DAUGHTER

di Pandroso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ~ Verità ***
Capitolo 2: *** 2~ Menzogna ***
Capitolo 3: *** 3 ~ Tradimento ***



Capitolo 1
*** 1 ~ Verità ***


Daughter


1 ~ Verità 

 

“Seen a shooting star tonight
And I thought of me
If I was still the same
If I ever became what you wanted me to be
Did I miss the mark or overstep the line that only you could see
Seen a shooting star tonight

And I thought of me”

 

Erano trascorsi due anni e mezzo dalla sciagurata notte in cui il Diavolo in persona ascese, scatenando il suo maleficio su Dressrosa; quando il sangue degli innocenti venne fatto scorrere per abbeverare avidi propositi, seminando rabbia e rancore, obliterando la verità con fili invisibili. 
Tradito e piegato dal dolore, il popolo dell’isola aveva aperto le gambe in cerca di conforto, e si era lasciato ingravidare dall’inganno per ottenere la soluzione.
Lui, il Diavolo, quella soluzione gliel’aveva data, fatta sentire, inflitta fra scroscianti applausi.
Da allora, il Paese aveva mutato aspetto; nessuno era riuscito ad accorgersene in tempo, perché nessuno poteva ricordare, ad eccetto di pochi sventurati che vennero condannati a sopravvivere inermi e nel silenzio. 

Tra questi, una nobile ragazza aveva imparato a fingere per salvare se stessa e la vita di suo padre, l’unico vero Re di Dressrosa.

 

 

***

 

 

«Cerchiamo di ricostruire come sono andate le cose: gli stupidi nani hanno riempito fino a trentacinque casse di Smile, oggi, del peso di dodici chili l’una, e questo è stato segnato alle 18:30 – disse Gladius, tra le mani aveva un plico di fogli, il registro con le informazioni che stava argomentando – questo fino a quando le casse erano all’interno della fabbrica; ma dopo, al porto mercantile, le casse vengono passate sulla bilancia e la diciassettesima risulta pesare dodici chili, ma di normale insipida frutta», ad ascoltarlo c’era quasi tutta la Famiglia Donquijote, «Non sono stati trovati segni di scasso o manomissione sulla cassa, ciononostante, il nostro cliente, a cui erano stati promessi 420 chili di sorrisi, ne riceve meno. L’affare non si conclude, il cliente non acquista, si arrabbia, la Famiglia non ci fa un bella figura...  – l’ira che animava le parole di Gladius era tanta da rendergli i capelli più ritti e puntuti – Tu sei stato l’ultimo a toccarle, le casse, davvero vuoi farci credere di non sapere cosa sia successo?» domandò l’Ufficiale, rivolgendosi a uno degli inservienti addetti allo smistamento del carico di frutti artificiali, un infelice capitato nel giro sbagliato. Il poveraccio tremava al cospetto delle facce arcigne degli ufficiali, e quasi se la fece addosso vedendo Diamante giocare con fazzoletti di stoffa colorati che a scatti rendeva rigidi e affilati, ottimi per lacerare la carne. 
«V-vi giuro che non ho fatto nulla! Di cosa mi state accusando?! Io sono fedele a Doflamingo! Al nostro Re!», provò a spergiurarsi innocente, in ginocchio, rivolgendosi proprio al Demone Celeste che, annoiato, assisteva all’interrogatorio accompagnando la tediosa visione con una brocca colma di vino rosso. 
«Sei un ladro» lo incolpò il catatonico Dellinger, uno degli ultimi arrivati nella Famiglia, pericoloso quanto bastava per allietare il fenicottero. 
L’accusato si girò verso di lui, Dellinger gli sorrise mostrando i suoi denti da piranha e la voglia esplicita di volerlo massacrare.  
«... No! Non è vero, credetemi!»
La situazione degenerò presto nell’isteria; le urla inutili non erano mai state gradite a Doflamingo, gli ricordavano il pianto angoscioso del suo defunto fratello. 

«Signori, state calmi e non arrabbiatevi. Questo interrogatorio sta facendo perdere tempo a tutti, possiamo risolverla in modo molto più semplice e senza commettere errori» disse il diavolo rosa con fare spiccio, allargando le braccia come a volersi spiegare meglio. 
«Certo Dofy, hai ragione, ammazziamolo!» propose Lao G, battendo un pugno contro il palmo aperto.
«Bravi, così se veramente questo imbecille ha rubato gli Smile non sapremo mai dove li ha nascosti o a chi li ha rivenduti»
«Possiamo torturarlo e fargli sputare fuori la verità! In caso lasciatelo a me, voglio divertirmi io con lui» si candidò Dellinger, succhiandosi il pollice con gusto. 
In quella sala della reggia sembrava si stesse disputando una gara del sadismo e della depravazione. 
Doflamingo rise: «Monet » si rivolse alla donna che aveva al suo fianco, accanto al trono. 
Lei, sentendosi chiamata, sospirò eccitata.
Il fenicottero le porse la mano, la donna la afferrò con lo stesso ardore che s’userebbe per impugnare la forma oblunga dell’oggetto dei desideri  tutto femminile e, soprattutto, come chi era abituata a farlo.
«Monet, ho bisogno di te»
«Qualunque cosa Signorino» rispose lei; ora, dagli occhi di rapace della donna traspariva la voglia esigente e bestiale di rendere quell’apparenza un vero atto sessuale.
Doflamingo, che aveva inteso e ne era lusingato, portò alle proprie labbra sottili la mano fredda come ghiaccio che stringeva nella sua, grande e calda; e lì, sulla pelle diafana dell’arpia più pericolosa al mondo, sussurrò il suo ordine:
«Portami qui Violet»  

 


***

 

 

La Principessa Viola guardava il suo corpo magro riflesso nello specchio interno all’armadio. Le ante del mobile erano aperte a mostrare l’intero guardaroba pieno di colori e su cui la sua esile figura monocroma si stagliava a spezzare quella vivacità festosa e inadatta. 
Era nuda nella sua stanza e da ore stava cercando un abito da indossare, ma tra tutti quelli che provava, per quanto belli e intessuti con stoffe pregiate provenienti dalle migliori sartorie del Nuovo Mondo, non ce n’era uno che riuscisse a nascondere la sua colpevolezza. 
I vestiti erano doni del suo carceriere, indossarli era come andarsene in giro con un cartello che portava affissa la scritta traditrice di Dressrosa.
Guardava se stessa, poi gli abiti, e sperava andassero a fuoco per autocombustione.
Chiudere gli occhi e lasciare che il caso la guidasse era ciò che preferiva fare quando l’ansia iniziava ad assalirla con violenti attacchi di panico, che le davano l’impressione di stare per impazzire o di andare in frantumi al prossimo respiro; e non poteva far sì che accadesse, altrimenti, chi avrebbe protetto suo padre?
Era una tortura, non sarebbe mai finita, ai due anni raggiunti chissà quanti altri se ne sarebbero sommati. Non doveva pensarci; scelse un vestito vermiglio dalle maniche trasparenti ricamate con un motivo floreale e che le scendeva sulle gambe con una gonna lunga accostata sui fianchi. Uno spacco alto lasciava intravedere una coscia.

Lo indosserò per te papà, e mai per lui.

 

 

***

 

 

Solo il fenicottero sapeva sciogliere la donna di neve, obbligandola ad ubbidire; anche quando il compito affidatole poteva ferirla o ucciderla, Monet era pronta a dare la vita per il suo Re. 
Quando il decaduto Drago Celeste le aveva chiesto di andare a prendere Viola, per l’arpia era stato come ingoiare una manciata di pezzi di vetro, masticandoli bene prima, mentre aveva risposto sì, e ridendo dopo, felice, con la bocca piena di sangue perché a lui piaceva così. 
Monet era contenta se il Signorino era contento, e morire di gelosia era indiscutibilmente accettabile.

Con il livore a fior di pelle, l’arpia s’era recata nell’ala est del Palazzo Reale, dove stava la stanza della sua ormai dichiarata peggiore rivale. Era entrata senza bussare e farsi sentire, e s’era trovata a scoprire il corpo tronfio, nudo e bello come quello di una Venere, della Principessa Viola, la quale non si era accorta di lei.
Monet ne aveva sia una visione posteriore che anteriore, riflessa nello specchio. Viola era perfetta: le natiche a mandolino, dalla forma dolce, i seni alti e corposi, le gambe snelle e tornite, il viso di vergine immacolata.
L’invidia e la gelosia insidiarono l’arpia, i suoi occhi ribollirono d’astio. Avrebbe voluto deturparla, sbucciarla a morsi.
Da quando quella ragazzina stupida era sbocciata, con la sua bellezza impudente, il Signorino le rifilava troppe attenzioni. Stava accadendo da mesi e Monet se ne era accorta.
L’arpia ebbe un’idea malvagia, ne rise silenziosa: ubbidire al Signorino era piacere estremo, l’esistenza della rivale un fastidio; ma la rivale poteva anche morire ed entrare a far parte del piacere. Monet si immaginò ricoperta dal sangue della giovane, con il Re Doflamingo a succhiare ogni goccia che le imbrattava il corpo, a leccarla fra le gambe, dove all'arpia piaceva essere morsa da lui. 


Troverò un modo per farti fuori... 


«Principessa Viola!», la ragazza sussultò, spaventata; detestava quando i componenti della Famiglia si rivolgevano a lei con l’appellativo di principessa. Sapeva che era un modo per schernirla ricordandole la fine della sua famiglia, la famiglia Riku.
«Monet, quando sei entrata? Non ti ho sentita arrivare», Viola ancora non si era vestita e stringeva la stoffa rossa tentando di coprire le sue vergogne.
Monet le girò attorno, noncurante dell’imbarazzo della giovane, «Il Re chiede di voi, dovete seguirmi, avete un compito da svolgere»
«Un compito?» domandò Viola preoccupata, perché quando il fenicottero la cercava era per un solo terribile motivo.
«Sì, potete immaginare di cosa si tratti, siete qui per adempiere le sue esigenze. Ne vale della vostra vita e di quella di qualcun altro. Su, sbrigatevi e vestitevi, senza farlo attendere»
Viola odiava anche questo, la finta cortesia nei suoi confronti utile a trattarla come una schiava. Il qualcun altro era suo padre.
Ubbidì, non poteva fare altrimenti, ma non senza obiettare la presenza della donna di neve, che la stava squadrando con occhi pesanti, sembrava volesse mangiarla.
«Monet, ti ringrazio per essere venuta a chiamarmi, ma potresti uscire dalla mia camera, vorrei un po’ di privacy mentre mi vesto, oppure nemmeno questo mi è concesso?»
Anche lei non si risparmiava, e ricambiò la cortesia beffarda. 
L’arpia ghignò, «Certo, come desiderate, Principessa».

 

 

***

 

«Perché non mi credete?! Aaahrg! Vi prego basta! Oddiooo! Noo!»

In attesa dell’arrivo di Viola, l’accusato continuava ad esser messo sotto torchio, letteralmente, perché, per ammazzare il tempo, Doflamingo aveva concesso che gli fosse fatto del male, non tanto da fargli perdere coscienza ma sufficiente a farlo gridare di dolore. Ecco, le urla di dolore erano un’eccezione a quelle inutili. Quelle di dolore il fenicottero le sopportava volentieri. 
Ci stava pensando Dellinger, che aveva legato l’uomo a una sedia e gli stava rompendo le dita, una per una; gli ufficiali lo lasciavano fare, era l’ultimo arrivato della famiglia, aveva il diritto di sfogarsi e battezzare così la sua appartenenza ad essa.
«Ah ah ah, non vedo l’ora che la tua colpevolezza venga confermata, ci divertiremo insieme, hai tante di quelle ossa da spaccare!» disse, sgranando la bocca. E il disgraziato gridò più forte, raggiungendo acuti che nemmeno i castrati potevano cantare.
Dellinger era pronto a spappolargli il dito indice della mano sinistra, con l’uso di un martello, ma fu costretto a fermarsi quando arrivò la preferita del fenicottero.

«Violet!» le diede il benvenuto Doflamingo. La ragazza rimase immobile, scioccata dalla scena dispiegata di fronte ai suoi occhi: la Sala dei Semi, non era solo il luogo dei troni, il luogo dove venivano architettati i complotti della Famiglia; quella sala era un tribunale di messa a morte; lì lei veniva obbligata a vestire il ruolo della testimone. Questa era la sua condanna, che Doflamingo sfruttava dandole in cambio la sicurezza che a suo padre, l’ex Re Riku Dold III, non venisse fatto alcun male.
Viola non si mosse, era inorridita alla vista della piega innaturale che avevano assunto le dita dell'uomo legato alla sedia.
«Quando lui vi rivolge la parola voi dovete rispondere!» le sussurrò all’orecchio e con voce ispida l’arpia che la scortava.
«Mi hai fatta chiamare, in cosa posso esserti utile Re Doflamingo?»
«Fu fu fu, per te sono Dofy, lo sai... Avvicinati»
Monet, gelosa oltre il limite, dopo aver sentito la confidenza che il Signorino elargiva alla rivale, la afferrò per un braccio, con forza, pizzicandola con le unghie, e la sollecitò a camminare verso il trono, dove il fenicottero sedeva scomposto e con le gambe spalancate.

«Violet, oggi abbiamo qui un uomo che si dichiara innocente. In verità, mi ha rubato cose che mi appartengono. Sai quanto io non sopporti i traditori. Viola... – Doflamingo la chiamò col suo vero nome –  svelaci la sua colpevolezza, facci godere tesoro»

La ragazza si voltò in direzione dell’accusato, cercò i suoi occhi e li trovò. Lei lo capiva, ne comprendeva la sofferenza come persona piegata alle ingiustizie ed alle efferatezze di quella banda di esseri immondi. 
Riconobbe in quel volto straziato il suo di volto.
«Forza Violet, dicci la verità!»
La inneggiò Diamante. Tutti i presenti aspettavano il prodigio dei suoi poteri, il fenicottero più di chiunque altro.
«Viola...» la intimò ancora Doflamingo. Non lo sopportava quando la chiamava per nome, era soffocante, come averlo troppo vicino, invadente a prendersi un’intimità che lei non voleva cedergli.
La ragazza si avvicinò all’uomo, e con un gesto della mano aprì lo scrigno del suo cuore. Nessuno poteva mentirle, era questo il potere donatole dal frutto Fix Fix: leggere nella mente delle persone. E proprio grazie alla straordianaria capacità posseduta, Viola aveva stipulato un patto col Diavolo e si era fidata di lui, perché aveva letto la sua mente e s'era sincerata che non le mentiva. Suo padre non sarebbe stato ucciso. Lei doveva solamente continuare a svolgere il suo ruolo.

«Ti prego, di’ loro la verità, fammi liberare!» la implorò il sospettato che, in realtà, le stava chiedendo di negarla.
Ah, quante volte si era trovata di fronte una simile situazione? Aveva perso il conto. 

«Allora Violet, ci dai l’ok per ammazzarlo?» domandò Dellinger stanco di aspettare.

Mi dispiace, ma io non posso salvare nessuno. Non posso fare nulla.

Pensò, vinta e perduta.

«È colpevole, ha rubato lui gli Smile, e i frutti sono ancora all’interno della fabbrica, nascosti in un’altra cassa» disse con voce cinica, alienandosi da ogni sentimento umano; era l’unico modo per continuare a sopravvivere.
Doflamingo si accarezzò il mento, soddisfatto «Perfetto», gli ufficiali sorrisero all’apice della loro crudeltà, corroborati all’idea di poter trucidare il ladro.
«È una bugiarda! Non è vero, non datele ascolto, si sta inventando tutto! È una maledetta bugiarda!» la insultò il futuro cadavere.
Viola era abituata all’odio, a subirlo, alla fine la odiavano tutti. E non era finita:
«Non ha agito da solo, c’era un complice ad aiutarlo ed è un tontatta, ma aspettate... il tontatta è stato costretto ad agire per lui»

L’ennesima verità rivelata lasciò il pubblico astante a pensare, specialmente Doflamingo che storse la bocca in un sorriso al contrario.
«Costretto o meno resta un complice! Che si sono messi in testa quei nani schifosi?! Diamante, avvisa Señor Pink, digli di trovare il piccolo bastardo e di impalarlo in mezzo alla fabbrica, che serva da esempio per tutti!» ordinò il fenicottero; non dava a vederlo ma temeva la possibilità di una coalizione tra i tontatta, e un atto di insubordinazione, se non punito, sarebbe potuto sfociare presto in una rivolta. L’insorgere di un’epidemia andava estirpata alla radice. 
Diamante balzò avanti, alzandosi dal seggio di quadri come se gli bruciassero le chiappe; quando era Dofy a comandare la negligenza non era ammessa.
«Capo, che ne facciamo di lui?» chiese Dellinger che stringeva di nuovo, stavolta con una tenaglia, l’indice sinistro del colpevole.
«Lo lascio a te, fanne ciò che vuoi, ma fuori di qui. Se sporchi ricordati di pulire»
Dellinger si leccò le labbra imitando il vezzo solito del fenicottero. L’uomo legato alla sedia, constatato l'arrivo della sua fine, non si trattenne, si pisciò addosso; venne portato via dagli ufficiali di Doflamingo, ma prima di sparire: «Morirai maledetta vigliacca! Morirai anche tu, assassina!»
Le parole gridate con voce strappata e singhiozzante erano dirette a Viola.

Lei aveva gli occhi gonfi di pianto, si stringeva le mani al petto, le palpitazioni l'avrebbero fatta svenire.
Quell’uomo non si sbagliava ad ingiuriarla, era davvero una vigliacca assassina, per colpa sua due vite stavano per essere stroncate.

«Viola», d'improvviso una mano le toccò la spalla, rompendo il suo precario equilibrio, ma lei non cadde, «Fu fu fu, sei stata bravissima», Doflamingo le era vicino, a soverchiarla con la sua stazza.

Ti odio, ti odio con tutta me stessa.

Il fenicottero la costrinse a voltarsi verso di lui.

«Ero certo che il rosso fosse il tuo colore, è aggressivo e spietato come te, fu fu»

Monet assistette all’elogio, i vetri che aveva ingoiato le stavano causando una emorragia interna rapida e copiosa da allagarle lo stomaco di sangue e veleno.

«Tuo padre dovrebbe essere grato di avere una figlia tanto fedele, devota... che dice sempre la verità».

 

“Seen a shooting star tonight slip away
Tomorrow will be another day
Guess it's too late to say the things to you that you needed to hear me say
Seen a shooting star tonight slip away”

 

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Canzone scelta che accompagna il testo da ascoltare cliccando qui! Brano ipnotico, conisgliato.

Buonasera, ho parecchie cosette da pubblicare, chi mi segue lo sa e sta aspettando, ma in barba alle mie previsioni inizio con questa, vi anticipo che la storia si fermerà a 4 capitoli. Non uno di più. La coppia trattata Dofy ~ Viola, ce l’ha servita il Maestro Oda nelle sbs del volume 83, ringrazio Swan per avermi fatto notare tempo fa che le sbs le pubblicano pure on-line, credevo sempre e solo di potermele leggere sul manga cartaceo. Grazie Swan! :-*
E quindi trattiamoli, seriamente (spero), come è possibile, che è accaduto tra ‘sti due?
La storia si svolge due anni dopo che Dofy ha conquistato Dressrosa, ho voluto che Monet fosse ancora presente e gelosa a fare schifo di Viola. Un triangolo? Boh, forse, non ve lo dico. 
Per Viola: mi sono sempre chiesta come abbia potuto fidarsi della promessa di Dofy di non uccidere suo padre, e la risposta era semplice, lei sa quando qualcuno mente, evidentemente il fenicottero non le ha mentito, e questa sua caratteristica la  sfrutterò più avanti, da genio malefico che sono. ^_^
Dai, aspetto vostre impressioni, pareri, vi piace come inizio, vi fa schifo. Eh?!
Non c’è la solita illustrazione, la rimando al proximo capitolo!


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Qui sotto vi linko tutte le mie altre storie, consigliate Mein Herz Brennt e l’ultima recentemente pubblicata (che si basa sugli ultimi fatti del manga) A Zou si affrontano problemi ontologici.

 

A Zou si affrontano problemi ontologici

Aveva lasciato un biglietto, doveva sposarsi, prometteva di tornare. Tutti erano preoccupati per lui.
A Zoro non interessava.
One Shot breve, Yaoi della coppia ZoSan, per voi fan e per me felicemente disperata a riguardo delle sorti di Sanji. Contiene Spoiler.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!

 

Mein Herz Brennt

TERZO CAPITOLO PUBBLICATO, NUOVA ILLUSTRAZIONE
Non importa quanto si creda crudele, ogni cuore è capace di ferirsi.
A volte, le ferite non guariscono, continuano a sanguinare, diventano più profonde, e uccidono, se si è fortunati. Ma se si sceglie di non morire, queste si tramutano in una spietata condanna.
Raccolta dedicata alla Famiglia Donquijote. NON è una Yaoi anche se... scopritelo da soli.
Dal TERZO CAPITOLO: 
«Lo senti?… Quanto mi sei mancato»
Fa schifo.
La donna fece scorrere le sue unghie lunghe giù e su per un binario isolato, che non accennava la partenza di alcun treno.
«Fratellino perduto, giuramelo…»
Andrai all’Inferno, Dofy.
«Il tuo cuore mi appartiene e batterà solo per me, fu fu fu»
La smetterai di ridere.
Consigliata come lettura serale. Ma attenzione che i contenuti sono forti, l’ho messo pure nelle note.
Pubblicata: 10/09/16 | Aggiornata: 13/10/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law 
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
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Curami (Zoro/Perona/Mihawk) NEW: pubblicato IV CAPITOLO!
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line
Pubblicata: 11/09/13 | Aggiornata: 31/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
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Loverman…
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
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L’impensabile inaspettato (Zoro/Sanji) 
Sanji ha un urgente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note. E a voi la lettura.
Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro 
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Ultime previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law) 
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
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Capitolo 2
*** 2~ Menzogna ***


     

Daughter

 

2 ~ Menzogna

 


 

"God help me
I don't see how I can live this way
And I don't know why he's touching me
Won't you shine in my direction and help me?
Won't you lend me your protection and help me?
God help me"
 


 

 

 

 

Rimuovere gli occhiali dal viso accadeva di rado, se non mai. L’eventualità scattava quando le allucinazioni tornavano a tormentarlo. 
Doflamingo lo percepiva nell’aria, un odore cosmetico di cerone misto a sigaretta, e i suoi pensieri si coagulavano inevitabilmente nelle fattezze di Rosinante; da qui, la memoria delirava in flash accecanti: ricordava una donna malata, la sua mano fredda e i capelli biondi sparsi sul cuscino; vedeva la ricchezza di Marijoa allontanarsi... cani rabbiosi lo inseguivano per azzannarlo; ammazzava suo padre, e Rosinante, ancora. 
Tra gli spettri, il fratello era l’unico che si ribellava e tentava di vendicarsi premendo il grilletto prima di lui. 

Doflamingo abbandonava gli occhiali, in questi casi, ma solo dopo essersi assicurato che oltre alla propria presenza non vi fosse nessun altro con lui. 
Gli era necessario. Perché tolte le lenti, la realtà lo colpiva con sfolgoranti colori facendogli capire di stare solo sognando, e che il mondo, quello esistenziale, era completamente sotto la sua egemonia. Come adesso. 

Si trovava al quarto piano della Reggia, nella sua lussuosa stanza da letto, e sedeva sul bordo della finestra. Le gambe accavallate e gli occhiali appoggiati sul davanzale, a macchiare di rosso la pietra chiara per via della luce proiettata attraverso i vetrini colorati. 
All’orizzonte Dressrosa, comprese le anime che la abitavano, era sua; gli sarebbe bastato osservarla per rassicurarsi del proprio dominio. Invece, Doflamingo non degnava il Regno nemmeno di un’occhiata. 
Precipitando lo sguardo giù, nel cortile del Palazzo Reale, il demone preferiva spiare l’unico essere vivente sul quale sentiva di non avere il completo controllo. 
L’oggetto delle sue attenzioni era la Principessa Viola. 

Lei stava danzando, la gonna leggera e semitrasparente si sollevava animata dalle gambe snelle che ballavano uno straziante flamenco privo di musica.
Doflamingo seguiva con gli occhi ogni passo, osservava le mani di Viola,  aggraziate, disegnare con le dita sottili arabeschi nell’aria; le vedeva scendere, salire, sfiorare la silhouette di quel corpo florido, giovane, illibato. 
Il Demone Celeste ne era stregato: lei era fatta di crudele lealtà, sconcertante, nasceva dalla paura e dall’istinto di proteggere suo padre, e non aveva pietà di nessuno.  
Viola era perfetta, ed era una sua creazione, uguale a lui: l’aveva forgiata nell’atrocità, le aveva fatto vivere l’orrore eliminando persone a lei care, l’aveva privata dello status nobile e infine costretta a servirlo. 

Senza fermarsi lei ballava. 

Ma non c’era altro spazio nel cuore di Viola, non era lealtà pura quella che lei mostrava al nuovo Re di Dressrosa; non era donata a priori, non era completa; restava insoddisfacente.

La Principessa alzò la gonna e scoprì le ginocchia; Doflamingo le vide da lassù, piccole e magre, deglutì, provò un guizzo nel sangue. Mosse una mano rabbioso, pervaso dalla voglia ingombrante di profanare quella bellezza danzante usando i suoi fili, per manovrarla, per spingerla a ballare come lui voleva... per averla nuda e legare il suo cuore. 

Il demone respirò profondamente, si rilassò; seguendo lo stesso ritmo dei passi della ragazza, che ignara di essere spiata seguitava a danzare, lui si toccò il petto lasciato scoperto dalla camicia che non abbottonava mai. 
Aveva rinunciato a tessere i suoi fili meschini. 
La Principessa sciolse la crocchia che le teneva raccolti i capelli. Le lunghe ciocche scure si srotolarono lambendole la pelle del collo e delle spalle.

E se io ti spezzassi di più, Viola? 
Continueresti a mostrarti fedele? 
Balleresti ancora? 

Viola roteava in veloci giravolte, il demone restava obliterato nell’oscurità dell’ombra e impigliato nei suoi stessi venosi pensieri, puntandola dall’alto, in modo debilitante. Immaginò avere quei capelli intrecciati stretti alle proprie dita, brividi lo percossero, non smetteva di carezzarsi.
Le sue pupille si dilatarono cibandosi di una deliziosa visione. Gli spettri cupi erano spariti, spazzati via.


Viola prillò sul prato verde e profumato, i fili d’erba venivano sfiorati dai suoi piedi leggeri; la bocca avida del fenicottero ebbe il desio di morderli e succhiarli. 

Bussarono alla porta, ‘Mingo non vi badò, neanche quando quel qualcuno si inoltrò nella stanza calpestando rumorosamente il pavimento in marmo serpentino.
Lui non si voltò, ma la persona che lo stava cercando, una donna, venne colpita al cuore vedendolo privo di occhiali. 
Per lei quella era sempre stata una visione impossibile, fino a quel momento.

«Signorino... », pronunciarono due labbra carnose ma pallide.

Doflamingo non rispose. Dalla finestra aperta entrò una forte folata, veniva dal mare ma odorava di Viola. Il vento scostò il drappo scuro che nascondeva il fenicottero, la luce gli illuminò il viso, la donna assistette ammaliata: gli occhi del demone erano fiamma viva, abbacinavano più splendenti d’una stella del firmamento, del sole stesso, una meraviglia che non apparteneva a quel mondo.  

«Signorino... »

Parola morta, vuota, che si disperse nell’aria afona della stanza.

«Signorino... »

Gli occhi brillavano altrove, non per lei.

A chi? A chi stai rivolgendo il tuo sguardo, mio Re?

Doflamingo corrugò la fronte innervosito. Una mosca appiccicosa aveva deciso di non andarsene, continuava a chiamarlo. 
Monet non sapeva di essere diventata una mosca. Insisteva a ronzare.

«Signori- »

«Che c’è?!» gridò lui, per scacciarla; ma distolse gli occhi da Viola, in brevi secondi che gli costarono la scomparsa della Principessa: lei se ne era andata.

Accortosi che Monet era l’insetto irritante, Doflamingo indossò velocemente gli occhiali. L’arpia se ne dispiacque amaramente.

«Signorinooo!»

Stavolta, non fu la donna a chiamarlo. Nella stanza entrò una bambina tutta allegra, coi piedi scalzi e che portava con sé un piccolo canestro di vimini colmo d’uva.
La bambina arrivò al cospetto di Doflamingo, saltellando incurante della forte agitazione che ancora non aveva abbandonato il fenicottero e che visibilmente gli arrugginiva l’espressione.

«Torna subito qui, Sugar!» 

Ordinò Monet, ma la piccola Sugar non la ascoltò, anzi, andò ad accomodarsi sulle gambe del demone, lo abbracciò affettuosa e dondolò i piedi felice.
Monet rimase col fiato sospeso, Doflamingo avrebbe potuto strozzarla, lanciarla fuori dalla finestra, o tagliuzzarla con i suoi fili. E se questo fosse stato il volere del Re, Monet non lo avrebbe contrastato.

«Signorino mi sei mancato tanto tanto! Sai che la scorsa notte non ho dormito bene, Trebol russava troppo, volevo ucciderlo!» disse la bimba, cercando di richiamare l’attenzione del fenicottero che era tornato a guardare fuori dalla finestra, a mirare il vuoto lasciato da Viola e il foulard che ella aveva dimenticato su una panchina.

«Sugar, ti avevo detto di stare ferma, non si disturba in questo modo il Signorino!»
Monet rimproverò sua sorella, e la piccola, che non amava essere sgridata, rispose con una linguaccia e nascose il viso sotto la camicia di Doflamingo, sicura di trovare riparo.
«Ragazzina pestifera!»

«Fu fu fu... non devi arrabbiarti con lei, Monet. Sugar non potrebbe mai darmi fastidio» intervenne Dofy, accarezzando il caschetto di capelli corti e morbidi della piccola. 
Il fenicottero aveva perduto il motivo per tenersi distante, ma intanto rifletteva su dove potesse esser fuggita la sua tortorella e aveva voglia di incontrarla.

«Chiedo perdono», l’arpia era costernata, estremamente a disagio.

«Sugar, cosa mi stavi dicendo a proposito di Trebol?» domandò Dofy, continuando a giocare con i capelli della piccola: attorcigliava i boccoli fra le sue lunghe dita, con gesto reiterato, lasciandosi però sfuggire un accento nervoso.

«Che non mi lascia dormire, russa forte perché non si soffia il naso. E io non ce lo voglio più nella mia camera!»

«Oh, mi dispiace. Ma Trebol deve starti vicino, per proteggerti»

La piccola mise il broncio: «Questo vuol dire che non sono abbastanza forte?»

«Assolutamente no! Vuol dire che sei importante!» il demone le diede un buffetto sul naso, la stava trattando come una bambina. 
Sugar gli sorrise, arricchendo le sue guance paffute, poi, infilò le dita in quattro acini d’uva, bucandoli teneramente con le sue unghie minuscole. 

«Um... d’accordo, ma mi prometti che una di queste sere dormirai tu con me?»

Monet era sull’orlo di fulminare la sua graziosa sorellina.

Sugar assaggiò un chicco d’uva, quello sul dito mignolo. Dopo, portò la mano alla bocca del demone che sorridendole le permise di imboccarlo. Dalle dita che la piccola gli offriva, Dofy succhiò un chicco e ci giocò, facendolo rotolare a vista sulla lingua, prima di morderlo e lasciarsi inondare la bocca dal suo dolce succo. 
La complicità che s'era creata tra il Signorino e Sugar annebbiò la vista dell’arpia. Monet si sentiva un’intrusa, esclusa, ma esagerava nel vedere la sua amabile sorellina al pari di una ladra: in fondo, Sugar era solo una bambina... di circa diciotto anni.

La piccola se ne stava approfittando, andava sculacciata.

«Ma certo, te lo prometto. Dormirai abbracciata a me tutta la notte, dai, ora va’ che Trebol ti starà sicuramente cercando»

La bimba sorrise e contenta baciò a sorpresa Doflamingo all’angolo della bocca, con fare civettuolo e fanatico, mettendoci pure una punta di lingua, perché così facevano gli adulti. Fu un dettaglio questo, che Monet poté solo immaginare, senza sbagliarsi. 
Il demone abbracciò la piccola e la aiutò a scendere dalla sue gambe lunghe. Le strinse il corpicino afferrandola per il prendisole chiaro a pois azzurri che la faceva assomigliare ad una bambolina.
Monet la detestava, doveva finirla di fare la smorfiosa con lui!
Quando Sugar la oltrepassò per uscire, portando con sé il cesto d’uva, la piccola non si risparmiò di punzecchiarla: «Frigida arpia, bleah!», le disse con una seconda linguaccia, e uscì sbattendo la porta.

«Per quale motivo sei venuta qui, Monet?», domandò Doflamingo, riportando la donna sull’attenti. Con lei il demone aveva perduto gentilezza, era diventato improvvisamente severo e freddo.
«Sono venuta ad avvisarla che lo scienziato Caesar Clown è arrivato, e attende di essere ricevuto»

«Bene, è stato puntuale» si limitò a commentare il fenicottero, senza ringraziare i servigi della sua migliore subordinata. Peggio: uscì dalla porta evitando di degnarla di qualunque considerazione, come fosse stata trasparente.
Faceva male, probabilmente il Signorino era arrabbiato con lei perché lo aveva interrotto in un momento importante. Non le restava che scoprire cosa vi fosse oltre la finestra.
Monet andò a vedere e nel momento stesso in cui si affacciò, la Principessa Viola tornò a prendere il foulard che aveva dimenticato.

Shhrreek!!!

Con ferocia, gli artigli dell’arpia bucarono la stoffa spessa della tenda, la sdrucirono selvaticamente, riducendola a brandelli.

 

 

***

 

«Joker!»
Esclamò con giubilo il più pazzo tra gli scienziati sfuggiti alla Marina. Le sua bocca bluastra, velenosa come gli intrugli che preparava, si distese in una smorfia assottigliata quand'egli vide arrivare il suo protettore, Donquijote Doflamingo, conosciuto da tutti i broker come il Joker. 
Il Demone Celeste aveva deciso di accogliere l’ospite in una sala appartata e non in quella dei Semi più adatta ai ricevimenti importanti. 
Meno gente veniva a conoscenza della presenza dello scienziato sull’isola, meglio era. Tra la gente erano inclusi anche gli Ufficiali, a parte Vergo che era presente alla piccola riunione.

«Adesso spiegami, Caesar, sarebbe bastato inviarmi un messaggio da Punk Hazard, una chiamata col lumacofono, senza rischiare di muoverti da lì, invece tu hai deciso di venire proprio qui, mettendo a rischio te stesso e soprattutto me. Attendo da te un’importante motivazione, e spero vivamente che lo sia, importante»

«Certo che lo è! Shulololololò!» 

«Non si tratterà del SAD?», lo incalzò il fenicottero, ce ne aveva una per capello, era stato interrotto in un momento di concentrazione massima, di resistenza alle proprie pulsioni – non smetteva di pensare ai piedi delicati della Principessa – e per quel giorno l’eccezione non si sarebbe più ripetuta. Avrebbe ucciso, sì, doveva controbilanciare le forze.

«Nonono, Joker! – lo rassicurò lo scienziato, mettendo le mani avanti – Va tutto bene, ma sai, io produco la medicina per te, tu in cambio mi garantisci la protezione e... » 

«Arriva al sodo, Caesar» lo intimò ‘Mingo, dandogli le spalle per andare a versarsi da bere in un bicchiere di cristallo posto su un piccolo servizio bar all’angolo nella stanza. Un’arsura insopportabile gli aveva disidratato la gola, aveva sete.

«Conosci la mia fama, io sperimento, faccio scoperte sensazionali, ma ho bisogno di cavie, e per i motivi che tu stesso hai detto, non posso andare a cercarle da solo, mi scoprirebbero se mi muovessi!»

Doflamingo fissò lo scienziato, bevve un sorso abbondante di prosecco ghiacciato, «A cosa ti servirebbero queste “cavie” ?» chiese.

«Si tratta di sperimentare la formula per il gigantismo! Devi sapere che con questa sostanza chimica è possibile creare un esercito di mostri invincibili»

Il diavolo rosa inclinò la testa, guardò l’ex ufficiale di cuori e poi di nuovo lo scienziato, «Ok, Vergo collaborerà con te» 

«Ma le mie non possono essere cavie qualunque, ho bisogno di... bambini, tanti bambini!»

Il demone sorrise, cioè, svelò i suoi denti perfetti, «Tutti i bambini che vuoi, Caesar, tutti quelli che vuoi... E tu, Vergo, è vero che lo aiuterai?»

«Ovviamente, Joker! Mi piace andare a caccia di bambini» rispose l’ex Corazon succinto in abiti marine.

«Ma adesso, da bravo Caesar, torna a lavoro, mi inquieta l’idea che tu sia qui anziché stare al tuo posto a produrre quello che mi devi», Doflamingo accompagnò lo scienziato verso la porta. Una volta fuori, Caesar venne scortato da Vergo.

«Grazie, Joker!»  

Doflamingo elargì un nuovo sorriso allo scienziato, annuendo con la testa, quasi a dire “di nulla!”, ma di fatto non lo disse.

«Vergo, riportalo sull’isola sano e salvo» parlò ancora il fenicottero, poi, costrinse l’ufficiale ad avvicinarsi a lui. Vergo si accostò appena per permettergli di mormoragli qualcosa all’orecchio.

«D’accordo, conta su di me Dofy» rispose il camuffato marine dopo aver ricevuto il messaggio in un sussurro. 

Vergo lasciò Dressrosa con la missione di ricondurre Caesar alla bruciante Punk Hazard, e di svolgere un altro incarico, quello che il Demone Celeste non aveva fatto udire allo scienziato.

 

 

***

 

 

In qualunque luogo del palazzo lei si trovasse, c’erano sempre occhi attenti ad osservarla. 

Controllata, spiata, inquisita, seguita. 

La Reggia era mutata in una prigione di pupille indagatrici con migliaia di braccia pronte a immobilizzarla. Non c’era scampo.
Forse, il Re non si fidava di lei e temeva che provasse a fuggire. La Principessa non poteva immaginare cosa in realtà vi fosse dietro quell’oppressione patologica.
Viola comunque non osava nemmeno sperarci, non poteva abbandonare il suo Paese, tantomeno suo padre di cui non aveva avuto più notizie da quella notte di inferno. 
Le giornate trascorrevano lente per lei, che si sforzava di mantenere una parvenza di normalità evitando di soccombere al proprio destino. Studiava, danzava – saper ballare era tipico delle donne di Dressrosa, e lei era figlia del suo Paese – ma non aveva amici, non parlava con nessuno all’infuori di Tank Lepanto, l’ex capitano delle guardie di suo padre, rimasto a servire Doflamingo esclusivamente per proteggerla. 
Ma con Tank, Viola parlava di rado onde evitare di destare il sospetto di una cospirazione e di metterlo in mezzo ai guai. 
In compagnia dei suoi incubi, e dei sensi di colpa che la consumavano lentamente, giorno dopo giorno,Viola era sola.

Passeggiando nel palazzo, la Principessa si sforzava di ricordare come era un tempo, quando era libera e c’era la sua famiglia con lei; purtroppo, le dolci memorie sparivano alla vista del ghigno nero dipinto ovunque nella Reggia, andavano in frantumi quando udiva voci estranee, e la ferivano nell’attimo in cui vedeva chi le aveva fatto del male occupare indisturbatamente la sua casa. 
Se le capitava di non incontrare alcun membro del clan durante le sue escursioni scaccia pensieri, poteva dirsi fortunata. Tuttavia, la Principessa non era più seguita da una buona stella, il cielo per lei si era oscurato; ed infatti, uno fra i peggiori della Donquijote Family le stava venendo incontro. Era Diamante, l’Ufficiale di Quadri.

Non c’erano stanze dove potersi infilare, il corridoio lungo che stava percorrendo non dava la possibilità di poter cambiare percorso.
Lei non voleva tornare indietro, avrebbe rischiato di destare attenzione e di ritrovarsi poi costretta a dare spiegazioni. 
Pregò affinché quell’uomo viscido, passando, non le rivolgesse la parola.
Lui arrivava con incedere arrogante, la spada sguainata appoggiata di piatto su una spalla, la camminata fiera, a Dressrosa lo consideravano perfino l’eroe del Colosseo, ma Viola lo conosceva diversamente: era un vile, un ignobile assassino che si vantava dei suoi atti criminali. La ripugnava.
Viola tirò dritto, evitando di guardarlo in faccia, Diamante sembrò non fare caso a lei ma...

«Oh, Principessa Viola!»

L’Ufficiale si fermò e le sbarrò il cammino.

«Che fai? Mi eviti e non mi rivolgi nemmeno un saluto, Principessa?»

Viola cercò un punto dove puntare gli occhi che non fosse occupato da quell’individuo. 

Non c’era.

«Ehi, sto parlando con te!» 

L’uomo osò toccarle il viso, la costrinse a guardarlo. Lei strinse i pugni, obbligata a subire la presenza del pirata. 
Naso lungo e fino, narici larghe, occhi come buchi su una maschera senza vergogna. E la bocca... un taglio obliquo, storto, grande e affollata di denti... il ritratto della nefandezza incorniciato da capelli bisunti, con tanto di cappello bicorno buono a farlo somigliare a un troll.
Viola cominciò a contare, mormorando i numeri senza curarsi che l’Ufficiale potesse sentirla.
«Sei bella, Principessa Viola – Diamante cadenzò le parole, il disgusto saliva, l’Ufficiale la stava guardando con sporchi intenti, lei non poteva sottrarsi –  i tuoi occhi sono così grandi, me la ricordano, oh sì, somigliano tanto a quelli di tua sorella – sotto la gonna, il pugnale che la Principessa teneva legato alla coscia sembrò ardere – Com’è che si chiamava?! Aspetta, fammici pensare... Ssssss-Scarlet! Non è così?!»

Otto, nove, piantaglielo in gola, dieci, undici, dodici

«Ma che importa oramai, lei riposa sotto metri di terra, come tutti i Riku. E ce l’ho messa io lì, eh! Ah ah ah! – Tredici, quattordici, uccidilo! Scusami, non posso fare a meno di dirtelo ogni volta che ti vedo, è che tu me la ricordi moltissimo, e certo, eravate sorelle!!!»

Quindici, sedici, tagliagli la gola!

«Lei è stata molto sfortunata. Tu invece eccoti qui a far parte della Famiglia... dimmi la verità, questo non ti fa sentire un po’ in colpa, Principessa?»

Viola accarezzò la stoffa della sua gonna, le tremavano le mani, il pugnale era come incandescente.

Perdonami Tank, perdonatemi tutti

«Diamante!»

Una voce tonante si intromise.
Sentendosi chiamare, l’Ufficiale si voltò, e trovandosi di fronte Doflamingo in persona, interruppe il discorso diventando impacciato.
«Ah, Dofy! Posso fare qualcosa per te?!» chiese, con la mano callosa e ruvida che ancora toccava la pelle morbida della Principessa. Ed era lì che il demone aveva inchiodato il suo sguardo. 
Celato dagli occhiali nessuno poteva accorgersene.

«Sì, togli le mani dal viso di Violet e dimmi cosa vi stavate raccontando»

L’Ufficiale, intuita una certa tensione, di cui però non capì la natura (era esageratamente stolido per arrivarci), aprì la bocca, sorrise ebete e lasciò la Principessa come gli era stato ordinato. 
Anche Viola era sorpresa dall’arrivo di Doflamingo, comparso puntualmente prima che lei potesse compiere una grave scelleratezza.

«Niente di particolare, le stavo ricordando che, be’ è una di noi e pertanto...»

‘Mingo non ascoltava. Osservava Viola, in particolare le sue iridi ambrate dove stava bruciando qualcosa di nuovo e interessante. 
L’Ufficiale seguitava a parlottare privo di senso logico. 

Il palazzo era infestato da mosche. 
Pensò Doflamingo.

«Diamante»

«Sì, Dofy?»

«A Dressrosa sei l’uomo più attento, coraggioso e risoluto, il migliore tra tutti», il demone si rivolgeva a lui, però la sua attenzione era sempre per Viola, lei se ne rese conto e si allontanò cautamente da Diamante. Fu un’azione dettata dall’inconscio, era meglio così.

«Oh, non esagerare Dofy, così mi metti in imbarazzo!»

«Non esagero, e perciò voglio che tu vada adesso al porto mercantile a controllare come vanno i traffici, perché non deve più ripetersi quel che è accaduto la scorsa settimana, mi prometti che sarai attento così come mi aspetto che tu sia?»

Le parole cortesi di Doflamingo suonavano alle orecchie di uno stolto come un gratificante elogio, e ogni suo comando era un desiderio da esaudire.

«Non ti deluderò!»

«Ora va’»

Fiero di sé, Diamante liberò il campo dalla sua scocciante presenza.

La Principessa era sospettosa, mandarlo via era stato davvero un comando necessario? Oppure una scusa per liberarla dalle grinfie dell’Ufficiale? 
E se sì, a quest’ultima, a quale scopo?
Lei non voleva vedere, avrebbe potuto sincerarsene analizzandolo coi suoi poteri, ma temeva di conoscere la verità. 
Rimasero soli. 
Dofy era contento, aveva pensato a lei tutto il giorno, era pregno di lei, dell’immagine del suo corpo che ballava. Le si avvicinò. 

«Sembri non stare molto bene, Violet» commentò lui. La osservava dall’alto in giù, come quando l’aveva spiata dalla finestra. Ma ora, poteva toccarla.
Stremata dal calo di adrenalina, Viola s’era appoggiata contro il muro ruvido e scomodo per trovare sostegno. R
espirava affannata, non riusciva a placarsi, in presenza di Doflamingo era impossibile. Si portò le mani al cuore e premette forte.

«Non è nulla, anf, anf... non preoccupatevi per me»

«Anche quando siamo soli continui a rispettare ostinatamente questa inutile formalità? Non serve, te l’ho già detto»

«Questa inutile formalità è il dovuto rispetto da mostrarvi, Sire» 

Il demone sorrise, era divertito dalla sottile ironia con cui lei tentava di camuffarsi in fedele suddita. 

Cara Principessa, tu non sai mentire.

«Sai, poco fa, quando Diamante era qui, tu eri... diversa, sembravi molto sicura di te»

Non può essere

La Principessa sperò che l’insinuazione non si riferisse alle sue sventate intenzioni omicide.

«Viola, so cosa volevi fare a Diamante, me lo hanno suggerito i tuoi occhi – Era finita, e questa era la conferma; l’avrebbe uccisa e anche suo padre sarebbe morto – però, in un certo senso sono d’accordo con te...Voglio dire, esiste un solo perdono che può funzionare in questo mondo, ed è la vendetta, peccato che questa sia unicamente privilegio dei più forti e condanna per i deboli, fu fu fu... »

«Finitela di prendervi gioco di me! Se avete capito che sono pronta a vendicarmi perché non mi uccidete?!»

«Non lo faccio perché tu non vuoi morire! Sei tanto attaccata alla vita, tua e degli altri, pensaci, Viola»
Doflamingo, argutamente avvicinatosi alla Principessa, si chinò su di lei, con le dita mosse l’aria, seguendo il profilo della ragazza.
«E poi, tu sei troppo – la sfiorò appena su una guancia, le gote di Viola si imporporarono immediatamente, come fosse stata marchiata a fuoco; lei s’umettò le labbra; Doflamingo si piegò di più, lasciando che solo un corto respiro separasse le loro bocche, soffiò sulle labbra umide della Principessa, provocandole gelidi brividi e asciugandole l’impronta bagnata che le faceva luccicare le labbra rosee – sei troppo, troppo preziosa per me»

Viola si schiacciò indietro cercando di sottrarsi all’ignota sensazione che la stava investendo. La parete ruvida  si aggrappò al suo vestito di veli.

S
occhiuse le palpebre, aspettando che accadesse.
Se ne sarebbe pentita. Si sarebbe dannata per questo. 

«Viola, ascoltami»

Riaprì gli occhi: il demone, a distanza nulla, le apparve bello. 

«Un Re mostra il suo potere quando decide di non uccidere chi meriterebbe di morire» 

Che mi stai dicendo? 
Che vuoi ancora da me?
Dove sono i tuoi occhi? ...


«Pensaci Viola, pensaci sempre»

Doflamingo si allontanò da lei, non prima di averle rubato un respiro facendole sentire solo il calore delle proprie labbra senza baciarla.
L'aveva torturata abbastanza; decise di lasciare la sua tortorella libera di volare, di librarsi leggiadra nella voliera e di rendersi conto che, pur libera, dalla gabbia non sarebbe mai potuta uscire. 
La abbandonò.

 

***

 

Senza di lui la percezione del vuoto aveva peso e consistenza. Ed era sbagliato.
Viola si coprì il volto con le mani, non era preparata, non si spiegava cosa fosse accaduto e perché il suo cuore batteva suicida.
Se Doflamingo non fosse arrivato, lei probabilmente avrebbe ucciso Diamante o, più verosimilmente, ci avrebbe provato e sarebbe stata in ogni caso giustiziata, e con lei anche suo padre. 
Lui l’aveva salvata da Diamante.
Scrollò la testa. 

Sbagliato sbagliato sbagliato!

Lui aveva capito. 

Non te ne accorgi? Ti tiene sotto scacco!

Improvvisamente, un pianto querulo distolse la Principessa dalle proprie congetture, in fondo al corridoio una bimba la guardava con cattivo cipiglio. Ella stringeva in una mano il corpo di una bambola di pezza e nell’altra la testa della bambola, era quest’ultima a lamentarsi. A terra, ovatta e lanugine circondavano i piedi scalzi della bambina. Fortunatamente la bambola era solamente un giocattolo, altrimenti sarebbe andato sparso altro lì intorno.

«Sugar?», Viola la chiamò.

Sugar non rispose. Avrebbe voluto mostrare il suo nuovo giocattolo al Signorino. Lo aveva seguito e si era trovata ad essere spettatrice: lo aveva visto scambiare un bacio con Violet, di quelli che si davano gli adulti, secondo Sugar. 
La testa della bambola continuava a dolersi fra le dita malvagie della piccola strega.
Inquietante.
Viola ne era turbata.

«Sugar... » la chiamò ancora.

Indispettita, la bimba se ne andò. 
E come ogni brava bambina della sua età, Sugar avrebbe fatto la spia.




 

 
"Believe me, this wasn't what I wanted
But no, I can't leave, he's got me
Won't you shine in my direction and help me?
Won't you lend me your protection and help me?
Am I guilty or am I just waiting around
For the tide to come in so the truth can come out
Don't make me choose, I've got too much to lose
Don't make me choose, I've got too much to lose
Don't make me choose, I've got to much to fucking lose!"
 
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Il brano scelto da ascoltare cliccando qui, God Help Me - Emilie Autumn
E a me lei piace, molto.
Passiamo alla storia: secondo capitolo, e quindi siamo a metà strada.
Sono spiacente per i lunghi tempi di attesa.
Che dire, quel corridoio del palazzo potremmo chiamarlo il corridoio degli incontri, tutti lì! E nello stesso momento, va be' mi piacciono le entrate e le uscite di scena soprattutto. 
Ma trattiamo Sugar adesso... adoro questa bambina, lei è da infilare tra i peluche, e mi sono divertita come una matta a muoverla. Alla fine, è l'unica che con Dofy può far tutto! xD 
Sì, sono sorelle lei e Monet. Oda ce lo scrive nelle sbs del volume 77. Ho falsato la sua età però, per evitare problemi e censure. Esagero? Come sempre.
Spero di aver mantenuto un Dofy IC. È strano provare a entrare nella sua testa, ne esci male in ogni caso. 
Povera Viola, sedotta e abbandonata. Un classico. Ma qui c'è altro ovviamente.
A chi andrà a fare la spia Sugar? Ma ovvio, che ve lo dico a fare. ;)
Con l'occasione anche Caesar fa la sua comparsa, siamo agli inizi della sua carriera, e 'Mingo non si fida. Lui è più furbo, ovvio.
Ora vi lascio e vi ringrazio per aver letto il secondo capitolo, mi farebbe piacere leggere le vostre impressione, sperando abbiate voglia di lasciarle.
Un grazie grande con un baciotto a chi non mi molla e continua a seguirmi.
Pandroso vi saluta e come di sua consuetudine vi elenca le sue altre storie pubblicate, magari tra loro ne trovate qualcuna che vi piace di più (sono gradite recensioni anche su vecchie storie).

 
Pubblicata il 21/02/2017    
Due fratelli si separano, ma in un giorno non casuale uno di loro decide che è ora di mettere le cose in chiaro verbalmente, carnalmente, con tanto amore fraterno.
*Fan Fiction partecipante allo Sfiga&Crack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law 
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Amanti segreti nel lontano Regno di Wa
Dal testo: [...] Quel pirata non si comportava mai solo come un pirata.
«Roronoa!... »
Pronunciò, sfiatata, incredula [...]
*Fan Fiction partecipante allo Sfiga&Crack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
Con DISEGNINO per le fan ^_^
Pubblicata: 21/02/17 | Aggiornata: 21/02/17 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! 
Personaggi: Roronoa Zoro, Tashiji, Zoro/Tashigi 
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Mein Herz Brennt

QUARTA ONE SHOT PUBBLICATA, INIZIATE ANCHE DALL'ULTIMA (Guest star di turno: CROCODILE) 
Non importa quanto si creda crudele, ogni cuore è capace di ferirsi.
A volte, le ferite non guariscono, continuano a sanguinare, diventano più profonde, e uccidono, se si è fortunati. Ma se si sceglie di non morire, queste si tramutano in una spietata condanna.
Raccolta dedicata alla Famiglia Donquijote. NON è una Yaoi anche se... scopritelo da soli.
Dal QUARTO CAPITOLO: 
«[...] Cosa pensi, che basti allungare uno di quei tuoi odiosi sorrisetti e Kaido ti obbedirà come una sgualdrina?» 
«Fu fu fu, allora sai perché sono qui... Comunque, caro secchio di sabbia asciutta, Kaido farà di meglio: me lo succhierà tutti i giorni e gli piacerà farlo!»
Consigliata come lettura serale. Ma attenzione che i contenuti sono forti, l’ho messo pure nelle note.
Autore: Pandroso | Pubblicata: 10/09/16 | Aggiornata: 16/01/17 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza 
Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law 
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A Zou si affrontano problemi ontologici (ZoSan) Aveva lasciato un biglietto, doveva sposarsi, prometteva di tornare. Tutti erano preoccupati per lui.
A Zoro non interessava.
One Shot breve, Yaoi della coppia ZoSan, per voi fan e per me felicemente disperata a riguardo delle sorti di Sanji. Contiene Spoiler.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! LEGGI

Curami (Zoro/Perona/Mihawk) NEW: pubblicato IV CAPITOLO!
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line
Pubblicata: 11/09/13 | Aggiornata: 31/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
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Loverman… (ZoSan)
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
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L’impensabile inaspettato (ZoSan) 
Sanji ha un urgente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note. E a voi la lettura.
Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro 
LEGGI 

Ultime previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law) 
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
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Capitolo 3
*** 3 ~ Tradimento ***


EDIT del 20/09/17: il testo ha subito delle modifiche nella forma, ma la storia, per chi già avesse letto il capitolo, non è cambiata. Ci sono dei particolari in più, utili per la comprensione, se aveste voglia di rileggerlo. 

 

 

Daughter

 

3 ~ Tradimento

Schenk mir was
Lass etwas hier
Lass bitte etwas hier von dir
Ein paar Tränen wären fein
Reib mich abends damit ein


Un cameriere servì velocemente l'ordinazione, portandola ad uno dei tavoli esterni del bar di fronte alla piazza.
«Il suo caffè, signore... Gradisce qualcos’altro?», domandò lui al particolare cliente nascosto in un soprabito scuro, e che portava in testa un cappello a tesa larga sotto il quale sbucava della stoffa rosa a infagottargli le orecchie.
C’era pure un fiocco sotto il mento sbarbato dell'uomo, un fiocco che, oltre al cotone rosa, teneva legate insieme la speranza e la pazzia. Segretamente.

L'uomo non rispose: sfogliò il giornale che teneva aperto davanti a sé e poi guardò la tazzina di porcellana appena servitagli. Notò che non combaciavano, la base della tazzina e il rialzo del piattino di coccio non combaciavano. Erano state utilizzate porcellane di due diversi servizi. Il caffè ancora ondeggiava instabile e una goccia era scivolata fuori dal bordo della tazzina, che era appiccicosa adesso e stava precaria.
L’uomo sollevò la chicchera dal piattino, salvandola dal rischio di rovesciarsi, o peggio di andare in frantumi, e la posò sulla tovaglia bianca che vestiva il tavolo.

Le cose diverse non possono stare insieme, finiranno per rompersi.

Pensò, toccandosi il fiocco rosa. Se gliel’avessero chiesto, avrebbe aggiunto che lo stesso accadeva alle persone, persone tra loro diverse, come i pirati e gli innocenti che non potevano vivere una vita insieme senza che questa andasse in pezzi.

«Grazie, per ora basta così».

A quell'ora del pomeriggio il centro della città era gremito di persone: osservata a volo d’uccello, tutta quella gente si riduceva in vibranti agglomerati di punti scuri che risaltavano sul ciottolato beige della piazza e davano ad essa una particolare apparenza, come fosse stata crivellata di pallottole.
La folla iniziava davanti al portico d’ingresso di una chiesa, dove un gruppo di giocattoli funamboli stava dando spettacolo intrattenendo i bambini lì radunatisi. Questi ultimi ridevano felici, spalancavano le bocche dallo stupore, innocenti e opposti a quegli oggetti animati dall’aspetto allegro e gioviale, ma che in verità nascondevano le grida di chi era stato ridotto in schiavitù e per sempre separato dai propri cari.

Sul lato opposto alla chiesa, le bancarelle del mercato attiravano l'attenzione e inondavano il luogo con profumi caramellati, tipici di Dressrosa.
Le bancarelle assomigliavano a casette in miniatura disposte in fila, ordinate, come tutto appariva in quel Regno rigorosamente ripulito da ogni storpiatura.

L’uomo non bevve nemmeno un sorso di caffè, e non stava sfogliando il giornale con l'intenzione di leggerlo. Anche il cielo, come lui, non era sincero: si presentava soleggiato ma rumoreggiava lontano.
L'uomo osservava la gente, epperò gli importava poco o nulla della vita che aveva attorno, eccetto di una persona.

... Mi hanno convocato urgentemente a Marijoa. Mentre io starò lontano dall’isola, voglio che tu non perda mai di vista Violet. Lei non dovrà accorgersi della tua presenza. La affido a te, Señor Pink.

Questo era stato l'ordine di Donquijote Doflamingo. Señor Pink, il particolare cliente del bar, non si era posto domande e, dopo aver visto la Principessa uscire dalla reggia, le era andato dietro.
L'aveva seguita fino al ponte di Green Bit, poi a sud-ovest, ad Acacia, nella città portuale dove lei si era attualmente fermata.
La sorvegliava ora, inseguendola con gli occhi.
Il caffè si sarebbe freddato.
 

 

In piazza, al mercato, davanti al chiosco di una macelleria:
 

«Cosa posso servirle?»

La domanda arrivò inaspettata e con un ingiustificato tono indagatore, o almeno così sembrò.
Viola non poteva rispondere, pensava ininterrottamente a cosa le era accaduto quella mattina, quando c’era stato troppo poco tempo per riflettere e per dubitare. 
Strappare quel pezzo di carta e far finta di non averlo mai avuto sotto gli occhi avrebbe dovuto essere la sola cosa da farsi. E lo aveva stracciato, ma ormai il messaggio lo portava scolpito nella mente:

 

Il Re non sa che sei viva. Se vuoi rivederlo raggiungi Sevio e attendi la sera. 
Non parlare con nessuno. Brucia la lettera.


Nonostante possedesse il dono della chiaroveggenza, Viola non era mai riuscita a trovare suo padre e, durante due anni di buio e cecità, la paura che fosse malato e che fosse stato rinchiuso e tenuto prigioniero in un luogo dove nemmeno i suoi poteri riuscivano ad arrivare stava diventando una annientante convinzione. Leggere quel messaggio, trovato sul proprio guanciale in una lettera chiusa e ripiegata in una busta, aveva fatto sbocciare in lei una piccola speranza. 
Ma l
a presenza della lettera aveva innumerevoli e altamente rischiose origini facili da intuire: qualcuno si era intrufolato nella sua camera, qualcuno che stava rischiando la vita per aiutarla a rivedere suo padre o che, più verosimilmente, voleva incastrarla.
Lei era giunta ad una decisione affrettata poco prima dell'arrivo della brulicante servitù corrotta.

«Abbiamo i migliori quarti di bue, signora, la lombata, guardi come è bella!», il macellaio si rivolse ancora a Viola, concentrata su altro, attenta alle mosse dell'uomo che Doflamingo aveva assoldato per pedinarla. Si era accorta che Señor Pink la stava seguendo. E scoprirlo non era stata una novità, bensì l'ennesima conferma che il fenicottero non si fidava completamente di lei. Ma muoversi a Dressrosa, tra la gente, era ancor meno facile che seminare Señor Pink: se fosse stata riconosciuta, avrebbe potuto imbattersi nella potenziale dormiente rabbia del suo popolo; per questo, il suo volto era coperto, solo gli occhi ambrati si svelavano al pubblico.

Arresosi, il macellaio incartò una decina di salsicce con alcuni fogli di giornale e passò ai clienti a seguire.
Viola comunque non si mosse, davanti a lei un agnello veniva smembrato, le viscere inutili scivolavano in un secchio.
Non poté evitare di fissare la scena: ad ogni accettata le ossa tenere venivano spezzate, la lama batteva secca sul tavolaccio di legno, meccanicamente, continuamente. 

L'agnello finì sbattuto sul bancone, la testa da una parte e il corpo in bocconcini da un’altra.
Viola poteva vederlo da vicino, metà cranio con un solo occhio nero ricoperto di un velo d'azzurro. Quell'occhio la stava fissando e... l’agnello pareva sorriderle col ghigno spellato, viscido, mortifero, identico a quello che aveva visto e vedeva ancora abbondante sulle labbra di tutti gli appartenenti alla Famiglia.
Un ghigno che sicuramente avrebbe assunto anche lei, viva... o morta ammazzata che fosse stata.

Non voglio, non come loro!

Si allontanò dalla macelleria dove era finita per caso, si sentiva confusa, disorientata. Cercò Señor Pink. Lo trovò. Lo guardò così tanto e intensamente che lui le sorrise da lontano. Ora si giocava a carte scoperte.


Non stava andando come Doflamingo avrebbe voluto, ma per l'ufficiale pirata era meglio così: consapevole di non essere sola, alla Principessa sarebbe passata la voglia di fare qualunque scherzo.
E a
l tramonto del sole mancavano tre ore, e più della metà di queste servivano a Viola per raggiungere Sevio a piedi da Acacia. 
 

***

 


«Mangia la Principessa! Mangia la Principessa!»

«No, ti supplico, non uccidermi!»

«Meriti di morire per aver tradito il tuo popolo!»

«Aiutatemi, io sono innocente!»

«Soffri! Soffri come hai fatto soffrire anche noi e muori!»

«Uccidila, uccidila!»

Qualcosa di azzurro, biondo e molto grazioso, volò via rovinando impietosamente a terra. 
Un attimo di calma, passarono una decina di minuti, poi: «... Uffa!» si lamentò Sugar. La piccola si trovava nella camera padronale del Signorino, sul letto immenso, intrufolata fra morbidi cuscini e lenzuola pulite. Un soldatino, un drago, e la principessa schiantata sul pavimento, erano le bambole che aveva portato con sé per giocare insieme a chi sfortunatamente non aveva trovato. Ragion per cui s'era dovuta accontentare di fare da sola. La storia era andata così: il soldatino aveva catturato la principessa in fuga dai sudditi infuriati e aveva incitato il drago a divorarla, e lei era morta.
Ma non era stato divertente, piuttosto breve, grossolano, senza una fine sublime. Non come quando c’era il Signorino ad animare le bambole, muovendo i fili con quei movimenti nobili e aggraziati che tanto la incantavano.
«Mi sto annoiando... noia, noia, noia, noooia!»
Sparpagliò i giocattoli sul letto e rotolò esasperata fra le lenzuola, ricacciò fuori il viso soffocato fra i cuscini e guardò l’orologio pesante e tutto d'oro ch'era appeso alla parete davanti a lei: segnava le diciotto spaccate.
Nella sua squilibrata testolina stavano dandosi battaglia due pensieri: in uno la Principessa guastafeste sarebbe stata finalmente eliminata, per davvero, come le aveva promesso una persona, che però le aveva anche fatto giurare di non dire nulla al Signorino; nell'altro c'era la voglia di rivederlo, per giocare con le bambole insieme a lui. Ed era una vera voglia di bimba la sua, insostenibile e capricciosa.
Sugar sapeva che quando il Signorino
 partiva alla volta di Marijoa poteva star lontano da Dressrosa per due o anche tre lunghi giorni. Un’attesa improponibile per la sua impazienza. Ma la piccola biscia era furba, un modo per far tornare prima il Demone esisteva. E lei ne era a conoscenza.

 

 

***

 

Pioveva ad Acacia, anche il cielo aveva mostrato il suo vero volto. Al mercato ci si sbrigava a chiudere; il vento tirava tanto forte che le bancarelle venivano trascinate via e la merce finiva sparsa nella piazza, la quale divenne presto un buco vuoto e allagato.
«Signore, la prego, venga dentro! Non resti lì, potrebbe essere pericoloso!» urlò il cameriere invitando Señor Pink a mettersi al riparo nel bar, senza ancora aver capito quale fosse le sua vera identità, a parte quella del cliente vestito in modo bizzarro e con tendenze suicide.

I fulmini cadevano a catena; il pirata rimaneva impassibile, perché la pioggia precipitava furiosa e lo infracidava nostalgica. Señor Pink avrebbe detto punitiva, si lasciò inzuppare col medesimo atteggiamento di chi non poteva esimersi dallo scontare un castigo.
L’acqua veniva giù a secchiate. Il caffè straripò dalla tazzina.

«Come piace a te, Russian»

Disse, e portò la chicchera alle labbra, tenendola tra le dita delicatamente, quasi stesse stringendo un neonato.

«Come piace a te, Russian»

Lo ripeté ancora, invaghito di un ente invisibile che solo lui poteva vedere, completamente dimentico del suo compito, degli ordini di Dofy.
Era la pioggia che sempre gli faceva scordare di essere quello che era, e lo riportava indietro, ai suoi ricordi. In queste occasioni, si sentiva salvo e felice.
Assaggiò il suo caffè scomparso, inghiottì la pioggia e sorrise.
 

 

Sevio, dodici chilometri di distanza da Acacia:
 


Raccapricciante.

Da mettere in quarantena, da dimenticare.
Così si presentò il piccolo borgo agli occhi della Principessa Viola, fuggita grazie al caos scatenato dalla tempesta.
A Sevio il tempo si era fermato alla notte in cui il Re Riku, seguito dal suo esercito, aveva commesso ogni sorta di brutalità contro i sudditi indifesi. 
La maggior parte della case ancora in piedi erano resti carbonizzati, abitate solo dal vento che, passando attraverso ogni crepa, le faceva guaire minacciando di farle crollare.
Nulla era stato ricostruito da allora.
Isolata dalla grazia del nuovo Re, Sevio era l’unica zona che mostrava il reale aspetto di Dressrosa.
Col cuore straziato, Viola procedette verso l'interno del borgo.

Tremava per il freddo, aveva addosso vestiti zuppi e gelati, era stanca per il lungo cammino, sporca. Ma il pensiero che di lì a poco avrebbe rivisto suo padre, come sperava, la risollevava da ogni fatica.

Proseguì per i sentieri sterrati. La pioggia le aveva dato una piccola tregua e non cadeva più. Poi, guardando lontano, Viola vide del fumo uscire da alcuni comignoli, segno evidente che qualcuno era sopravvissuto. Non sapeva di preciso quale fosse il luogo dell'appuntamento e con chi avrebbe parlato, quindi, decise di dirigersi là.
L'aria era densa di un forte odore di legna arsa che misto a quello della terra bagnata le pungeva fastidiosamente il naso.
Giunse a un bivio e in fondo a questo, sulla strada a sinistra, Viola avvistò una donna: era seduta vicino all’uscio aperto di una casa; era una vecchia in realtà.  Le andò incontro.

Tutt'attorno taceva. Calma cimiteriale, interrotta solo dai passi della Principessa.

«Porti sventura qui...»

Era stata la vecchia a mormorare. Però Viola non la udì, le era ancora troppo lontana.

«Vattene.Vattene via...» continuò quella, ma Viola non si fermò. Non aveva capito le parole e anzi, la vista di qualcuno la rassicurava a proseguire.
Giunta davanti all'anziana donna, stava per rivolgerle la parola quando:

«Tu, ci farai morire tutti!»

Urlò la vecchia.

«Il Re tornerà ad ucciderci! Il Re tornerà ad ucciderci!»

Gridò ancora, stonata, gracchiante. E Viola, spaventata, con le parole abbattute prima ancora che potesse pronuncialre, fu inevitabilmente catturata dagli occhi dell'anziana. Erano azzurri, ingoiavano il cielo plumbeo sopra di loro e in cambio cacciavano fuori un orrore incontenibile che si tramutava in odio vivo ed ira. Un cavallo bianco e un uomo che brandiva una spada, c'era anche questo in quegli occhi spettrali. 

Non voglio vedere...

I poteri del frutto Fix Fix si attivarono sfuggendo alla sua volontà. Sapeva cosa avrebbe visto.

Questo no, no... Lasciali stare, lasciali!

L'uomo a cavallo era suo padre.

«Mamma vieni dentro, subito!»

Una donna più giovane comparve interrompendo così l'incantesimo, prese la vecchia sottobraccio e la accompagnò velocemente all’interno della casa. La porta venne sbattuta e il rumore del chiavistello spinto in fondo per blindarla fu come un chiodo infilzato nei sensi di colpa della Principessa. La ferita era aperta.

«È colpa dei Riku, loro ci hanno traditi!»

Gridò qualcun altro senza farsi vedere.
S'udirono altre porte sbattere e le finestre chiudersi come indignate dalla presenza di lei, la figlia di Riku Dold III.

Viola,
 pietrificata dalla visione, talmente sconvolta, non si curò del fatto che era stata inspiegabilmente riconosciuta, quasi che tutti la stessero come aspettando.
Rimanere lì era pericoloso adesso e si stava facendo buio.
Ma lei voleva solo rivedere suo padre, quello vero, non il mostro, e accertarsi che stesse bene. Quindi, attese ancora, in piedi, sola, attese a lungo, fino a quando li sentì posarsi a terra e su di lei: granelli bianchi. Li toccò, erano freddi e cristallini e si scioglievano fra le sue dita.

Neve...?

Neve. Ovunque. Un brivido la scosse, capì quanto sciocca era stata. 
Braccata sin dall'inizio, aveva dimenticato che a Dressrosa la speranza veniva alimentata sempre con l'inganno.

 

 

***

 

 

Uno stuolo di lumacofoni era sotto gli occhi e le intenzioni birichine di Sugar. Il Signorino conservava quegli apparecchi nella sua camera, disposti sul tavolo accanto al grammofono che gli piaceva ascoltare. Da lì, il Demone Celeste imperava sul mondo e compiva i suoi misfatti.
La piccola cercò il lumacofono giusto. Se l’avessero vista fare quello che stava per fare, sarebbe stata messa in castigo. Ma un castigo era un rischio passabile se in cambio riusciva ad ottenere il Signorino tutto per lei.
Afferrò un lumacofono, quello coperto di piume rosa e con gli occhi maligni. Una volta preso, sgambettando veloce, tornò sul letto del Signorino. Si infilò al sicuro sotto le lenzuola.
Eccitata, alzò la cornetta e compose il numero segreto che solo gli ufficiali maggiori conoscevano e potevano usare. Lei lo aveva imparato grazie a Trebol, che scioccamente l’aveva composto in sua presenza senza preoccuparsi di nasconderlo. Sugar aveva assorbito il ricordo come una spugna.
Avviò la chiamata e l’apparecchio iniziò a squillare.
I secondi si dilatarono interminabili, era già contenta. Non immaginava la portata del guaio che stava per causare.
La linea si interruppe, le avevano risposto. Era ovvio chi ci fosse dall'altra parte.

«Sono a Marijoa adesso, lo sapete... e sapete anche che quando sono ospite di questi cani bastardi non gradisco essere disturbato!»

La voce secca di Doflamingo lasciò Sugar malamente sorpresa, non le era mai capitato di sentirlo così severo. E anche se il suo piano aveva funzionato, si rese conto troppo tardi di non aver pensato cosa dire per giustificare la sua chiamata.

«Incomincio a perdere la pazienza, Trebol, sei tu?»

Lei voleva solamente stare in sua compagnia e giocare con le bambole, non farlo arrabbiare. Invece lui si stava infuriando. Sugar precipitò nel panico. Spaventata, prese per buona la prima soluzione che le venne in mente, e non fu quella di riattaccare.

«Sta per essere uccisa!»

Dall’altra parte della cornetta il silenzio, ma durò poco.

«Chi sta parlando?»

Le diminuirono i battiti.

«Lo giuro, non volevo dirlo! Mi dispiace, Signorino!», aveva già la voce intrisa di pianto.

«Sugar, sei tu?»

Era fatta.

«Sì... », gli singhiozzò.

«Sugar, perché mi hai chiamato?»

Le lacrime della piccola colavano copiose e inumidivano le lenzuola di piccole macchie scure.

«Lo sai che è proibito, chi ti ha dato questo numero? Rispondimi»

Sugar non riusciva a tenere ferme le mani che tremavano, stava per svenire dal terrore, e l'espressione che aveva assunto il lumacofono non era per nulla rassicurante: era torva e cattiva.

«Io... – non poteva certo rivelare che aveva rubato con gli occhi il numero segreto a Trebol –​  Io non volevo farti arrabbiare Signorino però lei sta per essere uccisa!», ripeté ancora, troppo veloce, accavallando le parole una sull'altra.

«Sugar, adesso calmati...»

Doflamingo cambiò tono; detestava la confusione, questa non portava nulla di buono, a meno che non fosse lui a scatenarla; il Demone s'addolcì per Sugar, per farla parlare chiaro. Era già preoccupante che lei sapesse come chiamarlo, inoltre, ciò che la piccola gli stava ripetendo insistentemente iniziava a seccarlo  donandogli uno spiacevole presentimento.

«Tranquilla, ci sono io, ma ora su, dimmi, chi sta per essere ammazzato?»

Sugar, riconoscendo una voce più simile a quella a cui era abituata, quella sempre premurosa nei suoi confronti, proseguì: «Lei, perché lei oggi è andata a Sevio e lì ci sono quelle persone che la odiano... Io so che la uccideranno.»
Sugar continuò a non specificare il soggetto in pericolo.

Doflamingo si passò una mano fra i capelli, come a ricaricare la pazienza.

«Sugar, piccola mia, devi dirmi il nome di questa persona, altrimenti non potrò aiutarti»

Parlò quasi in falsetto, tanto era scocciato dal non riuscire a capire cosa stesse
 accadendo e la reticenza repentina di Sugar era un ulteriore brutto segno. 
La piccola tentennò, rivelare l'identità di quella persona significava tradire la promessa fatta ad un'altra persona. 
Tuttavia, in fondo, era il Signorino a volerlo, e la volontà del Signorino non si discuteva. Mai.

«... la Principessa Viola, è lei che morirà.»

Tuuuuuuuuuuu....


La cornetta del lumacofono fu violentemente riagganciata e la monotona eco della linea interrotta annunciò l'inizio della catastrofe.
Ora, il Demone Celeste era veramente arrabbiato.

 

 

***

 

 

Qualcosa simile ad una morsa le stringeva la gola. Viola si portò una mano al collo, le sue dita sfiorarono una pietra liscia e fredda. Fu come sentirsi succhiare via la vita. Era un collare fatto di agalmatolite marina. Ma come ci era finito lì, sulla sua gola?
Cercò di ricordare, rivedeva la vecchia con le orribili memorie e dopo... cosa c'era stato dopo?
Niente, l'oblio, anzi, ricordava di aver visto la neve. Ma per quanto le faceva male la testa non riusciva a capire se questo ricordo appartenesse a lei o lo avesse assorbito dalla vecchia. 
E comunque, ora la neve non c'era più, l'ambiente che la circondava adesso sembrava l'interno di una di quelle case distrutte che l'avevano inorridita al suo arrivo.
Lei era a terra, immobilizzata e la luce che la illuminava pareva danzarle attorno galleggiando nell'oscurità. Erano lanterne,
c'era qualcuno a tenerle, un gruppo di persone, tante persone. Viola udiva le loro voci, la stavano offendendo, incolpavano lei e suo padre, le gridavano assassina e la minacciavano augurandole la morte.
Cercò di alzarsi, il massimo che ottenne fu stare in ginocchio, era frastornata e troppo debole.
Avrebbe voluto difendersi dalle accuse, dire la verità; ma la sua verità non esisteva.
Ora, aveva ripreso completamente coscienza, distingueva bene ogni cosa e gli uomini che la circondavano, le loro facce, sembravano bestie affamate di giustizia. E i loro occhi specchi, in ognuno Viola vedeva riflesso suo padre.
D'improvviso,
 la colpirono alle spalle, lei cadde di nuovo giù, sulla terra umida. 
C'era febbre macabra nell'aria, lo sentiva, stava per accadere ciò che aveva sempre temuto e non passò molto tempo, il branco le si scagliò contro: le strapparono il vestito, le strattonarono i capelli, la graffiarono e le gridarono in faccia come il Re, suo padre, avesse massacrato senza pietà una donna incinta, un uomo disarmato, un bambino che tentava di mettersi in salvo, e di come l'ex sovrano avesse dato alle fiamme Sevio.

Era colpa sua.
Lei doveva bruciare all'inferno.

Le tornò alla mente l’agnello fatto a pezzi.
Subito dopo, un colpo alla nuca le fece perdere i sensi.
L'avrebbero uccisa.

 

Nessuno ebbe il tempo di accorgersene ma tutti furono trapassati. 
Bastò un filo e un eccellente tempismo. 
Non una goccia di sangue fuoriuscì fino a quando Lui non tirò via il filo per lasciarli morire. Uno tra loro venne risparmiato per liberare la Principessa dal collare di agalmatolite. Quella Lui non poteva toccarla.
Dopo, il disgraziato fu schiacciato al suolo.
«Chi ha organizzato la festa?»
Chiese il Demone, puntando un piede sulla gola di quello. Gli lasciò aria quel tanto che bastava per farlo confessare: 
«S-sapevamo che l'ultima figlia di Riku sarebbe giunta a Sevio... Noi dovevamo ucciderla p-per vendicarci di suo padre... ma ci hanno anche detto che ammazzarla era un suo ordine, Re Doflamingo»

Adesso il fenicottero aveva il doppio delle domande, qualcuno imperava al suo posto. Avrebbe dovuto approfondire, ma non aveva assolutamente voglia di continuare a parlare con il parente di un verme. Gli faceva schifo. Così, schiacciò la laringe dell'uomo fino a sentirne un piacevole crac.

E adesso lei.

Percepì una euforia strana possederlo, una remota parte di lui stava forse temendo qualcosa.
La Principessa era roba sua, come tutta Dressrosa, gli apparteneva. Rabbia, ecco, era arrabbiato per una possibile perdita di possesso, non poteva essere altro.
Se lei era morta, fine dei giochi.
Le si avvicinò.

Viola respirava.

L'euforia mutò. 

Poteva farla ballare ancora.


Si piegò su di lei: appariva svenuta, coperta a stento dal vestito sbranato e sporco, eppure, Viola non perdeva la sua bellezza.
Ma l'incanto finiva dove iniziavano le tracce lasciate dai parassiti.
E pensare che lui mai l'aveva sfiorata, Viola non aveva mai sanguinato per lui. Lo stava facendo per altri, come si permetteva?
Il perenne sorriso di Doflamingo invertì la rotta verso una smorfia inciprignita.
Tagliarla gli sembrava un'ottima soluzione, tagliare era sempre una soluzione, un modo accelerato per cancellare quello che la feccia aveva lordato. Penetrarla, sfilacciandole il viso ad esempio... come gli appariva semplice. Ma poi, Viola gemette, riprendeva conoscenza, e dischiuse le labbra arrossate e gonfie, fresche delle percosse ricevute. Dofy guardava le osservava, fissava tutto quello che per un attimo stava per essergli rubato, a lui, un Drago Celeste. Afferrò la Principessa, la strinse contro il suo petto, era minuscola, poteva soffocarla. Era sua.
«Non ci provare, Viola, non con me» le disse, parlando a lei ancora priva di sensi «Io ti ho dato il permesso di volare libera nella mia gabbia. Solo nella mia gabbia... »
L'euforia strana, in verità, non se ne era andata e non se ne andava. La strinse più forte, e gli pareva lo stesso che gli stesse sfuggendo. Desiderava toccarla, sentirla, voleva darle carezze diverse. Ma era a palazzo che la voleva.  

La sollevò prendendola in braccio e così qualcosa, rimasto impigliato nell'abito logoro di Viola e ignoto a lui, cadde svelandosi.

Era una piuma, una candida piuma bianca.

La vista di quel dettaglio inaspettato abbrutì spaventosamente il volto del Demone Celeste.
Scelta, libero arbitrio, ogni imprevisto alla sua unica e indiscutibile volontà era sintomo di una malattia chiamata tradimento. Una patologia che lui combatteva da anni; da bambino aveva cominciato la propria crociata abbattendo tutti gli appestati dall'infame morbo. Credeva di esserci riuscito, di aver sviluppato un deterrente che evitava recidive, e invece no, l'infezione tornava puntuale a tormentarlo, a farlo impazzire.

Non mi ubbidisci più... Monet.

 

Gib mir deine Augen
Gib mir dein Licht
Schenk mir deine Tränen
Doch weinen sollst du nicht



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Brano ad inizio e fine testo da ASCOLTARE QUI.

Anche se questa versione non è quella che intendo io, ma su nel web non ho trovato di meglio...
Ritorno, dopo mesi. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro, a parte che mi dispiace aver fatto aspettare tanto chi aspettava.
Dunque, con capacità autocritica credo di avere approfittato di questo capitolo per raccontare altro, e non so spiegarvi la sensazione, ma so che è così.
Comunque, volevo scrivere un po' di righe sulla grottesca figura di Señor Pink, e alla fine lui s'è preso mezza parte del capitolo. Spero non sia stato incomprensibile, non potevo spiegare il suo passato, quello già lo conoscete, e quindi sapete perché per lui è così importante la pioggia.
No, non sono né vegetariana né vegan per quanto possa apparire leggendo il capitolo, povero agnellino.
Sevio non l'ho scelta a caso, se non ricordo male, è quella città che fu attaccata proprio dal povero Riku.
Viola vi è sembrata troppo ingenua? Magari sì, però date le sue condizioni anche un buchino di luce diventa una grande speranza e perché non tentare?
Sugar ha fatto i pasticci, e per lei non è finita.
Devo dire che questo terzo capitolo non sarà il penultimo ma credo il terzultimo, dipende da come mi gira, volevo farci entrare due scene in più ma sarebbe stato troppo. E quando è troppo è troppo!
Con questo chap. ho scosso Dofy, col prossimo tocca pure a Viola, e poi gli farò fare le capriole. ^^

Vi mando un abbraccio (odio l'estate e finalmente è finita).

 

 

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