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di throughemiliaseyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Carpe Diem ***
Capitolo 2: *** Inconsuetudini ***



Capitolo 1
*** Carpe Diem ***


CARPE DIEM

Sapete quelle frasi dette e stra-ridette che tutti odiamo sentir dire o leggere in giro perché ritenute banali, ma che poi, puntualmente, ci tornano alla mente in determinati momenti della vita?
Bene. Io odiavo quella che diceva: “Carpe Diem.”
Probabilmente la odiavo perché ero solita a non cogliere l’attimo, a farmi sfuggire delle buone occasioni che la vita mi donava, per paura di affrontarne poi le conseguenze.
Alla veneranda età di venticinque anni, posso dire di essermi fatta sfuggire almeno tre ottime occasioni che avrebbero potuto cambiare la mia vita.
Quindi eccomi qui: single reduce da una deludente storia d’amore durata solo un estate, senza un titolo di studi che mi permetta di guadagnare migliaia di euro al mese e ancora a carico dei miei genitori.
Vivo in una città del sud Italia e per quanto io la ami, ho sempre sognato di poterla lasciare un giorno e ricominciare tutto d’accapo nell’altra parte del mondo, con persone nuove, posti nuovi, una nuova vita e una nuova me.
Attualmente, però, mi limito a sognare ad occhi aperti, mentre mi occupo dell’unica cosa che amo fare e per cui vengo pagata, ovvero fare la babysitter. Attualmente mi occupo di badare ai figli di una famiglia benestante del mio quartiere.
Amo molto i bambini ed in loro presenza riesco sempre a non sentirmi a disagio per la vita monotona e priva di ambizioni che conduco;
i bambini non stanno lì a chiedermi quand’è che mi deciderò a darmi una mossa, riprendendo gli studi e trovandomi buon lavoro ed un ragazzo in gamba che abbia un buon lavoro e che possa volermi sposare prima dei trent’anni (età apparentemente letale per noi ragazze.)
Mentre vesto i panni della babysitter, riesco a tornare bambina, riesco a rivivere quella spensieratezza, quella ingenuità e quel senso di tempo illimitato che avevo e mi sento bene, mi sento sollevata, ma in realtà, una volta che uscivo dal portone di casa dei De Bellis, tutte le mie ansie e preoccupazioni sulla mia vita e sul mio futuro, tornavano ad assalirmi.
Per non finire con l’affrontare la realtà e dover ammettere di essere infelice e delusa da come sono finita, la sera, dopo essermi preparata la cena, guardo un film alla tv o qualche episodio di un telefilm che seguo periodicamente.
Una di quelle sere, mentre guardavo Forrest Gump per la ventesima vota ed ammiravo l’interpretazione perfetta e toccante di Tom Hanks, mi squillò il cellulare.
Mi trovavo in camera mia, e leggendo che si trattasse della signora De Bellis, misi in pausa il film e risposi subito.
- Matilde, sono la signora De Bellis…
Ci tenne a specificarlo subito, come se credesse che non mi fossi ancora decisa a salvare il suo numero nella rubrica del mio telefono, dopo circa 7 mesi che lavoro per lei.
- Buonasera signora De Bellis, co-come mai mi telefona a quest’ora?
Finsi di non aver letto il suo nome sul display del mio cellulare.
- Disturbo, forse? Eri impegnata?
Lo disse con un tono di voce cortese che si usava in certe circostanze, ma pareva quasi dare per scontato che non avessi altro di meglio da fare se non starmene chiusa in casa.
Aveva ragione.
- No, no, si figuri, mi dica pure. È tutto a posto? I bambini stanno bene?
- Fortunatamente stanno bene, ascolta… ti chiamo per chiederti se domani mattina potresti cominciare prima del solito, devo essere in aeroporto entro le otto, mio marito come sai è fuori città per lavoro… dunque è meglio se arrivi da me per le sette. È possibile?
Feci un velocissimo calcolo mentale delle ore di sonno che avrei perso quella notte per svegliarmi in tempo e riuscire a prepararmi in fretta il giorno dopo, dunque con un tono di voce perplesso dall’avvilimento che stesse crescendo dentro di me, risposi:
- C-ce-certo… sì, non c’è problema.
Sapevo che me ne sarei pentita appena sarei stata svegliata all’alba dalla sveglia.
- Bene.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi mi precipitai a chiederle:
- Deve partire?
Claudia De Bellis era una giovane donna di trentacinque anni, sposata da otto anni con un banchiere di quarant’anni e madre di due bambini: Saverio di sette anni e Carlotta di cinque.
Claudia era un imprenditrice dell’azienda di famiglia e spesso capitava che partisse per lavoro con breve preavviso, dunque la mia domanda era del tutto lecita e normale, ma quella volta, dal tono di voce disturbato con cui mi rispose, dedussi che si sentì quasi invadere la propria privacy.
- No, affatto, Matilde. Devo andare a prendere mio fratello che torna da Manchester.
- Oh…
Fu tutto ciò che riuscì a dire, anche perché mi resi conto in quello stesso momento, che non ne ero interessata.
- Allora posso contare sulla tua puntualità?
Ne fui quasi offesa, ma sono un tipo orgoglioso, sentir dubitare della mia serietà a lavoro, mi portava a mostrarlo.
- Certo che può contarci, signora Claudia.
Quasi mi sembrò di risentire lei in me per quel breve momento, dopodiché tornai umile ed aggiunsi.
- Sarò da lei alle sette.
- Molto bene, allora trascorri una buona serata e scusa l’interruzione.
Lo disse con un tono di voce che mi fece pensare ad una presa in giro, come se avesse usato quelle parole cortesi per le circostanze e non perché ci credesse davvero.
Sembrava essere sicura di non aver potuto interrompere nulla di interessante, perché sapeva che non ero affatto un tipo impegnato o tantomeno interessante, occupata a mandare avanti una vita sociale, mentre non mi occupassi dei suoi figli.
- Si figuri…
Riagganciò ed allontanando il cellulare dall’orecchio, ne fissai il display per qualche secondo, dopodiché spostai lo sguardo verso la tv ed ammettendo che la signora De Bellis avesse ragione a non dubitare della mia monotona vita, borbottai:
- Scusa l’interruzione, Forrest…
Ripresi a guardare il film e finii con l’addormentarmi poco dopo, con la voce della mia coscienza in testa che mi ripeteva: “combina qualcosa nella tua vita, prima di arrivare alla menopausa!”
Come previsto, quando la sveglia suonò quel mattino, iniziai a maledirmi per aver accettato di trovarmi a casa della signora De Bellis così presto.
Era il mese di giugno, dunque indossai dei leggeri pantaloni di cotone con fantasie floreali su uno sfondo bianco, ed una t-shirt a giro-maniche mono-tono bianca, leggermente scollata sul seno.
Indossai un paio di sandali aperti e con la mia borsa stile Mary Poppins, mi recai a casa della signora De Bellis.
Da casa mia a piedi, impiegavo circa venti minuti ad arrivarci, dunque dovetti uscir di casa alle sei e mezza circa, per trovarmi in orario e mente camminavo, alzavo di una tacchetta il volume della musica nelle mie cuffiette collegate al cellulare, per evitare di sentire le brutte parole che stessi dicendo a me stessa nella testa.
Arrivai quasi avendo il fiatone, non ero abituata a far le corse all’alba, ma per fortuna la signora Claudia parve non notarlo, o almeno finse di non farlo.
- Eccoti, finalmente… devo scappare, altrimenti chi la sente mia madre, se lascio aspettare il suo figlio preferito in aeroporto per più di tre minuti. Sveglia tu i bambini, ma non più tardi delle nove, ok?
Parlava di fretta, senza neppure guardarmi, mentre riempiva la sua costosa borsa di Luis Vuitton con patente di guida, carte di credito e altre cose a cui non prestai attenzione.
Al contrario, notai sin da subito il suo tono di voce sarcastico e chiaramente infastidito mentre si riferiva a sua madre e a quella sua apparente preferenza verso il fratello, ma poi me la ritrovai davanti che mi guardava, prima di uscir di casa, dubbiosa sul fatto che fossi realmente sveglia ed attenta.
Allora, non appena me ne accorsi, per smentire ogni suo dubbio, mi precipitai a risponderle:
- Non si preoccupi, signora Claudia. Ci penso io.
Parlai con tono tanto rassicurante e determinato, che riuscii a percepire del sollievo da parte sua, dopodiché mi mostrò un lieve sorriso e senza scomporsi, prese la sua borsa ed indossando un paio di jeans ed una camicia azzurra in lino portata nei jeans, col suo bel fisico atletico, alto e snello, uscì di casa, dicendomi:
- Grazie, Matilde…
Feci come mi chiese e mi assicurai di svegliare i bambini non dopo le dieci e non prima di aver preparato loro la colazione.
I figli di Claudia erano due uragani, un po’ come tutti i bambini della loro età e quel mattino non appena si resero conto che fossi stata io a svegliarli, balzarono giù dal letto felici di rivedermi e dopo avermi regalato un adorabile abbraccio di gruppo molto affettuoso, corsero giù dalle scale del piano superiore, per arrivare in cucina, attirati dall’odore della colazione.
Non appena la signora Claudia fu andata via quella mattina, ispezionai la cucina in cerca di alcuni ingredienti per preparare qualche veloce muffin e stupendomi che ci fosse ancora del restante cacao in polvere che comprai più di due settimane prima, mi feci trasportare dalla mia voglia di far dolci di buon mattino e riuscii a prepararne sei, giusto in tempo per far fare una golosa colazione ai bambini.
- Ma non ci sono i pezzi di cioccolata dentro come l’altra volta!
Disse Carlotta mentre sedeva in modo scomposto sulla sedia della tavola in cucina, tenendo serrato tra le mani uno dei muffin tiepidi, morsicchiato tutto da un lato.
Suo fratello Saverio le sedeva accanto e come al solito era lì, silenzioso e pacato a consumare la colazione, con dinnanzi a sé la sua tazza di latte preferita con sopra raffigurato Iron Man.
Io asciugavo delle piatti e delle posate appena lavati, che avevo sporcato per preparare quei muffin e voltandomi a guardare la bambina, alzando le sopracciglia comportandomi come al solito da buffa, le risposi:
- Erano finite le gocce di cioccolato… non ti piacciono così?
La bambina visibilmente delusa, guardò l’interno del muffin per assicurarsi che dicessi il vero, dopodiché mi rispose:
- Con le gocce erano più buoni…
- A me piacciono lo stesso.
Rispose Saverio, riuscendo a strapparmi un sorriso, al ché gli dissi:
- Oh, grazie tesoro.
- Prego.
Disse scrollando le spalle ed inzuppò il muffin per poi addentarne un altro pezzo, con gusto.
Al ché sua sorella restò a fissarlo per qualche secondo, dopodiché provò a fidarsi di lui e lo imitò, inzuppando anche il suo muffin nel latte e ne mangiò il restò apparendo soddisfatta del sapore, nonostante l’assenza delle gocce di cioccolato.
Quando finirono di mangiare, concessi loro di guardare un po’ di televisione, mentre finivo di lavare gli ultimi utensili sporchi, ma riuscivo a sentirli in soggiorno, litigare su quale canale restare sintonizzati.
La signora Claudia non amava far trascorrere troppo tempo ai loro figli dinnanzi alla tv, diceva che non faceva bene al loro intelletto e follie simili, probabilmente lo aveva letto sulle sue care riviste di glamour a cui era abbonata;
ma in sua assenza, pensai di fare uno strappo alla regola, mentre finivo di riordinare la cucina, prima di andare in bagno a lavarli e vestirli per la giornata.
- Voglio vedere le fate!!
- NO! Ho detto che voglio vedere i pirati, non le tue stupide fate dementi!
- Non sono dementi!!!
- Lascia!
- No! Dammelo! Dammelooooooo!!
- La-sci-aaaaaa!!
- Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!
Carlotta cominciò a piangere e mi precipitai subito in soggiorno, temendo che si fosse fatta male in qualche modo, per fortuna Saverio non era un bambino violento, al contrario era molto comprensivo e maturo per la sua età, eppure quel mattino non volle darla vinta alla sua sorellina, che essendo capricciosa, iniziò ad urlare e piangere contro suo fratello.
- Ehi, ehi, ehi, basta! Smettetela!
Tirai subito da mano il telecomando dalle loro mani, ed abbassando il volume del televisore, li divisi, e presi tra le braccia la bambina, che volle essere consolata tra le lacrime, accusando suo fratello di averle messo le mani addosso.
Al ché il bambino offeso dal suo comportamento, le disse accigliando lo sguardo:
- Non ti ho picchiata, frignona!
Charlotte pianse più forte abbracciandomi, sapendo di riuscire ad arruffianarmi, intenerendomi con le sue lacrime, così guardai Saverio e standogli in piedi accanto al divano, con sua sorella in braccio, avvinghiata a me come un piccolo koala, gli dissi:
- Perché non vieni in cucina ad aiutarmi e lasciamo tua sorella qui in soggiorno, prima di andare in bagno a lavarci? Eh? Che ne dici, ti va?
Saverio sbuffò e mi lanciò un’occhiata carica di delusione, dopodiché si alzò dal divano e rinunciando al suo cartone animato senza farselo dire due volte, si diresse in cucina.
Lo raggiunsi subito dopo aver calmato il pianto della sorellina e dopo averle sintonizzato il canale in cui trasmettevano il cartone animato delle fatine.
Lo ritrovai seduto con i gomiti poggiati sulla tavola, che si teneva su il capo, poggiando i pugni chiusi accanto alle sue guance, in una posta arrabbiata, tipica dei bambini della sua età.
Sospirai ed avvicinandomi a lui, gli accarezzai il capo e passando le dita tra i suoi corti e folti capelli castani, gli dissi:
- Tesoro, lo sai com’è fatta tua sorella…
Col broncio, il bambino mi rispose senza guardarmi:
- Non l’ho picchiata.
Sorrisi dolcemente e prolungando quella carezza sulla sua guancia, aggiunsi:
- Lo so… lo so piccolo… ma non è ancora comprensiva quanto te…
- Non è giusto, però!
Sorrisi e riuscendo a smuoverlo da quella posizione e facendomi guardare in faccia, mi misi a sedere su una sedia accanto a lui e tenendo poggiata una mano sulla sua, gli dissi:
- Quando avevo la tua età, mia cugina minore si comportava proprio come tua sorella e a me toccava sempre comportarmi da “grande”, anche se non lo ero e questo mi faceva arrabbiare quasi quanto fa arrabbiare te...
Mi guardò come se avessi esattamente capito come si sentisse, al ché mi chinai verso il suo visino ed arruffandogli i capelli, aggiunsi:
- In compenso, però ho imparato un sacco di cose che lei non ha ancora imparato a fare...
- Tipo cosa?
- Tipo riporre via le stoviglie nei mobili in modo ordinato!
Chiaramente scherzai, ma il bambino riuscì a sorridere e facendo roteare gli occhi al cielo, scese dalla sedia e si offrì di darmi una mano a mettere via tutto, prima di andare in bagno a lavarsi.
Preparai i due bambini alla giornata.
Feci loro il bagno, li feci lavare i dentini, dopodiché li vestii e giusto mentre stavo pettinando i lunghi capelli biondi di Carlotta, sentii sua madre rientrare in casa.
Saverio indossava dei pantaloni corti grigio scuri e una t-shirt a maniche corte bianca, che metteva in risalto la sua abbronzatura presa al mare, con i capelli ben pettinati.
Era abbastanza alto per la sua età, ed aveva il fisico snello come quello di sua madre.
Carlotta, invece era un po’ più in carne e questo, assieme ai suoi colori chiari di occhi e capelli, la rendevano ancor più adorabile agli occhi di chiunque.
Le feci indossare un vestitino a giro-maniche beige di cotone leggero e le legai i lunghi capelli dorati in un’alta coda di cavallo.
Non appena sentì aprire la porta di casa, Saverio corse verso l’ingresso vestito e preparato e io e Carlotta lo sentimmo urlare dal bagno, dire:
- Zio Riccardo!!
- Ehi, hombre, a mì no me saluti?
Sentii un sospetto accento spagnolo e dubitai si trattasse del fratello minore della signora Claudia, al ché sentii Saverio, gridar di gioia:
- Tiooooooooo!!
Vidi il riflesso di Carlotta nello specchio del bagno, che sbarro gli occhi stupita e felicissima, poi corse via in soggiorno giusto in tempo che finissi di legarle i capelli.
Al ché incuriosita da tutto quel trambusto e chiedendomi chi ci fosse assieme al fratello della signora Claudia, mi diressi in soggiorno, leggermente spettinata, ma con tutto il resto in ordine.
Non appena arrivai, vidi Claudia alzare lo sguardo verso di me, mentre riponeva via le chiavi dell’auto sul piattino in fantasia di ceramica posto all’ingresso su un mobile in legno, ovviamente molto costoso.
- Oh, sei qui, Matilde…
Dove sarei dovuta essere? – mi chiesi, ma poi smisi di guardarla, lasciandomi catturare dalla visione del ragazzo mulatto, non troppo alto, dai lunghi dreadlocks (i rasta) sulla testa, che teneva in braccio Saverio e che mi fissava con un aria strana, quasi come se fosse stato sorpreso di vedermi essere lì.
Era vestito con una camicia rosa pastello, di una taglia più grande (forse due) ed un paio di bermuda beige modello larghi, e nonostante il suo look oversize, riuscii a notare che avesse un bel fisico asciutto e muscoloso al di sotto dei vestiti.
Rimasi colpita dal suo bell’aspetto e dai suoi occhi scuri che penetravano nei miei, in un modo tanto invadente quanto imbarazzante, dunque dopo aver retto il suo sguardo per qualche secondo, mi arresi alla mia timidezza ed abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo distrattamente e notai Riccardo.
Avevo visto soltanto una volta il fratello di Claudia in casa sua qualche mese prima, le altre due volte erano state per strada, durante le scorse estati, quando si degnava di tornare in città a far visita alla sua famiglia.
Sembrava dimagrito.
Indossava dei semplici jeans azzurri ed una camicia bianca in lino con le maniche risvoltate fino quasi ai gomiti.
A quanto ne sapevo era un giovane imprenditore di trent’anni, che viveva tutto l’anno a Manchester, città in cui si era trasferito dopo la laurea in economia e commercio.
In paese lo conoscevano tutti per il suo successo lavorativo, ma soprattutto per la sua bella personalità sempre socievole ed affascinante.
Complice anche il suo bell’aspetto: alto circa 1,85 cm, fisico atletico come quello di sua sorella, con spalle larghe, viso d’angelo con capelli castani mossi, occhi azzurri, naso sottile e dritto, con bocca poco carnosa in confronto a quella di sua sorella ed un filo di barba incolta castano chiara a contornargli il viso.
Somigliava tutto a suo padre da giovane (avevo potuto constatarlo sbirciando tra le foto di famiglia esposte nel soggiorno di Claudia) e con orgoglio mandava avanti il buon nome della famiglia De Bellis, pur non essendo ancora sposato e non avendo ancora generato dei figli maschi.
Non eravamo in confidenza, non avevamo mai avuto modo di conoscerci: lavoravo per sua sorella da soli sette mesi, ed uno come lui, se lo incontravo per le strade del paese, di certo non si fermava per salutarmi o per attaccare bottone.
Io non ho il fisico statuario dei De Bellis, sono alta a malapena 1,70 cm, peso…  meglio non dirlo, ma ho più curve di Claudia (anche lì dove agli uomini faceva sempre tanto piacere) ho lunghi capelli castani e con un viso a mio parere anonimo.
Non attiro l’attenzione dei tipi come i De Bellis, eppure il loro amico dalla bellezza caraibica, continuava a fissarmi, come un mastino fissava una bistecca.
Tornai a guardarlo, chiedendomi perché continuasse a guardarmi in quel modo, ma poi sentii Claudia, che mi disse:
- Conosci già mio fratello, non è vero?
- Ehm, sì…
Tecnicamente no, ma vabbè-pensai-meglio assecondarla.
- Bentornato signor De Bellis.
Mi affrettai a dire, prima di far capire al suo amico che mi stesse mettendo a disagio con quel suo sguardo, al ché Riccardo mi rivolse un sorriso distratto, dicendomi:
- Chiamami Riccardo, non sono io a pagarti lo stipendio.
- Ricki!
Riccardo si fece una risatina, poi si chinò e prese in braccio la sua nipotina e le fece fare una giravolta in aria gioiosamente, infischiandosi di ciò che stesse continuando a dirgli sua sorella, un po’ come feci io, tornando ad incrociare lo sguardo del suo amico.
Claudia smise di rimproverare inutilmente suo fratello e si voltò verso di me, dicendomi:
- Questo è l’amico Javier di mio fratello, resteranno in città per l’estate. Ma…
Si fermò ad annusare il profumo nell’aria ed aggiunse con sospetto:
- Matilde, hai di nuovo preparato i muffin??
Lo chiese con un tono di rimprovero, al ché smisi totalmente di chiedermi cosa avesse tanto da fissarmi in quel modo Javier, e dubbiosa, risposi:
- S-sì… perc…?
- Sai che voglio che i miei figli seguano una dieta salutare, schifezze del genere gli sono concesse una volta a settimana, non due! Mi pare li preparasti già martedì.
Mi interruppe e mi rimproverò davanti a tutti, facendomi sentire un’irresponsabile, al ché Riccardo, si avviò in cucina con sua nipote tra le braccia e disse:
- Muffin fatti in casa? Mmmh… ne voglio assaggiare assolutamente uno!
- Oh, anch’io!
Vidi Javier sorridere con la coda dell’occhio, mentre raggiungeva la cucina, mettendo giù Saverio che li seguì a ruota.
Rimasi lì immobile, sorpresa di avere così tante richieste per i miei muffin, ma poi inciampai di nuovo nello sguardo rimproverante di Claudia e sobbalzai, mostrandomi mortificata, dicendole:
- Mi dispiace, signora Claudia, non ricapiterà…
- Sarà meglio per te…
Con quelle poche ma pungenti parole, mi fece capire che avrei fatto bene a rigar dritto ed attenermi a tutte le direttive che mi dava sui figli, se non avessi voluto perdere il lavoro.
Seguimmo i ragazzi in cucina e li vidi servirsi da soli dei muffin rimasti sul vassoio in tavola, dalla colazione dei bambini, dopodiché restai a guardarli addentare il primo morso, stando in ansia neanche fossi stata un concorrente di Master Chef in attesa di giudizio.
Il primo a complimentarsi per il buon gusto, fu Javier, che ad occhi chiusi assaporava il sapore e ancora con la bocca piena, mi disse:
- Squissito!
Pronunciò quelle parole con un marcato accento spagnolo ricaduto sulla seconda S, e dopo di lui si accodò Riccardo, il quale con meno trasporto, commentò:
- Non male, ma mancano le gocce di cioccolato... in più avresti dovuto aumentare le dosi del latte, sono un po’ troppo secchi per i miei gusti.
Mi voltai verso di lui sorpresa che avesse così un così tanto esperto palato, ma soprattutto mi sorprese il fatto che avesse fatto la stessa osservazione di sua nipote, al ché sentii proprio Carlotta, rispondergli:
- Gliel’ho detto anche io che mancano le gocce di cioccolato, ma dice che sono buoni comunque…
Riccardo alzò via lo sguardo da sua nipote e mi guardò per qualche secondo, chissà, forse avrebbe voluto dirmi qualcosa, ma Saverio lo interruppe e disse:
- Sono buoni anche così.
Non riuscì a trattenere un sorriso al dolce tentativo del bambino di prendere le mie “difese.”
A quel punto, Claudia irruppe e disse:
- Beh, quando avrete finito di ingozzarvi, sarà meglio che vi sbrighiate. Mamma ha già chiamato tre volte, dopo che le avevo detto che eri arrivato sano e salvo.
- Non le hai detto che ci siamo fermati a farle un regalo?
- No. Meglio farle credere che te ne sei ricordato a Manchester e non in aeroporto.
Riccardo ridacchiò sotto i baffi, colpevole, al ché mangiò l’ultimo boccone di muffin al cioccolato e sfregandosi le mani per le briciole, sulla tavola, si alzò dalla sedia e disse:
- Vado in bagno ed usciamo…
Nel frattempo ricaddi vittima dello sguardo di Javier che si stava succhiando un pollice ricoperto di cacao e mi guardava come se avesse voluto farlo con una parte del mio corpo, anziché col proprio pollice.
Sbarrai leggermente gli occhi, capendo quelle sue maliziose intenzioni solo tramite lo sguardo che mi rivolse e rimasi a fissarlo incredula.
Andarono via poco dopo, lasciandomi con i bambini per tutto il pomeriggio, senza rientrare a pranzo.
Mi chiesi come facesse una madre a trascorrere così tanto tempo lontana dai propri figli, senza avere la volontà di preparar loro il pranzo e trascorrere le giornate insieme, anziché lasciarglielo fare ad una babysitter, ma cercavo di non chiedermelo troppo spesso sin da quando fui assunta.
Pranzare con Carlotta e Saverio era sempre un piacere per me, era un po’ come cucinare per i miei fratellini, anche se avevo venticinque anni, non mi sentivo ancora in età materna, al contrario continuavo ancora a sentire la mancanza di un fratello o di una sorella a cui badare o con cui crescere.
Essendo figlia unica, avevo sempre sentito la mancanza di un fratello nella mia vita e continuando ad avere un animo infantile e da eterna bambina, consideravo quei due bambini come mie fratelli e non come probabili figli e la cosa mi andava più che bene.
La mia coscienza, continuava a ripetermi che avevo l’età giusta per diventare madre, ma non mi sentivo ancora pronta per prendermi una tale responsabilità. Non mi sentivo ancora pronta a crescere, era questa l’unica verità.
Cercai di smettere di pensare a quanto fossi infelice del mio modo d’essere e a quanto poco facessi per cambiare e terminai le mie ore di lavoro, una volta che Claudia fece ritorno a casa da sola.
Salutai lei ed i bambini, poi come al solito me ne tornai a casa a riposare.
Trascorse una settimana dal ritorno in città di Riccardo De Bellis e sua sorella, non faceva altro che lamentarsi dello stile di vita disordinato, stravagante e a parer suo inconcepibile che conducesse suo fratello assieme all’amico Javier.
Ero venuta a conoscenza della nazionalità del ragazzo: era Domenicano e quelle due volte che lo incrociai quando passò per casa di Claudia, mi rivolse parola in un modo tanto gentile, quanto sensuale.
Sembra strano anche a me pensare che io possa interessargli, eppure è ciò che mi ha fatto capire, guardandomi con desiderio, quasi come se fosse stato sul punto di baciarmi da un momento all’altro, come se avesse voluto sussurrarmi quanto gli piacesse il mio corpo, anche se del mio corpo non ci fosse nulla di particolarmente attraente, fatta eccezione del mio seno grosso.
Scambiammo giusto qualche parola, aveva una bella voce, calda, sensuale, tipica di un sudamericano (anche se in realtà venisse dal centroamerica.)
Una delle due volte che ci incrociammo da Claudia, mi chiese se volessi uscire con lui, ma rifiutai subito il suo invito, quasi come se mi avesse invitato ad andarci a letto.
A quanto ne sapevo, lui e Riccardo trascorrevano le intere giornate insieme, andando al mare con degli amici, organizzando cene la sera a casa di qualche amico oppure andando in giro per locali.
Una sera, mentre ero a casa, presa da un momento di curiosità insolita, andai a cercare Javier su facebook, per saperne di più su di lui.
Il suo profilo era mezzo pubblico e mezzo privato, riuscii a vederci qualche foto di gruppo con degli amici e tra queste comparve anche qualcuna con Riccardo.
Javier, secondo le sue informazioni su facebook risultava essere single e la cosa mi fece stranamente piacere, quasi come se avessi avuto conferma che non mi stesse prendendo in giro quando mi guardava in quel modo.
Sulla sua bacheca c’erano vari messaggi in lingua spagnola da parte di qualche parente che viveva nella Repubblica Domenicana, tra cui sorelle, fratelli e zii.
Riuscii a capirne i significati, grazie allo spagnolo che un tempo studiavo, dicevano quasi tutti la stessa cosa: ovvero quanto sentissero tutti la sua mancanza e quanto fossero impazienti di rivederlo tornare a Santo Domingo.
Mi feci un po’ i fatti suoi, notai che in molte foto fosse abbracciato ad una ragazza sempre diversa dall’altra e questa cosa la diceva lunga sulla sua presunta reputazione di latin lover che mi ero fatta su di lui nella mia mente, e che quasi sicuramente non fosse incorretta.
Senza volerlo veramente, capitai sul profilo di Riccardo De Bellis, profilo chiaramente privato, ma non troppo.
In alcune foto non protette dalla privacy, notai quanto fossero frequenti delle foto di lui assieme ad una ragazza alta, magra, bionda e da un largo sorriso: proprio l’ideale di donna che mi ero immaginata per lui.
Nei giorni seguenti, vidi Riccardo frequentare più spesso casa di sua sorella, parlava molto con suo cognato Ettore, marito di Claudia, ma non ficcavo mai il naso nei loro discorsi, anche perché sembravano essere mortalmente noiosi e legati all’economia.
Uno di quei giorni, accompagnato da Javier li sentii parlare all’ingresso, mentre mi trovavo lì vicino per recuperare dei giochi di Carlotta che avesse lasciato in giro per casa.
- Ehi…
Riconobbi il tono di voce di Javier ed alzai lo sguardo verso di loro, notando Riccardo aprire la porta d’ingresso dandomi le spalle e Javier avvicinarsi di qualche passo a me, chiedendomi:
- Che fai stasera?
Me ne stetti in silenzio per qualche secondo, dopodiché risposi senza dare una vera risposta.
- Perché?
- Perché non esci con me?
Eccolo ancora una volta a provarci, ma avevo troppa paura ad accettare e cogliere l’attimo, dunque mi presi qualche attimo per pensare ad una scusa da trovare per rifiutare l’invito in modo convincente.
In quel momento vidi Claudia passarci accanto per superarci ed entrare in cucina, incrociai il suo sguardo e capii che il fatto che l’amico di suo fratello mi stesse invitando ad uscire con la sua cerchia di amici di un livello decisamente più alto del mio, le desse chiaramente fastidio.
Dunque per evitare problemi col mio lavoro, trovai la scusa perfetta con me stessa per declinare l’offerta.
Abbassai lo sguardo e scuotendo il capo stavo per rispondergli, ma sentii Riccardo anticiparmi e dire all’amico:
- Ti aspetto fuori… non metterci troppo.
- El tiempo de convincerla.
Gli rispose mentre guardava me e mi rivolgeva un mezzo sorrisetto sghembo, al ché Riccardo si voltò a guardarci e con un piede fuori casa, aggiunse:
- Tanto non hai speranze, non verrà mai…
Alzai lo sguardo verso di lui a quelle parole, ma si chiuse la porta alle spalle impedendomi di vederlo.
Mi sorprese, e nella mia mente cominciai a vedere quella frase come una cosa negativa, quasi come se fosse stata la mia coscienza a parlare, come se anche lui avesse saputo che preferivo restarmene a casa piuttosto che circondarmi da coetanei che potessero mettere a confronto la mia vita con la loro e farla apparire ancor più miserabile di quanto fosse.
Javier non badò alle parole dell’amico e continuando a guardarmi per cercare di convincermi, disse:
- Se vuoi porta un’amica, ci vediamo stasera al Tropeiz… sai dov’è il Tropeiz?
Il Tropeiz era un locale molto in voga tra i ragazzi della città e si trovava non distante dalle spiagge.
Non ci ero mai stata, ma lo conoscevo benissimo e dunque il fatto che lui potesse dubitare anche solo per un attimo che io potessi non conoscerlo ed essere la triste ragazza priva di una vita sociale che in realtà sono, mi fece assumere un tono di voce deciso ed orgoglioso nel rispondergli.
- Ovvio che lo conosco.
Mi rivolse un cenno di sorriso mi guardò sperando di rivedermi quella stessa sera, poi disse:
- Ti aspetto, allora, amore…
Probabilmente non dava il giusto peso alle parole che utilizzava mentre parlava, ma non mi disturbò affatto, sentirmi chiamare “amore” da uno come lui, dunque rimasi lì sull’uscio, con l’ansia che mi assaliva, man mano che realizzavo che avevo accettato l’invito e che così avrei dato uno bello schiaffo morale alla mia coscienza.
D’un tratto dimenticai quello che stessi facendo, prima di essere stata interrotta da loro e cominciai ad andare in panico, realizzando che non avrei avuto niente di carino da indossare e che probabilmente l’unica amica a cui avrei potuto chiedere di accompagnarmi, sarebbe potuta essere già occupata per la serata.
Carpe Diem, questa volta stavo cogliendo l’attimo, stavo cogliendo una buona occasione per cambiare un po’ l’andamento della mia monotona vita e seppur avessi paura dentro di me, riuscivo finalmente a sentirmi viva.


 

Eccomi qui a finire il primo capitolo di una storia che mi sentivo di scrivere da un po' di tempo. 
Ho smesso di scrivere da un po', ma spero di rientrare presto nel giro e migliorarmi ogni volta, ma sorattutto spero che voi possiate continuare a leggermi e anche a lasciarmi dei commenti. 
Al prossimo capitolo. xo. 

PS: Oh, e... se volete immaginarvi bene il volto di Riccardo De Bellis, così come ho fatto io, allora  fatelo andando su Google, scrivendo nella sezioni immagini  "Sam Claflin"  Spero di riuscire a darvi altri punti di riferimento anche per il resto dei personaggi. 

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Capitolo 2
*** Inconsuetudini ***


INCONSUETUDINI
Così come avevo previsto, la mia amica Sabrina quella sera aveva già un impegno.
La cosa mi diede fastidio, non tanto perché uscisse con altri amici, ma perché così come me, lei non usciva quasi mai e l’unica volta che avrei desiderato che fosse libera, non lo era.
Sabrina ha trent’anni, abbiamo cinque anni di differenza, ci siamo conosciute tre anni fa al corso di scuola guida.
Sia io che lei ci eravamo decise a prendere la patente un po’ più avanti con l’età rispetto a quella degli altri ragazzi nostri colleghi di corso, e forse proprio il fatto che ci sentissimo entrambe dei pesci fuor d’acqua circondate da adolescenti, ci aveva fatte avvicinare.
Non so come sia possibile che la nostra amicizia sia durata così tanto, probabilmente se non fosse stato per quel corso della patente, non sarei mai diventata sua amica, siamo molto diverse caratterialmente parlando.
Non voglio essere fraintesa, Sabrina è una ragazza d’oro, dal cuore buono, gentile e sempre disponibile nei momenti di difficoltà, non sarei sua amica altrimenti.
Purtroppo però, ha un animo pessimista, che va a scontrarsi con il mio che nonostante tutto cerca sempre di vedere il lato positivo delle cose.
Sabrina tende a buttarsi giù con poco, mentre io provo comunque a tirarmi su e darmi forza con la speranza che prima o poi i miei sogni possano diventare realtà e che le cose possano cambiare.
A differenza mia, lei sembra essere molto meno sognatrice, mi dice che ha smesso di sognare da quando ha capito che per realizzare i propri sogni bisogna avere molti soldi sul conto in banca e una bella sfilza di raccomandazioni alle spalle.
Entrambe, però, siamo delle ragazze serie e quando uso la parola “serie” per descriverci, intendo dire che non siamo delle troiette che vanno facilmente con i ragazzi.
Probabilmente ad alimentare questo nostro lato da brave ragazze, oltre alla morale, incide anche la nostra insicurezza fisica.
Sebbene io sia molto migliorata negli anni, lei pare invece essere peggiorata in confronto a com’era all’età di vent’anni.
Ha messo qualche chilo di toppo e non si sente più a suo agio col proprio corpo e ciò la porta a ad avere sempre meno fiducia e stima in sé stessa.
Probabilmente, è proprio questo lato di lei ad accomunarci, perché seppur io sia un tantino più positiva di lei, alla fin fine ho le sue stesse paure, i suoi stessi limiti, soltanto che non riesco ancora ad ammetterlo apertamente così come fa lei.
Quella sera, infatti, dopo aver ricevuto il due di picche da parte sua, me ne restai a casa, declinando così l’invito di Javier ad uscire con lui ed i suoi amici, rinunciando ad un’altra potenziale buona occasione di cambiare la routine monotona della mia vita.
Mentre cercavo di dormire, rigirandomi nel mio letto, una vocina dentro di me, continuava a ripetermi: “ora non lamentarti più della tua vita piatta e priva di avvenimenti, perché sei tu a renderla tale.”
Non dissi a Sabrina che saremmo potute uscire con la comitiva di De Bellis, perché probabilmente avrebbe mandato a monte i suoi impegni per esserci e forse fu proprio quella probabilità a spingermi a non dirglielo.
Non volevo andare al Tropeiz, non mi sentivo pronta, non mi sentivo all’altezza, non volevo espormi, preferivo restarmene nel guscio protetto delle mura di casa mia, dove l’unica a potermi giudicare ero io e nessun altro.
Il giorno dopo mi feci coraggio ed andari a lavoro come sempre, ma con la paura di poter rivedere Javier e dover giustificare la mia assenza al Tropeiz della scorsa sera, inventando una scusa che sicuramente sarebbe risultata ridicola e stupida per dei tipi come loro.
Per mia fortuna, però, quel giorno né Javier, né tantomeno il fratello della signora Claudia, si presentarono a casa della donna e io avrei avuto più tempo per lavorare su una scusa plausibile da trovarmi per giustificare il fatto che avessi dato buca al bellissimo Domenicano.
Il giorno dopo, però mi ritrovai Riccardo a casa della signora Claudia a letto malato con la febbre alta.
Sua sorella non me ne aveva dato il minimo preavviso, ma si era limitata a chiedermi se avessi il contagio facile e se mi disturbasse il fatto di trovarmi in casa un febbricitante, con la stessa esagerazione con cui si parlasse di un appestato del dopoguerra.
Mi occupai come al solito dei bambini, dopo le prime necessità come mangiare e lavarsi, promisi loro di portarli al parco se prima Saverio avesse completato almeno un capitolo del suo libro scolastico di esercizi per le vacanze.
Saverio era un bambino ubbidiente, dunque da bravo bambino, fece il suo dovere per ottenere quell’uscita premio.
Se avessi potuto avere una preferenza tra i due, avrei scelto lui, ma non potevo averne, non soltanto perché era sbagliato e non giusto, ma anche perché Carlotta era altrettanto adorabile.
All’inizio che cominciai a lavorare con loro, faticai un po’ ad entrare nelle sue grazie, ma riuscii a lavorarmela con qualche dolcetto e col mio spirito da eterna bambina che viveva perennemente in me e che parve piacerle molto, dunque diventai presto la sua amica fidata.
Sua madre mi diceva che durante le sere in cui non ero di turno, faticava a mandarla a dormire: aveva bisogno di sentire la mia voce e ricevere, dunque da mesi quasi ogni sera, ricevevo una sua telefonata per darle la buonanotte.
La cosa mi riempiva il cuore di dolcezza, mi faceva sentire importante per qualcuno, ed esserlo per una bambina, quasi mi emozionava.
Una volta rientrati dalla passeggiata nel parco, con i bambini sudaticci e stanchi, li obbligai a fare un bagno fresco, dopodiché preparai loro la merenda salutare che mi aveva imposto di preparargli la loro madre: composta da spremute d’arancia e diversi tipi di frutta tagliati a pezzetti in grandi ciotole colorate in ceramica che la loro nonna materna gli avesse regalato di ritorno dal suo soggiorno ad Amalfi, la scorsa estate (aneddoto che mi aveva raccontato Carlotta, un giorno in cui ci teneva a farmi sapere perché la sua preferita fosse quella con su disegnati dei limoni gialli.)
Dopo la merenda, rientrò in casa la signora Claudia e mi disse che era rientrata per una sosta veloce e che sarebbe dovuta riuscire per andare dall’estetista.
Mi chiese cosa avessero fatto i suoi figli e una volta che glielo comunicai, parve soddisfatta, quasi come se stessi mandando avanti l’azienda di famiglia e non le vite dei suoi figli.
- Puoi lasciarli per un po’ davanti la tivù, ma sintonizzali sui canali inglesi per bambini, non voglio che dimentichino i progressi fatti fin ora con la lingua. E per favore non lasciare che Saverio guardi ancora cartoni violenti, temo stia diventando un po’ troppo aggressivo ultimamente…
Aggrottai le sopracciglia nel sentirglielo dire, non era vero, quel bambino era un angelo e in lui non c’era nulla di aggressivo se non quel tanto che bastasse per renderlo un comune bambino di sette anni in fase di crescita.
Non mi diede modo di parlare, che mente si preparava ancora una volta ad uscire di casa, mi disse:
- Oh, a proposito, Matilde... ti dispiacerebbe badare a mio fratello? Tra mezz’ora dovrebbe arrivare il dottore a visitarlo, potresti gentilmente occupartene tu? Temo di non poter trattenermi ad aspettarlo.
Balbettai qualche parolina confusa, senza riuscire a comporre una frase composta, ma lei parve non darmi importanza ed aggiunse:
- Ma ti prego, fa in modo che i bambini non entrino in camera sua, non voglio che ne vengano contagiati, sarebbe una tragedia se prendessero la febbre a pochi giorni dalla partenza per il Marocco.
Come se ciò avesse potuto impedirle di partire comunque – pensai tra me e me.
Mi convinsi a fare come mi chiese e una volta che avesse salutato i suoi bambini e fosse uscita a bordo della sua bella Audi, mi feci coraggio e raggiunsi Riccardo in camera sua per controllare la situazione.
Bussai alla porta con le nocche delle dita della mia mano destra, ma non ricevetti risposta, dunque bussai una seconda volta, ma niente, allora evitai una terza e lentamente aprii la porta, quasi temendo di poter ritrovarmi davanti una scena poco gradevole di lui mezzo nudo, in un mare di sudore febbricitante, tra le lenzuola di lino.
Al contrario dalle mie aspettative, lo vidi rigirato su di un lato, in quel grande letto a due piazze, mentre dormiva apparentemente in modo profondo, tanto che riuscivo a sentire il suo respiro regolare.
Aprii maggiormente la porta e notai che ci fosse ancora il vassoio della colazione che gli avesse preparato sua sorella quella mattina prima che arrivassi io.
Mi accorsi che non avesse mangiato nulla e tentennai nel decidermi a portar via tutto e preparare qualcosa di fresco, ma nel momento in cui presi quel vassoio, sobbalzai nel sentirlo parlare.
- Lascialo lì…
Nel farlo, feci rovesciare la tazzina con dentro del caffè, che si rovesciò tutto all’interno del vassoio. Per fortuna non cadde sul pavimento, ma ciò non mi impedì di prendermi a parole nella mia testa.
Lo sentii tossire, forse non si accorse del mio essere maldestra o forse non volle darlo a vedere per non farmi sentire ancor più un’idiota.
- Ho fame... cosa c’è di commestibile su quel vassoio?
Disse dopo aver tossito, al ché io mi voltai verso la sua direzione e lo vidi ricomporsi col capo sul cuscino, mentre teneva ancora gli occhi chiusi, da un visibile fastidio dipinto sul volto.
Dai suoi tentativi di schiarirsi la voce, capii che forse dovesse bruciargli la gola.
- Niente… non, non credo ci sia qualcosa di commestibile su questo vassoio.
Lo vidi sorridere e solo in quel momento mi soffermai a guardare il suo volto per intero.
Appariva visibilmente sciupato, stanco ed abbattuto per la febbre alta, aveva la barba castana di un filo più lunga del solito, colorito ancora abbronzato, ma comunque più pallido del normale e dei tondi occhi azzurri che incrociarono il mio sguardo, dicendomi poi:
- Tipico di mia sorella…
Smisi di guardarlo e concentrandomi sulla richiesta che mi avesse fatto proprio la signora Claudia, con premura, gli chiesi:
- Oh, potrei…posso prepararle qualcosa da mangiare, signor Riccardo. Dolce o salato? Cosa preferisce?
Fece qualche attimo di silenzio, forse stranito dal fatto che mi stessi riferendo a lui come “signor Riccardo”, ma poi smise di guardarmi e richiuse gli occhi per un secondo, dopodiché riaprendoli rivolgendo il capo verso l’esterno dell’ampia finestra alla sua destra, mi rispose:
- Direi salato… i tuoi dolci sono un po’ deludenti.
Corrugai lo sguardo un po’ contraddetta, a mio parere si sbagliava, ma meglio non contraddirli i tipi come lui e sua sorella, dunque, mi sforzai di non mostrarmi offesa e domandai.
- Cosa vuole che le prepari?
- Cos’è che ti riesce meglio preparare?
Ci pensai su qualche secondo.
- Uhm… tante cose.
- Eccetto i muffin…
Stavo per rispondergli a tono, ma quasi come se si aspettasse una mia qualche reazione, mi interruppe dicendo:
- È possibile una caprese? Ovviamente quella con mozzarella e pomodori, non il dolce… sia mai.
Ignorai la sua ultima esclamazione e risposi:
- Ovvio…
Borbottai sarcasticamente, dopodiché alzai il tono di voce ed aggiunsi:
- Certo… è avanzata della mozzarella a pranzo, oggi.
- I pomodori sono freschi?
- Li ho comperati io stamattina.
- Ottimo. C’è del basilico?
- Sì.
- Mettine in abbondanza, ne vado matto e mi raccomando, usa solo l’olio d’oliva normale, non amo l’olio extravergine.
- Nient’altro?
- Gradirei un bicchier d’acqua freddo, con del ghiaccio.
- Glielo porto subito.
Quasi mi aspettavo che mi chiedesse una marca d’acqua specifica e mi dicesse anche di quale forma dovesse essere il ghiaccio, ma si limitò a tossire ancora, senza neppure ringraziarmi.
Tornai in cucina e passando per il soggiorno, notai che Carlotta si fosse addormentata sul divano, stanca del pomeriggio trascorso al parco, mentre Saverio era preso da quel cartone animato inglese, impegnato a capire tutte le parole che dicessero.
Sorrisi nel guardarli, ma poi filai in cucina, prima di rovesciare a terra il caffè che galleggiava sul vassoio.
Presi un grosso bicchiere di vetro alto e ci versai dentro dell’acqua fresca presa dal frigo, dopodiché recuperai delle zollette di ghiaccio dal freezer e tornai in camera del signor Riccardo.
Non so perché mi riferissi a lui come “signor Riccardo” e non semplicemente come “Riccardo”, infondo avevamo soltanto pochi anni di differenza, ma il fatto che io lavorassi per sua sorella e il fatto che lui non avesse più cercato di lasciare che lo chiamassi Riccardo, dopo la prima volta che ci presentammo, mi spinse a continuare a dargli del “lei.”
Quando tornai in camera sua era ancora lì disteso appisolato, ma non addormentato, infatti tossì leggermente, quando mi avvicinai al letto.
- Ecco l’acqua…
Lui aprì gli occhi e guardandomi, provò a tirarsi su per poter prendere il bicchierone dalle mie mani.
Avrei voluto aiutarlo, ma non osai farlo, per evitare un richiamo da parte sua o un rifiuto.
Si schiarì la gola scorticata dal bruciore, dopodiché prese il bicchiere dalle mie mani e cominciò a bere a piccoli sorsi, riuscendo a rinfrescarsi.
Mi chiesi come facesse a sopportare l’acqua con ghiaccio attraversargli la gola che gli andasse a fuoco, quasi riuscii a provarne il dolore.
Dopo che ne bevve la metà, poggiò il bicchiere sul comodino accanto a sé e disse:
- Grazie.
Non risposi, né tantomeno lui parve importarsene.
Rimasi a guardarlo mentre si posizionava più comodamente con i cuscini contro la testiera del letto, senza più tornare disteso.
- A momenti dovrebbe arrivare il dottore.
- Dottore?
Domandò, sembrava sorpreso.
- Sì… sua sorella lo ha chiamato stamattina, per farlo venire a visitarla.
- Assurdo. È soltanto un po’ di febbre…
Disse scuotendo il capo, deridendo nella sua mente l’eccessiva preoccupazione di sua sorella.
- La gola non mi sembra tanto in forma.
- Passerà.
Rispose con superficialità, al ché mi guardò ed aggiunse:
- Allora? Questa caprese è così tanto complicato come piatto oppure riesci a prepararlo prima dell’arrivo del dottore?
Era sarcastico, forse credeva di essere simpatico, ma percepii un tono di voce eccessivamente pungente e snob, cominciava a darmi sui nervi ogni suo riferimento al suo dubitare sulle mie doti culinarie.
In quello stesso momento, però, sentimmo suonare al campanello di casa e lui fece roteare gli occhi al cielo e borbottò:
- Appunto…
Non gli badai e mi sbrigai ad arrivare all’ingresso per vedere chi fosse alla porta.
Era il dottore, dunque lo feci accomodare, dopodiché gli feci strada verso la camera di Riccardo e chiesi se avessi potuto offrirgli qualcosa, ma lui declinò l’offerta, dicendo che stava bene così.
Pareva conoscere Riccardo da molto tempo, abbastanza da rivolgergli parola in confidenza, senza la parola “signore” prima del suo nome.
Oltretutto, Riccardo si riferiva al dottore chiamandolo per nome, e questo mi convinse del fatto che fossero vecchi conoscenti.
- Allora… cos’hai combinato, stavolta? Hai nuotato con i delfini al chiaro di luna?
- Perché, ci sono delfini nel mare di queste parti?
Il dottore ridacchiò, aprendo la sua borsa e prendendo degli attrezzi medici per visitarlo, al ché Riccardo, aggiunse:
- E comunque sì, è stata un’esperienza da ripetere, il mare Neozelandese è un vero spettacolo della natura anche al chiaro di luna.
- Beh… deduco che gli affari a Manchester vadano a gonfie vele…
- Non mi lamento.
Rispose pacatamente, quasi con superficialità, al ché aggiunse:
- Tu invece, Sergio? Sempre rilegato in questo vecchio paesino di pescatori?
- Chi vuoi che li curi, altrimenti?
- Apprezzo il tuo coraggio nel restare in questo posto per più di due mesi di fila.
- Non è male, sai? Infondo ci hai vissuto per circa vent’anni, dovresti saperlo.
- È proprio per questo che mi sono trasferito appena ho potuto.
Rimasi ad ascoltarli parlare, finendo col diventare un’unica cosa con la carta da parati della camera, finché il dottore, mi guardò e io sobbalzai rendendomi conto che sarei dovuta andar via e lasciarlo alla sua visita.
- Oh… scusate… se ha bisogno di me, sono in cucina.
Nessuno dei due mi rivolse parola, e mi accompagnarono con lo sguardo fuori dalla stanza.
Mi chiesi se fossi dovuta restare per sentire la diagnosi del dottore, ma poi mi resi conto che Riccardo non era un bambino come Saverio e Carlotta e qualunque cosa gli avesse detto il dottore, sarebbe riuscito a spiegarla a sua sorella anche in un secondo momento, senza necessitare della mia assistenza.
- Scusala, è nuova…
- Mica tanto. Lavora per tua sorella già da quanto? Sette mesi?
- Mmh… probabile, non lo so.
- Come va con Michelle?
- Alti e bassi.
- Come in tutte le coppie…
Intanto che il dottore procedeva nel visitare Riccardo, io cominciai a preparargli da mangiare.
Tagliai accuratamente la mozzarella ed i pomodorini rossi, sperando di non sbagliarne le misure, a quanto pareva era un tipo molto esigente sul cibo e sentirmi criticare anche una semplice caprese di mozzarella e pomodori, sarebbe stato al quanto mortificante.
Mi impegnai più del dovuto nella preparazione di quel piatto, ne assaggiai persino il sapore alla fine, per assicurarmi che non fosse né troppo salato, né troppo insipido.
La deposi in un ampio piatto fondo, tagliando anche qualche sottile fetta di pane fresco casareccio, dopodiché lo coprì con della carta da cucina e tornai in soggiorno dai bambini.
Carlotta continuava a dormire pacificamente sul divano, somigliando ad un angioletto paffuto, mentre invece Saverio mi chiese se ci fosse qualcosa di buono da poter sgranocchiare dinnanzi la tivù.
Ricordandomi delle raccomandazioni che mi fece la signora Claudia riguardo la dieta salutare da far seguire ai suoi figli, gli dissi che era rimasta dell’anguria fresca, ma il bambino si lamentò dicendo di aver voglia di qualcosa di dolce, che non comprendesse alcun tipo di frutta.
Gli dissi che sua madre non voleva che mangiasse cibi grassi a merenda, ma lui si lamentò dicendo che se avesse fatto uno strappo alla regola, sua madre non sarebbe venuta a saperlo da lui.
Il modo in cui lo disse, mi fece sorridere, era un bambino così sveglio, con un viso tanto tenero, che riusciva sempre ad avere la meglio sulle mie volontà di comportarmi secondo le regole che mi avesse dettato la signora Claudia, allora lo accontentai e gli preparai delle fette di pane tostato con burro e marmellata ai frutti di bosco (la sua preferita.)
Quando la portai al bambino in soggiorno, sentii il dottore uscire dalla camera di Riccardo, allora rimasi ad attenderlo non lontana dalla porta d’ingresso in casa e gli chiesi:
- Tutto bene, dottore? Come sta?
- Benone… ha soltanto bisogno di uno sciroppo per la gola e la tosse più questi medicinali. Le ho scritto accanto le volte in cui dovrai farglieli assumere.
Corrugai lo sguardo un po’ allarmata e chiesi di riflesso:
- Dovrò?
- Beh, sì. È meglio lasciarlo a letto ancora per qualche giorno. Sarebbe preferibile fargli fare due giorni di antibiotici, prima di farlo alzare dal letto… ma dubito che seguirà i miei consigli. Conto su di te affinché lo faccia.
- Su di me?
- Sì, Matilde. Riccardo mi ha detto che sua sorella partirà per il Marocco giovedì e che sua madre è via per qualche giorno, temo che toccherà a lei occuparsi delle sue medicine.
- Ma io…
- Non si preoccupi… can che abbaia non morde.
Mi sorrise, nel tentativo di tranquillizzarmi, al ché aprì la porta di casa ed andò via, senza aggiungere altro.
Rimasi lì impalata a fissare quella porta chiusa, ancora per qualche secondo.
Non avevo alcuna intenzione di restar lì a badare ad un bambino di trent’anni dal pessimo carattere, ma sembrava che dovetti cominciare subito, difatti sentii dei passi provenire da oltre il soggiorno: era Riccardo che si era alzato dal letto giusto dopo che il dottore fosse andato via.
Il ragazzo indossava dei pantaloncini blu scuri da pigiama, ed era a petto nudo, mostrando le sue spalle scoperte ed il suo petto, ricoperto da una sfolta peluria al centro.
Lo guardai con stupore e mentre si passava una mano tra i capelli arriffati, lo sentii dire:
- Allora? Questa caprese è pronta o bisogna ordinare una pizza?
- Pizza???? Sìììììì!!
Saverio urlò di gioia all’idea di mangiare una pizza, tanto da finire con lo svegliare sua sorella, che lentamente si sgranò gli occhi strofinandoseli con una mano chiusa a pugno.
- No, no, no, niente pizza.
- Daiiii…
Mi supplicò il bambino, ancora con le dita delle mani appiccicose di marmellata e burro, al ché mi voltai a guardarlo e dissi:
- Già non avrei dovuto concederti la marmellata…
- Oh, oh, oh… qualcuno sarà nei guai non appena mia sorella lo verrà a sapere…
Guardai Riccardo sorridermi in modo sadicamente divertito e per un attimo temetti sul serio che avesse potuto fare la spia, ma poi tornai a fissargli il petto scoperto e dissi:
- Sarà meglio se le prenda una maglia, signor Riccardo, non le farà bene esporsi così tanto all’aria fresca, nelle sue condizioni.
- Quale aria fresca? Si muore di caldo in questa casa…
- La caprese è pronta, cominci ad accomodarsi in tavola, vado subito a prendergli la maglia del pigiama.
Non gli diedi modo di ribattere, che mi allontanai per andare in camera sua.
Quando vi entrai, trovai il letto sfatto, con cuscini dispersi in modo disordinato, tanto che faticai a ritrovare la maglia del suo pigiama, ma poi mi accorsi che si trovasse accartocciata sul comodino.
Mi avvicinai per prenderla e rigirarla alla dritta, ma quando la tirai via, mi accorsi che sotto ci fosse il suo cellulare che continuasse a vibrare.
Non volevo sbirciare, ma mi fu inevitabile, così lessi la scritta Michelle sul display e pensai bene di portargli anche il cellulare.
Quando rientrai in cucina, lo vidi starsene seduto a tavola, con Saverio seduto alla sua destra e Carlotta inginocchiata sulla sedia alla sua sinistra, mentre si fosse servito della caprese da solo, cominciando a mangiarla affamato.
- Bambini tornate in soggiorno, vostra madre si arrabbierà con me se doveste contagiare la febbre!
Allarmata mi avvicinai e presi Carlotta in braccio, dopo aver riposo sul tavolo il cellulare, al ché gli tesi la maglia del pigiama e guardandolo, aggiunsi:
- Stava squillando, ho pensato che volesse rispondere.
Lui non mi guardava e continuando a consumare il cibo, a bocca piena, distrattamente, mi rispose:
- Non ce n’era bisogno. Potevi lasciarlo dov’era.
Feci qualche secondo di silenzio, ma poi aggiunsi:
- Mi scusi, pensavo fosse importante…
Lui masticando, spostò lo sguardo sul cellulare che avesse smesso di vibrare, poi deglutendo il boccone, mi rispose:
- Ha decisamente pensato male.
- Beh… almeno indossi la maglia, per favore.
Lui alzò lo sguardo e guardandomi, curioso, mi domandò:
- Ti disturba tanto il fatto che io sia a petto nudo?
Sbarrai leggermente gli occhi disorientata da quella domanda, poi corrugata, risposi:
- Certo che no, ma il dottore ha detto…
- Lo so cos’ha detto il dottore, ma qui si muore di caldo e non ho intenzione di sudare di nuovo come in una sauna. Quindi per favore smettila di trattarmi come se fossi anche la mia di babysitter!
Feci silenzio, sorpresa dal tono imponente ed improvvisamente alto con cui si rivolse nel parlarmi, persino i due bambini se ne stupirono restando in silenzio.
Capii che non avrei dovuto più insistere e dunque lo lasciai pranzare, portando fuori Carlotta e Saverio.
Ce ne andammo in giardino, si era fatta l’ora in cui di solito leggevo loro una storia dal libro che sua madre mi aveva chiesto di leggergli, e così, sotto un piacevole sole non più cocente, attorno alle ore sette di sera, mentre sedevamo su dei divanetti in vimini con cuscini color panna, sentivo risuonare il tono della mia voce tra piacevoli cinguettii di uccellini e qualche automobile che passava di tanto in tanto fuori la proprietà dei De Bellis.
Trascorse circa mezz’ora, fino a che ad un certo punto, sentii una voce alle nostre spalle, dire:
- Il piccolo principe… da bambino lo avrò letto almeno quindici volte.
Mi voltai e notai il signor Riccardo venirci incontro con indosso la sua maglia del pigiama ed un viso decisamente più rilassato e fresco di quello di qualche ora fa, mentre fosse a letto.
I capelli non erano più in disordine e guardandolo accennare ad un sorriso, mi accorsi che nelle sue guance si erano formate due fossette espressive, che lo resero decisamente meno duro ed autoritario di quanto lo fosse stato poco prima.
Mi limitai ad interrompere la lettura, mentre sentii Saverio, esclamare con stupore:
- Quindiciii???
Riccardo sorrise con più convinzione e mettendosi a sedere anche lui sul divanetto sotto il gazebo del giardino, accanto ai suoi due nipotini, rispose:
- Mi piaceva moltissimo. A voi no?
Saverio scrollò le spalle con una smorfia indifferente, mentre Carlotta col suo solito dolce tentativo di arruffianarsi tutti, esclamò:
- Sì! Anche a me piace moltissimo, zio Ricki! Mi piace moltissimerrimissimo!
A quelle parole scappò da ridere anche a me assieme a Riccardo, il quale poi, si voltò a guardarmi per qualche secondo, dopodiché cambiò argomento e mi disse:
- Sta per arrivare Javier… sarà meglio che cominci a pensare ad una buona scusa da rifilargli per giustificare la tua assenza al Tropeiz, l’altra sera.
Mi sentii raggelare dall’imbarazzo, avrei voluto sparire, sia per aver fatto una brutta figura per l’altra volta, sia perché a momenti sarei rimasta intrappolata nello stesso posto con quel ragazzo Domenicano molto attraente, che probabilmente si sarebbe aspettato delle scuse da parte mia.
Nel giro di mezz’ora ce lo ritrovammo in casa, imprecai nei confronti della signora Claudia che non mi permise di finire il mio turno in orario, in modo tale da poter evitare di incontrarlo.
A quanto pareva il suo trattamento dall’estetista era più complicato e costoso del solito.
- Ehi, amor… che fine hai fato l’altra sera? Te aspetavo…
Il modo in cui tentasse di parlare correttamente l’italiano, pur avendo un marcato accento spagnolo, era tanto piacevole da farmi sorridere.
Per di più, nonostante il fatto che riferendosi a me chiamandomi “amor” o “amore” mi mettesse in imbarazzo a causa della mia timidezza, non mi disturbava.
Me lo domandò mentre il signor Riccardo fosse in bagno ed i bambini, distratti dal giocare in giardino col loro cane di razza Pastore Tedesco.
Io cercai di trattenere la mia timidezza, ma quel suo sguardo… dio, quanto mi piaceva il modo in cui mi guardava!
Mai nessuno mi aveva guardato in quel modo e forse era proprio questo a mandarmi in subbuglio mente e corpo.
- Ehi… perché non mi rispondi, eh?
Si avvicinò a me di un passo e cercò di incrociare il mio sguardo, al ché lo guardai ed accennando ad un sorriso, risposi:
- Smettila di chiamarmi così…
- Perché? No te piase?
- Non siamo una coppia.
- Vuoi essere la mia fidansata?
- No!
Esclamai forse con troppa foga, al ché lui, dispiaciuto e sorpreso del mio rifiuto, domandò:
- Porché no? Tu mi piacci…e sono sicuro che te piaccio anche io… me ne sono accorto, sai?
Lo guardai smettendo di sorridere, quasi spaventata dal fatto di averlo lasciato dare troppo a vedere.
- Non sei venuta, l’altra sera, per questo… Hai paura.
Non me la pose come una domanda, ma pareva affermarlo con discreta sicurezza.
Corrugai lentamente lo sguardo, diventando curiosa da ciò che intendesse, poi gli domandai:
- Paura di che cosa?
- De innamorarte de mi…
Non trattenni un sorriso divertito dalla sua spavalderia.
- Non essere ridicolo…
- Ridicolo?
Feci per rientrare in casa con un leggero sorriso sotto i baffi e con sguardo basso, ma lui mi seguì e disse:
- Allora esci conmigo stasera!
- Non posso…
Mentii, ma non aveva alcuna voglia di uscirci, stavolta più della scorsa volta.
- Dai, lo dico io a Riccardo…
- Dirmi cosa?
La sua voce mi colse di sorpresa e fermai di botto la mia fuga in casa, lo vidi stare sull’uscio, con in faccia un’espressione divertita quanto incuriosita.
Javier mi superò e portandosi accanto all’amico, lo guardò e disse:
- L’ho invitata ad uscire estasera, ma mi ha detto che non puede…
Riccardo si voltò a guardarmi, fece silenzio per qualche secondo di troppo, e io mi domandai a cosa stesse pensando, finché lo sentii rispondere.
- È vero… mia sorella le ha detto di badare anche a me, oltre che ai suoi figli. Cercherò di rimettermi in forma da domani, così potrai provarci ancora.
Javier non parve dispiaciuto dalla cosa, al contrario sorrise all’amico, il quale poi si allontanò col sorriso via da noi e raggiunse i due nipotini ed il cane in giardino, come se io e Javier ci fossimo dissolti nell’aria.
La signora Claudia rientrò a pochi minuti dalle nove, mi aveva telefonato per avvisare che avrebbe fatto ritardo, ma riuscii a capirlo da sola, dunque giocai d’anticipo e cominciai a preparare la cena.
Telefonai a mia madre per avvisarle che quella sera sarei rimasta dai De Bellis e che molto probabilmente avrei dormito da loro.
Mia madre era una donna che aveva da poco superato la cinquantina, molto apprensiva nei miei riguardi sin dalla mia nascita, ma lo diventò ancor di più dopo la prematura morte di mio padre avvenuta all’incirca tre anni fa.
Soffrivo ancora per la sua mancanza, ma cercavo sempre di non darlo troppo a vedere, specialmente in sua presenza.
I miei genitori si erano molto amati sin da ragazzi, mia madre aveva praticamente conosciuto solo mio padre come uomo, e lo aveva amato fino all’ultimo giorno della sua vita.
Si chiamava Alessandro, ma tutti lo chiamavamo Sandro, era morto all’età di quarantanove anni a causa di un tumore ai polmoni.
La malattia lo consumò nel giro di pochi mesi, portandoselo via ingiustamente.
Mia madre, Paola, andava a fargli visita tutti i giorni al cimitero e quando non poteva, mandava me.
Voleva che avesse sempre i fiori freschi e che sentisse la nostra presenza ogni giorno, così come noi cercavamo di percepirla andando a trovarlo al cimitero.
Anche per questo, era sempre difficile per me restare a dormire dai De Bellis, non volevo lasciarla troppo tempo da sola, perché sapevo quanto la cosa le recasse sofferenza.
Quando affermavo di vivere ancora grazie al sostegno economico dei miei genitori, mi riferivo ormai alla pensione di mio padre, percepita da mia madre e che andava a sommarsi al suo stipendio da insegnante.
Mio padre era un ex carabiniere, mentre mia madre insegnava letteratura italiana in una scuola superiore di città.
Dopo il liceo mi iscrissi all’università, per la gioia di mia madre e l’orgoglio di mio padre, scegliendo il percorso delle lingue, ma dopo un paio d’anni capii che quella non era la mia strada.
Non riuscivo a tenere i ritmi dell’università, in più cominciai a soffrire di attacchi d’ansia e panico dovuti all’agitazione per gli esami, allora pur di non ammalarmene, decisi a malincuore di rinunciare ad un titolo di studi che superasse il diploma di liceo superiore.
Da allora cercai di andare avanti facendo studi privati e ripetizioni ai bambini delle elementari e medie, dopodiché passai anche alla babysitter, e seppur avessi altri piani per il mio futuro e sogni ben diversi, dovetti accontentarmi di continuare per quella strada.
Dopo la malattia di mio padre, ogni mio sogno, ogni mia speranza sul futuro, si sgretolò e io capii che la vita ti mette dinnanzi a delle difficoltà più grandi di te e che non credevi mai di dover affrontare da sola.
Per fortuna, in questi sette mesi di lavoro per i De Bellis, ero riuscita a mettere da parte un bel gruzzoletto che speravo di poter utilizzare un giorno per il mio sogno di espatriare, ma dentro di me sapevo benissimo che non l’avrei mai fatto, non finché non avrei avuto la certezza che mia madre potesse star bene anche senza di me.
Da come prese la notizia che avrei dormito dai De Bellis, lasciandola sola quella sera, capii che quel giorno era ancora lontano.
- Scusami, Matilde, ma ho incontrato una vecchia amica dall’estetista e abbiamo deciso di andare a bere qualcosa insieme, ho perso la cognizione del tempo.
- Non si preoccupi, signora Claudia, ho già messo a cucinare la cena…
- Oh ti ringrazio, sei un angelo!
Accennai ad un sorriso, dopodiché la vidi ispezionare tra le pentole sui fornelli.
Aveva una liscia messa in piega ai suoi bei capelli biondi, che le donavano un’aria chic ed elegante, assieme al suo impeccabile abbigliamento costoso e la sua luminosa pelle liscia, curata fino al minimo peletto di sopracciglio.
Il tocco del centro estetico era ben visibile, ma chiunque altro l’avesse incrociata per strada quel giorno, non avrebbe faticato a credere che fosse così al naturale, alle volte me ne convincevo anch’io.
- Pollo fritto? Matilde non penserai che lascerò mangiare del pollo fritto ai miei figli prima di andare a letto, spero…
Mi raggelai nel sentirglielo dire, speravo di aver scelto il menù giusto e invece avevo fallito ancora una volta ai suoi occhi.
- Oh… mi dispiace, io… io pensavo che…
Lei sospirò e riuscii a percepire dell’impazienza nei suoi toni, mentre mi diceva:
- Quante volte devo ripetertelo che la sera prediligo un bel piatto di verdure con carne bianca o pesce? La frittura è meglio evitarla…
- Sì, ma… signora Claudia in realtà questo pollo non è proprio fritto, fritto…
Tentai di giustificarmi, ma mi resi conto da sola che stavo facendo soltanto un buco nell’acqua.
- Insomma… è… è pressoché rosolato in pentola con un filo d’olio, sale, cipolla e peperoncino…
La vidi restarsene a fissarmi, con un aria chiaramente in disaccordo, ma poi aggiunsi con convinzione:
- M-ma ci sono le verdure!
Sapevo che le verdure mi avrebbero salvato in calcio d’angolo, ma la vidi portarsi le braccia incrociate sotto al petto e dirmi:
- Non mi dirai che hai preparato i peperoni in padella, spero.
Era sarcastica e riuscii ad accorgermene, ormai avevo imparato a conoscerla abbastanza bene in quei mesi, ma senza farmi scoraggiare, risposi:
- No, non peperoni… zucchini al limone, carote bollite con un fil di aceto, insalata mista e… finocchi.
Avrei voluto dirle di più. ma non avevo preparato altro.
La vidi rivolgermi uno sguardo di sufficienza, dopodiché mi disse:
- Prepara del petto di pollo arrostito con limone per i bambini, il pollo fritto lo mangeremo noi… è peccato gettarlo via.
Mi chiesi se fosse seria, ma non c’era bisogno di pormi quella domanda, sapevo che lo fosse e proprio quello mi disturbò.
Non riuscivo proprio a concepire i suoi modi sgarbati, non riuscivo a concepire l’eccessiva ramanzina, perché seppur fosse vero che avevo sbagliato menù per i bambini, poteva almeno apprezzare il fatto che fossi rimasta lì a badare alla sua casa, a suo fratello ed a i sui figli, mentre lei era al bar con l’amica dopo un trattamento di bellezza.
Avrei tanto voluto dirle ciò che pensavo, ma evitai di farlo per amore del mio stipendio.
Quella sera a cena c’era anche il signor Ettore.
Apparecchiare la tavola per così tante persone mi risultava sempre un po’ strano in quelle occasioni, solitamente c’eravamo soltanto io ed i bambini.
La loro madre o saltava i pasti, o ritardava, così come faceva il loro papà a causa degli impegni di lavoro.
La signora Claudia mi chiedeva di far mangiare i suoi figli, prima di servire lei ed il marito, ma quella sera grazie anche alla presenza di suo fratello Riccardo, mi disse che per una volta potevano mangiare con loro.
Io non partecipai alla cena, non mi era consentito farlo, non facevo parte della famiglia e la cosa non mi disturbava affatto, in particolar modo quella sera, perché non avevo alcun appetito.
Oltretutto nessuno mi chiese di farlo, dunque li lasciai cenare, senza dover restare ad aiutare i bambini a mangiare.
La signora Claudia mi ordinò di cambiare le lenzuola del letto di suo fratello Riccardo e di far arieggiare un po’ la camera, prima del suo ritorno a letto.
Non avrei voluto farlo, venivano pagate le addette alle pulizie per fare quel tipo di mansioni, ma sarebbero tornare il mattino seguente e in più lei mi avrebbe aggiunto del denaro sul prossimo stipendio se avessi accettato, dunque non esitai.
Lasciai la cucina e diressi a prendere delle lenzuola pulite ed uno spinotto profumato per rendere l’ambiente in quella camera, un po’ più gradevole, dopo aver fatto arieggiare con le finestre aperte.
Disfai il letto, ammucchiai le lenzuola sporche sul pavimento, dopodiché cominciai a fare il letto utilizzando delle lenzuola pulite in morbido cotone bianco.
Cambiai le federe dei cuscini, riuscendo a palparne il freddo bagnato del sudore su quelle vecchie, e la cosa mi fece un po’ schifo.
Il fratello di Claudia aveva sfebbrato grazie alla medicina prescrittagli dal medico che io stessa gli avevo servito, e quindi sudare in quel modo era del tutto normale nelle sue condizioni, per non contare il fatto che fossimo in piena estate.
Mentre poggiavo i cuscini con le federe pulite sul letto ormai fatto, sentii proprio Riccardo tossire ripetutamente dalla cucina, ma poi il rimbombo della tosse si faceva più vicino alla camera, finché non lo vidi passare per dirigersi in bagno, con una mano davanti la bocca, mentre tossiva di una forte e graffiante tosse grassa.
Mi fermai col cuscino tra le braccia a guardarlo passare, ed involontariamente lo sentii tossire dal bagno talmente forte che credetti stesse vomitando.
Mi dispiacque nel vederlo soffrire, da quando papà se n’era andato dopo quella tremenda malattia, ero diventata tre volte più sensibile del solito nell’assistere a chiunque fosse stato affetto da qualche sofferenza fisica, anche una semplice tosse.
Poggiai il cuscino in modo ordinato sul letto, dopodiché nel sentirlo tossire ancora e ancora in modo tanto forte, cominciai a preoccuparmene, allora senza neppure volerlo e senza rendermene conto, mi avvicinai all’uscita della camera lentamente.
Sarei andata fuori la porta del bagno a chiedergli se fosse tutto ok, se solo non mi avesse anticipato Claudia.
Tornai sui miei pasi e raccolsi le lenzuola sporche dal pavimento, per andare nella stanza adibita a lavanderia.
Uscendo dalla camera sentii Claudia parlare al di là della porta del bagno a suo fratello.
- Ricki? Ricki tutto bene? Stai male?
Beh, bene non sta, è abbastanza chiaro – pensai tra me e me, e mentre mi allontanavo sentii lo sciacquone del bagno e la porta aprirsi poco dopo.
- Sto bene… è stato solo un forte colpo di tosse.
- Sì, lo vedo…
Acuta – pensai ancora in modo insolitamente acido, dopodiché me li lasciai alle spalle definitivamente ed andai a fare la lavatrice di quelle lenzuola, mentre lei e suo fratello tornarono in cucina per terminare la cena assieme agli altri.

Eccomi al secondo capitolo. Sto scrivendo con abastanza rapidità. spero che il secondo vi abbia coinvolto più del primo e che continuerete ad adanre avanti con la lettura della storia, man mano che la scriverò. 
Scrivetemi cosa ne pensate nei commenti, aspetto di leggervi. 
A presto xo.

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