Niente più vino

di Le due zie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bottiglie vuote e macchie sospette ***
Capitolo 2: *** Ricordi confusi e confuse speranze ***
Capitolo 3: *** Realtà che si svelano e un'ultima bottiglia ***



Capitolo 1
*** Bottiglie vuote e macchie sospette ***


Bottiglie vuote e macchie sospette
 
Inarcò appena la schiena, irrigidendo le spalle fino a far tremare le braccia, e poi si volse, quasi compiendo un salto, per sistemarsi sul fianco sinistro, raccogliendo le ginocchia al petto e allungando un braccio sotto il guanciale morbido. Tornò a rilassarsi, prendendo un profondo respiro, che si spezzò lasciandole impresso nella mente e nella gola un profumo amaro e piacevole, nuovo eppure ben noto.
Attese qualche istante, corrugando la fronte e poi strizzando le palpebre sugli occhi, lasciando che la mente potesse rincorrere quel profumo, raccoglierne i lembi e riallacciarli a un qualche ricordo, ma non ebbe modo cogliere nessuno dei dettagli confusi che, lentamente, parvero venire a galla, fluttuando nella bruma densa che la stava avvolgendo in una carezza piacevole. Tornò a distendersi, allungando e gambe nude sotto il lenzuolo e abbandonandosi di nuovo a quegli attimi di pace che avvolgevano corpo e mente regalandole un inusuale benessere; inspirò ancora, inumidendosi le labbra, e le parve di rinnovare, in quel gesto, la piacevole sensazione portata dall’eco di quella sorta di profumo.
D’istinto, sollevò le ginocchia, chiudendole una contro l’altra e piegando le gambe, e venne colta di sorpresa da una sensazione insolita, in bilico tra disagio e gratificazione, ritrovandosi a inseguire il filo di quel sentire fino quasi a contrarre il ventre, trattenendo il respiro.
Allora spalancò gli occhi, puntando lo sguardo al soffitto scuro, e alle sue travi fitte, e poi scendendo a scrutare tutto attorno a sé; riconobbe immediatamente la piccola stanza da letto attigua al proprio ufficio della Caserma della Guardia Metropolitana, le pareti imbiancate a calce, ormai ingiallite dal tempo, il mobile basso e scuro con il necessario per la toeletta, con lo specchio da rasatura, l’orologio da tavolo che non si era mai premurata di far mettere in funzione e una bottiglia di vino ormai vuota; e poi, proprio di fronte alla toeletta, la sedia dalla fodera lisa, sulla quale era solita poggiare la divisa nelle rare occasioni in cui decideva di non fare rientro a palazzo, preferendo rimanere a trascorrere la notte in città.
Socchiuse lo sguardo, fissando proprio la sedia per qualche istante, concentrata a riflettere su quel dettaglio insolito, prima di sporgersi dal letto a cercare la propria uniforme; scorse la giacca ripiegata in modo accurato sulla piccola consolle accanto alla porta che conduceva al suo ufficio, mentre i pantaloni erano stati sistemati sul cavalletto insieme all’asciugamano, accanto alla toeletta. Pur nella penombra della stanza, notò immediatamente come la stoffa blu fosse segnata da un lungo alone scuro, che colava lungo una gamba in uno spaglio di macchie più minute.
Rimase immobile, assottigliando lo sguardo su quei dettagli curiosi e poi si volse di scatto a scrutare di nuovo la camera: ai piedi del comodino, quasi nascosta sotto di esso, scorse una seconda bottiglia vuota, aperta e rovesciata a terra e, poco oltre, un’altra ancora; sul bordo del catino della toeletta, abbandonato dentro ad esso, riconobbe il lembo di un asciugamano sul quale erano evidenti aloni scuri, quasi certamente macchie di sangue diluite dall’acqua, e segni bruni, forse polvere o terra.
Senza nemmeno riflettere, si volse al proprio guanciale, riconoscendo sulla stoffa candida della federa l’eco di quegli stessi segni scuri, mentre, allungato un braccio, con mano tremante prendeva ad accarezzarne le tracce.
Chiuse gli occhi e deglutì, nonostante tra le labbra avesse avvertito una improvvisa arsura; allora portò una mano alla fronte, espirando lentamente, per poi lasciarsi cadere di nuovo sul letto, cercando una sorta di conforto nel contatto con le lenzuola, affondando il capo nell’abbraccio morbido di quella stoffa e di ciò che iniziava ad evocare.
Si abbandonò al silenzio della propria stanza, controllando a fatica il proprio respiro, avvertendo che ogni soffio nascondeva un singulto e che in gola un nodo si era stretto, riallacciando tra loro i ricordi confusi della notte.
Sentì la pelle bruciare, le labbra accendersi fino quasi a scottare e le mani vibrare, mentre il calore di sguardi silenziosi e carezze morbide si faceva vivo, se pure ormai perso, o forse immaginato; si sforzò di recuperare lucidità e avvertì il corpo accendersi di una strana consapevolezza che la mente non riusciva ancora a ricomporre, mentre la nebbia perfida dell’alcool disfaceva i contorni di ciò che ricordava, o forse credeva di ricordare, in un andare e venire continuo, come di onda sulla spiaggia sabbiosa che cancella e modifica le orme sulla rena più sottile. Ingaggiò una lotta con se stessa, certa di averne un ricordo vero: strinse le dita sui palmi, mentre riusciva ancora a percepire sotto i polpastrelli la morbidezza della pelle liscia, violata eppure incredibilmente lucida, quasi fosse setosa; i suoi palmi potevano ancora riempirsi della curva solida delle spalle, delle braccia e del torace magro, sul quale i muscoli disegnavano un intreccio forte, nonostante il dolore fosse lì, sotto pelle, quasi solido sotto le sue dita incerte.
Scosse il capo e allargò le braccia sul materasso, quasi a voler avere conferma della  propria solitudine, e poi le incrociò sul petto, concedendosi quello che le parve un abbraccio e che in un istante, invece, divenne l’ultima stretta attorno ai propri sussulti, mentre le lacrime, calde e silenziose, prendevano a sciogliere gli ultimi dubbi e i più deboli ricordi, lentamente, si ricomponevano in un unico possibile passato, sfidando anche la lusinga del vino.
 
Quando si sollevò dal letto, la luce già filtrava arrogante tra le tende scure che schermavano la finestra affacciata sul cortile.
Alzandosi, raggiunse l’apertura, scostando appena le tende per scrutare oltre vetro; il sole era basso sulla città e la Caserma sembrava essere animata appena dai movimenti che seguono il risveglio: nel grande cortile, due soldati stavano raggiungendo con passo lento l’armeria nel corpo che chiudeva a occidente la corte; sul lato opposto, un altro soldato di ritorno dalla latrina, stava attraversando la piazza, per dirigersi verso i gradini dell’accesso al dormitorio comune; presso il varco aperto sulla via, un capannello in uniforme blu chiacchierava gesticolando con fare vivace.
Lasciò rapida la finestra, consapevole che fosse tempo di prepararsi alla propria giornata da Comandante, pronta a rivestire l’uniforme e con essa l’armatura di apparenze che ormai da tempo pesavano sulla sua vita in modo opprimente. Frugò nel cassetto della toeletta, sollevando lo sguardo al soffitti e soffiando uno sbuffo di ringraziamento alla solerzia della nonna che, preoccupata che potesse mai averne necessità, l’aveva convinta a lasciare in caserma almeno un cambio pulito per la propria uniforme. Si guardò attorno, cercando le fasce, ma senza successo; tornò al letto, quasi stizzita, sollevando le lenzuola fino a sfilarle da sotto il materasso, senza altro risultato, e poi si chinò a terra, cercando fin sotto il giaciglio, per poi rialzarsi, accigliata. Scosse il capo e infilò i pantaloni, sbuffando, rimandando a più tardi la risoluzione del problema e considerando come, probabilmente, nonostante non fossero parte del più classico dei necessaire da Comandante, anche le fasce avrebbero dovuto essere aggiunte al cambio pulito da tenere in Caserma. Con gesti esperti, annodò al collo lo jabot e indossò la giacca sopra la camicia, senza curarsi d’altro; allora lo sguardo tornò al catino da toeletta e all’asciugamano macchiato di sangue che ancora vi era appoggiato e il suo respiro rimase spezzato, mentre anche quel ricordo prendeva forma nella sua memoria provata dalla notte. Indugiò sugli aloni scuri, accarezzandoli con lo sguardo per alcuni istanti, e poi portò una mano al petto, chiudendovi le dita come a cercare la lunga striscia di stoffa che ora sapeva dove fosse finita. Rimase sospesa, nel tentativo di ripercorrere anche quegli istanti … fino a quando un rumore ovattato, oltre l’uscio, non la riscosse; allora spalancò il battente, dirigendosi verso l’ufficio, decisa ad affrontare il mondo e i propri spettri, quasi che il momento di lasciare quella stanza fosse divenuto impossibile da rimandare oltre.
Richiuse il battente dietro le proprie spalle e sollevò il capo, per rimanere impietrita, rendendosi conto di non essere sola.
Dischiuse le labbra, ma fu incapace di proferire parola; corrugò la fronte e non poté che fissare lo sguardo sull’uomo in blu che occupava per intero il divanetto posto accanto alla porta che conduceva al corridoio della Caserma. Venne colpita dai suoi capelli scuri e lucidi, dalle sue spalle larghe, dall’apparente tranquillità con cui pareva giocare con il coltello che teneva tra le dita, facendo scivolare la lama sul palmo, per poi bloccarlo in una stretta ferma.
Al suo ingresso, l’uomo sollevò lo sguardo dalle proprie mani, per lasciarlo scivolare lentamente su tutta la lunghezza dell’ufficio, fino a raggiungerla, laddove si era bloccata, e poi mostrarle un’espressione ambigua, le sopracciglia sollevate sugli occhi e un sorriso sghembo a piegare le labbra. Non le disse nulla, forse in attesa che lei si riprendesse dall’empasse in cui era caduta, e si limitò ad osservarla, sornione.
Allora, lei cercò di recuperare il massimo del proprio contegno e raddrizzò la schiena, corrugando appena la fronte, nello sforzo di aggiungere anche quell’ultimo tassello a tutti quelli che, faticosamente, aveva creduto di ricostruire; si schiarì la gola, deglutendo a forza, per poi chiamarlo, faticando quasi ad emettere suoni.
- A … Alain? –

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Capitolo 2
*** Ricordi confusi e confuse speranze ***


Ricordi confusi e confuse speranze
 
I suoi passi risuonavano pesanti ed un poco incerti nella penombra del corridoio a mala pena scalfita dal rosa dell’alba che si insinuava attraverso le ampie vetrate.
Andrè si fermò un istante per prendere un respiro profondo e terminare di abbottonare la giubba, malgrado le dita intorpidite non ubbidissero ai suoi comandi, soggiogate come erano ancora, come ogni altra parte del suo corpo, dalle sensazioni potenti che lo avevano travolto nelle ultime ore. Una volta terminato il difficile compito di far rientrare ogni bottone nella propria asola scosse piano la testa, deciso a scacciare via la bruma pesante dell’alcol che ancora aleggiava tra i suoi pensieri e provò ad imbastire un discorso verosimile col quale introdurre la sua richiesta: di certo Alain non si sarebbe fatto carico dell’incombenza che intendeva affidargli senza pretendere delle spiegazioni, e quella era la parte più complicata di tutta la faccenda.
Non ricordava tutto quello che era successo in quella camera nella notte appena trascorsa, complici il vino e lo stupore che gli aveva trasformato l’anima in un velo leggero, e ciò che rammentava non intendeva certo condividerlo con il più scanzonato ed irriverente dei suoi commilitoni. Lo stomaco gli si contrasse al ricordo dell’indugiare lieve delle dita di lei sulla sua pelle: tutto era stato così  nuovo e così antico al tempo stesso che aveva creduto, a tratti, di sognare.
Il cigolio rugginoso del grande portone che si apriva per dar modo di rientrare alla ronda notturna lo strappò bruscamente dai pensieri caldi e sinuosi che il ricordo di quel tocco incerto aveva richiamato alla sua memoria, insieme alle sensazioni tattili della stoffa grezza delle lenzuola che li avevano accolti ed al profumo dei suoi capelli: rose al mattino e polvere e inchiostro … gli avevano sfiorato il viso quando si era chinata su di lui ed era stata così  incredibilmente diversa e arresa e sincera che il suo cuore aveva tremato e, per un lungo, brevissimo istante, aveva osato sperare.
Si accorse che stava ancora sperando, anche ora, il suo cuore testardo, malgrado l’incertezza e la sofferenza fisica che il brusco rimettersi in movimento gli aveva causato, mentre i passi ritrovavano il loro ritmo e la mente si concentrava su cosa dire ad Alain prima di uscire per la ronda che lo avrebbe tenuto lontano dalla Caserma, e da lei, per tutto il giorno.
 
Era stata una lunga, strana giornata.
La stanchezza aveva scacciato pian piano dalle sue membra la tensione e la luce del sole aveva richiamato la successione degli eventi: gran parte dei ricordi erano arrivati e, disciplinati e nitidi, si erano incasellati nella sua mente, come pedine su una scacchiera. Ne erano rimaste vuote solo alcune, ma quelle erano state colmate dalle sensazioni che ancora lo pervadevano, potentissime  seppur quasi incredibili.
André sorrise piano, tra sé e sé, cullato dal movimento costante del cavallo al passo mentre affrontava l’ultimo tratto di strada prima di giungere in Caserma.
Aveva ricordato, della notte precedente, quasi tutto.
La convocazione di Oscar era giunta appena dopo cena, ancora prima che lasciasse il refettorio. Ad assolvere all'ambasciata era stato una recluta, che si era mosso guardingo tra i veterani dei Soldati della Guardia, preoccupato che il solo avvicinarsi a lui, oggetto poche ore prima di un pestaggio efferato, lo etichettasse come personaggio scomodo.
Mentre raggiungeva l’ufficio di Oscar non era riuscito a trattenere la preoccupazione: sapeva benissimo quale tipo di pressione aveva esercitato in quel periodo  il Generale sulla propria figlia affinché  accettasse  la proposta di matrimonio del Conte Girodel ed il cuore gli aveva martellato piombigno nel petto al pensiero che la motivazione  di quel colloquio potesse essere la decisione di Oscar di accettare quella proposta.
Il suo stupore e il suo sollievo erano stati quasi tangibili quando l’aveva trovata seduta in posa scomposta alla scrivania, le lunghe gambe appoggiate al piano dello scrittoio e la testa addossata allo schienale imbottito,  una bottiglia tra le mani già vuota per metà  ed un’altra ancora chiusa insieme a due bicchieri, vicino ad una pila ordinata di documenti. Per qualche istante non vi era stato altro che silenzio, tra loro; poi lei aveva preso un respiro e lo aveva guardato.
- Come ti senti, André? - gli aveva domandato, gli occhi azzurri colmi di qualcosa che lui era certo di non avervi più scorto da anni.
Si era preso qualche istante prima di rispondere, per godersi appieno quello sguardo e quella Oscar priva della corazza altera con cui si era celata negli ultimi tempi. Gli era parso di scorgere un barlume dell’antico affetto che li aveva legati in quell’azzurro e in quella sensazione tiepida ed amica aveva voluto cullarsi, e scaldarsi, dopo tanta solitudine.
Poi aveva visto gli occhi di lei velarsi di preoccupazione ed aveva risposto - Meglio, Oscar, ti ringrazio. -
Lei aveva riempito entrambi i bicchieri ed il vino, rosso e corposo, li aveva aiutati a superare quei primi minuti di diffidente imbarazzo. Era grande il vuoto da colmare tra loro, un baratro irto di silenzi e ferite e strappi dolorosi, e ci erano voluti parecchi bicchieri e parecchi discorsi di circostanza prima che Oscar si decidesse a fargli percepire il motivo vero per cui lo aveva mandato a chiamare. Era stato a metà  di un discorso sul valore di un uomo, su cosa davvero lo rendesse tale, se il titolo nobiliare o la sua essenza più profonda: lei si era alzata e infervorata dal discorso,  si era tolta la giacca, le guance accese dal vino e dalla foga con cui esponeva il suo pensiero.
- Non credo che molti avrebbero saputo affrontare ciò che hai affrontato tu, ieri sera col tuo stesso coraggio, André, - aveva esclamato scagliando lontano la giubba con un gesto rabbioso - Non la metà dei tuoi compagni, o dei miei ex soldati delle Guardie Reali, non gli stessi vigliacchi che ti hanno aggredito, non Girodel … -.
La voce le si era smorzata, su quel nome, e si era affrettata a versarsi un altro bicchiere di vino. Quando aveva ripreso a parlare il suo sguardo era perso otre la finestra, illuminato dall’ultimo rosseggiare del tramonto - Come posso pensare di affidare il resto dei miei giorni ad un uomo che non … - si era interrotta ed aveva tracannato il vino rimasto nel bicchiere tutto d’un fiato, poi era tornata su di lui che, nel frattempo, sebbene non del tutto fermo sulle gambe, aveva raccolto la giubba e l’aveva ripiegata ordinatamente sul ripiano del mobile.
- Sei davvero sicuro che sia tutto a posto, André? - gli aveva domandato - Io non potrei mai perdonarmi se ti succedesse di nuovo qualcosa … -.
Lui aveva provato a rassicurarla ma, complice l’ennesimo bicchiere che lei gli aveva messo tra le mani, non ricordava bene come; da quel momento i suoi ricordi sfumavano in una marea di sensazioni ed in pochi fotogrammi di abbacinante bellezza: l’oro dei suoi riccioli accostato al suo viso ed il suo profumo ad invaderlo tutto; la sua camicia stazzonata da un giorno di caserma che scivolava tra le mani di Oscar e planava lenta sul pavimento; il calore delle dita di lei sul suo petto, poi più giù, sotto le costole a disegnare un sentiero di gioia e sofferenza squisite, e infine la sua risata, la stessa della loro infanzia perduta, vicinissima alla sua bocca un istante prima che il letto cigolasse sotto il peso dei loro corpi e l’eco delle loro risate si estinguesse sulle travi del soffitto.
Si era risvegliato qualche ora dopo, richiamato da qualcosa di indefinito che si era attivato in lui nel percepire i rumori ovattati della Caserma che si risvegliava. Era abbracciato stretto a lei, il volto perduto tra i suoi capelli e le gambe intrecciate a quelle nude di lei, ancora profondamente addormentata. Per alcuni istanti non aveva compreso nulla, immerso com’era in quell’universo meraviglioso che palpitava al ritmo dei loro respiri, poi il pensiero che lo aveva condotto alla veglia aveva preso forma e aveva soperchiato tutto il resto: era di ronda al primo turno quel giorno e se non si fosse presentato sarebbero venuti a riferirlo al Comandante e lo avrebbero trovato lì, in quel letto sfatto con il Comandante mezza nuda tra le braccia. Quel pensiero bastò a fargli recuperare almeno la lucidità necessaria a sciogliersi dal corpo caldo di lei, forse la cosa più  difficile gli fosse mai toccato di dover fare in tutta la sua vita e, recuperati a tentoni gli abiti, sgusciare fuori dall’ufficio, la mente offuscata che provava pian piano a ricordare.
 
- Mi stai dicendo che vuoi che vada nell’ufficio del Comandante, ma senza affacciarmi alla camera da letto, e che vuoi che aspetti che lei si svegli? - il tono di Alain era una via di mezzo tra il burbero ed il divertito, mentre guardava André affannarsi nel cercare cappello e bisaccia, ostacolato dai riflessi ancora sopiti e dalla scarsa luce del dormitorio, a quell’ora di mattina - E, di grazia, perché vuoi che faccia tutto questo? E da dove diavolo vieni, stropicciato e stordito come un gatto in amore? –
André  si era fermato un attimo e aveva guardato Alain dritto negli occhi.
- Non posso dirtelo. - aveva replicato - Ti chiedo di farmi questo favore, perché qua dentro sei l’unico amico che ho. E perché so che lei non può svegliarsi da sola … non dopo … -
L’altro aveva fischiato piano e l’immancabile stecchino aveva girato un paio di volte tra le belle labbra.
- Accidenti, Grandier! Ho come l’impressione che tu ti sia cacciato in un guaio bello grosso stavolta! - aveva incrociato le braccia dietro la testa e sospirato platealmente, prima di continuare - E va bene, lo farò! Ma non credere di cavartela così: dovrai raccontarmi tutto, stasera. -
Si era predisposto a scendere dalla branda, quando una mano di André  lo aveva fermato - Un’ultima cosa, Alain. - gli aveva detto, lo sguardo serio; aveva preso fiato, ma le parole avevano comunque faticato ad uscire - Quando si sveglia, ti prego, domandale se ha un messaggio per me. –
 
La caserma era in vista e André percepì un formicolio eccitato partire dall’incavo della schiena, indugiare sui fianchi e sul ventre, là  dove era ancora tangibile il passaggio delle mani bianche di lei, e tramutarsi in un calore avvolgente che salì a lambirgli il cuore.
Spronò il cavallo per metterlo al trotto e si unì al gruppo di soldati che stavano già valicando l’ingresso.
- Sono pronto. - mormorò.

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Capitolo 3
*** Realtà che si svelano e un'ultima bottiglia ***


Realtà che si svelano e un’ultima bottiglia
 
La tensione dell’attesa gli aveva decisamente chiuso lo stomaco; nonostante la lunga, interminabile, giornata trascorsa per le vie della città, nonostante la fatica fisica e l’impegno del dover stare sempre all’erta, pronto ad individuare ogni motivo di possibile disordine e ad intervenire nella maniera più consona per limitare i danni, nonostante il sole torrido e la sete che gli aveva bruciato la gola e le membra per tutto il giorno, nonostante il peso, ma anche la leggerezza, di ciò che aveva trascinato con sé ora dopo ora, nonostante tutto, non era riuscito a ingoiare più di qualche boccone.
Aveva raggiunto i suoi compagni al tavolo, nella soffocante confusione del refettorio, e si era lasciato scivolare sulla lunga panca fino a posizionarsi giusto di fronte ad Alain, puntandogli gli occhi addosso, convinto che l’amico non si sarebbe fatto pregare, per vuotare il sacco e dirgli ciò che doveva.
Invece Alain aveva sollevato le sopracciglia scure per un istante, rispondendo al suo sguardo con un sorriso ambiguo e gli occhi scuri, quasi brillanti, ma non aveva detto nulla, proseguendo nel suo mangiare vorace e rumoroso, spargendo briciole sulla mensa e partecipando alle chiacchiere degli altri commilitoni, provocandone alcuni, rispondendo malamente ad altri, quasi ostinato, nel fingere palesemente di ignorarlo; e anche quando i compagni, uno dopo l’altro, se ne erano andati dalla tavola, e l’intero refettorio si era quasi assopito, nel suo brusio opaco, Alain per un po’ non si era mosso dal proprio posto, rimanendo a fissarlo, inaspettatamente silenzioso, mentre sorseggiava lentamente un bicchiere di vino dopo l’altro, fino all’ultima goccia rimasta nella caraffa sbrecciata, per poi allungarsi ad afferrare quella del tavolo vicino.
André aveva atteso il più possibile, nascondendo la propria curiosità sotto un velo di stanchezza e dietro quel tipico fare riservato e malinconico che ormai era divenuto il suo modo di essere all’interno della vita della Caserma; aveva giocato con le briciole di pane rimaste sulla lunga tavola, sminuzzandole tra le dita, radunandole e poi sparpagliandole di nuovo, sfiorandole con il palmo aperto e poi tornando a riunirle in un unico insieme polveroso … ma poi, spossato, si era arreso. Aveva espirato con tutta la forza rimastagli in corpo, sibilando la propria delusione tra le labbra strette, e puntando i palmi sul tavolo si era alzato, senza nemmeno dedicare ad Alain un’ultima occhiata.
Allora, solo in quell’istante, Alain si era mosso e con uno scatto da predatore gli aveva afferrato il polso, quasi immobilizzandolo e impedendogli di allontanarsi dal tavolo, per poi strattonarlo appena, tirando il braccio davanti a sé e forzando André a tornare sui propri passi.
- Sicuro di aver mangiato abbastanza? – gli chiese Alain a bruciapelo, con fare serio, spiazzante.
André rimase un istante in sospeso, per poi reagire, facendosi vicino al viso del soldato, con un piglio quasi minaccioso.
– Sicuro di non avere nulla da dirmi? – gli chiese a sua volta, e immediatamente vide il viso di Alain che si sciolse in una sorta di sorriso provocatorio, mentre le sue spalle larghe prendevano a sussultare, trattenendo ulteriore ilarità.
- Come preferisci tu, Grandier: - cedette allora Alain, quasi conciliante - ha detto di andare da lei, dopo cena, perché voleva sincerarsi che tu ti fossi davvero ristabilito completamente. – ammise, mentre André si rimetteva in piedi, raddrizzando la schiena e lasciando fluire da sé tutta la tensione che, come un groppo pesante, gli aveva serrato le viscere e si era stretto sempre più, di fronte a quell’ostinato silenzio.
- Per questo mi sinceravo che tu ti fossi rifocillato a sufficienza:– riprese poi Alain, il tono canzonatorio e lo sguardo fattosi sottile, come una fessura scurissima, una lama lucida di genuina curiosità - cosa diamine potete aver fatto, questa notte, perché lei abbia bisogno di verificare che tu ti sia ristabilito? –
Andrè scosse il capo, nella mente solo l’idea di quella richiesta, quasi una deflagrazione nell’animo, capace di scalfire il peso del timore che tutto l’accaduto si tramutasse in una nuova, definitiva chiusura, condannandolo ad un ulteriore allontanamento; udì il richiamo dell’amico, che si schiariva la gola, in attesa di una qualunque risposta, e allora si riscosse, muovendo qualche passo a vuoto, prima di congedarsi dall’altro in un modo frettoloso.
- Gr … Grazie, Alain … - gli mormorò quasi, senza nemmeno voltarsi, senza accorgersi che l’altro, alle sue spalle, sollevava il bicchiere, celando il proprio sorriso in una sorta di brindisi.
 
Lasciato il refettorio, percorse a grandi falcate il corridoio, fino all’atrio d’ingresso, dove fermò i propri passi, cercando di dominare i nervi e disciplinare i pensieri, recuperando un minimo di lucidità.
Se Oscar lo aveva richiamato nel proprio ufficio, forse poteva davvero sperare che, per lui, ci fosse ancora una possibilità. Provò ad ipotizzare che Oscar avesse davvero perdonato, superato, o anche solo rimosso, quello che era accaduto in passato (quello che, in realtà, proprio lui aveva fatto e detto, dando un colpo mortale alla loro amicizia) tanto da permettergli di riavvicinarsi, concedendogli almeno un poco di quella fraterna confidenza che per tanto tempo aveva sperimentato; oppure, semplicemente, che Oscar avesse affogato nell’alcool buona parte dei propri ricordi riguardo la notte precedente e quindi, come soleva fare con ciò che rifiutava di accettare, avesse pensato di convocarlo come se nulla fosse accaduto …
Tuttavia, ricordava bene il tormento che aveva letto nei suoi occhi mentre gli chiedeva come si sentisse o se avesse dolori forti, e sapeva di non essersi ingannato nel riconoscere la preoccupazione più genuina, quando aveva cercato di medicarlo.
Era consapevole di aver trascorso la notte con la Oscar più loquace e sconclusionata che avesse mai conosciuto, ed era anche certo di non ricordare proprio alla perfezione tutto quello che lei aveva detto, e che lui stesso aveva risposto, perché molto si era perso, sciolto dai fumi dell’alcool; ma era riuscito a recuperare tanti ricordi e, seppure un po’ in disordine, restavano i gesti, gli sguardi e il tocco lieve delle sue mani, così come quelle lacrime, che avevano reso lucidi e profondissimi i suoi occhi, e che a stento lei aveva trattenuto, quando, portando l’asciugamano al taglio sul suo sopracciglio, lui non era riuscito a impedirsi di sussultare per l’improvviso dolore provocato dal quel contatto fresco. Non ricordava neppure come e quando esattamente fossero giunti, dall’ufficio, alla sua camera; ma ci si era svegliato, in quella camera e in quel letto, e nella mente ronzava una specie di giustificazione con cui lei lo aveva convinto a seguirla.
- Seguimi! Ho certamente dell’acqua nella brocca di là … - gli aveva detto afferrando la sua mano e trascinandolo con sé, come se quella brocca non potesse essere spostata da quel mobile da toeletta … e come se non fosse passato più di un giorno dall’ultima occasione in cui gli era stato concesso di entrare nel suo appartamento privato, a Palazzo, violando ogni regola di buona creanza, ma seguendo semplicemente quella che tra loro era divenuta una normale consuetudine.
A questo poteva aggrappare la propria speranza: al pensiero che, pur sotto la coltre di schegge e cocci in cui aveva infranto la loro amicizia, nel tentativo disperato di rivelarle il suo amore, ancora restava la gemma di un legame antico, di quella sintonia innata e inspiegabile che era cresciuta, negli anni, a dispetto di regole e silenzi.
Corrugò la fronte, lo sguardo perso nel buio in cui si nascondeva il corridoio alla propria destra, in fondo al quale si trovava l’ufficio di Oscar. Forse lei lo aveva fatto convocare perché sopraffatta dal senso di colpa, dalla vergogna per non aver saputo mantenere le distanze? Lo stava convocando per congedarlo da sé definitivamente? In quel momento, il filo di speranza a cui si era aggrappato per tutto il giorno, parve sfilacciarsi sotto il peso del più infame dei dubbi.
Un secco spintone gli fece quasi perdere l’equilibrio, facendolo avanzare di qualche passo nel tentativo di tornare stabile.
- Ma sei ancora qui? – lo rimproverò Alain guardandosi attorno – Lei ti aspetta per il tuo controllo di salute, André, e se non ti sbrighi, quelli là fuori si stancheranno di fare chiacchiere e la tua scappatella serale sarà sotto gli occhi di tutti! – proseguì poi, indicando con un cenno del capo l’uscio aperto sul cortile dove gli altri soldati erano riuniti in capannelli, godendo della serata fresca, prima di rientrare nel dormitorio.
André si scostò, lasciando che Alain lo superasse, raggiungendo i commilitoni in cortile, e poi si mosse, deciso, verso il dormitorio.
 
Le poche parole di Alain erano state una provvidenziale rivelazione: Oscar non aveva nascosto di essere preoccupata per le sue condizioni di salute … nemmeno dopo il suo risveglio, e questo era già sufficiente a riaccendere la debole, ma tenace, fiamma della speranza.
Sedendo sulla propria branda, André sfilò rapidamente la camicia dalla cintola e, infilando una mano sotto la stoffa, prese a frugare sul proprio petto, cercando il nodo con cui Oscar aveva stretto quella fasciatura di fortuna fatta di traverso, tra il torace e la spalla, per tamponare la lacerazione che gli aveva ripulito lì, sulla clavicola ancora dolorante. Un brivido lo percorse, dalla base della schiena fino alla nuca, ripensando al momento in cui, dopo aver faticato a controllarsi mentre lei lo scrutava palmo a palmo, con il soffio del suo respiro ad accarezzargli la pelle e quei discorsi confusi, sul valore degli uomini e sulla giustizia, intrecciati ad ogni altro commento sullo stato dei suoi lividi, lei si era sollevata di scatto, sentenziando che quella ferita fosse da curare a dovere. Allora lui aveva tentato di minimizzare, di convincerla che non era poi la prima occasione in cui si ritrovava con un taglio del genere, ma Oscar non aveva voluto sentire ragioni e, spiazzandolo completamente, si era mossa con decisione, sfilando la propria camicia dalla cintola dei pantaloni.
- Bisogna pulirla e tenerla coperta. – aveva sbottato – Ma non ho intenzione di fasciarti con quelle bende malconce dell’infermeria: ho io quello che serve! –
Con pochi gesti, la stoffa candida aveva preso a scivolare da sotto la sua camicia e Oscar l’aveva raccolta in uno sbuffo soffice sopra il ripiano della toeletta, mentre André aveva dovuto chiudere gli occhi, in preda a un capogiro, per impedirsi di perdere completamente la ragione.
Si era trovato fasciato e con la mano stretta al collo di una bottiglia di rosso, mentre le dita di lei continuavano ostinate a tracciare un percorso in cerca di segni sulla pelle, inconsapevoli del solco infuocato con cui stavano segnando il suo cuore e il suo ventre.
Sospirò, trattenendo per qualche istante quella lunga striscia di stoffa tra le dita, per poi ripiegarla alla meglio, pronto a riconsegnargliela. Si sollevò dal giaciglio sconnesso e prima di allontanarsi, ebbe un nuovo pensiero.
Erano praticamente rovinati sul letto di Oscar, storditi dal vino e forse dalla leggerezza cui si erano ritrovati, insieme nonostante il passato, e avevano riso fino a spezzare il proprio fiato, quando la bottiglia gli era scivolata tra le mani, riversando sui pantaloni di lei un ultimo fiotto scuro. Si era sentito colpevole, ma anche incredibilmente complice e non aveva nemmeno reagito quando lei, stesa di traverso sul materasso, aveva commentato che non le importava nulla delle macchie su quella divisa, che era stanca di fingere che fosse tutto perfetto e per lei non esistesse altro che il nome, il casato, l’onore …
- Eccola, l’uniforme senza macchia! – aveva esclamato tra le risa – E bravo André! Tu sì che mi conosci davvero! Non quel … quel damerino che ha avuto la faccia tosta di … –
Quella frase era sfumata in una nuova risata nervosa, ma poi, portando le mani alla chiusura dei pantaloni e prendendo a sfilare i bottoncini dalle asole, Oscar aveva ripreso il suo sfogo – Li porterò a mio padre, perché capisca chi sono davvero, e gli dirò che io non ho nessuna intenzione di mettere la mia vita nelle mani di un uomo che non … non … Accidenti, Andrè! Aiutami a togliermi di dosso questa armatura! –
Scosse il capo, sfuggendo alle immagini di quel ricordo, e si chinò a terra, frugando sotto il proprio letto fino a che le dita non incontrarono la superficie liscia e fresca del suo piccolo tesoro nascosto; lo trasse da sotto la branda e poi, deciso, si avviò verso l’ufficio di Oscar.
 
Le nocche avevano appena sfiorato il legno scuro della porta che già gli parve di avvertire un movimento lieve, quasi che il battente si stesse schiudendo. Il cuore prese a galoppargli impazzito, i palmi improvvisamente sudati a stringere spasmodici sul collo della bottiglia. Possibile? Possibile che la porta si aprisse con tanta celerità? Possibile che Oscar lo stesse … aspettando?
Non ebbe tempo per dubbi ulteriori, perché il battente proseguì davvero la sua corsa, rivelando la figura sottile di Oscar, illuminata dal tenue bagliore delle candele all'interno. Teneva una mano sulla maniglia e con l'altra impugnava il battente, quasi a sottrarsi alla sua vista, impacciata forse dalla velocità con cui aveva risposto al suo bussare, ma, incredibilmente, sorrideva.
Il tempo parve fermarsi  nel palpito in cui raccolse il suo sguardo e vi scorse un brillio complice che lo lasciò senza fiato. Provò invano a ricordare le parole con cui aveva pensato di salutarla, la mente trasformata in un immenso lenzuolo bianco ed il cuore un frastuono di forsennate speranze. Esitò un attimo poi le labbra gli si schiusero in un sorriso arreso.
- Ciao … - riuscì a mormorare, le guance improvvisamente bollenti; il suo sorriso parve riflettersi ed  amplificarsi sulle labbra di lei e colorò anche le sue guance.
– Ciao … – rispose, l'azzurro improvvisamente velato dalle ciglia.
Lo spegnersi momentaneo di quello sguardo, fattosi basso sulle sue mani, provocò una ferita lacerante nel petto di André, infinitamente più dolorosa delle abrasioni e dei tagli  che lei aveva curato e le parole gli sgorgarono improvvise dalle labbra, mentre con una mano porgeva il piccolo involto bianco e con l’altra tendeva la bottiglia di vino.
– Ecco – biascicò – io … ti ho riportato queste e anche … una bottiglia perché stanotte io … - il silenzio di Oscar lo stava trafiggendo come la più crudele delle spade. Di nuovo gli si presentò il pensiero che quella notte potesse aver sancito il loro distacco definitivo, e che quello fosse il messaggio che Oscar gli avrebbe comunicato di lì a breve.
- Mi dispiace … - mormorò, vinto - … io ti avevo giurato che non … -
Il calore delle dita di lei che si stringevano sui suoi polsi e lo attiravano lentamente dentro la stanza, lo colse impreparato, così come il gesto con cui la percepì richiudere la porta e far girare la chiave nella serratura. Ne ritrovò il profumo, quello in cui si era trovato avvolto al risveglio, conosciuto e misterioso al tempo stesso, e ritrovò la stessa nota sconosciuta che, era certo, aveva percepito nella sua voce la notte precedente, quando lei gli si riavvicinò e posò la mano sulla bottiglia, le lunghe dita bianche a scacciare le sue.
- A me no, non dispiace affatto che sia successo quello che è successo. – mormorò, un sorriso morbido a piegarle le belle labbra.
Rimasero in piedi uno di fronte all'altro, le mani strettamente allacciate sul vetro e gli sguardi fissi sulle reciproche labbra.
– Oscar, io non ricordo tutto, della notte passata. – si ritrovò a ammettere André, ipnotizzato dal ricordo della morbidezza di quella bocca che non era più sicuro di aver solo sognato – Non so nemmeno se ciò che ricordo sia accaduto davvero o sia soltanto un … - ma le parole di Oscar gli spezzarono definitivamente il respiro.
– Per fortuna, invece, io ricordo tutto … – la sentì sussurrare mentre gli toglieva la bottiglia dalle mani e si chinava per posarla sul pavimento, un poco discosta da loro – … e potrei forse raccontarti ogni cosa, se lo volessi. – fece un'ultima pausa e un lampo caldo gli attraversò lo sguardo, quando il vetro della bottiglia toccò il marmo -Ma … niente vino, questa volta. –
 
 
 
Niente più vino è un racconto nato per gioco e il bello è che “gioco” è stato per davvero, quando prendeva forma tra scambi di messaggi ad orari assurdi e anche quando, alla fine, abbiamo pensato che avremmo potuto pubblicarla, nonostante fosse un racconto sopra le righe (o forse sotto, visto il rating e la trama).
Così, di nuovo con tanta leggerezza, sono nate Le due zie: come se due amiche non più adolescenti si fossero sedute ad un tavolino in veranda a fare merenda con una caraffa di tè freddo (per il tè caldo forse non è stagione, non ancora, almeno) e pasticcini fatti in casa, pronte ad offrirne a chiunque ne avesse voluto.
Ci ha piacevolmente stupite la simpatia con cui siamo state accolte, la curiosità con cui in tante hanno giocato con i nostri nomi e, soprattutto, ci ha colpito il rispetto con cui avete accolto il nostro bisogno di essere semplicemente Le due zie.
A tutte, con affetto, il nostro Grazie.
Monica68 e mgrandier
Anzi … zia Monica e zia Maddy

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