R.I.P. & play again

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stop - Reanimator ***
Capitolo 2: *** Backwards - Mirror ***
Capitolo 3: *** Forward - Frankenstein ***
Capitolo 4: *** Flash forward… and play again - Soul ***



Capitolo 1
*** Stop - Reanimator ***



Premessa d'obbligo: Questa storia sarà composta da quattro capitoli, né più, né meno, che verranno regolarmente postati circa una volta a settimana. E' frutto di un'ispirazione sparaflashante la cui genesi verrà affrontata sotto per non togliere spazio vitale. E' una storia strana, a tratti umoristici, a tratti drammatici. E' una SasuNaru e una MadaHashi, anche se segue i miei personali standard, quindi niente dobe-teme & parrucconi a profusione, bensì personaggi il più possibile IC, uno stile spero scorrevole e una trama che allo stesso modo mi auguro possa sia divertirvi che trasmettervi qualcosa. Forse... forse tutto il sugo della storia (per dirla alla Manzoni lol) si comprenderà davvero alla fine.
Buona lettura!






R.I.P. & Play Again
Riposa in Pace… Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.



“Now that he is gone and the spell is broken, the actual fear is greater. Memories and possibilities are ever more hideous than realities”
“Ora che se n’è andato e l’incantesimo si è rotto, la paura vera e propria è più grande. Le memorie e le possibilità sono ancora più orribili delle realtà.”
Herbert West – Reanimator; By H.P. Lovecraft




I

Stop - Reanimator





Di solito tutti i grandi incipit cominciano con qualcosa di epico, qualcosa che rimane inchiodato nella testa del lettore e lo costringe a leggere, ancora, fino a capire cosa accidenti succede in quella notte buia e tempestosa o per quale mistico motivo un uomo all’improvviso si risveglia trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.
Questo Madara lo sapeva bene, facendo lo scrittore per vivere.
Ed effettivamente la sua storia era iniziata in maniera non solo accattivante ma addirittura scenografica, pronta per essere scritturata direttamente da Hollywood: con un’esplosione. Peccato che, ecco… in quell’esplosione ci avesse rimesso la vita.
Non che la sua fosse esattamente una vita modello, al contrario: il fumo, la sodomia, una profusione di parolacce usate come intercalare erano giusto un breve riassunto di come la sua esistenza fosse ben lungi dal potersi definire esemplare. Eppure era la sua e l’uomo, come una buona parte degli esseri umani, tutto sommato ci teneva. Suvvia, nonostante le scarse aspettative della collettività era divenuto uno scrittore di successo, autore persino di favole horror per bambini, amate e puntualmente denunciate dalle mamme perbeniste del mondo: come si potrebbe non voler continuare a vivere, dati simili ghiotti presupposti?
La sera in cui tutta quella sua caotica e imperfetta vita era cessata, Madara stava oltretutto facendo qualcosa di altrettanto caotico e imperfetto ma che amava alla follia, quasi quanto scrivere; più precisamente, stava facendo sesso. Aggiungiamo, giusto per i fanatici dei dettagli, anche un particolare importante soprattutto per il resto della vicenda a seguire: stava facendo sesso con un uomo.
Sì, forse la parola sodomia buttata nel mezzo dell’esistenza non-modello dello scrittore poteva essere un indizio notevole, ma in queste situazioni è meglio non lasciare nulla al caso: Madara Uchiha era proprio omosessuale.
Torniamo indietro di qualche riga; dicevamo, Madara Uchiha era a letto con un uomo. Non un uomo qualunque, bensì una persona che conosceva da decine di anni, con la quale aveva intrecciato un rapporto lavorativo, poi d’amicizia e infine… d’amore – o la maniera in cui si poteva definire la strana e tortuosa relazione che li legava.
Tale persona era il suo illustratore: Hashirama Senju. Le sue tavole, i suoi scenari, i suoi inchiostri avevano animato le pagine dei racconti di Madara, rendendo ancora più vive e potenti le sue già evocative parole, come se davvero i dipinti lunari di una casa solitaria fossero stati direttamente plasmati dalle righe scritte su carta.
In quel momento, quando tutto ebbe inizio, Madara stringeva le natiche di Hashirama, le teneva, contemplandole, osservando la muscolatura soda, la corporatura alta e asciutta che aveva sempre contraddistinto l’uomo e i capelli che cadevano sulla schiena, simili a linee d’inchiostro che, come china sull’acqua, scivolavano diffondendosi sopra la nuda pelle.
Stava per arrivare all’orgasmo, affondando con spinte sempre più decise in quel corpo che amava, e così vicino all’orgasmo notava dettagli che nemmeno credeva di poter vedere: il modo deciso in cui Hashirama artigliava le lenzuola, la naturalezza con cui si armonizzava ai suoi movimenti, la bellezza della muscolatura quando inarcava la schiena, nascondendo nella pelle la spina dorsale, come se girandosi dovesse proteggerla.
Era quindi un bel momento, l’avrete provato un po’ tutti, in fondo. Capirete dunque che farebbe piuttosto incazzare se qualcosa, esattamente in quel preciso istante di sublime perfezione, dovesse non solo interrompere tutto il flusso di orgasmica felicità ma addirittura uccidervi. Incazzare è riduttivo, come termine; forse sareste proprio tornati dall’aldilà giusto per fare un dispetto al creato – e, sostanzialmente, almeno in parte questo fu quanto accadde in seguito a quello spiacevole evento. Ma… ci sarà tempo per parlarne.
Con spiacevole evento, in ogni caso, si intende un incidente non solo tragico ma altamente improbabile, anzi, con una soglia di probabilità che rasenta l’1%. Giusto per intenderci: quante volte si è sentito di qualcuno che ha perso la vita dopo essere stato colpito da detriti in fiamme di un satellite che aveva concluso il suo moto gravitazionale?
Ebbene, questo fu ciò che accadde quella sfortunata sera in un motel lungo una statale a Madara Uchiha e Hashirama Senju: uomini, amanti, colleghi di lavoro. Travolti da un satellite che andava a fuoco e morti forse in seguito all’esplosione, forse per via del crollo dell’edificio che, pur essendo basso, si era ripiegato su se stesso come carta zuppa d’acqua.
“Porca troia!” esclamò Madara all’improvviso, annaspando quasi avesse ritrovato la capacità di respirare, per poi rendersi conto di essere nudo di fronte all’hotel in fiamme.
“Non me l’aspettavo.” Commentò Hashirama scuotendo la testa; l’uomo sembrò comparire al fianco dello scrittore. Anch’egli nudo come mamma l’aveva fatto, con un’espressione preoccupata ma non troppo, tanto più tranquillo e razionale in tutto rispetto al suo compagno.
Madara gli afferrò le spalle: “Ma che è sta faccia? Guardaci! Siamo nudi, qui fuori! E là c’è un fottutissimo edificio in fiamme crollato in mille pezzi! E tutto quello che mi riesci a dire è non me l’aspettavo?”
Hashirama rise, portandosi la mano dietro la testa: “Che vuoi che ti dica, sei tu lo scrittore qui.”
Lo scrittore in oggetto stava replicando altro, quando a suon di sirene e frenate brusche entrarono nel piccolo spiazzo del motel delle ambulanze e dei camion dei vigili del fuoco, seguiti dalla polizia che sembrava essere venuta lì più a far casino che altro.
Ulteriori persone uscirono in strada un po’ ammaccate ma sopravvissute perché distanti dal luogo di impatto, visto che l’edificio aveva un solo piano, oppure provenienti dalle strutture adiacenti e pronte ad aiutare. Ci furono pianti, grida e lamenti in uno scenario quasi apocalittico; nessuno sembrava comunque eccessivamente turbato dalla presenza di due uomini, nudi, in piedi di fronte al luogo dell’incidente.
Madara, poco abituato a essere ignorato, stava per dirigersi verso un soccorritore improvvisato che aveva avuto la brillante idea di scavare a mani nude tra macerie e detriti metallici roventi, quando si voltò verso Hashirama per esortarlo a far presente che, ehi, loro erano dei sopravvissuti, quindi meritavano un po’ di riguardo. In quel preciso istante un’ambulanza guidò con noncuranza nella direzione del disegnatore e, prima che loro due potessero fare qualcosa, l’auto lo travolse in pieno.
Madara, con il cuore in gola e il respiro bloccato, già si aspettava di vedere il corpo dell’uomo che amava intento a volare via, cascare a terra e scomporsi come un puzzle malfatto. Invece, non testimoniò nulla di tanto ordinario; perché, semplicemente, l’ambulanza passò attraverso il suo corpo.
Hashirama infatti sentì solo qualcosa di metallico e freddo entrargli dentro, avvertì i propri capelli venire scossi, volteggiare e rimanere sospesi, come spinti da una forza inevitabile, ma non percepì dolore o alcuna parte di sé spostarsi. Tutto tornò alla normalità – per quanto quella situazione assurda potesse definirsi normale – e l’uomo si guardò le mani, il proprio petto, per poi rendersi conto che non gli era successo assolutamente nulla, né tantomeno era stato investito.
“Madara…” mormorò poi, alzando il volto verso di lui.
Sembrò volergli dire altro, un’infinità di parole e di rivelazioni, ma un vigile del fuoco passò anche attraverso Madara. Fu come vedere un’immagine olografica disfarsi dei contorni dove
veniva toccata per poi ricomporsi: scie di luce, frammenti, volarono un istante ribelli e tornarono al loro posto in un movimento fluido, come se fossero stati mercurio che fuggiva da un termometro.
Lo scrittore aprì la bocca, rimase immobile un istante, poi girò lo sguardo verso il motel o ciò che ne rimaneva. Qualcuno iniziò ad estrarre dei corpi, magari solo un braccio che spuntava dalle macerie o dei resti schiacciati, distrutti, da qualcosa di più grande e potente.
“Siamo morti.” Concluse alla fine, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
Altra gente li oltrepassò, attraversandoli, scuotendo i loro capelli, smuovendo gli echi di ciò che erano stati in vita.
Dalla presa di coscienza della propria morte, cominciava anche la vita di altre due persone: Sasuke e Naruto. Ma, come dicevamo qualche riga addietro, portate pazienza; prima c’è un piccolo dettaglio da approfondire: perché, sostanzialmente, due morti camminavano ancora sulla Terra?

*

Ormai l’incendio era stato spento, i soccorsi prestati, le macerie tolte e i corpi di chi non ce l’aveva fatta estratti, per venire messi dentro i sacchi da obitorio. Una fine triste, quasi ironica, perché chi era andato in quel motel per dormire una sola notte di certo non si aspettava che lo avrebbe fatto per sempre.
Madara e Hashirama finirono, inconsciamente, per tenersi per mano. In quelle ore di consapevolezza che chiunque poteva passare loro attraverso come se essi non esistessero, fu confortante realizzare di riuscire, invece, a toccarsi; inoltre, fatto non da poco, nessuno poteva avere qualcosa da ridire, visto che i due amanti erano sostanzialmente invisibili.
Rimasero lì tutto quel tempo, a guardare i soccorsi, a vedere altre fiamme e crolli, senza provare sonno, stanchezza, fame o sete. Si sentivano a vicenda e tanto bastava. Stavano per estrarre gli ultimi corpi, i loro, forse. Fu difficile respirare o… insomma, quel gesto che erano così abituati a fare in vita.
“Fidatevi, non volete vedervi.” Disse una voce, all’improvviso.
I due si voltarono: videro un ragazzo dai capelli lisci e piatti che in parte ricadevano sulla fronte, con stampato addosso un mezzo sorriso e gli occhi scuri attenti. Aveva addosso una sorta di tunica semplice, portava una collana con tantissimi monili diversi e nel complesso sembrava uscito da un film d’epoca in costume.
“E tu chi cazzo sei? – anche da morto, Madara sapeva essere sempre gentile – odio la gente che mi arriva da dietro le spalle.”
“Ho tanti nomi – replicò l’altro, per nulla turbato dall’accesso d’ira – ma per semplificarci la vita diciamo che sono il ponte tra qui e l’aldilà. Chiamatemi Sai.”
“Mi porti verso l’aldilà?” domandò Hashirama, scrutandolo.
“Non esattamente. Il passaggio è… bloccato, per così dire.” Spiegò colui che, a vederlo, sembrava un ragazzo. I pendenti al collo ciondolarono: si intravide una croce, un triskell, persino una croce uncinata egizia. Quasi una fiera di cattivo gusto delle paccottiglie religiose, eppure… emanava qualcosa di forte, un’aura assoluta che inchiodava i due uomini lì, davanti a quell’essere, incapaci di andarsene.
“Bloccato? Nel senso che abbiamo conti in sospeso e tutte queste stronzate qua?” sbottò Madara.
Sai gli sorrise, ma il suo volto sembrava quasi inquietante:
“No. Nel senso che la vita è stata vissuta nella menzogna. E questa menzogna sarà rivelata, lasciando corrotti, incapaci di raggiungere la morte soddisfacente che natura vorrebbe. Perché avete comunque fatto tutti e due qualcosa di buono nella vostra esistenza; anche se tu Madara… ecco, su di te ci sono stati un po’ di dibattiti. La tua situazione, comprenderai, è diversa da quella di Hashirama.”
Quest’ultimo non disse nulla. Guardò semplicemente l’uomo che amava, il quale invece replicò velenoso:
“Dibattiti? Chi è che dibatte? Dio? Buddah? Allah? Sai quanto cazzo me ne frega? Nulla! Se avevano qualcosa da dirmi che me lo dicessero quando potevo ancora rispondere, visto che si sono sempre risparmiati di farsi sentire; io di certo non li ho cercati.”
Era ateo convinto più o meno da sempre e nemmeno Hashirama, che pure credeva in qualcosa di più grande, era mai riuscito a smuoverlo dalle sue posizioni.
“Non sono qui per istruirti di religione o filosofia. Limitiamoci a dire che ciascuno, nella sua sfera privata, ha attribuito un nome a ciò in cui crede. Il fatto che tu non abbia creduto in nulla non fa cessare di esistere ciò che vive nel cuore e nella mente degli altri. Ora – fece un sorriso ancora più inquietante – posso concludere o volete rimanere per sempre nudi di fronte ai resti di un motel?”
Hashirama buttò un occhio alla strada e all’edificio; avevano portato fuori gli ultimi resti, non c’era davvero più nulla lì dentro, oltre alla morte. Non aveva notato il proprio corpo e fu sollevato all’idea: anche se prima credeva che guardarsi sarebbe stata l’unica cosa giusta da fare, a posteriori comprese che non avrebbe tratto alcun beneficio dal vedere il se stesso di tutti i giorni ridotto a un cumulo di carne.
“Concludi.” Lo esortò, serio. Madara tacque. Entrambi sapevano, in fondo, a quale menzogna si riferisse quella creatura.
“Ho un compito da proporre. Evitare che due persone compiano – fissò entrambi ma specialmente Hashirama – il vostro stesso errore. O, sostanzialmente, si tratta di migliorare la loro vita prima che tutto si concluda nel disastro più totale.”
Madara e Hashirama si lanciarono un’occhiata. Poi lo scrittore si portò una mano al fianco, assottigliò gli occhi e replicò, chiaramente scettico:
“Fammi capire: voi, chiunque voi siate, siete diventati un’accozzaglia di enti improvvisamente dediti alla carità? Perché, esseri superiori fantafighi, dovrebbe importarvi qualcosa di quelle due persone? Di noi vi è mai importato?”
Hashirama gli lanciò un’occhiata per poi commentare: “Accidenti, sei davvero polemico! Meno male che non sei invecchiato oltre o saresti stato come quegli anziani acidi che si lamentano tutto il tempo.”
Accennò a un sorriso morbido, con un’ombra di rassegnazione all’idea che l’ironia era tutto ciò che gli restava, a quel punto.
Lo scrittore borbottò qualcosa ma tacque quando Sai gli dette le tanto anelate spiegazioni:
“E’ una questione di equilibri. Poi, sostanzialmente, posso andare anche contro questa forza e portare via con me l’energia vitale. Ma… non è la continuazione che entrambi desiderate, o sbaglio?”
Nonostante l’uso del plurale guardò comunque prima Hashirama. Questi lo fissò, con il volto spaventosamente serio, marchiato da una consapevolezza in qualche forma più grande.
Abbiamo parlato tanto di Madara in questo inizio storia, accennando qualcosa della sua vita, dei suoi orientamenti e del suo carattere. Ma di Hashirama, filtrato attraverso gli occhi di chi lo amava, è stato omesso un particolare importante: egli, infatti, era sposato.
Non certo con Madara, questo era impossibile, bensì con una donna, moglie e madre dei suoi figli. Figlia, precisamente. Loro due – la sua famiglia, almeno sulla carta – congiuntamente alla notizia della morte di Hashirama, avrebbero saputo che questi non era da solo al momento della sua scomparsa, bensì era stato trovato nudo nella camera di un motel assieme a un altro uomo, che peraltro conoscevano. Non ci voleva un genio per trarre le somme e capire che l’esemplare marito e padre di famiglia stava tradendo il sacro vincolo del matrimonio con un amante, per giunta un amante uomo che in svariate occasioni aveva pure varcato la soglia della loro casa.
No, decisamente non un bel modo di andarsene, un peso tenuto nascosto per troppo tempo che avrebbe causato ulteriore sofferenza alla legittima consorte Mito Uzumaki. Forse il poter sistemare delle altre vite avrebbe in parte compensato le sue mancanze: Hashirama non lo sapeva, l’unica cosa di cui era certo era che non accettava di andarsene così, avrebbe tentato di poterle dire ancora qualcosa, di…
Dannazione. Non avrebbe più abbracciato sua figlia che era già donna, non l’avrebbe vista invecchiare, far nascere la bimba che teneva in grembo, diventare una donna in carriera, realizzarsi. Fu quella consapevolezza, più di qualsiasi altra cosa, a rendere ad Hashirama così indigesta la morte.
“Non sbagli. Chi dobbiamo aiutare?”
Gli piacque parlare al plurale, sembrava quasi un’avventura. Madara sospirò ma non disse nulla: aveva proprio voglia di fumare.
Sai sorrise:
“Oh, vi piaceranno.”
Ecco, se solo Madara avesse potuto prevedere con quella frase cosa, o meglio, chi esattamente gli sarebbe capitato, avrebbe dato del fuori di testa ad Hashirama e accettato l’offerta di andarsene con tutti i pesi del caso. Ma all’epoca, appunto, aveva solo voglia di fumare, di aiutare l’uomo che amava e con cui aveva condiviso vita, e morte, a sistemare quel grandissimo casino che era la loro esistenza.

*

C’era stato un periodo della vita di Sasuke Uchiha in cui quest’ultimo aveva praticato la boxe a livello agonistico. Un bel periodo, nel complesso, fatto di allenamenti intensivi, corse e incontri nei quali sua madre temeva di vederlo tornare a casa senza un dente, nonostante le apposite protezioni. Una cosa del genere, comunque, non era mai accaduta: Sasuke infatti era bravo, atletico, capace di schivare, tenere alta la guardia e fare le sue dovute contromosse. Poi era veloce e la pratica saltuaria con le arti marziali aveva migliorato i suoi già agili riflessi: una macchina da guerra, nonostante il fisico asciutto e nervoso, dai fasci muscolari così in evidenza che era possibile vederli guizzare sotto la pelle. Ricordava Bruce Lee, più che un massiccio pugile moderno, ed era stato notato dalle federazioni professionistiche che gli avevano proposto contratti piuttosto appetitosi.
Tutto questo percorso crono storico si era svolto più o meno in contemporanea a quello del primo, vero, rivale di Sasuke, nonché amico e compagno di allenamenti, visto che frequentavano la stessa palestra da anni: Naruto Uzumaki.
Ora, questi due cognomi vi suoneranno famigliari, suppongo. Ma… andiamo con ordine.
Naruto, al contrario di Sasuke, aveva un fisico meno asciutto, anche se di pochi centimetri più basso dell’amico e aveva una notevole forza d’attacco ma difettava nelle schivate. Incassava bene i colpi, eppure quando l’avversario attaccava con decisione il ragazzo rischiava di diventare un punching ball umano e la resistenza negli incontri ne risentiva.
Purtroppo, però, a un certo punto le carriere sportive di entrambi smisero di correre in parallelo: Sasuke infatti non poté continuare la sua strada agonistica a seguito di un incidente che, in un qualche modo profondo che forse leggendo potrete comprendere, segnò anche Naruto. Quest’ultimo, per quanto avesse sempre desiderato con tutto se stesso superare Sasuke e migliorarsi, a sua volta azzerò le sue mire sportive, accontentandosi, giorno dopo giorno, di venire allenato dal suo compagno di boxe di un tempo.
Ogni tanto partecipava a qualche incontro ma sembrava più uno svago, una macchia sul calendario, mentre la sua frequentazione della palestra era diventata una sorta di tranquillizzante routine, anziché un impegno vero e proprio.
Sasuke si arrabbiava, anzi, si incazzava a morte nel vedere tutto quel talento sprecato ma Naruto, testardamente, si ostinava a non voler sentire ragioni. Nonostante le premesse, ancora non era quello il motivo vero e proprio per cui Sasuke e Naruto avevano decisamente bisogno di un aiuto, a modo loro.
La palestra apparteneva al padre di Sasuke, Fugaku, che a sua volta era stato boxeur e aveva allenato i due ragazzi sin da piccoli; contrariamente alle opposizioni delle moglie e della madre di Naruto, ogni volta che poteva si portava i ragazzi agli incontri, convinto che la boxe fosse un’arte e una scuola di vita che li avrebbe formati come uomini.
Affascinati, i due bambini guardavano il ring, le luci, la gente, sognando un giorno di poter essere là sopra, di sentire l’adrenalina dello scontro, il sudore colare sulla fronte, la concentrazione verso l’avversario per comprenderne i movimenti e anticiparli.
Crescendo, erano riusciti ad arrivare a quel punto, a quelle luci, a sentire le incitazioni della folla, a calcare il suolo già un po’ vissuto del ring. Ma da lì in avanti le cose erano poi procedute diversamente rispetto alle aspettative.
Anche quella sera di tanti anni dopo, quando il resto degli atleti o frequentatori casuali della palestra era andato via, Sasuke e Naruto si trovavano sul ring ad allenarsi, ancora, assieme. Attorno a loro le mura di quel luogo che tanto conoscevano, alte, che ricordavano una fabbrica, con le sue vetrate un po’ sporche, gli infissi di ferro dalla verniciatura blu scura che in alcuni punti stava saltando, rivelando l’anima metallica che c’era sotto.
Le lampade, dal filo lungo e spesso, pendevano sopra le travi con la loro luce gialla e a tratti smorta, come se le lampadine fossero stanche, mentre il pavimento in pvc portava i segni degli attrezzi spostati, dei passaggi e dei pesi, graffi e strisce nere simili a ferite. A tratti c’era odore di ferro, misto a sudore quando si era in tanti e l’aria era contesa, o quando si guardavano match organizzati alla buona per capire i propri sbagli o semplicemente per appassionato divertimento.
“Più alta la guardia! Alta! Bilancia le spalle, sembri un troglodita!”
Sasuke alzava la voce con Naruto, mentre gli correggeva ogni movimento, rilevava qualunque falla in una nave da guerra che non poteva permettersi di affondare. Ma non urlava, mai. Aveva un tono duro, persino autoritario a tratti, però sapeva distinguere un incitamento a migliorare da una dimostrazione di rabbia, anche se non necessariamente tale incitamento era privo di insulti. Quando si aveva a che fare con Naruto, l’insulto era una parte costante del dialogo.
Naruto si correggeva, mettendoci ancora più impegno, senza mancare però di esclamare:
“Fossi un troglodita ti avrei già dato tante di quelle mazzate in testa, brutto spocchioso, arrogante testa di…”
Sasuke vide la guardia scoperta, ancora, e pensò bene di rifilare a quel chiacchierone il pugno che si meritava, anche se era un allenamento e anche se in teoria avrebbe dovuto essere lui ad accogliere i suddetti pugni, non viceversa.
“Ahia – esclamò il pugile dai capelli biondi che sparavano da tutte le parti, grazie al taglio appena fatto – sei uno stronzo. Stavo…”
Si rese conto che precisare parlando non era esattamente una scelta saggia per far valere i propri diritti. Sasuke si portò ai fianchi le mani coperte dai guantoni e, con il suo solito cipiglio in parte schifato, in parte divertito, disse:
“Te lo sei meritato. Parla di meno e muoviti di più, stupido – tacque un istante poi aggiunse, gettandogli addosso un asciugamano – tra un paio di settimane ci sarebbe un incontro a…”
“Lascia stare.” Lo interruppe Naruto, sfregandosi i capelli con il pezzo di tessuto un po’ consumato ma bianco e odoroso di pulito. Probabilmente c’era lo zampino di Sakura, anche se Sasuke era sempre stato preciso in quelle cose.
L’altro arricciò appena le labbra sottili ma non disse nulla, guardando da un’altra parte.
Naruto gli lanciò un occhiata, osservando lo sguardo profondo e i capelli lasciati crescere fin quasi alle spalle, tirati indietro da un sottile cerchietto nero: aveva sempre trovato Sasuke bello, desiderabile nonostante il carattere chiuso, forse perché in quegli anni aveva avuto modo di conoscere tanti aspetti di lui.
Gli mise le mani sul collo, tra i capelli, e lo bloccò, continuando a fissarlo; Sasuke inarcò un sopracciglio ma non si mosse, né parlò.
“Sei un figo.” Decretò Naruto. Infine, senza pensarci oltre, lo baciò.
L’allenatore si sfiorò le labbra poi, suo malgrado, sorrise a sua volta e scosse la testa:
“Questo per che cos’era?”
L’asciugamano era caduto a terra.
Naruto scrollò le spalle: “Nulla in particolare. Devo approfittarne prima che ti sposi con l’amore della mia vita.”
Sakura. Maledetto Sasuke, te l’ho fatta conoscere io. E lei è cascata ai tuoi piedi. Non ho mai capito se dopo tutti questi anni l’hai sposata per esasperazione.
“Credevo di essere io l’amore della tua vita.” Lo prese in giro Sasuke, con quel modo brusco e dall’ironia graffiante, quasi paradossalmente seria, che aveva di solito. Raccolse l’asciugamano e lo tenne stretto tra le dita, fissandolo, rendendosi conto del peso di quelle parole.
Naruto infatti lo colse in pieno e sentì un groppo in gola. Gli diede un pugno sulla spalla per non pensarci:
“Ehiehi, non dirmi che sei geloso! Dovrei essere io quello ferito e scartato, qui.”
All’improvviso Sasuke gli afferrò il polso, bloccandolo:
“Allora…”
Il resto rimase lì, sospeso tra loro. Deviarono gli sguardi, incapaci di bloccare quella spaventosa serie di eventi che stava avanzando, inesorabile.
Non erano più ragazzini; erano adulti, avevano dei lavori, delle vite, degli amici, colleghi e conoscenti al di fuori di quella palestra nella quale in fondo erano cresciuti. Oh, sì, casomai vi interessasse saperlo, dopo tutti quegli anni Sasuke e Naruto erano finiti a letto insieme: era stato quasi naturale, anche se sulle prime imbarazzante ed erano tutti e due imbranati cronici. Ma progressivamente avevano imparato a conoscersi pure sotto quell’aspetto, nonostante non fosse stato decisamente facile capirsi e, puff, finire a letto.
Eppure non si erano mai detti un vero e proprio ti amo; infatti, con il passare del tempo si stavano rendendo conto che nessuno dei due era in grado di portare a un altro livello la loro relazione, Sasuke perché aveva un padre che pensava di aver deluso e che avrebbe voluto vederlo sistemato nella vita, visto che nello sport tutto era già andato a puttane. Naruto perché sentiva un grandissimo, enorme, debito nei confronti di Sasuke, che per colpa sua aveva dovuto dire addio alla boxe che amava con tutto se stesso, accontentandosi di dover allenare uno stordito come lui e un altro pugno di gente che non sarebbe andata da nessuna parte, in una palestra che viveva dei fasti di un tempo ma era solo un rudere consumato dalla ruggine.
Erano quindi così, in sospeso, qualcosa di indefinito, per quanto finissero sempre per cercarsi e capirsi, con un senso d’intesa quasi chimico. Ma la vita, appunto, andava avanti e a breve Sasuke si sarebbe sposato, i suoi sarebbero stati contenti, avrebbe avuto una famiglia, magari avrebbe anche allenato di meno in palestra e con Naruto si sarebbe visto solo ogni tanto, per qualche sporadica lezione o per un’uscita assieme a tutti quanti.
Naruto avrebbe voluto prenderlo per le braccia e scuoterlo con forza, visto che ormai la loro storica differenza d’altezza si era praticamente appianata, per poi dirgli: ehi, deficiente, fregatene dei tuoi, di quello che la società si aspetta da te e stiamo assieme!
Ma… no, non poteva proprio portargli via anche quello.
“Cosa ne pensi?” gli domandò Sasuke scendendo dal ring, anche se Naruto non mancò di notare nemmeno quella volta che lui, come sempre, claudicava leggermente con la gamba sinistra.
L’interrogato sgranò un istante gli occhi, guardò il soffitto nel quale ebbe tempo di notare anche delle interessantissime ragnatele e tornò a posare gli occhi sull’amico:
“Ehr… vediamo… domanda di riserva?”
Si passò la mano dietro la testa, ridacchiando.
Con le braccia incrociate Sasuke notò, glaciale: “Non mi stavi ascoltando.”
“Bah, ascoltare è una parola grossa, sopravvalutata direi…”
Ma non finì di parlare che l’allenatore gli afferrò la caviglia: “Smettila di straparlare e scendi o la prossima cosa che farò sarà darti una coltellata al piede.”
“Wow, fai paura Uchiha! Scendo, scendo.” Borbottò Naruto, anche se piegandosi la mano di Sasuke era risalita al polpaccio. Si guardarono un istante, fermi così, con Naruto accovacciato e Sasuke che teneva la testa sollevata per guardarlo, oltre le corde del ring. Attorno a loro la palestra dalle mura alte e vuote sembrava silenziosa ma accogliente, nella sua anima in ferro, cemento e mattoni.
Prima che però il compagno d’allenamenti potesse muoversi, Sasuke gli spiegò:
“Sakura. Vorrebbe farti conoscere una ragazza. Voleva organizzare un’uscita assieme.”
Naruto, che lo conosceva bene, scorse un velo di rossore e un certo cipiglio infastidito. La cosa lo fece genuinamente sorridere, così si mise seduto per far scivolare le gambe da oltre il ring e passare sotto le corde con un breve salto.
Si pulì i pantaloncini, ma la sua testa era un continuo:
Che gli dico? Se mi ha informato è perché evidentemente ci tiene. Ma che me ne frega a me? Boh, dai, per Sasuke lo posso anche fare, che vuoi che sia, no?
“Okay! – annuì – Perché no?”
Per te è così facile frequentare un’altra persona? Avrebbe voluto replicare Sasuke ma tacque, limitandosi ad annuire con un cenno secco della testa.
“Tsk, vedi di non farmi fare brutte figure.” Anche se non lo pensava davvero. L’ultima cosa di cui gli importava era proprio fare bella figura con Sakura o chiunque altro. Anzi, forse in realtà voleva solo lo scatenarsi dell’Apocalisse, così Naruto non sarebbe mai uscito con quella ragazza e capito cosa significasse amare davvero qualcuno. Perché quello stupido testone evidentemente proprio non aveva alcuna idea a riguardo.
“Ehi, lord, se voglio posso essere un figo anch’io – gettò i guantoni, si tolse la canotta e, dopo averla fatta ondeggiare, la lanciò in faccia a Sasuke, per poi ammiccare cercando di non scoppiare a ridere alla vista della sua maglietta ancorata alla spalla del ragazzo – allora?”
L’allenatore afferrò il vestito e lo lanciò sul ring assieme all’asciugamano:
“Allora mi metti in testa strane idee.”
Lo sospinse contro le corde e lo baciò, sentendo poi le sue mani su di sé, sul suo corpo, sotto la sua canotta. Non c’erano state più parole, scherzi o insulti, quelli li riservavano per quando dovevano riempire i vuoti delle loro distanze. Avessero potuto continuare così per sempre, con la palestra, con le loro abitudini, sarebbe stato fantastico ma, appunto, la vita andava avanti e non aspettava certo le indecisioni o i dubbi che si trascinavano dietro.
In quel preciso momento, quando si erano tolti anche i boxer e, indifferenti al sudore o alla stanchezza, avevano finito per trascinarsi contro il ring, ecco, in quella pessima circostanza suonò il cellulare di Naruto.
Ma si trattava di una chiamata importante, direi addirittura fondamentale ai fini della nostra storia: se non avesse risposto, infatti, forse le cose sarebbero andate in maniera un po’ diversa.
Dopo aver guardato il compagno di boxe, che gli aveva lanciato un’occhiata seguita da silenziosa ma ben chiara minaccia di morte se Naruto avesse osato rispondere, il ragazzo sospirò e spiegò che proprio non poteva ignorare la telefonata, pur sentendo le sue mani strette attorno al petto e il cazzo di Sasuke che, sostanzialmente, era lì, tra le natiche. Insomma, decisamente una situazione non ideale per interagire al telefono.
Ma quella era la suoneria di sua mamma, la quale lo chiamava all’incirca ogni morte di Papa e, se lo faceva, non avveniva di certo a quell’ora. Il fatto che telefonasse presupponeva, dunque, che se non fosse esattamente morta una qualche autorità religiosa, si trattava comunque di un fatto abbastanza grave.
“Devo rispondere.” Disse in un sussurro, semplicemente perché l’eccitazione era ancora lì e parlare non era poi così facile.
Sasuke si morse il labbro superiore e chiuse un istante gli occhi, appoggiando la fronte sulla spalla di Naruto. Sospirò, infine lo lasciò libero dal suo abbraccio:
“Vai, sbrigati.”
Mise una mano sul ring e rimase così, per poi passarsi le dita tra i capelli.
Impacciato, Naruto corse verso la borsa appoggiata su una panca, rovistò tra le mille inutilità e cartacce che si portava dietro, infine rispose. Dopo le lamentele di sua madre, evidentemente incapace di realizzare che suo figlio avesse qualcosa da fare nella vita, Naruto cercò di tagliare corto, di certo non intenzionato a dirle che, insomma, stava facendo sesso con Sasuke, lo stesso Sasuke tanto carino che portava sempre qualcosa quando passava a trovarli sotto le feste.
“Dimmi ma’.”
“Tuo zio, il marito di zia Mito – un sospiro – è morto in un incidente e a quanto pare è stato coinvolto anche un amico di famiglia. Madara Uchiha… è parente di Sasuke, no? Dopodomani ci sarà il funerale.”
Sì, precisamente da questa telefonata e da quella frase comincia la vera storia di Sasuke e Naruto ma, soprattutto, della loro relazione con i fantasmi di Madara e Hashirama.
La vita va avanti… giusto?




Sproloqui di una zucca

Ho concluso questa storia all'1,30 di notte di qualche giorno fa. Poche settimane addietro (che terminone, eh?) parlavo con il mio ragazzo che mi chiedeva un'opinione su come procedere con la stesura di una storia. Gli ho detto che tendenzialmente quando ho una trama in mente comincio a buttare giù il tutto, perché poi magari sul momento mi vengono in mente delle situazioni o idee particolari e mi piace tornare indietro per inserire dettagli aggiuntivi che le approfondiscano o le anticipino. Gli ho fatto l'esempio di due tizi che fanno a botte, sostenendo che sarebbe bello magari riprendere a qualche capitolo prima e inserire una scena dei due che sono in una palestra ad allenarsi. Così... sbam, mi è venuta in mente la scena di questa palestra un po' lasciata andare, stile film di boxe e redenzione americano. Da lì tutto il resto è seguito a ruota appena mi sono trovata del tempo, e pensare che nemmeno abuso di sostanze stupefacenti XD
Le citazioni a inizio capitolo saranno, tranne in un caso, tratte da libri che ho letto e che per me hanno significato qualcosa nel frangente di cui ho voluto scrivere. Lovecraft, per esempio, è uno di questi. Le frasi in italico a inizio storia sono incipit famosi: Paul Clifford di Bulwer-Lytton e la Metamorfosi di Kafka.
Per quanto riguarda il mio racconto vero e proprio... che dire, ha uno stile con accenni più ironici del mio solito (e, chi mi conosce, sa che effettivamente so essere molto ironica) e un approccio più confidenziale, secondo me si adattava alla tipologia di storia.
Ho provato un sincero affetto verso tutti e quattro i personaggi trattati, da Madara cinico e parolacciaio, passando per Hashirama solo apparentemente pacato, senza dimenticarci di Naruto, così vitale ma e caotico ma al tempo stesso pieno di riguardi per Sasuke. Ah, Sasuke...
in tutte le mie storie hai sempre qualche problema, sei proprio un rottame. E pensare che io lo adoro, davvero. Specie il Sasuke adulto della new generation anche fisicamente m'acchiappa (uno dei pochi che sia uscito vincente dai deliri di Kishimoto nel recap finale).
Spero che il tutto vi piaccia e che vogliate seguirmi anche per i prossimi capitoli; se commentate giuro che non mordo, ho fatto appositamente l'antirabbica e pure l'antitetanica, olé!

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Capitolo 2
*** Backwards - Mirror ***




R.I.P. & Play Again

Riposa in Pace… Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.






“When you think the night has seen your mind
That inside you're twisted and unkind
Let me stand to show that you are blind
Please put down your hands
'Cause I see you”

"Quando pensi che la notte abbia visto ciò che hai nella testa

Che dentro sei contorto e scortese
Lascia che ti mostri che sei cieco
Ti prego, metti giù le tue mani
Perché ti vedo"
I’ll be your mirror, Velvet Underground




II

Backwards - Mirror




Il funerale di Hashirama Senju si svolse in una bella chiesa dall’architettura moderna, con tanto di coro gospel che Mito adorava. Era stato possibile esporre il corpo nella bara aperta grazie a un ottimo intervento di truccatori che avevano, letteralmente, ricomposto e restaurato dei resti altrimenti troppo inquietanti per poter essere visti da occhi non abituati a incidenti di quel tipo.
Così, una volta finita l’onoranza funebre, la gente aveva cominciato a percorrere la grande navata centrale per rendere omaggio a un uomo ammirevole, benvoluto da tutti grazie al suo carattere determinato ma empatico.
Talmente empatico che il suo fantasma, o quello che poteva definirsi tale, si era sentito chiamato lì, in quel posto, e aveva trascinato con sé anche Madara.
Vide la moglie in lacrime e la figlia singhiozzare; anche se ormai Hana era una donna fatta e finita, per Hashirama sarebbe sempre stata la sua bambina. Erano lì, raccolte nel dolore, e lui non poteva fare assolutamente nulla, o rivelare che non dovevano sentirsi così sole perché in fondo era con loro, le vedeva e le sentiva.
Lanciò un’occhiata a Madara che guardava la scena con le braccia incrociate. Ovviamente della sua bara o del sentore di un funerale non c’era manco l’ombra. Aveva tenuto poco i contatti con la sua famiglia, tranne che per qualche festività obbligata in cui insultava mediamente due terzi dei parenti, dunque non c’era da meravigliarsi che, nonostante il buon numero di Uchiha presenti, manco uno avesse pensato di omaggiare la salma di Madara con anche solo una breve orazione e tanti saluti.
Scrollò le spalle; non che gli importasse di ricevere qualcosa da tutti loro: era morto, che giacesse in una cassa di ebano extra-lusso o in un scatolone dell’Ikea poco cambiava la faccenda, i vermi lo avrebbero mangiato comunque.
Gli interessava di più Hashirama che, per quanto meno influenzabile dalle scosse emotive rispetto a lui, era comunque costretto a vedere la sua famiglia soffrire e assistere al proprio funerale: non era decisamente un bello spettacolo, nel complesso. Lo stesso scrittore avvertiva un certo di disagio misto a un grande senso di vuoto perché quello nella bara, in fondo, era l’uomo che amava e loro erano su quella terra solo per un insieme di circostanze temporanee.
Potevano toccarsi, sentirsi, ma per il resto del mondo non esistevano.
“Brutta situazione, vero? Beh, almeno questa volta siete vestiti.”
Sussultarono, per poi voltarsi di scatto. Videro Sai, con indosso la sua solita tunica chiara e i monili che in quella chiesa sembravano quasi risplendere.
“Non so perché sono arrivato fino a qui.” Ammise Hashirama.
“Per gli altri siete incorporei; non seguite più le normali leggi della fisica, né conoscete le varie dimensioni. Sei qui perché hai sentito la tua famiglia ed entrambi, inconsciamente, avete percepito i ragazzi di cui vi avevo parlato. In questo senso potete andare ovunque.” Spiegò.
I due fantasmi prima si guardarono, poi scrutarono la gente alla funzione, coro gospel compreso. Ebbene sì, la notizia che i loro casi disperati erano tra quel mucchio raccolto di probabili conoscenti li spiazzò giusto un po’, considerando anche il clima non propriamente allegro della giornata con cui avevano a che fare.
Sasuke si aggiustò la cravatta; Sakura lo osservava, incerta se aiutarlo ad allentargli il nodo, mentre Naruto seduto di fianco all’amico ebbe un brivido:
“Ehi, non hai una strana sensazione?”
“No, l’unica cosa strana qui dentro sei tu. Ora alziamoci, è il nostro turno.” Esortò scattando in piedi, dando un buffetto sulla spalla a Naruto, perché sarebbe toccato a lui avanzare per primo.
Uzumaki conosceva poco lo zio Hashirama, più che altro perché Mito era una donna abbastanza riservata e non molto amante delle riunioni di famiglia, come se frequentando troppo i parenti avrebbe rischiato di svelare qualche suo scheletro nell’armadio. Però i pochi ricordi che egli aveva del defunto erano tutti piacevoli, accompagnati dall’immagine di un bell’uomo coi capelli lunghi e lo sguardo profondo ma gentile.
Sarebbe stato ipocrita scoppiare a piangere anche se, sinceramente, il giovane nipote si dispiaceva di non aver potuto parlare di più con quello zio lontano.
Avanzò, con a fianco Sasuke e poi Sakura, apparentemente sollevata all’idea che tra qualche giorno sarebbero usciti con la sua amica – Hinata, come anticipato quasi fosse una sorta di confidenza – per quanto si fosse premunita di sapere se Naruto se la sentisse ancora, vista la perdita subita. Per lui andava bene, no problem, in fondo a cosa serviva pensarci su? Non poteva certo tornare indietro e recuperare il tempo perduto.
“Chi sono quei tre che sembrano usciti dai boy scout?” inquisì Madara, con una smorfia.
Hashirama scosse la testa: “Uno è mio nipote Naruto e l’altro dev’essere il figlio di tuo cugino Fugaku, Sasuke. Sei vergognoso.”
Lanciò un’occhiata a sua figlia, di qualche anno più grande di loro, intenta a osservare i tre sfiorare la bara. Gli si strinse il cuore. Poi sentì Madara afferrargli la mano, in quella chiesa, davanti a tutti coloro da cui si erano nascosti in quegli anni. Fu una sensazione strana, bella e confortante.
“Comunque dovete aiutare proprio loro due.” Aggiunse Sai, come se si stesse inserendo in una conversazione al bar.
Gli uomini lo guardarono, incerti di aver capito bene. Madara tornò a fissare i ragazzi intenti a tornare al loro posto, donna dai capelli rosa compresi. Sorrise, falsissimo:
“Ah, stai scherzando, vero?”
Sai sorrise a sua volta: “No.”
Hashirama suo malgrado accennò a una risata, forse più per l’espressione impagabile del suo scrittore preferito, anche se l’idea di vedere uno come Madara alle prese con persone che avrebbero potuto essere i loro figli restava ugualmente esilarante. Per un attimo sentì il carico di dolore farsi più sopportabile.
Dopo un istante di ripresa forzata dalla notizia, il sociopatico Uchiha in questione concluse, con il fare sbrigativo di uno che voglia saltare la coda alle poste:
“Beh, mi sembra che la tipa sia presa bene e gliela darà. A Sasuke, intendo, al biondo manco da lontano. Fatto, problema risolto. Se ne farà una ragione, buhuh, la vita è una merda, tanti saluti e ciao. Il mare è pieno di pesci.”
Hashirama gli girò un dito, doveva far male anche se non poteva romperglielo.
“Madara! E tu dovresti essere uno scrittore? I tuoi libri sono tanto toccanti emotivamente quanto tu sei un fottutissimo schiacciasassi.”
“Ahi! Fanculo, ma che ti prende?” esclamò l’altro con la sua voce un po’ roca.
Hashirama per tutta risposta gli mise la mano sulla nuca, affondando le dita tra i capelli, e lo costrinse a girarsi: “Guarda.”
Madara vide. Vide il modo in cui non Sasuke e Sakura ma Sasuke e Naruto si guardavano. E capì, capì anche troppo bene.
“Merda.”
“Ti ricordano qualcuno?” domandò l’illustratore, facendo scivolare la mano dietro la testa di Madara.
Dopo qualche istante i due si voltarono verso Sai, giusto per capire che accidenti dovessero farci con dei giovani uomini in preda a turbe emotive di quel genere, specie conciati com’erano, visto che sembrava avessero addosso la versione estrema del Mantello dell’Invisibilità.
Ma… Sai non c’era più, adiós, sparito. Li aveva anche salutati, però loro erano stati troppo presi dalla confusione del momento per notarlo.
Madara tirò qualche parolaccia, Hashirama invece si mise a riflettere, rendendosi poi conto che la chiesa si era quasi del tutto svuotata. C’erano ancora Sasuke e la sua ragazza, oltre a Naruto, intenti a incamminarsi per uscire, mentre sua moglie sostava in piedi accanto alla bara assieme alla figlia.
Si mosse senza pensarci per raggiungerle. E nel farlo incrociò gli occhi con Sasuke e Naruto che… lo guardarono a loro volta, sgranando le palpebre.
I ragazzi avanzarono più per inerzia, infine si scambiarono un’occhiata perplessa; ma, prima di girarsi per cercare di capire se avessero subito una sorta di allucinazione collettiva, videro anche Madara e Madara vide loro.
Quella volta si bloccarono e nemmeno lo scrittore si mosse. Hashirama invece si era avvicinato alla sua stessa bara, in parte convinto di aver soltanto immaginato che qualcuno lo potesse vedere, in parte desideroso di poter stare accanto alla figlia.
“Madara?” domandò Sasuke quasi in un sussurro. Naruto era pietrificato.
Sakura li richiamò, tornando indietro, visto che i due si erano improvvisamente fermati e avevano l’espressione sconvolta di chi avesse visto un… ehm, sì, proprio un fantasma: “Ehi, tutto a posto?”
Non risposero, guardando un punto indefinito di fianco a lei. Quest’ultima si voltò ma non notò nulla, né capì cosa esattamente fosse successo.
Agitò una mano davanti a loro e questi la fissarono.
“Non lo vedi?” domandò Naruto, puntando l’indice dove prima stavano inchiodando gli occhi.
Sakura per un attimo ci cascò, poi puntellò i pugni ai fianchi, ribadendo: “E’ uno scherzo stupido, oltre che indelicato. Non siete più bambini! Qui non c’è nessuno.”
Prima che le cose degenerassero, Sasuke la tranquillizzò: “Comincia pure ad uscire, noi… – cercò velocemente una scusa – diciamo una preghiera.”
Una preghiera. Sakura lo guardò come se le avesse detto che avrebbe ballato il limbo ma non commentò, limitandosi ad annuire dopo aver sospirato.
“Poppanti.” Sbottò Madara, ritenendo molto più plausibile l’idea dello scherzo che di essere visto da qualcuno.
“Poppanti a chi?” sibilò Naruto, per poi venire trattenuto da Sasuke.
Madara, quella volta, non poté fare a meno di sgranare gli occhi.
“Mi vedete?”
“Certo che  ti vediamo.” Replicò asciutto Sasuke.
Ah, i dialoghi pieni di emozioni di due Uchiha.
A quel punto Madara tese le mani avanti per afferrare i ragazzi: fu il primo gesto che gli venne in mente di compiere, con l’intenzione di allontanarli e lasciare Hashirama assieme alla sua famiglia; realizzò però l’inutilità del farlo solo quando si mosse. Ma, con sua estrema sorpresa, le dita invece affondarono nei loro capelli e lui li strinse, sentendo le ciocche così pienamente da rimanerne quasi deliziato.
“Fuori, con me.” Aggiunse e, nonostante le loro proteste, li trascinò all’uscita della chiesa.

*

Mito guardò l’uomo che amava giacere nella bara, i capelli castani ordinatamente disposti fino a toccare le spalle e sparire tra le pieghe dei tessuti di raso, il volto sereno, così bello nonostante la morte. Si portò una mano alla bocca, come per soffocare il pianto e l’annaspare in cerca d’aria nel tentativo di controllare la respirazione.
“Perché?” domandò sua figlia, ormai quasi trentenne con la mano sul pancione di donna incinta.
Aveva il tono di voce duro, persino arrabbiato.
“Perché a volte la vita...” fece per dire Mito nel tentativo di consolare la ragazza, ma quest’ultima la interruppe.
“No, quelle sono favole. E’ destino: accade. Non era però destino che papà si trovasse in una stanza d’albergo con un altro uomo. Con Madara!”
Lo urlò. E la voce riecheggiò tra le navate, come se il marmo freddo delle scale e degli altari potesse rispedire indietro quelle note amare.
Mito, che aveva cercato di trattenere le lacrime, non riuscì più a fermare il flusso del pianto, proprio non ce la fece; guardò la sua bambina ormai adulta spararle in faccia la verità che nessuno aveva osato commentare e lei si era sentita morire, strappata dalla convinzione che quell’amore fosse solamente suo.
Hana si morse un labbro, rendendosi conto di essere stata troppo aggressiva, anche se... faceva così male. Ed era tutto tanto irreale da farle credere di trovarsi in un brutto incubo, nel quale nessuno eccetto lei affrontava le cose per quelle che erano. Lei cercava, cercava davvero di realizzare che suo padre non era esattamente la persona che aveva sempre creduto, ma si trovava sopraffatta dal dolore e dal ricordo; l’idea di non poter più chiedere spiegazioni al genitore che era stato sempre fonte di consigli la tormentava, lasciando un vuoto enorme che a volte riusciva ad affrontare solo arrabbiandosi. No, non aveva mai avuto il temperamento paterno.
Hashirama, in piedi di fronte a loro ma invisibile, le ascoltò e le vide. Vide le loro espressioni, vide l’ira e lo spavento sul volto che tanto conosceva bene di sua figlia e fu allora che si sentì per davvero morire. Cercò di sfiorarle, di dire loro che potevano ancora parlarsi, sentirsi, spiegarsi ma... rimase inascoltato e le sue mani incapaci di afferrare quei corpi pulsanti di vita.
Le guardò stringersi in un abbraccio, accarezzare un’ultima volta la bara e, dopo aver salutato il prete, le scorse andar via. Avrebbero dovuto prendere accordi con le pompe funebri per il trasporto fino al cimitero e sbrigare le ultime pratiche, una prassi socialmente consolidata eppure difficile da seguire lucidamente in quei casi.
Hashirama guardò un’ultima volta il se stesso di un tempo e sentì un vago senso di nausea, trovando assurda l’idea di essere davvero lui quello racchiuso in una cassa di legno lucido. Chiuse gli occhi un istante e quando li riaprì si trovò di fronte alla chiesa, in un angolo poco distante, con di fianco Madara che stava chiaramente minacciando Sasuke e Naruto. Sospirò.
“Siete due minorati mentali! Non so quale sia il vostro accidenti di problema ma, davvero, a vedervi sembrate solo deficienti. E il fatto che non siate consapevoli di tale suddetto problema mi conferma questa teoria.”
Naruto fece per afferrargli la maglia in un ringhio di rabbia ma la sua mano affondò nel nulla, passando attraverso il corpo di Madara che, nel punto colpito, si disgregò in tanti splendidi frammenti.
Sasuke, con le braccia incrociate, senza battere ciglio si limitò soltanto a commentare gelido:
“Ora capisco perché nessuno parla di te in famiglia. Non so di quali problemi tu stia parlando, né che stia succedendo esattamente, quindi… vedi di girare a largo."
Prima che Madara potesse replicare, Hashirama gli appoggiò una mano sulla spalla e disse con quel tono di voce apparentemente calmo ma che trasudava leadership da ogni sfumatura di voce:
“Piantala ora, Madara.”
Questi strinse i pugni però tacque, fissando l’altro Uchiha che, sì, trovava proprio uno stronzo arrogante. Oh, chissà a chi somigliava.
“Zio Hashirama!” esclamò Naruto che, in tutto quel casino, aveva notato qualche suo parente intento a fissare lui e Sasuke come se fossero da internare, nonostante i due avessero cercato di tenere basso il tono di voce. Ma al sentire quelle parole parecchie persone si girarono, anche se evidentemente preferirono prendere il tutto come il lamento di dolore a causa del parente scomparso, non certo come se il poveretto avesse davvero visto Hashirama, cosa che effettivamente corrispondeva a verità.
“Ciao, Naruto. Mi spiace che dobbiamo vederci in queste circostanze, mettiamola così.”
Naruto tirò un sospiro, incapace di realizzare che stava davvero parlando con lo spirito di qualcuno a cui avevano appena fatto il funerale; Sasuke, decisamente più pratico, specificò con tono non esattamente morbido ma sicuramente più gentile di quanto non gli era capitato di fare con Madara:
“Non so esattamente nemmeno perché vi vediamo, né che ci fa qui – diede del lei in automatico – ma noi proseguiamo per la nostra strada e voi per la vostra, qualunque essa sia.”
“Ehi, aspetta, non essere precipitoso Sasuke, vorrei capire perché...” iniziò a dire, ma l’amico proruppe con un secco:
“Io no! Ora andiamocene perché la mia soglia di sopportazione è già andata oltre il livello critico.”
“Ecco, ciao, vattene.” Lo salutò Madara, con un sorriso cattivo sul volto.
Stavano per cominciare altre discussioni, Sakura era in procinto di arrivare e Madara aveva iniziato a parlare sopra Sasuke, con Naruto che voleva a tutti i costi dire la sua.
“Piantatela!” esclamò Hashirama.
Gli altri tre tacquero, sentendosi piuttosto stupidi oltre che infantili. Quella volta diverse persone si voltarono nella loro direzione, mormorando qualcosa. Sakura sgranò gli occhi, le sembrava che Sasuke e Naruto stessero litigando senza nemmeno guardarsi in faccia.
“Forse ci rivedremo.” Disse semplicemente Hashirama che afferrò Madara per un braccio, così da portarlo via, anche se lo scrittore si premunì di sollevare il dito medio verso Sasuke, il quale non replicò solo perché sapeva che qualcuno in mezzo a tutta quella gente si sarebbe sentito preso in causa; e vallo a spiegare a un funerale che era tutto rivolto al suo parente mai più visto non esattamente vivo da quelle parti.
“Chissà di quali problemi parlava...” borbottò Naruto, scrollando le spalle mentre li vide andar via.
Era un bel tipo Madara, un Sasuke ancora più acido e meno controllato. Chissà se invecchiando sarebbe diventato così anche il suo allenatore, ridacchiò pensandolo.
Sasuke gli lanciò un’occhiataccia: “Non lo so davvero, né mi interessa. Forse è semplicemente frutto della nostra immaginazione.”
Anche se entrambi provavano in realtà un’imbarazzata consapevolezza che le cose tra di loro non erano esattamente a posto, al contrario, erano un disastro tremendo. Solo che ammetterlo di fronte all’altro, specialmente con davanti dei pseudo fantasmi giunti da chissà dove, non era forse il modo migliore di affrontare la questione.
“Tutto bene? – domandò Sakura, sfiorando il braccio del fidanzato – Stavate... litigando?”
I due si guardarono, perplessi.
“No.” Disse Naruto stupito.
Sasuke si morse un labbro: “Nulla di che, tutto risolto.”
Poi fece un cenno rapido all’amico il quale, comprendendo che effettivamente anche Sakura doveva averli visti interagire con l’aria, si limitò a borbottare qualcosa.
Lei li scrutò, per nulla convinta:
“E’ che ti ho sentito dire il nome di Madara, pensavo ti fossi arrabbiato per com’era stato trovato assieme ad Hashirama e...”
Sasuke, a quel punto, sentì un campanello d’allarme che proprio non comprese:
“E come è stato trovato?”
Sakura aprì un istante la bocca, poi la richiuse e con maggiore cautela rifletté: “Pensavo te l'avessero detto.”
Irritato, l’altro sbottò: “Evidentemente no, altrimenti non te l’avrei chiesto – poi vide il suo volto offeso e Naruto di contorno gli dette una manata sulla spalla, gesto che gli avrebbe fatto rimpiangere – scusa, non ne sapevo nulla.”
La donna sospirò:
“E’ stato trovato con Hashirama – lanciò un’occhiata a Naruto – in una camera di un motel. Qualcuno... qualcuno dice che non avevano i vestiti e... oh, lasciamo perdere, sono tutti pettegolezzi; Naruto, non li ascoltare, Hashirama era un grande uomo. Ho letto anche dei libri di Madara, non mi hai mai parlato di lui, Sasuke.”
Fece qualche altra osservazione di circostanza, giusto per alleggerire l’atmosfera dopo aver lanciato quella bomba. Ma Sasuke e Naruto la ascoltavano appena, pur guardandola, con in testa l’idea che quei due uomini non erano solo compagni di morte ma anche di vita. Nonostante Hashirama fosse un uomo di famiglia, nonostante Madara sembrasse allergico a qualsiasi forma di relazione... erano due persone adulte in un motel, che forse stavano facendo sesso, assieme, lontane dalla famiglia.
Naruto e Sasuke si sentirono improvvisamente come quei due uomini, uno specchio di ciò che avrebbero potuto essere loro tra qualche anno, con le bugie, le distanze, i sentimenti che non si sarebbero mai consumati del tutto.
Persino la convinzione di Madara che avessero una qualche forma di problema sembrò perfettamente logica e il suddetto problema evidente.
Ma cosa potevano fare due spiriti che loro, in carne ed ossa, non erano riusciti a compiere?
Con quella domanda in testa i due ragazzi si separarono. E si sfiorarono, facendolo, incapaci di realizzare che entrambi stavano pensando la stessa identica cosa.
Se solo il nostro cuore fosse capace di parlare: una valvola in grado di sfiatare i sentimenti e soffiarli in
faccia a chi meritava di respirarli, rendendoli suoi.

*

Il ristorante era un locale dall’arredamento moderno ma non eccessivamente lussuoso, le luci giuste che creavano atmosfera e la musica jazz di sottofondo, calibrata in modo da non risultare invadente. Naruto era alla seconda birra, spillata con bravura al bancone e portata da un cameriere perplesso per quello che, evidentemente, considerava un beveraggio grezzo rispetto agli standard locali, corrispondenti tendenzialmente a vino d’importazione e alcolici di levatura analoga.
Ma, come sempre, a Naruto poco importava di apparire poco sofisticato per l’ambiente: si sentiva nervoso, nonostante la sua solita allegria, e la cravatta che aveva cercato di sistemare proprio non voleva saperne di evitare di soffocarlo. Allargò il nodo e bevve un altro sorso, per poi lanciare un’occhiata a Sasuke che, per contro, al suo fianco elegantemente immobile ogni tanto lo fissava.
Sakura fino ad allora aveva magistralmente tenuto la conversazione del gruppo, cercando di contenere le risposte inadeguate di Naruto, scoraggiare la timidezza di Hinata e spronare Sasuke a uscire dai suoi silenzi. Insomma, non erano decisamente i componenti di un dialogo da sogno ma non stava andando poi tanto male: nonostante il funerale recente Naruto pareva non aver perso la sua solita allegria e Hinata, seduta di fronte a lui, lo guardava con evidente interesse, nonostante il velo di rossore nel momento in cui il ragazzo le rivolgeva una domanda o si interessava a lei.
Quest’ultima dopo un po’ riuscì a dire, stringendo il tovagliolo tra le mani:
“Sakura mi ha detto che… che vi conoscete da tanti anni tu e Sasuke.”
La voce si affievolì ma almeno non aveva balbettato, era già qualcosa.
Naruto sorrise, portandosi una mano dietro la testa; Sasuke, al suo fianco, si pulì la bocca con il tovagliolo.
“Beh, sì, da bambini – rispose il primo – finivamo per giocare sempre assieme. Giocare… Sasuke se ne stava per i fatti suoi e quando lo invitavo a partecipare voleva fare ogni volta a modo suo. Gran belle litigate. Penso che in un’occasione siamo pure arrivati a morderci.”
Ridacchiò, pensando a come avrebbe reagito il Sasuke adulto se lui avesse cercato di mordergli una chiappa.
L’allenatore appoggiò un gomito sul tavolo e si voltò verso Naruto, correggendolo:
“Punto primo, tu non mi invitavi, rompevi le scatole finché non accettavo e ucciderti sarebbe stato troppo complicato. Secondo, avevi idee assurde e io dovevo in qualche modo gestire la situazione.”
“Idee assurde? Quali idee assurde? Con me il divertimento era assicurato, altroché, ti opponevi solo per paura di farti venire le rughe a forza di ridere, bambino serioso e scazzato.” Incrociò le braccia, piccato nonostante l’insulto appena rivolto all’amico.
Questi aprì di più le gambe e diede una ginocchiata sulla coscia di Naruto, che protestò facendo scoppiare a ridere Hinata, ma anche quando Sasuke parlò, la sua gamba rimase lì, incapace di allontanare qualcosa di sé dalla persona che aveva a fianco:
“Perché, cercare di costruire un razzo prendendo la benzina dalle macchine dei nostri genitori e issarci sopra ti sembrava un’idea normale, divertente e fattibile, razza di stupido?”
Però, in fondo, Sasuke aveva un leggero sorriso sul volto, con tanto di finto cipiglio irritato.
“Beh, si vede che già da allora dovevo darmi a ingegneria, modestamente.”
Continuarono per un altro po’, con Hinata che a volte interveniva, magari coinvolta direttamente da Naruto intento a narrare qualche loro avventura. Sakura li guardò, silenziosa; osservò specialmente Sasuke, il modo in cui scambiava occhiate complici con Naruto ma, soprattutto, la maniera che aveva di osservarlo, con quei suoi occhi sempre così seri, ora attenti, quasi dovessero memorizzare ogni dettaglio della persona che aveva accanto. Si chiese se anche lei, in fondo, stesse guardando Sasuke allo stesso modo.
Si morse un labbro poi, quasi con tono secco, intervenne:
“Meno male che fanno boxe assieme, altrimenti non si sarebbero sopportati tutti questi anni.”
Lo aveva detto. Aveva lanciato una pietra in un lago che forse avrebbe generato uno tsunami; perché nessuno dei due amava ricordare cos’era accaduto cinque anni fa e com’erano cambiate le loro vite. Fatto stava che c’era una grande bugia in quella frase: Sasuke e Naruto avrebbero continuato a vedersi, ancora e per sempre, con o senza la boxe.
Era calato il silenzio e Hinata, giustamente, non capiva.
“Oh, avete tante cose in comune.” Disse semplicemente, per poi fissare imbarazzata il piatto.
Sasuke e Naruto evitarono di guardarsi, poi quest’ultimo dopo essersi schiarito la voce disse:
“Sì, effettivamente…”
Arrivò il secondo, dando a tutti i presenti un gradito momento di tregua. Naruto sentì ancora il ginocchio di Sasuke contro la propria gamba, mai eccessivamente invadente, al contrario, era una vicinanza spaventosamente naturale. Guardò quel ginocchio e Sasuke fece lo stesso con la gamba di Naruto. Incrociarono gli sguardi, per poi tornare a mangiare.
Dopo qualche boccone Sakura aggiunse, appoggiando la forchetta accanto e poi bevendo dell’acqua:
“Dovresti invitare Hinata al matrimonio, Naruto. Siete entrambi senza accompagnatore, magari è più comodo per entrambi.”
Accennò un sorriso che voleva essere complice, in realtà… non seppe bene nemmeno lei cosa fosse: si sentiva solo spaventata, spaventata da Naruto troppo vicino a Sasuke, anche adesso, anche a distanza di anni, soprattutto con il matrimonio incombente che lei aveva organizzato con attenzione, cercando di coinvolgere il suo futuro marito che sembrava fidarsi totalmente delle sue scelte.
Non era razionale, se ne rendeva conto, ma si trattava di una preoccupazione quasi viscerale, che le partiva da sotto la gola fino a stringerle lo stomaco.
Naruto tossì, Hinata prima sbiancò per poi diventare bordeaux e Sasuke le lanciò un’occhiata in parte stupita, in parte seccata.
“Che stupidaggini – disse – possono anche arrangiarsi da soli.”
“S-sì, non ho bisogno che Naruto mi accompagni.” Specificò Hinata, torturandosi le dita.
“No, credo che Sakura intendesse il contrario. Teme che mi perda, da solo.” Ridacchiò il ragazzo, con neanche troppo sorprendente spirito di recupero. Sentì gli occhi di Sasuke su di sé e non capì cosa volesse esattamente da lui; se dovesse rifiutare o se invece reputasse la proposta di andare con Hinata la cosa più saggia da fare.
In fondo era una bella ragazza, intelligente dietro il velo di timidezza, oltre ad avere un bel sorriso. Non era Sasuke ma d’altronde… lui aveva fatto la sua scelta, no?
Certo, perché tu non gliene hai mai data nessun’altra. Siete persino andati a letto insieme ma vi siete sempre rifiutati di affrontare seriamente la questione: stupidi e orgogliosi, ecco cosa siete!
Maledetto senso interiore, già sono brillo e triste, non ti ci mettere pure tu a farmi la predica.
Nel mezzo delle sue mirabolanti considerazioni con se stesso, Naruto finì per uscirsene con:
“Massì, andiamo assieme Hinata, sarai la mia ancora di salvezza.”
Decretò, apparentemente allegro e con la lingua che stava cominciando a impastarsi; oh, la seconda birra era già quasi finita. D’altronde Sasuke era spaventosamente intelligente, no? Quindi da lui voleva sicuramente la cosa più furba e giusta da fare, aveva agito come si doveva.
Ecco, se avesse visto l’espressione di Sasuke e letto i suoi pensieri, forse Naruto avrebbe decisamente cambiato idea a riguardo.
Naruto, idiota, ti sei bevuto il cervello? Perché…
Perché devi cercare di andare avanti anche tu? Non puoi rimanere dove sei, a noi due? Se continui ad esserci io ho ancora la possibilità di tornare, in qualche modo.
Che egoista che sei, Sasuke Uchiha.
A quel pensiero, all’improvviso, nel tavolo vuoto di fianco al loro comparvero Madara e Hashirama: il primo con una sigaretta che gli cadde dalle labbra assieme alla cenere, il secondo con un’espressione di pura sorpresa.
Perfetto. Ah-ah, che serata divertente.

*

Per dovere di cronaca, torniamo indietro nel tempo e vediamo dov’erano esattamente Madara e Hashirama, mentre Sasuke e Naruto erano intenti a rovinarsi a vicenda.
Dopo tutta la pessima faccenda del funerale e l’ancor più disastroso contatto con le persone che, teoricamente, avrebbero dovuto aiutare, i due si erano ritrovati a casa dell’artista, più nello specifico nel suo studio.
Forse Hashirama, in quel momento, aveva bisogno di qualcosa che gli trasmettesse serenità, forse di un legame ancora saldo con la sua vita, e la scrivania, i fogli, gli album, le illustrazioni erano quel ricordo di cui necessitava. Seduti entrambi a terra, i due uomini si guardarono un istante attorno, poi Hashirama si alzò e fece per sfiorare i pennelli e le matite che usava d’abitudine. Si sorprese quando sentì il contatto con le setole sottili ma corpose del pennello o il legno soffice della matita.
“Avete un eco ancora molto forte. Per questo riuscite a toccare le persone e gli oggetti, specie quelli che per voi hanno significato qualcosa di importante o verso i quali mettete una certa energia; anche se tu, Hashirama, ti senti ancora troppo in colpa per sfiorare tua figlia e tua moglie, prima forse hai tutti questi casini da risolvere. Inoltre, come vi ho già detto, vi trasportate dove sentite di voler andare.”
Sai comparve all’improvviso, seduto con le gambe incrociate su un tavolino con sopra dei libri d’arte che sembravano essere sul punto di cadere, sebbene non li sfiorasse nemmeno di un millimetro.
Madara strinse i pugni: “Porca puttana, la pianti di comparire così all’improvviso?”
I pennelli per contro erano caduti sulla scrivania, perché anche Hashirama aveva sussultato, in parte colto di sorpresa, in parte segnato dalla consapevolezza che il suo immateriale subconscio gli aveva, sperava solo temporaneamente, precluso un contatto con Hana e Mito.
Sai guardò Madara, gli sorrise, infine proseguì il discorso:
“Bel casino che avete fatto al funerale, eh?”
Continuava a sorridere.
“Che cazzo hai da ridere?” sbottò Madara, scattando in piedi.
Hashirama gli portò una mano sulla spalla, infine convenne: “Sì, non è andata particolarmente bene – non accennò a quello che era accaduto con la moglie e la figlia, quasi fosse una questione esclusivamente sua – E temo che dati i nostri pregressi non siamo esattamente un buon esempio per quei ragazzi.”
“Al contrario. E’ proprio perché conoscete le conseguenze dei vostri gesti che potete essere d’esempio. Avete capito qual è il loro problema?” domandò Sai, appoggiando il gomito sul ginocchio e tenendo la testa con il palmo della mano.
“Che non si parlano. E danno per scontato di agire l’uno per il bene dell’altro.”
Era stato Madara a parlare e aveva guardato Hashirama mentre lo diceva.
“Ottimo. Questa è la base. Perché non provate ad agire separatamente?” propose il novello Caronte.
Poi, in un attimo, scomparve. I libri ondeggiarono un istante ma non caddero, come se ci fosse stato un soffio leggero e infine la quiete.
Hashirama sospirò. Poi vide che Madara aveva trovato le sigarette nel cassetto del tavolo e se ne era accesa una, nel silenzio della stanza che, in qualche forma, calmava anche lui. C’erano le illustrazioni dei suoi racconti, appese alle pareti e incorniciate, infine i romanzi di Madara coi disegni di Hashirama usciti in edizione limitata; erano andati a ruba e avevano un notevole valore di mercato: chissà perché la gente amava collezionare quelle robe. Eppure quelle copie erano in casa di Hashirama proprio perché gliele aveva regalate Madara. Quest’ultimo si chiese se Mito non avesse pensato di dar fuoco a tutto, dopo il funerale.
“Agire separatamente, eh?” domandò pensoso lo scrittore, espirando, per poi lasciarsi la sigaretta tra le labbra.
“Ti ricordo solo che l’omicidio non è una soluzione.” Fece presente Hashirama, neanche troppo scherzoso.
Dopo quelle parole, infatti, si ritrovarono catapultati su delle sedie, con un tavolo tra di loro e attorno i rumori tipici di un ristorante. Girarono la testa di scatto e… si trovarono faccia a faccia proprio con Sasuke e Naruto. Madara sentì la cenere cadere, assieme alla sigaretta.
Hashirama prese un bel respiro, afferrò la sigaretta caduta di Madara e la affondò in un bicchiere decorativo dentro il quale galleggiavano ninfee di plastica. Ci fu una leggera nuvoletta di fumo ma nulla che allarmò i presenti.
Fece un cenno a Sasuke e Naruto, sorridendo:
“Oh, continuate pure, non fate caso a noi.”
Madara si grattò il mento, appoggiò il gomito sulla sedia e sorrise a entrambi, con quella faccia da stronzo psicopatico che si ritrovava.



Sproloqui di una zucca

Ho immaginato un'ambientazione geografica in stile americano, con bare aperte, precedentemente statali lunghissime e città ampie ma ho preferito non dare eccessive impronte culturali. Per il resto consiglio di ascoltare i Velvet Underground, esponenti di prim'ordine dell'acid rock (acid perché la gente si calava pasticchine e acidi per entrare in maggiore sintonia con la musica. Ahah. No, davvero, i suoni aiutavano i trip. Visto che cose interessanti faccio scoprire, eh?). Ddddroghe a parte, è un gruppo che mi piace particolarmente, trovo i testi davvero significativi.
Appunto sulla figlia di Hashirama: ho provato a spulciare in giro notizie riguardo la sua prole ma non ho trovato un ghez, si passa direttamente a Tsunade. Dunque ho creato il personaggio di Hana e... puppa, sostanzialmente. Se avete un'idea della genealogia Senju più estesa di me - non che ci voglia molto, ahimé - sarò ben lieta di venire aggiornata riguardo l'espansione genetica di Hashirama.
In ogni caso, finalmente il fantastico quartetto delle meraviglie si è pseudo riunito ma... non poteva essere tutto rose e fiori, no? Cosa succederà ora? Crollerà il ristorante con tanto di fungo atomico? Sasuke ballerà davvero il limbo? E Sai tirerà quattro ceffoni a Madara?
Scherzi a parte (o forse davvero Sasuke si darà ai balli caraibici), in questo capitolo hanno iniziato a presentarsi per bene tutti i personaggi, i rispettivi ruoli e i relativi pensieri. Anche Sakura ha ben donde di essere sul chi vive e protettiva nei confronti di ciò che ama (in tante mie storie la vedo combattiva, sempre e comunque, ma mai la classica femminuccia stronzetta da usare come sputacchiera negli yaoi).
Nel prossimo capitolo vedremo come i nostri due prodi Madara e Hashirama agiranno per sbloccare definitivamente la situazione e far scoppiare davvero la bomba... muahahah! Poi preparatevi, perché con l'ultimo i toni saranno decisamente più... nostalgici, diciamo così.
In attesa, vi delizio con una fanart trovata sul web (non conosco l'autore, se per caso capita di averci a che fare/sapere chi è linkerò i credits aspergendo incenso) che ha l'immenso pregio di riassumere l'espressione di Madara all'idea di avere a che fare con Sasuke e Naruto.




<3

Alla prossima! Grazie per quanti hanno letto (siete tanti, me commossa), deciso di preferire/seguire/ricordare questa storia e vorranno commentare, che sia per usarmi come sputacchiera online, o per beatificare Madara e la sua non-pazienza XD

Ps. Nel dialogo tra Sasuke e Sakura:

Sakura aprì un istante la bocca, poi la richiuse e con maggiore cautela rifletté: “Pensavo te l'avessero detto.”
Irritato, l’altro sbottò: “Evidentemente no, altrimenti non te l’avrei chiesto."

Ebbene, la risposta acido-merdosa di Sasuke è la stessa che avrei dato io. Bravo Sasuke, così ti voglio! Ecco perché l'adoro e lo prenderei a cazzottate :3

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Capitolo 3
*** Forward - Frankenstein ***




R.I.P. & Play Again

Riposa in Pace… Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.






“I have love in me the likes of which you can scarcely imagine and rage the likes of which you would not believe. If I cannot satisfy one, I will indulge the other.”
“L'amore che è in me è talmente grande che tu stenteresti a immaginarlo e il mio furore ha un'intensità che tu non puoi concepire. Se non troverò il modo di soddisfare l'uno, darò libero sfogo all'altro.”
Kenneth Branagh's 1994 adaptation of Shelley's novel Frankenstein.


“If I cannot inspire love, I will cause fear; and chiefly towards you my arch-enemy, because my creator, do I swear inextinguishable hatred.”
Frankenstein – By Mary Shelley


III

Forward - Frankenstein



Sasuke e Naruto erano rimasti bloccati a guardare un tavolino per altri vuoto, sul quale un mozzicone di sigaretta galleggiava in una decorazione pacchiana.
“Li ammazzo.” Sussurrò Sasuke, in un rigurgito di rabbia. Odiava le cose fuori controllo e improvvisate, forse perché l’unico che potesse farlo deragliare era Naruto.
Questi, che a sua volta fissava il tavolo, con Madara e Hashirama che avevano l’aria di essere due avventori al bar, lo corresse:
“Beh, teoricamente sono già più o meno morti.”
Ehm, Sasuke odiava essere corretto. Specialmente da Naruto. Ma in quel momento le questioni in sospeso erano troppe per poter dar spazio anche alla mancanza di tatto dell’amico nei confronti di una delle tante cose che Sasuke Uchiha detestava.
“Ragazzi?”
Li richiamò Sakura. Il dolce era arrivato.
I due scattarono, fissandola.
“Oh, sì, giusto. Dessert!” esclamò Naruto.
“Il gelato panna e fragola. Quand’è che tiri fuori ciuccio e pannolino?” lo prese in giro Madara.
“Quand’è che ti fai i cazzi tuoi?” sbottò Naruto puntandogli contro il cucchiaino.
Madara rise genuinamente, mentre il ragazzo offeso avvertì la mano di Sasuke sul collo che, con le dita sottili ma forti, lo costrinse a girare la testa verso il loro tavolo e non verso gli ospiti fantasma.
“Ha problemi di collocazione mentale. Troppe randellate in testa con gli anni producono questi effetti.”
“Scherza, ovviamente.” Precisò Naruto piccato, affondando il cucchiaino nel gelato per mangiarsi un boccone gigante.
Era comunque bello sentire le dita di Sasuke sul suo collo, il modo in cui indugiavano tra i capelli per poi scivolare giù, lentamente, fino alla schiena, da dove si allontanarono così da riavvicinarsi al tavolo.
Hashirama incrociò le braccia e disse in un sussurro, rivolto a Madara:
“Sei proprio un po’ stronzo.”
“No – scrollò le spalle – è che in fondo questi due mi divertono. Già li adoro.”
Sospirò, resistendo comunque all’impulso di tormentarli.
Hinata nel frattempo aveva sorriso, mentre Sakura si era risolta a tirare fuori il cellulare per proporre:
“Dovreste scambiarvi i numeri di telefono. Ve li invio per messaggio? Naruto è impedito per certe cose.”
Lo disse quasi con affetto ma in tutto il resto fu categorica, come se non fossero ammesse alternative. Era una donna forte, Sakura, Naruto lo aveva sempre pensato.
Tramite le riflessioni del nostro biondo pugile, approfittiamone biecamente per teletrasportarci indietro nel tempo – più per comprendere meglio gli attuali sviluppi di trama, che per ficcanasare nelle vite private altrui, per quanto sia sempre molto interessante farlo: anni fa, infatti, Naruto aveva confuso per amore ciò che in realtà era ammirazione nei confronti di Sakura. In fondo era stato comodo ingigantire quel sentimento, per sminuire e rendere irreale anche con se stesso tutto quello che egli invece provava... per Sasuke.
Ben presto fu palese che lei aveva occhi solo per quest’ultimo, Naruto lo aveva capito persino troppo bene, anche se Sasuke non si era mai sbilanciato eccessivamente nei confronti della ragazza. Proprio per questo tutte le volte in cui i due finivano a letto, convinti che tanto prima o poi tutta quell’attrazione si sarebbe spenta, dirottata verso delle donne come accadeva a una buona parte dei loro amici e coetanei, Naruto finiva per fare qualche battuta, sostenendo che un giorno avrebbe fatto innamorare Sakura per soffiarla a quello stronzetto del suo migliore amico. Ma il giorno in cui il suddetto stronzetto se ne era arrivato con un:
Ho deciso di mettermi assieme a Sakura e l’aveva guardato, in attesa di una sua reazione, a Naruto era cascato il mondo addosso. Chissà per quale stupida ragione credeva che non sarebbero mai cresciuti veramente loro due, che non avrebbero mai dovuto fare i conti con il resto del mondo o con il fatto che gente tipo Sasuke acchiappava inevitabilmente il gentil sesso e persino un insofferente come lui ai legami avrebbe finito per trovare qualcosa di stabile.
Bastardo, non mi hai neanche dato tempo di contrattaccare.
Non lottò. Per avere Sasuke, non Sakura. Semplicemente perché forse Sasuke se la meritava quella vita normale, specie dopo l’incidente, ed era tempo di passare oltre la loro indefinita relazione. Peccato che Naruto non fosse a conoscenza tutti gli infiniti mesi di insistenza della famiglia Uchiha, che vedeva in quella ragazza tanto affascinante un orizzonte di felicità per il loro figlio, il quale invece si sentiva messo alle strette, arrabbiato per l’ottusità di Naruto e dei suoi stessi genitori. Eppure… come poteva deluderli, ancora, dicendo loro che l’unica persona che gli interessava era il suo amico di sempre?
Con questo spunto di riflessione, infine ritorniamo al nostro ristorante evidentemente sovraffollato, a una Sakura battagliera, a Hinata vittima inconsapevole degli eventi, a Naruto convinto di aver fatto la cosa giusta anziché una supercazzola di dimensioni atomiche e infine… a Sasuke, futuro sposo. Quest’ultimo infatti stava stringendo con forza una posata. Pessimo segno. E, soprattutto, si poneva questioni relative a sentimenti che non avrebbe mai potuto capire, quali l’istinto femminile di dominio del territorio: perché Sakura doveva fare così? Perché? Cos’era quell’invadenza, quella decisione di accelerare le cose, come se ci fosse una bomba a orologeria piazzata sotto di loro?
“Va… va bene.” Annuì Hinata, lanciando un’occhiata a Naruto, come aspettandosi che questi avrebbe avuto da ridire.
No, non va bene per un cazzo – sbottò Sasuke – e l’idiota annuisce pure. Con quegli altri sottospecie di Casper di categoria zeta a guardare. Lo strozzo, così va a far loro compagnia, visto che ci tiene tanto.
“Dai, Sasuke, non essere geloso, il mio numero ce l’hai già.”
Buttò lì Naruto, facendogli l’occhiolino con aria complice.
Sakura assottigliò le labbra. Sasuke si voltò a guardarlo. Nonostante tutto scoprì di aver voglia di sorridere, per quella battuta quasi provocatoria che manifestava una ricerca di complicità. Eppure allo stesso tempo l’allenatore sentiva addosso un inevitabile senso di tragedia.
“Stupido.” Borbottò.
“Già – ammise l’amico in un sussurro, massaggiandosi il collo mentre guardava l’avanzo del dolce – sono proprio stupido.”
Sakura, che aveva cominciato a parlare con Hinata del matrimonio e delle ultime cose da organizzare, non sentì quelle parole. Ma Sasuke le udì benissimo.
Finirono, pagarono il conto e si alzarono, ciascuno diretto verso le proprie direzioni. Hashirama e Madara in silenzio li guardarono andar via e si resero conto di quanto entrambi fossero, in fondo, tristi.

*

“Allora ci sentiamo per il matrimonio. Una settimana e ci siamo, eh?” commentò Naruto, cercando di sorridere.
Hinata annuì: “Già. Ci sentiamo… domani? Se non è un disturbo, ovviamente.”
Precisò, con delicata empatia.
“Ma quale disturbo, figurati!” la rassicurò.
Sasuke era rimasto in silenzio. Sakura salutò l’amica e collega di lavoro poi, finita qualche altra breve chiacchiera, Hinata chiamò un taxi e si allontanò, dopo essersi scambiata anche con Naruto un bacio di cortesia sulla guancia, con il risultato di sentirsi andare a fuoco le gote morbide.
Rimasero loro tre. Erano sempre e solo loro tre, alla fin fine.
“Spero che la serata ti sia piaciuta, Naruto – interloquì Sakura – Hinata è una brava e bellissima ragazza.”
“Sì, l’ho visto.” Disse lui, fissandola.
Ci fu un altro silenzio. Poi la futura sposa esortò con un sorriso:
“Andiamo, Sasuke? Domani devi alzarti presto per andare a lavoro e dopodomani abbiamo la cena con i nostri amici. Devi essere in forze per festeggiare, se vuoi arrivare vivo al matrimonio.”
Scherzò, con quell’aria premurosa e al tempo stesso energica che conquistava gli altri. Certo, all’idea di arrivare vivi a fare qualcosa c’era da pensare istintivamente a Madara e Hashirama… chissà se erano ancora dentro il locale.
“Andiamo.” Concordò lui, incurvandosi appena nelle spalle mentre le mani affondavano nelle tasche.
“Hai bisogno di un passaggio?” domandò però rivolto a Naruto, come se si aspettasse che dicesse di sì.
Ma questi scosse la testa, tirando su il pollice:
Eccerto, vengo a fare il terzo incomodo.
“No, sono a posto. Ci… sentiamo.”
“Ok.”
Non riuscirono a dirsi di più. Si separarono, andando in due direzioni opposte.
Quando fu certo di aver percorso abbastanza terreno, non sapeva nemmeno quanto, né dove esattamente fosse, Naruto calciò un sasso dal marciapiede e urlò, con forza, gridando la sua rabbia fino a sentire la gola bruciare. Maledisse Sasuke, il suo senso di colpa, la consapevolezza di averlo bloccato per colpa della sua stupidità e, allo stesso tempo, odiò la convinzione di non rappresentare la scelta più ovvia per il migliore amico.
Non si erano mai detti ti amo. Avevano fatto sesso, si erano parlati di tante cosa ma… amare, come un uomo amava una donna? No, quello non era il loro campo. Rispetto a Sakura proprio non si potevano avanzare pretese legittime.
Allora… perché sentiva tutta quella tristezza addosso?

*

Hashirama e Madara erano fuori dal locale. Quest’ultimo aveva una sigaretta in bocca, presa da un tizio che non si era reso conto del pacchetto che si apriva da solo; poi era bastato sottrarre un accendino senza dare nell’occhio e via, il gioco era fatto. Poteva quasi abituarsi.
Espirò, per poi dire dopo aver assistito al saluto dei due:
“Bella merda.”
“Già.” Commentò l’altro. All’improvviso piegò appena la testa e la appoggiò su quella di Madara, di poco più basso di lui.
Rimasero così un istante, finché l’illustratore ammise, con voce leggera ma allo stesso tempo profonda:
“Non voglio separarmi da te. Sono sempre stato parecchio fiducioso per quello che mi attendeva oltre ma… restando qui, sospesi, mi rendo conto che prima o poi tutto questo finirà e io – fece una breve pausa – io potrei rischiare di perderti.”
Non si era mai abituato a passare così tanto tempo con Madara; non credeva che il miracolo di averlo accanto potesse verificarsi proprio da morto.
“Non succederà. Finché morte non vi separi – l’altro fece un breve sorriso – è per questo che non ci siamo sposati, no?”
“E’ che…”
Non finì la frase, limitandosi a sospirare e a sorridergli.

*

Sasuke aveva appena riaccompagnato a casa Sakura. Casa loro, a dire il vero. Ormai mancavano gli ultimi pezzi d’arredamento, i mobili del soggiorno erano in consegna e le pareti sapevano di vernice fresca. Tutto perfetto, pronto per quando si sarebbero sposati.
Lei aveva insistito affinché condividessero lo stesso tetto; avevano dunque già più o meno convissuto nell’appartamento di Sakura, che era più grande, ma Sasuke ogni tanto sentiva bisogno di tornare tra le sue mura, con le cose che ancora non aveva portato via, come le robe da boxe o le fotografie della sua infanzia.
Anche quella sera, nemmeno troppo sorprendentemente, aveva finito per trasformarsi in un’occasione di lontananza, a discapito di ciò che Sakura avrebbe voluto. Perché Sasuke, con il pretesto che il suo appartamento era vicino a lavoro, congiunto all’obbligo di dover andare via più presto del solito, aveva ribadito che passare la notte nel proprio alloggio era la cosa migliore – consapevole comunque che tra un mese quelle mura tanto vissute sarebbero state vendute, perché era irreale che lui potesse ancora tornarci.
Almeno su quello Sakura era stata irremovibile.
Quando scattò il semaforo, Sasuke ripartì.
“Ti spiace se ascoltiamo un po’ di musica?”
Sorpreso, il ragazzo sterzò e le ruote sferzarono la strada. Uno dietro suonò il clacson ma il guidatore si rimise in fretta in carreggiata, dopo aver lanciato un’occhiata di incredulità e fastidio a chi gli era comparso al fianco senza preavviso, tanto per cambiare.
“Hashirama! Ancora tu? E dov’è quel cafone del mio finto parente?”
Aveva parlato con tono minaccioso, ogni parola era una lamata gelida. Ma Hashirama non si lasciò certo impressionare, abituato ad avere a che fare con i disagiati sociali. Per contro, infatti, rise:
“Madara? – scrollò le spalle – Ah, non lo so. All’improvviso mi sono ritrovato qui. Gli spostamenti funzionano un po’ stranamente, sono controllati dall’emotività.”
“Perfetto, mi mancavano solo più i fantasmi sensibili.”
Grugnì. Senza scomporsi, Hashirama accese il lettore MP3. Partì una canzone pop.
“Katy Perry?” domandò, divertito.
Sasuke arrossì e corrugò le sopracciglia, in evidente imbarazzo: “Non è roba mia. Sakura non sa farsi gli affari suoi e mette le sue canzoni.”
Tutto sommato Hashirama non cambiò canzone, limitandosi a commentare:
“Ah, i piaceri e i dolori della vita coniugale.”
Sollevando un sopracciglio, Sasuke inquisì: “Puoi toccare le cose?”
“Sì. Se fossi stato Madara avrei aggiunto: e se voglio posso anche prenderti a schiaffi. Ma non sono Madara, sebbene… sì, potrei davvero prenderti a schiaffi.”
Fissò Sasuke che, fermo al semaforo, a sua volta lo guardava, mentre Katy Perry parlava di giungla e di ringhi. Wow, ci sarebbe stato da spanciarsi dal ridere, non fosse che l’intera situazione era sull’orlo del disastro e che un morto sposato, trovato a letto con il migliore amico, gli parlava di vita coniugale.
“Ok – disse Sasuke all’improvviso, stringendo il volante e ripartendo – dimmi che accidenti devo fare per farvi andar via. Chiamo un’esorcista? Un medium? Mi cospargo di sale?”
Hashirama trovò nostalgicamente divertente quel tono acido di parlare.
“Tanto per cominciare potresti parlare con Naruto. Questa sera mi è sembrato il perfetto esempio come non parlare.”
“Oh, perché, tu lo hai fatto in vita?” sbottò Sasuke per poi bloccarsi e ricomporsi, di nuovo fermo al semaforo.
“Con Madara l’ho fatto, a differenza tua. E’ con me stesso che non ho parlato. E ho dato ascolto a quello che voleva la società e gli altri; mi sono sposato, con una donna verso cui provavo comunque amore, ho cresciuto una figlia, che ora ha qualche anno più di voi, e aspetta una nipotina che io non vedrò mai – accennò a un sorriso – sai, ho conosciuto Madara quando ero già sposato. E Mito era incinta.”
Mi piace il tuo tratto. E’ malinconicamente bello.
Quelle erano state le prime parole che Madara gli aveva rivolto, per strada, dove all’epoca durante le fiere un giovane Hashirama esponeva le sue opere nel tempo libero, visto che gli altri giorni lavorava per mantenere la famiglia.
E Madara, quel giorno, gli era sembrato una macchia d’oscurità che aveva finito per espandersi in lui, portandogli in realtà tanta luce. Perché se all’inizio lo scrittore, autore già di qualche modesta pubblicazione, sembrava solo uno stronzo arrogante e pretenzioso, con il tempo si era scoperto una persona sensibile, con un’emotività travolgente che mascherava tramite il suo fare in parte scostante, in parte arrabbiato.
Hashirama aveva finito per innamorarsi di lui.
Tutti voi, in fondo, avrete sperimentato cosa significhi amare. Come si può controllare, inscatolare, imbrigliare un sentimento così forte? Non parliamo dell’attrazione zuccherosa da romanzi rosa, ma di puro e semplice amore, forse chimico, forse empatico. Ecco... no, non si può controllare, né far finta che non esista, specie se ricambiato.
Perché anche, e soprattutto, Madara amava, in una maniera così diretta da far capire ad Hashirama che nessuno dei due avrebbe più potuto cambiare rotta. E a quel punto rimanevano solo due possibilità: dire la verità a Mito e passare il resto della sua vita accanto allo scrittore con cui aveva finito per collaborare ormai da anni; oppure tacere, vedersi con l’uomo che amava in qualche motel o con il pretesto dei disegni, e tenere unita la sua famiglia, consapevole che si sarebbe alzato ogni giorno vedendo il volto di sua figlia.
Ecco, come potrete prevedere dall’andamento della storia, Hashirama aveva scelto la seconda opzione, anche se Hana da adulta era andata ad abitare con il suo futuro marito e Senju si era lo stesso trovato in trappola, perché Mito continuava ad esistere e sembrava sussurrargli nella testa di non lasciarla sola.
Madara all’epoca si era incazzato e aveva rischiato di mandare tutto a fanculo ma... alla fine, proprio perché amava così tanto, era rimasto, accontentandosi. Quello stesso amore di cui abbiamo parlato sopra non è un bel sentimento, né è così positivo: chiunque vi dica il contrario forse è solo stato molto fortunato o, magari, è semplicemente un illuso. Proprio perché fuori controllo l’amore finisce per fare quello che vuole, portando a compromessi e scelte che normalmente non si farebbero, proprio quando ci si crede invincibili, intoccabili, di fronte a frivolezze come i sentimenti.
Madara aveva ben ragione dunque ad essere incazzato, sentimento amplificato esponenzialmente la sera dell’incidente satellitare.
Non che Hashirama provasse qualcosa di diverso, semplicemente aveva un modo diverso di esprimerlo:
“Li ho lasciati mentendo – concluse, lucidamente – perché pensavo avrei perso mia figlia per sempre. Sarebbe bastato essere onesto con me stesso e non credere di dovermi per forza sacrificare in nome di quello che ritenevo più giusto. Così facendo ho perso il mio tempo con Madara in vita e il resto della mia famiglia durante la morte.”
La canzone smise. Prese al suo posto Pictures of You, dei Cure. E Hashirama era certo che, nonostante tutto, quella fosse di Sasuke.
Il quale, in qualche modo, dopo diversi minuti di doloroso silenzio si ritrovò a spiegare senza nemmeno accorgersi di aver cominciato:
“Con Naruto non ho nulla di cui parlare. A lui sta bene così. Non mi ha mai detto niente quando ho iniziato a uscire con Sakura, non ha fiatato quando abbiamo iniziato a convivere, né ha replicato quando gli ho detto che ci saremmo sposati. Nulla, non un cenno. Eppure a ‘sto stronzo piace comunque scopare!”
Sbatté una mano contro il volante. Aveva alzato la voce, senza rendersene conto; anche quelle parole gli erano uscite così dalla bocca, da sole, e lui non le aveva controllate.
“Questo perché ti ama.” Disse con estrema semplicità Hashirama, per poi ricevere lo sguardo più scettico e disperato che Sasuke fosse in grado di fare, dietro quella perenne maschera di freddezza che non riusciva proprio a scrollarsi di dosso.
“No, io…” cominciò ma Hashirama gli domandò, abbassando il finestrino per appoggiare il gomito:
“Cos’è successo, anni fa?”
Sasuke non rispose. Rimasero in silenzio entrambi, fino a che il ragazzo parcheggiò vicino a casa. Eppure non scese dalla macchina e Hashirama guardò davanti a sé, in attesa. Lui aveva tutto il tempo del mondo.
Il guidatore si slacciò la cintura, portò la testa contro il sedile e disse, all’improvviso:
“Una stupidaggine. Naruto e io stavamo correndo per allenarci. Poi lui ha attraversato la strada e una macchina che non doveva passare lo stava per investire. Non ho più pensato: mi sono buttato per spingerlo via. Sostanzialmente, ciò che non è toccato a lui, è toccato a me; per fortuna il tizio non mi ha preso in pieno ma la gamba me la sono giocata, nonostante le costole rotte e tutto il resto.”
“Hai detto addio alla tua carriera sportiva, in pratica.”
Anche Hashirama, esattamente come Madara, sapeva essere spaventosamente diretto. La differenza era nel tono di voce, così comprensivo e umano da far pensare che fosse realmente lì, carne e ossa, in quella macchina.
“Sì.” Ammise Sasuke, obiettivo. Suo padre, che aveva posto tante speranze in lui, era rimasto deluso, anche se aveva fatto il possibile per non farglielo capire, né pesare. Dopo anni i suoi si aspettavano che il figlio menomato almeno trovasse felicità nella famiglia, come l’avevano ricevuta loro.
A volte i genitori sanno essere molto egoisti nei desideri verso i figli, proprio quando ritengono di pensare solo al benessere di coloro che hanno messo al mondo.
La strada era buia e silenziosa, quasi per far sentire meglio le parole di entrambi.
“E non pensi che Naruto possa sentirsi in colpa per questo?” osservò Hashirama, digerendo quelle parole del passato.
“So che si sente in colpa, dannazione! – scattò Sasuke, mordendosi poi un labbro – ma cosa devo fare? Continuiamo ad allenarci assieme, cerco di spronarlo a iscriversi alle competizioni almeno locali, perché è bravo, ha talento, e non sopporterei di vederlo ingabbiato in una stupida palestra che frequenta come se fosse un appuntamento sul calendario, specie per una colpa che non ha!”
“E… questo, invece, gliel’hai detto?”
La domanda di Hashirama rimase lì, sospesa nell’abitacolo ordinato della macchina.
La risposta non aveva bisogno di essere detta, entrambi sapevano già qual’era.

*

“No!”
Esclamò Naruto, quando Kiba gli propose di prendere un’altra birra. Erano usciti assieme dopo lavoro, visto che tanto il ragazzo non aveva granché da fare e di certo non aveva voglia di tornarsene a casa, non quando sapeva che quella sera Sasuke sarebbe stato a quella specie di addio al celibato con tutte quelle coppie allegramente sposate o quasi, assieme alla sua futura moglie. Ma che accidenti di addio al celibato era? Dov’erano le spogliarelliste, i costumi a filo interdentale e tutto il resto? Lì c’era lo zampino di Sakura, che voleva far odorare al marito l’aria di famiglia, figli e responsabilità in un clima allegro. Decisamente furba.
Però, nonostante questo, l’ultima cosa che Naruto voleva fare era proprio bere. L’altra sera era tornato a casa dopo aver chiamato un taxi che lo aveva minacciato di morte, se solo avesse osato insozzare la macchina con il suo vomito; effettivamente Naruto aveva retto, forse più intimorito all’idea di pagare i danni che per reale sopportazione, ma una volta giunto a casa si era fiondato in bagno e aveva rigettato anche l’anima.
Per quello, decise, doveva rimanere sobrio e non far pensare a se stesso che tutta quella faccenda del matrimonio lo potesse ridurre a un rifiuto umano. Poi si era sentito anche con Hinata e si erano messi d’accordo per andarla a prendere il giorno della cerimonia, non male, no?
Kiba l’aveva insultato come meritavano tutti gli astemi o presunti tali del mondo e se n’era andato fuori a fumare, assieme agli altri amici. Così Naruto era rimasto solo al tavolo, intento a sgranocchiare delle arachidi.
Sollevò la testa e si vide davanti Madara, con i gomiti appoggiati sul legno e l’aria di chi stava per mandare qualcuno a fanculo.
“Stai scherzando, vero?” domandò infatti l’uomo.
Chissà perché, Naruto pensò di aver sentito comunque, nella pelle, quel famoso vaffanculo.
“Ti sembro uno che scherza?”
Ah, che risposta del cazzo.
“Sì, effettivamente sì. Sembri proprio un pagliaccio.”
Ecco, appunto.
“Senti, Uchiha Ipersociopatico, già mi basta dover gestire Sasuke, non ti ci mettere anche tu. Non hai tipo da vedere i tuoi cari o tutte queste robe qui?”
Domandò, speranzoso, consapevole di non riuscirlo prendere a pugni ma, da quanto aveva intuito, poter comunque ingiustamente ricevere tante botte.
Madara finse di pensarci:
“No. E non me ne fotterebbe ugualmente nulla. Tanto l’unica persona che amavo è morta e ora mi trovo qui a dover avere a che fare con una sorta di ragazzo mestruato che esce con gli amici e non beve. Sei un insulto alla specie umana, che già di per sé fa piuttosto schifo, immagina quindi a che livello sei.”
“Certo che sei proprio stronzo – ammise Naruto, fissandolo quasi con interesse – è odio represso il tuo o proprio non ti hanno dato affetto da piccolo?”
All’improvviso, Madara scoppiò a ridere. Non sapeva bene perché ma quel ragazzo si rivelava essere a suo modo imprevedibile.
“Nah, è che mi viene naturale insultare la gente.” Si limitò a dire, scrollando le spalle.
“Scrivi dei bei libri, davvero. Sembri un’altra persona.” Ammise all’improvviso Naruto. Il locale era affollato, ben pochi avrebbero fatto caso a un tipo solitario che parlava da solo: gli ubriachi lo facevano tutto il tempo, oltre a vomitare a raggiera.
Madara, perplesso e quasi spaventato da quell’osservazione piuttosto intima e maledettamente perspicace, inarcò un sopracciglio, artigliando inconsapevolmente i polpastrelli sul bordo del tavolo. Che strana sensazione toccare qualcosa, anche se a tratti sembrava più un ricordo, quasi un prodotto della sua memoria.
“Scrivere è l’unica cosa che mi riesce bene, per questo lo faccio – attese un istante, poi domandò, assottigliando gli occhi come se si stesse addentrando in un terreno pericoloso – che libri hai letto?”
Così, sorprendentemente, dialogarono di libri, di storie e di racconti. Per la prima volta Madara sentì parlare di qualcosa di suo, di una sua storia, da una persona che non fosse Hashirama. E fu strano, persino sconvolgente. Arrogante e indisponente, non aveva mai letto le belle recensioni dei lettori, né sentito dal suo agente i dati fantastici di vendita, se non per avere conferma che avrebbe potuto continuare a scrivere per sempre. Credeva, in fondo, di non meritare alcun complimento, perché scrivendo rigettava nelle righe la persona che era e lui… non si era mai reputato un umano piacevole, come potevano dunque i suoi libri essere anche solo minimamente belli?
Si sentì invece sorprendentemente avvolto da quel calore, dall’entusiasmo, e quasi stordito all’idea che ciò che scriveva riusciva ad arrivare così in profondità nelle persone.
Rientrarono gli amici di Naruto. Perplesso, Kiba domandò:
“Con chi parlavi?”
Naruto si grattò il naso, facendo finta di nulla: “Mi preparavo… il discorso del matrimonio.”
“Ah, bella, ti voglio sentire. Dai, una birra prenditela!”
Il ragazzo fece per protestare anche quella volta ma successe qualcosa di imprevedibile: Madara lo toccò. In realtà con l’intento di ribaltarlo dalla sedia e dargli una svegliata, poi il tutto finì per trasformarsi in qualcosa di nettamente diverso: senza nemmeno comprendere come o per quale strano fenomeno fisico, lo scrittore si trovò infatti catapultato nel corpo di Naruto.
Vide il mondo con i suoi occhi, la gente, i suoni e gli odori. Tutto gli sembrò tanto vivido e pieno di vita da fargli capire che, da quando era morto, non c’era nulla di davvero reale come quando camminava sulla Terra, scriveva, fumava e amava, amava completamente Hashirama.
Ehi, che stai facendo?!
Esclamò la voce di Naruto, che gli rimbombò nelle orecchie. Il vero proprietario del corpo poteva sentire e vedere come sempre ma… non riusciva più a muovere un muscolo, né a parlare. Avvertiva la presenza di Madara, un marionettista senza fili.
E che cazzo ne so! Ti sono entrato dentro all’improvviso!
Rise, per il doppio senso che c’era dietro.
Kiba lo guardò perplesso:
“Naruto? Tutto bene?” Okay che l’amico era sempre stato allegro ma scoppiare a ridere all’improvviso dopo essere stato depresso tutta la sera era un po’ troppo anche per lui.
“Mai stato meglio! – esclamò Madara attraverso Naruto – Ordina quella cazzo di birra e non se ne parli più!”
Ehi, stronzo! Che cazzo fai? No, non osare farmi ubriacare!
“Wow! – esclamò Kiba – Che aggressività! Così ti voglio, bello panterone!”
Panterone? Ma che…
“Fanculo a Sakura! Sabato mi bombo Hinata e mi fotto anche Sasuke, già che ci sono!”
Qualcuno nel pub si voltò.
Kiba sollevò un sopracciglio. Ehr… sì, insomma, Naruto più che panterone sembrava decisamente posseduto. Arrivò la birra e gliela avvicinò, ridacchiando. Massì, non era male essere così su di giri.
“Ben detto! Il mare è pieno di pesci!” concordò, riecheggiando senza saperlo parole già dette di recente.
“E di puttane!” esclamò Madara nei panni del biondo, un tempo affettuosamente simpatico, Naruto.
Un altro, meravigliato, esclamò: “Come sei saggio!”
No! Ma che saggio?! Te stai fuori!
Madara per contro trangugiò metà boccale, si pulì con il dorso della mano e fu fantastico sentire la birra scorrere giù per lo stomaco, anche se non era esattamente il suo stomaco. Ma quelli erano dettagli. Sicuramente quel complessato di Naruto poteva beneficiare di una bella ubriacatura come si doveva.
Ordinò un’altra birra e si finì anche quella, cominciando a chiacchierare coi presenti al tavolo.
Naruto, sebbene impossibilitato a muoversi in autonomia, si sentì piacevolmente brillo e finì per trovare gradevole sentire Madara parlare, raccontare storie, corteggiare le cameriere e insultare gli amici che, ubriachi marci, ridevano come se stesse facendo loro il solletico.
Madara sentiva solo vagamente l’ubriachezza eppure... a modo suo persino lui si stava divertendo, anche se davvero non capiva come finisse la gente per volergli comunque parlare, nonostante si fosse sempre impegnato per allontanarla. Non gli avevano fatto neppure il funerale, in ogni caso. Decise che avrebbe perseguitato quel figlio di puttana di Fugaku, contrappasso minimo per avergli sbolognato un complessato come Sasuke.
“Allora, tu, coso – Kiba, dannazione, ci conosciamo da anni – Kiba! Sigaretta! Ho bisogno di fumare!”
Kiba rise, anche lui alticcio e incapace di prendersela per quella lieve dimenticanza sul nome:
“Ma dai, che dici? Da quando fumi?”
L’altro sbatté la mano sul tavolo: “Da adesso! Devo emanare un editto? Un concilio? Adesso. Quindi sgancia, perché visto che comincio ora non ho comprato le cazzo di sigarette.”
Perfetto, no, fai pure, uccidi anche me, tanto a te che cambia?
“E sta un po’ zitto, cazzo di suora.” Sbottò.
“Ma veramente non ho detto altro – replicò Kiba – va bene comunque, dai, pigliati ‘sta paglia e andiamo a fumarcene una.”
“Ma prima – Madara si alzò in piedi di scatto e il corpo di Naruto traballò un istante – un’altra birra! Alla goccia!”
“Impossibile! Muori prima!” replicò qualcuno.
Esatto. Morire? Presente? Dovresti aver capito come funziona. Minchia ti riempirei di botte!
Madara-Naruto si portò un pollice al petto:
“Per me nulla è impossibile! O non avete abbastanza palle per sperare di battermi?”
L’altro amico commentò: “Sei proprio maschio, Naruto. Mi sorprende che Sakura non te l’abbia data e si sia messa con quel tuo amico che sembra abbia sempre un palo su per il culo!”
Naruto ridacchiò e rise anche Madara.
Effettivamente ogni tanto Sasuke sembra proprio stare per le sue.
La risposta di Madara invece fu: “Per forza, lei è una frigida del cazzo. Si sono trovati, evidentemente!”
Fecero a gara per chi finiva prima la birra. E quando Madara vinse, decretando il tutto con un sonoro rutto per colpa del quale Naruto si sentì quasi sfondare la cassa toracica, il giovane Uzumaki fu completamente ubriaco e ritenne che era stato persino stupido a non aver mai sostanzialmente fumato in vita sua, cosa che confermò quando uscì fuori dal locale e gli accesero una sigaretta.
Colpa del frigido! Ti fa male! – nella sua testa scimmiottò Sasuke che lo rimproverava, quando ancora sperava di portarlo in cima alla vetta – Che sportivo saresti? Blahblah!
Ridacchiò e, a sua volta, Madara rise, aspirando il fumo:
“Cerca di proteggerti – nel dire quella frase lo scrittore suonò spaventosamente serio, per poi aggiungere più scanzonato – Ma tu sei un maschio alpha e un panterone. Hai dei titoli da difendere!”
Sì, piaciono anche a me sti titoli – si accorse di star perdendo delle lettere per strada ma non importava -  proteggermi. Bah, considerando che l’ultima volta si è fatto investire per farlo, direi che non è stata molto produttiva come scelta.
Gli altri erano troppo ubriachi per interessarsi di Naruto che, tanto per cambiare, oltre a fumare e puzzare come tutti loro d’alcool, parlava da solo facendosi i complimenti. Kiba, nel frattempo, vomitò sul marciapiede.
“No, per niente produttiva. Proprio un coglione, vero?” il tono di Madara suonò quasi... triste.
“Ehi, coglione sarai te!” esclamò Kiba tra un conato e l’altro.
Madara lo ignorò.
Già – mormorò Naruto – per quello gli devo il favore di lasciarlo stare. Per colpa mia non può più fare a botte.
“Boxe, intendi?” domandò Madara aspirando, con la schiena appoggiata al muro. Non tanto per far fare a Naruto la figura del figo, quanto perché ubriaco com’era sarebbe caduto a terra.
Shi, quella roba lì. Picchiamo tutti e due, da anni. Ma Sasuke non può più. E’ giusto che sposi Sakura e abbia una vita normale, almeno quello glieo deo.
Si mangiò le ultime parole.
“Ehiehi, non farti venire la ciucca triste, cazzo! Ma sei scemo o cosa? Credi davvero che Sasuke sia felice con Sakura? Che quel cazzo di matrimonio sia ciò che veramente lo renda realizzato?”
“Per me no, si vede lontano un miglio che non gli si tirerebbe manco se lei fosse vestita da mandrillona sexy.” Commentò uno degli amici, per poi porgere un fazzoletto a Kiba.
Io
Naruto non seppe che dire. Si sentì stupido, con la testa leggera, il peso di tutte le cose non dette, l’idea terribile che Sasuke era da qualche parte in città a festeggiare una cosa che… che Naruto avrebbe voluto bloccare, con tutte le sue forze.
Fanculo al matrimonio! Fanculo a Sakura! E’ con me che devi stare, stupido Uchiha!
Lo disse talmente forte nella sua testa da rimanere senza fiato, come se avesse gridato dalla cima della vetta.
“Tizio, telefono, ora. Prendilo a Kiba, tanto è più di là che di qua.” Ordinò Madara, al primo ragazzo che aveva a tiro.
In men che non si dica si ritrovò il cellulare di Kiba. Le dita di Naruto composero istintivamente il numero, la sua testa lo sapeva a memoria.
Cheffai?
Domandò il ragazzo, sospettoso ma incapace di alterarsi.
Ma non fece in tempo ad attendere una risposta, perché nel giro di qualche secondo rispose la sua voce dall’altro capo del telefono. La voce di Sasuke.
“Naruto?”
“Proprio io, testa di cazzo!”
Ci fu un attimo di silenzio.
Se Naruto avesse potuto si sarebbe dato una testata sul muro, anche se avrebbe pagato per vedere l’espressione di Sasuke.
“Sei ubriaco?”
“Sì, ma questi non sono fottutissimi cazzi tuoi – decretò Madara, per poi aggiungere – dove sei?”
“Naruto, fatti accompagnare a casa. Ne parliamo domani, ti vengo a trovar…”
“No, parliamo proprio adesso. Non domani, ora. Ripeto: dove sei?”
Ci fu un altro silenzio. Naruto si sarebbe aspettato che a quel punto Sasuke avrebbe staccato la telefonata, mandandolo a fanculo; invece, sorprendentemente, dopo un sospiro apparentemente irritato il ragazzo indicò il nome del locale e la via.
“Aspettami lì. Tu e tutti gli altri che giocate alla famiglia di Barbie.”
“Ehi, cazzutissimo!” replicò l’amico che gli aveva passato il cellulare. Madara, sempre nei panni di Naruto, gli restituì il telefono.
“Anche voi non siete male. Ci vediamo, ora… ho un conto in sospeso da risolvere.”
Gli altri lo guardarono ammirati: il loro amico sembrava proprio un personaggio uscito da un fighissimo film d’azione con sparatorie e gnocche assurde. Il ragazzo infatti se ne andò, con la camminata un po’ traballante ma a suo modo eroica, la sigaretta gettata via e i capelli biondi che rilucevano sotto le insegne dei locali.
Ci fu un istante di silenzio contemplativo. Poi, meditabondo, qualcuno chiese:
“Sì ma… ha pagato il pub?”
Altro silenzio; nessuno rispose. Massì, Naruto era un figo comunque, anche se aveva bevuto per dieci senza sganciare un centesimo. E sembrava che il conto che lo aspettava fosse ben più importante di quello maturato in una sbronza dettata da insoddisfatta nostalgia.








Sproloqui di una zucca


Eccoci finalmente al terzo e penultimo capitolo che, lo ammetto, mi sono divertita tantissimo a scrivere; era una bella sfida, raccontare qualcosa di così assurdo come una possessione spirituale e renderla divertente, sottolineando però aspetti introspettivi importanti dei personaggi, alternando tra l'ironico e il triste. Mi auguro di esserci riuscita.
Come avrete notato, ogni titolo dei capitoli ha una sua ragione contestuale (anche se con l'ultimo sarà definitivamente chiaro lo stop, backwards etc.); Frankenstein, colui che ha dato vita alla creatura. Quest'ultimo essere, prima fenomeno da baraccone, poi temuto e odiato da tutti, in realtà ha una sua sensibilità, un modo di percepire il mondo e gli altri molto più intenso di un qualsiasi essere umano. In questo mi ha ricordato molto il nostro Madara che, nonostante il carattere scostante, a dire il vero è capace di amare al punto da offrire ad Hashirama la possibilità di non disgregare la sua famiglia e di intuire cose che magari non tutti riescono a cogliere. Non gli chiede di scegliere e questa è una cosa che pochi riuscirebbero a fare.
Piccolo appunto: la prima citazione appartiene a un film tratto dal libro di Mary Shelley e, secondo me, rimane molto evocativa. Nell'originale il discorso della Creatura è più catgorico: se non ispirerò amore, ispirerò paura. Credo sia un modo possibile di reagire di fronte a sentimenti che non ci piacciono.
Quanto adoro Madara, che scende a compromessi impensabili e che ama così tanto, ma anche Hashirama che è padre e, assieme a sua figlia, è cresciuta anche la relazione con Madara, al punto da non poter scindere né l'una, né l'altra; ma voglio tanto bene anche a Naruto, con i suoi sensi di colpa, il suo amore, la sua rabbia e la voglia un po' pazza di riprendersi Sasuke, allo stesso modo voglio bene anche a Sasuke, che non aveva esitato un istante nel proteggere il migliore amico e che non prova risentimento nei suoi confronti, ma solo voglia di vederlo in alto, come meriterebbe.
Con il prossimo capitolo, che concluderà questa pazza storia, vedremo il confronto tra Sasuke e Naruto; infine, in base all'esito, comprenderemo che fine faranno i nostri due fantasmini adorati. Quando giungerete alla parola fine... consiglio di rileggere da capo, forse ci sono dettagli che avranno un senso diverso.
Per concludere, vi lascio con un'altra splendida immagine di Hashirama e Madara, anche in questo caso perfetta per descrivere un Madara in preda alle affettuose crisi di gelosia dovute alla neonata che ruberà tutte le attenzioni di Hashirama XD E, nonostante tutto, Madara accetta per lui di rimanere nell'ombra T_T





Che dire, grazie per chi sta seguendo questa storia e per apprezzarla, spero che possiate continuare a pensarla allo stesso modo sia per questo capitolo che per il prossimo <3 Alla prossima! Grazie di cuore a coloro che la commentano e che condividono con me i loro pensieri :3

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Capitolo 4
*** Flash forward… and play again - Soul ***





R.I.P. & Play Again
Riposa in Pace… Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.






“I would give you my soul in a blackberry pie; and a knife to cut it with.”
“Ti darei la mia anima in una torta di mirtilli; e un coltello con cui tagliarla.”
The Disorderly Knights – Dorothy Dunnett


IV

Flash forward… and play again - Soul




Sasuke si era passato una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi quasi con disperazione. In parte per quella dannatissima telefonata con Naruto, che non sembrava davvero in sé, in parte perché la serata era stata atroce, tra musiche latino americane e cocktail dai nomi assurdi; per non parlare delle chiacchiere sui nomi dei bebé, i segreti di una cerimonia perfetta e le quote di calciomercato. Una merda, insomma.

Con la scusa di prendere un po’ d’aria uscì fuori, dato che ormai l’amico doveva essere prossimo ad arrivare; fu tranquillo che, visto l’andamento delle conversazioni in sala, almeno per un po’ Sakura non lo avrebbe seguito.
Dopo qualche minuto se lo vide arrivare: aveva il passo abbastanza tronfio, forse più perché stava cercando di stare correttamente in piedi che per reale marzialità dei movimenti, i vestiti erano stropicciati e i capelli scombinati.
Sospirò: gli era mancato. Anche in quelle condizioni riusciva comunque a trovarlo attraente; pessimo, davvero pessimo.
Vai, Madara, colpisci e affonda il bersaglio!
Naruto si caricò a mille. Madara era proprio un figlio di puttana, ma era simpatico e capiva al volo gli altri, per quanto dicesse di detestarli. Inoltre, quella sera era sicuramente più lucido di lui, percui Naruto trovò un’ottima cosa il fatto che lo scrittore avrebbe parlato al posto suo.
“Col cazzo, ora ci pensi tu. E’ il tuo uomo, mica il mio!”
Sasuke sollevò un sopracciglio: con chi stava parlando Naruto? Uomo? Per un attimo lo sfiorò addirittura l’idea che lui si fosse visto con un altro.
“Che stai dicendo?” gli chiese brusco, avvicinandosi di un passo.
In quel preciso momento, Madara uscì dal corpo di Naruto ma non si materializzò di fianco a lui. Si ritrovò invece accanto ad Hashirama, seduto presso la vetrina del locale e intento guardare i due ragazzi, ora veramente soli nella piazza illuminata dalle luci cittadine.
Naruto barcollò un istante: fu come stare su una giostra. Spalancò le falangi e ritrovò l’equilibrio, ringraziando di non aver vomitato seduta stante. Detestò Madara, anche se in fondo lo aveva portato fino a lì.
Puntò un dito contro l’amico di sempre, tanto per darsi un contegno:
“Io e te, dobbiamo parlare!”
Chissà perché, ma quando c’era Madara quella frase risultava molto più figa.
Sasuke fece una smorfia: “Naruto! Ma che cazzo hai fatto? Puzzi di birra e… hai fumato?”
“Sì, mammina, ho fumato – lo scimmiottò – e mi sono scolato tre birre come se non ci fosse un domani. A proposito, mi sa che devo pagare il conto.”
Ridacchiò, cercando di rimanere serio.
Okay, sta delirando. Sasuke lo prese per le spalle, ignorando l’odore di birra e nicotina.
“Mi vuoi dire che succede? Ti riaccompagno a casa.”
“Così facciamo sesso.” Annuì Naruto.
Sasuke sgranò gli occhi, sconvolto. Sì che Naruto era sempre stato piuttosto diretto ma sentirsi dire da lui quelle cose, in quel posto, con tutta la gente dentro che aspettava il futuro marito perfetto, fu comunque strano e… bello, in molteplici sensi. Anche se il ragazzo era ubriaco marcio.
“Certo, sicuro – gli rispose seccato ma condiscendente, per poi prenderlo per il braccio – dai, dico agli altri che ti riaccompagno.”
Si voltò e vide Sakura, in piedi. Dietro c’era anche qualcuna delle sue amiche, di quelle coi pargoli lasciati ai mariti dentro il locale, il vestito alla moda e i capelli appena fatti dal parrucchiere.
Era rimasta immobile e lo guardava.
“Sakura?” domandò Sasuke. La domanda gli era sorta istintiva. Perché era un interrogativo del tipo… quanto hai sentito?
Avrebbe potuto comunque giustificare quell’uscita di Naruto con dai, guardalo, è ubriaco da far schifo, non sa quello che dice.
“Che ci fa lui qui?” domandò la donna, ostile, fissando il ragazzo dai capelli biondi.
“Che ci fai tu qui? Questo è suolo pubblico, sai?” replicò Naruto.
Non avrebbe voluto essere così aggressivo; Sakura era una brava persona, anche se a volte si circondava di gente vuota per colmare la sua solitudine.
Sasuke sospirò, seccato: “Lo sto riaccompagnando a casa.”
Mmmh, forse non era esattamente la cosa più saggia da dire.
“Che ci torni da solo. Chiama un taxi. Hai una serata e degli amici che ti aspettano!”
“Tipo trucco e parrucco là dietro? Begli amici! Io sono suo amico, io devo stare con lui.”
Disse quelle ultime parole quasi con disperazione. Sasuke lo guardò, stringendogli il braccio più forte.
Sakura si sentiva braccata, messa alle strette mentre le cose stavano precipitando e Naruto era lì, chiaramente non in sé, che rischiava di rovinare tutto, ogni equilibrio tenuto in piedi fino ad allora; cominciò a sentir cedere la maschera che aveva tenuto su in quegli anni.
“Smettila. Stai zitto.” Gli disse. Non urlò ma aveva la voce dura, come di chi stesse trattenendo tutto quello che aveva dentro.
Qualcuno in piazza si era fermato a guardare la scena.
Naruto la fissò, per poi scuotere la testa e scrollare le spalle:
“No, non sto zitto – si voltò verso Sasuke, aggrottò le sopracciglia e aggiunse quasi senza rendersene conto –

non ti sposare. Ti prego, non farlo.”

Mentre camminava fino a lì avrebbe voluto gridarlo platealmente quel non ti sposare, correre con falcate da film epico e scrollare Sasuke per riportarlo alla ragione. Ma, ovviamente, le cose non andavano mai come ci si aspettava, infatti Naruto si era trovato lì, con Sakura incazzata, il suo fanclub, e aveva detto quelle parole così, quasi con disperata pacatezza.
Si sentì stupido.
Il modo in cui lo guardava Sasuke lo fece sentire stupido, ed egoista. Perché lui dopo tutto quel tempo, dopo aver lasciato correre la vita del suo compagno di allenamenti senza far nulla, a pochi giorni dal matrimonio se ne arrivava ubriaco a chiedergli di non sposarsi. Una tattica geniale, proprio.
Sakura strinse i pugni, si avvicinò e diede uno spintone a Naruto, aveva gli occhi lucidi e le labbra che tremavano ma lo sguardo era fieramente arrabbiato:
“Sei uno stronzo! Uno stronzo! Perché, perché adesso? Vattene!”
Quella volta aveva finito per gridare e la sua voce era riecheggiata in tutta la piazza, al punto che la città intera sembrava essersi zittita.
Naruto allargò le braccia e non oppose resistenza, quasi fosse stato in arresto.
Non disse nulla, si voltò e camminò, passo dopo passo, fino a cominciare a correre con un’andatura un po’ ciondolante; tutto attorno a lui sembrava così follemente instabile da fargli credere di star volando. Il fatto era che non voleva nemmeno andarsene ma sentiva di star perdendo l’autocontrollo: la rabbia, la voglia di prendere tutti a cartellate e gridare era troppa. Non desiderava generare una sorta di compassione in Sasuke; lui avrebbe potuto mandarlo a fanculo, ne aveva ogni sacrosanto diritto, ma la pietà poteva anche riservarla a Sakura.
Sasuke lo guardò andare via, la fidanzata lo fissò, con la voce che le tremava e la voglia di vomitare, perché la tristezza sapeva attaccare alla gola, come il migliore degli assassini.
Più che le parole di Naruto, capaci di farla arrabbiare, ciò che davvero l’aveva ferita era stata l’assenza di reazione da parte del proprio ragazzo e futuro marito. Perché quest’ultimo avrebbe dovuto rispondere all’esagitato con cui passava tanto tempo assieme di smetterla di dire cazzate, non starsene zitto,visto che lui amava Sakura e quel matrimonio era una cosa che dopo anni di fidanzamento, di amici che si sposavano e figliavano, rappresentava un traguardo desiderato da entrambi, no?
I genitori di Sasuke erano così contenti, sembravano quasi sereni non appena la coppia aveva annunciato loro il matrimonio. E Sasuke? Dov’era la sua esultanza? Era sempre stato severo, in fondo, non si lasciava mai trasportare da eccessivo entusiasmo, quindi era normale che... che...
“Tu non vuoi sposarti, vero?” gli domandò, riuscendo a non far tremare la voce.
L’allenatore avrebbe voluto seguire Naruto, in principio. Dirgli tutte le parole che aveva tenuto dentro e non sopportava che l’amico, messo alle strette dalla scadenza impellente di un matrimonio e ubriaco, l’avesse clamorosamente anticipato, prendendolo in contropiede. Ma come poteva abbandonare lì Sakura, anche se si era pateticamente ripetuto allo specchio un discorso per lasciarla? Con le amiche che, già le sentiva, bisbigliavano tra loro domandandosi se quei due fossero gay.
Era brutta come parola, da sentire così, sussurrata con il sapore della condanna, in quella piazza dalle luci artificiali e il pavimento calpestato.
“Voi ve ne andate fuori dai coglioni?”
La sua voce suonò come una frustata, secca, persino violenta. Le ragazze sgranarono gli occhi, provarono a protestare ma Sakura, con fare apparentemente gentile, le esortò, dicendo loro che dentro le aspettavano figli e mariti. Sembravano quasi malattie.
Tornò a guardare Sasuke, che le pareva sempre così bello e lei invece si sentiva tanto brutta, un fallimento di donna.
“Dimmi... dimmi che contiamo entrambi.” Gli disse. Il matrimonio... oh, suonava tanto come una catena, attorno a loro.
Per Sasuke non fu affatto facile ammettere tutto quello che disse in seguito, per nulla. Aveva vissuto tutti quegli ultimi anni sforzandosi di essere una persona migliore, di andare bene a lavoro, di ottenere i suoi personali successi, di archiviare la questione di Naruto razionalizzando e razionalizzando, di considerare qualcosa di temporaneo persino un fattore tanto determinante quale il sesso.
Quasi come se andando poi a letto con Sakura si annientasse tutto il resto.
Lui strinse i pugni e le disse, guardandola negli occhi:
“Sono io, quello stronzo. Perché vorrei davvero dirti che andrà bene, che sarò un uomo esemplare e che noi siamo la scelta più importante – prese un respiro, le labbra si assottigliarono per poi aprirsi appena quando ammise – ma non è così.”
Sakura si sentì morire. Fu come se le illusioni di anni fossero state svelate: il mago Sasuke le aveva spiegato il suo trucco. Però… no, non era Sasuke il mago, era sempre lui, l’Amore, quello stesso amore che aveva colpito Madara, e Hashirama, e tutti coloro che rimanevano incantati dalle colombe, dai fiori e dalle carte, dalle monete che saltavano tra le dita, una per ogni battito perso, mille, per ogni volta che il cuore batteva più forte e i compromessi sembravano accettabili.
Le sfuggì una lacrima, poi dopo aver stretto un istante i denti gli disse, asciugandosi gli occhi con un gesto brusco: “Quindi? Che cosa stai facendo ancora qui?”
Avrebbe potuto insultarlo ancora, denigrarlo, rendere più ferocemente viva l’idea che con Naruto non fossero mai stati veramente solo amici, ma non volle. Da come l’uomo la guardava, dalle sue parole – perché in fondo lo conosceva da un quantitativo di tempo sufficientemente lungo – Sakura comprese che forse Sasuke era ancora più confuso di lei. Prima di aver mentito a lei, infatti, lo aveva fatto con se stesso.
E Sakura era una donna orgogliosa, intelligente, anche se ferita e con la voglia di prendere a pugni quella faccia che amava, incapace di muovere le labbra per sentirsi dire ciò che avrebbe desiderato.
Oh, se solo tu potessi prendere il mio posto, Sasuke.
Quest’ultimo chiuse un istante gli occhi, poi li riaprì e mosse la bocca. Le labbra sembravano formare una scusa, una promessa di parlarsi e di spiegare a tutta la gente che aveva aspettative su di lui, che tali aspettative sarebbero state disattese. Sakura non lo sapeva, non riusciva a mettere bene a fuoco la vista; lo vide voltarsi e cominciare a camminare, con la gamba che non sarebbe mai stata la stessa da prima dell’incidente, quando Sasuke ancora correva, come se non volesse più fermarsi.
Le parole. Maledette, ancora loro. Ne esistono a migliaia, in ogni lingua del mondo, ciascuna con le sue sfumature. E quando serve davvero ne usiamo sempre così poche, oppure finiamo per non usarle affatto.
Se non si è abituati nemmeno a sentirsele dire, quelle parole, poi è più difficile reagire; era valso per Sakura e allo stesso modo valeva anche per Sasuke. Che sembrava aver atteso tutto quel tempo solo che Naruto gli dicesse di non fare qualcosa, esortandolo a ribellarsi, talmente era nauseato dalla passiva accettazione di ciò che accadeva, senza provare pietà per il povero amico storpio.
Quindi... sì, Naruto gli aveva letteralmente sparato in faccia la sua richiesta, nel peggiore modo e momento possibile. E Sasuke non aveva più nessuna ragione per tornare indietro, anche se c’era Sakura, la sua famiglia, suo padre... lo avrebbero odiato? Forse. Compatito? Ancora più probabile.
Sbatté un pugno contro il muro.
“Dannazione, stupida, maledetta gamba – percorse il marciapiede, facendo scostare la gente, infine gridò con rabbia – Naruto!”
Fu quasi come essere in palestra, sul ring. Avrebbe voluto riprendere l’amico, dirgli che come ogni volta aveva la guardia scoperta, ma quella sera era stato Sasuke a viaggiare con il petto esposto e Naruto era arrivato, con il suo attacco più splendido e forte di sempre, affondando le nocche fin dentro il cuore. Terribile ma anche... liberatorio.
Eppure la gamba era sempre quella, in un modo o nell’altro, e faceva dannatamente male.
Poi vide comparirgli accanto Hashirama, che gli sfiorò le spalle con la mano:
“Madara ha fatto di testa sua, non vedo perché dovrei agire diversamente – appoggiò il palmo, poi gli chiese – permetti?”
Ma non attese risposta di Sasuke, perché prese possesso del suo corpo e ignorò tranquillamente le proteste del possessore del corpo in oggetto, che credeva di non avere più tempo.
“Oh, credimi, so cosa voglia dire aver perso tempo. Tienti forte, smuoviamo un po’ questi legamenti.”
Hashirama sentiva ogni tratto del corpo di Sasuke, ogni osso, cartilagine, centimetro di pelle o lo scorrere del sangue, esattamente come percepiva in maniera sconvolgente il mondo attorno. Si stupì nel reputare tanto belle le luci della città, la gente che parlava per le strade, le statue, i musei, le fontane con la loro acqua scrosciante. Cose banali, di tutti i giorni.
Corse, Sasuke. Dopo tanti anni, sentì le gambe distendersi, non avvertì più il male ma solo l’impatto dei piedi sul terreno e la sensazione dell’aria sulla pelle. Si allontanò il malessere per Sakura, per ciò che gli avrebbe detto suo padre, per i giudizi che minavano il suo ingombrante orgoglio. Tutto quello che era stato sembrò così insignificante, paragonato al sentirsi... libero. Esattamente come Hashirama, anche se egli non  era nel suo corpo, poté percepire un’ultima volta il mondo.
“Naruto!” gridarono entrambi.
Come se gli avessero sparato, boccheggiando Naruto si voltò, riuscendo però ad arrestarsi solo dopo aver percorso stordito ancora qualche metro.
“Sasuke?” domandò, quasi in un sussurro. Egli era lì, davanti a lui, niente Sakura, cene o altro. E... sembrava aver corso. Sgranò gli occhi.
“Più o meno. Ti restituisco il pacchetto completo. Madara è per caso...”
“No, non è più qui, non dopo aver cercato di farmi inciampare almeno.”
Ma... Hashirama, perché era evidentemente lui, non era già più nel corpo di Sasuke. C’erano davvero solo loro due, oltre al resto della città.
“Guarda che mi hai fatto fare.” disse l’allenatore, lanciando un’occhiata alla gamba che ora sembrava essere tornata il solito arto danneggiato di sempre. Non faceva male ma... correre lo aveva fatto stare per un istante sopra il resto del mondo, anche se aveva toccato solo la terra. Quella frase sembrava infatti riferita a ben altro.
“Mi spiace.” Fu tutto quello che Naruto riuscì a dire.
“Quelle parole – intervenne Sasuke all’improvviso – intendevi dirle per davvero?”
“Sì, sarò anche un po’ ubriaco ma so quello che dico e sostengo, mica lo faccio per caso...”
Stava per dire altro, per straparlare come al suo solito e mangiarsi qualche parola nel mezzo, con l’idea che se avesse taciuto magari Sasuke gli avrebbe finalmente dato del coglione per porgergli i suoi saluti e addio.
Ma Sasuke lo afferrò per la maglia, con rabbia, e lo portò di fronte a sé.
“Lo sai che per quelle parole ho mandato tutto a fanculo? Ciò che credevo di aver costruito in anni... volatilizzato, nel giro di dieci minuti. Per tre vocaboli messi in croce detti da un ubriaco – schioccò la lingua, mordendosi un labbro che si distese in un sorriso ironico – devo essere proprio disperato, vero?”
Naruto lo fissò. Una parte di sé, quella più squisitamente egoista, fu in un certo senso felice, mentre l’altra si rese conto di aver a sua volta gettato nel cesso tutti i buoni propositi di non immischiarsi nell’andamento naturale della vita del migliore amico.
“No. Cazzo, Sasuke, io non credevo che tu avresti davvero fatto una cosa simile.” gli si torse la lingua. Smise di parlare, sarebbe stato ipocrita cercare di riparare qualcosa che lui stesso aveva contribuito a sconquassare.
“Stai ritrattando?”
“No.” Ammise sinceramente, senza più pensare.
“Bene. Perché io non ho più intenzione di tornare indietro.”
Lo guardò un istante, con quel suo cipiglio alterato, i capelli lunghi tutto sommato ordinati e gli occhi scuri profondi. Sembrava incazzato. Eppure, sostanzialmente, gli stava dicendo che era lì per lui, perché era tempo di mettere finalmente ordine a tutto ciò che c’era d’indefinito nella loro reciproca esistenza.
Già, solo Sasuke poteva esporsi in maniera così tanto contraddittoria e far sentire comunque Naruto come se fossero nel ben mezzo di una delle loro litigate migliori.
Peccato che l’espressione non contò più nulla. Perché Sasuke, alla fine, gli strinse le mani sulle spalle e... lo baciò, lo baciò con la stessa disperata passione che Naruto aveva messo nel chiedergli di non sposarsi. Anche se quello stupido puzzava di alcool e sigaretta.
Qualcuno si girò, altri commentarono ma nessuno osò fermarsi, perché... sì, perché la vita andava avanti.
Naruto fece per dire qualcosa, qualunque cosa, nonostante fosse su di giri e allo stesso tempo sentisse il peso della consapevolezza di ciò che implicava quel bacio, di conseguenza anche l’obbligo di farlo razionalmente presente. E notare bene che era lui quello ubriaco, non il responsabile e preciso Sasuke.
Ma quest’ultimo gli lanciò un’occhiata, come intuendo che quello stupido dagli occhi troppo chiari, entusiasti e pieni di pensieri fosse in procinto di parlare:
“Aspetta. Non ho finito.”
“Sei preso bene.” Involontariamente, Naruto ridacchiò.
L’altro fece una smorfia: “Talmente tanto che posso prendere bene anche te. A botte. Ora vuoi tacere?”
Pazzesco. L’amore ai tempi del colera. Insomma, effettivamente dopo tutti quegli anni, dopo che si conoscevano così bene, se tra loro fossero volati fiori e cuoricini sarebbe stato piuttosto irrealistico. E, per quanto Naruto temesse il contrario, Sasuke era spaventosamente lucido. Talmente tanto che se si fosse fermato, forse non sarebbe più riuscito a dire quello che ancora mancava.
“Ora ti farò un discorso e tu mi farai il favore di ascoltarlo senza interrompermi. Pensi di farcela?”
“Oh, sono un po’ brillo ma non stupido o sordo. Ti ascolto, parla, non so quando mi capiterà ancora che tu lo faccia.”
Si fissarono un istante. Poi Sasuke fu spaventosamente diretto:
“L’incidente. Non te l’ho ripetuto abbastanza o con sufficiente convinzione ma ora te lo ribadisco e che ti si imprima a fuoco in quel tuo testone vuoto: non è colpa tua. E se servisse ad averti ancora con me, esattamente come sei, lo rifarei, di nuovo. Tra la mia carriera sportiva e te… sceglierei sempre te, a occhi chiusi. Ho sbagliato solo a non aver mai voluto fare i conti prima con questa consapevolezza, ritenendo di fare la cosa giusta nel seguire una vita che sarebbe andata bene a tutti, te compreso, visto che non ti sei mai opposto – Naruto fece per aprire bocca ma sigillò le labbra, in istintiva apnea – poi… sono arrivati loro, con gli errori che hanno compiuto e tu, che dopo esserti mostrato così bravo ad accettare le mie decisioni peggiori, mi chiedi di non sposarmi più.
Pochi giorni, per rendermi conto di quanto tempo stessimo perdendo.
Siamo ancora vivi, Naruto. Ti rendi conto? Noi siamo ancora vivi. E io stavo per legare la mia vita a una persona che non avrei mai amato, non quanto amo te.”
Dopo un attimo di silenzio che seguì quelle parole, improvvisamente Naruto… scoppiò a ridere, genuinamente, non perché l’intera situazione facesse ridere, al contrario, era terribilmente seria, un momento fondamentale della sua vita, direi, di quelli da raccontare ai posteri negli anni a venire. E’ importante precisare, però, che non rideva perché trovava le parole di Sasuke divertenti, bensì per un motivo molto più semplice e totalitario: era… felice. E, allo stesso tempo, al culmine della risata sentì anche la voglia di piangere, per tutte le volte in cui aveva mancato quella felicità e per tutte le volte in cui da ora in poi l’avrebbe provata ancora.
Con le braccia incrociate Sasuke lo fissò, anche se non riuscì a evitare di sorridere a sua volta:
“Sei stupido o cosa?”
Naruto allargò le braccia e si asciugò una lacrima dall’occhio destro, esclamando:
“Sono stupido! E presuntuoso, per aver creduto che saresti stato bene, facendo tutto quello che la gente si aspettava.”
“Quindi?” lo osservò Sasuke, in tensione.
“Quindi che?” domandò l’altro, senza smettere di sorridere.
L’allenatore fece per girarsi e prendere grandi falcate di distanza, ma Naruto gli afferrò il braccio, bloccandolo:
“Quindi proviamo a passarlo assieme, il resto di questa nostra vita, non con Sakura, non con Hinata. Per noi, non per gli altri. Questo è amore? Direi di sì. Abbiamo fatto un casino gigantesco? Cavoli, sì. Sakura incazzata, i tuoi sconvolti, probabilmente riceveremo tanti di quei calci in culo da pensare, infinite volte, di aver fatto una stronzata, preso un abbaglio, un colpo di testa. Ma… ci parleremo. E io mi ricorderò sempre di quello che ho provato sentendoti parlare di noi.”
Sasuke lo fissò; si ritrovò poi ad annuire, con il cuore che gli si fece più leggero. Detta così sembrava quasi facile, meno terribile di come se l’era dipinta nella testa.
Poi Naruto si voltò verso il resto della strada, fece l’occhiolino al suo allenatore dicendogli sta a sentire, prese un profondo respiro e gridò, sgolandosi:
“Ti amo, Sasuke Uchiha!”
Quest’ultimo sgranò gli occhi, arrossì violentemente e lo strattonò con ancora più violenza, ma non lo mise a tacere. Si passò una mano tra i capelli, indugiando un istante vicino al volto come per coprirlo e ritrovare un cipiglio severo. Non ci riuscì molto bene.
Poi il biondo pugile gli appoggiò una mano sulla spalla, portando l’altra al fianco. Prese dei bei respiri. Lo guardò.
Il ragazzo lo fissò a sua volta, sollevando un sopracciglio, perplesso perché l’espressione era cambiata.
“Sasuke...” sussurrò Naruto.
Poi si sporse di fianco e vomitò.


*

“Che schifo! Si vede che non è parente mio.” Commentò Madara, disgustato ma al tempo stesso divertito.
Hashirama scosse la testa: “Colpa tua che lo hai ridotto in quel modo. E’ già tanto se è riuscito ad arrivare fino a lì tutto intero.”
“Mah, diciamo che ho giusto incoraggiato qualcosa che voleva fare. Mi sembra che anche tu abbia seguito questa linea di pensiero.” Replicò l’altro, scrollando le spalle.
“Sai che Sasuke si era messo a camminare avanti e indietro a casa, cercando le parole per annullare il matrimonio con Sakura? Alla fin fine aveva optato per la linea secca e senza troppi giri, sicuro di non aver posseduto anche lui?”
Madara rise, all’idea di Sasuke che pensava al modo giusto di dire un qualcosa che non sarebbe mai stato corretto, né piacevole, in fin dei conti. In quello, alla fin fine, Naruto gli era stato di grande aiuto perché aveva decisamente rotto non solo il ghiaccio ma direttamente tutti e due i Poli.
“E’ stato bello tornare a sentire il mondo che ci circonda, anche se per poco.”
Tacquero. Il ristorante stava chiudendo, i camerieri avevano finito di pulire il locale e la candela del tavolo di Madara e Hashirama era in procinto di spegnersi. Nella penombra, le luci della città sembravano ancora più splendide.
Dopo qualche istante Hashirama fece per dire qualcosa a Madara ma comparve Sai, in piedi. I due uomini lo guardarono, silenziosi. Alle loro spalle gli ultimi passi dei lavoratori intenti ad andarsene.
“Siete stati bravi.” Ammise l’entità.
Hashirama fece un cenno con la testa, poi Madara gli chiese:
“Sei venuto per portarci via?”
Sai sorrise: “Non lo hai ancora capito?”
“Cosa c’è da capire?” domandò lo scrittore ma ebbe come un presentimento, mentre Hashirama taceva.
Prima che potessero chiedere altro, però, si ritrovarono catapultati in una stanza del tutto sconosciuta, affondando in un divano – per quanto i loro corpi potessero effettivamente affondare; sembrava un soggiorno, a giudicare dal televisore, dai cd accatastati e dai libri. Poi videro Sasuke e Naruto, in piedi, con degli oggetti in mano e l’aria sorpresa ma non troppo. Era giorno, come poterono notare dalla luce del sole che filtrava attraverso le lunghe finestre.
“Ancora voi?” domandò Madara, roteando gli occhi.
Sasuke schioccò la lingua: “Potrei dire lo stesso.”
Naruto rise e Hashirama lo imitò.
Parlarono. Di come si erano risolte le cose, di Sakura, della bomba scoppiata in famiglia da Sasuke, anche se questi ancora non aveva parlato della faccenda di Naruto, degli insulti da parte di quella dell’ex-promessa sposa, anche se lei aveva fatto di tutto per evitare che si arrivasse a tanto. A cosa serviva, alla fine? Era solo una questione di scelte, per quanto quelle di Sasuke l’avessero svuotata, lasciandole nient’altro che la voglia di piangere. Ma era forte, Sakura, e quando si era sentita con Hinata aveva finito per darsi della stupida, per averla coinvolta in qualcosa di sterile.
Ma l’amica aveva replicato che non importava, che era stata bene, e che Sakura doveva pensare a rimettersi in piedi, era lei d’altronde a dover ricominciare una vita.
Tutto era scoppiato, a ben pensarci. Tabula rasa. Bisognava solo più ripartire, anche se era la cosa più difficile.
“Grazie.” Disse alla fine Naruto.
Sasuke attese un istante, poi disse a sua volta: “Grazie.”
Guardò gli scatoloni. Si stava riportando nell’appartamento gli oggetti provenienti dalla casa che avrebbe dovuto condividere con Sakura; non si stupì nel realizzare che non erano poi tantissimi.
“Non abbiamo fatto nulla di che.” Minimizzò Hashirama.
“Alla faccia, la prossima volta che pensate di sapere cos’è meglio fare siete pregati di lasciar perdere e agire in senso opposto.” Sbottò Madara, anche se suo malgrado sorrise.
“Ce ne ricorderemo.” Rise Naruto.
Dopo qualche istante quest’ultimo domandò, perplesso: “E ora che succede? Insomma, avete svolto il vostro... compito, Hashirama dovresti poter passare oltre o come si dice.”
“Sì, credo di sì.” Asserì il diretto interessato, poi guardò Madara.
“Quando sarà il momento passeremo oltre, per usare le tue parole.” Replicò lo scrittore, accavallando le gambe mentre appoggiava i gomiti sul divano.
Naruto a sua volta fissò Sasuke che con le braccia incrociate fece presente:
“Passeremo? Perché parlate al plurale?”
Hashirama non disse nulla. Madara si tirò su la schiena, ancorando entrambi i piedi a terra:
“Che domande del cazzo. Siamo morti! Incidente, motel, corpi, hai presente?”
Sentì un senso d’inquietudine più forte e una paura viscerale che non provava da troppo tempo.
Sasuke tacque; Naruto si sedette di peso su una delle sedie libere, con il cartone svuotato ancora in grembo. Dopo qualche secondo fu proprio Sasuke a dire, quasi circospetto:
“Madara... tu non sei morto. Sei in coma.”

*

La rivelazione fu difficile da digerire, soprattutto il fatto che Hashirama non sembrava altrettanto stupito. E quella volta fu seguendo gli impulsi di Madara che i due uomini si ritrovarono senza più le soffici comodità del divano, per sostare in piedi in una stanza d’ospedale, forse il reparto di terapia intensiva.
Madara vide se stesso, il suo volto, i capelli comunque pettinati, forse da qualche infermiera, la maschera per l’ossigeno, i monitor con i pigolii meccanici e la cartella clinica... tutte le stronzate appartenenti a un ricovero in grande stile.
“No – sussurrò, artigliando il letto dalle sbarre metalliche che sentì gelide – no, no, no. Non posso essere ancora vivo? Perché?”
Guardò Hashirama che, con quel suo sorriso imperturbabile, gli appoggiò una mano sul collo:
“Non hai un bell’aspetto, credo fratture multiple a giudicare dagli ultimi referti, qualche vertebra rotta ma nessuna lesione alla spina dorsale. Sei un puzzle umano però per pura fortuna di crolli non ti è andata male come a me. Sei vivo!”
Sembrava felice. Madara invece lo guardava incazzato, spaventato e... deluso. Perché lui era ancora lì, attaccato a quelle macchine, operato, osservato, controllato, curato, mentre Hashirama era sotto terra. Non poteva più fare l’amore con lui, baciarlo, sentirlo ridere e parlare.
“Tu lo sapevi.” Disse all’improvviso.
Gli afferrò la maglia e gli si scagliò addosso: “Lo sapevi, brutto figlio di puttana e non mi hai detto nulla!”
Hashirama gli prese la mani ma non le tolse da sé, le guardò, con amore, infine guardò Madara:
“Dove pensi che i miei istinti e i miei sentimenti mi abbiano trasportato, appena ho realizzato di essere morto? –  un leggero sorriso – Da te, Madara. E una parte di te mi è rimasta accanto, fino a ora, per aiutarmi a completare ciò che non sono riuscito a fare in vita. Ora...”
“No! – esclamò, sgranando gli occhi scuri – Sta’ zitto, smettila! Non voglio essere vivo! Stacca tutto, toglimi l’aria, folgorami, uccidimi. Che senso ha?”
Se Hashirama avesse potuto piangere, l’avrebbe fatto. Ma, purtroppo, non gli erano rimaste nemmeno le lacrime. Quanto era ingiusto tutto questo.
“Hai una nuova storia da raccontare, non puoi andartene. E’ la nostra storia, è quella di Sasuke, di Naruto, ma anche di chi si tiene le cose dentro e non le tira mai fuori. Per paura dei giudizi degli altri, perché crede sia la cosa più facile, perché è considerato forte. Sono tanti i motivi, noi li conosciamo tutti.”
Madara sollevò quella maglia e se la portò alla bocca, vicino alle narici. Respirò l’odore di Hashirama. Sapeva di tempere e colori ad olio, di un giorno di primavera in cui gli aveva fatto vedere le prime tavole del suo ultimo libro. Dopo, avevano fatto l’amore.
“Eppure ti sei tenuto dentro anche questo, Hashirama. Per tutto il tempo in cui siamo stati assieme.”
“Non l’ho fatto per te – ammise, guardandolo – l’ho fatto per me. Per una volta. Volevo stare assieme a te e godermi ogni attimo, finché sarebbe durato. Scusami.”
Madara non disse nulla. Le macchine ronzavano e l’ossigeno s’immetteva nei suoi polmoni.
“Allora... dovrò scrivere proprio un bel libro. Visto che non ci saranno più i tuoi disegni.”
Rimasero così, a stringersi, nel silenzio di una stanza d’ospedale.
Sai comparve, altrettanto silenzioso, ed entrambi seppero che era tempo di dirsi addio. La presenza non disse nulla, si limitò a guardarli e attendere.
“Madara... avrei un favore da chiederti. Se ti trasmettessi un messaggio lo potresti far avere a mia figlia?”
“Sono pur sempre uno scrittore.” Accettò quest’ultimo in un soffio.
Si guardarono.
“E’ ora per davvero.” Disse alla fine Hashirama.
“Sbrigati ad andartene – commentò secco Madara – visto che mi lasci indietro, vedi di fare le cose come si devono.”
Questi fece per dire qualcosa ma Madara lo baciò, mettendolo a tacere. Avrebbe voluto mordergli il labbro, come se questo lo avesse potuto legare a sé, costringendolo a restare.
“Non è un addio, Madara. Quando sarai vecchio e stanco di questa noiosissima Terra ti verrò a prendere. E ce ne andremo insieme. Potrò vedere i successi che hai avuto, vedrò mia nipote crescere, mia figlia diventare nonna, mia moglie invecchiare. Potrò vedere Sasuke e Naruto stare assieme, litigare, amarsi, invecchiare a loro volta. Non è un addio – ripeté – ti amo è presente, ogni singolo giorno.”
“Allora... a tra qualche anno, Hashirama. Vedi di non farmi attendere troppo.”
Il corpo di Madara pianse. Tutte le lacrime che il suo spirito e quello di Hashirama non avevano potuto versare.

*

Il ring della palestra era vuoto. Tutti erano andati a casa dopo gli allenamenti serali, Naruto compreso. Non convivevano ma ogni tanto dormivano l’uno a casa dell’altro, cominciando a capire con passaggi graduali le possibilità di condividere qualcosa come gli stessi spazi.
Sasuke aveva chiesto a suo padre di passare, settimane dopo che aveva annunciato di aver lasciato Sakura e rinunciato al matrimonio. La notizia era stata drammatica, accolta in famiglia come qualcosa d’incomprensibile. Sorprendentemente Fugaku non aveva reagito neanche troppo male: si era limitato a guardare il figlio, il quale gli aveva chiesto del tempo per potergli parlare, loro due.
Non era stato facile ma alla fine Sasuke aveva chiesto al genitore di vedersi alla palestra, dove si erano allenati e lui era cresciuto. Se proprio doveva concludersi qualcosa, tanto valeva che avvenisse in quel posto, sotto quelle luci e su quel terreno altrettanto vissuto.
Sasuke aveva ancora i guantoni e la tuta, quando Fugaku entrò e si appoggiò alle corde per dirgli, prima che il figlio scendesse:
“Rimani lì, salgo io.”
Il ragazzo si bloccò, fissandolo, ma non batté ciglio. Con un cenno indicò dei guantoni appesi alla parete.
Fugaku se li mise al collo, si issò sul ring e inspirò un istante, guardandosi attorno, contemplando gli attrezzi, le vetrate oltre le quali si vedevano le luci della via e osservando infine suo figlio, con i capelli portati indietro e lo sguardo serio che l’aveva sempre contraddistinto.
“Avanti, su la guardia.”
Gli disse. Istintivamente Sasuke lo fece. In quell’istante la gamba non contò più nulla: c’erano solo loro due, come tanti anni fa, quando Sasuke guardava suo padre prima combattere, poi insegnargli. Tutto ciò che aveva imparato da lui, lo aveva imparato su quel ring.
Gli tirò qualche colpo, rapido, il ragazzo schivò, difese e contrattaccò. Non riuscì a spostarsi come avrebbe voluto ma realizzò che in quella schermaglia nemmeno suo padre si stava muovendo dal proprio posto.
Ogni tanto riprendeva il figlio con qualche parola rapida, magari per il modo in cui teneva il gomito, le spalle, ma… erano solo minuzie, perché in passato Fugaku si era abituato a correggergli ogni singolo movimento, per quanto il giovane avesse un talento naturale. Si fermò, quando il pugno di Sasuke gli arrivò, controllato, a un millimetro dal viso e lui in contemporanea alzò il braccio per deviarlo.
Rimasero così, a guardarsi, con un leggero velo di sudore in volto e la respirazione più veloce.
“Sei diventato bravo.”
Ammise. Anche se Sasuke aveva solo allenato, anche se non era diventato quell’atleta che anni fa ci si aspettava.
Il boxeur abbassò la guardia e ingerì quel complimento inaspettato, per poi confessargli, fissandosi i guantoni:
“Devo dirti una cosa.”
“Chi ti ha detto di abbassare la guardia? Avanti – sollevò il palmo coperto dai guanti imbottiti – due pugni in rapida successione, ricordati del movimento del bacino. Mai perdere di vista il tuo baricentro.”
Sasuke assottigliò le labbra. Annuì.
Guardia. Pugno, pugno, preparati a schivare, torsione eventuale.
Colpì, Fugaku spostò un braccio per costringerlo a schivare.
“Io – primo pugno, espirò – sono gay.”
Altro pugno. Fugaku lo attaccò, di nuovo.
“Non ti ho detto di abbassare la guardia.” Ribadì il padre, dopo che Sasuke pensò che non lo avesse sentito.
Ripeterono il movimento.
“Cosa sono questi attacchi? Ti sei rammollito? Più forza. E parla anche più forte. Non sei combattivo, Sasuke.”
“Io – alzò la voce – sono gay!”
“Più forte!”
Sasuke lo colpì con rabbia, sempre maggiore, veloce, rapido, potente, le mani del padre indietreggiarono, come frustate:
“Io sono gay, maledizione!”
Lo urlò e l’eco ferì le pareti, assieme alle travi metalliche, alla vernice scrostata, ai vetri annebbiati dalla polvere e dallo sporco dell’inquinamento al di fuori.
I due contendenti si guardarono, con la guardia sollevata, ansimando entrambi.
Poi, improvvisamente, Fugaku annuì:
“Ora stai attaccando per davvero.”
Sasuke gettò il guantone a terra, perdendo decisamente il controllo per la reazione del padre:
“Ma hai ascoltato o no quello che ho detto?”
Eppure già sapeva che il genitore aveva sentito tutto, ogni singola parola. Sasuke aveva passato anni a credere che il proprio padre avrebbe potuto dare di matto sentendo parole incisive come quelle, ben lontane dalle evidenti aspirazioni paterne; invece, quando il giorno della rivelazione era giunto, il ragazzo si era trovato davanti un uomo orgoglioso che si era limitato a farlo combattere, come se fosse stato il primo giorno su di un ring. Era sconvolto, Sasuke. E arrabbiato. Per non aver mai cercato prima una qualche forma di confronto, né compreso che genere di persona fosse quel padre tanto idealizzato.
“Certo, ti ho ascoltato.”
Gli confermò infine Fugaku mettendosi i guantoni al collo, appesi per i lacci. Aveva i capelli striati di bianco legati, lo stesso sguardo un po’ altero del figlio.
“E quindi? – domandò questi, disorientato – Cosa devo aspettarmi adesso?”
Fugaku sollevò un sopracciglio, fissando il ragazzo: “Quindi cosa? Che credevi? Che ti cacciassi dalla palestra che hai ereditato o che ti dessi una pacca sulla spalla?”
Sasuke non seppe cosa rispondere. Se il genitore si fosse arrabbiato forse lo avrebbe capito, sarebbe stato ciò che si aspettava. Ma così…
Il padre appoggiò una mano alle corde, abbracciando con lo sguardo tutta la palestra:
“Non ti voglio consolare o metterti in testa strane idee. E’ una strada difficile, la tua. Ti daranno molti più calci sui denti. Ma così come quella gamba non ti ha mai fatto smettere di salire sul ring e di colpire, esattamente come oggi hai colpito me, allo stesso modo chi sei o chi ami non deve farti cessare di combattere nella vita e dimostrare quanto vali.
Ci siamo capiti?”
Lo guardò, le labbra sottili severe, simili a quelle di un comandante, per quell’impostazione quasi marziale della voce e del corpo, nonostante la boxe fosse una danza che non seguiva passi preimpostati.
Sasuke annuì. Raccolse il guantone, rimanendo un istante chinato senza piegare bene il ginocchio, poi si tirò su, deglutendo mentre lo faceva.
“Naruto – aggiunse il padre, alzando una corda prima di scendere – continua ad allenarlo. Portalo in alto. Ci può riuscire solo con te.”
Si abbassò e con un salto tornò sul pavimento in pvc della palestra. Sasuke, in piedi, sul ring, lo guardò e capì che suo padre non aveva mai davvero creduto che il figlio avesse smesso di combattere, in nessun singolo giorno della sua vita.


*


Nella sala parto si muovevano infermieri, l’ostetrica e il ginecologo, tutti organizzati, coordinati come una squadra di pallavolo, con i propri ruoli e posizioni che doveva portare a casa il risultato.
Hana era su quel lettino, con le gambe divaricate, la respirazione accelerata che tentava di andare a ritmo con le contrazioni e le spinte, quasi come se assieme all’ossigeno potesse anche inghiottire il dolore.
Da qualche parte, nella sua casa presa assieme al compagno, in un cassetto coi suoi oggetti personali c’era la lettera che le aveva consegnato niente meno che Madara, ripresosi dall’incidente qualche mese dopo il funerale del padre. Non si erano parlati: lui non aveva lanciato alcuna provocazione, lei non aveva voglia di cercare uno scontro. Era stanca, con il pancione enorme e la consapevolezza che tanto non avrebbe potuto fare granché per cambiare le cose.
Suo padre le mancava terribilmente e se avesse parlato con Madara avrebbe finito per scoppiare a piangere mentre gli gridava contro, quasi fosse stato lui e non il destino a portarglielo via.
Non era riuscita a leggere il contenuto di quella busta. Ma ora, mentre sua figlia stava nascendo, avrebbe voluto davvero aprire quel pezzo di carta e leggerlo, perché forse almeno così quel sentimento di nostalgia si sarebbe ammorbidito. Era sicura che ci fosse suo papà, in quelle righe.
In realtà, però, anche se Hana Senju non poteva accorgersene, Hashirama era lì, di fianco a lei. I fantasmi non seguono le normali leggi della fisica, ignorano le dimensioni, esistono, in un loro personale ritaglio di mondo.
Fu l’ultimo luogo in cui egli andò, prima di andarsene per sempre dopo aver detto addio a Madara.
Vide sua figlia partorire, dando alla luce una splendida bambina, la sua nipote. Alla quale non avrebbe potuto leggere le storie di Madara, che non avrebbe potuto ritrarre per i suoi quadri, portare a passeggio scherzando per quanto gli altri nonni fossero indietro rispetto a lui, che ancora girava coi capelli lunghi.
Quante cose, di cui non sarebbe mai stato parte.
La sentì urlare, il primo vagito di vita. Urlò come se fosse già arrabbiata con quel mondo imperfetto, per tutte le delusioni che avrebbe subito, per tutte le grida, di gioia e di ira, di paura e di entusiasmo.
Un battito di ciglia e non c’erano più dottori, c’era solo lei, Hana, che stanca teneva tra le braccia Tsunade, con qualche ciuffo biondo che già spuntava sulla testa, cresciuto selvaggio dentro l’utero. Poi c’era Mito, sulla sedia.
Si era addormentata.
Hashirama si abbassò, appoggiò il capo sul torace della neonata, così vicina al petto della sua mamma. La sentì respirare, a fondo, quasi volesse divorare la sua vita e crescere.
Socchiuse gli occhi e le abbracciò, le tre donne che gli avevano dato tanto e che avrebbero continuato senza di lui, vivendo, lottando, come ogni altro essere umano. Sentì che avrebbe potuto piangere quando appoggiò l’orecchio sul tessuto morbido della tutina e udì il cuore battere, quando con il petto toccò Hana, fino ad abbracciarla e sentire la mano della moglie che tante volte aveva stretto in vita.
“Perdonatemi. Vi voglio bene.”
Hana aprì gli occhi. C’era il sole e un leggero vento passava dalla finestra parzialmente aperta. Per un istante, un solo, brevissimo istante, le sembrò di vedere suo padre avvolgerla, i suoi capelli che scivolavano su di lei come quando giocavano a chi aveva le ciocche più lunghe, le mani forti che l’avevano sollevata quando cadeva e tenuta stretta nei momenti importanti della sua vita. C’era sempre stato, in spiaggia da bambina che l’accompagnava se non voleva parlare coi suoi coetanei i primi giorni, durante la consegna del diploma, il giorno della laurea o quando era andata a fare la prima ecografia.
E anche allora, in quel risveglio, le sembrò che lui fosse lì, ad abbracciarla e a chiederle scusa, dicendole che le voleva bene.
Le sfuggì una lacrima.
Sbatté le palpebre e vide solo la sua mamma che stava sorridendo, nel sonno più sereno di tutti quei mesi, e sua figlia che già era diventata la sua vita.
“Mi manchi, papà. Ti voglio bene anch’io. Sempre.”
Quando giorni dopo tornò a casa, lesse la lettera.

*

Hashirama Senju negli anni a venire vide tante cose, esattamente quelle che aveva previsto, o quasi.
Vide Sasuke e Naruto iniziare a convivere, allenarsi, Naruto cominciare a vincere gli incontri, anche se ogni tanto tornava a casa con un occhio pesto o il labbro spaccato e Sasuke lo aiutava a reggere il ghiaccio, facendogli notare pignolamente e con zero sensibilità le sue falle difensive.
Ormai avevano quasi cinquant’anni; dopo un’onorata carriera ed essere quasi andato alle olimpiadi con il suo allenatore leggendario, Naruto aveva appeso i guantoni al chiodo e si era dedicato ad allenare i ragazzi, ma era scoppiato a ridere di gioia quando si era visto arrivare Tsunade, con lo sguardo di sfida, il sorriso determinato, e il DNA di Hashirama. Voleva imparare a tirare di boxe, persino sua madre per qualche strano motivo non era contraria, sebbene preoccupata di vederla tornare senza denti, esattamente come all’epoca erano state preoccupate Mikoto e Kushina.
Sasuke lo aiutava, anche se nonostante le terapie la gamba ogni tanto gli lanciava delle fitte antipatiche, come per ricordargli dell’età che avanzava.
Con il tempo, comunque, si erano rivisti con Sakura, che si era sposata un fotografo naturalista conosciuto a uno degli eventi organizzati con Hinata, sua collega ormai storica; ogni tanto lei viaggiava per il mondo assieme al marito, mandando a coloro che erano ormai i suoi migliori amici le foto di dov’era stata.
Il tempo, appunto, consente di perdonare e rimarginare qualche ferita. Non tutte ma... è un buon medico da campo, in fondo, se non altro nella costante battaglia per vivere.
E poi... c’era Madara. Che, nonostante il fumo e qualche birra di troppo, era arrivato alla soglia degli ottantanni suonati. Aveva i capelli bianchi che ricordavano lana e le rughe sul volto, specie sotto le borse perenni che lo avevano sempre contraddistinto.
Era stato inonandato di premi, sebbene la stampa lo avesse sempre considerato un uomo un po’ eccentrico e dal carattere abbastanza indisponente. Ma questo non aveva impedito al pubblico e alla critica di apprezzare i suoi lavori, anche se da quando il suo illustratore era morto nessuno aveva più disegnato nemmeno i suoi visionari racconti per bambini.
Gli avevano chiesto di cedere i diritti d’autore per fare un film sul libro che parlava di fantasmi che aiutavano dei ragazzi a dichiararsi, questo era stato il riassunto sostanziale della trama, visto che le tematiche appetitose per il pubblico desideroso di schierarsi dalla parte degli sfigati sembravano promettere grandi incassi ai botteghini. Ma Madara aveva rifiutato, dicendo loro di incassare il suo vaffanculo.
Un pomeriggio di primavera, Madara era seduto sul portico di casa sua. Si era preso una villetta in campagna, lontano dalla gente. Qualche giorno prima Sasuke e Naruto erano passati a trovarlo e lui si era bevuto un bicchiere con loro, in memoria di quando aveva fatto ubriacare a merda Naruto.
Quel giorno Madara era seduto sulla sedia, aveva accanto un quaderno perché l’ispirazione poteva cogliere in qualsiasi momento, la pastiglia per la pressione che non doveva scordarsi di prendere e un bicchiere d’acqua. Aveva sete, anche se non faceva troppo caldo: c’era il sole e l’aria fresca profumava di fiori.
Con l’età Madara si era riscoperto nostalgico.
E quello stronzo di Hashirama non si era fatto più vivo. L’aveva lasciato, dimenticato, e Madara non aveva mai più trovato nessun altro, eccetto qualche incontro casuale che si era sempre rifiutato di approfondire. Andava bene così, da quando anni e anni fa aveva consegnato la lettera con le parole di Hashirama: Hana sembrava averlo in un certo senso perdonato, per come si erano svolti gli eventi, e anche Mito aveva capito tante cose.
Si portò una mano al petto. All’improvviso ebbe male, un male tremendo.
Chiuse gli occhi e appena li riaprì vide davanti a sé Hashirama, coi suoi capelli castani, lunghi e belli come Madara ancora li ricordava. Era giovane, esattamente come quando si erano lasciati. Mentre lo scrittore era invecchiato, doveva andare al bagno più spesso di quanto volesse, le ossa ogni tanto gli facevano male e il cuore gli tirava qualche simpatico scherzo.
Si vergognò, di essere così vecchio ai suoi occhi.
“Ce ne hai messo di tempo, eh, stronzo?”
Gli tremò la voce. La vecchiaia, giusto?
Hashirama gli tese una mano e lo fece alzare; all’improvviso tutti i dolori dovuti all’artrosi erano scomparsi.
“Il mondo meritava di avere le tue opere, tutte quelle che hai potuto concedere – lo guardò e gli affondò le mani tra i capelli bianchi – ho sentito ogni tuo trionfo, successo e fallimento. Sei e resterai per sempre l’uomo più bello che io abbia mai conosciuto, Madara Uchiha.”
Le sue rughe, l’anzianità, i dolori, le delusioni... non contavano più nulla. C’erano solo loro due, in quel portico, circondati dai prati, dai fiori, dai libri e dai disegni di Hashirama protetti dietro quadri di vetro, per non venire danneggiati dal tempo. Lo stesso tempo che cura e che consuma.
Quel giorno di primavera, circondato da Hashirama e da tutto ciò che era stato in vita, lo scrittore Madara Uchiha morì, lasciando per sempre la Terra, per raggiungere destinazioni forse più grandi.
Ebbe il suo funerale ma ciò che contò di più nel suo cuore fu pianto da Sasuke e Naruto che, quel giorno, cominciarono a leggere il libro, quel libro che in fondo parlava anche di loro e che fino ad allora non avevano mai sentito di essere pronti a leggere.
D’altronde... c’era un momento per ogni cosa.



Cara Hana, so che riceverai questa lettera in modo un po’ anticonvenzionale ma ti prego di leggere queste mie poche righe – sì, prometto di essere breve, sei sempre stata una tipa frettolosa e determinata, no?
Cominciamo subito con questo: perdonami. Perdonami per averti fatto scoprire così, senza parlarti, questa parte di me. Non ti chiedo però perdono per essere quello che sono, né per amare Madara.
Sì, lo amo.
Conobbi Madara quando avevo vent’anni e tua madre era incinta di te; avevo comunque deciso di costruire una vita con Mito e crescere te, che a tua volta darai alla luce la figlia che porti in grembo.
Non mi aspettavo che avrei mai potuto amare così tanto una persona, eppure, nonostante tutto non ho mai voluto separarmi da voi. Non mi pento delle mie scelte, sarebbe facile con il senno di poi, ma anche fosse... come potrei pentirmi di qualcosa che mi ha dato te?
Non ti chiedo di capirmi, ti chiedo di non odiare Madara per ciò che ha sempre rappresentato: ha sacrificato tanto, per consentirmi di non dover scegliere tra lui e voi. Stai vicino a tua madre, forse capirà che nonostante tutto amavo anche lei.
Ti auguro solo, nella vita, di amare e di viverla fino in fondo, questa vita. Il passato è andato, non c’è modo di cambiarlo. Ma possiamo ancora cambiare ciò che siamo: non esitare a farlo, se questo ti rende felice.
Accogli il cambiamento, non negarti nulla di quello che potresti essere, e… ama, grida, ridi, urla al mondo ciò che sei, quello che desideri, cosa ti fa stare bene e cosa odi.
Prendi un microfono, registra la tua voce, dì tutto quello che provi. Poi, stop, torna indietro e riascolta. Finché vorrai.
Per non dimenticare chi sei e ciò che desideri.




Sproloqui di una zucca

Ebbene sì, la storia è conclusa. Credo mi rappresenti: nell'ironia e nello spirito nostalgico, forse malinconico, che metto nel pensare alla vita, alle occasioni mancate, al passato e al futuro. Spero, in sostanza, che questo scritto forse semplice nella sua stranezza possa avervi trasmesso qualcosa.
Anche se mi hanno accompagnato per pochi capitoli mi mancheranno Sasuke e Naruto, con le loro indecisioni e le cose non dette, perché riflettono tanti errori che noi realmente tendiamo a fare: mi immagino questi due allenarsi assieme, a cinquant'anni, con una Tsunade ormai ventenne (pardon la discrepanza anagrafica ma, diversamente, Hashirama e Madara avrebbero dovuto essere già belli che anziani una volta defunti). Ho trovato profondo, in linea con la narrazione, il confronto tra Sasuke e suo padre.
Mi mancherà Hashirama, la sua compostezza, la sua nostalgia intrinseca. E mi mancherà immensamente Madara che non è stato facile dipingere anziano, coi suoi acciacci e il brutto carattere. Me lo sono immaginato, seduto sul portico, prima di morire.
Il play again del titolo della storia e il backwards etc. contenuti in ogni capitolo, sono i tasti per mandare indietro o avanti una canzone: l'idea di fondo è contenuta nel messaggio di Hashirama, che invita la figlia a ripetersi sempre e ricordarsi cosa desidera veramente e cosa la fa stare bene. Un atto d'amore per se stessa.
Grazie per avermi seguito fino a qui, spero che potremo rivederci in altri lavori che scriverò.

Questa volta vi lascio non con un'immagine, bensì una citazione presa da un libro e da un'autrice che personalmente adoro: Disorderly Knights (in italiano tradotto come Il Torneo dei Cavalieri) di Dorothy Dunnett - anche la citazione a inizio capitolo appartiene sempre allo stesso libro.
Credo che riassuma perfettamente la voglia di vivere, vivere appieno, anche in una persona che potrebbe sembrare distante o insensibile; senza passioni, senza qualcosa che ci consenta di andare avanti e sentirci vivi, ci sarebbe solo il vuoto.

“What does anyone want out of life? What kind of freak do you suppose I am? I miss books and good verse and decent talk. I miss women, to speak to, not to rape; and children, and men creating things instead of destroying them. And from the time I wake until the time I find I can’t go to sleep there is the void—the bloody void where there was no music today and none yesterday and no prospect of any tomorrow, or tomorrow, or next God-damned year.”

“Cosa vogliono tutti dalla vita? Che razza di fenomeno da baraccone pensate che io sia? Mi mancano i libri e la bella poesia e una piacevole discussione. Mi mancano le donne, a cui parlare, non da stuprare; e i bambini, gli uomini che creano le cose, anziché distruggerle. E dal momento in cui mi sveglio fino a quello in cui mi rendo conto di non riuscire a dormire, c’è il vuoto – il dannatissimo vuoto in cui non c’era musica, né oggi, né ieri e nessuna prospettiva di alcun domani, che sia l’indomani stesso o il prossimo maledettissimo anno.”


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