What The Ocean Took Away

di _Kurai_
(/viewuser.php?uid=128979)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Lost Ship and The White Haired Man ***
Capitolo 2: *** Ghosts From The Past ***
Capitolo 3: *** Phantom Pain ***
Capitolo 4: *** Into the eye of the storm ***



Capitolo 1
*** The Lost Ship and The White Haired Man ***


Questa storia è liberamente ispirata al film "The Ghost Ship", e così come per quanto riguarda Voltron, i personaggi e le ambientazioni non sono di mia proprietà intellettuale ma dei rispettivi autori e sceneggiatori. Buona lettura!

I

The Lost Ship and The White Haired Man

 

Erano passati vent'anni da quando il mare aveva stravolto la sua vita, strappandole l'affetto di suo padre senza darle nemmeno il conforto di una tomba su cui piangere.

Erano passati vent'anni, e nonostante tutto il mare era diventato la sua casa.

Quel giorno dell'inverno dei suoi cinque anni sembrava ormai lontanissimo, ma Allura ricordava perfettamente quella telefonata alle prime luci del mattino e la voce spezzata della madre che cercava inutilmente di non scoppiare a piangere mentre le veniva riferita la notizia che la nave da crociera di cui suo padre era il comandante era improvvisamente scomparsa dai radar, come se non fosse mai esistita.

C'erano stati anni e anni di indagini e ricerche finanziate con centinaia di migliaia di dollari, ma l'Altea, una nave maestosa che aveva già attraversato quella rotta decine e decine di volte, era svanita nel nulla. Volatilizzata, con il suo carico di trecentocinquantacinque persone.

Quel giorno l'infanzia di Allura era finita, ma aveva trascorso gli anni successivi a sgattaiolare via dalle premure iperprotettive della madre per passare ore sulla spiaggia in silenzio, perché solo il mare riusciva a farle sentire ancora la vicinanza del genitore perduto.

 

Man mano che Allura cresceva e prendeva coscienza delle sue aspirazioni per il futuro, la madre aveva cercato di opporsi alla sua scelta di seguire le orme del padre e andare per mare, ma non c'era stato nulla da fare, e prima di morire di un male incurabile nell'inverno dei suoi diciassette anni le aveva dato la sua benedizione.

 

Ce l'aveva fatta, e un'enorme fotografia incorniciata della piccola Allura in braccio al comandante Alfor in divisa bianca era appesa nella sua cabina su quella che era ormai la sua nave, anche se era quanto di più diverso da una nave da crociera si potesse immaginare.

Appena maggiorenne aveva contattato un vecchio amico di suo padre, che era stato l'unico a non essersi mai arreso con le ricerche: Coran era un vero lupo di mare certificato, con un marcato accento irlandese e dei vistosi baffoni rossi, ed era stato il primo a credere in lei dopo la scomparsa di Alfor. L'uomo aveva speso i risparmi di una vita per cercare di scoprire che fine avesse fatto l'Altea, ma non aveva mai avuto successo.

I due si erano incontrati in un bar di pescatori, non lontano dal porticciolo della città in cui Allura era nata, e avevano deciso di mettersi in società: Allura avrebbe contribuito con l'eredità dei genitori ad acquistare un rimorchiatore, mentre Coran ci avrebbe messo "la sua incommensurabile esperienza", per usare le sue testuali parole.

 

Allura aveva passato anni a leggere tutto il materiale che trovava sulle navi scomparse dai radar, gli incidenti in mare e i misteri irrisolti in acque internazionali, e a poco a poco nella sua mente si era plasmato quello che sarebbe stato lo scopo della sua vita: avrebbe cercato gli uomini migliori e i mezzi più efficaci e sarebbe partita con loro alla ricerca delle navi fantasma, dei relitti e di qualsiasi notizia sul destino che era toccato all'Altea, che era diventata la sua ossessione.

Coran si era rivelato entusiasta e aveva appoggiato l'idea: un anno dopo il Voltron, un rimorchiatore di ventisei metri dotato di tutti i più recenti apparecchi tecnologici per la scansione dei fondali e di un radar satellitare di altissimo livello, era pronto a salpare.

 

In quei mesi i due si erano prodigati nella ricerca dell'equipaggio perfetto, anche se non era molto facile trovare delle persone disposte ad abbandonare la ricerca di un lavoro tranquillo e regolarmente remunerato per abbracciare il rischio di una vita avventurosa per mare, nella speranza di trarre guadagno dai tesori trovati nei relitti: tuttavia alla fine la ricerca aveva dato i suoi frutti, e avevano messo insieme un gruppo che negli anni si era consolidato e aveva portato a diversi successi.

 

Takashi Shirogane era apparso sul molo una domenica di marzo, lo sguardo smarrito che mal si addiceva ai tratti decisi del suo viso. Aveva stretto la mano ad Allura e Coran con una protesi metallica, che sostituiva il suo braccio destro da poco sopra il gomito in giù.

Aveva letto il loro annuncio sul giornale, e una forza misteriosa l'aveva portato fin lì, senza che potesse opporvisi.

Del resto gli era ormai chiaro che restare sulla terraferma non sarebbe stata una soluzione per risolvere il suo problema (che il suo terapeuta definiva "sindrome da stress post-traumatico", riferendosi all'incidente di quasi due anni prima che gli aveva portato via un braccio), visto che stare lontano dal mare lo faceva solo stare peggio. Non ricordava quasi nulla di quello che era successo, se non che era in viaggio con una spedizione di ricercatori e all'improvviso si era risvegliato disteso su una barella sul ponte di un'altra nave, che lo aveva raccolto privo di sensi in mare aperto, con un moncherino sanguinante al posto del braccio destro.

Chiunque sano di mente avrebbe deciso di stare il più lontano possibile dal mare dopo un'esperienza simile, ma Shiro non era in grado di rinunciare: aveva sempre lavorato per mare e aver lasciato una parte di sè in fondo all'oceano non lo avrebbe fermato, perchè continuare come se non fosse successo nulla era molto meno doloroso di vivere nella paura di un'esistenza a metà.

Aveva parlato a lungo con Allura, che aveva visto in lui la stessa forza di attrazione a doppio taglio che l'oceano esercitava su di lei: era diventato nel giro di poche ore il primo membro ufficiale dell'equipaggio del Voltron, e in qualche mese aveva miracolosamente iniziato a sentirsi meglio, man mano che il team diventava la sua nuova famiglia.

 

"E così voi avete un rimorchiatore, e volete usarlo per cercare le navi scomparse e i tesori nei relitti, giusto? Allora direi che sono la persona giusta, sono davvero un asso a rimorchiare!"

Questo era stato il primo approccio di Lance McClain, che si era presentato all'appuntamento con Allura e Coran un paio di giorni dopo Shiro; la ragazza aveva resistito per diversi minuti alla tentazione di calciarlo fuori bordo in reazione alla sua battuta ammiccante, ma quando Lance aveva iniziato a parlare seriamente aveva scoperto che era davvero molto capace per la sua età, e che sarebbe stato una risorsa importante per l'equipaggio.

Lance era nato a Cuba, aveva una vera passione per le immersioni e fin dall'età di sedici anni aveva lavorato su diverse navi e pescherecci con le mansioni più varie; nel suo sguardo azzurro e limpido si riflettevano i sogni di un ragazzo appena ventenne che desiderava conoscere ed esplorare tutti i mari del mondo, e unirsi al nascente equipaggio del Voltron avrebbe potuto essere la sua occasione della vita. Non se l'era lasciata scappare, e aveva accettato immediatamente la proposta di Allura.

 

Poi era arrivato Keith.

Taciturno, schivo e dal carattere difficile, ma incapace di resistere al richiamo dell'avventura e del rischio.

Si era buttato senza pensarci, come aveva sempre fatto, dopo aver conosciuto Shiro nel bar dove lavorava da quando aveva interrotto gli studi. Quel ragazzo alto e dalle spalle larghe, che dimostrava più dei suoi ventisei anni per una spessa ciocca di capelli diventati bianchi prima del tempo, era rimasto l'unico cliente prima della chiusura in una serata burrascosa.

Aveva distrattamente attaccato bottone per combattere la noia, ma alla fine avevano parlato a lungo.

Dopo un periodo di solitudine quasi infinito, quella sera Keith si era finalmente aperto con qualcuno su quanto la sua vita gli sembrasse vuota e senza direzione, ridotta a una routine che gli stava troppo stretta, e Shiro gli aveva parlato della sua esperienza (o almeno del poco che ricordava) e della nuova vita che intendeva iniziare con l'equipaggio del Voltron.

Il ragazzo era rimasto affascinato dalla personalità di Takashi e da quella prospettiva, e il giorno dopo aveva telefonato a Shiro per chiedergli se ci sarebbe stato un posto nella ciurma anche per lui: nel giro di una settimana aveva dato le dimissioni dal suo impiego al bar ed era diventato ufficialmente parte dell'equipaggio. Sentiva che era la scelta giusta.

 

Pidge e Hunk erano arrivati a distanza di un giorno l'uno dall'altro.

Pidge aveva l'aspetto di un ragazzino quindicenne, ma sosteneva di aver raggiunto la maggiore età e di essere semplicemente di corporatura minuta; tuttavia nulla di tutto questo aveva importanza, dal momento che non appena era giunto di fronte alla strumentazione di bordo le sue pupille si erano dilatate come se avesse appena visto una delle sette meraviglie del mondo. Il suo talento con gli apparecchi tecnologici era decisamente fuori dal comune, e in un'ora di colloquio con Allura e Coran aveva pianificato almeno una decina di miglioramenti che avrebbe potuto implementare alla strumentazione già all'avanguardia del Voltron: il suo reclutamento era stato una scelta ovvia e inevitabile, e il fatto che avesse già fatto esperienza di lunghi viaggi per mare con il padre e il fratello era stato un ulteriore incentivo che aveva definitivamente convinto i due.

 

Hunk si era presentato come esperto di meccanica e di cucina, il che lo rendeva un elemento decisamente imprescindibile per l'equipaggio: per lui nessun motore e nessun ingrediente avevano segreti, e anche se soffriva leggermente il mal di mare (cosa a cui non aveva accennato in sede di colloquio, ma che si sarebbe scoperta durante la prima settimana di navigazione) intendeva impegnarsi al massimo per fare del suo meglio. Era stato Lance a parlargli di quell'opportunità, con gli occhi che brillavano, come ogni volta che era impaziente di partire per un nuovo viaggio. I due erano amici da almeno un decennio, e Lance sapeva che l'amico era in cerca di lavoro, perciò aveva subito cercato di coinvolgerlo: in realtà c'era voluto più tempo del previsto, perché Hunk avrebbe preferito un lavoro tranquillo e soprattutto sulla terraferma, ma non era mai stato in grado di dire di no a Lance troppo a lungo e alla fine il cubano l'aveva avuta vinta, come sempre.

 

Il Voltron era salpato per la prima volta in una tiepida giornata di fine maggio, e in quei sei anni aveva percorso innumerevoli rotte oceaniche, sempre in movimento per inseguire avvistamenti e segnalazioni.

In tutto quel tempo Allura aveva spesso sentito nominare l'Altea, ma nessuna delle segnalazioni si era mai rivelata fondata. Fino a quel momento.

 

L'uomo che l'aveva contattata via mail si era presentato sul molo a cui era ormeggiato il Voltron perfettamente puntuale, in una fresca mattina di settembre.

Aveva i capelli lunghi e lisci, così chiari da sembrare quasi bianchi, e li teneva legati in una coda. Era vestito con un completo spezzato con delle scarpe sportive dall'apparenza costosa e indossava un paio di occhiali con le lenti scure: era come se si fosse ispirato alle proposte di una rivista di alta moda maschile per i giovani armatori di yacht per cercare di adattarsi al contesto, ma avesse leggermente esagerato.

Si era presentato tendendo la mano ad Allura e mettendo in mostra un surplus di denti bianchissimi, per poi porgerle il suo biglietto da visita, che recitava "L. Lotor, G.A.L.R.A. Inc., CEO".

"Lavoro per un'azienda che fornisce droni di alto livello a chiunque ne faccia richiesta, ma mi diletto personalmente a compiere riprese amatoriali sulle grandi distanze... durante una di queste riprese in mare aperto uno dei miei gioiellini ha individuato questa nave" iniziò a parlare il nuovo arrivato, rivolgendosi all'intero equipaggio del Voltron e mostrando le immagini e le riprese sul suo Ipad. "La vostra fama e i vostri recenti successi mi hanno spinto a contattarvi per farvi una proposta".

Allura spalancò gli occhi.

 

Quella nave era inconfondibile: la scritta sullo scafo era ancora impressa nella sua mente da quel giorno lontano in cui aveva salutato il padre in porto per l'ultima volta.

Era l'Altea. Ricoperta di ruggine e alla deriva da un paio di decenni, ma non c'era nessun dubbio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ghosts From The Past ***


II

Ghosts From The Past

 

"Per mille barracuda! Mi venga un colpo se quella non è l'Altea!" Coran si sistemò gli occhiali tondi sul naso e assunse un'espressione eloquente, che sembrava dire "ho passato vent'anni della mia vita a cercare quella nave e ora arriva sto sbarbatello albino con l'aeroplanino telecomandato che la trova in cinque minuti per caso!"

"Sono tutta orecchie. La ascolto" disse Allura, la voce che tremava dall'emozione e gli occhi improvvisamente umidi.

"La mia proposta è semplice: io vi offro fondi illimitati per andare a recuperare l'Altea e voi mi permettete di partecipare alla spedizione. Mi sono documentato ampiamente su quella nave e l'unica cosa che mi interessa è che il mio nome venga accostato al suo miracoloso ritrovamento, dopo decenni di ricerche. Insomma, sarebbe una gran bella pubblicità per la mia azienda, non credete? Mi sono rivolto a voi perché siete i migliori sulla piazza, quindi spero che non deluderete le mie aspettative" concluse Lotor, senza smettere di sorridere. Indubbiamente quel tipo aveva carisma.

"Potremmo avere le coordinate dell'avvistamento? E se non dovessimo ritrovare l'Altea come dovremmo considerare il nostro accordo economico?" chiese Coran, riprendendo un cipiglio serio come per rivendicare il suo diritto di anzianità.

"Lo considero un finanziamento a fondo perduto, in fondo nessun investimento pubblicitario ha la certezza di essere redditizio... ma sono sicuro che riporteremo in porto quella nave, sono molto fiducioso nei miei avvistamenti e nelle vostre capacità. Per quanto riguarda le coordinate, ecco qui" detto ciò, mise in riproduzione un video risalente al giorno precedente, con l'indicazione delle coordinate ben chiara sullo schermo.

 

"Scommetto che è l'ennesima segnalazione nel Triangolo delle Bermuda... ormai conosco quella zona come i miei stessi bermuda da quante volte l'abbiamo esplorata alla ricerca di quella dannata nave, che noia" disse Lance ad Hunk prima di poter vedere lo schermo del tablet.

"No, Lance" disse Pidge, dopo aver dato un'occhiata e individuato le coordinate col suo portatile "questo punto si trova a quasi millecinquecento miglia nautiche dal Triangolo delle Bermuda, nel bel mezzo dell'Atlantico".

"Meglio così, quando abbiamo recuperato la SS Cotopaxi(1) ho avuto davvero troppa paura di fare degli incontri ravvicinati del terzo tipo..." rispose Hunk, tirando un sospiro di sollievo.

"E invece nemmeno quella volta gli alieni sono arrivati per rapire Lance e portarlo su qualche pianeta lontano" aggiunse Keith, quasi bofonchiando tra sé. Tra i due negli anni si era sviluppata una bizzarra rivalità, e non si facevano mai sfuggire l'occasione di punzecchiarsi a vicenda.

"Sicuramente tu saresti stato un migliore soggetto di osservazione, Keef" rispose Lance, ghignando.

"Non so se vi siete accorti che qui si stava parlando di cose serie, ragazzi" intervenne Shiro, sospirando. Aveva un colorito stranamente pallido, come se fosse in preda a un attacco di mal di mare, ma - a parte il fatto che aveva lavorato sulle navi da sempre - quel giorno l'oceano era piatto come una tavola e il Voltron era ormeggiato in porto.

 

"Quando dovremmo partire?" chiese Shiro, anticipando Allura che stava per porre la medesima domanda.

"Il prima possibile, ovviamente... le navi fantasma possono anche scomparire di nuovo, se si aspetta troppo tempo per recuperarle. Domani mattina?"

"Sono consapevole che abbia fretta per la sua azienda, ma partire così presto non è possibile" rispose Allura, tornando bruscamente alla realtà e reprimendo anche la sua ansia di ritrovare quella nave "ma possiamo accelerare i preparativi per la spedizione ed essere pronti in tre giorni, se lei è d'accordo".

"Lo prendo come una risposta affermativa alla mia proposta... e direi di smetterla con questi modi formali, visto che sto per diventare un membro temporaneo del vostro equipaggio" sorrise Lotor, tirando fuori un plico di fogli dalla sua ventiquattrore "se non vi dispiace gradirei che firmassimo un piccolo contratto, giusto per stare tutti più tranquilli" aggiunse, senza smettere di esporre i suoi denti abbaglianti.

"Potrei leggere il contratto e parlarne con l'equipaggio in privato, prima di firmare?" chiese ancora Allura, continuando a forzarsi a tenere i piedi per terra. Avevano sempre lavorato come un team e non era il caso di gettarsi egoisticamente nell'impresa senza consultarsi realmente con loro, o avrebbe distrutto il loro rapporto di fiducia.

"Certamente, esco a fumare una sigaretta" rispose Lotor, accondiscendente, salendo in coperta.

 

"Non so perché, ma quel tizio non mi ispira troppa fiducia" iniziò Keith, non appena Lotor si fu allontanato a sufficienza.

"Nessuno ti ispira mai fiducia, ci siamo abituati" ribattè Lance, per poi diventare improvvisamente serio "c'è da dire che però con tutta questa fretta e questa storia del 'finanziamento illimitato a fondo perduto' o è un genio temerario o è un grandissimo imbecille... Però se trovassimo davvero l'Altea..." si interruppe, figurandosi la sua foto in prima pagina sul New York Times e immaginando quanto avrebbe potuto fare colpo sulle ragazze raccontando di aver risolto il mistero della nave fantasma più famosa degli ultimi cinquant'anni grazie al suo formidabile intuito.

"In fondo che rischi potrebbero esserci, a confronto con le nostre solite spedizioni di ricerca?" chiese Pidge, che stava scaricando tutti i files sul suo portatile e continuava a fare screenshot e ingrandimenti per verificare l'autenticità dei video.

"Il rischio di naufragare, di perdere la rotta, di morire in modo terribile, di essere perseguitati dai fantasmi dei passeggeri, di annegare... ho già detto di morire in modo terribile?" rispose Hunk, che reagiva sempre in quel modo quando veniva loro proposta una nuova missione.

Shiro non disse nulla. Da poco dopo l'arrivo di Lotor gli era esploso un attacco di emicrania abbastanza violento, il primo dopo tantissimo tempo. Era come se ci fosse qualcosa intrappolato nella sua testa che voleva disperatamente uscire, qualcosa che per sei anni era rimasto in silenzio, cullato dalla falsa tranquillità della sua nuova vita.

"Shiro? Tu cosa ne pensi?" chiese Allura, che era rimasta ad ascoltare fino a quel momento.

"Credo che... dovremmo almeno provarci" rispose piano, massaggiandosi le tempie.

"Ragazzi... sapete che ritrovare quella nave è il sogno della mia vita. Sapete che ho deciso di formare questo equipaggio esclusivamente a questo scopo, quindi non intendo lasciare nulla di intentato, tanto più che abbiamo un finanziatore così generoso." spiegò le sue ragioni Allura, che era intenzionata ad accettare. Coran annuiva, convinto.

"In ogni caso se dovesse rivelarsi non degno della nostra fiducia, saremmo sette contro uno in mezzo al mare" concluse Keith, che aveva capito che opporsi non sarebbe servito a nulla, vista la testardaggine della comandante.

Fu così che tutti i componenti dell'equipaggio del Voltron firmarono il contratto già siglato da Lotor, ignari delle conseguenze a cui quel gesto li avrebbe condotti.

 

Il giorno della partenza arrivò in un battito di ciglia.

Lotor giunse sul molo nuovamente in perfetto orario, indossando una maglietta e un paio di jeans che comunque avevano l'aria di costare quanto gli indumenti di tutto il resto dell'equipaggio messi insieme. Lance pronosticò che avrebbe perso l'aura di perfezione in meno di un giorno, visto che era evidentemente ignaro di cosa significasse lavorare su un rimorchiatore.

Shiro era ancora un po' indisposto, ma non aveva intenzione di lasciare che questo interferisse con il suo lavoro e preferiva abusare di aspirine, buttandole giù come caramelle.

Keith era evidentemente preoccupato per lui, non avendolo mai visto in quello stato. Aveva l'impressione che avesse iniziato a stare male dal momento in cui aveva visto per la prima volta la foto dell'Altea, ma scacciò quel pensiero. Sapeva di essere fin troppo scettico su quell'ennesimo avvistamento (anche se era stato il primo completo di documentazione così dettagliata), ma aveva tutti i motivi per essere costantemente diffidente nei confronti del prossimo, a meno che non si chiamasse Takashi Shirogane.

In realtà in quei sei anni aveva già abbattuto molte delle sue barriere, giungendo a considerare il team del Voltron come l'unica vera famiglia che avesse mai avuto; Keith era rimasto orfano da piccolissimo, per poi essere rimbalzato tra orfanotrofi e molteplici famiglie affidatarie fino alla maggiore età. La sfiducia nel prossimo gli era rimasta nel sangue, e la sua infanzia lo aveva convinto che per lui non ci sarebbe mai stata la pace di una famiglia, perchè ogni volta che iniziava ad ambientarsi in un nucleo familiare qualcosa faceva sì che l'idillio si infrangesse nel modo peggiore possibile.

Appena maggiorenne se n'era andato per la sua strada, guadagnandosi da vivere come capitava e riuscendo perfino ad iscriversi all'università con le sue sole forze, ma anche quel periodo era durato poco. All'alba dei ventisei anni, finalmente Keith poteva dire di aver trovato il suo posto, nel quale aveva battuto tutti i suoi record di permanenza, anche se la sua intrattabilità di fondo era rimasta tale e quale. Tuttavia il team lo apprezzava così com'era, e sotto sotto anche lui voleva bene a tutti loro.

 

Sapeva molto poco sul passato di Shiro, ma era il membro dell'equipaggio a cui si era affezionato di più, forse perché era sempre stato disposto ad ascoltarlo senza giudicare le sue scelte. Di lui sapeva solo che era americano di origini giapponesi, che a giudicare da tutte le sue cicatrici doveva aver avuto una vita movimentata e che otto anni prima aveva avuto un grave incidente in mare, di cui non ricordava nulla. Sapeva che dopo l'incidente aveva sofferto di amnesie e forti mal di testa, perchè nel primo periodo aveva assistito ad uno dei suoi momenti di defaillance, ma erano anni che non lo vedeva in quello stato; Keith non sapeva se manifestargli la sua preoccupazione o far finta di nulla, e alla fine si limitò a continuare ad osservarlo, pronto ad alleggerirgli il lavoro se l'avesse visto in difficoltà.

 

Allura non riusciva a star ferma per più di cinque minuti nello stesso posto e continuava a controllare le carte, i radar e i video del drone di Lotor. Provava una sensazione inedita, come se la risposta alla domanda che l'aveva tormentata fino a quel momento la stesse attirando verso di sé, ineluttabilmente.

"Papà, questa volta riuscirò a scoprire cosa ti è successo" sussurrò alla foto con Alfor in tenuta da comandante, nella sua cabina. Il sole era calato da un pezzo ed erano già trascorsi due giorni di navigazione senza particolari eventi. Per raggiungere il punto dell'avvistamento ci avrebbero probabilmente messo altrettanto, ma sentiva che questa volta erano sulla rotta giusta.

Si era ritirata nelle sue stanze prima degli altri perchè sentiva il bisogno di stare da sola, di mettere ordine nella sua mente e cercare di capire quali avrebbero dovuto essere le sue mosse successive.

In fondo la missione che si era autoassegnata, se portata a compimento, avrebbe avuto sicuramente una ricaduta importante: non sapeva cosa lei stessa avrebbe provato una volta risolto il mistero, ma là fuori c'erano ancora centinaia di persone che attendevano risposte sui loro parenti scomparsi in quell'ignoto incidente. L'enormità delle potenziali conseguenze le dava quasi le vertigini, anche se non si era mai sentita più sicura di qualcosa in tutta la sua vita.

 

Lance, Keith, Hunk e Shiro erano rimasti sottocoperta, nell'area della nave che utilizzavano come mensa e luogo di riunione, mentre Pidge era come sempre nella sala radar, dove aveva allestito la sua cabina per non perdere mai di vista i rilevatori (e per non dover condividere la stanza con i ragazzi dell'equipaggio). Lotor si era rinchiuso da ore nella cabina che gli era stata concessa, mentre Coran stava svolgendo il suo turno al timone.

Lance aveva proposto un paio di mani di strip poker per vivacizzare la serata, ma per motivi ignoti si era ritrovato in mutande con tutti gli altri ancora quasi completamente vestiti, quindi aveva gettato la spugna, si era rivestito e si stava divertendo a provare uno stupido gioco di prestigio con le carte che gli aveva insegnato un tizio in un bar qualche sera prima della partenza; solo Hunk gli prestava attenzione.

Shiro aveva versato a sè stesso e a Keith il contenuto di mezza bottiglia di rhum - che Lance si ostinava a definire "lo stereotipo dei veri lupi di mare" (ma da cui gli era stato intimato di tenersi alla larga da quando avevano dovuto dissuaderlo con la forza dal tentativo di gettarsi nell'oceano senza attrezzatura per cercare di fare amicizia con gli squali) – ma Keith ne aveva bevuto solo un paio di sorsi. Shiro ne aveva bevuti quasi due bicchieri, e il suo sguardo era leggermente velato, anche se generalmente reggeva bene gli alcolici.

Avrebbe fatto i conti con un nuovo e più potente mal di testa il giorno seguente, ma di quello almeno avrebbe saputo il motivo.

 

Pidge era seduta a gambe incrociate sulla brandina e stringeva una foto tra le mani. Nell'ultimo periodo la guardava spesso, perchè si stava avvicinando il compleanno di Matt.

Quello che sarebbe stato il trentesimo compleanno di Matt, se il mare non se lo fosse portato via insieme al padre Samuel, otto anni prima, l'unica volta che i due non l'avevano portata con loro in viaggio.

Nella foto lei aveva i capelli lunghi – in quel periodo si faceva ancora chiamare con il suo nome di battesimo, Katie, anche se aveva già iniziato a non riconoscervisi più – e il fratello le circondava le spalle con un braccio, lo sguardo sereno e gli onnipresenti occhiali dalla montatura tonda, simili a quelli che Pidge aveva deciso di indossare da dopo la sua scomparsa per rendere onore al suo ricordo.

Non aveva mai raccontato dettagliatamente agli altri il suo passato. Aveva solo accennato al padre e al fratello qualche volta senza mai parlarne davvero: anche solo pensarci la faceva ancora soffrire troppo, e loro non avrebbero comunque potuto fare nulla se non commiserarla. Tuttavia aveva continuato per tutto quel tempo a indagare da sola, anche se probabilmente l'oceano non avrebbe mai restituito una risposta a tutte le sue domande.

Tuttavia era stato il momento in cui aveva parlato con Allura per la prima volta, sei anni prima, quando la ferita era ancora fresca, la discriminante che l'aveva convinta che quello sarebbe stato il posto giusto per lei: con un lavoro del genere avrebbe potuto indagare molto più facilmente, anche se trovare notizie sull'ipotetico relitto di un catamarano poco più piccolo del Voltron era sicuramente più difficile rispetto ad un'enorme nave da crociera scomparsa. In ogni caso se mai avesse deciso di parlarne con Allura, lei sicuramente avrebbe capito quello che provava, quel desiderio di risposte che non si era placato nemmeno in tutti quegli anni.

 

Pidge sospirò, mettendo via la foto.

Si alzò, intenzionata a raggiungere gli altri: per quanto normalmente preferisse la solitudine e la quiete alla compagnia chiassosa dei colleghi, in quel momento sentiva la necessità di un po' di calore umano, nel tentativo di non sprofondare nei pensieri cupi.

I primi tempi dopo aver saputo della scomparsa del Kerberos (il catamarano dell'Istituto di Oceanografia Garrison su cui Samuel Holt aveva condotto con il suo team innumerevoli ricerche e spedizioni, portando più volte con sè anche i figli), Pidge aveva sognato decine e decine di volte di veder tornare il padre e il fratello o di ritrovarli lei stessa grazie a un'intuizione geniale, ma dopo otto anni aveva smesso di sperarci. Razionalmente, almeno.

 

Quando raggiunse il resto dell'equipaggio, Lance, Keith e Shiro erano tutti radunati intorno ad Hunk, che era rosso come un frutto maturo. Negli anni aveva imparato a gestire il suo mal di mare, quindi il rossore non era dovuto evidentemente a un malessere. Fu solo avvicinandosi che notò che anche la loro attenzione era concentrata su una fotografia, che campeggiava sullo schermo del cellulare di Hunk.

"Ehi Pidge! Vieni a vedere la fidanzata di Hunk! Dice che quando torniamo le chiederà di sposarlo!" disse Lance, su di giri come se fosse lui sul punto di chiedere la mano di una bella ragazza.

"Oh... in bocca al lupo, Hunk" disse con un sorriso imbarazzato, lanciando uno sguardo distratto alla foto.

"Si chiama Shay, ed è bellissima" aggiunse il diretto interessato, con gli occhi a cuoricino.

"E bravo il mio Hunk! Volevi tenercela nascosta ancora un po'? Ovviamente io sarò il tuo testimone di nozze, vero?!" riprese Lance, orgoglioso dell'amico.

"Non hai nemmeno da chiederlo... sempre che lei accetti, però" cambiò espressione Hunk, preoccupato.

"Tsk, basta che ascolterai i miei consigli efficaci al 100% e Shay non potrà resisterti! Impara dal migliore... cioè me, ovviamente" lo rassicurò Lance.

"L'importante è esserne convinti" bofonchiò Keith, con un mezzo sorriso, pensando alle esperienze disastrose di Lance con le donne che cercava di conquistare in ogni porto nel quale attraccavano. Forse per Hunk non sarebbe stata un'ottima idea seguire i suoi consigli, ma tanto valeva lasciarli fare, tanto non era un suo problema.

 

Shiro decise di alzarsi e dirigersi verso la sua cabina: il mal di testa era comprensibilmente peggiorato, e il clima allegro non riusciva ad alleggerire il suo pessimo umore, anche se cercava di dissimulare.

Non appena si fu alzato, però, notò qualcosa per terra, accanto alla sedia di Pidge.

Sembrava una fotografia, non più grande delle dimensioni di un portafogli.

Si chinò per raccoglierla e porgergliela, ma rimase congelato per un istante.

La foto ritraeva un ragazzo e una ragazza, e quest'ultima non poteva che essere Pidge, anche se era molto diversa da come aveva imparato a conoscerla: la foto evidentemente apparteneva ad un periodo precedente al momento in cui aveva preso coscienza della sua identità di genere (Pidge si considera genderfluid, per questo motivo utilizza alternativamente il maschile e il femminile, NdA), ma lo sguardo era inconfondibile, anche se privo di quella malinconia che l'aveva sempre contraddistinto fin da quando la conosceva.

Il ragazzo nella foto era più alto di una spanna rispetto a Pidge, indossava occhiali molto simili a quelli che quest'ultima portava sempre (e che aveva ammesso essere esclusivamente per estetica) e aveva un vaghissimo accenno di barba: non dimostrava più di diciotto anni, mentre lei doveva averne undici o dodici.

Shiro era rimasto immobile con la mano tesa verso Pidge e gli occhi fissi sulla foto, ma con la mente lontanissima da lì e una strana espressione sul volto.

"Oh, grazie Shiro..." abbassò lo sguardo Pidge per il senso di colpa di aver rischiato di perdere quell'unico ricordo che portava sempre con sé "lui... è... era... mio fratello, Matt." aggiunse, rispondendo a fatica alla domanda inespressa.

"Matt... Matthew Holt?" rispose Shiro, anche se la sua voce era completamente diversa dal solito.

"Come fai a...?" chiese Pidge, che non solo non aveva mai detto loro il suo vero cognome (del resto quando si era imbarcata non era nemmeno maggiorenne come aveva lasciato credere ad Allura e Coran, ma una volta creato il suo alias non poteva più tornare indietro) ma era sicura di non aver mai nominato il fratello davanti a Shiro.

"Non lo so..." rispose lui, crollando a sedere su una sedia lì accanto, la testa dolorante tra le mani.
 


(1) La SS Cotopaxi è una nave merci scomparsa nel 1925 nel famigerato Triangolo delle Bermuda con il suo equipaggio di 32 persone, mai ritrovata. Nel 2015 si è diffusa la notizia secondo cui il suo relitto fosse stato recuperato da dei militari cubani, che tuttavia si è rivelata una bufala. La battuta di Hunk invece si riferisce al fatto che questa famosa "nave fantasma" è apparsa nell'arcinoto film di Spielberg "Incontri ravvicinati del terzo tipo", scaraventata nel Deserto del Gobi dagli extraterrestri.


Note dell'autrice
Ebbene sì, nello scorso capitolo sono rimasta nell'ombra, ma adesso appaio qui per fare qualche chiarimento (e per ringraziare le belle persone che si stanno interessando a questa fic, soprattutto Miss Marvel MJ che ha recensito il primo capitolo dandomi tanta gioia). In primis, immagino che abbiate notato come io abbia notevolmente invecchiato (di circa 8 anni) tutti i personaggi: si tratta di una scelta che ho fatto per dare alla storia una maggiore verosimiglianza, oltre che per consolidare maggiormente il gruppo prima degli eventi dei prossimi capitoli.
Sappiate che ci sarà angst, IMMENSE ENORMI PODEROSE BADILATE DI ANGST.
Io vi ho avvisati :D

_Kurai_

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Phantom Pain ***


III

Phantom Pain

 

Per qualche istante rimasero tutti in silenzio, gli sguardi preoccupati e curiosi rivolti a Shiro e Pidge, entrambi intrappolati nelle gabbie dei propri ricordi.

Ciò che aveva sconvolto Shiro era la cicatrice di un'immagine confusa, un ricordo a brandelli, che però finalmente aveva un volto, chiaro come mai prima.

Nei primi tempi dopo l'incidente, una volta uscito dall'ospedale, aveva fatto di tutto per chiudere fuori il poco che rammentava della sua vita precedente: cercare di ricordare faceva troppo male, e quel dolore era totalizzante.

Ai tempi aveva già imparato a familiarizzare col dolore all'arto fantasma, che lo assaliva improvviso con fitte tremende al braccio che non aveva più, e quell'altro tipo di dolore non era poi così diverso: era come se insieme al braccio avesse perso una parte di sé, nello specifico i quattro mesi che aveva trascorso in mare prima dell'incidente.

I mal di testa lo assalivano soprattutto quando si sforzava di ricordare, e dal lago nero della sua mente riaffioravano frammenti di immagini annebbiate, in cui le persone non avevano un volto e i luoghi non avevano un nome.

Il suo terapista gli aveva prescritto per un po' degli psicofarmaci, che avvolgevano tutto in una rassicurante oscurità, e perlomeno aveva smesso di perdersi in quelle visioni frammentarie dei suoi mesi perduti. Quando si era ripreso aveva cercato di fare delle ricerche, ma in quei quattro mesi il suo nome non compariva in nessun documento rintracciabile, non esistevano fotografie né alcun segno del suo passaggio. Forse anche per questo durante il suo lungo ricovero nessuno era venuto a cercarlo, nemmeno per questioni assicurative legate all'incidente o per informazioni sui suoi misteriosi compagni di equipaggio, che comunque lui non riusciva a ricordare. Era come se durante quei mesi non fosse esistito, come se non li avesse mai vissuti. Aveva semplicemente smesso di cercare dopo l'ennesimo malessere, anche perchè non aveva più parenti o amici vicini in America che potessero aiutarlo a rimettere insieme il puzzle della sua vita a cui mancavano decisamente troppi pezzi.

L'unica certezza che avesse mai avuto era il mare, e per questo nonostante tutto era tornato ad affrontare i propri fantasmi. Fino a quel momento aveva funzionato.

Poi, una semplice foto aveva fatto crollare il castello di carte.

Per quanto Pidge somigliasse a Matt, in quei sei anni vederla non aveva mai acceso quella lampadina... quindi perchè proprio in quel momento, dopo tutto quel tempo? E perchè Pidge non ne aveva mai parlato?

 

"Shiro?"

Keith lo aveva chiamato almeno una decina di volte mentre era perso nei suoi pensieri, come in trance.

Takashi si riscosse di colpo, la mente improvvisamente snebbiata.

"Pidge... sono sicuro che tu abbia avuto un motivo per non averci mai raccontato nulla del tuo passato ma... ho bisogno di sapere di più su tuo fratello, di capire..." disse, stranamente calmo ma con una luce febbrile nello sguardo.

"Pensi che possa avere a che fare con l'incidente?" chiese Keith, apprensivo.

Non era sicuro di voler rivedere quello Shiro, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare il trauma.

Provava una strana rabbia nei confronti di Pidge, che non aveva ancora pronunciato una parola: e se avesse saputo qualcosa sull'incidente di Shiro fin dal principio? Perchè era sempre stata così evasiva sul suo passato?

 

"Credo sia arrivato il momento di parlarne, alla fine" Pidge alzò lo sguardo, gli occhi rossi per le lacrime non versate parzialmente nascosti dal riflesso degli occhiali.

"Matthew e Samuel Holt erano mio fratello e mio padre... Pidge Gunderson non è il mio vero nome, ma ho avuto i miei motivi" iniziò, per poi interrompersi con un lungo sospiro.

"Mia madre è morta quando avevo due anni e Matt nove, quindi da allora mio padre, ricercatore oceanografico, ha sempre portato me e mio fratello in viaggio con lui, soprattutto durante le vacanze scolastiche ma talvolta anche durante l'anno: sono cresciuta in mare, prima come la mascotte dell'equipaggio e poi come membro quasi a tutti gli effetti, imparando le mansioni più varie per essere d'aiuto a papà e poter diventare come lui, un giorno.

Otto anni fa, due anni prima che vi conoscessi, precisamente il 22 maggio, mio padre e Matt partirono senza di me.

Non era mai successo, ma ero bloccata a letto da una tremenda bronchite e loro non potevano rimandare la partenza o avrebbero perso tutti i finanziamenti.

Restai a casa di zia Catherine, una donna odiosa e fredda che accusava mio padre della morte di mia madre – nonchè sua sorella - perchè era sempre stata di salute cagionevole e lui l'aveva portata qualche volta in viaggio con sè. Non faceva che tirare fuori stereotipi sul ruolo della donna, autoalimentare le proprie paranoie e cercare di dissuadermi dal mio proposito di iscrivermi alla facoltà di ingegneria nautica dopo il liceo o di iniziare a lavorare a tempo pieno con mio padre, come Matt. Non aveva capito nulla di me.

La spedizione doveva durare quattro mesi, fino alla fine dell'estate – indubbiamente la peggiore della mia vita – ma pochi giorni prima del ritorno previsto la zia ricevette una telefonata.

Disse solo 'Mi aspettavo che sarebbe successo, prima o poi', e poi si girò verso di me.

Scoprii così che le comunicazioni con il Kerberos, il catamarano su cui lavoravano, si erano interrotte da due giorni, durante una tempesta al largo delle Isole Falkland.

Era il 24 settembre 2009.

Settimane dopo furono trovati alcuni rottami riconducibili all'imbarcazione, il che indusse a pensare che fosse affondata. Le ricerche continuarono ancora per qualche tempo, ma alla fine si sono esaurite in un nulla di fatto, un caso archiviato tra i tanti misteri dell'oceano.

Ero ancora minorenne, quindi la zia era legalmente responsabile nei miei confronti. Non mi permise di incontrare i vecchi colleghi di mio padre (quelli non scomparsi nell'ipotetico naufragio), nè di uscire di casa da solo per qualche tempo, temendo che scappassi." Pidge cambiò pronome quasi senza rendersene conto, come a segnare il momento che aveva determinato la spaccatura più netta col suo passato. "Che poi, beh... è esattamente quello che è accaduto, in effetti. In questi anni ho continuato a fare ricerche, non ve ne ho parlato perchè non sarebbe cambiato nulla, e perchè temevo che a quel punto Allura avrebbe scoperto che le ho mentito sul mio nome e sulla mia età e non volevo essere obbligato a giustificarmi..." Pidge finì di parlare, le mani che stropicciavano distrattamente l'orlo della felpa.

"I quattro mesi della mia vita di cui non ricordo più nulla vanno dal 22 maggio al 28 settembre 2009, precisamente" disse Shiro, con tono monocorde.

"Potrebbe non voler dire nulla ma... se davvero tu avessi lavorato con mio padre e mio fratello io sarei stato così idiota da aver avuto la risposta davanti agli occhi per tutto questo tempo?" sussurrò Pidge, quasi tra sè.

"Hai detto che le comunicazioni si sono interrotte al largo delle Falkland, giusto? Quando mi sono risvegliato mi è stato detto che ero stato ripescato in mare aperto davanti alle coste dell'Argentina, diverse decine di miglia nautiche più a nord... e ci sono comunque cinque giorni di vuoto. Vedendo la tua foto mi è tornato in mente tuo fratello, ma ricordo solo pochi particolari" riprese Shiro, che lottava visibilmente contro sè stesso pur di riportare a galla il più possibile. Le tempie gli pulsavano come se fossero aggredite da un martello pneumatico, ma non gli importava.

 

Un colpo di tosse palesemente finto li riscosse dai loro pensieri e fece tornare alla realtà anche Lance, Keith e Hunk, che ormai erano coinvolti nella storia (Hunk non riusciva a smettere di piangere e tirava su col naso da dieci minuti, fallendo nel cercare di darsi un contegno): il loro finanziatore e non troppo gradito compagno di spedizione gli era apparso alle spalle, felpato e silenzioso come un gatto.

"Spero di non aver interrotto nulla" disse, anche se tutto lasciava intendere il contrario "Posso unirmi a voi? Mi stavo annoiando nella mia cabina da solo" ("la mia cabina" ringhiò Lance sottovoce, ancora in preda al disappunto per aver perso a morra cinese quando avevano tirato a sorte chi dovesse cedere la cabina a Lotor).

"Comunque devo ringraziarvi per l'ospitalità, non mi sarei aspettato di viaggiare con così tante comodità" riprese Lotor, visto che nessuno aveva ancora proferito parola "come facevate a sapere che marca di crema per il viso uso?".

Lance stava per esplodere ("Quella è la mia crema per il viso, e costa centocinquanta stramaledetti dollari a vasetto! Mantenere la pelle idratata è importantissimo in mezzo al mare!") quando Hunk – che stava ancora silenziosamente tirando su col naso – gli diede una gomitata, cercando di evitare che la situazione degenerasse.

"Semplicemente un caso" disse Shiro, cercando di glissare e di distogliere l'attenzione collettiva da Lance, che probabilmente aveva ancora una mezza idea di soffocare 'quello stupido riccone platinato' nel sonno per riprendersi la cabina e i suoi preziosi prodotti di bellezza.

"Io torno in sala radar" disse Pidge, congedandosi "divertitevi pure senza di me" e voltò le spalle, mentre nella sua testa si agitava un turbine di pensieri a cui non riusciva a porre un freno. Il giorno seguente avrebbe chiesto ancora a Shiro se riuscisse a ricordarsi altri particolari, ma non era il caso di sbilanciarsi ulteriormente, soprattutto non davanti ad uno sconosciuto come quel Lotor.

Nemmeno Pidge si fidava molto a pelle di quell'uomo, ma il lavoro è lavoro, quindi avrebbe sopportato la sua presenza ancora un altro po', finchè non avessero ritrovato l'Altea. Magari in futuro avrebbe potuto chiedergli di provare uno dei suoi droni, ma al momento il suo unico pensiero era rivolto a ciò che aveva detto Shiro.

Perché non lo aveva mai visto sul Kerberos? Che fosse stata la sua prima (e ultima) spedizione con gli Holt? E perché nessuno aveva collegato il suo salvataggio alla nave scomparsa, anche se era passata poco meno di una settimana dalla tempesta? Perchè il nome di Shiro non compariva da nessuna parte? E com'era possibile che non ricordasse quasi nulla dell'intera spedizione, oltre che dell'incidente? Pidge capì che quella notte non avrebbe dormito, e sospirando si sedette sulla sua brandina e accese il portatile. Il cicaleccio dei radar tutt'intorno era rilassante, e il Voltron proseguiva la sua rotta senza problemi. Niente di inaspettato era rilevato nel raggio di chilometri.

 

"Anche io dovrei andare giù in sala macchine, voglio controllare che sia tutto a posto prima di andare a dormire... mi accompagni, Lance?" tentò Hunk, per trascinare via l'amico.

Lance accettò di buon grado.

 

"Ho la sensazione che mi stiano evitando" commentò Lotor, con un bizzarro sorriso sghembo "mi piacerebbe sperimentare cosa significa fare il vostro lavoro... sono appassionato di esplorazioni oceaniche fin da bambino" riprese, rivolto a Shiro e Keith "mio padre ha lavorato in mare per molti anni, perciò quello che fate mi affascina".

"Oh... capisco" rispose Shiro, che aveva meno voglia che mai di fare conversazione, ma ormai aveva le spalle al muro. Non poteva sottrarsi nè lasciare l'ospite con Keith, che già lo sopportava a malapena. Quel viaggio sembrava essere iniziato nella prospettiva meno rosea possibile, e il suo onnipresente mal di testa non era che una fastidiosa ciliegina sulla torta.

"Il vostro equipaggio è molto particolare... è raro trovare un comandante donna così giovane oltretutto, sono rimasto davvero stupito in positivo" continuò Lotor, che evidentemente doveva recuperare le ore in silenzio passate nella sua cabina.

"In realtà Allura non ama essere definita 'comandante', insiste sempre nel dire che sul Voltron siamo tutti allo stesso livello perchè ognuno di noi ha il suo bagaglio di esperienza ed eccelle in qualcosa" puntualizzò Keith, nel tentativo di arginare gli stupidi convenevoli di Lotor.

"Anche questo le fa onore... comunque detto tra noi, ho deciso di affidare questo lavoro proprio a voi perchè conosco la sua storia. So chi era suo padre, e so che ha un forte coinvolgimento personale per quanto riguarda l'Altea. Ho scoperto la vicenda di quella nave anni fa e ho letto moltissimo in merito, e penso che nessuno meriti più di lei di ritrovarla, anche se probabilmente l'emozione sarà molto forte" Lotor fece il gesto teatrale di asciugarsi una lacrima, guadagnandosi una malcelata smorfia di Keith.

"Mi spiace interrompere questa piacevole chiacchierata, ma direi che è l'ora di tornare nelle nostre cabine... domani sarà una giornata molto lunga, forse già entro ventiquattr'ore entreremo nel raggio della possibile rotta dell'Altea e potremmo avvistarla in qualsiasi momento" disse Shiro, che in effetti aveva l'aria di essere estremamente stanco.

"Lo so, ho già mandato uno dei miei droni in avanscoperta, ma non l'ho ancora individuata" annuì l'uomo, ancora sorridendo "allora buonanotte, svegliatemi in qualsiasi momento in caso di avvistamenti improvvisi!" concluse, voltando le spalle.

 

Lance era appoggiato allo stipite della porta della sala macchine, e da almeno dieci minuti non faceva che lamentarsi senza interruzione: "Non è che doveva venire per forza per pavoneggiarsi del ritrovamento... poteva restarsene tranquillo nella sua villa con piscina – sono sicuro che quello ha una villa con piscina – a sorseggiare cocktail aspettando che noi concludessimo la missione, mi sarei evitato tanto di quel sangue marcio! E sono sicuro che starà toccando tutte le mie cose, spero che almeno come minimo ci paghi un extra per il disturbo. Mi comprerò qualcosa di bello e costoso al nostro ritorno, alla faccia sua".

"Tocca stringere i denti, non resterà mica con noi per sempre... poi non si fa vedere molto, dovrai sopportarlo ancora per poco: entro pochi giorni troviamo l'Altea, la rimorchiamo in porto, incassiamo i soldi e non lo vedrai mai più" rispose Hunk, accomodante.

"Spero di non dover condividere la foto in prima pagina del New York Times con lui, almeno" bofonchiò il cubano, sospirando.

"Non dovresti lasciarti trasportare da tutta questa negatività, loro lo sentono, si demotivano e lavorano peggio" disse Hunk, serio.

La sala macchine era il suo regno, e i cinque motori Rolls Royce con la potenza di oltre 20mila cavalli erano le sue creature, che ogni tanto trattava come esseri senzienti. Non era raro che gli altri lo sorprendessero a parlare ad alta voce mentre faceva manutenzione, ma ormai anche quello era una parte di lui. Aveva perfino dato loro dei nomi in base ai colori delle targhette con i numeri di serie. "Soprattutto Yellow è molto sensibile, se percepisce una brutta atmosfera digerisce male il gasolio e devo oliargli i pistoni più spesso".

"Basta che non glieli lubrifichi con la mia crema da centocinquanta dollari, visto che è così sensibile..." ribattè Lance, incapace di smettere di pensare al torto che aveva subìto.

 

Nella notte, la nebbia iniziò a scendere tutt'intorno al Voltron, inghiottendolo in una coltre densa e spettrale.

Coran, al timone, aveva acceso tutte le potenti luci sul ponte, ma non poteva che affidarsi ai radar perchè aveva l'impressione di navigare immerso in un bicchiere di latte.

Fino a poche ore prima il cielo era terso e sereno, il mare calmo e le stelle nitide e rassicuranti.

Erano le quattro del mattino quando, improvvisamente, la coltre di nebbia davanti a lui tradì la presenza di un ostacolo solido. Un enorme ostacolo solido, ad una distanza forse appena sufficiente per una virata di emergenza.

Pidge, che prevedibilmente non aveva chiuso occhio, lo aveva avvisato non appena i radar avevano rilevato la sagoma di una nave, ma non credeva ai suoi occhi: per quanto quelle apparecchiature sofisticatissime avessero un raggio di decine e decine di miglia marine, l'ostacolo era apparso come dal nulla davanti a loro lasciando un minimo margine di manovra, e si stava dirigendo precisamente in rotta di collisione verso il Voltron.

Mentre Coran si lanciava nella sua migliore virata per evitare lo schianto, un allarme risuonò in tutta la nave, per svegliare l'equipaggio in modo da affrontare prontamente qualsiasi tipo di emergenza. La prima a presentarsi fu Allura, che a sua volta non aveva dormito affatto, e si attaccò subito alla radio per cercare di comunicare con l'equipaggio della nave che stava quasi per speronarli. Oltre la nebbia vedeva solo una sagoma indistinta, ma il radar parlava chiaro.

"Qui Voltron, passo" iniziò, una volta individuata la frequenza.

Nessuna risposta.

"Qui Voltron, siete in rotta di collisione, stiamo virando per evitarvi ma la vostra rotta non è segnalata, passo"

Ancora silenzio.

 

Nel frattempo Shiro, Keith e Lance avevano raggiunto la plancia di comando, ma non c'era nulla che potessero fare se non assistere alla manovra disperata, mentre due piani più giù Hunk stava mandando i motori al massimo per accelerare il più possibile il tempo di virata.

Improvvisamente, un rumore secco fece sussultare tutti: Allura aveva lasciato cadere il microfono della radio e teneva una mano davanti alla bocca, gli occhi pieni di lacrime.

Lance sollevò il secondo paio di cuffie e le accostò all'orecchio: nel silenzio, dalla radio della nave che continuava ad avanzare verso di loro provenivano le note del Notturno di Chopin. Un brivido gelido gli attraversò la schiena.

"La suonava sempre mio padre... al pianoforte..." disse Allura, come a cercare di giustificare il suo crollo improvviso, nel tentativo di riprendere il controllo di sè.

Il Voltron stava finalmente iniziando a virare recependo il comando del timone, ma la nave ignota era sempre più vicina. Nonostante la nebbia, ormai riuscivano a individuarne i contorni ad occhio nudo. Era enorme, non vi era alcuna luce accesa e lo scafo era ricoperto di uno spesso strato di ruggine verdastra. Nonostante ciò, la nave avanzava a velocità sostenuta, sempre nella loro direzione. Paradossalmente, sembrava che l'ignoto comandante avesse regolato leggermente la rotta per compensare la loro manovra.

Nel silenzio iniziò a crescere la consapevolezza di essersi imbattuti nell'oggetto delle loro ricerche, anche se nel modo peggiore. Subito dopo capirono che il Voltron non ce l'avrebbe fatta, e che quella virata non sarebbe stata sufficiente. Per quanto sembrasse assurdo non aver potuto evitare una circostanza simile con tutte le strumentazioni all'avanguardia del rimorchiatore, lo schianto sembrava ormai ineluttabile.

Le note di Chopin ormai si sentivano anche nell'aria, come se galleggiassero sulle onde.

"Venti secondi alla collisione" disse Pidge nell'interfono dalla sala radar, mentre il panico aveva ormai preso possesso dell'intero equipaggio.

"Sono troppo giovane e bello per morire così..." disse Lance, le pupille contratte per il terrore di ciò che stava per accadere.

"Dieci secondi..."

Allura aveva gli occhi sbarrati, nelle orecchie le note un tempo familiari e rassicuranti del Notturno che si stavano trasformando nella colonna sonora di un incubo.

"Cinque secondi"

Ormai vedevano chiaramente lo scafo a pochissima distanza, tanto da poter distinguere alla perfezione tutti i particolari del metallo rovinato da vent'anni di navigazione.

Shiro chiuse inconsciamente gli occhi, convinto di vivere in un orribile deja-vu.

Contò fino a cinque, rassegnato che infine fosse davvero giunto il suo momento, che il mare fosse tornato a riscuotere il suo prezzo.

Riaprì gli occhi.

La nebbia si stava diradando.

L'Altea era scomparsa.

 

Lotor apparve sulla soglia, fasciato in una vestaglia aperta su un pigiama di seta blu notte, i capelli sciolti e lo sguardo di chi ha appena terminato un sonno di bellezza ristoratore.

"Mi sono perso qualcosa?"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Into the eye of the storm ***


IV

Into the eye of the storm

 

"Sai, le allucinazioni collettive in determinate circostanze hanno perfino delle spiegazioni scientifiche... ho letto un libro sull'argomento" esordì Lotor a colazione rivolto ad Allura, la mattina seguente. Solo lui aveva dormito, tornando in cabina come se niente fosse subito dopo il presunto avvistamento.

"Vorrei che lui fosse un'allucinazione collettiva" sussurrò Lance, facendo quasi esplodere Hunk in uno scoppio di risa, prontamente celato con un finto attacco di tosse. Il cubano era doppiamente nervoso perchè la notte in bianco gli aveva lasciato come souvenir un'ombra scura sotto gli occhi, che tuttavia impallidiva di fronte alle borse sotto gli occhi di Shiro, che ormai potevano essere considerate delle valige formato famiglia: nemmeno lui ricordava quando avesse dormito decentemente l'ultima volta, e sinceramente ormai non ci dava più peso.

"In effetti con tutta quella nebbia potremmo averla solo immaginata... eravamo tutti stanchi e pieni di aspettativa, può capitare che il cervello giochi dei brutti scherzi" convenne Allura, che in realtà non era troppo convinta di ciò che diceva ma non voleva contraddire apertamente Lotor, anche perchè ciò che avevano vissuto era decisamente inspiegabile.

Del resto, come chiunque abbia sperimentato un'esperienza fuori dal normale impara sulla propria pelle, cercare di darsi spiegazioni razionali è sempre il modo migliore per esorcizzare il panico di fronte a un fenomeno che non si può comprendere, anche se tali spiegazioni finiscono per essere più improbabili dell'avvenimento stesso.

 

"Comunque penso che dovremmo controllare lo scafo, stanotte mentre facevamo quella virata pazzesca siamo passati molto vicino a degli scogli affioranti, è sempre meglio prevenire falle che tapparle quando ormai il danno è grosso" disse Pidge, ricordando la notte precedente.

"Hai ragione... Lance, che ne dici di andare tu invece di continuare a sbuffare come una ciminiera? E potresti andare anche tu Keith, se dovesse esserci bisogno di riparazioni estemporanee è sempre meglio immergersi in due" disse Coran, prendendo il controllo della situazione. Keith e Lance si alzarono contemporaneamente, entrambi contenti per motivi differenti di alzarsi da quel tavolo.

 

Keith non aveva toccato cibo, e aveva decisamente lo stomaco chiuso. Forse lavorare gli avrebbe tolto dalla testa quel presentimento che stava decisamente iniziando a schiacciarlo, e che per un attimo quella notte aveva rischiato di diventare reale. Dopo aver scongiurato lo schianto notturno, Keith era tornato in cabina con Shiro invece che nella sua.

Aveva voluto parlargli, perchè normalmente esprimere a lui i suoi dubbi gli donava per un po' una certa calma apparente, e ne aveva seriamente bisogno. Non sapeva esattamente cosa aveva sperato di ottenere, visto che Takashi da giorni era decisamente diverso dal solito, ma per quella notte lo aveva visto così diverso che aveva sentito il bisogno di controllare se lo Shiro che conosceva fosse ancora lì, da qualche parte. Per un istante Shiro gli era sembrato lontano, assente, quasi un fantasma di sé stesso.

Poi quella frase, quasi sussurrata con sguardo vuoto.

"Per un attimo li ho rivisti. Erano tutti morti."

Subito dopo si era riscosso e aveva ammesso di essere stanco e di voler cercare di dormire almeno un po'.

Keith gli era rimasto accanto, seduto sul letto, finché Coran non li aveva convocati tutti per fare colazione e decidere il da farsi. Non riusciva a smettere di pensare a quelle parole.

 

"Vedo che sei ancora più silenzioso del solito, Mullet" disse Lance, mentre scendevano fianco a fianco verso la stanza delle attrezzature da immersione.

“Ho i miei motivi” rispose Keith, evasivo come sempre “Tu che ne pensi di quello che è successo stanotte?” aggiunse.

“Di sicuro non penso che ce lo possiamo essere immaginato… ma del resto è anche per questo che le chiamano “navi fantasma”, non è la prima volta che appaiono e scompaiono dai radar mentre le cerchiamo”

“Lance… scomparire dai radar e scomparire nel nulla un secondo prima di uno schianto davanti ai tuoi occhi è leggermente diverso” puntualizzò Keith, piccato.

“Lo so benissimo, sto solo cercando di darmi una spiegazione coerente mentre aspetto con ansia che questa missione finisca, così potrò avere la mia foto in prima pagina e soprattutto riavere la mia dannata cabina” sospirò Lance, che come sempre cercava di dissimulare il suo reale stato d’animo.

Infilarono le mute da sub in silenzio e approntarono in pochi minuti i kit per le riparazioni di emergenza, per poi tuffarsi e immergersi nel freddo oceano.

“Bene, andiamo a vedere che bello scherzo ci hanno fatto i fantasmi questa volta” disse Lance nell’interfono, che Pidge aveva aggiunto alla dotazione subacquea solo di recente.

“Preferivo quando almeno qui sotto c’era silenzio” commentò Keith, mentre nuotava rapidamente verso la fiancata destra dello scafo, mentre Lance nuotava in senso opposto per controllare l’altro lato.

“Keith?”

“Che c’è, hai visto uno dei tuoi fantasmi?”

“No, cioè… ho visto qualcosa muoversi con la coda dell’occhio, spero non ci siano squali da queste parti”

“Un ottimo ulteriore motivo per finire in fretta” rispose Keith, impassibile, nuotando in avanti più velocemente e lasciandosi dietro un turbinio di bolle.

 

Una volta individuati i segni, Keith si fermò di colpo. Quelli sullo scafo non erano semplici graffi.

Era una scritta, che sembrava incisa da un oggetto molto tagliente.

“HELP”

Rimase immobile per qualche istante, il sangue improvvisamente gelido nelle vene, poi decise di non dire nulla. “Ho trovato qualche graffio sul mio lato, provvedo a riparare tutto” disse nell’interfono rivolto a Pidge, cercando di non far trapelare la sua inquietudine nella voce. Non serviva un’altra scusa per lasciarsi prendere dal panico.

 

Lance aveva già controllato due volte il lato sinistro senza trovare nessun segno, falla o graffio, ma continuava ad avere la bizzarra sensazione di essere seguito.

“Keith, sei tu?”

Nessuna risposta, o almeno non da Keith.

 

“Laaaaaaaaaanceee”

Era una voce femminile, e non sembrava arrivare dall’interfono.

“Laaance, aiutaci… vieni con me…”

La situazione era decisamente inspiegabile, ma chi era lui per non reagire alla richiesta d’aiuto di una ragazza in difficoltà?

“Chi sei? Dove sei? Come posso aiutarti?” rispose, guardandosi intorno febbrilmente.

E poi di nuovo, un movimento alle sue spalle, un guizzo rosso-arancione a breve distanza da lui.

Si girò appena in tempo per vedere una chioma lunga e rossa svanire dietro la poppa del Voltron. Che fosse una sirena?

“No, idiota, le sirene non esistono” disse la voce di Keith nella sua testa, come a fare il verso alla sua coscienza.

Lance, senza pensarci due volte, seguì la creatura, che nuotava velocemente verso il fondo. Non sembrava una sirena, ma inspiegabilmente respirava sott’acqua. Una nuvola di stoffa verde le fasciava il corpo color avorio, e il cubano era ormai attratto da quell’apparizione come una calamita. Non gli importava più nulla.

 

Si riscosse solo dopo qualche istante. “Cosa sto facendo?” disse tra sè: la ragazza era scomparsa, come se avesse immaginato tutto. La voce di Keith gli arrivava come un ronzio sommesso, segno che aveva superato il raggio d’azione dell’interfono. Per quanto tempo aveva nuotato per inseguire un fantasma nell’oceano? Era stato un effetto della notte in bianco?

Iniziò a nuotare nuovamente verso il Voltron, lo scafo appena visibile decine di metri sopra di lui.

Per un attimo gli sembrò di percepire una sorta di resistenza, come se qualcosa (o qualcuno) volesse riportarlo verso il fondo, trattenendolo per una caviglia. Durò pochissimo, e concluse di esserselo immaginato.

 

“Lance? Dove cazzo eri finito? Non rispondevi più!” lo assalì la voce di Keith una volta raggiunta la distanza di ricezione dell’interfono.

“Ho visto… qualcosa” rispose Lance, evasivo. Nessuno gli avrebbe creduto, e lui stesso si sentiva un po’ stupido.

Riemersero insieme, nuovamente silenziosi e persi nei propri pensieri.

 

Allura e Lotor erano da soli nella stanza del comandante e stavano confrontando foto, mappe e riprese, cercando di valutare eventuali variazioni di rotta.

Almeno questa era la scusa ufficiosa di Lotor, che da quando avevano iniziato a parlare di lavoro non aveva perso nemmeno un’occasione per farsi bello davanti alla ragazza. Non che ad Allura il suo comportamento desse fastidio, visto che la stava aiutando a risolvere il mistero che l’aveva tormentata per gran parte della sua vita, e il generoso finanziatore dell’impresa era anche decisamente attraente.

Si era raccolto i capelli chiarissimi sulla nuca e sembrava molto assorto e coinvolto nella missione, come se anche lui avesse un obiettivo più alto di una semplice manovra pubblicitaria.

“Sai, anche mio padre ha lavorato in mare per tanti anni, quando ero bambino” cambiò discorso Lotor, lo sguardo rivolto alla grande foto con Alfor e Allura esposta nella cabina.

“Odiavo aspettare il suo ritorno e non mi portava mai con sé, però ogni volta mi raccontava le sue avventure… adoravo quei momenti, e avrei voluto che durassero per sempre…”

“Se non sono indiscreta, poi cosa gli è capitato?”

“Non ho problemi a parlarne, non preoccuparti. Non è morto in mare, se è quello che stai pensando… anche se per me è come se lo fosse. Non ci parliamo da molti anni, non so nemmeno se è ancora vivo da qualche parte, ma anche se il nostro rapporto si è deteriorato amo ricordare quei bei momenti.”

“Oh… Mi dispiace…”

“Davvero, non volevo ispirarti commiserazione” sorrise Lotor “volevo solo farti notare che abbiamo avuto un’infanzia molto simile”

 

Lance era seduto sul letto nella cabina di Hunk, lo sguardo fisso sulla propria caviglia destra.

Se si era immaginato tutto, perché allora c’era un segno rosso a forma di mano che gli avvolgeva il collo del piede?

Deglutì un paio di volte, la gola improvvisamente secca. Cosa stava succedendo?

La risposta non si sarebbe fatta attendere ancora per molto.

 

Nel pomeriggio Shiro riuscì finalmente a sentirsi di nuovo in forma e produttivo, almeno un po’. Forse era un’illusione o forse se lo era imposto con così tanta forza di volontà che nonostante tutto si sentiva realmente meglio. Per la prima volta aveva trovato un indizio sul suo passato, e forse un giorno non troppo lontano avrebbe potuto davvero voltare pagina una volta per tutte, quindi non era il momento di farsi fermare da uno stupido malessere.

Keith era rimasto piacevolmente sorpreso, ma continuava a chiedersi se non fosse solo un momento di calma apparente, anche alla luce di quella scritta inquietante sullo scafo e dello strano comportamento di Lance, che era sparito in cabina dopo pranzo e non ne era più uscito.

 

Il sole era alto nel cielo privo di nuvole, il mare calmo e placido quando i radar iniziarono di nuovo ad emettere il suono che tutti avevano atteso con ansia e aspettativa:eccola fare capolino dall’orizzonte, in tutto il suo spettrale splendore. Evidentemente le manovre orchestrate da Lotor e Allura avevano raggiunto il risultato sperato.

L’Altea era meno inquietante alla luce del giorno, e il relitto mostrava ancora i segni della sua antica bellezza. Forse il lavoro sarebbe stato più facile del previsto: in meno di un’ora si approcciarono allo scafo della nave fantasma, collegando il Voltron e iniziando a montare le apparecchiature per salire a bordo.

Allura era ai limiti della commozione, con le lacrime appese agli angoli degli occhi: ce l’aveva fatta. Ce l’avevano fatta sul serio.

Coran aveva voluto brindare prima di salire sul relitto, e le sue guance rosate tradivano il bis che si era concesso. Hunk emise numerosi sospiri di sollievo: il ritorno a casa era vicino, presto avrebbe rivisto la sua Shay.

 

Pidge era rimasta sul ponte a guardare la nave, come ipnotizzata. Se Allura era riuscita nella sua impresa, magari anche lei ce l’avrebbe fatta, tanto più che aveva scoperto il coinvolgimento di Shiro… Era solo questione di tempo.

Poi, qualcosa attirò la sua attenzione sul ponte dell’Altea, come un luccichìo, seguito da un movimento.

Prese il binocolo e mise a fuoco: ciò che vide per un istante glielo fece scivolare dalle mani, incrinando una delle lenti.

Era Matt.

Un Matt molto più pallido ed emaciato, che la guardava con un’espressione terrificata, come se la prospettiva di vederla lì non fosse affatto positiva. Voleva che andassero via, ecco cosa diceva il suo sguardo.

Ma Pidge avrebbe fatto di testa sua, come sempre. Per questo iniziò a salire la scaletta per prima, incurante di tutto il resto.

Gli altri uscirono sul ponte quando era già a metà strada, come guidata da una forza misteriosa.

“Dovremmo seguirla, a questo punto… Non si sa cosa potremmo trovare, meglio non lasciarla da sola” disse Shiro, seguito immediatamente da Allura e dagli altri.

Coran e Hunk sarebbero rimasti a bordo del Voltron, per qualsiasi necessità: Hunk avrebbe dovuto portare i motori al massimo, perché rimorchiare una nave così imponente necessitava di ulteriore forza motrice. Non era affatto invidioso degli altri, perché non aveva nessuna intenzione di vedere con i suoi occhi che fine avessero fatto i trecento passeggeri dell’Altea scomparsi insieme alla nave. Il contenuto del suo stomaco stava benissimo lì dov’era.

 


Ebbene, dopo circa un milione di anni ho rimesso mano a questa fanfic... vi ero mancata? (suppongo di no, visto che non sono arrivate minacce per il punto stupido in cui mi ero bloccata, ma a questo punto è meglio così XD)
Spero di riprendere ad essere più costante e preannuncio un bel po' di colpi di scena nel prossimo capitolo, dove finalmente si entrerà nell'azione vera e propria! Spero che nonostante il ritardo vergognoso qualcuno abbia ancora voglia di seguire questa storia, quindi ringrazio già tutte le persone che avranno voglia di leggere e lasciare un piccolo commento!
Besos 
~

_Kurai_

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3702657