Tra le righe

di Sarck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Twister ***
Capitolo 2: *** Overdose di Coca-Cola ghiacciata ***
Capitolo 3: *** Ventilatore ***
Capitolo 4: *** Car wash ***



Capitolo 1
*** Twister ***


Titolo: Twister
Rating: giallo
Parole: 724
Tipo di coppia: shonen'ai, Yaoi
Pairing: Kageyama x Hinata (la mia prima Kagehina, aaaw)
Prompt: doveva essere "A si confessa a B un giorno d'estate" e il bonus "giocare a twister", ma visto che sono bulla ho deciso di utilizzare "giocare a Twister" come un vero e proprio prompt. (Generatore causale di prompt Summer Time! Fanwriter.it)
Note: è assolutamnete una storiella senza pretese, più comica che altro. Volevo comunque condividerla con voi, perchè mi sono divertita a scriverla

 

 

Twister 

 

 

Kageyama non ha mai provato rancore nei confronti di Sawamura. Neanche quella volta che lo aveva sbattuto fuori dalla palestra, accartocciadogli in mano la richiesta d'iscrizione al club di pallavolo, o tutte quelle volte che lo aveva guardato con occhi così arrabbiati da farlo sudare freddo e arretrare di un paio di passi. Una volta gli aveva tirato una pacca così forte sulla schiena da bloccargli il respiro, ma neanche quel giorno se l'era presa con lui. Succede quella sera di fine agosto, però, quando sorridendo con i suoi occhi nocciola e ondeggiando in aria una lattina di Pop “braccio destro rosso” tuona allegro, prima di prendere una lunga sorsata. Kageyama, in quell'esatto momento, maledice mentalmente il suo senpai per la prima volta.

“Kageyamaaaa, dai che non resisto più” è l'ansimo affaticato di Noya, incastrato in una posizione scomposta, con il gomito di Tanaka in mezzo alle costole.

In risposta Tobio grugnisce e compie quell'unico movimento che gli manca per rispettare la richiesta del gioco, la posizione peggiore di tutte.

“Ehi” trilla Hinata, preoccupato, nel momento in cui Kageyama poggia anche il braccio sinistro oltre la sua spalla, il volto a poche spanne da lui che tiene con insistenza girato dalla parte opposta, per essere un po’ più lontano. “Non cadermi addosso”.

Kageyama non può far altro che alzare il collo e lanciargli una di quelle occhiate stizzite e irose che lo caratterizzano, ma si pente immediatamente della mossa azzardata. Hinata, sotto di lui, schiena inarcata e guance arrossate, ha il respiro pesante – risalutato di una posizione scomoda mantenuta per troppo tempo – che si infrange sul suo mento, al confine con la bocca. Kageyama lo guarda incastrato sotto di lui tra i suoi avambracci, con le labbra sottili e rosa aperte per prendere più ossigeno possibile e sente lo stomaco contrarsi, agitato.
Vorrebbe far scivolare la lingua tra quelle labbra umide.

“Sta zitto, non sono io quello che cade sempre come un sacco di patate” riesce a rispondere, staccando lo sguardo dalla sua bocca solo dopo una manciata troppo abbondante di secondi. Sente le orecchie bruciargli e spera che i capelli sottili ne celino abbastanza il rossore.

Il gioco diventa davvero troppo (di conseguenza aumentano esponenzialmente le maledizioni nei confronti del suo senpai) quando tocca di nuovo ad Hinata.
Kageyama si ritrova – non sa come e proprio non vuole saperlo – con il ginocchio di lui in mezzo alle gambe. Per un attimo preme contro il cavallo dei suoi pantaloni e lui si ritrova a risucchiare un respiro tra i denti, strizzando le palpebre.
Spera solo che quel dannato ragazzetto irrequieto, sotto di lui, rimanga il più fermo possibile. Perché lui, da parte sua, ce la sta mettendo tutta per non premerlo contro il pavimento e spingergli il bacino addosso, fino a vederlo aprire ancora di più le labbra, per mugugnare, più che per respirare.

Deve assolutamente distrarsi. Guarda male Sawamura da sotto il ciuffo di capelli scuri, sicuro di poterlo incenerire con lo sguardo. Lui neanche se ne accorge, sorride, lancia una gomitata a Suga e comunica la prossima mossa a Tanaka, dopo aver girato la lancetta su una piccola ruota a spicchi colorati. È più o meno in quel punto, quando Ryuunosuke sposta la gamba troppo di lato, che succedono tre cose.
La prima: il ginocchio di Kageyama, sotto la sollecitazione del piede di Tanaka, cede. La seconda: Sugawara scoppia a ridere e rovescia con una manata la lattina di Pop che Daichi teneva in mano, che si riversa a poco dalla testa di Tobio. La terza: Kageyama cade, proprio sopra Hinata, schiacciando il suo piccolo corpo sotto di sé.

La vicenda, vista da questa prospettiva, potrebbe non sembrare così tanto tragica, a dir del vero. Kageyama potrebbe tranquillamente imprecare, insultare qualcuno a caso (Hinata, ad esempio, giusto perché ci prende gusto) e rialzarsi facendo peso sui gomiti, annunciando di aver perso ed essere fuori dal gioco. Tutto questo sarebbe semplicissimo, se non fosse che Hinata, con il respiro affaticato e gli occhi scintillanti sotto le ciglia a spazzola, poco prima che Tanaka si muovesse, “certo che visto da vicino sei proprio carino” aveva soffiato in faccia a Tobio.

Tutto ciò sarebbe ancora minimamente tollerabile, se sorvolassimo su un altro, non così futile, particolare. Kageyama è da qualche minuto che ha un'erezione.

Hinata, ovviamente, sente tutto.

 

 

È Yamaguchi a vincere a Twister, comunque.

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Capitolo 2
*** Overdose di Coca-Cola ghiacciata ***


Titolo: Overdose di Coca-Cola ghiacciata
Rating: verde
Parole: 985 
Tipo di coppia: shonen'ai, Yaoi
Pairing: Bokuto x Akaashi 
Prompt: omonimo del titolo; "overdose di Coca-Cola ghiacciata". (Generatore causale di prompt Summer Time! Fanwriter.it). 
Note: in realtà ho utilizzato questo prompt solo marginalmente, è tutta una scusa per descrivere un Bokuto lamentoso che pretende l'affetto e la vicinanza di Keiji (quanto mi intenerisceeeee Koutarou, non so controllarmi *^*). Un cuoricino a tutte quelle che hanno deciso di seguire questa cosetta di raccolta  

 

 

 

 

 

Overdose di Coca-Cola ghiacciata

 

 

Volgendo gli occhi verso Haruki, da sotto la visiera del cappellino che gli ha infilato in testa Bokuto – contro la sua volontà – Akaashi continua a sorseggiare il suo thè al limone. Termina in piccole sorsate la lattina e dopo essersi leccato le labbra dolcissime “pensa davvero di fare colpo su qualche ragazza attirando così l’attenzione?” chiede retorico, un sopracciglio incurvato verso l’alto. L’altro, in risposta, ride ancora più forte di prima.

“Akaashi, la realtà è che a quell’idiota non gliene frega davvero nulla di fare colpo su una ragazza”.

Le sopracciglia gli si aggrottano, non pienamente convinto. Continua a guardare Bokuto, comunque, invidiando un po’ quell’assenza di amor proprio che gli impedisce di vergognarsi, qualsiasi cosa faccia.

“Eppure proprio ieri sera, quando era mezzo brillo, si è messo a raccontare di quanto le cosce lo…”. Si ferma, si imbarazza leggermente e abbassa un po’ di più la visiera sulla fronte, nella testa l’immagine delle guance arrossate di Bokuto e le sue pupille enormi. “… Gli piacessero” aggiusta poi, cercando un verbo abbastanza adatto e non troppo volgare.

“Vorrei farti notare”, Akaashi che lo guarda in silenzio, la canzone che termina, “che le cosce ce le hanno sia gli uomini che le donne”. Poi, come se nulla avesse detto, come se non avesse notato le guance dell’alzatore farsi improvvisamente rossissime, Haruki si allontana e parte la Macarena.

Bokuto balla anche quella, schiacciando quasi ad ogni passo i piedi di qualche ragazzino, totalmente concentrato ad imitare alla perfezione i passi dell’animatore. Keiji rimane lì, in piedi, la lattina vuota in mano, a guardarlo fino alla fine dei balli di gruppo.

 

***

 Con la sabbia incollata ai piedi, fino alle caviglie, e le infradito abbandonate in modo disordinato a lato dell'asciugamano, Akaashi si porta una mano davanti al volto, cercando di rendere meno intensi i raggi del sole che gli trafiggono le palpebre. Non vuole aprire gli occhi, ma non vuole neanche girare il volto verso destra perché, da quella parte, vi troverebbe le guance tirate, le sopracciglia incurvate e il labbro inferiore cedevole, sporgente oltre quello superiore, di Bokuto.

“Akaashi” miagola, mentre ancora tiene fermo nella mano grande il suo avambraccio, “rimani qui con me, potrebbero essere i miei ultimi istanti di vita”.

Quando Bokuto lo ha trascinato giù con irruenza, obbligandolo a sedere – e poi stendersi – di fianco a lui, tutta la sabbia è finita sul telo da spiaggia. Ora la sente ruvida sotto le cosce ed è costretto a muoverle, sfiorando inevitabilmente quelle scoperte del suo compagno disteso. Si irrigidisce all'istante, ricordando il discorso insensato di Haruki, e ferma completamente qualsiasi movimento, perfino il respiro. Non può evitare, poco più tardi, di rilasciare il fiato con una forza eccessiva, che viene evidentemente percepita come uno sbuffo da parte dell'altro.

“Akaashi, non arrabbiarti con me, dovresti essere gentile proprio quando sto male”.

È a quel punto allora che decide che va bene così; può anche parlargli mantenendo il volto rivolto verso l'alto, con il palmo sinistro a proteggerlo dal sole. Non deve per forza voltarsi e guardarlo negli occhi per rispondergli. Il berretto non ricorda dove lo ha lasciato.

“Bokuto-san non sono arrabbiato e non stai per morire, in ogni caso”.

Girarsi significherebbe avere il volto di lui troppo vicino, a quella distanza in cui gli occhi sono costretti a convergere eccessivamente, per potersi guardare con una messa a fuoco decente. Quella distanza in cui il respiro è troppo vicino al volto, i capelli di Bokuto troppo privi di gel e morbidi contro la sua tempia – e poi spalla, quando inclina la testa per appoggiarsi a lui – e l’asciugamano troppo piccolo per non toccarsi continuamente. Dunque rimane fermo, con il palmo di quel braccio che il suo schiacciatore sta ancora stringendo, premuto con forza contro il tessuto dell'asciugamano. Sudato, un poco.

“Mi fa malissimo la pancia”

“Lo so Bokuto. Tutta quella Coca-Cola ghiacciata non fa bene, soprattutto dopo aver ballato per un’ora”.

Bokuto strofina la guancia contro la sua spalla – provocando una paralisi totale al già immobile Keiji – e borbotta “ma mi piace, soprattutto con il ghiaccio”.

Arriva uno schizzo sul fianco di Akaashi, il getto di una pistola ad acqua che non era evidentemente rivolto a lui. Immediatamente dopo vede sfrecciare davanti ai suoi occhi (sì, ha sollevato lievemente le palpebre e guarda nello spazio tra indice e medio) Yamato, inseguito da Akinori, armato.

Abbassa di nuovo le palpebre, strizzando gli occhi infastiditi dalla luce fortissima e “Bokuto-san” spiega, paziente, “solo perché qualcosa ti piace non vuol dire che devi assumerne in maniera spropositata”.

La riposta gli viene soffiata sul collo, segno che ha sollevato il capo per guardarlo.

“Ma se qualcosa mi piace non può farmi male, se mi facesse male non mi piacerebbe”.

La mano scivola via dagli occhi, la abbandona sulla sabbia bollente. Per un'inspiegabile ragione pensa a lui, a Bokuto, e al fatto che, evidentemente, essere segretamente innamorato di lui non deve fargli poi così male, se non ha neanche mai provato a smettere di esserlo.

“A volte” asserisce “sai formulare dei pensieri davvero profondi”.

“A cosa serve, tanto sto per morire”.

Come non detto.

“Non si muore per un mal di pancia, Bokuto-san”

“Per un mal di pancia fortissimo sì”.

Forse può aprire un po’ gli occhi, giusto un pochino. Se gira il capo verso sinistra non si ritrova il volto di Koutarou a metà spanna dal suo.

La sabbia dorata cade finissima negli spazi tra le dita della sua mano.

“È davvero così forte?”

Qualche secondo di silenzio per pensarci, dalla riva si sentono le urla entusiaste di Yamato.

“Se dico di no poi te ne vai?”

Rimane con il volto verso la parte opposta e un po’ arrossisce.

“No, se vuoi resto qui”.

 

 

Sul pullman di ritorno, quella sera, Bokuto – serissimo e con un foglio arrotolato a modi cono a simulare un megafono – espone davanti a tutti la sua idea di inserire i balli di gruppo nell’allenamento quotidiano.

 

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Capitolo 3
*** Ventilatore ***


Titolo: Ventilatore
Rating: arancione
Parole: 1.749 (questa è decisamente più di un flashfic)
Tipo di coppia: yaoi
Pairing: Oikawa x Iwaizumi (certe OTP non passano facilmente)
Prompt: "fa caldo, non dico certo di no, ma almeno le mutande le potevi tenere addosso". (Generatore causale di prompt Summer Time! Fanwriter.it). 
Note: appena ho letto il prompt ho subito pensato ad Oikawa, non ho idea del perchè. Il bonus era "parlare al ventilatore", ma ho deciso (perchè sono bulla pt.2) di prendere in prestito solo "ventilatore", per trarne questa OS sconclusionata. Doveva essere più comica che arancione (comunque, è un arancio molto lieve), ma Iwa-chan non me lo ha permesso. (Per chi se lo chiederà: Yo Kai Watch è un gioco per Nintendo - a cui personalmente ho giocato - , mentre Ff tipe-0 è Final Fantasy, un gioco per Playstation - a cui personalmente non ho giocato). In questa storia Oikawa e Iwaizumi sono ancora al secondo anno di liceo, questo perché me li immagino già come una coppia ufficiale al terzo anno.

 

 

 

 

Ventilatore

 

 

Il rumore della porta che viene spalancata, una frase acuta lasciata a metà che si espande nella stanza immobile; “Tooru, tutto ben…” e il conseguente silenzio. Poi ci sono le guance bollenti di Iwaizumi che si riempiono di sangue, le orecchie che pulsano e il respiro fermo in gola. C’è anche la bocca spalancata di Takeru oltre lo stipite e il Nintendo tenuto nella sua mano sinistra da cui proviene la flebile musicchetta di Yo Kai Watch - unico suono distinto in quell’imbarazzante silenzio – che cade per terra.

E’ Tooru, piegato in avanti, il torso scoperto, con la pancia aderente al ventilatore e le natiche premute contro il bacino di Hajime, a sollevare una mano, sgranare gli occhi e “non è come pensi, Takeru” giustificarsi. La voce in falsetto.

 

*

Da qualche giorno a questa parte Iwaizumi Hajime, studente del secondo anno dell’Aoba Johsai, asso e aspirante vicecapitano, ha un problema con il suo migliore amico. Con la schiena contro la porta di camera di Oikawa, chiusa di fretta e con eccessiva enfasi, tutto quello che riesce a pensare è: “anche oggi?”.

Solleva gli occhi al cielo e “va bene che fa caldo, non dico certo di no, ma almeno le mutande le potevi tenere addosso” grugnisce, mettendo più sconforto che riesce nella voce, cercando di guardare qualunque spazio del campo visivo non venga occupato dalla pelle diafana di Tooru. Il ventilatore acceso, posto a lato del letto, sembra un oggetto abbastanza interessante.

L’amico in risposta appoggia una mano sul fianco, inclina la testa di lato e osservandolo da sotto ciglia foltissime “come hai detto tu; fa caldo” enuncia sorridente, totalmente a suo agio. Poi si lascia cadere sul letto, a pancia in giù e “hai portato Ff type 0?” mugugna, con la faccia contro al cuscino.

Iwaizumi ha diciassette anni, scarse esperienze in fatto di ragazze, un migliore amico appiccicoso e, da qualche mese, pensieri decisamente troppo spinti nei riguardi di una pelle candida, morbidi capelli castani e delle labbra maliziose, fin troppo furbe per i suoi gusti. Per questa serie di ragioni rimane incollato alla porta per qualche secondo di troppo, gli occhi intenti a scivolare su quel sedere sodo lasciato lì in bella vista, alla fine di due cosce toniche e alla base di una schiena contratta e ampia. Discosta lo sguardo solo quando Tooru toglie il volto dal cuscino e con le guance ora arrossate “mmh?” mugugna, incitandolo a rispondere. Il sorriso che gli tende le labbra fa sentire Iwaizumi esposto, come se fosse lui quello totalmente nudo lì dentro.

Fa un passo avanti, sta per rispondere che sì, ha portato il gioco per la Play, ma poi Oikawa fa peso sugli avambracci e alza un po’ il busto, inarcando la schiena e un ciuffo di capelli gli ricade sugli occhi. Hajime boccheggia, con le gambe ancora divaricate per il passo appena compiuto, le mani sudate dentro le tasche dei pantaloncini, ricordando in quel momento che Oikawa aveva lasciato l’uscio totalmente aperto, nell’aspettarlo. Sente una strana contrazione allo stomaco e si ritrova a dire tutt’altro: “non è pericoloso stare a casa da solo così?”.
Nello stesso momento in cui pronuncia la frase si rende conto di aver dato voce ad un pensiero interiore che non aveva nulla a che fare con il loro dialogo.
Il problema è che chiunque sarebbe potuto entrare, prima di lui, e vederlo in quel modo.

Oikawa sbatte piano le palpebre e “che intendi, Iwa-chan?” domanda confuso.

Imbarazzato e non sapendo quale spiegazione dare per la sua affermazione fuori lungo, rimedia con un “niente, che sei il solito esibizionista di merda”. Camuffa il disagio tirando fuori dalla tasca il gioco e lanciandoglielo addosso. Fortunatamente non gli colpisce le natiche nude.

Si trascina verso di lui continuando a guardare altrove, le iridi che scattano irrequiete da un oggetto all’altro della stanza, pur di non guardare il corpo che le attrae implorando la loro attenzione. E’ per colpa di tale ostinazione a portare lo sguardo lontano dal letto, che non nota il lenzuolo che pende da un lato del materasso e finisce sotto al suo piede scalzo. Inciampa in esso ed è costretto ad allungare il braccio cercando di aggrapparsi a qualcosa per non cadere. Peccato che quello che afferra – se ne accorge dopo un attimo di spaesamento e un’occhiata più attenta - non è il materasso.

Uno squittio di Oikawa (“Iwa-chan, che fai?!”), una strana sensazione di calore sotto il palmo e poi il battito cardiaco prepotente, quando l’asso si rende conto di cosa ha appena afferrato. Le dita della sua mano sono impresse nella carne chiara del gluteo di Tooru. La pelle si abbassa lì dove i polpastrelli premono con più forza e Iwaizumi non riesce a schiodare lo sguardo, davvero, non ce la fa, perché sogna di afferrare quelle natiche e separarle con le sue mani fin troppi spesso negli ultimi mesi.

“Oikawa” la voce gli esce particolarmente bassa, sente le parole grattare in fondo alla gola e afferra anche con l’altra mano quei due muscoli tondi – la ragione lasciata oltre la porta di quella camera - , “cosa avresti fatto se fosse entrato qualcun altro?”, grugnisce tra i denti, assottigliando gli occhi.

“C-cosa?”

Non lo lascia neanche rispondere. “Non ti sopporto; sei davvero un esibizionista di merda”.

Stinge quella carne tra le mani ed è più morbida di quanto pensasse, così calda che per un attimo chiude gli occhi e si concentra solo sulle sue dita che stringono possessive le natiche del suo migliore amico.

“Ma I-Iwa-chan!” lo richiama Oikawa cercando di spostare il bacino, note acute, ma che gli scivolano addosso e non lo destabilizzano minimamente. Lo tiene fermo con più forza e allenta la pressione delle dita solo una volta sicuro che non si sarebbe più mosso, per far scorrere le mani in basso e poi di nuovo in alto, saggiando la pelle liscia che sfrega contro i suoi palmi ruvidi, callosi. Non si ferma al “cosa stai facendo?” tremulo, all’inarcarsi eccessivo della sua schiena e le dita artigliate al cuscino. Ha un’erezione costretta nei boxer - che vorrebbe liberare e strusciare con forza lungo il solco di quelle natiche - , le orecchie che pulsano e pupille che divorano il corpo che ha sotto agli occhi, ingorde. Poi Oikawa ruota il collo e solo a quel punto, quando un ansimo gli esce dalle labbra, Iwaizumi gli presta attenzione e solleva le ciglia. Tooru lo guarda con occhi liquidi oltre la spalla, i capelli a pendere disordinati sul lato sinistro del volto, le guance totalmente rosse e la bocca semiaperta. Non gli dice di togliersi.

E’ in quell’esatto momento che Iwaizumi Hajime - occhi fissi sul volto accaldato di Tooru, orecchie in cui continua a rimbalzare l’ansimo appena sentito e mani strette su un fondoschiena ora arrossato - comprende di aver perso la testa per il suo migliore amico.

Quello che succede dopo è un susseguirsi confuso di rumori, porta al piano di sotto che viene aperta e movimenti scomposti alla ricerca dei vestiti di Tooru.

“Idiota!” urla Iwaizumi lanciandosi giù dal letto. Afferra dei pantaloni a caso, appoggiati sulla sedia e glieli passa brusco. “Potevi dirmelo che stavano per arrivare tuo nipote e tua madre, cosa te ne stai in casa completamente nudo?”

“Iwa-chan, Takeru è un bambino e mia madre mi vede nudo da anni” è la risposta ridanciana di Tooru, mentre infila i pantaloncini sopra i boxer indossati di fretta e urla un saluto al piano di sotto.

“Appunto per quello: è piccolo, potrebbe scandalizzarsi e rimanere segnato a vita”.

“Oh, tu sei rimasto scandalizzato?” lo chiede sorridendo civettuolo e sbattendo le palpebre sulle pupille dilatate, mentre afferra la maglietta che Iwaizumi gli sta porgendo.

A questo punto della situazione ci sono due possibili risposte che il buon caro Iwa-chan, con un’erezione ancora in mezzo alle gambe, può dare. Quella scherzosa sarebbe la migliore, ma ha appena diciassette anni – e un’erezione in mezzo alle gambe -, scarse esperienze in fatto di ragazze – e un’erezione in mezzo alle gambe-, un migliore amico fin troppo malizioso e un’erezione in mezzo alle gambe. Soprattutto, un’erezione in mezzo alle gambe.

Tutto quello che fa è afferrarlo per un fianco, voltarlo e, piantandogli una mano in mezzo alle scapole, piegargli il busto leggermente in avanti per spingere il proprio bacino contro il suo fondoschiena. “Senti, come sono scandalizzato?” inizia a dire, sentendosi incredibilmente soddisfatto, sicuro di essere riuscito ad imbarazzarlo e chiudergli quella bella bocca, per una volta. Peccato che l’ultima parola venga interrotta da un rumore assurdo, un movimento scattoso delle braccia di Oikawa e un conseguente silenzio. Nella stanza solo il suono dei loro respiri accelerati, per due motivi diversi.

Rimane fermo così, non capendo la situazione, le mani ancora artigliate al bacino di Oikawa. Che fine ha fatto il rumore del ventilatore?

E’ a quel punto che si sporge oltre la schiena massiccia di Oikawa e comprende il movimento forsennato delle sue braccia, le imprecazioni che sono iniziate ad uscire dalla sua bocca e – soprattutto – la posizione del ventilatore, di cui si era completamente dimenticato. La maglietta, che Oikawa teneva in mano, in procinto di indossarla, prima che lui lo costringesse a voltarsi bruscamente, è incastrata nelle pale del ventilatore, ora ferme.

Allunga le braccia anche lui e cercando di tirare fuori il tessuto infilatosi nelle grate metalliche laccate di bianco, “come cazzo hai fatto?” chiede, ignorando di essere stato lui stesso a spingerlo involontariamente in avanti.

E’ esattamente in quel momento che Takeru spalanca la porta.

 

(Iwaizumi non dimenticherà facilmente il sottofondo musicale di Yo Kai Watch.)

 

 

***

Quella sera, nel buio della sua stanza, con solo lo schermo del cellulare ad illuminargli il volto, Iwaizumi sospira. Sullo schermo, sotto la scritta “Shittykawa” compare un nuovo messaggio.
Hajime ha le mani che gli tremano leggermente e la testa piena di pensieri, ma anche una sicurezza diversa dal solito, che lo fa respirare liberamente dopo tanto tempo.
Dopotutto, Oikawa non l’ha allontanato.
Digita velocemente sulla tastiera, poi, nervoso, spegne il telefono subito dopo aver cliccato “invio”, senza neanche aspettare la risposta di Oikawa. Butta la faccia nel cuscino, sbatte un paio di volte le punte dei piedi sul materasso e “dannazione” grugnisce contro il lattice, mordendo la federa per non urlare, le guance in fiamme. 

Nella casa affianco, in una camera su cui giacciono pezzi di un ventilatore smontato, sul pavimento, sullo schermo di un cellulare compaiono le parole: ‘perché sei troppo carino per girartene nudo in casa, quando potrebbe entrare chiunque e vederti. Questo intendevo, idiota’.

 

 

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Capitolo 4
*** Car wash ***


Titolo: Car wash
Rating: verde/giallo (?)
Parole: 1.541 
Tipo di coppia: yaoi
Pairing: Lev x Yaku (aah, li shippo follemente) 
Noteniente, Lev è così goffo che non posso non amarlo (è l'unica cosa carina di questa storia; lui e il suo essere un pasticcio).
[Non segno ancora la raccolta come "completa" perchè non si sa mai, potrebbe sfuggirmi una DaiSuga, ma non c'è nulla di certo]
Nel mentre, grazie a chi mi lascia sempre una recensione e chi ha messo la storia tra le seguite o preferite

 


 

 

 

Car wash

 

 

Strofina la spugna con insistenza, le maniche della felpa arrotolate sugli avambracci tesi, la schiuma fino ai gomiti. Non vede davvero bene il lunotto, perché i capelli – troppo lunghi – sono sfuggiti da dietro le orecchie e invadono il suo campo visivo. Li scosta con il polso, sbuffando, e risponde con un brontolio basso: “non sono distratto”, alle frecciatine di Kuroo. 

Quello in risposta continua a sciacquare con la canna dell’acqua il lato destro della macchina. Anche di profilo Lev riesce a vedere benissimo il ghigno seminascosto dai capelli neri. 

Sbuffa ancora (quattordicesima volta, è stato il capitano a contarle) nel rendersi conto che il suo sguardo è di nuovo scivolato fin lì, a due macchine di distanza. Lev davvero ci ha provato a non fissarlo troppo, a non arrossire quando lo ha visto sollevarsi sulle punte e piegarsi un po’ in avanti, gli addominali schiacciati contro il muso della macchina, il piccolo fondoschiena in bella mostra, fasciato in dei pantaloni della tuta troppo poco aderenti. 

Spalle più curve del solito, collo infossato e stomaco accartocciato come carta stagnola, quella che vorrebbe lanciare via, per smetterla di sentirsi in quel modo ogni volta che lo guarda. 

Sobbalza quando le parole di Kuroo si scontrano direttamente sul suo padiglione auricolare. La spugna gli scivola di mano dallo spavento. 

“Glielo hai detto?” 

Si piega per raccogliere l’oggetto e sciacquarlo nel secchio, il suo senpai a torreggiare su di lui, una mano sul fianco e l’altra a sorreggere la canna dell’acqua. Lo guarda dal basso, le guance completamente rosse. 

“C-cosa intendi?” 

Sopracciglia alzate sul volto dell’altro, angoli della bocca eccessivamente tirati, su, vicino agli occhi: “che sei stato tu a scrivere il suo nome”. 

 

      La proposta del lavaggio auto, per racimolare i soldi necessari per la gita a Miyagi, era stata un’idea del coach. A Kuroo, invece, era venuta quella brillantissima idea - alias: quella dannatissima idea -, che aveva tormentato le sue fantasie per l’intera settimana.

Erano bigliettini anonimi, quelli con cui avevano votato. Lev, con la matita in mano, teneva il foglietto appoggiato al suo stesso ginocchio e cercava di rannicchiarsi il più possibile. I capelli non gli coprivano solo il volto color porpora, ma invadevano anche il bianco della carta, da quanto teneva il viso vicino alla grafite della matita. Si era guardato a destra e sinistra un paio di volte prima di decidersi a “Yaku Morisuke” scrivere, la matita a grattare un po’ sul foglio, un po’ sui suoi capelli argentati.

Al momento gli era parsa davvero un’idea grandiosa, quella di far vestire da donna almeno un ragazzo della squadra, per attirare più clienti.

Così grandiosa che aveva passato tutta la settimana successiva a masturbarsi pensando alle gambe di Yaku, le cosce muscolose nude, esposte al vento ormai fresco, a scomparire sotto le pieghe di una gonna cortissima. Lo immaginava con un ginocchio sul cofano, l’altra gamba stesa – tesissima – a sfiorare il terreno. E schiuma, schiuma ovunque su quelle gambe corte, sul ventre lasciato scoperto dalla camicetta arrotolata sopra l’ombelico, sulla guancia, dopo essersela toccata per sbaglio.

Poi Kuroo aveva ammesso che non ci sarebbe stato nessun cross-dressing, che la votazione l’aveva organizzata solo in proposito di una scommessa fatta con Kenma, su quanti avrebbero scritto il suo nome (per lui: tutti, per Kenma: nessuno).

Avrebbe vinto Tetsurou, se non fosse stato per quel singolo voto discordante. A Yaku la cosa non era andata per nulla giù. Motivo per cui è da giorni, ormai, che sta cercando in tutti modi – uno più violento dell’altro – di scoprire chi sia il morto vivente che ha scritto il suo nome (perché lo sarà, per certo, una volta venuto alla luce).

Nel mentre, Lev ha già passato un’intera settimana a fantasticare su di lui in gonna.

Facile intuire lo sconforto che prova tutt'ora, a pomeriggio quasi finito, dopo la quinta macchina da pulire e solo dei larghi pantaloni della tuta sulle gambe piccole e perfette di Yaku.
Ha una leggera – leggerissima - voglia di rispondere male al viso ghignante - un po’ sadico - di Kuroo, in controluce.

“Kuroo-san” lo richiama invece, le guance che ancora sente bollire per la domanda che gli ha posto.

“Vuoi che ti aiuti a dichiararti?”

“No, è solo che…”

“Glielo dico io da parte tua? Che ti piace o della votazione?”

Lev grugnisce e “mi stai bagnando tutti i piedi!” si lamenta, voce più alta del solito.

Il capitano della Nekoma si limita ad abbassare lo sguardo con calma, farlo scivolare per tutta la lunghezza della canna dell’acqua e posare le pupille sulle scarpe del suo compagno, totalmente fradice. Sposta la traiettoria dell’acqua con un “ah” atono, per poi puntarla di nuovo sulla macchina, come se niente fosse.

“Comunque, Yaku ti sta guardando male”.

Non ne aveva dubbi.

Non alza neanche gli occhi, Lev. Incurva ancora di più la schiena e continua a sfregare energico con la spugna morbida, per non dar ragione di pensare che non stia lavorando abbastanza. Non ha bisogno di ulteriori motivi per essere menato da Yaku, succede già fin troppo spesso.

Certo, non sarebbe male essere preso a calci da Morisuke in minigonna. In quel caso si farebbe tranquillamente calpestare come uno zerbino, sicuro di riuscire a poter sbirciare i boxer che avvolgono i glutei sodi, sotto le pieghe della gonna. Poi potrebbe afferrargli una caviglia, tenergli la gamba ferma e, guardandolo dal basso, con l'altro palmo risalire tutta la lunghezza della coscia, con la scusa di star rimuovendo la schiuma. Chissà se arrossirebbe, Yaku, a quel contatto.

Appoggia la testa sul vetro appena pulito, sconsolato nella consapevolezza di non avere la faccia tosta per fare una cosa del genere, goffo com'è.

Sente qualcosa picchiettargli la spalla e sbuffa contro il vetro, senza allontanare la fronte dalla superficie fredda.

“Sì sì, ora lo ripulisco bene”.

Forse, da una posizione del genere - semidisteso a terra e Yaku in piedi, a torreggiarlo - potrebbe addirittura afferrargli i glutei e stringerli, con le mani ancora bagnate di acqua e sapone. Insinuare le dita sotto il cotone dell'intimo e vedere tutto, da lì sotto, con il piede di Yaku ancora sulla propria spalla (la schiuma sulle cosce, il tessuto che si tende lì dove l'erezione spinge, il volto rosso che lo guarda dall'altro, occhi misti di eccitazione e rabbia, magari anche le dita ad artigliargli forte i capelli, perché no). Oh, non sarebbe proprio male, le gonne sono comode.

Uno schiarire di gola, Lev non ha voglia di girarsi e strizza le palpebre. Sbuffa per la diciassettesima volta.

“Kuroo-san” borbotta, le labbra che si separano di pochissimo, il fiato che appanna il lunotto ora da ripulire, “sono davvero un caso tanto disperato se ogni volta che ci penso ho un'erezione?”.

La risposta gli arriva acuta ai timpani, il suo nome calcato con eccessiva enfasi, totalmente fuori luogo: “ma no, è normalissimo volere una conversazione, LEV”.

Solleva pigramente le palpebre, così come la fronte, e le sbatte piano sugli occhi. Conversazione?
Intravede Kuroo oltre i ciuffi di capelli sottili – deve davvero tagliarli – e inclina la testa, un groviglio senza capo nei suoi pensieri. Gli occhi di Tetsurou, davanti a lui, sono ben rotondi, particolarmente esposti, le palpebre totalmente ritirate. Sembra stia cercando di comunicargli qualcosa.

“Eh?” grattare di corde vocali, ingranaggi che girano, “no Kuroo, che hai capito; intendo che mi va proprio in tiro a pensare a Yaku in minigo…”

“LEV!”

La matassa che inizia a sbrogliarsi a seguito della brusca interruzione, mentre si rende conto che Kuroo è davanti a lui. Sente la piccola falange premere ancora sulla sua spalla, oltre la sua schiena curva, e ritirarsi.

“Kuroo-san” sussurra, la presa sulla spugna inferma una volta che il gomitolo è stato snodato. Deglutisce e “non è dietro di me, vero?” soffia tra le labbra secche, la voce che leggermente trema.

Vede Tetsurou aprire bocca, le pupille che ondeggiano tra il suo volto e poco più in basso, al di là della sua spalla. È Morisuke – che sì, si trova proprio dietro di lui – a “Yaku in minicosa?” proferire minaccioso, in una domanda quasi sputata.

Si gira a rallentatore Lev, sudore freddo lungo la schiena, busto rigido come un palo. Il suo senpai ha il volto rosso di rabbia – e, è facile intuire, anche di qualcos’altro -, le pupille strettissime e due pugni tremanti, lungo i fianchi. 

Lev vorrebbe solo nascondersi nel bagagliaio. Ha la gola secca e lo stomaco - carta stagnola - ridotto ad un globo informe. 

Gli dà di nuovo le spalle, per cercare con gli occhi il capitano in cerca di aiuto, ma Kuroo si è già allontanato di un paio di passi, sventolando una mano in aria: “ehi Kenma, se vuoi faccio io qui!”.
Lo insulta mentalmente; lui e la sua dannata scommessa che lo ha illuso in quel modo, motivo della situazione scomoda in cui si trova ora e di costanti pensieri perversi. 

Torna a guardare Yaku, girando solo il busto – non riuscirebbe a spostare anche le gambe, di cemento in quel momento -  e abbozza un sorriso, tiratissimo.

Il pugno nello stomaco che Yaku gli rifila, condito da improperi, non è esattamente il tipo di violenza che condisce le sue fantasie. (Il modo in cui nasconde le guance rossissime sotto i capelli, comunque, non può che fargli tremare il petto).

 


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