I'll be on the floor

di svevalovesblue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cigarettes and Chocolate Milk ***
Capitolo 3: *** From the Dining Table ***



Capitolo 1
*** Cigarettes and Chocolate Milk ***


«Sicura di non voler una di queste?» Agitò in aria la sigaretta con fare presuntuoso, sul volto un sorriso simile ad un ghigno. «Sai benissimo che non fumo e, per quanto ne so, non fumi neanche tu. Ricordo quella volta a capodanno, non facevi altro che lamentarti di chiunque avesse una sigaretta fra le dita.» Il fatto che stessimo parlando nel suo ufficio, divisi dalla sua scrivania, rendeva tutto ancora più strano. Era peggio di quanto pensassi e mi agitava. Nonostante cercassi di non farlo notare, il battito accelerato e il fiato corto, le mani tremanti e i giramenti di testa mi fecero quasi immediatamente rimpiangere di essere venuta. Sapevo che sarebbe andata male, e sapevo anche che avrebbe provato ad essere odioso solo per farmelo dimenticare e chiudere quella storia una volta per tutte, ed entrambi sapevamo che non avrebbe funzionato. 
 «Harry» gli presi la sigaretta dalle mani e la spensi nel posacenere di vetro di suo padre, ricordavo di averlo già visto a casa sua ed ero abbastanza certa che non l'avesse usato prima di quel momento. «Devi smetterla di comportarti da bambino. Sono venuta qui sperando che mi avresti finalmente parlato in maniera esaustiva, ma è evidente che mi sbagliavo. Di certo non ho fatto più di settanta chilometri per vederti fumare. Cosa che, tra l'altro, odi» Lo guardai con fermezza, non stava più sorridendo. Si passò le mani sul viso e chiuse gli occhi, sfiorando prima la punta del naso e poi la fronte con le mani incrociate, sui gomiti che aveva poggiato sul tavolo scuro. Dalla finestra entrava qualche debole raggio di sole e nella stanza aleggiava ancora la puzza di fumo mischiata a quella di vernice. Le pareti erano state ridipinte da poco di un bianco freddo, quasi sui toni del blu. La metà dei libri era stata lasciata a terra, gli altri erano ancora negli scatoloni. L'intera casa era in quelle condizioni, l'unica differenza era che nelle altre stanze non erano solo i libri ad intralciare il passaggio, ma tutta la sua roba, vestiti sporchi compresi. E nonostante fosse appena tornato dalla Jamaica, avevo capito che non stesse bene. In circostanze normali, avrebbe già finito di sistemare. 
 Quando riaprì gli occhi mi vide massaggiarmi le tempie e alzò l'indice a mezz'aria, indicando una delle scatole alla mia destra, con la scritta «Medicine» su un lato. Era già stata aperta, al contrario di molte altre. «Lì c'è una confezione di Moment. Prendila, non ne hai mai a casa quando ti serve. Hai fatto colazione?» Scossi leggermente il capo. Dal viso gli era sparita l'espressione cupa di prima, ne aveva una stanca e, devo ammettere, vagamente preoccupata. «Quanti ansiolitici hai preso? E soprattutto, quali? Sei pallida da far paura, e stai tremando in una casa riscaldata. Ti avevo detto che avresti dovuto smetterla con quella roba, Zoe, ogni volta che ricominci a prenderli stai sempre peggio. Magari puoi mentire al tuo ragazzo, ma non puoi prendere in giro me.» Rimasi a bocca aperta per qualche secondo, non mi sorprese il fatto che ci avesse preso in pieno, ancora una volta, perchè ero convinta sin dall'inizio che se ne fosse accorto, ma non pensavo che me l'avrebbe detto. Non in quel momento e non in quella situazione. Ripresi a respirare e mi allungai verso la scatola, afferrai la confezione bianca e azzurra ancora sigillata.        
 Prima che me ne rendessi conto, eravamo nella sua macchina e mi stava portando a fare colazione. Non avevo smesso di tremare e le numerose curve non facevano che peggiorare la sensazione di nausea. Stavo male, davvero, ed anche questa volta era stato lui ad aiutarmi a fare i conti con la realtà. Il cielo era grigio, e sul vetro cominciarono a cadere numerose gocce di pioggia. La temperatura sembrò calare in un attimo. Non dissi niente, ma battevo i denti. Non riuscii a prestare attenzione al tragitto, e fu solo quando scesi dalla macchina che realizzai che mi aveva portato di nuovo a casa sua. Rimasi imbambolata per qualche secondo, in giardino, senza riuscire a muovere le gambe o a dire qualcosa, e capelli e vestiti mi si infradiciarono in un attimo. Cercai inutilmente di coprirmi meglio con le maniche larghe del mio maglione, e sentii Harry caricarmi sulle spalle e portarmi dentro casa, mentre faticavo per tenere gli occhi semi aperti. 
 Quando mi risvegliai ero sul suo letto, con vestiti asciutti, anche i capelli lo erano. Sul comodino c'era una tazza vuota, sembrava che prima contenesse latte al cioccolato, il suo preferito. Ero riscaldata da almeno due coperte, e avevo la sensazione di aver vomitato. A confermarlo fu la figura di Harry intenta a smacchiare i suoi pantaloni e le sue scarpe in bagno. Continuavo a sudare e mi girava la testa, la sentivo pesante. «Harry...» la voce uscì flebile dalle mie labbra. Non sembrava sicuro di aver sentito qualcosa, era di spalle ma aveva fermato il getto dell'acqua e girato la testa di qualche centimetro, come se stesse cercando di sentire meglio. «Harry» provai ad alzare un po' la voce. «Zoe» Si girò di scatto e mi si avvicinò, lasciando i pantaloni macchiati sul lavandino. «Dio santo, questa volta hai rischiato davvero.» L'unica luce accesa era quella del bagno. Aveva anche abbassato le tapparelle. «Il dottore ha detto che non c'era bisogno di portarti in ospedale, ma devi smetterla adesso di prendere qualunque cosa tu stessi prendendo.» Mi sforzai di sollevare almeno un minimo le palpebre. «Il dottore?» Mi guardò come se fossi pazza «Si, il dottore! Secondo te cosa avrei dovuto fare, lasciarti crepare in mezzo alla strada, sotto la pioggia? Guardati, non ti reggi in piedi. Anzi, peggio, non riesci neanche a tenere gli occhi aperti. Mi spieghi che ti è saltato in mente? E quel cazzone del tuo fidanzato? Se ne frega?» Muoveva la gamba senza rendersene conto, e così facendo muoveva anche il materasso, e temetti che potessi vomitare di nuovo. «Harry, io non sono fidanzata. Dove l'hai senita questa cretinata? Con chi mi hanno accoppiata stavolta?» Si passò la lingua sulle labbra e distolse lo sguardo da me per un attimo, espirando rumorosamente dal naso. Era ancora arrabbiato e non potevo biasimarlo, mi ero lasciata completamente andare. Prima di andare da lui, non ero uscita per quattro giorni di casa, ed avevo passato la maggior parte di quel tempo a letto, riempiendomi di tranquillanti e altre schifezze, che avevano solo peggiorato la situazione. Provai a mettermi a sedere, ma dovetti farmi aiutare da Harry. Ogni mio movimento era accompagnato da dolori di vario tipo. Cedetti di nuovo e gli finì addosso, ma questa volta non persi i sensi. A quel punto mi stesi di nuovo e chiusi gli occhi. «Scusami» sussurrai. Passarono alcuni secondi prima che mi rispondesse. «Non devi chiedere scusa a me, al massimo dovresti chiederla a te stessa.» Gli sfiorai la mano e poi la allontanai di nuovo, portandola all'altezza del cuscino «Si, può darsi.» 
 Lo sentì alzarsi dal materasso e camminare verso il bagno per spegnere la luce, poi uscì dalla stanza. 

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Capitolo 3
*** From the Dining Table ***


Avevo passato un'intera settimana a pensare ad Harry e a quello che era successo a casa sua, fin troppo velocemente. Non mi capitava spesso di sentirmi così male, e mi sentii ridicola per essere sembrata così debole e stupida. Era un atteggiamento che avevo giudicato per anni e speravo che non peggiorasse la situazione fra me e Harry. Non volevo essere la vittima, la ragazza che accudisci come se fosse un cane bastonato trovato per strada solo perchè ti fa pena. Continuava a tornarmi in mente il suo sguardo severo, e, devo ammettere, trovavo «dovresti chiedere scusa a te stessa» una frase fatta. Può sembrare un pensiero cattivo, non intendo sminuirne il significato, e so benissimo che poteva averla detta per farmi realizzare che avevo esagerato, ma in un momento del genere avevo probabilmente bisogno di una sgridata, piuttosto che una scena da film drammatico. E poi, era successo una sola volta, non era di certo un'abitudine. In cucina, alle sette del mattino, si gelava. Per preparare la colazione, cosa che non facevo da anni, dovetti indossare il maglione più caldo che avessi. I termosifoni erano rotti da tre giorni in tutto il quartiere, per colpa della neve, e durante le vacanze di Natale non potevo che arrangiarmi. Mi tornò in mente l'inverno di qualche anno prima, prima che io e Harry ci lasciassimo per l'ennesima volta. Era appena tornato da Holmes Chapel e qui a Londra la neve aveva causato lo stesso problema, e inoltre le strade più strette come la mia erano impossibili da attraversare in macchina, nonostante i camion spazzaneve passassero in continuazione. Ci eravamo svegliati prima dell'alba con l'idea di camminare per la città ancora buia e poi fermarci in un bar in Hyde Park, ma la serratura della porta d'ingresso si era ghiacciata e spezzammo la chiave provando a sbloccarla. Per non rischiare ancora decidemmo di rimanere a casa e prepararci la colazione da soli. Baciarlo e sentire il sapore di caffè sulle sue labbra mi piaceva da impazzire. Controllai il telefono che avevo lasciato sul tavolo la sera prima, mentre bevevo il primo sorso di caffeina del giorno. C'erano due chiamate perse da mia madre e una decina di messaggi da parte dei miei amici. Avevo raccontato solo ad Hailey dell'incidente a casa di Harry, e si era arrabbiata così tanto da spaccare un bicchiere. Trovai la sua reazione esagerata, ma non dissi niente. Era sempre stata molto melodrammatica, e mi limitai a scusarmi un paio di volte mentre mi gridava discorsi sull'amicizia che reputai fin troppo banali. Aveva ragione ad arrabbiarsi, certo, ma non fino a quel punto. La situazione era tornata alla normalità, per così dire, solo dopo qualche ora. Mi aveva scritto che voleva portarmi a pranzo e passare del tempo con me, e soprattutto farmi uscire di casa. Strinsi la tazza che avevo in mano, seduta al tavolo della cucina, accanto alla finestra, e mi accorsi che aveva appena ripreso a nevicare. Il cielo era bianco e luminoso e la neve attuttiva ogni tipo di rumore. Gironzolai per la casa vuota e silenziosa bevendo un sorso di caffèlatte dopo l'altro. Il divano in salotto era pieno di coperte e avevo dimenticato di rimettere al loro posto i DVD che avevo guardato la sera prima, che invece giacevano a terra in una pila disordinata e traballante. Poggiai la tazza sul tavolino in mezzo alla stanza e li raccolsi, sistemandoli nella libreria. Strofinai le mani nel tentativo di riscaldarle e finì il caffèlatte rimasto in un unico sorso, tornai in cucina per lasciare la tazza nel lavello. Mi iniziai a preparare quando arrivarono le dieci. Avevo letto per due ore consecutive, ed ero stata interrotta da un messaggio di Hailey che mi avvisava di farmi trovare pronta in tre quarti d'ora massimo. Andai a farmi una doccia e cercai nell'armadio dei vestiti che non mi facessero tremare per tutta la giornata, Hailey suonò il campanello prima che avessi finito di truccarmi. Quando uscimmo dall'appartamento e mi concentrai per chiudere la porta d'ingresso con cautela, sperando di non spezzare la chiave, una folata di vento gelido mi pizzicò la pelle e mi fece rabbrividire. Riuscii nel mio intento senza creare danni e tirai un sospiro di sollievo. Ora il centro di Londra era pieno di turisti carichi di buste regalo, artisti di strada, decorazioni natalizie in ogni angolo. Le strade non erano più ghiacciate e i taxi e le auto avevano ricominciato a circolare. E' sempre stata la mia città preferita, e sotto la neve era ancora più suggestiva. Strinsi un braccio intorno ad Hailey e la ringraziai di avermi convinta ad uscire di casa, mi sorrise e ricambiò l'abbraccio mentre imboccavamo il Southwark Bridge. Un po' di neve mi si era sciolta negli stivali e mi aveva inzuppato le calze e i piedi, che quasi non sentivo più. Avevo alcuni fiocchi fra i capelli e sul cappotto, e le guance arrossate. Hailey invece sembrava non soffrisse così tanto il freddo. Non tremava e ad un certo punto si era anche tolta i guanti, reputandoli troppo scomodi. Avevo conosciuto Hailey quattro anni prima, all'università. All'inizio non andavamo per niente d'accordo, finivamo sempre per discutere animatamente sulle nostre medie, essendo fin troppo competitive. Legammo nel secondo anno grazie ad Alex, un'amica che avevamo in comune. Alex era la persona più positiva e socievole che avessi mai incontrato, e passavamo così tanto tempo insieme da essere scambiate per sorelle, talvolta. Dopo l'arrivo di Hailey nel gruppo, però, cominciammo ad allontanarci, pur restando in buoni rapporti, e dopo esserci laureate perdemmo quasi completamente i contatti. In ogni caso, fu proprio lei a farmi conoscere Harry, oltre che Hailey. Il ventinove dicembre di tre anni prima organizzammo una cena in uno dei ristoranti più carini che potessimo trovare per festeggiare il mio compleanno. Eravamo una decina di persone, prevalentemente compagni di università, Hailey aveva portato il suo fidanzato, ed Alex arrivò per ultima, dietro di lei c'era un ragazzo alto, bellissimo. Si scusò per il minimo ritardo e lo presentò come Harry, un suo vecchio amico, che era rimasto con una ruota a terra. Continuò facendom gli auguri con voce acuta e l'espressione imbarazzata, tirando fuori dalla borsa un regalo. Ce ne aveva già parlato in passato descrivendolo come il classico ragazzo misterioso e perfetto, e ogni volta le dicevo che stava sicuramente esagerando perdendosi in frasi fatte. La ringraziai e mi presentai al ragazzo dicendogli di non preoccuparsi e che poteva restare quanto voleva. Mi strinse la mano e sorrise, «Grazie, scusa il disurbo e, be', buon compleanno.» Portava degli anelli ad entrambe le mani, e sotto la giacca una camicia blu. I capelli erano ricci e aveva degli occhi verdi, simili ai miei, che mi piacevano fin troppo. Già a metà serata la maggior parte degli invitati era un po' brilla, Hailey compresa, che non faceva altro che prendermi in giro e farmi arrossire di fronte a lui. «Parlaci, Zoe! Sono sicura che non morde... o forse si?» mi sussurrò all'orecchio con voce maliziosa, e ridacchiò versandosi un altro po' di vino bianco nel calice che temevo potesse cadere, per quanto lo stesse agitando qua e là. Le presi la bottiglia dalle mani e le dissi ridendo che forse non era il caso di continuare a bere. Parlando, io e Harry ci accorgemmo che avevamo molte cose in comune, come l'amore per la fotografia, e si creò subito una perfetta sintonia fra di noi, per quanto possa sembrare banale. Quando invece stavamo chiacchierando con gli altri invitati, ci scambiavamo occhiate e sorrisetti carichi di imbarazzo a vicenda. Dopo la cena gli altri vollero fare una passeggiata e, fra una risata e l'altra, ci scambiammo i numeri di telefono. «Dobbiamo assolutamente vederci di nuovo.» Si passò una mano fra i capelli e sorrise, mentre apriva lo sportello della macchina di Alex, che stava ancora parlando con Hailey e i pochi amici rimasti, per appoggiarci un braccio sopra. Anche io stavo sorridendo, e gli risposi che io e i ragazzi, gli stessi di quella sera, avremmo festeggiato capodanno a casa mia, e mi avrebbe fatto molto piacere se fosse venuto. Accettò l'invito con piacere e ci salutammo, indecisi se abbracciarci o stringerci la mano. Optammo per la prima. La sera del 31 dicembre ci baciammo per la prima volta e festeggiammo fino all'alba. Un mese dopo, ci fidanzammo. Hailey e io pranzammo in un ristorante nei pressi del Millennium Bridge. La sala era accogliente e abbastanza semplice. Le pareti erano bianche e le vetrate la rendevano ancora più luminosa. Quasi tutti i tavoli erano occupati da gente di qualunque età e noi ci sedemmo ad uno di quelli che si affacciavano sulla strada. Quando tolsi i guanti, vidi che anche le mie mani erano arrossate, e fui felice di riscaldarmi, finalmente. Hailey ordinò una zuppa ed io un piatto di carne, e scoppiai a ridere quando notai che ci aveva appena provato con il cameriere. «Non prendermi in giro!» disse ridendo a sua volta mentre controllava il cellulare. Decisi di dare un'occhiata al mio e mi ricordai delle chiamate perse da parte di mia madre. Le scrissi che ero andata a dormire prima e che in quel momento ero a pranzo con Hailey. «Allora, stasera ti va di vedere un film da me? Non mi va di uscire, se vuoi puoi anche fermarti a dormire» mi chiese mentre giocherellava con la forchetta. Era elegante, molto più di me, e aveva l'aria di essere stanca. I capelli castani le ricadevano sulle spalle, indossava i tacchi e un tailleur nero. Sulle labbra un rossetto rosso scuro, opaco. Era sempre stata una bella ragazza con dei buoni gusti. «Certo, la cena la ordiniamo a domicilio?» Intanto il cameriere ci aveva portato i piatti e augurato buon appetito sorridendo ad Hailey, che sorrise a sua volta. «Si, come al solito» Nel pomeriggio passammo da casa mia e preparammo velocemente il borsone da portare a casa sua, dove avremmo guardato Notting Hill per l'ennesima volta. Con una mano teneva il volante e con l'altra cambiava continuamente stazione radio. Non nevicava più, e mi accorsi di non aver pensato ad Harry per tutto il giorno. La strada era trafficata, e restammo in macchina per più di quaranta minuti. «Hailey?» Mi guardò velocemente, «Sì?» Cercai di avere l'espressione più seria possibile. «Dovrai aiutarmi a organizzare la mia festa di compleanno.» Scoppiammo a ridere «Pensavo dovessi dirmi qualcosa di serio, e comunque l'avevo già dato per scontato.»

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