Transformers Prime - La Guerra dei Due Mondi

di Katty Fantasy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1: Una nuova meta ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Le apparenze possono ingannare ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Scoperte ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4: L'antica lingua ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
 
Prima dell’alba dei tempi, in una lontana galassia sconosciuta, un pianeta dai colori grigi e solo delle strisce azzurre e delle voragini concentrici che arrivano in profondità. Un pianeta spoglio di vegetazione, solo esclusivamente di puro metallo. Cybertron, il pianeta in cui vivono esseri giganteschi dello stesso materiale dello stesso pianeta, organismi robotici completamente autonomi.
Nessuno sa cosa siano creati, molti dicono che siano nati da una fonte potente di energia chiamata Allspark, situato nel cuore del pianeta, per tutti era impossibile controllare il suo potere, ma uno sì, il suo nome era Primus.
Primus era il creatore della sua razza, saggio e responsabile, che egli visse all’interno del pianeta per mantenerlo in vita. Solo tredici cybertroniani che avevano conosciuto il loro Creatore vennero chiamati Prime, coloro che avevano il compito di proteggere Allspark e i suoi abitanti, facendo così che i prossimi discepoli possano continuare il loro compito.
Cybertron visse in armonia… ma quell’armonia venne spezzata.
Uno di loro, un mech dalla corazza scura, non predestinato a essere un Prime, diede inizio un conflitto di gigantesche proporzioni. Una guerra si abbatte sul loro pianeta natio fino a distruggerlo.
Fu così che si divisero in due frazioni: gli Autobot, coloro che lottano per la libertà, e i Decepticon, coloro che vogliono la tirannia; la guerra aveva devastato il pianeta finché venne consumato dalla morte e di infettare la fonte… ma la fonte d’energia venne trasferita in un oggetto che si disperse nelle profondità dello spazio.
Autobot e Decepticon si dispersero nella galassia sperando di trovarlo e di far rivivere la loro Patria, esplorarono ogni stella, ogni pianeta e proprio quando ogni speranza sembrava perduta, un messaggio di una nuova scoperta li attirarono su un pianeta… sul nostro pianeta Terra.
Ma era già troppo tardi….

 
 
 
 
 
Terra, Circolo Polare Artico, 7 settembre  1895
 
In una parte sperduta tra i ghiacciai del Polo Nord, il vento che continuava a soffiare a raffica nella bufera di neve. Questo no era un buon segno. Tutti lo sapevano che prima o poi dei piccoli intoppi arrivassero... ma non in mezzo al mare! Questo se lo aspettava del capitano Archibald Witwicky, dopotutto era lui che aveva iniziato la spedizione, no?
La nave era rimasta bloccata tra gli icerbag per impedirgli di proseguire, per via del problema con il timone il quale la cortina di ghiaccio lo bloccasse e si schiantare tra i bassi icerbag. Fortuna non c'era nessun ferito e nemmeno gli aski non si fecero niente.
Tutti i marinai scesero a prua per scrossare tutto il ghiaccio e di liberare la strada per la calotta polare, le voci dei uomini sovrastarono a quella del vento, il loro superiore patirono ordini su ordini per liberare il più possibile la nave. Alcuni rimasero sulla nave per liberare il timone, mentre gli altri battevano con i loro picconi sul ghiaccio. Per quanto ci provassero, il ghiaccio continuava ad aumentare e a continuare a bloccare il loro passaggio; il buon capitano non si lasciò scoraggiare da questo, lui era un Witwicky e anche il più famoso navigatore manco fosse stato Marco Polo. Era un uomo rispettabile sui suoi marinai e l'unico tra di tutti di fare spedizioni folli e strambi per arrivare a destinazione.
<< Niente sacrificio niente vittoria! Raggiungeremo il Circolo Polare Artico, tenete i denti stretti e continuate e battere! Il ghiaccio non ci fermerà proprio adesso, voi avete il coraggio e la tenacia di continuare a lottare e lotterete fino alla fine! >> Archibald Witwicky incitò ai suoi uomini con grande tenacia, come farebbe un buon leader per dare fiducia ai suoi soldati per andare in guerra, e così fu.
Durarono ore e ore per liberare la nave dal ghiaccio, lavori duri e pesanti, molti di loro si fecero il cambio per tenere a bada i cani; Archibal vorrebbe tanto aiutarli ma la sua avanzata età non lo permetteva, le lenti dei suoi occhiali cominciavano da appannarsi e continuando a sfregarli sul suo giubbotto, mentre al suo fianco il cane che continuava a girare il muso al suo padrone e poi ai uomini che continuavano a lavorare.
Uno di loro corse via a un punto indefinito.
Seguirono anche i suoi compagni, correndo ed abbagliando.
Sentendo i cani abbaiare e il custode che li teneva a bada, i marinai smisero il loro lavoro e lo seguirono con il loro capitano nel punto indefinito, vedendo il cane che cominciava ad affondare il muso nella neve e a scavare.
<< Credo che i cani abbiano fiutato qualcosa, signore! >> disse un uomo, mentre i suoi compagni e il loro superiore si misero in cerchio.
Archibald rimase perplesso. Cosa avranno attirato i cani? Che cosa c'è in mezzo ai ghiacciai oltre a loro? Non poteva di certo essere un orca assassina dato che il ghiaccio era il doppio, di certo non sarebbe capace di spaccarlo con un colpo secco. E se invece sia sepolto qualcosa? Impossibile.
Uno scricchiolio fecce allarmare il gruppo.
<< Il ghiaccio si sta sciogliendo! >> gridò uno di loro.
Sotto i loro piedi, una parte di ghiaccio cedette per troppo peso, molti uomini si aggrapparono ai bordi con i loro picconi che si sono portati con se e prendendo anche i cani, il ghiaccio sotto i suoi piedi si ruppe e cadde giù nella voragine in cui si era creata, scivolando chissà dove nella calotta polare. La caduta fu breve di quanto pensasse, pensò il capitano che ringraziavo il cielo che era ancora vivo.
<< Capitano! Dove siete!? >> gridarono i suoi uomini, preoccupati.
<< Sto bene, ragazzi! >> rispose lui, alzandosi da terra.
Non appena alzato lo sguardo per capire dove si trovasse, quello che vite intorno a sé furono delle strane colonne di metallo che gli arrivano fin sopra la testa. Cosa ci fanno queste? si chiese l’uomo, aggiustandosi gli occhiali per vedere meglio, si rese conto che una lente degli occhi si era spaccata durante la scivolosa caduta. Quando si volta… rimase sbalordito. << Uomini, abbiamo fatto una scoperta!! >>
All'interno della calotta, un enorme grotta sotterranea alta sette metri e profonda di venti metri, le pareti compatte e lunghe stalattiti che fanno da colonne per supportare il peso, ma la cosa che fece rimanere stupefatto l’uomo era ben altro: due figure di enormi dimensioni, il primo era di un grigio metallizzato con delle sfumature nere mentre l’altro un giallino sbiadito con delle strisce bianche, erano ammassati uno sopra l’altro come se stessero lottando per qualcosa. L’uomo non riuscì a vederli in volto per via del troppo buio e dei strani elmi che gli coprivano il capo.
Archibald aveva abbassato lo sguardo per vedere su dove sia appoggiato: era su una mano gigante!? Quindi quelle non erano colonne, ma bensì delle dita!
Il Witwicky si faceva molte domande nella sua testa senza risposta: che cos’erano? A giudicare dalle dimensioni sembrano due persone di gigantesche proporzioni, questo lo fece capire del busto e dalle braccia, uno era maschio mentre l’altra era una femmina. Dedusse che non era costruito da un essere umano, nessuno sarebbe stato in grado di creare una cosa del genere, quello che aveva capito sia fatto di ferro, non quello si fabbricano le armi, ma di un ferro al quanto sconosciuto. Che provengono dallo spazio?
Incuriosito, l’uomo si era avvicinato a una delle dita della mano gigante del maschio, si tolse un guanto per capire di che materiale era fatta, aveva toccato una piccola rotellina con un dito: metallo puro!
<< Impressionante! >> esclama l’uomo.
Al suo delicato tocco sulla rotellina, questa aveva emanato delle piccole scariche violacee, sembra sia funzionante nonostante il freddo. Una strana luce fece emanare sul volto della creatura di metallo, due lucette rossi come rubini che sembravano dei occhi, divenne sempre più accecante e incandescente, l’uomo non fece in tempo a realizzare cosa stia accadendo che lo colpisce violentemente ai occhi. Lui cadde a terra da una misteriosa forza invisibile, la luce cessò subito dopo di averlo colpito, rimase disteso sulla neve da un forte emicrania e rimase così fino a quando non scesero i suoi uomini.
 
Il mistero delle creature trovate tra i ghiacci rimase un mistero, nessuno aveva raccontato cosa successe dopo la spedizione del capitano Archibal Witwicky… alcuni dicono che dopo quella traumatica esperienza smise di fare altre spedizioni e di andarsene via, altri dicono che divenne pazzo e rinchiuso in un manicomio.
L’incontro con loro aveva cambiato completamente la sua vita, sconvolgendo anche la famiglia Witwicky che non sapevano dell’accaduto. L’unica traccia che poteva ipotizzare che Archibal Witwicky scomparve erano i suoi occhiali rotti recuperati dopo il suo soccorso. Nessuno ci fece caso a quel piccolo oggetto che venne dimenticato per molti anni… nessuno degnava di uno sguardo sulle lenti dei occhiali che nascondono un segreto…
















Angolo Autrice
Salve a tutti, questa è la mia prima storia sui Transformers. fin da piccola vedevo ogni saga del cartone animato fino a vedere i film. Il mio preferito è Transformers Prime. Perchè questa pazza idea di mettere alcuni pezzoni del primo film? Beh, semplice: i film di Micheal Bay sono fantastici!! Dovrò ancora vedere il quinto film e il regista a già lanciato un sesto film... Che bello, la saga non è ancora finita! I personaggi non mi appartengono, solo i miei oc e la trama non seguirà del tutto il cartone.
Beh, detto tutto, bua lettura!
Katty Fantasy

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1: Una nuova meta ***


Capitolo 1: Una nuova meta

 
 
<< Quando le stelle cadranno come sfere di fuoco, sul terreno batteranno tocchi di guerra. Guerrieri dalla corazza di metallo camminano alla rovina, amici e nemici in un conflitto eterno. Ma la speranza giungerà, finché non risorgerà la Figlia Perduta. Il segno dei Prime si illuminerà alla Prescelta che guiderà verso la Fonte. La Mappa Stellare mai più nascosta sarà, le tre chiavi unite dovranno essere. L’ultimo dei Prime sfoderà la spada dalla roccia. L’ultimo cavaliere e l’ultima discendente della Settima Generazione, finiranno la guerra e la grande salvezza di Cybertron, darà luce a una nuova era. >>
 
Sono le stesse e identiche parole che le rimbombano nella sua testa, ogni singola giornata, ma la maggior parte nel cuore della notte. Sharon continuava a sognare cose strane e inspiegabili: un paesaggio cupo e distrutto, strane torri di metallo di un nero come la pece che collegano ponti e strade ormai semidistrutte, il suolo era cosparso di cadaveri dall’aspetto di grossi robot ormai distrutti, rumori di spari ed esplosioni ad onda d’urto. Ma quello che le faceva spaventare è quando incrociava i suoi occhi a quel robot… un jet che sorvolava nel cielo fino a trasformarsi in un robot… la sua corazza di colore grigio metallizzata quasi nera e i suoi occhi di un rosso cresimi che le faceva accapponare la pelle… e infine quelle strane frasi che le dicevano nella sua mente.
Si svegliava di sopraffatto quando aveva solo sette anni, urlando a squarciagola e in un bagno di sudore nel suo letto, facendo svegliare i suoi famigliari e precipitare preoccupati nella sua cameretta. Gli adulti erano bravi a rassicurare con i propri figli dicendogli che era solo un brutto sogno, ma per lei non era così. Uno di loro chiesero a Sharon cosa avesse sognato o di che incubo si trattasse; la bambina alzava lo sguardo su di loro con i suoi grandi occhi color ghiaccio gonfi di lacrime, ogni santa notte continuava a ripetere la stessa risposta: “H-Ho sognato loro… ho sognato di nuovo gli uomini giganti di metallo che si  combattono!”
La maggior parte della sua infanzia veniva dedicato dalle visite mediche e dai psichiatri di tutto il globo, cercavano di trovare una spiegazione del suo misterioso trauma e continuando a prescrivere massicce farmaci; tutti pensavano che fosse solo una forma di fantasia visto da qualche film di fantascienza oppure di attirare la sua attenzione per non aver superato la fase dell’abbandonamento. Sharon non era una bambina normale come tutti gli altri, i suoi coetanei la consideravano strana e avevano paura che venivano contagiati dalla sua “fantasia distorta”, ma lei non era pazza, era solo una bambina che non sapeva nemmeno lei cosa stesse vedendo nei suoi sogni o cosa stesse facendo; all’età di dodici anni, passando da un psicologo a un altro, i suoi strani incubi diminuirono, riprendeva a mangiare e a ricuperare il sonno perduto. I psichiatri decisero di non prescrivere più medicinali e di venire da un psicologo una volta all’anno presso alla sede di Filadelfia per eventuali controlli emotivi. Per tutto quello che era successo, dell’incredibile casino che aveva combinato per dei stupidi sogni che non era riuscita a trovare un amico… le sole uniche persone che si poteva come oggi sono i suoi familiari: sua zia e la sua sorella minore.
Sharon si svegliò dal suo sonno pomeridiano a causa dei raggi del sole dai finestrini dell’auto, sbuffò irritata per il suo brusco risveglio, distesa poco comodamente sul sedile posteriore; stropicciò gli occhi per riprendersi dal sonno e alzò le braccia per stiracchiarsi un po’. Si alzò con il busto per rimettersi seduta, cacciando uno sbadiglio degno di un orso.
<< Alla fine ti sei svegliata, piccola orsetta. Hai dormito bene? >> chiese sua zia Rodhy, dietro allo specchietto retrovisore.
Rodhy Witwicky, una donna giovanissima di trent’anni che molti la scambiano una liceale, i capelli rossicci poco ricci e sempre legati da un chignon disordinato, solo qualche ciocca ribelle sulla fronte, i suoi occhi verde smeraldo così dolci che sembra un cerbiatto dietro alle lenti rettangoli dei occhiali da vista e le poche lentiggine sulle guance da bambina. Sembra una donna responsabile e allo stesso tempo una ragazzina scatenata e impulsiva. Da chi avrebbe preso quel carattere? Da lei.
<< Sì, un po’… e comunque, non chiamarmi piccola orsetta, chiaro? >> replicò Sharon, roteando i suoi occhi color blu notte.
Sua zia ridacchiò sull’ultima frase, conoscendo sua nipote, non le piace avere dei soprannomi come quello, ma per lei è solo un modo affettivo. << Fra non molto ci fermeremo a un autogrill, comincia a svegliare tua sorella. >> aggiunse, ritornando a guidare.
Al suo fianco, giace la figura addormentata di Zoe, appoggiata sul sedile di lato in modo scomodo e continuando a sonnecchiare, fortuna che non ha le scarpe perché sua zia non vuole che i sedili si sporcassero, i suoi capelli castani e lunghi le coprono il viso per via dei movimenti, una cuffietta l’è caduta sul grembo mentre l’altro sull’orecchio sinistro.
Sharon fece un piccolo ghigno, è sempre stata una tipa che ama fare solo dei piccoli scherzi innocenti a sua sorella e naturalmente ne subisce una dalla sorellina, diciamo che si vendicano a vicenda. Si avvicinò all’orecchio della ragazzina e urlò << Sveglia, Bella Addormentata! >>
Zoe sobbalzò come un gatto per lo spavento, i capelli le fecero coprire completamente la faccia e spalancò gli occhi color nocciola, per poco non cade sui tappetini della macchina e a sbattere contro il finestrino. Spostò le ciocche dal viso per poi spostare e si girò verso alla sorella maggiore con un’occhiataccia che nel frattempo scoppiò a ridere come una matta. Avrebbe voluto saltarle addosso e strozzarla per i suoi scherzetti innocenti.
<< Dovresti vedere la tua faccia! Ahah! Era epica! >> continuò a ridere come una matta Sharon.
Zoe si vendicò dando una serie di pizzichi letali sulle braccia della sorella, le due cominciarono con la battaglia tra pizzichi e solletichi sui sedili posteriori. È vero che si stuzzicano sempre ma era il loro modo affettivo. La zia non le rimproverò le due ragazze, si limitò solo a sospirare, tanto si sa già che non le fermerebbe nessuno quando cominciano a fare casino. Sharon bloccò la sorella minore con una semplice mossa, le prese per un polso e la fece girare dietro di sé come se fosse una trottola e le bloccò i polsi incrociando le sue braccia al petto, immobilizzandola. << Allora ti arrendi? >> le chiese, ridacchiando.
Zoe sbuffò, rassegnata e Sharon la liberò immediatamente, la lotta finì con la vittoria della maggiore dato che è più forte di lei, aveva frequentato il corso di karate e di raro dimostrava di mal menare qualcuno che prendesse in giro la sorellina oppure di essere presa in giro… tutto preso dallo zio Jim, un ex pugile che vive in Germania. Tutta la famiglia Witwicky era sparsa per tutto il globo e solo pochi vivono in America, erano poche occasioni che facevano visita ai suoi pro-zii durante le feste o durante le vacanze estive.
Dopo un’ora, l’auto si fermò ad un autogrill per sgranchire le gambe. La piccola famigliola non era ancora arrivata a Jasper, come chiamata da Zoe: “La Città del Nulla” perché è solo una piccola cittadina sperduta nel deserto del Nevada. Decisero di trasferirsi lì dopo aver fatto l’ennesimo incontro con il psicologo, il medico disse che Sharon era riuscita a stabilizzarsi del tutto e di non prendere più i medicinali, solo in caso di collasso, così prepararono i bagagli e partirono subito. Si era scoperto due mesi prima che sul testamento di un loro lontano parente abbia una residenza proprio a Jasper… coincidenze? Per Sharon non lo pensa così.
Ripresero di nuovo il viaggio dopo aver fatto il pieno di benzina, le due ragazze guardarono fuori dal finestrino i grandi canyon che passano sotto i loro occhi. Per loro era la prima volta che ne vedono uno da vicino. Sharon si sporse fuori del finestrino per vedere quelle rocce quanto il Colosseo di Roma, il vento che fischiano le orecchie e i capelli a caschetto color ebano che le svolazzano davanti il viso che continuò a spostarli con la mano. Un colpo sul tetto della macchina fece attirare la sua attenzione: anche Zoe era uscita dal finestrino con un sorriso beffo e i capelli scompigliati. Entrambe scoppiarono a ridere una volta rientrare di come ritrovarono i loro capelli spettinati.
In quelle ore di viaggio, fecero dei giochi infantili insegnate dalla zia, diciamo un buon passa tempo fino a che non si trovarono le mani tutte rosse. Intanto Rodhy accese la radio per ascoltare il CD dei Linki Park, la sua banda preferita, tamburellando con le dita sulla portiera al ritmo della musica e ogni tanto a controllare le due sorelle con lo specchietto: entrambe contemplarono il paesaggio in silenzio, guardando il deserto arrido del Nevada.
Sorrise nel vederle, loro fanno tutto insieme e si aiutano a vicenda, proprio come delle vere sorelle. Anche se non solo dello stesso sangue non importa, almeno Sharon non è più sola.
Zoe scossò la spalla della sorella maggiore e indicando sul suo finestrino, Sharon riconobbe quel mezzo di trasporto molto comune che ne rimase stupita: una Chevrolet Camaro del 2001, un modello magnifico e di colore giallo con le strisce nere da corsa. Di raro che ne trovassero uno e per Sharon lo era ancora di più dato che era un’esperta di motori.
La macchina li sorpassò con gran fretta e sfrecciare chissà dove nel bel mezzo del deserto.
Chissà se lo rivedrò di nuovo?, si chiese Sharon.
Forse per la ragazza non se lo scorderà affatto.
 
 
**************
 
 
<< In questa zona c’è un forte segnale. Questo vuol dire che sotto di noi c’è una miniera piena di Energon. >> disse Bulkhead.
La lucetta gialla continuava a lampeggiare da più di cinque minuti, sullo schermo verde del dispositivo di rivelatore che tiene in mano il demolitore, affiancato alla femme blu.
Quel giorno toccarono Blukhead e Arcee a cercare l’Energon, la loro scorta comincia a diminuire e danno a genio di affrontare i loro nemici nel caso di attacco, dopotutto devono pur proteggere i loro amici. L’Energon è la loro fonte di energia per sopravvivere, senza di essi diventerebbero ruggine e cadrebbero a pezzi.
Si trovano in una zona del deserto, i due furono fortunati di essere molto lontani dall’autostrada e in più non c’è alcun anima viva nei dintorni. Il segnale divenne più forte, segno che sono vicini a una probabile miniera, infatti trovarono una caverna dietro a un angolo… la sfortuna vuole che si imbatterono con i Decepticon che stanno estraendo i cristalli pieni di Energon all’interno dei contenitori, sentirono la voce squillante dello skreen argentato, Starscream, che continua a patire ordini.
Bulkhead e Arcee si nascosero dietro a una roccia.
<< Accidenti! Qualcuno ci hanno preceduto. >> esclamò Arcee.
<< E non credo che siamo soli, a quanto pare. >> disse Blukhead, sbirciando un po’ per vedere la situazione: Starscream non è solo a quanto pare, non è mica scemo andarsene solo, è uno fin troppo furbo e anche manipolatore ma non tanto bravo da calcolare le situazioni per diventare comandante ed eliminare Megatron. Dalla sua corazza vi era qualche graffio ancora rimanenti della dura punizione del Lord, a quanto pare. Dalla grotta uscirono Breakdown e una squadra di ricognitori, tra le sue mani tiene un oggetto difficile da identificare dalla distanza. << E quello che cos’è…? >> chiese il demolitore.
<< Non lo so, ma è meglio chiamare gli altri. >> disse Arcee, chiamando il medico dalla base.
Dall’altra parte, Breakdown continuò a girare fra le mani l’oggetto recuperato tra le miniere, sembra un cubo in miniatura fatta di metallo ma solo per metà, sembra che sia “spezzata” in due a forza… ma la cosa più sorprendente per lui è che sulla superficie ci sono delle incisioni molto familiari: Cybertron. Breakdown rimase stupito nell’aver trovato forse una reliquia, ma pensando bene la Nemesis non aveva rivelato altre coordinate per altre reliquie. Il che non ha senso… Intanto Starscream notò la sua presenza dopo un po’, fece una smorfia seccato che stesse “giocando” che invece di fare il suo lavoro. << Breakdow! Che diamine stai facendo?! Non dovresti stare nei paraggi nel caso che gli Autobot ci attaccano!? Razza di idiota!! >> gridò lo skeeren argentato.
Il compagno sbuffò di rabbia, lo odia nel modo in cui urla e credendo di essere il comandante oppure a fare il solito sapientone, comunque mostrò lo strano oggetto in mano, disse di averlo trovato durante gli scavi ed è uscito accidentalmente dalla parete.
<< Un… pezzo di metallo? E che dovrei farmene con pezzo di ferraia?! >>
<< Primo, non è un pezzo di metallo. Secondo, sopra ho notato che ci sono delle incisioni… provenienti da Cybertron. >>
Starscream rimase stupito, come può essere quell’oggetto a essere una reliquia? No. Sembra una qualsiasi rottame come tutte le altre, lo avrebbe buttato di faccia al Decepticon per dirgli che è un “buon annulla” o lanciato via per darlo in testa a qualche miniatore… ma ci ripensò subito dopo, stranamente fece lo stesso ragionamento del compagno: non può essere una reliquia, altrimenti sarebbe tra la lista sulla Nemesis, come le altre coordinate.
Forse prima che ritornasse una comune nave non era riuscito a scansionare altre? Probabile. Se Breakdown abbia trovato un oggetto proveniente dal pianeta natio dev’essere molto importante, basta che Soundware lo scansioni e capire cosa sia e trovare l’altra metà. Starscream prese l’oggetto fra le dita per analizzarlo meglio, riconobbe alcune di queste e granò gli occhi per lo stupore. << In effetti hai ragione… hai detto che lo hai trovato lì dentro? >>
L’altro annuì.
L’argentato riflette sulle probabilità di sapere cosa sia e come utilizzarlo, magari lo aiuterebbe e prendere il posto di Megatron, quindi decise di portarlo con sé sulla nave per studiarlo e forse a Knouckout gli si illuminerebbe la giornata. In quel preciso momento, un ponte terreste si aprì e al suo passaggio appare il leader dei Decepticon che poi si richiuse dietro di sé, i cybetroniani di entrambe le frazioni rimasero sorpresi.
Il mech dai occhi rossi guardò prima Starscream e poi Breakdown con aria da superiore. << Allora? Come procede? >> domanda il Lord, stranamente calmo.
Lo skreen argentato fece quel piccolo sorrisetto sforzato e lanciò indietro il pezzo del cubo mentre l’altro lo prese al volo << Oh, Lord Megatron, qui procede senza alcun intoppo. Come vedete, niente Autobot nei paraggi e solo Energon in quantità pronti a essere trasportati sulla nave. >>
Megatron non si fidava di Starscream fin da primo giorno che era unito ai Decepticon e neanche da quando era ritornato dal suo “coma”, dopo essersi impossessato della mente di Bulblebee. Sinceramente non gli era mai piaciuto che lui diventasse il secondo comando, il suo sguardo si posò su Breakdown. << Che cos’hai in mano? >>
<< L’ho trovato nelle miniere, Lord Megatron, tra gli scavi. Sembra un’oggetto inutile a vista d’occhio ma mi sono ricreduto. >>
<< Il motivo? >>
Breakdown glie le mostrò << Ci sono le incisioni della nostra lingua. >>
Megatron sgranò gli occhi e prese l’oggetto in mano, lo analizzò cautamente e vedendo i simboli con calma, dopo si stupì letteralmente di sapere cosa abbia nelle sue mani << Non può essere… questo è… >> non finì la frase che uno sparo lo interrompe.
Bulkhead e Arcee uscirono fuori dal loro nascondiglio e iniziarono a sparare con i cannoni a plasma contro di loro, i miniatori cominciarono a sparare mentre Breakdown si scontrò con gran voglia il demolitore verde militare, Starscream invece prese la sua forma aerea per attaccare dall’alto. Un ponte terrestre si aprì facendo uscire Bumblebee, Smokerscreen e Optimus Prime. << Megatron! >> gridò quest’ultimo, continuando a sparare.
<< Sono qui, Prime! >> incitò l’altro, correndogli d’incontro e sparando con il suo cannone posto al braccio destro mentre nella mano sinistra strinse l’oggetto.
Il combattimento con Megatron era il più difficile da abbattere per qualsiasi cybertroniano, chiunque lo avesse sfidato sarebbe morto, lui era un gladiatore e anche il più forte ed esperto in combattimento a corpo a corpo nell’Età dell’Oro. Sconfiggerlo non era facile, questo lo sa anche Bumblebee. I due giganteschi robot si scontrarono, lama contro lama, si guardarono a vicenda mentre la battaglia è in corso.
Quante volte aveva combattuto contro di lui per terminarlo? Tante ma senza successo, pensò il Lord fissando il Prime che una volta si consideravano fratelli.
I due leader si respinsero a vicenda, il grande vantaggio di Optimus era di avere le doppie lame e i cannoni a plasma per abbatterlo, dopotutto lo conosce fin troppo bene. Durante la lotta, il mech grigio colpì l’altro con una cannonata al petto e poi colpirlo con un pugno potente a metterlo a terra, il Prime tentò di alzarsi nonostante sia stordito da colpo; Megatron non perse tempo, poteva essere l’occasione unica di terminarlo una volta per tutte, fece uscire la lama del sua avambraccio e sollevarla… un colpo di cannone al plasma lo fece baraccolare: Bumbelbee era riuscito a intervenire appena in tempo.
Optimus colpì l’avversario con un cannone a plasma e a rialzarsi per combattere, mentre Megatron viene scaraventato da una parete della montagna. Poteva essere letteralmente finita fino a quando qualcuno diede la ritirata: i ricognitori e i minatori – mentre Breakdown e qualche Decepticon presero Megatron – entrarono di fretta al ponte terrestre, si direbbe che Starscream abbia comunicato il tecnico dell’agguato. << Via! Ritirata! Ci rivedremo di nuovo, Prime! >> disse l’argentato prima di trasformarsi.
I Decepticon scomparvero dal ponte spaziale, tutto ritornò alla tranquillità e gli Autobot rimasero vittoriosi per aver impedito i loro nemici di portare via le casse di Energon; Smokerscreen rimase entusiasta di aver combattuto questa volta con il Team Prime.
<< Wow! Avete visto? Abbiamo bang e mandato a gambe levate quei Decepticon! >>
<< Frena l’entusiasmo, “ragazzo del destino”, però hai pienamente ragione. Dopotutto abbiamo qualcosa da poter riempire il magazzino. >> disse Bluk, riferendosi alle casse.
<< Ah! Rachet ne farà i salti di gioia nel vederli. >> aggiunse di nuovo il giovane mech argentato e blu.
Optimus Prime comunicò al medico dalla base per la riuscita della missione e di aprire il ponte terrestre, con la coda nell’occhio intravide l’oggetto che teneva in mano il nemico, solo che durante la lotta non lo aveva notato. Si inginocchiò osservandolo attentamente, rimase perplesso, un oggetto che sembra solo un comune metallo ed era piuttosto strano che Megatron lo stringeva a sé? Che sia importante?
Il ricognitore giallo si avvicinò al leader, perplesso, cominciando a parlare con dei specie di squittì meccanici. *Qualcosa non va, Optimus?*
Il Prime alzò lo sguardo sul giovane ricognitore << Non lo so con esattezza, Bumbelbee. Credo che abbiano trovato qualcosa di importante e noi lo abbiamo sottratto. >>
*Che cos’è?* chiese l’altro, curioso.
<< Non ne ho idea… Lo porteremo con noi, forse Rachet ci dirà cosa sia una volta analizzata. Scopriremo di che si tratta. >>

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Le apparenze possono ingannare ***


Capitolo 2: Le apparenze possono ingannare

 


 
Il sole cominciò a calare sulla piccola cittadina di Jasper, una delle piccole cittadine del Nevada, sperduto in mezzo al deserto. C’era molta tranquillità su di essa, non era di certo una città grande come New York per fare furti, nessuna attività criminale e nessuna attività illegale di droga. Solo le gare da corsa clandestine non era di certo facile da impedire dato che sono al di fuori di Jasper; i negozi erano ancora aperti, anche il Mc in cui lavora Jack non era ancora chiuso, continuando con il suo turno di lavoro, Arcee non era potuta venire per via di una missione e di conseguenza, anche il resto dei Autobot. Anche Raph e Miko non potevano venire: il primo doveva fare i compiti per un compito scolastico mentre l'altra era in punizione a scuola.
In poche parole: era rimasto solo nelle sue faccende.
Il ragazzo consegnò l’ultimo pacco al cliente. << Buona giornata! >> e sbuffò dopo che l'auto si allontanò. Certo che fare questa vita è davvero seccante, pensò il corvino, ritornando a lavorare. Avrebbe voluto aiutarli, finché sarebbe riuscito a compiere diciotto anni e di chiedere all'agente Flower di far parte dell'esercito... a volte ci pensava e ripensava. Se sia realmente andare in guerra oppure no. Su questo ci deve riflettere attentamente.

Non molto lontano dal luogo, l'auto che giuda Rodhy Witwicky intravede il Mc.
<< Ragazze, avete fame? >>
<< E ce lo chiedi? Ho una fame da lupi! >> esclama Sharon mentre un forte gorgolìo si sentì nello stomaco di Zoe. Le poverine avevano viaggiato per ore per arrivare in quel paesino sperduto nel deserto, affamate e stremate.
<< Allora è deciso: prendiamo qualcosa in quel Mc. >>
Le due ragazze fecero un sospiro di sollievo.
La famiglia Witwicky si fermarono per ordinare dei hambuger e delle patatine fritte per stuzzicare l’appetito, dovettero fermare l’auto per mangiare e sgranchire le gambe, avranno mangiato al parcheggio vicino all’auto e poi ripartiti per trovare la misteriosa casa lasciata in eredità. Le due ragazze entrarono nel locale mentre la zia cercava su Google Map l’indirizzo della casa, appena entrate nell’edificio l’aria di patatine fritte che impregnava l’aria aveva risvegliato lo stomaco di Sharon e dei flashback della sua sperduta infanzia. Si ricordava che i suoi genitori la portarono per la prima volta al McDonald’s quando aveva solo quattro anni, era il giorno del suo compleanno. Era stato suo padre a proporre, dato che aveva avuto delle giornate di ferie. Lui lavorava come informatico ed era un lavoro parecchio stressante, invece sua madre lavorava come archeologa e di solito non la vedeva mai a casa; entrambi pieni di lavoro e poco tempo per la propria figlia… ma a lei non interessava se non c’erano o no, sa che le vorranno bene nonostante la grande distanza.
Ricordava quando la portarono lì, a festeggiare, c’erano anche molti bambini e due animatori che li trattenevano; sua madre le aveva regalato un piccolo ciondolo di cuoio legato una un cristallo magnifico e celeste: le aveva raccontato che lo aveva trovato uno dei scavi archeologi in Egitto e che lo aveva tenuto per un’ottima occasione, come questa.
D’istinto toccò la pietra nascosta sotto la maglietta. Dall’allora, Sharon lo portò sempre così e non se lo toglie mai, l’unico ricordo dei suoi genitori da quando sono morti nell’incidente.
A farla riportare alla realtà fu la scollata di Zoe.
<< Eh? Si? >>
L’altra la guardò piuttosto preoccupata.
<< Tranquilla… è solo una cosa passeggerà. Allora, cheese-buger con doppia razione di patatine fritte calde? >> chiese, facendo ritornare su il morale.
La sorella minore annuì.
Entrambe andarono al bancone per ordinare, mentre aspettano, Sharon osservò il posto con aria pensierosa e giocando tra le dita la minuscola pietra azzurra, le venne in mente che erano già passate dodici anni che vive in America, dopo l’incidente e la tragica morte dei suoi. A volte si chiedeva se si trattasse solo un sogno, di dormire nel suo letto, svegliarsi all’improvviso e di correre in cucina per vedere se sono ancora lì: sua madre a preparare la colazione i suoi fantastici waffes all’americana con sopra la marmellata e suo padre che legge come al solito il giornale appena comprato e a bere una tazza di caffè… invece la realtà fa troppo male. Dodici anni che non mette piede in Italia, il suo reale luogo d’origine.
Sharon è italiana ma a imparare l’inglese fu la zia Rodhy, l’unica della famiglia a farsi avanti prendersi cura di lei mentre altri parenti sono sparsi per il globo; conosceva l’albero genealogico della famiglia Witwicky, invece conosceva poco della famiglia Bianchi, ogni tanto si comunicava con Skype sua cugina di tredici anni, Francesca.
Sharon è la più grande di entrambe le famiglie, figlia unica, ovviamente.
La mora schioccò le dita davanti ai occhi della corvina, ancora pensierosa, per dirle “ehi, Sharon chiama Terra”, infatti la ragazza spostò lo sguardo alla sorella e poi alle tre buste appena fatte. Oggi non è giornata, pensò Sharon. Dopotutto, in ogni luogo che vada le ricordava tanto la sua amata Italia, le manca terribilmente. Dopo aver pagato il conto, presero le buste e uscirono dalla locanda dalla zia che le aspetta; Sharon sospirò, ci aveva pensato e ripensato di dirlo a sua zia, però non sa se sia una buona o una cattiva idea… sbatté contro qualcosa o, meglio dire, qualcuno.
<< Ehi! Attenta! >> disse una voce maschile.
<< Ah! >> esclama la ragazza che stava per sfuggirle il pacchetto fra le mani << Scusami, non l’ho fatto apposta! >> cercò di giustificarli, a testa bassa.
<< No, sono io a chiederti scusa… non me ne sono accorto mentre mi toglievo il grembiule. >> disse lui.
Sharon alzò lo sguardo, quel qualcuno che si è letteralmente scontrata è un ragazzo alto e magro, gli occhi neri scompigliati e gli occhi castano scuro. Data la sua altezza, occhio o croce, gli arriva fino alla spalla. Fra le mani tenne ancora il grembiule. Sharon intuì che quel ragazzo lavori in questo Mc.
<< No, sono in realtà io a scusarti. Avevo la testa fra le nuvole… ora devo andare, ciao. >> disse lei frettolosamente, per poi superare il corvino che le sta bloccando l’uscita del locale e capendo che sua sorella sia già uscita. Strinse il pacco tra le dita e la raggiunse a passo svelto, imbarazzatissima della situazione creata poco fa. Che figuraccia! continuò a ripeterlo fra sé e sé. Pensò che ora come ora, il ragazzo la stia guardando dalla testa fino ai piedi mentre se andava, considerandola strana. Sharon è sempre stata strana sulla faccia della Terra, subito dopo l’incidente, tutti la guardavano in modo strano e a dir poco spaventoso per certi gusti… lei sa che la gente non ama e ne si fida della gente strana, per lei era d’eccezione dei suoi unici parenti Witwicky.
 
Jack squadrò la ragazza dalla testa fino ai piedi, ammette che è carina per una della sua età. I capelli corti scalati neri come la pece, gli occhi grandi di color blu notte, la pelle poco pallida e sembra che sia non molto bassa di altezza. Forse dev’aver la sua stessa età oppure come a quella di Miko, pensò lui. Non sembra quella classica ragazza con gonne e colori a tendere sul rosa come Sierra oppure quelle che mostrano le scollature, no, tutt’altro. Lei indossa una maglietta a maniche corte rossa con scritte gialle, i jeans celesti a pinocchietto e delle scarpette di ginnastica bianche e nere.
Scosso la testa, che strana ragazza, si disse.
Uscì poco dopo dato che il suo turno è già finito, non trovò Arcee ad aspettarlo quindi dovrebbe arrivare Smokescreen a prenderlo e portarlo alla base. Gli cominciava ad avere simpatia per lui. Intravide in lontananza la stessa ragazza che sta divorando l’hamburger in compagnia di altre ragazze: la prima è riccia e bruna a cespuglio, gli occhi nocciola, indossa una maglietta color mogano e dei jeans lunghi, la seconda invece i capelli rosso fuoco e gli occhi verdi accesi, indossa una canotta a bretelle marroncino preceduta a una camicia a scacchi rossa e nera con le mani arrotolate fino ai polsi, i jeans scuri e notò che ha delle lentiggini sulle guance e dei occhiali rettangolari.
Sembrano tre ragazze di città che vanno in vacanza.
Dopo che il trio ebbe finito di mangiare, salirono sull’auto e si allontanano. In quello stesso momento, arrivò anche Smokescreen nelle sembianze di una McLaren argentato e rossa.
<< Ehi, Jack. Vuoi un passaggio? >> chiese attraverso la radio.
Jack sorrise e salì alla giuda – che tanto giuda l’Autobot – e partire verso l’oasi del deserto, il mech raccontò la riuscita della missione e di come aver combattuto contro i Decepticon, Jack pareva di ascoltarlo ma ripensando alla ragazza di prima… in lei c’era qualcosa di diverso che si riuscì a spiegarlo… qualcosa di speciale.
 
 
**************
 

 
Il luogo dell’abitazione non era molto lontana, due o tre isolati al massimo. La casa era enorme a due piani, le pareti di marmo sembrano sfracellarsi dall’esterno ma forse dall’interno potrebbe essere un’altra cosa. Il tetto quasi malridotta dalle mattonelle, le finestre serrate e i vetri sgrossati e piene di polvere; al piano di sotto un porticato abbastanza largo con tre scalini all’ingresso e un garage di fianco.
La famigliola scese dall’auto al vialetto, Sharon e Zoe guardarono con attenzione la struttura che sembra cadere letteralmente a pezzi. S’immaginarono l’atmosfera lugubre e buia, la casa di un grigio scuro e il gracchiare dei corvi che passano sopra il tetto… insomma, il classico film horror.
<< Wow… sembra una casa infestata dai fantasmi… >> mormora lei, guardando la sorella che ha la sua stessa reazione: paura.
<< Beh, almeno è ancora in piedi. >> disse la zia, mettendo le mani ai fianchi, con tutta tranquillità.
Il trio si avvicinò all’ingresso mentre le due ragazze non staccarono gli occhi dalla casa, le venne in mente un film dove c’è questa casa che diventa un mostro, la porta dell’ingresso diventava una bocca e il pavimento dei denti aguzzi e il tappetto una lingua lunga, le due finestre diventavano dei occhi e le tapparelle che si alzano e si abbassano come se fossero delle palpebre… ecco, lo stesso scenario come ora. Sembra che Sharon e Zoe fossero le protagoniste di Moster House.
Appena mise un piede sul primo gradino della piccola scalinata cominciò a scricchiolare, un brivido le fece arrivare alla spina dorsale. Deglutì rumorosamente. Come diavolo fa zia Rodhy a non avere paura?! esclamò mentalmente la ragazza, vedendo la rossa all’ingresso con tranquillità. La donna mise una vecchia chiave fatta di metallo nella toppa, dei striduli sinistri girando la chiave, ciò significa che dev’essere sostituita dato che è una serratura del 1900. La porta si aprì da un rumore sinistro mentre si aprì del tutto, quello che videro solo pochi contorni del corridoio poi il buio.
<< Beh, almeno non è lugubre come pensavo. >> disse Rodhy.
La corvina le vennero i brividi solo pensare che prima o poi dovesse sbucare dall’oscurità qualche creatura affamata, ma forse dev’aver letto troppe creepypasta. Stessa cosa a Zoe. Seguirono la zia a passo cauto, per via del buio non sanno dove mettere i piedi, aiutarono la parente ad aprire le finestre e ci vorrebbe un grande sforzo per aprire le tapparelle, i cardini sono ormai arrugginiti e dovettero utilizzare un piede di porco. La luce naturale del sole fece illuminare una parte del salone e aprendo le altre finestre, ora tutte le paure e le incertezze sparirono; il salone da pranzo erano ampio e spazioso, solo la carta da parati ormai consumata e stracciata mentre dei lenzuoli bianchi coprono i mobili, invece la cucina si devono solo sostituire le mattonelle e comprare le bombole a gas. Nei angoli delle pareti sono piene di ragnatele e polvere… Tutto sommato, la casa non è affatto male, pensò Sharon.
Zoe sentì un rumore al piano di sopra. Sembra un tonfo. Con quel poco di coraggio in corpo, la mora salì con cautela le scale che scricchiolano sotto i suoi piedi… fortuna che riuscirono a reggere il suo peso. Il buio pesto le fece darle il benvenuto dato che lei lo detesta fin da piccola, lei dorme sempre insieme alla sorella e quindi dovettero comprare un letto a castello quando aveva sei anni. Deglutì rumorosamente, prese il suo telefonino e utilizzò lo schermo del display come torcia, lungo il corridoio vi sono quattro porte e una finestra serrata in fondo, non ha con sé il piede di porco e decise di esplorare le altre stanze con curiosità. Parì la prima porta alla sua destra, tutta buia e i sopramobili coperti dalle lenzuola bianche che chiunque le scambia per fantasmi, le tremarono le gambe e la mano in cui tenne stretta il cellulare. Un altro rumore. Ora comincia ad avere paura. Si guardò attorno, teme che ci sia qualcuno oltre a lei, si girò e… inciampò all’indietro, spaventata e facendo cadere il telefonino.
<< Zoe! >> gridò Sharon e salendo al piano di sopra con la zia.
Zia e nipote corsero per cercarla, la corvina prese il suo cellulare per fare luce e notarono la porta della stanza aperta; la rossa si armò del piede di porco, con lei non si scherza affatto dato che aveva fatto cintura nera di karate. E con quel piede di porco di metallo succederebbe un casino. La ragazza puntò la luce nella stanza, il display del telefonino di Zoe era spenta, puntò in tutte e quattro le pareti dell’edifico fino a trovarla: la mora era accucciata e appiattita alla parete ammuffita, gli occhi granati e notava che suda freddo.
<< Zoe, cosa è successo? >>
L’altra non rispose.
Il trio sentirono un rumore. La zia Rodhy si allarmò e si mise sulla difensiva mentre Sharon puntò la luce intorno la stanza per trovare l’intruso. Ok, rimangio quello che ho detto…, si ridisse mentalmente, concentrata a provare l’impostore nell’ombra.
<< Ok, niente panico. Sharon continua ad illuminare mentre io cerco di aprire la finestra. >> propose la donna, aprendo i doppia infissi e a infilare l’arnese tra le due estremità delle due tapparelle.
<< Ma proprio ora!? >> Sharon dovette obbedire non continuando a replicare; altri passi si sentirono sul pavimento di parque rovinato, veloci e leggeri, la corvina continuò a puntare la torcia in ogni angolo della stanza e sentendo anche i ringhi dei sforzi della zia nel aprire la finestra. Zoe non riuscì a muovere nessun muscolo. I passi si avvicinarono sempre di più, la tensione cominciò ad arrivare fino alle stelle; Rodhy riuscì ad aprire la finestra e la poca luce del sole fecero entrare nella stanza, ora c’è solo un silenzio di tomba. Il trio non si stupirono che al centro della stanza ci sia… un topolino. Piccolo di stazza, il pelo bianco latte e gli occhietti neri; quest’ultimo si pulisce il muso con le zampette anteriori e accorgendosi della loro presenza, fuggì via.
<< Beh… credo che abbiamo un inquilino in casa… >> commentò la rossa.
Le due ragazze si guardarono: Zoe fece un sospiro di sollievo mentre Sharon se la ride sotto i baffi. Spaventarsi da un roditore è una cosa da niente, specie se qualcuno urla come una checca e scapparsene a gambe levate.
 

 
************
 
 

In una parte desertica del Nevada, gli Autobot portarono la scorta di Energon nel magazzino; la loro base è insediata dentro in un canyon, dove possono essere nascosti dai umani e dai loro nemici. L’idea di farli nascondere lì è stato l’agente speciale Flower. Nessuno sa della loro esistenza oltre a lui, l’unico umano che li informa su attività anomale sul globo e di aiutarli militarmente, ora anche i tre adolescenti e la madre di Jack mantennero il segreto e trascorrendo i loro giorni dopo la scuola. Optimus portò l’oggetto a Rachet per analizzarlo, purtroppo non hanno attrezzi specializzati come i Decepticon, il medico dovette costruirne con miseri pezzi dei umani.
<< Sai che cos’è, Rachet? >> chiese il leader.
<< Ancora no, ma non capisco perché Megatron lo tenesse stretto con sé. Forse lo abbia riconosciuto mentre noi non sappiamo che cos’è. >>
<< Immagino che ora farà di tutto per riprendere il pezzo. >>
<< Ma quello che non capisco è come fa ad avere la lingua di Cybertron? Insomma, non è nemmeno in una delle registrazioni del Iacon! >>
Optimus rimase perplesso della questione, il che ci vorrà un sacco di tempo per scoprire di cosa si tratta, con la tecnologia terrestre non è che servirà molto. Sospettò che ci sia altro in questa faccenda.






Angolo Autore:
Scusate per il ritardo ma avevo dei problemi con la connessione. Che dire, non si sa cosa hanno trovato i nostri amici Autobot e la piccola Zoe si spaventa per un topolino *ride*
Zoe: *la guarda male*
Eheh... beh, ci vediamo nel prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Scoperte ***


Capitolo 3: Scoperte

 
 
Il cielo si tinse di un leggero azzurro leggermente sul chiaro-scuro e le nuvole sembrano delle ovatte bianche, solo alla base si intravede un leggero celeste chiaro. L’alba sta per arrivare. La piccola cittadina di Jasper rimase ancora dormiente sotto i primi raggi del sole tra le possenti parete rocciose del canyon, nessuno non diede retta tra le tapparelle abbassate e le tende coperte. Tutti dormono, tranne una.
Nel salotto della vecchia casa, la piccola famigliola dei Witwicky continuarono a dormire nei loro sacco a pelo sul duro e polveroso pavimento, nonostante abbiano spazzato, la polvere continua a venire. Invece di utilizzare i loro pigiami, utilizzarono le vecchie tute; il russare leggero di Rodhy non diede molto fastidio alle due ragazze, no, almeno sanno che c’è qualcuno con loro, Zoe può dormire tranquillamente rimanendo in mezzo alle due parenti: la zia alla sua destra, sua sorella alla sua sinistra. Si sente più protetta e meno paura del buio.
Decisero di passare la nottata lì, in quella casa, con la luce delle candele intorno al trio. Non diede proprio a genio di dormire in una casa che cade letteralmente a pezzi, a dormire in macchina come nelle notti precedenti non è proprio una bella cosa di avere un doloroso mal di schiena. Il duetto dormirono come ghiri, ignare del fatto che il sacco a pelo, alla sinistra di Zoe, rimase vuota. La corvina si alzò del propria giaciglio, si sveglia sempre a quell’ora prima che iniziasse la giornata, recuperò le sue scarpe che si trova al suo fianco per non fare rumore, indossò la felpa a cerniera e sgattaiolando verso il retro della cucina a passo felpato.
Sharon ama vedere l’alba.
Da quando i suoi morirono, fece fatica a dormire e le notti di insonnia diedero segni di occhiaie sotto i suoi occhi blu spenti; si ricordò perfettamente che fu un periodo difficile e disastroso per lei. Per tutti quei anni a prendere farmaci e sedute di strizzacervelli le fecero rovinare l’infanzia per colpa di quei insignificanti incubi, al contrario, lei seppe che non è così. La frase e le immagini sono sempre presenti nella sua mente. L’aria fresca mattutina le pizzicò le guance, aria pulita da poter respirare… pensò che cambiare aria sia stata una cosa saggia, allontanarsi dalla città e dallo smog è gran un sollievo. La ragazza uscì dalla casa cercando di non fare rumore, chiudendo la porta con un scricchiolio sinistro, balzò superando i scalini che la sera prima le fecero venire i brividi dietro la schiena. Alzò la zip della felpa e si strinse leggermente le spalle, fece un appunto mentale che ogni mattino si deve portare una coperta.
Raggiunse la macchina parcheggiata nel vialetto, non hanno avuto il tempo di aprire il garage e i bagagli sono ancora nel veicolo, a scaricare la roba avrebbero pensato il giorno seguente; si arrampicò sul cofano dell’auto e facendo attenzione a non ammaccarlo, meglio non far infuriare sua zia, e si sedette comodamente con la schiena sul regi-cristalli. Si godette il paesaggio del deserto come se fosse uno spettacolo naturale: vedere i gran canyon come se fossero giganti viventi, immobili e torreggianti, nel buio.
Il cielo dipinto di un celestino chiaro verso l’orizzonte come per distaccarsi del blu scuro, per poi gradualmente schiarirsi e il rosa dell’alba annuncia il passaggio del sole che si deve innalzare. Sharon si ricordò la prima volta che vide l’alba con sua madre: all’età di tre anni, sua madre le aveva promesso di farle vedere il sole sorgere prima che partisse per l’Egitto, l’aveva portata sulla terrazza di casa. Era un periodo autunnale, faceva molto freddo. L’aveva fatta coprire per bene con il giubbottino e il cappello di lana, il play sulle spalle le i stivaletti che si utilizzano per la pioggia, con i calzoni pesanti per non prendere freddo; aveva assistito lo spettacolo, vedere i colori chiari colori che gradualmente vanno verso al celeste acceso e vivo, le nuvole che diventano bianchissime come il latte e il sole appena sorto. Sua madre le disse: “Guarda, sembra l’Aurora Boreale.” Le diede retta. Un’Aurora boreale che proviene dal Polo Nord, si sia spostato verso l’Italia di giorno, come per magia.
Da quel giorno, Sharon continuò a vedere ogni giorno l’alba, le ricorda molto sua madre.
Il sole non tardò molto ad arrivare.
I primi raggi colpirono i giganteschi canyon e creando delle ombre minacciose e fredde da far intimorire chiunque le guardasse, a lei non diede molta impressione. Sentì il contatto di calore sulle guance fredde e gli occhi fissi da quello spettacolo, sembra che il paesaggio si dipinto apposta da un pittore professionista. A Sharon piacque molto nel vederlo in prima persona.
Per lei, quell’alba, sarebbe stato l’inizio di una nuova vita.
 
 
 
*************
 
 
 
Sono passati quasi tre giorni che Rachet continuò ad analizzare lo strano oggetto trovato dai suoi compagni. Non è riuscito ancora a scoprire cosa potrebbe essere il misterioso cubo spaccato a metà, per la maggior parte del tempo osservò i simboli della sua lingua natia, la sua mente fece riportare indietro quando Cybertron non era colpita dalla guerra: gli alti palazzi di metallo che arrivano sopra le nuvole, le strade affollate della sua razza e le capitali sicure e libere dalle minacce. L’era del crepuscolo era solo ai primi tempi della nuova era dopo che Primus divenne il cuore del pianeta. Rachet, a quei tempi, non era un medico a tutti gli effetti, diciamo che era alle prime basi, non aveva ancora conosciuto di persona la sua squadra ma aveva conosciuto Optimus, a quei tempi lo aveva conosciuto come Orion Pax, un archivista e allievo di uno dei tredici Prime, Alpha Trion, della capitale di Iacon; divennero buoni amici, si aiutavano a vicenda e si capivano l’uno con l’altro quando c’era qualcosa che non andava, si ricordò come a quei tempi Orion non era sempre stato così severo come adesso, no, era un tipo come Jack.
Beh, dopotutto, era stati dei bei tempi…, pensò l’Autobot.
Dovette scacciare da quei ricordi e concentrarsi sul suo lavoro, non è il momento adatto nell’essere malinconici. Osservò i simboli cybertroniani, per gli umani sembrano dei disegni senza alcun senso come li definisce l’Agente Flower la prima volta, per loro è il loro linguaggio attuale prima di conoscere quello umano. Alcuni di quei simboli gli sembrano famigliari, lettere per esattezza, sembrano compore una frase oppure un nome. Solo uno gli andò nell’occhio.
Rachet rimase perplesso, non lo aveva mai visto una lettere così particolare in vita sua, posizionò la metà del cubo sul piano di lavoro e girò il braccio meccanico della lente d’ingrandimento a grandezza di robot con fermezza, curioso di sapere se sia veramente della loro lingua oppure no. Lo analizzò attentamente il simbolo che lo ha preso di mira:


rimase ancora di più perplesso, non ebbe la più pallida idea di cosa significhi quella lettera o numero inciso sulla scatolina. Si grattò l’elmo, continuando ad analizzarlo e togliendolo dalla lente d’ingrandimento. Dei passi pesanti si avvicinarono alla sua destra, sono di Optimus Prime.
<< Novità, Rachet? >> chiese il leader.
Il medico si voltò verso la figura imponente del leader dei Autobot.
<< Non ancora… non so cosa si tratti, ma ho trovato qualcosa che devi assolutamente vedere. >> rispose lui, rimettendolo di nuovo sotto la lente per permettere al leader di vedere meglio.
Optimus osservò bene la scatoletta sulle incisioni, lui se li ricorda perfettamente nonostante gli anni di guerra e come archivista del Palazzo del Consiglio sotto la guida di Alpha Trion. L’amico indicò col dito sulla incisione trovata poco fa, lui lo guardò solo dopo pochi secondi che qualcosa gli risvegliò nella sua mente. Sobbalzò letteralmente e sgranando le ottiche azzurre, rimase completamente schoccato nel vedere qualcosa dimenticato euroni orsono, fin dalla creazione di Cybertron.
<< Optimus? Qualcosa non va? >> chiese il medico.
Il leader non rispose, non staccò gli occhi dall’oggetto neanche per un secondo. In quel momento, capì per quale motivo Megatron aveva riconosciuto l’oggetto mentre lui no, si diede dell’idiota mentalmente per non avere capito fin da subito. Quella non è una semplice scatola spaccata da far sembrare a tutti.
<< Rachet… questo simbolo che hai trovato, è una lingua ormai dimenticata dall’inizio dell’età dell’oro. Questo linguaggio è usata soltanto coloro che sono destinati ad essere dei Prime. >> disse con voce ferma.
Rachet capì immediatamente cosa vuole intendere l’amico, sgranò leggermente le ottiche e guardò l’oggetto sconosciuto.
<< Non può essere… questo significa che è… >>
<< È la lingua di Primus. >>
 
 
*************
 
 
 
<< Oh, andiamo. Dopotutto non possiamo di certo rimanere con lo stomaco vuoto, no? >> disse raggiante Miko, prendendo un pacco di patatine dallo scaffale.
Jack sbuffò, rassegnato. Stranamente ammise di avere ragione ma non lo vuole ammetterlo. Stare alla base sì è divertente ma senza mettere qualcosa sotto i denti non lo è affatto. I tre ragazzi gironzolarono nel reparto dolciumi del supermercato, la musica della radio sui auto-parlanti stimolarono un po’ di tranquillità e con qualche interruzione per l’arrivo di qualche offerta della gastronomia. Anche Raph diede ragione all’amica, dato che ogni volta che si mette a giocare con la console per le macchinine da corsa con loro oppure con Bee, il suo stomaco comincia a gorgogliare per la fame.
Così il trio decise di non essere impreparati, Miko convinse gli Autobot di fermarsi al supermercato per portare qualcosa da mangiare alla base, inizialmente Arcee non è d’accordo ma capì che sono dei terrestri e devono mangiare per vivere, mentre loro sono dei robot e hanno bisogno solamente di Energon, alla fine accettò della proposta dell’umana; gli Autobot rimasero al parcheggio in attesa del loro ritorno.
Jack cercò di tenere cinque bottiglie da un litro tra le braccia, per via del loro peso, continuano a scivolare via e a riprenderle prima che cadono. << Ehm, un aiutino? >> La sua proposta venne ignorata dato che la quindicenne continuò a prendere dei pacchi di diverse patatine e a darle al dodicenne, Jack sospirò rassegnato nell’avere aiuto e continuando a non far scappare le bottiglie di mano.
Rimasto concentrato sulle bottiglie e non a vedere davanti a sé, Miko e Raph si allontanarono con gran fretta dal reparto per andare alla cassa senza nemmeno aspettare l’amico che li raggiunga, sbatté contro qualcuno poco dopo l’uscita del reparto.
Jack si massaggiò il fondoschiena per il dolore, le bottiglie che sono volate e rotolarono in alcune direzioni fino a fermarsi ai spigoli dei scaffali, lo sconosciuto fece altrettanto. Ok, se fosse scontrato con Vince e di riprendere il discorsetto delle gare illegali di corsa lo può mandare al diavolo in un altro modo.
Il ragazzo guardò lo sconosciuto, anzi, la sconosciuta che si è buttata contro… semplicemente un’adolescente della sua stessa età, maglietta a maniche corte rossa con scritte gialle, i jeans celesti a pinocchietto e delle scarpette di ginnastica bianche e nere… lui sgranò gli occhi nel vedere la stessa ragazza al Mc.
<< Uova salvate! >> esclamò lei, alzandosi anche se dolorante, con una confezione di uova tra le mani ancora intatte. Sorrise mortificata per l’accaduto. << Scusami, non l’ho fatto apposta, ma sto andando di fretta e->> si scusò gentilmente e anche con un po’ di fretta, si fermò a metà frase guardando il ragazzo di fronte a sé.
Sharon rimase stupita nel rivederlo, intuì che vive in questa cittadina ma non se lo  immaginò di rincontrarlo in quelle circostanze. Come diceva lo zio Sam? Il mondo è piccolo.
Entrambi rimasero in silenzio per un minuto forse, per entrambi sembrano passate già ore, ritornarono alla realtà, vedendo tutte le persone che si sono fermati a guardare la scena. Che situazione imbarazzante, pensarono entrambi.
<< Mi dispiace, non l’ho fatto apposta. Stai bene? >> si giustificò la ragazza, abbastanza imbarazzata.
<< No. Tutto apposto. >> rispose lui, frettolosamente << Ero… distratto nel tenere le bottiglie. >> aggiunse poi.
Sharon notò le quattro bottiglie sparse per terra, si propose di aiutarlo nel raccoglierle e ignorando il rifiuto ricevuto dal ragazzo; la ragazza è sempre stata cortese e aiutevole con il prossimo, come era successo nei suoi anni durante le sedute di terapia, aveva fatto amicizia con una bambina della sua età – anche se leggermente più piccola di età – che avevano lo stesso problema. Lei aveva perso entrambi i genitori, l’altra invece sua madre. Nonostante che abbia un padre, la bambina non era riuscita ad accettare la morte di sua madre e, come lei, di sedute psichiatriche… Sharon sosteneva che aveva trovato qualcuno che poteva avere come amica e compagna di giochi. Quell’amicizia era durato solo tre anni, poi si persero le tracce. Tutt’ora non si ricorda neanche il suo nome, solo il suo buffo soprannome: Green. Per il fatto dei suoi bellissimo occhi di colore verde smeraldo.
Dopo aver preso le due bottiglie, Jack prese le altre due che sono le più vicine.
<< Grazie… non devi disturbarti se sei di fretta… >> disse il ragazzo.
<< Nah, tanto mia sorella può aspettare un altro po’. Comunque, se vuoi, ti accompagno fino ad un certo punto alla cassa, tanto anch’io sto’ andando lì. Che ne dici?>> propose lei, sorridendo.
<< Sul serio che non ti disturbo…? >> richiese dubbioso lui.
<< Sicurissima. E poi, non puoi di certo tenere tutte queste bottiglie da solo, no? >>
Jack le diede ragione a quel punto, mentalmente, quindi accetto il suo aiuto e si incamminarono alla ricerca dei suoi amici, guardò ogni tanto la ragazza al suo fianco, ammise che è molto carina e gli occhi blu quasi notte ma notò un velo di malinconia. Non se lo spiegava con precisione ma è così.
<< Ah, non ci siamo presentati. Io sono Sharon. Se non sbaglio, tu sei lo stesso ragazzo dell’altra volta al Mc, giusto? >> chiese poi la ragazza, porgendogli la mano libera.
<< Già. Ci lavoro lì. Io sono Jack. >> disse, ricambiando la stretta con la mano libera. << Quindi, sei nuova qui di queste parti? >> chiese poi.
<< Si, mi sono appena trasferita con mia zia. Abito infondo la strada. >>
<< In quella… catapecchia di 300 anni? Oh, scusa, non volevo…>>
<< Nah, tranquillo, hai ragione. >> sorrise lei << È vecchia ma si può sempre aggiustare. Con un po’ di olio di gomito e con gli attrezzi giusti, si può fare di tutto. >>
Jack sorrise << Sei una tipa positiva. >>
<< Lo sono da sempre stata. >>
Il ragazzo riuscì a trovare i suoi amici che lo stanno aspettando impazientemente alla cassa, lo si nota dalla posizione di Miko con le braccia conserte, lui propose di proseguire da solo. Sharon non era sicura di lasciarlo solo per vedere le bottiglie cadere di nuovo, si fece convincere dal ragazzo e lasciando le due bottiglie. I due ragazzi si diedero un ultimo sguardo per l’ultima volta per poi andare per la propria strada, Jack pensò che si sarebbero rincontrati di nuovo, Jasper è una cittadina piccola; si avvicinò al duetto che lo stanno aspettando.
<< Oh, era ora! >> esclamò Miko, alzando le braccia. << Dove eri finito? >>
<< Primo, mi avete lasciato indietro. Secondo, una mano in più vi faceva male? >> li rimproverò.
Raph si scusò per non essersi accorto, mentre Miko non sembrava affatto in pena che prese le bottiglie per metterlo sullo striscione trasportabile della cassa. Jack sbuffò, quella ragazzina non cambierà mai.
 
Zoe continuò a sbadigliare, stufa di continuare ad aspettare, mettendo i gomiti sul freddo metallo della carrello. Non ha dormito bene per tutta la notte. Il sonno continua a tormentarla da quando sono uscite per fare la spesa. Questo per due motivi: la prima è che il pavimento non era messa bene, duro e polveroso, la seconda è che ad ogni suo movimento nella sua sacca o dalle pareti si sentivano dei scricchiolii sinistri da farla svegliare continuamente. Si chiese come fanno Rodhy e Sharon a dormire tranquillamente? Buon per loro, pensò lei.
Sharon arrivò correndo verso di lei << Eccomi! >> l’avvisò, mostrando la confezione in mano << Eccole le uova! Te l’avevo detto che venivo subito. >> disse, cominciando a posizionare la spesa nastro trasportatore.
Zoe sbuffò contrariata, facendo l’orario sul suo orologio da polso.
La ragazza si grattò la nuca << Ehm… scusa, un piccolissimo imprevisto. >>
La sorella minore sbuffò di nuovo.
 
Uscirono dal supermercato, dopo aver pagato, con le buste della spesa. La loro auto si prova a pochi passi dall’uscita, il peso delle buste è troppa per loro due, infatti Zoe strinse i denti per resistere al peso. Sharon ridacchiò sotto i baffi nel vedere le facce buffe della sorella minore, dopotutto non è abituata a dei pesi maggiori per via della sua gracilità, le disse una volta di andare in palestra per fare peso ma non le diede retta, la castana si pentì di non aver dato retta.
La ragazza aprì l’auto con la chiave automatica a distanza, sentendo un click meccanico, aprì il portabagagli una volta arrivati. Zoe lasciò le buste con fatica, con le dita indolenzite e diventate bianche per via della stretta della busta.
Sharon rise << Te l’avevo detto di fare palestra. >> disse, prendendola in giro.
Zoe sbuffò per l’ennesima volta, facendo il broncio.
Mentre le due ragazze misero la spesa nel retro, Arcee e Bumblebee continuarono ad aspettare che i loro amici umani uscissero dal supermercato, i ragazzi uscirono con le buste e che Jack e Miko stessero litigando sull’accaduto; Miko non è riuscita a digerire sul fatto che lui sia stato su Cybertron per ridare la memoria ad Optimus, bisticciano spesso. La femme sospirò rassegnata.
<< Continueranno così per molto? >>
*Non lo so.* rispose l’altro.
Bumblebee aprì il cofano posteriore e fece accomodare il suo migliore amico sul sedile passeggero; i due ragazzi non finirono di litigare fino a quando non si chiuse il cofano con un tonfo sordo, facendo lasciare la questione sospesa, vedendo l’amica salire sull’auto. Jack sbuffò, prendendo il casco.
<< Non prendertela, Jack. Le passerà. >> disse Arcee.
<< Non credo proprio… >> commentò Jack, mettendosi il casco.
Si guardò per tutto il perimetro del parcheggio, solo a pochi metri di distanza dal gruppetto identificò la figura di Sharon e che chiude il cofano della sua auto mentre l’altra si sedette al sedile passeggero; la corvina lo guardò con la coda nell’occhio, intuendo che se ne stia andando via anche lui con i suoi amici, lo salutò con la mano e salire in macchina alla guida.
Arcee assistette alla scena << Una nuova amica? >>
<< Credo di sì. >>






Angolo Autrice:
Ecco un altro capitolo, solo che ho dei problemi di impostare le immagini, stessa cosa con la foto del profilo, spero che il problema lo risolverò. Comunque, la storia sarà disponibile anche su Whattpad, il mio profilo è Fantasy_Wolrd_Story, potete anche seguire lì.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4: L'antica lingua ***


Capitolo 4: L’antica lingua



Le due Witwicky rientrarono in casa, c’è un po’ di confusione nel vialetto dell’abitacolo e dall’ingresso, i mobili vecchi avvolti dalla carta da riciclaggio e un camion parcheggiato di lato della casa. Rodhy chiamò la ditta mobiliare per riprendersi i mobili da Filadelfia, per poi portare i vecchi mobili in un’asta per guadagnare un po’ di soldi. Due giorni prima, chiamò l’elettricista per restaurare la corrente, manca solo per l’acqua e il gas; fecero pulizia per togliere la polvere e coprendo le crepe con lo stucco.
Le due ragazze scesero dall’auto, recuperando la spesa dal portabagagli; due uomini della ditta portarono fuori dal camion, tra di loro c’è anche la loro zia.
<< Zia, siamo arrivate! >> chiamò la corvina.
La donna, intenta a smontare un mobile, sbatté la testa, mentre le due ragazze risero sotto i baffi. << Ahi… Oh! Già di ritorno. >> disse lei, massaggiandosi la testa dolorante << Pensavo che sareste andate a fare un giro per Jasper. >>
<< Si penserà quando la casa sarà finita. Ora, non ti posso lasciare in balia di questi “fustaccioni”. >> disse la nipote, indicando i due lavoratori con malizia.
La rossa la fulminò con lo sguardo con le guancie leggermente rosse.


***********



Gli Autobot rimasero al quanto stupiti della scoperta fatta dal loro leader, radunati intorno al computer. Sulla schermata da ologramma color verde chiaro, mostra il disegno del simbolo scannerizzato della scatolina. Rachet spiegò tutto al gruppo.
<< Un momento, un momento. >> interrompe la nuova recluta, confuso << Vorrete dire che questa lettera faccia parte dell’antica lingua di Cybertron? >>
<< Ma è impossibile! >> commentò Bulkhead.
<< Quella lingua non viene utilizzata da euroni orsono. Ora, per magia, è apparso dal nulla. Non vi sembra strano? >> disse Arcee.
Intanto, il piccolo gruppetto di umani ascoltarono attentamente il discorso proprio in quel preciso momento, seduti sul divano nell’angolo gioco a sgranocchiare le patatine. Raph rimase curioso di sapere cosa sia la lingua antica, una volta il medico dei Autobot raccontò che durante la guerra le due frazioni decisero di parlare una propria lingua per comunicare. Rachet si voltò all’umano con gli occhiali, gli spiegò che si tratta un antico linguaggio creato da Primus stesso durante la guerra contro Unicron e venne ricordato dai Tredici Prime originali… il motivo per cui che Optimus è riuscito a riconoscerlo perché Alpha Trion gli insegnò quella lingua. Divenne una specie di tradizione per colui o colei che diventerà Prime.
<< Wow… forte! >> esclamò Miko.
<< In poche parole, come gli antichi Sumeri e altri popoli perduti sul nostro pianeta. Quindi solo i Prime possono acquisire questa lingua antica? >> chiese Jack.
<< Attualmente è così. >> rispose il leader << Ma prima della guerra… >> tacque ad un certo punto, non vuole proseguire oltre, gli faceva male rivedere il passato; tutti lo guardarono con una espressione interrogativa << …tra gli abitanti, oltre ai Tredici Prime, vi erano due cybertroniani continuano a tramandare questa lingua. >> confessò lui.
Sia terrestri che i robot rimasero stupiti dalla notizia tranne Rachet, sembra che lui sappia di chi si riferisca.
Nessuno dei cybertroniani sapevano dell’esistenza di altri due Prime, o almeno così sembra per tutti; Jack si voltò verso al medico che non spicciò alcuna parola, il che è strano, perciò chiese << Rachet, tu conoscevi questi due cybertroniani? Dovevano esser destinati a essere dei Prime, prima che iniziasse la guerra? >>
Calò un silenzio tombale, tutti gli sguardi rivolti da prima al leader ora al medico che stette zitto, sorpreso per la domanda dell’umano, sospiro rassegnato. È ora di dire la verità.
<< Sì, esatto. >> ammise lui << Ma solo uno dei due divenne da poco Prime. Prima che vennero creati i Tredici Prime, Primus teneva sotto custodia i primi due cybertronyani, due femme, di cui erano dotate della conoscenza del creatore. Per moltissimi secoli, venne mantenuto il segreto che lui avesse due eredi, trasformando così una leggenda inventata per non dare nell’occhio ai nemici. Anch’io pensavo che fosse solo una storiella ma… mi resi conto che non era così… conobbi una di loro. Una dei discendenti di Primus. >>
Tutti rimase sbalorditi dal racconto del medico, non spiccarono nessuna parola, metabolizzando la faccenda che si è creata.
<< Ok… dopo queste rivelazioni, mi sta per venire il mal di testa. >> ammise il demolitore, ancora più confuso, anche Bee è nella stessa situazione.
<< Ma perché i Consiglieri c’è lo hanno tenuto nascosto per secoli? >> chiese Arcee.
<< Quindi, un momento, anche un Dio può avere dei figli?? >> chiese Miko, alzando un sopracciglio, Raph alzò le spalle come risposta.
<< Non so a voi, questa faccenda mi puzza… >> concluse il ragazzo mentre aprì con forza la bottiglia coca-cola. La schiuma accumulata per via del troppo movimento, schizzò sotto il tappo di plastica e sporcandogli la maglietta e scendere giù lungo la mano fino a terra, si alzò di scatto dal divano ed esclamò << Cavoli! >>
Miko e Raph risero sotto i baffi per la scena.


***********



Megatron fissò la vetrata della sala del commando, con le mani dietro la schiena. Il viso cruciato dalla rabbia e dal nervosismo. Non si è ancora sfogato tutta la sua rabbia per aver perso un’oggetto così prezioso, tutta colpa di Starscream per non aver fatto il suo lavoro e di aver raddoppiato la sorveglianza durante gli scavi al meglio. Tutta la sua furia lo scagliò sullo skreen argentato che ora si trova in infermeria, disteso sul tavolino e collegato con i tubi vitali, Knockout disse che non si sarebbe ripreso tra una o al massimo due settimane. Così assunse momentaneamente Dreadwing come vicecomandante.
Ripensando a quello che successo nei scavi di Energon, essere sconfitto da Optimus Prime è una frustrazione per lui, e di conseguenza, di aver perso quella scatola spazzata… nel ripensare a quell’episodio, la rabbia si accumulò ancora di più. Lui sa esattamente cosa sia quell’oggetto, lui sa chi appartiene, lui sa che quel qualcuno è sopravvissuto dallo scontro. Dopotutto, non sarebbe male di scontrare di nuovo se è ancora vivo. Un angolo della bocca si alzò nel formare un ghigno.
La porta della sala si aprì, il fedele amico Soundwave, il più abile tecnico della Nemesis e taciturno. Non parla mai, solo registrando le voci di qualsiasi individuo, non si sa mai se abbia un volto oppure no, la visiera che sembra uno schema di un computer in modo da mostrare progetti o comandi a distanza. Non sanno niente dl suo passato, solo il Lord. Non è uno si fa sottovalutare dopo una breve dimostrazione nel combattimento, assieme al suo minicon Laserbeak. Tutti lo nominano come colui che ha occhi e orecchie da per tutto, un vero mistero.
<< Soundware, hai scoperto qualcosa? >> chiese voltandosi verso il muto tecnico.
Quest’ultimo mostrò le immagini e sulle ricerche fatte nel suo laboratorio, proprio sulla scatola spaccata, il simbolo – lo stesso simbolo che aveva trovato Rachet – disegnato sulle incisioni.
<< Come me lo immaginavo. Saresti in grado di trovare l’altra metà? >>
L’altro scosse la testa.
Megatron non se la prese bene per la notizia, strinse i denti e chiudendo le mani a pugno, deve assolutamente riprendere il controllo. Respirò profondamente e congedò al tecnico, si promise che un giorno lui sarebbe riuscito a prendere l’altra metà dell’oggetto.







Angolo Autrice
Ragazzi, vi vogli augurarvi gli auguri di Buon Natale. Molto probabilmente in questi giorni festivi sarò da qualche parte senza Wifi. Ma non vi disperate, magari alla befana manderò il quinto capitolo e... no spoilers! *caccia la lingua*
Buon Natale a tutti e anche da parte dei Transformers!!

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