What is the old Dalish curse? May the Dread Wolf take you?

di Wednesday88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 ***
Capitolo 18: *** Cap. 18 ***
Capitolo 19: *** Cap. 19 ***
Capitolo 20: *** Cap. 20 ***
Capitolo 21: *** Cap. 21 ***
Capitolo 22: *** Cap. 22 ***
Capitolo 23: *** Cap. 23 ***
Capitolo 24: *** Cap. 24 ***
Capitolo 25: *** Cap. 25 ***
Capitolo 26: *** Cap. 26 ***
Capitolo 27: *** Cap. 27 ***
Capitolo 28: *** Cap. 28 ***
Capitolo 29: *** Cap. 29 ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***
Capitolo 31: *** Appendice ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


“Vieni. Prima che i bardi smettano di suonare, balla con me.” le dissi, porgendole la mano sperando di ricordare come si fa a ballare sotto un cielo stellato. Sorrisi al pensiero di farmi guidare da lei. La gente nel salone del Palazzo d’Inverno ballava serena, i loro corpi erano avvolti in splendidi abiti dai vivaci colori, nello stile di Antiva, e le loro facce erano celate da elaborate maschere di pizzo e finissima porcellana candida. L’Impero delle maschere, pensai ridacchiando portandomi una mano alle labbra. “Certo.” mi rispose con un sorriso e mi si avvicinò, profumava di albicocca. La strinsi a me, potevo sentire il suo calore. Ondeggiavamo, la mia mano era posata sulla schiena, mentre l’altra teneva leggera una sua mano, sentivo il battito del suo cuore nel petto premuto contro il mio. Mi piaceva. Elanor. Mi piaceva il suo essere così diversa, così eccezionalmente unica. Mi aiutava a non pensare, mi aiutava ad essere normale.
Ballavamo su quel terrazzo di marmo dai toni chiari, circondati da una tiepida notte stellata. Chiusi gli occhi e decisi di assaporare quel momento di assoluto piacere con lei. Era da tanto che non ballavo, nell’Oblio ho assistito a centinaia di eventi come questo, ma ero uno spettatore. Solamente un ospite all’interno di ricordi altrui.
 
“Solas…” trasalii al sussurro, nelle mie divagazioni a passo di danza avevo perso la cognizione del tempo. “Solas, ti andrebbe di scendere ai giardini? Avrei bisogno di fare due passi, lontano da tutto questo.” mi chiese alzando di poco il capo dal mio petto, mi guardò negli occhi, le sorrisi “Certo, vhenan. Ti accompagno volentieri, fammi prendere alcune cose, del vino, una coperta e dei dolcetti… di certo avrai fame!” “Da morire…” mi disse lei toccandosi lo stomaco. Durante la sera non avevamo mangiato praticamente niente ed ero affamato anche io. “Aspettami all’entrata, faccio più presto che posso.” Scesi nelle sale della servitù, presi di corsa una coperta di lana eterna color corallo, un po’ delicata forse, ma non avevo tempo di cercare qualcosa di più grezzo. Andai alle cucine, rovistai e trovai facilmente del vino, del pane nero, della carne essiccata, del miele e dei dolcetti glassati. Mi ingozzai di un po’ di tutto mentre infagottavo le cose nella coperta. Corsi fuori da un accesso secondario facendo attenzione alle guardie di palazzo, intente più che altro a non addormentarsi, annoiate a morte, ma la fiducia non è mai troppa in questi casi. Sarebbe stato complicato da spiegare cosa stessi facendo e l’Inquisizione avrebbe dovuto pagarne il prezzo. Cercai di calmarmi, sgattaiolai da Elanor. I suoi lunghi capelli neri risplendevano alla luce della luna, rimasi a fissarla mentre raccoglieva un tulipano in boccio. Era bellissima. Per la prima volta dopo tanto ero innamorato. Innamorato di un’elfa, figlia di un popolo che mi aveva sempre deriso e disprezzato ed io disprezzavo a mia volta. Ma non mi importava.
 
“Eccomi, ho tutto il necessario.” guardai soddisfatto il piccolo fagotto che avevo legato di traverso sulla schiena. “Andiamo!” mi esortò lei con un sorriso. Passeggiavamo da circa dieci o quindici minuti, parlando dell’Oblio, in questa zona il Velo era sottile, sentivo il suo richiamo. È curiosa, pensai, di una curiosità pericolosa ed affascinante, spero di non tradirmi ora. Sarebbe… troppo. Non capirebbe ed io non saprei spiegarlo senza apparire un mostro e non voglio perderla, significa molto. Troppo. Da quel bacio nel sogno ad Haven ho paura di troppe cose, ma perderla è la paura più grande di tutte.
 
“Guarda – mi disse irrompendo nei miei pensieri melanconici – ci mettiamo qui? Sotto a questo salice?” Spostai le fitte fronde e con un inchino la feci entrare, lei mi ringraziò con un gesto del capo ed un sorriso complice “La mia accompagnatrice si sta montando un po’ la testa vedo.” dissi scherzosamente accendendo un paio di torce di velfuoco: un fuoco magico, molto simpatico nel suo bagliore verde azzurro, lei si mise a ridere. “Se non posso essere autorevole con te e con voi prima di tutto, come faccio ad essere presa sul serio dalle persone esterne all’Inquisizione?” una risposta che mi sorprese, la tirai a me e la baciai. Piccolo halla, pensai, così tenero e dolce, così ingenuo ed innamorato. Le lacrime mi punsero gli occhi.
Mi slegai la coperta e la adagiai sul terreno morbido. Attorno a noi c’erano grandi aiuole di lavanda e grazia cristallina, adoro il suo profumo, lo trovo rilassante. La lasciai mangiare, io mi concessi un filo d’erba per giocare con le labbra e occasionalmente, farle il solletico. “Adesso apro il vino.” dissi compiaciuto nel vederla mangiare con tanto appetito: dopo la battaglia con Florianne aveva perso molta energia e la sua mana era bassa. Mangiare dolcetti, diceva, aiutava a rigenerarla, non era vero, ma a lei piaceva farlo credere.  “Non avendo boccali dovremo arrangiarci alla vecchia maniera suppongo…” disse lei guardandomi con uno sguardo che conoscevo bene. Arrossii. Lei mi prese la bottiglia di mano e ne bevve un lungo sorso di vino di more “Adesso basta, – le dissi gentile levandole dalle mani la bottiglia – non puoi ubriacarti, Inquisitrice, non è permesso. Josephine non approverebbe.” “Non mi importa di cosa pensa Josie, ora non è qui, non c’è nessuno qui a parte noi.” mi disse iniziando a levarsi il sontuoso vestito blu notte e rimanendo in semplice sott’abito anch’esso blu, in netto contrasto con la sua pelle diafana. Mi schiarii la voce e mi girai in completo imbarazzo. “Non sentirti in imbarazzo, vhenan.” Dentro di me si stava facendo largo un desiderio assopito, uno dei tanti dopo il mio sonno durato ere. Avrei dovuto resistere. Avrei provato a farlo. “Vhenan…” incalzò lei “…non, non ti piaccio?” mi chiesi, inspiegabilmente irritato, perché tutte debbano pensarla così. Sospirai. “No, vhenan, mi piaci e mi piaci molto. Sei… sei bellissima… solo che…” non finii la frase, lei mi baciò, un bacio che sapeva di glassa dolce. Non riuscii a resisterle, avevo fame di quel desiderio e ne aveva fame anche lei.
Mi slacciai l’orrendo giustacuore rosso e blu. La strinsi a me, il contatto dei nostri corpi seminudi aveva risvegliato quella sensazione di calore, di semplicità e di intimità che non sentivo da tempo, troppo tempo. Le passai una mano sulla schiena, slacciandole la sottoveste. Ora le spalline erano morbide ed il piccolo seno sodo, meno costretto. La baciai sul lungo collo, infilai il naso tra i suoi capelli e inspirai. Albicocche. “Ah…” emise un gemito, la presi in braccio e la misi con i piedi scalzi sopra la coperta. La bendai con la fascia celeste che avevo sopra il farsetto e giocai con lei solleticando la sua pelle con un ramo di lavanda, delicatamente mi levai gli stivali e li lanciai nell’erba, non preoccupandomi. Avevo in mente lei. La mia lei. Elanor. Si stese sulla coperta ed io mi misi sopra, le presi i polsi e la baciai, i nostri corpi si unirono, dolcemente, affondai in lei sotto il cielo stellato, in una fresca notte autunnale.
Da quel momento seppi che per quanto sarebbe potuto accadere, per quante ne avremmo passate, sarei stato suo per sempre.
 
Fen’Harel, svegliati!
Sbarrai gli occhi a quel contatto mentale. Dannazione. Lo Spirito mi aveva trovato.
Cosa vuoi? Non è ancora il momento. La mia vita come mortale non ti deve interessare.
Dissi tra me e me in risposta. Percepii uno sbuffo di disgusto insinuarsi tra i miei pensieri, poi più nulla.
 
Era poco prima dell’alba. Era ancora buio. Il fuoco magico tingeva di verdognolo il nostro piccolo rifugio. Elanor dormiva ancora ed ero assai riluttante a svegliarla, non volevo farle trasparire il mio improvviso terrore. Una coccinella le stava camminando sul vallaslin. Sorrisi e con delicatezza presi l’animaletto su un dito e lo misi su una foglia. La guardai dormire. Le spostai una ciocca. L’ultima volta che dormii accanto a lei era in fin di vita, distrutta dall’Ancora che porta sul palmo della mano sinistra: un incantesimo sbagliato. Un maledetto errore che non doveva succedere. La salvai per miracolo. Da quando ricademmo dell’Oblio con il corpo fisico e materiale, il potere dell’Ancora è aumentato, e temo per la sua vita se dovesse perderne il controllo. La accarezzai dolcemente. Come avevo potuto essere così avventato e stupido?
 
Sapevi che poteva succedere, Fen’Harel, e sai anche cosa è necessario fare. Recupera la Sfera. La mia dannata Sfera!
Lo spirito del Temibile Lupo aveva infranto ancora una volta i miei pensieri. Non lo sopportavo.
Ti ho detto, non ora. Sono ancora debole.
E chiusi tempestivamente la comunicazione con il mio alter ego con la gola secca e la testa dolorante.

Un mugugno di Elanor mi avvisava che stava per svegliarsi. Mi sentii in colpa, in fondo al cuore, temevo di averla svegliata. “Buongiorno.” mi disse aprendo piano gli occhi violetti. “Non hai dormito?” continuò preoccupata. “Sì, ho dormito, mi sono svegliato poco fa, ti ho lasciata dormire. Scusa…” dissi alzando le spalle, come fossi colpevole di qualcosa. Sorrise. “Non devi scusarti, vhenan, non hai nulla per la quale farlo.” Sorrise ancora. Mi sentii uno stupido. “Vieni con me, ti voglio far vedere una cosa...” le dissi sistemandomi i calzoni. Si alzò e così, scalzi e mezzi nudi quali eravamo uscimmo dal nostro nascondiglio, avviandoci verso il crinale rivolto ad Est.
Il primo sole ci bagnò il viso e cancellò dalla mia mente ogni preoccupazione, ogni ombra, aprii gli occhi e vidi con chiarezza cos’avevo. Avevo l’amore di una donna forte e determinata, libera e innamorata. Passai qualche minuto a chiedermi cos’avessi fatto per meritarlo.
Ar lath, ma vhenan.” le sussurrai.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Il viaggio di ritorno a Skyhold fu tra i più disastrosi degli ultimi tempi, pioveva a dirotto da giorni, i cavalli con i carri arrancavano. Il Custode Blackwall e Varric spesso si fermavano a causa del fango che inghiottiva le ruote dei carri: perfino l’agile halla bianco di Elanor, simbolo del suo popolo, procedeva con difficoltà nella fanghiglia. Ci dirigemmo verso Emprise du Lion, cercando il più possibile di aggirarlo, il pericolo in quella zona era più che palpabile e la nostra sola presenta poteva dar luogo ad esplosioni incontrollate di violenza. Non eravamo propriamente adeguati ad un assalto dei Templari Rossi e i consiglieri lo sapevano.
 
Una carovana di Dalish si aggiunse al nostro convoglio: il Comandante Cullen era un uomo misericordioso e giusto, non li avrebbe lasciati a loro stessi con questo tempo inclemente: li avrebbe soccorsi e poi avrebbe permesso loro di viaggiare con noi per un tratto di strada. Non avevamo molto in comune io ed il Comandante: lui un passato da Templare, professione all’epoca rispettabile e di elevato onore, fu un reduce dal massacro di Kirkwall dove un mago umano di nome Anders diede inizio alla rivolta dei maghi contro i Templari, facendo esplodere il Circolo. La guerra che ne conseguì ben presto dilagò in tutto il Ferelden. Il nostro Comandante aveva perso amici e compagni, ma è ora a capo di una delle più grandi ed influenti organizzazioni della storia recente di tutto il Thedas meridionale. La Cercatrice Cassandra aveva visto in Cullen un potenziale enorme e lo mise a capo del comparto tattico dell’Inquisizione stessa. Mentre io? Io sono un Elvhen: un elfo mago eretico, dal passato solitario che ha studiato la sua magia da autodidatta vagando per il Ferelden e i Liberi Confini, o almeno così ero solito presentarmi. Ero un emarginato: dai clan Dalish venivo deriso ed ero visto come un pazzo visionario per aver parlato loro dell’Oblio e mettendoli in guardia dalle sue ombre incontrollabili da menti non addestrate. Mi innervosivano loro e le loro stupide credenze, i vallaslin prima di tutto. Quel loro marchio, un tatuaggio che portavano sul viso con orgoglio in onore dei loro Dei, simbolo di un’antica schiavitù ormai da tutti loro dimenticata. Dagli umani non ero considerato una minaccia o un giullare, si limitavano ad ignorarmi, semplicemente. Nessun Circolo dei maghi mi offrì protezione e sostegno per i miei studi sull’Oblio e sul Velo. Il mondo del Sogno non era un campo di interesse dei Circoli, né la magia del sangue. Non presero nemmeno in considerazione che le due cose assieme non possono coesistere.

“Buongiorno Solas. Come procede? Il tuo cavallo come sta?” una Josephine raggiante, avvolta nel suo mantello di lana leggera, accostò il suo cavallo al mio, i suoi grandi occhi scuri mi fissavano felici. “Buongiorno Ambasciatrice Montilyet, procediamo a stento, ma è sempre meglio che doversi accampare: il territorio del Leone non è per niente sicuro. Il cavallo è stufo e sbuffa in continuazione. Non ne vuol sapere di procedere così a rilento.” anche Josephine faceva fatica a trattenere il suo cavallo bianco, si sforzava di frenarlo, in una corsa a briglia sciolta su questo terreno avrebbe potuto rompersi una zampa. Non era il caso. “Le piogge autunnali sono sempre in agguato, speriamo di raggiungere Skyhold nei prossimi tre, al massimo cinque giorni. Ci sono questioni della massima urgenza da svolgere.” mi disse divenendo ansiosa all’improvviso. “Rilassati Josie – intervenne leggera Leliana – hai trovato almeno il tempo di guardare le terme durante il soggiorno ad Halamshiral?” Josephine calò la testa colpevole. Dava tutta se stessa per assicurarsi che l’Inquisizione potesse avere la strada spianata e la politica di due Stati rivali sempre favorevole alla sua causa, era un lavoro tutt’altro che facile e invidiabile, ma lei lo eseguiva alla perfezione. “Non c’è motivo di preoccuparsi, arriveremo quando sarà giusto arrivare. Non possiamo mettere a repentaglio la nostra carovana né quella del clan Dalish su un terreno così imprevedibile.” incalzai. “Hai ragione Solas, devo solo imparare a rilassarmi. Il Gioco, mi ha lasciato troppo nervosismo, una patina di ansia che farò fatica a levare.” Sorrisi. La nostra Ambasciatrice mostrava al pubblico il suo lato più inflessibile ed adamantino, con noi dimostrava di avere sentimenti e fragilità, mi rincuorava. Spronò il cavallo e raggiunse il Comandante Cullen in testa al convoglio.
“Come va con Elanor? Vi ho visti ballare al terrazzo la sera del ballo.” mi chiese Leliana con un ghigno curioso. “Non era mia intenzione rovinare la reputazione dell’Inquisitrice – mi difesi sentendomi vulnerabile di fronte alla nostra Capospia – solo, volevo avere un momento per stare con lei.” Scoppiò a ridere, mi pietrificai. “Non volevo accusarti di aver minato alcunché Solas, non hai messo l’Inquisizione in una posizione scomoda, vi hanno visto poche persone e per lo più ubriache e inebriate dagli eventi della serata. Il Gioco vale se le persone sono sobrie e possono ricordare gli eventi. Mi fa piacere che abbiate avuto modo di ballare. É già stato abbastanza frustrante vedere la tua dama ballare con il nemico. Te lo sei meritato, dopo tutto.” Feci un cenno di assenso con il capo, aveva ragione, è stato ben più che frustrante, sapevo che più di metà degli ospiti erano spie ed il ballo era l’unico momento in cui Elanor e Florianne potevano parlare abbastanza liberamente e senza troppi timori di essere ascoltate dalla corte, così intimamente vicine. Così esotiche. Il pensiero di quello che successe dopo mi fece arrossire e non potei controllarlo. “Siete poi spariti tutta la notte, Josie era preoccupata da morire, avrebbe rivoltato il Palazzo d’inverno se non fossi intervenuta. Conosco i sentimenti che vi legano, non ho potuto non notarli, Elanor tiene molto a te e tu tieni a lei allo stesso modo, tienila al sicuro.” rimasi a bocca aperta. Dimenticandomi che lei non era una persona normale, sapere tutto di tutti discretamente era parte del suo lavoro. “Non era mia intenzione far preoccupare l’Ambasciatrice, avevamo bisogno di prendere una boccata d’aria e siamo andati ai giardini sul crinale est. Siamo rimasti lì tutta la notte.” spiegai in evidente imbarazzo. Il mio viso ardeva. “Ci sono cose che devono rimanere intime Solas, non ti preoccupare, ci sarà sempre gente che disapproverà la vostra unione, sia all’interno che all’esterno dell’Inquisizione. Se la senti vera, vivila. Non preoccuparti di cosa pensa il resto del mondo. Conta quello che lei pensa di te. Vi meritate il meglio, voi siete brave persone e avete entrambe sofferto abbastanza. Lei conta molto sulla tua guida ed il tuo appoggio, sei il suo confidente più intimo...” continuò la Capospia. “Mi stai chiedendo – la interruppi ringhiando – di condividere con te le conversazioni private tra me ed Elanor, Usignolo?” Leliana sbarrò i suoi occhi azzurri. “No Solas, sto dicendo che sei colui che ha scelto di amare.”
 
Ci accampammo per un’ultima volta a sud di Skyhold. Dopo dei giorni di pioggia incessante e ritmi rallentati il sole fece capolino all’orizzonte. In seguito alla conversazione con Leliana decisi di non montare la mia tenda e passare la notte da solo, lontano dall’accampamento. Dopo la notte ai giardini sul crinale io ed Elanor non avevamo avuto molti contatti, i consiglieri la assorbivano quasi completamente e non le lasciavano molto tempo libero, né per lei, né per noi. Il tempo lo trascorrevo scrivendo le mie nuove conoscenze ed impressioni sul nemico, sorseggiando del disgustoso té al bergamotto: alle volte giocavo a Grazia Malevola con Blackwall e occasionalmente con Varric, il povero nano non la prese bene quando il locandiere della taverna di Skyhold affisse il divieto di partecipare al torneo sia a lui che alla sua inseparabile Bianca. Mi chiesi spesso, con un certo divertimento, come lui sostenesse la tesi che una balestra potesse tenere in mano un mazzo di carte.
“Non hai montato la tenda, come mai?” mi chiese Elanor con un sorriso. “Ci sono delle rovine qui vicino dove il Velo è più sottile, pensavo di dormire lì ed entrare nell’Oblio in sogno, magari noto qualcosa di diverso.” le dissi impacchettando un po’ di viveri in una borsa leggera. “Posso venire con te? Come hai fatto quando mi hai riportata ad Haven in quel sogno…” mi chiese lasciandomi di stucco. Inclinai la testa con aria interrogativa. “Non mi piace che tu ci vada da solo… è pericoloso.” continuò stringendosi nelle spalle distogliendo lo sguardo. Mi alzai e la abbracciai. La cullai dolcemente tra le mie braccia. Appese le sue mani alla mia maglia di lana eterna e cuoio di nug. “Non è esattamente la stessa cosa e non mi succederà niente comunque, ma se vuoi, possiamo andare assieme.” acconsentii un po’ riluttante. Era un miscuglio di paura per quel che poteva succedere e voglia di averla con me per qualche ora. Non avrei permesso che le succedesse qualcosa nell’Oblio. Avrei dovuto impegnarmi e trovare una zona tranquilla dove accompagnarla. Una zona più sicura di quella che avevo intenzione di esplorare: la fortuna non può sempre assisterci. “Grazie.” mi disse alzando il suo viso verso il mio, le baciai la punta del naso. Sorrise arrossendo e mi baciò più tranquilla sulle labbra. Impacchettai qualcosa in più per la mia compagna: della carne essiccata, un contenitore per bollire dell’acqua, una coperta e una maglia pesante e presi il bastone da eretico. Lei mi si avvicinò alle spalle, silenziosa come un felino a caccia. Non la percerpii affatto. Mi misi il fagotto sulla schiena e appena mi accorsi di lei, le sorrisi. “Andiamo?” mi chiese impaziente reggendo il suo involto e il suo bastone da incantatore. Ci allontanammo e una fitta di preoccupazione si fece strada quando mi chiesi se aveva avvisato Josephine o perlomeno Leliana dei suoi programmi per la notte, ma decisi di non indagare, non sarebbe servito e mi avrebbe solo zittito con la questione della libertà di scelta di ognuno. Avrei voluto avere la sua faccia tosta, la sua indipendenza e la sua forza di opporsi alle regole rigide che la sua posizione richiedeva di continuo. La amavo anche per questo.

“Come ti senti? Adesso che Orlais non è più sull’orlo della guerra civile e l’Occultista di Celine è già a Skyhold?” le chiesi con una certa apprensione. Lei mi guardò con una vena di preoccupazione negli occhi. Sapeva che mancava poco alla resa dei conti. “Sono preoccupata, in un anno e mezzo quello che era poco più di una ventina di eretici, i pochi Templari di Cullen e mercenari è diventata una potenza indipendente a cavallo tra due Stati, rivali da sempre, ed io ne sono il vertice: da me dipende il destino di intere Nazioni. Non ti nascondo che per una come me, un’elfa Dalish, è strano avere a che fare con queste responsabilità. Ho paura di sbagliare, ho paura di non essere all’altezza della missione. Un mio sbaglio di valutazione può significare la rovina per qualcuno. Ho paura, vhenan. Tanta paura…” non ero pronto emotivamente per questa preoccupata confessione, cercai di essere il più delicato possibile: “Sei esattamente dove dovresti essere, amore mio, sei una speranza per noi e per molti altri, sei la chiave di volta per ripristinare l’ordine ed è vero, questo ti dà una grande responsabilità e temo che più avanti possa diventare un grosso bersaglio attaccato alla tua schiena. Ho setacciato l’Oblio in cerca di risposte a quello che sei, a quello che l’Ancora ti ha resa, sono rimasto al tuo fianco dopo aver sigillato il Varco e ancora per me rimani un mistero… un piacevole mistero. Per quanto possa sembrare stupido e scontato dirtelo, io sarò sempre qui al tuo fianco. Qualunque scelta tu debba prendere, conta pure su di me.” Arrestò il suo cammino, singhiozzando e mi disse solo: “Abbracciami.” non me lo feci ripetere due volte, la strinsi al petto. I singhiozzi si trasformarono presto in lacrime, pianse come una bambina mentre la tenevo stretta e le toccavo i lunghi capelli neri raccolti in una crocchia. Il fastidio che provai per averla fatta piangere era inimmaginabile. Guardai in direzione del Varco, in lontananza si vedeva nel cielo terso. Sentii la rabbia salirmi dentro.

Fen’Harel, hai fatto tutto troppo in fretta, amico mio… Corypheus ha stravolto i tuoi piani, poteva accadere ed è successo.
La voce dello Spirito fece capolino e a malincuore aveva ragione. Lo allontanai frustrato.

Dopo un’ora arrivammo alle rovine, ridotte ad un cumulo di pietre lavorate e consunte ed un lastricato. Silenzioso iniziai a preparare il piccolo campo. Per prima cosa cercai un po’ di legna per un piccolo fuoco, ci avrebbe aiutato a tenere lontani i ragni giganti e i lupi. Elanor, ancora stordita dal pianto stese i sacchi a pelo e preparò una rudimentale tenda con dei picchetti e un telo di cuoio di montone angusto, trafugato dai materiali che l’Imperatrice Celene donò all’Inquisizione per aver sventato l’attentato alla sua persona. Il cielo iniziava ad imbrunire. Nella mia cerca di legna per alimentare il fuoco mi imbattei in un fiore di loto nero, lo raccolsi, sperando di alleviare almeno un po’ le preoccupazioni di Elanor. Mi avvicinai alle sue spalle, glie lo misi tra i capelli, lei con lo stupore dipinto in volto si girò, le sue guance e il suo naso erano ancora rossi dal pianto, glie lo baciai e sorrisi. Lei guardò in basso e prese a giocare con il mio ciondolo: “Scusa davvero per prima, mi sono comportata come una bambina capricciosa, non avrei dovuto, non con te, che hai passato momenti peggiori dei miei anche e soprattutto a causa mia.” Inclinai la testa, non volevo si scusasse, avrei potuto andarmene molto tempo fa. Le presi il mento tra due dita e le alzai il viso, la guardai, era così bella. “Quello che ti dissi durante il sogno la prima volta era vero. Quando ti riportammo ad Haven dopo che stabilizzammo il Varco la prima volta: ero terrorizzato e Cassandra non nutriva alcuna fiducia in me, per non parlare di Leliana. Dovevo rigenerarti con ogni mezzo, dovevi tornare da noi. La tua anima era a brandelli, sparsa nell’Oblio e l’unico in grado di poter provare a fare qualcosa, l’unico che sapeva cosa fosse l’Oblio e sapeva muoversi al suo interno ero io. Volevo aiutare, ma non sapevo come fare. Per giorni setacciai il mondo oltre il Velo in cerca dei frammenti in cui si era ridotta la tua anima, eri sempre più debole. Ricomposi a fatica il tuo spirito lacerato, nutrendo ben poche speranze di aver fatto un lavoro discreto… ti stavi riprendendo lentamente, molto, troppo. Avrei voluto andarmene, semplicemente; cosciente che Cassandra e Leliana avrebbero rivoltato l’intero Thedas pur di trovarmi… e probabilmente uccidermi. La mano sinistra della Divina si sarebbe sporcata le mani del mio sangue con estremo piacere, credo. Sono rimasto sì per chiudere gli squarci… ma sono rimasto anche e soprattutto per te. Di te mi importa, molto di più di quanto dia l’impressione. Hai cambiato… tutto.” i suoi occhi violetti brillarono alla luce del tramonto, la presi e la baciai, non mi sentivo così vulnerabile e allo stesso tempo così responsabile da tanto, era una sensazione strana: mettere il proprio cuore tra le mani di un altro era rischioso, ma valeva tutte le pene del mondo. Rispose al bacio con incisiva passione iniziando a levarmi la cintura attorno alla maglia. La lasciai fare. Avevo un egoistico bisogno di abbandonarmi al suo calore, era rischioso, per quello che ero realmente e per quello che era lei, ma volevo camminare sul filo del rasoio. Non avrei permesso a nessuno, nemmeno all’altra metà di me di interferire, mi chiesi solo se mai lei lo avrebbe accettato, avrebbe accettato me nella mia interezza, mi stesi sul sacco a pelo posato sul pietrisco, le levai la camicia di tela rivelando il suo giovane petto candido.
La strinsi a me, geloso anche solo degli insetti che avrebbero potuto ammirarla quanto me, la volevo. Con malizia mi graffiò il ventre con la punta del mio ciondolo. “Cosa rappresenta in realtà? Non riesco a dargli una forma, è una sorta di mandibola?” Sorrisi maliziosamente, mi stava solleticando. Non sapevo di soffrire il solletico, la lasciai fare, era piacevole. “É una reliquia.” risposi vago. “Certo certo… dovevo immaginarlo: rovine, reliquie, antichità...” disse lei con un tono di divertente commiserazione. Con un gesto fulmineo la morsi piano su un braccio. Ridendo si dimenò e si mise sopra di me mesta, baciandomi il collo e proseguendo fino all’orecchio. I suoi capelli nascosero il mio rossore imbarazzato. Il suo inguine percepì il mio apprezzamento e rispose di conseguenza. “Ti amo, Orgoglio.” mi disse, era da tanto che nessuno mi chiamava con il mio nome nella lingua comune.
“Ti amo Stella.”

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Il sole era sceso da qualche ora. Ci rivestimmo, il fuoco era acceso e lì seduti dividemmo della carne essiccata e del pane nero, un recipiente era vicino alle fiamme per il té, arricciai il naso al pensiero di quel suo sapore disgustoso, ma non avevamo molto altro a disposizione decisi di non protestare, e tenni per me le mie lagnanze, non sarebbe cambiato nulla. Elanor alimentò un po’ il fuoco, impaziente di entrare con me nell’Oblio ed esplorarlo. Finito il nostro pasto le chiesi se fosse sicura e pronta. Con un cenno del capo mi diede assenso. “Ti farò entrare per prima, non ti muovere ed io ti raggiungerò.” le dissi, mentre si infilava dentro il sacco a pelo anche se le notti erano ancora comunque tiepide, non sarebbe stata una pessima idea, mi dissi. “Ti aspetterò.” mi rassicurò con un sorriso. La baciai, posai una mano sullo stomaco e l’altra la misi sulla fronte. Con uno scoppio di magia, separai la sua anima dalla carne. La osservai avvicinarsi leggera al confine tra i mondi. Mi stesi e divisi la mia anima dal corpo, salii verso la zona di passaggio, era tagliente e gelida.
 
Piombammo in un luogo semideserto, vagavano solo poche anime e ricordi. Decisi che non ci fosse alcun amico Spirito nei paraggi. Da quando gli Squarci sono stati aperti ne trovavo sempre meno, alcuni vincolati e trascinati nel mondo sottostante grazie alla magia del sangue che trasformava loro in Demoni, altri semplicemente svaniti. Il terreno sabbioso nemmeno si muoveva al nostro passaggio. “Così è questo l’Oblio… o almeno, un’altra porzione…” disse meravigliata. Eravamo in un canyon: pareti alte si ergevano ai nostri fianchi, il rossastro della pietra e della polvere contrastava di netto con il verde striato di nero del cielo dell’Oblio. Funghi lattescenti spuntavano dalla roccia, Elenor provò a raccoglierli senza successo. Ringhiò. “Sei solo anima, – ridacchiai – non puoi fare nulla, nemmeno spostare il terreno sabbioso, te ne sei accorta?” le dissi sorridendo ancora, cercando di non sembrare troppo presuntuoso, era la sua prima volta da anima cosciente nell’Oblio, ricordo che all’epoca quasi impazzii per lo stesso motivo. Decisi di farle vedere una cosa, la prima volta che la vidi rimasi sbalordito, avevo una piccola speranza che tutto fosse rimasto come nei miei ricordi. Iniziai a camminare sulla parete rocciosa, verso la cima del canyon, lei quasi urlò: “Ma come… ma come ci riesci? Non… non è possibile! Stai… stai camminando su una parete verticale proprio come cammineresti qui… è… è straordinario!” La esortai a provarci, siamo spiriti, non avremmo avuto conseguenze, qui le leggi che muovono il mondo mortale non valgono. “Devo farti vedere una cosa.” la incalzai fermandomi a metà percorso. Un po’ riluttante iniziò la sua camminata verticale. “Libera la tua mente dai preconcetti, qui non esistono. Vedrai che tutto ti sarà più facile.” i suoi primi passi malfermi si trasformarono presto in una camminata salda sul costone rossastro del canyon.  


Arrivai in cima più in fretta di lei, quando arrivò la aiutai a rimettersi sul piano orizzontale e le coprii gli occhi con una mano prima che potesse abituarsi al cambio di luce, mi misi dietro di lei e la accompagnai delicatamente un po’ più avanti, ci fermammo e le tolsi la mano dagli occhi: “Guarda, l’Oblio.” Aprì gli occhi e divenne stupore. Il panorama era mozzafiato. Interi cunei di terra rosso scuro fluttuavano nel vuoto, carichi di vegetazione dai colori vivaci, soffi di fresca aria verde si muovevano sopra di noi, un morente e pallido sole schiariva ancora per poco il verde del cielo alla nostra sinistra, il tramonto era vicino. Anche se non c’era alcuna traccia vivente, era il momento più vicino alla perfezione. Guardai la sua meraviglia crescere ad ogni attimo, le chiesi comunque titubante: “Ti piace?” Mi guardò stupefatta: “Prima quella strana scalata ed ora questo, è semplicemente… mozzafiato. È meraviglioso! Esistono davvero meraviglie di questo genere nell’Oblio?” risposi con un sorriso alla retorica della sua domanda, annuii con un cenno del capo; ero contento di averla affascinata dal mondo che sto studiando, da averle fatto capire una delle mie ragioni di vita. Ero rincuorato che capisse cosa provassi ogni volta che esplorando questi luoghi in sogno e trovavo nuove meraviglie. “Quello che puoi solo immaginare qui esiste. È il primo mondo nato, un mondo immortale, popolato da Spiriti.” i suoi occhi brillavano di meraviglia. “Raccontami, raccontami di questo luogo, dei tuoi studi…” quasi mi implorò assetata di conoscenza. Nessun Dalish lo aveva mai fatto, nessuno pendeva così tanto dalle mie labbra come la mia Elanor in questo momento. “Va bene, ti racconterò quello che so, ma non qui. C’è tanto da dire, e qui siamo intrusi. Prima di tornare volevo però mostrarti cosa succede al calar del sole…”

Le indicai la parte opposta al tramonto, la vegetazione iniziò a splendere di azzurro nel buio, il cielo divenuto prima una coltre verde scuro, ora risplendeva di un verde acqua innaturale e splendido. Le radici della vegetazione sulle isole fluttuanti si tinsero di azzurro e ricamarono le rocce sospese. Gocce di non materia scendevano e rimanevano sospese a mezz’aria illuminando anch’esse di azzurro il paesaggio circostante. Così come i ciuffi d’erba dell’Oblio irradiavano la loro luce azzurrognola sotto i nostri piedi immateriali. Il cambiamento tra giorno e notte nell’Oblio aveva sempre dell’affascinante, era sempre come la prima volta. Era il mio mondo fantastico, il mio nascondiglio dal caos del mondo mortale. Era rassicurante e meraviglioso. Elanor fissava il cambiamento con meraviglia. La capii perfettamente, avrei dato molto per conoscere i suoi pensieri, ma era arrivato il momento di andare. “Vhenan, ora andiamo, troppo tempo nell’Oblio per una mente non adeguatamente addestrata è rischioso. Vado per primo. Ti prego, non allontanarti, devo richiamarti nel tuo corpo. Ti sentirai improvvisamente pesante e stanca. Non ti preoccupare.” Mi sollevai in volo verso il punto dove il Velo era più sottile. Come un macigno ricaddi nel mio corpo. Mi ci volle un po’ per riprendermi, l’Oblio era spietato nel riconsegnarti al mondo dei mortali. Era difficile prendere coscienza con un corpo limitato, chiuso, anche se lo si fa spesso era una sensazione orrenda a cui sei riluttante a farci l’abitudine. Scrollai la testa e in fretta riposai le mani sul corpo di Elanor, il suo cuore pulsava appena. Usai tutta l’energia che mi era rimasta per riportarla nel suo corpo.
Appena aprì gli occhi le crollai addosso svenuto.

Mi destai dopo qualche ora. Avevo la testa in frantumi e la vista offuscata, accanto a me intravidi una Elanor preoccupata. Dovevo avere un aspetto terribile. Il fuoco accanto a me ardeva tranquillo e la sua presenza calda un po’ mi confortava, se fossero arrivati predatori selvaggi non sarei riuscito a reagire per difendere me ed Elanor. Sapevo che era in grado di farlo da sola, sapevo che era in grado di difendere anche me se ne avessi avuto bisogno, ma la sentivo come una mia responsabilità.
“Come ti senti?” mi chiese con la voce rotta dalla preoccupazione. Tentai di formare una risposta, ci misi poco a capire che avevo la gola secca al punto da non riuscire a parlare. Indicai tremolando la rudimentale teiera affianco al fuoco, in fretta prese l’acqua e ci mise al suo interno tre pizzichi di tè aromatizzato: avrei dovuto sopportarne il sapore, ne andava del resto della nottata. Bevvi sorsi profondi, tenendo il liquido amaro in bocca e masticando il trito di foglie, ripresi pian piano padronanza del mio corpo. Elanor continuava a fissarmi spaventata, riprovai a risponderle: “Sì, abbastanza, grazie. Non avevo considerato il consumo eccessivo di magia nel trasportare due individui nell’Oblio... avrei dovuto portare dei dolcetti…” dissi sorridendo stanco, cercando di tagliare quell’atmosfera pesante. Elanor sospirò sollevata e mi sorrise, i suoi occhi viola brillavano alla luce calda del fuoco, mi si gettò tra le braccia tremando. Mi si strinse il cuore. Compresi pian piano che era riuscita a rimettermi in posizione supina.
 
Con difficoltà mi drizzai a sedere, avevo dolori ovunque, Elanor sembrò accorgersene e appallottolò il suo sacco a pelo e me lo mise tra la mia schiena e una liscia pietra lavorata, cercai di protestare, lei non volle sentire ragioni. “Non ti preoccupare. Resto io sveglia per alimentare il fuoco e fare la guardia, mancano poche ore all’alba, dovresti usarle per riprenderti. È stata colpa mia, non avrei dovuto abusare della tua magia per soddisfare una mia curiosità. Hai rischiato la tua vita per un mio capriccio, questo è il minimo che io possa fare.” Mi diede della carne secca e un’altra tazza di té.
Mi riaccovacciai senza protestare, savevo che non sarebbe servito a molto sfidare la caparbietà di Elanor. Cercai di dormire. Trovai affianco a me il loto nero che avevo messo tra i capelli di Elanor qualche ora prima, il fatto che fosse ancora scuro voleva dire che l’alba era ancora abbastanza lontana. Sprofondai presto in un sonno senza sogni.

Cosa pensi di fare con lei, Fen’Harel?
Mi interrogò lo Spirito mentre dormivo.
Non lo so ancora, ho paura a rivelarti a lei, sei una minaccia. Sei sempre stato una minaccia.
Cercai di spingerlo via per lasciarmi ancora qualche eterno minuto di sonno. I suoi occhi assunsero un taglio ferale.
Lo sai che non puoi arginarmi per sempre, Fen’Harel. Io sono te, e tu sei me. Devi imparare a conviverci, se vuoi ottenere risultati.
Aveva ragione. La mia presenza nell’Inquisizione aveva un secondo fine. Il fatto che mi fossi innamorato della persona che in condizioni differenti sarebbe stata una potente nemica, fa di me un intruso, un tarlo, un parassita. Avrei dovuto, prima o dopo, fare i conti con questa realtà, un giorno o l’altro potrei essere scoperto e avrei dovuto accettarne le conseguenze. Sarebbe stato il mio prezzo da pagare per quello che causai. Nessuno sfugge a lungo al proprio destino.
Nella scalata per l’eternità ognuno proseguirà per la propria via, portando il proprio fardello. Il mio è questo.
Con questo pensiero allo Spirito lasciai definitivamente il torpore di un sonno faticoso. Aprii gli occhi e vidi la sagoma lunga e snella di Elanor che si poneva tra me e l’enorme palla infuocata che stava sorgendo ad est. Improvvisamente desiderai l’impulso di affondare il naso nei suoi capelli profumati di albicocca.
 
Cole si materializzò al nostro misero accampamento. Da quando divenne completamente Spirito queste sue apparizioni erano frequenti e credo provasse un certo piacere meschino nel far trasalire tutti. “Sofferenza, stanchezza, dolore. Il tuo sonno non ti ha ristorato amico mago, come posso esserti d’aiuto?” lo sguardo bovino di quel ragazzo dai capelli color del grano si posò sul mio viso sfatto. “Se ti ho attirato qui Cole, Spirito di Compassione, devo essere messo davvero male.” dissi con un riso leggero. Affannato cercai di alzarmi, il ragazzo mi prese da sotto una spalla, facevo fatica a reggermi in piedi da solo e l’arrivo di Cole fu più che provvidenziale. Ci avvicinammo ad Elanor, si era assopita appoggiata ad una pietra tagliata e consulta dalle intemperie. Sorrisi. “Non ti preoccupare. Lascia che il suo bagliore riposi. Ho vegliato io su di voi. È da quando avete lasciato Halamshiral che vi seguo furtivo.” mi chiesi abbastanza in imbarazzo se sapeva cosa fosse successo tra me ed Elanor. “Non ti preoccupare, sono uno Spirito adesso, invidia o gelosia non possono tentarmi. Quello che fate con i vostri corpi mortali non interessa agli Spiriti.” mi tranquillizzò, dimentico spesso che percepisce i sentimenti di frustrazione, imbarazzo e dolore. Mi domandai quasi curioso, fino a che punto si fosse spinto a studiarmi. Temetti di conoscere la risposta.
 
Baciai Elanor lungo il vallaslin al di sopra degli zigomi, lentamente aprì gli occhi. Mi sorrise e per me fu la migliore medicina, non ce l’aveva con me per quello che mi ero fatto. Decisi che avrei lavorato per espandere e migliorare la mia riserva di mana in modo da non rischiare di oltrepassare più il limite. Ripetute esplosioni di magia di quell’entità avrebbero potuto prosciugarla per sempre e rendermi di fatto un fardello inutile, privato del mio potere unico nel suo genere. “Come ti senti? Hai dormito un po’?” Mi chiese Elanor corrugando leggermente la fronte, non tanto, ma quanto basta per incutere nel suo interlocutore un timore quasi reverenziale. “Sto bene – mentii – la magia si sta rigenerando, quello che mi servirebbe ora è un lauto pasto e una sosta alle terme. Purtroppo le razioni da viaggio ed un ruscello gelato non sono esattamente quello che avrei desiderato.” dissi cercando di non sembrare eccessivamente sgarbato. So che era preoccupata, mi frustrava che qualcuno avesse a cuore la mia salute, sono stato solo troppo tempo.
Rifiutai l’aiuto di Cole, presi la maglia di scorta e mi avviai lentamente verso il ruscello che passava poco distante dalle rovine, in una piccola depressione del terreno collinare. Mi tolsi la giubba assieme ai calzoni e mi lavai, frizionandomi vigorosamente la pelle del corpo. Presi dell’acqua tra le mani a conca e me la lanciai in viso, rimanendo con le mani appoggiate lì qualche secondo. Sentivo gli occhi pizzicare ed infreddolirsi, ma era una sensazione piacevole. Mi alzai e mi passai le mani lungo il corpo nudo per spalmare le goccioline reticenti al primo sole del mattino. Passai le mani lungo la barba che iniziava a farsi fastidiosamente risentire dopo una settimana di rasatura. Al ritorno a Skyhold avrei dovuto occuparmi di quello. Anche gli elfi contrariamente a quanto si pensa, hanno la barba, molto più rada di quella umana, ma appena spuntava pizzicava ed era ugualmente fastidiosa. Con cautela mi rivestii, il mal di testa era migliorato un po’ assieme all’equilibrio, ma sentivo di non essere ancora al pieno delle mie facoltà più elementari.
 
Tornai da Elanor rivestendomi, il mio ventre era ancora leggermente segnato dal graffio che mi aveva fatto con il mio monile, speravo di non averle fatto accidentalmente male quando, svuotato, le svenni addosso. Al piccolo accampamento era nel frattempo comparso Varric Tethras, figlio minore di una ricca famiglia di Orzammar, anche se lui nacque tra le pietre di Kirkwall. Ad occhi rustici e campagnoli sarebbe sembrato il classico tipo da taverna: rozzo, folle, mezzo cantastorie e mezzo giocatore d’azzardo. Scrittore e assaggiatore esperto di vini. In realtà era a capo di una fitta rete di spie e gestiva segretamente trattative con la Gilda dei Mercanti nanici, e lo faceva dannatamente bene. Stavano mangiando alcune fette di pane imburrato e delle mele, portate dal nostro compagno nano, “Salute, Figlio della Pietra.” dissi riparandomi il viso dal sole sempre più alto. “Alla fine siete riusciti a sgattaiolare via. Fortunatamente Elanor ebbe la gentilezza di avvisarci, non come al Palazzo d’inverno, quando tutti pensavamo fosse successo qualcosa di brutto, magari un’imboscata da parte delle spie di Briala… Halamshiral è un posto infernale.” confermò il nano facendomi divampare la furia in viso. “Tranquillo Varric, non è successo nulla, siamo ancora qui, siamo assieme, sappiamo badare a noi stessi meglio di quanto tu e i consiglieri pensiate. Abbiamo voluto starcene un po’ per conto nostro, non dovrebbe essere un problema con chi decido di passare il mio tempo.” rispose Elanor irritata dal velato rimprovero. “Non è un problema Elanor. So bene che sei potente e so bene che anche lo spiritosone di Solas lo è, lo sappiamo tutti, ma non possiamo trascurare nessuna eventualità, specialmente nella posizione critica in cui siamo. Di fatto siamo sì una potenza, formata però da eretici a cui fino ad un anno e mezzo fa il Ferelden dava la caccia e giustiziava impiccandoli come monito sulle fronde degli alberi. Siamo una potenza di fatto non ufficialmente riconosciuta da nessuno: ora facciamo comodo, quando inizieremo a non essere più necessari, diventeremo individui scomodi e sarà l’ora in cui i nostri compagni troveranno le nostre gole tagliate e i nostri corpi gettati in uno scolo.” Malgrado tutto, dovetti dargli piena ragione.
Silenziosamente impacchettammo le nostre cose e seguimmo Varric al convoglio pronto per la partenza, slegai il mio cavallo scuro e gli passai una mano sulla criniera. Il castrato mi rivolse uno sguardo annoiato.  Lentamente la carovana del clan Dalish si allontanò in direzione di Redcliffe, probabilmente per poi usufruire del piccolo commercio del Crocevia nelle Terre Centrali per poi proseguire verso Nord in direzione di Crestwood. Non posso dire che mi mancasse la loro compagnia. Anzi. Proseguimmo più spediti in direzione di Skyhold dove arrivammo a notte fonda. Smontai da cavallo e lo portai alle scuderie, mastro Dennet si sarebbe preso egregiamente cura del mio destriero dall’orgoglio ferito: non l’avevo lasciato correre quanto avrebbe voluto, la sua stima nei miei confronti sarebbe scesa di parecchio, probabilmente. Elanor arrivò a cavallo del suo halla candido, le sue corna intrecciate e la sua figura snella di accompagnavano perfettamente con il corpo affusolato della sua amazzone; si abbassò il cappuccio verde scuro bordato d’oro del mantello, mi sorrise e smontò dal piccolo cervide. “Non so tu, ma io ho decisamente bisogno di una vasca di acqua bollente in cui affondare.” arrossii al pensiero di vederla immersa nell’acqua calda, i boccoli che le ornavano il viso raccolti in maniera disordinata sopra la testa e lei che canticchiava nuda una melodia antica. “Io sto abbastanza bene – dissi scacciando il mio malizioso pensiero – ho solo bisogno di rasarmi un po’, detesto quando la barba mi punge e detesto ancor più essermi dimenticato rasoio, allume e specchio per poterlo fare.” lamentai toccandomi il mento e la mandibola scarna. Si avvicinò a me e mi pose le mani sui fianchi, si mise in punta di piedi e mi sussurrò all’orecchio: “Sì, effettivamente hai ragione, mi piaci di più senza barba.” e poi mi serrò il lobo tra i piccoli canini, mordicchiandolo e giocandoci un po’ con la lingua. Dannata Elanor. Vuoi farmi impazzire?

“Siete arrivati finalmente, temevamo un’imboscata nei territori del Leone, dovreste sapere che non è sicuro attraversare quelle zone, …sempre che il vostro intento primario non fosse quello di farvi ammazzare, è chiaro.” disse Dorian facendo di proposito capolino nella nostra intimità. Dorian Pavus, un collega mago umano, proveniente da una delle più illustri famiglie dell’impero Tevinter. Non era propriamente un Magister, aveva lasciato il Tevinter prima di essere nominato tale e all’interno della nostra fortezza si vociferava avesse lasciato l’Impero a causa dei suoi gusti sessuali o fosse addirittura stato scacciato dal padre; in ogni caso il Tevinter aveva perso uno dei più promettenti maghi della sua storia. Mi sforzai di sorridergli. “Dorian! Che piacere ritrovarti, abbiamo soccorso ed accompagnato una carovana di Dalish per un tratto di strada, ci hanno fatto deviare un po’ per necessità di carri e animali da tiro, il tempo non è stato clemente e non ci ha risparmiato parecchi nubifragi. Ora vogliate scusarmi, mi ritiro nei miei alloggi, sono sicura che Solas saprà descriverti minuziosamente le meraviglie di Halamshiral e dell’attentato ai danni dell’imperatrice Celene che abbiamo sventato, anche senza di me.” disse Elanor congedandosi. Mi baciò frettolosamente sulla guancia e se ne andò correndo su per le scalinate. Dorian mi prese sotto il suo braccio. Curvai leggermente in avanti sotto il peso di quell’uomo dal fisico abbronzato ed atletico. Il profumo curato con un bouquet di spezie pregiate, cannella e anice di quell’uomo era in netto contrasto con il mio misto di sudore, cavallo, lavanda e radice elfica. “Allora, ti andrebbe una birra gelata, mia vecchia canaglia?” accettai l’invito senza indugio, un lauto pasto anche se era notte fonda mi avrebbe fatto solo bene. Sarei sgattaiolato da Elanor più tardi.

Entrati alla taverna trovammo l’oste abbastanza alterato per la nostra presenza e per il fatto che volevamo anche mangiare a quell’ora indecente: io volevo mangiare. Mi venne servita, con qualche insulto non ben mascherato, un’abbondante ciotola di zuppa di fave, della carne di montone allo spiedo, uno stufato di tuberi e radice di zenzero, il tutto annaffiato con abbondante birra gelata. Erano due settimane che mangiavo razioni da soldato e bevevo dell’orrendo tè. Dorian mi guardò con curiosità e stupore bevendo tranquillo il suo boccale di birra. “Certo che per essere un elfo e per essere così dannatamente magro, mangi come una guarnigione dopo un mese di razionamenti.” mi disse alzando il sopracciglio scuro mostrando apprezzamento e ammirazione quasi nel tono di voce. Deglutii e bevvi prima di rispondergli. “Scusa Dorian, so di essere uno spettacolo bizzarro è solo che non mi sazio con la carne affumicata e il pane nero.” era vero. Placavano la fame per qualche ora, poi ero costretto a rubare nei frutteti o cacciare qualche animale, magari selvatico e di piccola taglia, giusto per provvedere al mio unico fabbisogno alimentare. Ci ero abituato. “Questa frase sembra sia uscita più dalla mia bocca che dalla tua, caro amico mio. Ricordi? Io sono il mago nobile e cattivo del Tevinter, quello strano, sei tu l’elfo rispettabile: ex eretico votato per una causa superiore che ha viaggiato per il nostro mondo e quello al di là del Velo.” Sorrisi posando il boccale. Era vero. Quasi tutta la gente della fortezza aveva una cattiva opinione su Dorian, perfino Vivienne: l’Incantatrice imperiale al seguito di Celene che si arruolò quasi subito in un’Inquisizione ancora neonata e fu accolta a braccia aperte per le sue conoscenze e la sua notevole influenza presso la corte di Orlais. Vivienne temeva che il giovane Pavus avesse una cattiva influenza sul Elanor, in merito alla selezione e gestione degli scritti nella biblioteca in particolar modo. Nonostante tutto, proprio considerando noi tre, Dorian era decisamente il più tranquillo e ponderato riguardo alle scelte di Elanor. Salutai con garbo il giovane rampollo Tev e mi diressi alle terme.
 
Skyhold, nota agli antichi elfi come Tarasyl’an Te’las, che tradotto in lingua comune sta a significare: luogo che custodisce il cielo, fu eretta da loro al culmine della loro civiltà, spianando magicamente una montagna dapprima inaccessibile. Dopo la riduzione in schiavitù del popolo da parte di potenti maghi autoproclamatisi Dei, gli Evanuris, e la successiva caduta della civiltà elfica, Skyhold fu abbandonata. La proprietà passò di mano in mano finché non fu completamente dimenticata. Dopo la distruzione di Haven e le numerose perdite di vite, l’Inquisizione aveva bisogno di un nuovo quartier generale, per leccarsi le ferite, una fortezza in grado di resistere agli assalti, anche dei draghi se necessario. Spronai i superstiti a seguire Elanor verso queste montagne. Qui fu dove io creai il Velo. Sono quasi sicuro che l'archivista nella Sala Separata della Vir Dirthara, l’Antica Biblioteca Distrutta, trascrisse la seguente memoria: Dopo aver trattenuto il cielo per imprigionare gli Dei, il Temibile Lupo scomparve nel nulla senza lasciare traccia. Ridacchiai tra me e me.

Ovviamente all’epoca della creazione del Velo le terme non esistevano, fu un’aggiunta successiva all’insediamento della nuova Inquisizione, più come piacevole diversivo per la nobiltà che occasionalmente frequentava la corte di Skyhold, la riteneva necessaria al pari di un morbido letto. Devo dire che l’idea non era poi così male. Scesi le scale tranquillamente, a quell’ora della notte non ci sarebbe stato nessuno, o quasi. Controllai nel taccuino di pelle di druffalo che ci fosse tutto il necessario per la rasatura. Annotai mentalmente di comprare i cristalli di allume per la rasatura. Andai prima all’antibagno, mi rasai senza tagliarmi troppo per fortuna, i cristalli di allume della schiuma bruciavano un po’ sulla pelle irritata. Mi levai i calzoni e con un panno addosso alla vita mi recai nella parte più interna alle terme.
Uomini e donne, elfi, nani, qunari od umani che fossero e a qualunque ceto sociale appartenessero avevano libero accesso alla zona termale, situata in un’ala adibita appositamente per questo scopo ad Est sotto la fortezza; non c’erano particolari esigenze di condotta, vigevano le stesse regole del comune vivere. Sedetti su una panca di cedro bruno, posai la testa sulla pietra basaltica della stanza, l’aroma di erbe balsamiche si spandeva ovunque e la rendeva una perfetta zona di meditazione. Sentii dei lievi passi avanzare giù per la scalinata in pietra. Il ritmico rintocco degli zoccoli non dava l’impressione che quell’individuo fosse lì per sbaglio. Decisi di non preoccuparmi troppo, probabilmente non riusciva a prendere sonno. Respirai il vapore aromatico. “Solas...” annunciò una voce bassa di donna. Aprii gli occhi e li sbattei più volte per mettere a fuoco la figura avvolta nella nebbia profumata. “Morrigan...” risposi difensivo alla consigliera personale dell’imperatrice Celene. Dai suoi occhi ridotti a fessure percepivo scintille di un antico odio nei miei confronti. Non seppi spiegarne il motivo, forse era solo una mia impressione.
Morrigan era conosciuta da tutti come una persona cinica e sarcastica, la cosa che però mi resi conto di apprezzare era la sua opinione riguardo ai Circoli dei maghi: perfettamente inutili anche secondo il mio punto di vista. Cercai, probabilmente invano, di non apparire teso: era indubbiamente una donna dalla bellezza unica e selvaggia, il corpo snello e alto di una donna umana tonica sulla trentina, il grembo largo ed il seno non troppo sodo come solo quelli di una madre possono essere, all’improvviso mi trovai a chiedermi che fine avesse fatto suo figlio Kieran. Sopra un collo sottile si ergeva un viso allungato coronato da dei bruni capelli raccolti con un fermaglio alla nuca, incastonati nel viso due occhi dorati da sparviero mi fissavano dall’altro capo della stanza.

“Non ti facevo un animale notturno, – ruppe il ghiaccio la donna – Non tutti sarebbero in grado di soggiornare alle terme dopo un viaggio così disastroso.” Era vero. Ero stanco da morire, ma avevo bisogno di rilassarmi e riordinare i pensieri. “Avete ragione Dama Morrigan, sono solo ammaccato dalle nottate fuori e sentivo il bisogno di sciogliere i muscoli della schiena dopo la lunga cavalcata senza sosta di oggi, perdonerete la mia presenza.” dissi esausto. “Quanta formalità, elfo. Non è necessaria, dal momento che Celene mi ha dato il permesso formale di unirmi a voi, ho ritenuto doveroso incontrare tutto l’entourage se non è un problema. Mancavate tu, il figlio della Pietra e il Custode dal nome pesante.” continuò Morrigan incurante della mia lieve supplica dopo una giornata passata in sella ad un cavallo cocciuto. “Piacere mio Morrigan.” dissi, troncando ogni possibilità di ulteriore dialogo e per rafforzare il concetto, mi alzai e uscii dalla stanza. Presi la mia roba e la gettai in lavanderia. Risalii alle stanze da letto. Avrei voluto andare da Elanor, ma non ero dell’umore. Andai nella mia piccola camera e accesi il camino, ma il freddo era tanto e le spesse pareti di roccia basaltica erano difficili da stemprare. Mi misi a letto. Feci finta di dormire.

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


Mi destai ai margini di una foresta. Il fruscìo delle foglie e i tiepidi raggi di un sole primaverile mi bagnavano il viso. Chissà che sogno era. Chissà di chi fosse. Accanto a me intravidi terre coltivate, campi di cereali, ero probabilmente vicino ai Liberi Confini. Mi alzai dal soffice e fresco manto erboso. Mi toccai istintivamente la testa e mi scoprii con lunghi e lisci capelli castani. Mi mossi alla ricerca di uno specchio d’acqua: in giovane età e una quindicina d’anni prima del mio definitivo risveglio mortale avevo una capigliatura simile. In seguito, temendo di essere riconosciuto, li rasai completamente. Con facilità trovai quello che stavo cercando. Fissai l’immagine riflessa nello specchio d’acqua limpida.  La forma del viso allungato e scarno, gli zigomi sporgenti, la fossetta sul mento e la cicatrice poco sopra il sopracciglio destro. Fin qui tutto normale, mi dissi. Poi osservai meglio. Il respiro mi si smorzò in gola. I miei capelli erano lunghi fin oltre le clavicole, lisci e color dell’ebano. Alcune ciocche sui lati erano fermate con dei monili, altre più avanti erano intrecciate con fili dorati. Sulla sommità del capo portavo il cranio affusolato di un predatore dai canini affilati. I miei occhi erano verdi con minuscole pagliuzze d’oro all’esterno dell’iride, brillavano nel riverbero dell’acqua. Ai lobi e poco più in alto portavo degli orecchini d’osso e oro. Dal collo allo sterno pendeva un grosso collare di scaglie di drago anch’esso di un colore paglierino. Mi alzai sconvolto. Ero il Temibile Lupo. Paralizzato dalla paura mi chiesi di chi fosse quel sogno.
Cercai di calmarmi e mi guardai meglio intorno, la pelliccia grigia e nera di Lupo faceva capolino sopra la mia spalla destra e in diagonale mi accerchiava schiena e torace fino al fianco, posata sopra una tunica di seta bianca.  Uno spallaccio bronzeo finemente lavorato ad intaglio era fissato alla mia spalla sinistra da una tracolla con inserti dello stesso materiale legata al mio petto. Inserti in bronzo lavorati, così leggeri e resistenti mi avvolgevano le gambe nell’armatura da battaglia forgiata per un alto mago elfico, un Dio. Un Evanuris. Ero ancora più sconvolto. Presi ad aggirarmi nella zona, mi accorsi in breve tempo che era deserta, a parte l’incessante frinire di grilli e gli uccelli che si librarono in volo. Non c’era anima viva. Chissà dov’ero. Avanzai senza una meta ben definita: procedere senza meta era meglio che stare fermi senza meta, e molto meglio che arretrare senza meta anche perché non potevo farlo. Il sogno non era mio. Non avevo alcun potere. Ero un ospite invisibile. O almeno sperai che così fosse. Vidi delle colonne di fumo in lontananza, decisi di avvicinarmi con timore. Avanzai tra le spighe di grano e arrivai ad un piccolo villaggio. Era una tribù di Dalish apparentemente stanziale. Il mio cuore precipitò in un dirupo.

Nella cultura Dalish, Fen’Harel, tradotto nella lingua comune: il Temibile Lupo, era il Dio del tradimento e della ribellione. Le tradizioni ancestrali Dalish raccontano di un tradimento ai danni dei loro Dei, gli Evanuris, da parte del Temibile Lupo. Secondo loro Fen’Harel uccise prima la dea Mythal e successivamente creò il Velo, esiliando gli Evanuris nell’Oblio. Li bandì e privò le genti elfiche di qualcosa in cui credere.
Di me si racconta una versione della storia molto più meschina di quella reale: si racconta che non ho mai apprezzato gli elfi e si dice che abbia passato secoli in un angolo lontano dal mondo mortale dopo il mio grande inganno, abbracciandomi e ridendo sguaiatamente, compiaciuto di gioia. In realtà i falsi dei avevano reso schiave le loro genti. Avevano superato il limite. Creai il Velo e così facendo distrussi i popoli elfici. Rasi al suolo la loro cultura e le loro meraviglie, contaminai indelebilmente la loro natura di elfi. Secondo le popolazioni fu un tradimento. In realtà ogni altra alternativa al Velo era dannatamente peggiore. Cercai di salvarli entrambi, Evanuris ed elfi, semplicemente separandoli. Li uni dalla brama sempre maggiore di potere, gli alti dalla loro ignoranza. Poi piombai nel sonno e rimasi in attesa di un futuro migliore.

Un gruppo di giovanissimi da'len giocava tra l’oro delle spighe, rincorrendosi e gridando allegramente. Una bambina notò qualcosa, un fruscio, un odore strano, un presentimento e iniziò a dirigersi verso di me. Volevo scappare, rimasi pietrificato. Vidi dei dettagli della bambina. Quei boccoli corvini, quel vallaslin su quel visino tondo e paffuto da bambina e quegli occhi viola.
Elanor. Il mio cuore si fermò. Si avvicinava sempre più ed io ebbi la sensazione di non essere propriamente invisibile. Arretrai spaventato, la bambina continuava ad avanzare. Un grido. Il guardiano Dalish lanciò un incantesimo di barriera sul villaggio e congelò i piedi di Elanor. La bimba scoppiò in lacrime. Ringhiai al fastidioso pianto dell’infante. Una donna si avvicinò correndo in maniera disperata e mi scagliò contro una lancia magica, la mia testa vacillò confusa, ero debole. Troppo debole per poter fronteggiare anche solo l’elfa. Dai lineamenti compresi che doveva essere la madre di Elanor. Scappai, scappai con tutta la forza di cui disponevo, scappai fino a perdere il fiato. In lontananza sentii la donna scaraventare addosso alla figlia queste esatte parole, urlate con rabbia e paura: “Vattene! Vattene da qui, il Temibile Lupo ti ha fiutata! Sei una creatura maledetta! Che gli Dei abbiano pietà di te!” Mi fermai ansante. Loro mi vedevano con le sembianze di un Lupo, un vero Lupo. Era troppo. Avevo visto troppo. Avevo le lacrime agli occhi. Per colpa mia il clan Lavellan aveva esiliato Elanor. Non me lo ricordavo.

Fen’Harel.
La sua voce mi riportò nel mio corpo. Mi svegliai madido di sudore.
Ero nel sogno di Elanor.
Dissi colpevole.
È stata esiliata dal clan di appartenenza perché si stava avvicinando a me che avevo per loro le sembianze di un Lupo. Avevo le tue sembianze.
Continuai, il Temibile Lupo mi fissò ghignando, poi rispose.
Accetta ciò che sei, fatti accettare come hai fatto con i Creatori Benevoli. Sei molto bravo a mentire Fen’Harel. Ma sarai disposto a pagare un giorno il prezzo dei tuoi inganni?
E se ne andò. Io mi misi le mani sul volto e piansi come credo di non aver mai fatto.
 
Il sogno di Elanor era triste e malinconico. Avrei dovuto fare qualcosa, almeno adesso. Mi rivestii con una tunica di lino grezza, troppo leggera per l’inverno che era alle porte e mi infilai i calzoni verdi. Era mattina presto, ma le cucine erano in piena attività; presi un vassoio, lo caricai con qualche dolcetto glassato, dei pasticci di carne, dell’acqua e delle foglie di tè e mi diressi a passo spedito verso gli alloggi di Elanor. Bussai. Sentii dei passi leggeri avvicinarsi all’uscio massiccio ed aprirlo. Il viso di Elanor era segnato dalle lacrime. Mi sentii un mostro. “Ti ho portato la colazione, vhenan. Ieri dopo la sosta al Riposo dell’Araldo sono stato alle terme e poi data l’ora indecente sono andato a letto. Avevo paura di disturbarti…” le dissi cercando di apparire come se fossi lì per puro caso. Non mi rispose, mi fece entrare, chiuse la porta alle mie spalle e ci si appoggiò con la schiena. Posai il vassoio colmo e la fissai. “Perché piangi? Cosa succede?” scattò e mi si tuffò in mezzo al petto con una violenza tale da spezzarmi il respiro. Pianse tutte quelle lacrime che da piccola non potè versare. Il suo clan l’aveva abbandonata, era una minaccia di sventura per tutti loro. Pianse di rabbia e dolore. Io lo sapevo, conoscevo la storia. “Ho sognato, – iniziò con la voce rotta dal pianto e singhiozzi –  ho sognato di quando a quattro anni fui ripudiata dal mio clan. I Lavellan…” Mi raccontò di quei giorni primaverili in cui era solita giocare con Aranel, Araton e Losille presso i campi coltivati dei Liberi Confini orientali, la parte confinante con Nevarra. Il loro clan era diventato pressoché stanziale anche se utilizzavano ancora le tradizionali carovane a forma di piccoli vascelli velati. Un giorno mentre giocava con il gruppetto di amici, pressoché suoi coetanei, vide una sagoma in lontananza; subito la scambiò per un grosso cane e le si avvicinò pensando fosse ferito data la camminata scoordinata e lenta. A piccoli passi si avvicinò verso la creatura dal pelo ispido e nero, i suoi occhi rossi la sondarono curiosi e lei non seppe fare altro che avvicinarsi ancora di più. Il Lupo scoprii i denti affilati e si leccò i baffi famelico. Mi confidò che in quel momento trovava quella creatura dagli occhi di fuoco affascinante, sapeva della leggenda del Temibile Lupo sempre in agguato, anche se così piccola faticava molto a capirne il significato. Uno dei bambini che la vide allontanarsi verso quel Lupo, troppo grosso e troppo nero per essere un animale e chiamò il guardiano del villaggio. Un certo Ithilbor sopraggiunse e scagliò in terra un incantesimo congelante di cui lei ricordava ancora il dolore lancinante a gambe e piedi. Alle sue spalle la raggiunse la madre, Luinil. Incurante del dolore e delle lacrime della figlia la bandì dal villaggio disconoscendola anche se i bambini con facoltà magiche scarseggiavano nel clan. Aveva solo quattro primavere e aveva visto il Temibile Lupo. Presagio di sventura certa per la sua gente.

La abbracciai e la strinsi a me. “Per alcuni sei stata considerata una sventura, per altri sei di più. Molto di più.” continuai a cullarla. “Possiedi una saggezza che non vedevo dalle mie più intrepide incursioni nelle antiche memorie dell’Oblio. Nei momenti di difficoltà hai agito d’astuzia e dimostrato una sapienza, una compassione ed una forza che mai mi sarei aspettato di vedere in qualcuno, elfo, nano, umano o Qunari che sia. Non puoi prenderti una colpa che non hai, non puoi vivere con questo fardello, non hai fatto nulla di sbagliato. É colpa dei pregiudizi che la gente ha, delle storie, delle paure mai affrontate. Quello che hai passato, ti ha plasmato e ti ha forgiato. Sei sopravvissuta e sei diventata forte e bellissima. Molti agiscono comprendendo a fatica solo una minima parte del mondo che li circonda. Tu no. Possiedi il dono della curiosità e dell’umiltà.” le accarezzai i capelli spettinati e le baciai la testa riccioluta. Il profumo di albicocca era flebile. “Cosa stai cercando di dirmi, Solas?” la sentii sussurrare tra i singhiozzi. Ebbi l’impressione che se l’avessi stretta ancora un po’, si sarebbe sbriciolata tra le mie mani. La presi in braccio e la stesi a letto. Si voltò verso di me mentre mi accucciavo al suo fianco ai piedi del letto. “Sto cercando di dirti che per me non sei una vergogna, non mi vergogno di essere qui e di amarti. Non mi vergogno di averti vicina a me. Sei una persona in grado di cambiare il mondo. Inoltre sto cercando di dirti che non mi sono dimenticato di quello che abbiamo passato. Dal bacio all’aver fatto l’amore sotto un cielo stellato, due volte. E mi sono sentito vivo. Mi stai rendendo una persona migliore. Stai rendendo la mia vita degna di essere vissuta, vhenan.” Mi guardò con uno sguardo addolcito e sincero. L’avevo rassicurata. Avevo suturato la sua ferita emotiva, almeno per il momento. Cosa mi spinse ad omettere la verità non lo seppi, o forse lo sapevo fin troppo bene. Di questo sì, mi vergognai.

Mi alzai e feci per andarmene, avevo fatto la mia scelta, avevo scelto lei: avrei sempre scelto lei, anche se il mio antico retaggio era quello e non avrei potuto cambiarlo, il destino non avrebbe potuto essere altrimenti. Avevo distrutto involontariamente la sua vita, aggirandomi per il mondo nelle vesti di Fen’Harel ed ora amavo quel germoglio di un popolo che non mi ha capito, la amavo più di quanto ho amato un tempo essere un Dio tra gli elfi. Sapevo fin troppo bene che il mio passato ingombrante prima o poi sarebbe venuto a galla e che non sarei mai stato pronto a gestirne le conseguenze. Mi fermò con una presa salda sulla mia mano. “Resta… – mi disse – ti prego. Resta con me.” Rimasi voltato. “Credimi – le dissi non guardandola nemmeno – sarebbe molto meglio per entrambi se me ne andassi ora. Anche se perderti sarebbe...” non finii la frase, il mio corpo agì e la baciai. Baciai le labbra morbide e calde della persona che ho deciso di amare, le accarezzai la guancia, togliendo le lacrime che le solcavano il viso. Sono stato un presuntuoso ipocrita, ma non ce la facevo a vederla così. Amore significa anche questo. Se la mia autodistruzione significava la sua prosperità, avrei accettato il prezzo. Tra le mie braccia finalmente si rilassò, affondò il viso tra il mio collo e il cuscino. Riuscì a darle un po’ di quel ristoro che meritava da una vita. Dormii anche io, avvolto dalle sue braccia. Consapevole che di fatto avevo appena firmato la mia condanna a morte.
Quando aprii gli occhi era tardi, il sole era già alto in cielo, le finestre sulla balconata degli alloggi di Elanor erano aperte, le tende svolazzavano nella brezza quasi fredda di quel giorno. Elanor era di fuori, sul balcone, a fissare il vuoto sotto di sé. Lentamente mi alzai e le andai incontro, le misi la mano sul fianco e la avvicinai a me. Il suo viso era riposato. “Perché non fuggiamo? Perché non possiamo fuggire via? Io e te da soli, via da tutto questo?” la guardai incuriosito dalla sua domanda. Avrei voluto anche io fuggire via, con lei, essere completo con lei, rivelare ciò che scoprii di essere. Essere in altri luoghi, felice. “Una volta finito con Corypheus potremo andare dove vorrai, vhenan. Te lo prometto.”

Sei un viscido bugiardo.
Ridacchiò il Temibile Lupo saltellando nella mia testa.
Taci.
Gli ringhiai scoprendo i denti.
 
“Già, prima il dovere e poi il piacere. Ed ora il dovere mi chiama. Devo fare cose, mandare gente in avanscoperta, giudicare persone, ammazzarne altre, farne ammazzare altre ancora. Sono esausta, Solas.” mi sentii un pessimo compagno. Provai a rimediare. “Stasera vhanan, stasera fuggiamo… almeno per un po’.” Una promessa che ero più sicuro di poter mantenere. Mi guardò speranzosa e mi baciò sull’angolo della bocca prima di andarsene.

Scesi le scale. Deciso più che mai a passare una giornata tranquilla tra i miei scritti e i miei studi arcani. Avrei dovuto almeno provarci. A volte la fortezza era una gabbia, una gabbia dove fuggire era impossibile, arroccata tra queste montagne poco accessibili era alla stregua di una nave in mare aperto. Andai per prima cosa nella mia stanza, trovai fuori un vecchio e sgualcito capo d’abbigliamento, prima o poi avrei dovuto provvedere anche al mio guardaroba, ma non era poi così drammaticamente importante, per ora. Lo indossai quando Dorian aprì la porta. “Solas? E quello cosa sarebbe? Cosa dovrebbe significare il tuo aspetto?” mi chiese incredulo. “Come scusa?” risposi a mia volta, non capendo a cosa effettivamente si riferisse. “Quella tunica che indossi, che cosa dovresti essere? Un qualche tipo di boscaiolo? É tipo una tunica tradizionale Dalish? Non odiavi i Dalish? O è una specie di dichiarazione?” troppe domande dette senza prendere fiato. Mi guardai e guardai lui, vestito con una giubba da incantatore in cuoio di halla e velluto di chiffon. Effettivamente paragonato a lui facevo abbastanza schifo. “No.” risposi pieno di vergogna. “Bene, perché quell’abbigliamento dice testualmente eretico senzatetto.” ero paonazzo. “Sporco eretico senzatetto, più nello specifico.” rincarò la dose Vivienne.
Vivienne era una maga umana, un’incantatrice del Circolo dei Maghi di Orlais e della corte di Celene. Una donna ambiziosa e parecchio piena di sé. Non perdeva occasione di fare l’arrogante, asserendo che la magia doveva essere controllata, una cosa per pochi eletti. “Quindi… sei un eretico...” disse schifata rivolgendosi a me, quasi come se non lo sapesse. “É la verità Incantatrice, non sono stato istruito, non sono cresciuto nel tuo Circolo.” dissi. “Bene mio caro. Spero che un giorno tu possa prenderti cura delle tue potenzialità. Dovresti provare qualcosa che sia al di fuori della tua esperienza.” livido di rabbia esplosi: “Cercherò come sempre di imparare, a modo mio. Proprio come tu cerchi di riparare le fratture dopo il disastro di Haven. Oh! Aspetta, la mia memoria mi illude… tu, Incantatrice, ad Haven non c’eri.” e uscii sbattendo la porta al ricordo degli orrori di quella sera. Al ricordo del drago che rase al suolo la cittadella e dell’attacco fulmineo di Corypheus che ci schiacciò, ci schiacciò come un bambino schiaccia un formicaio. Perdemmo molte vite. Per un mio stupido errore di calcolo.
 
Scesi dalla fortezza, andai alle scuderie, il mio castrato baio era placido nel suo stallo, presi la spazzola e iniziai a prendermi cura di lui. Poche volte nella mia vita ebbi un cavallo, amavo camminare, pestare il terreno, sentire i fili d’erba scricchiolare sotto il mio peso e sentire i calzoni inumidirsi quando guadavo piccoli ruscelli. La mia consapevolezza del mondo derivava dalle sensazioni che mi trasmetteva, non dalle persone che lo abitavano.
Il Custode Blackwall mi raggiunse. Non posso dire di conoscere a fondo quell’uomo. So per certo che un tempo era un Custode Grigio, uno degli ultimi rimasti. Prima di entrare nei Custodi era quasi sicuramente un mercenario. Parlammo poche volte e praticamente di nulla che avesse una qualche specie di importanza. “Sai Solas, mi ricordi di qualcuno che un tempo conoscevo. Anch’egli era affascinato dall’Oblio e dagli Spiriti.” mi disse interrompendo il flusso dei miei pensieri. Gli chiesi se fosse un mago. “No, solo un uomo che amava mangiare queste strane bacche di cactus viola.” e mi mise delle bacche dolci in mano. Sorrisi. “In verità ti confesso che non credo sia mai entrato nell’Oblio… Quando finiamo con i cavalli, ti va un salto alla taverna?” mi chiese. Era un uomo buono. In cuor suo sapeva di esserlo. Acconsentii garbatamente. “…comunque, per quanto possa servire, mi dispiace per il tuo …amico, lo Spirito. Perdere qualcuno a cui si tiene è sempre difficile.” mi disse ad un certo punto. Non credevo lo sapesse. “Grazie. La stessa morte è stata comunque meno dolorosa di quello che è venuto prima. Il vincolo, la possessione è dolorosa. Vedi uno Spirito buono corrompersi, vedi la sua natura contaminata. Quei maghi non sapevano nulla del mio amico. E peggio ancora, a loro non importava nulla.” dissi triste e rabbioso. La perdita di quello Spirito era ancora nitida, il suo ricordo così vicino. “Io …non so cosa dire.” rispose affranto. “E come potresti? Non hai visto cosa provoca l’ignoranza e la paura, ti strappa via tutto quello che ami.” “Prega che tale giorno non arrivi mai.” mi rispose andandosene com’era arrivato, finii il mio lavoro, dedicando qualche carezza e qualche attenzione in più al mio castrato. Se le meritava dopo tutto. Riposi la spazzola al suo posto e diedi della biada all’animale. Nitrì entusiasta e tentò di mordermi un orecchio. Come promesso raggiunsi Blackwall al Riposo dell’Araldo, al suo interno spesso si trovavano alcuni dei nostri compagni di viaggio: a volte Sera, a volte il Toro di Ferro. Il Toro probabilmente era fuori a fracassare qualche cranio assieme al suo gruppo di mercenari scelti, le Furie, all’interno oltre ad alcuni fattori e nobili minori c’erano i miei compagni.
Sera è un’elfa arciera formidabile. Una piccola canaglia bionda, minuta ed agile come un furetto. Per anni si è divertita ad umiliare la nobiltà e l'autorità consolidata che vede come arrogante e egoista assieme al suo gruppo, gli Amici di Jenny la Rossa. Per lei, non si tratta mai di ciò che è giusto o sbagliato, per lei conta quello che è adesso, le cose che sono nell’immediato. Le azioni intraprese per un bene più grande le vede solo come una scusa per fare male ad altri che non lo meritano, semplicemente perché risulta più facile. Fosse solo un po’ più lungimirante potrebbe anche assomigliarmi. Entrambi avevamo poco di elfico di fatto. In realtà io avevo poco di tutto.
 
Mi avvicinai e sedetti sulla panca con loro. Sera davanti a sé aveva del pasticcio di nug, mentre il Custode mi aspettò. “Sera e io stavamo parlando di te. Abbiamo bisogno di affrontare una questione con te.” Sospirai. “É coinvolta Sera? Quindi questa questione sarà offensiva.” Sera mi guardò male con la bocca piena. Farfugliò qualcosa. “Sì, è probabile. Scusa.” rise imbarazzato grattandosi la nuca. “Dunque, sei amico di alcuni Spiriti nell'Oblio. Quindi …uhm, ci sono alcuni che non sono solo amici? …se capisci cosa intendo.” mi trattenni dal ridere. “Oh, per sc… ma, veramente me lo state chiedendo?” avevo le lacrime agli occhi, ma decisi di stare al gioco. “Guarda, è una cosa naturale essere curiosi!” disse Sera strizzandomi l’occhiolino con la sua faccetta da topo. Mi arrivò un boccale di birra. “Per un bambino di dodici anni, forse…” abbassai lo sguardo e bevvi con estrema calma. Li avrei lasciati marinare ancora un po’. “É una semplice domanda... sì o no?” intervenne spazientito Blackwall. “Nulla è così semplice circa l'Oblio o gli Spiriti, soprattutto quello.” risposi io serafico. Stavo provando un piacere quasi sadico nel punzecchiare le loro fantasie sulla mia vita sessuale. “Aha! Quindi non hai esperienza in questa materia!” quasi sputai sul viso di Sera il mio sorso di birra. Seriamente? “Non ho detto questo.” dissi cercando di apparire composto. “Non preoccuparti Solas, sarà il nostro piccolo segreto.” mi tirò a sé come se fossi un bambino piccolo. Ero evidentemente paonazzo, ma queste chiacchiere leggere da taverna erano quasi confortanti. “Idioti.” risposi divertito. “E adesso chi sarebbe il dodicenne?” disse Sera pungendomi con la forchetta.

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


Il pomeriggio passò tranquillo, ripresi a dipingere i muri del mio studio rotondo. Mi piaceva dipingere. La creatività è un celebrare qualcosa, un lasciare qualcosa ai posteri perché sappiano che prima di loro c’era qualcuno. Probabilmente non avrebbero mai saputo nulla di me, o forse sapevano fin troppo senza volerlo, la cosa nel mio stato era decisamente più la più probabile. Si sono raccontate tante cose su chi fosse Fen’Harel, sull’omicidio di Mythal e sul tradimento che ne conseguì. Venivo considerato dai Dalish un dio malvagio, ma le mie raffigurazioni sostavano sempre al di fuori dei loro accampamenti, come monito. Come titubanza.
“Non posso credere di essere stato nell'Oblio. Fisicamente!” urlò Dorian appoggiandosi al parapetto e guardandomi dall’alto. Il suo modo di conversare era allucinante. “Pensi che sia un qualcosa di cui andarne fieri?” gli chiesi. “È la seconda volta che è stato fatto in tutta la storia. Non è niente, Solas… Tranquillo! Continua pure a dipingere!” mi disse alzando le braccia e mandandomi al Creatore. “In tutta la storia umana...” precisai. “L'Oblio è ancora un mistero per noi umani. E probabilmente sì, lo sarà sempre.” mi disse con un velo di rammarico. “Forse è meglio che rimanga così.”

Ne sei convinto, Fen’Harel?
 
Accantonai la pittura e tornai alla scrivania ricolma di carte in disordine. Decisi di fare qualcosa in merito: buttai all’aria tutto. Decine di pergamene volarono, Dorian si affacciò di nuovo al parapetto pensando fossi caduto dall’impalcatura. Tutt’altro. Mi misi a vagare per la stanza tonda e raccogliere materiale con ordine ammucchiandolo sul tavolo in gruppi. Cole, si materializzò sull’impalcatura, seduto faceva dondolare le gambe nel vuoto. “Come vanno i tuoi tentativi di alleviare il dolore delle persone a Skyhold, Cole?” chiesi non distogliendo gli occhi dalle pergamene. “Ho fatto in modo che una giovane domestica smetta di soffrire, l’ho fatta incontrare con uno dei ragazzi delle scuderie. Il dolore non c’è più.” mi rispose come in un rapporto tra mentore e allievo. “Alcuni dei servitori però sono arrabbiati con me, a volte il mio lavoro comporta più lavoro per loro. Vuoi che mi fermi?” continuò il ragazzo dai capelli di grano. “No, Cole. Tu esisti per aiutare gli altri. Tu sei gentilezza, compassione, cura. Se smettessi di dare conforto rischieresti di diventare qualcos’altro. Come suppongo sia già successo...” dissi vago. “Sì, non succederà più.” mi disse pentito. “Bene, non dimenticare mai il tuo scopo. É nobile, anche se questo mondo non lo capisce.” e probabilmente non lo capirà mai, temo. Ma questo lo tenni per me. Non ebbi il fegato di dirglielo.
 
Dalla porta ad ovest entrò Elanor. Aveva i capelli raccolti in una treccia leggermente spostata sulla destra. Era in compagnia di Cassandra Penthagast, Cercatrice della Verità ormai bandita dall’ordine e dichiarata eretica dopo l’instaurazione dell’Inquisizione. Era una guerriera umana di circa 35 anni, bruna dagli occhi scuri. Dal carattere deciso ed autoritario era una forza indomabile, mossa dall’istinto. Mi ricordava me da giovane. Se avessi fallito nel compito di riportare indietro l’anima di Elanor, nel migliore dei casi sarei morto per mano sua. Nella linea di successione al trono di Nevarra era 38esima. Ai tempi della Divina Justinia era la cosiddetta mano destra: colei che dispensava giustizia, in un modo o nell’altro. Parlavano di una campagna nei pressi del vecchio paese di Crestwood, al momento allagato. Cassandra sbuffò disgustata perché nessuno si interessava di nulla nel Ferelden e noi eravamo chiamati a fare il lavoro di altri e se ne andò a passo militare. Quella donna minuta sapeva mettere paura, specialmente quando era arrabbiata.
 
Elanor mi cinse la vita da dietro, mi raddrizzai e le strinsi le braccia. “Vhenan.” le dissi girando un po’ la testa. “Ciao, Solas.” rispose lei. Mi prese una mano e mi trascinò fuori, attraverso il salone, andammo a ridosso della porta dei suoi alloggi privati. Entrò e ne uscì subito con il mantello e una tracolla di tela e cuoio grezzo. Sorrise dolcemente. “Fuggiamo?” mi disse mettendomi un mantello di nuova fattura tra le mani. “Fuggiamo.” confermai. Andammo alle stalle e prendemmo i nostri animali, il suo halla già sellato e con le borse da viaggio ardeva nella luce del tramonto. Cavalcammo per svariate miglia. Ci fermammo in una radura vicino ad un lago. Dopo un’ora l’unica tenda era montata e un fuoco ardeva sereno rischiarando i nostri pensieri. Sedemmo vicini, lei si mise di traverso tra le mie gambe e appoggiata ad una di esse, avvolta in una coperta di lana spessa. Accanto a noi ardeva il piccolo fuoco, parlammo di viaggi, persone e luoghi del mondo mortale che avevamo visitato, ridendo dei nostri rispettivi sbagli e delle nostre piccole paure che adesso, una volta superate, appaiono sotto una luce diversa. Ad un certo punto Elanor si ricordò di una domanda: “Parlami dell’Oblio, vhenan, per favore...” mi chiese con un filo di voce, quasi in imbarazzo. “Che dire, cuore mio, l’Oblio è difficile da descrivere, non è come descrivere un paesaggio… Ho visto immensi oceani, non contenenti acqua, ma ricordi, tratti dalle menti dei Sognatori. Ho percorso momenti congelati, immobili come dipinti, perfetti in ogni dettaglio. É magia e realtà stessa. Sono legate assieme, vivono assieme. Le logiche e le leggi che muovono e servono il mondo mortale nell’Oblio non esistono. É popolato da Spiriti, Demoni e occasionalmente Sognatori. Gli Spiriti possono essere buoni o meno, la maggior parte di loro non può fare a meno di esplorare la mente di un visitatore dell’Oblio, per conoscere i loro pensieri ed esaminare i ricordi. Potrebbero quindi usarli per formare le percezioni del visitatore e truccarle nel pensare che i loro sogni siano la realtà. Non sono entità fisiche, non hanno una forma propria, però sono creature viventi dotate di intelligenza e in grado di parlare. I Demoni sono semplicemente Spiriti che hanno imparato dai mortali i sentimenti di gelosia, invidia e desiderio e li hanno covati, li hanno fatti germogliare e crescere al loro interno. Poi ci sono i Demoni nati da una possessione: come per la maggior parte degli Spiriti, anche i Demoni desiderano unirsi ad un essere vivente. Alcuni Spiriti attraversano il Velo perché desiderano sperimentare la vita, per indulgere in un aspetto della psiche o per adempiere allo scopo che incarnano. Di solito gli Spiriti o i Demoni possono arrivare nel nostro mondo solo ancorandosi a qualcosa nel mondo stesso. I demoni in particolare, non possono avere senso del mondo fisico. Non sono in grado di raccontare la vita dei morti o la natura molto statica dell'universo fisico. Così, i Demoni incapaci di conciliare loro stessi con la loro nuova realtà diventano dapprima confusi, poi dalla confusione passerebbero alla paura e dalla paura alla mostruosità il basso è assai breve. Se gli Spiriti si manifestano nel mondo contro la loro volontà, diventano violenti e impazziscono dalla scossa e si trasformano in Demoni. Come quando compaiono dagli Squarci. Sono collerici. La maggior parte dei demoni cerca di impadronirsi immediatamente su tutto ciò che percepiscono come vita, tentando gelosamente di possederlo, poiché è il modo più opportuno mantenere intatta la loro presenza nel mondo mortale. L'unico modo conosciuto di esorcizzare un Demone senza uccidere il suo ospite è quello di entrare nell'Oblio e confrontarsi direttamente, ma ciò comporta ovviamente grandi rischi. Se l'ospite viene ucciso, il demone ritorna indenne nell'Oblio. Per quello i maghi, grazie alla loro crescente influenza attraverso il Velo, sono più esposti al pericolo di possessione…” mentre parlavo, Elanor era ammaliata, affascinata dalla storia di queste entità metafisiche, di queste storie e di questi luoghi. Il mio cuore ardeva di gioia. Nessun Dalish si era mai preoccupato di prestarmi ascolto, anche disinteressato, farmi parlare di una cosa che ho studiato e sondato con mano. Sapevo di cosa parlavo. Nessuno si è mai spinto così tanto nella mia conoscenza come Elanor in questo momento. Il mio desiderio di fuggire distante con lei crebbe sempre di più.

Non puoi, Fen’Harel.
Il pensiero del Temibile Lupo si incuneò perfettamente nei miei pensieri.
Malauguratamente lo so bene. Ora lasciami.

Elanor aveva messo a riscaldare l’acqua per del té alla menta, già meglio rispetto a quello al bergamotto. Il profumo delle foglie di menta mi dava una sensazione di calma e appagamento. “Che faccio? Continuo? Ti avviso che potrei parlarne per giorni, so che può essere un argomento noioso da ascoltare...” chiesi nella paura di sembrare logorroico, ma ero realmente euforico, realmente ero felice di aver qualcuno con cui parlare, un orecchio amico che ascoltava e non mi giudicava un pazzo. “Non importa, starei qui ad ascoltarti per tutti i giorni che saranno necessari, e anche oltre...” mi rispose tranquilla Elanor. Quasi piansi di gioia. “Va bene, vhenan. Grazie… Allora, dov’eravamo? Ah già… come ultimi abitanti dell’Oblio, quelli più rari, troviamo i Sognatori. I Sognatori sono colori in grado di entrare nell’Oblio grazie alla volontà. Un Sognatore di talento può modellare l'Oblio e influenzare i sogni di persone addormentate, uccidendole o facendole impazzire. Alcuni, come me, possono sognare rovine dimenticate per scoprire i segreti che si sono dimenticati per lungo tempo grazie alla testimonianza degli spiriti che ricalcano la storia di un luogo. Certo, ovviamente, il racconto del sogno può essere polarizzato a seconda della prospettiva dello spirito che si sceglie di emulare. Tuttavia, i Sognatori attirano frequentemente i Demoni e la maggior parte si dimostra troppo fragile della mente per sopravvivere a un possesso demoniaco. Di conseguenza i Sognatori sono rari. La stessa presenza dei Demoni è dolorosa per i Sognatori, in quanto noi siamo particolarmente sensibili alla loro presenza. Gli elfi antichi ad esempio erano Sognatori di altissimo talento. Il primo Sognatore noto di razza umana fu un certo Thalsian. Proveniente dalle tribù neromeniche e ha sostenuto di essersi avventurato nel Reame degli Dei, dove l'anziano Dio Dumat gli avrebbe insegnato quella che noi oggi chiamiamo la magia del sangue. Si dice che gli Antichi Dei abbiano insegnato molti membri delle tribù neromeniche magie temporali, i sognatori neromenici spesso diventano preti e addirittura re. Ci sono storie di antichi Magister del Tevinter che sono riusciti ad aggirare i loro rivali, ossessionandoli o ucciderli nei loro sogni...” parlammo e parlammo, lei faceva domande saltuarie, si interessava di questo e quello, mi chiese come fosse successa la mia prima volta nell’Oblio, se fu casuale o successiva ad uno specifico episodio, se anche lei poteva essere considerata una Sognatrice, dato che si avventurò nell’Oblio prima fisicamente squarciando il Velo con l’Ancora e dopo assieme a me. Le spiegai le differenze. Rimase un po’ delusa, ma capii.
Il freddo della notte iniziò a farsi sentire: l’inverno era ormai alle porte, i colori dell’autunno erano al loro apice e l’odore tipico di foglie cadute e rugiada era forte. Si strinse a me, la sua curiosità era appagata nel profondo. Si tranquillizzò. Le passai un braccio attorno alla spalla mentre le lucciole pigramente iniziarono ad illuminare la nostra fuga.
 
Il sole del nuovo giorno trafisse la spessa tela della tenda. Elanor dormiva con la schiena attaccata al mio petto, la sentivo a malapena respirare. Mi venne spontaneo chiedermi quando fu l’ultima volta che qualcuno fece una cosa simile, una cosa così pericolosa, una cosa così mostruosa senza nemmeno rendersene conto. Cercai di non pensarci, pensavo piuttosto alla bambina che è stata, a quello che le era successo, a come lo scoprii e come lei successivamente confermò. Non riuscivo a darmi pace. Si girò nel sonno, per non svegliarla sollevai il peso del mio braccio che la teneva vicina, si mise di fronte a me, ancora addormentata; nella penombra vidi il suo seno nudo nascosto sotto il sacco a pelo, le corde del mio amuleto lo sfioravano. Le poggiai il braccio sul fianco spoglio. Era bellissima. Assorta nel suo sogno, le labbra morbide leggermente aperte, il piccolo naso, gli occhi e le sopracciglia rilassate. Avessi potuto avrei fermato il tempo. Avrei voluto conservare questi momenti per sempre. In cuor mio sapevo che prima o dopo, mi sarebbero mancati. Chiusi gli occhi, la baciai sulla fronte e rimasi lì appoggiato sulla sua fronte con le mie labbra, a proteggere quel piccolo halla che ha avuto il coraggio di amare il Temibile Lupo.
Mi risvegliai poco dopo. Elanor mi stava fissando. Provai imbarazzo. Non ho mai trovato qualcuno incuriosito dal mio modo di dormire. Il mio ciondolo le divideva i seni arrivandole all’ombelico. Lo prese e me lo fece ciondolare di fronte. Era un invito od una sfida? Ero intenzionato a scoprirlo. “Emma sa'lath, mio unico amore… mio unico e dispettoso amore…” dissi sospirando affinando lo sguardo. Le saltai sopra. Le bloccai i polsi sopra la testa e le sorrisi. “Non è una cosa bella rubare le cose ad una persona che dorme, emm'asha.” lei continuava a ridere cercando di divincolarsi da me, ma le lasciavo poco spazio. Affondai il viso nel suo collo e iniziai a baciarlo e a morderlo leggermente salendo fino all’orecchio. Il suo piccolo lobo carnoso meritò un po’ della mia attenzione, un po’ come vendetta per qualche nottata fa, decisi. Rideva ed era un suono stupendo nella radura deserta. Le lasciai i polsi e lei mi strinse a sé. Era forte per avere un fisico esile e slanciato. La sua presa mi bloccò da sotto le spalle. “Ne’emma lath.” mi disse sicura. “Sei il mio amore anche tu, lo sarai sempre. Qualunque cosa succeda.” mi baciò tirandomi verso il basso. La avvolsi con un braccio e con l’altro cercai di sciogliere il nodo alla vita dei calzoni. Una sensazione avvolgente mi colse, mi voleva e mi desiderava come io volevo e desideravo lei. Era magnifico. Solo questa sensazione avrebbe potuto ripagare in un solo secondo una vita di dolore e disprezzo. Non avrei potuto chiedere di meglio se non questo momento, nella nostra piccola bolla di tempo. In un luogo ed in un tempo solo nostri, dove non c’erano minacce e non c’erano pericoli; c’eravamo solo noi, nudi che facevamo la cosa più naturale del mondo, ci amavamo e non avevamo timore di dimostrarlo.
 
“Non so cosa farei senza di te…” mi disse giocando sul mio petto con il mio ciondolo ancora in suo possesso. “…sei stato al mio fianco fin dal primo momento, mi hai insegnato ad usare l’Ancora, mi hai scagionata dall’accusa di aver assassinato la Divina, hai setacciato l’Oblio in cerca dei pezzi della mia anima, ci hai condotti a Skyhold e stai contribuendo in maniera sostanziale agli studi sul Varco e sulle civiltà elfiche antiche. Sei una persona straordinaria Solas e mi sento onorata ogni giorno di essere al tuo fianco, sono orgogliosa di poter entrare nella tua intimità ed essere ben accetta. Mi gratifichi, mi fai sentire amata…” continuò. “Vhenan…” riuscii solo a dire, qualunque altra parola sarebbe stata troppa. Mi sentii responsabile per questa cosa nata tra noi. L’avrei protetta contro tutto e contro tutti.

Anche da me, Fen’Harel?
Sogghignò lo Spirito celato in un angolo della mia mente.
Sì, anche da te se necessario.
Dissi fermo.
Lo so bene. Lo hai già fatto un tempo…
E poi sparì.
 
A mattino inoltrato andammo a caccia assieme. Insegnai ad Elanor ad usare il glifo di fuoco. Quando un montone ci camminava distrattamente sopra nell’intento di seguire la scia di radice elfica, moriva senza troppo dolore e senza troppo baccano, le piacque e piacque anche a me. Ne mangiammo un’intera coscia e il resto lo macellammo in modo da riportarlo a Skyhold e placare gli animi della compagnia, questa volta dubitai che Elanor avesse detto qualcosa a qualcuno riguardo questa piccola fuga. Tra due giorni al massimo sarebbe partita per Crestwood ed io non sapevo se dovevo accompagnarla nella missione. Il mio cuore era ancora in lutto.
 
Quando un mio carissimo amico, uno Spirito di Saggezza, depositario di antiche conoscenze ormai perdute, mi contattò in sogno chiedendomi disperatamente aiuto, scoprii che alcuni maghi lo avevano evocato contro la sua volontà e ridotto in schiavitù. A differenza di altri spiriti che quasi si affannano ad entrare nel nostro mondo attraverso gli Squarci, lui viveva sereno nell’Oblio. Elanor non perse tempo, andammo alla Sacra Pianura e raggiungemmo il luogo dell’evocazione. Quello che successe dopo fu disastroso. Il mio cuore ancora adesso non sa accettarlo.
Non era nella sua forma tipica, era stato corrotto. Lo costrinsero ad agire contro la sua volontà, contro il suo scopo originario. Da allora continuo a chiedermi come avessero potuto. Lo costrinsero ad uccidere, distorcendo la sua natura e trasformandolo in un Demone della Superbia. Elanor provò a placare la mia rabbia crescente facendo notare al gruppo di maghi incauti e stupidi che non dovevano darmi lezioni in fatto di Spiriti e Demoni dell’Oblio. Apprezzai il tentativo, ma sentire il mio amico urlare di dolore a poca distanza mi fece solamente arrabbiare. Ancora di più. Ero accecato. Avrei voluto ucciderli tutti. “No, ascoltami tu. Ero tra i massimi esperti del Circolo di Kirkwall...” disse il mago che aveva evocato lo Spirito. Gli dissi di tacere con la voce carica di rabbia. “...L’avete evocato per proteggervi dai banditi, l’avete sottomesso e obbligato ad uccidere. É stato questo a trasformarlo!” urlai in preda al furore. Poi mi rivolsi ad Elanor, più pacato, ma comunque rabbioso. Le dissi che avremo spezzato il circolo di evocazione e avremo annullato il vincolo. Nessun’altra azione contro natura, niente più demone. “Cosa? – intervenne il mago spaventato – il circolo è l’unica cosa che impedisce al demone di ucciderci tutti. Qualunque cosa fosse, adesso è un mostro!” un’altra parola e non avrei risposto delle mie azioni. “Elanor, per favore!” la pregai quasi in ginocchio. Elanor decise di utilizzare la magia degli Squarci, l’ancora per sovraccaricare il vincolo. Le piete evocanti erano forti e salde, ma alla fine spezzammo il vincolo. Era libero.
“Mi dispiace.” dissi affranto a quello che una volta fu un mio caro amico. “A me no – rispose lo Spirito di Saggezza – sono felice. Ora sono di nuovo me stesso. Mi hai aiutato, ma ora devi resistere. Guidami verso la morte.” Ero scioccato. Il cuore mi stava per esplodere nel petto, lo sentivo rimbombare fin dentro al mio cranio. Deglutii. “Come vuoi.” risposi triste e rassegnato. Imposi le mani su di esso e scomparve. “Dareth shiral. Buon viaggio, amico mio.”
Elanor si avvicinò cauta attraverso le macerie del mio cuore. “Ho compreso le sue parole – mi disse – lo hai aiutato davvero. Non potevi fare di più purtroppo...” No, avrei solo dovuto resistere. “...ti aiuterò, non ti lascerò solo. Non devi affrontare da solo la tua perdita.” Tristemente sorrisi. “Mi hai già aiutato, vhenan. Ora rimangono solo loro…” dissi spostando la mia attenzione furiosa sui tre stolti maghi. Mi ringraziarono, questi poveri sprovveduti erano troppo spaventati per viaggiare senza scorta per queste strade piene di balordi. “Voi, voi avete ucciso il mio amico!” dissi avvicinandomi minacciosamente a loro. “Non credevamo fosse uno Spirito, nel libro c’era scritto che poteva aiutarci...” dissero ritraendosi davanti alla mia collera crescente. Non avrei sopportato oltre. Li uccisi e nel farlo provai un piacere immenso. Congelai i loro corpi in una muraglia ghiacciata e crollai. “Ho bisogno di stare un po’ da solo. – dissi con voce rotta dal pianto – Ci rivediamo a Skyhold.” e me ne andai. Vagai per tutto il giorno, triste e pieno di rabbia per quell’ignoranza ottusa e pericolosa che sembrava mietere più vittime di quelle che avrei potuto pensare. Non mi sarei mai aspettato un mondo simile una volta risvegliatomi dal lungo sonno. Avevo paura, per un momento mi chiesi se aver dato la mia Sfera a Corypheus fosse stata davvero una scelta saggia, nonostante la risposta la conoscessi da tempo.
 
Tornai a Skyhold chino ed affranto, Elanor vedendomi arrivare mi corse incontro veloce come il vento. “Vhenan…” dissi non avendo nemmeno il coraggio di guardarla in viso. “Come stai, Solas?” mi chiese preoccupata. “Fa male come sempre, ma sopravvivrò.” Mi ringraziò per essere tornato. Stavo per crollare come un castello di carte. “Sei una vera amica – le dissi quasi senza pensarci – hai fatto il possibile per aiutarmi, ma non posso abbandonarti proprio ora.” “Dove sei stato?” mi chiese preoccupata. “Ho trovato un posto tranquillo per dormire e ho visitato il luogo dell’Oblio dove il mio amico era solito aspettarmi ed ora è vuoto… ma la sua aura energica resiste ancora… un giorno forse, crescerà qualcosa nuovamente.” risposi, non seppi decifrare i miei sentimenti mentre parlavo. “Esattamente, cosa succede quando uno Spirito muore?” chiese flebile, la sua curiosità ha sempre saputo risollevarmi il morale. “Non funziona come nei mortali, l’energia degli Spiriti torna nell’Oblio, se l’idea che dà forma allo Spirito è forte o se il ricordo ha plasmato altri Spiriti, un giorno potrebbe fare ritorno.” risposi. “Quindi non muore proprio del tutto… potrebbe tornare?” puntualizzò lei accarezzandomi con lo sguardo. “Non proprio. Lo stato naturale di uno Spirito è la semi-essenza pacifica. Rispecchiare la realtà è raro. Un giorno più formarsi qualcosa di simile, ma potrebbe avere una personalità diversa. Potrebbe non ricordarsi di me. Non potrebbe mai essere l’amico che conoscevo…” Mi abbracciò. Non aveva bisogno di dire altro. “Grazie, vhenan…” le dissi stringendola a me. Immersi il mio dolore nel profumo di albicocche e piansi.

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


I giorni seguenti passarono lenti e freddi. Elanor decise di lasciarmi ancora un po’ di tempo per elaborare il lutto. Lei andò a Crestwood assieme a Cole, Vivienne e Blackwall. Alla fortezza rimasero con me Dorian, il Toro di Ferro, Cassandra, Sera e Varric. Io per lo più cercai di concentrarmi a scrivere su pergamena gli ultimi sviluppi della nostra battaglia e nella traduzione di alcuni tomi antichi trovati da Elanor per il circolo di Vivienne. Fu un lento e doloroso percorso di elaborazione di emozioni.

Nella mia ala della torre entrò Cassandra e mi portò del nuovo materiale dagli squarci chiusi. Dopo avergli dato una prima occhiata l’avrei portato di sopra perché un’arcanista lo studiasse più in profondità. “Solas, se te lo posso chiedere… a cosa credi? Non mi sembri un tipo molto legato alle tradizioni Dalish, anche se sei un elfo.” la domanda della Cercatrice mi sorprese. “Causa ed effetto. – risposi – Saggezza come propria ricompensa e il diritto di tutte le persone libere di voler esistere.” e continuai a redigere i miei appunti. “Non è quello che intendevo.” disse lei incalzante. “Lo so. Credo che esistessero gli Dei elfici, così come gli antichi Dei del Tevinter. Ma non credo che nessuno di loro sia stato realmente un Dio, a meno che non si espanda la definizione della parola ad un punto di assurdità. Apprezzo l'idea del tuo Creatore, un Dio che non ha bisogno di dimostrare il suo potere. Desidererei che altri Dei fossero così.” risposi non togliendo attenzione al mio lavoro. “Hai visto molta tristezza nei tuoi viaggi, Solas. Seguendo il Creatore potresti offrire qualche speranza.” sapevo che la Cercatrice era una persona devota e mistica, ma non credevo arrivasse al proselitismo. “Le persone, Cassandra: umani, nani, qunari o elfi che siano. I trionfi più grandi e le tragedie più brutte che questo mondo ha conosciuto possono essere ricondotte solo alle persone.” lei annuì concorde. In cuor suo sapeva che era così. E anche nel nostro caso era così. Era colpa di una persona. E quella persona ero io.
“Te lo confesso, Solas, sono sorpresa che tu abbia deciso di rimanere, dopo quello che è successo. Dopo Haven in special modo...” mi disse in ultima Cassandra uscendo dalla stanza. “Perché me lo dici? Il Varco rimane una minaccia per tutti noi.” le ricordai. “Proprio così, mi sono chiesta se potessi lasciarci ora che abbiamo un piano per sigillarlo.” “Ah, perché sono un eretico, potrei fuggire prima che l'Inquisizione mi metta in catene? Prendo i miei impegni seriamente, Cercatrice. Qualunque cosa accada, la affronterò per quella che è.” le risposi seccato. Non capivo perché le persone associano gli eretici a persone inaffidabili. La cosa mi disturbava. “Come vuoi, anche se non posso garantire quello che accadrà nei giorni a venire.” e se ne andò. Scrollai la testa come se potesse servire ad allontanare i pensieri. Sorseggiai il té alla menta e continuai la mia trascrizione. Quando ebbi finito, o almeno così imposi, mi appoggiai all’alto schienale della poltrona, sospirai rumorosamente e lasciai cadere le braccia sui braccioli. Mi chiedi cosa stesse facendo Elanor, senza di lei mi sentivo incompleto, d’impulso decisi che sarei andato a comprare dei nuovi capi di abbigliamento. Dorian decise di accompagnarmi.

Provai una maglia da incantatore: una tunica di lana grezza, tela e cuoio di cane, niente di così eccessivo e sfarzoso, ma non mi convinceva. “Ah, Solas. Mi hai colto di sorpresa. Sei sempre così... anonimo!” Dorian espresse appieno il mio pensiero. “Dorian? Parla più forte! – urlai di proposito a voce alta – Non riesco a sentirti il tuo vestito me lo impedisce.” Mi guardò e ridemmo. Il commerciante rimase basito. Acquistai due maglie da mago da battaglia e una giubba da incantatore, dei calzoni e alcuni giustacuore. Dorian approvò il mio abbigliamento e la mia voglia di spendere. Non credevo volesse offendermi di proposito, solo farmi notare che effettivamente ero sciatto. Glielo dissi. “Prego Solas, non c’è di che.” mi disse dandomi una pacca sulla spalla andando alla taverna. Io procedevo in direzione della mia stanza.
 
Poco è ciò che conosciamo di Fen'Harel, perché dicono che non si preoccupasse della nostra gente. Elgar'nan e Mythal hanno creato il mondo come lo conosciamo, Andruil ci ha insegnato i modi del cacciatore, Sylaise e June hanno dato fuoco e abilità, ma Fen'Harel si è conservato per se stesso e ha pianificato il tradimento di tutti gli Dei. E dopo la distruzione di Arlathan, quando gli Dei non poterono più ascoltare le nostre preghiere, si dice che Fen'Harel passò secoli in un angolo lontano della terra, ridacchiando come un pazzo e abbracciandosi da solo per la gioia.
 
Le leggende narrano che prima della caduta di Arlathan, gli dèi che conoscevamo e veneravamo combatterono una guerra infinita con altri del loro genere.
Non c’è una hahren tra noi che ricorda questi altri: solo nei sogni a volte sentiamo sussurrati i nomi di Geldauran, Daern'thal e Anaris, perché sono quelli dimenticati, gli dei del terrore e della malizia, della malinconia e della pestilenza.
Negli antichi tempi, solo Fen'Harel poteva camminare senza paura tra i nostri Dei e quelli dimenticati, perché sebbene sia parente agli Dei del popolo, i dimenticati sapevano dei suoi modi astuti e lo dipingevano come uno di loro.
  • Tratto da “Il Trionfo di Fen’Harel” di Gish’arel, Guardiano del clan Ralaferin.
 
Posai il libro e incrociai le caviglie lungo il letto. La notte era inoltrata, la mia candela quasi esaurita ed io ero insonne. Lo scontro con l’antico Magister era vicino, Corypheus doveva essere distrutto e avrei dovuto recuperare la Sfera. Mi alzai, misi dei ciocchi di legna ad ardere nel focolare e misi a bollire dell’acqua. Lessi l’ultima lettera che mi spedì Elanor, mi informò della situazione assai critica di Crestwood, che tutto sommato stava bene, ma le mancavo e non vedeva l’ora di rivedermi. Conservavo tutte le sue lettere in un contenitore di legno di acero decorato con un halla ed un Lupo. Guardai il fuoco, il mio viso tinto di rosso era incantato dalla meravigliosa danza delle fiamme. Un’ombra nera mi scivolò affianco.

Fen’Harel? Come pensi di gestire la situazione dopo la caduta di Corypheus? Cosa farai?
Mi chiese il Temibile Lupo.
Non sapevo cosa rispondere. Deviai il discorso.
Dipende. Da tante cose. Morrigan ha con sé un Eluvian, un portale magico. Morrigan sa bene che tutti gli Eluvian convergono in un luogo chiamato 'Crocevia'. Non so cosa stia cercando Corypheus, ma i miei agenti mi dicono che sta setacciando palmo per palmo le Selve Arboree in cerca di altri Eluvian.
Gli confessai con timore, ma non era necessario. Lo sapeva già.
Sbuffò.
Sicuro che non stia cercando altro?
Disse dileguandosi nell’ombra lasciandomi una nota di amarezza e tormento.

Bevvi silenzioso l’infuso di liquirizia e radice elfica meditando su cosa intendesse il Lupo. Non seppi dare una risposta e la cosa mi causò un nervosismo ansioso. Nella speranza di risvegliare definitivamente i poteri assopiti del Lupo ho creato un essere probabilmente immortale, malvagio, assetato di sangue e potere. L’ho elevato io a quel ruolo, io gli permisi di essere quello che è, io gli permisi di soggiogare i Custodi e i Templari, io gli permisi di distruggere Haven, e sempre io gli permisi di distruggere la Chiesa. Io ero la causa di tutto. Io che creai il Velo per proteggere il mondo mortale da esseri simili a lui che si proclamarono Dei, ero causa stessa della sua imminente distruzione.
Un fruscio mi fece rabbrividire. Mi girai spaventato. Cole era seduto sul ciglio del letto e stava sfogliando il mio libro. “Mi dispiace che il tuo amico sia morto, Solas.” mi disse con gli occhi incollati sulla rilegatura. “Grazie, Cole.” risposi rattristato, non avrei voluto ricordarlo, ma Cole percepisce il dolore, ne è attratto come l’odore del sangue attrae un lupo. “Non sapevo che ci fossero Spiriti di Saggezza… non ne ho mai incontrati.” confessò posando il libro sul tavolo vicino ad un mazzo di camelie. “Ce ne sono pochi. Gli Spiriti si formano come riflesso di questo mondo e delle sue passioni...” “Allora non mancheremo mai di Spiriti di Rabbia, di Fame o di Desiderio. Il mondo gli dà molto su cui riflettere.” mi interruppe puntualizzando il ragazzo. “Gli Spiriti più buoni sono molto più rari. Non possiamo più permetterci di perdere anche un solo Spirito di Saggezza, o di Fede ...o Compassione.” gli dissi preoccupato. “Cercherò di non morire.” mi disse. “Te ne sono grato.” rimanemmo in silenzio per un po’, entrambi pensierosi ed entrambi scossi. “C'è un modo per salvare più Spiriti?” Cole ruppe ancora il silenzio. “Non appena il Velo sarà guarito. Le fenditure attirano gli Spiriti, e lo shock li rende Demoni.” gli dissi “Essere forzati significa non essere abbastanza. Vorresti picchiare tutti, danneggi il tuo essere.” ammise lui. “Sì, esattamente. Se deliberatamente decidi di attraversare il Velo significa che c'è la volontà di farlo. Questo fa sì che lo Spirito mantenga la sua natura. Incastrati in questo mondo senza volerlo gli Spiriti subiscono lo stesso destino del mio amico.” confermai il concetto dello Spirito di Compassione. “Allora li aiuteremo.” mi disse infine caparbio e sparì, facendo cadere il vaso di camelie.

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


Era notte. Vagavo tranquillo e indisturbato per la foresta. I miei capelli lunghi e corvini cadevano leggeri sulla schiena, i miei occhi verdi intrecciati d’oro guardavano il mio cammino, i miei piedi sondavano il terreno leggeri e veloci, silenziosi e tenui, il mio potere era smisurato. Ero Fen’Harel. Mi ricordo questo posto, pensai, qualcosa qui dev’essere successo. Continuai a camminare toccando le fronde dei cespugli e inspirando a pieni polmoni. Sentii piangere. Quel pianto, pensai, quel pianto l’avevo forse già sentito? Decisi di seguire i gemiti. Calpestando il letto di foglie morte arrivai ad una piccola conca terrosa, scavata dall’erosione e tra le radici esposte di una quercia, vidi una bambina. Rimasi nascosto dalla penombra di un cespuglio, timoroso di quella creatura seppur indifesa. Stava mangiando tra i singhiozzi della corteccia di betulla, poco adatta ad una cucciola della sua età: dura, stopposa e senza sapore. Quella bimba sarebbe morta a giorni. Era magra, piccola, sporca e sola. Sarebbe impensabile che potesse sopravvivere ancora nella foresta tra bestie selvagge, prole oscura e probabili schiavisti. Avrei dovuto fare qualcosa. Mi avvicinai.
I suoi lunghi capelli neri erano sporchi, crespi e spettinati e capii che era realmente stata esiliata dal suo clan e di fatto condannata a morte certa. Ero sorpreso di vederla ancora viva. Mi accucciai di fronte a lei e con occhi teneri le sorrisi porgendole delle bacche dolci. “Ti sei persa nel bosco? Dov’è il tuo clan, da'len?” le chiesi gentile. Lei continuava a piangere schiacciandosi contro la parete di terra nel vano tentativo di sfuggirmi. “Non devi avere paura, bambina. Non ti farò del male.” non mi rispose. Urlava chiedendo aiuto con tutto il fiato che aveva in gola. Non mi restarono molte opzioni. Mi sdraiai al suo fianco e la cerchiai con la folta coda nera. Non avrei permesso a nessuno di farle del male. Lentamente smise di piangere e mi si strinse vicino, singhiozzava ancora mentre prendeva tra i piccoli pugni piccole ciocche del mio pelo ispido. Si addormentò. Le toccai la fronte con il naso scuro, teneramente leccai via un po’ di sporco dal suo viso di bambina. Si concesse al sonno. “Ir abelas…” sussurrai alla piccola cucciola di elfo.

Fen’Harel!
Sbarrai gli occhi e mi alzai di scatto. Ero madido di sudore.
Ho sognato Elanor. Ora ricordo, ora… credo di ricordare!
dissi agli oggetti inanimati nella mia stanza.
Inizi a ricordare finalmente. Inizi a mettere assieme i pezzi. Bene. Ma non troppo. Il tuo potere è debole. Devi recuperare la mia Sfera.
Non risposi.
 
Elanor mi aveva già incontrato. Elanor in cuor suo mi conosceva, solo non mi aveva riconosciuto. Avevo sempre vegliato su di lei sin dall’inizio, l’avevo fiutata, e un Lupo non perde mai la sua pista, solo ora inizio a ricordare. Un lancinante dolore mi colpì in pieno volto. Ringhiai piegandomi sulle ginocchia. Mi schiacciai le dita sul volto senza ottenere alcun beneficio.
Mi levai gli indumenti fradici e spalancai le imposte della piccola finestra della stanza. Dava sul cortile interno: tra il turbinio di fiocchi leggeri c’era del movimento anche se era molto prima dell’alba. Forse qualche spia di Leliana, pensai, lasciai che il freddo invernale ed occasionali fiocchi di neve, mi prendessero a pugni il viso. Inspirai a pieni polmoni. Il gelido respiro invernale mi stava calmando.
Il vociare nel cortile svegliato presto si fece più insistente, le mie notti ultimamente erano pressoché prive di sonno: ero sfinito e il mio aspetto fisico ne stava risentendo. Mossi un po’ le spalle in modo da sciogliere la tensione accumulata, mi toccai il ventre piatto e portai le mani ai fianchi. Chiusi gli occhi e respirai ancora. Il chiacchiericcio sottostante erano più che altro pettegolezzi e dicerie sulla gente della fortezza, nobili ospiti, servitori e compagnia dell’Inquisizione. Una voce tra queste mi fece sobbalzare. “Ma allora è vero! Tu e Solas… ho visto come lo guardi, ti ha stregata… solo, è molto... elfico, spero non parli di rovine elfiche anche quando lo fate… sarebbe sconveniente!” disse Sera a voce stridula. Elanor era tornata. Sorrisi per l’alta opinione che l’elfa aveva di me, ma in un certo senso sapevo che non era poi così distante dalla realtà. Mi ritornarono alla mente le parole di Leliana: “…Sei colui che ha scelto di amare.” in cuor mio sapevo che era vero, il nostro amore era sincero, travolgente e brillante. Sentivo che senza di lei ero solo e incompleto. Non avrei mai pensato di trovare in tutto il Thedas qualcuno in grado di distrarmi dall’Oblio. Era diventata in così breve tempo una persona essenziale per me, più di quanto potessi anche solo sognare. Avevo bisogno di dirglielo, ma non sapevo come.

Il vallaslin…
intervenne il Temibile Lupo circondandomi il corpo nudo.
Cosa?
chiesi quasi stupito, cos’aveva in mente?
Spiegale il significato del vallaslin e rimuovilo, se vuole. É il più grande dono d’amore che tu le possa fare: renderla libera.
Aveva ragione. Il mio compito era liberare le popolazioni elfiche dal giogo dei falsi Dei che ho bandito. Il mio compito era proteggerle, vegliare su di loro. Avrei trovato il momento giusto per affrontare questo discorso con lei. Se me lo consentiva, le avrei rimosso il tatuaggio.
 
Con delicatezza Elanor aprì la pesante porta di quercia. Non fece alcun rumore entrando, si levò gli stivali morbidi e li lasciò sul pavimento. Sobbalzò quando capì che non ero a letto. “Vhenan…” le dissi e lei spostò lo sguardo sulla finestra dove mi vide. Ero nudo e dopo tanto non mi vergognavo di esserlo, compresi presto che era di fatto la prima volta che mi vedeva così. Mi girai e lei distolse lo sguardo imbarazzata, raccolsi la pesante coperta di tela e me la avvolsi al bacino e mi avvicinai a lei, con un braccio la tirai a me e la baciai. Mi era mancata ed ogni parola conosciuta, ogni concetto remoto, ogni saggezza ancestrale non poteva esprimere quello che sentivo, solo un bacio poteva. La mia lingua solleticò la sua in un momento dalla tenerezza unica. “Bentornata amore mio.” le dissi con le labbra ancora attaccate alle sue, lei mi baciò di nuovo, placando il mio tormento. Non poteva sapere la tempesta interiore che avevo dentro, non poteva sapere quanto contavano per me questi momenti, non lo immaginava nemmeno lontanamente.
La guardai attraverso quegli occhi viola, guardai la loro luce pura e fui invaso dal loro amore. Era bellissima. Non ero perfetto, non lo sono mai stato nemmeno quando camminavo tra gli Dei del Pantheon. Sin da quando era una bambina sono stato il suo rifugio, anche se ero in un’altra forma, ero sempre io. Solas. Non si stava rendendo conto che adesso ero la tempesta, la tempesta che aveva travolto tutti. Dicono che ognuno abbia i suoi demoni, che ognuno abbia i suoi lati oscuri, ma in lei non vidi nulla, non le vedevo imperfezioni né difetti. Sapevo bene come dare vita e spazio ai miei mostri, ma per qualche ragione che non riuscivo ancora a comprendere, non avevamo la minima idea di cosa fare con l'amore. Sapevo che avrei dovuto lasciarla andare, sapevo che era l’unico modo per proteggerla da quello che ero realmente, ma non sarei stato in grado di sopportarlo se non avesse capito. Avrei assistito alla rottura del suo cuore, avrei sentito il suo cuore rompersi in mille pezzi e soprattutto, non avrei potuto farci niente… voi avete mai sentito il rumore di un cuore che va in frantumi?
 
La sollevai prendendola in braccio e mi diressi verso il letto, la posai sul materasso morbido e mi stesi al suo fianco. La abbracciai. “Com’è andata a Crestwood?” le chiesi giocando con le sue ciocche di capelli. “Eh… – disse lei sospirando –  a Crestwood c’era un’invasione di prole oscura, c’erano Demoni e Squarci nel Velo. Fin qui cose di ordinaria amministrazione… circa… la cosa che mi fece male è stata scoprire cosa ci fosse sotto la parte antica di Crestwood sommersa dal lago…” continuò triste e incredula. “Cos’è successo?” “Crestwood Vecchia dopo l’ultimo Flagello fu allagata: quando aprimmo le brecce della diga e drenato il lago, trovammo l’accesso alle caverne allagate che conducevano ad una rovina nanica e ad uno Squarcio. A Squarcio sigillato curiosammo tra i reperti nella caverna e scoprimmo delle lettere...” il suo tono di voce cambiò, divenne stanco, triste, era quanto di più dilaniante potessi sopportare. “...dieci anni fa, il Borgomastro di Crestwood allagò di proposito la città vecchia, per annegare profughi ed abitanti contaminati dal Flagello… lo trovo… disumano… non provò nemmeno a curarli… per lui si è rivelata la soluzione più elementare: annegare persone, famiglie, amici…” capii la sua frustrazione, capii il senso di impotenza e disgusto che doveva aver provato rendendosi conto della realtà. C’era un detto, molto tempo fa che diceva ‘Il guaritore è quello che ha sempre le mani più insanguinate’. Non si può trattare una ferita senza prima sapere quant’è profonda. Non puoi guarire il dolore nascondendolo, lo devi accettare. Accetta il sangue che rendere le cose migliori. Fare il primo passo, questa è la parte più difficile. E chi meglio di me poteva saperlo? In tutto ciò che ho fatto, non ho mai negato i miei fallimenti, ne porto il peso ed il rammarico, ho bandito nella Città Nera gli Dei che mi consideravano un loro pari per proteggerli dalla loro stessa brama di potere, l’ho fatto per aiutarli quando ogni altra soluzione era peggiore. Corypheus aveva la mia Sfera perché fui io a dargliela. Anche le mie mani sono sporche di sangue. La sua reazione mi fece pensare che se fossi stato costretto a dirle la verità sul mio passato era probabile che non venissi capito. Mi fece male, mi sentii giudicato a mia volta, ma la capivo. Non fu una scelta facile la mia.
Non seppi risponderle, qualunque cosa potessi dire sarebbe suonata bugiarda alla luce di ciò che feci un tempo. Sprofondai in un sonno tormentato.
 
Mi alzai presto al mattino seguente. Ripresi il libro che avevo in mano la sera prima e ricominciai a studiarlo e tradurlo nella lingua comune, seduto al piccolo scrittoio della mia stanza. Non mi andava di scendere e non volevo perdere l’occasione di guardare Elanor dormire. Mi regalava un senso di pace. Non pensai più alla discussione di ieri sera, in cuor mio speravo che il metro del suo giudizio cambiasse, speravo potesse capirne le motivazioni, ma avrei dovuto prima spiegargliele. Il primo passo di fatto dovevo ancora farlo. Erano settimane che non avevamo più intimità, un po’ la sua campagna a Crestwood e un po’ perché mi sentivo di distrarla troppo da eventi più importanti e più grandi di noi; mi pesava, ma era un doveroso sacrificio, anche se ammetto, mi stava stretto.
Elanor si svegliò: “Buongiorno, ma vhenan…” mi disse stirandosi. Si spogliò e si mise addosso la mia maglia. Le copriva il corpo nudo fino a metà coscia: era bellissima, la mia bocca divenne arsa. Bevvi un sorso dell’infuso della scorsa notte. Si alzò e posando il piede sul bracciolo si arrampicò per sedersi sullo schienale di legno della mia poltrona. Risi mentre mi posava i suoi piccoli piedi sulle mie spalle ancora spoglie. “Vieni giù.” le dissi sorridendo al suo tentativo di richiamare la mia attenzione. “Non lo farò, ho già un ruolo secondario da fare a pezzi, negli ultimi tempi non hai tolto gli occhi dai libri, nemmeno da quando sono tornata a Skyhold ieri… Non voglio essere rimossa dal tuo elenco di cose da fare.” la sentii dire un po’ offesa. Non credevo la vedesse così. Io, io non volevo farla sentire così. “Mi hai detto che il mio lavoro può essere rimandato, ma il tuo è finito? Non sembri così preoccupata, dah'len.” la punzecchiai girando la testa e guardandola dal basso con un sorriso sbieco. Il suo broncio di bambina si era fatto più vivo. “Quindi sei deluso che ti abbia chiesto di smettere per un po’?” mi chiese. “Mai. I tipi diligenti e bravi sono noiosi e monotoni…” le dissi prendendole un piede e iniziando ad accarezzarlo dolcemente con la penna d’aquila. Le passai prima la piuma sul collo del piede risalendo fino al polpaccio, poi presi a baciarlo. Portai le mie labbra su un sentiero di pelle morbida e liscia, i suoi bellissimi piedi affusolati si contraevano dal piacere che provava, ma era troppo orgogliosa per mostrarlo. Sorrisi alla mia scoperta. “Scendi…” le ordinai un’altra volta, non ce ne sarebbe stata una terza. “Ti strappo il libro in mille pezzi se lo dici ancora…” mi disse con l’ultima punta di orgoglio presente. “Temo di dovertelo dire… – sospirai – …l'unica cosa che posso fare mente tu sei in questa posizione è girarmi e risalire il resto della tua gamba …con le mie labbra e con la mia lingua.” le dissi guardandola. Sul suo viso esplose un rossore che non le avevo mai visto. Avevo colpito nel segno. Scese dal suo trespolo scomodo e mi alzai anche io, la baciai con urgenza e lei mi saltò addosso legandosi con le gambe sul mio bacino. Era desiderio fatto persona. Mi desiderava come un assetato desiderava acqua di sorgente. Non potevo resisterle: la spinsi contro la parete e immerse la sua lingua nella mia bocca. Le levai la mia camicia e facemmo l’amore. Per me, per come la penso, non ci sono alternative a fare l’amore. Fare l'amore è qualcosa di simile ad un volo, un volare anima e corpo, avvinghiati e senza fiato.
Mi allontanai da lei per poi riavvicinarmi prendendola tra le braccia e portandola a letto. Mi misi sopra di lei. “Tra le mie priorità, sei la più importante. Sei e sarai sempre al primo posto.” le dissi cercando di rassicurarla. “In realtà lo sapevo…” mi disse sorridendo giocando con la corda del mio monile di osso scuro. “Ir abelas, ma'arlath.” le dissi sinceramente chinandomi su di lei in un bacio dal sapore dolce.
 
“Oggi ho un colloquio con Morrigan a proposito di Corypheus…” mi disse alzandosi dal letto con uno slancio. “Dopo la caduta di Haven e dopo che abbiamo evitato che Orlais sprofondasse nel caos, gli agenti di Leliana confermarono che i suoi stanno razziano le rovine elfiche, ed ora si stanno spingendo verso il sud di Orlais… non so cosa stia cercando in una zona così remota.” Internamente ardevo di rabbia. Tutto quello che avrei voluto fare in quel preciso istante era uccidere Corypheus con le mie stesse mani. Ponderai il mio livore. “Probabilmente cerca altri oggetti legati agli antichi elfi, ma cosa stia cercando di preciso, non lo sappiamo.” continuò come in un soliloquio. “Che non si sappia cosa cerchi, non è certo una novità… parla con Morrigan, magari lei sa qualcosa che a noi non è dato sapere.” le risposi ponderato, ma infastidito. Mi rivestii e uscii dalla stanza a passo spedito.
Perché Corypheus si stava dirigendo tra quella fitta foresta a sud di Orlais? Cosa ci poteva essere di così tanto importante da muovere la sua intera armata in quel luogo sperduto e poco accessibile, così lontano dalla civiltà? Cosa stava cercando? Dovevo scoprirlo.
Salii alla biblioteca, spostai Dorian con una spinta che lui incassò protestando “Che modi, elfo… cosa succede?” non gli risposi; presi quello che mi serviva e mi dileguai andando sui bastioni orientali. Nel cielo terso di quel mattino invernale, il tiepido sole riscaldava la pietra della fortezza, studiare manoscritti sulle Selve Arboree sarebbe stato meno opprimente e meno noioso. Ricavai poche informazioni utili, non scoprii nulla che di fatto non sapessi già: frustrato, lanciai il libro contro la parete levigata del muro e imprecai: non mi rimaneva altro. Non capivo, non ricordavo cosa ci fosse di così importante in quei luoghi per Corypheus da giustificare un’invasione così improvvisa e massiccia. Era sicuramente qualcosa di antico, quello era poco ma sicuro. “Non ti facevo un così accurato bestemmiatore…” disse Dorian risalendo le scale. “…cosa ti preoccupa mio vecchio amico? Pare che la tua Lavellan sia ad un colloquio privato con Morrigan. L’hai saputo? Corypheus sta marciando verso le Selve Arboree…” Continuò posandosi rilassato sulle guglie squadrate della fortezza. “L’ho saputo, me l’ha detto stamane… – gli dissi rabbioso – …solo non capisco cosa lo spinga ad un’invasione così d’urgenza in un territorio così dimenticato.” “Il vagabondo elfo eretico sei tu, mio caro, se non lo sai tu cosa si nasconda laggiù, non siamo in una posizione tanto vantaggiosa.” si aggiunse Vivienne camminando sensuale come un felino di ebano. “Corypheus è una creatura complessa: può attingere tante diverse fonti di potere. Ha la sua magia, magia che estrae dal Varco e l'artefatto che porta è elfico come ci hai detto tu stesso, e adesso sta marciando in un territorio pieno di rovine elfiche e tesori inestimabili degli antichi elfi stessi… Questo antico Magister è come un uomo che beve da tre bicchieri da vino contemporaneamente.” Ero sicuro che almeno uno dei tre bicchieri fosse avvelenato. Non dissi nulla. “Dorian, caro, ci lasceresti?” disse l’Incantatrice, Dorian si defilò alzando le mani. “Ci vediamo dopo alla taverna, Solas.” mi disse strizzandomi l’occhiolino. Lo salutai con un cenno del capo.  “Il fatto che io, un apostata, non sia stato schiavizzato dai Demoni deve essere abbastanza fastidioso per te, non è vero Incantatrice?” le dissi fendendola. “Niente affatto, tesoro. Hai chiaramente un dono eccezionale per l’Oblio.” rispose con una vena di ammirazione nel tono. “Te ne lamenti spesso, comunque.” le feci notare. “Sono molto più sorpresa che non fossi morto per mano degli abitanti dei villaggi per cui transitavi, magari infilzato da un forcone…” mi disse ghignando. “Sì, imprigionando tutti i maghi in torri e minacciandoli con i Templari, era certamente il miglior modo per tenerli al sicuro.” le feci notare con sarcasmo. “L’ho fatto, fino a che una canaglia di eretico non ha distrutto il Circolo di Kirkwall e ha iniziato una lotta che la maggior parte dei maghi non ha voluto.” mi disse cercando una giustificazione. “Il tuo Circolo era un coperchio ben serrato su una pentola bollente. Si può trattenere per un po' e, a meno che non si guardi dentro, esteriormente sembrava tutto a posto ed in perfetto ordine. E tutti si stupirono quando esplose.” le dissi superiore. “Quindi, apostata: se il Circolo fu un tale fallimento, qual è la tua soluzione? Avere i tuoi colleghi che vivono tra le persone, senza custodia, e senza sorveglianza?” mi domandò. Annuii con sincera sfida. “E quando saranno posseduti o utilizzano il loro potere per danneggiare?” mi chiese a sua volta. “Li ucciderei. La magia è più elegante di una lama o di un arco, ma un assassino rimane un assassino.” risposi spregiudicato, senza mezzi termini. Sapevo di quello che parlavo. “Quindi l’onere di giudizio sarebbe solo tuo e ripagheresti l'omicidio con omicidio? O porteremo questo dibattito alla folla e ai vigilanti? Se stai andando a dispensare giudizi su maghi violenti, avrai bisogno di vita eterna e onniscienza, mio caro. Se solo ci fossero individui dedicati a trovare e eliminare tali criminali. Forse potrebbero aiutare?” mi chiese e quasi mi lasciò stupito. “Sono certo che lo faranno… prima o dopo.” risposi vago raccogliendo i manoscritti e feci per andarmene lasciando l’Incantatrice sola sui bastioni.
Mi fermai e voltandomi le posi un’ultima domanda: “Toglimi una curiosità, Incantatrice: ti preoccupi mai di esplorare l'Oblio nei tuoi sogni?” “Preferisco esplorare il mondo in cui vivo.” la mia bocca si piegò in un ghigno. “Peccato. Potresti essere molto più potente se ti avventurassi al di fuori dei tuoi preconcetti…” avrei potuto lasciarmela sfuggire? Forse, ma volevo renderle quello che mi aveva dato. “Ah, la tentazione di lasciare il sentiero, sembri un Demone dell'Orgoglio.” disse lei supponente. Scoppiai in una risata isterica: “Incantatrice, un Demone dell'Orgoglio se ti incontrasse, andrebbe solo via, scuotendo la testa e ridendo in maniera incontrollabile!” e me ne andai definitivamente. 

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


Scesi al Riposo dell’Araldo ancora pensieroso, ci trovai inaspettatamente Elanor al tavolo con Blackwall. Mi sedetti al suo fianco, di fronte all’uomo e ordinai qualcosa da mangiare posando le monete d’argento sul tavolo. “Nonostante la tua esperienza, Solas, non hai il portamento di un soldato...” mi disse il Custode bevendo a piccoli sorsi la poca birra rimasta nel boccale. “Avresti dovuto vedermi quando ero più giovane, ero sanguigno e sempre pronto allo scontro.” dissi sorridendo. “Non l’hai fatto perché era giusto, lo hai fatto per salvarli. Entrambi.” disse Cole materializzandosi silenziosamente di fianco al Custode.  Di colpo ebbi una vertigine e mi si chiuse lo stomaco.
Cole lo sapeva. Cole si era reso conto di chi fossi. Cole probabilmente l’aveva sempre saputo. Vorticai stordito nella nube di pensieri che mi era piombata addosso all’improvviso. Elanor mi fissava: “Solas, di cosa sta parlando Cole?” in fretta rimisi assieme i pezzi della mia mente. “Un errore. – riuscii a dire – Uno dei tanti fatti da un elfo molto più giovane e presuntuoso, che era sicuro di sapere tutto.” lei ed il Custode continuarono a fissarmi con i boccali a mezz’aria. “Non hai sbagliato però...” disse infine Cole. Il mio sangue era ancora congelato nelle mie vene. Mi sentivo mancare. Lui lo sapeva. Una voragine mi si aprì sotto i piedi. Cosa sapeva? Se sapeva di Fen’Harel, sapeva anche di Corypheus? Della Sfera? Mille e mille domande mi crollarono addosso non lasciandomi spazio nemmeno per respirare. Ansimai. Il tempo, intanto, riprese a scorrere.
“Abbiamo entrambi visto e vissuto cose terribili, Solas. Abbiamo visto la morte e la distruzione che rendono irriconoscibile tutto ciò che amiamo.” riprese Blackwall facendo un cenno al garzone della locanda. “Ci sono guerre in tutto il Thedas in un dato momento, dubito che della mia tu ne abbia sentito parlare…” gli dissi ancora un po’ stordito. Ma il fatto che nessuno avesse dato peso alle parole di Cole mi fece restare, almeno per un po’. “Una sconfitta Elvhen?” mi chiese. “…in un certo senso, tu?” risposi vago. “Io ero un soldato. Un mercenario. – rispose Blackwall – Ed io… beh… sai com’è…” “Lo so sicuramente…” risposi triste. Ricordo bene la caduta di Arlathan, la ricordo troppo bene. Non toccai il cibo. Il mio stomaco era chiuso e le gambe tremanti. “Solas, cosa ti succede? Non ti senti bene?” mi chiese il Custode preoccupato. “Niente, non è niente. – farfugliai – Sono solo stanco. Credo che me ne andrò a letto, sempre che io riesca ad arrivare alle mie stanze…” Elanor si alzò con me e mi porse il suo sostegno. Lo rifiutai, non era compito suo sostenere il mio fardello, era una cosa che dovevo fare io ed io soltanto, lei faceva già anche troppo ed io mi sentivo sempre più in difetto.

Quand’è che un mostro smette di esserlo?
Chiesi quasi involontariamente al Temibile Lupo.
Oh, quando qualcuno impara ad amarlo…
Mi rispose. Il cuore mi sprofondò sotto i piedi.

Camminai affaticato lungo la scalinata che porta all’ala principale di Skyhold. Non potevo farci nulla comunque se Cole sapeva chi fossi realmente; se lo sapeva probabilmente l’aveva sempre saputo e non disse mai nulla a nessuno, nemmeno ad Elanor, forse non avrei dovuto preoccuparmi troppo. Non percepisce invidia o malizia. Probabilmente dovevo solo calmarmi e concedermi qualche ora di sonno. Accesi il fuoco nel camino e fissai per un po’ le fiamme tranquille che crepitavano allegre, misi accanto alle pietre del focolare un pentolino coperto pieno d’acqua, un trito di melissa e erba esile mi avrebbe aiutato a calmare il dolore alla testa e forse, i troppi pensieri. Elanor entrò, sentii un brivido percorrermi la schiena. “Vhenan, come stai?” mi chiese piano avvicinandosi al camino. “Non è nulla, ma vhenan, ho solo bisogno di dormire. Ultimamente o non riesco o non ho tempo… – le dissi stanco – …resti? Anche sono per un po’ di té?” chiesi in ultima, non volendola costringere a rimanere qui la notte se non lo voleva, l’avrei capito. “Certo… se vuoi che resti, io resto.” mi disse dandomi quella fiducia e quella solidità che oggi mi era mancata. Mi avvicinai e la abbracciai. Servii acqua bollente con trito di foglie e ci accomodammo, io sulla poltrona e lei seduta sull’angolo del tavolo. “Ci stiamo preparando per marciare sulle Selve Arboree, qualunque cosa cerchi Corypheus, troverà anche noi. Se ci dovesse sfuggire, almeno gli daremo del filo da torcere.” mi disse dura Elanor guardando nel vuoto. “Cos’ha detto Morrigan? Ha qualche idea su che cosa possa cercare Corypheus di così importante dallo spingersi così a sud con così tanta fretta? – le chiesi – Ho scartabellato tutti i manoscritti presenti nella biblioteca di Skyhold senza trovare alcun indizio, se non quelli che sapevo già circa gli immensi tesori degli antichi elfi sepolti in quella foresta inaccessibile…” lei mi guardò con occhi tranquilli, senza commiserazione alcuna. “Morrigan sostiene che potrebbe essere in cerca di un Eluvian. Un Eluvian presente nelle Selve Arboree.” io ero stupefatto, ero arrivato alla stessa conclusione dell’Occultista. D’improvviso mi sentii quasi gratificato nella mia paranoia. “…ci sarebbe un Tempio elfico incontaminato, – continuò – Morrigan un tempo provò ad avvicinarsi ma era troppo pericoloso, se però è questo Eluvian ciò che Corypheus cerca, non saranno le antiche magie elfiche a fermare lui e la sua armata di Templari corrotti.” Aveva ragione. La sua brama di potere era smisurata ed il suo ego sconfinato. Non sarebbe stata di certo una foresta inaccessibile a fermarlo. Ora però sapevo cosa cercare. Un sorriso deciso mi si stampò in viso. L’avevo in pugno.
 
Elgar'nan aveva sconfitto suo padre, il Sole, e tutto era coperto nell'oscurità. Compiaciuto di se stesso, Elgar'nan cercò di consolare sua madre, la Terra, sostituendo tutto ciò che il Sole aveva distrutto. Ma la Terra sapeva che senza il Sole, nulla poteva crescere. Sussurrò a Elgar'nan questa verità e lo supplicò per liberare suo padre, ma l'orgoglio di Elgar'nan era grande e la sua vendetta era terribile e lui si rifiutò.
Fu proprio in quel momento che Mythal uscì dal mare delle lacrime della Terra si affacciò. Mise la mano sulla fronte di Elgar'nan, e al suo tocco si calmò la sua rabbia fu portata via. Umiliato, Elgar'nan andò al luogo dove il Sole fu sepolto e gli parlò. Elgar'nan ha detto che avrebbe liberato il Sole se il solo gli avesse promesso di essere gentile e tornare alla Terra dopo ogni notte. Il Sole, sentendo il rimorso per quello che aveva fatto, acconsentì.
E così il Sole resuscitò di nuovo nel cielo e ricoprì la Terra della sua luce dorata. Elgar'nan e Mythal, con l'aiuto della Terra e del Sole, riportarono in vita tutte le cose meravigliose che il Sole aveva distrutto e crescevano e crescevano. Quella notte, quando il Sole andò a dormire, Mythal raccolse la Terra incandescente attorno al suo letto, e la formò in una sfera da mettere nel cielo, un pallido riflesso della vera gloria del Sole.
  • Tratto da “Il tocco di Mythal” di Gish’arel, Guardiano del clan Ralaferin.
 
Posai il manoscritto. Corypheus quindi cercava un modo per entrare fisicamente nell’Oblio tramite un Eluvian.
“Morrigan attivò il suo Eluvian con un’esplosione di mana e mi esortò ad attraversarlo…” confessò Elanor a bassa voce fissando l’infuso. Non le risposi. Sapevo dove convergevano gli Eluvian. “La seguii attraverso quello specchio lattescente. Provai freddo, tanto freddo.” bevvi un sorso silenzioso. “Lo specchio ci trasportò in un luogo grigio, nebbioso, quasi spettrale. L’aria era pesante e rarefatta. Non ricordo come lo chiamò Morrigan, so solo che provai una sensazione di forte disagio.” prese una pausa e bevve. “Quel luogo si chiama Crocevia, è dove convergevano un tempo tutti gli Eluvian, il loro fulcro, il luogo d’incontro tra tutti gli specchi magici, ovunque essi siano. Gli elfi di Elvhenan non avevano strade per viaggiare tra le loro città. Invece, usavano questi specchi incantati per comunicare e viaggiare da grandi distanze, utilizzando un tipo di magia diverso da quello del moderno Circolo dei Maghi o persino dell'Impero Tevinter.” le spiegai a voce bassa accarezzandole un ginocchio. “Le leggende antiche lo descrivono come un luogo sereno, accogliente, ma sempre denso di elfi che andavano e venivano da ogni parte, mi rincresce che ora sia in stato di degradante abbandono e che tu l’abbia visto così… Presumo sia decaduto dopo il declino stesso di Arlathan. Molti Eluvian furono distrutti e di quelli rimasti integri pian piano si persero le tracce. Oggi non se ne conosce nemmeno il numero approssimativo di quelli non solo integri, ma funzionanti.” bevvi un lungo sorso. “Molti Eluvian al Crocevia infatti erano scuri e inutilizzabili, dal suo tono di voce sembrava considerasse quel luogo inospitale quasi un rifugio. Aggiunse che non tutti gli Eluvian riportano nel nostro mondo…” “…la Città Nera.” dissi quasi senza accorgermene. “Corypheus vuole entrare fisicamente nella Città Nera nell’Oblio…” dissi. “…solo gli manca la chiave. Ed è furioso oltre ogni limite.” Elanor completò la mia frase, ci guardammo, dovevamo agire in fretta. “Ti prego, vieni con me alle Selve Arboree, la tua conoscenza è essenziale… ho bisogno che tu ci sia, vhenan.” mi disse lei con tono quasi supplichevole. Non ne aveva bisogno.  I nostri uomini sarebbero partiti l’indomani prima dell’alba.

L’avanzata dell’Inquisizione in quel remoto luogo avvenne compatta, determinata e forte. Diplomatici, spie ed esercito unirono le forze in un’azione raramente vista nella storia.
La Josephine dai capelli scuri e dal carattere caparbio smosse le coscienze e si fece pagare i favori ad Orlais ottenendo l’appoggio dell’esercito dell’Imperatrice Celine. L’esercito olaisiano non perse l’occasione di dimostrare il proprio valore in quelle terre remote ed inaccessibili. Marciò compatto verso l’ignoto.  Le spie della rossa e tenace Leliana sondarono quei luoghi impervi soffocati dalla lussureggiante foresta vergine, furtivamente incendiarono gli accampamenti nemici e diedero dei fastidi nelle forniture degli approvvigionamenti. Poco demoralizza un esercito come una scarsa continuità degli approvvigionamenti durante una campagna. Il malumore dell’esercito templare era a nostro esclusivo favore. La bionda cresta leonina del Comandante Cullen guidò con tempra e sicurezza l’esercito dell’Inquisizione verso quei luoghi, dando un ulteriore motivo di cruccio e preoccupazione a Corypheus. Uomini e donne marciarono per preservare uno scopo più ampio. Uomini e donne combatterono un nemico comune con orgoglio e coraggio. Uomini e donne combatterono e caddero invocando l’Araldo di Andraste. L’Inquisizione avanzava senza sosta travolgendo il nemico come un fiume in piena travolge qualsiasi ostacolo trova davanti. Noi arrivammo con qualche giorno di ritardo. Il Toro di Ferro e Cassandra erano come galvanizzati, il combattimento faceva loro quest’effetto.

“Allora siamo qui, elfo, a ripulire un altro disastro umano…” disse Varric sospirando e sistemando Bianca. “Chi hai chiamato elfo, pezzo di stronzo?” sbottò Sera strattonando il cavallo che rischiò di disarcionarla. “Non tu, l’altro elfo!” Sera mi diede uno spintone rubando il mio corpo alle mie meditazioni e mi indicò Varric, lanciando il suo cavallo al trotto. “Cosa farebbe l’Inquisizione senza la nostra influenza, così equilibrata e stabilizzante…” mi chiesi a voce alta alzando gli occhi osservando la densa coltre di alberi che impediva al sole di raggiungerci. “Suppongo avrebbero iniziato a bruciare cose un po’ ovunque…” disse il nano grattandosi il collo incurante dello sguardo di Cassandra. “…questo mi ricorda molti umani di mia conoscenza.” concordai quasi senza pensarci. Una Cassandra tutt’altro che ponderata ci riprese: “I gentili signori hanno forse finito?” il nano alzò le spalle con fare indifferente e non seppe tenere a freno la lingua: “Adesso, adesso, non essere suscettibile Cassandra, siamo qui per offrire a voi semplici umani il nostro aiuto…” la Cercatrice era livida di rabbia. “…prima che per colpa vostra esploda tutto…” dissi in un misto di divertimento ed angoscia, “…ancora una volta.” chiuse la conversazione Varric. Il nostro accampamento sorse nelle immediate vicinanze di un’entrata ottenuta con la forza dall’esercito. Arrivammo appena in tempo per allestirlo in tutta fretta prima del calar del sole. Accesi il fuoco tra la mia tenda e quella del Toro di Ferro. L’imponente Qunari mi si sedette affianco. Aveva l’aspetto di un fauno dalla pelle grigia e la potenza di un turbine; la battaglia era la sua unica gioia, probabilmente lo appagava di più della sessualità stessa.
Una mano poderosa mi si schiantò sulla schiena. “Un bel lavoro nell'ultimo scontro, Solas. Hai davvero fatto cagare sotto quel ragazzo.” mi disse mettendomi davanti uno dei due boccali di birra e si sedette al mio fianco. Quel qunari guercio e possente mi faceva improvvisamente sentire minuscolo. “Suppongo di sì.” risposi bevendo un lungo sorso della birra da campo. “Che cosa, non lo credi? Lo hai fatto a pezzi! Fantastico!” disse euforico il mio compagno di bevute attizzando il piccolo fuoco, mi guardò con sincera ammirazione. “Se la lotta non è personale, la violenza è solo un mezzo per finirla più in fretta. Non è opportuno che si celebri, Toro.” gli dissi pacato, non mi piacque per niente il ricordo degli occhi terrorizzati di quel ragazzo. Si rese conto che stava morendo per mano mia, avrà avuto circa sedici anni. “Non so, è opportuno farsi qualche domanda su chiunque combatta tanto quanto noi e non si diverte nemmeno un po' mentre lo fa.” disse sospettoso il Toro: ci aveva confessato sin da subito di essere una spia del suo ordine, il Qun, non aveva omesso nulla e anzi, ci stupì alquanto la sua confessione, vidi che non aveva perso le abitudini da spia. “Abbiamo combattuto uomini vivi, – dissi guardandolo in viso – con amori e famiglie e tutto quello che avrebbero potuto essere glielo abbiamo tolto.” il Toro bevve silenziosamente “Sì, ma loro erano stronzi…” rispose, io sospirai scuotendo la testa “Nessuno può uccidere così tante persone senza che qualcosa al suo interno si rompa. Per sopravvivere… quelli che combatti devono diventare i mostri. Buonanotte Toro, grazie per la chiacchierata.” gli dissi consegnandogli il mio boccale ed entrando silenzioso nella mia tenda, chiudendola alle mie spalle. Domani sarebbe stata una lunga giornata.
 
Chiusi lentamente i lacci dell’apertura della tenda. All’improvviso dei passi e sentii una voce provenire dall’esterno. “Solas, due parole?” disse la voce donna. Slegai metodicamente tutti i nodi e aprii. Morrigan. “Certo…” le dissi lasciandole spazio per entrare nella mia tenda e facendola accomodare. “Quella sfera che Corypheus si porta appresso, sei assolutamente sicuro che sia di origine elfica?” mi chiese affilando lo sguardo dorato. “Abbastanza, sì credo di sì… perché lo chiedi?” “Prima della nostra partenza Dorian mi accennava ad alcuni dipinti presenti negli archivi del Magistero che raffigurano degli uomini che dispongono di simili sfere. Erano rappresentazioni di un tempo antico, molto prima dei primi Magister. Dorian suppone siano gli antichi Sognatori… I testi chiamati Somnaborium, conosciuti anche come Vasi dei Sogni, potrebbero essere la stessa cosa?” mi spiegò quello che il mio amico non riuscii a dirmi prima della partenza. “Forse. Non è una cosa da escludere. Gli esseri umani dei tempi antichi presero molto dagli antichi elfi.” le risposi vago. “…e Corypheus non è lontano da quel periodo. Mmh…” disse la donna pensierosa aprendo la tenda e lasciando il posto ad Elanor. “Inquisitrice.” la salutò con un cenno del capo e se ne andò nel buio di quella notte nella foresta estranea.
Ebbi la fastidiosa sensazione che qualcuno, ancestrale e distante, ci stesse osservando.
 
La serata nella radura era fresca, il frinire dei grilli regalava tranquillità al sonno della bimba. Era accucciata attorno a me e dopo tanto si abbandonò al sonno. Io rimasi semi sveglio, all’ascolto e all’analisi di qualsiasi movimento il mio udito più sviluppato riusciva a sentire, ad ogni odore che il mio olfatto riusciva a scovare nel buio della notte. Voltai il mio grosso muso verso il corpicino inerme della piccola Lavellan, mi sarebbe bastato serrare la sua piccola testa tra i miei denti e porre fine alla sua vita, mi sarebbe bastato davvero poco; le spostai una ciocca di quei capelli ribelli dal suo piccolo viso paffuto e le leccai il viso con fare protettivo. Il giorno spuntò e la bimba assonnata si rese conto di aver dormito accoccolata al Temibile Lupo. Mi guardò in un misto di stupore, terrore e curiosità, ricambiai lo sguardo inclinando il muso. “Buongiorno da’len.” uggiolai chinandomi verso la creatura. “Amae Lethallin.” rispose in saluto un po’ sospettosa. Vidi i suoi occhi annegare nelle lacrime, la abbracciai e cercai di rassicurarla “Non voglio farti del male, cucciola di elfo. Ti porterò in salvo.” le promisi cercando negli anfratti della mia mente a chi avrei potuto affidarla.

Il sole fu crudele e il corno di sveglia del campo mi destò di colpo con un sussulto. Sbattei le palpebre per abituarmi alla luce, seppur scarsa, del nuovo giorno. Elanor dormiva prona sopra il mio petto, le toccai la punta del naso per svegliarla. Oggi era il grande giorno. Oggi avremmo dovuto marciare verso l’ignoto sperando di raggiungere prima e battere sul tempo dopo Corypheus in qualunque cosa stesse cercando. Era una corsa ad ostacoli, i cui ostacoli erano probabilmente Demoni di qualunque genere, Templari drogati di Lyrium rosso e probabilmente altro che non seppi al momento comprendere. Il fastidio che provai ieri sera per quelle entità misteriose era ancora presente quella mattina. Ringhiai.

Sentinelle elfiche?
Chiese il Temibile Lupo acciambellato in un angolo della mia mente.
Non lo escludo.
Confessai temendo avesse ragione, se ce l’aveva eravamo tutti nei guai fino al collo.
 
Le Sentinelle sono antichi elfi, custodi dei Templi che in alcuni casi ricordano gli ultimi giorni della grandezza della civiltà elfica. Vivono una vita di dovere, entrando frequentemente in Uthenera, il lungo sonno, svegliandosi solo per difendere il loro Tempio: sono gli ultimi veri sacerdoti dei loro templi e dei loro Dei, nonché degli abilissimi guerrieri, la mia preoccupazione per un confronto con loro crebbe ad ogni respiro.
Mangiai a fatica la mia razione di pesce affumicato, acqua e pane nero. Non riuscivo a distogliere il pensiero da quello che sia io che l’Occultista pensavamo cercasse Corypheus. Avevo i brividi al pensiero di un suo possibile successo. Fosse stato necessario l’avrei fermato a costo della vita. “Sei pronto?” chiese Varric. “Sì, Figlio della Pietra. Oramai non si può più tornare indietro, bisogna fare finta di essere pronti, ne va delle nostre vite e del nostro futuro.” risposi serafico. Il nano annuì con la testa e mi diede due pacche sulle spalle augurandomi di salvare la pelle anche questa volta. Mi aggiustai la giubba al petto e feci scivolare fuori il mio ciondolo; serrai la cintura attorno alla veste e legai stretti gli stivali. Mi alzai in tutta la mia altezza e osservai il cielo terso che creava giochi di ombre con le foglie mosse dal vento. Presi e osservai il mio bastone, il suo potere di fuoco rispose al mio tocco magico incendiandone il culmine. Chiusi gli occhi. Inspirai a pieni polmoni per allontanare la paura. Nel caso qualcosa fosse andato storto avrei dovuto sacrificare tutto, avrei dovuto sacrificarmi per salvare tutti. Lo avrei fatto senza pensarci. Avevo paura, una assoluta paura, ma era la cosa giusta da fare. Strinsi forte il bastone all’impugnatura di chiffon e lo sfilai dal terreno lasciando il segno della lama sul terreno umido dopo la notte. Guardai Cassandra e il Toro finire di allacciarsi l’armatura e affilare le armi, Blackwall prese lo scudo e aggrottò le sopracciglia borbottando. Varric accarezzava Bianca, Sera contava le frecce con una smorfia, Cole era in disparte su una roccia e osservava gli uccelli più mattinieri. Vivienne si stava sistemando la cintura delle pozioni sopra la giubba ed Elanor ringraziava Celine, l’Imperatrice di Orlais, per lo sforzo e il sostegno dato all’Inquisizione, auspicando una serena e continua alleanza tra le due potenze. Si girò e mi sorrise leggera, le sue guance morbide erano tese e dense di preoccupazione, ma ci credeva. Lei ci doveva credere che tutto sarebbe andato bene, avrei voluto crederle. Ne avevo bisogno. Respirai a fondo “Ma ghilana, Fen'Harel.” dissi sottovoce, che lo Spirito del Temibile Lupo mi guidi.


“Se i vostri esploratori sono precisi, le rovine che si celano in questa foresta dovrebbero essere il tempio di Mythal.” ascoltai il frammento della conversazione tra Morrigan ed Elanor. Avrei voluto dire che la cosa fosse stata fatta inconsciamente, ma non era così. Quindi Corypheus vorrebbe impadronirsi dell’Eluvian di Myhal e della sua chiave per accedere effettivamente all’Oblio. Ripetere la cosa nella mia testa non faceva altro che aumentare la mia ansia e la mia paura di perdere non solo Elanor, ma anche tutto quello per cui avevo lottato, Elanor era il culmine di tutto questo. Un’esplosione. Due. Cinque. Dieci. Mi chinai dal dolore alle orecchie. L’esercito di Orlais stava usando piccole sacche incendiarie contro i Demoni. Ringhiai per la loro scelleratezza. Scrollai la testa e iniziai a seguire i miei compagni nel cammino e nelle insidie che ci attendevano nell’ignoto verde della foresta. Al calare delle tenebre il Tempio doveva essere nostro.
La strada era sconnessa, sommersa dalla natura selvaggia che si era ripresa quei luoghi molto tempo prima: alberi giganteschi dai colori accesi circondavano il nostro piccolo gruppo che avanzava. Cassandra mascherava la tensione con una furia incontrollabile, Sera era irritante quanto impaurita, Elanor aveva i lineamenti contratti e Cole era più silenzioso del solito. Io beh, io mi muovevo con la forza della disperazione. La lotta si era intensificata, le grida dei soldati si facevano sempre più acute e impaurite, avremmo dovuto combattere per salvare le pattuglie che trovavamo. Era imperativo farlo, mi dissi. Troppe vite sono cadute difendendo quello che ritenevano qualcosa di superiore, seguendo quello che avevano eletto il loro Araldo che dalle ceneri di Haven era risorto ed ora risplendeva di gloria e lottava come un animale selvaggio per salvarci tutti. “Se i soldati non saranno cauti col fuoco faranno il lavoro di Corypheus al posto suo.” disse Cassandra. La Cercatrice aveva ragione, c’era così tanto da perdere, così tanto di prezioso e questi villani corazzati si facevano strada con il fuoco. Pazzesco. La magia crepitava, la sentivo come una melodia, una melodia forte che creava un senso di disagio spirituale profondo, una spregevole sensazione. Ebbi un brivido, la mia fronte si imperlò di sudore. Era qualcosa di più potente di quella smossa dai Templari rossi. Enormi uccelli variopinti seguivano il nostro cammino, erano forse le uniche cose che mi ricordarono di essere vivo e di stare effettivamente camminando incontro alla morte. Uno di loro mi fissava curioso.

“Non iniziare nemmeno!” mi disse Sera furiosa riportandomi alla realtà. “Sono ragionevolmente sicuro di non aver detto nulla.” le risposi aggrottando le sopracciglia. “E non devi farlo. Tu sei smanioso di entrare e vedere quel luogo mistico. Oh, il Tevinter cattivo ha preso la nostra roba! Beh anche gli elfi lo hanno fatto, ma non è importante, noi siamo stati i grandi!” disse ridendomi in faccia e guardandomi con una commiserazione che non meritavo, nemmeno da un’elfa cresciuta tra gli umani, avrei voluto tirarle uno schiaffo, fu la prima volta che provai l’impulso irrefrenabile di picchiare un’elfa. “Non puoi turbarmi con quello che troveremo qui, non ne hai il diritto… chi credi di essere, piccola mocciosa arrogante?” le dissi alzando eccessivamente la voce, Elanor sbarrò gli occhi ma non disse una parola. Mi ricomposi. “Oh? Perché?” continuò Sera incurante del mio tono, della mia rabbia e dello sguardo di Elanor, Cassandra si mise tra me e l’elfa spingendola via con rabbia. Presi un lungo respiro: “Perché, Sera, il mio dolore per la tragedia della nostra storia è vero e non può diminuire da un momento all’altro e se non lo capisci, se non sei in grado di farlo, beh, hai la mia invidia… e la mia pietà.” risposi riprendendo il cammino.

Un gruppo di Templari corrotti ci attaccò: erano enormi, furiosi, pazzi e in preda alla frenesia allucinatoria del Lyrium rosso. Enormi spuntoni rossi uscivano dalle loro braccia e i loro occhi ardevano incandescenti mietendo le nostre truppe come fuscelli. Respingemmo l’attacco. Molti soldati morirono, molti altri erano feriti, arrivò furtivamente Cole provò ad aiutarne qualcuno, mostrando compassione e serrando i denti per il dolore che percepiva intorno. Il terreno era rosso, rosso Lyrium misto a sangue. Uno spettacolo raccapricciante.
Avanzammo mangiando piccole razioni di scorta, io sgranocchiai una mela e sotterrai nella terra umida il solco, sperando che un giorno possa nascere un bell’albero di mele. Quando Alexius ci fece viaggiare nel tempo, avevo visto un futuro che non avrei mai creduto possibile, non era quello che volevo e avrei dovuto impedirlo ad ogni costo; chiusi gli occhi cercando di riprendermi dallo stordimento e correndo raggiunsi i miei compagni, proseguendo verso Est. Il primo presidio tra rovine di un’epoca ormai dimenticata e cascate era messo in sicurezza. Non ci rimaneva che proseguire. Dopo qualche ora di sosta, ci medicammo le ferite. Io andai da Elanor, intenta a cercare di bendarsi un braccio, con poco successo. Urlò frustrata lanciando la benda nell’erba, mi avvicinai a lei. “Vhenan… – dissi prendendo la mia benda di riserva – …lascia che ti aiuti.” e mi sedetti al suo fianco. La ferita era profonda lungo il muscolo dell’avambraccio, si sarebbe sicuramente infettata a giorni. Srotolai un impacco di erba esile e grazia cristallina e glie lo applicai avvolgendolo con la benda. Non mi rivolse una parola. “…scusa per prima, non volevo discutere con Sera.” dissi colpevole. “Non è questo il punto Solas, dobbiamo essere uniti adesso più che mai. Abbiamo paura, sappiamo cosa può succedere se Corypheus dovesse sedere sul trono degli Dei. Per una volta, perché non cerchi di morderti la lingua anziché parlare a sproposito?” non mi sentii offeso, sapevo che aveva ragione, avevo perso la testa come tutti e il mio umore nero si rifletteva sul gruppo. Non potevo permettere che perdessimo la battaglia. Mi alzai e andai da Sera, stava riempiendo la faretra di frecce. “Sera, se dissenti su tutte le cose elfiche, perché non usi una balestra? Certamente richiede meno formazione, meno allenamento.” chiesi leggero. Si voltò e sembrava aver messo da parte il suo rancore, almeno per il momento. “Ugh. No, troppo laboriosa.” mi disse lei con una smorfia. “Già. Complicata da caricare… un punto che non avevo preso in considerazione.” dissi imbarazzato, non aveva alcuna intenzione di trovare un punto d’accordo. “Accetto le tue scuse, Solas.” mi disse con un sorriso teso, le annuii e ripresi il mio bastone.
Avanzammo ancora verso il cuore della foresta, trovammo altri Templari rossi in uno dei loro accampamenti avanzati, assieme ad altre vittime della loro furia indotta ed esasperata. Tra le fila nemiche trovammo anche dei Custodi Grigi. Blackwall non sarebbe stato contento e avremo provato a vendicarli in onore degli uomini che erano un tempo.
Alla fine i nostri corpi erano coperti del loro sangue. “Degli elfi hanno appena attaccato! Pare che il Tempio non sia del tutto abbandonato!” ci urlo Elanor mente depredavamo i corpi dei caduti.

Le Sentinelle.
Il pensiero del Lupo si conficco in mezzo ai miei occhi.
Abelas.

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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


Gli elfi ci hanno imbottigliati proprio come il Maestro aveva detto, cinque giorni nelle Selve. Si muovono più velocemente di tutti gli elfi che abbia mai visto, e conoscono la foresta come se ci fossero nati. Quelli che fuggono si fondono con ombre. Sono forti e non conoscono timore; ogni dannato elfo ha combattuto con onore fino all'ultimo, faticosamente ne abbiamo abbattuti molti, ma non tutti.
 
Gli attacchi si sono rallentati da quando abbiamo raddoppiato le truppe. Ne abbiamo uccisi abbastanza per fermarli. Corypheus dice che gli elfi si chiamano ‘Sentinelle’. Mentre stavamo completando il piano per l'assalto finale al Tempio mi ha detto che gli elfi che stiamo combattendo sono gli ultimi 'veri' sacerdoti dei loro antichi Dei. Prima di potermi fermare gli chiesi come lo sapeva. Il Maestro mi guardò e aprì la mano. Un secondo dopo la sua Sfera magica fluttuava provocandomi dolore.
 
Mi disse che era un elfo, che gli eventi lo destarono per il suo scopo. Il Maestro si voltò e pensavo di essere stato licenziato, ma la sua voce mi ha fermato prima di partire. Ha detto solenne che non avrei mai potuto conoscerlo, che c'erano molte cose che non poteva dirmi, che le ha nascoste in modo da rimanere concentrati sul pozzo. Ha detto che se avessi sacrificato tutto, non ci sarebbero stati segreti una volta che sarei diventato il Ricettacolo.
 
Mi lasciò così, ma non posso smettere di pensarci. Giurai che in quelle ultime parole ci fosse del rammarico. Vorrei sapere esattamente per cosa.
  • Dai resti carbonizzati del libro da campo di Samson, recuperato dalle spie dell'Inquisizione presso un accampamento dei Templari rossi nelle Selve Arboree. Il resto del libro è troppo annerito dal fuoco per essere leggibile.
 
“Quelle creature forse sono il motivo per cui le Selve Arboree sono rimaste incontaminate.” disse Morrigan avanzando nell’erba alta della foresta. “Nella lingua comune il loro comandante si chiama Dolore: un nome particolarmente azzeccato direi.” dissi guardando alcuni templari trafitti da frecce elfiche di superba manifattura i cui segreti erano ormai del tutto dimenticati. Sera ne recuperò alcune. Erano perfettamente bilanciate e potenti, le punte cave non offrivano via di scampo per coloro che venivano colpiti, erano state fatte per uccidere in maniera dolorosa.
 
Avanzammo con difficoltà: il sole non sembrava eccessivamente alto nel cielo, ma non ne ero assolutamente sicuro, le fronde degli alberi non aiutavano in questo compito. Salvammo altre truppe dell’esercito di Orlais e dividemmo con loro alcuni nostri impacchi ed unguenti curativi. Cole pensò al resto con metodo e compassione, sospirai allentando la tensione accumulata sulle spalle e mi avvicinai a Cassandra. “Quante vittime, quante persone hanno corrotto e costretto a fare questo… per cosa? Per dar loro una vita di tormento e dolore per il sogno di un folle?” disse furiosa guardando nel vuoto. Il Lyrium normale era un tonico usato dai Templari e dai maghi dei vari Circoli, era fonte di deperimento accelerato in cambio di forza e vigore per gli uni e mana per gli altri: il nostro Comandante al tempo ne faceva uso e con grande fatica se ne era liberato, il suo uso in passato era per lui un motivo di vergogna assoluto e vivo. Non risposi alla Cercatrice, nessuna mia parola avrebbe placato la sua furia. Montammo l’ultimo presidio e prima di ripartire sostituimmo le armature rotte e le armi scheggiate. Indossai una giubba da incantatore e mi legai degli stivali a placche di drakite e scaglie di drago. Controllai il bastone, la mia furia ardeva sulla sua sommità, il cristallo incastonato nel metallo bruciava. Ci medicammo un’ultima volta le ferite prima di rimetterci in marcia: avevo un occhio pesto e gonfio, ammaccature su braccia e gambe e una o forse due costole rotte ma non provavo dolore, l’adrenalina si era impadronita del mio corpo fino a farmi dimenticare il dolore. Avrei stretto i denti.
 
Riprendemmo il cammino, con pura curiosità mista a paura per quello che avremmo potuto trovare. Subimmo altri attacchi da parte dei Templari rossi intenti a distruggere qualunque cosa di vivo o morto trovassero lungo la loro via. Erano incontrollabili e la loro furia cresceva a mano a mano che venivano braccati: erano come bestie in gabbia, feroci e prive di rimorsi attaccavano per uccidere. Fui colpito al petto da un pomolo d’ascia, persi la vista per il dolore acuto e sputai in terra un grumo di sangue, eressi una barriera di ghiaccio attorno a me congelando il mio avversario, con un movimento del bastone gli trafissi la gola con la lama ornata. Vidi i suoi occhi ritornare chiari, un sorriso apparve sul volto scarno dell’uomo che avevo appena ucciso. Con difficoltà mi tirai in piedi e zoppicando bevvi un tonico per lenire il dolore, tossendo dal disgusto, ma non potevo fermarmi e l’unico impacco a mia disposizione lo avevo applicato al braccio di Elanor; almeno la sua ferita non si sarebbe infettata, mi dissi sforzando un sorriso. Alle nostre spalle c’era l’entrata del Tempio, entrai piano: le mura di pietra grigia, altissime, risvegliarono in me quella sensazione di meraviglia che non provavo da tempo: ero estasiato, ma avrei dovuto tenermi quell’intenso piacere per dopo, sperando di avere ancora la pelle attaccata al corpo una volta finito.
 
Urla e stridore di un combattimento ci accolsero entrati nel cortile del Tempio. Elanor avanzava cautamente sulla paratia, osservammo lo spettacolo sottostante: sotto di noi, sul cortile di lastricato sconnesso, sporco e rotto giacevano corpi dilaniati di elfi dall’armatura bronzea, alcuni rantolavano sconnessamente in preda al delirio, altri con le ultime energie pregavano gli antichi Dei. Si contavano anche vittime tra i Templari rossi, ma in misura drasticamente inferiore alle vittime degli elfi. Le Sentinelle stavano per essere sconfitte. “Na melana sahlin!” urlò di rabbia Abelas ai Templari corrotti, Samson rise: “Si illudono di poterci fermare, Maestro.” Corypeus scagliò lontano l’ennesimo cadavere di elfo al quale aveva rotto il cranio serrando il pugno e avanzò verso Abelas e l’esile armata che gli era rimasta. La voce aspra e roca di Corypheus tuonò: “Non siete che avanzi, non sarete voi che mi impedirete di raggiungere il Pozzo del Dolore.” Abelas fiero gli sbarrò la strada ringhiando. “Il Pozzo del Dolore?” chiese Elanor guardando me e Morrigan. La Strega delle Selve scosse la testa, non sapeva a cosa si riferisse quell’epiteto. Io sì, ed era ben peggiore della già poco rosea previsione a cui eravamo arrivati sia io che l’Occultista. Abelas con un passo attivò le ultime difese magiche del Tempio, aveva poche frecce nella sua faretra e ancora meno tempo a disposizione, Corypheus avanzava calpestando i soldati di Abelas caduti per difendere quel terreno sacro, il loro sangue scorreva sul lastricato ingiallito. Feci fatica a controllare la mia rabbia, ma sapevo che se avessi agito ora, sarei stato l’ennesimo cadavere che andava ad ornare il pavimento.  “Gioite! – disse Corypheus alzando le braccia – Avrete l’onore di morire per mano di un nuovo Dio!” Abelas indietreggiò e un flusso di energia tanto potente quando ancestrale colpi il Magister intappolandolo nel suo vincolo. Il sorriso che spuntò sul volto dell’elfo scomparve quasi all’istante lasciando il posto allo sgomento e alla paura: Corypheus avanzò e sembrava incurante del raggio ustionante e afferrò con forza la testa di Abelas. Le sue urla si smorzarono nella stretta uncinata del Magister, sollevò l’elfo da terra ed era pronto a spezzargli il collo come fosse un ramoscello quando il flusso di energia esplose scagliando Abelas lontano e lasciando attorno a Corypheus un cratere e molte altre vittime e feriti, specialmente tra i Templari di Samson. Di Corypheus si persero le tracce, dubitai che quel flusso di energia lo avesse ucciso. Scendemmo di corsa dalla paratia e avanzammo tra i cadaveri delle Sentinelle Elfiche e dei Templari rossi: il puzzo di sangue era insopportabile, non riuscii a resistere, mi piegai sulle ginocchia e vomitai la razione da campo che avevo consumato all’ultimo presidio. Era troppo, tutto questo era troppo. Le lacrime iniziarono a scorrermi lungo le guance e i singhiozzi diventarono incessanti. Cassandra mi posò una mano sulla spalla e poco dopo mi raggiunse Elanor. “Vhenan… amore mio…” mi disse e il fiato le si smorzò in gola. Mi avvolse in un abbraccio, avevo la sensazione di essere di creta, avevo paura di sbriciolarmi tra le sue braccia. Con le braccia rotte e la coscienza pensante, ricambiai il suo abbraccio e pian piano rimisi assieme i pezzi della mia coscienza e avanzai, Samson si stava ritirando nella parte interna del Tempio.

Un rumore. Un rigurgito macabro e disumano ci fece voltare: il cadavere di un Custode Grigio, uno tra i tanti, si stava muovendo. Una presenza strana, innaturale, sembrava controllarlo. Dalla sua bocca uscì un conato di acido e sangue e il suo corpo si lacerò come un bozzolo facendone uscire un’entità: Corypheus. “Non può essere!” urlò di orrore Morrigan. “Attraversiamo il ponte, subito!” esortai i miei compagni controllando dove fosse Abelas e se fosse sopravvissuto; con un urlo stridulo Corypheus chiamò il suo drago, di corsa entrammo e serrammo le pesanti porte del Tempio appena prima che il soffio di fuoco del drago di Lyrium ci investisse, cademmo in terra storditi e stanchi mentre la porta si sigillò magicamente davanti a noi, brillando di una luce azzurra tra i riflessi dorati. Eravamo dentro. Ci fermammo lo stretto necessario per curarci le ferite, avevamo poco tempo e temevo che il sigillo magico delle porte non potesse durare a lungo contro quel drago, Elanor mi si avvicinò con un panno e un unguento, me lo pose delicatamente sull’occhio gonfio e sanguinante. Le presi la sua mano tra la mia e glie la baciai. Con l’altra mano sporca e incrostata di lordura e sangue la accarezzai sorridendo. Temevo di perderla, temevo che quello che avevamo superato in queste ore fosse solo un assaggio di quello che sarebbe successo dopo. Volevo guardarla ancora una volta e le posai le mie labbra sulle sue. Potevo ancora sentire il profumo di albicocca. “Avanziamo verso il Santuario prima che Corypheus ci raggiunga.” disse Morrigan. Mi rialzai a fatica e nascosi il panno impregnato di unguento nel risvolto degli stivali. “Dicevi che Corypheus cercava un Eluvian per prenderne possesso, ma lui ha menzionato un Pozzo del Dolore, cosa cerchiamo davvero?” chiese Cassandra all’Occultista imperiale puntandole la punta della spada alla gola. “Io… io non so bene a cosa si riferisse.” disse Morrigan grattandosi i capelli corvini e distogliendo lo sguardo dalla Cercatrice. “Che siano la stessa cosa? Eluvian può significare Pozzo del Dolore?” chiese Sera incoccando una freccia. “No, a quanto pare Corypheus non sta cercando un Eluvian…” intervenni pacato e stanco, Morrigan sbotto: “Sì, va bene, ho sbagliato, la cosa vi rende fieri? Qualsiasi cosa sia questo Pozzo del Dolore a Corypheus interessa e lo sta cercando, a noi tocca il compito di non farglielo trovare.” “Troviamo questo pozzo prima che lo faccia qualcun altro.” esorto Elanor sfilando da terra il bastone.
“Vorrei tanto sapere come Corypheus è riuscito a tornare in vita… l’abbiamo visto morire!” disse Elanor turbata, forse non si aspettava una risposta precisa, probabilmente aveva dato voce ai suoi pensieri, pensai. “La sua forza vitale si trasmette a qualsiasi creatura corrotta, – rispose Morrigan avanzando dietro di noi – prole oscura o Custode Grigio.” “Quante volte dobbiamo accopparlo ancora? Non troppe vero?” chiese Sera ansiosa, “Uccidi Corypheus e lui risorgerà.” le rispose pragmatica Morrigan. Avremmo dovuto trovare il modo una volta usciti da quest’inferno verde foresta e rosso sangue. “Gli Arcidemoni possiedono quest’abilità. É strano, perché i Custodi comunque possono distruggerli, invece Corypheus è stato imprigionato: forse sapevano che poteva farlo… ma non come.” concluse l’Occultista. “Siete certa che Corypheus stia usando il potere del Flagello per ottenere l’immortalità?” chiese Elanor a Morrigan togliendosi della terra di dosso. La donna dallo sguardo dorato le rispose: “Forse l’hai dimenticato, io ero nel Ferelden quando scoppiò in quinto Flagello, conosco la furia di un Arcidemone quando la vedo.” Ero d’accordo con la risposta ad una domanda pertinente, ma Corypheus era immortale grazie alla mia Sfera, avrebbe dovuto solo sbloccarne i poteri, invece scoprì l’arcano segreto degli elfi. Come avevo potuto essere così stupido?  

Un errore di calcolo che ti costerà caro, Fen’Harel.
Mi disse il Temibile Lupo danzando tra i miei pensieri e le mie paure.
TACI!
Gli urlai in silenzio spingendolo via.

“La vera domanda comunque è come ci sia riuscito a far trasmigrare la sua anima in corpi corrotti.” continuò Morrigan impensierendo Elanor e la squadra. Non dissi una parola. Un presentimento sinistro si incuneò tra i miei muscoli e li paralizzò. “Rispondere a questa domanda ci permetterà di distruggerlo una volta per tutte?” chiese Elanor determinata “Sì… è molto probabile.” intervenni io …e non solo lui, avrei voluto aggiungere, ma il fiato mi si smorzò in gola. “In ogni caso – riprese Morrigan – prima occupiamoci del pozzo, se Corypheus lo trova prima di noi saremo morti ancora prima di uscire dalle Selve.” detto questo l’Occultista si avviò troncando qualsiasi altra discussione. Il ritmo di marcia era sostenuto ed il dolore a tutto il corpo mi impediva di divagare con i pensieri, temevo che se senza concentrazione mi sarei ritrovato al pari di un fantoccio inanimato.

Proseguimmo cauti e allerta per il vestibolo, Sera mi venne affianco e mi chiese chi fosse Mythal, se era una specie di divinità. “Mythal era un’entità potente, questo l’ha portata a ricoprire uno scranno tra gli Dei.” risposi stanco e dolorante, Sera mi offrì appoggio, rifiutai garbatamente l’offerta e la lasciai andare avanti, ero volutamente rimasto per ultimo, avrei avuto più tempo per torturarmi e lasciarmi andare. “…I terribili Antichi Dei altri non erano che draghi, si elevavano come Arcidemoni e una volta decaduti morivano – contribuì Morrigan – Mythal probabilmente era una potente elfa che governava la sua razza: una storia romanzata.” “Ammetti di non conoscere nulla e ti limiti solamente a questo?” sbottai arcigno “No Solas, non la riduco solo a questo, metto in dubbio la sua natura divina: valore e divinità non sono sinonimi. Mythal può non essere una sola entità… le teorie a riguardo sono molto discordanti. In molti racconti Mythal ripara ai torti con benevolenza materna: Che la tua voce giunga a Mythal, dispensatrice di giustizia e protettrice del Sole e della Terra, in altre è oscura e vendicativa: Pregate Mythal e lei giungerà e colpirà i vostri nemici lasciandoli in agonia.” “Storielle Dalish immagino…” sbuffai stufo di tutta questa ottusità con cui fu ricoperta la storia, quella patina ottusa e polverosa facile da spargere e molto difficile da togliere, lo sapevo fin troppo bene. “Parla pure Solas, se devi dire qualcosa rendici partecipi.” Sbottò Cassandra. “Mythal era ritenuta entrambe le cose e …nessuna delle due. Era la Madre, protettiva e feroce. – dissi – Non dirò altro, non qui almeno, non è il luogo adatto per riesumare vecchie storie.” “Verità o meno tutte le storie su Mythal si concludevano con l’esilio nell’Aldilà assieme ai suoi fratelli.” “Esilio? Cosa intendi?” le chiese Cassandra. “Ingannata dal Temibile Lupo, come tutti gli Antichi Dei elfici e intrappolata in una terra al di là dell’Oblio. Molti clan Dalish credono sia questo il motivo della loro disgrazia, e il perché i loro Dei non li salvarono.” un senso di oppressione mi avvolse. Le sentivo spesso queste storie, le avevo sentite per una vita intera, ma nessuna di quelle volte è stata dolorosa quanto quella. La donna spostò lo sguardo su di me, per un momento temei di essere stato scoperto, deglutii ansioso. “…o forse erano semplicemente dei governanti – continuò fissandomi – massacrati dal Tevinter, chi può dirlo?” “Gli elfi di questo luogo sono… strani.” disse Elanor con un certo timore nella voce. “Vero, e le possibilità sono due: la prima è che siano un gruppo di Dalish separati e organizzati in una sorta di milizia fanatica: bramosi di tenere tutti alla larga da questi luoghi, oppure sono discendenti degli Antichi Dei, staziatisi qui prima della caduta di Arlathan, tuttavia credo sia improbabile, ma se ci fosse un fondo di verità, le implicazioni sarebbero sbalorditive. Con la magia comunque sarebbe possibile… in ogni caso i guardiani sono riusciti nell’intento di tenere segreto il Tempio. Devono quindi uccidere chiunque entri, anche Dalish.” disse Morrigan guardando Elanor. “…una domanda interessante sarebbe: perché?” proseguendo poi nella folta vegetazione del luogo.
Entrammo in un giardino la cui vegetazione cresceva rigogliosa e florida, incurante di quel tempio che nelle ere passate era splendente e curato. Passeggiare tra quelle rovine impregnate di passato era uno spettacolo suggestivo difficilmente descrivibile a parole. Trovammo altri cadaveri di Sentinelle, i Templari erano passati da qui. “Il Tempio di Mythal, – disse impressionata Morrigan – costruito in un’epoca in cui erano gli elfi a dominare il mondo. Consideravano Mythal la dea della giustizia e dopo aver dimostrato il proprio valore venivano qui a farsi giudicare da lei.” “Il silenzio che vi regna da tempo immemore...” dissi in un soliloquio con me stesso, non destando alcuna attenzione nei miei compagni.
Arrivammo in un cortiletto laterale dove troneggiava imperiosa una statua di pietra chiara raffigurante un Lupo seduto, mesto, ma in allerta. Nei suoi occhi chiari mi riflettevo. 

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


In lingua Dalish, il termine ‘Harellan’ significa traditore dei propri simili, ma quella parola non compare sui testi elfici prima dell’Era delle Torri. Probabilmente deriva dai termini antichi ‘Harillen’ (opposizione) ed ‘Hellathen’ (lotta onorevole). I Dalish chiamano Fen’Harel ‘Dio degli inganni’, ma alla luce di ciò sarebbe più corretta la traduzione ‘Dio della ribellione’.

Non ci è dato sapere se e contro cosa si ribellò. Nelle leggende Dalish, Fen’Harel imprigiona le altre divinità per puro dispetto. Se solo potessimo comprendere più a fondo l’antica lingua elfica, forse scopriremo sfumature più complesse nella storia del Temibile Lupo.
  • Da “Trattato sui costumi pagani ed eretici degli elfi” di Senallen Tavernier dell’università di Orlais.
 

“Perché lui è qui?” chiese Morrigan guardando la statua di pietra che mi rappresentava. “Rappresenta Fen’Harel, il Temibile Lupo: nelle storie elfiche egli induce gli dei a confinarsi nell’aldilà con l’inganno, per sempre. Mettere una statua così nel più grande Santuario di Mythal è come affrescare Andraste nuda in una chiesa…” disse perplessa la donna dagli occhi di sparviero. “Non siete la massima autorità nel campo, Morrigan, credo che nessuno lo sia…” tagliò corto Elanor. Un qualcosa mi fece credere che in qualche modo qualcosa, come me, ricordava. “Ci sono motivazioni dietro ai misteri. Forse è ancora troppo presto per conoscerle.” Sorrisi malignamente: “Tutta la vostra conoscenza, Dama Morrigan e non potete fare a meno di dare alla leggenda il peso della storia, il saggio non scambia una cosa per l’altra.” “E il nostro esperto di elfi che cosa suggerirebbe? Sentiamo…” disse con aria di sfida la Strega delle Selve affilando lo sguardo. Piantai il bastone in terra e conciso risposi: “Niente che si possa ricavare solo guardando qualcosa.” e me ne andai verso la paratia per tirare una boccata d’aria. “Quando litigate sembra sempre che stiate per baciarvi con indomita passione.” intervenne Sera leccando le penne delle frecce. Divenni paonazzo, non poteva averlo detto seriamente, quella piccola impertinente sgraziata. “Questa volta siamo andati ben oltre.” chiuse la conversazione Morrigan. Concordai. Scendemmo verso un altare, Elanor camminò su una piastrella che irradiò luce magica sotto il suo peso. “Pare che la magia del Tempio sia ancora forte.” convenne Morrigan, davanti a noi c’erano delle colonne ricoperte di edera recanti delle effigi nella lingua antica degli elfi, mi avvicinai e cercai di strappare dei rampicanti per poter capirne il significato. “É elfico? – mi chiese Elanor – dice qualcosa riguardo al Pozzo del Dolore?” Mi allontanai dalla colonna rotta e consunta, strizzai gli occhi: “Atish'all Vir Abelasan significa: Percorri la via per il Pozzo del Dolore…” Morrigan mi interruppe: “Parla di conoscenza, rispetto o purezza, non capisco, i segni sono troppo deteriorati per essere tradotti correttamente. Shiven, shivennen… di più non riesco a tradurre, mi dispiace, ma si parla del Pozzo, è un buon inizio.” Elanor si dimostrò positiva e sollevata e non mi lasciò il tempo per avvertirla delle clausole: “Chi veniva a supplicare Mythal doveva dimostrare rispetto, forse percorrendo l’antico cammino troveremo la porta.” disse Elanor camminando tra piastrelle che brillavano al suo passaggio. Un rumore sordo, antico. Una porta si aprì alla volontà di Elanor; il sigillo magico si infranse e ci accolse una stanza buia, piena di polvere e macerie, probabilmente un’anticamera. Aprimmo la porta successiva e un’esplosione ci fece sobbalzare. I Templari si stavano facendo strada a colpi di esplosivi. La rabbia dentro di me crebbe a dismisura, Elanor mi afferrò per un braccio, ero livido di rabbia. Samson ordinò ai suoi uomini, o quel poco che rimaneva del loro essere uomini, di respingerci senza fare prigionieri in breve tempo ci circondarono, dovevamo lottare, non avevamo scelta. Imbracciammo le armi pronti allo scontro: i nostri bastoni emanavamo magia, la spada di Cassandra era affilata e pronta ad essere bagnata dal sangue, Sera aveva incoccato due frecce tenendone una tra i denti. Eravamo compatti e uniti contro una decina di guerrieri addestrati, non mi azzardavo a fare pronostici, ma avremmo sicuramente venduto cara la pelle. Ci accerchiarono e finimmo spesso con le spalle addosso ai nostri compagni. Un Templare afferrò Sera per un braccio e la sollevò da terra, perse la presa del suo arco che sordo si schiantò al suolo, il Templare corrotto le avrebbe rotto il braccio di lì a poco. Lei urlava e si dimenava, ma non riusciva a divincolarsi, un lampo di ghiaccio trafisse il guerriero sotto la scapola uscendo dalla spalla, sputò sangue e morì; quell’incantesimo mi costò un colpo con l’elsa sul torace. Sentii un dolore sordo irradiarsi in tutto il corpo, altre costole andarono in frantumi, la vista mi si offuscò, non dovevo svenire, non c’era tempo. Ringhiai furioso e con un’esplosione di mana richiamai Tempesta e congelai il guerriero armato che stava per tagliarmi in due, Elanor e Cassandra attaccavano senza sosta mentre riprendevo fiato. “Grazie, elfo.” mi disse Sera raccogliendo l’arco e valutando i danni. Sbuffando disgustata incoccò un’altra freccia che colpì al collo un Templare, li sterminammo senza alcun rimorso. “Forza, possiamo ancora raggiungerli!” disse Elanor cercando di tirare via del sangue che le era schizzato sul volto.
 
Avanzammo verso una spaccatura del terreno, l’entrata al Tempio che si aprirono i Templari con le bombe. Morrigan ci fermo: “Fermi! Aspettate un momento. Lasciamoli andare avanti, questo è sì uno dei modi per accedere al Tempio, ma noi dovremo usare il sentiero del supplizio.” “Un’armata là fuori sta morendo per noi – disse Cassandra – più tempo noi indugiamo, più soldati cadranno. Scendiamo e lasciamo questo posto.” “In questo caso concordo con la Strega – intervenni – questo luogo è antico e merita il nostro rispetto.” Il viso di Morrigan si distese: “É troppo importante. Non possiamo arrivare al Pozzo senza essere preparati. So che non sappiamo cosa si celi dietro quelle porte e la tentazione di prendere un’altra via è una tentazione forte, ma ricordate il valore che dovevamo dimostrare i pellegrini. L’ordine naturale è in pericolo. Un tempo esseri leggendari abitavano il Thedas erano potenti e meravigliosi e la loro scomparsa ha reso tutti più deboli.” Elanor la fissava con la fronte aggrottata: “Dunque dovrei credere che il vostro sia altruismo e non brama di potere? Il Pozzo, è un tuo obiettivo Morrigan?” “Corypheus sprecherebbe l’antico potere del Pozzo, io sono in grado di ripristinarlo. Tacciare di avidità la Strega delle Selve è comunque molto più facile. L’umanità brancola nel buio distruggendo ciò che non capisce: elfi, draghi, magia, un elenco che sembra non voler mai finire; dobbiamo accettare l’ignoto o vivere una vita ordinaria. Le scelte sono due. Non si può prendere una terza via. – disse Morrigan – Ho letto molto di più di quanto credevo di sapere nella camera precedente. Chi usa il Pozzo riceve un grande Dono, ma ad un caro prezzo. Come molti testi elfici era intollerabilmente vago, si parla di un dolce sacrificio del dovere, halam'shivanas. Implica la perdita di qualcosa di personale per il senso del dovere. Uno scambio.” “Perché me lo dite solo ora?” sbottò Elanor rabbiosa. “Speravo di ottenere più informazioni su cosa si trattasse. Se avessi voluto ingannarvi avrei taciuto. La mia priorità è la vostra causa, – disse la donna appoggiando una mano sulla spalla di Elanor – ma se vi fosse anche solo una possibilità di salvare il Pozzo del Dolore, correrei il rischio.” “Per guadagnarci cosa?” Morrigan sorrise: “É quello che dobbiamo scoprire. I rituali potrebbero indicarci il modo.”
Speravo seguisse il consiglio della Strega, altrimenti avremmo potuto pentircene. Superammo il sentiero dei rituali: interi porticati risplendevano di una luce magica, rimasi affascinato da quell’intensa forza magica, ancora presente e forte tra queste mura. Ero meravigliato e compiaciuto e Sera a suo modo aveva ragione: avrei voluto soffermarmi in quei luoghi, studiarli, riscoprirli e prendermene cura. Un giorno, forse, quando tutto questo sarà finito, mi dissi triste. Prima erano più imperative altre questioni, questioni che non potevano essere rimandate ancora. Corypheus, gli elfi, la mia missione, la mia Elanor: luce salda nel mio buio interiore. Avrei dovuto pagare un alto prezzo quando verrà il momento, pregai solo di essere anche solo un po’ più pronto.
 
Non lo si è mai, in realtà… sapevi a cosa andavi incontro legandoti alla tua Lethallan ed hai voluto farlo lo stesso…
Il pensiero del Lupo mi ferì più delle spade e delle frecce dei Templari. Aveva ragione, ma Elanor faceva quell’effetto.
La compagnia si paga a caro prezzo, amico Lupo. Sarò pronto. Sarò pronto a pagare per il danno che io ho causato, non temere.
Cercai di convincere più me stesso che il Lupo, lui sapeva che non sarei mai stato pronto.

“Sei tranquillo adesso Solas.” irruppe nei miei pensieri doloranti Cole, materializzandosi affianco a me. “A meno che non debba discutere con qualcuno, tipo Morrigan, direi di sì…” risposi fiacco tenendomi una mano sul costato, doleva; tremavo al solo pensiero di togliere le mie vesti, ma sapevo che avrei dovuto farlo, prima o dopo. “No, internamente intendo, percepisco molto dolore, ma la tua musica è più morbida, più sottile, quasi silenziosa…” disse criptico il ragazzo nascondendo lo sguardo sotto il largo cappello. Mi alzai e iniziai a slegarmi la giubba: se il sangue si rapprendeva troppo sugli abiti sarebbe stato peggio toglierli, avrei riaperto le ferite e si sarebbero infettate. “Per quanto dolore un uomo può provare, esso può essere sepolto sotto i profondi ricordi della memoria, del sentimento e dell’essenza stessa.” risposi gettando l’armatura a terra e controllando i danni. Avevo ferite su gambe e braccia, cinque costole rotte, morsi che si sarebbero infettati a breve e lividi su tutto il corpo; ringhiai di dolore quando mi tamponai una ferita sopra una costola rotta. “C’è dolore però dentro di te…” mi disse il ragazzo porgendo un panno meno sporco. “Non ho mai detto che non ci fosse.” risposi con un sorriso triste guardando il ragazzo Spirito e ripresi a curarmi con quello che avevo e con quello che potevo trovare.  “Non hai bisogno di invidiarmi, Solas. Potrai trovare la felicità a modo tuo.” continuò il ragazzo dai capelli di grano. “Mi dispiace turbarti Cole, ma io non sono uno Spirito e talvolta è difficile ricordare tali semplici verità.” risposi sbuffando, lo invidiavo eccome. “Non sono andati finché li ricordi…” mi apostrofò “Lo so.” “Ma puoi lasciarli andare.” “So anche questo Cole.” dissi seccato e stanco tamponandomi alla meglio le ferite. “Non l’hai fatto perché fosse giusto. Lo hai fatto per salvarli.” Cole continuava a rigirare il coltello nella ferita della mia anima. “Cole, penso che Solas vorrebbe che tu la smettessi.” sentii Elanor dire avvicinandosi a me “Ma vhenan…” mi disse abbracciandomi delicatamente al bacino. Una fitta di dolore mi tagliò in due. “Non è fastidioso, vhenan: Cole è uno Spirito di Compassione e questo mondo è troppo squallido per respingere la compassione offerta liberamente.” le dissi accarezzandole le braccia. Provavo dolore, ma ero troppo vigliacco per liberarmi dal suo abbraccio, la sua guancia poggiò sulla mia schiena e il suo dito batteva delicato il ritmo del mio cuore. Mi rivestii e lento mi avvicinai al gruppo: stavamo per entrare nelle profondità del Tempio, i rituali erano completati, le porte prima sigillate con la magia ora erano accessibili, pronte per essere varcate. Corremmo tra le navate ricoperte di vegetazione, ammirando quelle rovine immobili nella bolla di un tempo ormai passato. Scoprimmo dei mosaici dorati, ricoperti da polvere e rampicanti, uno raffigurava la Dea elfica Andruil, su una lastra incisa in elfico antico: “Un giorno Andruil si stancò di cacciare uomini mortali e bestie. Iniziò a braccare i Dimenticati, creature maligne che prosperano negli abissi. Ma nemmeno un dio dovrebbe trattenersi troppo a lungo in quegli abissi, ed ogni volta che Andruil entrava nel Vuoto, quando tornava soffriva di periodi di pazzia sempre più lunghi. Andruil iniziò ad indossare un’armatura di Vuoto, e tutti dimenticarono il suo vero volto. Costruì armi fatte di oscurità, e la piaga divorò le sue terre. Ululava parole che avrebbero dovuto rimanere dimenticate, e gli altri dei iniziarono a temere che Andruil potesse cacciarli ed ucciderli uno per uno. Così Mythal iniziò a diffondere la voce di una mostruosa creatura e prese la forma di un enorme serpente, aspettando Andruil alla base di una montagna. Quando Andruil arrivò, Mythal si lanciò sulla cacciatrice. Combatterono per tre giorni e tre notti, e Andruil apriva ferite sempre più profonde nella pelle del serpente. Ma la magia di Mythal indebolì la forza di Andruil e le rubò la conoscenza su come trovare il Vuoto. Così la grande cacciatrice non sarebbe più potuta tornare nell’abisso, e la pace ritornò.” lessi ai miei compagni, intenti all’ascolto, ero meravigliato che queste cose fossero rimaste intatte dopo così tanto tempo, la loro posizione scomoda, la foresta impenetrabile e la selvaggia protezione delle Sentinelle avevano conservato questi luoghi, sembrava che il tempo si fosse fermato e si potesse toccarlo. “Credo che siamo al cospetto di un mosaico che rappresenta la Dea Andruil, la Signora elfica della Caccia.” “O la Dea del Sacrificio, secondo alcuni.” mi permisi di dire a Morrigan. “Veramente? Forse è per quello che il suo simbolo animale è la lepre… i Dalish la invocavano prima di una caccia mi sembra, specialmente quando andavano a caccia di umani…” disse la donna. “Ma i Dalish non sono noti per essere individui sanguinari… vero?” chiese Sera spaventata. “Questo è quello che ho sentito dire alla Corte Imperiale, mia giovane elfa: molti comandanti orlesiani consideravano le schermaglie contro i Dalish un ottimo esercizio per le truppe.” Ringhiai cupo quando vidi Elanor rabbrividire, nonostante l’esilio dal suo clan ogni tanto credo ci pensasse ancora. Avanzammo per i baldacchini in cerca di piante per la medicazione, con scarsi risultati. “Morrigan – disse Elanor – vorrei… vorrei parlare ancora del Pozzo.” disse titubante. La Strega alzò le braccia “Certo… Potrebbe anche non esserci la possibilità di usare il Pozzo. Quello che voglio chiarire sin da ora – continuò Morrigan chiudendo gli occhi a piccole fessure – è che qualora ci fosse, sarò io ad usarlo, ed intendo accettarne le conseguenze.” Elanor non si sarebbe lasciata intimidire: “E se vi dovesse succedere qualcosa? Che ne sarà di vostro figlio?” Morrigan rise sguaiatamente, il suo Kieran era giovane e forte, era sicura sarebbe cresciuto con o senza di lei. Una risposta che mi stupì oltremodo, la sua sete di potere era smisurata.

Dalla stanza di meditazione dov’eravamo proseguimmo la nostra esplorazione del Tempio, trovammo altri mosaici raffiguranti gli Antichi Dei: trovammo quello di Falon’Din, il sovrintendnete funerario e guida per gli elfi defunti. “So che molti elfi Dalish lo invocano sul letto di morte o prima di una battaglia a cui credono di non poter fare ritorno.” disse Morrigan con arroganza. “Quand’ero bambina i cacciatori del mio clan chiedevano la sua benedizione contro i banditi, il nostro guardiano insegnava loro le preghiere…” disse Elanor con uno sforzo mentale. “Non credo proprio intonassero canzoni sulla sua vanità.” risi levando qualche ramo secco dalla lama del mio bastone, Elanor mi chiese se conoscessi qualche leggenda in merito. “Voglio saperne di più…” mi disse. Quella curiosità, quella sua bellissima e maledetta curiosità. “Pare che l’appetito di Falon’Din per l’adulazione fosse così formidabile da far scoppiare guerre pur di fare proseliti. – dissi chiudendo gli occhi, come se sentissi ancora quel tronfio essere ridere del suo successo – Il sangue di coloro che non lo veneravano riempiva laghi vasti come oceani. Quando l’ombra della bramosia di Falon’Din si allungò sulla sua gente, Mythal radunò gli Dei, ma era troppo tardi ormai. Falon’Din si arrese solo quando i suoi fratelli lo uccisero nel suo stesso Tempio.” Lo sguardo di Elanor sembrava perplesso: “Il mio clan non mi ha mai raccontato questa vicenda, ne parlavamo, ma mai in questi termini…” disse inclinando la testa. “Più vasta è la diffusione dei Dalish, più vaste sono le differenze tra le loro storie…”

La tua piccola elfa è furba e tu ci stavi cascando Fen’Harel! Stai attento!
Rise di sottecchi il Temibile Lupo.

“…mai scambiarli per arbitrii dell’autentica cultura Elvhen.” dissi serio. Se quell’osservazione me l’avesse fatta qualcun altro mi sarei infuriato. Finita la lezione di storia elfica ci dirigemmo verso la porta del Santuario: brillava di luce azzurra, irradiava magia dal sapore antico. Mi appoggiai e spinsi con tutta la forza che avevo, urlando per il dolore al busto.
 
Entrammo in una stanza, vuota e dorata, opprimente e buia. Calpestavamo macerie e nuvole di polvere si alzavano al nostro passaggio. Enormi statue di elfi di pietra ad ogni lato reggevano archi tesi le cui frecce sembravano puntare verso di noi. Tossii. “Non era ciò che mi sarei aspettata. – disse Morrigan confusa – A cosa serviva questa stanza?” dei movimenti quasi meccanici mi misero in allarme, serrai il bastone più forte e i miei sensi si allertarono. Non percepii niente. Il Temibile Lupo non percepiva niente, poi un lampo, un bagliore accecante mi fece chinare la testa e urlare per il dolore improvviso agli occhi, quando riuscii a mettere a fuoco, eravamo circondati. Apparse come folgori in quella stanza dorata senza via d’uscita, le Sentinelle Elfiche avevano gli archi incoccati e tesi, pronti a scagliare le loro frecce letali contro di noi, inermi e ancora storditi. Non fecero alcun rumore. “Ci osservano.” disse Elanor non voltandosi verso i soldati dalle armi cariche. Avanzò e la seguii, la mia mano umida riusciva a stento a tenere il bastone, ma non avevo il coraggio di fare alcun movimento brusco, le loro frecce mi avrebbero perforato senza problemi.
 
Abelas comparve sopra una paratia di fronte a noi. Era vivo. In un certo qual modo ero sollevato. Con le braccia incrociate e lo sguardo truce dell’elfo ci intimò di fermarci. “Venavis!” sotto il cappuccio ebbi l’impressione di intravedere un flebile sorriso, poi parlò della lingua comune: “Voi, voi non siete come gli altri invasori. Alcuni di voi hanno i tratti di quelli che si chiamano Elvhen. Portate su di voi il marchio di una magia …familiare.” L’Ancora sulla mano di Elanor brillò. “Come spiegate tutto questo? Cosa vi lega a coloro che per primi hanno disturbato il nostro sonno?” chiese l’elfo portando al mento una mano guantata di placche bronzee. “Non capisco la parte relativa al sonno – disse Elanor – Chi siete?” concluse. Cassandra strinse l’impugnatura della sua spada tanto forte da produrre rumore. L’elfo ambrato non tollerava che estranei ponessero a lui domande, affilò lo sguardo e tese i muscoli del viso cereo.
 
“Mi chiamo Abelas, – disse – siamo Sentinelle: incaricate di respingere coloro che calpestano il suolo sacro…” le corte degli archi puntati alle nostre schiene si tesero ancora di più. “Ci svegliamo solo per combattere, per proteggere questo posto e ad ogni invasione siamo sempre di meno. – continuò Abelas – So cosa volete, come quelli venuti prima di voi volete bere dal Vir'abelasan. Non è per voi.” lo sguardo del comandante si fece duro e la sua voce scandì “…non è per nessuno di voi.” Elanor fece due passi avanti: “Quindi… siete elfi delle epoche antiche? Prima che l’Impero del Tevinter distrusse Arlathan?” chiese ferma l’inquisitrice.  “Gli sh’amlen non distrussero Arlathan.” puntualizzò Abelas, “…furono gli Elvhen che combatterono tra di loro. Quando le porte di questo Tempio si chiusero, il nostro tempo finì. Ci destiamo se chiamati ed ogni volta troviamo il mondo più estraneo di prima. Forse non ha senso, ma il Vir'abelasan deve essere protetto.” Elanor fece dei passi tremanti indietro, Cassandra la sostenne. Le leggende a cui aveva assistito da piccola erano false, si raccontava che le città degli elfi antichi furono spazzate via dai maghi del Tevinter, distruggendo l’impero elfico e le sue meravigliose città, schiavizzando gli elfi fatti prigionieri. I Dalish, il cui nome rievoca lo splendore dell’antico popolo, altri non erano che i discendenti di coloro che riuscirono a scappare dai rastrellamenti Tev. Deglutii, l’Ancora sulla mano della Signora dell’Oblio sprigionò energia, Elanor urlò piegandosi sulle ginocchia. “Cos’è il Vir'abelasan di preciso?” chiese a denti stretti per il dolore, mi avvicinai per aiutarla, ma mi spinse via rialzandosi. Abelas mise le mani attorno ai fianchi “É una via, – rispose – battuta solo da chi ha faticato per il favore di Mythal.” rispose criptico. “Vi è superfluo sapere altro.” tagliò corto l’elfo, il suo viso si indurì ancora. “La nostra gente ha perso tutto. – continuò Elanor caparbia – Ha bisogno di voi, può imparare da voi!” Abelas esplose in una risata cupa che risuonò tra le pareti spoglie della stanza: “La nostra gente? Quella che vediamo nella foresta? Le ombre che portano il vallaslin? Voi, non siete la mia gente!” ringhiò Abelas scandendo bene le ultime parole, puntando il dito contro Elanor. “Avete invaso il Santuario con la stessa solerzia degli sh’amlen.” continuò l’elfo guardandoci dall’alto, le sue parole scoccavano mortali come frecce. “Sappiamo che questo suolo per voi è sacro e ci siamo impegnati per rispettarlo!” continuò Elanor in una battaglia di sguardi. Il silenzio teso calò su di noi, sembrava interminabile e pesante. “Vi credo.” Lo interruppe Abelas. “Siete profanatori, ma avete seguito i rituali di supplica e mostrato rispetto a Mythal. Se gli altri sono vostri nemici, vi aiuteremo a distruggerli.” promise il Comandante delle Sentinelle aggrottando la fronte. “Una volta distrutti gli usurpatori, avrete il permesso di andarvene… per non tornare più.” con un filo di voce domandai ad Elanor: “É il nostro scopo, no? Non abbiamo motivo di combattere queste Sentinelle.” Avevo l’impressione che il mio cuore di lì a poco mi sarebbe uscito dal petto. “Considerate cautamente, Elanor, – si intromise Morrigan – dovete fermate Corypheus, certo, ma il Pozzo potrebbe tornarci utile.” Passarono attimi lunghi ere. L’ansia crepitava attorno a noi, le Sentinelle al comando di Abelas non avrebbero esitato a colpirci. Sera tremava avvicinandosi a Cassandra che era un fascio di nervi. “Accetto la vostra offerta.” tuonò Elanor. La sua voce rimbalzò sulle pareti dorate della stanza. Sentii piano che la morsa dell’ansia mi stava liberando, mossi le spalle per rendermi conto se le avevo ancora. Allentai la presa sull’impugnatura del bastone. Abelas sorrise. “Vi condurremo da coloro che cercate. E per quanto riguarda il Vir'abelasan, esso non sarà profanato, a costo di doverlo distruggere con le mie mani.” disse l’elfo perforando con lo sguardo Morrigan, se ne andò voltandoci le spalle. La donna dai capelli corvini con un urlo mutò le sembianze del suo corpo in quello di un rapace e cercò di raggiungere l’elfo. Le Sentinelle distesero gli archi e li posarono. Ci sentimmo liberi di respirare.

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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


Morrigan ci aveva abbandonati, mutando la sua forma per inseguire Abelas e dissuaderlo dal distruggere il Pozzo nel caso ci fossimo avvicinati. Dannazione. Mi sfregai il visto ansioso. Una sentinella ci attendeva al varco, pronta a guidarci da Samson e dal suo esercito. Sentivo il furore della battaglia, come quando ero giovane non vedevo l’ora: ero euforico, impazzito, quasi galvanizzato. Bevvi un tonico e sentii lentamente le ossa rotte farmi meno male, ne contai quanti ne avevo, ero quasi sicuro che sarebbero finiti presto; seguii i miei compagni attraverso le sale del Santuario. “Mythal'enaste.” ci disse la donna elfo ammantata da Sentinella, facendo strada nel Santuario interno. “Utile – borbottò seccata Elanor – Dal momento che Morrigan se n’è andata...” “Intende proteggere il Pozzo del Dolore.” intervenni. Potevo capire la Strega, quello che mi impensieriva era il perché volesse proteggerlo, continuai a pormi questa domanda senza scovare alcuna risposta. Proseguimmo attraverso il Santuario, osservando i mosaici dorati alle pareti, i nostri sospiri erano di puro stupore. Erano bellissimi come un tempo, nemmeno la polvere li aveva privati del loro bagliore. Ero incantato, l’idea era probabilmente quella di stupire i visitatori del Tempio, direi che avevano reso l’idea. Nelle nostre divagazioni perdemmo di vista la nostra guida, la sentimmo urlare nella stanza adiacente: “Penshra! Ghilas vellathan!” Elanor mi guardò confusa. “Credo preferisca che stiamo compatti.” arricciò il naso come una bambina al quale si rimprovera un capriccio, sorrisi, la mia Signora dell’Oblio era assetata di conoscenza, come potevo rifiutarmi? Osservammo altri mosaici raffiguranti altri Dei: Ghilan'nain, Elgar’nan e Dirtamen, tradussi per i miei compagni le effigi ai lati dei mosaici. Sera si stava mangiando le unghie spazientita annoiata e la Sentinella ci attendeva all’uscita della sala.
 
“Quindi tu ed Elanor… allora è vero! Ho visto come vi guardate… Interessante.” mi disse Sera tirandomi una gomitata leggera sul braccio. “Il tuo interesse non è una mia preoccupazione.” le risposi piccato, ricordando la battuta infelice sui miei presunti trattati di storia durante l’intimità. “Va tutto bene, perché per me significa noia: l'elfo prende sempre l'elfo in modo che le scopate significhino qualcosa.” disse lei disgustata, non la facevo così superficiale, credeva che la mia intimità con Elanor sia possibile solo perché eravamo entrambi elfi? “Non è un argomento di cui voglio discutere, con te in special modo.” le dissi seccato affilando lo sguardo. “Oh, andiamo! Discendete e ricostruite l'Impero. Potere!” mi disse alzando l’arco come stesse incitando una lotta. Elanor rise di gusto: “Sera, sei ridicola!” sorrisi anch’io. “No, non io… è lui, e tu!” sbottò Sera disgustata. “Solo uno di noi si sta dimostrando triste e sciocco, Sera.” le risposi a tono sorridendo. “Oh, per favore, andate a tirarvi le orecchie!” e accelerò il passo verso Cassandra. Scrollai la testa quasi divertito.
Arrivammo ad una porta, dietro di essa sentivamo urla e scoppi di magia. Stavano combattendo. Sfondammo la porta e ci unimmo alle Sentinelle uccidendo brutalmente i Templari che presidiavano la stanza, la vittoria nostra fu schiacciante. Proseguimmo assieme al piccolo gruppo di Sentinelle armate di spade ed archi, ci facemmo largo tra le macerie dorate di altre stanze piene di statue in pietra e mosaici del Santuario interno. Era enorme. Altre porte, altre urla, altri combattimenti, l’ardente furia della battaglia si impadronì del mio corpo, combattei come un Lupo senza pensare al dolore, non mi risparmiai neanche un po’. Uccisi i Templari attraversammo il Santuario interno, oltrepassammo la porta di corsa e arrivammo a destinazione. Davanti a noi, il Vir'abelasan, il Pozzo del Dolore.

“Combattete, luridi cani! Non basta un esercito di bastardi a fermarci!” Tuonò Samson di sotto, corremmo seguendo i suoni della battaglia fino a perdere il fiato. “Andraste, guidaci.” sussurrò la finora silenziosa Cassandra. Girai l’angolo per primo, vidi un picchiatore dei Templari uccidere con un solo pugno una Sentinella disarmata. Un’altra stava bruciando per mano di un Custode corrotto, un altro Templare aveva appena trafitto un elfo, una delle ultime Sentinelle ancora vive fu annegata con calma nel piccolo stagno. Ero inorridito e furioso: “Coriacei bastardi. – disse Samson – Un giorno di marcia, ore di lotta e ancora feroci come dragoni. Siete stati bravi, la Chiesa non saprà mai a cosa ha rinunciato…” si voltò e un sogghigno gli rigò il volto: “…Inquisitrice. Voi e questi dannati elfi non sapete proprio quando fermarvi. Ci avete dato la caccia per mezzo Thedas, avrei dovuto immaginarlo che ci avreste seguiti anche qui, in questo buco sperduto.” rise. “É finita Samson, le tue riserve sono esaurite così come il Lyrium rosso. Non è ora di fermarsi?” chiese Elanor avanzando verso il capo dei Templari rossi. Lui rise ancora: “Per godere della pietà dimostrata ai nostri fratelli e sorelle? No, grazie. Corypheus mi ha accettato due volte, prima come generale, poi come ricettacolo per il Pozzo del Dolore.” I suoi occhi scuri iniettati di sangue si fecero più profondi. “Sai cosa contiene il pozzo, elfa? Saggezza. Del genere che può sconvolgere il mondo.” una lancia ghiacciata si formò tra le mie dita, appena si sarebbe voltato l’avrei colpito, a morte se possibile. “La donerò a Corypheus e lui potrà camminare nell’Oblio senza la tua preziosa Ancora.” “Che ruolo svolgi tu? Cos’è un ricettacolo?” chiese Elanor prendendo tempo. “Cos’altro potrebbe svuotare il Pozzo? Porterò il suo potere al mio Maestro, un altro compito che mi è stato affidato. – rispose torno Samson, sembrava spaventato – L’essere costretto ad assumere il Lyrium della Chiesa è servito a qualcosa. Quest’armatura mi rende una fortezza vivente, nella mente e nel corpo.” continuò ad avvicinarsi ad Elanor. Le prese il mento tra le dita e la guardò negli occhi. “Ricorderò ogni parola del sapere del Pozzo, la darò a Corypheus e sarà inarrestabile.” La mia Signora dell’Oblio sogghignò. “Una volta che Corypheus avrà ottenuto quel potere, tu e i tuoi soldati sarete soltanto una zavorra.” disse con voce affilata. Samson la scagliò via. “E tu osi dirmi una cosa simile dopo aver trucidato i miei uomini?” Un’energia sorda scoppiò dal corpo di Samson, emanava un bagliore incandescente e un calore insopportabile, assieme al puzzo di sangue rendeva l’aria maledettamente insalubre. Cercai di coprirmi il viso da quelle sferzate di vento caldo e fetido. “Questa è la forza che la Chiesa cercò di vincolare – urlò Samson – ma ora c’è un nuovo mondo, e un nuovo Dio.” Elanor scoppiò a ridere, si teneva perfino il ventre dalle risa dolorose. “Il potere, Samson, è bello, finché non te lo portano via!” Estrasse una runa a me sconosciuta, il suo sigillo si arrivò con un bagliore cremisi e l’armatura di Samson esplose in mille pezzi che si scagliarono addosso ai suoi uomini. Fui lesto ad attivare la barriera di Spirito che coprì il gruppo da quelle schegge di Lyrium rosso incandescenti. “Cos’hai fatto dannata elfa? Come hai fatto?” chiese furioso Samson, “La mia armatura… perduta… il …il Lyrium mi serve!” urlò Samson in preda ad una crisi, furioso e ferito si lanciò assieme ai suoi uomini nell’ultima battaglia, decisiva per il Pozzo.

La sua élite di soldati combattè furiosamente senza risparmiarsi, eressi una muraglia ghiacciata attorno a me e ad un paio di Templari rossi, dovevo sfogare la mia frustrazione: il mio sangue ribolliva, ero accecato dall’odio, avrei vendicato la mia gente, avrei portato giustizia, questo era il mio compito. Caricai e con il bastone usato come lancia lo conficcai nel petto di un soldato, mi sollevai e con il peso piantai un calcio a piedi uniti allo sterno dell’uomo: la cassa toracica si frantumò e staccò il bastone dalla carne. L’altro soldato alzò la spada nel tentativo di segarmi in due; troppo lento, mi abbassai e scagliai una lancia ghiacciata sul suo torace all’altezza dello stomaco, il mio viso si bagnò di sangue e la mia risata riecheggiava nei fragori della battaglia. Samson aveva smesso di lottare, giaceva a terra, in preda ad una violenta crisi di astinenza da Lyrium, mi avvicinai ad Elanor. “Non il Pozzo… – disse a fatica l’uomo sputando sangue – …non puoi sottrarlo a Corypheus, non devi.” disse cercando inutilmente di tirarsi in piedi. “Respira ancora?” chiese incredula Cassandra. “Lo porteremo con noi a Skyhold.” disse Elanor. Avrei voluto ammazzarlo qui, adesso, in silenzio, e lasciarlo in mezzo ai corpi dei miei fratelli morti. Abelas comparve dietro le nostre spalle, lo rincorremmo senza più fiato nei polmoni, con la sua magia ancestrale eresse una scalinata di ciottoli sospesi che arrivava fin sopra un talamo, vedemmo un grosso rapace corvino sorvolare l’elfo, Morrigan gli sbarrò la strada sul bordo di un laghetto, riprendendo forma umana; Abelas era con le spalle al muro. “Avete udito le sue parole, Elanor, l’elfo vuole distruggere il Pozzo.” parlò Morrigan piantando il suo bastone sul terreno sabbioso dell’alcova. Abelas si girò “Così, alla fine, il Santuario è stato profanato…” disse rammaricato indietreggiando. “Voi stesso non avreste esitato a distruggere il Pozzo!” urlò Morrigan. “Tutto pur di sottrarvelo, meglio perduto piuttosto che affidato a degli indegni!” gridò di rabbia Abelas. “Sei uno sciocco, elfo, così la vostra eredità marcirebbe nelle tenebre!” disse l’Occultista a denti stretti. “Basta, Morrigan!” Urlò Elanor sovrastando il litigio. “Non penserete di…” stava per chiedere Morrigan, Elanor emanava elettricità dagli occhi. “Ho detto, basta così!” disse dura, i contendenti si zittirono, Morrigan sospirò: “Il Pozzo è una fonte di potere, Elanor. Potete permettervi di non attingervi per fermare Corypheus?” probabilmente no, risposi tra me e me, non avevamo scelta. “Vi rendete conto di quello che state chiedendo?” chiese il Comandante delle Sentinelle voltandosi verso lo specchio d’acqua calmo e splendente. “Ogni servitore di Mythal al crepuscolo della vita ha tramandato le proprie conoscenze tramite questo… tutto ciò che eravamo, tutto ciò che sapevamo andrebbe perduto per sempre.” disse Abelas con la voce spenta indicando lo specchio d’acqua, il suo sguardo si perse nei suoi bagliori azzurri. Elanor sospirò: “Guardatevi attorno, – disse – tutto ciò che eravate, voi e il vostro popolo… non c’è più.” ero pietrificato. La mia gola si chiuse e tossii strozzato. Non mi aspettavo di sentire quelle parole, per quanto vere: eravamo un esercito di morti e non ce ne rendevamo nemmeno conto. “Vero.” rispose Abelas voltando lo sguardo altrove. “Esistono altri luoghi, amico mio, altre cause da perseguire – riuscii a malapena a dire appoggiandomi al bastone – eppure il tuo popolo indugia.” Abelas mi perforò con lo sguardo di ambra. “Elvhen, come te?” Annuii alla potente Sentinella. Si voltò nascondendo lo sguardo nel cappuccio: “Avete mostrato rispetto a Mythal e in voi risiede un’innegabile rettitudine.” poi si voltò verso Elanor: “É davvero questo il vostro desiderio? – chiese – attingere quanto più possibile al Vir'abelasan per combattere il vostro nemico?” “Non senza il vostro permesso.” disse Elanor dandomi l’impressione di stare giocando al gatto con il topo, sorrisi abbassando il capo. “Non si può chiedere il permesso, si deve avere il diritto.” rispose Abelas allontanandosi, poi si voltò: “Il Vir'abelasan può essere troppo per un corpo mortale. Mettetevi alla prova, se dovete. Ma ricordate che così sarete per sempre vincolati dalla volontà di Mythal.” “Vincolata? – chiese Morrigan – Ad una Dea che non esiste più a patto che sia mai esistita veramente?” Abelas resse il suo sguardo. “Vincolata come lo siamo noi. La scelta spetta a voi. Il nostro dovere è tutto ciò che ci rimane.” Elanor sospirò, fece due passi attorno al bordo dello stagno. Alzò il viso e guardò negli occhi Abelas: “É possibile che Mythal sia ancora viva?” chiese sicura Elanor. Lo sguardo dell’elfo non resse a lungo quegli occhi violetti. “Tutto è possibile…” rispose vago “La leggenda elfica narra che Mythal venne ingannata da Fen’Harel e bandita nell’Aldilà.” spiegò Morrigan. Abelas la guardò interrogativo “La leggenda elfica è una menzogna. Il Temibile Lupo non ebbe niente a che vedere con il suo assassinio.” Una fitta di dolore lancinante, mi colpì in mezzo agli occhi. Soppressi un urlo ringhiando dando la colpa alle costole fratturate quando Cassandra mi venne affianco. “Assassinio? – sbarrò gli occhi Morrigan – Chi ha parlato di…” non finì la frase. Per la prima volta l’Occultista non seppe cosa dire.

Abelas continuò come un fiume di parole rivelando che Mythal fu prima tradita da coloro che distrussero e questo Tempio e dagli stessi fu in seguito uccisa: sempre che un dio possa essere ucciso. Il Temibile Lupo, accusato del suo omicidio per secoli era in verità innocente. “La sua decisione era impegnata di rammarico, Fen’Harel sentiva di non avere altra possibilità per salvare gli Evanuris e gli elfi dalle guerre intestine.” Lo sgomento era generale. Se il tempo avesse potuto avere un rumore, poteva essere solo il suono delle parole del Comandante delle Sentinelle. Sedendosi su una roccia sporgente aggiunse teso: “Eppure il Vir'abelasan c’è ancora, e anche noi… è già qualcosa.” e chinò il capo. “Lascerete il Tempio?” chiese Elanor attonita ed incredula. Centinaia di anni di menzogne sul mio conto, il peso di un’intera civiltà, erano state spazzate via dall’elfo antico dagli occhi d’ambra. Cos’avrei potuto pretendere? Che la prendesse bene? L’elfo rispose che la loro missione era conclusa: “A cosa servirebbe rimanere?” “Troverete il vostro posto Lethallin… se lo cercherete.” dissi avvicinandomi al guerriero appoggiandogli una mano sull’armatura bronzea. Sorrise. “Forse esistono luoghi che gli sh’amlen non hanno contaminato – disse – o forse ci resta solo l’Uthenera, il beato sonno eterno da cui non c’è risveglio. Sempre che la sorte ci arrida.” scrollò le spalle Abelas. “Potete unirvi a noi contro Corypheus, se lo desiderate, ha ucciso la vostra gente…” gli propose Elanor sedendosi sul terreno erboso. Inspirai rumorosamente. “Abbiamo ucciso noi stessi molto tempo fa.” rispose accigliato il guerriero. “Malas amelin ne halam, Abelas.” dissi io serio. L’elfo sbarrò gli occhi e mi guardò, in quel momento seppi che mi aveva riconosciuto, mi sorrise e chinò il volto in segno di saluto e se ne andò, com’era comparso nella sala degli interrogatori, silenzioso e veloce come un’ombra. “Il suo nome, – spiegai – significa Dolore. Gli ho augurato di trovarne uno nuovo.”
 
Montammo in fretta un piccolo campo. La giornata volgeva al termine, Corypheus scomparve e l’armata dell’Inquisizione perlustrò il Santuario interno, speravo solo non lo depredassero o lo sfregiassero in qualche modo. Ci portarono delle provviste e dei medicamenti con i quali provavamo a curarci, poi si ritirarono all’esterno dell’edificio, pattugliando la foresta. Con difficolta mi sfilai finalmente la giubba logora, incrostata e sporca. In tre punti sul costato avevo dei brutti lividi gonfi, era dove le mie costole erano rotte. Contai una trentina di tagli più o meno tra tutto il corpo, il labbro inferiore sulla sinistra era spaccato, il sopracciglio sinistro anche. Non ebbi il coraggio di specchiarmi per vedere realmente in che stato mi trovavo. Mi applicai un impacco viscido sul costato malconcio ringhiando di dolore, cercai di fasciarmi, ma ero dolorante e maldestro. Elanor mi si avvicinò con la testa fasciata e il labbro spaccato dallo scontro con Samson. Mi sorrise piano e prese la benda fasciandomi il torace con delicatezza e maestria, trattenni il dolore che al calar della tensione di faceva più estremo, temetti quasi di svenire. “Come stai vhenan?” mi chiese Elanor passando l’ago ricurvo nel mio sopracciglio. Sospirai, non sapendo cosa risponderle. “Dopo tutto questo intendo, dopo tutte le Sentinelle uccise… ho visto come hai combattuto… eri a dir poco fuori di te.” aveva ragione, ero stato accecato dal furore e la mia vista era rossa per tutto il sangue che ho versato in ricordo della mia gente. “Mi spiace cuore mio, ho solo visto quanta crudeltà le persone usano per arrivare dove vorrebbero, cancellando dal mondo quello che non capiscono o quello che fa loro paura, quando dovrebbero solo aprire un po’ le loro menti…” dissi guardando l’Eluvian che si ergeva oltre il placido specchio d’acqua. “…tu piuttosto, come ti senti dopo le rivelazioni di Abelas? Mi rendo conto solo ora di quanto possa essere difficile per te accettare una verità diversa da quella che comunemente i Dalish trasmettono ai loro piccoli.” Elanor abbassò lo sguardo: “Non so dirlo con certezza. – rispose – É difficile elaborare quello che la Sentinella mi ha detto a proposito dello sterminio degli elfi e di Fen’Harel. Sono stata bandita dal mio clan molto piccola, ma ricordo perfettamente come il Custode del mio clan dipingeva il Temibile Lupo. In cuor mio però ricordo un’altra storia…” disse. “…Fen’Harel mi salvò e mi tenne in vita quando ero destinata a morte certa.” disse alzando le spalle, distogliendo lo sguardo dal mio viso, sospirai con un sorriso, le presi delicatamente il viso tra le mani, i miei pollici l’accarezzavano sopra il vallaslin, la voltai delicatamente e le baciai la punta del naso, sorrisi. Avrei voluto ringraziarla per quelle parole, ma non potevo, non ancora. “Dai, ora vieni qui, ti metto dell’unguento sul labbro prima che si infetti, è un brutto taglio…” le dissi prendendo il barattolino di grasso di cane e calendula, glie lo applicai e lei protestò dal bruciore. Ci alzammo e lei andò a vedere Cassandra e Sera se avevano bisogno di aiuto, i nostri compagni stavano finendo di soccorrere i soldati e ci avrebbero raggiunti domani al più tardi. Scesi dall’alcova per controllare il nostro prigioniero, legato ad un albero imponente. Strepitava ed urlava in preda ad una violenta crisi d’astinenza da Lyrium, il suo corpo tremava. Se l’avessi ucciso ora nessuno se ne sarebbe probabilmente accorto, avrebbero dato colpa alla crisi d’astinenza e alle ferite della lotta, il pensiero mi solleticava bramoso.

Fallo Fen’Harel! Non merita la pietà che la tua elfa gli propone!
Sussurrò rude il Lupo dal pelo scuro.
 
Sorrisi maligno ed una scaglia di ghiaccio era tra le mie dita. Guardavo quell’uomo, pensavo cos’aveva fatto alla mia gente e alla mia Elanor, la rabbia mi offuscò il pensiero. Scagliai la lancia di ghiaccio. “No!” disse Cole deviando con la daga il ghiaccio magico. “Fermati Solas! Non è compito tuo!” trucidai con lo sguardo il ragazzo. “Questa è una cosa che farei io, – disse – sono Compassione. Lo ucciderei per evitargli altro dolore, ma non lo faccio. Non è giusto. Lascia che sia la giustizia dell’Inquisizione a decidere di lui.” Ringhiai, aveva ragione. Non era un mio compito e sarebbe stato facile, tanto per me quanto per lui finirla subito, in silenzio. Ma non era giusto, lasciarlo vivere dopo quello che aveva fatto era una scelta difficile da prendere, ma lo feci. Mi chinai al suo fianco e spezzai tra le dita della mollica di pane nero e lo imboccai, masticava lentamente tra lacrime, il sangue e lamenti incomprensibili, stava soffrendo senza il Lyrium. Cole era dietro di me che mi osservava, quel ragazzo sapeva chi ero, vegliava su di me come una mano silenziosa e caparbia, capendo i miei errori e aiutandomi a risolverli, sospirai “Grazie Cole.” gli dissi dando le spalle a Samson. “Veglia su di lui, io cerco di procurare del Lyrium, se vogliamo che arrivi vivo a Skyhold.” Mi avvicinai a Cassandra, la donna si era appena tolta l’armatura distrutta, uno sfregio nuovo le ornava il viso olivastro. “Cercatrice, abbiamo delle pozioni di Lyrium con noi?” chiesi, non avevo voglia di mentire. Lei mi guardò aggrottando le sopracciglia. “Sì, ma non per te. Il Lyrium crea dipendenza, non voglio darlo ai miei compagni.” mi disse la donna. “Non è per me, Cercatrice, ma per Samson. Se vogliamo che arrivi vivo a Skyhold dovremmo dargliene, poche gocce ogni giorno. In questo stato potrebbe non resistere fino a domani.” Cassandra sbuffò disgustata. “Ed io dovrei sprecare pozioni per un uomo così?” alzai le spalle, non potevo coprire l’evidenza: le urla di Samson dilaniavano il nostro tempo e se l’astinenza non lo uccideva, l’avrebbe fatto qualcun altro. “Capisco Cercatrice che è un controsenso dopo tutto il male che ha fatto a me, a te, a tutti, ma se vogliamo che arrivi vivo a Skyhold e possa affrontare la giustizia, dovremo provare. Cole ha già impedito che venga ucciso.” Cassandra sbottò battendo i pugni sul tavolo: “Chi ha cercato di uccidere il prigioniero?” “Io.” Le risposi breve con un sorriso sbieco. Le urla del Templare rosso cessarono lentamente, per il bene di tutti, sospirai giocando con il fuoco accanto a me. Cole era al mio fianco, parlammo di possessioni, alcune viste oggi per la prima volta lo impressionarono: “Sta avendo senso. Esso li afferra mentre muoiono. Ma allora è un uomo, e lui vuole una donna. Perché?” sorrisi. “Quando controllano le persone, spesso loro soddisfano a sentimenti che non hanno mai sperimentato.” spiegai guardando involontariamente Elanor, Cole se ne accorse sorridendo ed il mio visto divampò. “Ma è cambiato. È vuoto, nero, sfrenato dall'essere. Non l’aveva mai voluto prima…” “Non hai mai sentito interesse per le donne da quando sei venuto attraverso il Velo?” chiesi per nascondere il mio imbarazzo. Il ragazzo negò indifferente alla mia domanda. “Ci sono momenti in cui capisco quasi due di voi. Tenete.” disse Varric che ci aveva raggiunti al piccolo campo per primo, ci porse due birre. “Sei un'anima rara, Mastro Tethras.” gli risposi leggero. Bevvi a lunghi sorsi la birra e lasciai il piccolo momento conviviale ed entrai nella mia tenda, anche se il mio corpo era avvolto da puro dolore, avevo bisogno di dormire.

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


Pioveva nella foresta. La bambina dagli occhi viola era infreddolita e i suoi vestiti logori e strappati non le offrivano un’adeguata protezione dalle intemperie, la caverna era gelida ed umida. Dovevo fare qualcosa. Mi vedeva e mi percepiva come un grosso lupo nero dagli occhi di fiamma, questo era chiaro, e mi era ancora più chiaro che in quelle sembianze il mio aiuto era limitato ad alcuni specifici compiti, gli altri mi erano preclusi a causa delle mie sembianze; inoltre lei aveva bisogno di stare tra persone, elfi o meno che fossero, se vedevano una bambina in groppa ad un Lupo sarebbero stati guai seri per entrambi. Zampettai con la coda tra le gambe, riflettendo sul da farsi. La soluzione migliore era riprendere forma umana, ma come? Non sapevo come fare, il mio Spirito era debole e la mia magia ancora assopita.
 La pioggia scendeva a dirotto all’esterno della caverna, decisi di uscire un po’ lasciando la bambina addormentata in un giaciglio di paglia ricoperta da spesse foglie. Nessun predatore si sarebbe mai avventurato al di fuori della sua tana con questa pioggia. Camminai sotto il torrente che pioveva dal cielo, pensando frustrato ad una soluzione a quel problema e più camminavo tra l’erba bagnata più mi accorgevo che la soluzione mi stava sfuggendo di mano. Passai non so quanto tempo da solo, a vagare intorno alla caverna e spingendomi verso la radura dove una volta c’era l’accampamento del clan della piccola, annusando in cerca di tracce. Nessuna. Ringhiai rabbioso. Arrivai al limite della radura, sulle sponde di un lago. Le gocce d’acqua incresparono il suo placido stato disegnando cerchi scomposti. Mi sedetti e presi a leccarmi svogliatamente una zampa. All’improvviso un richiamo, come una musica sottile, una ninnananna, ma più forte, no, non era una ninnananna, ma una canzone di festa: avanzai quatto verso quel suono che ad ogni passo cambiava di intensità. Mi fermai a ridosso di un grosso e folto cespuglio di bosso, la musica proveniva da lì. Col muso cercai di farmi largo tra i rami induriti e un ramo spezzato mi ferì il naso, latrai di dolore, ma la musica mi chiamava; facendo perno sulle possenti zampe posteriori, cercai con quelle anteriori di spezzare qualche ramo, ad un certo punto una Sfera rotolò fuori dal cespuglio.
Esausto e sfinito guardai quell’artefatto: era un oggetto di incomparabile bellezza nella sua genuina semplicità: era di un materiale che non riconoscevo, striato di colori che sfumavano da giallo a verde, era immobile eppure la sua musica era assordante, la testa mi scoppiava. La afferrai tra le zampe anteriori e un fascio di luce mi inghiottì senza nemmeno lasciarmi il tempo di urlare. Sentivo il mio corpo mutare dolorosamente, la struttura del mio scheletro di lupo si stava rompendo per poi suturarsi un istante dopo in un dolore strano, particolare, sordo e incomprensibile. La musica si faceva sempre meno assordante, la mia vista cambiò e il mio tatto divenne incomprensibilmente più sviluppato. Non riuscivo ad avere alcun controllo su quello che stava succedendo al mio corpo, vorticai in quel cambiamento che non capivo e venni scagliato sul suolo privo di sensi. Mi destai qualche minuto, o forse qualche ora più tardi, scrollai la testa e cercai di rimettermi sulle zampe. Capii che ero insolitamente scomodo e caddi su un fianco, precipitai su una pietra accuminata conficcata nel terreno, il dolore che provai era insolito ed acuto. Qualcosa non andava. La Sfera giaceva per terra, come svuotata, non produceva più alcun rumore, nessuna melodia proveniva da quel piccolo globo ed era spenta. La raccolsi senza fatica con una mano lunga: ero cambiato, completamente cambiato.
 
Fen’Harel!
Dissi ansimando, madido di sudore.
Sì, sei tu. Ce ne hai messo di tempo, vecchio amico mio.
Disse il Lupo alzando il naso dalla coda pelosa. Sbadigliò.
Ora torna a dormire, Fen’Harel. Ho sonno.
E si rimise a dormire con un mugolio.
Stronzo arrogante.
Pensai.
 
Un dolore martellante mi colpì in pieno volto, il mio corpo già debilitato crollò sul terreno freddo all’interno della tenda, a fatica mi rimisi in piedi e mi avviai verso l’esterno. Tutti nell’accampamento erano pesantemente assopiti, li capivo e allo stesso tempo provai invidia per loro che dormivano come sassi mentre io ero perseguitato dal mio passato. Passeggiai osservando il cielo stellato: le fronde degli alberi erano mosse da una leggera brezza fresca e ristoratrice, cercai l’occorrente per farmi un té. Lo detestavo, la era l’unico rimedio per il mal di testa lancinanti che mi perseguitavano. Girai l’angolo e una figura incappucciata alta e snella osservava un piccolo fuoco. “Abelas?” chiesi a bassa voce. “Solas, giusto? O forse dovrei chiamarti…” “…solo Solas, qui. Te ne prego.” lo interruppi brusco, il Comandante delle Sentinelle acconsentì con un cenno del capo, mi fece sedere accanto a lui di fronte al fuoco. “Ho pensato a quello che mi hai detto Solas, – iniziò –  in specifico sul trovare il mio posto.” appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si mise le mani sulla fronte. “…il mio posto, credo di avere capito dov’è e credo di aver capito che cosa devo fare, ma prima di dirlo a tutti volevo un tuo parere.” disse l’elfo con fare sospettoso. “Certo Abelas, ti ascolto.” dissi versando dell’acqua dalla borraccia al pentolino. “Chiunque beva dal Vir'abelasan stringe un patto, un patto che lo vincola al volere della Dea Mythal, nessuno sa in cosa consista lo scambio, credo cambi da persona a persona, ma il prezzo solitamente è alto.” disse l’elfo, lo guardai con curiosità senza dire una parola. “In cambio Mythal vi farà un dono, vi affiderà una creatura… particolare.” continuò Abelas a bassa voce. “Non capisco cosa intendi. Cos’è questa storia?” Chiesi io aggrottando le sopracciglia. “É meglio che io te la mostri… Vieni qui Lunus, mostrati!” Mi voltai. Dalla penombra della stessa caverna da dove qualche ora prima uscì Abelas entrò una figura, una donna, ma non era umana, né elfa, nana o qunari, ero sbalordito: la sua pelle, che a tratti avrei definito quasi fatta di piccolissime squame, era dello stesso pallore argenteo della Luna con dei curiosi riflessi paglierini, fili d’argento le cadevano arricciati e corti all’altezza delle spalle. Questa creatura dai tratti così strani seppur familiari, si avvicinava lenta, bellissima e sensuale a noi due, non riuscii a capire il colore delle sue iridi, complice anche la scarsa luce attorno a noi. Abelas la guardava ammaliato, non credevo che sotto la coriacea armatura dell’antico elfo battesse un cuore, sorrisi al pensiero che probabilmente il suo viso ricalcava la mia espressione quando mi accorgevo di guardare Elanor, avvampai di imbarazzo.
La donna si fermò di fronte a me. “Drem yol lok, fahdon Grohiik!” mi disse mostrando una fila sorridente di denti bianchissimi e perfetti.
Guardai Abelas esterrefatto, pietrificato, incredulo. Il mio sguardo era incollato al viso dell’elfo antico in cerca di una risposta, una qualsiasi su chi o cosa fosse in realtà questa donna così strana e sul perché conoscesse la lingua degli Antichi Draghi. “Comprendo dalla tua espressione che ti devo molte risposte Solas, vecchio amico mio, ma il tempo ci è tiranno per cui sarò breve: Lunus è l’unico Antico Drago sopravvissuto, dotato di poteri straordinari che i Draghi non possiedono più da generazioni. Lei è l’unica in grado un grado di contrastare Corypheus.” sospirò l’elfo “…a patto che vi ritenga degni di essere aiutati. – continuò con un sogghigno – Ora sfiorale il viso e trasmettile la tua conoscenza sulla storia e della lingua comune, in modo che sia in grado di interagire con voi.” Mi alzai tremante e mi misi di fronte a quella donna così strana, le poggiai delicatamente le mani al viso, chiusi gli occhi e rimasi immobile. La sentii dire solo due parole: “Aav UI” e poi fu il nulla.

Mi svegliai a mattino inoltrato e con mia sorpresa scoprii di essere nella mia tenda avvolto nel mio sacco a pelo, Abelas probabilmente mi aveva coricato. Non ricordavo molto di quello che successe, ricordavo a malapena la sensazione di vuoto che provai quando Lunus pronunciò quelle due parole, Aav UI. Mi alzai e mi sistemai ai piedi degli stivali morbidi e mi calai sul torace una larga tunica e uscii dalla tenda, trovai il bivacco era in un subbuglio frenetico. Cercai di non pensare ad Elanor, cercai di mantenere volutamente le distanze tra di noi, la voce sulla nostra relazione era oramai diventata di dominio pubblico e la cosa mi preoccupava abbastanza. Allontanai in fretta questo pensiero sgradevole e decisi di fare qualcosa, vagai per lo spiazzo vicino allo specchio d’acqua in cerca di reperti da studiare e catalogare. Morrigan ed Elanor stavano fissando l’Eluvian presente all’altro capo del Pozzo, mi avvicinai a loro circospetto, cercando di non farla sembrare un’azione fatta di proposito. “Come vedete l’Eluvian è intatto – cominciò compiaciuta la donna dagli occhi dorati – Almeno su questo non mi sbagliavo…” “Può essere una minaccia? Corypheus può ancora usarlo per accedere all’Oblio?” chiese Elanor legandosi i capelli corvini in una lunga treccia.  “Ogni Eluvian richiede una chiave per essere attraversato. Credo che la chiave di questo sia il Pozzo stesso: attingete al Pozzo e l’Eluvian di Mythal potrà servire a Corypheus solo come uno specchio, un pessimo specchio aggiungerei…” disse Morrigan osservando l’Eluvian da lontano. “Solo, non mi aspettavo che il Pozzo fosse così …famelico.” lo sguardo della donna ardeva di desiderio, non so cosa avrei preferito, che un’umana profanasse la conoscenza ancestrale del mio popolo o che l’anima di Elanor fosse vincolata per sempre al volere di Mythal, assieme al prezzo che avrebbe dovuto pagare da sola. Ansimai. “Non siate imprudente Morrigan, – disse Elanor allontanando la Strega –  non vorrei che qualcuno si faccia del male.” dopo qualche tentennamento Morrigan si voltò verso Elanor: “Sono pronta a pagare il prezzo imposto dal Pozzo. E sono la più adatta a ricevere la sapienza per metterla al vostro servizio.” l’arroganza di quella donna sembrava non avere fine. Ma chi altro avrebbe potuto vincolarsi a Mythal? Io che dividevo la mia anima con lo Spirito di Fen’Harel? La Cercatrice Cassandra, ultimo baluardo di quella Chiesa ideale che venne distrutta durante l’ultimo Conclave? Sera e la sua totale reticenza a qualsiasi cosa di elfico? Sbuffai. “Non mi convince – intervenne Cassandra senza badare a nascondere la sua preoccupazione – la sua brama è evidente.” Morrigan si voltò seccata verso la Cercatrice. “Non lo nego, questo ed altro pur di recuperare il sapere perduto.” “E come lo impieghereste? Magari in un modo peggiore di Corypheus.” la risposta di Cassandra fu un fendente che colpì esattamente dove voleva che colpisse. “Dovete fidarvi della mia parola, Dama Cassandra, o vi lasciate intimorire dall’ignoto? Tra tutti i presenti, solo io ho le capacità e l’addestramento necessario, lasciatemi bere, Elanor!” disse Morrigan in un tono quasi supplichevole.
 
“Le vostre ambizioni sono smisurate Morrigan, come il vostro servizio verso di esse.” intervenni. “Cosa ne sai delle mie ambizioni, elfo?” mi chiese furiosa la Strega riducendo gli occhi a fessure iridescenti. “Dico solo che sembrate solo un’ingorda che sbava alla vista di un banchetto! Io non ho motivo di fidarmi di te!” Il momento in cui sarebbe strisciata ai piedi di Elanor era vicino e stavo già gustandomelo nella sua interezza, nascosi il sorriso che si stava dipingendo sul mio volto. “La volontà di una Dea morta, non mi spaventa, è una vana minaccia. Certo, non posso escludere a priori che sia morta, in ogni caso non temo alcunché.” disse Morrigan incrociando le braccia sotto il seno. “Si tratta comunque del mio retaggio…” disse Elanor toccandosi le orecchie a punta. “A differenza vostra sono umana, è vero, ma ho appreso i saperi più antichi, ho indagato su misteri che voi non potete nemmeno immaginare. In tutta onestà, credete davvero che ci sia qualcuno più adatto a me?” Elanor abbassò lo sguardo pensierosa, poi si voltò e mi guardò, prese a guardarmi anche Morrigan di conseguenza “Vuoi provarci tu, Solas?” da una parte ero lusingato dalla sua alta opinione su di me e sulle mie capacità, ma rifiutai con garbo. Uno Dio dentro di me era già più che sufficiente. “Allora lo farò io.” disse Elanor, il viso di Morrigan era livido di furia “Voi comandate l’Inquisizione, è un rischio che non potete correre. – disse persuasiva la Strega – Ho maggiori possibilità di usare il Pozzo ed il suo potere, per il bene di tutti. Lasciatemi bere.” Elanor si irrigidì: “Morrigan, non siete l’unica maga qui, siete proprio sicura di volerlo fare? Non possiamo sapere cosa accadrà.” Morrigan rise. “É proprio per questo, è una cosa che va comunque fatta e lo sappiamo. Io sono pronta.” Elanor lasciò cadere il suo bastone in terra, chiuse gli occhi e inspirò rumorosamente. Il silenzio tra noi era surreale. “Se dobbiamo attingere al Pozzo – disse – spetta a me farlo.” Morrigan si infuriò prendendo Elanor per la camicia, giurai di vedere delle lacrime alla fine dei suoi occhi. “Quindi prendete le poche conoscenze che vi servono e che riuscite a comprendere sprecando tutte le altre?” Elanor afferrò i polsi della Strega e se li staccò di dosso. “Chi vi dice che andranno sprecate?” chiese pacata. “Lo dico io.” disse Morrigan tirando uno schiaffo in pieno viso ad Elanor, il suo labbro ricominciò a sanguinare. “É mio destino essere ostacolata da coloro che pensano di saperne di più di me. – disse Morrigan stringendo i pugni osservando Elanor china a terra – Bevete pure, per il bene di tutti. Ma preparatevi al peggio. Vi auguro buona fortuna, Inquisitrice.” detto questo la Strega scomparve dalla nostra vista. Mi avvicinai ad Elanor, il suo labbro era ancora più gonfio, la guardai freddo e le applicai dell’altro unguento sul labbro, le passai una mano sullo zigomo accarezzandola fingendo un sorriso. Chi meglio di me poteva sapere cosa si provava a dividere mente, anima e corpo con un Dio? Non disapprovavo il fatto che l’intera conoscenza elfica andasse in mano sua, aveva la mente acuta e pronta per comprenderne i segreti, quello che più temevo era il vincolo che l’avrebbe realmente legata a Mythal, un vincolo inscindibile: doveva sacrificare la sua libertà sull’altare di Mythal per ricevere in cambio suoi servigi, il prezzo era alto, forse troppo. La guardai nel profondo di quegli occhi violetti adesso intrisi di paura. La scelta era stata fatta. Mi prese la mano e la baciò sul palmo, lasciandolo leggermente sporco di unguento e sangue e si avviò dentro al Pozzo.

Avanzò titubante verso il bordo del piccolo lago, scese lenta dei piccoli scalini incisi nella roccia chiara e appena toccò l’acqua essa prese vita avvolgendo Elanor di rivoli di gocce azzurre e verdi, il suo viso era illuminato di quella luce radiosa e spettrale, il viso di Elanor si distese ed il suo corpo si inginocchiò nell’acqua bassa davanti all’Eluvian, le mani di Elanor toccavano l’acqua toccò giocose e meravigliate. Mise le mani a coppa e bevve un po’ di quell’acqua dal colore luminescente e con un urlo di dolore tutta l’acqua dello stagno si riversò contro di noi. Buio. Quando riaprii gli occhi, ero bagnato fradicio, mi rialzai e vidi Elanor. Era stesa scoposta sul fondo secco del lago, era immobile, non sembrava respirare e non reagiva. Era posata esattamente al centro di un grande mosaico dorato di Myhal. Le corsi affianco “Elanor!” urlai prendendola tra le braccia e scrollandole le spalle. “Per gli Dei! Elanor! Delltash! Delavir!” imprecai violento con le lacrime agli occhi. Mi alzai prendendo tra le braccia il suo corpo inerme e la portai fuori dalla vasca ormai vuota, l’Eluvian emanava una luce lattescente dai riflessi ambrati, gli voltai le spalle rabbioso. Cosa significava? “Stupida ed incosciente ragazzina, come hai potuto farti questo? Come hai potuto?” le ringhiai con le lacrime agli occhi.
Sera mi corse in contro piangendo, la spinsi via con una spallata: si accasciò a terra esplodendo in un pianto lacerante, ma in quel momento io avevo perso la parte migliore di me. Ero egoista e rabbioso, in collera verso quel dolore che sembrava portami via tutto quello a cui tenevo di più, volevo solo piangerla da solo, per primo. Non volevo nessuno. Varric si fece da parte e la Cercatrice abbassò il viso sfregiato. Avevo già vissuto questi momenti, quando l’ultimo Conclave esplose e lei fu catapultata fuori dall’Oblio, ero lì, mi trovavo lì anche io, non era decisamente per caso e ho cercato di impedire che l’Ancora impazzita la uccidesse. All’epoca per me era solo un mistero da studiare, da scoprire e capire ora però era diverso, ora era di più, molto di più e giaceva nuovamente tra le mie braccia, esanime, quasi tre anni dopo.
La stesi sopra il mio sacco a pelo e mi inginocchiai al suo fianco piangendo lacrime di rabbia imprecando tenendomi stretta la sua mano, me la schiacciai contro gli occhi doloranti, il cuore mi esplose nel petto con un dolore cupo e profondo. L’avevo persa. Il mio sogno, la persona che più amavo e avevo amato al mondo, ora giaceva morta tra le mie braccia.

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Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


Ero inginocchiato vicino al suo corpo freddo, non dava segni di vita ormai da troppo tempo, avevo provato di tutto, anche con l’abilità di cura magica; ho provato a rianimarla come ho visto fare centinaia di volte dai soldati, ma lei rimaneva lì, immobile e fredda. Le sue labbra iniziarono a diventare cianotiche e le guance a perdere colorito. Scoppiai a piangere in un urlo lacerante, liberai ogni singola scheggia di magia dal mio corpo e resi la mia tenda a brandelli. Vivienne arginò il mio scoppio d’ira con una barriera magica e posandomi una mano sulla spalla mi impose la quiete. “Non farlo, Solas.” mi disse mentre le mie lacrime scorrevano senza freno cadendo a terra. “Cosa di preciso Incantatrice?” chiesi acido a denti stretti. “Di cosa hai paura Vivienne? Che la mia magia eretica distrugga tutto? No, non lo farò, stai tranquilla.” dissi alzandomi e avanzando verso l’uscita, avevo bisogno di aria. “Solas…” provò a trattenermi la maga. “No, ti prego, lasciami solo.” Mi rifugiai su una pietra alta che sporgeva verso quel cielo terso, il frinire dei grilli tentavano di regalarmi un po’ di quella tranquillità e spensieratezza di cui adesso avevo disperatamente bisogno. Scagliai Tempesta sopra di me e in poco tempo il mio corpo era investito di candidi fiocchi di neve e rimasi lì, guardando la neve che copriva le mie ferite e la mia paura diventata realtà. Non pensai a nulla, cercai di non farlo, il mio dolore si espandeva lungo tutto il corpo tanto da renderlo inerme, non avevo nulla per cui reagire, nulla più per cui lottare, la mia vita, la mia missione erano compromesse, sacrificate per volere di Mythal. Non potevo crederci, dopo tutto, non l’avrei mai creduto possibile.
Era ormai scesa la notte quando ritornai all’accampamento: il corpo di Elanor era stato lavato e avvolto in spesse bende di lino ed ora giaceva su un tavolo grezzo. Non volevo lasciarla sola, mi dissi, in realtà ero io che non volevo essere lasciato solo. Le strinsi la mano e la baciai, e me la portai su una guancia, il suo tocco era tiepido ...stranamente tiepido, ma mi dissi che era colpa del freddo pungente di Tempesta. Mi sentivo solo, anche lo Spirito era scomparso lasciandomi solo con i miei pensieri. Abelas comparve silenzioso alle mie spalle e mi posò bonariamente una mano sulla schiena. "Dirth ma, harellan? Ma banal enasalin. Mar solas ena mar din, Lethallin." mi sussurrò con una vena di quasi cortesia nel tono della voce, specialmente nello chiamarmi harellan, impostore. Questa non era una vittoria e il mio orgoglio condurrà anche me alla morte, con questa amara e straziante lezione, avrei dovuto capirlo. "Banal nadas! Taci!" gli ringhiai lacerato e lui sorrise scomparendo nell’ombra della notte, furtivo come una lince.
 
Dreh nid aus, Grohiik! Ni los dilon.
il pensiero mi trapassò la mente, tuonando talmente forte da provocarmi dolore.
 
Cosa significava? Elanor …non era morta? Ma com’è possibile? E poi un suo dito si mosse, leggermente. Tic. Picchiò sul dorso della mia mano. Tic tic. Pian piano la mano di Elanor riprendeva a muoversi. Ero paralizzato dalla meraviglia e non osavo muovermi per paura di infrangere quello che credevo un sogno. Elanor, la mia Elanor era viva!
Ellasin selah… Vissan… Vissanalla…” balbettò cercando di alzarsi portandosi una mano alla fronte. Era viva! Era reale! Aprii gli occhi, vidi un riflesso diverso, irreale nei suoi occhi viola, un bagliore azzurro li illuminava. Non mi importò. Di impeto le afferrai il viso e la baciai con tutta la forza che mi rimaneva, non mi importava che non capisse, non mi importava di averla baciata in mezzo al campo che pullulava di gente ancora ancora stordita per l’accaduto, non mi importava che ci osservassero sbigottiti, mi importava che lei fosse viva. Solo quello contava. La presi tra le braccia e la sollevai dalla scomoda tavola grezza, era bendata e profumava di ambra, lei continuava a guardarmi come se non sapesse cos’era accaduto, ma non mi importava. In quel momento avevo a cuore solo la sua persona.

“Creatore ti ringrazio, sei viva!” urlò Cassandra precipitandosi verso di noi e dietro a lei tutti i nostri compagni, ci circondarono. Posai i piedi di Elanor in terra e la sorressi. Vivienne le posò un mantello per coprirsi con le lacrime agli occhi. “Sì, sono viva, ero solo in un posto… ero precipitata in un posto strano, pieno di voci e sussurri che ho compreso.” “In uno strano posto? – chiese Sera – qui noi ti vedevamo morta, stecchita, fredda! Capisci?” le diede un pugno su una spalla. “Non farlo mai più!” la abbracciò piangendo, la piccola, arrogante, tenera, paurosa e sgraziata Sera. Sorrisi sereno. "Lothiin… bentornata." ancora quella voce. Mi voltai, vidi Lunus e Abelas appoggiati alla parete rocciosa dietro all’Eluvian. “Per le palle del Creatore! Chi siete?” Blackwall estrasse la spada e la puntò alla gola della donna, lei gli sorrise e con un dito spostò la lama affilata, Abelas incrociò le braccia e trattenne composto una risata abbassando il viso ambrato. “State tranquilli mortali, non sono un nemico. L’Inquisitrice ha bevuto dal Vir'abelasan, dal …Pozzo, – disse la donna dalla voce surreale – appena ve la sentirete dovrete incontrare Mythal e sarà lei stessa a spiegarvi tutto, ogni cosa.” Lunus si avvicinò ad Elanor e le baciò una guancia, provai un’immediata gelosia cieca nei suoi confronti, poi la donna alzò lo sguardo e mi sorrise sbieca, poi scomparve assieme all’elfo, in una nube scura. “Cos’è questa storia? Ancora mostri, ancora stranezze, demoni, prole oscura, creature …bizzarre!” urlò Sera in preda ad una crisi di nervi. “Stai tranquilla, avremo delle risposte, ora è meglio se andiamo tutti a dormire. La giornata è stata lunga e impegnativa.” disse Cassandra. “…Solas? – continuò la Cercatrice – vi cedo la mia tenda, la tua è ridotta molto male. Io dormirò con Sera se per lei va bene.” Sera annuì inspirando rumorosamente con il naso per trattenere il pianto imminente, ringraziai la Cercatrice con un cenno, ripresi Elanor in braccio e ci avviammo verso la tenda di Cassandra. Un rapace stava sorvolando l’accampamento. Si posò sul terreno e con un turbine, Morrigan tornò tra di noi. “Con mia sorpresa sei sopravvissuta, Sacrificio.” disse inchinandosi l’Occultista.
 
Il corno da campo ci destò bruscamente mentre l’alba stava schiarendo le rovine del vecchio giardino del Tempio. I primi variopinti uccelli iniziavano a pigolare nell’aria fresca della mattina, anche se riposai tranquillo come non facevo da tempo, con Elanor tra le mie braccia, mi svegliai ammaccato e stanco perché era un riposo insufficiente ma sarebbe dovuto bastare per forza di cose, uscii dalla tenda e andai a recuperare del cibo e lo portai ad Elanor, io mi accontentai di un frutto succoso ed acerbo. “Cos’è successo ieri di preciso dopo che hai bevuto dal Pozzo, vhenan?” chiesi con qualche remora, ma incuriosito. Lei divenne rossa. “Provai una sensazione di calore riversarsi dentro di me e quando ho riaperto gli occhi mi sono trovata in un luogo buio, deserto e umido. Voci, sussurri, brusii, tutto intorno a me. Parlavano ma non vedevo alcunché di fisico, solo nebbia e ricordi. Poi incontrai lei, quella donna che accompagna Abelas: parlava in una lingua strana e con mia sorpresa capivo cosa stava dicendo.” Elanor mangiò un pezzo di pane nero cosparso di burro. “La saggezza del Pozzo. Tutti i ricordi e la conoscenza ancestrale dei veneratori di Mythal, – dissi – e a proposito del prezzo? Cos’hai dovuto barattare per questa conoscenza?” chiesi più acido di quanto volessi, gli occhi viola striati di azzurro di Elanor si aprirono in un modo che non credevo possibile. “Solas, io…” disse. “Adesso sei vincolata al volere di Mythal.” “Lo so bene. Non è stata una scelta facile Solas, dannazione!” sbottò tirandosi in piedi. “Cosa credi? Che non ci abbia riflettuto abbastanza? Che abbia preso questa decisione senza pensarci? Sono un’elfa, il mio retaggio era lì a portata di mano! Ho il diritto di sapere la storia della mia gente, quella reale, non le leggende che vennero narrate! Quella storia era contenuta nel Pozzo. Ho il diritto di sapere!” la sua risposta mi stupì oltremodo, sgranai gli occhi. “Non era quello che volevo dire…” cercai di giustificarmi. “Eravamo spaventati Elanor. Temevamo, temevo di averti persa per sempre… ti ho vista morire.” dissi voltandomi rabbioso, lei sospirò calmando il prorpio livore stanco, mi prese per un polso. “Mi dispiace, vhenan.” e mi strinse a sé, lentamente cercò di aggiustare le macerie del mio cuore.
Ci vestimmo e andammo verso il Pozzo: Morrigan, Cassandra e Sera erano lì ad aspettarci, salutai con un cenno del capo. “Come ti senti?” chiese Cassandra, Elanor non rispose, si limitò ad entrare nello specchio d’acqua illuminando di azzurro ogni suo passo, sembrò camminare incerta ed insicura, Morrigan non la perdeva di vista ed io incrociai le braccia al petto in attesa. Corypheus apparve nella paratia dall’altro capo del giardino, era tornato ed era infuriato oltre ogni limite. Con uno slancio si scagliò verso di noi come pura furia incontrollata, Elanor attivò l’Eluvian e ci spronò ad attraversarlo. “Attraverso lo specchio, forza!” disse emanando una luce azzurra dagli occhi. Una colonna d’acqua si sollevò dal Pozzo, si mise tra noi e il Magister. Dentro di essa potei quasi vedere qualcuno o …qualcosa. Quell’entità fermò Corypheus e si riversò anch’essa nello specchio, sigillandolo, il Magister non avrebbe potuto seguirci.
Il Crocevia era deserto, spoglio, rarefatto, in completo abbandono. Ero sconvolto. Tutta quella realtà era una rovina, una rovina abbandonata e spoglia. Molti Eluvian erano rotti, come mi disse Elanor tempo fa, ma vederli con i miei occhi era un’altra cosa, una fitta mi fece cadere in ginocchio: ero una rovina anche io, come la mia gente e come questo stesso luogo. Cassandra mi aiutò a risollevarmi e mi accompagnò verso l’unico Eluvian attivo, il suo colore lattescente era meraviglioso e vivo. Lo attraversammo e ci trovammo in un luogo famigliare. Skyhold. Doveva essere l’Eluvian di Morrigan, dedussi. Tirai un sospiro di sollievo. Eravamo sporchi, disarmati, ma eravamo salvi in quel posto che avremmo potuto considerare casa.
Subimmo molte perdite, ma vincemmo la battaglia, un altro tassello da aggiungere alla serie di vittorie ottenute su Corypheus ed il suo Arcidemone di Lyrium. Di Corypheus stesso si persero le tracce. Quello che voleva ormai era in nostro possesso e il Tempio non rientrava più tra le sue priorità. Si sarebbe ritirato, nascondendosi per raccogliere tutte le sue ultime forze per colpirci, magari come ha fatto ad Haven.

É troppo astuto, Fen’Harel. Corypheus è imprevedibile, sa che lo state aspettando. Non si nasconderà.
Il Lupo tornò a parlare con me. Ero quasi rincuorato.
Sei sicuro?
Chiesi con titubanza.
Sì, perfino io temo ciò che Corypheus è diventato.
Il Temibile Lupo alzò il suo grosso muso verso la finestra della mia stanza.
Dobbiamo temerlo più del suo stesso esercito?
Chiesi. La mia gola divenne arsa.
Probabilmente, ma con tutta probabilità Corypheus ha un punto debole… trovatelo e vincerete.
 
Andai alla fucina per commissionare una nuova armatura e una nuova arma. Dagna, l’Acanista di Skyhold, una nana dal viso simpatico e dal temperamento affabile, mi consigliò di mettere anche una runa sul mio bastone, l’idea mi solleticava. Dagna entusiasta si mise subito al lavoro per produrre una runa di elettricità, così il mio spettro del potere elementare era completo, sorrisi al suo entusiasmo; il fabbro mi rassicurò che la mia armatura di silverite sarebbe stata pronta tra qualche giorno, ruggendo che non era possibile che distruggessimo ogni volta le nostre armature azzuffandoci con drogati folli ed arroganti. Compresi ridendo l’atteggiamento rustico dell’armaiolo e uscii dalla fucina, ero turbato, ma cercavo di nasconderlo il più possibile. Sospirai e andai al mio studio, ripresi in mano colori e pennelli e ricominiciai a dipingere le pareti. “Mi sembri turbato…” disse Cassandra entrando dalla porta che dava alla navata centrale. “Sì, lo sono.” dissi con la stanchezza di chi porta il mondo sulle sue spalle, continuai a dipingere. “Elanor, sembra…” provò a dire senza successo. “Ti fidi dell’antica magia elfica, Cercatrice?” le chiesi voltandomi col busto lasciando il pennello gocciolante a metà altezza. Cassandra sorrise con uno sbuffo. “Mi conosci bene da sapere la risposta.” disse appendendo le mani ai fianchi. “Allora capisci se le mie preoccupazioni non possono essere congedate così facilmente.” risposi. “Che alternative avevamo? Lasciare che Morrigan si impossessasse della conoscenza del Pozzo?” distesi le spalle con un respiro profondo. “Non so dire quale delle due scelte fosse la più giusta, avevamo poco tempo per decidere e abbiamo deciso. Spero solo che non debba pagare a caro prezzo il suo dono.” dissi triste, Cassandra sospirò “Solas, un’altra cosa. Il drago che Corypheus comanda: potrebbe essere davvero un Arcidemone?” mi resi conto che aveva bisogno di parlare per allontanare la paura, decisi di concederle un po’ del mio tempo. “Si suppone che lo sia, dovremmo quindi essere pronti per affrontare un nuovo Flagello.” risposi con dura franchezza. “Allora, che cos'è? Un drago corrotto, semplicemente un altro prodotto della prole oscura?” lavai il pennello dalla pittura rossa, nell’acqua spirali rosse iniziarono a vorticare sinuose, eleganti e disordinate. “È collegato a Corypheus in qualche modo. Tale rapporto va al di là del semplice controllo o possessione: è un legame più profondo.” “Vi fa chiedere se sono tutti Arcidemoni: animali domestici che iniziano a fare altro a parte vivere.” rispose Cassandra frustrata. “Non vorrei andare così oltre. Questo drago è una replica, una copia generata da una creatura che aspira alla grandezza, nulla di più.”
Dei passi in discesa lungo la scala di legno che porta al piano di sopra. Dei passi che mi erano familiari e mi misero un po’ di tranquillità, me ne diedero per lo meno l’illusione. “Ho saputo che avete trovato elfi, vivi, elfi antichi al Tempio di Mythal. Ti preoccupa, Solas?” chiese Dorian con ancora addosso i vestiti sporchi dal lungo viaggio di ritorno dal Tev. “Bentornato. – dissi – Sono contento che non siamo stati costretti a ucciderli, se è questo ciò che intendi.” e pulii nuovamente il pennello nell’acqua rosata. “Voglio dire, sono tutti lì. Migliaia di anni dopo e vivono. Ce ne potrebbero essere degli altri? Magari in rovine che non abbiamo ancora scoperto? Non dovremmo forse cercarli?” Cassandra lo fulminò con lo sguardo, Dorian incurante alzò le spalle. “Forse Abelas, il loro Comandante, lo farà.” dissi più a me stesso in realtà, lo speravo “Hmm. Mi chiedo se sia una cosa buona…” sorrisi dipingendo una figura di nero “Sei tornato da poche ore, se non minuti a giudicare dal tuo abbigliamento inconsueto e impolverato e sei già stato turbato da ciò che hai sentito dire sul Tempio?” dissi ridendo, Dorian mi guardò piccato “L'Impero del Tevinter ha le fondamenta sulla nozione che abbiamo piegato e sconfitto Arlathan. Non è qualcosa per cui la mia gente dovrebbe andarne fiera, ma lo fa. È radicata nella loro psiche e nella loro cultura.” mi rispose in un misto di acida preoccupazione. “Pensi che non siano in grado di accettare la verità?” chiesi sorpreso, conoscevo Dorian, era forse l’uomo più lungimirante e di larghe vedute che conoscessi, ed era del Tevinter: tre cose così diverse non avrebbero potuto coesistere così in armonia senza Dorian. “Sono più preoccupato per quello che potrebbero fare loro se la accettassero.” rispose andandosene sbuffando. Cassandra rimase seduta sulla mia scrivania ancora un po’, non disse più una parola.
 
Le mie giornate alla fortezza passavano lentamente tra uno studio e una traduzione. Dorian mi aveva portato degli appunti sugli Squarci trafugati da alcuni Venatori, era proprio quello che mi serviva per far passare il tempo. Avrei realizzato il primo vero volume sullo studio degli Squarci dell’Oblio, ero elettrizzato e stimolato all’idea. Elanor era quasi sempre occupata e spesso la vedevo tornare ai suoi alloggi sfinita dalle riunioni e dalle sedute con i consiglieri e gli ambasciatori senza passare dalla mia porta, ero sempre più preoccupato per lei e non riuscivo fare a meno di pensare a cos’aveva dovuto dare in cambio. Corsi nei suoi alloggi per parlarle in privato, avevo bisogno di farlo, avevo il diritto di essere furioso. La trovai sorseggiare del vino sulla terrazza della camera da letto, uscii anche io, la vidi sorridermi stanca, emaciata, digrignai i denti: “Ti avevo implorato di non bere dal Pozzo, perché non mi hai ascoltato, dannazione?” le chiesi con furia, ero spaventato a morte. “Ne abbiamo già parlato, Solas…” “…ti sei messa al servizio di un Antico Dio elfico! Te ne rendi conto?” la spinsi contro la parete bloccandole le spalle. “Cosa significa esattamente?” mi chiese puntando il suo sguardo addosso al mio, sospirai allontanandomi da lei “Sei una creatura di Mythal adesso, – spiegai con lo sguardo ferito – qualunque cosa tu faccia, che tu lo voglia o meno, sarà per lei, per il suo piacere! Le hai dato una parte di te!” Lei mi guardò con aria di sfida: “Tu non credi nemmeno agli Antichi Dei elfici!” mi rimproverò. Povero amore mio, pensai. “Non credo fossero Dei, no, ma credo fermamente che un tempo sono esistiti!” le dissi alterato “Qualcosa un tempo è comunque esistito se oggi esistono le leggende! Se non erano Dei, erano maghi o Spiriti, qualcosa che gli elfi di un tempo non avevano ancora visto! E tu sei legata a loro adesso.” sospirai e mi voltai per andarmene. Mi fermai senza voltarmi. Lei era ancora appoggiata alla parete di pietra. “Eri morta. Vederti e saperti così ha quasi ucciso anche me.” i miei occhi si abbassarono e fissarono per interi secondi le punte dei miei piedi. Si avvicinò a me e mi cinse la vita, la sentii piangere addosso alla mia schiena. Mi girai e senza dire nulla poggiai le mie labbra sulle sue, lei rispose al bacio tremante di paura e mi morse staccandomi la piccola crosta dove il mio labbro era rotto: il caldo sapore del mio sangue stava dando sapore a quel bacio, la presi e la strinsi a me: se dovevo essere il Lupo, lei sarebbe stata la mia Luna.
 
Eravamo stesi a letto, accaldati e stanchi, l’intimità era sempre qualcosa di completo ed estremo nella sua dolce semplicità. “Girati sulla schiena, ma'arlath.” le dissi affondando il naso in quei ricci scompigliati, lei rise affondando la faccia nel sacco di piume, mi alzai e presi un pennello e la boccetta di colore da sopra la scrivania e mi misi sopra di lei. Aprii il barattolo di inchiostro blu e iniziai a dipingere sulla sua schiena. Elanor rideva e si muoveva in preda al solletico che la punta di crine le causava sulla schiena contusa e sensibile, le disegnai un glifo: un piccolo ornamento sulla spalla che le avrebbe fornito fortuna e protezione per la prossima missione, o almeno finché non si fosse lavata. Quando ebbi finito e la sua resistenza era ormai vinta, scesi con la punta del pennello e le disegnai dei ghirigori lungo il gluteo fino ad arrivare al ginocchio. Sorrisi soddisfatto della mia opera: la pelle chiara di Elanor era una tela perfetta per disegni curvilinei ed astratti. Le morsi delicatamente un fianco e mi buttai al suo fianco sorridendo come un bambino dopo una marachella, lei alzò il viso e come una bambina crucciata mi rimproverò dell’ostile tortura a lei inferta, le sorrisi e la baciai tirandola verso di me, affondò nuovamente tra le mie braccia. Dormimmo fino al pomeriggio inoltrato, la porta era chiusa e spesso qualcuno veniva a bussare in cerca di Elanor che non rispose, avevamo bisogno di recuperare le forze e rimanere assieme nella nostra bolla di mondo, ritagliato solo per noi. Non avrei mai creduto fosse possibile una cosa del genere, desiderare un’altra persona più dell’aria, rischiare di perderla due volte e due volte vederla rinascere più bella, più forte, più sicura e più potente di prima. Avrei voluto essere degno di quello che era, avrei dovuto renderla fiera di avermi accanto. Non so se mai lo sarà quando e se scoprirà la verità su chi ero realmente: il peso del mio passato era un costante monito di inequivocabile arroganza e superbia. Forse sono ancora così arrogante e superbo dal poter permettermi di amare Elanor senza pensare alle conseguenze, amarla e basta, giorno dopo giorno. L’ho amata sin da quando era poco più di una cucciola, amavo quella bambina, mi sentivo in dovere di proteggerla e adesso amavo la donna che era diventata, potevo amarla pienamente senza condizioni e lei aveva scelto di amare me tra tutti, aveva scelto me. Le accarezzai i capelli fluidi e setosi, le accarezzai il vallaslin e lei mugugnò nel sonno; mi prese una mano e se la mise vicino al suo petto. Chiusi gli occhi e mi riaddormentai, finalmente al sicuro.

Un servitore infilò sotto la porta di quercia un biglietto, la grafia e il sigillo erano quelli di Morrigan: l’Occultista chiedeva un incontro con me ed Elanor che si alzò e si vestì con svogliata allegria. Mi rivestii con lo stesso entusiasmo, raccolsi le mie cose e uscii con Elanor. Un bacio sfuggente separava la nostra intimità dai nostri ruoli di compagni di battaglia. Morrigan ci aspettava sui bastioni settentrionali, gli altri erano già arrivati. “C’è la possibilità che il drago di Corypheus – cominciò la donna dagli occhi di sparviero –  non sia un autentico Arcidemone…” Elanor si toccò la fronte come in preda ad un forte mal di testa. “Le voci… il Pozzo… il Pozzo mi sta dicendo che è un drago in cui Corypheus ha riversato parte del suo essere.” Morrigan annuì anche se con piglio scontroso. “Ha indubbiamente peccato di superbia, per cercare di emulare gli Antichi Dei e questa superbia può giocare a nostro favore.” aggiunse Elanor affilando lo sguardo. “Dovremmo uccidere il Drago?” chiese il Toro di Ferro scrocchiandosi le dita esaltato all’idea di bagnare di sangue la sua ascia. Cole se ne stava seduto appollaiato su una guglia giocando con un pugnale in equilibrio: “Se lo uccidiamo non potrà più impossessarsi di altri corpi…” disse il ragazzo non distogliendo gli occhi dal suo pugnale sospeso nel vuoto, Elanor annuì: “Possiamo annientarlo.” Morrigan le chiese se ne fosse certa “Credete che ci sia un limite alla portata del suo potere, ma non c’è.” rispose Elanon reggendo lo sguardo paglierino di Morrigan. “Allora cosa proponi Elanor? – chiese Cassandra – Uccidere un drago non è un compito facile, ammesso che riusciamo a trovarlo noi prima che lui trovi noi.” Elanor sorrise come non l’avevo mai vista fare, un sorriso maligno e fiero le comparve in viso, ma quando parlò lo fece con la massima serietà: “C’è un modo per sconfiggere il drago, eguagliando Corypheus ed il suo potere… il Pozzo me lo sta bisbigliando ora, ma mi servirà l’aiuto di tutti… ancora una volta.”
 
Il processo a Samson fu breve, rimasi in disparte chiacchierando per lo più con Varric, giocando a Grazia Malevola. Trovai questo processo un’inutile perdita di tempo, ma era giusto giudicare i massacri che aveva compiuto: farlo morire di fame, stenti o per mano di Corypheus non poteva portarci alcun guadagno. Elanor lo affidò allo stesso Cullen, il poveruomo volle assistere e presenziare al processo al posto di Josephine. Non fu facile, credo, vedere quello a cui era ridotto quello che una volta era un compagno fedele, un amico, un fratello, ma resistette con orgoglio inflessibile. “Ho sentito che i tuoi libri sono molto popolari, Mastro Tethras.” dissi scartando una carta e prendendone una dal mazzo, la mia mano era terribile “Cerco di farli bene.” mi disse Varric mettendo altro denaro in posta, deglutii rumorosamente. “Ne sono contento.” dissimulai. “Davvero? Nessun sarcasmo, nessun atteggiamento superiore?” mi guardò da sopra il perfetto ventaglio di carte. “Viviamo in un tempo cupo e brutale, Figlio della Pietra. – sospirai – Molto di ciò in cui la gente credeva è venuto a mancare. Se riesci solo a portare loro un po' di conforto con quello che c'è tra le pagine, hai già fatto molto.” buttai il mazzo sul tavolo in segno di resa. Il nano compiaciuto si accaparrò il bottino. Io andai in cerca di Elanor.  La trovai nel mio studio, sommersa dalle mie carte e con la mia penna sopra l’orecchio, sorrisi e gliela rubai lasciandole un bacio sulla guancia. “Allora? Il tempio di Mythal è stato straordinario, non trovi? – dissi – In tutti i miei viaggi mai avrei pensato di trovare una cosa simile.” sospirai sognante. “Suppongo che il potere del Pozzo sia meglio in mano tua, che tra quelle di Corypheus, ma questo mi porta a chiederti una cosa logica… Cosa farai con il potere del Pozzo una volta che Corypheus sarà morto?” chiesi tornando serio e preoccupato. Mi guardò dritta negli occhi, con quello sguardo determinato che conoscevo, che avevo imparato ad amare. “Questa guerra ci ha insegnato e dimostrato che non possiamo tornare indietro. – cominciò – Cercherò di aiutare il mondo ad andare avanti.” la sua risposta mi destava preoccupazione, voleva davvero rischiare tutto nella speranza di un futuro migliore? “E se non ci riuscissi? Se non ci fosse un futuro migliore? Se scoprissi il futuro da te plasmato è peggio di quello che era prima?” sapevo cosa stavo dicendo, io stavo vivendo in quel futuro, che io ho plasmato bandendo gli Dei ed era frustrante per me assistere al mio più grande e totale fallimento. Ringhiai sommesso guardandola rabbioso, lei non poteva comprendere il mio livore, mi posò una mano sulla guancia e mi disse: “Allora farò un respiro profondo e cercherò di capire dove ho sbagliato e riproverò.” Sorrisi alla facilità con cui rispose, lo feci anche io a suo tempo, a suo tempo mi risposi esattamente così anche io. “Tutto qui?” chiesi arginando il più possibile il dolore che provai nel vedere che Elanor stava involontariamente ricalcando il mio cammino. “Solo provando capiremo se avremo fatto bene.” Sorrisi triste, io avevo già compreso da tempo il mio fallimento. Ma in fondo, aveva ragione. La ringraziai. “Ringraziarmi per cosa?” chiese lei guardandomi con un sorriso leggero. “Non hai agito come pensavo Elanor, sono rimasto ...colpito. Hai dato una speranza, hai dato una speranza anche a me. Se uno continua a provarci nonostante la gravità delle conseguenze un giorno le cose andranno meglio.” dissi conoscendo perfettamente il peso di quelle parole e sapendo le conseguenze a cui avrebbero portato. Il ritorno della mia gente, del mio mondo, avrebbero significato il declino del loro, era inevitabile. “Perdona la mia malinconia, Corypheus ci è costato e ci costerà ancora molto. Il Tempio di Mythal non meritava un tale destino, la Sfera che porta con sé ed il suo potere rubato che forse possiamo ancora recuperare. Con un po’ di fortuna, il passato potrà ancora tornare a vivere.” dissi prendendole le mani facendole ciondolare, fissavo quegli occhi viola dai riflessi azzurri. La baciai sulla punta del naso. “Sei così cupo e pessimista solo per riportarmi a letto, non è vero?” disse sorridendo ironica alzando lo sguardo con malizia. Sorrisi toccandole il naso con la punta dell’indice: “Io sono cupo e pessimista… – ammisi – Portarti a letto è l’unico gradevole beneficio.” Le dissi con sguardo di dolce preoccupazione. “Inquisitrice, Dama Morrigan desidera parlarvi al giardino.” disse un inserviente senza smettere di fare riverenza, Elanor la ringraziò tirandola su e sorridendole bonaria. “Vieni? Sarà sicuramente riguardo al Pozzo.” mi chiese, posai le mie cose e acconsentii. Dorian mi affiancò perplesso. “Quello che mi è stato raccontato del Tempio, quello che anche tu mi hai detto, mi ha fatto riflettere. – disse il giovane uomo – Dici che dovrei tornare? Nel Tevinter? Alla fine di tutto… se saremo ancora vivi? Sai, mi sono reso conto che non perdo occasione per disprezzare la mia patria, ma cosa faccio per cambiarla? Assolutamente nulla.” Lo guardai perplesso e stupito al contempo: “Cosa c’entra col Tempio? Come hai maturato l’idea?” “Avete incontrato gli elfi antichi, un pezzo di storia che l’Impero non ha distrutto. Forse la mia gente può redimersi per ciò che ha fatto, forse c’è ancora qualcosa di salvabile.” sorrisi alla speranza che inondava il cuore del giovane mago. “Una persona con il tuo gusto impeccabile ed il tuo carisma può rivoluzionare il Tevinter.” gli dissi in tono scherzoso toccandogli la giubba in broccato di seta azzurra e verde. Scoppiò a ridere e mi abbracciò cogliendomi di sorpresa. “Spero tu abbia ragione, elfo. E di solito ce l’hai.” non sapeva quanto, in realtà, ma ricambiai l’abbraccio. Forse poteva essere poco, ma nel nostro piccolo valeva molto.
 
Trovammo Morrigan seduta al sole intenta a leggere un libro di poesia. Faticavo ad immaginare una donna come lei leggere quel tipo di cose, ma la realtà mi aveva smentito ancora una volta. Troppi pregiudizi, Solas, troppi, dissi tra me ne me scuotendo il capo. “Dunque – iniziò posando il libro sulle assi di legno della panca – Elanor, siete pronta a convocare Mythal?” chiese socchiudendo gli occhi, Elanor scoppiò a ridere. “Se davvero esiste come suggerite, o meglio, come vi sussurrano quelle …voci, non sarebbe il caso di evocarla?” chiese la Strega delle Selve “Non credevo aveste cambiato opinione sulle divinità elfiche, Dama Morrigan. Per voi non erano morte?” chiesi soffocando una lieve risata, mentre Elanor non dava adito a smettere di ridere sguaiatamente. “Qualunque cosa fosse Mythal – rispose irritata la donna – divinità, mito o antico essere, quelle voci che Elanor sente fanno probabilmente parte del suo potere, sarà meglio indagare su cosa siano in realtà. Come ci riesca o cosa siano non saprei spiegarlo, ma quel potere è esattamente ciò di cui noi abbiamo bisogno.” Elanor si ricompose a fatica e asciugandosi le lacrime agli occhi. “Andremo alle Selve Arboree, per compiere il rituale all’Altare.” pianificò Elanor, “...e voi Morrigan verrete con me.” disse compiaciuta. L’Occultista di corte acconsentì con un cenno del capo.
Entrammo nella stanza dell’Eluvian, Morrigan con un’esplosione di mana lo attivò tingendo le pareti di bagliori azzurrini, lo specchio magico si animò disegnando sul cristallo piccole figure opalescenti che reagivano al tocco sprigionando bagliori ovunque. Uno per volta attraversammo lo specchio: Elanor, Morrigan, il Toro di Ferro e Cole che si erano offerti volontari ed infine io, per ultimo. Chiusi gli occhi e attraversai lo specchio, una sensazione di calore innaturale mi avvolse e mi trascinò dentro quelle fantasie cangianti vive. Ebbi l’impressione di cadere nel vuoto per centinaia di metri. Non sentivo più il peso del mio corpo. Stavo volando o precipitando? Non lo seppi dire. Il tempo di un respiro. Aprii gli occhi ed ero di fronte ad una radura tersa e incontaminata, un cerchio di colonne ormai crollate e coperte di edera racchiudeva quello che sembrava un piccolo tabernacolo, un piccolo altare coperto dalla vegetazione. Ci avvicinammo. “Questo è ciò che rimane del grande altare...” La grande statua femminile della dea Mythal troneggiava dietro alla piccola tavola di pietra cosparsa di fiori dall’odore dolce, Elanor ne spostò una parte e lesse: “Per voi che avete viaggiato da terre lontane, chiamatemi ed io verrò. Senza misericordia e senza paura…” “…pregate il caos alla luce della luna, lasciate che il fuoco della vendetta bruci, se la causa è giusta. un’invocazione molto antica, tradotta perfettamente.” dissi stupito. I poteri del Pozzo conferivano ad Elanor capacità che non mi sarei mai aspettato di vedere. Sospirai ansioso. “É strano che non ci sia nessun altare come questo al Tempio di Mythal… – osservò Morrigan guardandosi attorno in quella distesa di erba e fiori – il Tempio era un luogo di giustizia, qui sembra diverso. É qui che gli antichi elfi parlavano con lei? Dove la chiamavano?” “Fino a quando un giorno lei scomparve, e loro non ebbero più nessuno con cui parlare…” rispose Elanor, poi si voltò verso di noi. “Compagni, amici, allontanatevi, ve ne prego.” ci chiese, riluttante seguii il consiglio. Saremmo stati comunque pronti ad intervenire in caso di necessità, in disparte all’ombra osservammo l’invocazione: Elanor avanzò verso la statua, la sua mano era impregnata di magia, la sentivo vibrare e la sentivo gemere tra le sue dita, flussi di mana argentea attraversavano lo spazio tra la sua mano e la statua di Mythal. “Tu sai chi sono: io sono l'ultima che ha bevuto dal Pozzo del Dolore. Vieni da noi, Mythal, ovunque tu sia, qualunque cosa di te sia rimasto, io invoco il tuo nome ed il tuo potere.” Un sussulto. Un lento ed invisibile sussurro invase tutta l’area del prato, Elanor e Morrigan si guardarono incontro con sguardi increduli e pieni di domande. Un fuoco nero ardeva ai piedi dell’altare, una piccola fiamma dai lembi scuri e grigi bruciava dietro i loro corpi. Morrigan si avvicinò al fuoco magico. Divampò. Lo sguardo della donna dagli occhi di sparviero mutò riconoscendo quella creatura, quella donna, emergere dalle fiamme magiche. Negli occhi dell’anziana donna riconobbi qualcosa di Morrigan.
 
“Madre.” sentii dire con voce sprezzante e colma d’odio dall’Occultista imperiale. “Madre?” chiese Elanor cercando di capire. “Ma guarda che sorpresa…” rispose arcigna l’anziana donna: i suoi capelli bianchi erano raccolti in ciocche e legati con lacci cremisi e neri, piume di corvo le decoravano le spalle e una corona d’osso le ornava la parte superiore del viso cadendo ai lati della fronte; il suo aspetto spavaldo poco nascondeva la sua immensa potenza magica, probabilmente la sua potenza superava di gran lunga quella di Morrigan. “La conoscete?” chiese Elanor sempre più spazientita. “Lei è una strega ingannatrice!” urlò rabbiosa Morrigan scagliandole addosso una pioggia di fuoco. “Adesso ne ho abbastanza!” e con un movimento del braccio comandò Elanor che bloccò i polsi di Morrigan. “Cosa stai facendo?” ruggì la donna con gli occhi sbarrati. “Io… io non capisco!” cercò di giustificarsi Elanor, ringhiai e presi tra le mani il mio bastone, pronto all’attacco. Cole mi prese per la giubba, facendomi no con il capo. “Siedi, Solas. Non interferire” disse il ragazzo.
“Mia adorata Morrigan, tu hai qualcosa di mio.” disse la donna sollevando le sopracciglia. “...hai sempre avuto un debole per i drammi. Fortunatamente mio nipote è più sensibile.” da dietro la donna apparve un bambino bruno, dal viso gentile, di circa sette o otto anni, Kieran, doveva essere lui, quel figlio nacque dal grembo di Morrigan e dal seme di un Custode Grigio di nome Alistair. Quando Alistair uccise l’Arcidemone Urthemiel avrebbe dovuto assorbirne lo Spirito, proprio grazie ai poteri conferitegli dal suo ordine. Qualcosa andò storto. Un rituale arcano e proibito compiuto da Morrigan per volere della madre, conferì a quel figlio l’essenza del drago ucciso dal padre. Questo dava a quel piccolo bambino poteri inimmaginabili, celati sotto quel viso paffuto e roseo cresceva una magia potente e pericolosa. “Avete rapito il figlio di Morrigan?” chiese Elanor irritata, che teneva ancora ferma Morrigan contro la parete. La donna rise. “Assurdità, è qui per vedere la nonna, come un bravo bambino. Dicono che il buon senso spesso salti una generazione.” Morrigan sbuffò disgustata ancora inchiodata alla parete: “Kieran non è tuo nipote! Lascialo andare!” il viso di Kieran non cambiò espressione, la freddezza con la quale assisteva alla scena aveva del pericoloso “Come se lo stessi tenendo in ostaggio, visto? La solita ingrata.” considerò l’anziana donna guardandosi le unghie distrattamente. “Ingrata? – ringhiò Morrigan – So come intendi prolungare la tua vita, vecchia malefica! Non avrai mio figlio!” Con una forza sovrumana spinse a terra Elanor che cadde in un tonfo e si preparò a colpire la madre con una scheggia di fuoco. “Ora basta! – parlò chiaramente l’anziana donna – così metti a repentaglio il ragazzo!” I suoi occhi si illuminarono di una luce color azzurro chiarissimo ed Elanor, manipolata, con lo stesso bagliore surreale e vuoto negli occhi colpì Morrigan con un incantesimo di dissoluzione, la Strega guardò la madre sconvolta “Che cosa mi hai fatto?” chiese. “Io non ho fatto nulla. – disse l’anziana donna – voi avete bevuto al Pozzo del Dolore. O meglio, lei l’ha fatto, di sua volontà.” Morrigan si pietrificò, e il suo volto sconvolto era il ritratto dei nostri. “Tu… sei Mythal…” disse la donna crollando in ginocchio. Elanor riprese possesso del suo corpo e della sua mente. “Mythal era una Dea elfica… voi siete…” “…umana? – rise divertita l’anziana – Non è una parola che in molti hanno usato rivolgendosi a me per molto, molto tempo. Spiegami cara ragazza, come faccio a non essere ciò che sono?” “Mythal, chiunque o qualunque cosa fosse, è morta da tempo!” continuava sconvolta Morrigan. Si dice che la madre di Morrigan fosse solita crescere figlie fino a che non diventavano donne per impossessarsi dei loro corpi, proseguendo la sua vita quasi come fosse immortale. “É vero.” rispose l’anziana. Diede una leggera spinta al ragazzo che corse da Morrigan abbracciandola, non capii cosa si dissero, era un linguaggio troppo intimo, troppo provato per poterlo riportare, lo dimenticai di proposito. “Non capisco.” disse Morrigan con lo sguardo perso, in cerca di risposte, la madre le si avvicinò: “Un tempo ero solo una donna che nell’oscurità covava un senso di giustizia. Ella venne da me: frammento di un antico essere, mi diede ciò che volevo e forse anche di più. Da allora ho condotto Mythal attraverso le ere, cercando la giustizia a lei negata.” Mi guardò attraverso la radura e mi sorrise con un lieve cenno del capo. Non risposi al saluto. Deglutii facendo finta di nulla. “Quindi …avete Mythal dentro di voi?” chiese sempre più confusa la Strega “Lei è parte di me come il tuo cuore è parte del tuo petto. – disse – La ragazza può sentire le voci del Pozzo, cosa dicono?” Morrigan guardò Elanor concentrarsi: “Dicono… che in lei c’è la verità.” lo sguardo di Morrigan in quegli istanti era indescrivibile. “Ma cos’era Mythal? Una divinità leggendaria o qualcosa di più? – incalzò l’anziana – …la verità non è la fine, mia cara figlia. É solo un nuovo inizio.” Poi spostò lo sguardo verso Elanor e sorrise bonaria. “Così giovane e viva, rendi l’antico popolo orgoglioso e sei giunta fin qui. Quanto a me ho molti nomi. Ma tu, bambina mia, puoi chiamarmi Flemeth.”

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Capitolo 14
*** Cap. 14 ***


Elanor scosse la testa: “Se Mythal è parte di voi, come mai non ci avete aiutato? Vi abbiamo chiamato, vi abbiamo pregato.” chiese incredula. “Ciò che era non poteva essere cambiato.” rispose Flemeth distogliendo lo sguardo dal viso di Elanor. “E adesso? Sapete così tanto…” supplicò. “Sai bene che non devi chiedere, ragazza!” disse rabbiosa Flemeth. “Sto solo cercando di capire. Perché Mythal è venuta da voi?” avanzò Elanor piantando i piedi nel terreno sabbioso. “Per una resa dei conti che scuote il cielo.” rispose guerriera l’anziana donna. “E tu assecondi i suoi capricci – intervenne Morrigan – Ma almeno sai chi è veramente?” “La tua amica cerca di preservare i poteri che furono, ma a quale scopo? Te l’ho insegnato ragazza, sono successe cose che non dovevano accadere. Ella fu tradita, come me, come il mondo intero!”
Cole al mio fianco deglutì. “Abelas… l’omicidio… tu.” farfugliò. “Già.” commentai intrecciando dei fili d’erba.
“Mythal si è fatta strada attraverso le ere fino a giungere a me, ed io la vendicherò! – urlò Flemeth battendosi un pugno sul petto – E finché la musica suona, noi danzeremo.” “Che cosa volete?” chiese Elanor ringhiando. “Una cosa. Una soltanto.” disse Flemeth guardando Kieran “Devo andare, madre.” “No. Non te lo permetterò.” si interpose Morrigan. “Egli porta dentro di sé un pezzo di ciò che fu, strappato dalle fauci dell’oscurità. Questo tu lo sai.” Il prezzo da pagare era forse la vita di Kieran? Mi chiesi pensieroso. “Non è una tua pedina! Non ti permetterò di usarlo!” “Tu non l’hai usato? – chiese superba Flemeth – Non era quello il tuo scopo? Quello per cui ho acconsentito alla sua creazione?” Morrigan era quasi distrutta “Un tempo. – ammise – ma ora è mio figlio. Flemeth allunga la propria vita possedendo i corpi delle proprie figlie, Elanor. Sarebbe stato anche il mio destino, ma io l’ho impedito ed ora vuole mio figlio.” Elanor la prese, Morrigan si sentiva mancare. Quante scelte sbagliate avevamo fatto tutti noi, quanto abbiamo peccato di superbia, stupidità, poca lungimiranza, prima o dopo avremmo dovuto tutti pagarne il prezzo, sospirai. “Aspetta Flemeth, il modo in cui hai parlato di Kieran…” Flemeth sospirò e acconsentì a fornire qualche spiegazione “Non sono l’unica a portare dentro di sé l’anima di un essere considerato perduto da tempo: è molto di più di un bambino, come anche io sono molto di più di un’anziana, vecchia Strega delle Selve. Al destino non si sfugge così facilmente, figlia mia.” Elanor si avvicinò all’anziana donna, i suoi occhi viola fiammeggiavano alla luce del sole “Pensate ciò che volete, ma Kieran è solo un bambino.” “…che si comporta meglio della madre quando aveva la sua età.” sorrise compiaciuta Flemeth, Morrigan scoprì i denti con disgusto. “Molto bene, ascolta la mia proposta, cara Morrigan. Lascia che io prenda il giovane e ti libererai per sempre di me. Non ti cercherò più, né ti farò del male, oppure tienilo con te e nessuno di voi sarà più al sicuro, né tu, né i tuoi amici che chiami Inquisizione. Avrò ciò che mi spetta, in un modo o nell’altro.” scandì con forza Flemeth trafiggendo con lo sguardo le due giovani donne, Morrigan ebbe un tremito. “Correremo il rischio.” intervenne Elanor. “Vi ho già trovato una volta, cosa credete che non possa farlo di nuovo?” chiese Flemeth con un sogghigno. “Se devi, prendi il mio corpo, ma lascia stare Kieran.” propose stanca Morrigan “Senza di me starà meglio, come io sono stata meglio senza di te.” Il viso di Flemeth si contorse in una smorfia di dolore: le parole della figlia la colpirono trafiggendo molto più di una lama, quel cuore antico; tornò a guardare il nipotino e prese le sue piccole mani tra le sue. Inspirò chiudendo gli occhi ed una luce azzurra uscì dal petto di Kieran, rimase a mezz’aria prima di essere inghiottita dalla bocca dell’anziana donna, la deglutì e sorrise al nipote. “Niente più sogni?” chiese il piccolo “No, niente più sogni.” confermò la donna con dolcezza accarezzando la pelle delicata del nipote, poi alzò lo sguardo verso la figlia che non le aveva mai staccato gli occhi di dosso, impietrita e spaventata “Un’anima non viene forzata se riluttante, Morrigan, io non sono mai stata un pericolo per te. Ascolta la ragazza, impara dalle voci quello che io non sono riuscita ad insegnarti.” disse guardando la figlia e il nipote vicino a lei. “Fermati, aspetta!” urlò Elanor. “Le voci non mentono bambina mia, io posso aiutarvi a sconfiggere Corypheus.” sospirò Flemeth senza voltarsi, poi veloce come un fulmine si girò e con una mano afferrò la fronte di Elanor che urlò di dolore: il tocco magico dell’anziana Strega inondò il corpo di Elanor, poi mollò la sua presa lentamente “Adesso capisci, bambina?” chiese, Elanor balbettò e annuì con il capo. Flemeth si voltò “Volevo proprio vedere chi avrebbe bevuto dal Pozzo del Dolore, è passato molto tempo. Immagina la mia sorpresa nello scoprire che c’eri anche tu.” disse sogghignando. “Ho la soluzione ai vostri problemi – disse – sempre che vi dimostriate degni del suo aiuto…” disse scomparendo in un boato di fiamme oscure.
 
Un rombo, un turbinio di ali, un ruggito acuto ruppe il breve silenzio dei nostri pensieri, un drago dalle scaglie argentee e blu si posò su un’arcata del colonnato ancora salda e ruggì emanando una palla di fuoco che colpì il terreno di fronte ad Elanor.
“Quello che ha detto Flemeth è vero: ho la risposta al nostro problema. Possiamo combattere il potere dell'Arcidemone quando sarà il momento.” urlò Elanor venendo verso di noi. “Il Drago di Mythal ci metterà alla prova, sconfiggiamolo unendo le forze e ci aiuterà.” Il Toro di Ferrò si sputò nei palmi e prese l’ascia, Cole sfilò i pugnali dalla schiena ed io presi il bastone che mi avvampò tra le mani, eravamo pronti. Il Guardiano di Mythal avrebbe testato il nostro essere degni come mi aveva predetto Abelas. In caso non fossimo all’altezza, saremmo morti tutti quel giorno.
Il drago si alzò in volo e sputò a raffica saliva incandescente che minò il terreno praticabile riducendolo di molto. Cole lanciò dei pugnali invisibili che gli ferirono a malapena la membrana dell’ala, ma bastò per tirarlo a terra. Il Toro si avventò su di lui con la furia di un’armata e scaricò sulla colossale bestia tutta la sua forza. Io mi limitai l’uso del bastone concentrandomi sugli incantesimi di ghiaccio. Elanor al contrario, usò il bastone e gli incantesimi di Spirito annullando gli effetti magici subiti dal gruppo, usò con destrezza la lama incantata ferendo il drago alle zampe. Cole si distrasse e il drago lo prese tra le fauci taglienti e lo scagliò contro una colonna che tremò al colpo. Scagliai Tempesta ed un turbine di dardi ghiacciati che ferì il drago ad un occhio. Il sangue blu colava sul terreno formando gemme dalla lucentezza straordinaria. Mulinò con le possenti ali anche se ferite, risucchiandoci sotto al suo enorme corpo, arrivati vicino e ci colpì con la possente coda nerboruta, il Toro di Ferro era esanime, mi avvicinai a lui e gli diedi una pozione rigenerante, sorrise entusiasta, la bevve e partì nuovamente a lama spiegata. Combattei con la furia di un Lupo negli occhi. Poi, d’un colpo il drago smise di combattere: eravamo tutti vivi, feriti, ma ancora vivi. Avevamo superato la prova.
Un compiaciuto battere di mani, un’eco di pura ammirazione si spandeva tra le pareti. Abelas uscì dalla foresta dietro l’altare di Mythal continuando a battere le mani.
“Complimenti, avete superato la prova.” disse guardando l’enorme creatura. “Lunus si ritiene più che soddisfatta dei vostri poteri.” Lentamente l’enorme creatura si rannicchiò, urlò talmente forte che mi sanguinarono le orecchie. Quando riaprii gli occhi stordito e dolorante una creatura dalle fattezze femminili, si stava alzando in piedi dove prima quell’enorme drago argenteo si era coricato, lentamente si stava avvicinando ad Abelas ammantando il corpo nudo in un magico vestito bianco. Abbracciò l’elfo con il viso segnato e le braccia contuse poi si voltò presso di noi e ci salutò compiaciuta con un segno del capo, l’ancestrale creatura era più che mai decisa ad aiutarci. “Ci vediamo a Skyhold, Lothiin.”
 
“Corypheus era morto, ma ora non più.” disse Cole sedendosi sul prato secco di fronte all’altare, i raggi del sole illuminavano il viso scarno e pallido del ragazzo e inondavano i capelli di riflessi chiarissimi, inspirò profondamente. “Ecco perché sembra sbagliato. – continuò – Come estraneo a se stesso. Indossa la vita di un altro. Pensavo che la morte fosse eterna.” Gli sedetti affianco, gli posai una mano sulla spalla ossuta e indossai il sorriso più calmo di cui disponevo, lui si slacciò le cinture dei pugnali che portava sulla schiena. “Faremo in modo che lo sia: Elanor, i consiglieri e noi tutti stiamo lavorando ad un piano per ucciderlo una volta per tutte.” Il ragazzo si alzò e nascose il viso sotto il largo cappello, a passi veloci e frustrati si allontanò da me. La mia risposta sembrava non soddisfarlo troppo. “Però è davvero lui? É reale? Se un uomo può morire e anche ritornare in vita… avrei potuto forse salvare il vero Cole?” vidi le lacrime dello Spirito rigargli il volto scarno. “Ciò che accadde a quel giovane mago eretico non fu per colpa tua.” il ragazzo sospirò “Mani livide a furia di colpire le pareti, era al buio come nell’armadio in cui si nascondeva dal padre. Dolori lancinanti allo stomaco, gola riarsa. Penetrai in questo mondo e gli presi la mano. Non potei fare di più.” continuò il ragazzo fissando un fiore mosso dalla brezza. “Mi ringraziò.” disse e si girò a guardarmi. “Grazie Solas.” mi disse, rimasi quasi stordito, ma non volevo indagare sul perché dovesse ringraziarmi, non avrei ottenuto molte risposte, quindi decisi di sedermi al suo fianco in silenzio e chiudere gli occhi.
 
Il Toro di Ferro prese e sollevò il ragazzo prendendolo dalla giubba e se lo caricò in spalla come una sorta di sacco della biancheria sporca, sorrisi divertito. Il suo petto gonfio era prova della sua forza bruta “Toro, come fate voi Qunari ad indossare maglie?” chiesi con un sorriso curioso “Beh, noi non lo facciamo, di solito. È abbastanza caldo da dove proveniamo.” disse prendendo con l’altra mano i pugnali e i foderi da terra porgendoli a Cole che accettava mesto il trattamento del grande fauno grigio. Giocai un po’ con il bastone. “…ma posso entrare in qualsiasi cosa che abbia un collare che si possa allargare. Devo solo stare attento con le corna e poi chiuderlo al collo. C'è un modo di dire quando ci si trova impreparati che si può tradurre in correre con gli abiti bloccati sulle tue corna.” continuò con un sorriso stampato in volto. “Pittoresco direi, oltremodo pittoresco!” sorrisi alzandomi al suo fianco, il Toro con fare poco gentile sollevò anche me caricandomi sulla spalla libera. Feci appena in tempo ad afferrare il bastone che eravamo già sulla via del ritorno attraverso l’Eluvian. Attraversai in questo modo alquanto bizzarro lo specchio magico e nel tempo di un battito di ciglia eravamo a Skyhold. La stanza vuota e in disordine aveva un qualcosa di familiare e confortante. La pietra intagliata e l’odore di legno ormai nella mia mente significavano solo una cosa: amore. Elanor era in attesa sulla porta della stanza, quando ci vide sorrise e il Toro non perse occasione per mettere in mostra il suo petto enorme. Ed io appeso sorridevo leggero alla sua superba vanità. Sentivamo il Comandante Cullen imprecare e ordinare ai soldati di schierarsi: un piccolo gruppo di elfi in armatura con alla testa una strana donna era alle porte di Skyhold. “Corro a fermare Cullen prima che li massacri.” ci disse Elanor accortasi dell’equivoco. Eravamo più che in uno stato di allerta, la situazione sarebbe peggiorata, io fui messo giù dal mio compagno e anche Cole ricevette lo stesso trattamento, mi pulii la giubba lurida, più per abitudine che per altro, era in condizioni schifose. Macchie di sangue, erba e fango la coprivano regalandole quelle sfumature di sporco che avrebbero fatto fatica ad andarsene. Me la levai rimanendo in pantaloni, stivali e una tunica di cotone, leggera e fresca in quella giornata di tarda primavera. Decisi di andare alle terme. Misi l’indecente giubba nella mia stanza e presi il necessario per radermi. Forse avevamo qualche giorno libero, prima dello scontro finale con Corypheus, dovevo decidere cosa fare con Elanor: la amavo, davvero, come non avrei mai creduto possibile amare una persona, ma quello che ero, quello che mi ero reso conto di essere in realtà probabilmente sarebbe stato troppo per lei. Lei stessa mi aveva dato la forza per riprovarci, lei stessa mi aveva detto che provarci sempre, nonostante tutto, era la scelta migliore. La mia caparbia Elanor, sospirai, avrei voluto dirle la verità un milione di volte almeno, su chi fossi, su cosa ci facessi nei pressi di Haven quando il Varco si aprì, avrei voluto dirle della Sfera, avrei dovuto fornire spiegazioni e scuse che non sapevo formulare, ma ormai eravamo all’alba della resa dei conti, l’ultimo scontro, fatidico e determinante per qualunque cosa. Se sopravviveremo, dissi passandomi la lama affilata sulla fina pelle del collo insaponato, se dopo tutto questo saremo ancora vivi le dirò ogni cosa. Promisi.
 
É un sollievo sentirtelo dire, fratello.
Disse il Lupo apparendo dietro di me nel riflesso dello specchio appannato. Mi appoggiò il naso scuro sulla guancia.
Spero solo di fare la cosa giusta. Sono stufo delle menzogne.
Dissi guardando il Temibile Lupo attraverso lo specchio.

Mi rasai con perizia e calma ascoltando i bisbigli umidi della nobiltà che si godeva un rilassante pomeriggio ai bagni termali, tamponai il mio viso con un canovaccio umido e lo riposi sopra il mucchio di altri pezzi di stoffa sudici. Dorian entrò nell’antibagno con un telo, drammaticamente basso attorno alla vita. Il suo fisico tonico era arricchito da un elaborato tatuaggio sui toni del grigio che gli attraversava la schiena, mi sorrise appoggiando una casacca di lana eterna ai ganci. “Era un po’ che non scendevi alle terme Solas, qual buon vento? Ho sentito urlare il nostro Comandante, sembrava si stesse rivolgendo a una donna… di che si tratta?” “Forse sì, – dissi vago – ma non credo sia un problema di per sé.” impacchettai con ordine il mio astuccio da rasatura. “Ora che ci penso non ho mai visto Cullen con una donna, che abbia mai provato interesse per una donna da quando sono con voi… chissà… non sarebbe nemmeno brutto.” disse il giovane Tev con sguardo sognante, gli sorrisi e posandogli una mano sulla spalla abbronzata; non ci avevo mai pensato, ma il giovane mago aveva ragione, Cullen non era solito cercare svaghi, viveva per l’Inquisizione. “Goditi la vita con Elanor finché puoi. Accetta i momenti di felicità quando li trovi, il mondo si prenderà il resto.” mi disse diventando triste all’improvviso, soffriva ancora per ciò che era, ciò che comportò la sua decisione di vivere secondo le sue regole e non quelle della sua terra. Fu coraggioso come pochi a ribellarsi a quella società gretta e ottusa per vivere la vita come voleva lui, gli strinsi la spalla con forza. “Ce la faremo Dorian, e una volta finito tutto, penseremo al resto.” gli dissi, il giovane annuì con la testa. Saltellando salii le scale e andai nella mia stanza, ormai era sera ed ero quasi spensierato, Elanor non sembrava soffrire l’influenza del potere del Pozzo, questo non calmò molto le mie preoccupazioni, ma non potevo fare altro se non chinare la testa ed accettarlo, pensando ad un modo per svincolarla dal legame una volta recuperata la Sfera e i miei pieni poteri. Impacchettai due serie di borse da viaggio, questa notte saremo partiti, non desideravo altro che una fuga, qualche giorno prima della battaglia, un po’ di quiete prima della tempesta. Le avrei regalato una cosa, la cosa più preziosa che potevo donarle: la libertà. Presi con me anche una piccola tenda da campo e misi tutto in un angolo nascosto alla vista, semmai Elanor fosse entrata dalla porta in cerca di un abbraccio o di un momento di pace. Spezzettai delle foglie di melissa e menta e le misi in infusione nell’acqua fresca. Attesi una decina di minuti sfogliando svogliatamente le prime traduzioni fatte sui volumi che mi aveva portato Dorian. Scarabocchi e macchie d’inchiostro erano presenti ovunque, sole e frustrate mi osservavano crucciate tra le parole elaborate. Non era da me essere così sbadato e sciatto, non nei miei lavori di studio almeno.
 
Elanor aprì la porta e mi sorrise entrando, mi alzai dallo scranno e le andai in contro porgendole l’infuso non ancora assaggiato. “Vuoi un sorso? Il profumo sembra buono.” lei mi sorrise e prese la piccola tazza di terracotta tra le mani, bevve un lungo sorso. Sorrisi. “Grazie, mi ci voleva proprio!” disse. La strinsi a me e la baciai, socchiusi gli occhi ed assaporai quel bacio fino in fondo, più che potei.
Mi staccai leggermente e ancora con le labbra vicine le dissi: “...ora, vieni con me ma vhenan, i tuoi impegni attenderanno qualche giorno.” le indicai le borse da viaggio e il mantello. Lei mi guardò stupita. “Fuggiamo, – dissi – fuggiamo qualche giorno, amore mio.” le dissi prendendo le borse in spalla. Cavalcammo a briglia sciolta, i nostri animali erano entusiasti della cavalcata al chiaro di luna, la strada era illuminata dal pallore lunare e le stelle erano splendenti in quella calda nottata. Corremmo facendo gareggiare il suo agile halla candido ed il mio castrato baio. Era una lotta impari da qualsiasi punto di vista. Avevamo stabilito il pegno che doveva sostenere chi arrivava per ultimo: il perdente avrebbe dovuto cacciare la colazione per due senza l’uso della magia.
Cavalcammo fino ai confini con Crestwood. Il buio della notte era intenso e alcune nuvole coprivano la luna. Avevo vinto io, come avevo previsto: l’halla era più veloce ed agile, ma sulla resistenza e sulla lunga distanza nessuno poteva battere il mio cavallo fereldiano. Smontai compiaciuto sopra una collinetta dalla vegetazione rigogliosa, attendendo il piccolo cervide sopraggiungere all’orizzonte. Legai il mio cavallo e attesi Elanor. Lei ed il suo destriero arrivarono sbuffando e io non riuscii a trattenere una piccola risata. “E va bene, domani la colazione la caccerò io… senza magia…” precisò afferrando il piccolo pugnale legato alla cintola. La afferrai e la tirai a me abbracciandola. Mi spinse via indispettita.
 
Montammo con calma la piccola tenda e con il fuoco acceso ci concedemmo un piccolo pasto fuori orario, carne secca, del pane di segale e miglio e una bottiglia di vino. “Vieni con me vhenan, devo farti vedere una cosa.” dissi alzandomi e porgendo una mano alla mia dama. Mano nella mano, la portai nel piccolo boschetto a valle, due imponenti statue di cervi di pietra dalle zampe intrappolate dall’edera ci attendevano ai lati di un sentiero battuto che si addentrava nel bosco. Giocavo con le sue dita affusolate attorciliandole alle mie vagando con lo sguardo. Ero emozionato e impacciato, come fosse la prima volta, arrossii nel vederla così sicura e forte. Mi voltai verso di lei: “Qui il Velo è sottile. – dissi – lo senti solleticare sulla tua pelle?” dannazione Solas, mi maledissi, sei davvero romantico come un tubero, complimenti.
 
Il Lupo annuì e ridacchiò in un angolo remoto dei miei pensieri.
 
Elanor si mise di fronte a me, guardandomi con quegli occhi viola e azzurri, così grandi e così impregnati d’amore, sorrise inarcando la testa e facendosi sempre più vicina a me. Le posai una mano sulla guancia, accarezzandola. “Pensavo a un modo per farti capire quanto sei importante per me.” dissi sorridendo impacciato sfiorandole la guancia delicata lei mi prese i fianchi e il suo sguardo si fece malizioso, le sorrisi con imbarazzo. Lei si avvicinò ancora e con le labbra alle mie orecchie: “Ti ascolto e se vuoi posso anche darti qualche suggerimento.” sussurrò prima di mordermi piano il lobo dell’orecchio. “Lo terrò presente…” le dissi tenero affondando il naso nei suoi ricci scuri che profumavano di luna. “Al momento, l’unico regalo che possa farti è la verità.” lei mi guardò perplessa inclinando il volto, i miei occhi verdi erano puntati sulle sue labbra, avrei voluto baciarle e lasciare tutto il resto a dopo. “Non esiste nessuno come te. In tutto il Thedas, mai avrei pensato di trovare qualcuno in grado di distrarmi dall’Oblio. Sei diventata essenziale per me, più di quanto avessi mai osato immaginare.” tentai di riprendere quella dignità che prima avevo perso. Lei mi guardava sognante e curiosa, la mia Elanor. “E tu lo sei per me, vhenan.” Sorrisi alla reciprocità del sentimento. Non avevo mai osato chiederle conferme in verità, temendo di essere un passatempo come un altro: un maggiordomo, com’ero stato definito alla corte di Celine, un servo di cui alla prima occasione si sarebbe liberata nonostante tutto, continuai senza quasi accorgermi della serietà che assunsero le mie parole “...allora sono costretto a dirti la verità. Il tuo volto, il vallaslin… – cercai di dire non sapendo bene da dove cominciare. Inspirai e abbassai lo sguardo – Ho visto molte cose durante le mie escursioni nell’Oblio e ho scoperto il significato di quei segni.” Abbassò il volto cercando di incontrare il mio sguardo, mi prese il mento accarezzando la fossetta nel mezzo e mi alzò il capo sorridendo. “Onorano gli dei elfici…” disse guardandomi negli occhi con un sorriso, negai con la testa e sul mio volto si dipinse un sorriso triste: “No, – le dissi – Identificano gli schiavi, o almeno questa era la loro funzione ai tempi dell’antica Arlathan.” sapevo il peso di quelle parole, avevano la stessa violenza delle rivelazioni di Abelas riguardo a quello che era il mio passato. Elanor cambiò espressione, il mio respiro mi si smorzò in gola. “Il mio guardiano raccontava delle storie a noi bambini, diceva che questi segni sono dei simboli.” disse toccandosi i piccoli rami tatuati sotto gli occhi. “In un certo senso sì, è esatto. I nobili marchiavano i loro schiavi in onore delle divinità che veneravano. Dopo la caduta di Arlathan i Dalish l’hanno dimenticato.” percepivo il suo stato d’animo, sapevo il dolore che portava quella verità scomoda e dimenticata. Sospirò e questa volta fu lei a non sorreggere il mio sguardo, mi facevo schifo. “Dunque… che significa? Che noi Dalish ci siamo sbagliati per l’ennesima volta?” mi chiese ferita, la abbracciai cullandola come avevo già fatto quando era piccola e quando da adulta era sul punto di crollare. “Mi dispiace.” riuscì a dire. Mi sentivo un vigliacco e uno stupido. Sospirò quasi sul punto di piangere. “Noi vogliamo preservare la nostra cultura, ma a cosa ci attacchiamo? A cimeli di un tempo in cui non eravamo meglio del Tevinter?” chiese appoggiata alla mia maglia. Le accarezzai i capelli corvini e chiusi gli occhi. “Non dire così. I Dalish hanno sbagliato su tante cose, ma in una sicuramente no.” dissi cercando di recuperare un minimo di dignità. “…hanno messo al mondo te.”
 
Patetico.
Risposi con un ringhio silenzioso all’intrusione dello Spirito del Lupo.

Elanor si staccò da me continuando a guardare in basso. “Non volevo dirtelo per timore di ferirti. Soprattutto dopo ciò che ti successe da piccola. Il loro ricordo, il ricordo di ciò che è successo fa male e questo simbolo sulla tua pelle è un costante fardello da portare.” dissi prendendole una mano. “Se vuoi conosco un incantesimo… posso rimuovere il vallaslin.” Alzò lo sguardo tremante ad incontrare il mio, intenerito e preoccupato dal peso delle mie parole sulle sue spalle. Sospirò: “In fondo questi segni fanno parte della mia vita, non so se…” non finì la frase e distolse nuovamente lo sguardo pensierosa, forse avevo osato troppo, nonostante tutto. “Non era mia intenzione farti soffrire. Sono stato uno stronzo egoista. Solo che guardandoti vedo ciò che sei realmente…” dissi affranto e con il cuore pesante. “…penso che tu debba meritare di meglio di ciò che rappresentano quei segni crudeli.” le dissi accarezzandole il viso con una nocca. Sentii una lacrima scendere lenta e andare a schiantarsi sul mio dito. La asciugai e lei alzò il viso incontrando il mio sorriso e i miei occhi. “Allora lancia l’incantesimo. – disse sicura – cancella il vallaslin.” il mio cuore riprese a battere, sorrisi e le baciai la fronte. Scostai leggermente la testa. Andammo poco più avanti e le chiesi di sedersi di fronte a me. Poggiammo le ginocchia sull’erba bagnata di rugiada, scintillante alla luce pallida della luna, alle nostre spalle un laghetto calmo alimentato da piccole cascate rendeva l’atmosfera magica e surreale e le lucciole danzavano attorno a noi. Mi misi di fronte a lei, il suo sguardo era teso e correva ad ogni angolo. Alzai le mani portandole davanti al suo viso, una luce celeste si propagò dai miei palmi fino ad illuminarle il viso, era tesa, ma mi sforzai di sorriderle in modo da tranquillizzarla e renderla sicura della scelta.
I piccoli rami tatuati si illuminavano di un colore iridescente e a mano a mano che spostavo i palmi lungo il suo viso, scomparivano: i piccoli fasci di energia facevano brillare il suo volto liberandolo dalle menzogne e dalle leggende costruite per nascondere un passato scomodo. Sobbalzai alla vista del suo viso pulito e semplice. Sorrisi. Se era possibile era ancora più bella: le piccole lentiggini erano finalmente libere, Elanor riaprì gli occhi viola e mi guardò, mi persi in quello sguardo di cieca fiducia. Sorrise. “Ar lasa mala revas… sei libera.” dissi abbassando le mani. Si guardò intorno, forse un po’ stordita, poi il suo sguardo tornò sul mio. Sorrisi piano. Mi baciò d’impulso e mi fece cadere sulla schiena, le presi i fianchi e risposi al bacio. “Sei bellissima.” le dissi. Le sue labbra schiacciarono contro le mie con famelica urgenza. Le sue braccia mi tenevano stretto lì con lei, io restituii l'abbraccio stringendola al petto. La guardai per un secondo, così bella e così viva. Accantonai la mia cupa tristezza e ripresi a baciarla spogliandola velocemente mentre lei faceva altrettanto slacciandomi i calzoni, il suo tocco eccitato era per me un desiderio familiare. La sua semplice presenza era inebriante. La mia volontà si stava disfacendo tra i suoi boccoli scuri, quasi annullata dal desiderio e dall’amore.
Le trattenni i fianchi e mi lasciai andare totalmente, come non avevo mai fatto nemmeno con lei, mi riversai completamente dentro di lei: l’amavo e lei amava me, contava solo quello, contava solo lei, contavamo solo noi. 

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Capitolo 15
*** Cap. 15 ***


Camminando a tentoni cercai di tornare indietro verso la caverna. Non ero abituato a camminare in posizione eretta e non ero abituato nemmeno a sentire il freddo penetrarmi nelle ossa nonostante gli abiti. Scrollai la testa ancora dolorante ed inciampai a causa di una radice sporgente, cadendo rovinosamente con il viso nella terra fangosa. Ringhiai. Percepii il mio ringhio diversamente da com’era in precedenza, era più… elfico.
Avanzai piano nel sottobosco e raggiunsi la grotta, la bimba arruffata si era appena svegliata. Lo capii dagli occhi e dai lunghi sbadigli. “Ben svegliata, da'len.” dissi tranquillo entrando gocciolante. La bimba mi guardò aggrottando le piccole sopracciglia, le sorrisi e mi inginocchiai davanti, una piccola mano tremolante mi toccò il viso all’altezza dello zigomo. “Sei meglio così…” disse con la sua tenera vocina. “…anche se prima mi tenevi al caldo e al sicuro.” risi piano. Avrei dovuto prenderlo come un tenero complimento, lo feci. “Mi fa piacere da'len, sono qui per servirti.” chinai il viso con giocosa riverenza mentre i suoi occhioni viola mi osservavano, la sua piccola manina mi toccava i capelli lisci, i monili che vi erano intrecciati, la mia fronte, le mie orecchie, le spalle e le labbra, mi stava esplorando. Sorrisi alla sua curiosità ingenua. “Non sei come gli altri elfi, vero?” chiese. “No piccolina, non proprio.” le risposi con un sorriso. “Ora però andiamo. Devo trovarti un posto sicuro e forse so a chi rivolgermi.” La creaturina si levò in piedi ed io con lei. Tese le sue piccole braccia verso l’altro guardandomi e restando in attesa. Sorrisi, e la presi in braccio caricandola sulle spalle. I suoi piccoli pugni erano serrati su alcune delle mie ciocche di capelli, faceva uno strano effetto quando le strattonava per caso.
Camminammo per qualche settimana verso le città umane. La notte ci accampavamo in luoghi di fortuna e passammo le giornate di pioggia al riparo in grotte o vecchie rovine abbandonate; con un piccolo incantesimo imprigionavo in una piccola bolla magica delle goccioline e le congelavo fino a farle diventare della neve. Lei osservava questa bolla dai contorni verdi e azzurri con meraviglia e stupore. La prima volta istintivamente tentò di toccarla per prendere i fiocchi che cadevano leggeri, la bolla esplose con qualche luccichio bagnando il suo nasino di palline soffici di ghiaccio. “Ancora, Fen’Harel! Ancora! Per favore!” sorridendo le dissi che ora sarebbe stato meglio dormire dato che domani ci spettava altro cammino. Dissi posandole davanti un frutto. “Ma io domani compio gli anni…” disse imbronciata incrociando le braccia. Le sorrisi e acconsentì silenzioso alla sua richiesta, chiusi gli occhi e formai un’altra sfera più grande con le mani e le goccioline al suo interno vorticavano leggere, Elanor col nasino all’insù osservava il cadere delle piccole gocce soffici e rimase a bocca aperta. Sorrisi sereno. Ero contento di far felice quella piccola creaturina. Ne aveva passate tante, se potevo procurarle un po’ di conforto era mio dovere farlo.
 
Il giorno dopo arrivammo ad un piccolo fiume, eravamo alle porte di un grosso insediamento umano: osservai le nostre condizioni e conclusi che se non volevamo essere scambiati per sbandati avremo perlomeno dovuto provare a lavarci. Iniziai a levarmi gli stivali a piastre e la cintola che teneva la pelliccia di Lupo, mi spogliai con meticolosità rimanendo in calzoni; la bimba era immobile che si grattava i capelli scompigliati e sudici. Mi fermai e le diedi una mano a togliersi quello che le rimaneva dei piccoli vestiti logori, piccoli e sporchi. Le feci vedere come si faceva e le passai della saponaria che cresceva lungo il fiume, sfregai delle foglie tra le mani e produssero una schiuma di un verde chiarissimo e le insaponai con cura i capelli e cercai di districarli con le dita, l’acqua che colò da essi era dello stesso colore dei capelli. Ci sciacquammo abbondantemente tra l’acqua placida del fiume e tornammo a riva, con la mia casacca e una mia cintola le feci un vestito, non poteva essere in condizioni peggiori dei suoi, le misi sulle spalle la mia pelliccia, a lei sarebbe servita sicuramente di più, pensai; io mi legai la giubba senza la tunica sottostante, non si sarebbe notata granché la differenza mi convinsi, e presi a strizzarmi i lunghi capelli. “Allora, dove si va?” mi chiese la piccola Lavellan sedendosi in braccio a me, aprii gli occhi e la guardai con un sorriso. “Ti porto da una donna, – dissi – una maga umana. Ha già avuto apprendisti elfici. Non ne rifiuterà un’altra, specialmente se ha capacità magiche.” dissi, la bambina si rattristò “E tu?” mi chiese. Sgranati gli occhi stupito, questa era una domanda a cui effettivamente non avevo pensato, eppure era così semplice e spontanea “Se dovrà succedere, ci ritroveremo da'len. Il mio compito adesso è di portarti in salvo…” le dissi premuroso baciandola sulla fronte, il suo piccolo corpicino si rannicchiò contro il mio petto, sentivo il suo piccolo cuore battere di paura e tristezza. La presi tra le braccia e cullai quella piccola cucciola di elfo cercando di non farle pesare l’ennesimo abbandono, la presi braccio e mi avviai verso la città. La mia missione era troppo pericolosa per lei, non potevo rischiare di metterla in pericolo durante i miei viaggi in cerca di una soluzione per la mia Sfera inanimata.

Arrivai in città con la bimba seduta sulle mie spalle, gli umani che l’abitavano ci guardavano con disprezzo e timore. Provai un senso di oppressione ed estraneità in quel mondo che io aiutai a plasmare.
Dopo varie richieste e vari insulti, un’elfa mi diede indicazioni precise su chi cercassi, la ringraziai con un sorriso. Arrivai ad una porta dipinta di rosso, leggermente scrostata sul basso, bussai e attesi qualche minuto; una donna alta e magra, sulla sessantina mi aprì. La piccola Lavellan si voltò verso la donna e le fece una smorfia. “Piacere, viandante, sono Wynne. – disse la maga – Cosa vi conduce alla mia porta, se è lecito chiedere? Non siete di queste parti a giudicare dall’abbigliamento…” “No, infatti, mia signora, sono di passaggio. Durante il mio viaggio ho trovato questa bambina ai margini della foresta che si estende verso i Liberi Confini. Credo sia stata abbandonata…” misi a terra la bambina e le spostai i capelli dietro la schiena legandoli con una stringa di cuoio. “Una Dalish… che strano, solitamente i clan sono molto uniti, dev’essere successo qualcosa di veramente grave...” disse la donna portandosi una mano al mento. “E va bene, elfo, – disse la donna mettendo le mani ai fianchi – accetterò la giovane, se tra qualche anno svilupperà facoltà magiche, diventerà la mia apprendista e la addestrerò alla magia fino al compimento dei 16 anni. Però vorrei sapere il vostro nome, se mi è permesso chiedere.”
“Solas, – dissi – potete chiamarmi Solas.”
 
Un tonfo mi destò dal mio sonno. Sbattei le palpebre in attesa di mettere a fuoco l’accaduto, vidi una massa di muscoli coperta di pelo puzzolente a pochi centimetri dal mio viso, scattai all’indietro dalla paura. Sentii Elanor scoppiare a ridere senza trattenersi, era andata a caccia all’alba e uccise un montone. Che stupido scherzo, risi con lei per l’essermi fatto cogliere così di sorpresa, rimasi in silenzio mentre scuoiammo la bestia e tornammo con la carne macellata al piccolo campo. Pensavo alla sera precedente, forse non avrei dovuto arrivare a quel punto, non così e non ora. Avrebbe complicato troppo le cose, ma fu più forte di me, l’amavo: ero per l’ennesima volta in lotta con me stesso per le mie scelte e la mia impulsività sanguigna. Mi portai le mani alle tempie che stavano esplodendo trascinandomi in uno dei peggiori mal di testa da sogni degli ultimi anni. Mugolai dolorante, Elanor si voltò finendo di preparare il fuoco per arrostire un po’ di carne, si pulì le mani e mi accarezzò la guancia, sporcandomi un po’ di terra e polvere. Sorrisi triste. Non avevamo bisogno di parole. Si avvicinò verso i miei occhi, mi fissava, avrei voluto dirle di non guardare dentro questi occhi verdi dai riflessi paglierini e di non avvicinarsi troppo o avrebbe capito chi ero, una volta per tutte: ero colui che l’aveva abbandonata una volta, per proteggerla, per tenerla al sicuro. Ero legato a Fen’Harel. Il Dio elfico dell’inganno, io ero Fen’Harel. Ero la causa di tutto quello che le era andato storto nella sua vita, ero io la causa di tutto. Avrei voluto morire in quel momento, scomparire, ma non era ancora il momento, mi dissi, dovevo respirare e andare avanti. Come mi ha insegnato lei.
Alzai lo sguardo e la guardai, mi specchiai in quegli occhi limpidi e puri come il cielo al tramonto. Mi sorrise e posò le sue labbra sulle mie. Decisi che era giunto il momento di lasciarle tra le mani un piccolo pezzo del mosaico che ero. Si inginocchiò di fronte a me ed io manipolai tra le mani una sfera e dentro di essa si formarono dei piccoli cristalli di ghiaccio. Vidi Elanor crollare, letteralmente, di fronte a me sgranando gli occhi. Non disse una parola. Osservò meravigliata e confusa quella sfera magica, proprio come aveva fatto da bambina. “Buon compleanno, ma'arlath.” dissi posandole la sfera magica tra le mani. Mi alzai e mi allontanai da lei e la guardai colpevole. Lei mi guardò interrogativa “Ir abelas… –  riuscii a dire – ti ho distratta dai tuoi doveri. Non accadrà più.” dissi strappando il mio cuore dal petto e gettandolo in pasto ad un branco di cani selvatici, lei sgranò gli occhi. “Solas…” disse con un filo di voce pizzicando la mia maglia. “Ti prego, vhenan.” dissi, mi sentii un vigliacco, mi allontanai da lei indietreggiando. Il suo labbro iniziò a tremare e i suoi occhi si inondarono di lacrime: avrei potuto sopportare le torture fisiche e mentali peggiori, ma vedere così la donna che amavo più della mia vita, era una cosa che le superava di gran lunga tutto quel dolore, inoltre sapere che la colpa era esclusivamente mia non mi aiutava di certo. Volevo abbracciarla e tornare indietro a quando tutto ebbe inizio, ad Haven, ma abbassai lo sguardo. “Non intendo rinunciare a te, Solas.” mi disse sporgendosi in avanti cercando il mio sguardo, rifiutai il tentativo digrignando i denti. “Invece dovresti.” risposi freddo e distaccato. Cercavo di proteggerla, ancora una volta. Avevo bisogno di lasciarla andare, anche se era intrecciata alle ossa della mia anima. “Qualunque cosa cerchi – mi disse prendendomi per mano – la troveremo assieme. Non puoi lasciarmi, non ora ti prego. Io ti amo.” Fu un pugno in mezzo al petto. “No, non posso. Scusami…” dissi togliendo la mia mano dalla sua. “Mi dispiace. Possiedi uno Spirito raro e meraviglioso, vhenan. In un'altra vita, in un altro mondo, forse…” dissi e me ne andai lasciandola lì. La sentii cadere a terra, vuota, la sentii piangere e la sentii urlare nel silenzio del bosco, la sentii schiacciata sotto il peso della mia scelta, la sentii sola ancora una volta. Tornai al piccolo avamposto, impacchettai in fretta un po’ di cose senza badarci troppo e montai a cavallo. Mi chinai sulla folta criniera del baio e mi nascosti, piansi e urlai a squarciagola coperto dal rumore sordo di una cavalcata folle. Non tornai subito a Skyhold, andai a sud di Crestwood, il cavallo aveva la schiuma alla bocca ed era sfibrato. Rallentò sfinito, volevo frustrarlo a morte, ma non era colpa sua se ero in quello stato sconvolto, se fosse morto non ne avrei ricavato alcun piacere. Elanor era lontana ed io ero solo con i miei pensieri e il Lupo.

Hai fatto la cosa giusta, Fen’Harel.
Disse il Lupo con un filo di tristezza.
Non lo so, non so più nulla. Nessuna mia scelta si è rivelata giusta ultimamente.
Dissi rabbioso.
La stai proteggendo come hai sempre fatto, se non altro ci stai provando inoltre le hai dato un grosso indizio su chi tu sia realmente.
Mi avvolse tra il suo pelo ispido e caldo.
Non so, Lupo. Siamo vicini a prendere la Sfera. Finalmente è una meta vicina e accessibile, più accessibile di quando cercai di avvicinarmi al Varco la prima volta nel tentativo di recuperare la Sfera a Corypheus, quando Elanor la prese reagì al suo tocco e la Sfera le impresse quel marchio.
Dissi accovacciandomi sul terreno polveroso.
Vedrai che andrà bene Fen’Harel. Ora concediti qualche giorno di lutto solitario. Ne hai bisogno. Poi torna a Skyhold e distruggi Corypheus. Una volta per tutte.
 
Vagai per l’Oblio in cerca di un po’ di quel conforto che disperatamente desideravo. Vagai per intere distese polverose afflitte da Spiriti di Speranza e Comando. Gli uni volteggiavano tranquilli curando le piccole piante dai colori luminescenti, gli altri ordinavano alle rocce dell’Oblio di spostarsi e loro recepivano il comando e si spostavano meste, io rimasi seduto a guardare queste scene senza vedere. Morrigan aveva il Crocevia degli Eluvian come luogo sicuro, un rifugio dal mondo, io avevo l’Oblio per sfuggire dai miei problemi. Fen’Harel lotta per liberare i Dalish dalla schiavitù dei falsi dei e sogna il ritorno della civiltà Elvhen come se la ricorda all’apice del suo splendore, guardai le mie mani e le strinsi a pugno, digrignando i denti fino a farli stridere. Trattenni il dolore che provavo dentro al mio petto e tentai di trattenere con le braccia l’esplosione, caddi a terra senza forze, non si mosse un grano di polvere, mi piegai sulle ginocchia e piansi silenzioso e solo come lo ero sempre stato. Cercai di convincermi che quella era la scelta giusta da fare, il primo passo da percorrere verso la mia vittoria o la mia morte, ma era comunque il primo passo.

Tornai al mio corpo dopo due interi giorni passati nell’Oblio. Ero distrutto ed il mio fisico chiedeva pietà, girai a fatica il collo steso sul lastricato pietroso e inspirai rumorosamente. Mi girai su un fianco e la mia schiena urlò di dolore. Il monile cadde rimbalzando sul selciato. Era strano come qualsiasi cosa che vedessi o a cui facessi caso, la mia mente la collegava alla mia Elanor. Chissà dove sarà ora, pensai, sarà tornata a Skyhold? Inspirai dolorosamente e cercai di tirarmi in piedi. Sarei dovuto tornare, a breve ci sarebbe stata la battaglia finale con Corypheus, dovevo esserci, dovevo recuperare la mia Sfera ed essere di nuovo solo e totalmente Fen’Harel.
Recuperai il cavallo che con reticenza si fece prendere e montare, era ancora sellato povera bestia. Lo feci trottare tranquillo verso la fortezza, facendo il giro più corto e agibile, la povera bestia baia era sfinita dal peso dei miei enormi pensieri; non lo biasimai se la voglia di disarcionarmi cresceva in lui sempre più. Smontai da cavallo alle scuderie. Arrivai a Skyhold in un giorno di pioggia torrenziale, Mastro Dennet guardò il mio cavallo sfinito e mi prese per il colletto della giubba, scostai lo sguardo abbassando il viso attendendo che il suo pugno mi prendesse il viso. Lo stalliere grugnì e mi lasciò con una spinta, prese il mio cavallo e lo mise nel suo stallo. L’halla di Elanor era in quello accanto, il castrato baio toccò il naso del piccolo cervide che gli poggiò il muso sul robusto collo sfinito. Distolsi lo sguardo da quella scena. “In un’altra vita – dissi – in un’altra vita io sarò solo un elfo e lei sarà solo un’elfa.” mi voltai e con lo sguardo buio andai alla taverna. Ordinai quanta più birra fossi in grado di reggere a stomaco vuoto. Bevvi come non avevo mai fatto, sbronzo e semi incosciente mi accasciai sul tavolo grezzo. “Posso aiutarti? – domandò Cole sedendosi al mio fianco – tu una volta curasti la mia ferita, mentre la tua vecchia sembra essere stata riaperta, traspare attraverso il Velo…” poggiò la sua mano sulla mia spalla. Con gli occhi velati gli risposi “Sto bene, grazie. – mentii spudoratamente – Ci sono altri che hanno bisogno del tuo aiuto più urgentemente di me.” e voltai il viso contro il legno massiccio del tavolo. “Sì.” rispose il ragazzo. “Mi dispiace Cole, questo non è un dolore che puoi curare.” In quel momento chiusi gli occhi e non sentii più nulla. Mi sentii leggero. Finalmente.
Riaprii gli occhi stordito, ero in una stanza buia: l’odore di legno, pergamena ed inchiostro mi fece pensare che probabilmente si trattava della mia stanza. Come ci ero arrivato? Mi chiesi. Mi portai una mano al viso, puzzavo di birra e vomito in maniera da fare schifo anche a me, mi alzai a fatica e un rigurgito acido mi colpì il palato. Vomitai in un catino con dell’acqua posato ai piedi del letto. Qualcuno che sapeva come stavo ieri sera mi ha portato in camera e si era preso cura di me. “Prego, non c’è di che.” sentii dire. “Lasciami essere diretto Solas, questa è la peggiore sbornia che io abbia mai visto. L’oste mi ha fatto chiamare perché gli hai svuotato la riserva settimanale di birra, ti ho trovato accasciato mezzo svenuto sul tavolo in una pozza di bava e puzzavi come un gregge di pecore rimasto sotto un acquazzone.” Respirai e mi strofinai gli occhi con il palmo lercio della mano, dovetti tenermi la testa tra le mani per rendermi conto e assicurarmi che fosse ancora attaccata al collo. Il mondo intorno a me vorticava veloce. “Tieni, mangia. Ti farà bene.” Presi la scodella con una poltiglia densa e ambrata dall’odore nullo e provai a mangiare. Segale. “Che problema c’è Dorian? Cosa ci fai qui?” chiesi senza quasi rendermi contro “Nessun problema, mio piccolo fiocco di neve unico e speciale. Ti ho caricato in spalla e ho vegliato su di te in modo che non morissi soffocato dal tuo stesso vomito: faccio quello che farebbe un amico. – sospirò stizzito – Ti obbligo a mangiare. Avanti su, non fare in bambino cocciuto.” mi prese spazientito il cucchiaio, prese una generosa porzione di zuppa e me la infilò in gola. Quasi mi soffocò. Masticai i semi e deglutii. Stavo da schifo e i postumi della sbornia andavano a sommarsi al dolore che avevo in precedenza. Finii a fatica la zuppa e a stomaco pieno cercai di spogliarmi lasciando i miei vestiti sporchi e dall’odore rivoltante sul pavimento di legno. Sbuffai seduto sul ciglio del materasso. Dorian mi aiutò ad alzarmi e mi portò vicino ad una vasca d’ottone. Cinque o sei grandi secchi erano appoggiati sul piano del focolare, tenuti al caldo per quando mi sarei destato; Dorian mi aiutò ad entrare in quella grossa vasca, mi sedetti nudo sul metallo gelido: una fitta dolorosa mi percorse il corpo, Dorian arrivò con i primi due secchi d’acqua e li versò nella vasca. Sentii un po’ di sollievo, il giovane mago finì di riempirmi la tinozza senza dire una parola e mi passò una tavoletta di sapone alla lavanda e grazia cristallina. Cercai piano di insaponarmi, il mio umore sarebbe stato ancora sotto terra, ma almeno non avrei puzzato di vomito e birra, pensai “Non ne vuoi parlare e ti capisco, sicuramente avrai le tue ragioni. – sospirò – Elanor non saprà nulla di questa sera e di come ti sei ridotto, ma sappi che lei ti ama ancora e lotterà per te fino alla morte se necessario. Ti prego solo di non farla arrivare a tanto.” disse uscendo dalla mia stanza.
Vhenan…”

Scivolai nella tinozza e chiusi gli occhi rilassandomi galleggiando nell’acqua bollente, con gli occhi stanchi fissai i giochi di vapore che si alzavano dalla superficie piatta del liquido caldo. Inspirai a pieni polmoni, l’acqua si increspò per tornare poi piatta e calma. Chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi. La fortezza era silenziosa e buia, tutti probabilmente dormivano, fatta eccezione per il sottoscritto, impegnato a fare le bolle con la bocca poco al di sotto della superficie dell’acqua saponata. Chiusi gli occhi e mi addormentai nudo ed a mollo.
Scoprii di essere nella stanza privata del Comandante, non credevo di esserci mai stato in realtà. Io e Cullen non avevamo molto il comune, per cui ci tenevamo a debita distanza l’uno dall’altro. Il suo passato da Templare mi preoccupava e la mia esistenza come mago eretico mi faceva apparire ai suoi occhi come una minaccia, sospirai ed ebbi quasi l’impressione di essere invisibile, mi appoggiai ad un’enorme libreria in legno di quercia, scorrendo svogliatamente i libri e i manoscritti perfettamente ordinati: l’ordine maniacale di quell’uomo era quasi fastidioso. Cullen non mi vedeva o semplicemente non faceva caso alla mia inconsueta presenza nelle sue stanze, chissà di chi era quel sogno, pensai posando la mia testa sulla libreria, continuava a parlare con i suoi sottoposti di strategie militari: Corypheus aveva subito un’altra bruciante sconfitta, ma sottovalutarlo sarebbe stato comunque un pessimo errore. La porta della stanza del comandante si aprì, lasciando entrare una leggera brezza e alcune foglie, a passo deciso entrò la donna-drago. Le sue gambe snelle e lunghe erano fasciate da degli alti stivali di pelle di viverna scura e il vestito si apriva in un ampio spacco laterale sopra la coscia, Cullen tossì imbarazzato ed io risi sommessamente nascondendo il ghigno da una mano stretta a pugno. Lunus era evidentemente già annoiata, con le dita arricciava pigramente i suoi capelli argentei restando sulla soglia della stanza qualche secondo, intenta ad osservarla; dopo lo scontro che ebbe con noi all’altare di Mythal assieme ad Abelas ed al piccolo gruppo di Sentinelle sopravvissute si erano diretti a Skyhold per fare parte dell’Inquisizione e fornire il loro supporto in cambio di protezione.
 
Cullen continuava a dimostrarsi indifferente alla presenza della donna, anche se il suo viso paonazzo raccontava un’altra storia. Temevo che il passatempo di Lunus qui alla fortezza fosse proprio quello di tormentare l’ex Templare. Provai una sorta di pena per il pover’uomo, ma mi dissi che forse un po’ di svago gli sarebbe servito, sghignazzai divertito. Lunus si era intanto spostata chiudendo la porta molto lentamente, era una perfetta cacciatrice: aveva pazienza, calma e bellezza dalla sua parte. Il suo gradito passatempo continuava a parlare ai soldati mentre lei faceva finta di essere catturata dall’enorme mole di pergamene ed inchiostri che ornavano la stanza privata del Comandante. La donna-drago silenziosa continuava a rimanere nella penombra della stanza, posandosi poi alla parete di pietra. Il Comandante sapeva che era lì, la vedeva bene, tossiva imbarazzato ad ogni suo movimento leggero e lei provava divertimento assoluto nel provocarlo silenziosamente cercando di indovinare i suoi pensieri. Nessuno a parte lui sembrava essersi accorto di lei: che razza di babbei addormentati, pensai, mi chiedo ancora come siano sopravvissuti, ma constatando com'era messa la mia specie, direi che farei solo meglio a mordermi la lingua. Gli uomini, come anche noi elfi, sono bestie mosse dall'istinto di sopravvivenza che dovrebbe metter loro in guardia in caso di pericolo nelle vicinanze, cosa che di fatto lei rappresentava. Non vi era pericolo più grande al di fuori di lei, nemmeno la prole oscura e nemmeno Corypheus, semplicemente si erano abituati in fretta alla sua presenza. Erano tranquilli e conducevano serenamente le loro vite. Accavallai le gambe. Lunus divenne pensierosa all’improvviso fingendo di osservare le pergamene impilate. Percepii un lieve sussurro provenire da lei. “Dovahkiin.” Sangue di Drago, pensai, ne avevo sentito parlare durante le mie peregrinazioni dell’Oblio di queste creature mortali, nate con l’anima degli antichi draghi. Anche Kieran era probabilmente destinato a vivere come un Dovahkiin, se Flemeth non gli avesse strappato l’anima del drago ucciso da Alistair, sospirai cercando di capire cosa significasse quel soliloquio. I Dovahkiin si erano estinti ancora prima che noi elfi colonizzassimo il Thedas, perché quindi Lunus l’aveva pronunciato? A cosa stava pensando? Cos’era successo? Sbuffai cercando risposte che non potevo avere.
Un sussulto aveva destato i suoi sensi acuti, drizzò il collo e le spalle e si voltò verso lo scranno dov’ero seduto. Mi paralizzai. Lei si voltò verso di me con ferocia e terrore dipinti sul volto. Un colpo. Vidi tutto nero. Non ero più lì. Il tempo si infranse. Non…

Un rumore sordo e un artiglio candido mi teneva per il collo. Qualcuno mi aveva trascinato fuori di peso dalla tinozza colma d’acqua e mi aveva bloccato a mezz’aria. Aprii un occhio incapace di capire, senza forze per reagire e con la vista offuscata vidi Lunus con la furia negli occhi. Rantolai di dolore “Che ci facevi nel mio sogno, Lupo? Cos’hai visto?” ringhiò la donna accecata dalla rabbia. Abelas era dietro di lei con le braccia incrociate. “Ho…” tentai di rispondere, ma mi mancava l’aria, mi stava lentamente soffocando, frustrata la donna-drago mi lasciò cadere come uno straccio bagnato, piombai sul pavimento con un rumore fradicio, tossendo e respirando a fatica. “Come sei entrato nei miei sogni, Lupo?” mi chiese una seconda volta ad alta voce. “Non so come ci sono riuscito. Mi succede spesso ultimamente…” cercai di giustificarmi portandomi una mano alla gola. “…ho percepito una parola, l’unica che hai pronunciato nel tuo ricordo sognante. Dovahkiin, cosa vuoi dire?” Si avvicinò e senza dire una parola mi assestò un calcio al busto. La punta dello stivale si conficcò esattamente tra due costole, rompendole, urlai di dolore appiattendomi al suolo. “Ferma Lunus! Adesso Basta!” Abelas le bloccò le braccia sollevando di peso la donna e portandola dall’altra parte della stanza. “Lunus!” continuò l’elfo provando a tenere ferma la furia della donna-drago. Rimasi a terra accasciato e dolorante, videndo a malapena la donna uscire dalla mia stanza ancora più arrabbiata di prima. Abelas mi guardò con uno sguardo che non seppi decifrare, o forse non avevo il coraggio. Si avvicinò a me a passi pesanti ed io mi raggomitolai piangendo tendendo ogni muscolo in attesa di una seconda dose. “Ar'din nuvenin na'din, Fen’Harel.” disse l’elfo ambrato guardandomi triste porgendomi una mano. “Non voglio ucciderti, Lupo… non posso farlo. Ma lei sì e non so se la prossima volta riuscirò a fermarla in tempo, ti prego: hai una missione.” Si accucciò al mio fianco e posò piano la sua mano sulla mia montagna di errori.

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Capitolo 16
*** Cap. 16 ***


I giorni passavano lenti e tristi nonostante fosse praticamente estate: non vidi molto Elanor e quando di rado mi capitò cercai di cambiare direzione facendo finta di nulla, forse avrei dovuto parlarle, dirle qualcosa, qualsiasi cosa, ma a cosa sarebbe servito? Qualsiasi mia parola poteva alimentare in lei una qualche sorta di speranza che non volevo nemmeno generare, mi sentivo un mostro per averla amata, per amarla ancora e averla abbandonata senza darle alcuna spiegazione. Passavo le mie giornate quasi esclusivamente chiuso nella mia stanza, non uscivo nemmeno per andare alla torre a cercare alcuni manoscritti che avrebbero potuto servirmi per il volume sugli Squarci, non volevo incontrare gli sguardi di nessuno: le due costole rotte dal calcio della donna-drago erano l’esempio più lampante delle conseguenze delle mie azioni. Mi sedetti esausto e stanco sul mio scranno rivestito, la luce calda filtrava dai vetri gialli, azzurri e verdi della mia finestra inondando la stanza di colori vivaci e giochi di luce che in altre circostanze mi avrebbero sicuramente rallegrato. Invece mi alzai e tirai la spessa tenda restando al buio, presi una candela e la accesi. Cole entrò normalmente nella mia stanza, senza bussare. “Vi siete lasciati per amore, poi forse l'amore vi riprenderà. Più dolore, più gioia di chiunque possa sopportare, eppure lo abbracciate ancora.” disse posandosi sulla porta chiudendola con il suo peso. Tutto, ma non questo avrei voluto dirgli. “Come potremmo non farlo?” chiesi più a me che a lui, come avrei potuto rinunciare a lei? “Ar lasa mala revas, sei così bella… ma poi ti sei allontanato. Perché?” chiese il ragazzo atono. Il giovane ragazzo Spirito sapeva esattamente dove infilare il coltello avvelenato. “Non avevo scelta Cole, lo sai bene.” ringhiai al ragazzo che era venuto lì richiamato dal mio stesso dolore. “Ha il viso denudato, è imbarazzata e non sa perché, pensa che sia sua la colpa.” un sorriso triste si posò sul mio volto, la mia Elanor, davvero lei pensava di aver fatto qualcosa di sbagliato? Scossi la testa frustrato prendendola tra le mani. Non potevo crederci, Lunus era furiosa per quello, ha percepito la tristezza di Elanor e voleva difenderla da me. Era legata a lei da un vincolo che non potevo comprendere, un legame magico e antico, sconosciuto anche a me. “Non puoi curare questo dolore, Cole. Te lo chiedo per favore, lascia stare.” Il ragazzo abbassò lo sguardo e si nascose sotto il ciuffo biondo. Prese a camminare velocemente intorno alla stanza per poi posarsi sul ciglio del letto ed io cercai il più possibile di ignorarlo. Ripresi in mano la penna e l’inchiostro cercando di riprendere a tradurre e mettere assieme i pezzi, ma la concentrazione sembrava essermi venuta meno, ringhiai frustrato scagliando la boccetta d’inchiostro sul muro macchiando anche il mio sacco di piume sul letto, presi delle pergamene e della sabbia cercando di asciugare il più possibile di quel liquido scuro. Sentii bussare alla porta, posai tutto e andai ad aprire irritato. “Ho chiesto… Elanor? Che… che ci fai qui?” chiesi sbarrando gli occhi dalla sorpresa. La Signora dell’Oblio mi spinse dentro, vacillai all’indietro mentre lei chiudeva la porta facendola sbattere “Adesso basta!” la guardai, era furiosa e spaventata come non l’avevo mai vista prima. “Inquisitrice, come posso aiutarti a prepararti alla battaglia finale?” chiesi fingendo di non aver capito il motivo per cui era lì, lei scoprì i denti dalla rabbia, poi divenne triste all’improvviso “Mi piacerebbe discutere di quello che è successo tra noi, Solas.” temevo una frase simile, sospirai spaventato “Credo che questa discussione in questo momento non sia appropriata, – le dissi andando a sedermi sullo scranno senza degnarla del minimo sguardo – dobbiamo concentrarci su ciò che conta veramente. Tempra le ferite del tuo cuore, e rivolgi questo dolore contro Corypheus.” una fitta al cuore mi fece quasi urlare dal dolore, ma non potevo permettermi di fare quello che in realtà avrei voluto. “Se potessi spiegarmi almeno il perché…” disse lei tesa come un bastone restando in mezzo alla stanza, il suo viso era basso e la sua voce era rotta dal pianto. Dovevo resistere, non potevo crollare: avrei voluto abbracciarla e dirle che l’amavo, ma non potevo. Dovevo proteggerla da me ancora una volta. “Le risposte porterebbero solo a più domande, – le dissi piano – un coinvolgimento emotivo così forte non aiuterebbe nessuno di noi. La colpa è mia, non tua, è stato irresponsabile ed egoista da parte mia. Spero che questo sia sufficiente.” le dissi mascherando il più possibile il mio dolore. “Davvero non permetti a nessuno di vedere sotto la maschera che indossi?” chiese, una sua lacrima si schiantò sul pavimento con lo stesso rumore di un uragano. Respirai a fondo deglutendo rumorosamente: “Tu hai visto più di tutti, molto di più. Fammi sapere se posso esserti di aiuto per pianificare la nostra battaglia finale.” cercai di troncare la conversazione, non sapendo quanto fosse dura la mia maschera d’indifferenza nei suoi confronti, però ero certo che a breve sarebbe stata sul punto di frantumarsi in mille piccoli pezzi. “Vuoi parlare con me quando avremo finito con Corypheus?” un ultimo, un ultimo disperato tentativo sussurrato con dolore, Dorian aveva ragione, mi dissi, sarebbe stata disposta a tutto, io per lei valevo la pena. “Va bene. – acconsentii – Se dopo saremo ancora entrambi vivi, te lo prometto, tutto sarà chiarito.” promisi. Una promessa che avremo probabilmente rimpianto entrambi. Se ne andò chiudendosi la porta dietro le spalle senza dire altro, finalmente potei girarmi verso quella porta e respirare. Guardavo le lacrime di Elanor che mi fissavano crudeli sulla doga levigata, mi passai una mano sul viso e tremai dalla tensione, i miei muscoli erano indolenziti e tesi, il dolore al costato dove la donna-drago mi ruppe le ossa a calci era sempre presente, silenzioso e costante. Mi portai una mano al viso, le mie dita premevano sugli occhi cercando di frenare il mio mal di testa e il mio avvilimento, riuscii a non piangere anche se il mio cuore era sprofondato nella più totale apatia. Mi sentivo un mostro, avrei voluto abbracciarla e stringerla a me, avrei voluto crollarle tra le braccia e dirle chi fossi realmente, ma questo significava coinvolgerla definitivamente nella mia lotta ingloriosa e dirle tutto. Non c’è gloria nel mio viaggio, non provavo piacere per quello che facevo e avrei dovuto fare; sono stato sprovveduto, frettoloso, poco attento e le conseguenze delle mie azioni avventate hanno portato a questo, al dover prendere scelte dal peso enorme. Tremai e mi accasciai sulla scrivania, osservai pensieroso le venature del legno, passandoci sopra svogliatamente con le dita “Vuoi che ti aiuti?” chiese Cole ancora seduto sul letto, si era celato ad Elanor di proposito, ma era lì. “No Cole, non puoi.” dissi piano, il ragazzo si alzò e mi poggiò una mano sulla spalla. “Dimentica.” disse, ma non funzionò, lo guardai con uno sguardo sottile, il giovane trasalì tirando via la mano dalla mia schiena “Hai ragione, non posso farlo.” disse triste e se ne andò a testa bassa, lasciandomi solo con le mie torture.

Rimasi così non so per quanto, inspirando dolorosamente e a fondo, avevo bisogno di sentire dolore per rendermi conto di essere vivo, avevo gettato via l’unica cosa che mi rendeva felice e fiero, l’avevo con tutta probabilità persa dopo oggi, ma era giusto così, mi dissi, meritava di meglio, meritava una persona dolce e comprensiva, qualcosa di più di un imbroglione, di un vagabondo tra i mondi, del Dio dell’inganno, meritava di più di Fen’Harel, meritava di più di quello che ero. Mi tirai dritto sullo schienale imbottito, sospirai e cercai di trovare qualcosa da fare che non fosse cadere nell’autocommiserazione, scrollai la testa e decisi di uscire e andare da Dorian, non era propriamente quello di cui avevo bisogno, ma era pur sempre meglio che starmene chiuso lì. Mi cambiai indossando una casacca semplice di seta verde e me la allacciai alla vita con una cintola di pelle grezza, riannodai i calzoni con cura spolverandoli, mi infilai gli stivali leggeri ed uscii dalla stanza. Il corridoio brulicava di domestici vestiti di tutto punto, ci sarebbe stata una festa prima della grande battaglia con Corypheus, avrebbero voluto che la nobiltà si sentisse sicura e salda, rassicurata sulla nostra vittoria quasi certa. Sospirai sperando che Josephine riuscisse nell’intento di tranquillizzare la popolazione, io non ero certo che l’avremo scampata, ma dovevamo riuscirci a tutti i costi. Scesi lungo i bastioni, avrei potuto passare per la via interna alla fortezza, ma avevo voglia di respirare un po’ di aria, i densi profumi estivi erano un toccasana per il mio umore tetro. Respirai a fondo: dalle cucine arrivavano profumi di dolcetti alla cannella, carni allo spiedo, pane e vino, decisi la mia prima tappa della giornata. Presi un piatto di legno e dentro ci misi del formaggio, delle spesse fette di pane ancora calde, dei mirtilli e delle striscioline di carne secca. Con una mela in bocca e il largo piatto uscii dalle cucine tra gli sguardi di disapprovazione delle cuoche e dei domestici e andai alla torre della biblioteca, entrai e vidi la mia ala al piano terra, con la scrivania nel mezzo ricolma di roba nel mio ordinato disordine, guardai i dipinti e cercai di metterli nella lista delle cose che avrei dovuto finire, magari stasera durante la festa prima della battaglia, mi dissi. Salii le scale di legno, Dorian era seduto vicino alla finestra con un tomo sull’Occultismo tra le mani, il suo sguardo mi diceva che non era particolarmente compiaciuto, il che non mi sorprese poi molto. “Sono sorpreso di sapere che non eserciti la Magia del Sangue, Dorian. Non è popolare nel Tevinter?” dissi posando il piatto in precario equilibrio tra due pile di libri. Il giovane uomo alzò lo sguardo rimanendo con la testa appoggiata alla mano. Un sorriso sbilenco comparve sotto i suoi baffi curati. “Pensa, noi condividiamo sorprese, tuttavia non mi risulta che tu abbia mai ballato nudo alla luce della luna, che peccato, saresti stato un bello spettacolo…” risi facendo finta di nulla sul suo pesante commento ammiccante, lui rimase seduto a sorridere spostando l’attenzione al piatto ricolmo. “La storia che il Tevinter racconta a proposito degli elfi è accurata come sempre.” dissi prendendo qualche mirtillo e lanciandolo in bocca con perizia e ostentata maestria. “Già, avrei voluto vederti far sbocciare fiori cantando, anche solo una volta.” disse il giovane Tev prendendo la dose rimasta di mirtilli, mi sedetti sul bracciolo affianco a lui. Capì dal mio sguardo probabilmente che non doveva pormi nessuna domanda sulla sera prima, né su Elanor, tant’è che parlammo di tutt’altro, per fortuna. “Il materiale che ti ho faticosamente portato ti serve? Sei riuscito a ricavarci il necessario?” Annuii con la bocca piena e tossendo gli risposi che le traduzioni erano a buon punto, non rimaneva altro che mettere assieme i vari tasselli e comporre il manoscritto. Sorrisi fiero della chiacchierata, ne avevo drammaticamente bisogno in mezzo a tutte quelle persone angoscianti, Dorian era il mio baluardo, assieme a Cole. “Vieni alla gran festa?” chiese ad un certo punto il giovane Tev prendendo il piatto e lanciandolo in aria. “Puoi fare magie ovunque, Solas? Anche pisciando per caso?” Sera entrò brutale e sgraziata nel nostro discorso, decisi di giocare un po’ con lei, Dorian era allibito “Uhm, aspetta… non mi ricordo.” dissi con evidente sforzo di concentrazione, Sera aggrottò la fronte, non amava chi rispondeva a tono ai suoi stupidi scherzi puerili, ma allo stesso tempo non riusciva a smettere di essere così “Cosa? Come puoi non ricordarti qualcosa del genere?” disse scendendo dal parapetto, le sorrisi e le poggiai una mano sulla bionda testolina crespa. “Tutti siamo stati giovani una volta…” mi scacciò e se ne andò via, la guardai inforcare la scalinata stizzita e a bocca asciutta, sapendo che prima o dopo avrebbe ritentato la sorte. “Scusa, dicevamo? Ah già… – dissi rivolgendomi a Dorian – ...no, non credo di venire alla festa, non sono dell’umore, se avrai bisogno mi troverai qui a dipingere.” Dorian serrò le labbra, ma annuì in segno di assenso e se ne andò lasciandomi tra le sue montagne di libri aperti e consunti.

Dipingevo l’ultima parte del muro che mi mancava. La maglia era irrimediabilmente sudicia ed il mio volto era coperto di sbadate strisce di colore, nella navata centrale il canto dei bardi e la musica dei liuti erano soffocati dalle grida della festa. Giunsero perfino alcuni esponenti della nobiltà di Orlais, bramosi di bagnarsi della gloria dell’Inquisizione almeno per una sera, cercare di nuotare in quello sfarzo almeno per un po’, in modo da avere qualcosa di cui vantarsi alla corte di Celene. Sospirai seccato, il futuro che mi aspettavo di trovare una volta risvegliato non era questo, lasciai questo mondo speranzoso, ma la verità era crudele e meschina e la realtà era ancora più dura da accettare. Posai il pennello chinando il braccio scrollandolo un po’ per rilassare i muscoli, ero da solo, isolato nella mia piccola parte della torre che finivo almeno una cosa che avevo iniziato, pensai quasi sollevato. Il Temibile Lupo aleggiava silenzioso nella stanza, volando in aria e poi lasciandosi cadere alle mie spalle, non disse una parola, sapeva che non volevo parlare, ma la sua presenza in un certo senso mi faceva sentire meno solo di quel che apparivo. Udii dei passi lenti in discesa dall’ultimo piano della torre, qualcuno stava scendendo dall’ala di Leliana, cercai di ignorarli finché quei passi non furono sopra la mia testa, ma non sembrava affatto la camminata leggera dell’Usignolo: erano passi decisi, ma veloci e corti. Sospirai silenziosamente, credevo di essere l’unico eremita questa sera. Guardai verso la fine della scala, Cassandra non indossava alcun abito formale, anzi, era vestita con un giustacuore ed una piastra di metallo sagomata sul petto, dei calzoni e degli stivali a placche e la spada le penzolava sicura e agile dal fianco, si chinò leggermente in basso per sistemare il pugnale inserito negli stivali, non fece alcun caso a me finché non mi vide con la coda dell’occhio, sussultò nel vedermi chino sul piano della piccola impalcatura intendo a risciacquare il pennello, continuai a non darle alcun motivo per sospettare che mi fossi accorto di lei, ci riuscii per poco, troppo poco. “Lo ammetto, conosco molto poco del loro significato, ma non credevo fosse possibile rimuovere i tatuaggi Dalish.” disse diretta come una freccia scoccata da una balestra. Colpì esattamente nel mio unico punto scoperto. Gemei silenziosamente. “La maggioranza di Dalish sarebbe d'accordo con te e vede poco valore nel farlo.” cercai di portare la conversazione su un altro piano, non volevo parlare di Elanor, ma pochi sembravano comprenderlo “Ma allora come…?” “È stato un momento …privato. – la interruppi – Preferisco non parlarne, se non ti dispiace.” la guardai dall’alto cercando di non far trasparire alcun dolore dal mio sguardo, non potevo sapere com’era, pregai che almeno non fosse troppo evidente. “Certo… non avrei dovuto chiedere.” rispose lei quasi imbarazzata, non sapevo cosa pensasse lei di ciò che avevo avuto con Elanor: non siamo mai andati particolarmente d’accordo, ci limitavamo a sopportarci ed a non starci troppo tra i piedi, in ogni caso oramai la sua opinione non contava poi molto. “Come mai non partecipi alla festa, Cercatrice?” Cassandra si appoggiò alla mia scrivania nel centro della stanza. “Mi chiami raramente con il mio nome Solas. Perché?” chiese eludendo alla mia domanda. “Buone maniere, forse?” risposi senza distogliere lo sguardo dalla mia opera. “Le buone maniere non ti hanno trattenuto in tante altre occasioni.” osservò ragionevolmente spietata, sorrisi. “Dico quello che credo sia vero, anche se offende coloro che preferiscono la falsità, ma non c'è menzogna in quello che sei: la tua posizione è onesta e ben guadagnata. Ora. Come mai, Cassandra, non partecipi alla festa?” “É che sono terrorizzata, non credo di riuscire a sopportare tutta quell’allegria alla vigilia dell’ultimo scontro. E tu?” per fortuna non domandò altro. “Anche io sono terrorizzato Cercatrice. Io forse sono il più terrorizzato di tutti.” dissi smontando con un salto dall’impalcatura. Mi avvicinai alla donna e lei si spostò lasciandomi posto sulla scrivania. Mi posò una mano sulla spalla e mi diede forza, mi diede nuova forza. “Ce la faremo.” disse aggrottando le sopracciglia brune e perfette, i suoi occhi marroni mi fissavano con forza infondendomi speranza, distolsi lo sguardo e mi tolsi la sua mano dalla spalla, posandola sul legno della scrivania. “Ne va del nostro futuro Cercatrice, dobbiamo vincere se vogliamo sopravvivere. Te lo ricordi il viaggio nel tempo, quando reclutammo i maghi a Redcliffe?” chiesi “Certo, difficile dimenticare quel dolore costante e pungente, quella forza subdola che ti toglie ogni speranza, difficile è stato morire così, senza fare nulla per impedirlo.” rabbrividì la donna spostando il peso addosso alla scrivania. “Ci sacrificheremo comunque, ma avremo la vittoria in pugno, mi pare uno scambio equo.” dissi, anche se credevo poco alle mie stesse parole, ma la Cercatrice sembrava aver ripreso un po’ della sua tenacia. “Grazie Solas. Per essere rimasto.”

Finalmente arrivò l’alba, la giornata della resa dei contri era iniziata. Respirai a fondo e presi tutto ciò di cui necessitavo per la lotta: impacchettai con cura dei rimedi curativi sotto forma di poltiglie ed unguenti piuttosto maleodoranti, li misi in alcuni barattoli che assicurai nel borsello che mi pendeva dalla cintola. Appesi sopra la giubba da incantatore il mio monile e aprii la finestra. La fortezza era già in subbuglio, come un piccolo formicaio sempre all’opera. Respirai e chiusi si occhi. Cercai di convincermi che tutto sarebbe andato bene, che il mio secondo tentativo di recuperare la Sfera sarebbe andato a buon fine senza troppi spargimenti di sangue, appoggiai le mani sulla scrivania e svogliato passai una mano tra le varie pergamene e manoscritti sparpagliati in disordine. Sorrisi. Magari avrei potuto finirli una volta tornato… ma sarei veramente tornato? Mi chiesi, allontanai la domanda come fosse una mosca noiosa intenta a ronzarmi attorno. Una giovane elfa bussò alla porta, avvisandomi che era richiesta la mia presenza al Cortile per gli ultimi preparativi prima della partenza. Elanor mi voleva con lei nonostante tutto, mi dissi, sorrisi tra me e me dando assenso alla giovane sistemandomi gli stivali. Diedi un’ultima occhiata a quella stanza che era stata casa mia in questi quasi quattro anni, sarei potuto morire e lo sapevo anche ero diventato forte, molto forte. Accesi una candela con del velfuoco, senza un vero motivo, solo per non vederla consumarsi dal fuoco normale, ora una fiamma verdognola illuminava il piccolo tavolino alto. Presi il mio nuovo bastone di Lyrium, i bassorilievi dell’impugnatura erano in carattere nanico e piccole vene azzurre nascevano dal metallo dorato di cui era fatto, il suo potere di fuoco si sprigionò reagendo al mio tocco, era di una potenza smisurata e la runa di elettricità di Dagna mi solleticava il palmo.
Scesi silenzioso e andai alla sala grande, molti nobili erano già levati e presentabili per dare forse l’ultimo, pensai, saluto ai loro eroi, a coloro che si opposero alla magia degli Squarci e a Corypheus, per dare saluto al baluardo che permetteva loro di continuare a vivere le loro vite senza troppi crucci, per dare un ultimo saluto a quello che avevano bollato all’inizio in maniera dispregiativa come l’Araldo di Andraste, ma ora lo era diventato veramente: si aspettavano tutti qualcosa da Elanor, si aspettavano che schiacciasse Corypheus ed il suo esercito e lo uccidesse una volta per tutte.
 
Un passo felino e leggero, un profumo di calendula e loto, una mano d’ebano mi si posò sulla spalla. “Devi esser contento di ciò che è stato trovato al tempio di Mythal, non è vero Solas?” chiese Vivienne con un sorriso indossando una splendida giubba di broccato di seta ed il suo copricapo orlesiano. “Ti stai chiedendo perché quelle rovine mi piacciono, Incantatrice?” si mise a ridere composta, portando la sua mano curata alla bocca. “Anche, Solas, ma mi chiedevo come stai ora che sai che gli elfi erano una potente nazione, un tempo ormai remoto.” “L'ho sempre saputo, Incantatrice: il tempio di Mythal è solo un altro ricordo di ciò che è stato perso.” dissi e la risposta fu un cenno di assenso col capo, fece per andarsene, quando si girò: “Te lo confesso, mi aspetto che troverai il modo di tornare al Tempio di Mythal. Alberga ancora una potente magia, se può esser considerata affidabile…” mi stupì questo commento, e credo che il mio corpo avesse risposto in maniera inequivocabile, si rilassò e tornò ad avvicinarsi. “Per una volta, siamo d'accordo, molte reliquie sono state perse per buona ragione.” dissi spostando il peso da una gamba all’altra, il vociare delle persone attorno a noi si stava facendo incredibilmente soffocante, eravamo sul punto di partire, mi avviai verso l’uscita seguito da Vivienne. “…esplori l'Oblio per scoprire i segreti, no?” domandò l’Incantatrice “Quando mi sveglio ogni mattina tutto quello che ho con me sono i segreti: il potere al tempio di Mythal è tangibile, potente e troppo facile da usare.” sospirò ed il suo viso cambiò espressione: “Non siamo poi così diversi, mio caro eretico. – disse mentre scendevamo gli scalini – Entrambi a quanto capisco crediamo che la magia debba essere limitata e usata in modo sicuro.” mi guardò con uno strano interesse albergato in quegli occhi profondi e scuri come l’abisso ed in quelle labbra carnose, accantonai la cosa “Solo un pazzo ignorerebbe un così forte richiamo alla distruzione di un impero. Possiamo non essere d'accordo su molte cose Incantatrice, ma nessuno di noi due è stupido.” chiarii allontanandomi verso le scuderie.
Cassandra, Varric, io ed Elanor siamo stati i primi: eravamo coloro che diedero inizio a tutto questo e adesso eravamo qui, ancora una volta: più grandi, più maturi, più potenti, più forti, più decisi a mettere la parola fine a tutto questo. Coloro che hanno iniziato, avrebbero anche finito, ottima scelta, ma vhenan, mi dissi con un filo di tristezza. Elanor era già montata sul suo agile halla candido, Cassandra stava ultimando i finimenti del suo possente cavallo da guerra, mente Varric scompigliava scherzosamente la criniera del suo piccolo falabella rassegnato. Io andai al mio castrato baio e lo montai con disinvoltura. “Il tuo amico elfo strano e la draghessa ci hanno preceduto, partendo nella notte.” mi comunicò Varric trottando verso di me, la sua puledra maculata sbuffava seccata. “Hanno entrambi un nome, mastro Tethras.” dissi accigliato. “Suppongo tu abbia ragione elfo. Ah, lasciamo perdere, vorrei solo che questo incubo finisca e che alla fine avremo ancora tutta la pelle attaccata al corpo.” sbuffò il nano pensieroso sistemandosi la giubba. Sorrisi bonario e spronai il cavallo a seguire Elanor: da cui dipendeva tutto.
 
Marciammo a passo sostenuto verso un luogo conosciuto solo da Elanor e dai suoi consiglieri, Culler e Leliana ammantavavo l’Inquisitrice ai fianchi, mentre noi proseguivamo dietro, chiusi nei nostri più oscuri e preoccupati silenzi interrotti dal rumore sordo dei cavalli sul lastricato delle strade. La base da cui Corypheus operava non era mai stata scoperta dalle nostre pattuglie in avanscoperta, la cosa irritava molto sia Leliana che Cullen perché non sapevano su che fronte guardare ed il suo drago non era propriamente invisibile. Sospirai frustrato.
Un bagliore verde. “AAAHH!” Elanor urlò rischiando di essere disarcionata dal piccolo cervide, smontai da cavallo e mi avvicinai a lei quando un braccio di Cassandra si frappose tra me ed Elanor, la guardai, la Cercatrice mi guardò, capii il genere di sguardo e dovetti rassegnarmi alla ragione che intravidi, non potevo. Elanor tremava dal dolore e la sua mano sembrava fatta di creta, creta rotta dalle cui crepe fuoriusciva sangue assieme a dei dei bagliori verdi. “L’Ancora – bisbigliai – la sta…” non riuscii a finire la frase. “…è probabile Solas.” disse la donna distogliendo lo sguardo. Il mio cuore ebbe un fremito. Il cielo si oscurò d’un colpo e le nubi iniziarono a vorticare sopra un punto preciso oltre le colline. “Pare che Corypheus non si accontenti di aspettare.” mugugnai irritato, incapace di dimostrarmi completamente indifferente al dolore di Elanor. “Nella Valle delle Sacre Ceneri? – chiese ironicamente Varric – proprio dove tutto è iniziato. Il nostro amico ha un che di poetico, lo devo ammettere.” “Dobbiamo chiudere definitivamente il Varco, prima che… ouch! …inghiotta il mondo.” ringhiò Elanor a denti stretti cercando di dominare il dolore, il mio cuore era precipitato, la mia Signora dell’Oblio si rialzò fiera e si sistemò sulla sella: “Dobbiamo andare, prima che sia troppo tardi.” Leliana era al comando, il suo sguardo limpido era preoccupato e non nascondeva paura: chissà se era questa la vita che sperava di vivere lasciato il passato da bardo, passando per il compito di mano sinistra della Divina per arrivare ad essere la Capospia dell’inquisizione, se fosse sopravvissuta non avrebbe sicuramente potuto raccontare di essersi annoiata, ma la preoccupazione che le traspariva dallo sguardo era ben oltre il possibile. Davanti a noi le mura diroccate del Tempio delle Sacre Ceneri erano immerse nel buio e nella nebbia umida, colonne appuntite di Lyrium rosso spuntavano dal terreno attorno al Tempio, emanando un crepitio ed una luce ansiosa nel buio del luogo, il viso di Varric era contratto in una smorfia di disgusto e timore. Smontammo dalle cavalcature che lasciammo nella brughiera ai margini esterni del Tempio. Zolle di terra iniziarono a levarsi dal suolo suscitando timori e pensieri, Abelas e Lunus sembravano scomparsi, deglutii rabbioso e presi il mio bastone dalla schiena. 

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Capitolo 17
*** Cap. 17 ***


“Ditemi… – quella voce così innaturale – Dov’è il vostro Creatore adesso?” Corypheus uscì dall’enorme arco del Tempio, sospesa nella sua mano aveva la mia Sfera che emanava una luce rossa, ringhiai al pensiero della sua corruzione, nell’altra teneva un nostro esploratore, un giovane elfo Dalish, lo stesso ragazzo che si unì a noi nella Sacra Pianura. “Chiamatelo – continuò – invocate la sua furia contro di me.” sogghignò e il suo sorriso regalò al suo aspetto qualcosa di ancora più terrificante: mezzo viso era dilaniato e dalla mandibola gli spuntavano cristalli di Lyrium, rossi e pulsanti di vita. I suoi occhi ardevano di piacere mentre i suoi artigli strozzavano quell’individuo ormai esanime “Non potete, perché non esiste!” continuò compiaciuto nel suo discorso gretto. Il suo torace si gonfiò osservando quella che un tempo era la mia Sfera, ispirando la sua aura di potere cremisi “Vi libererò dalla menzogna che vi intorpidisce, io sono Corypheus!” disse e lanciò il giovane contro un masso, sentii la sua schiena frantumarsi nello schianto. Il giovane mi rivolse uno sguardo, aveva ancora un secondo di bagliore agli occhi, il sangue scuro gli colava dalla bocca. Incurante del pericolo mi avvicinai “Dareth shiral, ma Lethallin.” gli dissi, sul viso dell’elfo dai capelli di rame comparve un sorriso sereno. Spirò.
 
“Inchinatevi al vostro nuovo Dio e sarete risparmiati.” concesse il Magister scendendo le scalinate distrutte del Tempio, avvicinandosi agli altri esploratori e a noi, Cassandra era un fascio di nervi pronto a scattare e distruggere qualsiasi cosa le si parasse davanti, strinse l’impugnatura della spada fino a farla stridere. Corypheus allargò le braccia e la mia Sfera prese a sollevarsi in alto, gli esploratori affannati e martoriati si rialzarono a fatica digrignando i denti, dedussi che non si sarebbero mai inchinati al volere di Corypheus. Non sapremo mai se quel gesto fu coraggioso, stupido o entrambe le cose, si opposero impugnando le loro armi, Corypheus era atterrito dalla loro disperata resistenza, sgranò gli occhi furioso come non mai, scrocchiò il collo “Come volete.” disse e la Sfera emanò una nube di fuoco che investì in pieno il gruppo di esploratori, Elanor ed io lanciammo un incantesimo barriera, ma alcuni esploratori furono investiti dalla nube di fuoco senza possibilità di scampo, le loro urla ci avrebbero perseguitato nelle nostre notti a venire, mi dissi, mantenendo la barriera mentre Cassandra e Varric prestavano i primi, doverosi soccorsi ai sopravvissuti. Un Demone del terrore, con il suo corpo alto, agile e scheletrico attaccò gli esploratori che si erano riparati dietro a dei massi, i suoi artigli ferirono e dilaniarono la carne lasciando alle truppe in armatura leggera poche possibilità di sopravvivere. Cassandra non perse tempo e lo passò a fil di lama: la sua mano si sporcò del sangue viscido e scuro del demone, sorrise compiaciuta; avanzammo con le armi in pugno, Corypheus si inchinò omaggiando la nostra presenza “Sapevo che saresti venuta, mia giovane Inquisitrice, o forse dovrei chiamarti Elanor? É questo il tuo nome, vero?” Elanor aggrottò le sopracciglia “Finiamola qui, una volta per tutte!” urlò. Corypheus caricò le sue mani di magia e con uno scoppio fece tremare il terreno sotto di noi. Cademmo privi di equilibrio, quando la terra smise di tremare, l’intero edificio del Tempio e tutti i colli pietrosi che lo circondavano erano sospeso in aria. Sotto di noi, il vuoto.
“Hai avuto un discreto successo nello sventare i miei piani, ma non dimenticare mai cosa sei...” disse Corypheus avanzando verso di noi, traballanti ed increduli. “Sei una ladra, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Un’intrusa, una blatta.” enunciò Corypheus avvicinandosi ad Elanor. “Qui dimostreremo una volta per tutte chi è degno di diventare una divinità.” ghignò malvagio. “Non stai dimostrando nulla con le tue chiacchiere vuote.” lo provocò Elanor e ci riuscì alla grande, Corypheus era livido di rabbia, alzò le spalle e rise con quella sua voce roca. Un passo pesante. Un verso strano, troppo strano, ma l’avevo già sentito, mi dissi, poi un brivido, un ricordo. Haven. L’enorme drago nero di stava arrampicando sulle mura diroccate del Tempio, ci guardava con furia famelica spalancando l’enorme bocca scoprendo file di denti appuntiti. Ruggì in tutta la sua potenza spiegando le enormi ali lacerate. Si librò in volo verso di noi con le fauci spalancate, era la fine.
 
Uno schianto. Un respiro.
Un urlo antico. Due respiri.
Una sferzata di possenti ali. Tre respiri.
Aprii gli occhi. L’immenso drago argenteo era davanti a noi, le sue scaglie brillavano alla luce vermiglia ed irreale di quel luogo, ringhiava e dopo aver deviato il drago di Lyrium si posò davanti a noi, i suoi occhi cangianti ardevano di furia e il suo ringhio sommesso attendeva un motivo di sfogo. Ben arrivata Lunus, pensai.
 
Non sono qui per te, Lupo.
Il suo pensiero mi tuonò in testa chiaro e forte.
 
Il drago di Lyrium era furioso, Lunus attaccò caricando mordendogli il collo spingendolo oltre l’isolotto fluttuante, la loro battaglia si sarebbe svolta in volo, pensai, lasciandoci campo libero per Corypheus; in una nube di nebbia scura comparvero anche Abelas e le sue poche Sentinelle sopravvissute, il suo sorriso era largo e fiero, mi salutò con un inchino quasi cerimonioso.

Il terreno era il nostro campo di battaglia, Elanor sorrise maligna. “Come osi!” minacciò Corypheus “Un drago, che mossa geniale!” ironizzò materializzandosi distante, corremmo con le armi in pugno. Scoccai furioso una lancia gelata. Lui la prese tra le mani ridotte ad artigli e la frantumò in mille pezzi. Ringhiai colpendolo a raffica con la magia di fuoco canalizzata dal bastone e una pioggia di spuntoni gelati. “Non servirà a nulla! Sarà tutto inutile!” la mia sinfonia di battaglia iniziava prendere forma. Corypheus parlava e parlava, io non avevo voglia di ascoltarlo, pensavo solo ad ucciderlo velocemente, volevo la mia Sfera; ho percorso tanta strada per arrivare qui e tanta avrei dovuto percorrerne un domani, avevo tanto da ricordare e poco tempo per cercare quella risposta che finora è sempre stata irraggiungibile, una scarica di magia della mia Sfera mi colpì in pieno, mi sollevò e tutto il mio corpo fu attraversato da scariche elettriche, urlai di dolore sentendo le ossa spezzarsi sotto la pressione di quella magia soffocante. Fui scagliato sulla superficie sconnessa del lastricato, il tonfo mi spezzò il respiro: sputai un grumo di sangue e arrancai fino al mio bastone, mi asciugai il sangue scagliai Tempesta di Fuoco, di colpo l’area attorno al Magister era bombardata da meteore incandescenti. “Cadrete, come monito per coloro che si opporranno alla mia volontà divina!” Abelas con un grido di battaglia spronò le Sentinelle che compatte attaccarono Corypheus senza tregua e senza risparmiarsi, scagliava frecce potenti mirando al cuore del nemico, ma i suoi dardi di manifattura splendida e fatali per chiunque su Corypheus sembravano ramoscelli lanciati per gioco da un bambino, non lo scalfirono nemmeno. Il Magister sfuggì salendo sempre più tra quelle rovine fluttuanti, la Sfera di Distruzione, la mia Sfera era incandescente ed era stretta dalla sua aura magica. Un ghigno orribile comparve sul suo volto distrutto mentre mi guardava “Quando tutto sarà finito indosserò le tue orecchie come trofeo, elfo!” ringhiai in risposta alzandomi lentamente, Varric mi venne in contro per aiutarmi, sorrideva preoccupato sotto l’elmo; lo rassicurai correndo lentamente nella direzione in cui fuggì Corypheus. Ombre d’ira ci circondarono, lottammo come coloro che nulla avevano da perdere: distruggemmo i Demoni dell’ira non senza qualche difficoltà, Cassandra aveva la lama rovinata e cercava di mantenere una certa soglia di autocontrollo, con grande difficoltà ci stava riuscendo. Varric diede un bacio a Bianca, complimentandosi per aver trafitto il trecentonovantacinquestimo Demone dell’anno, il suo viso era teso e preoccupato; poi c’ero io, io che credevo di non essere all'altezza di questo, ho pensato spesso a scappare e ritirarmi da questa mia marcia che aveva il sapore di una costante sconfitta, ad un certo punto la voce di Elanor scacciò il mio dolore: nessuna resa, nessuna illusione, sia nella buona che nella cattiva sorte. Urlò di dolore incatenata dalla stessa nube purpurea che mi imprigionò. Una lancia di ghiaccio mi si formò tra le mani e la laciai, colse Corypheus alla sprovvista che crollò sulle ginocchia liberando Elanor che cadde rovinosamente sul lastricato duro, ma era viva; le corsi incontro e le misi vicino il bastone, un brivido elettrico la attraversò, le misi una mano sulla spalla, una vampata dall’odore pesante e Corypheus scomparve.
Scheggie di Lyrium spuntarono dal terreno trafiggendo i cadaveri dei demoni caduti, schizzando sangue. Cassandra venne ferita gravemente ad una gamba, Elanor si strappò la giubba e le fermo il fiotto di sangue cercando di cauterizzarlo con una magia curativa. Ci riuscì, una nuova cicatrice ornava il corpo olivastro della Cercatrice. Corremmo su una scalinata sconnessa e scivolosa verso quello che una volta era stato il cortile interno del Tempio. Alberi spogli e scheletrici ornavano il lugubre giardino morto, l’unico colore che regnava era il rosso del Lyrium che crepitava ai nostri fianchi. Interi archi murari erano disintegrati perdendo in aria le pietre come in uno strano gioco dell’Oblio “Ma guardati, sei un’elfa, sarai perennemente seconda, sarai per sempre una marionetta. Non sei niente! Una razza di codardi piagnucolanti che indietreggiarono dinanzi alla potenza del Tevinter!” Abelas ed io unimmo i nostri ringhi e corremmo attraverso quel giardino intriso di morte, Elanor reagì alla provocazione scagliandosi con la sua lama magica dell’Oblio sulla mano sinistra, ferì Corypheus al fianco “Osi toccare un simbolo di divinità?” le chiese spavaldo Corypheus tirandole un pugno violento in pieno visto scagliandola sul terreno duro e polveroso. La mia Elanor si rialzò e si lanciò nuovamente contro il nemico colpendolo di nuovo, il sangue del Magister le lavò il viso, compiaciuta ne leccò via un rivolo con un ghigno.

I draghi continuarono a lottare furiosamente sopra le nostre teste riempiendo i pochi silenzi durante la battaglia. I loro echi ruggenti erano lontani e continui, i pensieri di Lunus erano di euforia per una battaglia così entusiasmante, come non ne combatteva da ere. Vedevo il sangue tra i suoi denti colava denso e scuro, alcune squame sul suo ventre erano staccate e sotto la pelle viva pulsava dolorosamente. Dentro una torre crollata aleggiava Corypheus giocando con la mia Sfera corrotta. Varric scaricò una serie di colpi e Bianca strillava di gioia per quell’attività intensa, la runa della corruzione la infiammava di energia, Cassandra era intenta a farsi pagare cara la nuova cicatrice e si scagliò furiosa contro il Magister, Elanor ed io eravamo circondati da Demoni dell’ira e redivivi: le dure creste rosse sulla loro schiena brillavano alla luce della Sfera, combattemmo schiena contro schiena, sfiorandoci con i nostri movimenti in battaglia, cercavo di tenerla al sicuro al meglio che potevo: scagliai Tempesta, congelando i nemici e trafiggendoli con lance di ghiaccio e agevolando Elanor che lo colpì con la Lama magica. Si voltò per un breve istante e mi sorrise, mi sarei penso in quella curva delle sue labbra, avrei voluto perdermici ancora, ma no, non potevo.
Masticai delle foglie di radice elfica per lenire il dolore alle ossa e salimmo di corsa una scalinata piena di macerie, enormi statue erano il nostro pubblico di pietra, in attesa dell’epilogo di quell’ultima, disperata lotta. “Sarai punita con violenza! Affronta la mia collera, essere inferiore!” le parole di Corypheus si scagliarono con violenza sulla giubba stracciata di Elanor che urlò d’incitazione lanciandosi contro di lui, una bomba di fuoco lo colpì in pieno facendolo urlare.
Lunus intratteneva, quasi giocosa, il nemico alato fino a che si scoprì quasi annoiata, colpì volutamente una roccia sospesa staccandone dei pezzi che crollarono addosso al drago nero, distanziandolo, poi puntò il muso verso il Varco che turbinava sopra le nostre teste rischiarendo il cielo di una luce verde. Scese in picchiata voltandosi, veloce e potente come un dardo argenteo Lunus colpì il drago nero e lo afferrò al ventre con le potenti zampe, colò del sangue denso e scuro, l’urlo del drago di Lyrium lacerò il tempo e poi il tonfo. Caddero sul lastricato duro, Corypheus venne sbalzato dall’onda d’urto dei due enormi esseri.
Sul terreno giaceva solo Lunus, ferita, sanguinava copiosamente dal ventre e dal collo, Abelas le corse vicino per aiutarla, lei lo spinse via e crollò a terra priva di forze. Una pioggia di detriti ci cadde addosso, il drago di Lyrium volava immobile sopra la donna-drago, sembrava sogghignasse con quelle sue fauci scoperte cadde sopra Lunus e Abelas, si sentì in lontananza la risata sguaiata del Magister. Il possente drago nero ruggì, rimasi impietrito dall’orrore: alla fine morì anche Abelas e morì anche Lunus, altri frammenti persi, altre anime sacrificate. Esplosi e accecato dalla rabbia attaccai il drago con tutta la forza e la magia di cui disponevo, volevo veder scorrere sangue, volevo bagnarmi di quel sangue corrotto e berne fino a vomitare. Lo colpì ripetutamente con una pioggia di cristalli di ghiaccio spessi e appuntiti, penetrarono a fondo le coriacee squame scure della bestia facendola urlare di dolore, provai gusto nel vederla soffrire. Le scagliai contro il ventre una nube ghiacciata e circondai la bestia da alte mura appuntite e fredde. Le sue grandi ali erano lacerate, ma la sua forza per un combattimento a terra era comunque inimmaginabile, afferrò Cassandra tra le potenti fauci e la strinse, sentii l’armatura cozzare contro i suoi denti aguzzi, provai un senso di impotenza sentendo le urla della donna alla quale stava pian piano frantumando le ossa. Un lampo di luce abbagliante colpì la bestia che urlò accasciandosi al suolo, lasciò cadere e rotolare tra la polvere la Cercatrice, tossì sputando del sangue rappreso rimanendo stesa, Varric le corse incontro e le sorrise. “Cassandra…” disse il nano sfiorandole il viso. “Non adesso, Varric. No… non è ancora il momento.” e si rimise in piedi aiutandosi con la lama oramai distrutta. Urlò di dolore e respirò ad occhi chiusi, quando li riaprì era già addosso alla bestia, più disperata e furiosa che mai. Ferì ripetutamente la zampa posteriore del drago che si accasciò sotto il suo peso, un colpo violento della grossa cosa la arpionò e la scagliò lontano, come un felino riuscì ad atterrare e a frenare la spinta. Il drago mulinò quello che restava delle sue ali attirandoci verso di lui per averci alla portata delle zampe e dei denti affilati. Una sua zampa, grande come il mio busto, mi mancò per poco stracciandomi la giubba sul petto. Ringhiai, i suoi occhi fiammeggiavano dalla sofferenza, ma la vista di tutto quel sangue lo rendeva euforicamente pazzo, incontrollabile. Varric fu colpito al volto da un artiglio, il suo elmo si ruppe in un rumore metallico, il nano crollò sul terreno. Vidi il mio amico esanime, urlai e scagliai una Tempesta di Fuoco sul drago: Elanor era sfinita, si reggeva a malapena in piedi, ma continuava a combattere in mischia evitando i colpi possenti del drago, la sua lama magica penetrò la dura pelle del drago facendolo sanguinare, nei suoi occhi il riflesso azzurro brillava, la sua furia era palpabile.
Mi avvicinai ad Elanor continuando a colpire il drago di Lyrium, le presi la mano e le trasferii buona parte della magia che mi era rimasta, lei mi puntò addosso uno sguardo interrogativo, sorrisi calmo e mi privai della magia quasi completamente, ansimante e dolorante mi accasciai al suolo stordito. Elanor era rinvigorita, il mio sacrificio è stato ben ripagato dalla sua furia. La mia Elanor contrattaccò con nuova forza il drago facendolo indietreggiare. Percepii un battito d’ali, un urlo acuto sovrastò i ringhi sommessi del Drago di Lyrium.  
 
"Praan kotin revak Sovngarde!" tuonò Lunus ferita, ma viva: cadde in picchiata mirando al collo del drago, sentii le sue fauci candide serrarsi attorno alla gola dell’animale. Con un colpo secco il drago argenteo gli spezzò il collo. Gli occhi del drago nero erano spalancati dallo stupore e dalla paura, Lunus non mollò la presa, anzi, affondò i suoi artigli nel petto già martoriato del drago, gli strappò il cuore. Pulsava ancora tra le sue grinfia candide, cristalli di Lyrium rosso spuntavano da quel cuore gocciolante di sangue scuro, il drago era sconfitto: la bestia urlava ancora, agonizzante, Lunus la ferì ancora con lo sguardo, leccandosi i rivoli di sangue denso e scuro che le grondavano dalla bocca: era stanca, sfiancata, ma ruggiva con inaudita potenza. Abelas comparve dietro di lei con l’arco alzato, incoccò la sua ultima freccia che penetrò il drago nell’occhio facendolo gridare ancora più forte, ci chinammo a terra, piegati dal suo lamento. Lunus riprese le sembianze semi umane, in una scia argentea a azzurra prese da terra la spada di Cassandra saldandola alla fine del suo polso, si avvicinò paziente al drago ormai innocuo, si passò una mano tra i capelli di luna e poggiò una mano sulla testa sanguinante del drago nero, lo accarezzò dispiaciuta quasi in pena, sofferente, io rimasi immobile stringendo il mio bastone che fiammeggiava collerico, ma il mio corpo era vuoto di magia, mi raddrizzai a fatica. Un rumore veloce, una ferita profonda, il drago urlò lacerando lo spazio ed il tempo attorno a noi e crollò morto sul terreno polveroso.
 
Una luce, un grumo di luce rossa uscì dal corpo del drago aleggiando nell’aria fetida di quel posto, mi raddrizzai e controllai di avere ancora tutti gli arti in sesto, andai da Varric, ancora steso a terra, il suo ventre si alzava e si abbassava. “Sai elfo, – disse tossendo – una botta del genere credo me la ricorderò anche negli anni a venire… chissà, magari ci farò un libro...” sorrisi, il taglio sulla guancia mi si aprì colando sangue sul colletto della giubba, aiutai il mio amico a rialzarsi. Il frammento di anima di Corypheus galleggiò nell’aria ringhiando di collera. Eravamo alla resa dei conti definitiva. Era veramente la fine. Bevvi un intruglio, l’ultimo, per ricaricarmi di magia e guardai Corypheus riprendere forma. Elanor venne accanto a me, mi guardò con quegli occhi viola e azzurri, sorrisi innamorato com’ero, il suo viso sembrò rasserenarsi. Un cenno del capo e ripartimmo all’attacco con un grido, compatti, stanchi e tenaci, noi quattro, insieme, nella battaglia finale.

“É giunta la fine! – urlò Corypheus – Che il cielo ribolla! Che il mondo venga lacerato!” la Sfera di Distruzione tra le mani del nemico aumentò la sua luce vermiglia spazzando via ogni cosa nel suo raggio d’azione. Sorrise sicuro della sua supremazia “No, non avrete mai questa vittoria! Tu e tutti i tuoi barbari traditori brucerete su questo misero pianeta!” rise. Scaglie del Velo cadevano sul lastricato scintillando e bruciando il terreno attorno a noi, Corypheus stava distruggendo ogni cosa e provava un gusto macabro nel farlo. Il Varco si allargava sempre più, la sua luce verde era pronta a sommergere il pianeta, risucchiandolo, un’esplosione di energia mi scaraventò quasi giù dall’isolotto galleggiante nell’aria, mi aggrappai per pura fortuna ad una radice, la schiena urlava di dolore e temevo che la spalla mi si staccasse dal corpo. Elanor si sporse e mi diede la sua mano, con uno slancio la afferrai all’altezza dell’avambraccio, mi tirò su. Le diedi un ultimo, fugace bacio sulle labbra, trattenendole la testa, mi guardò per un attimo stupita. la mia lingua si introdusse furtiva tra le sue labbra. Ci alzammo e scagliammo le nostre magie più potenti addosso al Magister: Varric e Cassandra erano senza forze, ma lottavano spinti dalla disperata speranza.
Corypheus lanciò in aria la mia Sfera che sprigionò palle di fuoco magico minando il campo di battaglia mentre il Magister attaccava veloce con le sue mani deformi. Varric scaricò una pioggia di dardi contro il nemico che sembrò solo infastidito da un banco di moscerini, il nano sembrava sul punto di cedere. “Non farlo Varric!” gli urlai scagliando in aria Tempesta sperando di attutire le sfere infuocate. “No, hai ragione.” sembrò dirmi il nano riprendendo Bianca e mettendosi il calcio della sua potente balestra nuovamente sulla spalla, mirò e una pioggia di dardi avvelenati colpì Corypheus. Cassandra era sudata e stanca ma il suo braccio colpiva il Magister senza risparmiare colpi, urlava per il dolore, ma non lasciava alcun colpo al caso, colpiva per uccidere. Elanor attivò incantesimi di dissoluzione che colpirono la Sfera annullandone gli effetti, quando Tempesta si esaurì, respirai affannato, abbassai la guardia e Corypheus mi afferrò il collo tra le dita rosse, mi strinse in una morsa sollevandomi da terra, persi il bastone che cadde rovinosamente sul terreno, la pietra incastonata alla sommità si ruppe, una fiamma avvampò: il mio bastone era diventato un comunissimo palo di oro vulcanico, esplosi. Caricai la mia mano di tutta la magia che rimaneva e glie la scaricai addosso, incurante del dopo, volevo ucciderlo, volevo eliminarlo, ringhiai sprigionandogli addosso l’enorme quantità di mana sul volto, la sua pelle esplose rivelando parte del cranio deforme del Magister, urlando mollò la presa che mi stava strangolando e cadde a terra, atterrai anche io ghignando malvagio, la Sfera sopra di noi reagì con violenza alla mia esplosione di energia liberando catene di fulmini rossi che colpivano il terreno squarciandolo, Corypheus alzò il volto, i suoi occhi erano cangianti: assorbì più energia di quanto il suo corpo seppur mutato, riusciva a sopportare, la Sfera era come impazzita scagliando dardi elettrici ovunque, Corypheus provò ad alzare una mano alla Sfera di distruzione “Non così! Ho percorso le sale della Città Dorata, ho attraversato le ere…” disse riprendendo tra gli artigli la Sfera incandescente.
 
Una fiamma verde divampò nella mano di Elanor, l’Ancora era attiva e rispondeva alla magia della Sfera, Elanor dolorante la osservò “Dumat! Antichi! Vi imploro! – continuava Corypheus – Se esistete… se esistete davvero, aiutatemi!” il cremisi della sfera si tinse di una sfumatura verde, Elanor con un colpo riuscì a strappare dalle mani del Magister la Sfera di Distruzione. La mia sfera. Un colpo sordo e la Sfera tra le mani di Elanor riprese a brillare della sua luce originale, avvolta nella sua aura verde splendente la Sfera illuminava il volto di Elanor che la teneva salda sopra la sua mano. Corypheus si afflosciò sul terreno: era stanco, esausto e sembrava senza assi nella manica. Sorrisi e mi avvicinai, presi il braccio di Elanor e la mia Sfera e lo puntai in alto, lei mi guardò, le lacrime le stavano annebbiando gli occhi: il nostro primo incontro, pensai, le sorrisi e incanalai potere rigenerato della Sfera verso il Varco nel cielo.
Un rombo sordo, raggi concentrici di luce verde si sprigionavano dalla ferita nel cielo, un turbine d’aria fece cadere alcune rocce sospese attorno a noi, Cassandra e Varric le schivarono veloci. Io feci appena in tempo a spostare Elanor da una pioggia di grossi detriti, tra cui anche la mia Sfera che rotolò verso di me, vuota. Elanor si liberò in fretta dalle mie braccia e liberò il potere dell’Ancora verso Corypheus con una furia di cui solo lei era capace lo esiliò nell’Oblio mentre il mondo ci stava crollando addosso, e noi stavamo precipitando con esso. 

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Capitolo 18
*** Cap. 18 ***


La ferita che squarciava il cielo era finalmente guarita, brillava di una luce violacea, boreale, nell’oscurità ombrosa. Ma a che prezzo? Presi tra le mani la mia Sfera: Fen’Harel era morto, definitivamente, ululai silenziosamente non sentendo più lo Spirito dentro di me. Crollai in ginocchio privo di forze: distrutto, addolorato, apatico, privo di qualsiasi emozione. Tremavo, con il sudore che si asciugava lungo la spina dorsale, non potevo più fingere. Maneggiai delicatamente il manufatto che si frantumò tra le mie mani, avrei voluto urlare, ma a cosa sarebbe servito? Liberando il mio dolore cosa avrei risolto? Caddi a terra, schiantando le mie ginocchia sul lastricato, semplicemente, mi accasciai al suolo avvolto dalla mia tristezza. Tremavo di rabbia verso me stesso, ero furioso: il prezzo che pagai fu molto superiore a quello che credei anche solo di immaginare. Era finito. Era tutto finito per sempre.
“Solas?” Elanor si stava rialzando dolorante, non ebbi nemmeno il coraggio di voltarmi. “La Sfera…” riuscì solo a sussurrare con un filo di voce, lei si avvicinò accucciandosi al mio fianco, provai un senso di repulsione, quasi odio nei suoi confronti. “So che volevi salvare la Sfera. – disse triste sfiorandomi il viso – Mi dispiace.” mi allontanai di scatto dal suo tocco: non le sarebbe dovuto dispiacere, dannazione, ringhiai mentre le lacrime mi punsero gli occhi, cercai di sopprimerle deglutendo. “Non è colpa tua.” riuscii a dire soffocato, posai la reliquia a terra e mi rialzai sospirando e cercando di ricompormi, dannazione se era difficile. “C’è dell’altro non è vero?” chiese Elanor, il livido che aveva sul volto iniziava a gonfiarsi violentemente, la guardai “Non doveva andare in questo modo. – le risposi triste – Qualunque cosa ci riservi il futuro, non importa ciò che sarà, voglio che tu sappia che quello che avevamo, quello che provavamo, quello che abbiamo vissuto: la nostra relazione, era reale.” le dissi malinconico, temevo un suo abbraccio, volevo che se ne andasse, lontana da me e lontana dal mio dolore. Trattenni le lacrime. “Elanor, sei viva?” chiese Cassandra zoppicando verso di noi, Elanor si voltò verso di lei e alzandosi la raggiunse. Provai una dolorosa fitta al cuore che mi tolse il respiro, non seppi mai se si voltò a guardarmi, non seppi mai cosa provò lei per la mia frase, forse avrà pensato di lasciarmi un momento solo, sicura che mi avrebbe ritrovato più tardi. Forse pensava che mi sarebbe bastata una sua mano sulla spalla coronata dal suo sorriso per allontanare la tristezza e forse lo credevo anche io. Non lo seppi mai.

Fuggii.

Piansi così tanto durante la mia vita lunga e solitaria, ormai non credevo più di avere ancora lacrime da versare. Mi sbagliavo, perché mentre mi allontanavo veloce e disperato dal Tempio, lontano da Elanor, le gambe mi cedettero e caddi a terra, soffocando appena un singhiozzo.
Mi lamentai: la fronte poggiata sul terreno freddo e sporco, le mani che strappano l'erba morta.
Rimpianto, dolore e amore mescolati assieme bruciavano, rendevano il mio respiro instabile ed esausto. Chiamavo Elanor nel pianto, ma vhenan, imploravo la sua presenza piangendo a dirotto, desideravo un suo abbraccio, il suo perdono. Ululavo come un animale ferito che si agitava avanti e indietro con le braccia strette intorno al mio corpo dolorante e scosso. Se lei arrivasse ora le avrei detto tutto, pensavo, tutto senza alcun dubbio, senza alcun pentimento: ciò che ho fatto e ciò che ho in mente di fare e mi lascerei fare qualunque cosa, accetterei qualunque punizione. Affronterei la sua rabbia ed il suo odio solo per vederla ancora una volta e darle ciò che merita: la verità, tutta la verità che ho così tanta paura di svelare, ma ero lontano, lontano da quella nuova casa che iniziava a piacermi, lontano dai nuovi amici coi quali ho inaspettatamente stretto dei legami, lontano dal mio cuore, dal mio unico amore al quale ho fatto del male come la bestia egoista che sono.
Ricordai i suoi occhi e la sua voce rotta nel momento in cui quel giorno a Crestwood mi allontanai, mi avrebbero perseguitato per l'eternità e in eterno avrei ricordato quel suo dolce sorriso, quella sua risata, il suo inebriante profumo di albicocche e quel suo amore travolgente: non potei far altro che piangere ancora più forte. "Mi dispiace, vhenan!" gridai nella mia mente piangendo. Un urlo selvaggio e disperato, animalesco.
"Mi dispiace!"

Non so come ci riuscii, ma sprofondai nel sonno, un sonno cupo e tormentato a cui non seppi dare forma: il dolore fisico mi tediava e il mio continuo dimenarmi lo rendeva ancora più insopportabile. La mia solitudine si fece opprimente, come una corda che si stringe attorno al tuo collo privandoti pian piano del necessario per respirare. Aprii gli occhi e guardai attraverso le fronde alte degli alberi sopra di me, un vento leggero le scuoteva e i grilli frinivano allegri nella notte. Ero ormai distante da loro, da Elanor, da Skyhold e da tutto il resto ero tornato alla mia vita di prima; avevo ripreso ad accamparmi nei boschi e nelle rovine, avrei dovuto riprendere anche le vecchie abitudini per tenere a bada gli animali selvatici che avrebbero potuto uccidermi. Con difficoltà mi misi a sedere sul terreno nudo e polveroso: ero in uno stato pietoso, sia a livello fisico che emotivo, mi guardai le mani, erano escoriate e doloranti, sporche e contuse. I miei vestiti laceri erano un’ulteriore prova del mio disastro interiore ed in più ero fuggito. Premei i palmi sugli occhi doloranti raccogliendo le gambe. Ero distrutto, ma avrei dovuto continuare, mi dissi, se c’era qualcuno che poteva aiutarmi, quella era Mythal e da lei decisi di andare.
Il mattino arrivò crudele come ogni notte passata male, con difficoltà cercai di rimettermi in piedi, ero completamente disarmato, ricordai, il mio bastone era rimasto al Tempio delle Sacre Ceneri, ma non avevo il coraggio di tornare indietro con il rischio di rivedere e ricordare tutto, senza contare che il cristallo del mio bastone era irrimediabilmente compromesso. Ringhiai pungendomi con un ago ricurvo cercando di cucire i calzoni sul ginocchio, un’ombra furtiva si staccò dalla parete rocciosa, deglutii preparando una lancia ghiacciata tra le mani. “Fen’Harel. Sei vivo!” quella voce bassa e profonda. Abelas. La sua figura alta e snella si stava avvicinando a me lenta e tranquilla, non trasmetteva alcun tipo di pericolo, o almeno così speravo fosse. “Sì Abelas, sono vivo.” L’elfo mi guardò abbassando il cappuccio rivelando l’elegante viso ovale, il suo sguardo ambrato si posò sul mio capo chino, ringhiai alla sua commiserazione, ma gli ero grato di essere qui; si chinò sulle ginocchia cercando il mio sguardo, lo accontentai “É una fortuna, – disse con un sorriso accennato – ho visto la tua Sfera, ho visto com’è stata ridotta…” sospirò profondamente dispiaciuto l’elfo. “…cosa pensi di fare adesso? puoi continuare con la tua missione?” chiese, cercai di diminuire il peso di quelle domande “Sto andando da Mythal, lei avrà sicuramente qualche suggerimento…” dissi astioso, poi ripresi il controllo “Sono tutti sani e salvi? Sono rientrati a Skyhold?” chiesi cercando di mascherare il più possibile la mia apprensione, il corpo dell’elfo si distese, posò in terra il suo arco e si sedette al mio fianco “Elanor sta abbastanza bene, se e questo a cui alludeva la tua domanda. Assieme avete distrutto Corypheus e avete definitivamente chiuso la frattura del cielo…” disse indicando il cielo che lentamente si stava rischiarando. “…riguardo al vostro rapporto beh, quella è un’altra storia…” disse l’elfo. Incrociò le gambe e si sistemò l’ampio cappuccio grigio bordato d’oro, i suoi lunghi capelli chiari brillavano alla luce del sole. Sorrise triste. “Che vuoi dire?” chiesi deglutendo. “Sto dicendo merita una spiegazione, non credi? Tu la ami e lei ti ama.” “Certo Abelas, e cosa dovrei dirle? Ciao vhenan scusa, sono scappato per schiarirmi le idee. Volevo chiederti scusa, ho combinato io tutto questo macello, la Sfera di Corypheus in realtà è mia, gliel’ho data io, mi perdoni vhenan? – ringhiai sarcastico all’elfo – No Abelas, la amo è vero ed è per questo che sono fuggito, starà meglio senza di me.” dissi rassegnato al mio tormento continuo. “E lei cosa ne pensa? Gliel’hai perlomeno chiesto?” afferrai il Comandante delle Sentinelle per il colletto della tunica, scoprii i denti in un ringhio basso: sapevo che aveva ragione, aveva enormemente ragione, ma non potevo tornare indietro, non ora. “Deduco di no. – concluse l’elfo trapassandomi con lo sguardo dorato – Elanor e tutti gli altri sono tornati a Skyhold sani e salvi… Lunus è ferita, ma si riprenderà abbastanza bene, almeno lo spero.” disse prendendomi i polsi e staccando le mie mani dalla stoffa della tunica. “E tu quindi, cosa ci fai qui?” chiesi penetrando la sua guardia con la precisione di un arciere. “Io… – sospirò – io sarò il tuo tramite, o meglio, il tramite tra l’Inquisizione e te. Leliana e le sue spie hanno l’incarico di ritrovarti, Fen’Harel… su ordine di Elanor.” sorrisi abbassando il capo, la mia Elanor, scossi la testa, come potevo credere che la mia Signora dell’Oblio si sarebbe data per vinta così facilmente? “Non hanno trovato le tue tracce e non sanno dove cercare: se me lo permetti, ti aiuterò.” promise l’elfo.  Acconsentii alla sua offerta, una mano in più che poteva anticiparmi le mosse di Elanor era ben accetta. Abelas scomparve in una nube scura dal profumo antico.
Ero di nuovo solo, mi accampai a nord del territorio dell’Emprise du Lion: il terreno ghiacciato risplendeva alla luce accesa del sole; era un territorio strano, questo, antico e moderno coesistono negli altopiani del territorio del Leone, antiche reliquie elfiche e rovine di palazzi della mia antica civiltà coesistono sparse mescolandosi tra vivaci borghi umani. Dopo l’aiuto prestato al territorio, il Leone era una zona tranquilla, gli abitanti stavano pian piano riprendendo le loro vite. Contai le mie monete, non erano molte, ma dovevano bastarmi per comprare un bastone da eretico di potenza mediocre, sperando vivamente che bastasse.

Trattare con gli umani non era facile, specialmente se sei un elfo dall’aspetto a dir poco trascurato, sbuffai pagando più del suo valore un bastone da eretico di ossidiana e cuoio di nug: la lama alla fine era smussata, ma viaggiare senza era uno dei modi più fantasiosi e stupidi per morire, lo infilai tra la tracolla e la schiena e ripresi il cammino. Non potevo dire di stare bene, nemmeno un po’ meglio di quando lasciai il Tempio dopo il crollo e la caduta del Magister, cercavo di non pensarci. Pagai l’umano dal viso tondo e dal naso troppo arrossato semi nascosto dalla barba troppo lunga. Sospirai guardando le mie ultime monete: due pezzi d’oro, una decina di monete d’argento ed un pugno di monete di rame, poi guardai i miei vestiti e disapprovai il loro stato. Mi avviai verso l’altra bancarella dove un’anziana donna vendeva vestiti dismessi. Cercai tra i giustacuore qualcosa di meno logoro e meno incrostato di sangue e trovai un farsetto poco lavorato, di ottima manifattura nonostante i materiali grezzi, lo acquistai assieme ad un paio di calzoni di broccato di seta e degli stivali morbidi; pagato profumatamente anche il mio abbigliamento decisi che un bagno in una delle sorgenti calde che sorgevano spontanee nel territorio, non sarebbe stata una cattiva idea.
Mi affrettai ad uscire dal centro abitato, gli sguardi che mi perforavano la schiena erano insistenti e fastidiosi, ma capivo i loro gorgoglianti scoppi di ilarità ed il loro atteggiamento di derisione: ero un elfo e per giunta pieno di lividi e graffi, il mio aspetto faceva ridere anche a me, non potevo biasimarli se mi trattavano come un povero idiota che non sa incassare uno sguardo. Mi allontanai dal piccolo borgo, inoltradomi in un territorio boscoso: sequoie immense avevano preso possesso della zona, antichi muri bianchi ancora in piedi, erano simboli del passato coloniale Elvhen di queste terre, posai la mia roba vicino a quello che rimaneva di un’enorme finestra priva di vetri, uccelli e piccoli animali scapparono impauriti al mio arrivo, trovai un’ampia pozza d’acqua calda, il suo calore avrebbe alleviato il dolore alle ossa, per le contusioni e le ferite avrei applicato in seguito degli impacchi che ancora avevo nella cintura. Mi spogliai in fretta posizionando ad una decina di passi tutt’intorno alla pozza dei glifi di ghiaccio, avrebbero congelato all’istante coloro che osavano avvicinarsi, sospirai, il vento era leggero e freddo, la mia pelle reagiva infastidita al suo tocco, scalzo mi avviai verso la pozza ed entrai. Il suo calore si irradiò benefico lungo tutto il corpo, riuscii a rilassarmi immergendo il mio corpo nella pozza fino alle spalle, restai lì, tranquillo sentendo il calore sciogliere i muscoli ed alleviare il dolore delle ammaccature. Il mio corpo stava ricavando subito dei benefici, la cosa mi piacque. Trovai con facilità i fiori rosa pallido della saponaria, ne presi dei ciuffi e sfregandoli tra le mani ottenni una schiuma abbastanza densa, frizionai il mio corpo nudo immerso nel vapore naturale della piccola sorgente. Uscii e mi rivestii in fretta ancora un po’ bagnato, il sole stava calando e necessitavo di un fuoco per la notte, cercai della legna per accamparmi vicino alle rovine del palazzo elfico. Trovati dei ramoscelli secchi con un piccolo incantesimo accesi il fuoco, il suo chiarore confortante mi colorava il viso. Ero solo, drammaticamente solo, fino ad allora non potei mai dire di aver passato una vita del tutto solitaria: il Lupo era sempre al mio fianco e quando avevo voglia di parlare lui c’era, ora non lo sentivo, era come se mi avessero privato di una parte di me, svanì come un’ombra alla luce del sole, semplicemente. Addentai della corteccia di betulla cercando di applicarmi dell’unguento di calendula sui tagli del viso, bruciavano da impazzire. Era solo una fortuna che non si fossero già infettati, concessi.
“Tieni, Fen’Harel. Ti serviranno queste…” una voce squarciò il silenzio che albergava in quel luogo, la riconobbi. “Che ci fai qui Abelas?” chiesi masticando feroce il mio pasto scarso “Copro le tue tracce.” disse raccogliendo da terra i vestiti logori. Sospirai. “Come sta Lunus?” attaccai nella speranza che fosse la miglior difesa dalle sue domande “Sta bene. Per fortuna si sta riprendendo più in fretta del previsto… è una fortuna.” disse l’elfo porgendomi una sacca con del cibo, del vero cibo. La presi e lo ringraziai, si sedette vicino al fuoco abbassandosi il cappuccio, la luce calda e potete del fuoco regalava tratti paglierini all’ormai non più giovane elfo, mi sorrise cupo e preoccupato “Tu e Lunus… – cercai di dire – siete…” Abelas mi guardò quasi stupito dalla mia non domanda “É… complicato…” rispose tentennando, mettendosi le mani ai fianchi scarni “Hai mai sentito parlare dei Dovah e dei Dovahkiin, Lethallin?” chiese intrecciandosi le dita delle mani. “Ne ho sentito parlare durante le mie peregrinazioni nell’Oblio: erano ricordi ancestrali, arcani, addirittura più antichi della nostra razza, ma cosa c’entra questo con la mia domanda?” “Nulla, ma credo sia più importante che tu sappia che Lunus è l’ultimo Dovah e in quest’era esiste anche un Dovahkiin, …e tu a quanto pare la conosci meglio di chiunque altro.” disse l’elfo. I miei occhi si spalancarono rivelando i bagliori dorati alla luce del fuoco ardente “Che cosa?” riuscii solo a chiedere, la voce mi si smorzò in gola. Tossii “Lunus ha percepito il suo urlo, Fen’Harel. L’ultimo Dovahkiin ora siede sul trono dell’Inquisizione.” disse Abelas freddo “Com’è possibile?” chiesi spaventato. “Non lo so, una volta Lunus mi raccontò del suo passato. Erano una civiltà potente e prospera, erano numerosi e governavano il pianeta con cura e devozione: una razza che seguiva il ritmo della natura senza forzarla, in questo devo dire che le nostre razze si assomigliavano molto… poi una catastrofe piombò sull’intero pianeta spazzando via tutto, fu un massacro: l’aria incandescente bruciò le loro ali impedendo loro le vie di fuga, morirono a centinaia sconvolti dal clima mutato così repentinamente, scamparono poche decine di uova e ancor meno esemplari sviluppati e in forze.” il racconto della vita della donna-drago era intriso di tristezza, offrii all’elfo una tazza di infuso, la prese e ne bevve un lungo sorso. “Rimaneva poco da cacciare, – continuò Abelas – e i pochi Dovah sopravvissuti dovettero fare i conti con la fame, quella vera, quella che ti porta a guardare i tuoi simili e sperare che muoiano prima di te per poterti cibare dei loro resti.” disse posando il boccale in terra “E le uova?” chiesi, l’elfo ambrato sorrise. “Le uova si schiusero millenni dopo, mio caro fratello. Lei era giovane, troppo e non era forte, ma poteva sopravvivere, il suo compito primario era quello di vegliare sulle uova per proteggerle, cercò il più possibile di adempiere al suo compito, ma era sempre più debole: doveva mangiare, ma per cacciare avrebbe dovuto allontanarsi dalle uova. Dai cieli arrivarono i primi elfi, provenienti dalle lontane stelle, presero possesso del mondo lo ricostruirono proliferando e aiutarono come poterono i pochi draghi rimasti.” rimasi silenzioso ascoltando la storia della donna-drago, era come vivere in un deja vu, un ricordo lontano e doloroso; presi un bastoncino secco ed iniziai a fare disegni sul terreno spoglio “Con arcani rituali vincolarono le creature nelle uova a creature mortali, generarono degli ibridi che morirono dopo atroci sofferenze, lasciando in vita solo lei.” continuò l’elfo mettendo altra legna sul fuoco. Ero costernato e allo stesso tempo sbalordito “Mythal diede un compito a noi Custodi e protettori del Tempio, – continuò Abelas guardando le fiamme e scavando nei ricordi – decise di creare un luogo sicuro: una gabbia dorata per lei, per tenerla al sicuro e impedire che l'ultimo vero Drago morisse. Lunus era riluttante all'inizio, ma la mia gente dimostrò il suo valore e Lunus si vincolò alla Dea, giurando poi di proteggere il Santuario. Ha avuto un motivo più che valido per svincolarsi da quel giuramento: percepì un urlo qualche mese fa, proveniva da lontano, capì che una forza si stava risvegliando, una forza a lei familiare e rassicurante e un sentimento di protezione verso la sua stirpe si era come risvegliato in lei, qualcosa di forte, di feroce e di puro, percepì il risveglio di un Dovahkiin…” lo guardai e gli chiesi come mai fosse certo che si trattasse proprio di Elanor, com’era possibile? Abelas scoppiò in una risata isterica. “Quando tornò da sola dopo la vostra fuga verso Crestwood aveva un’aura diversa, più potente e più indomabile. Il dolore ha risvegliato il suo antico potere assopito: è potente Fen’Harel. Molto potente.” rimasi a bocca aperta. Era stupefacente, ero sbalordito ancora, se non l’avessi creduto possibile, giurai che il mio amore ed il mio orgoglio nei suoi confronti era cresciuto, lo sentivo accarezzarmi il cuore.
“Elanor, ma vhenan.”

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Capitolo 19
*** Cap. 19 ***


Si narra che Corypheus si fosse risvegliato da un lungo sonno, trovando il mondo in preda al caos. Egli lottò per tornare a quei giorni di magia e ombra, per erigersi come nuova divinità e mettere le cose a posto. Ora in cielo è visibile una cicatrice a ricordarci gli eventi che furono. Ci narra di una grande vittoria contro il caos, ma che ha cambiato il mondo per sempre.” lessi a voce bassa le parole scritte con calligrafia minuta, femminile, sulla pergamena affissa sulle mura di una locanda. Sorrisi alle parole vergate dal banditore, sembravano quasi vere, quasi potenti, quasi a porre fine a tutto. Sospirai e mi abbassai il cappuccio: questa notte, decisi, l’avrei passata all’asciutto e al caldo. Le mie ossa dolevano dagli sforzi del cammino, erano settimane che non facevo altro che camminare, solo e scontento, di Abelas non ebbi più notizie ed io cercavo di non farmi trovare nemmeno da lui, ora che in Elanor si sono risvegliati i poteri dei Draghi sarebbe diventata ancora più potente nello spirito e nella magia, ero orgoglioso di lei. Entrai nella taverna. Sgorbio Incomprensibile, il suo nome mi avrebbe dovuto preparare al tipo di posto che mi aspettava varcando la porta. Si trovava tra dei vicoli stretti e puzzolenti di un piccolo borgo umano, a sud del territorio del Leone, era una piccola bettola sgangherata dalle pareti di legno e calce, vagamente tinte di un intonaco giallo ormai scrostato. L'insegna era un pezzo di legno marcito che forse, molti e molti anni prima, recava dipinto un simbolo che permetteva agli abitanti della città di riconoscere la taverna, ora la si riconosceva, per altri motivi supposi.
L'esterno del locale prometteva esattamente ciò che l'interno manteneva: una pessima accoglienza a prezzi stracciati per chi non si poteva permettere altro come me, un elfo mago eretico e vagabondo. Uno spesso strato di caligine dovuta al cattivo tiraggio ornava le mensole sopra il camino piene di oggetti intagliati, candele di sego e grasso di cane usate come illuminazione e gravi abitudini tabagiste degli avventori, questa coltre di fumo ed odori nauseanti a volte, sperai, si diradasse permettendo di vedere scorci di una sala dal soffitto basso, ingombra di tavoli tarlati e traballanti. Vari relitti di vita, viventi e non o non più, riempirono il resto dello spazio affollandosi attorno al bancone di mescita il cui aspetto pensai fosse il risultato di un lungo lavorio di coltelli e sostanze corrosive prodotte da generazioni di menti offuscate dalle peggiori sostanze alcoliche a basso costo. Un fuocherello asfittico faceva pallida mostra di sé nel camino, unica parte di mattoni dell'edificio mentre su tutto il resto si stende, democratico, uno strato di sporcizia appiccicosa che giurai fosse il solo materiale che tiene insieme la taverna. Sbuffai schifato mettendomi un braccio davanti al viso, l'odore era rivoltante. Provai del vivo e serio pentimento per aver lasciato Skyhold e per essere costretto dal mio corpo e dalle temperature proibitive a passare la notte in questa bettola. Dietro al bancone c'erano sono alcune botti, una fila di bottiglie polverose e una botola che scendeva in una piccola cantina, dove erano probabilmente stipate le riserve alimentari della taverna, ben al riparo da occhi indiscreti che potrebbero inorridire di fronte alla dubbia qualità della merce.
Una scala corta con alcuni gradini mancanti porta al sottotetto, dove intravidi alcune amache appese tra le travi, sgraffignate in tempi oscuri e fungevano da miseri giacigli per i clienti avventurosi che pernottavano. Il pavimento attorno a me era ingombro di pignatte che servivano alla bisogna da vasi da notte, intuii dal fetore, e da contenitori per l'acqua che filtrava dal tetto e dalla soletta quando piove. Ebbi un conato di vomito.
Avanzai rassegnato nella coltre odorosa del locale fatiscente, tossendo asmatico. Sedetti al bancone scuro in volto, cercando di sistemarmi alla meglio su quello sgabello traballante e fastidiosamente scomodo. Una donna sdentata e grinzosa si voltò verso di me, sorrise e il suo enorme seno in bella vista avanzò fino a pochi centimetri dal mio viso, tossì schifato. “Bene bene, cos’abbiamo qui stasera? – chiese la donna posando il gomito sul bancone – che bel faccino hai, mio piccolo e tenero elfo…” non avrei potuto dire lo stesso, rimasi in religioso e composto silenzio, un solo respiro e sarei potuto morire soffocato da quell’odore fetido di sudore e cibo andato a male. “Sei di poche parole, meglio, così contratterai poco.” disse la donna sbattendo uno straccio lurido sul bancone cercando di pulirlo. I pochi clienti della taverna bisbigliavano osservandomi, sentivo i loro sguardi solleticarmi la schiena con curiosa ossessione, cercai di non farci troppo caso. “Sei qui per consumare, mio piccolo figlio dei boschi o solo per scaldare il bancone?” chiese infastidita la vecchia “Vorrei del cibo ed una stanza dove dormire.” risposi breve e speranzoso. “Una stanza dove dormire?” chiese la carampana ridendo di scherno. “Bellimbusto – mi disse prendendomi per il bavero del farsetto – qui non siamo ad Halamshiral, nel caso tu non te ne fossi accorto. Per te c’è un’amaca sopra la scala, sempre che tu possa permettertela.” finì puntandomi addosso il suo sguardo strabico. Annuii senza emettere un fiato tirando fuori dalla tasca una moneta d’argento. Il viso della donna si illuminò e con uno scatto si staccò dal mio viso e prese la moneta, se la passò tra le dita e la tastò con i denti, sorrise. “Bene giovanotto, non sei il pulcioso morto di fame che credevo fossi, ti sei meritato un pasto completo, una branda e …un altro servizio, se capisci cosa intendo.” temei di capirlo quando vidi la donna slacciarsi il lurido intrico di fili che aveva annodato davanti al seno prosperoso e floscio. Persi di colpo l’appetito. “Mi bastano il cibo e l’amaca.” dissi deglutendo rumorosamente, pensando ad Elanor e alla sua bellezza slanciata e al suo profumo dolce e avvolgente, gli occhi mi stavano uscendo dalle orbite. Mi venne servita una specie di zuppa fatta di alghe di fiume, con l'aggiunta di pane abbrustolito e sfregato con aglio, qualcosa mi fece temere che questo piatto fosse il migliore di tutta la locanda. Lo guardavo rassegnato e sconvolto, giocando con quella poltiglia acquosa dal colore indescrivibile, sentii il mio umore crollare più a fondo di quanto credevo possibile. Giocavo con l’intruglio quando un gatto mi balzò sulle gambe, lo guardai e lui indifferente prese a leccarsi la zampa. Cercai di mangiare con quell’ammasso di pelo nero acquattato sopra di me senza troppo successo: le alghe che penzolavano sembravano risvegliare i suoi istinti predatori. Non riuscii a finire il pasto che avevo pagato profumatamente, non mi restava che sperare di passare una notte decente. Mi alzai dallo sgabello facendolo stridere sul pavimento marcio e sconnesso e salii la scala fino al sottotetto. Presi posto sull’unica branda disponibile. Sopra di me una voragine nel tetto mi faceva ammirare il cielo stellato. Pregai affinché non piovesse nell’arco della notte.
 
Ghiaccio e ruderi grigi attorno a me: un cristallo verde sospeso sopra la mia testa si distorceva e ad ogni cambiamento, ad ogni nuovo spuntone, un Demone faceva la sua comparsa in questo mondo. Ero debole e stanco, ma combattei quelle creature mostruose mentre il crepitio dello Squarcio sopra di me si faceva assordante, Varric indietreggiò posandosi sulla mia schiena. “Accidenti, ma quanti ce ne sono?” chiese adirato il nano dai capelli di rame sanguinando copiosamente dal naso rotto, non risposi lanciai i miei deboli incantesimi di ghiaccio paralizzando quelle creature, congelandole al suolo. Sopraggiunsero due donne: un’umana, la Cercatrice Cassandra Pentaghast, ringhiava furiosa attaccando quelle mostruosità senza freno e poi un’altra figura, un’elfa, la stessa elfa che venne sbalzata fuori dal Varco dopo l’esplosione del Conclave. I suoi lunghi capelli corvini erano raccolti alla nuca con una crocchia, lo sguardo violetto sopra i fini rami del vallaslin emanava energia magica ed il suo corpo snello sembrava danzare leggero accompagnando i fluidi movimenti del suo bastone, colpi elettrici martoriavano quelle creature. Era ancora viva e quella magia che stabilizzai con fatica rischiarava vivace il palmo della sua mano sinistra inondandola di riflessi verdi. Ebbi un sussulto irriconoscibile al cuore, non seppi capirne il motivo. No, non poteva essere lei. Scrollai in fretta quel pensiero e corsi da lei, mi avvicinai e le presi la mano rivolgendola allo Squarcio che si contorceva sopra di noi. “Presto! – le dissi – prima che ne arrivino altri!” Un boato e un’energia strana ci avvolse e ci tenne incollati allo Squarcio. Un tuono ed un crepitio, poi la frattura del Velo scomparve in una pioggia luccicante. L’elfa si ritrasse verso Cassandra guardandomi confusa e dolorante “Cos’hai fatto?” chiese sospettosa squadrandomi con quei suoi occhi vibranti. “Io non ho fatto nulla, – dissi alzando le spalle – il merito è tutto tuo.” piantai il bastone nella terra gelida sotto i miei piedi. “Di questo, vorrai dire…” quasi sussurrò guardandosi il palmo della mano sinistra ammantato da una vivida luce chiara. Annuii “La magia che ha aperto il Varco nel cielo è la stessa che ha marchiato la tua mano. – dissi cercando di non essere troppo presuntuoso – Ho ipotizzato che quel Marchio potesse chiudere gli squarci creati con il Varco. Fortunatamente la mia ipotesi si è rivelata corretta.” dissi sorridendo allungandomi, stirando la schiena. “Allora si può chiudere il Varco?” mi chiese Cassandra affilando lo sguardo. Quella donna riusciva a mettermi ansia. “É possibile – risposi – sembri possedere la chiave della nostra salvezza.” dissi rivolgendomi alla giovane elfa. Mi sorrise. “Buono a sapersi! Temevo che non ci saremmo più liberati di quei demoni.” la voce del Figlio della Pietra sovrastò le nostre, intento a sistemarsi i guanti con fare assolutamente indifferente. Lo guardai avvicinarsi a noi: “Varric Tethras: spirito libero, cantastorie e all’occasione compagno di avventure poco gradito.” si presentò all’elfa, risi mentre la Cercatrice sbuffava disgustata, Varric ammiccò alla donna “Sei della Chiesa?” domandò spaesata l’elfa. Non seppi trattenere oltre la risata “Dici sul serio?” l’elfa dagli occhi colore del tramonto mi trucidò con lo sguardo, ma trovai la scena ancora più divertente. Ridacchiai. “Tecnicamente – rispose Varric – sono un prigioniero come te.” Cassandra sbuffò: “Ti ho condotto qui per riferire alla Divina la tua versione della storia, ora che il Conclave è esploso non è più necessario.” puntualizzò la donna guardando il nano. “Eppure eccomi qui! – rispose Varric alzando le spalle – E per tua fortuna direi, visto i recenti sviluppi.” Cassandra scoprì i denti disgustata.
L’elfa di cui non conoscevo ancora il nome mi si avvicinò e mi sorrise, ricambiai il sorriso e la guardai, era bellissima, pensai spostando quasi subito il mio sguardo imbarazzato, tossendo leggermente, dovevo cercare di non arrossire anche se non potevo controllare il sangue che mi arroventava il viso “Felice di conoscerti Varric.” disse lei entusiasta “Nel caso avrei tutto il tempo per ricrederti!” dissi ridacchiando guardando il nano con un sorriso complice. Il nano mi rispose ridendo “Oh, so già che diventeremo grandi amici qui nella Valle, spiritosone!” “Assolutamente no! – ci interruppe la Cercatrice della Verità impugnando la spada – Grazie della disponibilità Varric, ma…” “Sai com’è ridotta la Valle? I tuoi soldati non la controllano più, Cercatrice, hai bisogno di tutto l’aiuto possibile.” la interruppe Varric sorridendo compiaciuto. “Il mio nome è Solas, comunque, sono lieto di vederti ancora in vita.” mi presentai alla giovane elfa dagli occhi di ametista. Sorrisi dolcemente. “Tradotto: Ho impedito a quel marchio di ucciderti mentre dormivi.” disse Varric, mi grattai imbarazzato la nuca. La giovane si girò verso di me e tentò di catturare il mio sguardo sfuggente “Grazie per aver vegliato su di me – disse arrossendo – Conosci il marchio?” chiese poi curiosa con un filo di voce avvicinandosi a me. Sorrisi. “Solas è un eretico, esattamente come te.” spiegò la Cercatrice. Alzai un dito: “Per la precisione Cercatrice, ora tutti i maghi sono eretici. Nei miei viaggi ho avuto modo di approfondire la conoscenza dell’Oblio, come nessun mago del Circolo potrebbe mai fare.” cercai di spiegare calmo. “Sono venuto volontario per fornire tutto l’aiuto di cui sono capace. Qualunque sia l’origine del Varco, se non lo chiudiamo sarà tutto perduto.” il mio sguardo non riusciva a svincolarsi da quello della giovane elfa. La gola mi si strinse, era… strana, piacevole, dolce e curiosa. “Un gesto encomiabile. Io sono Elanor.” si congratulò presentandosi la giovane elfa, una ciocca di capelli le sfuggì dal fermaglio e spavalda le cadde sul lato destro del viso, mi sorrise ancora. Annaspai “Razionale direi, ultimamente il buon senso sembra scarseggiare. – le risposi – Cassandra, devi sapere che la magia all’opera qui è di un tipo a me sconosciuto.” dissi rivolgendomi alla donna intenta a sistemarsi le cinghie dell’armatura. “La tua prigioniera è una maga, ma dubito fortemente che un mago qualsiasi possa sprigionare un simile potere.” dissi nella speranza di placare i sentimenti combattuti della donna che annuì con un cenno del capo, sorrisi ad Elanor e mi persi, affogai volentieri nel violetto profondo di quegli occhi.

Una secchiata d’acqua putrida mi riportò nel mondo reale, caddi rovinosamente sul pavimento del sottotetto. La padrona della locanda mi destò con una risata maligna “Avanti, elfo, porta le tue chiappe secche fuori di qui, a meno che tu non voglia pagare ancora per stare qui.” mi alzai ringhiando, puzzando di acqua salmastra e fumo. Presi le mie cose e in fretta mi diressi fuori da quel posto schifoso, mi incamminai, mancavano pochi giorni di cammino all’altare di Mythal. Digrignai i denti e mi rimisi in viaggio. Un fruscio leggero tra gli alberi in quella calma giornata di fine autunno attirò la mia attenzione “Di questo passo, la tua scia odorosa attirerà perfino le spie di istanza alla Costa Tempestosa!” ridacchiò Abelas appollaiato a cavalcioni su un grosso ramo coperto di muschio. Lo guardai corrucciato, il mio naso si era abituato al mio odore, il suo no e temei fosse terribile. Sbuffai “Che ti è successo? Brutta nottata?” chiese l’elfo dai lunghi capelli biondi saltando giù dall’alto ramo agile e veloce come un gatto “Non puoi sapere quanto.” sospirai affranto. “Sogni passati, lotte future e luoghi inospitali non saprei cos’altro possa rendermi la vita peggiore di quello che già è.” lamentai sedendomi a terra con un tonfo iniziando a levarmi il farsetto. “Sicuro di questa tua ultima frase? Fossi in te non sfiderei la sorte…” disse Abelas serio posando il suo sguardo sopra di me, i lineamenti dell’elfo si fecero d’improvviso duri. Deglutii. “Cosa… che sta succedendo? Si tratta di Elanor?” chiesi preoccupato. Un rivolo di sudore solcò la mia fronte, i miei occhi preoccupati si spalancarono osservando ansiosi l’elfo che si stava lentamente avvicinando a me. Tossì. “Ci sono cose che devi sapere, Solas.” disse l’elfo mettendomi davanti un cambio pulito di calzoni e una bianca giubba da incantatore di fattura pregiata, balzai in piedi come una molla afferrando l’elfo per il bavero della tunica, alzandolo di peso. “Cosa sta succedendo? Spiegati elfo!” ringhiai. “Prima devi calmarti, sediamoci e parliamo.” lo guardai con gli occhi iniettati di sangue, scoprii i denti candidi in una smorfia astiosa, lo lasciai spingendolo. Abelas fu sbilanciato, ma non cadde. La mia Elanor, pensai, cosa le stava succedendo? L’ansia e il panico stavano avvolgendomi nella loro potente morsa. I miei polmoni stavano collassando, provai a respirare ma la mia gola mi sembrava ostruita. Gli occhi dell’elfo fissi su di me mi ferivano, il mio corpo si irrigidì. Cercai di smettere di pensare, cercai di respirare, ma era uno sforzo troppo grande da sopportare. I pensieri continuavano a turbinare nella mia testa, martellandomi le tempie. Mi chiesi se fosse colpa mia, se potevo fare ritorno ed esserle d'aiuto. Lo sguardo di Abelas si fece ancora più serio, serio come non lo vidi mai, in quei momenti mi odiai e odiai il mio essere così patetico. Le mie gambe mi abbandonarono e il mio cuore sembrava sfondare la mia cassa toracica. Ansimai sfinito.  “Non sarà piacevole, Solas, – iniziò l’elfo chinandosi di fronte a me – Elanor sta avendo difficoltà con l’Ancora, il suo braccio… il suo braccio è compromesso, quella magia temo possa ucciderla. Il giovane Tev sta tornando di corsa a Skyhold mentre Vivienne cerca di stabilizzare il potere di quella magia con le pozioni, senza troppi risultati come puoi immaginare. Le urla di Elanor squarciano le notti della fortezza.” sospirò Abelas, non sapevo cosa dire.
Quella magia stava pian piano assorbendo la forza vitale di Elanor, l’avrebbe consumata a breve, come un parassita potente per cui nemmeno io avevo una cura definitiva. Presi il mio viso tra le mani e dondolai maledicendomi, urlandomi addosso tutto il mio odio “…e non è tutto.” la voce di Abelas si incuneò tra i miei pensieri più biechi. “Cosa?” chiesi con voce rotta dal pianto. “Che altro ci può essere?” chiesi urlando con gli occhi annegati di lacrime. Abelas sospirò e vagò con lo sguardo. Stette in un silenzio, un silenzio teso e cupo, poi si voltò, il suo sguardo mesto si posò sul mio viso. Aprì le labbra ambrate: “Elanor aspetta tuo figlio.”  
Deglutii ansioso, il turbinio dei miei pensieri si congelò in quel momento. Elanor aspettava un bambino, il nostro bambino ed erano entrambi in pericolo a causa di quella magia sbagliata che la stava pian piano corrompendo. Un brivido mi percorse la schiena, una paura folle si insediò dentro di me legandomi un cappio al collo. Forse avrei dovuto tornare, mi dissi, forse avrei potuto fare qualcosa, ma cosa? Non ho più i poteri del Temibile Lupo, ero solo un mago eretico. Piegai la mia testa in basso, le lacrime uscivano senza controllo dai miei occhi, se avessi voluto apparire patetico e stupido quello era senz’altro il modo giusto “Smettila di commiserarti per favore.” ringhiò Abelas rimanendo immobile, il suo sguardo era appuntato sulla mia nuca. “Perché? Perché non dovrei sentirmi un verme? Elanor e mio figlio rischiano di morire per colpa mia ed io non ho i mezzi per salvare nessuno dei due! Sono un mostro, un mostro peggiore di coloro che ho bandito!” urlai singhiozzando portandomi le mani al viso, l’elfo ambrato sospirò. “Non è vero, e lo sai. Pensaci Fen'Harel: hai condiviso con lei il tuo posto sicuro e i tuoi sogni nell'Oblio perché ha capito da subito il tuo punto di vista senza giudicarti. – cominciò l’elfo dalla pelle ambrata – Capisco la tua delusione e il perpetuo senso di smarrimento in cui ti avvolgi, capisco la tua angoscia nell'aver visto i frammenti inanimati della tua Sfera e conosco bene le domande che ti sei posto, Lethallin. Le hai rimosso il vallaslin, ma l'hai fatto diversamente da come hai tolto gli altri, sei riuscito a vedere attraverso quegli occhi, per una volta hai tralasciato la diversità che sempre ha ostacolato le vostre culture e l'hai amata come non hai mai amato nessuno. Ti ha amato anche lei e ti ama tutt'ora nonostante si chieda costantemente il perché della tua fuga. Ama quel bimbo che porta in grembo, ma non so se riuscirà mai a darlo alla luce. Solas, devi fare qualcosa, te ne prego.” temevo di sentire quelle parole, la verità la conoscevo e probabilmente l’ho sempre conosciuta anche se ho tentato di schivarla per convenienza “Devo quindi scegliere…” dissi provato, le mie mani tremavano ancora, le mie lunghe dita non rispondevano ad alcuno stimolo volontario, ero come paralizzato dai tremiti. “Sì Fen’Harel e non hai molto tempo. Cerca Mythal nel corpo della strega, possiede le risposte alle tue domande.” cercò di incoraggiarmi l’elfo, sospirai stanco cercando di riprendere il controllo del mio corpo. Un figlio, pensai, non lo credevo possibile, ero terrorizzato ed euforico allo stesso tempo e quest’onda di sentimenti si infrangeva contro di me schiacciandomi contro la parete dei miei dubbi. Alzai i miei occhi verdi verso l’elfo che volontariamente era di fronte a me e stava assistendo all’ennesimo mio fallimento. Rassegnato cercai di rimettermi in piedi, mi spogliai del farsetto e dei calzoni luridi, mi avvicinai barcollando verso il fiume e cercai di lavarmi di dosso odore, sporcizia e preoccupazioni, senza troppo successo. Mi stesi al sole, in silenzio, sopra un prato soffice. Il bosco che ci circondava tingeva i miei pensieri di colori accesi, le foglie d’acero coloravano di raggi vermigli la mia pelle chiara. Respirai profondamente e chiusi gli occhi, il frinire delle cicale attorno a me mi racchiudeva in un bozzolo di calma dolorosa per la quale dovetti comunque ringraziarle. Il mio corpo era ancora scosso dagli spasmi, Abelas silenzioso ed instancabile preparò un piccolo fuoco per far bollire dell’acqua. “Grazie Abelas.” dissi sospirando posando le braccia al petto e con un’esplosione di magia separai la mia anima dal corpo. Risalii nel cielo terso vedendo il mio corpo arrendersi alle leggi del mondo mortale. La mia mano crollò come morta sul tappeto erboso. Fissai dall’alto l’elfo ambrato urlare correndo verso il mio corpo, scuotendolo con forza senza risultati. Sorrisi deciso ed entrai nell’Oblio.

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Capitolo 20
*** Cap. 20 ***


L’Oblio, dopo la caduta di Corypheus era tornato un luogo tranquillo. Spiriti mesti lo popolavano vagando leggeri immersi nei loro ricordi. appoggiai un piede sul terreno chiaro e mi guardai attorno: cascate color porpora cadevano da ripide pareti cangianti delle quali non scorgevo neppure la cima, alberi enormi le cui foglie violacee erano ben saldi sul terreno secco di quel bosco, cercai con calma di orientarmi. Spesso quando l’oppressione del mondo si faceva troppo pesante fuggivo qui in sogno, era come avere un luogo da chiamare casa, dove si dovrebbero incontrare familiari e amici, quelli erano i miei unici amici adesso, lo sono stati anche un tempo, prima di Corypheus e prima di Elanor. Sbuffai triste e mi incamminai, chissà se l’aura dello Spirito di Saggezza, del mio amico, si stava riformando. Presi a camminare in quella direzione, tranquillo, silenzioso e avvolto nei miei pensieri, mi estraneai comletamente. Vagai tra quegli alberi enormi dai tronchi spugnosi ricoperti di rampicanti dai colori accesi, mi arrampicai su un crinale roccioso poco più alto di me, sulla cima spoglia e brulla mi sedetti e osservai il cielo verde sopra di me, posai le mani sotto la testa sbadigliando e ciondolai le gambe rimaste a penzoloni. Era raro ultimamente che riuscissi a tranquillizzarmi, pregai di riuscirci qualche minuto prima di voltarmi e scoprire se l’aura del mio amico Spirito c’era e stava crescendo. Non sarebbe stato il mio amico, certo, ma mi rincuorava l’idea che almeno lui potesse ritrovare la pace rinascendo qui. Sorrisi speranzoso. Mi ritrovai a pensare, malinconico e sognatore, al mio primo bacio con Elanor. Dopo il nostro insediamento a Skyhold, quando la fortezza versava in uno stato di abbandono ed i lavori di messa in sesto erano appena iniziati, la riportai ad Haven in sogno. Per lei sarebbe stato un luogo chiave, un punto di partenza, un fulcro da dove fare leva per vincere la battaglia che è stata. Quando la prima volta le sollevai il braccio verso lo Squarcio, provai qualcosa, sentii cambiare il mondo attraverso la mia pelle a contatto con la sua. “Hai sentito il mondo cambiare?” chiese lei guardandomi con quegli occhi grandi, sorrisi impacciato. “In senso metaforico.” tossii imbarazzato. Non era facile essere solo con lei, nemmeno nell’Oblio dove tutto mi era estremamente più facile. “Quello l’avevo capito, ma… – disse avvicinandosi a me lenta e snella, potevo perfino sentire il profumo dei suoi capelli sciolti, mossi dal vento – vuoi dire che hai provato qualcosa?” chiese infine fermandosi con il viso a pochi centimetri dal mio. “Tu cambi… tutto.” risposi cercando di indietreggiare da lei, avevo paura di quello che stavo provando, il mio corpo sembrava non rispondermi e il mio cuore martellava nel petto emettendo un suono sordo. Abbassò lo sguardo. “Adulatore.” mi disse. Girai il viso teso e imbarazzato da quel momento, avevo per la prima volta espresso i miei sentimenti ed ora ero immerso nella paura, paura dell’ennesimo rifiuto, paura dell’ennesima incomprensione, paura, semplicemente paura. Sentii una mano sulla guancia, Elanor mi girò il viso verso di sé e mi baciò. Sgranai gli occhi dalla sorpresa. Le sue labbra si posarono sulle mie e si mossero in un bacio dolce. Esitante e carico di speranza quel bacio continuava lento. Sentivo che questa volta sarebbe stato diverso, che quest’amore era diverso. Si staccò in fretta ed io non mi resi nemmeno conto di avere un sorriso stampato in viso. Scossi la testa. Non l’avrei lasciata così, mi dissi, assolutamente no. La presi con delicatezza e la riportai davanti a me, la baciai con passione: la volevo, mi resi conto di volerla più di qualunque altra cosa, la baciai e la mia lingua si fece strada lenta e dolce nella sua bocca. La strinsi a me in un abbraccio caldo, non avrei voluto smettere mai. Trovai il coraggio di staccarmi dalle sue labbra morbide “Non dovremmo. – dissi balbettando – è inopportuno, perfino qui.” dissi allontanandomi da lei. Lei si guardò intorno qualche secondo: “Cosa intendi? Non è reale?” chiese guardandomi, risi “Su questo si potrebbe discutere, magari al tuo risveglio…”
Attesi qualche minuto nel mio angolo della torre al piano terra, mi raddrizzai con uno sbadiglio dal piccolo divano impagliato appoggiato ad una delle pareti. Sentii dei passi veloci rimbombare nella navata, cercai di fare qualcosa, dissimulando la mia speranza di una sua richiesta di spiegazioni. Elanor aprì la porta: la casacca fina di colore chiaro a girocollo molto ampio, larga alle spalle e i calzoni stretti le donavano quell’aspetto semplice e spontaneo che adoravo in lei. Le intravedevo le scapole così perfette e dritte, il delizioso solco sotto al suo collo lungo si metteva in mostra fiero tra una ciocca di capelli corvini sfuggita alla crocchia. Sorrisi fingendo di mettere ordine sulla scrivania al centro. “Dormito bene?” chiesi rivolgendole uno sguardo sorridente, lei fece un respiro profondo alzando le piccole spalle “Non ho mai fatto niente di simile prima d'ora… sotto un certo numero di livelli.” rispose cercando di trovare le parole. Risi piano. “Mi scuso, il bacio è stato… impulsivo e non avrei dovuto incoraggiarlo.” cercai di scusarmi il meglio che potei, portai una mano alla nuca e svicolai imbarazzato dal suo sguardo. Incrociò le braccia ed un sorriso di sfida le comparve sul volto. “Oh, tu lo dici, ma sei tu che ha iniziato con la lingua!” disse appoggiandosi all’angolo della scrivania avvicinando il suo volto al mio, arrossii cercando di allontanarmi. Maledizione! “Non ho fatto una cosa del genere!” le mentii spudoratamente, l’avevo fatto eccome e con assoluto piacere "Oh, quindi non conta se nell'Oblio si bacia con la lingua?" chiese sarcastica con un sorriso prendendomi con un pizzico per la tunica di lino grezzo. Sorrisi cercando di non incontrare quegli occhi, altrimenti non sarei riuscito a resisterle anche se forse avrei dovuto “È passato molto tempo, – cercai di dire – e le cose sono sempre state più facili per me nell'Oblio. Non sono sicuro che questa sia una buona idea, potrebbe portare a problemi.” tentai di dissuadere almeno lei senza troppi risultati, si avvicinò e con una mano posata sul mio viso mi obbligò a guardarla negli occhi. Era bellissima, confermai. “Sono disposta a rischiare, se tu sei d'accordo.” mi disse con un filo di voce. “Io… forse, sì… se potessi prendere un po' di tempo per pensarci… ci sono considerazioni.” balbettai imbarazzato e teso toccando delle pergamene a caso sulla mia scrivania ingombra. “Prendi tutto il tempo che ti serve.” mi concesse lei con un sorriso, la ringraziai con un cenno del capo. “Grazie, non mi sono spesso gettato a capofitto sulle cose che accadono nei sogni, ma sono ragionevolmente sicuro che ora siamo svegli e se vuoi discutere di qualcosa, mi piacerebbe parlare con te, se ti va…” abbozzai cercando di trattenerla con me ancora un po’, sorrise sedendosi sull’unico angolo libero della scrivania. Un pensiero mi solleticò l’angolo più istintivo e nascosto della mia mente, allontanai quel pensiero malizioso con un sorriso ebete. “Dimmi, raccontami di qualche Spirito che hai incontrato…” incalzò lei incrociando le caviglie, mi posai affianco a lei e le raccontai di quello Spirito amichevole che osservava le ragazze dei villaggi alle prese col loro primo amore in boccio, era uno Spirito curioso e simpatico, il suo ricordo era fonte di tenerezza per me. “Ed io Solas? Cosa vedi quando mi guardi?” chiese ad un certo punto sorridendomi. “Vedo una bellezza che non è mai stata vista prima. Non nel mio passato, non in nessuna parte dell'Oblio, e mai più si vedrà in futuro.” le risposi, vidi il suo viso incupirsi, ringhiai quasi al mio essere così stupidamente ossessionato dall’Oblio. “Potresti non esserne così certo dopo Corypheus…” disse abbassando lo sguardo, mi sposai di fronte a lei, le presi il viso tra le mani e lo alzai verso il mio, sorrisi rassicurante “Se tu dovessi precipitare nell'Oblio, ti troverei.” le dissi con un filo di voce. “Che tipo di Spirito diverrei secondo te?” chiese riprendendo un po del suo buon umore, deviai lo sguardo pensieroso: “Uno Spirito d'amore. – dissi dopo una poco attenta riflessione – Sei meravigliosa e sincera... e romantica anche. O forse sarai uno Spirito di Saggezza, dimostri un acume sottile e profondo in tutto ciò che fai. Sei una persona brillante dopo tutto. Ah, no so che cosa diventeresti… un Demone del Desiderio, tentatore e malvagio.” dissi dipingendomi sul volto un sorriso malizioso, i miei occhi si intrufolarono tra le pieghe larghe della sua casacca. “Un Demone? Perché?” chiese quasi spaventata ritraendosi sopra la scrivania. “A causa di tutto quello che sarei in grado di fare con te in questo momento. A causa delle cose che un tempo ho fatto e che non potrei dimenticare.” le dissi appoggiando le labbra alle sue piccole orecchie a punta. “Beh, penso di avere alcune offerte che potrebbero tentarti…” rispose lei maliziosa e tenace mi morse delicatamente il collo, la sollevai dalla scrivania, era leggera come una piuma e la stesi sul divano, mi sedetti al suo fianco con un manoscritto in mano e lei si accoccolò vicino a me sorridendo tranquilla.

Riaprii gli occhi fatti di anima, cercai di mettere a fuoco, ero ancora steso sul crinale dell’Oblio, mi ero perso tra i miei stessi ricordi, così vivi e così presenti perfino qui. Mi alzai e cercai di avvicinarmi al posto in cui ero solito trovarmi con il mio amico, lo Spirito di Saggezza. Cercai di divincolarmi tra rami intricati e vivi che non perdevano occasione di provare a stringermi una caviglia, senza troppo successo, il che rendeva questi rampicanti furiosi e frustrati. Saltellai divertito tra una spirale e un morso di spine fino ad arrivare all’ombra di un immenso albero, sotto la sua folta chioma un masso faceva da seduta alle nostre chiacchierate, ascoltando serafico le nostre divagazioni su filosofia e metafisica. Mi sedetti tranquillo in attesa, aspettai e non percepii nulla, assolutamente nulla del mio amico, nemmeno un briciolo della sua aura era rinchiuso qui, nemmeno un frammento della sua anima tornò qui per rigenerarsi. Ansimai triste per l’ennesima vana speranza svanita così all’improvviso. Cercai di mettermi il cuore in pace e mi alzai, volando verso lo strato di Velo sottile, lo attraversai trafitto da aghi di ghiaccio. Il mio corpo giaceva ancora a terra, Abelas era accanto al fuoco che camminava furioso. Scesi in picchiata verso la mia carne e con un respiro ero di nuovo io, rinchiuso nel mio corpo. Gemetti dal dolore della costrizione compressa del mio corpo, l’elfo ambrato mi corse incontro e mi afferrò per la casacca sgualcita. “Che ti è saltato in mente, si può sapere?” ringhiò l’elfo spaventato. “Sono stato nell’Oblio.” “Certo, grazie tante! Adesso lo so, ma dirmelo prima era scortese forse?” chiese infuriato, non risposi, cercai di mantenere l’equilibrio rivestendomi, il sole era quasi al tramonto e le temperature stavano diventando fastidiosamente fredde per girare con una casacca leggera. “Su una cosa devo darti ragione – dissi all’elfo cercando di avvolgermi la pelle di Lupo lungo il torace – Mythal conosce le risposte alle mie domande, non a tutte, ma a molte.” convenni con le precedenti parole di Abelas. Corrucciato il mio compagno di sventure mi fece cenno di riprendere il cammino verso l’altare.
La strada per l’altare di Mythal per quella via era largamente difficoltosa, frane e smottamenti recenti rendevano il terreno spesso fastidioso da percorrere e non c’erano molti insediamenti umani o enclavi Elvhen nei paraggi per molte miglia. Centellinai le scorte di cibo, scarso anch’esso specialmente in questo periodo dell’anno e dormii nei posti più accoglienti che trovai: larghi tronchi cavi spesso facevano al caso mio anche se per la mia statura dopo qualche ora risultavano assai scomodi. Tra le pieghe della giubba trovai delle fiale curative e degli unguenti, assieme ad alcune monete di vari metalli, sorrisi alla cieca ed ottusa preoccupazione che l’antico elfo dagli occhi d’ambra provava nei miei confronti. Spezzettai con le dita alcune foglie di menta fresca e radice elfica in una rudimentale teiera che avevo acquistato nell’ultimo avamposto umano che incontrai, era scrostata, brutta ed ammaccata, osservai, ma non sembrava avere buchi per cui sarebbe dovuta andare bene, con la piccola fiammella alla fine del mio indice, accesi un piccolo fuoco fuori dalla cavità dell’albero e sulle pietre all’esterno posai il pentolino e attesi mangiando della carne essiccata e una mela. C’ero quasi, mi dissi, nella seconda parte della giornata di domani sarò da Flemeth e Mythal mi darà le risposte che cerco parlando attraverso quell’anziana spavalda. Sorrisi quasi sollevato sorseggiando l’infuso. Le stelle sopra di me erano coperte da nuvole passeggere, non volevo pensare a nulla, non ce la facevo: l’uragano di pensieri ed emozioni che mi aveva investito qualche giorno prima era difficile da gestire anche adesso, la mia tristezza per aver perso definitivamente anche lo Spirito di saggezza che fu mio amico era ancora vivida e feroce e mi martellava le tempie costantemente. Ricordai amaramente la sua terribile fine e posai il pentolino ormai vuoto sul terreno, accatastai delle foglie non umide dentro la conca dell’albero e mi sedetti stretto al suo interno. Dormii con difficoltà, ma credei di potercela fare.
 
Di buon mattino mi alzai, le foglie degli alberi danzavano vivaci e colorate attorno a me, inspirai profondamente cercando di riprendere il controllo. Il sentimento che mi legava ad Elanor era forte e nulla mi avrebbe impedito di cercare di aiutarla, ma nelle condizioni in cui ero non le sarei stato di alcun aiuto. Avrei voluto avere il Lupo al mio fianco, con lui sarei riuscito a trovare una soluzione, invece ero solo, nudo e spoglio. Ringhiai. Presi il mio mediocre bastone e guardai il cristallo arroccato sulla sua cima. Al mio tocco reagì producendo un solletichio elettrico sul palmo della mia mano, una luce violacea aleggiava attorno alla pietra incastonata. Respirai chiudendo gli occhi e iniziai l’ultimo giorno di cammino, ammantato dai miei problemi e assediato dalle mie preoccupazioni. Speravo veramente che Mythal avesse le risposte che cercavo, meritavo di pagare per quello che avevo fatto, ma la mia gente ed Elanor avevano bisogno di speranza. Avevano ancora bisogno di me.

La potenza militare dell'Inquisizione è cresciuta ed è quasi pari a quella dei regni. La paura dell'esercito dell'Inquisizione è diventata la vera fonte del suo potere. La sua potenza continuerà a crescere e l'Inquisitrice resta un simbolo per molti: una guida capace di cambiare l'ordine delle cose, per altri è diventato un bersaglio, tramando nell'ombra in attesa del loro momento.
 
Rilessi le poche righe della nota che Abelas mi fece trovare in una delle tasche della giubba. Come aveva predetto Varric adesso che la minaccia è stata spazzata via, Elanor era diventata una persona scomoda: sapeva troppe cose, troppi segreti, troppi scandali. Rallentai frustrato e stanco pensando al triste epilogo senza gloria della storia, sbuffai ridendo di scherno verso me stesso. Al mio risveglio dal lungo sonno trovai un mondo peggiore, un mondo che io ho aiutato a cadere nel baratro in cui versava, Elanor mi aveva inconsciamente dato la forza per rimediare ai miei errori, ma ora lei rischiava la vita a causa della mia stessa magia ed io ero forse l’unico in grado di aiutarla come ho fatto dopo l’esplosione del Conclave, ma ero lontano da lei, troppo lontano.
Camminai silenzioso e tranquillo fissando quel luogo imprigionato in questa giornata di fine autunno, gli alberi dalle foglie colorate si stavano pian piano spogliando, liberando quei piccoli tasselli colorati nell’aria regalando un sorriso ad un bambino che cercava di raccoglierli. Sorrisi quasi d’istinto quando incontrai un carro con una famiglia di umani con i loro bambini: una bambina dai lunghi capelli di rame mi guardò con quegli occhi innocenti e stupiti, mi salutò con un cenno silenzioso della mano, ricambiai con un sorriso continuando per la mia strada senza voltarmi. Non credo ci sia un modo per definire con esattezza il mio stato d’animo in questo momento, non avevo mai pensato a futuro dov’ero padre. Non avrei potuto offrire molto ad un bambino e prima di allora una conoscenza così intima con una donna non l’avevo mai avuta, ma ora poco importava il non essere nessuno, quel figlio avrebbe potuto anche non nascere perché la vita di Elanor era in grave pericolo.
Mi addentrai sempre più nelle Selve Arboree, la vegetazione si faceva sempre più fitta a mano a mano che lasciavo il terreno battuto, intere generazioni di piante avevano plasmato questi territori dopo che il mio popolo li abbandonò, interi palazzi furono inghiottiti dalla vegetazione e così, protetti e pian piano dimenticati, sono giunti sino ad oggi a ricordarmi dopo tutte queste ere, l’opulenza e la stravaganza a cui ci eravamo tutti venduti. Sospirai accarezzando una bianca pietra lavorata. Alzai gli occhi verso quello che un tempo doveva essere un arco, un grande e maestoso arco che accompagnava gli Elvhen in quella dimora candida e surreale. Doveva essere bellissima, mi dissi guardando le rovine che sembravano volermi parlare di tempi migliori. Sorrisi triste e ripresi il cammino.
Era il crepuscolo inoltrato, gli uccelli variopinti che mi hanno tenuto compagnia durante il giorno, smisero di pigolare e in quell’atmosfera rosso cremisi divenne silenziosa all’improvviso, un vento si alzò improvvisamente e davanti a me apparve una piccola radura ed un colonnato concentrico semi nascosto dall’edera e da immensi grovigli di glicine. Avanzai nel prato vuoto, solitario e silenzioso. Una statua di pietra ormai consunta dalle forme femminili ormai rovinate dall’azione crudele del tempo mi guardava aspettandomi a braccia aperte. Davanti a lei un enorme blocco di marmo con un’urna d’ossidiana e un braciere. Accesi con una vampata di velfuoco il braciere e lo vidi ardere vivo nell’oscurità che stava a poco a poco avanzando. Offrii a Mythal il cuore di una viverna e attesi. Nessun suono nelle vicinanze, nessuna presenza, nessuna sensazione strana, solo silenzio. Cupo e pesante silenzio. Il suo Eluvian azzurro rifletteva la mia più triste rassegnazione.

Poi una musica, un canto leggero e un’ombra nella semi oscurità si stava avvicinando a me, lenta e sinuosa, leggera e potente. “Sapevo che saresti venuto. – la donna alzò il viso guardandomi con uno sguardo di comprensione – Non avresti dovuto dare la tua Sfera a Corypheus, Temibile Lupo.” disse Flemeth avvicinandosi alla torcia di velfuoco, le crollai ai piedi piangendo. “Ero troppo debole per svincolarla dopo il mio sonno e la mia trasformazione. – cercai di giustificarmi con voce flebile – La colpa è stata mia, io dovrei pagarne il prezzo, ma l’Antico Popolo ha bisogno di me, Elanor ha bisogno di me.” Mythal nel corpo dell’anziana Strega delle Selve mi sfiorò il viso cercando di trasmettermi un po’ di tenerezza, di quell’istinto materno di cui avevo forse bisogno, la fermai prendendole tremante la mano. “Mi dispiace così tanto.” dissi, mi baciò sulla fronte e mi guardò dolce e comprensiva, mi sorrise come fece un tempo “Dispiace anche a me, vecchio amico mio.”
Furono le sue ultime parole: un potere enorme mi colpì in pieno petto. Era come tornare a respirare dopo essere stato immerso nell’acqua, il corpo di Flemeth sobbalzò e la presi tra le mie braccia, la cullai e vidi l’aura di Mythal entrare nel mio corpo da ogni poro, assorbii la sua essenza spirituale e il mio corpo era inondato di quell’accecante luce azzurra che avevo imparato a conoscere, che avevo visto trasformare gli occhi di Elanor, quell’enorme potere stava prendendo possesso del mio corpo, scagliando la mia anima ai confini stessi del mio Io. Ero pervaso, inebriato, euforico e potente. Ero vivo. Sentivo nuovamente il Lupo. Aprii gli occhi e mi guardai attraverso lo specchio, un bagliore azzurro si rifletteva vibrante sulla superficie lattescente dell’Eluvian.

Bentornato Lupo.
Dissi speranzoso.
Bentornato Fen’Harel.
Rispose il Temibile Lupo aprendo di nuovo i suoi occhi di fiamma.

Guardai il corpo freddo di Flemeth, il suo viso era scuro, gli occhi di sparviero erano assenti ed immobili, ma la sua espressione era serena, quasi felice: con due dita le chiusi le palpebre e sollevai il suo corpo trasportandolo verso il piano liscio e levigato dell’altare, la posai e le accarezzai il viso. “Ma serannas, Flemeth.” ringraziai quel corpo senza vita abbassando il capo. Mi alzai e mi avvicinai all’Eluvian, alzai lo sguardo e mi specchiai attraverso quei riflessi azzurri che si muovevano sinuosi dietro al vetro, percepivo il suo richiamo, percepivo la sua forza.

Mi sei mancato Fen’Harel.
Disse ad un certo punto lo Spirito avvolgendomi tra la sua folta coda. Quando un tempo venne da me con passo sicuro e leggero, mi dimostrò come l'Oblio fosse solo un altro sentiero boscoso da percorrere senza alcuna preoccupazione, alla ricerca della saggezza in lui nascosta, sorrisi bonario al mio più vecchio amico.
Mi sei mancato anche tu, amico mio. Ora sei di nuovo una parte di me, ti sento potente, ti sento forte e giovane, sanguigno ed irruento. Bentornato!
Gli dissi cingendo il suo corpo robusto con le braccia, affondando il naso tra la folta pelliccia delle potenti spalle.
Ora vai, – disse il Lupo scostandosi dal mio abbraccio – vai Fen’Harel. Compi la tua missione. Squarcia il Velo.
Scomparve lasciandomi in quella radura stellata.
 
La luna piena rischiarava quel colonnato oramai decaduto, sorrisi sentendo un potere vibrante nelle mani. Dei passi interruppero i miei pensieri, passi nell’ombra che ho imparato a conoscere e quasi apprezzare. “Sembra che io adesso sia vincolato al tuo volere, che strano scherzo del destino…” Abelas comparve accanto a me, silenzioso e con un fagotto tra le mani “Lo sai bene che ti libererò, Abelas.” dissi guardando l’elfo, il suo sguardo ambrato mi sorrise. “Ti serviranno queste…” disse posando con delicatezza il pesante sacco di lino, lo guardai interrogativo, l’elfo rise e mi invitò ad aprirlo, temevo il contenuto, davvero. Percepivo che tra quelle pieghe chiare c’era qualcosa che vibrava, emetteva un’energia che mi riportava alla mente echi di un passato troppo remoto e doloroso per ricordarlo, sospirai pensieroso ed in silenzio aprii il fagotto. Spallacci bronzei mi fissavano, gambali e una corazza finemente lavorati rotolarono fuori dal sacco. Sobbalzai. “Esatto Lethallin.” confermò i miei pensieri l’antico elfo, raccolsi gli avambracci e i guanti leggeri. “Sei sicuro, Abelas?” chiesi stupito, l’elfo sorrise e acconsentì con un cenno del capo. Dopo la creazione del Velo deposi la mia armatura, l’armatura di Fen’Harel, in un luogo sperduto che all’epoca credevo inaccessibile, ricoperto da ghiaccio perenne, convinto che nessuno l’avrebbe mai trovata, speranzoso di non doverla più vedere o usare. Sbuffai per l’ennesimo errore, ma di questo ne fui quasi felice. Osservai l’elegante maestria elfica nel forgiare metalli resistenti e leggeri, arricchiti con forme astratte in rilievo, accarezzai la stoffa scura della giubba, corta sul costato: il suo tessuto risvegliò in me quella sensazione di completezza e sicurezza che mi mancava. La indossai. “Adesso cosa farai, Fen’Harel?” chiese Abelas con un tono intriso di preoccupazione, sorrisi: “É giunto il momento di rimediare ai miei errori. Tutti quanti.” risposi. “La Viddasala sospetta di te. I Ben-Hassrath hanno le loro spie all’Interno dell’Inquisizione.” “La Viddasala?” chiesi, come mai uno dei tre capostipiti di quell’organizzazione religiosa era sulle mie tracce attraverso l’Inquisizione? E perché proprio lei? “Sai bene che la Viddasala ha il compito di ricercare, studiare e fermare la magia… Sospetta che tu sia un agente di Fen’Harel.” incalzò l’elfo ambrato. “Come sai tutte queste cose Abelas? É successo qualcosa?” dissi affilando lo sguardo, l’elfo si mosse verso di me con passo tranquillo. “Nulla per cui ora tu ti debba preoccupare. Elanor per ora non deve temere le spie del Qun, le ho eliminate personalmente, ma i Ben-Hassrath non si daranno per vinti solo perché qualche loro adepto scompare in circostanza misteriose.” disse Abelas con un ghigno, sospirai quasi tranquillo “Grazie.” riuscii solo a dirgli “Tieni il resoconto dei miei uomini.” disse Abelas porgendomi un manoscritto racchiuso in un piccolo cilindro dorato.

Mentre abbiamo ancora poche informazione sui loro metodi, i miei agenti hanno ottenuto notevoli informazioni sulla gerarchia di Ben-Hassrath e sulla sua struttura organizzativa. In modo rigoroso, l'intero gruppo è sotto la giurisdizione dell'Ariqun e sarebbe quindi considerato sacerdotale. I Qunari dividono tutte le attività di Ben-Hassrath in tre categorie distinte: ‘Scopo pericoloso’, ‘Azione pericolosa’ e ‘Domande pericolose’. Tre sacerdoti formano un triumvirato che gestisce tutte le loro operazioni, con ogni sacerdote che presiede azioni in una sola categoria. Abbiamo una missione in corso per identificare il leader del ramo ‘Domande pericolose’, che sembra gestire la grande maggioranza delle missioni di raccolta e di sabotaggio. ‘Azioni pericolose’ sembra essere il ramo responsabile dell'esecuzione. I loro agenti non lasciano mai il territorio controllato dai Qunari tranne che per cacciare i disertori. Il ramo con cui abbiamo avuto il maggior contatto è stato 'Scopo Pericoloso'.
Questa divisione, gestita da una sacerdotessa chiamata Viddasala, o 'chi converte allo scopo', gestisce la conversione degli stranieri, la rieducazione dei dissidenti Qunari e la raccolta, lo studio e la quarantena della magia. Cose che, secondo la tradizione Qunari, sono intrinsecamente minacce per sé e per altri.
I nostri tentativi di infiltrarci nei campi di rieducazione Qunari sono stati in gran parte senza successo. Il Ben-Hassrath sono troppo bravi ad individuare i nostri agenti tra i loro convertiti. La maggior parte delle spie sono spedite via ed osservate nelle loro abitudini e i pochi che sono stati ammessi ad una delle loro strutture, ma non hanno mai fatto ritorno. Aumenteremo invece i nostri sforzi per localizzare e infiltrarci in uno dei siti di quarantena magica.
  • Capospia Aduial
 
“Quante spie abbiamo perso per questo, Abelas?” chiesi rabbioso all’elfo intenzionato ad accendere un piccolo fuoco vicino ai margini del bosco. “Più di quel che mi aspettassi.” mi confidò Abelas frustrato e stanco, mi avvicinai, ero rabbioso, avrei preferito saperle queste cose “Saperle perché Solas? Cos’avresti potuto concretamente fare?” chiese l’antico elfo ambrato penetrando nelle mie domande inespresse, ringhiai alla limpida verità che scorreva fluida nelle parole del mio amico. Mi accovacciai al suo fianco prendendo dal mio sacco delle provviste della carne essiccata ed una borraccia d’acqua, gliele porsi. Abelas mi guardò “Sei una speranza Fen’Harel, una speranza che molti di noi hanno dimenticato, non rimpiangere il tuo passato, non farlo mai. Impara dai tuoi errori e rimedia se puoi. Te ne prego.” le parole dell’elfo mi trafissero il cuore come un pugnale, non credevo avesse così tanta stima per me, credevo mi vedesse più come un’opportunità, uno scudo, in realtà riponeva la sua fiducia in me, questa cosa mi spiazzò. I suoi occhi ambrati brillavano alla luce del piccolo fuoco, sorrisi. Mi alzai e mi allontanai dal bivacco in direzione dello specchio magico che brillava reagendo alla mia vicinanza. “Ed ora dove vai?” chiese Abelas balzando in piedi con uno scatto. lo guardai, “Vado dove avrei dovuto e voluto essere in tutti questi lunghi mesi.” risposi serio.
“Vado da Elanor.”

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Capitolo 21
*** Cap. 21 ***


Il Crocevia dove convergevano gli Eluvian era cambiato, non era più quel luogo tetro e sterile che mi descrisse Elanor. Le spie al servizio di Abelas avevano recuperato delle chiavi che aprivano altri Eluvian, porte verso mondi dimenticati, li vidi risplendere al mio cammino. Quel luogo era ora simile ad un giardino, un terreno ornato da piante e rocce dai toni chiari: ordinato e semplice nel suo splendore curato, avanzai meravigliato nella vegetazione che cresceva spontanea. Del vento soffiò tra i rami di un ciliegio in fiore, fui inondato da petali rosa, ne recisi un ramo ancora integro e attraversai l’Eluvian che mi avrebbe portato da quel luogo sospeso tra il mondo mortale ed il mondo del sogno a Skyhold. Un battito di ciglia, il tempo di un respiro, ed ero alla fortezza.
Ci misi un po’ a capire dov’ero, rammentavo che l’Eluvian fosse chiuso in una stanza buia che dava sul giardino interno della fortezza presidiata giorno e notte da delle guardie, invece lo scenario che avevo davanti era l’anticamera degli alloggi di Elanor, chissà perché si trovava così vicino a lei, mi chiesi, ma accantonai le possibili risposte alla mia domanda, non mi importavano poi molto, ero dove volevo essere, dove avrei dovuto essere fin da subito. L’oscurità fredda dell’inverno ammantava la fortezza: nevicava e la morsa del gelo era stretta, avanzai silenzioso verso la camera di Elanor, a quest’ora la fortezza dormiva profondamente e speravo anche lei. Aprii la pesante porta di quercia e avanzai in quella stanza familiare, osservai la stanza nella sua semi oscurità, una torcia appesa ad una parete illuminava solitaria gli scaffali di libri dietro la scrivania, le spesse tende erano tirate in fretta sulle larghe vetrate della stanza. Avanzai verso la scrivania dove vidi un piccolo libro esattamente al centro: la rilegatura e la pelle che lo rivestiva era consunta ed alcune delle spesse pagine erano più ingiallite di altre, non doveva essere un libro, mi dissi. Una curiosità ardente si fece strada nei miei pensieri, aprii il volume alle prime pagine.
 
Quando ero una bambina, seduta sulle ginocchia di mia madre davanti al fuoco, mi parlava dei giusti e della storia antica e c'era una frase che mi ripeteva sempre anche se non sapevo cosa significasse: 'Resta al sicuro da'len, giovane figlia mia, così che il Temibile Lupo non possa mai seguire la tua traccia.' E mentre crescevo pensavo di conoscere la strada che la mia vita avrebbe preso, ma quel sogno si strappò e mi svegliai sola. Poi Solas, hai preso la mia mano e mi hai insegnato ad usare l’Ancora. Ti abbracciai e ti amai, come avrei potuto sapere? Avrei lasciato che il Lupo seguisse la mia traccia?
Ho imbracciato le armi, ho condotto la carica. Alcuni mi hanno chiamata profeta, benedetta, Araldo e al mio fianco c'eri tu a guidarmi: saggio, dolce e apparentemente privo di colpe.
Ma la verità non è sempre evidente, vero amore mio? Non è scritta sulla pelle e a volte per far uscire la verità, devi lasciar entrare il timore.
Tu mi hai chiamato ‘ma vhenan’ e mi ha mostrato mondi che non avevo mai conosciuto: terre di nebbie e ricordi, di cielo e pietra sbiaditi. Poi con parole così morbide e tristi, mi hai lasciata in quella valle. Ti ho pregato di non lasciarmi, non ora, ti amavo ...e ti amo ancora.
E anche se tu mi hai trascinata in basso so, che ti lascerei tornare.
‘Possiedi uno spirito raro e meraviglioso, in un altro mondo…’ furono le tue ultime parole, ma'arlath. Un bacio, inaspettato e fugace e poi sei scomparso attraverso il Velo e adesso sono interamente spoglia. Di notte vado a dormire per sognare e spero ogni volta di incontrarti lì, tra le pieghe dei miei sogni infranti. Vaghi tra il mondo e il sogno ed io non so più dove sei. Ma ora, come da bambina, vorrei essere con il mio Temibile Lupo, se solo riuscissi a trovare una sua traccia.
 
Lessi sobbalzando. Nelle sue parole non vidi l’odio che mi sarei aspettato di trovare. Non lessi rancore, percepii solo il suo dolore. Dolore che le avevo inferto cercando di allontanarla ancora una volta, dolore che le avevo causato per paura e timore. Mi aspettavo rabbia e sfida, o anche odio, fu molto peggio. Vidi delle lacrime asciutte su quel foglio. Scrivendo aveva pianto inconsolabile con quella voce di bambina: sentii l’abisso della sua delusione per la mia fuga, si era fidata di me. Raccolsi il diario e lo tenni tra le mani, non potevo consolarla e non potevo asciugarle quelle lacrime perché ero io la ragione del suo dolore. Codardo lo riaprii e lessi ancora. Sfogliando il diario di Elanor, leggendo quelle pagine conobbi il lato dubbioso della mia Elanor, il lato insicuro, il lato fragile, sorrisi benevolo a tutte le sue domande mai poste, affidate solamente alla spessa carta con un inchiostro che con viscerale piacere riconoscevo: era il mio. Trascrisse tutto quello che successe negli ultimi mesi, appresi così che eserciti di nobili le facevano la corte e altrettanti avrebbero voluto toglierla di mezzo; lessi che Orlais avrebbe aperto un concilio per decidere le sorti dell’Inquisizione, capii che il potere dell’Ancora non era più sotto il suo controllo e complicava una gravidanza già difficoltosa.

Il sacrificio a Mythal, avrei dovuto capirlo che il prezzo da pagare c’era. Dama Morrigan mi aveva avvertita e Solas è stato il mio sacrificio inconsapevole, quello che io ho dovuto sacrificare per attingere al Pozzo, per il mio retaggio. Non credevo arrivasse a tanto, non credevo che il prezzo fosse così alto! Se l’avessi saputo, se solo l’avessi compreso, non avrei mai accettato! Ora lui non c’è, mi manca, mi manca da morire, ma farò di tutto per ritrovarlo. Costi quello che costi.
 
Davvero la pensava così? Mi chiesi stupefatto, davvero pensava fosse il volere di Mythal la causa di tutto? Scrollai la testa e chiusi il diario, non avrei potuto sopportare oltre le sue parole. Mi odiavo per averle fatto credere questo, nemmeno l’avrei presunto possibile, ma è il suo punto di vista. Misi una mano al petto e toccai il mio monile: l’osso scuro ciondolava inerme nel vuoto, appeso ai lacci di cuoio. Me lo sfilai e lo appoggiai sopra il suo diario. “Sono qui, – sussurrai – sono qui amore mio.”
 
Un rumore si fece strada nel silenzio della camera di Elanor, un mugugno assonnato irruppe nel turbine di pensieri ed emozioni che mi aveva investito. Il suo corpo si mosse sotto le pesanti pelli da cui era coperto, vidi la sua mano sinistra scivolare fuori dal caldo involto. Silenzioso mi avvicinai con le mani ciondolanti sui fianche, spostai delicatamente un lembo di pelliccia e guardai il suo arto: era fasciato fino al gomito e le bende erano sporche di sangue, i capillari brillavano di una luce verde e si diramavano pulsanti di energia lungo tutto l’avambraccio. Il suo palmo era brillante e l’energia magica che emanava era forte ed instabile, la magia dell’Ancora la stava lentamente distruggendo, avanzava senza tregua, ringhiai e cercai di stabilizzare il marchio come avevo già in precedenza fatto. Mi concentrai e la luce del suo palmo si affievolì, Elanor sospirò nel sonno quasi rasserenata, liberata da quel dolore persistente si voltò di lato e la curva dolcemente accennata sul suo ventre si mostrò alla mia vista. Ebbi un sussulto improvviso, ebbi come l’impressione di percepire un’aura, uno Spirito raro provenire dal ventre della mia Elanor, ma ciò non è possibile, non poteva essere, pensai guardando preoccupato il viso finalmente tranquillo e rilassato di Elanor. Avrei voluto svegliarla con un bacio, rispecchiarmi in quegli occhi viola ancora una volta, avrei voluto inginocchiarmi di fronte a lei e chiederle perdono. Sentii dei passi leggeri arrestarsi davanti la porta. Entrò Lunus avvolta in una tunica di seta verde e mi vide vicino al bordo del letto della sua protetta. “Cosa ci fai qui, Lupo?” ringhiò la donna-drago avanzando con un passo lungo. Il suo sguardo si accese d’odio mentre avanzava verso di me “Non qui Lunus.” dissi alla donna ferma a pochi passi da me, mi voltai e con uno schiocco di dita il tempo si fermò, la fiamma della candela posta sulla parete, si fossilizzò e la sua luce calda rimase impressa sulla parete. “Cos’hai fatto?” chiese Lunus ansiosa guardandosi attorno in quella bolla di tempo, ghignai silenzioso “Ho creato uno spazio-tempo solo nostro, ora possiamo parlare e all’occorrenza ucciderci.” Risposi. Lunus mi guardò con gli occhi sbarrati: la sua schiena dritta e i muscoli tesi del collo mi mostravano tutta la sua tensione, percepii anche un senso di paura intrecciata al nervosismo. “Come hai fatto? Non è un tuo potere, come l’hai avuto?” chiese la donna-drago, le sorrisi arcigno e lei ebbe un sussulto “Mythal.” disse, annuii con il capo e mi avvicinai a lei, sospirò. “Ti ammazzerei all’istante se potessi, specialmente per l’Ancora e per la gravidanza di Elanor – disse la donna dalla pelle chiarissima – ma non posso. Lei ti ama e non mi perdonerebbe mai se ti uccidessi.” disse forandomi il petto con uno sguardo e trattenendo con evidente difficoltà la sua furia. Sorrisi sollevato, sapendo che avrebbe veramente potuto ammazzarmi in qualunque momento. “Conosco il rapporto che lega te ad Elanor, Lunus – dissi – non sono qui per intromettermi né minacciare l’incolumità di qualcuno. Sono qui per aiutare, sono tornato Fen’Harel.” “Ho percepito la tua potenza, Lupo, non c’era bisogno che me lo dicessi.” commentò stizzita la donna “Sono qui per offrire una tregua, ho sbagliato ad entrare e a soggiornare nel tuo sogno.” “Almeno su questo siamo d’accordo, elfo!” ringhiò Lunus “Abelas mi ha raccontato la tua storia. Mi ha raccontato quello che ti lega ad Elanor e capisco il tuo sentimento di feroce protezione nei suoi confronti. Ti ringrazio per quello che hai fatto e quello che stai facendo.” le dissi chinando il capo di fronte a lei, sembrò rasserenarsi e il suo viso si rilassò. “Ho rivisto qualcosa di me, del mio passato in te. Conosco il dolore che ti porti dentro per la perdita della tua gente.” continuai cercando di smussare gli angoli, parve rilassarsi ancora “Lei è un Dovah, Solas. Un Dovah potente ed aspetta un figlio da te, un Dio elfico.” disse mesta “…la magia legata alla sua mano è forte e si sta espandendo. Le causa dolori sempre più forti e non sappiamo come fare per alleviarli e la sua gravidanza è strana, ha spasmi forti e molto acuti, temo per la sua vita.” confessò la donna-drago guardandomi dritto negli occhi, i suoi occhi affusolati erano punti ai lati da lacrime cristalline. Sapevo che la situazione fosse critica, ma non credevo così tanto, non avevo pensato alle conseguenze reali di questa gravidanza, al fatto che fosse difficile per la mia diversità. Ringhiai per la mia stupidità guardando la sagoma immobile di Elanor: i suoi capelli scomposti e la luce verde che si sprigionava da sotto le bende che le avvolgevano il braccio. Lunus mi guardò con uno sguardo che solitamente riservava ad Elanor. “Ti ho sempre visto come una minaccia, Lupo, specialmente quando scoprii che Elanor faceva parte del mio popolo, almeno in parte. Sapevo che Abelas era in contatto con te e ti seguiva costantemente tenendoti al sicuro da me e dalle spie di Leliana. Ma ora sei qui…” disse Lunus guardandomi, voltando solo il capo “…sei qui e sembra tu abbia attenuato il dolore di Elanor. Ora, cosa pensi di fare? Sai delle spie dei Ben-Hassrath infiltrate nell’organizzazione? Sai che hanno l’ordine di ucciderti velocemente e nel più assoluto riserbo perché ti credono un agente di Fen’Harel?” chiese Lunus, sorrisi annuendo. Abelas mi aveva accennato alla Viddasala e al piano dei qunari che voleva decapitare non solo l’Inquisizione, ma anche le altre potenze del Thedas. “Perché mi dici questo Lunus? Non ti credevo così manipolabile…” sogghignai malevolo di proposito, la donna-drago sbuffò disgustata “Non lo faccio per te Lupo, lo faccio per lei. Se tu muori, muore anche lei e morirà anche suo figlio, vostro figlio. Per quanto schifo mi faccia il pensiero, un’alleanza con te è la mia migliore opzione di successo. Non posso perdere anche lei. Non adesso. Non ora.” disse avanzando verso la porta “Salvala Lupo, e avrai la mia gratitudine ed il mio rispetto.” promise la donna posando una mano delicata e lunga sulla maniglia metallica. Mi inchinai teatrale sapendo che le parole dell’antico drago erano vere. Avrei dovuto salvare Elanor, per me, per il nostro bambino e infine per Lunus, ma il destino sembrava volgersi contro di me ancora una volta. Mi avvicinai al corpo della mia amata. La sua pelle nivea era morbida e calda, le accarezzai il viso immerso nel sonno, sorrisi e mi abbassai: inspirai e il profumo di albicocche dei suoi boccoli corvini, mi entrò nelle narici regalandomi un’emozione ed evocandomi i miei ricordi più belli, sorrisi e le diedi un bacio sulla guancia, proseguendo sulle sue labbra. La baciai così, immobile com’era, bloccata in un tempo infinito, in un attimo che sarebbe potuto diventare un’eternità.  
Ar lath, ma vhenan.” le sussurrai allontanandomi, schioccai le dita e il tempo riprese a scorrere come sempre. Mi avvicinai all’Eluvian, accarezzai la superficie increspata dello specchio, la sua luce azzurra inondava la stanza di riflessi acquosi, entrai piano nello specchio guardando un’ultima volta Elanor. “A presto, vhenan.” le sussurrai rammentando il mio monile lasciato sulla scrivania. Il mio corpo scomparve da quella stanza ancora una volta.
 
Tornai al Crocevia deciso a ripristinare il suo antico splendore, Mythal mi fornì il potere necessario per farlo e se volevo spostarmi in sicurezza in tutto il Thedas questo era il metodo meno rischioso. Con pazienza e meticolosità lo avrei curato come meritava e avrei provato a ridargli almeno in parte il suo antico splendore. Passeggiai elencando nella mia mente tutti gli Eluvian corrotti o semplicemente inutilizzabili: erano tanti, troppi, ma le spie di Abelas avrebbero potuto tornarmi utili. Briala, l’ancella e capospia di Celene ne possiede ancora alcuni, controllando una parte del labirinto, forse uno dei miei agenti potrebbe prenderlo da lei pensai osservando uno di quegli specchi distanti e scuri, sbuffai irritato.

Fen’Harel!
Il pensiero ringhioso del Lupo tuonò nella mia testa.
Cosa c’è? Come mai quest’urgenza?
Chiesi irritato.
Sento… qualcosa.
Mi voltai varie volte guardandomi alle spalle, cercando di capire cos’intendesse il Lupo, non vedevo nessuno.
Non qui, non fisicamente dietro di te…
Disse il Lupo acconsentendo a darmi qualche spiegazione.
…percepisco un’altra presenza, dentro di te, Fen’harel. Una presenza potente.
Bofonchiò il Lupo quasi intimorito.
Che cosa provi? Che cosa senti?
Chiesi preoccupato.
Sento una forza, addormentata, ma non lo sarà ancora per molto. Un’anima molto antica e potente giace dentro di te.
Disse il Temibile Lupo camminando frustrato nella mia testa, il suono dei suoi passi mi martellava nelle tempie.
 
Inspirai rumorosamente e mi concentrai, qualcosa avrei dovuto percepirla anche io, mi dissi. Non ho mai sentito lo Spirito del Temibile Lupo così ansioso e all’erta come ora, ringhiava sommesso e cupo nascosto nei risvolti dei miei pensieri. Sospirai avvilito non sentendo praticamente nulla di strano dentro di me. Decisi di ritornare nel Thedas, magari Abelas avrebbe potuto darmi una risposta. Mi avvicinai ad un albero in fiore, gli toccai le fronde chiare e inspirai il lieve profumo di primavera, sorrisi ed ero felice. Avevo rivisto Elanor, dopo così tanti mesi passati lontano da lei, in cui mi è mancata da morire e mi è bastato rivederla: così naturale, intima e tenera mentre dormiva per calmare un po’ le mie preoccupazioni, mi è bastato posare le mie labbra sulle sue per prendere la mia decisione. Attraversai l’Eluvian che scoppiò di energia e mi trasportò all’altare di Mythal, con mia sorpresa Abelas mi aveva aspettato, impaziente e stanco. “Non ho bisogno di una balia con arco e faretra pronti all’uso.” dissi ridacchiando all’elfo ambrato “Non si può mai dire, Fen’Harel. Ma se sei vivo, è già una buona cosa…” disse Abelas rilassando i muscoli delle spalle avvicinandosi a me con passo lento. L’alba avanzava illuminando di rosa il cielo poco sopra di noi, sorrisi avvicinandomi a lui: “Ho visto Elanor, – cominciai – è stato… strano. Credevo mi odiasse, credevo di averle fatto così tanto male da non poter meritarmi nemmeno una briciola della sua comprensione.” l’elfo ambrato mi guardò inarcando il sopracciglio “No, non le ho parlato Lethallin, ho letto il suo diario…” dissi vergognoso, l’elfo aggrottò la fronte “Che bastardo impenitente.” disse disgustato e non potei che dargli ragione. Leggere un diario altrui è un atto meschino, cattivo, ingiusto e stupido, ma il vivere nell’incertezza, il vivere attanagliato dal rimorso per quello che avevo fatto alla donna che amavo e sapere che avrebbe potuto odiarmi era troppo da sopportare. “Di cosa avevi paura Solas?” mi chiese Abelas ringhiando disgustato “…del suo odio? Del fatto che essendo una Dalish ti avrebbe odiato a prescindere? Forse te lo meriteresti dopotutto…” le parole di Abelas mi spaccarono in due come una scure “Hai sempre dato per scontato che essendo Dalish in automatico sia inferiore a te. Ottusa, ignorante ed attaccata ad un passato gonfio di menzogne, è vero o no? Ho ragione?” Lo sguardo ambrato di Abelas si accese e il paglierino dei suoi occhi divenne infuocato, gli sorrisi triste. Una volta è stato così. All’inizio la giudicai immatura, irritante e stupida: una bambina viziata, ma quando compresi chi fosse ed il suo passato, capii di aver commesso un’enorme sbaglio, aggiunsi un’altra perla alla mia collana di errori.
“Io la conoscevo Abelas, – dissi all’elfo – fu esiliata dal suo clan e per un po’ di tempo visse con me.” spiegai a testa bassa. Nessuno a parte me sa questa storia, lei qualcosa ricorda, ma non sa che io sono Fen’Harel.” Abelas mi guardò torno: “Cosa vuoi dire, elfo? Cos’è questa storia?” chiese spazientito ed io iniziai a raccontargli i sogni che avevamo condiviso. Quando ebbi finito l’elfo sbuffò non aggiungendo una sola parola ed il silenzio tra noi stava diventando sempre più fastidioso e imbarazzato. Rovistai nel mio fagotto alla ricerca di un pezzo di carne essiccata, lo presi e in silenzio iniziai ad addentarlo. “È inutile, – cominciò l’elfo sedendosi al mio fianco – inutile che me la prenda con te per quello che hai fatto. Pensandoci bene al tuo posto non sarei riuscito a sopportare tutti questi mesi senza di lei, senza sapere cosa pensava realmente di tutto questo.” posò la mano sulla mia spalla sforzandosi di sorridermi “Non sentirti in dovere di giustificarmi Abelas, mai, nemmeno adesso che sono tornato Fen’Harel. Non farlo, te ne prego.” gli dissi serio, non potevo permettere che il mio tramite mi temesse, dovevo infondere in lui coraggio e rispetto, non paura e cieca obbedienza. Sospirai “Ho stabilizzato l’Ancora, per ora. Non so quanto potrà durare. Ho visto il suo braccio fasciato, una rete intricata di luce pulsava sotto le sue bende provocandole dolore …e ho visto cosa le ho fatto.” dissi raccogliendomi le gambe al petto “A cosa alludi di preciso?” chiese l’elfo ambrato chiudendo gli occhi, un timido raggio di sole freddo gli colpì il viso rivelandone l’incarnato cereo “Alludo a tutto, non ho una cosa specifica per cui pentirmi di più o di meno. L’ho abbandonata, incinta e con una potente magia incastonata nel palmo della sua mano che rischia di ucciderla da un momento all’altro.” dissi con tristezza e profondo rammarico “Ma ti ama e tu la ami.” disse Abelas. “Non è così semplice.” Risposi piccato, meglio pentirsi di parole non dette che di parole che non si potevano rimangiare “Tu mi parli di semplicità, elfo? Tu? Tu che hai trovato l’amore e per le tue paranoie l’hai accantonato?” rise di scherno “L’ho fatto per proteggerla…” cercai di giustificarmi. “No Lethallin, l’hai fatto per proteggere te stesso.” lo sguardo dell’elfo si appuntò sul mio, lo fissai in quegli occhi d’ambra e per un istante percepii in lui un dolore profondo, antico e dilaniante che prima di allora non avevo mai intravisto. Che stronzo egoista ero, mi dissi “Hai ragione. – accondiscesi – Ma le tue parole sottintendono un dolore che sembri conoscere bene, di cosa si tratta, Abelas?” chiesi cercando tutto il tatto di cui disponevo “Provo una cocente invidia nei tuoi confronti Fen’Harel. Semplicemente questo. Hai tutto quello che io non potrò mai avere e stai facendo del tuo meglio per perderlo. Non farlo. Non diventare come me.”
 
Lo sguardo di Abelas si perse nel vuoto. Prese un piccolo bastoncino e svogliatamente iniziò a segnare il terreno polveroso dov’eravamo seduti. Un timido sole invernale si stava pigramente staccando dall’orizzonte e il silenzio tra noi era diventato un muro, decisi di non interrompere il momento di intima riflessione del mio amico, era un qualcosa che raramente vedevo fare negli altri e conoscevo bene l’intimo fastidio che provavo quando qualcuno mi interrompeva. “Io e Lunus siamo una coppia, è vero. – cominciò l’elfo, disturbando la mia compiaciuta malinconia – Di questo ne sono certo come sono certo dell’aria che respiro. Mi innamorai di lei per caso quando ero solo un giovane adepto del Tempio: la vedevo camminare leggiadra, avvolta in splendidi abiti argentei o dorati dai riflessi opalescenti. Rinchiusa tra quelle mura dorate era sempre molto cortese con noi, ma era una cortesia distaccata, di ruolo, una cortesia dovuta in nome di un accordo tra lei e Mythal. Non mi importava, capii dopo poco che quell’ardore che mi esplodeva nel petto quando la vedevo non era frutto solamente di semplici pulsioni e desideri giovanili.” si fermò, schiarendosi la voce più per imbarazzo che per reale necessità. “Come te ne sei reso conto?” mi ritrovai a chiedere quasi senza averci pensato, Abelas accennò un sorriso “Lo scoprii quasi subito. Un giorno ero di guardia alle porte interne del Tempio, il caldo era torrido e l’armatura per quanto leggera mi soffocava sotto il suo peso che sembrava infinito. Venne verso di me con un passo sicuro e veloce. Dapprima credei quasi che fosse distratta o stesse pensando ad altro dal momento che prima di allora non aveva mai avvicinato alcun adepto. Credei di esser stato negligente in uno dei miei doveri, poi quando mi baciò impulsiva capii che la mia semplice infatuazione era diventata reale. Quella splendida creatura mi stava baciando. Entrava nella mia bocca con irruenza e una passione forte ed incontrollabile. Stretto nella mia armatura lasciai cadere l’arco e la abbracciai protettivo, fu allora che mi spinse via e se ne andò, lasciandomi così: solo ed instupidito, finché pochi giorni dopo decisi di affrontare il discorso con lei e andai a cercarla. Le chiesi il significato di quel bacio e lei guardandomi stupita mi chiese come mai ci avessi messo tanto tempo e mi si avvicinò, non disse una sola parola, agì solamente. Mi spogliò e si mise sopra di me con quella pelle chiarissima dai bagliori argentei e fece l’amore con me.” gli occhi dell’elfo si chiusero in un momento di sincero piacere nel rivivere quel ricordo per lui importante, compresi perfettamente il suo stato d’animo, lui sospirò e riprese: “Il nostro rapporto divenne passionale, impulsivo, un’esplosione incontrollata di sentimenti e fisicità: ci prendevamo all’improvviso e ci lasciavamo altrettanto repentinamente. Mi legai intimamente a lei e quando il mio addestramento fu completo lei si aprì con me: come regalo, come pegno, come estremo gesto di fiducia. Mi raccontò della sua vita e del suo dolore ed io rimasi ad ascoltare quella donna vestita d’argento. La mia fu una scalata di ranghi non facile, volevo tenere Lunus fuori da quella mia parte di vita. Non volevo essere scelto sulla base di chi mi portavo a letto, volevo un merito per ciò che ero realmente e mi impegnai, anni e anni di duro allenamento lontano da lei e dal Tempio mi forgiarono, mi resero l’adulto che sono ora: freddo, impassibile e caparbio. Battaglie e guerre mi donarono saggezza e capacità, le morti dei miei fratelli temprarono il mio cuore racchiudendolo in un groviglio di spine e la morte di Mythal per mano degli stessi Evanuris mise dentro di me un seme, un seme di spietata vendetta. Tornato da una delle innumerevoli campagne per sedare le rivolte del popolo trovai Lunus, mi attendeva alla soglia del Tempio. Mi disse che mi amava, ma il tempo dell’Uthenera era vicino. Mi rassicurò sul fatto che mi avrebbe atteso e non avrebbe smesso di amarmi, nonostante il lungo sonno, fino alla prossima minaccia. Con quelle parole compresi che l’amore di un drago era qualcosa di sfuggente, qualcosa che nessuno di noi merita ed è molto simile ad un concetto di lealtà più che la fisicità dell’atto. Noi, come gli umani tendiamo a dare un significato complesso alle nostre relazioni, tendiamo ad essere filosofi poco pratici, pensatori un po’ ottusi. Lunus non è così, Lunus agisce.” “L’ho notato, ricordo ancora il dolore alle costole.” dissi toccandomi dove mesi prima la donna-drago mi aveva con un calcio, rotto due costole. Abelas sfuffò ridendo “Esatto, alludevo anche a quello. Quando ci risvegliammo all’arrivo di Samson, Lunus percepì qualcosa. All’inizio non mi disse nulla a riguardo e cercò il più possibile di mantenere un comportamento del tutto normale, ma io la conoscevo: avevo già avvertito quei segnali, quelle piccole e all’apparenza distratte e distaccate attenzioni che riservava a qualcuno che trovava interessante.” “Cosa intendi? …Samson?” azzardai sgranando gli occhi, l’elfo rise sguaiatamente “No, no elfo, Samson a detta sua, non era nemmeno commestibile, figuriamoci se poteva essere compatibile con lei… e anche se lo fosse stato il Lyrium rosso l’aveva comunque compromesso troppo.” “Mi stai parlando di compatibilità? Veramente?” chiesi stordito, cosa significava? Abelas sospirò, “Lunus voleva un figlio. Un figlio da crescere, amare e proteggere, ne aveva bisogno dopo quello che le era accaduto, ed io non riuscii mai a darglielo. Siamo due razze incompatibili, sembra.” parlò con fatica, ringhiando alla sua stessa voce che liberò nell’aria i suoi tormenti più profondi. “Anche io ho sempre desiderato un figlio. – continuò l’elfo ambrato giocando con della sabbia tra le dita – Volevo una vita normale, volevo una famiglia. Le vite dei fedeli di Mythal mi passavano davanti tutti i giorni e la loro felicità complice scavava sempre dentro di me. Ma io ero pur sempre votato a Mythal. Ero una sua creatura nella vita e nella morte, agivo in nome suo. Il mio dovere, il dovere verso il Tempio sarebbe venuto sempre prima di tutto. Ero un soldato. Un burattino anche se consapevole. Ad ogni risveglio ero consapevole che sarei potuto morire. Vedevo i corpi dei miei soldati, dei miei fratelli cadere e vedevo le file dei miei soldati diminuire ad ogni risveglio, dopo uno scontro. Non era però quello ad incutermi più paura. Ciò che mi terrorizza a morte ancora adesso è morire da solo, lontano da lei…” mi sentii mancare. Guardai l’elfo antico con uno sguardo diverso, più comprensivo e vicino. Conosceva il dolore come me e aveva visto morire i suoi fratelli e ha portato sulle spalle, silenzioso e fiero, il fardello pesante di quelle morti. Scelse una vita votata al ligio dovere militare elfico, divenne un Comandante scelto per la difesa del Tempio della dea dell’amore, pagando un prezzo altissimo. Sospirai frustrato “Quando arrivammo a Skyhold, decisi a dare una mano. L’atteggiamento di Lunus confermò i miei sospetti, aveva fiutato qualcosa, le sue attenzioni si rivolsero verso un giovane uomo a voi conosciuto come Cullen Rutherford, comandante dell’esercito dell’Inquisizione. Dapprima cercai di mantenere un atteggiamento indifferente verso quel giovane uomo impacciato e goffo. Amareggiato decisi che avrei lasciato a Lunus il suo passatempo, probabilmente credevo di riuscire a sopportarlo… come vedi, anche io Lethallin, ho commesso gli errori più stupidi credendo di sapere tutto. Quasi impazzii di gelosia, raramente le mie emozioni prendono il sopravvento, ma non riuscii a trattenermi. Vedere la donna che amavo civettare, provocare e giocare al gatto col topo con quel giovane uomo mi faceva andare fuori di testa. Avrei voluto conficcargli una freccia nel collo almeno un milione di volte.” Abelas era un fiume in piena, stava riversando in quel nuovo giorno secoli di angosce assopite, il mio orecchio umile era al suo servizio, ne aveva disperatamente bisogno come io avevo disperatamente bisogno di lui. Eravamo uniti, saldi nel nostro reciproco bisogno l’uno dell’altro, sospirai rassegnato. “Le ne hai mai parlato?” chiesi “Certo. Lo feci e in risposta ebbi uno dei più bei baci che il mondo ricordi. Ci riprovammo, ancora, sempre più disperati e sempre più convinti. Il risultato purtroppo fu il medesimo e vedere il fallimento dipinto sugli occhi della persona che ami al di là di tutto, è una cosa insopportabile. Per quello capisco quello che hai fatto, capisco le ragioni che ti hanno portato a determinate scelte, fratello. Ma non fare i miei stessi errori adesso che sai che Elanor ti ama.” gli occhi di Abelas erano velati da un lieve strato di lacrime. L’antico elfo ambrato non aveva bisogno di aggiungere altro, era venuto il momento di agire, le parole non sarebbero servite più a nulla. “Voltati verso di me.” dissi all’elfo, lui mi guardò confuso ma si voltò verso di me “Ti rimuoverò il vallaslin. Non sarai più servo di nessuno, nemmeno mio. Se mai deciderai di seguirmi lo farai da fratello e compagno, sarai un mio pari.” Gli occhi di Abelas si aprirono in un modo che avrei definito innaturale, sospirò e chiuse gli occhi. “Fallo Fen’Harel, e la mia vita sarà tua.”

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Capitolo 22
*** Cap. 22 ***


Gli occhi di Abelas si riaprirono, curiosi e vivaci sul viso pulito. L’antico elfo mi sorrise e si toccò il viso incredulo “Grazie Fen’Harel. Adesso ho un grande debito nei tuoi confronti, non solo perché mi hai liberato, ma anche perché Mythal mi ha liberato. Non so se la mia vita immortale riuscirà a ripagarti. Ma melava halani, ma serannas.” disse inginocchiandosi, mi abbassai anche io e lo alzai, gli presi il viso triangolare tra le mani e gli sorrisi: “Hai la memoria corta elfo, non sei al mio servizio. Ti ho donato la libertà: ora sei un mio pari se accetterai di seguirmi e se lo farai sarà perché tu lo vorrai, altrimenti cambia il tuo nome e vivi come desideri vivere, fratello.” dissi posandogli una mano sulla spalla, l’elfo ambrato mi prese tra le sue braccia, spiazzandomi. Mi teneva stretto e forte al suo petto. Rimasi interdetto da questo suo gesto, ma mi piacque. Si staccò e mi prese le spalle tra le mani affusolate e mi scosse “Sarò con te, fratello.” mi disse. Il freddo mattino invernale rischiarava l’alcova dell’altare di Mythal, mi voltai e vidi il corpo di Flemeth posato sulla fredda pietra erosa. Mi concentrai e in un attimo sentii un flusso di magia uscire dal mio corpo e vidi il suo corpo mutare, lo vidi piegarsi alla mia volontà e pietrificarsi partendo dal basso. Sarebbe sempre stato suo questo posto ai confini del mondo, immerso nella natura lussureggiante e baciato dal sole. Osservai le piccole rughe che le solcavano il viso sereno, la accarezzai un’ultima volta e mi voltai. “Abelas, – chiesi all’elfo – uno dei tuoi agenti può rintracciare un’elfa di nome Briala? Possiede una parte degli Eluvian del Crocevia. Vorrei…” non riuscii a finire la frase. Una lancia di puro dolore mi trafisse la testa. Caddi in ginocchio sconcertato e incapace di capire, urlai dolorante prendendomi la testa tra le mani. Qualcosa dentro di me pulsava talmente forte che a momenti temei di esplodere. Digrignai i denti fino a rompermeli quasi. “Solas!” sentii Abelas urlare, incapace quanto me di capire cosa mi stava succedendo.

Hi los ni pogaas bonaar, Fahliil!
Un pensiero potente tuonò nella mia testa e mi schiacciò soffocandomi. Respirai a fatica.
Cosa? Chi sei?
Chiesi a fatica, restando accucciato a terra, l’elfo ambrato non sapeva cosa fare se non tentare di girarmi su un fianco e tenermi fermo.
Hin du'ul los ni hin suleyk, Grohiik. Hin kah los nunon aan motaad.
Mi schiacciai ancora più a fondo nel terreno, urlando e sanguinando dalle orecchie. Il mio sangue si mescolava alla polvere chiara del terreno. Ringhiai verso quella voce profonda e feroce a cui è bastata una frase per mettermi in ginocchio.
Na melana sahlin!
un ringhio potente si contrappose a quella voce nella mia testa. Il Temibile Lupo si destò avvolgendomi con la sua coda e spalancando gli occhi di fiamma. Attaccò quella potente presenza, accecato e furioso. Nella mia testa il mio Lupo di nebbia e quell’entità misteriosa ed antica stavano lottando. Ansimai e la mia vista si oscurò. Non saprei dire per quanto.
 
Nella mia mente assistei allo scontro: il mio Lupo spettrale, veloce e sfuggente attaccava senza sosta quell’entità dall’aspetto poco definito, ma enorme e sembrava schivare con sorprendente velocità i potenti attacchi della mia bestia spirituale. Il Lupo ringhiava rabbioso ed io ero paralizzato, incapace di muovermi e fare qualsiasi cosa: catene di spine mi avvolgevano crescendo sempre più attorno al mio corpo immobile. Gli uncini mi strappavano la cotta di maglia, lacerandomi la pelle e l’armatura si piegava sotto la loro stretta potente, il mio respiro si faceva sempre più affaticato. Cercai invano di tendere i muscoli, ma la stretta di quella presa mi impediva qualsiasi reazione. Una spira si protese verso il collo: era spinosa ma non era un vegetale, aveva delle squame, osservai, piccole squame dorate. Mi avvolse il collo e strinse. Il mio cappio era pronto e saldo: sarei morto così, in sogno, in un mio sogno. Che fine misera avrei fatto, riuscii a sorridere. Abbassai il capo sfinito e rassegnato al mio destino, rivolsi un ultimo disperato pensiero ad Elanor e al figlio che non avrei visto nascere. Uggiolai mentre il potente urlo di quell’intruso scaraventò il mio Lupo contro la parete scura della mia mente. Con fatica e il muso sporco di sangue si rialzò ringhiando violento, il suo aspetto era terrificante: altri occhi spuntarono al fianco degli altri, ardenti come braci e iniettati di sangue. La sua bocca era intrisa degli stracci nebbiosi di quella creatura e gli pendevano dai denti aguzzi serrati. Caricò un altro disperato attacco contro quella creatura che sembrava invincibile.
 
Nahlot, volaan!
Quella voce, pensai, l’avevo già sentita. Alzai il capo a fatica, le spire appuntite attorno al mio collo laceravano la fina pelle sotto al mio capo, ringhiai per il dolore bruciante. Aprii un occhio e guardai dalla fenditura delle mie palpebre.
Lunus!
 
Riuscii solo a pensare, e l’antico drago argenteo con le fauci aperte incendiò quella nebbia informe e potente, la disperse. Pian piano sentii la morsa che mi teneva imprigionato ed inerme, allentarsi fino a liberarmi. Caddi a terra in un tonfo. Il paesaggio scuro attorno a me non mi dava idea di dove fossi esattamente. Non era di certo l’Oblio, pensai, vidi il drago argenteo guardarmi con quegli enormi occhi chiarissimi ed innaturali, le sue squame riflettevano una luce che non capivo, si avvicinò con passo pesante e abbassò il muso verso di me, mentre ferito e dolorante riuscì a posare una mano sopra la larga narice sul suo muso e la accarezzai. Sbuffò del fiato caldo levandosi disgustata dal mio tocco. Era rabbiosa, infastidita e distaccata, sorrisi al suo odio caparbio nei miei confronti, ma era qui con me, in un posto che non saprei definire meglio. Era semplicemente, qui.
 
Zu'u fen dein hi stin nol dilon, Grohiik.
Aprii gli occhi annaspando.
Ero vivo.
 
Avevo dormito non so per quanto, non avrei saputo dirlo con certezza. Mi trovai avvolto in un sacco a pelo di montone e attorno a me una tenda mi proteggeva dal resto del mondo, mi tirai a sedere a fatica portandomi una mano alla fronte, la mia testa pulsava ancora dolorante e la mia vista non era ancora perfetta, sospirai frustrato. Mi guardai attorno: un boccale con dentro un misto di foglie di radice elfica e menta mi attendeva profumato al mio fianco. Lo presi e ne bevvi un lungo sorso assaporando il gusto fresco e pungente delle due erbe. Posai il boccale di legno in terra e cercai di rimettermi in piedi. Dovetti appoggiarmi ad una sedia dov’era accatastata la mia armatura e notai che ero stato spogliato, lavato e rivestito con abiti leggeri e non indicati per la stagione fredda. Continuavo a non capire nulla. Mi sembrava passato solo un secondo da quando stavo chiedendo ad Abelas di indagare su Briala, eppure ora mi sentivo sfinito, sfibrato come non mi sentivo da molto tempo.

Lupo?
Provai a chiedere, percepivo poco la sua presenza.
Uhm? Cosa vuoi? Ho da fare, trovati qualcosa da fare anche tu.
disse spingendomi via con forza. Ero comunque rincuorato, era ancora vivo, dolorante e malconcio, ma vivo. Lo lasciai leccarsi le ferite.
 
Avanzai verso l’uscita della piccola tenda da campo, udii due voci impegnate in un violento alterco. “Non è possibile, Lunus! Te lo ripeto!” urlò Abelas spaventato. “So bene cos’ho visto, dii frin fahliil. Solas non reggerà a lungo se quella creatura dimora ancora dentro di lui, non è un Dovahkiin! Quello Spirito è troppo potente, perfino per uno degli Evanuris.” rimasi di sasso, una mano sfiorava la spessa stoffa scura della tenda. C’era veramente qualcosa dentro di me, pensai “Adesso quell’entità è debole e sono riuscita a salvare Solas per un soffio, ma se vuole sopravvivere dobbiamo trovare un altro ospite. Se quella creatura si dovesse risvegliare del tutto lui morirà assieme al mondo intero.” Uscii dalla tenda con passo incerto e stanco. Abelas e Lunus si voltarono e mi guardarono preoccupati, una ruga apparve sul viso della donna-drago, non credo di averla mai vista così preoccupata. Scrollai lentamente la testa, Abelas mi venne incontro veloce “Stai bene?” chiese l’elfo “C-credo di sì…” balbettai cercando di capire cosa fosse successo, cercando di dare un nome all’entità che ospitavo e come potevo esserne venuto in possesso senza accorgermene. “Cosa mi è successo?” chiesi capendo che anche il solo parlare richiedeva un’enorme fatica. “Siediti Solas, sei molto debole.” mi ordinò perentoria Lunus, vestita con un abito di seta chiarissimo che le fasciava il corpo sinuoso. Una scollatura vertiginosa si apriva dalle spalle arrivando sotto il suo ombelico, lasciando intravedere la pelle candida dai lievi riflessi azzurrognoli. Non mi stupivo se perfino Abelas si era scoperto improvvisamente geloso di lei. Nascosi in fretta il sorriso che mi stava comparendo in viso e mi accasciai dolorante sul terreno gelato, mentre Abelas mi porse un pasticcio di nug avvolto in un canovaccio che aveva visto sicuramente giorni migliori. Lo addentai ed era tremendo, ma in mancanza di altro doveva andarmi bene. Tra le altre cose ero anche affamato per cui lo ingoiai quasi senza masticarlo tossendo per la mia foga, presi una borraccia dal terreno la scossi e mi vuotai in bocca il suo contenuto. Abelas e Lunus continuarono a scambiarsi occhiate significative senza dirmi alcuna parola. Sbottai. “Qualcuno è così gentile da spiegarmi cos’è successo? Se devo morire, gradirei almeno sapere per cosa.” “Non tutti hanno questo lusso, elfo.” ridacchiò Lunus incrociando le braccia al seno. Ringhiai scoprendo i denti “E va bene, non ti arrabbiare. La verità è semplice…” “Lunus!” la interruppe l’elfo ambrato aggrottando le sopracciglia. “Cosa? Non merita di sapere cosa gli sta succedendo? Adesso che è il tuo pupillo non deve essere spaventato? Per favore Abelas, taci!” l’elfo sgranò gli occhi e si fece da parte, si allontanò verso il colonnato ricoperto di edera fingendo disinteresse. “Allora?” chiesi impaziente, Lunus si voltò e la leggera ruga sulla sua fronte ricomparve. “Sarò breve. Dentro di te oltre al tuo Lupo e a Mythal dimora uno Spirito estraneo Solas, una presenza che adesso è assopita, ma non lo sarà per molto. Prima di allora dovremo trovare un altro individuo in grado di ospitarla, senza che ne rimanga ucciso.” “Di chi o che cosa si tratta?” chiesi quasi senza pensarci, temevo la risposta della donna-drago. Lunus sospirò levandomi di dosso il suo sguardo preoccupato, si portò una mano alla bocca, il suo petto candido si gonfiò. “Si tratta dell’anima di un drago.” disse alla fine. “Un drago molto potente per giunta. Devi averlo assorbito quando hai assorbito Mythal.” concluse la donna avanzando verso di me. Mi si inginocchiò di fronte e una ciocca dei suoi capelli color di luna sfuggirono dalla sua spalla. “Cosa significa? Come può essere successo?” chiesi preoccupato, “Significa che se non agiamo subito, non so quanto tempo ti resti da vivere. Non so come sia potuto accadere, ma è accaduto, che lo vogliamo o meno.” Soppesai attentamente le parole della donna vestita di luna, in cerca di una soluzione che sembrava essere molto distante, oltre la mia vita. Sospirai ansioso rimanendo in silenzio e presi a giocare con dei sassi raccolti dal terreno. Lunus si allontanò lasciandomi solo con le mie paure. Non potevo morire, non volevo, non ora. Ero indenne all’azione del tempo, ma se un drago dimorava dormiente nascosto nelle mie viscere era una cosa che nemmeno io potevo controllare. Se non fosse intervenuta Lunus sarei sicuramente morto, da solo, intrappolato nella mia stessa mente trasformata in una gabbia asfissiante. Abelas si avvicinò a me silenzioso e calmo, non disse una parola, si sedette solamente al mio fianco in un’attesa ansiosa. “Sai, presto mi troverò di fronte alla necessità di scegliere.” Cominciai. “Sono rimasto invischiato nel destino più di quanto credevo, pensavo di fare la cosa giusta. Ho amato ed amo profondamente Elanor e con lei ho generato un figlio. Senza volerlo ho posato nel suo palmo una fiamma che da un momento all'altro potrebbe incendiare il mondo intero. Il nostro mondo. Il tuo, il mio e quello degli altri. E dovrò scegliere. Come te. Come Elanor. Come ha dovuto scegliere Lunus. Perché Lunus in defininitiva ha già scelto. E il mio destino è nelle sue mani, Abelas. Mi sono consegnato io stesso nelle sue mani. Se muoio a causa di questa entità, non potrò fare nulla e lei non me lo perdonerebbe.” “Cosa intendi?” chiese l’elfo inondandomi con il suo sguardo ambrato. “Io non sono tagliato per fare l'eroe, a differenza tua non sono un soldato e la terribile paura del dolore, delle mutilazioni e della stessa morte non sono le uniche ragioni. Non si può obbligare un soldato come te a smettere di avere paura, tuttavia gli si può fornire una motivazione che lo aiuti a superarla ed io non ho una simile motivazione, non posso averla anche se sono un dio, sono il dio del tradimento e dell'inganno. Io secondo la storia sono quello che ha bandito gli dei nella Città Nera. Io uccido mostri. Spezzo catene. Causo problemi. E anche se il mondo sarà presto ridotto in rovina, spezzerò catene sulle rovine del mondo finché qualcuno non ucciderà me. Questo è il mio destino, la mia motivazione, la mia vita e il mio rapporto nei confronti del mondo. Un mondo che io ho aiutato a plasmare. È facile uccidere con l'arco, Abelas. È facile pensare: Non sono io, non sono io, è la freccia. Sulle mie mani non c'è il sangue di questa persona. È stata la freccia ad uccidere, non io. Ma la freccia non sogna nulla di notte. La magia è parte di te e ogni volta che uccidi qualcuno ti trasformi in qualcos’altro. Nessuno è totalmente immune all’uccisione di qualcun altro. La minaccia qunari comporterà altre morti, la mia stessa condizione è probabile che uccida colui che dovrà contenere quest’anima. Non ce la faccio, non credo di farcela.” Abelas mi guardava torvo, trovavo spiazzante e fastidioso il suo silenzio. Sbuffai, probabilmente mi stavo autocommiserando. Di nuovo. “Hai ragione. – dissi stanco – Non è il momento di farsi prendere dal panico, non posso, devo resistere. Devo lottare.” l’antico elfo affilò lo sguardo “Vedo che sei veloce a capire quando superi il limite. Ora, se non ti dispiace, una persona mi ha chiesto di te l’ultima volta che sono stato a Skyhold. Vuoi vederla?” Sgranai gli occhi. L’elfo ambrato non si mosse e rimase in religioso silenzio lasciandomi fantasticare su chi potesse essere, chi poteva sapere dov’ero e cos’ero diventato? Chi non aveva timore o covava rabbia nei miei confronti? Sospirai chiudendo gli occhi. “Cole.” sussurrai a me stesso “Esatto – mi rispose Abelas – Cole è qui da prima. È rimasto silenzioso e in disparte, vuoi vederlo?” Annuii con un cenno leggero del capo. Ero stanco, ma molto felice di vedere un amico. Il ragazzo dai capelli di grano si materializzò al fianco di Lunus che lo accarezzò lieve, Cole sorrise al tocco della donna-drago e le porse un loto dell’alba. Lunus se lo mise tra i capelli argentei, posandolo sopra il piccolo orecchio. Poi il ragazzo si voltò, il suo sguardo quasi assente, bovino, si posò su di me. Vidi il muscolo della sua mascella contrarsi rabbioso, si avvicinò velocemente a me, non feci quasi in tempo a vederlo che un pugno mi colpì in piena faccia. Caddi in terra e sputai un grumo di sangue. Con un pollice premetti il naso che pulsava dolorosamente colando sangue caldo “Ecco, adesso conosci una piccola parte del mio dolore, di più non posso.” disse il ragazzo in un misero tentativo di trattenere un pianto nervoso. “Perché Solas, perché? Sei diverso, sei… strano!” scoppiò in lacrime, nascondendosi sotto la larga fronda del suo strano cappello “Vieni qui, ragazzo.” gli dissi allungandogli un braccio continuando a tenermi il naso. Lo Spirito di Compassione con un urlo disperato mi abbracciò stringendomi con tutta la forza presente in quel corpo acerbo. Lo strinsi a me soffocando un pianto. “Ti voglio bene, stupido Lupo cocciuto.” sussurrò quel ragazzo biondo staccandosi da me, il suo viso scarno era paonazzo e i suoi occhi chiarissimi erano arrossati e gonfi, sorrisi e gli accarezzai il viso. “Lo so, ragazzo. L’ho sempre saputo.”
“Il ragazzo ha percepito subito che qualcosa non andava. – si intromise Lunus – Quando la tua Sfera si ruppe non percepì più lo Spirito del tuo Lupo. Per molti mesi ti credeva morto, fino a quando assorbisti il potere di Mythal e attraversasti l’Eluvian nell’anticamera di Elanor. Lui ti percepì, ma eri diverso. Dentro di te sentiva una presenza troppo forte perfino per te.” guardai Lunus, la sua espressione era seria e preoccupata. “Sei più luminoso. – disse Cole allontanandosi di scatto da me – Luccichi, accechi, risplendi… non ce la faccio…” disse il ragazzo riparandosi gli occhi con il braccio “Sono io, nulla di cui tu ti debba preoccupare, almeno per ora. Focalizzati su ciò che ti circonda. Su ciò che è qui, in questo mondo.” dissi cercando una tempestiva soluzione, gli stavo facendo male, la mia sola essenza per lui era dolore. “Ma cosa c’è qui?” chiese il ragazzo portandosi anche l’altro braccio a schermare il viso. Ringhiai. “Senti il terreno sotto di te, l’erba gelata che accarezza la tua pelle, la rugiada ghiacciata sciogliersi al tuo tocco. Ascolta il respiro nei tuoi polmoni, il fruscio del tessuto caldo contro la tua pelle…” cercai di dirgli, il ragazzo dai capelli di grano sospirò con affanno, scrollò il capo strofinandosi un occhio “Grazie.” disse riprendendo il controllo. Respirò rumorosamente e si calmò, incrociò le gambe mettendosi di fronte a me. “Non è niente, ragazzo mio. Può essere schiacciante per chiunque.” sospirai incredulo, guardai le mie mani candide, strinsi i pugni con forza e urlai liberando nell’aria una quantità di magia che non credevo di possedere. Una colonna di luce azzurra mi avvolse fermandosi a pochi centimetri da Cole. Il mio urlo squarciò le nubi sopra di noi creando un varco di cielo terso, un raggio di sole colpì Abelas poco distante da me e fece brillare la sua pelle di riflessi paglierini. Lunus mi guardò con stanca preoccupazione, avvolta nella stessa fascia di luce che illuminava il suo amato. “Cole non è qui per caso, Lupo. Cole può aiutarci a trovare un ospite per l’anima di Urthemiel.” disse fredda la donna vestita di luna, il ragazzo annuì frettoloso. “Stiamo cercando un elfo, un elfo maschio di nome Fenris. È lui che dobbiamo trovare.” disse Cole con tono sicuro.
 
Guardai il ragazzo seduto davanti a me squadrandolo cercando di capire a chi si riferisse, non avevo mai sentito questo nome, non mi diceva nulla. “Fenris è un giovane elfo. La sua pelle è segnata da marchi che lo rendono un guerriero potente. La sua pelle brilla di azzurro quando è arrabbiato. Pietrifica i nemici all’istante, uccidendoli con un solo sguardo. Provoca loro paura e dolore. La stessa paura e lo stesso dolore che provò lui nella sua vita da schiavo.” disse Cole disegnando sul terreno gelato una forma, un lampo, aveva disegnato i contorni dell’Impero del Tevinter. Deglutii rabbioso “Un elfo nel Tevinter? – chiesi – o è pazzo o è stupido, in ogni caso cosa vi fa pensare che accetterà di essere lo scrigno per questa… cosa?” “Non lo sappiamo Solas, – intervenne Lunus – ma abbiamo troppo poco tempo per trovare altre soluzioni, io posso a malapena gestirla mentre è ancora dormiente. Dobbiamo tentate o sarà tutto perduto: Elanor, tuo figlio, tu, io, Abelas, Cole, assieme a tutti gli altri, quelli che un tempo hai chiamato amici. É il male minore.” Sbuffai frustrato, le nubi si chiusero attorno al buco nel cielo, privando il nostro piccolo campo dei benefici raggi del sole tiepido “Il male è male, Lunus. – sbuffai – Minore, maggiore, medio, è sempre male: le proporzioni sono convenzionali, i limiti cancellati. Non sono un santo, non ho fatto solo del bene in vita mia, lo sai. Ma, se devo scegliere tra un male e un altro, preferisco non scegliere affatto. Non è questo che volevo in nome del bene superiore, non posso mettere in pericolo un elfo per avere una minima possibilità di sopravvivere. Non posso vederlo morire.” la donna-drago mi lanciò un’occhiata furiosa, Abelas sospirò scuotendo la testa “Devi accettare i fatti, elfo. Devi imparare a farlo prima che sia troppo tardi.”
La giornata passò lenta e inesorabile, non parlammo quasi più, mi chiusi la fronda della tenda alle spalle e decisi di riposare qualche ora, era da molto tempo che non mi concedevo un po’ di sana pigrizia. Mi infilai nel sacco a pelo e cercai di scaldarmi un po’ frizionando le braccia. Ero sfinito e debole e un lauto pasto sarebbe stata la soluzione migliore, mangiare qualcosa mi ha sempre confortato. Cole entrò slengando con delicatezza i nodi interni dell’apertura della tenda, lo guardai rimanendo seduto, si accomodò su un baule di legno di faggio intagliato. “Ho pensato volessi riaverle…” disse porgendomi un cofanetto intagliato, un lupo ed un halla prendevano forma sotto il mio tocco. Sospirai aprendo la chiusura del piccolo contenitore di legno, le lettere di Elanor rividero la luce dopo mesi chiuse sole al buio, le sue parole respirarono nuovamente. Ne presi un paio tra le mani e le guardai, la sua grafia minuta era impressa su quei ruvidi fogli ingialliti e spiegazzati, sorrisi nostalgico, mi mancavano le sue lettere e non potei fare a meno di chiedermi se me ne scriveva ancora, senza spedirle, conservandole dentro qualche cassetto nella sua scrivania. “Sì, lo fa… lo continua a fare. Sei perfetto esattamente come sei, ma poi ti sei allontanato. Perché?” chiese il ragazzo incrociando le dita delle mani. Sospirai. Ancora quella domanda “Non vedevo altra scelta.” cercai di dire ancora una volta, cercando di giustificarmi ancora una volta, cercando di trovare una riposta che non sia un cappio attorno alla mia gola. “Lei si sente il viso vuoto, una volta è stato rovinato senza malizia. Non lo sapeva. Pensa che sia il motivo per cui sei andato via. Sente la creatura dentro di lei crescere, una creatura nata dal vostro legame forte e vero, ma percepisce che qualcosa non va. É strana, è forte e lei è sola. Il suo braccio muore, giorno dopo giorno…” disse il ragazzo dai capelli di grano nascondendo il viso sotto il largo cappello.
 
Sospirai frustrato, aveva ragione, ho percepito anch’io qualcosa di strano nel bimbo che portava in grembo, quando la baciai percepì la sua preoccupazione, il suo dolore, le sue mille domande, non sapevo quanto poteva durare il mio incantesimo stabilizzante sul Marchio, dubitavo fosse illimitato. “Non puoi curare questo Cole. Per favore, lascia stare. Non è mai stato il vallaslin… Non è il motivo per cui l'ho portata a Crestwood, né la fine del nostro rapporto. Era quello che eravamo, di chi ero e di chi non ero. Potresti dire che era codardia, io direi che era egoismo. Un cuore sogna più in grande del cervello. Non uno ma molti momenti di debolezza, troppi ed è tutta colpa mia, mi dispiace. Non meritavo il suo cuore quando era intatto ed ora come ora non meriterei neanche un singolo frammento sparso di quel suo cuore. Né credo di poterlo rimettere insieme, anche se sarei felice di sanguinare con le mie mani ricoperte di innumerevoli tagli, in un tentativo inesauribile e inutile di ripararlo, pezzo dopo pezzo, ma alla fine ciò che conta è che lei merita di meglio.” dissi esasperato. “Ti fa male. Un vecchio dolore passato, di quando tutto cantava allo stesso modo. Sei reale, e significa che tutti potrebbero essere reali. Cambierà tutto, ma ora non può, non così. Dorme, mascherato da uno specchio, nascosto, ferito, e svegliandolo… morirai. Devi scegliere in fretta Solas.” “Scegliere di sacrificare la vita un ragazzo innocente? Tempo fa ti avrei detto di sì, ma ora… ora non so cosa sia giusto…” “Elanor ha bisogno di te.” mi interruppe il ragazzo alzando leggermente il tono della voce. Sospirai, altro errore da parte mia “Troviamo Fenris. Spero che tu abbia ragione ragazzo, lo spero con tutto il cuore.” Cole uscì dalla tenda, allacciandone i bordi verso l’interno, respirai profondamente cercando di calmare il mal di testa imperante, “Cole, aspetta!” il ragazzo interruppe il suo meticoloso e preciso lavoro di nodi. “Resta qui con me, ragazzo.” lo pregai tentando di non sembrare troppo disperato, il giovane riprese a slegare nervoso i nodi appena fatti, rientrando nella mia piccola tenda. “Com’eri prima? – chiesi – prima di unirti all’Inquisizione, cosa provavi? Cosa sentivi?” chiesi tutto d’un fiato. Il ragazzo si accucciò vicino a me, prese la mia pelliccia di Lupo posata sopra l’armatura e me la mise di traverso, appoggiandola sopra una spalla, lo ringraziai. “Riparati, riparati dal sole se continui ad ustionarti. Riparati, riparati dal sole perché hai imparato quello che fa male. Ho imparato ad inchiodare ancora prima di girare la chiave, ho stretto amicizie ma quando scoprirono chi ero sparirono, lasciandomi solo. Non davo loro ragione di seguirmi, non puoi commettere errori se te ne vai, giusto?” sorrisi alla malizia impostata e puntuale del ragazzo, agli occhi di tutti dovevo apparire come un vigliacco e poco potevo fare per cambiare l’opinione che avevo dato di me. “Guardare sempre dentro a tutto, restando all'esterno. Potrò mai essere più di ciò che sono sempre stato? mi chiedevo spesso, perché picchiettavo sul vetro, salutavo dall'altra parte della finestra. Ho provato a parlare ma nessuno sembrava sentirmi.” disse Cole triste, la sua vita da Spirito non doveva essere stata facile, aiutò quel giovane eretico imprigionato alla Cuspide e divenne lui “Con voi mi trovo bene, siete i miei amici. Posso aiutarvi.” concluse il giovane con un respiro. “Ora riposati, Lupo… Dimentica.” e sentii la mia mente liberarsi da un enorme fardello, mi accasciai dentro il sacco a pelo, sospirai sereno e chiusi le pesanti palpebre.

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Capitolo 23
*** Cap. 23 ***


Mi svegliai ed era notte fonda, aprii gli occhi e misi a fuoco quel luogo scuro. Vidi una candela consumata giaceva sulla tela cerata posata sul terreno, la cera sciolta si era solidificata sul tessuto scuro. Mi alzai con un po’ di fatica, mi legai gli stivali assicurandoli ai polpacci con le stringhe di cuoio ed indossai la giubba sopra la tunica chiara che mi arrivava sotto il bacino, respirai ed uscii dalla tenda. presi una pietra dal terreno e la manipolai magicamente, formando un piccolo lupo grigio, acquattato e mesto. Lo infusi di magia, i suoi piccoli occhi brillarono azzurri. “Io sono più forte di tutto questo.” sibilai guardando il piccolo Lupo di pietra rigirandolo tra le mie mani. Non potevo fermarmi ora, dovevo arrivare fino a quel specchio, anche se ero così stanco. Il mio corpo bramava riposo. In verità, bramava Elanor. Toccai l’Eluvian di fronte a me, nel silenzio oscuro di quella notte mi colpì con la sua luce chiara e vivida. Un respiro ed attraversai lo specchio.

Skyhold. Questo era il mio posto. Conosco tutti i suoi segreti. Vorrei poter passeggiare là, come un topo dentro pareti e nessuno avrebbe mai saputo del mio ritorno. Nessuno.
Qui potevo rivivere i miei ricordi più vivi con lei nell'Oblio. Era la cosa migliore che potevo fare, senza mai far passare il dolore di rivedere tutto ciò. Però, con un po' di fortuna, potevo veramente vederla, trovai uno dei corridoi di servizio usati dal personale della fortezza, con difficoltà entrai nel basso cunicolo e scesi alla biblioteca, quel posto che per me era più che familiare, la fitta rete di piccoli corridoi impolverati e bui si diramava tutt’attorno alla fortezza, retaggio di un antico uso da parte di spie ed assassini di corte, pensai.  “La cosa strana è successa qualche settimana fa, uno degli elfi ha detto di aver visto una luce proveniente dall'anticamera di Elanor.”  quella voce, pensai, quella voce incredibilmente acuta per un uomo, quell’accento inconfondibile e quella cadenza quasi sprezzante, Dorian, pensai con un sorriso, il mio più caro amico era qui a Skyhold. Per un momento mi sentii sollevato, saperlo qui affianco alla mia Signora dell’Oblio era rassicurante più di ogni altra cosa “Suona come qualcosa che dovresti dire a Sua Inquisitabilità.” disse un’altra voce a me familiare, una voce che sapeva di pietra e segreti, dolore e musica: Varric era con Dorian nella mia stanza della rotonda, cercai uno spioncino, ricordavo che ce n’erano un paio, li avevo visti mentre dipingevo le gesta di Elanor sulle pareti. “Ne ha passate così tante, – continuò il giovane Tev sospirando preoccupato – non voglio turbarla. Lei sfugge a quella stanza, evita quel posto quando può, ma non vuole spostare lo specchio da nessun’altra parte. Ma… sono contento. Da qualche giorno l’Ancora sembra non causarle più dolore. Sembra stia abbastanza bene, nonostante tutto. Non mi piace saperla triste, ha un bel sorriso.” il tono del giovane umano cambiò all’improvviso, non seppi dare un motivo a quel suo repentino cambio nel tono della voce, improvvisamente mi sentii un verme, stavo origliando due dei miei più cari amici mentre parlavano di Elanor, ringhiai disgustato dal mio stesso comportamento, ma nessuno doveva vedermi “Dorian, è ancora innamorata di lui e non hai idea di quanto.” disse Varric con un tono da chi la sa lunga in fatto di amori eterni, fiabeschi, forti e immortali. Il mio cuore mi rimbalzò in bocca. Cosa significava quella frase? Tesi tutti i muscoli del corpo fino a farmi male. “Cosa?! Io non avrei mai avuto alcuna idea? Davvero?!” urlò acuto Dorian sbattendo i pugni su quella che un tempo era la mia scrivania, nel mezzo della stanza. “Tengo il mio occhio puntato su di te, belloccio. Non me la si fa sotto il naso così facilmente…” sogghignò Varric sedendosi sul divano imbottito dietro la scrivania, dal tavolino prese una coppa di metallo e ci versò dentro del vino. “Per cosa?” chiese impotente il giovane uomo, il suo petto era gonfio e la sua irritazione era palpabile “Non accadrà mai, Dorian. Mi dispiace.” disse il nano muovendo il vino nella coppa con un abile gesto del polso. “Io… – sospirò Dorian – avrei fatto di meglio.” Varric annuì con lo sguardo basso: “É così.” “Solas non è qui, ma io posso esserci se lei è disposta a volermi al suo fianco, anche come copertura. Il bimbo che porta in grembo, il figlio suo e di Solas non sarà un problema. Sarà come se fosse mio, potrei essere un buon marito per Elanor, nonostante la mia natura, nonostante io abbia altri… gusti.” mi sentii mancare, il respiro mi si strozzò in gola. Non potevo crederci. La mia vista si offuscò, non potevo aver sentito veramente quelle parole. Non adesso, non qui, non era reale “Davvero Dorian? Saresti disposto a questo?” non volli ascoltare la risposta, se c’era stata, scappai da quel cunicolo tornando nelle stanze di Elanor, ero impolverato e spaventato.
Cercai di ignorare quelle parole come meglio potevo. L'Oblio almeno sarebbe stato più indulgente. È vero, forse non meritavo alcuna tregua, ma avrei comunque preso quello che mi offriva. Non c'era meraviglia più grande che rivedere e recitare i momenti preziosi nell'Oblio. O quasi. Egoisticamente, la mia mente prese a vagare, la mia curiosità la ricercava. Potevo sentire il suo Spirito, potevo sentirla sognare. Se avessi potuto vederla, o sentire il battito del suo cuore, leggero come un sussurro nel vento, ne avrei forse risentito? Mi chiesi, ma capii che non mi importava nell'esatto momento in cui la vidi, appoggiata con i gomiti sopra quel pergolato che sapevo di ricordare, fasciata con un abito blu come la notte, la luna piena splendeva pallida sopra la sua testa. Sorrisi con dolcezza imbarazzata, si alzò dal parapetto, le sue spalle chiare si mossero e si voltò, i suoi occhi viola si posarono su di me. Mi sorrise avvicinandosi lenta e leggera, il vestito fino seguiva i suoi movimenti con perizia e leggiadria, sul suo piccolo seno faceva capolino il mio monile che culminava sulla sua femminile rotondità.
Era lei così reale qui come lo era nella realtà? Non potei fare a meno di chiedermi dove si trovassero i suoi pensieri e cosa immaginasse mentre stava dormendo, i suoi sogni erano tranquilli, affascinanti. “Solas…” la sentii sussurrare. I miei pensieri capricciosi e ribelli mi avevano condotto alla sua porta. Premei alla soglia dei suoi sogni e mi insinuai invisibile, era ignobile da parte mia, lo sapevo, ma era così vicina. Non capivo strana la curva delle sue labbra mentre pronunciava il mio nome. Sì, il mio nome. Stava sognando… di me? Continuò ad avvicinarsi lenta, fermandosi a pochi passi da me, non mi mossi imponendomi di stare fermo, mi tirò un piccolo pugno sul petto, il suo viso divenne rosso e i suoi occhi si inondarono di lacrime. “Solas, tu …bastardo, dove sei stato? Mi hai lasciata sola, perché? Perché hai lasciato?!” mi disse schiacciandosi sul mio petto, posai il mio mento sul suo capo e chiusi gli occhi, me lo meritavo, dopotutto me lo meritavo, mi dissi. Mi cinse il busto in un abbraccio tremolante, le accarezzai piano la schiena nivea, il suo ventre premeva contro il mio ed il suo seno morbido si schiacciava contro il mio petto teso, respirai. “Ir abelas, ma vhenan, intendevo tornare più rapidamente. – le dissi cullando quel ricordo piacevole che stavo distorcendo, creandone un altro – Ti ho portato qualcosa, per occasioni di questo tipo… – le dissi staccandola leggermente da me e mettendole tra le mani la piccola statuetta dagli occhi brillanti – La prossima volta che non riesci a trovarmi, prendi questa statuetta e chiudi gli occhi. Agirà come un passaggio diretto e come una guida, ti aiuterà a trovarmi nell'Oblio. Provala.” le dissi e con un bacio sul naso me ne andai da quel sogno che avevo distorto, chissà se l’avrebbe ricordato.
Tornai nel mio corpo, la vidi ancora stesa, avvolta nel suo letto tranquilla e addormentata, sorrisi e posai la vera statuetta ai piedi dell’Eluvian, toccai la superficie riflettente dello specchio che rispose sprigionando una luce soffusa, lo accarezzai e con il cuore pesante lo attraversai, tornando al piccolo avamposto del Tempio. La luna era alta in cielo, respirai quell’aria fredda a pieni polmoni e camminai schiacciando l’erba ghiacciata. Un riflesso tenue mi colpì in pieno viso, alzai lo sguardo e vidi Cole in equilibrio si un’alta colonna logora, i suoi pugnali riflettevano la pallida luce della luna, si voltò e con quello che mi pareva un largo sorriso mi salutò togliendosi lo strano cappello. Rientrai nella mia tenda con un po’ di apprensione, sarebbe davvero arrivata? Mi chiesi slacciandomi meticolosamente gli stivali e posandoli su un lato, mi levai la giubba e mi infilai nel mio sacco a pelo di montone, chiusi gli occhi e separai il mio corpo dalla mia anima. Volai verso il cielo azzurro, trovai una lieve breccia nel Velo ed entrai nell’Oblio. Avrei aspettato.

Un sussulto mi smorzò il respiro in gola. Ricordai la prima volta mentre mi seguiva nell'oblio, mi aveva sorpreso. Così tenera e spaesata, eppur meravigliata e curiosa. La mia pelle era ansiosa di un suo tocco, ma non potevo. Invece di stendere le braccia ed aprire un dialogo, ho schivato in parte i suoi tentativi di trovarmi, tuttavia un pensiero mi assillava: teneva da qualche parte una statua del Temibile Lupo? Se si fosse in qualche modo ricordata? No. Non credo.
Sin da quando ho lasciato l'Inquisizione, avevo setacciato varie sezioni dell'Oblio, silenzioso come un gatto sul velluto e lei non mi aveva mai trovato, non aveva mai trovato il vero me, per lo meno. Oggi non sarebbe stato differente, mi dissi, guida immaginaria o meno, una sensazione di freddo corse lungo la mia colonna vertebrale. Ho dormito a Skyhold, e quel posto era mio, ma era anche di Elanor… ed il Velo era delicato e fino in quel luogo.
Ormai, avrei dovuto sapere bene di non dubitare della sua ferrea volontà che devo ancora vedere domata, dopo tanti anni. "S–Solas? …sei davvero tu questa volta, non è vero?" Mi voltai e la vidi. Tra le mani teneva la mia statuina, i suoi occhi erano dubbiosi. Il suo corpo si liberò della nebbia che aleggiava in quel luogo, ghiacciata e scura. “Vhenan…” le dissi con un sorriso. C’era riuscita.
 
Non riuscii a reagire, trovai le sue labbra appoggiate alle mie, desiderose di quei baci che le erano mancati. Mi prese le guance tra le mani e schiacciò ancora di più la sua bocca sulla mia, la sua timida lingua cercava di farsi spazio nella mia bocca tesa ed imbarazzata.  Mi teneva stretto davanti a lei, le posai le mani sui fianchi e mi abbassai, permettendole di posare bene entrambi i piedi. Le cinsi la schiena e la accarezzai. Risposi al bacio con un desiderio che non credevo di avere, una voglia irrefrenabile di essere suo mi prese senza chiedere. La abbracciai e le morsi pian piano il lungo collo, rise, inspirai quell’odore familiare e dolce che per me avrebbe sempre significato amore, mi abbandonai a quella nuvola di lunghi capelli corvini e inspirai tenendola stretta al mio corpo, sentii il suo cuore battere violento contro il mio petto; la sua presenza mi inebriava e la mia volontà si disfaceva, anche qui nell’Oblio, quel posto che, prima di trovare le sue braccia, avevo chiamato casa. “Mi sei mancato, Solas.” mi disse con ancora le labbra appoggiate alle mie, sorrisi piano, la guardai con gli occhi semi chiusi, con quegli occhi avrebbe potuto dirmi qualsiasi cosa, le baciai la punta del naso: “Ti chiedo scusa. Avevo intenzione di mantenere le distanze, ma non per coglierti di sorpresa.” mise un piccolo broncio poi con quel suo sorriso di sfida affilò lo sguardo e posò la punta del naso sul mio “Ir abelas hahren, penso che dovrei essere io quella che si sente presa alla sprovvista!” disse guardandomi dritto negli occhi, risi sommessamente, avrei voluto fargliela pagare cara quella sua piccola lingua impertinente. “Sei davvero una forza della natura vhenan, ed io non posso fare a meno di essere attratto da te.” le dissi e la baciai serrandole la nuca con una mano, la volevo, come l’ho sempre voluta “Fermo… Solas… ti prego...” disse ad un certo punto dolorante. Mi staccai da lei non capendo, si portò una mano al ventre e abbassò il viso, quasi con vergogna “L’avrai notato…” disse imbarazzata. “Sì, ma'arlath.” dissi distogliendo lo sguardo colpevole. “Aspetto un figlio, Solas…” disse preoccupata, sospirò cercando parole che nemmeno io sapevo trovare. “Ti amo.” riuscii solo a dire, la abbracciai e la cullai tra le mie braccia, le accarezzai il viso e sentii una lacrima scendere sulla sua guancia. “Sento che c’è qualcosa di strano in questo bambino…” disse confermando le voci di Abelas, “Non so se dipenda dal Marchio che sta diventando incontrollabilmente doloroso o cosa sia successo, ma ho paura. Una paura che devo gestire da sola, perché tu non ci sei.” Mi disse e fu come una pugnalata dritta al cuore, digrignai i denti cercando di non crollare. “Ir abelas, cercavo di proteggerti.” “Proteggermi? Da cosa Solas?” urlò con la voce incrinata dal pianto “Da me… – dissi – dentro di me dimora un’anima assopita, che distruggerà il mondo se si dovesse risvegliare e poi mi ucciderà.” dissi, lei sgranò gli occhi guardandomi con il volto pieno di preoccupazione e domande, non potevo dirle altro, al momento. Non volevo preoccuparla più del dovuto, era una cosa con cui dovrei fare i conti io ed io soltanto. “Ho un piano vhenan, sopravviverò. Per te e per noi.” le dissi posandole una mano sul grembo. Le diedi un lungo bacio sullo zigomo, dove un tempo la sua pelle era tatuata, le sorrisi. “E mi dispiace anche per questo... Svegliati!” le dissi e vidi la sua anima scomparire nel vento dell’Oblio.
 
Mi risvegliai nella tenda, e mi girai sul fianco, temevo di averla fatta piangere e qualcuno l'avrebbe sentita gridare nell'oscurità, sola nella sua tristezza. Potevo fare poco per lei, lo sapevo bene. I nostri incontri si sarebbero tenuti nell'Oblio, dove la realtà è discutibile e le intenzioni sono quasi sempre velate, ma il suo calore mi ha strappato dalla mia oscurità. Volevo sentire ancora il calore del suo respiro mentre singhiozzava contro il mio petto, donandole le mie braccia come riparo dai sogni che le provocano sofferenza.
Ma non potevo. Quello che potevo fare era crudele, ma facilitando le sue lacrime il suo cuore sarebbe guarito almeno un po'. Presi un profondo respiro, fissando la mia oscurità, e con uno sguardo rivolto al buio dello stesso colore dell'inchiostro, sussurrai la mia tregua: “Torna a dormire, amore, non ti disturberò oltre. Hamin somniar, ma vhenan.”
Mi destai a mattino inoltrato, guardai il timido sole che cercava invano di trapassare lo spesso tessuto cerato della tenda, respirai e mi resi conto che l’aria era irrespirabile, soffocante, mi alzai cercando di controllare il mal di testa lancinante che avevo dopo ogni mia incursione nell’Oblio. Sospirai e mi drizzai in piedi, oggi avremmo dovuto cacciare se volevamo mangiare. Mi vestii con la mia vecchia giubba, l’armatura mi guardava scintillante, ma decisi di accantonarla, non era il momento di indossarla, non ancora mi dissi accarezzando la fine e leggera cotta di maglia. Uscii dalla tenda e Abelas stava accendendo un piccolo fuoco al centro del campo. “Le tue incursioni notturne a Skyhold potrebbero far sorgere domande, lo sai vero?” mi chiese non distogliendo l’occhio dal meticoloso lavoro di impilare i piccoli rami secchi “Lo so, ma non riesco a stare lontano da lei, nonostante tutto, sono preoccupato. Abelas, perché non mi hai detto di Dorian?” gli chiesi aggrottando le sopracciglia, l’antico elfo alzò il capo levandosi il cappuccio scuro. “E perdere l’occasione di farti capire il peso delle tue scelte? No fratello, non potevo. Ho a cuore la salvezza di Elanor quanto te. Anche se il giovane uomo avrebbe potuto essere solo una parte di quello che sei tu, l’avrebbe protetta ed aiutata e avrebbe cresciuto vostro figlio come fosse suo, ma non avrebbe potuto darle di più. Lui non è te, Fen’Harel. E in tutta onestà non so se Elanor sopravvivrà per scoprire di Dorian.” Abelas finì la sua piccola piramide di paletti, poi mi invitò con un cenno ad incendiarla, con fare seccato, accesi il fuoco con una vampata proveniente dal mio indice, davvero potevo impedire che Elanor si rifacesse una vita senza di me? Davvero ero capace di tanto egoismo? Era giusto? Sbuffai frustrato guardando la colonna dove, qualche ora prima Cole faceva giochi di equilibrio. Ora non c’era. Ripensai al bacio della sera prima, ripensai alle mille domande a cui avrei dovuto rendere conto prima o dopo, ripensai ai suoi occhi, al suo profumo e al suo calore che tanto mi erano mancati, sospirai. “Le ho detto di Urthemiel, ho cercato di placare i suoi dubbi sulla mia fuga, so che non sono quelli veri, ma sono una parte. Non sopportavo l’idea di perderla, mi è mancata tanto…” l’elfo ambrato si alzò in piedi guardando soddisfatto il piccolo fuoco vivo e scoppiettante, incrociò le braccia “Nessuno vorrebbe soffrire, eppure la sofferenza è nel destino di ognuno di noi. Alcuni soffrono più degli altri, non necessariamente per una propria scelta. Le farai del male, molto se continuerai ad ometterle certe questioni, ma immagino che tu sappia anche questo.” Abbassai lo sguardo colpevole della mia capricciosa ed incontrollabile voglia di essere di nuovo tra le sue braccia, fuggire, come avevamo sempre detto, come ci eravamo sempre promessi di fare, una volta finito tutto, una volta tornata la normalità. “La questione non sta nel sopportare il dolore. La questione sta nel come lo si sopporta. Per quanto credi reggerà?” chiese Abelas guardando il cielo velato, lasciandomi solo vicino al piccolo fuoco.
“Andrà Lunus nel Tevinter in cerca di questo ragazzo e ammesso che sia ancora vivo, lo porterà dove vorrai.” disse in ultima l’elfo rivolgendomi uno sguardo ambrato impregnato di preoccupazione.
“Ci vediamo alle Tombe di Smeraldo, alle rovine del Bastione di Elgar'nan. È il luogo più adatto.”
 
Rimasi solo, in quel cerchio di prato gelato, mi guardai un’ultima volta attorno e impacchettai la mia armatura in un fagotto che nascosi nella piccola tenda e presi, più come sostegno, il mio bastone magico. Al mio tocco il cristallo incastonato nel culmine quasi esplose rabbioso, lo guardai e iniziai il mio cammino verso quel territorio un tempo luogo di sepoltura elfico, la mia sottile ironia non aveva limite, notai incamminandomi. Si dice che ogni albero trovato alle Tombe di Smeraldo sia in ricordo di una vita persa durante le Gloriose Marce contro gli elfi: crociate guidate dalla Chiesa, anche se la Prima Gloriosa Marcia fu quella di Andraste contro l'Impero Tevinter e quindi precedente al periodo della Chiesa stessa. La seconda crociata fu contro gli elfi delle Pianure, la zona a sud dell'attuale Impero di Orlais, gli stessi elfi che erano stati gli alleati di Andraste durante la sua lotta contro l'Impero.
Lessi molti manoscritti e molti volumi durante i miei soggiorni a Skyhold sulla storia degli elfi presenti ad Orlais, tuttavia la causa del conflitto che ha portato alla distruzione degli elfi nelle Pianure è tutt'ora contestata: i Dalish affermano che fu una persecuzione razziale e religiosa, tuttora affermano che i Templari invasero il loro regno, spargendo il loro sangue perché si rifiutarono di rilasciare dei missionari della Chiesa. Fonti della Chiesa descrivono invece le tensioni che avvennero nel corso degli anni a causa soprattutto degli elfi che sempre più erano costretti a vivere in isolamento bloccando comunque tutto il commercio oltre i confini e si attirarono addosso una maggiore ira quando si rifiutarono di aiutare i regni umani durante il Secondo Flagello. Giravano voci secondo le quali, nelle terre confinanti con l’Orlais alcuni elfi avrebbero rapito giovani esseri umani come sacrificio ai loro Dei. Le tensioni giunsero al culmine quando il popolo elfico attaccò l'ennesimo villaggio umano, il villaggio della Croce vermiglio. Cominciò così una grande operazione militare con lo scopo di annegare i non-umani in un bagno di sangue. Che il Sangue degli Elfi tinga per sempre di rosso la terra delle Pianure, ripetei nella mia mente. Sospirai avvilito ritrovando il sentiero che più di un mese fa lasciai per addentrarmi nel Tempio. Camminai sul selciato gelato appoggiando il mio peso sul bastone magico. Alzai il cappuccio appena i fiocchi di neve iniziarono a cadere dal cielo, voltai il palmo verso l’alto e un morbido fiocco mi si posò sulla mano, sciogliendosi quasi subito, sorrisi ripensando alla bolla di neve magica che avevo fatto ad Elanor quand’era piccola per farla ridere e giocare, per vedere quel viso tondo meravigliato e incuriosito. Mi voltai guardando da un lato, il mio enorme Lupo nero passeggiava lento e scuro come la nebbia al mio fianco, mi guardò e mi sorrise scoprendo le sue zanne bianchissime e mi sentii completo, potente e invincibile, ma sapevo, sapevamo entrambi che c’era qualcos’altro dentro di me, qualcosa che non potevo controllare e che per poco ha rischiato di uccidermi. Una figura snella, poco più bassa di me mi affiancò, non me ne accorsi subito tanto camminava leggera. La sua tunica indaco era stranamente lavorata di filamenti più chiari che disegnavano dei rami sottili sulla stoffa ricca e di pregiata manifattura, un mantello grigio e cremisi con un largo cappuccio era chiuso sul davanti da un’enorme spilla: una grossa gemma azzurra incastonata tra filamenti d’oro. “Camminare per queste strade non è sicuro per nessuno.” disse ad un certo punto la figura nascosta sotto al cappuccio, la mano sinistra stringeva un bastone di un materiale antico e potente. Il Lupo ringhiò compresso nelle mie tempie. “Non avere paura, Fen’Harel, non sono un tuo nemico.” mi pietrificai, come sapeva chi ero? Chi era lui in realtà? Le mie gambe iniziarono a tremare convulsamente. Chi era quell’individuo vestito così vistosamente? Come mai sapeva chi fossi? Lo fissai sgranando gli occhi, l’individuo misterioso si fermò restando di spalle. Rise spensierato, incurante della mia preoccupazione. Si voltò lento lasciando intravedere il mento appuntito tipico degli elfi, deglutii il mio cuore rimettendolo al suo posto “Chi sei?” ringhiai spazientito, l’elfo misterioso continuò a ridere “É passato molto, molto tempo…” esordì quello strano individuo abbassandosi il cappuccio scoprendo una liscia chioma grigia. Due piccole trecce grigie gli contornavano il viso triangolare e scarno. Gli zigomi prominenti tipici dei tratti elfici si illuminarono nella luce fredda della giornata. La sua pelle era chiarissima, cerea, e due occhi cerchiati color del mare mi guardarono con sincero stupore. Ebbi un sussulto, un ricordo mi colpì gettandomi quasi a terra dallo spavento. “Avallac’h.” mimai con le labbra senza emettere un suono.
“É inappropriato che tu ti vesta come un… contadino, Fen’harel. Non trovi?” chiese l’elfo avvicinandosi: il suo vallaslin era chiarissimo, quasi invisibile sul suo viso. Mi sorrise ed io non seppi cosa dire. “Che posto è questo? Queste foreste sono cambiate molto dall’ultima volta che sono stato qui…” chiese l’elfo guardandosi attorno, cercando di avere da me una qualsiasi forma di risposta. “Un vecchio mondo, – sospirai – ripetutamente violentato e distrutto.” riuscii solo a dire, ero frastornato da mille domande sul come era arrivato fin lì, come mai se si era destato dall’Uthenera assieme ad Abelas e alle sue Sentinelle, era comparso solo ora? A distanza di mesi? “E il nostro regno? Dove sono tutti gli elfi?” chiese sconvolto Avallac’h percependo odore di morte. “Credi forse che gli umani abbiano il monopolio per la distruzione dei mondi?” risposi con retorica. Avallac’h mi guardò e annuì con i suoi occhi acquamarina “Avrai molte domande, immagino… se vuoi pormele, sarò lieto di risponderti.” disse cordialmente l’elfo. Mi sorrise “Infatti ce ne sarebbero un’infinità.” Il Saggio si mise una mano al petto e abbassò il capo chiudendo gli occhi. “Le mie scuse più sentite, Fen’Harel. Ho viaggiato tra i mondi, come sai. Sono arrivato nel Crocevia di recente. Non lo ricordavo così distrutto, abbandonato e decadente. Gli Eluvian sono in parte distrutti, chiusi o compromessi, attraversai tutti gli specchi accessibili trovando quei luoghi a noi familiari e importanti, distrutti, senza anima viva, dimenticati e provai un disperato bisogno di casa…” sussurrò tristemente l’elfo ancora più pallido in volto. Non seppi rispondere, ero solo ancora più disgustato di me stesso. “É proprio vero… – sospirò Avallac’h con falsa aria meditabonda – A predire il futuro sono bravi tutti e lo fanno tutti, perché di fatto è facilissimo. La vera arte sta nel predirlo in maniera giusta.”

Camminammo in silenzio, ognuno preso dai suoi pensieri, ognuno rapito dai suoi dolori, entrambi stretti nella morsa della nostra malinconia. Il freddo pungente penetrava le ossa, dandomi qualche serio fastidio alle ossa che mi ero rotto negli ultimi anni. Ad ogni passo la mia schiena urlava dolorante, ma non potevo fermarmi ora, dovevo avanzare ed Avallac’h sembrava assecondare la mia direzione senza chiedere. Lo sguardo dell’elfo si posò nuovamente su di me, incuriosito e tenace mi sorrise incalzante “Non mi devi chiedere null’altro?” chiese “Credevo di aspettarmi mille e più domande da parte tua Fen’Harel…” sorrise e iniziò a fischiettare un motivetto allegro, misi in bocca un ago di pino e iniziai a mordicchiarlo. “Ce ne sarebbero molte, ma non sono convinto di voler sapere le risposte…” confessai con un intimo fastidio “Ho viaggiato per l’intero universo Fen’Harel, – iniziò l’antico elfo pallido dagli occhi di acquamarina – in cerca di una speranza per noi, la nostra razza, piegando alla mia volontà lo spazio ed il tempo. Alla ricerca del nostro Antico Sangue.” “Deduco che tu non ci sia riuscito, dato che sei tornato qui solo… cos’è successo?” l’elfo si fermò e posò secco il bastone nel terreno brullo e ghiacciato, mi guardò “Non è del tutto vero. Ho trovato una creatura, una donna che abita in un mondo sconosciuto, scagliato ai confini dell’universo quando decidesti di bandire i tuoi stessi fratelli.” “Hanno ucciso Mythal.” ringhiai. “Lo so, c’ero anch’io, ricordi? Ma ora, se il mio sesto senso non sbaglia, una parte di lei vive in te.” uno sguardo glaciale mi perforò il petto “No, non sbagli. Si è sacrificata per ridarmi i pieni poteri del Lupo.” Risposi piccato “Bene.” sibilò Avallac’h continuando a camminare. In tarda serata trovammo un piccolo villaggio di umani, probabilmente boscaioli, pensai, anche se sembrava un posto quasi disabitato a quell’ora. Avanzammo silenziosi, ognuno preso dai propri pensieri quando in quella scura notte invernale scorgemmo un edificio. Era molto più grande delle casupole di legno nelle vicinanze, sconnesse e mal ridotte. La locanda, interamente costruita in legno, contava tre piani oltre al piano terra. Si trova lontana da grandi centri abitati, ma nonostante questo pullulava di gente ed il suo aspetto era imponente e particolarmente di buon gusto. Entrammo scuotendo gli stivali bagnati sulle assi del piccolo porticato d'ingresso. Il piano terra era di fatto un enorme salone che fungeva da refettorio pieno di tavoli di legno rotondi. Il bancone del locandiere, in legno massiccio piuttosto curato, si trovava sulla destra dell'entrata e dietro, ecco una serie di scaffali pieni di liquori, una porta per la cucina, e una teca di vetro dove era esposta quella che sembrava essere una vecchissima spada dal colore argenteo, da cui probabilmente aveva preso il nome.
Avallac’h tolse il pesante mantello con cappuccio, mostrando la sua tunica rifinita. Una spessa fascia di velluto rosso gli fasciava stretta la vita, il suo aspetto non era affatto cambiato dall’ultima volta che lo vidi. Arricciò il naso alla vista del locandiere, un grasso umano sulla cinquantina, pelato e con il naso e le gote rossi a causa del suo probabile vizio di bere liquori insieme ai suoi clienti fino a sera tarda. I suoi vestiti una volta chiari e tagliati su misura, apparivano sporchi e consunti, l'antitesi dell'eleganza. “Qual buon vento viaggiatori, benvenuti a La Spada d’Argento!” ci salutò il gioviale padrone di casa indicando l’arma tenuta in custodia. Avallac’h si schermò il volto con un braccio. “Nessun problema, qui in casa mia sono tutti ben accetti, basta che mi paghiate regolarmente il conto, altrimenti vi riserverò lo stesso trattamento dell’ultima onda di prole oscura che provò ad attaccare il villaggio.” Disse l’uomo col sorriso di chi sapeva bene quel che diceva. “Nessun problema.” dissi tirando fuori dal borsello sei monete d’argento. “Due stanze, buon uomo, – chiesi gentile – ed un lauto pasto per entrambi.” Il viso del locandiere divenne all’improvviso più paonazzo: “Mi spiace vossignori, abbiamo solo una stanza disponibile. In questa stagione, la cittadina pullula di boscaioli esterni…” strinsi le spalle, era l’unico centro abitato, nel mezzo del nulla, avrei dovuto dividere la stanza con un’altra persona che per giunta era forse l’unica in grado di mettermi a disagio. Rassegnato accettai la condizione dell’oste e mi sedetti su uno sgabello del bancone, Avallac’h si sedette al mio fianco, impassibile e silenzioso. Lo guardai di sottecchi, la sua espressione malinconica nascondeva qualcosa di più della semplice nostalgia di casa, pensai, i suoi lisci capelli grigi lo facevano sembrare molto più vecchio di me quando in realtà eravamo coetanei, era il fratello minore di Abelas. Sospirai poggiando il boccale oramai vuoto sul bancone di legno, tossii per il sorso troppo lungo, ma è stato piacevole dopo tanto bere una birra degna di quel nome, scura e dal sapore forte, mi aveva riempito la bocca di quel sapore amaro che amavo. Osservai nuovamente i lineamenti contratti del mio compagno “Dato che probabilmente viaggeremo assieme, raccontami dei tuoi viaggi. Cos’hai scoperto? Dove sei stato?” chiesi, il Saggio spalancò gli occhi, poi li chiuse ridendo “Mi stavo preoccupando, credevo fossi ancora in collera con me, dopo tutto questo tempo…” “Lo sono, ma se devo viaggiare con te, vorrei poterlo fare civilmente.” dissi giocando con il boccale vuoto. L’elfo ebbe un moto di stizza, ma molto lieve, quasi impercettibile. “In tal caso è giusto che tu sappia di Cirilla…” sibilò Avallac’h sprofondando in una malinconia che credei infinita.

I guardiani Dalish sono soliti raccontare una storia ai piccoli del villaggio, raccontano loro di Lara Dorren, un’elfa arrivata dalle stelle dalla bellezza e dai poteri straordinari che si innamorò di un potente mago umano proveniente dall’odierno Tevinter di nome Cregennan di Lod. La loro unione fu ovviamente osteggiata da entrambi i regni. La cieca ambizione di Cregennan fu la mano che gli tagliò la gola mentre Lara stessa aspettava un figlio da lui. Lara scappò ai confini delle stelle e diede alla luce una figlia in un mondo non suo, popolato da soli umani. Secondo la leggenda le figlie femmine della dinastia di Lara avevano il cosiddetto Antico Sangue, il sangue degli antichi elfi che donava loro poteri straordinari. Si racconta che un giorno, forse, la discendente di Lara sarebbe tornata e avrebbe riunito i Dalish e rifondato l’Impero. Era una storiella della buonanotte, per i più, come tutte le storie Dalish sono state storpiate, dimenticate, inventate a volte.
La verità è che Lara era la mia gemella ed Avallac’h la amava più della sua stessa vita, ma non ebbe mai il coraggio di dirglielo. Se lo avesse fatto, probabilmente lei sarebbe ancora viva. L’ho odiato per questo e in fondo, continuavo ad odiarlo. La mia cocciuta sorella usò i suoi poteri per sfuggire da questo mondo. Era curiosa e senza pregiudizi mi piace ricordarla così, avvolta nei suoi capelli biondo cenere, mi basta guardarmi allo specchio per rivedere i suoi occhi. Sapevo che Avallac’h non si sarebbe mai arreso, che avrebbe setacciato gli universi viaggiando nello spazio tempo per ritrovare quel che rimaneva di lei. Scomparve senza lasciare alcuna traccia di sé, fino ad oggi.
 
“Cirilla è la discendente di tua sorella, Fen’Harel. – disse Avallac’h sospirando rumorosamente, rapendomi dai miei ricordi, le sue sole parole mi sembrava gli procurassero malessere – Appena la vidi, appena i miei occhi si posarono su di lei, rividi Lara. Il suo temperamento, il suo essere, la sua essenza erano lì, racchiusi in quel corpo ancora acerbo. Gli stessi occhi di Lara brillavano nel viso della ragazza e i suoi capelli biondi le coronavano il capo spavaldi ed indomabili. É passato tanto tempo Fen’Harel, anche secondo il nostro computo, ma il mio cuore finalmente ha ripreso a battere.” tacque e dalla tunica estrasse un flauto, si alzò dallo sgabello e si sedette su un tavolino basso e, cupo, intonò una melodia tranquilla e leggera. Rimasi a fissarlo tutto il tempo, ascoltando quelle note che raccontavano di un tempo spensierato e lontano. Avevo odiato quell’elfo per un’intera vita ed ora era affianco a me, aveva trovato il gene di mia sorella in un mondo parallelo e amava quella persona, quell’umana come fosse stata Lara. Mi alzai arrancando, presi il mio bastone e salii le scale. Una delle figlie del locandiere mi sorrise arrossendo mentre la lasciavo scendere lungo la stretta scala che portava alle camere. Trovai senza difficoltà la stanza e vi entrai, respirai a fondo scrollando la testa, necessitavo di qualche minuto per riordinare le idee e mi sedetti al tavolo che troneggiava al centro della stanza. Svariati strati di tappeti di lana coprivano le grezze assi scure del pavimento. Mi fissai allo specchio toccandomi le guance scarne, avevo bisogno di radermi da giorni, ma gran parte dei miei effetti personali erano rimasti a Skyhold. Guardai i miei vestiti che effettivamente erano sporchi e logori, non avrei dovuto meravigliarmi del commento di Avallac’h in merito. Sospirai spogliandomi, ero in calzoni quando il Saggio entrò nella stanza “Che brutte cicatrici… e queste costole sono ancora tumefatte, segno di una guarigione lenta e difficoltosa… cos’è successo?” chiese Avallac’h preoccupato avanzando verso di me, un suo dito gelido mi sfiorò le costole, solo quello bastò a farmi ringhiare “Siediti.” ordinò l’elfo, obbedii senza fare domande, sapevo che non avrei ottenuto altro che il suo silenzio. Mi inginocchiai senza voltarmi, lo sentivo respirare concentrato dietro di me. Chiusi gli occhi, riempii i polmoni e rilassai i muscoli delle spalle con lenti movimenti circolari “Questo ti farà male.” mi avvisò e con una spinta magica rimise le costole incrinate nella loro sede. L’urlo che avrei voluto liberare mi si seccò in gola, rimase lì, incastrato tra lingua e palato mentre sentivo gli occhi occhi uscirmi fuori dalle orbite. Rimasi paralizzato dal dolore acuto per qualche interminabile secondo, poi mi azzardai a respirare, Avallac’h mi guardava con un’espressione di seria preoccupazione. Respirai a fatica, stretto nel mio dolore pulsante, guardai il Saggio che mi sorrise nervoso “Sì, confermo. – dissi stringendo i denti – Ha fatto un male cane… Aaargh!” Avallac’h si alzò in tutta la sua altezza, mi fissava dall’alto sospirando “Ora almeno non rischierai che ti buchino un polmone. Mi dispiace Fen’Harel, ora riposati.” mi disse aiutandomi ad alzarmi. Il mio corpo pareva un burattino di legno, le mie ginocchia sembravano non reggere il mio peso. Avallac’h si mise un mio braccio sopra le spalle e mi cinse la vita trascinandomi verso il letto coperto di pelli impolverate. “Riposa. Sarò qui da te fra poco, anche se non credo dormirò nello stesso letto con te.” mi disse e si avviò verso la porta. “Avallac’h… – dissi guardando a fatica l’elfo che tentennò nell’uscire dalla stanza – ...per quel che può valere, ti perdono. Mi sono reso conto di essere stato uno stupido a convincermi che la fuga di Lara fosse colpa tua, fu una sua scelta.” “Avevi i tuoi motivi per farlo Fen’Harel. Amavo Lara, ma Lara è morta. E nessuno può farci più nulla, né io, né te. Tu puoi trovarla nei tuoi ricordi rivissuti nell’Oblio, io posso stare a guardare quando passeggiavamo assieme nei giardini del Tempio. Posso solo ricordare quel fanciullo stupido e pauroso che ero stato. Posso vederla sparire e morire lontano da me.”  Lo guardai per un lungo momento in quella luce tremolante potevo fingere che lui fosse ancora lo studioso che si aggirava goffo e impacciato, dalla pelle candida e dagli insoliti capelli grigi della mia fanciullezza e quindi che anche io fossi giovane come lui. Mi gettò un’occhiata chiara sorprendendo il mio sguardo. Mi fissò con quegli spledidi occhi acquamarina, percepii un’avidità strana nel suo viso, poi si voltò chinando il capo, rilassò le spalle con un profondo respiro uscì dalla stanza.
Allargai le braccia nel grande letto, respirare era ancora faticoso, ma riuscivo a farlo ancora, decisi che era un’ottima cosa, per ora. Decisi che avevo superato il bisogno di pietà di chiunque, anche di Avallac’h. Chiusi gli occhi e respirai cercando la pace.

Mi destai nel centro di una barca, mi alzai di scatto cercando di non farla rovesciare, mi guardai attorno e scoprii di essere vicino alle sponde di un lago di cui non avevo memoria, il cielo terso era segnato da stormi di uccelli lontani, il sole brillava alto e caldo. Non riconoscevo nulla di quel luogo. Afferrai un remo e cercai di tirarmi a riva, scesi dalla piccola imbarcazione schiarita dal sole e camminai su quella spiaggia ciottolosa in cui terminavano le placide acque lacustri. La vegetazione era lussureggiante, ma riconobbi pochissime piante, tra cui la radice elfica e la melissa. Passeggiai guardandomi attorno senza però riconoscere quel luogo, era strano, insolitamente molto pacifico. Sentii improvvisamente una musica, un ritmico fischio leggero invadere le mie orecchie e trascinarmi verso la fonte, attraversai la spiaggia fino ad arrivare ad un masso enorme, posizionato in riva al lago, colui che suonava era separato da me da quella roccia liscia color cipria. Posai una mano e la sentii tiepida. “Cosa ti angustia?” chiese una voce maschile, bassa e un po’ roca, la musica si arrestò. “Sei delusa. – continuò, più che una domanda mi era parsa una constatazione – Delusa, e soprattutto indignata.” “No, solo che non so cosa vuoi da me, perché sono qui? Chi è Lara Dorren? Non hai risposto ad alcuna mia domanda a proposito di quel che secondo te sarei.” Quella voce, pensai, Lara! “Tutto a suo tempo Ciri. Ora torna ad allenarti, fammi vedere di cosa sei capace.” Avallac’h accostò di nuovo il flauto alle labbra e si rimise a suonare in maniera melodiosa, nostalgica. A lungo. Mi spostai da dietro il masso, vidi l’elfo seduto ai piedi della roccia, mentre una giovane donna restava in piedi di fronte a lui. I suoi capelli biondi erano raccolti in una crocchia sulla nuca, alcune ciocche le pendevano ai lati del volto, ribelli e libere. Una cicatrice le deturpava l’alto zigomo e i suoi occhi di smeraldo guardavano Avallac’h nervosi e impazienti, le sue labbra tremavano di rabbia e il suo corpo era pronto a scattare per uccidere, il Saggio continuava a non dare importanza a quello che la ragazza voleva trasmettergli. Continuò indolente a suonare. “Perché, peste, nessuno mi dà retta? Sono una prigioniera qui, in questo luogo a me sconosciuto! Mi trattate come un mucchio di composta, eppure tutti vi ostinate a dirmi ho qualcosa di questa Lara, ho perfino i suoi occhi! Vuoi che mi dia a te? – urlò furiosa la ragazza col viso rigato di lacrime – è questo che vuoi per caso? È questo il prezzo che devo pagare per riavere la mia libertà?” In due balzi Avallac’h le fu accanto, le sue mani guizzarono come serpenti e si serrarono come tenaglie d’acciaio intorno alla gola della fanciulla. La sollevò ad una spanna da terra. Cercai inutilmente di far comparire una lancia ghiacciata tra le dita, ma ero in un sogno, lo capii solo adesso. Avallac’h le fece posare le punte dei piedi, mantenendo salda la presa. Freddo si chinò e la guardò negli occhi. Ringhiai di disgusto. “Chi sei per osare infangare in tal modo il suo nome?” una calma glaciale li avvolse. “Chi sei, per osare insultarmi con un’elemosina tanto misera? Oh, lo so. Lo vedo chi sei. Non sei la figlia di Lara. Sei la figlia di Cregennan. Sei un’umana sciocca, arrogante ed egoista. Una rappresentante addirittura esemplare della tua razza, che non capisce nulla e deve rovinare e distruggere tutto. Sporcare tutto al solo tocco, infamare e profanare tutto al solo pensiero. Il tuo antenato mi ha rubato l’amore, me l’ha portato via, mi ha portato via Lara in maniera egoista e arrogante. Ma a te, sua degna figlia, non permetterò di portare via il suo ricordo.” ringhiò sommesso il saggio, la ragazza ritrasse il viso serrando gli occhi impaurita. “Avallac’h…” la fanciulla dovette sforzarsi per parlare nonostante la gola serrata. Lo sguardo dell’elfo cambiò di colpo, divenne quasi dolce. “Perdonami.” Tossì la ragazza “Mi sono comportata in maniera sciocca. Se puoi, dimentica.” concluse con fatica. Il Saggio staccò le mani dal collo della giovane, sorrise. “Ho già dimenticato, non parliamone più.” disse e l’abbracciò, la tenne stretta a sé cullandola. Il viso di lei affondò nella tunica color indaco, vidi Avallac’h passare delicatamente una mano sulla nuca accarezzandole i capelli. Levò il fermaglio liberando una nuvola di capelli biondissimi mossi dal vento.

Il tempo di un battito di ciglia, mi trovavo in un posto scuro, buio, privo di una qualsiasi fonte di luce, mi guardai attorno, spaesato ed impaurito. Dov’ero finito? Che posto era questo? Non percepivo nulla, solo oscurità, un fastidio consistente da risultare doloroso.
 
Losei mulhaan nahlaas, Grohiik... Krin!
Tuonò quella voce potente nella mia testa.
 
Mi piegai sulle ginocchia tenendo il capo tra le mani, uggiolando dal dolore. Gocce di sangue iniziavano a colarmi dal naso precipitando su quel terreno, se così potevo chiamarlo, scuro e liscio. Nessuna imperfezione lo solcava. Viticci di spine e nebbia iniziarono ad arrampicarsi sulle mie gambe stringendole, impedendomi di fuggire. Guardai ovunque, cercando un modo per scappare da quel luogo spaventoso, sterile, chiuso e buio. Nulla. Ringhiai cercando di accumulare sufficiente magia tra le dita delle mani come ultimo disperato tentativo di difesa, contro chi o cosa non lo sapevo. Un immenso occhio da rettile si aprì fiammeggiante e dardeggiava attorno a sé in quel buio innaturale, mi vide ed assunse un taglio soddisfatto, compiaciuto. In un bagliore il luogo si rivelò, era un campo di battaglia. Una larga distesa di terra paludosa, bagnata dalla pioggia incessante, si estendeva attorno a me a perdita d’occhio. Con fatica alzai lo sguardo e di fronte a me si stendeva l’orrore. Bagnati dalla pioggia scorsi dei cadaveri, ma non cadaveri qualunque. Vidi Abelas steso a terra esanime. Il suo viso era tumefatto e le braccia rotte in vari punti, il suo sguardo dorato era vuoto, velato e la sua testa era girata in una maniera innaturale. La sua armatura bronzea era sfondata sul petto. Affianco a lui si stendeva il corpo di Lunus il cui vestito candido era intriso di sangue scuro, i capelli attaccati al collo dalla pioggia erano sporchi e scompigliati, il suo viso era infossato nel terreno limaccioso. I due amanti non si muovevano, non percepivo vita in loro. Arretrai col busto e vidi altri morti. Dorian con il petto sfondato giaceva appoggiato ad un masso sporco di sangue, era spirato in un momento di grande dolore, al suo fianco il Toro di Ferro aveva ancora la grossa lama tra le mani. Le gocce di pioggia che colpivano il freddo metallo creavano una melodia di morte, sorda e triste. E poi ancora Varric, Cassandra e Sera, tutti morti e ricoperti di fango. Perfino Avallac’h. Fu gravemente ferito ad una gamba, teneva ancora la mano cerea sulla ferita nel vano tentativo di tamponarla. Un fiotto di sangue denso e scuro gli segnava le labbra, non si muoveva. Gli occhi d’acquamarina del mago erano sbarrati e assenti, guardavano altri mondi lontani, cercando i ricordi più belli in quegli ultimi secondi di vita. Cole giaceva a pochi passi da lui, il suo collo sembrava spezzato, il largo cappello risuonava sordo sotto la pioggia di quel giorno. Ringhiai furioso verso quell’occhio fiammeggiante che mi scrutava pieno di soddisfazione dall’alto.

Parlerò nella tua lingua, Temibile Lupo. Questo è quello che farai, questo è il tuo destino. Queste persone a te legate, moriranno a causa tua. Io e te siamo uguali, Lupo... semplicemente perché entrambi crediamo fermamente che tutti gli altri siano inferiori a noi. Non è vero?
Continuai a guardarmi attorno stordito e spaventato.
Una figura informe colpì la mia attenzione.

Oh, quella… quella ti piacerà...
Disse l’occhio illuminandola con lo sguardo.
 
I capelli corvini erano sciolti, scompigliati, sporchi e bagnati. Il viso allungato di Elanor era sfregiato da innumerevoli tagli ed il sangue le colava sul collo bagnandole le spalle. Le sue piccole labbra erano spaccate e gonfie, pietrificate in un urlo di dolore acuto. I suoi occhi sbarrati fissavano l’occhio in cielo. Il suo corpo era sospeso in un intrico di rovi scuri, la giubba blu e bianca che le fasciava il corpo era lacerata e ferite profonde le solcavano la carne bianca. Il gelo e la morte avevano scurito il suo viso. Era morta con la testa gettata indietro e la bocca aperta come un gatto ringhioso. Il suo ventre era squarciato e un piccolo cadavere giaceva ai suoi piedi. Ero paralizzato dall’orrore. Mi sentii mancare.

Davvero credevi di riuscire a controllarmi, elfo?
Sorrise con piacere macabro l’occhio color del sole, la sua pupilla si dilatò eccitata alla vista della morte.

Ringhiai senza potermi muovere più di tanto. La nebbia mi incollava le gambe al terreno mentre l’occhio mi illuminava quello scenario di totale orrore in cui io ero esattamente al centro. Esistono varie tecniche per affrontare la tortura, imparare a separare l’anima dal corpo era una di quelle. Metà dell’angoscia che un abile torturatore infligge non è dolore fisico, ma la conoscenza del danno subito. Il torturatore deve oltrepassare un confine sottile, se spinge la distruzione oltre al punto in cui la vittima sa di poter guarire, la vittima perde ogni incentivo a vivere. Vuole solo morire più in fretta. Ma se l’aguzzino riesce a mantenere il dolore entro quel confine, allora può fare della vittima un complice della propria tortura. Per una vittima sospesa nel dolore, l’angoscia sta nel chiedersi per quanto tempo può resistere senza spingere il torturatore oltre il danno irreparabile.
“La morte è sempre meno dolorosa e più facile della vita. Dici il vero, Urthemiel. – sibilai a fatica mentre le spire di fumo si torcevano lungo i miei polpacci arrampicandosi strette e lente sul mio bacino – Eppure giorno dopo giorno non scegliamo la morte. Perché tutto sommato, la morte non è l’opposto della vita, ma l’opposto della scelta. La morte rimane quando non c’è più scelta. Ed io la mia scelta, drago, l’ho presa!” scagliai tutta la magia che avevo concentrata nelle dita verso l’occhio, la sua pupilla si dilatò di terrore misto a stupore. L’enorme occhio esplose in una miriade di piccoli frammenti. Tutto attorno a me scomparve e precipitai in quel vuoto oscuro, per un tempo che sembrava interminabile.
 
Aprii gli occhi. Cercai di mettere a fuoco dove fossi, stropicciai gli occhi e vidi nella chiara luce delle candele di sego che ancora bruciavano, le assi scure del soffitto, il focolare di pietra della stanza crepitava allegro e vivo. Mi drizzai in piedi toccandomi il viso, la testa mi pulsava dolorosamente. Mi guardai attorno. Una mano pallida e affusolata si sporse dal largo schienale della sedia imbottita. “Gradisci dell’infuso? Ti farà bene… avrai un gran bel mal di testa.” disse Avallac’h glaciale. Un freddo mi invase il torace “Ti sei divertito a girovagare quasi indisturbato per la mia testa, Fen’Harel?” chiese spietato e risoluto l’elfo senza degnarmi di uno sguardo. Non riuscii a rispondere “É ironico e maleducato da parte mia dirlo, ma per chi come me possiede determinate facoltà e riesce a controllarle, il viaggio è stato reciproco. Chi è Urthemiel? Non voglio credere che tu sia stato così pazzo e sprovveduto dal assorbire volontariamente l’anima di un drago.” Ero con le spalle al muro, mentire non sarebbe servito a nulla, aveva assistito invisibile a tutto, probabilmente fu lui stesso a cacciarmi via dai suoi ricordi facendomi precipitare nell’abisso del mio dolore. “Permettimi di aiutarti, Fen’Harel. – continuò il Saggio non curandosi del mio silenzio – In nome della nostra vecchia amicizia. Permettimi di restare al tuo fianco. Hai visto più di quanto avrei voluto farti vedere, ma non fu solo quello, te lo garantisco, non le avrei torto un capello…” “Banal nadas, Avallac’h!” urlai prendendogli la tunica ed alzandolo di peso dalla sedia. “L’hai quasi strangolata, dannazione!” ringhiai sommesso “Sì, l’ho fatto Fen’Harel. L’ho fatto perché amavo Lara. Amavo tua sorella e vedere che il suo gene, il gene che avrebbe significato la salvezza della nostra razza era racchiuso nel corpo di un’umana mi ha fatto perdere il controllo. I miei ricordi più belli sono legati a Lara, a quando camminavamo scalzi nei giardini sospesi, ci sedevamo all’ombra dell’albero di mele ed io le raccontavo dei miei studi. Lei mi guardava sempre con ammirazione e stupore. Sentire quella ragazzina infangare i miei ricordi di Lara è stato troppo. Dovresti capirlo più di chiunque altro.” i suoi occhi chiari penetrarono nei miei, erano freddi a tal punto da recarmi dolore “E cosa successe poi? Adesso è ancora viva?” chiesi emanando il gelo dell’eternità. “Sì lo è. É riuscita a fuggire da quel luogo in cui era capitata per sbaglio, diciamo così. Tornò nel suo mondo e lo salvò dalla distruzione. Come avrebbe fatto Lara.” sorrise triste staccando i suoi occhi da me. “Ami davvero quell’umana, Avallac’h? Quella giovane mortale col viso di mia sorella?” chiesi sentendomi il cuore pulsare forte nelle tempie. “Sì, Lethallin. La amo… l’ho lasciata andare per quello.” sibilò il Saggio ancora più bianco in viso, lo lasciai delicatamente e gli risistemai le pieghe della tunica. Sospirai. “Non è stata una scelta facile, – continuò Avallac’h spostandosi da me e andando verso il camino – soprattutto dopo tutto quello che successe, dopo che mi innamorai di lei e glie lo confessai. Saperla viva, al sicuro è per me fonte di conforto, ma era la cosa giusta da fare, anche se ammetto che la sua lontananza è un’agonia. Come fai a sopportare la tua, Fen’Harel? Anche tu non sei immune a questo tipo di dolore…” mi sorrise triste mostrandomi il profilo spigoloso del viso. “Ci convivo a malapena.” risposi “Lo so, ho visto il tuo sogno. Ho visto la distesa di morti che un tempo hai chiamato amici. Ho visto tra loro anche me ed il mio adorato fratello Abelas e ho visto quella donna vestita di spine con quel bambino coperto di sangue ai suoi piedi…” “Mio figlio.” sibilai appena il ricordo di quel sogno mi colpì, presi la tazza di cotto e bevvi un lungo sorso di infuso.
“Ti aiuterò con il drago, – promise Avallac’h – ma ti avviso, sarà un processo doloroso. Dovrò abbattere tutte le tue difese a ridurti quasi in fin di vita. Se riuscirai a sopravvivere, ricomporrò il tuo Spirito e se avremmo trovato un ospite adatto, avrai salva la vita. Non sarà una passeggiata e purtroppo non rimane molto tempo. Se quella creatura si sveglia, il mondo morrà per mano tua.” Lo guardai e i suoi occhi confermarono le sue parole, seri e fissi erano appuntati sui miei “Grazie Avallac’h, anche per questo.” gli dissi guardando le fiamme crepitare nel piccolo focolare.
 
L’elfo iniziò a spogliarsi lentamente, si levò meticoloso e lento la tunica color del cielo e si slegò la camicia fatta di una stoffa talmente delicata da sembrare bagnata tanto gli aderiva al corpo, scura e lucida. Lo fissai, Avallac’h era nudo fino alla cintura dei calzoni di cuoio di cervo. Dalle spalle alla vita era coperto di tatuaggi. Era già abbastanza sconvolgente, ma quei disegni erano diversi da qualsiasi cosa avessi mai visto. Nulla mi facevano pensare a dei marchi, non avevano nulla a che vedere con i vallaslin Dalish. Mi trovai a fissare la sua schiena chiarissima, i suoi muscoli si contraevano nel piegare le sue cose in maniera ordinata e precisa. Non avevo mai visto una cosa simile. Erano belli, i colori brillanti, i disegni sottili e nitidi. I colori avevano una scintillante qualità metallica che rifletteva la luce delle candele come una lama levigata. Le creature si distendevano e si torcevano sulle sue spalle e lungo la spina dorsale e le costole, luminose e splendenti. Erano stranamente belli, sembravano intrappolati appena sotto la pelle, come delle farfalle che tentano di liberarsi dalla crisalide “C-cosa sono?” balbettai turbato e confuso, l’elfo sorrise, percepii una vena di tristezza in quella curva delle labbra “Non sei l’unico a convivere con uno Spirito potente, Fen’Harel…” disse, un barlume argenteo simile a scaglie di drago comparve sugli zigomi alti dell’elfo. Gli occhi di Avallac’h si restrinsero, capii di non dover chiedere continuando a guardarlo preoccupato. Nei miei viaggi nell’Oblio sentii parlare della punizione arcana dei tatuaggi ardenti, parlava di una magia che nessuno di noi conosceva, pensai frustrato. La stanza non era fredda, ma lui sembrava rabbrividire. Con una mano si sollevò i capelli argentei e si scoprì la nuca. L’esotico ricamo cominciava alla nuca e copriva ogni parte della schiena prima di svanire sotto la cintura delle brache. Ogni dettaglio era uno spettacolo squisito sulla sua schiena liscia e candida. I brillanti colori di un barlume metallico, scintillavano come se oro e argento fossero stati insinuati sotto la sua pelle per decorarla. “Ti fanno male?” chiesi cautamente. “No. Non ora. Ma l’applicazione fu estremamente dolorosa. E lunga. Loro mi tennero immobile, per molte ore di fila. Si scusarono e tentarono di confortarmi mentre lo facevano, ma era solo peggio. Subire una cosa simile da persone che altrimenti mi trattavano con rispetto e riverenza fu straziante, ma si tratta di un piccolo dono per avere salvato la loro razza ancestrale in un universo tasca, uno dei tanti in cui viaggiai alla ricerca dei discendenti di Lara.” Il tremito era tornato mentre parlava. Le parole uscirono tra i denti che battevano. “Fen'Harel. Toglitelo dalla testa. Non pensarci per ora, ti prego. La convergenza, la distruzione del Velo e la nuova ascesa della nostra razza ci attendono. Quando verrà il momento, farai la cosa giusta, lo so. L'ho sempre saputo. E ti dirò una cosa. Non dovrei, ma voglio farlo. Perché tu non pensi che sia colpa tua quando sarà il momento. Te lo prometto, non sarà colpa tua. Profetizzai questa cosa tempo fa, il più delle volte purtroppo o per fortuna, riesco a predire il futuro nella maniera giusta. Lo sognai tempo fa, come fosse l’incubo folle di un bambino. Presto lo vivrò. Quindi, quando accadrà, promettimi che non ti tormenterai.” Un sorriso terrorizzato tremò agli angoli della sua bocca. “Di che si tratta?” mentre lo chiedevo, temei di saperlo già, un rivolo di sudore mi imperlò la fronte.
“Questa volta, alle Tombe di Smeraldo, tocca a me morire.”

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Capitolo 24
*** Cap. 24 ***


La trascorsa notte fu fredda e la morsa dell'inverno raggelò ogni cosa con il suo tocco, ma la mattina dopo la terra si svegliò al suono di un gocciolio e del soffio quasi caldo del vento. Nessuno dei due dormì quella notte. Avallac’h si rivestì e suonò il suo flauto di Pan in maniera delicata e soffice, io rimasi zitto a guardare il fuoco, mi preoccupavano quei marchi sul suo corpo e mi preoccupava la sua premonizione. Rivolsi di sottecchi lo sguardo all’elfo assorto nelle sue melodie, il suo viso pareva rilassato, diverso da quello che gli avevo visto ore prima, teso e preoccupato. Continuavo a non capire cosa fossero quegli strani tatuaggi che gli trapuntavano il corpo e non riuscivo a credere alle sue seguenti parole. Sbuffai andando a preparare il poco bagaglio che avevamo.
Il vento prometteva pioggia o nevischio. La linfa aveva riportato alla vita gli alberi spogli. Imboccammo il ramo del sentiero che conduceva alle colline boscose. Un falco solitario pattugliava il cielo sopra di noi, forse in cerca di topi avventurosi in quella giornata uggiosa e pesante. Camminammo in silenzio per quasi tutta la mattinata, l’ingresso del territorio delle Tombe di Smeraldo non era distante, in un giorno di cammino ci saremmo potuti arrivare. Avallac’h ad un certo punto si fermò, piantando i piedi per terra, i suoi stivali alti al polpaccio erano infangati e sporchi “Che ne dici se ci sbrigassimo?” chiese ironicamente l’elfo, mi voltai e vidi sul suo viso un ghigno beffardo “A meno che tu non possieda dei cavalli in miniatura che possono magicamente diventare a grandezza naturale, dubito che potremmo accelerare il passo…” dissi sbuffando allegramente portando le mani ai fianchi, in attesa di vedere cos’aveva in mente il Saggio “Non per vantarmi, ma io uhm… posseggo delle facoltà particolari e le allegre passeggiate nella natura non mi hanno mai fatto particolarmente impazzire.” disse accucciandosi e posando il bastone magico in terra, alzò il viso e con un veloce scoppio di magia proveniente dalla sua mano sinistra vidi una distorsione. I contorni degli arbusti davanti a lui roteavano lungo un’ellisse dell’altezza di Avallac’h, mi avvicinai a lui con cautela e vidi una sorta di passaggio scuro e tetro davanti a noi, i bordi brillavano di lunghe e affusolate fiamme azzurre “Dopo di te Fen’Harel. – disse con uno sguardo benevolo l’elfo – Sai, nei vari universi usano sorprendenti sistemi per spostarsi tra i luoghi. Pensa che alcuni viaggiano su curiosi involucri di metallo poggiati su quattro ruote o addirittura due, facendo un rumore assurdo.” “E questa tecnica di distorsione dello spazio dove l’hai imparata?” chiesi aggrottando le sopracciglia. “Nel luogo dove mi hanno impresso i marchi. I tatuaggi amplificano i miei poteri, donandomi facoltà inimmaginabili. Prego, dopo di te.” incalzò Avallac’h con un gesto, esitai “Dove conduce?” chiesi riluttante fissando quel nero senza spessore e senza fine contornato dai graziosi filamenti di luce, degluitii “Alla nostra meta. – rispose brevemente Avallac’h – Non temere, Fen’Harel, è abbastanza sicuro.” lo guardai perplesso, incrociai le braccia al petto: “Cosa significa abbastanza sicuro? Mi prendi in giro? É uno scherzo?” Sul viso dell’elfo vidi passare come un’ombra. “Non sono abituato a fare certi scherzi. – disse guardandomi con quegli occhi acquamarina, una folata di vento gli scompigliò i capelli corti alle spalle – La scelta spetta a te, se vuoi farti minimo un altro giorno di cammino fai pure. Ammetto comunque di essere deluso dalla tua riluttanza, ma che fare? É una tua scelta…” la curiosità mi bruciava in viso, lui lo sapeva e si stava prendendo egregiamente gioco di me, mi sorrise sfidandomi e prendendo il suo bastone entrò nel portale da lui creato. Rimasi per qualche secondo a fissare quel vuoto inconsistente, brillante di luce azzurrognola.

Fallo, Fen’Harel… di lui ci possiamo fidare.
La voce del Lupo risuonò nella mia testa.
Come lo sai?
Chiesi stupito al mio Spirito.
É legato a te dall’amore che provava per Lara. Non dubitare mai dell’amore.
Disse il Temibile Lupo, lo vidi avviarsi lento e sicuro verso il portale magico, mi guardò con gli occhi di fiamma ed entrò con un balzo.
Feci altrettanto.
 
Non saprei descrivere l’insieme di sensazioni che provai attraversando il portale, era molto simile a quello che provava la mia anima mentre attraversavo il Velo, ma molto più più accentuata. Sentii mille piccoli aghi che mi perforavano il corpo senza farlo sanguinare, un insieme di piccoli dolori che sommati mi fecero ringhiare. Aprii gli occhi e mi trovai immerso nella foresta lussureggiante delle Tombe di Smeraldo. Uno strano caldo soffocante mi rese faticoso il primo respiro “Mantieni la calma.” disse Avallac’h balzando in piedi dalla scalinata dov’era seduto “Arriva qualcuno.” disse facendo roteare il potente bastone, l’apice rispose al tocco magico dell’elfo, le sue spalle stavano caricando un attacco potente quando un drago argenteo si fermò volteggiando sopra le nostre teste. “Fermo! – urlai – Non attaccarlo!” corsi di fronte ad Avallac’h prendendo il suo bastone i suoi occhi mi guardarono stupiti. “Fidati di me, fratello.” gli dissi reggendo il suo sguardo raggelante e trattendendo il suo corpo caricato come una molla, il terreno sotto i miei piedi cedeva sotto la sua forza facendomi indietreggiare. L’enorme bestia si posò a pochi passi da noi lanciando un grido al cielo, un fischio le arrivò in risposta. Voltai il capo verso la direzione del fischio, Abelas comparve da un piccolo bosco di betulle. Lunus posò su un piano di pietra consulta il corpo svenuto, sperai, di un giovane elfo bruno dai capelli chiarissimi. “Non posso crederci…” ringhiò Abelas avanzando velocemente verso di me e Avallac’h. Aveva il viso duro e impassibile, allungò una mano verso il potente arco, prendedolo saldamente e incoccando una freccia. Sentii la corda urlare alla tensione del braccio dell’elfo. Si fermò a pochi centimetri dal fratello minore “Che ci fai lui qui?” mi chiese fulminandomi con lo sguardo. Avallac’h gli rispose con uno sguardo mesto “Hai trovato quello che cercavi alla fine fratello? Hai trovato la tua Lara? Hai trovato finalmente quel groviglio genetico creato di proposito? Hai trovato quei tratti che tanto desideravi baciare nelle lunghe notti estive che passavi nei libri mentre il nostro mondo era sull’orlo della catastrofe? Sperai molte volte fossi…” “Basta, Abelas!” dissi duro guardando l’elfo ambrato livido di rabbia, mi sembrò che per un istante l’atteggiamento indifferente di Avallac’h fosse mutato. Ma certo non era possibile “Sì Abelas, ho trovato i geni di Lara. Sono al sicuro. Lontano da qui.” Rispose perentorio l’elfo dagli occhi di acquamarina guardando il fratello con uno sguardo che definirei ferito se solo fosse stato dipinto sul volto di qualcuno diverso da lui. Abelas abbassò l’arco e fece distendere la corda “Suppongo che non ti sia sbagliato. Anzi, lo do per certo perché tu, a quanto si è sempre detto, non sbagli mai. Ha davvero negli occhi qualcosa che richiama alla mente Lara Dorren, Avallac’h? Chi se non tu, dopotutto, ha più diritto a valutarlo?” chiese infastidito Abelas allontanandosi da noi. Questa volta il Saggio non aprì bocca.
 
“Che delizioso quadretto di drammi familiari… siete quasi commoventi.” disse Lunus tornata in un corpo di donna, battendo le mani in maniera alquanto sarcasticamente eloquente. Abelas avvampò di rabbia “Risparmia il tuo livore mio amore, ora non serve. Abbiamo qualcosa di più importante da fare.” indicò con lo sguardo l’elfo che si stava mettendo a sedere sul piano marmoreo sotto una grande statua del Temibile Lupo acquattato e tranquillo. Un sorriso strano le torse la bocca guardandomi “Vieni Lupo, ti devo presentare qualcuno.” poi guardò il fratello del suo amante con occhi carichi di una comprensione che non mi sarei mai aspettato da lei “Lui resta. Il rituale sarà compito suo.” disse voltandosi e allontanandosi verso il giovane elfo. Guardai Avallac’h che subito girò la testa mostrandomi il profilo spigoloso. “Abelas è più ottuso di te Lupo. Non puoi farci nulla, non odiare il suo livore. Mi credeva morto da chissà quanti eoni. Ho scelto io di essere qui, sapevo che ci sarebbe stato e conoscevo le conseguenze. Solo non mi aspettavo lei. A volte mi capita di fare cilecca.” Disse Avallac’h facendo spallucce, scoprendo un sorriso spettrale. Fu la seconda volta che rimasi turbato da un impercettibile cambiamento nella voce del Saggio, gli strinsi una spalla facendogli coraggio e ci avvicinammo al giovane elfo. Lunus e Abelas erano già di fronte a lui con una postura rigidamente militare infusa nel corpo. “Chi sono queste persone? Dannazione! Che ci faccio qui? Che cos’è questo posto? Qualcuno sarebbe così gentile da rendermi partecipe? Sapete, avrei degli impegni…” disse il giovane elfo bruno toccandosi insistentemente la nuca sporca di sangue, temei fosse il suo. “Appena avremo finito potrai ritornare ai tuoi impegni, Lupacchiotto. Ora da bravo, stenditi.” chiese passivamente gentile la donna-drago. Fenris per dispetto si mise in piedi guardandola con aria di sfida affilando il suo sguardo “No, ora ascoltatemi tutti, io devo andare via. Non mi interessano le vostre piccole lotte di nicchia, non mi interessa il vostro orgoglio elfico, non mi interessa nulla di voi. – disse il giovane guardandoci con una smorfia disgustata in volto – Gradirei pertanto che non vi interessiate a me.” Disse rimanendo in piedi, ignorando il placidamente provocatorio invito della donna-drago, il suo corpo snello scattò afferrando il giovane elfo ad un braccio, il giovane urlò dolorante accasciandosi sulle ginocchia, vidi dei segni pallidi come cicatrici illuminarsi di una luce azzurra accecante. “Questo ragazzo è marchiato! Lunus, cosa…” gridai alla donna che sembrava paralizzata in quella posizione fluida, in un paio di falcate la raggiunsi e cercai di scrollarla dal suo stato catatonico. Un’esplosione di energia mi invase. Aprii gli occhi e vidi la scena dall’esterno del mio corpo. Eravamo statue: il giovane era piegato dal dolore, stringeva un ciuffo di erba mentre Lunus cercava di trattenerlo ed io dietro che toccavo la spalla della donna, l’espressione di Lunus era strana, mi avvicinai leggero al mio corpo. Abelas ed Avallac’h erano come statue di gesso uno di fronte all’altro a contornare quella scena bizzarra. Guardai il giovane elfo, i segni sul suo corpo erano evidenti, erano… vivi. Pulsavano di energia, un’energia potente.

Davvero sono stata così stupida?
Un pensiero mi solleticò la mente, mi guardai attorno, senza vedere nulla.
Questo ragazzo, questo giovane elfo… ha davvero provato tutto questo? La schiavitù, i marchi dolorosi, la violenza, lo stupro, la paura, la rabbia e infine l’amore… ma ora non c’è.
Ancora quella voce. Aleggiava leggera in quel luogo che pareva essere sospeso nel tempo. Camminai intorno ai nostri corpi, neanche un filo di vento si muoveva attorno a noi.
Hawke… quella donna… quella donna è la chiave della vita di questo ragazzo.
Hawke? Pensai. É …viva? Sgranai gli occhi. Rimase sola nell’Oblio per impedire al Demone della Paura di seguirci.
Solas, dannato vigliacco. Ti ucciderei senza pensarci troppo se non fosse che sei l’ultima speranza per tanti. Ti dovrò proteggere tradendo me stessa e i miei ideali perché sei l’unico che può salvare Elanor, dii lothiin… per poter avere anche io una speranza. I Draghi di questo tempo sono incontrollabili, stupidi, sono regrediti ad uno stadio di bestie furiose assetate di sangue. Potevamo avere una speranza, noi Dovah?
Un’aura verde osservava il mio corpo con piglio serio, poi trasse un respiro profondo come se si fosse liberata di qualcosa.
Avallac’h. Ricordo poco di te. Al tempo eri uno studioso del Tempio, un adepto sempre curvo sui libri, sei stato innamorato di una donna non promessa a te e ti sei specchiato spesso in quegli occhi di giada, sognando, amando e sperando. Ma lei fuggì. Il tuo odio verso gli umani accecò il tuo ponderato giudizio. Perlustrasti gli infiniti universi che ci circondano alla ricerca della prole che aveva dato alla luce la donna che amavi. E quando la trovasti racchiusa in una giovane umana dapprima hai provato repulsione, odio, incredulità, paura. Poi un bacio di sfuggita, un ballo rurale, il sonno di varie notti in cui tenni quella piccola umana tra le tue braccia. Amandola sei tornato te stesso, o quasi.
Disse la figura dalle vaghe forme femminili fermandosi a pochi passi da Avallac’h. Strabuzzai gli occhi. L’elfo aveva omesso tanto. Aveva tenuto saldo il suo ricordo di quella ragazza, di quella mortale. Sapere della morte di Lara fu per me un brutto colpo, era parte di me. Sono stato egoista a pensare che la perdita fosse solo mia. Guardai il corpo immobile dell’elfo, percepii un sentimento strano nei suoi confronti. Aveva a disposizione l’eternità e l’aveva dedicata al ritrovamento di quello che rimaneva di Lara, la sua Lara. D’improvviso mi sentii piccolo e vergognoso, forse da fratello avrei potuto fare di più. All’improvviso mi trovai a chiedermi come mi sarei sentito davvero se avessi conosciuto l’ora e il giorno della mia morte.
Abelas…
La sentii dire e mi voltai verso l’elfo dagli occhi d’ambra. Vidi l’aura accarezzare il volto scarno del Comandante delle Sentinelle.
Abelas, amore mio… hai donato la tua vita a Mythal accettandone le conseguenze e piegando il capo a quello che ti veniva imposto, sul tuo volto fu impresso il marchio che ti legava per sempre a lei. Non conoscevo il tuo dolore fino ad ora. Non sapevo nulla delle tue reali ambizioni, ti vedevo contento della tua vita, di quel posto che ti rendeva il migliore tra i migliori, ma celava un cupo dolore. Mi hai tenuta all’oscuro di questo per tutto questo tempo? Amore mio…
Le sue labbra senza sostanza si posarono su quelle di pietra dell’elfo in un bacio che sapeva di speranza, che sapeva di cambiamento.
 
Mi avvicinai al mio corpo, mi fissai in quella posa strana, ferma nel tempo, sbattei le palpebre allontanando le lacrime e il sorriso che mi rivolsi era genuino, forse il primo in tutta la mia vita. Mi sentii risucchiato dentro il mio corpo e tutto riprese a scorrere.
Il canto delle cicale, il vento lievemente caldo, il canto degli uccelli che dimoravano in quelle zone remote. Il ragazzo si voltò ringhiando verso Lunus, i suoi occhi erano piombo fuso e trapassarono il volto della donna-drago. “Troveremo Hawke. – dissi senza quasi accorgermene – La troveremo e sarete salvi.” cercai di promettere non sapendo cosa di fatto stessi dicendo. Quando gettai un’occhiata al giovane elfo, lui mi guardava con un affetto che non potevo sopportare. “Va bene. Se è l’unico modo per riaverla qui, farò come dite.” disse. “Siedi, sarò da te tra un secondo. Anche tu Lupo.” disse Lunus allontanandosi da noi, una ruga che riconobbi le solcò il viso. Mi stesi tutt’altro che tranquillo sulla fredda pietra marmorea, il ragazzo si distese al mio fianco. Era fastidiosamente vicino, pensai. “Grazie.” lo sentii sibilare “Prima di ringraziarmi, dovrai sopravvivere.” risposi cercando di non sembrare brusco. Ero spaventato a morte. Una volta che si è stati spezzati dal dolore si rimane vittime per sempre. Non dimenticherò mai quei luoghi che ho visitato ed il preciso momento in cui decisi di arrendermi del tutto pur di non sopportare altro dolore. È una vergogna dalla quale nessuno si riprende completamente. Alcuni tentano di negarla infliggendo un dolore simile e creando una nuova vittima che sopporti quella vergogna per loro. Io mi sentivo esattamente così, guardando quel ragazzo. La crudeltà è un’abilità insegnata non solo dall’esempio, ma dall’esperienza.
“É necessario, Fen’Harel.” disse Avallac’h guardandomi con un sorriso quieto “Andrà tutto bene. Adesso lo so.” Il Saggio, al contrario mio, non era affatto turbato. Nonostante tutto. Lunus e Abelas tornarono e si misero in cerchio tra me e Fenris. “Siete pronti? Abelas, tieni l’arco a portata di mano – ordinò militare il Saggio posandomi una mano sulla mia, la sentii fredda e sudata – Lunus preparati, non sarà un compito facile il nostro. Cercherò di tenerli in vita, tutti e due. Ora mettiamoci al lavoro. Il tempo stringe.” senza preavviso mi infilò un ago nel braccio, all’altro capo c’era una fiaschetta verde, rigida alla prima impressione. Appena il contenuto mi entrò in circolo urlai, la vista mi si offuscò. Tremai cercando di divincolarmi, cercando di strapparmi il grosso ago dal braccio, Abelas con un salto atterrò con le ginocchia sui miei polpacci e mi bloccò le braccia stese prendendomi per i polsi, Lunus mi tratteneva le spalle, costringendomi all’immobilità. Lacrime di dolore uscivano incontrollate dai miei occhi. Cercai di costringermi alla calma, alla razionalità e infine riuscii a controllarmi, poi Avallac’h cambiò fiala. Il suo contenuto aveva superato la mia guardia e la mia ritrovata calma dolorosa, trafiggendo nuovamente la mia anima. Urlai con tutto il fiato che trovai intrappolato nei polmoni. Tremavo e mi dimenavo senza rendermene nemmeno conto, Abelas e Lunus facevano del loro meglio per tenermi fermo senza troppo successo, il grosso ago mi stava dilaniando il braccio. Più cercavo di calmarmi, più il panico saliva violento, adesso il sudore acido della paura mi colava lungo le costole e i lati del viso mentre consideravo cosa mi stava accadendo. Terza fiaschetta, la più grande. Sentii un ringhio sollevarmi il labbro superiore ed un urlo, l’ultimo, sembrò squarciarmi il petto in due. Tremai spaventato, cercai lo sguardo di Avallac’h e quando lo trovai lui tentò un sorriso. “Mi dispiace fratello. Oesi caefyn!” i miei occhi si chiusero. Sentivo le tenebre reclamare la mia anima.
 
Sentii a malapena qualcosa colpire il mio corpo sbalzandolo a terra dal piano marmoreo in cui era posato, con un ringhio sommesso aprii gli occhi, ero… vivo. Constatai guardandomi i palmi delle mani e toccandomi la fronte. Delle grida soffocate provenivano da poco distante, ero ancora troppo confuso e stordito per distinguerle chiaramente. Uno scoppio di energia fece urlare di rabbia la creatura che fino a prima era annidata nella mia testa. “Fenris…” dissi con un filo di voce, tirandomi in piedi con le gambe ancora scosse dai fremiti, dovetti appoggiarmi al blocco di marmo per restare in equilibrio, ma mia testa era dolorosamente pesante e il braccio dove Avallac’h mi aveva inserito le pozioni sembrava non rispondere ai comandi. Ringhiai frustrato raccogliendo il bastone in terra, alzai lo sguardo e cercai di mettere a fuoco. Il giovane elfo era ferito e fuori controllo. I suoi marchi erano incandescenti a tal punto da bruciargli la pelle, urlava frasi sconnesse e ripeteva freneticamente il nome della sua amata. Abelas cercava di ferirlo in punti non vitali. I suoi occhi ambrati brillavano, ardevano nel viso emaciato, contratto, annerito dalla sofferenza e coperto da una tempesta di capelli biondi scompigliati e sudici, mentre Avallac’h lo colpiva con potenti scariche elettriche, danzando sul suo bastone. Un pugno di Fenris sfiorò la guancia di Avallac'h sfinito e stanco, pallido come un cencio "Stai attento!" cercai di dire, ma mi accorsi di non aver emesso alcun suono, la mia bocca era riarsa, il Saggio vacillò sotto l'assalto di Fenris che allungò tre pugni senza sforzo. Mento, petto e zigomo. Tutti veloci e solidi. Lo stile di un elfo che lo faceva spesso. Il sorriso di un elfo a cui piaceva molto.
Lunus era in disparte impietrita, terrorizzata, paralizzata dalla paura i suoi occhi chiari erano gonfi di lacrime. Non reagiva. Non sembrava averne la forza. Il periodo che seguì fu senza tempo. Fenris piombò su Avallac'h senza fare il minimo rumore e prima che il mago potesse proteggersi con un incantesimo, un piccolo pugnale si infilò nel suo busto lacerandogli la carne, il Saggio gridò sordo. Con un balzo incredibilmente fulmineo, davvero degno di un felino, il giovane elfo si gettò sul Saggio e lo pugnalò nuovamente. Vidi gli occhi acquamarina di Avallac'h annebbiarsi, le sue labbra smisero di muoversi, livide e sporche di sangue. Vomitò un fiotto di sangue scuro e si lasciò cadere nel terreno erboso. Balzai furioso racimolando le poche forze che avevo in corpo e con un'onda di energia scaraventai Abelas a qualche metro di distanza poi corsi verso Fenris agguantando la sua testa. Il giovane elfo gridò, una violenta ondata calma avvolse il corpo del giovane che urlò sguaiatamente, frastornato e inconsapevole di quello che aveva fatto. I suoi occhi erano rivoltati all’interno, la cornea lattiginosa era venata di capillari gonfi di sangue. Si afflosciò al suolo stanco, sfibrato, svenuto.
Avallac’h!” gridai correndo dal mio amico steso su un fianco, le sue palpebre sbattevano stanche ed inesorabili. Aveva la faccia di un elfo quasi dissanguato, sebbene fosse pallido di suo. Era come se non sentisse più l’orrore o il dolore, solo l’avanzata della morte. Avallac'h non gridò. Forse non provò dolore fisico, era solo tremante e silenzioso. Due costole erano rotte, lembi sottilissimi di carne nascondevano strappi più profondi nella pelle del collo. Dal suo ventre continuava a fuoriuscire sangue caldo. “A quanto pare – disse sforzato – ho avuto ragione anche questa volta…” ridacchiò vomitando un altro denso grumo di sangue “Avallac’h ti prego, no! Fratello!” dissi cercando di trattenere le lacrime mettendomi la sua testa sulle gambe. Mi accorsi troppo tardi di un lieve movimento del Saggio, non ebbi sentore delle sue intenzioni finché non mi posò la mano sul polso. Le punte delle dita trovarono la mia carne. Il tocco era gentile, ma la sensazione era una freccia nel mio cuore. Trasalii come un pesce arpionato e poi rimasi immobile. Avallac'h mi corse nelle vene, caldo come liquore e freddo come ghiaccio. Per un istante, come un lampo, condividemmo la consapevolezza fisica. L’intensità andava oltre qualsiasi unione avessi mai sperimentato. Più intima di un bacio e più profonda di una coltellata, oltre un collegamento fraterno e oltre il congiungimento sessuale, perfino oltre il mio legame con il Temibile Lupo. Un brivido pungente mi percorse. Non vedevo nulla. Poi compresi che tenevo gli occhi ermeticamente chiusi, il corpo contratto chinato attorno al suo viso. Perfino quando ne fui consapevole mi ci volle un po’ di tempo per persuadermi a reagire. Quando aprii gli occhi, l'elfo mi rivolse un'occhiata opaca. Mi paralizzai, lui sorrise e con enorme fatica posò le sue labbra sulle mie. Sgranai gli occhi osservando la pietra incastonata nella spilla del mago. Mi baciò profondamente. Assistetti ad una forma strana di passione, eppure non sembrava semplice gratitudine e mentre il bacio si prolungava, pensai che mi sarei staccato se solo avessi potuto. Mi irrigidii e i muscoli del collo si tesero. Non l'abbracciai, le mie mani si aprirono, poi si strinsero a pugno sul mio petto, il mio cuore rimbombava nel suo incavo stretto. E ancora Avallac'h mi baciava e per infiniti attimi temei di sciogliermi in lui o trasformarmi in pietra nel suo bacio. Temetti ciò che mi dava e temetti di più ciò che lui prendeva da me. Rimasi semplicemente paralizzato e confuso mentre la sua bocca era sulla mia. Tentò di essere gentile, credo. Tuttavia fu più una scarica di botte che un bacio tenero, quando la sua bocca aderì alla mia e il suo dolore fluì in me. Era un bacio lancinante, bruciante, un flusso di ricordi che non potevo negare una volta cominciato. Nessuno nella pienezza dei suoi anni dovrebbe sperimentare tutta la passione che un ragazzo è capace di abbracciare. Invecchiando i nostri cuori diventano fragili. Il mio quasi si fracassò in quell’assalto furioso.
 
Il viso ingrigito di Avallac’h si staccò da me riposando la testa sulle mie ginocchia. Lo sentii rabbrividire, come in preda alla febbre. Si rivolse a me con gli occhi ormai ciechi e gettò un mugolio straziante. “Va fail, Fen’Harel. Abbi cura di Abelas.” mi disse con un ultimo sorriso.
Prima che potessi capire l’accaduto una giovane donna dai capelli biondi atterrò dal cielo con un boato, ammortizzando perfettamente la caduta. Alzò il viso mantenendo la posa felina del corpo, i suoi occhi di giada mi guardarono prima furiosi, poi videro Avallac’h esangue con la testa appoggiata alle mie brache sporche del suo sangue. Riconobbi in quel viso i tratti di Lara, tentai di non mostrare il mio completo stupore ma sospirai, mio malgrado “Chi siete voi? Come mai avete il mio …amico, sulle ginocchia? Cosa fate tutti lì impalati?” chiese furiosa la ragazza dai capelli biondo cenere avvicinandosi a me. “Non morirai oggi, capito?” disse con le lacrime agli occhi rivolgendosi all’elfo ormai esanime. Lui ebbe la forza di sorriderle. “Zireael…” disse a fatica, gli ci volle una grande forza per sollevare il suo braccio per accarezzarle la guancia deturpata “È davvero questo il tuo ultimo desiderio?” le chiese sofferente, la giovane gli si gettò al collo piangendo. “Ti dono il mio cuore.” sibilò tra le lacrime la ragazza intrecciando le sue dita a quelle dell’elfo pallido, sorrise. Prima che potessi rendermene conto erano spariti entrambi. La notte si atava affievolendo nell’alba. Le stelle più deboli avevano già ceduto alla luce strisciante del giorno. Un uccello annunciò il sorgere del sole. Un altro lo sfidò. Un insetto mi ronzò vicino all’orecchio. Divenni consapevole del mio corpo con maggior lentezza. Il sangue scorreva dentro di me e sentivo il sapore dell’aria esalata dai polmoni. Era buono. C’era dolore, molto dolore. Ma il dolore è il messaggero del corpo, l’avvertimento che qualcosa non va e deve essere riparato. Il dolore ti dice che sei ancora vivo. Tenni conto di quel messaggio e ne fui felice. Per diverso tempo, mi parve abbastanza.
Rimasi inginocchiato ancora qualche minuto. Ero coperto dal sangue di Avallac’h, mi guardai i palmi delle mani e cercai di non sembrare troppo scosso. Avevo visto troppo, per chiunque, quel giorno. Mi tirai in piedi e mi avvicinai al corpo del giovane elfo, gli posai due dita sul collo, il battito c’era, era vivo, sospirai. Era svenuto, malconcio, ma vivo e sicuramente al suo risveglio avrà un gran bel mal di testa. Andai alla ricerca di Abelas, lo trovai seduto, con accanto Lunus. L’elfo ambrato si massaggiava insistente il collo. “Sei vivo...” disse quasi con disprezzo, rimasi assolutamente indifferente al tono, non risposi. “Perché non mi hai detto che mio fratello era vivo? Perché mi hai mentito?” chiese livido di rabbia. lo sguardo di Lunus dardeggiava tra il suo viso ed il mio. “Potrei dirti la verità, ma non ci crederesti a priori, per cui che senso avrebbe? Dobbiamo per forza parlarne?” Abelas sbuffò arrendendosi, la sua rabbia svanì com’era arrivata. “Per una vita ho considerato mio fratello un traditore, un pazzo e non solo perché era fuggito quando avevamo più bisogno di lui, ma perché era ossessionato da Lara. Metteva lei al di sopra di qualsiasi cosa, ogni decisione da lui presa dopo la fuga di tua sorella fu rivolta allo scopo di ritrovarla… Solo ora capisco il valore delle sue scelte… solo adesso capisco il suo dolore. Mi scuso per il mio livore. Non avrei dovuto, non in tua presenza per lo meno.” “E nemmeno in sua presenza…” lo ammonii guardando il luogo dove prima giaceva suo fratello. “Hai ragione. Se mai lo rivedrò gli porgerò le mie scuse...” disse abbassando lo sguardo, gli sorrisi leggero. Sperai che il Saggio fosse vivo, ovunque egli fosse.  Ero indicibilmente stanco, gelato e affamato. Eppure nulla mi consumava quanto il dolore di quel bacio. Mi chiesi brevemente se Avallac'h avesse previsto anche questo momento. Se per un solo attimo avessi dubitato del potere del Saggio, la sensazione che percepivo disperse ogni singolo dubbio. Sperai solo che fosse vivo. Lasciai Lunus ed Abelas in un momento intimo e cordiale e mi avviciani al giovane elfo bruno, mi sedetti al suo fianco e spostai una ciocca di capelli chiari. Guardai i lievi segni dei marchi di Lyrium che rigavano pallidi la sua pelle, avrei potuto studiarli e trovare una soluzione, ma non adesso. Stesi con cura il mantello lasciato da Avallac’h sul tappeto erboso vicino al blocco marmoreo e presi tra le braccia il ragazzo, lo stesi avvolgendolo come meglio potevo nella stoffa grigia e cremisi. Decisi di concedermi qualche ora di sonno, ne avevo tremendamente bisogno. Mi sedetti in terra con la schiena appoggiata contro il marmo, posai una mano protettiva sulla spalla del ragazzo e dormii.

“Alzati Solas, dobbiamo andare.” Abelas mi risvegliò dal torpore in cui mi ero piacevolmente abbandonato dopo molte notti burrascose. Aprii gli occhi che il sole stava morendo all’orizzonte, sbadigliai stirandomi la schiena. Fenris era sveglio e guardava stranito e sconvolto tutto il sangue che bagnava il terreno. “Cos’è successo? Chi ha fatto tutto questo?” lo sguardo di Lunus si staccò da lui e divenne triste, Abelas non rispose impegnato a raccogliere le frecce integre dal terreno. “É successo quello che temevamo, ma non tutto, per fortuna… – risposi sforzando un sorriso – …siamo entrambi vivi, come ti senti?” chiesi bagnando un angolo del mantello con l’acqua della mia fiaschetta. “Mi sento un po’ strano, stordito, ma potente, molto più potente di prima. È una sensazione inebriante.” guardai il piombo fuso che gorgogliava eccitato negli occhi del ragazzo, gli sorrisi mentre mi pulivo il viso dal sangue e dalla lordura. “Mi fa piacere.” dissi nascondendo il più possibile il ricordo della sua furia sanguigna ed incontrollabile, non devo averlo fatto tanto abilmente come credevo “Ho fatto io tutto questo?” chiese duro il ragazzo. Il cuore mi martellava in petto, guaii in un ansioso silenzio mentre il ragazzo mi guardava, impaziente di una risposta a tutto quel sangue. “Non eri in te Lupacchiotto. – intervenne Lunus protettiva – Nessuno di noi poteva prevedere questo genere di conseguenze. Ora dobbiamo trovare Hawke, ammesso che sia ancora viva.” disse la donna guardandomi, sebbene ne avessi una gran voglia, mi astenei dal commentare. Ora che eravamo lì, soli e insieme, sentii come se la fretta mi avesse abbandonato, c’era tempo, tempo che apparteneva solo a me, tempo per fare le cose con cura. Presi acqua dal ruscello che scorreva poco distante, mi lavai dolcemente il viso, lavando via il sangue dalle labbra cercando di pulire l’orecchio lacerato. Quando fu possibile staccai la tela dalla carne spellata del mio braccio. Ciò che vidi mi diede le vertigini. Ma mentre raddrizzavo come potevo l'arto tormentato ed irrigidito e asciugavo con foglie verdi ed erba pulita la lordura e il sangue coagulato, ogni odio, ogni paura, ogni tentennamento mi lasciò.  Guardai il giovane spaesato e confuso, torturato dalla sua stessa coscienza. “Non farlo, da’len. – dissi voltandomi verso il giovane elfo – Conoscevamo le conseguenze… tutte. Ora andiamo.” misi il mio piccolo bagaglio sulle spalle intento a ritornare al Tempio di Mythal. “Pensi di fartela a piedi, elfo?” chiese la donna drago con il suo solito, beffardo sorriso. La guardai alzando le spalle “Che alternative avrei?” chiesi stanco con un sospiro, la donna sorrise portandosi le braccia ai fianchi e mi si avvicinò, quasi troppo da provocarmi fastidio “Che ne dici di cambiare metodo?” mi chiese con aria di sfida. “Ho percepito che ultimamente viaggi in maniera non del tutto convenzionale, cosa ne dici questa volta di volare?” sbarrai gli occhi chiedendole se stesse scherzando. “No Solas, non scherzo mai. In ogni caso, come penseresti di raggiungere il Velo e poi l’Oblio velocemente?” guardai il suo viso triangolare e la sua espressione sicura, concludendo che, dopotutto, non aveva tutti i torti.
Un attimo prima il silenzio era totale, nemmeno un sibilo, nemmeno un ronzio, poi una luce chiarissima su ogni cosa e il rumore di grandi ali che battevano, balzai indietro nell'ondata di aria. Il drago argenteo in tutta la sua grandezza si fermò a pochi metri da me. Mi fermai dov'ero, mi assicurai il pesante mantello di Avallac’h alle spalle e allargai le braccia in un gesto improvviso che chiedeva immobilità e silenzio e che tutti parvero riconoscere. Gli sguardi dei miei compagni seguirono il mio. Fenris rimase senza fiato e Abelas era incantato. Dopo un lungo momento senza fiato ci scambiamo un'occhiata, era sempre uno spettacolo nuovo rivedere Lunus nella sua vera forma. Avanzai con i piedi di piombo, la bocca senza labbra del drago sembrava sorridermi compiaciuta. Guardai Abelas, lui semplicemente girò lo sguardo pallido ad incontrare il mio. Nei suoi occhi c'era una nostalgia sperduta, priva del suo abituale spirito mordente. Accarezzò gentilmente la testa del drago, una carezza dolce, da amante a quella testa di rettile a forma di cuneo. Il suo viso era una maschera di tormento. “Vuole che tu salga, Solas.” disse a bassa voce Abelas.
 
La testa che chinò davanti a me mi fece sembrare minuscolo. Mi vidi interamente riflesso in un occhio chiaro e lucente. Poi il drago si piegò verso di me, invitandomi a montare. Abelas mi gridò qualcosa, ma persi le parole nel vento delle ali del drago che si aprivano. Lunus le batté una volta, due, tre, come per abituarsi alla sensazione.
Il drago si accovacciò raccogliendo le grandi zampe sotto di sé. Le ampie ali celesti batterono di nuovo e il drago balzò verso l'alto. Non fu un involo aggraziato e Lunus vacillò un po’ mentre prendeva il volo. Si sollevò girando sopra le colline e gli alberi che circondavano brughiera. La vidi virare per ispezionare la zona poi le ali cominciarono a battere regolarmente, portandoci sempre più in alto. Il dorso era di un bianco azzurrino, come quello di una lucertola. Socchiusi gli occhi per il vento, poi, come una freccia azzurra e argentea, scomparimmo. Ripresi a respirare. Stavo tremando. Mi asciugai gli occhi sulla manica appoggiandomi al grosso collo del drago. I miei occhi erano levati al cielo e l'espressione sul mio viso era nostalgica, trassi un profondo respiro.
Era venuto il momento, mi dissi, avrei dovuto disintegrare il Velo. Giurai di sentire il cuore di Lunus gonfiarsi di adrenalina mentre prendevamo quota.
 
Sei sicuro che sia quello che vuoi?
Mi chiese silenziosa Lunus.
Sì. Il mio popolo aspetta. Elanor mi aspetta. Hawke anche. Facciamolo!
Risposi cercando di mantenere l’equilibrio sulla sua schiena squamosa, le sue ali sbattevano possenti portandoci sempre più in alto.
Allora ci penserò io, permetti?
Chiese. Non ebbi il tempo di risponderle.
 
Sentii un flusso di magia e ricordi uscire dal mio corpo verso il suo. Per un attimo mi sentii unito a ogni cosa, parte di quella bestia enorme e potente e parte del tutto. La sentii ruggire assimilando il mio lucente potere d'argento. Era come se la mia vita, i miei ricordi e la mia consapevolezza fluttuassero fra il mio corpo e la grande bestia. Le minuscole scaglie violette attorno agli occhi del drago esplosero di energia. Minuscole goccioline di saliva comparvero dalle labbra contratte della bestia e ogni goccia che si staccava dalla sua bocca contratta portava con sé l'inconfondibile luccichio della pura magia. Ebbe cura di selezionare i ricordi che prendeva, non toccò nulla che riguardasse Elanor, né i miei dolori più antichi, sepolti e vivi sotto la mia pelle. Mi privò di ricordi minori e in un certo qual modo, gli fui grato di questo.
Un ruggito vigoroso, assordante, un raggio, una luce folgorante mi fece quasi predere la presa. Lunus incanalò la mia magia e la scagliò in cielo come un dardo potente. Il cielo si frammentò come uno specchio, le crepe verdi si propagavano a vista d’occhio mentre ci avvicinavamo sempre più al limite del Velo. Un’ultima scaglia di energia, un ultimo risucchio della mia magia ed il Velo si frantumò lungo la superficie. Il rumore di un grosso vetro infranto ci investì. Lunus schivò abilmente le schegge incandescenti e penetrò nell’Oblio. Ce l’avevamo fatta. Le accarezzai il possente collo liscio, vibrava potente sotto il mio tocco, vorticava eccitata attraverso quel mondo da me bandito.

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Capitolo 25
*** Cap. 25 ***


Lunus atterrò pesantemente su una spianata polverosa davanti a quella che poteva sembrare una profonda grotta. Davanti a noi una strada levigata e scura era sferzata da una debole brezza. Con qualche difficoltà scesi dalla schiena di Lunus, la grossa testa del drago mi guardò quasi divertita dal mio indolenzimento. Una volta sceso mi strofinai i calzoni e gli stivali alti al polpaccio, saltellai sul posto per sciogliere la muscolatura e riprendermi dallo stordimento. Mi sentivo svuotato e confuso, ero ben oltre l’essere stanco, ma non avevo molto tempo: dovevo trovare Hawke e riportarla nel mondo sottostante. Mi sedetti e chiusi gli occhi cercando di concentrarmi, Lunus si era distanziata da me, nonostante la sua mole, entrò nella caverna buia. Strinsi i denti e cercai di percepire la vita, sperai fosse sopravvissuta anche se in cuor mio sapevo che non era facile, nemmeno per la donna che si fregia del titolo di Campione di Kirkwall.
Il basso brontolio di una voce femminile sembrava esitare: toccava la mia mente, la solleticava, chiedeva aiuto, ridacchiava, scostante e pensieroso e spesso si spegneva del tutto. Riaprii gli occhi confuso e sbalordito e vidi che Lunus era al mio fianco, le sue braccia argentee risplendevano cangianti nella luce surreale dell’Oblio. Le piccole squame sotto agli occhi ora erano visibili anche nella sua forma umana, le guardai sentendomi in colpa per averla sfigurata. “Hai percepito qualcosa, elfo?” chiese impaziente, era tesa e ansiosa. “Forse, dovremo spostarci in quella direzione.” le dissi indicando il sentiero scosceso che sembrava chiamarmi, invitarmi a percorrerlo. “Sbrighiamoci allora, fammi strada.” disse la donna-drago, procedendo dietro di me con passo che avrei giudicato insicuro. Tentennava annaspando, alla cieca, seguendomi nel mio mondo. Mi chiesi se mi temeva ora che eravamo qui e non nel mondo sottostante, accantonai il sogghigno che mi si stampò in volto sentendo quel richiamo sempre più forte: la voce femminile si faceva sempre più chiara, nitida e forte percorrendo quella strana e tortuosa via levigata che correva in mezzo ad una foresta di pietra grigia. Mi sentii quasi a disagio, digrignai i denti, il Temibile Lupo procedeva al mio fianco circospetto e ansioso, il suo pelo nebbioso era alzato e le sue orecchie girate indietro, i suoi occhi incandescenti dardeggiavano ovunque irrequieti.

Cosa ti prende?
Gli mandai un pensiero.
C’è qualcosa che non va, qui…
Mi rispose ringhiando.
…stai attento Fen’Harel.
Finì la frase, sorrisi abbassando lo sguardo verso il grosso Lupo nero.
 
Camminammo ore lungo quella via scoscesa ed il paesaggio pareva sempre lo stesso: alberi di pietra spogli e spettrali ai nostri lati, alcuni avevano volti che trasudavano dalla pietra porosa: volti contorti e disperati, strazianti. Mi portai una mano al volto contratto, ero a dir poco sfinito. Lunus procedeva lenta dietro di me affianco allo Spirito del Temibile Lupo. “C’è qualcosa di strano qui… ma non riesco a capire cosa. Mi sembra così surreale questo posto… sembra sempre lo stesso, da ore.” mi guardò perplessa avvicinandosi “Che ti succede Lupo?” chiese con un sentore di preoccupazione che non avevo mai avvertito prima nella sua voce. “Non lo so, mi sento strano.” dissi sedendomi sulla strada scura, da vicino era percorsa da venature verdi e pulsanti, la toccai e al tatto era liscia come pelle, mi sentivo sempre peggio, una fitta allo stomaco mi colpì facendomi abbassare il capo verso quella superficie liscia, troppo liscia. “Fermiamoci qualche ora, usala per dormire Lupo. Io starò di guardia.” mi disse guardandomi aggrottando leggermente le sopracciglia. Appallottolai il mantello di Avallac’h che avevo attorno alle spalle e cercai di farci una superficie soffice dove posare la testa qualche minuto, nella speranza che l’affanno e la stanchezza mi passassero chiudendo gli occhi, mi stesi e non seppi più nulla.
 
Non credo di aver dormito molto prima di rendermi conto di essere a Skyhold. Elanor urlava davanti a me, un rivolo di sangue scuro le macchiava le gambe e aveva sporcato il materasso di paglia. Si dimenava dolorosamente e l’Ancora brillava tingendole di un verde acceso il braccio ben oltre al gomito, la pelle della mano e dell’avambraccio era spaccata e sporcava di sangue il lenzuolo candido. Le lacrime di Elanor si mischiavano a tutto quel sangue. Rabbrividii. La paura si fece strada nel mio corpo. Cercai di muovermi, ma al mio comando non vidi le mie mani muoversi: vidi una mano d’ebano, femminile e curata. Vivienne. “Mia cara, calmati. Lascia che la pozione faccia effetto!” disse l’Incantatrice cercando di essere quanto più fredda e distaccata possibile, ma dentro di sé ribolliva di rabbia. Strideva i denti candidi e le urla di dolore di Elanor laceravano ogni nervo del suo corpo. Dentro il corpo della maga trassi un profondo respiro e rifiutai di lasciare che la mia frustrazione diventasse rabbia. Di nuovo Vivienne posò una mano sulla fronte di Elanor, cercando di calmarla con la magia, le sue urla straziavano il corpo e la mente della maga di ghiaccio. Un ennesimo urlo e un violento spasmo di Elanor colpirono Vivienne al volto, ringhiai percependo il dolore della donna. Il labbro le sanguinò. Con uno scatto frustrato Vivienne colpì un vaso lanciandolo sul pavimento. La porta alle sue spalle si spalancò sbattendo sul muro di pietra. Il giovane Dorian entrò a passo spedito nella stanza da letto di Elanor. Abelas e Cole erano dietro di lui. “Fermati, mago!” gridò Abelas rimanendo fermo sulla soglia. “No! Non permetterò che la lasciate morire dissanguata! Spostati Vivienne.” venni scostato bruscamente assieme a Vivienne, il mio sguardo era incollato al viso di Elanor contorto dal dolore, paonazzo, stanco “Chiamate Madre Giselle e le consorelle. Dovranno farla partorire ora, altrimenti potremmo perdere sia lei che il bambino che porta in grembo.” il viso di Dorian si irrigidì, lo sguardo del giovane Tev trapasso Vivienne, bruciandola. Una domestica, inciampando, corse ad avvisare le consorelle. Il mio respiro attraverso il corpo di Vivienne era stentato e secco, il sangue di Elanor mi gocciolava dalle dita. La sentii trattenere il respiro come se avesse voluto parlare e invece rimase in silenzio, si pulii le dita sul vestito di seta marina reale rimanendo in disparte. Fissava il fuoco e guardava le minuscole scintille che salivano portate dal calore. Scintille danzanti nell'aria. Respirava a fondo, Vivienne, priva di forze. Si guardava le mani ancora sporche di sangue e tremanti, le guardai anche io, guardai il sangue che Elanor aveva perso, poi girai il capo verso di lei, il lenzuolo era una pozza di sangue all’altezza del bacino.
Quattro consorelle arrivarono leste e in camicia da notte, Madre Giselle chiudeva dietro di sé la porta la vidi chiudere gli occhi e baciarsi il pugno che aveva portato alle labbra carnose. “Che il Creatore ci assista.” la sentii sussurrare, alzò poi lo sguardo e si avvicinò al letto di Elanor rivoltandosi le larghe maniche di lino lungo le braccia brune. Elanor la guardò piangendo. “Non ti preoccupare, ora fai solo quello che ti diciamo e andrà tutto bene, hai sofferto abbastanza. È presto, ma dobbiamo farti partorire Elanor, mi capisci?” Un lieve cenno del capo, un fiotto di lacrime le colorò il viso, l’Ancora si accese facendola urlare. Spasmi e contratture rendevano quel parto già eccezionale, ancora più difficoltoso. Un rivolo di sudore rigò sfrontato la fronte di Vivienne, con la manica lo tolse bruscamente cercando di non farsi vedere. Improvvisamente Elanor afferrò il braccio di Dorian, accovacciato al suo fianco. Spalancando gli occhi viola guardò il giovane Tev, era senza voce per quella forza strana che si muoveva dentro di lei. Dorian le baciò il palmo della mano salda, cercando un sorriso calmo. Era sola. Non sapeva dov'ero. E stava per partorire dentro la sua stanza.
Cercai di tendermi verso di lei, gridando Elanor, vhenan, sono qui!, ma il corpo di Vivienne non rispondeva ed Elanor adesso era concentrata su se stessa, ascoltava soltanto il suo corpo. “È troppo presto! – mugolò Elanor tra le lacrime – Non posso, non voglio…” le sue parole si spensero e le labbra scoprirono i denti mentre si sforzava di resistere. Dorian era come paralizzato, non l'avevo mai visto diventare così pallido. Rimase immobile come se Elanor improvvisamente fosse stata un animale imprevedibile. Una specie di grido strappò Vivienne dal suo sbigottimento, si alzò e si avvicinò ancora di più al focolare portandomi lontano. Elanor emise un suono basso, pieno di paura oltre che di dolore. Le mani sicure delle consorelle erano sul ventre di Elanor, la tastavano con gentilezza e fermezza “Non manca molto ormai, non molto ancora.” tentarono di dirle piano. Una consorella dai capelli rossi e crespi teneva le mani su di lei mentre un’altra contrazione la scuoteva. Con gli occhi scuri di Vivienne vidi il fremere di un muscolo e poi Elanor gettò un grido improvviso, vidi Dorian sostenerla tenendole saldamente la mano, lo sentivo bisbigliare tra le urla e i rantoli, vedevo le sue labbra vicine all'orecchio di Elanor. Il giovane mago continuava a parlarle piano, in modo incoraggiante.  Poi Vivienne si alzò di scatto andando vicino ad Elanor. Mi ci volle un grosso sforzo per convincere il suo corpo ad obbedirmi. Scostò Madre Giselle ed Elanor si contrasse un'altra, un'ultima volta e le mie mani stavano afferrando quel corpicino un po’ sporco di sangue, la testa calva e pallida contrastava con la mano d'ebano a coppa della maga, l'altra che sosteneva il minuscolo esserino appallottolato. Con un tonfo crollai improvvisamente sul pavimento, sbalordito. Il cordone che si svolgeva dal ventre sembrava grosso e spesso a paragone delle minuscole mani di quella creatura. Tutto si fece improvvisamente silenzioso tranne l'ansimare stanco di Elanor.
 
“Sta bene?” domandò Dorian, l'Ancora pulsava instancabile tra le lacrime ed il sudore di Elanor. La voce del giovane tremava “C'è qualcosa che non va? Perché non piange?” ringhiò. “Sta benissimo. Bella com'è, perché dovrebbe piangere?” dissi con la voce di Vivienne tenendo tra le braccia mia figlia. Una mia lacrima solcò il volto della donna. Elanor stese le gambe, uno sguardo stanco squadrò il volto di Vivienne che si alzò in piedi. Sorrisi attraverso il suo volto andandole accanto con in braccio la nostra bambina, la piccola gemeva piano. Aprendo per la prima volta gli occhioni al mondo, la guardai e vidi i miei occhi. Mi specchiai in quegli occhi verdi trapuntati d’oro poi guardai Elanor, il suo volto era segnato dal dolore e dalla fatica. Riconobbi una forza a me conosciuta, una presenza che un tempo mi era molto amica e che avevo tragicamente perso. Deglutii sbalordito. Com’era possibile? Uno Spirito non dimora mai in un nascituro. Guardai gli occhi spaesati della mia bambina, le sorrisi. Una consorella mi si avvicinò esitando, tagliò il cordone ombelicale con un coltellino e mi porse un panno pulito dove avvolgere la neonata. Dorian si strofinava il viso con mani tremanti. Sorrideva tra le lacrime come non l'avevo mai visto fare. Elanor mi guardò stanca, allungò una mano per accarezzare la bambina. “Benvenuta, Ainwen.” disse sorridendo prima di socchiudere gli occhi viola, intrisi di azzurro. “On dhea'lam, ma da'len… bambina mia.” sussurrai con la voce di Vivienne. Elanor spalancò con fatica gli occhi e guardò l’Incantatrice, la scrutò stanca negli occhi scuri e mi vide, mi scorse nel corpo della donna che aveva tra le mani nostra figlia. “Vhenan…” sibilò chiudendo gli occhi.
 
Annaspai senza fiato e venni risucchiato nuovamente nel mio corpo. Mi svegliai madido di sudore. Mi voltai sulla schiena e mi passai una mano sul viso mugolando dolorante, la mia irrilevante voce parve il ronzio di una mosca in una grande sala. Inspirai guardando dove fosse Lunus, cercai di mettermi a sedere, ma la testa martellava pesante e stanca, soppressi un conato di vomito. Vidi Lunus in piedi. La sua postura mi parlava di ansia e fretta, di una sorta di disagio che non riuscivo a comprendere, sapeva della bambina? Sapeva qualcosa che io non ho potuto capire? Temevo di affrontare questo discorso con lei, in special modo con lei, dopo i trascorsi. Guardai l'ampia strada, spostando il mio sguardo da Lunus. Appariva come un taglio netto attraverso gli alberi di pietra, più in basso del suolo della foresta spettrale che ci circondava, come quando un bambino trascina un bastone attraverso la sabbia lasciando un solco dietro di sé. Gli alberi che vi crescevano attorno si piegavano sopra, ma nessuna radice si spingeva sulla sua superficie e neppure vi spuntavano piante di alcun tipo, ed era strano perché non sembrava battuta così di frequente. Con fatica mi alzai in piedi e andai verso di lei, era come camminare con delle ragnatele sulla faccia. Un pezzo di ghiaccio lungo la schiena. Fu una sensazione fisica che mi afferrò, brusca eppure indescrivibile, come può esserlo l'umidità o l'asciutto. Mi fermai, paralizzato stringendomi tra le braccia, rabbrividendo. I suoi occhi strani balzarono su di me come se non si fosse accorta che ero in piedi proprio davanti a lei. Mi folgorò con lo sguardo. Per un momento non parlò. “È una bambina…” disse poi distogliendo lo sguardo da me. “Lo so, ero lì. L'ho tenuta tra le mani.” dissi guardandomi i palmi puliti ricordando la sensazione del corpicino della mia bambina posato su di essi. Sorrisi involontariamente al pensiero. La donna-drago sbuffò frustrata portandosi le mani ai fianchi. “Ho percepito qualcosa di strano in lei, qualcosa di potente, molto potente Solas.” chinai il capo, il suo legame con Elanor la rendeva onnisciente su molte cose che la riguardavano, compresi stupefatto. “Ha portato in grembo la prole di un antico Dio elfico, – mi disse con evidente sarcasmo – è chiaro che è merito tuo.” le scaglie violette sotto gli occhi fiammeggiavano sotto il suo sguardo. Mi sentivo con le spalle al muro, degluitii rumorosamente. “Sei fortunato, molto fortunato.” ringhiò. Ero stufo di queste minacce senza senso, misi il mio viso a pochi centimetri dal suo “Cos’avrei potuto fare, Lunus? Spiegami, perché sembra che ogni cosa che faccio per aggiustare la situazione che io ho aiutato a distruggere, sembra non ti vada bene.” sbottai. “Sei sempre il solito impulsivo e incauto piccolo elfo. Agisci senza pensare alle conseguenze e poi, quando ti accorgi di avere causato un disastro ti adoperi a rattoppare malamente gli strappi. Quando le dirai di Fen’Harel? Quando pensi di dirle chi sei veramente?” il suo sguardo mi trapassò il cranio. “Non hai idea di quante volte avrei voluto dirle la verità, non puoi saperlo. – ringhiai alla donna-drago – Ti vuoi solo rendere conto per un solo secondo, uno solo, di quanto sia difficile? Avrei voluto dirle la verità ogni volta che la guardavo. Avrei voluto dirle tutto ad ogni bacio, ad ogni carezza, ad ogni sussurro, ma non sapevo come fare e ho provato ad aspettare, ho cercato di trovare le parole giuste fino a che non c’è stato più nulla da dire.” Dissi distogliendo lo sguardo dal viso pallido di Lunus, lei continuava a fissarmi. “Ammettere di essere Fen’Harel può ancora adesso significare perderla per sempre. – continuai – L’ho abbandonata a mia volta quando era piccola, la affidai ad una maga e vidi il suo piccolo viso segnarsi dalle lacrime mentre mi voltavo lasciandomela alle spalle. Ha sopportato troppo dolore, è inutile che io le riapra vecchie ferite.” “Le devi delle risposte, in ogni caso Solas. Non devi fare tutto da solo… Non ogni pena che affligge il mondo appartiene a te elfo, lascia agli altri la loro parte di colpa.” Riconoscere di essere di fronte alla propria solitudine non è il modo migliore per curarla, è solo un passo verso la comprensione che non è un passo inevitabile “L’hai salvata da morte certa Solas, l’hai portata al sicuro e quando hai scoperto che è diventata adulta l’hai amata e la ami ancora.” disse la donna spiazzandomi. La guardai sbarrando gli occhi. “Da quando hai cambiato opinione in maniera così radicale su di me?” le chiesi senza quasi pensarci, la donna si limitò a squadrarmi riprendendo il cammino.
 
Durante il tragitto sorprendevo spesso la mia mente a vagare in vividi sogni a occhi aperti, riflessioni così appassionanti che uscirne era come svegliarsi di scatto. E scoppiavano come bolle, come molti sogni, lasciandomi con ricordi quasi impercettibili di quello che stavo pensando. Cullen che dava istruzioni e consigli ai suoi soldati in perenne allenamento. Cassandra che faceva il bagno a una bambina e intanto canticchiava dolce come non l’avevo mai vista. Due persone che non conoscevo, che mettevano una sull'altra pietre segnate dal fuoco per ricostruire una casa. Sembravano sciocche immagini dai colori brillanti, ma erano così vivide che era facile crederle reali. Avanzai accanto a Lunus per qualche tempo. Procedemmo su questa strana strada per tutto il resto del pomeriggio, continuavo a sentire sprazzi di pensieri, risatine, rancori, dolori e frivoli vaneggiamenti provenienti da tutte le direzioni. La strada continuava a salire, ma sempre seguendo i pendii delle colline, così non era mai troppo ripida. Il facile cammino su quella strada che dapprima era parso così piacevole cominciò a sembrare una corsa involontaria, come una corrente che mi spingeva avanti indipendentemente dalla mia volontà. Eppure non potevo essermi davvero affrettato molto, perché Lunus mantenne il mio passo per tutto il pomeriggio. Spesso faceva irruzione nei miei pensieri, per farmi domande banali, attirare la mia attenzione su dettaglio specifico o chiedermi se mi faceva male la schiena. Trovai queste domande strane, ma decisi di non darci troppo peso. “Glielo dirai, vero?” Lunus, dopo una serie di domande strane, continuava implacabilmente a porre l'unica domanda da cui mi nascondevo. “Non lo so” risposi brusco. “Oh. – dopo qualche tempo, la donna aggiunse – Quando un uomo dice così, di solito significa: No, non lo farò, ma di quando in quando accarezzerò l'idea, così potrò far finta che prima o poi ho intenzione di farlo.” “Vuoi per favore stare zitta?” non c'era più alcuna forza nelle mie parole. La sua domanda pendeva attorno a me, ma io rifiutai di pensarci. Lunus mi seguiva in silenzio. Dopo qualche tempo, osservò: “Non so chi compatire. Te, o lei.” “Tutti e due, forse.” suggerii gelido. Non volevo parlarne più, non so cosa leggesse sul mio viso, perché non fece commenti, si sedette affianco a me. Mi tolsi gli stivali e affondai con gratitudine nel mantello di Avallac'h. Quando la sentii assestarsi contro la mia spalla un momento dopo ne fui molto sorpreso. Non mi aiutò ad addormentarmi. Ma alla fine ci riuscii, in qualche modo feci comunque un sogno tutto mio. Sognai che sedevo vicino al letto di Elanor e la guardavo mentre lei e Ainwen dormivano. Il Temibile Lupo era ai miei piedi, un libro tra le mie mani aveva un odore di antico, lo sfogliavo svogliato sorseggiando un infuso di radice elfica e liquirizia, ma volevo soltanto guardare Elanor che dormiva tranquilla. Era quasi un sogno di pace.
 
L'indomani mattina presto io e Lunus disegnammo una piccola mappa sul terreno sabbioso accanto alla strada liscia. Non ne avevo realmente bisogno, perché questa zona la conoscevo più che bene. Ma era una cosa da mettere fra di noi e indicare mentre discutevamo sul da farsi.
“Non ho un gran desiderio di percorrere di nuovo questo posto.” le dissi onestamente. “Ricordare il Demone della paura ed essergli sfuggiti per un soffio è uno sforzo, un dolore continuo. Ma suppongo non ci sia nulla da fare.” “Nulla che mi venga in mente”
Era troppo preoccupata per offrirmi conforto. La guardai. I capelli chiari un tempo splendenti erano secchi e spettinati. La luce strana e il vento gelido dell'Oblio avevano segnato il suo viso, spaccandole le labbra e incidendo linee sottili agli angoli degli occhi e della bocca, per non dire delle più profonde rughe di preoccupazione sulla fronte e fra gli occhi. I suoi abiti erano consumati e sporchi. Improvvisamente desiderai protendermi verso di lei. Non riuscivo a pensare come. Così mi limitai a protestare: “Arriveremo laggiù, e troveremo Hawke.” Lunus alzò gli occhi a incontrare i miei. Cercò di mettere fiducia nello sguardo e nella voce mentre diceva: “Sì, la troveremo.” Sentii solo coraggio.

Non ti è mancato tutto questo, Fen’harel?
mi chiese il Lupo avvicinandosi a me.
Non proprio, l’ultima volta che siamo stati qui è stato strano, pesante e doloroso.
Gli dissi.
Ormai è passato, non torneranno più quei momenti Fen’Harel, bisogna guardare al futuro…
il Lupo starnutì scrollando la grossa testa scura. Sorrisi.
…a tal proposito, la femmina ringhiante ha ragione. La tua elfa e la tua cucciola hanno bisogno di te, hanno diritto di sapere chi sei.
lo sguardo di fiamma del Temibile Lupo divenne calmo, comprensivo.
E se non mi accettassero? Se non riuscissero a comprendere i motivi che mi hanno spinto a scegliere così? Non posso pensarci adesso. Devo concentrarmi su quello che devo fare oggi per trovare Hawke, su tutto quello che devo fare prima di poter sperare di tornare a casa, da loro.
Il Lupo sbuffò in una risata stentata.
In cuor loro sanno chi sei, Fen’harel. Non temere, non temerle.

“Solas, stai bene?” Lunus era venuta a prendermi per un gomito e darmi una scrollatina. La guardai, risvegliato dalle mie meditazioni. La femmina ringhiante. Cercai di non sorridere “Sì, sto bene, ero con… il Lupo.” le dissi cercando di nascondere il mio imbarazzo. Era la prima alla quale parlavo dello Spirito del Temibile Lupo, me ne resi conto solo ora. “Oh.”  Mi gettò un'occhiata, e la vidi lottare per comprendere quello che condividevamo, poi sembrò accantonare il problema. Sorrise. “Vedì? Non è poi tanto difficile…” mi sorrise, sbuffai incollerito accelerando il passo. Da qualche parte sopra gli alberi navigava ancora la luna piena dell'Oblio. La luce scendeva serpeggiando in cascatelle verdognole attraverso i rami di pietra mentre il primo pallido sole ci illuminava la strada. Per qualche tempo camminammo attraverso i boschi di pietra piacevolmente aperti, e nient'altro. I sensi del Lupo completavano i miei. L'alba era viva degli odori di cose che crescevano e dei richiami di minuscoli Spiriti, i primi che iniziavamo a vedere. L'aria mordeva più acutamente. Scorsi un bagliore, un luccichio brillante, un pensiero forte mi aveva trapassato le tempie rimbombandomi in testa, corsi verso la cima della collina, distanziando Lunus di qualche passo. Quando raggiunsi la cima non lo percepii più. Mi fermai ansimando. Il vento dell’alba si muoveva lievemente fra gli alberi. Colsi un odore strano e bizzarramente familiare allo stesso tempo. Non riuscii a identificarlo, ma tutte le connotazioni erano spiacevoli. Mentre rimanevo lì con le narici dilatate cercando di riconoscerlo, il Lupo corse senza rumore verso di me.

Fatti piccolo!
mi ordinò con un ringhio il mio Spirito. Obbedii senza fermarmi a pensare, accovacciandomi dov'ero, dietro una grossa roccia aguzza, e guardandomi intorno in cerca di pericolo.
No! Fatti piccolo nella tua mente. Trattieni la tua magia.
 
Questa volta capii, e alzai le mie barriere in preda al panico. Il suo naso più acuto aveva subito associato il debole odore nell'aria con quello della bestia che lo Spirito della Divina Justinia aveva allontanato da noi. Mi rannicchiai più che potevo e rinforzai le mura attorno alla mia mente, perfino mentre continuavo a dirmi che era quasi impossibile che si trovasse lì. La paura può essere un potente sprone al ragionamento. D'un tratto afferrai quello che avrebbe dovuto essermi evidente. Non eravamo poi così lontani dalla piazza dove si era svolto il combattimento con il Demone della Paura. Il Lupo emise un sommesso sbuffo di disdegno. Rimasi rannicchiato per un'eternità, aspettando di sentire qualcosa, un ringhio, un urlo, i rumori di qualcosa che si muoveva in quello spiazzo. Nulla. Dilatai le narici ma non riuscii a cogliere alcuna traccia di quell'odore elusivo. Improvvisamente non ce la facevo più a rimanere accovacciato in attesa. Mi misi in piedi e seguii il Lupo, silenzioso e letale quanto lui. Come le note di una musica lontana, fui a un tratto consapevole di qualcosa. Mi fermai dov'ero e rimasi immobile. Costrinsi la mia mente all'immobilità, e lasciai che la bestia sfiorasse i miei sensi mentre non davo risposta. Ringhiai, Lunus al mio fianco si guardava attorno atterrita e preoccupata, stringeva i pugni rabbiosa, era un fascio di muscoli e nervi. L’enorme bestia non era distante, ricordavo ancora il suo aspetto orribile, o meglio, ricordavo come la mia mente interpretò quell’essere: un grosso ragno nero, peloso, con centinaia di occhietti grigi che si muovevano scattosi in tutte le direzioni. Ci fu un momento di tensione sospesa. Il cuore mi martellava contro le costole mentre mandavo lo Spirito a cercare tutto attorno a me. Un lieve lamento toccò i miei sensi, delicato e lineare, chiaro. Vacillai sotto l'impatto di quel suono, eppure non potevo, non sapevo trovarne la sorgente. I miei sensi si contraddicevano a vicenda, come se fossi caduto nell'acqua e la sentissi come sabbia. Senza una chiara idea di quello che facevo mi sporsi e cominciai a correre scompostamente. Un'improvvisa ondata di magia mi colpì in pieno, l'impatto mi scagliò a terra e mi tolse il respiro. Mi lasciò stordito, con le orecchie che rintronavano, indifeso per qualunque cosa volesse uccidermi o possedermi. Sentivo cose che non avevano senso, nemmeno nell'Oblio. La confusione sempre più debole mi sommerse, chiusi gli occhi. Sentii Lunus che mi chiamava, una voce velata di panico. Feci per passarle accanto, ma lei mi prese per un braccio. Mi fermò e mi costrinse a fronteggiarla. “Che succede? Ti senti bene?” mi chiese. “No, ma non importa. Troviamo Hawke, non dev’essere lontana.” sperai, lo sperai davvero. Volevo andarmene da quel luogo al più presto. Le riassunsi brevemente cosa successe quando entrammo fisicamente nell’Oblio e le sensazioni che provai poco fa, i suoi occhi si spalancarono quando parlai di quella ondata di magia che non comprendevo. L'espressione del mio viso la spinse a lasciarmi andare il braccio.
Avanzammo cauti nel terreno spoglio e sabbioso, spostandoci all’ombra delle rocce che crescevano dal terreno, funghi luminescenti coronavano quegli spuntoni di roccia rossa e verde donandole un aspetto ancora più strano. Mi sporsi ancora una volta e vidi un agglomerato di ghiaccio magico, scuro e solido, sentivo quel laconico richiamo sempre più forte, una voce femminile chiedeva aiuto, incessante e ansiosa. Andai rapidamente vicino a quella parete di ghiaccio. Alla prima occhiata mi ritrassi da quello che vidi. Non so cosa in realtà mi aspettassi di vedere. Vidi solo il corpo di Hawke rigido fasciato nella sua armatura a piastre, la stoffa sotto la cotta di maglia era stracciata e consulta, il suo bastone era in terra sotto i suoi piedi. Aveva gli occhi aperti e i globi oculari rivoltati all'indietro, la sua bocca era dilaniata in un grido violento, le sue braccia allargate erano imprigionate in quel ghiaccio strano. Lo toccai e non lo sentii freddo, brillava debole al mio tocco. Il gelido lamento intrappolato in quel ghiaccio si levò di nuovo, più alto e più forte. Il mio senso mi diceva che lì intrappolata c'era una donna dell'età di Dorian, vivace e dal cuore selvaggio come Cassandra, desiderosa di amore e avventura e di tutto ciò che la vita poteva offrire come Sera. Desiderosa, ma intrappolata in quel ghiaccio.
“É viva.” dissi brevemente voltandomi dove avevo lasciato Lunus. “Ora la libero. Tieniti pronta a fuggire in fretta. Appena userò la magia, la bestia si accorgerà di noi.” la donna-drago mi fece un cenno col capo. Mi guardai attorno un’ultima volta, concentrai la mia magia sui palmi delle mani, chiusi gli occhi e mi concentrai aggrottando le sopracciglia. Con un’ondata di magia feci esplodere il ghiaccio magico e afferrai il corpo di Hawke. La bestia si destò, i suoi svariati occhi mi cercavano, le fauci enormi sbavavano eccitate. Corsi da Lunus che aveva ripreso le sembianze di un drago, le salii in groppa con fatica tenendo il corpo di Hawke davanti a me, spronai Lunus a mettersi in volo il più velocemente possibile, turbinò le ali e ci alzammo dal terreno polveroso in poco tempo, la bestia era dietro di noi e faceva apparire il drago un piccolo uccello appena caduto dal nido, una sua zampa si mise davanti a noi, Lunus la attaccò con un morso potente, ne scalfì soltanto la superfice scura e ricoperta di peli. Ruggì rabbiosa mentre un’altra zampa ci bloccava la fuga. Eravamo in trappola. Il Lupo aveva rizzato il pelo e ringhiava dentro il mio petto, guardai in avanti aggrottando le sopracciglia, mi bastò un pensiero per vedere tramutasi in pietra quell’enorme creatura. Un urlo acuto e innaturale si propagò per quel piano dell’Oblio mentre la bestia veniva pietrificata. Lunus voltò leggermente il capo guardandomi, le sue squame violette brillavano mentre una palla di fuoco si formò tra le sue fauci, la scagliò potente contro quelle zampe di pietra, frantumandole, i pezzi caddero a terra sollevando il terriccio verde e rosso. Riprese il volo veloce e affusolata come la freccia scoccata da una balestra. Virò in alto, verso il Velo ormai irrimediabilmente rotto. Tenevo saldo il corpo di Hawke davanti a me, prono, il suo viso sembrava rasserenarsi a mano a mano che procevamo verso il mondo mortale.
 
Ce l’abbiamo fatta!
sentii il pensiero del Lupo che rimbalzava eccitato nel mio cranio.
Sembra di sì.
Confermai. Il Lupo scomparve nel suo angolo remoto, lontano dai miei pensieri.
 
Il viaggio tra i cieli fu inizialmente tranquillo, leggero e stabile, ebbi l’occasione di osservare il mondo come un Dovah. Respirai l’aria tersa di quel giorno inoltrato, vidi il sole splendere sopra le nubi, allargai le braccia e provai sulla mia pelle la massima espressione della libertà, il drago ruggì preannunciandomi una violenta virata in basso, mi accasciai sulla schiena di Hawke e Lunus si trasformò in un dardo argenteo, ripiegando le ali ai fianchi. Affondai le mie unghie sulla spessa pelle del drago, sentivo la sua frenesia, comprendevo la sua felicità e sorrisi anche io. Con un brusco movimento di ali e coda frenò mettendo il suo corpo argenteo in posizione quasi verticale, faticai a trattenere me e il corpo della donna ancora svenuta Lunus posò le enormi zampe sul terreno erboso delle Selve Arboree, posò un’ala verso il terreno invitandomi a far scivolare su di essa il corpo della donna. Seguii il suo consiglio e mi feci scivolare anche io, appena toccai il terreno mi resi improvvisamente conto delle ginocchia che mi tremavano. Guardai Hawke, il suo viso era sereno, un sopracciglio scuro si mosse sotto la frangia scompigliata. Non potevo essere più felice. Guardai Lunus, avvicinandomi a lei con passo malfermo. Di Abelas e Fenris non c’era traccia, il drago mi guardò scoprendo i denti in un sorriso che in altri tempi avrei decifrato come poco rassicurante, in quel caso mi confermava invece che erano al sicuro. Misi un pugno sul cuore in segno di profonda gratitudine. “Torna a Skyhold, te ne prego Lunus. Veglia su Elanor e mia figlia.” la pregai. Non se lo fece ripetere due volte, mulinò furiosa le ali e balzò verso l’alto.

Quando l’umana si sveglia, la verrò a prendere e ti porterò notizie.
Mi rivolse un ultimo pensiero scagliando il suo corpo in direzione di Skyhold senza lasciarmi il tempo di risponderle.
 
Sospirai nell’aria afosa che ingabbiava quelle foreste. Mi avvicinai lento al corpo di Hawke e presi a staccargli l’armatura che le fasciava il petto, slegai a fatica le dure cinghie di cuoio e le tolsi dal petto la corazza da battaglia, posandola di lato addosso al blocco di marmo candido, poi le tolsi gli alti stivali slegando gli spaghi stretti liberandole i piccoli piedi martoriati, le sue dita erano bluastre. Radunai alcuni steli di legno secco e con una piccola vampata accesi un focherello da campo che contornai con delle pietre piatte, lo alimentai fino a farlo divenire vivace. Andai al piccolo fiume a raccogliere dell’acqua e se ero fortunato, anche della saponaria e della radice elfica. Tolsi il mantello di Avallac’h e lo aprii, ne pizzicai un angolo tra i denti e con difficoltà lo strappai facendone dei pezzi più piccoli, ottimi per frizionare e bendare se ci doveva essere l’occasione, raccolsi il necessario, bagani alcuni pezzi di stoffa e riempì la mia fiaschetta ritornando al piccolo fuoco. Posai i pezzi fradici sulle pietre calde attorno al fuoco, Hawke mugolò ed il suo corpo venne scosso da uno spasmo, si stava riprendendo. Impacchettai un po’ di saponaria in un pezzo di stoffa che avevo riscandato e iniziai a massaggiarle i piedi scandaldoli e pulendoli, poi passai alle braccia con lo stesso metodo, lo sporco e la polvere si tolsero lasciandomi intravedere una pelle olivastra troppo piena di cicatrici. Proseguii meticoloso e delicato verso il collo ed il viso, le pulii il collo lungo, la curva prominente della mascella, la cicatrice sul labbro e gli zigomi bassi: lento, delicato e meticoloso cercai di non svegliarla, i suoi occhi chiusi ogni tanto si stringevano, le mani iniziarono a muoversi, a stringere qualcosa di invisibile. Sorrisi vedendo i rapidi progressi che stava facendo.
Un brontolio sordo mi fece comprendere che se volevo mangiare e se volevo far trovare qualcosa anche alla donna, avrei dovuto darmi da fare. Scrutai concentrato nell'ombra profonda degli alberi più grandi, uno squittio mi fece balzare. Inchiodai a terra un piccolo coniglio candido e gli spezzai velocemente il collo con le mani, lo sollevai e ammirai il frutto della mia pigra ma fruttuosa caccia, per sicurezza posizionai dei glifi di ghiaccio nella boscaglia, “Per ogni evenienza.” il suono delle mie parole appariva ansioso. Scuoiai il piccolo coniglio con un coltellino da caccia che trovai nascosto nello stivale di Hawke, feci dei pezzi che misi a cuocere sulle pietre calde vicino al fuoco, l’odore di cibo dopo giorni di digiuno era qualcosa di quasi commovente. Guardai i lievi giochi di fumo alzarsi verso il cielo ormai buio, spirali di fumo odoroso e invitante si abbracciavano a vicenda caricando di speranze quella neonata notte. Vagai con il mio pensiero alla mia bimba, sorrisi pensando al mio imbarazzo quando i suoi occhi mi fissarono, mi chiesi gonfio d’orgoglio se mi avesse o meno riconosciuto, non negavo il piacere profondo che provavo nel sperarlo. Sapevo che i miei compagni si sarebbero presi egregiamente cura di lei, sapevo che poteva crescere sicura e protetta con loro, ma sapevo che non era giusto abbandonarla, come non era giusto abbandonare Elanor. Non potevo, non di nuovo. Ravvivai il fuoco pensieroso quando un leggero rumore metallico mi strappò dai miei pensieri, vidi Hawke portarsi una mano alla testa con una smorfia. Aprii gli occhi e li sbattè per capire dove fosse, il fuoco avvampò tra le sue dita appena mi vide chinato. “Chi sei, elfo? Dove, dove mi trovo?” mi disse guardinga osservando quel luogo rimanendo seduta, il fuoco nei suoi palmi fuggiva potente. “Non ti ricordi di me?” le chiesi con calma. Lei sembrò pensierosa, mi guardò da lontano. “Tu sei l’elfo, quell’elfo… dell’Inquizione.” “Esatto, siamo stati assieme nell’Oblio. Ti ho riportato nel mondo mortale. Come ti senti?” Mi costrinsi a una calma che in realtà non provavo ripensando a quella vicenda. La donna si guardò nuovamente intorno, era quasi sicura stessi mentendo. “Siamo in un territorio molto a sud dell’Orlais. Non mi stupisco se credi sia un sogno, ma ti assicuro che non lo è.” Quella immobilità mortale nel suo viso mi preoccupò, non avevo molte risposte da darle, mio malgrado. “Corypheus è…” la sua voce si perse nella vasta foresta che ci circondava. “Sì, l’abbiamo sigillato nell’Oblio. Voleva entrarci e l’abbiamo accontentato.” dissi sospirando accertandomi sulla cottura della carne. Hawke rilassò le spalle e abbassò le braccia, caddero con un tonfo sul terreno morbido. “Ce l’avete fatta dunque, per lo Spirito del Creatore, chi l’avrebbe mai detto? E dove sono i tuoi compagni? L’inquisitrice? Varric? Dama Cassandra e tutti gli altri?” Un'ondata di vertigine mi travolse. “Alcune cose sono come dire… cambiate…” dissi triste. Riuscivo a malapena a formare le parole con la bocca arida. Hawke mi guardò perplessa. Decise di non farmi altre domande, avvolsi dei bocconi di carne in una grande foglia e gliela porsi assieme alla piccola borraccia piena d’acqua, “Adesso mangia e riposati. Dovrai riprenderti perché tra qualche giorno una persona vorrà vederti. Nel frattempo spero di essere meno frastornato anche io. Sarò comunque a tua disposizione se avrai bisogno di qualcosa.” le dissi prendendo la mia parte di carne e mangiandola immergendomi definitivamente nel cupo e sordo turbinio dei miei pensieri.

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Capitolo 26
*** Cap. 26 ***


Mi svegliai da un sogno, sussultando e mugolando. Era da tempo che non dormivo così, dopo tanto ero finalmente ristorato. Rimasi ancora un po’ seduto sul terreno morbido, l’alba stava pian piano sorgendo in mezzo a quella fitta foresta ancora assopita. I primi uccelli iniziarono a pigolare assonnati nei rami più alti delle querce. Mi alzai ed andai al ruscello, levai la giubba logora e sporca e raccolsi della saponaria deciso a darle una rinfrescata, gli schizzi di sangue non sarebbero andati via, ma l’odore, convenni, sarebbe migliorato. La immersi nell’acqua gelida del ruscello, il suo colore giallino divenne intenso, la sfregai con energia e osservai il lavoro della saponaria: aloni scuri tempestavano la mia tunica con superba tenacia, la strizzai, la schiantai con violenza su un grosso sasso bianco poco distante e la misi su dei paletti vicino a dove avrei acceso il fuoco. Raccolsi altra legna nelle vicinanze, il Lupo nebbioso saltellava contento vicino a me, gli grattai il sottomento spettrale con un sorriso, con un guaito approvò il mio affetto, sorrisi guardando i suoi occhi incandescenti smorzarsi un po’. Accesi un piccolo fuoco svogliato spostando i carboni della sera prima e riordinando i sassi attorno, feci bollire l'acqua nel mio pentolino per cuocere le radici mentre tagliavo a pezzi parte della mia carne affumicata. Preparai uno stufato di carne con le radici ricche di amido e aggiunsi un poco della mia preziosa riserva di sale e alcune erbe selvatiche. Poi andai al ruscello a lavarmi, affilai il piccolo coltello da caccia e considerai di rasarmi, mi allontanai in silenzio dal piccolo accampamento, avrei provato a lavarmi completamente per la prima volta dopo tanto. Temei di averne un disperato bisogno. Riuscii a lavarmi via gran parte della polvere e del sangue rappreso. Il mio braccio stava iniziando a guarire osservai con piacere: i capillari bluastri si stavano pian piano riassorbendo e le venature erano appena visibili sotto la mia pelle chiara. Uscii dal piccolo fiume e mi incamminai nudo ritornando verso il fuoco, il mio corpo si asciugò in fretta fortunatamente e riuscii a rimettermi i calzoni quasi subito portando gli stivali di cuoio ancora tra le mani, non avrei barattato per nulla al mondo la sensazione di camminare a piedi nudi sul soffice manto erboso di queste foreste. Trovai un altro mazzetto di saponaria, me lo strofinai tra i palmi e mi insaponai al meglio il mento e le guance e specchiandomi sulla superficie gorgogliante e irregolare del fiumiciattolo, cercai di rasarmi. Fu un’impresa abbastanza faticosa, riconobbi dopo di essermi tagliato tre o quattro volte, il mio sangue colava copioso e calmo dai piccoli tagli e lo sciacquai via cercando delle foglie di ortica da passarci sopra per fermare i tenaci rivoletti di sangue.
Tornai al fuoco che ardeva ancora tranquillo e rassicurante, Hawke aveva l’aria di essersi appena svegliata: occhiaie scure contornavano i suoi grandi occhi azzurri, alcune ciocche scure continuavano a ricaderle sul viso. Aveva rughe attorno agli occhi e alla bocca e si mordeva frequentemente le labbra, una cosa che non le avevo mai visto fare. Le porsi con un sorriso il pentolino gorgogliante di zuppa, non era molta osservai, ma a lei sarebbe servita più che a me, lo prese guardandomi con aria interrogativa. “Mangia, è una zuppa di radici e della carne del coniglio che ho macellato ieri, non è molta, ma non fare complimenti.” le dissi con un sorriso, prese il pentolino con mani tremanti. trangugiò con foga il suo contenuto e si pulì la bocca con il palmo di una mano, sorrisi mentre cercavo di riordinare le poche cose sparse per tutto il prato. Una più profonda ruga di preoccupazione comparve sulla fronte e fra gli occhi della donna. Sapevo che ci sarebbero state domande. “Come mai sono qui?” “Ti abbiamo riportata indietro non appena abbiamo saputo che eri ancora viva. Cos’è successo? Come mai ti abbiamo trovata sepolta dal ghiaccio magico?” attaccai cercando di non darle modo di chiedermi cose che non avrei potuto spiegare in maniera semplice. “Non ricordo molto. – incominciò la donna abbassando il pentolino ormai vuoto – Ricordo che quella bestia mi attaccò ed io ero sfinita. Non sapevo cosa fare e imprigionai il mio stesso corpo dentro la coltre di ghiaccio, abbassando le mie funzioni vitali, aspettando di rigenerarmi… credo.” “Straordinario.” sussurrai tra me e me realmente affascinato. Le rughe sulla sua fronte si fecero più marcate, come una donna che ricorda qualcosa un tempo imparata a memoria. Si guardò le braccia e le mani, piegando le dita attorno al contenitore metallico. “A Skyhold ti attende una persona… – le dissi – ...ma prima di andare devo essere sicuro che riuscirai a sopportare il viaggio.” la vidi sussultare, i suoi occhi si spalancarono e si velarono di lacrime. “Come ospite, non come prigioniero.” mi permisi di puntualizzate in risposta alla tensione che stava ingabbiando il suo corpo, sembrò rilassarsi, mi sorrise.
 
“Qui il suono è antico. La tristezza era imprigionata, ora non più, ciò che è stato dimenticato sta per tornare. Il Velo sta precipitando. Tanti piccoli pezzi cadono…” Cole si materializzò al mio fianco mentre ripiegavo la tunica oramai asciutta, non lo badai. “Hai distrutto il Velo?” chiese Cole con voce tremante. Non avevo capito fino a quel momento quale dolore fosse stato per lui tutto questo, mi sentii schifosamente egoista. Il giovane dai capelli di grano nascose il viso orgoglioso sotto la fronda del suo cappello, come se si aspettasse la mia collera “Sì, ho riportato indietro Hawke, era viva come avevi detto… sei andato nell’Oblio da solo, non è vero?” chiesi cercando il modo di velare un rimprovero acceso, Cole abbassò ancora il capo e si portò le ginocchia al petto racchiudendo il suo “Sì.” rilassai le spalle, oramai non serviva arrabbiarsi con lui, non più, ringhiai verso me stesso. “Grazie Cole, hai rischiato molto…” dissi avvicinadomi al ragazzo, accarezzandogli la mano che chiudeva salda le gambe. “Ho un favore da chiederti Cole, se ti fa piacere...” guardai il ragazzo spostando il grande cappello, un occhio azzurro mi fissava curioso “Mi piace la tranquillità, qui è un bel posto per gli Spiriti, cosa posso fare per essere d’aiuto? Aiutare, curare la ferita, lenire il dolore...” gli sorrisi vigliacco. “Quando torni a Skyhold, portami con te, sii i miei occhi. Te ne prego.” “Ar las mala revas. – sussurrò – Va bene. Sarai sbiadito, ma ti porterò con me. Appartieni a lei.”
 
Per i giorni successivi feci più o meno le stesse cose, cacciavo, cucinavo e cercavo di mantenere il controllo sui miei pensieri, lo feci bene e senza essere distratto. Da qualche parte dentro di me, un Lupo si annoiava appiattito contro il mio torace. Mangiavo al mattino, mangiavo di sera. Mi distendevo di sera e mi alzavo al mattino. Il silenzio regnava per la maggior parte del tempo nel nostro accampamento sgangherato. Sperai che per gli altri la vita andasse avanti, pensai sbuffando radunando della legna per il fuoco. Cole era accanto ad Hawke, parlavano tranquilli cercando di lucidare un po’ l’armatura della donna, mi allontanai, Cole alzò gli occhi per guardarmi senza espressione, incontrai il suo sguardo mentre mi avviavo solitario verso il ruscello. Camminai ore da solo, cercando il coraggio per rivedere tutti, rivedere i miei compagni e se avevo fortuna anche Elanor e nostra figlia. Mi sentii un bambino che gioca a nascondino, velandosi dietro i volti altrui. Sarebbe stato estremamente semplice tornare, varcare nuovamente quella porta ed essere semplicemente io, Solas, ma avrei dovuto guardare in faccia le persone a cui ho voluto bene, vedere il loro disgusto, sopportare la loro commiserazione e tastare con mano il loro odio nei miei confronti. Non potevo dire di essere pronto per questo. “Cosa ti turba, Lethallin?” chiese una voce leggera, proveniente dal folto della foresta, mi voltai lento e vidi apparire dietro le spalle Abelas, l’elfo ambrato aveva i capelli biondi legati in una coda leggera, mi sorrideva appoggiandosi ad un grosso albero. “Nulla, credo…” gli dissi scrollando via la nebbia di pensieri che stava affollando nella mia mente. Abelas uscì dall’ombra degli alberi, mostrando una giubba di nuova fattura sui toni del blu, il suo arco era stretto alle spalle e la faretra gli pendeva dalla cintola dei calzoni tra le mani portava un fagotto ripiegato con cura “A Skyhold è una festa, – iniziò l’elfo ambrato lanciandomi il fagotto – la tua bambina è una vivace chiacchierona e tutti alla fortezza si prodigano per lei. É una gioia…” il tono della sua voce non rispecchiava la gioia riservata ad una nascita, anzi. Sospirò. “Cosa non mi vuoi dire?” incalzai cercando informazioni e aspettandomi la sua rabbia. Quello che ottenni fu peggio. “Beh…” fece Abelas “Elanor sta di nuovo male. Il Marchio peggiora di giorno in giorno. La sta uccidendo lentamente.” Credo che fu questo a spezzarmi la schiena quel giorno, scoprire che Elanor era ancora in fin di vita, che l'Ancora la stava divorando inesorabile e famelica. Mi sentii tradito da me stesso. Dalla mia fuga disperata dal Tempio delle Sacre Ceneri lei ha portato sulle sue spalle tutte le difficoltà e le aveva sopportate con coraggio, da sola, i lunghi mesi solitari in cui aveva portato in grembo quella creatura potente, la nostra bambina, culminati nel momento lacerante in cui era nata. Mi vergognai di me stesso, mi vergognai di quell'elfo traballante che scrutava Abelas e sospirava così stancamente. Non urlai, non sbottai in alcun modo, mi girai e mi allontanai con lentezza verso il ruscello. Ero incontrollabile e rabbioso. Un Lupo in gabbia, furioso e spaventato. Imprevedibile. Abelas fece per seguirmi, ma glielo proibii con un minuscolo movimento della mano. Solo, mi allontanai a lunghi passi. Camminai parecchio, fino a quando non smisi di provare quella sensazione.
Era buio quando tornai. Strisciai verso l’accampamento con la coda tra le gambe. Scrollai il capo. Il filo della decisione era così sottile e debole che non osavo metterlo alla prova parlando. Mi fermai ai margini del bosco per spazzolare via le foglie e la terra dai miei abiti. Speravo di non avere la faccia sporca. Drizzai le spalle e mi costrinsi ad essere il solito Solas, anche se mi sentivo orribilmente vulnerabile. La mia lacera dignità adesso era a brandelli, come potevo presentarmi davanti a loro e aspettarmi di essere trattato in maniera cordiale? Eppure non potevo biasimarli. Alcuni di loro avevano cercato di salvarmi. Da me stesso, vero, ma comunque salvarmi. Non era colpa loro se di quello che ero un tempo era rimasto così poco. Sbuffai e li trovai accanto al fuoco che Hawke o Cole avevano mantenuto vivo. Stavano arrostendo dei pezzi di carne, il monolite di marmo era sporco di sangue e alcuni pezzi crudi di carne erano poggiati sul piano grezzo, in attesa di essere consumati, mi avvicinai con cautela al piccolo gruppo. Dietro Abelas si nascondeva anche Lunus, era calma e radiosa come non l’avevo mai vista. Addentava pezzi di carne con avidità ridendo con Hawke scambiandosi pareri sulle reciproche avventure. Mi sedetti fissando le fiamme, presi il mio pentolino e lo riempii di acqua e misi in infusione del trito di melissa, liquirizia e radice elfica posandolo vicino al fuoco tranquillo. “C’è della carne anche per te, Lethallin. – mi disse Abelas, tanto cordialmente da farmi vergognare – Serviti senza fare complimenti.” mi porse una sua freccia con un sorriso, i suoi occhi ambrati risplendevano chiari nella luce del fuoco. La presi e infilzai quattro pezzi di carne appoggiandoli vicino al fuoco, il profumo mi accarezzò le narici e sorrisi anche se non volevo. Sicurezza. Quella fu la mia prima sensazione chiara. Veniva dalla carne che stava arrostendo sopra una fiamma, dalla risata spontanea di Hawke, dal sorriso imbarazzato di Cole nascosto sotto il largo cappello, dal bacio che si scambiarono Abelas e Lunus, così profondo e dolce. La sicurezza di quel momento mi stringeva con dolcezza. Sentii una forte mancanza di Elanor, avrei fatto qualunque cosa pur di salvarla. Avrei tentato di tutto mi dissi, ancora, avrei rimediato ai miei errori. Addentai un pezzo di carne. Un rivolo di sangue mi colò sul mento.

“Posso parlarti?” Lunus si alzò dal cerchio e venne verso di me, rimase in piedi in attesa. La sua pallida gamba nuda era tesa, velata dal vestito candido. Mi alzai pulendomi disinvolto il sangue della carne con una mano e la seguii poco distante. “La minaccia qunari è confermata. Una spedizione ti ha ritracciato e sta venendo qui. La Viddasala ti vuole morto. Ti crede un agente di Fen’Harel e vuole uccidere Elanor. Teme l’Ancora ora che il Varco è chiuso.”  C'era una vena di paura, e quell'invisibile fremito che mi percorreva quando venivo sfidato. Ma qualcos'altro cresceva dentro di me, e avevo quasi dimenticato quella sensazione. Rabbia. No. Furia. La furia cieca e violenta che mi dava la forza di uccidere qualcuno in maniera dolorosa, o gettarmi contro di lui e strangolarlo a mani nude, non importa quanto mi tempestasse di pugni. “Secondo loro Elanor è la dimostrazione più palese che il Qun sarebbe dovuto intervenire molto prima.” disse Lunus soppesando ogni parola e spostando lo sguardo verso il folto del bosco. Un brivido mi percorse. “Chi è il tuo informatore?” chiesi gelido. Lunus continuava a fissare il folto del bosco, sembrò sorridere alla mia domanda, “Ti ho mai detto che ho degli ammiratori tra i qunari?” non ero sorpreso dalla sua retorica. I qunari sono degli ibridi, una razza ottenuta incrociando uomini e draghi. “Parla.” ringliai perentorio alla donna, lei rimase impassibile. Un fruscio tra i cespugli attirò la mia attenzione. “Il nostro nuovo ospite è arrivato...” annunciò Lunus avvicinandosi al margine della foresta, una brezza passò leggera tra le file di alberi. “Solas, ti presento Tanaar.” Un qunari enorme si fece largo tra le piante basse. La sua pelle era quasi viola alla luce fioca della luna, il viso squadrato dai lineamenti marcati era sormontato da un paio di alte corna, una di esse era spaccata. Dei lunghi capelli scuri erano legati in una treccia che gli scendeva lungo il collare di lazurite, il suo petto si gonfiava contratto, costretto dalla cinghia che gli teneva lo spallaccio. L’enorme fauno si fermò subito dietro alla donna-drago. La faceva sembrare enormemente piccola. Lei sorrise compiaciuta “Resta poco tempo, elfo. – la voce profonda, baritonale, del qunari si sparse nella notte – Il Qun ha lasciato alla vostra gente il controllo della vostra magia. La Viddasala è spaventata e la dovete fermare prima che si verifichi uno sterminio di massa, di nuovo.” “Che genere di progetti ha il Qun? Cosa sa di preciso?” chiesi invitando il nostro inaspettato ospite a sedersi su un ceppo nodoso, io rimasi in piedi incrociando le braccia al petto “Purtroppo quanto basta da rendere la Viddasala irascibile e potenzialmente pericolosa. Sa della magia elfica che ha squarciato il cielo, certamente avrà percepito il Velo rompersi e la sua furia sarà enorme. Teme per il mondo intero.” “Perché mi dici questo? Perché vai contro il Qun?” gli chiesi sospettoso affilando lo sguardo, Lunus mi si avvicinò silenziosa come un felino, il grosso fauno rilassò le spalle “Il Qun rappresenta l’ordine e la disciplina, ma questo piano è semplicemente folle. La Viddasala vuole vedere scorrere il sangue di coloro che dispongono della magia. Crede inoltre che l’Inquisizione sia il braccio armato di Fen’Harel.” quel pensiero risvegliò in me una strana mescolanza di paura e rabbia. “Perché i qunari credono che l’Inquisizione sia la mia armata?” ringhiai furioso. “Non ne ho idea, l’ha detto la Viddasala e i qunari lo accettano come un dato di fatto.” rispose Tanaar frustrato. Dovevo muovermi. “Mi sbarazzerò della spedizione che è sulle mie tracce e andrò a Skyhold.” dissi guardando Lunus, sul suo viso si formò un sorriso deciso e saldo, con quelle parole la paura morì dentro di me.
 
Tornai dal piccolo gruppo ancora accerchiato attorno al fuoco, Abelas mi guardò con un sorriso enigmatico stampato in viso, con lo sguardo ambrato mi indicò il fagotto che prima portava tra le mani. “Ti servirà.” mi disse addentando la sua parte di carne cotta sul fuoco. Andai verso quel mucchio informe avvolto da una spessa tela di lino grigia, ne snodai gli angoli e con mia sorpresa dentro ci trovai la mia armatura rimessa a nuovo, oliata e lucidata risplendeva dorata alla luce del fuoco. La fine cotta di maglia era leggera e resistente, emanava riflessi azzurrognoli al tocco, era liscia e gli anelli talmente piccoli da essere quasi invisibili. Mi chiesi se davvero proveniva dalla fucina di Skyhold. Scacciai il pensiero osservando la scura pelliccia di Lupo, sepolta sotto il leggero metallo. La casacca scura, aperta sul petto era del tutto identica a quella di Abelas, una larga cintola a placche mi cadde in terra, la raccolsi e vidi il fine lavoro delle applicazioni metalliche. Abelas venne al mio fianco, mi posò una mano sulla spalla scrollandomi dal mio torpore meravigliato. “Dagna ha fatto un ottimo lavoro, non trovi?” lo guardai di sbieco. “Tranquillo, le ho detto che fa parte della mia collezione di armature.” sorrise, mi chiesi con un certo divertimento se l’arcanista di Skyhold potesse bersi una scusa tanto stupida, cercai comunque di non pensarci troppo “Grazie Abelas, per averla recuperata e per averla sistemata.” gli dissi cordiale. “Sei un Dio, devi essere presentabile.” mi disse pizzicando la mia tunica piena di aloni e macchie, arrossii imbarazzato, presi il fagotto e mi spostai tra gli alberi per cambiarmi. La nottata non sembrava avere termine per i miei compagni, osservai, accanto al fuoco con un paio di bottiglie vuote di brandy erano il convivio ideale. Anche il giovane qunari si unì alla combriccola, sarei stato volentieri con loro, ma il mio pessimo umore mi impediva di essere un compagno gradevole. Mi spogliai gettando in terra gli stracci logori che indossavo, rimasi nudo per qualche secondo, sentii l’aria fresca della foresta accarezzarmi la pelle, chiusi gli occhi ed inspirai a pieni polmoni, mi feci forza. Ormai la decisione l’avevo presa. Misi i calzoni nuovi legandomeli alla vita, mi feci scivolare sulla pelle la luccicante cotta di maglia, era leggera e piacevole, sembrava quasi seta ed era più calda di quanto sembresse. Sembrava tirare sulle spalle e sul petto, e poi quando ho piegato la schiena mi si è adattata addosso. Muovevo le braccia e mi sembrava non avere impedimenti, ne fui sorpreso. Rabbrividii per alcuni momenti, poi sentii che la veste mi restituiva il calore del corpo. Mi infilai ed allacciai gli stivali a placche ai piedi e con meticolosa pazienza allacciai le innumerevoli fibbie che correvano lungo i polpacci, mi allacciai i gambali alle cosce. Il lavoro raffinato di Dagna aveva dato nuova vita a quest’armatura, finora non mi ero reso conto di quanto mi mancasse, di quanto fosse comoda nonostante fosse incredibilmente resistente. La scura casacca corta e aperta sul torace era bordata in oro, mi calzava a pennello. Le lavorazioni circolari sul tessuto si muovevano ad ogni mio respiro. Assicurai spallacci e protezioni delle braccia con preciso ordine, misi di traverso il torace la pelliccia scura e la fissai alla cintola sulla vita, alzai gli occhi e guardai i miei compagni. Sorrisi e sentii la sicurezza prendere possesso del mio corpo, la rabbia mi rendeva freddo, avvertivo la mia furia crescere ad ogni minuto. Avrei perlustrato palmo per palmo i boschi se era necessario per scovare le spie ed ucciderle. Lunus mi si avvicinò cauta, sondando il terreno che mi circondava in attesa di una mia reazione. “Sei…” iniziò la donna-drago avvicinandosi lenta. “…diverso?” completai la domanda. “Non come lo intendono i mortali, se non altro hai finalmente smesso di comportarti come un moccioso incompreso. E la cosa non può che farmi piacere.” mi disse con un certo gusto, sforzai una risata “È un complimento forse, Lunus?” chiesi sfidandola con un sorriso “Puoi prenderlo o meno come tale, dico solo ciò che penso. Ti sei reso conto che crogiolarti nella tua malinconia non porta alcun beneficio a nessuno. Sei cresciuto finalmente.” cercai con tutte le mie forze di non prenderlo come un cinico rimprovero incrociando le braccia al petto. “Domattina all’alba partiremo, Tanaar mi ha pregato di restare con te. Cosa ne pensi?” “Da quando ti interessa la mia opinione?” chiesi diretto. La sua espressione ferita mi colpì, non avrei dovuto usare tanta durezza nelle parole. Lunus apparve colpita. Poi abbassò il mento e si impuntò proprio come un mulo. “Cerco di renderti le cose più facili. Non è la tua sola battaglia Solas, qui c’è in gioco il destino di tutti. Te ne vuoi rendere conto?” Mi teneva la mano sul polso. La guardai negli occhi. Niente durezza nella sua domanda: me lo chiese come io avrei potuto chiedere qualcosa a un bambino che avevo sorpreso a incidere il suo nome su una trave di legno. Rimasi paralizzato dentro di me. Restò a guardarmi meditabonda, in attesa. “Ti fidi di me?” chiesi guardandola negli occhi, scintillavano di luce surreale. “Sì.” Con una parola, mi diede la sua fiducia e con essa la sua certezza che non avrei mai fatto nulla per nuocerle. Sembra semplice, estremamente semplice, ma per un drago ed un elfo era un atto eccezionale. Lunus sorrise imbarazzata e si allontanò da me, tornando da Abelas, la vidi abbracciarlo energica e felice, vidi lui stringerla a sé e baciarle i capelli di luna. Sorrisi alla loro felicità, la mia infelicità invece mordeva latente tra le mie costole.
 
La luce del mattino era cruda dopo la nottata protratta un po’ troppo a lungo, mi portai le mani al viso sfregandomi gli occhi e li tenni chiusi per un momento, ancora troppo stanco per alzarmi. Trovai la mia mente pericolosamente attratta da un pensiero, avevo provato a credere che quel mattino sarebbe appartenuto a me, ma non ci fu verso di scacciare il pensiero martellante di Ainwen. “La tua bambina sta bene. È potente nello Spirito. Brilla tra le mura fredde della fortezza, incanala la speranza e l’amore.” Cole mi si avvicinò furtivo e sedendo al mio fianco poggiò la testa sulla mia spalla, gli baciai i capelli color del grano. Sorrisi. “Grazie Cole.” avrei dovuto riflettere sui capricci del fato che mi aveva reso padre di una figlia e genitore di nessuna. “Non lo fare.” mi ammonì Cole, il mio sguardo riluttante fu costretto a posarsi sul viso scavato del ragazzo. Sospirai “Hai ragione. Non è il momento.” Lasciai che il silenzio si prolungasse a sufficienza per rendere chiaro che non intendevo parlarne anche se questo silenzio era del tutto inutile, il ragazzo sapeva benissimo cosa mi turbinava in testa.  L’accampamento si destò dal torpore con mugolii e lamenti di varia natura, le imprecazioni si destarono con l’imponente Qunari. Mi avvicinai a loro, il mio aspetto non doveva essere dei migliori, nonostante la scintillante armatura bronzea. Abeals mi guardò gentile, il suo sguardo dorato nascondeva con un velo quella pietà che mi feriva. Ringhiai verso me stesso, sentendomi stretto nel mio disagio. Cole mi raggiunse sorridendo, i suoi occhi chiarissimi mi fissavano senza espressione, mi ricordai della promessa che gli feci e ritrovai il controllo di me stesso. Radunai le mie vecchie vesti e le incendiai con una vampata magica. Le guardai bruciare e vidi una mia pagina di vita ardere in alte fiamme arancioni. Vidi le paure svanire, portate via dal fumo grigio, respirai l’odore della decisione presa. Non potevo fare altro, ero in ballo e avrei dovuto ballare per il bene di tutti.

Finalmente ti riconosco, Fen’Harel.
Il Temibile Lupo si destò stirandosi le lunghe zampe anteriori toccandomi leggero la punta dello stivale, mi guardò inclinando il suo testone peloso.
Respira, Fen’Harel. Andrà tutto bene, ci sono sempre io a proteggerti, mio piccolo e gracile elfo.
Ridacchiò il Lupo voltandosi verso Hawke e gli altri che si preparavano a lasciare l’accampamento, li fissai anche io portando le braccia dietro la schiena.
 
Hawke mi venne in contro, si fermò a pochi passi da me giocando con le sue mani. Abbassai il viso e la guardai, le sorrisi cercando di metterla a suo agio. “Non ti ho ancora ringraziato, quindi, grazie.” mi disse sfuggendo al mio sguardo, un rossore le colorava la pelle olivastra. “Non ce n’era bisogno, ma prego.” chinai il capo e la vidi allontanarsi, rimasi fermo così, con le mani dietro la schiena a guardare austero altre vite che se ne andavano: alcune non le avrei riviste, altre facevano parte della mia vita da tempo, altre ne erano appena entrate. Le avrei protette, mi dissi, avrei dovuto almeno provarci. Guardai l’imponente fauno dal corno spezzato.

Ti fidi davvero di lui?
Chiese il Lupo sospettoso.
Mi fido di Lunus, dovrebbe essere sufficiente.
Sperai.
Ah, la donna ringhiosa…
sibilò lo Spirito voltandosi verso la donna-drago. Dovetti trattenere un riso poco adatto al momento.

Abelas mi si avvicinò, tra le mani aveva un bastone da arconte “Un piccolo regalo…” mi disse porgendomi il fine lavoro di Dagna. Sulla sommità del bastone argenteo, dentro al cerchio raggiante, era sospesa una runa sferica del tutto simile alla mia di Sfera. I guanti di maglia si strinsero attorno al bastone, arse vivace tra le mie mani e la sfera scintillò verde ed incandescente, guardai Abelas pieno di domande che non riuscivo a pronunciare, non ce n’era bisogno, lui mi sorrise “Fanne buon uso fratello. Ci vediamo a Skyhold.” mi disse, aggrottai le sopracciglia e annuii deciso e lo vidi allontanarsi verso Lunus, Cole ed Hawke. Salutai con un sorriso e voltai loro le spalle, non ho mai sopportato gli addii laconici. Spostai lo sguardo verso l’imponente qunari, ghignava assaporando la battaglia imminente. Io ero preoccupato, preoccupato di trovarli in tempo e non lascia nessuna traccia di loro. “Che la caccia inizi!” disse Tanaar sputando sulle mani afferrando la grossa lama piantata sul terreno.
 
Camminammo per giorni interi, parlammo poco. Io ero schivo e sospettoso ed il mio compagno sembrava accettare mesto la mia diffidenza, mantenevo la concentrazione al massimo cercando di captare ogni movimento estraneo alla foresta che potesse indicarmi la presenza delle spie qunari. Ero quasi certo che battessero a tappeto l’intera zona boschiva, in silenzio, alla ricerca di tracce che potevano essere ricondotte alla mia presenza. I sensi del Lupo divennero i miei. Allargai le narici e soffiai silenziosamente per allontanare ogni altro odore, poi trassi un lento respiro profondo. Mi venne la pelle d'oca vedendo Tanaar che si voltava ansioso, con la fronte aggrottata per il disagio. Evidentemente lo percepiva anche lui, anche se non altrettanto bene. Sentivo odore di sudore e una lieve, acre ombra di sangue. Entrambi freschi. Il Lupo si premette vicino a me e come un'unica creatura scivolammo accanto a un blocco di pietra. Vidi il qunari girare dall'altra parte della pietra, e percepii che anche altri si stavano avvicinando. Nessuno parlava. Con la coda dell’occhio percepii un movimento, silenzioso e controllato, lo sentii a malapena respirare. “Hai mai combattuto veramente?” chiesi serio al mio compagno, una lieve tensione nell'aria mi disse che stava cercando una risposta per non deludermi “Farò del mio meglio.” mi disse. Chiusi gli occhi e contai una decina di fauni. Una nutrita squadra di qunari era sulle mie tracce a pochi passi da noi, la Viddasala sembrava temermi veramente. Sorrisi compiaciuto. I denti del giovane qunari, come i miei, erano scoperti in un ringhio bellicoso. Ci scambiammo uno sguardo d’intesa avvicinandoci silenziosi al gruppo di soldati qunari in armatura media che setacciavano il punto dove circa un mese fa mi accampai. Una barriera di ghiaccio ci circondò soprendendo le spie intente in un meticoloso lavoro di ricerca.
Se il tempo si fosse fermato, sarei stato pronto per il gran fendente che mi allungò un imponente Qunari femmina che non avevo visto. Quasi caddi per evitare la lama e anche così la punta scheggiò uno spallaccio bronzeo, lasciando un filo pungente di dolore sulla sua scia. Mentre mi raddrizzavo un possente maschio qunari armato di ascia mi saltò addosso, mi girai verso il suo assalto furioso e lo colpii a mezz’aria con il gomito e il braccio, il suo stomaco si sfondò sotto il mio colpo. Urlai di orrore quando mi ritornò addosso. Emise uno strillo acuto quando si accorse, troppo tardi, di Tannar che caricava nella sua direzione. Con una spalla lo scaraventò in terra con un tonfo sordo, mi prese un braccio aiutandomi ad alzarmi “Avventato il nostro piccolo elfo, mi piace!” si complimentò il grosso fauno sfregandosi un taglio sulla guancia. Su di noi si avventarono cinque qunari addestrati ed armati di tutto punto, decisi che era ora di provare il nuovo bastone. Lo roteai danzando, evitando i fendenti. Scaglie di fuoco colpivano i miei nemici con brutale ferocia, mi resi conto di lottare con la frenesia incurante della gioventù anche se non ero più così giovane. Afferai una femmina qunari serrandole le braccia in una morsa, lei gettò indietro la testa nel tentativo di spaccarmi la faccia, ma colpì solo la mascella di lato. Conoscevo da tempo quel trucco, sorrisi rabbioso. Le sue braccia erano saldamente bloccate, la donna-fauno non poteva fare molto di più che agitare la testa e scalciare. Una lancia di ghiaccio mi si formò tra le dita infilandosi lenta tra la sua carne scura. I suoi occhi si spalancarono e la mia armatura si bagnò del suo sangue, un sorriso malvagio si dipinse sul mio volto. “Fen'Harel ma halam.” le sussurrai.
Un qunari armato di una spada dalla lama scheggiata balzo verso di me, con un’ondata di magia tentai di bloccare la sua carica e controllarlo senza troppi risultati, ringhiai mentre sentivo la mascella pulsare. Era solo stordito, ma riuscii a colpirlo duramente in mezzo al petto e ciò avrebbe dovuto almeno rallentarlo, sperai. Un grossolano errore di calcolo. Compresi tardi che non si curava del dolore che gli infliggevo, mi gettai in avanti per accogliere la sua carica, girai il bastone dalla parte della lama e lasciai che lui si uccidesse. Il sangue colò caldo lungo il bastone. La sfera nell’altro capo serpeggiava di luce verde, alzai lo sguardo verso quella montagna di carne e con un piede sul busto, sfilai il bastone senza difficoltà. Il qunari morto si accasciò morto sul terreno. Il mio alleato poco distante non se la stava passando bene. Lo vidi tirarsi in piedi malsicuro, vacillante come se stesse per perdere i sensi. Cinque soldati lo stavano accerchiando. Ogni pelo del mio corpo era dritto per l’orrore. Tanaar sentiva che qualcosa stava per accadere e pur non indovinando cosa, cominciò a lottare selvaggiamente, colpì alcuni nemici strappandogli la carne. C’era una follia nei suoi occhi scuri che non era paura della morte, piuttosto accettazione. Non sopportavo di guardarla. Il cerchio dei qunari si strinse attorno a lui ormai privo di forze. Sentii il clangore del metallo contro il metallo e il ringhio crescente del Lupo dentro di me. Esplosi. Sentii un’enorme quantità di magia fuoriuscire dal mio corpo in fretta e librarsi nelle vicinanze, il Lupo si mosse con me e il dolore nella mia testa era tale che non potevo scappare. Perché mi stava facendo così male?

Non opporti, o sarà peggio. Fidati di me. Penso di poterti aiutare.
Mi pregò il Temibile Lupo.
Ansimai. La testa mi ricadde in avanti sul petto, ciondolante.
 
Crollai a terra cieco. Ogni battito del cuore che rimbombava nel terreno sembrava un viaggio nell’orrore difficile da descrivere. Sentii Tanaar correre verso di me come frantumando qualcosa. Mi corse vicino alzando una quantità enorme di polvere terrosa che mi entrò nelle narici facendomi tossire. Il grosso fauno mi prese e mi girò sulla schiena. “Ecco, a posto.” disse, e per un momento fissai quell’oscurità benedetta. Poi le sue grosse mani si fecero sentire: i pollici sulla fronte, i polpastrelli aperti che cercavano punti sulle tempie e sui lati del viso e poi schiacciavano impietosamente. I mignoli affondavano nell’articolazione della mascella. “Respira, Fen’Harel.” lo sentii dire e compresi che non stavo respirando. Ansimai furioso e impaurito e tutto si alleviò come all’improvviso. Volevo sorridere dal sollievo, invece sprofondai subito in un sonno senza sogni. Anzi, feci un sogno strano. Sognai che ero al sicuro.
Prima dell’alba riemersi in una veglia confusa. Trassi un profondo respiro e compresi che ero stato avvolto in un sacco a pelo enorme. La mia vista era ancora offuscata, sbattei più volte le palpebre. Quello che vidi mi smorzò il respiro e il cuore mi barcollò nel petto. Poco distante da me si ergevano delle statue in cerchio, mi ci volle un po’ per capire che erano le spie qunari che avevamo attaccato ieri ed ora giacevano lì, pietrificate in una posa marmorea e viva, sobbalzai, il grigio della pietra sapeva di morte. Cercai di alzarmi per vedere meglio, ma il mio compagno dovette avvertire il mio stato angoscioso perché si avvicinò al mio sacco a pelo e mi toccò la fronte, spingendomi di nuovo la testa verso il basso. “Torna a dormire. Puoi riposare ancora un poco, e penso che tu ne abbia bisogno.” mi disse senza nascondere un brivido di tensione. “Va bene.” le due parole caddero spezzate dai denti che battevano. Due grosse dita tracciarono linee gemelle dalla sommità della mia testa all’attaccatura del naso. Dormii di nuovo.

Aprii gli occhi ed ero a Skyhold. La larga tesa del cappello che portavo impediva al sole di bruciarmi gli occhi, guardavo le mura grige della fortezza, sorrisi e mi assestai le lame sulla schiena. Il corpo di Cole era leggero e mesto, mansueto accettava di portarmi con sé verso casa, verso Elanor e mia figlia. Mi accorsi di essere rimasto indietro rispetto ai miei compagni, li raggiunsi trotterellando allegramente. Abelas mi guardò con curiosità, mi sorrise. Non so se si accorse di me o vedeva solo Cole, cercai di non pensarci. La giornata ancora giovane, camminavamo tranquilli e poco dopo varcammo il cancello del cortile interno di Skyhold, un’atmosfera caotica mi invase lasciandomi senza fiato.
Vidi Josephine affacciarsi al piccolo pianerottolo della rocca. Percepii l’ansia di Hawke che affrettò il passo lungo la scalinata: l’elfo bruno dai capelli bianchi scattò veloce fuori dal castello, il suo giustacuore verde faceva risaltare la sua carnagione abbronzata, dando poca evidenza ai marchi che gli segnavano il mento e gli zigomi. Cole si fermò a pochi passi da Hawke, apparentemente disinteressato. L’elfo si schiantò contro la donna e l’abbracciò, la stritolò quasi tra le sue braccia “Sei viva!” disse sull’orlo di un pianto gioioso “Non ci credevo, ma ora sei qui!” disse sollevandola da terra, avrei voluto lasciarli soli, ma Cole aveva una volontà ferrea, non mi dava possibilità di controllo e sarei dovuto stare a guardare. Fenris posò le sue labbra sul viso di Hawke, le baciò la cicatrice sul volto olivastro, lei sorrise prendendogli il viso tra le mani. “Sono qui, Fen!” disse con le lacrime agli occhi, un tremolio delle sue labbra venne nascosto da un bacio profondo. Compresi il bisogno dell’elfo, capii il senso di dolore e perdita che lo aveva attanagliato per chissà quanto, quel senso di impotenza, rammarico incontrollabili che ti scorrono nelle vene. Ero felice di averglieli alleviati, riportandogli la donna che ama. Sorrisi con le labbra del ragazzo biondo. Gli occhi grigi di Fenris mi guardarono velati di lacrime, ma il suo viso irradiava felicità. Era un miscuglio di sentimenti: amore, sogno, incredulità, speranza, dolore, paura, erano tutti lì, racchiusi nel suo corpo. Le sue mani accarezzarono il viso di Hawke, lei arrossì baciandone una, Fenris la baciò dolce sulla punta del naso. Sorrisero felici.

L’elfo aveva ragione, Hawke è qui! Con me! É… incredibile!
Lo sentii pensare. Cole mi permetteva di ascoltare.
Lo senti?
Mi chiese lo Spirito di Compassione.
Sì Cole, lo sento.
Risposi meravigliato dalla valanga di emozioni che provenivano dall’elfo.
L’abbiamo aiutato. Ora la sua musica è calma, piacevole, dolce, brillante e forte. Compassione…
Ero meravigliato.

Cole mi permise di allontanarmi e lasciare Fenris e Hawke nella loro felicità statica, ne avevano estremamente bisogno. Vidi Varric che con passo svelto si avviava fuori dal castello. “Bentornato, ragazzo!” mi disse rivolgendomi un sorriso. Il suo sguardo era stanco, ma era felice di rivedere il suo ragazzo. Io e Cole sorridemmo all’unisono. Varric si allontanò verso i giovani, lo sentimmo accogliere Hawke in maniera plateale. Attraverso Cole percepii la sua gioia e la sua incredulità, da quando la donna era rimasta nell’Oblio era come se avesse perso un po’ del suo leggero umorismo. Non potevo biasimarlo, per niente. Mi resi conto all’improvviso che potevo in qualche modo essere meno mostruoso di quanto credessi. Cole mi accarezzò con un pensiero lieve.

Ora lo sai.
Mi disse Cole.
Gli sorrisi nascosto in un angolo buio della sua testa.

Salimmo stanchi alla fortezza, l’enorme salone ci accolse brulicante di persone, come me la ricordavo. Fiaccole ardevano allegre nei loro braceri appesi alle pareti di pietra, arazzi e tappeti ornavano la sala grande, le vetrate colorate lasciavano entrare i raggi del sole creando piacevoli giochi di luce colorata sul trono di mogano e oro dell’Inquisizione. Dorian e Leliana uscirono da quella che un tempo era la mia ala della torre, mi inclinai cercando di vedere se era ancora come la ricordavo, ma la porta si chiuse sbattendo dietro le spalle della capospia. “Siete arrivati finalmente.” disse l’uomo portandosi due dita a lisciare i piccoli baffi. “Avete scoperto qualcosa?” “Non più di quanto ci aspettassimo circa la minaccia del Qun – rispose Lunus – però sono sicura che Varric apprezzerà la nostra nuova ospite…” finì la donna-drago con un sorriso. Leliana la guardò sospettosa, Lunus non le diede molto peso, anzi, rivolse la sua attenzione all’incessante vociare nel salone ignorando la capospia “I nostri esploratori ci hanno invece segnalato un fronte imponente di qunari a sud che a quanto sembra si stanno dirigendo qui…” riprese Leliana “Nessuno sa cosa vogliano, ma non è rassicurante che un fronte compatto di fanatici impauriti stia marciando spedito verso di noi.” commentò Dorian interrompendo l’Usignolo, portandosi le mani scure ai fianchi. La giubba gli fasciava troppo larga quel corpo che ricordavo tonico. Lo vedevo provato, affaticato. Provai un senso di vergogna immenso che Cole mi cauterizzò con fredda cattiveria, sbuffai piccolo cercando di non mostrarmi eccessivamente offeso. Lasciai la conversazione per avvicinarmi lentamente alla porta degli alloggi di Elanor, Abelas mi vide e mi sorrise complice. Cole rispose con un ghigno imbarazzato mentre Abelas tornò a conversare con Dorian. Entrai chiudendomi la porta alle spalle. L’anticamera era silenziosa, avanzai guardando quel posto che mi era così familiare, quel posto che per me ha significato molto, quel posto dove risiedevano i miei ricordi più belli. Vidi la statuina del Temibile Lupo poggiata sulla scrivania e vidi l’Eluvian di Morrigan vicino ad una parete, il suo vetro opalescente rifletteva il ragazzo biondo, vestito con una giubba di broccato di seta e stivali alti al polpaccio. Spallacci in ossidiana gli proteggevano le spalle e buona parte del braccio, sorrisi e vidi le labbra dello Spirito di Compassione sorridere a loro volta specchiandosi tra quei riflessi bizzarri. Silenzioso passai oltre e giunsi alla porta della camera da letto di Elanor in cima ad una piccola scalinata, la aprii.
Il mio respiro si bloccò nel petto di Cole.

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Capitolo 27
*** Cap. 27 ***


Davanti a me vidi Elanor avvolta in un lenzuolo di cotone grezzo, una coperta di visoni cuciti era caduta per terra, dimenticata. Lei stava dormendo, pensai nella testa di Cole che si avvicinò a lei lento guardando la sua mano sinistra: il braccio ora nudo era coperto di piaghe e ferite, leggere venature verdi correvano fino al gomito, pulsanti e cariche di energia. Le sue dita erano dilaniate, rigide e sanguinanti, provai altra vergogna guardando quella mano che strinsi e baciai molte volte, ora ridotta così, ma Cole mi impedì nuovamente di cadere nell’autocommiserazione, spostò lo sguardo sul suo viso addormentato, era quasi sereno. Vidi i selvaggi riccioli scuri sparpagliati sul cuscino di piume, le sue piccole labbra leggermente socchiuse e le sue piccole lentiggini. Cole si concentrò sul suo respiro calmo, poi spostò lo sguardo verso una piccola culla a dondolo, aveva dei motivi leggeri intagliati nel legno chiaro, una manina spuntò dall’interno. Cole mi lasciò avvicinare e guardai la mia bambina, i suoi grandi occhi verdi rimasero per un po’ a fissarmi, poi un sorriso sincero spuntò in quel viso rotondo. Dei fini capelli castani le stavano pian piano coprendo la testolina, mettendole una mano sotto la nuca la presi in braccio appoggiandola sulla spalla di Cole, restammo così per un po’ a ciondolare, la mia piccola trovò una cinghia di cuoio della giubba del ragazzo da mordicchiare con le gengive. La cullai costretto nel corpo del mio amico.
 
Un lamento attirò la mia curiosità, Elanor si stava risvegliando. La guardai stropicciarsi gli occhi e sbadigliare prima di grazia, scrollando la massa informe di capelli corvini, scoprì Cole nella sua stanza e trasalì, gli occhi violetti si spalancarono di stupore e imbarazzo. La camicia da notte non era legata e lasciava intravedere le chiare curve del suo seno, si serrò svelta la scollatura con un lieve rossore in viso. Sorrisi arrossendo anche io nel viso del ragazzo. I suoi occhi incontrarono i miei, Cole posò la bambina nel suo giaciglio morbido e andò in ginocchio accanto lei “La voce risuona con pienezza da entrambi i mondi e mi guida in posti brillanti. Si fa chiamare Orgoglio. Vecchio dolore, ombre dimenticate in sogni troppo veri. Questa parte è lenta e pesante, ma lui è qui e qui è ciò che può cambiare. La saggezza che perdura nel dolore. Sa che ti ha fatto del male. Una vita di molte che non poteva salvare. Porta con sé il peso delle morti necessarie.” disse Cole guardando Elanor negli occhi. Il respiro le entrava e usciva faticosamente dalla gola, Cole afferrò la tazza d'acqua e la tenne contro le labbra di Elanor mentre beveva “Ha infranto i sogni per fermare l'avanzata degli antichi desideri. Il Lupo si masticava la gamba per sfuggire alla sua stessa trappola…” parlava a voce bassa, più fra sé che con lei. Le dita fresche di Elanor si mossero incerte lungo il viso del ragazzo dai capelli di grano, gli toccò gli zigomi ed il naso fino. Si chinò di scatto per appoggiare la fronte contro la mia. "Solas?" sussurrò con voce rotta rimase poi in silenzio, il ragazzo dai capelli di grano annuì “Solas, brillante e triste, osserva ed accetta. L’ego spirito vede l’anima. Solas, ma in qualche modo, sofferenza.” La goccia calda della sua lacrima sul viso di Cole sembrava scottare.
Elanor si raddrizzò improvvisamente, schiarendosi la gola. Si passò una manica della camicia da notte sugli occhi, un gesto da bambina che mi emozionò ancora di più. Trassi un respiro più profondo sorridendo senza trovare le parole. “Sto sognando?” la sua voce era un intreccio di speranza e dolore. “No.” risposi con la voce di Cole, la guardai attraverso altri occhi, l’Ancora ribolliva conficcata nel suo palmo. Mi fissava, gli angoli dei suoi occhi si piegarono confusi. “Non capisco… non… non credo di capire.” mi disse. “Ho commesso un errore. Ho sbagliato vhenan… Sono… venuto a chiederti se volevi…” mi bloccai. Valeva davvero la pena dirglielo? Conoscevo bene la mia responsabilità, quella che causò tanto dolore a troppe persone. Ero pronto al suo rifiuto, eppure ero qui, lo stesso. Nella mia mente suonava meglio, ringhiai “…per chiederti se mi permetti di tornare da te.” Avvertii il disappunto incollerito di Cole. Lo sentii brontolare, schiacciarmi contro il suo cranio. Elanor non aveva abbandonato la mia mano, sentii il tremito che la percorse. Il suo sguardo fisso sul ragazzo dai capelli di grano era incerto, fu peggiore della reazione che mi sarei aspettato. Avrebbe dovuto urlarmi contro, picchiarmi, graffiarmi, farmi del male. Ma non ci fu nulla di tutto questo. Guardandola tutto quello che potevo fare era aspettarmi di peggio.
 
Si allontanò da me attraverso la stanza in penombra, si spostò una ciocca di capelli dietro il piccolo orecchio a punta, i suoi piccoli lobi erano invitanti. Accarezzò con un sorriso il viso di Ainwen e si chinò a darle un bacio, la bimba rise felice. Era snella ed esile come al solito, la mia Elanor. La luce filtrava attraverso il tessuto chiaro della camicia da notte. La gravidanza non l’aveva cambiata molto, una leggera rotondità sul ventre era la sola ed unica prova del parto. Prese silenziosa una bottiglia e due semplici bicchieri da un armadio. Stappò la bottiglia e io sentii il calore del brandy prima che lo versasse. Tornò verso Cole e mi offrì un bicchiere. Il ragazzo riuscì a prenderlo nonostante tremasse, sembrava sorpreso. Elanor mi guardò da sopra l'orlo del bicchiere mentre beveva. Sollevai la testa e mi versai un sorso in bocca. Il sapore caldo avvampò nella gola del giovane che tossì, come se non avesse mai bevuto brandy.

Scusa.
Dissi sincero al ragazzo.
Non rispose.
 
Un sorriso comparve attraverso il viso di Elanor, prese una mano del ragazzo tra la sua. Sentivo il suo calore, urlai silenzioso, costretto nel corpo di Cole. “Vieni a letto.” Non capivo. Il corpo di Cole rimase immobile, io rimasi raggelato al suo interno. Mi strinse abbracciando il corpo magro del ragazzo “Vieni a letto.” disse una seconda volta. Il ragazzo scosse la testa per me “L'ultima cosa che dovresti desiderare adesso è unirti a me.” cercai di dirle, tossendo. La sua mano sfiorava la guancia di Cole fino al mento, lo sollevò, i suoi occhi violetti mi cercavano avidi tra la frangia lunga e bionda di Cole. “Non è così che funziona.” Il suo viso era morbido e gentile, non potevo capire il perchè mi stesse guardando con tanto amore negli occhi, ma lo stava comunque facendo. A dispetto di ciò la speranza mi avvolse, gonfiando il petto di Cole. Le dita lasciarono il volto per tornare alla mano. “Vieni a letto.” Questa volta la seguii, le permisi di tirarmi a sé e scivolai sotto il lenzuolo fino a quando lei non si mise a cavalcioni sopra il bacino di Cole. Premette il suo orecchio contro il petto del giovane che ansimava frenetico, senza controllo. La sentii picchiettare dolce sul petto di Cole il ritmo del suo cuore. Non l’avevo previsto. Non sapevo cosa dire, cosa fare, cosa pensare di tutta questa sua gentilezza, né la compresi. Non conoscevo il per cosa o il per come stava succedendo, ma lei era con me ed io non potevo desiderare altro. Anche se ero bloccato in un corpo non mio. “Sto sognando?” la sentii sussurrare ancora una volta, la sua voce era un groviglio di emozioni e speranze, le accarezzai i capelli con le mani ossute del giovane. “No vhenan, non stai sognando.” le dissi. Si mosse morbida contro il corpo dello Spirito di Compassione, aveva le lacrime agli occhi e mi strinse tra le braccia, premendo il suo corpo contro quello del ragazzo, in modo da poter sentire tutto anche di me. Ero presente e solido, caldo e genuino. Non resistei. La baciai con altre labbra e la accarezzai con altre mani. Le toccai i capelli, passando delle dita non mie tra i suoi ricci, il suo profumo dolce di albicocche arrivò e mi sfiorò leggero. Un’altra lingua entrava piano nella sua bocca. Lei la morse, io risi. Mi staccai da lei e la baciai sulla punta del naso. “Ar lath, ma vhenan.”

É stato… strano.
Il pensiero perplesso di Cole mi colpì, vacillai in balìa della sua voce. Mi resi appena conto di quello che avevo fatto.
Mi dispiace…
Riuscii solo a dire. Se fosse possibile perdere i sensi mentre ero nella mente di Cole, credo lo avrei fatto. Invece la mia mente si smarrì di colpo, riordinando ogni sensazione provata dal suo corpo.
Non devi. Te l’ho concesso io… io ti ho portato qui, di mia volontà.
 
Le sue parole non migliorarono il mio umore sprofondato di colpo in un inevitabile abisso cupo. Guardammo un’ultima volta Elanor, lei ci sorrise e si alzò dal letto, prese tra le braccia Ainwen e si girò abbassandosi sulla spalla la larga veste azzurrina.
Silenzioso com’era venuto, Cole uscì dalle camere di Elanor ritornando nel grande salone del castello. La grande ala crepitava di nobili vocianti e frivoli, nonostante la minaccia Qunari non fosse più un mistero. La Viddasala marciava costante e veloce sarebbe stata qui in pochi giorni, ed il mio corpo era ancora addormentato a metà strada tra le Tombe di Smeraldo e il Tempio di Mythal, mi concessi ancora qualche minuto nel corpo giovane dello Spirito di Compassione che si aggirava curioso e smaliziato tra quella nobiltà frivola, ascoltando i piccoli dolori che sembravano segnare irrimediabilmente le loro fugaci e noiose giornate. Non potevo fare nulla se non stare a guardare, nascosto dagli occhi del giovane che, furtivo, dispensava consigli.

Ha paura! Tutto brilla, ruggisce di rabbia come il Demoni di un tempo. No, io non cadrò. Nessuno farà più del male. Flash di bianco, il Velo è stato distrutto. Scossi, vuoti, turbati, impauriti, vedono un futuro senza magia e senza Spiriti. Io non sono così. Posso proteggervi. Se i qunari vengono per te e per lei, io li ucciderò.
Sentii la fitta della sua coscienza mentre me lo diceva.
Non è la tua battagli, Cole. Ho bisogno di saperti vivo e libero.
Percepii il suo debole assenso, ma poco di più.
Non devi proteggermi Solas. Non più. Tu ed Elanor mi avete reso più forte, riesco a sentire di più, riesco ad aiutare di più.

Davvero non so per quanto tempo rimasi immobile, bloccato nella sua testa. Quel genere di concentrazione può fermare il tempo o farlo correre come il vento. Sentii il richiamo lontano della mia carne, ma Abelas si avvicinò al ragazzo, gli sorrise con uno sguardo ambiguo “Vieni con me ragazzo, andiamo sui bastioni.” Abelas proseguiva a passo spedito fuori dal castello: il sole splendeva sul giardino di Skyhold mentre guerrieri intenti ad allenarsi gridavano brandendo le spade smussate. Il clangore del metallo che cozzava, riecheggiava nei miei pensieri, squillante ed insistente mentre passavamo oltre il cerchio di allenamento. Abelas rimaneva muto, ma Cole mi trasmetteva i suoi pensieri: erano gioiosi e sereni, non potei fare a meno di chiedermi quale fosse il motivo. “Ora che siamo soli, noi tre… – trassi un respiro pesante – Come ti senti Solas?” chiese guardando Cole dritto negli occhi. “Le ho viste. Ho tenuto in braccio la bambina, ho stretto mia figlia al petto anche se quel petto non è il mio. Non so dire come mi sento, solo che non vedo l’ora di tornare…” dissi con la voce di Cole, l’elfo ambrato si portò le mani ai fianchi e mi guardò. “Hai preso la tua decisione… ne sono felice.” sorrise bonario mi posò una mano pesante sulla spalla, il corpo gracile di Cole si piegò sotto la presa dell’elfo. “Volevo dirti una cosa, prima che il tuo spirito torni nel tuo corpo, non voglio sprecare un secondo di più perché non so se sopravviveremo…” mi disse, la mia preoccupazione per l’elfo crebbe “Non capisco, cosa vuoi dirmi Abelas?” Il viso dell’elfo si tinse di rosso, le sue guance si incendiarono sotto il mio sguardo attento e preoccupato, sorrise portandosi una mano guantata alle labbra schiarendosi la voce imbarazzato. “Abelas?” lo incalzai, mi guardò con gli occhi di un ragazzino sorpreso con le mani nel sacco durante una delle sue marachelle. “Lunus aspetta un figlio. Mio figlio.” mi disse spostando la mano dal viso, il suo sorriso risplendeva dorato nella luce del giorno. “Grazie.” mi disse infine, inchinandosi, gli posai una mano candida sulla schiena. “Non inchinarti mai, a nessuno.” gli ricordai, non c’era rabbia nella mia voce, solo felicità. Chiusi gli occhi e mi sentii svanire. Tutto divenne nero all’improvviso.
 
Quando riaprii gli occhi ero circondato da alberi. L’umidità fredda mi era penetrata nelle ossa anche se il mio corpo era avvolto nel sacco a pelo. “Ben svegliato. Recuperato un po’ le forze?” mi chiese Tanaar intento a spostare i pesanti cadaveri, gli sorrisi annuendo con il capo. Mi alzai e mi sentii bene. Per la prima volta pensai che le cose si fossero davvero aggiustate. Dopo che fui in grado di prepararmi un infuso con un trito di ortica e radice elfica, il mio mal di testa da sogni sembrò affievolirsi. Continuavo a fissare quelle pietre, o meglio, quei corpi diventati statue a causa di una mia improvvisa esplosione di magia. La mia mente si rifiutò di ripercorrere quell’angoscia. Mi trovai a indietreggiare davanti a quelle sculture, una era addirittura fracassata al suolo: braccio e ascia erano una cosa sola, strette in un unico pezzo di pietra. Frammenti di un viso contratto dal dolore erano sparsi poco più in là. Alcuni ciuffi torturati di pelliccia, intrecciati e fissati con la pece avevano lo stesso colore grigiastro della pelle dei qunari, al tatto erano ugualmente porosi e ruvidi. Il Temibile Lupo emise un ringhio basso che si incastrò tra le mie costole. Sarei fuggito se fossi riuscito a distogliere lo sguardo. Sentii all’improvviso una parete rocciosa contro la schiena. Mi premetti contro di essa, sapendo che c’era una via di fuga migliore, ma ero come incapace di trovarla. “Non ricordi cos’è successo vero?”  Le parole gentili di Tanaar giungevano da una distanza che sembrava enorme. Sbattei le palpebre e cercai di calmarmi. “Ricordo un’esplosione, un’enorme quantità di magia che si è riversata fuori dal mio corpo…” balbettai portandomi una mano alla tempia. I miei occhi non si staccavano dalle espressioni dei soldati, il ringhio basso dello Spirito salì in un uggiolio acuto e cessò, si accucciò mesto al mio fianco. Mi parve di riemergere da acque profonde. “Precisamente. Hai davvero le palle elfo, non c’è che dire. Lunus non aveva tutti i torti.” Ricominciai a respirare. L’apprensione era sospesa come un miasma tra noi, sentivo l’odore di erba umida e il fumo sottile del bivacco, e perfino il sudore salato di Tanaar vicino a me. Mi rassicurò. Tutto andava bene nel mio mondo. Lasciai andare ogni cosa tranne quelle semplici sensazioni e finalmente decisi di mettermi in marcia. Presi da terra il mio bastone da Arconte, il possente fauno scelse un’arma, una grossa ascia di drakite e cuoio di cervo, con un’impugnatura rifinita ed elegante. Era poco più bassa di me, osservai. Se la posò virile sulla spalla, mi sorrise e riprese il cammino al mio fianco.

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Capitolo 28
*** Cap. 28 ***


Passarono otto lune, camminammo incessantemente, anche fino a notte fonda per arrivare al Tempio. Giungemmo a destinazione al termine di un’afosa giornata. Le porte dorate del Tempio erano sigillate con la magia, ne sfiorai una e un bagliore azzurro si diramò lungo gli intarsi del metallo, le enormi porte si aprirono lasciandoci entrare. Il silenzio che albergava in quel luogo mi quietava e noi silenziosi camminammo per le stanze. Il giovane Qunari rimase a bocca aperta ammirando lo splendore di quel luogo ormai in abbandono: avanzammo tra le stanze polverose e vuote, arrivammo all’alcova vicino al Vir Abelasan, il Pozzo era ancora vuoto, il mosaico che una volta era di Mythal ora era spaccato a metà, l’altra metà raffigurava Fen’Harel. Raffigurava me. Il fauno lo guardò perplesso. L’Eluvian era a pochi passi da noi. Il silenzio tra noi durò quanto il breve pasto a base di radici crude, e un poco più a lungo. Il possente qunari lo infranse “Ieri notte ho guardato le stelle…” Annuii e dopo un momento ammisi che eravamo molto distanti da Skyhold, che per la verità ci siamo mossi nella direzione opposta. “Arriveremo a Skyhold tramite questo specchio.” Di nuovo un silenzio seguì le mie parole. Non voleva parlarmi, ma aveva un disperato bisogno di risposte che solo io conoscevo. Fece la sua domanda con riluttanza “Cosa troveremo al di là dello specchio?” Un cipiglio preoccupato gli corrugò la fronte. Spezzai un piccolo pezzo di verità e glielo offrii “Un luogo sospeso tra questo mondo e l’Oblio. La mia gente non lasciò strade, solo questi specchi magici.” Prima che potesse chiedere altro lo informai “Attraverserò questo Eluvian e non ti costringerò a seguirmi oltre se non è quello che vuoi. Oltre questo specchio quello che vedremo sarà morte, terrore e paura.” se dovevo lasciare il qunari da solo, avrei fatto del mio meglio per trovargli un rifugio sicuro. La mia decisione era irrevocabile. Sarei tornato a Skyhold a costo di arrivarci strisciando e una volta là, avrei dato la caccia a ciascun adepto del Qun e l’avrei ucciso con le mie mani. La promessa diede nuova decisione ai miei movimenti. Ci sono momenti in cui non pensare richiede tutta la concentrazione possibile, questo era uno di quei momenti. Andai al ruscello di acqua dolce per lavarmi la faccia e bere. Tanaar mi guardò, fece anche lui qualche passo verso il ruscello e bevve a sua volta. Il silenzio era un pesante fardello di cui condividevamo il peso. Sapevo che Tanaar stava meditando sulle mie parole, avrei dovuto lasciarlo pensarci su almeno quella notte. Non era stupido, mi dissi, gli avevo detto la verità. Ora dovevo lasciargli il tempo di capire cosa significava per lui.

Non c’era niente in quel luogo che sembrasse una minaccia immediata, ma neanche cibo decente ed ero quasi sicuro che al giovane fauno servisse, altrimenti sarebbe sprofondato ulteriormente nell’insensibilità, ma ciò che serviva a me era ben più basilare. Volevo sapere dove fosse l’armata qunari diretta verso Skyhold. Oltre ogni razionalità, volevo protendermi verso Cole, ancora. Volevo chiamarlo, mettere tutto il mio cuore in quel cercare. Sapevo che era la cosa più sciocca e imprudente che potessi fare. Mi costrinsi a riordinare i pensieri. Mi serviva del cibo ed in fretta. Correndo uscii dal Tempio lasciando Tanaar vicino al pozzo vuoto. Il Temibile Lupo si era seduto in un angolo remoto della mia consapevolezza.

Che ti prende?
Chiesi più infastidito di quanto volessi.
Sei sicuro di volerlo fare?
Chiese resistendomi, offenderlo era l’ultima delle mie preoccupazioni.
Cosa di preciso?
Il Temibile Lupo sbuffò irritato, rimbombando nelle mie tempie.
Portare il qunari al Crocevia…
Si degnò di spiegarmi.
La scelta non spetta a me, lo sai, ma sì… se vorrà attraverseremo lo specchio assieme.
Lo Spirito si ritirò da qualche parte lasciandomi da solo, lo lasciai dov’era a fare il broncio capriccioso. Rimase in silenzio. Non riuscivo a distinguere i suoi pensieri, ma le emozioni erano chiare. Era avvilito e offeso come mai l’avevo sentito.
Va bene, pensala come vuoi.
Gli dissi ritirandomi rabbioso.
 
Disgiunsi la mia conscienza dalla sua e mi concentrai sulla caccia. Mantenni la concentrazione facendomi piccolo e restando immobile, appostato come un gatto accanto a una tana di topi. Uno snoufleurs tanto grasso quanto distratto mi si parò di fronte, in cerca di radici da rosicchiare, ghignai e con un rapido gesto della mano lo congelai sul posto, lo sguardo del grasso animale si cristallizzò in una posa di spavento. Non si rese nemmeno conto della sua morte, per sicurezza la lama del bastone gli perforò il collo attraverso il ghiaccio. Il suo sangue caldo e rosso iniziò a scivolare lungo l’azzurro del ghiaccio magico, con un’ondata di magia liberai la carcassa, la presi per una delle zampe e la trascinai al Tempio, una scia di sangue segnava dietro di me il terreno che calpestavo, ma non serviva molto nascondersi ormai. Tanaar mi guardò alzando un sopracciglio. “Ora sì che si ragiona!” lo sentì dire entusiasta. Scattò veloce nel suo corpo enorme e andò in cerca di legna per il fuoco, io mi levai le protezioni degli avambracci, tolsi i guanti e mi avvolsi la fine cotta di maglia e iniziai a macellare l’animale con meticolosa precisione. Dopo poco un fuoco rischiarava allegro e scoppiettante nella notte stellata e le pietre che lo contornavano erano calde a sufficienza per cucinare la carne avvolta in alcune larghe foglie di spatifillo. Divorammo l’animale lasciando a fatica un mucchio di ossa e le interiora chiacchierando come non siamo mai riusciti a fare da che lasciammo le Tombe di Smeraldo. L’umore tra di noi era notevolmente migliorato e ne fui contento. Il qunari dal corno rotto si alzò e andò al torrente a riempirsi la borraccia, l’improvviso silenzio era interrotto dalla legna che scoppiettava briosa tra le fiamme. Lo vidi tornare camminando deciso “Ho preso la mia decisione Fen’Harel. – cominciò il giovane fauno guardandomi benevolo dall’alto – Ti seguirò attraverso lo specchio magico, combatterò e morirò al tuo fianco se serve. Se il mio sacrificio può esserti d’aiuto a fermare la Viddasala e la sua armata di fanatici, sarò ben felice di farlo.”

L’indomani mattina ci alzammo all’alba, guardavamo l’Eluvian brillare tranquillo della sua luce azzurrognola. “Sicuro della tua decisione?” gli chiesi preoccupato, il qunari si posò la pesante ascia sulla spalla muscolosa. “Andiamo a moncare qualche braccio. Voglio che il sangue sprizzi come in un boccale di Maraas-lok levato in un brindisi!” Non potei fare a meno di sorridere alla metafora. Strinsi il mio bastone, sentii il possente fauno deglutire portandosi una mano agli occhi ed avanzare verso lo specchio. “Odio gli specchi magici.” lo sentii sussurrare attraversando l’Eluvian. Un attimo dopo lo attraversai anche io. Il Crocevia era un groviglio di strade sospese nel cielo terso, alberi in fiore spuntavano dalle zolle sospese regalandoci un piacevole profumo di primavera. Vidi alcuni Eluvian ancora corrotti. Abelas non era riuscito a rintracciare Briala, ringhiai avvicinandomi comunque ad uno di quegli specchi e ne accarezzai il metallo della cornice dorata, sentivo gli intagli leggeri sul metallo. Posai i palmi guantati delle mie mani sullo specchio, il freddo del mi solleticava la pelle. Concentrato, incanalai un lieve flusso di magia nei miei palmi, avevo il cuore tremante, un errore e avrei potuto distruggerlo definitivamente. Strinsi i denti mantenendo stabile la mia magia che potente voleva uscire. Mi staccai con le mani ancora in avanti, feci un passo indietro e vidi l’oscurità dello specchio soccombere, lasciando il posto ad un chiarore opalescente e pimpante, mi meravigliai di come mi fosse sembrato un processo così naturale. Tanaar continuava a guardarsi attorno perplesso. Il suo sguardo si posò su di me, trasudava tutto l’orrore che tentavo di reprimere. La sua pietà mescolata all’orrore di quello che ci attendeva mi trafisse. Lui mi vedeva. Malgrado mi conoscesse da poco, vedeva il giovane sconfitto che era ancora rintanato dentro di me, per sempre. Da qualche parte mi nascondevo, da qualche parte ero spezzato in eterno. Era intollerabile che qualcuno potesse saperlo. Sentii un fiotto di furia sgorgare da un punto così profondo che era fuori di me. “Che posto è questo?” chiese brontolando ansioso. “Un posto che io distrussi quando creai il Velo.” Gli concessi, srotolai davanti a lui un altro pezzo di verità. Non volevo perdere ulteriore tempo, ne avevo già perso troppo. Mi avviai verso l’Eluvian che mi avrebbe portato a Skyhold. Brillava più splendente della luna sulla neve luccicante. Non riuscivo a decifrare alcuno dei miei pensieri, tesi la mano e la feci scorrere lungo quel vetro liscio. Lo specchio mi accolse.
 
Crollai in ginocchio nell’anticamera di Elanor. Mi alzai lentamente, cercando a tentoni qualcosa a cui appoggiarmi. Mi ero ubriacato? La nausea, la vertigine erano quelle. Battei le palpebre, strinsi forte gli occhi, poi li aprii di nuovo. Una luce nebulosa mi offuscava lo sguardo. Tanaar comparve alle mie spalle e mi aiutò ad alzarmi con brutale maestria. Dovetti trattenere un conato di vomito. “Non farti prendere dal panico.” mi rimproverò aggrottando le sopracciglia sporgenti. Mi scosse come un panno e mi rimise a terra. “Allora ditemi quali sono i progetti che il Qun ha per noi.” una voce che ben conoscevo tuonò nel salone, le parole di Elanor mi colpirono come pietre, afferrai la maniglia della porta di quercia, pronto a spalancarla, Tanaar mi fermò portandosi un indice alle labbra, facendomi cenno di stare ad ascoltare. “Credevi che chiudendo il Varco tutto si sarebbe risolto? Che non ci sarebbero state conseguenze? Appena abbiamo visto il Varco rompere il cielo, il Qun ha preso la sua decisione. Avremmo rimosso i vostri capi, risparmiando la forza lavoro e i civili. Questo agente di Fen'Harel ha rovinato tutto. A causa sua sono andate perse vite che avrebbero potuto essere risparmiate.” la voce della Viddasala riecheggiò, era piena d’odio come una zecca era piena di sangue. Percepivo paura nella sua voce, una paura cieca e folle e la paura è un solido fondamento per l’odio. Strinsi la maniglia con tutta la forza che avevo nella mano. “Chi è questo agente di cui non fate altro che parlare? Perché pensate che sia al soldo dell'Inquisizione? L’Inquisizione, non ha nulla a che vedere con questi agenti.” Un attimo di silenzio. Tanaar afferrò la sua grande ascia, nonostante la stazza sapeva muoversi più silenziosamente di chiunque altro avessi mai conosciuto, si spostò dalla porta pronto a sfondarla a spallate.
 
Una risata forte riecheggiò nell’alto salone della fortezza. In quel riso potevo sentire la paura, l’odio, l’orrore e l’avvilimento tutti mescolati assieme, una miscela pericolosa che poteva esplodere da un momento all’altro. Il Lupo mi si avvicinò ringhiando, il suo pelo scuro era ispido e alzato, le orecchie tirate indietro, una fila di denti aguzzi era scoperta in un ringhio cupo, sordo e incollerito. Tenni l’orecchio accostato al legno. La risata si placò. “Suvvia, Inquisitrice. Sono gli occhi e le orecchie del popolo qunari, pensate forse di potermi ingannare? Quel Marchio che hai sulla mano ti sarebbe stato fatale, se non fosse stato per l'intervento di un loro capo.” Le sue parole tesero la corda d’arco della mia paura, il giovane fauno mi strinse la spalla. La voce della Viddasala continuò senza pietà “È quello stesso agente che vi ha aiutati a chiudere il Varco, che vi ha condotti a Skyhold. Ha dato la sfera a Corypheus e ha fondato l'Inquisizione. Parlo di Solas, lui è l'agente di Fen'Harel.” Mi assicurai che il mio cuore ancora pompasse il sangue alla gola, i miei occhi erano pieni di furia e paura “Non so cos'abbia in mente Solas, ma non sono il fantoccio di nessuno.” la voce orgogliosa di Elanor tuonò feroce. Sentii dei passi nel salone, tre scalini furono scesi, poi altri tre “Ti ostini a non vedere i fili che ti muovono, giovane elfa stolta ed innamorata. Solas ha ingannato tutti, te per prima: piantando il suo seme nel tuo ventre ha generato una creatura dalla potenza unica, figlia dell’Antico Sangue. Non posso permettere che cresca e diventi una minaccia. Senza di lui avremo donato pace e saggezza al sud in un modo del tutto pacifico, ora siamo costretti ad impugnare le armi.” Rabbrividii. Un terrore nauseante crebbe dentro di me. Lottai contro il panico, il dolore, la paura, la rabbia, la frustrazione. Ma soprattutto, la paura. La paura travolgente che mi lasciava tremante e senza fiato, gli occhi pieni di lacrime e la bile acida in fondo alla gola. Mia figlia era in pericolo, Elanor era in pericolo, tutti erano in pericolo ed era solo colpa mia. Tanaar mi strinse la spalla ancora più forte. Lo spinsi via da me così selvaggiamente che urtò il tavolo e quasi lo rovesciò. La paura e la rabbia raggiunsero il culmine in un istante di furia in cui lo avrei ucciso solo perché era a portata di mano. La rabbia era una bella sensazione, come un fuoco purificatore. Strinsi la maniglia ed aprii la porta comparendo nel salone della fortezza. Il mio viso era gelido, il mio passo era marziale e i miei compagni mi videro dopo più di un anno.
Il volto di Dorian si contrasse in una smorfia di odio, lasciò per un momento che un lieve sorriso gli piegasse l’angolo della bocca mentre mi squadrava con uno sguardo di disprezzo. Cassandra e Cullen mi folgorarono disgustati con i loro sguardi. Leliana e Varric sembravano quasi sorpresi. Sera fece cadere l’arco che rimbombò in un suono secco nella navata. Vivienne rimase a bocca aperta, stordita e incredula. Blackwall posò la mano sull’elsa ornata della sua piccola asci ed il Toro di Ferro sputò disgustato in un braciere. Cole mi guardò fiero dall’altro capo della navata. Abelas mi sorrise facendomi un cenno lieve con la testa e Lunus aveva in braccio mia figlia, la cullava. La mia bimba era serena, protetta dalle braccia candide della donna-drago. A quel punto tutti gli occhi erano su di me. Nessuna speranza di passare inosservato.
C’erano tutti in quel salone, la Viddasala era accompagnata da un gruppo di venti guerrieri armati e gonfi di collera, nei loro visi traspariva la furente voglia di massacrarci. La guarnigione bloccava l’unica via d’uscita della fortezza, o quasi. Sorrisi. Tannar comparve dietro di me con l’ascia tra le mani. Portai le braccia dietro la schiena. Un lampo di energia che ben conoscevo si sprigionò dalla mano di Elanor che si accasciò sul tappeto a due passi dalla Viddasala, urlando di dolore. Mi avvicinai alla mia Signora dell’Oblio: vidi delle venature verdi percorrerle il collo, pulsanti e dolorose, i suoi occhi violetti si strinsero, urlò cupa digrignando i denti. La Viddasala la guardò compiaciuta, la fissai con poco tollerante disgusto. Sul volto della donna-fauno serpeggiò un ghigno “Panahedan, Inquisitrice. Se può consolarti, sappi che morirete assieme. Qui, oggi. Tutti quanti.”
 
“Attenta, potresti pentirtene.” la avvertii in tono amichevole. “Chi sei?” chiese la Viddasala furiosa. Non la degnai di un’attenzione. Mi inginocchiai, Elanor mi guardò, lacrime le scorrevano lungo il viso, mi concentrai prendendole la mano. Mi concentrai sulle sue piaghe sanguinolente ed il dolore sembrò placarsi. Non ebbi il coraggio di guardare Elanor negli occhi, mi girai ad affrontare la Viddasala, non ancora aggressivo. Aveva i pugni alzati, pronta a difendersi. Scossi la testa con indulgenza e molti tra le file dei suoi soldati ridacchiarono “Lascia perdere.” ribadii. “Ti ho fatto una domanda.” ringhiò la donna-fauno, il suo sguardo era cattivo e impaziente.
“È vero – concordai affabile – e forse avrei risposto, se mi avessi offerto il tuo nome prima di esigere il mio.” Mi guardò con gli occhi socchiusi. “Non prenderti gioco di me.” “Non lo sto facendo, sai molto bene chi sono.” la donna arrossì per l’insulto poi sferrò un colpo, mi scostai per schivarlo e feci un passo avanti. Lei era pronta per i miei pugni, invece le feci perdere l’equilibrio con un calcio alle gambe. Era una mossa più adatta a un rissaiolo da taverna che ad un Dio elfico, la sbalordì. La colpii con un altro calcio mentre cadeva, lasciandola senza fiato. Crollò indietro ansando, pericolosamente vicino alla lama del mio bastone, avanzai mettendogli il piede sul torace enorme. Le misi la lama alla gola. “Ritirati. – ringhiai – prima che finisca male.” Emise una breve risata. “Uccideteli tutti, anche la bambina. Che non rimanga alcuna traccia di loro.” disse assestandomi un calcio in pieno stomaco, mi scaraventò in aria. Un urlo di battaglia infiammò la sua guarnigione che ci attaccò senza attendere oltre. Impugnammo le armi. Strinsi il mio bastone magico che incanalava nella sua sfera la mia rabbia e la mia furia, guardai Elanor, lei mi fece un cenno con il capo prendendo dalla schiena il suo bastone infuso di Lyrium. Scattai. Eravamo in trappola, o loro o noi saremo morti quel giorno dentro quel salone.
C'era un immenso fauno nero con corna larghissime davanti a me, la sua carne venne tempestata di frecce decorate da punte cave, Sera balzò su un tavolo e con Leliana scagliarono frecce alla cieca sulla guarnigione, la furia disperata tendeva le loro corde e scoccava le loro frecce. Un ruggito squarciò il cozzare delle lame. Vidi Lunus gettarsi a capofitto nella mischia, incurante del suo stato. La donna-drago era veloce e agile come un demonio anche fasciata con quel lungo vestito. Ingannò il soldato che aveva di fronte con una torsione del busto e una finta da sinistra, una mano artigliata lo colpì alle costole dal basso, gli lacerò la carne scoprendo le ossa. Prima di recuperare l’equilibrio e il fiato, il qunari ricevette una botta alla spalla talmente forte che si ritrovò addirittura in ginocchio. Con un balzo all’indietro, il fauno evitò un colpo alla testa sferrato dall’alto, ma non la ginocchiata dal basso che lo raggiunse al fianco. Vacillò e urtò con la schiena contro la parete. Non ebbe abbastanza presenza di spirito di gettarsi a terra, il collo venne stretto tra i denti aguzzi della donna-drago.
 
Mi girai in quella lotta caotica in cerca della mia bambina, la mia asta sprigionò scintille molto vicino alla testa di una donna qunari. Un secondo colpo la raggiunse alla scapola, Dorian era comparso al mio fianco e colpì la donna-fauno con una folgore tanto potente che ne avvertii quasi la scossa. La guerriera morì in un dolore paralizzante. Sollevai l’asta, i miei occhi ardevano di trionfo. Un fendente d'ascia trovò la mia schiena, urlai lasciando andare il bastone, mi scaraventò sul pavimento e il mio avversario mi assestò un secondo colpo in diagonale, dalla scapola al fianco, il mio sangue sgorgò sul pavimento. Gridai cercando di rimettermi in ginocchio: l’armatura e la cotta di maglia erano resistenti, ma non certamente indistruttibili. Ansimai dolorante. Tanaar sopraggiunse caricando, la sua ascia si piantò con un suono sordo nella spalla del mio aggressore, non urlò nemmeno. Vidi solo un rivolo di sangue comparire tra le sue labbra serrate. Tanaar mi aiutò ad alzarmi brandendo la sua ascia insanguinata. Il sangue di una ferita alla testa gli colava su un lato del viso violaceo. Lunus si scagliò su un secondo qunari davanti a me con le fauci spalancate, lui la afferrò e tentando di difendersi dal suo attacco, sentii l’impatto dei colpi. Probabilmente aveva lottato contro molti individui, ma non era addestrato ad affrontare un drago. Senza alcuna paura o scrupolo per la propria sopravvivenza, con denti, unghie e ginocchia Lunus era determinata a lacerare e strappare la carne dalle ossa e non se la stava cavando male. Gli artigliò il viso e gli affondò i denti nel polso prima che il fauno riuscisse a scaraventarla dall'altra parte del salone, Lunus sbattè contro il massiccio basamento di pietra del trono di restando a terra immobile.
Non fui io ma il Temibile Lupo che si gettò sulla Viddasala che caricava verso la donna-drago. Tutti nel salone poterono sentire i suoi ringhi. Al primo balzo le prese soltanto il pantalone mentre la Viddasala si girava. Il secondo attacco lacerò anche la carne, ma la donna-fauno corse come se fosse stata illesa, il Temibile Lupo la abbattè a terra fermandosi a poca distanza dal suo viso, spalancò gli occhi di fiamma ringhiando furiosamente con la bava alla bocca, non solo per la rabbia ma per una selvaggia paura.

Vai a cercare la tua bambina, Fen’Harel!
il suo pensiero mi lasciò stordito, con le orecchie che rintronavano.
Corri!

Corsi a zig-zag attraverso la sala, scansando Cassandra e il qunari con cui stava combattendo furiosamente, mi sembrava di scappare dalla mischia come un coniglio. Vidi Abelas accerchiato da tre soldati, aveva poche frecce nella faretra e la mia bambina urlava legata alle sue spalle. L’elfo dagli occhi d’ambra tese l’arco e scoccò colpendo la donna qunari che stava attaccando Vivienne alle spalle. La Viddasala mi si parò davanti, sbarrandomi la strada. Si leccò le labbra mentre faceva scorrere lo sguardo su di me, gongolando. Le viscere mi andarono in acqua. Avvertii in lei una strana sensazione che quasi la spaventava. Improvvisamente mi afferrò per la gola e mi sollevò sulle punte dei piedi. Avvicinò il viso al mio e sibilò “Ti ammazzerò e ammazzerò la tua bambina. Anzi, ammazzerò lei prima, davanti ai tuoi occhi.” Mi trascinò verso Abelas. Lo sguardo ambrato dell’elfo era contorto dal dolore e dalla rabbia, la mia bimba urlava senza tregua alle sue spalle. La sua ultima freccia era incoccata all’arco. Sentii la potente arma tendersi e scoccare il dardo verso la Viddasala, la freccia sibilò leggera vicino al mio orecchio, mancando la donna-fauno. La Viddasala rise. “Lascia la bimba e avrai una morte veloce.” Promise. Abelas arretrò, riuscii a malapena a vedere il suo viso emaciato e contratto dalla furia. “Mai! Il mio dovere è l’unica cosa che mi rimane.” ringhiò. L’elfo ambrato non si mosse, poi mi parlò stringendo l’impungnatura del potente arco “Buona fortuna, fratello.” la determinazione era intessuta nelle sue parole, tenni il capo girato a fatica. Non capivo. “Non ti aspetterò, – continuava – ho sempre corso davanti a te mostrandoti la via o dietro a te coprendo i tuoi passi, Lethallin.” Posò delicatamente Ainwen avvolta nel suo telo rosa sulla fredda pietra del pavimento. Lo vidi sorriderle accarezzando il suo piccolo viso e posando il suo arco vicino a lei. Rapido come il pensiero scattò verso di me, correndo come l'ombra di una nube quando il vento è forte. Lo sentii allargarsi e spalancarsi, era troppo glorioso per trattenersi. “Aspetta! NO!” gli gridai, un lampo di energia di un azzurro accecante investì me e la Viddasala schiacciandoci a terra.
Sbattei le palpebre e tossii soffocato, avevo la bocca piena di sangue. Mi guardai le mani ricoperte dalla fine cotta di maglia, erano insanguinate. Misi a fuoco. Vidi i biondi capelli di Abeals in disordine addosso a me. Il mio corpo era schiacciato dal suo, sgusciai fuori e voltai il suo corpo coperto di sangue con difficoltà, strisce di sangue colavano attraverso i vestiti e rigavano i capelli d’oro sudati. Vidi che il suo viso era rilassato, i suoi occhi chiusi, lo strinsi a me e sotto la mia presa sentii il suo ultimo respiro immobile uscire in un sospiro dai polmoni. Tra le mani teneva la spilla di Avallac’h, rotolò con un tintinnio sul pavimento. Il suo cristallo azzurro era esploso. Abelas se n'era andato. Una pioggia fredda scrosciava oltre la porta del castello.

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Capitolo 29
*** Cap. 29 ***


La disperazione mi sommerse mentre stringevo il corpo senza vita di Abelas. Non osavo lasciarlo andare, ma finché lo trattenevo ero inutile per qualsiasi altro compito. Vidi almeno due guerrieri della Viddasala girare le spalle alla battaglia e avvicinarsi a me decisi, come se avessero ricordato all’improvviso che avevano affari urgenti altrove. Molti altri sembrarono perdere lo slancio dell’attacco, riducendosi a difendere se stessi mentre si chiedevano cosa ci facevano lì. "Di nuovo! Stanno cedendo!" Percepii la fatica di Leliana in quel grido rauco. La spada che aveva tra le mani sembrava pesare come il mondo intero e non le era mai piaciuto uccidere un uomo guardandolo negli occhi. Poi un colpo di vento sopra di me mi fece acquattare come un topo di campagna sorvolato dalle ali di un gufo. L'urlo di rabbia e dolore di Lunus sovrastò qualsiasi altro rumore.
La mia bambina era posata sul lascricato freddo, vicino all'arco di Abelas. I due qunari caricarono verso di noi brandendo le loro enormi spade. Alzai il capo, trassi un respiro e mi mossi di scatto. Mi gettai furioso contro di loro. Due pugnali di ghiaccio si formarono tra le mie mani, penetrai la loro carne accecato dalla furia, nello stesso momento sentii una deflagrazione di magia, era la rabbia di un Lupo che protegge il suo cucciolo. Era fatta d'amore per ciò che proteggeva, più che di odio per ciò che combatteva. Era diretta a loro e la forza prodigiosa dell’esplosione pietrificò i due soldati ormai morti. Atterrai male sul pavimento reso scivoloso dal sangue, scivolai e rotolai, piegandomi come una bambola di stracci. Lunus intontita aveva girato il capo per guardare il mio corpo che si fracassava al suolo sfinito poi voltò lo sguardo alla Viddasala che dietro di me si stava rimettendo in piedi. Vidi la bocca della donna-drago deformata da un ruggito di puro e semplice odio. Con quella forza si lanciò attraversando veloce il salone staccando una freccia dal corpo morto di un soldato e prendendo l'arco di Abelas. Trasse indietro quella corda, sempre di più e pensai per un momento che l’arco si sarebbe spezzato. Vidi Lunus divenire la freccia quando incontrò gli occhi della Viddasala che avanzava pesantemente verso di lei. Scagliò il dardo. Infallibile come l’amore, la brillante freccia grigia volò. Colpì la Viddasala in pieno petto e affondò nella carne scura. Vidi la donna-fauno alzare una mano per strapparla dalla sua carne senza successo.
 
Chiusi gli occhi, li riaprii e vidi l’intero campo di battaglia. Vidi Elanor stremata, sentivo che era allo stremo delle forze, la sua mana era bassa: pericolosamente bassa. La vidi crollare in ginocchio, urlante di dolore, davanti ad un qunari armato di ascia e scudo. Vidi quello stesso scudo colpire Elanor ad una spalla, il suo corpo venne sbalzato svariati passi più indietro e rimase a terra. Sera giaceva sul pavimento, non si muoveva. Blackwall ringhiava ai tre qunari che l’avevano accerchiato. Dorian era immobile appoggiato ad una colonna, era ferito, vidi una densa scia di sangue colare sulla sua giubba. Cole lottava disperato, urlante di paura menava fendenti incollerito e furioso, il pugno di un soldato lo colpì in pieno volto spaccandogli il naso e lo zigomo. I qunari ci stavano sopraffacendo. Avevo visto abbastanza. Cassandra riparava con il suo scudo il corpo di Vivienne esanime e svuotato, mentre il Toro di Ferro e Cullen schiena contro schiena, cercavano di allargare il cerchio di soldati inferociti. Raccolsi nel mio corpo tutta la magia di cui disponevo. Fui travolto dai ricordi antichi delle fauci della morte che mi si chiudevano attorno. Sentii le mani di quella bambina impaurita che salvai e la paura dello Spirito di Saggezza che accompagnai alla morte, la mia vita fatta di ricordi fluiva ora tra le mie mani divenendo magia. Ai margini della mia furia sentii il terrore e il dolore che scorrevano nella sala e in quell’istante esplosi. Scagliai tutta quella magia in tutta la stanza. Vidi i qunari pietrificarsi nelle loro posizioni, rimanendo immobili. All’improvviso sentii la Viddasala tempestarmi di pugni. Sapevo bene che avevo una sola possibilità di ucciderla. Le mie mani si chiusero sul suo collo scuro. Conobbi l’istante gelido in cui persi quell'occasione, sollevò le mani unite fra i miei gomiti e spalancò le braccia, liberandosi della mia presa sul collo. Mi scagliò indietro con un calcio al ventre, precipitò contro di me come un'ondata di muscoli armati. Mi avrebbe sopraffatto senza difficoltà e sarei stato saggio a lasciarla fare offrendole una resa, ma un urlo di Ainwen, avvolta e abbandonata in mezzo ai cadaveri dei soldati qunari, risvegliò in me una rabbia che non sentivo dal giorno in cui avevo combattuto contro Samson. Lottai senza controllo, aspettandomi che la Viddasala mi uccidesse. Si trattenne più di me e mi inflisse meno danni di quanti ne infliggessi io a lei. So che le spezzai la clavicola, perché udii lo schianto ma come in tutte le battaglie, quando quel raptus mi prende, il ricordo è vago e dissociato.
 
Rammento con chiarezza la stanchezza, seppi che era finita quando vidi la Viddasala sdraiata sulla pancia, mugolante di dolore. Avevo sangue in bocca, in parte era il mio. Sputai in terra e mi pulii le labbra spaccate. La donna-fauno provò a rimettersi in piedi. Il braccio sinistro non le rispondeva più, dondolava urtando contro il fianco. Mi rimisi in piedi e arrivai quasi vicino ad Elanor, abbassai gli occhi: giaceva a terra, su un fianco, la nuvola di capelli corvini era spettinata e le copriva un taglio sulla bocca, il sangue colava dall'angolo delle sue labbra gocciolando sul pavimento. Vidi un debole fremito della mano distrutta. L'Ancora pulsava viva, ma lei era rimasta a terra. Mi accasciai vicino a lei e le levai i capelli ricci dal viso. “Ho tentato!” le dissi con un filo di voce, aprì debole gli occhi. Quando i nostri occhi si incontrarono seppi che era cosciente, le sorrisi. Il suo labbro inferiore cominciava a gonfiarsi. “Ti ucciderò elfo, fosse anche l'ultima cosa che faccio.” La voce della Viddasala era come ghiaccio che si spezzava. Girai il capo per guardarla. Era riuscita a rimettersi in piedi, barcollava verso di me stringendo una lancia spezzata. Ecco il risultato del mio attacco mortale. Lunus si avvicinò lenta ad Elanor, aveva la nostra bambina tra le braccia. Era stanca, impaurita, ma le sorrise. La strinse a sé tenendola solo un istante. Elanor non emise un fiato, forse non sentiva dolore, ma percepii la sua magia prosciugarsi. Tremava silenziosa, sulla pelle della donna dai capelli di luna ormai scompigliati e sporchi notai per un istante le scaglie illuminarsi. Lunus stava attingendo alla sua magia e ai suoi ricordi, come aveva fatto con me quando distruggemmo il Velo. Mi chiesi cosa avesse perso in quel breve tocco di gelo. Un giorno d’estate nella sua infanzia? Un attimo di contemplazione mentre Wynne le dava le basi per l'uso della magia? Un momento che avevamo condiviso, ora strappato dal suo corpo e perso per sempre? Fermai Lunus guardandola negli occhi. “Ti prego, non farle questo.” mi guardò perplessa ma capì, riluttante si limitò a starle vicina cullando Ainwen. Alzai gli occhi verso la Viddasala. Penso che assaporasse la mia angoscia, gnignò. “Ebasit kata itwa-ost.” strinsi i pugni furioso oltre ogni limite “Maraas kata!” mi rispose lei, strinsi i pugni ancora di più, la leggera cotta di maglia dei miei guanti strideva stretta nelle mie mani. Me le misi dietro la schiena e avanzai verso di lei. Il Lupo tornò al mio fianco, la sua bocca era piegata in un ringhio sordo “Non hai più alcuna forza. Vattene, e dì alla tua armata e ai qunari di non crearmi altri problemi.” le offrii una resa dignitosa, mi voltai tornando verso Elanor, Ainwen e Lunus. Ringhiò disgustata e la vidi appena tentare di caricare con la sua lancia spezzata in mano, mi voltai. Prosciugai la mia ultima scorta di energia e con un movimento del braccio esteso, la pietrificai. Raccolsi la mia asta magica da terra, la runa sulla sua sommità vibrava energica, ma allungai davanti a me la parte della lama, la feci roteare e con un fendete colpii furioso il collo della donna-fauno. Staccai la sua testa nettamente dal busto. Cadde e si frantumò sul duro pavimento della sala. Ero stufo. Esausto. Crollai di fronte ad Elanor, mi guardò spaventata prendendo la nostra bambina tra le mani. La proteggeva da me stringendola al petto. Provai a sorriderle, senza risultato. Lunus le prese le spalle e la baciò sulla tempia sanguinante poi la vidi allontanarsi verso il corpo di Abelas.

"Solas." Elanor pronunciò il mio nome, dopo tanto riuscii a sentirlo, dopo tanto riuscivo ad essere lì con lei, completamente. Era spaventata, mi guardava con gli stessi occhi con cui mi guardò da bambina, quando la trovai sola nella foresta. Una scarica incontrollata di magia si scatenò dalla sua mano, Elanor gridò dolorante allontanando il braccio dalla piccola. Mi protesi lento versi di lei, le presi la mano ustionata e la baciai delicatamente, un lieve flusso della mia magia la avvolse ed il potere dell'Ancora sembrò placarsi, mi guardò lasciando la sua mano tra la mia, vidi la curiosità incunearsi nel suo sguardo. "Questo dovrebbe darci un po' di tempo. – la guardai con una dolcezza che in altri momenti avrei ritenuto inopportuna – Immagino che tu abbia delle domande…" Uno schiaffo mi colpì in pieno viso, ringhiai di dolore portandomi una mano alla guancia. Il dolore di quello schiaffo ruggiva pulsante dentro di me, voltai lo sguardo e la vidi aggrottare le sopracciglia “I qunari hanno risposto ad alcune delle mie domande, – cominciò – le informazioni che ho raccolto e messo assieme mi hanno fornito altre risposte. Tu sei Fen'Harel. Tu sei il Temibile Lupo.” A metà dello sfogo le lacrime cominciarono a sgorgarle lungo il viso. Gocciolavano mescolandosi al sangue, caddero dal mento schiantandosi sulle gambe. Con lentezza si solidificarono in fili opalescenti di infelicità. “Ottimo lavoro.” dissi, la mia voce si strozzò in gola e il mio cuore sprofondò e la paura mi annodò le viscere. Non riuscivo a respirare, tremai di fronte a quelle lacrime. Ainwen si dimenò tra le braccia di Elanor, si voltò e per la prima volta mia figlia ebbe l’occasione di vedermi bene. “All'inizio ero Solas, Fen'Harel mi è stato conferito dopo. Un insulto che ho accolto con orgoglio.” dissi giocando con le manine paffute della bambina, Elanor non mi toglieva gli occhi di dosso. Alzai lo sguardo “Il nome Temibile Lupo ha dato speranza ai miei amici e infuso terrore ai miei avversari… come il titolo di Inquisitrice.” mi voltai sfuggendo al suo sguardo, lo sentivo solleticarmi la guancia arrossata e dolorante. Feci una pausa e tentai di respirare. L’inevitabilità di quello che stavo per dirle mi faceva male. Eccolo qui Elanor, pensai, tutto il dolore che ho sempre tentato di risparmiarti. Ben legato in un pacco ordinato di angoscia per te e per nostra figlia. “Così ora sai tutto. Com'era quell'antica maledizione Dalish? Che il Temibile Lupo possa sbranarvi?” Elanor trasse un respiro tremante e vidi lacrime fresche bagnarle il viso. “E quindi è andata così…” disse con lentezza “Non ti ho ingannato, non pensare che avrei giaciuto con te nella menzogna.” cercai di darle l’unica cosa che per me valeva: la verità, l’unica e assoluta “Però mi hai mentito. Io ti amavo. Pensavi davvero che non l'avrei capito?” chiese sdegnosa Elanor, abbassai il capo. Seppi che l’avevo persa. Avevo perso la sua fiducia, avevo perso l’occasione di ricominciare da capo. Una tristezza terribile sgorgò in me. “Ir abelas, vhenan.” riuscii solo a dire, cercai di allontanarmi da lei, vergognandomi. Mi afferrò per un braccio, la cotta di maglia stridette sotto la sua morsa decisa. “Tel'abelas! Se tieni a me e a lei, dimmi la verità!” si alzò con fatica e si mise di fronte a me. Guardai la mia bimba, mi specchiai in quegli occhi di giada, non potei fare a meno di arrossire: manipolai tra le mani una piccola sfera azzurra, la bambina rimase incantata a guardare i piccoli fiocchi di neve che cadevano rimanendo all’interno della bolla. Tornai a guardare il viso di Elanor, con colpevole sollievo la vidi sorridere “Ho cercato di liberare la mia gente dalla schiavitù di presunti Dei. Ho spezzato le catene di tutti coloro che fossero pronti ad unirsi a me. – iniziai – Quando gli Evanuris superarono il limite ho creato il Velo, esiliandoli in eterno. Così ho liberato le genti elfiche e allo stesso tempo, ho distrutto il loro mondo.” “Hai esiliato i falsi Dei? Perché non li hai uccisi?” chiese. Gli occhi di Elanor erano fissi sul mio viso, in attesa. Non potevo incontrare il suo sguardo serio. Guardai il salone: la navata era ricolma di qunari sventrati, il loro sangue ricopriva il pavimento, altri erano pietrificati, in un tutt'uno con le loro armi fermati in una posa di attacco. Vidi che alcuni dei miei compagni si stavano riprendendo. Cassandra cercò di tirarsi in piedi e Blackwall le offriva la sua spalla. Dorian sorrise a Cole, il viso scuro del mago era incrostato di sangue, Cole gli stava spalmando dell'unguento sulla ferita. Tanaar si avvicinò zoppicando al Toro di Ferro, lo guardò e si complimentarono a vicenda per le rispettive armi. Leliana, o meglio, la neo eletta Divina Victoria assieme a Cullen portarono via Sera e Vivienne, ferite gravemente. Varric, guardava Bianca sedendo accando a Lunus e al cadavere di Abelas. Mi feci forza e percorsi l’orlo del precipizio tra la verità letale e la falsità codarda. “Tu hai incontrato Mythal, giusto? – ridacchiai – I capostipiti della mia gente non muoiono facilmente. Gli Evanuris sono banditi in eterno, pagano il prezzo supremo per le loro malefatte.” Mi girai verso Elanor e attesi. I suoi occhi violetti esaminarono i miei. “Hanno oltrepassato il limite? Cos'hanno fatto per spingerti ad agire contro di loro?” abbassai il capo, triste al leggero tocco di quel ricordo. Le risposi con sincerità “Hanno ucciso Mythal. Un crimine per il quale un'eternità di tormento è la sola punizione adeguata. – trassi un respiro – Lei era la migliore di tutti loro: aveva cura della sua gente, la proteggeva. Lei era la voce della ragione e loro, accecati dalla brama di potere, la uccisero.” La guardai e vidi la luce del suo viso affievolirsi alla mia risposta neutrale. Avevo reagito quasi di riflesso. Mentre abbassava il capo delusa, sentii l’eco della mia antica solitudine attraverso gli anni. La nostra bambina strattonava e mugolava scoordinata trattenuta dal suo braccio. La guardai curioso “Posso?” chiesi ad Elanor mostrando i palmi delle mie mani, la cotta di maglia era sporca di sangue rappreso, ma il desiderio di stringere nostra figlia era grande e si faceva spazio a forza nel mio petto. Elanor allentò la presa sulla bimba facendomela prendere tra le mani, era piccola e pesava poco. Un largo sorriso le spuntava sotto il piccolo naso all’insù. La cullai tenendola in braccio, era un’emozione forte e mi resi conto di tremare. Elanor alzò gli occhi vedendomi così goffo, senza parole, impacciato, sorridente e meravigliato. Ero rapito da quella mia piccola creatura, un’ondata terribile di gratitudine mi avvolse. Sentii dei passi rimbombare nell’alta navata, un passo a me molto familiare accompagnato da passi leggeri, mi voltai lento tenendo una mano sulla nuca di Ainwen che mugolava tranquilla. Dorian zoppicava verso di noi, Cole sorreggeva il corpo del giovane mago. Nel viso ferito di Dorian era dipinta la delusione. I suoi occhi si posarono su di me accusatori, non potevo dire che non mi meritavo quello sguardo. Per acquistare credito, il mago Tev trasse un respiro, cercò di alzarsi dal sostegno del ragazzo. “I vostri Evanuris non erano altro che maghi elfici? Com'è possibile che siano stati poi salutati come Dei?” il suo ghigno e il suo tono tradivano la reale domanda che mi pose, ma ebbe la soddisfazione di vedermi trasalire. “Che strano, – continuò – credevo che per voi elfi commettere un simile e grossolano errore fosse impossibile. Ora mi siederò qui, vicino a questa nuova statua che orna il salone, in attesa della tua solerte spiegazione.” E così fece, si posò in terra guardandomi imbronciato, incrociò perfino le braccia nell'attesa. Sospirai quasi sollevato “Sono cose che accadono lentamente e tutto ha avuto inizio con una guerra. La guerra genera paura, la paura spinge ad anelare la semplicità: bene e male, giusto e sbagliato. Una catena di comando. Dopo la fine della guerra i generali sono diventate persone rispettate, quindi re ed infine Dei: gli Evanuris.” Dorian annuì riflessivo con il capo, una mano gli sorreggeva il mento. Mi voltai verso Elanor, lei mi diede un’occhiata franca e meditabonda che fece evaporare tutta la mia serenità. “Questo è il passato, ed il futuro?” chiese con intenzione. Desideravo con ogni fibra trovare una risposta meno dolorosa. Non ce la feci. “Ho giaciuto nel buio, sognando, totalmente ignaro di infinite guerre. – dissi distogliendo il mio sguardo da lei – Mi sono svegliato ancora debole, qualche mese prima di incontrarti in quell'accampamento, tra la tua gente. La mia gente invece è in rovina a causa di ciò che io ho fatto per abbattere gli Evanuris, ma c'è ancora una speranza per rimettere tutto a posto. Io salverò le genti elfiche anche se questo significherà la rovina di questo mondo.” mi strappò la bimba dalle mani, indietreggiò spaventata. Dorian provò ad alzarsi di scatto, ma dolorante ricadde sul pavimento. Si avvicinarono anche Cassandra e Blackwall, il Comandante Cullen strozzava l’elsa ornata della sua spada che strideva sotto la sua presa. Elanor parve guardare Dorian per un interminabile secondo, provai gelosia quasi nel vedere la spontaneità di quello sguardo: tante parole comunicate con un semplice incontro di sguardi. All’improvviso capii le parole del giovane mago, quello per lui era amore nella forma più pura. “Lascia che ti aiuti, Solas.” disse Elanor tornando a guardarmi. Le sue parole mi spaventarono a morte, le accarezzai il viso. Un sorriso si tirò sul mio viso, sentivo la ferita al labbro allargarsi e riprendere a sanguinare sulla pelliccia di Lupo. Il Temibile Lupo era scivolato nella mia mente con tale facilità che quasi non mi ero accorto che condivideva i miei pensieri.
 
Non farlo, Fen’Harel. Pensa alla bambina.
Avvertii il suo fastidio.

“Non posso farti questo, vhenan.” le dissi abbassando lo sguardo “Io percorro il din'anshiral. C'è soltanto morte alla fine di questo viaggio. Avrei preferito che tu non vedessi quello che sono diventato. La colpa è soltanto mia, anche questa volta. Non sono riuscito a lasciarti andare…” “E saresti disposto a farlo a te stesso? Non sopporto l'idea che tu debba affrontare tutto questo da solo!” mi interruppe infastidita. “Questa è la mia lotta, – le dissi calmo – tu dovresti pensare alla tua Inquisizione. Abbiamo evitato un'invasione da parte delle forze qunari. Se avrete fortuna torneranno a concentrarsi sul Tevinter, questo dovrebbe garantirvi alcuni anni di relativa pace.” cercai di rimanere distaccato, solo il pensiero di lasciarla qui assieme alla nostra bambina, in un mondo governato dal caos mi dilaniava. Il Lupo guaiva ai miei piedi, guardandomi crucciato. Per un istante rimasi raggelato, incapace di muovermi.  Il cuore quasi mi si fermò in petto, cercai di respirare.
“I qunari hanno detto che l'Inquisizione in realtà, opera per conto di alcuni agenti di Fen'Harel.” intervenne Dorian “Io non ho dato alcun ordine.” cercai di rispondere strozzato, mi schiarii la voce “Però ci hai condotti qui, a Skyhold…” puntualizzò secca Elanor. “Corypheus sarebbe dovuto morire, liberando così la mia Sfera. Quando è sopravvissuto i miei progetti sono piombati nel caos. Quando hai continuato a vivere, ho visto nell'Inquisizione la migliore possibilità di fermarlo. Dopo gli eventi di Haven, avevate bisogno di una casa, da qui, Skyhold.” le risposi con più freddezza di quanta intendessi. Dorian se ne accorse. “Hai dato tu la tua stessa Sfera a Corypheus?” il mago era scosso da angoscia e disgusto. I ricordi orribili che credevo di avere bandito da tempo mi artigliarono con dita coperte di croste. Non penso che Dorian potesse capire la profondità del mio orrore. “Non direttamente. I miei agenti hanno fatto in modo che i suoi seguaci, i Venatori, la localizzassero. – confessai colpevole – La Sfera aveva accumulato energia magica mentre io ero rimasto incosciente per millenni. Ero troppo debole per aprirla e liberarne il potere. Volevo farla aprire a Corypheus che sarebbe poi morto nell'esplosione risultante, allora la Sfera sarebbe tornata mia. Non avrei mai immaginato che un Magister del Tevinter riuscisse ad apprendere il segreto dell'immortalità.” Cercai in me la rabbia e sentii solo il disgusto. “Cosa sarebbe accaduto, se Corypheus fosse morto e tu avessi recuperato la Sfera?” il viso del giovane mago trasudava preoccupazione, tentava di nascondere la sua delusione. “Sarei entrato nell'Oblio, usando il marchio che ora è sulla mano di Elanor, poi avrei distrutto il Velo. Questo mondo sarebbe sprofondato nel caos ed io avrei riportato in auge il mondo del mio tempo... quello degli elfi. – distolsi lo sguardo dal viso di Dorian – L'ho fatto, il Velo si sta comunque disintegrando…” sussurrai. Dorian inspirò rumorosamente e quasi lo sentii trattenere il respiro, gettò uno sguardo intorno e poi verso l’alto e i suoi occhi incontrarono i miei. Nell’ombra della sala non potevo scorgere bene il suo sguardo, ma in qualche modo lo percepii. Per un istante ci fissammo, ma il suo viso mostrava confusione, non riconoscimento. “Lo temevo. – disse – Abbiamo percepito tutti quell’immensa ondata di magia… speravo solo…” lasciò morire le sue parole chinando il viso. La sua delusione mi aveva risucchiato e fatto a pezzi. “Come?” chiese Elanor spaventata, stringeva a sé la bambina che iniziò a mugolare spaventata. “Come pensi sia tornata Hawke?” le chiesi sentendomi uno stupido. “Così facendo, non hai liberato anche i falsi Dei?” Era una domanda retorica, ma l’ansia mi aveva ossessionato troppo a lungo. La risposta era troppo vicina alle mie labbra, ma il dolore mi spinse a trattenermi “Ho dei piani, per loro.” Elanor mi guardò, sorrise avvicinandosi a me. La bambina era voltata verso di me, cercava di afferrarmi con tutte le sue forze. Sentivo il mio corpo in balìa della sua volontà ferrea, indomita, come quella di Elanor, mi prese la pelliccia e la strinse tra i suoi piccoli pugni, mi avvicinai a lei ed a Elanor, potevo sentire il suo profumo nonostante il puzzo di sangue. “Non avrei mai immaginato che tu potessi fare qualcosa del genere, Solas…” sentii la dolcezza delle sue parole. “Grazie. Per aver compreso. Mi sono svegliato in un mondo dove il Velo aveva bloccato quasi tutti i contatti consapevoli con l'Oblio. È stato come camminare nella nebbia e con tutti i sensi azzerati. Non provavo nulla, nemmeno sentimenti. Mi sembrava di non sentire nulla.” “Quindi noi non siamo neppure persone ai tuoi occhi? – ruggì Dorian rimettendosi in piedi – Dovrei ucciderti in questo preciso istante…” ignorai l’espressione ansiosa di Elanor. “No, all’inizio non lo eravate. – ammisi con sommessa semplicità – Elanor, tu, Cole e tutti quanti voi mi avete mostrato quanto mi sbagliassi… di nuovo. Il che non facilita ciò che tra poco accadrà.” vidi il giovane Tev sbiancare, rimase silenzioso per qualche tempo. Capii che la sua mente vagava di nuovo verso i nostri antichi giorni insieme, poi si piegò in avanti e si prese il viso tra le mani, lo sentii piangere. Il mondo sembrò vacillare intorno a me. Accarezzai il volto di mia figlia, le sorrisi. “Venite con me.” dissi d’un tratto guardando Elanor, i suoi occhi si appuntarono sui miei “C'è ancora la questione dell'Ancora… sta peggiorando, sono un pericolo ovunque io vada.” disse guardandosi il braccio sinistro, pulsava sconnesso e le procurava un dolore mal celato. “Lo so vhenan, e non abbiamo quasi più tempo.” Mi sentii un gran codardo. Avrei dovuto amputarle il braccio, sopra il gomito. Le presi la mano, era sanguinante e gonfia e me la portai al viso, la baciai con tenerezza, sentii le lacrime pungermi gli angoli degli occhi. Avrei dovuto farlo, se volevo che sopravvivesse. Strinse la mano prendendo le mie dita, tremava. Con uno strattone improvviso mi levò la mano dal viso e si piegò sulle ginocchia. Il suo urlo esplose squarciando il fetido silenzio della sala, percepivo l’ansia dei presenti. Elanor alzò il capo e faticò a guardarmi, parlai onestamente. “L’Ancora finirà per ucciderti. Il fatto che io sia qui ora, mi dà la possibilità di salvarti.” mi chinai di fronte a lei e la guardai, sembrava più giovane che mai, eppure aveva gli occhi di una donna morente, trasse un faticoso respiro digrignando i denti. “Solas, var lath vir suledin!” la sentii dire tra i ringhi cupi e doloranti, aveva sempre conservato un posto nel cuore per me, ma ora cuore soffriva per lei. Cercai di stabilizzare il marchio ancora una volta, Elanor era sfinita e non aveva più voce per urlare. Le presi la bambina portandola tra le braccia di Dorian, l’uomo mi guardò “Cos’hai intenzione di farle?” chiese secco guardandomi furente. “Cerco di salvarle la vita. – gli dissi freddo – Poi cercherò di portarvi via da qui.” risposi implacabile, Dorian aggrottò le sopracciglia, corrugando la fronte, prese la bambina e cercò di sorriderle.
 
Ero perplesso e preoccupato per quello che stavo per fare, presi da terra una spada e ne controllai la lama, era messa male, ma avrei dovuto accontentarmi. Cole venne al mio fianco, silenzioso “Vuoi aiutarla, non è vero?” chiese, “Sì Cole, non ho altra scelta, purtroppo.” alzai il capo e lo guardai, lui annuì grave porgendomi una delle sue daghe. La presi di buon grado vedendone la lama ancora affilata nonostante i colpi dati e presi. Mi avvicinai nuovamente ad Elanor, una mano pesante mi fermò. “Non oserai…” ringhiò Cassandra, mi voltai per incontrare il viso della donna, guardò la mia bocca iniziare a muoversi, dopo un attimo parve comprendere. Non avevo ancora parlato quando il suo viso teso sembrò ammorbidirsi “Se serve a farla sopravvivere, ti aiuterò.” L’espressione del Comandante Cullen al suo fianco era grave: mi guardava furibondo, avrebbe voluto uccidermi con le sue mani se ne avesse avuto la forza. Con reticenza accettai il loro aiuto, erano più necessari di quanto mi ero ostinato a pensare. “Dovremmo amputarle il braccio, è l’unico modo. Tenetela ferma, io farò il resto…” sussurrai raggelato, camminando a stento verso Elanor. Cassandra annuì delusa, ma in qualche modo contenta. Si avvicinò ad Elanor che era rannicchiata al suolo, tremante di paura, piangeva dal dolore che quella magia le procurava, il suo braccio era coperto di spire verdi che pulsavano incandescenti segnando e facendo scoppiare la candida pelle. Le passò una mano lercia sul viso. “Sono qui Lavellan, amica mia. Vieni qui, appoggiati contro di me. Stringimi…” le disse tentando di essere quanto più rassicurante possibile, cinse la vita di Elanor con un braccio, con l’altro le circondò il capo portandoselo al volto. Le baciò tremante i capelli scuri. Cullen scosse il capo guardandomi furioso, si allontanò da me “Spero ne valga la pena, che non sia solo un’altra pena gratuita che le vuoi infliggere.” mi disse spazientito “Non sono un mostro.” ribadii fermo e stanco. Cullen mi guardò incattivito e mise ad Elanor un grumo di stoffa logoro tra i denti e le prese il braccio sinistro. “Amore mio…” riuscì solo a dire chiudendo gli occhi. La lama le mozzò l’arto. Nella mia testa l’ululato del Temibile Lupo non riuscì a sovrastare l’urlo di Elanor.

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Capitolo 30
*** Epilogo ***


Un boato scosse il terreno sotto i nostri piedi. La fortezza tremò. Lunus che era dall’altro capo del salone per la prima volta alzò il capo dal cadavere del suo amato, vidi le ombre del suo volto rigato di lacrime. Riuscii a percepire il pensiero che mi colpì attraverso il suo sguardo.

Il Velo.
Confermò il Temibile Lupo, uggiolando isterico.
Non abbiamo più tempo.

Alcuni anni di relativa pace…” ridacchiò Dorian sarcastico, ignorai volutamente il commento e con un rapido movimento delle dita ricucii cauterizzando magicamente l’arto mutilato di Elanor. I suoi occhi erano colmi di lacrime, tentava di trattenerle orgogliosa com’era, ma io riuscivo a sentirle nel suo respiro. Il suo dolore mi trafiggeva come lame di ghiaccio, l’arto reciso smise di sanguinare. Non ebbi il coraggio di dire nulla, Cullen si strappò un pezzo della tunica e me la passò, bendai al meglio che potevo quel braccio lacero. Lo annodai sotto la spalla e tornai a guardare Elanor. “Ce la fai a reggerti in piedi?” le chiese Cassandra con dolcezza. Lei si guardò il moncone, “Sì, credo di sì…” C’era una grande tristezza nelle sue parole. Si tirò in piedi, barcollando un po’, Cassandra la resse con le poche forze che le rimanevano.
Un altro boato. Il tetto crepitò sinistro sopra di noi, la fortezza mi sembrò all’improvviso un immenso castello di carte in balia del vento. “Ed ora cosa facciamo?” chiese Dorian avvicinandosi a noi con mia figlia in braccio, schiacciata contro la sua giubba. La grande mano dell’uomo teneva ancora coperta la sua piccola orecchia a punta, la bimba premuta contro il petto di Dorian mi guardò spaventata. “Cercherò di aprire un portale verso un altro mondo. Cercherò di salvarvi.” Dissi. Il mio sguardo accarezzò Lunus in fondo alla stanza. La vidi accarezzare il volto di Abelas, mi avvicinai a lei. Cole mi seguiva silenzioso, mi fermò prendendomi per un braccio. “Lascia… – mi disse – lascia che ci pensi io.” Mi disse il ragazzo dai capelli di grano. Mi arrestai a pochi passi dalla donna-drago. Il suo volto contratto era una maschera di dolore, rimasi a rabbrividire in un angolo, mi strinsi il torace con le braccia, vedendola in quello stato. Sembrava una bambina: era accovacciata come una ragazzina, le ginocchia sotto il mento e un braccio attorno alle gambe, a piedi nudi. I suoi occhi erano vuoti, una sua mano accarezzava senza sosta la fredda pelle di Abelas. Cole fece un’altra dozzina di passi verso Lunus, e poi la donna-drago urlò. Urlò, urlò fino a rimanere senza fiato, poi sentii il suo faticoso ansimare. “Uccidimi!” mi gridò. “Se hai pietà di me, uccidimi elfo! Hai la forza necessaria per padroneggiare la tua magia! Fallo!” Mi chiesi brevemente se avesse previsto quel momento, se avesse immaginato la mia immobilità e l’avanzata di Cole. Vidi Lunus guardare il ragazzo con il viso deformato dal dolore, le lacrime sembravano non avere una fine, cadevano nel vuoto colpendo il volto immobile dell’elfo ambrato. “L’eternità è un tempo troppo lungo da passare da soli, Cole...” la sentii dire, il ragazzo si chinò verso di lei e le tolse una lacrima dallo zigomo. “...la mia epoca sarebbe finita tanto tempo fa, ma Mythal ebbe pietà di me cercando di salvare qualcosa che ormai era destinato ad essere perduto per sempre.” la donna-drago continuava a passarsi tra le dita i capelli insanguinati di Abelas, sembrava lo stesse coccolando, dolce e premurosa. “E poi arrivò Abelas. Bello e fiero come solo un elfo poteva essere. Si insinuò nella mia vita quasi per gioco, un mio gioco, ma si rivelò ben presto per me quella luce che riusciva a non gettarmi nel baratro della follia. Ed ora che non è più accanto a me cosa mi resta, ragazzo? – chiese più a se stessa che a Cole – Non ho più nulla per cui valga la pena di lottare. Avrei dovuto dirgli che lo amavo... ma ero troppo sciocca, troppo orgogliosa. Ho sempre dato per scontato che ci sarebbe sempre stato, che sarebbe sempre tornato da me dopo ogni battaglia. Ed ora guardalo, giace qui, tra le mie braccia e non si muove, lo chiamo e non mi risponde. Dov'è? Dov'è il mio Abelas? – il suo dolore la stava consumando, vidi le sue lacrime continuare a scendere, cadendo sui capelli dorati e sporchi dell'elfo – Sono sola, vorrei essere come quelle bestie là fuori, senza cervello né cuore, senza rimpianti né dolori... Fin zu'u kopran, Cole?” lo Spirito di Compassione la fissava senza giudicare il suo dolore, senza compatirla le si sedette affianco. “Hai suo figlio.” Vidi Lunus toccarsi il ventre ancora piatto, accennò brevemente un sorriso, ma la tristezza prese il sopravvento “Volevo questo figlio perché era suo. Lui me ne ha fatto dono per legarci ancora di più di quanto già non lo fossimo, per costruire quella famiglia, quella vita regolare che da secoli entrambi sognavamo e che ora non arriverà mai.” Il viso della donna si spostò su di me, ero pietrificato dall’ondata di dolore della donna-drago. Dimenticai perfino di respirare. “Non farlo. – disse Cole – Abelas non vorrebbe questo. Solas può aiutarci, ancora.” disse, Lunus sbuffò in una risata sforzata. “Abelas non può dirlo con certezza, – replicò sfiancata – ma penso che tu abbia ragione, spiritello. Permettetemi di portare il suo corpo con noi.” Cole e Lunus si girarono verso di me, acconsentii alla strana richiesta senza esitazione.
 
Un tremore ci scosse violento, riportandoci con i piedi per terra, precipitammo violentemente nella cruda realtà. “Riportate i feriti qui!” ordinò Elanor guardando anche Cassandra. “Ti prego Cass, facciamo come dice. Qui non siamo al sicuro.” la donna sbuffò disgustata, mi guardò “Se fallisci, elfo, prima che io muoia, sta sicuro che ti ucciderò.” ignorai la minaccia della Cercatrice. Cercai di la calma, cercai di capire come fece Avallac’h, chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi. “Puoi davvero farlo?” chiese Dorian stupefatto. “Non lo so. – Risposi sincero. – Un Saggio elfico non molto tempo fa mi dimostrò essere in grado. In ogni caso non abbiamo alternative. Ho bisogno di te, amico mio. La tua conoscenza della magia temporale mi sarà di grande aiuto.” Lo stupore superò la rabbia che covava da più di un anno nei miei confronti, mantenni la mia concentrazione sulle parole appena sussurrate da Avallac'h quando aprì il portale. Quello richiese molta concentrazione e anche una perdita totale di riservatezza nei miei pensieri. Brancolai percependo le perplessità e le paure di tutti i superstiti. Riuscivo appena a concentrarmi abbastanza, i loro pensieri urtavano contro i miei strindendo come unghie su un vetro. Allargai le braccia e racimolai la mia mana. Mi concentrai. Dorian al mio fianco fece altrettanto, sentivo la sua potente magia unirsi alla mia e tra le nostre mani si formò una sfera dai colori brillanti, tingeva i nostri palmi di arancione e rosso. Dorian mi guardò, la lanciammo davanti a noi, un portale si aprì. I suoi contorni erano molto diversi da quello aperto da Avallac’h, ringhiai. Un attimo dopo il portale si chiuse, esplodendo come una bolla di sapone. Nel silenzio deluso che seguì il nostro tentativo fallito, trovai uno spazio per imprecare. La magia della dislocazione deve basarsi sui ricordi di chi viaggia. disse cupo Dorian. “Ammesso che tu non abbia intenzione di portarci nell’Oblio, dubito ci muoveremo da qui.” Aveva ragione. Frustrato e rabbioso mi presi il viso tra le mani. Il Lupo venne al mio fianco, ma chiusi la mia mente alla sua premura. Guaì sedendosi.
 
Un’esplosione magica mi rischiarò le spalle. La sua luce accecante costrinse Dorian a proteggersi il viso. “Emma solas him mar din'an. Lethallin.” Quella voce. Pensai. “Cos’è successo?” chiese fredda la voce maschile. Non ebbi il coraggio di voltarmi. Sapevo benissimo di chi si trattasse, per questo non avevo la forza di vedere il suo viso. “Abelas…” disse a voce greve di paura. Lo sentii avvicinarsi a me e prendermi per una spalla, mi voltai rimanendo convinto a non incontrare i suoi occhi color acquamarina. “Dimmelo, Fen’Harel. Merito una spiegazione. Ho sentito il cristallo della mia spilla esplodere, ed ora vedo…” le parole gli si smorzarono in gola. Non ebbi il coraggio di giustificarmi. Avallac’h mi guardava in un miscuglio di dolore ed incredulità. Lasciai che il caos di quella stanza parlasse al posto mio. “Abelas si è sacrificato per salvare la mia bambina.” dissi cercando di non sembrare uno stupido ingrato, non credei nemmeno per un istante di esserci riuscito. Avallac’h abbassò lo sguardo. “Arrabbiarsi con te non serve ormai a molto Lethallin. Sono stato attirato qui ed ora questo mondo sta per essere distrutto. Non ho più nemmeno il fiato per maledirti. Mio fratello ha pagato con la sua vita il prezzo richiesto dall’Antico Sangue.” un boato sordo fece staccare alcuni pezzi di intonaco dal soffitto, Cassandra e Cullen si spostarono. Un grosso pezzo di legno precipitò dal soffitto schiantandosi contro un qunari pietrificato che si frantumò sotto il suo peso. “Ho poca energia magica per aprire velocemente un portale verso il mio mondo e tu hai la mana ancora più bassa della mia.” “Questa fortezza non reggerà a lungo…” puntualizzò Dorian guardando il viso cereo del Saggio elfico. Avallac’h si portò una mano al mento, pensieroso. “Ci sono io.” disse con quieta decisione Elanor. Avallac’h si girò verso Elanor guardandola negli occhi, la squadrò. Vide il braccio amputato e poi si voltò verso di me, mi guardò comprensivo sorridendomi complice. Per me fu un pugno in pieno volto. “Ora capisco perché ti sei innamorato di lei fratello.” tornò a voltarsi verso Elanor, le porse la mano invitandola a raggiungerlo che lei prese avanzando verso il Saggio, lui le sorrise guardandola negli occhi viola e le baciò delicato il palmo della mano “Sono stato scortese. Io sono Crevan Espane aep Caomhan Macha, ma tu da’len, puoi chiamarmi Avallac’h.” Elanor si inchinò innanzi all’elfo dagli occhi acquamarina “Sei pronta, bambina?” le chiese un’ultima volta. Lo sguardo di Elanor si posò sul mio viso e vidi l’incertezza invadere il suo volto, il suo sguardo mi rese rabbioso e aggressivo, ma non potevo fare nulla se non aspettare e sperare. “Aprirò un portale per Cintra. Vi troverete davanti ad un territorio martoriato dalla guerra e denso di pericoli, ma se volete sarete al sicuro. Dubito che questo mondo possa ovvrirvi alternative migliori dato che a breve non esisterà più.” Le sue parole astute stavano seminando incertezza in me. “Fallo, te ne prego.” rispose Elanor stanca ma ostinata, vidi la bocca di Avallac’h arricciarsi. Conoscevo di cos’era capace il Saggio e la sua espressione su quel viso triangolare non fu di alcun aiuto a placare la mia frustrata ansia. Mi misi al fianco di Elanor, le poggiai una mano sul fianco carcando di dare a lei la sicurezza che io in quel momento non avevo. Avallac’h mi guardò, sembrava quasi divertito. “Il Lupo deve marcare il suo territorio. – sogghignò Avallac’h – Rilassati Fen’Harel.” mi rassicurò, non che ne avesse bisogno. Vidi i marchi sotto gli occhi del Saggio vibrare di forza. Brillavano nei loro riflessi metallici, sentii il peso del corpo di Elanor crollarmi addosso, la ressi, la vidi chiudere gli occhi e respirare sempre più stanca. Avallac’h continuava ad assorbire la sua magia, inspirando profondamente. Vidi i marchi sul suo volto contorcersi vivaci. Lo vidi abbassare il viso di scatto. I suoi occhi erano vuoti, senza pupille, azzurri come l’acqua del mare in una giornata di sole terso, le lasciò la mano e questa volta scandì bene le parole: “Aevon vort!” l’altra riva, pensai, sorrisi alla semplicità delle parole. Avallac’h mi guardò. Il portale si aprì davanti ai miei occhi, scuro e bordato di azzurro, come lo ricordavo. Rimasi stupefatto. Baciai la testa di Elanor e la presi in braccio. “Ora che hai imparato, usa questa magia con attenzione. La magia della dislocazione fisica solitamente richiede un lungo tempo di preparazione e prosciuga le energie del mago che la lancia. Grazie al mio Spirito sono in grado di essere estremamente veloce nel rigenerare la mia magia. Ci vogliono tanto tempo e tanta pratica.” mi avvisò con un sorriso triste. Di tempo a disposizione il Saggio ne ebbe un’infinità, setacciando lo spazio ed il tempo in cerca di Lara. Continuò a sorridermi con aria triste sapendo la deriva dei miei pensieri.
 
I miei giorni a Skyhold finirono come una partita a Grazia Malevola interrotta, in un risultato equilibrato e incerto, tutte le possibilità erano come sospese. A volte mi parve crudele questa fine, altre volte la pensavo come una benedizione, perché rimaneva forse una speranza di ritornare. È come l’anticipazione che un abile menestrello crea quando fa una pausa, lasciando crescere il silenzio prima di lanciarsi nell’ultimo ritornello della canzone. Talvolta un vuoto può sembrare una promessa da mantenere.
 
Abelas mi manca spesso. So che non incontrerò mai più uno così. Mi ritengo fortunato per ciò che da lui ho ricevuto. Il rispetto prima e l'amicizia poi. Non penso che mi legherò di nuovo in quel modo a qualcuno, non credo conoscerò un’amicizia leale e profonda come quella.
 
Ho Elanor, ho Ainwen e i miei compagni. Avallac’h e Cirilla si sono uniti a noi, al nostro gruppo, a quella che Elanor chiama famiglia.
Tutto questo mi basta, e non chiedo altro.
 
Sto bene.

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Capitolo 31
*** Appendice ***


  • Linguaggio elven
Credits to:
"Project Elvhen part 1-2-3" by FenxShiral http://fenxshiral.tumblr.com/projectelvhen
"Elven language" Dragon Age Wiki FANDOM powered by Wikia http://dragonage.wikia.com/wiki/Elven_language
"geeky-jez translates" http://geeky-jez.tumblr.com/tagged/jez-translates   
"Elvish (Dalish): Constructing Phrases" https://quizlet.com/77353359/elvish-dalish-constructing-phrases-flash-cards/
 
  • Linguaggio draconico
Credits to:
"Thuum.org -  A comunity for the dragon language of the Elder Scrolls V" https://www.thuum.org/dictionary.php?letter=A&mode=english
"Dragon Language" The Elder Scrolls Wiki FANDOM powered by Wikia http://elderscrolls.wikia.com/wiki/Dragon_Language
 
 
 
TRADUZIONI
 
Vhenan: letteralmente significa "cuore". Viene usato come termine di apprezzamento tra amanti.
Vallaslin: scrittura di sangue. L'arte del tatuaggio adoperata da alcuni elfi (Dalish) per mostrare l'adorazione di un particolare Dio del loro Pantheon.
"Ar lath, ma vhenan.": "Ti amo cuore mio."
Evanuris: potenti maghi elfici che si elevarono allo stato di Dei.
Da'len: bambino/a, bambini.
Emma sa'lath: mio unico amore.
Emm'asha: ragazza mia.
Ne'emma lath: sei il mio unico amore.
Dareth shiral: buon viaggio.
"Ir abelas": "Mi dispiace."
"Ir abelas, ma'arlath": "Scusa, ti amo."
Arlathan: capitale del regno Elvhenan.
"Amae lethallin": saluto cordiale in cui si concede il diritto di essere un amico (maschio).
"Ma ghilana, Fen'Harel.": "Che il Temibile Lupo mi guidi."
"Na melana sahlin": "Il tuo tempo è giunto."
Lethallan: sostantivo riferimento a qualcuno di famiglia (in questo caso di sesso femminile).
"Venavis!": "Fermatevi!"
Sh’amlen: umani
"Mythal'enaste": "Favore di Mythal"
Lethallin: sostantivo riferimento a qualcuno di famiglia (in questo caso di sesso maschile).
"Drem yol lok, fahdon Grohiik": "Salute a te, amico Lupo."
"Aav UI": "Abbraccia l'eternità."
Delltash: pazzo/a
Delavir: stupido
"Dirth ma, harellan? Ma banal enasalin. Mar solas ena mar din": "Hai imparato, impostore? Non era una vittoria. Il tuo orgoglio sarà la tua morte, amico."
"Banal nadas": "Non devi dire niente" / "Chiudi quella cazzo di bocca"
"Dreh nid aus, Grohiik! Ni los dilon.": "Non soffrire, Lupo! Non è morta."
Lothiin: fiorellino
Ma'arlath: amore mio.
"Ar lasa mala revas.": "Ti dono la libertà."
"Dovahkiin": "Sangue di Drago."
"Ar'din nuvenin na'din.": "Non voglio ucciderti."
"Praan kotin revak Sovngarde!": "Riposerai nella sacra Sovngarde!"
Dovah: Draghi antichi, dotati di senzienza.
"Ma serannas": "Ti ringrazio."
"Ma melava halani, ma serannas.": "Mi hai aiutato, ti ringrazio."
"Hi los ni bonaar, Fahliil!": "Tu non sei molto umile, elfo"
"Hin du'ul los ni hin suleyk, Grohiik. Hin kah los nunon aan motaad.": "La tua corona non è il tuo potere, Lupo. La tua fierezza sarà solamente un lieve sussulto."
"Na melana sahlin!": "Il tuo tempo è giunto!"
"Nahlot, volaan!": "Silenzio, intruso!"
"Zu'u fen dein hi stin nol dilon, Grohiik.": "Io ti ucciderò, Lupo."
Hahren: Anziano. Termine usato per indicare un leader o una figura importante all’interno di un clan Dalish.
"Dii frin fahliil": "Mio zelante elfo"
"Hamin somniar, ma vhenan": "Resta nel sogno, cuore mio."
"Losei mulhaan nahlaas, Grohiik... Krin!": "Tu sei ancora vivo, Lupo... Coraggioso!"
"Va fail": "Arrivederci."
Zireael: Rondine
"On dhea'lam, ma da'len": “Buona sera, bambina mia.”
"Fen'Harel ma halam.": "Che il Temibile Lupo ti finisca."
"Panahedan": "Addio." (Qunat)
"Ebasit kata itwa-ost.": "Questa è la fine, hai fallito." (Qunat)
"Maraas kata!": "Nulla è perduto!" (Qunat)
"Tel'abelas": Letteralmente significa "Non scusarti, non dispiacerti."
[Nota. "tel'abelas" è una frase ambigua, molto interessante in questo contesto e penso che ci siano diversi modi per interpretarla. Lavellan potrebbe dire: "Non è dispiaciuto (mentire a me)" o "non mi dispiace (di averti chiamato bugiardo)". Data la natura della lingua Elven, potrebbe significare entrambe le cose contemporaneamente.
Alcune fonti mi ha sottolineato che "tel'abelas" potrebbe essere anche solo la risposta predefinita a "ir abelas", come quando la gente chiede "come stai?" le si risponde semplicemente "bene" come predefinito. In quel caso, "tel'abelas" sarebbe fondamentalmente solo un riconoscere che c'era una scusa. Non significa niente da solo.
C'è però un esempio di "tel'abelas" che viene utilizzato nel gioco, dopo aver liberato l'amica Spirito di Solas, quando Solas stesso dice allo Spirito di Saggezza "ir abelas", lei risponde con "tel'Abelas". Forse stava dicendo: "Non scusarti." Il significato del "non si dispiace" è ancora dipendente dall'intenzione di Lavellan. Potrebbe essere un'accettazione della scusa.
Oppure ancora potrebbe essere un modo per far capire che le scuse non valgono niente e che dovrebbe piuttosto dirgli la verità, la mia personale interpretazione è che Lavellan sta dicendo: "Non scusarti. Se ti interessa, dimmi la verità."]
Din'anshiral: viaggio verso la fine.
"Solas, var lath vir suledin!": letteralmente "Solas, non mi arrenderò" / "Solas, non rinuncio a te", in questo contesto "Solas, il nostro amore troverà il modo di durare."
"Fin zu'u kopran": "Che cosa mi resta."
"Emma solas him mar din'an.": "L'arroganza sarà la tua fine, fratello."
"Aevon vort": "L'altra riva"

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