Perdo le parole

di Adlenime
(/viewuser.php?uid=1023901)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buongiorno ***
Capitolo 2: *** Bacio della buonanotte ***
Capitolo 3: *** Ho paura ***
Capitolo 4: *** Caffè ***
Capitolo 5: *** Una rilassante sorpesa ***



Capitolo 1
*** Buongiorno ***




La corsa con te in braccio fatta per le scale
confondere lo zucchero al posto del sale
e ridere di niente che ci porta a foto di noi
ad un selfie venuto male


La luminosa luce del mattino filtrava dalla finestra, incorniciando il pallido viso di lei. I corti capelli corvini le ricadevano gentilmente sugli occhi chiusi, le labbra rosee erano piegate in un lieve sorriso, le palpebre abbassate celavano il meraviglioso magenta che tingeva i suoi occhi.

Lui restò a fissarla per qualche secondo, o forse intere ore. Non si stancava mai di guardarla. Come avrebbe potuto.

Il suo placido viso era appoggiato sul cuscino, i capelli sparpagliati su di esso. Il sole sorto da meno di mezz'ora illuminava la sua slanciata figura, che poteva indovinare tra le pieghe della coperta. Mentre una delle sue affusolate mani bianche era nascosta sotto il cuscino l'altra era rannicchiata vicino al suo petto, appoggiata a quello di lui. Takagi Wataru si sentiva l'uomo più felice del mondo: forse era in paradiso, o forse un angelo era sceso sulla terra, al suo fianco. Sfiorò esitante con una mano il sereno viso di lei, sorridendo.

Era bellissima.

Non era un tipo mattiniero, ma quel giorno era valsa la pena svegliarsi presto: lo spettacolo di lei, stesa nel suo letto, ancora tra le braccia di Morfeo, era di un valore inestimabile.

Poi la donna al suo fianco aprì leggermente gli occhi. Ora lo poteva vedere, il meraviglioso ametista delle sue iridi. Sbadigliando si mise a sedere sul letto, stiracchiandosi e stropicciandosi incurante quelle due pietre preziose che si ritrovavano incastonate nel viso angelico, tentando di scacciare il sonno.

Lui restò a fissarla, la sua figura perfetta emersa dalle lenzuola. La canottiera nera aderiva al suo corpo snello, mettendo in risalto le sue forme divine. Dalla sua posizione Takagi poteva intravedere gli slip del colore dei ciliegi.

Arrossì.

Ma cosa stava guardando?! Scuotendo la testa, come per liberarsi dall'imbarazzo, si alzò anch'egli in posizione seduta, al suo fianco. Sentì un brivido percorrergli la schiena quando lei si voltò nella sua direzione con un luminoso e abbagliante sorriso.

- Buongiorno, Wataru. -

Wataru. L'aveva chiamato Wataru, per nome... e senza onorifico! Sentii il suo viso andare in fiamme e il cuore battere all'impazzata.

- Buongiorno... -

Come avrebbe dovuto chiamarla? Satou-san? Miwako? Milady? Principessa?

La donna si limitò a ridacchiare divertita di fronte al suo imbarazzo. Non era la prima volta che dormivano insieme, ma lui continuava ad essere il solito timido Takagi Wataru che era sempre stato. E questo non sembrava dispiacerle.

Mentre lei si alzava stiracchiandosi un'ultima volta, lui ne approfittò per osservare il suo corpo baciato dalla luce di primo mattino, i raggi del sole scivolavano sulla sua pelle madreperla, i capelli scompigliati le davano un'aria gioviale.

- … Miwako. Buongiorno Miwako. -

Disse infine schiarendosi la voce imbarazzato.

Restò a fissarla mentre lei cominciava a dirigersi verso la porta della sua stanza, poi, quando ormai la sua mano era appoggiata sul pomello della porta, si voltò:

- Non hai intenzione di venire? -

Takagi si costrinse a levare gli occhi dalla sua dea per ritornare alla realtà. Scosse un po' la testa, levandosi gli ultimi accenni di sonno a cui la sua mente voleva cedere, prima di alzarsi e dirigersi verso di lei. Poi ebbe un'idea. Vide Sato aprire la porta per dirigersi verso le scale e scendere al piano di sotto, dove si trovavano il salotto e la cucina. Non appena attraversò la soglia, con un movimento fluido passò un braccio attorno alle sue spalle, l'altro sotto le sue ginocchia e la sollevò, prendendola in braccio.

Vide con un certo orgoglio come lei continuava a spostare il suo sguardo sorpreso dal parquet, dove prima poggiavano i suoi piedi, al viso di lui.

- Takagi-kun...? -

Chiese incerta alzando un sopracciglio.

Lui istintivamente la strinse a se. Adorava la sua soffice e morbida pelle quando sfiorava la sua, amava ammirare il suo corpo protetto dalle sue braccia.

Sorrise imbarazzato, quasi volendosi scusare per essere stato così brusco.

- Posso...? -

Chiese esitante, sempre con quel suo innocente sorriso ad adornargli il viso. Lei sospirò, in parte divertita, e poggiò la testa sul suo petto.

Sollevato, Takagi si diresse lentamente verso le scale, facendo attenzione a non farle male. Continuò ad ammirare tutte le sue infinite qualità, che conosceva ormai a memoria, ma di cui non si stancava mai. Sentì il sangue rimbombargli nelle orecchie mentre sentiva il suo caldo respiro sfiorare la sua pelle, e non poté fare a meno di arrossire immaginando come l'orecchio di Sato, appoggiato al suo petto, avesse libero accesso all'irrefrenabile battito del suo cuore.

Scese le scale, lui non la lasciò andare.

- Fin dove hai intenzione di portarmi così? -

Chiese lei ridendo. Quanto amava vederla ridere? Quanto amava la sua risata? Per lui era come la fresca brezza marittima che investe il tuo viso alle prime luci dell'alba, o i preziosi cristalli del sottosuolo che illuminano il buio in cui sono imprigionati, o l'ossigeno indispensabile per respirare e vivere, un ricordo da conservare nel cuore, tenere stretto e affogare nell'affetto che provava per lei.

Attraversò con Sato tra le sue braccia l'intero salotto, poi, di fronte alla porta della cucina, le sfiorò la fronte con le labbra, in un gentile e delicato bacio. Tutto quello che le faceva era sempre gentile e delicato, come se fosse una fragile bambola di porcellana, e temesse di romperla se fosse stato troppo irruento. Sapeva benissimo che Sato non era debole, ma ogni volta che era insieme a lei si sentiva sopraffare dall'istinto di proteggerla, di custodirla.

Infine la poggiò dolcemente al suolo. Lei si stirò la canottiera con le mani, le sue guance tinte di una tenera sfumatura cremisi, cercando di scacciare l'imbarazzo e sembrare indifferente. Poi si schiarì la voce e aprendo la porta scorrevole della cucina replicò:

- Ehm... sì, bene: era ora che mi mettessi giù... -

Attraversò la soglia, con un sorridente Takagi a seguirla.

Lui sapeva che le era piaciuto.

Una volta dentro la cucina si mise ai fornelli, dopotutto Sato non era esattamente un master chéf, lei era più portata a mettere sotto torchio i criminali o a sfidare le regole della strada. Sorrise divertito all'idea.

Intanto lei si era messa a sedere a tavola, sfogliando svogliatamente un giornale.

A sua insaputa ritornò ad osservarla per l'ennesima volta quella mattina, i capelli corvini le ricadevano scompigliati attorno al viso, mettendo in risalto i suoi delicati tratti nipponici. Adorava il suo sguardo annoiato di prima mattina, o quello assorto e riflessivo che aveva durante un caso, o quello solare e adorabile che solea indossare durante le feste o un appuntamento.

Per poco non bruciò i pancake.

Non appena ebbe finito apparecchiò la tavola e si sedette di fronte a lei. Il viso di Sato s'illuminò alla vista della colazione, e affamata cominciò a mangiare.

- Takagi-kun, sei fenomenale ai fornelli! Quando saremo sposati cucinerai sempre tu... a meno che non ti piaccia il cibo bruciato e la casa a fuoco, in quel caso potrei pensarci io. -

Takagi si limitò a strozzarsi con i pancakes non appena sentì la frase quando saremo sposati, e ora lottava coraggiosamente contro una possibile morte accidentale per soffocamento. Quando si fu ripreso alzò lo sguardo e incontrò gli occhi color magenta di Sato che lo guardavano preoccupati.

- Ho detto qualcosa di sbagliato? -

Chiese lei.

Poiché in quel momento il suo cervello si rifiutò di elaborare una qualunque risposta con un minimo di coerenza sintattica si limitò a scuotere veementemente la testa. Sollevata, Sato ritornò ai suoi pancakes.

Finita la colazione Takagi fece per alzarsi e sparecchiare, ma si ritrovò la calda mano di lei poggiata su una spalla, che lo costrinse a stare seduto. La guardò con aria interrogativa, ma lei replicò con uno dei suoi sorrisi mozzafiato dicendo:

- Questa è casa mia, non puoi fare tutto tu. Inoltre, ho intenzione di farti un caffè. È una delle poche cose che so fare senza dover tenere un estintore a portata di mano. -

Così dicendo allungò il braccio e prese il piatto di Takagi.

Lui si sentì improvvisamente come investito dalla tiepida luce solare mentre il profumo di ciliegio che emanava il viso di lei, vicinissimo al suo, lo faceva arrossire. La ringraziò balbettando, facendola sorridere divertita.

Pochi minuti dopo ritornò con una calda e fumante tazza di caffè, che pose di fronte a lui. Sato lo beveva amaro, ma lui aveva bisogno dello zucchero, così si alzò e andò a prendere il piccolo barattolo pieno di granuli perlacei.

Mentre aggiungeva il contenuto del barattolo nel caffè, la sua mente e i suoi occhi vagarono esitanti sulla figura di Sato, che beveva tranquillamente la calda e fumante bevanda stretta tra le sue bianche mani, ignorando le attenzioni che le venivano rivolte, ed era appoggiata noncurante al lavello della cucina. Lui non poté fare a meno di arrossire notando le sue lunghe ed affusolate gambe. Essendo un'agente di polizia, Sato ci teneva al suo aspetto fisico, e attraverso la canottiera nera aderente poteva indovinare i tratti del suo corpo snello e magro. Un brivido percorse la sua schiena immaginando le sue mani mentre la sfioravano, toccavano.

Si portò il caffè alle labbra, pronto a berlo.

Sato... semplicemente gli faceva perdere la testa! Da quanto tempo la stava fissando? Si sentiva sopraffatto dall'insano desiderio di avvicinarsi a lei e abbracciarla, accarezzarla. Non si saziava mai di lei. Lei era tutto. Aveva bisogno di Sato. Lei era l'unico motivo per cui ogni giorno sopportava le angherie dei suoi colleghi al lavoro, per cui passava intere notti in bianco, che gli dava una speranza verso il futuro. Lei era...

- BLEAH, CHE SCHIFO! -

Sato lanciò un'occhiata interrogativa verso Takagi, che aveva appena sputato il caffè, insudiciando gran parte del tavolo e sporcandosi la canottiera bianca che indossava con i boxer blu.

- Ehm... qualcosa non va? Non ti piace il caffè? -

Takagi, per tutta risposta, si alzò imprecando e afferrò il barattolo dello zucchero, infilandoci due dita dentro per poi portarle alle labbra... e sputare di nuovo il suo contenuto nel lavandino.

- Sale! Con quale contorta logica li ho confusi! -

Lei si limitò ad avvicinarsi al contenitore incriminato, e fece del suo meglio per non scoppiare dalle risate quando notò l'etichetta su cui era scritto Sale invece di Zucchero. Non riuscendo a trattenersi si mise a ridere, tenendosi lo stomaco con un braccio mentre con l'altro si teneva al bordo del tavolo per mantenere l'equilibrio.

Lui si voltò verso di lei con aria seccata, ma tutta la sua irritazione scomparì non appena la vide: Sato era stupenda quando rideva.

- Avanti, cambiati, dobbiamo andare in centrale. -

Disse lei alla fine, tentando di smettere di ridere e cambiare discorso. Forse non voleva ferirlo, o magari non voleva che si sentisse troppo umiliato. Lui sorrise. Quel piccolo incidente gli aveva dato l'opportunità di ammirare nuovamente Sato, tra le sue risate cristalline.

Poi sentirono qualcuno suonare il campanello di casa. Takagi fu folgorato da una scarica di puro terrore.

- Ehm... Sato-san, avevi detto che tua madre non sarebbe ritornata fino a dopodomani. -

Lei si avvicinò alla finestra, sbirciando attraverso le tende. Poi sospirò di sollievo replicando:

- Non è mamma, è Yumi. -

Takagi si sentì ghiacciare il sangue nelle vene. Yumi era peggio della madre di Sato.

- Oh... ehm, allora io... resterò qui. -

Disse prendendo lo straccio e cominciando a pulire il macello che aveva provocato poco prima, sperando che Sato impedisse a quella ficcanaso di entrare in cucina. La donna uscì, con un sorriso divertito dipinto sulle labbra. Takagi cercò di affinare al meglio l'udito per sentire di cosa le due signore stessero discutendo, ma sentiva soltanto un vocìo indistinto provenire dal corridoio. Poi un grido:

- Ehy, aspetta! Dove credi di andare! -

Sato-san?

Non appena Takagi alzò incuriosito gli occhi incrociò lo sguardo inespressivo della loro collega della stradale. Sì. Meraviglioso.

- Oh, uh, ehm... ehilà, Yumi-san...? -

Alle sue spalle vide arrivare Sato, che sospirò esasperata quando vide la sua migliore amica in cucina con Takagi. Ok, ora erano nei guai. Si sarebbe dovuta inventare qualcosa. Intanto l'espressione di Yumi era mutata in un ghigno malizioso e continuava a spostare lo sguardo tra i due agenti della prima divisione omicidi, il sorriso dipinto sulle labbra non smetteva di ampliarsi. Poi si catapultò da Sato e prendendole le mani nelle sue disse con gli occhi billanti d'eccitazione:

- Oddio! Non ci posso credere! Congratulazioni, Sato! Posso essere la madrina dei vostri figli?! -

Takagi per poco non morì d'infarto alla parola figli. Una seconda volta il suo cervello andò in cortocircuito e cominciò a farneticare in preda al panico:

- Sì, certo... cioè, no! Ma cosa sto... ehm... io, cioè intendo dire che, ecco io e Sato... noi, no... io ehm, no ecco, sai noi due non abbiamo... insomma... sì, ma.. cioè no! Ma... -

- Hai frainteso. -

Tagliò corto Sato, impedendo a Takagi di scavarsi la fossa con le proprie mani. Poi guardando Yumi con espressione seria, dritta negli occhi continuò:

- Takagi-kun non aveva un posto in cui dormire per la notte, visto che nel suo appartamento è in corso una disinfestazione. Così, invece di fargli affittare un hotel in centro, mi sono offerta di ospitarlo qui per un paio di giorni. Ha dormito sul divano. -

Terminò con un tono che non ammetteva repliche. Yumi pareva delusa, sostenne lo sguardo di Sato per pochi secondi, prima di scusarsi. Fece per dirigersi verso la porta, ma poi sembrò ripensarci. Si voltò verso Takagi, ancora inginocchiato per terra con lo straccio in mano e con un sorrisetto furbo replicò:

- Tanto per parafrasare, credo che Tsuky sia veramente un bel nome! -

Takagi abbassò lo sguardo per non permettere all'agente della stradale di vedere l'intenso porpora che colorava il suo viso e il suo collo. Sotto l'occhiata minacciosa di Sato, Yumi trotterellò felice verso l'ingresso. Quando sentirono la porta chiudersi dietro alle sue spalle tirarono un sospiro di sollievo.

- Accidenti alla stupida giacca che ho scordato a casa sua! -

Replicò Sato passandosi esasperata una mano sul viso.

Takagi le sorrise comprensivo, a volte anche Chiba sapeva essere poco discreto. Finito di asciugare il pavimento si lavò le mani, lanciando un'occhiata critica al tavolo, ancora ricoperto dell'ormai freddo caffè salato.

- In ogni caso Tsuky è un bel nome.... anche se io preferirei un maschio. -

Takagi si voltò verso Sato con espressione sconvolta... cosa gli aveva appena detto?! Ma quando la vide piegarsi nuovamente dalle risate, capì che si stava prendendo gioco di lui. Era il suo passatempo preferito, stuzzicarlo. Decise che era ora di ripagata con la stessa moneta.

- Ah-Ah. Sì, molto divertente, Milady! -

Così dicendo si avvicinò a lei: era l'ora di soddisfare quell'insano istinto che lo aveva perseguitato per tutta la mattinata.

 

Yumi sapeva che Sato le aveva mentito. Conosceva troppo bene Miwako. Quando qualcuno mente cerca di evitare di guardare l'altro negli occhi, ma lei aveva sostenuto il suo sguardo senza problemi. Il tono di voce pacato e non troppo insistente, l'espressione composta... tutto perfetto. Eccetto per un dettaglio. Gli occhi. Eh già: credeva davvero Miwako di poterla ingannare?

Una persona batte le ciglia circa 8-10 volte al minuto. Lei le aveva battute 3-4 volte. Sorrise, compiaciuta della sua stessa deduzione. Era un trucco che le aveva insegnato Miwako stessa: se una persona che mente ti guarda negli occhi cerca di essere il più convincente possibile, e siccome sbattere troppe volte le ciglia è chiaro segno di disagio, si tenta di farlo il meno possibile.

Attraversò di soppiatto il giardino e, rannicchiata silenziosamente sotto all'ampia finestra che dava sulla cucina, sentì le risate divertite di Miwako. Incuriosita, alzò la testa, per vedere cosa stesse accadendo oltre il vetro che la separava dalla stanza dov'erano i due agenti innamorati.

Fu allora che vide una cosa del tutto inaspettata. Indovinando le intenzioni di Takagi, tirò velocemente fuori il cellulare e aprì la telecamera.

Takagi si era avvicinato lentamente a Miwako mentre lei rideva, inconsapevole di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto, e le aveva avvolto le sue forti braccia attorno alla vita. Immediatamente lei smise di ridere, e alzò lo sguardo confusa, incrociando gli occhi di lui. Takagi si limitò a sorridere prima di stringerla a sé, seppellendo il viso di lei nel suo petto. Yumi si trattenne dallo squittire eccitata.

Primo scatto.

Lui le stava accarezzando delicatamente la schiena, mentre le dita dell'altra mano andarono ad attorcigliarsi ai suoi capelli scompigliati. Poggiò le sue labbra sulla testa di lei, baciandola amorevolmente. Sato non era esattamente un tipo timido, pensò Yumi, ma Takagi non era neanche il tipo di ragazzo intraprendente con le donne. Probabilmente Miwako era stata spiazzata e ora la giovane agente della stradale poteva immaginare il rossore che tingeva le sue guance.

Secondo Scatto.

Superato il momento iniziale dello shock Sato portò le sue affusolate mani sul suo petto e afferrando il davanti della sua canottiera, si alzò in punta di piedi. Questa volta quello preso alla sprovvista fu Takagi. Tenendosi stretto a Sato, per non perdere l'equilibrio, lasciò che le labbra di lei sfiorassero le sue. Poi si spostarono vicine all'orecchio di lui. Yumi vide Miwako sussurrare qualcosa, uno sguardo predatore le illuminava il viso.

Avrebbe dovuto ringraziare Chiba per averle insegnato a leggere le labbra! Anche se era di lato, conoscendo Miwako, poteva indovinare cosa stesse dicendo:

- E così ti volevi vendicare, eh? Mi spiace, ma ti è andata male. -

Terzo scatto.

Così dicendo cominciò a baciarlo vicino all'orecchio.

Quarto scatto.

Per poi spostarsi verso la sua guancia, completamente in fiamme. Poteva immaginare il cuore del povero agente mentre batteva così forte da sembrar voler uscire dal petto.

Quinto Scatto.

Le sue rosee labbra si spostarono sul suo naso. Takagi rimase a fissarla completamente incapace di reagire. Yumi sorrise divertita.

Sesto Scatto.

Miwako spostò le sue labbra vicino al suo occhio, leggere e sfuggente come una farfalla. Si inumidì le labbra. Yumi comprese che non aveva assolutamente intenzione di smetterla di stuzzicarlo. Sorrise ghignando: ne avrebbe viste delle belle.

Settimo Scatto.

Infine Sato si spostò vicino alla sua bocca. Sorrise compiaciuta nel vedere quell'espressione così teneramente agitata sul viso di lui. Infine poggiò le sue labbra sulle sue. Takagi spalancò incredulo gli occhi.

Ottavo Scatto.

Il suo lavoro lì era finito. Yumi si allontanò silenziosamente, dirigendosi verso la macchina. Aveva un altro impegno di cui occuparsi... già, doveva assicurarsi che quelle foto facessero il giro della centrale.

 

Le soffici labbra di lei si poggiarono delicatamente sulle sue. Takagi sentì il proprio cuore smettere di battere quando sentì la sua lingua scivolare all'interno della sua bocca. Non si era neppure reso conto si averla socchiusa. Istintivamente lasciò che le sue mani vagassero sulla sua morbida schiena, mentre con una leggera e gentile pressione rispondeva al bacio. Ma Sato non ne era soddisfatta. Blandì gentilmente le labbra di lui per stuzzicarlo. Forse fu per l'assenza di ossigeno che gli dava alla testa, ma Takagi sentiva la propria lucidità scivolare lentamente via. Fece passare la sua lingua fra le sue calde labbra, carezzandole con le sue. Inclinò la testa verso destra, spostò una seconda volta la sua mano tra i capelli corvini di lei. Poteva sentire l'aroma del caffè amaro emanato da Sato... eppure sembrava così dolce. Le loro lingue s'incontrarono in un'instancabile danza, In un bacio passionale ed ardente. Lei sentiva la sua tenerezza trasparire attraverso le sue gentili carezze, mentre le sue mani erano intrecciati tra i suoi capelli. I raggi di un sole ormai alto oltre l'orizzonte sfioravano la giovane coppia, illuminando il loro tenero amore.

Passarono forse due minuti, o forse due ore, o due anni. Ma che importava?

Quello era probabilmente il buongiorno migliore che lui avesse mai avuto il piacere e il desiderio di sperimentare. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Bacio della buonanotte ***




La poggia allunga il cocktail fatto per restare

Ed il tuo mondo vola e intanto il ghiaccio cade

Tu piano ti addormenti che poi ti porto dentro se vuoi

Mentre ti resto a guardare


 

Miwako venne improvvisamente strattonata: una mano saldamente premuta sulla sua spalla destra la trascinò all'indietro, e la schiena urtò contro il petto del suo fidanzato, che la strinse protettivamente a sé.

 

"Scusate, ma la mia partner non è interessata."

 

Miwako sentì il viso andarle in fiamme e, voltando il capo, vide Wataru proprio dietro di lei, una mano appoggiata al tavolo, l'altra occupata a tenere lei tra le sue braccia. Non poté ignorare come stesse pendendo da un lato, probabilmente era appoggiato al tavolo per mantenersi in equilibrio, e i suoi occhi sembravano quasi velati, non riuscendo a mettere bene a fuoco ciò che lo circondava.

 

Gli altri agenti lo guardarono con profondo disgusto, e sembravano anche pronti a fare qualcosa che andasse oltre a una semplice discussione, ma Sato non aveva tempo di occuparsi di una lite tra ubriachi, soprattutto se il suo fidanzato poteva farsi male nel mentre.

 

"Scusateci, ragazzi, potreste lasciare me e Takagi-kun da soli? Devo parlargli in privato."

 

Disse la giovane agente mentre si districava dal suo abbraccio iperprotettivo, lanciando agli altri agenti un'occhiata che non ammetteva repliche. I colleghi presero le loro giacche, le carte da gioco e i loro bicchieri, borbottando qualcosa tra di loro. Miwako semplicemente li ignorò mentre questi si allontanavano e si voltò verso Wataru. Con sua grande sorpresa, Takagi non sembrava più allegro come quando lo aveva trovato a discutere con i colleghi. 

 

Infatti ora Takagi si era abbandonato su una sedia con uno sguardo quasi ferito, da cagnolino bastonato, la cui sola visione le provocò una stretta al cuore.

 

"Takagi-kun?"

 

Lo chiamò timidamente Miwako, senza ricevere alcuna reazione.

 

"Ehm... Va tutto bene?"

 

Di nuovo, nessuna risposta.

Sospirò e si sedette sulla sedia di fianco alla sua, prese il viso di lui tra le sue mani, costringendolo a guardarla negli occhi e ripeté:

 

"Va tutto bene?"

 

Decise di approcciarsi il più cautamente possibile. Aveva già visto Wataru ubriaco, più di una volta, e sapeva fin troppo bene gli effetti che l'alcool aveva sul suo giovane e inesperto ragazzo. Lo fissò dritto in quegli occhi velati e confusi, il viso, tra le sue mani, era di una delicata sfumatura magenta. Miwako non ci mise molto a raggiungere il suo stesso colorito: Wataru era sempre stupendo in quello stato e, ogni volta, risvegliava un lato di lei che doveva sempre bastonare per non permettergli di prendere completamente il controllo.

 

"Mi hai... Mi hai respinto..."

 

Replicò lui con sguardo quasi risentito, una nota di accusa nella sua voce. Miwako lo guardó un attimo confusa ma poi capì a cosa si stesse riferendo: poco prima, quando aveva chiesto ai colleghi di girare i tacchi e andarsene, si era prima dovuta allontanata da Wataru, che l'aveva abbracciata protettivamente quando uno degli agenti, senza alcuna cattiva intenzione, ne era sicura, le aveva offerto di ordinare un cocktail e bere vicino a loro.

 

Sospirò quasi divertita: Wataru era incredibilmente iperprotettivo quando beveva. Era un lato nascosto di lui che le piaceva tremendamente, le riscaldata letteralmente il cuore. Però poi quando si sentiva ferito, tutte le sue più grandi insicurezze parevano quasi rovesciarsi su di lui e lo gettavano in uno stato di completa disperazione, e tutto ciò che serviva per tirarlo un po' su di morale era l'affetto di qualcuno. Questo, invece, Miwako l'aveva sempre trovato un po' triste: Wataru sembrava quasi sempre alla disperata ricerca di qualcuno che gli volesse bene e lo apprezzasse per quel che era, come se nella sua vita non si fosse mai sentito amato. E la sola idea che ciò potesse essere vero le faceva tremendamente male.

 

Per questo non poté fare a meno di sorridere quando Takagi le disse quelle parole, ma non poté neppure evitare di sentire anche un improvviso dolore all'altezza del petto.

 

Istintivamente lo abbracciò, e, con suo sollievo, lui ricambiò il gesto. Avvicinò le labbra al suo orecchio e, con un filo di voce, gli disse:

 

"Come puoi pensare a qualcosa del genere? Gli stavo solo intimando di andarsene... Sai, volevo stare da sola con te."

 

Sato non aveva bisogno di vedere l'espressione di Takagi per sapere che le sue labbra si erano curvate in un piccolo sorrisino predatorio. E questo era l'altro lato nascosto di Wataru che fuoriusciva ogni volta che beveva. Wataru sapeva essere dannatamente sexy.

 

Miwako decise di sciogliere l'abbraccio prima di perdere il controllo a abbandonarsi completamente al suo istinto, e, guardandolo negli occhi gli disse ciò che che voleva dirgli ormai da più di mezz'ora, da quando si era messa a cercarlo per tutto il locale:

 

"Takagi, mi dispiace rovinarti la serata, ma devo accompagnarti a casa ora. Preferisco non fare troppo tardi e la festa è quasi finita."

 

Intanto ne approfittò per accarezzargli il volto, mentre cercava disperatamente di non pensare a quanto fosse tremendamente attraente in quello stato. Ma Wataru non sembrava volerle dare molta tregua o assecondarla. Improvvisamente un lampo squarciò il cielo e una goccia d'acqua cadde proprio dentro il cocktail che il suo ragazzo stava bevendo, mentre iniziava a propagarsi nel cielo il rumore assordante del tuono.

 

Wataru si limitò a sorriderle con quel suo sguardo seducente, gli occhi e i pensieri appannati dall'alcool, si portò una mano tra i capelli, scombinandoli più del necessario, mentre sempre più numerose gocce di pioggia iniziavano a cadere dal cielo.

 

Wataru prese il suo cocktail e, alzandolo all'altezza delle labbra, lanciò a Miwako un'occhiata fin troppo sensuale e replicò:

 

"A me non va affatto di andarmenere, però..."

 

Miwako sentì il cuore martellarle nel petto e mozzarle il fiato. Ormai i capelli scompigliati di Wataru erano completamente bagnati e gli incorniciavano il viso divinamente, le gocce sembravano scendere su di lui come una cascata di diamanti. La camicia su cui poco prima si era aggrappata per abbracciarlo era ora fradicia e si era conformata perfettamente al suo corpo, mettendone in evidenza i muscoli dell'addome, il petto scolpito e le ampie spalle. Le gambe accavallate e il cocktail che stava per portare alle labbra completavano la scena.

 

Il suo viso andò in fiamme e maledisse gli dei per non essersi ubriacata anche lei abbastanza da potersi abbandonare completamente al lato più selvaggio della sua indole. Invece era lucida, e sapeva di dover guidare, altrimenti avrebbero dovuto passare la notte in quel locale. Inoltre non era un bene che Takagi, così poco abituato a bere, continuasse a farlo sotto l'effetto dell'alcool.

 

Si precipitò quindi in avanti e lo prese per il polso, tirò indietro la mano con cui stava stava tenendo il calice e lo costrinse ad appoggiarlo sul tavolo. Si alzò in piedi e sospirò pesantemente. 

 

"Se non ti va, mio caro, cattivo ragazzo, sarò costretta a portartici con la forza."

 

Aggiunse con un tono di voce pericolosamente accattivante. Le labbra di Takagi si piegarono ancora di più in quel sorrisetto quasi malvagio.

 

Improvvisamente Wataru si alzò di scatto, sbattendo con forza la mano contro il liscio piano del tavolo, facendo così cadere il suo cocktail sul grigio asfalto sotto di loro, probabilmente per mantenersi in equilibrio, visto che aveva iniziato immediatamente a barcollare come se si trovasse su una nave in tempesta.

 

Miwako venne presa alla sprovvista e, senza neppure rendersi conto di ciò che era appena successo, si ritrovò le labbra di Wataru sulle sue, la sua mano sulla vita di lei, mentre l'avvicinava possessivamente contro il suo corpo, e le braccia di lei andarono istintivamente a chiudersi attorno al suo addome. 

 

Quando sentì il rumore del ghiaccio infrangersi, Miwako decise di mandare al diavolo il suo autocontrollo e, sotto una pioggia ormai torrenziale, lo baciò con foga. Costrinse il suo fidanzato ad indietreggiare fino al muro, per permettergli di trovare qualcosa su cui trovare un po' di stabilità. 

 

Miwako non seppe mai quanto tempo lei e Wataru passarono lì, a baciarsi e accarezzarti, a chiamarsi teneramente tra i sospiri mentre i loro corpi parevano ormai intrecciarsi in una sola entità, in un solo corpo, mentre il mondo intorno a loro pareva volare.

 

Sato riuscì finalmente ad adagiare il corpo semi addormentato del suo fidanzato sul suo letto, e tirò finalmente un sospiro di sollievo. Wataru non riusciva neppure a reggersi in piedi, figuriamoci salire le scale del condominio fino al suo appartamento, quindi lei lo aveva letteralmente trasportato di peso. Ma Takagi non era esattamente leggero, e nonostante Sato fosse abituata a scaraventare in giro criminali di ogni peso, trovava che un conto fosse far affidamento sulle sue forze per pochi attimi, giusto il tempo per stordire un malvivente, un altro usare tutte le sue energie dopo una devastante giornata di lavoro e un'estenuante festa durata fino a tardi per trasportare un uomo di 80 chili su al terzo piano di un palazzo. 

 

Si stava sgranchendo il collo indolenzito, prima di tornare fare dietrofront e andare finalmente a casa, quando una mano si allacció debolmente alla sua manica e sentì la voce, ancora impastata dall'alcool, del suo fidanzato:

 

"Te ne vai già via?"

 

Miwako abbassò lo sguardo e ancora una volta, quella notte, sentì il cuore piroettarle nel petto.

 

Il viso di Wataru era mezzo sprofondato nel cuscino, i capelli sparpagliati gli coprivano come sempre la fronte, ma gli occhi erano così diversi da quelli dell'uomo che conosceva. Takagi sembrava triste, malinconico, e nonostante ciò attorno a lui aleggiava ancora quell'aura stranamente seducente, che così poco lo caratterizzava.

 

Sato fece un lieve sorriso mentre si chinava al suo fianco e gli poggió le labbra sulla fronte, in un dolce e carezzevole bacio della buona notte.

 

"Devo andare a casa, Wataru, o mia madre si preoccuperà."

 

Replicò lei in tono accondiscendente, come se stesse spiegando qualcosa di molto complesso a un bambino di tre anni... A un dolce bambino di tre anni.

 

Wataru si rattristò ancora di più e cercò di rafforzare, anche se solo debolmente, la presa sul suo braccio.

 

"T-ti prego... Non andare..."

 

Le sussurrò mentre le sue palpebre si facevano pesanti e iniziavano ad abbassarsi sui suoi occhi, contro la sua volontà.

 

Miwako non poté fare a meno di continuare a sorridere: quanto lo adorava, così dolce, tenero, vulnerabile. Sospirò e, sciogliendosi senza difficoltà dalla sua presa, iniziò ad accarezzarlo amorevolmente.

 

"Tranquillo, resto qui finché non ti addormenti, ok?"

 

Il suo ragazzo si limitò a mugugnare qualcosa di incomprensibile, mentre il sonno iniziava a prendere il sopravvento su di lui, cullato dalla dolce fragranza che la donna di fianco a lui emanava e dalle sue teneri carezze.

 

Miwako restò lì, a guardarlo, anche dopo che il suo respiro si era fatto regolare e i lineamenti meno tesi, continuò a osservare ogni suo minimo dettaglio e movimento, sempre con quella sua mano intrecciata ai suoi capelli color caffè. Ci vollero un paio di minuti perché realizzasse a pieno ciò che stava facendo, rompendo l'incantesimo.

 

"Ahh ma cosa mi è preso, ora?"

 

Replicò alzandosi, lieta che l'oscurità nascondesse la lieve tinta rosata di cui si era colorato il suo viso. Si passò una mano tra i capelli, come per scacciare ogni distrazione, pronta finalmente ad andare a casa, dove ormai sua madre si era addormentata dopo averla aspettata invano per ore.

 

Stava per chiudere la porta della camera di Takagi alle sue spalle, quando l'occhio le cadde nuovamente sul suo bell'addormentato. Restò un attimo a fissarlo, con espressione indecifrabile. Poi fece una smorfia di arresa e un sospiro di esasperazione.

 

"Oh, al diavolo!"

 

Replicò ritornando nella stanza, togliendosi la maggior parte dei vestiti scomodi, come l'abito che aveva indossato per la festa, e, dopo essere rimasta solo in canottiera e intimo, si accoccolò sotto le coperte, di fianco al suo Wataru.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ho paura ***



 

Dimmi qualcosa, qualcosa che resta

Senza fare di più che la scena è perfetta

Se quando ti guardo è già tutto migliore

Perdo le parole


 

Takagi Wataru guardó per l'ennesima volta l'orologio. Ormai era giunta l'ora, il suo viaggio sarebbe iniziato a breve. Sussultò quando sentì la mano dell'ispettore appoggiarsi improvvisamente sulla sua spalla. Istintivamente si giró e lo vide lì, al suo fianco, con uno sguardo che tentava di essere consolatorio, forse. Takagi ricambiò con un'espressione di gratitudine, e l'ispettore, soddisfatto, ritornó di fronte al banco del check-in, che ancora doveva aprirsi.

Takagi stava per partire. Non lontano, eppure... Sentiva una tremenda morsa allo stomaco, poiché temeva di non ritornare mai più nella sua Tokyo. Dalla sua Miwako.

Ma ciò che gli faceva ancora più male, era l'idea di andarsene senza averla prima salutata: infatti, ormai era una settimana da quando era stata annunciata la partenza, ma durante quegli ultimi sette giorni, lei aveva fatto di tutto per evitarlo, per non interagire con lui, se non in maniera freddamente professionale.

Takagi non doveva essere l'accompagnatore di Megure per quel viaggio. Oh, no, che non doveva! Figuriamoci se la polizia metropolitana di Tokyo fosse seriamente disposta a mandare un novellino fuori prefettura, per prendere parte a un'operazione così delicata, così pericolosa. Ma l'accompagnatore originale era scomparso. Di lui non era rimasta traccia. La sua famiglia, disperata, cercava insistentemente di aiutare la polizia. Ma niente. Questi a sua volta era stato poi sostituito da un altro agente, un veterano della prima divisione. Nel giro di due giorni era stato ritrovato morto, annegato nella sua vasca da bagno.

In seguito, per una curiosa concatenazione di sfortunati eventi, tra ispettori malati e altri in vacanza, l'unica persona ritenuta idonea a prendere parte all'operazione era risultata proprio Takagi.

L'ispettore si era opposto con forza a questa decisione (non perché non si fidasse del suo agente,anzi, la fiducia che provava per Takagi era stata uno dei motivi per cui poi era stato scelto), ma l'ispettore sapeva che, per qualcuno ancora poco esperto come lui, prendere parte a questa operazione era un vero e proprio suicidio.

Purtroppo non vi erano molte alternative, e Takagi aveva deciso di accettare l'offerta dopo aver sentito la gravità della situazione.

Miwako non gliel'aveva perdonato: infatti lei sarebbe stata sicuramente presa in considerazione tra i possibili agenti da mandare per questa operazione, una volta ritornata dalle ferie. Probabilmente per questo si era infuriata quando aveva saputo di Wataru: aveva pensato che fosse anche colpa sua se ora si trovava coinvolto in un caso del genere. Ma era arrabbiata soprattutto con lui, che aveva deciso di accettare la scelta dei superiori, quando aveva tutto il diritto di contestare e tirarsi indietro.

Un triste sorriso increspò le labbra del giovane agente. No, non avrebbe mai rifiutato, soprattutto se lei, poi, si sarebbe ritrovata a prendere quella stessa decisione.

Sospirò profondamente, l'aeroporto stranamente silenzioso sembrava quasi lugubre, agli occhi del povero agente. C'era poca gente in giro, forse per l'orario insolito.

Quanto avrebbe voluto che lei fosse lì con lui, anche solo per gridargli in faccia di essere stato uno stupido... Qualsiasi cosa piuttosto che quel silenzio abominevole, agghiacciante, a cui lo aveva sottoposto nell'ultima settimana.

L'ora si stava avvicinando, e la gente aveva iniziato a dirigersi verso il check-in. Wataru deglutí, e non guardó più l'orologio. Si alzò, sentendosi le gambe tremendamente pesanti.

"No Wataru, aspetta!"

Una mano afferrò saldamente il suo braccio. Una mano gentile, familiare. Takagi si voltò di scatto e la vide, ansimante, di fronte a lui.

Era venuta.

" M-Miwako..."

Sentì le sue labbra piegarsi in un dolce sorriso, gli veniva così naturale quando era insieme a lei.

"Mi dispiace. Sono..."

Vide Sato sospirare, pesantemente, come se si volesse togliere un macigno dal cuore.

"Sono stata incredibilmente infantile. Davvero..."

Non lo stava guardando negli occhi, come se il suo sguardo fosse attirato verso il basso per la vergogna.

"Oh, non importa."

Replicò lui, lasciando stare la valigia e abbracciandola senza preavviso, stringendo forte, consapevole che forse non l'avrebbe mai più rivista. Non gli importava se l'aveva ignorato per una settimana, non aveva importanza. Non più, ora che lei era lì, con lui. Non voleva neppure pensarci, inutile sprecare quei pochi attimi a disposizioni per biasimare qualcosa che era già accaduto e che non avrebbero potuto cambiare.

Sentì anche lei ricambiare la stretta, forse addirittura con ancora più forza.

"Ti amo, Wataru."

Takagi sentì una stretta al cuore a quelle parole. Voleva dirle anche lui che l'amava, ma le uniche due parole che dominavano la sua mente, in quel momento, erano molto diverse.

"Ho... Ho paura..."

Due veterani erano stati uccisi quasi subito e aveva paura di morire, ma più di ogni altra cosa temeva di lasciare lei, di nuovo da sola, ad affogare in quella disperazione, da cui era emersa e allontanata solo per lui.

Sentì le braccia di lei avvicinarlo ancora di più al suo corpo, e, vicino al suo orecchio, sussurrò:

"Tranquillo Wataru, andrà tutto bene."

Takagi chiuse gli occhi e sprofondò il viso nella sua spalla, cercando disperatamente di respirare il suo profumo.

"Ma... Io non sono..."

Iniziò lui, ma lei lo troncò sul nascere.

"Proprio per questo. Wataru. Tu sei inesperto e giovane. Non rappresenti una minaccia per loro."

Takagi spalancò gli occhi e si allontanò un po' dalla ragazza, quanto bastava per guardarla in viso, con espressione confusa.

Miwako sorrise, e il suo non era un sorriso triste.

"Pensaci, Takagi-kun."

Riprese, con un tono non più diretto al suo fidanzato, ma al suo collega della prima divisione omicidi.

"Gli altri due agenti erano veterani e entrambi sono scomparsi nel giro di pochi giorni. Invece, da quando è stata annunciata la tua partenza, è passata una settimana. Nessuno ti ha seguito, pedinato o altro. Capisci, Takagi-kun?"

Replicò Miwako, poggiando le mani sulle sue spalle, con espressione determinata.

Lui non poté fare a meno di fissarla, vagamente spiazzato, ma le quelle parole stavano lentamente distruggendo quel muro di terrore che lo aveva oppresso negli ultimi giorni.

Non poté fare a meno di sorriderle, grato, mentre lei continuava a spiegare la sua deduzione. Alla fine non resistette e, avvicinandosi velocemente, le stampò un lieve bacio sulle labbra, veloce, leggero, ringraziando che in quel momento l'aereoporto fosse quasi deserto, e che nessuno li potesse vedere.

Miwako smise di parlare e arrossì improvvisamente, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa le stesse passando per la mente, Takagi le accarezzò amorevolmente il viso e replicò:

"Grazie mille, Miwako. Davvero."

La giovane donna lo fissò senza dire niente, ancora leggermente frastornata da quel suo improvviso slancio di coraggio. Poi la sua espressione si sciolse a sua volta in un dolce sorriso.

"Ma figurati... Oh! Ora che ci penso..."

Aggiunse, portando una mano nella tasca dei pantaloni, arrossendo ancora di più.

"Uhm, non è nulla di importante..."

Continuò sempre più rossa in viso, tentando di mostrarsi indifferente, mentre gli porgeva un… omamori? Un amuleto per scacciare la cattiva sorte? Takagi fissò l'oggetto come se provenisse da un altro pianeta, senza toccarlo. Poi ritornò a fissare Miwako, esterrefatto. Le sue guance si tinsero di magenta dopo averla vista completamente rossa, e, balbettando impacciato un ringraziamento prese il piccolo oggetto di stoffa in mano. Al tatto riconobbe immediatamente che all'interno doveva esserci solo un foglio di carta, e non un pezzo di legno con una preghiera come invece si aspettava.

Poi, le sue labbra si stesero nuovamente in quel sorriso, un po' dolce e malinconico.

"Miwako... Io..."

Lo fissò, come se stesse aspettando che lui dicesse qualcosa.

In quel momento una voce chiamò Takagi che, girandosi, vide l'ispettore con una mano alzata, mentre gli faceva cenno di raggiungerlo in mezzo a una neonata folla di fronte al banco del check-in.

"Ah... Devo andare..."

Si sentiva stranamente deluso. Ma poi sentì le mani di Miwako poggiarsi sulle sue guance, si giró istintivamente verso di lei, in tempo per ricevere un altro dolce e fugace bacio sulle labbra.

"Allora ci vediamo al tuo ritorno, Wataru, d'accordo? Ah! E ricordati di comprarmi quei dolcetti che mi piacciono tanto, eh!"

Aggiunse facendogli l'occhiolino, prima di dileguarsi tra la folla, prima che lui potesse dire qualcosa.


 

Takagi sprofondò sul sedile dell'aereo, di fianco all'ispettore che stava macchinando col cellulare, cercando disperatamente di ricordarsi come si dovesse spegnere.

Takagi lo guardó mezzo-divertito, chiedendogli:

"Vuole una mano, ispettore?"

Megure si limitò a borbottare qualcosa sui nuovi marchingegni tecnologici prima di porre il dispositivo nelle esperte mani del suo subordinato, che in pochi secondi riuscì nella difficile impresa.

"E tu? Non spegni il tuo?"

"Ah, ha ragione!"

Replicò il giovane agente. Di solito lo avrebbe spento prima, ma nell'ultima ora aveva avuto altro per la testa.

Prese il suo cellulare, lo spense e lo rimise in tasca, ma la sua mano incontrò un particolare oggetto rettangolare, che la sua mano non riconobbe immediatamente.

Dopo aver riposto al sicuro il suo telefono, estrasse l'omamori che Miwako gli aveva donato, e sentì immediatamente un caldo tepore propagarglisi nel petto, un dolce sorriso sul viso.

Accarezzò con il pollice la superficie dell'amuleto, cercando di indovinare cosa potesse esserci al suo interno.

L'ispettore lo osservava di sottecchi, senza dire una parola.

Takagi sospirò, aprendo l'amuleto, curioso di vedere quale preghiere o buon augurio ci fossero all'interno. Ma trovò tutt'altro.

Trattenne il respiro quando vide che ciò che vi era dentro era una foto... Una foto di lui e Miwako, insieme, durante uno dei loro appuntamenti. Sentì il viso andargli in fiamme ma non ripose la foto dentro il rettangolo di stoffa.

Quel tepore che prima sentiva all'interno del petto ora sembrava bruciargli completamente il corpo.

Era perfetta. Solo guardare il suo viso ogni mattina, attraverso quella foto, avrebbe reso ogni giornata degna di vivere.

Era contento che l'ispettore avesse deciso di distrarsi e guardare altrove proprio in quel momento, perché se gli avesse domandato qualcosa non sarebbe stato capace di rispondere.

Rimise la foto all'interno dell'amuleto, certo che l'avrebbe tirato fuori ogni qualvolta avesse sentito la sua mancanza, anche solo per vedere, in un fugace attimo di sconforto, il suo viso.

Ogni momento era migliore, se poteva anche perdersi nel suo sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Caffè ***



 

Prova con gli occhi a dirmi ciò che non riesci

Quando il centro sei tu con i tuoi movimenti

Se quando capisco che esiste l'amore

Perdo le parole


Sospirò esasperata, abbandonando definitivamente la penna sul foglio che doveva finire di compilare, e portandosi una mano tra i capelli alzò lo sguardo verso il soffitto, sperando che le crollasse addosso, così avrebbe avuto una scusa per non finire le interminabili scartoffie che si erano accumulate sulla sua scrivania nell'ultima settimana.

"Sato-keiji, va tutto bene?"

Sato riaprì di scatto gli occhi... Quando li aveva chiusi?

"Sato... Keiji?"

La giovane agente si voltò e vide Takagi lì, di fianco a lei, un caffè in mano e la testa leggermente inclinata da un lato, un'espressione confusamente preoccupata ad adornargli il volto, un volto dolce, estremamente infantile, ma allo stesso tempo c'era qualcosa, nel suo modo di fare, che...

Scosse severamente il capo, cercando di liberare la mente dai quei pensieri, rimproverandosi per quell'improvviso momento di distrazione.

Sospirò di nuovo, portandosi una mano alla fronte, cercando di massaggiarsi la testa nel disperato intento di trovare un po' di conforto.

"Si Takagi-kun, va tutto bene, non preoccuparti."

Replicò con tono scostante prima di focalizzarsi nuovamente sui documenti sulla scrivania che, ahimè! Non si erano completati da soli. Odiava il lavoro d'ufficio.

Stava per rimettersi al lavoro quando venne nuovamente distratta dalla comparsa di una tazza di caffè di fronte a lei. Seguì stupita i movimenti della mano di Takagi, che appoggiò la tazza sulla scrivania, poi lanciò di nuovo un'occhiata al viso del giovane subordinato. Uno strano tepore sembrò impossessarsi del suo corpo, il suo cuore fece un balzo, finendole in gola.

"Takagi... Kun?"

Chiese con sguardo perplesso.

L'agente si limitò a farle uno dei suoi dolci sorrisi, uno di quelli che, in particolare negli ultimi tempi, parevano capaci di sciogliere quel blocco di ghiaccio incastonato dentro la sua anima. Portò una mano dietro la nuca, in quel gesto che aveva già individuato come una sua caratteristica particolare, e disse:

"Be', sembra che le andasse una tazza di caffè, Sato-Keiji."

Miwako arrossì leggermente e spostò lo sguardo sulla bevanda in questione. Ne aveva decisamente bisogno.

"Ma... Non era per te...?"

Replicò, decisa a non accettare la sua offerta.

"Ah, ma non si preoccupi... Dopotutto, pare che lei se lo gusterá di più."

Replicò Takagi, con uno sguardo divertito, e prima che lei potesse aggiungere altro alzò una mano in segno di saluto e si allontanò, dirigendosi verso Date che stava fumando vicino a una finestra, mentre lo attendeva. Miwako sentì distintamente le parole del collega rivolte al suo protetto anche a quella distanza:

"Come, non eri andato a prenderti del caffè?"

"Ah... Mi scusi, non avevo abbastanza monetine..."

Miwako riusciva a percepire distintamente l'occhiata lanciata da Date nella sua direzione, prima che aggiungesse:

"Monetine, eh? Capisco."

In seguito Date trascinò Takagi fuori dalla centrale per indagare su un caso, lasciando Sato finalmente libera da ulteriori distrazioni.

 

Miwako era riuscita miracolosamente a dimezzare la pila che la stava soffocando da quella mattina e aveva deciso di concedersi una meritata pausa. Si stava chiedendo dove pranzare quando vide Takagi fare il suo ingresso all'interno della stanza, e sembrava stremato.

Lo notó salutare con un cenno l'ispettore prima di sedersi stancamente alla sua scrivania. Forse era stato coinvolto in una caccia all'uomo? Lanciò un'occhiata alla macchinetta del caffè all'angolo della sezione omicidi, e decise che era arrivato il momento di restituirgli il favore.

Pochi secondi dopo vide il suo viso alzarsi di scatto, sorpreso, lo sguardo fisso sulla tazza di caffè che Sato, giunta senza che se ne accorgesse al suo fianco, gli stava porgendo.

"Prendi pure, sembra che tu ne abbia bisogno, Takagi-kun."

Arrossì, balbettò qualche timido ringraziamento prima di prendere in mano la tazza, osservandola come se fosse il santo Graal.

Miwako non poté fare a meno di sentire ancora un'altra scalfittura incidere quel blocco di ghiaccio, sorrise e lo osservò attentamente, come si era ritrovata inconsapevolmente a fare molto spesso nell'ultimo periodo.

Takagi teneva la tazza con entrambe le mani, come segno di rispetto verso il dono che il suo superiore gli aveva fatto, soffiò gentilmente sulla superficie del liquido, prima di mandare giù un sorso rivitalizzante.

Miwako sorrise, senza rendersene conto. Lo trovava così... Adorabile. Stava per girarsi e ritornare alla sua scrivania, quando qualcosa la trattenne.

"Aspetti, Sato-Keiji!"

Takagi l'aveva afferrata per un braccio, ma quando vide la donna voltarsi verso di lui la lasciò andare, imbarazzato.

"M-mi scusi..."

Aggiunse mentre poggiava la tazza di caffè mezzo vuoto sul tavolo di fronte a lui.

Sato lo guardó con espressione confusa, ma non era seccata, più che altro curiosa. Cosa voleva dirle?

Lo vide schiarirsi la voce mentre armeggiava distrattamente con il colletto.

"E-ecco... Volevo... Uhm..."

Takagi sembrava a disagio, forse in imbarazzo. Lo guardó con ancora più intensità, e quando anche lui sollevò lo sguardo incontrò finalmente i suoi occhi, che parevano volerle chiedere qualcosa.

Ma che cosa? Miwako sperava di poter penetrare, attraverso quegli occhi, nella sua mente. E non solo per poter sapere ciò che Takagi stava cercando di dirle.

"Sì?"

Disse sorridendo un po', divertita.

Takagi sospirò, poi ritornò a fissare il suo viso prima di aggiungere:

"Le va di... Uhm, ecco, pranzare insieme?"

Sato si stupì, ma allo stesso tempo ne fu anche... positivamente colpita.

Il suo sorriso si ampliò ulteriormente e aggiunse, con sguardo lieto, un breve:

"Certo, vado a prendere le mie cose."

Prima di girarsi e dirigersi verso la sua postazione. Si era dovuta voltare in fretta, o lui avrebbe potuto notare il rossore improvviso sulle sue guance, o il sorriso che sembrava non voler scomparire dal suo volto, o addirittura avrebbe potuto udire come il suo battito cardiaco era aumentato di colpo.

Nonostante ciò si sentiva bene, stranamente leggera, stranamente felice.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Una rilassante sorpesa ***



 
Alzi la radio e quindi abbassi lo schienale
E piazza della scala sembra decollare

Ti porto le mani sugli occhi ed aspetta a parlare
Sì ma non sbirciare

Bussò delicatamente, nel timore di averla disturbata, ma la voce che gli rispose oltre la porta era gentile, anche se stanca.

"Tranquillo Wataru, vieni pure."

Anche se un po' incerto, aprí la porta, il vassoio con la cena in mano, e con un cordiale "permesso?" entrò nella stanza.

Miwako sospirò divertita e abbassò il volume della radio che stava ascoltando. Takagi non era sicuro del perché Miwako avesse deciso di tenere una radio nello studio della loro nuova casa, ma lo trovava un dettaglio tremendamente affascinante.

Le sorrise e le porse la cena sulla scrivania, facendo attenzione a non coprire i fogli su cui aveva scritto freneticamente fino a poco prima.

La sua futura moglie si appoggiò stancamente allo schienale e si portò un braccio sul viso, sopra gli occhi chiusi, cercando probabilmente di svuotare la mente.

Wataru le lanciò uno sguardo preoccupato, incerto se andarsene e lasciarla da sola a lavorare, oppure mostrarle...

"Ho saltato di nuovo la cena, scusami."

Wataru le rivolse, comprensivo, un dolce sorriso e scosse il capo. Prima di ritirarsi dalla polizia in vista del loro imminente matrimonio, era stato suo partner per diversi anni nelle forze dell'ordine, e conosceva fin troppo bene l'abnegazione e la devozione che Miwako provava per il suo lavoro. Questo era, dopotutto, il principale motivo per cui aveva voluto essere lui quello a dover andarsene dalla prima divisione della polizia metropolitana di Tokyo.

Non si era pentito della sua scelta, e anche se trovare un nuovo impiego non era semplice, aveva una mezza idea di accettare una certa offerta che un celebre detective addormentato gli aveva fatto tempo prima...

"Forse dovresti prenderti una pausa, e non sforzarti troppo. Oggi era il tuo giorno libero e lo hai passato chiusa qui dentro..."

Wataru si avvicinò a Miwako e si inginocchiò di fronte a lei, lo sguardo carico di preoccupazione. Afferrò la mano che poggiava stanca sulla scrivania e gentilmente iniziò ad accarezzarla.

A quanto pare l'ispettore Megure aveva deciso di affidare un semplice caso di rapina a mano armata alla sua subordinata più efficiente, sperando di poterla aiutare a riceve una promozione: ma quel semplice caso nascondeva dei retroscena molto più oscuri e misteriosi del previsto, e ora la sua Miwako si trovava a dover dirigere un'operazione estremamente delicata e pericolosa.

Appena ne era venuto a conoscenza, si era spaventato. Miwako era in pericolo, e come se non fosse abbastanza, lui non poteva essere lì con lei ad aiutarla e a sostenerla, a proteggerla. Nonostante ciò, aveva replicato scherzosamente con un sorriso stampato in viso, dicendo che allora quei criminali avrebbero dovuto tremare trovandosi di fronte come nemico niente po’ po’ di meno che la viceispettrice Miwako Sato!

Miwako, quel giorno, nonostante la preoccupazione e il timore, era riuscita a sorridere.

La sua fidanzata levò il braccio dal viso, svelando lo sguardo abbattuto, e replicò sempre con quel tono stanco e rassegnato.

"Wataru, davvero, perdonami. Io non..."

Sospirò di nuovo, pesantemente. Sembrava essere sull'orlo di un eusarimento nervoso.

Takagi allora si alzò di scatto, senza esitazioni, ma sempre con quel suo fare così carezzevole e dolce che lo caratterizzava. Le scostò una ciocca di capelli dalla fronte e si chinò per porle un lieve e delicato bacio, poi le accarezzò il viso e, guardandola negli occhi, le disse con un tono di voce che voleva essere rassicurante:

"Amore, sei troppo stressata, non riuscirai a ragionare ora come ora a mente lucida, né a concentrarti. Vieni un attimo con me, che ho ti preparato una sorpresa. Una rilassante sorpresa."

Aggiunse con un'occhiata fin troppo sexy per uno come lui. Infatti il suo goffo sforzo non fece altro che provocare una piccola risata divertita da parte della sua partner.

Miwako lanciò uno sguardo incerto alle carte abbandonate sulla scrivania. Non era semplice lavoro d'ufficio, Wataru aveva potuto notare schede dettagliate su individui probabilmente coinvolti nel caso, schemi e fotocopie di appunti sparsi in giro.

Il ragazzo allungò la mano verso di lei, con uno sguardo che non ametteva un rifiuto come risposta.

Ancora mezza divertita la giovane donna decise di farsi viziare un po' dal suo futuro marito, e con un breve "ok ok, hai vinto", prese la sua mano, e stava per alzarsi dalla sedia, quando si ritrovò le labbra di Wataru appoggiate sulle sue.

Wataru aveva semplicemente avuto l'impressione che Miwako avesse bisogno di un bacio, e aveva evidentemente avuto ragione, dal momento che dopo neanche due secondi la ragazza lo aveva afferrato possessivamente per il colletto, trascinandolo su di lei, una mano già pronta ad inclinare lo schienale della sedia quel che bastava per aver Wataru comodamente sopra di lei.

Miwako aveva approfondito selvaggemente il bacio, le mani ormai attorno alla sua vita, lo teneva stretto a sé, e Wataru non poté fare a meno di dedicarsi a lei con la medesima passione, sorridendo compiaciuto tra i sospiri mozzati del loro amore.
 



"Dai Wataru, cos'hai in mente?"

Non poté fare a meno di ridere, a quelle parole. Miwako era così impaziente!

"Non sbirciare, mi raccomando!"

Replicò lui, enigmatico, facendola sbuffare. Takagi le stava tenendo le mani sugli occhi e conducendo lentamente lungo un sentiero che Miwako già ben conosceva. Ma perché la stava portando là?

"Wataru, non sono così stupida, conosco casa mia, so che mi stai portando verso il b-"

"Shhh! Silenzio, non parlare! O rovinerai la sorpresa!"

Rispose questa volta leggermente risentito: Miwako non poteva dargli, anche solo per finta, la soddisfazione di stare al suo gioco almeno una volta?

Sospirò esasperato, con un mezzo sorriso. Be', in realtà questo era uno dei motivi per cui si era innamorato di lei, dopotutto.

Si fermò di fronte alla porta, scostando le mani dal suo viso. Si spostò di fianco a lei e, con uno sguardo stranamente felice, afferrò la maniglia.

"Ora puoi aprire gli occhi."

Miwako, abbastanza seccata, fece quello che gli aveva chiesto il suo fidanzato.

Wataru sentì finalmente quella tanto agognata soddisfazione nel momento stesso in cui, spalancata la porta del bagno, vide un'espressione di confuso stupore sul viso della sua Miwako.

Aveva allestito la stanza nel modo più romantico possibile, nonostante sapesse che alla sua ragazza simili dettagli non interessavano più di tanto, ma poteva comunque vedere, nella luce che illuminava i suoi occhi, come avesse apprezzato le candele profumate poste attorno alla vasca e negli angoli della stanza, le quali illuminavano un ambiente volutamente lasciato in penombra, per dare al tutto un'aria più misteriosa e accattivante. Sulla superficie dell'acqua, nella vasca, danzavano instancabili petali di rose bianche. Forse un colore inusuale? Dopotutto Yumi gli aveva consigliato di utilizzare una rosa rossa, nonostante ciò, nel momento in cui si era ritrovato dal fioraio a dover prendere una decisione, aveva quasi inconsciamente puntato il dito verso quella bianca.

"W-Wataru? Tu... Hai... È..."

Non poté fare a meno di sorridere, felice del risultato ottenuto.

"Ti piace?"

Le chiese, con uno di quei suoi innocenti sorrisi stampati in viso.

"Sai... Un bagno rilassante... Pensavo potesse farti piacere dopo... Insomma, sì, il lavoro e tutto quanto..."

Continuò lui, una mano dietro il capo, in quell'atteggiamento tipicamente adorabile che Miwako amava.

Prima che potesse rendersene conto, il ragazzo si ritrovò a dover retrocedere di almeno un paio di passi, quando venne travolto dalla sua fidanzata che, inaspettatamente, si era lanciata verso di lui in un tenero abbraccio, il viso sprofondato nella sua spalla.

"Grazie... Davvero, grazie mille."

Disse, anzi, sospirò Miwako, senza allontanarsi da lui, come se temesse di vederlo svanire di fronte ai suoi occhi non appena avesse allentato la stretta. Pensiero abbastanza stupido, pensò Wataru mentre tentava di non soffocare. Nonostante ciò, non poté fare a meno di ricambiare l'abbraccio, accarezzandole dolcemente i capelli neri come la notte.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3697909