spaventa le persone e ci fa scappare i clienti.
Legala da qualche parte".
"Ma
mamma, non fa niente a nessuno. E' buona, lo sai".
Sua
madre scosse la testa. "Certo che lo so, ma la gente di Sterzing
non la conosce. E' un cane grande e tutti ne hanno paura. Se proprio
non vuoi legarla, portala da qualche parte a fare un giro. I prati
fuori Sterzing sono perfetti per voi due, giocherete e non
disturberete nessuno".
Annuì.
"Sì, va bene". Accarezzò la testa bianca di Fia,
che di
tutta risposta gli leccò la guancia. "Dai, seguimi! Andiamo
a
giocare".
"Mattheus,
mi raccomando!" - lo richiamò sua madre – "Se
incontri
qualche altro bambino, non fare come al solito e non minacciarlo di
farlo mordere dal cane se non ti cedono i loro giochi o il loro
cibo!".
"Ma
mamma...".
"Niente
ma! Fia è buona ma tu non lo sei per niente, certe volte!".
Decise
di salire per la montagna lasciandosi alle spalle la strada centrale
di Sterzing, costellata di baite e case variopinte, ed i ricordi ad
essa legati. Nel passeggiare per il paesino si era sentito un
estraneo: nessuna delle persone che aveva incrociato gli aveva
risvegliato dei ricordi nonostante da bambino, in quel paesino fosse
stato di casa; ricordava la fornaia, la lattaia, i pastori che
transitavano con le loro greggi di pecore dalla piazza diretti ai
pascoli, l'anziana che gli dava di nascosto i biscotti al burro che
cucinava per i bimbi del paese. Di quelle persone non c'era
più
nessuno e, se qualcuno era rimasto, probabilmente era anziano e
chiuso in casa e difficilmente si sarebbe ricordato di lui.
Comunque
ora
aveva fretta di raggiungere Rachstings, avrebbe avuto tempo per
tornare con più calma; il
freddo era pungente e c'era aria di neve, se non si fosse sbrigato
sarebbe stato sorpreso, strada facendo, da una tormenta: la Val
Ridanna era una valle chiusa e fra quei monti il freddo sapeva essere
crudele e infido per molti mesi anche in primavera.
Camminò
a passo spedito fra i boschi di abete, conosceva uno a uno quegli
alberi, impressi indelebilmente nella sua memoria. In quelle montagne
era cresciuto correndo fra le baite e le piante ed in estate aveva
sguazzato nel corso d'acqua che attraversava tutta la valle; Case,
alberi e persone di quei luoghi erano da lui conosciuti oggi come
allora e questo gli procurava una sensazione strana, piacevole e
malinconica allo stesso tempo. Aveva amato tante persone, ed
altrettante gli erano state vicine, ma ormai queste persone non
c'erano più; di fatto la sua vita ora era Pennes, coi suoi
abitanti
a volte chiusi e ottusi, ma che nel corso degli anni aveva imparato a
conoscere, riuscendo anche a ridere delle loro debolezze e dei loro
caratteri. Ora
invece, in quei posti che lo avevano visto nascere,
si era sentito un estraneo. Sperava che questa sensazione di disagio
sarebbe passata una volta giunto a Ratschings ,ma sapeva che ad ogni
suo ritorno, col passare degli anni, le
cose sarebbero andate sempre peggio. Lo scorrere del tempo sa essere
inesorabile, nella piccola vita degli esseri umani. Le
montagne erano meravigliose ed erano sempre le stesse, ma le persone
che gli avevano insegnato a conoscerle e ad amarle, pian piano
sarebbero sparite inesorabilmente, una dopo l'altra: nascite,
matrimoni, eventi piccoli e grandi a cui non aveva potuto partecipare
a causa della lontananza, lo avevano reso un estraneo nella sua terra
natia, ma nonostante questo avrebbe sempre amato quel posto
più di
qualsiasi altro al mondo; negli anni aveva visitato città e
regioni
straniere vendendo la sua acqua, ma nessun luogo gli era parso bello
come la Val Ridanna. "Dovrei tornare qui più spesso, credo"
– pensò distrattamente, mentre osservava grosse
nubi che coprivano
il cielo.
Accelerò
ulteriormente il passo mentre la spalla ricominciava a dolergli.
Neve, neve e ancora neve. Una cosa non si era dimenticato l'odore
acre e pungente dell'aria quando stava per arrivare una bufera.
Costeggiando
il torrente Ferner percorse i chilometri che lo separavano da casa.
Sullo sterrato, di tanto in tanto, veniva sorpassato da carri di
minatori che facevano ritorno alle loro abitazioni dopo la giornata
di lavoro nelle miniere, stanchi e sporchi fino alla punta dei
capelli di polvere e terra.
"Io
da grande non voglio fare il minatore, Jakob. Ci si sporca troppo,
non voglio diventare come quei signori. Mamma dice che ho il
carattere di un principe e i principi non vanno sotto terra a
lavorare. I principi non si sporcano mai".
Jakob
scosse la testa, prendendolo per mano. "Ah Mattheus, sì, sei
un
principe! Viziato e capriccioso come solo un nobile sa essere. Ma ti
dico una cosa, sai come devi fare per non diventare un minatore?".
"No".
Jakob
sorrise, scompigliandogli i ricci rossicci con la mano. "Stare
attento alle mie lezioni e studiare".
Sbuffò.
"Lo sapevo che lo dicevi. Ma... se studio che cosa potrò
fare?".
"Tutto
quello che vorrai, Mattheus".
A
quei ricordi sorrise. In effetti grazie agli insegnamenti di Jakob
non era diventato un minatore,. Era stato un bambino viziato,
capriccioso ed ingestibile fino al loro incontro e se il suo maestro
non l'avesse preso sotto la sua ala, nella vita avrebbe combinato ben
poco. A quell'uomo doveva tutto ciò che era e ciò
che aveva. Era
riuscito prima zittirlo ed ammonirlo coi suoi modi bruschi per poi
condurlo verso la conoscenza e la maturità, insegnandogli
molto di
più di quello che aveva chiesto suo padre: lo aveva reso una
persona
migliore e aveva saputo sviluppare le sue attitudini e le sue
capacità, facendolo diventare una persona forte, colta ed a
suo modo
potente, nonostante quel loro burrascoso primo incontro, quando Jakob
lo aveva preso di forza in braccio e portato via dai suoi genitori
per diventare il suo maestro. Ricordava quelle poche ore come se
fossero appena successe:
Udì
la porta di casa sbattere dietro di loro, mentre il vecchio lo
portava ancora di peso fra le braccia, impedendogli di scappare. Con
modi di fare tutt'altro che gentili Jakob lo lasciò cadere
su una
delle due sedie che possedeva in casa sua e lo spinse fino al
tavolo, precludendogli ogni via di fuga. Era una baita minuscola, con
le pareti di pietra e il tetto in legno e con una sola stanza che
fungeva da cucina e da camera da letto "Ti ho detto di non
strillare! Mi stai distruggendo i timpani".
"Io
voglio andare a casa mia, non ci voglio stare qui! Lasciami,
lasciami, lasciamiiii!!!".
Per
nulla intimorito dai suoi pianti e dalle sue urla Jakob si era
avvicinato al camino, prendendo un bastone di legno fra le mani. "Lo
vedi questo, Mattheus?".
"Sì,
e allora?".
Jakob
prese il bastone, appoggiandolo sul tavolo. "I maestri usano
spesso bastoni come questo con gli allievi che non collaborano. Ti
assicuro che mi basterebbe picchiartelo sulle mani una volta per
avere la tua ubbidienza".
"Cosa?".
"Oh,
tranquillo, non lo farò". Jakob riprese in mano il bastone e
con un gesto secco lo ruppe in due, buttandone i resti nel camino.
"Preferisco essere più incisivo, io". Si avvicinò
all'armadio, lo aprì e ne estrasse una lunga spada affilata.
A
quella visione, lui rise. "Ah, non lo farai mai! Non mi colpirai
di sicuro con quella, lo so che stai barando solo per spaventarmi.
Nessun vecchio farebbe mai male a un bambino con la spada".
"Dici
sul serio?". A passo spedito si avvicinò e con un gesto
veloce
e inaspettato conficcò la spada nel legno del tavolo a pochi
millimetri dalle sue mani, sfiorando le sue piccole dita da bambino.
"E allora Mattheus Hansele? Cosa dicevi, a proposito?".
Deglutì,
spalancando gli occhi. E per la prima volta in vita sua si
piegò a
qualcuno, smettendo immediatamente di piangere. No, quell'uomo non
scherzava, era evidente. Non seppe cosa fu, se paura o rispetto verso
Jakob e i suoi modi di fare così poco ortodossi e
così diversi da
quelli dei suoi genitori e di sua nonna, a cui era abituato. Seppe
solo che da quel giorno smise di strillare e strepitare e fece sempre
quel che lui gli chiedeva.
Superò
il nucleo principale di Ratschings, dirigendosi verso Flading, la
piccola frazione dov'era nato. Questa era casa sua: un piccolo
agglomerato di baite in legno collegate fra loro da una sola via
sterrata ed abitate da pastori e spaccalegna, siutato in fondo alla
valle, con una minuscola chiesetta, il cui tetto aguzzo che scorgeva
da lontano gli aveva fatto martellare il cuore nel petto, che poteva
contenere una ventina di persone al massimo. Era, un luogo semplice,
chiuso e dalla vita dura, sferzato dalla neve e dal gelo in inverno e
coperto da fiori e da vellutata erba in estate ma dove tutti si
conoscevano ed erano .. come un'unica grande famiglia.
Si
guardò intorno, mentre ogni piccolo angolo di quel pezzo di
mondo
gli ricordava qualcosa: i prati intervallati da splendidi abeti che
svettavano fino al cielo e che sembravano quasi volerlo toccare gli
ricordavano i giochi infantili e le corse con gli altri bimbi del
villaggio all'inseguimento delle greggi che i loro padri conducevano
al pascolo; il ruscello che bagnava il villaggio, regalando acqua
pulita agli abitanti e pesce con cui rimediare pranzi e cene, suo
principale compagno di giochi nelle calde giornate estive quando si
tuffava dentro quell'acqua zampillante e fredda.
Dal
piccolo gruppo di baite il fumo fuoriusciva dai camini; ormai
imbruniva e non c'era più nessuno in giro. Il freddo era
pungente e
i primi fiocchi di neve avevano cominciato a cadere. "Sono
arrivato appena in tempo". Si massaggiò la spalla, faceva un
male cane, tanto che non gli sarebbe dispiaciuto rotolarsi nella neve
per trovare sollievo nel torpore indotto dal ghiaccio, ma l'unica
cosa che fece fu trascinarsi fino al delimitare di Flading, dove due
piccole baite, buie e senza camini accesi, sembravano aspettarlo;
casa sua e casa di Jakob, vuote ormai da anni e bisognose del suo
ritorno per aprire porte e finestre e fare entrare un po’ di
aria e
di luce.
Si
avvicinò dapprima alla casa del suo maestro, ma nonostante
avesse le
chiavi per aprirla non lo fece; si sedette sul gradino di pietra
davanti all'ingresso, rapito dal paesaggio maestoso che lo
circondava. Era felice di essere tornato, ma si sentiva infinitamente
solo; forse avrebbe dovuto portare con se Falko e Drago, fregandosene
dei guadagni, a loro sarebbe piaciuto visitare la Val Ridanna. Forse
avrebbe potuto chiedere addirittura a Jutta, se fosse rimasta in
forma umana avrebbe potuto essere fattibile tanto più che
lei
probabilmente era stata già a Flading quando Jakob era
giovane e
loro due erano innamorati ed inseparabili. Avrebbe potuto essere
felice di farci ritorno.
Prese
un legnetto fra le mani, smuovendo distrattamente terra e neve,
incerto su cosa fare. La logica avrebbe suggerito di entrare in casa
sua, accendere il camino, scaldarsi e medicarsi la spalla, ma uno
strano torpore gli impediva di farlo. "Era con Elke che sarei
dovuto tornare... Glielo avevo promesso, dannazione".
Alzò
gli occhi al cielo guardando i piccoli fiocchi di neve che venivano
giù con dolcezza ed eleganza. Capiva bene cosa fosse a
renderlo così
di malumore: ora che era giunto alla sua meta gli era tutto
terribilmente chiaro. A Flading le persone a cui aveva voluto bene in
passato non c'erano più ad aspettarlo, e la persona che era
stata il
suo presente fino a pochi mesi prima se n'era andata e non desiderava
altro che rivederla. Il motivo del suo viaggio era stato il bisogno
di tornare a casa sua, come aveva fatto altre volte in passato e la
solitudine non gli era mai pesata, né a Flading
né a Pennes, perché
stare solo era la normalità allora. Questa volta era
diverso: non
era partito per una rimpatriata coi suoi vecchi compaesani e questo
gli faceva capire che quello che stava cercando ora non era il
passato che aveva vissuto in quella valle da bambino perché
ora casa sua era a Pennes: quello che lui cercava era la sensazione di
benessere e calore che aveva perso nel preciso istante in cui aveva
lasciato andare via Elke e di certo non l'avrebbe potuta ritrovare a
Flading come in nessun altro posto.
"Cosa
devo fare, Jakob?".
Ogni
volta che si recava al lago di Valdurna aveva chiesto consigli al
suo maestro su questo fatto, ma la risposta ai suoi dubbi non era mai
arrivata: come gli aveva già detto Jutta, Elke era un
aspetto della
sua vita che doveva risolvere da solo ed il silenzio di Jakob era
anch'esso da intendersi come una lezione di vita.
"Mattheus
Hansele, sei proprio tu? Che mi prenda un colpo, sono anni che non ti
fai vedere quì".
Preso
alla sprovvista da quella voce giunta all'improvviso alle sue spalle
Mattheus balzò in piedi. Credeva di essere solo, ormai era
buio e
nevicava e in giro non c'era anima viva. Si voltò,
trovandosi
davanti la prima faccia conosciuta della giornata: un uomo anziano
dai capelli completamente bianchi e dalla lunga barba, vestito con
abiti da contadino logori. "Andreas?". Non poteva essere
che lui, il capo villaggio di Flading, colui che da decenni
amministrava il territorio, sedava le liti e organizzava la vita
comunitaria del borgo. Un uomo saggio e mite, ma che sapeva essere
inflessibile ed irremovibile nelle decisioni quando era necessario
esserlo. Suo padre e Jakob, ricordava, ne avevano una grande
considerazione e rispetto. "Che ci fate in giro a quest'ora, con
questo tempo?".
Il
vecchio rise. "Dovrei chiederlo io a te! Cosa ci fai qui? Ero
nella stalla a dare un po’ di fieno alle bestie quando ti ho
intravisto. Non riuscivo proprio a credere che fossi tu! Cosa ti
porta qui dopo tanto tempo?".
"Beh,
niente di che. Sono solo venuto a fare una visita e a controllare la
mia baita. Ci saranno lavori da fare, suppongo, sono anni che non ci
metto piede e non vorrei crollasse a causa dell'incuria".
Il
vecchio annuì, sedendosi accanto a lui. "Capisco. Ma
perché te
ne stai da solo, seduto fuori al gelo? Vieni a casa mia, ti faccio
preparare qualcosa da mangiare da mia moglie. Ad Amelie farà
sicuramente piacere".
Mattheus
scosse la testa: nonostante l’invito e l’interesse
di Andreas
fossero genuini e non si stupiva della sua gentilezza, dato che in
quel posto tutti si erano sempre adoperati per gli altri considerando
ogni membro della comunità come parte della famiglia, non
aveva
molta voglia di fare conversazione:, inoltre si sentiva frastornato e
spaesato senza contare che la spalla gli faceva talmente male da
levargli il fiato... "Ti ringrazio davvero, ma come ben sai non
sono un tipo da compagnia. A dire il vero vorrei solo andare a letto
a dormire, sono distrutto dal viaggio".
Andreas
annuì. "Vedo che non sei cambiato e che sei rimasto il lupo
solitario di sempre".
"Così
pare".
"Però
Mattheus, ti trovo strano, cambiato. Va tutto bene?".
Lo
stregone si massaggiò la spalla. Non aveva voglia di parlare
con lui
di quello lo tormentava, del duello con Lucius e di tutti i pensieri
che gli giravano per la testa, ma allo stesso tempo non voleva
allontanarlo bruscamente. "Ah, nulla di che. Ho una ferita alla
spalla che mi dà il tormento e non sono molto in forma.
Tutto qui".
Il
vecchio sospirò. "Mi spiace. Se hai bisogno di qualcosa, sai
dove trovarmi, vero? Per stasera ti lascio in pace, ma domani a
pranzo ti voglio da me! Anzi, magari organizziamo un grande pranzo
con tutti quanti. Il tuo ritorno da noi è sempre una gran
festa".
A
quella proposta, Mattheus sorrise, pensando a quanto fossero diverse
le cose lì, rispetto a Pennes. A Ratschings era considerato
da tutti
una celebrità e per la gente della valle era un onore sapere
di aver
dato i natali a uno stregone potente come lui. A Pennes invece lo
avevano evitato tutti come la peste per anni e lo avevano temuto come
se fosse stato la peggiore delle calamità, anche se
ovviamente lui
ci aveva messo del suo divertendosi a spaventare e a tormentare gli
abitanti della Val Sarentino per anni. Però trovava comunque
piuttosto divertente questa disparità di trattamento che gli
era
riservata. "Ti prego, la festa comunitaria no! Sai che odio
queste cose".
Andreas
rise. "Oh, certo che lo so! Sei
così differente dai tuoi genitori, tu! E credo fosse uno dei
motivi
che ti hanno fatto trovare a tuo agio con Jakob. Lui era chiuso e
solitario come te. Invece tuo padre era una persona mite, aperta e
gentile, così come tua madre. La loro perdita è
stata una grave
tragedia per la comunità, erano davvero brave persone".
"Anche
Jakob era una brava persona". Lo disse di getto, quasi
infastidito dalle considerazioni di Andreas sulla sua famiglia e sul
suo maestro. Da bambino aveva amato più di tutti i suoi
genitori,
benché diversissimi da lui. In seguito Jakob era diventato
un
secondo padre e si era preso cura di lui quando era rimasto orfano,
per cui non gli andava che Andreas li paragonasse perché
tutti loro,
in modo diverso, avevano contribuito a renderlo la persona che era
adesso. I suoi genitori erano morti all'improvviso, quando lui aveva
dodici anni, durante un viaggio a Innsbruck per vendere la loro
merce. Lo avevano affidato a Jakob e sarebbero dovuti rimanere via
per alcune settimane. Non avevano mai fatto ritorno e solo alcuni
mesi dopo era venuto a conoscenza che erano morti, vittime di una
epidemia di febbre che aveva decimato la popolazione della
città.
Nel
giro di una notte da bambino viziato e vezzeggiato si era ritrovato
solo: sua nonna era morta di vecchiaia alcuni anni prima e se non
fosse stato per Jakob, non avrebbe più avuto nessuno. Era
stato
proprio con la morte dei suoi genitori che la sua vita era cambiata e
che aveva conosciuto il suo maestro per quel che era davvero.
"Mattheus,
da oggi vivrai con me. Sei ancora troppo giovane per stare da solo a
casa".
"Come
vuoi" – aveva risposto freddamente, sopraffatto dal grande
dolore che si portava dentro.
Jakob
si sedette accanto a lui sull'erba. "Mattheus, sei anni fa tuo
padre mi ha chiesto di essere il tuo maestro e di insegnarti a
leggere e a scrivere. L'ho fatto, ti ho insegnato queste cose e altre
ancora. La storia, la geografia, le scienze, la matematica e molto
altro. Sei stato un buon allievo e ti sei dimostrato un bambino
intelligente, anche se molto testardo. Ma ora che siamo rimasti soli,
tu ed io, che ne diresti se ti insegnassi quel che so davvero? Non ho
molto tempo a disposizione per farlo, ma se vorrai, ti
donerò tutti
i miei segreti e le mie vere conoscenze. Sarai l'erede di quel che
sono stato io".
"Di
cosa stai parlando? Che dovresti insegnarmi ancora?". Era stanco
e non aveva voglia né di essere educato né di
stare a sentire Jakob
che straparlava. Voleva solo che per magia i suoi genitori tornassero
da lui.
Il
suo maestro non si fece intimorire dai suoi modi bruschi. "Ti
ricordi la mia spada, quella che ho conficcato nel tavolo il primo
giorno che sei venuto da me e strillavi come un'aquila?".
"Sì,
e allora?".
"Era
la mia spada. Ero un guerriero molto forte da giovane, ho girato il
mondo combattendo ogni genere di guerra e ogni genere di nemico. Ho
visto bimbi nascere e morire nel corso dello stesso giorno, se si
trovavano nel mezzo di una battaglia, villaggi distrutti e dati alle
fiamme e gente che moriva senza sapere spesso il perché. Ho
appreso
arte e culture straniere e ho imparato oltre il lecito tutto quello
che c'era da sapere. C'è un mondo fuori dalla Val Ridanna
che
aspetta di essere scoperto. Un mondo che aspetta te, un mondo che
puoi vedere a occhio nudo, con gli occhi semplici della gente comune.
E un mondo nascosto, magico, che possono vedere solo persone speciali
come me. E te, se lo vorrai. So che ne saresti capace".
"Che
vuoi dire?".
Jakob
lo guardò negli occhi con una serietà che non gli
aveva mai visto.
"Magia Mattheus. Uso la magia, la so veicolare e utilizzare a
mio piacimento. So entrare in contatto con le forze della natura e
farle confluire a me, le so comandare e da esse traggo il potere per
ogni genere di incantesimo io desideri".
Spalancò
gli occhi, per un attimo seriamente sorpreso. Ma poi scosse la testa,
sicuro che Jakob fosse ammattito di colpo. "Mi stai prendendo in
giro".
"Ti
ho fatto una domanda ben precisa Mattheus! Vuoi imparare a usare la
spada? Vuoi imparare a usare la magia?".
Sbuffò.
Se cera qualcuno che aveva il diritto di essere fuori di testa era
lui e non certo Jakob. Però... se non scherzava? In fondo
Jakob non
l'aveva mai preso in giro. "Se davvero ci tieni, proviamoci.
Tanto non ho niente di meglio da fare".
"Inizieremo
con la spada".
"E
come farai? Cammini col bastone e sei vecchio, come pensi di
insegnarmi ad usarla?".
Gli
occhi di Jakob divennero improvvisamente vivi e penetranti, a quelle
parole. "Conosco gnomi, troll, il demonio. Ho amato una fata e
combattuto ogni genere di guerra. Di certo non sarà un
dodicenne
sospettoso a mettermi al tappeto. Stanne certo Mattheus, ti
farò
mangiare la polvere".
"Hai
amato una fata? Jakob, sei sicuro di stare bene?". Stava
cominciando a preoccuparsi seriamente per la salute mentale del suo
maestro. Ma non ce n'era ragione. E lo avrebbe scoperto giorno dopo
giorno, anno dopo anno, quanto il suo maestro fosse una persona fuori
dal comune.
"Jakob
ha cambiato la mia vita, in meglio. Se sono quel che sono, Andreas,
lo devo a lui e a mio padre, che ha avuto l'accortezza di sceglierlo
come mio maestro". Si sfilò lo zaino dalle spalle,
porgendolo
al capo villaggio. "Ci sono ampolle con la mia acqua, qua
dentro. Le ho portate per voi. Distribuiscile a tutti, secondo
necessità. Io credo che andrò a dormire e da
domani sarò impegnato
a sistemare le baite dei miei genitori e di Jakob".
Andreas
prese lo zaino, annuendo. "E la tua spalla?".
"Guarirà!
E' solo una ferita". Si alzò dal gradino, stiracchiandosi.
"Ah,
ovviamente domani, con tutta calma e senza troppa gente in giro,
credo che potrei venire a pranzare da te e tua moglie. Ricordo che fa
uno strudel di mele buonissimo".
Andreas
sorrise. "Ti aspetto allora. Ma preparati, ti vorranno tutti, a
turno, a pranzo da loro".
Sbuffò.
"Lo immagino". Guardò Andreas allontanarsi e poi, prima di
avviarsi verso casa sua, diede un'ultima occhiata alle montagne che
lo circondavano. Maestose, selvagge, imponenti e coperte di neve. Le
aveva scalate tante volte e aveva perso il conto delle camminate
fatte con Jakob in quei boschi, quando era bambino. Lui, il suo
maestro e Fia. Solo loro, la natura e la voce pacata di Jakob che gli
spiegava il mondo che li circondava.
"Dimmi
Mattheus, a cosa è utile il frutto del mirtillo?".
"Migliora
la vista, giusto?".
"Bravo.
Dovremmo mangiarne un po’, guarda quanti ce ne sono nel
bosco. Che
ne dici?".
Si
grattò la guancia, ciondolando la testa. Erano ore che
camminavano e
le gambe gli facevano male, ma non osava lamentarsi perché
sapeva
quanto Jakob non sopportasse i bambini capricciosi. "Mh, non ho
fame, grazie. E poi io ci vedo bene" – mormorò,
appoggiandosi
al tronco di un abete.
Il
suo maestro gli diede una rapida occhiata. "Sei stanco Mattheus?
Vuoi andare a casa?".
Arrossì.
"Sì".
Jakob
lo stupì. Si inginocchiò davanti a lui,
prendendolo in braccio. Era
la prima volta che lo faceva. "Beh, hai ragione, sono ore che
camminiamo e tu hai solo sette anni. Tranquillo bambino, ti porto dai
tuoi genitori adesso. I mirtilli li mangeremo la prossima volta".
"In
braccio? Davvero mi porti in braccio?".
Jakob
gli strizzò l'occhio. "Non farci l'abitudine, mi raccomando".
Sorrise
e lo abbracciò. "Ti voglio bene Jakob".
Le
braccia del suo maestro contraccambiarono l'abbraccio. "Beh,
anche io! Capricci a parte – e vedo che li fai, quando sei
coi tuoi
genitori – sei davvero un bambino interessante. E essere il
tuo
maestro è la miglior avventura che mi sia capitata da anni.
Ne
faremo di strada io e te, piccolo Mattheus".
Di strada loro due ne avevano fatta molta da
allora. E grazie al lago
di Valdurna, quella strada continuavano a percorrerla ancora insieme.
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Capitolo 17 *** Capitolo sedici ***
Capitolo
sedici
Erano
passati quasi tre anni dalla lotta contro Lucius e la vita a Pennes
era andata avanti sonnacchiosa e tranquilla, senza problemi o
scossoni.
Quel
che Mattheus aveva preso per un gioco, quando gli era stato proposto
di diventare capo-villaggio, si era trasformato pian piano in
qualcosa di più serio e impegnativo: era rimasto la solita
canaglia
che adorava incutere timore nella gente, però aveva anche
lavorato
seriamente affinché le cose a Pennes andassero bene e
funzionassero
in modo da rendere tutti sereni, scoprendo per di più che
progettare, decidere e lavorare al servizio degli altri gli piaceva.
La
gente continuava a sentirsi intimorita da lui, dalla sua magia e dai
suoi modi di fare ma il terrore puro e semplice di una volta si era
trasformato in timore reverenziale, avevano imparato a rispettarlo e
non solo temerlo e, seppur timidamente, a tentare di avvicinarsi un
po’ di più a lui, coinvolgendolo, per quanto
possibile, nella loro
vita.
Era
ormai autunno inoltrato, gelido ma ancora privo di neve, l'erba dei
crinali aveva mutato il suo colore, diventando una distesa
giallo-verdognola che si perdeva a vista d'occhio.
Stiracchiandosi,
lo stregone si accinse ad intraprendere il suo ennesimo viaggio verso
il lago di Valdurna, il Natale si stava avvicinando inesorabilmente e
quel periodo, se ben gestito, poteva essere fonte di ottimi guadagni.
"Coraggio
ragazzi" – disse, rivolgendosi a Falko e Drago –
"E'
ora di diventare gatti e di lavorare".
Falko
e Drago sospirarono, non troppo entusiasti. "Secondo noi, se
prendi dei cavalli, fai prima".
"Voi
vi state lamentando troppo" – borbottò lo
stregone,
sistemando il carretto. "Bugiardi e scansafatiche... Siete
davvero pessime persone" – commentò in tono
paternalistico.
"Oh
dai, ancora con questa storia?!" - lo interruppe Drago – "E'
passato più di un anno e sei stato nostro testimone di
nozze".
Mattheus
ridacchiò, divertito dal nervosismo dei due; in tre anni non
era
cambiato niente, o meglio QUASI niente.
"Mi
avete fatto fesso per un sacco di tempo. In effetti mi chiedevo come
mai passaste tanto tempo dal fornaio e poi ho capito...".
Per
un bel po’ aveva creduto che Falko e Drago ritardassero
tanto,
quando li mandava a prendere il pane, perché interessati
alle
chiacchiere delle comari di paese che usavano ritrovarsi dal
panettiere per spettegolare di tutto e tutti finché in un
bel giorno
erano tornati dalla spesa con il loro sacchetto pieno di pagnotte e
felici come una Pasqua, annunciandogli che si sarebbero sposati con
le due figlie gemelle del panettiere con le quali si intrattenevano
da mesi.
Era
cascato dalle nuvole, doveva ammetterlo, ed anche se non glielo
avrebbe mai dato ad intendere era stato davvero felice per loro.
Il
matrimonio era avvenuto pochi mesi dopo e lui aveva fatto da
testimone di nozze ad entrambi. I nani si erano trasferiti nella casa
delle mogli, proprio sopra l'attività di famiglia, ma a
parte questo
continuavano a lavorare per lui, per amicizia e per una sorta di
debito morale che sentivano nei suoi confronti. Ma questo non gli
impediva di punzecchiarli e prenderli in giro, di tanto in tanto.
Prese
dalla tasca una delle ampolle dell'acqua del lago, rovesciandogliela
in testa e trasformandoli in gatti neri.
"Basta
parlare di stupidaggini, c'è da lavorare! E anche molto".
Per
le festività natalizie aveva piani ben precisi: Pennes e la
val
Sarentino offrivano discreti guadagni, ma per Natale, se voleva
aumentare i suoi introiti, doveva andare in una grande
città; il
clima era gelido per cui influenze ed epidemie abbondavano e la
gente di Bozen aveva sicuramente bisogno di lui e della sua acqua.
Inoltre la gente di città, notoriamente più
ricca, era disposta a
sborsare molto denaro quando si trattava di salute. E chi era lui per
privare gli abitanti della più grande città del
Tirolo della sua
presenza?
Pennes
era tranquilla ed avrebbe potuto fare a meno di lui per qualche
settimana.
Si
incamminarono pochi passi fuori Pennes. quando vennero fermati da
due dei suoi concittadini. Mattheus alzò gli occhi al cielo:
quei
due, il signor Gruber e il signor Riegler, erano due anziani
contadini in lotta fra loro da... bah, chi poteva dirlo? Da che
ricordava, non li aveva mai visti andare d'accordo. Litigavano su chi
avesse i prodotti agricoli migliori, su chi fra loro producesse il
formaggio più saporito, si accapigliavano quando giocavano a
carte
nella piazza del paese in estate e su qualsiasi altra cosa di cui si
trovassero a parlare, per cui, se lo fermavano, avevano di sicuro
bisogno che facesse loro da giudice per l'ennesima volta. Da quando
era diventato capo villaggio, tre anni prima, capitava in media ogni
settimana. "Signori, mi tratterrei con voi volentieri ma..."
- indicò i gatti e il carretto – "devo lavorare".
Il
signor Riegler, come se non l'avesse nemmeno ascoltato,
iniziò ad
inveire contro il signor Gruber.
"Il
mio campo! Avete presente signor Hansele? Quello che si trova al
limitare del bosco, quello dove ho costruito con le MIE mani il
porticciolo per prendere agevolmente l'acqua del ruscello che scorre
nella mia proprietà. Lui, LUI... LUI usa la mia acqua! Lo fa
ogni
volta che torna dalla montagna, il maledetto! E non lo fa nella parte
del ruscello che scorre fuori dal mio campo no! NO! Lui usa il mio
porticciolo e quindi entra nella mia proprietà! Vuole la
vita
comoda, il signorino!".
"Non
è vero!" - inveì Gruber. “Il TUO
terreno, razza di taccagno,
te lo devi recintare se vuoi che nessuno ci entri! Altrimenti io,
quando torno dal bosco, ci passo senza pormi problemi. Non vedo
perché dovrei fare il giro largo per un qualcosa che non
è
delimitato da nulla. Chi mi dice che è tua
proprietà?".
Mattheus
sospirò. Quei due avevano i capelli bianchi da un bel
po’ e
teoricamente avrebbero dovuto essere considerati i saggi e la memoria
storica del villaggio, invece litigavano come lattanti isterici. Li
guardò, picchiettando nervosamente il piede, deciso a porre
fine a
quella stupida disputa immediatamente. Lo stavano irritando.
"Signor
Riegler" sussurrò, ponendo gentilmente una mano sulla sua
spalla "Io capisco il vostro disappunto per la continua
invasione della vostra proprietà privata. Davvero, parlo
seriamente!
La proprietà privata è sacra e va rispettata
e...".
"Ma..."
- lo interruppe Gruber.
Mattheus
lo fulminò con lo sguardo.
“MA...
vedete, in quanto proprietà privata, devo farvi notare che
il vostro
terreno si trova comunque nella giurisprudenza di Pennes che, come
sapete, è amministrata dal sottoscritto. E visto che la
vostra
proprietà sorge in una terra comunale, voi dovreste pagarci
delle
tasse in relazione ai guadagni che il vostro campo vi frutta".
Riegler
sbiancò. "Ma...".
Mattheus
sorrise. Il vecchio era brontolone, ma non era certo stupido e aveva
capito benissimo dove lui stava andando a parare.
"Ma
ecco, io non sono così crudele da chiedere tasse per il
vostro
campo, su cui vi spaccate la schiena da mattina a sera a lavorare.
Però ecco, potrei cambiare anche idea forse, se le
circostanze lo
richiedessero... Facciamo così! Voi fate usare il
porticciolo a
coloro che tornano assetati dalla montagna, che tanto l'acqua nel
ruscello ci sarà sempre, non è di vostra
proprietà e quindi
nessuno vi ruba nulla e io, visto il favore che fate alla
comunità,
eviterò di chiedervi tasse sulla proprietà".
Gruber
sorrise, soddisfatto. Riegler annuì non troppo felice, senza
tuttavia trovare fiato per controbattere.
Mattheus
picchiò le mani sulle loro spalle, amichevolmente. "Bene,
visto
che è tutto a posto e ci siamo messi d'accordo come grandi
amici
quali siamo, io torno alle mie faccende. Buona giornata signori".
"Buona
giornata" – risposero all'unisono i due, guardandolo
allontanarsi.
Mattheus
si stiracchiò, rimettendosi in marcia. Negli anni aveva
imparato a
trattare con la gente di Pennes e a sedare sul nascere ogni
discussione inutile. Lo divertiva ancora prendersi gioco di loro e
delle loro paure, ma aveva imparato l'arte della mediazione e della
conciliazione. Si sentiva un bravo capo villaggio, furbo ma allo
stesso tempo giusto.
Il
resto della camminata proseguì tranquillo, senza altri
intoppi; la
giornata era fredda ma serena e forse non avrebbe avuto altre
occasioni per fare scorta d'acqua al lago prima dell'inizio delle
prime nevicate, per cui era necessario fare scorta per il suo viaggio
in quel momento, o non lo avrebbe più potuto fare.
Arrivarono
al lago che era ormai mezzogiorno passato. Tutto era tranquillo e
silenzioso come sempre, solo il vento, gelido e incontrollato,
soffiava fra gli abeti. Le rive del lago erano ricoperte da un
leggero strato di ghiaccio e l'idea di immergere la mano che reggeva
il secchio da riempire in quell'acqua gelida gli faceva correre
brividi lungo la schiena. Sospirò. Prima iniziava, prima
finiva e
tornava a casa, davanti al suo bel camino acceso.
"Ciao
ragazzi".
La
voce di Jutta lo raggiunse alle spalle. Si voltò. La fatina
volava
sulle teste dei due gatti, allegra e all'apparenza incurante del gran
gelo che li avvolgeva.
"Certo
che io non ti capisco! Potresti startene al calduccio nella tua
casetta di fata e invece te ne svolazzi in giro col tuo vestitino a
mezze maniche, come se fossimo in piena estate".
Jutta
rise, volando sulla sua testa e sedendovisi sopra. "Oh, io non
lo soffro per niente il freddo. Solo un po’ quando nevica, la
sera.
Ma ancora non è sceso neanche un fiocco, quest'anno".
Mattheus
sospirò, esasperato da quel suo dannato vizio di sedersi
sulla sua
testa. Si chinò sforzandosi di far finta di nulla e
riempiendo il
primo secchio d'acqua.
"Beh,
per fortuna! Se nevicasse, io non riuscirei a venire qui ed ho grandi
progetti per questo Natale, l'acqua del lago mi serve".
"Fai
qualche offerta natalizia per gli abitanti di Pennes?" - chiese
la fata.
"Ma
quale offerta!? Scherzi, questo è il momento di gonfiare i
prezzi e
di incrementare i guadagni! Partirò e andrò a
Bozen, nelle
settimane di Natale. Farò affari d'oro con la mia acqua, in
quella
città".
La
fatina spalancò gli occhi. "Vuoi andare a Bozen? Ma
perché? E'
Natale!".
"E
allora? Il Natale è foriero di buoni affari, se lo sai
sfruttare".
"Ah,
Mattheus...". Jutta scosse la testa, sconsolata. "Soldi,
soldi e ancora soldi! Che ne è del tuo spirito natalizio? Il
Natale
lo si festeggia a casa propria, al calduccio ed insieme alla propria
famiglia o alla propria gente. Che ti salta in mente di andartene a
Bozen proprio ora?".
Mattheus
sbuffò. Non aveva voglia di affrontare con lei
quell'argomento e di
sentire le sue paternali. Voleva solo andare a Bozen e cambiare aria
e Natale sarebbe stato perfetto per farlo.
Non
preoccuparti del mio spirito natalizio, lo sfodererò a
Bozen. Ti
ricordo che è una grande città, che nella piazza
organizzano un
meraviglioso mercatino di Gesù Bambino e che c'è
una grande Chiesa
dove andrò pure a Messa la notte di Natale, se mi
andrà di farlo.
Come vedi, il mio spirito natalizio è salvo".
In
tutta risposta, Jutta gli tirò una ciocca di capelli.
"Ah,
zitto somaro! Tu devi restare qui, con la tua famiglia".
"Non
ho una famiglia!".
Jutta
indicò i due gatti che sonnecchiavano sul carretto. "E loro?
Falko e Drago sarebbero contenti di averti con loro e la loro
famiglia, la notte di Natale".
"Hai
detto bene, la LORO famiglia. Non la mia!" - obiettò
Mattheus.
Jutta
scosse la testa.
"Tu
per loro sei una famiglia. Ti vogliono bene e ti saranno grati a vita
per ciò che hai fatto per loro".
"Ma
io voglio lo stesso andare a Bozen".
"Mattheus...".
Con un sospiro, la fata volò su un masso, sedendosi sopra
incurante
del freddo. "Cosa c'è? Sei un'anima in pena... Cosa cerchi,
cosa vuoi?".
Sbuffando,
Mattheus caricò un altro secchio d'acqua sul carro. "Fare
dei
buoni guadagni, ecco cosa voglio! C'è qualcosa di male in
questo?".
"No,
ma...". Jutta si bloccò e poi il suo viso si
illuminò in un
sorriso. "Guarda, ci sono Belle e Blue!" - esclamò,
volando verso i due unicorni che, silenziosi, erano spuntati come dal
nulla sulle rive del lago.
Mattheus
sorrise, piacevolmente sorpreso, avvicinandosi anch'esso ai due
splendidi animali. Belle era bellissima e radiosa ed il piccolo Blue
era cresciuto, tanto da essere ormai alto quasi come la madre. Erano
gli esseri magici più belli che avesse mai visto, ogni volta
che li
incontrava ne restava affascinato. Era raro vederli a passeggio,
lontani dal loro ambiente e se si erano spinti fino al lago
significava che non c'era in giro anima viva oltre a loro, il che non
stupiva Mattheus visto il gelo di quei giorni. Li accarezzò
sul
muso, delicatamente.
"E'
molto che non ci vediamo, eh?".
In
tutta risposta, il piccolo Blue nitrì contento. Era vivace
come
tutti i cuccioli e spesso, quando si era recato da loro in quei tre
anni, l'aveva inseguito nelle sue corse sfrenate.
Mattheus
gli sfiorò il collo dove ancora c'era il nastrino azzurro
che Elke
gli aveva annodato tre anni prima, il giorno in cui era nato. Quel
nastrino era ancora come nuovo, lindo e pulito: la magia degli
unicorni lo aveva preservato dallo sporco e dal logorio del tempo
rendendolo quasi un tutt'uno col piccolo Blue, come se fosse
cresciuto assieme a lui. Con l'indice della mano accarezzò
il
nastrino, deglutendo, lasciando la presa solo quando si accorse dello
sguardo insistente di Jutta.
"Cos'hai
da guardare?" - sbottò, seccato.
Jutta
alzò le spalle, non smettendo di guardarlo in viso.
"Niente,
proprio niente".
Distolse
lo sguardo da lei, quasi imbarazzato. Odiava quando Jutta faceva
così, quando se ne stava zitta ma in realtà gli
stava leggendo
nella mente. "Bene". Accarezzò ancora brevemente i due
animali e poi li lasciò proseguire nella loro passeggiata,
restando
ad osservarli mentre si allontanavano in silenzio. Finì di
riempire
i secchi d'acqua, riempiendo il suo carretto senza aprire bocca,
considerando in quel momento il silenzio come il suo migliore amico.
Alla fine di tutto quel lavoro era sudato e non sentiva più
il
freddo. Legò Falko e Drago al carro e fece loro cenno di
incamminarsi.
"Jutta,
buon Natale! Ci rivediamo qui fra... un po’" –
disse,
sbrigativo.
"Buon
Natale e buon viaggio. Spero troverai quel che cerchi, a Bozen"
– rispose la fata, sospirando.
"Oh,
lo troverò di sicuro. Denaro e guadagni a
volontà, non riesco ad
immaginare un Natale più dolce di questo".
...
Tornarono
a Pennes che era ormai buio. Ritrasformò Falko e Drago e
dopo averli
salutati e mandati a casa loro si chiuse dentro casa sua. Accese il
camino nella sua stanza e si gettò sul letto, pensieroso;
aveva
molto da fare, in vista del viaggio: la cantina era piena d'acqua che
il giorno dopo avrebbe travasato nelle provette da portare a Bozen
per poi partire. Non vedeva l'ora.
Si
rannicchiò fra le coperte, mentre il silenzio lo avvolgeva.
Era
stanco e di cattivo umore. Non sapeva se era per le parole di Jutta o
per quel nastro azzurro al collo di Blue, dato che ogni volta che lo
vedeva il suo stomaco si contraeva dolorosamente. Anche lui aveva un
nastro identico nel cassetto del suo comodino e ricordava quanto
aveva urlato dietro a Elke, quando glielo aveva legato al polso.
Eppure lo aveva tenuto e, anche se rifiutava di ammetterlo persino a
se stesso, teneva a quell'oggetto più di qualsiasi altra
cosa, tanto
che lo aveva eletto a suo porta fortuna nei suoi viaggi di lavoro.
Aprì il cassetto del comodino, prendendolo fra le mani. Era
un
nastro liscio, lucido, adatto ai capelli di una ragazza. Sarebbe
stato bene ad Elke e di certo ne avrebbe fatto miglior uso rispetto a
lui. Aveva ancora con se, nel suo armadio, gli altri nastri
appartenuti alla ragazza e il suo arco. Li aveva conservati, forse
illudendosi stupidamente che sarebbe tornata indietro a
riprenderseli. O forse perché non aveva avuto il coraggio di
buttarli via...
Fece
scorrere il nastrino fra le dita. Erano passati tre anni da quando
Elke se n'era andata e ancora si stupiva di quanto il ricordo di una
semplice ragazzina che era entrata nella sua vita per pochi mesi
riuscisse a farlo soffrire. Gli era mancata e gli mancava ancora.
Pensava a lei ogni tanto, in silenzio; a ciò che erano stati
ed alla
persona che lei poteva essere diventata. Era in gamba, forte ed
intelligente, gentile e ironica, sempre col sorriso sulle labbra e
con una grande pazienza davanti ai suoi modi da orso, come li
chiamava lei. La verità era che gli sarebbe piaciuto
rivederla e
riabbracciarla, scherzare con lei ed averla ancora per casa. Era una
verità dolorosa che faticava ad accettare, un desiderio che
riusciva
a stordirlo e a confonderlo e allo stesso tempo talmente forte da
toglierli il sonno. La desiderava, in mille modi, e questo gli faceva
paura perché non aveva mai provato nulla del genere per
nessuno e
perché era consapevole che lei non sarebbe mai tornata. Dopo
tre
anni sarebbe stato stupido anche il solo sperarlo. Ora sapeva che
erano stati, l'uno per l'altra, solo una breve parentesi nell'arco
delle loro vite,.
"Saresti
diventata una bravissima assistente, se fossi rimasta ora sapresti
tante cose quante ne so io. Sei stata il mio più grande
errore
Elke... E non mi perdonerò mai per averlo commesso".
...
All’alba
di due giorni dopo la carrozza ed il cocchiere che aveva ingaggiato
per andare a Bozen erano davanti a casa sua. Si strinse nel mantello,
caricando le sacche contenenti le ampolle dell'acqua sulla carrozza e
al contempo maledicendo quel freddo pungente.
Falko
e Drago erano venuti a salutarlo, nemmeno loro troppo entusiasti
della sua partenza.
"Dai,
cambia idea! Sarà bello festeggiare tutti insieme il Natale".
"Finitela,
ho deciso! Starò via solo poche settimane, non è
mica la fine del
mondo".
Drago
scosse la testa. "Sì ma... è Natale! Non dovresti
passarlo da
solo".
Mattheus
sospirò, salendo sulla carrozza. "Passo il Natale da solo da
molti anni e l'ho sempre trovato piacevole e rilassante. Non
preoccupatevi per me".
Chiuse
la porta della carrozza, pensando a quanto aveva appena detto: era
stato così per tanti anni, per tanto aveva pensato al Natale
come a
un periodo di silenzio, contemplazione e meditazione. Ma adesso che
cosa provava? Scosse la testa, stupito dal fatto che stesse perdendo
tempo a pensare a una cosa tanto stupida.
"Buone
feste ragazzi" - disse frettolosamente, picchiando sul soffitto
della carrozza, per far segno al cocchiere di partire. Si
rannicchiò
nel suo mantello di lana, cercando di scaldarsi, guardando fuori dal
finestrino le vette delle Dolomiti che lo avrebbero accompagnato in
quel viaggio.
Durò
quasi una settimana. Bozen non era così lontana da Pennes ma
il
tragitto fu funestato da violente piogge, tempeste di vento e dalle
prime tormente di neve. Quando la città apparve
all'orizzonte gli
sembrò quasi un sogno. C'erano stati momenti, durante il
tragitto,
in cui aveva creduto che non sarebbe mai arrivato.
Bozen
era grande, piena di gente dalle mille personalità e dalle
mille
ambizioni; era diversa dalla piccola, sonnacchiosa Pennes,
più
stimolante ma anche piena di tentazioni pericolose. Mattheus la
ricordava bene, ci era stato parecchie volte da ragazzino insieme a
Jakob ed al suo amico Werner, che ora ci viveva laggiù. Non
lo
vedeva da quando si era presentato a casa sua tre anni prima
chiedendogli la sua acqua e ficcando il naso nella sua vita. Non
l'aveva più né visto né sentito e del
resto si sarebbe stupito del
contrario. Comunque non era arrivato fin lì per rivederlo e
non
aveva la minima intenzione di cercarlo per una visita di cortesia.
Era lì unicamente per lavorare.
La
carrozza si fermò nella piazza principale, piena di
bancarelle di
legno che vendevano leccornie, decorazioni natalizie e piccoli giochi
per bambini. Nevicava debolmente e tutto sembrava magico, ma bastava
uno sguardo più attento per capire che non era tutto
così perfetto
e luminoso: alle case eleganti e raffinate si alternavano case
fatiscenti, le strade e la piazza erano sterrate e piene di fango e
attorno a lui, oltre le piccole bancarelle e il grosso abete
addobbato con nastri e candele, poteva scorgere tanta
povertà e
miseria, tipica delle cittadine più grandi. Persone senza
casa se ne
stavano rannicchiate sotto i portici della piazza, cercando calore in
piccoli fuochi di fortuna accesi con legnetti trovati qua e
là,
bimbi scalzi e sporchi correvano fra la gente, senza un adulto che li
guardasse e guidasse nella crescita. Bozen era anche questo, non solo
grandi e maestose Chiese del centro e i pochi signorotti di paese, in
numero così inferiore rispetto a chi moriva di fame. Nelle
grandi
città ci si conosceva solo in modo superficiale e nessuno si
prodigava preoccupandosi per te in caso di bisogno, mentre nei
piccoli borghi come Pennes tutti si conoscevano e, nonostante la
mentalità chiusa e a volte bigotta, ognuno era pronto ad
allungare
una mano per aiutare il proprio vicino in difficoltà.
Sospirò,
pensando che era inutile preoccuparsi e che lui non poteva farci
niente. Prese le sue sacche sulle spalle, pagò il cocchiere e mentre calava il buio della sera, si
avviò a piedi verso la locanda
più confortevole di Bozen, che per quell’anno
sarebbe stata la sua
casa per Natale.
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Capitolo 18 *** Capitolo diciotto ***
Capitolo
diciassette
"Cinquanta
monete di rame e due d'argento in una sola mattinata. Non male
davvero!".
Entusiasta,
mentre camminava nei viottoli fangosi di Bozen, Mattheus faceva
saltellare da una mano all'altra il sacchetto contenente il suo
guadagno di inizio giornata. Era incredibile quanto fosse tutto
amplificato a Bozen: più confusione, più gente,
più viandanti, più
possibilità di commercio e guadagni facili ed immediati, per
cui
poteva soprassedere al vento gelido che fendeva l'aria e lo faceva
rabbrividire ogni volta che metteva il naso fuori dalla sua locanda.
Bozen era una città strana, situata geograficamente in un
posizione
tale da renderla torrida in estate ed estremamente fredda ed umida in
inverno, ma in fondo gli importava poco. Sarebbe rimasto lì
solo una
settimana, al massimo due, e sarebbe tornato a Pennes decisamente
più
ricco di quando era partito. E quindi al diavolo il freddo e anche la
neve che di tanto in tanto cadeva sulla città sotto forma di
tormenta, soprattutto durante il pomeriggio e la sera.
Si
strinse nel mantello, rabbrividendo e guardandosi attorno. Bozen era
piena di vicoli fangosi, lastricati solo in prossimità della
grossa
piazza del centro. Le case erano più piccole e fatiscenti
rispetto
alle baite ordinate di Pennes e nei viottoli si sentivano odore di
sporco e di umidità, tipici della città. Nella
piazza era stato
addobbato un grosso abete decorato con nastri e candele che venivano
accese ogni sera e le piccole bancarelle di legno che vendevano
dolciumi od oggetti natalizi rendevano calda e magica l'atmosfera, ma
solo in apparenza: attorno a quel micro cosmo fatto di luci e festa
si viveva di stenti e povertà.
In
un luogo dove non conoscevi il tuo vicino di casa e nessuno, nel bene
e nel male, ti avrebbe dato retta, lui non si sarebbe mai abituato a
vivere, era il luogo ideale per fare affari ma non ci avrebbe
vissuto per tutto l'oro del mondo.
Perso
in quei pensieri svoltò l'angolo del vicolo che stava
percorrendo,
un dedalo di case di fango e legno che si susseguivano senza sosta,
l'una addosso all'altra. Era vicino al centro, pochi passi lo
speravano dalla piazza dopo di che solo una manciata di vie lo
avrebbero separato dalla sua locanda, una decina di minuti e avrebbe
potuto riscaldarsi davanti a un camino acceso, cosa che desiderava da
quella mattina.
Il
destino però giocava strani scherzi e lui sapeva ormai da
anni che
nulla va mai come preventivato; una voce giunse da una delle vie
circostanti, un suono che lo fece irrigidire e bloccare,
costringendolo ad appoggiarsi al muro di una casa.
"Non
ce la faccio da sola, Helena può venire con me?".
Deglutì,
mentre un miscuglio di emozioni forti e contrastanti si
attorcigliavano nel suo stomaco davanti a quell'evento del tutto
inaspettato e a cui non era preparato: era la voce di una donna, una
voce che spesso aveva riso, battibeccato e chiacchierato con lui,
una voce che aveva amato più di quanto avesse mai osato
ammettere a
se stesso e che gli mancava come l'aria che respirava.
"Elke..."
Era
contro ogni logica che lei si trovasse a Bozen, a pochi metri da lui.
Era un parto malato della sua mente, un tiro mancino della sua
coscienza. Eppure non si sbagliava, non poteva, non su quello. Era
lei, per qualche assurdo motivo era la sua voce che aveva sentito. A
piccoli passi, con le gambe che gli tremavano, non sapendo nemmeno
lui cosa desiderasse, si avvicinò allo svincolo del vicolo
da cui
era provenuta quella voce. Si rannicchiò dietro all'angolo
della
casa, tirandosi su il cappuccio del mantello e spiando di soppiatto.
La
via che si dipanava davanti a lui era percorsa da palazzi
più alti,
maestosi e imponenti di quelli delle vie circostanti ed era dominata
da un enorme convento dal muro di pietra con decine di finestre,
grate ed un’ampia scalinata che portava all'ingresso e ad un
probabile chiostro interno.
Una
suora, di mezza età, viso tondo e molto in sovrappeso,
guardava con
aria severa due ragazze che, davanti a lei, sembravano in attesa di
qualcosa.
"Elke...".
Deglutì.
Lei era lì, a pochi metri da lui, non poteva sbagliarsi:
l'avrebbe
riconosciuta fra mille, ma, nonostante tutto, non riusciva a credere
ai suoi occhi. La guardò quasi rapito, era cambiata: il suo
fisico
era minuto come lo ricordava, ma gli sembrava un po’
più alta con
lineamenti da donna e non più da ragazzina; indossava un
logoro
abito grigio e teneva i suoi capelli raccolti in una coda di cavallo
bassa, poco curata, cosa inusuale per lei: nei suoi ricordi era
perennemente impegnata a farsi trecce e treccine con nastri e perline
colorate e non aveva mai un capello fuori posto.
Pensò
che, però, era sempre bellissima.
Anche
l'altra ragazza vestiva allo stesso modo di Elke: avevano
apparentemente la stessa età, aveva lunghi capelli biondi e
ricci,
viso lentigginoso e un petto decisamente più prominente di
quello
della ragazza albina.
Osservò
il loro abbigliamento identico e capì la situazione: nei
conventi,
spesso, le suore tenevano a servizio ragazze disagiate o da rimettere
sulla buona strada, come pecorelle disperse. Elke era albina e
quindi, poteva scommetterci, ai loro occhi peccatrice da redimere
senza appello; l'altra ragazza aveva sicuramente qualche peccato
sulla coscienza, anche se lui aveva non poche perplessità
sul grado
di giudizio delle suore verso ragazze che a volte peccavano solo a
causa di fame e disperazione.
Scosse
la testa mentre sentiva lo stomaco contorcersi; sapeva quanto fosse
difficile e dura la vita per le ragazze come loro e come le suore,
che a parole si prendevano cura di loro e delle loro anime, fossero
in realtà severe, manesche e a volte persino crudeli: in
cambio di
un tetto sulla testa e un piatto di minestra costringevano le ragazze
che accoglievano nel loro convento a lavori durissimi, usuranti, al
limite della schiavitù. Mordendosi il labbro, dilaniato da
mille
sensi di colpa, pensò che, data la situazione di Elke,
sicuramente
non aveva trovato di meglio dove andare. Il motivo per cui Elke fosse
a Bozen non lo conosceva, del resto non sapeva nulla della sua vita
negli ultimi tre anni, ma sapeva che avrebbe potuto essere
infinitamente migliore se lui non si fosse dimostrato tanto stupido,
orgoglioso e...
geloso?
Avrebbe
voluto uscire allo scoperto per portarla via con sé lontano
da
quella suora che la guardava severamente, ma le sue gambe sembravano
diventate di pietra, mentre lui si sentiva un enorme codardo.
La
suora scese alcuni scalini, avvicinandosi verso le due ragazze.
"Elke,
che vuol dire che non ce la fai da sola?".
La
ragazza alzò le spalle.
"Beh,
io venti chili di patate non riesco a portarli, dalla bottega a qui.
Sono pesanti. Vi prego, permettete ad Helena di venire con me e di
darmi una mano! Faremo prima e quando saremo indietro, potremo lavare
il refettorio. Sarà tutto pulito per l'ora di cena, giuro".
La
suora scosse la testa. "Il lavoro nobilita corpo e anima e solo
Dio sa quanto tu ne abbia bisogno. Purtroppo però sei una
buona a
nulla che non sa fare da sola le faccende che le vengono assegnate,
finendo per rallentare la quotidianità del convento". Si
voltò
verso l'altra ragazza che, silenziosa, attendeva di sapere il suo
destino.
"Helena,
vai con lei. Ma vi avverto, se scopro che perdete tempo a
bighellonare in giro, poi ve la vedrete con me e la mia verga. E
visto che siete in due, vi farete dare trenta chili di patate dal
fruttivendolo in modo da averne di scorta nel caso in cui il tempo
dovesse peggiorare e non si riuscisse ad andare a fare la spesa nei
prossimi giorni. Sì, trenta chili... O anche di
più, tanto siete in
due" concluse, lanciando alle ragazze un'occhiataccia molto
eloquente. Estrasse dalla tasca una piccola sacca contenente delle
monete, lanciandola a Elke che la prese al volo.
"Vi
voglio indietro entro un'ora o saranno guai".
E
così dicendo scomparve dietro la pesante porta in ebano del
convento.
Appena
le due ragazze furono sole, sul viso di Elke comparve un enorme
sorriso. Non sembrava per nulla turbata dalle parole della suora.
"Helena, ce l'abbiamo fatta, abbiamo un'ora libera, lontana da
questo posto e da Suor Faustine".
L'altra
ragazza, per nulla entusiasta, scosse la testa, sbuffando. "Ora
libera? Bell'amica che sei, Elke! Potevi essere la sola a spaccarti
la schiena oggi e invece...".
"E
dai, non lamentarti! In fondo lo dici sempre che odi aver sempre
attorno suor Faustine".
"Si
ma... Trenta chili di patate, santo cielo! Al solo pensiero mi viene
mal di schiena". Borbottando, la ragazza prese Elke per mano. "Avanti,
andiamo! Un'ora passa in fretta e in fondo hai ragione,
un attimo di respiro lontana da suor Faustine è un dono dal
cielo.
Che ne dici se ci facciamo una corsa veloce in piazza a vedere
l'abete addobbato, prima di andare a fare la spesa?".
Elke
però non parve troppo entusiasta dalla proposta. "A
quest'ora
le candele che addobbano l'albero sono ancora spente. Non mi va! E
poi lo sai che odio il Natale".
Helena
le prese il polso, costringendola a seguirla. "Tu devi essere
malata! Solo i malati odiano il Natale!".
"Non
è vero!".
"E
allora andiamo in piazza! La vista di un abete addobbato non ti
ucciderà ma, come dice suor Faustine, nobiliterà
il tuo animo"
– concluse, ridendo di gusto ed imitando la voce della suora.
Mascherando
un sorriso Elke la seguì e Mattheus la osservò
sparire fra i vicoli
assieme all’amica mentre le gambe gli cedevano. Si
lasciò cadere a
terra, vinto da un'onda di ricordi che facevano male; pensò
alla
notte di Natale di tre anni prima, quando Elke gli aveva confessato
di odiare quella festività, raccontandogli la terribile
esperienza
della sua infanzia e di quanto le aveva fatto il padre. Lei aveva
pianto e lui poteva ancora sentire le sue lacrime ed il caldo
abbraccio che si erano dati nel silenzio del bosco. Ricordava la sua
rabbia quando si era scagliata contro al tronco immaginando che fosse
suo padre, ma anche il suo sorriso davanti alla neve, alle statuine
del presepe ed allo zelten che avevano trovato sulla porta di casa.
Da un disastro si era trasformato in un Natale felice per entrambi:
era la prima volta che lei godeva appieno di quella festa e quel
sorriso era anche merito suo. Le aveva promesso che avrebbe fatto di
tutto perché i suoi Natali, da lì in avanti,
fossero felici, una
delle mille promesse che non aveva mantenuto.
Ora,
probabilmente anche a causa sua, lo spirito di Elke era tornato
solitario e triste come quella notte di Natale di tanti anni prima
quando suo padre l'aveva frustata a sangue. L'aveva delusa anche lui,
ferendola come avevano fatto tutti quelli che lei aveva incontrato
nel corso della sua vita. Elke gli aveva insegnato che, a differenza
di quello che lui pensava, non era diverso o migliore degli altri:
non era infallibile e, come tutti, sbagliava e ne pagava le
conseguenze.
Si
ritrovò ad interrogarsi su cosa fosse successo tre anni
prima
davanti a Lucius, cosa lo avesse spinto a reagire a quel modo. Poteva
anche prendersi in giro raccontandosi che era a causa del suo passato
e di Jakob, ma sapeva benissimo che quella era solo una piccola parte
della verità: lui era stato geloso, aveva perso la testa nel
vederla
così vicina a qualcun altro e accettare un fiore che avrebbe
dovuto
regalargli lui, non per ruffianeria ma per dirle grazie per le mille
attenzioni e premure che Elke aveva sempre avuto nei suoi confronti.
O anche solo, semplicemente, per farle piacere. Abbassò lo
sguardo,
vinto dai sensi di colpa, pensando a quando, quella notte, le aveva
fatto l’ennesima promessa non mantenuta di intagliarle una
statuetta all'anno da mettere nel presepe, come regalo.
'Avremmo
dato vita a un bellissimo presepe insieme, noi due...'.
Si
alzò in piedi, di scatto. In quell'istante tutta la sua
razionalità
svanì come se non fosse mai esistita, come se il suo
cervello avesse
perso il controllo delle sue azioni.
A
passi spediti si avviò fra i vicoli del centro storico, alla
ricerca
di qualcosa che non riusciva nemmeno lui a comprendere. Continuava a
camminare, spinto da una forza invisibile che lo guidava senza che
lui potesse opporvi resistenza. Probabilmente sembrava un pazzo, ma
non gli importava.
Si
fermò solo davanti alla bottega di un falegname e davanti
alla sua
insegna capì cosa stesse cercando.
Era
la cosa più folle e stupida che avesse mai fatto, ma dopo
aver
infranto mille promesse quella continuava a tormentare la sua anima,
accrescendo i suoi sensi di colpa.
Entrò
e, pagando sull’unghia senza perdere tempo contrattando sul
prezzo,
comprò un piccolo pezzo di legno ed un taglierino, per poi
correre
alla locanda chiudendosi dentro la sua stanza senza nemmeno cenare.
Si
gettò sul letto, osservando il pezzo di legno fra le sue
mani, un
piccolo ramo di abete lungo una ventina di centimetri.
Sospirò. Suo
padre era un maestro dell'intaglio e durante la sua infanzia, per
lui, aveva dato vita a statuette del presepe magnifiche che rimanevi
a guardare incantato per ore.
Lui
invece era un grande stregone, ma in quanto ad abilità
manuale non
era per niente al suo livello
Però
ci doveva, VOLEVA tentare!
Pensò
a cosa potesse fare, che forma dare al legno. Cosa poteva piacere a
Elke, quale statuina avrebbe amato mettere nel presepe? Scosse la
testa, rendendosi conto che probabilmente Elke non desiderava nulla
visto che odiava il Natale. E lui stava facendo la cosa più
stupida
che avesse mai fatto da quando era nato. Per una volta però
voleva
essere irrazionale e seguire il suo istinto.
"Sai
Mattheus, non è vero che non ho mai avuto amici, da piccola
avevo
Maike".
"Maike?".
"Si,
una lupa. Era mia amica, mi seguiva sempre, certe volte da lontano,
certe volte camminando al mio fianco".
Sorrise.
Forse una statuetta raffigurante una lupa sarebbe sembrata un
po’
fuori luogo in un presepe, ma in fondo anche lui da bambino ne aveva
voluta una a forma di orso. Decise che una lupa che potesse
ricordarle Maike forse era l'unica statua che Elke avrebbe apprezzato.
Lavorò
tutta la notte senza sosta; non era un bravo intagliatore e all'alba
aveva graffi e tagli su tutte e dieci le dita de mani. Quando
finì
il cielo era tinto di rosa, la mattinata era fredda e ventosa e
metteva i brividi solo guardando i candelotti di ghiaccio che
scendevano.
Era
stanco come se avesse vangato un intero campo, i suoi capelli erano
spettinati e ribelli, coi riccioli che ricadevano senza un ordine
preciso su spalle e fronte. Il letto era pieno di trucioli e
osservando la statuetta che aveva intagliato poteva notare mille
errori ed imperfezioni. Non era un gran che, soprattutto se
paragonata alle splendide statuine in legno esposte sulle bancarelle
natalizie della piazza. Ad essere onesti, anche se si era impegnato
al massimo, il risultato era davvero scarso: il muso del lupo era
imperfetto, così come le zampe troppo grandi rispetto al
resto del
corpo.
Si
gettò sul cuscino, esausto, senza riuscire a spiegarsi il
motivo di
questa nottata passata in bianco a massacrarsi le dita. Era come
trovarsi davanti alle azioni di un Mattheus sconosciuto.
Sospirando,
si tirò su, si diede una sistemata ad abiti e capelli, prese
le
ampolle dell'acqua da vendere e, dopo aver messo la statuina appena
intagliata in una tasca interna del mantello, uscì per
concludere
gli affari della giornata. Il Mattheus razionale gli aveva ricordato
che si trovava lì per vendere la sua acqua e non per
intagliare
statuette di legno.
Quella
mattina lavorò come sempre, maledicendo il freddo, ma
guadagnando
ancora di più che nei giorni precedenti. Qualcosa
però era cambiato
in lui: era distratto, poco interessato a quello che stava facendo,
con la mente lontana. La statuetta nel suo mantello sembrava pesare
tantissimo anche se era piccola ed insignificante. Eppure sembrava
avere vita propria, pulsando per ricordargli che era lì, che
lui gli
aveva dato vita e che ormai esisteva.
Tentò
inutilmente di scacciare quel pensiero e, vendute tutte le ampolle, i
suoi passi, invece che portarlo verso la locanda, lo guidarono verso
il convento dove il giorno precedente aveva visto Elke.
La
sua parte irrazionale aveva di nuovo preso il sopravvento,
esattamente come il giorno e la notte appena trascorsi. Si
rannicchiò
nello stesso vicolo, nascosto sotto il suo mantello e
aspettò,
chiedendosi cosa avrebbe fatto se l'avesse rivista.
Passò
lì tutto il pomeriggio, stupendosi della sua resistenza al
freddo
che si infilava fra i vicoli e che lo investiva senza pietà.
Era una
giornata serena ma gelida, come aveva potuto notare all'alba.
Scorgeva suore che entravano ed uscivano dal convento ed ogni tanto
qualche ragazza compariva con un sacchetto fra le mani pieno di sale
da spargere per sciogliere il ghiaccio sulla strada, ma nessuna di
loro era Elke.
Quando
iniziò ad imbrunire decise che aveva perso fin troppo tempo
e preso
troppo freddo. Si alzò, pronto a tornare alla locanda,
maledicendo
sé stesso ed il suo comportamento idiota; aveva perso ore di
sonno
per intagliare una statua orrenda che non avrebbe mai dato a nessuno
e preso tanto di quel freddo da rischiare una polmonite. Sarebbe
tornato alla locanda, avrebbe cenato con del brodo caldo e poi si
sarebbe messo a letto, davanti a un camino scoppiettante. Quella era
una serata intelligente, quello era un modo di vivere di una persona
dotata di cervello.
Stava
per andarsene quando il portone del convento si aprì e
udì una voce
conosciuta borbottare. Sussultò, mentre i suoi buoni
propositi di
andarsene svanivano nel nulla. Tornò indietro e riconobbe la
ragazza
che il giorno prima era insieme ad Elke. Gli sembrava di ricordare
che chiamasse Helena.
La
ragazza, stringendosi nelle spalle per il freddo, gettò
sugli
scalini altre manciate di sale.
"Accidenti
a queste dannate suore! Se non vogliono cadere quando vanno alla
Novena, potrebbero uscire loro a gettarlo, questo maledettissimo
sale!".
Mattheus
sorrise. Sembrava avere un carattere forte e battagliero e una
notevole lingua lunga. Non sapeva perché si trovasse in quel
convento, quali peccati dovesse espiare, ma a pelle gli sembrava una
persona piacevole. D'istinto le si avvicinò, estraendo dalla
tasca
la statuetta.
"Mi
scusi, posso disturbarla?" disse, guardandosi attorno guardingo
quando le fu davanti.
"No!
A meno che non voglia darmi una mano!".
"Veramente...".
Mattheus
si grattò il mento, in difficoltà. A Pennes le
donne a cui si
rivolgeva balbettavano qualcosa, rispondevano di sì a
qualunque sua
richiesta e poi, dopo un inchino, si dileguavano velocemente. Questa
Helena invece sembrava tutto fuorché intimorita dalla sua
presenza.
"Ho
solo bisogno di un attimo, signorina".
"Che
volete?" - sbottò lei, contrariata, lanciandogli
un'occhiataccia.
"Ecco,
dovrei darvi questa" – disse, lasciando scivolare la statua
del lupo nella mano di lei. Si calò ancora più
giù il cappuccio
del mantello, perché la ragazza non potesse vederlo troppo
in viso
mentre le parlava.
"Ecco,
potreste darla a qualcuno da parte mia, per favore?".
Helena
osservò la statuetta, improvvisamente incuriosita.
"E
a chi dovrei darla?".
Mattheus
sorrise, mentre il suo viso si addolciva, sotto al cappuccio.
"E'
per una ragazza bella, intelligente e in gamba. Una di quelle ragazze
che non si incontrano spesso nella vita e che te la sanno cambiare in
meglio".
Helena
si accigliò mentre un sorriso malizioso le compariva in
viso.
"Capisco... Un innamorato, è?".
Lo
stregone sospirò. In realtà avrebbe voluto
negare, ma non ne aveva
voglia. Voleva solo andarsene, sparire, rinchiudersi nella sua
locanda al caldo e cercare di capire il perché del suo
comportamento. Era innamorato? O era solo felice di averla rivista in
salute e perfettamente in grado di cavarsela? Oppure, semplicemente
per una questione di onore, aveva voluto tenere fede a una vecchia
promessa che forse Elke nemmeno ricordava? Non sapeva darsi una
risposta, o forse aveva solo paura di farlo. "Non ha importanza,
dagliela e basta".
Si
voltò, deciso ad andarsene, ma la voce di Helena lo
fermò
nuovamente. "Signore?".
"Che
c'è ancora?".
"Non
mi avete detto il nome della ragazza a cui dovrei consegnare questa
statuetta! E nemmeno il vostro. Questa lei vorrà sapere chi
glie la
manda".
Mattheus
sospirò ma non si voltò, incamminandosi verso la
locanda. "Elke,
lei si chiama Elke" – disse, non aggiungendo altro.
In
fondo non aveva importanza che lei sapesse che lui era a Bozen,
l'unica cosa che voleva davvero per Elke, come tre anni prima, era
che trovasse un motivo per sorridere e amare la magia del Natale.
E
con quel desiderio in testa, sparì fra i vicoli di Bozen.
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Capitolo 19 *** Capitolo diciannove ***
Capitolo
diciotto
Passò
nuovamente il panno umido sulla lunga tavolata in legno dove le suore
si erano riunite per cenare, poi ne sfiorò la superficie con
l'indice, verificando che non ci fossero più briciole di
pane o
unto.
Era
stanca ed infreddolita e non vedeva l'ora di finire il suo lavoro per
andare a dormire, quindi non voleva rischiare di attardarsi a causa
dell'ennesimo rimprovero per non aver svolto a dovere quanto gli era
stato ordinato di fare.
"Il
tavolo è pulito, smettila di perdere tempo! Hai ancora il
pavimento
del refettorio da pulire e se non ti sbrighi arriverà l'ora
della
colazione!".
Elke
sospirò davanti al tono duro della suora annuendo e
mordendosi la
lingua per non risponderle: controbattere a una suora non era bene e
non si era mai tradotto in nulla di positivo per lei quando ci aveva
provato. Suor Ghertrude non era come suor Faustine, borbottava, ma a
parte quello non aveva mai alzato le mani su di lei, nonostante il
suo tono di voce sempre tanto duro, per cui non era il caso di
contrariarla e inimicarsela.
"Si
signora".
Corse
verso il secchio d'acqua all'angolo del salone, strizzò il
panno in
esso contenuto e, in ginocchio, mattonella dopo mattonella,
pulì il
pavimento. Rimasta sola, fu veloce, più del suo solito, e
alla fine
poteva anche ritenersi soddisfatta. Stavolta la terribile suor
Faustine non avrebbe avuto nulla da ridire sul suo operato.
Spense
le candele che illuminavano la sala e percorse i corridoi ormai
deserti. Era buio e la serata era gelida persino per lei che aveva
una grandissima resistenza al freddo, tanto che tremava senza
riuscire a smettere. Il convento era enorme e per arrivare alla
minuscola stanza che divideva con un'altra ragazza doveva
oltrepassare il chiostro e gli orti interni, le celle delle suore,
l'orfanotrofio che queste ultime gestivano e infine salire in una
specie di torre con delle ripidissime scale a chiocciola. Lì
in
piccolissime e anguste stanze davano rifugio, in cambio di lavoro e
promessa di redenzione dagli errori passati, a una decina di ragazze
disperate come lei, che spesso non avevano altro luogo dove andare se
non quello. A Bozen ci era capitata per caso e per
curiosità, una
volta lasciata Pennes. Non aveva posti dove stare e una grande
città
poteva offrirle sicuramente qualche opportunità in
più dei piccoli
villaggi di montagna. Inoltre, in quanto albina e quindi peccatrice,
era stata subito accolta a lavorare nel convento per essere
ricondotta sulla retta via, come dicevano le religiose.
Nonostante
la severità delle suore, le botte, il dover confessare
peccati che a
ben pensarci peccati non erano, era sempre meglio quello rispetto al
nulla che la vita poteva offrirle: aveva pasti caldi, un tetto sulla
testa e una vita regolare, benché vincolata a regole
severissime.
Nel
convento vivevano un centinaio di suore, tutte impettite, severe e
dedite a recuperare anime che ritenevano perse, come la sua. Alcune a
volte si dimostravano più morbide, avevano una parola buona,
altre
non smettevano mai di guardarla come se fosse stata la peggiore
minaccia vivente di Bozen. Soprattutto suor Faustine, la più
severa,
quella che amministrava il convento, non le toglieva gli occhi di
dosso e aspettava come un falco una sua mossa sbagliata, un suo
errore, per colpirla con schiaffi e pugni e lasciarla senza cibo o
all'addiaccio, di notte.
A
tutte queste cose era ormai abituata, per cui cercava semplicemente
di scansare i guai come meglio poteva, anche se certe volte era
difficile, quasi impossibile stare zitta e non rispondere, soprattutto
da quando qualcuno
le aveva insegnato che tenere la bocca chiusa era da codardi e da
stupidi, rendendole difficile tacere.
Stanca,
raggiunse la porta malmessa della sua stanza, la aprì e si
stupì di
trovarla ancora illuminata dalla luce di una candela.
"Helena
ma che fai, sei ancora sveglia? Stasera che non era il tuo turno di
pulizie credevo saresti andata a dormire prestissimo"
mormorò,
entrando nella minuscola celletta che non aveva altro che due assi di
legno ricoperti di paglia come letto, un malmesso comodino e una
minuscola finestrella che dava sul cortile interno del convento.
Ma
non ebbe bisogno di chiedere altro, perché le
bastò entrare nella
stanza per capire il motivo per cui la sua amica, che adorava
dormire, fosse ancora sveglia.
"Ciao
Anna!" esclamò, rivolgendosi a una bimbetta di circa due
anni,
dai boccoli biondissimi che giocava sul letto con Helena. "Che
ci fa lei quì?" - chiese, sedendosi sul letto accanto
all'amica
e alla bambina.
Helena
alzò le spalle. "Ha un po’ di febbre e suor
Celeste mi ha
detto di tenerla qui per non infettare gli altri bambini. E'
incredibile, devo sperare che si ammali, per tenerla un po’
con
me".
Elke
abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. La vita di Helena
non era
stata per niente facile: rimasta orfana a quattordici anni si era
arrangiata come meglio poteva per sopravvivere, facendo ogni tipo di
lavoro. A vent'anni, si era innamorata di un uomo che a parole diceva
di amarla a sua volta, ma che di fatto non l'aveva mai sposata,
facendo di lei quello che gli faceva comodo e sparendo quando Helena
si era accorta di aspettare un bambino. E così, sola, senza
nessuno
a cui chiedere aiuto, incinta, era arrivata in quel convento dove era
stata additata come una donna di strada e, in ogni istante, le veniva
ricordato che essere madre senza essere sposata era un grave peccato.
Per garantire alla bimba un tetto sulla testa aveva dovuto accettare
di vederla di rado e di lasciarla accudire dalle suore che gestivano
l'orfanotrofio e che si ritenevano infinitamente migliori della
madre, nel crescere un bambino. Elke sapeva quanto Helena amasse sua
figlia, l'unica famiglia che le fosse rimasta, quanto soffrisse nel
saperla sempre lontana da lei e quando desiderasse regalarle una vita
migliore, ma purtroppo in quel momento nessun posto sarebbe stato
migliore di quel convento e delle sue regole, per loro. Avrebbe
potuto maledire l'uomo che l'aveva abbandonata con un figlio in
arrivo, lasciare la sua bimba alla ruota, di notte, e sparire per
ricominciare una nuova vita senza che nessuno l'accusasse di nulla,
ma non l'aveva mai fatto. Era una persona pratica che non recriminava
niente del suo passato e sapeva cogliere il bello in ciò che
le
offriva il presente: Anna. Pur di starle accanto o anche solo vederla
da lontano accettava tutto: lavoro duro, accuse ingiuste e mancanza
di libertà. La ammirava e la considerava una vera amica,
l'unica che
avesse mai avuto in vita sua, l'unica talvolta capace di evitarle dei
guai facendole capire quando stare zitta.
Helena
aveva un carattere forte, nonostante le sberle rispondeva a tono alle
suore e aveva sempre la risposta pronta su tutto; era un vulcano,
sempre in movimento e sempre pronta a borbottare per qualsiasi cosa.
Non la vedeva mai triste o intenta a compiangersi, ma al contrario
era sempre pronta a far valere le sue ragioni lottando
perché le
venisse riconosciuto il suo ruolo di madre, pur senza un marito
accanto.
Per
caso o per fortuna, erano finite a condividere la stessa stanza e da
subito erano diventate amiche. Si trovava bene in sua compagnia,
trovava piacevole il loro condividere quella vita difficile, e amava
alla follia la piccola Anna, sempre vivace e sorridente.
La
prese in braccio, sollevandola in aria e facendola ridere. "Ah,
secondo me non sta poi così male" - esclamò.
Helena
sospirò. "Come no! Guarda che guance rosse che ha! Stanotte
non
mi farà chiudere occhio".
"Ammettilo,
sei contenta che sia qui!" - ridacchiò Elke.
"Vai
al diavolo".
Elke
le fece la linguaccia. "Bugiarda!".
Helena
scoppiò a ridere, gettandosi sul pagliericcio. "Sai Elke,
credo
che ti nominerò zia onoraria di Anna e che te la
lascerò tutta
notte".
"Scordatelo.
E' dall'alba che sgobbo in convento, ho spazzato il pavimento della
Sacrestia, della Canonica, del refettorio e dei corridoi che portano
alle cellette delle suore. Voglio dormire!".
Helena
la guardò storto.
"Sei
una lagna! In inverno è meglio lavorare dentro, al caldo,
adoro
farlo quando è il mio turno! Pensa a me che oggi, con questo
gelo,
son stata fuori tutto il giorno a spalare neve e ghiaccio!".
Elke
sorrise, accarezzando i boccoli biondi di Anna.
"Beh,
domani dovrò farlo io e tu starai al caldo. Forse
è ora di dormire,
indipendentemente da dove saremo, domani sarà un'altra
giornata
dura".
"No,
aspetta, dimenticavo, non è ancora ora di dormire, devo
dirti una
cosa!".
Helena
si alzò dal letto di scatto, avvicinandosi a lei.
"Hai
un ammiratore segreto, mia cara!". Il suo sguardo si fece
malizioso e divertito. "C'è qualcosa che non mi hai detto?".
Elke
la guardò storto. "Sei matta? Di che diavolo stai parlando?".
Helena
frugò nella tasca del suo vestito, mostrandole poi la
statuetta di
legno che teneva nascosta. "Oggi è passato un tizio e mi ha
detto di darla a te! Un regalo da un uomo, Elke, vuol dire solo una
cosa, AMORE".
Elke
si accigliò, prendendo fra le mani la statuetta. La
guardò
stranita, rigirandosela fra le mani: raffigurava un lupo, anche se la
fattura non era perfetta, e non aveva la più pallida idea
del perché
qualcuno gliel'avesse fatta recapitare.
"Sei
sicura che è per me?".
"Si,
ha detto il tuo nome e un sacco di cose carine e romantiche su di te!
Da come parlava, sembrava qualcuno che ti conosce bene. E allora, mia
cara, racconta un po’ senza fare la finta tonta. Alle amiche
si
devono svelare i segreti di cuore".
Elke
scosse la testa. "Ma quale finta tonta, quali segreti di cuore?
Io non ho la più pallida idea di chi potrebbe farmi un
regalo! A
parte le persone del convento e i senzatetto che bivaccano in piazza
non parlo praticamente con nessuno. Hai visto se era qualcuno di
Bozen?".
"Macché,
aveva un mantello e un cappuccio ben calato in testa, non l'ho
praticamente visto in viso. E' stato tutto veloce, mi ha dato la
statuetta, mi ha detto di dartela ed è sparito".
"Non
ti ha detto il suo nome?".
"No".
Elke
prese nuovamente a rigirare la statuetta fra le mani, pensierosa.
Sorrise, debolmente. "Sai, da piccola avevo per amica una lupa.
Le somiglia". Guardò Helena, sinceramente incuriosita.
"Davvero
quella persona non ti ha detto nient'altro?".
"Te
l'ho detto, no. Ma da come parlava, secondo me era un innamorato".
A
quell'affermazione, Elke scoppiò a ridere. "Sì
certo, come no?
Ah, finiscila, per stasera hai detto fin troppe cavolate! Forse
è
meglio che ti ridia Anna, così almeno pensi a lei e la
smetti con
questa storia!".
Helena
prese la figlia in braccio, stringendola a se. La bimba
cercò di
divincolarsi per tornare a giocare, per nulla intenzionata a dormire.
"Io ad Anna ci penso! E pure a te. Forza, si vede che sei
curiosa".
"Beh,
un pò". Sollevò la mano che reggeva la statuetta,
rigirandola
in su e in giù, osservandone attentamente i dettagli.
"Che
fai?" - chiese Helena.
"Guardo
se per caso, da qualche parte, c'è qualche iscrizione che
possa
indicare la sua provenienza".
Helena
scoppiò a ridere. "E anche se ci fosse? Come faresti a...".
Smise di ridere, diventando di colpo seria. "Elke ma... tu sai
leggere?" - chiese, sospettosa e allo stesso tempo stupita.
A
quella domanda inaspettata, Elke si morse il labbro. Accidenti, era
una stupida, una dannatissima idiota! Si fidava ciecamente di Helena,
ma a Bozen non aveva mai detto a nessuno di saper leggere e scrivere
perché erano capacità malviste in una donna,
soprattutto albina.
Aveva già fin troppi guai con le suore, non doveva
permettere che ne
venissero a conoscenza o la sua vita, in quel convento, sarebbe
diventata estremamente difficile.
"Ma
no, figurati, è che...".
Helena
le si parò davanti, viso a viso. "Elke?".
E
Elke sospirò. "Non dirlo a nessuno, ti prego".
"E
no che non lo dico a nessuno, ma PORCA MISERIA, tu SAI leggere!
Caspita, sei la prima donna che conosco che sa farlo!".
"Shhh,
non urlare!".
"D'accordo,
scusa!". Helena incrociò le gambe, non muovendosi dal suo
letto. "Col cavolo che ora dormiamo, adesso tu mi racconti di
come hai imparato a farlo".
"Non
mi va di parlarne".
"Ma
lo farai lo stesso".
Elke
sbuffò. Helena aveva la testa dura e non avrebbe ceduto, a
costo di
non dormire tutta notte, finché non gli avesse raccontato
ogni cosa.
"Non
è niente di che, davvero. Ti annoieresti, se te lo
raccontassi".
"Lascialo
decidere a me, mia cara!".
Sospirando,
Elke si appoggiò con la schiena al muro. Non le andava di
parlarne,
non avrebbe nemmeno voluto tradirsi davanti a Helena, non avrebbe
voluto ricordare. Ma ormai il danno era fatto. "Quando me ne
sono andata dal mio villaggio, Tires, non sono venuta subito in
questa città, ma per alcuni mesi ho lavorato presso un uomo
a
Pennes, in val Sarentino, che sapeva leggere e scrivere. Gli ho
chiesto di insegnarmelo e lui l'ha fatto, tutto qui".
Era
una mezza verità, le dispiaceva mentire a Helena ma faceva
male
ricordare quanto invece fosse stato Mattheus a insistere
affinché
lei imparasse a leggere e scrivere e ancor più doloroso era
ricordare il calore della sua mano sulla sua, quando per la prima
volta l'aveva guidata a scrivere il suo nome.
Per
niente soddisfatta dalle sue parole, Helena la squadrò
attentamente
in viso. "Tutto qui?".
"Tutto
qui, ti avevo detto che non era interessante".
"Non
ti credo, Elke! Non sono molte le persone che sanno leggere e
scrivere, tanto meno in alta montagna. E sono ancora meno quelli che
si prendono la briga di insegnare a qualcuno che lavora per loro a
farlo. Parlami di quest'uomo... Se ti ha insegnato a leggere e
scrivere doveva essere qualcosa di molto di più di un datore
di
lavoro. Perché non sei rimasta con lui?".
Elke
finse di non notare le occhiate maliziose della sua amica, volse lo
sguardo verso la finestra e sperò con tutta se stessa che
quella
conversazione finisse il prima possibile. "Lui... non era quello
che sembrava".
"Sei
troppo misteriosa! Dici che non è una storia interessante,
ma credo
invece che lo sia e che quell'uomo non sia un tipo così
comune come
vuoi dipingermelo".
A
quell'affermazione Elke sorrise, nonostante tutto non riuscì
a farne
a meno. "Puoi giurarci! In giro non esistono persone come lui,
questo è sicuro. E' una persona che sa cambiarti la vita,
che riesce
a farti vedere tutto sotto una luce nuova e che riesce a sbalordirti
in ogni cosa che fa".
Non
disse altro, nonostante Helena le fosse amica non le avrebbe mai
raccontato di Jutta, delle fate del ghiaccio, degli gnomi e degli
unicorni. Aveva promesso di mantenere quel segreto e se lo sarebbe
portato nella tomba; adorava le creature delle montagne e mai le
avrebbe messe in pericolo rivelando al mondo la loro esistenza.
Nonostante quanto successo fra loro, Mattheus l'aveva resa partecipe
di quel segreto e non lo avrebbe mai tradito.
"Perché
te ne sei andata, allora, se era tanto speciale?".
Strinse
la statuetta nelle mani, convulsamente.
"Pensava
fossi la figlia del diavolo, come tutti gli altri. E proprio a causa
di questo si è preso gioco di me, sempre".
"Beh,
non sempre! Leggere te lo ha insegnato per davvero".
A
quelle semplici parole Elke sussultò, come se si fosse resa
conto
solo in quel momento di quella realtà. Non aveva mai pensato
a
quell’aspetto.
"E
comunque, andartene per il fatto che ti ritenesse la figlia del
diavolo!?". Helena scoppiò a ridere, facendo sussultare la
piccola Anna che, fra le sue braccia, tentava di addormentarsi. "Ma
Elke, tutti qui lo pensano! A parte me, ti sfido a trovare una
persona che non ne sia convinta. Eppure non te ne vai".
Elke
abbassò il viso, triste o forse rabbiosa. O entrambe le
cose.
Ricordava gli ultimi istanti con Mattheus, la sua durezza, la sua
rabbia e le sue parole, e quel ricordo ancora sapeva farle male e
farla soffrire come allora. "Non mi importa di quello che pensa
la gente di qui, ma mi importava di quello che pensava LUI. E ora
basta parlarne, voglio dormire" –concluse, in tono secco. Si
sentiva infinitamente stanca, come se parlare di Mattheus avesse
prosciugato ogni sua energia.
Davanti
al suo tono di voce, Helena tornò improvvisamente seria. La
studiò
in viso alcuni istanti, poi, stupendola, annuì senza
protestare e
con la figlia in braccio tornò al suo letto. "Come vuoi.
Forse
è davvero meglio dormire, è tardi. E Anna ha
bisogno di riposo".
"Già".
"Elke?"
- chiese Helena, stringendo a se la bimba – "Credi che domani
Anna starà bene?".
A
dispetto di tutto, Elke sorrise. In quel momento avrebbe desiderato
come non mai avere fra le mani una delle ampolline con l'acqua del
lago di Valdurna che sapeva guarire le persone. "Certo, è
solo
un pò di febbre e ai bambini capita spesso. Domani
sarà come
nuova".
"Speriamo!
Se starà bene farò in fretta le mie commissioni e
poi nel
pomeriggio me la porterò in piazza, a vedere l'albero e lo
spettacolo dei giocolieri".
"Sei
matta? Non ti permetteranno mai di portarla via!".
Helena
scosse la testa, risoluta. "Al diavolo, è mia figlia! E
voglio
proprio vedere come faranno a impedirmi di fare una passeggiata con
lei! Quando Anna, da grande, penserà al Natale, voglio che
si
ricordi di ME e non di suor Faustine o di suor Marie o di chiunque
altra che non sia io".
Elke
sospirò. "Ti caccerai nei guai!".
"Non
importa".
Nessuna
delle due parlò più, spensero la candela e sulla
camera cadde un
silenzio pesante. Elke si rannicchiò sotto le coperte,
rigirando
ancora fra le mani la statuetta. Era stata una serata pesante,
soprattutto a causa della conversazione avuta con Helena; parlare di
Pennes, di Mattheus e di quella che era stata la sua vita quando
viveva in Val Sarentino faceva ancora molto male e per questo, negli
ultimi tre anni, aveva cercato con tutte le forze di dimenticare. Ma
c'erano momenti in cui non ci riusciva e provava nostalgia del
periodo vissuto a Pennes, dei volti di Falko e Drago e si, anche di
Mattheus, del suo modo di scherzare o di parlarle. O di quando
l'abbracciava. In quei tre anni aveva maturato la certezza che si
fosse preso gioco di lei fin da subito e che non avesse fatto altro
che ridere di lei e della fiducia che gli aveva accordato. Eppure,
nonostante tutto, in alcuni istanti sentiva la sua mancanza...
'Fingevi,
ma sapevi farlo molto bene...'.
Le
risultava ancora molto difficile capire che persona fosse Mattheus
perché lo stregone, nascondendosi dietro la sua facciata
sfrontata e
sfuggente, difficilmente permetteva alle persone di conoscerlo
davvero. In realtà con lei era sempre stato, a modo suo,
gentile e
le aveva insegnato a vivere in maniera diversa, ad amarsi e a
combattere il male che le veniva fatto senza giustificarlo. Era stato
un buon maestro, un buon amico anche, eccetto quel giorno quando di
colpo tutto era cambiato e lui le aveva mostrato un lato di se che
lei non riusciva a comprendere e che, peggio ancora, non voleva
conoscere. Il suo sguardo era diventato serio, rabbioso, le aveva
fatto del male senza che lei avesse fatto nulla per meritarselo e
l'aveva ferita, sapendo bene come e dove colpirla. Dopo aver visto
questo suo lato era scappata, non avrebbe mai potuto restare:
Mattheus era stata l'unica certezza che la vita le aveva dato e in un
attimo tutto era crollato, si era sentita di nuovo sola e indifesa
come quando era bambina e andarsene era stata l'unica strada
percorribile, nulla sarebbe più stato come prima se fosse
rimasta.
Eppure,
nonostante cercasse di mettersi in testa che non importava, che lui
era uguale a tutti gli altri, certe volte si trovava a chiedersi
quale fosse il vero Mattheus: quello che l'aveva abbracciata e
sorretta la notte di Natale, quello che con pazienza le aveva
insegnato come tenere in mano una penna e a leggere e scrivere o
quello di quegli ultimi istanti, che le stringeva i polsi fino a
farle male e la guardava con odio, dicendole che era una strega? Non
lo avrebbe mai saputo, di certo non avrebbe più rimesso
piede a
Pennes e difficilmente lo avrebbe rincontrato per cui era inutile
tormentarsi continuando a chiedersi tutte queste cose, soprattutto
perché sicuramente lui non lo stava facendo e si era
dimenticato
persino della sua esistenza.
Si
rigirò nel letto, rifugiandosi con la testa sotto la coperta
e
cercando di dormire, ben sapendo che non ci sarebbe riuscita, come
era capitato ogni volta che per qualche motivo si era trovata a
pensare a lui e al periodo in cui aveva vissuto a Pennes. Era
impossibile non chiedersi come stessero Jutta, Falko e Drago, quanto
fosse cresciuto il piccolo Blue, cosa facessero gli gnomi della
foresta, quanta neve ci fosse e mille altre cose. Le mancavano quei
posti e le mancavano le montagne e la sensazione di libertà
che
sapevano regalare a chi viveva fra esse.
E
poi c'erano i ricordi. Avrebbe desiderato prendersi qualche malattia
che cancella la memoria, pur di non ricordare: ricordi di giorni
felici o di giorni passati a faticare su e giù per le
montagne,
ricordi di serate passate davanti al camino mentre fuori nevicava, a
chiacchierare con Falko e Drago o ad imparare a leggere e a scrivere.
Era stato tanto paziente con lei ed era così difficile
convincersi
che fingesse. Anche se era scaltro, anche se prendersi gioco della
gente era il suo mestiere, difficilmente gli era mai venuto il
sospetto che con lei non fosse sincero.
E
poi c'era un altro ricordo, quello che la tormentava più di
tutti.
Una tormenta di neve, di quelle che in montagna ti colgono di
sorpresa, che li aveva investiti di ritorno da un villaggio vicino a
Pennes dove si erano recati per vendere alcune ampolle d'acqua, circa
dieci giorni prima che lei se ne andasse. Fu proprio in
quell'occasione che per la prima volta Mattheus le mostrò un
lato di
lui più gentile e sensibile, togliendosi la sua solita
maschera di
scherno e sfrontatezza che di solito indossava con tutti. Un momento
in cui, forse, le aveva aperto uno spiraglio per farsi conoscere
davvero.
Avevano
trovato rifugio per la notte in una piccola baita abbandonata,
c'erano troppa neve e vento ed era troppo difficoltoso tentare di
raggiungere Pennes per cui, anche se Falko e Drago, rimasti a casa,
si sarebbero preoccupati non vedendoli tornare, non avevano potuto
fare altro che arrendersi all'evidenza di quella sosta forzata.
"Ecco
fatto, quanto meno son riuscito ad accendere il camino! Non moriremo
di freddo, qui".
Lei
si era seduta, sospirando. "Falko e Drago saranno
preoccupatissimi, non vendendoci tornare".
"Ah,
figurati! Staranno già dormendo come ghiri quei due, al
caldo.
Neanche se ne accorgeranno! E del resto, io non ho proprio voglia di
morire congelato per loro".
Sospirò.
"Beh, nemmeno io. Però...".
Mattheus
le si avvicinò, pizzicandole scherzosamente una guancia.
"Non
stare a perderci il sonno e smettila di preoccuparti per loro. Ti
ricordo che in mezzo alla tormenta ci siamo NOI! Mettiti a dormire e
riposa, domani la strada di ritorno, con tutta questa neve,
sarà
massacrante".
Si
guardò intorno, pensierosa, rendendosi conto che per la
prima volta
da quando lo conosceva, si trovava a dividere una stanza per dormire
da sola con Mattheus. Beh, era successo pure a Natale, quando si era
addormentata sul suo letto dopo la partita a scacchi coi nani, ma
quella volta, appunto, c'erano Falko e Drago con loro. "Mattheus,
ma non credi che sia sbagliato dormire qui, insieme? Insomma, non
dovremmo farlo, non siamo sposati".
Lui
l'aveva guardata storto, pensieroso per un attimo. Poi era scoppiato
a ridere. "Cosa c'è di male? Mica bisogna essere sposati per
dormire con qualcuno. E comunque, ragazzina, ti spiego una cosa".
Si era chinato davanti a lei, mettendole una mano sulla spalla. "Ti
assicuro che nei luoghi solitari come questo ci vengono molte coppie
non sposate. E succedono cose assolutamente interessanti" –
concluse, dandole un leggero pizzicotto sulla guancia. Poi si
alzò,
stiracchiandosi. "Ma sta tranquilla, non mi passa neanche per la
mente di fare alcunché, ragazzina".
"Non
sono una ragazzina".
"Oh
si che lo sei! Se non lo fossi, questa conversazione non avrebbe
luogo. E ora basta dire stupidaggini, è ora di dormire".
Rimase
per un attimo attonita, in silenzio, a guardarlo preparare un
giaciglio improvvisato per la notte. Poi, d'istinto, decise che non
voleva chiudere la discussione. "Perché non ti sei mai
sposato?
E' perché i tuoi genitori non ti hanno scelto una moglie?".
Lo
vide spalancare gli occhi, sorpreso. "Che c'entrano i miei
genitori?".
"Beh,
i miei genitori ci pensavano, per le mie sorelle. Cercavano per loro
un buon partito per stare tutti meglio. Funziona così, no?".
Mattheus
scosse la testa, accigliato. "Sei proprio una ragazzina, per
davvero!".
"Che
ho detto di male?".
"Ti
fidi ciecamente, ancora, delle decisioni dei tuoi genitori e non ti
viene in mente che possano anche aver commesso molti errori.
Sì, a
volte succede così, a volte i matrimoni sono combinati. E se
vuoi
saperlo, credo sia la cosa più idiota del mondo. La gente
dovrebbe
decidere di dividere la sua vita con qualcuno che ama, con cui sta
bene e con cui si senta completo e che la condizione economica non
vada assolutamente considerata nel matrimonio. E' difficile vivere
giornalmente con qualcuno che si ama e lo è ancora di
più farlo con
una persona a cui non tieni. No, non ho una moglie perché i
miei
genitori non ne hanno scelta una per me, ma perché io non ne
ho mai
avvertito il bisogno e non lo avvertirò nemmeno in futuro.
Sto bene
così. E comunque, per finire il discorso, non c'è
bisogno di un
anello al dito per amare, ricordatelo".
"Dici
così perché nessuno vorrà mai
sposarmi?".
Mattheus
alzò le spalle. "Vuoi farlo?".
"No,
non ci ho mai pensato. E poi nessuno vuole sposare una ragazza
albina".
Lo
stregone scosse la testa. "Il freddo deve averti paralizzato il
cervello, stai dicendo un sacco di stupidaggini stasera. Non puoi
sapere cosa succederà in futuro, piccola saputella!".
"Allora
non puoi saperlo nemmeno tu che non vorrai mai una moglie".
A
quelle parole credeva che lui avrebbe controbattuto senza problemi,
invece per un attimo rimase zitto, quasi fosse rimasto colpito da
quella sua semplice battuta. E infine, inaspettatamente
scoppiò a
ridere. "Ok, FORSE hai un po’ ragione, uno a zero per te. Ma
dubito succederà. E ora, mettiti a dormire".
Per
farlo contento, sbuffando, si gettò sul pagliericcio della
baita,
accanto al fuoco. "Mattheus?".
"Elke
ti prego, basta, abbi pietà e lasciami dormire!".
"Devo
solo chiederti una cosa ancora". Si voltò verso di lui,
appoggiando il mento a una mano. "Quelle persone che non sono
sposate e vengono in posti isolati come questo...".
"Sì?".
Arrossì,
senza capirne il motivo. "Sei qui, solo con me. Non ti viene
proprio mai in mente che io...".
Qualunque
cosa lei volesse dire, lui la bloccò, subito. Anche se
stavolta il
suo tono di voce era meno sicuro e ironico di quanto lo era stato
poco prima. Sembrava in difficoltà. "No, fossi matto! Te
l'ho
detto, sei solo una ragazzina, una ragazzina che ora starà
zitta e
si metterà a dormire senza farmi altre domande".
"Non
me l'hai nemmeno fatta finire, la domanda".
Lui
si voltò dalla parte opposta , evitando di guardarla in
viso. "Non
ce n'è bisogno".
"Perché
non vuoi rispondermi e non vuoi farmi parlare?".
"Perché
questa è la conversazione più stupida che abbia
mai sostenuto in
vita mia".
"Io
non ho sonno" – borbottò lei.
Mattheus,
rannicchiato sotto il suo mantello, alzò le spalle. "Io
sì.
Buona notte".
Con
un sospiro, si arrese all'idea che lui non le avrebbe detto altro. Si
rimise a sedere sulla paglia, prendendo dalla sacca di viaggio di
Mattheus delle erbe aromatiche da battere fino a renderne poltiglia,
da mischiare con dell'acqua per farne uno sciroppo. In fondo, se non
riusciva a dormire, tanto valeva lavorare.
"Elke,
che stai facendo? Devi dormire, accidenti!".
"Te
l'ho detto, non ho sonno! Mi porto avanti col lavoro, così
quando
arriveremo a casa non avremo più niente da fare e potrai
già
vendere lo sciroppo".
Mattheus
sospirò. "Fa come ti pare, mi arrendo".
Non
aggiunse altro e in breve si addormentò. Lei si mise
silenziosamente
al lavoro, battendo delicatamente le foglioline con una piccola
pietra, fino a renderle un composto denso e verdastro. Poi, attenta a
non fare rumore, uscì a prendere della neve con un vecchio
secchio e
infine la fece sciogliere accanto al fuoco del camino, mettendosi a
lucidare delle piccole ampolle di vetro vuote che Mattheus aveva
portato con se. Una volta pulite, poteva riempirle con lo sciroppo.
Rovesciò le erbe tritate nel secchio d'acqua e
mescolò con un
bastoncino di legno, fino ad amalgamare ogni componente, e poi,
aspettando che il tutto si condensasse alla perfezione, le venne
un'idea per rendere ancora più potente il medicinale. Dalla
sacca di
Mattheus tirò fuori delle piccole foglie secche di rosmarino
che
sbriciolò fra le mani, per poi farne cadere la polvere nel
secchio.
E rimescolò il tutto, silenziosamente.
Nella
baita c'erano un silenzio e un calore piacevoli e solo lo scoppiettio
del fuoco nel camino regalava dei piccoli rumori, ogni tanto. Fuori
continuava a nevicare intensamente ma lì dentro la bufera
appariva
lontana, ovattata e per niente minacciosa. Nonostante non riuscisse a
dormire e la mezzanotte doveva essere passata da un bel pezzo, si
sentiva bene. Era talmente assorta e rilassata nel suo lavoro che
quasi sussultò quando sentì la mano di Mattheus
che, gentilmente,
si posava sulla sua spalla. Si era svegliato ed era giunto alle sue
spalle col tatto silenzioso di un gatto. "Ma sei ancora
sveglio?" - chiese, voltandosi verso di lui.
Mattheus,
a pochi centimetri da lei, le si sedette accanto. "Ho dormito
poco e male. Non mi va di stare a poltrire mentre una ragazza sgobba
per me".
A
quelle parole, non riuscì a non sorridere. "Ma se
è quello che
io e i nani facciamo sempre, tu comandi e noi lavoriamo" –
rispose, quasi divertita.
Anche
lui sorrise. "Beh, ma io so anche essere un gentiluomo, di tanto
in tanto, sai?".
"Oh,
sono sicura che ne sei capace. Il problema è che non lo sei
quasi
mai. Comunque non è un problema, non ho sonno e trovo questo
lavoro
piacevole e rilassante".
Mattheus
osservò il secchio con lo sciroppo, pensieroso. "Cos'hai
fatto?".
"Quello
che avresti fatto tu, uno sciroppo per la tosse. Ho pestato le erbe,
scaldato l'acqua e ho mescolato il tutto. Alla fine ci ho aggiunto
anche un po’ di rosmarino secco però, è
un buon sedativo per la
tosse e potenzierà l'effetto delle altre erbe. Potrai
venderla bene
e sarà un ottimo rimedio per chi lo comprerà".
Credeva
che avrebbe borbottato per il fatto che avesse cambiato ingredienti
alla sua ricetta originale, ma Mattheus non lo fece. E in quel
momento fu come se qualcosa fra loro cambiasse. Lo stregone la
guardò, quasi rapito, in un modo così diverso dal
solito. Le
sorrise, dolcemente, e poi con la mano raggiunse la sua nuca,
attirandola a se e posandole un delicato bacio sulla fronte. "Sai
Elke" – sussurrò fra i suoi capelli, mentre la
stringeva in
un abbraccio – "Sei davvero una brava assistente".
Per
un attimo non seppe cosa dire, cosa fare. Nessuno l'aveva mai
abbracciata a quel modo né tanto meno le aveva dimostrato
affetto
con un bacio e di certo non si aspettava che lo facesse un tipo che
fuggiva ai legami e ai sentimenti come Mattheus. Si sentiva goffa,
impacciata, stupida. Nessuno le aveva mai insegnato come reagire
all'affetto di qualcuno e si sentì davvero una ragazzina,
come
l'aveva definita lui poche ore prima. Era un qualcosa di inaspettato,
di nuovo per lei e per loro, unito alla consapevolezza che lui non
stesse scherzando e che le stesse mostrando un lato di se stesso che
teneva ben celato al mondo. Non sapeva perché proprio in
quel
momento o cosa avesse fatto di tanto speciale rispetto al solito per
meritarsi quell'abbraccio, ma qualcosa in quella baita era cambiato
in loro, fra loro. La voce di Mattheus non le era mai sembrata tanto
calda e gentile e le sue labbra, sulla sua fronte, avevano lasciato
come una scia di fuoco. E per un istante pregò che quel
momento non
finisse mai e che la tenesse con lui per sempre, vicina come in quel
momento.
"Elke?".
"Dimmi".
La
abbracciò ancora più forte, tanto che fu
costretta a far cadere il
bastoncino con cui aveva girato lo sciroppo poco prima. "Sai, la
domanda di prima, quella a cui non ho voluto rispondere?".
"Non
era nemmeno una domanda, non mi hai lasciato il tempo di finirla e
non sai cosa volevo chiederti".
"Beh,
non importa Elke. Qualunque cosa tu volessi dire, mi fai un favore?".
"Certo".
Le
sorrise, scompigliandole delicatamente la frangetta sulla fronte.
"Beh, cerca di crescere in fretta".
Le
pareti grigie della sua stanza nel convento sembravano soffocarla e
come quella notte di tre anni prima, non riusciva a dormire. Si diede
nuovamente della stupida, imponendosi di smetterla di rigirarsi nel
letto perché avrebbe finito con lo svegliare Anna ed Helena.
Sfiorò
la statuetta in legno che un qualche strano sconosciuto aveva
lasciato per lei e si chiese chi fosse e il motivo di quel regalo.
Non trovò risposta e decise che era il momento di smetterla
di
pensarci, sia a quel regalo, sia al suo passato. Era solo una perdita
di tempo e lei aveva bisogno di dormire, o il giorno dopo non avrebbe
combinato niente e sarebbero stati guai.
Chiuse
gli occhi e per un attimo le parve di sentire ancora sulla fronte il
calore delle labbra di Mattheus. Non seppe perché, ma quella
strana
sensazione finì col calmarla. E
lentamente scivolò nel mondo dei sogni.
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Capitolo 20 *** Capitolo venti ***
Capitolo
diciannove
Non
avrebbe voluto ripercorrere quella via, né tanto meno
entrare in
quella casa del centro davanti al convento dove viveva Elke, ma
l'insistenza della signora Ziegler, moglie di uno dei conti
più
influenti e potenti della città, che l'aveva pregato di
portare a
casa loro trenta ampolle della sua acqua per curare la gotta del
marito, l'avevano costretto a farlo: non solo perché un
conte poteva
pagare cifre interessanti per ottenere quel che voleva, ma anche
perché avrebbe anche potuto essere un buon trampolino di
lancio
verso altri nobili di Bozen con cui concludere affari in futuro.
Era
stato un buon pomeriggio quello, gli aveva regalato un guadagno
interessante e cospicuo. Se uno ha tanti soldi da spendere per un
capriccio, dopo tutto, perché non approfittarne gonfiando un
po’ i
prezzi?
Dopo
aver ridisceso le scale del palazzo degli Ziegler, uscì con
circospezione sulla strada, osservando chi stazionava davanti al
convento. Quando era arrivato, poche ore prima, non c'era nessuno e,
con un po’ di fortuna, non avrebbe trovato nessuno neppure
adesso.
Si sentiva stupido e si stava nascondendo come un ratto senza motivo,
ma non se la sentiva di rischiare di ritrovarsi davanti Elke. Si rese
conto che non avrebbe saputo cosa fare in quell'eventualità
e se ne
stupiva: lui aveva sempre avuto la risposta pronta e la lingua
più
lunga di tutti, il tutto accompagnato da una sicurezza incrollabile
davanti alle altre persone. Elke invece sapeva mettere a nudo ogni
sua debolezza e non voleva gestire dei sentimenti tanto contrastanti
e forti da spaventarlo. Voleva abbracciarla, voleva sentire la sua
voce, voleva sentirla ridere e scherzare con lui come una volta e
allo stesso tempo ne aveva paura, perché queste non
sarebbero state
di certo le sue reazioni, se l'avesse avuto davanti. Non sapeva cosa
Elke provasse per lui, quali ricordi conservasse del periodo vissuto
insieme a Pennes e nemmeno se l'aveva perdonato per il modo in cui si
era comportato con lei. Non sapeva nemmeno se desiderasse vederlo e
preferiva nascondersi, piuttosto che scoprirlo.
Sbirciò
in strada e maledisse il destino e la sua enorme sfortuna
perché Elke era lì intenta a spalare la strada e
le scale del convento da
neve e ghiaccio, esattamente come due giorni prima. Probabilmente era
un lavoro che le ragazze del convento facevano a turno e lui era
capitato, per la seconda volta, proprio quando c'era lei. Non era
sola, con lei c'era un'altra ragazza che però non era la
stessa a
cui aveva consegnato la statuetta il giorno prima. Era più
giovane e
minuta, con lunghi capelli rossi e una marea di lentiggini in viso.
Poteva avere forse quindici, sedici anni al massimo ed era talmente
magra che Mattheus si chiese come potesse fare un lavoro tanto
pesante, per di più al freddo.
Guardò
Elke mentre con la pala, cercava di rompere lo strato di ghiaccio che
si era formato sulle scale e che, dalla faccia stravolta della
ragazza, doveva essere duro come la roccia d'alta montagna.
"Dannazione,
non si scioglie nemmeno col sale, questo ghiaccio sembra
indistruttibile!". Elke sbottò, picchiando il bastone della
pala su uno degli scalini.
La
ragazzina dai capelli rossi sospirò, affranta, sfregandosi
le mani
per scaldarsi dal freddo pungente. "Come facciamo? Dobbiamo
pulire la strada e poi il refettorio e non finiremo mai di questo
passo".
"No,
infatti!". Elke sorrise, un sorriso impercettibile che
sfuggì
alla ragazzina, ma non a Mattheus.
"Senti
Olga, ho un'idea! Entra e inizia tu le faccende in refettorio e io
proseguirò da sola qui. Spargerò altro sale e
prima o poi il
ghiaccio si scioglierà. Così tu potrai stare al
caldo e ti porterai
avanti col lavoro e io, quando avrò finito, verrò
dentro a darti
una mano. In due, qua fuori, siamo perfettamente inutili come vedi".
"Davvero
posso andare a lavorare dentro?".
Elke
annuì. "Certo, non c'è problema".
Mattheus
alzò gli occhi al cielo. "Dannazione Elke, tu dalla vita non
hai imparato proprio niente!".
Era
talmente frustrato che sarebbe uscito allo scoperto solo per urlarle
in faccia che decidere di lavorare al freddo, quando invece avrebbe
potuto evitarlo ed entrare lei stessa nel convento, era la cosa
più
idiota che avesse mai fatto. "Non imparerai mai, ragazzina...".
La
piccola Olga annuì, correndo verso l’interno.
Mattheus era
convinto che Elke si sarebbe rimessa subito a lavorare, ma con suo
stupore non lo fece. La ragazza si guardò attorno con aria
guardinga, come per controllare che non ci fosse nessuno, e poi
fischiò.
Mattheus
si accigliò. Era un richiamo per qualcuno, quello? Era come
se Elke
avesse deciso deliberatamente di rimanere da sola in strada, ora che
ci pensava. Forse non era così altruista e follemente
ingenua come
aveva pensato pochi istanti prima: era cambiata e si rese conto che
forse doveva cominciare a guardarla con occhi diversi. Questo in un
certo senso lo riempiva d'orgoglio ma anche di tristezza
perché
forse quella ragazzina dolce e ingenua di tre anni prima non esisteva
più. Sospirando si rannicchiò dietro al muro che
lo nascondeva alla
visuale ed attese, curioso di sapere cosa sarebbe successo.
In
due minuti, da una porticina laterale, comparve Helena, l'amica di
Elke a cui aveva dato la statuetta il giorno prima. Imbacuccata in un
vecchio e logoro mantello e con in braccio una bimbetta di pochi
anni, la ragazza sgattaiolò vicino ad Elke. "Sicura che non
ci
sia nessuno e che Olga si sia tolta dai piedi?".
Elke
annuì, prendendole dalle braccia la bambina. "Certo! E ora
sbrigati a sparire che se qualcuno si accorge che hai preso Anna
dall'orfanotrofio saranno guai per te e anche per me che ti sto
coprendo le spalle. Cerca di tornare presto".
Con
un gesto veloce, Helena si calò il cappuccio del mantello
sulla
testa. "Ma certo, non voglio mica rapirla! Voglio solo fare una
passeggiata in piazza con lei per farle vedere l'albero addobbato.
Sarò di ritorno prima che qualcuno si accorga della sua
assenza”.
Elke
sospirò, ridandole in braccio la bambina. "Sparisci"
–
le intimò, nervosa.
Mattheus
scosse la testa, preoccupato. Ora cominciava, a sprazzi, a capire la
situazione. E non gli piaceva affatto. Helena stava portando via dal
convento, senza permesso, una bambina che probabilmente era sua
figlia o comunque qualcuno a cui era legata e Elke le stava dando una
mano, coprendola. Se qualcuno si fosse accorto dell'assenza della
bambina entrambe avrebbero passato guai non indifferenti. Non che non
approvasse quel che stavano facendo, ma stavano sfidando la sorte
senza avere i mezzi per fronteggiare eventuali conseguenze.
Però...
Sorrise. Elke era rimasta la persona coraggiosa di una volta,
irresponsabile, ma con più fegato di mille uomini messi
insieme. Era
stata una buona amica per lui e non aveva alcun dubbio che fosse una
buona amica anche per quella Helena e che per lei fosse disposta
anche a correre dei rischi, se necessario. Questa era Elke, una
persona dall'animo buono e gentile. Non era cambiata poi
così tanto
da quando viveva con lui, dopotutto.
Improvvisamente
la porta del convento si spalancò, sbattendo con violenza
contro il
muro e facendo sobbalzare sia lui che le due ragazze.
Mattheus
deglutì, mentre una strana ansia prendeva possesso di lui.
La
suora di due giorni prima, quella che aveva obbligato Elke ed Helena
a portare una quantità enorme di patate, era di nuovo
davanti a loro
e aveva una faccia talmente minacciosa e rossa d'ira da far tremare
persino lui che non c'entrava nulla. Si accucciò dietro il
muro,
pronto ad intervenire se fosse stato necessario.
La
suora scese le scale, lentamente, a dispetto della furia che si
leggeva sulla sua espressione, quasi amasse il vedere il terrore
dipinto sullo sguardo delle ragazze al suo cospetto.
Quando
fu davanti a loro sulle prime non disse nulla, mentre un silenzio
pensante cadeva fra di loro. D'improvviso la suora si
avventò contro
Helena, con violenza, dapprima strappandole dalle braccia la bambina
che di tutta risposta scoppiò a piangere terrorizzata, per
poi farla
stramazzare a terra con un forte pugno nello stomaco.
Helena
tossì e lacrime involontarie le solcarono il viso, mentre
Elke la
osservava con terrore.
La
suora piantò gli occhi su di loro, facendo vagare lo sguardo
dall'una all'altra, senza sosta, mentre i pianti della piccola
spezzavano il silenzio del pomeriggio.
"Non
avete pudore, razza di svergognate! Venite qui a mangiare e dormire
gratis usufruendo della mia carità, infrangete le mie regole
e
pensate di fregarmi. Solo due creature del demonio come voi
potrebbero farlo, maledette! Rapire una piccola innocente, strapparla
dal nido sicuro del convento per portarla chissà dove, a
fare chissà
cosa. Non riesco nemmeno ad immaginare cosa avreste potuto fare a
questa bambina che fino a ieri aveva pure la febbre. Siete due
maledette irresponsabili!".
"E'
mia figlia!" urlò Helena, rialzandosi a fatica da terra, con
la mano poggiata sullo stomaco ancora dolorante. "Non la sto
rapendo, Anna è mia!".
"Tu...".
La suora si avvicinò a lei, minacciosa, stringendo
convulsamente a
se la piccola. "Anna la hai affidata a noi ed è l'unica cosa
buona che hai fatto per lei, razza di svergognata. E' una creatura
pura e innocente che rischia di contaminarsi a contatto con un'anima
corrotta come la tua, Helena. Per Anna sarebbe stato meglio che tu
fossi morta il giorno in cui l'hai partorita".
"Come
osate?".
Helena
fece per affrontarla, corpo a corpo, rossa d'ira come e più
della
suora. Mattheus poteva comprenderne sia lo stato d'animo che la
rabbia dell'essere privata della sua bambina e la frustrazione di non
poter sfuggire a quella situazione di miseria che la costringeva a
vivere in quel posto. Era in un vicolo cieco. Osservò Elke,
rimasta
per un attimo in disparte, sperando invano stesse zitta e non si
intromettesse peggiorando la sua già precaria situazione.
Quasi
leggendogli nel pensiero, e facendo ovviamente il contrario di quello
che sperava, Elke si avvicinò alla suora di alcuni passi.
"Non
voleva rapirla ma solo fare una passeggiata con la sua bambina".
"Già,
due passi, mezz'ora con lei, solo io e Anna per una volta" -
concluse Helena, rabbiosa e allo stesso tempo ferita.
In
risposta la suora la colpì in pieno viso con un violento
schiaffo,
facendola ricadere a terra. La bimba scoppiò a piangere
più forte
di prima, spaventata, e Mattheus poteva avvertire in quelle urla il
terrore e il senso di smarrimento che percuotevano quel piccolo
essere vivente.
Delle
donne adulte stavano litigando su chi avesse diritto a cosa perdendo
di vista la questione più importante, la serenità
della bambina che
avevano accanto a loro.
Elke
fece per avvicinarsi ad Helena, probabilmente per aiutarla a
rialzarsi, ma la suora le si parò davanti.
"Avvicinati
a lei, prova anche solo a pensare di aiutarla e io ti giuro che lo
rimpiangerai. Lo immaginavo che c'eri tu dietro a tutto questo, l'ho
sospettato fin dal primo momento in cui ho visto Olga rientrare da
sola. Cercare di fregarmi è stata una pessima mossa, Elke,
cerca di
non peggiorare la tua situazione".
Elke
la fissò per un attimo, in silenzio. Poi il suo sguardo si
incupì e
a dispetto di tutto quello che le era appena stato detto, si
inginocchiò accanto ad Helena, cingendole la vita con le
braccia per
aiutarla a rialzarsi.
"Elke,
non ti muovere e non osare mai più disobbedirmi!".
L'urlo
feroce e rabbioso della suora fu sovrastato solo dal pianto della
bambina. Ma nonostante questo, Elke non si fermò.
"Lasciatele
il permesso di uscire con Anna e punitemi pure, se vi farà
piacere.
Ma Helena è la sua mamma e Anna è la sua bambina,
ha bisogno di
lei. Io avrei pregato tutti i Santi del paradiso, da piccola,
perché
mia madre mi portasse con lei a fare una passeggiata, non negate ad
Anna questa possibilità. Vi prego".
"Lascia
stare". Helena scosse la testa, osservando sconfitta sua figlia
che piangeva disperata nella stretta convulsa della suora.
"Ma
Helena!".
La
donna scosse la testa. "Elke, fa niente, guarda come piange e
com'è spaventata, portarla fuori ora non servirebbe a
calmarla e a
rasserenarla e nessuna delle due godrebbe della passeggiata. Vi prego
suor Faustine, portatela dentro al caldo e in un posto tranquillo e
punitemi come volete. Ma non davanti a lei".
Mattheus,
dal suo nascondiglio, abbassò lo sguardo. Avevano vinto
prevaricazione e violenza e una madre, per il bene della figlia,
aveva dovuto abbassare il capo e sottostare a un'imposizione ingiusta
e illogica. Il mondo era davvero crudele, soprattutto con le persone
che avevano meno mezzi per affrontarlo, pensò. Rimpianse per
un
attimo Pennes, la sua vita semplice e la sua gente che si conosceva
e, nonostante diffidenza e paure, era pronta a porgere una mano in
caso di necessità. A Pennes non c'erano bimbi o anziani
soli, ognuno
era il figlio o il nonno di tutti e nelle difficoltà ce ne
si
prendeva cura. Nelle piccole comunità era così ma
non nelle grandi
città come Bozen.
La
suora annuì, porgendole la bambina. "Cominci a ragionare,
Helena. Porta Anna dentro, all'orfanotrofio, e poi vieni nel mio
studio. Ti insegnerò come ci si comporta e qual è
il tuo posto, una
volta per tutte".
Helena
si morse il labbro e non rispose. Strinse a se la piccola e poi, a
testa bassa, rientrò nel convento. "Mi dispiace, Elke" -
sussurrò, prima di sparire dietro la pesante porta del
convento.
Suor
Faustine si avvicinò ad Elke con sguardo severo. "Quanto a
te,
piccola dannata...".
Elke
sospirò. "Suppongo di dover entrare per attendervi a mia
volta
nel vostro studio, giusto?".
Mattheus
trattenne il respiro. Elke non stava usando un tono conciliante e
sottomesso e ogni sua parola tradiva una rabbia che pareva
controllare a stento. Anche lui avrebbe reagito allo stesso modo, ma
lui aveva anche i mezzi per contrastare chiunque mentre lei... "Non
fare la stupida". Inspirò profondamente, pronto ad
intervenire
se le cose si fossero messe al peggio.
La
suora scosse la testa, trattenendo anch'essa, a stento, la rabbia.
"Non usare quel tono con me, abbassa la testa e inginocchiati a
chiedere scusa per i tuoi peccati".
"No".
"Fallo,
fallo piccola strega o ti farò pentire di essere venuta al
mondo. E
nemmeno il demonio, tuo padre, potrà salvarti dalla mia
punizione.
Inginocchiati!".
"Ho
detto di no! Voi siete una donna orrenda e crudele e io non mi
inginocchierò MAI davanti a voi".
Rossa
d'ira, la suora esplose, avventandosi su di lei e prendendola per il
colletto del vestito. "Strega, tu sei maledetta, tu e tutta la
tua stirpe! Sei una creatura degli inferi che non sa riconoscere il
bene quando lo ha accanto e che si ribella ad esso con tenacia
demoniaca. Ma io ti piegherò, ragazzina, fosse
l’ultima cosa che
faccio estirperò il maligno da te".
Mattheus
sussultò e i suoi pugni si strinsero in modo doloroso. Le
parole di
quella suora erano quelle che Elke si era sentita ripetere fin dalla
sua nascita, come spesso lei gli aveva raccontato. Ma era la prima
volta che le sentiva lui stesso perché a Pennes,
benché sapesse
cosa la gente pensasse di lei, nessuno aveva mai osato offendere Elke
in sua presenza. La gente lo temeva e si guardava bene
dall'esprimersi in maniera inopportuna davanti a lui perché
sapeva
che sarebbero stati puniti per questo. Ora la situazione era diversa:
quella suora non lo conosceva e nessuno sapeva della sua presenza a
Bozen. Avrebbe voluto aiutarla, lo avrebbe fatto se quella suora
avesse proseguito con insulti e imprecazioni senza senso,
però in
quel momento c'era qualcosa che lo frenava e che lo riempiva di sensi
di colpa. Ora capiva perché Elke se n'era andata tre anni
prima e
quanto le sue parole, dettate da un momento di rabbia, l'avessero
ferita. Quello che suor Faustine stava urlando a Elke in quel momento
erano le stesse identiche cose che lui le aveva gridato in faccia
durante i loro ultimi istanti insieme. "Perdonami...".
La
voce di suor Faustine lo riportò alla realtà.
"Elke, in
ginocchio!" - le ripeté, nuovamente.
La
ragazza rispose piantandole addosso uno sguardo freddo e carico di
rabbia, e per la suora fu troppo. La sua mano si alzò,
colpendola
poi con uno schiaffo in pieno viso talmente violento da farla cadere
a terra stordita.
"Elke!".
Mattheus scattò in piedi. L'avrebbe uccisa quella dannata
suora,
sull'istante. Non doveva, non avrebbe dovuto osare toccarla. Ma
l'espressione di Elke lo fece bloccare, di nuovo.
La
ragazza non abbassò lo sguardo, ma lo tenne fisso sulla
suora. La
guancia era diventata viola e un rivolo di sangue le colava dal
labbro ma questo pareva non averla scalfita minimamente. E Mattheus
si accasciò contro il muro. Non poteva, non doveva salvarla
perché
Elke era capacissima di farlo da sola. Non aveva bisogno di lui, non
poteva interpretare la parte, anche solo per una volta, del principe
che salva la principessa bisognosa, perché lui non aveva
l'animo
nobile dei principi delle fiabe ed Elke non era una povera
sprovveduta che aveva bisogno di un uomo che la tirasse fuori dai
guai. E poi, soprattutto, perché quella non era una sua
battaglia e
doveva starne fuori, per rispetto di Elke. C'era fierezza nello
sguardo della sua piccola assistente e una nobiltà d'animo
talmente
evidente che persino quella violenta ed ottusa suora percepiva e non
aveva altro mezzo che la forza e la repressione per fronteggiarla.
Elke
si sollevò, a fatica. "Picchiatemi ancora, se vi
farà piacere.
Ma non vi chiederò scusa".
A
quel punto fu la suora ad indietreggiare, quasi intimorita davanti
alla testardaggine della ragazza. "Non lo farò, sarebbe solo
fatica sprecata con te. Ci sono tanti modi per inculcarti la
disciplina, sai? Sei una creatura degli inferi, il calore è
il tuo
elemento naturale e io te ne priverò. Questa notte dormirai
di nuovo
all'addiaccio, fuori dal convento. Non mi importa né dove
né come
te la caverai, un po’ di gelo e neve ti faranno bene e ti
renderanno più mansueta domattina. Ti voglio qui all'alba e
pretendo
tu faccia quanto è necessario perché all'ora di
colazione ci sia
tutto pronto. Poi farai le faccende che non hai sbrigato oggi per
aiutare Helena nel suo diabolico piano. E poi, entro sera, sono
sicura che ti troverò altre cose da fare. E ora sparisci
dalla mia
vista, fino a domani non voglio più vederti, strega".
"Come
desiderate!". Con un gesto veloce Elke prese fra le mani la pala
che aveva usato fino a poco prima per pulire le scale, gettandola
rabbiosamente fra la neve.
La
suora sorrise con freddezza. "Non so a cosa pensi ti porterà
questo atteggiamento, ma sappi che non sarà nulla di buono".
Poi si voltò, salendo le scale e sparendo dietro la porta
del
convento.
Rimasta
sola, Elke per un attimo restò immobile, a fissare il grosso
portone
in legno. Mattheus la guardò, indeciso sul da farsi, e anche
se era
lontano poté avvertire in lei la rabbia unita a un senso di
sconfitta e smarrimento assolutamente comprensibili, viste le
circostanze. Non era per niente una bella situazione: Elke era forte
e resistente al freddo ma una notte all'addiaccio in inverno, a
Bozen, era troppo persino per lei.
In
quel momento decise. L'avrebbe seguita e osservata da lontano e se si
fosse trovata davvero nei guai avrebbe vinto tutte le sue remore e
resistenze e sarebbe uscito allo scoperto. Non poteva fare altro che
vegliare da lontano, il solo pensiero di una notte al freddo e al
gelo faceva rabbrividire pure lui e non riusciva a sopportare l'idea
che lei dovesse subirla.
Elke
percorse con passo stanco i vicoli che portavano alla grossa piazza
di Bozen, assorta in chissà quali pensieri e preoccupazioni.
Mattheus la conosceva bene e poteva scommettere che in quel momento
era preoccupata più per Helena che per se stessa, in effetti
la sua
amica, a tu per tu con quella suora malefica, probabilmente non se la
stava passando bene. In quel momento però lui non riusciva a
pensare
a Helena e a sua figlia, non era come Elke e non possedeva il suo
altruismo.
Camminarono
fino alla piazza, giungendovi mentre il cielo cominciava ad imbrunire
e l'umidità nell'aria rendeva tutto più gelido.
Mattheus
si chiese cosa ci facesse Elke in un posto dove tutto richiamava al
Natale e per un attimo sperò che lei riuscisse a trovare
rifugio in
quella calda atmosfera, che avesse imparato ad apprezzarlo nonostante
tutto. Le bancarelle erano ancora aperte, mille luci di mille candele
scaldavano l'ambiente e il grosso albero addobbato in mezzo alla
piazza richiamava a se bambini e adulti con la sua magia. Elke gli
passò davanti, ma a differenza degli altri parve non notarlo
o, se
lo aveva fatto, la cosa non l'aveva colpita per niente.
La
vide dirigersi verso il lungo porticato di un palazzo che si
affacciava sulla piazza, sotto cui bivaccava un nutrito gruppo di
senza tetto seduti per terra a parlare fra loro per far passare il
tempo e che si scaldavano con dei boccali di birra in mano,
probabilmente acquistati con gli spiccioli che avevano raccattato
durante la giornata chiedendo l'elemosina. Erano le persone
più
malconce e sporche che avesse mai visto, coi capelli crespi e
disordinati che andavano in ogni direzione e i vestiti strappati e
ricuciti alla meglio. Eppure le loro chiacchiere e le loro risate
glieli facevano apparire come le persone più felici di
quella
piazza. Nessuno fra i cittadini più facoltosi pareva
notarli, come
se fossero invisibili, nonostante il loro vociare coprisse quello di
mercanti e compratori.
Appena
videro Elke, uno di loro, di mezza età, dai capelli neri
come il
carbone e dalla corporatura robusta, si alzò in piedi di
scatto,
esibendosi in un ampio sorriso. "Ragazza, che ci fai qui a
quest'ora?" - esclamò, sorpreso. "Sei di nuovo nei guai?".
Elke
sollevò le spalle, sorridendo timidamente. "Sì,
come sempre".
"Ah,
quella megera ti ha messo alla porta di nuovo? Sarà una
notte fredda
questa, dicono".
Elke
si strinse nelle braccia, rabbrividendo. "Me ne sono accorta.
Posso stare con voi?".
"Ma
certo" – esclamò un secondo senza tetto, invitando
la ragazza
ad unirsi a loro. "Sei sempre così gentile con noi quando
riesci a portarci del cibo dal convento che non possiamo che tenerti
compagnia e proteggerti, quando ce lo chiedi. E' bello essere utili a
qualcuno".
Mattheus,
nascosto dietro a una bancarella, capì che anche quelle
persone,
come Helena, erano amiche di Elke e che probabilmente la ragazza,
quando ne aveva l'opportunità, li aiutava come poteva,
portando loro
di nascosto del cibo avanzato. Capì anche che probabilmente
quella
non era la prima volta che Elke si trovava in una situazione del
genere e che sapeva gestirla benissimo. Scosse la testa, sentendosi
ridicolo. Poco prima era stato pronto ad uscire allo scoperto per
aiutarla ma ora si accorgeva che Elke non ne aveva alcun bisogno.
Sapeva come muoversi meglio di lui e aveva trovato amici sinceri in
quella città che a lui era sembrata grigia e priva di calore
umano
fino a pochi istanti prima.
"Vuoi
un pò di birra Elke? Questa ti scalda meglio di una coperta
di
lana!" - urlò il senza tetto che per primo l'aveva invitata
ad
unirsi alla sua compagnia.
"Sì,
perché no? Grazie Rudolph". Elke prese il boccale, bevendone
un
lungo sorso. E anche questo lo stupì perché non
ricordava di averla
mai vista bere alcolici a Pennes. Non che facesse qualcosa di male e
forse questo sarebbe servito a scaldarla, ma il suo stomaco si
contorceva nel guardarla perché della ragazzina di tre anni
prima
era rimasto ben poco. Era cresciuta ed era coraggiosa e ancora
più
bella di come la ricordasse, era fiero di come sapesse tenere testa a
chi le faceva del male, ma si rese conto che, se l'avesse avuta
davanti, non avrebbe più potuto chiamarla ragazzina,
prenderla in
giro e farle da maestro come una volta. Gli sarebbe mancata per
sempre quella Elke, quella che viveva con lui nella sua baita e che
amava acconciarsi i capelli con mille nastri colorati e mille
perline, che gli sorrideva, che si prendeva cura di lui senza
chiedere mai nulla in cambio e che si affidava con cieca fiducia a
ogni sua decisione.
Con
un sospiro girò sui tacchi, allontanandosi in silenzio dalla
piazza.
C'erano un sacco di commissioni che doveva ancora sbrigare per quel
giorno e non poteva perdere ancora tempo. Elke sarebbe stata bene
anche senza di lui, come aveva fatto in quegli ultimi tre anni dopo
tutto.
Le
aveva insegnato a combattere il male che le veniva fatto, a non
accettarlo e a non subirlo passivamente, a non giustificarlo e non
c'erano dubbi, aveva imparato bene la lezione. Non sarebbe
più stata
la sua Elke, mai più. Si chiese, allontanandosi, se ogni
tanto
pensasse a lui, se sentisse la sua mancanza come lui sentiva la sua,
ma la verità era che probabilmente non era così.
Era diventata
forte e sicuramente una persona migliore di lui e dei ricordi insieme
non sapeva più che farsene. Forse in cuor suo lo odiava e
non poteva
darle torto.
Strinse
i pugni, maledicendosi per la sua codardia e per il suo comportamento
vigliacco. Era vero, lei sapeva cavarsela ed era terribilmente in
gamba, ma lui avrebbe potuto comunque aiutarla con quella suora,
avrebbe potuto impedire che venisse picchiata e umiliata. Elke era
nei guai, senza un tetto sulla testa per la notte e probabilmente ci
era anche abituata, ma non era questo il punto. Il punto era che lui
non aveva mosso un dito. Era un codardo, non sarebbe mai diventato
l'uomo che era stato Jakob, preferiva nascondersi e scegliere la
strada più facile invece che affrontare i suoi errori e le
sue
paure. Far finta di nulla e cullarsi nell'illusione che Elke non
fosse affar suo era più facile, tanto lei nemmeno sapeva
della sua
presenza lì. Sospirò, allontanandosi dalla piazza
e da lei. Era in
gamba e si sarebbe arrangiata più che bene da sola, anche se
faceva
freddo e non aveva nulla con cui ripararsi. Lo aveva sempre fatto,
fin da bambina, di certo non sarebbe stata un problema quella notte,
per lei.
Sbrigò,
con pensieri cupi, le faccende della giornata rimaste irrisolte,
vendendo l'acqua ai nobili della città che gliene avevano
fatto
richiesta e con cui aveva preso appuntamento nei giorni precedenti.
Guadagnò, senza provarne piacere alcuno, ingenti
quantità di denaro
che avrebbero potuto permettergli di vivere serenamente per almeno un
anno a Pennes senza muovere un dito.
Eppure
non trovava conforto in questo, il suo pensiero era altrove...
Smise
di lavorare che era ormai passata la mezzanotte. Bozen era deserta e
le torce che illuminavano le vie erano spente. La città
dormiva
circondata da un buio oscuro e gelido, sferzata dal vento del nord
che faceva battere le imposte delle case.
Mattheus
si strinse nel mantello, maledicendosi per aver fatto così
tardi.
Ambiva solo ad un camino acceso, un bagno caldo, una tazza di brodo e
coperte morbide.
Giunse
nella piazza, avvolta da un silenzio ancora più spettrale.
Le
candele del gigantesco abete erano ormai spente e venditori e
giocolieri si erano rintanati nelle loro case o locande e non c'era
più nulla dell'allegria e del clima di festa del pomeriggio.
Avrebbe
dovuto tirare dritto, lo sapeva, però... Però lei
era lì, da
qualche parte, e non poteva accettarlo. Si rese conto di quanto lo
rasserenasse, tre anni prima, la consapevolezza che ogni sera, quando
arrivava l'ora di dormire, Elke, Falko e Drago fossero al caldo e al
sicuro nelle loro stanze, senza pericoli che potessero minacciarli.
Era qualcosa che allora dava stupidamente per scontato e che era
diventata importante solo ora che si era ritrovato nuovamente solo.
Erano stati la sua famiglia per ogni singolo giorno che avevano
passato con lui nella sua casa. Si accorse solo in quel momento di
quanto gli mancassero i suoi tre assistenti, i guai che gli avevano
combinato, il lavoro svolto insieme, i risvegli mattutini e le serate
passate insieme a fare qualunque cosa fosse necessaria all'andamento
della casa e della sua attività.
Camminò
sotto i portici, stringendosi nel suo mantello. I senza tetto che
aveva visto poche ore prima dormivano, chi sul selciato, chi
appoggiato alle mura del palazzo, ubriachi o semplicemente esausti
dalla giornata e dalla fame.
Scosse
la testa, quello non era il posto di Elke, non c'entrava nulla con
quelle persone. La cercò, scrutando fra le figure di quei
disperati
senza nulla, in preda ad una strana ansia.
E
finalmente la vide.
Elke
dormiva, appoggiata ad una delle colonne del porticato della piazza,
rannicchiata su se stessa alla ricerca di calore. Era una sera gelida
ma questo sembrava non scalfirla, dormiva e basta, come se non
potesse fare che questo. Mattheus sentì il cuore stringersi
a quella
vista. Le si avvicinò, piano, erano tre anni che non le era
così
vicino da sentirne il respiro. La guancia dove era stata colpita era
ancora arrossata ma questo sembrava non disturbarla più.
Abitudine,
pensò, con un crampo allo stomaco. Non avrebbe dovuto
passare da
quella piazza, eppure i suoi piedi l'avevano guidato fin lì
contro
la sua volontà: anche se si era ripetuto fino allo
sfinimento che
non erano affari suoi non aveva potuto fare altro che cercarla. La
guardò, ricordandosi i loro ultimi momenti insieme, quando
lei se
n'era andata da Pennes lasciandogli il suo mantello.
Deglutì,
pensando a quanto freddo aveva patito allora e a quanto ne stava
patendo anche in quel momento. Il suo sguardo si addolcì e
si portò
le mani ai lacci che tenevano legato il caldo mantello che aveva
sulle spalle, sciogliendoli. Lo tolse, si inginocchiò
davanti a lei
e glielo posò delicatamente addosso, attento a non
svegliarla.
L'idea di percorrere il tragitto fino alla sua locanda al freddo non
lo allettava per niente ma Elke, benché più
resistente di lui al
gelo, ne aveva più bisogno. Non poteva fare altro che quello
per
lei. La coprì e prima di alzarsi le accarezzò
piano i capelli,
dandole un leggero bacio sulla fronte. Non riuscì a farne a
meno, il
suo cuore e la sua mente erano in subbuglio. Sarebbe rimasto
lì al
gelo pur di starle accanto e vederla dormire. Pensò che
stava
diventando uno stupido sentimentale, uno di quei tipi romantici di
cui si era preso gioco per tutta la vita, ma stare con lei ,
addormentarsi e svegliarsi insieme erano l’unica la
verità che
voleva conoscere. La consapevolezza che quello non fosse il suo posto
e che si stava prendendo delle libertà di cui non aveva
diritto lo
colpì come una frustata per cui facendosi violenza, si
alzò. Con un
ultimo gesto gentile le sfiorò la frangia dei capelli e la
fronte in
una carezza e decise che era ora di tornare e riprendere il suo
cammino. Fece quanto più piano possibile quando fu costretto
a
fermarsi. I due occhioni blu di Elke erano spalancati e lo stavano
fissando, sorpresi.
"Elke".
La
ragazza, confusa dal brusco risveglio e dal fatto di trovarselo
contro ogni logica lì davanti, si guardò attorno
smarrita, cercando
di mettere a fuoco la situazione. Si accorse solo in un secondo
momento del mantello che la copriva e il suo sguardo tornò a
posarsi
su di lui.
Avrebbe
potuto sopportare e reggere ogni sua reazione, che fosse di rabbia o
di gioia, se si fossero rincontrati, ma sul viso di Elke poteva
leggere unicamente ansia e paura. E che lei lo temesse lo feriva e
non poteva accettarlo.
Elke
indietreggiò, strisciando sul selciato. "Mattheus Hansele...
Non può essere. Cosa diavolo..." –
mormorò, attonita.
Non
sentì l'ultima parte della frase. Un pugno violento giunto
alle sue
spalle lo colpì in piena nuca, facendolo cadere a terra
tramortito.
Nel giro di un attimo ebbe addosso, con intenzioni tutt'altro che
buone, uno dei senza tetto amici di Elke che probabilmente si era
svegliato, aveva frainteso la situazione ed era pronto a prenderlo a
pugni per chissà quale motivo.
Non
ebbe il tempo di reagire e in un attimo si trovò fra polvere
e
fango, in un parapiglia di spinte e pugni.
"Che
le hai fatto?" - urlò il nuovo arrivato, rabbioso,
riferendosi
con tutta probabilità ad Elke.
Rispose,
con un pugno ben assestato sulla guancia del suo avversario. "Fatti
miei, gira al largo".
"Adesso
basta!". Di forza Elke si mise fra loro, mettendo fine alla
lotta.
Col
fiato corto Mattheus la osservò e poi studiò il
suo avversario, un
tipo magro come un chiodo, di forse vent'anni, dai capelli color
miele e coi vestiti strappati in più punti. "Ha cominciato
lui"
– si giustificò, sentendosi vagamente infantile.
"Ti
ha fatto del male Elke?" - insistette il tizio, allarmato.
Elke
gli lanciò una veloce occhiata indagatrice. Era evidente che
non ci
stesse capendo un accidenti e che fosse confusa dalla sua presenza,
ma sembrava comunque piuttosto decisa a porre fine alla rissa a cui
aveva appena assistito.
"No,
sto bene Klaus. E' un mio vecchio... conoscente, non credo voglia
farmi del male. Sta tranquillo e rimettiti a dormire, non è
successo
niente e non voglio che tutto questo parapiglia svegli anche gli
altri".
Mattheus
sbuffò. Gli altri probabilmente si erano anche svegliati ma
molto
saggiamente si facevano i fatti loro, fingendo di dormire. Che voleva
dire Elke quando diceva che probabilmente
lui non voleva farle del male? Come poteva non essere certa di una
cosa simile, anche solo pensare che avesse cattive intenzioni verso
di lei? Questa cosa lo feriva, nello spirito e nell’orgoglio.
Poteva sopportare il fatto che l'avesse visto fare a pugni come un
ragazzino e che le avesse anche prese, per giunta, ma non quello.
Elke non aveva mai avuto paura di lui, si era sempre fidata
ciecamente di ogni cosa lo riguardasse, ma ora non era più
così e
questo gli faceva male, gli lacerava l'anima, ma non avrebbe permesso
che lei se ne accorgesse facendosi trovare vulnerabile e indifeso al
suo cospetto. Il suo sguardo si indurì mentre dentro di lui
si
malediceva per essersi preoccupato per lei e per essere passato da
quella piazza. Non avrebbe dovuto fermarsi, coprirla col suo
mantello, provare quei sentimenti tanto dolci da riuscire a
scaldargli il cuore in una notte gelida d'inverno.
Si
rialzò in piedi, ripulendosi i pantaloni dalla polvere. "No,
non le volevo far niente anzi, a dire il vero ho solo fretta di
raggiungere la mia locanda. Stavo passando, l'ho vista e ho pensato
che avesse freddo, tutto qua. La prossima volta mi farò gli
affari
miei e proseguirò dritto".
"Meglio
così" – borbottò Klaus, sputando a
terra.
"Già".
Senza dire una parola, scuro in volto, Mattheus le voltò le
spalle,
pronto ad andarsene. O a fuggire, come gli urlava la voce della sua
coscienza che non voleva più ascoltare.
"Mattheus,
aspetta".
Elke
gli corse dietro e lo raggiunse che ormai aveva svoltato l'angolo
della piazza, immettendosi nel vicolo che portava alla locanda.
"Cosa
vuoi?".
"Cosa
voglio? Cosa diavolo ci fai qui?".
A
quella domanda si voltò verso di lei. Era bella, tanto da
far male,
lo straziava l’averla così vicina ed essere
costretto ad
allontanarla.
"Sto
lavorando. Tornatene in piazza adesso, non vorrei trovarmi addosso
tutti i tuoi amichetti in preda all'ansia per la tua sorte in mia
compagnia".
"Klaus
era solo preoccupato per me. Dannazione, mi hai spaventata!".
"Ho
notato".
"Scusa,
come avrei dovuto reagire? Cosa avresti fatto tu se, svegliandoti, ti
fossi trovato davanti una persona che non vedi da anni e che
teoricamente dovrebbe vivere a molte miglia di distanza?".
Mattheus
scosse la testa. "Non lo so cosa avrei fatto e sinceramente non
ho voglia di scoprirlo. Ho fretta di tornare a casa e non ho motivo
alcuno di starmene qui a parlare con te".
Elke
rimase in silenzio per alcuni istanti, come ponderando la sua
risposta. Poi abbassò il capo, rendendogli impossibile
capire cosa
le passasse per la testa. "No infatti, non ne hai motivo ormai".
"Bene,
siamo d'accordo su qualcosa".
Si
voltò, fece per andarsene, ma Elke lo richiamò,
costringendolo a
fermarsi di nuovo.
"Mattheus,
ti stai dimenticando il mantello". Si avvicinò a lui,
posandoglielo sulle braccia.
Lo
stregone rabbrividì a quel gesto, tanto uguale a quello di
tre anni
prima, quando si erano separati. "Congelerai" – disse,
freddamente.
"Non
credo, ci sono abituata. Quello che ha sempre freddo sei tu,
giusto?".
Sorrise
amaramente a quelle parole: Elke lo conosceva bene nonostante gli
anni di lontananza. "Sì, giusto".
Si
rimise il mantello sulle spalle, si voltò dall'altra parte e
se ne
andò, imponendosi di non girarsi verso di lei nemmeno una
volta. Non
aveva voluto rincontrarla, non in quel modo almeno, non era pronto ad
affrontarla e a chiedere scusa per i suoi errori. Infatti i risultati
erano stati pessimi e lui si stava comportando da idiota: avrebbe
preferito non vederla e ricordarla com'era prima, quando ancora
provava affetto per lui ed in quel momento si sentì solo
come quando
erano morti i suoi genitori e Jakob. Si sorprese nel chiedersi come
sarebbero andate le cose se lui le avesse parlato in modo
più
gentile e se anche lei, come lui, avesse sentito la
necessità di
indurirsi per difendersi e se sarebbe mai riuscito a mettere da parte
l'orgoglio per chiederle scusa per tante, tantissime cose. Non si
vedevano da tre anni e non l'aveva nemmeno salutata, non si era
soffermato neanche un attimo a chiederle come stava, come se la
cavasse, cosa facesse. C'erano mille modi per rendere quella
conversazione più piacevole e lui non era stato capace di
afferrarne
nemmeno uno. Elke ci aveva provato, seguendolo nel vicolo, mentre lui
aveva preferito scappare.
"Non
mi importa, non deve interessarmi".
Giunse
alla locanda e si chiuse subito nella sua camera. Dalla finestra
intravide piccole fiaccole di neve scendere dal cielo e decise che
non voleva più pensarci. Non la voleva più
rivedere, non voleva più
sentirsi perso e fragile come si era sentito poco prima, voleva
tornare ad essere lo stregone sprezzante e impermeabile a ogni
sentimento com'era stato prima di conoscere Elke.
Quella
ragazza e i nani lo avevano indebolito, reso permeabile ai sentimenti
e lui sapeva quanto questo potesse essere pericoloso per uno come
lui: Amore, affetto e sentimenti dolci avrebbero potuto diventare il
suo punto debole e non poteva permetterselo, lui era uno stregone
potente e rispettato e voleva continuare ad esserlo.
Cercò
di convincersene ma non ci riuscì del tutto. Gli
tornò in mente il
viso di Elke, la sua espressione tranquilla mentre dormiva e le
parole che si erano detti. Non sarebbe mai riuscito a tornare quello
di una volta, nemmeno con tutta la sua buona volontà.
Avrebbe potuto
cercare di tenere Elke lontana dalla sua vita, ma sapeva benissimo
che il suo ricordo l'avrebbe tormentato per sempre.
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Capitolo 21 *** Capitolo ventuno ***
Le
notti insonni, dicono, passano lentamente e sembra che il mattino non
debba arrivare mai. In realtà ad Elke questa sembrava una di
quelle
dicerie senza senso perché la notte per lei era volata via
in un
attimo da quando aveva riaperto gli occhi e si era ritrovata davanti
Mattheus Hansele, ricomparso come per magia dal suo passato e dai
suoi ricordi in modo talmente imprevedibile ed inspiegabile che
ancora faticava a credere fosse stato reale.
Era
stato qualcosa di talmente inaspettato che si era sentita scossa ed
inerme davanti a lui, sicuro e schietto come lo ricordava, per nulla
turbato dal fatto di ritrovarsi faccia a faccia dopo tre anni, tanto
lontani da Pennes. Del resto non capiva come mai fosse tanto stupida:
Mattheus era sempre stato così, sfuggente e solitario, uno
che non
si scomponeva davanti a niente, imperturbabile davanti a ogni
sorpresa che la vita gli riservava. Per lei invece non era stato
così, tanto che per un attimo, appena riaperti gli occhi,
era stato
come se il tempo e il luogo in cui si trovava perdessero consistenza
e si confondessero col suo passato, tanto da non farle comprendere
più nulla. Era stata felice di vederlo? Turbata? O
spaventata, come
aveva sostenuto lui? Forse era stata un concentrato di tutte queste
sensazioni messe insieme perché in fondo al suo cuore aveva
sempre
desiderato rivederlo, ma Mattheus era tante cose, tanti ricordi,
alcuni dei quali per nulla piacevoli. Aveva desiderato un suo
abbraccio, silenziosamente, ogni singolo giorno di quegli ultimi tre
anni, ma allo stesso tempo aveva voluto con tutta se stessa non
rivederlo mai più: il ricordo dei loro ultimi istanti
insieme
bruciava ancora e le faceva male accettare che affezionarsi a lui era
stato probabilmente un grosso errore.
Con
un sospiro spinse la porta del convento, entrando con passo felpato
mentre fuori albeggiava. Dormivano ancora tutti e nei corridoi
regnava il silenzio. Aveva molte cose da fare, doveva sbrigarsi, ma
prima di tutto voleva andare nella sua stanza per pulirsi dalla
sporcizia della notte passata in piazza e soprattutto accertarsi che
Helena stesse bene dopo il confronto con suor Faustine.
Raggiunse
la stanza ed entrò piano, per non svegliare
l’amica e con sua
sorpresa scoprì che Helena non era sola: si
accigliò, strano che
dopo quanto accaduto il giorno prima suor Faustine avesse permesso
alla ragazza di tenere con se la piccola Anna. La bimba dormiva nel
letto, rannicchiata contro il petto della madre. Il suo respiro era
affannoso e le sue guance color porpora.
“Helena”.
Si inginocchiò accanto al letto dell’amica,
scuotendola lievemente
per le spalle.
Helena
aprì gli occhi. Erano stanchi, solcati da lunghe e scure
occhiaie,
pieni di preoccupazione. “Elke, sei tornata per
fortuna”.
“Come
mai Anna è quì?”.
Helena
si voltò verso la figlia, accarezzandole i boccoli biondi.
“Non è
stato un regalo di suor Faustine, figurati! Ieri pomeriggio mi ha
dato talmente tanti schiaffi che avrò male alle guance fino
all’estate. Sai com’è
fatta…”.
Elke
alzò gli occhi al cielo. Sì, sapeva
com’era fatta quella donna,
più che bene! “E allora
perché?”.
Helena
scosse la testa. “Ha la febbre altissima da ieri sera, di
nuovo. Me
l’hanno portata perché non infettasse gli altri
bambini. Le ho
tenuto la pezza bagnata sulla fronte per ore ma è ancora
bollente e
fatica a respirare. Ho paura Elke, non l’ho mai vista stare
così
male”.
Elke
posò la mano sulla fronte della bambina e la sua espressione
si
incupì. La piccola stava andando letteralmente a fuoco.
“Avete
chiamato un dottore?”.
“Suor
Faustine dice che ci penseranno le preghiere e la fede a
guarirla”.
Elke
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Si certo, la
fede… Ma
magari potremmo fare anche qualcosa di più terreno per
aiutare il
Signore e la fede a guarirla, come ad esempio cercare delle
medicine”.
Helena
scosse la testa. “E’ la figlia di una poco di
buono, pensi che
spenderebbero soldi per chiamare un dottore? Anna è solo...
Anna.
Non è una principessa o la figlia di un nobile”.
Si buttò sul
letto senza forze, abbracciando la figlia, rassegnata.
“Cambiando
discorso, a te com’è andata? Mi spiace
così tanto, è solo colpa
mia quello che è successo”.
Elke
sorrise. “Tranquilla, non è male passare la notte
in piazza coi
senza tetto, ormai siamo amici. E’ andata abbastanza
bene”.
“Si
gelava stanotte!” – obiettò Helena.
“Ci
sono abituata”. Non aveva voglia di raccontarle quanto
successo
quella notte, di Mattheus, della sua storia assieme a lui, di cosa
aveva significato rincontralo. Helena non lo conosceva e aveva ben
altre preoccupazioni per la testa in quel momento, per pensare a lei.
Però, ora che ci pensava, lo stregone aveva detto che era a
Bozen
per lavorare e lei sapeva bene quale fosse la sua fonte di guadagno
principale. “L’acqua…”.
Guardò Helena, sorpresa di se stessa
per non averci pensato prima. “L’acqua del
lago!” – ripeté.
“Elke,
stai bene?”.
La
ragazza sorrise. “Sì! E so come curare Anna. Sta
con lei ed
aspettami, cercherò di tornare il prima possibile”.
Helena
impallidì. “Elke, non è una buona idea,
hai del lavoro da
svolgere, dove vuoi andare, cosa vuoi fare? Non tirare troppo la
corda con suor Faustine o…”.
“Al
diavolo suor Faustine, Anna è più importante! Se
sarò fortunata
comunque, sarò di ritorno prima che si accorga della mia
assenza.
Aspettami qui e sta vicino alla tua bambina, ha bisogno di
cure”.
Non le diede tempo di rispondere, presa da un’improvvisa
forza che
sembrava darle energia per ribaltare il mondo. Avrebbe cercato
Mattheus e con la sua acqua avrebbe potuto curare Anna. Non le
importava di come avrebbe reagito, di cosa le avrebbe detto o altro,
le importava solo dell'acqua.
Corse
per i corridoi, verso l'uscita, incurante del fatto che qualcuno
potesse svegliarsi; stava rischiando molto disubbidendo e le
conseguenze potevano essere molto gravi, ma in gioco c'era la vita di
Anna e questo era più importante di tutto.
Appena
giunta nella strada ancora deserta si strinse nelle braccia per
ripararsi dal freddo, pensando a cosa fare: Mattheus aveva detto che
era in città per lavoro, ma come trovarlo? Bozen era grande
e loro
si erano rincontrati per puro caso, difficilmente sarebbe stata
così
fortunata una seconda volta. Per trovarlo doveva usare il cervello:
la via dove Mattheus aveva svoltato quella notte dopo aver lasciato
la piazza era elegante, piena di locande di prima scelta dove di
solito soggiornavano ricchi viandanti e nobili. Il resto di Bozen non
era così, era formato solo da ammassi di baracche e case
diroccate
che ospitavano taverne di pessima qualità, non erano posti
che
Mattheus avrebbe potuto frequentare. Lui aveva sempre un'ampia
disponibilità di denaro, odiava chiasso e schiamazzi e amava
la
comodità, soprattutto la sua. Aveva scelto di certo la
locanda più
accogliente e calda della città e poteva trovarla solo nella
strada
dove l'aveva visto l'ultima volta. Pregò di non sbagliarsi,
che non
avesse cambiato le sue abitudini in quegli ultimi tre anni o avrebbe
perso tempo prezioso inutilmente.
A
passo spedito, mentre si avviava verso la piazza, un pensiero le
trafisse la mente: il suo incontro con Mattheus non era stato
né
amichevole né piacevole e non era così convinta
che lui sarebbe
stato felice di aiutarla. Non doveva, non poteva presentarsi a lui
come Elke, la sua vecchia assistente, doveva diventare un suo cliente
se voleva ottenere qualcosa, giocare con lui e contrattare come
facevano tutti gli altri, Mattheus amava il denaro e avrebbe messo da
parte tutto il resto per il guadagno. Il problema però era
che per
comprare l'acqua come chiunque altro Mattheus chiedeva dei soldi che
lei non aveva. Sospirò. Era così maledettamente
seccante essere
povera! Ma forse, con un po’ di fortuna, altri poveri come
lei, se
si mettevano tutti insieme, potevano aiutarla. Corse verso la piazza,
decisa a chiedere aiuto ai suoi amici senza tetto che grazie alla
carità dei passanti avevano sempre qualche spicciolo in
tasca.
Mattheus non sarebbe stato felice di rivederla ma di certo non si
sarebbe irritato per la mancanza di soldi per un servizio che gli
richiedeva.
Quando
giunse in piazza i primi commercianti delle bancarelle dei mercatini
di Natale stavano iniziando ad esporre e sistemare la loro merce e
pian piano il centro tornava alla vita. "Rudolph". Chiamò
il suo amico che, sonnacchioso, si stava stiracchiando sotto i
portici.
"Elke,
che ci fai ancora quì? La vecchia strega ne avrà
a male".
Elke
sorrise. "Sì, probabilmente si infurierà, ma non
importa.
Rudolph, ho bisogno del vostro aiuto. E' per la piccola Anna".
"Oh,
la bimba di Helena?".
Elke
annuì. "E' malata, ha una febbre altissima che non scende.
Ho
bisogno di portarle delle cure e so da chi potrei trovarle ma mi
servono soldi che non ho. Tu e i tuoi amici riuscireste a racimolare
tre monete di rame? So di chiedervi molto, non avete da mangiare,
ma...".
Rudolph
la bloccò, passandole l'indice sulla labbra. "Shhh, non dire
altro. Aspettami qui! Io e quei poco di buono dei miei scalcinati
amici possiamo fare a meno della birra per oggi, se è per il
bene di
Anna. Ti servono solo tre monete di rame?".
"Sì,
solo tre monete". Era quello il prezzo che Mattheus chiedeva per
un'ampolla dell'acqua del lago, lo ricordava bene. Fra se e se
sperò
che nei tre anni di lontananza non avesse alzato i prezzi... Da lui
poteva aspettarsi di tutto.
Aspettò
poco, giusto una manciata di minuti. Rudolph, accompagnato da un
bambinetto di strada sporco e spettinato, le ricomparve davanti con
un piccolo sacchetto di pelle sgualcito. "Tieni Elke, sono tutti
gli spiccioli che sono riuscito a racimolare. Credo che, sommati,
siano più o meno la somma di cui hai bisogno" –
disse,
tirando su col naso.
Elke
prese la sacca fra le mani mentre le monetine al suo interno
tintinnavano cozzando fra loro. "Grazie, vi sarò per sempre
debitrice".
"Su,
non perdere tempo e vai a prendere questa medicina".
"Certo".
Con un cenno veloce di saluto corse via dalla piazza, immettendosi
nella via dove aveva visto Mattheus per l'ultima volta. Fece mente
locale sulle sue abitudini, sfilando davanti alle eleganti locande
che sorpassava, attenta a ogni movimento dei loro clienti. La strada
era ancora deserta, era mattina presto, la luce del giorno era fioca
e la maggior parte delle persone probabilmente stava ancora poltrendo
sotto le coperte. Mattheus invece no, lo ricordava molto mattiniero,
si alzava prestissimo per lavorare e spesso, quando lei e i nani si
svegliavano, lui era attivo già da ore. A quei pensieri,
quei
ricordi, una fitta le trafisse lo stomaco, tanto che fu costretta ad
appoggiarsi al muro. Le mancavano quei momenti,
quell'intimità
famigliare che si era creata in quella casa di Pennes con Falko,
Drago e Mattheus, il loro modo di stare insieme, il sentirsi per la
prima volta in vita sua a casa. Ricordava quanto Mattheus la
prendesse in giro ogni mattina perché non sapeva cucinare e
di come
le avesse vietato di avvicinarsi alla cucina per paura che
incendiasse la casa nel tentativo di cuocere qualcosa, il modo
sbarazzino ma allo stesso tempo dolce che usava quando scherzava con
lei e anche le serate tranquille in cui, soli loro due, le insegnava
a leggere e scrivere.
Ricacciò
indietro una lacrima. Quella era stata la sua casa, Mattheus e i
gemelli la sua famiglia e, anche se per poco tempo, si era sentita
amata e al sicuro.
Improvvisamente
la porta della locanda della signora Hermann, la più
lussuosa della
città, si aprì e frettolosamente un uomo scese
gli scalini di
pietra stretto nel suo mantello. Elke trattenne il fiato,
ringraziando tutti gli angeli del paradiso. Era stata fortunata, era
lui! Quelli come Mattheus non cambiano le proprie abitudini, mai.
Deglutì,
in un misto fra tensione e imbarazzo, avvicinandosi a lui. Mattheus,
a passo svelto, si stava avviando verso i palazzi della piazza e le
fu difficile accodarsi a lui, da quanto camminava veloce. "Mattheus
Hansele, aspetta!" - urlò, appena fu a pochi metri di
distanza.
L'uomo
si fermò di colpo, voltandosi lentamente verso di lei. La
squadrò
per un lungo istante, l'espressione immobile e accigliata. "Cosa
ci fai quì?" - chiese infine, con freddezza.
"Avevo
bisogno di parlare con te!".
Mattheus
si avvicinò di alcuni passi non togliendole gli occhi di
dosso. "E
come hai fatto a trovarmi? Mi stai per caso pedinando?".
Elke
sostenne il suo sguardo, decisa a non farsi intimidire da lui. Era un
orso, lo era da sempre, ma dopo tutto non aveva torto a chiedere come
lo avesse trovato. "Non è necessario pedinarti, conosco
benissimo le tue abitudini. Mattiniero e amante dei posti comodi e
lussuosi, non bisogna certo essere dei geni per trovarti".
Di
tutta risposta, con aria sospettosa, Mattheus incrociò le
braccia al
petto. "Cosa vuoi? Non mi pare di averti dato da intendere in
nessun modo che ho piacere di parlare con te".
"Non
voglio parlare, sono qui per concludere un affare".
Non
seppe se la cosa lo interessasse, ma di certo la sua espressione fu
di stupore e curiosità. "Concludere un affare? Noi due?".
Elke
annuì, togliendo dalla tasca tutte le monete di rame che era
riuscita a raccogliere. "Ho bisogno della tua acqua".
"Dove
hai trovato quei soldi?".
Elke
alzò le spalle. "I miei amici della piazza, i senza tetto.
Sai,
è incredibile l'altruismo delle persone che non hanno nulla,
soprattutto se paragonato all'egoismo di chi ha tutto".
Mattheus
finse di non sentirla, osservò di sfuggita la sacca di
monete e poi
lei. "La mia acqua è molto cara e tu non puoi permettertela".
"Tre
monete di rame ad ampolla, giusto? Questo era il suo prezzo, se non
ricordo male".
Mattheus
chiuse per un attimo gli occhi, come indeciso sul da farsi. E questo
le parve talmente strano che stentava quasi a riconoscerlo. "Soldi
Mattheus, sono sicura che sai cosa sono, vero? Difficilmente
rinunceresti ad un guadagno quindi fa finta che non ci sia io qui
davanti a te e fingi che ci sia un acquirente qualsiasi. Tu mi dai
l'ampolla e io i soldi e finisce tutto qui".
"Una
moneta d'oro Elke! E' questo il prezzo dell'acqua per te. Se ce l'hai
bene, affare fatto! Se non ce l'hai...".
Per
un attimo rimase attonita, ammutolita. Il tono di voce di Mattheus
era freddo, provocatorio, quasi strafottente. La stava provocando e
non ne capiva il motivo. "La tua acqua non costa così tanto".
"Il
prezzo lo decido io in base al mio umore, al tempo e a chi ho
davanti. Vuoi un'ampolla d'acqua e io te la darò ma
SOLAMENTE se mi
pagherai il giusto prezzo".
Scosse
la testa, incredula, indietreggiando di alcuni passi. "Non ho
una cifra del genere e tu lo sai".
"Non
è un problema mio. Chiedi di nuovo ai tuoi amichetti della
piazza,
sembrano tanto bendisposti verso di te. Magari se coinvolgerai tutti
i senzatetto di Bozen riuscirai a racimolare abbastanza soldi per
l'acqua. Di disperati ne è piena questa città,
dopo tutto. E visto
che mi dici che son tanto altruisti, magari potresti farcela a
trovare il denaro che ti serve".
Fu
troppo, per sopportare ancora. Non capiva, non riusciva a comprendere
il gioco che stava facendo Mattheus e nemmeno chi avesse davanti. Non
lo riconosceva più! Chi era Mattheus Hansele? Quello che
l'aveva
abbracciata e sorretta la notte di Natale di tre anni prima o la
persona fredda e sprezzante che aveva davanti? Decise che non le
importava, non più almeno. "Non parlare a questo modo di
quelle
persone, sono infinitamente migliori di...".
"Di
chi?".
Sorrise,
freddamente. Se Mattheus aveva desiderato ferirla, ci era riuscito. E
ora avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. "Di te".
Lo
guardò negli occhi e lui sostenne il suo sguardo. C'era
furore in
lui, un qualcosa che sembrava rabbia a prima vista, ma c'era anche
altro, qualcosa che ancora le sfuggiva... I suoi occhi le sembravano
così cupi, vuoti e spersi, nonostante i modi di fare
così decisi
che stava adottando con lei. "Bene, vattene allora! Niente
soldi, niente acqua. La faccenda finisce qui per me".
"Anche
per me". Gli voltò le spalle, fece per andarsene ma poi si
fermò. Se quello era un addio, avrebbe fatto in modo che
fosse
definitivo. "Sai Mattheus, io sono una dannata stupida
perché
ti ho creduto, per tanto tempo. E ho avuto fiducia in te, talmente
tanto che ti avrei affidato la mia vita ad occhi chiusi. Ti ho anche
voluto bene, per me eri una famiglia, eri qualcuno che, da solo,
sapeva farmi sentire a casa e al sicuro. In fondo non ho smesso di
credere in te nemmeno quando me ne sono andata da Pennes, anche se ci
ho provato ad odiarti, te lo giuro, non ci sono mai riuscita. Non
è
stato facile cercarti, oggi. E non è facile nemmeno essere
qui a
parlare con te, preferirei la compagnia di mio padre alla tua, in
questo momento! Ti ho cercato perché l'acqua mi serve per
una
bambina che sta molto male e tu eri l'unica opportunità che
avevo
per salvarla. Non la volevo per me, non era un capriccio".
"Lo
sai bene come funziona l'acqua del lago, lo sai che non può
evitare
la morte alle persone che vi sono destinate. Credevo che questo lo
avessi imparato, nei mesi in cui hai vissuto con me".
"Lei
non morirà e ora lascia perdere tutti questi discorsi, non
voglio
più stare a sentirti e mi stai solo facendo perdere tempo.
Sono solo
curiosa di sapere perché mi odi così tanto, ma
credo che potrò
continuare a vivere tranquillamente anche senza saperlo".
"Elke!".
Gli
voltò le spalle, decisa ad andarsene. "Non ho più
niente da
dirti".
"Fermati
un attimo!".
"No!".
Corse, convinta di averlo lasciato indietro. Non sapeva cosa provasse
davvero, se rabbia o delusione. O entrambe. In realtà il
sentimento
che più avvertiva in se e che soffocava tutti gli altri era
il
dolore, tanto forte e lacerante che le faceva mancare il fiato. Erano
sempre state bugie, ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sorriso
e ogni suo abbraccio. Tutto finto, quel Mattheus non esisteva e ora
che ci aveva sbattuto il muso per la seconda volta lo aveva
finalmente capito. Voleva piangere ma decise che non lo avrebbe
fatto, non avrebbe sprecato altre lacrime per lui. No, c'era un altro
modo per buttare fuori tutta la rabbia e la disperazione che
avvertiva dentro di se ed era stato lo stesso Mattheus ad
insegnarglielo. Rallentò, per poi fermarsi in un piccolo
vicolo
deserto. E poi, con tutta la forza che aveva, sferrò un
pugno contro
il muro, seguito subito da un altro ancora più violento.
E
a quel punto una mano sconosciuta le afferrò il braccio,
bloccandola. Irritata si voltò, trovandosi davanti ancora
Mattheus
che evidentemente l'aveva seguita senza che se ne accorgesse.
"Lasciami" – intimò, rabbiosa.
Lo
stregone scosse la testa, stringendole il braccio ancora più
forte.
"Ti lascerò quando lo deciderò io! E la nostra
conversazione
finirà allo stesso modo, quando lo deciderò io.
Tu mi hai cercato e
ora ascolterai quello che ho da dire, che ti piaccia o no".
Elke
cercò di strattonarlo e di liberarsi dalla sua presa ma
Mattheus non
si mosse di un centimetro. Era tutto uguale, in modo inquietante, a
quanto successo tre anni prima. "Cosa vuoi da me? Dannazione,
lasciami".
"No".
Con la mano libera, dalla tasca, Mattheus tolse un'ampolla contenente
l'acqua del lago e la sollevò, fino a portarla davanti al
suo volto.
"La vedi, Elke? E' questo che volevi, giusto?".
"Sì.
Ma tanto non me la darai e quindi è perfettamente inutile
stare a
parlarne".
"E'
vero, non te la darò. Perché sai, anche se tu
riuscissi per
miracolo a trovare i soldi che ti ho chiesto, io raddoppierei poi il
prezzo".
Elke
sorrise, freddamente. "Lo immaginavo".
"E
sai perché lo farei?".
Elke
alzò le spalle, sfinita ma nonostante tutto decisa a
tenergli testa.
"Non lo so e non mi importa".
"Sì
che ti importa, invece". Mattheus le lasciò il polso e poi
con
un gesto veloce le prese dalla tasca la sacca di monete che gli aveva
offerto poco prima. "Prima hai detto che non sai perché ti
odio
così tanto ma la verità è che non
è così, non ti odio. Se tu
fossi venuta da me e mi avessi semplicemente chiesto aiuto io ti
avrei dato tutta l'acqua che volevi, senza chiederti un centesimo. Lo
avrei fatto senza chiedertene il motivo perché ti conosco e
so che
ne avresti fatto un buon uso. Ti sarebbe bastato poco, semplicemente
meno arroganza e più gentilezza. Come facevi una volta,
ricordi?".
Elke
spalancò gli occhi, sorpresa, mentre uno strano senso di
vergogna e
colpa prendeva possesso di lei. "Cosa?".
Mattheus
per un attimo abbassò lo sguardo, allontanandosi lievemente
da lei.
Ora non sembrava rabbioso ma al contrario... ferito?
"E'
questo che sono per te? Un approfittatore delle disgrazie altrui, uno
interessato solo al denaro, che ti dà retta unicamente se
può
trarne profitto? Credevo che avessi imparato a conoscermi, che...".
Strinse la sacca di monete fra le mani e poi la gettò a
terra con
violenza. "Non ha importanza in fondo stare a parlarne, hai
ragione! Non voglio i tuoi soldi e non voglio niente da te".
In
quel momento, forse per la prima volta da quando l'aveva conosciuto,
Mattheus gli parve vulnerabile. Si sentì in colpa, mentre la
rabbia
di poco prima scemava dal suo corpo, evaporando nell'aria fredda.
Capiva, meglio di quanto lui credesse. Offrendogli quel denaro aveva
rinnegato tutto quello che loro due erano stati. "Io...".
"Fine
del discorso, ti ho detto tutto quello che dovevo". Lentamente
lasciò la presa sull'ampolla d'acqua, facendola cadere a
terra. Il
vetro si ruppe in mille frammenti, disperdendosi fra la neve e il
fango della via mentre l'acqua che conteneva scivolava in ogni
direzione possibile. "Ora si che te ne puoi andare, ragazzina!
Non voglio vederti mai più".
"Mattheus,
aspetta!".
Ma
lui non aspettò e d'altronde non si aspettava che lo
facesse. Aveva
sempre fatto di testa sua, Mattheus, e di certo non l'avrebbe
assecondata in quel momento. La guardò, per un lungo
istante, in
silenzio. Poi tirò su il cappuccio del mantello, gli
voltò le
spalle e sparì a sua volta fra i dedali di vie del centro.
Per
un breve istante rimase incerta sul da farsi e se seguirlo o meno. Lo
aveva ferito, anche se non di proposito, ma non aveva tempo di
seguirlo, chiarirsi e cercare di sistemare le cose. Mattheus aveva
detto no alla sua richiesta di dargli l'acqua del lago di Valdurna e
lei aveva il disperato bisogno di trovare una cura per la piccola
Anna e se non poteva usare l'acqua magica dello stregone c'era solo
un'altra strada da percorrere. Sapeva usare le erbe, ne conosceva le
proprietà curative e molte cose era stato lo stesso Mattheus
ad
insegnargliele. Sospirò, persuasa dal fatto che non avrebbe
fatto
ritorno al convento troppo presto e avrebbe passato dei guai per
questo, ma non c'era altro da fare.
Corse
come una forsennata verso la periferia sorpassando la piazza, le vie
del centro e via via i vicoli fangosi della zona esterna che
portavano alla campagna e ai monti che dominavano la città.
Si fermò
quando non aveva più fiato, lontana dalle mura di Bozen, in
un prato
ricoperto di brina e nevischio da cui si dominava il paese.
Si
avvicinò a una piccola scarpata, scivolando al suo interno.
"Artemisia, devo trovare l'artemisia!". Di quella pianta ce
n'era molta da quelle parti e sapeva che, pestata, resa poltiglia e
poi cotta in infuso, era un ottimo rimedio per la febbre e le
infezioni della gola.
Trovò
i ciuffetti della pianta che crescevano qua e là nella
scarpata e li
raccolse in fretta, fino ad ottenerne un grosso mazzo. Poi con un
sasso li batté e sbriciolò, riducendoli in
poltiglia. Fece in
fretta, più che poteva, ma nonostante questo, quando
udì in
lontananza le campane di Bozen che rintoccavano il mezzogiorno, non
era che a metà del lavoro. Aveva bisogno di tempo e di calma
per
fare le cose al meglio, ma non ne aveva: Anna aveva bisogno
urgentemente di una medicina e lei era sufficientemente in ritardo
per cacciarsi nei guai. Suor Faustine si era di certo accorta della
sua assenza e la sua reazione sarebbe stata sicuramente poco
amichevole. Per un attimo si fermò guardandosi attorno,
perdendosi
nel silenzio dei boschi e della campagna; Quello era stato il suo
mondo fino a tre anni prima e spesso aveva desiderato tornarvi, anche
in quel momento non sognava che quello. Ma non poteva e il pensiero
di Helena e Anna la riportò alla realtà. Doveva
fare in fretta,
tornare e smettere di sognare qualcosa che non avrebbe mai
più
avuto.
Finì
che ormai era pomeriggio e poi tornò verso Bozen a passo
veloce. Era
stanca, stravolta, non mangiava dal giorno prima, non aveva riposato
e mille sentimenti contrastanti si agitavano dentro di lei.
Preoccupazione per Anna, paura della punizione che l'attendeva una
volta rientrata in convento e rabbia e senso di colpa verso Mattheus.
Forse sarebbe davvero stato meglio rimanere in montagna, lontana da
tutto, come faceva da bambina quando correva fra gli abeti con Maike,
ma ora non era più una bambina, la sua lupa era morta e la
sua vita
era a Bozen, non c'era altro per lei la fuori.
Giunse
al convento che ormai imbruniva. Entrò di soppiatto,
approfittando
del fatto che a quell'ora le suore cenavano e quindi i corridoi erano
per lo più deserti. Attenta a non farsi scoprire corse fino
alla sua
camera, sgattaiolandoci dentro come una ladra.
"Elke!".
"Helena!".
Sospirò, rinfrancata dal vedere l'amica in stanza, accanto
alla
figlia che dormiva nel suo letto. "Come va?".
Di
tutta risposta Helena si alzò dal letto, scagliandosi contro
di lei.
"Dove diavolo sei stata tutto oggi? Santo cielo, mi hai fatta
preoccupare! Suor Amelia ti ha cercata tutto il giorno, avevi un
sacco di lavoro da svolgere e nessuno sapeva dov'eri! Ha informato
suor Faustine della tua assenza e mi hanno fatto mille domande su di
te. Suor Faustine è furiosa, non l'ho mai vista
così. Elke, dove
diavolo eri finita? Mi avevi detto che saresti tornata subito".
Di
tutta risposta Elke prese dalla tasca del vestito il fazzoletto dove
aveva riposto le erbe schiacciate, lasciandolo scivolare nelle sue
mani. "Helena, sono erbe che servono a far calare la febbre.
Trova dell'acqua calda, fanne un infuso e fallo bere ad Anna.
Starà
meglio".
Helena
osservò il piccolo fagotto che gli aveva messo fra le mani e
poi
lei. "Oh Elke... Ti sei cacciata di nuovo nei guai a causa mia".
"Non
pensarci". Si avvicinò alla porta, tirando giù la
maniglia per
aprirla. "Occupati di Anna invece".
"E
tu dove vai di nuovo?".
Elke
sospirò. "Da suor Faustine a ricevere il mio castigo. Tanto
vale farlo subito e togliersi il pensiero, giusto?".
"Ti
massacrerà".
Elke
le strizzò l'occhio. Era terrorizzata ma non era il caso di
far
preoccupare ulteriormente Helena. "Ci sono abituata, ho le
spalle larghe ormai".
"Scappa".
"Non
saprei dove andare. In fondo non sarà così
terribile, sarà
questione di pochi minuti come al solito".
Helena
sospirò, poco convinta. "Buona fortuna".
"Anche
a voi" – rispose, lanciando ad Anna un'ultima occhiata. Poi
chiuse la porta e si avviò verso il refettorio. Conosceva
suor
Faustine, i suoi modi duri, il suo rancore verso di lei, il suo
essere convinta di avere a che fare con un essere demoniaco da
addomesticare, conosceva il bruciore dei suoi schiaffi e la furia
delle sue parole. Sapeva cosa l'aspettava e nonostante poco prima si
fosse dimostrata tranquilla con Helena, in realtà aveva
paura.
Passò
davanti alla porta del refettorio e vedendo le suore ancora intente a
cenare, si trascinò stancamente fino al corridoio dove si
trovava la
porta della stanza e dello studio di suor Faustine. Si sedette a
terra, appoggiando le ginocchia al mento ed aspettando.
C'era
silenzio attorno a lei, ovattato e quasi rilassante, tanto che per un
istante la stanchezza ebbe la meglio facendola addormentare. Ma
appunto, fu solo un attimo.
Aprì
gli occhi di scatto, mentre un'ombra troneggiava su di lei. "Suor
Faustine..." - mormorò deglutendo, trovandosela davanti. Era
una donna appesantita dagli anni e dalla corporatura robusta, ma
sapeva camminare con la leggerezza di una piuma.
La
suora la squadrò accigliata per alcuni istanti, la sua
espressione
neutra e incolore. "Ebbene, eccoti qui. Ti credevo in fuga,
lontana, devo ammettere che riesci sempre a stupirmi".
"Helena
mi ha detto che mi cercavate oggi e che siete adirata con me".
Con
un cenno della mano la suora le fece segno di alzarsi, poi
aprì la
porta del suo studio e la spinse all'interno, chiudendo l'uscio
dietro di loro. "Adirata? Ne avrei motivo, giusto Elke?".
La
ragazza si guardò attorno, osservando quell'ambiente spoglio
e
semplice composto da un letto, una scrivania e un grosso crocifisso
che dominava tutto e tutti dall'alto della parete. "Suppongo di
sì, vi ho disubbidito e ora merito di essere punita. Sono
qui,
facciamo in fretta e togliamoci il pensiero".
"Non
così in fretta, Elke. Siediti" – le
ordinò la suora,
indicandole la sedia davanti alla sua scrivania.
Elke
si sedette, stringendo fra le mani la stoffa del suo abito. Si
sentiva terribilmente a disagio e suor Faustine si stava comportando
il maniera anomala e diversa dal solito. E questo non era un bene, le
suggeriva il suo istinto.
"E
allora ragazza, dove sei stata tutto oggi? Cos'avevi di tanto
importante da fare che ti ha sottratto ai tuoi doveri?".
Elke
si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Se avesse raccontato a
suor Faustine la verità, cioè che era stata a
cercare delle erbe
per curare Anna, le avrebbe offerto su un piatto d'argento la
possibilità di incriminarla per stregoneria. Viveva a Bozen
da
abbastanza tempo e aveva imparato che le donne che usavano erbe per
curare le malattie venivano poi perseguitate dall'Inquisizione e a
volte finivano sul rogo. Suor Faustine glielo aveva insegnato, suo
malgrado, due anni prima quando l'aveva costretta ad assistere al
rogo di una strega in piazza. Sentiva ancora dentro di se le urla e
lo strazio di quella donna consumata dalle fiamme e il terrore di
essere lì davanti a lei, inerme e impossibilitata ad
aiutarla.
"Questo
è quello che succede alle streghe come te, se non
abbracciano Dio".
Questo
le aveva detto suor Faustine quella volta e lei lo aveva tenuto ben a
mente. Sospirò, optando quindi per una bugia a cui la suora
avrebbe
creduto senza problemi. "Stanotte ho dormito poco e male in
piazza e oggi non avevo voglia di lavorare. Mi sono rintanata in un
vicolo e ho dormito tutto il giorno".
La
suora le passo davanti più volte, passeggiando per la
stanza. "Ti
devo riconoscere un certo fegato ad ammettere le tue mancanze senza
accampare scuse e d'altronde sappiamo tutti quanto tu sia maldestra e
poco portata per il lavoro fisico. Però, nonostante apprezzi
la tua
sincerità, questo non ti aiuterà di certo
perché mi hai comunque
disubbidito e hai mancato ai tuoi doveri, rischiando di compromettere
la pacifica vita e l'organizzazione del convento". Si fermò
d'improvviso, guardandola negli occhi con una strana espressione
furiosa. "Cosa dovrei fare ora con te, Elke? Come posso punirti
in modo che tu possa capire i tuoi errori ed evitare che ti venga la
tentazione, in futuro, di perseverare nel peccato?".
Elke
trattenne il fiato. Quella suora le stava chiedendo come voleva
essere punita, picchiata e umiliata? "Non lo so, signora".
"Ho
provato con gli schiaffi, a privarti del cibo, di un tetto sulla
testa e a caricarti di lavoro pesante. Ma non è servito!
Passiamo
alle maniere forti, ragazza, non mi lasci scelta, ma d'altronde lo
sapevo che con te sarebbe stata una lotta dura". La suora si
avvicino al piccolo armadio dietro la scrivania, tirandone fuori una
cinta di cuoio. "Alzati in piedi e appoggia le mani sul tavolo".
"No...".
Indietreggiò, terrorizzata, capendo le intenzioni di suor
Faustine
fin troppo bene. No, non poteva succederle di nuovo, non poteva
essere! Era un incubo, non c'erano altre spiegazioni. Aveva
già
provato da bambina il sapore delle frustate sulla pelle, il senso di
sopraffazione, il dolore atroce della carne che si lacera e quella
sensazione terribile di soffocare per il male. "No, vi prego".
Suor
Faustine finse di non sentirla. "Appoggia le mani al tavolo"
– ripeté, stranamente calma.
"No.
Tutto ma non questo, per favore".
Suor
Faustine si avventò su di lei, prendendola per i capelli e
spingendola contro la scrivania. "Appoggia quelle mani sul
tavolo o ti costringerò a farlo con la forza e soffrirai
doppiamente".
"No"
– singhiozzò, fra le lacrime. Tentò di
divincolarsi, di cercare
una via di fuga ma d'improvviso l'aria attorno a lei vibrò e
poi,
con violenza, una frustata la colpì da dietro, sulla
schiena. E poi
un'altra e un'altra ancora, sempre più forti. Suor Faustine
e il suo
braccio sembravano posseduti da una forza sovrumana che si abbatteva
su di lei senza pietà. Sentì gli abiti lacerarsi
e poi la sua pelle
nuda martellata da decine di colpi incessanti.
"Le
mani, appoggia quelle mani sul tavolo o non la smetterò"
–
urlò la suora, nel suo orecchio.
Strinse
i denti per non gridare, per non svenire, per cercare di resistere
quanto più possibile. Il male era atroce, sentiva il sangue
colarle
giù per la schiena e non riusciva più a muoversi.
Cercò di
rifugiarsi in un pensiero felice che isolasse la sua mente da
quell'inferno e tutto quello che le venne in mente fu la sua lupa,
Maike, le loro corse, i giochi da bambina che aveva fatto in sua
compagnia e a come l'avrebbe protetta se in quel momento fosse stata
al suo fianco. Per un attimo, persa in quel pensiero fugace, si
ricordò della statuetta in legno che qualcuno le aveva
regalato
pochi giorni prima e che tanto le ricordava Maike. Non aveva mai
scoperto chi gliel'avesse donata ma le venne in mente che solo a
Mattheus aveva parlato di quella lupa. Che fosse stato lui? Percorsa
dalle frustate scosse la testa, mentre le lacrime le rigavano il
viso. No, non poteva essere stato lui, Mattheus non era un tipo da
regali e di certo non ne avrebbe fatti a lei.
Una
frustata più forte la fece stramazzare a terra. Le mancava
il fiato,
le forze la stavano abbandonando, il dolore alla schiena era
diventato talmente intenso da stordirla e si stava avvicinando al
punto di diventare insopportabile.
"Appoggia
le mani sul tavolo" – le intimò, col fiato corto,
di nuovo,
suor Faustine.
"Perché?".
La
suora la prese per il colletto del vestito, tirandola su con uno
strattone. "Perché da domani tu avrai talmente tanto lavoro
da
non poter respirare e voglio che qualsiasi cosa tu faccia, ogni volta
che muovi le dita e le mani, senta talmente tanto dolore da impedirti
di dimenticare quello che sta succedendo qui. Appoggia le mani su
quel tavolo Elke o io continuerò a frustarti
finché non avrai più
carne sulla schiena. E poi passerò alle gambe".
Ricacciò
indietro le lacrime, in un ultimo vano tentativo di essere forte. Una
volta Mattheus le aveva detto di non accettare il male che le veniva
fatto, di combatterlo, di resistere. E probabilmente, vedendola
cedere, sarebbe rimasto deluso da lei. Ma non ce la faceva
più a
sopportare, non era così forte e in fondo a Mattheus non
interessava
nulla di lei per cui non aveva niente da dimostrargli.
Chinò
il capo, sottomettendosi alla volontà della suora. Tremante
appoggiò
le mani al tavolo, chiudendo gli occhi e preparandosi a venire
nuovamente frustata.
La
suora iniziò a colpirla di nuovo sulle dita, sui polsi,
sulle mani,
con una forza ancora maggiore. Urlava parole crudeli al suo indirizzo
ma la sua voce le appariva ovattata e confusa, tanto che per un
attimo le sembrò di avere accanto suo padre, col suo
disprezzo e la
sua violenza esplosa a suon di frustate una sera di Natale di tanti
anni prima.
"Figlia
del diavolo...".
Fu
un pensiero fugace, che le attraversò la mente con la stessa
velocità delle frustate che le venivano inferte e che mai
avrebbe
pensato di poter formulare. In fondo non sarebbe stato così
brutto
essere davvero la figlia del demonio, avrebbe potuto difendersi,
combattere, restituire la violenza che subiva e suo padre, il
diavolo, l'avrebbe aiutata in questo. Se tutti la credevano la figlia
del diavolo, tanto valeva diventarlo davvero, pensò prima
che
un'ultima frustata, più forte delle altre, le lacerasse la
mani e la
facesse cadere a terra priva di sensi.
Il
mondo divenne un posto buio, quel buio in cui avrebbe voluto perdersi
e nascondersi per sempre.
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Capitolo 22 *** Capitolo ventidue ***
La
Vigilia di Natale aveva sempre avuto, ai suoi occhi, qualcosa di
magico insito in se. Attesa, magia, contemplazione e uno strano senso
di benessere che contagiava tutto e tutti. Nevicava dolcemente su
Bozen da quella mattina. Grossi e morbidi fiocchi ricoprivano strade
e tetti, attutendo il rumore e il vocio delle persone indaffarate a
comprare leccornie per la cena e qualche pensiero per le persone
amate.
Stiracchiandosi,
Mattheus si sedette sul parapetto della finestra della sua lussuosa
stanza, osservando il mondo al di fuori. Ormai il suo lavoro in
quella città si poteva dire concluso, a parte una decina di
ampolle
tenute come al solito per le emergenze, non aveva altro da vendere e
poteva anche tornare a casa. Lo avrebbe fatto volentieri se solo
avesse trovato una carrozza che lo portasse fino alla Val Sarentino,
ma in quei giorni di festa non c’era un solo cocchiere
disponibile
a portarlo tanto lontano.
Sospirò,
incrociando le braccia al petto, indeciso se essere più
annoiato o
più scocciato per quella forzata permanenza a Bozen. Aveva
guadagnato molto, era per quello che era venuto in città,
però non
era stato un viaggio piacevole e spesso si era trovato a pensare che
forse avrebbe dovuto dare retta a Jutta e ai gemelli e rimanere a
Pennes. Lì era fra amici, conosceva ogni singola persona del
villaggio e non si sarebbe sentito solo come in quel momento. Si
stupì di se stesso per questi sentimenti perché
lui era stato solo
per gran parte della sua vita negli ultimi anni e mai gli era
capitato di avvertire il peso della solitudine come a Bozen. Eppure
era così, soprattutto da tre giorni a quella parte, dopo il
confronto avuto con Elke che gli aveva lasciato uno strano amaro in
bocca.
Non
l’aveva più vista da allora, nonostante fosse
passato spesso per
lavoro davanti al convento, non l’aveva più
incrociata. Né lì né
in piazza. Non avrebbe dovuto importagli ma in realtà non
riusciva a
non pensare a lei e al modo in cui si erano rapportati dopo tre anni
di lontananza. La verità era che si sentiva un perfetto
idiota per
come si era comportato con lei e da tre giorni a quella parte, ogni
volta che teneva fra le mani un'ampolla d'acqua, provava il forte
desiderio di andare in quel convento a portargliela. Si era
comportato come uno stupido, aveva lasciato che arroganza e orgoglio
avessero la meglio sulla ragione e su quello che provava per lei. Era
rimasto ferito, durante il loro incontro, dal fatto che Elke avesse
timore di lui e solo a mente fredda aveva capito che quella era stata
una normale reazione di una ragazza sola, costretta a dormire al gelo
di una piazza, senza alcuna protezione. Era la cosa più
scontata del
mondo che si fosse spaventata a trovarselo davanti, non si vedevano
da tre anni e si erano lasciati in malo modo, cosa poteva pretendere
da lei? Il loro secondo incontro era andato anche peggio, un
po’
per colpa di Elke, un po’ per colpa sua che non aveva saputo
reagire con lucidità. Sarebbe bastato così poco
per chiarire, per
calmare gli animi, forse. Con una fitta allo stomaco pensò a
quanto
fosse tutto più semplice e sereno fra loro fino a tre anni
prima, al
modo in cui Elke si era fidata di lui e gli era stata accanto in ogni
cosa che facesse, ovunque lui la trascinasse. Ora era diverso, Elke
non aveva più fiducia in lui, il legame che li aveva uniti
si era
spezzato e sicuramente, al momento, era arrabbiata. E non poteva
darle torto, pensò sospirando.
Di
malavoglia si mise in piedi, fuori ormai stava imbrunendo e presto
per i suoi gusti sarebbe stato troppo freddo per uscire.
C’era però
una cosa che doveva fare, che faceva ogni anno il pomeriggio della
Vigilia di Natale.
Si
mise il mantello e dopo aver dato le chiavi della stanza al
locandiere si avviò verso la grande Chiesa in piazza. Era
sempre
stato un orso, come diceva una volta Elke, e odiava trovarsi in posti
con troppa gente e chiasso e per questo da molto non andava alla
Messa di mezzanotte di Natale, ma ogni anno nel pomeriggio, quando la
Chiesa era ancora quasi deserta, ci si recava ad accendere tre
candele. Una per suo padre, una per sua madre e una per Jakob. Era un
momento intimo, di preghiera e ricordo, in cui si isolava da tutti e
pensava solo a loro e a quello che rappresentavano per lui. Lo faceva
ogni anno a Pennes e non c'era motivo alcuno per non farlo a Bozen.
Camminò
fra la neve che gli arrivava alle caviglie, provando piacere nel
sentire il rumore degli stivali che affondavano in essa. Attorno
c'era un piacevole via vai di gente infagottata in mantelli e cappucci
e le torce accese ai lati delle strade infondevano una
strana atmosfera di calore e pace. Quella era la magia del Natale che
amava più di tutto, quel senso di benessere e attesa che
pervadeva
l'aria e gli animi delle persone, rendendole più bendisposte
verso
gli altri.
Quando
arrivò in Chiesa si accorse che, rispetto a Pennes, c'erano
più
persone che andavano e venivano per portare offerte o pregare in
raccoglimento, lontani dalla folla della notte. In fondo era normale,
Bozen non era Pennes, era una città e ci vivevano molte
più
persone. Osservò quelle donne intente a portare fiori o
qualche
spicciolo, i bambini che sbirciavano dalla porta il grande Presepe
all'interno della Chiesa e udì l'organo che suonava
accompagnato
dalle
voci infantili
del
coro
che stavano probabilmente preparando i canti per la Messa di
mezzanotte.
Alzò
le spalle, rassegnato al fatto che non sarebbe stato solo.
Entrò,
ammirando i dipinti alle pareti e la maestosità dell'altare,
talmente grande che avrebbe potuto ospitare, da solo, tutta la
Chiesetta di Pennes. Era bello nell'insieme, ma gli parve
così
lontano dalla semplicità e dai veri valori del Natale, che
per un
attimo si sentì un po’ perso così
lontano dalle sue abitudini.
Nella
Chiesa c'erano una ventina di persone che andavano e venivano e c'era
abbastanza penombra per rimanere in raccoglimento senza che nessuno
venisse a disturbare, soprattutto nelle ultime panche. Davanti
all'altare scorse un gruppo di suore che seguivano le prove del coro
e che muovevano la testa a tempo con l'organo suonato da un musicista
talmente improvvisato da sbagliare una nota ogni cinque. La cosa lo
divertì, tanto che per un attimo si sedette a una panca,
pronto a
mettersi a contare il numero di errori che lo sventurato avrebbe
collezionato durante una singola esecuzione. Poi l'occhio gli
scivolò
al lato opposto della Chiesa dove un gruppo di ragazze tutte vestite
di grigio parlottava fra loro, un po’ attente ai canti e un
po’
perse nel loro mondo. Gli ci volle qualche istante per realizzare che
indossavano la stessa divisa di Elke, lo stesso sgualcito vestito
usato dalle ragazze sotto la protezione del convento. Il cuore gli
accelerò. Se loro erano lì, c'era di sicuro anche
Elke, che le
piacesse o no dubitava avesse voce in capitolo sui luoghi da
frequentare la Vigilia di Natale. Guardò le ragazze, una ad
una,
riconoscendo la piccoletta che aveva visto lavorare con Elke quattro
giorni prima e l'altra ragazza, quella con la figlia piccola a cui
aveva dato la statuetta.
"Dove
sei?".
Osservò
più attentamente e infine la vide. Se ne stava in disparte,
in un
angolo scuro in fondo alla Chiesa, appoggiata alla parete. Non
sembrava desiderosa di chiacchierare con le altre e il suo sguardo
pareva perso o forse semplicemente annoiato. Non si era accorta della
sua presenza e difficilmente, in quella penombra, avrebbe potuto
essere diversamente. Ma per fortuna lui sì, l'aveva vista e
in cuor
suo sapeva di esserne contento. Chiuse gli occhi, ringraziando la
buona sorte che gliel'aveva fatta rincontrare, giurando a se stesso
che avrebbe cercato di rimediare ai suoi errori. A tutti quanti.
Si
alzò dalla panca, ormai dimentico della musica,
avvicinandosi
all'altare per accendere le sue tre candele. Rimase per alcuni
istanti fermo, in meditazione, pensando al sorriso di sua madre, alla
pacatezza di suo padre e agli anni trascorsi insieme a Jakob. Loro
non c'erano più ma in quella Chiesa c'era qualcuno che,
piano piano,
era stato capace con dolcezza e pazienza di guadagnarsi un posto nel
suo cuore e di diventare la sua famiglia.
Guardò
le tre candele accese, salutando silenziosamente le tre persone per
cui ardevano. Poi fece per andarsene, quando una voce lo
bloccò.
"Signore, siete forestiero, vero?".
Mattheus
si voltò, trovandosi davanti il Parroco di Bozen, un uomo
molto
anziano dai capelli radi e bianchi come la neve, magro come un chiodo
e ingobbito. "Scusi?".
"Non
vi ho mai visto da queste parti" – rispose l'anziano prete.
Mattheus
sbuffò. Non aveva tempo da perdere accidenti! "No, vengo
dalla
Val Sarentino e sono quì per lavoro. So' che non
è la mia Chiesa ma
ecco...".
"La
Chiesa è di tutti, ognuno è il benvenuto qui.
Rimanete pure quanto
volete signore, è un piacere avervi fra noi. Ero solo
rimasto
incuriosito dalla vostra espressione. Sembravate un po’
perso".
Nonostante
tutto, Mattheus annuì. "Forse un po’ lo sono per
davvero"
– sussurrò, stupendosi di quell'ammissione.
"Siete
come alla ricerca di qualcosa, vero? Questo luogo è adatto a
gente
come voi".
Mattheus
scosse la testa. "Non sono alla ricerca di qualcosa, io so cosa
voglio. E forse è tempo che vada a prenderlo".
L'anziano
prete scosse la testa. "Sembrate combattuto, c'è in atto una
guerra in voi". Dalla tasca della sua veste tirò fuori una
piccola ampolla contenente dell'acqua che gli porse. "E' acqua
sacra signore, tenetela. A volte averla può essere d'aiuto".
Mattheus
sorrise, osservando la piccola ampolla. "Ah, lasciate perdere
caro padre. Vi assicuro che, in fatto di acque miracolose, nessuno ne
sa più di me". Si alzò dalla panca, stringendosi
nel mantello.
"Vi ringrazio comunque, ma quell'acqua datela a chi è
più
bisognoso di me, per favore. Insieme a questi". Dalla tasca dei
suoi pantaloni tirò fuori un sacchettino di pelle pieno di
monete
che lanciò al prete. "Buona fortuna padre".
Accigliato,
l'uomo annuì, osservando il sacchetto fra le sue mani.
"Buona
fortuna a voi, signore. E grazie per la vostra generosità".
Mattheus
fece per andarsene ma il suono dell'organo lo costrinse a fermarsi.
"Caro padre, se volete un consiglio, cambiate l'organista! E'
uno strazio sentirlo".
Il
prete sospirò. "In effetti...".
Mascherando
un sorriso, Mattheus ripercorse a ritroso la navata della Chiesa.
Doveva trovare Elke e parlare con lei, quella poteva essere l'ultima
occasione che il fato gli offriva.
Con
sgomento, si accorse che la ragazza non era più nel punto
dove
l'aveva vista poco prima e si maledì per il tempo perso a
parlare
col parroco. Si guardò attorno, cercandola fra le altre
ragazze che
continuavano a chiacchierare e a far finta di sentire l'organista, ma
non la vide. Eppure non poteva essersene andata, dubitava gli fosse
permesso sottrarsi a quel luogo che, poteva scommetterci, le suore
giudicavano tanto salutare per anime perdute come quelle ragazze.
A
passo svelto uscì dalla Chiesa, sperando di trovarla fuori
da
qualche parte a prendere magari una boccata d'aria. Ormai era buio e
il piazzale della Chiesa era quasi deserto, in attesa di ripopolarsi
per la Messa di mezzanotte.
Si
strinse nel mantello per ripararsi dal freddo pungente mentre morbidi
fiocchi di neve gli solleticavano il viso. Si guardò intorno
e
infine la vide. Se ne stava seduta sull'ultimo gradino della
scalinata, sola, intenta a fare una specie di pupazzo di neve .
Pareva assorta in chissà quali pensieri e completamente
catturata da
quello che le sue mani facevano, affondate in quel gelido strato
bianco. I suoi capelli erano chiusi in una coda bassa, poco curata e
non indossava che l'abito logoro usato dalle altre ragazze nella sua
stessa condizione. Si chiese se avesse freddo e perché
rimanesse lì
fuori da sola quando poteva stare dentro con le sue amiche, al caldo.
A piccoli passi, con la neve che attutiva il rumore, scese uno ad uno
gli scalini, arrivando alle sue spalle. Così vicino a lei,
per un
attimo gli parve tanto fragile e indifesa da rischiare di spezzarsi
da un momento all'altro. "Ti ammalerai, se rimani quì fuori
al
freddo" – sussurrò infine.
Nonostante
l'avesse presa di sorpresa, la ragazza non ebbe reazioni particolari.
Si voltò verso di lui, accigliata, poi dopo un attimo si
rivoltò e
riprese a giocare con la neve.
Decise
di non farsi intimidire da quella reazione tanto fredda. Elke
probabilmente ce l'aveva a morte con lui e ne aveva mille buone
ragioni. E per una volta, la prima in vita sua, doveva essere lui a
chinare il capo e a fare il primo passo, senza che orgoglio e rabbia
avessero la meglio. "Posso stare qui un attimo con te?".
"Con
tutti i posti che ci sono..." - rispose, vaga.
Nonostante
tutto, gli venne da sorridere a quelle parole. Si affiancò a
lei,
sedendosi accanto sul gradino. Elke si voltò, tirandogli
un'occhiataccia seccata. Ma non si fece intimorire nemmeno in quel
caso. "Che vuoi farci, sono un tipo dispettoso".
"Fa
come ti pare".
"Che
ci fai qui fuori? Non passerai dei guai se ti allontani?".
Sul
viso di Elke comparve un sorriso freddo e distante. "Può
darsi,
ma mi stava venendo la nausea a star lì dentro ad ascoltare
tutte
quelle dannatissime canzoni che parlano d'amore e di pace e ho deciso
che avevo bisogno di aria per non vomitare".
"Elke?".
Mattheus si accigliò. Era strana, stranissima quella sera...
Non era
da lei parlare a quel modo e non gli appartenevano nemmeno quella
freddezza e quel tono così distaccato. Stentava a
riconoscerla. "In
fondo non sono canzoni stupide se le si sa ascoltare, capire e se si
riesce a trarne insegnamento. Alcuni ci riescono".
Elke
sorrise di nuovo, mentre il suo sguardo si perdeva nella piazza.
"Davvero? Strano sai, di solito la gente entra in Chiesa, sta ad
ascoltare canzoni e parole sull'amore e sulla fratellanza, finge di
crederci e poi una volta usciti, una volta varcata la porta, comincia
a far male a
chiunque gli capiti a tiro, a
chiunque non giudicano degno di loro.
Ma se tu credi a tutte le stupidaggini che dicono là dentro
Mattheus, entra e restaci in Chiesa. E lascia in pace me!".
Mattheus
sussultò. Elke aveva variato il tono di voce che si era
fatto più
alto ed acuto. Se qualcuno l'avesse sentita dire cose del genere,
avrebbe passato dei grossi guai. Ricordava bene lo schiaffo che la
suora le aveva dato pochi giorni prima davanti al convento, quando
aveva coperto la fuga della sua amica con la figlia. E se quella
suora si fosse trovata nei paraggi e l'avesse sentita pronunciare
quelle parole, l'avrebbe riempita nuovamente di sberle senza pensarci
su due volte. "Smettila, non dovresti dire cose del genere, cose
a cui nemmeno credi".
"Dovresti
rientrarci davvero in Chiesa, Mattheus" – proseguì
lei, in
tono monocorde, senza scomporsi.
"E
invece resterò qua a capire cosa ti passa per la testa".
"Come
vuoi" – rispose Elke, liquidandolo con un'alzata di spalle.
"A
tuo rischio e pericolo...".
"Che
rischi starei correndo, scusa?".
A
quella domanda, finalmente, Elke si voltò verso di lui. E
solo in
quell'istante si accorse di quanto il suo viso apparisse pallido e
sofferente. "Stai qui, seduto accanto alla figlia del diavolo,
in una città con mille occhi. Se la gente ti vede,
penserà che sei
amico del maligno e nessuno vorrà più concludere
affari con te. E
non credo che rischieresti i tuoi guadagni solo per fare dispetto a
me".
"Elke,
che cosa stai dicendo? Sei impazzita?".
La
ragazza affondò ancora di più le mani nella neve,
stringendola fra
e dita. "Io sono la figlia del diavolo e ora chiamerò mio
padre
per bruciare tutto e tutti. E la gente ti vedrà qui con me e
penserà
che sei mio amico".
Mattheus
spalancò gli occhi davanti a quelle parole senza senso.
C'era
qualcosa di oscuro che le annebbiava il cuore e l'anima e non era
solo rabbia nei suoi confronti, Elke
straparlava,
non
pienamente cosciente delle sue parole e delle sue azioni. La
osservò
meglio: i suoi occhi erano opachi, spenti e persi e sembravano non
percepire appieno la realtà che la circondava, le sue parole
erano
deliranti e prive di logica ed era talmente pallida da sembrare un
fantasma. Guardò le sue mani, ancora affondate nel gelo
della neve,
a modellare chissà cosa. Con un gesto veloce e deciso le
afferrò il
polso per costringerla a smettere. "Ora basta, ti congelerai!".
A
quel gesto, finalmente Elke ebbe una reazione. Con uno strattone
allontanò la sua mano e poi gli piantò addosso
due occhi talmente
pieni di rabbia che per un attimo ne fu intimorito. "Non
mettermi le mani addosso".
"Elke!".
"Non
mi devi toccare. Nessuno mi deve toccare".
Al
diavolo, non lo avrebbe fatto, non l'avrebbe ascoltata per tutto
l'oro del mondo. Era terribilmente preoccupato per lei, quella che
aveva davanti non era la sua Elke e si rifiutava di credere che fosse
tanto cambiata nel giro di pochi giorni. Cosa le prendeva, cosa le
passava per la testa? "Ho detto di finirla!". Allungò il
braccio, prendendole nuovamente la mano e costringendola ad
allontanarsi dalla neve.
Elke
strinse i denti, impallidendo. "Lasciami, mi stai facendo male".
"Cosa?".
Fu allora che se ne accorse. La sua mano, che ricordava dalla pelle
liscia e candida, era violacea e percorsa da un fitto reticolato di
abrasioni ed escoriazioni, non c'era un solo lembo di pelle che non
fosse martoriato. "Che diavolo...?". Si alzò in piedi,
costringendola a fare altrettanto. "Cosa ti sei fatta?".
Come un fulmine capì. Non era rabbia quella che l'aveva
cambiata
così tanto ma dolore fisico, che leggeva in ogni sua parola
ed
espressione. "Elke?". Fece per bloccarla sfiorandole la
schiena e la ragazza chiuse gli occhi per una fitta di dolore. Il
fiato gli si fermò in gola davanti a quella reazione.
Il
suo sguardo si incupì e, dopo averle lasciato la mano si
spostò di
lato, osservandole la schiena. Non poteva vedere molto, solo la
scollatura del colletto gli permetteva di vedere un lembo di pelle
del collo, ridotto come le mani, pieno di tagli e lacerazioni
infette. Era qualcosa di talmente terribile che gli si contorse lo
stomaco. Qualcuno, per qualche assurdo motivo, l'aveva torturata e
frustata forte, molto forte. Come da bambina, quando suo padre
l'aveva massacrata a suon di cinghiate in una notte di Natale.
Quell'esperienza Elke non l'aveva mai davvero superata e ora che
l'aveva rivissuta non aveva idea di quali cicatrici avesse lasciato
nel suo animo. "Chi ti ha fatto una cosa del genere?" -
sussurrò, sfiorandole la nuca e stringendola a se. Le
accarezzò i
capelli e stranamente Elke non fece obiezioni, abbandonandosi contro
di lui a peso morto, sfinita. Le diede un bacio sulla fronte e si
accorse che era bollente. Le ferite dovevano essersi infettate ed
Elke aveva la febbre altissima, sembrava andare a fuoco. Per la prima
volta da quando l'aveva conosciuta ebbe paura per lei, per la sua
salute, paura di perderla davvero e per sempre. "Elke, sta
tranquilla, ora risolveremo tutto. Starai bene". L'avrebbe
curata. E poi avrebbe ucciso chi le aveva fatto tanto male.
Col
viso chino, tanto che era impossibile capire se stesse piangendo,
Elke gli strinse la stoffa del mantello. "Mattheus, tu sei
ancora uno stregone, vero? E sai fare tutto?".
Non
capiva il perché di quella domanda ma decise di
assecondarla. Aveva
la febbre alta, straparlava per il dolore e difficilmente avrebbe
potuto sostenere con lei un dialogo sensato. L'unica cosa che poteva
fare in quel momento per lei era cercare di assecondarla e
tranquillizzarla. "Più o meno".
"E
allora fammi sparire. Non voglio più esistere".
A
Mattheus si strinse il cuore, dolorosamente, a quelle parole. Le
sfiorò i capelli, accarezzandoli piano, con una dolcezza di
cui non
si sarebbe mai creduto capace. Gli atteggiamenti disfattisti di chi
si piange addosso lo irritavano da sempre ma non in quel caso. Elke
era la persona più solare, dolce e pulita che avesse mai
incontrato
e per arrivare a quelle parole doveva esserle stato fatto molto male.
L'avevano spezzata, distrutta e quei segni sul suo corpo erano
lì a
testimoniarlo inequivocabilmente. Non si stava auto commiserando,
desiderava davvero sparire. Forse lui, nei suoi panni e con le
medesime esperienze, lo avrebbe desiderato prima, non avrebbe retto
così a lungo. Ma nonostante questo non glielo avrebbe
permesso. "Se
sparisci, io cosa faccio poi? Dove la trovo un'altra assistente brava
come te?" - le sussurrò all'orecchio.
"Ti
prego".
"No,
mi dispiace".
Elke
alzò lo sguardo. I suoi occhi erano opachi e persi e la sua
fronte
era madida di sudore, a dispetto della neve e del freddo che li
avvolgevano. "Sei un bugiardo. Mi avevi detto che mi avresti
protetta sempre".
Mattheus
chinò lo sguardo, vinto dai sensi di colpa. Era vero, le
aveva fatto
mille promesse e non ne aveva mantenuta una, aveva lasciato che il
suo passato e i suoi rancori avessero la meglio, allontanandola da
lui. E poi aveva permesso all'orgoglio di impedirgli di cercarla, di
chiederle scusa e di riportarla a casa, al sicuro. "Mi dispiace"
– sussurrò.
"Elke!
Dannata strega, cosa stai facendo con quell'uomo?".
Una
voce sgradevole, irosa e piena di risentimento li raggiunse, facendo
sussultare entrambi. Mattheus avvertì il corpo di Elke
tremare e si
voltò, trovandosi davanti la suora che pochi giorni prima
aveva
visto prendere a schiaffi Elke. Li guardava dall'alto della
scalinata, appena fuori il portone della Chiesa. La sua faccia era
rossa d'ira e sembrava sul punto di scoppiare. Strinse Elke a se per
impedirle di scostarsi da lui, deciso a proteggerla. Sul serio questa
volta.
La
suora scese uno scalino, poi un altro ancora, lentamente, stringendo
convulsamente le mani. "Signore, mi dispiace, quella è una
creatura del demonio. Sta tentando di sedurvi col suo fascino oscuro,
scostatevi da lei e mettetevi in salvo. Le ho tentate tutte con lei
per riportarla sulla retta via, ma resiste". Guardò Elke,
piena
di risentimento e rabbia. "Nemmeno le frustate dell'altro giorno
sono servite, vero Elke? Nonostante questo ci ritenti, fuggi da una
Chiesa e seduci un uomo davanti all'entrata della casa di Dio. Che tu
sia maledetta".
A
quelle parole Mattheus si scostò di colpo da Elke. Non aveva
mai
provato tanta rabbia e odio verso una persona come li stava provando
in quel momento. Alzò il mento della ragazza, delicatamente,
costringendola a guardarlo in viso. "E' stata lei a frustarti?
Elke, rispondimi!".
Gli
occhi di Elke si inumidirono ed annuì con un impercettibile
cenno
del capo.
"Io
la uccido!".
"Mattheus,
no...".
Non
ci vide più dalla rabbia ed Elke non avrebbe potuto fermarlo
in
nessun modo. Quella dannata donna aveva osato torturare, ferire ed
umiliare la persona più dolce e gentile che quelle montagne
avessero
mai visto nascere sulle loro vallate e lui gliel'avrebbe fatta
pagare. A grandi falcate salì le scale della Chiesa,
avventandosi
contro l'anziana suora che, presa alla sprovvista, non
riuscì ad
indietreggiare. La prese per il bavero, attirandola a se, viso a
viso. "Elke non è né una creatura del demonio
né una strega,
ve l'assicuro. Ma io invece sono uno stregone, conosco la magia e so
usarla a mio piacimento. Ne volete una dimostrazione? E dopo che ve
l'avrò data, frusterete anche me? Avrete lo stesso coraggio
davanti
ad una persona che ha i mezzi per difendersi?". Senza aspettare
una risposta alzò la mano puntandola verso il soffitto del
colonnato
e richiamò a se l'energia del vento, del gelo, del ghiaccio
e della
neve. Sentiva scorrere nelle sue vene una furia che non aveva provato
nemmeno davanti al corpo inerte di Jakob, dopo che era stato colpito
a morte dal demonio. Nubi di fumo gelido scaturirono dalle sue dita e
grosse stalattiti di ghiaccio si formarono sul soffitto del
colonnato, sulle loro teste, crescendo e puntando dritte con le punte
verso il volto della suora.
"Mattheus,
ti prego!".
La
voce di Elke, alle sue spalle, gli apparì terrorizzata e suo
malgrado dovette fermarsi, per lei. Si arrese, abbandonando i suoi
propositi. Voleva davvero uccidere quella suora, ma ora Elke era la
sua priorità, doveva fare in modo che stesse bene ed
eventualmente
rimandare la vendetta a un secondo momento, se era quello che lei
voleva. Strinse i pugni e poi rilasciò le dita lentamente,
bloccando
le stallatiti di ghiaccio pochi istanti prima che bucassero il collo
della donna. La prese per il colletto, di nuovo, avvicinando ancora
di più il viso al suo. "Solo un gesto, una parola fuori
posto
contro Elke o qualsiasi altra ragazza che alloggia da voi e sarete
morta. Ricordatevelo bene la prossima volta che deciderete di
metterle le mani addosso, ci metto un attimo, uno schiocco di dita a
tagliarvi il collo. Qualsiasi cosa farete, io la saprò. Ci
siamo
capiti?".
Pallida
come un cencio, la donna annuì senza trovare fiato per
parlare.
Indietreggiò, incespicò sui suoi passi e cadde
col sedere a terra.
"S... Si signore".
"Bene.
E ora da brava, tornate in Chiesa ad ascoltare le vostre canzoni e
lasciate in pace Elke" – disse, in tono gelido, non
togliendole gli occhi di dosso.
La
suora annuì goffamente, si rialzò e poi corse
dentro la Chiesa come
gli era stato ordinato. E nel piazzale tornò il silenzio.
Mattheus
corse da Elke che, esausta, si era appoggiata ad una delle colonne
della Chiesa. "Tutto bene?".
La
ragazza alzò lo sguardo su di lui, poi con sua grande
sorpresa
scoppiò a ridere. "Mi ucciderà per questo! Ma
averla vista
tanto spaventata ne varrà la pena".
Avrebbe
dovuto sentirsi sollevato dal vederla ridere ma non lo era. Non era
una risata felice, allegra, quella di Elke, quanto una reazione
spropositata dettata da uno stato psicologico gravemente alterato.
Non era in se in quel momento e sentì che doveva portarla
via da lì
il prima possibile. "Cerca di stare tranquilla, per favore.
Dobbiamo andarcene da quì" – le
sussurrò, accarezzandole una
guancia.
Elke
smise immediatamente di ridere. "Andare dove?".
"Alla
mia locanda, così potrò curarti. Credi di farcela
a camminare un
pochino? Ti porterei in braccio ma ho paura di farti male alla
schiena".
"Perché
vuoi curarmi?".
Mattheus
scosse la testa. Non si fidava di lui, non completamente almeno.
"Come puoi chiedermelo? Non esistono perché, ti
curerò perché
è quello che desidero fare. Fidati di me, ti prego. Anche
solo per
una volta". Gli porse la mano, lei non sembrava troppo convinta
ma cedette. Le loro dita si intrecciarono, come non succedeva da
tanto tempo e strinse la presa, lentamente. "Andiamo?".
Elke
si voltò verso l'ingresso della Chiesa dove si era rifugiata
la
suora che l'aveva frustata, quasi ponderasse il pericolo che correva
ad allontanarsi. Ma poi annuì. "Andiamo" –
sussurrò, in
modo stentato.
"Vieni".
Le strinse delicatamente la mano, piano per non farle male, poi
fecero alcuni passi ma Elke si fermò quasi subito. Si
voltò verso
di lei e vide che piangeva. "Cosa c'è?" - chiese,
preoccupato.
"Io...
Io non posso venire e ora ti arrabbierai".
Mattheus
sospirò, alzando una mano ad accarezzargli una guancia.
Stava male,
era poco lucida e molto vulnerabile, questo era evidente. L'unica
cosa che poteva fare, al momento, era cercare
di tranquillizzarla di nuovo.
"Non mi arrabbierò, perché dovrei farlo? Su, sta
tranquilla".
Elke
scosse la testa, continuando a piangere silenziosamente. "Ma io
sono stanca, non riesco a camminare. E tu ti arrabbiavi quando te lo
dicevo, a Pennes. Però mi fa male dappertutto e...".
Si
sentì un idiota, era talmente evidente che non poteva
farcela, era a
pezzi e ogni passo doveva costarle sofferenze atroci. Annuì
e senza
dire nulla le cinse la vita, la attirò a se e la prese in
braccio.
Solo in quel momento si accorse di quanto era magra e leggera. Lo era
sempre stata ma non così, non da sentire le ossa sotto le
sue mani.
Tentò di essere il più delicato possibile per non
tormentare
ulteriormente la sua schiena ma non c'erano alternative. Elke non ce
la faceva, non poteva farcela! "Io borbottavo con te quando ti
lamentavi per niente perché sapevo che non eri poi
così stanca come
affermavi. Ma non è questo il caso, giusto?" - disse,
strizzandole un occhio. "In fondo non è male portarti in
braccio, mi fa sentire quasi un principe azzurro nobile e fiero che
porta in salvo la principessa. Che ne dici, mi trovi credibile in
questo ruolo?".
A
dispetto di tutto, ancora incredula e con le guance segnate dalle
lacrime, Elke scosse la testa e lo guardò storto. "Per
niente"
– borbottò.
Mattheus
sorrise. Sembrava divertita e questo era un bene. "Fingerò
di
non aver sentito. Ma tu fammi un piacere ora, cerca di non dormire.
Arrivati alla locanda devo medicarti e ho bisogno della tua
collaborazione per farlo".
Elke
annuì, affondando il viso nel suo petto. Mattheus
sospirò, poco
convinto del fatto che sarebbe riuscita a star sveglia, ma lui sapeva
che se si fosse addormentata, poi non avrebbe avuto il coraggio di
svegliarla. "Vuoi che ti racconti qualche barzelletta per
aiutarti a stare sveglia? Sono bravissimo a raccontarle".
"No,
ti prego".
"Ti
ricordavo più simpatica e ironica".
Elke
alzò gli occhi su di lui, lanciandogli un'occhiataccia. "Io
ti
ricordavo con un pessimo carattere. E mi sembri anche peggiorato".
Mattheus
sostenne il suo sguardo. "Attenta, potresti cominciare ad
assomigliarmi, ci sei molto vicina". In realtà, nonostante
fosse una conversazione assurda e illogica, fatta unicamente per
tentare di tenerla reattiva, si stava divertendo a stuzzicarla come
una volta. E si sentiva sollevato dal fatto che comunque Elke non
fosse totalmente inerme, ma anzi, avesse mantenuto il suo carattere
combattivo. Forse non tutto era perduto
Calò
il silenzio. Camminò svelto fra i vicoli, superando la
piazza,
diretto alla sua locanda. Spesso aveva dovuto soccorrere gente malata
o ferita in passato ma mai gli era capitato di portare in braccio una
ragazza bisognosa di cure. Nonostante questo non gli pesava,
però.
Elke era leggerissima, tanto che la sua mente non riusciva a smettere
di interrogarsi incessantemente su quanto fosse denutrita. L'avrebbe
curata e poi l'avrebbe costretta a mangiare, questo era certo! "Oggi
hai pranzato?".
Da
Elke non venne nessuna risposta.
Mattheus
abbassò lo sguardo, accorgendosi che dormiva. O aveva perso
i sensi,
era difficile stabilirlo. Con un sospiro si arrese all'idea di dover
fare tutto da solo, senza la sua collaborazione. Ma forse era meglio
così, per lei, avrebbe sofferto meno. Abbassò il
mento per
sfiorarle la fronte ed era ancora più calda di prima. La
strinse a
se e Elke, nell'incoscienza, prese fra le mani la stoffa del suo
mantello. Il suo respiro era affannato e il suo corpo era percorso da
brividi di freddo dovuti alla febbre. Mattheus accelerò il
suo
passo, superando a grandi falcate la piazza e immettendosi nella via
dove alloggiava.
Giunse
alla locanda mentre il campanile rintoccava le sette di sera. Bozen
era avvolta dal buio e la neve che cadeva sempre più
insistente
attutiva ogni rumore.
Appena
entrato andò dal locandiere per prendere la chiave della sua
stanza.
L'uomo
lo osservò accigliato, poi spalancò gli occhi per
la sorpresa,
appena ebbe visto Elke. "Signore, quella ragazza..." -
biascicò, indicandola – "E' albina".
"Lo
so, non sono cieco" – rispose, seccato. Se quella sera
qualcuno avesse osato dire qualcosa di offensivo su Elke, l'avrebbe
ucciso in qualche modo molto doloroso. "Oltre al colore dei suoi
capelli, vi siete accorto anche che è ferita ed è
bisognosa di
cure?".
"Signore,
non potete tenere quella ragazza qui, è il male".
Mattheus
piantò gli occhi su di lui, uno sguardo talmente gelido e
tagliente
che il locandiere, un omino basso mezza tacca e dalla corporatura
tozza, fu costretto ad indietreggiare. "L'unico male che aleggia
qui è quello che vi faranno i miei pugni se non la
smetterete di
dire sciocchezze. Questa ragazza è mia ospite,
pagherò di persona
le spese per la sua permanenza e PRETENDO venga trattata con ogni
cortesia e rispetto. Chiaro?".
Il
locandiere deglutì. "Certo signore".
"Bene".
Mattheus prese la chiave della sua camera e poi vi si
precipitò, con
Elke fra le braccia. Chiusa la porta, la adagiò sul letto
delicatamente, a pancia all'ingiù, senza che la ragazza
desse alcun
segno di volersi svegliare.
Accese
il camino per scaldare l'ambiente, prese le ampolle dell'acqua del
lago che aveva tenuto di scorta e le appoggiò sul comodino
accanto
al letto. Per prima cosa doveva curarle le ferite e poi cercare di
farle bere dell'acqua magica per farle scendere la febbre.
Deglutì,
sentendosi stupidamente in imbarazzo. Aveva curato spesso persone
gravemente ferite, togliendo loro gli abiti anche in situazioni
difficili e ben più disagevoli di quella che stava vivendo
in quel
momento, eppure ora era diverso, era Elke che doveva curare, era Elke
a cui doveva togliere i vestiti e Elke era la persona che desiderava
più al mondo. Contro ogni logica, contro ogni suo volere,
irrazionalmente era lei che desiderava avere a fianco ed era lei
l'unica casa e l'unica famiglia che volesse davvero. Prese fra le
mani un'ampolla, rigirandosela sul palmo della mano. Non avrebbe mai
voluto usarla per Elke, odiava il fatto che fosse ferita e bisognosa
di cure e avrebbe preferito essere al suo posto piuttosto che vederla
in quello stato. Scosse la testa, deciso a mettere fine ai suoi
pensieri. Se voleva davvero aiutarla, doveva darsi da fare
Annullò
ogni pensiero nella sua mente, ogni turbamento, convincendosi a
fatica che stava curando una delle tante persone qualunque con cui si
imbatteva da anni. Sbottonò delicatamente i bottoni sulla
schiena
del vestito di Elke e poi glielo sfilò, attento a non
svegliarla. E
poi fece lo stesso con la sgualcita sottoveste, macchiata di sangue
incrostato. "Avrei desiderato farlo in ben altre occasioni,
Elke" – le sussurrò piano, stupendosi di quella
frase che
forse non aveva mai avuto il coraggio di formulare nemmeno a se
stesso. La desiderava, non solo per farle compagnia a Pennes e per
averla accanto come assistente ed apprendista, la desiderava come un
uomo desidera una donna, avrebbe voluto che stesse bene, che fosse
sveglia e che il tempo in quella stanza l'avessero impegnato ad
amarsi su quel letto e non a curarla e a tentare di salvarla.
Ma
quei pensieri dolci ed improvvisi finirono anche troppo in fretta,
appena la vide davanti a se, senza abiti addosso. Gli si
mozzò il
fiato quando vide lo stato della sua schiena, ferita ancor peggio di
quanto avesse immaginato. Profondi tagli la solcavano
dall'incurvatura delle spalle e dal collo fino alla vita, un
intreccio di lacerazioni e ferite che si incrociavano fra loro come
una fitta ragnatela. La pelle era viola, piena di sangue rappreso e
di pus e stentava a vedere delle parti sane. Si chiese come avesse
fatto a sopportare la camminata con le altre ragazze e le suore fino
alla Chiesa e come fosse riuscita a non urlare dal dolore. "Oh
Elke...".
Aveva
sempre identificato il male con la figura di Lucius, coi suoi
trucchetti, con i suoi omicidi, con le sue macchinazioni, ma ora si
rendeva conto che il vero male era altro, era qualcosa di informe,
viscido, che corrodeva come la peste l'animo delle persone e le
rendeva capaci di compiere atti atroci come quello di ferire
gravemente una persona inerme e incapace di difendersi. Il vero male
erano quelle ferite sul corpo di una ragazza che fin dal suo primo
vagito aveva sopportato ogni sopruso e violenza senza che avesse
fatto nulla per meritarselo, inferte da chi pensava di essere
migliore di lei e che aveva la presunzione di ergersi a giudice. Il
vero male non era Lucius, ma il modo in cui le persone permettevano
al demonio di entrare in loro, di corrompere i loro animi per far del
male al prossimo traendone godimento.
Guardò
Elke, esanime su quel letto. Da quando l'aveva conosciuta non l'aveva
mai vista piangere o piangersi addosso per la sua vita, non aveva mai
mostrato le sofferenze e le cicatrici che si portava dentro ma al
contrario, era sempre stata dolce e gentile, sorridente e solare.
Eccetto la notte di Natale di tre anni prima, mai gli aveva mostrato
il suo dolore, gli strascichi del suo passato e cosa provasse
realmente. E lui, stupidamente, non se l'era nemmeno mai chiesto,
troppo convinto di sapere tutto dalla vita e che bastassero un paio
di battute e la sua conoscenza a risolvere tutto. Si rese conto che
non aveva capito niente. Anche lui era stato presuntuoso e
superficiale, arrogante e convinto di saperne più di lei.
Doveva
essere il suo maestro ma era stata Elke ad insegnargli tanto della
vita, forse ancor più di Jakob.
Aprì
un'ampolla e poi fece scivolare delicatamente sulla schiena di Elke
l'acqua, tamponando con un panno pulito ogni ferita, ogni lacerazione
e tutti i lividi che le coprivano la pelle. "Ti prego Jakob, fa
in fretta, guariscila! Non sopporto di vederla così".
"Credi
davvero che basterà la mia acqua a guarirla?".
Mattheus
sussultò. Era la prima volta che sentiva così
vividamente la voce
di Jakob in faccende che non lo riguardavano in prima persona. Mai il
suo maestro era intervenuto per parlargli di Elke e per consigliarlo
sul da farsi, aveva sempre taciuto e negato consigli sul suo rapporto
con la ragazza albina. Così come sul legame avuto con Jutta.
"Jakob... Cosa devo fare?".
"Le
sue ferite peggiori non sono quelle che vedi sul suo corpo e che stai
curando con l'acqua, lo sai anche tu. Mattheus, questa ragazza
è
pericolosamente vicina a un punto di rottura con quello che
è stata
e quello che potrà essere. L'hanno spezzata, ferita talmente
nel
profondo che non potrà mai essere quella di prima e non
basterà un
po d'acqua per sistemare le cose, stavolta".
"Ti
sbagli, tu non la conosci, non sai quanto sia forte".
"Quando
a qualcuno si continua a ripetere che è cattivo,
finirà col
diventarlo per difendersi. Per quelli come lei in fondo, che
differenza c'è fra essere brave persone o pessimi individui?
Non
cambia nulla negli occhi di chi li guarda".
"Elke
è una brava persona e non cambierà, non ne
sarebbe capace! Tu non
la conosci ma lei è... è...".
"La
ami?".
Mattheus
strinse i pugni, messo di fronte a quella domanda così
diretta.
Guardò Elke dormire, così inconsapevole di quello
che la circondava
in quel momento. E nonostante fosse ferita, pallida, smunta e
spettinata, gli sembrò la donna più bella che
avesse mai visto e
l'unica che desiderasse avere vicino. "Credo di si".
"Credi
o ne sei sicuro? Perché non è un gioco, Mattheus".
"Ne
sono sicuro". Lo era, davvero! E in fondo ammetterlo era più
facile di quanto avesse mai pensato.
"E
allora basta giocare, ragazzo! Sei un uomo, dimostralo e fai quello
che devi, con lei. Forse è troppo tardi per questa ragazza,
ma non
avrai rimpianti, quanto meno".
Mattheus
annuì. Già, era ora di smetterla di giocare e di
riaprire il suo
cuore e la sua vita a qualcuno, dopo che per tanti anni non aveva
desiderato altro che la solitudine. Dopo la morte dei suoi genitori e
di Jakob aveva deciso che non era fatto per soffrire la perdita di
qualcuno e che l'unico modo per evitare che accadesse di nuovo era
rimanere solo, senza legami. Suo malgrado, Elke aveva rivoluzionato
tutto il suo mondo e ora non aveva altre strade da percorrere se non
quelle che portavano a lei. Era stato qualcosa di irrazionale
affezionarsi a lei, volerle bene, qualcosa di talmente naturale che
la sua mente, le sue decisioni passate e la sua logica di pensiero
erano state zittite senza rimedio. Irrazionale... In fondo non c'era
definizione migliore dell'amore, pensò. Certo, rimaneva il
fatto
che Elke aveva mille ottime ragioni per odiarlo e probabilmente
l'avrebbe rifiutato, ma doveva davvero tentare, non se lo sarebbe mai
perdonato in caso contrario. "Jakob, lei ti piace?".
"Stai
cercando la mia approvazione? Non deve piacere a me...".
"Rispondi!".
"No,
non ti rispondo perché se la ami davvero, del mio parere non
te ne
faresti niente".
A
quella risposta tanto tipica del suo maestro, sorrise. La voce di
Jakob nella sua mente pian piano scemò, lasciandolo di nuovo
da solo
con Elke. Finì di medicarle la schiena, attento a non
svegliarla e
poi le prese le mani fra le sue, bagnandole a loro volta con l'acqua
del lago. Vide le ferite richiudersi e la pelle da viola tornare
gradatamente rosa e candida. Ogni segno sulla sua pelle
sparì, come
se non fosse mai esistito. Infine prese una calda e morbida coperta
di colore rosso acceso dall'armadio, coprendola per difenderla dal
freddo. Si chinò su di lei, le sollevò
leggermente il viso e fece
scivolare da una delle ampolle rimaste, fra le sue labbra, alcune
gocce di acqua del lago.
E
alla fine di tutto, esausto, si stese accanto a lei, accarezzandole i
capelli piano. "Sai Elke, io mi sono sempre fidato di Jakob e
delle sue parole. Ma ora no, ora voglio fidarmi di te. Non darla
vinta a quelli che ti hanno fatto del male, so che puoi farlo, che
sei abbastanza forte per superare tutto senza perdere te stessa. Non
darla vinta a nessuno, non darla vinta a gente come me...".
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Capitolo 23 *** Capitolo ventitre ***
Si
risvegliò di colpo quando le campane suonarono le dieci. Non
si era
accorto di essere tanto stanco e nemmeno di essersi addormentato
accanto ad Elke dopo averla curata.
Ancora
mezzo stordito si stiracchiò, guardandosi attorno con aria
confusa.
Fuori dalla finestra poteva vedere la neve che scendeva
incessantemente imbiancando la città, dandole luce e vita in
quella
notte di Natale.
Mancavano
solo due ore alla mezzanotte e dalla strada cominciavano ad arrivare
voci e schiamazzi di chi, incurante del gelo e della forte nevicata,
si cominciava ad avviare verso la Chiesa per prendere parte alla
Messa.
Sospirando
e ricordando quanto successo poche ore prima proprio in Chiesa,
abbassò lo sguardo su Elke che ancora giaceva priva di sensi
sul
letto, avvolta nella coperta rossa che le aveva messo addosso dopo
averla curata con l'acqua del lago. Non si era mossa per niente e la
sua espressione era stanca ma sembrava anche distesa, nonostante
tutto. Sapeva che stava meglio, le ferite sul suo corpo erano
scomparse e la sua fronte non scottava più, ma era cosciente
di
quanto la sua mente fosse scossa e di quanto fosse stata fuori di
sé
fino a poco prima. Certo, poteva essere stato a causa della febbre e
del dolore, ma era anche consapevole del fatto che Jakob aveva
ragione, le ferite interne, quelle della sua anima, sarebbero state
più difficili da curare.
Si
sedette, piegando le ginocchia sotto al mento. Con la mano,
distrattamente, le sfiorò i capelli ancora richiusi in
quella coda
di cavallo malfatta, finché non la sentì gemere e
lamentarsi.
"Elke?".
La
ragazza mugugnò qualcosa, poi aprì gli occhi con
aria spaesata. Il
suo sguardo era vago e confuso, come se faticasse a capire dove si
trovasse in quel momento.
"Come
ti senti?".
Elke
lo fissò per alcuni istanti, poi si guardò,
accorgendosi di essere
senza vestiti e avvolta in una coperta. La sua espressione si fece
sospettosa ed allarmata. "Che cosa...?".
Assolutamente
tranquillo, Mattheus alzò le spalle. "Dovevo medicarti la
schiena, con gli abiti addosso mi sarebbe stato impossibile".
Gli
occhi di Elke si assottigliarono. "Non avresti dovuto farlo! Che
ore sono, da quanto sono qui?".
Il
tono di voce di Elke era ancora freddo ed impersonale.
Deglutì.
"Mancano meno di due ore alla mezzanotte".
La
ragazza spalancò gli occhi, come colta da un attacco di
panico.
"Dannazione, dannazione! Come hai potuto tenermi qui fino a
quest'ora? Devo tornare in Chiesa o...".
Fece
per alzarsi, ma con una presa ferma sul suo polso la bloccò,
costringendola a sedersi di nuovo. "Tu non vai da nessuna parte.
Eri piuttosto malconcia fino a poco fa, avevi la febbre alta e le
ferite sulla schiena si erano infettate. Ti ho curata ma ora resterai
qui finché non ti sarai ripresa del tutto".
Lo
sguardo di Elke si piantò su di lui con una ferocia che in
qualche
modo lo spaventò. Non la conosceva, non sotto quell'aspetto.
"Quello
che faccio non è affar tuo, Mattheus! Per colpa tua sono nei
guai,
di nuovo!".
"Che
cosa avrei dovuto fare, lasciarti ferita e febbricitante davanti a
quella Chiesa?".
"Sì,
esattamente! E' quello che io del resto avrei fatto con te se le
parti fossero state invertite. Non hai nessun dovere verso di me e io
voglio che tu mi lasci in pace".
Lo
disse con una freddezza e una noncuranza che lo ferì. "Non
ti
credo" – rispose, con una nota di incertezza nel tono di voce.
"Non
mi interessa! E ora dammi i miei vestiti".
"No".
Davanti
alla sua fermezza, Elke si strinse nella coperta, sospirando. "Vedo
che la testa dura non l'hai persa".
Mattheus
annuì. "E non ho intenzione di perderla nemmeno in futuro.
Per
favore, resta qui al caldo e al sicuro, hai bisogno di riposo e se
esci ora ti ritornerà la febbre. Eri ridotta davvero male
Elke, se
non ti avessi curata avresti potuto rimetterci le penne".
La
ragazza si guardò le mani, quasi incredula di rivederle di
nuovo
sane, stringendo poi i pugni con forza. "Non ci avrei rimesso le
penne, non sono così fortunata. Sarebbe stato ironico se
fossi
morta, sarebbe stato il primo favore di suor Faustine. E lei non mi
farebbe nessun favore, te lo assicuro!".
Mattheus
si oscurò a quelle parole. "Non dire mai più una
cosa del
genere!" - disse in tono secco ed irritato. Non le avrebbe MAI
permesso di pensare e sperare in una cosa del genere!
Anche
lo sguardo di Elke si fece duro. "Come puoi dirmi cosa sperare e
cosa volere per me stessa? Cosa ne sai di quello che si prova ad
essere me? Cosa ne sai del dolore che si sente quando con una cinghia
ti lacerano la carne e colpiscono, colpiscono senza pietà
anche se
urli, piangi e implori di smettere? Cosa ne sai di come si sta al
mondo quando tutti ti guardano come se fossi la peggior creatura
degli inferi? Cosa ne sai di come vive una persona che non avrebbe
dovuto nemmeno nascere e che non è mai stata accettata
nemmeno dai
suoi genitori? Cosa ne sai di cosa si prova quando sai che al mondo
non c'è nessuno che combatterebbe per te, che tiene a te e
che
correrebbe in tuo aiuto quando ne hai bisogno? Quando saprai
rispondere a tutte queste domande, Mattheus Hansele, allora forse
ascolterò una tua paternale".
Si
morse il labbro. Perché non aveva idea di cosa dire, Elke
aveva
ragione, lui non sapeva nulla. "E' vero, non so niente di queste
cose e da stupido non ho mai cercato di capirle quando ne avevo
l'occasione. Dimmelo per favore, spiegami cosa si prova ad essere
te!".
"Che
ti importa?".
"Mi
importi tu!". Perché negarlo ancora a se stesso e
soprattutto a
lei? La stava perdendo per sempre e doveva lottare per riaverla,
mettendosi a nudo come non era mai stato capace di fare.
Elke
però non parve molto colpita da quelle parole. Scosse la
testa,
stringendosi nella coperta. "Mi hai sempre mentito e lo stai
facendo anche adesso. Avete sempre mentito tutti! A nessuno importa
di me e sicuramente tu non sei un'eccezione".
"Elke
ti prego!". Alzò la mano ad accarezzarle la guancia, in un
gesto istintivo. Sapeva che non si fidava di lui ed era consapevole
che ne aveva mille buoni motivi, ma non poteva accettarlo. "Io
non ti ho mai mentito e tu lo sai. Io, Falko, Drago e Jutta ti
abbiamo sempre voluto bene. Non puoi pensare sul serio che non ci sia
mai importato di te".
Al
sentire quei nomi, Elke impallidì. "Ti prego Mattheus, non
farmi questo, smettila di dire cose in cui nemmeno credi
perché la
tentazione di illudermi che siano vere è troppo forte per
combatterla. Non hai mai creduto in me, lo hai detto pure tu quel
giorno che non avevi alcun motivo per pensare che non fossi la figlia
del diavolo, visto che tutti affermavano il contrario".
Mattheus
si morse il labbro. Ricordava bene quelle parole e la sua rabbia nel
pronunciarle. Era fuori di se quel giorno, aveva bisogno di sfogarsi
e lo aveva fatto con la persona che meno se lo meritava, ferendola di
proposito. "Elke, scusami".
La
ragazza scosse la testa. "Non è necessario scusarsi, non ha
importanza. E' passato tanto tempo e ormai ci sono talmente abituata
che non mi importa più. E' sempre così,
sarà sempre così per me e
tu sei solo uno dei tanti, Mattheus. Prima volevi sapere cosa si
prova ad essere me, giusto? E allora te lo dirò, visto che
sembri
tenerci tanto". Alzò gli occhi al soffitto, osservandolo
distrattamente. "E' come vivere perennemente in una bolla di
sapone, Mattheus. Il mondo sta di fuori, quelli normali e sempre nel
giusto son tutti lì, vicini a me ma allo stesso tempo
lontani ed
irraggiungibili. Io non posso uscire da quella bolla perché
non
potrò mai essere come gli altri ma voi invece certe volte
riuscite a
raggiungermi ed arrivate a me per ferirmi, umiliarmi e poi vi voltate
e riprendete a condurre le vostre vite perfette. La bolla di sapone
mi isola ma non riesce a proteggermi, mai. Ecco come mi sento
Mattheus, sei soddisfatto ora?".
"No".
Non lo era, si sentiva uno schifo ora che aveva udito quelle parole.
Era stata sincera Elke, lo sapeva, lo aveva percepito nella nota di
dolore di ogni singola sua frase. Tre anni prima non aveva compreso
appieno quanto l'avesse ferita, aveva preferito pensare che quella di
Elke fosse stata una reazione infantile ed esagerata ad un semplice
litigio, ma non era così, ora ne aveva la piena
consapevolezza, ora
sapeva cosa voleva dire essere una persona albina. Essere Elke
significava vivere avendo come uniche compagne paura e solitudine,
significava venire picchiati e frustati senza motivo e senza che
nessuno muovesse un dito per aiutarti, significava desiderare di
morire perché a un certo punto, superato un certo limite,
tutto
diventa insopportabile. "Ti sentivi così anche a Pennes,
quando
vivevi con me e i gemelli?".
"No,
forse con voi non era così. Sai, io...". Le tremò
la voce,
quasi facesse violenza a se stessa per non piangere. "Io volevo
solo avere una mamma che mi stesse vicino e mi insegnasse tutto
quello che sapeva fare lei, volevo un papà forte che ogni
tanto mi
prendesse fra le braccia per proteggermi, volevo giocare con le mie
sorelle, volevo crescere e magari innamorarmi di qualcuno. Avrei
voluto, come tutte le donne, desiderare un figlio un giorno e non
sentirmi così, con la consapevolezza che non posso
permettermi di
averne perché l'unico modo in cui un uomo si avvicinerebbe a
me è
con la violenza e perché il mio bambino potrebbe nascere
albino. Non
sarò e non saprò mai fare la madre, visto che
nessuno mi ha mai
insegnato come si fa".
Mattheus
spalancò gli occhi. Era così diversa dalla
ragazzina dei suoi
ricordi, un po’ dolce e un po’ ingenua. Era
cresciuta, era una
donna che ne sapeva della vita molto più di lui. Era
disincantata,
aveva perso l'innocenza e l'ingenuità di una volta, aveva
smesso di
sognare e non aveva alcuna aspettativa per sé, era ben
cosciente di
cosa la circondasse e di come le cose sarebbero sempre state
difficili per lei. "Vorrei poterti dire che ti sbagli, che un
giorno le cose si sistemeranno, ma la verità è
che sarebbe una
bugia, giusto?". Le accarezzò il mento, costringendola ad
alzare il viso per guardarlo in faccia. "Però posso anche
dirti
che non hai ragione su tutto perché non è vero
che nessun uomo si
avvicinerebbe a te se non con la violenza e non è nemmeno
vero che
sei sempre stata sola, avevi noi. Sai, dopo che te ne sei andata, una
sera Falko e Drago, parlando di te, hanno detto che eri la
principessina della nostra casa ed era vero. Dopo che te ne sei
andata, quella casa è diventata improvvisamente vuota e
priva di
calore e ci sei mancata. A ME sei mancata!".
A
quell'ammissione, gli occhi di Elke divennero lucidi e alla fine
quelle lacrime che aveva cercato di trattenere con tutta se stessa
presero a rigarle il viso. "Ma mi avete mandata via, non vi
è
importato nulla di me. Eravate la mia famiglia e mi avete lasciata
sola anche voi" – sussurrò, con rabbia.
"Falko
e Drago non c'entrano, è stata solo colpa mia". La
abbracciò
ed Elke non oppose resistenza. Sentiva i suoi singhiozzi, il calore
delle sue lacrime sul collo e si sentì sollevato
perché tutto
quello di cui aveva bisogno era sfogarsi. "Vuoi sapere la
verità
su quel giorno e su tutto quel che mi riguarda? Tu prima, quando ti
ho chiesto cosa provassi, sei stata sincera. Credi di potermi
permettere di fare altrettanto?".
Elke
alzò lo sguardo su di lui. "Raccontarmi la
verità... su
cosa?".
"Su
tutto. Una volta eri così incuriosita da cosa nascondesse il
lago di
Valdurna e dall'origine dei miei poteri, ricordi?".
Elke
annuì, asciugandosi la guancia col palmo della mano. "Non
sei
obbligato a raccontarmi niente".
"Ma
voglio farlo. Non è una giustificazione al modo in cui mi
sono
comportato con te, ma quanto meno, forse, potrai capire il
perché
quel giorno sono ammattito all'improvviso. Non chiedo il tuo perdono
perché forse nemmeno me lo merito ma io..." - strinse il
lenzuolo fra le mani, nervosamente – "Io te lo avevo promesso
esattamente tre anni fa. Ti avevo promesso che te l'avrei detto prima
o poi e credo non ci sia momento più adatto di questo".
Elke
si scostò da lui, mettendosi a sedere, con la schiena
appoggiata
alla spalliera del letto e stretta nella coperta. "Non hai
obblighi verso di me ma... va bene, se è quello che vuoi
davvero".
"E'
una storia lunga" – la avvertì.
Elke
non rispose e con sguardo basso annuì col capo, come ad
incoraggiarlo ad iniziare. Era strano fare quel discorso, ricordare
ad alta voce la sua storia, raccontarla a qualcuno e mettersi a nudo.
Raccontare significava rivivere gioie e dolori che aveva tenuto
celati nella sua mente per fin troppo tempo. Non aveva idea di quello
che lei avrebbe pensato, di cosa avrebbe detto alla fine del
racconto, di come si sarebbero messe le cose fra di loro. Ma non
avrebbe omesso niente!
Prese
un profondo respiro e parlò a lungo mentre le parole
venivano fuori
con una facilità estrema, come un fiume in piena che non
aspettava
altro che straripare. Gli raccontò della sua infanzia in
Val Ridanna,
dei suoi genitori, della volontà di suo padre di affidare la
sua
educazione a Jakob, di come fosse cresciuto con quell'anziano maestro
diventato di fatto una figura di riferimento talmente forte da far
impallidire le altre presenti nella sua vita, di come si fosse
improvvisamente ritrovato orfano e di come la sua vita, da quel
momento, avesse preso strade inaspettate. Gli raccontò ogni
cosa di
Jakob, della sua gioventù, del forte guerriero che era
stato, di
come, durante i suoi viaggi, avesse appreso dagli stregoni del nord
del continente ogni segreto della magia bianca e della magia nera, di
cosa lo avesse legato a Jutta e di come, una volta fattosi anziano e
suo maestro, lo avesse introdotto alla conoscenza delle fate, degli
elfi, degli gnomi e di tutte le altre creature che poi aveva fatto
conoscere anche a lei. Infine le parlò di quel giorno quando
Lucius,
il demonio, lo aveva sfidato e Jakob, ormai anziano, per difendere
lui e Jutta si era battuto fino all'ultimo sangue, morendo sconfitto.
Gli raccontò delle sue ultime volontà, di venire
cremato e di
spargere le sue ceneri nel lago e di come, da quelle acque,
continuasse a stargli vicino e ad aiutarlo. E infine quanto successo
a Pennes dopo che se n'era andata, della sua battaglia con Lucius e
di quello che aveva fatto Jutta per salvare lui e tutto il villaggio.
Elke
non lo interruppe mai, lo ascoltò a testa bassa senza
espressioni
sul viso, senza apparenti emozioni, in assoluto silenzio. Solo alla
fine di tutto, quando il silenzio ripiombò fra loro come un
macigno,
si decise a sollevare lo sguardo e a guardarlo negli occhi. "Quindi
è per questo che mi avevi detto che l'acqua del lago ascolta
solo
te! Non è l'acqua in sé ma Jakob che, attraverso
di essa, continua
a starti vicino e ad aiutarti. Non è una tua magia...".
Mattheus
annuì, imbarazzato di fronte a quelle parole. Se Elke
l'aveva
creduto infallibile ed irraggiungibile in passato, probabilmente si
era ricreduta di molto circa le sue reali capacità. "Si, per
questo tu o chiunque altro non potete usare quell'acqua come faccio
io. Jakob è lì solo per me. Non so
perché sia rimasto, perché non
abbia abbracciato quella pace eterna a cui tutti ambiamo dopo la
morte, non lo so davvero. Ma lui c'è ed è come se
continuasse a
vivere".
Elke
scosse la testa. "Non glielo hai mai chiesto? Tu in fondo non
hai bisogno di lui, tu sai usare la magia indipendentemente
dall'acqua. Come hai fatto prima, quando hai attaccato suor Faustine.
Non hai usato l'acqua del lago, ma hai creato comunque qualcosa di...
potente".
"Sì,
io posso essere autonomo come stregone, indipendentemente da Jakob.
Mi aveva insegnato tutto quello che sapeva e studiando, negli anni,
ho appreso ancora più cose. Ma il lago e quell'acqua sono
l'unico
legame che mi unisce ancora a lui e a quella che era la mia famiglia
e non me ne riesco a staccare".
"E
allora Mattheus, forse è per questo che rimane e continua ad
aiutarti, perché non sei pronto a lasciarlo andare".
Mattheus
sorrise amaramente. Elke aveva ragione e sicuramente aveva centrato
il punto della situazione meglio di quanto avesse mai fatto lui. "Una
volta ti avevo detto di crescere in fretta ma temo di essere io
quello ancora immaturo. Riesci a capirmi meglio di chiunque altro al
mondo".
Elke
scosse la testa. "No, non è vero, io non posso capirti, non
in
questo. Non posso capire come ti senti perché io non ho mai
avuto
nessuno accanto e quindi non so cosa si provi di fronte alla perdita
di una persona cara". La sua espressione si addolcì e con
sua
somma sorpresa alzò la mano ad accarezzargli la guancia.
"Però
mi dispiace per te, quello che hai vissuto è stato qualcosa
di
terribile, soprattutto perché eri un ragazzino".
Per
un momento rimase spiazzato e non seppe cosa dire. Non si aspettava
un gesto gentile da parte di Elke, ma in fondo, pensandoci bene, era
così tipico della persona che lei era. Non era cambiata poi
così
tanto, dopo tutto. "Sai, per un attimo oggi, davanti a quella
Chiesa, ho creduto di averti persa per sempre, che avessi abbracciato
il male, che lo desiderassi. Ma per fortuna non è
così, sei ancora
capace di essere dolce e gentile".
Elke
sospirò. "A dire la verità Mattheus, sono
fortemente tentata
dalla voglia di picchiarti".
"Puoi
farlo se pensi che ti farà star bene, in fondo me lo merito".
"Non
mi tentare".
Le
prese la mano fra le sue, portandosela alle labbra e baciandola. "Tu
non potrai mai essere diversa da quello che sei sempre stata. Puoi
provarci, certo, ma sarai sempre destinata a fallire. Se c'è
al
mondo una persona che non è in grado di essere cattiva,
quella sei
tu".
La
ragazza scosto lo sguardo da lui. "Lo vorrei tanto sai? Essere
come la gente crede che io sia. Sarebbe tutto più semplice
ma io non
ne sono capace, avevi ragione tu, non so fare niente, non so nemmeno
essere la figlia del diavolo".
Mattheus
scosse la testa. Non era vero che non sapeva fare niente e non voleva
che lo pensasse. Con la mano le sfiorò la nuca, attirandola
a se e
costringendola a poggiare la fronte contro la sua. "Tu sei la
miglior persona che mi sia mai capitato di incontrare e ti prego,
credimi, non ho mai pensato che potessi avere attinenza con demonio.
Il diavolo non fa figli e se anche li facesse, non sarebbe tanto
idiota da renderli riconoscibili dal colore dei loro capelli. E'
subdolo, ma non stupido, ricordatelo! E dopo quello che mi è
successo, ti assicuro che se avessi avuto anche il minimo sospetto di
un tuo collegamento con Lucius, non ti avrei permesso nemmeno di
rivolgermi la parola. No Elke, tu sei altro... Tu sei semplicemente
una ragazza coi capelli chiarissimi, tutto qua, hai i pregi e difetti
di ogni persona vivente e le debolezze e la forza che ognuno di noi
possiede. Tu sei una persona buona e gentile, sei simpatica, ironica,
intelligente e curiosa, ami e conosci la montagna e le sue leggi
meglio di chiunque altro e sai rispettarla e rispettare gli esseri
che vi vivono come ben pochi sanno fare. Sei quella che da bambina
aveva una lupa per amica e quella che mi ha sopportato per mesi,
nonostante il mio pessimo carattere. E sei stata la migliore compagna
ed assistente che avrei mai potuto desiderare, una persona di cui mi
sono sempre fidato ciecamente, tanto da permetterti di ficcanasare
nella mia sacca da viaggio mentre dormivo. Ricordi quella sera,
quando siamo rimasti bloccati in quella baita a causa della tormenta
di neve, solo io e te?".
Elke
sussultò, arrossendo. "Si... Me lo ricordo".
Per
un attimo chiuse gli occhi, riassaporando il calore e
l'intimità
respirata in quella baita dispersa in mezzo alla tormenta. "Mi
ero addormentato e quando mi ero risvegliato, tu eri lì a
pochi
passi da me a lavorare. E per la prima volta mi sono reso conto che
potevo lasciarti rovistare fra le mie cose senza problemi, che non mi
importava che frugassi nel mio zaino e che era bello non esserne
preoccupato perché mi fidavo ciecamente di te. Sapevo che
avrei
potuto riaddormentarmi senza problemi e tu avresti fatto un ottimo
lavoro comunque, per me. Non è vero che non sai fare nulla
Elke, sei
dannatamente in gamba e sei sopravvissuta all'inferno fin da quando
sei venuta al mondo, cosa che io probabilmente non sarei riuscito a
fare. E poi... sei stata anche il mio porta fortuna, sai?" - le
disse, strizzandole l'occhio.
"Cosa?".
Alzò
la mano destra, tirandosi su la manica. Sul polso aveva legato un
nastrino blu che portava sempre con se da tre anni a quella parte.
"Lo ricordi?".
Elke
lo guardò storto. "Quello è mio!".
Mattheus
scosse la testa. "Sbagliato, è mio! Me lo hai regalato".
Sul
viso di Elke comparve l'ombra di uno stentato sorriso. "Già,
il
giorno che era nato Blue. Ed avevi borbottato per ore, se non ricordo
male".
"Sì,
è vero, ma come vedi l'ho tenuto!".
La
ragazza allungò la mano a sfiorare il nastrino. "Davvero ti
ha
portato fortuna?".
"Certo!".
Elke
sorrise, questa volta in modo più disteso. "Suppongo quindi
che
i tuoi affari a Bozen siano andati a gonfie vele!".
Quando
Elke sorrideva in quel modo dolce, si sentiva attratto da lei come
una calamita. La riattirò a se, abbracciandola. "La fortuna
è
stata rincontrare te" – le sussurrò all'orecchio.
"Mi
spiace di essermi comportato come un idiota l'altra notte in piazza,
quando mi hai visto la prima volta. E ancor di più per come
mi sono
comportato tre giorni fa, quando mi hai chiesto l'acqua per curare
una bambina. Sono orgoglioso e testardo lo sai, ma mi sono
sinceramente odiato dopo quello che è successo. Io sapevo
che eri a
Bozen ben prima di quella notte in cui ci siamo rincontrati in
piazza, ti avevo già vista per caso davanti al convento
alcuni
giorni prima. E avevo già visto anche quella suora di poco
fa e una
tua amica che suppongo sia la madre della bambina malata".
Elke,
benché stupita da quelle parole e forse desiderosa di fare
altre
domande, si limitò ad appoggiare il viso contro il suo
petto. "E
a me dispiace di averti fatto arrabbiare. Sono stata davvero stupida
ad offrirti quei soldi ma tu mi sembravi tanto intrattabile e non
sapevo come...".
"Tu
non hai colpe, avrei dovuto darti l'acqua e basta!" - concluse
lui, mentre senso di colpa e pentimento gli strisciavano in corpo
come serpenti. "Come sta quella bambina per cui ne avevi
bisogno?".
Elke
sorrise. "Meglio! I bambini sono molto resistenti, sai? Le ho
preparato una cura a base di erbe ed ha funzionato".
Mattheus
si accigliò. Tre giorni prima, quando Elke gli aveva chiesto
l'acqua, stava bene. Quindi le frustate erano state successive al
loro incontro e se tanto gli dava tanto, aveva passato dei guai
proprio a causa di quelle erbe. "Perché ti hanno frustata?".
Elke
si oscurò mentre la mano con cui gli stringeva la camicia
prese a
tremare. "Non voglio parlarne".
"E'
a causa di quelle erbe?" - insistette lui.
La
ragazza sospirò, arrendendosi. "Sei così
dannatamente
testardo! Dovevo trovare una cura per la piccola Anna e non avendo
l'acqua ho dovuto procurarmi quelle erbe e così sono stata
via tutto
il giorno e non ho potuto svolgere i lavori che mi avevano assegnato
al convento. Suor Faustine è sempre molto severa con me ma
ultimamente ho tirato molto la corda e disubbidito un po’
troppo
spesso per i suoi gusti. Tutto qui".
"Tutto
qui?". Mattheus la strinse a se. "E' colpa mia... Se non
avessi fatto l'idiota e ti avessi dato quella dannata acqua, avresti
potuto tornare subito al convento e non sarebbe successo nulla. In
fondo credo che tu debba darmelo davvero quel pugno".
Elke
scosse la testa. "Non sei stato tu a frustarmi e quindi non
è
colpa tua. D'altronde non potevi saperlo".
Le
sfiorò i capelli, baciandole la nuca. Nonostante le parole
di lei,
si sentiva uno schifo. "Potrai mai perdonarmi per tutto quello
che ti ho fatto?".
Elke
alzò lo sguardo. "La verità Mattheus,
è che tu hai fatto
molto per me, questo l'ho sempre saputo. Ogni volta che mi sono
soffermata a leggere un libro o un'iscrizione per la strada, non
potevo fare a meno di pensare che potevo farlo solo grazie a te e al
tempo che hai perso per insegnarmi a farlo. E poi mi hai dato una
casa, un lavoro, cibo e calore, sei stato la famiglia che non ho mai
avuto. Certo, mi hai ferita tre anni fa e ho tentato in tutti i modi
di odiarti ma non ci sono mai riuscita, non potevo! Ora so la
verità
e capisco perché fossi diventato tanto aggressivo quel
giorno. Avere
Lucius davanti agli occhi ti ha fatto rivivere il tuo passato e alla
fine te la sei presa con chi avevi più vicino. Uno sfogo,
che forse
potevamo risolvere in tempi brevi se io non fossi scappata e ti
avessi dato il tempo di calmarti".
Analisi
perfetta quella di Elke, ma le cose non stavano proprio
così.
Mattheus sorrise, appoggiando nuovamente la fronte contro la sua. Se
c'era un momento giusto per essere sinceri con se stessi e con lei,
era indubbiamente quello. "Non ero solo turbato dalla presenza
di Lucius. Io ero arrabbiato perché aveva osato toccarti,
prenderti
la mano e fare il cascamorto con te. Ero semplicemente geloso, non
volevo ti si avvicinasse, io non volevo... non voglio... dividerti
con nessuno. Non volevo che un essere del genere sfiorasse la persona
che più avevo a cuore, non...".
"Mattheus...?".
Le
accarezzò la guancia, attirandola ancora più
vicino. "Io
voglio che tu sia solo mia. Per tre lunghi anni non ho desiderato
altro che riaverti accanto, sentire la tua voce, abbracciarti e
tenerti vicina a me. Capisci cosa intendo?".
Elke
sorrise amaramente. "Capisco... che questa è la cosa
più
stupida che potresti mai desiderare. Potresti avere di meglio
Mattheus, lo sai anche tu".
"Sono
grande abbastanza per capirlo da solo cos'è meglio per me".
A
quelle parole Elke parve arrendersi e si avvicinò a lui
tanto che le
punte dei loro nasi si sfiorarono. "Chi sei davvero tu? Mi hai
mostrato mille facce, ma non ho ancora deciso quale sia quella
più
vera".
"Uno
che ha bisogno di te" – ammise – "perché
sei l'unica
che riesce a rendermi davvero felice e perché mi migliori.
Solo tu
riesci a farlo e non ho la minima idea di come ci sia riuscita a
farmi sentire così. Hai scombinato tutti i miei piani, la
mia vita,
il mio modo di essere e di pensare. Volevo stare solo e invece ora
non chiedo altro che di riaverti perché per me nulla avrebbe
senso
se non ti avessi al mio fianco. Io sono una persona che ha sempre
pensato che ad amare si rischiasse di soffrire e ora sono disposto a
correrlo quel rischio per te, se lo vorrai".
Elke
annuì, non allontanandosi da lui. "Ad amare si rischia di
soffrire, hai ragione... Ma si rischia anche di essere felici".
Lo
disse a lui, ma era anche piuttosto convinto che lo dicesse anche a
se stessa. Mattheus sorrise, accarezzandole la guancia. "Sei
diventata incredibilmente saggia, lo sai?".
"Ho
avuto un buon maestro".
Non
seppe resisterle. Quegli occhi blu, lo sguardo complice che si erano
appena scambiati dopo tanto tempo, dopo la lontananza e dopo che per
poco non si erano davvero persi per sempre, furono come una calamita.
Lasciò scivolare la mano dietro la sua nuca attirandola a se
e poi,
senza darle tempo di reagire o scappare, posò le labbra
sulle sue in
un lungo bacio. Non era nemmeno così sicuro di esserne
capace ma gli
venne talmente naturale che la sua mente, prima di zittirsi, se ne
stupì. La sentì tremare per un attimo e poi
rilassarsi fra le sue
braccia. Aveva labbra sottili e morbide e un modo di rispondere al
suo bacio un po’ stentato ma gentile.
Quando
si separarono, per alcuni istanti rimasero in silenzio a guardarsi
negli occhi. Le accarezzò la guancia e poi, senza incontrare
reazioni, la strinse a se accarezzandole i capelli. "Sei
autorizzata a prendermi a pugni anche per questo, ma credo che
comunque non me ne pentirò mai" – le
sussurrò all'orecchio.
Affondò il viso nel suo collo e Elke prese ad accarezzargli
i
capelli, piano, sfiorando uno ad uno i suoi ricci.
"Non
avresti dovuto andartene tre anni fa, mi sei mancata così
tanto. Mi
dispiace per tutto il male che ti ho fatto".
Elke
annuì. "E' passato tanto tempo". Fece scorrere le braccia
attorno alla sua vita, abbracciandolo, tornando poi ad accarezzargli
i capelli. "Sono più lunghi di come li ricordavo".
"Anche
i tuoi capelli sono diversi, non usi più nastrini colorati e
perline!".
La
presa di Elke si fece più forte. "Sono troppo grande per
usarli
ancora".
Non
era molto d'accordo su questa cosa e non era certo che quella fosse
la verità perché Elke adorava curare i suoi
capelli, ma non era
quello il momento per discuterne. C'erano ben altri pensieri che gli
frullavano per la testa e il suo corpo pareva andare a fuoco dal
desiderio. "Posso baciarti ancora?".
"Mattheus,
da quando mi chiedi il permesso per fare qualcosa?".
A
dispetto di tutto quello che si agitava in lui, gli sorrise. "Hai
ragione, devo essere completamente impazzito". Le sfiorò le
labbra con le dita della mano e Elke lo lasciò fare. Poco
prima il
loro bacio era stato istinto, passione. Ora era diverso, ora era
qualcosa di più dolce, tenero. Avvicinò le labbra
alle sue,
tentennò finché lei non gli sfiorò la
guancia con una carezza, per
incoraggiarlo. E alla fine chiuse gli occhi e cedette a un lungo
bacio, più profondo, meno incerto e pieno di desiderio.
Aveva
chiesto ad Elke di fidarsi di lui e lei, nonostante tutto, l'aveva
fatto, aveva scelto coraggiosamente di non chiudere il mondo fuori da
quella bolla di sapone che la imprigionava da quando era nata e gli
aveva aperto uno spiraglio.
Scivolarono
sul letto, senza riuscire più ad allontanare le loro labbra.
L'aveva
desiderata con tutto se stesso per tre anni e forse anche per lei era
stato lo stesso. Nessuno di loro fece più resistenza, era
finito il
tempo in cui lui era il suo maestro e lei la sua assistente, erano
cresciuti ed erano stati temprati entrambi da tre anni di nostalgia e
solitudine e ora lo sapeva, Elke era l'unica donna che desiderasse
avere vicino. Le sue labbra, il suo corpo sotto di lui lo inebriavano
e non credeva sarebbe mai stato possibile con nessuna donna. Per un
attimo si chiese se fosse giusto correre così, forzare i
tempi, se
Elke fosse davvero pronta e soprattutto se fosse pronto lui. Era
davvero arrivato il momento di spingersi così in
là, di dare una
svolta così repentina alla sua vita, di amare senza riserve?
Elke
sembrava tranquilla, Elke era SEMPRE tranquilla quando erano insieme,
ma lui... Si odiò perché anche in quel momento
razionalità e
ragione rischiavano di rovinare quel momento che non aveva fatto
altro che desiderare per tre anni. Perché non era capace di
lasciarsi andare in maniera spontanea come lei?
Di
colpo mille dubbi lo assalirono e si bloccò, allontanando le
labbra
da quelle della ragazza. "Per favore, se non mi fermi adesso,
dopo non sarò più in grado di farlo" –
sussurrò, col fiato
corto. "Forse non dovremmo...".
Elke
parve spaesata davanti a quelle parole ed allungò una mano
ad
accarezzargli la guancia, tentando di rassicurarlo. "Va tutto
bene, sta tranquillo".
Di
tutta risposta, Mattheus si mise a sedere. Scosse la testa. "Elke
io... io non so garantirti di esserne capace, di essere un compagno
perfetto e un amante degno di te. Io sono una persona egoista,
egocentrica e senza alcuna esperienza significativa con una donna.
Non è giusto che ti spinga a...".
"Non
mi stai spingendo a fare niente, l'ho scelto io di farti avvicinare.
E non è stato facile, te lo assicuro. Mi hai chiesto
fiducia, io te
l'ho data di nuovo ma ora devi essere tu a fidarti di te stesso. Cosa
c'è che non va?".
Sospirò,
guardandola negli occhi. "Non hai paura?".
Elke
sorrise in un modo dolce, avvicinandosi a lui e poggiando la testa
contro la sua spalla. "Avevo paura di mio padre da bambina e ho
paura di suor Faustine qui. Ma non di te e non di questo".
"E'
che..." - arrossì davanti a quell'ammissione così
intima –
"E' che mi è difficile esprimere davvero cosa provo, i miei
sentimenti, mettermi a nudo e mostrare lati del mio carattere che di
solito tengo ben nascosti. Tutti conoscono Pfeifer Huisele lo
stregone ma nessuno, a parte te e Jutta, conosce davvero Mattheus
Hansele. E io non conosco me stesso nel ruolo di innamorato e amante
di una donna, non so se ne sono capace e non posso garantirti che non
ti deluderei". Parlò come un fiume in piena, stupendosi di
quanto gli risultasse semplice, nonostante tutto, fare quelle
ammissioni a lei.
Elke
per un attimo rimase in silenzio davanti a quelle parole ed ebbe
paura di averla delusa e che pensasse che fosse un codardo. Cosa che
in realtà era, probabilmente! Poi, con un gesto lento si
portò la
mano ai capelli, sciogliendo la coda di cavallo che li teneva legati.
Quei capelli, candidi e morbidi, una volta liberi presero come vita,
formando morbidi boccoli che le ricaddero sulle spalle e sulla
schiena.
Spalancò
gli occhi, sorpreso da quel gesto. Sapeva quanto le costasse farlo,
cosa rappresentassero per lei quei capelli e quanti guai aveva
passato a causa loro. E ricordava la sua ritrosia a tenerli slegati e
senza nastri e perline che ne celassero un pò il colore. Non
l'aveva
mai vista coi capelli sciolti. "Cosa fai?".
Elke
sorrise, vagamente intimorita dal suo stesso gesto. "Così
siamo
pari!Se io riesco a fare questo, puoi riuscirci anche tu".
Le
accarezzò i capelli che ora, sciolti, sembravano ancora
più morbidi
e lucidi. Scivolavano fra le sue dita come fossero seta e si
trovò a
pensare di nuovo a quanto la desiderasse. "Sei davvero bella".
Già, e lui la adorava! Il suo coraggio, la sua dolcezza e
l'intesa
che sembravano trovare ogni volta che si trovavano insieme avevano
vinto tre anni di lontananza, silenzi e dolore. Non aveva motivo di
avere paura del loro rapporto, non era più tempo di scappare
e Elke
aveva ragione, se riusciva ad essere coraggiosa e positiva lei, di
certo poteva sforzarsi di esserlo altrettanto. Non avrebbe potuto
resistergli ulteriormente, non dopo quel gesto. Sapeva che l'aveva
fatto per lui e che solo a lui avrebbe dato l'onore di vederla
così.
"Vieni quì" – le sussurrò, attirandola
a se. Coprì le
mani con cui si teneva addosso la coperta con le sue, forzandole a
lasciare la presa. "Sei sicura che non te ne pentirai?".
"No,
se non te ne pentirai tu".
"Dubito
che succederà" – disse, prima di baciarla ancora.
Elke
allentò la presa sulla coperta, lasciò che
cadesse alle sue spalle
e lo avvolse a sua volta in un abbraccio. Crollarono sul materasso,
su quella coperta rosso fuoco, gustandosi quei primi momenti tanto
intimi insieme.
Mattheus
le sfiorò i fianchi e poi, con un pizzico di timore, i seni,
non
particolarmente grossi ma assolutamente perfetti per lui. Era snella,
aveva la pelle liscia e il corpo minuto, lo inebriava.
La
baciò a lungo sulle labbra e poi sul collo, sul petto,
guidato da un
istinto che non sapeva di avere. I pensieri, i timori avuti fino a
poco prima parvero scomparire come per magia e sapeva che era solo
grazie a lei che si sentiva così. Era felice,
incredibilmente
felice. Stava bene e anche Elke era tranquilla, poteva percepirne lo
stato d'animo da come rispondeva alle sue carezze e ai suoi baci, in
modo naturale e senza timori, quasi fossero una cosa sola, quasi che
non avessero mai fatto altro che quello, nella loro vita.
Il
suono delle campane che annunciavano la mezzanotte li fece
momentaneamente fermare. Si guardarono negli occhi ed Elke lo
baciò
sulle labbra, sorridendogli. "Sai Mattheus, tu riesci sempre a
rendere belli i miei Natali".
"Anche
tu".
"Buon
Natale, stregone".
"Buon
Natale, ragazzina".
Mattheus
le prese le mani, guidandole fino al primo bottone della sua camicia.
Non aveva mai odiato avere addosso degli abiti come in quel momento.
Elke posò brevemente lo sguardo sul suo viso,
deglutì e sapeva che
era indecisa sul da farsi, che si sentiva imbarazzata e impacciata.
Guidò le sue dita fino al primo bottone e poi le
lasciò la mano,
aspettando che facesse da sola.
La
ragazza giocò un po' con la stoffa, poi la sua espressione
si fece
più decisa. Sbottonò il primo bottone, poi il
secondo e il terzo. E
infine gli tirò su la camicia, sfilandogliela dalla testa.
Lo guardò
per un lungo istante, in silenzio. Lo baciò sulle labbra,
facendo
scorrere le mani sul suo petto nudo e poi più su, fino alle
scapole
e alle spalle. Lo avvolse in un caldo abbraccio e poi crollarono di
nuovo insieme sul materasso. “Mattheus...” -
sussurrò,
sfiorandogli il collo e la base della nuca, mentre sentivano entrambi
il contatto fra la pelle nuda dei loro corpi quasi fusi.
Calò
il silenzio, le loro carezze divennero più audaci e
profonde, gli
ultimi abiti addosso allo stregone scivolarono sotto al letto e
fecero l'amore mentre il mondo, fuori dalla stanza, si apprestava a
festeggiare la nascita di Gesù Bambino in una
città avvolta dalla
neve. Lo chiusero fuori quel mondo, forse magico ma che per una notte
era di troppo per loro.
Non
esistevano né la magia, né le montagne,
né tutte le persone e i
fatti che li avevano allontanati. Per quella notte, in quella stanza,
non esisteva nulla tranne loro.
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Capitolo 24 *** Capitolo ventiquattro ***
La
tenue luce del mattino che entrava dalla finestra pareva volerle
ferire gli occhi. Elke lottò contro di essa: non voleva
svegliarsi,
non voleva si facesse giorno, desiderava soltanto che quella notte di
Natale durasse per sempre e lei potesse stare lì, sotto
quelle
morbide e calde coperte, fra le braccia di Mattheus, ma ormai
però
era troppo tardi, era decisamente sveglia.
Aprì
gli occhi, senza muoversi di una virgola, attenta a non svegliarlo.
Lui dormiva ancora e il suo sonno e il suo respiro sembravano
tranquilli come quelli di un bambino. Anche lei era tranquilla, le
sembrava quasi impossibile, la vita di un'altra persona quella che
aveva vissuto fino a poche ore prima, quando pensava di non aver
nulla davanti a sé se non l'oblio e la disperazione; eppure
Mattheus
ci era riuscito anche questa volta: le aveva afferrato la mano e
l'aveva stretta a sé, impedendole di perdere la strada. Non
era
stato facile avvicinarsi a lui, parlare con lui, ma Mattheus aveva
saputo farsi ascoltare, capire, starle vicino e scegliere le parole
giuste da dire come solo lui sapeva fare, da sempre, le rare volte in
cui riusciva a mettere da parte il suo caratteraccio. Aveva tentato
di resistergli ma non c'era stato nulla da fare, aveva vinto lui,
come sempre del resto. Chiuse per un attimo gli occhi, quasi sentendo
su di sé, ancora, il calore dei suoi baci e delle sue
carezze. Le
aveva insegnato l'amore in una sola notte, o forse lo avevano
imparato insieme, ma dopotutto non aveva importanza. Era stato
facile, naturale, il completamento di qualcosa iniziato forse a loro
insaputa fin dal loro primo incontro e che pensavano di aver perso
per sempre. Mattheus era un orso, se voleva sapeva essere arrogante e
sfuggente, la peggior canaglia in circolazione, ma era soprattutto un
uomo intelligente, gentile, dolce e infinitamente delicato verso le
persone che amava. Questi aspetti del suo carattere li aveva colti da
subito, benché lui sapesse tenerli nascosti così
bene, anche se per
tanto tempo li aveva ritenuti un suo errore di valutazione. In cuor
suo però, nel suo intimo, sapeva la verità,
sapeva com'era davvero
quello stregone. Mattheus sapeva essere insopportabile, ma era anche
una persona estremamente sensibile che si era costruito attorno un
mondo di solitudine per evitare di soffrire la perdita di altre
persone amate. Una cosa l'aveva colpita, della notte appena passata.
Aveva detto che la gente conosceva solo Pfeifer Huisele lo stregone e
non Mattheus Hansele, ed era vero, lui aveva ragione e difficilmente,
a parte lei, avrebbe permesso ad altri di avvicinarsi così
tanto a
lui. Non avrebbe smesso di essere un orso e una persona sfuggente
dall'oggi al domani, questo era certo, e lei non lo avrebbe mai
preteso. Quel lato del suo carattere faceva parte di lui e in fondo
ci era affezionata. Non sentirlo più borbottare o lamentarsi
per
qualcosa le sarebbe parso tanto strano, così come il vederlo
diventare improvvisamente ciarliero e chiacchierone con gli altri.
Lo
sentì sbadigliare nel dormiveglia e percepì la
stretta su di lei
farsi più salda. Si rannicchiò contro di lui, non
desiderava altro
in quel momento. "Ti ha svegliato la luce del sole?" - gli
chiese da sotto le coperte, senza stare ad accertarsi se fosse
effettivamente giorno.
Mattheus
si strofinò gli occhi e poi le accarezzò i
capelli. "Sole? Con
un pò di fantasia, forse...". La costrinse ad alzare il viso
e
a voltarsi verso la finestra, affondando poi il viso contro il suo
collo. "Guarda come sta nevicando! Non ha mai smesso da ieri
mattina".
Elke
si rannicchiò nel suo abbraccio, inspirando il profumo della
sua
pelle. Solo in quel momento si accorse del calore nella stanza e del
camino acceso. "La legna nel camino l'hai messa tu? E
quando...?".
"Quando
ti sei addormentata mi sono alzato e ho acceso il fuoco, facendo in
modo di mettere tanta legna da arrivare al mattino".
Elke
sorrise perché in fondo quelle piccole accortezze erano
tipiche di
lui: anche a Pennes Mattheus si era sempre preoccupato che in casa ci
fossero cibo e un camino acceso quando lei si svegliava, ma solo in
quel momento si accorse della dolcezza e della premura di quei gesti.
"Lo hai fatto per me?".
"Anche
per me, lo sai che odio il freddo". La baciò sulla nuca,
stringendola ancora più a se. "Ma soprattutto per te
perché
anche se fingi che la cosa non ti importi, avevi la febbre davvero
alta fino a poche ore fa e non voglio che ti ritorni".
A
quelle parole, finalmente si voltò verso di lui. Le loro
fronti si
toccarono. "Mi dispiace di averti fatto preoccupare".
"Mi
importa solo che tu ora stia bene". La baciò sulla fronte e
poi
sulla punta del naso, stringendola a se.
"Credevo
che ti fossi addormentato prima di me" – sussurrò
Elke,
sfiorandogli il petto.
Lui
scosse la testa. "A dire la verità, credo di essermi
addormentato solo un'ora fa. Quella che ha dormito sei tu e dopo
tutto ne avevi bisogno. Non sono ancora così sicuro che tu
stia
bene".
La
guardò in viso, studiandola attentamente e per un attimo
Elke si
chiese quale fosse la fonte della sua preoccupazione, se le frustate
o quanto successo quella notte fra loro. In entrambi i casi comunque,
si sentiva di rassicurarlo. "Sto bene, non preoccuparti".
"Non
sto parlando della tua schiena e delle tue mani, non solo. Sto
parlando di...".
"Sto
bene" – ripeté lei, di nuovo. Sorrise. "E credo
che il
merito sia tuo. Sei stato bravo, sai?".
Mattheus
rispose al sorriso. "Io sono sempre bravo. Ma questa volta credo
che i meriti siano tuoi, senza di te non sarei andato da nessuna
parte e non avrei avuto nemmeno il coraggio di iniziare".
Scherzosamente,
Elke gli pizzicò la guancia. "Quindi, se le cose stanno
così,
dovrei essere io a chiedere a te se stai bene, giusto?".
"Non
pensarci nemmeno! Sono io l'uomo e sono io che devo preoccuparmi per
te. Per voi donne è una faccenda più" –
si grattò il mento,
indeciso – "complicata".
"Non
così complicata come pensate voi uomini. Io l'ho trovato
naturale e
bello, semplice".
Appoggiò
la fronte contro quella di Mattheus, chiudendo gli occhi. "Credo
di averlo desiderato da sempre... che fossi tu, che fosse con te,
anche se avevo quasi paura a sperarci... Questa notte, per la prima
volta in vita mia, non mi sono sentita sola, era come se ogni mio
respiro fosse il nostro respiro e ogni mio movimento fosse non solo
mio ma nostro. Era come essere una cosa sola".
Lo
stregone annuì, prima di baciarla sulle labbra. "Non avrei
potuto descriverlo meglio, Elke".
Inspirò,
profondamente, accarezzandogli i riccioli rossi che gli cadevano
sulle spalle. "Quella bolla di sapone... credo che tu sia
riuscito a romperla almeno un po', sai?".
Mattheus
la abbracciò, accarezzandole e baciandole i lunghi capelli
che le
ricadevano disordinati sulla schiena. "Sai, stanotte mentre non
dormivo, pensavo a quanto fosse stato bello e a quanto io sia stato
fortunato a ritrovarti. A conoscerti! In un mondo così
grande,
quante probabilità avevamo? Tutti odiano i tuoi capelli ma
io li amo
perché è grazie a loro che sei venuta da me, se
fossi stata mora,
bionda, rossa o altro, non ci saremmo mai incontrati. E non so' se ne
sia valsa la pena per te, ma io a questi tuoi capelli devo tutto".
Rimase
colpita dalla profonda dolcezza e dalla verità racchiusa in
quelle
parole, non ci aveva mai pensato. Arrossì e si
rifugiò nel suo
abbraccio, affondando il viso contro il suo petto.
"Mattheus...".
Lo
stregone ridacchiò, abbassandosi a parlarle all'orecchio.
"Se
ora arrossisci e ti imbarazzi perché ti dico che ti adoro e
che
questa è stata la notte più bella della mia vita,
credo che dovrò
ricominciare a chiamarti ragazzina".
"Spiritoso!".
Alzò gli occhi su di lui, con aria di sfida. "Hai pensato a
un
sacco di cose mentre non dormivi, è?".
"Puoi
giurarci! Ho pensato anche a Lucius, sai?".
Elke
lo guardò storto. "Lucius? Dopo aver fatto l'amore con me
hai
pensato a LUCIUS?".
Mattheus
annuì con aria di chi la sa lunga. "Esattamente! E alla rosa
rossa che ti ha regalato".
"E'
stato tre anni fa, Mattheus! Non dirmi che sei ancora geloso!".
"No,
affatto". Le sfiorò la punta del naso con l'indice,
chinandosi
poi a baciarla. "Ho solo realizzato che di donne e fiori lui non
se ne intende proprio. Ogni donna può essere paragonata a un
fiore,
sai? E tu e le rose non avete proprio nulla in comune, non è
un
fiore adatto a te. La rosa, soprattutto quella rossa, ha un colore
sfacciato e ha le spine, non ti rappresenta".
"E
quale sarebbe il fiore adatto a me?".
Il
viso di Mattheus si addolcì infinitamente a quella domanda.
La baciò
piano, sulle labbra, poi strinse il pugno della mano destra e lampi
di luce dorata scaturirono dalle sue dita. Quando riaprì la
mano,
sul palmo stava appoggiato, comparso per magia, un piccolo fiore
bianco. "Questo è il fiore adatto a te, una stella alpina".
"L'Edelweiss?".
"Esatto
Elke". Fece scivolare il fiore nella sua mano e poi
intrecciò
le dita alle sue. "Tu appartieni a queste montagne, come questo
fiore. Hai i suoi colori e la sua forza perché come lui sei
nata in
queste vallate e sai resistere al vento, alla neve, al gelo e al sole
cocente come solo le creature delle Dolomiti sanno fare. E' il tuo
fiore, adatto a te. Se mai dovessi regalartene uno di nuovo
sarà
come questo. Una stella alpina. Tu, come questo fiore, hai in te
tutto il bello di queste montagne, non dimenticarlo mai Elke".
Elke
deglutì. Mattheus Hansele era anche questo, un uomo
sfuggente e poco
propenso ai gesti gentili eclatanti ma che sapeva scaldarti il cuore
con piccole cose che sapevano valere più di qualsiasi dono.
"Non
lo dimenticherò. Grazie". Osservò il fiore, un
meraviglioso
esemplare di Edelweiss. "Hai usato la magia per farlo
apparire?".
"Più
o meno. Se vuoi ti insegno come si fa".
Elke
fece un sorriso furbo.
"No,
non voglio che me lo insegni".
"Perché?".
"Perché
se sapessi farlo, ti darei la scusante per non regalarmi più
fiori".
A
quella risposta, Mattheus scoppiò a ridere. Poi la
attirò a se,
baciandola avidamente sulla labbra. "Ora si che riconosco la mia
Elke!".
Lasciò
che la baciasse a lungo, mentre brividi caldi le correvano lungo la
schiena. Mattheus sapeva farla cedere, farle perdere
razionalità,
farla sentire bene nonostante l'inferno vissuto negli ultimi giorni.
Aveva bisogno di lui eppure sapeva che c'era tanto di cui parlare,
discutere, cose che andavano affrontate prima di voltare pagina
assieme a lui. Ma in quel momento non riusciva a fare altro che
abbandonarsi ai suoi baci. Strinse la stella alpina nella sua mano,
ricordandosi improvvisamente della statuetta di legno che qualcuno le
aveva regalato alcuni giorni prima e che stava nella sua camera del
convento. "Mattheus, posso chiederti una cosa?" - sussurrò
contro le sue labbra, col fiato corto.
"Tutto
quello che vuoi".
"Alcuni
giorni fa, qualcuno mi ha fatto recapitare al convento una statuetta
di legno raffigurante un lupo. Sei stato tu?".
Lo
stregone si allontanò lievemente da lei, quasi fosse in
imbarazzo,
abbassando lo sguardo. "Si. Ti avevo vista davanti al convento e
mi è venuto in mente che tre anni fa ti avevo promesso una
statuetta
in legno ad ogni Natale. Non ho mai potuto tener fede a quella
promessa e ora ne avevo l'occasione quindi... anche se è
stata la
cosa più irrazionale che ho fatto in vita mia, ne ho
intagliata una
per te e te l'ho fatta recapitare".
"Perché
non hai detto ad Helena che era da parte tua? Sarebbe stato tutto
più
facile fra noi".
"Mi
vergognavo e ritenevo improbabile che ci incontrassimo o che tu
volessi vedermi, dopo tutto quello che era successo a Pennes".
Quella
ammissione la intenerì perché Mattheus era da
sempre piuttosto
restio ad esprimere i suoi sentimenti, soprattutto quelli che lo
rendevano vulnerabile agli occhi degli altri. "Non c'era nulla
di cui vergognarsi, è stato il pensiero più dolce
e gentile che
qualcuno abbia avuto per me. Mi ha fatto piacere riceverla".
"E'
orrenda, imperfetta. Te ne farò altre più belle,
a Pennes".
Elke
scosse la testa. "Io la adoro, mi ricorda Maike, la mia lupa.
Per quante statuette tu possa farmi, questa resterà sempre
la mia
preferita".
"Elke,
no...".
La
ragazza si morse il labbro. Ora arrivava la parte difficile, ora
dovevano parlare seriamente, anche se sospettava che Mattheus avesse
già capito le sue intenzioni. "Ascolta, ti prego".
"Non
voglio ascoltarti! Lascia in convento quella dannata statuetta e
torna a Pennes con me, ti scongiuro Elke".
Trattenne
il fiato, cercando le parole giuste per tranquillizzarlo e per
trovare in sé il coraggio per affrontare quanto andava
affrontato.
Non sarebbe stato facile, lo sapeva. Ma doveva farlo. "Mattheus,
tornerò a Pennes da te, lo giuro. Ma non ora, non posso".
"Sì
che puoi! E nessuno te ne farebbe una colpa".
Elke
annuì. "Lo so, ma sarei io a non perdonarmelo. Se fuggissi,
se
me ne andassi con te sarebbe facile, sarei felice probabilmente, ma
non avrei affrontato le mie paure e tutto ciò che mi
tormenta. Avrei
sempre paura e tu rappresenteresti solo un rifugio. Lo faccio anche
per te, per noi".
Il
viso di Mattheus si oscurò, le sue mani presero a tremare.
"Elke,
non voglio che tu torni in quel dannato convento, sei quasi morta,
dannazione! Non devi dimostrare nulla nemmeno a te stessa".
Elke
ispirò. Sapeva che lui aveva capito, che conosceva le sue
motivazioni per restare ed era consapevole del fatto che non fosse
d'accordo, ma non poteva fare altrimenti. "Suor Faustine mi ha
frustata e io non ho fatto nulla per impedirlo. Come credi che si
senta il mio orgoglio? Non voglio scappare, non voglio essere una
codarda salvata dal principe azzurro, io voglio capire se sono capace
di affrontare quella suora e tutte le paure che risveglia in me. Non
posso fuggire per sempre, voglio tornare ad avere rispetto verso me
stessa perché ti assicuro che dopo quello che è
successo l'ho
perso. Quando sono arrivata da te, quasi quattro anni fa, ti ho
chiesto di prendermi come tua allieva, di insegnarmi quello che sai.
E' ora che dimostri a me stessa e agli altri quello che ho imparato.
E poi non posso sparire così, in quel convento
c'è l'unica amica
che abbia mai avuto e non voglio andarmene senza essere certa che lei
e sua figlia abbiano trovato il modo per andarsene da quel posto.
Posso aiutarle, ora so come fare, ma ho bisogno di tempo".
"Quanto
tempo?".
La
voce di Mattheus le apparve fredda e glaciale come nei suoi peggiori
ricordi di loro due insieme. Si chiese se fosse deluso o arrabbiato e
per un attimo tentennò davanti a lui e ai ricordi della
dolcissima
notte trascorsa insieme. "Se tutto va per il verso giusto, forse
pochi mesi".
Lo
stregone allentò la presa su di lei, sprofondando fra i
cuscini. Si
passò la mano sul viso, scostandosi i riccioli rossicci che
gli
erano caduti sulla fronte.
"Sai
una cosa Elke? E' tremendamente complicato tutto questo, per me! Fare
l'amore con qualcuno in fondo è semplice e piacevole, si
azzittiscono pensieri e problemi ed è l'istinto a guidare
ogni
azione. L'amore è istinto... Un istinto bello, che ti porta
a
desiderare il bene e la felicità della persona che hai
scelto di
avere a fianco come compagna di vita, concordandogli assoluta
fiducia. Ed è questo il punto. Io ti adoro e se voglio
dimostrartelo davvero non posso limitarmi ad una camera da letto, ma
devo farlo ogni attimo, ogni giorno, sostenendoti nelle tue scelte.
Non ti chiederò cosa vuoi fare, come vuoi risolvere le cose
e
nemmeno il perché. Mi fido di te e se è rimanere
qui ciò di cui
hai bisogno, me lo farò andar bene".
Elke
rilasciò di colpo il fiato che aveva trattenuto durante
tutto il
discorso di Mattheus. Lo conosceva, sapeva quanto gli costassero
quelle parole ed era consapevole che stesse facendo violenza a se
stesso nel pronunciarle. "Credevo sarebbe stato più
difficile
fartelo accettare e sentirti dire che sei d'accordo" –
sussurrò, prendendogli la mano sinistra fra le sue.
Gli
occhi di Mattheus si piantarono su di lei come due lame. "Non
sono d'accordo e non l'ho accettato, mettiamolo in chiaro. Ma
suppongo di dovermi fare andare bene la cosa e di non avere scelta
anche se la ritengo una decisione idiota, giusto?".
"Giusto".
Non c'era molto altro da dire.
Lo
stregone si rimise a sedere sul letto. Le sfiorò la guancia
e la
attirò a se in un abbraccio. "Non sono arrabbiato con te, lo
giuro. E in un certo senso forse riesco anche a capirti però
Elke...
la vendetta non serve a nulla e non ti renderà né
migliore né
diversa da quella che sei adesso".
Elke
si abbandonò al suo abbraccio, chiudendo gli occhi. "Non
voglio
vendetta ma capire se sono capace di combattere il male che mi viene
fatto. Me lo hai insegnato tu, ricordi? E ora, grazie a te, credo di
sapere come sistemare le cose".
Mattheus
annuì. "Va bene, come ti ho detto, non mi devi spiegazioni.
Ma
questo ha un prezzo, sai? Sei in debito con me, mia cara!
Partirò e
ti aspetterò a Pennes senza dire nulla, senza chiedere nulla
ma tu
in cambio devi promettermi due cose!".
Elke
sorrise. "Va bene, dimmi pure".
Le
mani di Mattheus le sfiorarono le guance e la attirò a se
fino a che
le loro fronti si toccarono. "Prima cosa, non metterti nei
guai, non permettere a nessuno di sfiorarti! Non voglio vedere
nemmeno un graffio sulla tua pelle quando tornerai da me. Se la
situazione diventa pericolosa, vattene, fregatene di quello che vuoi
fare in quel dannato convento, fregatene di tutto e di tutti e torna
da me. Ti ho curata questa notte e non voglio doverlo fare mai
più
in futuro, intesi?".
"Te
lo prometto".
Lo
vide annuire. "Seconda cosa...".
"Seconda
cosa?".
Lo
sguardo di Mattheus si fece furbo, come tante volte lo aveva visto in
passato quando cercava di fregare qualcuno. "Dimmi che mi dirai
di sì anche senza sentire cosa voglio".
Questo
la fece ridere. "Scordatelo! Dirti di sì a scatola chiusa
è
pericoloso, soprattutto quando hai quell'espressione in viso".
"E
allora ti tramortirò con qualche incantesimo che ti
farà dormire
per settimane e ti porterò a Pennes subito, contro la tua
volontà".
Elke
alzò gli occhi al cielo. Se non gliela dava vinta era
abbastanza
certa che avrebbe messo in atto quella minaccia. Con un sospiro
annuì.
"Va
bene, sì. La mia risposta a qualsiasi cosa tu voglia
chiedermi è
sì".
Mattheus
sorrise, un sorriso da perfetta canaglia. Con la mano le
pizzicò la
punta del naso, prima di baciarla di sorpresa sulle labbra. "Sappi,
mia cara, che hai appena acconsentito a sposarmi".
Elke
spalancò gli occhi, mentre il fiato le si congelava nella
gola.
"Cosa?" - chiese, a bocca aperta. Per un attimo lo guardò
e basta, senza sapere cosa fare o dire, con un'espressione da ebete
dipinta sul viso.
"Hai
detto sì!" - puntualizzò lui, con aria divertita.
"Ho
detto sì..." - ripeté lei, lentamente.
Deglutì, incerta sul
da farsi. In fondo, nonostante fosse sorpresa di una cosa simile,
assolutamente nel panico e con le guance che le andavano in fiamme,
poteva dirsi divertita da quella strana situazione. "Certo che
è
proprio da te una proposta di matrimonio così stramba!" -
borbottò.
"Non
pretenderai che mi metta in ginocchio e ti reciti una poesia d'amore,
giusto?".
Elke
sospirò. "No, certo che no, figurati... Ma Mattheus, il
matrimonio è...".
"Hai
detto sì" – ripeté lui, stavolta con
espressione più seria.
Elke
lo guardò negli occhi, cercando di leggervi quanto gli
passasse
nella mente. "Me lo stai chiedendo perché ti senti in
obbligo
per quanto successo fra noi questa notte?".
A
quella domanda, la mano calda di Mattheus si posò sulla sua
guancia
sinistra, accarezzandola piano. Le sue dita si mossero sulla sua
pelle, tratteggiando un percorso circolare, lento, che le dava
brividi lungo tutto il corpo.
"Nessun
obbligo, non ti ho costretta a nulla e hai scelto di tua
volontà.
Sai, di tutte le cose che ci siamo sussurrati stanotte mentre
facevamo l'amore, ce n'è una che ci siamo detti in
contemporanea,
prima che perdessimo tutta la razionalità e la
capacità di parlare.
Lo ricordi?".
A
quella domanda, Elke arrossì. Si erano sussurrati tante cose
mentre
i loro corpi imparavano a conoscersi, carezza dopo carezza, bacio
dopo bacio. Ma aveva presente, fra tutte le cose dette, a cosa si
stesse riferendo. "Ti ho detto che ti amo".
"E
io ho detto che amo te. E lo penso davvero, è quello che
provo e non
c'è miglior motivazione di questa, per me, per chiederti in
moglie".
"Non
sono capace di cucinare e sono una pessima donna di casa"
tentò
di argomentare lei. Era completamente nel panico e probabilmente non
sarebbe riuscita a pronunciare frasi di senso compiuto, accidenti a
lui!
A
quelle parole, Mattheus scoppiò a ridere. La sua mano si
poggiò sui
suoi capelli, scompigliandoglieli. "Ah, tesoro mio, lo so!
Ricordo bene tutti i disastri che mi hai combinato in casa! Ma non ti
ho chiesto di sposarmi per farmi da cameriera, se volessi una moglie
che sa cucinare, tu saresti l'ultima persona che chiederei in
moglie".
Elke
gli lanciò un'occhiataccia. "Spiritoso". In
realtà era
bello, qualcosa dal gradevole gusto antico, quel loro scherzare
insieme, pur affrontando un tema tanto importante e per loro
così
nuovo. Era vero, Mattheus la conosceva bene, in ogni suo pregio ed
ogni suo difetto, non aveva molto da spiegargli che lui non sapesse
già. Si erano sempre compensati a vicenda, quando avevano
diviso la
casa di Pennes, ognuno coi propri punti di forza e debolezza,
arrivando dove l'altro tendeva a faticare. Sapeva che si sarebbero
trovati bene insieme, che avrebbe funzionato e che sarebbero stati
anche felici ma... Mattheus era dolce e sicuramente sincero
nell'esprimere i suoi sentimenti, sapeva che l'amava davvero ed era
certa di amarlo anche lei, più di quanto amasse la sua
stessa vita.
Però... La sua espressione si fece seria, c'erano cose a cui
Mattheus non aveva pensato e che lei aveva il dovere morale di
dirgli. "Sono albina, hai idea di che inferno sarebbe la tua
vita con una moglie come me? Hai presente come ti guarderebbe la
gente?".
Mattheus
sospirò, le loro mani si intrecciarono. "Direi che forse il
resto del mondo potremmo lasciarlo fuori dal nostro matrimonio. Sei
d'accordo?".
Elke
annuì mentre la presa sulle mani di lui aumentò.
"So che non
te ne cureresti, che potresti farlo senza problemi ma io ti
complicherei comunque le cose".
"Tu
mi rendi felice, non complichi nulla".
Inspirò
profondamente, doveva arrivare al nocciolo della questione.
"Mattheus, quando ieri sera ti ho detto che non voglio figli,
parlavo sul serio. Non ne voglio, né ora né
probabilmente in
futuro. Non cambierò idea e questo, se mi sposassi, ti
priverebbe di
qualcosa che magari tu potresti desiderare un giorno".
Calò
per un attimo il silenzio fra di loro. Mattheus la guardò in
viso
assorto per lunghi istanti, l'espressione persa in chissà
quali
pensieri. Infine sospirò, scuotendo la testa. La
attirò a se,
baciandola sulle labbra e stringendola in un abbraccio. "Ascolta"
– disse, col viso affondato fra i suoi capelli –
"Io amo te,
voglio sposarti per stare con te e non mi importa niente di qualcuno
che ancora non esiste e che nemmeno conosco. Fino a poco tempo fa non
volevo nemmeno sposarmi, figurati se mi è mai passata per la
mente
l'idea di essere padre. Non mi sono mai posto la questione, non ci ho
mai pensato e non ne sento la necessità. Esistono delle erbe
per
impedire la gravidanza, basta che tu le prenda sotto forma di tisana,
una volta al giorno. Non ci daranno la certezza matematica che non
succederà nulla ma potremo stare sufficientemente
tranquilli,
facendoci attenzione. Come ti ho detto, non avere figli per me non
è
un problema".
"Non
è un problema ora, ma un giorno potresti cambiare idea".
"O
potresti cambiarla tu". La costrinse ad alzare il viso, con aria
seria la scrutò in volto e infine le sorrise. "Sono egoista,
egocentrico, amo avere l'attenzione puntata esclusivamente su di me e
va bene così, son contento che tu sia mia, che sia l'unico
di cui ti
preoccuperai, che ti avrò tutta per me. Non voglio dividerti
con
nessuno, tanto meno con dei figli urlanti da accudire e che magari
non mi risulterebbero nemmeno simpatici. Siamo felici insieme,
sappiamo esserlo rimanendo solo noi due, non abbiamo bisogno d'altro.
E se un giorno uno di noi cambiasse idea in merito a questa cosa se
ne parlerà e la risolveremo. E' così che
funziona, in una famiglia.
Inoltre..." - la sua espressione si fece più distesa
– "Ho
sopportato per due anni Falko e Drago in casa mia e credo di non
voler attorno nessun altro alto meno di un metro".
Elke
scoppiò a ridere. Lo abbracciò,
affondò il viso contro il suo
petto e poi lo baciò sulle labbra. "Sicuro?".
"Sicuro!
E tu hai detto sì".
La
ragazza sorrise dolcemente, accarezzandogli la guancia. "Ho
detto sì. Quando tornerò a Pennes ci sposeremo.
Ti prometto che,
entro il solstizio d'estate, sarò tua moglie".
"Sicura?".
Elke
annuì. "Sicura, anche se ho l'impressione di essere
completamente folle ad acconsentire così, senza pensarci
troppo,
soprattutto in virtù del fatto che fino a poche ore fa
cercavo di
odiarti con tutta me stessa".
Mattheus
alzò le spalle. "Ma tanto non ci sei riuscita, quindi che
senso
ha rivangare il passato?".
"Nessuno,
in effetti". Elke sorrise, sprofondando fra i cuscini e godendo
per un attimo di quel pensiero dolce. Sarebbe stata una sposa, la
moglie di un uomo straordinario che le aveva insegnato tante di
quelle cose da riempire libri su libri e che si era innamorato di
lei. Era così meravigliosamente assurdo! Non avrebbe mai
creduto di
sposarsi, non di certo con un uomo solitario e sfuggente come
Mattheus, eppure... Sarebbe stato bello tornare a Pennes, diventare
sua moglie, dividere di nuovo la vita con lui, essere sua compagna e
complice in tutto quello che faceva, sentire il calore di quella
baita che era diventata in poco tempo anche casa sua.
Allungò la
mano, raggiungendo quella dello stregone. "Anche se sono in
debito con te, posso chiederti anche io una cosa?".
Mattheus
annuì, incuriosito. "Provaci".
"Rivoglio
il mio posto da assistente".
Mascherando
un sorriso, lo stregone scosse la testa. "Certa gente non impara
proprio mai a tenersi lontana dai guai. Puoi essere la moglie
dell'uomo più potente di Pennes e comandare tutto e tutti e
vuoi
tornare a lavorare per un datore di lavoro severo come me?".
"Sì".
Il
viso di Mattheus si addolcì e si chinò su di lei,
baciandola sulla
fronte. "Puoi essere tutto quello che vuoi Elke. Lavorare con te
a fianco è sempre stato piacevole per me e sono fortunato a
riaverti
con me".
"Anche
a me piaceva, sai Mattheus? Quando di notte Falko e Drago dormivano e
noi restavamo soli a lavorare, preparando tisane o pozioni, io me ne
stavo lì e ti guardavo affascinata. Sai fare tutto, conosci
tutto e
io me ne stavo lì ferma, incantata da ogni tuo gesto o
parola".
"Beh,
grazie". Mattheus arrossì, per una volta a corto di parole.
Elke
sorrise. "Che vuol dire che posso comandare tutto e tutti?".
Non aveva ben capito quella parte del discorso, ora che ci pensava.
Lo
stregone ridacchiò. "Oh, vero, io ti ho raccontato tutto
fino
alla sconfitta di Lucius, ma non sai quello che è successo
dopo.
Sono il capo-villaggio di Pennes da quasi tre anni e questo
farà di
te la donna più potente del paese".
"Cosa?".
Ok, Mattheus aveva definitivamente smesso di fare il serio e aveva
ricominciato a prenderla in giro. "Capo-villaggio, TU?".
Scoppiò a ridere, di gusto. "Ma Mattheus, la gente di Pennes
ti
teme come la peste".
"Ahah,
spiritosa! La gente mi teme ancora, ma al loro sacro terrore nei miei
confronti si è pure aggiunta una sorta di ammirazione. Sono
stati
loro a chiedermi di essere il loro capo-villaggio dopo la faccenda di
Lucius e io ho accettato. E sono anche bravo".
Da
un lato era sorpresa, ma dall’altro era consapevole che
nessuno
sarebbe stato più adatto di lui per un incarico del genere:
Mattheus
era cinico e dispettoso, ma soprattutto saggio, intelligente ed
oculato, quando serviva.
"Lo
immagino" – mormorò guardandolo negli occhi, con
un lieve
sorriso sul viso. "E ora che non ci sei, chi si occupa di
Pennes? Hai lasciato Falko e Drago ad amministrarla in tua assenza?".
"Falko
e Drago? I due piccoli bugiardi seduttori-mezze-tacche della Val
Sarentino? Certo che no!".
"Che
ti hanno fatto Falko e Drago?".
Era
seriamente incuriosita, oltre che divertita, dalla piega presa dalla
loro conversazione.
Mattheus
incrociò le braccia, tutto impettito. "Ci hanno raccontato
un
sacco di frottole, sai? Ora ti racconto il vero motivo che li
spingeva a stare tante ore dal panettiere, quando ce li mandavo a
fare la spesa... Altro che curiosità per le chiacchiere di
paese!".
Elke
sorrise. Si voltò di lato, poggiando la guancia sulla mano
per
guardarlo in viso. "Avevano una cotta per le figlie del
panettiere, giusto?".
Mattheus
spalancò gli occhi. "E tu come fai a saperlo?".
"Era
così ovvio. Non te ne sei mai accorto?".
"No!"
- rispose lo stregone, imbronciato.
Per
nulla intimorita da quella reazione tanto tipica di lui, Elke rise.
Si sedette cingendogli la vita con le braccia e lo baciò
sulla
guancia. "Oh, eccolo il mio orso. Stavo pensando che ti stessi
addolcendo troppo, sai?".
"Figurati!
Avrai modo di saggiare appieno il mio carattere da orso, quando
tornerai a Pennes!" - borbottò, con aria di sfida.
Elke
rise. "Oh, lo so'! E quindi, Falko e Drago?".
"Si
sono sposati con le figlie del panettiere un anno fa".
"Davvero...?".
Sorrise, sinceramente felice per loro. Falko e Drago erano persone
buone, gentili, premurose e dal modo di fare semplice e senza secondi
fini. Per lei erano stati una sorta di fratelli maggiori, sempre
attenti a trattarla con affetto e a proteggerla dal caratteraccio di
Mattheus e spesso aveva pensato a loro con nostalgia, negli ultimi
tre anni. "Quindi, ora sei di nuovo tornato unico padrone di
casa tua, giusto? Sarai stato felice, dopo che te l'abbiamo invasa".
Il
viso dello stregone si distese e tornò a guardarla con
sguardo
gentile e innamorato. Le sfiorò i capelli, perdendosi nella
loro
morbidezza. "Non lo avete fatto, sono io che vi ho permesso di
venire a stare da me. E devo ammettere che adesso la casa
così
silenziosa e vuota è piuttosto deprimente".
Le
loro mani si intrecciarono. "Pochi mesi Mattheus, poi sarò
da
te".
Annuì.
"Ricordati quello che mi hai promesso, Elke. Niente di
pericoloso, nessun graffio. Promettimi che starai bene".
"Prometto".
Strinse le mani dello stregone fra le sue e poi, sospirando, si mise
a sedere sul letto. "Devo tornare al convento, ora. Mi
accompagni?".
"E'
ancora così presto".
"Appunto.
Se rientro adesso che tutti dormono, posso far finta di aver passato
la notte lì".
"Che
farai con suor Faustine?".
Elke
annuì, guardandolo negli occhi. "Fidati
di me. Starò bene e non le darò la soddisfazione
di pensare che
sono scappata per paura di lei. E grazie a te, so cosa fare. Devo
chiudere tutte le faccende in sospeso in quel convento e... altrove.
Poi potrò davvero essere tua e cercare di essere una brava
moglie.
In fondo ho detto sì e devo impegnarmi, giusto?".
Mattheus
scosse la testa. La abbracciò, stringendola convulsamente
fra le
braccia, baciandole i capelli, il viso e le labbra con
avidità.
"Dimmi come faccio a lasciarti lì e ad andarmene? Come posso
riuscirci?".
"Ci
riuscirai perché me lo hai promesso e tu sei uno che
mantiene la
parola data. Ci riuscirai perché, per quanto ti possa
pesare, sai
che è la cosa giusta per me e tu desideri il mio meglio, non
è
così? Ci riuscirai perché sei forte e sai che ne
vale la pena. Ci
riuscirai perché mi hai detto che mi ami e io so che
è vero".
Lo
stregone scosse la testa. "Sai qual'è la fregatura
dell'amore?".
"No".
"Che
si perde il proprio raziocinio e si finisce per darle tutte vinte
alla propria compagna".
Elke
scoppiò a ridere. "Ah, non credo che sarà
così!
Probabilmente, in futuro, quella che dovrà abbassare il capo
sarò
io. Non abbatterti!". Gli diede una pacca amichevole sul
braccio, sorridendogli.
Si
baciarono ancora, a lungo. E poi, contro voglia, si tirarono su dal
letto e si vestirono. Elke scoprì, con sua somma sorpresa,
che
mentre lei dormiva Mattheus aveva lasciato la stanza per ordinare al
locandiere abiti puliti e caldi per lei e una lauta colazione per
entrambi. L'oste gli aveva fatto trovare tutto davanti alla porta
della loro stanza e poi, silenziosamente, era tornato al suo posto di
lavoro senza disturbarli.
La
ragazza si vestì, gli abiti che avevano portato erano di una
lana
pregiata dal colore blu, morbidi e talmente caldi e raffinati che,
probabilmente, non aveva mai indossato nulla di simile. Mattheus le
legò in spalla un pesante mantello, calandole scherzosamente
il
cappuccio sulla fronte.
"Questo,
per favore, tienilo! Non voglio mai più vederti senza, in
inverno".
"D'accordo".
In effetti era ora che smettesse di restituirgli mantelli.
Mangiarono
una lauta colazione composta da pane, frittata e uova e ad Elke
sembrò di rinascere: era tanto che non mangiava
così bene. Anzi,
era tanto che non faceva un pasto completo, ora che ci pensava!
Dopo,
silenziosamente, scivolarono fuori dalla locanda. La città
ancora
dormiva, le strade erano deserte e il candore della neve pareva
illuminare ogni angolo ancora avvolto dal buio della notte. Tutti
dormivano, tutti gustavano quel sonno sereno che di solito accompagna
i fedeli nella notte di Natale, chi sognando la pace famigliare e
chi, come i bambini, i balocchi di Sankt
Nicholaus.
Per
la prima volta in vita sua, come forse non le era successo nemmeno a
Pennes, Elke trovò bella l'atmosfera natalizia ed
assaporò quella
sensazione di magia e buon'umore di cui tutti parlavano e che mai
aveva provato. Non esistevano più, o erano molto lontani,
né suo
padre con le sue frustate, né la violenza di suor Faustine,
la fame,
il dolore, le ferite che l'avevano tormentata nel corpo e nell'animo
in quegli ultimi giorni.
Mattheus
le cinse le spalle, attirandola a se. "E' quasi bella così,
questa città, non trovi?".
"Sì.
E in questo momento è tutta nostra".
Camminarono
in silenzio, godendo di quegli attimi di pace apparente. A dispetto
di tutto, Elke si sentiva il cuore in tumulto, ma non voleva che lui
lo percepisse perché altrimenti avrebbe insistito per farla
partire
con lui e lei avrebbe finito col cedere. Aveva paura della nostalgia
e del dolore che avrebbe provato ad allontanarsi ancora da Mattheus,
timore del senso di solitudine che avrebbe provato a non averlo al
suo fianco, paura di tornare al convento, di suor Faustine e di
quanto potesse pensare di lei dopo quanto successo poche ore prima,
delle sue reazioni, di non riuscire a sfuggirle e di mille altre
cose... Erano tante paure, lo sapeva. E sapeva anche che andavano
affrontate se davvero voleva voltare pagina ed essere serena e a
posto con se stessa quando fosse tornata da Mattheus.
Giunsero
alla grande piazza del mercato dove si erano rincontrati la prima
volta alcune notti prima. Era deserta ora e anche i senza tetto
sembravano aver trovato un posto dove stare al caldo in quella notte
di Natale. Elke alzò gli occhi su Mattheus, pensando a
quanto
fossero cambiate le cose fra loro nel giro di pochi giorni: il loro
primo incontro in quella piazza si era dimostrato duro e pieno di
rancore mentre ora erano lì insieme, abbracciati e pronti a
sostenersi e ad amarsi per la vita. Alzò gli occhi
sull'enorme abete
addobbato, forse notando per la prima volta quanto fosse bello e
magico alla vista. "E' meraviglioso, non trovi? Peccato che le
candele che lo addobbano siano spente".
Mattheus
aumentò la presa su di lei. Le sorrise. "Vuoi che le
accenda?".
"Come
potresti fare? Nevica, si spegnerebbero comunque subito".
Con
un movimento leggero, Mattheus allungò la mano fino a
toccare una
delle piccole candele rosse posta nei rami più bassi. La
strinse fra
le dita, chiudendo gli occhi come in cerca di concentrazione. E dalla
sua mano scaturì una scintilla infuocata che, come per magia
percorse ogni ramo dell'abete, accendendo tutte le candele che lo
addobbavano.
Elke
spalancò gli occhi sorpresa; nevicava forte, non aveva usato
che le
mani eppure aveva compiuto di nuovo, sorprendendola, uno dei suoi
incantesimi. Guardò l'abete, estasiata. Il verde dei rami si
confondeva col candore della neve e il rosso del fuoco, creando una
varietà di sfumature talmente bello da lasciare senza fiato.
"Come
hai fatto?".
Mattheus
ridacchiò. "Donna di poca fede! Hai dimenticato il mio
mestiere?".
"No...
Ma...".
"Aria,
fuoco, acqua, terra, piante, fiori e animali. Tutto si muove, tutto
è
vivo, tutto trasuda energia, anche le cose che ci appaiono immobili".
Elke
spalancò gli occhi, osservandolo come si osserva un pazzo,
non
capendo il senso di quel discorso improvviso. "Mattheus, sei
sicuro di sentirti bene?".
Lo
stregone ghignò, divertito. "Ti ricordi la prima volta che
ti
ho portata al lago di Valdurna e avevo in mano quel bastone che usavo
picchiarti in testa?".
"Si".
"Vorrei
averlo qui adesso, quel bastone!".
Elke
si bloccò, osservandolo pensierosa. Poi la sua espressione
si
illuminò all'improvviso. "Una lezione! Mi stai facendo una
lezione, vero?" - chiese, eccitata.
Mattheus
annuì, incrociando le braccia al petto. "Lo vedi che sei
poco
attenta?! Vuoi essere la mia assistente ma poi non ascolti quel che
dico. Mi servirebbe davvero quel bastone" – concluse,
facendole la linguaccia.
Elke
sostenne le sue occhiatacce senza muoversi nemmeno di un centimetro.
"E come la mettiamo con tutte le belle cose che mi hai detto
ieri sera e questa mattina?".
A
quella domanda, Mattheus fece un sorriso furbo. "E come la
mettiamo, invece, col fatto che poco fa mi hai chiesto di essere
ancora la mia assistente? Come puoi esserlo se non impari tutto quel
che so? Non vorrai dirmi che vuoi un trattamento di favore, vero? Un
conto sono i sentimenti, un conto è la nostra principale
fonte di
guadagno e questo vuol dire che quando si tratterà di
lavorare
insieme, sarò inflessibile e severo. Non ti
basterà farmi gli occhi
dolci e sbattere le tue lunghe ciglia, per ammorbidirmi".
"Lo
immaginavo..." - rispose lei sospirando e mascherando un
sorriso. "E allora, che mi stavi dicendo poco fa? Si insomma,
quel discorso sull'energia che mi stavi facendo...". Era
eccitata, era la prima volta che Mattheus le parlava della vera
origine dei suoi poteri e lì, davanti a quell'abete
illuminato che
donava loro luce e calore, era come se le stesse facendo un
meraviglioso regalo di Natale.
A
quella domanda, Mattheus le baciò la fronte. "Che differenza
c'è fra un lupo, un filo d'erba, un albero e il vento?
Attenta a
quel che risponderai, pensaci bene. O dovrò davvero
cercarmelo, un
bastone".
Elke
ci pensò su, un pò perplessa da quella domanda.
"Beh..."
- cominciò, incerta – "Il lupo è un
animale, vive".
"Anche
un albero e un filo d'erba vivono! - obiettò lui.
"Sì
certo, ma il lupo si muove, nasce, cresce, invecchia. E' evidente a
occhio nudo che i lupi sono vivi".
Mattheus
sospirò. "Anche se spesso succede più lentamente
e meno
visibilmente a occhio nudo, anche un albero o un filo d'erba nascono,
crescono, invecchiano e muoiono. Così come i fiori che ti
piacciono
tanto" – disse con un sorriso, indicando la piccola stella
alpina che le aveva regalato poco prima e che si era messa fra i
capelli. "Pensaci Elke, una splendida rosa di maggio non è
altro che il risultato di un piccolo bocciolo. Tutto ciò che
ci
circonda è vivo, anche se spesso non ce ne accorgiamo. E
cosa c'è
alla base di tutto? L'energia Elke. E' quella che mette in moto
tutto, l'energia che ci fa nascere, muovere, crescere, respirare e
vivere. Io, semplicemente, so comunicare con tutto ciò che
è vivo,
so' chiedere aiuto, so' farmi ascoltare e so' comunicare con
qualsiasi cosa che mi circonda. Le piante, i fiori, il fuoco, gli
esseri viventi mi danno l'energia che li rappresenta, quando sanno
che ne ho bisogno. Mi considerano un amico e io li rispetto,
considerandoli a mia volta degli amici".
"E
la ritieni una cosa semplice? Come si fa a comunicare con un filo
d'erba, Mattheus?".
"Devi
imparare ad ascoltare per davvero la voce di tutto quel che ti
circonda. Non dico che sarà semplice e tanto meno che
sarà una cosa
che apprenderai in fretta, questo no. Io ci ho messo anni ad
imparare, sai? Saper ascoltare è la parte più
difficile, il resto
verrà da se e ti sembrerà una passeggiata, puoi
starne certa. Io lo
so che puoi riuscirci, sta tranquilla".
"Se
lo dici tu...". Elke sbuffò, non così convinta.
"Che mi
dici del vento, invece? Mi hai chiesto la differenza fra un albero,
un filo d'erba, un lupo e il vento, prima. Il vento non è
vivo!"
- dichiarò lei, quasi con aria di sfida.
"Sì
che lo è. Il vento è uno degli elementi
più potenti della natura,
un qualcosa che non vedi ma che senti, un qualcosa di talmente forte
che può piegare le piante più alte e robuste con
un semplice soffio
oppure può alimentare un fuoco. Saper comunicare col vento
significa
acquisire poteri senza pari. Pensa all'energia, alla forza che
c'è
in una giornata ventosa, pensa alla maestosità di qualcosa
che non
vedi ma che può piegare ogni essere al suo volere e alla sua
potenza. Nessuno può nulla, contro il vento".
"Già,
non ci avevo pensato". Elke guardò l'abete, così
magicamente
illuminato e resistente al freddo e alla neve che cercavano di
ricoprirlo e spegnerne il calore, così maestoso e
così... vivo...
"Non mi avevi mai spiegato nulla del genere, sai?".
"E'
giunto il momento che tu impari! Ti ho accettata come allieva anni
fa, dopo tutto! E non l'avrei mai fatto se avessi pensato che saresti
stata una perdita di tempo".
"Già".
C'era ancora qualcosa che voleva sapere da lui, qualcosa che non le
aveva ancora spiegato e che la incuriosiva più di tutte fin
dal loro
primo incontro. "Mattheus, perché quel giorno scegliesti di
prendermi con te?".
"Il
giorno che ci siamo incontrati la prima volta? Quello del torneo con
l'arco?".
"Sì.
Avevi detto che un giorno me l'avresti detto".
Mattheus
ridacchiò, alzando la mano a scompigliarle i capelli.
"Bugiarda!
Io non ho detto esattamente così! Avevo detto che te lo
avrei
spiegato se ne avessi avuto voglia, se ben ricordo".
Elke
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. "E credi di averne
voglia,
adesso?".
Mattheus
sorrise, voltandosi verso di lei. Le sfiorò la guancia con
una
carezza, finendo poi per baciarla sulle labbra. "Ti ho messa
alla prova, quel giorno. Anche se non te ne sei accorta".
"Cosa?".
"Esattamente!
Mi affascinavano il tuo modo di fare così fuori dagli
schemi, la tua
abilità con l'arco e la tua conoscenza delle erbe. Eri
diversa da
tutti quelli che avevo incontrato fino a quel momento e mi
incuriosivi. Quando ti ho seguita e tu stavi litigando con quei
ragazzi, ricordi cosa ti ho proposto?".
"Sì,
di cambiare il colore dei miei capelli".
Lo
stregone sorrise dolcemente. "Esatto. E tu hai risposto di no,
dimostrandomi che te ne fregavi del parere degli altri, che non ti
facevi condizionare, che non eri una che sceglieva la strada
più
facile e che possedevi una testolina niente male. Ho deciso in quel
momento di tenerti con me".
Elke
spalancò gli occhi dalla sorpresa. Di tutte le motivazioni
che si
era immaginata, quella era l'unica a cui forse non aveva pensato. Ma
d'altronde, ora che lo conosceva, sapeva che quella piccola trappola
era tanto tipica di lui che sapeva giocare con le persone e con le
parole, spingendo i propri interlocutori a mostrarsi per quelli che
erano senza che questi se ne accorgessero.
"Se
ti avessi risposto di sì... avresti cambiato il colore dei
miei
capelli?" - chiese, più per curiosità che per
altro.
"Assolutamente
no! Ti avrei rispedita sulla montagna a calci". Alzò lo
sguardo, a fissarla negli occhi. "Ma c'è anche un altro
motivo,
sai?".
"Quale?".
Mattheus
abbassò lo sguardo, quasi fosse in difficoltà ad
ammettere quello
che stava per dire. "Da ragazzino pensavo che fosse una gran
cosa essere uno stregone e incutere terrore nella gente. Pensavo mi
avrebbe dato potere, ma in realtà ho scoperto con gli anni
che la
paura serve solo ad isolarti. In tanti si sono rivolti a me per
chiedere aiuto in passato, tutti uguali, tutti con occhi spaventati e
gambe tremanti per il fatto di conferire con me. Ma tu... e anche
Falko e Drago... Voi non mi temevate, voi non volevate qualcosa da me
per poi fuggire una volta ottenutolo, no, voi mi guardavate negli
occhi, alla pari, senza paura, tranquilli. Voi volevate imparare da
me, condividere qualcosa con me. Eravate senza pregiudizi ed era la
prima volta che mi capitava di incontrare persone come voi".
Elke
sorrise, prendendogli la mano fra le sue e stringendogli
delicatamente il polso. "Quando ho sentito parlare di te per la
prima volta, dicevano che eri un uomo impossibile ed in effetti, a
prima vista, mi sei sembrato così. Rude e sfuggente, poco
incline al
rapporto con le persone e con un pessimo carattere. Ma poi hai
stretto la mia mano, mi ha preso il polso per impedirmi di scoccare
la seconda freccia contro quei ragazzi del villaggio e la tua presa
su di me non era forte, prepotente o violenta. Era gentile,
delicata... Le tue mani raccontano di te molto più di quello
che
riesci a fare a parole". Alzò lo sguardo sull'abete
illuminato,
pensierosa. "E sai, dentro di me in questi tre anni l'ho sempre
saputo di non essermi sbagliata, allora. Anche se ci ho provato con
tutte le mie forze, non sono mai riuscita a cambiare idea su di te".
Tornò
a guardarlo in viso e si accorse che Mattheus ora aveva
un'espressione seria e talmente concentrata su di lei che per un
attimo ne ebbe soggezione. Lo stregone fece scivolare le mani sui
suoi fianchi, attirandola a se, e poi si chinò sul suo viso.
"Ti
amo, Elke" – sussurrò, prima di darle un lungo ed
appassionato bacio sulle labbra. Sentì le sue mani risalirle
sulla
schiena e poi sprofondare fra i suoi capelli, accarezzandoli piano.
Si erano baciati molte volte durante quella notte, ma quel bacio
aveva un sapore diverso, più intimo, profondo, talmente
intenso da
riuscire a toccarle cuore e anima. Voleva dire tante cose quel bacio,
la fine di quello che erano stati fino a quel momento e l'inizio di
quello che sarebbero diventati insieme in futuro, pur rimanendo
fedeli a se stessi, aveva il sapore di una promessa di famiglia che
ad entrambi era mancata troppo presto e la certezza che sarebbe stato
amore vero il loro, che per sempre si sarebbero sostenuti a vicenda,
nel bene e nel male, che non sarebbero mai riusciti a perdersi di
vista e che se stavano insieme avrebbero potuto affrontare tutto. E
la sua mente si zittì, gustando la dolcezza di quei momenti,
di loro
due da soli in una piazza coperta dalla neve, davanti ad un abete
illuminato per magia dall'uomo straordinario che aveva davanti.
Rimasero
abbracciati a lungo, in silenzio. La neve attutiva ogni cosa e tutto
era talmente perfetto che, per un attimo, Elke pensò si
trattasse
solo di un bel sogno e che al suo risveglio si sarebbe ritrovata
sola, ferita e senza alcun appiglio. "Ti stai addolcendo troppo,
la gente comincerà a pensare che sei buono" –
sussurrò,
contro il suo petto.
"Oh,
non corro questo genere di pericoli, tranquilla".
Quella
risposta la fece sorridere e cercò di imprimere in se il
calore e la
leggerezza di quel momento. Ne avrebbe avuto bisogno nei mesi
successivi e Mattheus sarebbe stato la sua ragione di lotta. "Devo
tornare al convento ora".
Mattheus
deglutì. Annuì, cingendole le spalle, e
silenziosamente, dopo aver
lanciato un ultimo sguardo all'abete illuminato, lasciarono la
piazza.
Non
si dissero nulla durante il tragitto, ma quando l'ingresso del
convento comparve davanti a loro, imponente ed austero, Mattheus
aumentò la presa su di lei. Era preoccupato, poteva
avvertirlo
distintamente dalla tensione della sua mano poggiata sulla spalla.
Quella sarebbe stata la parte più difficile, lo sapeva.
Salì il
primo scalino dell'ingresso, poi si voltò verso di lui per
salutarlo. Era inutile tergiversare, doveva sbrigarsi e non
prolungare oltre quell'agonia. "Entro il solstizio d'estate,
Mattheus" – mormorò, mentre la voce le tremava.
Abbassò lo
sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Non era facile
lasciarlo, avrebbe sofferto ogni giorno per la nostalgia di saperlo
lontano ed aveva paura. Un sordo, dannatissimo terrore di quello che
l'avrebbe aspettata lì dentro.
La
mano di Mattheus le sfiorò il mento, costringendola a
sollevare
nuovamente il viso. "Sei una donna coraggiosa, non dimenticarlo
mai. A testa alta, Elke, ricordatelo! Mio padre, quando ero piccolo,
mi diceva che gli Hansele non abbassano mai il capo davanti a niente
e che non temono nulla e nessuno".
"Io
non appartengo alla famiglia Hansele, però".
Mattheus
sorrise. "Molto presto sarai la signora Hansele però!
Adeguati!" - concluse, strizzandole l'occhio. "Sai, io
vorrei rapirti e portarti via ma capisco che per ora è
quì che devi
restare e che hai tante cose da risolvere. L'idea non mi fa impazzire
di gioia ma io, al tuo posto, avrei fatto lo stesso e quindi entra
qua dentro, dimostra quello che vali, fai tutto quello che devi fare
e poi torna da me".
"Sì".
Sorrise davanti al modo in cui sapeva leggerle dentro ansie e paure e
a come sapeva rassicurarla, perdendosi negli occhi blu dello
stregone. Era così dannatamente affascinante, accidenti a
lui! I
riccioli rossi sfuggivano al cappuccio del mantello, disordinati
sulla sua fronte, il suo sguardo era limpido e sincero e la sua
postura dritta e sicura. "A presto Mattheus".
"Aspetta,
tieni queste!". Dalla tasca del mantello, lo stregone tirò
fuori cinque ampolle della sua acqua. "Usale in caso di estrema
necessità, per te o per le persone a cui tieni. Ma ricordati
quello
che mi hai giurato, niente ferite, non ti farai male".
Spalancò
gli occhi, sorpresa. "Cosa? Ma io non so comandare l'acqua del
lago come fai tu".
"Ti
ubbidirà, sta tranquilla. Ho fatto in modo che sia
così".
Sorpresa,
si sporse verso di lui e lo abbracciò, lottando con se
stessa per
non scoppiare a piangere. "Grazie".
"Grazie
a te, Elke" – rispose lui, rispondendo all'abbraccio e
facendo
scivolare le ampolle nella tasca del suo mantello.
"Grazie
per cosa?".
"Per
aver scelto me, per essere venuta da me quando te ne sei andata via
dalla casa dei tuoi genitori. Hai cambiato la mia vita".
Elke
sorrise, senza dire nulla. Lo baciò di nuovo sulle labbra,
lentamente, stupendosi essa stessa di come quel gesto, imparato solo
poche ore prima, le risultasse tanto semplice e famigliare. "A
presto, Mattheus".
"A
presto, Elke! E ricordati la tua promessa".
Aprì
lentamente il portone, voltandosi ancora una volta verso di lui. "E
chi se lo scorda che diventerò tua moglie" –
esclamò
ironicamente. "Entro il solstizio d'estate sarai mio marito,
passa i prossimi mesi ad abituarti all'idea, Mattheus".
"Pure
tu".
Annuì,
poi prese coraggio, oltrepassò l'uscio ed entrò
nel convento.
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Capitolo 25 *** Capitolo venticinque ***
Scivolò
silenziosamente fra i corridoi, come una ladra. Nelle ultime ore
aveva infranto talmente tante regole di quel convento che
probabilmente non aveva più diritto di stare fra quelle mura
e
sicuramente le suore potevano trovare senza sforzo mille buoni motivi
per riempirle il viso di schiaffi, lo sapeva bene. Non aveva svolto
molti dei lavori assegnati, aveva lasciato la Chiesa evitando di
festeggiare il Natale in modo cristiano, aveva passato la notte con
un uomo pur non essendone la moglie. No, decisamente i metodi
rieducativi di suor Faustine nei suoi confronti non avevano
funzionato, pensò ironicamente. Doveva giocarsi bene le sue
carte se
voleva raggiungere i suoi obiettivi, riordinare le idee e poi agire
senza avere paura.
Lasciare
Mattheus era stata la cosa più difficile che avesse mai
fatto e una
volta chiusa la porta alle sue spalle aveva provato subito il
desiderio, la necessità di riaprirla e scappare con lui.
Solo la
consapevolezza che non poteva farlo, che non avrebbe trovato la
serenità che cercava se fosse scappata, l'aveva fatta
desistere.
Avrebbe riabbracciato Mattheus, si sarebbero amati senza più
nulla a
dividerli e avrebbero passato il resto delle loro vite insieme, ma
quello non era ancora il momento.
Arrivò
alla sua stanza senza problemi e senza incontrare nessuno per i
corridoi ed entrò di soppiatto. Helena dormiva nel suo letto
ed Anna
era accanto a lei. La bimba non era ancora guarita del tutto e
finché
la febbre non le fosse passata, sarebbe rimasta con la madre.
Sospirando,
Elke si sedette sul letto dell'amica, scuotendola lievemente per
svegliarla. "Helena".
La
ragazza mugugnò nel sonno e poi, dopo averla osservata di
sottecchi
con un occhio aperto, con un balzo si sedette sul letto, con la
faccia di una che sembrava avesse appena visto un fantasma. "Elke!
Dannazione, sei quì! Ti prenderei a schiaffi per la paura
che mi hai
fatto prendere. Dove sei finita? Pensavo fossi morta, che ti fossi
uccisa, che ti avessero rapita".
"Santo
cielo, come sei tragica!".
Helena
la prese per il bavero, attirandola a se con fare minaccioso.
"Tragica? Suor Faustine ti ha massacrata e sono giorni che sei
completamente fuori di testa, che dici cose senza senso e che ti
trascini per il convento come una mummia. Sei ferita, avevi la febbre
e di colpo sei sparita senza dire nulla, cosa avrei dovuto pensare?".
Elke
abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa. "Scusa. Non volevo
sparire e farti preoccupare, è successo tutto molto in
fretta e
io... non ho potuto farci nulla".
Helena
sospirò, appoggiando la schiena contro la spalliera del
letto. Anna
si svegliò a causa del trambusto, strofinandosi gli occhi e
rifugiandosi fra le braccia della madre. "Ekke" – disse,
allungando le braccia verso la ragazza albina.
Elke
le sorrise, prendendola fra le braccia. Anna l'aveva vista nascere,
ricordava nitidamente quel giorno di due anni prima quando, in quella
stessa stanza, era venuta al mondo strillando ancora più
forte di
quanto avesse fatto la madre durante il travaglio. Era come una
specie di sorellina o nipotina per lei e sapeva che le sarebbe
mancata quando fosse tornata da Mattheus. "Non sono più
ferita"
– disse infine, mostrando le mani ad Helena.
La
ragazza la guardò accigliata e poi spalancò gli
occhi, sorpresa e
forse terrorizzata. "Che razza di magia diabolica è questa?
Come hai fatto? Avevi la schiena e le mani distrutte dalle frustate e
ora non hai nemmeno un graffio. Elke, questa è stregoneria!".
Elke
scosse la testa. Capiva la paura di Helena, lei come tutti non sapeva
nulla di Mattheus, della sua magia, di come sapesse ottenere quello
che voleva dall'acqua del lago di Valdurna. "Non è
stregoneria
te lo assicuro. Al contrario... è amore".
Helena
parve scettica. "Tu... non sei la figlia del diavolo per
davvero, giusto?".
A
quella domanda, Elke sorrise. "No, stupida! Se mi dai un attimo,
ti racconto".
"Ti
do anche tutta la mattinata, ma mi devi dire tutto. E cerca di essere
convincente perché crederti non sarà facile".
Elke
prese un profondo respiro. "Ti ricordi quando ti ho detto che ho
lavorato per un uomo della Val Sarentino, prima di venire a Bozen?".
"Sì".
"L'ho
rincontrato quì per caso. E' lui che ti ha dato la statuetta
della
lupa ed è lui che mi ha curata. E' uno stregone e...".
A
quelle parole, Helena spalancò gli occhi, come se avesse
capito ogni
cosa. "Accidenti, ora ci sono! Hai detto che vivevi a Pennes e
in quel posto vive Pfeifer Huisele, il famoso stregone, ora che ci
penso! Ho sentito spesso parlare di lui come di una specie di
leggenda, è conosciuto in tutto il Tirolo. E' per lui che
hai
lavorato? E' lui che ti ha insegnato a leggere?". Helena era a
bocca aperta, incredula. "Cara mia, o tu sei davvero la figlia
del diavolo oppure sei dannatamente fortunata ad averlo conosciuto".
Osservò le sue mani, accarezzandole. "Beh, qualunque cosa
sia,
l'importante è che ti abbia curata e guarita. Ero
così in ansia per
te".
"Ero
strana negli ultimi giorni".
"Eri
pazza!" - sbottò Helena. "Da legare! Credevo avessi perso
per sempre il senno. Solo una leggenda come lui poteva aiutarti".
A
quelle parole, ad Elke venne da ridere. Era così strano
sentire
parlare di Mattheus in quei termini, come di una celebrità,
un
personaggio pubblico famoso, soprattutto considerando quanto in
realtà lui fosse solitario, brontolone, poco amante del
chiasso e
della confusione attorno a se.
Però
su una cosa Helena aveva ragione, solo lui avrebbe potuto salvarla
dall'inferno in cui era precipitata. Si morse il labbro, ricordando
quanto difficili fossero stati gli ultimi giorni per lei. Era caduta
in un'apatia e in una sorta di torpore da cui nemmeno Helena e la
piccola Anna riuscivano a svegliarla. Tutto era diventato ovattato e
lontano, soffocato dal dolore fisico che le lacerava ogni fibra del
suo corpo. Non parlava più con nessuno, non ascoltava
nessuno e
lavorava e basta, come un'automa, spinta da una strana forza che non
credeva di avere. O dalla paura di essere frustata ancora... "Ora
sto bene". Osservò l'amica, Helena era l'unica che la
ascoltasse e l'unica con cui si confidasse. Le mancava terribilmente
Mattheus e non avrebbe potuto parlare di lui con nessun'altra.
"Helena".
"Cosa?".
Strinse
a se Anna che, tranquilla, era intenta a giocare con la stoffa del
suo mantello. "Ho passato la notte con lui".
Helena
alzò le spalle con noncuranza. "Me ne sono accorta, sei
tornata
solo ora e...". Improvvisamente si bloccò, spalancando occhi
e
bocca incredula. "No, aspetta Elke! Quando tu dici che hai
passato la notte con lui intendi che... hai passato la notte CON
lui... in quel senso?".
"Sì".
Sul
viso di Helena comparve un sorrisetto malizioso. "Oh... Porca
miseria, era ora che ti decidessi! Credevo non l'avresti mai fatto!
Racconta!".
Elke
arrossì. "No! Non ti racconto nulla, sono fatti miei e
c'è quì
pure Anna, non mi sembra il caso".
Helena
le tolse dalle braccia la figlia, mettendola a sedere sul letto. "Oh,
Anna è mia figlia, mica si scandalizza! Lei è
come me, aperta a
tutto".
"Helena!".
L'amica
scosse la mano con noncuranza. "Avanti, piantala! Ha due anni,
cosa vuoi che capisca! Fra cinque minuti si sarà dimenticata
di
questa conversazione".
"Sì,
ma non mi va di raccontartelo lo stesso".
"Se
me lo racconti, in cambio ti racconto della notte in cui ho concepito
Anna".
Elke
la guardò storto, indecisa se picchiarla o scoppiare a
ridere. Alla
fine prese il cuscino e glielo gettò in faccia. "No grazie,
credo che ne farò volentieri a meno".
"E
dai, dimmi se ti è piaciuto almeno".
Elke
sorrise a quella domanda, ricordando per un attimo quegli attimi
così
intensi vissuti con Mattheus poche ore prima. Era stato tutto
così
perfetto, pulito, dolce, delicato e senza fretta... "Sì,
molto"
– ammise.
Credeva
che Helena avrebbe insistito con le domande ma la sua amica la
stupì,
facendole scorrere le braccia attorno al collo e limitandosi ad
abbracciarla. "Sono contenta per te, davvero".
"Lo
so". Se c'era qualcuno che le volesse bene e sinceramente in
quel posto, quella era Helena. Si preoccupava per lei da sempre e
sapeva che per lei voleva il meglio.
"Accidenti...
la tua prima volta con lo stregone di Pennes" –
commentò
ironicamente. "Elke ma... mi spieghi allora cosa ci fai quì?
Insomma, perché sei tornata in questo posto infernale invece
che
startene con lui? Ti ha cacciata dopo averlo fatto? Ti ha trattata
male e sei scappata?".
"No,
niente di tutto questo". Elke sospirò, era ora di cominciare
ad
agire e doveva partire proprio da Helena. "Io resterò
quì
ancora un pò e non me ne andrò finché
non avrò trovato il modo di
far andare via anche te ed Anna. Lui avrebbe voluto che partissi
subito con lui ma ha capito le mie necessità e, nonostante
non ne
fosse felice, non ha fatto storie a lasciarmi quì. Ma gli ho
promesso che entro l'estate lo raggiungerò a Pennes e io...".
Helena
si rabbuiò, ogni traccia di divertimento e
curiosità scomparve dal
suo viso. "Sei tornata per me ed Anna? Elke, è la cosa
più
idiota che tu abbia mai fatto e voglio che tu riprenda quella porta e
te ne vada da quì. Vai da lui e fuggi da questo posto, hai
vissuto
l'inferno quì e io non permetterò che ti
risucceda qualcosa di male
a causa mia".
"Helena,
sei mia amica, voglio aiutarti, so come fare!".
L'amica
si morse il labbro, arrabbiata. "No! Se non te ne vai, io non ti
parlerò mai più. E vieterò anche ad
Anna di farlo! Appena saprà
parlare, ovvio...".
Elke
sospirò, prendendole la mano fra le sue. "Helena, non sono
tornata solo per te, ci sono tanti buoni motivi che mi tengono
lontana da Pennes per ora. Io non voglio scappare senza affrontare
suor Faustine e tutte le mie paure, non voglio affidarmi solo
all'amore di un uomo per essere felice. Ho bisogno di star bene con
me stessa per stare bene davvero con la persona che amo e ora non
è
così, non sto bene. Non riesco nemmeno a guardarmi in uno
specchio
senza vergognarmi di me stessa dopo quello che è successo e
non
voglio vivere pensando che suor Faustine creda che sia fuggita".
"Suor
Faustine è la tua peggiore nemica quì e non la
spunterai con lei"
– obiettò Helena, guardandola di sbieco.
Elke
annuì. Lo sapeva benissimo, non c'era bisogno che Helena
glielo
ricordasse. "Ma potrebbe diventare la mia più preziosa
alleata,
se tutto va nel verso giusto. Fidati di me, ti prego!".
Helena
sospirò, stringendo a se la figlia. "Cosa vuoi fare?".
"Fare
in modo che tu possa trovare un buon lavoro che ti permetta di
andartene e mantenerti. Indipendenza da questo posto, per te ed Anna.
Devi imparare anche tu a leggere e scrivere e ho bisogno di tempo per
insegnartelo, di inchiostro, carta e libri. Ho promesso a Mattheus...
a Pfeifer Huisele come lo chiami tu, che entro il solstizio d'estate
sarei tornata da lui e quindi mi servi attenta e collaborativa".
Helena
spalancò gli occhi, guardandola come si guarda un pazzo. "Tu
sei completamente folle, la notte d'amore con quell'uomo ti ha
spappolato il cervello! Elke, io non sono come te, io sono una somara
nata da due persone più somare di me che non avevano neanche
il pane
da mettere in tavola e non sapevano contare nemmeno le dita che
avevano nelle loro mani. Io non sono una da libri".
Elke
sbuffò. "E io sono figlia di due bigotti che preferivano
credere alle superstizioni piuttosto che prendersi cura di me, eppure
ho imparato. L'ho fatto io e puoi farlo anche tu, per te e
soprattutto per garantire un futuro ad Anna".
"Tu
hai imparato con LUI. Pfeifer Huisele ti ha scelta perché in
te ha
visto intelligenza e capacità. Uno così non si
innamora facilmente
e di certo non amerebbe una sciocca, non si accontenterebbe di una
qualunque! Tu sei diversa da me e da tutte le altre ragazze ospitate
quì, hai modi di fare delicati, puliti, si direbbe quasi che
tu sia
nobile sia di animo che di nascita. Io non sono come te, nemmeno
lontanamente. E poi dove vorresti trovare carta, inchiostro e penna?
E i libri? E il tempo per insegnarmi?".
"Troverò
tutto da Suor Faustine!" - rispose Elke con sicurezza. "Che
ne dici?".
"Dico
che a breve parteciperò al tuo funerale".
Elke
rise, nonostante tutto. Affrontare quella suora non sarebbe stato
facile, avrebbe dovuto usare cervello e diplomazia ma sapeva che
poteva spuntarla, se sapeva sfruttare a suo vantaggio quanto successo
la notte prima con Mattheus. Si stese sul letto, accanto all'amica e
alla figlia, decisa a riordinare le idee e a riposarsi. "Lascerai
che ti insegni quello che so?".
Helena
alzò gli occhi al cielo, esasperata. "Se sopravviverai a
suor
Faustine... Ma non aspettarti troppo da una somara come me!".
Con poca grazia le gettò le coperte addosso, stendendosi
accanto a
lei. "Ora dormi un po', suppongo tu sia stanca, è!" -
concluse, con fare malizioso.
Elke
sorrise, facendo finta di non notare le sue occhiatacce.
Frugò nella
sua tasca, tirando fuori le ampolle dell'acqua del lago che le aveva
dato Mattheus. "Sono per Anna, me le ha date lui. Fagliela bere
e guarirà del tutto".
Helena
spalancò gli occhi e per un attimo trattenne il fiato.
Sfiorò,
quasi timorosa, le piccole ampolle nella sua mano. "La sua
acqua? L'acqua magica... Per Anna?".
"Esatto!".
Elke rimise la mano in tasca, cercando ancora. C'era dentro
qualcos'altro oltre all'acqua, una specie di piccola sacca di pelle
che aveva sentito al tatto poco prima, e non aveva la minima idea di
cosa fosse. La trovò e la tirò fuori,
osservandola incuriosita. Non
ricordava di aver preso nulla dalla stanza di Mattheus quando se ne
erano andati...
"Cos'è?"
- chiese Helena, mentre anche la piccola Anna guardava incuriosita.
Elke
alzò le spalle, aprì il sacchetto e ne
rovesciò il contenuto sulla
mano. E quando vide di cosa si trattava, sorrise. "Cioccolata..."
- sussurrò, osservando i piccoli pezzi di dolce fra le sue
mani.
Il
suo respiro non era ancora tornato regolare e i loro corpi erano
ancora talmente vicini da sembrare fusi. "L'avresti mai detto
che sarebbe finita così fra noi?".
Mattheus
le aveva accarezzato i capelli, piano, anche lui col fiato ancora
corto ed affannato. "Forse sì".
"Davvero?
Non mi guardavi mai come un uomo guarda una ragazza, quando vivevo
con te a Pennes. Non ti accorgevi quasi di me".
Lui
aveva sorriso, baciandola sulle labbra. "Non è proprio
così.
Ti consideravo ancora... piccola... non eri pronta per questo genere
di cose ma ti assicuro che certe volte, quando te ne giravi in casa
con la camicia da notte o la sottoveste, tranquilla e senza la minima
malizia, ecco... io un pò malizioso invece lo ero. E facevo
molta
fatica a far finta di nulla. Ripetermi e ripeterti che eri una
ragazzina era il modo migliore per cercare di convincermi a fare il
bravo, certe volte!".
Rise,
a quell'ammissione. "Una volta mi avevi sgridata, dicevi che
dovevo coprirmi di più e che se ci fossero stati i miei
genitori, mi
avrebbero presa a schiaffi per il modo in cui giravo per casa davanti
a un uomo. E che tu gli avresti dato ragione! Allora non avevo capito
perché ti fossi arrabbiato tanto e fossi così
imbarazzato, sai?
Credevo volessi solo borbottare senza un perché, avevo
un'idea molto
romantica e molto poco pratica di cosa fosse l'amore fra un uomo e
una donna".
"Beh,
ora lo sai, mi pare".
"Sì
decisamente! Anche se per un secondo, anche se facevo la coraggiosa,
ho avuto un pò paura".
Il
viso dello stregone si era addolcito a quella ammissione. "Me ne
sono accorto, per un attimo ti ho sentita tremare".
Lo
sapeva che se n'era accorto. Aveva rallentato, le sue carezze e i
suoi baci si erano fatti più delicati e lenti e l'aveva
accarezzata
a lungo, guardandola in viso e aspettando di capire quando fosse
stata pronta per proseguire. Avevano fatto l'amore insieme e per
tutto il tempo Mattheus aveva prestato più attenzione a lei
che a se
stesso, ad ogni suo respiro o movimento. Aveva avuto una pazienza e
una dolcezza infinita con lei e sapeva di essere stata fortunata, che
non a tutte le ragazze era concesso un trattamento simile. "Hai
saputo aspettare, tranquillizzarmi, attendere il momento giusto. Lo
hai sempre fatto, da quando mi sgridavi perché giravo in
camicia da
notte per casa".
Si
erano baciati ancora e poi Mattheus aveva allungato il braccio fino
al suo comodino, prendendo una piccola sacca di pelle che vi era
appoggiata. L'aveva aperta e sulla sua mano erano comparsi piccoli
pezzi di un prodotto che le era sconosciuto, dal colore del tronco
degli alberi. "Cos'è?".
"Cioccolata.
L'ho presa pochi giorni fa in piazza al mercatino di Gesù
Bambino. A
Pennes non si trova ma quando per qualche motivo vengo quì,
la
compro sempre. Assaggiala!".
Poco
convinta, aveva lasciato che le sue dita le sfiorassero le labbra,
facendo scivolare nella sua bocca un pezzo di quella... cioccolata.
Un sapore dolce e intenso le invase in palato e trovò che
era
delizioso, non aveva mai provato nulla di simile.
"Ti
piace? Sai, ti farà bene, questa ti darà un sacco
di energia e solo
Dio sa quanto ne hai bisogno".
"Sì,
la adoro".
"Mangiane
quanta ne vuoi, devi recuperare le forze e ho il sospetto che in quel
convento non ti diano abbastanza cibo, da quanto sei magra".
Sorrise,
stringendo a se il
sacchetto. Non si era accorta che Mattheus lo avesse messo di
nascosto nel suo mantello e anche questo era tipico di lui. I suoi
gesti, specie quelli più gentili, non erano mai plateali ma
li
faceva di soppiatto, quasi di nascosto, come se se ne vergognasse.
"E' cioccolata, Helena. Provala, questa a te ed Anna fa bene di
sicuro".
"Ne sei
certa? Ha un
colore strano...". Un pò titubante, l'amica la
assaggiò,
facendola provare anche alla sua bambina. E anche lei e la figlia ne
risultarono entusiaste, tanto che Anna tentò di prenderne
altra,
allungando le mani verso di lei e il sacchetto.
"Se
quell'uomo ti ha
regalato una cosa del genere, deve amarti davvero tanto. Questa cosa
che abbiamo mangiato, io l'ho vista in piazza, al mercatino, e costa
un sacco di soldi".
Elke
sorrise. "Mattheus
non ha problemi di denaro e gli piace spenderlo per viziarsi".
Helena le
prese una ciocca di
capelli fra le mani, giocandoci. "Diventerai come una
principessa, con lui".
"Ci
sposeremo questa
estate".
"Sono
contenta per te".
Lo sguardo di Helena si fece serio, mentre stringeva a se Anna. "Sei
fortunata, l'amore è una cosa rara e il più delle
volte è dettato
solo da interesse o egoismo. Sarai felice e lui... lui pure! E' un
uomo intelligente come dicono, visto che ha scelto te".
"O molto
folle!" -
ribatté Elke, ripensando a tutti i pro e ai molteplici
contro alla
loro unione.
"Andrà
bene. E ora dormi
un pò, almeno sfuggirai per qualche ora ancora alla vista di
suor
Faustine".
Elke le
annuì, era stanca
davvero, e insieme ad Helena e ad Anna si addormentò nello
stesso
letto, dormendo finché la luce del giorno invase la loro
stanza.
Fu una
giornata strana,
quella.
Elke si
alzò, si vestì come
di consuetudine con gli abiti del convento e si accodò alle
altre
ragazze. Era il giorno di Natale, un giorno di festa anche per loro e
non era previsto che lavorassero. Aveva pranzato con le altre nel
reflettorio, un pasto modesto ma decisamente migliore di quello a cui
erano abituate, aveva partecipato alla Messa e aveva incrociato anche
suor Faustine nel corridoio, nel primo pomeriggio.
La suora
aveva spalancato gli
occhi sorpresa, si era morsa il labbro e lei si era aspettata che
esplodesse dalla rabbia alla sua vista. Non era tanto sciocca da non
pensare a quanto ce l'avesse con lei, dopo le minacce e la paura che
le aveva fatto prendere Mattheus solo poche ore prima e poteva
scommetterci, ardeva dalla voglia di rimettere mano alla frusta e
farle pagare tutta la sua sfrontatezza.
Ma suor
Faustine tacque. La
guardò per un lungo istante, si torse le mani l'una
nell'altra e poi
proseguì per il corridoio senza dire una parola.
Elke si era
accasciata contro
la parete, le gambe che le tremavano. Suor Faustine era colei che
deteneva più potere nel convento, a lei spettavano le
decisioni su
come spendere il denaro e organizzare la vita comunitaria e se voleva
raggiungere i suoi obiettivi, era con lei che doveva scendere a
patti.
Nessuno
l'aveva disturbata
durante la giornata e Elke avrebbe anche potuto festeggiare il Natale
serenamente, se non fosse stato per il fatto che la sua mente era in
tumulto. Era cambiato tutto così repentinamente nelle ultime
ventiquattro ore e ancora non aveva riordinato le idee. Aveva
ritrovato l'uomo che amava, si era concessa a lui e poi era stata
costretta a lasciarlo e per molto non si sarebbero rivisti. E doveva
conferire con una donna che, con tutta probabilità, la
voleva morta.
C'era decisamente da stare poco allegri.
Quando
l'oscurità della sera
invase ogni androne del convento, Elke si decise. Ormai tutti si
erano ritirati nelle loro stanze e i corridoi erano deserti. Non
c'era momento migliore...
Avanzò
fino alla porta della
stanza di suor Faustine, in preda all'ansia e alla paura che
però
non voleva fare assolutamente trasparire. Se quella suora avesse
notato in lei segni di timore o cedimento, sarebbero stati guai.
Inspirò profondamente e poi bussò. Non le aveva
rivolto parola
tutto il giorno e si era ritirata in camera senza l'accenno di
volerla punire per quanto successo la sera prima, non sapeva cosa
aspettarsi da lei.
Suor
Faustine aprì l'uscio,
spalancando impercettibilmente gli occhi dalla sorpresa. C'erano
furia e paura nel suo sguardo, in un mix che poteva diventare
pericoloso se non l'avesse gestito al meglio. "Elke... O sei
molto stupida o ti piace giocare col fuoco! Cosa ci fai
quì?".
Non sapeva
cosa intendesse, se
si chiedesse cosa ci faceva davanti alla porta della sua stanza o
cosa ci facesse in convento, ma non era più tempo di
convenevoli.
Diede una veloce occhiata alla stanza, quella stessa stanza dove era
stata frustata a sangue solo poche sere prima e un brivido di paura
le percorse la schiena. Lo ricacciò giù, decisa a
non farsi
sopraffare. "Devo parlare con voi".
"Chi ti
dice che io
voglia stare a sentirti? Vattene da questo posto Elke, tu... tu devi
sparire dalla mia vista. Sei una creatura demoniaca, l'amante di uno
stregone, una donna che fino a poche ore fa aveva ferite in tutto il
corpo ed ora, dove c'erano tagli e contusioni, c'è una pelle
rosea e
candida come quella di una bambina. Non so chi tu sia ma voglio che
tu te ne vada".
Elke
alzò lo sguardo su di
lei. Era terrorizzata, per la prima volta da quando conosceva suor
Faustine, l'aveva in pugno. Pensò a Mattheus, alla sua
bravura a
bluffare, alle sue mezze frasi e alle minacce vaghe che sapevano
intimorire le persone più che la violenza fine a se stessa.
Bastavano poche parole, quelle giuste, per ottenere dalla gente quel
che si voleva. Se desiderava ottenere qualcosa da suor Faustine,
doveva agire come faceva solitamente Mattheus, con scaltrezza e
furbizia. "Andrò via, prima di quanto crediate, se mi darete
una mano. Ho ancora alcune cose da fare quì e ho bisogno di
voi. Il
mio... amante... era contrariato dal fatto che tornassi quì
ma
gradirebbe enormemente un vostro aiuto che mi permetterebbe di
tornare da lui quanto prima".
Suor
Faustine rimase in
silenzio per lunghi istanti, come ponderando le sue sue parole. Poi
annuì, facendole cenno di entrare nella sua stanza. "Ti do
cinque minuti, poi voglio che tu sparisca da questa camera, Elke".
"Cinque
minuti
basteranno".
"E allora
avanti,
ragazza, parla".
Elke
osservò di sfuggita la
porta della stanza chiusa alle sue spalle, cercando di scacciare il
ricordo delle frustate. Si avvicinò alla sedia davanti alla
scrivania, si sedette e poi attese che suor Faustine facesse
altrettanto.
"E allora?"
- la
rimbeccò la suora, appena furono faccia a faccia.
Elke
inspirò profondamente,
prendendo coraggio. "Sarei volentieri andata via questa notte e
vi giuro che sono stata tentata di farlo ma quì ci sono cose
che
devo portare a termine e poi... non volevo che voi pensaste che fossi
scappata. Ho bisogno di rimanere quì ancora per alcuni mesi
che mi
serviranno per aiutare Helena ad andarsene e a costruirsi una vita
fuori da questo convento, con Anna".
"Helena non
è in grado
di curare sua figlia e di questo ne abbiamo già ampiamente
discusso"
– obiettò suor Faustine, secca.
Gli occhi
di Elke si
assottigliarono. "Sì che può farlo, Helena ama la
sua bambina
e per quanti errori possa aver commesso in passato, mette Anna al
primo posto. Aiutatemi ad aiutarla e io me ne andrò quanto
prima".
Suor
Faustine la squadrò per
alcuni istanti, picchiettando l'indice sulla scrivania. "E sia,
ascolterò quello che vuoi propormi, coraggio!".
Elke
rispose al suo sguardo
senza abbassare gli occhi. Suor Faustine era indubbiamente rabbiosa,
desiderosa di prenderla a schiaffi per il modo impudente in cui si
stava rivolgendo a lei ma era anche spaventata dal ricordo di
Mattheus ed era abbastanza certa che non le avrebbe torto un capello.
"Resterò quì in convento e lavorerò
sodo, senza sottrarmi più
ai miei doveri. Sarete autorizzata a rimproverarmi se non dovessi
svolgere le mie mansioni al meglio ma NON dovrete più alzare
le mani
su di me. Ne su nessun'altra! Le cose si possono risolvere anche col
dialogo, giusto...?".
Suor
Faustine deglutì,
davanti alla sua occhiataccia. "Giusto" – rispose, a
fatica.
Elke
proseguì. "Darete
ad Helena i miei stessi turni, lavoreremo insieme ed insieme avremo i
nostri orari di riposo. Anna dovrà stabilmente vivere con
sua madre
quando non lavorerà e da oggi non verrà
più allontanata da lei per
la notte. Helena deve imparare a leggere e scrivere per trovare un
buon lavoro fuori di quì, un lavoro che le permetterebbe una
vita
dignitosa e la possibilità di mantenere sua figlia e quindi
ho
bisogno di carta, penna, inchiostro e qualche libro semplice per
introdurla alla lettura".
Suor
Faustine spalancò gli
occhi inorridita. "Leggere e scrivere? E' peccato!".
"Anche voi
sapete leggere
e scrivere".
"Io leggo
le Sacre
Scritture!" - urlò suor Faustine, rossa in viso. "Tu...
sei albina, l'amante di un uomo che usa la magia e a quanto pare sai
pure leggere e scrivere. Sei legata al male, indissolubilmente!".
Elke scosse
la testa, decisa a
non soccombere. Suor Faustine era vicina ad esplodere e se non stava
attenta, se dava segni di cedimento, rischiava di farsi schiacciare
da lei. "Io sono solo una donna nata coi capelli così, senza
un
motivo particolare. E amo un uomo che è vero, sa usare la
magia, ma
non la usa per far del male ma per aiutare le persone. La magia non
è
malvagia e voi non dovreste temerla ma solo conoscerla. Una volta,
tre anni fa, quell'uomo che tanto vi terrorizza mi ha detto che la
gente non teme il male ma tutto quello che non capisce e ora che vi
ho davanti e vedo la vostra reazione, mi accorgo che aveva ragione.
Non esiste al mondo nessuno che si sia prodigato per gli altri come
quell'uomo. E io sono orgogliosa e fiera di amarlo e voi non mi
convincerete del contrario".
Suor
Faustine deglutì, come
colpita da quelle parole. "Lui... ha detto che può sapere
tutto
di me... Che vede ogni cosa che faccio... E' vero?".
Elke
sostenne il suo sguardo
con fermezza. "Certo" – disse in tono tanto sicuro da
crederci quasi essa stessa a quella bugia. Era quello in cui sperava,
che ci avesse creduto davvero a quelle minacce che Mattheus le aveva
rivolto in un momento di autentica rabbia. A quanto sembrava, lo
sregone era stato sufficentemente convincente.
"Se... se
io ti aiuto,
lui lo saprà, vero? E ne sarà felice, giusto?".
"Giusto. Mi
preoccuperò
io stessa di dire quanto siete stata caritatevole, nel caso gli
sfuggisse qualcosa".
Suor
Faustine si lasciò
cadere sulla sedia, vinta. "E sia, se me lo garantisci, avrai
quello che chiedi per Helena. Quindi, sai leggere e scrivere?".
Elke
annuì. "Sì, e
anche fare di conto. Spesso, quando pulivo la vostra biblioteca, mi
sono soffermata a leggere alcuni libri, se devo essere sincera. E in
genere ho cercato di farlo ogni volta che ne ho avuto l'occasione".
Suor
Faustine annuì,
guardandola incuriosita. Non sembrava più rabbiosa ma solo
molto
stupita da quella loro conversazione. Mai, in tre anni, avevano
davvero parlato loro due ed era come se la vedesse per la prima
volta. "Hai altre richieste?".
"Sì.
Quando Helena sarà
pronta, vorrei che le trovaste un posto dove stare e lavorare fuori
di quì, in modo da poter iniziare una vita autonoma con
Anna. Sono
sicura che, con le vostre conoscenze, non sarà un problema".
"Suppongo
di no".
Elke
sorrise, finalmente più
serena. "Ho solo un'ultima richiesta da farvi ed è per me.
Entro la fine della primavera partirò per raggiungere il mio
uomo e
per viaggiare più velocemente, avrei bisogno di un cavallo.
Potreste
procurarmene uno per quando partirò? Va bene anche un
cavallo
anziano, lento, non chiedo nulla di troppo costoso, solo un qualcosa
che mi aiuti ad andarmene prima. Dopo tutto, credo che questo sia un
desiderio anche vostro. Sparirò velocemente dalla vostra
vita, per
sempre". Viaggiare a cavallo le avrebbe fatto guadagnare tempo e
soprattutto, se ne avesse avuto uno, Mattheus avrebbe smesso di
tormentare Falko e Drago per trasportare l'acqua dal lago a Pennes.
Avrebbe fatto volentieri la strada a piedi, come sempre, ma aveva
fatto una promessa e aveva poco tempo per mantenerla ed inoltre, un
cavallo a loro due sarebbe servito.
"E sia,
avrai il tuo
cavallo".
Non si
dissero altro, la
conversazione fra loro morì così. Elke sapeva che
non le avrebbe
più torto un solo capello ed era consapevole che avrebbe
potuto
vivere una vita relativamente tranquilla nei mesi che si sarebbe
trattenuta a Bozen. Si ripromise però di mantenere la parola
data,
di ubbidire, di lavorare come le veniva richiesto senza cercare di
scappare, in fondo era giusto che anche lei, come suor Faustine,
tenesse fede alle promesse fatte quella sera.
Stancamente,
attraverso i
corridoi e le scalinate del convento ormai deserti, si
trascinò fino
alla soffitta, sedendosi sul davanzale a guardare la città
dall'alto. Aveva bisogno di stare sola e in silenzio per qualche
minuto e quello era il posto ideale per farlo. Si strinse nello
scialle nero che teneva sulle spalle, faceva dannatamente freddo e la
città sotto di lei era avvolta da una coltre di gelo e neve.
Si
sentiva orgogliosa di se stessa, come se per la prima volta avesse
raggiunto qualcosa da sola, contando unicamente sulle sue forze e
sulla sua intelligenza. Avrebbe potuto farsi aiutare da Mattheus,
avrebbe avuto meno paura ad averlo a fianco, ma era felice che non ci
fosse stato. Era la sua battaglia quella e doveva vincerla da sola.
Mattheus l'aveva capito e per questo non aveva insistito e l'aveva
lasciata andare senza fare troppe storie e di questo gli sarebbe
stata grata in eterno. Aveva mantenuto fermezza e coraggio e si era
rapportata con suor Faustine a sguardo alto, come gli aveva intimato
di fare lui.
Il pensiero
dello stregone,
ormai sulla via di ritorno verso Pennes, le fece venire un crampo
allo stomaco ma fece di tutto per ignorarlo. Gli mancava da morire,
gli mancava il suono della sua voce, il modo in cui la guardava, il
calore delle sue labbra e la dolcezza delle carezze sul suo corpo.
Nessuno l'aveva mai toccata, accarezzata come aveva fatto lui...
Avevano fatto l'amore e ora che sapeva cosa si provava, le sembrava
di impazzire all'idea che per lunghi mesi non si sarebbero rivisti.
Sorrise, pensando al modo bizzarro in cui le aveva chiesto di
sposarlo e a quel ricordo tutte le sue paure sul loro matrimonio
svanirono. Si erano conosciuti, persi e ritrovati in un mondo vasto
ed immenso, erano come calamite e niente avrebbe potuto dividerli. La
primavera sarebbe arrivata presto e lo avrebbe riabbracciato per non
lasciarlo mai più, doveva solo essere paziente.
Cullata da
questo pensiero, si
riavviò verso la sua camera. Era ormai tardi e il giorno
dopo
avrebbe dovuto lavorare, era ora di dormire.
Quando
rientrò, si stupì di
vedere Helena ancora sveglia, a gambe incrociate, seduta sul letto.
Davanti a se aveva una pila di carta e sul comodino una boccetta
d'inchiostro, una penna e dei vecchi libri. Appena la vide, la
fulminò con lo sguardo. "Elke, ti odio!".
La ragazza
rise, a quanto
sembrava suor Faustine era stata solerte a soddisfare le sue
richieste. "Oh, lo so! Ma tanto studieremo insieme lo stesso".
Helena
scosse la testa mentre
la piccola Anna, al suo fianco, toccava con le mani i fogli. "Come
hai fatto? Voglio dire, come puoi esserne uscita viva con suor
Faustine, ottenendo quel che volevi?".
"Ho solo
chiesto con
gentilezza" – rispose, strizzandole un occhio. Si sedette sul
letto accanto all'amica e prese fra le mani un libro, sfogliandolo
distrattamente. "Dai Helena, impegnati, io ho poco tempo. Lo fai
per te stessa e per Anna, ricordatelo. Da oggi lei sarà
sempre con
te, non te la porteranno più via, ma tu devi mettercela
tutta se
vuoi essere una brava madre e garantirle un futuro. Suor Faustine ha
molti dubbi a riguardo, su di te, dimostrale che si sbaglia".
Helena
sbuffò, punta sul
vivo. "Te lo ripeto, ti odio! Sarà una tortura,
già lo
immagino. A quest'ora potresti essere col tuo uomo, a divertirti e a
fare cose... piacevoli... e invece hai scelto di
star quì a
tormentare me!".
Elke rise.
"Basta
borbottare e ringrazia il cielo di avere me come maestra. Mattheus,
come insegnante, è stato molto più severo ed
intransigente di
quanto lo potrò essere io".
Helena la
guardò e poi posò
gli occhi sulla figlia. Le accarezzò i riccioli biondi,
stringendola
a se. "Se una disgraziata come me potrà fare qualcosa di
buono
nella vita e fare in modo che sua figlia sia orgogliosa di lei, lo
dovrò solo a te, suppongo. Coraggio, proviamoci allora!
Magari un
giorno sarò abbastanza brava da poter insegnare qualcosa io
stessa
ad Anna".
Elke
annuì. "Certo, puoi
giurarci". I prossimi mesi sarebbero stati intensi ed
interessanti per entrambe ma sapeva che avevano imboccato entrambe la
strada giusta.
...
Prima di
tornare a Pennes
aveva deciso di fare una sosta al lago di Valdurna: non aveva
più
alcuna scorta d'acqua e le ultime ampolle in suo possesso le aveva
date ad Elke prima di partire e quindi, in caso di
necessità, non
aveva nulla da vendere.
La neve era
alta, fresca, gli
arrivava alle ginocchia, tanto che quando scese dalla carrozza, per
un attimo ebbe l'istinto di risalire e di farsi portare comodamente
fino a Pennes, fregandosene del lago. Ma alla fine la ragione l'ebbe
vinta sulla pigrizia e stancamente, contro voglia, aveva pagato il
cocchiere e si era diretto a piedi al lago, portando sulle spalle la
sua sacca da viaggio con le ampolle vuote da riempire.
Si sentiva
strano, sospeso,
come se quello che stava vivendo fosse un periodo interlocutorio fra
quello che era stato il suo passato e quello che sarebbe stato il suo
futuro. Elke gli mancava terribilmente e non smetteva di interrogarsi
su come avrebbe fatto a resistere per tutti quei mesi senza di lei,
su come impiegare quel tempo che lo separava dalla donna che amava.
Ne era innamorato da tanto ma fino alla notte di Natale non se ne era
mai reso conto pienamente. Ora era diverso, ora lei era la sua
realtà
e non poterla avere vicina lo faceva impazzire. Sapeva di aver scelto
per il giusto permettendole di rimanere a Bozen, si fidava di lei ed
era sicuro che se la sarebbe cavata egregiamente e che avrebbe
trovato da sola la serenità che cercava, però si
sentiva lo stesso
solo, come non gli era mai capitato in vita sua.
Doveva
trovare un modo per
impiegare il tempo e ricominciare a svolgere la sua attività
era un
buon mezzo per farlo.
Si
chinò davanti allo
specchio d'acqua, tirando fuori dalla sacca le ampolle di vetro
vuote. La riva era completamente gelata e per rompere il ghiaccio
prese una pietra, cominciando a picchiare energicamente sulla lastra
bianca. Per quanto stesse congelando, trovava quell'attività
e quel
silenzio piacevoli, rilassanti. Fino a che...
"Ciao
Mattheus, sei
tornato!".
Alzò
gli occhi al cielo, la
pace era finita. "Jutta...". La fatina gli volò attorno al
viso, ferendogli gli occhi con la luce delle sue ali.
"Come va?"
- chiese
lei, allegra ed incurante delle sue occhiataccie.
"Bene".
"Il
viaggio, tutto a
posto?".
"Si".
"Com'era
Bozen?".
"Bella".
"E i tuoi
affari?".
"Benissimo".
"Faceva
freddo?".
"Sì".
Jutta si
imbronciò,
incrociando le braccia al petto. "Mattheus, pensi di riuscire a
formulare una frase composta da più parole o hai intenzione
di
continuare ad esprimerti a monosillabi?".
Lo stregone
sospirò,
immergendo un'ampolla nell'acqua. "Ho risposto alle tue domande
gentilmente, mi pare". In realtà non era seccato e da sempre
trovava divertente prenderla in giro e farla arrabbiare.
"Uffa, te
ne sei stato
tutto solo per settimane a Bozen, a Natale, e non hai niente da
dire?".
Riempiendo
l'ennesima boccetta
d'acqua, Mattheus finalmente si voltò verso di lei. "Il
viaggio
è andato benissimo, che altro dovrei raccontarti?".
Jutta
alzò le spalle. "Non
so', ero così preoccupata. Tutto solo, a Bozen, a Natale.
Non eri
depresso?".
"Affatto".
La fatina
sospirò sconsolata.
"No, affatto... Certo, avrai passato la notte di Natale tutto
solo, a contare la montagna di monete che hai guadagnato, scommetto.
E ne sarai anche stato compiaciuto... E a me tutto questo sembra
triste".
Mattheus
sorrise. "Sbagliato,
non ho passato affatto la notte di Natale così, come dici
tu".
"E che
avresti fatto?".
Lo stregone
abbassò lo
sguardo fissando l'acqua, cullato dai dolci ricordi con Elke ma
comunque deciso a tormentare un po' Jutta. "Ho passato la notte
di Natale con una donna fantastica. Ho trovato l'amore della mia
vita, a Bozen".
Jutta lo
guardò storto,
sbuffando. "Sì certo... Smettila di prendermi in giro e...".
Si bloccò quasi subito, osservandolo meglio e spalancando
gli occhi.
"Un momento, ma tu non stai scherzando, stai... stai parlando
sul serio". Era esterefatta.
"Mai stato
tanto serio
come in questo momento".
Jutta gli
volò davanti al
viso, guardandolo negli occhi. "Non hai pagato una donna per
stare con te, vero?" - chiese, deglutendo.
Mattheus
scoppiò a ridere.
"Ma ti pare? Che ti viene in mente?".
"Tu... e
una donna di
Bozen? Una donna di città?".
"Non
proprio di
città...".
Jutta parve
delusa. "Sei
sicuro? ".
"Sicuro!
Che è quella
faccia abbacchiata, Jutta? Non eri tu che spingevi perché mi
trovassi una fidanzata? Dovresti essere contenta che alla fine ho
ceduto all'amore".
La fatina
abbassò lo sguardo,
mordendosi il labbro. "Si ma... Una donna di città
cos'avrebbe
in comune con te? Mattheus, pensaci bene".
"Ci ho
pensato più che
bene".
"E lei dove
sarebbe ora?"
- chiese la fata, scettica.
"A Bozen,
aveva delle
faccende da sbrigare e mi raggiungerà entro l'estate. E ci
sposeremo
prima del solstizio".
Jutta
scosse la testa.
"Mattheus, ma sei matto? Una donna che nemmeno conosci,
praticamente...Una notte di passione non ti rende intimo di una
donna, siete due sconosciuti e...".
"Non lo
siamo e sono
convinto della mia scelta".
Jutta gli
si avvicinò,
tirandogli su la manica della camicia, scoprendo il polso dove teneva
legato il nastro blu di Elke. "E questo? E lei? Te la sei
dimenticata? Perché lo indossi ancora?".
"Perché
dovrei
toglierlo? E' il mio portafortuna".
"Perché
è il regalo di
una persona a cui tenevi tanto e di cui ti sei dimenticato. Hai perso
le speranze che torni? E' per questo che ti sei avvicinato a un'altra
donna?".
Mattheus
accarezzò il nastro
legato al suo polso, delicatamente. E decise che non aveva
più
voglia di tormentare Jutta perché in fondo aveva bisogno di
parlarne
e lei era l'unica a poterlo capire davvero. "Non l'ho
dimenticata e non ho perso nemmeno la speranza che torni. Infatti
Elke me la sposo".
"Cosa?".
Jutta
spalancò gli occhi talmente tanto che per un attimo parvero
uscire
dalle loro orbite. Rimase in silenzio per lunghi istanti, cosa
inusuale per lei, a bocca aperta e immobile come un sasso. Poi, a
sorpresa, il suo corpo brillò, crebbe ed assunse le sue
sembianze
umane.
"Jutta?".
"Elke...
Hai incontrato
Elke? Eri con lei a Bozen?" - sussurrò, quasi a corto di
fiato.
"Sì...
Già... Ma perché
sei diventata umana?". Era sconcertato, non lo faceva quasi mai.
"SIIII".
Con un
balzo, entusiasta, Jutta gli saltò al collo, abbracciandolo
e
facendolo cadere a terra. "Elke! Tu ed Elke!".
"Ma
finiscila!" - si
lamentò lui, cercando di districarsi da quell'abbraccio.
"Jutta,
sei diventata pazza?".
Incurante,
la fata gli diede
un bacio sulla guancia. "Non sono pazza, sono felice! Racconta,
dai".
"Non
c'è niente da
raccontare" – borbottò, asciugandosi la guancia.
"Ero a
Bozen e l'ho incontrata per caso".
Jutta
sorrise. "E'
incredibile, quasi da non crederci. Una fortuna sfacciata, la tua!
Lei come sta, com'è diventata?".
Lo stregone
si mise a sedere a
terra, allontanando la fata da lui, imbarazzato. Preferiva gestire
una Jutta arrabbiata e in vena di paternali, piuttosto che una
situazione del genere. Era imbarazzato. "Sta bene ed è
diventata una donna molto bella, intelligente, testarda e in gamba.
Ti assicuro che rivederla non è stato facile all'inizio, ma
poi...".
Strinse i pugni, pensando a quanto era stata male la notte di Natale
e a come fossero stati vicini dal perdersi per sempre. "Diciamo
che, come hai detto tu, siamo stati fortunati".
Jutta si
sedette accanto a
lui, prendendogli una mano fra le sue. "Ora avrei voglia di
farti mille domande ma ti conosco e so che sei riservato e non mi
risponderai. Però una cosa posso finalmente chiedertela
senza che ti
arrabbi?".
"Anche se
ti dicessi di
no me la chiederesti lo stesso, quindi...".
Jutta
ridacchiò. "Possiamo
dirlo forte che sei innamorato, Mattheus?".
Lo stregone
la guardò di
sottecchi, sorridendo. "Possiamo dirlo" – ammise.
Si
abbracciarono, stavolta con
meno imbarazzo. Jutta gli poggiò la testa sulla spalla,
lasciandolo
libero di accarezzarle i lunghi capelli biondi. "Sarei così
curiosa di sapere come vi siete visti, cosa avete fatto, come avete
ceduto l'un l'altra ma non importa, sono cose vostre. Sono solo
contenta che sia lei perché sai, al mondo non c'è
nessuna donna che
sarebbe capace di starti accanto come Elke. Vi completavate e i tuoi
occhi brillavano quando la guardavi, quando le parlavi. L'ho notato
da subito e non ti era mai successo con nessuno. Lei è
quella giusta
perché ama i tuoi tanti difetti ancor più dei
tuoi pregi. Sono
contenta per voi, sarete felici. E sono contenta anche per me, ora
che ci penso!".
"E tu che
c'entri,
scusa?".
Jutta
sospirò. "Sarò
ben felice di lasciarle il compito di farti da guardiana. Ambisco
alla pensione mio caro, sono anni che ti sopporto".
"Spiritosa".
"Tornerà
questa estate
per davvero? E vi sposerete?".
"Sì".
La guardò,
per un attimo con serietà, c'erano cose che doveva sapere.
"Jutta,
io le ho raccontato tutto di me, di te, di Jakob e del lago. Ti
spiace che l'abbia fatto?".
"No, hai
fatto bene, ora
lei è una di noi per davvero".
Mattheus
abbassò lo sguardo,
pensando a tutta la strada che avevano percorso lui ed Elke e a
quanto Jutta avesse ragione, da subito le aveva voluto bene, talmente
tanto da prenderla a cuore e da incupirsi al pensiero che le
capitasse qualcosa di male. "Sai, la notte di Natale la guardavo
dormire e l'unica cosa che riuscivo a pensare era che non avevo mai
avuto nulla di tanto prezioso come lei. Che avrei dato via volentieri
tutto quello che possedevo per un suo sorriso, per vederla stare
bene".
Jutta gli
accarezzò i
capelli. "Starà bene a prescindere. E tu fa il bravo con
lei,
mi raccomando!".
Mattheus
sbuffò, iniziava il
momento della paternale e non aveva voglia di sentirne. "Sono
stanco e ho voglia di tornare a casa in fretta. Se mi aiuti a
riempire le ampolle, potrò essere a Pennes prima del
tramonto"
– esclamò, cambiando discorso.
Jutta lo
guardò storto,
sbuffando vistosamente. "Schiavista!". Ma nonostante tutto
lo aiutò.
Arrivò
a Pennes che iniziava
a nevicare di nuovo e il giorno era in procinto di lasciare la scena
alla notte. Si chiese ancora cosa avrebbe fatto in quei mesi senza
Elke, come avrebbe riempito il tempo, cosa che una volta avrebbe
creduto impossibile pensare perché lui aveva sempre avuto
qualcosa
da fare! Ma quei pensieri durarono un attimo.
"Mattheus,
sei tornato!".
Come due
furie, dal fondo
della via principale ormai deserta, Falko e Drago gli corsero
incontro, rischiando ogni due passi di inciampare nella neve.
"Ragazzi...".
"Sei
arrivato giusto a
fagiolo!" - esclamò Falko, prendendolo per un braccio.
"Ma che vi
prende?".
Senza
dargli spiegazioni, i
due nani lo trascinarono fino al mulino dove macinavano il grano,
accanto alla loro casa. Mattheus diede una rapida occhiata, notando
che il tetto era completamente crollato a causa della neve che non
era stata rimossa. "Che disastro".
"Aiutaci!
Come faremo col
grano, col forno, col pane? Le nostre mogli e nostro suocero sono in
ansia".
Mattheus
sbuffò. "Ragazzi
ma... è nevicato molto, possibile che a nessuno sia venuto
in mente
di alleggerire il tetto e ripulirlo dalla neve?".
"Il tetto
è alto, come
facciamo?" - sbottò Drago.
Lo stregone
lo guardò storto.
"Nemmeno io arrivo al tetto, razza di idioti". Si inchinò,
prendendo uno sotto braccio da una parte e uno sotto braccio
dall'altra. "Ragazzi, vi do una grande notizia, hanno inventato
una cosa... si chiama scala..." . Alzò
il dito indice ad
indicare l'ammasso di macerie crollate. "Serve per salire in
alto a lavorare sui tetti ad esempio, ed evitare questa cosa che vi
è
successa".
"Ahah,
spiritoso!".
Drago incrociò le dita al petto, sfidandolo con delle
occhiatacce.
"Devi aiutarci".
"Perché?
Non sono mica
un muratore, io".
Falko
scosse la testa. "Sei
il capo villaggio, però! Ed è tuo dovere
premurarti che la
popolazione di Pennes abbia il pane, giusto? Senza mulino, che si
fa?".
"Vi odio".
Arrendendosi all'ineluttabilità della cosa, sbuffando,
Mattheus si
avvicinò ai ruderi, arrampicandocisi sopra ed osservando il
danno
per vedere quanto ci fosse effettivamente da fare. "Stanotte
farò venire gli gnomi, sono valenti ed esperti costruttori,
entro
domattina sarà come nuovo. Andrò a chiamarli ma
voi mi raccomando,
acqua in bocca! Non dovrà saperlo nessuno, intesi? Nessuno
dovrà
vederli, per gli abitanti di Pennes non esistono".
Il viso dei
nani si illuminò
con un sorriso. "Intesi".
Mattheus li
fissò in
cagnesco. L'avrebbero fatto impazzire, quei due! E in quel momento si
rese conto che il suo timore di non sapere come riempire le giornate
era effimero. Oh, non si sarebbe annoiato per niente, accidenti a
loro!
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Capitolo 26 *** Capitolo ventisei ***
Era
un cavallo magnifico, dalla criniera e dal manto nero e lucido,
giovane e con zampe possenti e muscolose. I suoi occhi, neri come
tutto il resto, trasmettevano intelligenza e dolcezza a dispetto del
suo aspetto che pareva, a prima vista, furioso.
Elke
gli accarezzò il muso, lentamente, affinché
l'animale prendesse
confidenza con lei, pensando a quanto sarebbe stato magnifico
cavalcarlo nel viaggio che si apprestava a compiere. Aveva imparato a
cavalcare da bambina, in montagna, montando sui cavalli selvatici che
popolavano le vette e la passione per il galoppo non si era mai
sopita in lei, con lo scorrere degli anni.
Più
guardava quel cavallo e più era stupita, non
avrebbe mai creduto
che
suor Faustine le avrebbe donato un animale del genere.
Il
sole caldo della primavera le baciava la pelle e le infondeva un
senso di benessere profondo;
il cielo
era azzurro, terso, un leggero vento le scuoteva i capelli e il sole
dava una luce vitale a Bozen. Osservò le case, i vicoli, le
botteghe
che per più di tre anni erano state il suo mondo e
provò uno strano
senso di malinconia:
nonostante
tutto quel posto le sarebbe mancato, così come tante persone
lì
conosciute nel corso degli anni
come i senza
tetto della piazza, Helena ed Anna e le altre ragazze che avevano
condiviso con lei l'esperienza di lavorare al convento.
Helena
in quei mesi aveva imparato a leggere e scrivere e nonostante la sua
iniziale reticenza era riuscita ad imparare in fretta, dimostrandosi
una mente aperta e curiosa;
Suor Faustine
le aveva trovato lavoro come sarta in una bottega poco lontana dal
convento ed Helena, con la figlia, si era trasferita in un piccolo
appartamento di proprietà dei suoi datori di lavoro. Era
stata dura
salutarla la sera prima, dire addio a lei e alla piccola Anna,
rendendosi conto che da quel momento le loro vite, con tutta
probabilità, non si sarebbero più incrociate,
solo una certezza la
rasserenava: entrambe se la sarebbero cavata egregiamente. Si
guardò
l'abito che le aveva cucito Helena:
uno
splendido vestito della tradizione tirolese composto da una camicia
con maniche a sbuffo e uno smanicato blu legato in vita da un
nastrino rosso come quello che aveva fra i capelli, che legava la
piccola treccia che si era fatta di lato.
"Devi
essere carina per il tuo futuro marito, non puoi presentarti a lui
dopo cinque mesi vestita di stracci. Gli uomini si innamorano e si
disinnamorano in fretta, se noi donne non sappiamo tenerci come si
deve".
Montò
sul cavallo, decisa a mettersi in viaggio,
mancavano
solo due settimane al solstizio d'estate e se non
faceva in fretta sarebbe
arrivata tardi da Mattheus e non avrebbe potuto mantenere la sua
promessa. C'era molta strada da percorrere per arrivare a Pennes e
aveva ancora una tappa da fare prima di tornare dal suo futuro
marito. Accarezzò la criniera del cavallo, stringendo le
redini.
"Dovrò trovarti un nome" – commentò
divertita,
immaginando quanto avrebbe borbottato Mattheus per questa cosa.
"Parti
ora?".
Presa
alla sprovvista, si voltò verso la fonte della voce alla sue
spalle.
"Suor Faustine...". Strinse ancora di più le redini,
mentre lo stomaco le si contorceva. In quegli ultimi mesi il suo
rapporto con la suora era stato strano e inspiegabilmente stretto,
non le aveva più torto un capello e se questo, all'inizio,
era
dovuto al fatto che suor Faustine temeva Mattheus, poi le cose erano
cambiate. Aveva iniziato a guardarla più attentamente,
con la curiosità con cui a volte si osserva qualche creatura
strana
e sconosciuta da studiare, sospettosa e al contempo incuriosita. Per
i primi mesi aveva permesso a lei e ad Helena, come promesso, di
lavorare e passare tutto il tempo libero insieme ma poi, con sua
somma sorpresa, un giorno l'aveva chiamata nel suo studio,
mostrandole i libri contabili del convento.
"Sai
leggere, scrivere e fare di conto, giusto? Se non erano bugie,
suppongo che una mente giovane come la tua potrebbe aiutarmi a
gestire spese e contabilità del convento, fintanto che
rimarrai qui.
Credi di poterlo fare? Io ormai non sono più molto giovane,
i miei
occhi cominciano a darmi problemi e mi è spesso difficile
scrivere
al lume di candela".
A
quella proposta per un attimo aveva tremato, poi, spinta dalla
curiosità di tentare ed imparare qualcosa di nuovo, aveva
accettato
di provare a fare quanto le veniva richiesto. Da allora, per molte
ore al giorno, era stata insieme a suor Faustine ad annotare spese ed
entrate, a tentare di ottimizzare costi e benefici e a sistemare
archivi e scartoffie. Questo le aveva permesso di leggere i tomi
antichi che la suora teneva nella sua stanza, libri sulla Chiesa,
sulla storia di quel territorio, sulla geografia, di diritto e
qualsiasi altra cosa le capitasse per mano. Suor Faustine, in
silenzio, l'aveva lasciata fare, guardandola di sottecchi con
interesse. Le aveva chiesto di provare a trovare, fra le varie spese
ed entrate, un modo per poter pagare un maestro che potesse aprire
una scuola nel convento per i bambini che ospitavano e anche per le
ragazze come lei ed Helena che desideravano imparare. Questo l'aveva
sorpresa, vista la reticenza con cui inizialmente aveva scoperto che
lei sapeva già fare tutte queste cose,
ma l'aveva
accontentata con piacere giudicandola un'ottima idea ed era riuscita,
fra cifre e conti, a trovare il modo di aprire una piccola aula
all'interno del convento ed i fondi con cui pagare un insegnate e
quanto poteva servire per gli allievi.
Suor
Faustine nei mesi aveva mantenuto con lei un tono distaccato,
distante, mai nelle loro conversazioni aveva avuto l'impressione che
l'apprezzasse, eccetto per il fatto che le chiedeva spesso consiglio
sul da farsi, quasi che avesse imparato a fidarsi di lei.
Lei
annuì. "Sì, oggi è una buona giornata
per partire, il cielo è
limpido e la temperatura fantastica. Sarà un piacere
viaggiare con
questo meraviglioso cavallo. A proposito, grazie! Non ambivo certo a
un animale tanto maestoso".
La
suora scosse la testa. "Sei sprecata per passare la tua vita a
servire un uomo, saresti molto più utile qui. Pensaci bene,
Elke".
Spalancò
gli occhi, sorpresa. "Volete che resti?".
"Le
donne banali si sposano e tu non lo sei. Smetterai di studiare se vai
a Pennes e ti ritroverai, come tutte, a badare a una casa e a una
miriade di figli" – ammise.
A
quella frase, Elke rise. "Dubito che smetterò di studiare,
il
mio futuro marito non me lo permetterebbe. E per quanto riguarda
badare alla casa, lui è molto più bravo di me a
farlo, state
tranquilla. Non mi sposo con un uomo banale e con lui non
potrò far
altro che crescere e migliorarmi sempre di più. Mattheus non
è mai
stato un mio
limite, ma al
contrario, la mia più grande ricchezza. Lo amo e mi manca,
non ho
aspettato per mesi che questo giorno".
La
suora sospirò. "Se ne sei sicura...".
"Lo
sono" – rispose, con tono fermo. Era stranita dalle parole di
suor Faustine, non si aspettava quella conversazione ed era sempre
stata sicura che non vedesse l'ora che lei partisse. Ma... "Per
tanto avete creduto che fossi la figlia del diavolo... Avete cambiato
idea a riguardo?".
Suor
Faustine scosse la testa. "Non posso affermare che tu non lo
sia. Ma di certo posso dire che sei molto intelligente e che impari
in fretta. E che con le tue capacità, qui ci saresti stata
utile".
Quelle
parole le fecero piacere. "Questo non è il mio posto, io
appartengo alle montagne".
"Le
montagne sanno essere crudeli ed implacabili, feroci. Come puoi
appartenervi,
Elke?".
La
ragazza sospirò, accarezzando il manto liscio del cavallo.
"Sapete
suor Faustine, io non ho mai avuto dei genitori che si siano occupati
di me. La mia mamma e il mio papà sono stati le montagne.
Loro mi
hanno protetta, sostenuta, mi hanno fatto da guida e da maestro e io
sono quel che sono oggi anche grazie a loro. So che Bozen offre tante
possibilità ma ogni posto ne può dare, se lo si
sa conoscere e
capire bene. I monti sono posti magici, non potete nemmeno immaginare
quanto". Le venne da ridere ma si trattenne. Se suor Faustine
avesse saputo di elfi, fate e gnomi, probabilmente sarebbe svenuta
all'istante.
Accarezzò
la criniera del cavallo, stringendo poi le redini fra le mani. "Devo
andare ora, buona fortuna suor Faustine".
La
donna la fissò in viso, intensamente. Poi annuì,
allontanandosi da
lei. "Se hai deciso, non mi resta che salutarti e farti gli
auguri per il tuo imminente matrimonio".
"Grazie".
La guardò per un'ultima volta, assieme al convento e alle
strade
lastricate del centro che erano state il suo mondo. Poi diede un
colpetto leggero al cavallo e partì, senza voltarsi
più indietro.
Al
passo, percorse le vie del centro e poi via via quelle di periferia,
fino a trovarsi su una strada sterrata che portava alle valli
circostanti. E a quel punto, senza più nessuno in giro,
spronò il
cavallo a partire al galoppo. Sentì il vento sui capelli,
sul viso,
una sensazione di libertà che non provava da tanto. Era
così
diversa dalla ragazza che era stata al suo arrivo in quella
città,
era come se si fosse evoluta mille e più volte, giorno dopo
giorno,
scoprendo lati di se stessa che mai avrebbe pensato di possedere. Era
cambiata tanto da allora e si sentiva cambiata anche rispetto alla
notte di Natale in cui era stata con Mattheus, come se in quei mesi
fosse cresciuta talmente tanto da sentirsi finalmente e completamente
adulta e padrona di se stessa. Conosceva ogni lato di se, sia nei
pregi che nei difetti, conosceva il suo valore e sapeva cosa volere
dalla vita e non avrebbe più permesso a nessuno di
giudicarla senza
conoscerla.
Aveva
una voglia pazza di abbracciare Mattheus, ma sapeva anche che c'era
ancora un posto dove aveva tanti conti in sospeso: Tires. Era
scappata da lì una notte d'estate di quattro anni prima,
senza nulla
con sé se non un arco di legno e dei nastri colorati per i
capelli,
senza conoscere il mondo, senza la minima istruzione e con la
convinzione di essere sbagliata e non degna delle altre persone. Ora
sarebbe tornata laggiù, non per vendetta, ma per dimostrare
a coloro
che avrebbero dovuto amarla e proteggerla che ce l'aveva fatta a
sopravvivere e a crescere senza di loro,
o meglio, nonostante
loro.
Man
mano che si avvicinava al suo paese natale riconobbe i boschi, i
prati, le baite che aveva visto da bambina. Tutto sembrava
così
incredibilmente uguale, immutato, come se quegli anni di lontananza
non fossero mai esistiti.
Si
sentiva strana, una spiacevole ansia le attanagliava lo stomaco man
mano che
andava avanti e per
un attimo si sentì schiacciata dalla stessa paura sorda che
la
sorprendeva da bambina quando qualcuno le si avvicinava. Per un
attimo fu tentata di cedere alla voglia di andare dritto, di non
fermarsi, di convincersi che non era importante e che in fondo non
aveva nulla da dimostrare a nessuno, ma alla fine non fermò
la corsa
del cavallo finché non si trovò davanti ai campi
che circondavano
Tires. Erano le prime ore del pomeriggio, tutta la campagna era
deserta e probabilmente non avrebbe incrociato quasi nessuno fino
alla casa dei suoi genitori,
era ora di pranzo e di riposo.
Fece
per imboccare il sentiero che portava al villaggio quando la sua
attenzione fu catturata dalla figura di una giovane ragazza che, semi
nascosta dalla vegetazione dei campi, era intenta a legare delle
fascine di fieno. Sembrava poco avvezza a quel lavoro e nello
svolgerlo, probabilmente per la fretta di finire, si stava
incaponendo senza successo a racchiudere tutto il fieno in fascine
enormi che non riusciva a legare
invece che dividerlo
in parti più piccole e maneggevoli.
C'era
qualcosa di familiare in quella ragazzina, tanto che, vinta la sua
ritrosia, scese da cavallo e le si avvicinò. E quando fu a
pochi
passi da lei, capì perché avesse catturato la sua
attenzione.
"Inge".
Rimase
a bocca aperta, che ci faceva sua sorella lì? Il lavoro nei
campi
era sempre stato uno dei compiti di suo padre e mai aveva permesso a
sua madre e alle sue sorelle di aiutarlo. Inge era la più
piccola
della famiglia, aveva quattordici anni quando lei se n'era andata e
ora doveva averne circa diciotto. Aveva sempre avuto guance rosse e
piene, era la meno esile della famiglia, aveva un viso che ispirava
simpatia, puntellato da qualche lentiggine sul naso e i capelli
biondissimi e ondulati, che teneva sempre raccolti in due lunghe
trecce. Di carattere era docile e poco combattiva e spesso finiva per
accodarsi alle decisioni dell'altra loro sorella, Annelies, di tre
anni più grande, e di indole molto più dominante.
Inge,
vedendola arrivare, spalancò gli occhi, smettendo di
lavorare.
"Ma...
ma tu sei... Sei tornata?" - balbettò, a bocca aperta,
lasciando cadere a terra il fieno che teneva fra le mani.
Elke
sospirò, ma
del resto non
poteva aspettarsi che le gettasse le braccia al collo... "No,
non sono tornata, sono solo di passaggio, sta tranquilla".
Osservò
il montone di fieno accanto alla sorella, ammucchiato al bordo del
campo. Si avvicinò e ne prese un po’ fra le
braccia, legandolo coi
fili di fieno più lunghi.
"Se
ti incaponisci e prenderne troppo per finire prima, otterrai il
risultato contrario: ti spaccherai le braccia e non otterrai nulla.
Prendine
meno, fai delle fascine più piccole, sarà meno
faticoso e più
veloce". Finì di legare la fascina fra le sue mani,
agilmente,
poi la gettò a terra, accanto alla sorella.
"Visto?".
"Visto".
Inge deglutì, imbarazzata. "Perché sei
quì? Credevo fossi
morta".
"Ti
sarebbe piaciuto?".
Si
stupì di essere tanto diretta nei confronti della sorella,
soprattutto ricordando quanto, un tempo, temesse qualsiasi confronto
coi membri della sua famiglia.
Inge
alzò le spalle. "No... Non lo so, non ci ho mai pensato
troppo.
In fondo non ci parlavamo mai, non è che mi sei mancata...".
"Immagino...".
Elke si guardò attorno, accigliata. "Sei qui sola?
Dov'è
nostro padre?".
L'espressione
di Inge si incupì.
"Sono
qui sola, sono abbastanza grande per lavorare ormai. Mamma e Annelies
invece sono a casa, in questo momento. Se vuoi vederle, le trovi
lì".
Elke
si accigliò. Inge non aveva risposto alla sua domanda, non
del tutto
almeno. Si chiese dove fosse suo padre, ma supponeva che lo avrebbe
scoperto una volta arrivata a casa.
"Credo
che le raggiungerò. Buon lavoro, Inge".
La
ragazzina guardò, sconsolata, l'enorme montone di fieno
ancora da
legare.
"Già...
Buon lavoro a me". Poi la fissò per un attimo, pensierosa.
"Elke?".
Sussultò,
stupita. Inge non l'aveva mai chiamata per nome.
"Dimmi".
"Sei
sicura che non resti?".
"Vorresti
che lo facessi?". Era strano ma da sempre aveva avuto la
sensazione che, se le circostanze fossero state diverse, sarebbe
andata d'accordo con Inge.
La
ragazzina alzò le spalle. "A volte Annelies è
così
intrattabile. Tu mi sei sempre sembrata più gentile, anche
se papà
diceva che eri pericolosa e quindi avevo paura di te. Ma magari come
sorella non saresti male, mi hai anche insegnato come si lega il
fieno. Annelies non lo sa proprio fare!".
A
dispetto di tutto, Elke le sorrise. "Non resterò, ma mi fa
piacere esserti stata utile in qualcosa. Buona fortuna Inge".
Era
tardi per diventare sorelle pensò, salendo sul cavallo, ma
era stato
comunque piacevole quello scambio di battute fra di loro.
Si
allontanò al galoppo, percorrendo il sentiero principale. Il
sole
era molto caldo e non incrociò più nessuno
finché non giunse al
villaggio.
Tires
era piccola, ancora più di Pennes, composta da un gruppo di
povere
baite che, disordinatamente, si adagiavano sul versante della
montagna. La casa dei suoi genitori era in periferia, vicinissima a
quel bosco dove si rifugiava da bambina per nascondersi al mondo e
raggiungere le vette.
La
ricordava come una baita molto modesta, povera, costruita in legno e
pietre incastrati fra loro alla meglio, circondata da sterpaglie e
con piccolo pozzo sul retro, unica comodità della sua
famiglia.
Guardandola,
a distanza di quattro anni, la baita le sembrò ancora
più malmessa:
le imposte di legno erano cadenti e scrostate, l’erba che la
circondava incolta e piena di sterpaglie e in generale la casa pareva
in uno stato di completo abbandono. Questo la incuriosì
perché, per
quanto suo padre fosse stato un pessimo genitore per lei, era una
persona che si era sempre premurata di far vivere dignitosamente sua
madre
e le sue sorelle.
Sospirando
scese da cavallo avvicinandosi alla staccionata. Si guardò
attorno,
lanciando una veloce occhiata alla piccola stalla a lato della casa,
il suo unico rifugio dal freddo quando era bambina. Le sembravano
passati secoli da allora e si trovò a chiedersi come avesse
potuto
permettere a suo padre di trattarla a quel modo: come sarebbero state
diverse le cose se allora avesse posseduto la consapevolezza di
sé
stessa che aveva conquistato negli ultimi anni…
Improvvisamente
però quei pensieri furono interrotti da una figura che,
svelta, uscì
dall’uscio di casa con una montagna di lenzuola da stendere
fra le
mani.
La
riconobbe subito, com’era successo poco prima con Inge.
“Annelies”.
Eccola,
sua sorella, la secondogenita, più piccola di lei di tre
anni; la
figlia più bella, dai capelli biondi e lisci come seta,
dagli occhi
color del ghiaccio, dotata di un portamento nobile ed elegante. La
cocca del loro padre, il suo orgoglio. In quegli anni, notò,
sembrava essersi fatta ancora più bella e probabilmente
erano molti
i pretendenti alla sua mano, a Tires.
Appena
la vide, Annelies si bloccò, stringendo a se il bucato
bagnato che
teneva fra le mani.
“La
strega…” – mormorò, non
staccandole gli occhi di dosso.
Elke
le sorrise freddamente. Sarebbe stato divertente fingere di lanciarle
una maledizione, giusto per vederla ancora più terrorizzata,
come di
solito amava fare Mattheus con chi riteneva molesto. Sarebbe stato un
esperimento interessante, soprattutto in relazione del fatto che, in
passato, Annelies si era dimostrata crudele con lei quanto suo padre.
Decise tuttavia di tacere e di non abbassarsi al suo livello, ormai
erano entrambe adulte e il tempo dello scherno e degli scherzi era
finito.
“Ho
bisogno di parlare coi nostri genitori” – disse,
senza un saluto,
in tono fermo, senza stare a girarci troppo intorno.
Annelies
si voltò verso la porta di casa.
“Mamma,
corri! La strega, c’è la strega! E’
tornata!”.
Poi
si abbassò, raccogliendo da terra un sasso.
Elke
si incupì: sapeva cosa voleva fare, la conosceva fin troppo
bene
dato che quando erano piccole aveva subito
di tutto da lei senza trovare il coraggio di ribellarsi. Ora
però le
cose erano ben diverse.
“Provaci
anche solo col pensiero, a tirarmelo, e io farò altrettanto!
E ti
assicuro che ho un’ottima mira, sorellina!”.
“Mammaaaa”.
Stavolta
Annelies urlò e sua madre, affannosamente, comparve
sull’uscio di
casa.
Ad
Elke sembrò che le stomaco le si contorcesse quando la vide.
In un
certo senso era stato facile affrontare Inge ed Annelies ma sua madre
era colei
che, complice con suo padre, l’aveva costretta a vivere
un’infanzia
ai margini, senza amore e sicurezze, completamente sola e indifesa
davanti alle difficoltà della vita.
Ricordò
quanto, da bambina e anche subito dopo aver conosciuto Mattheus,
l’avesse giustificata e difesa dalle sue colpe e si
trovò irritata
verso sé stessa a quel pensiero. Non c’erano
giustificazioni, non
c’era alcun perdono da dare, se era sopravvissuta ed era
diventata
adulta lo doveva solo a se stessa, alla sua tenacia e alle poche
persone che aveva incontrato e le avevano voluto bene. E sua madre
non faceva parte di questo gruppo di persone!
La
guardò in silenzio, le sembrava invecchiata di colpo:
i suoi
capelli erano grigi e spettinati, gli abiti che indossava erano
logori e le sembrava piccola e fragile, come sul punto di spezzarsi.
In quel momento si accorse di qualcosa che era irrimediabilmente
cambiato in sé stessa rispetto al passato:
una volta, guardando i suoi genitori e le sue sorelle, tutti loro le
apparivano come giganti mentre lei si sentiva minuscola e irrilevante
al loro confronto. Ora invece era il contrario, lei si sentiva
grande, cresciuta e loro invece gli apparivano piccoli come formiche.
Sua
madre, impallidendo, le si avvicinò.
“Elke… Non è possibile,
non dopo tutto questo tempo…”.
“Cacciala
via!” – urlò Annelies, con gli occhi
fuori dalle
orbite.
Sua
madre si voltò verso di lei, lanciandole uno sguardo carico
di
rimprovero. “In casa Annelies, subito!”.
“Ma...”.
“Ti
ho detto di andare in casa”.
Annelies
stavolta ubbidì ed Elke dovette faticare per non ridere. Per
la
prima volta da quando era nata, era stato dato un ordine perentorio a
sua sorella invece che a lei. Non che la cosa ormai la riguardasse,
ma di certo la divertiva.
Quando
Annelies scomparve dietro l’uscio, sua madre le si
avvicinò. “Sei
proprio tu…” – mormorò,
stupita.
“Credevi
che fossi morta?”.
“No”.
La
donna scosse
la testa, non smettendo di osservarla. “Sei diventata grande,
stento a riconoscerti”.
“Stenti
a riconoscermi perché non mi conosci affatto, non
credi?”.
Sua
madre spalancò gli occhi davanti a quella risposta tanto
secca che
doveva apparirgli estremamente inusuale da parte sua.
“Dov’è
mio padre?”.
Sua
madre sospirò. “Manchi da così tanto
tempo, Elke, sono successe
tante cose”.
“Dov’è
mio padre?” – chiese, di nuovo. Non aveva voglia di
perdersi in
inutili conversazioni con lei.
“E’
morto alcuni mesi dopo che te ne sei andata”.
“Cosa?”.
Un brivido le percorse le braccia e la schiena. Suo padre…
morto?
Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito, anche se lo
stato di abbandono della casa e sua sorella costretta a lavorare nei
campi avrebbero dovuto suggerirglielo! Suo padre, dalle braccia
forti, instancabile, che comandava tutto e tutti con
arroganza… era
morto?
Non sapeva cosa provava, non in quei primi istanti. Dolore? No, in un
certo senso.
Frustrazione forse e poi rabbia. Sì, era arrabbiata, con sua
madre e
con suo padre perché era morto senza lasciarle la
possibilità di un
confronto fra loro. Poteva essere una reazione sbagliata, cattiva,
insensibile ed egoista,
ma era
quello che provava in quel momento.
Indietreggiò,
raggiungendo il suo cavallo e senza dire nulla montò in
sella. Partì
al galoppo, incurante della voce di sua madre che chiamava il
suo nome. Suo padre era morto, non contava altro ora! Non poteva
parlargli,
ma di certo c’era un posto dove essere, in un certo senso,
faccia a
faccia con lui.
Raggiunse
il piccolo cimitero di Tires, legò il cavallo ad una
staccionata e,
fuori di se, raccolse una manciata di fiori dal prato. Non voleva
essere un gesto gentile verso il padre, il suo, quella visita non
aveva nulla di amorevole e nemmeno quei fiori raccolti alla buona
erano un regalo per lui.
Entrò
nel cimitero e, tomba dopo tomba, lesse i nomi sulle croci di legno
finché non incontrò quella di suo padre.
Per
un attimo rimase ferma, zitta, senza provare nulla...
Rolf
Windegger
Rilesse
quel nome più volte, quasi a convincersi che fosse vero.
Windegger...
In teoria era anche il suo cognome, ma non lo aveva mai usato, non
l’aveva mai rivelato
nemmeno a Mattheus; non lo sentiva suo, come non sentiva sua la
famiglia che l'aveva messa al mondo. Era sempre stata solo Elke,
senza nessun riferimento al cognome paterno perché, da
bambina,
sapeva che suo padre si sarebbe infuriato se avesse saputo che si
presentava anche col suo cognome.
E, una volta cresciuta, una volta divenuta adulta, perché
non le
importava più.
Si
inginocchiò, stringendo a se il mazzo di fiori che aveva
raccolto
poco prima. Poi li gettò lontano dalla tomba, in un gesto
stizzito.
"Sai
papà" – disse, parlando al vento – "li
avevo raccolti
per te, per farti dispetto. Perché so che ti infurieresti e
mi
puniresti, se ne avessi ancora l'opportunità, per il fatto
di essere
qui davanti alla
tua tomba con dei fiori per te, in mano. Ma alla fine, a cosa
servirebbe farti un dispetto, adesso? Non mi hai mai voluta, non mi
hai mai amata e suppongo di dovermene fare una ragione. Mi sarebbe
solo piaciuto, per una volta, parlarti, anche semplicemente per
sentirti urlare e per litigare perché avrebbe significato,
per me,
essere visibile ai tuoi occhi. E invece sei morto e io non provo
niente... E so che, se anche fossi vivo, non proverei niente
comunque. Avevo solo bisogno di vedere la tua tomba per capirlo, non
sei mai stato niente e non sarai mai niente per me. Non volevi che
usassi il tuo cognome, ti vergognavi di me, ma sai, io il tuo cognome
non lo voglio, ora sono io che mi vergogno di te, per il piccolo uomo
insignificante che sei stato. E' finito il tempo in cui mi sentivo in
colpa per il fatto di esistere e di non essere come tu volevi che
fossi e spero che, ovunque tu sia, ora sia arrivato il tuo turno e
che tu abbia l'eternità per capire i tuoi mille errori".
Un'ombra,
improvvisamente comparve dietro di lei. Elke si voltò di
scatto,
spaventata, trovandosi dietro sua madre che, evidentemente, l'aveva
seguita.
"Sapevo
di trovarti
qui Elke.
Come hai fatto a trovare la sua tomba?".
Alzò
le spalle, con noncuranza, vagamente irritata dalla sua presenza.
"Semplice, ho letto i nomi incisi sulle croci".
Sua
madre spalancò gli occhi, sicuramente stupita per quanto
aveva
appena udito. Non aveva più davanti una bambina selvatica ed
ignorante, cresciuta da sola nei boschi di montagna, ma una donna
indipendente che sapeva leggere. Nonostante fosse sorpresa, la donna
non commentò, limitandosi a lanciare un'occhiata alla tomba
del
marito. "Perché sei voluta venire qui?".
Elke
scosse la testa.
"Non
lo so, forse avevo bisogno di vederlo coi miei occhi. Mio padre mi ha
sempre voltato le spalle e per molto tempo ho pregato, sperato che un
giorno mi volesse bene. Ho smesso di desiderarlo da tanto, non credo
più alle favole in cui i cattivi si redimono ma... volevo
almeno un
confronto con lui, che vedesse che esistevo e che ero una persona
degna di rispetto come le altre sue figlie. Mi ha fregata di nuovo e
ha chiuso a suo modo la partita fra di noi, togliendomi ogni speranza
che un giorno cambiasse idea, anche solo un poco, nei miei
confronti".
La
donna sospirò. "Lo sai bene che non l'avrebbe mai fatto".
Elke
annuì, tirandosi su. "Sì, sicuramente
è così, ma ora non ha
più importanza e non ho motivo di fermarmi oltre".
"Te
ne vai? E dove? Sei appena tornata dopo quattro anni di assenza".
La
ragazza sorrise. "Torno a casa, la mia vera casa".
"Non
è questa la tua casa?".
Elke
la guardò storto. Stava
per caso scherzando?
O si stava prendendo gioco di lei? "Questa
non è mai stata la mia casa, avete fatto in modo che non lo
fosse
mai. E questa è la conversazione più lunga che io
e te abbiamo mai
avuto dalla mia nascita, se non te ne fossi accorta. Come potrebbe
essere casa mia, questa? Come puoi pretendere che resti, dopo che per
tutta la vita non hai desiderato altro che me ne andassi? Come puoi
essere tanto ipocrita da parlarmi come se nulla fosse? Siamo onesti,
se ci fosse qui
mio
padre, tu tremeresti come una foglia e da brava mogliettina
obbediente quale sei sempre stata, seguiresti il suo volere e non mi
rivolgeresti la parola".
Sua
madre strinse fra le mani il grembiule che aveva legato in vita. "Elke,
non avevo scelta, come potevo fare, come potevo oppormi
al volere di tuo padre? Devi cercare di capire che...".
"C'è
sempre un'altra scelta, mamma. E mi dispiace, ma per una volta vorrei
che fossi tu a capire me!".
Sospirando
si appoggiò al tronco di una pianta, osservandola. Quella
era sua
madre, la donna che l'aveva messa al mondo. E le era totalmente
estranea... "Ti è sempre andata bene così, che me
ne stessi
lontana. Non ti è mai importato di me, non mi hai mai
difesa, non ti
sei mai preoccupata. Sono sicura che eri felice quando me ne sono
andata, quasi quattro anni fa".
La
donna abbassò lo sguardo. Sembrava trattenere le lacrime a
fatica.
"Ero preoccupata, terrorizzata dall'idea che ti fosse successo
qualcosa. Ma poi ho capito... Tu pensi che non ti abbia mai guardata,
che non ti abbia mai osservata. Ma sei mia figlia Elke e ti conosco
meglio di chiunque altro. Ho sempre saputo quanto sei in gamba, forte
ed intelligente. Fra le mie figlie, sei sempre stata la più
sveglia,
te la sei sempre cavata in tutto, da sola. Sei migliore di me, di tuo
padre e delle tue sorelle. Sapevo che stavi bene, sapevo che te n'eri
andata perché avevi scelto la tua strada. Che non so dove ti
porterà
ma so che, ovunque sia, sarà stata la scelta giusta".
Elke
sorrise. Una volta avrebbe fatto salti di gioia nel sentire quelle
parole,
ma ora era diverso:
Tires, la sua famiglia, il suo passato e i tristi ricordi che si
portava dietro le apparivano ormai lontani, quasi appartenessero a
un'altra persona. Eppure
si sentiva in dovere di dirle qualcosa che acquietasse l'anima di
entrambe e le permettesse di fare un po’ pace col suo
passato,
chiudendo i conti che aveva lasciato in sospeso.
"In
questi anni ho viaggiato, conosciuto posti e persone
che mai avrei potuto incontrare
rimanendo qui, sono cresciuta e ho imparato un sacco di cose nuove.
Sto andando in Val Sarentino
ora, sto tornando dall'uomo che amo. Una persona assolutamente fuori
dagli schemi, strana, scostante a volte e con un carattere
particolarmente
difficile da gestire, per chi non lo conosce. Ma lui... è
l'unico
che sappia farmi sentire a casa, amata, semplicemente abbracciandomi.
Conosce ogni cosa
di me, della mia anima e del mio corpo. A lui non è mai
importato
nulla dei miei capelli, mi ha semplicemente dato una
possibilità, mi
ha ascoltata, capita, conosciuta ed è diventato l'unica
famiglia che
abbia mai avuto. Sai, non è vero che non avete mai fatto
nulla per
me, ora che ci penso... Mi avete ignorata, esclusa e questo mi ha
permesso di andarmene e di conoscerlo. Di questo, suppongo, devo
esservi grata".
Lo
sguardo di sua madre parve ferito a quelle parole, ma
incassò il
colpo con dignità. "Spero sia davvero una brava persona come
dici tu, Elke".
"Lo
è. E fra pochi giorni lo sposerò".
La
vide spalancare gli occhi dalla sorpresa, come se si rendesse conto
solo in quel momento di quanto fosse cresciuta, di quanto fosse
lontana dalla bambina solitaria ed indifesa che era stata e che lei
ricordava. La donna fece per avvicinarsi, forse per abbracciarla, ma
lei si ritrasse. "No...".
"Ti
prego" – la implorò la donna.
Elke
scosse la testa. "Mi dispiace, ma adesso no, è troppo tardi.
Erano altri i momenti in cui avevo bisogno di un tuo abbraccio, mi
spiace mamma. Non me la sento".
Sua
madre la guardò, sembrava ferita. Ma con dignità
annuì, capendo
forse i suoi sentimenti. "Hai ragione, scusa".
Elke
strinse i pugni delle mani, indecisa. In un certo senso le spiaceva
ferirla, ma non poteva fare altrimenti. "Guarda il lato positivo
della cosa, se ci riesci... Stiamo parlando da cinque minuti, per la
prima volta da quando sono nata. E' già un successo, no?".
La
donna sorrise, amaramente. "Una conversazione fra madre e
figlia?".
"No,
una conversazione fra due donne che a malapena si conoscono. Ma pur
sempre una conversazione...". Elke abbassò lo sguardo, non
sapendo che altro dire. Si avvicinò al suo cavallo, montando
in
sella. "Devo andare ora. Credo che sia l'ultima volta che ci
vediamo, noi due. Ti auguro di star bene. Come vedi, io so cavarmela
benissimo da sola, non pensare più a me e concentrati
unicamente
sulle mie sorelle. Buona fortuna".
Con
un colpetto di redini fece muovere il cavallo, ma la voce di sua
madre, alle sue spalle, la frenò per alcuni istanti.
"Buona
fortuna Elke. Sono sicura che saprai essere una donna e una madre
migliore di me. Ti auguro di essere felice".
La
ragazza si morse il labbro, facendo violenza su se stessa per non
voltarsi verso di lei e non scoppiare a piangere. In fondo,
nonostante tutto, era difficile. Annuì, poi diede di redini
e partì
al galoppo.
Cavalcò
senza mai fermarsi, finché il cavallo non fu esausto. La
parte più
difficile se l'era lasciata alle spalle:
Suor
Faustine, la sua famiglia, Tires, aveva chiuso ogni conto in sospeso
col passato e le sue paure.
Nei
giorni seguenti viaggiò attraverso valichi e passi di
montagna,
lasciando il sentiero principale. Aveva voglia di tornare a respirare
la sensazione di libertà che solo le vette di alta montagna
sapevano
regalare, godere del silenzio assoluto delle vallate baciate dal sole
estivo, riappropriarsi di quei luoghi che erano suoi e che le erano
mancati quanto Mattheus negli anni di permanenza a Bozen.
La
notte dormiva in giacigli di fortuna, come faceva da bambina, di
giorno cavalcava senza sosta per raggiungere Pennes, fermandosi
solamente per mangiare e far prendere fiato al cavallo.
Aveva
solo un'altra tappa da fare, prima di tornare da Mattheus.
Quando
raggiunse il lago di Valdurna, per un attimo le mancò il
fiato. Era
stata tante volte in quel posto ma ora
le appariva
diverso, ne capiva appieno la storia e quanto valore avesse per
Mattheus. Quel posto e i suoi misteri avevano fatto di lui l'uomo che
era ora, l'uomo di cui era innamorata e che stava per prendere come
marito. Sulla riva di quel lago si era consumato un amore, si erano
combattute battaglie, si era vissuto e qualcuno si era accomiatato
dal mondo in modo eroico, difendendo un ragazzino e un amore.
Quell'acqua era la testimonianza di una promessa, di affetto, di un
rapporto che nemmeno la morte era riuscita a spezzare.
Si
chiese cosa provasse Mattheus ogni volta che rimetteva piede in quel
posto e come avesse fatto per tutto quel tempo, davanti a lei e ai
gemelli, a fingere indifferenza e tranquillità per custodire
il suo
segreto.
Fece
bere il cavallo, ormai esausto, accarezzandone la criniera, e la
bestia reagì strofinando il muso contro il suo petto. Ormai
avevano
stabilito un rapporto di fiducia e amicizia loro due, lei conosceva
lui e lui si era adattato perfettamente a lei.
"Che
bel cavallo, come si chiama?".
Elke
sussultò a quella domanda che, d'improvviso, ruppe il
silenzio che
la avvolgeva.
Si
voltò, trovandosi davanti una ragazza dai lunghi capelli
biondi, di
una bellezza talmente unica da non sembrare umana. Per un attimo
rimase in silenzio, attonita, poi il suo istinto le suggerì
che la
conosceva:
quegli
occhi azzurri vivaci e intelligenti le erano familiari, così
come il
modo elegante di muoversi. L'aveva vista in altre vesti, in altre
forme, ma ricordava quanto Mattheus le aveva raccontato a Bozen la
notte di Natale, di lei. "Non
ha ancora un nome, Jutta".
Era
la prima volta che la vedeva in versione umana,
ma era assolutamente sicura che fosse lei.
"Mi
hai riconosciuta, ne sono contenta".
Elke
sorrise, timidamente. "Sì, Mattheus mi ha raccontato molte
cose
di te".
"Lo
so".
Jutta
le si avvicinò e poi, a sorpresa, la abbracciò
talmente forte che
le mancò il fiato. "Elke... bentornata! Sono così
contenta che
tu sia quì".
"Oh
Jutta, anche io sono contenta di essere tornata". In quel
momento si rese conto che, per la prima volta da quando era partita,
ritrovando Jutta si era sentita a casa per davvero.
Si
guardarono negli occhi e poi, come due amiche qualsiasi che non si
vedevano da molto tempo, si sedettero una accanto all'altra sulla
riva del lago.
Elke
la guardò attentamente: era una fata graziosa, ma in
versione umana
aveva una bellezza talmente rara, perfetta, che nessun uomo avrebbe
potuto non notare. Anche se non lo conosceva, capiva il
perché Jakob
si fosse
innamorato
di lei e si stupiva che lo stesso non fosse avvenuto per Mattheus.
"Cosa
ci fai quì? Mattheus mi aveva detto che saresti tornata, ma
credevo
ti saresti diretta a Pennes".
"Dovevo
far riposare un po’ il cavallo e poi... volevo stare un po'
da sola
qui. Non ho mai saputo nulla di questo posto, della sua storia, di
quanto tu e Mattheus
siate legati a questo lago e...".
"Volevi
scoprirne qualcosa di più?".
"No,
volevo solo guardare, pensare... Per poter, forse, capire meglio
Mattheus".
Jutta
sorrise. "Lui aveva ragione, sei davvero cresciuta. Ho fatto
fatica a riconoscerti prima, sai? Sei così bella,
elegante... Una
vera signora. Se non sapessi chi sei, ti scambierei per un'elegante
donna di città".
Elke,
a quelle parole, scoppiò a ridere. "Non lo sarò
mai. Sono
posti come questo, la mia casa".
"Già.
Sono così contenta che tu sia tornata e per te e Mattheus,
so che vi
sposerete a breve".
"Sì".
"Sei
nervosa?".
Elke
scosse la testa. In realtà no, non lo era. Perché
era convinta
della sua scelta, certo, e perché di fatto lei e Mattheus
avevano
già passato una notte insieme, come due persone sposate.
"No,
non credo. Forse, sono solo un po' emozionata".
Jutta
sorrise. "E pensare che, quando voleva partire per Bozen a
Natale, non ero d'accordo. Era una fuga la sua, dalle sue scelte e
dalla solitudine. Non volevo passasse le feste da solo ma...
evidentemente era quello che lui sentiva di dover fare. Era alla
ricerca di qualcosa che, alla fine, ha trovato".
"Non
credo sia venuto a Bozen per cercare me. E' stato un caso essersi
incontrati".
Jutta
le prese la mano destra, stringendola fra le sue. "Non è
così,
sai? C'è una forza, una specie di magia che spinge le anime
gemelle
a rincontrarsi, nonostante la distanza e i problemi".
"Dici
davvero?".
"Mi
piace credere che sia così. Che foste destinati a
ritrovarvi,
qualunque cosa fosse successa. E se è successo a voi, forse
varrà
anche per me, un giorno".
"Te
lo auguro". Elke sorrise. Decise che quanto le aveva detto Jutta
le piaceva e che fosse una cosa bella
in cui credere. In fondo, Mattheus le aveva insegnato che esistevano
fate, unicorni
e folletti, perché quindi non credere anche a quanto le
aveva detto
Jutta?
"Anime
gemelle, eh? Speriamo che tu abbia ragione".
"Sarete
felici!" - rispose Jutta, alzandosi in piedi. "Ti devo solo
augurare buona fortuna, avere Mattheus per marito potrebbe rivelarsi
esasperante, in alcuni momenti. Ma tu saprai rimetterlo in riga, a te
dà ascolto!".
Imitandola,
anche Elke si alzò in piedi, avvicinandosi al cavallo.
"Già,
ma direi di non sfidare ulteriormente la sorte. Anzi, forse
è meglio
che non indugi ulteriormente oppure dovrò sentirmi i suoi
rimproveri
per essere arrivata in ritardo".
Jutta
scoppiò a ridere. “Direi che lo conosci
bene… Su, va da lui, sei
mancata per troppo tempo".
Elke
annuì e montò a cavallo, salutandola con un cenno
del capo. "Ci
vediamo presto, Jutta".
La
fata rispose con un sorriso. "Suppongo che, la prossima volta
che ci vedremo, tu sarai una donna sposata".
Elke
prese un profondo respiro per metabolizzare quanto le aveva appena
detto la fata. In effetti, a breve la sua vita sarebbe cambiata per
sempre. L'aveva aspettato a lungo quel momento e finalmente era
lì,
a portata di mano. Accarezzò il cavallo, salutò
Jutta e poi ripartì
velocemente al galoppo verso Pennes.
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Capitolo 27 *** Capitolo ventisette ***
Non
era cambiato niente a Pennes, ogni baita, ogni staccionata, ogni cosa
era rimasta al suo posto, come la ricordava.
Per
un attimo, abituata agli ampi spazi di Bozen, la trovò un
po'
soffocante. Ma fu solo un attimo perché quel posto sapeva di
casa,
di famiglia e aveva insito in se lo spirito delle sue origini. Per la
prima volta da tanto tempo, non si sentiva fuori posto.
Percorse
i vicoli di Pennes mentre la gente la guardava. Non avevano sguardi
ostili ma semplicemente curiosi. L'avevano riconosciuta, sapevano chi
era e forse il fatto che Mattheus ora fosse il loro capo villaggio,
la metteva ai loro occhi in una luce migliore rispetto al passato.
Raggiunse
la baita dello stregone in un misto di impazienza ed emozione. Non lo
vedeva da Natale e aveva una voglia terribile di riabbracciarlo, gli
era mancato da morire, così come quel villaggio e quelle
montagne da
cui era stata lontana per troppo tempo.
Bussò,
ma nessuno rispose. Non se ne stupì troppo, era mattina e
spesso
Mattheus, a quell'ora, era in giro per lavorare o in montagna, a
cercare quanto gli serviva per le sue pozioni.
Stava
ancora decidendo il da farsi, se aspettarlo davanti casa o cercarlo,
quando due figure conosciute le si avvicinarono a passi felpati.
"Sei
davvero tu?!".
Elke
li guardò e poi sorrise, emozionata. Si
inginocchiò per essere alla
loro altezza e li abbracciò. "Falko, Drago..." -
sussurrò,
accarezzandogli i capelli. Erano stati come fratelli, zii per lei, le
avevano voluto bene come nessun aveva mai fatto prima di loro.
Drago,
con gli occhi spalancati, indietreggiò di alcuni passi. "Mia
moglie ci ha detto che ti ha vista in paese e non potevamo che
correre qui. Sei tornata davvero, non posso crederci! Sei tu in carne
e ossa, dopo tutto questo tempo".
"Già,
è sorprendente, non credevamo di rivederti" –
aggiunse,
Falko.
Elke
si stupì un po' di quelle parole. A quanto sembrava,
Mattheus non
aveva rivelato loro che sarebbe tornata. Si chiese il perché
ma poi
capì. Era pur sempre di Mattheus Hansele che stavano
parlando, un
tipo piuttosto dispettoso, che si legava gli affronti al dito e non
li dimenticava, aspettando il momento giusto per vendicarsi. Loro non
gli avevano detto, fino all'ultimo, del matrimonio con le figlie del
fornaio e lui aveva fatto altrettanto, omettendo quanto successo a
Bozen. "A volte si torna sui propri passi, per tanti motivi"
– ammise, vaga.
Drago
annuì. "Oh, stentavamo a riconoscerti! Sei così
bella, hai
abiti così graziosi oggi. A Mattheus verrà un
colpo, quando ti
vedrà".
"No,
non gli verrà!" - rispose lei, tranquilla. "Sapeva che
sarei tornata".
"Lo
sapeva?". Falko e Drago si guardarono negli occhi, senza capire.
Elke
annuì. "Sì, da Natale. Ci siamo rivisti a Bozen e
gli ho
promesso che sarei tornata per l'estate. Mi ha raccontato un sacco di
cose, del vostro matrimonio soprattutto".
I
gemelli si guardarono ancora negli occhi, sorpresi. E poi Drago
scosse la testa. "Che canaglia! Non ci ha detto niente".
Elke
sorrise, alzandosi in piedi. "Tipico di lui, lo conoscete, no?".
"Sì,
lo conosciamo" – borbottò Falko.
La
ragazza si guardò attorno, pensierosa. "Sapete
dov'è adesso?".
"Sì,
doveva andare a raccoglire delle erbe su, ai prati degli stambecchi.
Ti ricordi dove sono, vero?".
Elke
annuì, sorrise e diede loro in mano le redini del suo
cavallo. "Lo
ricordo! Mi tenete il cavallo finché non torno? Lo raggiungo
lì".
Falko
prese le redini, osservando estasiato l'animale. "E' splendido!
Ma è tuo?".
"Sì,
è mio. Credo che d'ora in poi potrete stare tranquilli,
Mattheus non
vi trasformerà più in gatti. Ora avrà
lui".
I
gemelli ridacchiarono soddisfatti ed Elke, dopo aver dato loro una
carezza sulla testa, li salutò e si avviò verso
la montagna.
Corse
per i sentieri sconnessi di montagna con agilità, come se in
quegli
ultimi tre anni non avesse fatto altro. Era il suo mondo quello, la
faceva sentire viva e ora lo sapeva, non avrebbe mai dovuto
lasciarlo. Era di nuovo a casa ora, era tornata e tutto ciò
che
desiderava era rimanere per sempre fra quelle montagne, accanto
all'uomo che amava.
Raggiunse
il prato degli stambecchi col fiato corto e le guance in fiamme. Il
sole era caldo e piacevole sulla pelle, il cielo limpido e i prati di
un verde uniforme e scintillante. Si guardò attorno,
cercando
Mattheus. All'apparenza in quel posto non c'era nessuno eppure
sentiva che era lì e non si era spostato.
Con
passo felpato uscì dal bosco, guardandosi in giro. E
finalmente
sentì in lontananza la sua voce che borbottava per qualcosa.
Le
venne da ridere, non sarebbe mai cambiato, sarebbe rimasto sempre
brontolone...
Si
avvicinò e finalmente lo vide. Indossava dei pantaloni scuri
e una
camicia bianca che, disordinata, gli cadeva sui fianchi. Le maniche
erano rivoltate fino ai gomiti e i ricci rossi gli ricadevano sulla
schiena, muovendosi alla brezza del vento. Stava in ginocchio accanto
al ruscello che scorreva nel prato, intento a riempire delle boccette
con l'acqua che vi scorreva. Questa cosa la incuriosì,
solitamente
l'unica acqua che Mattheus usava era quella del lago di Valdurna. Ma
in effetti, forse poteva pensare all'acqua in un altro momento, aveva
solo voglia di riabbracciarlo, ci sarebbe stato tempo per tutto il
resto... "Se vuoi, ti do una mano! In due faremmo prima!" -
esclamò, alle sue spalle.
Al
suono della sua voce Mattheus sussultò, facendo cadere
l'ampolla fra
le sue mani. Si voltò verso di lei e rimase per lunghi
istanti zitto
e fermo, decisamente colto di sorpresa. Alla fine sorrise, col suo
fare da canaglia. "Sei quasi in ritardo".
Elke
rispose al sorriso, avvicinandosi a lui a piccoli passi. "Quasi...
Ho fatto la strada più lunga per tornare, ci ho messo un
po'. Ma
avevo alcune cose da fare, prima di arrivare quì".
Mattheus
annuì, studiandola attentamente. Poi si alzò, le
andò incontro e
semplicemente, senza dire nulla, la abbracciò.
Affondò il viso nei
suoi capelli, accarezzandoli piano, la baciò sulla tempia e
per un
lungo istante rimasero in silenzio, l'uno fra le braccia dell'altra.
"Stai bene, vero?".
Elke
si staccò leggermente da lui. "Certo, come puoi vedere ho
mantenuto la mia promessa! Niente graffi, niente lividi e in tempo
per il solstizio d'estate".
"Lo
vedo". Le sfiorò con la mano la piccola treccia che si era
fatta a lato del capo, accarezzandone il nastrino colorato che la
teneva legata. "E questo?" - chiese, con fare scherzoso.
"Non mi avevi detto che eri troppo grande per i nastri?".
Elke
fece un sorrisetto furbo. "Ho cambiato idea!". Portò la
mano alla sua guancia, la accarezzò e poi si fece seria. Era
il suo
uomo, le era mancato come l'aria e ogni cosa che aveva fatto in quei
lunghi mesi era atta solo a riportarla da lui. "Finalmente mi
sento a casa".
Mattheus
le sfiorò i fianchi, attirandola a se. "Finalmente SEI a
casa"
– le sussurrò, prima di baciarla sulle labbra.
"A
casa..." - sussurrò Elke, baciandolo sulla mascella.
Rimasero
abbracciati per lunghi istanti, mentre la brezza estiva faceva
ondulare i loro capelli. Fu Mattheus a rompere quel silenzio intimo e
tranquillo. "Sembri cresciuta, cambiata. Eppure non ci vediamo
da soli sei mesi".
"Cambiata
in maniera negativa?".
"No,
non negativa. Solo... diversa".
Elke
sorrise. "Si, forse un po' diversa lo sono. Ho imparato tante
cose in questi mesi ed è come se mi sentissi più
forte, come se non
avessi più paura di farmi vedere al mondo, come se...".
Alzò
lo sguardo su di lui, seria, rendendosi conto che finalmente aveva
imparato la lezione più importante che Mattheus,
dall'inizio, aveva
tentato di impartirgli. "Per tutta la vita mi sono sentita
sbagliata e in dovere di nascondermi dal mondo. E ora sai, non mi
sento più così, non mi importa nulla di cosa gli
altri pensino di
me, io so cosa valgo e so che loro si sbagliano sul mio conto. Non mi
voglio più nascondere e non voglio più
giustificare il male che la
gente vuole infliggermi".
Mattheus
annuì, assorto. "Credi che riuscirai a raccontarmi, un
giorno,
cosa ti è successo di così fenomenale in questo
periodo, da farti
capire questa cosa che io, senza successo, ho tentato a lungo di
inculcarti?".
Elke
rise, alzando le spalle. "Ho tutta la vita per farlo, giusto?".
Gli prese la mano, la strinse nella sua e le loro dita si
intrecciarono. "Cosa hai fatto in questi mesi?".
"Il
solito! Ho terrorizzato la gente di Pennes, ho amministrato il
villaggio e ho litigato con Jutta. E tu, che hai fatto?".
Era
complicato per lei rispondergli, aveva fatto tante cose in quei mesi
e la sua vita a Bozen era cambiata molto da quando si erano visti per
l'ultima volta. "Sono riuscita a convivere piuttosto
pacificamente con suor Faustine e a dire il vero ho lavorato molto
con lei, fianco a fianco. Il fatto che sapessi leggere,
benché la
irritasse, alla fine le è tornato utile. Ho tenuto la
contabilità
del convento e portato a termine alcuni progetti, non è
stato male.
Non sarà mai una persona a cui potrei affezionarmi ma credo
che lei,
a modo suo, abbia imparato ad apprezzarmi e a rispettarmi. Tanto che,
quando son partita, mi ha chiesto di restare".
Mattheus
spalancò gli occhi. "Suor Faustine?".
"Sì,
suor Faustine! Anzi, devo dirti una cosa" –
esclamò Elke,
mascherando un sorriso.
"Cosa?".
"Abbiamo
un cavallo! Un animale splendido, un purosangue. Me lo ha regalato
lei".
"Suor
Faustine?" - chiese di nuovo Mattheus, sempre più perplesso
e
shoccato. "Come diavolo hai fatto?".
"Semplice!
Ricordi quando, la notte di Natale, le hai detto che doveva
comportarsi bene con me? Beh, le ho fatto intendere che tu, coi tuoi
poteri, avresti potuto sapere e vedere ogni cosa di lei e questo l'ha
terrorizzata. Sei stato convincente, sai? Non ho dovuto insistere
troppo perché ci credesse".
Mattheus
si accigliò, arretrò di alcuni passi e la
guardò con rinnovato
interesse, sogghignando. "Sarò pure stato convincente, ma tu
sai che questa cosa non è vera e che l'ho detta in un
momento di
rabbia...".
"Sì,
lo so! E lo sai anche tu. Ma lei no".
Mattheus
sorrise, compiaciuto e soddisfatto, con l'aria del maestro che ha
davanti ai suoi occhi un'allieva che finalmente ha imparato la
lezione. Le puntò l'indice contro, divertito. "Tu, grazie ai
miei insegnamenti, diventerai una pessima persona, lo sai?".
"Ed
è un male?".
Lo
stregone scosse la testa. "No, assolutamente! E' un bene, un
enorme bene. Non pretenderai lezioni di morale da me, spero".
"Certo
che no!".
Mattheus
le si avvicinò, le sfiorò la vita e la
attirò a se, baciandola
avidamente sulle labbra, come se quella loro conversazione avesse
acceso in lui un'attrazione ancora più forte nei suoi
confronti. Lo
lasciò fare, non desiderava altro, non aveva sognato che
quello per
tutti quei mesi. Era strano, ancora non riusciva a pensare a lei e a
Mattheus come amanti e come promessi sposi, nonostante la loro notte
d'amore a Bozen, ed aveva la sensazione che quell'emozione, quella
magia che lui sapeva trasmetterle ogni volta che gli si avvicinava,
non si sarebbe mai spenta. "Mattheus" – disse, contro le
sue labbra – "Ti devo dire ancora una cosa".
"Cosa?".
Elke
sospirò, allontanandolo lievemente da lei. "Prima di tornare
a
Pennes, sono passata da Tires".
A
quella rivelazione, Mattheus parve sorpreso. Ogni traccia di passione
scomparve dal suo viso per lasciar spazio alla costernazione. "Tires?
A casa della tua famiglia? Perché?".
Elke
deglutì. "Perché sentivo che era quello che
dovevo fare,
dovevo chiudere quel capitolo della mia vita per sempre e dimostrar
loro che ce l'avevo fatta anche da sola, senza il loro aiuto".
Mattheus
scosse la testa, sbuffando, evidentemente non troppo d'accordo con
quella sua scelta. "Tu non devi dimostrare niente a nessuno,
tanto meno a quelle persone. Ma se sentivi che era quello che dovevi
fare, hai fatto bene" – concluse, non troppo convinto.
"Era
quello che dovevo fare" – ribatté lei. "E...".
"E?".
Elke
alzò le spalle, fingendo noncuranza. "E forse hai ragione
tu,
non mi servirà a nulla essere passata da Tires ma... ho
visto mia
madre, ho pure parlato con lei e credo sia stata la prima volta nella
mia vita, ho visto le mie sorelle e ho scoperto che la più
piccola
forse non è nemmeno così malvagia come la
ricordavo... E... ho
scoperto che mio padre è morto".
Mattheus,
serio in viso, l'aveva ascoltata in silenzio senza ribattere.
Abbassò
lo sguardo a quella rivelazione, guardando distrattamente l'erba. "Mi
dispiace" – disse, semplicemente.
"A
me no, non importa".
Lo
stregone scosse la testa, le si avvicinò e la prese fra le
braccia,
stringendola a se. Le accarezzò piano la schiena e la
baciò sulla
tempia. "Non è vero che non ti importa".
Lei
non rispose. Affondò il viso contro la sua spalla e si
lasciò
cullare dalle sue braccia. Forse lui aveva ragione, non era
così
indifferente alla morte di suo padre come voleva far credere, ma di
certo sapeva che quella di Tires non era casa sua, che quella non era
la sua famiglia e che il suo posto nel mondo era a Pennes, accanto a
Mattheus Hansele. "Non ti ho mai detto il mio cognome".
"E'
vero" – asserì lui.
"Perché
sai, non avevo il coraggio di usarlo, una volta. E ora
perché non mi
importa più, l'unico cognome che voglio portare è
il tuo".
Mattheus
sorrise, baciandola sulla fronte. "E il mio cognome avrai! Ma
devo darti una cattiva notizia, mia cara".
"Quale?".
Lo
stregone ridacchiò con aria impertinente. "Al nostro
matrimonio, il prete lo vorrà sapere il tuo cognome di
Battesimo.
Temo proprio che non potrai fare a meno di dirglielo...".
Elke
sbuffò. Non ci aveva pensato! "E' necessario?".
"Certo
che lo è!" - rispose lui, divertito. Si allontanò
da lei, le
prese la mano e la incitò a seguirlo. "Ma non pensarci
troppo,
sarà una cosa veloce! Entro stasera sarai mia moglie e non
dovrai
usare quel cognome mai più, dopo oggi".
A
quelle parole Elke si immobilizzò, piantò i piedi
a terra e lo
guardò come se fosse stato completamente pazzo. "Sposarci
entro
stasera?".
"Certo!
Hai altri programmi?".
"No...
Ma...". Gli andò a fianco, squadrandolo in viso. "Mattheus,
ci vogliono due settimane per le pubblicazioni di matrimonio! Non ci
si sposa così, non abbiamo nemmeno le fedi! E i testimoni?".
Mattheus
scosse la testa, come sorpreso che lei non capisse che quei piccoli
intoppi potevano essere superati con un niente da lui. "Il
parroco di Pennes ha una paura enorme a contrariarmi, basta
minacciarlo e ci sposa pure senza pubblicazioni. Per quanto riguarda
le fedi, basta usare un tono perentorio con l'orafo del villaggio e
ti assicuro che ce le farebbe in un baleno... Per i testimoni, basta
rapire per strada i primi due che ci capitano sotto tiro. Ah,
dimenticavo... Vorrai un abito bianco, vero?".
Elke
lottò contro se stessa per non scoppiare a ridere. Non era
cambiato
per niente... Sapeva essere un uomo tenero e romantico ma sarebbe
rimasto sempre la canaglia che aveva conosciuto anni prima a una gara
di tiro con l'arco. "Non mi dire, minaccerai anche la sarta?".
Lo guardò storto, pizzicandogli la guancia. "Non voglio un
abito bianco, il bianco mi ha sempre portato sfortuna. Non mi
interessa il vestito da sposa".
Mattheus
sorrise, in maniera più dolce stavolta. "Beh, per quanto
possa
intendermi di queste cose, stai benissimo così come sei
adesso".
Elke
si guardò l'abito tirolese che aveva addosso e che le aveva
cucito
Helena prima che lei partisse da Bozen. "Grazie! Questo lo ha
fatto Helena per me. Diceva che una futura sposa doveva essere
graziosa e desiderabile per il suo futuro marito e ha insistito per
cucirmi dei vestiti nuovi, anche se le ho detto che a te queste cose
non sarebbero interessate".
Mattheus
si accigliò. "Chi ti dice che non mi interessino? Avere una
moglie carina ed elegante, che gli altri mi invidieranno, è
un'attrattiva allettante".
Quelle
parole la colpirono in un certo senso, perché erano la
dimostrazione
dolce, ma che faceva anche un po' paura, di quanto il loro rapporto
fosse cambiato irrimediabilmente da quando erano lei la sua allieva e
lui il suo maestro. Sospirò. "D'accordo, se dici che
è
possibile farlo, ci sposeremo oggi. Ma... Niente minacce! Se si
chiede con tono gentile si ottiene ugualmente, sai? E per i
testimoni, chiederemo a Falko e Drago, non voglio nessun altro".
Mattheus
si accigliò, non troppo felice circa l'ultimo punto del suo
discorso. "Falko e Drago?".
"Sì,
Falko e Drago".
La
baciò sulle labbra, un bacio lungo e profondo che le fece
mancare il
fiato. "Sai, io ti amo molto mia cara e ti desidero con uguale
intensità. Ed è per questo, SOLO per questo, che
ti concedo di
prendere quei due piccoli doppiogiochisti come nostri testimoni".
"Bene
Mattheus! Se siamo d'accordo, che si fa ora?".
Lo
stregone la prese per mano, attirandola a se. "Si va al
villaggio, no? Abbiamo un po' di cose da fare".
Elke
guardò il prato dove Mattheus, fino a poco prima, era stato
impegnato a lavorare. "Anche tu avevi da fare, qui".
"Visto
che a Bozen insistevi per essere ancora la mia assistente anche da
dopo sposati, credo che aspetterò di avere il tuo aiuto per
finire
quello che avevo iniziato oggi in questo posto". La attirò a
se, baciandola sulla labbra. "E ora su, andiamo".
Elke
tremò leggermente a quelle parole, deglutendo. "Andiamo..."
- rispose, con una strana paura unita e una infinita emozione per
quello che stavano per fare.
...
Mattheus
l'aveva trascinata fino al negozio del fornaio e Falko e Drago,
saputa la notizia, erano rimasti come due ebeti a fissarli per una
buona manciata di minuti. Erano increduli ed Elke non poteva dar loro
torto, il matrimonio suo e di Mattheus era quanto di meno probabile
potesse esistere al mondo. Uno come lui che si sposava?
Così, su due
piedi? Certo, loro non sapevano dei trascorsi a Bozen, di quanto
avessero lottato e sofferto per ritrovarsi e di quanto si fossero
amati la notte di Natale, non sapevano nulla e probabilmente il
matrimonio dello stregone più scostante e solitario della
Val
Sarentino doveva apparirgli come un'enorme follia. Ai loro occhi non
era da Mattheus fare una cosa simile e in fondo non poteva dargli
torto perché a parte lei, a nessuno lui aveva permesso di
farsi
conoscere davvero. Era come se, col mondo, recitasse sempre una parte
che ormai gli si era cucita addosso, modificando un po' il suo
carattere già di per se chiuso e capriccioso. Eppure,
nonostante
fosse una grandissima canaglia, era anche l'uomo più dolce e
sensibile che avesse mai conosciuto e anche a lei faceva senso
paragonare ciò che era nella loro intimità con
l'immagine di sé
che lui dava a tutti gli altri.
Aveva
dovuto tranquillizzare Falko e Drago dopo l'annuncio, e spiegar loro
che andava tutto bene, che Mattheus non l'aveva costretta con la
forza, che era una cosa che desideravano entrambi e che era stata una
scelta comune. Solo allora avevano accettato di far da testimoni,
seppur con riluttanza, bisbigliandole nell'orecchio se fosse sicura
di volersi legare per sempre a un uomo così impossibile.
Aveva
ridacchiato a quell'avvertimento che sapeva di vecchi tempi dove lei
e i nani non erano altro che i tre assistenti di Mattheus Hansele e
dovevano difendersi, facendo squadra comune, dai suoi scherzi e dalle
sue angherie.
Mattheus,
forse per amor suo o forse perché aveva fretta di concludere
la
cosa, finse di non vedere e non sentire ciò che i due nani
le
bisbigliavano e lei ne fu contenta.
Con
l'orafo filò tutto liscio, senza problemi. L'uomo, seppur
stupito,
non fece domande, tirò fuori tutti gli anelli d'oro del suo
campionario e Mattheus ed Elke ne scelsero due dalla finitura
semplice, liscia, senza grossi fronzoli. Le dimensioni non erano
propriamente perfette, soprattutto per Elke che aveva dita molto
lunghe e sottili, ma Mattheus con la sua magia adattò
l'anello
affinché fosse perfetto per la sua futura moglie.
Col
Sacerdote ci fu più da contrattare. Il vecchio parroco di
Pennes era
un uomo dalla mentalità chiusa, poco incline ad infrangere
le regole
e assolutamente in contrapposizione con la figura di Mattheus e su
quello che rappresentava. Non capiva la magia, non la comprendeva
neppure se usata a fin di bene e da sempre aveva guardato lo stregone
in cagnesco, rifiutandosi di avere a che fare con lui per capirlo
meglio. Di contro, Mattheus non si era mai sforzato troppo di farsi
conoscere e apprezzare e di fatto, per anni, i due avevano vissuto in
quel piccolo villaggio ignorandosi.
Per
il vecchio parroco, il matrimonio di Mattheus con la giovane Elke fu
un fulmine a ciel sereno. Ne rimase profondamente stupito ma subito
si ricompose, pronunciando un secco 'no'. "Mi spiace, ci
vogliono due settimane per le pubblicazioni. Il matrimonio è
un
vincolo sacro e ci si deve preparare a dovere, senza tralasciare
nulla".
"Avanti!"
- sbottò Mattheus – "Mi conoscete da una vita,
sapete che non
sono già sposato! E nemmeno Elke, ve lo posso garantire. A
che vi
servono le pubblicazioni? Ad accertare un qualcosa che conoscete
già?".
"E'
la prassi!" - tuonò il parroco.
"E
io me ne frego delle prassi, dovreste saperlo".
Elke
sospirò. Quei due avrebbero potuto andare avanti per ore a
litigare,
senza cavare un ragno dal buco. Si avvicinò loro,
separandoli e
cercando di riportare la calma nella piccola Chiesa, mentre Falko e
Drago, dietro di loro, osservavano interessati la scena, seduti sulle
panche. "Don Bertrand, so che la prassi prevede due settimane
per le pubblicazioni e so anche che ci tenete al fatto che tutto si
svolga secondo le regole. Ma né io né Mattheus
abbiamo mai seguito
troppo la prassi, sapete bene che la gente ci vede in modo diverso e
che abbiamo sempre agito di testa nostra, prendendoci le nostre
responsabilità nel nostro essere differenti dagli altri. E
lo faremo
anche ora, se dovessero esserci problemi ci prenderemo le nostre
responsabilità senza addossarvi nessuna colpa".
Guardò
Mattheus, accanto a lei, che la guardava con curiosità,
colpito dal
tono pacato della sua voce. "Io non sono sposata, sapete bene
che per una persona albina è piuttosto difficile trovare
marito. E
conoscete bene anche Mattheus, nemmeno lui ha mai avuto una moglie e
sapete che è testardo e vendicativo se non ottiene
ciò che vuole.
Chiudete un occhio, sposateci e permetteteci di iniziare a vivere la
nostra vita come una vera famiglia già da oggi. Aspettare
due
settimane non vi cambierebbe nulla ma per me e Mattheus farebbe
un'enorme differenza. Inoltre, se non ci sposate, credo che il mio
futuro marito potrebbe trasferirsi qui da voi per darvi il tormento
finché non cederete. Sapete che sarebbe capacissimo di farlo
e
sapete anche quanto potrebbe risultarvi insopportabile la cosa..."
- concluse, in tono sibillino.
Mattheus
incrociò le braccia al petto, annuendo, con un'espressione
resa
fiera dalle velate minacce della sua futura moglie. "Esattamente.
Come vostro capo villaggio, posso fare tutto quello che voglio nel
territorio di mia competenza".
Il
vecchio prete si asciugò il sudore dalla fronte con un
fazzoletto,
emettendo un lungo sospiro. "E così voi, VOI volete
sposarvi,
signor Hansele?" - chiese, scandendo bene parola per parola.
"Esattamente!".
"Siete
sicuro?"
"Certo".
Don
Bertrand osservò prima i due aspiranti sposi e poi i nani,
annuendo.
"Ebbene, così sia, se mi garantirete che poi ve ne andrete
da
qui. Ma..." - puntò il dito contro di loro –
"Questa
cosa resterà fra noi e noi soltanto. Non uscirà
da questa Chiesa,
intesi? E una volta che vi avrò sposati, non voglio vedervi
bighellonare attorno a questo posto, eccetto che per le sacre
funzioni domenicali a cui, mi auspico, parteciperete sempre con
gioia. Vi sposerò e andrete a casa vostra a fare... beh,
suppongo
che lo sappiate bene senza che ve lo spieghi" – concluse,
scrutandoli coi suoi piccoli occhi grigi e indagatori.
Elke
arrossì a quella frase, intuendo che il vecchio parroco
avesse
qualche sospetto circa il loro aspettare il matrimonio per iniziare
ad avere rapporti. Distolse lo sguardo da lui, osservando Mattheus.
Il suo futuro marito annuì, si voltò verso di lei
e le sorrise.
"Non
ci sono problemi allora, Elke! Sicura di non volerci ripensare?"
- le chiese.
Rispose
al sorriso, prendendogli la mano ed accorgendosi che tremava
lievemente. Se ne stupì un po' perché fino a quel
momento si era
comportato come al solito, da sbruffone e da canaglia. Ma aveva
paura, era emozionato e pieno di paure, proprio come lei... Non la
stava prendendo alla leggera e proprio questo le dava la sicurezza
che sarebbe andato tutto bene. "Nessun ripensamento,
sposiamoci".
E
alzando gli occhi al cielo, il vecchio e riluttante Don Bertrand
iniziò la cerimonia, un matrimonio veloce e senza troppi
fronzoli,
dichiarandoli marito e moglie pochi minuti dopo.
...
Il
cielo era tinto di rosa quando giunsero davanti alla porta della loro
baita. Dopo la cerimonia non si erano parlati molto, avevano salutato
Don Bertrand, Falko e Drago e si erano diretti a casa, mano nella
mano, assaporando quel tranquillo silenzio che sembrava cullarli
dolcemente, acquitando tutte le loro ansie e paure. La gente del
villaggio li aveva guardati con curiosità, ma nessuno aveva
fatto
commenti e domande e li avevano lasciati in pace.
Elke
pensò che in fondo sposarsi, dire quel fatidico
sì, era una cosa
facile. Ma sapeva anche che non lo sarebbe stato altrettanto
impegnarsi, giorno dopo giorno, per il resto delle loro vite, a
tenere fede alle promesse matrimoniali che si erano scambiati.
Amarsi, onorarsi, rispettarsi e prendersi cura l'uno dell'altra per
sempre... Non era una cosa da poco e si chiese, fugacemente, se anche
sua madre avesse avuto paura il giorno che aveva sposato suo padre.
Guardò Mattheus, suo marito... Era strano pensarlo in quella
veste,
pensare che ora erano una famiglia e lei era la moglie dello stregone
più egocentrico e potente che quelle montagne avessero mai
visto.
Lui dopo il matrimonio aveva perso la sua aria scherzosa e la sua
balzanda del pomeriggio e aveva assunto un'espressione più
seria e
matura, che tanto gli ricordava il Mattheus di Bozen, della notte di
Natale. "Va tutto bene?" - riuscì a chiedergli, infine.
Lui
annuì, sorridendole e accarezzandole una guancia. "Tutto
bene".
"A
cosa stai pensando?".
Mattheus
alzò le spalle con noncuranza. "A niente. O a tutto...".
"Hai
paura?".
"No,
non ho paura, sposarti è stata la decisione migliore della
mia vita
Elke. Ma ora che sei mia moglie mi rendo conto che dovrò
impegnarmi
davvero tanto per non essere troppo odioso con la donna che ho scelto
di avere accanto e... e per uno come me che non ha più una
famiglia
da tanto, sarà un po' complicato all'inizio. Temo che
commetterò un
po' di errori prima di imparare, abbi pazienza".
Elke
sorrise a quelle parole e a quelle paure tanto simili alle sue. Gli
si si parò davanti, appoggiandosi alla porta della baita.
"Credi
che io sia così esperta? Sono una moglie esattamente da
quando tu
sei un marito, abbiamo entrambi molto da imparare". Alzò lo
sguardo, ricordando quando era arrivata in quella casa per la prima
volta, selvaggia, con un arco e delle frecce sulle spalle e senza
conoscere nulla del mondo. Sembravano passati secoli da allora e
tante cose erano successe nella sua vita... "E' così
emozionante pensare che tornerò a vivere qui. Mi
è mancato questo
posto".
Mattheus
le si avvicinò, sfiorandole la vita e dandole un lungo bacio
sulle
labbra. "E tu sei mancata a me". La prese per mano, gliela
strinse forte nella sua e poi aprì l'uscio. "Su, entra".
Elke
ubbidì, accodandosi a lui, emozionata come lo era stata la
prima
volta. Era rimasto tutto uguale, il tavolo, il camino, i mobili, gli
oggetti di uso quotidiano e la scala che portava alla soffitta che
era stata la sua stanza. Sciolse la stretta della mano su Mattheus,
correndo al piano di sopra, desiderosa di vedere quel piccolo fienile
che era stata la prima vera camera da letto che avesse avuto nella
sua vita. Appena vi giunse, si lasciò cadere fra paglia e
fieno,
odorandone il profumo intenso che sapeva di casa, di vita e di
montagne. Vi affondò il viso, pensando a quanto le fosse
mancato
tutto questo mentre era a Bozen.
"Che
fai?" - chiese Mattheus, giunto alle sue spalle.
"Mi
è mancata questa stanza!" - rispose lei, con
sincerità. "Era
la mia preferita".
Mattheus
le si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lei. "Ma questa
non
sarà più la tua stanza".
Elke
si tirò su, mettendosi a sedere sulla paglia. "Lo so, ma mi
andava di venire per qualche minuto. Ti ricordi quando facevi
irruzione per costringermi a lavorare e per coinvolgermi in qualche
stramba avventura in montagna?".
Mattheus
si sedette accanto a lei, prendendo a giocare con la paglia. "Non
erano avventure strambe, per me era lavoro. E tu eri la mia
assistente".
"Già!
E voglio esserlo ancora".
"Lo
so. Ma ora sei pure mia moglie, far combaciare le cose sarà
complicato".
Elke
sorrise, prendendogli la mano. "No, non credo. Ti aiuterò,
come
una volta. Funzionavamo bene insieme, quando lavoravamo fianco a
fianco".
Mattheus
si buttò sulla paglia, mettendosi le mani dietro la nuca.
"Certo,
ma c'è un piccolo problema".
"Quale?".
Lo
stregone alzò le spalle. "Una volta non avevo costantemente
voglia, quando ti avevo vicino, di spogliarti e di portarti a
letto... Come la mettiamo?".
A
quelle parole, in parte scherzose ma sicuramente sincere, Elke
scoppiò a ridere. Gli sfiorò i riccioli rossi,
delicatamente, prima
di alzarsi in piedi e togliersi la paglia di dosso. "Mettiamola
così... Questa è la nostra notte di nozze e siamo
rimasti in questa
soffitta fin troppo" – disse, decisa ma con una punta di
nervosismo nel tono di voce. Lo desiderava intensamente dalla notte
di Natale di rivivere quei momenti con lui ancora con più
intensità
e desiderio e anche meno timidezza rispetto alla loro prima volta.
Mattheus,
a quella proposta, scattò in piedi. Le si
avvicinò, la prese per la
vita e la attirò a se, baciandola a lungo. "Non vedevo l'ora
che lo dicessi" – sussurrò, contro le sue labbra.
Le
accarezzò i capelli, togliendole il nastrino che teneva
legata la
piccola treccia a lato del capo, poi tornò a baciarla con
passione.
"E' diverso sai... Da Bozen intendo...".
"Forse
perché siamo sposati, ora...".
Mattheus
sorrise. "No, forse semplicemente perché siamo tornati a
casa.
A proposito, bentornata Elke".
"Grazie".
Lo abbracciò e poi si lasciò prendere fra le
braccia e portare in
camera da letto. Era stupita che facesse una cosa del genere,
Mattheus era un uomo dolce a suo modo ma di certo non amava le
romanticherie. "Non credevo l'avresti fatto" – disse,
mascherando una risata.
Lui
scosse la testa, stupito forse esso stesso. "E' la tradizione e
lo sai bene, io sono un tipo tradizionalista". Aprì la porta
della stanza e la strinse lievemente a se, prima di adagiarla sul
letto.
Si
guardarono per lunghi istanti negli occhi, desiderosi di stare
insieme e allo stesso tempo un po' spaventati da quella nuova vita
che si apprestavano a vivere insieme.
Elke
lo osservò. Era affascinante, alto, dal fisico tonico
derivato dal
suo duro lavoro, quasi selvaggio con quei riccioli rossi che gli
ricadevano sul viso e sulle spalle. Ed era il suo uomo, un uomo che
desiderava come nient'altro nella vita... Pregò in silenzio
di non
deluderlo mai, di essere sempre capace ad essere una buona moglie e
di saperlo rendere felice come lui aveva reso felice lei.
Allungò la
mano ad accarezzargli il mento, lo attirò a se e si fece
baciare,
prima di scivolare sulle lenzuola. "Mi sei mancato... QUESTO mi
è mancato...".
Le
mani di Mattheus le sfiorarono i fianchi, risalendo fino al seno e
poi alle spalle e al viso. "Anche a me questo è mancato! E
credo che non ti permetterò di alzarti da questo letto per
un bel
po'... Sarà una luna di miele lunga, uscirai da questa
stanza solo
quando avrai deciso dove vorrai andare per il viaggio di nozze".
Elke
rise mentre lui, dopo averle rivolto quelle parole, la baciava sul
collo. "Ma io so dove voglio andare e c'è una promessa che
tu
devi ancora mantenere! Portami nel tuo villaggio natale, in Val
Ridanna".
Mattheus
alzò gli occhi su di lei. "Ti accontenteresti della Val
Ridanna
per il tuo viaggio di nozze?". Era stupito.
Lei
sorrise, dolcemente. "Una volta mi hai detto che in Val Ridanna
ci sono le montagne più belle del mondo e io amo le
montagne! Voglio
vedere dove sei nato e cresciuto. Me lo avevi promesso".
Mattheus
annuì, baciandola dolcemente sulle labbra. "D'accordo, ti ci
porterò, abbiamo tutta l'estate davanti e uno splendido
cavallo che
ci permetterà di viaggiare velocemente. Ma prima...".
"Prima?".
Mattheus
si stese su di lei, accarezzandole le labbra con l'indice della mano.
"Prima ci sono un po' di cose che vorrei fare qui, se sei
d'accordo".
"Certo
che sono d'accordo" – sussurrò lei, prima di
catturare
nuovamente le labbra del marito.
Non
dissero più nulla per quella notte... Non c'era bisogno di
parole e
lasciarono che fossero i loro corpi a ritrovarsi, unirsi e fondersi,
dando inizio alla loro nuova vita.
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Capitolo 28 *** Capitolo ventotto ***
Questo
è l'ultimo capitolo del mio romanzo. Ne ho in mente un
secondo
volume, ambientato un anno dopo il matrimonio fra Mattheus ed Elke,
dalla trama più adulta e a tratti più cupa. Devo
ancora riordinare
le idee e spero che l'estate mi aiuti. Per il momento ringrazio chi
mi ha seguito in questa prima avventura di Mattheus, sperando che
anche il capitolo finale vi piaccia e che ci ritroveremo per la nuova
storia quanto prima.
Grazie
di cuore e buona lettura! :D
Era
sposato da due settimane e il matrimonio, istituzione che fino a un
anno prima gli era apparsa come la più terribile delle
prigioni, si
era rivelata la più dolce e appassionata avventura della sua
vita.
Stava
albeggiando e Pennes era avvolta dalla penombra e da un silenzio
tranquillo, interrotto solo dal cinguettare degli uccelli.
Mattheus
si stiracchiò, incrociando le braccia dietro la nuca,
pensieroso. Da
quattordici giorni, dal giorno della cerimonia, lui ed Elke erano
rintanati nella loro casa, lontani da tutto e tutti, a scoprirsi e a
scoprire le gioie del matrimonio. Liberi di amarsi, di girare per
casa svestiti e in preda alla più assoluta
libertà di fare e dire
qualsiasi cosa passasse loro per la mente, vivevano quei primi giorni
di matrimonio in maniera allegra, leggera, appassionata e tenera.
Abbassò lo sguardo su sua moglie che, completamente nuda,
dormiva
rannicchiata sul suo petto, baciandole lievemente la fronte. Era
bellissima con quei lunghi capelli color della neve sparsi sul
cuscino, col suo viso pulito e dai lineamenti ancora un po'
fanciulleschi e con quell'espressione serena e felice di chi
è in
pace col mondo.
Elke
era una giovane donna intelligente, forte, caparbia e dotata di un
grandissimo senso pratico, sempre col sorriso sulle labbra nonostante
la vita, tante volte, avesse tentato di cancellarglielo. Ne era
uscita indenne, divenendo forte, coraggiosa e altruista. Era la
compagna ideale per lui, abbastanza di carattere da saperlo
fronteggiare, dolce quel tanto che bastava a farlo sciogliere e
un'amante tenera ma allo stesso tempo appassionata. Sapeva tenergli
testa, dentro e fuori dalla camera da letto. E trovava la cosa
divertente e meravigliosa! Ne era innamorato e l'amore era una cosa
che, prima di lei, non aveva mai contemplato come possibile nella sua
vita. Silenziosamente, pregò di essere sempre un marito
degno di
questo nome, di saperla rendere felice e di essere capace di
prendersi cura di lei... Era il suo terrore deluderla, una delle sue
paure più grandi...
"Mattheus".
A quel
richiamo spalancò gli
occhi di colpo, guardandosi in giro. Era la voce di Jakob... Che
voleva a quell'ora del mattino, mentre si stava godendo la sua nuova
condizione di marito? Non era da Jakob disturbarlo o essere
inopportuno... "Sei qui... Cosa c'è?".
"Vieni
al lago di Valdurna, devo parlarti".
Mattheus
sorrise nella
semi-oscurità. Come al solito, Jakob non chiedeva. Jakob
comandava!
"Adesso?".
"Pensi
di riuscire a lasciare la tua giovane ed affascinante moglie per un
paio d'ore? Ti sei divertito abbastanza nelle ultime settimane, ma
ora devo parlarti di una cosa importante. Alzati e sbrigati".
Mattheus
sospirò. Era sempre
stato molto intuitivo e quell'invito, quell'ordine di andare al lago
senza un apparente motivo... "E se io non volessi sentirla,
questa cosa importante?".
"Verrai
lo stesso".
Lo stregone
alzò gli occhi al
cielo. "E... e lei?" - chiese stupidamente, guardando Elke
che, incurante di tutto, continuava a dormire placidamente.
"Verrai
da solo".
"Dammi
cinque minuti per
vestirmi, prendo il cavallo e farò in fretta" –
borbottò,
arrendendosi all'idea che non avrebbe potuto dirgli di no.
"Ti
aspetto la".
La voce di
Jakob svanì nella
sua testa, lasciandolo nuovamente solo coi suoi pensieri. Non aveva
voglia di andare al lago e di lasciare Elke, ma immaginava che prima
o poi sia lui che sua moglie avrebbero dovuto lasciare quel letto. La
scosse leggermente sulle spalle, baciandole la fronte. "Elke".
La ragazza
aprì gli occhi,
assonnata. "Mattheus... cosa c'è?" - chiese, strofinandosi
gli occhi.
Lo stregone
appoggiò la
fronte sulla sua. Non aveva voglia di uscire, tutto quello che voleva
era stare in quel letto a far l'amore con lei. Invece doveva andare
da Jakob a sentire un qualcosa che, il suo istinto gli gridava, non
gli sarebbe piaciuto per niente. La baciò sulle labbra e la
strinse
a se, sospirando. "Devo andare al lago di Valdurna, Jakob mi
deve parlare".
Elke si
tirò leggermente su,
appoggiando la guancia contro la mano. "Al lago di Valdurna a
quest'ora? Perché?".
"Non ne ho
idea, ma
suppongo che lo scoprirò presto. E che non mi
piacerà" –
rispose Mattheus, borbottando ed alzandosi.
Elke lo
fissò sospettosa.
"Credi che ci siano guai in vista?".
"No, non
guai. Ma... Ma
non lo so, forse sono solo sospettoso senza fondamento".
Elke fece
per ribattere ma
alla fine si morse il labbro, optando per il silenzio. E Mattheus si
rese conto in quel momento di quanto ormai lei lo conoscesse bene,
tanto da sapere come prenderlo, quando parlare e quando stare zitta.
In
realtà non era arrabbiato,
non con lei di certo. Ma era scocciato dall'arrivo di Jakob in quel
momento della sua vita così sereno, e avrebbe voluto
prolungare
ancora un po' la sua luna di miele con Elke. E se tanto gli dava
tanto, conoscendo Jakob, non sarebbe venuto a disturbarlo per delle
facezie di poco conto.
Osservò
Elke che si era
accasciata sul cuscino e gli venne un'idea grandiosa. L'estate era
appena iniziata ed era nel pieno del suo vigore e poteva essere una
buona idea cogliere l'occasione per tener fede a una antica promessa
che le aveva fatto. Questo avrebbe reso felice Elke ed avrebbe
rasserenato lui dopo l'incontro con Jakob. "Senti, quando ti va,
alzati da letto e vestiti. Al mio ritorno partiremo".
"Partiremo?".
Mattheus le
sorrise, si
sedette sul letto e le diede un bacio sulle labbra. "Viaggio di
nozze, luna di miele... Volevi andare in Val Ridanna, giusto? E ci
andremo, fatti trovare pronta al mio arrivo, non ci metterò
molto a
tornare, col cavallo".
A quella
proposta, Elke
spalancò gli occhi incredula, poi sorrise e infine lo
travolse con
un abbraccio. "Val Ridanna? Il tuo paese natale, Flading?
Davvero mi ci porti?".
Lo stregone
annuì, divertito
dal suo entusiasmo. "Certo, te l'avevo promesso e questo è
il
miglior momento per partire, le giornate sono calde e lunghe e per
almeno due mesi potremo stare lassù a goderci la nostra luna
di
miele. Prepara l'occorrente mentre sono via".
Elke
annuì, ma poi lo fissò
con una nota di preoccupazione nel viso. "Occorrente?".
"Beh
sì, una sacca da
viaggio con le cose che potrebbero tornarci utili. Un bagaglio".
"Mattheus?".
"Sì".
Elke
sbuffò. "Non ho mai
preparato un bagaglio per viaggiare, non ho mai avuto niente, io! Che
ci metto dentro?".
Mattheus
sospirò, alzando gli
occhi al soffitto. Santo cielo, a volte dimenticava quanto fossero
differenti lui e lei, per certi aspetti della vita... "Tesoro,
tutto quello che pensi che ci possa servire e che di solito usi a
casa. Non so, pensa a cosa hai usato nelle ultime settimane e pensa a
come sarebbe se non lo avessi con te. Cibo per il viaggio? Vestiti?".
Elke lo
guardò storto.
"Vestiti? Mattheus, se dovessi basarmi sugli ultimi quindici
giorni, ti faccio notare che non ne abbiamo praticamente avuti mai
addosso".
"Oh". Lo
stregone si
grattò il mento, quella conversazione stava diventando
surrueale. In
effetti, Elke non aveva torto e di fatto lui sperava che a Flading si
ripetesse la stessa cosa successa a Pennes in quelle ultime
settimane. "Hai ragione, probabilmente ci serviranno poco anche
in Val Ridanna. Prendi solo qualcosa per il viaggio e qualche abito
di cambio. Poca roba insomma. E del cibo".
"E l'acqua
del lago?"
- chiese Elke. "Qualche tuo compaesano magari potrebbe averne
bisogno".
Mattheus
sospirò. "D'accordo,
prendi qualche ampolla".
Elke
sorrise. "Non sembra
difficile".
Le
strizzò l'occhio. "No,
non lo è, ce la farai! Ci vediamo dopo" – rispose
lui,
mascherando un sorriso. Parlare con Elke aveva migliorato il suo
umore.
Le diede un
altro bacio, finì
di vestirsi e uscì a prendere il cavallo, partendo al
galoppo verso
il lago di Valdurna.
Galoppò
come un forsennato,
circondato dal maestoso paesaggio alpino che si risvegliava con le
prime luci dell'alba.
Quando
arrivò, trovò il lago
immerso nella quiete del mattino, le sue acque baciate dal sole e um
silenzio che sapeva trasmettere pace. Si stiracchiò,
ammirando le
meraviglie che madre natura aveva creato, ringraziando di essere nato
in un posto tanto bello. Poi si guardò in giro, in attesa...
"Sono
quì e mi hai buttato giù dal letto. Che
c'è?".
"Siediti!"
- disse la voce, col tono di un ordine.
Sospirando,
Mattheus ubbidì.
Lasciò il cavallo libero di passeggiare e si tolse gli
stivali,
mettendo a mollo i piedi nell'acqua del lago, poi si gettò
nell'erba
che profumava di fiori e d'estate. "Io non sono sicuro di
volerti stare ad ascoltare oggi, sai?".
"Perché
mi conosci e sai cosa devo dirti, Mattheus?".
Lo stregone
sospirò.
"Forse...".
Si
alzò un leggero
venticello, quando Jakob parlò di nuovo. "Non
credi che sia
giunto il momento di salutarci?".
Mattheus
guardò il cielo,
avvertendo un senso di mancanza. Era da tanto che temeva quel momento
che, sapeva, sarebbe arrivato prima o poi. Se lo aspettava... Ed era
doloroso ma era consapevole che fosse giusto così. Jakob era
rimasto
con lui oltre il lecito consentito, guidandolo come un padre e
prendendosi cura di lui attraverso il suo spirito nascosto nelle
acque del lago. Ma come tutti ambiva alla pace e se aveva deciso che
era il momento di andarsene e lasciarlo, significava che finalmente
lo considerava un vero uomo. "Credo sia un tuo diritto".
"E'
il momento giusto, non hai più bisogno di me e puoi condurre
da solo
la tua vita, ormai. Sei potente e non hai bisogno di questa acqua per
i tuoi incantesimi, sei un uomo sposato a una donna che ti ama e che
tu ami e sei il capo villaggio di Pennes, lavoro che svolgi
egregiamente. Hai un caratteraccio ma per quello c'è poco da
fare,
però hai una moglie che sa tenerlo a bada meglio di me. Sono
orgoglioso dell'uomo che sei diventato e sono felice che un po' del
merito sia anche mio. Sei il figlio che non ho mai avuto e sarai tale
per sempre. Ma ora è giusto che i vecchi lascino il posto ai
giovani
e che sia tu ora, a guidare qualcun altro".
Mattheus
sentì un nodo
stringergli la gola ma decise che non era da uomini commuoversi. Era
un momento importante per entrambi ed ognuno doveva seguire la sua
strada a testa alta e senza rimpianti. "Sei e sarai sempre il
mio secondo padre ed è giusto così, che tu vada.
Scusa se non so
fare grandi discorsi d'addio, lo sai bene che non sono mai stato
bravo in queste cose e quindi mi limiterò... Dirò
soltanto...
Grazie di tutto, non sarei quì, ora, se non fosse per te".
"Mattheus,
posso chiederti un favore?".
"Certo"
– rispose,
rendendosi conto che anche la voce di Jakob sembrava rotta.
"Il
giorno in cui sono morto, ho chiesto a Jutta di occuparsi di te. Ora
potresti fare altrettanto per lei?".
Lo stregone
sorrise, un
sorriso malinconico ma anche irriverente. "Jutta, la fatina
rompiscatole? Vedrò di sopportarla e sappi che mi stai
chiedendo un
grosso favore!".
Gli parve
di sentire Jakob
ridere, fra il frusciare del vento. "E' una promessa,
ricordalo".
"Lo
ricorderò".
E Jakob si
accomiatò da lui e
dal mondo. Si alzò un vento forte che scosse le fronde e
increspò
l'acqua, mentre stormi di rondini volavano in cielo e poi, di colpo,
tutto si calmò.
"Buona
fortuna
Mattheus Hansele, sii un uomo onesto e giusto. E cerca anche di
essere felice...".
Poi fu solo
silenzio. Rimase
steso nell'erba a lungo, con la mente annullata da ogni pensiero,
avvertendo in lui un briciolo di malinconia unito a un senso di
profonda pace. Pace per lui, forse, che ora davvero si trovava in un
posto dove i mali del mondo non potevano più preoccuparlo o
turbarlo...
Jakob se
n'era andato ed era
arrivato il momento di camminare da solo, di sbagliare e poi
rialzarsi capendo i propri limiti, di migliorarsi e poi di
risbagliare.
Si
alzò dopo infiniti minuti
in cui forse non aveva pensato a nulla, accettando che Jakob
finalmente se ne andasse in pace, prese il cavallo e decise che era
ora di tornare a casa. Voleva allontanarsi da lì
perché ora la
vista del lago di Valdurna aveva un sapore diverso che ancora gli
risultava amaro, nonostante tutto.
Poi si
riavviò verso il
bosco.
E lei era
lì, appoggiata a un
albero, nella sua versione umana, bellissima e coi lunghi capelli
biondi mossi dal vento. Non se ne stupì, lei sapeva che
sarebbe
successo prima di lui... Certi legami non avevano bisogno di
parole... "Jutta".
La fata non
disse nulla, si
avvicinò mentre il suo lungo abito azzurro frusciava nel
vento, e lo
abbracciò.
Rimasero in
silenzio, l'uno
nelle braccia dell'altro, a lungo. Mattheus affondò il viso
nel suo
collo e gli accarezzò i capelli, comprendendo che il suo
dolore era
poca cosa paragonato a quello della fata. Jutta non sentiva Jakob dal
giorno della sua morte, ma sapere che lui c'era era per lei una
consolazione. E ora quella consolazione era svanita. "Sai una
cosa?" - le sussurrò.
"Cosa?".
Mattheus
sorrise, suo
malgrado. "Lui ti amava... e quello che dovrà sopportarti
sarò
io. Il mondo è un posto davvero ingiusto".
Jutta
rispose al sorriso,
pizzicandogli la guancia. "Già, assolutamente ingiusto. A
proposito, non hai una moglie da cui tornare?".
Lo stregone
annuì, capendo
che si stava sforzando di apparire forte ma che voleva rimanere sola.
"Già. Ci rivedremo quì a settembre".
"Perché
settembre?".
"Vado in
Val Ridanna con
Elke per l'estate. Verrò quì a prendere l'acqua
al mio ritorno".
Jutta
guardò il lago
accigliata. "Ma la sua magia non c'è più".
"Lo so,
userò la mia.
Ormai sono affezionato a questo posto e veicolare i miei incantesimi
usando acqua da rivendere rimane comunque molto redditizio e comodo,
per me".
La fata
alzò gli occhi al
cielo. "Sei il solito, non cambierai mai!".
"Perché
dovrei farlo,
scusa?". Le strizzò l'occhio, le diede un bacio sulla fronte
e
poi la lasciò andare senza che nessuno dei due parlasse di
nuovo. E
dopo un'ultima occhiata a lei e al lago, salì in sella e si
diresse
verso Pennes.
Vi
arrivò che il sole era già
alto e caldo e il villaggio era pervaso dal profumo del pane appena
sfornato. Quando entrò in casa, Elke aveva già
chiuso le imposte e
preparato tutto l'occorrente per partire. Le sorrise. "E' strano
vederti vestita".
Elke
alzò le spalle. "Sembra
strano pure a me. Vuoi controllare cosa ho messo nella sacca da
viaggio? Non sono così sicura di averci messo tutto
l'occorrente".
Mattheus,
mollemente, chiuse
la porta e si sedette per terra, con la schiena poggiata alla parete.
Osservò quella casa, rendendosi conto che in pochi giorni
era
cambiato tutto nella sua vita. Lui, che una volta era stato un uomo
solitario e sfuggente, ora aveva una moglie... Lui, che aveva cercato
nell'oscurità delle acque di un lago di montagna una guida
per non
perdere la sua anima, ora era l'unico padrone della sua coscienza e
della sua vita...
Faceva
paura, a pensarci bene!
Non ci sarebbero stati più consigli da lì in poi
e adesso solo lui
poteva essere l'artefice del suo destino. E la donna che aveva
davanti, che lo amava per ciò che era e che amava anche i
suoi
difetti, gli aveva affidato la sua vita con fiducia. E lui la sua a
lei...
Adulti,
responsabili, liberi e
allo stesso tempo legati per sempre... Anche questo faceva paura...
Elke lo
fissò preoccupata,
poggiando la sacca ed inginocchiandosi davanti a lui. Aveva legato i
capelli in una lunga treccia ornata da nastrini colorati, come una
volta, indossava abiti tradizionali tirolesi ed era assolutamente
adorabile. "Mattheus, stai bene?".
Ciondolò
la testa, non
sapendo bene come risponderle. "Si. O forse no, non lo so".
"E'
successo qualcosa di
brutto al lago?".
Le prese la
mano, se la portò
alle labbra e la baciò. "Se n'è andato, Elke".
La ragazza
spalancò gli
occhi. "Andato? Chi, Jakob? Vuoi dire che...?". Impallidì,
dimostrando di aver capito perfettamente la situazione senza che lui
entrasse nei particolari. Gli accarezzò i capelli ramati,
dolcemente, senza dire una parola. E poi lo abbracciò, come
se
volesse proteggerlo dal dolore e condividerlo con lui. "Mi
dispiace" – disse solo, col volto affondato nel suo collo.
"Ma
in fondo immaginavo che sarebbe successo".
Mattheus
sorrise nonostante
tutto, accarezzandole la schiena. Era incredibile come loro due, pur
senza parlare, spesso condividessero gli stessi pensieri. "E'
così che succede, giusto? I vecchi lasciano il posto ai
giovani...
Io sono stato fortunato più di tutti gli altri ad avere
ancora Jacob
con me per tutto questo tempo, no? Avrei potuto restare completamente
solo, e invece lui è rimasto...".
"Avresti
avuto Jutta, non
saresti mai stato del tutto solo" – obiettò lei.
Mattheus
sospirò. "Sì,
avrei avuto Jutta. Ma non sarebbe stata la stessa cosa". Avrebbe
potuto chiudere la questione con una battuta irriverente sulla fata,
ma stranamente non ne aveva voglia. Avere avuto accanto Jutta, lo
sapeva, era stata una grande fortuna per lui e lei lo aveva guidato
come avrebbe fatto Jakob se fosse rimasto con lui in carne ed ossa.
Elke
sospirò. "Sai, io
forse non posso capire appieno come ti senti. Ma posso immaginarlo
perché pure io, nonostante tutto, quando ho saputo da mia
madre
della morte di mio padre, in un certo senso ne ho sofferto. Non so,
è
strano, lui non ha mai fatto nulla per me ma mi sono sentita un
pò
smarrita lo stesso. Forse è normale, forse succede sempre
quando si
perde una guida. O qualcuno che avrebbe dovuto esserlo...".
"Credo che
sia così, che
tu abbia ragione". La baciò sulla fronte, rendendosi conto
che
in fondo lui non aveva molto di cui lamentarsi. Non con Elke, almeno!
Lei era sempre stata sola ed era diventata una persona splendida lo
stesso. Si chiese se sarebbe stato capace di fare lo stesso, se
sarebbe riuscito a non perdersi e a essere forte quanto lei. "Sai
qual'è la mia più grande paura, ora?".
"Quale?".
"Non avere
più nessuno
che mi consigli per il giusto. E sbagliare. E, sbagliando, ho solo
paura di deludere te. Non posso escludere che un giorno tu non possa
pentirti di avermi sposato". Ecco, lo aveva detto... In tanti lo
ritenevano un pessimo soggetto e forse pure Elke lo aveva creduto a
lungo. Ma ora no, ora lo amava e aveva il terrore di distruggere
tutto col suo pessimo carattere. Aveva paura di non essere un uomo
all'altezza della sua donna. Elke era meno istruita di lui forse, ma
aveva un'animo e un cuore enormi, era intelligente e acuta, pungente
e sarcastica quando serviva. Anche senza di lui avrebbe potuto andare
lontano, se n'era accorta pure quella stolta suora, a Bozen...
"Vorrei solo avere la certezza che sarai sempre fiera di me e
questa certezza non può darmela nessuno".
Elke
sorrise, baciandolo
lievemente sulle labbra. "Lo sono e lo sarò, Mattheus. E'
una
delle poche certezze che ho". Si sedette fra le sue braccia e
lui la strinse a se. "Perché se n'è andato?
Perché ora?".
Lui
sospirò. "Beh, Jakob
ha semplicemente deciso che ora posso andare avanti da solo. Ho
pensato che, oltre al dolore, dovessi sentirmi fiero di questa sua
decisione. Non ho protestato, sai?".
"Davvero?".
"Davvero!
E' giusto così,
Elke. E' arrivato il momento di non essere più figlio e di
diventare
uomo".
Elke
sorrise, alzando lo
sguardo su di lui. "Credo che tu lo sia già da un bel pezzo".
Non era
molto d'accordo con
lei. "Dici? Eppure mi sembra di avere ancora così tanto da
imparare".
Sua moglie
annuì, appoggiando
la testa contro la sua spalla. "Penso che non si finisca mai di
imparare, Mattheus. Me lo hai insegnato tu forse, alcuni anni fa,
quando ero la tua assistente".
Lo stregone
sorrise,
affondando il viso fra i suoi capelli. "Hai una buona memoria e
sei saggia. Devo perfezionarmi come marito, ne abbiamo da imparare
noi due, su questa cosa chiamata matrimonio".
Elke si
tirò su, sedendosi
davanti a lui sul pavimento e scrutandolo in viso. "Fin'ora non
ce la siamo cavata poi tanto male".
Mattheus
ricambiò lo sguardo
d'intesa di sua moglie, uno sguardo che si erano scambiati spesso in
quelle ultime settimane. C'era complicità fra loro, malizia
e una
conoscenza ormai molto profonda. "Siamo stati a letto due
settimane ed è stato grandioso. Ma il matrimonio non
è solo quello,
c'è dell'altro e non posso garantirti che sia una cosa
semplice".
"Lo so"
– rispose
lei, sospirando. "Il bello viene ora, giusto".
"Già!".
Mattheus si
tirò su, prendendole la mano ed obbligandola a fare
altrettanto.
"Tipo affrontare il nostro viaggio di nozze con la sacca che hai
preparato tu".
"Controllala!"
- lo
implorò lei.
"Neanche
morto! Non
vorrai negarmi il piacere di borbottare quando ci troveremo senza
abiti, cibo o soldi a dormire all'addiaccio in alta montagna
perché
tu hai lasciato a casa l'indispensabile".
Elke lo
guardò storto.
"Mattheus!".
Le si
avvicinò, prendendola
per la vita e baciandola a lungo sulle labbra. "Hai sposato un
uomo complicato e difficile, devi abituarti a questa cosa!".
Lei
sbuffò. "Sei
impossibile! Dai, controlla la sacca".
"Non lo
farei nemmeno se
tu mi pagassi, pensa un pò!".
"Mattheus!".
Ah, non
l'avrebbe ascoltata
per nessuna ragione al mondo. Era sinceramente divertito in quel
momento, per la prima volta nella giornata. E in fondo parlare con
lei lo aveva fatto sentire amato e al sicuro. Elke era la sua
famiglia, la sua casa, il suo rifugio... E tutto ciò che
condividevano faceva di loro due un nuovo inizio, un inizio adulto
dove sarebbero stati i perfetti artefici del loro destino.
Faceva
paura, ma era allo
stesso tempo emozionante. Le strinse la mano, prese la sacca e
aprì
la porta. Jakob faceva parte di un passato che avrebbe sempre
albergato nel suo cuore ma ora era arrivato il momento di guardare
avanti, con la donna che si era scelto come compagna. "Partiamo?
La Val Ridanna è lontana".
Elke
annuì, sorridendo. "Sì,
partiamo Mattheus!".
E
partirono, a cavallo...
Iniziando una nuova fase della loro vita.
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