Il marchio del drago

di Desma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Prancing Pony ***
Capitolo 2: *** The road to Hobbiton ***
Capitolo 3: *** The quest ***



Capitolo 1
*** The Prancing Pony ***


Disclaimer: La proprietà dei personaggi originali della Terra di Mezzo che verranno citati in questo testo non mi appartengono, ma sono il frutto della geniale mente di John Ronald Reuel Tolkien e del riadattamento cinematografico di Peter Jackson, di cui verranno citati alcuni momenti chiave.




A parlare delle cose belle e dei giorni lieti si fa in fretta,

e non è che interessi molto ascoltare;

invece da cose gravose, emozionanti o addirittura spaventose

si può trarre una buona storia, o comunque un lungo racconto.


J.R.R. Tolkien






Dale, 2770° anno della Terza Era


-Coraggio Cliantha- la incitò Alyssa -Sbrigati!

La sera stava scendendo velocemente e i fuochi appiccati dalla bestia ancora ardevano implacabili tra le strade, dentro gli edifici in pietra che non erano ancora crollati e nei giardini delle ricche case della città alta, la più colpita dalla furia del mostro.

-Madre- la chiamò la bambina, correndo nella sua direzione, saltando i detriti di pietra, legno e mattone che intasavano la via -Arrivo.

Portava con sé una sacca colma di tutto quello che era riuscita a prendere dalla loro casa, minacciata dalle fiamme che, dalla città alta, si stavano estendendo verso quella bassa, non fortificata e abitata dalle classi meno agiate.

Non vi era stato modo di prevedere una simile catastrofe, soprattutto in quegli anni di prosperità che la ricchezza di Erebor aveva portato, e ora che si era abbattuta su di loro, distruggendo le loro abitazioni e facendo piovere fiamme dal cielo, chi non era perito tentava la via della fuga, portandosi via quanto poteva. Alyssa, temendo che oltre dalle fiamme della bestia la vita dell’unica figlia e la propria sarebbero state minacciate anche dai sopravvissuti disperati, desiderava uscire il prima possibile dai confini della città.

-Sei riuscita a prendere tutto?- le chiese, sollevando la sua sacca e mettendola dentro al carretto in cui avevano caricato i loro averi. L’animale attaccato al carro, un grosso cavallo da tiro dal manto grigio, era stato bendato, ma l’odore di fumo lo metteva in allarme e i suoi zoccoli battevano nervosamente il selciato della strada.

-Io credo di sì- rispose, incerta, la bambina, dai cui occhi iniziarono a scendere lente delle grosse lacrime e il labbro le tremò.

Il cuore di Alyssa si strinse in una morsa davanti all’immagine della sua adorata bambina sconvolta dalla paura: -Tesoro mio- le sussurrò ad un orecchio, mentre la stringeva forte a sé -Andrà tutto bene. Siamo ancora vive e insieme e la mamma ti porterà in un nuovo posto, lontano e bellissimo. Va bene?

-E i miei amici?- chiese Cliantha tra i singhiozzi.

-Forse li ritroveremo lungo la strada- cercò di incoraggiarla la madre, spingendola a salire sul davanti del carro, per poi afferrare le redini del cavallo e condurlo a piedi.

Il cammino che Alyssa dovette intraprendere per portare la sua famiglia al sicuro fu molto più lungo di quanto si era immaginata: sotto alle zampe e al fuoco del drago, diversi edifici erano crollati, chiudendo le strade e rendendo impossibile il passaggio del carro, costringendola a imboccare vie secondarie. La paura che qualcuno dei suoi concittadini le aggredisse per impossessarsi del carro o del cavallo fece scorrere il tempo più lentamente, facendola sobbalzare al minimo rumore.

Per loro fortuna, nella confusione e nel caos della fuga, nessuno sembrò curarsi di loro e, finalmente fuori dai confini di Dale, la folla si disperse nelle piane tagliate dal fiume o dentro al Bosco Atro o, chi possedeva una barca, lungo le correnti del Flutti.

Alyssa poté tirare un sospiro di sollievo e, tolta la benda al cavallo, si sedette accanto alla figlia, spronando l’animale al trotto.

-Dove andremo adesso, Madre?- chiese la bambina, infilandosi sotto al suo braccio e accoccolandosi sul suo seno.

-Lontano- rispose lei -Dove saremo al sicuro- prese le redini con una mano sola e con l’altra accarezzò la testa coperta di folti capelli biondi di Cliantha, lasciandole un bacio sulla tempia.

-E dov’è questo posto?- insistette la bambina.

Alyssa emise un lungo sospiro: era stanca e provata, le immagini delle fiamme che scendevano dal cielo come l’ira degli dei e del ventre squamato del drago che sorvolava le loro teste continuavano a ripresentarsi nei suoi occhi ad ogni sobbalzo delle ruote. Non era in grado di sostenere le domande insistenti della figlia, ma, dall’altra parte, sapeva che Cliantha era scioccata tanto quanto lei e non voleva metterla ancora più in difficoltà, così rispose: -Dove più ci piacerà. Ci fermeremo solo quando avremo trovato una terra che ci faccia sentire a casa, che ne dici?

Ma l’unica risposta che la donna ricevette fu il leggero russare della figlia, che, stremata dalle emozioni, era crollata sulla sua spalla e dormiva un sonno pesante e inquieto.

Alyssa ringraziò il Cielo di quel regalo e continuò a dirigere l’animale lungo la pianura.

Al calar del sole, la sua strada si incrociò con quella di un esodo di nani, molti dei quali feriti e malconci, scacciati anch’essi dalle loro case a Erebor, ormai nuova sontuosa tana del drago.

La donna arrestò il carro e osservò quella grande folla, da cui si ergevano molti lamenti: chi piangeva un amico o un parente, chi lamentava il dolore per una ferita e chi rimpiangeva la propria terra e le proprie radici, sradicate da un avido usurpatore.

Alyssa dovette fare del proprio meglio per trattenere le lacrime che quel triste spettacolo le procurava: i nani erano sempre stati dei nobili e onesti vicini di casa per gli abitanti di Dale, che da generazioni avevano stretto con loro dei solidi patti di amicizia e commercio, e agli occhi della donna quella tragedia era stata una tremenda ingiustizia del fato.

Al sopraggiungere di una barella su cui un bambino nano senza più una gamba gridava di dolore, Alyssa non poté trattenersi dal scendere dal carro e corrergli incontro: -Aspettate- urlò ai due nani che sorreggevano la barella e che la fulminarono con uno sguardo carico d’astio -Sono una guaritrice- disse Alyssa quando li ebbe raggiunti -Lasciate che lo aiuti!

-Chi sei, donna?- tuonò una voce alle sue spalle, bloccandola prima che potesse toccare il bambino.

Alyssa si voltò e vide il nano che le aveva parlato: era giovane e vestito di abiti belli e di buona fattura, lunghi capelli corvini, impastati di sangue, gli scendevano lungo l’ampia schiena muscolosa e il suo viso era disegnato da lineamenti nobili e armoniosi.

-Sono Alyssa Pike- si presentò, accompagnando le parole a un inchino, dato che nel nano aveva riconosciuto il principe di Erebor -Sono una guaritrice e sono fuggita da Dale. Nel mio carro ho il necessario per impedire che il bambino sviluppi un’infezione o muoia dissanguato. Permettetemi di aiutarlo, mio signore.

Il principe la squadrò da cima a fondo, con il piglio severo di un capo, e le domandò: -E cosa vorresti in cambio del tuo servizio, Alyssa Pike?

-Nulla, mio signore- rispose quella -Non chiederei nulla a chi ha perso tutto.

Quella risposta sembrò colpire il nano, che si offrì di aiutarla nell’operazione e la seguì quand’ella condusse lui e i nani che trasportavano il suo paziente al carro.

-Madre…- chiamò Cliantha, svegliata dai rumori dei passi dei nani che si avvicinavano e dai lamenti del bambino.

-Va tutto bene, tesoro- la rassicurò Alyssa, correndo a frugare tra le cose nel carro per prendere l’occorrente per l’intervento -Prendimi l’olio di rosmarino dalla sacca, per favore.

La bambina annuì e aiutò la madre a prendere quanto chiesto, sotto gli occhi sorpresi del principe: -Ora tenetelo fermo, per cortesia- chiese Alyssa, imbevendo di olio un panno di lino, mentre i tre nani obbedivano alle sue indicazioni.

Quando il bambino fu saldamente immobilizzato, la donna espose la ferita e la strofinò con il panno bagnato d’olio; le urla di dolore del piccolo furono così forti da far vacillare per un istante il cuore del principe e i suoi occhi corsero alla bambina che, al fianco della madre, le preparava nuovi panni imbevuti di unguento. Il nano si sarebbe aspettato di vedere la piccola terrorizzata o sconvolta, ma quella non dava segno né di terrore né di turbamento, al contrario il suo volto era impassibile come una maschera di cera ed egli si fece coraggio e rinsaldò la presa sul paziente: se una bambina umana poteva resistere a quella scena straziante, anche lui avrebbe dimostrato la stessa fermezza.

-Tranquillo, piccolo- disse Alyssa, accarezzando la guancia leggermente barbuta del bambino -È quasi fatta.

La sua voce, tuttavia, tradì la tensione che provava per quello che sarebbe venuto dopo: le sue mani, infatti, ebbero un tremore quando estrasse da un vaso di coccio, accuratamente avvolto in una grossa pila di indumenti di lana, un oggetto affusolato e rilucente di una sinistra luce arancione che il principe, dopo qualche istante di incredulità, riconobbe come un coltello.

-Che cos’è quello?- chiese alla donna, ma quella non rispose e, silenziosa come un’ombra, appoggiò di piatto la lama rovente del pugnale sulla ferita aperta, che emanò subito un puzzo acre di carne bruciata.

Dopo un primo momento di folli grida, il bambino svenne e Alyssa poté terminare di cauterizzare lo squarcio senza il paziente si divincolasse. Quand’ebbe finito, con il volto pallido come un cencio e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, la donna ripose l’oggetto ancora rovente dentro il vaso e lo caricò sul carro, mentre i due nani, prodigatisi in ringraziamenti, tornavano tra la folla con il bambino sulla barella.

-Che cos’era?- ripeté il principe quando lui e la donna furono rimasti soli.

-Fuoco di drago- spiegò Alyssa, dandogli le spalle ancora intenta a sistemare le cose sul carro -Ho arroventato il coltello tra le fiamme di Dale. È una risorsa preziosa e lo terrà incandescente per giorni e giorni.

-Perché lo hai conservato?- domandò il principe, costringendola a girarsi e a guardarlo negli occhi, le cui pupille erano strette di rabbia e paura.

-Ero da sola con mia figlia- spiegò Alyssa, la cui voce aveva perso ogni intonazione -Avevo bisogno di sapere che avrei potuto difenderla e, all’occorrenza, accendere un fuoco per scaldarci.

Le dita del nano, che fino a quel momento avevano stretto in una morsa le braccia della donna, lasciarono la presa e scesero a sfiorarle le mani, che lei non ritrasse: -Dove siete dirette, tu e tua figlia?

-Non lo so... - ammise Alyssa, con la voce rotta, prossima a scoppiare in pianto, poi fu come se avesse avuto un’illuminazione e continuò a parlare: -Ho delle conoscenze a ovest, oltre le Montagne Nebbiose. Potremmo chiedere asilo lì.

-Allora verrai con noi- decretò il nano -I nostri passi ci conducono a Moria, ma potrai seguirci fino a quando le nostre strade non si divideranno e… che cosa fai?- tuonò il principe con quanto fiato aveva in gola, lanciandosi verso Cliantha che, come incantata dal coltello con cui la madre aveva operato, aveva aperto il vaso e vi stava infilando la mano sinistra.

Il principe afferrò la piccola e la strattonò lontano dall’oggetto, ma ormai era tardi e Cliantha urlava per il dolore della scottatura che si era procurata. Egli la strinse a sé nel tentativo di confortarla, ma il grido che quella piccola bocca emetteva non accennava a scemare; Alyssa intervenne, costringendola ad aprire le dita per valutare il danno, e sotto ai suoi occhi e a quelli del nano Cliantha mostrò una terribile piaga fumante a forma di triangolo che dal mignolo convergeva al pollice.

Brea, 2941° anno della Terza Era

La pioggia cadeva incessantemente da tutta la notte, trasformando le strade di terra battuta in trappole di fango appiccicoso, e non sembrava essere intenzionata a voler smettere. Le grondaie dei tetti vomitavano acqua incessantemente, creando, goccia dopo goccia, delle larghe pozze di fanghiglia diluita che macchiava i vestiti e inzaccherava le scarpe dei passanti che malauguratamente si trovavano nell’obbligo di dover camminare in strada.

Sfortunatamente per lei, Cliantha era una di questi e, mentre gli stivali affondavano nella palta fredda e viscida, con una mano stringeva il cappuccio del mantello sotto al naso, mentre con l’altra si teneva ai conci sporgenti delle mura delle abitazioni, trovandosi più volte a doversi aggrappare con entrambe le mani per evitare di scivolare.

Finalmente, dopo minuti di disagio tra il fango e l’acqua incessante, l’insegna della locanda presso cui lavorava come cameriera si stagliò contro il buio di quella mattina fredda alla luce di un fulmine e la ragazza venne accolta dalla sagoma del Puledro Impennato.

-Buongiorno- salutò, togliendosi il mantello zuppo e appendendolo all’attaccapanni accanto alla porta.

-Togliti gli stivali!- le urlò la signora Cactaceo da dietro il bancone, intenta a lucidare i boccali della birra, che poi disponeva sulle mensole alle sue spalle -Ho appena lavato il pavimento.

-Buongiorno Cliantha- borbottò tra sé la ragazza, mentre si sfilava gli stivali e li riponeva in un piccolo vano -Come stai stamattina? Hai fatto colazione?

-Che stai dicendo?- le urlò di nuovo il donnone, battendo la grossa mano grassoccia e rosa contro il legno di betulla.

Cliantha si alzò con studiata lentezza e le rivolse il più dolce dei suoi sorrisi: -Mi lamentavo del tempo, Dora.

La padrona del locale storse la bocca priva di metà dei denti, come se volesse dirle qualcosa, poi sembrò ripensarci e riprese a fare il suo lavoro: -Pensa a lavorare piuttosto che a lamentarti, non ti pago per fare quello che fa già il signor Cactaceo. Occupati delle stanze del piano di sopra e poi scendi a disporre la colazione per gli ospiti.

La ragazza emise un sospiro e andò nel retrobottega a prendere un paio di pantofole, uno spazzolone, un secchio per l’acqua e del sapone e salì le scale scricchiolanti che conducevano al piano superiore dove la locanda possedeva le stanze da letto degli ospiti e la camera privata dei padroni.

Le stanze si disponevano lungo un corridoio che attraversava longitudinalmente tutto l’edificio e si affacciavano su una balaustra che dava sulla sala principale del pian terreno, dove erano distribuiti i tavoli.

L’ultima stanza in fondo al corridoio, nascosta rispetto alla balaustra, era quella dei padroni da cui la ragazza, ogni mattina, sentiva il signor Angus Cactaceo russare come un vecchio trombone, smaltendo i postumi della sbornia. Cliantha ignorò, anche quella mattina, i fragorosi gorgoglii del padrone di casa e entrò nella prima stanza, vuota. Pulì il pavimento, rimosse la polvere dal comodino e dalla mensola della finestra, strofinò i vetri con energia e batté con foga i tappeti fuori dalla finestra. Rassettò e tirò a lucido ogni superficie e alla fine fece il letto con le lenzuola che la padrona aveva lasciato sul materasso.

Continuò così anche con le altre stanze non occupate e poi passò al corridoio, strofinando con lo spazzolone il pavimento di legno fino a quando la superficie non divenne uno specchio; conclusa anche quella mansione, la ragazza scese al piano inferiore e, riposti gli attrezzi per le pulizia, passò in cucina. La signora Cactaceo aveva finito di pulire i bicchieri e si trovava in cucina ad alimentare il fuoco che scoppiettava nel braciere della stufa in ghisa, sopra la quale grossi pentoloni di porridge e acqua per il tè bollivano.

-Il signor Cactaceo dorme ancora?- chiese la donna, con lo sguardo fisso nella luce arancione delle fiamme.

Cliantha andò alla credenza e iniziò a prendere piatti, tazze e bicchieri e a impilarli uno sopra all’altro sopra al piano di lavoro: -Sì- rispose -Quanti ospiti hanno chiesto la colazione?

-Quattro. Due il porridge, uno pane e marmellata e un altro carne secca e caffè.

La ragazza annuì, prese in fretta e furia la montagna di stoviglie che aveva accumulato e corse a disporli nella sala: non provava particolare simpatia per la signora Cactaceo, era una donna scorbutica, rozza e non mancava occasione di rinfacciarle quanto fosse stata generosa il giorno in cui aveva accettato di assumerla come cameriera nel suo locale dopo la morte di suo padre.

Tuttavia, nemmeno l’antipatia che Dora Cactaceo le infondeva, poteva impedirle di provare pietà per il modo in cui veniva trattata dal marito, un uomo pigro e violento con il vizio del bere.

Cliantha non poteva sopportare nemmeno di vederlo e il suo russare, per quanto fastidioso, era assai molto più tollerabile del suo puzzo di alcool e degli sguardi lascivi che le lanciava quando il caldo umido dell’estate la costringeva a indossare abiti che lasciavano le braccia scoperte.

Avrebbe voluto lanciargli una brocca sul viso rubicondo ogni volta che i suoi occhi acquosi e privi di intelligenza scorrevano sulla sua pelle o che la sua bocca marcia le parlava, il più delle volte chiedendole di raccogliergli qualcosa da terra o di versargli da bere.

Per sua fortuna, però, il signor Cactaceo trascorreva gran parte delle ore del giorno rintanato nel letto e Cliantha passava la notte nella casa dei suoi genitori.

-Non appena avrai messo da parte abbastanza per andartene, Cliantha- si ripeteva ogni sera la ragazza prima di coricarsi -Sarai libera di andare dove vorrai. Niente limiti. Niente vincoli.

E così trascorreva i suoi giorni nella locanda del Puledro Impennato, una delle più frequentate della città di Brea, al di qua (o al di là a seconda di chi lo raccontava) del Brandivino.

Anche quel giorno di acquazzone passò come gli altri, tra le pulizie, i servizi al tavolo, la lavanderia e le urla gracchianti della padrona di casa, fino a che scese la sera e venne il momento più animato della giornata, quello in cui gli uomini del posto vengono a bere per scaricarsi della fatica del lavoro e i viaggiatori entrano alla ricerca di un pasto caldo e di un boccale di birra fresco e schiumoso.

La pioggia battente, tuttavia, sembrava aver scoraggiato i più ad uscire in strada e la locanda era insolitamente tranquilla, fatta eccezione per gli habitué e gli ospiti delle stanze del piano superiore.

La signora Cactaceo si faceva in quattro per tenere l’umore alto e gioioso e invitare i suoi clienti a bere e la sua esperienza, acquisita con anni e anni di lavoro dietro a quel bancone, stava dando i suoi frutti, al punto che Cliantha aveva difficoltà a star dietro alle richieste di tutti e a portare nel minor tempo possibile a chi la birra, a chi il vino, a chi un piatto di zuppa.

Verso le nove della sera il campanello dell’ingresso tintinnò allegramente e il rumore dell’acqua che sgorgava dalle gronde entrò nell’ambiente rumoroso e ridanciano della sala principale: un nuovo cliente era arrivato a la signora Cactaceo corse alla porta per accoglierlo degnamente.

Cliantha era impegnata a spillare l’ennesima pinta di birra, quando il nuovo avventore fece il suo ingresso nel locale, ma lesse gli effetti del suo arrivo nei volti e negli sguardi degli altri clienti: molti di loro, infatti, notandolo, erano diventati più silenziosi, altri lo scrutavano di sottecchi attraverso il vetro dei loro bicchieri mentre fingevano di svuotarli e altri ancora bisbigliavano sommessamente tra loro, dicendosi chissà cosa.

Notando quello strano cambiamento, Cliantha attese che il nuovo venuto giungesse al bancone e lo studiò: la prima cosa che notò era che si trattava di un nano, cosa piuttosto insolita da quelle parti, ma non così rara da giustificare quella reazione. A giudicare dai capelli neri saltuariamente striati di argento e dalle sottili rughette che si diramavano dagli angoli esterni degli occhi, la ragazza dedusse che fosse prossimo a raggiungere la metà della sua vita, pur portando più che bene i propri anni, dato che la sua corporatura, nascosta sotto gli abiti da viaggio, sembrava armoniosa e atletica.

Il nano si avvicinò al bancone e con tono cortese e beneducato domandò un tavolo dove cui sedersi e mangiare.

-Naturalmente- rispose per lei la signora Cactaceo dall’ingresso, dove stava sistemando il mantello fradicio del nuovo arrivato -La ragazza vi ci porterà subito. Ehy tu!- urlò poi -Datti da fare!

-Da questa parte, prego- sospirò la ragazza, uscendo la sotto il bancone dopo che ebbe consegnato la birra all’uomo al banco e si fu asciugata le mani nel grembiule; il nano la seguì attraverso l’ampia sala e lei lo condusse ad un piccolo tavolo davanti al camino: -Stasera deve fare un gran freddo là fuori- disse Cliantha, smuovendo con una molla i ceppi dentro al camino -Così ve ne starete al caldo e vi asciugherete.

-Ti ringrazio- le sorrise il cliente, accomodandosi alla sedia.

La ragazza lo osservò per qualche istante: avevano attraversato la sala e gli occhi di tutti non li avevano lasciati per un secondo. Cosa c’era di così strano o di speciale in quel nano? A parte il fatto che avesse delle maniere molto più gradevoli di quelle di tutti gli altri clienti messi insieme. E anche degli occhi molto acuti e vivaci di un bel colore azzurro.

-Cosa posso portarvi?- domandò la ragazza.

-Cosa avete di caldo e pronto?- chiese quello di rimando -Sono molto affamato e stanco. Vorrei chiedervi anche una stanza per la notte se l’avete a disposizione.

-Sì ne abbiamo- rispose Cliantha -Se avete bagagli all’ingresso posso portarveli di sopra più tardi.

Il nano sorrise a quell’offerta, ma declinò: -Non sarà necessario, posso portarli da me. Cosa offre la cucina?

-Abbiamo della zuppa di zucca, delle salsicce alla griglia e della torta- elencò la ragazza, facendo la conta con le dita -Ma se vorrete aspettare qualche minuto posso prepararvi qualunque cosa desideriate.

-Andrà benissimo così, grazie. Da bere prenderò della birra scura, se ne avete.

-Ne abbiamo, ne abbiamo- rispose Cliantha, piacevolmente sorpresa dai modi cordiali di quel cliente insolito -Arriva tutto tra un momento.

Con l’ordine ben impresso in testa, la ragazza volò in cucina e preparò un vassoio con un bel piatto di zuppa fumante per la prima portata, che decise, data la gentilezza del suo cliente, di decorarlo con un rametto di timo e una spolverata di pepe; versò la birra scura dentro un boccale e prese il vassoio, pronta per portarlo al nano, ma prima che potesse uscire dalla cucina, la signora Cactaceo la bloccò, ostruendole la via con il suo grosso corpo: -Quello è uno che ha soldi- sibilò la donna, quasi temendo che il nano potesse sentirla -Vedi di dargli da bere e di spremerlo per bene.

-Il signore aspetta la zuppa- rispose secca la ragazza, scostando con il gomito il braccio della donna e oltrepassando la soglia della cucina, ma quella l’afferrò per il grembiule e la trattenne di nuovo: -Non farti abbindolare- le sussurrò a un orecchio e il suo occhio fece caso alla piccola decorazione che Cliantha aveva preparato sul piatto -Quelli gentili e carismatici sono i peggiori.

Finalmente l’artiglio della donna mollò la presa e Cliantha, scossa da quella breve ma inquietante discussione, poté tornare alle sue mansioni. Quando arrivò a portargli la zuppa, il nano si stava scaldando la schiena davanti al fuoco e, vedendola avvicinarsi, tornò al suo posto, già pregustandosi il calore di quella portata, ma Cliantha notò che, quando la sua mano si aprì per lasciare il piatto sul tavolo, gli occhi del nano indugiarono sul suo palmo e le sue sopracciglia si aggrottarono, creando dei profondi solchi nella sua fronte ampia.

A disagio, Cliantha ritrasse subito la mano e, dopo avergli augurato un buon appetito, si allontanò, turbata; dietro al bancone, impegnata a servire alcolici, i suoi occhi caddero spesso sulla porzione triangolare di pelle rossa e raggrinzita che dalla nascita marchiava il suo palmo sinistro. Era una piccola deformità che non la penalizzava in alcun modo, eccetto per il fatto che, chi se ne accorgeva, mostrava sempre un certo disagio, la fissava e, talvolta, ne restava addirittura disgustato. Una volta capitò persino che un cliente si fosse rifiutato di ricevere cibo o bevande da lei perché troppo nauseato dalla sua mano.

Con gli anni aveva imparato a conviverci e gli stessi avventori della locanda, quelli più abituali, ormai nemmeno la notavano più (e per forza, pensava malignamente la ragazza, dato che per la metà del tempo erano brilli), ma lo sguardo cupo che quel nano le aveva lanciato l’aveva fatta sentire esposta e deforme, esattamente come quando quel disgraziato aveva esternato il suo disgusto davanti a tutti gli altri clienti provando a indovinare a quale terribile malattia fosse stato dovuto.

Al momento di consegnare la seconda portata, un abbondante piatto di salsicce con contorno di patate saltate, Cliantha risolse indossando un guantone da forno, preparandosi a giustificarsi con la scusa che il piatto fosse molto caldo, ma al suo arrivo il nano non commentò e riprese a mangiare in silenzio, pensieroso.

Fu quando Cliantha ebbe portato il piatto della zuppa vuoto nell’acquaio che un secondo bizzarro cliente fece la sua comparsa nella locanda. Questa volta, però, la padrona sembrò conoscerlo, perché i suoi modi furono molto meno cerimoniali del solito e, quando le chiese di portargli un bicchiere di vino rosso, ella grugnì in risposta.

Era un viaggiatore con un lungo cappello a punta di colore grigio, abbinato al mantello di spessa lana del medesimo colore, sembrava molto anziano e la sua pelle era coperta di macchie e rughe, ma, nonostante il bastone da passeggio, sembrava essere ancora molto saldo sulle proprie gambe e il suo sguardo era lucido e intelligente.

Cliantha lo osservò attraversare la sala e, senza l’ombra di un’esitazione, sedersi al tavolo dove il nano consumava la seconda portata della sua cena. Si conoscevano? A giudicare dall’iniziale fastidio dipinto sul volto del nano, Cliantha dedusse che il vecchio non fosse esattamente desiderato e già si era messa in moto per invitarlo a prendere posto ad un tavolo libero, ma poi il viaggiatore disse qualcosa che cambiò le carte in tavola e ottenne la piena attenzione del nano.

Cliantha allora si arrestò e vide che il nano lanciava sguardi sospettosi verso gli altri avventori della locanda, intercettandone qualcuno che lo stava osservando; quella storia stava iniziando a insospettirla, ma sentiva di non saperne abbastanza, così, con la scusa del bicchiere di vino e della fetta di torta, si avvicinò silenziosamente al tavolo: -Mi sono imbattuto in alcuni sgradevoli personaggi mentre viaggiavo il Verdecammino- raccontava il vecchio, aspirando dalla lunga pipa che teneva in mano -Mi hanno scambiato per un vagabondo.

-Immagino che se ne siano pentiti…- ribatté il nano, la voce velata di ironia.

-Uno di loro portava un messaggio- continuò il vecchio, estraendo qualcosa da sotto il mantello e mostrandolo al nano, ma che Cliantha non riuscì a distinguere -È Lingua Nera questa: una promessa di pagamento.

-Per cosa?- chiese il nano.

-La tua testa.

Il cuore di Cliantha perse un battito e per poco non le scivolò il vassoio di mano: cosa diamine stava succedendo là dentro? Da quando a Brea, una piccola cittadina tranquilla e monotona, circolavano cacciatori di taglie? Prese un respiro profondo e fece del proprio meglio per sembrare disinvolta quando arrivò al loro tavolo in un momento di silenzio nella loro conversazione, poi, tenendo la mano sinistra ben nascosta sotto al vassoio, li servì con quanto avevano chiesto.

-Ora vado a preparare la vostra stanza- spiegò al nano prima di tornare al bancone -Vi procurerò una coperta in più.

-Non sarà necessario- rispose il nano, senza distogliere per un istante lo sguardo dal vecchio, che lo osservava serio formando volute di fumo con la bocca -Ho cambiato idea. Ripartirò subito. Portami il conto, per favore.

-Anche a me, grazie- si intromise il viaggiatore, sorridendole dolcemente -Sono solo di passaggio.

Cliantha annuì con la testa e si dileguò, ritornando un istante dopo con i loro conti, che i due onorarono; presi i loro mantelli, nano e viaggiatore si immersero nel temporale, svanendo nell’oscurità interrotta solo dai bagliori freddi e brevi dei fulmini che tagliavano il cielo.

-Non lo hai spremuto abbastanza- si lamentò la signora Cactaceo quando, venuta l’ora di chiusura, contava il denaro guadagnato, mentre Cliantha passava il pavimento con lo straccio, pulendolo dal fango degli stivali e dagli schizzi di birra -Hai perso l’occasione di avere un extra sulla paga.

Sottolineò il concetto chiudendo di scatto il cassetto dell’incasso e assicurandolo a doppia mandata con la chiave di ferro arrugginito che teneva in una tasca nascosta della sottana.




L’autrice: salve a tutti e grazie per essere arrivati alla fine di questo primo capitolo della mia storia! Spero che sia stato di vostro gradimento e che vorrete continuare con la lettura del prossimo, in caso contrario vi ringrazio per il tempo che vi avete dedicato e vi auguro di trovare una storia che possa toccare le corde del vostro cuore meglio di quanto abbia fatto questa.

Sono una scrittrice a tempo perso, ma lo faccio con passione e vorrei migliorarmi, perciò sarò ben lieta di accettare i vostri commenti e le vostre critiche costruttive, qualora vogliate esprimerle.

Alla prossima e un abbraccio,

Desma

Ps. I signori Cactaceo sopracitati sono i genitori del più famoso proprietario del Puledro Impennato. Nei tempi della storia la signora Cactaceo è ancora lontana dalla prospettiva della maternità.


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Capitolo 2
*** The road to Hobbiton ***


Brea, luglio del 2941° anno della Terza Era

La città era in fermento: quell’anno era stato particolarmente generoso con le coltivazioni di grano, frutta e ortaggi della Contea e delle campagne vicine, che sui terrazzamenti, scavati nei profili delle colline, brillavano di oro al sole di luglio. Grossi chicchi gialli come pepite facevano bella mostra di sé tra le macchie rosse dei papaveri e l’aria era così mite per quel periodo dell’anno che si prevedeva un grandioso raccolto e una ancor migliore produzione di farina.

Data la prospettiva assai rosea, i contadini che venivano al Puledro Impennato erano più propensi a spendere e a bere per la gioia e la signora Cactaceo era ben felice di accontentarli.

Persino il signor Cactaceo, toccato dall’aria di festa che aleggiava in città, aveva dimostrato un insolito autocontrollo nel bere e, annusando nell’aria il profumo dell’oro che tintinnava nelle tasche di avventori così ben disposti a spenderlo, non solo rimaneva sveglio per quasi tutta la giornata, ma partecipava attivamente ai lavori della locanda.

Dal canto suo la signora Cactaceo, vedendo quella forza di volontà nel marito, era fuori di sé dalla gioia e il suo animo era persino incline a dimostrarsi benevolo nei confronti Cliantha, affidandole dei compiti (leggermente) meno faticosi e concedendole persino delle ore libere in più.

-Questa è una grande annata- aveva detto la padrona quando Cliantha, sorpresa da tanta generosità, aveva cercato di capirne la ragione, sospettando che fosse un modo contorto e subdolo per mettere alla prova la sua dedizione al lavoro -E anche le ragazze scialbe e insipide come te, che hanno tutta la vita davanti, devono gioire di ciò.

E così il mese di luglio era trascorso a Brea nell’euforia e nel fermento collettivo e stava per concludersi con la prospettiva di una grande festa, all’ultimo del mese, per celebrare la prosperità del raccolto. Al Puledro Impennato si facevano grandi preparativi per accogliere degnamente quell’evento, per il quale il signor Cactaceo aveva fatto accordi con il sindaco per avere quel giorno l’esclusiva della vendita di alcoolici, famosi lungo tutto il Decumano Est; pertanto la signora Cactaceo era indaffarata nella scelta delle birre e nel calcolo delle quantità quando, la mattina del, un avventore oltrepassò la soglia del locale, facendo tintinnare il campanello.

-Buongiorno- salutò il vecchio viaggiatore, esibendo un sorriso cordiale.

La donna, infastidita dall’interruzione, alzò il naso a patata dal foglio su cui stava scribacchiando i suoi conti e squadrò il nuovo venuto: -Gandalf... - esordì, poggiando la penna d’oca spelacchiata sul bancone e incrociando le grosse braccia -Vuoi bagnare il becco, vecchio?

-Vorrei fare colazione prima di riprendere il mio viaggio- spiegò calmo quello, per nulla toccato dai modi burberi della donna -Vado a sedermi lì- aggiunse poi, prendendo posto in uno dei tavoli liberi.

Cliantha, che era intenta a spazzare il pavimento del corridoio del piano superiore, lo vide dalla balaustra e rimase ad osservarlo per qualche istante, chiedendosi il perché del suo ritorno a un anno da quella strana serata in cui aveva illustrato a un nano l’esistenza di una taglia sulla sua testa.

I suoi pensieri si intrecciarono a cupe congetture che la mente della ragazza generava nel tentativo di darsi una spiegazione, ma vennero interrotti dal gracchiare della signora Cactaceo, che la richiamava ai suoi doveri e le ordinava di scendere a preparare la colazione all’anziano viandante.

Cliantha dovette obbedire e, riposti secchio e spazzolone nello sgabuzzino del retrobottega, andò a chiedere all’uomo chiamato Gandalf cosa desiderasse mangiare: -Una tazza di tè e dei biscotti, per cortesia- rispose l’uomo, studiandola con un sorriso sulle labbra sottili e nascoste sotto due spessi e lunghi baffi bianchi -Sei la figlia di Thornrose?

Al nome della madre, Cliantha si irrigidì, lanciando al vecchio un’occhiata inquisitoria: come faceva a conoscerla?

-Ti avevo notata un anno fa, quando sono venuto a prendere del vino- spiegò Gandalf, estraendo la pipa da sotto il mantello e caricandone il serbatoio di Vecchio Tobia da un astuccio di cuoio -Ma allora non ho avuto tempo di indagare. Le somigli parecchio.

-Come conoscete mia madre?- chiese alla fine Cliantha, incapace di attendere oltre -Non vi ho mai incontrato prima di quella sera.

L’uomo sorrise, soddisfatto della curiosità instillata nella ragazza, e si accese la pipa, da cui prese una prima lunga boccata per avviare il fuoco -Sono parecchi anni che manco, ma io ho conosciuto te, in qualche modo. L’ultima volta che ho visto Thornrose era incinta di te al sesto mese. Come sta?

-È morta quattro anni fa- rispose secca Cliantha.

I lineamenti del vecchio mutarono improvvisamente, la fronte si corrugò, il sorriso svanì nel fumo della pipa e gli occhi, che prima brillavano di soddisfazione, si spensero e Cliantha lesse sincerità nel suo volto quando, con voce bassa e grave, disse: -Mi dispiace molto.

La schiena di Cliantha si rilassò: -Grazie, ma era malata da diverso tempo. Non è stato inaspettato.

L’uomo annuì solennemente e lei approfittò del silenzio che era calato per andare in cucina a preparare quanto richiesto. Armeggiando tra pentole e piatti, l’iniziale diffidenza provata per il vecchio si trasformò in vorace curiosità: se quello che Gandalf diceva era vero, Cliantha era intenzionata a scoprire ogni dettaglio di quanto egli conosceva.

“Non può esserselo inventato” rifletteva la ragazza, mentre versava i biscotti dentro una scodella e disponeva tazza e teiera su un vassoio “Thornrose non è un nome comune e non può aver certo tirato a indovinare. Ma perché mia madre avrebbe dovuto avere a che fare con lui? Chi è?”.

Con queste domande che pulsavano nella testa, la ragazza uscì dalla cucina e portò la colazione al tavolo del vecchio: -Come ti chiami?- le chiese l’uomo, versandosi il tè nella tazza che gli aveva portato.

-Cliantha- rispose quella, dopo un istante in cui il suo cervello valutò se fosse prudente rivelare quell’informazione.

-Pumpkinseed, giusto?- completò Gandalf -Tuo padre è Gideon Pumpkinseed.

-Esatto- rispose Cliantha, certa a quel punto che quell’uomo sapesse bene quello che stava dicendo.

Gandalf annuì e le fece cenno di sedersi alla sedia accanto a lui, cosa che la ragazza fece: -Come conoscete i miei genitori?- chiese di nuovo.

L’uomo prese un biscotto e lo inzuppò nel tè, poi, quando lo ebbe degustato con calma, spiegò: -Tempo fa frequentavo abbastanza assiduamente queste zone, soprattutto in concomitanza delle feste, quando i miei fuochi d'artificio rappresentavano l’attrazione principale, ma tua madre chiedeva altro da me. Era avida di conoscere il mondo al di là del Fiume Bianco e attendeva con impazienza il mio arrivo per interrogarmi sui miei viaggi. Di quando in quando le portavo delle erbe medicinali o degli unguenti, conoscendo la sua passione per l’arte della guarigione.

A quel racconto Cliantha non riuscì a trattenere un sorriso, ricordando la collezione di libri, piante e strumenti che la madre cercava sempre di ampliare e che custodiva gelosamente.

-Era una brava ragazza- continuò Gandalf, prendendo un altro biscotto -E fui contento quando seppi che si era sposata con Gideon e stava mettendo su famiglia- sottolineò quel concetto indicandola con il biscotto smangiucchiato.

-E quindi cos’eravate per lei?- lo interrogò Cliantha -Una sorta di mentore o cosa?

-Un amico- rispose lui -Qualcuno che condividesse e alimentasse le sue passioni.

-Ha mai viaggiato insieme a voi?

-No, era una ragazza molto devota alla sua famiglia che, al contrario suo, non nutriva particolare simpatia nei miei confronti- bevve un sorso di tè e si schiarì la voce -Per quanto le abbia letto negli occhi il desiderio di accompagnarmi, non credo abbia mai davvero progettato di seguirmi. Di certo non me lo chiese mai.

La ragazza rifletté per un attimo su quanto aveva appena udito e domandò: -Di cosa vi occupate, dunque? E cosa vi ha riportato a Brea dopo un anno?

Gandalf bevve un altro sorso e una strana scintilla brillò dal retro delle sue iridi grigie, come se non avesse aspettato altro che rispondere a quella domanda: -Mi occupo di vari affari- iniziò vago -Ma adesso sono diretto alla Contea per cercare qualcuno con cui condividere un’avventura.

Cliantha sgranò gli occhi, esterrefatta, aspettandosi tutto fuorché una simile risposta: -La Contea?- ripeté -Credo che andiate proprio nella direzione sbagliata: da queste parti, e tra gli hobbit soprattutto, le avventure non vengono viste di buon occhio, di qualunque genere siano. Temo che farete un clamoroso fiasco.

-Staremo a vedere- ribatté lui, che finito di prendere il tè era tornato alla sua pipa -E tu dove mi consiglieresti di cercare, Cliantha Pumpkinseed?

“Qui” avrebbe voluto rispondere, desiderosa di scoprire di quale avventura si trattasse, ma poi il ricordo della taglia sulla testa del nano (che chissà se era ancora in vita) le accese un campanello d’allarme, che le fece sospirare un “Non saprei” rassegnato. Sebbene quell’uomo sembrava aver conosciuto davvero sua madre, era troppo rischioso offrirsi volontaria per qualcosa che non sapeva dove l’avrebbe portata, pertanto si alzò dalla sedia e caricò il vassoio delle stoviglie sporche, pronta a tornare in cucina.

Ma quando fu a un passo dall’uomo, egli la fermò e con un sorriso sornione disse: -Se ti stai chiedendo cosa sia successo al nano con cui ho parlato quella famosa sera, sappi che sta bene.

Cliantha rimase di stucco, imbambolata ad osservare il ghigno divertito del vecchio, che l’aveva sorpresa una volta di più; Gandalf tornò a concentrare la propria attenzione sulla sua pipa, lasciandola rifugiarsi in cucina, dove, intenta a lavare i piatti da lui usati, continuava a chiedersi per quale ragione, essendosi accorto che stava origliando un discorso tanto delicato, non le avesse detto nulla, ma l’avesse lasciata semplicemente fare.

Quand’ebbe finito e fu tornata in sala, Gandalf se n’era andato, lasciando sul bancone l’esatta somma di denaro per pagare la colazione, che lei però non gli aveva ancora riferito. Immaginò che fosse stata la signora Cactaceo a presentargli il conto e dispose le monete accanto al cassetto dell’incasso, poi riprese le sue mansioni, mentre il suo cuore cominciava a riempirsi del rimpianto per non averlo trattenuto di più: avrebbe potuto farsi spiegare meglio la natura di quella misteriosa avventura e farsi raccontare qualcos’altro di sua madre, ma oramai era troppo tardi e Cliantha sentì di aver perso un’occasione unica, trattenuta dalla paura dell’ignoto e ora costretta a dover convivere con la propria decisione. Ossia lasciare che le cose rimanessero come erano e aspettare una nuova occasione, nella speranza di essere abbastanza lungimirante da saper coglierla.

Il lavoro l’aiutò a distrarsi da quei pensieri e il sole calò molto più in fretta di quanto la ragazza se ne fosse accorta. Prima di congedarla (quella sera la locanda sarebbe stata chiusa per permettere ai signori Cactaceo di sistemare i loro conti e pianificare adeguatamente le derrate da preparare per la festa) il signor Cactaceo le ordinò di andare a casa a prendere il carro e il cavallo del padre per fare una consegna: ogni estate il signor Baggins, stimato hobbit di Hobbiville, acquistava presso i Cactaceo alcune botti della migliore birra che il mercato locale potesse offrire e se le faceva spedire a casa.

Solitamente era il signor Cactaceo a occuparsi della cosa, prendendo in affitto carro e animale da tiro e facendosi pagare l’incomodo, ma quella sera le priorità erano altre e, sapendo che Cliantha disponeva del mezzo necessario per la consegna, diede a lei l’incombenza.

Cliantha dovette così attaccare la cavalla Brithil al vecchio carretto e portarla davanti alla locanda, dove aiutò il signor Cactaceo a caricare i barili; poi, sforzandosi di ignorare le occhiate licenziose che l’uomo aveva lanciato al suo fondoschiena ogni volta che aveva dovuto chinarsi a prendere una botte, Cliantha salì al posto di comando e spronò l’animale al passo.

Le strade della città erano piuttosto animate e il clima mite e piacevole di quella serata spingeva la gente a passeggiare tra le vie dei negozi, alcuni dei quali avevano colto l’occasione per rimanere aperti e guadagnare qualche soldo in più; la ragazza dovette gridare più volte ai pedoni di farsi da parte per lasciarla passare, ma alla fine, quand’ebbe oltrepassato le porte della città e si fu immessa sulla strada principale, poté guidare in santa pace senza doversi preoccupare dei viandanti disattenti.

Una coltre di stelle avvolgeva le campagne che costeggiavano la vecchia via e di quando in quando la ragazza poteva udire qualche cicala cantare alla luna calante; i profili delle colline erano dolci e coperte di campi e ogni tanto si distinguevano in lontananza le luci della casa di un contadino o il falò acceso da un pastore che vegliava sulle sue pecore al pascolo.

L’unico rumore che Cliantha poteva udire in quella sera senza vento era lo scalpitare degli zoccoli dell’animale sulla terra asciutta e il cigolare delle ruote sotto al peso dei barili.

Brithil era un cavallo sauro di quindici anni che suo padre era solito adoperare quando andava a caccia per i boschi, ma che, dopo la morte del suo padrone, era stata costretta ad accontentarsi di pascolare nel piccolo giardino di casa Pumpkinseed e di uscire solo nei giorni di festa, quando Cliantha era a casa dal lavoro e poteva cavalcarla nelle campagne fuori da Brea. Occasionalmente, però, fungeva anche da animale da tiro.

L’animale tirò il carro obbedientemente e lei e la sua padrona raggiunsero il ponte sul Brandivino, dove la quiete della sera venne interrotta dal vivace dibattito di due viaggiatori che litigavano al margine della strada, mentre ai loro piedi giacevano due grossi zaini prossimi a scoppiare per quanto erano stati riempiti.

-Dobbiamo andare a nord, fratello!- diceva uno, illuminando una mappa sotto la luce di una lanterna, che teneva alta sopra le loro teste, e mostrandolo al suo compagno -Guarda qua, mi sembra chiaro.

L’altro, evidentemente in disaccordo, gli strappò di mano la cartina e la rigirò sottosopra, studiandola per qualche istante: -No, no, no, Fili!- ribatté, puntando il dito contro la carta spessa della mappa -Sei completamente fuori strada, dobbiamo attraversare il ponte e prendere a sud!

-Beh, ora staremo a vedere chi ha ragione- disse il primo, dirigendo la lanterna verso il carro che si avvicinava per richiamare l’attenzione del conducente: -Ehi, voi del carro!- disse, mettendo una mano a lato della bocca per aumentare il suono della sua voce -Un’indicazione, per cortesia.

Cliantha tirò le redini e Brithil si arrestò, accorgendosi solo ora, alla debole luce della lanterna che il viandante sorreggeva, che si trattava di giovani nani: -Ditemi, mastro nano- rispose la ragazza con gentilezza -Come posso aiutarvi?

Il fuoco della torcia illuminò i lineamenti simmetrici del nano, i suoi baffi biondi intrecciati e gli occhi turchesi aperti nello stupore di trovarsi una fanciulla a quell’ora della sera alla guida di un carretto: -Ehm…- si schiarì la voce -Qual è la strada per Hobbiville, mia signora? Io dico che da questo ponte bisogna proseguire a nord, mentre mio fratello, qui presente- indicò il nano moro accanto a lui, che fece una smorfia di disappunto sotto la corta barba scura -Sostiene che si debba andare a sud dopo averlo attraversato.

Cliantha studiò per qualche istante i due viaggiatori e li trovò molto differenti dalla maggior parte di quelli che aveva avuto modo di vedere a Brea, presso cui talvolta facevano tappa nani mercanti, famosi per la loro merce ricercata e di grande qualità: Cliantha si era fatta l’idea che i nani fossero tutti (o quasi, ricordando quello che Gandalf aveva incontrato al Puledro Impennato un anno prima) personaggi dai tratti del viso molto marcati, talvolta così accentuati da risultare quasi caricaturali, con quei grossi nasi e le barbe e i capelli folti e intrecciati con il metallo, ma quei due erano ben proporzionati, sia nel viso che nel corpo, e non avevano grossi nasi o pance prominenti. Al contrario i loro visi erano armoniosi e dai lineamenti gentili, così da renderli assai gradevoli allo sguardo, e il loro portamento era elegante e nobile.

-Siete entrambi in errore, miei signori- rispose la ragazza, che aggiunse indicando il ponte davanti a loro -Dovete attraversare il ponte e prendere a ovest, oltrepassando Lungacque, ma io stessa sono diretta a Hobbiville e posso accompagnarvi, se volete.

I due borbottarono tra loro per qualche secondo, valutando l’offerta, poi annuirono all’unisono e accettarono, lanciando i propri bagagli nel carretto e accomodandosi sulla panca ai lati della ragazza, che spronò il cavallo e riprese la corsa.

-Vi siamo riconoscenti, mia signora- esordì il giovane nano moro, rivolgendole un sorriso gentile -Abbiamo temuto di non riuscire ad arrivare più. A quale nome dobbiamo rivolgere la nostra gratitudine?

-La buona creanza impone che ci si presenti prima di domandare il nome a qualcuno- rispose Cliantha, senza staccare gli occhi dalla strada, non tanto perché la guida richiedesse una particolare attenzione (la strada era dritta e totalmente sgombra), ma piuttosto per evitare che i due si accorgessero della risata che faticava a trattenere: essendo abituata a contesti tutt’altro che formali, fare appello alla “buona creanza” era spassoso, quanto insolito.

-Avete perfettamente ragione, mia signora- intervenne il biondo, che, schiaritosi la voce, pose la mano destra sul petto e accennò un inchino con il busto, dicendo: -Il mio nome è Fili, figlio di Lady Dís, e lui è mio fratello minore Kili, al vostro servizio gentile fanciulla.

-Il mio nome è Cliantha Pumpinkseed, figlia di Gideon Pumpinkseed e di Thornrose Coriander- rispose Cliantha, ridendo sotto ai baffi dalla pomposità di quella presentazione -Cosa vi porta a Hobbiville, signori?- li interrogò poi, lanciando loro fugaci occhiate e intuendo dai loro vestiti di buona fattura che si trattassero di persone di ceto agiato -Siete forse mercanti?

-No, mia signora- rispose Kili -Siamo diretti a un raduno presso un certo signor Boggins e…- ma la spiegazione del nano venne bruscamente interrotta da un colpo di tosse (evidentemente forzato) di Fili, che lanciò un’eloquente occhiata al fratello minore, come a volergli ricordare qualcosa e, infatti, Kili proseguì dicendo: -Ma in realtà siamo qui solo in vacanza, la campagna ci piace molto, con tutti questi bei... campi coltivati e… le case e… la totale assenza di montagne…

A Cliantha non sfuggì quel goffo tentativo di rimedio e insistette sull’argomento di partenza: -Conosco il signor Baggins e non sapevo che organizzasse raduni, solitamente è una persona molto riservata.

-Beh- si schiarì di nuovo la voce Fili, evidentemente a disagio -È un’occasione particolare, sa com’è… ma lei invece, miss Pumpkinseed, cosa la porta a Hobbiville? Abitate lì?

-No, signor Fili- rispose Cliantha, tutt’altro che convinta -Mi occupo di una consegna.

-Cosa consegnate?- domandò Kili, voltandosi verso il retro del carretto per guardare il carico -Cosa contengono i barili?

-Birra- specificò la ragazza, spronando Brithil a proseguire sulla strada per oltrepassare Lungacque -Sono i barili che il signor Baggins acquista ogni anno alla locanda dove lavoro.

-Ѐ stato Mahal a mandarvi da noi!- esclamò Fili, colpito da quella singolare coincidenza -E inoltre- aggiunse, fregandosi le mani al pensiero della birra che stava sul cassone del carro -Gandalf ci aveva detto che Bilbo Baggins era un intenditore in merito di cibo e bevande. Questo sarà un gran raduno!

A quel nome, Cliantha si voltò verso il nano, puntandogli contro i suoi grandi occhi castani inquisitori: -Gandalf?- chiese, volendosi accertare di aver capito bene -Conoscete quell’uomo?

-Lo stregone?- domandò Kili -Certamente, lui…

-Stregone?- ripeté Cliantha, incredula.

-Sì- rispose Kili, confuso da quella reazione -Non ci senti bene?

Cliantha ignorò quella domanda, controllando l’impulso di rispondergli per le rime, e chiese al biondo: -Ci sarà anche Gandalf al vostro raduno?

Fili sembrò valutare per un istante se rispondere oppure cercare di cambiare argomento, ma ormai la ragazza sapeva del raduno, pur ignorandone il motivo, quindi non c’era ragione di nasconderle quell’informazione: -Sì, lui ne è l’organizzatore in realtà.

Le tessere del puzzle cominciavano a incastrarsi tra loro: quei due facevano parte dell’avventura di cui lo stregone le aveva parlato e anche quel famoso raduno a casa Baggins doveva essere in qualche modo collegato alla cosa.

Il cuore di Cliantha cominciò a battere forte dietro la gabbia delle sue costole al pensiero che non tutte le sue chances di cambiare le carte in tavola erano andate completamente perse e che la luce della speranza brillava ancora, ma non riusciva a spiegarsi perché mai Gandalf fosse andato a rivolgersi proprio a Bilbo Baggins, lo hobbit più rispettato e abitudinario di tutta la Contea, la persona meno incline a voler partecipare a un progetto così imprevedibile.

-Lo conoscete?- domandò Fili, interrompendo il filo dei suoi pensieri.

-Gandalf, dite?- rispose Cliantha, dissimulando il suo interesse con un colpo di spallucce -Di fama. I suoi fuochi d’artificio sono leggenda da queste parti.

Continuarono a chiacchierare del più e del meno lungo tutto il resto della strada e Cliantha rimase piacevolmente sorpresa dai modi allegri e gioviali dei suoi compagni di viaggio: emanavano entusiasmo e curiosità da tutti i pori ed erano pieni di aneddoti divertenti sul loro viaggio dai Monti Azzurri, da cui provenivano. Alla fine le luci di Hobbiville li avvolsero, con le sue colline scavate come zucche e trasformate in comode e accoglienti abitazioni su un solo piano; i due nani sembravano essere sinceramente affascinati dalla quiete e dal calore che la piccola città trasmetteva con i suoi orticelli ordinati e ben curati, gli steccati verniciati di bianco, le porte rotonde con i pomelli di bronzo perfettamente lucidati e i prati tagliati uniformemente.

Ma tra tutte, l’abitazione che più risaltava per la sua posizione e per le sue grandi dimensioni era Casa Baggins, la loro destinazione, e mentre Cliantha disponeva il carro all’ingresso del giardino, i due nani saltarono giù e recuperarono i loro bagagli, poi accorsero all’ingresso e bussarono alla porta.

Cliantha fissò Brithil allo steccato e le diede una carezza sul crine bruno, mentre osservava la porta che si apriva, inondando i due giovani nani di luce gialla e mostrando un signor Baggins in colorata vestaglia da camera.

-Fili- disse il nano biondo non appena il padrone di casa ebbe aperto la porta -E Kili- completò l’altro -Al vostro servizio!- finirono in coro con un profondo inchino.

-Voi dovete essere il signor Boggins!- esclamò Kili, esibendo un sorriso a trentadue denti, e Cliantha dovette fare del proprio meglio per trattenere una risata davanti al disappunto dipinto sul viso teso dello hobbit.

-No!- esplose Bilbo, cercando di chiudere la porta ma trovandosi a spingere contro quattro forti mani naniche -Non potete entrare, avete sbagliato casa.

-Come?- chiese Kili -Volete dire che è stato annullato?

-Non ne abbiamo saputo niente- commentò Fili.

-Cosa?- chiese Bilbo, confuso -Non è stato annullato niente!

Con grande sollievo, i due nani fecero irruzione in casa dello hobbit, lasciandogli in mano le loro armi (un brivido freddo corse lungo la schiena della ragazza nel vedere le due spade che Fili lasciò con disinvoltura tra le braccia di Bilbo) e mettendosi comodi, nonostante le proteste del padrone di casa, il quale, lasciate le armi nell’ingresso, notò la presenza della ragazza: -Cliantha!- esclamò, asciugandosi il sudore nervoso con un fazzoletto -Cosa ci fai qui?

-Buonasera, signor Baggins- rispose quella, sorvolando sulla mancanza di convenevoli -Le ho portato i barili di birra per conto del signor Cactaceo.

Lo hobbit parve rilassarsi a quella notizia e, ripreso il controllo di sé  stesso, disse: -Scusa la mia maleducazione, mia cara, è un momento un po’ complicato.

-Lo vedo…- commentò la ragazza, notando la presenza di altri due nani, oltre a Kili e a Fili, più anziani, che facevano avanti e indietro dalla dispensa, per poi raggiungere lei e il padrone di casa nell’ingresso.

-I ragazzi hanno detto che è arrivato un carico di birra- disse uno dei due, un nano muscoloso, massiccio e coperto di tatuaggi, con una folta e ispida barba nera e lunghi capelli che partivano dalla nuca, lasciando il cranio tatuato scoperto.

-Siamo venuti a vedere se potevamo dare una mano- sorrise l’altro, più basso e anziano, con barba e capelli colore della neve e un lungo naso carnoso e di un vago tono rubicondo.

Cliantha accettò di buon grado l’offerta di aiuto e i quattro nani si operarono per scaricare il carro e far rotolare i barili dentro la cantina di casa Baggins; alla fine del lavoro il nano più anziano, che Cliantha scoprì chiamarsi Balin ed essere il fratello del nano tatuato, di nome Dwalin, si offrì di versare  da bere a tutti per riprendersi dal lavoro e la ragazza fu lieta di accettare.

Mentre giravano per la casa, facendo rotolare i grossi barili sul pavimento della casa, seguiti dalle nervose raccomandazioni di Bilbo, Cliantha  aveva avuto modo di verificare che di Gandalf non c'era nemmeno l’ombra, pertanto aveva deciso di restare a casa Baggins fino a quando non si sarebbe fatto vivo, cosa che non sarebbe risultata per nulla spiacevole, sia per la simpatica compagnia (Balin si dimostrò da subito essere un conversatore colto e coinvolgente, a differenza di Dwalin che non le aveva ancora rivolto più di tre o quattro parole in fila), sia per l’ottimo cibo che i nani trafugavano dalla dispensa in barba ai pallidi tentativi di protesta di Bilbo.

-Dunque, signorina- disse Balin, servendosi di un boccale della birra che aveva portato -Al di là del fatto di aver portato qui dei barili di ottima birra, cosa di cui siamo tutti molto grati, non credo di aver capito il vostro nome.

-Cliantha- rispose quella, prendendo un pezzo di formaggio da un tagliere disposto sul tavolo della sala da pranzo -Pumpkinseed.

-Come dite, mia cara?- domandò l’anziano nano, rimasto con il boccale a mezz’aria e con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.

-Cliantha Pumpkinseed- ripeté più lentamente la ragazza, sorpresa da quella reazione, soprattutto quando Balin lanciò un’occhiata carica di significato al fratello maggiore, che emise un grugnito e infilò il naso nel proprio boccale.

-Questa è di certo- commentò l’anziano nano, prendendo un sorso di birra e lanciando uno sguardo alla mano sinistra della ragazza, che la chiuse subito attorno al proprio boccale, a disagio per il proprio palmo -Un’insolita coincidenza.

Cliantha stava per chiedergli spiegazioni in merito a questa “insolita coincidenza”, quando il campanello suonò e Bilbo Baggins, infuriato, accorse alla porta nel tentativo di dissuadere il nuovo venuto dall’entrare, ma quando ebbe aperto la porta una cascata di nani precipitò sul tappeto dell’ingresso, seguito da una serie di lamentele dei nani e da un lungo sospiro di Bilbo: -Gandalf- sentì dire la ragazza dalla sala da pranzo.

A quel nome Cliantha saltò in piedi come una molla e corse nel corridoio, trovando lo stregone tra un gruppo di nani borbottanti.

-Buonasera, Cliantha- le sorrise Gandalf, impegnato a togliersi cappello e mantello e ad affidarli al padrone di casa -Sapevo che ti avrei incontrata qui.

-Davvero?- chiese sorpresa la ragazza, mentre l’orda di nani le passava a fianco, salutandola e presentandosi, per andare ad unirsi ai loro compagni.in sala da pranzo.

-Sì, certo- annuì lui, facendole l’occhiolino -Perché credi che sia passato dalla locanda stamattina? Non certo per i biscotti rinsecchiti di Dora Cactaceo.

-Non potevi dirmi semplicemente di venire qui, invece di sparire?- domandò Cliantha, non capendo la logica di quello strano individuo -Quante probabilità c’erano che Cactaceo mi dicesse di portare la birra al signor Baggins?

-Immagino un numero abbastanza alto- rispose Gandalf con un sorriso sornione sotto ai folti baffi grigi -Siccome le ho detto di aver visto un gran numero di viandanti sulla strada di Brea per unirsi alla festa della vendemmia, consigliandole di valutare attentamente le quantità di cibo e bevande.

-Oh…- non immaginava che Gandalf avesse pianificato il suo coinvolgimento nel raduno e la cosa la inquietava ed emozionava allo stesso tempo, lasciandola senza parole, cosa che sembrò divertirlo e, ridendo sotto ai baffi, le mise una mano sulla spalla: -Coraggio, ragazza mia- disse lo stregone, incoraggiante -Gli altri stanno preparando la cena, andiamo ad aiutarli.

Dalla cucina il gruppo passò in sala da pranzo in un brusio di voci accese e allegre, trasportando sedie e stoviglie e allestendo il tavolo per la cena.

In un battito di ciglia la tavola venne imbandita con ogni ben di dio e i commensali, i quali non avevano smesso un istante di parlare e ridere, iniziarono a mangiare in una maniera che Cliantha non riuscì a descrivere con parole diverse da “selvaggio”.

Non c’era avidità nel loro trangugiare una pietanza dopo l’altra, ma le loro mani erano come gli artigli di uccelli rapaci che si avventano sulle ignare prede e le loro bocche accoglievano ogni forma di cibo e bevanda emettendo gorgoglii, risate e grida di incitamento, soprattutto quando qualcuno lanciava un pezzo di carne o un uovo a un amico dall’altra parte del tavolo e costui lo prendeva al volo con la bocca.

Era uno spettacolo a dir poco surreale, persino divertente.

Notandola ancora in piedi, Fili diede una pacca al suo vicino, un nano con i capelli rossi disposti a tricorno, per invitarlo a scalare di un posto e far accomodare la ragazza.

Il giovane le fece un cenno e Cliantha accettò l’invito, prendendo dalle mani di un nano dai capelli argentati e dai baffi accuratamente intrecciati un piatto pieno di formaggio, carne e patate arrosto.

-Avete paura che vi mordano, mia signora?

-Come prego?- domandò Cliantha, guardando in faccia il giovane dai capelli biondi, che le sorrideva sornione con i baffi che scintillavano alla luce delle lanterne.

-I miei amici sono persone irruente, ma innocue, soprattutto adesso che hanno cibo di cui saziarsi.

-Saziarsi?- bofonchiò l’uomo con i capelli a tricorno, sputacchiando pezzi di formaggio -Basta a mala pena per tutti.

-Signor Nori!- lo rimproverò Kili, a fianco del fratello -Non dica così: il signor Boggins ci ha messo gentilmente a disposizione la sua dispensa, che era anche ben fornita per una persona sola, aggiungerei!

-E che temo dovrà riempire presto- commentò Cliantha, prendendo un boccone dal proprio piatto e osservando gli altri commensali mangiare come cavallette -Di nuovo.

-Facciamo solo onore alla tavola, signorina- ammiccò un nano con il cappello dalle falde all’insù e vispi occhi che traboccavano di intelligenza -Non credo che siamo stati presentati, io sono Bofur e questi sono i miei cugini Bifur e Bombur- aggiunse, indicando due nani accanto a lui: uno esibiva una lunga chioma corvina, una folta barba sale e pepe e lunghi baffi pettinati in due trecce che alternavano ciocche nere a ciocche bianche, dalla tempia sinistra (Cliantha fece del proprio meglio per non esternare il proprio stupore e l’interesse che la cosa le suscitava) emergeva la testa di un’ascia, conficcata nel suo cranio; l’altro, invece, era il più grosso della compagnia e a malapena riusciva a stare sulla propria sedia, sulla sua pancia prominente stava adagiata una lunga e spessa treccia fulva e i suoi baffi erano altrettanto spessi e voluminosi, sotto cui il doppio mento ondeggiava ogni qualvolta che il nano apriva bocca per addentare un tocco di formaggio o un pezzo di salsiccia.

-Con chi ho il piacere di parlare?- domandò Bofur, esibendo un allegro sorriso sotto ai baffi ispidi.

-Cliantha Pumpkinseed- rispose la ragazza, ricambiando di buon grado il sorriso.

-È la cameriera che ha portato la birra- tagliò corto  Dwalin con tono di sufficienza, storcendo il naso e segnando uno smacco nell’orgoglio di Cliantha, che sentì le proprie guance avvampare di rabbia.

A Bofur non sfuggì il suo disagio e, agguantato il proprio boccale, lo innalzò per un brindisi a cui tutti si unirono: -A quest’ottima birra e a una nuova amicizia!

-Come vi siete procurata quella scottatura?- intervenne, previsto e gradito come un fulmine a ciel sereno, il più giovane del gruppo, un nano con i capelli castani a scodella e i baffi corti e ispidi, indicando la sua mano sinistra -Sembra che vi siate fatta molto male…

L’attenzione dei presenti, un attimo prima focalizzata sul brindisi, venne concentrata sul palmo sinistro della fanciulla, che, messa a disagio da tutti quegli sguardi puntati su di lei, aveva iniziato ad agitarsi sulla sedia e a cercare nella stanza qualcosa che potesse salvarla da quella situazione.

Ori, il giovane nano, notò l’effetto che la sua domanda aveva procurato nella ragazza e se ne vergognò, così, rosso in volto come un peperone, cercò di rimediare: -Mi dispiace! Sono stato inopportuno, non volevo!

-Non fa niente, davvero- rispose Cliantha, su cui le scuse di Ori riuscivano a farla sentire ancora più a disagio -È solo in segno di nascita- spiegò -Nulla di che.

-Siete sicura di non esservelo procurata in qualche modo?- insistente Balin, lanciando occhiate colme di interesse sulla sua mano dal suo posto a lato del tavolo.

-Sì, ci sono nata- rispose Cliantha, che non aveva dimenticato la storia dell’ “insolita coincidenza” e a cui non quadrava quell’interesse morboso nei confronti della sua mano e del suo nome -Anche mia madre lo aveva. È una cosa di famiglia.

A quel punto la conversazione si perse su discorsi legati al cibo, alle bevande e ai parenti lasciati a casa, i toni divennero più vivaci e i nani irruenti, lanciandosi cibo, camminando sul tavolo per portare pietanze agli altri commensali e indicendo gare di rutti. Le risate rieccheggiavano tra le pareti così forte da far vibrare i quadri appesi e i soprammobili sulle mensole, mentre Bilbo Baggins, estenuato da quell’invasione, discuteva animatamente con Gandalf, cercando una spiegazione.

La cena giunse al termine e i nani si alzarono per sparecchiare la tavola: -Scusate se vi interrompo- chiese Ori, che finito di mangiare, si era recato dal padrone di casa con il proprio piatto in mano -Ma cosa dovrei fare con il mio piatto?

-Dallo a me- si intromise Fili, prendendolo dalle sue mani e lanciandolo al fratello dall’altra parte della sala da pranzo. Cliantha vide il volto di Bilbo sbiancare davanti all’immagine del piatto che volava da una parte all’altra e la cosa peggiorò quando anche le altre stoviglie incontrarono lo stesso destino e i nani, tenendo il ritmo battendo i piedi sul pavimento e le posate sulla tavola, intonarono una canzone.

Spuntar lame neanche poco,

Romper bottiglie e tappi al fuoco,

Scheggiar coppe con tutto il resto,

Questo Bilbo lo detesta!

La tovaglia per mangiar,

Sopra il letto le osse lasciar,

In dispensa il latte versar,

Vino ovunque poi schizzar.

Le stoviglie nell’acqua e poi,

Nel mortaio le puoi pestar,

E se qualcuna poi si salvò,

Sempre in terra gettar si può…

Questo Bilbo lo detesta!

Cliantha osservò quella scena estasiata dalla maestria con cui i nani maneggiavano piatti, bicchieri e pentole, tenendoli perfettamente in equilibrio li uni sugli altri e facendoli volteggiare, senza farli mai cadere, a tempo con la musica. Immaginò la faccia che avrebbe fatto la signora Cactaceo,  se quello spettacolo si fosse tenuto nella sua cucina, e una risata le sgorgò dal cuore, incitando i nani ad accelerare le loro acrobazie, fino a quando la canzone terminò e la ragazza gratificò gli altri ospiti con un applauso.

-Non incoraggiarli, per favore- le sussurrò Bilbo all’orecchio, asciugandosi il sudore dalla fronte e riprendendo fiato dopo aver rincorso i piatti per tutta la cucina e la sala da pranzo -Forse è il caso che ritorni a Brea- aggiunse poi, ignorando le risate di compiacimento dei nani al suo stato di affanno -Si sta facendo tardi e non è prudente stare in strada con il buio.

-Ecco io…- iniziò la ragazza, ma le parole le si smorzarono in bocca, non sapendo cosa dire per giustificare la sua presenza in casa di un cliente del suo datore di lavoro. I suoi occhi cercarono l’aiuto di Gandalf, sperando che se ne sarebbe uscito con una scusa perfetta per farla restare, ma Bilbo la stava già accompagnando all’ingresso, spiegando come, a suo avviso, il signor Cactaceo non avrebbe dovuto incaricare lei, una giovane donna da sola, di un lavoro a quella tarda ora.

Lo hobbit ruotò il pomello al centro della rotonda porta di legno laccato di verde e tirò per permettere alla ragazza di uscire, ma la sua strada venne sbarrata da un tredicesimo nano, avvolto in un lungo mantello di pelliccia, con lunghi capelli corvini, interrotti qua e là da sottili fili argentati, e dai lineamenti del viso nobili e armoniosi.

Cliantha rimase bloccata sulla soglia di casa, riconoscendo nel nuovo venuto, la cui fierezza sprizzava da ogni dettaglio, dal portamento allo sguardo, dall’abbigliamento di ottima fattura alla capigliatura perfettamente curata, il nano che aveva servito al Puledro Impennato un anno prima.

-Voi…- sussurrò la ragazza, colta di sorpresa da quell’inaspettata apparizione.

Il nano la osservò per qualche istante e a Cliantha parve di leggere nei suoi penetranti occhi azzurri lo stesso sentimento di sorpresa che lei stessa provava: -Vi chiedo permesso- disse il nano, rompendo il silenzio, educatamente, ma con fermezza, e Cliantha si fece da parte -Gandalf!- esclamò poi, riconoscendo l’amico alla soglia del salotto -Avevi detto che questo posto sarebbe stato facile da trovare. Ho smarrito la via due volte, non l’avrei trovata se non fosse stato per quel segno sulla porta.

Nel frattempo l’intera compagnia si era radunata all’ingresso per accogliere degnamente il nuovo arrivato: -Bilbo Baggins- iniziò Gandalf, avvicinandosi allo hobbit e estinguendo le sue proteste circa l’impossibilità che ci fossero segni sulla porta appena verniciata -Permettimi di presentarti Thorin Scudodiquercia, il capo della nostra compagnia.

“Scudodiquercia?” pensò la ragazza, soprendendosi nel trovare una certa familiarità in quell’appellativo.

-Dunque- disse Thorin, girando attorno a Bilbo e studiandolo dalla testa ai piedi -Questo è lo hobbit… Sembra più un droghiere che uno scassinatore- commentò, suscitando le risate dei compagni.

-Come prego?- chiese Bimbo, indispettito.

-Ditemi, mastro Baggins- continuò Thorin, ignorando la sua domanda -Quante battaglie avete combattuto? Quale arma preferite? Spada o ascia?

-In realtà- rispose lo hobbit, messo alle strette da quell’interrogatorio di cui tutti i presenti attendevano ansiosi le risposte -Sono bravino a Lancia Castagne, ma non credo che questo risponda alla domanda.

La tensione in quell’ambiente stretto e affollato era diventata palpabile e Cliantha sentiva l’elettricità scorrere nel gruppo di nani, che a bassa voce commentavano tra loro le parole di Bilbo, sottoposto al vaglio di un giudice severo; la loro attenzione, però, tornò implacabile su di lei quando Thorin, mollata per il momento la presa su Bilbo, domandò allo stregone: -Cosa ci fa qui la ragazza?

-Ecco- esordì Gandalf -Lei...

-Cliantha- interruppe la fanciulla, irritata e offesa dal fatto che il nano non le si fosse rivolto direttamente.

Le palpebre del nano ebbero un fremito e i muscoli del volto parvero irrigidirsi, ma accadde così in fretta che Cliantha non riuscì a comprendere se fosse accaduto davvero o se fosse stato solo un casuale effetto di luce dato dal tremore di una candela.

-Come dici?- chiese Thorin, questa volta guardandola negli occhi e concentrando su di lei tutta la sua attenzione.

-Il mio nome è Cliantha Pumpkinseed- ripeté quella, sostenendo lo sguardo -E lavoro alla locanda Il Puledro Impennato, a Brea. Sono qui per una faccenda di lavoro.

-Sì- disse Thorin, il cui sguardo, notò Cliantha, andò istintivamente alla ricerca del suo palmo sinistro, che lei teneva ben nascosto, serrato in un pugno -Mi ricordo di te.


L’autrice: eccoci qui! Benvenuti alla fine del secondo capitolo de Il marchio del drago! Vi ringrazio con tutto il cuore di essere arrivati alla fine della pagina e spero tanto che vi sia piaciuto e che vi abbia intrattenuto per un po’.

Vorrei mandare un grosso abbraccio a LaViaggiatrice e a Princess_of_Erebor che, oltre ad aver iniziato a seguire la storia, l’hanno anche recensita, a michela30 e Odette Kahwamura per seguire la fanfiction e Ankoku10, elanorstella e Lucson89 per averla aggiunta addirittura tra le preferite! Vi ringrazio tutte di cuore per il vostro incoraggiamento!

Un grosso grazie anche ai lettori silenziosi che passano a dare un’occhiata ;)

Sarò felice di accogliere i vostri commenti e le vostre opinioni, che sicuramente mi aiuteranno a migliorarmi.

Un abbraccio e alla prossima!

Desma


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Capitolo 3
*** The quest ***


Thorin Scudodiquercia stava seduto al tavolo e mangiava lentamente una zuppa da un piatto che Bilbo gli aveva portato e parlava con i suoi uomini nella quiete della casa dello hobbit, illuminato dalla luce del camino e delle candele.

Cliantha, che aveva approfittato della distrazione di Bilbo per l’arrivo del tredicesimo nano e del supporto di Gandalf per stare ancora qualche minuto, lo osservava mangiare e chiacchierare, raccontando del suo viaggio presso i parenti e informandosi delle famiglie dei suoi amici, poi Dwalin chiese: -Che cosa hanno detto i nani dei Colli Ferrosi? I Durin sono con noi?

Quella domanda sembrò conferire una sferzata all’orgoglio del nano, che appoggiò il cucchiaio sul bordo del piatto e, emesso un leggero sospiro, rispose: -Loro non verranno. Dicono che quest’impresa è nostra e solo nostra.

-Partite per un’impresa?- chiese timidamente Bilbo da dietro le spalle di Gandalf, incuriosito. A quella domanda lo stregone rispose chiedendo che gli venisse fornita più luce e lo hobbit andò a cercare una lanterna.

-Lontano verso est- iniziò Gandalf, estraendo da sotto il mantello un pezzo di carta pecora ripiegato ed estendendolo sul tavolo -Oltre le montagne e il fiume, al di là di terreni boschivi e terre desolate, giace un’unica vetta solitaria.

-La Montagna Solitaria- esclamò la ragazza, completamente assorbita dalla conversazione e provocando non pochi sguardi sorpresi da parte di alcuni dei nani.

-Esatto- confermò lo stregone.

-I presagi sono stati interpretati- si intromise il nano dalla spessa chioma fulva -E dicono che è il momento.

-I corvi sono stati visti volare verso est- intervenne un altro nano con in mano un corno acustico di ottone -Così come era stato predetto. Quando gli uccelli del passato torneranno a Erebor, il regno della bestia avrà fine.

Bilbo Baggins emerse dalla dispensa, in cui era andato a cercare la lanterna, e, evidentemente scosso, domandò: -Quale bestia?

-Oh, sarebbe in riferimento a Smaug il terribile- rispose Bofur, facendo ondeggiare la sua pipa con noncuranza -La maggiorissima e più grande calamità della nostra epoca. Uno sputafiamme volante- iniziò a descrivere, evidentemente divertito dalla reazione che suscitava nel timido hobbit -Denti come rasoi, artigli come ganci da macellaio, appassionato di metalli preziosi.

-Direi che è chiaro- intervenne Cliantha, notando la tensione nel collo di Bilbo.

Il giovane nano con i capelli a scodella si alzò dalla sedia e dichiarò il suo coraggio, dicendo di voler affrontare il drago con la sua lama nanica, ma il suo impeto venne smorzato dal fratello più anziano, Dori, che lo fece sedere.

I compagni gli fecero eco, finché il più anziano della compagnia non prese parola: -Ci vorrebbe un esercito per affrontarla e noi siamo solo in tredici, non dei migliori e neanche dei più svegli.

-A chi hai dato dello stupido?- domandò un altro nano, mentre Fili prendeva parola: -Saremo pure pochi di numero, ma siamo combattenti, tutti quanti. Fino all’ultimo nano!- esclamò con maggiore enfasi, battendo la mano sul tavolo.

-E dimenticate che abbiamo uno stregone nella compagnia- intervenne Kili, infervorato dalle parole del fratello -Gandalf avrà ucciso centinaia di draghi ai suoi tempi.

Tuttavia quell’intervento da parte del giovane nano sembrò mettere in difficoltà lo stregone, che, balbettando poche parole, cercò di sviare l’argomento, ma i nani sono creature testarde e insistettero, chiedendo esattamente quanti draghi egli avesse ucciso; l’immediata mancanza di risposta provocò una reazione furibonda che venne placata solo dal comando di Thorin.

-Shazara!- urlò il loro capo, ristabilendo finalmente l’ordine -Se noi abbiamo interpretato questi segni non pensate che altri l’abbiano fatto?- domandò dall’alto della sua statura, eccezionalmente elevata per la sua razza -Le voci hanno iniziato a diffondersi, il drago Smaug non viene avvistato da sessant’anni. Occhi guardano a est, verso la montagna, valutando, ponderando, soppesando i rischi. Forse la grande ricchezza del nostro popolo ora giace senza protezione e stiamo comodi, mentre altri prendono ciò che è nostro di diritto? O afferriamo l’occasione per riprenderci Erebor?

Il discorso venne accolto con grandi acclamazioni e Cliantha rimase affascinata dalla capacità di Scudodiquercia di ristabilire coraggio e motivazione nei suoi uomini, che alzavano i boccali in segno di approvazione.

-Peccato che la porta principale sia nascosta- intervenne di nuovo Balin, riportando tutti alla dura realtà dei fatti -Non si può entrare nella Montagna.

-Questo, mio caro Balin- si intromise Gandalf -Non è del tutto vero.

In un abile movimento di dita, una spessa e grossa chiave di metallo da i bordi spigolosi apparì nella sua mano; lo stupore era dipinto sul volto del capo dei nani, che quasi in un sussurro domandò: -Perché è nelle tue mani?

-Mi è stata data da tuo padre, Thrain- rispose il vecchio, porgendogliela -Come forma precauzionale. Ora è tua.

Il nano prese quell’oggetto con una delicatezza quasi reverenziale che le sue dita grosse e corte non sembravano neanche capaci di operare e rimase per qualche istante ad ammirarla, come se fosse stato un oggetto di infanzia a lungo perduto e ora ritrovato.

-Se c’è una chiave…- iniziò Fili, dando voce ai propri pensieri -Ci deve essere una serratura.

-Hai ragione, mastro nano- convenne Gandalf, accendendosi la pipa con qualcosa che poteva essere un fiammifero ma che Cliantha non riuscì a comprendere -La mappa indica l’ingresso di un passaggio all’interno della Montagna, ma le porte dei nani sono impossibili da trovare una volta chiuse. Inoltre queste rune spiegano come trovarlo, ma io non sono in grado di interpretarle. Comunque c’è chi ha maggiore conoscenza di me e, una volta interpellato, saranno necessari discrezione, astuzia e una certa dose di coraggio.

In tutto quel discorso Cliantha aveva capito dove l’uomo stesse andando a parare e si sorprese della propria audacia quando sentì la sua voce dare corpo ai suoi pensieri: -Per questo vi serve qualcuno che sia in grado di intrufolarsi in qualunque luogo non visto e non udito. Un ladro provetto!

-Esatto- le sorrise affettuosamente Gandalf -Uno scassinatore, per la precisione.

-E uno bravo!- convenne Bilbo, che con le dita infilate sotto alle bretelle non colse lo sguardo eloquente che lo stregone aveva lanciato alla ragazza.

Il silenzio scese per qualche secondo, mettendo in evidente difficoltà Bilbo, che si guardò intorno.

-Tu lo sei?- chiese Dwalin alla fine, dando voce ai pensieri di tutti

-Sono cosa?- domandò lo hobbit.

-Uno scassinatore!- esclamò Balin.

-No- rispose fermamente quello, che aggiunse con orgoglio -Non ho mai rubato niente in vita mia.

-È come pensavo- disse Dwalin -Quest’impresa non è adatta alla gente per bene che non sa badare a sé stessa- poi, squadrando Cliantha con un’occhiata di sufficienza, aggiunse -E tantomeno per fragili fanciulle.

-Cosa ti fa credere che io sia fragile?- sbottò alla fine Cliantha, incapace di tollerare quell’insopportabile atteggiamento di superiorità e sdegno che quel maleducato ostentava.

La sua reazione fu la scintilla che fece scoppiare un’altra accesa discussione, fatta di una cacofonia di urla e strepiti in cui alcuni sostenevano, con poco garbo, che lo hobbit sarebbe stato inadatto alla missione, mentre altri lo difendevano. Il caos spinse la pazienza di Gandalf al limite e lo stregone si alzò, fuori di sé, proiettando un’ombra che avvolse tutta la stanza.

-Silenzio!- disse, sovrastando le voci di tutti e riportando il silenzio -Se dico che Bilbo Baggins è uno scassinatore, allora uno scassinatore egli è.

Il suo animo si placò e l’ombra restituì il posto alla calda luce del focolare: -Gli hobbit sono piccoli e veloci- spiegò -E sono in grado di non farsi udire da molti, se lo desiderano. Inoltre, se il drago è avvezzo all’odore dei nani, quello degli hobbit gli è completamente sconosciuto e questo ci dà un immenso vantaggio.

-Molto bene- affermò Thorin, facendo cenno a Balin -Dagli il contratto.

Il nano, interpellato, fece quanto gli era stato chiesto e porse un lungo foglio di carta pecora ripiegato più volte, anche di lato, che lo hobbit prese e iniziò a scorrere; Cliantha notò che Thorin si era sporto verso Gandalf e gli sussurrava qualcosa nell’orecchio, a cui lo stregone annuì serio.

Nel frattempo la voce di Bilbo, intento a leggere i termini del contratto, giungeva nella sala dapprima bassa e veloce, poi sempre più alta e chiara -La presente compagnia non risponderà di lesioni inflitte da, o come conseguenza di, incluso, ma non limitatamente a lacerazioni, eviscerazioni... incenerimento?- scandì l’ultima parola con chiarezza, aspettandosi forse che si trattasse di uno scherzo.

-Oh sì!- esclamò invece Bofur, che Cliantha inquadrò, a quel punto, come un burlone caratterizzato da una vena di sadismo -Il drago ti ridurrà a braciolette in un batter d’occhio.

Continuò ad elencare altre situazioni poco piacevoli che il drago non avrebbe mancato di procurare al povero hobbit, il cui voltò sbiancò e il respiro divenne corto e affannoso.

-Stai bene?- chiese Balin, accigliato.

-Sì, sì- mentì Bilbo, piegandosi sulle ginocchia e cercando di prendere dei respiri profondi -Devo solo…

E cadde a terra svenuto.

-È un tipetto piuttosto eccitabile- giustificò Gandalf in risposta allo sguardo cupo e severo che Thorin aveva rivolto al povero hobbit -Gli vengono questi strani buffi attacchi, ma è uno dei migliori! Fiero come un drago se c’è bisogno.

Nel frattempo Cliantha era schizzata dalla sedia a piena velocità e accorsa allo svenuto signor Baggins, prendendo la brocca di acqua che stava sul tavolo e da cui Thorin si era dissetato durante il pasto: -Era davvero necessario?- domandò, rivolgendo agli astanti sguardi di gelo, poi bagnò un tovagliolo con l’acqua e lo passò sulla fronte, il collo e i polsi di Bilbo.

-Non sembra essersi fatto nulla cadendo- osservò Cliantha, non vedendo segni, poi gli prese il polso per accertarsi che il battito fosse regolare -È solo svenuto, qualcuno mi aiuti a distenderlo sul divano e portatemi del whiskey!

Fili e Kili si alzarono prontamente e si occuparono di sollevare il loro scassinatore dal pavimento, mentre Dori, il nano con la barba bianca accuratamente intrecciata e i capelli argentati raccolti sul capo, corse a procurare l’alcolico.

Quando Dori le ebbe portato la bottiglia, Cliantha la stappò e ne avvicinò il collo sotto al naso dello hobbit, che si riprese di soprassalto.

-Come va?- chiese la ragazza, la cui voce recava una punta di dolcezza.

-I-io…- balbettò Bilbo, ancora disorientato -Credo di aver bisogno di una tazza di thé.

Ciò detto lo hobbit si alzò e, aiutato dai due giovani nani, si recò in cucina a fare quanto aveva annunciato, lasciando soli Cliantha e lo stregone.

-Quindi è questa la famosa avventura?- chiese la ragazza, che ancora osservava con apprensione in suo paziente allontanarsi pur essendo instabile sulle ginocchia -La riconquista di Erebor?

Un cenno affermativo dello stregone le diede a conferma e il suo cuore prese a saltare nel petto come un forsennato: -Giorni celesti!- esclamò, aggrappandosi al bracciolo della poltrona per non cedere all’emozione -Io.. Io credevo che fosse solo una storia della buonanotte! Mia madre me la raccontava di quando in quando e… credevo che i draghi si fossero estinti, non immaginavo che Smaug il Terribile esistesse davvero! Crescendo l’avevo interpretato come una metafora dell’avidità di Thror, che aveva portato la disgrazia sul suo popolo… E suo nipote, Scudodiquercia, è qui, nella Contea! E io gli servito da bere! Oh giorni celesti! Oh giorni celesti!

-Thornrose- intervenne Gandalf, interrompendo il suo sproloquio delirante -Conosceva la storia di Erebor?

-Ne conosceva tante- rispose la ragazza, ancora emozionata per le sue scoperte -Ma quella era tra le mie preferite.

Bilbo tornò con la sua tazza di thè e si mise a sorseggiarlo seduto in poltrona, dichiarando di star bene e di aver solo bisogno di stare tranquillo per qualche attimo per riprendersi. Lui e Gandalf iniziarono a discutere e Cliantha si sentì abbastanza tranquilla sulla sua salute per poter lasciare il capezzale del suo paziente e andare in cucina a versarsi da bere.

Mentre passava davanti alla sala da pranzo sentì Balin sospirare: -A quanto pare abbiamo perso il nostro scassinatore. Forse è meglio così. Le probabilità c’erano lo stesso a sfavore. Dopotutto cosa siamo noi? Mercanti, minatori, stagnai, giocattolai. Non certo materia da leggenda.

-Ci sono alcuni guerrieri tra di noi- sentì dire dalla voce calda e profonda di Thorin.

-Vecchi guerrieri- ribatté l’altro.

-Io sceglierei uno qualunque di questi nani invece di un esercito dei Colli Ferrosi- disse Thorin, la cui voce era animata da un forte senso di orgoglio -Perché quando li ho convocati hanno risposto. Lealtà. Onore. Un cuore volenteroso. Non posso chiedere più di questo.

A quelle parole, per quanto il contesto le sembrasse assurdo e incredibile, Cliantha non poté trattenersi dal sorridere: Thorin era mosso da sentimenti di grande nobiltà e aveva una grande capacità di trasmetterli a chi lo ascoltava.

Dentro di lei sentì crescere il desiderio di voler fare parte di quel progetto, infervorata dal discorso del re dei nani e desiderosa di dimostrare le qualità che aveva appena elencato: “Erebor!” sembrava scandire il suo cuore ad ogni battito. La sua memoria le riportò la voce dolce e carezzevole della madre che le raccontava, dopo averle rimboccato le coperte, della ricchezza e della bellezza della mitica città dei nani scavata nella roccia, traboccante di oro e gemme preziose, della Montagna Solitaria.

Forse quella era davvero la sua occasione, un segno del destino per spingerla a cercare quella nuova vita che tanto aveva sognato il giorno in cui suo padre, o, più accuratamente, i suoi resti erano stati deposti in una fossa accanto a quella che già ospitava il cadavere di sua madre.

Nulla più, pensava la ragazza, mentre sorseggiava il suo bicchiere d’acqua, osservando i nani radunarsi davanti al fuoco del camino nel salotto, la tratteneva in quella città, in quella casa piena di ricordi e svuotata degli affetti, quindi perché non tentare?

Dalla cucina poteva osservarli tutti con chiarezza, i nani di Erebor: raccolti attorno alla bocca infuocata del camino, i loro volti sembravano quelli di antiche statue scolpite nella pietra, i lineamenti erano marcati dalle forti luci delle fiamme che scoppiettavano allegre, le loro barbe rilucevano dei piccoli gioielli, chi ne aveva, intrecciati ai lunghi e spessi peli corvini, bianchi o fulvi e in quel momento a Cliantha parve di vedere i personaggi leggendari di quelle vecchie storie raccontate nel buio della sua stanza da letto.

Chissà quale storia sarebbe stata raccontata da quell’impresa tanto audace?

Ad un tratto le sue orecchie captarono un canto, dapprima un semplice mugugnio, poi parole distinte scandite dalla lenta melodia della voce bassa e calda di Thorin, che con la pipa saldamente accomodato tra le dita se ne stava appoggiato alla mensola del camino, ispirato dalle lingue di fuoco al suo interno:

Lontano su nebbiosi monti gelati

in antri oscuri e desolati.

Partir dobbiamo,

l'alba scortiamo

per ritrovare gli ori incantati.

Poi gli altri nani si unirono al suo canto, innalzando un coro solenne, senza strumenti né accompagnamento, le loro sole voci a rievocare quella canzone antica e colma di una tremenda memoria:

Ruggenti pini sulle vette

dei venti il pianto nella notte.

Il fuoco ardeva

fiamme spargeva

alberi accesi torce di luce.

Era uno spettacolo maestoso e al contempo malinconico e Cliantha dovette passare i polpastrelli agli angoli interni degli occhi per arginare una lacrima; dall’altra parte del salotto, seduto sulla sua poltrona nella stanza accanto, Cliantha vide Bilbo Baggins, commosso quanto lei, che osservava il camino, immerso nelle riflessioni scatenate da quelle parole.

Nel frattempo i nani si erano messi comodi sul divano e sulle poltrone che arredavano il salotto, chiacchierando e fumando Vecchio Tobia; Cliantha si riempì di nuovo il bicchiere e raggiunse i nani nel salotto, dove trovò posto a sedere accanto a Bofur, intento a colmare il serbatoio della pipa con il tabacco.

-È stata un’esibizione splendida- disse la ragazza, accomodandosi sui cuscini ricoperti di tessuto color cremisi impreziosito da merletti di pizzo; il nano accese la pipa e se la portò alle labbra per tirare la prima boccata di avviamento: -Meno male!- esclamò, emettendo volute di fumo che andarono a disperdersi sopra le loro teste -Thorin ci ha fatto provare un milione di volte, sarebbe andato su tutte le furie se non fosse venuta buona la prima!

-Come?- chiese Cliantha, facendo quasi schizzare l’acqua fuori dal bicchiere e lanciando occhiate incredula al re dei nani, che, attorniato dai nipoti, studiava la mappa alla luce del camino.

-Sto scherzando!- rise Bofur, puntando il bocchino della pipa contro la sua faccia -Guarda che faccia! No, è una canzone che è stata scritta durante l’esodo da Erebor dopo che era stata occupata dal drago, fa parte della nostra tradizione da duecento anni oramai.

-Beh- riprese Cliantha -Era davvero bellissima.

-Sì- annuì Bofur, prendendo una nuova boccata -E speriamo che alla fine della campagna vengano aggiunte delle nuove strofe.

Cliantha annuì a sua volta, per poi rimanere in silenzio ed ascoltare le conversazioni che si tenevano attorno a lei: l’ambiente era divenuto molto più disteso e rilassato e i piccoli gruppi che si erano formati (per lo più basati sulla parentela, da quanto Cliantha aveva avuto modo di comprendere) discutevano di cose comuni, normali, come le nuove tecniche di assemblaggio dei meccanismi di un orologio da taschino ideate ai Colli Ferrosi, o l’aumento di prezzo delle pietre preziose e dei legni da incenso, o, ancora, della scelta dell’abbigliamento per quello che, dalle previsioni, sarebbe stato un inverno particolarmente rigido.

C’era una pace imprevista nell’affollato salotto di casa Baggins, che lo stesso padrone di casa, risvegliatosi dai suoi pensieri, aveva quasi timore di infrangere quando, entrato in salotto, offrì ai suoi ospiti di sistemarsi per la notte nelle numerose stanze da letto.

La compagnia accettò di buon grado e un po’ alla volta i nani presero i propri bagagli e si distribuirono nelle camere degli ospiti per prepararsi per la notte: -Anche tu, Cliantha- le disse Bilbo, porgendole delle lenzuola fresche di bucato -Ormai è troppo tardi e non mi sentirei in pace sapendoti in strada a quest’ora della notte. Puoi fermarti a dormire.

-Vi ringrazio, signor Baggins- rispose Cliantha, incapace di trattenere uno sbadiglio -Prima però devo occuparmi di Brithil, che è rimasta fuori agganciata al carretto. Vi dispiace se resta nel vostro giardino?

-Non c’è problema, purché non mangi i miei fiori.

Cliantha ringraziò e prima di uscire si avvolse il mantello ben stretto attorno al collo per ripararsi dalla brezza fredda che tirava e faceva ondeggiare le chiome degli alberi; facendosi luce con una lanterna, la ragazza attraversò il giardino e raggiunse l’animale, che l’accolse sbuffando.

-Ciao, bella!- la salutò Cliantha passando la sua mano tra il crine bruno che ondeggiava sul collo muscoloso dell’animale -Ti ho fatta aspettare un sacco qua attaccata al carro, vero? Povera Brithil! Dai, adesso ti sgancio, così potrai riposarti un po’ in mezzo a questo bel prato.

La cavalla emise di nuovo uno sbuffo dalle ampie narici quando Cliantha la liberò dai vincoli che la tenevano al carretto, ma, mentre stava per portarle la coperta da distendere sulla sua schiena, la ragazza si ritrovò faccia a faccia con Thorin, che, spuntato dal nulla come uno spirito, la squadrava a braccia incrociate, la schiena dritta come una torre e le gambe ben piantate al suolo.

-Che cosa credi di fare?- domandò il re dei nani, diretto e implacabile come un colpo di frusta.

-Preparare il cavallo per la notte- rispose Cliantha con finta ingenuità, ben sapendo che il nano non si stesse riferendo a quello, e, infatti, alle sue parole Thorin sollevò un sopracciglio e le lanciò un’occhiataccia: -Gandalf sostiene che tu sia una persona degna di fiducia- riprese poi il nano -E se non fosse per l’alta considerazione in cui tengo la sua opinione, saresti stata rispedita alla tua locanda nel momento esatto in cui ho messo piede in casa. Tuttavia, quello che hai udito questa sera ha un’importanza troppo alta perché io ti lasci andare, rischiando che tu vada a spifferare informazioni su cose che non ti riguardano.

Cliantha si sentì il sangue raggelare nelle vene: alle sue orecchie quelle parole erano parse come una velata minaccia e dentro di lei temeva che Thorin, dato il fervore dei suoi discorsi e l’alta posta in gioco di quell’impresa, non avrebbe avuto problemi nel tramutarla in fatti.

-Avete la mia parola- disse, soppesando attentamente le sue parole -Che nulla di quanto è stato detto questa sera uscirà mai dalla mia bocca.

-La parola di una locandiera non è sufficiente- rispose Thorin, sprezzante.

-Allora accettate la parola di una figlia- ribatté Cliantha, il cui cuore aveva cominciato a fare i salti mortali, iniziando a temere per il peggio, così nel tentativo di calmarlo e, al contempo, dare maggiore enfasi al suo discorso, pose la mano destra sul petto e alzò la sinistra, aperta -Giuro sulla memoria di mia madre e di mio padre che non dirò ad anima viva quanto è accaduto stasera.

Gli occhi di Thorin andarono a posarsi sul palmo segnato della ragazza e per qualche istante le sue iridi blu non sembrarono in grado di vedere null’altro; poi passarono al suo viso e il nano parve riflettere su quel giuramento, soppesandone il valore e valutando se accettarlo o meno, cosa che alla fine sembrò fare perché, rilassate le braccia e le spalle, disse con voce più calma: -E sia, ragazza, ma ricorda che i nani sono poco inclini a dimenticare il male subito, così come il bene ricevuto. Se anche solo una sillaba scivolerà fuori dalla tua bocca, saprò per certo da chi tornare a riscuotere i danni. Sono stato chiaro?

-Limpido- rispose Cliantha.

Avuta la sua risposta, Thorin annuì e tornò in casa, non prima però di averle lanciato un’ultima, penetrante, occhiata alla mano, rimasta sollevata e che Cliantha si affrettò ad abbassare: ma cosa avevano tutti con la sua mano? Certo, la pelle rossa e rugosa del suo palmo non era uno spettacolo piacevole, ma la cosa stava diventando morbosa.

Se non altro, pensò la ragazza, mentre finiva di preparare Brithil per la notte e si assicurava che avesse un bacile pieno d’acqua da cui attingere, Thorin sembrava essersi convinto della sua affidabilità abbastanza da non infierire ulteriormente con le minacce, ma come si sarebbe comportato quando avrebbe messo in atto il piano che la sua mente stava elaborando?

 

 

L’autrice: salve a tutti e benvenuti alla fine del terzo capitolo de Il marchio del drago! Grazie per aver resistito fino in fondo, lo apprezzo molto 😉

Un abbraccio speciale vorrei mandarlo a Fjorleif per aver iniziato a seguire la mia storia, a SaraGreta_24 e Thorin 78 per averla aggiunta tra le preferite! Grazie di cuore, è un piacere immenso sapere che il mio lavoro vi abbia regalato qualche emozione e abbiate deciso di dargli un’opportunità!

Spero che continuerà ad essere così anche se buona parte di questo capitolo sia tratta dalla trasposizione cinematografica di Peter Jackson, ma per me è stata la scena più interessante e meglio riuscita di tutta la trilogia e ci tenevo a inserirla nel mio scritto.

Di seguito un piccolo collage di mia realizzazione ispirato alle vicende del primo capitolo. Le immagini non mi appartengono, mi sono solo divertita ad associarle tra loro. Spero vi piacciano.

Un abbraccio e alla prossima!

Desma

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