I pesci non parlano, ma le sirene cantano

di Tota22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Time Of Your Life ***
Capitolo 3: *** Morning Glory ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo



Alice Rossi smise di parlare il 13 giugno 1995, all'età di tredici anni.

Non le successe nulla di traumatico. Non le accadde nessuna esperienza sconvolgente che la spinse a non pronunciare più parola. Non aveva nemmeno subito un incidente che le avesse impedito fisicamente di usare le corde vocali.

Alice aveva proprio deciso di non parlare più. 

Ricordava perfettamente la mattina del 13 giugno, quando appena sveglia quest'idea si era insinuata nella sua testa come il vento freddo che d'inverno filtra dalle imposte chiuse. Era martedì, non c'era scuola e la casa era immersa nel silenzio sonnecchiante tipico dell'estate.

Il letto di sua sorella Selvaggia era vuoto, dalla cucina non arrivava il tintinnio di tazze e cucchiaini, la radio dei vicini era spenta. Forse erano già usciti tutti.

L'assenza di suoni riempì Alice di una strana sensazione di disagio e pace. 

A quel punto si chiese cosa sarebbe successo se avesse smesso di parlare. Sarebbe cambiato qualcosa? Qualcuno se ne sarebbe accorto? Ben presto quello che era iniziato come un gioco era diventato realtà.

Alice era di per sé una ragazza silenziosa e meditativa, non amava stare al centro dell'attenzione ed esprimeva le sue opinioni con pacatezza e di rado.   

Forse fu anche per questo che la sua famiglia ci mise ben nove giorni a capire che Alice era diventata muta.

Sua madre poi era presa dal lavoro, sua sorella dalla normale vita di un'adolescente in vacanza, tra uscite e sospiri al pensiero del sorriso del cantante di turno, suo padre era già da un mese in un'altra casa con un'altra donna.

Una volta compresa la situazione Luisa, la madre di Alice, aveva attraversato diverse fasi: incredulità, rabbia, frustrazione, per arrivare all'accettazione per sfinimento. Selvaggia invece liquidò la cosa come un capriccio da bambini per attirare l'attenzione e assicurò che ben presto Alice si sarebbe stufata e avrebbe ripreso a parlare.

Invece da quel giorno erano passati più di tre anni e Alice era rimasta muta come un pesce.

Era contenta così. Ormai per lei parlare era diventato inutile, dal momento che non c'era mai stato nessuno  a parer suo che l'avesse ascoltata veramente, anche quando usava la voce.

Non era mai stata brava con le parole quanto con gli sguardi e i gesti. Era diventata un'esperta di comunicazione non verbale e all'occorrenza aveva sempre in tasca un quadernino e una matita.

Nonostante la sua eloquenza in fatto di occhiatacce e scuotimenti di testa, Alice non era riuscita a convincere sua madre a lasciarla a casa a Milano per le vacanze estive. 

Selvaggia, Luisa ed Alice erano già da otto ore in viaggio in un'angusta cuccetta di un  treno intercity notturno, Milano centrale-Reggio Calabria.

La famiglia avrebbe passato tre settimane in un delizioso paesino sullo Ionio: natura spettacolare, sole, mare, buon cibo e relax... che per Alice e soprattutto per Selvaggia erano sinonimo di noia mortale.

Selvaggia aveva protestato ancora più ferocemente di Alice all'idea di quella vacanza. Per una volta le due sorelle, che di solito erano sempre pronte a saltare alla gola l'una dell'altra, avevano fatto fronte comune per convincere la madre a lasciarle a Milano.

Luisa però era stata intransigente e aveva contrattaccato con la scusa che finché fossero state minorenni avrebbero fatto quello che diceva lei, punto e basta. Questa affermazione aveva fatto infuriare ancora di più Selvaggia, che avrebbe compiuto diciotto anni il 29 agosto, proprio il giorno in cui era previsto il ritorno a Milano.  

Alla fine le due ragazze si erano viste costrette a fare le valige e partire, il 25 luglio 1998.

Nello scompartimento faceva un caldo micidiale.

La cuccetta era in pratica uno spazio di pochi metri quadri in cui erano infilati una coppia di letti a castello e poco più che fosse utile per un viaggio notturno in treno. I bagni erano in fondo alla carrozza e dopo averli visti Alice decise di bere il meno possibile per evitare di doverci andare.

Alla partenza Luisa si posizionò in un letto di sotto mentre Selvaggia, da solita prepotente, aveva occupato il letto di sopra. Dato che nell'altro letto sopraelevato c'era una signora sconosciuta che divideva con loro la cuccetta  e che in tempo zero si era già addormentata,  Alice si dovette accontentare del letto di sotto rimanente.

Si stese sulle lenzuola bianche con impresso sopra il simbolo delle ferrovie, che al tatto ricordavano il cartoncino e che avevano un odore misto di detergente e polvere. Per coprire la musica assordante che proveniva dalle cuffie di sua sorella maggiore, probabilmente qualcosa del festivalbar compilation rossa, Alice tirò fuori il vecchio walkman che le aveva regalato suo cugino Fabrizio e mise le cuffie. La voce di Morrissey degli Smiths, calda e nostalgica, l'avvolse come una coperta e Alice si addormentò davanti al finestrino: l'ultima immagine prima di sprofondare nel sonno fu una costellazione di luci nel buio appartenenti ad una città e nelle orecchie le note di There is a light that never goes out.

 

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Capitolo 2
*** Time Of Your Life ***


Good Riddance (Time Of Your Life) - Green Day


All'una del pomeriggio, quando Alice, Luisa e Selvaggia scesero dal treno, il caldo era soffocante. La stazione era piccola e caotica, anche se non molto affollata.

Camminando sul binario Alice sentiva il sudore scorrerle lungo la schiena. Uscirono tutte e tre fuori sulla piazza stretta antistante la stazione: era contornata da macchine in doppia fila i cui proprietari aspettavano fuori dall'abitacolo viaggiatori in arrivo. Ciò che colpì la ragazza silenziosa fu il rumore di voci concitate, alcune stridule alcune profonde, una fusione di suoni così diversa da quella che era abituata a sentire nella propria città. Sembrava di essere in un paese estraneo in cui si parlava una lingua aliena.

Mentre lei osservava con interesse la piazza, abbagliata dalla luce dorata del primo pomeriggio, Selvaggia e Luisa stavano litigando. Il piano originale era trovare un autobus per raggiungere Monteaureo, il paese dove Luisa aveva trovato la loro casa per le vacanze. Tuttavia dopo aver chiesto informazioni in biglietteria e aver constatato di dover cambiare due treni e un  autobus Selvaggia aveva dato di matto. Le quattordici ore di treno erano state pesanti per tutte e tre così Luisa cedette e chiamò un Taxi.

Il viaggio in macchina fu confortevole: c'era l'aria condizionata e il tassista, Pietro, un uomo sulla quarantina grande come un armadio e col viso comicamente dolce per la sua stazza, le aveva intrattenute in chiacchiere, divertendole con il suo accento marcato.

Il paesaggio dal finestrino era incantevole e inquietante allo stesso tempo. I colori della terra erano giallo, arancio bruciato e marrone; le colline che incorniciavano la strada erano brulle, ma allo stesso tempo vive e punteggiate di case. Alla fine, dietro l'ennesima curva, apparve il mare: piatto come una tavola e di un blu così intenso che Alice ne fu sconvolta.
 

Dopo appena un'ora di viaggio, Pietro accostò la macchina all'imboccatura di un vicolo dissestato, così stretto che il taxi non ci passava. La loro casa era in fondo alla viuzza così il tassista, dopo averle aiutate a portare le valige fin davanti al cancello, le salutò e ripartì.

Ad aspettarle nel cortile oltre il cancello c'era la signora Antonietta, la proprietaria.

L'appartamento prenotato da Luisa era all'ultimo piano di una palazzina bassa, circondata da altri tre edifici simili che affacciavano tutti sullo stesso cortile. Al centro del piazzale di cemento vivo, in un fazzoletto di terra, stava un albero d'ulivo. L'esterno delle case era color menta, anche se un po' sbiadito, ed ogni piano era provvisto di balconi dalle ringhiere bianche.

La signora Antonietta venne incontro a Luisa e alle sue figlie con passo deciso, nonostante l'età avanzata. Era molto bassa e rotonda, i suoi capelli d'argento erano stretti in una crocchia. Il viso severo e rugoso, macchiato dal sole, era illuminato da un paio d'occhi grigi molto vispi.
 

- Arrivastuvu finalmente! Veniti alu frescu, aju preparatu nu pocu d'orzata -.
 

Quando Alice fece per prendere il borsone e portarlo dentro, la Signora Antonietta glielo tolse di mano con una presa ferrea.
 

- Non vi preoccupati signorine, ve li porta mio nipote i bagagli. Federicoo, veni cc'a! -

Poco dopo tutte e tre erano sedute al fresco, nella cucina di Antonietta che abitava al pian terreno, con in mano un bicchiere gelato bevanda alle mandorle. Alice non l'aveva mai assaggiata e se ne innamorò all'istante.
 

Dopo tre bicchieri di orzata accompagnati da biscotti fatti in casa, ciambellone e gelato, la signora Antonietta le accompagnò al loro appartamento: la mansarda al terzo piano. Man mano che salivano per le scale -non c'era l'ascensore- la temperatura saliva. Già Selvaggia si stava lamnetando che sarebbero morte di caldo e la notte non avrebbero dormito.

Arrivate in cima, la porta dell'appartamento era già aperta e quasi tutte le loro valigie nell'ingresso. La casa era piccola, pulita e ordinata: l'ingresso si allungava in un corridoio stretto e luminoso. Subito sulla destra c'era la cucina, dal pavimento di cotto e con i mobili in legno scuro. La porta successiva dava sul soggiorno che era stato convertito in camera da letto per Alice e Selvaggia. Invece sulla sinistra del corridoio c'era il bagno e la stanza di Luisa.
 

Selvaggia si fiondò in soggiorno e scelse il divano letto vicino alla finestra, così che alla sorella minore toccò la brandina contro il muro. Mentre la signora Antonietta spiegava le ultime cose riguardo alla casa a loro madre, anche se c'era qualche difficoltà di comprensione, li raggiunse il nipote Federico. Alice era vicino alla porta quando arrivò, con in spalla il suo borsone azzurro e in mano la valigia a fiori di Selvaggia.

Non aveva più di diciotto anni, era alto qualche centimetro in più di lei, che sfiorava il metro e 75, aveva delle belle spalle ampie e la carnagione abbronzata. I capelli scuri e mossi gli arrivavano al mento e le ciocche davanti gli coprivano gli occhi. La cosa che la colpì furono proprio gli occhi scuri di lui, leggermente tondi, che gli davano un'aria trasognata.
 

Federico appoggiò i bagagli pesanti a terra e la salutò con un gesto della mano, mentre la ragazza rimase immobile come una statua e si limitò a fissarlo imbambolata. Lui la guardò a metà fra l'incuriosito e l'annoiato, finché la sua attenzione non fu catturata da Selvaggia, che ondeggiando i fianchi e scuotendo la sua chioma color caramello, era tornata in corridoio.
 

- Ciao -

La voce del ragazzo era profonda e pacata, come un rintocco di una campana lontana.
 

- Ciao! Tu devi essere Federico, piacere Selvaggia!-

La frase di presentazione fu accompagnata dalle mani di Selvaggia sulle spalle del nuovo arrivato e due baci sulle guance. Il ragazzo rimase un po' interdetto dal saluto caloroso, ma dal mezzo sorriso che Alice notò sulle labbra capì che aveva apprezzato l'espansività di sua sorella.

E chi non l'avrebbe fatto, Selvaggia era una meraviglia: era un po' più bassa della sorella, le linee del suo corpo ricalcavano quelle di una clessidra, esaltate dalla corta gonna bianca e il top con scollo a barca. Nonostante le occhiaie e la stanchezza per il lungo viaggio la bellezza della ragazza non si era sbiadita.

Lo sguardo di Federico poi si posò brevemente sulla ragazza più giovane, come se aspettasse che dicesse qualcosa anche lei.
 

- Lei è Alice mia sorella, non preoccuparti se non ti risponde non ce l'ha con te... ha fatto voto di silenzio e da tre anni non spiccica parola. -
 

Alice fulminò la sorella maggiore con lo sguardo, ma Selvaggia la ignorò e si mise a chiacchierare con il vicino di casa. Il ragazzo non era molto loquace: si limitava a rispondere a monosillabi, o con frasi brevi, alle domande di Selvaggia che dopo un po' si stufò e tornò in camera sua portandosi dietro l'enorme valigia.

Poco dopo anche la signora Antonietta se ne andò portandosi dietro il nipote, raccomandandosi di passare verso sera da loro. La signora aveva preparato qualcosa per loro da mangiare a cena, dal momento che non avrebbero fatto in tempo a fare la spesa. Luisa fu molto colpita dalla gentilezza della proprietaria e promise di mandare una delle sue figlie più tardi.

Selvaggia intanto stava sistemando le sue cose per la stanza, occupando più spazio possibile e anche Luisa, che era stanca si ritirò in camera sua.
 

Alice invece che non aveva voglia di passare il pomeriggio a casa  così scrisse un biglietto, per avvisare la madre che usciva, e lo attaccò sulla porta.

Erano le quattro e faceva ancora caldo, la ragazza percorse il vicolo e attraversò la strada, solo altri cento metri la separavano dalla spiaggia libera.

Tolse le scarpe e i calzini affondando le dita nella sabbia bollente. La spiaggia scendeva dolcemente verso il mare e man mano che ci si avvicinava all'acqua la sabbia farinosa lasciava il posto a ciottoli tondi bianchi, neri e grigi.

Alice avrebbe presto imparato che la spiaggia rimaneva deserta fino alle cinque del pomeriggio, a causa del caldo e della pennichella pomeridiana osservata religiosamente da tutti gli abitanti del luogo.

Tuttavia quel pomeriggio rimase esterrefatta dalla solitudine del luogo. A parte qualche sparuto bagnante la spiaggia era solitaria e silenziosa, si sentiva in lontananza soltanto la radio accesa in qualche lido più in giù.

Si sedette sulla riva con i piedi nell'acqua fresca e perfettamente trasparente. Non aveva mai visto un mare così limpido. Era stata in Liguria e in Emilia Romagna e anche nelle giornate più belle l'acqua del mare era sempre un po' torbida, a causa della sabbia fine che spiraleggiava in volute dorate sotto la superficie. Lì invece l'acqua era una grande lente che permetteva di vedere il fondale azzurro. Presa da una strana smania si alzò e abbandonate le scarpe e il walkman sulla riva, iniziò ad avanzare nei flutti calmi.
 

Non aveva fatto nemmeno tre passi e già l'acqua le arrivava alla vita. Lì il mare era profondissimo e in un attimo già non toccava più.

La ragazza si tuffò sott'acqua e aprì gli occhi. La luce del sole filtrava attraverso la superficie, in lame bianche che trafiggevano l'azzurro, le pietre chiare sul fondale luccicavano come perle e pesci neri e piccoli le circondavano le caviglie. Desiderò di poter rimanere per sempre lì, in un mondo azzurro sia sopra che sotto, nel silenzio ovattato dell'acqua salata. Il suo stesso nome, Alice, non era quello di un pesce? Lei stessa non era silenziosa come una creatura marina? Quando sentì che i polmoni stavano per scoppiare, la ragazza riaffiorò in superficie. Si mise a galleggiare a pancia in sù, con i vestiti pesanti e gonfi d'acqua che la tenevano ancorata, e rimase immobile per molti minuti a respirare la salsedine e a fondersi con il mare.
 

Quando quasi un'ora dopo uscì dall'acqua le scarpe e il walkman erano spariti.



N/A
Ciao a tutti! Grazie per aver letto ed essere arrivati fino a qui. I titoli dei capitoli saranno sempre delle canzoni, pubblicate prima o nel periodo nel quale è ambientata la storia (fine anni 90). Se avete impressioni o suggerimenti o una canzone preferita del periodo che mi volete consigliare sarei felicissima di leggerli! A presto!
T

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Capitolo 3
*** Morning Glory ***


Morning Glory- Oasis



Alice camminava fradicia e scalza lungo il vicolo stretto che portava a casa; l'asfalto rovinato le graffiava i piedi, ma non sentiva dolore, era troppo concentrata sulla perdita del suo bene più prezioso: il walkman.

L'oggetto conteneva anche la compilation frutto di un lungo e divertente pomeriggio di ricerca musicale,  passata insieme a suo cugino Fabrizio.  Avevano scavato fino a trovare la musica che entrambi adoravano e pezzo per pezzo avevano riempito il nastro della cassetta fino a che non c'era stato più posto.  Era un bellissimo regalo, un simbolo di affetto e tenerezza, un ricordo tangibile di un momento di gioia.

La musica era tutto per Alice: la riempiva di emozioni vivide e pure, l'appagava come niente altro.  Era il veicolo per esternare quello che sentiva:  prendeva in prestito la melodia e le parole e le faceva proprie, le custodiva gelosamente nella memoria e diventavano una sorta di mantra, di preghiera. Le cuffiette poi permettevano  di tagliare fuori i rumori del mondo, sostituendoli con altri più graditi e familiari.

In quel momento, senza il suo amuleto per affrontare la realtà, si sentiva nuda.

Nonostante avesse cercato in lungo e in largo sulla battigia e avesse perlustrato ogni centimetro di sabbia dalla riva alla strada, era chiaro che il suo tesoro era smarrito per sempre.

La realizzazione della perdita si abbatté su di lei come una sciagura cosmica.

Una cappa di tristezza e rabbia calò su di lei, tanto che le venne quasi  voglia di urlare. Si sentiva così stupida.

Arrivata al portone salì le tre rampe di scale che la separavano dall'appartamento: non vedeva l'ora di farsi una doccia e scrollare di dosso il malumore.
Una volta davanti alla porta abbassò la maniglia per entrare, ma la trovò chiusa.
Bussò una volta, poi di nuovo con insistenza, nessuno rispose.
Forse sua madre e sua sorella erano uscite e non avevano notato il biglietto.

Alice sapeva cosa doveva fare: andare dalla signora Antonietta e farsi dare il doppione delle chiavi. L'idea però la riempiva di paura e di un senso di disagio che le prendeva lo stomaco e le attorcigliava le budella.
Avrebbe dovuto comunicare senza parlare, il che era una sua scelta, certo, ma la agitava; inoltre detestava con tutto il suo essere chiedere aiuto.
Le regole non scritte che governavano la sua vita erano: cavatela sempre da sola, non chiedere nulla che non sia necessario, non disturbare nessuno.
Consciamente sapeva che chiedere le chiavi  alla vicina non era un crimine contro lo stato, ma una paura irrazionale e la sua naturale ritrosia la portarono a scartare l'idea.

Percorse allora le rampe all'indietro, tornò nel cortile e si appoggiò all'albero d'ulivo che stava in mezzo per prendere un po' d'ombra. Dei rametti bassi che spuntavano dal tronco nodoso le solleticarono la nuca facendole piegare la testa verso l'altro; fu in quel momento che notò, attraverso le fronde argentee dell'ulivo, delle scale.
Erano delle scale esterne al palazzo, in muratura bianca che portavano sul tetto.
Non avendo nulla da fare se non aspettare che la sua famiglia tornasse, Alice decise di andare in esplorazione: al massimo avrebbe preso un po' di sole sul tetto per asciugarsi.

Scavalcò allora il cancelletto basso di accesso alle scale e salendo arrivò fino a un piccolo terrazzo.
Era squadrato e quasi interamente occupato da bucato steso al sole appeso a lunghe funi.
Lenzuola colorate, tovaglie, biancheria e costumi erano tutti appesi ordinatamente; ondeggiavano mossi dalla brezza che veniva dal mare.
Alice sfiorò con le dita un lungo telo a fiori, sentendo l'odore fresco del bucato appena fatto e l'aria secca, calda e pulita accarezzarle la pelle ormai quasi asciutta.
Muovendosi lungo il bordo del terrazzo notò che poco più sotto c'era il balcone del suo appartamento, rimasto aperto. La distanza tra terrazzo e balcone non era molta, in verticale, probabilmente poco meno di due metri, inoltre il tetto era leggermente spiovente e non ripido.

Un'idea un po' folle balenò in testa alla ragazza: scivolando con cautela lungo il tetto avrebbe potuto calarsi sul balcone ed entrare in casa senza problemi.
Soprattutto avrebbe potuto spaventare a morte Selvaggia, uno dei suoi passatempi preferiti ultimamente. A volte, silenziosa come un gatto, le si appostava alle spalle fino a che sua sorella non si accorgeva di lei, facendo un salto di tre metri e urlandole insulti e maledizioni. Alice pensò allo spasso di apparire in soggiorno, quando sua madre e sua sorella sarebbero rientrate convinte che non ci fosse nessuno in casa. Una piccola vendetta per averla lasciata fuori.

Nella mente della ragazza questa soluzione, nonostante fosse decisamente illogica e potenzialmente pericolosa, sembrò efficace.
Scavalcò il muretto di protezione del terrazzo preparandosi alla discesa.
La punta delle dita dei piedi stavano già toccando le tegole rossicce del tetto quando si sentì afferrare per un braccio e prendere di peso.

- Ca'si paccia! Che fai ti butti?! -

Alice per riflesso si aggrappò al collo di chi l'aveva acchiappata e girò la testa di scatto trovandosi faccia a faccia con un ragazzo che la guardava preoccupato.
Ripresasi dalla sorpresa scosse la testa e si agitò finché lui non la lascio andare. 
Si squadrarono a vicenda sospettosi e ancora scossi. 

Gli occhi scuri di lui erano dilatati dallo spavento e continuava a passarsi la mano tra i capelli cortissimi e scuri.
I due furono raggiunti pochi secondi dopo da Federico che avendo sentito delle urla era salito a controllare.

- Danié chi succediu? Perché urli?-

- Ho fermato sta uagliuna, si volia ammazzare! Stavo a prendere il sole qua, l'ho vista scavalcare il muro e l'ho fermata prima ca si iettava e sutta!-

Federico sembrò accorgersi di lei in quel momento e si avvicinò di qualche passo, agitato.

- Stai bene? davvero stav...-

Alice prese a muovere le mani freneticamente, era tutto un malinteso! Si sentì molto in imbarazzo per averlo causato. 

- Stai calma, non ti agitare! -  le disse Federico che era tutt'altro che calmo.

-Ammutasti, pecchì non parli?- continuò l'altro ragazzo.

- Daniè... è muta -

- Scusa, chi sapia eu!?-

Alla fine la ragazza riuscì a a farsi capire:  mimò l'azione di aprire una porta con la chiave e fece spaventare di nuovo tutti quando si avvicinò al bordo per spiegare il suo piano di discesa in casa propria.
I due ragazzi si guadarono negli occhi, poi guardarono Alice ed urlarono assieme un "Aaaaaaaaaaaaaaaah!"

- Mannaja a tè! Volevi solo fare Diabolik, mi facisti perdira dieci anni di vita! -  disse il ragazzo dai capelli corti dandole una sonora pacca sulla spalla; lo spavento aveva lasciato il posto al sorriso e i tre ragazzi si ritrovarono a  ridere di cuore, un po' per il sollievo un po' per l'assurdità della situazione.

-Però capiscimi guagliò! Ti ho vista scalza, bagnata uno straccio, subito ho pensato male... che c'avevi brutte intenzioni...- continuò, per poi inspirare, tirare il petto in fuori e fare un ampio movimento del dicendo:

- Già vedevo la mia foto sul giornale e il titolo in prima pagina: "Daniele Russo, l'eroe che salva una ragazza da un destino infame" -
Mentre l'amico continuava il suo monologo, Federico la guardò confuso, con quei suoi occhi scuri e tondi, e le fece la domanda più naturale del mondo:
-Perché non hai chiesto le chiavi a mia nonna? -
Alice si fece rossa per la vergogna e alzò le spalle, a corto di scuse e parole.

I due ragazzi la accompagnarono poi a prendere le chiavi. Dopo qualche minuto di silenzio imbarazzato il suo "salvatore", che era piuttosto curioso e sfacciato, iniziò a tempestarla di domande: chi era, che ci faceva lì in quello stato scalza e con i vestiti bagnati?
Mentre entravano nella casa di Antonietta, che in quel momento non c'era, Alice tentò di spiegarsi a gesti, compreso l'agitare le braccia simulando lo stile libero; infine le venne in soccorso il retro di una lista della spesa e una matita: scrivere ciò che le era successo quel pomeriggio era molto più semplice.

- Mi dispiace per il walkman, chiedo e vedo chi pozzu fara. Non ti  preoccupare! Però aa verità...sei  nu pocu scarsa come Diabolik se ti sei fatta futtira.. cioè rubare sotto il naso...-

La ragazza rise silenziosamente alle parole di Daniele, ringraziò poi entrambi e finalmente si ritirò in casa.
Il resto della serata trascorse tranquilla, Luisa e Selvaggia tornarono piuttosto tardi, ma portando la cena promessa da Antonietta.
Mangiarono parmigiana di melanzane e la frittata di patate più buona mai assaggiata, tutte insieme sedute in cucina. A Milano non succedeva quasi mai che si ritrovassero a cena, ognuno arrivava ad un orario diverso e mangiava da solo o davanti alla tv.

Alle undici sua madre e sua sorella stanche e sazie andarono a dormire, mentre Alice spulciò la libreria che c'era in corridoio in cerca di una storia che la cullasse, in assenza di musica. Fu così che scelse D'Amore e Ombra di Isabel Alliende.
La ragazza si sedette sulla sdraio in balcone, avvolta in un lenzuolo leggero e contando sulla luce di una candela scaccia zanzare, bevve ogni singola parola di quel libro meraviglioso che aveva scovato per caso.
Lo lesse tutto e si addormentò all'alba, il libro appoggiato al petto aperto sull'ultima pagina.



N/A
Ciao a tutti, grazie mille per aver letto questo terzo capitolo (pubblicato in super ritardo). La storia è ancora agli inizi, ma piano piano ingrana.. intanto ecco un nuovo personaggio, Daniele, un po' casinaro e un po' sbruffone. Come sempre se vi va di scrivere i vostri pensieri sarò felicissima di leggerli. Vi lascio sulle note degli adorati Oasis, (spero) a presto!
T

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