Le più belle sfumature di grigio

di Caramell_
(/viewuser.php?uid=100604)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di cadaveri e gran belle famiglie ***
Capitolo 2: *** Di pigrizia e vene che scoppiano ***
Capitolo 3: *** Di bambini innamorati e DNA ***
Capitolo 4: *** Di scommesse e inviti a cena ***



Capitolo 1
*** Di cadaveri e gran belle famiglie ***


 
 
Invecchia insieme a me, il meglio deve ancora venire
George Sand

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Violet Holmes è un angelo con i bambini. O almeno, ragiona John, lo è con la sua. Si poggia Rosie sulle ginocchia e saltella.
John si chiede spesso, in quei momenti, se, a suo tempo, lo facesse anche con Sherlock o, dio ce ne scampi, con Mycroft. Solo immaginare la scena è esilarante. Ma, comunque, è orribilmente confortante sapere che, in quella casa, sono stati amati. Loro ed Eurus, anche se poi è finita come è finita.
- È davvero una piccina adorabile
E John sorride, tutto orgoglioso – Si – dice – ovvio che lo è
Bacia la piccola sulla fronte e va a sedersi accanto alla signora Holmes, sul divano. Rosie ha due occhi azzurri bellissimi. Per adesso. Si spinge piano verso John e ridacchia – Io però credo di essere di parte, non è vero tesoro? – e le bacia il mento, quel suo naso minuscolo. Viene ricompensato con un sorriso sdentato e, soddisfatto, si alza e torna alla finestra.
Violet lo segue con lo sguardo, continuando a giocare con la bambina – John – lo richiama
- Mhn?
- La prego – sussurra – non sia così preoccupato. Fa preoccupare anche me
John scuote la testa – Non sono preoccupato – dice e Rosie gorgoglia – Un po’ ansioso, forse – ammette. Violet scuote le spalle – Perché non è andato con lui, allora?
- Oh andiamo, Violet – protesta – è Natale
- Lo so, caro. Ma sappiamo com’è fatto, no? – e John incrocia le braccia, chiude gli occhi per attimo – Ovvio che sì – bisbiglia
- Sono sicura che torneranno presto – dice e si sistema meglio Rosie tra le braccia, le riempie il viso di baci.
John sospira, afflitto, ma Violet se la sta godendo un mondo. È talmente felice da essere un pelino inquietante.
- Perché non va a fare un tè? – propone dopo un po’ – Sa, per tenersi impegnato – e John stacca un attimo gli occhi dal giardino – Oh – dice – ma sì, certo
È già sulla soglia quando la Violet lo ferma – Il mio con-
- Un sacco di latte – la interrompe John – Lo so – e le fa l’occhiolino.
La cucina degli Holmes non è grandissima, ma è ben accessoriata e Violet, da brava donna di casa, la tiene in perfetto ordine. John ne è parecchio intimidito. In confronto, ed è il primo a riconoscerlo, casa loro, a Baker Street, è un porcile. Pulito, certo, ma di un tale disordine da far spavento. John ci pensa mentre posiziona il bollitore sul fuoco. Colpa di Sherlock, naturalmente. Un casinista nato, non c’è che dire. John ormai ha perso il conto degli oggetti impensabili che ha trovato in luoghi altrettanto impensabili. Probabilmente, se solo qualcuno chiedesse alla signora Hudson, lei li additerebbe come i peggiori affittuari della storia, muri dipinti, rumori molesti e cadaveri inclusi.
Quando torna di là, le tazze in mano, Rosie si è addormentata in grembo alla signora Holmes e lui ha stampato in faccia il sorriso più ebete che si sia mai visto. Porge il tè a Violet e poggia il suo sul tavolino basso di fronte al divano. Poi afferra Rosie e, dopo averle baciato i riccioli biondi, la porta nella camera degli ospiti e l’adagia, piano, nella culla che Mycroft ha regalato loro nemmeno due mesi prima. Quando l’aveva vista Violet aveva sbattuto le mani per la felicità – Così potrete venire a trovarci spesso – aveva detto – Rosie potrà dormire quanto le pare – John non aveva avuto di che lamentarsi, dopotutto.
Violet sorseggia il suo tè lentamente – È davvero buono, John – dice – Complimenti – e John, in risposta, arrossisce quasi. Non è ancora abituato alla madre di Sherlock, nemmeno a suo padre, in verità. Non crede si abituerà mai.
- Sono contento che le piaccia – ridacchia – Ho dovuto imparare a farlo. E bene, anche. Sherlock stava quasi per buttarmi fuori di casa
Quando ci pensa ancora gli viene da ridere. L’aveva minacciato davvero, durante i suoi primi giorni a Baker Street e John, come la maggior parte delle cose che riguardano Sherlock, si era adattato. Giusto un po’.
Violet gli concede un sorriso dolce, poi lancia uno sguardo oltre il salotto e sospira – Stanno davvero facendo tardi, vero?
John poggia una mano sulla sua. Finiscono di bere il tè in silenzio.
 
 
 
 
La porta d’ingresso si apre solo due ore dopo, quando uno Sherlock eccitato oltre ogni limite fa il suo ingresso in casa il più rumorosamente possibile.
- John – lo si sente urlare dal giardino – John
Mycroft è subito dietro di lui, composto come sempre.
- John – dice Sherlock – Non ci crederai mai. Un triplice omicidio. Triplice. E-
Violet non gli dà nemmeno il tempo di finire la frase – E niente, Sherlock Holmes – lo redarguisce – Abbassa la voce. Tuo padre sta ancora dormendo.
John lo vede incassare un poco la testa nelle spalle, assottigliare gli occhi come un bambino – D’accordo – sussurra e torna a posare lo guardo su John – Triplice omicidio – ripete, mentre si sfila guanti e sciarpa, la voce più bassa di un paio di ottave. Mycroft ha già preso posto in poltrona, di fronte al camino acceso e, quando John gli lancia uno sguardo di traverso, muove impercettibilmente la testa in un cenno di saluto. John fa lo stesso, poi torna ad ascoltare Sherlock.
- Tre cadaveri – gli sta dicendo, contento ai limiti della decenza – in una stanza chiusa dall’interno, tutti vestiti uguali e nella stessa posizione. Oh, saresti dovuto venire anche tu, l’avresti adorato – e John non ha davvero il cuore di contraddirlo.
- A quanto pare – soffia Mycroft, mellifluo – Sherlock l’ha trovato parecchio divertente – e qui John sente chiaramente Violet esalare un – Santo cielo! – mentre, a parer mio, non era che raccapricciante – ma Sherlock è così esaltato da non rendersi conto di niente.
Solo quando si lascia cadere di fianco a lui sul divano, le gambe lunghe completamente distese, sembra ritrovare un minimo di contegno.
- Rosie? – domanda.
- Camera degli ospiti – dice John – l’ho controllata poco fa – e poi, come da routine – Allora? – chiede e riesce a sentire chiaramente Mycroft sollevare gli occhi al cielo.
- Allora cosa?
John sorrise, accondiscendente – L’hai risolto, no?
Sherlock non si sforza nemmeno a nascondere il suo essere schifosamente compiaciuto e così finiscono a parlare di morti accoltellati la sera di Natale. Solo loro due, in verità, con Violet che si alza e si rintana in cucina perché – Questo è troppo – e Mycroft che, sdegnato, li lascia per andare a svegliare il padre. John non vuole sapere con quale metodo ma, conoscendo il soggetto, di sicuro non a furia di paroline dolci.
Comunque succede che, ad un certo punto, Sherlock si allunga su di lui e gli poggia le cosce sulle ginocchia e John lo lascia fare fino a che Violet non infila la testa in salotto e – Sherlock – urla – via immediatamente le scarpe dal mio divano! – e Sherlock lo fa, terrorizzato come se avesse ancora cinque anni e poi lui e John scoppiano a ridere.
Mycroft, da lontano, rotea di nuovo gli occhi.
 
 
 
 
Non è la prima volta che passano le feste a casa Holmes. Sherlock dovrebbe, a ragione, esserne perplesso o, per lo meno, giustamente incuriosito. Oltre che, s’intende, parecchio disgustato. Se ne riscopre, in realtà, perfettamente a suo agio. Sua madre poi, ha dedotto da un po’, ha un’inopportuna e parecchio imbarazzante cotta per John. E per Rosie, ovvio. Anche Sherlock ha una cotta per Rosie. Forse anche per John. Ma comunque.
È parecchio soddisfatto, a dirla tutta. Ha da poco risolto un complesso triplice omicidio, John è al sicuro, sembra contento e lui si sta fumando la prima agognata sigaretta della giornata. Presenza molesta a parte, si sente più che bene.
Mycroft ha quest’assurda abitudine di metterlo alle strette nei momenti peggiori della giornata e sempre in modo inopportuno. Sherlock aspira e gli lancia l’occhiata più infastidita che gli riesce – Cosa c’è, Mycroft? Hai l’aria terribilmente compiaciuta
L’altro non gira nemmeno la faccia, ondeggia impercettibilmente sui talloni. Muore dalla voglia di stuzzicarlo un po’ – In verità, fratello, credo di essere felice – dice e Sherlock quasi si strozza con la saliva – Felice? – rantola – E da quando in qua tu sei felice?
Mycroft adesso sorride come un pazzo – Potrei, ad onor del vero, elencarti una serie di motivi e di situazioni, diciamo così, che mi rendono profondamente e davvero poco elegantemente felice, ma, se permetti, preferisco evitare ad entrambi l’imbarazzo
Sherlock solleva un angolo della bocca, tira – Ad onor del vero, fratello – scimmiotta – non voglio nemmeno immaginare a quali situazioni ti riferisci – poi, messa su la sua migliore faccia da schiaffi – A proposito – sibila – Come sta Gavin? Giles?
- È Greg – lo corregge Mycroft per abitudine e a quel punto Sherlock sa di aver vinto. Cielo, quanto lo detesta!
- Ma comunque – sogghigna, già pronto ad un nuovo attacco – io mi riferivo a te
- A me? – oh no, no e poi no, Sherlock preferisce morire piuttosto che dargli quella soddisfazione.
Mycroft solleva le sopracciglia, ringalluzzito – Ti prego di smetterla di mortificare quel poco di intelligenza che ancora ti è rimasta, fratello – miagola – Mi spezza il cuore
Sherlock, dal canto suo, trema come un serpente a sonagli – Ovviamente – dice – Hai finito?
- Per adesso
Sherlock butta via la sua sigaretta tre minuti dopo. È ancora a metà e la schiaccia sotto il tallone. Vuole tornare da John, e da Rose e sì, liberarsi di quella palla al piede che è suo fratello. Il quale però, armato di faccetta angelica e tono zuccheroso – e precisiamo: Sherlock non si fida di lui nemmeno quando dorme – lo ferma un attimo prima che metta un piede dentro casa.
- Dicevo sul serio, Sherlock – mormora – Hai una bella famiglia – e si volta verso di lui, lo fissa a lungo – Sono felice per te
Sherlock annuisce una volta sola, non lo guarda in faccia – E io per te
Questo, si dice, è tutto l’amore fraterno che riescono a gestire.
 
 
 
 
Dormono insieme, naturalmente, lui e John. Spostano la culla di Rosie vicino al bordo del letto e si addormentano con l’orecchio teso. È una cosa che fanno da un po’ – quattro mesi e vent’uno giorni, per essere precisi – e non è nemmeno lontanamente imbarazzante rispetto a come l’avevano immaginato. Comunque. Sherlock dà le spalle a John, il viso rivolto verso il faccino addormentato di Rosie. Dorme poco, come sempre. Alle volte rimane sveglio tutta la notte.
Ogni tanto Rosie gorgoglia nel sonno, si lamenta ad occhi chiusi e Sherlock infila le dita nella stoffa azzurra della culla, la fa dondolare avanti e indietro per un paio di minuti.
A quanto pare, il sonno quieto e profondo non è nella genetica della famiglia Watson.
Sherlock sorride, nel buio, accoglie tacito le mani di John che gli si aggrappano alla maglia leggera del pigiama. Per tenersi occupato conta la cadenza del suo respiro. Uno, due. E la fronte di John si infila tra le sue scapole. Uno, due. E Rosie mugola, apre e chiude i pugni chiusi. Uno, due. E Sherlock ruota in polso, fa oscillare la culla. Uno, due. E John prende a russare piano. Uno, due. E il suo respiro gli riscalda il collo.
Sherlock sospira, beato. Non potrà muovere un muscolo fino al mattino dopo, ma, dopotutto, non gli importa. Uno, due. Adesso si rende conto; dormire, pondera, non è poi così male.












































Note: Sono bravissima a riesumare storie - farne una raccolta era il passo successivo. Spero che siano delle buone letture - sono a tema libero, a rating variabile - e di riuscire ad aggiornare più o meno ogni 10 giorni.
Solo, grazie per essere arrivato fino a qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di pigrizia e vene che scoppiano ***



Coppie: Mycroft/Greg
Parole: 424
Rating: Verde













Succede che Sherlock capisce che Mycroft e Greg hanno una relazione. Più o meno. In ritardo, oltretutto. In madornale ritardo, aggiunge John nella sua testa. E – c’era da aspettarselo – non fa che tormentarli.
Mycroft si presenta da loro per-beh, qualcosa. Capelli impomatati, ombrello, gilè e tutto il resto. Il resto, per essere precisi, sarebbe Greg. Che arriva giusto cinque minuti dopo. Correndo.
John quasi si strozza col tè. Tossisce. E Mycroft alza un sopracciglio, eloquente.
- Sherlock – dice – ho un caso per te
E Sherlock, che da quando è entrato non l’ha guardato nemmeno per sbaglio, si pronuncia –No – John sospira, prevedibile.
Mycroft stringe le labbra – Benissimo – sibila – John
- Sì?
- Ho un caso per lei
John solleva un poco la testa e – No
Greg sembra trovare la scenetta estremamente divertente. Anche perché lo è, in realtà. A Mycroft probabilmente tra poco scoppierà un vena. Quella grossa che ha lì, sulla fronte.
- Potrei almeno sapere perché?
Sherlock sbuffa, irritato. John gira una pagina del giornale, sospira – Pigrizia – annuncia, poi passa alla pagina dello sport. Cricket, oddio. E Sherlock, spaparanzato allegramente sul loro divano, stiracchia le labbra. Fa un sorriso talmente profondo da essere inquietante.
Mycroft li odia profondamente in quel momento.
- Le manderò i dettagli via sms – ringhia alla fine. Poi china la testa – Gregory – saluta – Credo, a ragione, che ci vedremo tra pochissimo – John tira fuori la faccia dalle pagine del rugby e lo guarda sconvolto. Ma che ca- - Mycroft – sussurra Greg e, contro ogni previsione logica, arrossisce. Ma davvero. Oh porca di quella-
Greg è ancora in mezzo al loro salotto e John lo guarda con la faccia più allucinata di cui è capace – Potreste anche contenervi, sant’iddio – e solleva un angolo della bocca – o, per lo meno, smetterla di usare il nostro appartamento come tappa per gli appuntamenti. Comincia ad essere imbarazzante – e Greg, se possibile, arrossisce ancora di più – Io, ah, mi dispiace.  È che-non ho idea del perché voglia, sai, qui e – indica la porta, in imbarazzo totale – Io uhm, vado, sì – e John torna al suo giornale.
Sente Sherlock cambiare posizione sul divano, stiracchiarsi come un gatto, tutto teso, in panciolle. Non è davvero possibile ma, cavolo, è strasicuro di riuscire a sentirlo ghignare. Spaventoso.
John sospira, mormora – Non la smetterà finché non gli dirai qualcosa
- Lo so
- E allora perché diavolo non l’accontenti, per una volta?
Sherlock scrolla le spalle, non curante – Pigrizia?
E John pensa all’ingiusto destino toccato a Greg e ride tanto che, dopo, gli fa male la milza.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Di bambini innamorati e DNA ***



Coppie: John/Sherlock + Rosie 
Parole: 566
Rating: Verde















Rosie ha un enorme e piuttosto giustificata cotta per Sherlock. John non si stupirebbe se, dopo tutto il tempo che passano insieme, la sua prima parola fosse Sherlock, o, nel caso peggiore – e lì John sarebbe costretto a spaccargli tutti quei suoi denti perfetti – morte. Chissà perché, nella sua mente, quest’ultimo scenario appare parecchio più plausibile.
Il fatto è che – e John ne è rimasto davvero sorpreso all’inizio – a Sherlock piace passare del tempo con lei. John non ha mai pensato potesse avere un debole per i bambini anche se, ragiona, forse non sono i bambini, è più Rosie, solo Rosie, e le sue fossette, i suoi occhi dolci – e ok, grazie tante, lo sa di essere di parte, ma comunque. Fatto sta che quei due vanno d’amore e d’accordo e John, alle volte, non può fare a meno di sentirsi l’uomo più fortunato del pianeta – pezzi di cadaveri a parte (perché sì, cadaveri, ovunque, continuamente – È per il caso dello squartatore, John. Suvvia, un po’ di rispetto – e una volta, per rispetto, al grido di – La bambina, Sherlock, sant’Iddio – John gli ha quasi fatto ingoiare un dito. Già) Tornare a casa, però, non è mai stato così appagante.
Sherlock suona il violino, mentre lui sale le scale e John lo sente sospirare – Sentito, Rosie? Papà – e Rosie gorgoglia, seduta sul pavimento con le manine protese in avanti, circondata dai giochi che Mycroft e Molly, in barba a qualsiasi piano di risparmio, le regalano ogni tre per due. Poi Sherlock dice – Bentornato – e riprende a suonare e la piccola, ancora determinata ad afferrargli una delle caviglie scoperte, sbuffa piano, soffia e si solleva un poco sulle gambe ancora instabili. Un versetto contrariato le scivola fuori dalle labbra quando, tempo due secondi e parecchi oscillanti movimenti dopo, si ritrova di nuovo col sedere sul pavimento, i piedi di Sherlock ancora paurosamente lontani.
John la guarda imbronciarsi come la peggiore delle adolescenti e pensa che, tra qualche anno, avranno parecchi problemi. Ridacchia come uno stupido, comunque, e le lascia un bacio asciutto tra i capelli prima di crollare spaparanzato sul divano, il cappotto allungato chissà dove vicino alle scale.
Sherlock lo sente mugugnare, dice – Giornata pesante? – e John borbotta contrariato qualcosa di incomprensibile, gli occhi già mezzi chiusi e le gambe distese. Quell’ambulatorio maledetto è una gabbia di matti e Sherlock lo sa perfettamente, così come sa che John è sprecato, rinchiuso là dentro. Lancia a Rosie un sorriso tutto arricciato, poi, come il peggiore dei gatti domestici, si avvicina al divano e si distende, supino e placido, sulla pancia di John. Gli strofina i ricci tutti scompigliati sotto il mento, una coscia pallida tra le ginocchia. Sospira, beato – Niente male – snocciola compiaciuto. John riesce a sentire tutte le sue ossa sporgenti bucargli la pelle, mormora – Sei pelle e ossa – e Sherlock sibila, letteralmente, ordina – Dormi
E Rosie, occhioni spalancati e tutina accollacciata, si allunga verso di lui, gli afferra un dito, stringe, gioca col suo polso sottile. John sorride, profondamente intenerito, dice – È innamorata di te – e Sherlock scrolla le spalle divertito, con le braccia a penzoloni, il violino appoggiato alla pancia – Oh, beh – continua John, il petto un poco più caldo del nomale – è una Watson. Ce l’abbiamo nel DNA – e il viso di Sherlock si arrossa un poco, dice – Idiota –  ma John s’addormenta così, e il respiro di Sherlock lo culla fino al mattino dopo.
 
 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Di scommesse e inviti a cena ***



Coppie: Mycroft/Greg + John/Sherlock
Parole: 1853
Rating: Verde













 
Greg è circondato da imbecilli, non c’è altra spiegazione. Solleva lo sguardo dall’enorme fascicolo che sta esaminando e allunga l’occhio oltre la porta finestra. Vede Sally (quella strega) e Anderson (ma che, Anderson, sul serio? Dovrebbe esaminare cadaveri, non giocare a morra come il peggiore degli ubriaconi londinesi) e una buona metà di tutto il dipartimento mentre bisbigliano cospiranti, le schiene arcuate sul tavolo del centralino (il centralino, per Dio) e le mani chiuse a pugno. È mezz’ora che vanno avanti a quel modo e Greg comincia ad essere stufo del loro continuo chiacchiericcio.
Quella mattinata è cominciata in modo orribile, sono le dieci e Greg ha già esaurito la pazienza. Arriva alle loro spalle silenzioso come il migliore dei ladri, la bocca tutta storta e la faccia di uno che aspetta il primo pretesto per litigare. È appena sente il suo nome sussurrato che sibila indignato - Che diavolo state combinando? - a parecchi di loro quasi viene un infarto. Greg ne è estremamente compiaciuto. Anderson tira fuori un urletto davvero poco virile, sbatte gli occhi così velocemente che a Sally vien la paura che possa essere caduto in shock - Non facevamo niente, capo - dice, e una delle sopracciglia di Greg si solleva fino alla fronte - Niente di niente - ripete e poi, a sentirlo ringhiare basso, si disperdono tutti come piccole paperelle (Promemoria: Chiamare Sherlock, sì, farli mettere un poco in riga a suon di insulti)
Quindi sì, Greg è circondato da imbecilli nullafacenti ed è per questo che si sorprende molto quando, più di due ore dopo, uno meno imbecille degli altri bussa alla porta del suo ufficio.
Mycroft ha il portamento elegante di certi lord che la sera, stravaccato sul divano, Greg vede danzare alla televisione, tutti impomatati e in giacca e cravatta. Ha un fascicolo scuro infilato sotto al braccio e due energumeni cattivissimi che gli coprono le spalle. Greg non può che esserne intimidito.
Mycroft lo fissa dall’alto della sua perfezione, dice - Ispettore, perdoni il disturbo - e Greg vorrebbe dirgli di andare al diavolo (È una delle sue giornate no, maledizione, avrà pur il diritto di essere indiavolato col mondo) ma niente, annuisce - Ho qui un caso che potrebbe interessarle - e Greg solleva un occhio, sorpreso, afferra il fascicolo dalle sue dita pallidissime - E perché lo sta dando a me? - (Il Signore che il suo orgoglio gli ha impedito di aggiungere rimbomba nella sua testa in modo estremamente imbarazzante) Stavolta è il turno di Mycroft di rimanere perplesso - Non credo di capire
- Perché non lo porta a Sherlock? Sono sicuro che potrà esserle molto più utile di me - al che Mycroft sembra offendersi a morte, inarca le sopracciglia, le labbra e Greg lancia uno sguardo preoccupato ai giganti che lo piantonano, tira un impercettibile sospiro di sollievo quando li vede immobili come statue. Mycroft, però, sembra ancora irritato. Dice, tutto contrito - Mi dispiace che lei si sottovaluti così, Ispettore. Io, al contrario suo, ho un’enorme fiducia in lei - Greg spalanca un poco la bocca, le palpebre - Oh - sussurra e si impone di non arrossire come una donnicciola - La ringrazio, allora. Io uhm darò un’occhiata al caso, sa, e, e-
Gli occhi di Mycroft paiono accendersi d’un botto - Accetta, dunque?
- Certo, sì - balbetta Greg - Ovviamente
E Mycroft sussurra - Meraviglioso - come se fosse davvero felice e Greg gli avesse appena salvato il culo - La ringrazio, Ispettore - poi sorride, no, nel senso che sorride davvero e Greg rimane imbambolato così, la faccia accaldata e la bocca semiaperta, mentre osserva l’elegante figura di Mycroft lasciare Scotland Yard. Riprende a respirare solo quando quelle sue due bestie gli chiudono la porta alle spalle.
 
 
 
 
Sally non si fida di quel Mycroft. È un Holmes e gli Holmes, nella sua esperienza, non portano che guai. Psicopatici fino all’osso e strambi, parecchio strambi. Basta guardare Sherlock. E suo fratello, suo fratello è uguale. Anzi, si dice, forse lo supera in stramberia. Si presenta alla centrale come minimo una volta alla settimana e chiede di vedere Greg. Non accetta di parlare con nessun altro e le guardie super palestrate che si porta dietro ogni tanto non lasciano dubbi sull’interpretazione delle sue parole. Mycroft Holmes parla per ordini e, come tali, vanno rispettati ed eseguiti senza fiatare.
In verità, Sally ci ha messo un po’ a collegare i pezzi - meno di Anderson, questo è sicuro, ma comunque (Non è mai stata un’aquila, lo ammette) Il fratello dello strambo ha una cotta per Greg e il solo pensarlo le fa venire la pelle d’oca. Storce la bocca, contrita e osserva Mycroft Holmes arrivare in centrale - di nuovo - e infilarsi furtivo nell’ufficio di Greg, colletto tutto inamidato e scorta annessa.
Suppone che i pettegolezzi, a quel punto, diventino normali. Le scommesse, forse, un poco meno, però, beh, sono estremamente divertenti. Anderson ha scommesso che Mycroft non ci proverà nemmeno, a chiedergli un appuntamento, ma Sally scema non è - Dieci sterline - ha detto e la faccia di Anderson s’è ricoperta di chiazze. Chissà, si dice, spiandoli da lontano - Mycroft ha un sorrisino strainquietante appiccicato alla faccia e Greg l’espressione del peggiore dei pesci lessi - magari potrebbe aumentare a cinquanta. È sempre stata brava a scommettere.
 
 
 
 
Mycroft ci mette più di un mese, a fare la prima mossa (Greg il caso l’ha risolto, com’era prevedibile e si ritrova così sprovvisto di appigli) ma prima di riuscirci, tremori, salivazione azzerata e pacchetto completo, riserva per sé un piccolo consulto. Da John. (A Baker Street Mycroft sogghigna nemmeno troppo velatamente. A quel modo, si dice, prende due piccioni con una fava - indispettire Sherlock, dopotutto, è una specie di secondo lavoro)
A John, manco a dirlo, prende una paresi. Si blocca così, in mezzo al loro salotto, la tazza di tè infilata tra le dita e una pantofola sola appiccicata la piede. Mycroft solleva un solo sopracciglio, lancia a Sherlock uno sguardo al metà tra il compassionevole e il compassionevole. Sherlock sbuffa, irritato - John, per l’amor del cielo! - E John scuote un poco la testa, apre e chiude la bocca - Io - deglutisce - mi dispiace. È solo che è così inaspettato che- Sherlock, dall’altro capo della stanza, manco a dirlo, borbotta come un bambino, il sedere all’aria e la faccia seppellita tra i cuscini del divano. John è convinto abbia detto qualcosa del tipo inaspettato un piffero. Non ha davvero idea di dove possa averlo imparato.
Mycroft, però, ha ancora quel suo sopracciglio sollevato - È in grado di aiutarmi o essere arrivato fino a qui è stata solo un’immane perdita di tempo?
Sherlock apre un occhio - Ogni tua visita, Mycroft, è un’immane perdita di tempo - e John respira piano, rigurgita il suo tè ormai freddo, mentre Mycroft, più stizzito di quello che dà a vedere, sbatte l’ombrello sul loro bellissimo pavimento, fa dietrofront.
John sembra riprendersi giusto in tempo, quasi grida - Lo inviti a cena - occhiata scettica - o a pranzo - altra occhiata scettica - Insomma, lo inviti e basta
Mycroft è immobile come uno stoccafisso (Sherlock ne riderebbe se tutto quello non fosse così mortalmente noioso) Dice - Quindi lei suppone che il mio interesse sia ricambiato - ma John, a quel punto, è praticamente paonazzo e balbetta - Io uhm non- non-
Mycroft sussurra un “benissimo” che è tutto diabolico e (è un sorriso quello? ma che, sul serio? miodio) poi - Mi è stato estremamente utile, dottore, la ringrazio
John, comunque, ancora non c’ha capito niente e passa praticamente tutti i due giorni successivi a viziare e coccolare Sherlock che, per un qualche motivo assurdo e inconcepibile (per lui, almeno) non fa che guardarlo storto. Ouch.
 
 
 
 
Il volto di Greg è uno spettacolo per gli occhi anche se, ovviamente, Mycroft sa di essere di parte. Questa volta (e, di nuovo: John) ha deciso che la scorta non è necessaria e che è più che capace di chiedere a Greg di uscire senza fare la figura dell’imbecille (grazie, Sherlock)
Sguscia nel suo ufficio provando, e con successo, a non farsi beccare da quell’arpia bisbetica che Greg ha come secondo. Lo trova piegato sulla scrivania, la schiena ricurva, i capelli tutti spettinati a coprirgli la fronte e già così tutte le sue sinapsi vanno in tilt (e, di nuovo, il piccolo Sherlock nella sua testa - Patetico) Greg lo saluta con un sorriso incerto - Mycroft - dice e il suo nome, davvero, non gli è mai sembrato così bello - Ha bisogno di qualcosa?
- Oh io, non questa volta, Ispettore - per la regina, Mycroft, un po’ di contegno! Sembri John. Respira - Avevo solo bisogno di vederla
Greg schiude un poco gli occhi, sorpreso. Non ha mai visto Mycroft nervoso, se non nelle situazioni di estremo, grave pericolo e quella sua faccia contrita, allora, non fa che metterlo in ansia.
- Aveva bisogno di vedermi - ripete, come se non ci credesse e si aspettasse una sciagura da un momento all’altro.
- Esatto - mormora Mycroft e si stira col palmo la giacca, tira un poco il colletto inamidato - Vorrei che accettasse di uscire con me, uno di questi giorni - e la bocca di Greg si schiude in una piccola o perfetta - Lei vorrebbe-
- E, se non le dispiace, mi piacerebbe cominciare a chiamarla per nome. Credo che, ormai, formalità simili non siano più necessarie - tiene gli occhi bassi, la testa un poco a ciondoloni mentre Greg, dal canto suo, pare essersi dimenticato, tutto d’un botto, com’è che si respira. La sua cassa toracica fa come un rumore di scoppio e i suoi polmoni prendono a collassare su se stessi e il suo cuore, dio, il suo cuore comincia a correre e a correre, non si ferma più.
Il silenzio che ne segue è uno di quelli parecchio imbarazzanti. Greg arrossisce fino alla punta dei capelli e Mycroft, con gli occhi puntati nei suoi, comincia a pensare, a quel punto, che la sua sia stata davvero una pessima idea. Si schiarisce la gola, chiaramente in imbarazzo - Devo dedurre che sia un no?
Greg riprende l’uso della parola per miracolo - No, io- è solo che non pensavo-
- Posso sperare, allora? - e Greg si avvicina un poco a lui, non si sente più le gambe, lo guarda in faccia, gli occhi accesi, le guance tirate, e sorride piano, morbido - Accetto volentieri - poi ridacchia, la voce flebile e si sente una ragazzina, pensa che non sta dando proprio una buona impressione di se stesso - Entrambe le offerte - e il viso di Mycroft si spacca in due, gli afferra una mano e le sue dita sono caldissime, ustionanti, dice - Ti ringrazio, Gregory - e gli bacia piano il palmo, lo guarda come se qualcosa di importante, nella sua vita, si fosse finalmente realizzato. E Greg non ci può fare niente, arrossisce tutto e, inconsapevolmente, fa vincere a Sally Donovan la più grande scommessa della storia di Scotland Yard.
 
 
 
 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3699105