Back By The Sky

di _Girella_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Un Angelo In Terra ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1-Di nuovo quel giorno ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2-L'emozione non ha voce ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3-Voglio che tu sia felice ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- La buonanotte di un angelo ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6-Depressioni e idee geniali ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5- Lo sguardo di un ragazzo solo ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- Primo giorno di scuola ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8- Ricordi ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9-Eternal Blizzard ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10- La storia di Shirou ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11- Fiducia ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12- A volte non servono le parole ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13- Una buona notizia per Kidou ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14- Il ritorno di Fudou ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15- La scelta di Atsuya ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16- La rabbia di Gouenji e Midorikawa ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17- Ti amo, Mido-kun ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18- Ti amo, è questa è una realtà che non cambierà ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19- Gli occhi di mio fratello ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20- Sorridi, Gouenji ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21- E' giusto uccidere uno per salvarne mille? ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - La minaccia di Luc ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23- Angelo perduto ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24- Piccolo Angelo ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25- Hide and Seek ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo- Un Angelo In Terra ***


Prologo: un angelo in terra

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Io non volevo andarmene, sai? Avevo tante cose da dire, troppi sogni da realizzare.
Volevo ridere, 
scherzare, piangere, arrabbiarmi, giocare a calcio per tutta la vita.
E soprattutto 
non volevo lasciare te.
Non volevo lasciarti, Shirou.
Non volevo…

[Atsuya]

 

 

Non dev’essere facile perdere un fratello. Personalmente, a me non è mai successo. Ma credo di poter dire con sicurezza ciò che si prova a veder scomparire improvvisamente tutto ciò che si possiede, trascinato via in pochi secondi da qualcosa che sulla terra chiamano incidente e che io ho imparato a chiamare destino. Un destino che non ha un perché, un destino che ha deciso e nel quale tu non puoi interferire, perché purtroppo ha la testa dura e quando ha preso una decisione non c’è verso di dissuaderlo.

Ma la prova del dolore della mia scomparsa la ho tutti i giorni, quando sbirciando di tanto in tanto dalla mia nuvoletta lo vedo, lasciato solo ad affrontare tutto quello che viene poi. Per me, un forte rumore, l’eco delle parole di mio padre, il grido di mia madre e la paura nei suoi occhi mentre mi stringeva la mano. Poi tutto era finito lì, non avevo più sofferto.

No, questo non è completamente vero. Chissà, forse è proprio per questo che alla fine Lui si è convinto. Solitamente i defunti non soffrono più, dopo la morte. Magari possono provare un po’ di rimpianto per ciò che hanno perso, un lieve senso di tristezza una volta resosi conto che per il resto della loro vita non potranno far altro che osservare. Osservare senza mai, mai interferire.

Io invece…

Io no. Io soffrivo. Tanto. Tanto come solo un essere ancora in vita può. In certi momenti mi sentivo strappar via il cuore dal dolore, nonostante il mio cuore non battesse più. Versavo tante lacrime, ma teoricamente non avrei dovuto avere nemmeno gli occhi per piangere.

E dopo anni di notti popolate da incubi e grida, dopo giornate di silenzio e sofferenza, qualcuno deve averLo convinto a fare qualcosa senza precedenti. Qualcosa che va contro qualsiasi regola esistente al mondo, qualcosa che va contro la natura stessa della vita.

 

-Va bene, Atsuya. Hai vinto. Puoi tornare sulla Terra, tuo fratello ha troppo bisogno di te-.

Oh no. E’ Atsuya ad aver bisogno di Shirou.

-Vivrai ancora per un po’. Ma ci sono dei limiti, e tu li conosci bene-.

Già…

-E soprattutto non potrai restarci per sempre. Arriverà il momento in cui la tua anima terrena si consumerà e sarai costretto a dire addio una volta per tutte a tuo fratello. Sei sicuro di volerlo fare?-.

 

Ma ci pensate?? Una angelo che torna sulla Terra!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 1-Di nuovo quel giorno ***


Di nuovo quel giorno
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Shirou sbuffò riemergendo dai lenzuoli aggrovigliati e lanciando uno sguardo alla sveglia sul comodino, ben sapendo che non era stata lei a svegliarlo. Segnava ancora le sei e trenta del mattino.

Ma allora cosa…

Con un occhio chiuso e uno aperto, si domandò perché sul volto gli arrivasse tutta quella luce. Il resto della camera era ancora immerso nell’oscurità. Ma lui no. L’unico spiraglio di luce accecante che filtrava dalla finestra aveva deciso di colpirlo in pieno volto.

“Ma perché?”.

Si girò nuovamente cercando a tentoni il cuscino che, come ogni dannatissima notte, era caduto per terra. I suoi amici sostenevano che fosse perché si agitava troppo, ma lui non era mai stato sveglio per accertarsene.

“Che giorno è?”. A malapena si ricordava come si chiamava.

Ma quella era una mattinata particolare.

Speciale, se poteva essere definita così.

Era di nuovo quel giorno.

Forse per questo era così di cattivo umore.

Svegliarsi con il grido del proprio fratello nelle orecchie e la sua morte negli occhi non è proprio il massimo. 

Più o meno da una settimana aveva iniziato ad avere incubi su quell’incidente, e questo non faceva che ricordargli che era giunto l’anniversario della morte dei suoi genitori. E di lui.

Che ormai era diventato praticamente innominabile. Il suo solo nome strappava un altro brandello al suo cuore.

“E in più c’è anche il compito di matematica. Se questa non è sfiga…”.

Forse, poteva darsi malato e restare a letto. Per un secondo, chiuse gli occhi e contemplò la possibilità. Non dover affrontare nessuno, almeno per quel giorno. Restare solo.

Ma tanto sarebbero andati a cercarlo. E poi non poteva fuggire da tutto.

Ormai convinto che non sarebbe riuscito a dormire, decise di farsi una doccia per svegliarsi, anche se il freddo polare nella sua stanza gli rese quasi impossibile l’impresa di abbandonare il piumone. E dire che lui viveva nell’Hokkaido, e sarebbe dovuto essere abituato alle basse temperature.

Assaporò un altro secondo il calore della coperta poi, con un gesto brusco, la allontanò, si alzò, infilò la ciabatte e corse in bagno, per altro andando a sbattere contro la porta che non ricordava di aver chiuso e ammaccandosi il naso. Il tutto in poco meno di un decimo di secondo.

Al sicuro tra le calde mura del bagno Shirou si massaggiò il punto in cui aveva battuto con una smorfia. “Imbranato”. Chissà perché, quel pensiero gli risuonò in testa con la voce di suo fratello, e lo fece al contempo ridere e piangere.

Si contemplò i capelli grigi nello specchio. Mai andare a letto con i capelli bagnati, si rammentò osservando scoraggiato la chioma selvaggia. A sua discolpa, poteva dire che la sera prima era rientrato tardissimo per colpa di Endou, che non la voleva finire più con quell’amichevole con la Teikoku Gakuen. Inoltre, Kidou giocava nella squadra avversaria e nessuno dei due aveva la benché minima intenzione di perdere.
Con un sospiro si sfilò il pigiama battendo i denti e si tuffò di getto contro l’acqua calda, rilassando le spalle.

“Io odio l’inverno” pensò sbuffando poi, come un idiota, scoppiò a ridere da solo mentre un ricordo lo coglieva.
 
-Mi fa freddo- sbuffa Atsuya, stretto nel piumone davanti alla finestra. Tu, seduto accanto a lui, osservi la pioggia. –Che noia! Io volevo giocare a calcio!-. 

Lo guardi scoraggiato. –Tu non faresti altro tutto il giorno-. 

-Non mettetevi in testa strane idee, voi due- vi ammonisce la mamma. -E’ freddo per andare a giocare fuori. Dovrete aspettare la bella stagione-. 

-Uffaaaa!!-. Atsuya sbuffa, come sempre insofferente. –Io odio l’inverno!-. 
 
Shirou si riprese all’improvviso dal flash back in cui era piombato. L’acqua era diventata troppo bollente e gli aveva scottato una spalla. Se la massaggiò distrattamente.

No, non era vero. Lui non odiava l’inverno. Atsuya odiava l’inverno.

“Perché, perché, perché ogni anno deve tornare questo giorno?”

Nonostante cercasse in tutti i modi di impedirselo, le lacrime cominciarono a scorrergli lungo le guance. Si lasciò scivolare per terra senza nemmeno chiudere l’acqua e si abbracciò le ginocchia, il corpo squassato dai singhiozzi.

“Perché… perché…”.
 
***
 
°Atsuya°
 
Ancora? Sta ancora così?

Se possibile, osservare il suo dolore da vicino è ancora peggio che guardarlo dall’alto. Perché qui so che è vero, che lui è qui e soffre, per colpa mia. Accidenti al destino.

Allungo una mano verso il suo volto, bramando un contatto diretto, ma lo attraverso come se fosse fatto d’aria. No, io sono fatto d’aria.
“Già… niente contatti”.

Sbuffo, poi lo guardo fisso. Si sta piano piano riprendendo. Non posso fare a meno che avvicinarmi al suo orecchio.

-Shirou…-
 
***
 
Un brivido lo colse all’improvviso. Strano, eppure l’acqua era calda. Forse era stato troppo sotto la doccia. Si passo il dorso della mano sugli occhi e fece per alzarsi, quando una voce eterea eppure così reale lo bloccò sul posto.

 -Shirou…-.

Il suo cuore perse un paio, o forse un centinaio, di colpi. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille altre.

-One-chan?- chiese a voce alta, guardandosi intorno nel bagno silenzioso.

Nessuno rispose.

Con un sorriso tirato Shirou si tirò su in piedi e spense l’acqua. “Che scemo che sono” si disse.

Uscito dalla doccia, però, non potè impedirsi di notare che la finestra accanto a lui aveva il vetro ghiacciato.

-Smettila- si disse ad alta voce, come se parlare con se stesso rendesse quel giorno più facile da essere affrontato. –Fa freddo ed è ovvio che il vetro sia ghiacciato. Ora vai a vestirti e smetti di cercare ovunque segni di una presenza ultraterrena-.

Si ripetè quella frase come un mantra mentre tornava in camera e si asciugava in fretta per evitare di congelare dentro al proprio accappatoio. Lo sguardo gli cadde sula sveglia mentre si allacciava il primo bottone della divisa della Raimon.

8.19

-CHE COSA?- gridò.  –Ma quanto accidenti sono rimasto sotto la doccia?-.

Ne dedusse che doveva essersi addormentato. “E questo spiega anche le voci immaginarie-.

Con la camicia della divisa ancora aperta, corse in bagno e si infilò lo spazzolino in bocca, per poi ignorarlo bellamente mentre afferrava la spazzola e correva di nuovo in camera. Da casa sua a scuola ci volevano più o meno venti minuti se andavi a passo svelto, e lui non poteva assolutamente permettersi di far tardi al test di matematica. E per di più, non avrebbe potuto ripassare all’ultimo momento con Gouenji e Kazemaru come faceva sempre. Si allacciò una scarpa e fece per infilarsi l’altra quando, per coronare il tutto, squillò il telefono.

 -Grand…ioso…- sbuffò con la bocca piena di dentifricio. Il telefono continuava a suonare . –Oh, bhè, se ne faranno una ragione-.

Come in risposta, il telefono trillò nuovamente con tono minaccioso e Shirou sentì di non poterlo ignorare.

“Ma tu guarda che situazione…”.

Con una scarpa sola, lo spazzolino in bocca e l’altra scarpa in mano si costrinse a saltellare in giro per la casa alla ricerca del cellulare perduto, che poi si rivelò essere in camera, sotto il cuscino, precisamente dove era lui pochi minuti prima, il che voleva dire che avrebbe potuto tranquillamente evitare di attraversare tutta la casa. Tornò sbuffante in camera. “Non è proprio la mia giornata”.

-Dove accidenti sei?-.  La voce al di la della linea non gli dette nemmeno il tempo di dire “Pronto” e lo costrinse ad allontanare il telefono dall’orecchio per salvaguardare il suo povero timpano.

Midorikawa..

-Hai ragione arrivo subito…- ansimò mentre, con il cellulare schiacciato sulla spalla, si allacciava la seconda scarpa. Lo spazzolino fece per cadergli e lo afferrò all’ultimo momento. Gli venne voglia di urlare, ma si trattenne.

-Arrivo? Ma ti rendi conto che la professoressa è appena entrata con i test di matematica a cui io probabilmente non saprò rispondere nemmeno a una domanda e speravo nel tuo aiuto? Se non sei qui entro cinque minuti giuro che ti vengo a prendere!-.

“Click”.

-Buongiorno- sbuffò contro il telefono ormai muto. Gli lanciò un’occhiataccia come se fosse colpa sua, poi lo lanciò sul letto e corse in bagno.

L’eco di una risata spaventosamente familiare lo accompagnò mentre usciva di casa.

 
Otto minuti e diciassette secondi dopo era davanti al cancello della scuola, le mani sulle ginocchia a cercare di riprendere fiato mentre i polmoni minacciavano di scoppiargli. Non salutò nessuno mentre entrava, si limitò a salire di corsa le scale e ad aprire la porta della sua aula senza nemmeno bussare.

La stanza era completamente silenziosa e i suoi compagni senza dubbio erano già immersi nel compito. Nonostante ciò, alla sua entrata, ventitré teste si alzarono, compresa quella non poco scocciata della professoressa che gli rivolse uno sguardo di fuoco. –Finalmente ci degni della tua presenza, Fubuki-.

-Mi scusi ho avuto… qualche contrattempo-. “Tipo che la mia casa mi si è ritorta contro”. Avvertì le risatine dei suoi compagni e si chiese il perché, ma ci pensò la professoressa a risolvere i suoi dubbi. –Già, lo vedo. Ti sei vestito al buio?-.

Shirou arrossì, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoli ancora di più. In più, si era anche allacciato male la camicia, perciò con un sospiro slacciò un bottone dopo l’altro e la riallacciò nel modo corretto, senza accorgersi di aver appena causato un orgasmo alla maggior parte delle ragazze presenti e anche a qualche ragazzo, che rimasero incantati a fissare il suo corpo perfetto.

-Così va bene?- domandò alla professoressa, la quale non era certo rimasta indifferente a quell’inaspettato spogliarello di Shirou e cercava di impedirsi di arrossire, con scarsi risultati.

-Si.. si certo… vatti a sedere, sei ancora in tempo per il test-.

Shirou le rivolse un sorriso che avrebbe sciolto anche un ghiacciolo sulla cima di un monte in Hokkaido e prese posto accanto a Midorikawa che gli rivolse un’occhiataccia. “Che c’è?” mimò con la bocca Shirou, estraendo l’astuccio dallo zaino.

Midorikawa fece per dire qualcosa, poi scosse la testa con rassegnazione mentre la professoressa ancora color pomodoro si avvicinava al compagno e gli porgeva il suo compito, allontanandosi in fretta e furia.
 
***
 
°Atsuya°
 

Aggrotto la fronte. Perché, perché, perché mio fratello è così insensibile al proprio fascino? Come ha fatto a non accorgersi che ha quasi fatto morire d’infarto metà della classe, professoressa compresa? Uff… gli sono accanto da due ore e già mi ha fatto ingelosire. Complesso del fratello minore?

Ma se siamo gemelli!

Cammino- cammino? Mmmh.. no. Come definirlo? Ecco… volteggio- fino al suo banco e do un’occhiata al suo compito. Forse potrei aiutarlo in qualche modo…

Faccio una smorfia. Io? Io aiutare lui in matematica? Ma per favore…

Infatti, mentre io sono ancora a grattarmi i capelli leggendo la prima domanda senza nemmeno riuscire a capirne il significato, Shirou si alza e consegna il compito –già terminato!- alla professoressa, accompagnato da un altro sorriso che la fa arrossire ancora di più. Evidentemente, non si era ancora ripresa del tutto dallo spettacolo di prima. Dopodiche, torna al proprio banco. Distratto come sono, non mi accorgo che ormai è accanto a me e non faccio in tempo a scansarmi: mi passa attraverso.

Un’esplosione di emozioni mi scuote e mi fa perdere il filo della concentrazione per qualche secondo. Come vorrei toccarlo…

Con gli occhi offuscati lo vedo rabbrividire -evidentemente noi angeli facciamo questo effetto agli umani- e stringersi al collo la sciarpa bianca.

La mia sciarpa bianca…

Questo, se possibile, mi fa desiderare ancora di più essergli accanto e poterlo almeno guardare negli occhi. Magari, senza leggerci il dolore che li vela sempre
 
***

Passando accanto al proprio banco, un brivido lo colse. Strano, tutte le finestre erano chiuse e non c’erano spifferi. Si strinse la sciarpa del fratello attorno al collo, che per l’occasione aveva tirato di nuovo fuori, come faceva ogni anno. Era una specie di marchio di riconoscimento: quando la portava, era meglio stargli al largo. Qualcuno, come Kidou e Hiroto, lo capiva e faceva di tutto per ignorarlo.
Inutile dire che altri come Endou e Midorikawa se ne fregavano altamente. Anzi, lo coinvolgevano sempre di più nelle attività e nelle chiacchiere, per fargli dimenticare il proprio dolore.

Come se fosse stato possibile…

Dette un’occhiata all’orologio. Le 9.30. Aveva terminato il compito in meno di un’ora. E adesso doveva attenderne altre due, mentre i suoi compagni finivano i propri. La mancanza del ripasso all’ultimo momento in fondo non si era fatta sentire.
 
***
 
-Midorikawa Ryuuji, ti giuro che se non consegni subito quel compito me ne vado e te lo annullo- minacciò la professoressa immobile davanti al banco di Midorikawa, battendo nervosamente un piede per terra.


-Un secondo, per favore- singhiozzò disperato il ragazzo dai capelli verdi, lanciando un’ultima occhiata al foglio scarabocchiato. Era fortunato se ne aveva azzeccata una su trenta. Accidenti anche a chi aveva inventato la matematica.

Shirou gli si avvicinò. –Tanto l’illuminazione non ti arriva all’ultimo momento, quindi tanto vale che ti togli il pensiero-.

Midorikawa lo guardò malissimo. –Zitto tu, che hai passato due ore a non fare nulla-.

 -E te cosa hai fatto in queste due, anzi tre ore?- domandò Shirou ben conoscendo la risposta, lanciando uno sguardo alla brutta copia del compito.

3x2… Hiroto… Hiroto… Hiroto…”.

-Nulla- arrossì Midorikawa nascondendo veloce il foglio. Poi si alzò e raccolse in fretta la sua roba. –Andiamo, va!-.

Shirou sorrise e si guardò nuovamente alle spalle. Era tutta la mattina che si sentiva osservato, anche in quel momento che nell’aula c’erano solo lui e Midorikawa. A meno che qualcuno non fosse appostato fuori dalla finestra. Difficile, al quarto piano.

Shirou scrollò le spalle: forse era perché la mattina si era alzato così tempestivamente.

Assieme a Midorikawa e alla massa di studenti, scese le scale e uscì in giardino, nonostante il vento gelido, e raggiunse un angolo nel retro della scuola. Là c’erano già Kidou ,Hiroto,Gouenji e Kazemaru.

-Salve ragazzi- salutò Shirou.

-Ehi-.

Midorikawa si lasciò scivolare lungo il muro e si sedette, abbracciandosi le ginocchia.

-Che ha il depresso?- chiese Kazemaru.

Shirou scrollò le spalle. –Oh, nulla, avevamo il compito di matematica e lo ha lasciato in bianco-.

-Il solito, quindi- sorrise Kazemaru.

-Precisamente- ridacchiò a sua volta Shirou.

Hiroto, nel frattempo, si avvicinò al pistacchietto e gli passò una mano nei capelli. –Tranquillo, ti aiuto io a studiare. Come sempre-.

Midorikawa arrossì e il suo umore si risollevò di colpo. Col fatto che Hiroto era a capo del consiglio studentesco, poteva chiedergli aiuto ogni volta che voleva. In fondo, aveva una cotta mostruosa per lui. E non era l’unico, dato che metà dell’istituto sbavava dietro all’ “inavvicinabile Hiroto Kiyama”.

Mentre Shirou faceva ridere tutti con il racconto della sua mattinata disastrosa- omettendo la parte della doccia- li raggiunse Endou. Kazemaru smise di ridere di colpo non appena il portiere li salutò con uno dei suoi soliti calorosi sorrisi e come sempre perse la capacità d’intendere e di volere.

-E…E…E…Endou… Ci…Ci…Cia…- balbettò. Shirou alzò gli occhi al cielo, e non era l’unico. L’improvvisa incapacità di esprimersi che colpiva Kazemaru ogni volta che Endou era nei paraggi non era certo sfuggita agli altri.

-Ciao ragazzi. Ciao Kazemaru-. Endou era allegro come al solito.

-Endou, ti vedo contento. Sei andato bene al compito di scienze?- chiese Gouenji.

Endou parve pensieroso per un istante –Mmmh no, ho preso tre. Ma chi se ne importa! Dopo ricordatevi che c’è l’allenamento!-.

Gouenji e Kidou sospirano scoraggiati. –Tre? Ma Endou! Avevamo studiato tutto il pomeriggio!-.

Endou fece segno di lasciar perdere. Poi, si rivolse direttamente a Kazemaru –Te ci sei all’allenamento dopo, vero?-.

Kazemaru divenne di fuoco. –S…s…si, ce…ce…ce…-.

-Ci saremo tutti, tranquillo Endou- intervenne Midorikawa, lanciando un’occhiataccia al difensore. “Sei ridicolo” mimò con le labbra.

Shirou, nel frattempo, si era ritirato nell’angolo più nascosto. Non voleva essere coinvolto nella conversazione, non ora che la tristezza si stava nuovamente facendo strada in lui e minacciava di prendere il controllo su di lui. Era più che contento che gli altri lo ignorassero. Non voleva parlare con nessuno.

-Shirou?-. Gouenji gli si avvicinò.

Bhè, tranne che con lui…

Shirou fece un sorriso tirato mentre Gouenji si lasciava cadere al suo fianco. –Tutto bene?-.

-Si… no… insomma…-.

-No-tradusse Gouenji. –E’ di nuovo quel giorno vero?-.

Shirou fece un sorriso tremulo. -Già…-.

Gouenji non disse niente e Shirou gliene fu grato: non c’era niente da dire. Però gli rimase accanto, passandogli una mano tra i capelli e riuscendo piano piano a farlo calmare.
 
***
 
°Atsuya°
 
E questo cosa vuole? Chi è? Perché sta così vicino a mio fratello?

Okay, questo qui non mi sta per niente simpatico. Giù le zampe, porcospino!

Va bene, sono discorsi che un angelo non dovrebbe fare. Ma io non sono proprio tagliato per recitare la parte del santarellino con le ali e l’aureola. Perciò, bello, tieni giù le mani!

Se non sbaglio, è Gouenji. L’ho visto spesso nei pensieri di mio fratello.

Non posso negare a me stesso di essere invidioso. Vorrei essere io a passare la mano tra i capelli di  mio fratello e tranquillizzarlo, se non fosse che sono proprio io a causargli tutto questo dolore. Allungo una mano per toccarlo, ma so che non posso.

Però…

Un’idea mi coglie all’improvviso.

Potrei… Perché no?

Sorrido.
 
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Capitolo 3
*** Capitolo 2-L'emozione non ha voce ***


L’emozione non ha voce
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-No, Atsuya-.

Non fai nemmeno in tempo a pensarlo che già è al tuo fianco e ti fissa severo, nella sua luce accecante.

-Ma…-.

 Niente ma. Hai promesso-

Sospiri, cercando di trattenere qualche commento che non sarebbe educato davanti a lui.

Ma quando mai tu sei stato educato?

-Non mi farò riconoscere-.

-Ah no?-. Non sembra convinto.

-Assumerò sembianze diverse! Fammi almeno provare!-.

Lui sospira e scompare. I tuoi occhi brillano.

Lo prendi come un si.

***

Sospirando, Shirou infilò la chiave nella serratura e aprì la casa silenziosa. Troppo silenziosa, troppo vuota. Come avrebbe voluto che ci fosse qualcuno ad aspettarlo, o anche qualcuno che tornasse con lui. Invece, alla fine, nonostante tutto, era solo.

Abbandonò la borsa da calcio in un angolo e si diresse in camera sua col preciso intento di prendere dei vestiti puliti e farsi la doccia.

 Il letto comodo attirò la sua attenzione.

Magari solo un secondo…

 
Un rumore improvviso lo svegliò tre ore dopo. Sentì un tuffo al cuore e cadde dal letto, battendo la testa. Si rialzò massaggiandosi la fronte dove sentiva spuntare un bernoccolo. Cos’era stato?

Sembrava un’esplosione di vetri rotti.

A tentoni, cercò la luce e la accese. Con circospezione, esaminò la camera, ma sembrava tutto tranquillo. Esaminò le altre stanze, ma niente sembrava essere la causa di quel fracasso.

Quando arrivò in cucina, si bloccò.

Anche lì era tutto normale. Tranne il fatto che la portafinestra sembrava esplosa e i vetri erano sparsi su tutto il pavimento. E nel mezzo, sdraiato per terra, apparentemente svenuto, v’era un ragazzo.

Trattenne un grido.

“Ma cosa…chi…”.

Circospetto, si avvicinò, ma lo sconosciuto pareva davvero privo di sensi. A debita distanza si fermò.

Stranamente non sembrava essersi ferito, nonostante fosse circondato dai vetri che doveva aver rotto lui. Anzi, la sua pelle era perfetta, e sembrava fatta di porcellana. Era diafana, come quella di Hiroto, ma incredibilmente  liscia e sembrava invocare che qualcuno la toccasse. Shirou allungò la mano, ma poi si fermò e lo osservò con maggiore attenzione.

Doveva avere più o meno la sua età. I capelli castani di media lunghezza erano sparsi attorno al suo volto, aggrovigliati. I suoi lineamenti erano perfetti e, nonostante fossero chiusi, Shirou ebbe la sensazione che avesse gli occhi chiari. Portava una camicia azzurra e un paio di jeans che, al contrario della pelle, si erano strappati. La camicia in particolare era ridotta a brandelli e lasciava intravedere la schiena del ragazzo. Shirou fece una smorfia stupita quando si accorse che due cicatrici gli segnavano la schiena, ed erano l’unica cosa che sfigurava quel corpo altrimenti perfetto. Nonostante ciò, non v’era una goccia di sangue.

Ormai del tutto convinto che fosse svenuto, si inginocchiò accanto a lui facendo attenzione ai vetri e lo prese tra le braccia, scuotendolo leggermente.

–Ehi?-. Nessuna risposta.

Shirou sospirò e lo sollevò con delicatezza dal pavimento freddo della cucina. Almeno respirava, si disse. Attento a non sbattere contro le pareti della casa, lo portò nella propria camera e lo adagiò sul letto. Poi gli tolse la camicia strappata e i jeans, e li sostituì con uno dei suoi pigiami. Gli andava alla perfezione, come se avessero precisamente la stessa taglia. Gli rimboccò le coperte sotto al mento per proteggerlo dal freddo di inizio novembre, dopodiché afferrò una coperta e un cuscino, spense la luce e uscì. Lasciò la porta aperta per sicurezza.

Passando davanti alla cucina, in cui era rimasta la luce accesa, si fermò un secondo a osservare il disastro sul pavimento. Sbuffò: per fortuna l’indomani era sabato e avrebbe avuto tutto il tempo per sistemare. E poi avrebbe potuto scoprire chi fosse lo sconosciuto.

Nel salotto, sdraiato sul ruvido divano mezzo sfondato, si chiese come mai avesse provato quell’improvviso bisogno di proteggerlo. In fondo, non sapeva niente di lui. Non lo aveva mai visto, ne era sicuro. Ma era altrettanto sicuro che avesse qualcosa di familiare, qualcosa di profondo che lui stesso non riusciva a capire.

Come se fossero legati in qualche modo…

“Bah..” si disse girandosi contro la spalliera del divano. “Lo scoprirò domani, inutile stare a fare tante congetture”. Erano le una del mattino e aveva decisamente bisogno di dormire.
 
 
Si svegliò come al solito baciato dal sole. Perché accidenti non aveva chiuso le tapparelle? Di sicuro era l’alba, di nuovo.

Girandosi, sentì il vuoto sotto di sé e precipitò nel nulla. Atterrò di sedere, ma per fortuna la caduta era stata arrestata dalla coperta in cui si era avvolto.
“Ma il mio letto non era più grande?”.

Si tirò a sedere e riconobbe il proprio salotto. Lo sguardo gli cadde sull’orologio. Altro che alba! Erano quasi le undici!

“Accidenti… quel ragazzo…”.

Improvvisamente sveglissimo, si liberò dalla coperta e attraversò il corridoio fino alla sua camera. Con un sospiro vide che lo sconosciuto era ancora nel suo letto, profondamente addormentato. Sembrava non essere cambiato nulla, ma il suo respiro era più profondo e i suoi lineamenti più rilassati. Di nuovo, Shirou ebbe la precisa sensazione di conoscerlo. E bene, anche…

I suoi pensieri furono interrotti dal suono del campanello.

“Accidenti! L’allenamento!”

Corse più veloce che potè fino alla porta e l’aprì senza nemmeno chiedere chi era. Endou entrò come una furia. –Allenamento alle nove di mattina vuol dire allenamento alle nove di mattina, non che tu non ti presenti e nemmeno rispondi al telefono- sbuffò, poi lo osservò meglio. –E vuol dire che se io ti vengo a prendere non ti trovo in pigiama tutto spettinato, ma vestito e con una buona scusa da rifilarmi!-.

Gouenji, Kidou, Kazemaru, Hiroto e Midorikawa apparvero dietro di lui. “Grandioso, ci sono tutti…”.

-Hai ragione, Endou, ma ho avuto un problema…-.

Endou lo guardò male. –Avevo detto una buona scusa-.

Shirou sbadigliò. –Bhè, se non ci credi, vieni con me-.

Almeno forse loro avrebbero saputo da dove veniva quel ragazzo sconosciuto e bellissimo.

Passando davanti alla cucina, Kazemaru si bloccò. –Ma cosa è successo?-.

Shirou si fermò davanti alla porta della propria camera e indicò l’interno. –Il problema- spiegò.

Endou e gli altri fecero capolino dalla soglia. –Ma che cosa…-. Si irrigidì alla vista del ragazzo ancora addormentato. –Chi è?-.

-Questa è la domanda da dieci e lode- sbuffò Shirou. –L’altra è: da dove arriva?-.

-Vuoi dire che c’è un ragazzo addormentato nel tuo letto e non sai nemmeno chi sia?- chiese sgomento Hiroto.

Shirou annuì. -Si, anche se detto così…- mormorò con uno sguardo imbarazzato a Gouenji. –Stanotte ho sentito un forte rumore e quando sono arrivato in cucina la finestra era esplosa e lui era sdraiato sul mio pavimento. Non potevo certo lasciarlo lì. Ma non ho idea di chi sia!-.

I ragazzi si disposero attorno al letto, ognuno immerso nei propri pensieri e con lo sguardo fisso sul ragazzo.

Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, Shirou si decise a fare la domanda che lo assillava –Ma a voi non pare di averlo già visto?-.

Midorikawa reclinò la testa pensieroso. –No- rispose. –Però ha qualcosa di strano-.

-Che intendi?- chiese Hiroto.

-Non so… sembra tipo… magico. Ultraterreno-.

Un silenzio assoluto fece eco alle parole di Midorikawa, finchè Kidou non lo interruppe. –Okay, lasciamo perdere il soprannaturale. Io aspetterei che si risvegli, e poi potremo chiedere direttamente a lui da dove viene-.

Uscì dalla stanza e uno dopo l’altro i ragazzi lo seguirono. Midorikawa parve imbarazzato -Scusate, ho solo espresso un pensiero…-.

Passandogli accanto, Shirou gli poggiò una mano sulla spalla –Tranquillo, io ho avuto la stessa impressione…-.
 
***
°Atsuya°
 

Accidenti, certo che assumere sembianze umane è spossante! Subito dopo la trasformazione, non posso fare a meno di lasciarmi cadere, esausto. Spero almeno di non aver sbagliato nulla. Per adesso, non vedo e non sento niente. E’ tutto bianco, luce accecante. E io dovrei essere abituato alla luce. Sono un angelo!

Mi correggo, ero un angelo.

No, okay, sono ancora un angelo, ma in sembianze umane. Non credevo che avrei avuto il permesso per fare una cosa del genere.

E adesso? Adesso non devo fare altro che recitare la mia parte.

Dopo però. Adesso sono davvero troppo stanco…
 
***
 
Quando Shirou ritornò dall’allenamento, la prima cosa che fece fu correre in camera, ma lo sconosciuto non si era ancora svegliato. Anzi, pareva non essersi mosso di un centimetro.

Era stato riluttante a uscire di casa e lasciarlo solo, ma alla fine Endou lo aveva convinto. A vederlo al suo posto fu sollevato, ma allo stesso tempo preoccupato. Se entro la fine della giornata non si fosse svegliato, avrebbe chiamato l’ospedale.

Sotto il getto d’acqua calda, scoprì di sentirsi stranamente leggero. Un peso che non si era accorto di portare sembrava sparito da quando aveva trovato quel ragazzo, che sembrava irradiare luce e tranquillità. E soprattutto, la costante sensazione di essere osservato lo aveva abbandonato.

Mise i pantaloni e la maglietta, poi tornò in camera con l’intento di sedersi accanto al letto e rilassarsi leggendo. Il pavimento di cucina era di nuovo sgombro dai vetri. Davanti alla porta, però, si bloccò.

Lo sconosciuto si era svegliato e stava seduto sul letto, guardandosi incontro con aria smarrita. Quando i suoi occhi si posarono su Shirou, lui riuscì solo a pensare “Avevo ragione, ha gli occhi chiari”. Verdi per la precisione. Profondi e sgranati.

Ancora non sapeva che la fine della normalità aveva appena posato lo sguardo su di lui.
 
***
°Atsuya°
 
Lo vedo immobile sulla soglia, la bocca semiaperta, gli occhi spalancati. Mi serve qualche secondo per metterlo a fuoco: non ero più abituato a tutto ciò che si prova come essere umano. Il mal di testa, la pesantezza del corpo, gli occhi appannati, la bocca secca e una grande confusione.

Si avvicina a me a passo lento, come se ancora non credesse ai suoi occhi e si lascia cadere sula sedia accanto al mio letto. Lo seguo con lo sguardo.

Da quanto desideravo di stargli un po’ vicino…

-Ciao…- sussurra a voce bassa. Gliene sono grato, non potrei sopportare un volume più alto.

Faccio per rispondergli, ma mi bloccò. Non riesco a parlare. Per quanto mi sforzi dalla mia bocca non esce un suono.

-Ricordi come ti chiami?- domanda ancora lui.

Si, certo! Ma perché non riesco a dirtelo?

-Non vuoi dirmi il tuo nome?-.

Atsuya, scemo! Sono tuo fratello e ho una grande voglia di abbracciarti. Ma non riesco a fare un movimento. Mi assale una gran voglia di piangere mentre mi passa una mano sulla fronte e altrettanto la ritrae, come se si fosse scottato.

-Tranquillo, avremo tempo per fare conoscenza. Ora mettiti giù e riposati-.

Ubbidisco, perché ho davvero bisogno di riposarmi. So che se avessi voce griderei a mio fratello la verità.

E d’improvviso capisco: certo, che idiota. E’ questo il motivo per cui adesso non posso parlare. Previdente, Gabe!

Va bene, va bene ho capito. Niente verità. Mi atterrò al piano originale. Okay?

Il bello è che non so nemmeno con chi sto parlando. Anzi, il bello è che non sto nemmeno parlando. Nel frattempo, mio fratello si è allontanato e sta parlando al cellulare.

–Ehi, si è svegliato. Bho. Senti, non me lo dice! Okay… a dopo-.
 
 
***
 
Chiuse la chiamata e si voltò nuovamente verso il ragazzo sul suo letto. Adesso che si era svegliato, sembrava ancora più confuso e smarrito di prima. Shirou non voleva tirare conclusioni affrettate, ma sospettò che non sapesse nemmeno com’era arrivato lì.

Comunque, aveva qualcosa di strano. Qualcosa di terribilmente familiare. Shirou conosceva benissimo lo sguardo che il ragazzo gli aveva rivolto, pieno di sottintesi.

E poi bhè , c’era quella scossa elettrica che gli aveva attraversato il braccio al solo contatto con la sua pelle e che si era irradiata lungo tutto il suo corpo.
Non sapeva cos’era, ma era arrivata fino al suo cuore, e lo aveva spaventato. Era come se avesse toccato del fuoco rovente, ma una sensazione più piacevole e non del tutto estranea.

Ma chi accidenti era quel ragazzo?

Si sedette su una sedia accanto al letto e rimase a osservarlo mentre si guardava intorno con aria spaesata, come se non sapesse bene dove posare gli occhi. Shirou era stupito: in fondo camera sua non era niente di particolare. Con un sorriso, si chiese come avrebbe reagito se si fosse trovato in camera di Endou, dove entravi a tuo rischio e pericolo.

Alla fine il suo sguardo, dopo aver percorso in lungo e in largo gli scaffali ordinati, si posò su una fotografia, l’unica presente nella stanza. Aveva una bella cornice, di quello che sembrava argento o oro bianco.

Shirou seguì il suo sguardo e si incupì.

-Oh, quella…-.

Si alzò e la prese per mostrarla al ragazzo, cercando di soffocare l’ondata di ricordi. Si chiese perché volesse mostrargliela, in fondo non sapeva niente di lui. Sarà stato quello strano senso di familiarità, o forse solo il bisogno che sentiva di parlare con qualcuno. Fatto sta che non potè impedirsi di fargliela vedere.

-Questa è la mia famiglia- mormorò piano. Il ragazzo parve smarrito. –O meglio, era la mia famiglia. Mia madre, mio padre…-. Prese un sospiro. –Io e mio fratello gemello-.

Rimasero entrambi in silenzio per molto tempo, ognuno immerso nei propri pensieri e nei propri ricordi. Il sole brillava alto nel cielo e creava buffi effetti di luce sui capelli grigi di Shirou. Il ragazzo rimase a fissarli incantato.

Il suono del campanello li riscosse entrambi. Shirou ebbe un sussulto e rischiò di farsi cadere la fotografia di mano, ma per fortuna la riprese in tempo. La rimise apposto dov’era e dopo averle lanciato un’ultima occhiata, si diresse nell’ ingresso.

-Davvero si è svegliato?-. Endou sembrava entusiasta. –Chissà se sa giocare a calcio-.

Hiroto si lasciò andare a un sospiro scoraggiato. –Endou, non sappiamo nemmeno come si chiama!-.

Velocemente, tutti si avvicinarono alla camera , e altrettanto velocemente si fermarono quando constatarono con i propri occhi che effettivamente lo sconosciuto era sveglio e li osservava con curiosità.

Si avvicinarono al letto.

–Ciao!-. Il primo a parlare fu Endou, che gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisi a trentadue denti. Il ragazzo sorrise. –Io sono Endou Mamoru. Sono il capitano della squadra di calcio della Raimon, e faccio il portiere! Un giorno magari potresti giocare a calcio con noi! Sakka Yarouze!-.

Kidou scosse la testa. Endou non cambiava mai. Intanto, lo sconosciuto lo fissava con un sorriso timido.

-Va bene, Endou, vedremo- s’intromise Gouenji. –Adesso, direi che possiamo lasciarlo riposare-.

L’espressione del ragazzo si accigliò. Shirou non lo avrebbe giurato, ma gli parve che lanciasse uno sguardo ostile a Gouenji. Ma riacquistò in fretta l’espressione neutra, e Shirou pensò di esserselo immaginato. Perché avrebbe dovuto avercela con lui se nemmeno si conoscevano?

Fu subito distolto dai suoi pensieri perché il ragazzo si voltò verso di lui, guardandolo fisso. I loro sguardi si incontrarono per un lungo istante. Poi aprì la bocca e parlò.

-Shirou…-.
 
Un fulmine squarciò il cielo.

No, un fulmine squarciò il mio petto.

Di nuovo, quella sensazione mi avvolse, ma stavolta più intensa.

Pensavo che non avrei mai più udito quella voce.

Forse lo speravo.

Forse, avevo sempre desiderato risentirla.

[Shirou]
 
Prima ancora di rendersene conto, stava cadendo. 


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Capitolo 4
*** Capitolo 3-Voglio che tu sia felice ***


Voglio che tu sia felice
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-Sapevo che non era una buona idea-.

-Non intervenire ancora. Voglio vedere come va a finire-.

-Ti fidi di lui?-.

-Mi fido dell’amore che li lega-.

-Si ma.. se non bastasse?-.

-Basterà-.

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Nel breve intervallo che trascorse tra che il ragazzo ebbe aperto la bocca e la caduta di Shirou, il tempo parve come fermarsi. Per un secondo, nella stanza c’erano solo loro due, ma il ragazzo aveva assunto sembianze diverse, che lui conosceva bene.

Poi il mondo si fece scuro, e cadde in un baratro di ricordi.
 
Per fortuna, Gouenji era ancora accanto a lui e lo prese al volo prima che toccasse terra. Tutti si voltarono verso di loro, compreso il ragazzo, con gli occhi spalancati dal terrore.

-Shirou!-.

Gouenji lo scosse delicatamente, ma lui non aprì gli occhi. Le palpebre gli tremavano e il suo respiro si era fatto veloce e irregolare.

Il ragazzo scese dal letto barcollante e, senza più una parola, lo invitò a stenderlo al suo posto.

-Che è successo?- esclamò Endou, l’aria allegra e spensierata svanita tutta insieme. Hiroto posò una mano sulla fronte di Shirou.

-E’ diventato gelido di colpo- mormorò. –Ma sembra non sia niente più di uno svenimento-.

Endou si voltò verso il ragazzo che si era ritirato in un angolo, appoggiandosi a una sedia per non cadere. Tremava e le sue dita stringevano talmente forte lo schienale della sedia che le nocche gli erano sbiancate.

-Non volevo…- mormorò a occhi sgranati.

-Tranquillo, non è mica colpa tua- sorrise Endou, cercando di mostrarsi più tranquillo di quanto in realtà non fosse. Midorikawa rimboccò le coperte a Shirou che, nonostante continuasse a tremare, parve rilassarsi.

Non era mai successa una cosa del genere, e nessuno se lo spiegava.

Gouenji, accanto al letto, lanciò un’occhiata sospettosa al ragazzo. Cosa c’era di strano in lui? Qualcosa lo tormentava, qualcosa di non detto e troppo importante per essere nascosto.
  
***
°Atsuya°
 

Cavolo cavolo cavolo! Ci mancava anche questo!

Mi rifiuto di pensare che Gabe potesse avere ragione però… non mi immaginavo che mio fratello reagisse così. L’ultima cosa che voglio è procurargli altro dolore. E dire che dovrei essere qui per aiutarlo!

Noto che testa-a-porcospino mi fissa e ricambiò lo sguardo con più determinazione possibile. Sembra essere l’unico ad aver capito che io in qualche modo centro con l’improvviso svenimento di Shirou. Evidentemente sono molto legati.

Questa cosa non mi piace.

Vorrei dire qualcosa ma ho difficoltà ad esprimermi, come se avessi dimenticato tutto ciò che ho imparato quando ero in vita e adesso dovessi ricominciare tutto daccapo.

Endou, davanti a me, sta dicendo qualcosa. Mi concentro per riuscire a capirlo.

-Te la senti di stargli accanto finchè non si riprende?-.

Non ho la forza di dire nulla, semplicemente annuisco. Mi sento in colpa, e lo sguardo fisso di Goenji non contribuisce certo a farmi sentire meglio.
No, questo tizio decisamente non mi sta simpatico.
 
***
*tre giorni dopo*
 
-Da un luogo molto lontano- rispose il ragazzo, fissandolo negli occhi. Shirou, seduto accanto al letto, lo guardò stupefatto.

-In che senso? Non sai da dove vieni di preciso?-.

Il ragazzo non rispose, distogliendo gli occhi e perdendosi in cupi pensieri. Erano passati tre giorni da quando si era svegliato, e quella era la prima volta che parlava. Sembrava quasi avesse aspettato di essere da solo con Shirou.

In effetti era così, ma questo Fubuki e gli altri non lo sapevano.

In quei giorni era rimasto praticamente immobile, immerso in un silenzio che Shirou aveva deciso di rispettare, fino a quel momento, quando le domande che aveva cercato di soffocare erano riaffiorate nella sua mente e nel suo cuore. Chi era quel ragazzo, e come aveva fatto a piombare nel suo salotto? Quasi fosse caduto dal cielo.

E, soprattutto, voleva sapere cosa accidenti fosse successo quel sabato mattina, quando al solo udire la voce timida del ragazzo aveva sentito improvvisamente le forze mancargli, tanto da costringerlo a lasciarsi andare al nulla. E si chiedeva anche perché pensasse che quel ragazzo centrasse col suo svenimento.

Ma, fino a quel giorno, il ragazzo non aveva risposto nemmeno a una singola domanda, semplicemente era rimasto a fissarlo con quegli enormi occhi verdi, e Shirou aveva rinunciato.

-E sai dirmi chi sei? Come ti chiami?- provò ancora Shirou di fronte a quel silenzio.

-Vuoi sapere chi sono, o come mi chiamo?- chiese a sua volta il ragazzo. La domanda lo lasciò stupito. –Il nome con cui mi chiamano non è ciò che sono. Ma se vuoi puoi chiamarmi Tayou-.

Dopo qualche secondo di riflessione, Shirou sorrise: in fondo, era molto più di quanto sapesse poco prima. –Bene, Tayou. Per ora ci accontenteremo di questo-. Lo sguardo gli cadde sulla sveglia e saltò su come se si fosse scottato. –Ma è tardissimo! Devo andare a scuola!-.

Finalmente, Tayou lo guardò. –Scuola?- ripetè.

-Bhè, si sai…-. Un sospetto lo colse. –Non sei mai andato a scuola?-.

-Si… tanto tempo fa-.

Questo almeno spiegava la sua incapacità di esprimersi come facevano tutti gli altri, nonostante avesse diciassette anni esattamente come lui.

-Un giorno, se vorrai potrai tornarci, ma adesso devo proprio andare. Te la senti di restare da solo per qualche ora?-.

Tayou annuì e si lasciò cadere nuovamente sui cuscini, come se la chiacchierata lo avesse sfinito, nonostante non avesse detto più di qualche parola. Alzandosi, Shirou non potè fare a meno di avvicinarglisi e passargli una mano sui capelli. Poi uscì e si chiuse la porta alle spalle.
 
Questa volta ignorai il tremito che mi percorse il braccio

e anche l’improvviso senso di protezione che provai nei suoi confronti.

Perché reagivo così?

Forse era il fatto che sembrava così sperduto.

Come se non sapesse niente di se stesso.

O il fatto che fosse arrivato improvvisamente.

Come se cercasse proprio me.

[Shirou]
 
***

Nei giorni seguenti, Tayou perse confidenza con Shirou, e soprattutto con la sua casa. Imparò ad esprimersi sempre meglio, nonostante non sempre sapesse dare voce alle proprie emozioni. E soprattutto, dimostrò di avere un caratterino proprio niente male.

-Shirou… usciamo?- mormorò, sedendosi esausto sul divano, dopo esserci saltato sopra per una buona mezzora.

Fubuki sospirò e rimise apposto i cuscini. Fu contento però che Tayou finalmente volesse uscire di casa.

-Che ne dici di venire con me?- propose. –Voglio farti vedere un posto-.

-Sii che bello!-.

Shirou sorrise del suo entusiasmo, poi lo afferrò per mano e insieme uscirono. Il posto in cui lo voleva portare era non molto lontano da casa sua, e lungo il percorso Shirou ebbe modo di riflettere sullo strano comportamento di Tayou.

In quei pochi giorni, aveva voluto parlare con lui, e lui soltanto. Aveva rifiutato la proposta di conoscere i suoi compagni di squadra e sembrava spaventato se gli parlavi di vedere qualcuno che non fosse Shirou. Il ragazzo ne aveva concluso che doveva essere troppo spaventato. Chissà cosa gli era successo…

Si chiese perché volesse portarlo proprio in quel posto. Non ci era mai andato con nessuno, era sempre stato solo. Forse proprio per questo sentiva il bisogno di condividerlo con qualcuno.

Ma perché proprio con lui?

-Siamo arrivati- annunciò, e lasciò la mano del ragazzo.

-Wow..- commentò quest’ultimo bloccandosi sul posto, estasiato.

Lo aveva portato in un giardinetto. Non certo uno di quei parchi in cui i bambini si ritrovavano in massa per giocare, anzi in realtà sembrava abbandonato, ma a Tayou parve bellissimo, perché lo ricordava molto bene. Le due altalene cigolanti, l’erba troppo alta, lo scivolo arrugginito, il cavallino su cui salivano in due rischiando puntualmente di cadere…

Era il posto in cui giocavano da bambini, quando passavano le vacanze a Tokyo.

Con una risata, Tayou si lasciò cadere per terra e si allungò inspirando il buon odore dell’erba. A sentire quel suono limpido e cristallino, gli occhi di Shirou si riempirono di lacrime che, nonostante i suoi sforzi per trattenerle, gli scesero lungo le guance, calde. Tayou se ne accorse e gli si avvicinò, passandogli una mano sul volto.

-Perché piangi?-.

-Qui è dove vengo quando mi senti triste e ho bisogno di stare un po’ da solo- spiegò Shirou col cuore pieno delle più svariate emozioni. –Ha molta importanza per me -.

Il ragazzino non rispose, ma si girò a guardare il sole che scompariva dietro le montagne tinte di rosso.

-Dimmi la verità, Tayou. Non è stato un caso che tu arrivassi in casa mia vero?-.

-No. Non è stato un caso. Sono qui perché voglio che tu sia felice. E per fare in modo che accada-.

Shirou sospirò. Solo una cosa poteva renderlo davvero felice. No, solo una persona poteva renderlo davvero felice. E quella persona non era con lui, non lo sarebbe stata mai più.

Lo aveva abbandonato e lui ora era solo.

Non aggiunse nient’altro, ma rimase a fissare assieme a Tayou il sole che mentre scompariva sembrava salutarli, sorridendo.

“Atsuya…”.
 
Quando ero lì, il mio ultimo pensiero era sempre per lui.

Per mio fratello.

Mi sembrava fosse più vicino.

Che nascosto tra le nuvole giocasse e ridesse con quella sua allegria da bambino

Speravo che fosse in un posto migliore.

Che almeno lui fosse felice.

[Shirou]
 
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Capitolo 5
*** Capitolo 4- La buonanotte di un angelo ***


La buonanotte di un angelo
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°Atsuya°
 
Tornato dal posto in cui Shirou mi ha portato, sono talmente scombussolato che quasi mi dimentico che sono passati cinque giorni da quando ho assunto sembianze umane.

Questo vuol dire che è il momento della trasformazione, finalmente!

Avere sembianze umane è scomodissimo dopo aver provato cosa vuol dire essere un angelo. Più di una volta sono stato sul punto di liberare le mie ali, ma Shirou non mi ha mai perso di vista da quando sono arrivato. Però, ho come il sospetto che stasera sarà troppo stanco per pensare a me.

Meglio così.

Attendo qualche minuto mentre Shirou chiude tutte le finestre della casa e mi chiudo la porta della stanza alle spalle, poi scivolo fuori dal letto e in punta di piedi attraverso tutto l’atrio per giungere alla porta principale.

Cerco di ignorare l’oscurità dell’appartamento ripetendomi che non c’è niente di cui aver paura, ma il buio mi ha sempre spaventato, anche prima di diventare un angelo, perciò faccio il più in fretta possibile. La mia priorità, comunque, è di non svegliare mio fratello. Per fortuna, passando davanti alla porta della sua camera, avverto il suo respiro pesante e mi rilasso un po’.

Gli auguro la buonanotte ed esco di casa.

Il freddo della notte mi fa rabbrividire fino alle ossa. Non ho mai amato il freddo, nonostante sia nato in Hokkaido. Io ero quello che voleva il sole e odiava la pioggia, quello che a una gara di palle di neve in gennaio preferiva una nuotata in mare durante le vacanze estive. Io ero quello strano.

Le strade sono ben illuminate dai lampioni e non riesco a scorgere le stelle. Questo mi intristisce, ma mi consolo pensando che tra poco potrò nuovamente librarmi in cielo e provare quel senso di libertà che mi assale ogni volta che apro le ali. Sorrido da solo.

Percorro le strade che Shirou mi ha mostrato in quei pochi giorni, illustrandomi i percorsi che faceva abitualmente e i posti che conosceva meglio.

Come se ce ne fosse bisogno. L’ho osservato talmente tanto in questi anni che potrei tracciare un itinerario della sua vita ad occhi chiusi. Ma avevo cercato comunque di mostrarmi interessato, in fondo farsi spiegare le cose direttamente da lui era meglio che osservarlo da lontano sentendosi una specie di spia.

Mi assale una gran voglia di tornare nel nostro parco, ma mi trattengo. E’ una cosa strana, ma sento che ancora non è il momento e poi il pensiero di tornarci da solo, al buio, non mi entusiasma. Perciò ripiego per una stradina poco distante dalla scuola di Shirou e degli altri, la Raimon. L’ho notata qualche giorno fa, e mi è sembrata perfetta per nascondersi e non essere notato. Senza dubbio sarebbe scomodo che qualcuno mi vedesse nelle mie sembianze angeliche. Soprattutto perché probabilmente non reggerebbe il colpo.

Nonostante per le strade non ci sia nessuno, mi guardo alle spalle ogni due o tre passi. Non riesco a sentirmi tranquillo, forse perché è la prima volta. Mi sento in qualche modo osservato, e la cosa non mi piace.
 
Poi, mi sento un idiota. Certo, come minimo Gabe e gli altri mi stanno tenendo d’occhio dal preciso momento in cui sono entrato in contatto con Shirou.

La cosa non mi sorprende, ma mi irrita. Ovviamente, non si fidano. Anche se, devo ammettere a me stesso, non gli ho mai dato molte occasioni per fidarsi di me. Ma non metterei mai nei guai mio fratello. Questo dovrebbero saperlo più che bene.

Scrollo le spalle e finalmente entro nel vicolo. Un uccello nero, probabilmente un pipistrello, passa davanti a un lampione e lo oscura per un secondo. Ma è più che sufficiente. Mi chino su me stesso e mi lascio andare.

Subito un profondo senso di pace si diffonde nel mio corpo, come un balsamo benefico. Mi beo di quella sensazione che mi è mancata più di ogni altra cosa. Il mio corpo è incredibilmente leggero, come se non mi appartenesse più. In pochi istanti, sento che il mio camuffamento da normale ragazzo umano svanisce e torno ad assumere le mie reali sembianze, quelle delle’ Atsuya diciassettenne.

Le avverto, prima ancora di liberarle. Le mie ali premevano da un po’ contro il tessuto della maglietta, e finalmente si distendono in tutta la loro considerevole lunghezza, strappando la stoffa. Il bagliore deve essere accecante per chiunque mi guardi e anche ad occhi chiusi riesco a distinguerne il familiare aspetto. Lucenti, dorate, scintillanti persino al buio del vicolo, sono almeno due volte la lunghezza del mio corpo. Al tatto soffici, ma incredibilmente flessibili e resistenti se qualcuno prova a scalfirle. Accidenti se mi sono mancate.

Un vento dolce comincia a soffiare tra i ciuffi dei miei capelli e per me è come un antico richiamo che mi invita a lasciarmi andare a lui. Lo faccio volentieri, con un sorriso, e con un lieve battito mi sollevo al di sopra dei tetti delle case circostanti, illuminando il buio col mio bagliore. Dovrei controllare che non ci sia nessuno, ma sono talmente immerso nelle mie sensazioni che non ci penso. E poi, se ci fosse qualcuno lo avvertirei.

Nonostante la mia smania di tornare al cielo, salgo con lenti e costanti battiti di ali, godendomi la sensazione della fredda aria pungente sulla pelle delle braccia, che ha cominciato anch’essa a risplendere di luce propria. Un altro effetto della trasformazione. Anzi, del ritorno alle mie origini.

Il blu si fa sempre più vicino mentre finalmente riesco a scorgere le prime stelle che sembrano venute ad accogliermi. Con la mano, ne saluto un paio che avevo già notato da lontano, la prima sera, quando ero uscito sul balcone sul retro della casa di Shirou. Mi sento come un bambino e in effetti rispetto agli altri angeli, alcuni dei quali secolari, lo sono.

Finalmente mi fermo. Guardando in basso, mi rendo conto che nessun umano, nemmeno se stesse sdraiato a pancia in su e aguzzasse la vista, riuscirebbe a scorgermi.

Con una risata, acquisto sempre più velocità, fino a ritrovarmi senza quasi accorgermene a sfrecciare nel cielo scuro, lasciandomi alle spalle una scia bianca e dorata. Il bacio del vento sulla pelle è morbido e delicato, ma allo stesso tempo sembra ricordarmi che è lui che comanda, e che se solo volesse con un soffio potrebbe spazzarmi via e nemmeno le mie ali, per quanto possenti, potrebbero nulla.

Non ho idea di quanto tempo sia passato, ma so che di sicuro è più di quel che mi è sembrato. In lontananza, scorgo già le prime luci dell’alba. Nonostante abbia volato alla massima velocità per ore, non sono affatto stanco e potrei continuare per un’altra settimana, ma il dovere mi chiama. Non voglio nemmeno immaginare la faccia che farebbe mio fratello se al risveglio non mi trovasse.

-Saggia decisione-.

Se non lo avessi avvertito prima di vederlo, mi avrebbe spaventato. Invece, mi limito a ridurre la velocità fino a fermarmi nuovamente sopra il centro di Tokyo. –Gabe-.

Già, dimenticavo la cosa scocciante dell’essere un angelo. Gli altri angeli più potenti di te possono leggerti nel pensiero. Già, questo vuol dire che io non avevo idea di cosa si nascondesse dietro il volto bellissimo e impassibile di Gabe, mentre lui sapeva tutto quello che mi passava per la testa. Più ingiustizia di così!

-Ti hanno mandato a controllarmi?-. La mia voce suona acida. Il fatto che non si fidino di me brucia più di quanto mi aspettassi.

-Cerca di essere più rispettoso, Atsuya. Dovresti essere grato dell’opportunità che hai avuto, invece di lamentarti sempre-.

-Mmh va bene…-sbuffo, e lo vedo sorridere. Sa di non avermi convinto. –Allora, che ci fai qui?-.

-Mi sembrava che ti divertissi parecchio, e volevo accertarmi che tu non ti dimenticassi di fare ritorno a casa in tempo. Ma a quanto pare, almeno per una volta, hai dimostrato di avere la testa sulla spalle-.

Metto il broncio. –Grazie- poi inizio la discesa verso Tokyo, cercando di ridurre piano piano la mia luce e, contemporaneamente, beandomi degli ultimi momenti in compagnia per le ali. Quando atterro e le ritiro, mi avvolge una gran tristezza, un vuoto che nulla potrebbe riempire.

Adesso, non se ne riparla per i prossimi cinque giorni.

Riassumo le sembianze di Tayou (avrei potuto trovare un nome migliore, ma ho dovuto improvvisare ). Con uno sbuffo, osservo la T-shirt lacerata. La prossima volta devo ricordare di togliermela.

Ormai, la luce è sufficiente per illuminare le strade e i lampioni si sono spenti. Furtivo come un ladro, esco dal vicolo lievemente imbarazzato per il fatto di essere a torso nudo. Menomale che ancora per strada non c’è nessuno. L’orologio appeso alla vetrina di una farmacia indica che sono le cinque e trenta di mattina. Per fortuna ho fatto in tempo.

Arrivo velocemente all’appartamento di Shirou e mi infilo dentro in silenzio. Lascio le chiavi nell’ingresso, dove le avevo trovate, e in punta di piedi arrivo fino alla mia camera, che poi è la stanza degli ospiti. Come avevo previsto, avverto ancora il respiro di Shirou al di là della porta. Mi metto il pigiama mentre una grande stanchezza mi assale. Essere un angelo, dal punto di vista di un umano, è sfiancante. Tutta la fatica della notte mi piomba addosso e mi addormento di colpo, con ancora nelle ossa le sensazioni del volo e della libertà.
 
***

-Se non ti alzi, mi vedrò costretto a prenderti a calci- disse la voce di Tayou mentre la luce lo colpiva in viso. Shirou riemerse dalle coperte e osservò il ragazzo saltellare per tutta la stanza e aprire le finestre.

Era stranamente riposato, non ricordava di aver mai dormito così bene. La maggior parte delle notti, il suo sonno era tormentato da degli incubi che lo facevano risvegliare sudato e urlante, e che lo tenevano sveglio per il resto della notte. I più terribili, ovviamente, erano quelli in cui riviveva l’incidente.

Ma quella notte, nonostante avesse sognato come sempre Atsuya, era stato un sogno rassicurante e caldo.

-Sono sveglio, sono sveglio- sbuffò a occhi chiusi.

Si sentì strappar via le coperte e il fiato gli mancò di colpo. Tayou gli era montato sulla pancia.

-Come hai dormito?- chiese con espressione innocente, mentre il ragazzo rischiava di soffocare.

-Bene, grazie- rispose Shirou cercando di scrollarselo di dosso. –In effetti, non ho mai dormito meglio. E’ come se mi avesse augurato la buonanotte un angelo-.

Tayou scese da lui. –Ti aspetto in cucina- e per un attimo, a Shirou parve di intravedere un sorriso compiaciuto sulle sue labbra.
 
Ancora non lo sapevo, ma non avrei potuto scegliere parole migliori.

Il mio angelo finalmente era al mio fianco.

Speravo che mi avrebbe portato pace e tranquillità.

In realtà, era la fine di tutto questo

[Shirou]
 
 
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Note:
Non so bene cosa sia successo con l'ordine dei capitoli comunque, il prossimo capitolo s'intitola "Lo sguardo di un ragazzo solo" e viene dopo "Depressioni e idee geniali", nonostante EFP visualizzi prima quest'ultimo. Chiedo scusa per il disagio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6-Depressioni e idee geniali ***


Capitolo 6- Depressioni e idee geniali
 
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-Ho firmato l’ultimo documento- annunciò Shirou, saltando gli ultimi due gradini e atterrando davanti ai propri amici. –Da domani Tayou inizierà a frequentare la nostra scuola, e probabilmente sarà nella mia classe-.

I ragazzi iniziarono a camminare lentamente verso il loro angolo appartato. Faceva sempre più freddo e il Natale si avvicinava, ma per ora di neve non se ne parlava, anche se quel pomeriggio il cielo era più bianco del solito.

Shirou rivolse al cielo una preghiera perché si trattasse di semplice pioggia. Non amava la neve, almeno dal giorno dell’incidente. E come avrebbe potuto?

-Ne hai parlato con lui?- chiese Midorikawa rabbrividendo. Hiroto lo strinse tra le braccia per scaldarlo e lui sorrise, arrossendo.

-Si, ma voi due potreste evitare di flirtare anche mentre ci sono io- rispose Shirou fingendosi scocciato. Midorikawa arrossì, mentre Hiroto si limitò a stringerlo ancora di più nel suo caldo abbraccio. –Geloso- lo prese in giro.

-Di chi, di te, rossino? Non direi proprio-.

-Non di me, ma non negare con non ti piace quando qualcuno ti abbraccia-. Hiroto ammiccò in direzione di Gouenji che si stava avvicinando assieme a Kidou, dopo essere stati trattenuti in classe dal professore.

Shirou lanciò un’occhiata assassina a Hiroto –Taci-.

-Ehi ragazzi- salutò Gouenji con un sorriso. Kidou, accanto a lui, si limitò a un semplice cenno per poi assumere nuovamente l’aria depressa.

Midorikawa sbuffò. –Kidou, io capisco benissimo che Fudou ti manchi, però non ti puoi deprimere così! In fondo, tra qualche giorno lo rivedrai no?-.

Fudou Akio, che da quell’estate era diventato ufficialmente il ragazzo di Kidou, non studiava alla Raimon ma alla Teikoku Gakuen, assieme a Genda e Sakuma, gli ex compagni di squadra di Kidou. Perciò, per loro era piuttosto difficile riuscire a vedersi durante il giorno. A maggior ragione che in quei giorni Fudou era a Okinawa per uno stage.

E Kidou era caduto nella depressione più nera.

-Mmh- mugolò il regista con uno sguardo malinconico al cielo, e i ragazzi decisero di lasciar perdere.

-Comunque- riprese Shirou. –Stavo dicendo che da domani Tayou sarà a scuola qui. Gliene ho parlato ed ha accettato, nonostante mi sembrasse un po’ restio di fronte al fatto di conoscere altra gente. Evidentemente è timido, o ha problemi  ad ambientarsi. Perciò, io direi di stargli accanto, ma senza soffocarlo-.

-Comunque continuo a chiedermi da dove venga- commentò pensieroso Goenji.

-Bhè, quando si sarà ambientato e sarà un po’ più a suo agio potremmo chiederglielo- concluse Shirou, per poi voltarsi verso i due nuovi arrivati: Kazemaru ed Endou che, invece di salutarli con il solito sorriso a trentadue denti, fece un cenno e si sedette accanto a Kidou. La loro depressione era captabile nell’aria.

-Come mai questo ritardo?- chiese Hiroto. Kazemaru aveva l’aria accigliata.

-Ho accompagnato Endou dal preside-.

-Perché, che hai fatto?- domandò Kidou, riscuotendosi dal torpore apparente. Guardò interrogativo il portiere che però non ricambiò lo sguardo e sprofondò ancora di più nel suo angolino di depressione.

-Semplicemente il preside ci ha fatto capire che se non si impegna di più, e per di più intendo mooolto di più, e qualche miracolo divino non interviene, probabilmente perderà l’anno- spiegò Kazemaru con un’occhiataccia in direzione di Endou.

Era la prima volta che erano in compagnia e Kazemaru non balbettava tanto da risultare incomprensibile. Doveva essere proprio irritato.
-Cosa?-. Midorikawa si allontanò un po’ da Hiroto, sorpreso. –Ma dici sul serio?-

-No, me lo sono inventato- ribattè Kazemaru scocciato, senza distogliere lo sguardo dalla schiena di Endou. Doveva essere parecchio sconvolto, perché quel sarcasmo non era da lui.

-Oh, Endou!-. Gouenji scosse la testa. –Ma è mai possibile che tu sia così zuccone? E dire che io e Kidou abbiamo passato ore a cercare di farti imparare qualcosa! Non è possibile, con tutto il tempo che ci abbiamo messo dovresti essere un piccolo Einstein! -.

-Bhè, in fondo anche lui è stato bocciato- cercò di sdrammatizzare Midorikawa.

Mamoru alzò la testa e lo guardò male. –Puoi passare direttamente alla parte in cui dovresti farmi sentire meglio?-.

-Che materie devi recuperare?- domandò Hiroto,  pratico come sempre. Lui, che era a capo del comitato studentesco ed era considerato uno studente perfetto, non si capacitava della difficoltà di Endou nello studiare.

-Soprattutto matematica, e inglese. Per scienze grazie a Gouenji e Kidou me la dovrei cavare, anche se per poco-.

La lampadina delle buone idee si accese nel cervello di Shirou, che cominciò a sorridere da solo guadagnandosi un’occhiata stupita da Midorikawa, accanto a lui.

-Se non sbaglio- disse. –Sono tutte materie in cui il nostro Kazemaru eccelle. Perché non ti fai aiutare da lui? In fondo sarebbe ridicolo che tu bocciassi mentre il tuo migliore amico (nonché innamorato cotto, voleva aggiungere, ma si fermò appena in tempo) passa col massimo dei voti-.

Gli occhi di Kazemaru si spalancarono per l’ orrore, e dovette sbatterli un paio di volte per essere sicuro che Shirou avesse davvero detto quello che aveva sentito.

Avrebbe voluto ucciderlo. Non era proprio pronto per passare del tempo da solo con Endou.

-Bhè ma.. io non… non so insegnare …e…e poi… non… non sono così… così bravo-.

Ecco che il solito Kazemaru era tornato. L’espressione speranzosa negli occhi di Endou, però, lo costrinse a tacere. –Lo faresti davvero, Ichi-kun? Davvero, davvero? Grazie grazie grazie! Come farei senza di te? Mi salvi la vita! E adesso andiamo a  giocare a calcio!! Minna, sakka Yarouze!!-esclamò alzandosi e correndo  verso il campo da calcio con il pallone sottobraccio. Gouenji lo afferrò per il colletto.

-Dove stai andando? Se davvero vuoi metterti a ripassare dovrai lasciar perdere il calcio per un po’-.

Fu come se un nuvolone nero avesse appena oscurato il cielo e fatto notte. –CHE COSA?!- gridò Endou, talmente forte che dai rami dell’albero lì vicino un paio di passerotti infreddoliti si levarono in volo con un cinguettio di protesta. –Niente calcio e studio tutto il giorno? Cosa ho fatto per meritarmi questo? Perché qualcuno mi odia?-.

Cadde nuovamente nella depressione più nera, facendo sorridere i ragazzi. Dio, com’era lunatico!

Shirou gli carezzò i capelli. –Tranquillo, Endou, non dovrai rinunciare al calcio. Kazemaru non ti farebbe mai una cosa del genere. Studierete prima degli allenamenti, o dopo-.

Lanciò uno sguardo a Kazemaru, che annuì distrattamente, perso com’era nella prospettiva di passare tutto quel tempo da solo con Endou. Arrossì inconsapevolmente, ma in modo molto evidente.

Endou parve rilassarsi. –Menomale, per un secondo ho temuto il peggio- e sorrise.

Gouenji alzò gli occhi al cielo mentre si compiaceva dell’intelligenza del suo ragazzo. Gli si avvicinò e lo abbracciò da sopra le spalle. –A volte hai delle idee geniali, sai?-.

Shirou divenne rosso peperone all’improvviso e il cuore prese a battergli contro le costole come se improvvisamente il suo più grande desiderio fosse uscire allo scoperto. Sorrise.

–Lo so-.  
 
Non sapevo perché Shuya mi facesse quell’effetto.

Sapevo solo che avrei fatto di tutto per stare  con lui

e avrei pagato qualsiasi prezzo per un suo sorriso.

Era sempre stato così e speravo lo fosse per sempre.

Solo una cosa sapevo: io amavo

Gouenji Shuya

[Shirou]
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 5- Lo sguardo di un ragazzo solo ***


Capitolo 5- Lo sguardo di un ragazzo solo
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-Oh, santo Afuro!- esclamò Midorikawa entrando nel salotto di Shirou, tentando di non inciampare nei numerosi oggetti sparsi su tutto il pavimento. Non aveva mai visto la casa dell’amico così disordinata, anzi non credeva che fosse possibile. Non Shirou, la persona più ordinata di quell’universo. –E’ più incasinata della camera di Endou! E non è un complimento! Cosa è successo, è passato un terremoto?-.

-Già- sbuffò Shirou, raccogliendo i cuscini e gettandoli sul divano per dare al soggiorno una parvenza di normalità, con scarsi risultati.  –Il terremoto adesso è in camera mia-.

-Vuoi dire che è ancora qui?- domandò sorpreso Midorikawa, aiutando l’amico a raccogliere i dvd e riporli nella scaffalatura.

Shirou si strinse nelle spalle. –Tu fossi al posto mio dove lo manderesti? Non ha idea da dove venga!-.  E dentro di sé pensò che il motivo era anche un altro: forse non voleva più che se ne andasse

 -Ma ce l’avrà pure una famiglia- obbiettò Midorikawa. –E se lo stanno cercando?-.

-Non saprei- commentò pensieroso arricciando le labbra. –Non penso che ce l’abbia. La prima volta che l’ho visto mi sembrava che avesse uno sguardo… non so… -.

-Shirou, vorrei ricordarti che la prima volta che si è svegliato tu sei svenuto. Come fai a sapere che sguardo aveva?-.

-Bhè…-. Shirou si tormentava le mani, imbarazzato. –Perché lo conosco bene. Aveva lo sguardo di un ragazzo solo, lo stesso che ho avuto io per molto tempo. Mi sono riconosciuto in lui, capisci? E in più, hai sentito qual è stata la prima cosa che ha detto?-.

Midorikawa fece per rispondere, ma Shirou non gliene diede il tempo. –Shirou. Ha detto il mio nome, capisci? E non mi ero ancora presentato. Non so, grazie a lui riesco a sentirmi un po’ meno solo, e per qualche tempo riesco persino a dimenticarmi di Atsuya-.

Midorikawa lo guardò con tristezza. Sapeva bene il tormento che doveva passare Shirou, glielo leggeva negli occhi. In fondo, nemmeno lui aveva i genitori. Ma almeno gli era stato risparmiato il supplizio di dover assistere alla loro morte. Voleva davvero privare Shirou dell’unica cosa che, benché fosse incredibile, gli dava un po’ di conforto?

La risposta pareva ovvia anche a lui.

-E va bene- sbuffò alla fine con un sorriso. –Può restare. Finora nessuno lo ha cercato, perciò penso che non ci siano problemi-.

Shirou lo ringraziò con un sorriso. –Sai, pensavo di iscriverlo a scuola- aggiunse poi.

-A scuola?-. Midorikawa era sconvolto.

-Si. Vedi, mi sembra che abbia dei problemi a comunicare con le persone, e forse, conoscendo qualcuno, magari entrando nella squadra di calcio, se vorrà -così faremmo anche felice Endou- potrà farsi degli amici e sentirsi un po’ meno solo-.

Perché ormai ne era certo, quel ragazzo era solo.

-E come farai per i documenti, e tutte le formalità? Che cognome gli darai?-.

-Fingerò che sia mio cugino. Fubuki Tayou non suona male-.

-No, è vero. E poi, è credibile. Vi assomigliate-.

Shirou lo guardò stupito. –Ma cosa dici? Siamo uno l’opposto dell’altro-.

-Non dico per l’aspetto, ma per carattere e comportamento. Avete qualcosa che vi lega, a un livello profondo-.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, finchè il campanello non suonò.

Sul volto di Midorikawa si aprì un sorriso quando, affacciato alla finestra, vide chi era. –Oooh, il nostro bomber di fuoco-. Rise quando vide Shirou diventare color peperone. –Bhè, qualcosa mi dice che è meglio che vada. E per quella cosa, mi sembra fattibile, anche se prima dovrai parlarne con lui-.

Uscì in fretta dall’appartamento, salutò Goenji sulle scale e corse via in direzione della casa di Hiroto.
 
***
°Atsuya°
 

Sveglio, questo Midorikawa. Il suo accenno al mio legame con Shirou mi distrae dallo stupore che mi ha colto all’idea di mio fratello di farmi andare a scuola. Mi ero ripromesso di evitare qualsiasi contatto con gli altri ma in fondo qui nessuno mi conosce. Non dovrei rischiare nulla.

No, la cosa che mi preoccupa è la facilità con cui Midorikawa ha intuito quanto profondo sia il legame che mi lega a mio fratello. In fondo ci ha visti insieme solo una volta. Deve essere più evidente di quello che credevo. Non so se esserne felice o preoccupato.

-Ciao, Shirou-.

-Ehi, Shuya-.

Cosa cosa cosa?! Testa a porcospino? Che ci fa lui qui?

E da quando lui e mio fratello si chiamano per nome?? La cosa non mi piace e mi accosto ancora di più alla fessura da cui stavo origliando. Molto poco angelico, lo so, ma in fondo al momento non sono che un povero,piccolo,  meschino umano che non sa farsi gli affari suoi, no?

Vedo testa a porcospino chiudersi la porta alle spalle. Poi si avvicina a Shirou, gli sorride e –ORRORE!- gli deposita un dolce bacio sulle labbra, che fa arrossire mio fratello.

No. No. No. NO. N-O. Non è possibile!

Prima di riuscire a fermarmi, mi scappa un urlo, e mi esce anche più forte di quello che volevo. Sento i loro passi veloci lungo il corridoio e ho appena il tempo per tuffarmi sul letto prima che Shirou entri preoccupatissimo nella stanza. –Tayou! Che succede?-.

Cerco di assumere un tono spaventato che, dopo quello che ho visto, mi esce piuttosto convincente. –No… niente… mi ero addormentato e ho fatto un brutto sogno. Scusa-.

Shirou sorride e mi abbraccia mentre testa a porcospino ci fissa dall’uscio della porta. Non mi saluta ma mi rivolge un sorriso che non ricambio. Credo che il mio sguardo parli da sé.

Per un secondo assume un’espressione stupita, e io me ne compiaccio. Così impari!
  
 
Ore dopo, è di nuovo il momento del ritorno alle mie sembianze di angelo.

Già, sembra impossibile ma sono passati altri cinque giorni, piuttosto confusi. Mi sono rifiutato di conoscere gli amici di Shirou, nonostante alcuni come Endou e ora Midorikawa mi incuriosiscano molto. Ma sapevo di non essere ancora pronto ad affrontare gli altri. Già era abbastanza difficile comportarsi in modo normale, più o meno, con Shirou. L’ultima cosa di cui ho bisogno adesso sono altre complicazioni.

Mentre sfreccio alla massima velocità nel cielo delle prime ore dell’alba, mi sento afferrare un polso. Qualcuno vola alla mia stessa velocità, accanto a me.

Sbuffo. Di nuovo lui.

-Non sbuffare, Atsuya, sai bene perché sono qui-. Gabe mi fissa severo e mi costringe a fermarmi. Non so bene in che parte del mondo ci troviamo, ma il mio sesto senso mi suggerisce che siamo da qualche parte sopra l’Italia. Il mio sogno da bambino era venire a giocare qui. Shirou, invece, voleva andare in America.

-No, no lo so, perché sei qui?-.

In realtà, lo so bene. La promessa. Il giuramento, potremmo dire. Ma mi hanno provocato!

-Non fingere, Atsuya, gli angeli non sanno mentire- mi riprende lui. –Hai giurato. Non devi interferire nelle decisioni di tuo fratello, soprattutto se crede che lo portino alla felicità. Non è per questo che sei sceso sulla terra? Per fare in modo che finalmente sia felice. Ma se ti intrometti, non lo sarà mai-.

-Shirou non può trovare la felicità con quello!- ribatto, incrociando le braccia.

E’ gelosia quella che sento?

-Questo può saperlo solo lui, Atsuya. E qualunque cosa lui decida, tu hai fatto un giuramento. Non puoi spezzarlo. Sai cosa succederebbe, no?-.

Il gelo mi invade le ossa. Non si può riferire a quello.

Ma qualcosa nel suo sguardo mi conferma il contrario. –Non può essere così grave!- esclamo. –Tra l’altro, nemmeno volevo interferire. Mi è scappato!-.

Gabe scuote la testa. –Non ti puoi far scappare niente, ragazzo mio. Loro sono lì, e aspettano solo un nostro passo falso. Non voglio nascondertelo, Atsuya, hanno messo gli occhi su di te, dal primo momento in cui hai messo piede in Paradiso. Per questo siamo stati restii a farti tornare sulla Terra, nonostante l’evidente bisogno d’aiuto di tuo fratello, perché non sapevamo se eri pronto-.

Rabbrividisco, nonostante il calore della mia pelle mi ripari dal vento. Tutta l’eccitazione di poco prima svanisce nel nulla.

Non posso essere la loro preda, accidenti! Non adesso!

-E ora lo sono?- riesco a chiedere. Gabe stringe gli occhi.

-Non lo so, Atsuya. Forse no. Ma ci siamo fidati di te e del vostro amore, e speriamo che sia abbastanza forte. Ma devi guardarti da loro. L’ultima cosa che voglio è che tu perda le ali-.

Ecco, l’ha detto. La cosa terribile a cui stava girando intorno dall’inizio del discorso. Perdere le ali, la vergogna più grande che possa capitare a un angelo. Cadere in tentazione, così come successe a Lucifero, ed entrare nelle sue schiere.

No, questa è decisamente l’ultima cosa che voglio.

-Cosa posso fare?- chiedo col fiato spezzato.

-Se è destino, succederà. Posso solo sperare che sia così. Cerca di essere saggio, Atsuya, ti chiediamo solo questo-.

-Ci proverò- soffio nel vento, ma lui è già sparito in un cono di luce, lasciandomi solo. Lentamente, torno verso Tokyo e scendo nel mio vicolo, la testa piena di pensieri. Torno verso casa, camminando a passi così lenti che non mi accorgo che ormai sono passate le sette del mattino.

Non voglio cadere. Questa è l’unica certezza che ho, e nella mia testa non c’è spazio per nient’altro, almeno finchè non entro in casa e la trovo più affollata di quello che credevo.

Gouenji tiene tra le braccia uno Shirou terribilmente preoccupato, mentre Endou e un ragazzo dai capelli turchesi che mi sembra di ricordare si chiami Kazemaru sono seduti in cucina.

Quando tutti i loro sguardi si alzano su di me, mi rendo conto che le sette del mattino sono passate da tempo.

-Tayou!-. Shirou corre verso di me. E’ arrabbiato, ma il sollievo è più forte e lo induce ad abbracciarmi forte. Attraverso i suoi capelli, vedo che testa a porcospino mi fissa con sospetto. Ma che problemi ha?

-Si può sapere dov’eri finito? Mi sono preoccupato a morte!-. Shirou mi lascia andare e finalmente riesco a respirare. Cerco di inventare una scusa in fretta.

-Non c’è bisogno di preoccuparsi così tanto per me!- esclamo, fingendo una lieve irritazione. In fondo, la miglior difesa è l’attacco. Shirou assume un’espressione ferita e mi sento terribilmente in colpa. –Ma hai ragione, non succederà più. Non riuscivo a dormire, sono uscito e ho perso la cognizione del tempo. Volevo lasciarti un biglietto, ma mi sono dimenticato-.

Accidenti, una bugia dietro l’altra! Praticamente mi sono scavato la fossa da solo!

Beh, non è propriamente l’espressione più adatta da usare… diciamo che se va avanti così avrò la strada per l’Inferno spianata.

Shirou sorride. –Hai ragione, perdonami. Solo che… la prossima volta avverti, okay?-. Annuisco, e d’improvviso una grande stanchezza mi assale. In fondo, sono reduce da una trasformazione in angelo. Mi auguro che, nella confusione, sia riuscito ad assumere l’aspetto di Tayou.

Testa a porcospino mi si avvicina. –Ehi ma… tu non avevi gli occhi verdi?- mi chiede.

Mi sento gelare.

-Perché, ora come sono?-.

-Grigi, quasi azzurri-.

Grandioso, gli occhi di mio fratello. –Devono essere le luci, o forse il sole del mattino-.

Non è convinto, ma scrolla le spalle e decide di lasciar stare.

Torno nella mia camera mentre Shirou si rilassa, afferra la cartella e assieme agli altri esce di casa per andare a scuola, lasciandomi solo con le mie preoccupazioni e il pericolo appena scampato.

Accidenti anche a Gabe!
 
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-Sarà stato saggio dirglielo?-

-Lo avrebbe intuito-.

-Cosa facciamo se succede?-

-Se? Sappiamo che succederà.-

-Quindi…?-

-Dovrà trovare da solo la risposta-.

-E se non ci riuscisse?-.

-In ogni caso, noi non possiamo interferire. E’ la sua vita, e di suo fratello. E poi…-

-Cosa?-.

-Ho l’impressione che non sarà così semplice per loro prenderlo…-.
 
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Capitolo 8
*** Capitolo 7- Primo giorno di scuola ***


Capitolo 7- Primo giorno di scuola
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Tayou si bloccò davanti alla porta principale della Raimon, rifiutandosi di proseguire.

-Ho cambiato idea!- si lamentava, scalciando perché lo riportassero a casa. La campanella era già suonata da qualche minuto, perciò l’atrio era deserto. Anche Endou , Kazemaru e gli altri erano già entrati nelle loro aule dopo avergli augurato buona fortuna, col solo risultato di farlo entrare ancora di più nel panico.

Shirou sospirò e alzò gli occhi al cielo. Nei precedenti tre giorni, Tayou aveva cambiato idea almeno una decina di volte, prima entusiasta del fatto di tornare a scuola, poi spaventato alla sola idea.

–Tayou, stai tranquillo. E’ solo il primo giorno e ti lasceranno in pace per qualche tempo, almeno avrai il tempo per ambientarti e farti nuovi amici. Saremo nella stessa classe, io, te e Midorikawa. Magari più in là potrai entrare nel club di calcio. Sarà divertente-.

All’accenno al club di calcio, gli occhi di Tayou si illuminarono e smise di opporre resistenza, lasciandosi trascinare passivamente su per le scale. Mezzo secondo dopo, o almeno così era parso a lui, Shirou stava già spingendo la porta chiusa della classe.

-Buongiorno, Fubuki. Meglio tardi che mai- salutò sarcasticamente la professoressa di scienze, l’unica che sembrava insensibile al fascino di Shirou. –Il tuo amico è?-.

-Fubuki Tayou - rispose Shirou spingendolo in classe e rischiando di farlo inciampare. –E’ mio cugino e si è trasferito qui dall’Hokkaido qualche settimana fa-.

Tayou arrossì, mentre gli occhi di tutti si posavano su di lui, ma resse con orgoglio gli sguardi. Qualche commento di apprezzamento si levò dai banchi delle ragazze, accompagnati da risatine e guance arrossate. Evidentemente, il bel faccino di Tayou aveva avuto il suo effetto.

-Buongiorno Tayou, piacere di conoscerti-. La professoressa lo fissava con aria arcigna sopra gli occhiali. Sedeva rigida, senza poggiare la schiena alla sedia e i capelli castani erano stretti in uno chignon che aveva tutta l’aria di non essere mai stato sciolto. La classica professoressa antipatica.

-Buongiorno- mormorò il ragazzo con un tono di voce annoiato, guardando fuori dalla finestra, le mani in tasca.

-Quando ti saluto, Fubuki Tayou, gradirei che rispondessi con il dovuto rispetto, e guardandomi negli occhi. Riproviamo-.

Tayou distolse lo sguardo dalla finestra solo per rivolgerle un’occhiata gelida. –Il buongiorno lo so dare da solo, non ho certo bisogno che me lo spieghi lei. Potrei risponderle che è piacere mio, ma non mi hanno educato a dire le bugie-.

Un silenzio glaciale, più glaciale di un pomeriggio di gennaio al polo Nord, seguì le parole del nuovo arrivato. La professoressa aveva un’aria talmente stupita da non sapere nemmeno cosa rispondere. Risatine coraggiose si alzarono dai vari angoli della classe, ma Tayou li ignorò e riprese a guardare fuori come se desiderasse essere in qualsiasi altro luogo che non fosse lì. Per fortuna s’intromise Shirou, con non poco imbarazzo. –Ehm.. okay, Tayou, puoi sederti nel banco dietro di me-.

-Da quando sei tu a dare gli ordini in questa classe, Fubuki?- domandò acida la professoressa riscuotendosi dallo stupore. Shirou abbassò la testa –Mi scusi…-.

-Mi sembra che quello dietro Shirou sia l’unico posto libero- s’intromise Tayou, poggiando lo zaino sul banco. –Quindi non vedo perché lo debba rimproverare solo perché è stato gentile-.

Shirou avrebbe voluto zittirlo in un qualsiasi modo, ma purtroppo non poteva prenderlo a calci davanti a tutti e si limitò a lanciargli un’occhiataccia mentre si sedeva accanto a Midorikawa, che fissava Tayou come se stentasse a riconoscerlo dal ragazzino timido e spaesato che era fino a pochi giorni prima. Avrebbe voluto spiegargli che quello era l’atteggiamento della professoressa di scienze, e che avrebbe fatto meglio ad adeguarsi al più presto se non voleva che gli rendesse la vita un inferno, ma aveva l’impressione che non le sarebbe stato facile farsi ubbidire da Tayou.
 
***
°Atsuya°
 

Dio, quanto è antipatica questa donna! La conosco da tre minuti e già vorrei legarla a un sasso e buttarla in fondo al mare. Non ho mai sopportato quelle come lei, che solo perché sedevano dall’altra parte della cattedra si credevano chissà chi e pensavano di poterci comandare a bacchetta. E poi il modo con cui ha parlato a mio fratello… giuro che mi sono trattenuto a stento dal lanciarle contro il mio potere angelico e trasformarla in un mucchietto di polvere dispersa nel vento.

Mi siedo al mio posto che, per fortuna, è accanto alla finestra. In questo modo riesco a vedere il cielo e posso perdermi nei miei pensieri, estraniandomi da tutto il resto. Non ho mai sopportato la scuola, è l’unica cosa che non mi mancava della mia vita da essere umano. Se non me lo avesse chiesto Shirou, probabilmente non ci sarei nemmeno tornato. E’ inutile! Potrei insegnare molte più cose io sulla vita che questi professorucci da quattro soldi che hanno passato due terzi della loro vita a studiare e alla fine non sanno niente.

Che poi, nonostante fossimo solo alle elementari, quando andavo a scuola con mio fratello non ero affatto bravo. Mi alzavo di malavoglia la mattina e passavo le ore ad aspettare che la campanella suonasse. Inutile dire che ero sempre il primo a schizzare fuori dalla classe e fare i compiti era semplicemente impensabile. Meglio passare il pomeriggio a giocare a calcio nel cortile della nostra casa che ammuffire davanti alla scrivania nella nostra camera, no?

Ma quanto tempo è passato? Giuro che non ne posso più! Do un’occhiata distratta all’orologio al polso della tizia seduta accanto a me, che sta ostinatamente girata dall’altra parte, anche se non pare interessata alla lezione. E’ l’unica che non mi guarda con espressione adorante, a occhi spalancati. Non mi aspettavo una reazione diversa: gli umani sono così prevedibili. Era evidente che non sarebbero rimasti indifferenti davanti alla bellezza di un angelo. E non mi hanno visto con le ali!

Ma lei no. La cosa mi incuriosisce e la fisso per un secondo di troppo. Lei si volta e mi fissa con aria palesemente ostile. Ha gli occhi viola.

Occhi viola?

No, non è possibile!

-Che c’è?- mi chiede a voce bassa.

La fisso ancora per qualche minuto, incapace di distogliere lo sguardo. La mia mente lavora in modo febbrile. E’ davvero quello che penso che siaì? Direi proprio di si…

-Oh, non posso crederci…- mormoro, senza premurarmi di abbassare la voce.

-A cosa non puoi credere? E ti dispiacerebbe parlare più piano?- ringhia lei a denti stretti, lo sguardo fisso sulla professoressa, che in  questo momento è l’ultimo dei miei pensieri.

-Gabe è arrivato fino a questo punto? Pensa che abbia bisogno di un baby-sitter? Bhè, non è così-. Cosa pensavano, che non me ne sarei accorto? Mi hanno preso per scemo? Come se non sapessi riconoscere un angelo quando lo vedo!-

Lei aggrotta le sopracciglia in un’espressione che per un secondo mi fa sorridere. Mi guarda come se avessi perso la bussola, anzi, come se non ce l’avessi mai avuta. E’ decisamente una buona attrice, questo le va riconosciuto.

-Ti senti bene?- mi chiede con finta preoccupazione.

Che noia questi giochetti. Ormai è stata scoperta, potrebbe anche rivelare la verità e tanti saluti, no? –Io sto benissimo, grazie. Voglio sapere perché ti hanno mandata. Devono capire che me la cavo benissimo da solo e non direi mai nulla a Shirou!-.

Non fa in tempo a rispondere perché un grido ci fa sobbalzare entrambi. Per sbaglio, urto un libro con il gomito e lo faccio cadere, ma lei lo riafferra per le pagine prima che rovini a terra.

Quando lo appoggia sul banco, noto che si è tagliata con la carta e dal polpastrello le esce una piccola goccia di sangue.

Un momento… sangue? Mi sento gelare.

Che granchio che ho preso!

Gli angeli non si feriscono certo così facilmente!

Già me li immagino, Gabe e gli altri, a ridere sulla loro nuvola. Che figuraccia.

Ma in questo momento ho un altro problema, cioè l’origine del grido, che si rivela poi essere la professoressa, che si è avvicinata con fare minaccioso, quasi crepitando elettricità.

Credo, presumo, di essere nei guai.

 -Fubuki Tayou- ruggisce infatti, e sembra davvero arrabbiata. Ma in fondo, non può far più paura di Gabe quando si arrabbia, giusto?

-Si, professoressa?- domando con aria innocente. Shirou si volta a fissarmi inorridito.

-Non fare l’innocente con me, Fubuki. Gradirei che quando parlo i miei studenti mostrassero un minimo di attenzione e non si facessero deliberatamente gli affari loro-.

Okay, l’atteggiamento di questa decisamente non mi piace. Non sa che sta parlando con un angelo?

No, effettivamente non lo sa. Ma non è una buona giustificazione.

-Gliel’ho già detto professoressa, non so fingere. Che vuole, sono fatto così-.

Lei riduce gli occhi a due fessure, così stretti che mi chiedo se riesca a vedere qualcosa. Noto con divertimento che un paio di ciocche sono sfuggite dalla sua stretta crocchia. Deve essere proprio furiosa.

-Fubuki Tayou, direi che siamo partiti col piede sbagliato. Permettimi di mettere le cose in chiaro fin da subito. Io dai miei alunni pretendo due cose: impegno e rispetto. Ancora non ti conosco ma mi sembri molto maleducato e ti giuro che se fossi uno dei miei cinque figli saprei come raddrizzarti-.

Ora, è bene mettere in chiaro che non con tutti sono così arrogante. Semplicemente, non mi piace che qualcuno mi dica cosa devo o non devo fare e, quando posso (e a volte anche quando non posso), decido io cosa è meglio per me. Persino quando Gabe mi introduceva alle regole del Paradiso ero scettico, perché non è mai stata mia abitudine prendere come vero ciò che mi dicono senza fare domande. Forse ho un brutto carattere, sta di fatto che non mi sono mai piaciute le persone come lei, che pensano di potermi comandare senza che io dica una parola. E’ evidente che ancora non mi conosce. Ma la cosa che mi da più fastidio è il tono con cui mi si è rivolta, come se parlasse con un bambino disubbidiente di dieci anni. Perciò decido di renderle pan per focaccia.

-Cinque figli?- esclamo dipingendomi in faccia un’espressione stupita. –Accidenti, bel colpo. Lei e suo marito non avevate la televisione?-.

Silenzio. Evidentemente le forze della natura hanno deciso che non è il momento di produrre i loro normali suoni. I miei compagni, compresi Shirou e Midorikawa, trattengono il fiato, gli occhi spalancati. Qualcuno, noto con sollievo, ha l’espressione divertita. Altri sono semplicemente inorriditi. Mi sento addosso gli invisibili occhi accusatori di Gabe e forse anche di qualcun altro, ma tengo lo sguardo fisso sulla professoressa. La sua espressione è esilarante.

Dopo qualche secondo, sembra riprendersi tutta insieme. Diventa rossa di colpo come se avesse posato la mano su una pentola accesa e si erge in tutta la sua non considerevole altezza. La supero di qualche centimetro. –Adesso basta, Fubuki. Hai decisamente passato il limite. Esci, e rientra solo quando hai capito chi è che comanda in questa classe. Quando sarai pronto a scusarti, allora potrai rientrare, sempre se accetterò le tue scuse. Fuori-.

Oh, mi aspettavo chissà che. Come minimo di essere fulminato sul posto. Sono sicuro che anche lei lo vorrebbe. In silenzio, mi alzò e mi dirigo alla porta sentendomi addosso gli sguardi di tutti, ma i miei occhi li tengo ben fissi davanti a me.

Prima di aprire la porta mi giro e dico –Allora penso che resterò fuori per il resto della giornata- poi la apro e me la chiudo alle spalle con un che di teatrale.

Sono sempre stato un asso nelle uscite di scena.
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-Perché quel ragazzo non riesce mai a comportarsi in modo normale?-.

-Perché non sarebbe Atsuya-.

-La fai troppo semplice. Hai visto come ha aggredito quella povera ragazza?-

-Già, è stato divertente-.

-Si, ma non può comportarsi così. Io… temo che non sia ancora pronto-.

-Comunque ormai non possiamo farlo tornare indietro. Dovremo rimanere a guardare come va a finire-.

-E’ proprio la fine che mi spaventa-.
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Capitolo 9
*** Capitolo 8- Ricordi ***


Capitolo 8- Ricordi
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-Cosa ci fai qui fuori?-.

Seduto su uno dei banchi all’esterno dell’aula, Tayou stava guardando dalla finestra desiderando di volare libero nel cielo e tornare solo alla fine delle lezioni.

Si girò di scatto verso la voce. Un ragazzo dai folti capelli rossi e la pelle marmorea lo guardava con espressione stupita.

-Oh, io…- balbettò Tayou sentendosi improvvisamente in imbarazzo. –Sono stato buttato fuori da quella di scienze-. Non suonava molto bene. In fondo era solo il suo primo giorno. Probabilmente deteneva un record nella scuola.

Con suo sommo stupore, Hiroto non lo guardò con espressione stupita e non lo rimproverò. Anzi. Scoppiò a ridere e pareva non riuscire a fermarsi. –Come ti capisco- ansimò tra le lacrime. –Quella lì è insopportabile, vero? Certo volte vorrei scappare dalla finestra, se non fosse che saltare dal quinto piano sarebbe controproducente-.

Tayou annuì, sorpreso. Hiroto gli sorrise nuovamente, poi bussò alla porta dell’aula.
 
***
 
Nella classe il silenzio si era fatto assoluto, molto più del solito. La furia della professoressa era captabile nell’aria e nessuno desiderava esserne preda. Perciò, seguivano la lezione con molta più partecipazione del solito e anche se qualcuno non capiva si guardava bene dal dirlo.

Shirou, dal canto suo, era incredibilmente nervoso. Avrebbe voluto uccidere Tayou con le sue mani e, allo stesso tempo, in un piccolo recesso della sua mente, si sarebbe voluto lasciare andare a una risata liberatoria. Era stato divertente vedere con quanta grinta si opponeva all’acidità della professoressa. Probabilmente nessuno prima di allora si era mai permesso di parlarle in quel modo e, doveva riconoscere Shirou, era ora che qualcuno lo facesse.

Ma avrebbe voluto che quel qualcuno non fosse proprio Tayou, il suo primo giorno di scuola. Già quel ragazzo aveva evidenti problemi d’integrazione, ci mancava solo il marchio di teppista a vita sulla sua testa. Sospirò.

E poi… c’era qualcos’altro, doveva riconoscere, che lo tormentava. Qualcosa, in un angolo della sua mente, spingeva per tornare a galla, ma lui non era del tutto sicuro di volerlo. Non era del tutto sicuro di voler ricordare. Ma non riuscì a impedirselo. Forse non ci provò davvero.

 
-Sei un maleducato, Fubuki Atsuya-. La professoressa di matematica lo guarda con cipiglio severo. Lui, nonostante abbia solo sette anni, già le risponde con un’espressione ribelle negli occhi.

-Non sono maleducato! Queste cose già le so e non mi serve stare attento-.

Quant’è sfacciato! Tu, che sei sempre stato un angelo sia a casa che a scuola, non ti capaciti del tuo comportamento. Vorresti farlo smettere, ma come potresti?

-Basta, Atsuya. Vai fuori e rientra solo quando ti deciderai a chiedere scusa-.

Lui si alza e prima di arrivare alla porta si gira verso di te. Ti aspetti di trovare nel suo sguardo una tacita accusa per non averlo difeso, ma lui si limita a strizzarti un occhio.

-Allora mi sa che rimarrò fuori fino alla fine della lezione-.

 
Si afferrò la testa con veemenza. Gli occhi gli si erano appannati e un velo di sudore gli copriva la fronte. Si era dimenticato di quell’episodio.

Dopo aveva effettivamente rimproverato il fratello, poi non ce l’aveva fatta più a rimanere serio ed era scoppiato a ridere con lui ricordando la faccia della maestra. Era incredibile come un bambino così piccolo sapesse già come reagire quando gli veniva imposto di fare qualcosa che non voleva, e come non cambiasse mai idea. Era stato messo in punizione a lungo, ma guardandolo negli occhi, Shirou aveva saputo con certezza che non si sarebbe scusato con la maestra, così come ora era sicuro che Tayou non si sarebbe scusato con la professoressa di scienze.

Si somigliavano così tanto…

Cercò di scacciare quel pensiero inutile. Adesso comprendeva di essersi solo illuso che con l’aiuto di Tayou sarebbe riuscito a dimenticare Atsuya. Lo aveva solo sepolto e lui era tornato fuori prepotentemente, così com’era nel suo stile.

Bussarono alla porta. Nemmeno osò sperare che fosse Tayou.

E infatti, alzando gli occhi, incrociò lo sguardo di Hiroto.  

Ora, forse la professoressa era insensibile al fascino di Shirou, ma in fondo (molto in fondo, avrebbe commentato perfidamente Atsuya) era una donna anche lei. E Hiroto Kiyama non le era per niente indifferente.

-Buo…buon giorno… Hiroto… come… come posso esserti utile?-.

Hiroto la fissò con stupore, chiedendosi perché all’improvviso balbettasse. Shirou non potè fare a meno di alzare gli occhi al cielo.

Oh, il caro vecchio Hiroto! Era del tutto inconsapevole dell’effetto che aveva sulle donne e non si spiegava il comportamento strano della professoressa. E dire che aveva a che fare tutti i giorni con Kazemaru, che aveva la stessa identica reazione quando incrociava Endou.

-Scusi, professoressa, il tecnico dell’aula computer mi ha mandato a chiamarla. Ha bisogno del suo aiuto-.

-D’accordo vado. Ti dispiace rimanere qui per qualche minuto? Giusto per assicurarmi che non mi distruggano la classe-.

Perché la professoressa non era sempre così? Forse Hiroto si sarebbe dovuto trasferire in quella classe. Per la gioia di Midorikawa.

In quel momento Shirou si accorse che il compagno stava lentamente andando in ebollizione e gli scappò un sorriso. Fece per prenderlo in giro, ma tutti lo avrebbero sentito perché il silenzio nell’aula era ancora più fitto di prima.

Probabilmente, i ragazzi erano intimoriti da Hiroto. Tutti lo conoscevano come l’alunno modello, l’esempio a cui si ispiravano cercando inutilmente di imitare la nonchalance con cui parlava ai professori come se fossero dei vecchi amici e la facilità con cui si faceva accettare in un gruppo, qualunque cosa facesse. Era il capo del comitato studentesco. A lui il preside si rivolgeva in caso di eventuali problemi. E, a detta delle ragazze, era anche un gran bel figo.

Quello che in pochi sapevano era che Hiroto Kiyama era un ragazzo semplice, proprio come loro. Quando la professoressa fu uscita si sedette sulla cattedra facendo morire d’infarto tutte le ragazze presenti (compresa quella che era stata tanto insensibile al fascino di Tayou) e il povero Midorikawa, che gli sarebbe saltato addosso seduta stante.

-Shirou, ho visto tuo cugino qua fuori- disse Hiroto, dopo aver sorriso uno per uno a tutti i ragazzi presenti in classe. –E’ già stato buttato fuori?-.

-La professoressa non gli sta particolarmente simpatica-.

-Già, lo avevo intuito-.

Si zittirono contemporaneamente mentre quest’ultima rientrava in classe sistemandosi una ciocca di capelli dentro allo stretto chignon. –Non riesco a capire perché i computer non partano. Nemmeno il tecnico ne ha idea. Tu ci hai dato un’occhiata, Hiroto?-.

Il ragazzo si voltò verso di lei e scrollò le spalle. –No, ancora no, ma adesso dovrò andare. Se non ripartono saremo nei guai. Arrivederci-. Saltò giù dalla cattedra,rivolse un cenno di saluto alla classe e uscì.

La professoressa rimase per qualche secondo a osservare adorante la porta da cui era uscito, strappando una risata sommessa a Shirou e facendo arrossire di gelosia Midorikawa.

Il suo sguardo parlava chiaro. “Lui è mio!”.
 
***
 
Hiroto provò ad accendere il primo computer, ma quello non ne voleva sapere di partire. Il tecnico lo guardò scoraggiato. –Le ho provate tutte- dichiarò, mortificato.

Hiroto rimase seduto per un istante, il mento nella mano, pensieroso. Poi, si diresse al pannello accanto alla porta, lo aprì e sollevò un paio di levette. Un ronzio si diffuse nell’aria e i monitori si accesero.

Lo sguardo del tecnico si illuminò d’ammirazione. –Come hai fatto?-.

Hiroto si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. –La corrente era staccata- spiegò, poi uscì e tornò alla propria classe, lasciando il tecnico in compagnia dei computer perfettamente funzionanti e nell’imbarazzo più completo.
 
***

Mentre Hiroto faceva morire dal ridere i compagni col racconto dei computer, arrivò Shirou. Era cupo e arrabbiato, teneva lo sguardo a terra e non salutò nessuno. Un comportamento che decisamente non era da lui. Alle sue spalle, spuntò Tayou. Sembrava sforzarsi di assumere una faccia dispiaciuta, ma non riusciva a  non ridere.

-Qualcosa non va?- chiese Gouenji, stupito di vedere il suo ragazzo così nervoso.

Tayou raccontò loro cos’era successo con la professoressa di scienze a aggiunse –Sono stato chiamato dal preside che voleva sapere cos’era successo. Evidentemente, detengo un primato in questa scuola, nessun alunno al primo giorno era stato buttato fuori dall’aula. Ma quella lì se lo meritava. Solo che il preside si è arrabbiato con Shirou perché dice che è mio cugino e dovrebbe spiegarmi come funzionano le cose in questa scuola-.

Adesso si spiegava perché Shirou fosse così nero. Odiava essere convocato dal preside, almeno quanto Kazemaru. Anche lui era arrabbiato quando era stato chiamato per via di Endou.

-Effettivamente, Tayou, non hai una grande sopportazione…- commentò Midorikawa, che aveva assistito a tutta la scena. –La professoressa di scienze si è sempre comportata così con tutti e non cambierà atteggiamento-.

-Io non mi faccio comandare da nessuno!- ribattè il moro, incrociando le braccia e mettendo il broncio.

I ragazzi erano piuttosto stupiti. Sembrava che a parlare fosse tutta un’altra persona rispetto al ragazzo timido di appena un giorno prima. Il suo vero carattere, ribelle e testardo, stava venendo a galla.

-Atsuya- mormorò Shirou, quasi in trance, gli occhi fissi a terra.
 
***
 
°Atsuya°
 
Non appena sento Shirou pronunciare il mio nome, mi manca il terreno sotto i piedi. E’ come se una parte del mio cuore si fosse staccata per piombare in un baratro nero e senza fondo. Solo vagamente la mia mente registra che è impossibile. Shirou non può sapere che sono io.

Più forte però è il desiderio di rispondere al suo richiamo. Ho aspettato così tanto che trovasse dentro di sé il coraggio di pronunciare il mio nome che ora che finalmente l’ha fatto, sembra che mi abbia fatto un incantesimo. Non riesco a staccare gli occhi dai suoi, che però sono vacui e profondi.

Mi concentro… -Cosa?- chiedo, cercando di assumere un tono stupito e fallendo miseramente. Il tremolio della mia voce mi tradisce alla grande

-S…Shirou??-chiede Endou sorpreso. Sa benissimo che per Shirou è difficilissimo parlare di me e si stupisce che lo abbia fatto adesso, senza alcun motivo.

Le mie ali premono per uscire e mi sforzo di tenerle a bada. Ciò richiede tutto il mio autocontrollo e perdo il filo della concentrazione per qualche secondo. Quando mi riprendo, Midorikawa sta toccando la fronte di mio fratello e gli sta passando una mano davanti agli occhi, come per assicurarsi che sia sveglio. Lui non reagisce. E’ lontano.

Per un momento, nessuno fiata. Il vento fischia tra i rami spogli degli alberi e in lontananza sento le voci degli altri ragazzi della Raimon. Ridono, scherzano. Noi no. Noi siamo in silenzio, fissandoci negli occhi, senza sapere cosa fare.

Poi passa. Di nuovo, Shirou ha come un sussulto e strizza gli occhi. Quando li riapre, sembra più presente. –Perché avete smesso di parlare?- chiede con espressione confusa, interrompendo l’incanto.

Gli altri si guardano ammutoliti per qualche secondo, poi, come in tacito accordo, decidono di non turbarlo ulteriormente. –Niente- risponde Kazemaru sorridendo e riprende a parlare fingendo nonchalance.

Mi concedo un sospiro, non saprei dire se di sollievo o altro.

Anche gli altri parlano del più e del meno, come a voler allontanare il più possibile quell’inquietante momento.

Solo Gouenji non parla.

E mi fissa.
 
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-Cosa è successo? Non me lo spiego-.

-Qualcosa di unico, penso-.

-In che senso?-

-Abbiamo appena assistito a un piccolo miracolo-.

-Cosa intendi?-

-Dentro di sé, Shirou sa la verità. Ha riconosciuto suo  fratello, dal primo momento in cui l’ha visto-.

-E questo è un bene?-.

-Non saprei…-.

-Non sarebbe meglio farlo tornare indietro?-.

-Non ora. No, adesso hanno bisogno di stare vicini-.

-Ma così rischiamo tutto!-.

-Forse ne vale la pena-.
 
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Capitolo 10
*** Capitolo 9-Eternal Blizzard ***


Capitolo 9- Eternal Blizzard
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-Andiamo all’allenamento?- esclamò Endou impaziente, alla fine delle lezioni. La campanella era suonata da tre minuti e lui già stava aspettando ansioso i compagni, battendo un piede per terra per sottolineare il fatto che sarebbe stato carino se si fossero sbrigati.

-Te la senti, Tayou?- chiese Shirou con un sorriso.

Il ragazzo annuì, sorridendo. -Ho sempre voglia di giocare a calcio-.

Non era rimasta traccia in Shirou della crisi di poco prima e i ragazzi si erano convinti che semplicemente Shirou stesse pensando al fratello e si fosse immerso troppo nei ricordi. La spiegazione non stava in piedi, ma avevano finto di crederci.

Tutti tranne, naturalmente, Atsuya, che prese un appunto mentale di chiedere a Gabe cosa accidenti fosse successo. Dopotutto, quella sera doveva trasformarsi in angelo e avrebbe potuto comunicare con lui solo col pensiero, senza bisogno che si incontrassero.

In quel momento, però, non se ne preoccupava. Davanti alla prospettiva di giocare di nuovo a calcio con il fratello, ogni pensiero era svanito dalla sua mente. Aspettava da anni quel momento, lo aveva desiderato così intensamente da star male e adesso che finalmente stava per succedere non riusciva a crederci. Sapeva che non sarebbero stati soli, ma per lui sarebbe stato come se esistessero solo loro due, lui e suo fratello, insieme, di nuovo, su un campo da calcio.

-Arriviamo, arriviamo-. La voce di Hiroto lo riscosse dai suoi pensieri.

Shirou si affrettò a seguirlo.

Tayou aveva notato una certa complicità tra quei due, ma non se ne preoccupava. Quello di cui era veramente preoccupato era Gouenji, che sembrava non staccare mai gli occhi di dosso da Shirou. E la cosa era reciproca. Benchè forse agli occhi degli altri non fosse così evidente, lui se n’era accorto benissimo e non mancava di fulminare con gli occhi Gouenji ogni volta che lo vedeva.

Saltellando entusiasta, Endou li precedette sulla strada che conduceva al campo, un pallone come al solito sotto al braccio. Si era alzato un vento gelido e i capelli gli uscivano disordinatamente dalla fascia arancione, finendogli negli occhi e costringendolo a buttare indietro la testa ogni minuto. Gli occhi gli brillavano d’entusiasmo. Sembrava un bambino in un negozio di caramelle.

Per fortuna non aveva ancora nevicato e il campo non era ghiacciato. Però era comunque piuttosto freddo e mentre correvano i ragazzi tennero addosso la felpa della divisa, per evitare di congelare. Il cielo era grigio e minacciava pioggia, ma non era certo quello che avrebbe fermato Endou, e d’altra parte nemmeno gli altri avevano intenzione di rinunciare.

-Hai mai giocato a calcio?- domandò Endou a Tayou, che saltellava sul posto, soffiandosi sulle mani e infilandosi i guanti.

-Giocavo spesso, tempo fa- rispose Tayou con un che di nostalgico.

In fondo, era vero. Una volta giocava. Poi qualcosa più grande di lui gli aveva portato via anche quello. Un prezzo che comunque avrebbe pagato più che volentieri se avesse potuto avere suo fratello al suo fianco. O almeno vederlo felice. Ma così non era stato.

Scrollò la testa per scacciare quei brutti pensieri e si concentrò per rispondere alla successiva domanda del portiere. –E in che ruolo giocavi?-.

-Attaccante- rispose lui sorridendo al pensiero di tutti i goal che aveva segnato nelle giovanili dell’Hakuren. E quante volte aveva discusso con suo fratello sul ruolo più importante… Solo in seguito entrambi avevano capito che nel calcio non ci suono ruoli meno importanti degli altri. Ognuno è indispensabile.

Dopo qualche esercizio per riscaldarsi ulteriormente, i ragazzi si divisero in gruppi per allenarsi nei vari ruoli. Tayou si imbronciò nel vedere che Shirou si allontanava per allenarsi con la difesa.

Uno dopo l’altro, gli attaccanti e i centrocampisti effettuarono semplici tiri in porta, senza usare tecniche speciali. Tayou rimase incantato a osservare i loro movimenti decisi e aggraziati, sembrava che ballassero con il pallone. Doveva riconoscere che erano davvero bravissimi, compreso Gouenji, che segnò tre volte su tre nonostante i tuffi del portiere.

Era così incantato che non si accorse che Endou lo stava chiamando agitando un braccio.

–Tayou! Ehi, Tayou! Tira tu!-.

Il ragazzo sorrise: non vedeva l’ora di calciare di nuovo la palla. Si chinò e la afferrò con estrema delicatezza, come se sollevasse un cucciolo di gatto. La guardava con un amore infinito. Dio, se gli era mancato il calcio.

Si posizionò sul dischetto di rigore con un sospiro. Poi, incapace di aspettare un solo secondo di più, tirò.

La palla mancò di mezzo metro il palo sinistro.

Il tempo si era fermato. O almeno, a Tayou era sembrato così. Era rimasto pietrificato sul posto, seguendo con gli occhi la palla che si perse sul fondo del campo. Come aveva fatto a sbagliare così grossolanamente?  Incrociò lo sguardo di Gouenji e suo malgrado si sentì arrossire.

-Oh, tranquillo- gli sorrise Endou, recuperando la palla e lanciandogliela di nuovo. –Succede a tutti le prime volte. Prova di nuovo-.
Tayou si sforzò di sorridere, ma dentro di sé ribolliva. “Le prime volte? Se solo sapesse..”.

Provò a tirare altre tre volte. La prima volta prese il palo, la seconda la traversa. Con il terzo tiro centrò la porta, ma era così debole e centrale che Endou la bloccò senza muovere un passo.

Tayou avrebbe voluto urlare per l’esasperazione. Invece, fece un sospiro profondo e afferrò la palla a due mani.

-Ho bisogno di scaldarmi ancora un po’- mormorò e si allontanò di qualche passo.

Da solo, iniziò a palleggiare, dapprima solo col collo del piede, poi, mano a mano che i tonfi del pallone gli rilassavano il cuore, col tacco, la coscia e la testa. Chiuse gli occhi per assorbire meglio quelle sensazioni.

Si sarebbe aspettato di avere la testa piena di domande del tipo “Cosa mi succede? Perché non riesco a segnare?” invece tutto ciò che avvertiva era una grande calma.

Finalmente aveva ritrovato il suo calcio. Finalmente il vecchio Atsuya era tornato. Se lo sentiva nelle ossa, era una vibrazione che partiva dal punto in cui colpiva il pallone e si irradiava in tutto il suo corpo, fino al cuore. Era gioia, amore, felicità. Ma era anche tenacia, impegno e fedeltà. Era questo che gli era mancato.

-A palleggiare te la cavi-.

Era così immerso nelle proprie sensazioni che non si era accorto che qualcuno gli si era avvicinato. Lo riconobbe dalla voce, senza bisogno di aprire gli occhi: era Gouenji. Non gli rispose e  mantenne la concentrazione sul pallone.

-Vieni a tirare- disse l’attaccante di fuoco qualche minuto dopo e lui lo seguì.

-Sei pronto?- domandò Endou battendo le mani davanti a sé per invitarlo a tirare.

Stavolta, Tayou non ebbe esitazioni e tirò subito.

 Il tiro non era solo preciso, ma anche molto potente. Endou riuscì ad arrivarci in tuffo, ma la forza della palla gli piegò le mani e lo trascinò in porta.

Si rialzò subito e gli corse vicino.

-Tayou, è stato fantastico! Sei davvero un attaccante fortissimo! Tira di nuovo!- e gli rilanciò il pallone.

Tayou sorrise dell’entusiasmo del ragazzo. Nonostante non fosse riuscito a bloccare la palla, si era rialzato più motivato di prima. Gli ricordava se stesso ai tempi dell’Hakuren. Eh si, lui ed Endou si assomigliavano davvero in maniera incredibile.

Tayou tirò altre cinque volte, ogni volta modificando la traiettoria del pallone e la potenza del tiro. Il portiere riuscì a pararne solo una.

Tayou sentiva di avere stampato in faccia un sorrisetto soddisfatto, ma non riusciva proprio a impedirselo. Sentiva su di sè gli sguardi stupiti degli altri, compresi i difensori, che avevano interrotto il loro allenamento per osservarlo. Vide che Shirou sorrideva e il cuore gli si riempì di gioia. Cercò con lo sguardo Gouenji, ma il numero 10 aveva la solita espressione impassibile.

-Tayou, sei davvero spettacolare!-. Endou, un po’ ammaccato ma per niente demotivato, gli si avvicinò e iniziò a stringergli la mano talmente forte da bloccargli la circolazione. –Un ragazzo con un tiro del genere non può che amare profondamente il calcio! Tayou, vuoi entrare nella nostra squadra?-.

Atsuya era stupefatto. Quel ragazzo non lo conosceva, di lui sapeva solo il nome (che tra l’altro non era neanche quello vero) e che era piombato all’improvviso nella cucina di un suo amico, per quanto ne sapeva poteva essere un ladro o un fuggitivo e cosa faceva? Lo invitava ad entrare nella propria squadra di calcio. Era davvero incredibile.

-Va bene- sorrise mentre il suo più grande desiderio si avverava. Aveva la possibilità di giocare di nuovo con suo fratello e con ragazzi che amavano il calcio almeno quanto lui.

Endou iniziò a saltellare entusiasta sul posto. –Evvai! Che cosa fantastica!-. Poi si ricompose. –Bene, allora facciamo una partita fra di noi!-.

Tayou era emozionato. Una vera partita, finalmente! Il suo cuore sembrava essere troppo piccolo per contenere la sua gioia, che traboccava di fuori.

Si divisero in due squadre: la squadra rossa, di cui facevano parte Gouenji, Shirou, Hiroto, Midorikawa ed Endou e quella bianca, composta da Kazemaru, Kidou e Tayou. A questi ultimi si aggiunsero Sakuma, il migliore amico di Kidou, e Genda in porta, che per l’appunto passavano da quelle parti. Come ogni giocatore che si rispetti, non appena avevano sentito nell’aria profumo di partita, avevano chiesto di giocare. Endou non era certo il tipo che si rifiutava, e almeno così erano pari.

La partita iniziò con il possesso di palla della squadra rossa. Subito, si accese un duello a centrocampo e tra Kidou e Hiroto. I due si scrutavano con un sorriso stampato sulle labbra, cercando il modo migliore per superare l’avversario. I loro movimenti erano rapidi e precisi e Tayou si incantò ad osservarli, tanto da non accorgersi che Kidou aveva rubato il pallone e lo chiamava. –Tayou! Ehi Tayou! Muoviti!-.

Il ragazzo raccolse il passaggio, con uno scatto si portò davanti ad Endou e tirò.

-God Hand!- esclamò il numero 1 e un’onda di pura energia bloccò la palla.

Tayou era estasiato: la God Hand, quella vera, l’originale. Trovarsela davanti non era certo la stessa cosa che guardarla dall’alto.
-Sei davvero bravo, Endou. Ma la prossima volta non sbaglierò, te lo prometto-.

Endou sorrise e lanciò la palla a Shirou, che fece ripartire l’azione.

La partita s’infiammò (letteralmente) dopo il primo goal di Gouenji. La Power Shield di Genda, nonostante molto potente, non aveva potuto niente contro il Bakunetsu Storm  che aveva gonfiato la rete. Tayou dovette riconoscere a se stesso che, per quanto antipatico, Gouenji era davvero bravo.

La tensione salì alle stelle. Ognuno dava il massimo e si impegnava in ogni minuto della partita. Continui capovolgimenti di fronte costringevano i ragazzi a correre da una parte all’altra del campo, ma si divertivano tantissimo e non sentivano la stanchezza.

Tayou era davvero felice. Rideva come non gli capitava ormai da tempo. Il sudore che gli colava dalla fronte e il respiro affannoso contribuivano soltanto ad aumentare la sua esaltazione, ricordandogli dov’era e cosa stava facendo. Nessuno sentiva più il freddo.

Ormai, la partita era agli sgoccioli e sembrava proprio che il goal di Gouenji avesse segnato la vittoria della squadra rossa. Tayou, però, sentiva di non poterlo permettere.

Per questo, quando si trovò per l’ennesima volta davanti a Endou, non seppe cosa gli fosse preso. Forse la tensione, o l’adrenalina che gli scorreva nelle vene e che faceva pulsare il suo cuore al massimo. Seppe solo che in quel momento non gli importava nulla delle conseguenze del suo gesto. In quel momento esistevano solo lui, la palla e il portiere avversario da battere.

Prima ancora di rendersene conto, si ritrovò ad esclamare –Eternal Blizzard!!- e un vortice di ricordi lo avvolse.
 
Non lo stavo guardando, ma quando sentii le sue parole mi voltai di scatto.

Stava davvero eseguendo quella tecnica.

La mia tecnica. La tecnica di mio fratello.

Mi sembrò di vedere il suo volto, in una folata di vento gelido, poi sparì.

Sparì proprio come era sparito quel giorno.

Quando mi aveva lasciato solo.

Quando, in cuor mio, sapevo che non avrei mai più rivisto l’Eternal Blizzard.

Nonostante non desiderassi altro che rivederla eseguita da lui.

Anche un’ultima volta.

[Shirou]
 
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 -No, Atsuya!-.

-E’ troppo tardi, amico mio-.

-Non può averlo fatto davvero!! Questo… questo è inammissibile!-.

-Forse è quello di cui suo fratello aveva davvero bisogno-.

-Si è sempre rifiutato di parlare di lui!-.

-Magari si sbagliava-.
 
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Capitolo 11
*** Capitolo 10- La storia di Shirou ***


Capitolo 10- La storia di Shirou
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Endou non provò nemmeno a parare il tiro. La palla venne scaricata nella rete da un tornado gelido e lui rimase immobile, le mani davanti a sé, gli occhi sgranati, la bocca semi aperta. Non poteva credere a quello che aveva visto.

Il campo era piombato nel silenzio più completo. Persino Genda e Sakuma, che non conoscevano la storia di Shirou, erano sopraffatti dalla tensione del momento. Se una formica avesse deciso di passare in quel momento, se ne sarebbe sentito lo zampettare.

Istintivamente, come in tacito accordo, tutte le teste si voltarono verso Shirou, pietrificato sul posto. Se avesse visto un fantasma, non avrebbe avuto un’espressione tanto sconvolta. Anche se in fondo, non era tanto lontano da cioè che era effettivamente successo. Per lui era più di un fantasma, era lo spettro del suo passato che si era riversato con troppa forza dentro di lui, e il suo povero cuore era troppo piccolo per contenerlo tutto.

Tayou si voltò a occhi sgranati verso Shirou. Non tentò nemmeno di sforzarsi di sembrare stupito, tanto nessuno gli prestava attenzione. Era inorridito, il suo cuore prese a battere alla massima velocità. Cosa aveva fatto?

“Cosa ho fatto? Dio, cosa ho fatto?”.

Cosa gli era preso? Come aveva potuto? Era venuto meno a qualsiasi giuramento legato al suo ritorno sulla Terra. “Chissà come ha reagito Gabe” si ritrovò a pensare in un momento di disperazione.

Poi, Shirou cadde. Un attimo prima stava fissando la palla nella rete alle spalle di Endou, un attimo dopo il suo grido squarciava il silenzio, un grido di puro dolore che fece venire a Tayou voglia di piangere. Dopodichè parve perdere l’equilibrio e cadde all’indietro.

-Shirou!-. In un attimo tutti gli furono vicini, ma nessuno arrivò abbastanza in tempo da fermare la sua caduta e il ragazzo albino rovinò al suolo senza quasi un rumore. Dopo quel grido terribile.

Quando gli furono vicini, aveva già riaperto gli occhi e li fissava come se non li riconoscesse. Midorikawa si inginocchiò davanti a lui e fece per toccarlo, ma Shirou lo allontanò con una spinta in modo da vedere Tayou che, poco distante, lo fissava inorridito.

-Come hai fatto?- esclamò. Non sembrava nemmeno la sua voce, era sfigurata dal dolore.

Tayou rimase in silenzio, terrorizzato da ciò che aveva fatto e dalla furia che leggeva negli occhi del fratello. Lui, che lo conosceva da molto tempo, non lo aveva mai, in tutta la sua vita, visto così furente e sconvolto.

Visto il suo silenzio, Shirou si alzò e lo prese per le spalle, cominciando a scuoterlo.

–Come conosci quella  tecnica?- domandò a voce alta.

Tayou, terrorizzato e immerso nel senso di colpa fino al collo, non profferì parola, col solo risultato di esasperare ancora di più Shirou.
-Rispondimi! Chi ti ha insegnato quella tecnica?- domandò di nuovo , gli occhi fiammeggianti d’ira.

-Nessuno…- rispose con voce quasi inudibile Tayou. –Io… ho imparato da solo…-.

Anche gli altri erano sconvolti: nessuno di loro aveva mai visto Shirou perdere così il controllo. Il suo volto era trasfigurato dalla rabbia e dal dolore dei ricordi che il solo fatto di rivedere l’Eternal Blizzard aveva scatenato. Rimasero immobili, la bocca semi aperta, gli occhi sgranati nel tentativo di riconoscere Shirou in quel ragazzo che stava scuotendo Tayou fino a fargli venire la nausea.

-Bugiardo!- gridò Shirou. Le lacrime fino a quel momento trattenute iniziarono a scorrergli lungo le guance. Il cuore di Tayou parve andare in pezzi, come una statua di ghiaccio che cade e si frantuma in mille pezzi. –Come hai fatto? Solo… Solo Atsuya conosce quella tecnica!-.

Era vero. Solo Atsuya conosceva quella tecnica, solo lui era capace di eseguirla alla perfezione. Shirou non aveva più visto qualcuno eseguirla, tranne se stesso, dal giorno dell’incidente, e trovarsela davanti così, all’improvviso, per lui era stato come trovarsi di nuovo in quella distesa di neve bianca, chiamando a gran voce i nomi dei genitori e stringendo la mano ancora calda ma immobile del fratello.

Una figura si staccò dal gruppo. Gouenji si avvicinò a Shirou e delicatamente staccò le sua mani dalle spalle di Tayou. Shirou si abbandonò completamente a lui, con un ultimo singhiozzo spento, come se fosse stato troppo stanco per combattere ancora il dolore.

Gouenji si passò un braccio del ragazzo attorno alle spalle e fece segno a Tayou, ancora pietrificato sul posto, di seguirlo. –Lo riporto a casa- disse poi agli altri.

Nessuno rispose e i tre si allontanarono in una delle vie laterali.

Dal cielo iniziarono a cadere bianchi fiocchi di neve che si depositarono sui capelli dei ragazzi.

-Direi che l’allenamento per oggi è finito- commentò Hiroto e, una volta tanto, Endou non ebbe da ridire.
 
***
°Atsuya°

 
Testa a porcospino se n’è appena andato ma, per una volta, avrei desiderato che rimanesse. La sua presenza, almeno, mi risparmiava l’imbarazzo di dover parlare con Shirou.

La sua reazione mi ha sorpreso, ma so che non avrei mai, e per mai intendo mai dovuto fare quel che ho fatto. So che è inutile rimuginarci sopra, ma in fondo è cento volte più facile incolparsi piuttosto che cercare una soluzione.

Adesso che se n’è andato, però, non riesco a sopportare il silenzio teso che si è creato. Shirou è seduto al tavolo della cucina con la testa tra le mani e respira in maniera irregolare, il corpo scosso da un tremito. Evidentemente, è ancora molto scosso.

Mi avvicinò a lui lentamente, anche se so che è improbabile che mi aggredisca un’altra volta. Per un secondo mi ha fatto quasi paura, così devastato dal dolore.

-Shirou?- domando con voce piccola, tanto che mi chiedo se abbia sentito e faccio per chiamarlo di nuovo. Lui però alza la testa e tenta un debole sorriso. Ha gli occhi rossi, come se se li fosse sfregati a lungo.

-Scusami, Tayou- mormora. –Scusami davvero. Non volevo aggredirti in quel modo, ho… ho perso il controllo. Il fatto è che l’Eternal Blizzard… è una tecnica che conosco molto bene. Rivederla per me è stato… uno shock-.

E’ terribile sentirgli dire queste cose, ma sembra che parlare lo aiuti, almeno un po’. Chissà, forse il problema è che per molto tempo non ha avuto nessuno con cui sfogarsi. Mi avvicino e gli poggio una mano sul braccio. –Chi eseguiva quella tecnica, Shirou?-.

Rimane in silenzio per un tempo che mi pare infinitamente lungo, tanto che mi chiedo se davvero sia stato una buona idea fargli quella domanda di cui conosco fin troppo bene la risposta. Lui però, sorride, mentre una solitaria lacrima gli scende lungo la guancia.

-Mio fratello- risponde. Il mio cuore perde una decina di colpi. –Mio fratello gemello. Quando giocavamo insieme, lui segnava praticamente tutti i gol della nostra squadra. Giocavamo nell’Hakuren, in Hokkaido. E’ da lì che vengo-. Tace un secondo, mentre tutti i ricordi di quando eravamo nell’Hakuren mi assalgono. Quante volte abbiamo riso, pianto, esultato, ci siamo allenati duramente insieme, e ogni sera rientravamo a casa stanchi ma felici, perché potevamo fare insieme quello che amavamo. La sua voce mi riporta al presente.

–Dieci anni fa, mio fratello è morto…-.

La parte della storia che temevo…

-Mentre tornavamo da una partita, siamo stati travolti da una valanga-. E’ strano sentirsi raccontare la storia della propria vita, ma rimarrei ad ascoltarlo per ore se questo servisse ad aiutarlo, nonostante le sue parole mi riportino alla mente ricordi fin troppo freschi.

–Con lui, sono morti anche i miei genitori. E da allora… Da allora, tranne me, nessuno è mai riuscito ad eseguire quella tecnica. Ora capisci perché ho reagito così?-.

Capisco fin troppo bene. Annuisco.

–Non immaginavo che qualcun altro sapesse eseguirla e quando ho visto ho pensato… non lo so cosa ho pensato-.

Le parole successive le dice a occhi chiusi, come se si auto costringesse ad ammetterle. –Per un secondo, in te ho visto lui. Il desiderio che fosse Atsuya ad eseguire quella tecnica mi ha assalito ed accecato per un secondo-.

Si zittisce e abbassa di nuovo la testa. Cerco, invano, di calmare il battito del mio cuore.

–Hai ragione- mormoro, dando voce a ciò che lui non aveva avuto il coraggio di dire. –Non è giusto. Quello che ci… Quello che ti è successo è una cosa terribile ed è ingiusto. Non avrei mai voluto scatenare in te questi sentimenti. Ma ricordi cosa ti ho promesso? Ti ho promesso che saresti stato felice e ti prometto che lo sarai-.

Sorride, non mi crede, pensa forse che io sia solo un bambino. Ma io so quello che dico, farò di tutto per portare a termine la mia missione e rasserenare il cuore di mio fratello.

Lui si alza.

-Scusami, Tayou… Ho… ho bisogno di stare un po’ da solo. Scusa- e va verso la sua camera, chiudendosi dentro.

Mentre lo seguo con gli occhi riesco a pensare a una cosa sola: sono io quello che dovrebbe scusarsi, non di certo lui.
 
Per un secondo desiderai che le parole di Tayou fossero vere.

Desiderai potermi fidare, affidarmi completamente a lui.

Desiderai riuscire a credere che sarebbe stato davvero in grado di rendermi felice.

Ma sapevo che non era così.

Non ci sarebbe mai riuscito.

Perché lui non era Atsuya.

[Shirou]
 
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Capitolo 12
*** Capitolo 11- Fiducia ***


Capitolo 11- Fiducia
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°Atsuya°

 
Il soffitto di questa stanza è incredibilmente monotono. Sdraiato a pancia in su sul letto a una piazza della stanza degli ospiti, ormai da ore, con l’unico svago di fissare il bianco latte del soffitto, cerco di auto convincermi a trasformarmi in angelo. Per la prima volta da quando sono qui, non muoio dalla voglia, per validi motivi.

Primo: Shirou non sta dormendo. Lo sento distintamente, nonostante sia la porta della mia stanza che quella della sua siano chiuse, mentre cerca di soffocare i singhiozzi nel cuscino. Perciò, temo che mi sentirebbe se provassi a uscire di casa.

Secondo: sono ancora sconvolto dagli eventi del pomeriggio, oltre che travolto continuamente dal senso di colpa, e quindi decisamente non sono dell’umore adatto per raggiungere furtivamente il mio nascondiglio e librarmi in aria come se niente fosse.

Ultimo, ma non meno importante, il dettaglio Gabe. So che trasformarmi in angelo, senza ombra di dubbio, vorrebbe dire trovarmelo davanti in mezzo secondo con la sua lunga ramanzina su ciò che ho fatto, e inoltre riuscirebbe a leggermi nel pensiero. Decisamente controproducente. Mi sento già abbastanza in colpa senza che lui aggiunga carico a carico.

Nonostante questa serie di motivi, però, le mie ali, incuranti di tutto, continuano a premere contro il tessuto della maglietta e tra qualche minuto potrei non riuscire a contenerle.

Sospiro, girandomi sul fianco. Che razza di situazione. E tutto questo perché? Perché sono un’idiota! Perché come al solito ho agito impulsivamente senza rendermi conto delle conseguenze. Perché il solo pensiero di aver fatto soffrire mio fratello mi causa un senso di colpa così opprimente che mi schiaccia il cuore e mi inchioda al letto.

Passa un’altra mezzora e mi accorgo che la stanza è più illuminata di prima. Che stia arrivando l’alba? No, impossibile. Guardo la sveglia luminosa. Sono appena le una di notte.

Con orrore, mi rendo conto che la luce non proviene dall’esterno. No, la luce… proviene da me.

Il mio bagliore sta diventando sempre più forte e illumina il buio della stanza.

Non posso più aspettare. Il mio corpo si sta ribellando. Devo trovare il modo di uscire di casa.

La porta della mia stanza cigola troppo perché Shirou non se ne accorga, quindi mi avvicino alla finestra, aperta nonostante il freddo di fine novembre. La mia luce getta un forte bagliore sulla facciata del palazzo. La casa di Shirou è al quarto piano di un condominio e ho paura di svegliare qualcuno, ma devo correre il rischio. Di fronte casa, da un giardino poco illuminato, provengono delle voci di ragazzi, più o meno della mia età.

Sto per uscire quando mi blocco.

Una strana corrente d’aria trasporta una manciata di fiocchi di neve in una direzione diversa rispetto agli altri. Può voler dire solo una cosa.

“Lo sapevo…”.

Faccio appena in tempo a chiudere gli occhi che una luce appare dal nulla davanti a me e rischia di accecarmi. Quando riesco ad aprirli anche un minimo, so già chi mi troverò davanti.

Gabe sembra incurante del fatto che chiunque potrebbe alzare lo sguardo e che decisamente noterebbe qualcosa di strano. Tipo un ragazzo che volteggia in un alone di luce davanti alla mia finestra. Per fortuna, i ragazzi nel giardino non alzano lo sguardo.

-Ti rendi conto della gravità della situazione?-.

Non ho mai visto Gabe così arrabbiato e quando Gabe è arrabbiato fa davvero paura. Altro che professoressa di scienze della Raimon. Gabe sarebbe capace di fulminarti sul posto senza nemmeno aprire bocca.

Decido di non perdermi in discorsi e giustificazioni inutili. –Si, hai ragione…-.

-Lo so benissimo che ho ragione. Quel che mi interessa è che lo capisca tu-.

Mi acciglio. –Lo capisco fin troppo bene. Non vado fiero di ciò che ho fatto e tornerei indietro se potessi, lo sai-.

-Ma non puoi. E queste sono parole che un angelo non dovrebbe mai pronunciare-.

Mentre parlo, mi perdo a osservare le sue ali. Sono davvero meravigliose. Io riesco a guardarle perché sono un angelo, ma un qualunque altro essere vivente rimarrebbe accecato. Sono lunghe almeno il doppio del suo corpo per ogni lato e sembrano morbidissime, anche se resistenti. Trasmettono una sensazione di invulnerabilità. Sono davvero perfette.

-Mi ascolti?-.

Mi costringo a riportare l’attenzione sui suoi occhi azzurri. –Si-.

-Mi chiedo se tu abbia un minimo di buon senso. Cosa pensavi di fare?-.

-Io… volevo solo aiutarlo- mormoro, abbassando la testa.

-Aiutarlo?-. Gabe pare sorpreso e indica la mia porta chiusa dalla quale arrivano ben chiari i singhiozzi di Shirou, nonostante sia evidente che cerca di non farsi sentire. Resisto all’impulso di piantare in asso Gabe e correre a consolarlo. –Ti sembra di averlo aiutato?-.

Il suo tono mi riscuote. Insomma, conosco mio fratello, di certo più di lui. E se Gabe pensa di potermi venire a dire quanto e come amarlo, si sbaglia di grosso.

-Sinceramente,si-.

La sua espressione è esilarante, ma non posso ridere, non ora.

-Cosa?-.

-Si, penso di averlo aiutato. Voglio che Shirou affronti il suo dolore. Finchè continuerà a portarselo dentro, io non potrò fare nulla per lui. Oggi pomeriggio abbiamo parlato e, anche se solo per un secondo, mi è parso più rilassato, come se si fosse tolto un peso dal cuore. Shirou ha bisogno di capire che non è solo-.

Gabe sospira. La sua luce si attenua molto, segno che la sua rabbia sta svanendo. Comunque, resta decisamente più luminoso di me. La luce è il simbolo del nostro potere.

-Ricorda, Atsuya, che il più grande dei danni scaturisce dalle migliori intenzioni. So che ti abbiamo affidato il compito di aiutare Shirou, ma non tutti potrebbero essere d’accordo con i tuoi metodi. Qualcuno potrebbe considerarla insubordinazione-.

-Loro?-.

-E anche alcuni di noi. Devi essere cauto, Atsuya, ora più che mai-.

Le sue parole mi riempiono di paura.

-Per oggi, non importa che ti trasformi in angelo, sarebbe più controproducente che altro- riprende. Mi sfiora la fronte con la mano e il mio bagliore diminuisce. Le ali si ritirano un attimo prima di lacerare la maglietta. –Libera il cuore e la mente, Atsuya. Il dubbio e la paura sono cattivi consiglieri. Per ora, rifletti sulle tue azioni. Ricorda che sei osservato. E sappi che noi, tutti noi, ci siamo sempre-.

Non suona come una minaccia, più come una raccomandazione. Annuisco lentamente, cercando di tornare a respirare normalmente. Non è facile cacciare la paura dal proprio cuore.

Gabe mi guarda per un altro secondo, poi, così come è arrivato, svanisce in un lampo dorato. Stavolta, tengo gli occhi bene aperti e mentalmente lo ringrazio. Il pensiero di essere costantemente osservato non mi infastidisce più, anzi mi fa sentire protetto. Finalmente, so che posso contare sul loro aiuto, qualunque cosa succeda.

Non sento più i singhiozzi di Shirou e ho come il sospetto che Gabe gli abbia allietato il sonno. Decisamente non avrà incubi, almeno per stanotte.

Chiudo la finestra al gelo della notte, poi mi butto sul letto e mi addormento.
 
***
 
Nel giardino, il ragazzo dai capelli neri alza lo sguardo e fa un sorrisino.

Povero Gabe. Non si rende conto che qualsasi cosa faccia, è tutto completamente inutile.
   .
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-Gabe?-.

-Si?-.

-Da questo momento, voglio che tu non intervenga più nella missione di Atsuya-.

-Che cosa?-.

Silenzio.

-Scusa, ma non capisco. Atsuya ha bisogno di essere aiutato-.

-No, non più. Ha capito l’importanza della fiducia e ti ha ascoltato. Per me, questo basta-.

-Temo… temo che sia un azzardo-.

-Lo è. Ma è l’unica cosa che possiamo fare-.
 
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Capitolo 13
*** Capitolo 12- A volte non servono le parole ***


Capitolo 12- A volte non servono le parole
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-Gabriel-.

L’angelo si voltò di colpo. Non lo aveva percepito. –Che ci fai qui, Luc?-.

-Perché quella faccia, non sei felice di vedermi, Gabe?-.

-Direi di no-.

-Quindi sai-.

-Cosa dovrei sapere?-.

Il demone fece un verso che assomigliava a una risata. I suoi occhi rimasero gelidi. –Non mentire Gabriel, non puoi, e nemmeno sai farlo. Sei al corrente del destino del giovane Atsuya-.

-Il destino di Atsuya non è stato ancora scritto-.

-E’ qui che ti sbagli. Atsuya è destinato all’Inferno, e tu lo sai-.

-No!-.

-Puoi scegliere. Consegnarcelo di tua spontanea volontà, o scatenare una guerra. Come vedi, ti lasciamo scelta-.

Poi scomparve.

Scelta? Gabe non pensava di essere abbastanza forte da affrontare quella scelta.
 
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°Atsuya°

 
Sono passati ormai quasi due mesi da quando sono arrivato sulla terra. Da quella sera, la sera in cui ho capito di potermi fidare di Gabe e degli altri angeli, non è cambiato molto. Ho cercato di controllarmi e non far soffrire più Shirou, nonostante resti dell’idea che abbia bisogno di rivelare a qualcuno ciò che prova. Spero che un giorno lo farà di sua spontanea volontà.

Da quella sera, anche durante le notti in cui mi trasformo in angelo, Gabe non è più apparso, ne ha cercato di comunicare con me mentalmente. Spero che voglia dire che ha imparato a fidarsi di me. E spero che questo basti perché quei dannati demoni mi lascino in pace.
 
***

In quelle settimane, ogni martedì e ogni giovedì, Kazemaru aveva dato a Endou ripetizioni e, nonostante la sua testa dura, si iniziavano a vedere miglioramenti. Dalle scene mute che faceva prima quando veniva interrogato, adesso almeno dava l’ impressione di aver studiato e forse sarebbe riuscito a passare anche quell’anno.

La cotta mostruosa di Kazemaru per il compagno non si era certo attenuata, anzi, se possibile passare così tanto tempo con lui lo aveva fatto innamorare ancora di più.

Le prime volte era una sofferenza dall’inizio alla fine. Kazemaru non riusciva praticamente a spiccicare parola, e l’imbarazzo aleggiava su di loro come una cappa. Poi, man mano che il tempo passava, si era fatto coraggio e aveva deciso di godersi quelle ore in compagnia di Endou.

-Vuoi dire che non diventi più rosso peperone e non balbetti come se praticamente non sapessi parlare?- domandò Shirou quando Kazemaru gli raccontò i suoi progressi. –Bhè, è un grande passo avanti-.

Al che, avvertito il sarcasmo nella sua voce, Kazemaru lo aveva preso a palle di neve finchè non era diventato bianco come un pupazzo.
Adesso, finalmente, riusciva a gestire la situazione. Endou era sempre entusiasta, nonostante non fosse proprio felice di dedicare alla matematica tempo prezioso che invece avrebbe potuto impiegare giocando a calcio.

Ma erano ben lontani dai risultati,  e Kazemaru sapeva che avrebbe dovuto impegnarsi molto di più. Perciò si ripromise di non farsi distrarre da niente e di pensare solo ad aiutarlo. E, per quelle settimane, era riuscito a mantenere il proprio proposito.

Fino al momento in cui cambiò tutto…
 
***

-Ti rendi conto di che ore sono?- domandò Endou, abbandonando la penna sul quaderno scribacchiato.

Kazemaru si stiracchiò e lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Il cielo era già scuro e minacciava di nevicare ancora. L’unica luce accesa nella facciata del palazzo della Raimon era quella della classe in cui i due ragazzi si erano ritrovati per un’altra lezione di matematica.

Solitamente si vedevano a casa di uno o dell’altro, ma quel giorno Endou aveva dimenticato le chiavi e non erano potuti entrare, e in casa di Kazemaru gli operai stavano riparando il tetto. Perciò avevano ripiegato per la loro aula, che almeno erano al caldo.

Erano passate ormai quattro ore, quattro ore, per Endou, interminabili. Lui quelle cose non le capiva, e non le avrebbe mai capite!

Però era stato bello restare un po’ da solo con Kazemaru in quell’atmosfera così intima.

-Sono le otto- rispose Kazemaru, soffocando a stento uno sbadiglio. –Direi che per oggi è abbastanza-.

Endou tirò un sospiro di sollievo, chiudendo in fretta il quaderno e il libro. Il suo banco era di fronte alla finestra e sbirciando fuori si accorse che, giù in strada, i lampioni si erano già accesi. Non c’era nessuno per strada, senza dubbio le persone preferivano starsene al caldo nelle proprie case piuttosto che uscire al freddo dell’inverno. Nemmeno il gatto nero che di solito girava da quelle parti si vedeva. Endou sperò che avesse trovato un riparo.

-Sei sicuro che debba prendere altre lezioni? Ormai sono settimane che studio!- esclamò rivolto a Kazemaru, che aveva messo nella cartella le proprie cose e gli si stava avvicinando.

-Questo perché sei uno zuccone- rispose il ragazzo con un mezzo sorriso. –Siamo dovuti ripartire praticamente da zero!-.

Endou annuì lentamente, riconoscendo le proprie colpe. Cercò nel cielo il coraggio di pronunciare le parole successive.

-Comunque sono contento-.

Kazemaru lo guardò stupito. –Di cosa?-.

-Insomma…-. Endou si passò una mano nei capelli, sembrava imbarazzato. –Queste ripetizioni hanno anche dei lati positivi-.

Il difensore spalancò gli occhi, cercando di capire cosa volesse dire il compagno. Personalmente, ne vedeva molti di lati positivi, tipo il passare ore e ore in sua compagnia.

-Lati positivi? Intendi il fatto che probabilmente, grazie ai miei grandi sacrifici, non verrai bocciato?-domandò, cercando di sdrammatizzare.

Adesso, Endou era visibilmente arrossito. –No… cioè si insomma ovviamente anche quello, però…-. Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra. -No, lascia perdere-.

Kazemaru stava andando in ebollizione. Non ne poteva più di quel balbettio confuso e si stava sforzando di capire cosa volesse dire. Gli veniva in mente una sola spiegazione, ma sospettò che fosse dovuta  più i suoi sentimenti che non l’evidenza dei fatti.

-E dai, Endou, spiegati, no?- domandò ansioso.

Un auto decise di passare strombazzando proprio in quel momento, facendoli sussultare entrambi. Endou si voltò, rosso in viso.

 -Intendo che… almeno così abbiamo potuto passare più tempo insieme. Era da tanto che non succedeva, anche se siamo amici da sempre non abbiamo più parlato veramente da tanto tempo-.

Il cuore di Kazemaru sprofondò in un nero baratro di disperazione.

Amici… era evidente che non voleva essere nient’altro. Solo amici…

Si vergognò di se stesso per essersi illuso per così tanto tempo, si vergognò al pensiero di quando era particolarmente euforico e si abbandonava alla labile speranza che anche Endou provasse qualcosa per lui. Invece, evidentemente, non era così.

Endou lo vide abbassare la testa e soffocò l’impulso di prendersi a schiaffi da solo. Non erano quelle le parole che voleva usare. Non rispecchiavano per niente i suoi veri sentimenti, i sentimenti che avrebbe voluto gridare in faccia a Kazemaru, se solo avesse avuto il coraggio.

Eppure sarebbe bastato così poco…

Allora, che cosa lo bloccava? La paura della sua reazione? Il timore che non provasse gli stessi sentimenti? La vergogna per averli tenuti nascosti così tanto tempo?

Non ce la faceva più a tacere, a vedere ogni santo giorno Kazemaru che aveva la sua vita e a non farne parte.

E tutto quello si tradusse in tre semplici parole, che finalmente la sua bocca trovò il coraggio di pronunciare nonostante il cervello si opponesse con tutte le sue forse. Le disse, prima il pronome, poi il verbo, poi il nome. Le parole che cambiarono le loro vite, che le intrecciarono.

-Ti amo, Ichi-kun-.

Kazemaru alzò la testa e sgranò gli occhi di colpo. Forse aveva le orecchie tappate e non aveva sentito bene. Forse era stata la sua mente a partorire quelle parole, e non Endou.

Ma quando ebbe posato lo sguardo sul suo volto arrossato e sulle sue iridi sincere, capì che era tutto vero.

E nonostante ciò, riuscì a mormorare solo un debole –Cosa…?- prima che la bocca di Endou fosse sulla sua, impedendogli qualsiasi altra parola.

Non riusciva a credere che stesse succedendo davvero. Nonostante la finestra aperta, il freddo non lo sfiorava nemmeno, anzi avvertiva un gran caldo che partiva dal cuore e si irradiava in tutto il suo corpo. Stava davvero, davvero baciando Endou. E  in tutti i suoi sogni, anche i più sfrenati, non era mai stato così intimo, così dolce, così bello. Avrebbe voluto che non finisse mai.

Endou si sedette sul banco e lo trasse a sé mentre il suo bacio si faceva molto meno casto, e la sua lingua forzò senza più tante riserve la bocca dell’amico, ormai non più tale.

Solo allora si rese conto che non gli aveva nemmeno dato il tempo di rispondere. Si staccò di mezzo centimetro, giusto il necessario per riuscire a guardarlo negli occhi. Ascoltò il suo respiro ansante e sorrise.

-Non mi hai risposto- mormorò. –Ma mi sembra di capire che la cosa non ti dispiaccia-.

Kazemaru diventò all’istante del colore dei capelli di Hiroto e si maledisse tra sé. Aveva forse sbagliato qualcosa?

Gli occhi di Endou si illuminarono. –Ti ho mai detto quanto diventi carino quando arrossisci?- e di nuovo non gli dette il tempo di rispondere, avventandosi sulle sue labbra.

A entrambi il tempo che impiegarono a baciarsi parve infinito, eppure sempre troppo breve. Nemmeno li sfiorava il pensiero che chiunque fosse passato sotto la finestra avrebbe potuto vederli.

Kazemaru passò le dita nei capelli di Endou mentre quello scendeva a baciargli il collo, strappandogli un gemito. Avrebbe desiderato che non finisse mai, che i baci di Endou fossero anche l’ultima cosa concreta e reale del suo mondo. Nessuno dei due aveva più parlato, semplicemente entrambi si facevano guidare dall’istinto e dall’amore che li legava e che li aveva sempre legati, anche se ci avevano messo un po’ a capirlo. Ma l’attesa ripaga.

-Ma chi è che ha lasciato la luce accesa?- domandò la bidella tre secondi prima di aprire la porta dell’aula, secondi che bastarono a Endou e Kazemaru per buttarsi rispettivamente sulle proprie sedie come se non si fossero mai mossi di lì. L’espressione sognante di Kazemaru li tradiva.

-Ci scusi signora, abbiamo perso la cognizione del tempo- sorrise Endou, perfettamente padrone di se stesso. La bidella annuì.

-D’accordo, ragazzi, ma adesso devo chiudere. Vi aspetto giù, fate presto okay?-.

Endou annuì mentre Kazemaru, seduto al proprio posto, stava lentamente iper ventilando. Gli sembrava che ogni parola della bidella tradisse il fatto che li aveva scoperti, o che almeno avesse intuito cosa stavano facendo. Quella, però, non aggiunse altro e uscì.

Endou aspettò di sentire lo scatto della porta, poi scoppiò a ridere per il sollievo.

-Dio, che spavento- si posò una mano sul cuore, che effettivamente batteva all’impazzata.

Anche Kazemaru si concesse un risolino. –Ora posso rispondere?-.

Endou smise subito di ridere e si fece ansioso.

Kazemaru lo trasse a sé. –Ti amo anche io, Mamoru- e riprese a baciarlo, stupendosi della propria intraprendenza.

A nessuno dei due importava più di tanto che la bidella li stesse aspettando al piano di sotto.
 
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-Che fai?-

-Guardavo quei due ragazzi. Magari un amore puro come il loro si manifestasse più spesso…-.
 
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Capitolo 14
*** Capitolo 13- Una buona notizia per Kidou ***


Capitolo 13- Una buona notizia per Kidou
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-Gabriel-.

Gabe, perfettamente immobile, fissava davanti a sè senza in realtà vedere niente.

La voce dell’amico lo spaventò.

-Oh, Michael…-.

-Che ti prende? E’ un po’ di tempo che sembri distratto… è per via di Atsuya?-.

Gabe annuì, passandosi una mano nei capelli candidi. –Michael… tempo fa, ho ricevuto una visita da Luc-.

Michael non parve stupito. –Immaginavo. Solo questo avrebbe potuto sconvolgerti così tanto. Eppure, Gabriel, dovresti essere a conoscenza del destino del ragazzo-.

-Io… non posso accettarlo. Atsuya è un angelo, certo non un cherubino, ma il suo posto è qui, in paradiso. Il pensiero che sia destinato all’Inferno… non so, è troppo-.

Michael annuì. Anche lui era rimasto stupefatto di fronte a quella notizia. Capiva bene lo stato d’animo di Gabe.

–Ciò che più mi atterrisce è che, qualsiasi cosa farà, Atsuya non potrà decidere del proprio destino-.

-Avrebbe potuto fare la scelta sbagliata-.

-Ma sarebbe stata comunque una scelta. Atsuya è un angelo!-.

-Un angelo può diventare un demone, Gabe, lo sai bene-.

-Lo so. Ma questo… questo non mi aiuta ad accettarlo-.

Michael chiuse gli occhi per un secondo, non disse altro, e se ne andò.

Gabe riprese a guardare qualcosa che solo lui poteva vedere. “Non è giusto” si ripetè per l’ennesima volta.
 
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Durante i tre giorni successivi, Kazemaru ed Endou furono talmente felici che, letteralmente, si dimenticarono di raccontare ai loro amici la novità. Forse, almeno per qualche tempo, volevano essere loro gli unici depositari di quel dolcissimo segreto.

Ma va detto che, entrambi, non erano buoni attori. Si vedeva lontano un miglio che il loro comportamento era cambiato. Tornavano a casa insieme, arrivavano agli allenamenti insieme, ogni singola cosa facessero, erano sempre insieme. Non mancavano mai di sfiorarsi “accidentalmente” e di arrossire, soprattutto Kazemaru.

E poi beh, c’era il fatto che sembravano camminare tre metri sopra il cielo, svolazzando per aria.

Gli altri fecero due più due il venerdì, durante la pausa pranzo.

-Voi state insiemeee!- esclamarono Shirou e Midorikawa, facendo voltare mezzo giardino. Endou e Kazemaru si sentirono addosso gli sguardi minacciosi di tutti.

Mamoru afferrò la mano del compagno. –Mi sa che ci hanno beccati, Ichi-kun…-.

Kazemaru arrossì, lo sguardo a terra.

-E non ci avete detto niente!-. Midorikawa parve veramente offeso.

Kazemaru ci accigliò. –Quando Hiroto si è dichiarato tu eri talmente felice che avresti attaccato i volantini nel ristorante di Hibiki-san! Non tutti sono pazzi come te!-.

Gli occhi di Midorikawa si fecero sognanti. –Giorno felice…-.

Hiroto lo baciò.

Tayou storse il naso. –Date la nausea-.

Kazemaru scosse la testa, poi si divincolò dalla presa di Endou e saltò addosso a Shirou.

–Tu sei un maledettissimo genio!! Grazie grazie grazie!-.

Fubuki sorrise radioso. –Aspettavo da anni questo momento! Così la smetterai di tormentarmi con i tuoi “Endou di qua, Endou di là… E quanto è bello Endou, e come mi manca Endou”…sai essere sfiancante a volte-.

Kazemaru divenne di fuoco. Non si arrischiò nemmeno a guardare Endou, e prese un appunto mentale di uccidere Shirou non appena si fosse presentata un’occasione propizia.

-Tu pensa a sappiamo tutti fin troppo bene chi- rispose a denti stretti. Tayou s’incupì. -“Quanto è bravo Gouenji… amo tanto Gouenji… oh, Kazemaru, cosa farei senza Gouenji?”-

Stavolta fu il turno di Shirou di arrossire, mentre improvvisamente il suo più grande desiderio diventava uccidere all’istante Kazemaru.

-Te lo sei inventato!-.

-Non è vero!-.

-Oookay ragazzi- si mise in mezzo Hiroto beccandosi non pochi sguardi omicidi. –Se volete uccidervi, fatelo dopo-.

I due continuarono a guardarsi male. Hiroto sospirò. –Mi pare di essere all’asilo…-.

-Ripetilo!-. Kazemaru e Shirou saltarono addosso al rosso, atterrandolo e sedendosi sopra di lui. Poi si strinsero la mano con aria soddisfatta.

Pace fatta, tempo due minuti.

-Non respiro!- ansimò Hiroto, sollevando a malapena la testa.

Midorikawa s’incupì. –Se me lo soffocate, dovrete fare i conti con me!-.

-Ma sentilo!- rise Kazemaru. Un turbine verde lo travolse e lo bloccò a terra.

In tutta quella baraonda Endou, che di solito era il primo a cominciare a fare casino e l’ultimo a finire, si tenne un po’ a distanza e osservò i suoi amici – e il suo ragazzo- azzuffarsi per terra. Si godette le loro risate allegre e spensierate, sentendosi profondamente felice.

Il sole splendeva in cielo e illuminava i fiocchi di neve adagiati sull’erba del giardino. Sperò che nevicasse ancora. Sarebbe stata divertente un’altra battaglia a palle di neve.

-A cosa pensi?- domandò Gouenji, sedendosi accanto a lui. Decisamente Shuuya non era il tipo da quel genere di zuffe.

-A niente- rispose Endou, lo sguardo al cielo. –A Kazemaru- si corresse poi con un sorriso.

Gouenji ridacchiò –Era ora eh?-. Lui per primo aveva saputo della cotta di Endou per Kazemaru, anche se il portiere non glielo aveva confidato apertamente. Gouenji sapeva intuire quelle cose. –Non eri così felice quando stavi con Hiroto-.

Endou annuì –E’ vero. Hiroto è un ragazzo spettacolare, ma come amico e compagno di squadra. Per fortuna ce ne siamo accorti in tempo… E poi- aggiunse con un sorriso mentre il rosso rincorreva Midorikawa e lo placcava a terra, per poi iniziare a baciarlo. –Come avrei potuto portarlo via a Midorikawa?-.

-Tu stavi con Hiroto?-. Tayou si era avvicinato ai due evitando di inciampare nei compagni attorcigliati a terra e fissava Endou a occhi sgranati, il quale annuì.

-Già-.

-Ma… io credevo che Hiroto stesse da sempre con Midorikawa-.

Sia Endou che Goenji scossero la testa. –Oh no. Prima di mettersi con Midorikawa, Hiroto si è girato praticamente mezza scuola. Non era molto serio da questo punto di vista. Per fortuna, ci ha pensato Mido-kun a riportarlo sulla retta via-.

-Di chi state sparlando??- domandò ad alta voce Hiroto. La lotta era finita e i ragazzi si erano avvicinati al terzetto.

-Di te- rispose Endou mentre Kazemaru si sedeva accanto a lui. –Ricordavamo i vecchi tempi, i tempi pre-Midorikawa-.

-Brutti, bruttissimi tempi- commentò lui scuotendo la testa e facendo ondeggiare i capelli rossi.

Tayou, nel frattempo, sorrideva senza farsi notare. Un’idea gli era baluginata in testa.

 
***
°Atsuya°
 

Okay, so che non dovrei farlo. E’ una cattiva idea, assolutamente pessima pessima pessima! Me ne pentirei, lo so, farei infuriare Gabe e tutti gli altri e Shirou non mi rivolgerebbe più la parola.

Però…

Però io non posso proprio accettare che testa a porcospino gli stia sempre così appiccicato! E’ una cosa che mi fa saltare i nervi, giuro che non lo sopporto!

Un angelo non dovrebbe parlare così, lo so, ma molto –troppo- spesso mi dimentico di esserlo, un angelo. Mi sto abituando al mio corpo umano.

Ormai, è evidente che Gouenji e mio fratello stiano insieme. E non fanno nemmeno niente per nasconderlo. Capisco che Shirou deve fare le sue scelte, ma io sono qui per aiutarlo. E questa non-è-la-scelta-giusta.

E’ un po’ ingiusto, forse, mettere in mezzo anche Hiroto, ma con la storia del playboy e tutto il resto, calza a pennello.

Non devi Atsuya, non devi…

Eppure mentre cerco di auto convincermi, la mia mente ha già elaborato un piano d’azione…
 
***

 Il suono di un cellulare interruppe i pensieri di Tayou. Kidou si riscosse dal suo solito angolino di depressione. –Pronto?-. Silenzio. Poi –Cosa?-.

Endou, che naturalmente non poteva farsi i fatti suoi, si avvicinò saltellando e poggiò un orecchio sul cellulare di Kidou. Gli sembrava di riconoscere la voce al di là della linea. Il regista lo allontanò con uno spintone.

I ragazzi attesero in silenzio che finisse di parlare. Quando riattaccò, era rosso in viso.

–Chi era?- domandò Hiroto.

-Intuito zero- ribattè Midorikawa. –E’ ovvio che era Fudou!-.

-E’ così evidente?-domandò Kidou, ancora in trance.

-Dovresti solo vederti. Allora, che ti ha detto?-.

Kidou attese ancora qualche secondo poi –Che è appena arrivato all’aeroporto- sorrise. Cercò di trattenere l’improvvisa voglia di saltare per tutto il giardino cantando “Pe Pe Pe Pe Peppe!”.

La reazione degli altri fu esattamente la  stessa che aveva avuto Kidou. –Cosa?- esclamarono a una sola voce.

–Non ci avevi detto che tornava- commentò Shirou.

-Perché non lo sapevo!- rispose Kidou.

-Ma è una cosa fantastica!- esclamò Endou con un largo sorriso. –Rivedrai Fudou!-.

-Già, me ne sono reso conto-.

-E non sei contento?-.

-Sono al settimo cielo. E infatti- aggiunse. –Ho appena deciso che stasera, e non voglio discussioni, venite tutti a casa mia-.

I ragazzi annuirono, desiderosi di partecipare alla felicità di Kidou.

–E adesso… ho un modo per festeggiare!- esclamò Endou.

-Fammi indovinare- lo precedette Kazemaru. –Allenamento!-.

A Endou brillarono gli occhi. –Certo che mi conosci bene…-.

Kazemaru scosse la testa. –No, sei tu che sei molto prevedibile-.
 
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-Non manca molto ormai-.

-Cosa? Di già?-

-Atsuya sta per fare la sua scelta. E il suo destino si compirà-.

Gabe non rispose. Semplicemente si ritrovò a sperare che facesse la scelta giusta.

Ben sapendo che non sarebbe stato così.
 
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Capitolo 15
*** Capitolo 14- Il ritorno di Fudou ***


Capitolo 14- Il ritorno di Fudou
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L’allenamento fu uno dei più divertenti nella storia della squadra della Raimon. Kidou era più entusiasta di Endou, e ogni tre secondi sbirciava l’orologio contando i minuti che mancavano all’arrivo di Fudou, il quale aveva rifiutato la sua proposta di andarlo a prendere.

Sarebbe arrivato di lì a pochi minuti, e il regista non stava più nella pelle, tanto che faceva fatica a concentrarsi sul gioco e un paio di volte commise due errori davvero non da lui.

-Torna tra noi, Kidou!- esclamò Hiroto passandogli la palla. Quello nemmeno la vide, occupato com’era a guardare l’ora.

Ecco, ora mancavano esattamente dieci minuti alle tre.

“Dunque, calcolando che è atterrato alle due e venti, mi ha chiamato subito, abbiamo riattaccato alle due e ventisette, il tempo di prendere la valigia, poi magari c’era molta gente al check-in ed è stato rallentato. L’aeroporto è a venti chilometri da qui, quindi un quarto d’ora per arrivare più cinque minuti per il taxi…”.

-Kidou!-. Kazemaru gli schioccò le dita davanti al naso e per poco non gli fece prendere un infarto. Non lo aveva nemmeno sentito arrivare. Nonostante ciò, gli rispose con un sorriso.

-Mezzora!- esclamò. Kazemaru si chiese se fosse il caso di ricoverarlo.

-Mezzora cosa?-.

-Secondo i miei calcoli, Akio dovrebbe arrivare tra mezzora-.

-Cioè, sei stato a calcolare il tempo?-. Midorikawa, che era lì vicino e aveva sentito tutto, lo guardò con stupore. –Ma tu stai male-.

Un grido li raggiunse dall’altra parte del campo. –Ragazziiii!-. Endou pareva furioso. –Si può sapere cosa state facendo? Nel caso non ve ne siate accorti, siamo nel bel mezzo di un allenamento!-.

Kazemaru trattenne a stento un sorrisino. –Ti conviene concentrarti, Kidou. Mamoru pare davvero arrabbiato-.

Kidou annuì e fece per passargli la palla, poi si bloccò e guardò l’orologio. –Ora mancano ventotto minuti!-.

Kazemaru e Midorikawa si lanciarono un’occhiata scuotendo la testa, sconsolati. Rinunciarono a cercare di farlo concentrare e ripresero a correre.

Kidou sembrava un bambino che faceva il conto alla rovescia per vedere i fuochi di capodanno. Sentiva crescere l’emozione sempre di più, e a poco a poco il suo cuore sembrava diventare troppo piccolo per contenerla tutta. Ecco, ora mancava un quarto d’ora.

Si lanciava sempre più spesso occhiate furtive intorno, sperando che arrivasse prima del tempo che aveva calcolato. In fondo, era naturale che fosse così emozionato. Non si vedevano da più di tre mesi, quando Fudou era partito per Okinawa.

Ecco, erano le tre e un quarto.

E dov’era Fudou?

Kidou prese a saltellare sul posto per scaricare un po’ di tensione.

Gli altri si avvicinarono alle panchine per bere. Shirou si asciugò il sudore –Che caldo-. E dire che era inverno!

Endou annuì, bevve e si rovesciò in testa l’acqua restante. Kazemaru lo guardò fisso e gli si avvicinò con la scusa di passargli l’asciugamano. –Puoi evitare?-.

-Cosa?- chiese Endou stupito.

-Bhè, versarti l’acqua in testa, per esempio. Hai la più vaga idea di che effetto mi faccia?-.

Il portiere sorrise e gli depositò un piccolo bacio sulle labbra.

Si sentì trascinare indietro per il colletto della divisa. –Se avete finito di amoreggiare, a qualcuno di voi dispiacerebbe andare a richiamarlo?- domandò Hiroto indicando Kidou, ancora in mezzo al campo.

-Vado io-.

La voce proveniva da un albero lì vicino, ma non c’era nessuno. Endou si grattò la testa, poi guardò in alto e scoppiò a ridere.

-Ciao ragazzi-.

Fudou Akio, il tanto atteso ragazzo di Kidou, stava seduto su uno dei rami più bassi dell’albero, le gambe penzolanti nel vuoto. La sua pelle era più scura del solito, grazie al sole di Okinawa, e da quando si era fatto crescere i capelli era diventato molto carino. Kidou, vedendolo da lontano, prima di correre verso di lui, riuscì a pensare solo “Che figo!”.

Fudou scese dall’albero con un salto e abbracciò Kidou senza scomporsi troppo, come suo solito, anche se si vedeva da come gli brillavano gli occhi che era felice di rivederli, soprattutto Kidou.

Forse, pensò malignamente Tayou, si sarebbero salutati meglio dopo, in privato.

Dopo essersi staccato da Kidou, salutò uno dopo l’altro gli altri compagni di squadra. –Ti sei abbassato?- chiese a Midorikawa.

Quello si accigliò. –Sei tu che se diventato un gigante!-.

Fudou aveva un anno in più rispetto a Kidou, Hiroto e Gouenji, ma sembrava molto più grande, con quel suo fisico alto e slanciato, ma allo stesso tempo muscoloso.

-Abbi rispetto per l’anzianità- ribattè Fudou, per poi notare Tayou. –E tu chi sei?-.

A Tayou quel ragazzo era piaciuto subito. Aveva un’espressione intelligente sul volto, e due occhi azzurri che sembravano nascondere chissà quali segreti. Era il classico ragazzo bello e maledetto. –Tayou- rispose.

-E da dove spunti?-.

-E’ una lunga storia- s’intromise Shirou. –Non lo sappiamo da dove spunta. Ecco, il fatto è che è piombato nella mia cucina dal nulla, e non sa niente delle sue origini. Aspettiamo che si ricordi qualcosa-.

Fudou annuì, per niente stupito, o almeno, se lo era, non lo dava a vedere.

-Allora, Fudou, com’è andata a Okinawa?- chiese Endou. Quello sorrise.

-Benissimo. A proposito, Tsunami vi saluta tanto-.

-Lo hai incontrato?-.

-Un paio di volte. Non ho potuto passare troppo tempo con lui in spiaggia perché avevo molti impegni, ma la sua risposta è stata testualmente “Cosa vuoi che sia in confronto all’immensità dell’oceano??”-.

I ragazzi scoppiarono a ridere. –Tsunami a volte è lievemente monotematico- commentò Kazemaru.

-Ora riprendiamo l’allenamento?- chiese Endou. Hiroto sospirò.

–Endou, Fudou è appena tornato. Facciamolo riposare no?-.

-Oh, non c’è problema, rispose Akio. –Non sono stanco, e ho sempre voglia di giocare a calcio-.

-Grandioso! Minna! Sakka Yarouze!- gridò Endou correndo attraverso il campo fino a raggiungere la porta e infilandosi i guanti. Fudou lo seguì con lo sguardo e gli scappò un sorriso.

-Non è cambiato per niente, vero?-.

-Per fortuna no- rispose Kazemaru, arrossendo inconsapevolmente.
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Note:

Lo avrete sicuramente notato ma voglio precisarlo: non rispetto le età che i personaggi hanno nell’anime. Kidou, Gouenji e Hiroto infatti nella mia storia sono più grandi di Endou e gli altri mentre in realtà sono dello stesso anno 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15- La scelta di Atsuya ***


La scelta di Atsuya
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Kidou si chiuse la porta alle spalle e si voltò verso Fudou, che si lasciò cadere sul letto a una piazza e mezza del compagno. –Il viaggio è stato sfiancante-.

Dopo l’allenamento, i ragazzi si erano dati appuntamento verso le otto a casa di Kidou, e lui e Fudou si erano allontanati assieme.

Kidou era davvero felice: quando era partito, non aveva immaginato che Fudou gli sarebbe mancato così tanto, invece la sera stessa aveva avvertito una fitta di nostalgia che non lo aveva abbandonato per i mesi successivi.

Ora che era tornato, non gli mancava più niente.

Si sdraiò sulla trapunta accanto a lui, le mani incrociate dietro la testa. –Sono davvero felice- mormorò a bassa voce, gli occhi chiusi.
-Ah si?- chiese Fudou. –Anche io. Mi sei mancato-.

Quando erano in gruppo, Fudou e Kidou non si scambiavano molte effusioni. Entrambi erano molto riservati, e preferivano essere da soli per approfondire il loro rapporto.

-Anche tu. E ancora non ho ben capito cosa sei andato a fare-. Nella voce di Kidou si avvertiva una nota di rimprovero. Fudou sorrise.

-Una specie di scambio di studenti… sai, visitare posti nuovi, conoscere gente, costruirsi un futuro. Questo secondo il preside della Teikoku. In realtà, è stata più una sorta di vacanza. Ho frequentato la scuola di Tsunami. E’ davvero bella-.

-Già, noi ci siamo stati quando abbiamo combattuto con l’Aliea-.

Rimasero in silenzio. Fuori, la neve aveva ripreso a cadere fitta e rendeva Tokyo ancora più tranquilla.

-E adesso devi ripartire?- chiese Kidou triste. Aveva aspettato a porgergli quella domanda, perché se la risposta fosse stata affermativa non sapeva cosa avrebbe fatto. Probabilmente gli avrebbe chiesto di andare con lui.

Il suo cuore si sollevò mentre Fudou rispondeva –No, per ora no. Per quanto la Mary Times Memorial [1] sia bella, nessuna scuola regge il confronto con la Teikoku-.

Un largo sorriso attraversò il volto di Kidou, il quale aprì gli occhi e si rese conto che Fudou lo stava osservando, sdraiato su un fianco, una mano sotto l’orecchio. Arrossì, e voltò la testa per nasconderlo.

Fudou, naturalmente, non si lasciò ingannare. Gli si avvicinò e lo baciò dolcemente sulle labbra. Kidou si lasciò sfuggire un sospiro di piacere. Non vedeva l’ora che quel momento arrivasse.

E pensare che, tempo prima, lui e Fudou non si potevano vedere. Litigavano continuamente, non si fidavano l’uno dell’altro e passavano le ore a punzecchiarsi. Era difficile confrontare i due tredicenni litigiosi con i ragazzi che si baciavano sul letto di Kidou. Ma si sa, chi disprezza compra.

Non riemersero dalla stanza finchè non sentirono suonare il campanello
 
***

-Questa è casa di Kidou?- esclamò a occhi sgranati Tayou bloccandosi davanti al cancello dell’enorme villa. –Ma è un castello!-.

-E’ esattamente la stessa reazione che abbiamo avuto noi la prima volta- sorrise Shirou.

Il cancello si aprì automaticamente e i ragazzi si ritrovarono nel giardino, un’immensa distesa d’erba tagliata di fresco e ricoperta di neve candida e scintillante alle luci dei piccoli lampioni. Tayou esitò davanti all’enorme porta della casa, in soggezione. Non avrebbe mai immaginato che Kidou abitasse in un posto così grande, infatti quando aveva proposto di andare tutti a casa sua era rimasto un po’ stupito.

-Ciao ragazzi!- li salutarono Hiroto e Midorikawa.

-Ehi, siete già arrivati!-.

-Si, mancate solo voi-.
 
***
°Atsuya°
 

Questa casa è davvero meravigliosa! Non credevo che Kidou se la cavasse così bene. Insomma, so che l’agenzia che dirige suo padre è molto conosciuta in tutto il mondo, ma questa è più una reggia che una casa! Non solo all’esterno, ma anche l’interno. E’ arredato con cura, sembra che sia stato chiamato un arredatore appositamente -in realtà, non lo escludo del tutto.

Ormai fuori si è fatto buio. Siamo tutti nell’enorme salone, ben illuminato da un’enorme lampadario che mi inquieta non poco. Faccio attenzione a non ritrovarmici sotto, sia mai gli venga voglia di staccarsi e piombarmi in testa.

Kidou non è certo il massimo come padrone di casa, dato che non fa a altro che fissare Fudou come se ancora non creda che è tornato. Lo stesso vale per Endou e Kazemaru, sono così palesemente innamorati che nessuno osa intromettersi tra di loro.
Comunque, a me non interessa. Non ho bisogno di loro.

Quello di cui ho bisogno è…

-Ehi, Midorikawa-. Approfitto di un momento in cui è solo e mi avvicino. Lui sorride.

-Dimmi tutto, Tayou-.

-Ehm.. posso parlarti da solo un secondo?-.

La sorpresa si dipinge sul suo volto e non aggiunge altro mentre si alza e mi segue. Noto con soddisfazione che testa a porcospino ci segue con lo sguardo e fingo di non accorgermene.

Ci infiliamo in una delle stanze laterali, probabilmente uno studio. Chiudo la porta e mi volto verso Midorikawa.

E’ la mia ultima occasione. Potrei inventarmi una sciocchezza e lasciar perdere questa stupida idea. Eppure non riesco a fermarmi. Voglio solo il bene di mio fratello e se devo fare questo perché sia felice, ebbene lo farò.

-Ecco, Midorikawa… volevo sapere… tu e Hiroto state insieme?-.

Arrossisce non appena sente il nome di Hiroto e per un secondo avverto un lieve senso di colpa, ma lo scaccio. Non posso farmi prendere dai sentimentalismi proprio adesso.

Midorikawa si gratta i capelli. –Bhè… si, direi di si-.

Abbasso lo sguardo. –Ecco…-.

Lui si avvicina, mi posa una mano sulla spalla. –Perché questa domanda? E’ forse successo qualcosa?-.

Okay, Fubuki, fallo.

-No, cioè… non so come dirtelo…-.

Midorikawa sorride, ma il suo sguardo si vela di preoccupazione. –Dimmelo e basta-.

Mi costringo a guardarlo negli occhi. Ha un’espressione così sorpresa e ansiosa che per un secondo prendo in seria considerazione l’idea di mandare tutto all’aria. Insomma, cosa sto facendo? Io sono un angelo,e gli angeli non si comportano certo così! E non vale la scusa del “ora sono umano”.

Non capisco, è come se il mio cervello fosse diviso in due.  In alcuni momenti sono convinto di star facendo la cosa giusta, in altri vorrei prendermi a schiaffi e farmi tacere.

Alla fine, prendo un profondo sospiro.

-Io… ho visto Hiroto e Shirou baciarsi, l’altro giorno-.

Sospiro. Il danno è fatto.
 
***
 
In una lezione con la simpaticissima prof di scienze avevano studiato che la luce delle stelle che vedevano risaliva a migliaia di anni prima, dato che le stelle erano così lontane nello spazio che il loro bagliore ci metteva più della velocità della luce per arrivare sino a loro. Quindi, teoricamente, se in quel momento le stelle si fossero spente, se ne sarebbero accorti dopo anni.

Eppure a Midorikawa in quel preciso istante parve che tutte le stelle in cielo avessero smesso di brillare, e il mondo fosse caduto nell’oscurità.

Si allontanò di un paio di passi da Tayou, come se si fosse scottato, pallido in viso. Sentì il cuore accelerare tanto da minacciare di uscirgli dal petto.

Gouenji, al di là della porta chiusa, strinse forte la maniglia. Il freddo del metallo era la sua unica certezza. Il resto del suo mondo non era che nebbia scura e senza senso.

-Co...cosa?-.

Tayou pareva imbarazzato, guardava il pavimento. –Si, io… non sapevo se dirtelo ma non mi sembrava giusto che venissi preso in giro-.
-E quando… quando è successo?-. La voce di Midorikawa non era che un sussurro quasi inudibile.

-Alcuni giorni fa. Non so se era la prima volta-.

Midorikawa si mise le mani sulle tempie: non voleva ascoltare altro. In un attimo rivide come in un film la sua storia con Hiroto. Quando si era convinto ad ignorare il suo passato, quando  aveva deciso di fidarsi di lui, del ragazzo che amava. E adesso, gli sembrava tutta una messinscena, una finta per ingannarlo. Gli sembrò che tutta la loro storia fosse basata su una bugia.

-Non posso crederci…-.

Tayou gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. Lo guardò negli occhi. Lo sguardo dolce e comprensivo dell’azzurro di Tayou contro il verde sperduto e ferito di Midorikawa.

–Scusa…-.

Tentò di sorridere. –Tranquillo, hai fatto bene a dirmelo-.

Quello che non poteva certo sapere era che Tayou gli stava chiedendo scusa per il fatto di avergli raccontato una terribile bugia. Perché aveva preso una decisione, ma se ne stava già pentendo. Perché le lacrime che velarono lo sguardo di Midorikawa parvero cadere sul suo cuore, appesantendolo come un macigno.

Gouenji strinse i pugni e gli occhi. Le parole di Tayou gli vorticavano in testa acquistando sfumature sempre più vivide.

Gli sembrava impossibile, no, non Shirou… Forse da Hiroto una cosa del genere era possibile, ma non avrebbe mai tradito un suo amico in questo modo… Eppure un’altra domanda suo malgrado lo tormentava sopra qualsiasi altro pensiero. “Da quanto va avanti?”.

“Quante volte Shirou mi ha detto che mi amava mentre si divertiva alle mie spalle con lui? Per quanto tempo ha avuto il coraggio di mentirmi, di prendermi così palesemente in giro?”

“Ma perché lo ha fatto?”

Contemporaneamente, sia lui che Midorikawa alzarono la testa, qualsiasi lacrima svanita dai loro occhi. Non si sarebbero fatti prendere in giro ancora una volta. Non se lo meritavano.

Nessuno dei due mise neanche lontanamente in dubbio le parole di Tayou.
 
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-Quindi… è questa la scelta che Atsuya ha fatto-.

-Putroppo si-.

-Non stupirti, amico mio. Sapevamo fin dall’inizio che avrebbe andata così-.

-Si, ma questo non lo rende più facile da accettare-.

Lo sguardo di Gabe si perde nel vuoto. –Lo so- mormora. –Lo so benissimo
 
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Note:
[1] Non riesco a trovare il nome giapponese della scuola di Tsunami, e ho anche poca voglia di cercalo, quindi lo lascio così >o<

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16- La rabbia di Gouenji e Midorikawa ***


La rabbia di Gouenji e Midorikawa

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Mentre Midorikawa prendeva la sua decisione, Gouenji era già schizzato verso il salone senza farsi vedere. I suoi compagni erano ancora tutti lì. Si chiese che espressione avesse dipinta in volto, se rispecchiasse la confusione delle sue emozioni. Shirou si alzò e gli si avvicinò.

-Ehi, Shuuya. Hai visto Taiyo?? E’ sparito-.

Gouenji non rispose, rimase semplicemente a fissarlo, meravigliandosi della sua faccia tosta. Possibile, possibile che non si sentisse nemmeno un minimo in colpa?? Lui, Gouenji, personalmente non avrebbe mai fatto una cosa simile. E credeva che nemmeno Shirou ne fosse capace. Evidentemente si era illuso:in realtà non lo conosceva per niente.

Il silenzio si fece pesante. Gouenji continuò a fissarlo impassibile, ma i suoi occhi trapelavano un profondo disprezzo. Il sorriso sparì lentamente dalle labbra di Shirou.

-Shuuya… che è successo??-.

La sua rabbia prese il sopravvento di colpo, senza preavviso. –Non chiamarmi così- ringhiò il numero 10. –Per te sono Gouenji, non dimenticarlo, Fubuki-.

Shirou spalancò contemporaneamente occhi e bocca, e in un altro caso Gouenji avrebbe trovato la scena divertente. Ma non ora, non ora…

-Cosa, cosa stai dicendo?? Ci siamo sempre chiamati per nome… Cosa ti è preso, Gouenji??-.

“Almeno afferra alla svelta” pensò Gouenji raccogliendo la propria giacca da una sedia accanto al tavolino. Poi si rivolse a Kidou che, assieme agli altri, lo guardava, stupito per quel suo improvviso comportamento.

-Kidou, scusa, devo andare-.

-Cosa??- domandò lui. –Dove vai??-.

Gouenji si voltò verso Shirou, stavolta non fece nulla per mascherare la rabbia. –Non posso stare in compagnia di certa gente-.

Silenzio. Le orecchie quasi fischiavano a causa del profondo silenzio che accolse le sue parole. Lo interruppe dopo qualche secondo il rintocco della pendola nel corridoio che suonò le dieci di sera. Aveva ripreso a nevicare.

Gli occhi di Shirou si riempirono di lacrime, benché non sapesse nemmeno perché Gouenji si comportava così. Ma il solo fatto che il suo ragazzo –o forse ex??- lo fissasse con quello sguardo carico di disprezzo bastò perché sentisse il cuore sprofondare.

Come sommerso da una valanga, si ritrovò a pensare con disperazione mentre lo guardava uscire dopo aver salutato tutti. Tutti tranne lui.

Si riprese di colpo. Non poteva lasciarlo andare via così, doveva almeno sapere cosa fosse successo, quale enormità avesse commesso per essere trattato così. –Aspetta!- gli gridò dietro.

Non afferrò nemmeno il giubbotto. Uscì in maniche di camicia nella fredda aria di inizio gennaio. I fiocchi gli si posavano sui capelli e sulle spalle. –Gouenji! Aspetta!-.

Quello nemmeno si voltò. Benchè gli facesse male sentirlo implorare così, con la voce rotta dalle lacrime, non riusciva a immaginare di guardarlo ancora negli occhi e scontrarsi col suo sguardo confuso e smarrito. Non ce la faceva a sentirlo mentire di nuovo.

-Gouenji…- soffiò un’ultima volta Shirou, guardandolo sparire nel buio senza voltarsi nemmeno una volta.

 

-Shirou, torna dentro!-. Endou era alle sue spalle e gli toccava un braccio. –Ti ammalerai-.

Shirou si fece condurre all’interno dell’abitazione per mano, come un bambino. Si sentiva confuso, come se stesse camminando in una bolla d’aria. I sentì addosso gli sguardi degli altri.

-Ditemi… ditemi che è uno scherzo- sussurrò, tentando anche una debole e coraggiosa risatina, che stonava del tutto con la situazione in cui si trovavano. –E’ uno scherzo, vero?? Ora torna e…-. Le lacrime iniziarono a rigargli le guance. –E si scusa perché non credeva che questo scherzo mi facesse stare tanto male. Ora torna…-.

Ma il portone si chiuse alle sue spalle, crudele.

I ragazzi si sentirono stringere il cuore a vedere come Shirou si aggrappasse a quella sciocca speranza. Nessuno di loro centrava niente, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di fare uno scherzo del genere. Sapevano tutti quanto Shirou amasse Gouenji.

Pochi minuti dopo, non sopportando più il silenzio, Kazemaru si arrischiò a domandare

–Posso sapere cosa è successo?? Hai detto o fatto qualcosa che gli ha dato fastidio??-

Shirou chiuse gli occhi, come per trovare la forza. –Gli… gli ho solo chiesto dove fosse Taiyo. E’sparito. Tutto… tutto qui…-.

-Non capisco…- commentò Endou. –Gouenji non è tipo da queste reazioni. Deve avere un buon motivo, per forza!-.

-Cosa… cosa avrei fatto secondo te??- domandò Shirou mentre altre lacrime gli inzuppavano il colletto della camicia. Non aveva idea del perché Gouenji fosse così arrabbiato, ma il solo pensiero che potesse esserne lui la causa lo faceva stare davvero molto male.

-Non ne ho idea…-.

Mentre i ragazzi si arrovellavano sulla questione-e più ci pensavano meno capivano- sulla porta apparve Midorikawa.

Non fece domande sul perché Shirou stesse piangendo, né sul perché improvvisamente l’atmosfera fosse così cupa. A dire la verità, sembrava quasi in trance. Guardava fisso davanti a se senza in effetti vedere nemmeno dove stava mettendo i piedi.

-Ehi, Mido-kun…-. Hiroto fece per andargli incontro, ma si bloccò. –Tutto bene??-.

I ragazzi si voltarono di scatto, dato che pochi minuti prima Shirou aveva posto la stessa identica domanda a Gouenji e il risultato era stato quello che era stato. Al contrario del numero 10, però, la rabbia di Midorikawa era più che evidente. Allontanò Hiroto con uno spintone.

-Hai anche il coraggio di chiedermi se va tutto bene?? E’ ovvio che niente va bene!-.

Hiroto fece la faccia stupita. –Cosa ti prende??-.

A quel punto Midorikawa non potendone più della finta espressione sorpresa di Hiroto sbottò –Cosa mi prende?? Mi prende che avrei dovuto aspettarmelo da te! Sei davvero… davvero… non trovo nemmeno le parole per esprimere quello che provo per te in questo momento, penso che potrei picchiarti seduta stante-.

Fece un sospiro per calmarsi, ma non sortì l’effetto desiderato. –Dovevo proprio aspettarmelo. Da quanto va avanti, eh?? Dal giorno in cui ci siamo messi insieme, scommetto, forse anche prima. Ti odio!-.

Hiroto sbattè più volte le palpebre come per convincersi di non essere vittima di un’allucinazione particolarmente realistica –Mido-kun, ma di cosa stai parlando??-. Si avvicinò per abbracciarlo, ma lui si scostò.

-Non toccarmi!-.

-Midorikawa…-. Kazemaru gli si avvicinò. Aveva capito che qualcosa, decisamente, non andava. Prima Gouenji, poi Midorikawa… qualcosa doveva essere successo. Non voleva vederlo andare via come Gouenji. –Midorikawa, cos’è successo??-.

Midorikawa fece scorrere lo sguardo da lui agli altri fino a soffermarsi sulle lacrime di Shirou. Notò l’assenza di Gouenji e ci mise poco a fare due più due. Gli occhi gli brillarono di rabbia. –E tu… non hai da dire niente vero??-. Fece di tutto per trattenere le lacrime, ma la voce lo tradì, si spezzò sul più bello. –No, certo, andate avanti con questa messa in scena. Siete patetici! Non voglio vedervi mai più!!- e con questo, seguì le orme di Gouenji e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

L’immobilità più totale regnò per qualche minuto nella stanza. Hiroto e Shirou parevano non respirare nemmeno.

-Si può sapere che diamine succede??- esclamò Kazemaru fissando gli altri. –Hiroto, Shirou… qualcosa dovrete aver pur fatto!! Non per aggiungere carico a carico, ma Gouenji e Midorikawa non sono certo impazziti di colpo!!-.

-Eppure, sembra proprio di si. Noi non abbiamo fatto niente- rispose Hiroto. Fece fatica a pronunciare quelle parole, la lingua gli si era incollata al palato, la salivazione era cessata. L’enormità di quello che era successo gli piombò addosso:Midorikawa lo aveva lasciato.

Taiyo fece il suo ingresso nella stanza. Si sentì addosso lo sguardo di tutti. –Che succede ragazzi??-.

-Dov’eri??- domandò Kidou, squadrandolo con un certo sospetto.

-In bagno- rispose Taiyo dopo un attimo di esitazione.

-Io…- mormorò Shirou. –Scusami, Kidou, vorrei andarmene. Ho… ho bisogno di pensare-.

-Direi che ne abbiamo bisogno tutti- s’intromise Kazemaru. –Andiamo a casa. Chiariremo questa cosa, tutti insieme-.

I ragazzi si salutarono, ognuno prese la propria strada, Endou e Kazemaru per mano, Hiroto e Shirou, loro malgrado, a mani in tasca. Le lacrime si gelarono sul volto di Shirou.

Kidou, sull’uscio, tenne lo sguardo fisso sulla schiena di Taiyo. Non poteva fare a meno di pensare che conosceva casa sua, e il bagno non era certo dalla parte da cui era arrivato lui.

 

 

Dio solo sa quanto avrei voluto tornare indietro.
Abbracciarlo, stringerlo forte, asciugargli le lacrime.
Dirgli che lo amavo.
Perché nonostante tutto io lo amavo.
E il solo pensiero che avesse potuto tradire questo amore
mi faceva stare così male che a ogni passo mi sentivo morire sempre di più.

[Gouenji]

 

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No, vi rendete conto cosa è successo??
Ho aggiornato Back By The Sky.
Ho aggiornato Back By The Sky.
Suona più strano alle mie orecchie che alle vostre, fidatevi.
Ho scritto questi capitoli un bel po' di tempo fa, ergo il mio stile di scrittura adesso si è molto modificato rispetto ad allora, ma non voglio continuare a vedere "incompleta" sotto questa storia, e mi piacerebbe che giungesse a una conclusione, per me e per i pochi che ancora mi seguiranno.
A presto



Marty

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17- Ti amo, Mido-kun ***


Ti amo, Mido-kun

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-Le cose vanno sempre peggio-.

-E adesso??-.

-Adesso dovremmo aspettarci una visita dal nostro caro amico Luc-.

-Reclameranno il loro possesso su Atsuya!-.

-E noi non potremo impedirglielo-.

-Dovremmo arrenderci??-.

-Noi non potremmo impedirglielo. Ma qualcun altro lo farà stanne certo-.

-E chi??-.

-Il destino, il caso… forse lo stesso Atsuya-.

-Atsuya??-.

-Tu vedi, ma non osservi, vecchio mio-.

 

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Chiamare depressione quella in cui Shirou era caduto è usare un eufemismo. Disperazione totale forse è più azzeccato come termine. La sera stessa della sfuriata di Gouenji –e faceva così male che forse era meglio non pensarci- si era lasciato cadere sul letto e aveva affondato la testa nel cuscino, annegandolo di lacrime.

Taiyo, dilaniato dai sensi di colpa, non aveva trovato il coraggio di confessare la propria bugia. Credeva ancora che Gouenji non fosse la persona giusta per Shirou, ma vedere come suo fratello si era ridotto a causa sua lo faceva stare così male che se avesse avuto un vero cuore probabilmente gli avrebbe fatto male. Cercava di aiutare Shirou come poteva, ma quello gli rispondeva a monosillabi, quando gli rispondeva, e benché non lo avesse detto apertamente, Taiyo capì che voleva solo essere lasciato in pace.

Per questo Shirou era ancora più triste. Perché ancora, nonostante fossero passati due giorni, non aveva capito il motivo della rabbia di Gouenji. Qualcun altro sarebbe andato a chiedere spiegazioni, ma a lui semplicemente mancava la forza.

La cosa più triste era il pensiero che l’unico che poteva asciugare il suo pianto era proprio colui per cui stava piangendo.


 

Midorikawa non riusciva a stare fermo. Benchè neanche lui in quei giorni fosse uscito di casa, sentiva una grande agitazione addosso e avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per scaricarla. L’ideale sarebbe stato un bell’allenamento, ma tornare a scuola avrebbe voluto dire incontrare quei due e ancora non si sentiva abbastanza forte per farlo.

Ribolliva letteralmente di rabbia. Si ripeteva che lo odiava, odiava Hiroto per quello che aveva fatto e non lo avrebbe mai perdonato.

Eppure non era riuscito né a strappare le sue foto, né a cancellare i suoi messaggi. Sapeva di farsi solo più male così, ma era più forte di lui.

Non aveva la forza di volontà per cancellare definitivamente Hiroto dalla propria vita.


 

Gouenji, rientrato a casa, salutò a malapena Yuuka e si rifugiò in camera sua, cercando senza molto successo di non sbattere la porta. Yuuka e la governante si lanciarono un’occhiata sorpresa, ma nessuno lo andò a disturbare, e di Gouenji fu loro grato.

Aveva la testa vuota. Non ripensava ai momenti passati con Shirou, all’amore che li aveva uniti, alle promesse che si erano scambiati. Non sentiva nemmeno più il dolore del suo tradimento.

Vuoto, era tutto ciò che lo aveva accolto appena rimasto da solo. E in quel vuoto lui si era buttato a capofitto, impedendo a qualsiasi emozione di scalfirlo.


 

Hiroto fu l’unico che il giorno dopo tornò a scuola. Confuso, spaesato, ma non poteva mancare ai propri doveri.

Ebbe la testa da un'altra parte durante tutta la riunione del comitato studentesco, non prestò attenzione alle spiegazioni in classe, chiese continuamente di andare in bagno solo per aver l’impressione di star facendo qualcosa. Ogni minuto si ripeteva che sarebbe andato da Midorikawa, si sarebbero chiariti. Ma la rabbia nel volto dell’altro era così evidente che Hiroto aveva quasi paura di scoprire di essere stato lui a provocarla.

Eppure, nonostante ci pensasse continuamente, non riusciva proprio a capire perché Midorikawa si fosse arrabbiato tanto con lui.

 

***

 

Quattro giorni dopo, il telefono suonò. Kazemaru alzò una pila di libri e lo trovò nel preciso istante in cui smise di suonare. Guardò il numero. Midorikawa.

“Finalmente!”.

Lo richiamò subito.

-Guarda chi è ancora vivo!- esclamò con finto entusiasmo. Midorikawa non partecipò a quel gioco.

-Kazemaru, vorrei vederti. Potresti venire a casa mia??- gli chiese con voce spenta.

-Certo arrivo. Ma... non vuoi dirmi cos’è successo??-.

-Te lo racconto quando arrivi-.

 

Kazemaru si aspettava di trovare l’amico triste e depresso. Il Midorikawa che lo accolse, invece, era semplicemente furioso.

-Ciao- lo salutò, e sbattè la porta alle sue spalle.

Kazemaru non si fece certo intimorire. –Mi spieghi cos’è successo, o devo tirarti fuori le parole a forza??-.

Gli occhi di Midorikawa brillarono di rabbia. Indicò all’amico il divano su cui sedersi, ma non prese posto accanto a lui. Iniziò invece a camminare in cerchio con nervosismo. –E’ successo che Hiroto è davvero un grandissimo stronzo-.

-E questo lo sapevamo già- cercò di sdrammatizzare Kazemaru. Smise di sorridere non appena vide l’espressione dell’amico. –Cosa ti ha fatto??-.

Midorikawa sputò le parole seguenti come se non vedesse l’ora di dirle a qualcuno. –Mi ha tradito!-.

Kazemaru non se lo aspettava. –Cosa??- domandò sorpreso.

-Esatto. E continuo a darmi dello stupido perché avrei dovuto saperlo. Hiroto è andato con mezza scuola!!-.

-Ma... quando sarebbe successo??-.

-Non lo so, so solo che non lo perdonerò mai, mai, mai!-.

Sembrava così convinto… Kazemaru però lo conosceva troppo bene per non leggere la tristezza che accompagnava quelle parole.

D'altro canto, Midorikawa era talmente orgoglioso che avrebbe anche potuto mantenere quel proposito.

-E con chi ti avrebbe tradito??- chiese, scettico.

-Con Shirou!-.

Di tutte le sciocchezze che aveva sentito durante la sua vita, quella era senza dubbio la più grossa, e visto e considerato che era amico di Endou, l'entità dell'idiozia che aveva detto era davvero enorme. Kazemaru non potè trattenersi: scoppiò a ridere. –Ma cosa dici, Midorikawa? Shirou è innamorato cotto di Gouenji!-.

Midorikawa non parve indispettito dalla risata dell’amico. Aveva bisogno di un po’ di allegria. –Eppure è così- grugnì riprendendo la sua marcia per il salotto.

-Chi te l’ha detto?-

-Taiyo-.

-Li hai visti?-.

-No-.

-Appunto!- esclamò Kazemaru afferrandolo per le spalle e costringendolo a fermarsi.

–Midorikawa, tutto questo è assurdo. E’ tutto un malinteso, ne sono sicuro. Ascolta, che ne dici se vado a parlare con Shirou? Vedrai che smentirà tutto-.

Gli occhi di Midorikawa si riempirono di lacrime, ma se li asciugò in fretta. Cosa avrebbe fatto senza Kazemaru? In poche parole gli aveva restituito la speranza.

Eppure, mentre l’amico usciva di casa, non riusciva a capire come avesse potuto capire male. Le parole di Taiyo erano state chiare.

 

Suonò il campanello. Il trillo scosse Shirou, che però non fece una piega. Taiyo, sull’uscio della sua camera, lo fissò. –Che faccio, apro?-.

Shirou alzò le spalle come a dire “Fai tu”.

Taiyo andò ad aprire e si ritrovò davanti Kazemaru. Di nuovo, il maledetto senso di colpa lo prese alla gola.

-Ciao Taiyo-. Kazemaru gli sorrise. –Vorrei parlare con Shirou-.

Non aspettò la risposta. Si diresse a colpo sicuro verso la camera dell’amico, e capì che quel fagotto sotto le coperte non poteva che essere lui.

-Shirou…- sussurrò preoccupato e gli fu subito vicino, scostandogli i capelli dalla faccia. –Come stai??-.

-E’ una domanda retorica??- gracchiò Shirou, domandandosi dove fosse finita la sua vera voce.

-No, mi interessa davvero- sorrise Kazemaru e, suo malgrado, anche a Shirou scappò un sorrisino.

-Male- disse con sincerità. –Non capisco cosa ho fatto perché Gouenji mi odi così… ti giuro, ho pensato a tutto, mi sono fatto un esame di coscienza completo ma non capisco…-.

Quelle parole ebbero il potere di convincere definitivamente Kazemaru dell’innocenza dell’amico. Non che prima ne dubitasse. –Credo di saperlo- mormorò.

Shirou si sollevò di scatto a sedere sul letto. –Tu lo sai?-.

Kazemaru annuì. –Ho parlato con Midorikawa. Ecco… gli è arrivata voce che tu e Hiroto stiate insieme-.

Gli occhi rossi di Shirou si spalancarono di colpo e, suo malgrado, gli venne quasi da ridere. Il suo –Cosa?!- risuonò in tutta la camera

-Già…-.

-E chi… cosa… dove diavolo ha sentito questa sciocchezza?-.

Kazemaru esitò. Durante tutto il tragitto da casa di Midorikawa a lì, si era chiesto cosa avesse spinto Tayou ad agire in quel modo, e tutt’ora non se lo spiegava. Eppure, non poteva mentire, Shirou doveva sapere.

Perciò gli raccontò la verità.

In rapida successione passarono sul volto di Shirou numerose emozioni. L’espressione sgomenta che aveva in quel momento sarebbe stata da immortalare.

Esitò un attimo, poi –Taiyooo!!- chiamò infuriato.

Il ragazzo apparve sulla soglia. Sembrò rimpicciolirsi sotto lo sguardo di Shirou.

-Tu… tu hai detto a Midorikawa e Gouenji che io e Hiroto stiamo insieme?-.

Taiyo sbiancò di colpo, tradendosi. Mai come in quel momento si era pentito della propria decisione. Cosa accidenti gli era preso? Perchè non pensava mai prima di agire?–Ecco, io….- balbettò, ma Shirou non volle sentire una sillaba uscire dalle sue labbra..

-Perché accidenti l’hai fatto? Come hai potuto? Tutto questo… tutto questo è colpa tua!! Non voglio vederti mai più!-. Si era alzato in piedi. Kazemaru lo prese per un braccio, cercando di calmarlo.

-Non ti sembra di esagerare?- chiese.

Shirou lo guardò stupefatto. –Io esagero? Ti rendi conto di cosa ha fatto? Non voglio nemmeno sapere il perché, non mi interessa! Sparisci!!-. I muri parvero amplificare la sua voce.

E Taiyo lo fece. Sparì. Com’era apparso sulla soglia, così scomparve, lasciandoli soli. Shirou si lasciò cadere sul letto. –Gouenji mi odierà- mormorò.

-Dov’è il problema??- chiese Kazemaru. –Basta che gli spieghi la verità-.

-Perché dovrebbe credermi??-. La rabbia di Shirou era sparita così com’era esplosa.

–Non… non ho il coraggio di affrontare di nuovo il suo rifiuto…-.

 

***

 

Midorikawa si fece coraggio. Voleva uscire, erano quattro giorni che stava rintanato in casa. Le parole di Kazemaru gli avevano trasmesso una grande energia. Voleva credere davvero di essersi sbagliato.

Quando si vide Hiroto davanti al portone del condominio in cui viveva, la sua prima emozione fu una grande felicità. Voleva corrergli incontro, abbracciarlo, dimenticare.

Eppure, con la gioia sorsero di nuovo i dubbi. “E se Kazemaru si sbagliasse? Se davvero mi avesse tradito?”. Non avrebbe potuto sopportarlo.

-Mido-kun!- esclamò Hiroto. –Ce ne hai messo di tempo!! Sono due giorni che ti aspetto!!-.

-Sei… sei stato due giorni sotto casa mia??-. Midorikawa era basito.

“Dio, quanto sei bello Hiroto…”

-Midorikawa, ti prego, spiegami cos’è successo!-.

Hiroto gli si avvicinò, ma Ryuuji lo allontanò. –Ho saputo la verità-.

-Verità? Quale verità?-.

-Che…-. Prese un sospiro. –Che mi hai tradito con Shirou!!- gridò poi.

-Cosa avrei fatto io??-. Hiroto non credeva alle sue orecchie. –Come puoi pensare una cosa del genere?? Con Shirou, poi?? Lo sanno tutti che è innamorato alla follia di Gouenji…-.

“Già, conosco la sensazione” pensò Midorikawa, ma si guardò bene dal dirlo. Voleva essere sicuro, assolutamente sicuro. Ne aveva bisogno.

-Quindi… quindi non è vero??- sussurrò mentre una lacrima gli scendeva lungo la guancia.

“Quanto sono scemo…”.

Hiroto lo abbracciò, e stavolta Midorikawa non si scansò.

Gli asciugò una lacrima col polpastrello. –No che non è vero, Midorikawa. Mettitelo bene in testa, una volta per tutte. Io amo te. Per me non c’è nessun altro, credimi-.

E lì, stretto tra le sue braccia, Midorikawa non ebbe più bisogno di parlare con Kazemaru. Non potè che credergli.

 

 

Dio, come mi era mancato stringerlo tra le braccia.

Passare le mani nei suoi capelli rossi, inspirare il suo odore.

Amarlo, amarlo più della mia stessa vita.

[Midorikawa]

 

***

 

“Cosa ho fatto?” riusciva solo a pensare Taiyo, camminando in mezzo alla strada mentre si lasciava alle spalle la casa di Shirou.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro.

Ma era una frase che cominciava a ripetersi un po’ troppo spesso.





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Angolo Autrice.
Ammettetelo, sono brava??
Questo è probabilmente l'aggiornamento più veloce che io abbia mai fatto *si applaude da sola*
Non so quanto durerà questa scia positiva, quindi approfittatene (?)
Dedico questo capitolo a 
S m i l e y S u n per ringraziarla della sua bellissima recensione al capitolo precedente, grazie alla quale il mio apprezzamento per questa storia è cresciuto di molto.
E a Sissy beh, per tutto.



Marty
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18- Ti amo, è questa è una realtà che non cambierà ***


Capitolo 18- Ti amo, e questa è una realtà che non cambierà
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Mentre Kazemaru cercava di consolare Shirou e Midorikawa ed Hiroto si baciavano davanti al portone, Endou batteva nervosamente il piede per terra. Kidou e Fudou lo fissavano ben consapevoli che stava per scoppiare.

-Ora basta!- gridò infatti pochi minuti dopo. –Sono quattro giorni che non vengono né a scuola né agli allenamenti. Gouenji mi sente!-.
Nemmeno si tolse i guanti da portiere e uscì in fretta dal campo, i capelli che andavano da tutte le parti.

Kidou e Fudou si sorrisero. Erano rimasti da soli. Non che la cosa gli dispiacesse.
 
***

-GOUENJIII!-.

Il grido di Endou gli fece prendere un infarto. Sapeva che l’amico non gli avrebbe mai perdonato di aver saltato tutti quegli allenamenti. Quanti erano? Tre, quattro? Non ricordava.

Come suo solito, Endou non bussò. Spalancò la porta di colpo e notando il buio nella stanza aprì la finestra e alzò le tapparelle.

 -Tu adesso mi spieghi cos’è successo! Perché è quattro giorni che fai la muffa in questa stanza, e così Midorikawa e Shirou! Non venite agli allenamenti e non c’è più verso di vedervi in giro, e tutto questo perché tu lunedì hai fatto quella scenata. Cosa. Diavolo. Ti. E’. Preso!-.

Gouenji, dopo essere rimasto nel silenzio totale per quattro giorni, si mise le mani sulle orecchie per salvaguardare i suoi poveri timpani. Questi erano i lati negativi dell’avere un amico come Endou.

 -Non ho voglia di giocare a calcio, Endou- mugugnò.

Decisamente non era la cosa giusta da dire.

-Tu? TU non hai voglia di giocare a calcio?-. Sembrava troppo per lui. Si lasciò cadere sulla sedia accanto alla scrivania. –Il mondò finirà-.

-Come sei tragico, Endou-.

-Io tragico? Ma se tu hai fatto una scenata e sei sparito senza motivo! Voglio sapere che ti è preso-.

Gouenji sospirò. Ma si, forse in fondo gli avrebbe fatto bene parlarne con qualcuno.

-Shirou mi ha tradito- esclamò tutto d'un fiato. Cavolo, dirlo ad alta voce faceva molto più male di quello che si sarebbe aspettato.

A Endou cadde platealmente il pallone da sotto braccio.

-Si, è così, mi ha tradito, con Hiroto. Diceva di amarmi e mi prendeva solo in giro. Ora capisci perché non voglio tornare a scuola?-.

Si sarebbe aspettato un qualsiasi tipo di reazione da Endou. Che si intristisse, che si arrabbiasse, che lo consolasse… Non di certo che si mettesse a ridere.

Eppure, è proprio quello che fece. Rise come se Gouenji avesse raccontato la barzelletta del secolo. –Tu stai scherzando- mormorò tra le lacrime.

- Ti sembro uno che scherza?-. Gouenji alzò un sopracciglio, col solo risultato di farlo ridere ancora di più.

-Oh, mio Dio, sei serio!-.

Si passò una mano tra i capelli, asciugandosi gli occhi e cercando di riprendere il fiato necessario per articolare qualche suono. -E' serio- ripetè a nessuno in particolare. -Non posso crederci. Non può essere così stupido-.

-Ehi, guarda che io sono ancora qui- gli ricordò Gouenji, chiedendosi chi lo avesse fatto entrare. Avrebbe dovuto scambiarci qualche parolina, più tardi. -Perchè dici cosi?-.

-Perchè? Ma dai, Gouenji…  E’ chiaro come il sole quanto Shirou ti ami! E’pazzo di te, e tu sei pazzo di lui! Me ne accorgo persino io! Credi davvero che possa averti tradito? Con Hiroto poi! Che stravede per Midorikawa!-.

Effettivamente, quello che diceva Endou non era del tutto sbagliato. Ma Tayou aveva detto...

Bhè, non che lui si fidasse al cento per cento di Tayou, pensò poi. Trovava strana la sua completa amnesia riguardo alla sua famiglia e al luogo da cui proveniva, e poi aveva qualcosa di sospetto, quel ragazzo. La sua voce che aveva scosso a tal punto Shirou, la sua conoscenza dell'Eternal Blizzard… Nessuno apparte Atsuya poteva conoscere quella tecnica e Atsuya era, beh, morto.

-Quindi… pensi che non sia vero?- si arrischiò a domandare alla fine. Voleva crederci, voleva crederci davvero.

-Non lo penso, ne sono sicuro!-. Endou si alzò e prese a palleggiare con la coscia. –E poi, perché non ne hai parlato con lui invece che rintanarti qui? Poverino, starà malissimo-.

Gouenji si alzò di scatto dal letto. –Hai ragione! Sono davvero un'idiota…-.

-Mmmh no, non sei un'idiota- sorrise Endou. –Semplicemente, la paura di perderlo ti ha fatto andare fuori di testa-.

Gouenji, che si stava infilando la maglia, lo guardò stupito. –Come mai così profondo, oggi?-.

-Perché non ne potevo più di allenarci in quattro- rise Endou. –E gira quella maglietta, è al contrario-.

Era talmente ansioso di andare a parlare con Shirou che non riusciva a concentrarsi su nient’altro.

 
Piombò sotto casa di Shirou come una furia, e pregò che non ci fosse nessuno oltre al suo ragazzo. Salì le scale a due a due, ansioso di chiedergli scusa. Si sarebbe fatto perdonare, si, in qualsiasi modo.

Sul pianerottolo, per poco non si scontrò con Kazemaru. –Che ci fai qui?- domandarono contemporaneamente, Gouenji ansante, Kazemaru sospettoso. Shuuya immaginò che agli occhi dei suoi compagni il suo comportamento dovesse essere stato davvero orribile.

-Sono venuto a scusarmi con Shirou. Sono stato davvero uno coglione, proprio non so cosa mi sia preso… ho bisogno di parlargli-.

Attese di leggere un giudizio negli occhi di Kazemaru, che invece rimasero limpidi e sorridenti. –Non è colpa tua. Ma sbrigati, vai-.

Gouenji sorrise ringraziando mentalmente il cielo di avere degli amici così fantastici ed entrò nell’appartamento di Shirou.

Tutto era silenzioso, ma Fubuki doveva essere a casa per forza. Si arrischiò a sussurrare

-Shirou?- per poi esclamare a voce più alta. –Shirou!-.
 
 
“Andiamo bene, ho le allucinazioni uditive” pensò Shirou, il volto affondato nel cuscino. Era stordito dagli ultimi avvenimenti e pensò di stare solo immaginando la voce di Gouenji che lo chiamava. Perciò quando qualcuno gli toccò il braccio, sentì un tuffo al cuore e gridò, saltando a sedere sul letto come una molla.

 Non appena distinse la sua figura, nella sua mente gli passarono centinaia di pensieri diversi. Lo avrebbe ucciso per averlo spaventato in quel modo. Si sarebbe scusato per il casino combinato da Tayou.Lo avrebbe baciato anche solo per essere lì. 

–Gouenji…- mormorò alla fine, quando il suo cuore ebbe di nuovo raggiunto un battito normale.

Al ragazzo si strinse il cuore al sentirsi chiamare così. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse stato stupido. Come aveva fatto a dubitare di Shirou, quando solo la sua vista gli faceva venire voglia di abbracciarlo?

Si inginocchiò vicino al letto e gli scostò i capelli dagli occhi. –Shirou- sorrise.

Per un solo secondo, parve che tra loro non fosse successo niente. Entrambi avvertirono l’improvviso desiderio di baciarsi e entrambi si fermarono quasi subito, per il timore di incombere nel disappunto dell’altro. Così, rimasero semplicemente a fissarsi.

Gouenji esaminò il suo volto pallido, gli occhi rossi, e si rese conto che era semplicemente impensabile che Shirou lo avesse tradito. E quella consapevolezza non fece altro che contribuire a farlo sentire il più grande idiota del mondo.

Doveva scusarsi, in fretta.

-Shirou… mi dispiace davvero tanto. Sono uno stupido, un grandissimo stupido. Non ti chiedo di perdonarmi per ciò che ho fatto, non lo meriterei, solo di capirmi, se puoi-.

Si fermò un attimo, ma la speranza sul volto di Shirou lo invitò a proseguire. –Quando ho sentito che tu mi avevi tradito io… non ci ho visto più. Mi è crollato il mondo addosso, ho odiato me stesso, ho odiato Hiroto… ho odiato il mondo intero. Ma tu, Shirou…-. Gli prese la mano. –Tu non ti ho mai odiato. Sei così importante per me, che non contemplavo l’idea di averti perso. Era come essere piombato in un incubo. Ora capisco che avrei dovuto ascoltarti, prima di perdere le staffe e trattarti in quel modo. Mi dispiace davvero-.

Tacque e abbassò la testa, mentre Shirou lo osservava con gli occhi lucidi. Le lacrime che gli scendevano lungo le guance erano le più dolci che avesse mai versato.

-Shuuya…-.

Lui alzò la testa.

-C’è una cosa che vorrei ricordassi. Vorrei che lo tenessi sempre a mente, ovunque ci troviamo, qualunque sia la situazione, anche se attorno a te è tutto triste e buio. Io ti amo, Shuuya, ti amerò sempre, e questa è una realtà che non cambierà-.

Gouenji sorrise, e non riuscendo più a trattenersi lo abbracciò, affondando il volto nei suoi capelli grigi, lasciando che le sue lacrime gli scorressero lungo le guance.

E quando finalmente lo baciò, si sentì come un esploratore che tornava a casa dopo tanto tempo. Aveva vissuto per qualche giorno in un mondo diverso, e aveva capito che quel mondo non gli piaceva per niente.
 
 
***
 
Quando riemersero dalla casa e furono baciati dal sole del tramonto, a entrambi sembrava di camminare a mezz’aria. Shirou, soprattutto, saltellava di qua e di là, affondando nella neve fino al ginocchio, senza lasciare la mano di Gouenji.

Quando giunsero al campo, avevano addosso gli occhi di tutti, tranne quelli di Endou, che continuò a palleggiare tranquillo. Lui sapeva bene cos’era successo.

Si limitò a lanciargli un’occhiata e a gridare –Non c'è di che!-.

-Pace fatta?-chiese Kazemaru, tanto per avere la conferma che la tempesta fosse davvero passata. Shirou per tutta risposta poggiò una guancia sulla spalla di Gouenji e sul volto di Kazemaru si aprì un sorriso enorme.

-Direi che non siete gli unici-. Indicò due puntini in lontananza,  che somigliavano decisamente a Hiroto e Midorikawa, chiaramente troppo occupati a farsi gli affari loro che a considerare più di tanto gli altri.

La risata cristallina di Kazemaru contagiò tutti.

-Adesso ho voglia di giocare a calcio!- esclamò Shirou.

Il sollievo che fece brillare gli occhi di Endou suscitò l'ilarità generale. –Questo è lo Shirou che conosco. Menomale, credevo non sareste più tornati Certo che Tayou stavolta l’ha combinata proprio grossa…-.

Quelle parole, benché dette con noncuranza, furono sufficienti perché le risate si spegnessero all'istante, Shirou si sentì gelare, e seppe che non era a causa della neve.

-Dimenticavo… Tayou! Dove sarà finito?-. Scambiò un’occhiata con Kazemaru, che spalancò le braccia con aria smarrita. Tutta la gioia di poco prima parve scivolar via da lui come le gocce di pioggia sui vetro delle finestre.

-Dobbiamo trovarlo! Tra poco sarà buio e Tayou non conosce bene la città, potrebbe perdersi…-.

Richiamarono anche Hiroto e Midorikawa. Insieme,  lasciarono il campo da calcio per raggiungere le strade più vicine, iniziando a chiamare il ragazzo a gran voce.

Mentre camminava in fretta, Shirou strinse la mano di Gouenji. La sua rabbia verso Tayou non era del tutto svanita, e aveva molte domande da fargli, ma in quel momento, gli importava solo che tornasse a casa sano e salvo.

Non riusciva a togliersi dalla testa le ultime parole che gli aveva rivolto.

“Non voglio vederti mai più! Sparisci!”. 







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Capitolo 20
*** Capitolo 19- Gli occhi di mio fratello ***


Capitolo 19- Gli occhi di mio fratello
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Le nuvole avevano alla fine ricoperto interamente il cielo, e il sole aveva lasciato posto a una pallida luna piena. Il blu del cielo era profondo, c'erano troppe poche stelle, le luci di Tokyo erano troppo forti per permettere di vederle chiaramente.

Le strade erano silenziose, si scorgeva solo qualche lavoratore notturno che iniziava il proprio turno e qualche auto che ogni tanto illuminava le pareti degli edifici con i fari. A quell’ora, i padri e le madri erano rientrati a casa e si rilassavano in attesa di cenare, i figli che giocavano e ridevano attorno.

Le insegne dei negozi erano ancora accese ma le serrande erano abbassate. Nell'aria c'era un odore strano, chissà, forse avrebbe nevicato di nuovo.

Nessuno si arrischiava a girare per la città a quell’ora, e con quel freddo.

Nessuno, tranne un gruppo di ragazzi. Divisi in coppie, battevano ogni via palmo a palmo, come in cerca di qualcosa di importante. Pian piano che le strade si erano svuotate e i lampioni si erano accesi, le loro espressioni si erano fatte sempre più preoccupate.

Alla fine dopo una ricerca evidentemente infruttuosa, si ritrovarono al centro di una piazza silenziosa.

Uno di loro era particolarmente teso. Si guardava continuamente intorno come se in ogni momento sperasse di individuare ciò che stavano cercando, e nel frattempo stringeva la mano del ragazzo che gli stava accanto, talmente forte che gli stava probabilmente bloccando la circolazione.

-E’ colpa mia- ripeteva come un disco rotto. –Non avrei mai dovuto dirgli quelle cose, sono imperdonabile-.

-Se l’è cercata, Shirou- cercò di tranquillizzarlo Gouenji. –Non è colpa tua. Lo troveremo, tranquillo-. Poi si rivolse ai due appena arrivati. –Niente?-.

Kidou scosse la testa. –Niente. Abbiamo costeggiato il fiume fin quasi fuori città, ma senza risultati-.

-E’ non è nemmeno dalle parti della Raimon- aggiunse Midorikawa. –Veniamo da li, pensavamo che avesse preferito restare in zona e non allontanarsi-.

-Forse dovremmo provare…-.

Shirou smise di ascoltare i ragazzi che proponevano dubbiosi altri posti in cui cercare. Gli sembravano tutti altamente improbabili. Non ce lo avrebbero trovato  ne era più che sicuro. “Idiota, idiota, idiota!” continuava a ripetersi mentalmente, come un mantra. “Sono davvero un completo, totale idiota!”.

-Shirou?- lo chiamò Fudou. Lui aprì gli occhi.

-Si?-.

-Ti viene in mente qualche posto in cui potrebbe essere?-.

Shirou scosse la testa, ma Fudou insistette. –Pensaci. Non conosce bene la città, e non è tanto stupido da rischiare di perdersi e finire chissà dove. Magari un posto dove siete stati assieme, che gli è particolarmente piaciuto-.

La lampadina gli si accese nella mente prima ancora che Fudou finisse la frase. Come aveva fatto a non pensarci? Fudou era un genio. E lui un idiota.

Iniziò ad allontanarsi di corsa senza nemmeno premurarsi di informare i suoi amici su quale fosse la sua destinazione.

–Dove vai?- gli gridò dietro Gouenji, che aveva già iniziato a seguirlo.

Shirou lo fermò con un gesto della mano. -Penso di aver capito dove si trovi, ma devo andarci da solo-.

***

°Atsuya°

 
Il cigolio dell’altalena rimbomba nel giardinetto, ma non mi disturba. E' l'unico suono in tutta la via. E comunque è familiare, come tutto il resto qui.

Mi sembra di sentire ancora le nostre voci, io e mio fratello che ci rincorriamo attorno agli alberi, che ci rotoliamo nell’erba con estremo disappunto di nostra madre che poi avrebbe dovuto pulire i pantaloni sporchi di verde, mentre nostro padre rideva…
 
Sono solo.

Aiutami, fratello.

Sto sprofondando.
 
Mi prendo la testa tra le mani, cercando di frenare i ricordi. Fanno male. Fa tutto troppo male. E’ tutto profondamente ingiusto.

E’  ingiusto che qualcuno stia tranquillo in casa, inconsapevole del disastro che ho causato.

E’ ingiusto ciò che ho fatto a mio fratello. Non potrò mai perdonarmelo.

E’ ingiusto che Shirou non sappia nemmeno il mio vero nome, che mi creda un amico che lo ha tradito, mentre sono suo fratello, e gli voglio bene.

E' ingiusto che debba rifilargli una bugia dietro l’altra pur di stare accanto a lui, e che rischi anche di essere punito con la perdita delle ali.
La vita è ingiusta. E anche la morte.
 
Come vorrei che tu sapessi, fratellino...
 
E' buffo, forse dovrei solo sparire. Andarmene per sempre, e chi sentirebbe la mia mancanza? Chi sentirebbe la mancanza di Tayou?

Ormai, il mio stesso essere non ha più senso. Rimango qui? Causerei dolore a chi mi voglia anche un minimo di bene. Torno ad essere un angelo? Dovrei fare i conti con le mie azioni, e forse perderei le ali.

-Tayou!-.

 
Un nome che suona come dolore e bugia.

Chi c'è in giro a quest'ora?

-Tayou, ti ho trovato!-.

Quando alzo lo sguardo, gli occhi grigi di mio fratello mi fissano dall’alto.

***

Non disse niente.

Non lo rimproverò, non lo abbracciò.

Niente.

Si sedette sull’altalena accanto alla sua, che emise un debole cigolio di protesta che servì solo a ricordargli quanto tempo fosse passato da che andava in quel parco, e iniziò a spingersi.

Alzò lo sguardo al cielo. –Sai, quando venivo qui da bambino, ero così piccolo che i miei genitori dovevano spingermi, perché non sapevo farlo da solo. Atsuya odiava che lo aiutassero, voleva fare tutto da solo. Ha sempre voluto fare tutto da solo-.

Tayou se lo ricordava benissimo: la risata squillante di suo fratello, le sue gambe che penzolavano nel vuoto senza riuscire a toccare terra, la sua voce dolce mentre chiamava nostra madre perché lo spingesse, tutti i lividi che la sua testardaggine gli aveva procurato.

-Ricordo che una volta, in vacanza ad Okinawa, Atsuya era andato ai giardini con mio padre, mentre io ero rimasto a casa con mia madre perché avevo fatto il vaccino e non potevo stare al sole-.

-Verso mezzogiorno, entrai in cucina piangendo a dirotto. Mi bruciava il palmo della mano. Lei mi osservò la pelle e commentò “Sembra come se ti sia graffiato con qualcosa”. Ma non ricordavo con cosa-.

-Poi, mentre mi stava mettendo un cerotto, entrò Atsuya in lacrime e gli mostrò la mano arrossata. “Si è graffiato con una scheggia di legno” spiegò nostro padre-.

Si, Tayou ricordava bene quell’episodio. Ricordava lo stupore del padre mentre la madre curava entrambe le ferite e baciava loro i palmi col suo solito sorriso dolce.

Shirou continuò a fissare il cielo. Un paio di stelle coraggiose facevano capolino al di là delle nubi.

-Ricorderò sempre quel momento, e non è stata l'unica volta in cui io e Atsuya abbiamo dimostrato di essere legati. E’ per questo che, quando è morto, per un lungo periodo mi sono sentito morto anche io-.

-Una volta venimmo qua di notte e ci sdraiammo sull'erba. Ci incantammo entrambi a osservare la stessa stella, e quando ce ne accorgemmo decidemmo che quella sarebbe stata la nostra stella, e che qualunque cosa fosse successo, se anche fossimo stati lontani, l’avremmo guardata e non ci saremmo sentiti mai soli-.

-Per lungo tempo, ho dimenticato dove si trovasse quella stella-.

Era la prima volta che parlava di Atsuya senza che gli si riempissero gli occhi di lacrime. Forse perché sentiva che Tayou capiva, che condivideva il suo dolore. Forse per lo stesso motivo adesso gli stava raccontando quell’episodio della sua infanzia.

Si voltò a guardarlo. –Tu me lo ricordi molto, sai? C’è qualcosa nei tuoi occhi che mi fa pensare a lui ogni volta. E non fa male, è bellissimo, mi sembra di averlo ancora qui con me-.

Chissà, forse suonava infantile e sciocco alle sue orecchie, ma era esattamente così che si sentiva. Quando Tayou lo aveva guardato la prima volta, aveva avvertito che c'era molto di più in quegli occhi di quanto il ragazzo non dicesse.

Quella sera, era andato sul balcone ed aveva individuato a prima vista la stella sua e di Atsuya.

Rimasero in silenzio per qualche istante, poi Shirou continuò –Non sono arrabbiato con te. Non mi interessa perché hai fatto quel che hai fatto, tutti sbagliano-.

Era così sincero, così puro, che Tayou in quel momento, desiderò soltanto guardarlo ed essere riconosciuto da lui. Anche se solo per un secondo, desiderò essergli vicino come Atsuya. Senza inganni, senza bugie.

-Shirou, ecco…- balbettò alla fine. –Devo dirti una cosa. Io sono…-.

-Shirou!-. Un grido lo interruppe, e pochi istanti dopo, dal cancello del giardinetto apparve Midorikawa.

-Siamo qui Mido-kun!- lo chiamò Shirou, alzandosi dall’altalena.

Poi si rivolse a Tayou con un sorriso. –Che ne dici, torniamo a casa?-.

Dopo un attimo di esitazione, Tayou sospirò e afferrò la mano tesa di Shirou.

-Si-.

Si diressero verso il compagno, ma a metà strada Shirou si fermò. –A proposito, mi volevi dire qualcosa?-.

Tayou lo fissò negli occhi, gli occhi di suo fratello.

Il momento si era spezzato.

-Volevo dirti che sono molto felice che tu mi abbia perdonato.

Solo questo, davvero-.
 
 






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E così, ci stiamo avvicinando alla fine di questa interminabile fic, interminabile non tanto per il numero di capitoli, quanto per le mie tempistiche e tutti i mesi in cui è stata sospesa.
Il prossimo sarà il capitolo di svolta, e poi ne mancheranno solo cinque alla fine.
Ci tengo a ringraziare tutti quelli che mi seguono o mi hanno seguita. Alcuni di voi sono con me fin dai primi capitoli, e non so dirvi quanto questo mi renda felice.
Mi piacerebbe riuscire a terminarla prima del Lucca comix, così qualcuna di voi potrebbe picchiarmi di persona, in caso ci si incontrasse, ma di solito i miei progetti di tempistiche non vanno mai a buon fine, quindi non assicuro niente.
A presto
Marty

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Capitolo 21
*** Capitolo 20- Sorridi, Gouenji ***


Sorridi, Gouenji
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Tayou aveva giustificato il suo comportamento come semplice gelosia. Si era scusato con tutti, più volte, e i ragazzi avevano in fretta dimenticato quella storia.

Tutti tranne Gouenji

Nonostante gli avesse chiesto scusa, nonostante Endou e gli altri lo avessero perdonato e avessero esortato anche lui a farlo, Gouenji non riusciva a fidarsi di quel ragazzo, e gli sembrava impossibile che nessuno si accorgesse di quanto fosse strano il suo comportamento.

Non che fino a quel momento avesse fatto niente di male. Anzi, e questo doveva riconoscerglielo, da quando era arrivato, Shirou pareva stare molto meglio di prima, e in un'altra occasione, ciò sarebbe bastato per fargli avere la piena fiducia di Gouenji.

Si era ambientato benissimo a scuola, in classe, nella squadra di calcio. Dannazione, stava persino simpatico  a Fudou!

Allora, perché avvertiva quel senso di disagio ogni volta che lo guardava? Perché gli sembrava che nascondesse costantemente qualcosa?

E quei sentimenti erano un problema. Gouenji non era mai stato particolarmente affettuoso con i compagni di squadra, ma trattava Tayou con una freddezza particolare, di cui non era possibile non rendersi conto. E Shirou ne soffriva, non riuscendo a capire le motivazioni per cui colui che amava più di tutti non riuscisse a fidarsi apertamente del ragazzo come facevano tutti gli altri.

Fu per questo che, quando una sera lo vide sgattaiolare di nascosto lungo una strada, non esitò a seguirlo.

Erano le una passate, ed era uscito di corsa perché Yuuka si era sentita male. Sapeva che una farmacia lì vicino restava aperta anche durante la notte, quindi camminava a passo svelto nelle strade silenziose. Era strano vedere Tokyo così deserta.

Lo vide uscendo dalla farmacia, le medicine in un sacchetto di plastica. Inizialmente non lo riconobbe, ma quando gli fu più vicino, distinse chiaramente i lineamenti di Tayou.

“Dove sta andando?”.

Dimentico di Yuuka e della sua fretta, lo seguì a debita distanza. Sapeva che era sbagliato, ma con tutti i sospetti che aveva su di lui, se quella si fosse rivelata un'occasione per scoprire la verità sul suo conto, non poteva certo perderla. Sempre che ci fosse una verità da scoprire, era ovvio.

Prese la strada che conduceva alla Raimon ed entrò un vicolo laterale, poco frequentato anche durante il giorno. Gouenji gli corse dietro, cercando di essere più silenzioso possibile.

Era quasi arrivato all’imbocco della stradina quando una forte luce bianca lo costrinse a fermarsi e a portarsi una mano al viso, quasi accecato. Non poteva essere un lampione, né i fanali di qualche macchina: lì non ce n’erano, e poi era troppo forte.

Gli occhi socchiusi, le mani davanti a sé per evitare di andare a sbattere contro qualcosa, avanzò lentamente. La scena che vide una decina di passi più avanti, lo costrinse a bloccarsi sul posto, senza fiato.

Era Tayou.

Era Tayou, ma non era Tayou.

Lentamente i suoi capelli si schiarivano e il suo aspetto cambiava. Benchè fosse voltato di schiena, seppe che il suo volto aveva mutato i propri lineamenti.

Per lunghi minuti, fu assolutamente certo di stare sognando. Avanzò, ma inciampò e cadde in ginocchio. La caviglia e il ginocchio gli lanciarono una forte fitta che gli confermò che no, non stava sognando, anzi, era sveglio eccome.

Immobile, la bocca spalancata, lo guardò sfilarsi la maglia.

Fece fatica a distinguere la sua schiena nuda a causa della troppa luce che, ora lo capiva, proveniva da lui stesso. Quando liberò le ali -ali?!-, Gouenji perse per un attimo il contatto con la realtà.

Erano meravigliose. Erano meravigliose eppure non potevano essere vere. Non potevano essere lì.

Non potevano essere niente, ma in realtà erano tutto. D’improvviso, Gouenji sentì di credere fermamente a tutto ciò che vedeva. Smise di ripetersi che stava sognando, e rimase semplicemente immobile mentre Tayou dispiegava le ali in tutta la loro lunghezza.

Dovette chiudere gli occhi e coprirseli con le braccia, altrimenti sarebbe rimasto accecato.

Fu allora che Tayou lo vide.

Si voltò nel preciso istante in cui Gouenji riapriva gli occhi, e i loro sguardi si incontrarono.

Stava per spiccare il volo, e si fermò appena in tempo, un'espressione indecifrabile sul volto che non era più il suo.

Senza nemmeno sapere perché, sentì il nome di Atsuya risuonargli più volte nelle orecchie, al punto che dovette premersi le mani sulle tempie per cacciarlo.
Cosa sta succedendo, Tayou?

Cos'è quella luce?

Chi sei?

Perchè all'improvviso mi fido di te?

 
 
***

°Atsuya°
 

Oh no.

No.

Maledizione, no.

Non riesco a pensare ad altro, la mia mente è vuota, riesco a pensare solo ad alcune espressioni troppo colorite per un angelo. Sento così tanto gelo che potrei ghiacciare Tokio con una parola.

Perché proprio questa sera ho deciso di trascurare ogni precauzione e tornare ad assumere le  mie originarie fattezze?

Non sono nemmeno passati cinque giorni dall'ultima volta, dannazione!

Bravo Atsuya. Complimenti. Proprio un saggissima decisione, ignorare le regole e seguire l'istinto.

Continuo a urlare contro me stesso, perché è l’unica cosa che posso fare che mi faccia sentire un po' meglio, oltre a spiccare il volo e andarmi a schiantare contro l'oggetto contundente più vicino. Nel frattempo, lancio un occhiata a Gouenji.

E' inginocchiato a terra, mi fissa con gli occhi socchiusi a causa della luce che la mia forma angelica emana, troppo forte per gli esseri umani, ma so che se potesse li spalancherebbe il più possibile.

Ha la bocca aperta, ma stranamente sorride.
 
E' la prima volta che mi guardi e sorridi.
 
Forse è questo a darmi un po' di fiducia, forse è il fatto che questa situazione è diventata insostenibile. Forse è che ho un bisogno fortissimo di parlare con qualcuno, per evitare di impazzire. Non so cosa sia, eppure mi blocco a mezz’aria e torno con i piedi per terra.

Certo, se avessi dovuto scegliere qualcuno a cui raccontare la mia storia, Gouenji sarebbe stato l’ultimo della lista. Ma oramai è qui, e cosa potrei inventarmi per giustificare il fatto di volare in mezzo ad un vicolo emanando una luce accecante e con un paio di ali enormi che mi spuntano dalla schiena?

Temo che qualsiasi giustificazione risulterebbe poco credibile.

Mi avvicinò e mi siedo accanto a lui, che se ne sta immobile e silenzioso. So bene di avere le mie vere sembianze, quelle di Atsuya.

Il suo sguardo è fisso sulle mie ali, ma non le ritiro.

Riduco la mia luce, e lui sbarra gli occhi. –Tayou…- mormora con tono che sa di estasiato.

Non so che mi prenda, ma improvvisamente ho una gran voglia di ridere, e lo faccio, mi lascio andare, mentre lui mi fissa sgomento e, dopo un attimo di esitazione, inizia a ridere con me.
 
 
Sorridi più spesso quando mi guardi, Gouenji.

E' bello.

 
-Sei…sei… cosa sei?-.

In un altro momento, essere definito una “cosa” mi offenderebbe alquanto, ma ora mi sento stranamente leggero e mi concedo un altro sorriso. –Sono un angelo- spiego, come se fosse una cosa normale, che si vede tutti i giorni.

Mi aspetto che dia fuori di matto, invece si limita ad impallidire. –Un angelo?-

Probabilmente, tra tutte le definizioni che mi avrebbe affibbiato, quella di “angelo” non era contemplata.

Mi aspetto che ponga l'ovvia domanda “Esistono gli angeli?” ma non lo fa.

Noto che si tiene la caviglia con una mano.

 -Ti sei fatto male?-.

Nemmeno risponde, evidentemente non riesce a chiudere la bocca. E' piuttosto ridicolo in questo momento, ma evito di infierire.

Gli sfioro con un dito la pelle, e penso di poter affermare con sicurezza che il dolore sia svanito, leggendo la sua espressione stupita.

-Tayou…- balbetta.

-Il mio vero nome è Atsuya-.
 
Adesso lo sai.

Solo, ti prego,

non smettere di sorridere.

 
 
 
***

Chiunque altro, Gouenji ci avrebbe scommesso, non avrebbe creduto a nemmeno a una parola di Tayou. Forse se ne sarebbe andato, prendendolo per pazzo e dandosi del visionario.

Lui no. Lui non fece una piega. Benchè inizialmente fosse rimasto sorpreso, il tutto era assolutamente plausibile. Certo, se era un angelo, era ovvio che fosse il fratello di Shirou. Forse Gouenji ci sarebbe arrivato comunque, anche senza che glielo dicesse. In quel momento, sentì che avrebbe potuto credergli anche se gli avesse detto di essere un polipo spaziale venuto per conquistare la Terra.

Si limitò ad annuire lentamente, senza emettere un fiato. Stava osservando che il suo nuovo aspetto, che doveva essere quello vero, rispecchiava in modo praticamente perfetto quello di Shirou. Lievemente più alto e con i capelli di colore diverso.

E, certo, due enormi ali che gli spuntavano dalla schiena.

-Mi credi?- chiese Atsuya ad occhi spalancati. Forse, nonostante tutto, lo aveva giudicato male.

-Si. Certo che ti credo- rispose Gouenji alzandosi in piedi e poggiando esitante il peso sulla caviglia, che però non diede segno della sua precedente ferita. –Sei venuto per Shirou, vero?-.

Atsuya annuì, alzandosi a sua volta. –Ho ricevuto il permesso per tornare sulla Terra in panni diversi dai miei. Credo non sia mai successo prima, a giudicare dal numero di angeli che si sono opposti. Persino gli angeli custodi non hanno il permesso di farsi vedere-.

-Sei sicuro di potermi raccontare tutto questo?-.

Atsuya esitò: no, non era sicuro. Anzi, era certo del contrario. Era sicuro che se Gabe avesse potuto, lo avrebbe fulminato senza tante cerimonie. Anzi, la sua inerzia lo sorprendeva.

Ma sapeva che la fine dei giochi era quasi arrivata, e non se ne sarebbe andato senza che nessuno sapesse la verità.

-No, in realtà non potrei- rispose con sincerità. –Ma oramai…-.

Si bloccò.

Dopo qualche istante, Gouenji allungò il braccio e gli posò la mano sulla spalla. Si stupì di riuscire a toccarlo: a vederlo, avrebbe giurato che fosse fatto di luce pura. –Cosa?-.

Giorni dopo, Atsuya si sarebbe chiesto come mai avesse voluto confessare proprio a Gouenji ciò che, teoricamente, non avrebbe potuto raccontare nemmeno nel peggiore dei casi. In quel momento, però, non stette a perdersi in inutili dilemmi mentali. Se Gabe avesse voluto fermarlo, lo avrebbe già fatto. Sentiva di star facendo la cosa giusta. E se anche ciò non fosse stato, beh, peggio di così non poteva andare.

-Ormai per me è troppo tardi-. Ed era la verità.

-Troppo tardi?- ripetè Gouenji, confuso.

Atsuya annuì. –Già. Per via di Lucifero-.

-In che senso?-.

-I demoni mi stanno aspettando-.

“E se va avanti così, la loro attesa durerà ancora per poco” pensò mentre Gouenji si grattava la testa, colto alla sprovvista dalla notizia che esistessero anche cose come i demoni. Due delle poche cose vietate agli angeli erano rivelare la propria esistenza agli umani e interferire direttamente nella loro vita. E, guarda caso, lui aveva fatto entrambe le cose.

Quando lo spiegò a Gouenji, lui s’indignò. –Ma questa è una sciocchezza! Come avresti potuto non interferire nella vita di Shirou?? E in quanto a rivelare la tua esistenza bhè, non è colpa tua, ma mia-.

Lo commuoveva come Gouenji cercasse di farlo tranquillizzare, ma la verità era un’altra, e Atsuya non poteva negarla a se stesso. –Per esempio avrei potuto evitare di raccontare quella bugia a Midorikawa. Shirou, e anche tutti voi, vi sareste risparmiati un sacco di dolore-.

-Tutti sbagliano-.

 -Non gli angeli!-. Queste parole Atsuya le gridò, come se ammetterlo ad alta voce lenisse il suo senso di colpa. Non fu così. –Gli angeli non possono sbagliare. E soprattutto, non se questo causa l’infelicità dei loro protetti o di chiunque altro. Per questo di solito stiamo alla larga dai nostri familiari: il desiderio di aiutarli è troppo forte, finiremmo per fare le scelte al posto loro e questo è vietato-.

-Ma Shirou... io non potevo ignorare il suo bisogno d’aiuto-. Sospirò. –Ma a causa del mio comportamento, rischio di perdere le ali e diventare un angelo caduto, passando dalla parte di Lucifero-.

Gli occhi di Gouenji si spostarono dal volto di Atsuya ai due meravigliosi fasci di luce dietro di lui –Perdere le ali… intendi in senso letterale?-.

Atsuya annuì.
-Ma puoi ancora evitarlo- esclamò allora Gouenji, afferrandolo per le spalle. Non gli piaceva la rassegnazione che leggeva negli occhi del ragazzo. –Se d’ora in avanti penserai solo al bene di Shirou, vedrai che i demoni ti lasceranno in pace-.

-Io ho sempre pensato solo al bene di Shirou, e guarda dove siamo arrivati-.

Rimasero in silenzio per lungo tempo. Il cielo era ancora scuro, non doveva essere passata più di un'ora da quando Gouenji aveva iniziato a seguirlo, ma era stata l'ora più incredibile della sua vita.

Alla fine, Gouenji sospirò e lo fissò con determinazione. –Ascolta Atsuya, io non capisco molto di queste cose, mi sembra di essere finito in un libro di fantasia, e non è mai stato il mio genere preferito. Ma se c’è una cosa che so è che non ho mai visto Shirou felice come lo è da quando tu sei arrivato. Ci sono stati dei momenti no, è vero, ma niente di irrisolvibile. Sospettavo di te, ma si è rivelato tutto un errore. Ho capito che tu vuoi bene a Shirou, e non faresti ma niente che potrebbe fargli davvero male. Tutto questo non può passare inosservato, né agli angeli, né ai demoni-.

Atsuya lo fissò, grato delle sue parole. Non era del tutto sicuro che a Lucifero sarebbe importato delle sue vere intenzioni: lui valutava solo ed unicamente le azioni.

Però, forse, gli era ancora concesso di sperare.

-A tutti è data una seconda possibilità- concluse Gouenji, come leggendogli nel pensiero.

-Forse hai ragione, farò di tutto per rimediare. Non ci tengo proprio ad andare all’Inferno. Si dice in giro che sia un posto alquanto sgradevole-.

-Non ho difficoltà a crederlo!-.

Atsuya scoppiò a ridere mentre ritraeva le ali e riassumeva le sembianze di Tayou. Il peso che schiacciava il suo petto non era sparito, ma non lo soffocava più come prima.
 
“Grazie, Gouenji, per non aver smesso di sorridere”.
 
-Ho deciso- disse poi mentre si infilava nuovamente la maglietta. –Racconterò tutto a Endou e agli altri-.

La sorpresa sul volto di Gouenji fu tale che Atsuya si affrettò a spiegare. –Non a Shirou. Lui non può saperlo, e non sarebbe comunque pronto ad accettarlo. Ma se non voglio che qualcun altro sospetti di me, forse dovrei raccontare la verità-.

-Ma hai detto che è vietato!-.

Atsuya sorrise. –Mi sono appena ricordato che io non ho mai seguito le regole. E poi l’ho raccontato a te, cosa cambia qualche persona in più? Se almeno un po’ ho imparato a conoscerli, so che i ragazzi accetteranno la verità-.

Gouenji scosse la testa, completamente basito e sorpreso dal suo repentino cambiamento d’umore. –Tu sei pazzo-.

Gli occhi di Atsuya brillarono. –Un po’ forse-.
 
“Magari, prima o poi, sarà concesso anche a me di sorridere”.
 
 
***
 
Non fu difficile dire la verità agli altri ragazzi. Raccontò loro la storia  tutta d’un fiato, come uno che si toglie dalla coscienza un grande peso.

Alla fine, rimase in silenzio, aspettando la loro reazione.

Che non venne. Erano come immobilizzati, incapaci di parlare, gli occhi sgranati fissi su di lui.

Fu Endou il primo a riprendersi. –Ecco perché sei così bravo a giocare a calcio-.
 
 
Sapevo che c'era qualcosa di strano in lui.

Certo, non avrei mai potuto aspettarmi qualcosa di così bello.

Ora che mi aveva raccontato la verità, la sorpresa era stata scacciata da una grande emozione.

Chissà come avrebbe reagito Shirou se avesse scoperto la verità.

Atsuya credeva che non fosse pronto.

Ma io sapevo che sarebbe stato solo infinitamente felice.

[Gouenji]
 
 
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Capitolo 22
*** Capitolo 21- E' giusto uccidere uno per salvarne mille? ***


E' giusto uccidere uno per salvarne mille?
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Si narra, tra gli angeli, che il vento sia un amico fidato, e un ottimo consigliero. 

Mentre lo ascoltava accarezzargli il volto e scompigliargli i capelli, Gabe non avrebbe potuto essere più d’accordo. Seduto con la schiena alla parete, lo sguardo fisso davanti a sè, aspettava che lo andassero a chiamare, per prendere la decisione più importante e più difficile di tutte.

Non era arrabbiato con Atsuya per quello che aveva fatto. Rivelare la verità era stata una mossa avventata, certo, ma ripensandoci, nel profondo, Gabe sospettava che al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa. Ciò non rendeva il reato meno grave, certo, ma gli permetteva di ragionare lucidamente, senza la rabbia e lo stupore che invece attanagliavano il cuore di molti altri angeli.

Ciò che gli altri non immaginavano era che quel momento sarebbe venuto comunque, anche se il comportamento di Atsuya fosse stato impeccabile. Il destino non parla spesso, ma quando lo fa, sei costretto ad ascoltare. E lui aveva ascoltato.

Eppure, nonostante questo, non si sentiva pronto. Pensare ad Atsuya come ad un componente dell’esercito di Lucifero gli metteva addosso una grande tristezza. Se fosse successo, avrebbero dovuto ucciderlo.

Quando sentì la porta aprirsi, non ebbe bisogno di guardare per sapere chi era. Si mise addosso la sua solita maschera di indifferenza, che concedeva a se stesso di rimuovere solo quando nessuno lo vedeva, e lanciò uno sguardo verso il nuovo arrivato.

-Sono arrivati- disse Michael.

“Non è paura quella che provo, vero?”.

Gabe non aveva pensato a cosa dire, ma quei momenti di solitudine lo avevano aiutato a portare un po’ di chiarezza nei propri sentimenti, fino a che non erano rimaste due frasi che gli vorticavano nella mente a una velocità ai limiti del mal di testa che gli angeli non potevano sentire.

Non voleva che Atsuya se ne andasse. Se ne sarebbe andato comunque.

-Sembrano molto convinti- commentò Michael mentre si avvicinavano al luogo stabilito per l’incontro. –Sanno di avere la vittoria in tasca-.

-Non è ancora detta l’ultima parola- ribattè Gabe, sperando di suonare convinto.

-Hanno il coltello dalla parte del manico-.

-Nessun coltello ha mai ucciso in angelo-.
 
C’erano dieci persone all’interno della sala. Sei erano demoni, impossibile non riconoscerli, soprattutto perché solo uno di loro aveva assunto sembianze umane. Stava in piedi, al centro del cerchio di angeli e demoni, incurante degli sguardi puntati su di lui. I suoi capelli corvini spiccavano tra il biondo degli angeli, e qualcosa nel suo sguardo incuteva un grande timore.

Gabe non si lasciò impressionare e sedette al suo posto, Michael al suo fianco.

-Credo sappiate tutti perché siamo qui, ma penso sia il caso di rinfrescare la memoria ai presenti- iniziò Luc, lo sguardo fisso su Gabe. –Vogliamo reclamare il possesso su Atsuya, l’angelo mandato in missione sulla Terra-.

-E in base a cosa?- domandò Michael, nonostante conoscesse fin troppo bene la risposta. Avrebbe volentieri evitato tutte quelle inutili formule di rito.

-Gli accordi erano che Atsuya non dovesse in alcun modo entrare in contatto con il suo protetto, e questo sia per il nostro che per il vostro bene. Ha violato il patto già nel momento in cui ha assunto sembianze umane, ma aveva ricevuto il permesso da voi e abbiamo lasciato correre-.

Gabe cercò di impedirsi di ridere. Il permesso. Come se gli fosse stato davvero dato. Atsuya, come al solito, aveva interpretato a proprio modo i fatti.

Si concentrò su Luc, che proseguì –Il suo comportamento, però, non è stato certo conforme a quello di un angelo custode-.

-Atsuya non è un angelo custode- lo interruppe Michael. Luc gli lanciò un occhiata di sbieco, poi tornò a guardare Gabe.

-E’ un angelo in missione sulla Terra, poco importa se sia stato addestrato come angelo custode oppure no. In base al suo comportamento, abbiamo tutto il diritto di reclamarne il possesso-.

Davanti a quell’ affermazione, Gabe ebbe come un sussulto. Fece segno a Michael di tacere e si alzò. Il silenzio scese sulla sala.

–Tutto ciò che Atsuya ha fatto è stato per amore del fratello- disse, ricambiando lo sguardo freddo di Luc. –Ha sbagliato, è vero, ma le sue intenzioni erano nobili. Lui vuole solo la felicità di Shirou-.

Michael ebbe l’impressione che Gabe avesse appena commesso un grave errore e Luc glielo confermò subito. –Gli errori non sono ammessi né tra angeli, né tra demoni, Gabriel. E che mi dici del fatto di aver rivelato la verità agli umani? Non è la nostra regola più importante, mantenere segreta la nostra esistenza?-.

-Era stato scoperto durante la trasformazione. Non aveva scelta-.

-Poteva ucciderlo-.

Gli angeli ebbero un sussulto. Gabe lo fissò con disprezzo.

-Vorrei ricordarti, Lucifer, che Atsuya è un angelo, che a voi piaccia o no. L’idea di uccidere Gouenji Shuuya non gli è nemmeno passata per la testa-.

-Io invece scommetto di si- rise malignamente Luc.

Silenzio. Anche il vento era in ascolto, Gabe poteva sentirlo mentre gli accarezzava piano la pelle del collo e delle guance, come a cercare di infondergli forza. Cercando di dominare la rabbia che senza dubbio Luc voleva scatenare in lui, riprese –Nonostante questo, non è abbastanza per far cadere Atsuya. Ha bisogno di essere educato, è vero. E’ un angelo ancora giovane. Ma saremo noi a farlo-.

Michael sentì un piccolo guizzo di speranza. Per la prima volta, pensò che forse avevano qualche possibilità. Il suo sorriso, però, si spense quando vide l’espressione compiaciuta di Luc.

-Tu sai, Gabriel, che Atsuya è legato all’Inferno, vero?-.

Lo stupore aleggiò tra gli angeli. La maggior parte di loro non era a conoscenza di quel fatto, e Michael avrebbe preferito che le cose fossero rimaste così.
Gabe abbassò lo sguardo, riuscendo a mormorare solo -Si-.

-Perché non ce lo hai mai detto, Gabriel?- domandò uno degli angeli. Gabe non alzò la testa.

-Non potevo-.

-Allora, qual è il senso di questo dibattito?-.

-Il senso- s’intromise Michael per dare man forte all'amico. –E’ che Atsuya è ancora un angelo. Non giudicatelo in modo diverso per qualcosa che non dipende da lui, amici-.

La mente di Gabe lavorava in modo febbrile. Non sapeva cos'altro  fare per salvare Atsuya. Doveva esserci un modo, e lui avrebbe fatto di tutto per trovarlo.

-Questa è una cosa che non cambierà, Gabriel- disse Luc. -La sua anima è già nostra, lo è dalla sua nascita. Adesso dovete solo decidere se scatenare una guerra già persa in partenza, col solo risultato di veder morire migliaia dei vostri, o se fare in modo che il giovane Atsuya vada incontro al suo destino fin da ora. La decisione è vostra-.

Tacque, e tornò a sedere al proprio posto, consapevole di non dover aggiungere altro. Nello sguardo degli angeli si leggeva il fardello di una decisione troppo grande persino per loro.

Gabriel si rendeva conto che la situazione era disperata.

Se ne rendeva conto, e non voleva arrendersi. Ma ne valeva davvero la pena? Luc aveva ragione: una guerra contro l'Inferno avrebbe dimezzato le loro forze, e senza dubbio sarebbe stata combattuta sulla Terra. Avrebbero causato milioni di vittime.

Questo gli diceva la ragione.

Ma il cuore si rifiutava di accettarlo. Non poteva darla vinta a Luc.

Era successo quello che aveva in tutti i modi cercato di evitare, sapendo che alla fine avrebbe inciso negativamente sulle sue scelte: si era affezionato troppo ad Atsuya.

Ma se anche non fosse stato, poteva davvero mandare a morire milioni di angeli per salvarne uno solo?

Osservò le persone attorno a lui. Michael, che più di tutti capiva cosa l’amico provasse, gli altri angeli, stupiti per le ultime rivelazioni, e infine Luc e i suoi demoni, con stampata in faccia la vittoria.

-Non possiamo scatenare una guerra- si sentì dire. Non era un’opzione.

Luc non ebbe bisogno di sentire altro. Fece un segno ai demoni, che sparirono in una nuvola di vapore grigio.

Gabe si sedette stancamente, e chiuse gli occhi.

Avevano perso.

-Mi dispiace, Atsuya…-.









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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - La minaccia di Luc ***


La minaccia di Luc
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-Ragazzi!-.

Atsuya apparve in cima alle scale che portavano al secondo piano della Raimon.

-Ehi, Atsuya!- lo salutò Endou col suo solito tono di voce molto al di sopra del consentito, agitando la mano.

Gouenji gli tappò la bocca con un gesto rapido, e lo guardò male.

-Endou. Per l'ennesima volta. Vorremmo evitare che l’intera scuola sappia del segreto di Tayou-. Pronunciò il suo nome a denti stretti, fissando i propri occhi in quelli del portiere, che si fece piccolo piccolo.

-Hai ragione, scusa, me ne ero dimenticato-.

-Ragazzi!-. Atsuya saltò gli ultimi due gradini della scala, interrompendo i pensieri di Gouenji che si chiedeva come fosse possibile che Endou si fosse potuto dimenticare una cosa del genere. -Sapete che giorno è oggi?-.

Midorikawa, che non ne aveva idea, dato che da quando si era chiarito con Hiroto viveva nel mondo delle nuvole, dovette guardare il cellulare. –Il dieci gennaio-.

-Esatto!-. Atsuya era trionfante. –Il che vuol dire che tra una settimana…-.

-E’ il compleanno di Shirou!- concluse Gouenji illuminandosi.

Raggiunsero il loro solito posto nel cortile della scuola. Quel giorno, Shirou era rimasto a casa perché, con tutta la neve che era caduta e che continuava a cadere, aveva preso la febbre, che lo inchiodava sotto le coperte con una tazza di thè sempre in mano e il naso perennemente rosso.

Il giardino era deserto. Gli studenti della Raimon, col freddo che faceva, preferivano di gran lunga pranzare al caldo nelle proprie aule piuttosto che sulla neve. E non avevano tutti i torti, ma Endou voleva sempre uscire, e gli altri non potevano che seguirlo ogni giorno sospirando, sfidando vari centimetri di neve.

-Ehi, è vero- commentò il portiere. –Accidenti, come passa il tempo. A proposito, At… Tayou, quando è il tuo compleanno?-.

Si beccò un’occhiata truce dall’intera squadra. –Secondo te? Siamo gemelli!-.

-Oh, giusto…- mormorò imbarazzato Endou grattandosi i capelli. Midorikawa e Kazemaru scoppiarono a ridere, gli altri si limitarono a sospirare.

-Ecco pensavo…perché non gli organizziamo una festa a sorpresa?-.

-Che idea geniale!- esclamò Hiroto. –Io adoro organizzare le feste a sorpresa!-.

-Hai mai organizzato una festa a sorpresa??- si informò Midorikawa.

Hiroto si strinse nelle spalle –No. Ma so che se lo avessi fatto, lo avrei adorato-. Midorikawa si battè una mano sulla fronte.

Endou iniziò a saltellare per tutto il giardino, affondando nella neve fino al ginocchio. La sciarpa che aveva attorno al collo svolazzava da tutte le parti. –Che cosa fantastica! Posso organizzare io i preparativi?-.

L’unico che rispose alla sua domanda fu il vento, che soffiava tra i rami spogli degli alberi e faceva sbattere qualsiasi finestra chiusa male.

-Che c’è?- domandò Endou fermandosi di colpo, stupito da quel silenzio.

-Non so se è una buona idea…- commentò Hiroto dopo qualche istante, cercando di usare quanta più delicatezza possibile.

-Perché?-.

-Bhè, da uno che pensa che due gemelli compiano gli anni in giorni diversi, ci si può aspettare di tutto-.

Mentre gli altri scoppiavano a ridere, Endou mise il broncio e Kazemaru, ovviamente, si sciolse. –Si, okay- rispose. –So che farai un grande lavoro-.

Midorikawa sospirò. –Qualche volta, Kazemaru, dovresti provare ad essere oggettivo-.

Endou, nel frattempo, aveva già recuperato il buon umore. Da nessuno capì dove aveva fatto spuntare un taccuino e una matita. Si tolse un guanto con i denti e lo tenne tra le labbra. –Dunque…- mugugnò.

Kazemaru provò un fiotto d’invidia per quel guanto, ma tenne per sé i commenti.

-Allora… Gouenji e Kidou potrebbero pensare alle decorazion. Gouenji si occuperà anche di tenere Shirou lontano in un modo o nell’altro, il giorno della festa, prima che tutto sia pronto-.

Gouenji fece per strozzarlo leggendo i troppi sottintesi in quella frase, ma Endou sfuggì alla sua presa, continuando a scrivere come se nulla fosse. –Io e Kazemaru pensiamo al posto e agli invitati…-.

-Proprio no!- s’intromise a quel punto Kidou. –Voi due dovete stare a distanza di sicurezza, altrimenti non combinate niente. Facciamo che io e Kazemaru ci occupiamo degli invitati, tu e Gouenji dei festoni-.

Kazemaru divenne di fuoco, mentre Endou s’incupiva.

Però entrambi dovevano ammettere che, come al solito, Kidou aveva ragione.

-E va bene…  Hiroto e Midorikawa penseranno a cucinare, dato che Mido-kun è l'unico che se la cava in cucina-.

Kazemaru lo interruppe, accigliandosi. –Eh no, non è giusto. Io e te non possiamo fare coppia, e Hiroto e Midorikawa possono?-.

Il ragionamento non faceva una piega.

-E’ vero, ma  Hiroto è molto ligio al proprio lavoro. Prima il dovere poi il piacere- disse Kidou.

Hiroto annuì con forza, per poi piegarsi e sussurrare all’orecchio di Midorikawa –Anche se qualche volta potrei fare un’eccezione…-.

  
***

*sei giorni dopo*

  
-Ti ha mai detto nessuno che sei un mago in cucina?- domandò Hiroto abbracciando da dietro Midorikawa, occupato a infornare i biscotti. –E poi stai molto bene con il grembiule, ti fa un lato b niente male-.

Midorikawa lo colpì in testa col mestolo, senza preoccuparsi di non metterci tutta la propria forza. –Ma ti sembrano cose da dire?- gridò.

-Perchè non accetti mai i complimenti?- si lamentò Hiroto, allontanandosi per proteggersi da eventuali altre mestolate.

Midorikawa sospirò, e iniziò a raccogliere la farina sparsa sul piano della cucina. Hiroto aspettò qualche altro istante, poi lo abbracciò di nuovo.

Era da quella mattina che Hiroto faceva di tutto per distoglierlo dal proprio lavoro. Altro che ligio al dovere! Cercava continuamente scuse per abbracciarlo, baciarlo, e nel frattempo rubare qualsiasi cosa stesse cucinando. Midorikawa aveva raggiunto il limite della propria pazienza.

Si girò e gli sorrise dolcemente. E, senza tanti preamboli, gli vuotò in faccia il sacco di farina che era avanzata dalla preparazione del dolci.

Hiroto si allontanò di colpo, starnutendo e spargendo farina in ogni dove. –Ma… Mido-kun!-.

-Così impari. Mai disturbare un cuoco al lavoro- si giustificò il ragazzo scoppiando a ridere. Hiroto sembrava un pupazzo di neve.

Lui sospirò, cercando di togliersi un po’ di farina dal volto. Bloccò i polsi di Midorikawa con una mano.

-Questo non dovevi farlo- mormorò guardandolo fisso.

-Davvero?-.

-Potrei arrabbiarmi- lo minacciò Hiroto.

Suo malgrado, Midorikawa arrossì mentre Hiroto lo schiacciava contro il frigorifero e iniziava a baciarlo, tenendogli i polsi sollevati.
 
-Sai di farina- rise alla fine Midorikawa.

-Ragazzi, a che punto siete? Siete chiusi lì dentro da ore!-. Senza bussare, Endou aprì la porta della cucina, osservò la scena, sospirò e tornò indietro.

-Hanno finito?- chiese Kidou finendo di gonfiare un palloncino.

Endou scosse la testa, e Kidou non ebbe bisogno di altre spiegazioni. Non che ci volesse un genio per capire come mai quei due ci mettessero così tanto.

-Non amo dire ve lo avevo detto, ma ve lo avevo detto- commentò Kazemaru scendendo dalla scala. Aveva appena finito di appendere i palloncini al piano di sopra, dopo aver praticamente riempito il giardino di festoni colorati.

Il suono del campanello fece immobilizzare i ragazzi sul posto. Midorikawa ed Hiroto apparvero preoccupati sull’uscio della cucina.

-Non sarà Shirou, vero?- chiese Kazemaru già nel panico, decidendo di non fare domande sul perché pareva che Hiroto si fosse tuffato di testa in un sacchetto di farina.

Guardando la stanza, anzi l’intera casa, era impossibile non intuire che stavano organizzando una festa. Palloncini di ogni colore immaginabile volavano per il salotto mentre il giardino era già stato addobbato da Kazemaru e Kidou. La scritta “Buon Compleanno” era ovunque.

-Impossibile, Gouenji ci ha assicurato che avrebbe tenuto Shirou lontano da qui fino a domani-.

-Aspettavi qualcuno?- chiese Midorikawa a Kidou. I ragazzi avevano concordato che casa di Kidou fosse il luogo migliore in cui organizzare la festa, soprattutto perché il giardino, ricoperto di neve, era davvero fantastico.

Quest’ultimo scosse la testa.

Kazemaru si avvicinò alla porta con circospezione.

-Chi è?- chiese.

Nessuna risposta. Prese un sospiro e aprì.

Sull’uscio c’era un ragazzo. “Almeno non è Shirou” si disse Kazemaru prima di interrogarsi sull’identità dello sconosciuto. Non ricordava di averlo mai visto, non gli sembrava nemmeno che fosse uno studente della Raimon.

Doveva avere un paio d’anni più di lui ed era incredibilmente alto. Lo superava di una buona spanna. Aveva i capelli neri e portava jeans e una maglia a maniche corte, senza nemmeno un giubbotto. Come facesse a non tremare nemmeno, col freddo che faceva, era un mistero.

-Sono qui per Atsuya- disse prima ancora che Kazemaru riuscisse ad aprire bocca.

Quelle parole bastarono per metterli tutti sulla difensiva.

Certo, era possibile che fosse un angelo, un amico di Atsuya. Eppure quel tizio aveva tutto, fuorché fattezze angeliche.

Kazemaru cercò di comportarsi in modo più disinvolto possibile., nonostante la loro reazione di poco prima li avesse senza dubbio traditi .–Chi?- chiese.
-Già, dimenticavo, qui si fa chiamare Tayou-.

Il disprezzo con cui sputò quel nome convinse definitivamente i ragazzi che quello non poteva essere un angelo, e senza dubbio non era un amico di Atsuya. Ma allora come faceva ad essere a conoscenza del suo segreto?

-Mi dispiace- rispose Kazemaru. –Ma qui non c’è nessuno con quel nome…-.

Lo sconosciuto non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase. Lo afferrò per il colletto della camicia e lo sollevò alla propria altezza. I piedi di Kazemaru quasi non arrivavano a toccare terra.

-Ehi!-. Endou fece per andargli incontro, infuriato, ma Kidou lo fermò. Gli occhi dello sconosciuto avevano iniziato a brillare di rabbia.

-Ascoltami ragazzino, so riconoscere una bugia quando la vedo. Le abbiamo inventate noi, le bugie. Quindi sarà meglio per te, e per tutti voi, che mi diciate dov’è Atsuya, perché lo troverò comunque, ma farei molto più in fretta se mi aiutaste- soffiò a pochi centimetri dalla faccia di Kazemaru.

Kidou lo fissò con calma, senza lasciare la presa sul braccio di Endou.

-Perché vuoi sapere dov'è?- chiese.

-Quindi lo conoscete-.

-Rispondi!-.

Lui scoppiò a ridere e lasciò andare di colpo Kazemaru , che cadde pesantemente a terra, colto di sorpresa.

-Ho capito, non volete aiutarmi. Peggio per voi. Ditegli che la decisione è stata presa. Domani tornerò, ed è nel suo interesse raccontare a suo fratello la verità e poi seguirmi senza fiatare.-.

Detto ciò sparì a una velocità che non poteva appartenere a un essere umano.

-Chiamiamo Atsuya- disse Kidou mentre Endou correva accanto a Kazemaru e lo aiutava a rialzarsi. L’aria allegra e spensierata che si respirava solo pochi minuti prima era svanita del tutto.

***

-Qual'era il suo aspetto?- chiese Atsuya. Era arrivato di corsa, in nemmeno dieci minuti -Lucifer…- mormorò poi, dopo che Kidou gli ebbe descritto lo sconosciuto.

-Lucifer?- ripetè Kazemaru.

-E’ un demone- spiegò Atsuya a denti stretti.

-Cosa vuol dire che è stata presa una decisione? Su cosa?-.

Atsuya esitò un attimo, silenzioso. Guardò i suoi amici, indeciso se raccontare o no anche quell'ultima parte della storia, su cui aveva ancora taciuto. Ma se ciò che Luc aveva detto era vero, non c'era più niente di cui aver paura.

O meglio, c'era tutto di cui aver paura.

-Su di me. Devono aver deciso che le mie azioni sono andate contro le regole, e adesso Lucifer vuole che io mi unisca ai demoni, come hanno fatto in tanti prima di me-.

Hiroto ruppe il silenzio pesante che si era creato. -Cosa farai?-.

-Racconterò la verità a Shirou-.

Era una decisione sofferta e affrettata, ma l’unica possibile. Non poteva lasciare che Shirou sapesse la verità da un demone. Anzi, non poteva proprio lasciare che Luc e suo fratello entrassero in contatto, lo avrebbe impedito, a qualsiasi costo.

-Atsuya… sei sicuro?- chiese Midorikawa a bassa voce.

-Devo farlo. Non posso andarmene senza che lo sappia. Siamo alla fine dei giochi, ormai-.

 
 
Sapevo cosa avrei fatto.

Avrei raccontato la verità a Shirou. I demoni mi sarebbero venuti a prendere.

Io sarei andato con loro.

E Shirou sarebbe stato salvo.

Inutile dire che, anche quella volta, niente andò come avevo previsto.

[Atsuya]

 





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Capitolo 24
*** Capitolo 23- Angelo perduto ***


Angelo perduto
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-E’ la giusta decisione?-.

-Atsuya ha ragione. Ormai è quasi finita-.

-Sai già cosa succederà?-.

-Ovviamente no. Ho il sospetto che nessuno possa sapere come andrà a finire questa storia-.

-Aiutiamolo, Gabriel-.

-E' contro le regole!-

Michael sorrise, scompigliando i capelli biondi dell'amico. -Regole? Dopo tutto ciò, vieni ancora a parlarmi di regole?-.
 
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-Sei sicuro di sentirti bene?-.

Shirou si era alzato di buon umore, come ogni ragazzo che ha appena compiuto diciotto anni. Il comportamento che i suoi amici avevano tenuto durante il giorno, però, aveva smorzato il suo entusiasmo.

Certo, gli avevano fatto gli auguri. Certo, si erano sforzati di essere allegri. Certo, avevano finto che andasse tutto bene.

Ma di certo non lo avevano ingannato.

Li conosceva troppo bene per non accorgersi che i loro occhi non brillavano del solito entusiasmo, che Gouenji era freddo e distante, come se avesse la testa in tutt’altri pensieri, che Kazemaru non gli era saltato addosso come ogni singolo anno tirandogli le orecchie.

E non poteva certo essergli sfuggito che Endou non avesse proposto come al solito di giocare a calcio subito dopo scuola. Questo, di per sé, sarebbe già stato strano.

E, a coronare il tutto, c’era il fatto che Tayou fosse scomparso da quella mattina.

Aveva avuto un semi-infarto quando aveva trovato il suo letto freddo e la porta di casa non più chiusa a chiave. Era entrato nel panico nel giro di dieci secondi.

Ma poi, erano arrivati gli altri, che lo avevano rassicurato. Tayou era uscito quella mattina presto e quel giorno non sarebbe venuto a scuola.

Spiegazioni? Neanche a parlarne.

Midorikawa sobbalzò e si mise a scrivere in fretta appunti di matematica. –Certo- rispose con un sorriso fin troppo smagliante.

Shirou alzò gli occhi al cielo. Chi credeva di prendere in giro? Lui non prendeva mai appunti. Preferiva “prendere in prestito” i suoi.

Aveva intenzione di placcare all’uscita  lui o Kazemaru, quelli che se c’era una cosa che non sapevano fare era mantenere un segreto, e chiedergli cosa diavolo stesse succedendo.  Il suo piano andò in fumo, però, quando, suonata la campanella, i suoi amici gli si avvicinarono in gruppo.

-Andiamo?- chiese Gouenji.

-Dove?- domandò Shirou, innervosito da tutto quel mistero.

-In un posto-.

Certo, una spiegazione più che chiara. Dovette trattenersi dall'urlare.

Il tragitto lo fecero nel più completo silenzio, un silenzio talmente pieno di cose non dette che faceva quasi male alle orecchie.

Alla fine, si fermarono davanti a casa di Kidou.

Shirou vide subito il giardino addobbato a festa e un grosso peso parve abbandonare il suo cuore. Tirò un impercettibile sospiro di sollievo, e maledì mentalmente i suoi amici. Lo avevano fatto preoccupare a morte.

Era strano, però. Non si respirava certo l’aria allegra e spensierata che dovrebbe esserci durante una festa. Niente invitati che sbucano dai posti più improbabili gridando “Buon Compleanno!”. Niente sorrisi, niente abbracci, niente risate.

Qualcosa stava succedendo, ne era sicuro.

Si fermarono al centro del giardino. Shirou si guardò intorno e  vide una figura apparire sull'uscio della porta. 

Gli sembrò di sentire qualcuno sussurrare qualcosa, ma quando si girò, il giardino era deserto.

“Dove sono andati?” si chiese, spalancando gli occhi. Non ne poteva più.

Riportò la sua attenzione alla persona che si avvicinava, dato che non c'era altro da fissare nel giardino,  e socchiuse gli occhi.

Era Tayou. Aveva un'espressione grave sul volto, che non gli aveva mai visto prima.

-Tayou, che succede?- provò a chiedere, sollevato che stesse bene, ma, come aveva immaginato, non gli rispose.

Il sole prese a brillare con maggiore intensità, ferendogli gli occhi. Dovette farsi ombra con la mano per capire che la luce non proveniva da sopra di lui.

Proveniva da davanti a lui. Ma davanti a lui c’era solo Tayou, e per un folle attimo, si chiese perché diavolo gli stesse puntando una torcia contro.

Quando gli fu vicino, si fermò e rimase a guardarlo per lunghi minuti. Shirou quasi non respirava. In compenso il suo cuore sembrava voler compiere  in pochi istanti tutti i battiti di una vita.

Sapeva che c'era qualcosa che non andava, se lo sentiva da quella mattina, realizzò. Da quando si era svegliato, il suo cuore aveva iniziato a mandargli dei segnali, ad avvertirlo, a cercare di metterlo in guardia da qualcosa.

Ma cosa?

 
Mi dispiace, Shirou.

Avrei voluto che tu sapessi.

Lo giuro.
Tayou gli prese le mani. –Shirou…- mormorò con quella voce che gli era sempre stata così spaventosamente familiare.

Non rispose.

-Shirou.  Mi dispiace, io… avrei voluto avere più tempo-.

-Più tempo? Più tempo per cosa? Te ne stai andando?- esclamò Shirou mentre il ragazzo gli lasciava le mani con lentezza, come se non volesse lasciarlo andare,  e si allontanava di qualche passo.

Ciò che accadde da quel momento, se lo sarebbe ricordato come attraverso una sottile nebbia.

Tayou si sollevò a mezz’aria, e rimase a fissarlo, fluttuando nel dolce vento che si era alzato.

Quando liberò le ali, il cuore di Shirou decise che si, era decisamente l’ora di cambiare, e prese a battergli in gola. Non aveva mai visto niente di così magnifico in tutta la sua vita. Cercò di deglutire, a vuoto. Probabilmente non sarebbe stato in grado di pronunciare nemmeno una parola.

E, anche se lui non lo sapeva, non aveva ancora visto niente. Quando infatti il volto di Tayou iniziò a cambiare, resistette a stento all’impulso di tirarsi un pizzicotto, giusto per essere sicuro al cento per cento di non essere vittima di un sogno. Ma come avrebbe potuto un sogno essere così realistico, e così meraviglioso?

I suoi occhi e la sua bocca si aprirono contemporaneamente. Il ragazzo che stava atterrando non aveva più niente del vecchio Tayou. Né il volto, né il corpo. E, ovviamente, le grandi ali scintillanti. Solo gli occhi erano rimasto uguali, e Shirou si concentrò su quelli, per mantenere un minimo contatto con la realtà.

-Tayou…- mormorò, mentre quello gli si avvicinava.

Nei suoi occhi si leggeva tanta felicità, pari solo alla sua grande tristezza.

-No, Shirou- sussurrò. –No, io… sono Atsuya-.

 
Ovvio che fosse Atsuya. Lo aveva riconosciuto nel preciso istante in cui lo aveva visto. Non quando aveva iniziato a trasformarsi, ma quando era piombato nella sua cucina frantumando la sua finestra e la finta facciata perfetta che aveva costruito al posto della propria vita. Ma se ne rendeva conto solo adesso.

Solo per quello riuscì a non svenire sul colpo, nonostante il mondo avesse deciso improvvisamente di mettersi a girare un po’ troppo velocemente.

Cercò di articolare una domanda, ma dalla bocca gli uscirono solo suoni confusi e decise di lasciar perdere. Forse non voleva rovinare l’incanto di quel momento.

-Shirou, sono io, tuo fratello…- disse di nuovo Atsuya.

La lucidità mentale di Shirou tornò tutta insieme.

-Non… non è possibile…- mormorò.

-Voglio spiegarti tutto, Shirou. Vieni- gli tese la mano, che Shirou afferrò senza nemmeno un secondo di esitazione. Il calore che parti dalla punta delle sue dita gli arrivò fino al cuore.

Si sedettero assieme sugli scalini di fronte casa di Kidou e per qualche istante rimasero in silenzio, Shirou troppo stordito, Atsuya a occhi chiusi mentre cercava il coraggio di pronunciare le parole successive.

Perché una volta fatto, avrebbe dovuto dirgli addio.

Cominciò a raccontare dall’inizio, da quando aveva ricevuto il permesso di tornare sulla Terra senza farsi vedere. Quando aveva assunto sembianze umane ed era apparso nella sua cucina. Raccontò tutta la storia, senza tralasciare niente. Era incredibile quante cose fossero successe da che aveva scelto di tornare sulla Terra, quante paure avesse avuto, quanti sentimenti avesse provato. Ascoltava se stesso parlare come se fosse un'altra persona a raccontare la storia.

Come se fosse Tayou a raccontare quell’assurda storia a lui e a Shirou.

Alla fine, quando tacque, Shirou lo guardò, per la prima volta. Lo guardò e seppe che ogni singola cosa che aveva raccontato non poteva che essere la pura verità. E se era la verità, allora lui...

-Non so se abbracciarti, arrabbiarmi con te o scappare via- disse alla fine con gli occhi lucidi.

Atsuya gli sorrise –Opto per la prima- e fu allora che finalmente si abbracciarono.

Non ci sono paragoni per descrivere ciò che passò tra di loro in quegli istanti. Si abbracciarono semplicemente come Atsuya e Shirou Fubuki, come i due fratelli che erano stati costretti a separarsi l'uno dall'altro quando ancora non si erano resi conto che erano diventati una cosa sola, che avevano sofferto per anni che erano sembrati secoli senza potersi raggiungere, che alla fine avevano sfidato anche il confine tra reale e irreale, pur di riuscire a stare insieme.

Shirou lo strinse a sé così forte da rischiare di soffocarlo. Per fortuna che gli angeli non potevano soffocare.

Non riusciva a crederci. Dopo tutti quegli anni, il suo più grande desiderio si era avverato. Accanto ad Atsuya si sentiva forte, come se nessuno potesse più ferirlo in alcun modo.

Qualche minuto dopo, sentì che i suoi compagni si avvicinavano.

Si staccò dal fratello.

-Orrido sospetto-. Li guardò uno per uno con espressione minacciosa. –Voi sapevate?-.

-Ehm…- iniziò Kazemaru senza guardarlo. –No… cioè si, ma… no… si…-.

-Traduci in una lingua corrente?- chiese Shirou, cercando di mantenere il tono serio. Non ci riuscì del tutto, ed era palese che stava per mettersi a ridere.

-Lo sapevamo- spiegò Gouenji. –Ma non potevamo dirti niente-.

-Perché?-.

-Perché…-.

Atsuya alzò una mano, facendogli segno di fermarsi. Doveva essere lui a raccontargli la verità.

Si alzò a sua volta e gli andò vicino. –Vedi, la nostra esistenza deve rimanere segreta. Nessuno deve sapere che noi angeli possiamo tornare sulla Terra. Ma Gouenji…- Prese un sospiro –Gouenji mi ha visto durante la mia trasformazione, e non ho potuto far altro che raccontargli la verità. Sapevo che nessuno di loro avrebbe aperto bocca. La cosa più importante era che tu non sapessi niente-.

-E adesso?- chiese Shirou.

Atsuya rimase in silenzio e distolse lo sguardo.

-Adesso?- domandò nuovamente Shirou, con insistenza.

-Adesso compirà il suo destino- arrivò secca la risposta, ma non da Atsuya, bensì da un ragazzo dietro di lui, che sembrava apparso dal nulla.

Kazemaru lo riconobbe subito.

-Lucifer!-.

Il demone sorrise al suo indirizzo, come se stesse salutando un vecchio amico. Stavolta,  non era venuto solo. Attorno a loro, apparvero in rapida successione altre figure, che chiaramente provenivano a loro volta dall’Inferno. Erano tutti bellissimi, malvagi e privi di scrupoli.

Quasi senza accorgersene, Atsuya strinse forte la mano di Shirou, in silenzio, lo sguardo carico d'ira.

-Chi sono?- chiese quest’ultimo, stupefatto da quell’apparizione improvvisa. Stava iniziando a girargli la testa.

-Demoni- ringhiò a denti stretti Atsuya, mentre la sua luce aumentava e i suoi muscoli si tendevano. Era già pronto a battersi per il fratello.
 
“Non lo porterete via da me”
 
Una terza figura apparve accanto ai due Fubuki, facendo sobbalzare Shirou. Un attimo prima non c’era nessuno, un attimo dopo un altro angelo era al suo fianco, le ali enormi e scintillanti, il volto fiero.

-Gabe!- esclamò Atsuya. Non era mai stato così felice di vederlo.

Avrebbe voluto chiedergli perché di colpo fosse sparito, ma non era decisamente il momento adatto.

Si domandò cosa ci facesse lì, dato che palesemente il Paradiso aveva rinunciato a battersi contro i demoni. Aveva forse dissertato?

Per lui?

Si ritrovò a sorridere dentro di sé. Forse c'era ancora speranza, forse non avrebbe dovuto rinunciare alle sue ali. Se non gli avevano impedito di raccontare a Shirou la verità, voleva dire che, implicitamente, gli avevano concesso il permesso.

O almeno, era così che Atsuya aveva iniziato a ragionare dal momento in cui era diventato umano.

Luc fece una smorfia a metà tra lo scocciato e l'ironico. –La tua presenza qui non è necessaria, Gabriel-.

-Non ti permetteremo di portarlo via, Lucifer-.

-Portarlo via?- domandò Shirou, stupito.

Inspiegabilmente, Luc scoppiò a ridere. -Mi stupisce che tu non sappia di cosa io stia parlando-.

Gabriel si intromise, interrompendolo. -Abbiamo ritenuto saggio raccontare ad Atsuya solo il necessario-.

Luc ci mise pochi istanti a fare due più due. Il suo volto s'illuminò, e iniziò a ridere di gusto. -Non gli hai raccontato la verità?- esclamò. –Non ti biasimo, con quel carattere, chissà come avrebbe potuto reagire, eh?-.

Si rivolse ad Atsuya, immobile e silenzioso, lo sguardo lampeggiante., e parlò prima che Gabriel potesse impedirglielo –Atsuya, tu sei destinato all’Inferno-.

Atsuya sentì le gambe cedere e dovette fare un enorme sforzo per restare in piedi., aggrappandosi in parte al fratello.

Non poteva essere vero. Non doveva fidarsi della parola di un demone. L'espressione di Gabe, però, lo atterrì.

Capì che Luc aveva detto la verità.

-Per questo mi cercavano?- esclamò all'indirizzo dell'angelo biondo, il volto in fiamme. Il suo stupore adesso si era rapidamente trasformato in rabbia. Non paura, paura mai. –Ho sempre creduto che fosse a causa del mio comportamento. E invece… qualunque cosa avessi  fatto, sarei stato comunque costretto ad unirmi all'Inferno?-.

Un’enorme ira verso Gabe e verso tutti gli altri angeli lo prese allo stomaco. Non avrebbe mai dovuto fidarsi di loro! Lo avevano preso in giro per dieci anni, nascondendogli la verità e riempiendolo di menzogne.

Credeva di avere almeno una scelta. Aveva lottato, credendo di averla.

Ora, scopriva che non era affatto così. Era stato tutto inutile.

Chissà quante risate si erano fatti al suo indirizzo, Lucifer e gli altri. Il povero, piccolo, ingenuo Atsuya, che combatteva per una vita che non gli apparteneva.

-Unirti all'Inferno?- domandò Shirou con voce rotta. –Perché… Perché dovresti farlo?-.

Luc lo guardò con aria di compatimento. –A causa tua-.

Il poco colore rimasto sul volto di Shirou scomparve del tutto. –A causa mia?- ripetè come a voler comprendere meglio il significato di quelle parole.

-Non è vero!- scattò su Atsuya, destandosi dai propri pensieri. –Non è vero, Shirou! Non è colpa tua! E tu- Rivolse uno sguardo di ghiaccio a Luc. –Non azzardarti mai più a dire una cosa del genere-.

-So che la verità fa male, Atsuya. Ma tu sei consapevole che se non avessi raccontato a Shirou la verità, niente di tutto questo starebbe succedendo. Sai cosa accadrà ora, vero?-.

Shirou guardò interrogativo il fratello mentre l’orrore si dipingeva sul suo volto. –Non vorrai…-.

Luc annuì, con un ghigno. Atsuya lasciò andare Shirou e fece segno a Gabe di stargli accanto. Non che lo avesse perdonato, ma in quel momento la cosa migliore che poteva offrire al fratello era la protezione di un angelo del suo calibro.

Si avvicinò a passi lenti verso il demone. –Io non ti permetterò di fargli del male- ringhiò quando fu abbastanza vicino. –Tu non toccherai mio fratello-.

-Non sono io a fargli del male, Atsuya. Sei stato tu. Tu e la tua stupidità avete messo in pericolo non solo Shirou, ma tutti i tuoi amici. Non è una mia decisione, ci sono costretto. Sono costretto ad ucciderli-.

-NO!- esclamò Atsuya e fece per saltargli addosso, ma una figura appena apparsa accanto a lui lo costrinse a fermarsi, tenendolo per un braccio.

-Lasciami andare, Michael!-.

-Fermati e rifletti. Peggiorerai solo le cose- esclamò l'angelo, la presa ferrea che impediva ad Atsuya di muoversi..

Luc scoppiò in una risata mentre Atsuya lo fissava come un gatto che punta la sua preda, ogni singolo nervo teso, pronto a scattare. -C’è un alternativa-.

-Non voglio favori da te!-.

-Ma potresti salvarli-.

Atsuya impose al proprio cuore di calmarsi. Doveva ragionare lucidamente, non c'era solo il suo destino in ballo, ma anche quello dei due angeli che lo stavano aiutando, dei suoi amici, e di Shirou.

-Quale?- chiese, quasi ringhiando.

-Puoi unirti a noi. Rinuncia alle tue ali, diventa un demone, e io ti prometto che non toccheremo con un dito le persone che ami. La decisione è solo tua-.

Atsuya si immobilizzò sul posto. Perdere le ali era una prospettiva orribile, ma se davvero era destinato all’Inferno, non aveva altra scelta. Non aveva mai avuto altra scelta.  La sua priorità, adesso, era proteggere Shirou e gli altri.

Cosa doveva fare? Cedere al ricatto ed entrare nelle file di Lucifero?

-Non… non posso…- balbettò, più a se stesso che a qualcuno in particolare. Quella prospettiva lo atterriva.

Lucifer si avvicinò di qualche passo. –Atsuya, pensaci. Non hai causato fin troppo dolore a tuo fratello? Non pensi che i tuoi amici non meritino di soffrire ancora a causa tua? Non pensi che sia ora che la vita vada avanti senza di te, come avrebbe già dovuto fare?-.

 Atsuya si prese la testa tra le mani.

- Impediresti una guerra che causerebbe milioni di vittime. Li salveresti, Atsuya, e io so che vuoi salvarli. Ti sto offrendo l'occasione di farlo-.

In fondo, era vero. Da quando era arrivato, non aveva fatto altro che causare dolore. Lo sapeva, e il senso di colpa lo dilaniava.

Forse, nonostante tutto, Lucifer aveva ragione.

Sarebbero stati tutti molto meglio senza di lui. 






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Capitolo 25
*** Capitolo 24- Piccolo Angelo ***


Piccolo angelo
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Il braccio teso, gli occhi fissi in quelli di Lucifer, Atsuya era pronto ad andare incontro al proprio destino. Avrebbe posto fine a quella storia, una volta per tutte. Per una volta, li avrebbe salvati.

Lo avrebbe fatto, si.

Se non fosse stato per quel grido, che lo bloccò sul posto.

-No, Atsuya!-. Shirou si era divincolato dalla presa di Gabe, e gli stava correndo incontro. Atsuya abbassò la mano e lo accolse tra le braccia. –Non puoi farlo!-.

-Shirou-.

-Ascoltami. Io non voglio che tu lo faccia!- esclamò il fratello, le lacrime agli occhi.

 
Nemmeno io voglio farlo.

Ma non posso perderti.

Non di nuovo.”

 
Luc rise. –Come se un umano- e sputò la parola con immenso disprezzo. -Potesse interferire nelle decisioni di Inferno e Paradiso. Vieni, Atsuya, non ascoltarlo-.

Atsuya però, non poteva. La disperazione che leggeva negli occhi del fratello gli gelò il cuore.

-Shirou, sono destinato all’Inferno. Sarebbe accaduto comunque, e in questo modo voi non soffrirete a causa mia. Non ho altra scelta-.

-C’è sempre un’altra scelta. Io non credo nel destino-.

 
Non credi nel destino, fratello?

Ingenuo.

E' stato il destino a separarci.

Doveva andare così”.

 
-Shirou, vi ucciderà! Vi ucciderà tutti, e poi mi costringerà a seguirlo comunque-. Scosse la testa per bloccare Shirou, che già stava per dire qualcosa.

Le lacrime presero a rigargli le guance mentre Gabriel lo allontanava dal fratello, delicatamente, ma senza lasciargli la possibilità di liberarsi.

Atsuya si voltò di nuovo verso Luc, che osservava sorridendo la scena. I singhiozzi di Shirou gli squarciavano il cuore, scavavano in profondità una ferita che non sarebbe mai guarita, che avrebbe continuato a sanguinare dolore e lacrime.

 
Io...non voglio.

Fratello, aiutami.

Per favore”.

 
-Devi promettermi che li lascerai in pace. Lascerai in pace Shirou, e tutti gli altri- gridò Atsuya, allontanando con forza quei pensieri. Non importava cosa lui volesse, se fosse servito a far sì che Shirou e i suoi amici fossero al sicuro, avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa.

-Lo farò- sorrise Lucifer mentre allungava di nuovo la mano e, questa, Atsuya la afferrò senza esitazione.

 
Shirou...fa male...”.
 

Un tremito gli percorse il braccio, come una scarica elettrica, attraversandogli tutto il corpo. Avvertì il bisogno di interrompere quel contatto, subito, non sarebbe riuscito a sostenerlo oltre. Ma Lucifer gli strinse forte la mano, al punto che Atsuya sentì le ossa delle dita scricchiolare. La puzza di zolfo gli arrivava alle narici e gli dava la nausea.  Le sue ali smisero di brillare così di colpo che gli occhi dei ragazzi necessitarono di qualche secondo per abituarsi all'improvvisa penombra.

Erano diventate nere. Nere come la pece. Nere come la notte. Erano ancora bellissime, ma di quel tipo di fascino che ti spinge ad assaggiare un cibo che sai che odierai, che ti spinge verso l'orlo del burrone nonostante tu soffra di vertigini.

Delle immagini iniziarono a scorrere davanti agli occhi di Atsuya. Immagini di morte, di distruzione. Vide vite iniziare e finire in un solo secondo. Vite foreste che bruciavano, animali che morivano, il sangue che scorreva ovunque. Vide intere esistenze spezzate, vide il dolore, e lo avvertì tutto su di sé. In pochi istanti, vide tutta la devastazione che Luc e i suoi avevano causato e sentì l'impulso di vomitare.

 
Questo mondo non mi piace, Shirou.

Tu non ci sei.

Non mi piace un mondo in cui tu non ci sei”.
 

-Benvenuto all’Inferno, Atsuya- rise Luc, ben conscio delle immagini che popolavano la mente del ragazzo. Poi, fece un cenno agli altri demoni. –Uccideteli-.

Nonostante il dolore lancinante al petto e alla testa, Atsuya tentò di liberare la mano dalla stretta.

-Cosa?- esclamò a bocca aperta, lottando per chiudere le immagini di morte fuori dalla propria mente. Stava iniziando a faticare a distinguere cosa fosse reale e cosa non lo fosse. -Che stai facendo? Hai fatto una promessa!-.

Luc rise forte, stringendo la presa sul suo polso, al punto da farlo sanguinare. –Ascolta il mio consiglio, piccolo angelo, non fidarti mai delle promesse di un demone-.

Atsuya stette a guardare impotente mentre i demoni accerchiavano Shirou e i suoi amici. Gabriel e Michael si sollevarono in volo, pronti a combattere.

Erano in schiacciante inferiorità numerica, e si sarebbero fatti uccidere, Atsuya ne era sicuro.

-No, fermo! A cosa serve ucciderli?-.

-Sanno il nostro segreto. E’ la legge-.
 

Sono un idiota, Shirou.

Non posso proteggerti.

Scusami”

 
Atsuya sentì una stilettata al cuore. Come aveva fatto a essere così stupido? Come aveva potuto credere a Luc? Luc era un demone! I demoni non dicevano mai la verità!

Alle immagini che affollavano la sua mente, si aggiunsero quelle di Tokyo devastata, della Raimon distrutta, della casa di Shirou tra le fiamme.

Poi, vennero le immagini dei corpi dei suoi amici. Erano immobili, bianchi, freddi, silenziosi, morti.

Sapeva che erano solo allucinazioni, che niente di tutto quello stava accadendo, ma era difficile, terribilmente difficile trattenersi dallo sprofondare nell'oscurità.

Presto, quelle allucinazioni sarebbero diventate realtà.

E, ancora una volta, era solo colpa sua.

Shirou lo guardò, gli occhi lucidi. –Non è colpa tua, Atsuya- gridò. –Sei stato ingannato, come tutti noi. Non è colpa tua se i demoni ci hanno attaccati. Non è colpa tua se qualche volta abbiamo sofferto. E…- Chiuse gli occhi. –E non è colpa tua se sei morto!-.

 
Non è colpa mia, Shirou?

Stai per morire e ancora ti ostini a dire che non è colpa mia?”

 
-Shirou ha ragione!- esclamò Gouenji, mentre il cerchio di demoni attorno a loro si stringeva. -Inizialmente non mi fidavo di te, ma ho capito che stavo sbagliando. Sei un angelo, Atsuya, non dimenticarlo mai!-.

 
Ma guarda, Gouenji, stai ancora sorridendo...”

 
Le loro voci giungevano ovattate, come attraverso uno spesso vetro. Atsuya guardò gli altri e non lesse nei loro occhi il rimprovero o l’accusa. Nessuno di loro pensava che fosse colpa sua. Nessuno di loro lo odiava per quello che aveva fatto.

Improvvisamente, sentì un grande calore invadergli il cuore. Il calore della fiducia, dell'amore, che gli impediva di crollare nonostante attorno a lui fosse tutto distrutto.

E che fosse dannato se per quell'amore non avesse lottato con tutte le sue forze.

I suoi capelli iniziarono ad ondeggiare, mossi da un vento impercettibile, e la luce della determinazione tornò ad animare i suoi occhi. Le ali nere ebbero un tremito ed esplosero in mille pezzi, con lo stesso rumore di una bottiglia che va in frantumi. Il bagliore delle vere ali di Atsuya ferì gli occhi dei ragazzi.

Quando li riaprirono, Atsuya volteggiava a mezz’aria sopra Luc, il polso ancora stretto nella morsa del demone, il sangue che gocciolava a terra. Il battito delle sue ali generava un forte vento che scuoteva loro i capelli e gli abiti.

Luc lo fissò stupefatto.

-Io non sono un demone- esclamò a quel punto Atsuya. La sua voce era almeno dieci volte più potente del normale, come se stesse parlando attraverso un microfono. Il sole parve ridurre la propria luminosità e convogliare in lui.

Guardarlo faceva male agli occhi e bene al cuore.

-Lo sei!- esclamò Luc mentre stringeva la presa su di lui. –Lo sei e niente potrà cambiarlo-.

-Sono un angelo. Sono un angelo e proteggerò i miei amici- gridò Atsuya e con uno strattone liberò il polso.

Con un ghigno, le sembianze umane di Luc scomparvero. Al posto del bel ragazzo dai capelli neri e il sorriso sghembo apparve una creatura grande il doppio. –Non sfuggirai al tuo destino, Atsuya!- risuonò la voce di Luc, nonostante il mostro non avesse aperto bocca.

Gabriel e Michael si precipitarono verso di lui alla velocità della luce, ma non poterono impedire al mostro di lacerargli la pelle con i lunghi artigli e di scavargli quattro lunghi tagli nel petto.

Atsuya gridò di dolore.  Rabbia e determinazione si fusero in quel grido ed esplose. Non Atsuya, ma la sua luce, si riunì attorno al suo cuore e, con un boato, abbandonò il corpo di Atsuya e colpì i demoni, che sparirono all’istante tra le grida.

Prima di svanire, la risata di Luc risuonò nell'aria. -Sei finito, Atsuya-.

Dopodichè fu silenzio.

Il solo movimento percettibile era quello del battito delle ali di Atsuya che atterrava, e il suo respiro ansante. Nessun altro pareva in grado di emettere un singolo suono.

Gabriel e Michael si fissarono, parlandosi silenziosamente. Non avevano mai visto una cosa del genere, ma sapevano cos’era accaduto.

Atsuya si era ribellato. Li aveva combattuti.

Atsuya aveva vinto.

-Li hai sconfitti!-. Anche Shirou pareva aver capito la situazione. Fece un sorriso a trentadue denti. –Astuya, li hai battuti!-.

Gabriel annuì. –Ce l’hai fatta. Sei davvero un angelo. Sono orgoglioso di te, Atsuya-.

Il piccolo angelo sorrise loro, un sorriso felice ed esausto, poi, incapace di reggersi un secondo di più in piedi, cadde sull’erba del prato. Il fratello gli fu accanto in un istante.

-Fratello! Che succede?-.

Gabriel, inginocchiato accanto a lui, osservò le ferite sanguinanti sul petto del ragazzo e, per la prima volta in vita sua, ebbe paura.

Stette ben attento a non sfiorarle.

-Il veleno di un demone- sussurrò con un filo di voce. –Una delle poche cose in grado di uccidere un angelo-. 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25- Hide and Seek ***


Hide-and-seek
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-Una delle poche cose in grado di uccidere davvero un angelo .
 
 
Quelle parole risuonavano nella mente di Shirou come se qualcuno le avesse registrate e stesse premendo play senza interruzione. Ancora poco e la testa gli sarebbe esplosa.

Atsuya cominciò a tremare sotto il suo tocco. Gli passò una mano nei capelli. –Cosa?- domandò a voce così bassa che nessuno lo udì.

-Com’è possibile?-. Gouenji si era avvicinato. – Credevo che gli angeli fossero immortali-.

-Teoricamente, è così- spiegò Gabriel osservando i tagli sul petto dell'angelo, da cui sgorgava fin troppo sangue. –Siamo immuni a qualsiasi arma umana e non moriamo di vecchiaia, ma possiamo essere uccisi. E' una cosa che accade così di rado. Uccidere un angelo è uno sfregio alla natura stessa delle cose, causa un grande dolore,  a nessuno verrebbe mai in mente di fare una cosa del genere-.

La voce di Shirou risuonò debolmente. –C’è un modo per curarlo?-.

Che domanda sciocca. Certo che c’era. Doveva esserci.

Gabriel lo guardò negli occhi e desiderò ardentemente di potergli dare una risposta diversa, una qualsiasi. Ma non poteva mentire, non avrebbe avuto senso.

In realtà, Shirou non avrebbe avuto bisogno di sentire nulla. Lui sapeva, aveva capito. Era una sensazione, una consapevolezza viscerale che gli stringeva lo stomaco. Eppure, voleva lo stesso aggrapparsi a quella speranza.

L'angelo scosse la testa. Michael gli fu accanto in un attimo, e gli strinse forte la spalla. -No. Il veleno di un demone è estremamente letale. Temo… temo che non ci sia nulla che possiamo fare per lui-.

Cercò di lasciar cadere quelle parole in tono neutro, ma il tremito ne tradiva il dolore.

Non sarebbe dovuta andare così.

 -No…-.

Shirou perse completamente la testa.  Era troppo. Non poteva sopportarlo.

Non un’altra volta.

Non poteva averlo ritrovato solo per vederlo scomparire di nuovo.

Afferrò Gabriel per il colletto della camicia, incurante di tutti gli sguardi che si posarono su di lui, pieni di dolore. Strinse i denti per trattenere le lacrime. –Ci deve essere qualcosa che possiamo fare per lui. Deve esserci! Non puoi lasciarlo morire, non puoi!-.

Nessuno, nemmeno Gabriel, fece niente per fermarlo. Era devastato dal dolore.

Scivolò in ginocchio e si prese la testa tra le mani, il corpo scosso dai singhiozzi. –Non ancora. Per favore, Atsuya, non di nuovo. Non ce la faccio-.

-Shirou-.

Il piccolo angelo aveva alzato la testa e osservava il fratello con un debole sorriso. Allungò stancamente il braccio e Shirou gli afferrò subito la mano. –Va bene. Va bene così…-.

Shirou non poteva credere alle sue orecchie. Lo strinse forte –Ti prego, no Atsuya. Dobbiamo fare qualcosa-.

-Non c’è niente da fare, Shirou. Mi dispiace, ho sbagliato tutto con te…-.

-Non è vero!-.

- Non avrei dovuto dirti la verità. Volevo proteggerti, e invece ti ho solo messo in pericolo. Non sono proprio adatto per fare l’angelo custode…-.

-Non dirlo!-. Shirou gli lasciò la mano e lo abbracciò, affondando il volto nei suoi capelli. Quanto aveva desiderato stare un po’ vicino a suo fratello… certo si era immaginato circostanze molto diverse. –Non avresti potuto far di meglio, Atsuya. Sei tornato da me, e questo è sufficiente-.

Stavolta, anche le guance di Atsuya si rigarono di lacrime. Era tanto che non lo vedeva piangere.  Shirou si sentì stringere il cuore.

-Vorrei fare un’ultima cosa con te, Shirou-.

 ll ragazzo lo allontanò leggermente da sé, per permettergli di parlare senza fatica. –Cosa?-.

-Vorrei che andassimo in un posto-.

Tacque, ma Shirou aveva capito. Con un ultimo singhiozzo, si tirò su e si passò un braccio del fratello attorno alle spalle.

Rivolse uno sguardo di ringraziamento a Gabriel e Michael, che erano due degli angeli più potenti ed antichi del Paradiso e che erano andati contro le regole per aiutarlo. Leggeva nello sguardo di Gabriel che avrebbe voluto far di più per lui, ma aveva fatto più di quanto credeva, e sperava che un giorno sarebbe riuscito a perdonarsi.

Gli sorrise, e si voltò verso i suoi amici.

Kazemaru e Midorikawa piangevano a dirotto, nonostante cercassero in tutti i modi di nasconderlo. Kazemaru aveva il volto nascosto nella spalla di Endou. Persino Kidou aveva distolto lo sguardo, e le nocche della mano che teneva stretta in quella di Fudou erano bianche.

Atsuya li guardò uno per uno. –Non so come avrei fatto senza di voi, amici- disse, col solo risultato di fra sfuggire un singhiozzo anche a Hiroto. Ma doveva lasciarli nel modo giusto, adesso che ne aveva l’occasione. –Non vi dimenticherò mai-.

Endou gli sorrise da sopra la spalla di Kazemaru. –Nemmeno noi, Atsuya. E’ stato davvero fantastico-.

Atsuya si rivolse a Gouenji. –Grazie- disse soltanto.

Centinaia di emozioni si riversarono in Gouenji, facendolo quasi barcollare. Si chiese come avesse potuto dubitare di lui, anche solo per un secondo. –Siamo noi a doverti ringraziare, Atsuya. Per… beh, per tutto-. Lanciò uno sguardo a Shirou. –Vorrei solo che le cose non fossero finite in questo modo-.

-Ma questa non è la fine- mormorò Atsuya. –Tutto questo è solo un altro inizio-.
 
 
Arrivarono nel parco giochi in pochi minuti e si distesero nell’erba alta, solo loro due, come quando erano bambini e si nascondevano perché nessuno li trovasse. Adesso erano chiaramente visibili nella distesa di verde, ma l’effetto era lo stesso. Esistevano solo loro due, isolati dal resto del mondo.

Ci sarebbero state tante cose da dire. Lacrime da versare. Ricordi da sfogliare.

Ma loro rimasero semplicemente in silenzio, mentre lentamente il sole si avvicinava all’orizzonte. Era quasi il tramonto.

Si tennero per mano tutto il tempo.

Si sorrisero, un paio di volte.
 
“Ti voglio bene, Shirou.

Ti voglio bene anche se mi odi”.

 
 
-Sai…- sussurrò a bassa voce Shirou. –Tempo fa, il cielo era l'unica cosa che mi ricordava che non ero solo. Adesso so che avevo ragione-. Si voltò a guardare il fratello. –Tu ci sei sempre stato, non è vero?-.

-Tu non sei mai stato solo. Quando ti ho lasciato… mi sono odiato, ho odiato la valanga e il maledetto destino. Odiavo l’amore che ci legava, perché era troppo profondo. Non avrei mai permesso a qualcosa di futile come la morte di separarci-.

Si alzò un lieve venticello, che fece ondeggiare la catena delle altalene. Atsuya rabbrividì.

-Hai freddo?- chiese Shirou.

-No, non più-.

-Sei sicuro?-.

-Si, perché continui a chiedermelo?-.

-Non saprei… forse cerco solo un pretesto per abbracciarti-.

Si strinsero uno all’altro. Entrambi avevano aspettato quel momento per anni, e nonostante sapessero che non sarebbe mai arrivato, non si erano arresi. La loro attesa non era stata inutile. Si erano ritrovati. Ma a quale prezzo?

-Mi dispiace- mormorò Atsuya. –E’ tutta colpa mia-.

-Invece, penso che tu non potessi comportarti in modo migliore e se permetti, è la mia opinione quella che conta-.

Atsuya si lasciò sfuggire una risatina.

“La risata di mio fratello… quanto desideravo risentirla”.

 
“Ti ho voluto bene, Shirou.

Ti ho voluto bene anche se mi hai odiato”.
 
 

-E’ quasi ora- osservò, scrutando il cielo.

Shirou sentì una stilettata di ghiaccio al cuore. –Sei sicuro?- chiese in  un ultimo, disperato tentativo di persuaderlo a cercare una soluzione.

Atsuya sorrise. -Si, Shirou. Questi tagli stanno prosciugando le mie energie-.

-Se penso che non ti rivedrò più…-.

-Ma ci rivedremo, Shirou. Noi ci troveremo sempre. Ricordi quando eravamo bambini e giocavamo a nascondino proprio qui, in questo parco? Alla fine, ci trovavamo sempre-.

Grosse lacrime calde rigarono le guance di Shirou mentre avvertiva l’eco delle voci innocenti di due bambini.

La luce di Atsuya si era affievolita. Stava letteralmente scomparendo.

-Allora, te ne vai di nuovo-.

-Non vorrei, Shirou. Ma si, devo andarmene-.

Il suo corpo era quasi diventato trasparente. Le ali avevano smesso di brillare.

Solo il suo sorriso rimaneva intatto.

Shirou si sentì sciogliere il cuore mentre la mano del fratello che lui stringeva perdeva consistenza, finchè non si ritrovò a stringere l’aria.

Si alzò a sedere di scatto. –E’ un addio?-.

-Non è niente-.

Scoppiò a piangere e allo stesso tempo a ridere. Guardò l’ultima volta il volto del fratello, prima che scomparisse definitivamente. Adesso lo sapeva, per rivederlo gli sarebbe bastato guardarsi allo specchio. Ma quel pensiero faceva solo più male.

-Inizio a contare- disse la voce di Atsuya.

Shirou alzò lo sguardo al cielo. Piangeva.

-Se ti trovo, ti abbraccio e non ti lascio più andare-.

-Se non mi trovi, sono dietro alla nostra stella-.

Poi ci fu solo silenzio, e Shirou seppe che se n’era andato.

Si lasciò cadere a terra. Nel cielo ancora rosato, apparivano le prime stelle.

Fu solo a quel punto che si lasciò andare al dolore. I tremiti gli scuotevano il corpo e i suoi singhiozzi squarciavano l’aria mentre l’enormità di quello che era successo gli piombava addosso tutta insieme.

Adesso sapeva che non l’avrebbe mai più rivisto.

Allora perché si sentiva felice?
 
 
Quando tornò a casa di Kidou, si sorprese nel ritrovare tutti i suoi amici esattamente dove li aveva lasciati.  Erano passate ore, ormai era notte inoltrata.

-Gabriel?- chiese quando Gouenji gli si avvicinò.

-Se n’è andato-.

-Non l’ho nemmeno salutato-.

-L’ho fatto io per te-.

Guardò uno per uno i suoi amici. Un gran calore gli si diffuse nella zona del cuore.

 -Va tutto bene?- chiese Gouenji.

 
“Ti vorrò bene, Shirou.

Ti vorrò bene anche se mi odierai”.
 

Shirou alzò lo sguardo al cielo. Ed eccola lì, più brillante che mai, individuò la loro stella.

-Si- rispose, rivolgendole con gli occhi un segno di saluto. Non si sarebbe più dimenticato dov'era, ne era certo. –Adesso va davvero tutto bene-.
 
 
Se n’è andato. Se n’è andato di nuovo.

Ma adesso sono felice.

Ho capito che non devo sognare la mia vita, devo vivere i miei sogni.

E ho capito che qualunque cosa farò, non sarò solo.

Che qualcuno mi sarà accanto.

Sia pure angelo, spirito o semplice amico.

[Shirou]

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


A Smiley


Epilogo
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-Shirou! Vieni o no?-.

Poso la penna e mi stiro. Sento le ossa scricchiolare. Quanto diamine di tempo è passato?

Dalla finestra, un caldo raggio di sole mi illumina in pieno volto. Maggio è arrivato, finalmente, e con lui la fioritura del ciliegio di fronte casa mia.

-Arrivo!- grido, impilando i fogli in ordine sulla scrivania e urtando come al solito il portapenne, che rovescia tutto il suo contenuto per terra. Dovrei decidermi a fare pulizia, magari smetterei di perdere continuamente le matite.

Gouenji mi sta aspettando in corridoio, assieme a un altro ragazzo che batte nervosamente il piede a terra.

-Ti sbrighi?-.

-Endou, sei spossante- sbuffo afferrando le chiavi di casa con lui che saltella impaziente davanti all’ascensore. Sospiro, lancio uno sguardo alla foto sul mobiletto e chiudo la porta. Prima stava su uno scaffale in camera mia, ma poi ho pensato: perchè una cosa così importante dovrebbe stare a prendere la polvere su una mensola dimenticata? Così, ora eccola qui.

-Cosa stavi facendo?- indaga sospettoso Endou.

Mio malgrado, mi sento arrossire. Non sono ancora pronto a dirglielo.

-Niente- rispondo in fretta. Lui mi lancia un’altra occhiata dubbiosa, poi decide di lasciar perdere, distratto dall’arrivo di Hiroto e Midorikawa. Il bello di avere un amico come Endou è che è facile distrarlo.

Solo Gouenji sa che sto tenendo un diario dove ho riportato la nostra storia. Chissà, forse gli altri lo troverebbero strano. Però mi fa sentire bene il fatto che tutto sia nero su bianco. E’ come una prova che sembra gridare “Non vi siete inventati tutto! E’ successo davvero, oh si”.

Passiamo a prendere Kidou, di nuovo in depressione, dato che Fudou è partito di nuovo per Okinawa. Questa volta, però, però so come consolarlo.

-Dai, le vacanze cominciano tra poco più di un mese- esclamo quando lo vedo apparire assieme alla sua nuvoletta nera di depressione. -Andremo ad Okinawa quest’estate e  passerete insieme un sacco di tempo!-.

-Un mese?- mormora lui. –Non sopravvivrò un’altra ora-.

-Lo dici da settimane, ormai- sbuffa Hiroto.

Kidou si limita a lanciargli uno sguardo abbattuto e lui cambia argomento. –Siamo in tempo?- chiede a Endou, che guarda l’orologio ogni quattro-cinque secondi.

-Dovrebbe atterrare proprio in questo momento- esclama lui, scorrendo per la diciassettesima volta la lista degli orari di arrivo degli aerei.

La persona che Endou sta aspettando con tanta ansia è ovviamente il suo fidanzato, Kazemaru Ichirouta, che, dato che il Football Frontier è finito, ha deciso di ricominciare a gareggiare con la squadra di atletica e oggi torna dopo un torneo due settimane in Italia.

Abbiamo seguito ogni sua gara in televisione. Non so se siano stati gli allenamenti intensivi o il tifo indiavolato di Endou, ma Kazemaru ha vinto più gare di tutti i suoi compagni di squadra e tutti ci aspettiamo di vederlo comparire con una bella medaglia d’oro appesa al collo.

Non appena lo intravede all’uscita del check-in che si trascina dietro il trolley e si guarda intorno,  Endou fa voltare mezzo aeroporto, correndogli incontro al grido di –Ichi-kuuuun!!-.

-Voi lo conoscete?- domanda Hiroto distogliendo lo sguardo dal ragazzo moro che ha praticamente fatto cadere Kazemaru col sedere sul pavimento dell'aereoporto, mentre una signora dall'aria antipatica e con un barboncino in braccio ci scansa infastidita. Come sempre, ci siamo fatti riconoscere.

-Assolutamente no- risponde Midorikawa, per poi correre a sua volta verso il suo migliore amico e saltargli addosso. Hiroto sospira scoraggiato.

Come sono belli gli incontri agli aeroporti. Ho sempre adorato l’aria elettrizzata che si respira mentre si aspetta qualcuno che è importante per te e il tuo unico desiderio è riabbracciarlo e assicurarti che stia bene.

Io convivo con questa sensazione praticamente tutti i giorni.

Ma non mi lamento. Sarebbe potuta andare molto peggio no?

Per esempio… bhe, per esempio…

Oh, insomma, Atsuya sarebbe potuto non venire proprio sulla Terra, no?

Rabbrividisco al pensiero di cosa sarebbe successo se mio fratello non fosse stato un tale testardo e non avesse praticamente costretto gli angeli ad accordargli il permesso di vestire i panni del caro vecchio Tayou.

-Hai freddo?- chiede Gouenji. Mi scopro a chiedermi stupidamente se voglia un abbraccio.

Sorrido, mentre mi stringo a lui.

Lui sa che ogni sera passo molto tempo a fissare il cielo, e una stella in particolare, con un sorriso ebete sulla faccia. Lui sa che scrivere cosa è successo mi aiuta ad andare avanti. Lui sa che non potrei mai dimenticare.

Lui sa, e mi capisce. Mi ama, e io amo lui.  Cosa potrei desiderare di più del vero amore?

Cosa potrei desiderare di più di avere amici che si abbracciano all’aeroporto gridando come bambini e che ridono del fatto che Endou abbia appena proposto a Kazemaru di giocare assieme a calcio?

E cosa potrei desiderare di più del tocco di mio fratello che ogni mattina mi sfiora la fronte e mi riscalda il cuore, ricordandomi che lui c’è, e che ci sarà sempre?

 
E stavolta, devo davvero chiudere.

Questi ultimi mesi sono stati fantastici.

Sono successe più cose di quante avrei mai potuto immaginare.

Adesso so che sempre, in qualunque occasione, lui sarà al mio fianco.

Avrò bisogno spesso di ricordarmi questa semplice verità.

Per il momento, non mi resta che mettere a questa storia la parola

 
Fine
 
 [Shirou]





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