E se invece...?

di GaTTaRa PaZZa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1:Satō ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Kanzō ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Sakuranbo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Interesse ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Kurumi ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Shikimi ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Tennis ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Yuzu ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Doppio gioco ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Kinoko ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Gelosia ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: I tre Ikisatashi ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Torce gelide ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Deus ex machina ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Germe Sovversivo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1:Satō ***


Satō camminava per una delle stradi principali di Shibuya, affiancata dalla madre Midori, e guardava con occhi scintillanti le vetrine dei negozi che sorpassavano.
«Okasan! Guarda quelle scarpe azzurre a pallini blu! Non sono bellissime? Potresti comprarmele, onegaiii!!» la supplicò, indicando con l' indice un paio di Converse All Star a un costo esagerato.
«No,Satō. Prima dovrai fare qualcosa per meritarle. Per esempio, un bel voto a scuola quando comincer໫Ma io sono brava a scuola! Ero nella prima classe e i miei voti erano impeccabili. Dovresti premiare la mia diligenza!» ribatté prontamente. Aveva pensato a quel genere di discussione un milione di volte, e ora aveva le parole giuste da dire.
«Bisogna vedere se sarai così brava anche nella nuova scuola. Prima il dovere. A proposito, dovevamo andare a prenderti la divisa. Mancano quattro giorni all' inizio e tu non sei ancora pronta!»Satō mise il broncio. Non le andava proprio non riuscire ad ottenere qualcosa, qualunque cosa si trattasse.
«Tu l' hai già vista, la nuova scuola?» domandò, per cominciare una conversazione.
«Sì. E' un edificio molto grande, c' è addirittura una palestra completa di tutte le attrezzature ginniche. Scommetto che ti piacerà. E la divisa è proprio carina»Satō non rispose. Non le piaceva che la libertà di indossare vestiti a piacimento fosse stata abolita, là.
«Ecco, la sartoria dove te l' ho fatta fare è laggiù» annunciò la madre, affrettando il passo.
La figlia la seguì, alzando gli occhi al cielo. Detestava correre, e l' impazienza di Midori la spaventava.
Entrarono assieme in questa sartoria piccola e caratteristica, e Satō rimase affascinata da quanto fosse colorato l' interno.
Stoffe di ogni tipo e colore erano sparse ovunque: tessuti morbidi e lisci, o granulosi e leggermente ispidi.
Verde scuro, rosso, giallo, panna, bianco, arancione, blu... Guardava e toccava tutto, curiosa.
Non riuciva a credere che un buco di posto così potesse essere pieno di tutte quelle stoffe.
Una creaturina fragile, piccola e vetusta era seduta dietro un bancone, a ritagliare la forma di un abito di seta nero. I capelli bianchi a sbuffo e gli occhiali dalla montatura tonda e dorata le davano un aspetto saggio.
Le mani rugose e affusolate lavoravano con velocità ed esperienza, sicure di ciò che stavano creando.
«Konbanwa, misesu-san. Siamo qui per la divisa scolastica di mia figlia» salutò con gentilezza Midori. Nella cultura giapponese, il rispetto per gli anziani è davvero importante.
La nonnina alzò lo sguardo, inchiodando la ragazza con quegli occhi che sembravano due infiniti pozzi neri.
«Hai. E' quel pacco protetto dalla confezione bianca» gracchiò con la sua voce rauca, facendo un cenno a un qualcosa sulla sedia di legno intrecciata.
«Domo».
Satō si avvicinò a quell' involucro di plastica, liberando il vestito dalla protezione dalla consistenza di un sacchetto della spesa.
E gelò.
Era un abito grigio, con il colletto alla marinaretta blu, a maniche lunghe. La gonna era a sbuffo, con increspature ogni dieci centimetri.
Scorse una camicia bianca nascosta dalla giacchetta grigia, con un fiocco rosso sul petto.
Chi era il creatore di quel vestitino da bambola?
Non assomigliava affatto a una blusa scolastica!
Prima che un conato di vomito potesse farle fare una brutta figura, ricoprì svelta il futuro vestito che avrebbe indossato ogni giorno per tre anni.
«Beh, ehm, caratteristica» riuscì a balbettare Satō, travolta da un' ondata di tristezza.
Perché, perché, perché, doveva andare alle superiori? Dov' era la divisa banale a gonna scozzese, camicia, maglioncino grigio e cravatta blu con lo stemma della scuola?
L' unica cosa che la sollevava era che Kurumi, una sua cara amica delle medie, veniva con lei.
Questo pensiero la calmò un po' e rimase con l' involucro bianco in mano, in preda a bellissimi ricordi.
Sua madre sorrise e tirò fuori il portafoglio, pagando la vecchietta con una buona dose di Yen.
"Ecco. E questa è fatta. I libri ce li ho, la divisa anche... la calma manca all' appello, però" pensò la ragazza, salutando la sarta con un gesto della mano.
«Hai visto com' è diversa dalle altre? Niente a che vedere con quella tua dell' anno scorso. E poi ci sta a pennello con il tuo nome!» osservò Midori con affetto, stringendo le spalle della figlia con un braccio.
«"Zucchero". Ma che bel nome. Già mi vedo l' appello:Kona Satō! E' una battuta di pessimo gusto. Verrò presa in giro a vita» si lamentò Satō, chiudendo gli occhi e porgendo alla madre il pacco.
«Ma no, è un nome simpatico, ammettilo. Di quelli che ti ricordi per tutta la vita. Ah, qui le nostre strade si dividono. Hai preso il biglietto del tram?»L' altra annuì, facendosi aria con il biglietto.
Midori alzò gli occhi al cielo con un sorriso, e se ne andò.
La ragazza osservò la madre fino a quando non svoltò l' angolo.
Sapeva di somigliarle molto: i lineamenti del viso, gli occhi marroni, e i capelli scuri folti e mossi.
Il punto era che adesso la donna stava andando dal parrucchiere e Satō aveva timore di cosa poteva uscirne.
Sospirando sonoramente si girò, ma non aveva intenzione di andare alla fermata. Voleva farsi un giretto per quel quartiere che adorava,sedersi sul suo piedistallo di marmo grigio bevendo una granita alla menta.
Sapeva ambientarsi bene a Shibuya, perciò raggiunse la piazza senza intoppi (esclusa la fermata in gelateria per comprarsi la bibita ghiacciata).
Finalmente appoggiata alla statua, Satō cominciò a mordicchiare la cannuccia gialla, segno che aveva finito la granita.
Osservava con aria critica tutte le tamarre che sfilivano davanti ai suoi occhi, lanciandole occhiatacce.
L' unico problema era che Shibuya è il covo delle Gyaru.
«Hai sentito? Stanno per aprire un nuovo Caffé un po' distante dal centro, immerso nel verde. Potremmo andare a visitarlo quando lo aprono: da fuori sembra un posto romantico adatto alle coppie: potrei andarci con Toru...» disse una del gruppetto, pobabilmente la cosidetta "Leader".
Satō fece una smorfia: se c' era una cosa che più odiava delle Gyaru, erano le coppiette.
Quelle erano veramente insopportabili.
Però... un nuovo locale? A Tokyo ce n' erano un po' troppi, molti andavano in fallimento. La gente, con la vasta scelta, andava sempre in quelli più rinomati.
E non aveva senso farne uno laggiù; chi mai si sarebbe spinto così in là per prendersi, che so, un capuccino?
Poi ricordò che anche le superiori dove fra quattro giorni doveva andare erano in periferia quella zona: finita la scuola poteva passarci tranquillamente, senza fare troppo tardi.
Si era sbagliata: il Caffé era in una postazione strategica.
Quasi quasi le venne voglia di vederlo: il tram sarebbe passato tra poco: doveva sbrigarsi.
Buttò il bicchiere in un cestino e poi respirò a lungo.
Bisognava CORRERE!
Le lunghe gambe abbronzate di Satō iniziarono a muoversi in modo frenetico, decidendo da sole la strada più breve.
Con il fiatone, raggiunse la fermata in sei minuti esatti, catapultandosi dentro il mezzo pubblico con un' agilità degna di un orso sui trampoli.
Entrando, travolse un paio di sfortunati ragazzi e rossa d' imbarazzo balbettò qualche scusa, andando il più velocemente possibile a timbrare il biglietto.
"Uffff... che impedita" pensò, rassegnata, aggrappandosi saldamente a un palo. Non voleva cadere su qualcun altro... per esempio quella ragazza con una cascata di capelli neri e lisci lunghi fino alla vita circa che ascoltava musica guardando fuori dal finestrino.
La tizia si girò, infastidita, con un' espressione che diceva: "Embè? Che hai da guardare?"
Satō distolse immediatamente lo sguardo. Quegli occhi strani, di un verde giallastro, avevano l' aria di non essere amichevoli.
Odiava prendere autobus, tram e simili. L' aveva sempre detestato.
Si trovava sempre gente strana: cinquantenni con i Dread, punkettoni, ottantenni fuori di zucca e altezzosi businessmen.
E ragazze scocciate.
Quella tipa era molto carina, ma non si atteggiava affatto, perciò probabilmente non se ne rendeva conto. Aveva il viso spruzzato di lentiggini e il volto assolutamente perfetto, ma molto indifferente, distaccato.
Satō sentì una fitta di invidia. Anche lei voleva essere bellissima, ma purtroppo non era una che risaltava.
Niente capelli colorati, niente vestiario originale.
Si guardò: maglietta dello Stregatto di Alice in The Wonderland, normalissimi jeans chiari e all star a fiorellini rossi.
La banalità fatta persona, l' esatto contrario della stravagante Kurumi. Lei si notava: anticonformista al massimo, indossava solo vestiti assolutamente fuori moda, occhiali, capelli sciolti e spettinati, castano mielato, alta, magra, stranissima nei modi di fare e nel parlare.
"oh, questa è la mia fermata!" si accorse la ragazza, giusto in tempo per catapultarsi fuori (travolgendo due scocciatissime ragazze).
Satō si guardò intorno, cercando con lo sguardo quel famigerato locale... senza trovarlo.
Si mise a girovagare in giro, chiedendo informazioni ai passanti, e alla fine, riuscì a trovare questo famigerato Caffè.
Lo trovò orribile: tutto cuoricini, rosa e bianco, e si sentiva un forte profumo di dolci provenire dall' interno.
Si affacciò da una finestrella a forma di cuore, curiosa. Voleva sbirciare un po', non ci trovava nulla di male.
Stava per l' appunto mettendosi in punta di piedi, arrancando per arrivare alla mensolina, quando sentì un verso terrificante provenire da dietro di lei: si girò di scatto, in preda al panico.
C' era un topo. Un topo alto quattro metri e largo due.
Satō rimase a bocca aperta per qualche secondo.
E QUELLO DA DOVE DIAMINE VENIVA?!?!
Il sorcio le si avvicinò con un balzo, accucciato a quattro zampe, e ad una velocità incredibile alzò una zampa per tirare una graffiata letale alla ragazza, che prima di poter solamente urlare, si ritrovò su un albero abbracciata stretta stretta a uno sconosciuto dai capelli biondi e occhi azzurro cielo.
«Va tutto bene?» domandò il ragazzo con voce suadente, perfettamente controllato, ignorando il bestione poco distante. Quel tizio aveva occhi da gatto. «Ah,ciao,Satō» aggiunse con un sorriso appena accennato, senza lasciar ancora andare la mora dalle sue braccia.
«Oh! Ma tu... tu come fai a sapere come mi chiamo?» chiese lei, sfuggendo dalla presa del tipo misterioso, sedendosi sul ramo e strisciando all' indietro, spaventata.
Il biondo fece un sospiro. «Te lo spiego più tardi. Su, ora elimina quel mostro» ordinò, indicando la bestiaccia urlante. Era così perfettamente impassibile, quasi annoiato.
Potevano esserci solo due spiegazioni: 1)o lui era certo che sarebbe andato tutto bene e non aveva intenzione di preoccuparsi per una sciocchezza, 2)o non gliene importava niente se Satō morisse o sopravvivesse.
L' interessata guardò a bocca aperta prima il giovane: con quell' espressione voleva far intendere che dubitava seriamente delle capacità intellettive del ragazzo.
«Chi?! IO?!» boccheggiò isterica la ragazza, e in quel momento l' estraneo la strinse nuovamente in un abbraccio e saltò velocemente su un altro albero, atterrando con un' agilità degna di un gatto.
«Accipicchia, sei più pesante di quanto pensassi!» affermò con convinzione l' altro, sorpreso.
Non doveva dirlo: Satō perse completamente il controllo di sé stessa e lasciò che le si montesse la rabbia e il terrore che la dominavano. Ma come osava, quello screanzato????? «EH? Stammi lontano! Chi diavolo sei, TU?» gridò, allontanandosi bruscamente dal suo corpo, nervosa.
«Questo non è il momento adatto per le presentazioni...» obiettò sarcastico il tizio, facendo un cenno con la testa al roditore magnum. E poi, senza dire una parola, spinse la poveretta giù dall' albero.
«AAAAAAAAAAAAAH!» strillò, chiudendo gli occhi. Era finita, ora sarebbe andata all' ospedale per una commozione cerebrale.... e invece no.
Toccò terra con i piedi, atterrando con un impatto morbido e delicato. Rimase sbalordita. «Non mi sono fatta niente!!!».
Ma era troppo agitata per gioirne: il topastro si stava avvvicinando pericolosamente.
«Ascoltami bene: ora sei dotata di poteri speciali. Prendi questo, Mew Satō!» esclamò il biondo, lanciandole una capsula dorata con uno strano ghirigoro sopra, che lei afferrò al volo.
«Cosa? Mew Satō?!» ripeté l' interpellata, rigirandosi l' arnese tra le dita. Non aveva mai avuto una presa decente.
E poi l' oggetto misterioso... cadde.
Un raggio di luce multicolore la colpì, accompagnato dalle scosse sismiche che facevano tremare il terreno. Aveva strillato, aveva domandato aiuto, ma prima che qualcuno le potesse rispondere, si era ritrovaa in una dimensione strana, immersa da una tenue luce verde, e spaesata si era chiesta dov' era, che razza di posto era quello. E poi era comparso un cucciolo d' orso polare, tanto dolce e carino. Si era avvicinato per carezzarlo, e dopo un minuto, la creaturina candida si era gettato all' interno di lei. Dentro la sua anima.
Satō si riprese dal flashback di scatto, raccogliendo l' oggetto. Allora... allora... non era stato un sogno? Un semplice sogno che aveva fatto la notte scorsa?
"Sento... sento nascere qualcosa dentro di me... qualcosa che mi viene dritto dal cuore... delle parole!" pensò la quattordicenne, incredula. L' aggeggio misterioso emanava un bagliore tenue, rassicurante. «Mew Satō Metarphosis!» esclamò, e un fascio di luce bianca, accecante, la avvolse. In qualche secondo, eseguì delle mosse lievi e aggraziate, quasi stesse danzando.
E mentre volteggiava come una ballerina, gli abiti sportivi che indossava mutarono in qualcosa di molto più originale, quasi un abito da carnevale: in testa aveva un basco tenuto laterale in un tessuto di finta pelliccia, il busto era coperto da un corsetto di cotone peloso, le mani e il braccio da dei guantini tagliati sulle dita di velo trasparente, il collo era ornato da una fascia bianca con un ciondolo dorato con un ghirigoro strambo... e, ad osservarlo meglio, non era altro che la capsula d' oro che il ragazzo le aveva lanciato.
Per finire, indossava degli shorts bianchi e degli stivali di pelliccia sintetica molto graziosi.
Ma c' era un altro dettaglio da non trascurare: al posto delle orecchie rosate, ora aveva un paio di orecchie bianche a batuffolo e una coda che sembrava una palla di cotone.
«Fantastico! La sua prima apparizione!» commentò entusiasta il biondo, osservando la trasformazione dal ramo dell' albero.
«AaAaRgH!!! Cos' è il costume che indosso?!?!» strillò isterica la ragazza, osservandosi da tutti i punti di vista, notando con terrore i tratti da orsacchiotto.
Ma non c' era tempo per pensare a quello: la creatura alta quattro metri le aveva appena tirato un fendente da sinistra, e lei lo schivò appena in tempo, con un' agilità che non aveva MAI posseduto.
"A-aspetta... sento una parola sulla punta della lingua..." s' illuminò, indietreggiando terrorizzata.
«Ribbon Satō Snowflake!» gridò, e dal nulla le si materializzò in mano un bellissimo flauto di ghiaccio tutto elaborato. Era la prima volta che le veniva la voglia di suonare un flauto. Alle medie detestava le lezioni di musica...
Si portò lo strumento alle labbra, ed eseguì una complicata e armoniosa melodia che non aveva mai saputo di saper suonare. Le dita scorrevano velocissimamente mentre il sorcio gigante si paralizzò sul posto, immobilizzato da un immenso blocco di ghiaccio che avvolgeva tutto il suo corpo.
«Ah! Vattene via, brutto topastro! Adesso ti sistemo io!» ruggì Mew Satō vendicativa, facendo un salto lungo due metri, per atterrare sul tetto del Caffè. «Tieniti pronta, bestiaccia! E' ora della rivincita!» tuonò maligna, brandendo il flauto.
In quel momento, l' essere si liberò dalla morsa ghiacciata, e cercò di azzannare Satō che, colta di sorpresa, fece un balzo laterale schivando il colpo per un soffio, sotto lo sguardo preoccupato del biondino.
«Ribbon Satō Snowflake!» ripeté la giovane, suonando una melodia diversa dalla precedente, ma più complicata.
Il topo venne intaccato da milioni di scheggie trasparenti, affilatissime e letali, e quando ogni minimo centimetro fu ricoperto di quel ghiaccio, il bestione si rimpicciolì nelle dimensioni di un topolino di campagna, mentre una specie di medusa si liberò nell' aria, inghiottita da un esserino rosa a forma di cuore con le alette e gli occhioni a palla da tennis.
«Missione compiuta» affermò con convinzione il tipo, in piedi di fianco al coso rosa svolazzante.
Satō lo guardò malissimo, e sospirò.
I vestiti, il flauto e le orecchie e la coda svanirono all' istante, e lei si ritrovò esattamente come qualche minuto prima.
Orecchie rosa, maglietta dello Stregatto, jeans, all star, niente coda... normale. Finalmente.
«Complimenti. Un ottimo lavoro, davvero brava» aggiunse l' altro in modo più cortese, avvicinandosi a lei, che sentì la voglia di uccidere quello sconosciuto.
«CHE COS' E' QUESTA STORIA?! NON HO LA PIU' PALLIDA IDEA DI QUELLO CHE STA SUCCEDENDO, ESIGO SUBITO UNA SPIEGAZIONE!» gridò infuriata Satō, gesticolando come un' invasata.
Lui la prese delicatamente per il mento, sfiorandole le labbra con il pollice, estremamente vicino, più di quanto lei gradisse. Ma non riusciva a muoversi.
«Su, calmati. Non ti agitare. Tu sei una delle prescelte» l' informò con voce suadente il giovane.
«Cosa?!» mormorò Satō in completo imbarazzo, rossa come una fragola; doveva trovare la forza di toglierselo di dosso!
«Non temere Satō! Non devi avere paura di noi. Ti spiegheremo tutto con calma quando sarà il momento» disse una voce calma e piuttosto gentile, mentre il ragazzetto si allontanava da Satō.
La mora si girò, stupita. C' era un uomo. Un uomo alto, magro, con i lunghissimi capelli marrone legati in una coda bassa. Indossava una camicia candida, con un papillon nero e pantaloni scuri.
I tratti del viso erano dolci, gli occhi grigio scuro.
«Grazie, sei molto gentile» mormorò lusingata l' altra, confusa.
«Sono felice di conoscerti, è veramente un piacere. Il mio nome è Keiichiro. Ryou, cerca di essere più gentile, o non conquisterai la sua simpatia!» lo rimproverò severo Keiichiro, senza smettere di guardare Satō. «E' un privilegio e un immenso onore collaborare con una ragazza speciale come te...» aggiunse poi, in un tono di voce molto più dolce e morbido, facendo il baciamano alla poveretta, che non capiva proprio nulla.
«Che? Io sarei una ragazza speciale?!». In vita sua non era mai stata definita così!
«Allora andiamo?!» li interruppe brusco il giovane, con chiara impazienza.
«Andiamo? E dove?» ribadì offesa Satō. Odiava il tono di voce scorbutico di Ryou. E poi aveva fin troppe domande nel cervello:
1) Perchè si era trasformata in un orso polare?
2) E quelli chi erano?
3)Perchè uno continuava a darle ordini e l' altro la trattava come una principessa?
NON CI CAPIVA NIENTE!!!!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Kanzō ***


«Al Caffè ovviamente. L' abbiamo aperto da poco...» spiegò Keiichiro con dolcezza, fermandosi davanti all' entrata. «Mia cara Satō, benvenuta al caffé mew mew» aggiunse con voce serena.
L' interpellata guardò i due con una faccia confusa.
«Che poi sarebbe...» attaccò il moro, interrotto un secondo dopo da Ryou. «... la nostra base segreta» concluse il biondo con un sorrisetto sbruffone, aprendo il portone del locale.
Satō guardò immediatamente l' interno; l' atrio era IMMENSO!
Il soffitto era a volta, tipo le chiesette delle Cattedrali, a destra c' era la cassa e per tutto il salone erano sparsi con molta cura e buongusto tavolini con tanto di siede con lo schienale a forma di cuore.
Era di un gusto melensissimo: possibile che Keiichiro avesse un animo così... romantico?
Ryou si sedette rumorosamene su una seria, pacifico e completamente indifferente, mentre l' uomo tese un pacchetto con un fiocco rosso (recuperato dalla superficie di uno dei tantissimi tavolini) alla ragazza, che lo prese nelle mani, riluttante.
«Senti... che ne diresti di cambiarti?» chiese lui con un sorriso amabile, sotto lo sguardo stupito e diffidente dell' altra. «Gli spogliatoi sono da quella parte» aggiunse, speranzoso, indicando con la mano una porta in fondo a sinistra.
«Io dovrei cambiarmi?! E per quale motivo, scusa??» ribatté velocemente Satō, riprendendosi immediatamente dallo stupore.
«uff... avanti, non fare domande e ubbidisci» replicò secco Ryou, spazientito.
La ragazza si girò a ucciderlo con gli occhi:«CHE COSA?!?!»
«Ehmmm, perdonalo! Ma fa quello che ti dico, per favore. Una ragazza speciale come te, merita una divisa speciale» sussurrò Keiichiro all' orecchio dell' imbarazzatissima moretta, che era diventata rossa. Odiava le vicinanze improvvise.
«Ecco... sì... d' accordo...» mugugnò Satō stringendo a sé il pacco e andandosene a tutta velocità in spogliatoio, immersa nei suoi pensieri.
Mentre si cambiava, la nostra eroina (N.B= adoro scrivere questa frase XD) ebbe modo di pensare a tutte quelle assurdità accadute in una semplicissima ora.
Aveva incontrato un ragazzo agilissimo che l' aveva salvata da un topo gigante, che poi aveva fatto fuori. Poi sbuca un giovane uomo che si comporta da completo lecchino e lei cosa fa?! Li segue come una bambina di cinque anni!! La prima cosa che una bimbetta impara è non fidarsi degli sconosciuti, e ora lei si trovava da sola in un locale con due uomini forti e misteriosi, di cui non sapeva proprio nulla.
E ora era perfino costretta a cambiarsi!! Che cosa c' era in quel minaccioso pacco bianco col fiocco bordeaux?!
Lo aprì, riluttante, ed esaminò il contenuto: una banalissima divisa da cameriera bianca con qualche nastro azzurro pallido qua e là.
Si sentì più rilassata, e l' indossò in un baleno.
Meno male che non c' era il suo migliore amico, o l' avrebbe presa in giro a vita perchè era vestita da camerierina sexy. Orrore.
Respirando lentamente, tornò in salone dai due, impacciata dentro quella divisa troppo bambolesca per i modi goffi e spicci di Satō.
«Ti sta proprio bene! Sai, sei bellissima» osservò affabile Keiichiro, soddisfatto della propria opera.
Lei si sentì il cuore colmo di gioia: lei? bellissima? ma dove? da quando?? Nessuno glielo aveva mai detto, mai.
Sentì nascere dentro di lei il sospetto; che quelle lusinghe avessero qualche sporco fine?? «Ehm, dici sul serio?» mugugnò invece, incredula che avesse risposto proprio così. Ma d' altronde, ricevere complimenti del genere non era mica male...
«Sì, ma è tutto merito della divisa, è così ben fatta che farebbe sembrare bella chiunque la indossasse» rettificò critico il biondo, ancora bello comodo sulla seggiola.
Satō si sentì nuovamente inabissare. Sì, indubbiamente era così, aveva assolutamente ragione. Si era illusa per così poco... non rispose, riprendendo però il controllo di sé stessa. Il fatto che il tipo fosse così sgarbato la tranquillizzava, non c' era motivo di avere paura.
«Ryou, smettila. D' ora in poi passaremo molto tempo insieme, perciò cerchiamo di andare d' accordo,ok?» lo rimproverò Keiichiro severamente: gli sembrava di parlare con due bambini di quarta elementare!
«Che cosa?! Per quale motivo dovremmo passare molto tempo insieme? E già che siamo in tema di domande, perchè dovrei essere io ad affrontare mostri?» s' informò Satō, alzando il tono di voce. Si stava arrabbiando.
«Quello che hai sconfitto non era affatto un mostro. Era soltanto un Chimero» precisò il ragazzo, annoiato.
«E che cos' è un chimero?» borbottò la camerierina, inarcando le sopracciglia delicate.
«Guarda» rispose l' altro, con uno schiocco di dita. Così facendo, le luci della stanza si offuscarono, e si accese un televisore al plasma ultimo modello su una parete là vicino.
"Wow... chissà che tecnologia avanzata, per reagire a uno schiocco di dita!" pensò eccitata l' altra, incuriosita.
Lo schermo proiettò l' immagine di una specie di medusa che vagava su un prato.
«Il nome degli animali che cadono sotto controllo di un' alieno parassita» spiegò Ryou, mentre nell' immagine, la medusa entrava in contatto con un innocente topolino di campagna, trasformandolo nel mostro di poco prima.
«Non sappiamo quale sia il suo obiettivo, ma se si dilagassero, la Terra sarebbe in grave pericolo» aggiunse il moro con serietà.
Satō non ne poté più: «Sentite, adesso mi dite chi siete?!»
«Io sono Ryou Shirogane, un liceale del secondo anno e la mia famiglia è piuttosto ricca»
«E io sono il propietario di questo caffé... almeno in apparenza»
«In realtà siamo alla ricerca di un modo per debellare gli extraterrestri. Per questo motivo abbiamo ricercato i dati di tutte le specie in via d' estinzione, ovvero gli animali Codice Rosso. Abbiamo scoperto che il loro DNA ha la capacità di proteggere e conservare la vita. Di conseguenza, inserendo il DNA dei chimeri, si dovrebbe distruggere il parassita alieno e far tornare l' animale alla sua forma originaria» raccontò il biondino con aria saccente, mentre nello schermo apparivano immagini di: orso polare, pipistrello, lontra, coniglio, volpe rossa, foca e tigre.
«Ma per questo abbiamo bisogno di una persona il cui corpo abbia le caratteristiche per adattarsi al DNA» concluse Ryou, diplomatico.
«E quella persona sarei io, giusto?» chiese la mora, titubante.
«Sì, tu hai tutti i requisiti, tanto è vero che nei panni di Mew Satō hai utilizzato il potere dell' orso polare. Infatti, hai liberato il topo dal chimero facendolo tornare alla normalità»
«Quindi significa che siete stati voi a trasformarmi in un ORSO?!» strillò isterica la ragazza, offesa e adirata.
«Eh sì, non avevamo altra scelta. Era l' unico modo per permetterti di usare la forza degli animale Codice Rosso»
«Ma che gentili!!! Adesso sono intrappolata in questa assurda missione vivendo come un orsacchiotto!!» biascicò infuriata l' interessata, fulminando con lo sguardo quell' odioso Ryou.
Keiichiro prese il polso di Satō delicatamente, guardandola fisso negli occhi. «Quello che ti è capitato è una cosa straordinaria! Fra milioni di candidate, hai avuto la fortuna di essere stata scelta per diventare la paladina del mondo» disse con tono morbido e incalzante, cercando di farle vedere il lato positivo della vicenda.
«Io... la paladina... del mondo?» sussurrò la ragazza, immaginandosi benissimo la scena nella mente. Oh, che bella immagine aveva ora affissa nella testa!
«Prova a pensarci; se lo volessi, potresti facilmente far inginocchiare ai tuoi piedi l' uomo dei tuoi sogni o diventare l' idolo più acclamato della Nazione» le fece notare suadente l' uomo.
La nostra orsetta non riuscì a tenere a freno la mente: il primo punto poteva anche tralasciarlo (a lei non interessavano affatto i ragazzi) ma il secondo... lei, poteva aiutare un sacco di persone in pericolo, poteva contribuire alla salvaguardia del pianeta, poteva difendere l' intero giappone dagli alieni, e perchè no, magari difendere la Terra intera!
«Noi ci prenderemo cura di te. Fidati Satō, non te ne pentirai» affermò dolcemente Keiichiro, baciando la mano abbronzata della ragazza per la seconda volta.
Lei divenne color ciliegia, in completo disagio.
Ryou si alzò finalmente dalla sedia, e si avvicinò ai due con un' espressione seccata. «Ecco, ti abbiamo dato la spiegazione che volevi. Continua così, paladina della giustizia!» esclamò, toccando velocemente il nasino all' insù della poveraccia, facendola sobbalzare all' indietro.
Lui si girò, pronto ad andarsene, quando alla ragazza venne in mente un' altra domanda: «Un momento! Questo vuol dire che tutto il lavoro devo farlo io?!»
«No, non sarai sola. Ci sono altre sei ragazze come te»
«Addirittura altre sei!!!»
«Tutte hanno un segno distintivo sul corpo, un segno che vi accomuna. Anzi, visto che ti senti sola, inizia a cercarle!»
«Eh? Aspetta un attimo! Di che segno stai parlando?!» esclamò preoccupata Satō, iniziando a controllarsi dappertutto.
«Adesso smettila! Scomparirà da solo una volta che sarà compiuta la missione»
«Ma io ancora non l' ho trovato! Dov' è?!»
Nessuno sapeva la risposta, avrebbe dovuto cercarselo da sola.
Keiichiro si avvicinò a Satō, aprendo le mani unite a palmo, da cui uscì l' esserino rosa che prima aveva inghiottito la medusa. Ora che l' osservava meglio, notò che aveva una forma a cuore.
Aveva due occhioni neri dolcissimi e orecchie a triangolo in cima al capo. Ai lati aveva due alette fuxia che fremevano come le ali di un colibrì e per fenire aveva un codino buffissimo.
«E questo coso cos' è?» domandò la ragazza arricciando il naso, diffidente.
«Il suo nome è Mash. Ti seguirà nelle missioni, quindi abbi cura di lui. A proposito; è dotato di sensori capaci di rivelare la presenza di alieni» spiegò il moro, tutti fiero del robottino creato dalle sue stesse mani.
«Konnichiwa!» salutò Mash, posandosi sul dorso della mano di Satō, che ricambiò il saluto estasiata. Quel cosino era proprio kawaii!!
In una nuvoletta grigia, il robot si rimpicciolì un quinto di com' era un secondo prima, sotto immenso stupore della posseditrice.
«Un' altra cosa: quando verrai qui al Caffé, lavorerai come cameriera, intesi?» s' intromise Ryou seccato, come se la vicenda lo annoiasse a morte.
«Ah, ovviamente! Ci mancava anche questa! Ma se dovessi inciampare e distruggessi tutto il raffinato servizio da thè, la colpa sarebbe solo vostra!! Ecco il perchè di questa divisa da bambola!»
«E' solo per non dare nell' occhio! E poi ti sta d' incanto. Come ti abbiamo detto il Caffè è solo una copertura per le nostre attività, e comunque dubito che avremo molti clienti»

***


Da tutt' altra parte, in una dimensione parallela immersa nell' oscurità, due presenze inquietanti parlano del destino della Terra...

«Voglio il pianeta azzurro. Devi portarmelo» disse la prima voce, una voce melodica quanto angosciante.
«Sì» rispose immediamente la seconda voce. Una voce maschile, determinata e rispettosa.
«Usa tutti i mezzi che vuoi, ma portami quel pianeta»
«Conta pure su di me»

***


E adesso torniamo a Tokyo: strade trafficate, gente che cammina svelta sui marciapiedi, e una ragazza bionda che passeggiava sovrappensiero in mezzo a tutti quegli automi uno più identico all' altro per via dei capelli scuri gustandosi un buon gelato alla mela verde.
"Sono proprio soddisfatta. Ho comprato uno smalto verde fosforescente bellissimo che sfoggerò il primo giorno di superiori, dei jeans chiari favolosi e una camicetta azzurra molto carina!! E tutto questo senza okasa in mezzo alle balle! Fantastico!" pensò, facendo roteare i pacchi con gli acquisti. Si diresse a buttare la coppetta di cartone del gelato ormai finito, e riprese la camminata verso casa sua, una villetta niente male e con un bello spiazzo di terreno, per una megalopoli come la capitale giapponese.
Iniziò a canticchiare (fregandosene del fatto di essere stonata come una campana) quando vide sbucare dall' angolo dell' incrocio un Dobermann nero che veniva nella sua direzione. Si bloccò, terrorizzata.
I pacchi le caddero dalle dita, ed era pronta a correre via, quando notò che quell' animale le faceva le feste: non aveva cattive intenzioni! Addirittura riuscì a leccarle la mano, prima che lei la ritrasse con un urletto di sorpresa.
«KIM! Vieni qui!» gridò una voce persistente, e la bestia rimase immobile con la lingua penzoloni: aveva un' espressione decisamente idiota.
«Vieni subito qui!» ripeté la voce arrabbiata, sicuramente appartenente a un ragazzino.
La cagna trotterellò in direzione del padroncino, un ragazzetto moro di undici o dodici anni, che la prese e le legò al collo il guinzaglio da cui si era liberata.
«Gomenasai! E' così stupida che si comporta ancora come se fosse un cucciolo!» esclamò, avvicinandosi alla ragazza bionda con un' espressione rassegnata.
Da dietro di lui apparve una ragazza con lunghi capelli nero carbone, lisci e ben curati, vestita con una maglietta nera e dei pantaloni neri agghindati da una cintura con borchie piatte a piramide. Le mani erano coperti da guantini neri che scoprivano la punta delle dita.
«Perdonala, è un' emerita stupida. Ma non farebbe male a nessuno» aggiunse questa in tono imbarazzato e innervosito, in difesa del suo animale.
«Meno male. Avevo paura che mi sbranasse» confessò la nostra biondina, spalancando gli occhioni verde prato con aria di circospezione. Riprese in mano i pacchetti caduti per terra.
«Tieni. Per asciugarti la mano» rispose la darkeggiante, tirando fuori un fazzoletto di lino bianco dalla borsa di similpelle. Sembrava che cercasse in tutti i modi di scusarsi per andarsene il più presto possibile. Era chiaramente a disagio.
«Oh! Grazie mille». Iniziò a sfregarsi il dorso della mano: un sollievo, togliersi quella bava di dosso!
«Tienilo. Te lo regalo. Ne ho un sacco io a casa. Beh, ti auguro una buona serata!» salutò, e tirando uno scappellotto al fratello per aver fatto fuggire Kim, ripresero la loro passeggiata bisticciando.

***


Satō tornò al caffè il giorno seguente alla sua avventura, e da subito iniziò a sbraitare contro Ryou.
«Senti cocco, mi spieghi come farò a trovare tutte le altre mie compagne di squadra?!?! Vorrei farti presente che non posso ammazzare mostri da sola, CAPITO?!» urlò appunto, mentre quello continuava a sfogliare una rivista sportiva senza degnara di uno sguardo.
La ragazza digrignò i denti, pronta a strappargli di mano il giornalino e distruggerlo sotto i suoi felini occhi azzurri, quando Keiichiro la chiamò -giusto in tempo-.
«Dovresti portare questi dolci al tavolo 7. Ti dispiacerebbe...?» chiese, serafico, con il suo solito sorriso innocente.
«Ah sì sì, certo» borbottò la moretta, prendendo in mano il vassoio per consegnarlo al clienti.
Un boato di ordini rimbombò nella stanza: c' erani un sacco di clienti!!!!!!!
«Mi scusi signorina, potrebbe venire?». «Ha sbagliato a portarmi, avevo chiesto del thè verde, non una camomilla!». «Allora?! Abbiamo ordinato da dieci minuti!».
Satō, rossa come una fragola, cercò di accontentare le richieste di tutti, ma non era affatto facile dover sbrigare tutto quel lavoro da sola!!
Alla fine della giornata, la nostra eroina, armata di Mash, si diresse stanchissima verso la prima fermta che le capitasse sotto mano: si sedette sulla panchina d' attesa, distrutta. «Mamma mia, sono da raccogliere con un cucchiaino!» brontolò tra sé, augurando a Ryou le più feroci e subitanee pene dell' inferno.
BIP-BIP! BIP-BIP! La ragazza si accorse che quel suono veniva dal robottino rosa che aveva in tasca. Lo tirò fuori svelta, esaminandolo perplessa. «E' qui! E' qui!La mew mew è qui!» fece quello, vibrando e rigirandosi su sé stesso. «Cosa? Dove?» squittì Satō, felicissima. Finalmente ne aveva trovata una!!!!! Mash le indicò una ragazza con dei lunghissimi capelli neri, vestita sportiva con una sacca sulla spalla. Quegli occhi verdi giallastri... li aveva già visti. "Ma sì! La tizia in autobus di ieri!" pensò, colta da un' improvvisa illuminazione.
«Sta andando via! Sta andando via!» trillò l' esserino, vibrando sempre più furiosamente. E in effetti, lei stava per l' appunto andandosene in bicicletta.
La mora sospirò, pentendosi subito di ciò che stava per fare: iniziò a correrle dietro, seguendo scorciatoie per raggiungerla, senza mai perderla di vista.
Era esausta. E ora le toccava anche una maratona provvisoria!
Alla fine, Satō si ritrovò davanti a una bella casa in stile occidentale e si arrampicò sul cancello per curiosare dentro... e quasi non le venne un infarto quando un dobermann le abbaiò contro. «ODDIOOOOOO!» strillò, buttandosi all' indietro, ansimando per la sorpresa. «Ci mancava soltanto il bestione da guardia!» aggiunse,quando riprese fiato.
Più preparata, si arrampicò nuovamente e a fatica in cima al cancello, con un bastone lungo e ben visibile in mano: "o la va, o la spacca" pensò rassegnata l' orsetta, lanciando nel giardino della casa che doveva profanare, il legnetto che teneva tra le dita.
Il cane, caduto nella trappola, trotterellò in direzione del bastoncino, e la ragazza ne approfittò per valicare il cancello e rifugarsi sulla tettoia di un' auto parcheggiata fuori. «Mew Satō metamorphosis!» enunciò, e dopo il solito processo di trasformazione, si ritrovò a pensare a come agire per dire alla ragazza dai capelli neri che era una mew mew...
Beh, per prima cosa, doveva intrufolarsi in casa sua... con un balzo lunghissimo e agilissimo che non sarebbe mai riuscita a fare prima di diventare metà- orso, atterrò sulla mensolina di una finestra e controllò la situazione: vuota. Poteva entrare.... meno male che era aperta! "la fortuna gira in mio favore" pensò, con un sorrisino contento.
Svelta svelta si intrufolò dentro, e proprio in quell' istante una figura aprì la porta della cameretta da cui era entrata...
«ODDIO!» gridò la ragazza che Mash sosteneva essere una mew mew.
«ah ehm... konnichiwa?» rispose Satō con un sorriso imbarazzato. «Aspetta non urlare! Sono qui per... per presentarmi dato che... in autobus non ne ho avuto l' occasione!» sparò di botto, fermando la tipa che stava ricominciando a parlare.
«Ahhh...Beh io mi chiamo Satō Kona... e ti prego di non fare commenti!» si presentò la nostra eroina, stringendo la mano coperta da guantino nero della conoscente sbigottita. «Kanzō Jundo» fu la risposta incerta.
«Ehm, beh molto piacere!! Certo che vivi in una splendida casa!! Sembra di essere a New York, dallo stile dei mobili!» osservò la bruna, tanto per fare conversazione, accennando al letto e non al solito tatami che tutti i giapponesi normali possedevano.
Iniziò a guardare con curiosità la cameretta, e nel frattempo lanciava occhiate agitate a Mash. «Insomma, non capti più niente?! Un attimo fa eri tutto in fibrillazione!» sussurrò all' aggeggio rosa che aveva tirato fuori dalla tasca. «no» disse il robottino con tono innocente.
A Kanzō saltarono i nervi: «Insomma!!! Ti sembra questo il modo di comportarti?! Come diamine sei entrata in casa mia? Cosa vuoi da me? Perchè stai iniziando a frugare dappertutto?!?! Che razza di modi sono?!?! Cosa sei tu?!» esplose, e al diavolo le buone maniere e la calma repressa.
«Ti chiedo scusa!! Ma non so se posso spiegare, ora... è una lunga storia che forse non potrei nemmeno raccontarti!!» si scusò la poveretta, agitata e in qualche modo offesa: le dava molto fastidio la maniera con cui si era rivolta a lei. Ma non poteva darle torto.
«Non ci capisco niente. Ti chiedo di spiegarmi, anche se desso non è il momento giusto per un' agente della Naicho o chiunque tu sia!» affermò lei dopo qualche minuto di attesa, accennando a una famosa agenzia di servizi segreti giapponese.
All' improvviso, entrambe sentirono il cane ringhiare ed abbaiare come un invasato, e Kanzō si catapultò in giardino correndo velocissimamente senza dire una parola.
Satō, allarmata da tutto quel casino e si buttò fuori dalla finestra, sicura di non farsi male, e lo spettacolo che le due videro faceva venire i brividi: il cane, che già era grosso di suo, stava crescendo in maniera spaventosamente veloce, fino a diventare della stessa dimensione del ratto che la mew mew aveva affrontato la prima volta.
«Pericolo! Pericolo! Chimero! Chimero!» squittì Mash, scivolando fuori dalla tasca della sua posseditrice, accompagnato dallo strillo della padroncina dell' animale oramai diventato un mostro fatto e finito: aveva lucido manto nero a strisce rosse e gli enormi occhi color cremisi fulminavano le due con lo sguardo.
«Stramaledetti alieni!! Ve la farò pagare una volta per tutte!» ruggì Satō, parandosi davanti a una spaventata Kanzō. «Cosa sta succedendo alla mia Kim?» domandò.
«So bene che per te è uno shock.. sono costretta a spiegarti tutto più tardi! RIBBON SATO SNOWFLAKE!»sbottò la moretta, brandendo il suo flauto ghiacciato.
Il cane abbaiò, e tirò un fendente in direzione delle due: ma la mew mew prese prontamente Kanzō in braccio e saltò da un' altra parte evitando il colpo.
«Aspetta! Non vorrai far del male al mio cane?» ansimò la ragazza, preoccupata per la salute della sua creatura.
Satō la guardò come se fosse un' idiota: quel coso aveva cercato di ucciderle e lei si preoccupava che stesse bene?
Presa alla sprovvista, l' orsacchiotta venne sbattuta su un muro da una zampata della bestia, urlante di dolore.
Kanzō corse a soccorrere la sua salvatrice, ma in quell' istante il Chimero, con un' altra zampata, scaraventò le due sul muro opposto.
«oddio! stai bene, Jundo?». L' interpellata sembrava parecchio dolorante, e le si strappò buona parte del colletto della camicia scura.
E poi Satō lo vide: un delicato tatuaggio rosato a forma di ali di pipistrello. «Che quello sia... il segno?» sussurrò, con gli occhi azzurro ghiaccio fissi sul collo della compare.
Mash ronzava intorno alle due come un'ape sul miele, e alla fine si decise a fare qualcosa: dalla boccuccia emise una capsula d' oro del tutto identica a quella di Satō, che atterrò ai piedi della confusa Kanzō.
«Anche tu fai parte della squadra, Jundo» osservò con voce ferma l' orsacchiotta, chiedendosi dove ce l' aveva lei il tatuaggio.... doveva ancora trovarlo...
«Cosa... di quale squadra parli?»
«Beh, ora ho la certezza che anche tu puoi trasformarti come me».
In quell' istante il bestione decise di aver lasciato troppo tempo di riposo alle ragazze, e riprese a ringhiare in una maniera orribile: così attraversò il salotto facendo schiantare per terra vasi e mobili per avvicinarsi alle ragazze.
«Jundo, devi trasformarti! Non posso fermarlo da sola!» la supplicò la bruna, pronta a combattere contro il Chimero.
«Mi chiedi l' impossibile!! Come faccio,io?!» replicò l' altra, indietreggiando dalla creatura.
L' ennesimo tentativo di omicidio da parte del suo cane le fece decidere che doveva provare a fare qualcosa: afferrò la capsula dorata con le dita e quella emise una forte luce grigia, che la avvolse in un getto di oscurità: poggiò le labbra sul freddo metallo aureo, e iniziò a muoversi come se sapesse perfettamente la coreografia di un balletto: «Mew Kanzō metamorphosis!» esclamò, mentre due ali da pipistrello le crescevano sulla schiena. I vestiti cambiarono completamente: indossava una lungo vestito nero inchiostro, simile a un tubino nero degno di una serata di gala, decorato da righe verticali. Sulle braccia apparvero guanti scuri lunghi fino al gomito, di quelli che venivano allacciati solo dal dito medio. Nel frattempo lei continuava la sua trasformazione, e due orecchie da pipistrello le spuntarono in testa, fremendo.
Sul braccio, appena sotto la spalla, apparvero due sbuffi del tutto identici (per forma) a quelli di Satō.
«Bravissima!» trillò quest' ultima, felice di aver trovato una delle sei compagne di sventura. Era ancora più carina del solito, e questo provocò una specie di fitta di invidia alla mew mew bianca, che la represse con un sorriso. Se solo avesse potuto sapere come tutti la consideravano...
«Incredibile» sussurrò la pipistrellina, rigirandosi ad osservarsi.
Il Chimero, infastidito di non essere più al centro dell' attenzione, abbaiò furioso, ma le due balzarono prontamente da un' altra parte, ben attente.
Satō si portò il flauto ghiacciato alla bocca, e incitò la compagna spiegandole cosa doveva fare: «Su, coraggio, dì le parole che senti nascere direttamente dal cuore!».
Mettendo seriamente in dubbio le capacità intellettive della compare, Kanzō la fissò con uno sguardo scandalizzato:«Chi,io? Non ci riesco! Non sento assolutamente nulla che mi nasca dal cuore protestò, decisamente a disagio.
«Forza, ce la farai! Esattamente come quando ti sei trasformata! Il procedimento è lo stesso: segui l' istinto!!».
L' altra annuì, più confortato: sembrava davvero molto semplice.
«Non c' è tempo da perdere!!» strillò impaziente l' orsetta, iniziando a suonare una sinuosa e affascinante melodia che faceva gelare il sangue, tanto era inquietante.
«E va bene!» sbottò lei, concentrandosi intensamente: «Ribbon Kanzō Fury!» enunciò, e da una bolla d' aria apparve una lama, da cui spuntava un cilindro di luce grigio scuro, che diventò un manico tutto intagliato che ella afferrò.
Brandì la sua ascia di fronte al suo povero cagnolino, più per spaventarlo che per colpirlo sul serio.
"Wow. Sembra la moglie di Morte" pensò Satō, mentre continuava la sua melodia cupa, degna come colonna sonora per il combattimento.
Il bestione si congelò, come se fosse cristallizzato, e Kanzō, con un grandissmo sforzo di volontà, agitò la sua falce, e dalla lama scaturì qualche raggio radioattivo che intaccò completamente il Chimero. I raggi iniziarono a vorticare intorno al corpo gigantesco dell' animale, finchè il ghiaccio che lo ricopriva non si distrusse.
La bestia iniziò a rimpicciolirsi sempre di più, finchè non tornò la solita stupida Kim di sempre.
Mash nel frattempo inghiottì una specie di medusa che si era separata dalla cagna, la stessa medusa che Satō aveva visto alla sua prima battaglia...

***


Piombiamoci nuovamente al Caffè mew mew: Kanzō indossava il vestitino da cameriera identico a quello di Satō, solo del colore opposto: nero.
Keiichiro applaudiva, compiaciuto delle sue arti sartoriarie, ed esclamava cose come: «Magnifica! Splendida! Meravigliosa!» tutto contento, sorridendo al mondo.
Per quanto la riguardava, lei odiava essere al centro dell' attenzione ed ascoltare ciò che lei reputava falsi complimenti e non poteva fare a meno di arrossire e balbettare sillabe sconnesse cercando di ribadire di smetterla di mentire per farla contenta, ma nessuno le dava minimamente ascolto.
«La divisa ti sta benissimo!» trillò incantata la ormai amica bianca, gentile e deliziosa come sempre.
Ryou non si fermò a fare complimenti come gli altri (per questo Kanzō lo ringraziò vivamente col pensiero) ma ribadì una futile frase del tipo: «Forza, ancora cinque e la squadrà sarà in completo! Buona fortuna!» per poi dileguarsi nel nulla.
Tutto andava alla perfezione: Keiichiro sistemò il cartellino "OPEN" davanti al locale, Satō aveva scoperto dove si nascondeva il tatuaggio (nella caviglia destra dalla parte interna) e il sole splendeva nel cielo.... cosa poteva rovinare quella quiete idilliaca?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Sakuranbo ***


In una dimensione azzurra come un mare tropicale, inquietante e vuota come un maniero medievale, una voce cristallina e raggelante spezzava quell' insolito silenzio, rendendo il tutto ancora più inquietante...
«Ci sono alcuni elementi di disturbo nei nostri piani la cui presenza non era prevista... hanno già eleminato due dei nostri Chimeri...»
«Così sembra» fu la risposta irritata ma rispettosa della seconda voce, più umana e calda, da ragazzo.
«Kisshu: scendi sulla Terra e scopri fino a che punto possono ostacolare le nostre mosse»
La nebbia bluacea si diradò un poco, mostrando un' ombra di un volto delicato e indefinito, sicuramente non Terrestre...
«Come desideri» mormorò quello, abbattutto ma deciso a svolgere il suo compito.
E poi, svanì nel nulla.

***


«Oh dannazione!!!!! Mi sono dimenticata di comprare il dizionario d' inglese!!!!! Fra un' ora inizia la scuola, ahimè, e non ho preso quel dannato vocabolario?!?! Ma dove ho la testa?!?!» borbottò la nostra Satō, mentre un centinaio di sguardi perplessi la squadravano da capo a piedi mentre correva come una scema per le vie. Ma se ne fregava della loro opinione: lei poteva parlare da sola come e quando le pareva, accidenti!
Era così distratta e infuriata dalla sua disattenzione, che non si accorse neppure che le sue gambe coperte da calze bianche tagliate al ginocchio avevano deciso di svoltare l' angolo... e KA-BUM!!!!!
«Ma porca miseria!!» gridò la ragazza con cui era andata a sbattere: era magra e secca come uno stecchino, aveva capelli biondi inusualissimi, a boccoli, così ben curati che sicuramente erano freschi di parrucchiere. Occhi verde prato con un tocco di giallo, agghindati da leggero ombretto verde acqua e rimmel nero.
Le labbra sottili, coperte di lucido perlaceo, erano strette dalla rabbia.
Indossava la stessa identica divisa scolastica di Satō.
Era andata a sbattere contro una... GAL!!!!!!!!!!!!
«Senti cocca: io mi sono tutta tirata a lucido per il mio primo giorno di scuola, e tu mi butti su questo lercio asfalto così?! Maddove?!» la rimproverò la Gal, anche se, notò l' orsetta, quella parlata non era affatto da gal: per prima cosa, il tono di voce era decisamente burino (nulla a che vedere con il tono stizzito e altezzoso delle truzze) e le parole erano troppo alla buona rispetto alle offese acide e indispettite della normale gal giapponese.
«Scusa, mica l' ho fatta apposta, ciccia! Stai calma, non ho architettato un attentato per ammazzarti!» replicò offesa la moretta, e senza dire una parola, l' aiutò ad alzarsi e le raccolse la cartella blu porgendogliela in silenzio.
«Oh. Ok. Grazie!» trillò l' altra, con un sorrisino affettuoso. Sembrava che l' incazzatura le fosse passata subito... "Questa è decisamente lunatica" pensò a sopracciglia inarcate Satō, mentre incrociava le braccia e l' osservava con attenzione: sulle dita portava uno smalto verde fosforescente, decisamente osceno.
«Di nulla figurati... non ti sei fatta niente vero? Tutto a posto? Non ti sei neanche sporcata...» domandò la mew mew con fare indagatorio, controllando la salute della tipa. Anche quella ragazza era stupenda: di più, una delle persone più belle che avesse mai incontrato.
Però era troppo complicata e... gal, per i suoi gusti.
E tutte le Gals sono pressochè identiche: egocentriche, eccentriche e superficiali.
«Se dici che i miei vestiti sono a posto, sono a posto anche io! Beh, forse ci si becca a scuola!» esclamò la bionda, riprendendo il suo cammino saltellando in maniera simile ad Heidi. Roba che una truzza non farebbe mai.
«Ma guarda un po' che gente si incontra in giro...» sospirò Satō, stanca e decisamente nervosa. Notò una scritta sulla cartellina blu, scritta sicuramente con una cencellina liquida: Sakuranbo Chukonen.
E riprese a correre, una lotta contro il tempo per raggiungere una libreria e prendere un tram prima che suonasse la campanella della sua prima lezione di scuola...

***


Alla fine, Satō e Sakuranbo arrivarono giusto in tempo a scuola, e il caso volle che finissero addirittura nella stessa classe, insieme a Kurumi ovviamente.
Kurumi si era fiondata tra le braccia di Satō appena l' aveva vista, e si erano tenute per mano per tutto il tragitto fino alla classe, stritolandosele involontariamente.
«Forza e coraggio, amica mia» aveva detto lei, prima di entrare nella porta dell' ignoto...
C'erano 28 banchi, molti della quale occupati da ragazzi e ragazze dal volto sconosciuto e anonimo... ma ce n' era una, con degli sfavillanti capelli biondi sul penultimo banco in fondo a destra, che non poteva passare inosservata. Anche una ragazza dalle fosforescenti mechès fuxia e occhialoni dalla montatura nera era altrettanto appariscente, ma era chiaramente una emo, e a quella categoria di gente non si dava mai troppa importanza.
«Ehi!!! Ma tu sei la tizia di prima!» aveva esclamato Satō, indicando la bionda.
Kurumi era rimasta zitta, perplessa, mentre seguiva la migliore amica che si sedette sul banco dietro di questa.
«Oh sì, tu sei la calamità umana che mi si è buttata addosso poco fa» concordò questi annuendo.
In quel momento entrò l' insegnante, e il chiacchiericcio informale e amichevole era svenito nel nulla.
«Konbanwa, ragazzi. Io sono il professor Kakogan, vostro insegnante di giapponese, storia e geografia. Il programma di oggi prevede lo spostamento in aula magna per ascoltare il discorso del preside. Dopodiché ascolterete i vostri senpai cantare l' inno della scuola e una volta in classe, risponderò alle vostre domande. Infine, sarete liberi di scappare!» spiegò lui, sperando di scatenere risate che non arrivarono.
«Ehmmm... beh allora facciamo l' appello!» propose, e iniziò l' elenco, che Kurumi ascoltava con attenzione.
Adorava collezionare nomi strani, e lei e Satō erano quelli più buffi che aveva mai sentito.
«Aiko Anata... Honama Akane...» cominciò, andando avanti così per un minuto. «Namiko chinatsu... Sakuranbo Chukonen... » a quel punto la classe ridacchiò, e Kurumi si appuntò il nome della ragazza bionda davanti con un interesse sincero. "Ciliegia Matura" pensò con un sorriso, constatando che lei si colorò della stessa tonalità del suo nome.
«Kona Satō...Kurumi Sheru...» e giù altre risatine. "Eh sì, guscio di noce fa grande effetto, come sempre" aggiunse mentalmente l' interpellata, sorridendo in maniera imbarazzata, sistemandosi gli occhiali scivolati in fondo al naso.
Alla fine, ad appello finito, Satō iniziò a chiacchierare sottovoce con Kurumi, eccitata ed agitata.
«Oddio, ti rendi conto che siamo di già alle superiori?! E siamo sempre state insieme dall' asilo?! Cioè è impensabile!» esclamò, senza smettere di lanciare occhiate in giro per la stanza.
«Sì che me ne rendo conto. Però credo che non sarà difficile integrarsi qua dentro: ce l' abbiamo fatta alle medie e alle elementari... e ora... e ora anche al liceo. Tsk, lo vedranno, queste aragoste bollite, cosa può fare il nostro duo!!»rispose Kurumi tronfia, convinta delle proprie idee. Per lei non è mai stato un problema conoscere gente: era una calamita per le persone fuori dal comune e in due secondi poteva decidere di odiare o amare qualcuno.
«Speriamo. Però io sono molto più perplessa riguardo alla difficoltà di questo istituto; non so se potrò farcela. Sai, lavoro part-time in un caffè vicino a scuola e mi stanco in una maniera assurda! Potrei dormire per una settimana di fila! Ed è tutta colpa loro, di quei gestori! Certo, la gentilezza di Keiichiro è così disarmante che non riesco ad arrabbiarmi, ma quel Ryou Shirogane è odioso! Mi sento proprio sfruttata! Mi stanno sfruttando, altrochè! Ma per chi mi hanno preso?! Per la loro schiava? Mi scaricano addosso tutto il lavoro senza darsi il minimo scrupolo! Ma se pensano di aver trovato un' allocca si sbagliano di grosso, oggi gliene dirò talmente tante che se lo ricorderanno per la vita! E nessuno di loro potrà zittirmi!» confessò l' amica, in preda a un improvviso istinto omicida non troppo credibile, se pronunciato sottovoce.
«Ma tu sei alle sue dipendenze. E' ovvio che ti sfruttino» ribadì l' occhialuta, obiettiva.
«Silenzio, silenzio ragazzi! Ci trasferiamo in aula magna. Mettevi in fila senza precipitarvi fuori come una mandria di buoi impazziti, ok?» interruppe Kakogan, e la classe si dispose ordinatamente uno dietro l' altro.
Una volta in aula magna, le matricole si sedettero su delle sedie, e Kurumi notò che quella Sakuranbo Chukonen si accomodò di fianco a Satō.
Arrivò il coro della scuola, che intonò l'inno della Akamura.
«Porca paletta questi qui non sanno mica comporre musica!!» bisbigliò Chukonen, con approvazione delle altre due.
«Veramente! Sarebbe meglio anche una canzone sugli ornitorinchi, a questo punto... chissà poi perché nessuno l'ha mai composta...»osservò Kurumi gentilmente e un po' pensierosa.
Da quei commenti, le tre iniziarono a borbottare ininterrottamente per tutto il tempo che rimasero sedute: parlarono delle loro medie, dei loro gusti, della nuova scuola e diversi annedoti divertenti sulle loro vacanze.
Sakurabo non era affatto una Gal, come aveve invece ipotizzato Satō, ma semplicemente una ragazza a cui piaceva andare in ghingheri. Amava la moda e le piaceva spettegolare sui ragazzi, ma era davvero simpatica.
Un po' troppo diretta forse, ma decisamente buffa.

***


La giornata alla fine terminò; Satō salutò Kurumi, che veniva sempre accompagnata dal padre, e si incamminò con Sakurabo a prendere il tram, che scoprirono essere lo stesso.
«Mamma che giornata!! Cioè ma ti immagini?! Dovremo prendere questo tram per altri tre anni!! Impensabile!» esclamò la bionda, la mano con le unghie fosforescenti strette a un palo.
«Veramente. E dovremo indossare questa divisa per tre anni! Che schifo!» mugugnò Satō, ancora in shock per il fioccone rosso sul petto e la gonna a sbuffo.
«A me piace!! Mi sembra di essere una bomboniera!» commentò Sakuranbo estasiata, battendo le mani per la contentezza.
«Satō!Satō!». Quella vocetta stridula... altri non poteva essere che Mash!
«E questo cos'è?» chiese Chukonen, evidentemente incuriosita da quel suono buffo. Tutti i passeggeri del tram continuavano a parlare tra loro: chi leggeva un giornale, chi stava al computer, chi messaggiava... tutti erano distratti, tranne, ovviamente, la biondina che ora guardava Satō con gli occhi verdi tutti scintillanti.
«E'.. ehm... la suoneria del cellulare personalizzata!» si inventò, tirando un pugno nella tasca della giacchetta, dove stava il robottino.
«C'è una mew mew! Una mew mew!» insistette Mash, che cominciò a vibrare furiosamente.
«Beh? Non rispondi?».
Satō non sapeva più che fare. Tirò un' altro pugnetto nella tasca e si guardò intorno. C' erano miliardi di ragazze della sua età, là dentro. Era impossibile sapere qual' era quella giusta! «Tanto è sicuramente mia mamma e preferirei non parlarle adesso...» improvvisò, arrampicandosi sugli specchi; specchi appena lucidati, scivolosissimi.
«Un alieno! Un alieno! Guarda fuori!» continuò la creaturina rosa, ignorando i cazzotti della padrona. Tanto era un robot: mica poteva star male.
«Che suoneria strana!» trillò Sakuranbo, interessata, ma la bruna non l' ascoltava. Si spiaccicò al vetro del mezzo, ma era troppo veloce. Tutto quello che era riuscita a vedere era una macchia verde e rossa in cielo.
"Un... alieno?!?! Ma... ma... non ne ho ancora affrontato uno!" pensò, spaventata.
«Ouuu, Kona? Non darai mica ascolto alla tua suoneria!!» sbottò l' altra, offesa e irritata. A quanto pare, non le piaceva essee ignorata.
"Non posso trasformarmi sotto gli occhi di tutti... dovrei scendere alla prima fermata? Ma ormai è troppo distante per raggiungerlo..." continuò la moretta con il suo ragionamento, non ascoltando minimimamente la conoscente. «No, no» rispose distrattamente, e si rigirò a fissare un faccino scocciato come questo: -.-^
«Ah ecco.. senti, hai un elastico? Non sono abituata ad avere i boccoli che si sbatacchiano qua e là mentre mi muovo!» domandò, rigirandoseli tra le dita sottili e affusolate.
«Sì,sì». Ormai si esprimeva solo a monosillabi. Le passò un elastico blu banalissimo, mentre rimuginava sulla strana vita che stava conducendo. Poteva trasformarsi. Poteva affrontare chimeri. Doveva trovare le altri componenti della squadra. Doveva andare bene a scuola. Doveva tenere tutto nascosto. Che vita difficile!!!!!!
Sakura si legò i capelli in una coda bassa lasciando un boccolo a penderle a lato del viso.
E Satō la fissò. La fissò con un' espressione sollevata e felice.
«Chukonen, te lo sei fatta tu quel tatuaggio sotto l' orecchio?» chiese con indifferenza, tanto per esserne sicura.
«TATUAGGIO?!?!?! Aaaaaaaaaaaaah! Parli di questo coso qua?! Ah no io credo che mi abbia sporcato quell' idiota di mio fratello con un pennarello indelebile mentre dormivo, a dir la verità» raccontò l' interpellata scuotendo la testa con fare rassegnato.
«Questo è quello che credi tu», affermò l' orsacchiotta con un sorrisino colpevole: il segno che la bionda aveva sulla pelle non era pennarello, ma il simbolo di riconiscimento delle mew mew. A forma di code intrecciate.
«Che intendi dire?!» protestò Sakuranbo con le sopracciglia inarcate, confusa.
«Beh, dovremmo tornare indietro... vicino a scuola c' è un Caffè e...»
«Il caffé di cui parlavi con Sheru? Cosa c' entra?»replicò scettica e sospettosa l' altra, assotigliando lo sguardo.
«Sì quello. Beh, capirai in seguito. Vieni, scendiamo qui» decise , prenotandosi la fermata. Nel frattempo, inviò un messaggino a Kanzō: "Vieni subito al Caffè".
Sakuranbo, sotto schok, venne prelevata bruscamente dalla bruna, e presero un autobus senza prendere nemmeno il biglietto -e via rimproveri da parte della bionda- e, ignorando i continui strilli della compagna, Satō riuscì a trascinarla al Caffé Mew Mew.
«Smettila!! Adesso la pianti di manovrarmi come una bambola! Devo tornare a casa, mica posso perdere tutto 'sto tempo!! Okasa mi ucciderà!» si ribellò Chukonen scontrosa e piuttosto diffedente.
«Il destino del mondo è molto più importante di un ritardo» commentò lugubre l' orsetta. Adorava dire frasi del genere. «Mew Satō Metamorphosis!» esclamò, subendo la solita trasformazione sotto lo sguardo sbarrato della ragazza.
Siccome la mew mew bianca era tutta presa dalla metamorfosi e Sakuranbo era troppo allibita, nessuno delle due si accorse di una presenza che levitava nei pressi del tetto del Caffè...
Aveva occhi gialli che scintillavano come oro liquido, pelle bianca e capelli verde scuro legati in due code basse laterali al volto.
Teneva le braccia incrociate, e osservava la scena davanti ai suoi occhi con sospetto e interesse. Poi, a sorpresa, rise di gusto, divertito. E svanì, senza che nessuno l' avesse visto...
«Come diamine hai fatto?!?!» urlava la bionda, a bocca aperta, indicando i vestiti e i tratti animaleschi.
«Tsk. Ce la puoi fare benissimo anche tu... Mash!» chiamò la moretta, e il robottino cominciò a svolazzare attorno a Sakurabo, che se ne stava impalata e impacciata a guardarlo: il cosino le fece cadere in mano il solito ciondolo dorato con uno strano simbolino sopra finemente intagliato. «Beh, cosa devo fare?» chiese, scettica.
«Secondo me dovresti provare qualcosa come: Mew Sakuranbo Metamorphosis. Dovrebbe funzionare» optò Satō cautamente.
Pensava che, dato che anche Kanzō diceva la stessa cosa, bastava cambiare solamente il nome.
«Mew Sakuranbo metamorphosis!» provò, e subito si trasformò: nascosta in un fascio di luce rosso sangue, alla ragazza spuntò una coda affusolata arancione a strisce nere, mentre al posto della gonna a sbuffo apparirono dei cortissimi shorts bordeaux. La camicia scomparve e si materializzò un corpetto che lasciava scoperta tutta la pancia (dello stesso colore dei pantaloncini) e quei bellissimi capelli dorati si colorarono di un rosso intenso, tramonto, e un paio di orecchie feline le apparvero sulla testa. «Grrrr!» si ritrovò ad esclamare, facendo un gesto con le mani che sembrava una specie di graffiare.
«ODDIOOOOOOO! Sono una tigreeeeeee!» strillò, toccandosi le orecchie imbarazzata, e notando con piacere che il designe del costume però le piaceva parecchio (a parte gli sbuffi sulle maniche). La fascia sulla gamba destra dava un tocco di originalità al tutto, come il ciondolo ora appeso al collo.
«Visto? L'ho detto che anche tu ce l' avresti fatta! Sei speciale. Come me. Vieni, entra al Caffè, Ryou e Keiichiro ti spiegheranno tutto con calma. Non scandalizzarti»

***


Ed è così che Sakuranbo Chukonen venne a sapere del progetto mew: scoprì che doveva combattere strani esseri col nome di "chimero", creature parassite inviate dagli alieni, che ogni pomeriggio alle due doveva venire al Caffé per lavorare come cameriera e indossare una divisa sfarzosa color lampone del tutto identica a quella bianca di Satō.
Conobbe il gentile proprietario Keiichiro e il biondo Ryou, che con lei non era poi così antipatico, e l' altra componente della squadra, Kanzō Jundo, una ragazza dai lunghi capelli neri con il DNA mischiato a quello del pipistrello vampiro carina e gentile, nonchè riservata ed introversa che scoprì essere la stessa che le aveva aizzato contro il Dobermann bavoso.
Capì che doveva tenere nascosto a tutti il fatto di essere una mewmew, una ragazza capace di trasformarsi in animale (anche alla sua grande amica Dai Uikyo e a Itsuki Funsui, il ragazzo che tanto le piaceva) e che la sua vita sarebbe presto diventata un inferno per colpa della Tigre della Malesia che aleggiava nelle sue vene.
Sua madre la chiamò diecimila volte, e alla fine Sakuranbo le dovette spiegare che non poteva tornare a casa perché aveva trovato un lavoro part-time in un bar vicino a scuola e insistette per ore a convincerla che era la verità: data l' enorme pigrizia della figlia, la donna non credeva affatto alle sue parole. Cedette solo quando la bionda le passò il mite e gentile proprietario Keiichiro, che con un tono suadente e convincente le assicurò che la sua pargoletta lavorava da lui.
Beh, "lavorare" è una parola grossa: se ingozzarsi di dolcetti gratuiti (il moro l' aveva avvertita del fatto che le sue cameriere mangiavano i suoi dolci gratis) guardando le altre due sgobbare significa "lavoro", avvertitemi!
La ragazza scoprì che la strana suoneria della sua amica orsetta non era una vera suoneria, ma la voce di un delizioso robottino rosa di nome Mash che le aiutava nella missione e che ogni giorno veniva scambiato tra Satō, Jundo e lei.
A proposito di Mash: la tasca del giubbottino scolastico di Sakuranbo stava iniziando a vibrare furiosamente, e altri non poteva essere che la creaturina rosa che teneva nascosta là. «Sakuranbo, Sakuranbo! C'è un alieno!» squittì appunto.
«Mabbella! Per me ti stai sbagliando: le ordinarie persone di fianco a me sono tutte normalissime» ribadì scettica la padrona, fiera del fatto di essere diversa dalla massa.
«Invece c'è! Devi credermi!» protestò la tasca, offesa e cocciuta.
«Secondo me non funzioni mica tanto bene... alla fine sei solo un pupazzo parlante,no? Non credo che tu sia così esperto...» rifletté ad alta voce la tigrotta, gli occhi luccicanti all' idea di giocherellare con il povero Mash.
Aveva deciso che appena lo portava al sicuro in camera, lo avrebbe torturato a non finire. Ecco che si spiega il perché la ragazza non aveva animali domestici...
«Eccoti qui» constatò una voce maliziosa. Maliziosa e stranamente inquietante: la classica voce di un ragazzaccio malintenzionato dei quartieri poveri di Tokyo.
Sakuranbo si paralizzò un secondo: era finita in una via deserta, e si guardò intorno per capire a chi appartenesse quella voce. Ma non vedeva nessuno.
Il cuore cominciò a rimbombarle nel petto, agitata e pentita di non aver preso la fermata dell' autobus più vicina.
«Ero curioso di vedere chi stava mettendo i bastoni tra le ruote, e la mia curiosità è stata appagata.Ti confesso che mi piaci» aggiunse la voce, diventanto sempre più maliziosa e di conseguenza sempre più angosciante.
E Sakuranbo finalmente lo vide: una figura esile e distante che svolazzava sul tetto di un alto palazzo di uffici.
L' istinto le diceva di correre, correre via più velocemente possibile da quel tipo. Ma le gambe, e tutti i muscoli del suo corpo si erano congelati all' istante.
In un secondo, vide quello precipitarsi in picchiata verso di lei.
Tum. Tum. Tum-tum-tum-tum! I battiti cardiaci aumentavano a dismisura, convinti che presto si sarebbero bloccati definitivamente per mano di quell' essere.
Stava per morire? ...no.
Stava venendo baciata: un bacio lungo e lieve, incredibilmente delicato e freddo, per nulla irruento o aggressivo.
La bionda era paralizzata dall stupore: il suo primo bacio... era stato rubato da... da un' elfo con i capelli verdi?!?!
Subito si sentì montare la rabbia: quel dannato, odioso, sfrontato essere aveva bruscamente distrutto le sue fantasie amorose con Itsuki Funsui. Non ci sarebbe più stato un romantico tramonto in spiaggia, non ci sarebbe più stato un tenue chiaro di luna a incorniciare il momento... non ci sarebbe mai più stato un primo bacio...
Furiosa, stava proprio per tirargli una pesante cinquina, quando lui si separò.
Un sorrisetto compiaciuto accompagnava lo sguardo scaltro e soddisfato che traspariva da magnetici occhi color dell' ambra.
Il ragazzo aveva capelli verde muschio legati in due code ai lati del viso e pelle bianco latte, e possedeva strane e anormali orecchie a punta, da elfo.
Aveva un corpo molto magro, quasi anoressico, e la maglietta corta a scollo V marrone lasciava scoperta una pancia esile e un ventre piatto: si potevano intravedere gli ossi del bacino.
Indossava dei pantaloncini a sbuffo verdi coperti da una stoffa dello stesso colore della maglietta, e sulle braccia e sulle gambe portava fasce rosso bordeaux.
«ciao» disse quello, in tono lascivo e irritante.
«M-ma... tu... chi diamine sei???????» urlò allibita Sakuranbo, in un comico miscuglio di odio, stupore e paura.
«Mi presento! Il mio nome è Kisshu» disse, e si leccò le labbra pallide, gesto che innervosì la mew mew ancora più del dovuto. «ah, grazie per il bacio,konenko-chan» buttò lì, ironico e decisamente divertito. (N.B= koneko vuol dire "gattino").
«MA COME TI PERMETTI!!» strillò la ragazza, arrossendo da capo a piedi, adirata e imbarazzata come mai in tutta la sua vita.
Aveva voglia di ucciderlo: farlo a pezzettini, quell' infame!!!!!
Kisshu ghignò, mostrando i canini appuntiti, indifferente all' isteria della biondina. «Per oggi è tutto. Sono passato solo a salutarti»concluse, cominciando a levitare nuovamente per aria, facendosi beffe della legge di gravità di Newton. E poi, come una goccia che cade su uno specchio d' acqua, svanì del nulla.
«Visto? Te l' avevo detto che c' era un alieno!» le rinfacciò Mash dalla tasca, mentre Sakuranbo, rossa come una ciliegia appunto, combatteva l' istinto di mettersi a piangere in mezzo alla strada...

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Interesse ***


Sakuranbo era veramente triste. Ma proprio tanto tanto.
Non era vero che la notte portava consiglio, proprio per nulla: infatti, la mattina dopo, era totalmente in trance pensando allo stupro ricevuto il pomeriggio precedente.
Si vestì senza neanche rendersene conto, e si muoveva come uno spirito in pena per la casa senza nemmeno pensare a cosa stava facendo o dove mettere i piedi (e questo comportò parecchie cadute per via del tappeto messo male) e prese il tram giusto per miracolo divino.
"Sono stata baciata da uno sconosciuto... da uno sconosciuto alieno, per di più..." pensò, almeno per la milionesima volta, rossa e con lo sguardo basso.
Durante la notte i boccoli artificiali erano spariti e ora si ritrovava i soliti capelli incredibilmente lisci a coprirle il viso purpureo. "...perché è dovuto capitare proprio a me? E non a Jundo, per esempio?" sospirò, immersa completamente nello sconforto.
«Qualcosa non va? Ti vedo pensierosa...» commentò Satō preoccupata mentre uscivano insieme da scuola.
«Chukonen, sei tutta rossa in volto. Hai la febbre?» chiese subito Kurumi, al fianco dell' orsetta, assottigliando lo sguardo con diffidenza.
«Beh? Perché non rispondi?» domandarono Kurumi e Satō in coro.
«Eh?! Ah no, no ero solo sovrappensiero!! Sto bene, benissimo!» rispose Sakura alla fine, sorridendo in una maniera così falsa che poteva concorrere come la peggior attrice giapponese del secolo.
«SAKU-CHAAAAAAAAAAAAAAAAAN!» urlò una voce maschile, interrompendo la discussione delle ragazze.
Tutte e tre si voltarono in contemporanea: un motorino rosso fiammante frenò di fianco a loro con una sgommata pazzesca, che lasciò scuri segni sull' asfalto.
Saltarono tutte indietro di un paio di metri; mancava poco perché le investisse!
«Ouuu Itsuki, ma cosa faiiii?!?! Vuoi ammazzarci tutti quanti?!» strillò Sakuranbo in risposta, con un tuffo al cuore.
Perciò, aveva verniciato la moto di rosso... esattamente il colore che la bionda gli aveva suggerito...
Il ragazzo si tolse il casco in tinta con il motorino, sorridendo amichevolmente al trio.
Aveva pelle abbronzata, decisamente inusuale per un giapponese, occhi marrone scuro, e capelli di un tono più scuro delle iridi. I denti bianchi contrastavano perfettamente con l' abbronzatura, rendendoli ancor più splendenti. Aveva un che di insolitamente meditteraneo.
«Non mi permetterei mai di fare del male alla mia cucciolotta!» ribadì, ironico, sotto lo sguardo sbalordito di Kurumi e Satō. «Ma è il tuo ragazzo?!» bisbigliò quest' ultima, perplessa. Non le piaceva molto, quel tipo.
«No che non lo è, diamine!» ribadì sottovoce l' interessata, colorandosi di bordeaux in viso. Non lo era, certo che no, ma quanto le sarebbe piaciuto che lo fosse? Sospirò, riacquistando il controllo di sé.
«Beh, dato che la principessina non si perde in presentazioni, dovrò fare da me... Konnichiwa, sono Itsuki Funsui, del primo anno alla Hikirazaka!» esclamò radioso, piegando lievemente la testa in un cenno di rispetto.
«Mi chiamo Satō Kona, primo anno all' Akamura, in classe con Sakuranbo».
«Kurumi Sheru! Stessa classe di loro due!»
Itsuki guardava fisso la moretta; perché lo guardava come se fosse una grossa viscida lumaca?!
«Ah, si è dimenticato di aggiungere che è un completo imbecille che si diverte a fare fuori tutti a bordo di una minacciosa moto rossa!!» s' intromise la biondina, per scherzare. In realtà, era un contorto stratagemma per chiedere al ragazzo perché aveva seguito il suo consiglio...
«Visto? L' ho verniciata come piace a te! Sono stato bravo, koneko-chan?» domandò retorico, sbruffone.
Quel vezzeggiativo... Sakuranbo si sentì inabissare nella vergogna. Era lo stesso che aveva usato l' alieno. Quell' alieno che aveva impedito di dare il suo primo bacio a Funsui... Distolse immediatamente lo sguardo da quegli occhi color cioccolato fondente, imbarazzata e a disagio.
Come poteva parlare con lui come se niente fosse? Come se non avesse mai ricevuto un bacio da Kisshu? Certo, non stavano insieme e quindi nessuno aveva tradito nessuno, ma la ragazza si sentiva così impura, così sleale!
Vero anche che Itsuki aveva una schiera di ammiratrici ai suoi piedi -come per esempio la stravagante amica Yuki Hinata- e quindi non aveva molte speranze per un fidanzamento... ma lui era così comprensivo e giocoso, e poi la chiamava con tantissimi nomignoli carini...
«Beh sono arrivati i miei genitori! Devo andare! A domani!» salutò Kurumi con un sorriso accennato, infilandosi nella macchina argentata del padre -un omone grande e grosso che contrastava decisamente con l' esile figuretta della figlia-.
«Mmm, il tram parte tra pochissimo devo scappare anche io! Ah, Chukonen, non fare idiozie e arriva al Caffé in tempo...» disse Satō, con un' occhiata eloquente a Funsui.
Senza dar loro il tempo di rispondere, l' orsetta si dileguò via svelta e silenziosa.
«Beh, a quanto pare siamo rimasti solo noi due. Dai, salta su: ti avevo promesso che ti davo un passaggio un giorno o l' altro, no? Dai, ho qui un casco anche per te» propose entusiasta il ragazzo, porgendole l' oggetto.
«Non so se me la sento...» mugugnò la mew mew, in ansia per la sua incolumità. E se si fossero spiaccicati su un palo? E se fosse arrivato un Chimero?
«Oh andiamo! Non mi interessa se è la tua giornata "no"! Anzi, magari ti aiuta a tirarti su il morale» insistette Itsuki con uno sguardo supplichevole.
«Ma no sono in ottima forma! Andiamo!» si decise infine la ragazza, con un sospiro. "Se soltanto potesse sapere..." pensò, infilandosi il casco e sedendosi dietro di lui, abbracciandolo saldamente a sé.
Lui mise in moto il mezzo, partedo a razzo per le strade stracolme di studenti, mentre Sakura desiderava di poter essere allacciata così per sempre.

***


Nell' atmosfera aleggiavano arcane luci azzurre, luci che circondavano quello spazio angusto proiettando ombre oscure e tenebrose.
Una figura inginocchiata guardava basso, davanti a un' accecante sfera di luce celeste, circondata da anelli di gas e vapori simili a quelli di Saturno.
«Kisshu!»cominciò la voce, la voce suadente e angelica di donna, eterea e micidiale.
«Sì?» rispose la figura, senza alzare lo sguardo, rispettoso, mentre tanti parassiti simili a orrende meduse fosforescenti gli svolazzavano intorno.
«Hai raccolto i dati che ti ho chiesto, su coloro che vogliono ostacolare i nostri piani?».
«Ci sto lavorando» rispose secco il ragazzetto, con un tono stranamente irritato.
«I terrestri sono degli esseri inferiori, hanno popolato a dismisura il pianeta...» riprese la voce cristallina, determinata e glaciale.
Il volto di Kisshu si scompose in una smorfia annoiata; lo sapeva a memoria il discorsetto. «Lo so, continuerò con le mie ricerche» borbottò corrucciato, alzando finalmente lo sguardo.
«Kisshu, voglio che ti sbrighi. Devi eliminare quelle creature, che con la loro superficialità rischiano di trasformare il nostro pianeta in un luogo di desolazione».

***


CRAAAAAAAAAAASH!
Kanzō si diresse a passo di marcia verso le cucine, con un' espressione decisamente seccata.
Ai piedi del bancone, la bionda Sakuranbo Chukonen stava raccogliendo pezzi dell' ennesima tazza andata distrutta.
Aveva un' espressione inebetita, e quel giorno era decisamente taciturna e vacua. Nulla a che vedere che con l' energica, pimpante dittatrice del giorni scorso.
«Senti, prima me ne sono stata zitta perché un incidente capita a tutti, ma insomma! Non potresti stare un po' più attenta? Guarda che cos'hai combinato!» chiese la pipistrellina, sbuffando. Chukonen stava distruggendo tutto quello che le mettevano in mano.
L' interpellata si girò indifferente, fissando un mucchio di piatti polverizzati alto fino al soffitto.
Satō stava sorreggiendo la pila con un' espressione imbronciata e concentrata.
«Oh Kona,devi fare più attenzione» affermò la bionda sovrappensiero, apparentemente distratta.
La camerierina vestita di bianco cadde all' indietro, simulando uno svenimento. «Eeeeeeeh??Veramente sei stata tu, sai! Io ho solamente cercato di mettere un po' a posto raccogliendo i cocci!» protestò, offesa.
«I coooooocciiiiiiii!!!!! Come i cocci del mio cuore infrantooo!» esplose Sakuranbo, scoppiando in un irrazionale pianto di dolore.
Kanzō la guardò come se fosse un' emerita imbecille, poi guardò la compare in cerca di aiuto. «ma che cos'ha oggi? Tu per caso ne sai qualcosa?» sussurrò, avvicinandosi all' amica.
«No, ma si comporta così da stamattina! Ci sarà un motivo!» mormorò in risposta Satō, perplessa.
«Perché piangi? Che cosa ti è successo?» chiese la mew mew nera, cercando di psicanalizzare un po' quella problematica fanciulla.
«UNA COSA ORRIBILE,ORRIBILE! ITSUKI MI HA CHIESTO DI USCIRE CON LUI, MA HO DOVUTO RIFIUTARE L' INVITO, GLI HO RISPOSTO DI NO, CAPITE?????» gridò, sdraiandosi lamentosa sul pavimento, continuando a frignare. Le due indietreggiarono allarmate, pronte a chiamare qualcuno, in caso di esaurimento nervoso. «E perché?» domandò timidamente la bruna, insicura di voler sentire la risposta.
«Beh perchè un tizio che non conosco nemmeno mi ha...» attaccò, ma s' interruppe, mettendosi le mani sulla bocca. «Ora basta, non voglio annoiarvi! Mettiamoci al lavoro,su, avanti!» esclamò, iniziando ad agitarsi in modo piuttosto fuori dal comune.
Kanzō e Satō si lanciarono un' occhiata penetrante: qui c' era qualcosa che non andava, che l' eccentrica biondina teneva nascosta.
Decisero perciò di tenerla costantemente d' occhio tra un cliente e l' altro, e constatarono che il suo umore di certo non era migliorato.
«Si vede lontano un miglio che non vede l' ora di andare all' appuntamento!» affermò la pipistrellina, mentre serviva una sconsolata donna preoccupata. "Certo che però, comportandosi così, appare veramente egocentrica... che bambina viziata! Meno male che è simpatica..." pensò, distrattamente.
«Si capisce dal fatto che non ha ancora assaggiato un dolce!» replicò Satō in apprensione, portando un vassoio di piattini da pulire in cucina.
Kanzō rimase ad osservare la scena:tanto per completare l' opera, Ryou decise di complicare ancora di più la situazione: si avvicinò a Sakuranbo con Mash in mano, e lo appoggiò sul tavolino dove la ragazza stava bevendo della cioccolata calda. «Ecco, tieni, l'ho aggiustato» disse, impassibile. Lei alzò lo sguardo, triste in quegli occhi verde brillante. «oh?» mormorò l' altra, spaesata. «Scusa ma se non hai nulla da fare, potresti andare a cercare gli alieni» osservò il biondo cautamente.
«Sì! Andiamo!» trillò Mash entusiasta, fremendo le alette.
«Ma come osi? Trattare così una ragazza fragile in un momento di debolezza? Sei cattivo, aveva ragione Satō!» ansimò allibita la mew mew rossa, prendendo il robottino un braccio e correndo via senza aggiungere nulla.
La mora guardò senza commentare; poi, andò da Shirogane: «Dovresti fare più attenzione a quello che le dici».
Circa due ore e mezza dopo, all' ora di chiusura...
«Oh, sono così in pensiero per Sakuranbo! Chissà come sta... potrebbe combinare di tutto in giro per la città da sola... beh almeno c' è Mash che può avvisarla dei pericoli...» rimuginava Satō con apprensione, mentre versava del thè bollente in due tazzine di ceramica lavorata; Kanzō sedeva su una delle serie con lo schienale a forma di cuore, davanti al tavolino dove l' amica preparava la bevanda. Guardava fisso fisso le delicate roselline blu dipinte ai bordi della tazza fumante, la mente immersa nei propri pensieri. «Tsk, con tutte le lacrime che ha versato dubito che si senta di buon umore... speriamo che non le accada nulla mentre non ci siamo...» rispose monocorde, ancora con lo sguardo perso nel blu oceano dei fiorellini dipinti.
Dopo essersi sedute e aver sorseggiato il thè, le due sbirciarono verso Ryou, che, impassibile, lavava i piatti.
Bevvero in fretta, scottandosi la lingua, ognuna immersa nelle proprie meditazioni, e non si scambiarono una parola.
«Jundo, mi sembra il caso di andare a cercare Chukonen» mormorò infine Satō, guardando la compagna con quegli occhioni marroni colmi di preoccupazione e affetto: sembrava che ci tenesse molto a quella bionda!
«D'accordo. Andiamo» accettò la cameriera nera. Si alzò dalla sedia, portò il vassoio con le tazze e la zucchieriera in cucina e si diresse in spogliatoio con la bruna al fianco.
Ma non sapevano cosa avrebbero incontrato...!

***


Nel frattempo, Sakuranbo camminava con aria offesa e triste stringendo Mash come un pupazzo di peluche. Non riusciva a rendersi conto della villania dei ragazzi: doveva rendersene conto, la cavalleria era proprio morta!
Pareva che Itsuki fosse il solo ad aver conservato un minimo di cortesia con le ragazze... ma era semplice gentilezza, oppure faceva il galletto per mettersi in buona luce?!?!
La ragazza si rese conto di non aver mai considerato a fondo quell' opzione: sì, lui piaceva a tutte, ma a lui piacevano tutte?!?!
«Ma guarda un po' chi si può incontrare quando sei in cerca di un negozio di CD!». Quella voce ironica ed entusiasta non poteva essere che di Funsui!
La biondina si voltò, incredula. Che razza di coincidenza!
«Ma sei pessimo! Non... non puoi girare con una biciclietta arancione fosforescente!!!!» strillò, guardando disgustata la bici alquanto appariscente dell' amico.
Lui sorrideva, rilassato e a suo agio come sempre. «We amore mio sta' shalla!» esclamò, scendendo dal suo mezzo, avvicinandosi tranquillamente all' amica, che lo fissava storto. «Non. Osare. Chiamarmi. Così!» sibilò, atteggiandosi da irritata. "... che ci sto male!" aggiunse mentalmente, con un sospiro.
«Ehhhh che esagerata, Saku-chan! Non posso nemmeno giocarci un po'...» ribadì, di buon umore come sempre.
«Ma la gente pensa male!!! Già chiamarsi "chan" e "kun" è sospetto, mancano solo i tuoi melensi nomignoli e poi siamo a posto... E POI NON VOGLIO ESSERE "SHALLA"!!!» protestò Sakuranbo, ringalluzzendosi tutta, con il suo solito gesticolare e la sua tipicissima espressione indignata.
«Sai quanto poco me ne sbatte quello che pensa la gente? Comunque non c'è nulla di male nel prendere la vita shalla, anzi, si sta molto meglio... tu sei troppo nervosa, accidenti, non comprendi la bellezza della shallezza...»
«Ouuu cocco!!! "Nervosa" a chi?!?! Io posso essere come mi pare e piace! Tsk!».
I due erano talmente presi dal loro litigio giocoso per rendersi conto di un ragazzo dalla pelle candida che sedeva tranquillo su un tetto, a fissare la scena sarcastico... «ma come? esci con un altro ragazzo? Non si fanno queste cose... ti ricordo che tu sei la mia bambolina!» sussurrò tra sé, la guancia poggiata sulla mano, rivolto alla bella ragazza che rideva e strillava in compagnia di un tipo che non aveva mai visto prima.
Intanto, più sotto di una decina di metri, il robottino rosa mugugnava sottovoce alla padrona: «Sakuranbo, c'è un alieno!».
Subito, lei sentì un' ondata di irritazione invaderla da capo a piedi. Eh no!! Rovinare quell' incontro con Itsuki no! Non poteva fargli anche questa!!!!!!!! "E va bene, lo devo affrontare una volta per tutte... però devo allontanare itsuki-kun..." rimuginò in fretta, volgendosi lo sguardo tutt' intorno, alla ricerca di Kisshu. «Ehmmmm... beh, itsuki... devoandarecisentiamopresto ciaaaaaaaao!» salutò, non avendo a disposizione una balla credibile. Mentre si congedava con un agitarsi di mano, Chukonen corse via a tutta velocità, sfrecciando in vicoli appartati per sfuggire al probabile tentativo dell' amico di pedinarla con la bicicletta fosforescente.
Corse più che poteva, ansimando per la fatica, e alla fine si sedette per terra, in un vicolo stretto e inutilizzato, in compagnia di gatti e cadaveri di topi.
«fiuuu... l'ho seminato... mi spiace per Itsuki, davvero, ma l'ho fatto per il suo bene... non può sapere il mio segreto, e io devo fare il mio dovere...» sospirò, riprendendo a respirare normalmente, controllandosi un pò.
«Ehilà! Ci si rivede, dolce tesoro!»mormorò una voce maliziosa al suo orecchio.
La ragazza si rizzò in piedi, addossandosi a una parete del vicolo, il cuore a mille e gli occhi terrorizzati.
Kisshu, l' alieno dai capelli verdi e le orecchie a punta, era lì seduto con un ghigno lascivo sulle labbra.
Doveva darsela a gambe... ma non riusciva a muoversi. Era lì impalata, i muscoli congelati e il cervello che le urlava di reagire. Perché la sua presenza le provocava sempre quella immobilità?!
«AAAAAAAAARGH!!!!!!! Che cosa vuoi?!» strillò, allontanandosi lentamente verso l' uscita della stretta stradina cieca. Subito la sua mente le illustrò l' immagine del loro bacio, e in quel vicolo malamente illuminato la cosa assumeva un aspetto molto più inquietante.
«Mi è piaciuto il bacio di ieri,sai? Sei bravina! Ci ho pensato così tante volte che sono venuto appositamente a cercarti! Vale lo stesso per te? Sei contenta?» spiegò con voce suadente la creatura, gli occhi gialli fiammeggianti.
«Ma... ma cosa dici! Tu... tu... è stata la mia prima volta!» mugugnò col cuore in gola la ragazza, mentre si spostava con indifferenza, cercando di sembrare sicura di sé... o almeno tranquilla...
«Ma davvero?? Una sorta di talento naturale, allora.. ma, piccola, perché sei così tesa? Ahhh ho capito, sei emozionata all' idea di baciarmi di nuovo!» disse lui, materializzandosi a un millimetro di distanza dalle labbra della ragazza... «Non temere, ti accontento subito!» continuò, prendendole delicatamente il mento, per poterla baciare con un po' più di fermezza.
«Tsk, maddove?! Col cavolo, ciccio!» si ribellò la mew mew, cercando di tirare una ginocchiata alle parti delicate dei ragazzi... lui, con agilità, si smaterializzò in fretta, per riapparire a un metro dal suolo, distante dalla bionda.
«Mancato! Che delusione... ti credevo più dolce, mia koneko... invece sei un maschiaccio!»
«Non mi va di essere violentata!!! E poi,allora??? Potrò anche essere una boara ed un maschiaccio ma io, cocco, ho carattere!! E si può sapere chi sei esattamente?!» ribatté la tigrotta, riprendendo velocemente il controllo di sé e la sua abituale parlata scorrevole.
«Mmm, te l' ho già detto ieri! Il mio nome è Kisshu!», e così dicendo, il verdino fece apparire sul suo palmo aperto una medusa luminescente, che Sakuranbo non riconobbe.
«Tieniti pronta, voglio mettere alla prova le tue capacità... vai all' attacco, parassita!» ordinò l' alieno, e l' essere che teneva mano svolazzò etereo nell' aria, fino ad intaccarsi a uno dei mici che dormivano tranquilli nell' angolino.
Il bel gattino in un battibaleno si trasformò in una creatura gigantesca con zanne da far invidia a un macairodonte, che soffiava e rizzava il pelo infuriato.
«Oddioooooooo! Quello è un Chimero?! E io come diamine faccio a sconfiggerlo?!» si disperò, e senza pensarci corse via dal vicolo e dalle stradine sfigate dove si era imbucata, con la belva che la rincorreva e Kisshu che si godeva la scena divertito.
«AIUTOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!» gridò, con una sensazione di puro terrore mai provata prima. Una piccola distrazione, ed era morta.
Se lo sentiva alle spalle, opprimente e feroce, consapevole del fatto che prima o poi l' avrebbe colpita. Infatti, una zampata forte come una carica di elefanti colpì la fragile schiena della fanciulla, che cadde per terra con un urlo involontario.
"Sto per morire. Devo pensare in fretta alle mie ultime parole... oh, non ha senso... addio,mondo" pensò, e chiuse gli occhi mentre sbatteva la testa per terra, cadendo in uno stato di incoscienza totale.

***


Satō si aggirava con Kanzō per la grande via vicino al caffé: scelsero la strada più affollata e più praticata, quella con tanti negozi e centri commerciali, certe che Sakura avesse preso quella per trovare una fermata del tram comoda, che portasse proprio vicino a casa sua.
«Scusami Jundo de ti costringo a venire con me, ma ho un brutto presentimento... non so, sono certa che succederà qualcosa di brutto!» commentò l' orsetta, incapace di rilassare alcun muscolo del viso.
«Figurati... tanto i compiti li ho già fatti, studierò stasera»
«Gomenasai» ripeté, sinceramente dispiaciuta, chinando leggermente il capo in segno di scusa.
«Al massimo mi giustifico, dai non c'è problema. Per trovare una Chukonen dobbiamo pensare come una Chukonen: cosa fa lei per farsi tornare il buonumore? Hai qualche idea?» rispose la pipistrellina, cortese.
«Non so, la conosco solo da inizio scuola. E' già tanto che a volte ci chiamiamo per nome!» si difese Satō, nervosa. Quel senso di pericolo proprio non l' abbandonava.
«Ehi... lo senti? Questo gridolino?» l' interruppe la mora, facendo un gesto con la mano, intimando il silenzio.
«Tsk, sono solo gals eccitate! Le vedi che indicano quella tamarreria zebrata?» le fece notare la compagna, indicandole un trio infiocchettato sbavare davanti a una vetrina stracolma di abiti degni dei tamarri dei '70.
«No, non loro! Uno più lontano... dai, più lieve e meno eccitato... da dove proveniva?» continuò cocciuta Jundo, iniziando a camminare più velocemente, imboccando una laterale meno popolata.
SHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!
Un penetrante soffio di gatto arrabbiato sembrava provenire dalle mille diramificazioni della via che avevano preso, strano quanto preoccupante.
Poi, silenzio, mentre la mora seguiva il suo finissimo udito da pipistrello vampiro.
E infine, un' inconfondibile richiesta di soccorso: «AIUTOOOOOOOOOOOOOOOO!».
Le due si arrestarono, paralizzate da quello strillo. Si guardarono in faccia perplesse: sicuramente era la voce di Sakuranbo!
«Dobbiamo muoverci! Forza, come a casa tua! Mew Satō Metamorphosis!» esclamò seria la bruna, mentre tirava fuori il ciondolo d'oro e gli dava un bacio.
Subito, il simbolo intriso sopra cominciò ad emanare un bagliore bianco, che scaturì con più potenza avvolgendo l' intero corpo della ragazza, che si trasformava con la solita agilità ed avvenenza.
Lo stesso accadde per Kanzō, che veniva nascosta da una coltre nera come la pece.
Una volta terminata la metamorfosi, le ragazze vestite con colori opposti si infilarono nelle viuzze via via più strette, agitate e ansiose di vedere come stava la bionda.
«Ehi Kona, ho portato anche la capsula dorata di Chukonen! Se l' era dimenticata in spogliatoio. Credo proprio che le servirà» annunciò la vampiresca mew mew mentre correva, la gonna lunga che le svolazzava sulle caviglie coperte dalle scarpe scure.
«Il problema è che lei non ha mai provato l'attacco!» rispose dubbiosa la candida Satō, che cercava di reggere la velocità dell' amica. Da mew mew grazie al cielo, erano molto più svelte e resistenti alla fatica.
«Se l'ho imparato io ce la fa anche lei..oooops!». Jundo inciampò in qualcosa di duro e lungo, e quasi le venne da strillare: era il corpo disteso, sporco e ammaccato di Sakuranbo.
Era caduta di faccia; le si potevano solo vedere i capelli biondi ricadevano tristamente sull' asfalto nero, i vestiti strappati facevano intravedere pelle rossa e ferita il volto coperto dalla chioma dorata.
Piccolissimo, insignificante dettaglio era un gatto grande quanto il Buckingham Palace che vegliava sulla esanime tigrotta, con canini terribilmente acuminati.
«SAKURANBO!!!!!!!» gridò mew Satō, correndo a soccorrere la compagna. La alzò alla bell' e meglio, accollandosi il suo peso addosso, gli occhi color ghiaccio lucidi e tremanti. «Chi... chi può essere così crudele?!» balbettò, sorreggendo l' amica per la vita, lasciandole le gambe stese. Era immobile, e sembrava un fantoccio di stoffa terribilmente realistico creato da un sadico creatore di bambole.
«Guarda , chimero! Abbiamo addirittura delle visite!». Una voce sarcastica, altezzosa e irritante commentava la scena con curiosità e velenosa ironia.
La ragazza-orso alzò lo sguardo dal volto privo di vita di Chukonen: un ragazzo con capelli verdi, pelle bianca e orecchie elfiche vestito con stranissimi abiti inusuali anche per Tokyo, se ne stava a mezz' aria di fianco al grande felino tigrato, ignorando Mash che strillava come impazzito "SOS! UN ALIENO! UN ALIENO!".
«Osi fare del sarcasmo con noi?! Ma ti rendi conto chi stai sfidando,alieno sibilò una voce femminile, acida e fredda: era mew Kanzō, infastidita da quella creatura sfrontata.
Il tipo spostò lo sguardo da mew Satō per guardare l' oscura ragazza che digrignava i denti infuriata.
«Ah voi siete le colleghe di Sakuranbo! Ci state rovinando l' appuntamento, sapete? Però è un peccato che lei sia svenuta... avrei voluto vederla combattere, ma a quanto pare dovrò aspettare!» si lamentò l' alieno con un sorrisino, mostrando canini appuntiti perfettamente bianchi.
«Vedrai combatterenoi allora, brutto stronzo!!» reagì la bruna, poggiando delicatamente l' infortunata per terra, rigirandola supina.
«Ehi carina, modera i termini!» protestò il verdino offeso, incrociando le braccia con fare spazientito.
«No Kona, prenditi cura di Chukonen, falla rinvenire. Ci penso io a questo bastardo che mi ha rovinato ulteriormente la vita!» l' interruppe la pipistrella brusca, brandendo la sua mistica ascia da boia.
Seccato, il ragazzo la guardò con un' intensità elettrica, come volesse fulminarla con lo sguardo. Si scambiarono occhiatacce silenziose per un minuto intero, cercando di uccidersi vicendevolmente con il pensiero.
«Tu mi ricordi una nostra vecchia sovrana, una di cui ho letto in un libro. Principessa Kraehe. Finì impiccata...» affermò dopo un po', pensieroso. Poi sorrise. «Ho proprio voglia di mettervi alla prova. Mi avete un po' deluso... se non vi trasformate siete uguali in tutto per tutto agli umani! Vi credevo diverse. Mi annoiate. Chimero, attacca!» aggiunse lanciando un' occhiata a Sakuranbo a terra.
Il felino si gettò subito su Kanzō, che si difese prontamente con la cruenta mannaia: colpì la zampa della bestia, creando una profonda ferita sanguinante.
"Non è un animale, non è un animale! E' uno schifosissimo alieno di quell' idiota, non devo pentirmi di ciò che ho fatto. Non è un gatto, non più" pensò la mew mew, in preda ai sensi di colpa, accompagnata dal guaito della creatura dolorante. «Mew Satō, resta dove sei e aiuta quell' incosciente.. a quest' essere spregevole ci penso io!» proclamò, lanciando un' occhiataccia all' amica che stava venendo a darle man forte.
«Caspita! Certo che anche le altre bamboline non sono male... sembrano anche più abili. Meno male! Credevo di aver perso l' opportunità di avere una mia dolce terrestre, invece eccone altre due!»esclamò l' alieno, con un sorrisetto malizioso, guardando fisso fisso la pipistrellina che combatteva contro il Chimero, più furioso e aggressivo di prima.
«Non dire idiozie che mi distrai!! Ribbon Kanzō Fury!» disse, ed ecco scaturire dalla lama concentrazioni di luci simili a boomerang che rotearono in tutta la lunghezza del mostro, che soffriva emettendo miagolii spaventosi.
«Appunto coso, non dire scemenze!! Ribbon Satō Snowflake!» l' aiutò la mew mew bianca, facendo apparire come per magia il decoratissimo flauto di ghiaccio. Iniziò a suonarlo con precisione e determinazione, le dita che scivolavano velocemente sui tasti freddi e micidiali: tantissime affilate scheggie di ghiaccio colpirono il Chimero, sofferente e impotente.
«Insieme,Satō!!» decise la mora, e in un coro di attacchi la bestiola venne sconfitta da una supernova di luce e ghiaccio: la medusa si staccò dal corpo del micio, e subito venne inghiottita da Mash, soddisfatto dell' esito della missione.
«Oh bene, ce l' abbiamo fatta, collega!» trillò l' orsetta contenta, dando il cinque a Kanzō: guanto nero su guanto bianco... opposte ed unite in un solo scopo. Difendere la terra. (tipo i ringooo ^W^)
«Va bene bellezze, ammetto la sconfitta, ma solo per oggi. Avete vinto la battaglia, non la guerra. Perciò rivedremo molto presto, mie care!» concesse il verdino, scoccando uno sguardo eloquente a una disgustata ragazza con le ali e le orecchie da pipistrello. «Non avrai intenzione di tornare ancora!» protestò quest' ultima, innervosita e diffidente da tutta quella confidenza.
«Certo, ma questa volta per te, principessa!» rispose l' altro, ghignando. E svanì nel nulla.
«MA COSA DIAVOLO FA?! E' UN PAZZO MANIACO O COSA?!?!» strillò incredula la vittima delle attenzioni, rossa in volto (di rabbia o di imbarazzo? :shifty: ).
«Jundo, sei proprio messa male...» la compatì l' amica annuendo con rassegnazione, per ironizzare la tetra situazione.
«Mmmm...»mugugnò una vocina intorpidita, completamente ignara di tutto.
«SAKU-SAAAAAN!» gridò subito l' algida Satō, correndo a sorreggerla. L' altra mew mew si tenne un po' a distanza.
«Che succede...?AH, ricordo!! KISSHU! Dov'è? Il chimero?! Che succede? E' rimasto ferito nessuno?» scattò in piedi la bionda, agitata, guardandosi in giro... e poi si bloccò di botto, cadendo per terra in stato di shock.
«Chukonen! Che succede? Chi è Kisshu?» domandò Jundo preoccupata, sedendosi per terra di fianco alla cagionevole ragazza.
«I... miei... vestiti... tutti rovinatiiiiii! Tutta colpa di quell' infame odioso di Kisshu! E' lui il nostro nemico, un alieno! Dovete vederlo, è... è... ha i capelli VERDI!!!!!!!!!!!» si disperò la tigrotta, indicandosi gli stracci semidistrutti che portava.
«Oh sì! L' abbiamo incontrato!»
«E' pazzo!»
«Sembra un bimbo capriccioso!»
«E' un maniaco!!!»
Ed inveendo contro Kisshu, Sakuranbo scoprì di non doverlo più temere perché avrebbe molestato Kanzō,Satō si rese conto che le loro vite erano sicuramente le più strane della Terra, e tutte e tre constatarono che, nonostante tutti gli innumerevoli problemi, era bello poter avere delle amiche così su cui contare...

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Kurumi ***


Nella dimensione aliena un' opprimente aria di impazienza aleggiava nell' infinito spazio blu.
Tutto era immobile, niente e nessuno osava muoversi anche solo di un millimetro.
Le meduse parassite galleggiavano nell' atmosfera con una fermezza innaturale, impaurite dalla candida voce che ora si faceva molto scocciata...
«... e come si chiamano, queste ragazze invadenti?»
«I loro nomi sono mew Satō, mew Kanzō e Sakuranbo» rispose il ragazzo, inginocchiato ai piedi della luce azzurra che brillava regolare, illuminando malamente il delicato volto del servitore sotto di lei.
«Sembrano simili ai nostri, come pronuncia... beh, parlami della loro forma...»
«Beh, sono pressoché identiche a noi. Ma hanno la pelle rosea, le orecchie piccole e tonde e possono assumere una forma zoomorfa...» l' informò l' alieno, cercando di essere più distaccato. "una di loro ha profumo buonissimo di fiori, modi di fare stravaganti e occhi verdi pieni di vita. Un' altra è tetra e misteriosa, con uno sguardo di sfida così magnetico che ti fa sentire ipnotizzato. La sua forza e la sua grinta lasciano senza fiato. L' ultima è altruista, semplice e sicuramente valida alleata. Tutte e tre sono indiscutibilmente bellissime" aggiunse mentalmente, rivivendo l' incontro con le umane.
«In che senso zoomorfa? Come possono essere bestie e umane contemporaneamente?». La voce argentina ora era confusa.
«Sono capaci di subire una metamorfosi istantanea: ognuna ha particolarità fisiche di animali differenti. Diventano molto potenti dopo la trasformazione. Nel loro stato abituale, però, sono decisamente vulnerabili» disse Kisshu, rivivendo la scena di violenza del Chimero verso Sakuranbo: era lì lì per morire, se non fossero intervenute le amiche a soccorrerla.
«E' nostro dovere punire queste creature per aver inquinato un pianeta tanto bello, per averlo usato come se fosse di loro proprietà. Che alcuni di loro poi osino ostacolarci è inammissibile: devi neutralizzarli»
«Lo so... infatti ho appena messo a punto una strategia che farà al caso nostro!» sogghignò il ragazzo, un vago senso di orgoglio nella voce.
Una delle molte meduse parassita si avvicinò a lui con riluttanza, e sensa esitare, la mano bianca e fredda di Kisshu la prese con delicatezza. Appena le due pelli si sfiorarono, quella del parassita brillò di rosso cremisi, proiettando strane luci bordeaux.
«In questo alieno è presente il DNA estratto da un essere che vive su quel pianeta. Abbinandolo tramite un metodo di mia creazione alla forza vitale -l' elemento di base di ogni umano- sarò in grado di far scaturire un chimero ancora più potente e pericoloso, che ci aiuterà a realizzare i nostri piani!» spiegò l' alieno compiaciuto, l' accenno di un sorriso compiaciuto sulle labbra chiare.
«Hai la mia approvazione»
«Grazie»

***


Ricatapultiamoci a Tokyo, in uno dei quartieri benestanti, in una casa grande e originale, arredata in pieno stile occidentale. In particolare concentriamoci sulla camera da letto della ragazza, che ora riposava silenziosa immersa nelle coperte ...
«Kanzō! E' ora di alzarsi!» gridò una severa voce da uomo, proveniente dal piano inferiore; la cucina, sicuramente.
La mewmew si rigirò, mormorando parole senza senso, stanca e decisamente infastidita.
Con molta calma aprì gli occhi appesantiti dal sonno, socchiudendoli alla vista del sole che illuminava la camera dalla finestra ben chiusa.
«Che ore sono?» mugugnò, sbadigliando sonoramente. Allungò la mano, alla ricerca del cellulare abbandonato sul pavimento; lo trovò, e vide una scritta sulla schermata. 1 NUOVO MSG TESTO. Distratta da quelle parole, ignorò l' ora e lo lesse.
"Vabbè... buona notte anche a te. Dormi bene, e non sta preoccuparti x cose che non accadranno. A domani" diceva.
Quella era sicuramente Yuzu, la sua migliore amica, che conosceva dall' asilo.
Quanto erano cambiate entrambe da quei tempi remoti e felici! Ma non era il caso di deprimersi già di prima mattina.
"Sono le 9 e 07... perché diamine svegliarmi a quest' ora?! E' domenica, santo cielo! Probabilmente ci sarà qualche impegno di cui neanche so l' esistenza..." pensò. Kanzō si stiracchiò per bene, e dopo aver messo alla prova la sua forza di volontà, si alzò a fatica dal comodo materasso caldo ed invitante.
Si infilò addosso il primo maglione che le capitò sotto mano e aprì la porta della stanza decisa ad affrontare l' ignoto.
Si diresse giù per le scale e poi dritta in cucina, dove suo padre e sua madre stavano facendo colazione.
«Finalmente...» commentò Gonkuro, il papà, mentre leggeva un quotidiano con indifferenza.
La ragazza lo ignorò, lasciandosi cadere su una sedia, stendendo le braccia sul tavolo della cucina. I capelli erano tutti spettinati, ciuffi neri partivano da tutte le parti e si sentiva viva quanto un pezzo di granito.
«Guarda, non ti reggi neanche in piedi! Devi fare in fretta a lavarti e vestirti. Se non ti dai una mossa arriveremo tardi» aggiunse l' uomo, ripiegando il giornale con cura quasi ossessiva.
«Cosa intendi dire con "o arriveremo tardi"?» mugugnò Kanzō assonnata, il volto poggiato sulle braccia,gli occhi chiusi.
«Non te lo sarai dimenticata! Ho insistito per andare a questo festival e alla fine hai accettato di venire con me!» s' intromise Sanae, la madre, un po' indispettita da questo. Non ammetteva repliche: la figlia veniva con lei, punto. Niente compremessi. Non era disposta a trattare.
«Mi spiace, ma devo fare un sacco di compiti!»
«Potevi farli ieri! Visto cosa succede a rimandare sempre? Oggi c'è il festival e tu verrai» replicò la donna, decisa.
«Sanae, forse però dovremmo lasciarla fare. Kanzō sta diventando più responsabile. Ha trovato anche un bel lavoro part-time a cui stare dietro. Tra l' altro fa poco apre il Caffé, e ti devi muovere» disse Gonkuro cauto, rivolto alla sua figlioletta
«No, non mi interessa! Non sono affatto contenta, signorina,ti conviente lasciar subito perdere...» potestòla madre, offesa.
«AH sì?! Non dovrei essere io quella che deve decidere?!» s' innervosì Kanzō, alzando la voce.
«Che cos'hai detto?!»
«Che sono io che devo decidere cosa fare! Dai otōsan, dì qualcosa anche tu!!!»
Gonkuro guardò le due femmine di casa lanciarsi occhiatacce a vicenda, e ci mise un po' a fare la seguente sentenza:«Ascolta tua madre».

***


Caffé mewmew, 10.05, mattinata soleggiata e fresca.
Gli uccellini cinguettavano spensieratamente, ignari del significato di "senso del dovere" e "paga mensile". Loro svolazzavano liberi tra un ramo e l' altro, con un solo pensiero in testa: l' autunno era alle porte, e bisognava organizzare l' ennesima migrazione.
All' interno del locale, l' ambiente era ben diverso: Kanzō passava l' aspirapolvere all' ingresso, Satō passava uno straccio su uno dei tanti tavolini bianchi, e Sakuranbo sorseggiava una cioccolata calda, con tanto di biscottini al cacao.
L' orsetta la stava osservando da un bel po': non l' aveva mai vista alzare un dito, non si era mai messa a lavorare. Se ne stava lì a mangiare, o a tiranneggare loro due e l' unica volta che si era comportata da cameriera era per aver portato un paio di ordinazioni. E basta.
«Saku-chan, vorrei chiederti una cosa» attaccò per l' appunto, con un tono di voce estremamente gentile e cortese, così dolce da far venire i brividi a chiunque, avvicinandosi con grazia minacciosa all' amica.
«Ti ascolto, Satō-san!»
«E' stato appena aperto il caffé, vorresti degnarti di darci una mano?» domandò, abbassando la voce in un tono cristallino di pura premura, così inquietante da far tremare persino Freddy Krueger.
«Ma è quello che sto facendo!» replicò la bionda con altrettanta gentilezza, poggiando la tazza leggermente sporca ai bordi.
«Come, scusa?!?!» esclamò l' altra sbalordita, rinunciando alla falsità e alla fredda cortesia.
La tigrotta prese un' altra sorsata, pensierosa. «Controllo che la cioccolata che promuoviamo oggi sia di buona qualità,no? E ti posso assicurare che è davvero ottima!» le spiegò infine, con un sorrisetto impertinente.
Satō rimase basita per un minuto buono, poi cominciò a riscaldarsi di rabbia, e ben presto divenne dello stesso colore della divisa di Sakuranbo. «Kanzō! NON POSSIAMO CONTINUARE COSI'! BISOGNA GESTIRE UNA RIVOLTA!!!» strillò, offesa e assolutamente nervosa, lanciando un' occhiata intimidatoria alla pipistrellina, come dire "non-schierarti-con-me-e-sei-morta".
Se questa storia avesse una colonna sonora di sottofondo, direi che il ritornello di Riot dei Three Days Grace ci starebbe benissimo. Purtroppo, nessun personaggio al suo interno aveva acceso uno stereo che trasmettesse questa canzone.
L'ironia perversa della sorte volle far apparire Ryou proprio in quel momento, con la solita maglietta nera e pantaloni bianchi, braccia incrociate e schiena poggiata al muro. «Avete spazzato davanti all' enrata?» chiese, ignorando completamente il grido della cameriera bianca.
«Non ancora, ma lo faremo subito» rispose prontamente Kanzō, per evitare casini con il biondo. Non che gli stesse simpatico (aveva i capelli biondi, un reato!!) ma riteneva che era meglio non discutere troppo con lui.
«Kona, ci pensi tu?» chiese il ragazzo, con un ghigno malvagio sulle labbra. OH, quanto adorava infastidirla!
All' interpellata esplosero i nervi, già in palese tensione. «NO! Non so se ne sei al corrente Ryou, ma oggi è domenica!» urlò, uno sguardo spiritato negli occhi marrone scuro.
«Sì, e allora?».
«E me lo chiedi anche?! E' l'unico giorno della settimana che abbiamo libero, mi spieghi perché dobbiamo lavorare??!!!!»

«Beh, altrimenti niente aumento no?» le fece notare lui angelico, dandole le spalle e ritornando nei meandri oscuri del locale...
Così la mew mew, ben sapendo che il suo portafoglio non conteneva altro che falene morte, si ritrovò in mano una ramazza spazzando via le foglie secche.
«Perché sono i soldi a far girare il mondo, perché?» brontolò, guardando una cinciallegra che cantava su un ramo di ciliegio in pace. In quel momento desiderò fortemente di essere un passerotto.
«Ehm, excuse me!» proruppe una voce di donna, cauta e decisamente straniera.
Satō si girò con degli occhi da cucciolo, decisamente confusa, e si ritrovò di fronte una donna con lunghissimi capelli biondo cenere mossi, vestita di tutto punto in un tailleur a quadretti blu scuro e una collana d' oro, intonata con i bracciali e gli orecchini. Aveva un profumo raffinato, di una qualche produzione oltreoceano. Era truccata benissimo.
«Well, Hi! My name is Kelly Mc.Guire, i would like to meet mr. Ryou Shirogane» aggiunse con un sorrisino da insegnante d' asilo, come se stesse parlando con dei bambini piccoli.
La giapponesina la fissava scandalizzata, desiderando di non essere mai uscita a pulire il vialetto d' ingresso. Che diamine stava dicendo? L' inglese non lo studiava da un sacco di tempo....
«I'm here to discussing 'bout the piano programme for the Party... ehm, could you tell me where i can found him?» chiese la signora, tutta sorridente.
L' orsacchiotta la fissò con occhi sbarrati, stringendo convulsamente la scopa. E adesso cosa poteva fare? Come spiegarle che non riusciva a capire un accidenti?!
E se la stava insultando? Si chiese se era il caso di tirarle una scopata addosso. "No, non lo è" rispose una vocetta scandalizzata nella sua testa. "Guardala, è troppo ben vestita e ricca per prenderti in giro. Ragiona, fruga nei cassetti della memoria e tenta una risposta" proseguì il suo subconscio, relativo e ogettivo come sempre.
«Ehm, ellò! Mai neim is Kona Satō!» riuscì a balbettare, con un sorrisone forzato decisamente impotente. Nonostante la ragazza avesse ascoltato il suo senno di poi, proprio non riusciva a mollare la ramazza. Come arma poteva andare benissimo.
«Nice to meet you, Satō!» rispose quella, iniziando però a preoccuparsi.
«Ehmmmm... dis is a pen!!! End a ket is on de teibol!!» rispose la giovane, cominciando a indietreggiare.
Gli occhioni blu scuro della forestiera si allargarono, straniti. «"This is a pen"?! What's the meaning?!?! Mr. Shirogane isn't here?» domandò inarcando le sopracciglia, completamente confusa.
Per grazia divina, la mew mew captò il nome del biondo in mezzo alla conversazione e si disperò un po' meno di prima. «Ies!!! Ryou Shirogane!!» strillò, indicando con insistenza la porta, gesticolando come un' invasata. Si sentiva molto, molto, molto stupida.
«Oh, he's in the café?» rispose la donna, un po' più sollevata.
Satō non resistette un secondo di più: cosa diamine poteva fare? Pensa,pensa,pensa...
«RYOUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!!»
urlò, a pieni polmoni, strillando con il tono di voce più alto che potesse fare.
Una specie di razzo giallo,bianco e nero si catapultò fuori dalla porta del locale, atterrando a una spanna di distanza dalla bruna, che per la prima volta in vita sua, era contenta della presenza del ragazzo. «Satō, stai bene? Cos'è successo?» chiese, sinceramente preoccupato, poggiando le mani sulle spalle della ragazza, disgustata, che indicò la signora che fissava la scena con l' aria di non capirci nulla. «Ah, Goodmorning, miss Mc.Guire, i was waiting for you!» esclamò lui, decisamente rilassato, riabbassando le braccia al loro posto. «Tu continua a spazzare... Please, come this way» aggiunse, acido, per poi tornare tutto zuccheroso con la straniera prendendola a braccetto e portandola nel grazioso Caffé Mew Mew.
«Oh mio dio, non lo sopporto!» sibilò, scoccando un' occhiata di puro odio a Ryou, che si allontanava indifferente. "Però... è accorso subito appena l'ho chiamato... e si era davvero preoccupato per me. E mi ha chiamato per nome!! Che strano...".
Alla fine la ragazza riuscì a fare un bel mucchio di foglie secche a lato della stradina d' ingresso, e soddisfatta della propria opera, rientrò.
E si paralizzò all' ingresso: la tizia di prima sedeva su uno sgabellino bianco, e stava suonando un pianoforte a coda dello stesso colore che nessuno aveva mai notato prima. Da dove sbucava?!
Le dita della tipa non sembravano solo dieci, ma almeno trenta. Era impossibile che solo un paio di mani potevano creare quell' armonia perfetta e imponente, avvincente quando dolce, temprata e malinconica. "Questa melodia la devo ricordare. Voglio proprio vedere cosa succede se la suono con il mio flauto" pensò Satō rapita, avvicinandosi allo strumento, accerchiato dalle altre ragazze e dai due uomini.
«Che pezzo magnifico» commentò, interessata.
«Ooooook, ma da dove salta fuori quel coso?» sussurrò Sakuranbo perplessa, indicando col pollice il maestoso pianoforte.
«E che importa? Ascolta la musica così non dobbiamo lavorare» bisbigliò Kanzō velenosa, assottigliando lo sguardo mentre guardava la bionda zittirsi con un' espressione comica.
Alla fine del brano, seguì uno scrocio di applausi, capitanati soprattutto dall' energia cameriera in rosso.
«Brava!»
«Veri gud!»
«Really lovely, miss Mc.Guire»
«Oh, thank you very much!»
«Sisi bravissima bellissima eccetera, ma si può sapere chi diavolo è 'sta qui??». Quei modi diretti erano sicuramente di Sakuranbo.
Keiichiro si prese la briga di dare una spiegazione, come al solito toccava a lui:«Vedete, Ryou nel finesettimana organizzerà una festa molto elegante proprio qui al Caffé, e Kelly si è gentilmente offerta di suonare per noi»
«Una festa? E perché mai?» chiese la pipistrellina inarcando la sopracciglia, stupita. Non amava affatto le feste eleganti. Per nulla.
«Sì. Beh, è un modo per ringraziarvi di aver deciso di prendere parte al Progetto Mew. Non avete idea di quanto vi siamo riconoscenti»
«Cooosa?! Ma non ha senso! Non siamo nemmeno tutte e 7!» ribadì Satō critica, e decisamente scettica. C'era qualcosa sotto.
«Mmmmm non possiamo portare un' amica?» domandò Sakuranbo, senza aspettare che Keiichiro rispondesse.
«Beh sì, portate chi volete. Ma dovete sapere una cosa: agli abiti li abbiamo già acquistati noi, non dovete preoccuparvi. Spero vi piacciano, li ho fatti confezionare secondo i vostri gusti...»
«Bene porterò Kurumi, che ne dici, Chukonen?». «Ok, Satō. Io ti presenterò Shikimi, la mia migliore amica!». «Dobbiamo proprio proprio venire?!» si esasperò Kanzō, terrorizzata da cosa potesse aver organizzato uno come Ryou. E chissà il vestito! E che stress, una festa in suo onore senza nemmeno conoscere i partecipanti!!!
«Certo che sì. See you at the party, miss» le rispose il biondo, spietato, mentre cavallerescamente aiutava la donna ad alzarsi dallo sgabellino.
«See you then!» trillò l' altra, dirigendosi verso le ragazze con un sorriso dolce, che rendeva tutto molto inquietante.
«Oh no!! Sta venendo qui!» squittì Sakuranbo, aggrappandosi alla moretta, che cercava di squagliarsela più velocemente possibile.
«FERMAAA! IO NON PARLO UNA PAROLA DI INGLESEEEE!»si difese la mew mew bianca in preda al panico, mentre muoveva le braccia senza che il cervello glielo comandasse, sfogandosi con una risatina nervosa.
«Satō, i'm glad to play the piano for a pretty girl like you» disse quella, prendendole le mani con fervore reverenziali, con quel solito sorrisetto ad occhi chiusi.
«Che cosa??» ansimò. La stava minacciando? Ricattando? Insultando?
«Ha detto che è felice di suonare il piano per una ragazza carina e simpatica come te» tradusse il moro affabile, mentre accompagnava Kelly Mc.Guire all' uscita.
«Beh grazie, ma io non sono carina...» mugugnò, rossa d' imbarazzo e un po' irritata. Come si permetteva di fare l' ipocrita in quel modo??!!
«Ma stai zitta e non dire cazzate» le rispose dietro Kanzō, mentre un "Goodbye!" gioioso si levava dalla bocca rossettata della straniera.
«Che donna dolce e affascinante! E Ryou si è davvero infatuato del suo modo di suonare» commentò Keiichiro paterno, cingendo con le braccia le tre sue dipendenti.
«Ah beh... solo del suo modo di suonare?» sogghignò Sakuranbo maliziosa, scoccando un' occhiata obliqua a Satō, che la guardò storto. «Perché fissi me, scusa?!?!»

***


Alla fine, venne il giorno della festa al Caffé e Kanzō era nervosa da capo a piedi: aveva invitato Yuzu con lei, perché sapeva che col suo supporto si sarebbe sentita molto meglio, ma lei aveva risposto di no perché doveva tenere un concerto. "Concerto è una parola inadatta. Gran bordello sarebbe più appropiato" pensò, mentre si asciugava i capelli con il phon, cosa che faceva rarissimamente.
In quei giorni non aveva osato aprire il pacco infiocchettato che Keiichiro le aveva dato il giorno che aveva incontrato la pianista, perché era troppo spaventata da cosa potesse esserci dentro. Ma doveva venire il momento prima o poi...
La ragazza perse più tempo possibile in bagno: dopo esserseli asciugati, si pettinò i capelli con estrema cura, districando tutti i nodi. Si lavò i denti, si mise lo smalto nero sulle unghie delle mani e dei piedi, si mise una crema dal lieve profumo di menta e mise i vestiti sporchi in una cesta.
Pulì il piatto doccia dai capelli persi, asciugò le pareti della cabina doccia e constatò che il bagno aveva fatto tutto.
Era arrivato il momento. Il momento di andare al di là delle sue paure ed affrontare quella maligna scatola con un pacchiano fiocco rosa sopra.
Sgattaiolò in camera correndo, e con fermezza sfidò il pacchetto con lo sguardo. «Io non ho paura di te!» esclamò, sperando di apparire sicura.
"Mal che vada ruberò un vestito a mia madre" pensò, sospirando. Serrò gli occhi, sfilò il nastro e alzò il coperchio. Aprì gli occhi.
Beh, per ora poteva vedere solo una massa nera. Almeno questo era positiva. Sfilò l' abito dal suo contenitore, e quello che le apparì davanti la lasciò senza fiato.

Certamente, era un capo d' abbigliamento stupendo ed elegantissimo, ma addosso a lei come sarebbe sembrato? Non poteva fare altro che provarselo.
Lo indissò con estrema attenzione, cercando di non rompere nulla, e trovò in fondo alla scatola un girocollo abbinato al vestito di gocce nere, bellissimo. Se lo agganciò con cura: non stringeva, non irritava, non dava fastidio.
Poi, con un respiro profondo, si girò verso lo specchio intero che teneva rintanato ad un angolo remoto della camera.
La ragazza riflessa era sicuramente lei, ma quel vestito la rendeva aggraziata e slanciata, almeno se stava ferma immobile. Risaltava le sue forme e sulla pelle era morbido come seta. Forse era seta. L' unica che non le andava giù era quel fiocco sul fianco... ma era perdonabile.
Quanti soldi avevano speso Shirogane e Keiichiro per quello? Subito si sentì in colpa. Avevano comprato quell' abito per lei, e doveva indossarlo, anche se non le fosse piaciuto. Non poteva lamentarsi. Solo essere riconoscente con loro.
«OKASAN, SONO PRONTA!» urlò, con il consueto nervosismo che aumentava ogni minuto. Scese le scale con molta goffaggine, ben attenta a non fare muovimenti bruschi: non poteva assolutamente rovinare tutto adesso.
«Kanzō, da dove viene quello?!» commentò Sanae stupita. Non ricordeva di averlo mai comprato.
«Ehm, era compreso con l'invito» rispose subito, arrossendo. Il biglietto lo teneva saldamente in mano. Senza quello, niente ingresso.
«Stai scherzando?»
«No. Ryou è molto ricco. Non gli fa differenza» ribatté irritata la mew mew, mentre si infilava i sandali stile gladiatore che le piacevano molto e che riteneva adatti all' occasione.
«Mmm... sarà. Dai sbrigati che se no arrivi in ritardo».
Kanzō era a posto, ma sua mamma insistette perché si raccogliesse i capelli. Un paio di ciuffi davanti,comunque, restarono liberi anziché imprigionati in una crocchia alta.
Salirono in macchina in un battibaleno, e in men che non si dica raggiunsero il Caffè Mew Mew. La ragazza salutò sua madre con la promessa che le avrebbe mandato un messaggio e si diresse con infinita lentezza verso l' entrata. Sentiva musica, sentiva chiacchiere, sentiva risate.
Accidenti, a quanto pareva era una festa ben organizzata. Diede l' invito a un controllore ed entrò...
I tavolini erano spariti. La porta della cucina chiusa. La sala con le tavole erano spariti, e al suo posto c' erano un sacco di persone.
Tende e festoni erano appesi ovunque, e notò che i presenti erano tutti elegantissimi e dall' aria parecchio raffinata. Sembrava esserci la crema della società di Tokyo là dentro... Si guardò intorno, in cerca di una faccia amica, in preda all' agitazione. Come era fuori luogo in quel posto!!
«Psssst! Di qua!» sussurrò qualcuno, e una mano con un guanto azzurro pallido la trascinò in disparte. Era Satō, incantevole con i boccoli ornati da un cerchietto scintillante e un vestito bianco favoloso, con una fascia dorata in vita. Sembrava molto più adulta.
Così infagottata, sembrava proprio una giovane sposa occidentale, di quelle con le gonne a sbuffo bianche al posto del solito, convenzionale Kimono. . Vicino a lei stava una ragazza magra, alta, con lunghi capelli color sabbia,castano mielato, un po' mossi e un po' lisci, con dei vestiti... molto... strani: portava una gonna scozzese verde e rossa fino al ginocchio, e una maglietta scollata marrone molto larga. Indossava degli stivaletti beige e sul polso destro un braccialetto stracarico di figure d' argento, e dal collo pendeva una collana larga con palline colorate a forma di occhi.
«Jundo, questa è Kurumi Sheru, in classe mia e di Sakuranbo» la presentò l' orsacchiotta con un sorriso, e la tipa agitò la mano destra, che tintinnava rumorosamente.
«Piacere, Jundo-san!» esclamò la ragazza, con una voce allegra.
«Arigatou, piacere mio Sheru-san» rispose la mew mew, sospettosa. Perché tutta quella confidenza?? Non ne era abituata.
«Bene, finite le presentazioni ^^! Avete per caso visto Chukonen da qualche parte?» domandò Satō gioiosa, guardandosi attorno curiosa.
Neanche a farlo apposta, in quel preciso istante, una vocetta acuta e isterica distrusse l' eleganza compassata di tutti gli altri ospiti:«ITSUKI!!! COME TI SEI PERMESSO DI VENIRE CONCIATO COSI'?!?!?! AVEVO DETTO E-LE-GAN-TE!!!!!!!».
La bionda aveva raccolto i capelli in una coda alta, e qualche ciuffetto ribelle le incorniciava il volto fremente di rabbia, rosso fuoco. Era infiocchettata in un abito da cocktail bordeaux, il corpetto stretto ed aderente, senza spalline, e la gonna a sbuffo di raso color lampone che partiva dalla vita stretta. Si vedeva chiaramente che non era a suo agio in quel vestitino da bambola di porcellana.
Di fronte a lei stava un ragazzo con i capelli scuri spettinati che indossava una camicia bianca e dei pantaloni verdi, più una cintura nera. Era il ritratto della normalità -sì,beh, forse non per quel verde acceso-, ma a quanto pareva a Sakuranbo non andava affatto bene. Probabilmente esigeva che venisse in frac e cilindro. «Dai cucciola non stà strillare così che ti stanno tutti a guardare! E poi così per me è elegante!» protestò il tipo, perché era calato un silenzio di tomba.
«BEH?! RIPRENDETE A SUONARE!!» strillò la mew mew, con sguardo nevrotico. Voleva proprio vedere chi avrebbe osato contraddirla.
Il piano riprese la monotona melodia di fondo, e la sala si riempì di chiacchiere come poco prima, ignorando la scena.
«Si fa proprio riconoscere,eh?» commentò Satō, scuotendo la testa, un sorrisetto sulle labbra.
«Direi di sì... quello è il tizio con la moto della Hikirazaka?» chiese la ragazza strana, incuriosita. Aveva vispi occhi azzurro-grigio-verde-giallo che guardavano molto fisso. Leggermente inquietanti.
«Hikirazaka hai detto? Forse conosce Yuzu...» sussurrò Kanzō, rammentando il nome della scuola dell' amica.
«Sì che è lui!! Ovviamente... sempre a bisticciare loro, eh?»rispose l' orsacchiotta tutta allegra. Si stava divertendo.
«Ehhh c'è sicuramente qualcosa sotto, si vede che lui è cotto. Spero solo che non si fidanzino, devo ammettere che non mi sta molto simpatico...» esclamò Sheru pensierosa. «Ah, scusatemi, vado a farmi un giro! Devo controllare se ci sono abbastanza estintori in caso di emergenza!» aggiunse, sventolando la mano pallida. Si voltò e con una leggadria fuori dal comune si confuse nella folla tirata a lucido,senza dare spiegazioni sensate.
«Oh guarda, c'è Kelly al pianoforte! Oddio, è divina!» disse la pipistrellina, tanto per non perdersi in commenti sulla strana amica della mew mew bianca.
«Effettivamente è bellissima... quel tubino bianco le sta benissimo! Ah, no, non ci credo... Sakuranbo e Funsui stanno cercando di ballare!!!!» ansimò l' altra, trattenendo il respiro. Poi scoppiò a ridere a più non posso, col fiato corto. Non riusciva a controllarsi.
Gli occhi verdastro-dorati di Kanzō si girarono a guardare la scena più improbabile dell' universo: i due erano impacciatissimi, e Chukonen si stava decisamente rifiutando di danzare, ma Itsuki la obbligava a muoversi un po', con il risultato che si misero ad oscillare sul posto, buffissimi e simpatici. Il ragazzo aveva stampato sul volto un sorrisone, e sembrava che cercasse continuamente di non scoppiare in risate folli come quelle di Satō. Non gli importava della pomposa gente che lo attorniava, voleva solo divertirsi.
Lo stesso non si poteva dire della sua partner, che era costantemente in tinta col suo vestito, e sembrava non essersi mai vergognata così in tutta la sua vita: nonstante tutto però, erano carini. Sembravano i bambini che nelle feste contadine si mettevano a ciondolare credendosi grandiosi ballerini di fama mondiale.
«Ah eccovi qui voi due! Konbanwa!» salutò una voce educata e distaccata, ma nonostante tutto parecchio rilassata. Ryou.
Si era infilato in uno spocchioso completo bianco, i bottoni dorati lucidi sul petto, camicia candida e papillon azzurro, della stessa tonalità degli occhi felini.
«Però... sei... ehm, elegantissimo» si sforzò di balbattere la dama in nero, cercando di trattenere il disgusto. Così bianco sembrava un pupazzo di neve con la paglia in testa e un naso al posto della carota. Notò una cosa: era in perfetta sintonia con l' abito di Satō. Lo sposo e la sposa. Sicuramente non era un caso.
«Sì, ma decisamente orrenderrimo» completò acidamente la bruna, storcendo la bocca. Lei non si era accorta di nulla.
Ryou ignorò il commento finale:«Vorrei vedere! L'ho organizzata io la festa,non potevo di certo presentarmi in jeans» rispose, altezzoso.
Fissava la pista da ballo: a parte un curioso vortice rosso,verde e bianco, tutte le altre coppie erano piuttosto brave nella danza, e andavano a ritmo con le note prodotte dalla signora Mc.Guire.
«Caspita però! Sembra di stare a un ballo vero commentò per l' appunto Satō, intimidita.
«Infatti lo è,no?-.-^»
«Che ne dite di unirci agli altri? A quanto vedo, Sakuranbo si è già buttata!» propose Keiichiro, apparendo dal nulla, con lo stesso completo di Ryou, solo che rigorosamente nero, più elegante e meno appariscente.
«COOOOOOOOOOOSA?!?! NEANCHE PER SOGNO!» sbottarono in coro le ragazze, sbigottite e disgustate.
«Tsk! Che esagerate! Vieni, ti insegno io come si fa» ordinò il ragazzo, afferrando l' orsetta per il polso guantato e trascinandola in mezzo, ignorando i suoi lamenti scocciati e spaventati.
Il moro, che come sempre teneva i capelli in coda, porse una mano a Kanzō, che arrossì e scosse la testa, alzando gli angoli della bocca per rassicurarlo. Non voleva mica offenderlo, era stato gentile a invitarla, ma gli avrebbe fatto fare una figuraccia.
«Ehi Jundo!! Eccomi qua! Sai dove si è cacciata Kona?» domandò Sheru di ritorno, mentre si faceva largo tra la folla per raggiungere l' interpellata.
«In questo momento la tua amica è impegnata con Ryou. Piacere signorina, sono Keiichiro Akasaka» disse l' uomo, stringendo la piccola mano della ragazza, che ne rimase colpita positivamente. «Kurumi Sheru! Piacere mio!» si presentò, entusiasta, con un sorrisone da stregatto.

***


La luna dipingeva la sera con le sue romantiche pennellate bianco perla, e all' esterno del Caffé Mew Mew, l' aria si riempì di increspature lievi e tremolanti, come quelle di una goccia che cade su una superficie d' acqua: Kisshu comparve dal centro esatto del buco d' aria, e atterrò in punta di piedi sulla volta del tetto.
Sotto di lui stava una terrazza e logicamente una porta: si sporse a guardare oltre il vetro, incuriosito: da lì proveniva calore, luce e musica, che gli ricordavano molto le feste dei Nobili di Sayari, riccastri spocchiosi che spendevano soldi nella propria compiacienza piuttosto che aiutare la popolazione. Anche se il pianeta era in crisi, i Nobili facevano finta di essere ciechi. "E' un periodo provvisorio. Cambierà presto" ripetevano, ingannando pure sé stessi dall' ovvietà arida della miseria.
"E gli umani sono infinitamente benestanti, hanno un mondo meraviglioso che stanno uccidendo. Che stupidi. Beh, concentriamoci sul lavoro" pensò, ignorando i sentamentalismi e prendendo in mano la situazione. Con occhi gialli da gatto perlustrò il salone, in cerca del soggetto adatto.
«C'è così tanta gente che sarà facile trovare ciò che fa al caso mio» si disse, per sembrare più sicuro di sé. Aprì il palmo della mano diafana, ed ecco apparire la solita medusina luminescente rossa, che pulsava inquietantemente...

***


Satō era arrabbiata come non mai: imprigionata in un vestito candido e molto poco pratico era stata costretta da Ryou Shirogane, una delle persone che più odiava al mondo, ad andare al centro della stanza per ballare con lui. Quella era la peggior tortura che potesse immaginare, forse peggiore di quelle che subivano le streghe nel medioevo. Sì, preferiva essere scuoiata viva che dover danzare con un damerino figlio-di-papà come il suo attuale accompagnatore.
Mentre lui la strascinava, lei gli aveva pestato il piede con tutta la forza che può avere una scarpetta a tacco quadrato dorata comprata a 1000 yen in una bancarella sfigata al sabato mattina di una sonnecchiosa giornata d' estate. «Ohhhh non l'ho fatto apposta!»sussurrò angelica, sbattendo le ciglia scure. L'ironia tagliente di quelle parole era chiara solo a lei.
«Mmmm, così non va. Devi stare più vicina al cavaliere» disse lui, dolcemente, con un' occhiata seria nei begli occhi azzurro cielo.
«Eh?!» ansimò la ragazza disgustata, ma ormai era troppo tardi: lui gli mise un braccio attorno alla vita e la strinse forte a sé, così da non farla più muovere di un millimetro. Satō si colorò di porpora, e si sentiva lo stomaco stringere, come se fosse stato buttato nell' acido corrosivo. Voleva morire, sotterrarsi. Ma era anche furiosa con Ryou: COME SI PERMETTEVA??????
«Ecco, ora lasciati guidare da me» proclamò, e iniziò a muoversi con sciolta fermezza, per nulla rigido. Fece svolazzare la mew mew in giro per la sala, senza che creasse danni o andasse a sbattere contro qualcuno. Lui era molto bravo, e soprattutto aveva un talento per far sembrare brava anche l' inetta compagna.
"Oh toh, ha ragione lui... sto imparando!!" pensò la bruna, con una soddisfazione inaspettata. Però non vedeva l' ora che la canzone finisse, così da poter scappare di nuovo dalle sue amiche.
Il pezzo di Kelly finì, dolce e malinconico, e mentre l' ultima nota vibrava nel silenzio, il fragrante suono di applausi congedò la donna, che si alzò con un gran sorriso. Piegò la testa in un inchino umile, facendo risaltare il cerchiello rosso fuoco sbrilluccicoso, e la figura della signora si erse in tutta la sua occidentale bellezza: alta, formosa, snella e slanciata. L' abito chiaro che indossava sembrava disegnato apposta per lei: un' ampia scollatura ornata da piume, una fascia stretta in vita da cui ricadeva morbida la gonna lunga...
Satō non perse l' occasione per scappare via dalle braccia forti del biondino, e si rintanò dietro Kanzō, Sakuranbo e Itsuki, Kurumi e Keiichiro.
«Scusatemi, vado a prendere una boccata d' aria» proclamò la pipistrellina, osservando con sospetto tutte le coppiette di ballerini. Chissà se poteva nascere una storia...
Si diresse senza esitare verso una porta/finestra di vetro con l' aspetto molto promettente, e la varcò. Pensierosa, si appoggiò al corrimano di pietra levigata del terrazzino dove era sbucata, respirando l' aria fresca di quella serata noiosa. Sì, si era divertita guardando le sue compagne ridicolizzarsi in pista, ma si sentiva a disagio come previsto: non era il suo ambiente quello, per nulla. «Ah, ci voleva!» mormorò, quando un po' di vento le fece agitare i ciuffetti a lato del viso. Quella frescura sulla pelle era ben accetta: lì dentro faceva un caldo incredibile, il tipico effetto-stalla di decine di persone raggruppate in un luogo chiuso.
Chiuse gli occhi, sospirando sonoramente. Non vedeva l' ora di tornarsene in camera sua, cambiarsi e andare a letto.
Guardò in basso: di sotto, nel vialetto del giardino, la signora mc.Guire camminava tranquilla, apparentemente rilassata. Si stava godendo un momento di frescura, proprio come lei.
«Salve!» la salutò qualcuno, qualcuno di familiare. Quel tono impertinente e sfacciato non era affatto nuovo... chi poteva essere?
Si voltò. Non c' era nessuno! Alzò lo sguardo, perplessa.
In aria c' era una figura esile con lunghe orecchie a punta da cui pendevano dei lacci lunghi: lui era... era l' alieno che aveva incontrato la volta scorsa. «oh no!! ci mancavi solo tu!!» borbottò, sospirando. La mano scattò verso la borsetta, perché li conteneva il prezioso ciondolo che le avrebbe consentito di trasformarsi.
Era il pazzo maniaco che l' altra volta l' aveva stuzzicata... Cos' aveva detto? "Tornerò... ma per questa volta per te,principessa!".
Quel ricordo la fece innervosire parecchio, ma una piccolissima parte di lei era segretamente lusingata. Nessuno ci aveva mai provato con lei... mah. Gli alieni sembravano avere gusti strani.
«Sai, ho una mezza idea di movimentare una pò la festa! tu che ne pensi?» chiese, sarcastico, con un sorrisone da gatto da cui sbucavano i lunghi canini affilati.
Kanzō fece finta di non capire:«Che intendi dire?».
Il nemico ridacchiò, per far capire quanto assurda e inutile era quella domanda. Allungò il braccio magro e bianco verso Kelly, che subito si accasciò a terra, ferma e pallida. «Oh cazzo! KELLY! KELLY!» la chiamò, sorpresa, ma non ebbe risposta.
Una palla di luce fuxia uscì dal corpo immobile di lei, direttamente dal petto, dal cuore. Fluttò leggiadra verso la mano aperta dell' alieno, e appena toccò la sua pelle algida, la sfera luminescente assunse la forma di un cuore, che s' ingrandì un attimo prima di scoppiare, sprizzando scintille rosa ovunque. Dal mezzo del cuore piombò nel palmo del verdino una strana croce ansata di cristallo, trasparente e sfavillante come diamante puro. «Ora ti mostro cosa succede se unisco un' Ankh, cioè la chiave della vita o forza vitale di una persona e un alieno parassita! Oh, sono certo che ne vedremo delle belle!» esclamò lui con noncuranza, l' accenno del suo solito sorriso sulla bocca. La medusina inglobò l' Ankh di Kelly, e una persistente luce rossa ne uscì: la mew mew riuscì a vedere dei tasti di un pianoforte usati come scale e una lince o un cucciolo di ghepardo percorrerle, e poi non vide più nulla per un attimo. Gli occhi erano immersi nel rosso vivo e lampeggiante di quell' anormale bagliore.
E poi, ecco apparire una figura di donna... ricoperta di pelliccia sulla pelle... con il muso da felino... e i capelli biondi. Era orribile, un miscuglio atroce di donna e animale, che indossava una mantellina rossa e una tastiera nella mano/zampa destra.
«Hai visto, bambolina? Niente male,vero?» commentò il ragazzo soddisfatto. Al suo parere, l' opera era stata compita bene...
Kanzō invece ne era disgustata: non credeva possibile che la specie umana potesse essere peggio del normale, ma a quanto pareva si sbagliava... la prova stava davanti ai suoi occhi increduli. «Oddio... che cosa le hai fatto??!!»
Lui non le rispose, altezzoso, e fece un cenno alla creatura. «Forza, adesso puoi andare. Combatti!» ordinò, ed ecco la mostruosità buttarsi con agilità giù dal tetto e atterrare sul terrazzino dove stava la pipistrellina.
La ragazza saltò dal corrimano, senza preoccuparsi di farsi del male: sapeva che oramai, da mew mew, il dolore fisico non era sicuramente un problema. Poteva lanciarsi da altezze incredibili senza farsi un graffio, e per l' appunto atterrò sull' erba fresca di umidità viva e vegeta.
«Stammi a santire Kiss, Ghish o come diavolo ti chiami, io non ti permetto di rovinarmi l' esistenza in questo modo, chiaro??!! Già è complicata di suo, se ti ci metti anche tu è un disastro completo!!!!!»

***


Un pupazzetto rosa a forma di cuore scivolava con destrezza tra le caviglie degli invitati, alla ricerca delle altre mew mew. Aveva appena compiuto un' opera di bene: si sentiva realizzato e soddisfattissimo di sé. Da solo, da solo aveva trovato un' altra ragazza coinvolta nel progetto mew, ma aveva anche visto che Kanzō aveva incontrato Kisshu. Doveva trovare rinforzi... Alla fine risalì dalle gambe di Sakuranbo, e s' infilò nella borsa della ragazza senza farsi notare da nessuno.
«Sakuranbo, un Chimero ha attaccato Kanzō!!» squittì, preoccupato. Sapeva che di fronte a un Chimero così potente lei da sola non poteva sconfiggerlo, aveva bisogno di una mano. O anche due.
«Oh beh, problema suo!!! Io non so cosare quei cosi, ho rischiato di morire! E suppersakuranbo non può moriiiiire!» protestò, spaventata, al ricordo del mega gatto assassino.
«Non fare la stupida, vedrai che ti verrà naturale una volta imparato! andiamo!»la rimproverò Satō perentoria, afferrandola per il polso.
«Di cosa state parlando?» s' intromise Kurumi nel suo solito tono gentile. Non le piaceva essere tagliata fuori... e perché la biondina parlava di morire, poi?
Le due mew mew si scambiarono sguardi imbarazzati:«Oh emmmm.... beh ecco....». «No vedi è che...». «Si esatto, dobbiamo... ehm, noi...».
«No! Kurumi-san è dei nostri!» trillò Mash nelle profondità oscure della borsetta di Chukonen, e le spiegazioni senza senso delle ragazze s' interruppe subito.
«Ah beh... tanto meglio! Vieni con noi Sheru! ah... ITSUKI!» gridò la tigrotta, girandosi per guardare il ragazzo. Meno male che Ryou e Keiichiro lo stavano distraendo... o avrebbe trovato parecchio curiosa e interessante la discussione delle tre dame. «Eh? Sì?» domandò di rimando, interrompendo un' animata descrizione del campionato calcistico del giappone del decennio scorso con il biondo Shirogane.
«Io vado un attimo fuori con Kona e Sheru! Robe da donne! Tu stà la e restaci!!!» strepitò con severità Sakuranbo, e senza attendere una risposta, s' incamminò dove Mash le diceva di andare, con le altre al seguito.
«Non ho ben capito cosa dobbiamo fare» commentò Kurumi perplessa, affrettandosi per star dietro alle amiche.
«Devi trasformarti in una ragazza-animale e combattere un essere mostruoso capitanato da un alieno verde» rispose Satō ironizzando, captando da sola il tono cupo della sua risposta. Non era esattamente entusiasta.
«Ah e quell' alieno potrebbe farti delle advances a sorpresa! E rischi la vita ogni secondo che gli passi accanto!» aggiunse la mew mew rossa aspramente, stringendo le labbra contrariata. Lo odiava con tutta sé stessa.
«Eh? Temo di non aver capito bene»
«Invece temo proprio che tu abbia capito benissimo... sempre che Mash non abbia sbagliato -cosa assai probabile,comunque-...».
«Ti sbagli! E' una mew mew! Le ho già dato il ciondolo!» si difese il robottino offeso, la vocina metallica otturata.
Così, mentre Sakuranbo e Mash battibeccavano e Satō raccontava per bene la storia del progetto mew, il quartetto arrivò in giardino, dove Kanzō arretrava di fronte a un qualcosa di indefinito con una mantellina rossa.
La mora si era accorta del loro arrivo:«Ragazze, quell' essere immondo ha tramutato Kelly in un chimero» spiegò, guardinga. Le fissò con solennità.. e si notò una presenza allibita in più. «E quella chi è?» sussurrò, inarcando le sopracciglia.
«Quello è il nemico?...cosa devo fare?» chiese Kurumi incerta, ma determinata. Si sentiva dentro una pessima soap opera americana: alieni, stranezze, mostri... c' era tutto il necessario per una scenografia d' effetto.
«Tira fuori il coso d' oro che Mash ti aveva dato... e poi ti verrà da sola l' ispirazione! Però... scusami ma com' è possibile trasformare un umano in un chimero?!» spiegò l' orsetta preoccupata. Questa volta sarebbe stato più difficile combattere... osservò disgustata la creatura al fianco del ragazzo pallido, e notò che effettivamente aveva una postura da donna. E anche la forma del corpo, nonostante il pelo maculato.
«Ahhhhh è un' altra ragazza del team!! Molto bene, ci serviva proprio un aiutino. E' nostro dovere salvare la pianista prima che sia troppo tardi» intuì la pipistrellina sollevata. Non riusciva a spiegarsi la presenza di quella intrusa lì, avrebbe certamente rischiato la vita. E alle persone non piaceva la morte, chissà perché.
«Guarda ti faccio vedere come si fa... Mew Satō Metamorphosis!» proclamò la bruna, tirando fuori la capsula dorata col ghirigoro sopra. Dai disegnetti finamente intagliati scaturì un' abbagliante luce bianca, e dopo un po' ne uscì una Satō in short e corpetto bianchi, più un basco che le ricadeva dolcemente sopra una delle due orecchiette da orso polare. Aveva straordinari occhi azzurro ghiaccio.
Kisshu nel frattempo le guardava sarcastico, come se aspettasse che finissero prima di attaccarle. «Con comodo, eh! Fate pure come se non ci fossi...» mormorò ironico.
«Credo di avere capito... Mew Kurumi Metamorphosis!» tentò, ed ecco che un forte raggio bronzeo scaturì dal medaglione tra la dita della confusa biondiccia, e sentì una forza incredebile penetrarle dentro. Si sentiva cambiata, diversa. Qualcosa le ordinò di muovere braccia,gambe e busto, e vedeva i vestiti cambiare.
Gli stivaletti country cambiarono in stivali più lucidi e moderni, la gonna si tramutava in pantaloncini infinitamente corti a sbuffo, e la maglietta senza maniche diventava la parte superiore del body a pantolincino. Un qualcosa, una specie di nuova appendice le nasceva dal fondo della schiena: una coda liscia e sottile, come quella di un topo. Una fascia marrone le avvolgeva il polpaccio destro, mentre sulle braccia sentiva degli sbuffi di stoffa comparirle sopra la pelle. Infine, il vortice color bronzo le salì fino alla testa, dove le orecchie si rimpicciolirono e si ricoprirono di pelo marrone chiaro. I capelli si scurirono un poco, e gli occhi si colorarono di un bel color nocciola.
Era una ragazza-lontra. Una lontra marina del nord america, precisamente, di quelle che hanno rischiato l' estinzione per la loro folta pelliccia.
Nel frattempo anche le altre due si erano trasformate, e le quattro mew mew si erano riunite insieme, pronte a combattere.
«Molto bene! Che brave, sembra di stare a teatro... dai, vai e distruggile! Vaiii!» commentò Kisshu allegro, per poi sibilare l' ultima frase, spronando il suo Chimero.
Quello era molto veloce, non si riusciva nemmeno a vedere i suoi movimenti: si sentiva semplicemente una folata i vento e un turbinio giallo e rosso, che vorticava tra le mew mew con un' agilità incredibile. Kurumi si trovava in seria difficoltà: per essere il suo primo scontro però, se la stava cavando bene. Non si era ferita, era semplicemente caduta per terra.
«Ehi ragazze! Sia ben chiaro, non prendetevela con me! Mi ha chiesto Deep Blue di farvi questo!» gridò l' alieno, tra il compassionevole e il divertito. Gli facevano un po' pena quelle poverette. Se ne stava appoggiato alle tegole del tetto e godersi il massacro con calma, proprio come se fosse a teatro.
«E chi è 'sto Dip blù?» domandò Satō distrattamente, ed ecco che il Chimero la travolge, buttandola a gambe all' aria. Sakuranbo corse a soccorrerla, alzandola da terra con velocità e leggerezza. «ATTENTA!» strillò, e mentre il felino cercava di tirarle un' unghiata, le due stavano roteando a due metri dal suolo, grazie alla grazia tigresca della mew mew rossa.
«Oddio grazie! E' un chimero ben diverso da quello dell' altra volta!» si lamentò l' orsacchiotta, sciogliendo la presa dell' amica su di sé.
«Niente paura, ci penso io a fermarlo! Ribbon Kanzō Fury!», e così dicendo, l' ascia nera si materializzò in mano della moretta, che non attendeva altro se non distruggere con le sue mani quel coso. Tirò un fendente all' aria, ed ecco che un agglomerato di luce a forma di lama schizzò contro la presunta Kelly, che l' evitò con cura, al grido di: «Dannazione!».
«Ok ci provo io.. Ribbon Satō Snowflake!», ed ecco che il flauto di ghiaccio apparve. La ragazza prese a suonarlo con grinta e passione, e si accorse con stupore che stava eseguendo una perfetta versione del Waltzer dei fiocchi di neve di Tchaikovsky. Era un' esecuzione perfetta.
Il Chimero si bloccò un attimo, quel ghigno affilato stampato sul muso. Brandì la tastiera che portava a tracolla, e prese a suonarla con altrettanta concentrazione e talento. Suonava il suo stesso pezzo, inserendo complicate variazioni di armonia degne di un grande maestro.
Quelle note creavano un fortissimo dolore acuto alle orecchie, e tutte cercarono di corpirsele alla bell' è meglio. «Insopportabile!»[/color] sussurrò Sakuranbo sconvolta, toccando con il gomito il ciondolo che portava al collo. E poi le venne l' ispirazione. [COLOR=#800000]«Ribbon Sakuranbo Spirit!» disse, ed ecco che una bolla color lampone si creò dal nulla, fluttuando davanti a lei.
Era un momento solenne: chiuse gli occhi rosso sangue, allungò le braccia esili, e sentì caderle sulla mano qualcosa di liscio e duro. Li riaprì, e si trovò tra le dita dei Tonfa della stessa tonalità del suo costume. «Ohohoh. Come cavolo si usano??!!» strepitò la rossa, perplessa, mentre una risata sarcastica la canzonava. Era Kisshu, che se la godeva come non mai.
Il Chimero continuava la sua terribile musica spaccatimpani, e le quattro non sapevano proprio che pesci pigliare. Tanto meno Sakura e Kurumi.
«E adesso cosa facciamo?!?!» urlò la tigrotta, facendo vorticare la sua arma con impazienza. La ritaneva assolutamente inutile... il massimo che faceva era scagliare laser in tutte le direzioni possibili, tranne che dritto in faccia alla creatura da annientare. Pazzesco.
«Kurumi! Prova a fare qualcosa anche tu!» la invitò Satō, mezza disperata.
«E come si fa???!!!!!»
«Devi dire le parole che l'istinto ti consiglia!» spiegò Kanzō, le delicatissime orecchie da pipistrello distrutte dal dolore.
La ragazza-lontra avvolse il ciondolo che portava al collo nella mano sinistra, il polso ricoperto di nastrini castani, e attese. Il cuore le batteva, le orecchie sembravano andare a fuoco, sentiva le gambe tremare e l' ansia inaridirle il cervello. Ma doveva provare. «Ribbon Kurumi Maze!» strillò, e una specie di palo sottile apparve dal nulla, con un manico elaborato al centro. Sulla punta c' era una specie di cerchio mistico ornato da pietre cremisi incastonate dentro. Era molto carino: sembrava un bastoncino per le bolle un po' più grande del normale. Estasiata, lo afferrò con un' espressione radiosa; lo agitò a destra e a sinistra, ed ecco milioni di bolle di sapone di tutte le grandezze cospargersi per l' intero giardino.
Il Chimero smise per un attimo di suonare, cercando di coprirsi con le zampe da quelle buffe bolle luccicanti al buio: emise un verso straziato, e subito miliardi di sfere trasparenti si concentrarono attorno a lei, iniziando a vorticare furiosamente, come un tornado di bolle.
«Toh! Sembra che funzioni!!» esclamò mew Sakuranbo felice, ma un po' invidiosa. Perché Kurumi sapeva usare la sua arma (che era poi una figata assurda) mentre lei non capiva nemmeno da che parte si teneva la sua??!!!
«Non durerà, non durerà!» le disilluse mew Kanzō, scuotendo la testa. Scagliò altri triangoli di luce verso il Chimero, che si lamentò di nuovo. Ora era attorniata da bolle e lame abbaglianti. E infatti, con una specie di ruggito, la bestia si riprese, spezzando il vortice attorno a sé: era furiosa, e molto più pericolosa di prima. Erano finiti i giochetti, ora la sua rabbia poteva essere fatale.
«Ohia ohia, sembra parecchio offesa!» commentò una vocina timida e impaurita, proveniente dalla rossa, che si rifugiava dietro le spalle dell' orsacchiotta. «Che si può fare?» aggiunse, rivolta alle altre.
«Forse... ho un' idea. Saku-chan, corri nel salone e fai suonare a qualcuno la melodia di prima, quella che suonava Kelly!» le ordinò la ragazza davanti, scollandosela di dosso.
«Subito,capo!» rispose l' altra, e se la defilò all' interno del locale velocissima. Nemmeno si vedevano le gambe, da quanto era svelta.
«E noi? Che facciamo?» domandò la mew mew nera, mentre evitava con agilità e naturalezza l' attacco del Chimero infuriato.
«Continuate ad attaccare, voi due insieme potete farcela a trattenerla. Siete le più...velenose, tenetele a bada» affermò la bruna determinata. Perché chiedevano il consenso a lei? Cos'era, la leader del gruppo? «EHI,TU!» gridò, rivolta Kisshu, che se ne stava tranquillo sul tetto come uno spettatore alla prima di un concerto. Guardò in basso con i suoi occhi d' oro, stupito che stesse parlando a lui. «Che c'è,dolcezza?» domandò, con un sorriso gentile altamente ironico.
«Dimmi con quale coraggio osi manipolare una donna capace di creare una musica così bella per dar vita o un orribile Chimero!!! Adesso prova ad ascoltare la forza positiva di questa canzone: quelle tue orecchie enormi serviranno a qualcosa,no?» gli strillò, lanciandogli una frecciatina maligna. Non poteva permtettersi di essere il solo a prendere in giro le nemiche, bisognava fare altrettanto o si sarebbe montato troppo la testa. Le umane potevano essere cattive, bisognava farglielo capire.
Un' armonia dolce e delicata, complessa e grintosa si sprigionò nell' aria bellicosa del giardino: le note danzavano esuberanti, svelte e birichine, ma il ritmo rallentava e loro si acquietavano, piroettando con grazia e malinconia, muovendosi con estrema leggiadria sulla pista di ballo chiamata Spartito.
Il Chimero non sopportava tutta questa bontà, tutta questa maestria imponente, questa barocca magnificenza; il vortice si fece più stretto, mentre la creatura si dimenava e guaiva, abbassando le orecchie feline. Le pupille azzurre si strinsero, rimpicciolendosi come schegge di lapislazzuli, e gli arti sembravano scollegarsi col cervello: non riusciva a muovere muscolo, quella melodia lieve ma incisiva le stava penetrando dentro, bloccandola.
«Che succede?!» ansimò l' alieno, materializzandosi vicino alla sua creatura con affetto quasi paterno.
«Mew Satō, suona quel dannato flauto, maledizione! Non potremo andare avanti molto!» la sgridò Kurumi, impugnando con forza il suo bastone color nocciola. Le bolle continuavano ad uscire, ma sempre più piccole e deboli.
«Ok ok, scusa!!!!!!!!!!!!!!» protestò, aggrottando le sopracciglia, concentrata. Si portò lo strumento alle labbra rosee, e lo suonò con vigore. Imitò la canzone che veniva dal locale, cercando di riprodurla il più fedelmente possibile.
Entrò a canone, dando un' effetto di propagazione del suono incredibile: il tutto sembrava ancora più potente, più imperiale di prima. Più forte.
Quella canzone tremendamente magnifica proveniva da tutte le parti, e l' atmosfera sembrava surreale, come all' interno di un film. Una colonna sonora di speranza, amarezza e malinconia, mischiata alla dolcezza e alla resistenza, sembrava un' Inno alla forza di volontà, all' amore, a tutte le belle cose esistenti sulla Terra.
Una purezza simile non poteva essere ignorata da nessuno, persino gli invitati si accorsero della presenza di un incredibile flautista che accompagnava il piano, senza capire da dove provenisse. Quella musica flautata non passava per le orecchie, si formava direttamente nel cervello, si stampava nell' anima.
Kisshu guardava la mew mew bianca a bocca aperta, sbalordito da come delle dita e un fiato potessero sconfiggere il suo Chimero. Ma non la guardava allibito solo per quello: quella ragazza, in quel momento, non sembrava affatto un nemico. Era così imponente, così assorta, così bella che sembrava un' angelo.
Completamente bianca da capo a piedi, con una forza interiore così potente da distruggere le montagne che sembrava rilucerle sulla pelle (o forse era solo il riflesso del flauto ghiacciato, ma non si può star certi) sembrava un Cherubino sceso direttamente dalla prima sfera del Paradiso, e una perfezione simile non poteva essere malvagia.
Non poteva combattere un angelo, non poteva cercare di uccidere una creatura divina come lei... non poteva essere cattiva, lei era l' incarnazione della bontà, della positività, non poteva, non doveva e non voleva farle del male. D' altronde, stava solo cercando di difendere la sua gente... lui non stava facendo altrettando? Non era venuto sulla Terra per poterla offrire a Deep Blue, che poi l' avrebbe data al popolo? Entrambi stavano facendo la cosa giusta nella propria prospettiva, e guerrigliare non poteva risolvere assolutamente nulla. Ma era più importante il destino di un' umanità selvaggia e spietata contro la natura, o il destino di oppressi scacciati dalla loro patria natia? Ovviamente la seconda, era giusto così, lui era là per quello: sconfiggere i terrestri e ripopolare il pianeta con la sua gente.
Ma i terrestri non potevano essere maligni... bastava dare un' occhiata a Satō in quel momento. Splendeva, ed era splendida. Di giustizia, di coraggio, di bontà.
All' improvviso, nel bel mezzo del crescendo, la musica cessò, e la ragazza perse la magnificenza di prima. Ma non se la sarebbe mai dimenticato, mai.
Kelly/Chimero si dissolse in una parete di luce bianca, da cui spuntò l' alieno parassita e l' Ankh della donna. «Eliminato!» trillò, soddisfatto.
Mash, il robottino peloso rosa, inghiottì la medusina, assimilandola come se la stesse mangiando con ingordigia, e le quattro mew mew (nel frattempo Sakuranbo era tornata in scena, ma Kisshu era stato troppo assorto dall' orsetta per accorgersene) erano sfinite ma contente.
«Caspita Kona, sei stata bravissima! Veramente, siamo tutti rimasti senza parole!» si complimentò Kanzō ammirata, con una specie di sorriso forzato.
«Non... non so neanche come ho fatto! E comunque, non ce l' avrei mai fatta senza te e Mew Kurumi, veramente» rispose l' altra, incredula. Non poteva credere di essere stata così potente, anche se solo per poco.
«Questa serata è stata incredibile... prima mi dite che posso trasformarmi tipo le eroine degli anime, poi incontro un alieno, poi combatto contro una chimera, e poi ecco la mia Satō sgominare tutti con quel... quel... non ho nessuna parola per descrivere cos'è stato, sul serio!!» commentò la ragazza-lontra distrutta, gli occhi marroni rassegnati all' impossibile ma eccitati.
«Eh qui bisogna imparare a credere a tutto e a liberarsi dei limiti del cervello umano. Bisogna imparare a vedere le cose che non si possono guardare all' interno della nostra normalità. Ora viviamo nel soprannaturale e bisogna farsene una ragione» s' intromise Sakuranbo seria, mentre prendeva in mano l' Ankh della signora mc.Guire, solenne. L' avvicinò al corpo dell' interessata, che subito l' assimilò nel petto, ritornando al suo posto, incastonata nel cuore. Subito la pelle si surriscaldò, colorandosi del rosato di prima, anziché celeste.
«Nooooooooo, hai detto una cosa intelligente!!!!!!!!!» si meravigliò la pipistrellina, fingendosi molto colpita. Rise quando l' altra cominciò a incazzarsi e a parlare della propria intelligenza sopraffina e del suo QI elevato, ma non le prestò attenzione. Alzò il viso verso l' alieno che svolazzava a mezz' aria, diffidente ma consapevole della forza delle sue rivali. «Non ho ancora capito bene quale siano le tue intenzioni,ma sappi che non l' avrai mai vinta!» sibilò, fulminandolo con il suo tipico sguardo nero tagliente.
«Ma davvero? Beh, mie belle bamboline, avremo altre occasioni per giocare insieme. Soprattutto voglio giocare con te, principessa... Tornerò presto, potete contarci care!» esclamò Kisshu, con un ghigno malizioso. Preferiva buttarla sul ridere, e irritare un po' la ragazza simile alla sovrana Kraehe. Però non gli sarebbe dispiaciuto continuare a tormentare la bionda... e anche la serafica orsacchiotta non era affatto da buttar via, anzi... Per un attimo assunse un' espressione pensierosa. Poi, scomparve.
«Che puttaniere» constatò Sakuranbo critica, stringendo le labbra. Le dava proprio fastidio che prima ci provasse con lei, e poi eccolo fare il galletto con altre. Non che ne fosse interessata... come si poteva interessarsi a un pallido anoressico coi capelli verdi e gli occhi gialli??!! Però le dava il nervoso lo stesso.
«Suvvia, Chukonen, non essere così volgare. Che mormone potrebbe andare meglio» la rimproverò Sheru, mentre scuoteva delicatamente Kelly.
Tutte quante si erano ri-trasformate, e indossavano i vestiti chic che Ryou aveva comprato per loro, come se non fosse successo assolutamente niente.
«Satō! What happened??» domandò la donna, che si riprese velocemente, sbattendo le palpebre. Non capiva perché fosse seduta su un prato con quattro ragazze preoccupate attorno a lei.
Si guardarono tutte in faccia: chi sapeva l' inglese tra loro? Cosa cavolo stava dicendo??
Levarono un sospiro di sollievo quando Keiichiro e Shirogane raggiunsero il quintetto, pacifici, camminando con calma. Ovviamente, sapevano che cos' era successo (con la coda dell' occhio tenevano sempre d' occhio la situazione dalla finestra) ma non potevano lasciare gli invitati soli a brancolare nel buio. Dovevano tenerli distratti e illuderli che andasse tutto bene, e che la musica aggiunta era un fuori programma a sorpresa. Inoltre, dovevano badare a Funsui che era parecchio perplesso nel non vedere la sua bella tornare... :shifty:
«Kelly, that's all right?» chiese Ryou, aiutando la mc.Guire ad alzarsi. Lei sorrise ad annuì, sorreggendosi grazie al suo aiuto cavalleresco.
«Girls, come here!» le invitò, gentilmente, facendole con la mano il gesto di avvicinarsi.
Le quattro si riunirono tutt' attorno a lei, a disagio. Era l' ora dell' interrogatorio?
«Thank you very,very much. Really. You saved my life» sussurrò, e fece un occhiolino. Perciò, sapeva che cos' era successo. Ricordava tutto, ma almeno aveva abbastanza buonsenso per tenerlo nascosto. Si girò e si lasciò condurre dai due ragazzi nel salone, raccontandogli che probabilmente era svenuta in giardino. Non sapeva che loro sapevano....

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Shikimi ***


Kanzou era decisamente stanca. No, sul serio, non ne poteva veramente più.
Una mattina si era svegliata con la memoria di un sogno strano, dove uno sciame di pipistrelli le svolazzava attorno, e poi uno di questi le mordeva il collo. E poi tutti quanti le entravano dentro, in un vortice nero.
Si era svegliata, e effettivamente sul collo si era trovato un segno rosso. Poi, la sera stessa, ecco che una ragazza incontrata su un autobus vestita da orso polare le entra in camera e le racconta che poteva trasformarsi come lei. Contemporaneamente, il suo cane si era tramutato in una belva gigantesca e hanno combattuto insieme per farlo fuori.
Scopre di venir sfruttata da due uomini, Akasaka e Shirogane, i gestori di un Caffé che in realtà si scopre essere la base segreta di queste ragazze con poteri paranormali e poi, mentre andava ad aiutare Chukonen nei guai contro un gatto deciamente troppo dopato, ecco che un alieno inizia a fare il malizioso.
In più, come se non bastasse, tutto questo era cominciato con i primi giorni di liceo, e doveva studiare come una secchiona nel tempo rimanente dal lavoro al bar e al difendere la Terra.
E ovviamente doveva tenere tutto nascosto a tutti, quindi i suoi genitori la mandavano a fare la spesa senza temere che la loro figliola potesse essere ammazzata da un maniaco extraterrestre.
"Fantastico. Ho talmente tanta roba addosso che non riesco nemmeno a camminare.. se Kisshu volesse attaccarmi adesso, morirei per colpa di pesci, riso e barbabietole!!" pensò la ragazza, mentre tornava a casa colma di sacchetti della spesa. Quel giorno era davvero nervosa, e il pensiero di venir uccisa da una barbabietola la deprimeva veramente. Doveva andarsene all' aldilà con classe, non poteva permettersi che un rabarbaro o una dannatissima barbabietola le rovinnassero i piani di suicidio!
Ebbene sì; Kanzou non era per niente una ragazza felice. Odiava la sua esistenza, e viveva nel costante timore che le persone a cui volesse bene in realtà la odiassero.
Anzi, più si legava a una persona, più dubitava di lei. Non riusciva a fidarsi proprio di nessuno.
Non provava affetto per suo fratello, non s' interessava dei suoi genitori e dei suoi parenti, e ogni volta che si trovava davanti uno specchio, desiderava con tutta sé stessa distruggerlo. Si vedeva brutta.
Ho molte teorie su questo: la prima, è che quegli occhi verde-dorato vedessero il mondo storpiato, differente. La seconda ipotesi è che avesse un cervello malato, e questa è la più probabile. Una qualche malattia cerebrale di causa remota.
Fatto sta che in quel momento, la ragazza aveva uno di quegli attacchi depressivi che nulla avrebbe potuto curare, se non il tempo. Non vedeva l' ora di avere 82 anni e vivere da vecchia zitella ignorata da tutti in una casetta costruita su uno scoglio alto decine di metri per potersi buttare giù e finalmente morire.
"Non ce la faccio più a tenere tutto questo peso... devo fermarmi un attimo". Si guardò attorno, e vide un vialetto di ghiaia portare in un parco naturale, privo di qualsivoglia giocattolo per bambini. Niente giocattoli=Niente bambini=Niente rompiballe.
La mew mew ci entrò subito, rassicurata. Odiava i bambini, li faceva sempre piangere con lo sguardo...
Trovò una panchina di legno piuttosto promettente, e depositò tutti i sacchetti con un sospiro di sollievo. Si sedette, respirando il buon profumo di erba umida, di acqua zampillante nella fontana di pietra levigata che stava davanti a lei, della terra fresca... da quando aveva il DNA animalisco inserito nel suo, poteva percepire i suoni molto meglio, ma anche un po' gli odori.
In quell' istante si sentiva un po' meglio: immersa nella natura e nella quiete della solitudine, poteva sentire un po' di quel fuoco riscaldarle un' angolino recondito del cuore. Nessuno poteva rovinarle quel momento...
«Kanzou, sei in ritardo. Devi andare al Caffé» squittì Mash dall' interno della tasca dei blue jeans, puntuale come una sveglia, rovinando tutto come al solito. E' la legge del rompiballe: quando per un attimo riesci a trovare la pace, ecco che arriva l' idiota di turno a distruggere l' idillio.
«Ormai sono già in ritardo, se arrivo ulteriori minuti dopo non ci sarà differenza» rispose monocorde, ad occhi chiusi. Non aveva proprio voglia di andare a lavorare.
Quel posto, quello strano posto, la faceva sempre sentire colma di responsabilità. Era diventata una specie di eroina per un mondo che non si sentiva nemmeno in dovere di proteggere? Le altre prendevano la cosa con troppa leggerezza.
Chukonen era simpaticissima e molto buffa, ma decisamente superficiale.
Kurumi Sheru ancora non l' aveva ben inquadrata, ma sembrava molto lunatica e contradditoria: a volte era molto allegra e sorridente, altre volte era scorbutica e misteriosa.
E Satou capiva l' importanza della loro squadra, ma lei era convinta di stare dalla parte del bene: difendere la Terra ed i terrestri ad ogni costo.
Kanzou non sapeva perché Kisshu era deciso a conquistare il loro pianeta, sapeva solo che agiva per ordine di un misterioso Deep Blue. Ma cosa volevano loro due? Cosa volevano dal loro mondo? Distruggere l' umanità? Non sarebbe stato male, gli umani avevano rovinato la natura, l' essenza primaria dell' esistenza della Terra, avevano distrutto l' equilibrio perfetto dell' ecosistema.
Ma gli alieni allora che cosa desideravano? Non capiva.
E non capiva come tutto quello fosse possibile. Alieni... sembrava di vivere in un sogno. Magari era caduta in coma e la sua completa vita era un ricordo della sua vera vita passata? Che stesse rivivendo un sogno di un coma?
«TAKASHIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!! VIENI IMMEDIATAMENTE QUA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!». Uno strillo acutissimo perforò le delicate orecchie della mew mew, che se le tappò subito con i palmi delle mani. Non voleva che le esplodessero i timpani.
La ragazza cercò con lo sguardo la causa di quel frastuono, e notò una giovane bassa,pienotta e decisamente formosa correre con le sue gambe corte dietro a un bambinetto di quattro o cinque anni biondo che rideva di gusto, tenendo in mano un cellulare.
«OTOTOOOOOOO!!!!!!!!!!» gridò nuovamente la ragazza, e poco mancava che le uscisse il fumo dalle narici.
Il moccioso continuava a correre e a ridere e Kanzō notò con dispiacere che stava venendo verso la sua direzione.
«EHI TU, PER FAVORE, BLOCCA QUELLA PESTE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!» aggiunse, rivolta a una scocciata pipistrellina. Non era venuta nel parco con la sicurezza che non ci fossero bocchioni?! Con un sospiro, afferrò il colletto della camicetta del bimbo che stava sfrecciando davanti a lei, sicura di prenderlo. Oramai aveva sviluppato riflessi acutissimi.
La tipa arrivò ansimante dai due, sudata e con sguardo fermo. Aveva occhi azzurro chiaro, non troppo acceso, dello stesso colore di un ruscello in primavera, grandi e limpidi.
«Questo è tuo» commentò la mora, accennando al piccoletto che si dimenava e si lagnava in mano sua.
«Oooooollà, grazie mille!» ringraziò la ragazza, tenendo saldamente per mano il fratellino. Sembrava una mamma versione mignon.
«Figurati, per così poco... solo che dovresti tenerlo al guinzaglio...»
«No!!!!!!!!!!!!» protestò il bocchietto, impaurito.
«Takashi, se continui così te lo metterò sul serio. E ora dobbiamo andare a prendere Uminami da scuola... comunque, arigatō... ehm...?»
«Kanzou. Kanzou Jundo» si presentò, tendendo una mano pallida con lo smalto verde scuro.
«Arigatō, Jundo-san! Resterei qui volentieri, ma devo proprio andare! Sayonara!»
«Ehmmm, Sayonara.... sorella di Takashi...?»
«ooooooooooops non mi sono nemmeno presentata!!!!!!!! Mi chiamo Shikimi, Shikimi Sanshou...»

***


E ora PUFF... immaginatevi in un mondo giunto alla fine, vuoto e inquietantemente oscuro. Tutto è di uno strano colore azzurro-verdastro, e nella nebbia celeste le figure non si distinguono benissimo.
Si può intravedere solo una forte luce bianca avvolta in una bolla d' energia, luminosa ed arcana, capace di parlare. «Kisshu? Mi senti, Kisshu?». La voce era chiara e nobile, ma flebile, debole. Desiderava che il suo servitore apparisse davanti a sé, sentiva l' urgenza di interrogarlo.
Qualcosa comparve da una superficie che potrei approssimativamente chiamare "suolo", simile a una stesa d' acqua di un verde quasi nero. Una testa sbucava lentamente, per poi apparire con il resto del corpo, accovacciato in posizione di inchino davanti all' algido luccicchio parlante. «Sì. Eccomi».
«Come procede l' esperimento di fusione tra un essere umano e un Chimero? Hai novità?»
«Sì...» cominciò a raccontare il ragazzo, mettendosi in piedi, lo sguardo dritto verso di sé. Non poteva guardare direttamente il bagliore, perché si sarebbe accecato, ma era stufo di inginocchiarsi davanti alla voce. Forse era spudorato ad alzarsi di fronte al suo superiore, ma era arrogante e presuntuoso. «Sì. Ho studiato le battaglie dei prototipi e li ho confrontati con gli esperimenti conclusi sulla Terra. Ci sono ancora cosette da perfezionare, ma sono sicuro che i problemi verranno risolti nel migliore dei modi...»
«Molto bene»
«Il punto è che devo trovare presto un soggetto con i giusti recquisiti, per sottoporlo alla fusione. Vedrai che le nostre nemiche smetterrano per sempre di darci fastidio» concluse, e assotigliò lo sguardo all' ultima frase, la mente impregnata dalle fugaci immagini delle quattro pericolose umane.

***


Satou era sempre più rancorosa nei confronti di Shirogane. Non riusciva veramente più a sopportare la sua superbia, la sua freddezza e la sua scontrosità, e davvero non riusciva a trovargli un pregio che sia uno.
In quell' istante era appunto uscita dal Caffé per una sua commissione: andare a cercare Kanzou, che era decisamente in ritardo. Di solito avvisava con un messaggio, quando aveva un contrattempo, e quello stupido biondo era preoccupato.
Ma andiamo, cosa c'era da preoccuparsi? Capita a tutti di non aver tempo per avvertire, o semplicemente non aveva voglia di venire. Era normale.
Ma lui no, Ryou temeva che fosse successo qualcosa, alieni o nemici vari. Stava diventando leggermente paranoico.
La ragazza stava camminando da un' ora, restando comunque sempre nel quartiere del Caffè Mew Mew, ma non aveva trovato nessuna Jundo in giro per le strade. Ed era ovvio, Tokyo era troppo grande per poter trovare una persona così per caso!
"Dannato Shirogane, odioso Shirogane, maledetto Shirogane... un giorno gli tirerò un bel cazzotto, sul serio lo dovrò fare... uuh che soddisfazione poter prendere una clava chiodata e tirargliela addosso! Ucciderlo con le mie mani, lentamente... aaaaaaah..." pensò, gustandosi la scena del ragazzo sanguinante privo di sensi a terra, con un' immagine di sé stessa al suo fianco sorridente, le dita rosse...
"Ma quella... che sia lei??" si accorse, intravedendo una cascata di capelli neri camminare con un sacco di sacchetti della spesa in mano. «JUNDOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!» strillò la bruna, cominciando a correrle incontro.
L' altra si girò, rivelando un volto fermo e impassibile. Era il viso indifferente di Kanzou, che subito aggrottò le sopracciglia quando vide la mew mew dirigersi di corsa nella sua direzione. «Konnichiwa,Kona! Che ci fai qui?» chiese, fermandosi e appoggiando con massima delicatezza le buste per terra.
«Oh, meno male ti ho trovata.. ti stavo cercando!» ansimò, riprendendo fiato.
«Ah... e perchè?»
«Beh, non arrivavi e Shirogane mi ha detto di venire a cercarti...» spiegò, la voce acida e scettica.
«Ah, è evidente che la mia presenza al caffè è indispensabile e si è fatto prendere dal panico non vedendomi arrivare credendo sia stata a perdere tempo con Kisshu!» intuì la mew mew ironica, riprendendo in mano le compere e riprendendo il cammino.
Nessuna delle due aveva la minima voglia di tornare al locale, così dopo aver depositato le borse della spesa a casa le due decisero di farsi una passeggiata fregandosene altamente dei loro impegni cameriereschi.
«Dimmi una cosa... si può sapere cos' hai fatto in tutto questo tempo?» domandò Satou curiosa, dando un morso alla crêpe alla nutella che aveva appena comprato in un eccesso di golosità.
«Beh, ho fatto la spesa per i miei vecchi, sono andata ai giardini pubblici per rilassarmi un po' e poi ho avuto un contrattempo» raccontò la pipistrellina, prendendo esempio dall' amica addentando la sua crêpe alla marmellata di mirtilli (neri,logicamente).
«Che genere di imprevisto?»
«C' era una ragazza che mi ha attaccato bottone e non riuscivo a liberarmene! Sapessi che fatica! Ho dovuto anche presentarmi.. lei si chiama Shikimi, mmm, e qualcosa.. shanjihao?»
Satou mandò giù un' altro delizioso boccone, concentrata, prima di rispondere:«Uhm, allora forse so chi è! Per caso è una ragazza bassa, con i capelli biondo scuro e gli occhi blu?».
«Cosa?! E tu come fai a saperlo?? Per caso la conosci?» chiese Kanzou stupita, fissando intensamente l' orsetta con i suoi occhi verde-giallastro.
«Sakuranbo mi ha presentato una sua amica che si chiama Shikimi Sanshou molto vivace e chiacchierona,che frequenta una scuola da queste parti e ho pensato potesse essere lei» spiegò pazientemente, prendendo con la mano libera il cellulare dalla tasca dei jeans verdi.
"Dove sei????!!!!! Mi accolli tutto il lavoro, sottorazza di infame orsaccio bianco??!!! >.<" lesse la ragazza, con un sorrisetto.
«Chi è?» domandò Jundo, lanciando un' occhiata allo schermo del cellulare per provare a leggere da sola.
«Si parla del diavolo.. questa è Chukonen infuriata perché, a quanto pare, è stata costretta a lavorare! Dovremmo scappare più spesso,noi due!»le disse, sogghignando soddisfatta. Sarebbe proprio stato interessante far sgobbare la bionda, dato che di solito non alzava mai un dito.
«Nooooooo, non ci credo... lei che si impegna?? Mi piacerebbe vederla mentre finalmente fa qualcosa, ma non possiamo tornare proprio ora, o scaricherebbe tutto a noi» rimuginò l' altra pensierosa, un ghigno sulle labbra.
Satou rispose con un sorriso, ma non disse nulla e continuò a mangiare. Si stava raffreddando.

***


«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!».
Un grido acuto squarciò lo strano silenzio di un vicolo diffamato della città, e subito una donna si accasciò per terra, i capelli castano-mielato lunghi sparpagliati disordinatamente sul viso.
Era distesa su un fianco, un braccio poggiato sull' asfalto e un altro sul petto, immobile e con la pelle più che bianca, azzurra.
Non respirava, non si muoveva. Sembrava un gelido manichino scaraventato per terra.
In piedi vicino a lei c' era un ragazzo pallido e magro, che osservava qualcosa che aveva in mano,che brillava fiocamente nel buio della sera. Quel qualcosa esplose, schizzando scintille rosa ovunque. «Non era quello che desideravo» mugugnò il ragazzo con una smorfia, chiudendo la mano con un sonoro sospiro insoddisfatto. «Devo creare un Chimero potete, quindi devo trovare una forza vitale potente e luminosa!» si lamentò, corrucciato, rigettando una curiosa croce ansata fuxia addosso all' umana stesa per terra.
Senza aggiungere una parola, si sollevò dalla strada fluttuando nell' aria, pensieroso. Guardò l' umana per un po', e dopo, senza dire niente, schizzò velocissimo più in alto, scomparendo nella notte.

***


Shikimi aveva finito tutte le commissioni: aveva preso Takashi dall' asilo e Uminami dalle elementari, li aveva portati a casa, gli era stata dietro e si era messa a fare i compiti.
Dopodiché, si era staziata un po' al computer per giocare in un sito online e poi era andata a ritirare il pacco "sorellina" dalla palestra di ginnastica artistica, l' aveva accompagnata a casa, lasciò i piccoletti in mano al fratello maggiore ed era uscita.
Prima di aprire la porta di casa, però, era sgaiattolata in camera per prendere di nascosto un pacchetto di sigarette e l' accendino nero con la figura di un bacio rosso fuoco: all' insaputa di tutti, aveva ricominciato a fumare.
Per tutta l' estate si era imposta di non toccare più del tabacco, ma ora era iniziato il liceo e aveva bisogno di quel poco benessere che la nicotina è in grado di dare. A scuola non conosceva nessuno e non studiava praticamente mai, i voti si stavano abbassando e ora doveva recuperare tutto per non essere trasferita nella seconda classe.
In quel momento Shikimi era tornata nel parco vicino a casa, e si era comodamente appollaiata su un masso che dava sul piccolo lago artificiale.
Sfilò una sigaretta dal pacchetto e la accese col suo personalissimo accendino. Se la portò alle labbra e prese una lunga boccata, mentre guardava la superficie d' acqua immobile. C' era solo un filo di vento, non abbastanza forte da far increspare le onde.
Con la mano libera, rimise nella micro-borsetta il pacco delle Black Stones e l' accendino col bacio, sospirando sonoramente.
«Ciao», la salutò qualcuno, con una voce vivace e leggermente sarcastica.
La ragazza guardò in giù dal suo enorme masso, alla ricerca di un ragazzo sulla riva del lago, ma non lo trovò per terra, bensì svolazzante a pochi metri di distanza. Spalancò la bocca, e la cicca cadde nell' acqua senza fare il minimo rumore.
«E tu chi sei?» chiese, incredula, osservando sbalordita le orecchie da elfo e soprattutto i piedi che restavano poggiati nel nulla. Come diamine poteva volare? Lo fissò per un tempo che parve interminabile. Stava fumando una sigaretta, oppure dei funghi allucinogeni????
«Vuoi davvero sapere chi sono? Beh mia cara, non ha importanza... va bene se ti dicessi che sono il tuo angelo custode?» rispose la creatura con un ghigno, da cui spuntarono i canini affilati.
«Pffff, un angelo con quella faccia!?!? E comunque, io credo solo nel Grande Demone Celeste. Hai sbagliato identità» commentò Shikimi ironica, ma leggermente impaurita. Sul serio, cos' era quella persona?! Da com' era conciato sembrava un cosplay, ma un cosplayer volante non l' aveva mai visto...
«Non sei affatto gentile, e dire che ti stavo per concedere un grandissimo onore...» disse lui alzando le spalle, spostandosi nell' aria intorno alla ragazza che lo guardava curiosa. Notò gli occhi gialli da serpente spavaldi e sbruffoni.
«Cioè?» chiese, non riuscendo a trattenersi. Quell' essere strano e disumano la interessava parecchio. Chissà se qualcuno le avrebbe creduto, se avesse raccontato di averlo incontrato...
«Fidati di me: ho bisogno del tuo aiuto» sussurrò, e dalla mano bianca scaturì una luce abbagliante, misteriosa quanto inquietante...
La luce si diramò in diversi cerchi che rotearono tutto intorno al corpo della ragazza, che si mise a strillare con la sua vocina acuta, terrorizzata.
Cosa diamine stava facendo? Cosa voleva da lei? Cosa stava per accadere adesso?Chiuse gli occhi; non voleva vedere cosa sarebbe successo.
«KISSHU!!!!!!!» strillò una voce familiare, arrabbiata quanto stupita e spaventata.
Shikimi riaprì gli occhi, cercando con lo sguardo la ragazza che aveva parlato: non era altri che Sakuranbo, la sua migliore amica, che a quanto pareva conosceva la misteriosa e malvagia creatura, che girò il volto per fissarla, senza però mollare la presa virtuale dalla poveretta.
Di fianco a lei c' era una faccia nota... era la ragazza che aveva incontrato verso le due di pomeriggio, quella che aveva pigliato con prontezza Takashi.
«Non ti avvicinare,non sono affari che ti riguardano» le rispose lui scocciato. La vittima si sentiva sempre più debole, era certa che stava per svenire da un momento all' altro.
«Non ci riguardano?!?! Ma sei scemo?!?! Forza Chukonen, trasformiamoci» affermò la mora, prendendo in mano un oggetto dorato che Shikimi non riconobbe. Trasformiamoci? Cosa intedeva dire?!
«Ok! Mew Sakuranbo Metamorphosis!» urlò l' amica, dando un bacetto a qualcosa. Subito venne circondata da una forte luce rossa, che abbagliava gli occhi, e dopo qualche secondo la barriera bordeaux sfumò nell' aria, facendo apparire una ragazza dai capelli rosso amaranto, gli occhi cremisi, vestiti in tinta ed anormali orecchie arancioni a strisce nere, come quelle delle tigri. Aveva anche una coda in stile felino.
"Quella non può essere Sakuranbo!" pensò la ragazza, sforzandosi di restare in forze. Non riusciva a credere a ciò che stava vedendo.
All' improvviso però, sentì una fitta fortissima al cuore. Era dolore, puro e semplice dolore, nient' altro. Tutto divenne buio, tutto divenne freddo...
Provò a strillare, ma non uscì che un flebile lamento soffocato. Perché Sakuranbo non veniva ad aiutarla? E nemmeno.. come si chiamava? Jundo?
«E' davvero perfetta! La sua forza vitale è la migliore che abbia visto fin ora... Molto bene!» sussurrò, deliziato, il tizio.
«LASCIALA ANDARE!!!», gridò l' altra ragazza, e Shikimi si sforzò di aprire gli occhi per guardarla. Portava un abito lungo fino alle caviglie nero, molto gotico, e in testa aveva un paio di orecchie da pipistrello, e le ali sulla schiena comprese. In mano teneva una falce grigio scuro, brandendola con sicurezza. Dalla lama uscirono una specie di boomerang di luce che si scagliarono sul ragazzo dai capelli verdi, che preso alla sprovvista riabbassò il braccio per proteggersi come poteva.
La ragazza, libera dalla morsa del nemico, cadde a terra, la sfera di luce che prima fluttuava fuori di lei tornò immediatamente al suo posto, dritta dritta nel cuore. Si sentiva diecimila volte meglio ora, non sentiva nessun postumo di dolore. Era sana come poco prima, quando fumava sul masso di pietra scura.
«Cosa credevi di fare alla mia migliore amica,eh?? Preparati, perché adesso farai i conti con me!!» strillò la tigrotta determinata, parandosi davanti a Shikimi che la guardava a bocca aperta.
L' altra tipa invece scosse la testa rassegnata, scoccandole un' occhiata esasperata. «Chukonen, non è il caso, il massimo che potresti fargli e tirargli il Tonfa in testa... Me ne occupo io» la corresse, facendo roteare l' ascia che teneva in mano. Si diresse verso il ragazzo, che le sorrise ironico. «A quanto pare non riesci proprio a stare lontano da me, principessa?» chiese, fingendo di essere lusingato.
Dai lo ammirò per un nanosecondo: doveva avere proprio un bel coraggio per sfidare una donna arrabbiata armata di falce.
«NON PER IL MOTIVO CHE PENSI TU!!!» s' indignò stringendo più saldamente il manico.
«Oh, non importa, l' importante è che continui a farlo...» rispose evasivo, per poi fissare Sakuranbo seduta per terra vicino a Shikimi, che chiacchieravano come se nulla fosse. «Ehi hachimitsu! Sappi che è sempre un piacere vederti, ma è meglio che rimaniamo amici, se non ti spiace! Com'è quel vostro detto? Gli uomini preferiscono le bionde, ma sposano le more!» le disse sorridendo, facendole un' occhiolino ammiccante.
Shikimi, anche se sapeva di essere in una situazione pericolosa, non resistette dallo scoppiare dal ridere. Non poteva trattenersi alla vista dell' espressione disgustata dell' amica bionda, ehm scusate forza dell' abitudine, rossa!
Si rese conto che se prima non avesse cercato di ucciderla, gli sarebbe davvero andato a genio. Però... il piccolissimo dettaglio era che, a quanto pareva, lui stesse cercando di far fuori tutte.
«Figurati se mi dispiace!!! ESCI DALLA MIA VITA, SCIO'!!!!!!!!!!» gli urlò dietro Sakuranbo, alzandosi in piedi e guardandolo minacciosa.
«Aspetta carina, prima devi farmi un favore... allontanati dalla ragazza. Ho bisogno di lei per i miei Chimeri»
«NO! SEI MATTO?!?!»
«D' accordo bambolina,come preferisci. Vorrà dire che farò da solo!» e così dicendo, schizzò volando nella direzione delle due.
La tigrotta afferrò il polso dell' amica, e cominciò a correre a una velocità da tedoforo.
«Ehi Sakuranbo, hai fatto palestra ultimamente?» domandò Shikimi sarcastica, cercando di tenere i ritmi dell' altra ma senza troppo successo.
«Stai zitta che non è il momento di scherzare! Abbiamo un alieno pazzo alle calcagna!!».
Shikimi, mentre correva col fiatone, pensò a molte cose. Quelle due erano una specie di Saylor Moon animali, e una di queste altri non era che Sakuranbo, che nonostante la insultasse sempre e diceva in continuazione che era solo un peso, ora stava combattendo per salvarle la vita da un alieno. Wow.
«Kisshu, fermo dove sei e affrontami!!» s' intromise la pipistrella, parandosi davanti al ragazzo con velocità. Lui si bloccò immediatamente, rischiando di farsi tagliare a metà dalla lama appuntita della ragazza.
«Piccola, non è il momento di giocare adesso» sibilò quello che si chiamava Kisshu smaterializzandosi lontano da lei, stranamente serio.
Ma il battibecco fu interrotto da un:«Ribbon Kurumi Maze!» di una voce solenne, e Shikimi si girò a guardare la sua posseditrice.
Era una ragazza vestita con una specie di tuta da surf senza maniche bronzea (avete presente il vestito di Purin? Più meno così, solo che è aderente e la parte superiore fatta come un corpetto), e aveva una coda lunga e orecchie tonde piccole piccole in testa.
In mano aveva un bastone con un cerchio in alto, e da quel cerchio si formavano tantissime bolle che sfrecciarono nella direzione dell' alieno.
Sakuranbo finalmente smise di correre, rassicurata dal fatto che ora c' erano altre ragazze a distrarre Kisshu.
«Mi spiegheresti cosa sta succedendo?!?!» domandò alla fine, ansimando, paralizzando la rossa con i suoi occhioni azzurri.
La tigrotta l' ignora, tirando un sospiro di sollievo:«Meno male, sono arrivate le altre!!»
Kisshu svolazzava a mezz' aria, fermo immobile, controllando la scena dall' alto, guardingo. Sarebbe stato molto più difficile ora, cercare di appropiarsi della piccoletta con tutte le mew mew presenti. «Non manca nessuno all' appello... E va bene, vorrà dire che invece di usare l' Ankh della ragazza mi toccherà fonderne un' altro...» proclamò, facendo comparire dal nulla una medusina luccicante di verde e una palla di luce azzurra.
Il parassita inglobò la sfera, e tutto il parco venne immerso da un celeste così abbagliante da essere costretti a chiudere gli occhi...
E poi, tutto svanì in un secondo, ed ecco un orribile mostro dalle forme di una donna ma con la pelle verde a squame, gli occhi gialli e due fessure al posto del naso. Era un digustoso miscuglio tra un ramarro e una persona.
In mano teneva due maracas, e i suoi indumenti erano simili a quelli utilizzati per la danza del ventre. Una visione orrenda.
«Oddio... che animale è quello?!?!» domandò una ragazza vestita tutta di bianco, con una coda a batuffolo e un cappellino peloso in testa.
«Non so... una lucertola? Un rettile sicuramente, ma non saprei dirti con certezza quale...» rispose quella con il bastoncino per le bolle.
«Smettetela e mettiamoci al lavoro, c'è un Chimero da annientare. Chukonen, sta dietro alla tua amica!» decisa molto intelligentemente la nera, affiancata da quella bruna e da quella candida.
«Ouuuuuuu!!! Scusatemi, ma io non ho mai imparato ad usare la mia arma, è un' ingiustizia, dovete lasciarmi esercitare!!! Non voglio essere l' idiota di turno!» si oppose Sakuranbo con vigore, gli occhi rossi sicchiusi, minacciosi.
«Da quel che ho capito, tu sei l' idiota di turno... e ora necessiterei di una spiegazione!!!!!!!!» s' intromise Shikimi arrabbiata, stufa di essere ignorata. Voleva capirci qualcosa di tutta questa storia.
La rossa sospirò sonoramente, e decise di accontentare la sua migliore amica: doveva raccontarle tutta la storia.
Mentre Mew Sakuranbo iniziava a spiegarle tutto, le altre tre si accanivano sul Chimero, pronte a ridurlo in poltiglia.
Purtroppo però, quello lanciava raggi laser dalle maracas, e loro dovevano schivarle con agilità, ma non potendo far altro che concentrarsi sulla difesa, non riuscivano ad attaccarlo. Erano in difficoltà, avevano bisogno che qualcuno lo distrasse per far sì che potessero aggredirlo...
«Una mew mew! Una mew mew!» trillò nel bel mezzo della battaglia una vocina acutissima, molto lineare e robotica.
La rossa s' interruppe dalla sua spiegazione per guardare un pupazzetto peloso rosa a forma di cuore con le orecchie, la coda e le alucce fuxia.
«E quello cos'è?!» esclamò Shikimi stupita, indicando il coso svolazzante.
«Questo è Mash... che come al solito si sta sbagliando!» rispose la tigrotta, aspra.
«Non mi sbaglio!! E te lo dimostrerò!» ribadì il piccolino, dirigendosi verso la ragazza tutta incuriosita, che lo guardava con occhioni celesti estasiati.
Dalla bocca di Mash uscì una capsula dorata con un ghirigoro a forma di cuore circa, che Shikimi afferrò con le mani unite a ciotola. Era uguale a quello che Sakuranbo portava al collo...
«Uooooo! Vuol dire che sono una Saylor Moon anch'io?!?!» chiese, tutta eccitata, mentre lanciava occhiate alle altre tre guerriere che combattevano senza però combinare nulla di buono, perché il mostriciattolo le disarmava sul più bello.
«Ma se ti ho appena spiegato che siamo mew mew!!!» si agitò l' amica irritata, guardando con aria di sfida Mash.
«Si vabbè ma tanto quello che fate è praticamente lo stesso no?? Vediamo... qual' è la formuletta magica per la trasformazione?» domandò, rigirandosi il ciondolo da una mano all' altra.
«Qualcosa del tipo Mew Shikimi Metarphosis... e vediamo se ci riesci!!»
«Mew Shikimi Metamorphisis!» enunciò, ed ecco che un fascio di luce indaco la coprì tutto intorno al corpo, e sentì che gli abiti si stavano cambiando: la maglietta verde scuro si rimpicciolì sempre più, fino a diventare uno spesso top azzurro allacciato a X dietro; i jeans tramutarono in una gonnellina in tinta con il reggiseno, e i capelli si colorarono di un intenso celeste. Le orecchie se le sentì cambiare, allungare, e qualcosa se le era apparso in fondo alla schiena.
Alla fine, la luce scomparve, e così apparve Mew Shikimi, incredula che tutto quello fosse capitato prorpio a lei.
«Oh no... proprio in un DANNATISSIMO CONIGLIO DOVEVI TRASFORMARTI???!!!» urlò mew Sakuranbo disgustata: lei, da sempre, odiava i roditori. Tutti i roditori, belli o brutti che fossero. Aveva pianificato mille volte di uccidere il porcellino d' India di Shikimi, e ora si ritrovava la migliore amica con due orecchie e una coda da coniglio.
«Uuuuuh che figata!! Posso immischiarmi nella rissa, adesso?» chiese, gli occhi che brillavano.
«Non sai come far apparire l' arma!»
«Giustoooo!! Cosa devo fare??»
«Questo lo puoi sapere solo tu. Ognuna ha una propria frase personale, e tu devi scoprire qual è».
«Ah la solita cosa del "segui il tuo cuore"? Che banale! E' uguale in tutti gli anime...»
«Peccato che non siamo in un fumetto, miss Otaku...»
«Devi ammettere però che sembra di sì! Bene bene, vediamo cosa mi dice l' anima...». Mew Shikimi chiuse gli occhi, concentrata, toccandosi il ciondolo con la punta delle dita. «Ribbon Shikimi Coin!» disse, ed ecco che dal nulla si materializzò una fionda indaco tutta elaborata, che la mew mew afferrò con perplessità. Lei aveva una mira peggiore di quella di una gru ubriaca.
«Ma perché tutti hanno un' arma figa tranne me?! ç__ç» si lamentò la rossa, guardando truce il robottino rosa, come se fosse colpa sua.
«Io mi immetto nella mischia!! A dopo, Saku-nyan!» esclamò baldanzosa, tirando per bene l' elastico della fionda, su cui apparve magicamente un tappo della forma di quelli di sughero, ma dalla consistenza di amianto. Mollò la presa, che finì dritta dritta nel giallo occhio destro del Chimero, che presa dal dolore lasciò cadere le maracas, portandosi le mani squamose sul viso.
Le altre tre non persero tempo: la mew mew nera lanciò i suoi triangoli di luce, accompagnati dalle bolle velenose di quella bronzea, e insieme crearono un tornado che avvolse completamente la creatura, disintegrandola.
Mash inghiottì una specie di medusa uscita fuori dal cosidetto "chimero", mentre Jundo raccoglieva una strana croce di cristallo sputata fuori dalla medusina.
«Interessante... le mew mew hanno una forza vitale più luminosa degli altri umani, a quanto pare. Beh, avete avuto fortuna ragazze, ero sicuro che il Chimero vi avrebbe polverizzate. Peccato, sarà per la prossima volta!» commentò l' alieno, infastidito, e sparì senza aspettare risposta.
«Mash, ce la fai a riportare l' Ankh alla legittima proprietaria?» domandò la pipistrella al pupazzetto, porgendoglielo.
«Certo, non c'è problema!» rispose, e lo prese con la coda, cominciando a svolazzare nel cielo arancione del tramonto, fino a diventare un lontano puntino rosa...
«Grazie, Sanshou-san. Senza di te sarebbe stato proprio un bel problema» ringraziò l' orsetta con gentilezza, riconoscente.
«Eh? E tu come fai a sapere come mi chiamo??»
«Non mi hai riconosciuto? Ci ha presentato Chukonen! Sono Satou Kona!»
«Ah seriamente?? Davvero non ce l' avrei mai fatta se non me l' avessi detto... Beh, Jundo la riconosco, ma tu... ehm... non so chi tu sia» affermò Shikimi, fissando la ragazza vestita di marrone negli occhi color nocciola. No, non aveva idea di chi fosse.
«Kurumi Sheru! Benvenuta nella squadra!».
E mentre le quattro chiacchiervano allegramente, Sakuranbo se ne stava in disparte, sperando che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Ma tutte erano troppo prese a parlare per notarla.
«Fantastico, un altro Chimero distrutto senza la mia partecipazione! Perché io non posso essere utile come le altre? Cosa sono, il giullare di corte?».
Purtroppo però, con le sue lunghe orecchie, la mew mew indaco aveva sentito benissimo le sue parole, e con un sorrisone le rispose:«Ma dai stupida, devi rassegnarti! Negli anime c'è sempre il componente disastroso, inutile ma divertente! E quella, mia cara, sei tu!».
Perciò, alla fine della giornata, ogni mew mew intraprese la sua strada verso casa, e nessuna notò un accendino nero con un bacio rosso dimenticato su uno scoglio del lago.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Tennis ***




Sera: le sette e cinque minuti. Orario di chiusura del caffé mew mew.
Le cinque ragazze si stavano cambiando nello spogliatoio dalle loro vesti da cameriera per infilarsi nelle loro rispettive divise scolastiche, con cui arrivavano sempre al locale.
«Santo cielo ho una fame che mi mangerei Sakuranbo intera!» esclamò Shikimi, sistemando il completo azzurro nel suo armadietto, lo stomaco brontolante.
«Perché prendete tutti di mira me???» s' irritò una suscettibile biondina, infilandosi le ballerine blu scuro.
«Facile: ci diverte vederti offendere» rispose Kanzō pragmatica, sistemandosi i capelli in una coda alta con un elastico giallo vivo.
«Ma perché?? Uffa. Siete sadiche, non comprendete la STUPENDOSITA' della sublime Trilla!» esclamò, ravvivandosi la chioma con fare vamp, mostrando una notevole considerazione della sua autostima.
«No, però capiamo la sua STUPIDITA'...»
«Trilla? Che cosa vorrebbe dire "Trilla"??» domandò Kurumi stranita, mentre si puliva le lenti degli occhiali con tranquillità.
«Sai che non lo so? Non so perché ma... boh, mi è venuta quella parola... può essere che in un' altra vita io mi sia chiamata così!» ipotizzò, gli occhioni verdi che brillavano, in preda a fantasie non meglio identificate.
«Oddio che nome del...»
«Un nome decisamente insolito, chissà di che Paese potrebbe essere...»
«Scusatemi, perchè Sakuranbo CHUKONEN non è osceno?!?!»
«Non quanto Satō Kona!»
«e Kurumi SHERU dove lo mettiamo??»
«Abbiamo tutti nomi strani, è vero. Una strana coincidenza; le mew mew hanno i nomi più strani di tutto il Giappone!!» le interruppe la pipistrellina, stufa di tutte quelle lamentele inutili. Se questi erano i loro unici problemi, allora dovevano avere una gran bella vita!
«Mi sa che hai ragione... ehi Jundo, è vero che la tua casa è una villa gigantesca in stile occidentale??» domandò Shikimi, gli occhioni accesi d' interesse vivo.
«Scusa?! E questo chi te l' avrebbe detto??»
«Beh ma è ovvio! Kona-chan, no?»
L' interpellata, improvvisamente, desiderò fortemente di tramutarsi momentaneamente in un attaccapanni. «Beh,ehmmmm, non c'è niente di male no??» domandò, assumendo un' espressione innocente.
«No, ma "villa" è esagerato!!»
«Ehi,posso venire da te per constatarlo di persona?» chiese la coniglietta, sfarfallando le lunghe ciglia nere, mostrando un sorriso a 32 denti (intendevo dire 31, la piccoletta doveva ancora perdere tutti i denti da latte e ora aveva un bel buco al posto del premolare sinistro), cercando di essere persuasiva... per quanto può riuscirci un essere opportunista e diretto come lei!
«Non so, è ora di cena, dovrei chiederlo ai miei...» rimuginò, pensierosa. Quei cavolo di genitori non le avrebbero mai detto "sì,volentieri!", perché avrebbero sostenuto che era troppo tardi per avvisare e bla,bla,bla, le solite lamentele inutili che sicuramente non avrebbe ascoltato.
«Ok perfetto,andiamo!!!!!!!!!!!!» esclamò Shikimi, entusiasta, ronzando attorno alla pipistrellina, saltellando allegramente.
«Ma...»
«...ma un corno! I tuoi genitori non potranno dire di no quando sarò lì, e la cortesia impone che quando un ospite arriva a quest'ora così tarda bisogna invitarlo a cena... quindi è fatta!»
«E va bene Sanshou, spero solo che la tua teoria sia valida!!!!!!!!!!!!!!!!!»

***


Era calata la sera, un manto blu chiaro aveva sostituito il solito velo azzurro del cielo del Giappone, e in una strada tranquilla dei quartieri ricchi di Tokyo risuonavano sonori dei passi moderatamente veloci...
«Io ho acconsentito che tu venissi, Sanshou, ma adesso qualcuno mi spiega che ci fate quianche voi tre!!!!!!!!!!!!!» urlò Kanzō, girandosi a fulminare le imbucate con lo sguardo. I suoi non le avrebbero mai permesso di invitare così tanta gente a cena senza avvisare una settimana in anticipo!
«Beh anche io volevo vedere la famigerata casa Jundo, a questo punto...».«Continuavate a parlarne, ovvio che ci avete incuriosito...».
«E Kona, allora? -.-''»
La bruna sfoggiò un sorrisone da Stregatto, il suo idolo, e le rispose senza esitare:«Non pretendavate mica di abbandonarmi al mio destino,no? E' troppo divertente stare in vostra compagnia, ragazze!».
Le altre annuirono contemporaneamente, così in sincrono che sembrava di essere in uno di quei musical di scarsa qualità dove tutti conoscono la stessa canzone e per pura casualità sono tutti intonatissimi e conoscono addirittura il balletto coreografico senza nemmeno mettersi d' accordo.
"Effettivamente è vero... quando sono con loro, mi riesce più facile accantonare i pensieri deprimenti e svuotarmi la mente per un po'..." rimuginò la mew mew nera, mentre camminava a sguardo basso, pensierosa. Era certamente un' ottima cura essere in compagna di quelle quattro svitate compagne di disgrazia. Ne aveva proprio bisogno.... in classe non conosceva bene nessuno, a parte la sua amica d' infanzia Nana, e si sentiva molto fuori posto lì -nonostante fosse la rappresentante di classe-, mentre stare lì con loro era semplice, naturale.
«Abbiamo avuto moltissima fortuna che i miei sono andati al ristorante mentre quell' idiota di mio fratello è da un suo amico... però cercate di non fare danni, altrimenti vi uccido tutte sul momento» raccontò, in un tono minaccioso.
«Ma sì, ma sì, stai shalla!»
«SHALLA?! DAI, COME HAI OSATO PRONUNCIARE QUELLA PAROLA?!?!»
«Oh Saku-nyan, qual' è la parola che ti irrita? Cerca di stare shalla anche tu, vivi shallamente la sua esistenza shallosa...»
«Brutta sottorazza di topo di fogna, se osi dire un' altra volta "shalla" giuro che...»
«Smettetela, voi due, che siamo arrivate» le interruppe Satō, indicando la grande casa dell' amica.
Tutte si fermarono a guardare -tutte a parte la padrona, che si era diretta alzando gli occhi al cielo ad aprire il cancello elettrico- e rimasero completamente a bocca aperta: sembrava uscita direttamente da Los Angeles.
Bianca, con una vetrata enorme, il tetto nero con pannelli solari, un giardinetto ben curato.... Non sembrava di essere in Giappone, per niente.
«La piantate?! Mi mettete in imbarazzo» si lamentò Kanzō, innervosita. Non le piaceva essere considerata una di quelle riccone che si crogiolano nel lusso...
«E di che ti lamenti? La mia sarà 1/5 della tua...» mormorò ammirata Kurumi, entrando per prima nel vialetto di pietra che portava sulla porta d' entrata, mentre la pipistrellina arrossiva. "Spero che la smettano... ah che brutto passare per la snob di turno!" pensò, aspettando le altre tre prima di chiudere il cancello.
«Ah beh, non è poi così diversa da dove vivo io...» attaccò Sakuranbo, facendo spallucce. Era stata abituata molto bene; era naturale per lei avere un giardinetto, tre piani e un sacco di stanze, a differenza di una moltitudine di gente che abitava in uno squallidissimo appartamento di cinque metri quadri, usato solo per dormire la notte su un tatami pieghevole.
«Si, si bella casa e tutto quanto, ma io HO FAME!!!!!!!!!!!» mugugnò Shikimi, incrociando le braccia sul petto florido, iniziando a scoccare occhiate minacciose alla mew mew nera, come a dire "nutrimi o te ne pentirai".
«Ecco infatti entriamo in cucina,eh?» propose Kanzō, spingendole con una forza sovraumana per tutto il salotto verso la cucina. Chiuse la porta, mentre le quattro si accomodavano sulle seggiole del rettangolare tavolo bianco.
S' infilò un grembiule bianco, annodandoselo in vita, e afferrò un tagliere di legno e un coltello dalla cassettiera, procurandosi poi verdura da affettare a dadini e della lonza di maiale.
«Ehi Jundo, non sapevo che sapessi cucinare!» commentò Satō, interrompendosi dalla sua amichevole chiacchierata con Kurumi.
«Però! La nostra signora Dracula qua, è una ragazza dalle mille risorse! Sa fare proprio tutto!» rispose l' occhialuta, mentre si rigirava tra le dita i fini capelli biondicci. L' osservò attentamente con quei suoi occhi di un colore senza nome tra il grigio, l' azzurro, il giallo e il verde chiaro.
«Non è un cazzo vero...» mugugnò innervosita l' oggetto della discussione, e il coltello le tremò nella mano, tagliando male la carota che stava tritando. Lanciò un' imprecazione, soffocata dalle ciance delle amiche, che si stavano divertendo a torturare Sakuranbo su com' era andato uno dei suei molti appuntamenti con Funsui.
«Ha davvero molto successo, quel ragazzo! Ha una strage di fighette tirate che gli vanno dietro... Un paio di anni fa piaceva pure a me...» confessò Shikimi, lanciando una delle sue occhiate maliziose alla migliore amica, che avvampò immediatamente.
«Non avrai mai uno straccio di possibiltà!» sibilò la bionda, ricambiando con un' occhiataccia feroce.
«Oooooooooh che Sakuranbo s' ingelosisce!! :shifty: Ti piace proprio,vero?» domandò l' orsetta sorridendo comprensiva.
«Ma cosa ci trovano tutte in quel... quel.... messicano lampadato?!?!». Tipico insulto poco ponderato di Kurumi.
«Ouououou non se le fa mica, le lampade! E' così di natura! Credo che abbia qualche nonno o bisnonno italiano, o spagnolo non so...» lo difese Sakuranbo, sola contro tutte.
«AAAAAAAAAAAAH!!!!!! DANNATISSIME CIPOLLE!!!!!!!!!!!» gridò la pipistrellina, facendo paralizzare tutte le mew mew presenti nella stanza.
Tutte la fissarono; sti stava asciugando un fiotto di lacrime con il polso sinistro, per non toccarsi gli occhi con le dita contaminate dalla cipolla.
Le lacrime continuavano a scorrere, e corse al lavandino a lavarsi viso e mani, accompagnata dal coro di risate delle compagne.
«Ah, Kanzō -posso chiamarti così,vero?- tagli troppo vicina al tagliere!! E' ovvio che poi frigni!! Guarda, ti faccio vedere un trucchetto che ho imparato in Bulgaria in uno dei miei tanti viaggi...» s' intromise Shikimi, alzandosi dalla sedia con determinazione.
Prese una cioppa di pane e ne staccò un pezzo, infilandolo sulla punta della lama, che pulì sotto il getto d' acqua fredda del rubinetto.
Il viso lo teneva rigido, ben distante dal tavolo dove preparava il cibo a dadini. Era molto più veloce e precisa dell' amica, e soprattutto non le vennero nemmeno gli occhi lucidi.
«Sanshou-chan, sei formidabile! Dove hai fatto tutta questa pratica?» chiese Kanzō, avvicinandosi al bancone da cucina, notando improvvisamente un' incredibile somiglianza tra la piccola cuoca e Cooking Mama.
«A casa mia, sfamando i miei fratelli quando i vecchi sono via o in ritardo da lavoro» spiegò, smettendo di tagliuzzare. Porse il coltello alla ragazza, e andò a lavarsi le manine graziose.
Kanzō lo prese, e sistemando meglio il pezzo di pane, ricominciò il suo lavoro, anche se pensava seriamente di mollare tutto in mano a Shikimi e far cucinare lei...
La coniglietta si riaccomodò alla sedia, facendo oscillare i capelli mossi, per poi scoccare uno sguardo provocatorio a Sakuranbo: «Stavamo dicendo... quand' è che uscite nuovamente, tu e Itsuki-san? Posso spiarvi di nascosto??» chiese, con uno dei suoi più riusciti ghigni maliziosi.
E in mezzo alle risate generali per la furiosa reazione della scocciatissima biondina, la nostra mew mew nera non riuscì a trattenere un sorrisetto. Strano, ma... per una volta... si sentiva a suo agio.
Criiiiiiiic! Criiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiic! Criiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiic!!
Le quattro pettegole sobbalzarono, spaventate da quel misterioso scricchiolio: «Cos' è?!?!». «Chi va là?!?!». «Mostrati, creatura della notte!!!». «Aaaaaaaaaaaaah, è entrato un assassino!!!».
Kanzō alzò lo sguardo dalla pentola sul fuoco, in mano un mestolo di legno per rimestare i pomodori e le cipolle sull' olio, e si ritrovò le sue amiche abbracciate l' una all' altra, tremanti.
La pipistrellina guardò fuori dalla porta a vetri che dava sul cortile, ma non vide nessuno. Strano.
«Jundo!!! Fai qualcosa!!» l' implorò Sakuranbo, avvinghiandosi a una preoccupata Satō.
Criiiiiiiiiiic! Criiiiiiiiiiiiiiiiiic! Criiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiic!!
Tutte quante trasalirono, e fu il caos generale: Shikimi si era lanciata sotto il tavolo, coprendosi le orecchie e serrando gli occhi, ripetendo come un rosario: «Non sento niente, non sento niente, non sento niente!», Kurumi aveva afferrato una mannaia, e l' agitava avanti e indietro gridando: «Non ti temo, fatti avanti, chiunque tu sia!!!!!!» , l' orsetta invece strillava abbracciata alla tigrotta, che urlava a sua volta.
La pipistrellina lanciò un' occhiata alla porta, e notò un' ombra ben nota; aprì la bocca per parlare, ma nessuno le diede il tempo di fiatare.
«Sarà l' alieno!!!». «Oppure un Chimero!!!». «O magari entrambi!!!». «Presto, trasformiamoci!!!».
Kanzō non poteva più lasciarsi ignorare in quel modo: salì con un balzo sopra il tavolo, e strillò con tutto il fiato che aveva nei polmoni: «SILENZIOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!».
Tutte tacquero, e finalmente la moretta riuscì a spiegare. «E' solamente il mio cane che graffia il vetro della porta perché vuole entrare!» esclamò, indicando col mestolo Kim che muoveva le zampe freneticamente, implorando asilo.
«Ehm, beh... apriamole, allora!!» trillò Kurumi, un sorrisone colpevole, spalancando la porta.
Subito fu travolta dal dobermann nero, che la schiacciò col suo peso: le leccò tutta la faccia, scodinzolando, per ringraziarla.
La ragazza rise, togliendosi gli occhiali coperti di bava, e cominciò a giocare con la bestiola: «Ma ciau bello! Ma shei bellisshimo! Vuoi giocare eh? Vuoi giocare?» attaccò, iniziando a ruzzolare sul pavimento con la cagna, esaltata da tutto quell' interesse.
«Oh mamma, che infarto!!» ansimò Shikimi, il petto che si alzava e si abbalzava a velocità sorprendente, mentre Satō rideva, per scaricare il nervosismo. Sakuranbo era ancora in guardia: non andava d' accordo con Kim. La spaventava.
«Quanto siete impressionabili...» mormorò la padrona di casa, scendendo dalla tavola e aggiungendo i noodles all' acqua che ribolliva con diversi BLOB. «Forza, andate a lavarvi le mani, che fra poco è pronto».

***


«Un appuntamento?!?!?!». Quella voce profonda e fortemente rabbiosa era di Seiji, il grosso padre di Sakuranbo.
Stava sbraitando, gli occhi spiritati, la braccia incrociate, e la ragazza cercava di non farsi intimorire da quella vena che pulsava sul collo. Non disse nulla, in attesa della sfuriata.
«Niente da fare!!!!! Quel giorno ti dovevo portare a fare una gita!!!!!!! Lascia immediatamente perdere il tizio dell' appuntamento!!!!!!! Tu finché non sei maggiorenne sei sotto la mia custodia, e io non ti permetto di incontrare nessun ragazzo!!!!!!!!!» gridò, la faccia che diventa rossa per la rabbia.
«Neanche per sogno!! IO voglio vivere la MIA vita!!!!» rispose, cercando tutto il suo coraggio sparso in giro per l' anima. Doveva affrontare suo padre una volta per tutte.
«Seiji, smettila!! Allora, dovè che avrai questo fatidico appuntamento con Funsui-san?» s' itromise la madre, curiosissima, fissando con intensità la figliola.
Mr. Chukonen si zittì, fissando truce le donne di casa.
«Al centro commerciale qua vicino...» rispose, indifferente. Non le interessava dov' era, ma sapere che era con lui: era felicissima che l' avesse invitata fuori: stava sbaragliando tutta la concorrenza di gals sovraeccitate con gli ormoni a mille!
«Che bello, mi tornano alla mente tanti ricordi romantici! Anche noi ci davamo appuntamento al centro commerciale!» sospirò, fissando con occhi dolci il marito.
«Eh sì, che bei tempi!» borbottò, ancora rancoroso.
Sakuranbo approfittò dell' occasione per squagliarsela in camera: ora aveva rivelato ai genitori dell' esistenza di Itsuki, e Okasa era dalla sua parte. FUCK YEAH!!!

***


Le nuvole erano rosa, come lo zucchero filato alla fragola, intinte nell' arancione vivo del tramonto.
Kurumi lo stava guardando, persa nella bellezza del mondo in cui viveva.
Lei era una ragazza distratta, sempre pensierosa, e raramente dava importanza alle discussione quotidiane che aveva con i genitori e con le amiche. Preferiva parlare di cose poco concrente, preferiva che si ragionasse profondamente prima di aprire bocca, preferiva vedere il punto di vista degli altri sulle cose. Tutte le cose.
Ultimamente si era dedicata a Kant, e alla sua percezione del bello e del sublime, nel suo "Critica del Giudizio".
Eh sì; a questa strana giovane piacevano i mattoni di libri e la filosofia, amava usare l' intelletto e scervellarsi nelle idee degli autori che aveva affrontato -per scelta, non per obbligo scolastico- e per questo veniva additata come una secchiona; parlava benissimo la sua lingua, utilizzando termini che nessuno conosce, e sapeva benissimo l' inglese grazie ai romanzi e ai trattati acquistati nella sezione in inglese della libreria.
Il cielo era sublime.
«Ehi, domani sera alle 18 nel campo da tennis di Itabashi ho una partita! Vi va di assistere? Sarà palloso probabilmente, però, così, tanto per...» propose la nuova arrivata, Shikimi, buttandola lì come se nulla fosse.
Kurumi si riprese dalle sue fantasticherie per piombare nuovamente nella banalità dei rapporti sociali tra adolescenti, cercando di ascoltare le futili chiacchiere delle altre.
Erano appena uscite dal Caffé, ed erano tutte esauste, perché Keiichiro e Kanzō, che portava una pericolante pila di piatti, si erano accidentalmente scontrati e avevano dovuto pulire tutto prima che Ryou si accorgesse di niente, o avrebbe fatto una di quelle ramanzine che non ti dimentichi più. Aveva dovuto comprare un nuovo set di piatti in ceramica perché Sakuranbo li aveva disrutti tutti, e non aveva intenzione di prenderne ancora.
«Tu?? Che fai una partita?? Ma sei sei più impedita di me!!!!!» esclamò la bionda, acida. Non le aveva ancora perdonato lo sfottimento del giorno prima a casa Jundo.
«Ah, lo facevo pure io tennis un tempo!! Però io vengo volentieri a farti il tifo!» rispose Satō con vigore, mostrandosi entusiasta, probabilmente perché era da un sacco di tempo che non vedeva una racchetta all' azione.
«E allora vengo anch' io, se i miei non mi devono trascinare da qualche parte» affermò la pipistrellina, che non era vestita di nero come al solito, ma indossava una larga e comoda tuta da ginnastica.
«Ma sì, facciamoci una risata...» assentì Chukonen, senza abbandonare il tono freddo.
«Non so cosa ci sia di interessante in due che si passano una pallina gialla, ma credo che verrò!» decise la ragazza-lontra, provando a sembrare molto coinvolta. Era una bravissima attrice.
Peccato che in quel momento Kurumi non stava guardando in alto come prima, o avrebbe visto le fattezze di un ragazzo ormai familiare: Kisshu, che le seguiva con lo sguardo ambrato.
«Attenta, mew Kanzō, perché domani mi divertirò ad attaccare una delle tue amichette» sussurrò, contemplando la figura della sua bella nemica.

***


Nello spogliatoio del campo da tennis del quartiere Itabashi, una nota ragazza si stava infilando il completino bianco da tennis.
Si sfilò le ballerine, e indossò le scarpe adatte, bianche con striscioline azzurre. Dopodiché si legò i capelli in una coda alta.
Shikimi Sanshou era pronta; prese la custodia blu con dentro la racchetta e una bottiglietta d' acqua, casomai avesse avuto sete.
Aprì la porta, diretta verso il campo, quando una voce dell' altoparlante esclamò: "la partita avrà inizio tra pochi minuti, siete pregati di prendere posto!".
La mew mew sospirò. Chi mai sarebbe venuto a vederla, a parte le sue amiche? A chi interessava, come diceva Sheru-chan, in due mediocri atleti che si passano una pallina gialla?
Sicuramente suo padre mancava. Lui mancava sempre, a qualsiasi evento familiare. Non faceva più veramente parte della famiglia da molto,molto, molto tempo.
I suoi genitori stavano proprio per divorziare, la madre aveva addirittura contattato un avvocato, ma all' ultimo minuto avevano cambiato idea, per il bene di Takashi e Uminami.
I due bambini non potevano restare senza padre a soli cinque e sei anni, sarebbe stato un trauma.
Shikimi ormai ci era abituata, sapeva vivere benissimo da sola. Sapeva gestire sé stessa e i suoi fratelli.
Si bloccò un secondo: sicuramente suo fratello maggiore non sarebbe mai venuto. Aveva di meglio da fare, con i suoi amici, con la sua vita. Non poteva sprecare una serata con casa libera andando a subirsi una noiosa partita di tennis della sorellina.
Shifuku invece aveva vent' anni, ed era in Germania al momento, a studiare lì per un anno o due.
Insomma, la sua non era una di quelle famiglie unite e gioiose in stile pubblicità del Mulino Bianco.
A quel punto sbucò l' allenatore, tutto agitato. «Allora, Sanshou-san, come ti senti?? Ti sei esercitata abbastanza?? Sei pronta a stracciare la tua avversaria??» chiese, pieno d' aspettative.
La ragazza inarcò le sopracciglia, sfiduciata. Era da un bel po' che non si allenava seriamente. «Sì,sì, non si preoccupi!» mentì, agitando la mano con fare sicuro.
Il mister sorrise, orgoglioso, e le diede una pacca sulla spalla. «Brava, così si fa! Io vado in campo, vorrei vedere se conosco chi arbitrerà la partita...» rispose, correndo verso la porta d' uscita in fondo al corridoio.
Con un sospiro sonoro, la coniglietta aprì il tappo della bottiglietta di plastica, prendendo una lunga sorsata. Ci voleva proprio.
«Shikimi-chaaaaaaaaaaaan! Siamo quiiiiiiiiiiiiiiiii!!» trillò la voce di Kona, sventolando le braccia.
Girandosi, vide tutte le mew mew correre verso di lei, seguite da una grossa figura indistinta. Quella camminata.... sembrava... Otosan!
Era incredula: che ci fava qui sup padre?? Guardò i volti delle sue amiche: sembravano enormemente soddisfatte, come se fossero appena tornate da una qualche missione ambientalista nell' Africa Nera. Che siano state loro.....?
«Ah, sei venuto anche tu» constatò Shikimi, guardando il viso pacato dell' uomo che si fa chiamare "papà". Non sapeva se esserne contenta oppure no; credeva che facendo il padre per una volta in sedici anni avrebbe perdonato la sua lontananza??
«Porca miseria, siamo arrivate appena in tempo!! Non hai idea dei salti mortali che abbiamo fatto -nel senso letterale del termine- per portartelo qua!» le rinfacciò Sakuranbo, socchiudendo gli occhi verdi, agitando l' indice.
«Veramente, abbiamo dovuto fermare l' auto saltandoci sopra!!» raccontò Kurumi, tutta presa.
«Allora,non sei contenta?» domandò Kanzō, perplessa. Sembrava esperta nel captare le emozioni altrui.
«Non dovevate intromettervi negli affari della mia famiglia...» borbottò la ragazza, a disagio. Non riusciva a guardare negli occhi suo padre. «Otosan, so che sei pieno d' impegni ogni giorno e che non saresti qua se non fosse per le mie amiche, perciò non sentirti obbligato a rimanere. Se vuoi andartene,sei libero di farlo» aggiunse, a voce alta e sicura. Molto più sicura di quanto in realtà pensava.
«Veramente Shikimi, io penso che...» attaccò l' uomo, nervoso, ma non riuscì a completare la frase: «Oh cazzo, un Chimero!!!!» gridò Shikimi, indicandolo.
Tutt si girarono a guardarlo: era una specie di uccellaccio nero con la gonnellina da tennista. Sicuramente era fuoriuscito dall' Ankh della tipa che avrebbe dovuto affrontare in campo.
«E quello che cos'è?» chiese il signor Sanshou, sbalordito. Non aveva mai visto una creatura così orribile in vita sua; sembrava uscita da un film di fantascienza.
Nessuno si preoccupò di dargli una risposta; non ce n' era proprio bisogno, non era il caso di raccontargli di tutto il progetto mew e compagnia bella.
«Come vedi sono nuovamente venuto a trovarti, Kanzō!» affermò la suadente voce beffarda di Kisshu, comparso alle spalle del gruppetto.
L' interpellata si girò, furente: «Ancora tu?!?! Ma la pianti, per favore?!?!?!» urlò, digrignando i denti.
«Proprio io! Ma stavolta non mi sfuggirete!» sogghignò, indicando al Chimero di attaccarle.
«Ma va, è troppo presto perché tu ci uccida! Saremo sì e no all' inizio dell' anime, le protagoniste non possono morire subito, specialmente quando devono ancora arrivare gli ultimi due membri...» le rassicurò la coniglietta, facendo spallucce. Se ne intendeva di queste cose.
«Smettila di dire scemenze e trasformati!» strillò Sakuranbo, parandosi la testa con le braccia; la ragazza-uccello la stava attaccando con quel suo becco affilato, rosso come il, sangue.
La bionda le tirò un calcione, infastidita. «Oooooh là, stupido pennuto!» aggiunse, mentre il Chimero emetteva un verso strano, come offeso.
«La mia hachimitsu ha ragione, cosa aspettate?» domandò l' alieno, apparendo vicino alla sua creatura, per accarezzarle la testa.
Subito il Chimero si riprese, guardando fisso il signor Sanshou; infatti, in un secondo l' uccello spalancò le ali, gettando l' uomo a terra con violenza.
L' animale gracchiò, soddisfatto, cominciando a pavoneggiarsi, ma nessuno perdeva tempo ad ammirare la danza del pennuto: Shikimi si era fiondata su suo padre, che giaceva a terra, svenuto. Era caduto di testa, non aveva fatto in tempo a proteggerla.
Subito si sentì l' aria appesantirsi in un silenzio inquietante, che anche il Chimero non aveva osato spezzare: c' era una certa elettricità nell' aria, carica di tensione.
La ragazza lasciò andare il corpo del padre, alzandosi in piedi. Era incredibile, ma sembrava addirittura minacciosa: con i suoi 154 centimetri di altezza, i sui buchi nella dentatura per via dei denti da latte e con la sua gonnellina da tennista, la mew mew sembrava sprigionare rabbia allo stato puro, facendo paralizzare tutti nel corridoio.
«Kisshu, te la farò pagare. Potrà non essere stato presente, potrà non amare la sua famiglia... ma in fondo... è pur sempre un essere umano» disse, la vocina ferma e dura, come non si era mai sentito uscire dalla sua bocca.
«Mew Shikimi Metamorphosis!» enunciò, sicura. Ormai aveva imparato cosa doveva fare, grazie a tutti quegli anime con le eroine capaci di trasformarsi in mille modi.
Nella luce indaco, ecco comparire le morbide orecchie grigio-azzurre e la coda a batuffolo dello stesso colore, tipico del coniglio blu di Vienna, e il costume celeste vivo.
La trasformazione era come sempre stata eseguita con successo.
Le altre la seguirono a ruota; ecco pronta mew Satō, poi mew Kanzō, mew Sakuranbo ed infine mew Kurumi. Si misero inavvertitamente una di fianco all' altra, in un perfetto schieramento di soldatine.
«Ci starebbe una bella frasetta prima di iniziare la battaglia! Qualcosa come... come... Per il futuro della Terra, saremo a servizio! Nyaaa!» esclamò la tigrotta, facendo un gesto molto puccioso con le mani.
«Ah, kawaiiii! Però non ho intenzione di sprecare così il mio tempo! Fra dieci minuti inizia la mia partita!» ribatté mew Shikimi, serissima.
Il Chimero si muoveva avanti e indietro con agilità, come a invitarla nel combattimento, e continuava a ripetere parole come "Dritto,Rovescio,Volèe!".
La coniglietta l' osservò attentamente, cercando qualche punto debole. Le ali erano da escludere, sicuramente se l' avesse attaccata là si sarebbe fatta male.
Guardò le gambe; rigide, alte e snelle. Di conseguenza, poco stabili.
«Mi è venuta un' idea...» mormorò, sogghignando. «Oh capito qual' è il tuo tallone d' Achille, non hai scampo, baby!» le gridò, fiondandosi con un balzo lepresco nella sua direzione.
Il Chimero spalancò le ali, per sembrare minaccioso, ma la mew mew non puntava lì: con un calcio bel assestato, colpì il ginocchio della ragazza-uccello, facendole perdere l' equilibro. Gracchiò.
Le tirò un altro calcio. E un altro. E un altro ancora.
«Basta!» urlò il Chimero, e le penne nere si staccarono dal corpo, per dirigersi contro Shikimi.
«Aaaaaaaaahhhhhhhhhhhh!» strillò, mentre le piume si conficcavano nella pelle chiara. Sanguinava, le gocce cadevano sul pavimento di piastrelle beige, che profumavano di limone, come il detersivo che una qualche inserviente aveva spalmato la mattina presto.
«Attenta, Sanshou!!» ansimò mew Satō, preoccupata.
«Ci penso io ad aiutarti, tranquilla!!» s' intromise la pipistrellina, pronta ad aiutare la compagna.
«Non provarci!! Devo fare da sola. Questo mostro ha attaccato mio padre!!» rispose la ragazza, scrollandosi di dosso le penne. Non aveva male, no, non aveva male: il rancore era troppo forte per sentire dolore. L' adrenalina le scorreva nelle vene, rendendola resistente a tutto.
«Ribbon Shikimi Coin!» esclamò, ed ecco la fionda tutta fiocchi e ghirigori materializzarsi dal nulla. L' afferrò al volo, prendendo la mira in un attimo.
L' estico schioccò, lasciando il tappo d' amianto schiantarsi sulla coscia del Chimero.
«Ragazze, ora che è distratta, tocca a noi!» decise mew Kanzō istantaneamente, mentre la mew mew celeste si accasciava sul pavimento, sfinita.
«Ribbon Kurumi Maze!», ed ecco mille bolle tossiche avvolgere il pennuto, immobilizzato dal livido sulla coscia.
«Ribbon Sakuranbo Spirit!», ed ecco un pesante tonfa venir lanciato sul cranio della creatura, efficace quanto sgraziato.
«Ok, ora tocca a me! Ribbon Kanzō Fury!»; ed ecco milioni di boomerang di luce mescolarsi con le bolle di Kurumi,creando una patina di luce tutt' attorno al Chimero.
Quando l' accecante bianco sparì, non c' era altro che una croce ansata di cristallo rosso per terra, mentre una ben nota medusina svolazzava nell' aria.
Mash, che non si era mai fatto notare per tutto il tempo, sbucò magicamente dall' angolo del corridoio, ingurgitandosi l' alieno parassita in un sol boccone: «Brave!» trillò, tutto contento, per squargliarsela nuovamente all' improvviso. Il tutto durò nemmeno mezzo minuto.
«Uffa! La prossima volta mi toccherà usare un Chimero più forte... Beh mia bella principessina, ci vediamo!» sussurrò maliziosamente Kisshu, che si era goduto la scena senza però muovere un solo muscolo. Non aveva intenzione di spomparsi per niente.
«Idiota! Vattene via e cerca di non farti mai più vedere!» fece in tempo a incazzarsi la mew mew nera, come sempre irritata da tutti quei lascivi complimenti. Lo odiava con tutto,tutto,tutto il cuore. Ma sapeva che dall' odio nasce l' amore...?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Yuzu ***


Le undici e ventiquattro di sera, quartiere Asakusa.
Una figura informe camminava strascicando i piedi sull' asfalto, passando indifferente in mezzo agli spacciatori che si facevano righe di cocaina con tranquillità, ignorando i rischi e le conseguenze. Di poliziotti,comunque,neanche l' ombra.
Quella figura ciondolava le braccia a ritmo di una famosissima canzone di Bob Marley: three little birds.
«Sayin': this is my message to you, hu, hu! Singin' don't worry, about a thing... 'cause everything gonna be alright!» canticchiava, con la sua voce calda e indiscutibilmente spensierata.
Rumore di bottiglie cadute per terra; suoni graffianti di vetro in frantumi avrebbero fatto sobbalzare chiunque, ma non lei.
«Rise up this morning, smiled with the risin' sun, three little birds pitch by my doorstep, singin' sweet songs of melodies pure and true...» continuò, a volume un po' più alto. Non voleva che qualcuno disturbasse la sua momentanea pace interiore, puramente chimica.
Risate, e poi bestemmie. Sicuramente maggiorenni ubriachi che si godevano le piccolezze della vita. Non erano pericolosi.
La canzone terminò dolcemente, così pacifica da far quasi sorridere la figura. Amava il raggae -ma anche il rock e il metal- e dopo una cannetta ci stava benissimo.
Oh com'era shalla in quel momento, sotto l' effetto della ganja e di Bob. Tutto era più colorato adesso, più arancione, più giallo. Di solito vedeva in bianco e nero, ma in quel momento tutto assunse un colore. Era pervaso di giallo.
«Aaaaaaaaaaiuuuuuuuuuutooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!» strillò una voce acuta, da giovane donna in carriera, con un accento esotico che la nostra fattona non riusciva a inquadrare; «Uffa, finita la pacchia» sbuffò. Cinque minuti dopo, la sesta mew mew si era parata davanti alla donna bruna, che si nascondeva dietro di lei, tremante.
Davanti a loro c' era una specie di cane rabbioso, gli occhi d' un bianco spiritato e la bava ai lati della bocca. I denti aguzzi erano spaventosamente neri.
«Non si preoccupi, donna... 'cause everything gonna be alright!» esclamò la ragazza, che stringeva in mano un attizzatoio tutto elaborato.
Dalla punta scautirorno lunghe fiamme arancioni, che avvolsero il Chimero uggiolante. Si sdraiò per terra, abbaiando terrorizzato.
In un' esplosione di luce color mandarino, una medusina pulsava nell' aria, emettendo un bagliore violetta, mentre la povera bestiola guaiva senza fiato.
La mew mew si staccò la signora dalla schiena, che aveva una comica espressione sbalordita, e la salutò con un fugace sorriso e due dita posate sulla fronte, a mo' di saluto militare. Con un balzo degno di uno stambecco, si dileguò nel nulla.
Nascosto nell' ombra più assoluta, Kisshu aveva osservato tutta la scena con i suoi vigili occhi gialli da rettile, perplesso e colpito dalla rapidità con cui la ragazza aveva affrontato il suo semplice Chimero: quella volta, non aveva utilizzato l' Ankh di nessuno.
«Allora è lei, la nuova» constatò, corrucciando le sopracciglia. Ma poi, spalancò gli occhi, incredulo: stava venendo verso di lui.

***


«MAYDAYYYYYYYYYYYYYYY!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ragazze, è terribile, abbiamo un problema!!! UN PROBLEMA ENORME!!!!» quegli ultrasuoni erano sicuramente della vocetta acuta di Shikimi, che aveva corso come una disperata e ansima come un animale. Indossava ancora la divisa scolastica.
Satō e Sakuranbo, che stavano spazzando per terra, si interruppero subito -una buona scusa per smettere di faticare non va mai sprecata-. Avevano una faccia annoiata di chi non si sarebbe scandalizzato nemmeno all' esclamazione "E' giunta l' apocalisse".
Kanzō strizzò uno straccio sul secchio, gocciolante di acqua sporca. Era abituata a fare i lavori di casa,lei, e sermbrava anche molto più interessata delle altre due. Notò che la coniglietta stringeva convulsamente una rivista blu marino. «Di cosa si tratta?» chiese, insicura di voler sentire la risposta.
«Date un' occhiata a questo articolo!» rispose, sbattendo con violenza il giornalino su uno dei tanti tavolini ripuliti dalla cameriera in noir. Sembrava veramente agitata.
Le teste delle presenti s' ammucchiarono attorno a quel pezzo di carta, stavolta più incuriosite. Fissavano le dita di Shikimi sfogliare con impazienza, fino a quando non si bloccarono su una gigantesca scritta rossa: L' EROINA MISTERIOSA.
«Oho, non voglio leggere...» mugugnò la bionda, serrando gli occhi. Aveva già capito cosa c' era scritto.
«Vuol dire che lo farò io per te... Un' eroina sconosciuta affronta con coraggio e determinazione una creatura non ancora identificata ieri notte, verso le undici e mezza, ad Asakusa. Ci sono diversi testimoni, e qui un' intervista con la signora Lebeurre... MA STIAMO SCHERZANDO?!?!?!» esplose l' orsetta, isterica come al suo solito.
«E' chiaro che qualcuno ha fotografato una di noi senza che se n' accorgesse! Ah, chissà cosa accadrebbe se scoprissero del progetto mew!!!» squittì Shikimi, scacciando il pensiero scuotendo la testa.
«Andiamo, basta preoccuparvi! La ragazza nella foto, anche se è oscurata, non è nessuna di noi. Questa silhouette non è sicuramente nostra» sbottò Kanzō con aria pratica, indicando con l' indice dallo smalto verde a pallini gialli -la sua amica Nana non aveva niente da fare durante fisica quantistica- la foto sfuocata.
«Allora; io sono subito esclusa perché la tipa qui non ha le ali sulla schiena, ma solo delle orecchie triangolari. Kona ha le orecchiette tonde, perciò fuori un' altra. Shikimi non è nemmeno lontanamente così piatta e secca, e Chukonen ha la coda da felino, mentre sta qui c'ha una bella coda vaporosa da.. volpe,forse. O lupo. Lo stesso vale per Kurumi...» aggiunse,diplomatica. Era talmente logico! Ma le altre erano troppo preoccupate per usare il cervello.
«Giusto! Se non altro non siamo noi quelle nella foto, e mi sembra già qualcosa di confortante... qualcuno sa dov'è finita Sheru-san?» domandò Sakuranbo, tanto per sviare.
«E' a una conferenza con suo padre...» rispose automaticamente la cameriera bianca, che sapeva sempre tutto.
«Ma allora chi è quella nella fotografia? Beh è ovvio... si tratta della sesta mew mew, ma chi è?!» rimuginò la piccoletta, accarezzandosi il mento con fare pensieroso.
La pipistrellina prese nuovamente in mano l' intervista, focalizzando l' attenzione sull' immagine. La tizia aveva capelli corti da maschio e una frangia... era bassina, sull' 1.60, e di giusta corporatura.
Con quei capelli corti sembrava proprio Yuzu, che recentemente si era tagliata la chioma nera per sostituirla di rosso. Però c' erano milioni di giovinette a Tokyo alte centosessanta centimetri, magre e dal taglio a maschietto.
«Beh ragazze...forse, e dico forse, potrei avere una mezza idea di chi sia... ma non è affatto detto, abbiamo troppi pochi dati» azzardò Kanzō, parecchio incerta. Si pentì subito di aver aperto bocca quando tre paia di occhi sgranati cominciarono a fissarla con crescente intensità.
«Chi? CHI?» strillò Sakuranbo, entusiasta. A quanto pare,erano tutte curiose di conoscere il sesto e penultimo membro della squadra.
«Beh, la mia migliore amica, Hana Yuzu, ha il fisico come quello, ma ci sono milioni di giapponesi fatte così!».
A quel punto, Ryou e Keiichiro sbucarono con nonchalanse dalla cucina, interessati. A quanto pareva, avevano sentito tutto.
«Beh,perché non andate a controllare?» domandò subito il biondo, incrociando le braccia. Era la cosa più ovvia da fare.
«Sì certo,cosa le diciamo?! Scusami, non è che per caso sei capace di trasformarti in una volpe? Così, puro interesse personale..!» lo blandì Satō sarcastica, sempre pronta a litigare con lui.
«Beh, potrebbe chiederglielo Jundo-san, no? Se sono così in confidenza, la ragazza potrebbe confessarle della stranezza che le è capitata...» buttò lì il moro, benevolo come sempre.
«Ah, lei non mi direbbe mai una cosa del genere!! Dovrei romperle io le balle, ma dopo mi prenderebbe per pazza se lei non fosse la sesta mew mew...»
«Ci saremo noi con te a darti man forte! Io m' imbuco ovunque!» squittì Shikimi, alzando la mano come a scuola.
«Fammi pensare... stasera terrà un concerto con la sua band. Potremmo tutte andare a vederla» propose la mora, la voce leggermente aspra. Odiava quel genere di caos, quel fumo, quell' alcool e quelle effusioni del pubblico...
«Perfetto. Stasera ci saremo».

***


La luce era più grande, luminosa e potente del solito.
Troneggiava nell' oscurità verde acqua di quella dimensione insolita, che farebbe rabbrividire chiunque, e mentre parlava la sfera tondeggiante oscillava, come per imitare una sorta di gesticolìo. Ed è proprio curioso vedere il nulla gesticolare.
Kisshu era in ginocchio, testa bassa, e aveva appena riferito cos' era successo con quella stranissima terrestre, incauta quanto coraggiosa.
Guardava basso, guardava la superficie simile ad acqua asciutta sotto i suoi piedi, pensieroso. E che pensieri.
"Perché devo riferire tutto quello che succede a questo lampo azzurro qua davanti? Come può aiutarmi, se non ha ancora visto nulla con i suoi non-occhi? Non ha mai visitato la Terra. Non deve criticare i suoi abitanti se non sa. Non deve parlare di cose che non capisce e non conosce. Se non fosse per Hikamito Ikisatashi, non sarei qua in questo momento. Ma è per il bene del nostro mondo. Sopporterò tutto questo, se servirà alla mia gente" rimuginò, mentre aspettava che il suo padrone dicesse qualcosa. Era disgustato di essere lo schiavo di quella palla luccicosa, ma non poteva farci niente.
«Perciò, questa mew mew è disposta a trattare» disse infine, il tono dubbioso.
«Sì... ma trattare è il termine errato... semplicemente, è dalla nostra parte».
«Una vile. Chi è? E' amica di quelle ragazze?»
Il ragazzo fece un gran sospiro. Che diamine ne poteva sapere, lui?!?! «Potrebbe essere, in questo momento non so dirlo con certezza. Cercherò di identificarla il prima possibile, non ci vorrà molto: ho già qualche sospetto» raccontò, spremendosi la memoria alla ricerca di qualche informazione buttata casualmente dalla volpetta. Niente, non si era lasciata scappare niente. Non sapeva nulla di lei, a parte che era una mew mew e che si sarebbe schierata dalla "giusta parte". Basta.
Cos' aveva in mente quella terrestre...?

***


«Siete state fortunate che questa volta abbia tenuto in concerto dallo stile con cui era partita...» borbottò la pipistrellina, mentre le altre leggevano la rozza locandina sui cui scritto "Nirvana-SOAD- Metallica-Three days Grace Remake! Rubiseki in ROCK "
Satō si sentiva parecchio a disagio. Non era mai stata a un concerto, anche se ovviamente quello a cui stava per assistere non era una cosa seria. L' ingresso era per 1200 yen (il corrispondente di circa 10 euro), il giusto per una cantante non professionista ma già conosciuta dai giovani suoi simili.
Rubiseki era il nome d' arte della ragazza, e significava "rubino". Non capiva perché proprio quel nome; dai racconti di Jundo, pensava si fosse scelta uno pseudonimo più seducente.
Questa Yuzu sembrava non avere niente a che fare con Kanzō; era la tipica teppistella che ogni genitore non vorrebbe mai avere in casa.
Fumava, beveva, non era vergine.
«Ma... com' è che vi siete conosciute?» domandò, buttandola lì per caso.
«Andavamo a scuola insieme dall'asilo fino alle medie, anche se adesso al liceo ci siamo divise, ma siamo sempre rimaste in contatto...» spiegò la mew mew, con naturalezza. Troppa naturalezza: si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito averla avuta sempre vicina. Probabilmente perché sarebbe riuscita a dissuaderla da certe cazzate che ormai aveva fatto e strafatto.
«Oh, anche io e te ci conosciamo dall' asilo!» esclamò Kurumi con un sorrisone, rivolto alla migliore amica. Era riuscita a tornare in tempo dalla conferenza per vedere la presunta nuova compagna.
«Uuuuuuuuuuuh, davvero, Kona-Chan?! Io e questa nana da giardino qua sotto solo dalle elementari...» attaccò Sakuranbo, dando una pacca alla testa di Shikimi, che cercò di azzannarla senza successo. «Ma che fai?! Mordi?!» aggiunse, scandalizzata, strabuzzando gli occhioni verdi.
«Non provocarmi, Saku-nyan!» strillò l' altra, sommergendo in una nuvola di polvere da cui emergevano ogni tanto pugni chiusi, gambe e versi di chi ha appena ricevuto una scazzottata.
«Beh, ehm... entriamo? Non ha senso restare qua davanti ancora per molto, mancano dieci minuti, saranno tutti dentro...» propose Kanzō, nervosa. Continuava a giocare con un laccetto della lunga maglietta nera, molto goth. Ovviamente si era conciata in total black: chiodo di similpelle, t-shirt fino alle coscie, leggins in pelle e anfibi corti. E ovviamente, i guantini con le borchie quadrate.
«Ma sì, diamo un' occhiata a questi punkettoni "l' amore fa schifo,la vita fa schifo"...» concordò Kurumi, imitando un tono depresso e sconsolato: suo cugino si definiva un metallaro (anzi, un metallaVo... eh,la sfortuna di aver la r moscia ;)) e si divertiva moltissimo a prenderlo in giro. Non si sentiva a disagio nei suoi vestiti da hippie; era abituata a quel genere di gente.
«Non c' entrerò niente là dentro...» mugugnò la bionda, riemersa da poco dalla rissa con la coniglietta -sembravano illese- e parecchio scettica. Era troppo suora per questo genere di ambienti.
«Pff, perché io?! Ma non è difficile, basta urlare FUCK YEAH ogni tanto, qualche PUNK'S NOT DEAD e minchiate varie... mio fratello ascolta 'ste robe e mi rompe sempre con 'ste frasi...» spiegò Shikimi allegramente. Con la sua camicia bianca, i jeans lilla e le scarpe da ginnastica era consapevole di diversificarsi dalla folla. E a lei piaceva essere diversa.
«Se osano sfotterci giuro che li trucido tutti sul momento...» grugnì Satō, i nervi a fior di pelle. Probabilmente avrebbe azzannato qualcuno, se avessero osato disturbarla.
Kanzō, con un gran sospiro, si avviò all' entrata, dove fece oblitterare i cinque biglietti da un ragazzo piuttosto bruttino. La tensione cresceva.
Le mew mew entrarono, agitandosi sempre più a ogni passo: sapevano cosa aspettarsi? Le voci ronzavano a volume sempre più alto, si stavano avvicinando al palco. Risate, chiacchiericcio, rutti... c' erano quasi.
E infine, eccolo: una distesa di ragazzi e ragazze più o meno eccentrici. Una aveva un' oscena cresta viola, in compagnia di un biondo platino con un piercing sul labbro, uno sul naso e uno sul sopracciglio. E poi ragazzi con code lunghe fino al sedere, ragazze pelate in stile Skin, gente tutta particolare riunita là, sotto quello spartano palco di legno. Gli strumenti erano tutti preparati, ma la band doveva ancora arrivare; volevano creare suspense, sicuramente.
«Perché tutta sta gente?!» esclamò Sakuranbo, innervosita. Si sentiva soffocare, là dentro: dov'erano le finestre?! La luce del sole? Che caldo soffocante... si tolse la felpa, annodandosela in vita. Andava leggermente meglio, ma era percebile sulla pelle il calore umano di quella massa. Chissà che afa quando sarebbe iniziato il vero e proprio spettacolo...
«Suppongo siano i nostalgici: quelli che rivogliono Rubiseki com' era prima di rovinarsi. E più gente c'è, più lei potrebbe capire che fa soldi lo stesso anche senza fare la troia nelle dancehall...» spiegò la pipistrellina, perspicace come sempre. Sapeva avere una grande capacità di collegamento per le cose serie; e la sua migliore amica era la cosa più seria di tutte.
Kurumi assunse un' espressione disgustata per la risposta dell' amica, poi si sfilò gli occhiali. Sarebbero sicuramente caduti per terra, quando sarebbe finita nel pogo. Era meglio metterli al sicuro, nella borsetta color arcobaleno. «Se vogliamo vedere qualcosa, dovremmo farci spazio in mezzo alla folla... » osservò, critica. Non era però sicura di voler vedere o sentire qualcosa.
«Sì, e come? L' unica alta sei tu... » ribatté Satō, nella stessa lunghezza d' onda della tigrotta in quanto disagio. Aveva appena scoperto di essere oclofoba.
«Io avrei in mente un' altra soluzione...» s' intromise Kanzō con un tono un po' imbarazzato ma anche molto malizioso: i suoi occhi puntarono il fiorente petto di Shikimi, che si guardava intorno in cerca di qualche bel rastone con cui flirtare durante il concerto. «Sanshou-san... potresti sbottonarti i primi tre bottoncini della camicia?» domandò la mew mew con sguardo sarcastico.
La coniglietta spalancò la bocca, incredula: poi diede una svelta occhiata alla folla lì davanti, e intuì il piano dell' amica; con controvolgia ed estrema rigidità, si slacciò i bottoncini candidi.
«Oh ora basta che fai la zoccoletta con quelli qui davanti e siamo a posto!» esclamò Sakuranbo, cercando in tutti i modi di distrarsi da quell' atmosfera opprimente. Quel persistente odore di fumo le faceva venire la nausea. Avrebbe voluto tapparsi il naso, ma non era il caso.
«... mi tocca! Ma lo faccio solo per la nostra squadra!!» mugugnò la piccoletta, sistemandosi i capelli. Doveva far esplodere tutta la malizia che aveva dentro. Andiamo, non era la regina dei doppisensi? Non si faceva pensierini ogni volta che passava un ragazzo? O qualsiasi altro essere vivente capace di respirare? E allora, tanto valeva atteggiarsi un po'!!!!!!!!!!!
Shikimi prese il comando del gruppo, con un gran sospiro. Almeno era truccata, però non indossava nulla di sexy. Amen.
Si avvicinò alla massa, sventolando i lunghi capelli quasi biondi, sfarfallando le ciglia folte. «Scusate.... potreste lasciarci passare? Oooooh, grazie mille, gentleman...» ringraziò, con una voce sensuale, simile a una cucchiaiata di miele, e un sorriso lascivo mentre si allontanava.
I ragazzi che avevano lasciato passare la combriccola stavano analizzando le cinque, con espressioni più o meno soddisfatte. Intanto, però, si erano lasciati intortare con estrema facilità.
«Non immaginavo fossi così brava in queste cose» proclamò Kurumi perplessa, osservando la gente che si spostava al passaggio della ragazza, che aveva acquisito via via sempre più sicurezza. Ogni volta diceva una frasetta gentile con quell' innaturale voce da pubblicità di un qualche strano prodotto dall' uso vietato ai minorenni, gli uomini le lanciavano occhiate reciprocamente vogliose.
Sì sentì molto in imbarazzo: non voleva che una delle mew mew restasse incinta proprio quel giorno. Era a dir poco disdicevole. «Usa le dovute precauzioni» aggiunse, inarcando le sopracciglia.
«E dai Sheru-chan, sto solo giocando un po'! Lasciami divertire!» rispose quella, ridendo. Pudore zero, veramente.
«Devo ammettere che funziona, non l' avrei mai detto...» commentò la biondina incredula, praticamente appiccicata all' orsetta. Si facevano forza vicendevolmente.
«Siamo sotto al palco! Questa tecnica è eccezionale!» esclamò Satō di rimando, nervosa. Basta così poco alle ragazze, per ottenere quello che vogliono.
«Tsk, è banale. Tutte le femmine senza un minimo di cervello si comportano in questo modo. Mostrando il proprio favoloso corpo» osservò Kanzō critica. Odiava l' immagine della "donna oggetto", a differenza della maggior parte delle giapponesi. I giapponesi sono veramente degli allupati.
Shikimi però aveva compiuto la sua missione: si riabbottonò, e attese come tutti l' arrivo del gruppo.
Dopo una decina di minuti arrivarono il tastierista (applausi ed urla d' incitazione) e il batterista (idem).
Dopo qualche altro minuto ecco il bassista e il chitarrista, che entrarono suonando qualche accordo, così per fare. Incitazioni e mani alzate da veri metallari.
E dopo mezz' ora, finalmente eccola. Rubiseki.
Indossava un top nero con delle borchie quadrate di metallo sopra, una mini-mini-mini gonna in pelle, calze a rete e anfibi lunghi fino al ginocchio. Poi c' era un coprispalle a maniche corte e i guanti retati sulle mani, più i tipicissimi braccialetti con lunghissime e appuntite borchie, uguali al collarino che aveva sul collo esile e bianco.
I capelli rossi erano spettinati ad arte, per far risaltare la trasgressione del personaggio.
Aveva le labbra nere, e il trucco pesantissimo nero sugli occhi. Le ciglia finte le sfioravano gli zigomi quando abbassava lo sguardo.
Non poteva essere la stessa troietta che la pipistrellina aveva descritto. Proprio no; quella dava l' impressione di sfaciarle di botte, le ragazzine che fanno le fighettine. Davvero.
I presenti gridavano a squarciagola, nemmeno fossero appena entrate le Scandal 1, e davano di matto.
Yuzu -così si chiama realmente la ragazza- sorrise. Era tutto molto inquietante.
Afferrò il microfono con quelle sue dita retate, e salutò i presenti in growl: «Salute, gente!» ringhiò, con quella voce terrificante. Chissà perché, ma il pubblico andò letteralmente in visibilio.
«Questa pazza me la sogno di notte. Non può essere un' eroina!» sussurrò Sakuranbo con gli occhi sbarrati, sbalordita a dir poco. Guardò gli occhi marrone scuro di Satō, per cercare conforto, e notò che erano sconvolti come i suoi verdi e gialli. Quegli occhi parlavano, urlavano: usciamo di qui al più presto.
Kanzō e Shikimi invece erano attentissime, tutti i sensi all' erta. Gli occhi azzurri della seconda brillavano d' ammirazione. Sperava intensamente che quella goth lady entrasse nel loro gruppo. La ispirava un sacco, voleva assolutamente conoscerla. Straripava carattere da tutti i pori.
Non era esattamente carina, aveva un viso normalissimo, nulla di speciale, però rincarava la bellezza col carattere.
La prima invece sembrava solo molto preoccupata per l' amica. Le voleva davvero così bene?
Kurumi se ne stava un po' in disparte, indifferente. Aveva un' espressione impenetrabile; impassibile è un eufemismo. Sembrava scolpita nel ghiaccio -e tra l' altro stava benissimo senza occhiali-.
«Allora... Come voialtri bastardi sapete, qui la mia carriera di rockettara sta andando a puttane. Credo, suppongo e presumo che questo sia uno degli ultimi miei concerti. E non state a giudicarmi, stronzi, ho i miei motivi per farlo. Sti fottuti soldi, sta società di merda! Ma vi rendete conto che lottiamo per un pezzo di carta sui cui scritto 10000 yen? E' una cosa che mi sconvolge sempre. Uno si ammazza per uno straccetto di cellulosa con cui può benissimo pulirsi il culo... Bando a sti fottuti sentamentalismi, cazzoni di merda, so' qua per cantare,no? E divertitevi più che potete, figli di puttana! Vi amo, cazzo!» strillò, in una intonazione più civile.
L' orsetta e la tigrotta sembravano sempre più disorientate: perché diamine stava sparando parolacce a raffica? Che c' era di figo in tutto quello? Era davvero tutto troppo volgare e decisamente patetico.
Quelli però non si offesero, com' era sensato, invece ridevano e urlavano a insulti pure loro. Era un segno d' affetto? Di complicità? Avevano speso soldi per farsi coprire di accuse senza motivo? Bah. Gente strana, molto molto strana. Forse lo screaming dava loro alla testa.
Rubiseki rise a sua volta, e li incitava a sfotterla più forte. Gente estremamente strana. Strillava: Non vi sento! Ah sì? Cosa sono? E avete ragione!
«Ok, ora iniziamo a fare sul serio. Pronti? E one, two, and one two three four!» cominciò, dando il tempo.
Il basso e la chitarra cominciarono a suonare: erano accordi malinconici, ma non deprimenti, erano come dire... rassegnati.
E come un passerotto nero che si libra in volo nell' aria, le note cantete da Yuzu si levavano in cielo con piroette, ad ali spiegate: «This world will nevere be what i expected, and if i don't belong, who would have guessed it?» disse, con una voce dolce e arrendevole, come se volesse carezzare gli spettatori con la musica.
Tutti cantavano insieme a lei, cercando di farsi sentire, e il risultato non era altro che un coro smorzato e confuso tipico dei concerti. E non che la cantante avesse una voce così speciale: semplicemente era intonata, ed aveva la capacità di variarla da situazione in situazione, da canzone a canzone.
«Però, è brava!! E la canzone mi sembra tranquilla!» commentò Satō, leggermente rassicurata. Si sentiva un po' confortata; si aspettava continui strilli e urla senza alcunché senso logico, invece quella ragazza stava proprio cantando.
Non l' avesse mai detto! Appena fece quell' esclamazione, ecco che arriva il ritornello: «EVEN IF I SAY: IT WILL BE ALL RIGHT!, STILL I HEAR YOU SAY YOU WANNA END YOUR LIFE! NOW AND AGAIN WE TRY JUST TO STAY ALIVE! MAYBE WE'LL TURN IT AROUND 'CAUSE IS NOT TOO LATE, IS NEVER TOO LATE!». Quelle frasi venivano ringhiate, ma non ferocemente, era un lamento di puro dolore, disperazione, depressione. Era lo sfogo di un adolescente stufo della propria effimera esistenza, era il canto di morte di un cigno bianco, era lo spannung di un romanzo noir.
Shikimi conosceva quella canzone, e dovette ammettere che amava quella nuova versione al femminile. «Wow, riesce a gridare facendolo sembrare melodico!» squittì, all' orecchio di Kurumi, che portava sempre quella maschera freddissima. Chissà poi perché; quella ragazza era davvero imprevidibile.

***


Il concerto era finalmente finito; la maggior parte della gente se n' era andata, oppure era andata ad aiutare il gruppo con gli amplificatori e compagnia bella.
Le cinque, più o meno assordate ed acciaccate (erano finite nel bel mezzo del pogo, e c'è voluto un bel po' di tempo per uscire da quel vortice umano) stavano confabulando sul momento adatto per andare da Yuzu e chiederle della squadra mew mew. Sarebbe stata sicuramente Kanzō a guidare la spedizione, dato che lei era la migliore amica della cantante, e lei l' avrebbe sicuramente ascoltata.
«Bene, andiamo ai camerini...» assentì la pipistrellina, sicura. C' era stata una decina di volte in quel posto, la band la conosceva e aveva piena libertà d'azione. Con le altre al seguito, aprì con sicurezza una porta a lato del palco, che portava a un corridoio stretto e illuminato da quelle fastidiossisime luci al neon bianco accecante, che secondo il mio nobile parere da narratrice, danno un' infinita sensazione di tristezza e trascuratezza.
Quattro porte davano sul corridoio: i "camerini", ovvero stanzette con uno specchio e una seggiola. E basta.
Su una di queste c' era malamente inciso nel legno chiaro il nome Rubiseki. Insomma, non il massimo della chiccheria.
La mora bussò; due pacche secche e brevi, più per consuetudine che per altro: infatti, aprì la porta senza aspettare la risposta della ragazza al suo interno. Partì una bestemmia.
«Onee-chan, ma sei malata?!?! C'è, sono praticamente nuda sibilò la rossa, ed effettivamente non era granché vestita.
Era in reggipetto -blu- e shorts in denim. Si stava infilando un' enorme maglietta a righe grosse, bianche e gialle.
Si era tolta il rossetto nero e l' ombretto, ed era mille volte più normale di prima. Sembrava quasi una persona civilizzata.
«Che esagerata! Ehm... sono qui per presentarti delle mie... colleghe di lavoro: siamo delle cameriere al Caffè Mew Mew, e.. ehmmm...» attaccò Kanzō, completamente a disagio. Non sapeva come spiegarle di tutta la squadra, dell' articolo di giornale, degli alieni... come iniziare? Come fare per non essere scambiata per pazza?
«Ehi, mentre questa balbetta, voi teoricamente non dovreste presentarvi?» l' ignorò completamente Yuzu, in tono scherzoso, ma perplessa. Perché diamine si era portata dietro quel corteo di fanciulle? Non capiva. Da quando la sua migliore amica amava la compagnia di così tanta gente?!
«Oh, sì... beh io sono Kurumi Sheru, piacere!» si presentò la mew mew, più rilassata.
Sakuranbo Chukonen», «Satō Kona», «Shikimi Sanshou».
Yuzu si spruzzò addosso del profumo al gelsomino, sospettosa, mente squadrava il quintetto. In particolare fissava gli occhioni verdi, diffidenti, della bionda. Il suo nome l' aveva già sentito.
«Chukonen, eh? Questo nome... sei per caso la pseudo morosa di mio cugino, Itsuki Funsui?» domandò, improvvisamente interessata. Un lampo di luce rianimò gli occhi sottili color cioccolato dell' eccentrica cantante.
Tutte trattennero il fiato: quei due erano cugini????????????????????????????????????
«Funsui?! Quello per cui muori dietro, Saku-nyan?» domandò Shikimi maliziosissima, e decisamente bastarda. Amava metterla in imbarazzo.
L' interpellata infatti sentì il sangue ribollirle le guance; la pelle del viso era infatti tinta del meraviglioso colore che la caratterizza, e per cui tutti amano prenderla in giro. «IO E ITSUKI NON STIAMO INSIEME!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!» strillò, ad almeno diecimila decibel. Si potevano quasi sentire i vetri incrinarsi.
«Oddio allora chissà come ha parlato di te a Yuzu-chan , se lei ha finito per chiamarti "la sua morosa"...» osservò Kanzō, con un sorrisetto. Com' erano carini quei due: entrambi non osavano fare il primo passo, ma erano cottissimi l' uno dell' altro. La nostra pipistrellina amava questo genere di situazioni, anche se sapeva che non ci si sarebbe mai finita dentro, meno male. Aveva una concezione dell' amore alquanto pessimistica.
«Voglio sapere cosa ti ha detto, parola per parola!» squittì l' interessata, in piena crisi isterica da tipica adolescente che ha appena scoperto qualcosa del ragazzo cui è innamorata.
«Ehmmmm, noi saremmo venute qua per un' altra motivazione» s' intromise l' orsetta, con un' espressione molto sarcastica: non dimenticava mica i suoi doveri,lei. Soprattutto perché aveva intuito che lei era una sorta di caposquadra, percepiva che Akasaka-san e Shirogane s' aspettavano questo da lei. Non voleva deludere l' aspettative di un uomo buono, paziente e intelligente come Keiichiro, che aveva speso gran parte della sua vita nel progetto mew. E Ryou.... beh, lui poteve anche andare a faaaaaa......rsi benedire!
«Ovvero? Cosa volete?»
«Ecco... sai dell' articolo della supereroina? Volevamo chiederti se... per caso... sapevi chi era...» azzardò Kurumi, che nel frattempo aveva ritirato fuori dalla borsa multicolor gli occhiali. Così aveva un' area più intellettuale di prima, e la domanda che aveva fatto magari poteva sembrare più seria. Così, per assurdo.
Tutte tacquero, in attesa. Gli sguardi erano puntati su Yuzu, che s' irrigidì. Immobile, serrò le labbra, ed assottigliò lo sguardo. L' atmosfera sembrò raggelarsi; il termometro era sceso sicuramente di qualche grado. In quel minuto si silenzio, le aspettative delle ragazze crebbero, in febbrile ansia. Volevano sapere. «Non capisco di cosa stiate parlando. Io sono qui per lavorare, comunque, non per socializzare. Devo andare a batter cassa. Ciao, Kanzō» disse infine, fredda come un pezzo di ghiaccio.
Afferrò una grande borsa nera, sicuramente contentente i costumi di scena, e con un sibilato "permesso" si fece strada verso la porta, che sbatté rumorosamente.
«Ciao, Yuzu». Quel sussurro era di Kanzō: non riusciva più a riconoscerla.

***


Sakuranbo stava dormendo. Dormendo assolutamente alla grossa, con tanto di rigiramento nel letto. Stava sognando.
Nel sogno, era su una strada di asfalto grigio chiaro, e sia a destra che a sinistra c' era un fiume cristallino e limpido, che brillava nonostante il sole fosse coperto da nuvole bianche. Tutto il cielo era bianco.
La prospettiva era quella di un esterno; la scena era vista dall' alto, e la Sakuranbo del sogno era ripresa da dietro. I capelli erano molto più chiari, di un biondo platino quasi algido.
Indossava un vestitino in sangallo bianco, che svolazzava al vento. Sembrava quasi trasparente da quanto era leggero. L' abito ondeggiava, come le increspature dello splendido fiume, e la prospettiva ruotò, inquadrando da davanti la mew mew, e cominciò a zoomare sul viso della ragazza.
Gli occhi verdi erano quasi azzurri, perché riflettevano in qualche modo l' acqua chiara, ed erano ornati da pesante matita nera tutt' intorno. Anche le palpebre erano nere. Erano assottigliati, come per proteggerli da un sole che non c' era. La pelle era candida come il vestito che portava, e le labbra, serrate, erano l' unico tocco rosato sul viso.
Attorno a quella glaciale Sakuranbo, aleggiavano le ombre sfuocate delle altre mew mew, con espressioni più o meno supplici. C' era anche il fantasma di Yuzu.
«Chukonen, non farlo» sussurrò Kanzō, con un tono di voce disperato, così basso da sembrare un' eco. «Saku-nyan, non fare l' idiota!» disse Shikimi in un sibilo spento e vuoto.
Ma l' inquietante bionda non le ascoltò, e mosse un passo. Un piccolo passo con le infradito bianche.
In quel preciso istante, la sagoma di Kurumi si dissolse, e gli occhi verdi incrociarono quelli azzurro grigiastro giallognolo dell' amica, che li spalancò prima di sparire. Era tutto molto tenebroso.
«Sei davvero una bambina, se ti comporti in questo modo» commentò la rossa, più rancorosa e arrabbiata delle altre, ma sempre a fil di voce, remota.
«Non permetterti di giudicarmi» rispose, e quasi sembrava urlare a confronto di tutte quelle ombre. Era apatica, fredda, gelida, insensibile.
E così, fece un altro passo. Stavolta scomparve Rubiseki, con un' espressione di odio puro.
In quella, stava proprio per allungare la magrissima gamba, quando un BIP BIP BIP BIP svegliò la vera Sakuranbo, che si alzò subito in piedi, ansimando. Nel buio della stanza, cercò, ancora intorpidita, la fonte di quel suono: era il cellulare, che emetteva una tenue luce bianca, squillando senza sosta.
La ragazza lo afferrò e lo ficcò sotto il cuscino: ma quel cavolo di affare sapeva che era l' una e mezza di notte?! E che se sua madre si fosse svegliata, sarebbe stata la fine?!
«Diamine!» si lamentò, stropicciandosi gli occhi. Tirò fuori il telefonino dal cuscino azzurro; aveva smesso di far casino.
1 chiamata persa, lesse sul display. "Chi può essere talmente scemo da chiamarmi a quest' ora?" si chiese, dubbiosa e anche un po' scocciata.
Era Kanzō. Perché?
Stava proprio per scriverle un messaggio, quando ne arrivò uno: "Yuzu me l' ha appena confermato: è una di noi".
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nota 1= gruppo rock giapponese al femmine molto popolare
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Doppio gioco ***


Kurumi stava osservando Kanzō da una quindicina di minuti: stramente, non stava sgobbando con i clienti, come al suo solito, ma se ne stava in un tavolino a fissare il vuoto, con una margherita in mano.
Di fronte a lei c' era ovviamente Sakuranbo, sempre seduta sui tavolini, che sorseggiava un succo alla mela verde (spremuto direttamente dalle manine pazienti di Ryou), e la guardava con cirscospezione.
«Guardala, è ancora sconvolta da come è stata trattata da quella Hana...» sussurrò Shikimi, sbucata alle spalle della camerierina bronzea.
«Sì, è molto strano... guarda che occhi spenti, fa paura...» rispose quella, sottovoce, mentre impilava dei piatti sporchi su un vassoio.
«Beh, ha trattato malissimo tutte noi!» commentò Satō, apparsa praticamente dal nulla con un aspirabriciole in mano.
Tacquero, squadrando l' amica da testa a piedi. Era praticamente paralizzata, se non per le dita che rigiravano un fiorellino bianco.
«Secondo me..» attaccò Sakuranbo, agitando l' indice, «... bisogna andare a parlarne con Keiichiro» concluse, dopo una lunga sorsata.
«Beh, proviamo» rispose scettica Kurumi, scrollando le spalle. Camminò velocemente verso la cucina, spalancando la porta, mentre le altre la seguirono a ruota.
Era il solito caos: pile di piatti e posati sporchi nei lavandini, la lavastovigle fremente e rumorosa, il forno bollente e profumato di pasta frolla, Akasaka-san che farciva degli invitanti pasticcini alla menta piperita mentre Ryou mescolava l' impasto, Mash che svolazzava allegramente per la stanza, Shikimi che si era fiondata ad "assaggiare" la crema chantilly, bottiglie di latte e vasetti di marmellata ovunque... tutto ok.
«Che cosa ci fate voi qua? Non dovreste servire i clienti?!» s' esasperò il biondo, piuttosto affaccendato.
«Ma ce ne saranno sì e no una decina, li abbiamo lasciati in mano a Jundo-chan» spiegò prontamente la tigrotta, mentre strappava di mano all' amica la ciotola con la profumata crema color vaniglia.
«Ed è proprio per lei che siamo venute qui a parlarvi» sentenziò Satō, sfiduciosa delle capacità empatiche dell' odiato ragazzo. Se non altro la presenza del moro la confortava.. o forse era quel delizioso cioccolato fondente fuso?
«Beh... di che si tratta?» domandò, concedendosi un attimo di pausa.
«Ehm, ecco, non saprei come dire...» s' intromise Shikimi, ficcandosi un bocca una quindicina di biscotti alle nocciole sotto lo sguardo esasperato di Keiichiro. «Parlate liberamente ragazze, qualsiasi cosa sia successa non potremmo mai rimproverarvi» disse, gentile come al solito. Nel frattempo però prese le braccia della coniglietta impedendole di muoverle, sempre con il suo solito sorrisone stampato sulle labbra.
«Abbiamo la conferma che Hana Yuzu sia una di noi, perché Kanzō ci ha detto così, ma da come si comporta si direbbe che non ne sappia nulla! Lo è veramente una mew mew? Perché in pratica ci ha detto chiaro e tondo che non gliene importa! E voi dovete sicuramente sapere se lo è dato che gli scienziati pazzi siete voi, avete voi mischiato i DNA! E a noi tocca andare a prenderla e questa ci dà due di picche! E ora mi chiedo, cosa dobbiamo fare? Non potete lavervene le mani! Siamo nella confusione più totale, e ci si mette pure Jundo che è in catalessi per non so che trauma ricevuto da quella smorfiosa e va in giro come uno zombie!» raccontò l' occhialuta inferovarata: più pensava a quella ragazza, più si rendeva conto di detestarla.
In quel momento entrò infatti la pipistrellina, mise su un vassoio due fette di torta e se ne andò senza dire una parola, ligia al suo dovere. Sembrava davvero un robot, altro che Mash.
«Ok Sheru, ma non capisco perché ti scaldi tanto! Se Hana non vuole entrare nella squadra non è colpa nostra, ma in quanto mew mew è vostro dovere cercare di farla cambiare idea» constatò, mentre ignorava i bisticci della piccoletta affamata dietro che cercava di disarcionarsi da un finto Keiichiro calmo.
«Questa è nuova!! E DA QUANDO E' NOSTRO DOVERE?!?!» esplose Satō, avvicinandosi al biondo per potergli puntare un minaccioso indice sul petto, gli occhi marroni assottigliati.
«Fammici pensare... da... adesso!». *Svenimento generale da parte delle cameriere*
«Se volete sapere la mia, quella Yuzu è la nostra nemica giurata, non una compagna di squadra! Magari è tutto un complotto dell' alieno lì, farcela ritorcere contro! Magari è dalla sua parte!» ipotizzò Sakuranbo; odiava starsene zitta.
«Ma andiamo, koneko, adesso stai esagerando!» esclamò Shikimi dal pavimento, insaccata in uno spago in perfetto stile salame di qualità: Keiichiro stava per l' appunto misteriosamente mettendo lo spago in un cassetto con un' espressione angelica.
«Chi non è alleato, è nemico!» sibilò Kurumi, melliflua.
«Dovete tentare ancora, ne vale proprio la pena».
«Uff, d' accordo ci riproveremo, non c' è altra soluzione... ma... un momento... come ha fatto Hana a trasformarsi se nessuno le ha dato il ciondolo?» chiese l' orsetta, stupita. Nessuno ci aveva ancora pensato? Si vede che mancava la razionalità di Kanzō...
«Questo ve lo posso spiegare io!» commentò Mash, con una strana espressione di senso di colpa. «Ero a casa di Kanzō-chan per il suo turno, e c' era anche Yuzu-chan, e ho rilevato che era una mew mew! Ma non sono riuscito a dirlo a Kanzō-chan perché lei mi aveva nascosto nell' armadio... Quindi sono riuscito ad uscirne solo quando Yuzu-chan è andata via, e l' ho inseguita per darglielo. Yuzu-chan mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno, neanche a Kanzō-chan. Lei non sapeva che anche l' amica era una mew mew... E io ho mantenuto il segreto fino ad ora, che avete scoperto tutto!» concluse, sotto lo stupore totale del gruppo.
Sakuranbo, che da sempre torturava il poveretto, lo afferrò per la coda con severità. «Perciò... tu sapevi tutto da subito... e siamo state costrette ad indagare per niente,eh?» sussurrò con un voce che dava i brividi. Lui annuì, preoccupato, e si ritrovò stritolato dalla padroncina che biascicava parole indecifrabili sotto gli strilli del piccoletto.
«Ecco svelato il mistero. Beh, andate pure a cercarla, ma fate attenzione! Magari è vostra nemica davvero!» scherzò Ryou, mentre le spingeva verso la porta. Era proprio ora di metterle al lavoro.
«Certo che l' incontro con Yuzu le ha proprio scombussolate,eh?».
«Che vuoi farci? Hana-san è fatta così, ma è perché ha quel carattere che può esserci utile».
«Verissimo!».
«Sì,sì, va bene, Yuzu di qua e Yuzu di là, ma MI VOLETE TOGLIERE QUESTO DANNATO SPAGO?!?!».

***


E ora concentriamoci su Kisshu.
Come al solito era inginocchiato al cospetto di Deep Blue, così si chiamava il chiarore bianco, unica fonte di luce in quella dimensione oscura che tanto somigliavano ai profondi abissi oceanici, che lo interrogava sul piano.
«Chiedo perdono. La prossima volta andrà meglio, progetterò un attacco così potente che non potranno reprimere» mormorò, in un tono mielosamente pentito, esageratamente calcato, in modo che solo lui potesse intuire l' ironia delle sue parole. Davvero, detestava fare il lecchino, ma era costretto. Costretto.
Si sentiva così oppresso, non desiderava altro che libertà di parola e pensiero. Ma non gli era concessa, nel suo pianeta non ne era concessa.
Regnava un' artistocrazia crudele e senza scrupoli e la percentuale di segreti di Stato gareggiava con quella degli omicidi e schavitù dei liberali, puniti semplicemente perché giusti.
Kisshu sapeva di essere un semplice ragazzo e che "certe cose non le poteva capire", ma il futuro del loro pianeta in quel momento dipendeva solo da lui. Perciò nessuno doveva provocarlo, e poteva fare tutti i pericolosi ragionamenti che al resto del popolo era vietato fare. Però non avrebbe dovuto giocare col fuoco.
«Me lo auguro» rispose freddamente la voce, mentre un velo di rabbia piombava sull' atmosfera.
Quel furore colpì anche il nostro cadaverico fanciullo: «Con quella ragazza potrò fare molte cose. Potrà essermi utile come informatrice, potrebbe fare il doppio gioco. Fingere di stare col team e contemporaneamente informarmi. Inoltre, è bravina nel combattimento. Dopodiché morirà» grugnì, chiudendo gli occhi. Una fugace immagine di Yuzu che sorrideva malvagiamente a Kanzō gli penetrò nella mente.
«Poi c'è anche Kanzō... quella terrestre ha dei poteri molto utili per noi. La convincerò a schierarsi dalla mia parte. E' forte, grintosa, coraggiosa e potente. Ha l' aria d di una che combatterebbe fino alla morte sul campo di battaglia... » aggiunse, velocemente. "E poi è bellissima" pensò, involontariamente. Scosse la testa. Perché continuava a pensarla? Era una nemica, doveva ucciderla. Ma se si fosse alleata non sarebbe stato necessario farlo. No! Niente sentimentalismi. Era un' umana, era diversa, doveva scomparire col resto della sua razza.
«Perfetto. C' è altro?»
«No» rispose, e svanì lentamente nella galleggiante superficie verde acqua.

***


Yuzu stava seduta sul tetto di una grande cattedrale con una palla rossa da volley in mano e un' espressione pensierosa; guardava il sole rosso fuoco scomparire all' orizzonte, ultimo bagliore prima che il velo scuro della sera ricopra la megalopoli giapponese.
Com' era finita lì, lo sapeva solo lei. Stringeva convulsamente la palla al petto, una smorfia sulle labbra. Ogni volta che si metteva a pensare, andava sempre male.
Non doveva pensare, doveva cercare di tenersi sempre la mente impegnata con altro.
"Cosa sono diventata... mi faccio disgusto da sola. Una zoccoletta mezzo volpe che sta condannando l' umanità alla morte, alleandosi con il nemico della mia migliore amica. Che razza di persona sono?" sospirò, sdraiandosi. Era duro.
«Ehi, che succede? Sei triste?».
Ecco, si parla del diavolo... La ragazza girò la testa per fissarlo. Si era appena materializzato, vedeva ancora l' aria ondeggiare.
Sedeva a pochi centimetri da lei, e la stava scrutando con quegl' occhi gialli incredibilmente magnetici. Era bello.
I capelli verde scuro brillavano alla luce del tramonto, le pupille sottilissime e brillanti, un sorriso amichevole con il canino bianco che spuntava, la pelle colorata di arancione sembrava splendere.
Tuttavia, non provava alcuna attrazione per lui. C'è, per una botta e via sì, ma sicuramente non sarebbe caduta nel tranello dell' amore.. no,no, nell' amore non ci aveva mai creduto, figurarsi per un alieno complice della distruzione della Terra. Sembrava davvero incredibile.
«Io sono sempre triste. Anche quando sembro allegra» rispose, con naturalezza, come se stesse parlando con un amico d' infanzia o simili. Si trovava a suo agio con lui, era gentile, simpatico e ben organizzato. Una compagnia piacevole, ma di cui doveva costantemente diffidare. Teneva la guardia alta, non poteva permettersi di farsi ingannare.
«Capisco». Seguì lo sguardo della mew mew: era presa da una nuvola dalla forma originale. «Senti, devo farti una proposta» aggiunse, cauto.
«Spara»
«Stavo pensando che magari... invece di schierarti contro le altre, potresti fingere di stare dalla loro parte... Così mi daresti delle preziose informazioni. Tu mi sei utile lo stesso, con i tuoi poteri potresti distrarle mentre il Chimero le attacca, ma lo saresti ancora di più come doppiogiochista» chiese, con un tono determinato e il più convincente possibile.
«Dovrei fare la spia?!?!» sibilò Yuzu, aprendo di scatto gli occhi e fulminandolo.
Lui le lanciò un' occhiataccia, nervoso. «Sei sì o no con me?!»
«Di sicuro non sono dalla tua parte per te... semplicemente, sono convinta che abbiate ragione. La Terra sarebbe un posto migliore senza l' uomo, e la vostra popolazione mi sembra molto più ambientalista e intelligente della nostra»
«Intelligente no... Infatti la società è in crisi. I regnanti non sono capaci di gestirla... mio nonno era re, ma è stato spodestato ed esiliato da una confraternita di aristocratici, i Nobili di Sayari, e tutto sta andando a rotoli. Sembra di essere tornati all' epoca feudale...»
Yuzu alzò il busto, mettendosi seduta difronte al ragazzo. Gli occhi marroni erano accesi d' interesse. «Se ti va di continuare a raccontare, a me piacerebbe molto ascoltarti» disse, quasi sottovoce, chissà poi perché.
Kisshu si bloccò un attimo e la squadrò per bene. Che cosa voleva veramente? Non sapeva se fidarsi di quella lì o no. D' altronde, si erano conosciuti da qualche giorno, e avevano parlato solo di... "lavoro". Però si vedeva dagli occhi che la terrestre amava ascoltare le storie altrui, si vedeva che era interessata davvero... oppure stava solo recitando? «Le condizioni climatiche ed ambientali del nostro pianeta sono catastrofiche. Non ci si può vivere, come ti ho già spiegato in precedenza, che è per questo che vogliamo la Terra, il nostro pianeta d' origine. E devi ancora rispondere alla mia richiesta» disse infine, con molto più distacco di prima.
Yuzu chiuse gli occhi per un po', pensierosa. E se avesse fatto il triplo o magari quadruplo gioco? Non voleva rivelare tutti i segreti delle mew mew, non poteva tradire in questo modo Kanzō. Però gli ideali per cui quelle cinque lottavano erano sbagliati! Non sapeva che fare. «Dammi del tempo per rifletterci bene sopra» rispose infine, con durezza. L' atmosfera amichevole di poco fa era sparita, tornando quella abituale tra i due.
Così, senza aggiungere altro o aspettare risposta, la rossa saltò agilmente sulla finestra della cattedrale, aperta, ed entrò. Chissà come avrebbe fatto a scendere con quella palla in mano.

***


Satō era seduta sulla seggiola regolabile della scrivania in legno chiaro della sua stanza, assorta da un quesito matematico piuttosto complesso.
«Mash...» cominciò, lanciando un' occhiata al robot bellamente sdraiato sopra il quadernone ad anelli verde.
«Dimmi, Satō-chan» rispose, con quel suo tono stridulo.
«Tu sei un robot... perciò sei bravo in matematica,no?» domandò, lasciando cadere la penna sul foglio. Scrutò per bene il nanerottolo rosa, pensierosa. Magari poteva sfruttarlo alla grande non solo a scuola, ma fargli pulire la camera, lavare i vetri alle finestre... Almeno si trovava un' utilità a quell' essere.
«Sì, Mash è bravissimo! Bravissimo!» trillò entusiasta, ed impungò la matita con l' aluccia fuxia. All' istante la pagina si riempì di segni, che la ragazza non stava neanche controllando. Avrebbe letto tutto una volta finito. Tempo due minuti, e il robot decretò di aver terminato.
«Grande!! Hai fatto otto problemi in due minuti, sei un genio!» esclamò la mew mew sorridendo, afferrando la pagina fitta di nero. E... rimase di sasso.
Il foglio era colmo delle stesse tre operazioni: 0+0=0; 0+1=1; 1-1= 0; 1-0= 1
«Ma che diamine?!?! Che cavolo è sta roba?!?! Dovevi risolvermi questo strillò indicando il testo del quesito.
«Chiedo scusa, ma tutti i computer utilizzano il sistema binario! Ed è troppo difficile per me usare tante cifre!»
La mora assunse la tipica espressione omicida/isterica/nevrotica di chi scopre di aver fatto fare i propri compiti alla persona sbagliata, mentre cercava qualcosa di pesante da tirare addosso a Mash.
«A-aspetta!!! P-percipisco la presenza di un Chimero!» improvvisò, nascondendosi sotto al letto.
«Non venire a dirmi balle!!» gridò, nervosa. Meno male che suo fratello aveva messo la musica a tutto volume, così almeno non la si sentiva urlare.
«No, no, lo sento sul serio... ora! Proviene dal centro sociale di questo quartiere, il Kakumei!» protestò, veramente convinto di ciò che stava dicendo.
«Avviso le altre. Se scopro che mi stai prendendo in giro, ti smonto bullone per bullone» sibilò, tirando fuori il cellulare dalla tasca.
Con velocità inaudita anche per una ragazza figlia della tecnologia, scrisse ed inviò lo stesso identico messaggio alle altre: Venite IMMEDIATAMENTE al centro sociale Kakumei. Chimero in vista!
Stava proprio per uscire dalla stanza, quando vibrò il telefonino: L'hai detto a Shirogane-san? - Shikimi
Ryou? Cosa c' entrava quell' idiota? Mica poteva venire a darle man forte, era un semplice ragazzo. Ok, con muscoli, ma pur sempre un ragazzo normale.. fino a prova contraria, non era UN mew mew.
Forse però bisognava avvisarlo dei Chimeri... almeno usava in qualche maniera costruttiva quel computer con il radar nello scantinato/base segreta del Caffe Mew Mew. Tanto per rendersi utile.
Satō, con un sospirone, scrisse un messaggino pure a lui: Mash ha avvistato un Chimero, accendi quel tuo cacchio di computer e controlla. Sappimi dire chi è in pericolo. Diretta, semplice, cruda.
Le dita cominciavano a sudare sulla tastiera, in tensione. Chissà se qualcuna di loro era stata attaccata, chissà se si era ferita...
Sì l' ho localizzato. C'è una mew mew presente, ma non posso capire chi sia. Potrebbe essere chiunque fu la risposta, ancora più fredda e distaccata.
Ne parli come se fossero vermi!!!! Sono le nostre amiche, sottorazza di GHIACCIOLO!!!!!!!!! scrisse subito, scioccata. Ok, cominciava ad odiarlo ancora di più.
Resistendo all' impulso di scaraventare il cellulare per terra dal nervoso, lo mise in una borsetta avorio a pois marroni, per poi andare in camera del fratellino e avvisarlo che sarebbe uscita.
Questa volta è potente. Dovresti cercare di convincere Hana Yuzu
"Col cavolo che avviso quella bastarda, ce la facciamo da sole come sempre!" pensò,leggendo mentre correva a perdifiato.
Quando arrivò, il fiatone e le guance rosse, vide tutti quei ragazzi ammucchiati, più o meno sbandati (jeans strappati, punkettoni, rasta e compagnia bella) che guardavano in una sola direzione: Un serpente gigantesco con il volto umano, che faceva terrore e ribrezzo solamente a vederlo di sfuggita.
E, in mezzo a quella massa, una ragazza vestita con degli shorts e un corsetto arancione brillante, con orecchie e code da volpe, brandiva un qualcosa di appuntito che l' orsacchiotta non riconobbe. Era la sesta mew mew, quella del giornale, quella che forse era Yuzu.
Non c' era tempo da perdere; la moretta strinse i denti, irritata. Doveva trasformarsi davanti a tutti... che probabilmente stavano riprendendo tutto col cellulare. «Mew Satō Metamorphosis!» enunciò, mentre veniva avvolta dalla solita luce bianca, d' un bagliore accecante.
Come previsto, una ragazza con dilatatore sul lobo e dread stava filmando il tutto a bocca aperta, esclamando qualcosa in tono spaventato.
«Mew Satō, c'è un alieno! Un alieno!» l' avvisò Mash, che svolazzava là di fianco, seminascosto da una folla di gente.
Ed effettivamente, la volpetta era appena saltata vicino a Kisshu, che teneva in mano due pugnali biforcuti, e sembrava se le stessero suonando di santa ragione.
«GENTE! ANDATE VIA DA QUI, O FINIRETE TUTTI MALE!! VIA PRESTO!!» gridò una voce, acuta e perentoria: Kanzō.
"Sono arrivate le altre?" pensò l' orsetta, girandosi. Sì, con la pipistrellina c' erano Sakuranbo, Dai e Kurumi, già trasformate.
Il serpentone sibilò, facendo vibrare la coda a sonagli; un chiaro segno intimidatorio. La massa cominciò a sfoltirsi, rimasero solo una dozzina di persone, lontane dal campo di guerra ma decise a riprendere tutto per il bene del giornalismo...
«Ribbon Satō Snowflake! Ragazze, presto! Fermate quella sottospecie di Basilisco!» le intimò, afferrando il flauto con la mano coperta dal guanto candido in pelliccia sintetica.
«Sì, capo! Ribbon Kurumi Maze!» le urlò dietro la ragazza, brandendo il bordone. Immediatamente cominciò a girare su sé stessa, come una ballerina, ed ecco che milioni di bolle velenose scaturirono verso il Chimero, che le evitò facilmente. Soffiò di nuovo, sputando veleno un po' ovunque, e facendo cadere un palo della luce con una codata, sotto gli strilli delle mew mew e dei passenti, che si salvarono in tempo.
«Dannazione! Saku-chan, corri a soccorrere quelle persone!» esclamò mew Kanzō, che fece apparire la falce. Fissava dritto dritto Kisshu. Quella con cui stava combattendo.. era sicuramente Yuzu. "A noi due, alieno. Non ti permetterò di fare del male ad Imouto!" pensò, socchiudendo gli occhi. Spalancò le ali, neri, grandi, spaventose, con artigli ad ogni punta.
«Signorsì signora!» le rispose la rossa, correndo in direzione dei feriti.
La tenebrosa ragazza volò in direzione dei due; mew Yuzu aveva qualche graffio sanguinante qua e là, mentre Kisshu qualche segno di bruciatura.
«Onee-chan? Che diavolo ci fai qua?» domandò la volpetta, mentre saltava sulla schiena del ragazzo. Aveva degli occhi giallo-arancioni inquietantissimi.
«Mollami, terrestre!» biascicò Kisshu, mentre cercava di scrollarsela di dosso; inutile, l' aveva preso da dietro, avvinghiata stretta per non cadere nel vuoto. Poco prima stavano combattendo su un tetto, ma lui si era spostato e lei l' aveva ingenuamente seguito.
«Yuzu... casomai che ci fai tu qua! Non avevi detto che non ne volevi sapere niente?? E tu stai zitto, idiota!» disse la pipistrellina, puntando la lama verso il collo del verdino.
La ragazza si allarmò: non poteva permettersi che il suo complice morisse! Gli diede un colpetto d' avvertenza, e lui si smaterializzò, per poi comparire sulla strada, in mezzo a tutte le altre eroine. Così, scese dalla schiena del "nemico", e gli diede anche un pugno in pancia, così per soddisfazione personale.
«Ouch! Malefica piccoletta!»
«Piccoletta lei? Ah, devi ancora vedere me!!!» s' intromise Mew Shikimi, separandosi dalle altre che guerrigliavano contro il Chimero, più incazzato che mai. Aveva spruzzato veleno corrosivo dappertutto; auto distrutte, asfalto lacerato.. Il vestito di Kurumi era abbastanza bucherellato, e nemmeno quello dell' orsetta era messo molto meglio. Almeno, nessuna si era fatta veramente male.
«Mew Shikimi Coin!» esordì la coniglietta, tirando il suo solito tappo d' amianto completamente a caso, che per pura fortuna colpì la nuca dell' alieno.
«Ahia! Come ti permetti, nanerottola?!»
«Ehi tu, ameba! Abbiamo un conto in sospeso!»
«Non ora principessa, devo far fuori la tua amica qua!»
«Ohu, chi ti credi di essere?!»
«Ehm, ragazze, non vorrei dire, ma quelle tre hanno bisogno di aiuto» commentò Yuzu sarcastica, indicando il terzetto, parecchio affaticato.
Sakuranbo cercava di far combattere Mash, le bolle di mew Kurumi non avevano alcun effetto, e mew Satō non riusciva a suonare perché era troppo presa dal cercare di non farsi ingoiare dalle fauci del rettilone.
«Ehm, è il caso che intervenga» commentò Kanzō, dissipandosi dalla rissa con lo sfacciato pretendente. Iniziò a sbattere le ali, ma l' amica la fermò in tempo.
«Accecalo, taglialo un po' a fette. Poi ci penso io» le suggerì, con un ghigno malvagio.
«O...k... ma devi ancora rispondermi: perché ci stai aiutando?» domandò, mentre si sollevava in aria.
«Ne avete proprio bisogno».
Kisshu seguiva la mew mew nera nell' alto dei cieli, pronto a fermarla se avesse dovuto ferire seriamente il Chimero.
«Piccola, m' irriteresti parecchio se anche stavolta riuscissi ad ammazzare la mia creatura» disse, pacato ma minaccioso all' orecchio della ragazza, che cercò di tirargli il manico della falce addosso. Inutile, l' alieno aveva ottimi riflessi e la capacità di smaterializzarsi.
«E chissenefrega,scusa? Mica devo accontentare te» ribadì, sicura che lui l' avrebbe sentita anche senza urlare.
«Sei proprio testarda! Di questo passo sarò costretto ad eliminarti...ma ti faccio una proposta: perché non ti schieri dalla mia parte? Hai tutto da guadagnarci, te lo dico io».
«Scordatelo!» sibilò, sbattendo le ali più velocemente. Voleva guadagnare velocità e cavare l' occhio di quel mostro, che stava attorcigliando nelle sue spire mew Kurumi e mew Sakuranbo.
«Detesto le bamboline che non mi danno retta!» commentò, irritato. Perché diamine non gli obbidiva?
«IO NON SONO UN TUO GIOCATTOLO! Ribbon Kanzō Fury!» urlò, e i suoi colpi puntarono dritto dritto alla bocca del serpente-umano, che colto alla sprovvista lasciò cadere le due ragazze.
Il Chimero allora soffiò, spargendo veleno dappertutto, dritto nella direzione della pipistrellina. «Oh minchia!» sussurrò quella, cercando di tenere salda la presa. Quel coso si stava avvicinando con una velocità spaventosa.
Ma un grido la salvò da quella situazione: «Ribbon Yuzu Pain!». Dall' arma della ragazza, un attizzatoio triforcuto giallastro, scaturirono lunghe fiammate rosse, che appena entrarono in contatto con le scaglie verdi e viscide del rettile divamparono per tutta la sua lunghezza.
Il serpente si fermò, attorcigliandosi da solo soffocato dal fumo e bruciato dal fuoco crudele della volpe, che si rifletteva nei suoi occhi arancione brillante, scintillanti.
Mew Kurumi ne approfittò per creare una barriera con le bolle velenose, impedendogli di muoversi. Dopo qualche minuto, il Chimero, distrutto, si accasciò per terra e di dissolse, le particelle volavano un po' per poi sparire.
Rimase solo l' Ankh a terra, preso in mano da mew Shikimi, e l' alieno parassita, prontamente ingoiato da Mash.
La ragazza col dread spense la videocamera del cellulare, rilassata. Finalmente poteva respirare tranquillamente.
Aspettava solo che il ragazzo misterioso con i capelli verdi svanisse...
«E va bene ragazze. Avete vinto la battaglia, ma non la guerra» commentò, nervoso. Tutta scena: sapeva che grazie a Yuzu avrebbero vinto, ma era maledettamente bravo a fingere. Detto questo, scomparve senza attendere risposta.
Mentre la piccola coniglietta cercava un corpo bianco a terra privo di sensi, inveendo a vuoto e implorando il Grande Demone Celeste di aiutarla, mew Sakuranbo si era avvicinata a mew Yuzu. «Grazie Hana-san, se non fosse stato per te..» balbettò, con la coda tigrata che scodinzolava bassa a destra e a sinistra in segno di sottomissione e le orecchie abbassate. Faceva molta tenerezza.
«Ve lo ripeto, non amo lavorare in squadra» ripeté, squadrando le mew mew una per una: c' erano sguardi assassini, rassegnati, delusi e con l' aria di dire "che vi avevo detto?". «...ma stavolta sono pronta a cambiare idea» concluse, con un mezzo sorriso laterale.
Mew Kanzō la guardò a bocca aperta: chi cavolo le aveva fatto cambiare idea? Forse dopo lo scempio assistito, era convinta che avessero bisogno d' aiuto? Era carità la sua? Ma d' altronde non le importava veramente. L' interessava solo riavere un' amica. «Imouto!» trillò, e l' abbracciò tutta contenta.
«Ma sì, abbraccio di gruppo!» propose la rossa, unendosi al duo ridendo.
«ARRIVOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!» gridò mew Shikimi, intromettendosi come sempre. Non aveva neanche sentito il discorso, però poteva benissimo immaginarselo.
Le altre due rimasero fuori, scuotendo la testa, però avevano un mezzo sorriso sotto i baffi. Tutto si era risolto per il meglio, e Ryou e Keiichiro sarebbero stati molto soddisfatti. Che bellezza.
«Non so spiegare bene cosa sia successo, ma posso dirvi,come potete vedere anche voi dal video, che stasera cinque supereroine sono state riprese e verranno subito mandate su youtube...» disse qualcuno di completamente esterno alla vicenda: la fattona si era avvicinata, e aveva ripreso tutto, inquadrando il sestetto con un sorrisone. Aveva un brillantino sul dente.
«No aspetta, stai dicendo che siamo in onda? E magari adesso c'è tutto il Paese che ci sta guardando, è così?» chiese l' orsetta, arrossita. Cavolo, sarebbero diventate una celebrità.
«Beh, questa non me l' aspettavo proprio... che cosa posso dire? Le mie amiche ed io siamo una squadra che si occupa di proteggere la Terra da...» cominciò la tigrotta, fiera di apparire in rete e probabilmente in un futuro non lontano anche televisione.
«Shhhhhhhhhhh, zitta!! Vuoi che tutti vengano a sapere del nostro segreto?!» le tappò la bocca mew Kanzō, imbarazzata.
«Raccontatemi qualcosa di più! La gente vuole sapere! Che cosa rappresentano quegli strani costumi? Su, avanti, non essere timida!» rispose la tipa, avvicinando il telefonino a mo' di microfono -e quasi lo metteva in bocca alla rossa-.
«E va bene basta, avete vinto voi!! Noi formiamo un team, le Mew Mew, paladine della giustizia!» esclamò la coniglietta a mento alto, vanitosa e con aria di fierezza.
«Per il futuro della Terra, saremo a servizio! Nyaaan!» squillò Sakuranbo, facendo il suo solito movimento felino con le mani. Di sicuro al pubblico sarebbe piaciuto, era talmente puccioso...
L' ultima a parlare, prima che si scaricasse per miracolo la batteria del cellulare, fu Kurumi con un' espressione scocciata e rassegnata: «Figurati se non si metteva in mostra!».

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Kinoko ***


Tic, tac, tic, tac,tic,tac.
La lancetta dei minuti dell' orologio della mensa dell' Akamura tichettava instancabilmente, segnando mezzogiorno e cinque minuti. L' ora del pranzo.
Tutta la scuola era ammassata in quella grande sala, stipata nei lunghi tavoli e nei tavolini color avorio. Era uno spettacolo piuttosto ilare: c' era il tavolino dei punk, uno delle truzzette, uno dei nerd, uno dei giocatori di kendo, uno dei fighetti supertirati, uno degli otaku, quello del club di teatro, quello della biblioteca, quello di musica leggera e il resto della comune plebe. In quest' ultima categoria, sedute sui tavolini da quattro, c' erano Satō, Sakuranbo, Kurumi e Yuki Hinata, l' amica/avversaria amorosa della bionda.
«Sono stanca. Stanchissima. Quante volte l' ho detto che odio lavorare a quel caffè?» cominciò la moretta, sospirando. Ok, magari l' ambiente era anche carino e simpatico, e Yuzu, una volta unita, si era rivelata leggermente più accettabile -e lavorava- ma... RYOU... proprio non lo poteva accettare. Era sempre a dare ordini, con una strana aura malvagia attorno e quell' ironia perversa e maligna che usciva dalla sua stramaledetta linguaccia biforcuta.
Lo odiava con tutto il cuore, gonfio nella sua ira, e un giorno sicuramente avrebbe reagito. E quel giorno era molto vicino...
Keiichiro aveva acquistato una padella nuova di zecca, grande, rilucente, e Satō appena l' aveva vista aveva notato che s' intonava molto bene con la zucca del biondo... Già immaginava il bernoccolo sulla sua testa e il segno del cranio sulla padella splendente. Tutto questo era appagante, ed era l' unico pensiero che la distraeva dal lavoro. La vendetta!!!!
«Ma è così divertente starsene lì e guardarvi sgobbare ^_^ E poi faccio l' assaggiatrice e bevo e mangio tutto quello che mi pare.. io amo quel posto...» ribatté Sakuranbo con un sorrisone, mentre vagava col pensiero a un compito di giapponese che avrebbe dovuto fare tra un paio d' ore...
«E tu, Sheru-san, che ne pensi?» chiese Yuki con la sua vocetta gentile, tanto interessata fuori quanto menefreghista dentro: Chukonen lo sapeva bene, che quella lì era falsa fino al midollo. E poi, le voleva fottere il fidanzato, siamo sinceri.
«Io posso solo dalle cinque alle sei, perchè dalle tre alle quattro ho ripetizioni... e devo dire che mi spettano i compiti più facili, dato che il grosso del lavoro è già stato fatto. Devo solo prendere le ordinazioni, tutto qui!» spiegò, disinvolta. Non è che fosse il compito principale di una mew mew stare dietro ai clienti,ecco.
«Capisco... allora, Saku-chan, ti ho detto le novità?!» esclamò, con un sorrisone e lo sguardo impaziente. Era dalle sette di mattina che voleva sputare il rospo, non sapeva trattenersi oltre.
La ragazza gelò, lo sguardo duro e i bastoncini in mano; cadde il pezzo di yakisoba che stava mangiando. «Cioè?» sibilò, diffidente. Odiava quando iniziava a stressarla, con eventi di cui non gliene fregava un' emerita mazza.
«Itsuki-kun mi ha chiesto di uscire questo pomeriggio!» trillò, sovraeccitata. Aspettava quel momento da ere, glielo si leggeva in faccia.
Tutto il tavolo si bloccò, desiderando ardentemente dei pop-corn: questa era meglio di beautiful! Tutte sapevano che entrambe morivano dietro a Funsui, ma sapevano anche che Hinata non sapeva della palese cotta della tigrotta. Chukonen, invece, sapeva troppo, troppo bene di quella stramaledetta biondastra [i miei capelli sono molto più biondi dei suoi,tsk! cit] dell' "amica".
«Ah. E sarete.. soli...?» domandò, con uno strano nodo alla gola. Dov' era il coltello per tagliare il pesce?! Sarebbe tornato molto utile...
«Suppongo di sì, non so, ha detto che avrebbe forse invitato una sua amica... Tsumi Daisuke, dell' Hikarizaka come lui...» rispose, facendo spallucce.
Sakuranbo diede un sospiro di sollievo. Ah ecco, c' era il trucco! Non si sarebbero visti da soli, passeggiando romanticamente per la baia di Tokyo alla luce della luna piena mano nella mano...
Ci fu un po' di silenzio, interrotto solo dalle bacchette che sfregavano sul piatto: in questo modo ascoltarono i discorsi degli studenti dei tavoli vicini.
«Avete visto quel video su Youtube?! Quello con 1234678987654345787654 visualizzazioni?! Delle supereroine in costume che combattevano quel serpente enorme?!» attaccò qualcuno, una otaku con i capelli tinti di azzurro.
«AAAAAaaah kawaiiiii,ne? :3 Le mew mew! Hanno un nome così adorabile!! E quella che faceva "Nyan!"? Era così.. puccioooosa!» le rispose qualcuno, una con degli occhialoni enormi che le deformavano gli occhi.
La biondina si sentì esplodere d' orgoglio: oh sì, era figa, ma quanto era figa!!
«Ah è vero, le ho viste anche io! E' pazzesco, non credevo fosse possibile una cosa del genere!! Qual' è la vostra preferita?? Io non sopporto quella con le orecchie da tigre, è così spocchiosa!!» commentò Yuki gesticolando come al suo solito. I mille braccialetti tintinnavano sui polsi ogni volta che si muoveva.
Delle bacchette si spezzarono, cadendo per terra; indovinate un po' di chi erano?!
«Ehmmm, ma noooooo! E' così simpaaaaaatica!!» s' intromise l' orsetta con un ghigno falsato sul volto. Non era il caso di ritrovarsi feriti in mensa.
«Sisisisi sono tutte favolose, ascoltiamo cosa ne pensano gli altri?» propose Kurumi, interrompendo il probabile litigio che sarebbe scoppiato. Annuirono, e tacquero rizzando bene le orecchie.
«Quanto gnocca è quella vestita di azzurro?! Ti giuro non sono mai riuscito a guardarla in faccia, ma di sicuro era splendida... e poi era una coniglietta :Q___» diceva un ragazzo, un riccioluto semi-italiano di nome Bernardi.
«Boia è vero! A me piaceva anche quella tutta bianca, aveva degli shorts così... short! Dovrei proprio sapere chi ha fatto loro quei costumi, che quasi quasi ne ordino uno per la mia ragazza...» rispose un amico, rosso di capelli.
«Quella nera era così terribilmente malinconica, aveva un' espressione fredda e l' animo glaciale... era stupenda... certo però che avrei preferito una gonna molto più corta...» si sentì dal depresso tavolo dei goth, presi a mangiare depressamente il loro depresso cibo del depresso bento.
Le tre mew mew dovevano trattenersi per non scoppiare a ridere; o meglio, Satō era talmente rossa e talmente nevrotica che prima o poi, di sicuro, avrebbe preso a padellate il ragazzo pel di carota.
"Ma che cose le è venuto in mente?! Non poteva starsene zitta? Dannata Chukonen..." pensò, scuotendo la testa con aria di disapprovazione.
A interrompere quell' aria complice fu un BIP BIP del cellulare di qualcuno: Yuki frugò nella tasca e in mezzo nanosecondo ce l' aveva già in mano, pronta a leggere. «Ommioddio ragazze, è Itsuki-kun!» esclamò, con un' espressione radiosa. Sprizzava felicità da tutti i pori. «Konnichiwa, Hinata-chan, come va? Uuuuh mi ha chiesto come sto, che dolce!! Mi spiace avvertirti che per dopo non posso vederti, ho scoperto di essere impegnato.. ooooooh nooooooo, che sfiga! Ciao bella, ci sentiamo...» lesse ad alta voce, la delusione che appariva man mano sul volto.
Ok, sarebbe stata scocciata per il resto della giornata.
Qualcun altro invece sorrideva sotto i baffi, gongolante. Ohohoohoh, che guioia!
«Ehehe, scusatemi, ehm, ehehe, ma devo andare in bagno.. ihihi... » mormorò la mew mew, alzandosi con quel ghignetto malvagio.
Dai corridoi si sentì urlare a pieni polmoni un misterioso YA HOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!

***


Il compito di giapponese era andato molto bene, Sakuranbo si sentiva realizzata perché aveva scritto molto. Era un tema a proposito del consumismo americano, e con tutti i telefilm che aveva visto su megavideo qualcosina da dire ce l' aveva.
Stava, come al solito, prendendo la strada per la fermata del tram con Satō e nessuna delle due sentiva l' esigenza di blaterare a vanvera. Fra un po' comunque si sarebbero viste al Caffé, e avrebbero di sicuro chiacchierato là.
«SAKU-CHAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAN!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!» gridò una voce, molto ben nota, seguita da una sgommata impressionante che assordò le amiche.
«Oh no, l' idiota!» commentò sottovoce la bruna, alzando gli occhi al cielo. Non sopportava nemmeno lui, sebbene non le avesse fatto niente.
«Funsui, ora, ti ho detto e te lo ripeto ogni volta: SAI FRENARE DECENTEMENTE?! DEVO FARTI LEZIONI DI GUIDA?!» strillò, agitando l' indice con fare accusatorio.
Il ragazzo non si prese nemmeno la briga di togliersi il casco, ormai era riconoscibilissimo. «Tu che mi insegni a guidare?! Ahahahahahahahah questa è bella! Saresti un' arma di distruzione di massa!» la contraddisse, sarcastico.
«Nooo! Saku-chan non è così impedita! E poi scusa che ci fai qua? Non avevi dato buca a Hinata? Perché è già andata a casa..» mugugnò, incrociando le braccia. Le ragazze giapponesi, per darsi un' aria più carina, parlano di sé in terza persona.
«Scusami, ma io e te avevamo un appuntamento in sospeso e sinceramente è pesante quella donna...».
Mentre i due parlavano, Satō era rimasta a rigirarsi i pollici, ma aveva capito come sarebbe andata: lui l' avrebbe caricata dietro e lei se ne sarebbe stata ferma là da sola come una scema. Perciò, senza dare nell' occhio, se l' era squagliata con uno scatto fulmineo...
«Oh è vero! Ehm, dove andiamo di bello?» chiese, già con le farfalle nello stomaco.
Lui tirò fuori un casco, che l' altra prese al volo, e prima di rispondere la fece salire dietro. «Parco Inohara!» affermò, partendo come solito a razzo, infrangendo praticamente tutto il codice stradale... semafori, strisce pedonali, attenzione alla nonnina che cammina...
La ragazza nel frattempo era avvinghiata come un panda ad un albero, terrorizzata. «VAI PIANO, CRISTO SANTO!» urlò a pieni polmoni, gli occhi ben serrati.
Una ragazza con i capelli marroni, su un tram blu, aveva sospirato qualcosa della seria "Quella è Sakuranbo".
"Ecco, adesso ci schianteremo su un palo della luce, moriremo insieme, non avrò neanche una soddisfazione nella vita, non potrò mai tirare uno schiaffo a Kisshu, non ucciderò mai il coniglio della mia migliore amica, non avrò bimbi, marito, famiglia.. la mia giovine vita stroncata così alla prematura età di sedici anni..." pensava mesta la fanciulla, mentre affondava le unghie nelle spalle di Itsuki.
«Ahia, fai male! E poi calma.. siamo arrivati» l' assicurò, frenando in modo civile.
La bionda scese immediatamente, nauseata, con la testa che girava e lo stomaco in subbuglio. Era sempre così quando andava in moto con quel pazzo. Si levò il casco -inceppandosi con il cinturino- e mancò poco che glielo tirasse in faccia.
«Maledetto infame...» borbottò, appoggiandosi al cancello del parco, gli occhi ben serrati. Doveva passarle il mal di testa.
«Easy cucciolina, puoi pure reggerti a me se non riesci a camminare...» propose, malizioso.
«Smettila di prendermi in giro» affermò, cercando un attimo di dignità. Ok, stava meglio, poteva farcela benissimo da sola.
La coppia (^o^) cominciò a passeggiare, seguendo il selciato che zigzagava tra l' erba verde del prato, cominciando a bisticciare come al solito di argomenti assai ininfluenti.
In un momento di silenzio, mentre Itsuki si sistemava i vestiti (Sakuranbo l' aveva picchiato talmente da stropicciargli la divisa scolastica) la ragazza s' immerse nei propri pensieri. "Magari ha voluto portarmi in un posto tranquillo per stare da solo con me e farmi una dichiarazione... maledizione! Il cuore mi batte fortissimo! Dai, Saku-chan, stai calma, non farti prendere dall' emozione, calmati ora... calmati!"
«Eccoci, siamo arrivati... ti piace?» domandò il ragazzo,facendo un cenno alla piccola radura circolare in mezzo al boschetto, ombrata solo dal grande ciliegio in mezzo.
«Che strano, quel ciliegio è ancora verde... strano,vero?» aggiunse, facendo spallucce. Non che gli interessasse, ma in mezzo a tutto il giallo e l' arancione delle altre foglie, spiccava. Dopodiché si sedette sotto la sua ombra, mettendosi le mani dietro la nuca.
La mew mew fece altrettanto, mettendosi vicina a lui. «Hai. Perché mi hai portato proprio qui?»
«Qua è tutto molto calmo, mi sembrava fosse il posto adatto per portare una ragazza»
«Mi sa che hai ragione... Yuki non sarà gelosa?» commentò, sogghignando.
Il moro sembrò sorpreso; sbatté le ciglia, confuso, facendo gli occhi da cucciolo.«Dovrebbe?»
«Ma non te ne sei accorto?! Ma è così evidente che ti muore dietro! Andiamo, fa sempre quella faccia da baka quando ci sei tu, c'è, praticamente la vedo ballare in mezzo alle nuvole rosa con le alucce da angioletto addosso mormorando parole senza senso della serie "oooh, itsuki-kun!" e compagnia bella!»
«Ah, ora si spiegano molte cose... aaaaah!! Ma cosa devo fare con lei?! A me non piace affatto!!» cominciò a lamentarsi il poveretto, scuotendo la testa.
«Ah no? E chi ti piace allora?» la buttò lì la bionda con nonchalanse, l' ansia che scavava con le sue unghie affilate dentro di lei. Doveva saperlo, non poteva restare in quella situazione di stallo per la vita.
Itsuki smise di guardarla negli occhi e puntò i suoi, di quel marrone quasi nero, alle nuvole bianche del cielo. «Ma dai che lo sai già, l' avrai capito ormai...» borbottò, scompigliandosi i capelli sulla nuca, chiaro simbolo di nervosismo.
"Si riferisce a me?! Sta parlando di me?! Oppure no?!?!" pensò subito, fermo il cuore e rosso il volto. «A essere sincera, non ne ho la più pallida idea...» mormorò, diventando improvvisamente rigida e seria. Faceva così, quando era molto in imbarazzo o a disagio.
«Beh, vedrai che ben presto lo scoprirai»
Sakuranbo era curiosa. E molto. Doveva assolutamente sapere chi era riuscita ad ottenere l' amore di Funsui-san. Senza rendersene conto aveva frugato in cerca del cellulare, e distrattamente aveva guardato l'ora... «Oh no, devo andare al Caffé! Itsuki-kun, dato che sei tu che mi hai portato qui, sarai anche tu che mi porterai là!» decise, perentoria, la mew mew. Effettivamente poteva anche arrivare in ritardo -tanto non avrebbe fatto niente comunque- ma a quell' ora c'era Keiichiro che sfornava qualcosa di nuovo e di delizioso, che faceva sempre assaggiare a lei perché aveva il palato fine. Non poteva rinunciare, o Shikimi le avrebbe soffiato il posto!
«Come desiderate, padrona -.-! Ohi la prossima volta scegli tu dove andare, ok?» propose, prendendo la mano della ragazza, che subito si sentì arrossire. Cavolo, stavano camminando per manina come due fidanzatini!!
«Per me va bene ovunque...» rispose, in un tono di voce acido. In realtà era semplicemente nervosa, ma ogni volta che era agitata sembrava solo incazzata, ma il moro lo sapeva. La conosceva bene. "... basta che ci sia tu" aggiunse mentalmente, con un sospiro.

***




«Kanzou, hai letto il volantino che ti ho dato?». Questa era Sanae, appena tornata dal lavoro, che si era intrufolata nella camera della figliola per socializzare. A lei faceva piacere parlarne ogni tanto, ma la mew mew tentava sempre di cacciarla dalla sua stanza il più velocemente possibile. Le dava fastidio avere gente intorno nell’ unico posto in cui possa stare nella sua bolla deprimente senza fingere di essere una normale adolescente superesaltata.
«Quello del balletto di danza?» chiese, in tono perfettamente impassibile. Aveva un’ espressione neutrale, priva di espressioni. Era stanca, confusa, stressata.
Stanca perché lavorava come una matta al Caffè, sgominava Chimeri di quell’ imbecille, lottava contro di lui e tutto quello che si addice a una supereroina.
Confusa perché non riusciva a capire cosa provasse per le sue compagne di ventura; non erano delle tipe ordinarie, come le sue compagne di classe, ma avevano personalità spiccate ed appariscenti. Erano diverse, speciali, ma nonostante questo non poteva fidarsi di loro. Avrebbe dovuto, perché senza fiducia non c’è legame, però non ci riusciva. Lei non riusciva a confidare in nessuno, sicché troppo ostile e diffidente.
Stressata per via della marea di compiti che doveva fare in ogni buco di tempo libero e per lo studio notturno, che le toglieva molte ore di sonno e questo problema si riscontrava la mattina, sul banco, quando la testa ciondolava terribilmente e aveva una voglia matta di dormire hic et nunc.
«Sì. Secondo me ti piacerebbe andare a dare un’ occhiata. Non avevi forse desiderato provare danza classica un giorno?» propose la donna, sedendosi sul letto con un’ espressione gentile e disponibile.
«Era solo un’ idea. Faccio già atletica e un mucchio di attività al Caffè. Non ho tempo di fare altro, altrimenti devo dire addio a una buona media scolastica» rispose, sospirando.
«Magari l’ anno prossimo…? Da bambina eri così brava e bella!»
Kanzou assunse una faccia scocciata. Eh no, due complimenti nella stessa frase erano insopportabili. –Come può una nanetta di sei anni essere brava?! E bella non direi proprio, ero tutta grassoccia e ho una faccia orribile!- si lamentò, con un tono irritato. Fra poco avrebbe scacciato Sanae dalla stanza, sicuro come l’ oro.
«Beh tu lo eri. Peccato che non avessimo mai tempo di portarti… pazienza. Allora, vai al balletto? Sono tutte ragazze, vengono da Fukuoka. La più brava verrà ammessa alla scuola più prestigiosa di Tokyo; vivrà nell’ Accademia, mantenuta dalla scuola stessa. Non ti sembra eccitante?»
«Va bene, andrò, sei felice?» l’ interruppe secca la ragazza; prima accettava, prima Sanae l’ avrebbe lasciata in pace.
«Perfetto. T’ accompagno io in macchina. Vuoi portare qualcuno?» domandò, affabile. Chissà perché tutta quella gentilezza: era quasi sospetta.
«Mmm… chiederò a Yuzu-sama. Le piace la danza classica… solo guardarla, però» rifletté, pensierosa. Chissà perché, la rossa rifiutava con tutta sé stessa la possibilità di frequentare delle lezioni di danza, ma amava ammirare le ballerine eseguire quei movimenti armoniosi e leggiadri che l’ incantavano sempre.
Non era una questione di soldi, perché altrimenti Yuzu avrebbe espresso il desiderio anche solo per conversare. Ma lei odiava ballare. Forse perché era costretta a farlo durante i concerti. In discoteca o alle festicciole private, e danzare le ricordava quella sorta di bordello. Povera ragazza. Per soldi però era disposta a farlo, anche se odiava la musica commerciale ed atteggiarsi da puttana.
«Perfetto. Domani alle sette e mezza dovete essere pronte»

***


La madre, la figlia, e l’ amica sgattaiolarono silenziosamente nel buio della sala, cercando la fila del loro posto. Erano, ovviamente, arrivate in ritardo. Il biglietto era costato abbastanza, forse anche troppo. Probabilmente dovevano ripagare le spese del volo da Fukuoka e Tokyo aumentando il prezzo. Beh, presto avrebbero scoperto se ne sarebbe stata valsa la pena.
Si sedettero velocemente, per non farsi sgridare dagli spettatori, e sprofondarono nelle soffici poltroncine rosse della sala numero 3 del teatro.
Qualche secondo dopo le luci bianche illuminarono il palco, e si aprì il sipario.
Disposte a volo d’ uccello c’ erano undici ragazze splendidamente abbigliate. Quella al centro sembrava la più giovane; era l’ unica vestita di bianco. La luce l’ illuminava e la pelle abbronzata pareva splendere. Tutte indossavano abiti arabeggianti, con veli e diademi grondanti finti diamanti. La pancia era scoperta, e tutte avevano un brillantino sull’ ombelico.
«Tsk, dilettanti! Il mio è più bello!» commentò a voce bassissima Yuzu, sapendo che l’ udito da pipistrello di Kanzou l’ avrebbe sicuramente sentita. Mostrò il piercing a due palline sull’ ombelico, e lo fece ondeggiare come una danzatrice del ventre. Non che avesse mai fatto danza del ventre, ma diciamo che era pratica di quel movimento.
«Sicuramente» rispose in un soffio l’ amica, alzando gli occhi al cielo. Anche senza farlo apposta, quella ragazza aveva comunque un modo di fare piuttosto volgare. Almeno finché non faceva la bimba fuori di testa quando era particolarmente felice ed euforica.
La ballerina in bianco cominciò con il primo movimento: era fluida, rilassata, con un’ espressione pacata. Gli occhi e la bocca erano truccatissimi, ma era impossibile riuscire a capire il colore delle sue iridi. Le scarpette non facevano alcun rumore sul legno, tanto era delicata.
La musica che l’ accompagnava era la Bayadere, sinuosa e complicata, e la danzatrice sembrava essere saltata fuori dalla melodia. Aveva un senso del ritmo impressionante, e uno sguardo seducente. Ma forse solo per via del trucco.
Poi, a canone, la seguirono a ruota le due dietro, vestite di verde. E dopo un po’ anche quelle rosa, azzurro, ed infine, per ultime, le ragazze in giallo.
Il palco si trasformò in un mosaico di colori, le ballerine s’ alternavano avanti e indietro, ma in mezzo restava sempre quella bianca. Era anche la più carina.
Il primo balletto terminò dopo una manciata di minuti, dopo un singolo della fanciulla protagonista. Sicuramente sarebbe stata lei a prendere il posto nell’ accademia.
«Cavolo, sono state fantastiche!» si lasciò scappare Kanzou, durante lo stacco del cambio di costumi. Oltre all’ entusiasmo, però, Yuzu poteva sentire benissimo una nota di insensata invidia. Probabilmente era gelosa dei loro corpi, o forse solo della loro bravura. Invidia insensata; la mora sembrava scolpita nell’ acciaio, ed era proprio magra. Ma non lo vedeva, doveva lamentarsi lo stesso.
«Sai quanto si sono allenate? Tutti lo sarebbero con costanza e forza di volontà» ribatté la rossa, indifferente. L’ aveva detto proprio per destare l’ autostima di Kanzou, che con ogni probabilità era ancora sepolta sotto il livello del mare.
Poi si zittirono, perché ricominciò la musica. Sta volta era l' Habanera della Carmen, ed entrarono sul palco prima il terzetto delle più grandi, facendo frusciare i loro ventagli neri con il bordo di pizzo. Anche i vestiti erano neri di pizzo, con una fascia dorata in vita, pomposi e con un tulle vaporoso per tenere alta la gonna con ricami d’ oro. Avevano una rosa rossa nello chignon, e le labbra dello stesso colore.
Piroettavano, facevano brevi salti con spaccata, e prima di uscire per dare spazio al resto del gruppo, aprirono di scatto il ventaglio, creando un effetto coreografico molto bello e provocante.
Poi entrò un quintetto, i costumi di scena uguali, che però eseguivano passi molto meno complicati. Stavolta le punte avevano il gesso,e spesso facevano plié veloci e precisi. Anche loro giocavano molto con i ventagli.
Per ultimo, il terzetto delle più giovani, tra cui quella che prima indossava il velo bianco. Anche questa volta stava in mezzo, ma non aveva più un ruolo importante come prima. Restava comunque la più brava delle tre, la più coordinata. Ed era indiscutibilmente stupenda con quel tutù; Yuzu non poté fare a meno di constatare che avrebbe fatto strage quella ragazza, se avesse partecipato a uno dei suoi concerti in discoteca. Le augurò però di non vedere mai a uno spettacolo così repellente e triste come quello.
La squadrò attentamente, invidiosissima. Poteva rimproverare Kanzou quanto voleva, perché lei non aveva il diritto di autocommiserarsi carina com’ era, però Yuzu sapeva che non era affatto al loro livello e quindi poteva deprimersi quanto le pareva. Sentiva il cuore sprofondarle in qualche meandro oscuro del petto, risucchiato da un buco nero che le polverizzava l’ anima. Si accasciò nella poltroncina, scuotendo la testa. No, non poteva concedersi di fare paragoni… eppure, non riusciva a resistere. Ma doveva farci l’ abitudine.
“Yuzu smettila. Sei nata così. non è colpa tua. Concentrati sulla coreografia” pensò, ma scoprì che la sua attenzione era riservata alla graziosa ballerina. E mentre la fissava, si accorse di un particolare che prima non aveva notato, per via delle maniche lunghe del top di prima: aveva un qualcosa, una voglia, un segno o un tatuaggio sulla spalla.
«Onee-chan» chiamò, tirandole una ciocca dei capelli neri.
«Cosa c’è?» sussurrò, uscendo da un momento di trance. Probabilmente stava avendo gli stessi pensieri della compare.
«La tizia in mezzo, quella brava, ha qualcosa sulla spalla...» osservò sottovoce, indicandola con il mento.
«E allora? Che eventualità c’è che sia proprio quel segno?» chiese retorica Kanzou, tranquilla. No, non credeva possibile che fosse proprio lei l’ ultima mew mew. Veniva da una città straniera; come potevano Ryou e Keiichiro averle iniettato il DNA?
«Potrebbe sempre essere. Finito lo spettacolo andiamo a congratularci con lei, così da poter vedere da vicino cos’ è quella cosa sulla pelle» propose, cauta. Il suo istinto le gridava quel suggerimento, e quando si è mezzi volpe, bisogna sempre ascoltarlo. L’ intuito animale era mille volte migliore di quello umano.
«Va bene, ma non illuderti. E ora stiamo zitte; sta iniziando il Flauto Magico!»

***


La vincitrice del concerto sarebbe stata scelta dopo una mezz’ oretta alla fine dello spettacolo, e in quella pausa Yuzu e Kanzou ne approfittarono per andare a congratularsi con la ballerina con il segno sulla spalla. Cercarono gli spogliatoi e s’ acquattarono all’ uscita di essi, pronte ad avventarsi sulla ragazza appena fosse uscita da quella stanza misteriosa.
«La cosa mi sta gasando un sacco. Mi sento una specie di agente segreto» commentò Yuzu ridendo, gli occhi accesi di divertimento.
«Se ci pensi bene, siamo una specie di agenti segrete. Super eroine in incognito… mi sembra di essere dentro un film tipo Charlie’s Angels» rispose Kanzou pensierosa. Stava ripensando al video in rete di loro sei che distruggono il Chimero di Kisshu, di quanti miliardi di visitatori, quanti milioni di “mi piace”. Era una cosa impressionante, e anche un po’ inquietante. Sperò intensamente che nessuno scoprisse il suo segreto, o sarebbe stato esageratamente imbarazzante. La stampa, la TV, e magari in un futuro una serie televisiva ispirata a loro… no, sarebbe stato un suicidio. Non sarebbe neanche potuta uscire di casa senza imbroccarsi in curioso.
«Hai ragione. Sai che hanno fatto un servizio sul telegiornale? Uno speciale con il nostro video… devi vedere com’ erano esilaranti le supposizioni degli scienziati e degli esperti, che tentavano invano di trovare una spiegazione a questo “incredibile fenomeno”. Qualcuno credeva che avessimo preso troppi steroidi animali, altri dicevano che siamo organismi ottenuti grazie alla clonazione… dovresti vederlo per farti due risate. Ci stanno scambiando per tartarughe ninja o qualcosa di simile» replicò la volpetta, per poi fare un’ altra raffica di risate. Avrebbe un sacco voluto vedere Sakura Chukonen in quel momento, con loro, fare l’ investigatrice privata o comunque la spy girl. Le scappò un sorrisetto.
«Ho letto qualcosa del genere sul giornale locale» affermò la mora, scuotendo la testa con rassegnazione. Stava proprio per aggiungere qualcos’ altro, quando la porta si aprì ed uscirono due ragazze. Erano le due più giovani; si erano tolte il trucco pesante e indossavano entrambe dei jeans.
Si fermarono quando si trovarono davanti le due ragazze. «Cosa ci fate qui?» chiese una delle due, una bionda tutta pelle e ossa, i capelli legati con una crocchia semplice.
«Stiamo aspettando una ragazza. Comunque complimenti, siete state tutte molto brave!» esclamò Kanzou, sincera. Non lo diceva così per fare, sentiva veramente il bisogno di dirglielo.
L’ altra, la mora, più alta e formosa della biondina, sorrise. «Domo. Probabilmente vorrete parlare con Chinoko. Ha quasi finito. Beh, noi andiamo. A dopo!»
«Ganbatte!» le gridò dietro Yuzu, agitando la mano con un sorriso. Le stava simpatica; sperava che vincesse lei il premio, ma naturalmente preferiva che se lo aggiudicasse la ragazza che stava aspettando.
Nel frattempo uscirono le tre più grandi, tutte con i capelli neri, alte, più o meno magre. Sembravano immerse in un’ appassionata conversazione. Discutevano di Cannes e di Milano; a quanto pare si erano esibite anche lì.
Finalmente uscì anche la bella ballerina che le aveva tanto colpite; portava anche lei una pratica crocchia casual ed era struccata. Aveva delle ciglia molto lunghe anche senza trucco, e le labbra cremisi naturali.
Indossava un top celeste e dei pantaloncini in denim, più le converse. Non sembrava più la reginetta di malizia di prima; sapeva recitare bene anche danzando. Ora invece aveva un’ espressione neutra, forse un po’ emozionata, e sorpresa quando Yuzu le strinse la mano.
«Konnichiwa! Congratulazioni, sul palco sei stata una bomba! Super brava! Sono strasicura che vincerai tu il concorso!» trillò, con un sorriso aperto e caldo. La guardò negli occhi –era più alta di lei di una buona spanna, almeno una dozzina di centimetri– e notò che erano molto particolari. Verde muschio screziati di nocciola chiaro, con il sottile bordo dell’ iride grigio scuro.
«Ehm, grazie… ma chi sei?» domandò quella, alzando un sopracciglio. Aveva una voce acuta e dolce, ma sembrava quasi forzata. Era proprio l’ immagine della ballerina-tipo.
«Mi chiamo Hana Yuzu, e lei è la mia amica Jundo Kanzou!» presentò, mettendo una mano sulla spalla alla pipistrellina che arrossì. Si sentiva un po’ stupida e sicuramente a disagio.
«Io sono Kuroi Chinoko» rispose, lievemente stupita. Non riusciva a capire cosa volessero quelle due da lei.
«Che bel nome!» commentò Kanzou, sorpresa. Già quello era un segnale; tutte le mew mew avevano nomi di cose da mangiare, e lei si chiamava “funghetto”. Che avesse ragione Yuu-chan? Le guardò la spalla sinistra; c’ era un disegno delicato rosa scuro, come un marchio. Rappresentava una coda di foca, o lamantino, con dei segni orizzontali sotto. Il tutto contornato da un finissimo intreccio che chiudeva un cerchio. Non c’ erano dubbi, era proprio il segno. «E anche un tatuaggio particolare» concluse, lanciandole uno sguardo serio. Voleva trasmetterle con gli occhi qualcosa di importante, ma non voleva arrischiarsi di spiegarlo così pubblicamente.
«Ehm, arigatou. Beh, felice di aver fatto la vostra conoscenza, ma devo andare alla premiazione…» l’ interruppe, improvvisamente nervosa. Se ne andò a passi lunghi con la borsa sulla spalla, lasciando le amiche sole.
«Haivistochevevoragione??» sparò tutto d’ un fiato la rossa, un ghigno soddisfatto sulle labbra. Adorava la sensazione di dare una spenta a Kanzou; di solito non accadeva praticamente mai, e quando ce la faceva si sentiva realizzata.
«E va bene. E ora andiamo anche noi. Incrocia le dita e spera soltanto che Kuroi-sama vinca!» sussurrò, trascinandola per il polso dentro la sala illuminata.
Le ballerine erano tutte schierate sul palco, probabilmente in ordine alfabetico. Ne mancavano ancora un paio, e intanto la direttrice stava cercando di sistemare il microfono con le casse.
Si sedettero vicino a Sanae, che non chiese loro nulla. Avevano detto che sarebbero andate in bagno. Fecero appena in tempo a mettersi comode, che le ultime due arrivarono sul soppalco e le luci si spensero. I riflettori inquadravano la direttrice, una donna rigida con un portamento invidiabile ed un orrendo cardigan arancione di cotone grumoso. Sembrava anche lei truccata da teatro, ma pareva che fosse il suo make-up abituale.
Cominciò il discorsetto: sono felice di essere qui… in tutti questi anni non sono mai stata così orgogliosa… bla bla bla… Fukuoka… bla bla bla… grande opportunità…. Bla bla bla… da quindici anni ormai… bla bla bla.
Dopo quaranta minuti di ciarla -ai presenti però sembravano ore- la donnina si fece da parte e arrivò uno dei giudici del concorso, un tale praticamente calvo con gli occhialini e un naso affilato. Teneva una grande busta gialla in mano. «Sarete tutti curiosi di sapere chi avrà il grande privilegio di frequentare la nostra Accademia» cominciò, facendo una pausa ad effetto tentando di creare suspense. «Non è stata una scelta facile, tutte le danzatrici sono state eccezionali. D’altronde non ci si poteva aspettare altro da una direttrice così dotata» aggiunse, con un sorriso forzato alla donna ridacchiante. Fece un gesto di falsata modestia.
«Comunque, sono fiero di annunciare che la vincitrice è…» riprese, aprendo la busta. Il foglio era talmente grande… probabilmente era una specie di diploma. «… Kuroi Chinoko!» concluse, mentre una sbalordita ragazza veniva illuminata dalle luci verdi dei riflettori. Tutte le altre l’ abbracciarono, la baciarono, si congratularono, ma lei sembrava non credere alle proprie orecchie. Una delle più grandi, una venticinquenne massimo, la spinse verso il giudice, che le passò l’ attestato in una mano, e il microfono dall’ altra.
«M-mi sembra quasi di vivere in un sogno!» esclamò in un brusio confuso e timido. Gli occhi zigzagavano per tutta la sala mentre la gente rideva ed applaudiva per incoraggiarla. «Ehm, s-sono davvero molto felice di poter aderire a un’ occasione del genere. Ringrazio le mie insegnanti, le mie amiche e compagne, ed anche mia madre per avermi dato quest’ opportunità. Spero solo di poter essere abbastanza brava per frequentare la scuola di Tokyo» aggiunse, diventando sempre più rossa ad ogni parola.
«E lo sarai di certo, signorina Kuroi! Ancora complimenti!» rispose il giudice, mettendo il braccio intorno alle spalle della stupefatta moretta per stringerla in una specie di goffo abbraccio di benvenuto.
In quel momento perfetto, mentre tutti applaudivano, una voce gelida e tagliente interruppe l’ idillio della serata: «Bene bene, che abbiamo qui?»
Kisshu si era materializzato dentro il teatro, ed ora svolazzava a diversi metri di altezza, mentre tutti gli spettatori levarono lo sguardo per fissarlo.
«Eh no! Non con mia madre qui!» sbuffò Kanzou, mentre la gente andava in panico. Avevano riconosciuto il ragazzo dai capelli color foresta; era lo stesso del video. Il cattivo, il malvagio, colui che creava quei mostri.
«Andiamocene prima che possa chiamarti “bambolina” davanti a tutti» sibilò Yuzu, alzandosi e scomparendo con l’ amica nel delirio totale. La gente usciva di corsa dal teatro, e nel caos sentivano chiaramente la voce preoccupata e apprensiva di Sanae: sembrava il lamento di una cerva che ha perso i cuccioli.
Che aveva intenzione di fare quell’ idiota? Non era nei piani. Come faceva a sapere che andavano a vedere quel balletto? E perché era venuto? Avrebbe dovuto avvisarla, prima di fare qualunque cosa che la riguardasse. La volpetta si sentiva tradita; che significato aveva quell’ attacco a sorpresa?
Kanzou la stava trascinando dentro lo spogliatoio. Chiuse la porta, tirò fuori il ciondolo dalla tasca e si trasformò con un rabbioso: «Mew Kanzou Metamorphosis!».
Yuzu fece altrettanto, pronta a combattere seriamente contro Kisshu. Non le andava giù di non sapere di quell’ attacco, avrebbe assolutamente dovuto dirglielo.
«A posto. Ora andiamo, e sfasciamogli il culo» grugnì la mew mew arancione, correndo verso il palcoscenico… ed inorridì.
Sul soppalco c’ era un Chimero, probabilmente appena creato, che accerchiava le ballerine terrorizzate. Sembrava uno di quelli normali, cioè senza l’ Ankh di qualcuno. Era un ragno gigantesco, disgustoso e terrificante. Le orecchie di mew Yuzu si abbassarono, e cominciò ad oscillare la coda. Le facevano impressione i ragni grossi, figurarsi un aracnide altro tre metri. Deglutì, sbiancando in volto. Kisshu aveva trovato proprio il punto debole… come aveva fatto?
«Eccole qui, le mie bamboline!» salutò con un sorriso, da cui spuntarono i canini appuntiti. «Ciao principessa, mi sei mancata» aggiunse dolcemente, rivolgendosi alla pipistrellina, che digrignò i denti.
«Vai a farti fottere» brontolò mew Kanzou, facendo apparire la falce. L’ impugnò con forza, pronta a ridurre a pezzettini l’ alieno.
Yuzu invece non riusciva a distaccare gli occhi dal Chimero, e da quelle poverette che sembrano dei fantasmi. Le facevano premura. Sembravano però un po’ speranzose ora che erano arrivate loro, le mew mew, le paladine della giustizia. Chinoko era in mezzo a loro, non meno spaventata. Se ci fosse stato Mash le avrebbe dato il ciondolo, si sarebbe trasformata e insieme avrebbero sconfitto quella mostruosità creata da Kisshu… ma Mash non c’ era. E doveva trovare in fretta una soluzione. Chiamare le altre era impossibile; la borsa era in spogliatoio e poi ci avrebbero messo troppo tempo ad arrivare… «O-o-onee-chan» balbettò, sempre fissando il Chimero.
Kisshu ancora non aveva dato ordine alla sua creatura di attaccare; pareva godersela un mondo a vedere la sua complice spaurita in quel modo. Faceva quasi tenerezza, ma lui era troppo sadico per provare alcunché di compassione.
«Cosa c’è? Sto per andare a uccidere il mio nemico giurato. Fai in fretta» ribatté, lanciando un’ occhiata assassina al ragazzo che si spanciò dalle risate. Sapeva benissimo che lei non sarebbe mai riuscita a sfiorarlo… almeno in battaglia. Sarebbe stata libera di sfiorarlo quanto voleva, in un altro ambito.
«A-avrei un’ idea… però ho bisogno del tuo consenso» cominciò, pentendosi subito delle parole che stava per dire. Si sentì sudare le tempie e il petto, come sempre quando era sconvolta. La mora annuì, un’ espressione seccata. «Dovresti dare il tuo ciondolo a Chinoko. I tuoi attacchi sono potenti sì, ma… ehm, se io riuscissi ad appiccare fuoco al ragno, lui non potrebbe cercare di respingerlo, mentre i tuoi boomerang di luce può sempre schivarli. Ma ho bisogno di un aiuto, e forse la nuova arrivata potrebbe darmelo» concluse, guardando la ballerina con la coda dell’ occhio. Aveva la bocca spalancata.
Mew Kanzou ci pensò per un secondo. «È rischioso rimanere umana con il Maniaco nelle vicinanze. Potrebbe attaccarmi quando gli pare» constatò, accennando a Kisshu che non perdeva quel sorrisino soddisfatto dalle labbra.
«Ma Chinoko non crederà mai di essere una mew mew, se non si trasforma!» ribatté, al che l’ interpellata le urlò dietro: «Potete smetterla di discutere come se io non ci fossi? Fate scegliere a me cosa fare, no?» chiese sarcastica, con una faccia scocciata. La voce argentina di prima non esisteva più: era bassa e calda, molto più bella e particolare di quella precedente. Sembrava la voce di Shakira.
«Dai fate in fretta che mi sto annoiando. Non vedo l’ ora di movimentare un po’ il teatro secondo il mio copione!» s’ intromise Kisshu, rotolandosi su sé stesso come lo Stregatto della Disney.
«Tu stai zitto che non ti riguarda! Allora, dicci cosa vuoi fare: vuoi trasformarti e combattere, diventando una mew mew e facendo parte della nostra squadra oppure restare lì nell’ ombra, spaventata, ma senza rischiare?» la sollecitò la mew mew nera, formulando la domanda in modo che scegliesse la prima opzione.
Chinoko parve esitare, ma alla fine si sciolse dal gruppo compatto e abbracciato delle ballerine, per avvicinarsi a Kanzou con passi lenti e inarrestabili. «Se siete così sicure ch’ io sia una di voi, combatterò» decise. La pipistrellina chiuse gli occhi, poggiando le dita sul ciondolo, e si ritrasformò davanti a tutti. Ormai la sua identità non aveva più importanza; la comitiva sarebbe tornata a Fukuoka, scioccata dall’ evento non ne avrebbe parlato a nessuno. E comunque non l’ avrebbero mai creduta. «Tienilo, e pronuncia le parole che senti nascere dal cuore» le consigliò, dandole direttamente in mano la capsula d’oro che scintillava.
Kisshu sbadigliò sonoramente.
La ballerina strinse tra le dita il ciondolo luccicante, e chiuse gli occhi. Sentiva… sentiva il suo cervello lanciarle delle parole. Sentiva lo stomaco contorcersi e il cuore battere. Sentiva chiaramente le voci che le venivano dal cuore; pure, semplici, dirette.
Tutti la fissarono, sospesi.
«Chimero?»
Era il momento decisivo: aprì le labbra, gli occhi ancora chiusi, e pronunciò lentamente e chiaramente: «Cotoletta alla viennese, impanata e croccante, la carne calda e sdruccevole nel palato, le patatine fritte che scendono nella gola con quell’ aroma delizioso dell’ olio…»
Mew Yuzu si schiaffò il palmo della mano sulla faccia: ok, non c’ eravamo affatto.
«ATTACCA!»
Il ragno gigante si voltò verso le mew mew, facendo vibrare la ganasce della bocca. La volpe impallidì, facendo apparire nella mano l’ attizzatoio arancione. «Ribbon Yuzu Pain!» strillò, con una voce esageratamente acuta.
La fiammata era più lunga e potente del solito; probabilmente era la paura a spronarla in quel modo. Il chimero si spostò con quelle rivoltanti otto zampe pelose di lato, evitando il fuoco arancione brillante.
Dall’ addome cominciò a filare la tela, ad una velocità impressionante e anche notevole.
«RIBBON YUZU PAIN! RIBBON YUZU PAIN!» strepitò la ragazza, continuando a lanciare fiammate. Questa volta si intrecciavano tra loro come due serpenti, ma il Chimero era troppo veloce. Si scansò giusto in tempo, e poi lanciò il filo appena prodotto addosso a mew Yuzu, che subito fu avvolta da quella tela bianca ed appiccicosa. Come una mosca.
Il Chimero attirò nelle sue spire la volpetta, la bocca imbavagliata con la tessitura viscida che la ricopriva interamente. Chiuse le zampe centrali attorno a lei, che spalancò gli occhi per il disgusto e l’ orrore. Si sentivano chiaramente i suoi gemiti soffocati.
«IMOUTO!!» gridò Kanzou, con un forte istinto di correre verso di lei e liberarla. Subito fulminò Chinoko con lo sguardo. «O ti trasformi, o lo faccio io. Non c’ è tempo per girarsi i pollici» annunciò, cercando con la coda dell’ occhio l’ amica. Era quasi avvolta completamente: si vedevano solo gli occhi arancio-giallastri supplicanti.
Chinoko strinse forte il ciondolo: «Ho detto che vi avrei aiutate. E lo farò. Sento… delle parole… stavolta seriamente… MEW CHINOKO METAMORPHOSIS!» enunciò, e dalla capsula dorata partirono mille raggi di luce, sempre più forti, finché il raggio grigio non dominò sugli altri. Un fascio di luce argentea ricoprì il corpo aggraziato della giovane, che lentamente cominciava a mutare: sentiva i vestiti cambiare. Le converse erano diventati degli stivaletti, il top era diventato un corsetto terminante in tre punte grigie. Gli short erano diventati una gonna a balze, pomposa, voluminosa, attaccata al corsetto. Sentiva anche due fasce scenderle fino all’ incavo delle ginocchia: tipo le code di un frac.
E poi, in viso sentiva spuntarle qualcosa sopra le labbra: dei baffi lunghi e sottili, simili alle vibrisse di un gatto ma diversi di consistenza.
E infine, una coda pesante, scomoda, liscia e umida le comparve in fondo alla schiena. L’ agitò; era quella di una foca.
Mentre tutto questo accadeva, lei si esibiva in dei perfetti passi di danza, complicati come non l’ aveva mai fatti, delicati e precisissimi.
La metamorfosi terminò in una spaccata vertiginosa, e il ciondolo le brillava ora attaccata a un collarino di stoffa lucida e morbida, seta probabilmente.
La delicata mew Chinoko comparve in tutto il suo argenteo splendore; sentiva dentro di sé una forza straordinaria, e una grande eccitazione. «Che figata!» esclamò, e tutta la soavità sparì in quel grido entusiastico. Era una persona completamente diversa. Grintosa, comica, strana.
«Fantastico, la mia collezione di bamboline è terminata! Sono proprio curioso di vedere di cos’ è capace» commentò Kisshu mentre faceva delle carezze sulla testa del Chimero. Yuzu ormai non si vedeva più, nascosta com’ era tra le grinfie di quel mostro.
«Ora devi attaccare! Urla le parole che senti! E che non riguardino il cibo…» specificò sospirando Kanzou. Non sembrava proprio l’ icona di una supereroina, però sembrava simpatica. Ma doveva muoversi a salvare l’ altra mew mew.
Mew Chinoko si avvicinò a passi decisi verso il ragno gigante: chissà perché, non le faceva poi così paura. «Caro mio, se tu fossi delle dimensioni normali, io ti potrei tranquillamente spiaccicare con la scarpa di mia sorella. Ora la situazione è invertita, ma ti farò vedere di cos’ è capace la grande, sublime e perfetta FOUCA MOUNACA!» disse, come se il Chimero potesse capirla. «Ribbon… Chinoko… Spice!» formulò con convinzione, mentre le appariva in mano una padella dall’ aria molto robusta. Spiccò un salto in alto, e stringendo il manico, la padella s’ ingigantì sempre di più fino a diventare delle dimensioni di un toro ciccione. Con tutta la forza che aveva in corpo e soprattutto sulle braccia, la scaraventò in testa al Chimero - tentando di acciuffare anche Kisshu, che però si era smaterializzato in tempo sbigottito da quell’ arma assurda- che subito, privo di sensi, svenne a terra, crollando sul palco e riducendolo in briciole. Le ragazze nel frattempo se l’ erano squagliata da diversi minuti.
Le zampe si afflosciarono, lasciando andare la presa da mew Yuzu, impacchettata nella tela. Sembrava una matriosca dalla pelle blu.
Kanzou e mew Chinoko si adoperarono per strappare via la poveraccia da quella roba appiccicosa, e dopo poco tempo riprese i sensi. Era ancora livida. Il veleno che l’ aracnide le aveva iniettato doveva avere breve durata.
«G-grazie» mugugnò, riconoscente, verso le due.
«Ringrazia Kuroi-sama. È stata lei a sconfiggere il chimero… con una padellata in testa» raccontò, rendendosi conto di quanto sembrava pazzesco. Il modo più strano per distruggere un Chimero,davvero.
«Arigatou, Chii-chan!» esclamò, gettandosi addosso alla mew mew, che ancora doveva ritrasformarsi.
«Non finisce qui, sappiatelo. Questa era solo una prova!» s’ intromise Kisshu, che a quanto pare era stato troppo tempo lontano dall’ attenzione generale per i suoi gusti egocentrici. Dopo tre cori di “vaffanculo”, si smaterializzò, facendo ondeggiare l’ aria attorno a sé.
«Ehm, Hana-san…» sussurrò mew Chinoko, che ancora stava abbracciando la rossa.
«Sì?»
«Sei appiccicosa»

TO BE CONTINUED XD

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Gelosia ***


«Juu-chan! Jundo-san!». Una ragazza corpulenta, bassa, e piuttosto, ehm, dotata di notevoli attributi femminili stava camminando a gran velocità verso Kanzou, i capelli scuri sbarazzini ricadevano a ciocche corte fino al mento. Gli occhi neri le brillavano di una luce strana, quasi perversa. Le guance tonde erano arrossate. Faceva quasi paura.
La mew mew la guardò con un’ aria interrogativa. Era ora di ricreazione, e di norma la ragazza stava facendo la sua solita passeggiatina per la scuola con l’ amica Nana, una ragazza magrissima, carina, dai capelli castano mielato e grandi occhi marroni dall’ aria anonima. Cosa voleva Shiawase Nakayama, una sua eccentrica e leggermente pazza compagna di classe?
«Sì, Nakayama-chan?» rispose, alzando un sopracciglio. Shiawase era brava a scuola, sicuramente non aveva bisogno di aiuto con i compiti o simili. Ed era informatissima su tutti gli avvenimenti della scuola, non le serviva la rappresentante di classe per queste cose. Anzi, era la prima a sapere delle riunioni del consiglio studentesco, di solito, e conosceva tutti i pettegolezzi riguardanti ogni singolo studente della scuola. O quasi, diciamo che indagava su quelli che riteneva interessanti.
«Per caso stavo al terzo piano, andavo a prendere una mia amica, ed ho incrociato un certo Ogokami Ketanou per i corridoi…» cominciò, la voce e lo sguardo maliziosi. Sembrava sprizzare impazienza da tutti i pori.
Subito gli occhi di Kanzou si riempirono di luccichii d’ ammirazione ed estasi. «Ketanou?! Portami da lui!!» strillò, in brodo di giuggiole. Ogni volta che nominavano quel nome, la fredda, impassibile, glaciale pipistrellina diventava una qualsiasi ragazza innamorata del mondo. E tutti ormai sapevano quel suo punto debole, in classe.
Chiariamo le cose; non è che fossero mai usciti insieme, presentati o altro. Per dirla tutta, non si erano neanche mai parlati. E lui non sapeva neanche dell’ esistenza di lei. Però Ketanou era il classico ragazzo stupendo ed affascinante a cui tutte sbavano dietro. Una specie di Ken, il marito di Barbie, solo fatto di carne anziché di plastica. Non era particolarmente famoso per andare bene a scuola, o per uno sport o per eccellere in qualche club, semplicemente era oggettivamente bellissimo.
Sembrava molto, molto, molto strano che a Kanzou piacesse questo genere di ragazzo; eppure eccola là, trascinata per la manica da Shiawase con un’ espressione inebetita e i cuoricini che le svolazzavano attorno.
Si acquattarono all’ angolo di un muro, con le teste che sbucavano una sopra l’ altra, i colli tesi. Localizzato.
Ogokami Ketanou era tranquillamente poggiato vicino ad una finestra, circondato da tre amici, e parlava con tranquillità, ignaro delle stalker che lo spiavano. Era maledettamente inquietante come scena.
«Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaah com’ è bello!» sussurrò la mora, mentre si scioglieva come burro al sole, totalmente persa nella contemplazione di quel viso e di quel corpo.
A un certo punto il gruppetto cominciò a spostarsi, e le due lo pedinarono pedissequamente; come al solito stavano scendendo le scale per andare a fumare in cortile.
I ragazzi alla fine si sistemarono addossati alla parete del cortile fumatori, e tirarono fuori i loro attrezzi del mestiere.
Nascoste -per modo di dire- all’ angolo del muro, con le teste che sbucavano, c’ erano le ragazze, sospiranti.
«Se andassi lì e gli chiedessi di sposarmi, secondo te cosa risponderebbe?» chiese Kanzou con voce e faccia completamente inebetita.
«Penso che sia il modo peggiore per attirare la sua attenzione» affermò Shiawase molto intelligentemente.
«Peccato… perché ci si innamora sempre della persona sbagliata?» domandò tristemente la moretta, con aria afflitta, mentre prendendo per mano l’amica si diresse verso l’ entrata. Faceva ancora più male guardarlo, che ignorarlo.
Ed ora l’ inquadratura si allarga e si allontana, mostrando tutta la scena dal tetto dell’ edificio. Degli studenti si vedevano solo le teste, e la ragazza lunga-chioma con quella grossa erano ormai state inglobate dentro lo stabile. Ma quelle più importanti erano immerse nel fumo, e più rilevante di tutti era la testa dai capelli castani, medio lunghi e leggermente mossi. Ogokami Ketanou.
«Bene. A quanto pare Kanzou ha un debole per quell’ insulso essere umano» biascicò una voce gelosa e rabbiosa, nascosta da una mega antenna.
«Certo che ha una cotta per un “insulso essere umano”, non c’è molta scelta qui,sai?» ribadì sarcastica un’ altra vocina, sarcastica ed irritata.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, nanerottola» sibilò l’ altro, in palese nervosismo.
«Come se tu fossi tanto più alto di me, tappo! E non trattarmi in questo modo, che posso sempre cambiare idea e andare a spifferarle tutto!» reagì la compare, ricattatrice ed insolente. Non andavano molto d’ amore e d’ accordo quei due.
«Yuzu, ti odio. Non vedo l’ ora di ucciderti»
«Oh Kisshu-sama,tesoro, come sei dolce! Ti voglio bene anch’ io!»
Gli occhi d’ ambra dell’ alieno si assottigliarono, le sopracciglia inarcate e le labbra contratte, l’ espressione di pieno disgusto e repulsione a confronto di quella provocatoria e derisoria di lei. «Dicevo. Mi è venuta l’ idea per un piano molto interessante. Se non posso avere io le sue attenzioni, non potrà averle nessun altro!» grugnì, stringendo il palmo della mano sull’ antenna. Strinse con tanta forza e determinazione, che quando la tolse, rimase il calco della mano.
«Oh dio, perché tutto questo casino? Fai prima ad andare là e dirle che sei innamorato perso di lei!» constatò la mew mew, scuotendo la testa e scoccandogli un’ occhiata divertita, che lui non ricambiò.
«Non sono innamorato perso di lei! È la mia bambolina, e non voglio che ci giochino altri!» reagì, puntando il pugnale sotto il mento di lei, che scoppiò a ridere.
«Non ti sembra di essere troppo grande per giocare ancora con le bambole? E poi quel rotto in culo di Ketanou non la caga minimente, puoi stare tranquillo. E toglimi questo coso di dosso!» rispose, afferrando il pugnale sopra la mano di Kisshu e spostandola, in modo che fosse impossibile per lui ribellarsi.
Il verdino (xD) si fece pensieroso e stranamente silenzioso, cosa che preoccupò la rossa. Di solito erano sempre a bisticciare e a minacciarsi di morte imminente, senza che nessuno dei due facesse realmente qualcosa. Chissà perché se ne stava così zitto.
«Non importa. Devo comunque fare un esperimento, e voglio che lui muoia. Perciò tanto vale approfittarne. Tu torna pure a scuola» osservò, impassibile. Così indifferente faceva inquietudine.
«Va bene. Ma sappi che non ti perdonerò mai per quel ragno. So che l’ hai fatto come test nei miei confronti, ma la prossima volta che congegni qualcosa senza avvisarmi, te ne pentirai» disse, e così, con un salto a doppio avvitamento atterrò con un leggero rumore sull’ asfalto, sperando che nessun alunno l’ avesse vista attraverso la finestra. Sistemandosi i capelli con nonchalance, Yuzu, la doppiogiochista, camminò velocemente verso il vialetto che portava fuori dai cancelli, percependo chiaramente uno sguardo dorato sulla schiena.

***


Quando Shikimi arrivò al caffè quel giorno, si ritrovò come davanti alla scena d’ un crimine. Sdraiato per terra in posizione fetale c’ era il biondissimo Ryou , gli occhi a X e gli uccellini che gli giravano attorno alla testa. Il corpo era protetto da una striscia bianca e rossa tenuta su da dei pali, e le ragazze erano riunite lì intorno.
«Non c’è niente da vedere, non c’è niente da vedere!» berciava Chinoko, vestita da poliziotta con un distintivo di plastica sul petto. Chissà da dove diavolo l’ aveva tirato fuori. Agitava un manganello con finta aria minacciosa, e cercava di nascondere la scena.
Vicino al corpo del ragazzo c’ era Satou, con un’ espressione da pazza psicopatica. Occhi fuori dalle orbite, ghigno sadico e malvagio e tic all’ occhio sinistro. In mano teneva ancora alzata una grande, lucida, splendente padella nuova di zecca, sui cui c’ era stampata la faccia di Ryou.
«Era da settimane che aspettavo questo momento!» ansimò l’ orsetta in un grido strozzato, da classica malvagia Disney.
Shikimi si scompisciò dalle risate, finendo praticamente per terra con le lacrime agli occhi. «Uahhahahuahahah Kona-chan sei una figa! Uahahahhaauahahuhaha!» disse tra la risa, rotolando su sé stessa, in compagnia di Kurumi che aveva avuto la stessa identica reazione. «Satou-chama, ti adoro!» fece eco l’ occhialuta, presa da risatine irrefrenabili.
Sakuranbo invece sembrava disperata, agitava le mani in un modo che solo lei sapeva fare: «Oh no! Me l’ avete ucciso! E ora chi mi farà i succhi di mela verde? Chi mi sbuccerà le pesche?» si chiedeva, con una voce da banchiere in rovina.
Chinoko indossava di nuovo, improvvisamente, le vesti da cameriera -era molto carina in quell’ abito grigio perla- ed aiutava Yuzu a rimettere il ragazzo su una sedia, tentando di farlo rinvenire.
Kanzou spostò le protezioni di sicurezza messe su dalla nuova arrivata e cercava di far ragionare la brunetta. «Brava, ora ti sei tolta un peso, ma ora cerca di calmarti che fra un po’ apriamo…»
Shikimi alla fine si rimise in piedi, tirando su anche Kurumi, e le domandò: «Ma cos’ ha detto per averle fatto perdere le staffe in questo modo?». La biondastra si lasciò sfuggire un sorriso furbo, e uno sguardo malizioso. «L’ ha chiamata orsacchiotta dopo averle ordinato di lavare il pavimento con quel suo solito tono da spaccone» rispose sottovoce, con aria complice. Fece un’ altra breve risata, e si risistemò gli occhiali, che ormai le erano arrivati alla punta del naso.
La coniglietta rise di nuovo, scoccando un’ occhiata strana a Satou, che aveva un’ espressione molto feroce ma non più da clinica per psicotici.
«Qua serve una bella sberla per rimetterlo in sesto» dichiarò la cameriera arancio, affiancata da Chinoko con una brocca d’ acqua. «Una secchiata di acqua gelida no?» le propose, speranzosa.
L’ altra si strinse nelle spalle, con un’ espressione concessiva. «Penso che vada bene anche quella» accordò, spostandosi dalla sedia per non farsi schizzare.
La foca monaca, con un ghigno, rovesciò la brocca sulla zucca platinata del ragazzo, e dai capelli l’ acqua grondò su tutto il viso per finire anche dentro la camicia. Un brivido lo percosse, e spalancò quei meravigliosi occhi cobalto. Si toccò i capelli e il viso, guardandosi anche il petto bagnato. «Ma chi cavolo è stato?!» ruggì, tirandosi in piedi assottigliando lo sguardo verso tutti i presenti -ricevendo un’ occhiata omicida da Satou- per poi fermarsi su una faccia falsamente innocente di Chinoko, che scoccava un sorrisone con le sopracciglia all’ insù. Un’ espressione più colpevole non poteva esistere! Nascose dietro la schiena la caraffa di ceramica.
«Kuroi!» esclamò Ryou, stupito ed offeso. La ragazza si era rivelata essere inizialmente molto timida ed introversa, soprattutto nei confronti dei due uomini, ma col passare della settimana si era aperta ed era diventata l’ elemento comico del gruppo. Avete presente quella che mangia sempre, che fa battutine nelle situazioni più tragiche, con i modi di fare spicci e diretti, estremamente sincera e un po’ goffa all’ apparenza? Insomma, il contrario della candida ballerina dello spettacolo.
«Io? Ehehheheeh, ecco, ehm, vedi…» cercò di rispondere, cacciandosi dentro una risatina nervosa ed acuta. «Beh insomma dato che eri svenuto con quella faccia da tapiro ubriaco dovevo pur fare qualcosa!» concluse, increspando le labbra in avanti (es: -ɜ-) con aria oltraggiata.
«Ah è vero, ho perso i sensi dopo che qualcuno mi ha tirato una padellata addosso!» ricordò, avvicinandosi pericolosamente alla mew mew bianca, che indietreggiava con un’ espressione di spavento e sfida insieme.
«Indietro! Sono ancora armata!» gli ricordò, facendo roteare la padella nell’ aria.
Il vociare delle altre sei si spense, tutte prese dalla scena, e mentre Shikimi sottolineava la necessità di popcorn per uno spettacolo come quello, Keiichiro comparve dal corridoietto che portava alla cucina.
Nessuno poteva mai sospettare di quanto potesse sembrare minaccioso un uomo con un cappello da cuoco in testa, il grembiule sporco di cioccolato e un cucchiaio di legno in mano. Eppure, Keiichiro Akasaka in quel momento, con quello sguardo severo così poco intonato ai quegli occhi grigio scuro così dolci, sembrava molto più inquietante di Jack Nicholson in Shining. «Che cosa sta succedendo qui? Fra poco apriamo e questa stanza deve ancora venir pulita» affermò, con una calma terrificante. Sarebbe stato meglio che gridasse; con quel tono tranquillo non faceva che peggiorare la situazione.
Persino Ryou si fece piccolo piccolo, e tenne lo sguardo basso come tutte le altre.
«Scusaci, Akasaka-san, ci penso io a lavare per terra» s’ offrì Kanzou, guardando volenterosa il moro, che subito sorrise con rassegnazione.
«Sapevo che l’ avresti detto, cara Kanzou. Saku-chan, mi serve un giudizio per dei nuovi biscotti alle mandorle e vaniglia. Satou-chama, gradirei che mi ridessi la padella… e Ryou, smettila di irritarla ed impara ad essere un po’ più gentile. Shikimi-san, daresti un po’ di fertilizzante alle piante in ingresso? Lo spruzzino dovrebbe essere su un tavolino. Hana, per favore, vieni a darmi una mano in cucina? Dovresti montare gli albumi per la panna. Kuroi invece, potresti lucidare le finestre? Kurumi-sama… potresti spazzare le foglie dal selciato?» chiese -ma più che altro sembrava un ordine sotto forma di domanda- , la voce più dolce quando si rivolse alla mew mew di bronzo.
Shikimi diede una gomitatina a Yuzu, un’ espressione d’ intesa. Aveva scoperto che le stava simpaticissima quella rossa che all’ inizio aveva creato tutti quei problemi. Era disponibile, maliziosa quanto lei, e non era puritana come le altre. Non era castaepppura,volendolo dire alla Sakuranbo style. Poteva liberamente parlare della sua dipendenza dal fumo, di cui non aveva rivelato a nessuna del gruppo, delle sbronze che si era presa e soprattutto in sua compagnia poteva lasciarsi scappare commentini erotici sui ragazzi. Più di una volta erano uscite loro due, e la volpetta le aveva anche presentato Tsumi Daisuke, una ragazza completamente fuori di testa con i capelli ricci, insoliti per una giapponese, che si rivelò conoscere Itsuki Funsui e Hinata. Si era rivelato uno strano trio, ma si rideva moltissimo. Ed era così importante ridere in quel periodo buio.
Yuzu ricambiò con un sorrisetto laterale appena accennato. Sorrideva così raramente!
Dopo un’ esplosione di: «Sì,Akasaka-san! Certo,Akasaka-sama! Subito,Akasaka-sensei!» il gruppetto si sciolse per le proprie mansioni.
Keiichiro rimase ad osservare le dipendenti allontanarsi, con Yuzu al suo fianco, e si rese conto, in quel momento, con una percezione forte e involontaria, di essere finalmente felice. Quelle ragazze gli facevano rinascere la speranza, e l’ amore che un padre può avere per le proprie figlie. Sì, si disse. Aveva fatto la cosa giusta.

***


Sera inoltrata. Era novembre, e cominciava a fare freddo già da dopo le sette.
L' aria era pugente, umida, quasi si poteva aspirare come acqua cristallina, ma era quel fresco piacevole che fa diventare il volto e le mani rosse,che fa uscire appena un po' di condensa del respiro. Era impregnato l' odore di foglie umidicce, bagnate dalla pioggia che era calata verso le sei e mezzo, portando una vampata di dolce malinconia alla città. La gente passava infagottata nelle loro sciarpe, con i cappotti e i cappellini di lana con il pompon.
L' unico vestito con abiti leggeri era un ragazzo dalla carnagione così pallida da risplendere nel buio; che tremasse era evidente, ma a quanto pare non voleva o non poteva indossare qualcosa di più pesante e caldo.
Era poggiato ad un lampione malfunzionante, che andava ad intermittenza: la luce del neon era deprimente.
Con le labbra livide e frementi biascicò qualcosa tra sé: «Le creature più ripugnanti dell' universo sono gli esseri umani che infestano in pianeta Terra» affermò, scoccando occhiate disgustate ma al contempo affascinate alle automobili allineate sulla strada, i fanali accesi.
"Gli uomini sono esseri deboli, ma terribilmente scaltri e pratici. E' incredibile come abbiano ripiegato la natura al loro volere. Privi di ogni potere, ma con un ignegno spaventoso" pensò, mentre percepiva delle occhiate curiose. Ignorò la donna che lo fissava con preoccupazione, incrociando le braccia. Iniziò a strofinarsele.
"Io non capisco! Perché le mew mew non sono tutte come Yuzu? Perché non capiscono che hanno torto? Perché non si schierano dalla mia parte?". Un flash di immagini gli proruppe con forza nella mente: il bacio con Sakura, Satou al ballo che suona come un angelo, il duello diretto con Kanzou mentre volavano in cielo, lei che guarda nascosta Ogokami Ketanou....
Un sentimento caldo, fastidioso e lacerante gli ribollì dentro. Cos' era, rabbia? No, la furia non ti lasciava quel vuoto doloroso nello stomaco. Eppure quella sensazione era pressoché uguale.
Ripensò al bel ragazzo dai capelli mossi e un pensiero spontaneo gli nacque in testa: "Ucciderò quell' umano".
Ma da dove erano spuntate quelle parole? Perché? Non rappresentava nessun pericolo per il piano. Non aveva motivo di volerlo uccidere. Non poteva essere stato lui a pensare a una sciocchezza del genere, era stupido e irrazionale.
Allora perché un angolino del cuore gli urlava ch' era la cosa giusta?
Serrò i pugni con vigore. Non doveva prendersela, non ce n' era motivo. Lui era solo il destinatario delle attenzioni di Mew Kanzou... sì, era così che andava, e con ciò? Era una terrestre. Una nemica. Un ostacolo. Doveva eliminarla.
«Basta così. Andiamo a fare qualcosa di costruttivo» si ordinò, con quel "noi" impersonale che usava ogni volta che doveva farsi forza, accantonando tutti quei pensieri.
Si materializzò vicino a un condotto fognario, storcendo il naso per la puzza. I suoi sensi acuti percepivano con molta più chiarezza quell' odore nauseabondo. Decise di respirare con la bocca.
"Bene, ora usiamo una delle creature più infime esistenti sulla faccia della Terra per eliminare l' adorato umano di Kanzou. Un ameba per un ameba", e così fece apparire sul palmo della mano un alieno parassita dalla luce arancione brillante. Quello schizzò subito in acqua, pronto alla fusione.
Un fortissimo lampo di luce scaturì da sott' acqua, color verde marcio, e poco dopo sbucò un' orribile sostanza gelatinosa dall' odore raccapricciante: un gigantesco blob alieno.
«A partire da questo momento, eseguirai ogni mio ordine, Chimero» affermò con decisione, contento della perfetta fusione ma al contempo stizzito dall' aspetto della cosa davanti a sé.
"Perfetto.. è improbabile che riescano a distruggere anche questo. E' un' arma letale, ucciderà senza sforzo. E la prossima volta che i due piccioncini s' incontreranno... sarà anche l' ultima. Voglio sbarazzarmi di lui proprio sotto gli occhi di Kanzou" pensò con una specie di sorrisino maligno.
Poi si stupì. Perché aveva sorriso? Non c' era niente di piacevole in tutto ciò.. non era vendetta personale, Ketanou non gli aveva fatto niente. Allora perché era così deliziosa l' idea della sua morte?
La voce impertinente di Yuzu sgomitò tra tutti gli altri pensieri: "Che perdente. Ti sei innamorato di lei, della tua nemica! Che idiota!". "ZITTA!" le gridò dietro mentalmente, scuotendo la testa.
Stava impazzendo. Troppe responsabilità per sedici miseri anni.

***


Altro giorno di scuola, altra noia totale, altro imprevisto in vista.
Kanzou stava praticamente dormendo sul banco. Il professor Hanta, quello di matematica, stava blaterando a vanvera come al solito, su nuovi teoremi scoperti da lui stesso, pavoneggiandosi oltre ogni misura e autocompiacendosi della sua inteligenza, e nessuno studente riteneva opportuno ascoltare quell' irritante brusio narcisista.
La mew mew stava messaggiando nascosta dall' astuccio; stava scrivendo a Sakuranbo in un momento di noia.
Quella ragazza era completamente fuori di testa, e i testi dei suoi sms erano perlopiù faccine ed esclamazioni senza senso. Le stava descrivendo il suo futuro cane, Sesshomaru. Sarebbe stato grande, bianco, peloso e bello, obbidiente, fedele e capace di uccidere a un suo comando.
La mora sorrise; dove l' avrebbe trovato quel cane, non lo sapeva nemmeno la sua padrona immaginaria.
Sesshomaru-sama (*-*) avrà un pedigree con i fiocchi, ci puoi scommettere! ùoù >__>
Lesse, e mentre stava per digitare una risposta veloce e sarcastica, la porta si aprì.
Tutti alzarono lo sguardo, sollevati di poter smettere di fingere di ascoltare l' insegnante, e rimasero perplessi. Era Ogokami Ketanou, con un' espressione formale e un po' indaffarata.
Kanzou sentì che la sua bocca si era spalancata in un' espressione di totale incredulità: che ci faceva qua lui?! Sentì gli sguardi dei suoi compagni trapassarla: tutti ormai sapevano di quella cotta.
«Ehm, mi scusi per il disturbo, professor Hanta, ma dovrei rubarle il rappresentante di classe per un minuto» si scusò, vagando lo sguardo per la classe, un sorriso imbarazzato. Era decisamente seducente, e disarmante.
Oltre ai sorrisi da ebete di tutte le ragazze nella classe, se si guardava attentamente, si potevano vedere i cuori di queste balzarle fuori dai petti, che si alzavano e abbassavano troppo velocemente.
«Sono io!» strillò la pipistrellina, scattando in piedi, mentre tutte le sue amiche, o comunque care conoscenti, l' indicavano con insistenza. «Hai,Hai, è proprio lei!» esclamava qualcuno. «Ganbatte!» l' incitò qualcun altro.
«Ah, ehm, ok, puoi seguirmi fuori?» domandò, scoccandole uno sguardo curioso e leggermente supplichevole.
La ragazza si catapultò letteralmente addosso al ragazzo, che confuso aprì la porta salutando.
Kanzou lo guardava completamente persa, pendendo dalle sue labbra.
Era evidente che gli sbavava dietro, e Ketanou rimase leggermente spiazzato. Ma chi era quella? Perché lo fissava in quel modo terribilmente inquietante? Ok, era abituato allo stuolo di ammiratrici, ma questa sembrava a una di quelle pazze ossessive, di quelle che tenevano nella propria camera decine di foto scattate a sua insaputa.
Scacciando questi pensieri, assunse il ruolo di membro della Consulta studentesca: «Allora, vengo subito ai fatti. I rappresentanti d' Istituto volevano organizzare un' assemblea di tutte le classi in aula magna, per discutere sulle attività dei club pomeridiani... Vorremmo vedere l' andamento di ognugno di essi, e vedere se bisogna toglierne qualcuno...» cominciò, assumendo un tono serio e distaccato, da professionista.
«Sì certo, sembra entusiasmante... » commentò la ragazza, consapevole della propria faccia da rincoglionita, ma sapeva anche di non poterci fare niente. Era la prima volta che gli parlava, che gli stava così vicina.
«Ehm, come no... volevo sapere se la tua classe poteva partecipare, ehm....?» rispose, lasciando intendere che non conosceva affatto il suo nome.
«Kanzou Jundo! Puoi chiamarmi Kanzou!» replicò frettolosamente, quasi mangiandosi le parole.
Altra occhiata perplessa da parte del ragazzo. «D'accordo. Beh Kanzou, quando potresti dirmi se la tua classe è disponibile? La riunione è programmata per giovedì prossimo alle quattro di pomeriggio, evitando di saltare lezioni»
«Oh certo, cercherò di convincere tutti, Ketanou-sama! Lo farò con piacere!» ansimò, mordendosi il labbro. Oh merda, l' aveva chiamato con troppa confidenza. In preda all' imbarazzo più totale, girò i tacchi e con un saluto veloce si diresse verso la sua classe.
Una vocina stizzita proveniente dall' angolo del corridoio, udibile solo da un pipistrello, commentò «Oddio, è disgustoso».
Kanzou si allarmò: chi poteva essere stato? Un qualche amico di Ketanou? Preoccupata si girò, e rimase paralizzata dalla visione.
C' era il suo amato ricoperto da qualcosa di verde acido, gelatinoso ed inquietante. Per forza un Chimero.
Kisshu. Stava. Attaccando. Il .Suo. Amore. Dove si era nascosto quel vigliacco di un alieno?
«KETANOU-SAMA!» lo chiamò, terrorizzata. Subito gli corse incontro.
«Jundo, che succe....aaaaah!» gridò, mentre la cosa blobbosa lo trascinava di peso dentro un' aula.
Senza esitazioni, la ragazza spalancò la porta della stanza. Era l' aula di scienze, vuota. Lo scheletro sogghignava sadico nell' angolo, come se potesse vedere lo spettacolo che aveva davanti.
Il blob era enorme. Non era un' unica massa compatto di roba viscida e rancida, ma era composto da tante particelle che svolazzavano in aria in tutta calma. In mezzo a un grumo più grosso, stava Ogokami, immerso quasi completamente dentro quella robaccia.
Era rimasta fuori solo la testa; aveva un' espressione terrorizzata. Si sforzava inutilmente di liberarsi, i denti che digrignavano dallo sforzo.
Un paio di quelle macro particelle si scagliarono addosso a lei, ma le schivò facilmente. Volevano intrappolare anche lei, ma sarebbe stato più difficile di quanto pensassero.
"Devo restare lucida e pronta di mente. Devo trasformarmi e chiamare qualcuno. Ma non posso, di fronte a Ketanou.." pensò, tormentandosi il povero labbro inferiore. L' avrebbe fatto sanguinare.
Mentre rimuginava, scrisse un veloce messaggio a Sakura: scuola mia ora chimero mew mew aiutatemi . Più che altro sembrava un telegramma, ma era chiaro.
Schizzò via dalla stanza, in preda ai dubbi. Sperò solo che non morisse proprio ora.
"Al diavolo. In fondo il mio segreto non è così importante. La cosa più importante, è salvarlo" aggiunse, e tirò fuori dalla tasca della gonna il ciondolo d' oro.
«Mew Kanzou Metamorphosis!» enunciò, rassegnata alla trasformazione.
Dopo qualche secondo eccola, Mew Kanzou, in tutto il suo maestoso e tenebroso splendore d' oscurità.
Entrò di nuovo dentro l' aula di scienze, con la nuova forza e determinazione derivante dal DNA animalesco.
«Non temere, ti salverò!» promise, rivolta al ragazzo che ormai era svenuto. La convinzione sparì dal suo volto, rimpiazzata dalla preoccupazione. «Oh, no, Ketanou-senpai!!» gridò, in preda all' angoscia.
«Non preoccuparti... è ancora vivo... per il momento» l' informò con tono derisorio l' inconfondibile voce di Kisshu.
Kanzou lo fulminò, anzì, lo distrusse con lo sguardo: COME SI PERMETTEVA DI FAR DEL MALE AL SUO RAGAZZO IMMAGINARIO CHE NON L' AVREBBE MAI CAGATA IN VITA SUA?!
Ok, era brutto da dire. Cambiamo: COME SI PERMETTEVA DI FAR DEL MALE AL POVERO KETANOU?!
Non disse niente, cercando di disintregrarlo con la forza del pensiero.
«Konnichiwa, piccola mia» la salutò, di una dolcezza impressionante. Gravitava nel vuoto a gambe incrociate, una postura perfetta e gli occhi d' oro fuso ardenti, magnetici, meravigliosi. Odiosi.
«Te la farò pagare» biascicò, furente, facendo apparire la sua macabra falce. Subito la puntò verso la direzione dell' alieno, con una faccia da pericolosissimo serial killer. Chissà chi faceva più paura tra lei o lui.
«Aspettavo questo momento, e ora finalmente è arrivato» concluse, ignorandola completamente, sorridendo in una maniera incredibilmente simile a quella dello scheletro di fronte a lui.
Kanzou s' irrigidì, abbandondando la posizione d' attacco. «Cosa itendi fare?» domandò, sospettosa e diffidente.
Lui scosse la testa con un sorrisino di comprensione. «Mi sembra evidente» sospirò, con una vocina da bimbo che innervosì ulteriormente la nevrotica mew mew. «Togliere di mezzo il tuo amichetto sotto i tuoi occhi» aggiunse, crogiolandosi nella gioia della perversione.
«Che cosa? Illuso! Non ce la farai mai!»
«Tu dici? Dai, mettiti comoda, e guarda insieme a me lo spettacolo di quest' insulso umano che soffre!»
«Ma dico sei cretino o cosa?! Fra un po' arriveranno le altre a darmi man forte e allora..»
«Bambolina, vacci piano con le offese!»
«NESSUNA OFFESA SARA' MAI TROPPO PESANTE PER TE! Ribbon Kanzou Fury!» disse, e i suoi boomerang d' energia elettrica trapassarono il Chimero, sdoppiandolo ulteriormente. Ma niente, quello si rigenerava subito (tipo majin bu di drangonball :3)
Mew Kanzou riprovò più volte, tentanto di dividere il blob gigante anche con la lama diretta, ma Kisshu rideva e il Chimero non si scalfiva minimamente: irritato dai continui attacchi della ragazza, alcune particelle si appiccicarono alle braccia della pipistrellina, impedendole così di muoverle.
La falce cadde a terra con un rumore assordante e fastidioso, accompagnati dai mugugni dell' impotente mew mew nera.
Poteva limitarsi a sbattere le ali con rabbia e a guardare con odio il nemico, ma era completamente disarmata.
Il ragazzo la fissò sarcastico, godendosi lo spettacolo. «Sai che cos'è la scissione cellulare?» chiese, impertinente.
«Ora ti impersonifichi come professore di scienze? Stare in quest' aula ha un brutto effetto su di te» ribadì prontamente, non perdendo il sarcasmo anche in una situazione del genere. Si stava disperando. Dove cavolo erano le altre?!
Lui l' ignorò totalmente: «Questo Chimero è capace di rigenerarsi. Mi spiace per te piccina, ma ci vuole di meglio per distruggermi... sai, se non volessi dargli l' ordine di fermarsi, questi continuerebbero a moltiplicarsi all'infinito» spiegò, fiero e orgoglioso di sé stesso e delle sue capacità.
Ketanou era svenuto da un pezzo, ma continuava a lamentarsi: il Chimero continuava a stringerlo fino a soffocarlo.
Mew Kanzou fece un passo, ma subito l' ameba le si appiccicò alle gambe, fin sopra le ginocchia, impedendole così ogni movimento.
«Fermali!» strillò, ma niente, quelli continuavano a strozzare il povero ragazzo incosciente, ricoprendolo interamente.
Kisshu assunse un' aria pensierosa. «Beh, se ci tieni posso anche farlo.. ma ad una condizione» azzardò, svolazzando fino a qualche centimetro dalla moretta, incerta se essere incazzata o spaventata.
«Si può sapere cosa cerchi di ottenere?!» sibilò, mentre quello gli carezzava la frangetta nero carbone. Cercò di mordergli la mano, ma non poteva muoversi più di troppo o avrebbe perso l' equilibrio.
«Non te l' ho già detto, principessa?» domandò con voce neutrale. Poi le labbra si stesero in un sorrisetto, lo sguardo biondo di malizia. «Io e te siamo fatti l' una per l' altra» aggiunse, prendendola per il mento.
«...lasciami...»
«tu accetta di venire dalla mia parte, e io in cambio risparmio la vita al tuo fidanzatino» propose, e mentre diceva questo, chiuse gli occhi. Schiuse leggermente la bocca, e il suo respiro dolce e freddo inondò il viso sudato e caldo della tenera umana che teneva in mano, prendendola delicatamente come una fragile porcellana.
Il chimero l' aveva avvolta quasi del tutto, lasciandole fuori solamente la testa. La mano di Kisshu le impediva di ribellarsi. Rassegnata, si arrese all' inevitabile.
Kisshu la baciò. Niente a che vedere con lo sfioramento di labbra con Sakuranbo, no, questo era un bacio vero. Irruppe con forza nella bocca della ragazza che, passiva, rimaneva immobile per lo sconcerto e il terrore. Era un bacio sulla soglia della violenza, disperato, avido, passionale. C' era desiderio. Rabbia. Ostinazione. Odio. Passione. Amore.
«Muahahahahahah, stupido alieno, SuppperSakuranbo-chan ti ha scovato subito, maledet... oh scusate, ho interrotto qualcosa?». Mew Sakuranbo stava incerta sulla porta della stanza, oscillando la coda con aria nervosa, le orecchie basse e un' espressione colpevole. In mano teneva i suoi inutili Tonfa.
«Mew Sakuranbo, ti sembra il caso di stare lì impalata davanti alla porta? Dobbiamo far fuori un Chimero e.. oh» commentò mew Satou, comparsa subito dietro di lei.
Kisshu si era ovviamente staccato, probabilmente imbarazzato, ma ormai era già stato sgamato alla grande. Guardava la tigrotta con vivo interesse, e quasi sembrava che stesse per dirle qualcosa, quando una terza piombò in fila dietro alle altre due.
«Schnel, schnel! Volete entrare in quella stanza sì o no?!» strepitò mew Kurumi seccata, spigendo le due dentro.
Le tre paladine, ripreso il contegno, puntarono le armi contro il disgustoso Chimero verde che aveva intrappolato mew Kanzou e Ogokami.
«Ragazze, finalmente! Fate attenzione a questi cosi... una volta che ti si appiccicano, non te ne separi più» spiegò la pipistrellina sollevata, mentre cercava di scrollarsi di dosso gli ameba (o amebe?) con le ali. Sentiva le guance andarle a fuoco. Il primo bacio con un alieno mentre tutte la guardavano. Fantastico.
«Oh ma ragazze, non avete capito che quest' appuntamento era solo per mew Kanzou?» chiese ironico l' alieno, fingendo d' essere seccato.
«...me ne sono resa conto entrando, sì...» rispose la mew mew cremisi con imbarazzo, la gocciolina sulla testa.
«Oh koneko-chan, sei gelosa?» domandò l' altro con un sogghigno sadico. Se la stava spassando un mondo.
«Ci tengo a precisare che sono una pericolosissima e feroce tigre della Malesia, non un insulso gattino!»
Mentre i due bisticciavano, alzando gli occhi al cielo mew Kurumi tirò fuori la propria arma: «Ribbon Kurumi Maze!»
Le bolle sfrecciarono verso mew Kanzou, e in un battibaleno la loro essenza magica sciolse le particelle del Chimero. La pipistrellina sfrecciò via prima che si ricreassero; libera, finalmente. E avrebbe scoccato un bel cazzotto a Kisshu...
Un grido la distrasse: era Ketanou!
«E quello chi è?» domandò mew Satou alzando un sopracciglio, scoccando un' occhiata critica al ragazzo.
«Ketanou-senpai!» esclamò mew Kanzou, correndo verso di lui. Tutto il Chimero si era addensato attorno a lui,adesso.
«Oh bene, è il suo ragazzo?» chiese mew Kurumi.
«Ti salvo io, non temere!»
«Qualcosa mi fa pensare di sì...».
«Ha una faccia che non mi piace, sembra un babbeo»
«Dopo quest' affermazione credo di amarti, hachimitsu...»
«ZITTO TU!» gridarono le tre in coro, e Kisshu sembrò farsi piccolo piccolo, rendendosi conto di essere un semplice infiltrato.
«Ehi scusate il ritardo... sapete com' è, ancora non possiedo una Shikimi-mobile tutta per me e anche a una supereroina tocca seguire gli orari dagli autobus... allora è già morto il Chimero?». Ecco, era arrivata mew Shikimi. E si sentiva.
Subito si sedette su un banco, cercando con lo sguardo il punto in cui tutti stavano guardando: era mew Kanzou che s' immergeva dentro una disgustosa sostanza gelatinosa contenente un gran bel gnocco, annaspando come un' annegata.
«Shhhh, scommetto che sta per arrivare il momento toccante!» l' interruppe mew Sakuranbo estasiata, guardando la mew mew che prendeva per mano il ragazzo e cercava di trascinarlo fuori.
Kisshu si sentì uno spettatore quanto loro, e senza indugi si sedette sul banco di fianco alla coniglietta. Lei si mise a frugare in una tasca e tirò fuori un pacchetto di Jelly Belly. «Vuoi? Non sono popcorn, ma...» gli propose senza neanche guardarlo in faccia, ingoiandosene tre o quattro in un secondo.
«...grazie...» rispose, e ne prese un paio anche lui, sempre con gli occhi incollati ai due. Erano dolci, sapevano di buono. Di frutta e di zucchero. E qualcos' altro.
«Tu tecnicamente non dovresti cercare di fermarli?» gli chiese mew Satou perplessa, aggrottando le sopracciglia.
I piccioncini stavano riusciendo ad uscire da quella super gelatina aromatizzata alla fogna.
«Nah, tanto se escono da lì con uno schiocco di dita posso ricoprirli di nuovo...»
Mew Kanzou riuscì a tirare fuori la testa dalle profondità del Chimero, prendendo un gran respiro. Era come cercare di nuotare in un castello confiabile appiccicoso.
«Ingegnoso...». «Grazie,mew Shikimi». «Ancora non capisco perché qualcuno non prende la mannaia di mew Kanzou e decapita l' alieno». «Oh Kurumi, stiamo a guardare è basta, c'è tanto di quel tempo per uccidere Kisshu...». «Mew Satou, il tuo nome non si addice per niente al tuo carattere». «Quest' atmosfera familiare da famiglia riunita in salotto a guardare la TV non è normale». «Mew Kurumi, basta con questa razionalità e goditi lo spettacolo!». «La forza dell' ammmmore trionferà!».
«Mew Shikimi, mi spiace deluderti ma lui non la ama per niente» sospirò la voce annoiata di Mew Yuzu, che se ne stava appoggiata al muro con un sorriso ironico. E da dove era arrivata?! Aveva imparato a smaterializzarsi?!
«VOI IMBECILLI NON POTETE VENIRMI A DARE UNA MANO?!» urlò una disperata mew Kanzou, che era riuscita a liberare Ketanou ma era stata inghiottita al posto suo.
«Oh, subito boss!» esclamò prontamente Shikimi scattando in piedi. Kisshu afferrò il pacchetto di Jelly Belly prima che finisse a terra.
«Ok, ok! Ribbon Yuzu Pain!» enunciò la volpetta, scoccando una lunga fiammata in direzione dell ameba, che si sciolse puzzando come plastica bruciata. Fece molta attenzione a non centrare mew Kanzou in pieno, però.
«Ehi, funziona!» si sbalordì Kisshu, incredulo. Questo non l' aveva previsto. Doveva assolutamente toglierle di mano quell' attizzatoio color mandarino.
«Santo cielo, nemmeno il sudore di mio cugino è così micidiale... Ribbon Kurumi Maze!» ripeté la mew mew bronzea, e un milione di bolle di tutte le dimensioni inziarono a sciogliersi dentro il Chimero, che però continuava a rigenerarsi.
«Fa' provare me. Ribbon Satou Snowflake!» e dall' esplosione un gigante fiocco di neve comparve il flauto di ghiaccio, scintillante e sublime come sempre. Provò ad intonare qualche arpeggio, ma si rese conto che più suonava più la sostanza blobbosa si ghiacciava, imprigionando Kanzou come un insetto dentro una goccia d' ambra.
«Niente da fare qui serve solo il fuoco di mew Yuzu...» commentò annoiata mew Shikimi, risistemandosi sul banco. Accidenti, l' alieno aveva finito il pacchetto...
Peccato che il quel momento mew Yuzu stesse tirando il suo attizzatoio con tutte le forze; dall' altra estremità Kisshu cercava di strapparglielo di mano, in un buffo tiro alla fune attizzatoio.
«Nessuno ha ancora pensato a Sakuranbo, fatta di meravigliosità! Aha!» s' intromise la rossa agitando i Tonfa con aria minacciosa.
Tutti si bloccarono. La pipistrellinà impreco. Un uccello cinguettò fuori dalla finestra. Il professore di scienze aprì la porta e la richiuse correndo via strillando.
«Ehm, mew Sakuranbo, non mi sembra il caso...»balbettò l' orsetta in preda al panico.
«Su, Saku-nyan, lascia stare» mugugnò la coniglietta deglutendo.
«Non dirai sul serio...» ansimò la ragazza lontra porgendosi una mano alla bocca.
«Ehi scusate, ero alle macchinette giù di sotto, avevo una fame da lupi, spero non sia successo niente mentro ero via..» esclamò mew Chinoko masticando una patatina alla paprika.
«... e invece sì. E' giunto il momento di scatenare il potere di una tigre!» squillò la rossa con occhi color sangue accesi dall' entusiasmo. Tutti trattennero il respiro. Mew Chinoko masticava. Mew Yuzu tirava una botta in testa a Kisshu con l' attizzatoio riconquistato. Mew Kanzou l' implorò di muoversi.
«Ribbon Sakuranbo Spirit!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Dai Tonfa scaturirono dei potentissimi raggi di luce bianchi, accecanti, e a poco a poco s' espandevano per tutta la stanza.
Gli occhi di tutti i presenti diventarono bianchi come la luce che stavano guardando, e anche la mente diventò bianca come la luce...

***


«Ohioioioioioioiiiii» mormorò la vocina acuta di Shikimi. Aprì gli occhioni blu: si trovava stesa per terra, su un pavimento freddo e duro di un' aula, e notò non con poca sorpresa di essersi ritrasformata. I capelli boccolosi e biondo scuro le ricadevano sulle spalle, la forza da mew mew era svanita e ora aveva solo un gran mal di testa, similissimo a un dopo-sbornia.
«Oh là, ti sei svegliata finalmente» commentò Sakuranbo seduta sulla cattedra. I capelli erano tornati biondo spiga e gli occhi verdi come sempre. Ciondolava le gambe su e giù.
L' altra si sistemò seduta, sistemandosi la gonna da scolaretta. «Cos'è successo? Le altre stanno bene? Il Chimero? Kisshu? Lo gnocco?» domandò, guardandosi attorno. Domanda idiota, poteva vederlo benissimo da sola.
Le altre erano svenute, il ragazzo pure, Kisshu era svanito assieme al Chimero. Ma ancora non sapeva che diavolo era successo.
«Dopo il mio stupenderrimo e micidiale attacco, siete tutti caduti come pere. Io no, non so perché. Il Chimero si è dissolto, tutto grazie a me naturalmente, e Kisshu e sparito come al solito appena ha fiutato il pericolo. Ora sto aspettando che vi riprendiate... Ho chiuso la stanza a chiave, non volevo noie con i professori o impicci con qualche studente. Non volevo che qualcuno scoprisse il nostro supersegreto» raccontò pacifica, un' espressione d' orgoglio quando si auto-elogiava. Le gambe continuavano a ciondolare come il pendolo di un orologio.
«Non ci posso credere, baka koneko, sei riuscita anche tu a renderti utile. E' pazzesco!» si stupì Shikimi, maligna, e rise quando l' amica la fulminò con lo sguardo. «Intanto, pivella, sono io che ho risolto il guaio quando tutte vi stavate cagando addosso! Perciò porta rispetto, stupido ed insignificante roditore!».
La piccoletta si rimise in piedi, controllando le altre cinque per terra. «Non dovremmo fare qualcosa per svegliarle?»
Sakuranbo scrollò le spalle, indifferente. «Bah, prenderle a calci non ha funzionato» l' informò.
«Ci vorrebbe la padella di Keiichiro, con quella si sarebbero svegliate di sicuro...»
«Prova a far scricchiolare il gesso sulla lavagna»
Shikimi afferrò un gessetto di quelli nuovi, lo spezzò e cominciò a farlo stridere sulla lavagna. Sakuranbo si tappò le orecchie.
«Che è sto fracasso infernale?!» reagì Kanzou, quella con le orecchie più delicate. Subito capì dov' era, cosa stava facendo e perché. Focalizzò l' attenzione su Ketanou che giaceva a terra svenuto, come anche Satou, Yuzu, Kurumi e Chinoko.
Camminò verso il ragazzo, e subito poggiò l' orecchio sul suo petto, a sinistra. Agitata, il respiro affannoso, ascoltò.
TUM-TUM. TUM-TUM. Meno male, era vivo. Sospirò e si sedette vicino a lui, gli occhi incollati su quel viso perfetto.
«Ciao anche a te, Jundo» la salutò sarcastica la coniglietta, increspando le labbra con aria offesa.
«Oh, ehm, scusami Sanshou-chan. Dovevo vedere se lui...».
«Sì,sì, sei innamorata dell' idiota abbiamo capito» l' interruppe la bionda con irritazione. Voleva pavoneggiarsi raccontando con somma esagerazione l' accaduto, e come poteva farlo se l' audience era così bassa?!
«Non è un idiota! E non sono innamorata... solo lo trovo stupendo. Una specie di amore platonico, se vogliamo» si difese guardinga, e subito si voltò ad ammirare quei lineamenti. Senza volerlo, le scappò una carezza. Aveva la pelle così liscia, morbida e calda... Profumava di dopobarba di qualità.
«Sì, e intanto lo accarezza... platonicamente, certo» sussurrò Shikimi maliziosamente.
«Ehi, ti ho sentita!»
«Mnmnmnmmgnnngngn» borbottò qualcuno, il tipico verso di chi si stiracchia. Le tre si girarono: era Kurumi. Sbatté le palpebre con aria assonnatta e si guardò in giro. «Dove sono i miei occhiali...?» si chiese, tastando il pavimento. Ah, eccoli. Probabilmente erano caduti durante lo svenimento. Se li infilò con cautela: grazie al cielo non si erano rotti.
«Chi è che mi ha messo una mano in faccia?» brontolò qualcun altro. Questa era Yuzu, irritata dalla tastata accidentale ricevuta da Kurumi.
«Sono stata io, scusa!»
«Fa niente... ma, gente, che cazzo è successo?»
«Ti racconterò tutto dopo, quando anche le altre si tireranno in piedi» disse la tigrotta ravvivandosi i capelli con fare vamp, misteriosa.
«Mi sembra giusto... Oh e il tizio è morto?» domandò con grande disinvoltura, neanche chiedesse il prezzo di una brioche al bar.
«No che non è morto! E' solo svenuto... credo»
«shi può shapere cosh'è successho?» mugugnò Satou strofindandosi gli occhi. Si ricordava solo una grande luce bianca, e poi più nulla. Era morta?
«Un mancamento» riassunse Kurumi, pratica ed essenziale come al solito.
«Perché?». «Non lo sa nessuno, temo». «Credo faccia parte dell' attacco di mew Sakuranbo. E' tosto.». «Tsk, figurarsi se un essere così indiscutibilmente stupendo non doveva avere l' arma più potente...». «Più drastica,semmai».
«Ragazze, io stavo dormendo in pace, la smettete di cianciare a vuoto?!» sospirò Chinoko con voce assonnata.
«Oh, sono sveglie tutte, sensazionale! Ora vi racconterò tutto ciò che volete sapere, eheheheheh...». «Che cosa sta dicendo?». «Ah, è galvanizzata perché per una volta in tutta la sua vita ha fatto qualcosa di produttivo...». «STUPIDO CONIGLIO, NESSUNO TI HA DATO IL PERMESSO DI SVALORIZZARE SAKU-CHAMA!».
Kanzou ignorò quel battibecco, ormai decisamente usuale in quel gruppetto, e tornò alla contemplazione del suo Apollo personale. E poi... se ne accorse.
Non respirava.
«NON RESPIRA! NON RESPIRA!» strillò, scattando in piedi. Cosa doveva fare? Cosa?
«Prova con la manovra di heimlich» suggerì Yuzu distaccata, di un' indifferenza spaventosa.
«O la respirazione bocca a bocca» tentò Shikimi, senza perdere la malizia anche in una situazione del genere.
«Non scherzate! DOBBIAMO PORTARLO IN INFERMERIA, SUBITO!»
E così, due da una parte e due dall' altra più altre due al centro, le mew mew cercarono di trascinare il ragazzo giù per le scale.
Kanzou continuava a guardarlo preoccupata: sarebbe morto? cosa gli poteva essere capitato? se la cosa non fosse andata a buon fine, pensò, avrebbe giurato morte a Kisshu. Veramente.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: I tre Ikisatashi ***


Kisshu era pensieroso.
Si ritrovava in un quartiere poco trafficato, non sapeva quale, a occhio sembrava quello industriale ma non gliene fregava niente: almeno poteva starsene in pace seduto su un tetto senza che nessuna vecchietta si allarmasse o lo spiasse dalla finestra per controllare se si drogasse o no. Dritto davanti a sé stava una misera grata a mo’ di recinzione; sì, come se una inferriata di acciaio scadente servisse sopra uno stupido tetto. Potevano sembrare parecchio babbei, i terrestri.
Subito dopo la batosta ricevuta dalle mew mew si era materializzato nell’ altra dimensione, e aveva avuto un colloquio con Deep Blue.
Era furente: non aveva potuto sopportare l’ ennesima sconfitta, e gli aveva fatto una cazziata.
“Non ci siamo Kisshu, hai fallito anche questa volta” aveva detto, con aria scostante e stizzita. Avrebbe voluto lanciargli un sasso addosso: peccato che a una sfera luccicante non facesse niente e che, soprattutto, non c’ erano sassi in quella dimensione verde oscura.
Avrebbe voluto gridare che allora avrebbe dovuto alzare le chiappe e cercare di uccidere le ragazze con le sue forze, invece di sfruttarlo in quel modo, e tanti saluti. Ma non lo fece, trattenendo a stento l’ irritazione.
“È successo qualcosa che non potevo assolutamente prevedere, come avrei potuto immaginare che…” aveva tentato di rispondere. Voleva spiegare il disarmante e impensato potere di mew Sakuranbo, quel raggio fatale capace di uccidere chi lo fissa troppo a lungo, una capacità che la tigrotta non aveva mai manifestato prima di allora, ma la voce acida di Deep Blue l’ interruppe con ostinazione. “Non dire altro, non ne posso più delle tue patetiche scuse. Ho già messo a punto una soluzione alternativa”.
E ancora non sapeva quale cavolo fosse la soluzione alternativa. Cosa poteva fare una sfera stroboscopica bianca se non aveva nemmeno delle braccia e delle gambe? Come riusciva a fare qualcosa senza un aiutante, o meglio, un servo?
Perché non era altro che uno schiavo lui, lo sapeva benissimo. Servitore di cosa, poi? Che cosa era Deep Blue? Sembrava quasi l’ ultimo stadio di un dio dimenticato da tutti, nella sua ultima fase prima di scomparire nel nulla. Sì, perché un dio esiste finché c’ è qualcuno a credere in lui. E nel suo pianeta tutti avevano ormai smesso di prestare fede in una divinità tanto crudele, che aveva reso invivibile le terre e impossibile la vita. Ed ora si era trasformata in uno spirito piccolo e impotente, alimentata da pochissimi devoti. Kisshu non sapeva neanche se ne faceva parte; ok, sapeva ch’ esisteva, ma perché doveva crederci ? Era come idolatrare una candela. Sapeva che c’era, ma perché venerarla? Che senso aveva? Deep Blue era anche peggio di una candela... un fermacarte a forma di pastorella: totalmente inutile e incapace ad aiutare i problemi della gente.
«Che cosa stai facendo tutto solo sul tetto?» domandò una vocetta acuta e curiosa, da ragazzino.
Quella voce… sembrava quella di… eppure non poteva essere, che ci faceva sulla Terra? Doveva essere un bambino venuto a giocare su… un tetto?! No, non aveva senso.
Perplesso, si voltò, inarcando le sopracciglia. Non c’ era nessuno. Che cavolo, era diventato pure pazzo ora? Aspettò qualche segno di vita prima di rispondere.
«Sei davvero patetico… come hai potuto farti mettere in ridicolo da un branco di essere umani?» aggiunse, beffarda ed impertinente. Subito dopo, un ragazzetto dai capelli castani legati in due codine alte ai lati della testa, il corpo magrissimo coperto da dei pantaloncini a sbuffo blu e una maglietta rossa praticamente inesistente sul petto comparve su un grandissimo camino circolare tipico di una fabbrica. La carnagione era nivea, e le orecchie lunghe e appuntite risaltavano sul viso stupendo da elfo. Gli occhi erano grandi, di un bell’ arancione ambrato.
Di fianco a lui c’ era un altro alieno, alto, magro ma più sviluppato degli altri due. Spalle larghe, fisico slanciato. Doveva avere almeno due o tre anni in più di Kisshu. I suoi corti capelli erano d’ inchiostro nella notte buia, e gli occhi sottili da felino pure. Aveva uno sguardo terribilmente apatico. Non stupido, tutt’ altro, brillava d’ intelligenza, ma era proprio impassibile. Sul profilo del viso maturo c’ era una ciocca intrecciata in uno spesso nastro grigio-verde.
Il ragazzo dai capelli verdi era a dir poco sbalordito: «Taruto? Pai? Che ci fate qui?» chiese, visibilmente stupido ma anche innervosito. Doveva averli mandati Deep Blue, perché riteneva che fosse troppo idiota per farcela da solo con la sola compagnia di una terrestre. Questo l’ infastidì; se gli avesse concesso più tempo, ce l’ avrebbe fatta di sicuro…
«Oh stai tranquillo, ora che si siamo qui noi riusciremo a togliere di mezzo quella squadra di guastafeste in men che non si dica!» esclamò Taruto allegramente, con un sorriso entusiasta.
Illuso, credeva davvero che ce l’ avrebbero fatta in così poco tempo? Kisshu gli lanciò uno sguardo sarcastico; lo credeva veramente così fesso da non riuscire a uccidere sette ragazze, se loro non fossero state così imprevedibilmente forti? «Sei un ingenuo. Ti sfido ad eliminarle tutto solo, senza l’ aiuto dei tuoi fratelloni. Voglio proprio vedere se ci riesci!».
Il piccolo aggrottò le sopracciglia, offeso. «Credi che sia così inetto da non farcela?!»
«Potrei farti la stessa domanda, pivellino»
«Già iniziate a litigare, voi due?». Quella voce fredda e tagliente, da uomo, era di Pai. Sembrava leggermente infastidito, il che significava che fosse altamente infastidito.
Gli altri tacquero.
«Così va meglio… Ora, vorrei andare a raccogliere alcuni dati sul comportamento delle terrestri. Potresti anticiparmi qualche informazione rilevante?» domandò serio il moro, rivolgendosi a Kisshu. Sembrava un robot, solo con una parlata vagamente meno meccanica.
«Non so cosa vuoi sapere. Se vuoi scoprirne di più sulle mew mew, basta che chiedi a Yuzu» rispose l’ altro indifferente. Sempre che riuscisse a trovarla… chissà perché, di notte non riusciva mai a rintracciarla. Tranne in quel giorno chiamato “domenica”, in cui dormiva tutto il pomeriggio fino alla mattina dopo.
La faccia di Pai sembrò stendersi in un lieve disgusto, il che presumibilmente significava che era disgustato davvero. «Non ho intenzione di intraprendere un’ interazione sociale, seppur per lavoro, con una nemica» affermò, cinico.
Taruto sembrava divertirsi. «Eddai Pai, Deep Blue ci aveva avvisato che una di loro si era schierata dalla nostra parte, tanto vale tenersela buona finché non la leviamo di mezzo» gli suggerì in tono cordiale, solare come al suo solito.
«Non possiamo fare affidabilità su un’ avversaria. Mi chiedo come tu abbia potuto collaborare con lei, Kisshu». L’ acidità di Pai non agitava più nessuno da tempo; lui si comportava sempre così.
«E io mi domando come tu non riesca a vedere l’ utilità di una rivale nel gruppo. Sa tutto, è una fonte d’ informazioni importantissima» gli fece notare Kisshu, orgoglioso di Yuzu come una mamma ad un incontro genitori-docenti.
Taruto annuì con convinzione, perfettamente d’ accordo.
Pai ci pensò su per qualche secondo, anche se ovviamente non lo diede a vedere. Rimase impassibile come una statua. «D’accordo. Bisogna eseguire gli ordini di Deep Blue fin da subito. Come posso rintracciare la terrestre?» chiese, con enorme distacco. Sembrava che si stesse offrendo con grande rammarico a pulire il bagno di un autogrill.
«Non puoi rintracciare la terrestre ora. Adesso seguitemi, voglio farvi vedere la nostra nuova casa» annunciò con un sorrisetto, mentre il viso un po’ tondo di Taruto si accese di interesse.
Kisshu si sollevò da terra per chissà quale legge fisica, e gli altri due lo imitarono.
«Nuova casa? Come hai fatto a trovarne una disponibile?» s’ informò il piccolo mentre, aumentando la velocità, volò vicino a Kisshu.
«Oh, i proprietari sembravano così felici di offrirmela…» rispose sogghignando l’ alieno con i capelli color foresta. Di fianco a lui, Pai alzò gli occhi al cielo. Probabilmente lui avrebbe ideato un piano migliore per impossessarsi dell’ abitazione senza destare sospetti, ma Kisshu era a favore del ‘Si Fa Prima Ad Ammazzare Tutti Piuttosto Che Arrovellarsi In Piani Inutili E Troppo Complicati’.
Taruto capì al volo, e rispose con un sorrisetto complice. Dopo poco calò il silenzio più profondo, e ovviamente fu lui a interromperlo con una frase gioiosa e spensierata: «Scommetto che sarà divertente la permanenza sulla Terra».
Illuso!

***


Yuzu era da poco tempo riuscita ad affittarsi un appartamento super economico con i soldi ricavati dai numerosi concerti.
Era microscopico, all’ ultimo piano di un edificio malandato e traballante. Le rate erano mensili, e temeva di non riuscire a rimanerci nemmeno per una sessantina di giorni.
Le tubature facevano un rumore mostruoso, l’ acqua bisognava farla scorrere per cinque minuti prima che diventasse trasparente e resisteva a forza di toast e cibo in scatola in offerta.
Il letto fungeva da divano in salotto, o qualcosa di simile a un soggiorno, e dava sul tavolo dove mangiava. Niente tv ovviamente, niente radio. Niente di niente se non l’ essenziale.
Eppure, era felicissima di essersi sbarazzata della sua disastrosa famiglia. Faceva male solo a pensarci, a quell’ ambiente deprimente e tetro, sempre squillante di urla, litigi, bestemmie.
Quel mini appartamento, a confronto, era il paradiso.
Poteva invitare chi le pareva per la notte. Bere birra di scarsa qualità in pace. Starsene tranquilla tutto il giorno. Era così bello che di certo non sarebbe durato.
Un altro mese, e sarebbe rimasta nuovamente appiedata.
Era mercoledì mattina e lei, rincoglionita di sonno, mangiava latte e cereali in mutande e reggiseno, indecisa se prepararsi del caffè istantaneo oppure no. Da una parte, doveva trovare il modo per non addormentarsi in classe, e dall’ altra il caffè mattutino le dava sempre un senso di nausea.
Alla fine, fiduciosa delle proprie capacità, decise che poteva stare sveglia anche senza l’ aiuto della caffeina. Prese la ciotola sporca di latte e aprì il rubinetto, aspettando che quella fogna marrone si trasformasse in acqua.
Fischiettando, prese la spugna dal lavabo e iniziò a pulire. Diede uno sguardo alla stanza: per terra c’ erano il vestito della sera prima e la propria biancheria intima (niente di troppo lingerie-oso, non poteva permettersi quel genere di cose) e si sentì totalmente felice riguardo il fatto che nessuno le avrebbe ordinato di mettere a posto quel casino. Mentre con un sorriso sistemava la ciotola su una mensola scrausa, un fruscio di vestiti catturò la sua attenzione.
Si girò, e rimase sbalordita da quel che vide.
C’ erano tre alieni dentro casa sua. Due dei quali non aveva mai visto in vita sua, e di cui non sapeva neppure dell’ esistenza.
Boccheggiando, cercò di formulare una domanda, ma mentre riordinava i pensieri li fissò in faccia. Tutti avevano un colore più sul rosa scuro che sul bianco e si guardavano intorno con il classico modo di fare di chi vorrebbe trovarsi in tutt’ altro posto in tutt’ altro momento.
Ingenuamente si chiese il perché…. E poi si rese conto di essere in mutande. Alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto arrogante. «Andiamo, mai vista una ragazza?» chiese, sarcastica, e notò che la sua stessa voce non era sfottente e sagace come al solito, ma piuttosto nervosa.
Prima di sentire alcuna risposta, decise che era meglio aggiungere qualcos’altro: «Kisshu, questo me lo devi spiegare».
L’ interpellato si girò per guardarla in faccia, ma quelle guance rosee non accennavano a schiarirsi. «Ah -ehm. Volevo farti sapere che d’ ora in avanti faranno parte della missione anche i miei fratelli Pai e Taruto» disse, indicando in ordine di elencazione gli altri due, misteriosamente silenziosi.
«Ah. Ok. Beh, ciao. Ehm. Perché non vi sedete?» domandò, ormai contaminata dall’ imbarazzo generale. Voleva andare a mettersi la divisa scolastica, ma era poggiata sullo schienale del letto-divano, e il suo istinto volpesco le consigliava di tenersi alla larga da quelli là.
Kisshu si sedette e gambe incrociate, quello che si chiamava Pai preferì poggiarsi al muro con la schiena e quello piccolo e carino si sistemò sul letto.
Sospirando, si avvicinò al letto e furtivamente afferrò la gonna e la casacca. La sua divisa era completamente, totalmente nera, ad eccezione dei bottoni argentati.
Così, mentre quello alto guardava con insistenza per terra (oh, forse avrebbe dovuto anche mettere nel sacchetto delle robe da lavare le mutande sul tappeto), Kisshu si sdraiava con apparente disinvoltura e Taruto giocherellava con il fiocchetto della sua maglietta, la ragazza si vestì più in fretta che poté.
Recuperata un po’ di dignità, si sedette sul tappeto arancione che le aveva regalato la zia e con nonchalance buttò gli abiti usati sotto il letto. «Allora, cosa volevate di preciso?» chiese, sistemandosi i capelli alla bell’ e meglio.
«Siamo venuti qua per esporti il nuovo piano, e Pai voleva farti qualche domanda» spiegò Kisshu, e sembrava un sacco un mediatore.
Yuzu scoccò un’ occhiata a Pai; non sembrava un tipo da fare domande, era così zitto. Lui comunque non ricambiò affatto l’ occhiata e rimase a braccia incrociate a guardare il pavimento. Dio, cosa c’ era di così interessante su quel preciso punto per terra lo sapeva solo lui.
«Ok, aggiornami sulle nuove fusioni. Ah, non ho fatto neanche l’ ospite per bene… volete qualcosa da mangiare? Vi avverto, ho solo cereali, latte, caffè istantaneo, mais in scatola e forse della birra» li avvisò, cercando di trattare quei tre misteriosi, interessanti e strani fratelli come avrebbe trattato chiunque altro.
Taruto sembrò interessarsi: «Cos’è la birra? E il… caffè istantaneo?» domandò con vocetta acuta, curioso. Aveva degli occhioni giganteschi, dello stesso arancione che aveva lei da trasformata. Era proprio kawai.
Yuzu cercò di non stranirsi: «Sono delle bevande. La prima è alcolica, non credo proprio di potertela offrire» spiegò, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Era assurdo non conoscere la birra.
«Cosa vuol dire alcolica?» insistette, inclinando la testa leggermente di lato. Ommioddio, le era venuto l’ istinto di mettersi ad abbracciarlo. Sembrava un peluche meno peloso.
«Oh, come posso spiegartelo… l’ alcool è una sostanza che… insomma, dà un po’ alla testa. Se ne bevi poco, ti fa allegro e leggero, se ne bevi tanto… prima ti senti senza pudore, ti si svuota la mente, sei carico di adrenalina e diventi anche immensamente ingenuo. Dopo passi ore in bagno a vomitare, perché troppo alcool fa male al fegato» riassunse, e sentì degli occhi in più scrutarla. Aveva catturato l’ attenzione della statua di gesso.
Ma lei l’ ignorò e guardò Kisshu; faceva tutto il saputello, ma la mew mew dubitava che conoscesse quello che stava dicendo.
«Ma che senso ha assumere questa sostanza, se è nociva per il funzionamento del proprio sistema?». Questo tono profondo ma non troppo era nuovo; si girò a osservare Pai, e notò per la prima volta quegli occhi grigi come il piombo. Era la versione maschile di Yuki Nagato dell’ anime Haruhi Suzumiya no Yuutsu, o cosa?!
«Serve a non farti pensare. A farti dimenticare per un attimo tutti i problemi, tutti i pensieri che ti appesantiscono il cervello. Ti regala l’ autostima, la felicità, la spensieratezza per qualche ora» spiegò, scrutandolo con diffidenza e attenzione.
Di nuovo calò il silenzio. Yuzu, sospirando, si chiese cosa imponeva il bon ton alieno; magari si aspettavano che facesse qualcosa, ma non aveva idea di cosa. «Beh, raccontatemi del piano»
Kisshu scosse la testa. «Non qui. Vieni, ti portiamo alla nostra base».
Così, spinta dalla curiosità, si aggrappò al braccio del verdino e immediatamente si smaterializzarono.
Nel punto in cui erano scomparsi, lo spazio ondeggiò.

***


«Ok, fatemi capire, forse non ho inteso bene… la “vostra base” sarebbe questa casetta piuttosto caratteristica sperduta in un bosco?». Yuzu si stava guardando intorno con un sopracciglio alzato e uno sguardo perplesso. Si sarebbe aspettata di trovarsi un altro pianeta, in un qualche posto lucido e pieno di macchinari alieni complessi da film di fantascienza; invece, eccoli nel salotto di un qualche sconosciuto con un bellissimo acquario di pesci tropicali. Fantastico.
«Oh, l’ altra base non possiamo mica fartela vedere! È riservata!» commentò Taruto altezzoso, dandosi aria d’ importanza.
«Ah, ma allora ce n’ è un’ altra!» esclamò la ragazza già più interessata, facendo un sorriso sornione.
Taruto la guardò interdetto, le orecchie a punta basse. Ecco, non avrebbe dovuto dirlo.
«Sì, ma tu, terrestre, devi starne fuori». Questo era naturalmente Pai: la mew mew l’ aveva già inquadrato. Freddo, distaccato, glaciale, uno di quei super cattivi da film senza sentimenti. Stranamente però non si trovava a disagio; era così prevedibile e scontato che sicuramente non sarebbe uscito dagli schemi di qualche assurdo piano congegnato alla perfezione, che solo una mente lucida e geniale poteva creare. Ok, faceva un po’ di inquietudine, ma bisognava ricordarsi che anche lui era un comune mortale… forse.
«D’accordo, alieno lo apostrofò scocciata, usando lo stesso tono usato da lui in precedenza. Sentì uno sguardo infuocato perforarle il viso, ma non ricambiò l’ occhiataccia. Non le sembrava il caso di iniziare una rissa con un alleato.
«Ehm, allora, volevo chiederti se conoscessi qualcuno con una forza vitale molto forte…» l’ interruppe Kisshu, sistemato comodamente su uno dei divani ad L beige dall’ aria costosa.
«Senti vecchio, io non so cosa voglia dire. Il mio ruolo qui è solo d’ informatrice, e ci posso pure mettere qualche potere sovrannaturale di mezzo, ma individuare la luminosità di un... Ankh… quello è il tuo mestiere» rispose, sedendosi sul tappeto persiano. Ma di chi cavolo era quella casa?
«Dev’ essere qualcuno con un’ anima pura» insistette, ma non con troppa voglia. Sembrava desiderasse solo rimanere svaccato su quel divano.
Yuzu scoppiò a ridere, destando la confusione degli altri tre. «Anima pura? Mi spiace, non conosco proprio nessuno con questa qualità. La gente con cui mi sento non ha proprio questo requisito, purtroppo» disse freddamente, con un’ ironia tagliente che quasi spaventava.
Taruto alzò il faccino tondo e l’ inchiodò con quegli occhi decisi color tramonto, di un’ intensità notevole per un ragazzino così piccolo. Chissà quanti anni aveva…
Sembrava volerle dire qualcosa, qualcosa d’ importanza capitale, ma non lo fece. Stette buono e in silenzio trasmettendo quella domanda muta con lo sguardo. Santo cielo, era proprio tenero!
«Hai ragione. Sulla Terra sono tutti marci dentro» concordò Kisshu con uno sbuffo.
«Vorrei dirti che hai torto… ma non è così, no» sospirò la rossa scuotendo la testa rassegnata.
«Strano sentirlo dire da te» commentò Pai in tono impassibile. Forse voleva essere sarcastico, ma non gli riusciva granché bene. Era troppo apatico.
«E perché? Io sono realista. L’ umanità è nata malvagia, e deve sparire. Non ha fatto altro che male, dal primo istante in cui ha scoperto che un ciottolo appuntito può uccidere». Ecco. Com’ era cruda e pragmatica, quella ragazza.
Il piccoletto strabuzzò gli occhi, incapace di concepire che qualcuno potesse insultarsi da solo.
Kisshu invece era ormai abituato alla filosofia di Yuzu, e non ci faceva troppo caso, nonostante non finisse mai di stupirlo.
Pai, invece, sembrava quasi affascinato da quella mentalità. Doveva esserle successo qualcosa di tremendo, se la pensava in quel modo. «Perciò è per questo che sei nostra alleata?» domandò scettico.
Yuzu si girò con un sospiro e un’ occhiata truce. «E perché, altrimenti? Mi credi davvero così codarda? Loro sono sette, voi tre. Secondo la logica dovrei essere dalla loro parte» gli fece notare, una leggera nota irritata nel tono altrimenti paziente.
«Tsk, figuriamoci! Noi siamo mille volte più forti!» s’ intromise Taruto tutto orgoglioso, gonfiando il petto con fare fiero.
«Peace ☮, fratello, non è una competizione. E comunque fidati, le mew mew sono potenti. Altrimenti perché il signorino avrebbe chiesto il vostro aiuto?»
«Ehi, non ho chiesto il loro aiuto, me li ha affibbiati Deep Blue…» brontolò Kisshu offeso, interrotto subito dal fratellino: «Dovresti ringraziarci! Deep Blue ci ha chiamati perché sei un incapace e dobbiamo starti dietro…».
«Ringraziare addirittura? Neanche per sogno! Se quell’ irriconoscente mi avesse dato più tempo…»
«Non osare chiamare Deep Blue ''irriconoscente''!»
A quel punto cominciarono a sgridarsi nella loro lingua natia, e la ragazza non poté far altro che sogghignare alla vista di quegli strani personaggi battibeccare in quel linguaggio così misterioso ed interessante. Sarebbero stati benissimo dentro un libro.
"Ancora quel nome. Deep Blue. Il loro leader... Kisshu non me ne parla molto, chissà come mai... bah, non sono fatti miei" pensò Yuzu, un po' curiosa. Chissà perché lo chiamava in inglese anziché in giapponese. Forse era una sorta di nome in codice... mah.
Così, mentre i tre si confrontavano in un libero ed aperto scambio di opinioni, la mew mew si diresse in cucina a cercare qualcosa. Magari c’ era qualche cosina da mangiare…

***


Ketanou era all' ospedale, ed in coma.
Questo era il pensiero fisso di Kanzou; continuavano a tormentarla i ricordi del giorno precedente. Lei e le altre che lo trascinavano in infermeria già ritrasformate, le infermiere incredule che volevano una spiegazione, e Chinoko che stava per dire la verità quando Satou l' aveva interrotta raccontando che aveva avuto un mancamento...
E così, da un lettino dell' infermeria scolastica era stato spostato a quello di un ospedale. E non si era ancora ripreso.
Eppure non era nemmeno colpa di Kisshu; era stata Sakuranbo con il suo attacco a sorpresa, che probabilmente non sapeva nemmeno di avere, a farlo star male. E il peggio era che non poteva nemmeno prendersela con lei, dato che non poteva assolutamente preverderlo.
Così Kanzou passava le ore di biologia, a preoccuparsi per un ragazzo che conosceva a malapena ma a cui si era affezionata. E si diceva anche su da sola per la pateticità della situazione.
Sperava almeno di ricevere un po' di conforto dalle altre; Sakuranbo evitava semplicemente di parlare, forse perché in preda a sensi di colpa, Yuzu se ne sbatteva alla grande rincuorandola con il fatto che se lui moriva, lei era libera dal sentimento che provava -e accompagnava queste frasi con un qualche stralcio di una canzone-, Shiawase sembrava isterica come una donna in menopausa e continuava a domandarsi cosa potesse essere successo, Satou non era una granché esperta di consolazione e il massimo che poteva fare era un "dai,su" e soprattutto, come al solito, incazzarsi. La mew mew aveva capito che l' orsetta poteva sembrare molto tenera ed innocente, finché non capivi che era capace di innervosirsi per qualsiasi cosa. In questo caso si alterava perché non sapeva cosa dire e perché, per istinto di conservazione, era della politica del "meglio lui che me".
Sheru-san faceva di tutto per sembrare empatica, anche se si vedeva lontano un miglio che stava recitando, Shikimi era altrettanto insofferente ma almeno faceva del suo meglio per starle vicino, mentre Kuroi era ancora troppo riservata per esprimere un parere.
Sbuffò sonoramente, nella depressione più nera, quando sentì vibrarle la tasca dei pantaloni neri. Tirò fuori il cellulare: Ma smettila di preoccuparti, fra un paio di giorni il pero si riprenderà e potrai ricominciare a idolatrarlo. Esageri dicendo che è in coma... shaaake what ya mama gave ya!
Chissà se stava facendo l' ottimista sul serio o era una semplice frase di convenienza.. e poi cosa cavolo voleva dire shake what ya mama gave ya?!
La ragazza non si prese nemmeno la briga di rispondere e si infilò di nuovo il telefonino in tasca. Sospirò. Povero Ketanou-sama.
Quando avrebbe rivisto il suo bel viso da modello? Proprio ora doveva essere ricoverato, quando si erano presentati e parlati per la prima volta... Com' era crudele il destino. Fottutamente sadico. Chissà come se la stava ridendo in quel momento... ma, c'è, non aveva niente di meglio da fare che prendere in giro una povera ragazza innocente? Doveva avere una vita terribilmente triste se si divertiva a rovinare le vite degli altri.
Ma sì, forse avevano ragione le ragazze. Forse fra poco sarebbe passato tutto, con un buon riposo e le medicine giuste.... certo, c' era quel forse davanti che complicava assai le cose. E le incrinava, le storceva e le sfuocava.
Sospirò più forte, destando l' attenzione di qualche compagno. Non si sentiva affatto in grado di ascoltare la prof, voleva solo accasciarsi sul banco lasciando che il dolore, l' incertezza e lo stress l' affogassero da dentro.
... doveva fare qualche allenamento in più. Ma dove lo ricavava il tempo? Era sempre al caffé, e il resto del tempo le serviva per studiare. Sigh. Le mancava la sensazione di fatica che solo lo sport le poteva dire. Fatica, ma non stanchezza. Così inebriante da essere piacevole.
Poggiò la testa sul libro, nascondendosi dietro la schiena di una compagna. Voleva andare a trovare Ketanou all' ospedale. E l' avrebbe fatto. Quel giorno stesso. Avrebbe saltato il turno al Caffé... per lui.

***


Il Bonzo riteneva di avere il mestiere più bello del mondo: aveva INFINITI volumetti manga, gadget di tutti i tipi, magliette degli anime più famosi, disegni drappeggiati per tutte le pareti e milioni di fangirl che lo idolatravano non-stop.
Ad esempio, ricordava perfettamente una ragazza alta, bionda, con gli occhi verdi e una forte ossessione per HOST CLUB. Ogni volta che entrava nel negozio, si avvicinava al bancone e diceva: «Ciao Bonzo! E' arrivato il nuovo numero di host club??» spalancando gli occhi in maniera abbastanza inquietante, tale che, una volta, le avesse pure fatto notare che gli metteva paura.
Nonostante questo, si era affezionato a questa strana ragazza molto espansiva e originale; erano pure amici su Facebook, e le aveva pure promesso che le avrebbe scritto, quando si sarebbe impossessato delle ultime copie. E puntualmente gliene metteva una da parte.
E lei gli aveva pure riferito che "sei un grandissimo uomo, Bonzo!", anche se per un istante credeva che dicesse "ti amo, Bonzo!". Effettivamente non sarebbe stato male uscire con lei, era una gran bella ragazza, con una personalità proprio da manga, ma lei era minorenne e lui aveva 31 anni... e uno stuolo di donne ai suoi piedi. Quasi pensò di farsi un harem... beh, sempre meglio di uscire con una sedicenne che confessava di amarlo.
In quel momento, il Bonzo, che se ne stava dietro al bancone a giochicchiare al computer come ogni Bonzo sfaticato che si rispetti, sentì un rumore strano e intravide una luce provenire dall' entrata, seminascosta dagli enormi scaffali ricoperti di manga. "Dovrei andare a vedere...? Naaah, sto quasi per diventare un Mago Eccelsius quattordicesimo livello!!" pensò, lanciando un' occhiata ansiosa allo schermo del pc.
Quello strano fatto si ripeté, e stavolta gli toccò allungare il collo per guardare: «Ehi, tutto bene laggiù?» chiese con la sua voce amichevole e disponibile.
«Kisshu, secondo me non è il caso...» sussurrò in risposta una vocina infantile, da bambino.
«Ma sta zitto, va! So quel che faccio!» contestò un altro, con voce da ragazzo.
«Kisshu, Taruto ha ragione» ribatté un altro ancora, con voce più profonda, da uomo.
«No, sono io che ho ragione!! Kisshu, brutto idiota, non osare sfiorare il bonzo con le tue manacce!» sibilò una voce perentoria, da ragazza.
Il Bonzo si sentì sbiancare. Stavano parlando di lui in modo decisamente spiacevole. Scese dalla sua sedia girevole dietro al bancone e si diresse verso il gruppetto: «Se avete qualche problema con me potreste anche... oddio!». Davanti a lui c' erano una ragazza coi capelli corti e rossi che guardava ferocemente un ragazzo coi capelli verdi e le orecchie da elfo, accompagnato da altri due strani amici sempre con le orecchie a punta e la pelle di porcellana. «Ehm, se siete qui per un raduno cosplay, siete un po' in anticipo...» commentò, venendo fulminato da quattro paia di occhi: gialli, arancioni, grigi e nocciola.
«Bonzo, scappa!» strillò la femmina, prendendosi una gomitata sulla pancia da quello con i capelli verdi.
Il Bonzo, dal canto suo,non riusciva a capire se quei pazzi fossero degli sfegatati fan di un manga che non conosceva e stessero inscenando un episodio loro particolarmente caro, o se avessero preso qualche strano acido illegale.
Quello con i capelli neri si alzò in piedi, e lo guardò con freddezza per qualche secondo, mentre quei due di sotto si accapigliavano menandosi di brutto. Poi, con rapidità incredibile, gli tirò un calcio alle ginocchia che lo fece cadere a terra.
Sorpreso e spaventato, il Bonzo cercò di avvicinarsi al bancone per acchiappare il telefono e chiamare la polizia, ma a un ordine quale «Taruto, fermalo» si ritrovò il ragazzino attaccato alla schiena che continuava a tirargli pugni velocissimi e pesanti (tipo goku quand' era bambino in Dragonball xD) e nonostante facesse di tutto per levarselo di dosso, quello gli si era incollato.
«Noooo, noooo! Lasciatelo stare! Perché proprio lui?? Io volevo solo mostrarvi una fumetteriaaaaaa!» piagnucolò la ragazza, bloccata sotto quello verde che le teneva fermi i polsi e le ginocchia.
«La sua forza vitale è luminosa e potente. Se tu fossi realmente dalla nostra parte, non t' importerebbe della vita di un insulso umano» sibilò quello alto, allungando il braccio verso il Bonzo con il palmo aperto.
«Ehiehiehi ottima interpretazione dell' anime...ehm, beh, quello, ma ora potete anche lasciarmi andare!» sbottò quello con tono disperato.
Ma prima che potesse fare altro, l' uomo si sentì mancare i sensi, uno svenimento che però portava via con sé anche tutta la paura e le emozioni che provava in quel momento, come se non potesse più provare sentimenti... chiuse gli occhi, e non li riaprì.
Pai teneva in mano l' Ankh che aveva appena estratto a quello strano terrestre pieno di oggettini di ferro in giro per la faccia -noi li chiamiamo piercing- e la barbetta, e si stupì della forte e misteriosa luce giallo vivo emanata dal cristallo.
Quasi abbagliava, e quando sbatteva le palpebre poteva ancora percepire la luce sfuocata a forma di croce informe.
«Bonzo, Bonzo...» singhiozzò la ragazza disperata, anche se non sembrava poi così sconvolta. Sembrava un bambino a cui un bulletto ha fatto un dispetto. Non piangeva né aveva gli occhi lucidi, però aveva un' espressione ferita.
«Stai zitta!» l' interruppero i tre contemporaneamente, e lei tacque, socchiudendo gli occhi irritata.
Pai tirò fuori l' alieno parassita, e Taruto lo guardò con grande interesse. «Fusione!» ordinò, e quello afferrò l' Ankh con quei tentacolini da medusa, inglobandolo dentro di sé.
Il parassita emise un fortissimo bagliore, e si ingigantì a dismisura, prendendo una forma ancora non troppo chiara. Tutti i presenti erano curiosi di vedere cosa sarebbe successo, che cosa sarebbe diventato... Kisshu liberò Yuzu, e lei ne approfittò per tirargli un pugno in testa insultandolo, mentre la metamorfosi del Chimero si completava: un gigantesco drago con le scaglie verdi e le corna simili a quelle di un cervo occupava tutto il negozio, con le zampette ad artiglio che sbucavano dai posto più impensati. 14mualx Non aveva niente che ricordasse il Bonzo, se non i piercing sul labbro e sul naso e sulle orecchie.
«Uh, e ora come lo fate uscire da qua senza distruggere il negozio?» domandò la mew mew con una vocina impotente, scoccando al dragone un' occhiata perplessa. Per ora era molto pacifico, anche se stipato nella stanza come delle cipolline sottaceto in un barattolo.
Nessuno si prese la briga di risponderle: «Vai e attacca quanti più umani possibili!» gl' impose Taruto con voce entusiasta, e quell' imponente lucertolone distrusse il soffitto con una testata mentre i tre alieni sparivano con lui fuori dalla fumetteria, lasciando da sola la rossa che si riparava la testa dalle macerie che cadevano come fiocchi di neve dall' alto.
«Maledetti...!» biascicò tossendo. La polvere che scendeva giù come nebbia la riempiva il naso e la bocca.
Alla fine riuscì ad uscire, e lo spettacolo che le si parò davanti la spiazzò completamente. Il dragone stava facendo fuori tutti quelli che gli capitavano sotto tiro, mostrandosi terribilmente potente. Il Bonzo doveva avere un gran bel caratterino, per avere un simile mostro dentro di sé.
«Adesso chiamo le mew mew a guastar loro la festa. Se lo meritano, sti stronzi, hanno fatto del male al mio fumettista di fiducia!!» biascicò sottovoce Yuzu, prendendo dalla tasca dei pantaloni il cellulare: Venite subito da Banzai: Chimero. Inviò il messaggio alle sei compari, mentre nel frattempo, badando bene di non farsi vedere, si trasformò.
«Ok ragazzi miei, avete fatto molto male a prendervela con il Bonzo!» sbottò la volpetta fulminando con gli occhi i tre alieni, che svolazzavano pacifici attorno al feroce Chimero.
«Non vorrai mica combattere da sola contro di noi?» le chiese retorico Kisshu, lanciandole uno sguardo scettico e di sufficienza che la fece imbestialire.
«Occhio per occhio, dente per dente! Tu mi hai ritorto contro un disgustoso ragno gigante, io ti faccio fuori il dragone!» rispose con una linguaccia, e subito si scagliò contro il Chimero: la gente stramazzava al suolo impotente, strillando, urlando, chiamando le forze di polizia che a loro volta venivano brutalmente ferite dal drago. Eppure non era questo che la sconvolgeva: l' irritava più che altro la mancanza di aspettativa che quei tre spocchiosi avevano per lei, e aveva deciso di rompere loro le uova nel paniere più per ripicca che per compassione per il Bonzo o per le persone morenti.
«Ribbon Yuzu Pain!» esclamò, e dall' attizzatoio eruppero lunghe fiammate, che destarono l' attenzione del bestione. Si girò, e la fissò con quegli occhi rosso vivo. Dopodiché emise dalla bocca una fiammata enorme, grossa almeno otto volte quella della mew mew, che la schivò per un pelo.
«Oh maledizione, mi si è bruciacchiata la coda..!» mugugnò, prendendosela tra le mani. Il rumore della folla però la distrasse: «Le mew mew! Sono arrivate le mew mew!»
E infatti le vide arrivare correndo una ad una, una macchia di colori in lontananza.
«Per il futuro della Terra, saremo a servizio! Pyon!» squittì mew Shikimi con un sorriso a bocca aperta, battendo i piedi in stile Tamburino di Bambie.
«Non è così che me l' ero inventata! Alla fine va un "Nyaan!" e devi muovere le braccia così!» si lamentò un secondo dopo mew Sakuranbo, mostrandole il gesto puccioso da gatto.
Ovviamente arrivarono frotte di persone idiote a riprendere il tutto, anziché darsela a gambe come avrebbero dovuto fare.
«Ragazze! Vi sembra il caso?! Lì c'è un Chimero!» abbaiò Satou nervosa, indicando il dragone, che stava per l' appunto distruggendo un negozio di ferramenta, creando un clangore assordante.
«A vederle così, sembrano proprio... tante!» commentò la vocetta di Taruto.
Sei ragazze alzarono la testa, e notarono, oltre al solito Kisshu, due nuovi alieni.
«Oh, beh, merda!» esclamò mew Chinoko. "Se uno solo ci dà così tanto da fare, con altri due come caspita faremo?!" pensò, lanciando un' occhiata di sbieco al Chimero, implacabile.
«E voi chi siete?» domandò mew Kurumi socchiudendo gli occhi, la voce scontrosa.
«Io sono Taruto, e lui e Pai! E da questo momento in poi, vedrete che sarà difficile batterci!» rispose il piccoletto con aria di sfida.
«Ma se sei un bocchione! Avrai sì e no l' età di quella scema di mia sorella...». Questa era sempre la nostra foca monaca.
Kisshu scoppiò a ridere, gustandosi il dialogo. «Hai ragione, è un bambino ed è pure molto immaturo, ma non sottovalutarlo!» le consigliò.
Pai ancora non aveva aperto bocca, e probabilmente si stava vergognando come un ladro dei due fratelli, che conversavano con le nemiche come se fossero tutti amici d' infanzia.
«Possiamo rimandare a dopo questa conversazione e distruggere quel Chimero?» l' interruppe mew Kanzou, scocciata.
«Sì, come dire, c'è gente che muore...»
«Giussssto! Andiamo!» e così dicendo, mew Shikimi, seguita dalle altre, trotterellò incontro al rettilone.
Quello le fissò per un secondo, e poi s' avventò su di loro con furia omicida.
Dopo un coro di strilla, le sette schivarono la codata con salti degni da scoiattolo volante, e mew Satou cercò di isolarsi dal resto del gruppo, che invece rimaneva saldo e compatto.
"Se riesco a nascondermi dal Chimero e suonare in pace, posso immobilizzarlo nel ghiaccio.." ragionò, appiattendosi contro un muro. Si affacciò di poco per vedere la situazione: la macchia nera sfrecciava in alto, vicino al muso del Chimero, circondato da frammenti di luce indistinti. Sotto, invece, una cosa arancione continuava a lanciare fuoco, una grigia sorreggeva a fatica una padella gigantesca che scagliava ripetutamente contro il corpo squamoso del mostro, una marrone era seminascosta da un ammasso di bolle, una bordeaux se ne stava impalata di fianco a una celeste.
«Ribbon Satou Snowflake!» enunciò, e così apparve il bellissimo flauto di ghiaccio tutto elaborato. Se lo portò alla bocca, e cominciò a intonare un paio di note, quando Kisshu le apparve davanti, strappandole lo strumento dalle mani.
«Niente da fare, dolcezza» le disse con un ghigno, e l' orsetta fece appena in tempo a riprendersi dallo stupore che lui stava già per smaterializzarsi.
«Un momento!» grugnì, afferrandolo per la maglietta e tirandolo giù alla sua altezza. «Ridammelo!» ordinò, fulminandolo con gli occhi color del vetro.
«Lasciami andare» sibilò l' altro in risposta, stringendo con forza il flauto.
«No. Perché me l' hai preso? Come hai fatto a vedermi? Non dovresti essere lì a combattere contro le altre?».
«Ho notato che te la stavi squagliando, allora sono venuto ad indagare. Le loro armi sono inutili, solo tu saresti capace di sconfiggere quel Chimero».
Mew Satou usò la mano libera per tirargli un pugno sulla pancia, ma lui l' intercettò con l' altra mano libera. Si guardarono senza dire una parola.
«Mi spiace far del male a una signorina, ma... OUCH!!». Mentre parlava, la ragazza gli aveva assestato una ginocchiata al basso ventre, facendogli così cadere il flauto, che afferrò prima che lui potesse fare altrettanto.
Mentre lui cercava di riprendersi, lei corse via incontro al Chimero più velocemente possibile. "Dovrei provare a suonarlo mentre corro, ma è impossibile!" pensò, stringendo i denti.
Sentiva che fra pochi secondi Kisshu le sarebbe apparso di nuovo vicino, e vedeva che le altre erano troppo impegnate per aiutarla.
Mew Chinoko era riuscita ad assestare una bella padellata sul muso del drago, che sembrava vagamente stordito, Mew Kanzou lottava nel cielo con quello che si chiamava Pai, Mew Sakuranbo e Mew Shikimi se la prendevano con il bambino, mentre Mew Kurumi e Mew Yuzu tentavano inutilmente di scalfire il Chimero.
«QUALCUNO DISTRAGGA KISSHU!» urlò alla fine, diretta più o meno a nessuno in particolare.
Proprio mentre lo dicevo, lui le comparve alle spalle, stringendola da dietro con forza, bloccandole le braccia sotto le sue. «Stai ferma e dammi quel flauto, se non vuoi che ti strozzi!».
Mew Satou stava per rispondergli, quando Kisshu cacciò un urlo e la lasciò libera, mentre nel frattempo si sentì la vocina delusa della coniglietta dire: «Ops, ho perso di vista il mio tappo!».
L’ orsetta rise e la ringraziò di cuore mentre mew Yuzu veniva a darle man forte. «Se Kisshu ha bisogno di prendersele di santa ragione, gliele do’ io!» esclamò, sogghignando, ma con la coda dell’ occhio controllò mew Kurumi, che doveva tenere a bada da sola il Chimero. «Ribbon Yuzu Pain!» enunciò, e l’ alieno si smaterializzò via un nanosecondo prima di finire bruciato vivo.
«Ma dico, sei scema?! Non devi colpirmi sul serio!» le sibilò all’ orecchio senza farsi notare.
«Lascia stare mew Satou» gli sussurrò in risposta, tirandogli calcio che evitò con maestria.
«Da che parte stai?»
«Dalla mia. Perciò voglio che il Bonzo torni in sé…» mentre rispondeva, guardò in alto: pericolosamente vicini alle fauci del dragone c’ erano Kanzou e Pai che si menavano di brutto. Lui perdeva sangue da qualche parte indefinita, e lei sembrava reduce da un fulmine in testa.
«Ti terrò d’ occhio… ma, a proposito… dov’è quella bianca?» si chiese, guardandosi intorno. Ma tutti erano presi dalle proprie lotte.
Una melodia cupa e trionfale, molto simile alla Morte del Cigno, provenne da una qualche viuzza dei dintorni. L’ alieno dai capelli verdi si bloccò di colpo, imprecando nella sua lingua, ma gli altri due continuavano a combattere senza farsi problemi, ignorando le incitazioni del fratello a smetterla e dargli una mano a trovare mew Satou.
Mew Sakuranbo e Mew Chinoko erano tutte attorcigliate ad una pianta che Taruto aveva fatto apparire dal terreno con le sue magiche Bolas rosse, mew Shikimi cercava di tagliarla con delle forbici da giardinaggio prese da chissà dove, mew Kurumi stava cercando di accecare il Chimero con la punta del suo bastone e mew Kanzou sembrava ormai sottomessa a Pai, quando la melodia raggiunse l’ apice della tensione.
La pianta di Taruto si ricoprì di brina e divenne marrone, per poi cadere a terra prima di vita, assorbita con avidità dal terreno.
«No! Come è potuto succedere?!?!» si lamentò, cercando di sfuggire volando alla tigrotta che lo inseguiva con i Tonfa maledicendolo in gergo piuttosto volgare.
«Ve l’ avevo detto! È colpa di questa stupida canzone!» ribatté prontamente Kisshu, che cercava la mew mew dall’ alto. Niente. Dove si era nascosta? Non riusciva nemmeno a capire da dove provenisse quel suono: le note si formavano direttamente nel cervello, senza passare per le orecchie.
«Almeno il Chimero sta bene…». Le ultime parole famose.
Il drago aveva assunto una certa tonalità azzurrina, e si era bloccato completamente. E poi, mentre la melodia terminava con l’ ultima nota leggera e dolce, il ghiaccio prese il posto delle squame, e via via entrava sotto la pelle, attraverso tutto il corpo fino a raggiungere il cuore, dove era racchiuso l’ Ankh del Bonzo.
Quando l’ ultimo millimetro si ghiacciò, il Chimero esplose il milioni di sottilissima polvere di ghiaccio, e quella poca gente rimasta a guardare/filmare la scena esultò dalla gioia.
Mew Chinoko prese al volo l’ Ankh, con un sorrisone. «Wow. Non avrei mai creduto che fossi capace di prenderlo!».
«Ragazzi, non c’è più niente da fare qui. Andiamocene» ordinò Kisshu, e gli altri due si materializzarono vicino a lui. «La prossima volta ti terrò tutta per me, principessa!» ammiccò a mew Kanzou, ormai abituata. «Peccato! Avevo trovato qualcuno con cui mi diverto di più!» rispose, per prenderlo in giro. Pai era più bravo di lui nella lotta, ma forse perché era fisicamente più portato.
«Pai! Non avrai intenzione di rubare la ragazza a Kisshu!» s’ intromise mew Shikimi maliziosa. Come poteva comportarsi così con i nemici mortali, nessuno lo sapeva.
Lui la uccise con lo sguardo nero d’ odio. «Andiamo» ribadì, e sparirono senza dire una parola in più.
E poi il nostro gruppetto fu assalito dai giornalisti, anche se mew Chinoko era riuscita a scappare e a riportare l’ Ankh al legittimo proprietario, nascosto sotto i detriti e le macerie che un tempo fu il suo negozio.
«Tu… tu mi hai salvata!» sussurrò, soffocandola in un abbraccio polveroso.
«Ehm, beh veramente non sono stata solo io… fuori ci sono tutte le mew mew, se vuoi ringraziarle…» borbottò, guardandole. Mew Shikimi si stava mettendo in posa per un servizio fotografico, sotto lo sguardo sbalordito delle altre.
«Creerò un manga su di voi, paladine della giustizia!» promise il Bonzo, aiutato dalla ragazza ad uscire dalle rovine. «Si chiamerà Tokyo Mew Mew!» proseguì, preso dalle sue fantasie. Gli occhi gli brillavano, speranzosi.
«Ehm… certo, buona fortuna…» gli augurò, e si allontanò salutandolo con la mano coperta da un grazioso guanto grigio-viola, unendosi al gruppetto. Ora c’ era mew Sakuranbo sotto i riflettori.
E mew Satou, che era uscita allo scoperto dal suo nascondiglio, osservava la scena dall’ alto di un tetto, un sorriso sulle labbra. Questo era diventato il suo compito, questo le era stato chiesto. Proteggere il mondo. Sembrava sempre più assurdo ogni volta che se lo ripeteva, e continuava a mettere in dubbio la realtà in cui viveva.
Magari faceva parte di un sogno, di una sceneggiatura di un regista. Magari era soltanto un personaggio di un libro… o di una fan fiction.

GRAZIE A TUTTI I LETTORI PER ESSERE ARRIVATI FIN QUI, PER AVER ASPETTATO CON PAZIENZA OGNI CAPITOLO… VI ATTENDO AL PROSSIMO!!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: Torce gelide ***


«Finalmente abbiamo messo tutto in ordine!» sospirò Chinoko, stanca, dopo aver pulito il pavimento per due ore abbondanti.
Solitamente a quell' ora avrebbe dovuto tornare da un estenuante allenamento di danza, e invece per quel giorno era annullato: l' insegnante si era fatta male la sera prima, o qualcosa del genere.
L' accademia di balletto di Tokyo s' era presentata molto impegnativa, proprio come se l' aspettava: la mattina c' erano le lezioni, poi la pausa pranzo, fino alle tre di nuovo lezioni e dalle quattro alle sette danza in palestra. Erano obbligatori anche i corsi di danza moderna, ma li odiava: si faceva sempre male, l' insegnante non era granché brava e la musica scelta le dava il voltastomaco. Però erano sole due lezioni alla settimana.
Dopo c' era la cena, e coprifuoco alle undici: per chi abitava troppo lontano erano riservati dei dormitori, e lei, naturalmente, viveva lì. Insomma, passava la sua vita nell' Accademia.
Aveva però il weekend libero, che però doveva passare a lavorare al Caffé. Tranne la domenica pomeriggio, dove poteva oziare quanto le pareva.
Era quattordicimilanovecentosettantadue volte più faticosa la vita a Tokyo, piuttosto che a Fukuoka. Se poi si mettevano dentro anche le vicende da supereroina quali alieni, Chimeri e compagnia briscola...
«Meno male, non ne potevo più» si lamentò Yuzu, accasciandosi su una sedia.
Chinoko l' osservò. Yuzu, quella che le aveva fatto scoprire la sua vera identità. Insieme a Kanzou, che però quel giorno non c' era. Chissà, magari doveva studiare. O fare dello sport.
«Bravissime, avete fatto un ottime lavoro!» l' elogiò Keiichiro, con quel solito sorriso dolce un po' strano. Sorrideva troppo. Inquietante.
«Avete notato che ogni giorno che passa, aumentano i clienti?» osservò Shikimi, mentre mangiava dei muffin gentilmente offerti dalla casa.
«Non è poi così strano...molte riviste di cucina hanno accennato qualcosa su questo Caffé, apprezzano molti i dolci di Akasaka-san. Probabilmente è passato un qualche critico senza che lo sapessimo» rispose la nostra foca monaca, rubando qualche muffin dalle mani della coniglietta.
Mash svolazzava intorno, con quella sua solita aria tonta. «Brave ragazze, brave!» esclamò, senza nessun motivo in particolare.
Sakuranbo lo guardò storto. «Ti abbiamo chiesto qualcosa? No! Allora stai zitto e vai a renderti utile in qualche modo... potresti anche aiutarci qui al Caffé, eh!» rispose, brusca e diretta come al suo solito.
«Come se tu fossi poi così utile, Saku-nyan...» sussurrò Shikimi maliziosa, con la sua lingua biforcuta, la quale ha punzecchiato indomita parecchi palloni gonfiati.
«Ma io non posso lavorare, non è consono per una ragazza così sublime come moi!
«D' altronde è fatta di meravigliosità, non dimentichiamocelo! Sai, mi ricordi moltissimo Cuzco delle Follie dell' Imperatore... mai visto?» s' intromise Kurumi nel nulla, emergendo dall' oscurità della sua aura Non-Voglio-Che-Mi-Noti-Nessuno.
«BOOMBABY!» esclamò subito dopo la nostra biondina, con quel sorriso e sguardo da macho-man del mitico Cuzco.
Satou scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con la manina.
«Però Chukonen ha ragione, quando combiattiamo Mash non c'è mai» commentò Yuzu tra sé, pensierosa.
«Sì, ma perché lui ha compiti diversi. Deve solo avvertirci quando ci sono Chimeri nei dintorni, e sbarazzarsi degli alieni parassiti» lo difese l' orsetta, che si era affezionata a quel pupazzo rosa. D' altronde è stato il primo a starle vicino nelle sue prime missioni...
«Sì, ma a volte prende delle cantonate!! E poi non farebbe neanche male se facesse qualcosa di più costruttivo, eh! Tipo uccidere gli alieni con occhi laser..» riprese la tigrotta accalorandosi, gesticolando come sempre.
«Magari conosce tecniche di combattimento ultrapotenti che ci tiene segrete! FUAH!» s' immaginò Shikimi mettendo le mani in posizione da karate.
«C'è una qualche prova che confermi questa teoria?» domandò la ragazza-lontra con tono scettico.
«Veramente, non ha nessun...» tentò di spiegare Keiichiro, con tono imbarazzato.
Tutte l' ignorarono alla grande. «Uuuuh magari sa trasformarsi in un super robot, tipo Transformers!» ipotizzò Shikimi tutta presa dalle sue fantasie.
«Tsk, maddove!». «Un.. un super robot, eh..? Ehm... ne dubito fortemente!». «Ma non sei stato tu a costruirlo? Non lo dovresti sapere?».
A quel punto Mash cominciò a esagitarsi come posseduto, facendo capriole in aria ed emettendo squittii preoccupanti.
«Beh, che ha? Gli è partito un circuito?» domandò Chinoko perplessa, aggrottando le sopracciglia.
In tutta risposta, Mash se la defilò via veloce come un razzo, una forza impressionante in quelle alucce fuxia.
«...che caratteraccio» borbottò Sakuranbo, scuotendo la chioma dorata.
«Parla un' altra...»

***


"Ketanou-sama... riprenditi, per favore, riprenditi..."
Kanzou era seduta su una seggiola vicino a un lettino d' ospedale, su cui era steso il bel senpai, gli occhi e la bocca chiusi, come se fosse profondamente addormentato. I fili e i cavi che però lo tenevano legato alla vita svelavano la sua vera condizione. Bastava staccare una spina, e...
La ragazza scosse la testa, come per scacciare via quel funesto pensiero. I lunghi capelli nero carbone sbatacchiarono qua e là, oscillando leggermente.
Era riuscita ad andare a trovarlo con la scusa di essere la sua fidanzata. Una balla bella e buona, che l' aveva fatta arrossire tremendamente. Ma nessuno si era impicciato, l' avevano guardata con aria comprensiva e l' avevano fatta passare.
Ed ora si ritrovava lì, ad aspettare il nulla con occhi preoccupati.
Doveva fare i compiti. Doveva andare al Caffé. Doveva studiare. Doveva andare all' allenamento. Ma non ne aveva voglia.
In quel momento, desiderava solo stare lì a vegliare su Ogokami, pur sapendo che non si sarebbe svegliato solo perché lei era lì. Però, senza ogni buonsenso, ci sperava lo stesso.
"È tutta colpa di questo stupido progetto mew! Se non fosse mai esistito, lui non sarebbe stato colpito da Sakuranbo... perché Kisshu non avrebbe attaccato... anzi no, è tutta colpa degli alieni! Se loro non fossero arrivati a scassare le balle, Keiichiro e Ryou non avrebbero inventato nulla... e io sarei ancora a scuola a sbavargli dietro, senza avergli mai parlato.." pensò, con amarezza.
Sospirando, si alzò. Anche se fosse rimasta lì tutto il giorno, non sarebbe cambiato nulla, lui non si sarebbe mai accorto della sua presenza.
E poi aveva il terrore che i suoi genitori venissero a trovarlo e vedessero Kanzou lì, nella stanza, nota stonata di un grazioso sonetto.
Ed infine, stare in quella camera bianca, con il ronzio delle macchine di sottofondo e l' odore neutro tipico di ospedale le dava una strana sensazione di inquietudine. Come se fosse in trappola.

***


Altra dimensione.
Pai era solo, a lavorare sodo con una certa macchina d' ultima tecnologia che aveva quasi creato lui stesso da solo. Un genio, un prodigio, la sua mente era praticamente perfetta.
Ma se c' era una cosa in cui era totalmente, completamente deficiente erano le emozioni, i sentimenti, e tutti gli aspetti legati al lato più speciale dell' umanità.
Non riusciva a capire i terrestri.
Quelle mew mew... quella Yuzu... non aveva la minima idea di cosa frullasse nella testa della ragazza.
L' avevano certamente punita per quel voltafaccia della volta scorsa; come aveva potuto permettersi di rivolgersi alle altre mew mew per salvare quell' umano, con un Ankh così luminoso e limpido! Il Chimero uscitone era potentissimo, implacabile! Ma quelle sette l' avevano sconfitto comunque. Impensabile, andava contro ogni logica.
Eppure Kisshu l' aveva messo in guardia. L' aveva avvertito dei loro poteri, e Pai aveva sottovalutato le sue parole, attribuendo tutte le disfatte all' imbranataggine del fratellastro.
Kanzo era una furia nera, esattamente come Kisshu diceva.
Satou era una potenza sotto sembianze angeliche, esattamente come Kisshu diceva.
Riteneva le due ragazze le più forti. Doveva tenerle d' occhio, scoprire qualche loro punto debole.
Per questo c' era Yuzu.
Ma doveva fidarsi di lei? Quella ragazza era un arco sempre teso. Bastava irritare un po' la corda, che la freccia scattava saettando. Bisognava fare la massima attenzione a come trattarla.... forse, dopo le percosse, gli schiaffi e le umiliazioni inflitte, lei avrebbe potuto trovare un modo per vendicarsi.
"Forse non avrei dovuto maltrattarla. Non posso prevedere le conseguenze, ma questo l' ho capito: è estremamente vendicativa" pensò, cauto. Non si fidava minimamente di lei.
Stava riflettendo su questo, quando si materializzò Taruto. «Ciao! Che cosa stai facendo?» gli chiese, vivace come al suo solito.
Pai non alzò nemmeno lo sguardo dallo schermo. «Sto raccogliendo altri dati sui terrestri» rispose, neutro.
Taruto fece un sorrisino scettico. «Ma scusa, Pai, chi te lo fa fare? Sono creature così infime da essere prive di qualsiasi interesse... un branco di buoni a nulla!»
«Ognuno di loro ha delle specifiche capacità individuali. Sia per fisico che intelligenza, ciascuno ha caratteristiche soltanto sue. Non sono tutti stupidi, Taruto».
Secondo me sì. Sono esseri incompleti, che li rende inferiori a noi. Le loro prestanze fisiche sono patetiche... non possono neanche volare, le loro ossa sono pesanti come piombo! Abbiamo già vinto, non c'è di che competere!»
Stavolta, il giovane uomo alzò gli occhi color temporale sul fratellino e, con voce ed espressione terribilmente seria, decretò: «No. Ora è troppo presto per dirlo».

***


Sakuranbo si catapultò in tram con un balzo felino, e mezzo secondo dopo le porte si chiusero dietro di sé. Sospirò di sollievo; ce l' aveva fatta!
Si guardò intorno in cerca di un posto, e con orrore si accorse che era tutto pieno, straripante di gente quanto dei pastelli nell' astuccio di un bambino. I posti a sedere erano occupati principalmente da anziane vecchine, le quali quasi per defizione vengono definite innocue, che se ne stavano con quel certo ghigno compiaciuto tipico dei privilegiati. Loro potevano contare sulla coscienza della brava gente che cedeva volentieri loro il posto.
La ragazza, mentre lanciava loro occhiatacce, le invidiò e le odiò contemporaneamente e si promise di non lasciare mai il suo posto ad una vecchietta. I suoi occhi verdi allora cominciarono ad esplorare i posti in piedi e notò con impazienza come fosse impressionante la quantità di mani che potesse aggrapparsi ad un palo. Diverse tonalità di colore della pelle si susseguivano quasi per tutta la sua lunghezza.
"Ma guarda che bordello che c'è dentro questo stupido tram!" pensò stizzita e, altezzosa, camminò oscillando nella direzione di un minuscolo spazio libero vicino a un palo e prontamente, prima di cadere a terra, afferrò l' unico punto non occupato da mani. Era parecchio in basso e doveva stare leggermente incurvata per rimanere con i piedi saldi.... e si sentiva immensamente idiota. "Tsé, questa plebe non fa nemmeno spazio alla superba Sakuranbo-sama, futura regina del mondo e padrona di tutto! Vedranno cosa succederà quando sarò al potere! Decapiterò tutti questi qui!" pensò, in imbarazzo.
Sentiva dietro le sue gambe delle ginocchia, e non osò girarsi a guardare. Quel contatto la infastidiva, e aveva paura di finire in braccio a quella persona alla prima brusca frenata del mezzo.
Sentì dietro di sé dei risolini, e con la coda dell' occhio si mise a sbirciare: le gambe che aveva sentito appartenevano a un ragazzo carino seduto lì, accompagnato da un amico e una ragazza castana che se la rideva.
"Beh? Che ha questa baka da sghignazzare??" si chiese stringendo le labbra dal nervosismo. Voleva solo starsene in pace, pensare ai fatti suoi e fare un tranquillo viaggio in tram. Ma perché quella tizia ghignava così?
Sakuranbo si sentì metaforicamente parlando tirare una secchiata d' acqua gelida addosso. Ora aveva capito! Essendo lei in piedi, e lui seduto, gli stava praticamente ostentando il sedere in faccia!
In quel momento -inutile dirlo- rossa d' imbarazzo si girò velocissimamente, e dato che non c'è limite alla sfiga, andò a sbattere contro la schiena di qualcuno. "Ma porrrrrca....!" imprecò mentalmente, e con orrore il tizio si girò.
La bionda trattenne il fiato a bocca aperta; diamine, quel ragazzo era un figo della madonna!
Aveva gli occhi stranamente chiari, che la guardavano perplessi, i capelli scuri e un gran bel fisico. E soprattutto, stava molto vicino a lei, quasi una spanna da viso a viso. I corpi si toccavano.
Non era molto più alto di lei, perciò, se il tipo si fosse abbassato anche solo di qualche centimentro, le sue labbra...
Qui il pensiero di Sakuranbo s' interruppe, e le guance tornarono porpora, mentre fantasie strane e inquietanti si formavano nella sua mente. "Oh DIO perché continua a guardarmi in questo modo? Praticamente non sbatte le palpebre! E la sua bocca è così vicina... non vorrà mica baciarmi? No, ma va, cosa sto pensando? Devo preparare il rotolo alla nutella per domani. C'è l' interrogazione di statistica, santo cielo che palle! E voglio farmi un bagno. Ma perché questo dannato ragazzo non si gira a guardare da qualche altra parte? No,no, ora mi bacia. Oddio, come Kisshu! Ma in quale circostanza si bacia la gente? Ormai non capisco più niente, pensavo che prima bisognasse stare insieme. Madonna che begli occhi azzurri, ma da dove verrà? Mia madre mi sgriderà di sicuro... e questo sta per baciarmi!" e in preda a questo inusuale flusso di coscienza, la mew mew combatteva contro l' istinto di urlargli dietro di smetterla di fissarla.
E poi, tutt' a un tratto, mentre il tram frenava per la prossima fermata, il bel ragazzo le diede le spalle e senza dire una parola raccolse il suo zaino da terra e si avviò verso l' uscita, proprio mentre le porte si aprivano.
E Sakuranbo ci rimase di sasso.
Ok, non aveva senso aspettarsi qualcosa da uno sconosciuto su un mezzo pubblico, ma quelle occhiate significative non significavano proprio niente?
Perplessa ed alterata, la bionda vide entrare un giovane alto almeno un metro e novanta, e disgustata notò che si dirigeva proprio verso la sua direzione. Lo spilungone afferrò il punto libero più alto dell' intero palo, mentre Sakuranbo si accorse che la sua mano era esattamente all' altezza del basso ventre dello stangone. "Oh merda, devono capitare proprio tutte a me oggi?!"
L'unica era aspettare la propria fermata in sacrosanto silenzio, non guardare assolutamente l' albero ambulante e pensare ai fatti suoi.
"Ricapitoliamo. Oggi quella scansafatiche di Kanzou non è venuta al Caffé, e quindi ho dovuto sostituirla io... che onta, per una regina come me! In ogni caso, bisogna capire perché. Studiare? Non penso, ce la facciamo tutte noi tra le pause e a casa. Sport? So che ce l' ha la sera tardi, ma forse aveva una qualche partita. Un appuntamento con qualcuno??" rifletté Sakuranbo, aggrappandosi a qualsiasi pensiero pur di ignorare la realtà che aveva davanti. "Sì, potrebbe benissimo essere uscita con delle amiche... o con un ragazzo!".
A quel punto il tram si fermò di nuovo, e il ragazzo oscillò per sbaglio in avanti... arrivando a sbattere contro la mano della bionda, che lo fissò a bocca spalancata. Ma... ma come si permetteva!!
La ragazza notò con infinito sollievo che quella era la sua fermata, e lanciando uno sguardo truce a tutti i presenti, uscì in tutta fretta dal mezzo, sibilando: Arriverà un giorno in cui la mia vendetta sarà implacabile!
Ripreso il contegno, ma senza smettere di borbottare tra sé, Sakuranbo si diresse alla libreria dall' altro lato della strada. Doveva comprare un libro per la discussione in classe di letteratura, e tanto valeva leggerlo sul serio invece di guardare le recensioni su internet. Entrò, facendo alzare lo sguardo del commesso.
Lei era una di quelle che tutti si girano a guardare. Con i capelli biondi e gli occhi verdi, non poteva passare inosservata. Tanto più che era così di natura; non era tinta, e non portava lenti a contatto. Era magrissima, con le gambe lunghe da airone. Forse troppo secca e spigolosa, ma bellissima. E stava iniziando a rendersi conto dell' effetto che faceva sulla gente.
Ignorandolo, gironzolò un po' per la libreria, in cerca di qualche titolo stuzzichevole. Avrebbe trovato da sola ciò che le serviva, non c' era bisogno di chiedere aiuto.
Si fermò nel reparto di letteratura straniera, quello che preferiva, e notò una ragazza alta e magra che, dandole le spalle, sfogliava qualcosa.
"Quelle sono le forme ed i capelli di Kurumi-chan..." pensò, e s' avvicinò con nonchalanse per guardarla di profilo.
Era proprio lei! «Ehilà, Sheru-chan!».
L' amica si girò, con un sorriso stentato. «Oh, ciao, Sakuranbo!».
«Che ci fai da queste parti? Tu non abiti qui vicino, no?»
«Sono venuta a trovare Hinata... sai, non so se te l' ho detto, ma è mia cugina» spiegò, chiudendo il libro che teneva in mano.
La bionda s' irrigidì, stupita. «Oh. No, non credo» rispose, arcigna. "Ma perché tutti devono essere cugini di tutti? Il mondo è proprio piccolo..." pensò, provando un fastidio involontario al pensiero di Hinata e Itsuki contemporaneamente.
"Itsuki non mi scrive da un sacco di tempo..."
«Sì beh, lei vive qui in zona, e prima di andare a trovarla ho fatto un salto alla libreria... prendiamo insieme questo Bocchan di Natsume Soseki? Prima che Kakogan inizi a stressarci...».
«Ok, sarebbe meglio!».
Stavano proprio per incamminarsi, quando un rumore assordante di vetri rotti le fece frenare bruscamente. Si girarono, e trovarono davanti a sé uno spettacolo orribile: decine di Chimeri non ben definiti, simili ad acari della polvere in formato magnum, con delle specie di proboscidi da formichiere e occhietti da mosca occupavano tutto un corridoio. La poca gente presente si guardava intorno schifata e impaurita, e cercava di raggiungere l' uscita in tutta fretta.
«Che cosa ci fanno qui dei Chimeri?» sussurrò Sakuranbo all' orecchio di Kurumi, che scosse la testa alzando le spalle.
Pai si materializzò con un' espressione attenta. Si trovava in un posto zeppo di libri, e questo l' affascinava non poco. «A quanto pare è una banca dati dei terrestri. Un archivio analogico... ci vorrà del tempo, ma dovrei trovare tutto ciò che mi è necessario sapere per le mie ricerche» si disse, pensieroso. «ANDATE!» ordinò alle sue creature, che gli obbidirono subitanee.
Quelle scattarono dappertutto, attaccandosi ai libri e cominciando a succhiare le pagine, sucitando ribrezzo da parte dei presenti, che se la svignarono a gambe levate.
«Questo è il momento buono, se ne sono andati via quasi tutti... Mew Mew Kurumi, metamorphosis!» esclamò, trasformandosi. Spuntarono le orecchiette, la coda liscia e il vestito bronzeo, ed ecco Mew Kurumi pronta all' attacco, con il suo lungo bastone per le bolle in mano.
«Ribbon Kurumi Maze!» disse, mentre la compagna si trasformava. Una scia di bolle multicolore sfrecciò verso un paio di Chimeri, che si dissolsero all' istante.
L' alieno si girò a guardarla, indispettito. Non si sarebbe aspettato di avere la sfiga di trovare le eroine proprio lì, in quella precisa costruzione. Voleva soltanto che i Chimeri assorbissero tutto quel sapere, per poi farlo trasferire in qualche file e studiarselo in santa pace. E invece no, quelle pesti erano lì a impedirgli pure quello. «Fuu Hyou Sen!» gridò, agitando quel suo strano ventaglio contro la ragazza-lontra. Una tempesta di ghiaccio si scagliò contro la poveretta, che la tigrotta prontamente la prese per il polso e la trascinò via. Almeno aveva sempre i suoi riflessi felini, anche se non sapeva usare la sua arma, che funzionava da sola quando ne aveva voglia. Forse era difettosa. Avrebbe dovuto parlarne con Keiichiro..
«Arigatou, Mew Sakuranbo!» ringraziò, nascosta dietro lo scaffale del reparto Hobby e Cucina.
«Figurati, salvare il mondo è il mio dovere... Per il futuro della Terra, saremo a servizio! Nyan!» esclamò, muovendo le mani come un gatto.
Mew Kurumi la fissò col suo solito sguardo intelligente, stupendosi di come potesse sdrammatizzare in ogni situazione. Non aveva il cuore in gola quando combatteva? Non si sentiva il fiato corto e la mente appannata dal puro istinto?
«Cerca di distrarre l' alieno mentre cerco di mettere insieme un attacco più potente, ok?» le chiese, alzandosi in piedi.
La rossa la guardò con aria supplice. «Ma.. ma.. devo proprio?» mugugnò, lanciando un' occhiata indietro con gli occhi color sangue.
«Vai!» sibilò, concentrandosi. Doveva far fluire tutta la sua energia nell' oggetto che impugnava, e non era semplice con tutti quei Chimeri intorno a distrarla e l' istinto di sopravvivenza che le strillava: FUGGI, DEFICIENTE!!
Mew Sakuranbo, dal canto suo, non sapeva che cosa fare per distrarre Pai. Forse correre per tutta la libreria cantando An Die Freude sarebbe stato sufficiente? Ricordò le parole che aveva detto Shikimi una volta: lei era l' elemento comico del gruppo. Prendendo un gran sospiro, la ragazza si tirò in piedi, seria.
E cominciò a cantare.
«FREUDE SCHONER GOTTERFUNKER, TOCHTER AUS ELYYYYYYSIUM, WIR BETRETEN FEUERTRUNKEN HIMMLISCHE DEIN HEILIGTUUUUUUUUUUM!» gridò, saltellando in giro come una pazza.
Immancabilmente, questo distrasse Pai. Questo distrarrebbe chiunque, in effetti.
Indeciso se essere sbigottito o irritato, l' alieno inarcò le sopracciglia, confuso. Che diavolo stava facendo quella matta? Gli umani potevano sul serio essere così tanto fuori di testa, o lei era un' eccezione? «Inseguitela!» ordinò ai Chimeri, e così, pedinata da una scia di esseri raccapriccianti, Mew Sakuranbo continuava imperterrita a saltellare alla Heidi cantando a pieni polmoni: «ALLE MENSCHEN WERDEN BRUUUUUDER, WO DEIN SANFTER FLUGEL WEEEEEILT!».
A spezzare questa scena assolutamente priva di senso, le bolle di Mew Kurumi raggiunsero l' orda di Chimeri. Un miliardo di bolle d' ogni dimensione e colore; quegli esseri non potevano competere con il veleno racchiuso all' interno.
Quelli esplosero, scoppiarono, si sciolsero tra le note stonate della rossa, che alzò le braccia in aria in modo trionfale mentre, dietro di lei, si compiva uno sterminio. Così messa terminò il suo inno, durante in quale, nell' ultima sillaba, morì l' ultimo Chimero. Mash, comparso dalla borsa di Kurumi, stava iniziando a fare piazza pulita di meduse. Alla fine aveva smesso di fare l' offeso, ed era tornando carino e coccoloso come al solito.
Pai si era già smaterializzato da un pezzo, così che nella sala erano rimaste solo le due mew mew.
Mew Kurumi batté le mani con un sorriso a fior di labbra, mentre Mew Sakuranbo s' inchinava, per poi ridere dal sollievo.
«Bhe, alla fine, SupperSakuranbo ha salvato ancora il destino dell' umanità!» si rallegrò, con finta (finta? siamo sicuri? ;D) superiorità.
La ragazza-lontra si ri-trasformò, tornando allo stato normale. «Ti prego, ti prego, ti prego, Sakuranbo, fa' in modo di essere sempre tu l' elemento di distrazione!» esclamò, ridendo. «Tra parentesi, non sapevo che sapessi il tedesco».
«Ho già rischiato la vita troppe volte, io! La prossima volta prendiamo Shikimi e le tiriamo giù il top. Voglio proprio vedere se non distrae!» rilanciò, storcendo la bocca. «E neanche io sapevo di sapere il tedesco».
«Ah... Potrebbe funzionare. Ed ora sbrighiamoci, così riusciamo a prendere il nostro libro... gratis».
Le due se ne uscirono con tutta calma da quell' inferno, con Bocchan dentro un sacchetto, e la polizia, i pompieri e compagnia cantante che arrivava verso l' edificio mezzo distrutto.
Kurumi osservò quelle luci rosse e blu, guardandole senza realmente vederle. Impresso nella sua mente c' era lo sguardo di odio e disprezzo dell' alieno, quella freddezza e quel distacco che celevano, ne era sicura, qualcosa di più nascosto e profondo, come una forte invidia per il mondo che avrebbero potuto avessero avuto più fortuna. A palpebre aperte o chiuse, lei riusciva a vedere sempre la stessa cosa: quegli occhi plumbei dalle pupille sottili che sembravano torce gelide quanto laceranti.
Gli occhi di Pai Ikisatashi.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Deus ex machina ***



«Mi stavo dimenticando cosa volesse dire essere una studentessa qualunque».
Satou s' era accasciata sul banco con un' espressione esausta, borbottando ingiurie contro professori e stupidi kanji che non era riuscita a capire.
«Beh, pensa positivo, manca meno di un mese alle vacanze di Natale!» cercò di incoraggiarla Kurumi, dandole lievi pacche sulla spalla a quella specie di morto apparente ch' era la sua amica.
A completare questo quadretto di tenera amicizia adolescenziale, la figura di Sakuranbo si stanziava dietro le due; le braccia incrociate, le gambe rigide, gli occhi severi e una strana oscurità sul viso le conferivano un aspetto autoritario ed inquietante.
«Satou-san...» mormorò, in un sussurro macabro.
L' orsetta decise finalmente di alzare la testa dal banco, incollando i suoi occhi stanchi sulla bionda, che stava emanando una strana aura nera.
Subito tutta la sonnolenza sparì. «S-sakuranbo..?» domandò, assumendo unì espressione spaventata.
«Per quanto tempo ancora hai intenzione di rimanere in questa classe?» domandò con una finta pazienza terrificante.
«Ehm... perché?».
«PERCHE' FINALMENTE ITSUKI SI E' FATTO VIVO ED E' AI CANCELLI CHE MI ASPETTA! MUOVI QUELLE CHIAPPETTE E SBRIGATI!».
Mezzo nanosecondo dopo, le tre ragazze si trovavano fuori dalla scuola, trascinate giù per le scale da una furia supersonica chiamata Sakuranbo Chukonen.
Il ragazzo era appoggiato alla sua moto rossa, pacifico, con una faccia tranquilla e beata. Sembrava essere privo di qualsivoglia preoccupazione, stretto nella sua giacca nera e col casco in mano.
Quando vide arrivare l' amica, le sorrise. «Ma salve, cucciolotta!» salutò, e rise quando lei gli lanciò la consueta occhiataccia.
«Itsuki, pezzo d' idiota, ti ho detto di non chiamarmi così!».
«Certo,certo...».
Sakuranbo scosse i capelli con fare alezzoso, dandogli le spalle, e rimase stupita quando si rese conto che le due mew mew erano evaporate senza lasciare traccia. «... ma come hanno fatto...?» biascicò, incredula.
Funsui alzò un sopracciglio, un sorriso accennato sulle labbra. «Andiamo? Ti avevo detto che saremmo andati nel migliore Caffé del quartiere!».
La ragazza sospirò, prendendo il casco appoggiato al manubrio, infilandoselo con una smorfia. «Chiudimelo!» ordinò, perentoria.
«Hai, ojou-sama! 1» disse, imitando una voce da maggiordomo. Dopodiché salirono sulla moto e, con il solito rombo assordante, partirono a tutta birra.
Dopo aver mezzo investito una vecchietta, un gatto e un tizio in bicicletta, la nostra coppia arrivò al famigerato Caffé. Era un posticino grazioso, piccolo e piuttosto semplice. I tavolini di ferro tinti di bianco erano riparati da un gazebo di paglia intrecciata, e qua e là da qualche vaso sbucava un' anemone ibrida, con quei suoi bei fiori bianco rosati che sbocciano curiosamente in autunno, diversamente da tutti i suoi colleghi.
Si sedettero su un tavolino vicino all' entrata, e cominciarono a sfogliare il menù.
«Ti consiglio il parfait di frutta, qui lo fanno buonissimo» attaccò Funsui, tanto per fare conversazione.
«Mmm... invece ho voglia di un frappè alle nocciole!».
«Con questo freddo..? Contenta tu!».
Dopo che un' anonima cameriera prese le ordinazioni, Itsuki, passandosi una mano sui corti capelli bruni, lanciò un' occhiata così disarmante verso Sakuranbo, che quella quasi si paralizzò dall' intensità. «Ehm... vuoi... vuoi dirmi qualcosa?» balbettò lei, cominciando ad arrossire. Forse... forse stava per... poteva essere che lui volesse... insomma... dichiararsi a lei...??
«Saku-chan... »cominciò lui, sempre con quegli occhi scuri concentrati.
«...sì?»
«C'è... una cosa che vorrei chiederti».
Il cuore della ragazza improvvisamente cominciò a pesare cento chili. «..sì?». Tum,tum. Tum,tum. Il livello di rossore alle guance crebbe.
«Ma tu...» continuò, inclinando leggermente la testa.
«...sì???». Oddio! Aveva finalmente capito? Stava per chiederle se le piacesse? Cosa doveva rispondere? La verità? Borbottare qualcosa di incongruo?
«... tu lavori come cameriera, giusto?».
A quel punto la bionda avrebbe voluto prenderlo a sberle per quella sua ingenua e totale imbecillità.
«Ah. Sì » rispose, acida come una vecchia zitella. Quello stupido idiota... perché l' aveva illusa così?!
«PFF..... AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHHAHA! Ti vorrei proprio vedere!! Tu! Che lavori! AHHAHAHAHAH non ci posso credere.... la principessa sottosta agli ordini degli altri?» la provocò, sogghignando.
«Ehi! Già cominciamo a sfottere? Guarda che il mio lavoro lo faccio benissimo!! »protestò, altezzosa. In effetti non era così difficile fare da assaggiatrice, tutt'al più che Keiichiro era un ottimo pasticcere, ma Itsuki non poteva sapere che questo fosse il cosiddetto ''lavoro'' dell' amica.
«Ma se non sai neanche allacciarti il casco da sola...»puntualizzò, divertendosi da matti nel punzecchiarla.
Lei gli lanciò un' occhiataccia, offesa. «Beh, guarda che il mio è un mestiere pieno di rischi!!».
«Immagino... "il cliente ha sempre ragione", non posso neanche immaginare quanto sia orribile per te... » rispose, ironico. Poi però sorrise dolcemente. «No, sarei sul serio curioso di vederti. Dov'è che lavori?».
«Oh, qua vicino alla scuola... quel Caffé sulla collina, in mezzo al verde, sai».
«Non ho presente...».
La cameriera ritornò con il frappé e il cappuccino, li poggiò sul tavolo e girò i tacchi.
Itsuki cominciò a sorseggiare dalla sua tazzina, mentre Sakuranbo beveva rumorosamente dalla cannuccia come una bambina di sei anni. «Però è da tempo che non uscivamo da soli... io e te...» osservò, buttandola lì come se niente fosse.
«Hai ragione, ma tu sei sempre così impegnata! Durante le vacanze di Natale potremmo vederci più spesso, però. Solamente noi due».
Quasi si strozzò con la bibita andata di traverso. «C-cosa? In vacanza insieme..?». Suo padre glielo avrebbe proibito sicuramente, non c' era dubbio! E forse sua madre si sarebbe alleata con lui! Ma, maledizione, non poteva dirgli di no!!
«Sì. Dove ti piacerebbe andare?» domandò, gentile.
«Da nessuna parte, non posso stare fuori più di un solo giorno»brontolò, lanciando mille ingiurie mentali ai suoi, al progetto mew e agli alieni.
«Va bene lo stesso. E' sempre speso bene il tempo passato con te».

***


«Ehi Yuzu, mi aspetti, che torniamo a casa insieme?». Kanzou si stava infilando la felpa slargosa di suo padre mentre le altre avevano già ripiegato la divisa nei reciproci armadietti, e la rossa era l' ultima rimasta assieme alla pipistrellina.
«Certo. Non hai un cappotto? Morirai di freddo, così» osservò l' amica, che in testa indossava addirittura il cappello e i guanti.
«Ma va, si sta benissimo! Perché siete tutti fissati con il freddo?» protestò l' altra, vaporizzando i lunghi capelli con le mani.
«Mah, forse perché a quest' ora si gela!» brontolò, sospirando. Uscirono dallo spogliatoio e incontrarono Keiichiro tutto infagottato nelle sua giacca. «Oh, eccovi! Ora posso chiudere!» esclamò il moro, sorridendo, ed estraendo fuori le chiavi come una spada. Ora, chiunque lo conoscesse bene, saprebbe che dietro quel sorriso dolce c' era una furia omicida che si tratteneva dall' urlare: PERCHE' CI AVETE MESSO COSì TANTO, MALEDETTE TR.... beh avete capito.
«A domani, Akasaka-san!» salutò Kanzou.
«Ciao, Keii-chan!» salutò Yuzu, mentre lui salutava entrambe con la mano mentre saliva in macchina.
«Anche questa è fatta. Che scatole, ora tocca pure mettersi a studiare! Non ci posso credere...» sospirò la volpetta, chinando la testa per la depressione.
«Su, non piangerti addosso, è ora di andare».
Così le amiche s' incamminarono verso la fermata dell' autobus, chiacchierando del più e del meno.
«Senti Yuzu, posso dormire da te? Non ho tanta voglia di tornare a casa...» chiese a un certo punto Kanzou, chiudendo il cellulare di scatto.
«Ehm, ok, ma ti ricordo che il mio appartamento è microscopico, se ti accontenti di dormire sul tappeto...».
«Non hai un sacco a pelo, o qualcosa del genere,almeno?».
La rossa scosse la testa.
«Bene, dormiremo in due nel tuo letto» decise la pipistrellina, scrollando le spalle.
«Ma,ma,ma... hai la divisa scolastica e i libri per domattina?»
«No... avevo intenzione di bruciare, non ho voglia di andare...».
Yuzu la guardò scettica. «Ma che cattiva ragazza che mi stai diventando!» scherzò. «No invece... è successo qualcosa in particolare?».
«..no..».
«E l' ameba di Ketanou?».
Kanzou le lanciò un' occhiataccia terrificante. «Ancora nessuna novità» biascicò.
L' amica non seppe cosa risponderle. Consolarla dicendo 'su, vedrai che si riprenderà' non aveva molto senso, sarebbe stata una balla colossale. La cosa interessante era capire perché Ogokami aveva avuto quella reazione al colpo di Sakuranbo. Mentre tutte (ad eccezione della tigrotta) avevano avuto un leggero svenimento, lui era andato in coma. Forse i sensi umani erano così delicati da non poter reggere l' attacco di Sakuranbo? Forse, se loro non fossero state mew mew, sarebbero compagne di lettino di Ketanou, adesso?
Non capiva. Ma mew Sakuranbo doveva imparare ad usare con attenzione la sua arma.
Con questi pensieri, Yuzu scese dall' autobus seguita dalla migliore amica. Camminarono in un cupo silenzio verso il condominio; la rossa tirò fuori le chiavi, aprì la porta, salì le quattro rampe di scale e aprì la porta del suo mini-appartamento, che si aprì con un rumore irritante. Probabilmente si era incastrato qualcosa sotto la porta.
Una voce giocosa provenne da qualche parte della casa: «Finalmente sei tornata, terrestre!».
Yuzu sbiancò. Kanzou la fissò spaesata... e Kisshu comparve tenendo in mano qualcosa. «Mi sono messo a rovistare nelle tue cose (non si sa mai che mi nascondi qualche arma micidiale!) e ho trovato quest... oh». L' alieno si zittì appena vide la figura della mora, che guardò i due con grande circospezione. «Cosa significa?» mormorò, incapace di capire.
Kisshu lasciò cadere l' oggetto. Era uno dei reggiseni di Yuzu -probabilmente stava per fare qualche commento maligno sulla sua misera coppa B-, ma nessuno ci fece caso. I tre si guardavano, immobili, in attesa che qualcun altro aprisse bocca.
La rossa prese un grande sospiro. «Kanzou » cominciò. «Io mi sono alleata con lui».

***


«No, gliel' ho già detto, non ce l' abbiamo in tè bianco, è capace di leggerlo, il menù?». Sakuranbo era più acida del solito. Litigava con un vecchietto in kimono che insisteva disperatamente per un maledetto tè bianco; Shikimi, che era stata la prima a servirlo, aveva rilegato il compito di farlo zittire all' amica, che non si faceva tanti scrupoli grazie alla sua lingua biforcuta.
«Quanti Caffè devo girare per trovarne uno dove me ne servino una tazza..!» borbottò, stizzito.
«Senta, entri in una cavolo di drogheria, se lo compri, e se lo prepari da solo!!».
Shikimi, che era passata per di lì a prendere dei piattini vuoti, trattenne a stento le risa.
Mentre sistemava le stoviglie sporche sul vassoio, la ragazza cominciò a pensare all' ultima volta che era uscita da sola con la tigrotta.
Una fitta le colpì lo stomaco. Si stavano allontanando.
Le scuole diverse erano certamente alla base del progressivo distacco. Poi c'era Itsuki Funsui. Poi c' era Satou.
Shikimi lo vedeva; Sakuranbo e l' orsetta stavano legando moltissimo. Vuoi perché erano compagne di classe, vuoi perché trascorrevano i pomeriggi insieme al caffé, vuoi perché erano entrambe eroine incaricate di proteggere la Terra, vuoi perché andavano naturalmente d' accordo... fatto sta che quando avevano un po' di tempo libero, l' amica usciva o con Satou e Kurumi, o con Funsui. Di conseguenza, Shikimi s' arrangiava a uscire con i suoi compagni di classe, o con Tsumi e Yuzu. Trascorrevano insieme solo il tempo al Caffé, durante il quale comunque lavoravano.
Non è che si sentisse gelosa. Solo... solo che percepiva un cambiamento nell' aria.
Entrò in cucina, a riempire la lavastoviglie già per metà piena, «Eccoci qui! A che tavolo tocca adesso, Keii-san?» domandò, facendo squillare allegramente la voce. Nessuno poteva intuire quanta tristezza le si fosse annidata nel petto; aveva imparato molto bene a non dimostrarla, e aveva masterizzato l' arte di fingere già da tempo.
«17... Shikimi-chan, non mi scappate quando chiudiamo, ci sono importanti novità che tutte voi dovete conoscere il più presto possibile». Keichiro le passò le due cioccolate calde con uno sguardo e un modo di fare solenne che più si addicevano a un' investitura feudale.
«Okay capo!». "Chissà di che hanno scoperto questi qui di nuovo... la trama si fa più complessa..".
Dopo qualche altra ora di ordinario, duro lavoro, le sette ragazze e i due giovani uomini si riunirono su quegli stessi tavolini che avevano appena finito di tirare a lucido; al posto di pasticcini e bevande calde, però, erano appunti e portatili a riempire tutto lo spazio.
«Masha è riuscito a raccogliere alcuni dati riguardanti gli alieni» cominciò Keiichiro. In quel momento, il chiacchiericcio di fondo si spense. Il robottino era collegato tramite alcuni fili allo schermo del computer aperto sul tavolo. Una serie di immagini si riprodussero sullo schermo, mostrando una serie di persone dalle orecchie a punta intenti a svolgere attività quotidiane qualunque; parlavano, camminavano, pregavano in un tempio, e così via. «Queste immagini si riferiscono a un periodo antichissimo del nostro pianeta. Guardate attentamente».
Shikimi si avvicinò ancora di più allo schermo, sbalordita. Così fecero le sue compagne: sentiva Chinoko spiaccicata sulla schiena. L' uomo aveva zoomato su un dettaglio che sarebbe altrimenti passato inosservato. «Questa pianta si è estinta molto prima che il genere umano, per come lo intendiamo oggi, comparisse sulla Terra. Gli studiosi ne hanno trovato tracce in alcuni fossili molto antichi. Possiamo dedurne quindi che questa gente, un tempo abitava la Terra».
Ci fi un secondo di silenzio per assimilare l' informazione. La prima ad uscire dallo shock fu Satou. «Allora... chiamarli alieni non ha senso. Sono anche loro terrestri».
«Già...». Il mormorio sommesso di Shikimi aveva un tono quasi colpevole. Lo percepiva solo lei questo senso di colpa? Le altre non erano ancora arrivate a pensare quello che a lei era subito balzato in mente?
«Ma come è possibile?» sbottò Kinoko, indicando bruscamente le immagini, chiaramente scettica.
«Appunto... non è che mi fidi molto di quel pupazzetto, eh..» le diede man corda Sakuranbo, le sopracciglia così inarcate che quasi prendevano il volo.
Keiichiro passò alle immagini successive. «La loro specie ha preceduto di milioni di anni la nostra sul piano evolutivo, questo è evidente. A causa dei cambiamenti climatici che scossero il globo in quel periodo, furono costretti a rifugiarsi su un altro pianeta. Qui però trovarono un ambiente ostile, e delle condizioni climatiche poco favorevoli. Apparentemente non avevano le risorse per cominciare un nuovo viaggio, così si stabilirono lì. Dopo un lungo processo di adattamento, si abituarono a un clima così rigido, ma continuarono a sognare la Terra, la loro casa, che avevano lasciato». Sullo schermo, persone sofferenti, accampate in quelle che sembravano caverne sotterranee, malnutrite, infreddolite.
«Interessante», commentò Kurumi, acida. «Hanno sognato per millenni, e sono tornati per scoprire che il pianeta è stato occupato e devastato da creature che non hanno rispetto per ogni altra forma di vita al di fuori della propria... se fossi una di loro, certo che odierei e dichiarerei guerra agli umani».
Oh, Kurumi sì che aveva pensato proprio quello che anche a Shikimi era balzato per la testa. Guardò le espressioni delle altre compagne, e notò che Yuzu e Kanzou si erano lanciate un qualche sguardo d' intesa.
«Ignorate tutto ciò che avete appena visto». La voce di Ryou suonava dura e inflessibile.
«Scusa!?» esclamò Satou, sbalordita. «Come puoi aspettarti che dopo che tu ci hai fatto vedere tutto questo noi...». «Qualunque motivazione abbiano gli alieni per attaccare, non toglie il fatto che rappresentino un pericolo per la nostra sopravvivenza» la interruppe il biondo, lanciandole un' occhiataccia tagliente.
«Non possiamo... che so, non possiamo provare a negoziare con loro? Trovare una qualche forma di accordo, ecco...» propose Kinoko, anche se dal modo in cui avanzò l' idea, non aveva neanche un po' di fiducia su quello che aveva appena detto.
«Sembra proprio che non gl' interessi, altrimenti non saremmo qui a difenderci» le rispose Ryou, braccia incrociate e rigido come una statua di gesso.
«Quindi?» l' aggredì Satou, snervata.
Alla coniglietta le rispose a fatica, le parole che combattevano per uscirle dalla bocca nauseata.«Quindi... che guerra sia».


 

***



«Tutto qui quindi? Tre attacchi simultanei in diverse parti della città? E un improbabile tentativo di persuadere Sakuranbo ad unirsi dalla nostra parte, perché dato che lei stessa non sa bene come gestire la sua arma potrebbe comportare un pericolo per chiunque?» domandò Yuzu, decisamente poco impressionata.
«Senti, se tu hai qualcosa di meglio da proporre, vai pure» la rimbeccò Kisshu, irritato.
«Non sono io la stratega di questa banda bassotti... Pai, perché non avanzi tu un' idea?».
I tre ragazzi e la mew mew si trovavano sulla terrazza del condominio della rossa. Mentre lei ricopriva il suo utile ruolo di spia al Caffè (aka farsi schiavizzare da Keiichiro), i tre si erano messi ad elaborare un piano che lei riteneva efficace quanto domare un incendio con un gavettone.
«Perché pare che abbia deluso parecchio Deep Blue l' ultima volta e non abbia ricevuto abbastanza fiducia da farsi dare un nuovo incarico...» le rispose Kisshu maliziosamente, un ghignetto malvagio sulle labbra.
Pai lo uccise probabilmente una dozzina di volte nella sua mente. Ma non si abbassò al livello di rispondergli.
«Quando tu invece gli hai riferito di una nemica passata dalla vostra parte...non male, vero? Felice di avere il tuo ammmore in squadra con te?» lo prese in giro Yuzu, un sorrisetto sornione sotto i baffi. Taruto fece una faccia nauseata e un verso schifato.
«Ma piantala! Sei così irritante che proprio non so come ho fatto a non averti ancora uccisa».
«La smettete voi due? Vogliamo cominciare sì o no?» li bloccò Taruto, stufo dei soliti battibecchi.
«Esattamente. Umana, conosci la tua postazione. Rispetta gli accordi». Pai la fissò con disgusto, ma lei non si faceva intimorire con così poco. «Signorsì, signor capitano...».
«Andiamo!».
I tre si smaterializzarono, lasciando Yuzu sola. Il vento soffiava freddo, arruffandole i capelli corti e dipingendole il naso e le dita di rosso, le quali ora sfilavano tremando una sigaretta dal pacchetto.
Aspirò il fumo con piacere, facendolo uscire dalle narici. "E guerra sia".

 

***


Kanzou inizialmente non ci poteva credere. Quando aveva visto Kisshu a casa di Yuzu, si era sentita il cuore sprofondare negli abissi della coscienza. Tutto si era dissolto in quell' attimo; la distinzione tra bene e male, giusto e sbagliato, ogni costruzione morale creata dagli uomini per dare un senso alla loro vita, e soprattutto, per riuscire a mantenersela... beh, in quel momento ogni invenzione mentale si era rimescolata nel suo tutto originario, diventando nulla.
La ragazza fece ripercorrere il ricordo nella sua mente.
«Ascolta, prima, onee-chan... c'è un motivo». Yuzu l' aveva afferrata per le spalle, gli occhi che brillavano di un' intensità spaventosa. «Devi sentire i loro motivi... e la loro storia. Kisshu... raccontale tutto».
E lei gli aveva fatti sedere ( per terra perché ogni sedia era stracolma di vestiti ed altri beni random della rossa), e preparato del chai caldo e molto zuccherato e speziato per farla riprendere dallo shock inziale, mentre loro parlavano, e Kisshu finalmente si mostrava per la persona che avrebbe potuto essere sempre. Pacato, risoluto, serio, le raccontò della storia della sua gente; la stessa che avevano di nuovo sentito da Keiichiro al Caffè, ma con toni molto più drammatici, più addolorati. Un racconto epico dai risvolti tragici, che quasi la fece lacrimare, e riscoprire la sua empatia.
Come un' intera razza sia dovuta scappare per trovare una parodica forma di rifugio in un luogo in cui potevano solo sopravvivere nascosti in caverne sotterranee, quasi costantemente al buio, la vecchia aristocrazia che aveva potere sulla Terra divenuta ancora più oppressiva e megalomane, unica beneficiaria di quelle poche risorse presenti su quel maledetto, nuovo, estraneo pianeta... e la sua gente che moriva, assecondando l' onnipotente legge dalla selezione naturale... ed infine una piccola forma di speranza, questo leader mitico, questo semidio che avrebbe potuto salvarli tutti dall' estinzione... e il ricordo degli antenati mitici che millenni prima abitavano la Terra... e finalmente, le forze per tornare, spinti da Deep Blue, allo stremo delle sue forze.
«E quando siamo tornati, beh... abbiamo visto a quale scempio la vostra razza ha ridotto il nostro pianeta originario. Non possiamo perdonarvelo. Dobbiamo fermarvi prima che la distruggiate per assecondare il vostro egoismo e la vostra incapacità di accontentarvi delle già ottime risorse che avete... tutto perché volete di più, e di più, finché non avrete più nulla da strizzare fuori da questo pianeta». Così aveva concluso il nemico, mentre sorseggiava la sua bevanda calda, un colore più roseo sull' incarnato bianco neve.
.
Non poteva non essere dalla sua parte. Come le disse anche la sua imouto, "Nonostante io creda che la trappola malthusiana non sia affatto superata, perché non velocizzare il processo ammazzandoci tutti prima di aspettare che la natura faccia il suo corso, magari rovinando sé stessa? Non voglio che ci rimettano tutti, ma solo noi capitalisti stronzi".
Kanzou finalmente capiva. E adesso non sapeva come comportarsi con le altre ragazze del progetto mew. Sapeva che Yuzu era una sorta di informatrice, eppure l' aveva vista combattere contro i chimeri diverse volte, e mica per finta... va bene che le altre non dovevano sospettare di niente, nemmeno lei avrebbe potuto immaginare che la volpetta stava dalla parte degli alieni, eppure il suo comportamento le pareva fin troppo ingannevole. E lei, allora? Qual' era il suo compito? Assassinarle alle spalle? Sarebbe stato così semplice farle fuori, una dopo l'altra, grazie alla sua posizione all' interno di quella cerchia ristretta a apparentemente così leale e legata da una fiducia totale per i suoi membri... S' immaginò isolarsi un pomeriggio con una delle ragazze, si figurò Kinoko che la prendeva in giro e ghignava scherzosa... Provò a ricreare lo scenario della sua uccisione nella sua mente... "NO".
Non ce l' avrebbe mai fatta. Non avrebbe mai potuto ferire personalmente alcuna di loro. Ci si era affezionata, lo dovette ammettere a sé stessa.
"Che cosa dovrei fare?". La ragazza osservò gli occhi gialli del suo gatto, che teneva in quel momento sospeso sopra la sua pancia; lei stava sdraiata per terra, i capelli neri sparsi confusamente sul parquet. Brillavano d' intelligenza -ed evidentemente, anche di seccatura. Non gli piaceva essere trattato come un pupazzo da qualcun altro, proprio per niente.
E guardando quegli occhi dalle pupille sottili, associò immediatamente gli occhi di Kisshu, e il modo in cui non riuscivano a staccare lo sguardo dai suoi quando raccontò la sua storia. Scosse la testa, sospirando forte. Chi l' avrebbe immaginato che lo stesso pezzo di idiota che la chiamava principessa potesse poi rivelarsi un suo alleato. "Chissà se sono in squadra con loro perché davvero crede che le mie abilità gli siano utili, o perché io gli.. ehm, io gli pia... che scemenze", si rimproverò, prima ancora di finire di formulare il pensiero nella sua testa.
E mentre lei pensava al ragazzo dai capelli verdi, Ogokami Ketanou, in un ospedale non molto distante, aprì gli occhi.
Era uscito dal suo coma.
​***
Quella sera, dato che avevano finito così tardi al Caffè, Satou era stata cordialmente invitata a passare la notte da Sakuranbo. Non era stato un problema; aveva già il cambio della divisa scolastica in borsa, e potevano andare a scuola insieme la mattina dopo.
L' orsetta era molto curiosa di vedere dove viveva l' amica. Nella sua testa, se l' era immaginata come una villa enorme, con un numero imbarazzante di cameriere come le Ojou-sama dei manga. Stavano camminando fianco a fianco, dalla fermata fino all' abitazione della bionda.
"Certo che se fosse una brava ojou-sama, avrebbe inviato l' autista in limousine a prenderci..." rimuginò Satou, mentre commentava con un vago aha le alle ciance su suoi progetti futuri con Funsui. che non stava assolutamente ascoltando.
«E così dovranno essere i nostri bambini; gemelli, per forza, e avranno il mio incommensurabile carisma e... oh, eccoci arrivate».
Satou si fermò di colpo, sicura di scorgere un’inferriata con uno stemma di famiglia, un sigillo dei Chukonen, un maggiordomo ad accoglierle… e, invece, la ragazza rimase parecchio sorpresa.
La casa era raccolta, intima, ma spaziosa; una grande porta a vetri dava sulla cucina. Avevano un giardino estremamente curato, l’erba così in ordine da sembrare di plastica. I muri esterni erano tagliati in due; un paio di metri di mattoni rossi, e il resto dipinto di un semplice, luminoso bianco.
Sakuranbo tirò fuori le chiavi ed aprì il cancello. Percorsero il sentierino di pietra, e la bionda annunciò: «Tadaimaaaa!».
Una voce di donna rispose: «Okaeri!», e dopo qualche secondo, una Sakuranbo di mezza età apparve.
Satou la fissò, impressionata: la somiglianza con la figlia era sconvolgente.
«Oh beh, finalmente ti conosciamo, Satou-chan!» esordì, con gli stessi identici modi di fare della tigrotta. In mano teneva una boccetta di smalto per le unghie, di uno spaventoso color rosa barbie.
«Ehm, hajimemashite…» cominciò formalmente l’orsetta.
«Sì, sì, dozo yoroshiku e tutto il resto, cara… spero abbiate mangiato a lavoro perché non ho cucinato niente! Allora Satou-chan, come ti pare questo smalto?» l’interruppe la donna, mentre sventolava il piede sinistro in faccia alla ragazza.
«MAMMA! Ma ti pare?! Grazie al cielo abbiamo mangiato al Caffè… vieni, ti presento mio padre e il mio fratellino».
Satou sorrideva sorniona sotto i baffi. Aveva appena sbirciato nel futuro e visto che cosa sarebbe diventata Sakuranbo fra qualche decina d’anni, ad esclusione forse della tinta per capelli rosso rame.
Conobbe il signor Chukonen, e il fratellino, una versione mini del padre. Ridicolo come seguissero lo schema genetico alla perfezione, doveva esserci un imbroglio comprendente clonazioni e salti temporali…
La camera di Sakuranbo era una vera stanza da principessa viziata, esattamente come l’aveva immaginata. Le prestò tutto il necessario per un bagno caldo, e un soffice pigiama di cotone. S’immerse nella vasca, in totale relax. Poteva distendere finalmente un po’ i pensieri, annullarli in quel vapore caldo… chiuse gli occhi, e divenne tutt’uno con l’acqua.
Nell’altra stanza, la bionda ingannava l’attesa leggendo riviste di moda. Le sfogliava segnando con la penna gli abbinamenti che le piacevano di più, i trend che avrebbe voluto provare. Forse era tempo di donare alla sua stanza un makeover completo; quelle tende di raso bianco, per esempio, le sembravano troppo poco elaborate. Si alzò dal letto, e si avvicinò, per studiare meglio la stanza e le possibili trasformazioni da compiere, quando le venne un colpo al cuore.
Dietro i vetri della finestra le ghignava Kisshu.
«Ciao, koneko-chan» la salutò, beffardo. «È da tanto che non ci si vede».
Le gambe di Sakuranbo si stavano liquefacendo dal terrore. Era passato veramente tanto tempo dall’ultima volta che aveva dovuto affrontare Kisshu da sola, faccia a faccia, proprio come in quel momento. Pensò a quel bacio che le aveva strappato di sorpresa. Pensò alla sua incapacità di combatterlo; se non fosse stato per Kanzou e Satou, chissà che fine avrebbe fatto. Quand'era in compagnia del team non aveva paura, erano tante, e forti, ed unite, ma ora invece le ginocchia le erano diventate di burro, e sentiva una strana sensazione costringente nel petto.
«S-SATOU!» urlò, ritraendosi dentro la sua camera. Afferrò il ciondolo, poggiato sulla scrivania.
«Come sei maleducata, non mi inviti nemmeno ad entrare?» sospirò lui, con finto rammarico. «Quindi anche la tua amichetta è qui… dov’è? Non viene ad aiutarti? Povera piccina… ti conviene arrenderti subito, micetta, perché quando avrò finito di giocare con te, ti porterò nel mio mondo. Cercare di resistermi non ti servirà a nulla».
Era ipnotizzata dai suoi occhi gialli, come una preda davanti a un serpente. Sperò che l’amica l’avesse sentita… probabilmente non era stato così. Doveva pensare lucidamente. Come aveva fatto Kisshu a scoprire dove vivesse? In che razza di pericolo aveva messo la sua famiglia! Doveva allontanarlo da lì, anche senza l’aiuto di quella maledetta orsetta così lenta a lavarsi…
«Questo lo dici tu». Aprì la finestra all’improvviso, colpendo il ragazzo dritto sul muso, e saltò giù dal primo piano. Atterrò con grazia felina, infilandosi il ciondolo in tasca. E poi, iniziò a correre.
«Torna qui, tanto ti prenderò!» grugnì l’alieno, intento a massaggiarsi il naso. Che botta…
«Smettila di seguirmi! Lasciami in pace! Vattene!» urlò Sakuranbo, molto poco convinta. Masha non era mai nei paraggi quando serviva… probabilmente era il turno di Shikimi adesso… dov’erano tutte le altre?? Dov’era Satou??
«Mi dispiace, ma non posso. Devo portarti via con me, e lo farò adesso! Questa volta le tue amiche non potranno venire ad aiutarti. I Chimeri stanno seminando distruzione in tutta la città…». Mentre parlava, le lanciava addosso dei colpi con qualcosa che la ragazza non riusciva a vedere. Non aveva il tempo di girarsi e guardare, doveva solo scappare… finché uno di questi non la colpì in pieno.  «AH!» urlò; uno di quei raggi l’aveva colpita alla gamba, e il ciondolo le era caduto dalla tasca durante il suo capitombolo per terra.
«Scusami, koneko-chan, non volevo farti del male…» mormorò Kisshu, fermo nel suo galleggiare nell’aria, così surreale. La sua pelle candida splendeva sotto la luce della luna. Era bello; sembrava un angelo. Un angelo della morte. «Adesso vieni con me».
«COL CAVOLO!» mugolò la bionda, le lacrime agli occhi dal dolore. Recuperò il ciondolo da terra. «Mew Sakuranbo! Metamorphosis!».
La tigrotta emerse in tutto il suo rosso cremisi. «Ribbon Sakuranbo Spirit!» enunciò, e da una bolla rossa comparsa dal nulla le caddero in mano i suoi tonfa. “Speriamo che funzionino… speriamo che funzionino…”. Provò a maneggiarli come l’ultima volta, ma niente. Nessun attacco. «OH, E ANDIAMO!» esclamò, delusa.
«Che fortuna, sei così imbranata che non sai controllare la tua arma!» le rise in faccia l’alieno, evidentemente divertito. «Adesso basta giocare, micetta. È l’ora che tu venga con me». Kisshu fece evocare i suoi due pugnali.
Sakuranbo sperò in un deus ex machina capace di salvarla dall’ inevitabile… guardò all’orizzonte, ma Satou non comparve dal nulla ad aiutarla… bensì… c’era qualcosa… una figura…
Kisshu si girò; i suoi sensi più acuti gli fecero percepire dei passi.
Un ragazzo. Un alieno, presumibilmente, perché la rossa vedeva le lunghe orecchie a punta così simili a quello dell’elfo dai capelli verdi sopra di lei. Ebbe paura; era un nuovo rinforzo di Kisshu? Era davvero così sfortunata da venire attaccata da due di loro insieme, quando la sua arma faceva di nuovo i capricci? I capelli del nuovo arrivato erano biondi, lunghi, legati in una coda bassa che gli scendeva fino alla vita. Indossava una tunica blu, accollata, lunga fino ai piedi. «Non temere» disse, mentre si avvicinava. «Il mio compito è di proteggervi».
«Chi sei?» domandò la mew mew, diffidente. Lo guardò dritto negli occhi azzurro cielo.
Il ragazzo si mise davanti a lei, in una posizione protettiva. «Sono Blue Knight».
 
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​/!\ A-ehm.Ho rinvenuto questo capitolo dopo aver rovistato per un bel po' in vecchi computer con lo scopo di salvare file ecc dall'estinzione; mancava solo l'ultimo paragrafo per terminarlo, e ho deciso di scriverlo un po' in fretta e finirlo. Non penso che terminerò mai questa fic, soprattutto perché risale veramente a tanti anni fa, anche se l'idea di concludere una delle mie mille saghe lasciate aperte mi stuzzica. Non ho più tempo, ahimè, sono vecchia, dal 2012 sono cambiate un bel po' di cose. Intanto pubblico perché... perché sono affezionata a questa storia. Enjoy. /!\

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: Germe Sovversivo ***


Kurumi camminava tranquilla di ritorno dal Caffè. Aveva preso il treno, era scesa alla sua fermata, e adesso aveva un piccolo tratto a piedi da fare. Viveva un po’ lontano dal centro urbano; con il treno ad alta velocità non aveva problemi a muoversi, ma fortunatamente la sua zona era più rustica, più di campagna. Le piaceva; gli alberi erano quasi già del tutto spogli, ed il fossato attorno alla via creava una nebbia densa, fitta, che celava il tappeto di foglie di acero rosso che solitamente l’accompagnava fino a casa. Quell’odore umido la rasserenava, era familiare e melancolico.  In braccio teneva un sacchetto con gli avanzi di ciò che non avevano venduto al Caffè; suo padre sarebbe stato contento.
Un rospo gracidò roboante e fiero; Kurumi fece finta di nulla, anche se dentro di sé un piccolo spavento l’aveva provato, per la sorpresa. Continuò dritto, indifferente. Era abituata, eppure…
“Ma non dovrebbero essere già in ibernazione?” si domandò. Era Novembre, faceva freddo. Che ci facevano ancora in giro questi anfibi?
Un altro gracidio. E ancora. Sempre di più, e sempre più forti. Rane, ranocchi, e rospi erano come impazziti. Finché una rana con delle cosce da culturista non le si parò davanti.
«Oh, un Chimero» commentò, con naturalezza. Posò i sacchetti e la borsa a terra. «Mew Kurumi! Metamorphosis!» disse, e si trasformò. Era pronta a tirare fuori la sua arma, quando una decina di rane body builder raggiunsero il primo Chimero. «Sono troppi…» sospirò, guardandosi bene attorno. Ce n’erano altri che dovevano ancora arrivare? Da quanto erano stati creati? Da quanto se ne andavano in giro a piede libero?
E poi lo notò. Pai svettava sopra di lei, semi-nascosto dal buio e dalla nebbia. Il suo volto era male illuminato, non riusciva a guardarlo negli occhi.
«Ribbon Kurumi Maze!». La ragazza fece vorticare il suo bastone, e le bolle di veleno colpirono solo alcuni dei Chimeri. Il grosso del lavoro era tutto da fare.
«Rassegnati» l’intimò Pai, immobile. «Sono troppi per una sola».
Kurumi sogghignò. Un paio di rospi provarono ad attaccarla, ma li schivò in tempo. «Non ci ho ancora messo abbastanza impegno! Ribbon Kurumi Maze!». Questa volta la mew mew si mise a roteare su sé stessa, veloce come un rocchetto di filo dentro una macchina da cucire. Le bolle color rame continuavano a formarsi copiosamente. Funzionavano da barriera; quando i Chimeri le balzavano addosso, incontravano il vortice di bolle che li neutralizzava e distruggeva l’alieno parassita.
Iniziava a girarle la testa, ma doveva resistere. Eccone altre due. Ancora cinque, ed era fatta… mancava poco… L’ultima… ce l’aveva fatta! Mew Kurumi si fermò, ginocchia a terra. Sentiva vorticare tutto intorno. Guardò in alto, in cerca di Pai.
«Hai ostacolato i miei piani» commentò, distaccato, come se la cosa non lo riguardasse minimamente. Con uno scatto rapido, tirò fuori un ventaglio: «Fuu rai sen!».
Dal ventaglio scaturì un piccolo fulmine; Mew Kurumi rotolò prontamente da un lato. Non aveva mai visto quell’arma, doveva fare attenzione.
“È venuto qui solo… gli altri due alieni che fine hanno fatto? E perché le ragazze non sono qui ad aiutarmi? Mash deve aver captato la sua presenza… a meno che… non abbia percepito solo l’alieno più vicino. Si sono divisi apposta”.  
Prese una decisione al volo. Era o non era una ragazza lontra? E aveva o non aveva dei superpoteri? La coda larga e piatta l’avrebbe fatta nuotare velocemente, e le orecchie e le narici le si sarebbero chiuse sott’acqua. Avrebbe ripercorso la canaletta fino a raggiungere il fiume, e nuotato il più velocemente possibile fino a raggiungere il centro città.
Mew Kurumi sbuffò, lanciando un’occhiata alle borse lasciate sul terreno bagnaticcio. Avrebbe dovuto recuperarle più tardi. Sorrise a Pai in quel suo modo un po’ inquietante, e saltò nel fossato.
***
«Presto, correte, mettetevi in salvo!» stava gridando mew Shikimi a squarciagola, mentre frotte di gente correvano come una mandria impazzita in tutte le direzioni.
Chimeri. Chimeri dappertutto.
«Veloci, ma in ordine! Non fatevi prendere dal panico, ci siamo noi a gestire la situazione. Uno per uno, da bravi, fuori di qui!». Mew Kinoko teneva in mano un megafono e una paletta da vigile del traffico, inadeguatamente piazzata sulla testa di una sobria e autorevole statua di qualche personaggio importante.
Mew Shikimi era riuscita a contattare solo lei; era stata l’unica ad averle risposto al telefono. Chissà che diamine stavano combinando le altre. Il radar di Masha l’aveva portata lì in quel parco, e la foca l’aveva raggiunta subito. «Ribbon Shikimi Coin!».
La coniglietta puntò la sua fionda a caso nel mezzo della mischia di Chimeri. Erano stati creati sicuramente da Taruto; il suo stile consisteva nell’unire vegetali agli alieni parassiti, e quei cosi sembravano tante barbabietole assassine. Lanciò i suoi tappi uno dietro l’altro, munizioni infinite che comparivano da sole ogni volta che ne tirava una. I Chimeri colpiti tornavano ad essere dei daikon senza vita, ma ce n’erano così tanti…
«Ribbon Kinoko Spice!». La mew mew evocò la sua fidata padella, la quale assunse dimensioni esagerate. Faticava a tenerla in mano. «To’, maledetti!» esclamò, e tirò la sua gigante arma addosso a un gruppetto di Chimeri, troppo lento da evitare di finire schiacciati sotto il peso dell’acciaio inox antiaderente.
Questo li aveva fatti alquanto arrabbiare. L’orda di daikon mannari si ammassò sotto la statua.
«KYAAAAA! ANDATE VIA, BRUTTI MOSTRI! TORNATE DA DOVE SIETE VENUTI!!!».
Shikimi recuperò la padella della compagna, tornata nelle sue dimensioni originali. E adesso come gliel’avrebbe riportata?
Un risolino la fece girare di scatto, guardinga. Ma già sapeva a chi apparteneva.
Taruto volteggiava nell’aria con un’espressione compiaciuta, i canini aguzzi che spiccavano sul suo sorriso infantile. «Chimeri! Addosso!» comandò, indicando la piccola mew mew indaco.
«Oh CA…!» imprecò la ragazza, nel panico. I daikon indemoniati si stavano raggruppando in una folla compatta, e muovevano rapide le loro radici verso di lei.
«Mew Shikimi! Lanciami la mia arma!!» le urlò mew Kinoko, sventolando le braccia dalla sua sicura posizione sopraelevata.
La coniglietta si mise in posizione; con una perfetta esecuzione del lancio del martello degna di un campione olimpionico, riuscì a restituire la padella alla sua proprietaria, che le faceva degli strani gesti con le mani. Perché le stava facendo segno di girare intorno alla statua…?
I Chimeri le erano alle calcagna, doveva cominciare a correre! La ragazza cominciò a darsela a gambe, mentre la risata irritante di Taruto le echeggiava nelle lunghe orecchie bluastre.
«PSSS! MEW SHIKIMI!!! PSSSS!» continuava a chiamarla la foca monaca. Ed insisteva con quel gesto; indice in fuori, disegnava un cerchio attorno a sé…
“Aspetta… forse ho capito cos’ha intenzione di fare”. Mew Shikimi si avvicinò alla compagna, e l’orda di vegetali impazziti la seguì a ruota. Cominciò a fare dei giri larghi intorno alla statua, sperando che il cervello di dei daikon non fosse abbastanza sviluppato per far sì che decidessero di dividersi e di braccarla su due lati.
Mew Kinoko, dall’alto, cercava di calcolare la velocità con cui giravano intorno a lei. Così compatti, sarebbe stato un gioco da ragazzi prenderli tutti… «Ribbon Kinoko Spice!». L’ombra tondeggiante della padella gigante cadeva scura sopra i Chimeri; bastava solo lasciarla andare al momento giusto. «ORA!» gridò, e mew Shikimi saltò con tutta la sua forza fuori dal girotondo.
SPLASH.
«Brave ragazze! Brave!». Masha ciondolava avanti e indietro, soddisfatto, ad ingoiare gli alieni parassiti che vagavano storditi sul campo di battaglia.
«Maledette ficcanaso!» strillò l’alieno, il visino tondo alterato dalla rabbia mentre guardava il trito di daikon spiaccicati al suolo.
«Ben ti sta, piccolo impertinente!», e mew Shikimi accompagnò le sue parole con una linguaccia.
Masha, da innocente pupazzetto rosa più grasso e soddisfatto del mondo, dalle braccia di Mew Kinoko ricominciò a vibrare e strillare come impazzito: «ALLARME! ALIENI! DIREZIONE NORD-OVEST! ALLARME!».
«Masha, l’alieno è proprio qui davanti a noi…» obiettò Kinoko, lanciandogli un’occhiataccia tra l’esasperato e lo scettico.
Ma come al solito, mew Shikimi fu più intuitiva: «No, Kinoko-chan! Ti ricordo che gli alieni sono tre… e le altre ragazze non sono riuscite a raggiungerci… vuol dire che sono intrappolate da qualche parte con altri Chimeri. Dobbiamo andare a dar loro una mano». La coniglietta afferrò Masha per un’aletta. «Forza, Masha. Andiamo!».
***
«Chi sei? Che cosa vuoi?» ringhiò Kisshu, tutti i suoi sensi all’erta mentre studiava il nuovo arrivato. Che cos’era? Un nuovo espediente di Deep Blue, magari? Il loro amorevole capo aveva progettato qualche mirabolante missione senza considerarli o avvertirli? Quello era uno dei loro, non c’era alcun dubbio. Il fenotipo era lo stesso suo… eppure… aveva un qualcosa di diverso. Una traccia nell’odore che non riusciva a individuare ed isolare dal suo complesso d’insieme.
«Tutto ciò che ti serve sapere è che sono un tuo nemico». Blue Night si era parato davanti a Mew Sakuranbo in posizione difensiva, pronto a proteggerla da ogni attacco. Tirò fuori dal fodero della cintura una spada luccicante, evidentemente nuova di zecca. Il rumore del metallo che sfilava dal cuoio fece accapponare la pelle alla mew mew, spaventata ma grata a quello sconosciuto per, beh, salvarle la vita.
«Interessante», commentò acidamente Kisshu. Estrasse rapidamente due pugnali e si fiondò sull’avversario.
Il misterioso biondo parò il colpo con la sua lama, e i due cominciarono a lottare. Kisshu rispondeva ai colpi a fatica, eppure lui era uno dei combattenti migliori del suo pianeta. A soli sedici anni gli era stato affidato l’incarico top secret direttamente da Lui, da Deep Blue. Nessuno dei ranghi maggiori era stato degno di fiducia, ma lui sì, lui che eccelleva a tutte le esercitazioni, lui che aveva dato tutto per primeggiare all’interno della fazione speciale dell’esercito… come poteva costui tenergli testa?
«DIMMI CHI SEI! CHE INTERESSI HAI NEL PROTEGGERE SAKURANBO?» sbottò, volando più in alto per mantenere una certa distanza. «RISPONDIMI! CHE COSA RAPPRESENTA LEI PER TE?».
Dal canto suo, la tigrotta avrebbe voluto sapere la risposta tanto quanto Kisshu. Li stava guardando combattere, inerme, così arrabbiata, frustrata e delusa da sé stessa per l’incapacità e l’impossibilità di fare alcunché. Si sentiva così inutile, una principessina da trarre in salvo dalla sua torre impotente. Ed era pure arrivato un cavaliere ad uccidere il drago al suo posto… ridicolo.
Eppure il suo nemico non era un drago feroce. Era un ragazzo che lottava per la salvezza del suo popolo. Non poteva dimenticare la conversazione con Keiichiro, non poteva fare finta di niente, come suggeriva Ryou. All’improvviso realizzò che non voleva che Kisshu si facesse male… doveva fermare quei due, doveva fermare la guerra che infuriava da ambo i lati. Un accordo doveva essere trovato…
Ma un tappo turchino s’impigliò improvvisamente esattamente sulla punta della spada di Knight Blue. Dopo pochi secondi, anche i coltelli di Kisshu si ritrovarono imbottiti di sughero celeste.
«Preparatevi a passare dei guai!», trillò una vocina.     
«Dei guai molto grossi!» l’accompagnò una voce più bassa.
«Proteggeremo il mondo dalla devastazione…».
«Uniremo tutti i popoli nella nostra nazione…».
Mew Sakuranbo si tirò uno schiaffo sulla fronte, scuotendo la testa afflitta. «Piantatela, ragazze! È il fandom sbagliato…».
I due alieni si erano girati a guardare, stupiti, l’entrata in scena di Mew Shikimi e Mew Kinoko. Si erano appostate sul tettuccio di un’auto, in piena rappresentazione dell’usuale ingresso trionfale stile Team Rocket. Mew Kinoko aveva addirittura una rosa rossa stretta fra le dita guantate.
«Meowth! Proprio così!», s’intromise una voce. Mew Kurumi, bagnata da testa ai piedi, brandiva saldo il suo bastone per le bolle, un sorrisetto sfrontato sulle labbra.
«Scusami, chibi-chibi Saku-chan, ma quel bel tipo prestante e affascinante chi è? Perché combatte contro i nostri nemici?» domandò la coniglietta con un tono particolarmente sornione.
Ai lati di Kisshu, comparvero dal nulla Pai e Taruto, che avevano seguito il gruppo delle mew mew fino a quel punto. «Che cosa è successo, Kisshu?» chiese il piccolo, preoccupato, mentre esaminava con i suoi dolci occhioni il compagno grondante di sudore, il respiro affannato.
«Chi è questo tizio?». Pai era palesemente seccato. Ridursi a chiedere informazioni agli altri, senza che lui ne sapesse qualcosa in più… non poteva essere.
«Non ne ho idea», biascicò infine, a malavoglia.
«Fuu Rai Sen!». Velocissimo, il ventaglio di Pai lanciò un fiotto di fulmini contro Knight Blue. Fu del tutto inutile, perché lui scattò prontamente fuori dal bersaglio.
«Adesso basta!» esclamò Mew Sakuranbo, spazientita. Caparbiamente, tirò fuori la sua arma. «Ribbon Sakuranbo Spirit!».
Le mew mew si tapparono prontamente le orecchie. Un lampo cremisi accecò gli occhi di tutti i presenti.
«PRESTO! Dobbiamo andarcene via subito da qui!» decretò Kisshu; pochi secondi dopo, gli alieni si erano già smaterializzati.
La rossa tirò un sospiro di sollievo. E poi sorrise, compiaciuta. Ce l’aveva fatta! Forse cominciava a capire come diavolo gestire i suoi stramaledetti tonfa… si girò a guardare il suo aiutante, e non più salvatore. «Beh, grazie! Sei stato grande! Però ti sei ferito al braccio…».
«Non ha importanza. Io vi difenderò sempre, questo è il mio compito» rispose Knight Blue, uno sguardo intenso ma distaccato in quelle sue iridi azzurro cielo.
E detto ciò, scomparve, dissolvendosi nel nulla, lasciando dietro di sé solo onde di curvatura spazio-tempo. E una tigrotta sbigottita.
Mew Kinoko strabuzzò gli occhi grigio-viola: «È sparito nel nulla... e non abbiamo nemmeno scoperto chi è!».
Infatti! Lasciarla lì così, di sasso, senza nemmeno un piccolo indizio sulla sua identità…
«SAKURANBO! Grazie al cielo…e le ragazze sono qui, meno male…». Mew Satou interruppe le sue elucubrazioni, tutta scarmigliata dalla corsa. Di fianco a lei c’era Ryou con il fiatone, altrettanto preoccupato. Quindi per questo ci aveva messo tutto quel tempo… era andata a chiamare lui!
«Non siamo riuscite a contattare Yuzu e Kanzou» comunicò Mew Shikimi, gli occhi blu che scrutavano con attenzione l’orsetta e il biondo. La sensazione che fra quei due stesse nascendo del tenero era fortissima.
***
La pelle nivea di Kisshu rifletteva una certa luce verdastra; giochi d’ombra e luce danzavano sul pallido volto dei tre giovani, ben decisi a discutere degli avvenimenti lontani dalle loro complici terrestri. Si erano ritrovati nella loro dimensione altra, fredda, inquietante. Lontana da orecchie indiscrete, lontana da tutti.
«Chi era quel tizio? Da dove è saltato fuori?». Era ormai la centesima volta che faceva quella domanda, a tutti a nessuno, ma a sé stesso in particolar modo.
Difatti, Pai appariva evidentemente stufo di quella nenia. «Anche se lo sapessimo, non cambierebbe nulla. Il nostro dovere è di seguire gli ordini che ci impartisce Deep Blue; cioè, liberarci della presenza della razza umana». Non gli pareva così difficile da capire. In fin dei conti, erano soldati. Dovevano eseguire gli ordini, senza fare domande.
Eppure Kisshu non sembrava così convinto. Da tanto tempo, forse addirittura da sempre, dubitava degli scopi del loro quasi-Dio. Era tutto così poco chiaro… il taciuto e il non-detto, se lo sentiva, era la parte consistente del loro rapporto con Deep Blue. «Toglimi una curiosità… per caso hai avuto modo di vedere Deep Blue?»
«No». Che domande, nessuno lo aveva mai visto. Dove voleva condurlo con questa sua retorica?
Kisshu sapeva che stava per far scoppiare una guerra. Conosceva bene il fratellastro; intelligente e tutto quanto, ma per certe cose, Kisshu pensava fosse volutamente ottuso. Forse l’educazione ricevuta era stata più rigida e severa, e non gli aveva permesso di mettere in dubbio le autorità. Oppure voleva disperatamente credere nella salvezza della sua gente, attribuendo ogni speranza in quella fredda voce che li comandava a bacchetta. Ma doveva smuoverlo, spronarlo nella sua direzione. Dovevano essere uniti per non crollare. Il suo sesto senso non lo ingannava, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, anzi, si sarebbe dato fuoco lui stesso, pubblicamente, su una pira montata sotto lo sguardo di tutti.
Si decise a pungolare Pai, sparando la sua domanda di getto: «Allora ti faccio un’altra domanda. Ti sembra giusto prendere ordini da qualcuno che non si fa vedere, qualcuno di cui conosciamo soltanto la voce?».
Ecco la reazione che immaginava. Gli occhi grigi di Pai brillarono di rabbia. «Come?»
Doveva continuare a indurlo nel suo ragionamento come un pastore conduce una pecora al recinto. Doveva fargli capire che qualcosa non andava. «Perché Deep Blue non ha mai davvero aiutato la nostra gente?». Adesso si stava facendo ancora più provocatorio. Doveva far nascere in lui quel germe sovversivo che covava lui stesso nel suo profondo.
«Cosa vuoi insinuare? Deep Blue è l’unica speranza per il nostro popolo. Da come parli, sembra che tu ci stia augurando la nostra fine». Stava iniziando a perdere le staffe; la voce gli si era inasprita, lo sguardo si era fatto più tagliente.   
«No, al contrario. È solo che di carattere io sono uno che crede solo a quello che vede coi propri occhi».
«Dove vuoi arrivare?».
Era arrivato il momento di rivelare i suoi sospetti. Sperò intensamente che lo ascoltassero senza dire niente al loro presunto capo, o sarebbe stata la fine del suo complottismo.
Kisshu lanciò un’occhiata intensa a Taruto, che se ne era rimasto in silenzio, in disparte, ad ascoltare con attenzione. Sperò in un suo muto supporto. «Non sappiamo che aspetto abbia Deep Blue. E adesso appare all’improvviso questo Knight Blue. E se fossero la stessa persona?»
«Noi sappiamo chi sono i nostri nemici, e sappiamo che dobbiamo eliminarli. Oppure stai iniziando a confonderti, con quelle due in mezzo ai piedi?».
No, non erano solo quelle due. Non erano solo Kanzou e Yuzu, ma tutte le mew mew, in realtà, lo stavano facendo dubitare della ragion d’essere del loro intero piano.
Ma questo, non era pronto ad ammetterlo.
«Su questo ti do ragione».
 

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